7-07-2010 16:09 Pagina 1 Ogni mese una Pagg. 129-192 00-Cover 5-6:Layout 1 Newsletter sulla salute del tuo cuore? N. 5-6 MAGGIO-GIUGNO 2010 www.centrolottainfarto.it ANNO XXVIII Di invidia si può morire N. 5-6 MAGGIO-GIUGNO 2010 Poste Italiane SpA Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB - Roma Una pubblicazione del: 00-Cover 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:09 Pagina 2 Online CONOSCERE E CURARE IL CUORE Il Congresso a casa tua 2010 CONOSCERE E CURARE IL CUORE 2010 Il Congresso, in versione audiovisiva, è disponibile online sul sito www.centrolottainfarto.it. Sono inoltre pubblicati in formato PDF i testi dei relatori. È un servizio che la Fondazione offre gratuitamente ai medici iscritti al Congresso 2010. I medici che hanno versato la quota minima possono richiedere il volume degli Atti del Congresso o gli Atti online con un contributo di € 30,00. Crediti formativi ECM I crediti formativi ECM conseguiti sono disponibili online. Gli interessati possono collegarsi al sito della Fondazione www.centrolottainfarto.it e seguire la procedura indicata. 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 129 Sommario breve maggio-giugno 2010 Foto iStockphoto.it Il cardiopatico in vacanza 133 D’invidia si può morire 139 40 Idee per Conoscere e Curare il Cuore 2011 170 Lettere a Cuore e Salute 172 News Medicina al femminile 142 176 Noci, statine e Little Tony 145 Fibrillazione atriale e andamento lento 147 Helenio Herrera 149 Diagnosi di aneurisma a. 153 Aneurisma addominale 158 Genetica e cardiopatia ischemica 161 Diuretici tiazidici 180 Ancora sui diuretici 182 Braccio o polso? 183 Il ballistocardiogramma 185 Un cuore amico 188 Aforismi 190 Quaderno a Quadretti 165 www.centrolottainfarto.it Cuore e Salute E-mail: [email protected] Rivista di cardiologia divulgativa e di educazione sanitaria per i soci del Centro per la Lotta contro l’Infarto-Fondazione Onlus Direttore Responsabile Franco Fontanini Anno XXVIII - n. 5-6 Maggio-Giugno 2010 Tariffa Associazione senza fini di lucro: Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art 1 comma 2 DCB - Roma Pubblicazione registrata al Tribunale di Roma il 3 giugno 1983 n. 199 Coordinamento Editoriale Lilli D’Agostino Associata Unione Stampa Periodica Italiana Abbonamento annuale Italia e 20,00 - Estero e 35,00 Direzione, Coordinamento Editoriale, Redazione di Cuore e Salute Tel. 06.6570867 - E-mail: [email protected] Amministrazione e Abbonamenti Centro per la Lotta contro l’Infarto-Fondazione Onlus, Cuore e Salute Viale Bruno Buozzi, 60 - 00197 Roma Tel. 06.3230178 - 06.3218205 - Fax 06.3221068 c/c postale n. 64284003 Redazione Mario Albertucci Filippo Altilia Vito Cagli Bruno Domenichelli Antonella Labellarte Salvatore Milito Mario Motolese Massimo Pandolfi GianPietro Sanna Luciano Sterpellone Vice Direttori Eligio Piccolo Francesco Prati Editore Centro per la Lotta contro l’Infarto Fondazione Onlus Viale Bruno Buozzi, 60 - Roma Progetto Grafico Gentil Srl [Valentina Girola] Realizzazione impianti e stampa Varigrafica Alto Lazio Srl - Nepi (VT) 01-Impaginato 5-6:Layout 1 n.5-6 7-07-2010 16:07 Pagina 130 sommario 2010 p. 144 XII comandamenti per il cardiopatico che va in vacanza 133 Di invidia si può morire Franco Fontanini 139 News Aggiornamenti cardiologici Filippo Stazi e Francesco Prati 142 • Gastroprotettori, non a tutti! [E. P.] 144 Noci, statine e Little Tony Eligio Piccolo 145 Per la fibrillazione atriale niente andamento lento! 147 Filippo Stazi La palla di Tiche HH, il mediocre calciatore che si autoinventò Mister e vinse tutto Franco Fontanini • Dimagrire e riprendere peso [E. P.] p. 147 Tutto quello che si deve sapere su … Aneurisma dell’aorta Aneurisma addominale: l’importanza di una diagnosi precoce 149 152 153 Rocco Giudice Aneurisma addominale Eligio Piccolo • Aneurismi aortici [Franco Fontanini] p. 153 158 160 Dal Congresso Conoscere e Curare il Cuore 2010 Genetica e cardiopatia ischemica: le applicazioni cliniche sono ancora lontane? Daniela Lina, Diego Ardissimo 161 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 p. 165 16:07 Pagina 131 • Il Viagra stupisce ancora? [E. P.] 169 Quaderno a Quadretti Franco Fontanini 165 40 Idee per Conoscere e Curare il Cuore 2011 170 Lettere a Cuore e Salute 172 - La sempiterna dieta in bianco [F. F.] - Anticoagulanti, anticoagulati e Centri di Sorveglianza [Filippo Stazi] Medicina al femminile Vito Cagli • Abbassare la pressione per ridurre il rischio di infarto è sempre vero? [Vito Cagli] Diuretici tiazidici: i più longevi tra i farmaci antiipertensivi Filippo Stazi • Ancora sui diuretici [Vito Cagli] 176 179 180 182 Braccio o polso: questo è il problema Pasquale Bossa 183 Ballistocardiogramma: una metodica abbandonata 185 Silviano Fiorato p. 180 • Ricordo del Prof. Spalato Signorelli [Franco Fontanini] 187 Un cuore amico Eligio Piccolo 188 Aforismi 190 p. 185 L’Editore si scusa per eventuali omissioni o inesattezze delle fonti delle immagini, dovute a difficoltà di comunicazione con gli autori. 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 132 Cuore e Salute è una pubblicazione del Il Centro per la Lotta contro l’Infarto - Fondazione Onlus, nato nel 1982 come Associazione senza fini di lucro, dopo aver ottenuto, su parere del Consiglio di Stato, il riconoscimento di personalità giuridica con decreto del 18 ottobre 1996, si è trasformato nel 1999 in Fondazione, ricevendo in tale veste il riconoscimento governativo. È iscritto nel registro Onlus. Il Centro per la Lotta contro l’Infarto - Fondazione Onlus riunisce popolazione e medici, ed è sostenuto economicamente dalle quote associative e dai contributi di privati, aziende ed enti. Cura la diffusione nel nostro paese dell’educazione sanitaria e della cultura scientifica ai fini della prevenzione delle malattie di cuore, in particolare dell’infarto miocardico, la principale causa di morte. Per la popolazione ha allestito la mostra Cuorevivo che ha toccato tutti i capoluoghi di regione, pubblica l’Almanacco del Cuore e la rivista mensile Cuore e Salute. Per i medici organizza dal 1982 il congresso annuale Conoscere e Curare il Cuore. La manifestazione, che si tiene a Firenze e che accoglie ogni anno diverse migliaia di cardiologi, privilegia gli aspetti clinico-pratici sulla ricerca teorica. Altri campi d’interesse della Fondazione sono le indagini epidemiologiche e gli studi di prevenzione della cardiopatia ischemica in Italia. In particolare negli ultimi anni ha partecipato con il “Gruppo di ricerca per la stima del rischio cardiovascolare in Italia” alla messa a punto della “Carta del Rischio Cardiovascolare”, la “Carta Riskard HDL 2007” ed i relativi software che permettono di ottenere rapidamente una stima del rischio cardiovascolare individuale. La Fondazione ha inoltre avviato un programma di ricerche sperimentali per individuare i soggetti più inclini a sviluppare un infarto miocardico. Il programma si basa sull’applicazione di strumentazioni d’avanguardia, tra cui la Tomografia a Coerenza Ottica (OCT), e di marker bioematici. Infine, in passato, la Fondazione ha istituito un concorso finalizzato alla vincita di borse di studio destinate a ricercatori desiderosi di svolgere in Italia un programma di ricerche in ambito cardiovascolare, su temi non riguardanti farmaci o argomenti di generico interesse commerciale. Presidente Consiglio Generale FRANCESCO PRATI MARIO ALBERTUCCI, ALESSANDRO BOCCANELLI, BRUNO DOMENICHELLI, FRANCO FONTANINI, GIANCARLO GAMBELLI, CESARE GRECO, FABIO MENGHINI, ALESSANDRO MENOTTI, MARIO MOTOLESE, FRANCESCO PRATI Presidente onorario MARIO MOTOLESE Consiglio di Amministrazione MARIO ALBERTUCCI, BRUNO DOMENICHELLI, FRANCO FONTANINI, FABRIZIO IMOLA, ANTONELLA LABELLARTE, MARIA TERESA MASCAGNI, MARIO MOTOLESE, ELIGIO PICCOLO, FRANCESCO PRATI, FILIPPO STAZI Soci sostenitori ASTRAZENECA, BANCA FIDEURAM, BANCA NAZIONALE DEL LAVORO, BAYER SCHERING PHARMA, BOEHRINGER INGELHEIM ITALIA, BRISTOL-MYERS SQUIBB, FERROVIE DELLO STATO, I.F.B. STRODER, ISTITUTO LUSO FARMACO D ’ITALIA, ITALFARMACO, MEDTRONIC ITALIA, MERCK SHARP & DOHME, NOVARTIS FARMA, PFIZER ITALIA, RCS RIZZOLI PERIODICI, ROCHE, ZAMBON ITALIA. 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 133 XII comandamenti per il cardiopatico che va in vacanza maggio-giugno [n. 5-6/2010] Foto di L.D.A. I - Non fatevi prendere dall’euforia delle vacanze In ordine o acciaccato che sia il vostro cuore, non abbandonatevi ai facili entusiasmi tanto frequenti nei primi giorni di ferie. Non si deve far tutto il primo giorno: vogare, nuotare, fare jogging, tennis, ballare: la vacanza deve essere soprattutto distensione. In montagna, al mare o in campagna, qualunque sia l’attività preferita, fatela sempre con gradualità. Ad una certa età specialmente, non si possono fare escursioni, lunghe nuotate, riprendere sport abbandonati, senza preparazione. Il caldo immagazzinato dal corpo fa salire la pressione arteriosa, aumenta la frequenza cardiaca e accresce il lavoro del cuore. Nelle ore più calde è opportuno fare la siesta in ambiente ombroso e distensivo. Per le attività più faticose si scelgano le ore ancora fresche del mattino o quelle della sera, quando la temperatura è scesa. p. 133 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 134 La marcia è lo sport più consigliabile per tutti, è bene preferire prati, boschi, pinete o la riva del mare, che, oltre al beneficio fisico, daranno conforto psichico per la bellezza del paesaggio. La durata della marcia deve variare secondo il grado di allenamento e, nel caso di ammalati di cuore, di riabilitazione. Si cominci sempre con pochi chilometri, aumentando nei giorni successivi in modo da marciare da trenta minuti a due ore, ad un’andatura di 6-7 chilometri l’ora. La marcia rapida è un esercizio fisiologico, benefico e senza inconvenienti; è consigliabile, però, controllare di tanto in tanto la frequenza del polso che deve restare al di sotto del limite massimo che viene calcolato sottraendo gli anni a 230: un sessantenne deve mantenere la frequenza al di sotto di 160, meglio che non superi mai, neppure durante il massimo sforzo, i 140 battiti al minuto. Chi si è accorto che i jeans o i pantaloncini dell’estate precedente sono diventati stretti in cintura, non si riproponga di perdere in pochi giorni i chili accumulati intensificando l’attività sportiva: per perdere peso, più del moto, sono indispensabili adeguate restrizioni dietetiche. Non si deve mai entrare di colpo in acqua, ma è bene immergere nell’ordine gambe, braccia, viso, nuca, torace, schiena, in modo da facilitare l’adattamento del corpo alla temperatura dell’acqua. Opportuno non spingersi da soli troppo al largo, e uscire dall’acqua prima di avvertire senso di raffreddamento. Se la pelle impallidisce o si avvertono brividi, p. 134 vuol dire che vi è stata un’eccessiva perdita di calore e i centri che regolano la temperatura del nostro corpo non possono riequilibrarsi se si resta nell’acqua. Anche il ballo è un’attività fisica che può essere benefica, ma si evitino le ore piccole che lasciano il segno il giorno dopo. Importante è un buon sonno in una camera che non sia calda. II - Viaggiate senza fretta È sconsigliabile per tutti programmare viaggi con tappe obbligate imponendosi di visitare il maggior numero possibile di località, viaggiando magari anche durante la notte. Meglio scegliere una sede gradita e in quella trascorrere tutto il periodo della vacanza. Le ferie possono costituire anche un’occasione culturale, ma non devono mai essere una fatica a causa di lunghi tragitti in strade dal traffico intenso, attese snervanti per gli imbarchi, con lunghi spostamenti, affaticanti. L’automobile dovrebbe essere usata il meno possibile, meglio riscoprire la bicicletta; a pochi chilometri dalla località di villeggiatura prescelta possiamo scoprire ignorate bellezze paesaggistiche o artistiche. Sconsigliabile eccedere anche nella curiosità di voler gustare tutte le specialità gastronomiche delle varie regioni. Coloro che a settembre raccontano entusiasti ciò che hanno visto e fatto nel recente viaggio di tremila chilometri, non hanno fatto una vacanza. 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 135 centri ben distribuiti sul territorio e sulle grandi isole. Il portatore di pacemaker ripassi il libretto che gli è stato consegnato dopo l’impianto: evitare le attività fisiche che causano affaticamento, mancanza di respiro, vertigini, i salti, tuffi, gli urti e le pressioni che possono provocare spostamenti dello stimolatore, il quale può essere disturbato anche da scariche elettriche e dalla vicinanza a motori elettrici o a scoppio. IV - Portate un elettrocardiogramma recente e una breve relazione del vostro medico Prima di partire è bene che l’ammalato informi il medico dei suoi progetti di vacanze in modo da avere la sua approvazione circa la località prescelta. In quell’occasione è bene che si faccia Foto di Edi Turriani III - Evitate le località prive di adeguata assistenza medica Coloro che hanno avuto qualche disturbo cardiocircolatorio debbono sempre informarsi preventivamente sulle possibilità di assistenza che troveranno nel luogo prescelto per la vacanza. Il cambiamento del modo di vivere, le fatiche dei viaggi, favoriscono il riapparire di disfunzioni che sono rimaste a lungo quiescenti al punto da venire dimenticate. I portatori di pace-maker, quando si recano fuori dalla loro zona e lontano dal loro centro di controllo, debbono procurarsi una pianta con le sedi presso le quali potranno recarsi qualora si renda necessaria assistenza. È bene che questa sia facilmente raggiungibile. In Italia vi sono più di cento maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 135 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 136 prescrivere tutti i farmaci necessari, sia per le cure di mantenimento sia per eventuali emergenze. Porti con sé la copia della prescrizione in modo da poterla mostrare al medico di cui può aver bisogno. È preferibile che porti con sé le medicine per evitare il rischio di interrompere anche per breve tempo le cure. La precauzione diviene ancor più importante nel caso che l’ammalato si rechi all’estero dove le medicine hanno nomi diversi. Salvo che non sopravvengano fatti nuovi, è consigliabile evitare che il medico al quale l’ammalato si rivolge durante le vacanze, anche se suscita la massima fiducia, modifichi le terapie. Eventuali correzioni potranno essere fatte dopo il rientro a casa: la vacanza è il periodo meno adatto per cambiare terapia o per provarne di nuove. V - Scegliete il mezzo di trasporto più adatto a voi Anche per questo l’ammalato di cuore deve chiedere consigli al medico curante. Poiché la maggioranza delle persone va in vacanza in automobile riportiamo un decalogo per il cardiopatico del volante: • mettetevi al volante solo se vi sentite bene; • limitate sempre la velocità e fate tappe corte 150-200 km; • evitate le strade con traffico congestionato; • tenete nel cruscotto le medicine consi- p. 136 gliatevi per le emergenze; • non guidate sotto l’effetto di medicine che diano sonnolenza; • fate pasti leggeri escludendo gli alcolici; • non spingete la macchina in caso di guasto, non cambiate le gomme, non caricate e scaricate bagagli; • non viaggiate mai soli; fatevi accompagnare da qualcuno che possa darvi il cambio alla guida; • fermatevi sul bordo della strada se avvertite qualche disturbo riferibile al cuore; • non guidate se vi sentite stanchi. VI - Non fate imprudenze in stazione Il trasporto delle valigie, le corse per paura di perdere il treno, sono cause non rare di scatenamento di attacchi cardiaci e debbono essere assolutamente evitati: sarebbe il modo peggiore di iniziare le vacanze. L’ammalato di cuore deve scegliere treni nei quali è possibile prenotare il posto ed evitare le giornate di ressa; se viaggia di notte, il letto è indispensabile. VII - Non riscoprite la racchetta a 50 anni Se la bicicletta, la marcia, il nuoto, il jogging, praticati senza velleità sportive, rappresentano attività adatte a tutti, non così il tennis che va considerato uno sport ad alto impegno cardiaco, del tutto inadatto per chi ha disturbi cardiaci anche di lieve entità. La natura degli sforzi del tennista è 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 137 caratterizzata da sforzi brevi e violenti: la battuta, la risposta, i salti, interrompono, anche se in maniera transitoria, la normale respirazione. Il cuore non ha mai il tempo di adattarsi allo sforzo e scarse possibilità di recupero all’infuori delle interruzioni che si fanno fra un punto e l’altro. A 50 anni anche coloro che lo praticano regolarmente non si lascino indurre a gareggiare con avversari più giovani o più esperti. Non va dimenticato che il tennis sollecita l’emotività del giocatore. VIII - Non date ascolto alle cure miracolose del vicino di ombrellone Molti ammalati amano parlare delle loro malattie: è un genere di conversazione che sarebbe meglio evitare, anche perché sovente risulta noiosa per l’interlocutore. Può accadere che due ammalati di cuore si ritrovino vicini d’ombrellone: in questo caso la comune malattia – che spesso è invece tutt’affatto diversa nonostante alcune apparenti similitudini – diviene l’argomento costante senza variazioni. Molti ammalati si considerano dei grandi esperti di cardiologia: ostentano grandi nozioni sulle cause di cardiopatia e soprattutto sui mezzi di cura. Anche se trovate molte analogie fra i vostri disturbi e quelli del vicino e anche se questi riferisce di averli eliminati grazie ad un farmaco che vi consiglia con calore, non lasciatevi mai tentare. Proseguite regolarmente con le cure che vi ha prescritto il vostro medico prima della vacanza, anche se non vi liberano totalmente dai disturbi, senza sperimentarne di nuove anche se descritte miracolose. IX - Reintegrate le perdite di potassio D’estate la traspirazione aumenta, si suda con facilità, e col sudore il nostro organismo insieme all’acqua perde potassio. L’acqua persa viene facilmente reintegrata perché viene stimolata la sete, ma è necessario reintegrare anche il potassio perso che è indispensabile al buon funzionamento del cuore. Il pericolo di abbassamento del potassio del sangue (ipopotassiemia) è particolarmente accentuato negli ammalati che prendono diuretici, farmaci che accrescono l’eliminazione del potassio con le urine. Il medico valuterà l’opportunità o meno di prescrivere potassio; un’alimentazione ricca di verdura e frutta, sempre consigliabile durante la stagione calda, sarà sufficiente a mantenere nella norma i livelli plasmatici di potassio, tuttavia è bene sapere che possiedono un alto contenuto di potassio le albicocche secche, le lenticchie, i dadi da brodo, i piselli secchi, le prugne secche, l’uva passa, le mandorle, il prezzemolo, il prosciutto affumicato e la salsa di pomodoro. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 137 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 138 Marilyn Monroe e Tom Ewel in una scena del film “Quando la moglie è in vacanza” X - Evitate la cura del sole e l’aria condizionata La tintarella non fa bene, neppure alla pelle, anche se migliora l’aspetto. Con l’esposizione al sole non si deve scherzare; il caldo immagazzinato dal corpo fa salire la pressione, fa battere il cuore svelto, non giova alla circolazione delle gambe. È bene rinunciare anche ai condizionamenti: meglio tenere le persiane chiuse durante il giorno e aprirle dopo il tramonto. XI - Non superate i 2000 metri Salendo di quota, la percentuale di ossigeno dell’aria diminuisce: coloro che soffrono di angina pectoris o di disturbi circolatori cerebrali possono risentirne perché i globuli rossi ne trasportano meno. Vanno evitate soprattutto le ascensioni in funivia che fanno compiere grandi sbalzi di quota in breve tempo. L’aereo, invece, non comporta pericoli perché, grazie alla pressurizzazione, non ci si discosta dalla pressione che si ha a mille metri di quota. p. 138 XII - Evitate le tentazioni del marito solo in città Gli ammonimenti a questo proposito sono assai numerosi, ad elencarli tutti si rischierebbe di divenire noiosi. È vero che molte mogli di ammalati di cuore eccedono nel ruolo tutelare trasformandosi spesso in fastidiosi controllori, ma è anche vero che molti mariti, liberati da ogni sorveglianza, rischiano di commettere pericolose imprudenze. Ricordiamo solo quelle innocenti: le cene troppo ricche, il poker che si protrae per gran parte della notte, le sfide sportive fra colleghi o fra scapoli e ammogliati. 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 139 Di invidia si può morire di Franco Fontanini Salomone sentenziò che il diavolo e la morte entrarono nel mondo portati dall’invidia, Abele fu la prima vittima. L’invidioso vive in un ininterrotto disagio e sta male a causa delle tensioni mai scaricate e compresse nell’inconscio che lo portano alla nevrosi, somatizza negli organi maggiormente sensibili alla vita emotiva, avverte spesso fitte al cuore, ha sbalzi di pressione, aritmie, gastralgie, ulcera duodenale, anoressia, colite, impotenza e sarebbe colpito più spesso dall’infarto. Qualcuno sostiene che senza l’invidia vivremmo ancora nelle caverne e, secondo Bertrand Russel, non ci sarebbe la democrazia. L’invidia condiziona il ricco e il povero, il genio e il mediocre. Bacone diceva che colpisce anche i re perché c’è sempre qualcuno più re degli altri. Saul era invidioso della fama di David, i trofei di Milziade toglievano il sonno a Temistocle, Cassio per invidia congiurò contro Giulio Cesare, Michelangelo invidiò a Raffaello l’avvenenza e, a sua volta, fu duramente invidiato dallo scultore Pietro Torrigiano che non sopportava di vederlo tanto ammirato e onorato, tanto che spesso litigavano. Davanti a Santa Maria del Carmine a Firenze fecero un vero e proprio match pugilistico nel quale Michelangelo ebbe la peggio. Un pugno in faccia gli fratturò il naso che rimase deturpato. I pittori sarebbero i più colpiti, Tiziano non volle più nella sua bottega il giovane Tintoretto per il timore che qualcuno dicesse che l’allievo aveva superato il maestro, maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 139 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 140 Raffaello Sanzio Caravaggio trattava male chi elogiava altri pittori. Secondo il Vasari il Francia morì roso dall’invidia per Raffaello, ma neppure i letterati ne sono immuni: Montesquieu parlava male di tutti gli altri scrittori, Ibsen, a Londra, dichiarò pubblicamente di non aver mai sentito parlare di uno scrittore danese di nome Andersen, l’amico che nella notte telefonò a Quasimodo per dargli la notizia del Nobel, sapendo che aveva avuto l’infarto, gli consigliò di prendere un tranquillante e di andare a letto. “Starò tutta la notte al telefono, gli rispose, per dare un dispiacere a tutti gli invidiosi”. Perfino il mite Pascoli non tollerava che si parlasse bene di D’Annunzio e confessò che l’invidia non era letteraria, bensì per la bella residenza del Vate. L’architetto Le Pautre cadde stecchito alla notizia che il re gli aveva preferito il rivale Mansart per il piano urbanistico p. 140 Michelangelo Buonarroti di Parigi, Castillo fu stroncato dalla rabbia per i successi di Utrillo, Francois per quelli di Maguy e di Demarteau. Raggiunse la leggenda, probabilmente inventata, l’invidia che tormentò per tutta la vita Salieri nei confronti di Mozart, del quale avrebbe copiato le musiche e venne persino sospettato di essere responsabile della sua morte prematura con un lento avvelenamento. L’invidia non ha niente a che fare con la competizione che è attiva, ottimistica, speranzosa, priva di acredine, e nasce dalla fiducia di riuscire ad emulare e raggiungere chi sta più in alto, mentre l’invidia è astiosa, distruttiva, pessimistica, priva di speranza e cerca solo di far cadere i rivali. Chi soffre d’invidia non ha fiducia nel proprio io. È diversa anche dalla gelosia, che è caratterizzata dal timore di perdere ciò che si ha, oggetto o persona. 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 141 Altra caratteristica dell’invidioso è che non ammette mai di esserlo. Scarsamente considerata e giudicata non grave nel Cristianesimo medioevale, oggi secondo i teologi l’invidia è da considerare in crescita per i continui cambiamenti della nostra società consumistica che la favorisce. Il caso più clamoroso di invidia regale è quello di Luigi XIV, il Re Sole, divorato dall’invidia per Nicolas Fouquet, sovrintendente generale delle finanze statali e padre del “Grande Secolo” che paradossalmente fiorì sotto un re di scarsa cultura, del quale si diceva che avesse fatto in tutto tre bagni compreso quello della levatrice. Il Re Sole era invidioso dell’eleganza di Fouquet, della sua cultura, della sua Nicolas Fouquet (XVII secolo) splendida biblioteca, della sua amicizia con gli artisti, della sua straordinaria abilità nel compiere miracoli economici, perfino del suo cuoco, il famoso Vatel che, oltre ad essere un impareggiabile maestro d’arte culinaria, sapeva organizzare feste sontuose. Sebbene il re fosse un instancabile amatore, con una serie interminabile di favorite e di figli – la sola Marchesa di Montespan gliene dette otto – era invidioso del fascino che Fouquet esercitava sulle donne. Luigi XIV era un grande lavoratore e un famoso egoista, diffidente dei parigini e dei parlamentari, e ripeteva in continuazione, alludendo a Fouquet: “Mi sembra che mi si privi della mia gloria, quando altri può ottenere fama, gloria e ricchezza senza di me”. Lo stupendo castello di Vaux che Fouquet si fece costruire, fu responsabile dell’attacco di invidia del re che lo ritenne più bello del suo Palais Royal di Parigi, scatenò il suo desiderio di vendetta e segnò la fine di Fouquet. Con la complicità di Coulbert, altrettanto invidioso, l’accusò di irregolarità amministrative, di malversazioni e di essere pericoloso per la nazione. Il castello di Vaux era troppo sfarzoso, quello di Belle-Ile en Mer troppo fortificato e minaccioso. Arbitro assoluto, giudicò opportuna una punizione esemplare per chi “ambiva a diventare arbitro dello Stato”. Fouquet, condannato alla confisca dei beni e al bando perpetuo, finì i suoi giorni nel carcere di Pinerolo. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 141 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 142 NEWS Aggiornamenti cardiologici di Filippo Stazi e Francesco Prati La psoriasi aumenta il rischio cardiovascolare: come già descritto nello scorso numero di Cuore e Salute la psoriasi, una malattia infiammatoria cronica della pelle, sembra essere un fattore di rischio indipendente per la comparsa di aterosclerosi, infarto miocardico e stroke. Quanto detto ha trovato un’ulteriore conferma in uno studio recentemente pubblicato sull’European Heart Journal in cui 3.603 pazienti affetti da psoriasi severa sono stati confrontati con 14.330 soggetti sani provenienti dalla stessa popolazione. Dopo aggiustamento per i tradizionali fattori di rischio cardiovascolare la psoriasi si è rivelata un fattore di rischio indipendente per mortalità da cause cardiovascolari con un HR di 1,57. È degno di nota come l’aumento del rischio variasse in funzione dell’età, risultando maggiore (HR 2,69) nei soggetti quarantenni che in quelli sessantenni (HR 1,92). Ulteriori studi sono necessari per determinare la causa di questa associazione nonché l’effetto che il controllo della psoriasi può avere sul rischio cardiovascolare. (Eur H J on line 27 Dec 2009) La forza della mano degli anziani predice il loro rischio di morte: è noto da tempo come negli anziani una ridotta forza muscolare sia associata ad una prognosi sfavorevole in termini di disabilità fisica, declino mentale e mortalità. Un recente studio olandese pubblicato sul Canadian Medical Association Journal ha mostrato come, nei grandi anziani, la forza della mano nell’afferrare gli oggetti sia un valido surrogato della forza muscolare totale, costituisca un parametro altamente indicativo del loro rischio di morte per qualsiasi causa e possa essere un semplice strumento di stratificazione prognostica. La forza della presa della mano di 555 soggetti è stata valutata con un semplice dinamometro all’età di 85 anni e poi ripetuta a 89 anni. Nel corso di un follow-up di 9,5 anni 444 pazienti andavano incontro al decesso (80%). Il rischio di morte era maggiore nei soggetti che a 85 anni presentavano il più basso terzile di forza della mano (HR 1,35), in quelli che a 89 anni erano nei due terzili inferiori (HR 2,04) e, infine, in coloro che erano nel terzile con la maggiore perdita relativa di forza tra le due misurazioni (HR 1,72). (CMAJ 2010. DOI: 10.1503/cmaj.091278) p. 142 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 143 Ticagrelor versus clopidogrel nelle sindromi coronariche acute: sono stati recentemente pubblicati i risultati dello studio PLATO che ha confrontato l’ultimo arrivato tra i farmaci antipiastrinici, il ticagrelor che è un inibitore reversibile del P2Y12 ed il clopidogrel in pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA), con e senza sopraslivellamento ST, destinati a strategia terapeutica interventistica. 6.732 pazienti sono stati trattati con ticagrelor (180 mg in dose di carico e 90 mg due volte al giorno come mantenimento) e 6.676 con clopidogrel (dose di carico 300-600 mg, mantenimento 75 mg al giorno). Entrambe le terapie sono state condotte in associazione all’aspirina e proseguite per 6-12 mesi. L’end point combinato di morte, infarto miocardico e stroke si è verificato in 569 soggetti del gruppo ticagrelor ed in 668 pazienti del gruppo clopidogrel (p = 0.0025). Non si sono invece registrate differenze significative nella frequenza di sanguinamenti, sia totali (11,6% vs 11,5%, p = 0,8803) che severi (3,2% vs 2,9%, p = 0,3785). La conclusione degli autori è che il ticagrelor sembra essere un’opzione preferibile rispetto al clopidogrel in pazienti con SCA destinati a strategia interventistica precoce. (Lancet 2010; 375: 283-293) Chirurgia tradizionale ed endovascolare per gli aneurismi dell’aorta addominale: in uno dei numeri di maggio del New England Journal of Medicine sono stati pubblicati i risultati dell’EVAR Trial, in cui 1252 pazienti con aneurismi dell’aorta addominale di diametro ≥5,5 cm sono stati randomizzati al trattamento con chirurgia tradizionale od endovascolare. La terapia endovascolare mostrava migliori risultati precoci con un tasso di mortalità operatoria a 30 giorni dell’1,8% contro il 4,3% del gruppo sottoposto a chirurgia tradizionale ma tale beneficio non si confermava alla fine dello studio, in parte a causa del non trascurabile tasso di rotture fatali dell’endoprotesi. Alla fine del follow up non si riscontravano quindi differenze significative tra i due gruppi in termini di mortalità da tutte le cause. L’incidenza di complicazioni correlate al graft e di reinterventi era invece maggiore nel gruppo della chirurgia endovascolare. (N Engl J Med 2010; 362: 1863-1871) Chirurgia tradizionale ed endovascolare per gli aneurismi dell’aorta addominale II: sempre nello stesso numero del New England Journal of Medicine sono stati pubblicati anche i risultati dello studio DREAM in cui 351 pazienti con aneurismi dell’aorta addominale ≥5 cm sono stati randomizzati alla chirurgia tradizionale od a quella endovascolare. Dopo 6 anni di osservazione era sopravvissuto il 69,9% dei pazienti trattati convenzionalmente ed il 68,9% di quelli sottoposti a chirurgia endovascolare. La necessità di un reintervento era invece significativamente maggiore nel gruppo endovascolare (29,6%) che in quello trattato con chirurgia a cielo aperto (18,1%). (N Engl J Med 2010; 362: 1881-1889) maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 143 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 144 Gastroprotettori, non a tutti! Prima o dopo c’era da prevederlo. L’uso quasi d’abitudine dei gastroprotettori, inibitori della pompa protonica, derivati dell’omeprazolo o del pantoprazolo, non potevano non dare qualche sorpresa. Farmaci utilissimi, non c’è alcun dubbio, per proteggere la mucosa gastrica ed evitare certi disturbi fastidiosi, specie in coloro che devono assumere molte altre pastiglie o sono facili alle gastriti; in commercio si trovano sotto mille nomi, tutti diversi l’uno dall’altro per la gioia della fantasia, ma non per quella del paziente che non capisce a cosa servano, né del medico che, se non l’ha ordinato lui, deve andare sul prontuario per leggerne il principio attivo. Sono sostanze certamente attive, lo dimostra il grande successo nel prenderle e nel prescriverle, ma non possono essere completamente innocue. A parte alcuni disturbi digestivi dovuti al blocco dell’acidità gastrica, vi sono quelli più importanti dell’interferenza con altri farmaci che il paziente assume, la cui azione può venire in qualche modo contrastata. Significativa è quella con gli anticoagulanti (coumadin e sintrom), il cui INR per il controllo della loro efficacia oscilla in modo imprevedibile creando problemi per il dosaggio. Da qualche tempo viene segnalata con sempre maggiore allarme la loro interferenza con gli antiaggreganti piastrinici prescritti a chi è stato sottoposto a stent nelle coronarie. I gastroprotettori infatti riducono la loro azione protettiva e rendono più facili le recidive di infarto (Arch Intern Med, aprile 2010). Attenzione quindi alla facile prescrizione degli omeo-pantoprazolici! Meglio un disturbetto gastrico oggi che un tappo coronarico domani. Eligio Piccolo p. 144 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 145 Noci, statine, e Little Tony di Eligio Piccolo Giorni fa mi ritorna un paziente che controllo da tempo e lo interpello sui grassi del sangue e le statine che gli ho prescritto. Mi guarda un po’ imbarazzato e poi confessa: “Sa, da qualche tempo le ho sospese, ho preso il flaconcino, non ricordo il nome, mi scusi sa, quello di Little Tony... e dopo un mese il colesterolo, che non riuscivo mai ad abbassare, si è portato sotto i 200!”. Mi sono sentito, scusate l’arditezza del paragone, come Galileo davanti al Cardinale Bellarmino. Ho cercato di glissare, facendo finta quasi di non aver sentito, ho fatto le solite raccomandazioni sulla dieta e il peso; ogni discorso serio a quel punto avrebbe lasciato lui non convinto e me poco convincente. Cerchiamo di metterci dalla parte del povero paziente e immaginare ciò che gli frulla in testa quando il suo medico insiste con le statine, un altro invece gli raccomanda soprattutto dieta e attività fisica, e la TV gli offre miracolosi flaconcini, così belli ed attraenti da confonderli con lo yogurt; mentre lui, colesterolo alto o basso, non si accorge di nulla, non sente la differenza e vorrebbe che qualcuno gliela spiegasse. I valori di LDL, HDL e trigliceridi, che il tabulato degli esami marca con un asterisco perfino se superano o stanno sotto di un centesimo rispetto ai valori normali, lo terrorizzano e ben venga colui che gli propaganda con allegrezza un elisir. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 145 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 146 Oggi leggo su Archive of Internal Medicine (maggio 2010) che le noci, le mandorle, le nocciole, i pistacchi, le arachidi sono in grado di abbassare i grassi nocivi del sangue in modo significativo (dal 6% all’11%), specie in coloro che non si sono troppo allargati nel giro-vita o nel giro-anche, ossia mantengono un buon indice fra peso e statura. Non è una novità, lo sanno tutti, ma questo articolo è una revisione seria, di ben 25 trial condotti in sette paesi, e pazientemente rivalutata dai Nutrizionisti del “Instituto de Salud Carlos III” di Barcellona. Le noci e affini contengono dal 50% al 75% di acidi grassi del tipo insaturo, quelli per intenderci che fanno bene, ma anche fibre utili per l’intestino, oltre a minerali importanti come il rame, il magnesio e il potassio, vitamine varie e perfino quegli antiossidanti e fitosterolici così essenziali, dicono, nella protezione dei nostri vasi. Le noci fanno anche parte della dieta cosiddetta mediterranea, la cui efficacia nel controllare il colesterolo, nel ridurre le malattie cardiovascolari e nel migliorare la vita è oramai assodata come fosse un Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Quegli studi epidemiologici infatti hanno poi verificato che se la frutta secca rap- presenta una consistente proporzione della dieta, dal 10% al 20%, essa produce gli stessi vantaggi della mediterranea nel prevenire le malattie legate all’arteriosclerosi. Purché non si perda di vista, ribadiscono, il peso corporeo e il suo indice con l’altezza. Certo è più comodo prendersi una pastiglietta di statine la sera che rimpinzarsi di “bagigi”, come chiamano dalle mie parti le noccioline americane, e dover rinunciare con languore alla porchetta o al fegato alla veneziana. È un’alternativa difficile da discutere e da proporre nel nostro mondo del benessere, pieno di tante golosità e, per contraltare, di tanti avvertimenti medici. A qualcuno però, alla fine dei molti discorsi e delle sofisticate analisi degli esegeti del metabolismo, non può non venirgli un dubbio: e se invece di confrontare il colesterolo con le statine o con i flaconcini di Little Tony, confrontassimo i loro effetti con quelli della dieta o delle noci sulla nostra salute? Potremmo forse ottenere qualche idea più chiara e meno viziata da tanti ragionamenti statistici, non sempre disinteressati. Lasciamo comunque alle nuove ricerche su statine e diete una più utile valutazione del medico nei singoli casi. testimonianze Cuore e Salute mi educa, mi consiglia e mi diverte. Grazie. Franco, Venezia p. 146 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 147 Per la fibrillazione atriale niente andamento lento! di Filippo Stazi La fibrillazione atriale è l’aritmia cardiaca più comune e la sua frequenza aumenta con l’età, tanto da interessare circa il 10% delle persone con più di ottanta anni. Essa è caratterizzata da una totale irregolarità del battito cardiaco e si associa spesso ad un aumento della frequenza cardiaca, cioè del numero delle contrazioni che il cuore compie ogni minuto. Per il trattamento di tale aritmia sono disponibili due differenti strategie terapeutiche, quella denominata “controllo del ritmo” e quella definita “controllo della frequenza”. Nella prima l’obiettivo è il ripristino, mediante i farmaci o la cardioversione elettrica (l’erogazione di una scossa elettrica al cuore capace di resettarne il ritmo), e poi il mantenimento del normale ritmo sinusale, nella seconda si opta per la cronicizzazione dell’aritmia badando solo a prevenire l’eventuale aumento della frequenza cardiaca. Numerosi studi negli ultimi anni hanno dimostrato la sostanziale sovrapponibilità delle due strategie terapeutiche sia in termini di sopravvivenza, che di qualità di vita o di prevenzione degli eventi celebrovascolari (la più temibile complicanza della fibrillazione atriale). Alla luce di tali risultati la strategia di controllo della frequenza si è andata sempre più diffondendo anche in considerazione della sua maggiore semplicità. Non sono però noti quali siano i valori di frequenza cardiaca auspicabili e se una maggiore riduzione dei battiti si associ ad un miglioramento della prognosi. Ciò nono- maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 147 7-07-2010 16:07 Pagina 148 Foto di LDA 01-Impaginato 5-6:Layout 1 stante le linee guida, basandosi su dati empirici e non “evidence-based”, raccomandano uno stretto controllo della frequenza cardiaca anche se questo, necessitando di una terapia farmacologica più aggressiva, può comportare un aumento degli effetti indesiderati dei farmaci nonché del carico assistenziale sia per i medici che per i pazienti. Un recente studio olandese pubblicato sul New England Journal of Medicine dello scorso marzo ha cercato di chiarire questa zona d’ombra. A tale scopo 614 pazienti con fibrillazione atriale permanente sono stati randomizzati in uno studio di non inferiorità in due gruppi, nel primo l’obiettivo era il raggiungimento di una frequenza cardiaca a riposo, inferiore a 110 battiti per minuto (bpm), nel secondo, il gruppo a controllo più aggressivo, la frequenza cardiaca non doveva superare gli 80 bpm a riposo ed i 110 bpm durante sforzo moderato. Dopo circa 3 anni di follow up l’end point primario dello studio (una combinazione di morte per cause cardiovascolari, ricoveri p. 148 ospedalieri per scompenso cardiaco, stroke, embolie sistemiche, sanguinamenti maggiori ed eventi aritmici) si era verificato nel 12.9% dei soggetti del primo gruppo e nel 14.9% del secondo, senza significative differenze tra i due gruppi. Al momento non è possibile sapere se eventuali differenze tra i due tipi di trattamento potrebbero emergere in un periodo di follow up più prolungato. Ciò nonostante, la conclusione degli autori era che in caso di fibrillazione atriale permanente in cui si opti per il controllo della frequenza, una strategia meno aggressiva sia da preferire anche in considerazione del minore impegno richiesto sia al medico che al paziente. In sintesi, per la fibrillazione atriale niente andamento lento, anche perché, come ricordava l’editoriale di accompagnamento, questo studio ricorda a tutti come sia più importante trattare il paziente nel suo complesso piuttosto che un suo singolo parametro, peraltro importante, come la frequenza cardiaca! 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 149 La palla di Tiche a cura di Franco Fontanini Tiche, imperscrutabile figlia di Zeus, amava giocare. Chi veniva colpito dalla sua palla moriva perchè il suo cuore cessava di battere. Nella rubrica La palla di Tiche viene ricordato un personaggio del nostro tempo o del passato, illustre o sconosciuto, morto d’infarto. I medici e i lettori sono invitati a segnalarci casi di loro diretta conoscenza che presentino peculiarità meritevoli di essere conosciute. HH, il mediocre calciatore che si autoinventò Mister e vinse tutto Ci sono due motivi per ricordare Helenio Herrera: il centenario della sua probabile nascita, e la disputa, appena iniziata ma già violenta, fra i suoi fans e quelli di José Mourinho, l’uomo del giorno: nuovo Herrera o vecchio Rocco? Una sentenza ardua fra due rivali, entrambi allenatori dell’Inter, entrambi iberici, ammalati di protagonismo, a distanza di mezzo secolo, in uno sport che nel frattempo è totalmente cambiato. Herrera, di età imprecisata, monoglotta, con linguaggio approssimativo, arrivò nel 1960 con la fama di “mago”, senza molte vittorie nel palmares, centomila dollari all’anno di stipendio premi esclusi, che aumentarono di anno in anno. Il secondo, bello, poliglotta, elegante, holliwoodiano, sovraccarico di successi. In comune hanno solo lo stipendio da capogiro, la presunzione, la sicurezza di sé, il protagonismo e la megalomania. Herrera, precorrendo Berlusconi, trasformò il calcio in spettacolo planetario, enfatizzò la figura dell’allenatore, e soprattutto inventò il Mister, protagonista assoluto degli stadi, l’”uomo contro tutti”. Era un hidalgo istrionesco e geniale, fanfarone dispotico e paranoico, che considerava il suo lavoro una missione. Divenne “Habla Habla”, a metà fra un parrucchiere di Toledo, consapevole della sua acconciatura e un professionista di tango, come lo definì Edmondo maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 149 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 150 Mourinho Berselli, brillante saggista modenese direttore de “Il mulino” che, per scrivere di Mariolino Corso, si trasformò, a sorpresa, in immaginifico affabulatore calcistico senza eguali. Mourinho, con la mira di andare ancora più avanti, ha studiato Herrera a fondo in tutti gli aspetti tecnici e caratteriali, e su un quaderno segreto scritto da H.H. durante vent’anni, in franco-ibericoitaliano, che lasciò in eredità a Giacinto Facchetti, il suo allievo prediletto, dove sono riportati il suo modo di fare gli allenamenti, la preparazione psicologica, il diverso modo di affrontare le partite diurne e quelle notturne e i metodi occulti per caricare i suoi calciatori al momento di scendere in campo, le regole dello spogliatoio. Aveva in mente di fare di Facchetti un attaccante, sbagliando come di più non si poteva. Presumeva di insegnarci il calcio moderno che lui aveva inventato, portò all’este- p. 150 ro come suo, il modulo difensivo all’italiana, con l’Inter di Moratti Senior vinse campionati, coppe, champion, tutto quello che si poteva vincere, finché un infarto lo mise fuori gioco. Era nato in Argentina, figlio di un sivigliano poverissimo, onesto, anarchico e analfabeta, che quando Helenio aveva tre anni emigrò in Marocco alla vana ricerca di un po’ di fortuna. Abitò in una capanna abbandonata di Baires, per mangiare Helenio fece qualche furtarello, il padre lo redarguiva sempre, ma spesso si toglieva anche lui la fame con la refurtiva. Oggi a Baires c’è una grande strada dedicata a lui, il re del Marocco volle conoscerlo e si dice che pensasse di dargli in moglie sua sorella. Quando l’Inter, in omaggio al re, andò a giocare a Baires, Herrera, insieme al dottor Quarenghi, andò alla ricerca della capanna dove era vissuto quindici anni, e con i piccoli occhi andalusi pieni di lacrime gli disse: “Capisce perché i soldi mi fanno perdere la testa?” È la sola volta che fu visto piangere, sorridere non sapeva. In volo da Sofia a Barcellona, l’aereo fu investito da un uragano notturno, tutti piangevano, urlavano, pregavano, alcuni svennero, appena tornò un po’ di calma si sentì la sua voce metallica che disse: “L’allenamento di domani è spostato alle undici”. Dal Marocco andò in Spagna, poi in Francia dove giocò senza alcun successo, come terzino, in una squadretta del dipartimento delle Ardenne. 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 151 Dopo la guerra, col diploma di moniteur physique, iniziò a fare l’allenatore dicendo che era stato selezionato per la nazionale militare, senza che si sapesse se francese o marocchina, quasi certamente nessuna delle due. Era partito dall’Argentina a tre anni, e diceva di aver iniziato a giocare nelle giovanili del “River Plate”. “È sempre stato un gran bugiardo, diceva la terza moglie, ma non un falso, è convinto di essere egli stesso la verità”. Possedeva una carica prorompente, convinto di sé fino al ridicolo, sempre enfatico con programmi minuziosi; dopo un mese che era in Italia adottò il libero e impostò il gioco scarno sulla difesa, andò per il mondo vantandosi di aver inventato il catenaccio e il “contropiede”, con i quali ottenne vittorie come nessun altro mai. Il suo motto ossessivo era “taca la bala”, personale versione meneghina dello slogan madrileno “ataqua la pelota”. Galvanizzava i giocatori dando loro una carica irrefrenabile, prima della partita li sottoponeva al “suo” training autogeno: saliva su una panca al centro dello spogliatoio rigorosamente chiuso a tutti e per mezz’ora li chiamava ad un appello solenne che cominciava dal portiere. Sarti scattava in piedi restando rigido sull’attenti, come un granatiere, dopo di che Herrera gli chiedeva minaccioso chi fosse il più grande portiere del mondo. “Io”, rispondeva Sarti senza esitare, con voce ferma. Il rito durava mezz’ora o più, nessuno ha mai accennato al più tenue dei sorrisi. Solo Tagnin, modesto gregario prezioso per l’inesorabile marcamento all’avversario che gli veniva assegnato, alla domanda chi fosse il miglior mediano del mondo, rispose “Mi no!” e rischiò di essere cacciato. Immune dall’ironia, ignorava l’autocritica, non ha mai ammesso un errore, tappezzava di slogan e proclami lo spogliatoio. Non temeva nessuno, un giornalista che lo criticò, la pagò a caro prezzo. In oltre vent’anni che rimase in Italia non apportò alcun miglioramento al suo personale “patois”. Famosa la sua avarizia, pretese l’ingaggio in dollari, al netto, per essere sollevato dalla sofferenza di pagare le tasse. I suoi premi erano doppi rispetto ai giocatori, prendeva anche i premi delle squadre juniores, quando un’azienda regalò una cravatta ai giocatori, in forza della clausola contrattuale, ne pretese due. Appena poté, regalò ai genitori una villa principesca con una biblioteca costata 150 mila dollari, anche se erano entrambi analfabeti. Non riuscì a cancellare dal viso i segni della miseria infantile, vestiva in maniera spesso clamorosa, con scarpe bianche come confetti e un enorme anello d’oro con inciso H.H., ma evidentemente possedeva un suo fascino. Uno studente di liceo, in un tema scrisse che i tre personaggi più grandi al mondo erano Giovanni XXIII, John Kennedy e Helenio Herrera. Imponeva rigorosi ritiri ai calciatori – maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 151 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 152 per sé pretendeva una diaria extracontratto – dopo le ventidue, quando i giocatori erano a letto, ogni sera sgusciava via convinto che nessuno lo vedesse, mentre tutti facevano finta di ignorarlo, per incontrare una delle tante donne che aveva in ogni parte del mondo. Fiora Gandolfi, una bella giornalista della “Stampa” che andò ad intervistarlo e lo sposò pochi mesi dopo, racconta che era sordo, ci vedeva poco a causa della cataratta, ma guidava spericolatamente. “Non sentendolo ritornare per giorni me lo immaginavo in fondo ad un burrone, invece fino all’ultimo c’era sempre qualche “altra”. L’ultima volta partì dicendo dove andava: a Casablanca dov’è sepolta sua madre. Dopo qualche giorno telefonò da un ospedale francese dov’era ricoverato: non ce la faceva più a respirare per un attacco cardiaco. All’arrivo della moglie, se n’era andato firmando, sotto la sua responsabilità. La telefonata successiva le arrivò da Roma e le disse: “I romanisti vorrebbero trattenermi in ospedale, figurati se sto con loro!” Andò in ospedale a Venezia e non ne uscì più per l’aggravarsi dell’infarto. Tre giorni prima della morte gli arrivò l’ultima lettera d’amore: la portò la Gandolfi e gliela lesse perché non ci vedeva più. Era convinto che fare l’amore fosse una cosa positiva, fonte di vitalità, secondo la tradizione orientale. Aveva 81 anni, ma tutti sapevano che aveva falsificato il certificato di nascita togliendosi almeno sei anni. Era stato un mediocrissimo calciatore, i suoi critici dicono che in panchina era cieco e Picchi diventava il regista in campo, ma è stato per tre decenni la personalità di maggior spicco nel mondo del calcio. Mou, suo malgrado, dovrà aspettare ancora un po’ per superarlo, se ci riuscirà. Senza Herrera, Serse Cosmi, fiumarolo perugino, non sarebbe mai stato chiamato “Mister”. Dimagrire e riprendere peso Nonostante ci siano personaggi vissuti a lungo e in buona salute portando con disinvoltura il loro sovrappeso, l’obesità, come dicono le statistiche, non fa certamente bene. Gli studi medici infatti non appoggiano quella minoranza fortunata, piuttosto ci avvertono che un indice di massa corporea oltre i 30, corrispondente grosso modo a un adulto di un metro e settanta con un peso oltre i 90 kg, rischia l’ingrossamento del cuore, danni alle coronarie, insufficienza cardiaca, pressione alta, colesterolo, diabete ed altre quisquilie. Mettersi a dieta in modo tale da ridurre il peso del 7-8% (7 kg nell’esempio citato) consente di migliorare anche il rischio in modo ben quantificabile. Se poi, come succede spesso, ci si lascia andare e si riacquista una parte del peso perduto non si perde tutto il vantaggio, che possiamo riacquistare con ulteriori sacrifici. ( JACC dicembre 2009). E.P. p. 152 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 153 TUTTO QUELLO CHE SI DEVE SAPERE SU … aneurisma dell’aorta Aneurisma dell’aorta addominale: l’importanza di una diagnosi precoce di Rocco Giudice L’aneurisma dell’aorta addominale (AAA) rappresenta una patologia con incidenza significativa nelle fasce di età media ed avanzata, stimata tra il 4 e l’8% negli uomini e tra lo 0,5 e l’1% nelle donne con più di 60 anni. Colpisce oltre 700.000 persone in Europa, circa 84.000 in Italia. Personaggi illustri quali Charles De Gaulle ed Albert Einstein sono morti per AAA rotto. Negli Stati Uniti è la 13a causa di morte ed è responsabile dello 0,8% dei decessi, mentre nel nostro Paese, per la stessa patologia, ogni anno muoiono 6.000 persone. L’aorta è l’arteria più importante del nostro organismo e, nel corso della vita di un uomo, assorbe la forza d’urto di 2,5-3 miliardi di battiti cardiaci, distribuendo un volume di sangue pari a circa 200 milioni di litri. Questo “carico di lavoro” può far sì che, in presenza di condizioni predisponenti che determinino un indebolimento della parete del vaso, con perdita sostanziale della sua resistenza elastica, l’aorta vada incontro ad una dilatazione permanente e progressiva, con rischio di rottura e conseguente emorragia spesso fatale. La porzione più frequentemente colpita da questa patologia è quella addominale, in particolare il tratto di aorta al di sotto delle arterie renali: a questo livello il diametro normale del vaso è di 2 cm circa, mentre parliamo di aneurisma quando raggiunge o supera i 4 cm (Figura 1). La causa che porta all’indebolimento della parete Figura 1. Aneurisma dell’aorta addominale (AAA) nel tratto sottorenale. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 153 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 154 TUTTO QUELLO CHE SI DEVE SAPERE SU … dell’arteria e, quindi, alla formazione dell’aneurisma è rappresentata il più delle volte dall’aterosclerosi; meno frequentemente la malattia è dovuta a traumi, infezioni, alterazioni genetiche. I pazienti a rischio di avere un AAA sono generalmente di sesso maschile, di età superiore ai 60 anni, solitamente fumatori ed ipertesi (il fumo di sigaretta, in particolare, aumenta di 6 volte il rischio di sviluppare un AAA). È descritta anche una familiarità per questo tipo di malattia, talvolta una vera e propria trasmissione genetica con modalità autosomica dominante legata al cromosoma X. È da sottolineare il fatto che la presenza di un aneurisma dell’aorta addominale non comporta di solito alcun disturbo per il paziente: spesso la diagnosi viene fatta per scoperta occasionale nel corso di una visita medica, oppure a seguito di un’ecografia, una TAC o una Risonanza Magnetica eseguite per altri motivi. Talvolta è il paziente stesso che riferisce al medico di avvertire un qualcosa “che batte” all’interno del proprio addome. Meno frequentemente può essere presente un dolore in regione lombare, dovuto alla compressione esercitata da parte dell’aneurisma sui corpi vertebrali e sulle radici nervose. Raramente ci sono segni e sintomi di embolia periferica (classica la cosiddetta “sindrome del dito blu”), a causa del distacco di materiale trombotico contenuto nell’aneurisma che va ad occludere le arterie o arteriole a valle. Eclatanti sono, invece, i sintomi in caso p. 154 di rottura dell’aneurisma: l’abbondante emorragia interna che si determina in tale situazione, infatti, comporta un violento dolore addominale o lombare, con anemia e marcata ipotensione, che rendono imperativo un trattamento immediato. Come è facile intuire, un aneurisma, per effetto della pressione sanguigna, tende progressivamente a crescere (mediamente 5 mm per anno) ed il rischio di rottura aumenta con l’aumentare delle dimensioni dell’aneurisma stesso. Il tasso di rottura annuale per un AAA di diametro tra 4 e 5,4 cm è pari allo 0,51%, aumenta al 6,6% per aneurismi tra i 6 ed i 7 cm di diametro, fino ad arrivare al 19% per aneurismi oltre i 7 cm. Calcolato come rischio di rottura a 5 anni, ciò significa rispettivamente 5%, 33% e 95%. La rottura dell’aneurisma è un evento drammatico, mortale nel 100% dei casi non trattati; è da sottolineare, peraltro, che sopravvive solo il 50% dei pazienti con AAA rotto che arrivano ad un Ospedale attrezzato per questo tipo di chirurgia e vengono sottoposti ad intervento in emergenza. È per questo che si raccomanda di trattare il paziente prima, quando l’aneurisma raggiunge dimensioni cosiddette “a rischio” che giustifichino il ricorso all’intervento (diametro pari o superiore a 5,5 cm secondo le attuali linee-guida). I risultati del trattamento in elezione, infatti, sono del tutto soddisfacenti, con una mortalità inferiore al 5%. L’indicazione all’intervento, comunque, andrà sempre constestualiz- 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 155 aneurisma dell’aorta zata nel singolo paziente, tenendo in debita attenzione l’età e l’aspettativa di vita così come la presenza di concomitanti patologie che potrebbero aumentare in maniera significativa il rischio operatorio. Proprio perché si tratta di una malattia insidiosa, che frequentemente non dà alcun segno di sé fino al momento della rottura, è di fondamentale importanza che i pazienti cosiddetti a rischio eseguano periodicamente dei controlli. Infatti, la diagnosi precoce di un AAA, anche se di piccole dimensioni, consente di impostare un corretto programma di followup per valutarne la crescita nel tempo ed intervenire, comunque, prima che si arrivi alla rottura. In quest’ottica di prevenzione, un gesto clinico semplice come la palpazione dell’addome può essere determinante: soprattutto in presenza di pazienti non obesi e specie se si tratta di aneurismi di dimensioni non piccole, è facile riscontrare una massa con ben distinte caratteristiche di pulsatilità. È stato dimostrato come un’attenta palpazione dell’addome eseguita all’altezza dell’ombelico consenta di identificare un AAA di diametro >5cm in un soggetto magro nel 100% dei casi. Oltre alla visita specialistica, un esame ecografico dell’aorta addominale è sufficiente per confermare o meno la diagnosi. Esami più sofisticati (TAC, RM, angiografia) sono necessari per definire con precisione le caratteristiche morfologiche e dimensionali dell’aneurisma ed acquisire, quindi, tutte le informazioni necessa- rie per procedere all’intervento. L’indicazione al trattamento elettivo, alla luce di quanto esposto, si pone per un AAA di diametro > 5,5 cm, o quando la velocità di crescita della sacca risulti significativa (> 5 mm/anno); è, comunque, opportuno intervenire in tutti i casi in cui il paziente accusi sintomi imputabili all’aneurisma. Il trattamento chirurgico tradizionale consiste nel sostituire il tratto di aorta dilatata con una protesi in materiale biocompatibile (generalmente Dacron, più raramente PTFE), che viene suturata alle porzioni sane del vaso (Figura 2). Grazie al progresso delle tec- Figura 2. Schema del trattamento chirurgico tradizionale per AAA. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 155 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 156 TUTTO QUELLO CHE SI DEVE SAPERE SU … Figura 3. Schema del trattamento endovascolare per AAA niche chirurgiche ed anestesiologiche, ed alla disponibilità di Sale di Terapia Intensiva post-operatoria sempre più attrezzate ed efficienti, i risultati dell’inter vento nei Centri Specialistici di Chirurgia Vascolare sono molto buoni, con una mortalità decisamente contenuta (inferiore al 5%). Di solito il paziente soggiorna in Terapia Intensiva per le prime 24-48 ore post-operatorie. La ripresa dell’alimentazione è possibile in 3a-4a giornata e la dimissione avviene mediamente dopo 7-8 giorni dall’intervento. L’incidenza di complicanze a distanza è rara ed il trattamento è da considerare come soluzione pressoché definitiva del problema. Da ormai 15 anni, inoltre, è possibile utilizzare una tecnica meno invasiva che, nei casi con anatomia favorevole, consente il trattamento di un AAA evitando di ricorrere all’apertura chirurgica dell’addome. Si tratta della cosiddetta procedura endovascolare: attraverso mini- p. 156 incisioni a livello inguinale, con l’ausilio di strumentazione e materiali tecnologicamente sempre più evoluti, è possibile passare dei cateteri all’interno dei vasi e raggiungere per tale via l’aneurisma aortico, rilasciando al suo interno una protesi particolare detta “endoprotesi”. L’endoprotesi si espande fino ad aderire alle porzioni sane dell’aorta e delle arterie iliache rispettivamente a monte ed a valle dell’aneurisma, che risulta, così, escluso dal circolo: in tal modo la sacca aneurismatica, non più sottoposta all’azione della pressione sanguigna, non può rompersi (Figura 3). L’intervento è molto ben tollerato dal paziente e può essere eseguito anche in anestesia locale o loco-regionale. La mortalità è pari a circa 1/3 di quella del trattamento chirurgico convenzionale, con perdite ematiche trascurabili e bassa incidenza di complicanze perioperatorie. Il paziente si alimenta già dal giorno successivo all’intervento e la degenza post-operatoria è sensibilmente ridotta, con possibile dimissione dopo 3-4 giorni dalla procedura. Tuttavia, è molto importante che il paziente con endoprotesi si 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 157 aneurisma dell’aorta Figura 4. Controllo TC in paziente con AAA trattato per via endovascolare: la freccia mostra mezzo di contrasto al di fuori dell’endoprotesi, espressione di riperfusione della sacca aneurismatica (“endoleak”). sottoponga per tutta la vita a periodici controlli mediante ecocolordoppler e, soprattutto, TAC dell’addome: è possibile, infatti, che nel corso degli anni la sacca aneurismatica venga riperfusa dal sangue (cosiddetto “endoleak”) o, comunque, ripressurizzata, con nuovo rischio di rottura (Figura 4). Il riconoscere precocemente queste situazioni consente in genere di porvi rimedio con successo. Si calcola che il 15-20% dei pazienti sottoposti a trattamento con endoprotesi di un AAA necessiti di un reintervento (in genere sempre con tecnica endovascolare) nel corso dei primi 4-5 anni dopo l’impianto. In definitiva, le opzioni terapeutiche a disposizione del chirurgo vascolare con- sentono di trattare con ottimi risultati in regime elettivo il paziente portatore di un AAA. È importante riconoscere precocemente la patologia onde poter avviare un percorso terapeutico o di monitoraggio adeguato. Nei pazienti di sesso maschile oltre i 60-65 anni, quindi, e soprattutto in presenza di fattori di rischio specifici (ipertensione, fumo, ipercolesterolemia, diabete, coronaropatia, arteriopatia periferica, stenosi delle carotidi, broncopneumopatia ostruttiva, familiarità per malattia aneurismatica) è consigliabile un accurato esame obiettivo dell’addome alla ricerca di masse pulsanti, da integrare con uno studio ecografico volto a definire il diametro aortico. Proprio in tal senso, infatti, si è recentemente mossa la Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, promuovendo un programma di screening ecografico per l’aneurisma dell’aorta addominale da riservare ai soggetti di sesso maschile di età compresa tra i 65 e Figura 5. Campagna di screening ecografico dell’AAA promossa dalla Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 157 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 158 TUTTO QUELLO CHE SI DEVE SAPERE SU … aneurisma dell’aorta Aneurisma addominale di Eligio Piccolo Ne avevamo trattato in questa rivista qualche anno fa e da allora non è che le nozioni principali siano granché cambiate. L’aneurisma dell’aorta addominale, ossia la dilatazione eccessiva della nostra arteria principale nel suo tratto retrointestinale, dopo che ha fornito le arterie per i reni, rimane sempre una malattia di tutto riguardo e degna della massima attenzione per i pericoli che ne possono derivare, in primis la sua rottura. Quando ciò succede si crea un’emergenza che mette a repentaglio la vita del malato cosicché la migliore terapia è la sua prevenzione, quella di sempre: vigilare che il diametro del vaso non superi certi limiti. Ciò che è cambiato invece è, da un lato, il significato che si deve dare oggi a questa forma di arteriosclerosi e, dall’altro, il tipo di intervento da decidere quando il calibro dell’aneurisma raggiunge i valori di rischio. Per quanto riguarda il significato della malattia in sé, uno studio francese pubblicato di recente sul JACC (2010;55:898), ove si mette a confronto questa localizzazione della malattia arteriosclerotica con la forma che colpisce i vasi più a valle, nelle gambe, dimostra che i pazienti con arteriopatia più alta, aorta e iliache, sono più spesso maschi e fumatori, mentre quelli con compromissione più a valle, femorali e sue diramazioni, sono più p. 158 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 159 anziani, diabetici e ipertesi. Ma il dato più significativo è che la prognosi, ossia la mortalità nel tempo, è tre volte maggiore nei primi rispetto ai secondi. Circa il secondo problema, ossia l’intervento per riparare l’aneurisma quando la sua dimensione diventa a rischio, oggi si avvale di due procedure, entrambe efficaci: quella chirurgica, di sostituzione del tratto malato con un “tubo” artificiale, e quella percutanea di introduzione attraverso l’arteria femorale all’inguine di un grosso stent capace di proteggere dall’interno l’aorta malata, come si fa per le coronarie. Quest’ultimo trattamento evita naturalmente la chirurgia e l’anestesia generale. I risultati sono stati valutati in varie ricerche, l’ultima delle quali è l’inglese EVAR (NEJM, 11 aprile 2010) in cui si sono confrontati 626 casi operati chirurgicamente con 626 trattati con lo stent. La mortalità entro i primi 30 giorni è risultata più del doppio nei sottoposti a chirurgia, ma in quelli trattati con lo stent le complicazioni successive sono state maggiori, sicché a distanza di 4 anni gli esiti si pareggiavano. Di questo studio è interessante anche un codicillo relativo a un gruppo di pazienti che per l’età e per altre malattie concomitanti sono stati considerati a maggior rischio e trattati o con la tecnica meno traumatica dello stent oppure lasciati al loro destino: la mortalità dopo 8 anni fu del doppio in questi ultimi (12.7% vs 25.6%). In conclusione, la chirurgia cardiovascolare e l’angioplastica hanno fatto passi notevoli per risolvere il problema terapeutico di questi pazienti, comunque vengano operati. Certamente i progressi tecnologici delle procedure meno invasive (stent) non potranno che avanzare, aiutando anche i malati più compromessi dall’età e da altre malattie, mentre quelli chirurgici cambieranno di poco, sicché il futuro si pensa che sarà sempre più affidato alle prime, mentre la decisione di lasciare il malato al suo destino senza alcun intervento sarà sempre più rara. testimonianze Cuore e Salute è diverso dagli altri giornali, mi sembra scritto per me, mi piacerebbe che mi arrivasse più spesso. Roberta, Padova maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 159 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 160 TUTTO QUELLO CHE SI DEVE SAPERE SU … aneurisma dell’aorta Aneurismi aortici Noti da vari secoli agli anatomici, gli aneurismi di vari tratti dell’aorta erano inaccessibili ai chirurghi, i quali ben conoscevano la loro pericolosità per la non rara possibilità di rottura e creavano molte perplessità ai medici circa la loro eziologia. Jean Baptiste Bouillaud, che diverrà famoso per la scoperta dell’endocardite reumatica, si laureò con una tesi dedicata agli aneurismi dell’aorta nel 1824. Broca trent’anni più tardi, scrisse il primo trattato sull’argomento. All’inizio del Novecento, con l’avvento della radiologia, Beclere, un pediatra che restò affascinato dalla chiarezza delle immagini che permettevano di osservare la forma e la motilità del cuore, grazie alle prime teleradiografie, individuò i caratteri degli aneurismi profondi. Molto si disputò sulle cause che potevano risiedere all’origine degli aneurismi, la maggioranza dei quali venivano attribuiti alla concomitante sifilide inveterata. Laennec fu tra i primi a sostenere che l’aterosclerosi poteva essere un fattore causale altrettanto importante. La scoperta del treponema fatta da Schaudin nel 1905 e della reazione di Wassermann consentirono di precisare il ruolo della lue e di riconoscere altre cause più o meno frequenti degli aneurismi, quali i traumi e le infezioni. A lungo perdurò la credenza che gli aneurismi dell’aorta toracica fossero causati dalla sifilide e quelle del tratto addominale dall’aterosclerosi. Laennec descrisse fra i primi anche gli aneurismi dissecanti, con elevata mortalità, che venivano molto spesso scambiati per infarto del miocardio. L’angiografia venosa, che consentì notevoli progressi, venne eseguita dal 1948, quella arteriosa dieci anni più tardi. Oggi la diagnosi è ecocardiografica. I primi tentativi chirurgici non ebbero quasi mai successo, da cinquant’anni i casi positivi sono andati sempre più aumentando, ma il rischio permane elevato. F.F. Aneurisma dell’arco aortico, ripreso da un trattato inglese del 1815. Grave arteriosclerosi dell’aorta con iniziale dilatazione del tratto addominale osservata da J. J. Wepfer in un cadavere nel 1695. p. 160 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 161 DAL CONGRESSO CONOSCERE E CURARE IL CUORE 2010 di Daniela Lina e Diego Ardissino Unità Operativa Complessa di Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Parma Genetica e cardiopatia ischemica: le applicazioni cliniche sono ancora lontane? L’infarto miocardico è una patologia multifattoriale, che deriva dall’interazione di molteplici fattori di rischio genetici ed ambientali. L’associazione causale fra i fattori di rischio ambientali e lo sviluppo di infarto miocardico è stata chiaramente documentata ed il ruolo di questi fattori è stato ben definito dal punto di vista fisiopatologico. Viceversa, sebbene il ruolo dei fattori di rischio genetici sia da lungo tempo ipotizzato sulla base degli studi epidemiologici, di fatto, al momento, relativamente poco è noto circa la base genetica della malattia. La familiarità per cardiopatia ischemica è un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di infarto miocardico e questa associazione non può essere spiegata dalla sola esposizione agli stessi fattori di rischio ambientali. In effetti, nel caso di gemelli monozigoti, che condividono lo stesso patrimonio genetico, la morte cardiaca in età giovanile di uno dei due gemelli comporta che il gemello sopravvissuto abbia un rischio di quindici volte maggiore di andare incontro allo stesso evento se di sesso femminile e di otto volte se di sesso maschile rispetto al caso in cui nessuno dei due gemelli muoia per morte cardiaca. Il rischio è invece significativamente inferiore nel caso di gemelli dizigoti, che hanno in comune solo la metà del proprio patrimonio genetico, con un rischio incrementato di sei volte per le femmine e di due volte per i maschi. Questa influenza geneticamente determinata si conferma, seppur in maniera meno significativa, sia per gli uomini che per le donne, in tutte le fasce di età, suggerendo che la componente di rischio genetica, pur essendo massima rispetto alla componente di rischio ambientale in maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 161 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 162 età giovanile, sia comunque significativa a qualsiasi età. Peraltro, sebbene i fattori genetici contribuiscano allo sviluppo dei classici fattori di rischio cardiovascolare, quali il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa e l’ipercolesterolemia, il ruolo della predisposizione genetica all’infarto miocardico non è limitato allo sviluppo di questi fattori, ma ha anzi un valore incrementale ed indipendente. Negli ultimi dieci anni sono stati quindi effettuati numerosi tentativi, mediante l’approccio del gene candidato e dell’analisi di linkage, per identificare le varianti genetiche associate al rischio di infarto miocardico. I risultati sono stati tuttavia poco incoraggianti e di pressoché nulla consistenza sul piano clinico perché tra le diverse varianti genetiche proposte quelle frequentemente rappresentate nella popolazione non sono mai state riprodotte, mentre quelle che sono risultate effettivamente correlate allo sviluppo di infarto miocardico spiegavano solo una minima parte (<1%) dei casi. Questo è riconducibile a diverse ragioni. In primo luogo il genoma umano è estremamente polimorfico e, probabilmente, la maggior parte dei polimorfismi ha scarso o nullo effetto sul fenotipo, per cui non è semplice identificare varianti genetiche “funzionalmente significative”. Inoltre, la patogenesi dell’infarto miocardico acuto, e della cardiopatia ischemica più in generale, è estremamente complessa dal punto di vista molecolare, risultando dall’interazione di molteplici componenti, per cui l’in- p. 162 fluenza fenotipica di ogni singola variante genetica risulta lieve. Solo molto recentemente, una nuova metodica di analisi genomica, chiamata genome-wide association study (GWA), ha fornito risultati promettenti permettendo di identificare comuni varianti genetiche che influenzano lo sviluppo di alcune malattie complesse quali la degenerazione maculare, il diabete mellito, la malattia di Crohn, l’artrite reumatoide, l’obesità ed anche l’infarto miocardico. Tale metodica, partendo dalla mappatura del genoma umano ed in particolare dalla mappa degli aplotipi (Haplotype Map) che individua le varianti genetiche (single nucleotide polymorphism, SNP) più frequentemente e stabilmente presenti nel genoma umano, utilizzando chip che permettono di analizzare sino ad 1.000.000 di SNP per ogni individuo, è in grado di individuare piccole regioni del DNA che massimamente si differenziano tra i sani ed i malati. Questi SNP massimamente diversi tra sani e malati non necessariamente costituiscono essi stessi le sequenze genetiche responsabili della malattia, ma, piuttosto, sono sequenze nucleotidiche ubicate in vicinanza o all’interno della regione genetica che influenza la malattia. L’approccio “genome-wide” è rivoluzionario in quanto permette lo studio di varianti genetiche associate ad una determinata patologia lungo l’intero genoma, con livelli di risoluzione prima inimmaginabili e, a differenza dell’approccio del gene candidato, indipendentemente da ipotesi patogenetiche. 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 163 Nel 2007 diversi studi indipendenti condotti con tale metodica hanno chiaramente documentato l’associazione tra alcune comuni varianti genetiche della regione cromosomica 9p21.3 in linkare disequilibrium tra loro e lo sviluppo di infarto miocardico e cardiopatia ischemica più in generale. Al momento attuale le varianti genetiche (tra cui rs10116277, rs1333040, rs2383206, rs10757278, e rs1333049) di questa regione cromosomica rappresentano il marcatore genomico del rischio di infarto miocardico più consolidato. Infatti tale associazione è stata replicata e confermata in diverse popolazioni indipendenti tra cui la popolazione italiana dello “Studio Genetico nell’Infarto Miocardico Giovanile”. Quest’ultimo è uno studio nazionale prospettico caso-controllo che ha coinvolto 125 Unità Coronariche italiane. I casi erano pazienti con documentata anamnesi di infarto miocardico giovanile prima dei 45 anni di età e sottoposti a studio coronarografico eseguito entro i sei mesi successivi all’evento. I controlli erano soggetti sani con anamnesi negativa per eventi tromboembolici singolarmente appaiati ai casi per età, sesso ed origine geografica. In questo studio, la variante rs1333040 è quella che ha presentato il più forte segnale di associazione. I 1508 soggetti colpiti da infarto miocardico e non sottoposti ad angioplastica primaria al momento del primo infarto sono poi stati seguiti per un periodo di circa 20 anni relativamente al ricorrere di eventi cardiovascolari, vale a dire morte, re-infarto o rivascolarizzazione coronarica, mediante angioplastica coronarica percutanea e mediante by-pass aortocoronarico (endpoint primario combinato). La variante genetica rs1333040 ha influenzato in maniera significativa l’endpoint primario dello studio, vale a dire il ricorrere di eventi cardiovascolari; l’analisi dei singoli componenti dell’endpoint primario ha poi evidenziato che tale influenza era mediata dall’effetto sulla rivascolarizzazione coronarica. L’identificazione delle varianti genetiche della regione cromosomica 9p21.3 è il primo risultato effettivamente consistente nell’ambito della ricerca della predisposizione genetica alla cardiopatia ischemica essendo di fatto il primo dato chiaramente riprodotto nell’ambito di diverse popolazioni, peraltro tutte di dimensioni significative, ed essendo la variante genetica frequentemente rappresentata nella popolazione. Tuttavia, a fronte di questi dati entusiasmanti, bisogna dire che la funzione della variante genetica non è ancora nota. Ciò che è noto è poco e cioè che la sequenza genetica a cui appartengono gli SNP identificati è collocata in prossimità delle sequenze codificanti dei geni di due chinasi ciclica-dipendenti, CDKN2A e CDKN2B, e che le proteine codificate da questi geni, chiamate p16 INK4a , ARF e p15INK4b hanno un ruolo nella regolazione della proliferazione, della senescenza e dell’apoptosi cellulare in diverse tipologie di cellule, tutti processi fondamentali per lo sviluppo dell’aterosclerosi e della maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 163 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 164 cardiopatia ischemica ad essa conseguente. L’identificazione dei primi marcatori genomici associati al rischio di infarto miocardico ha segnato l’inizio di una nuova era in grado di rivoluzionare la pratica clinica; la conoscenza delle varianti genetiche che condizionano il rischio di infarto miocardico rappresenta sicuramente una nuova e preziosa risorsa sul piano clinico aprendo le porte, anche in ambito cardiovascolare, come già è stato in ambito oncologico, alla terapia effettivamente modulata sulle specifiche caratteristiche biologiche del singolo individuo, vale a dire alla “medicina personalizzata”. La scoperta di questi marcatori condurrà infatti all’integrazione dei fattori di rischio genetici ed ambientali per la costruzione di uno score per il calcolo del rischio cardiovascolare globale in cui l’aggiunta delle varianti genetiche aumenterà la capacità di predire il rischio rispetto all’uso dei soli fattori di rischio tradizionali; la migliore stratificazione del rischio su base individuale consentirà l’attuazione di una più efficace strategia di prevenzione, primaria e secondaria. Un esempio di tale applicazione è quello effettuato da Brautbar et al., (AHA 2008) nella popolazione dello studio Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) in cui è stata testata l’aggiunta della variante rs1075724 della regione 9p21 ai classici fattori di rischio per la stima del rischio cardiovascolare. In 10004 soggetti caucasici il rischio è stato p. 164 inizialmente stimato mediante lo score ARIC, che utilizza i fattori di rischio tradizionali, ed è stato poi rivalutato considerando anche la variante genetica. Per i pazienti nella classe di rischio “intermedio-basso” (5-10%) ed “intermedio-alto” (10-20%), l’aggiunta della variante della regione cromosomica 9p21.3 determinava un cambiamento della classe di rischio che implicava potenziali cambiamenti nel trattamento farmacologico, tra cui ad esempio l’aggressività del trattamento con statine, in una proporzione significativa di pazienti. Allo stesso modo, quando la stessa variante genetica era aggiunta allo score per il rischio di Framingham, il 17,1% dei pazienti a rischio “intermedio-basso” e il 15,8% dei pazienti a rischio “intermedio-alto “ venivano riclassificati. In conclusione, al momento questa nuova era è solo in fase embrionale e la ricerca di questi marcatori genomici nella pratica clinica può essere applicata solo in determinati casi selezionati per motivare l’adozione di un adeguato stile di vita atto a contrastare la suscettibilità genetica allo sviluppo della malattia. 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 165 Quaderno a Quadretti di Franco Fontanini WOODY ALLEN CONTRO FREUD Allen era un piccolo ebreo dei caseggiati popolari che frequentava la sinagoga per prelevare dalla cassetta delle offerte per la Patria in Palestina le monete per andare al cinema. D’altra parte ha sempre confessato che non desiderava affatto andare a Gerusalemme. Sua madre, immune da pregiudizi, gli diceva che se una grossa macchina con alla guida un signore l’invitava a salire, di non essere scortese. Guadagnò i primi soldi come gagman, vendendo battute e barzellette ai giornali e agli attori di varietà, coi quali comperò, dopo interminabili trattative, l’orologio dal nonno morente. La sua indimenticabile battuta: “Gesù è morto, Marx è morto e io sto poco bene,” gli valse il soprannome di “genius”. Divenne sceneggiatore, regista e attore di successo e, appena se lo poté permettere, si affidò agli psicanalisti. Trovò sempre da ridire sulle idee di Freud, ma gli piaceva che desse tanta importanza al sesso al punto da trovare similitudini fra la chiesa e i genitali femminili, fra una collina boscosa e il monte di Venere e una lunga scalinata che gli faceva venire in mente il rapporto sessuale. Non gli piaceva invece la sua fissazione di interpretare i sogni. L’abbandonò definitivamente per la sua interpretazione dell’invidia del maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 165 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 166 pene: non aveva capito niente, commentò, pensava che fosse riferita solamente alle donne. CHURCHILL E IL CREATORE Si narra che Winston Churchill non volesse donne fra i suoi ministri perché quando hanno le loro cose, diceva, sono capaci di dichiarare una guerra. Fece una sola eccezione e, per non correre rischi, ogni volta che doveva affidarle qualche mansione delicata, prima si informava che non fosse nei giorni critici. Si mise tranquillo solo quando seppe che la signora non aveva più mestruazioni. A Yalta si intratteneva fino alle ore piccole con Stalin a chiacchierare e soprattutto a bere, da buoni amici, whisky o wodka alternati. Entrambi erano convinti di essere il più forte bevitore, e c’è chi afferma che alzare il braccio al vincitore sarebbe stato molto spesso arduo. Ciò nonostante, di buon’ora, Churchill si alzava per scrivere le sue memorie di guerra. Un mattino, dopo una notte particolarmente impegnata, aveva lacune di memoria. Sapendo che avevano trattato argomenti importanti, al momento di scrivere pensò di chiedere alcune conferme a Stalin, ma anche lui era lacunoso nei ricordi. “Passami l’interprete di stanotte,” insisté Churchill. Stalin restò perplesso per un attimo, come se cercasse di raccogliere le idee, poi ebbe un’improvvisa lucidità: Churchill, Roosvelt e Stalin a Yalta p. 166 “Mi dispiace, Winston, non è possibile l’ho fatto fucilare mezz’ora fa”. Aveva avuto il dubbio di aver detto troppe cose: fare l’interprete ai tiranni è sempre stato pericoloso. Nel 1949, Churchill appariva sovente abulico e depresso: scriveva saltuariamente, faceva acquarelli senza entusiasmo, trascorreva ore in assoluto mutismo. Sebbene il suo prestigio e la sua influenza internazionale fossero rimasti inalterati, la sconfitta elettorale del ’45 subito dopo la fine della guerra vittoriosa, aveva lasciato il segno. Non sembrava più l’uomo che aveva chiesto agli inglesi, con un’orazione definita degna di Shakespeare, “sangue e fatica per la vittoria ad ogni costo”. Beveva più del solito e oziava per intere giornate, come se inseguisse pensieri di cui non faceva partecipe nessuno. I sudditi del Regno Unito, da parte loro, sembravano aver dimenticato che gli dovevano tutto. Un vecchio amico disse che Churchill, per stare bene, avrebbe dovuto vincere 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 167 L’albero della manna una guerra al giorno. Anche gli storici concordano unanimemente sul fatto che era “un grande uomo per situazioni eccezionali”. C’è anche chi ha insinuato che avesse l’animo del dittatore: amava infatti ripetere che le democrazie funzionano bene quando a comandare sono in due e uno è ammalato. Nel giorno del settantacinquesimo compleanno, confidò ad un amico: “Sono pronto ad incontrare il mio Creatore. Se il mio Creatore sarà pronto ad affrontare il cimento di incontrare me, è tutta un’altra faccenda”. LA MANNA O LA FORZA DELLE CREDENZE L’origine della manna ha sempre appassionato storici e medici: nessuna definizione venne considerata convincente. In un passo dell’Esodo viene descritta come una brina granulosa, in un altro simile al seme del coriandolo e con il sapore di focaccia al miele, nei libri dei Numeri è descritta simile alla farina e che il popolo ne faceva focacce molto nutrienti. I profeti spiritualizzarono la manna e ne fecero il simbolo dello spirito dei doni di Dio. I frati romani dell’Ara Coeli, che avanzarono l’ipotesi che cadesse non dal cielo, ma dagli alberi dove si formava, furono tacciati di ignoranza grossolana. Per la gente la manna fu sempre qualcosa che cadeva dal cielo, che si poteva raccogliere e mangiare quando si era colti dalla fame. Per secoli moltissimi hanno scritto sulla manna, anche se nessuno l’aveva mai vista. I reduci dall’Africa affermavano di averne visto enormi quantità, altri nelle stesse regioni non ne avevano trovato traccia. A Napoli circolava abbondante e molti fecero buoni affari con la vendita, al punto che Isabella, moglie del re Federico, ci mise sopra una tassa. Le cadute più frequenti e copiose rimasero sempre quelle di Napoli. L’Altomare, un autorevole medico napoletano, fu il primo uomo di scienza a condividere l’ipotesi degli scettici frati romani, ma la sua opinione non cambiò niente. Quando venne ufficialmente incaricato di studiare il problema, lo fece con grandissimo impegno, tanto che può essere considerato l’ideatore della prova “in doppio”. Convinto che la manna trovata al calcio degli alberi non avesse niente a che fare con il cibo miracoloso mandato in dono da Dio agli ebrei durante il viaggio dall’Egitto alla Palestina, ma fosse una sostanza farinosa prodotta dagli alberi, cercò tutti i modi possibili per darne la prova inconfutabile, in modo da non essere maltrattato come i monaci dell’Ara Coeli. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 167 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 168 Fraxinus Ornus Scelse perciò un certo numero di alberi sotto i quali la manna veniva abitualmente ritrovata e ne coprì la metà con un lenzuolo appositamente confezionato, lasciando l’altra metà a cielo scoperto. Al mattino poté dimostrare che la quantità di manna era la stessa sotto gli alberi coperti e sotto quelli scoperti. Per i non pochi increduli ripeté più volte la prova sempre con lo stesso risultato. Dimostrò anche che non tutti gli alberi producevano la manna, ma solamente alcune specie di frassini, prova che non scalfirono minimamente la credenza che la manna cadesse dal cielo. Per Cristoforo Magneno, un professore di Pavia che la riprodusse in laboratorio, la manna era composta da cinque sostanze una delle quali era “l’alito rorido”, mettendo così d’accordo Galeno, Teofrasto e i positivisti, per i quali l’alito rorido era costituito da vapori sotterranei. Non a p. 168 caso la manna più abbondante veniva trovata sulle pendici del Vesuvio e nella piana dell’Etna. A metà dell’800 la manna venne trovata per l’ultima volta nel giardino di un convento di Pavia, come testimoniarono anche alcuni docenti dell’università. L’origine più accreditata, anche se non da tutti condivisa, fu quella del Pigafetta che, insieme a Magellano, l’aveva esaminata di persona nelle Molucche, prodotta da insetti che la depositavano durante la notte sugli alberi da dove cadeva sulla terra in alcuni periodi dell’anno. Può darsi che Pigafetta, che era stato molto più in mare che in terra, non avesse mai visto il miele. L’opinione attuale è che la manna fosse fatta di piccoli talli di licheni commestibili che crescono nelle zone desertiche afroasiatiche. Quando sono secchi, i talli possono essere portati via dal vento e cadere come neve, oppure che fosse prodotta da tamerici dette appunto mannifere, come mucillaggine dolciastra di alto valore nutritivo, che esce dal tronco quando questo viene eroso da una cocciniglia. Gli ebrei sarebbero stati salvati dalle tamerici. La manna vista dall’Altomare era probabilmente la linfa di alcune specie di frassini, di sapore zuccherino, che essiccando diventa una polvere bianca che nelle campagne, fino a non molto tempo fa, veniva data ai bambini come lassativo. La manna è la migliore dimostrazione che in tutte le epoche le credenze e i pregiudizi hanno prevalso sulla verità. 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 169 Il Viagra stupisce ancora Stupisce non solo il vecchietto che aveva gia rinunciato a certe velleità, ma anche il paziente, quello vero, e lo stesso medico, stufo di redigere soltanto le riccette che imbarazzano sia lui che il richiedente. La rivista medica più accreditata, il New England Journal of Medicine di maggio 2010, conferma ufficialmente quanto era stato osservato in qualche caso, ossia che i malati con certe pneumopatie croniche beneficiano del Sildenafil (Viagra) somministrato giornalmente per molte settimane. Il meccanismo attraverso il quale il farmaco ottiene il beneficio è piuttosto complesso, ma lo si può sintetizzare nel miglioramento dello scambio gassoso tra i polmoni e il sangue. Siamo ancora ai dati preliminari, mancano alcune precisazioni sui casi che ne trarranno più vantaggio e sugli effetti non desiderati che impediscono la continuazione della cura, informazioni che solo l’esperienza clinica ci fornirà; ma ci Union Square, New York, foto di Stefano Di Carlo manca anche un altro dato che l’articolo non precisa, forse per non scadere nella pruderie: se alle dosi attuate, 20 mg tre volte al giorno, che sono poco meno di tre delle famose compresse celesti, i pazienti siano rimasti soddisfatti, entusiasti o indifferenti. Eligio Piccolo libri ricevuti maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 169 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 170 • Trattamento percutaneo dell’insufficienza mitralica: i risultati promettenti dello studio EVEREST. • Le calcificazioni coronariche aumentano nei maratoneti. Lo sport “eccessivo” può fare male? • Ipertensione polmonare primitiva e secondaria: diagnosi e terapia. • Sindrome di Brugada: per chi è indicato il defibrillatore? • Statine e prevenzione primaria nella donna: che cosa ci insegna lo studio JUPITER? • La riforma sanitaria statunitense: quali saranno i suoi risvolti? • I risultati deludenti dello studio ACCORD nella prevenzione cardiovascolare del diabetico. • Trapianto di cuore. Cos’è cambiato dai tempi di Barnard? • WPW asintomatico: stratificazione del rischio o ablazione in tutti i casi? • Recenti sviluppi nel trattamento del diabete di tipo 2. • Cardiomiopatie familiari: qual’è il ruolo della clinica? • Aspirina nella prevenzione primaria: a chi va consigliata? • Genetica e cardiopatia ischemica: il legame si fa più stretto. • Le cardiopatie congenite dell’adulto. • Danni del sale: nella dieta è troppo. • Quale è il rischio di trombosi negli stent medicati di seconda generazione? • La terapia genica in cardiologia: stato dell’arte e sviluppi futuri. p. 170 • HDL e aterosclerosi: dai grandi anziani di Limone sul Garda ai nuovi farmaci per il cuore. • Il by-pass a cuore battente riduce il rischio operatorio a parità di efficacia? • Coronarografia ed angioplastica per approccio radiale: è forse la soluzione al problema delle complicanze degli accessi arteriosi. 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 171 XXVIII Congresso di Cardiologia del Centro per la lotta contro l’infarto Fondazione Onlus Firenze, Palazzo dei Congressi, 4-5-6 marzo 2011 • Televisione e obesità. • Come prevenire l’ischemia cerebrale silente da fibrillazione atriale? Il ruolo dell’ablazione. • Viaggio nelle coronarie: le nuove frontiere dell’imaging non invasivo e delle tecniche intracoronariche. • Il dabigatran ci libera dall’INR. Per chi è indicato? • I tanti falsi positivi dei test di ischemia: cause e significato clinico. • Risorse limitate e spesa sanitaria: considerazione sui costi nella cura dei pazienti. • La scelta delle tienopiridine dopo angioplastica coronarica. • Tomografia ottica a luce coerente (OCT): studio in vivo delle coronarie. • Possiamo applicare degli score del rischio per scegliere tra by-pass ed angioplastica? • Miocardio non compatto: che cosa ne sappiamo? • Quale frequenza tenere nella fibrillazione atriale? I risultati sorprendenti dello studio RACE II. • Una vecchia diatriba: quando operare la stenosi aortica asintomatica di grado importante? • Variabilità della pressione arteriosa, un nuovo predittore di rischio? • Che nesso c’è tra la psoriasi e le malattie cardiovascolari? • Commotio cordis. Quanto incide nelle aritmie, nella morte improvvisa e nelle lesioni miocardiche? • Perché il diabete ha più aterosclerosi? • Come si interpreta un trial clinico? • Bassi livelli di vitamina D: un nuovo fattore di rischio coronarico? • L’ECG nell’ingrandimento ventricolare sinistro: cosa rimane nella pratica clinica? • Ulcerazione ed erosione di placca: qualche tassello in più nel puzzle della genesi dell’infarto. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 171 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 172 La Posta Lettere a Cuore e Salute D. R. p. 172 La sempiterna dieta in bianco Ho sessant’anni, a quaranta soffrii a lungo di una gastrite assai fastidiosa, con dolori sia immediatamente dopo i pasti, sia a distanza. Dalle ripetute cure mediche non ottenni alcun beneficio, e i disturbi passarono solamente con una rigorosa dieta in bianco, che non ho mai più sospeso, perché ogni volta che ho provato, subito i disturbi ricomparivano. Ormai l’osservo con diligenza nonostante l’imbarazzo che mi causa ogni volta che sono invitata a pranzo e in casa perché dobbiamo fare un doppio menu. Mio marito mi dice che sono “maniaca e fissata”, ma non credo proprio, cerco solo di stare bene. Anna Maria, Roma Suo marito potrebbe non avere tutti i torti, ma non ci permettiamo di dirlo in mancanza di una gastroscopia che documenti le condizioni della sua mucosa gastrica. Un’osservanza tanto rigorosa sa di riflesso condizionato, oppure i disturbi da Lei lamentati fanno pensare ad una dispepsia funzionale, disturbo assai frequente, non preoccupante, che in genere regredisce spontaneamente. Lei ci fa tornare in mente le terapie che nonne, mamme e zie ci propinavano senza via di scampo per i più diversi disturbi. La dieta in 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 173 bianco era la loro panacea per ogni disturbo gastro-enterico, per disturbi ritenuti dipendenti da disfunzioni di stomaco e intestino, per l’alitosi, l’aerofagia, il mal di testa, i brufoli, l’acne, nonché nei prodromi e nella convalescenza dell’influenza e di ogni altra malattia. Tutte le malattie dello stomaco, senza differenza, erano la loro specialità, il loro bagaglio terapeutico era esiguo: c’era un emetico, il mosto cotto, la camomilla, e per il novantanove per cento dei casi la dieta in bianco. Per moltissimi igienisti, la dieta in bianco era considerata anche il modo migliore per mantenersi in buona salute. Niente contro questa dieta universale e sempiterna, gli effetti benefici della quale erano sicuri anche se non sono mai stati adeguatamente controllati, che però presenta almeno due inconvenienti anche se non di grande rilievo: il burro ha un considerevole contenuto calorico, 20 grammi sviluppano 150 calorie, ed è ricco di acidi grassi insaturi che favoriscono l’ipercolesterolemia. Ci sono pertanto due categorie di persone per le quali la dieta in bianco non è consigliabile: coloro che non vogliono aumentare di peso o hanno qualche chilo di troppo da smaltire, e coloro che hanno problemi legati all’eccesso di colesterolo nel sangue. Per queste persone sono preferibili gli spaghetti conditi con ragù o con pomodoro, che in genere vengono anche meglio digeriti. Poiché Lei, grazie alla dieta in bianco sta bene, non c’è nessuna ragione che l’abbandoni, a patto che non glielo imponga a Suo marito. F.F. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 173 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 174 2a lettera a Cuore e Salute D. Anticoagulanti, anticoagulati e Centri di Sorveglianza Ho letto con attenzione l’articolo di Filippo Stazi sulla liberazione dall’INR. Premetto che sono in terapia anticoagulante (TAO) dal 1994 a seguito di una operazione alla valvola aortica. Nel corso degli anni successivi ho avuto momenti di fibrillazione atriale a seguito di sforzi o qualche pranzo pesante. Momenti superati con la cardioversione elettrica sempre utilizzando il farmaco Coumadin nella misura proposta dal Centro di Sorveglianza da noi voluto presso l’Arcispedale S. Anna di Ferrara fin dal 1989, seguendo l’esperienza degli amici di Padova dove, come è noto, è nata la cardiochirurgia. I miei controlli variano da due-tre settimane fino al mese, tranne in caso di interventi chirurgici o assunzione di altri farmaci che interagiscono con l’anticoagulante. Circa la dieta, pochi i problemi, basta seguire una dieta equilibrata senza allarmare i pazienti che si alimentano con verdura verde a foglia larga, che può essere consumata normalmente in giuste proporzioni. Ben venga il Dabigatran e vedremo come utilizzarlo al meglio. Nel nostro Paese sono oltre un milione i pazienti anticoagulati con solo 358 Centri di Sorveglianza che possono quindi controllarne solo il 20%. Di qui la nostra richiesta di una loro maggiore presenza presso tutte le strutture ospedaliere, il cui costo sarebbe limitato allo spostamento di pochi medici e infermieri addetti ai prelievi, il tutto in day hospital. I referti inoltre vengono inviati al domicilio del paziente o al suo medico curante con un fax nella stessa giornata del prelievo. Infine occorre avere sempre presente che la TAO è una terapia preventiva di grande importanza per tutti coloro che possono avere problemi cardiologici, trombosi, ictus. Sauro Baraldi, Presidente Associazione Pazienti Anticoagulati (Provincia di Ferrara) p. 174 01-Impaginato 5-6:Layout 1 R. 7-07-2010 16:07 Pagina 175 Egregio Sig. Baraldi, concordo con Lei sull’importante funzione svolta dai Centri di Sorveglianza della terapia anticoagulante orale. Il numero di tali centri è però, come da Lei ricordato, purtroppo inadeguato e nell’attuale periodo di vistosi tagli della spesa sanitaria è difficile prevederne un incremento. Tale realtà rende, a mio avviso, ancora più importante l’introduzione di nuovi farmaci anticoagulanti che non necessitino di un costante monitoraggio dell’INR. Ringraziandola per il suo prezioso contributo voglia gradire i miei più distinti saluti. Filippo Stazi libri ricevuti maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 175 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 176 Medicina al femminile di Vito Cagli Nel 1881 su 18.950 medici che esercitavano la professione in Italia vi erano 2 donne; nel 2006 tra i laureati in medicina vi sono stati 2.316 uomini e 3.827 donne. Si è compiuta dunque una “rivoluzione”: le donne, da testimoni sparute di un diritto ad esercitare la professione medica, sono passate ad essere la maggioranza dei laureati in medicina. Queste informazioni, accanto a molte altre tra cui quelle che seguono, ci vengono fornite da un libro di grande interesse, Donne di medicina, che la professoressa Giovanna Vicarelli, docente di Sociologia economica nell’Università Politecnica delle Marche, ha pubblicato con “Il Mulino” nel 2008. Ma chi erano quelle due donne che aprirono la lista delle laureate in medicina? La prima a laurearsi nel nostro Paese fu Ernestina Paper, la seconda, Maria Farnè Velleda; qualche notizia su di loro è reperibile anche online (http://scienzaa2voci.unibo.it). Ernestina Paper era nata in una famiglia ebrea (Puritz-Manasse) di Odessa; aveva iniziato gli studi di medicina a Zurigo, li aveva proseguiti a Pisa, per laurearsi infine a Firenze dove aveva frequentato l’ultimo biennio di pratica clinica presso il Regio Istituto di Studi Superiori che equivaleva ad una università; esercitò la professione a Firenze dedicandosi alle malattie delle donne e dei bambini; in una rivista dell’epoca viene descritta come «non solo colta, ma seriamente istruita; un tipo tutto femmini- p. 176 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 177 Maria Montessori con un gruppo di bambini le; una graziosa personcina alta e flessibile […] moglie madre amorosissima trova il tempo per tutti i suoi doveri». Quanto a Maria Velleda Farné, aveva compiuto tutti i suoi studi a Torino e Michele Lessona – professore di anatomia comparata e rettore dell’università di Torino – scrisse, in coincidenza con la sua laurea: «Il giorno in cui essa prenderà l’aggregazione, i vecchi dottori si lagneranno meno dell’uso ancora in vigore in quest’università che al nuovo aggregato tutti diano un bacio». Si poteva sperare che con il nuovo secolo, il ‘900, le dottoresse potessero avere meno difficoltà rispetto a quelle di quante le avevano precedute. In realtà, se era vero che non si frapponevano più ostacoli legali, restava però il fatto che la loro opera era poco richiesta anche nell’ambito della cura delle donne e dei bambini. Comunque la scelta di queste pioniere non era soltanto una scelta professionale, era anche un gesto concreto per affermare il diritto della donna a ricoprire quei posti nella società che la tradizione voleva fossero riservati soltanto agli uomini. Erano per lo più, quelle prime dottoresse in medicina, espressione di ambienti colti e intellettuali, progressisti, come nel caso di Maria Montessori (laurea 1896), quando non addirittura rivoluzionari, come nel caso di Anna Kuliscioff (laurea 1885). Nel 1931, su quasi sessantamila medici registrati in Italia, poco più dell’1% era costituito da donne (795 in tutto) e negli anni seguenti non si supererà il 5%. Eppure già dal 1921 le donne medico erano riunite in una loro associazione. Ma ostacoli e difficoltà non mancavano: vi erano pensionati di suore che negavano l’alloggio a studentesse di medicina considerate un cattivo esempio e anche, una volta laureate, alcune rinunciavano alla professione e tornavano da dove erano venute per sottrarsi alle chiacchiere e alle maldicenze. Poi venne la seconda guerra mondiale e nel dopo guerra si registrò un profondo mutamento del clima sociale, mentre la diffusione dell’assistenza mutualistica cambiava profondamente gli assetti e gli equilibri della professione medica. Venne anche il Sessantotto con la contestazione studentesca, le lotte dei lavoratori, la rivolta generazionale, la rivendicazione del ruolo paritario delle donne rispetto agli uomini. Così nell’ultimo maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 177 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 178 terzo del secolo lo scenario era profondamente diverso, tanto sul piano sociologico, quanto su quello medico da quello di pochi decenni prima. La posizione delle donne medico era cambiata: il loro numero nel 1976 era pari a quasi un terzo del totale e più della metà lavorava in ospedale. Tuttavia pochi erano i medici ospedalieri donna che giungevano alla posizione apicale e anche negli anni successivi la chirurgia restava una specializzazione a cui erano iscritte soltanto il 5.2 % delle donne contro un 16.3 % degli specializzandi uomini ( dati del 1996). E oggi, negli anni Duemila? Alle soglie del nuovo millennio le donne iscritte all’Ordine dei Medici risultavano essere il 29 % del totale (contro il 7% del 1964), ma già nel 2005 si era saliti al 34 %, il che corrisponde in numeri assoluti a 120.360 dottoresse iscritte all’Albo, di cui soltanto il 2% circa non eserciterebbe la professione. Vicarelli delinea «l’archetipo» della donna medico italiana dei nostri giorni con i tratti che risultano dallo stralcio che segue: «Una professionista di circa 43 anni, più giovane dei suoi colleghi, che proviene da una famiglia di status socio-economico-culturale medio-alto, è sposata con un uomo appartenente alla stessa classe sociale ed ha figli. Ha intrapreso questa professione perché animata dalla passione verso la ricerca scientifica o da una forte predisposizione alla cura degli altri, ed ha scelto una specialità dell’area medica. Considera il suo lavoro impegnativo, ma al contempo stimolante e gratificante, e ritiene di aver soddisfatto le aspettative che vi riponeva. Svolge l’attività professionale in forma dipendente, senza ricoprire alcun incarico di tipo sanitario manageriale; è iscritta a società scientifiche e/o a sindacati ma non riveste cariche al loro interno» (pp.120-1). Come giustamente osserva l’Autrice dello studio di cui abbiamo cercato di dar conto, si apre ora il problema di quanto e in che modo la massiccia presenza di medici donna possa modificare Anna Kuliscioff a Firenze, 1908 p. 178 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 179 la pratica della medicina. Vi sono indizi di una maggiore capacità delle donne medico di esercitare una medicina ”centrata sul paziente”, cioè sui suoi bisogni e sulle sue attese, al di là della sola prestazione tecnica. Anche la capacità di lavorare in un team sarebbe migliore nelle donne rispetto agli uomini. Se così fosse si potrebbe concludere che in una medicina afflitta dal rischio dell’ipertecnicismo la presenza delle donne medico servirebbe da antidoto per un approccio al paziente troppo freddo e sbrigativo. Forse queste osservazioni, che potrebbero avere il rischio di incasellare i medici donna in un vecchio stereotipo dell’angelo della corsia, sono premature. Le donne medico che vediamo in corsia o negli ambulatori non ci sembrano in verità molto diverse dai loro colleghi uomini. Speriamo soltanto che se proprio vi dovessero essere differenze secondo i sessi nel modo di esercitare la medicina, queste si traducano in un vantaggio per gli uni come per le altre, ma soprattutto per i pazienti. Abbassare la pressione per ridurre il rischio di infarto è sempre vero? Parrebbe di no, almeno se la terapia anti-ipertensiva è condotta con certe associazioni di farmaci. Un gruppo di ricercatori americani (Boger-Megiddo I et al BMJ 2010;340:c103) ha esaminato le cartelle di 353 pazienti ipertesi che avevano sofferto di un infarto del miocardio o di ictus cerebrale e, come controllo, quelle di 952 ipertesi che non avevano avuto né infarto, né ictus. I pazienti dell’uno, come dell’altro gruppo, erano tutti a basso rischio cardio-vascolare ed erano stati trattati tutti con un diuretico associato ad un secondo farmaco anti-ipertensivo. Il risultato dello studio è stato che il trattamento con diuretici + calcio antagonisti sarebbe associato ad un più elevato rischio di infarto del miocardio a confronto con l’impiego di diuretici + beta-bloccanti o di diuretici + ACE-inibitori o bloccanti recettoriali dell’angiotensina. L’associazione calcio antagonisti diidropridinici + diuretici tiazidici o analoghi era da molti anni sconsigliata anche dalle linee-guida in quanto priva di un significativo effetto antiipertensivo additivo rispetto all’impiego di uno solo dei due farmaci; ora possiamo anche aggiungere che l’associazione diuretici + calcio-antagonisti sembrerebbe essere anche meno protettiva nei confronti dell’insorgenza di infarto del miocardio. Vito Cagli maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 179 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 180 Diuretici tiazidici: i più longevi tra i farmaci antiipertensivi di Filippo Stazi Foto di LDA La terapia diuretica dell’ipertensione arteriosa ha avuto inizio nel 1937 con la scoperta che la sulfonamide causava acidemia e una lieve diuresi come conseguenza dell’inibizione a livello renale di un enzima chiamato anidrasi carbonica. Alla fine degli anni 50 divennero poi disponibili i diuretici tiazidici che furono i primi farmaci antiipertensivi orali efficaci e con un accettabile profilo di tollerabilità. A distanza di mezzo secolo i tiazidici rimangono ancora importanti presidi della terapia antiipertensiva. Tali farmaci, infatti, riducono la pressione arteriosa quando somministrati in monoterapia, migliorano l’efficacia di altri antiipertensivi quando usati in associazione e si sono dimostrati capaci di ridurre la morbilità e la mortalità connesse con l’ipertensione arteriosa. p. 180 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 181 La maggior parte dei diuretici tiazidici ha un’emivita di 8-12 ore che ne permette la monosomministrazione giornaliera. In particolare, il clortalidone presenta un’emivita di circa 2 giorni e può essere pertanto efficace nei soggetti con la tendenza a saltare ogni tanto l’assunzione del farmaco. L’effetto antiipertensivo dei tiazidici si esplica attraverso un effetto a breve termine ed uno a lungo termine. Il primo è conseguenza dell’effetto diuretico propriamente detto mentre il meccanismo sottostante al secondo non è stato ancora chiarito. Una delle ipotesi più verosimili è la riduzione delle resistenze vascolari totali per un effetto vasodilatatorio diretto od indiretto. La frequente comparsa di tolleranza (ossia di perdita di efficacia terapeutica) in corso di terapia diuretica, la cui eziologia è anche questa non ancora chiara, può essere facilmente ovviato dall’aumento di dosaggio o dalla combinazione di diuretici di tipo differente. In media i tiazidici inducono una riduzione della pressione arteriosa sistolica di 10-15 mmhg e di quella diastolica di 5-10 mmhg e sono particolarmente indicati nelle forme di ipertensione dette a bassa renina o sale-sensibili, quali comunemente si riscontrano negli anziani e negli obesi. Attualmente i tiazidici vengono utilizzati a basse dosi (12,5 o 25 mg al giorno) che ottengono l’effetto terapeutico auspicato in circa il 50% dei soggetti. Nello studio SHEP (Systolic Hypertension in the Elderly Program), ad esempio, 12,5 mg di clortalidone al giorno hanno ben controllato la pressione arteriosa per numerosi anni in più del 50% dei soggetti. L’aumento da 12,5 a 25 mg al dì otteneva la risposta terapeutica in un ulteriore 20% dei pazienti e, infine, il dosaggio di 50 mg/die risultava efficace nell’80 – 90% dei casi. L’efficacia dei diuretici tiazidici nel diminuire il rischio di eventi cardiovascolari maggiori è stata dimostrata per la prima volta nel 1967 dal Veterans Affaire Cooperative Study. A partire da allora numerose meta-analisi hanno confermato la capacità di questi farmaci di ridurre il rischio di scompenso (-40/50%), ictus (-30/40%), cardiopatia ischemica (-15/20%) e mortalità da tutte le cause (-10%). I principali effetti collaterali legati all’uso dei tiazidici consistono nella possibile comparsa di ipopotassiemia, ipomagnesiemia e ipercalcemia, nell’aumento dell’uricemia e in un lieve aumento della probabilità di insorgenza di diabete mellito. Bisogna segnalare, infine, che la concomitante terapia con farmaci antinfiammatori non steroidei diminuisce l’efficacia dei tiazidici i quali, a loro volta, possono indurre un aumento del 5-10% dei livelli di colesterolo totale e LDL. In conclusione crediamo che si possa senz’altro affermare che poche scoperte farmacologiche hanno inciso tanto e tanto a lungo nel trattamento di una malattia come l’introduzione dei diuretici tiazidici nella terapia dell’ipertensione arteriosa. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 181 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 182 Ancora sui diuretici “Sono i primi e restano i migliori”. Così potrebbe suonare, in base allo studio ALLHAT uno slogan per sostenere l’utilità dell’impiego dei diuretici come primo farmaco nella terapia dell’ipertensione arteriosa. Comparsi nel 2002, i risultati di questo ampio studio, che arruolava 42 418 pazienti, comparava l’effetto di quattro diversi farmaci anti-ipertensivi (diuretici tiazidici, alfa-bloccanti, calcio-antagonisti, ACE-inibitori) come terapia iniziale e sanciva la superiorità dei diuretici, furono sottoposti da più parti a molte critiche. Ma gli autori dello studio insistono e con un ampio riesame dei loro dati, arricchito anche dall’aggiunta di quelli di altri studi, ribadiscono la loro convinzione secondo cui: «Si conferma la conclusione originaria di ALLHAT che i diuretici tiazidici rimangono la terapia iniziale preferita nella maggior parte dei pazienti con ipertensione» (Archives of internal medicine 2009;169:832-842). Resta tuttavia un’obiezione di fondo e l’ ha formulata nel modo più chiaro Enrico Agabiti Rosei in un editoriale comparso sull’ultimo numero di Ipertensione e prevenzione cardiovascolare (2009;16:VII), in cui si afferma: «Le considerazioni sui farmaci di prima scelta sono sostanzialmente inutili e praticamente obsolete, perché la grande maggioranza dei pazienti deve essere trattata con combinazioni di diversi farmaci antipertensivi, al fine di ottenere un’adeguata riduzione dei valori pressori». E, vorremmo aggiungere, rispetto a determinati farmaci, come ACE-inibitori o inibitori recettoriali dell’angio-2, la somministrazione in pazienti pretrattati con diuretici a dosi piene può talora esporre al rischio di un’eccessiva caduta della pressione arteriosa. Insomma, alla fin fine, i trial ci offrono dati preziosi, ma questi vanno utilizzati alla luce delle condizioni e delle caratteristiche del singolo paziente. Vito Cagli p. 182 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 183 Braccio o polso: questo è il problema di Pasquale Bossa Mi ritrovo, ancora una volta dalla parte sbagliata e, in questo caso, per quanto riguarda la possibilità di ammettere all’uso routinario gli sfigmomanometri elettronici da polso, al momento ufficialmente sconsigliati. Si ripete un po’ la vicenda di qualche anno fa, quando l’uso dei primi sfigmomanometri elettronici e la pratica dell’automisurazione erano generalmente mal visti. A me, per moltissimi anni, invece, avendo l’accortezza di valutare sempre misurazione elettronica e misurazione tradizionale insieme, nella grande platea dei soggetti di ambulatori specialistici sul territorio, queste pratiche si erano rivelate preziose. Fu poi l’autorevolezza degli interventi dei massimi esperti in materia, come Prati, Cagli, Dal Palù, Verdecchia, a sancire il loro ingresso nella normale attività clinica, con risultati certamente molto apprezzabili. Devo ora, analogamente, segnalare che se la misurazione al polso presenta potenziali inconvenienti, che, giustamente, l’hanno finora sconsigliata, questi sono evitabili facilmente e perciò, la sua potenziale utilità rende il rapporto vantaggio/svantaggio molto interessante. In breve, il rischio fondamentale è che la pressione possa avere una caduta e quindi manifestare un gradiente, scendendo da un segmento superiore, il braccio, a un segmento inferiore, il polso. Questo può accadere per una ste- maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 183 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 184 nosi tra i due distretti arteriosi, più frequentemente acquisita, in soggetti anziani, per patologia sclerotica. Il vantaggio essenziale è che la pratica dell’automisurazione costituisce una indubbia facilitazione, specie in soggetti anziani, d’inverno, riducendo quasi del tutto la complessità della manovra, che è la causa, a mio avviso, di quel rialzo pressorio fugace, ma ingannevole e allarmante, che quasi sempre si verifica alla prima misurazione, anche se fatta dal paziente stesso. La presenza di un gradiente è facilmente valutabile dal medico con la misurazione ai due diversi livelli, così come si deve o si dovrebbe sempre fare, all’inizio, e su tutte e due le braccia. Questa controindica la misurazione al polso, mentre un’ aritmia consistente controindica quella elettronica; ma sono entrambe relativamente rare. Certamente importante è istruire il paziente a compiere correttamente la piccola operazione. Un buon contributo può essere dato a questa finalità dall’adozione di una semplice scheda, da tenere a cura del paziente, in cui segnare il livello della pressione e configurare un grafico del suo andamento, in modo da facilitare la individuazione di quel “profilo pressorio individuale” che è il presupposto per una terapia personalizzata e per un migliore coinvolgimento del paziente nella sua gestione. testimonianze Porto Cuore e Salute spesso in classe per i miei scolari e conservo ancora il fascicolo dedicato a loro che vorrei che ristampaste. Prof. Rosella C., Roma p. 184 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 185 Ballistocardiogramma: una metodica abbandonata di Silviano Fiorato Quando incontravo Pier Luigi Prati, mio coetaneo, al congresso fiorentino “Conoscere e Curare il Cuore” ci stringevamo le mani e, nonostante l’affabile sorriso, ci guardavamo con uno sguardo di nostalgia; era uno sguardo rivolto agli anni della nostra gioventù, quando avevamo condiviso – negli anni cinquanta del Novecento - un vivo interesse alla ballistocardiografia. Una marea di pubblicazioni, tra cui le nostre – e con Prati c’erano Fontanini e Carbonara, su Minerva Medica - esaltavano il valore diagnostico e prognostico di quella “nuova” metodica, che i giovani cardiologi di adesso neppure conoscono per sentito dire. Si trattava della rappresentazione grafica degli impulsi trasmessi al corpo dall’attività meccanica del cuore e dell’aorta, fino alla biforcazione iliaca. I grandi nomi della cardiologia ne avevano studiato la validità per oltre venti anni, a partire dal 1939: Rappaport, Mandelbaum, Selinger, Starr ed altri si erano dedicati ad una attenta analisi della metodica, valutandone le capacità diagnostiche e prognostiche; in particolare si era evidenzata la possibilità di seguire il recupero postinfartuale e di verificare le variazioni indotte sull’attività cardiaca dai primi farma- maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 185 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 186 ci ipotensivi che stavano spuntando sul mercato internazionale; ed anche – quasi una curiosità – le alterazioni prodotte dal fumo di sigaretta sulla morfologia del tracciato: cinque minuti di inalazione avrebbero consentito di individuare, con apposito test, un probabile rischio coronarico legato al fumo. Negli anni ‘60 fu fondata una Società Internazionale di Ballistocardiografia (“Society for ballistocardiographic research”) che teneva congressi annuali in Europa e negli Stati Uniti. La conclusione pratica di tutte queste ricerche, a prescindere dalle capacità diagnostiche e prognostiche della metodica, si era via via concentrata sulla capacità di valutare la forza contrattile del cuore mediante la registrazione di un ballistocardiogramma. Oggi non se ne parla più, di fronte all’evoluzione tecnologica della cardiologia che ha relegato nell’oscurità dell’oblio tutte le metodiche di cinquant’anni fa, ad eccezione dell’elettrocardiografia. Non ho recenti notizie dell’ impiego della ballistocardiografia nella medicina spaziale, dove era stato introdotto per verficarne la maggior fedeltà in assenza di interferenze indotte da vibrazioni ambientali; ma mi domando ancora se l’ombra di malinconia nel sorriso di Pier Luigi Prati non nascondesse anche la nostalgia per un vecchio tentativo di valutare, con un metodo molto semplice, la validità della contrazione cardiaca. Al Prof. Fiorato direi che di quel ricordo di oltre mezzo secolo fa ci è rimasta molta nostalgia, compresa quella per la ballistocardiografia che, dopo iniziali promesse deluse, non aggiunse niente alle informazioni ancorché limitate, fornitici dai mezzi diagnostici dell’epoca. Il suo ricordo avrebbe fatto piacere al Prof. Prati. Franco Fontanini p. 186 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 187 Ricordo del Prof. Spalato Signorelli Un altro amico carissimo del gruppo anni ’50 ci ha lasciato con garbo, tristemente com’era suo carattere: Spalato Signorelli, amatissimo cardiologo da una vita, dell’Ospedale della città dov’era nato. Fra la Mayo Clinic e l’Ospedale San Sebastiano di Correggio, senza esitare avrebbe scelto il secondo dove lo vollero giovanissimo primario, per mozione popolare. Indimenticabile, mite, taciturno, altissimo, curvo, impossibile conversare con lui per strada: faceva passi di quasi due metri, ed era pendolarmente un metro avanti e un metro indietro, il suo interlocutore lo vedeva solamente transitare. Studioso di storia della medicina, appassionato bibliofilo, una ventina di anni fa, in un remoto scaffale della Biblioteca di Reggio Emilia, trovò un vecchio volume dai caratteri di stampa sbiaditi, pubblicato nel 1612, dal titolo che lo fece sobbalzare: “Mortis Repentinae examen”. Ce l’annunciò con incontenibile enfasi, esclusiva degli esploratori e degli archeologi. L’autore del tomo, Paolo Grassi, era nato a Correggio come lui e come lui era stato primario dell’Ospedale, quattro secoli prima. Medico di corte dei Gonzaga, compose poesie come a quei tempi si confaceva ad un uomo di cultura, dottissimo, dissertò di filosofia, di botanica, di epidemiologia, persino sulla natura e l’interpretazione dei sogni e fu un medico di leggendaria bravura. Chiamato a Modena a curare il duca Cesare d’Este gravemente ammalato, lo guarì scatenando l’invidia del medico personale del duca e degli altri medici modenesi. Il duca pochi giorni dopo morì, si disse avvelenato dai medici astiosi. Il trattato sulla morte improvvisa che scatenò tanta felicità nel Professor Signorelli, è considerato la prima pubblicazione sull’argomento, precedente di circa un secolo a quella celebre del Lancisi, ritenuta la prima. Signorelli, con l’aiuto di un anziano sacerdote latinista, tradusse tutta l’opera che venne pubblicata a cura del Centro per la Lotta contro l’Infarto. Grazie all’eccezionale acume intellettivo il Grassi considerò il cuore principale responsabile delle morti subitanee e codificò i fondamenti della prevenzione e i principali fattori di rischio coronarico. Più di quattrocento anni fa, nell’Ospedale San Sebastiano e San Rocco di Correggio veniva consigliata, per evitare la morte prematura, di correggere quantitativamente e qualitativamente l’alimentazione, riducendo le carni grasse a favore dei cereali e delle verdure. Veniva inoltre sconsigliata la vita troppo sedentaria. Queste stesse raccomandazioni vengono oggi fatte all’Associazione Amici del Cuore voluta dal Professor Signorelli, che svolge un’esemplare campagna di controlli cardiologici e di insegnamenti di igiene sanitaria della popolazione con ottimi risultati. F.F. I lettori che desiderano ricevere il volume di Paolo Grassi possono richiederlo alla segreteria del Centro per la Lotta contro l’Infarto. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 187 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 188 Un cuore amico di Eligio Piccolo Per molti cardiologi Alberto Galassi viene associato al professionista dei bei tempi andati, presente a tutti i congressi, con il suo dolcevita bianco, più interessato alle conclusioni cliniche e meno alle sofisticherie dei superspecialisti; abituato a scrivere di suo pugno le lunghe lettere al medico curante, ricche di sottolineature e di puntualizzazioni. Ad altri invece, con benevola malizia sono certo, piace vederlo come il barone medico siciliano, ben inserito nella terra che disprezza i “quaquaraqua”; di quelle figure che a qualcuno fece venire poi una certa nostalgia per l’impegno con cui sapevano portare avanti la realizzazione del lavoro e la carriera dei loro allievi. Se preciserò invece che egli non era siciliano, né di nascita né di anamnesi, ma bolognese, desterò forse una certa incredulità perché il suo modo di porgersi, la prudenza nel parlare, la preferenza per il “ni ni, so so” anziché il “si si, no no” lo facevano sembrare più siculo dei siculi. Evidentemente, vivendo nella terra dei Lampedusa e degli Sciascia, egli con la sua intelligenza e sensibilità aveva imparato che si poteva realizzare a Catania la stessa medicina che a Milano, rispettando si capisce certe tradizioni. Non fu estranea a questa formazione l’essere stato allievo di un grande maestro, un uomo di sicuro ingegno, quali la Sicilia genera spesso, ma che pretendeva non solo lo I professori Galassi, Prati, Rovelli e Piccolo. p. 188 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 189 “jurare in verba magistri” ma anche l’indiscutibilità delle sue decisioni. E quella di destinarlo a primario cardiologo di Catania, allora considerata una diminutio rispetto alla carriera universitaria, fu invece per lui il predellino per inserirsi nella specialità in più rapida ascesa. Conobbi Alberto negli anni ‘70 a Firenze, entrambi in lista per entrare nel consiglio direttivo della Cardiologia Nazionale. Fummo eletti e ritornammo in treno fino a Bologna insieme. Parlò solo lui e di quella conversazione, si fa per dire, non ricordo assolutamente nulla perché, come mi fu chiaro negli anni a seguire, la sua dialettica era tutta tesa a non farmi cogliere alcuna affermazione precisa, e nemmeno alcuna negazione. Quando divenimmo amici, e Dio sa quanto lo fummo, potei inserirmi con più libertà negli scambi di opinioni sia nel nostro lavoro che nelle confidenze riservate. Avevo oramai la sua stima e la fiducia che non l’avrei “quaquaraquato”. Organizzammo in quegli anni, anzi fece tutto da sé, il Congresso Nazionale a Catania. Riuscì benissimo, ma il secondo giorno vidi Alberto molto preoccupato. Chiesi: “Che succede?” “Mi sono dimenticato di invitare all’inaugurazione il Prefetto”. “Ma da noi non si usa”, cercai di minimizzare. Mi guardò come per dirmi: qui siamo in un altro mondo. Pare che una cesta di rose alla signora del Prefetto e altri piccoli favori siano riusciti a mettere tra parentesi quello sgarro. Le attenzioni e la gentilezza erano certo nel suo DNA. Non si dimenticava mai gli auguri o i complimenti anche per cose di poca importanza. Venne a trovarmi a Panarea durante una mia breve vacanza colà e ci portò nella sua motobarca per un giro tra le Eolie. In altra occasione, di ritorno da un concorso in Sicilia, mi volle accompagnare all’aeroporto. Era il giorno di Sant’Agata, la Patrona. Lo pregai di fermarmi a una bancarella per comperare i dolciumi tipici. Chiesi al venditore il prezzo: “Ventimela”, nella sua cadenza, ma subito alle mie spalle arrivò la voce decisa dell’assistente Circo: “Dicesse?” “Diecimela”. Credo che non potetti pagare nemmeno quel cinquanta per cento. Ci telefonammo varie volte nell’anno e mezzo che la sofferenza del male si faceva sempre più padrona della sua vita e in ognuna aveva sempre un pensiero gentile per quello che noi amici scrivevamo in Cuore e Salute. maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 189 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 190 aforismi Non attribuiamo i guai di Roma all’eccesso di popolazione. Quando i romani erano solo due, uno uccise l’altro. > G. Andreotti Una bella giornata si vede dal mattino. Falso. Dal mattino si vede una bella nottata. > E. Piccolo Gli uomini, ancor oggi, si dividono in tre categorie: gli sposati, gli omosessuali e gli omosessuali sposati. > R. Trudeau Non è detto che tuo marito abbia sempre torto. > N. Simone Se ti dicono che hai dei bei capelli o dei begli occhi, vuol dire che non sei gran che. > Detto popolare Se ti capita di incontrare con tutta l’innocenza di questo mondo, una ex fidanzata, tua moglie lo saprà prima che tu torni a casa. > A. Block Corteggiare una donna vuol dire inseguirla finché non ti acchiappa. > J. Galant Gli uomini non conoscono le donne però si divertono a cercare di conoscerle, anche se non ci riescono quasi mai. > F. Fontanini Le fotomodelle dovranno pur parlare, uscire, andare a letto con qualcuno, ma quel qualcuno non sarai tu. > Anonimo p. 190 01-Impaginato 5-6:Layout 1 a cura di 7-07-2010 16:07 Pagina 191 Franco Fontanini Divertiti perché comunque non puoi cambiare nulla. > C. Conelly Un proverbio, saggezza popolare, dice che chi dorme non piglia pesci, ma ignora che, dacché mondo è mondo, la gente ha sempre preferito dormire a prendere pesci. > F. Fontanini La donna non sa che tipo di marito non vuole fino a quando non l’ha sposato. > J. Collins Come? Nessun alibi? Allora deve essere innocente. > F. Giborain Taluni sono ossessionati dall’ovvio, forse per mancanza di originalità. > M. Missale La principale differenza fra i politici di ieri e quelli di oggi è che i primi nascevano ricchi, i secondi lo diventeranno. > F. Fontanini Gli apostoli non ci sono più: oggi sono tutti padreterno. > Detto popolare. Grande è la dignità del gatto finché non arriva un cane. > Anonimo Si vuole essere amati dagli altri o perché lo esige il nostro amore per loro o la nostra vanità. > M. Missale Quando la donna non ama più diventa comprensiva e generosa. > A. Morandotti maggio-giugno [n. 5-6/2010] p. 191 01-Impaginato 5-6:Layout 1 7-07-2010 16:07 Pagina 192 Sostenete e diffondete Cuore e Salute Cuore e Salute viene inviata agli iscritti al Centro per la Lotta contro l'Infarto - Fondazione Onlus. La quota minima annuale di iscrizione alla Fondazione è di ¤ 20,00. La quota di iscrizione come medico alla Fondazione è di ¤ 180,00. Essa dà diritto a: 1) partecipare al Congresso annuale Conoscere e Curare il Cuore previo l’invio della cartolina d’iscrizione; 2) ricevere il volume degli Atti del Congresso anche online; 3) essere informati sulle iniziative culturali della Fondazione. Con un contributo di € 30.00 anche gli iscritti alla Fondazione che hanno versato la quota minima, possono richiedere il volume degli Atti del Congresso o gli Atti online. I soci che desiderano offrire Cuore e Salute ai loro amici, debbono fornire l’indirizzo del destinatario unitamente al versamento della quota associativa. Sarà cura della segreteria informare dell’avvenuto omaggio (*). MODULO PER ISCRIVERSI ALLA FONDAZIONE O PER ISCRIVERE UN AMICO Desidero: iscrivermi rinnovare l’iscrizione Iscrivere un amico al Centro per la Lotta contro l‘Infarto - Fondazione onlus: In qualità di Aderente In qualità di Medico Cognome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Codice Fiscale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Via . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cap . . . . . . . . . . . Città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Prov. . . . . . . . . . . . . . Nato a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . il . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e-mail . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (*) nominativo di chi offre l’abbonamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 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I medici che hanno versato la quota minima possono richiedere il volume degli Atti del Congresso o gli Atti online con un contributo di € 30,00. Crediti formativi ECM I crediti formativi ECM conseguiti sono disponibili online. Gli interessati possono collegarsi al sito della Fondazione www.centrolottainfarto.it e seguire la procedura indicata. 7-07-2010 16:09 Pagina 1 Ogni mese una Pagg. 129-192 00-Cover 5-6:Layout 1 Newsletter sulla salute del tuo cuore? N. 5-6 MAGGIO-GIUGNO 2010 www.centrolottainfarto.it ANNO XXVIII Di invidia si può morire N. 5-6 MAGGIO-GIUGNO 2010 Poste Italiane SpA Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB - Roma Una pubblicazione del: