1 BRUNO PINSUTI BERRINO COMMENTI BIBLICI 1 www.ilcrocevia.it 2 www.ilcrocevia.it 3 BARRIERE GIONA I NIPOTINI DI GIOBBE IPNOTICA SPIRALE L’ANTAGONISTA L’INGANNO DELLA SOLITUDINE MONOLOGO SUI LIMITI DI FELICITÀ IL SACRO NON E’ UN FOSSILE IMMORTALITÀ MATERNITÀ ROSSANA MARIUS JUPITER BISOGNO DI FUTURO MARATONA DELL’ANIMA FEDE E IPERSPAZIO L’AMBIVALENZA DEL SILENZIO (La parola e il silenzio) ANNO 587 A.C. (Muro fragile) www.ilcrocevia.it 4 BARRIERE APPROPRIAZIONE INDEBITA ... DI DIO Quando una chiesa cresce elimina gradualmente il suo Dio. Più una religione è forte più il Dio che predica è debole. Ogni religione che proclama verità assolute deve usare poi la forza per mantenerle. Nell'angoscia l'uomo cerca il dialogo con Dio. I sacri riti si offrono come intermediari sicuri. La ritualità gestita bene ha i suoi costi. E la paura invischiata nel mistero diventa fonte di generose sovvenzioni. Ogni parola rivelata ha due impronte: una nitida (Dio) e una polverosa (uomo). Quando l'autorità religiosa sigilla definitivamente la parola rivelata chiude il dialogo fra uomo e Dio. L'autorità sacra è dura a morire. Il potere è il suo albero della vita. Si può eliminare Dio esaltandolo e rubandogli l'identità. Bruno di Roma Roma, 18/12/2007 www.ilcrocevia.it 5 GIONA UN PROFETA PICCOLO PICCOLO Nella lunga storia profetica d'Israele Giona rappresenta una categoria di soggetti egoisti e intellettualmente miopi disposti a testimoniare Dio giocando a nascondino pur di salvare i propri privilegi. Dopo la lunga e dolorosa esperienza dell'esilio di -Israele, Giona viene scelto dal Signore per recarsi a Ninive terra nemica, luogo di tanti guai, per invitare la popolazione alla conversione. Probabilmente con l'intenzione di pensarci bene, il neo eletto profeta si imbarca a Giaffa per dirigersi a Tarsis (Spagna), località agli antipodi di Ninive. Si può chiamare più esattamente, una fuga ma numerosi imprevisti ne bloccano l'attuazione. Un Libro breve quello di Giona. Personaggio quasi fiabesco, per un racconto simbolico in cui l'azione e il dialogo si svolgono principalmente fra Dio e il profeta. Emergono contenuti chiaramente didattici pervasi di ostinazione umana e ironia divina. Un libro valido per molte epoche e per molti altri Giona. Forse più che un racconto è una tragicommedia concisa e intensa. PROLOGO: A Giona Dio affida lo sgradevole compito di recarsi in campo nemico per proclamarvi che la malvagità ha raggiunto il culmine. Per non subire le conseguenze dell'ira divina gli abitanti di Ninive devono cambiare condotta. ATTO I : Giona, piuttosto stordito si chiede, 'Perché? E perché proprio ioT Rischio per rischio preferisce imbarcarsi e affrontare un lungo viaggio dovei pericoli potrebbero esserci ma potrebbe anche andare bene. Con ogni probabilità a Tarsis non sono a conoscenza delle esigenze del Dio di Israele e del compito affidato a Giona. Un disegno lineare che viene subito sconvolto da una tempesta (provocata naturalmente da Dio), che fa scricchiolare la nave e mette una gran paura ai marinai. Però Giona si defila, scende nella stiva e si addormenta profondamente. A dar man forte al Signore interviene pure la superstizione dei marinai. Chi è che porta iella? Ognuno di loro si confronta coi propri dei e con la propria coscienza ma non ne escono motivazioni plausibili. E allora tirano a sorte (la paura è più forte della tempesta), e la colpa ricade su Giona. Lo svegliano senza tanti complimenti e il fuggitivo ammette di www.ilcrocevia.it 6 avere le sue responsabilità nei confronti di Dio. Di fronte a quei volti spauriti e minacciosi, decisi a salvarsi e a salvare la nave, Giona si rimette nelle loro mani. E quelle mani lo buttano a mare. E il mare subito si placa. E Giona? Un grosso pesce se lo ingoia (sempre per volere divino). ATTO II : Giona è solo nel ventre del pesce ma è cibo disgustoso. Il tapino sopravvive terrorizzato in quell'umido ambiente denso di angoscia e tenebre. Prega. Prega con la forza dei disperati. Sente di essere solo e di avvicinarsi al momento di perdere il soffio vitale. E' una preghiera che appartiene alla tradizione di coloro che gettati nella profondità della propria coscienza devono affrontare le paure dell'ignoto. "L'acqua mi sommerge fino alla gola, l'abisso mi circonda, le alghe si attorcigliano al mio capo. Sprofondo alle radici delle montagne, la terra, per sempre chiude le sue porte su di me." (Giona 2,6-7) Immagini poetiche e drammatiche molto efficaci, in grado di mostrare i limiti di tutti coloro (molti), che vivendo spensierati nell'appagamento della propria apparenza e appartenenza a una qualche forma di vita privilegiata, hanno il terrore di dover ascoltare i suggerimenti della propria interiorità. La paura inconfessata è di trovarvi cose spiacevoli e non gratificanti. O anche la semplice constatazione di stare sprecando la propria vita, o di non sfruttare al meglio le qualità della propria intelligenza, o ancora di non avere il coraggio di confrontarsi con le qualità degli altri. Mancando la presenza di un terapeuta Giona è costretto a chiedere aiuto a quel Dio da cui sta fuggendo: "Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito, dalla profondità degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce... La salvezza viene dal Signore." (Giona 2,3,10) Per riconoscenza Giona promette di offrire un sacrificio e attuare la missione che gli era stata affidata. A questo punto il profeta recalcitrante viene rigettato dal pesce sulla spiaggia. Termina così, con un lieto finale il secondo atto ma come si vedrà in seguito, da questa esperienza Giona ha imparato molto poco. ATTO III : Per la seconda volta Dio rinnova al profeta il compito di recarsi nella lontana Ninive (grande città la cui estensione corrisponde a tre giorni di cammino) per invitare i cittadini alla conversione. www.ilcrocevia.it 7 A corto di vis oratoria e con tecnica a dir poco sconsiderata Giona affronta i niniviti con un messaggio monotono che è quasi un ultimatum: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta." (Giona 3,4) Questo attacco rozzo contro una città nemica è al limite della follia. Probabilmente l'aria arcigna e un guizzo di pazzia nello sguardo raggiungono lo scopo. Infatti i cittadini e la massima autorità accolgono la profezia con grande timore e cercano un rimedio efficace. Il re di Ninive attorniato dai più nobili cittadini emana un decreto severo di penitenza. Per tutti un digiuno salutare: "Uomini e bestie si vestano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze: ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chissà che Dio non cambi, si impietosisca..." (Giona 3,8-10). Per essere in armonia con Dio è sufficiente mutare la malvagità e la violenza in sincerità e solidarietà. E avviene il miracolo. Ninive è risparmiata. Anche questo atto si potrebbe chiudere con un lieto fine ma la cosa non piace a Giona. Dio che fa? Perché concede la sua benevolenza e comprensione ai nemici? Dalla bocca del profeta escono parole amare (anche grette e provinciali). "Per questo volevo fuggire a Tarsis; perché tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore..." In altre parole, i privilegi e la consuetudine con chi sta in alto devono essere appannaggio di pochi intimi. Concederli a tutti risulta uno spreco offensivo. Dal petto di Giona prorompe un grido di dolore: "Signore, toglimi la vita perché è meglio per me morire che vivere." (Giona 4,2,3) "Ti sembra giusto sdegnarti cosiT' replica subito Signore. Per tutta risposta Giona esce indispettito dalla città e, in luogo isolato, si costruisce un riparo con sterpaglie in attesa di notizie consolatone da parte di Dio. EPILOGO: Dinnanzi alla stupida cocciutaggine umana che pretende un rapporto privilegiato, formale e senza amore, Dio si mette quasi a giocare usando una buona dose di ironia. Durante la notte, mentre Giona è preda di un dormiveglia agitato, Dio fa crescere veloce nei pressi del misero rifugio di sterpi, una grossa pianta di ricino così che il profeta brontolone possa godere dell'ombra nelle ore di calura. Giona si rallegra per questo gesto di attenzione nei suoi riguardi. A volte anche i lamenti pagano. Ma poi Dio manda un venne a rodere la pianta che in poco tempo secca. Giona non www.ilcrocevia.it 8 dice nulla ma con il sorgere del sole, complice un vento orientale afoso, è costretto a lamentarsi, anzi chiede nuovamente di morire. Con pazienza, quasi cow- rassegnazione Dio fa notare al depresso profeta che quei lamenti sono la conseguenza della sua pochezza di spirito e non della bontà divina. L'amore del Signore si rivolge a qualunque uomo disposto ad accoglierlo. E così vale per gli abitanti che hanno ascoltato la parola del profeta. Dio conclude: "Ti dai pena per una pianta di ricino, la cui presenza non ti è costata fatica... e io non dovrei aver pietà di Ninive?..." (Giona 4,10-11) La lezione per Giona (ma forse non l'ha capita), è chiara. Chi cerca di migliorarsi comunicando con Dio, migliorando anche il rapporto con altre persone, altri popoli, attinge alla vera saggezza. I confini di ogni tipo spesso sono il recinto predisposto per i pavidi e gli ignoranti. In tale recinto, anche un semplice rapporto di confidenza non mette radici e lascia spazi mentali enormi al manifestarsi della violenza che (come diceva il re di Ninive), ognuno si ritrova poi nelle proprie mani. Bruno di Roma Roma, 8/10/2005 www.ilcrocevia.it 9 I NIPOTINI DI GIOBBE (A(h) Satan!) Giobbe e le sue tremende disgrazie. Giobbe che prima si dispera ma poi deciso affronta un discorso aspro e a tratti polemico con Dio. (gli esperti dibattono molto di quale dio si tratti ma il problema principale è come la coscienza lo possa escludere dal dolore)). Giobbe che ascolta degli amici anziani la cui sapienza non riesce a scalfire il concreto e indigeribile argomento della sofferenza acuita a sua volta dalla miseria. Giobbe in balia delle sue disgrazie. Giobbe che si è incarnato milioni e milioni di volte lasciando quel medesimo problema sempre senza un convincente spiraglio di soluzione. Giobbe ... un fratello universale, alle prese con quel tipo infido (a-satan), sempre in agguato per propinare tormenti a chi si illude di aver trovato appoggi sicuri alla propria felicità. Nel racconto, alla saggezza di maniera degli anziani si sovrappone l'indignazione di una generazione giovane. Una manipolazione molto probabile del testo ci presenta Eliu, individuo pieno di eloquenza, con la voglia di scuotere la tradizione religiosa fossilizzata. Parla molto il giovane e anche bene ma non aggiunge elementi di rilievo allo spinoso discorso. Si parte da Dio e a lui si fa ritorno cercando di non risultare blasfemi al giudizio degli anziani: molti sono i modi di comunicazione per indurre l'uomo a non peccare così da non cadere poi nelle reti del male. Dio usa anche i sogni con immagini forti. Infatti :Tarla nel sogno, visione notturna, quando cade il sopore sugli uomini ... Li spaventa con brusche apparizioni, per distogliere l'uomo dal male e tenerlo lontano dall'orgoglio e preservare l'anima dalla fossa."(Giob. 33,14-18) Lo spirito giovane che possiede sempre qualche grammo di speranza in più, parte da questa constatazione per formulare una più suggestiva ipotesi(proposta?). Va bene l'angelo accusatore (Satana) ma sarebbe auspicabile scampare alla morte se Dio, nella sua benevolenza, affiancasse all'uomo(ogni tanto) un angelo protettore-difensore. Più e più volte con questo sistema si tornerebbe continuamente giovani e la morte conoscerebbe, almeno parzialmente, la sua sconfitta. (cfr. Giob. 33,2326) Ma il problema della sofferenza rischia palesemente di essere posticipato e rinnovato. Dopo aver formulato questa rosea proposta di mortalità differita anche il giovane critico ritorna nell'alveo delle ovvietà tradizionali. Chi è Giobbe per chiedere conto a Dio? (Giob. www.ilcrocevia.it 10 34,32 ssg.) Il tormentose che politici, filosofi,dottrine e chiese varie non hanno mai cessato di riproporre, per innumerevoli, sterminati nipotini sfortunati di Giobbe, ruota sempre mellifluo intorno all'argomento. Si cercano e propongono giustificazioni esteriori (Dio è il più chiamato in causa) ma si svicola facilmente dal pensiero che la causa è interiore all'uomo.Un gioco perverso di dominio e altruismo. Nell'infantile speranza di raggiungere sicurezza, si gioca dapprima sulla solidarietà e poi si passa ai vantaggi per operare la sopraffazione ma il male intanto ha esteso il suo potere anche su chi si crede al sicuro. E a questo punto entra in scena il dolore dell'innocente. Per i malcapitati nipotini di Giobbe, dietro l'angolo, è in agguato con ipocrita insistenza l'incubo del peccato. Con false smorfie di orrore, il ghignante "accusatore", coinvolge in modo perverso chi provoca il dolore e chi disgraziatamente lo subisce senza colpa. Dai tempi di Giobbe ad oggi non si è fatta molta strada. Strutture multiple geodivine contrappongono all'immensa bontà-perfezione di Dio la fragile e violenta volontà umana. Il guaio sta nel fatto che il confronto-scontro non riesce mai a dare risposte convincenti: anche con l'umanità redenta e salvata dall'intervento di Cristo. In questo caso l'anima è salva ma il corpo passa continuamente i suoi guai. Eppure Cristo per togliere fiato alla filosofia peccato-sofferenza, aveva risanato molti corpi, cercando di far capire che il male fisico non si doveva per forza confondere sempre con il peccato. Con nobili sentimenti l'apostolo` Paolo diceva di completare con le sofferenze personali (2Cor.,12,9-10) quelle patite da Cristo. Molto bello. Con un difetto evidente: dopo aver ribadito che tutti sono stati riscattati dalla morte (l. Cor. 15,26) e destinati a nuova vita, ( sorretti da una vana attesa della seconda imminente venuta di Gesù) il mondo ha continuato e continua a navigare sulla vecchia e sgangherata barca senza bussola(ftinziona solo quella spirituale). La teologia,infuocata da buone intenzioni e razionali argomentazioni, trascura tacitamente il corpo rimandando il suo problema ad una futura e postuma trasformazione. Qualche dubbio aleggia: che sia il corpo un difetto della creazione? Ma in principio, nel paradiso terrestre, l'uomo era felice e rispondeva alle intenzioni del Creatore. E allora perché Adamo è caduto come una pera troppo matura alla prima provocazione? Cristo, (l'Unigenito del Padre)non va mai dimenticato, si è inserito nella storia www.ilcrocevia.it 11 prendendo un corpo umano e del suo corpo ne ha fatto un secondo innovativo prototipo investito dalla grazia divina. La sagge7.7,q popolare a differenza delle elucubrazioni teologiche, anticipa e da immediatezza a tale aspetto. La grazia si inserisce in sentieri più umili e concreti: il suo compito consiste nell'abbattere e comunque rendere sopportabile il dolore. L'uomo non può affidarsi al superamento del dolore solo sperando di morire. Sorgono,nella tradizione plurisecolare della sofferenza purificatrice per colpe personali e globali, domande impellenti a cui dare risposte. Accogliere e sostenere la sofferenza come stimolo a fare del bene? Ma la sofferenza e il male non portano alla depressione e annientamento della mente e del corpo? E inoltre per Dio che valore ha: un corpo sottoposto a tortura? un corpo massacrato di botte? Un corpo divorato dal fuoco o soffocato dalle macerie? Un corpo infantile aggredito da una delle innumerevoli malattie in circolazione? Un corpo ... la fantasia umana non ha limiti per inventare, classificare mali e dolori.Tenendo per buona la grazia spirituale, resta aperto il problema della sofferenza fisica a cui le religioni non danno soluzioni accettabili a parte quella non esaustiva legata al peccato. La risposta più importante sta nella coscienza di ognuno (luogo in cui Dio,se accolto, può solo cooperare). Occorre innanzitutto frenare l'egoismo e stimolare la mente per combattere con efficacia ogni forma di sofferenza. Facile a dirsi e difficile da realizzare. Scantonare nei sentieri misteriosi di Dio significa eludere con finta eleganza il problema. Meno sprechi per ricerche distruttive, più energia per trovare un equilibrio che conceda una vita dignitosa al di là dei soliti marchingegni per oligarchie più o meno estese. La solidarietà non deve vivere solo peri momenti di emergenza ma per ogni passo della vita che appartiene a tutti (specie diverse comprese). La potenza di Dio non si discute (pare l'abbia usata con criterio a parte qualche eccesso di fiducia con l'uomo) ma nelle vicende umane occorre mantenersi fedeli al senso di giustizia che spesso, grida senza essere ascoltato. Cosi suggerisce Giobbe dopo aver percepito con un certo fastidio la voce dei saggi teologicamente e formalmente corretta: "Per la vita di Dio che mi ha privato del mio diritto, per l'Onnipotente che mi ha amareggiato l'animo, finché ci sarà in me un soffio di vita ... fino alla morte non rinunzierò alla mia integrità. Mi terrò saldo nella mia giustizia senza www.ilcrocevia.it 12 cedere... " (Giob. 27,2-5). La sua anima parla con Dio ma per se rivendica coerenza e responsabilità a cui non vuole ne può rinunciare. L'uomo e la sua storia. L'uomo e i suoi difetti. L'uomo e le sue innegabili capacità. ASatan è una perfida proiezione-intrusione che asseconda l'aspetto debole della vita ma è soltanto una parte che,volendo, si può contrastare con efficacia. L'obbiettivo per i sofferenti nipotini di Giobbe e raggiungere e mantenere la propria integrità. Emergeranno così abbondanti forze per togliere sempre più spazio alla sofferenza e al dolore senza scomodare le responsabilità di Dio. Bruno di Roma Roma, 16/12/2007 www.ilcrocevia.it 13 IPNOTICA SPIRALE (Verso quale direzione?) Che il IV vangelo sia opera dell'apostolo Giovanni o di qualche suo discepolo è questione dibattuta e aperta (così come la datazione- circa l'anno 100), ma molto più intrigante è l' analisi di alcune parti che compongono quello scritto sacro. In particolare un gruppo di capitoli (XIV-XVI) richiama altri scritti di matrice misterico-filosofico-religiosa comune alla vasta cultura tardo-ellenica. In questa poi si trovano influssi giudaici (esseni)e radici più antiche che affondano nella religione Non manca naturalmente nel vangelo giovanneo un intenso affiato mistico rivolto a chi si sente attratto dalla potenza del Logos che attinge la sua forza nell'intima natura del Padre. Cértamente per il IV vangelo si tratta di una visione mistica che rimarca una frattura evidente con le pazze incongruenze del mondo e con una profonda nostalgia per tutto ciò che esige il riscatto dalla corruzione. Ma di quale mistica si tratta? E in che dimensione?Le parole sono leggere e pesanti allo stesso tempo. Agganciano il pensiero e lo trascinano verso il punto focale del messaggio. La conoscenza è continuamente riportata nel cerchio della divinità la quale non disdegna anzi ama legarsi alle vicende umane.I1 divino dunque come cibo concreto o se si vuole come medicina, come sana relazione per guarire la normale schizofrenia umana incapace di salvare la propria creatività dal l'insopprimibile,ripetitivo istinto di distruzione_ Entrare nel divino e uscire dal limite. Doppio movimento di spirale. L'occhio regge? A differenza di quanto dirà in seguito Piotino, non si tratta di fuga (risalita)verso l'alto " da solo a solo" (fughè mònu tò mònon"- Plotino p. 1363), per perdersi nell'Unità incorruttibile, avendo scrollato ogni desiderio e rapporto con il molteplice sensibile e riposare appagato nel silenzio immobile di dio.La visione giovannea avvicina in modo spericolato l'incorruttibile con la fragilità e l'effimero e non nutre timori per i desideri umani. Dio fa sentire il suo legame con l'uomo. Tale visione si distingue pure dalla rivelazione contenuta nelle opere attribuite ad Ermete Trismegisto. "Concepire dio è difficile, descriverlo è impossibile..., ed è difficile www.ilcrocevia.it 14 entrare in compagnia con l'eterno." (p. 889) Allora si chiede: da quale matrice è nato l'Essere umano, da quale seme? La matrice è colui che "è sapienza intelligente nel silenzio." (p.3 79) E proprio in virtù dì questo che dopo la separazione delle creature androgine in due generi(Dio è maschile e femminile e sussiste come vita e luce), il vero obiettivo non si può ignorare: "Colui che ha l'intelletto riconosca di essere immortale e sappia che la causa della morte è la passione d'amore." (pp.83 - 84) Dunque il legame con dio esiste ma occorre prendere coscienza che tale legame sarà immortale solo riconoscendo e privilegiando quanto il Logos del dio creatore ha infuso nelle creature."Sappi che quanto in te vede e ode è il Logos del Signore, e che il Nous è Dio Padre: essi non sono separati l'uno dall'altro; la vita infatti, è l'unione di questi due." (p.79- Ermete Trism. In "Pimandro") Nella visione giovannea il discorso, pur con qualche tratto ermetico si sviluppa nell'intimità delle relazioni rivelando che il disegno di Dio Padre é quello di prolungare e inserire nel rapporto con il Logos e lo Spirito Consolatore anche l'uomo. E' innegabile che il Logos giovanneo sia dotato di una forza particolare che attira e coinvolge in una fusione singolare l'umanità, la storia e Colui che determina il tempo della storia stessa. Nelle parole mistiche del vangelo convivono cenni enigmatici, a volte ironici, promesse che scardinano gli istinti umani, miracoli di convivenza con il sublime; il tutto regolare come lo sciacquio delle interminabili onde del mare che vanno a sciogliersi sulla spiaggia. Una prima lettura crea uno stato di allerta. Dove portano quelle parole? Sono nel tempo o fuori del tempo? Si è costretti a rileggere lentamente e con meraviglia si scopre che il collegamento con la divinità rende pleonastico il concetto di tempo. Il discorso è diretto,attuale,metaforico, metafisico e reale. Si è presi da un momentaneo stordimento ma poi senza faticasi segue la traccia indicata dalle frasi. L'ipnosi delle parole apre lentamente la porta della coscienza e, vincendo la paura della vertigine, si affrontano altezza e abisso, due dimensioni in apparenza diverse, che si fondono. "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me..."Gli disse Filippo: Signore, mostraci il Padre e ci basta." Gli rispose Gesù:"Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto Filippo?" (XIV,6-8) Vedere una persona che ne rivela concretamente un'altra non è cosa per menti semplici. Così Gesù ricorre al linguaggio per immagini: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo,... ogni tralcio www.ilcrocevia.it 15 che porta frutto lo pota perché porti più frutto. ...Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto. _Come il Padre ha amato me così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. .. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena."(XV,1,8,11) Un discorso intimista? Pare di no, infatti già a premessa del comandamento dell'amore ci sono stati rimandi concreti: "Chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne `farà di più grandi. ...Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò."(XIV,12-13) E siccome sa di doverli lasciare soli aggiunge: "Io pregherò il Padre che vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità." (XIV, 16) E per scacciare dubbi o paure residue Gesù mette in chiaro quale sia il rapporto che intercorre tra lui e i discepoli e ribadisce: "Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel nome mio ve lo conceda. Questo vi comando amatevi gli uni gli altri." (XV, 16-17) I1 frutto che viene da Dio non è mai effimero. Il desiderio umano di stringere rapporti di fiducia e familiarità con Dio trova appagamento nelle avvolgenti parole di questi testi. L'uomo può vivere con Dio nel tempo e fuori del tempo riottenendo la dimensione dell'immortalità-Prezioso regalo. Come #c9ogliere questo dono? Stando semplicemente attenti alle indicazioni di Gesù, clbàiQòsi della sua sapienza divina fatta carne e della sua luminosa presenza. "Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà luce della vita." (Gv. 8,12) E ancora: " Io sono il pane della vita. ... Chi mangia la mia carnee beve il mio sangue ha la vita eterna, ... dimora in me e io in lui; ...chi mangia di me vivrà per me. ...Questo è il pane disceso dal cielo, ... chi mangia questo pane vivrà in eterno." (Gv. 6,48, e 55-58) Gli stessi discepoli ascoltando simili discorsi restano disorientati e Gesù di rimando: "Questo vi scandalizza? ... E' lo Spirito che da la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita." (Gv.6,6-62) Chiaro dunque il riferimento al tipo di nutrimento.Ma se i discepoli dubitano altre persone, scribi e farisei gente di ottima levatura, non riescono a trattenere il livore di fronte a simili affermazioni. Cercano in tutti i modi di attaccare Gesù facendolo passare per blasfemo e indemoniato. "Abbiamo ragione di dire che sei un Samaritano e hai un demonio. Rispose Gesù:"Io non ho un demonio. _In verità vi dico se uno osserva la mia parola www.ilcrocevia.it 16 non vedrà mai la morte." Gli risposero i giudei:"Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo 'e morto come anche i profeti; ... chi pretendi di essere?" Rispose Gesù: "... Chi mi glorifica è il Padre mio del quale voi dite 'è nostro Dio', e non lo conoscete... Abramo vostro padre esultò nella speranza di vedere il mio giorno: lo vide e se ne rallegrò." Gli dissero allora: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo? Rispose Gesù: " In verità vi dico, prima che Abramo fosse, io sono." Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio." (Gv. 8,48-59) Dialogo spigoloso tra due scuole di pensiero. Aperta provocazione contro la tradizione da difendere, con novità spiazzanti che ribaltano tutte le certezze depositate negli scrigni sacri della casta erede dei precetti divini. Una storia senza fine che non ha mai trovato pause e che anche oggi non accenna a diminuire. In fondo i Farisei, come i dotti teotecnici che si sono succeduti nei secoli con numerosi innesti malati, a volte letali, sulla Vite curata dal Padre, garantivano la Legge disprezzando il popolo sempliciotto. La linfa vitale viene interrotta dalla griglia fitta della precettistica. Niente di più innaturale e antidivino, almeno stando alle indicazioni di questo vangelo. Contro Gesù e il popolo credulone che gli da retta dicono i Farisei:" Questa gente che non conosce la legge è maledetta."(Gv. 7,49) Le molte leggi favoriscono errori e sensi di colpa. Gesù guarisce un cieco dalla nascita e i Farisei se la prendono con il miracolato che reputa il suo guaritore come venuto da Dio. Certo non può essere un demonio. Rabbiosa la reazione:"Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi? E lo cacciarono fuori." (Gv.9,32-34) Amore reciproco e gioia piena? Mah! Resta ancora dannatamente difficile imparare ad amare. Bisognerà affidarsi anche alla pazienza di Dio perché riapra i canali della linfa-parola di vita, facendo aleggiare lo Spirito Consolatore sugli umili. Bruno di Roma Roma/9/2007 www.ilcrocevia.it 17 L'ANTAGONISTA (L'infanzia di Satana) Intorno all'uomo, nel suo complesso rapporto con la divinità, si aggira costantemente la presenza di spiriti creati da Dio e a lui subordinati. Dovrebbero essere ( lo sono per fede) puri spiriti ma non di rado prendono sembianze umane per eseguire visibilmente alcuni compiti loro affidati da Dio stesso. Dice a proposito l'apostolo Paolo: "Egli fa gli angeli pari ai venti, e i suoi ministri come una fiamma di fuoco." (Ebrei 1,7) O come canta il salmista: "... fai dei venti i tuoi messaggeri, delle fiamme guizzanti i tuoi ministri. "(Salmo 103,4) A guardia del Paradiso terrestre Dio pone i cherubini e "la fiamma di una spada folgorante"(Genesi 3,24).Con verosimiglianza, sempre m un passo del Genesi si parla dei Figli di Dio che guardando dal cielo le figlie degli uomini, si invaghiscono di loro, scendono sulla terra e si uniscono carnalmente ad esse dando origine ad una stirpe particolare: "sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi." (Genesi 6,4) Che tali figli di Dio siano stati uomini e non angeli,dato il sibillino contenuto di quei versetti, resta una questione senza plausibile risposta. Solo in alcuni testi Apocrifi vetero testamentari si parla esplicitamente di angeli. Il passo citato mette però in evidenza che in seguito a questi contatti tra esseri celesti e donne terrene il peccato dilaga sulla terra. Troppo abituati considerare il male un prodotto degli spiriti maligni a cui in modo scriteriato si assoggetta la volontà umana, si salta un passaggio fondamentale per capire bene la crescita e la trasformazione di quegli spiriti nella storia biblica. Premesso che il male l'uomo lo conosce già dalla sua prima esperienza nel giardino di Dio, è interessante seguire le orme della personificazione: dallo spirito al servizio di Dio, a quello cattivo, e poi fino al nome di Satana. Infatti dai passi biblici della primitiva storia dei patriarchi e del nascente regno di Israele, la funzione dello spirito pensato o descritto nelle sembianze di persona umana, non è necessariamente cattiva. Lo spirito è comunque sempre sottomesso alla volontà di Dio e alle sue indicazioni. Assume il compito di messaggero, di contrasto alle azioni non approvate da Dio, e a volte anche quello di distruttore. Quando Giacobbe benedice i figli di Giuseppe cita l'angelo che nella vita lo ha www.ilcrocevia.it 18 "liberato da ogni male" (Gen. 48,16) O quando lo stesso Giacobbe sta per ricongiungersi con Esaù, gli angeli gli si fanno incontro per indicargli il luogo dove sostare e lui riconosce: "questo è l'accampamento di Dio." (Gen. 32.2) Nella lotta per la conquista della terra promessa, ci si imbatte in una curiosa storia dove il re di Moab cerca l'aiuto dell'indovino Balaam perché con i suoi scongiuri maledica gli Israeliti e li possa sconfiggere. Dio interviene direttamente per dissuadere l'indovino da un simile progetto invitandolo a seguire le sue direttiva. Forse per soldi, forse per paura, Balaam sella la sua asina per raggiungere il re di Moab, ma "... l'angelo (maleak) del Signore si pose sulla strada per ostacolarlo (le¬satan-lo)." (Num. 22,22 e 32.) Nel racconto l'asina vede e riconosce l'angelo di Dio e si ferma più volte impaurita di fronte all'insistente e deciso oppositore celeste prendendosi sempre una dose di bastonate e maltrattamenti dal padrone. L'angelo non rende un buon servizio all'asina però la narrazione é pervasa da una certa comicità per cui alla fine la figura dell'asino sciocco e umiliato tocca all' indovino. Nel primo libro delle Cronache viene citato "Satan" che insorge contro Israele: "Egli spinse Davide a censire gli israeliti," ( 1 Cron.21,1) Alla base di questa idea c'è la segreta volontà di contare le forze umane e militari disponibili saltando magari qualche comando divino. Dio non la prende bene e manda l'angelo sterminatore. Poi ci ripensa e Davide per riconoscenza gli erige un altare propiziatorio ed espiatorio. Non così avviene nella famosa notte prima che gli israeliti lascino l'Egitto: lo sterminatore (a-mmascekit) non viene fermato da Dio e fa morirei figli primogeniti delle famiglie egiziane.(Vsodo 12,23) Nel I Libro dei Re il profeta Michea rivela al re Acab perché i profeti di corte lo abbiano male informato sulla guerra da intraprendere contro Ramat di Galaad. Non bisogna affidarsi alle convenienze politiche semplicemente o alle menzogne ed avere profeti condiscendenti. Bisogna ascoltare il profeta di Dio; Michea ha "visto il Signore seduto sul trono; tutto l'esercito del cielo gli stava intorno... Il Signore ha domandato: 'Chi ingannerà Acab perché muova contro Ramat di Galaad e vi periscaT ... Si è fatto avanti uno spirito che- postosi davanti al Signore- ha detto: ' ... Andrò e diventerò spirito di menzogna sulla bocca di tutti i suoi profeti.' Quegli ha detto:'Lo ingannerai senz'altro; ci riuscirai; va' e fa così.' " (1 Re 22,21 ss.) A proposito dell'esercito che attornia in cielo la maestà di Dio e all'occorrenza fa da www.ilcrocevia.it 19 tramite con gli uomini è interessante la descrizione che il profeta Ezechiele da nelle sue misteriose e fantasmagoriche visioni. Si tratta dei cherubini che si muovono fra bagliori di fuoco (purificatore) sopra il tempio: "La gloria del Dio di Israele, dal cherubino sul quale si posava,si alzò verso la soglia del tempio chiamò l'uomo vestito di lino che aveva al fianco la borsa da scriba... (Ez.9,3) Disse all'uomo vestito di lino: 'Va fra le ruote che sono sotto il cherubino e riempi il cavo delle mani dei carboni accesi che sono fra i cherubini e spargili sulla città." (Ez. 10,2) L'esempio più classico dello spirito cattivo (ra'ha) si incontra nelle vicende del Re Saul. "Lo spirito del Signore si era ritirato da Saul ed egli veniva atterrito da uno spirito cattivo (rukah ra'ha) da parte del Signore. Allora i servi di Saul gli dissero: `Vedil un cattivo spirito sovrumano ti turba. Comandi il signore nostro... e noi cercheremo un uomo abile a suonare la cetra. Quando il sovrumano spirito cattivo ti investirà, quegli metterà mano alla cetra e ti sentirai meglio.' Rispose uno dei giovani: 'Ecco, ho visto il figlio di lesse il Betlemmita: egli sa suonare ed è forte e coraggioso, abile nelle armi, saggio di parole, di bell'aspetto e il Signore è con lui.' Saul mandò messaggeri a lesse... Davide giunse da Saul e cominciò a stare alla sua presenza. Saul gli si affezionò molto... Quando dunque lo spirito sovrumano investiva Saul. Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui."(I Sam. 16,14-23) Questa è la parte bella del racconto (musicoterapia) ma bisognerà poi aggiungere altre considerazioni. Da questi esempi risulta ancora lontana l'accezione di esseri spirituali portatori e istigatori del male. Nel racconto molto noto di Giobbe, Satan, spirito piuttosto vagabondo,ha dimestichezza con Dio, gli parla e assume il ruolo di accusatore (anche di cinico detrattore) contro l'irreprensibile condotta di quell'uomo stimato sia in cielo che in terra. In gioco, nella vicenda di sapore sapienziale, c'è il prototipo di una situazione che si ripete senza interruzione, e forse oggi ancora più drammaticamente, tra il giusto che soffre e il malvagio a cui va tutto bene. Il dialogo tra le due potenze oggi scatenerebbe polemiche e reazioni innominabili. E pur vero che il discorso affonda le radici in un passato lontano ma la sostanza è sempre sgradevolmente attuale. Sulla pelle di Giobbe si organizza u na sfida con prove pesantissime, quasi da suicidio e Satan, Dio consenziente, si sbizzarrisce www.ilcrocevia.it 20 poi in tormenti vari. L'incontro: 'Un giorno i figli di Dio(bene' a-elohim) andarono a presentarsi davanti al Signore e anche Satana (a-Satan: Faccusatore),aridò in mezzo a loro. Il Signore chiese a Satana: `Da dove vieni?' Satana rispose al Signore: 'Da un giro che ho percorso sulla terra.' Il Signore disse a Satana: 'Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male.' Satana rispose al Signore e disse: 'Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non hai messo forse una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto é suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda sulla terra- Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!' Il Signore disse a Satana: Ecco quanto possiede è in tuo potere, ma non stendere la mano su di lui.' Satana si allontanò dal Signore."(Giob.1,6 -12) E naturalmente mise in atto le più esecrabili angherie contro Giobbe. In questo dialogo tra spiriti, quello inferiore mostra una impudenza e un'ironia quasi di scherno verso quello superiore. E viene da pensare a un Satana simile a certi uomini e fuori da ogni regola morale. Forse è il caso di dire che con questo brano biblico lo spirito sottomesso a Dio esce dal limbo adolescenziale e afferma una propria autonoma identità assumendo su due fronti il ruolo di vero e ostile Antagonista. Satana suona bene e molti sono in grado di riconoscerlo e prenderlo come modello anche senza vederlo. La sua essenza di spirito capace di nuocere viene continuamente rafforzata e rigenerata proprio dagli atti e dalla mente dei suoi estimatore. Tornando alla vicenda di Saul c'è da aggiungere che dopo la musica liberatoria lo spirito cattivo se ne va ma ne emerge un altro ben peggiore. Un'invidia colma di rancore agita la mente del re fino a spingerlo ad uccidere (senza riuscirvi) Davide. (I Sani. 18,10 e 19,9) Il bene degli altri è sempre difficile da accettare; la riconoscenza può deturpare la propria immagine e va respinta. Ecco dunque l'invidia dell'uomo che, moltiplicata milioni e milioni di volte, come una madre, crea e fa vivere quel mostro spirituale a cui trai tanti appellativi si da anche il nome di Satana. Così riassume il libro della Sapienza: "Per l'invidia di Satana la morte venne nel mondo; quelli che appartengono a lui la subiscono." (Sap.2,24) www.ilcrocevia.it 21 Bruno di Roma Roma, 26/11/2005 www.ilcrocevia.it 22 L'INGANNO DELLASOLITUDINE (Mistici: tra fede, delusioni e speranze) Diceva Meister Eckhart nei suoi sermoni "la conoscenza e l'intelletto uniscono l'anima a Dio," e ancora,"se cerchi in qualche modo il tuo utile non troverai mai Dio,perché non cerchi soltanto lui. Tu cerchi qualcosa insieme a Dio, proprio come se facessi di Dio una candela con cui cercare qualcosa ..." ("Meister Eckhart- La Via del Distacco" a cura di M. Vannini, ed. Mondadori 1999, pp. 43-44) La storia umana, in particolare quella religiosa, è ricca di ambiguità nel suo confrontarsi con Dio. Soprattutto quando i fattori negativi si accumulano e pesano enormemente nelle coscienze, il ricorso a un Essere superiore, chiamato comunemente Dio, diventa pressante e ossessivo. Infatti, nel tentativo di uscire dal male costante ed endemico che tormenta in particolare gli esseri pensanti, si cerca una scappatoia chiamando in causa appunto la divinità affinché attenui in qualche modo la contraddittoria e lacerante convivenza umana. Ma Dio, in pratica, a parte alcuni momenti in cui comunica attraverso i profeti, non interviene direttamente nelle vicende umane, così che questa non partecipazione viene spesso scambiata come assenza, come abbandono. La Provvidenza il più delle volte assume la funzione di placebo. E l'uomo? Dal canto suo manifesta invece una profonda assenza di responsabilità. Dimenticando più o meno consapevolmente la propria natura animale carica di istintualità, come un novello Giobbe, cerca il dialogo con Dio, ma solo per mascherare la sua pigrizia nel non usare al meglio la propria intelligenza. Troppo spesso la capacità speculativa non porta alla sapienza di biblica memoria ma alla rivendicazione di diritti, di derivazione divina, per esercitare il potere a scapito di altri. (E' un difetto che aleggia anche negli apparati religiosi). Alla base di tale constatazione giace un sottile gioco di ipocrisia. Prendendo le mosse dall'attività introspettiva che lancia qualche spiraglio di presenza divina, si procede poi all'elaborazione di un dio macchiato di evidenti pecche umane. In tale contesto la presenza dell'Essere deve cedere spazio al demone dell'avidità e ad una sfilza interminabile di desideri, richieste e concessione di privilegi. L'immagine di Dio quindi, si confonde anche www.ilcrocevia.it 23 con le più banali debolezze umane. Qui sta dunque, in assenza di risposta, la radice di una ingannevole solitudine. Nessuna meraviglia allora se molti alimentano un falso contatto con Dio. In questo caso il silenzio dall'alto è più che giustificato. Ma allora chi crede e della fede ne fa una ragione di vita? Va ribadito che esistono in sintesi due tipologie di credenti. Sono molti quelli che si affidano ai custodi delle sacre verità,o perché presi da molti impegni di varia natura o perché mancano di strumenti e cultura per considerare a fondo il problema. Per comodità , per necessità o per debolez7A, accettano una fede blindata, contornata da molti precetti. Tutto guanto succede, fa parte del mistero di Dio,della sua imperscrutabile Provvidenza. I conti si tireranno alla fine ma intanto possono contare su importanti garanzie. La mistica costituisce un problema marginale. Esiste poi una fede più impegnativa: il messaggio rivelato viene accolto non come un blocco di granito indistruttibile ma come parola profetica che va costantemente resa attuale e vitale con la ricerca, il dubbio e l'impegno, secondo l'evoluzione della propria coscienza e di quella collettiva. Con questa prospettiva la rivelazione rispetta il cammino (purtroppo lento!) dei popoli, e impegna l'intelligenza umana, questa scintilla che configura una porzione di somiglianza con Dio, come descritta nel racconto della Genesi. In tale contesto l'esperienza mistica non è per tutti,ma il desiderio di poter contattare direttamente l'intelligenza Superiore è forte. Ma, per dirla con le riflessioni di un altro teologo, la parola non può subire imposizioni, "è già detta e ancora da dire; è dentro un gruppo umano, ma non può essere catturata da un sistema e obbligata a una verità. E' consegnata prima di tutto all'avventura e al dramma di vivere. La 'parola' non è confine o difesa, ma stimolo alla decisione e all'inventiva ( ... ) Tutto ciò significa che bisogna amare più l'uomo che la parola." Anche la fede,di conseguenza, se non si identifica in una serie di canoni da credere,entra in questa prospettiva. E quindi fede non è sicurezza, "né rispetto al destino personale,né contro le paure fondamentali dell'uomo. Subisce la fragilità e il bisogno di indovinare della vita; ricerca e costruisce un futuro sulle leggi della fiducia, come avviene per l'amore." (M. ALDROVANDI, "Passione e disincanto", ed. CENSIS, Milano 1993, p.258) Seguendo www.ilcrocevia.it 24 queste indicazioni la rivelazione diverrà completa solo nel passaggio finale dal sensibile alla misteriosa dimensione dell'Infinito. Il desiderio mistico sarà moltitudine appagata, fuori da ogni notte. E comunque, come già accennato, il desiderio più grande di alcune persone di fede, nonostante il peso ingombrante della corporeità, è di trovare la via ascetica che conduca a un rapporto non effimero, anzi esclusivo, con Dio. Cosi,mentre l'intelligenza ontologica va alla ricerca di non facili o incerti argomenti sull'essenza di Dio, sulla natura immortale dell'anima, sulla valenza del creato, altro è l'orientamento del mistico. "Si tratta di un doppio atteggiamento esperienziale: fare ontologia per "toccare con mano" l'inintelligibilità dell'origine e fare ascesi per "toccare con mano" la terra promessa non all'intelligenza ontologica, ma alla psicospiritualità sapienziale umana." (L.Lombardi Vallauri, "NERA LUCE-saggio su cattolicesimo e apofatisMo% ed. Le Lettere, Firenze 2001, p.286). Personalmente credo che il desiderio del mistico, lodevole in sé e rispondente a un suo bisogno interiore, contenga anche un atteggiamento non maturo. In cambio di alcune rinunce si tenta l'avventura di un rapporto esclusivo (narcisista?), dando per scontato che, acquisiti determinati meriti, la risposta sia consequenziale. Quando l'attesa risposta tarda o non arriva, nasce la sofferenza interiore che contagia anche il corpo. Così si parla di buio, di assenza, di abbandono. Fortunatamente per molti mistici, la constatnzione delle proprie fragilità,e soprattutto la capacità di dare forza alla parola con autentici atti d'amore e di concreta solidarietà, diventano una risposta diretta a Dio, il quale da loro si aspetta precisamente questo. Si tratta perciò di una risposta già implicita nella domanda. Non c'è buio o abbandono ma finalità chiare. Nel rapporto tra natura e uomo e tra uomini e propri simili entra in atto la crudeltà che distrugge, in cinico spregio di ogni bene, cose e persone. Un certo concetto di Provvidenza, che ha fatto dell'uomo un eterno questuante, si ritrova puntualmente fuori sede nei momenti di più acuta e disperata sofferenza. Non si può usare Dio come domestico. Di fronte a ripetute distruzioni e violenze, Dio dovrebbe attivarsi e rimettere ordine, sedare gli istinti, pacificare gli animi. Più che assenza di Dio si deve rimarcare l'ossessiva e distruttiva presenza dell'uomo. Anche la natura, che hai suoi ritmi ed è in continua trasformazione, www.ilcrocevia.it 25 non è tenuta in grande considerazione nello sconsiderato uso dell'intelligenza umana. Infatti, oltre i problemi che la natura contiene in sé, l'uomo abusa e letteralmente distrugge l'ambiente con interventi avventatati e pericolosi. Lo tsunami di recente memoria è un esempio di pessima combinazione uomo-natura. Esempi a noi più vicini quasi ogni giorno confermano che determinati disastri nascono da uno scriteriato abuso del territorio. La Rivelazione, più volte apparsa sulla terra, non rappresenta un deposito bancario da cui si preleva, ma un messaggio opportuno per migliorare e presentarsi al paventato `redde rationem', con un bagaglio di saggezza e solidarietà che ancora stenta a decollare Bisogna dunque ripartire da un sano e meno velleitario rispetto di Dio. Più responsabilità personali, meno formule e più fatti. E meno abusi sull'impiego delle garanzie divine per giustificare le mancanze terrene. Più coraggio di vivere senza debordare con la violenza. Per noi che crediamo, nonostante lunghi momenti di dubbio e di buio, nonostante le strutture che camminano per strade poco divine, la Parola rivelatrice va intesa proprio come liberazione progressiva da tutte le peggiori incrostazioni storico- religiose che interferiscono nel rapporto con Dio. Ogni uomo deve sentire l'inganno e l'abbandono solo quando perde il contatto costruttivo con i suoi simili. Dopo aver rimediato a questa mancanza, ognuno può allora dedicare una parte della sua esperienza al passaggio personale dalla molteplicità all'Unità, così come suggeriva il filosofo Piotino per l'inizio della fuga "da solo a Solo". (Plotino, "Enneadi",VI, 9-11). Questo diverrà il momento mistico esclusivo, in cui l'anima intuisce che la luce è prossima e non ci saranno più notti. E proprio Dio è in attesa che la felicità e la giustizia di cui è depositario, a Lui vengano riportate in dono anche dagli uomini. Con tale gesto le creature si potranno riconoscere nella somiglianza divina. Rimanere nell' ombra di Dio, rincorrendo i precetti,carpendo privilegi e in balia degli istinti, costituisce un'ipocrita, pia empietà. In questa ombra, è certo, si annida la vera solitudine, una prigione iniqua per l'anima e per la mente. Bruno di Roma Roma, 7/5/2011 www.ilcrocevia.it 26 MONOLOGO SUI LIMITI DI FELICITA' IL RASSEGNATO PESSIMISMO DI QOÈLET Alla domanda importante su quale sia la vera felicità dell'uomo, il sapiente Qoélet inizia un disincantato monologo affermando "Vanità delle vanità, tutto è vanità. "(Qoel. o Ecciesiaste, 1,1) Questo il primo grande limite e la disillusione sulla felicità umana. A sorreggere questa riflessione c'è anche il contesto e la cultura in cui è immerso il genere umano. "Io, Qoélet... ho visto tutte le cose che si fanno sotto il sole ed ecco tutto è vanità e un inseguire il vento. Ciò che è storto non si può raddrizzare/ e quel che manca non si può contare." (1,12-15) Nel mosaico che si presenta a Qoélet ci sono tratti deformati e tasselli mancanti che neanche la sapienza è in grado di colmare o rettificare. "Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento, perché: "molta sapienza,/ molto affanno,/ chi accresce il sapere aumenta il dolore. "((1,17-18) Una cruda constatazione che conclude l'introduzione di Qoélet il quale, con una certa faccia tosta, presenta la sua riflessione come testamento del saggio biblico per eccellenza, cioè Salomone. Per dare più importanza su quanto si accinge ad esporre vanta poi un'ascendenza reale qualificandosi come "figlio di Davide, re di Gerusalemme." (1, 1) La critica testuale lo colloca invece verso la metà del Y sec. A. C.; uomo di cultura e perlomeno benestante ma non certo di ceto nobile. Ma questi sono dettagli che non intaccano la poesia di cui è impregnata la sua valutazione a volte tenera e altre volte disincantata dell'esistenza. Il sottile filo della vanità che spezza ogni emergente illusione lo costringe a volare basso per entrare nel cuore dei problemi con semplicità ed efficacia. Poesia che tiene d'occhio tradizione e aspettative. Ispirazione poetica che considera ogni avvenimento e ogni singolo individuo come un attimo fuggente che si concatena a quanto o à chi viene dopo, costituendo una sorta di circolarità in cui la novità è solo apparente; questo perché la memoria non è in grado di tenere il passo del precario e rapido movimento di cose e persone. Illusione e dubbio sorreggono la vanità dell'esperienza. L'intuizione di Qoélet sta nel fatto che tutto si ripete e continuerà a ripetersi secondo www.ilcrocevia.it 27 un disegno prestabilito. Dunque, ogni individuo procede lasciando le proprie orme sulla polvere fatta turbinare dal vento su un cammino già programmato. Polvere di chi è venuto prima e non è più, polvere di cose già accadute che si stanno per ripetere. "Ciò che è stato sarà,/ e ciò che si è fatto si rifarà;/ non c'è niente di nuovo sotto il sole. " (1,9) L'uomo perciò di fronte alle più varie situazioni è indotto a dare risposte scontate senza presumere di stravolgerne l'andamento. Esistono comunque momenti della vita, tra gioia e tristezza, in cui si vorrebbe dare un senso meno meccanico delle cose che accadono. E allora? "Non c'è di meglio per l'uomo che mangiare e bere, e godersela nelle sue fatiche; ma mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio. " (2,24) E a riprova aggiunge :"Riconosco che qualunque cosa Dio fa è immutabile. Non c'è nulla da aggiungere, nulla da togliere. " (3,14) Ma come un pesce che boccheggia fuori dall'acqua Qoélet continua ad indagare su quanto si annida nel cuore dell'uomo e su quanto potrebbe dare sapore e gioia ad ogni essere che ha ricevuto il soffio vitale di Dio. La sapienza costringe l'uomo a farsi troppe domande a cui non sempre sa dare risposte e quindi va trattata con una dose di prudenza per evitare inutili sofferenze, soprattutto in vista del traguardo finale: "Il saggio ha gli occhi in fronte/ e lo stolto cammina al buio./ Ma so anche che un'unica sorte è riservata ad entrambi. "(2,14) I beni materiali? Il saggio ha provato ad accumulare denaro,oggetti preziosi,servi e musicisti,donne e divertimenti. La tristezza di fondo non è sparita. E a proposito della fatica profusa in tale accaparramento aggiunge: "Ho preso in odio ogni lavoro da me fatto sotto il sole perché dovrò lasciarlo al mio successore... a un altro che non ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e grande sventura." (2,17 e 21) E inoltre: "Con il crescere dei beni i parassiti aumentano. "(5,10) Uno sguardo al contesto sociale spinge Qoélet ad altre amare riflessioni:"Ma ho anche notato che sotto il sole al posto del diritto c'è l'iniquità, al posto della giustizia c'è l'empietà. Ho pensato: Dio giudicherà il giusto e l'empio perché c'é un tempo per ogni cosa e ogni azione. "(3,19) Naturalmente tutto è legato alla breve vita di ciascuno e alla benevolenza di Dio. Angustiarsi troppo delle ingiustizie non aiuta molto: "Sulla terra si ha questa delusione: vi sono giusti ai quali tocca la sorte meritata dagli empi con le loro opere, www.ilcrocevia.it 28 e vi sono empi ai quali tocca la sorte meritata dai giusti con le loro opere. Io dico che anche questo è vanità. " Il rimedio non è eccezionale ma va preso e goduto per quello che vale: "Perciò approvo l'allegria, perché l'uomo non ha altra felicità sotto il sole che mangiare e bere e stare allegro. "(8,14-15) E sempre su questo tasto: " Vi è una sorte unica per tutti... Godi la vita con la sposa che ami per tutti i giorni della tua vita fugace. "(9,2 , 9) Nella evidente difficoltà di liberarsi da questa ragnatela avvolgente Qoélet prova a mettersi nei panni di Dio, nel suo pensiero: "Poi riguardo ai figli dell'uomo mi sono detto. Dio vuole provarli e mostrare che essi di per sé sono come bestie. Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa... c'è un soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell'uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la stessa dimora, tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere. Chi sa se il soffio vitale dell'uomo salga in alto e se quello della bestia scenda in basso nella terra? Mi sono accorto che nulla c'è di meglio per l'uomo che godere delle sue opere perché questa è la sua sorte. Chi potrà infatti condurlo a vedere ciò che avverrà dopo di lui? " (3,19,22) Alla base di queste riflessioni si può scorgere un rimprovero neppure troppo velato a Dio: come si può sopportare di avere la sapienza e poi essere equiparati alla sorte delle bestie? Come si fa a elevare il pensiero a Dio se poi si finisce letteralmente nella polvere? Il richiamo alla sorte in comune con le bestie, a ben vedere, lascia intuire una sofferenza interiore, una voglia di ribellione, imbrigliata dal timore che incute la potenza di Dio. E infatti a Dio, o meglio alla sua casa ci si deve avvicinare con le idee chiare, con pensiero attento e lingua a posto: "Bada ai tuoi passi. Avvicinarsi per ascoltare vale più del sacrificio offerto dagli stolti che non comprendono neppure di far male... "(4,17) Evitare promesse inutili: "Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferire parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei in terra; perciò le tue parole siano parche... "(5,1-2) Qoélet indica a sé stesso e a chi lo ascolta le linee più elementari e sicure per non turbare in qualche modo le possibili occasioni di felicità ma allo stesso tempo, mettendo in guardia da tutto ciò che potrebbe essere di intralcio, insinua fra le parole il dispiacere di non avere argomenti altrettanto certi per smentire il suo pessimismo e le sue paure. L'ombra della morte e il giudizio di Dio che incrinano ogni entusiasmo gli permettono comunque un www.ilcrocevia.it 29 canto finale di elegiaca poesia, ricco di rimandi allegorici. Considerando la giovinezza come, il periodo più adatto alla felicità ( tutti i sensi sono desti e accendono le emozioni), Qoélet invita a non sprecare neppure un attimo del tempo che verrà dopo: "Dolce e la luce/ e agli occhi piace vedere il sole./ Anche se l'uomo vive per molti anni se li goda tutti,/ e pensi ai giorni tenebrosi che saranno molti. "(11,7-8) Il giovane deve godere ma anche essere consapevole: "Sta' lieto o giovane... e si rallegri il tuo cuore in quei giorni della giovinezza... sappi però che su tutto questo Dio ti convocherà a giudizio. "(11,9) E più avanti negli anni: "Ricordati del tuo creatore... prima che vengano i giorni tristi,quando fiorirà il mandorlo (capelli bianchi),e la locusta (i piedi) si trascinerà a stento, e il cappero (vigore sessuale) non avrà più effetto... prima che si rompa il cordone d'argento (il legame con la vita),poiché l'uomo se ne va nella dimora eterna... e ritorni alla polvere come era prima, e lo spirito torni a Dio che lo ha dato. " (12,1,5,7) La saggezza non corruttibile appartiene solo a Dio. All'uomo viene concessa un po' di felicità compatibile con la precarietà della vita. Inutile cercare di andare oltre poiché godere con fatica equivale a soffrire. Mangiare, bere, amare: ribadendo queste cose stabilite da Dio Qoélet traccia il confine dell'esperienza umana e anche della saggezza. Dalla modesta ciotola in cui ha versato tale saggezza ne trae qualche sorso amarognolo di soddisfazione. Avendo però parlato troppo a ruota libera o perlomeno in modo originale, rimarcando con insistenza una certa avarizia divina nei confronti dell'uomo, Qoélet conclude le sue riflessioni riportando il discorso nel solco più tradizionale. "Temi Dio e osservai suoi comandamenti, perché questo per l'uomo è tutto. Infatti Dio citerà in giudizio ogni azione, tutto ciò che è occulto, bene o male. " (12.13) Questo confronto è l'unico spiraglio che Qoélet intravede nel futuro dell'uomo. Il soffio vitale con la morte torna a Dio ma e pur sempre quel soffio che ad ogni generazione, si ripresenta con caratteristiche predefinite e alimenta la vita di nuovi (clonati?) individui. In questo si intravede una certa eternità, fatta di polvere, di vanità, nell'illusione che tutto sia diverso mentre la vita si ripete sempre uguale. Nascere, vivere, morire, si percepisce un sottofondo di noia cosmica che non appaga neppure il saggio Qoélet. Non lo dice ma l'uomo secondo lui dovrebbe avere obiettivi e finalità migliori. Purtroppo sotto il sole soffia implacabile il vento della vanità. www.ilcrocevia.it 30 Runo di Roma Roma, 10/12/2005 BARRIERE Quando una chiesa cresce elimina gradualmente il suo Dio. Più una religione è forte più il Dio che predica è debole. Ogni religione che proclama verità assolute deve usare poi la forza per mantenerle. Nell'angoscia l'uomo cerca il dialogo con Dio. I sacri riti si offrono come intermediari sicuri. La ritualità gestita bene ha i suoi costi. E la paura invischiata nel mistero diventa fonte di generose sovvenzioni. Ogni parola rivelata ha due impronte: una nitida (Dio) e una polverosa (uomo). Quando l'autorità religiosa sigilla definitivamente la parola rivelata chiude il dialogo fra uomo e Dio. L'autorità sacra è dura a morire. Il potere è il suo albero della vita. Si può eliminare Dio esaltandolo e rubandogli l'identità. Bruno di Roma Roma, 18/12/2007 www.ilcrocevia.it 31 IL SACRO NON E’ UN FOSSILE Paolo l’Apostolo dei Gentili, divulgatore di un vangelo ricevuto direttamente dall’alto, così afferma a tal proposito scrivendo ai Galati: “Vi dichiaro che il vangelo da me annunciato non è modellato sull’uomo, infatti io non l’ho ricevuto né appreso da uomini ma per rivelazione di Gesù Cristo.”(Ep. ai Galati, 1,11) E nella lettera a Timoteo, suo compagno di viaggi, di predicazioni e sofferenze, nonché collaboratore nella stesura di alcune sue epistole, ripete a proposito del suo vangelo: “Ricorda che Gesù Cristo è risorto dai morti, secondo il mio vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non ha catene.”(2 Timot., 2,8-9) La frase che fa riflettere, non riguarda tanto la resurrezione, su cui Paolo fonda con continuità la sua predicazione per rinfocolare le speranze di eternità a cui tende l’animo umano, quanto invece la dichiarazione secondo cui la parola divina non ha catene. A parte il fatto che la critica, almeno in parte, manifesta dubbi sul vero autore dello scritto (le analisi testuali lasciano intravedere problematiche da inserire tra fine e inizio del primo e secondo secolo), è proprio il contenuto delle due lettere inviate a Timoteo che lascia capire quanto le parole (anche umane con intenzioni divine), non possono rimanere a lungo incatenate. La fede richiama la speranza e invita a credere nelle parole che seguono il vento dello Spirito e perciò non sono mai pronunciate in modo definitivo. Il vento dello Spirito non si può fermare mediante riti o invocazioni ma accompagna progressivamente la storia dell’uomo. Pretendere che le parole vengano definite sacre, invariabili, intoccabili, significa interferire in modo scorretto nella stessa attività dello Spirito. Ma si sa, le catene al vento non si possono mettere, neanche rivendicando poteri desunti dallo stesso Spirito a discapito della sua eterna libertà. Dopo aver esortato il suo discepolo ad evitare discussioni profane e chiacchiere inutili che si radicano spesso come un cancro negli animi (1 Tim., 2,16-17), Paolo affronta un tema che dovrebbe dare forza e coraggio a chi si trova nella sofferenza e nonostante tutto spera. Infatti, l’escatologia dovrebbe essere ormai prossima, il ritorno di Cristo farà risorgere i www.ilcrocevia.it 32 giusti dalla morte e accoglierà nel suo regno direttamente quelli ancora viventi. Certo, ci sarà un giudizio. Non è un mistero che in migliaia di anni la storia ha riservato alle vicende umane momenti terribili. E anche molti uomini, all’approssimarsi di tale evento finale saranno ingordi, egoisti, vanitosi, superbi, violenti, miscredenti, intolleranti, traditori, sfrontati e ipocriti. Infatti si presenteranno “con la parvenza della pietà mentre ne hanno negata la forza interiore.”(2 Tim.,3,1-5 e 1 Tim. 4,1 sseg.) Ma poi la parusia si è defilata, spostandosi nell’orizzonte del tempo. Ancora una sequenza di secoli, pochi per l’eternità ma pesanti per l’umanità, in cui la pietà è stata umiliata costantemente da crudeltà e cinismo. Ma questo stato di cose non rientrava nella visione immediata di Paolo. Infatti nella prima epistola invita i credenti a offrire preghiere, domande e suppliche per i re e quanti stanno al potere e così per il poco tempo che resta ”trascorrere una vita calma e tranquilla con pietà e dignità.(…) Uno solo, infatti è Dio, e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù che ha dato se stesso in riscatto per tutti.”(1Tim., 2,1-6) Costringere tali parole a prolungarsi immutabili nel tempo potrebbe ingannare non per la figura del mediatore, ma per l’esercizio umano del potere che facilmente si lascia prendere la mano. Mentre da un lato chi domina, legifera per regolare la convivenza civile, dall’altra tende ad arrogarsi inqualificabili libertà. In tal caso il potere non nobilita il potente ma lo squalifica agli occhi dei molti che non sono in grado di difendersi. Comunque, è sempre meglio sapere che il mediatore sistemerà ogni pendenza ma intanto la violenza (di ogni potere) rende spesso vuota la forza della parola dichiarata sacra. Pregare, e supplicare in terra chi umilia o ruba letteralmente la vita agli altri, costituisce il massimo della sottomissione ma non include normalmente un atto d’amore. Un altro passo invita chi vive in schiavitù a trattare con ogni rispetto il padrone; nel caso poi che quello sia anche cristiano, deve essere considerato come un fratello (1 Tim.,6,1-2) Richiesta sublime ma ingannevole. L’uomo non accetta di essere trattato come un semplice www.ilcrocevia.it 33 animale di fatica; e privarlo arbitrariamente della libertà individuale significa tenerlo in schiavitù. E purtroppo per secoli le sacre strutture sono state disattente su tale aspetto. Hanno dichiarato libera l’anima se battezzata, ma con formule un po’ farisaiche hanno sorvolato sullo stato di servitù nuda e cruda dei più deboli e meno fortunati. La parola ispirata in questo caso va circoscritta e messa sotto critica, in virtù dell’intelligenza che Dio ha dato all’uomo. Il servizio inteso come carità o solidarietà, in relazione alla bontà di Dio che tende la mano all’uomo, non prevede la schiavitù. Sempre nella prima epistola a Timoteo, tra le varie direttive, una é rivolta al genere femminile. Direttiva che oggi per molte donne suona provocatoria e offensiva. Contro quelle parole è ora la femminilità a rifiutare quel tipo di sacralità. Così le parole del testo :”La donna impari in silenzio, in piena sottomissione. Non concedo ad alcuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo(…), non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione.”(1 Tim., 2,11-14) Mah!? Oggi si può argomentare che a quel tempo, complice pure una tradizione millenaria, la vita sociale aveva impostazioni rigide e discriminanti verso il mondo femminile e di conseguenza i sacri dettami dovevano essere capiti nell’ambito della mentalità corrente. Ma resta anche vero che in seguito, la volontà di salvaguardare certi ruoli di genere, ha tenuto a lungo in catene la stessa parola sacra, dimenticando la prevedibile intenzione di Dio nei riguardi della evolutiva storia umana. Bisognerebbe capire o accettare, come scriveva con acume un saggio teologo qualche anno fa che nel sacro la parola non può subire imposizioni assolute e invecchiare nella polvere in quanto :” è già detta e ancora da dire; é dentro un gruppo umano, ma non può essere catturata da un sistema e obbligata a una verità. E’ consegnata prima di tutto all’avventura e al dramma di vivere. (…) La ‘parola’ già detta ha, dunque, bisogno di incarnarsi. Deve ricevere da noi il volto transitorio di un’epoca, di una cultura, di una situazione, di una persona, di un gruppo umano. E’ soggetta alle inquietudini di chi vive e soffre dentro condizioni irrisolvibili della storia. (…) Problema. Annunciare la ‘parola’ significa chiarire la Scrittura, i messaggi del papa, dei vescovi eccetera? Se la ‘parola’ riguardasse solo gli incontrollabili ultraterreni, potrebbe www.ilcrocevia.it 34 essere così. Se riguarda l’umanità in cammino non è più evidente. L’uomo stesso entra come componente, non solo ermeneutica, ma come oggetto di lettura. Non però, la definizione astratta dell’uomo, ma la somma delle realtà positive e negative della sua esistenza, la sua carica inventiva, l’accumularsi delle sue produzioni (…) Il contesto liturgico-sacramentale ruota di frequente su se stesso, favorisce l’interiorizzazione individuale e gratificante, non è parte del processo dinamico, universale della vita di adesso. Per il cristiano, la speranza del futuro ha il volto della lotta e spesso della disperazione presente, dove maturano le attuazioni della vita e l’attesa del Dio dei viventi.”(*) La parola chiede dunque di vivere nel presente in divenire, in ogni occasione in cui ognuno si sente coinvolto da quel messaggio che continua ad incarnarsi per non smarrire la speranza . Quella speciale parola, in sintonia con la percezione interiore in contatto costante con la realtà esterna, resta dunque sempre passibile di miglioramento, di compimento, fino al momento in cui si sentirà finalmente completata nella perfezione dell’immortalità. BiBi P. 3/2/2013 (*) ALDROVANDI M., “Passione e disincanto”, ed. Censis, Milano 1993, pp. 258,260,262,267. IMMORTALITA’ (cercare-conoscere) Capita a volte,nella profondità della coscienza, che un lampo improvviso di luce lasci intravedere qualcosa di Dio. Tracce luminose restano debolmente imprigionate nella complessa rete della mente generando un malessere sotterraneo che alla fine stimola la curiosità. E’ il primo piccolo passo per approfondire l’origine interiore di quel lampo e www.ilcrocevia.it 35 saperne di più. Per molti è così che inizia la caccia a Dio: quell’Essere che misteriosamente osa disturbare e sollecitare quei pochi solchi di conoscenza che, nel breve tempo di vita concesso, ognuno riesce a tracciare senza mai sentirsi appagato totalmente. Dal covo recondito ove si annidano i desideri che balzano fuori, a volte anche in modo incontrollato e pericoloso, il desiderio di Dio sta sempre all’erta perché rappresenta una possibile scalata verso un orizzonte più ampio. Pensare Dio nella sua ineffabile esistenza significa entrare nel territorio sconfinato di una conoscenza oltre i limiti della realtà sensibile. Prefigura una possibilità continua e appagante di scoperte; allontana l’ansia di finire nel nulla. Dunque è anche caccia all’immortalità. Conoscere costa fatica ma ad ogni tappa di conoscenza si acquistano mezzi e forze adatte per continuare ad approfondire. Le soste diventano sempre più brevi e il desiderio di raggiungere la porta dell’eternità diventa spasmodico. E nonostante questa febbre di conoscenza per un traguardo che comporta anche il rischio del dubbio e della delusione, ci si rende conto che la ricerca non si esaurisce in poche tappe. E sicuramente dovrà continuare anche dopo aver varcato i confini del tempo. Ma il traguardo più importante che la vita può offrire è la conquista della consapevolezza del proprio destino che, anche senza il corpo, è proiettato nella sua rigenerabile energia in una durata senza fine. Molti hanno cercato di dare una descrizione di quanto potrà capitare dopo. Si parla diffusamente di luce, di beatitudine, della concessione da parte di Dio di farsi contemplare (in che misura non si sa). Nell’economia cosmica ogni energia ha la sua funzione. La consapevolezza del proprio esistere in continua ricerca finirà per adattarsi e rientrare nel grande flusso della complessità dell’universo. Come sarà possibile contemplare Dio? Luci e suoni celestiali sono appena una virgola di quanto la coscienza di ciascuno potrà percepire. Dal macrocosmo al microcosmo il desiderio di conoscere passerà senza tormenti da un appagamento a un altro. Sono talmente tante le cose sconosciute, interessanti e meravigliose che l’eternità risulterà un dettaglio. Ogni scoperta costituirà un particolare divino che si svela alla coscienza e senza vedere Dio faccia a faccia se ne potrà gustare un’ infinità di riflessi appaganti. E tutto questo in compagnia di uno stuolo sterminato di esistenze che avranno piacere e desiderio di godere con quanti condividono la bellezza di quella esperienza. Dice il pio salmista: “Tu (Dio),mi prenderai per mano, mi guiderai col www.ilcrocevia.it 36 tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria.” (Sal. 72,23-24) Invece l’intelletto di quanti hanno disprezzato il dovere di conoscere, dovrà riorganizzarsi e cominciare a cercare con ansia e rischio la guida di quella mano e quel consiglio che non ha saputo accettare in precedenza. BiBi P. 04/02/ 2013 MATERNITA’ Uno spunto interessante e misterioso sul rapporto tra Dio e umanità è offerto dal prologo del vangelo di Giovanni: “Deum nemo vidit unquam: Unigenitus Filius, qui est in sinu Patris, ipse enarravit.”(Gv. 1,18) Così il testo latino che conclude in questo modo quanto affermato nell’incipit :”In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum …”(Giov.,1,1), per proseguire poi con :” Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis …”(Gv., 1,14) Sulla figura del Logos il testo greco è simile ma nel rapporto divino offre un elemento in certa misura più esplicito: “monoghenés theos, o òn eis tòn kòlpon patròs, ekeìnos exeghésato.” L’Unigenito è in Dio. Il termine greco ‘kolpos’(in prima accezione: ventre, viscere, grembo, utero), è linguisticamente più consono alla terminologia umana di generazione. Tale chiarezza è invece meno evidente nella versione latina. Nella traduzione greca dei Settanta, e in quella del Nuovo Testamento, per il ventre materno viene usato in prevalenza il termine koilìa. Il Lessico dello Zorrell, nel contesto del Prologo, preferisce il richiamo al seno e non accenna minimamente al ventre o all’utero, e considera l’Unigenito adagiato sul petto del Padre. In effetti dotare Dio Padre di utero lo porrebbe sul crudo livello della gestazione umana, e a stretto confronto con il corpo della donna con tutte le riserve antiche e meno antiche legate al mondo e al corpo femminile. Seno, un termine meno diretto, più dolce che richiama piuttosto l’aspetto gratificante e nutritivo della maternità. Ma se l’Unigenito è stato, usando il linguaggio umano, generato dal Padre, può anche riposare confidenzialmente sul suo petto ma è nel grembo del Padre che viene www.ilcrocevia.it 37 custodito il mistero del Verbo che nel tempo diventerà carne mediante l’altrettanto misterioso intervento dello Spirito Santo. A fronte di tali considerazioni appaiono prospettive speculative che probabilmente non si esauriranno mai e andranno ad aumentare le molte pagine di Patristica dei primi secoli e tante altre che costituiscono la teologia dei secoli seguenti. Ma perlomeno saranno indice del cammino in cui l’intelligenza umana, col passare del tempo, tenta di migliorare il suo rapporto con Dio. Quasi certamente il timore di un Dio che oltrepassi le formule codificate metterebbe in crisi la già frastagliata costellazione delle comunità cristiane, ma superare tale timore potrebbe creare un rapporto nuovo, meno limitante o antropomorfico sul concetto di Dio. Se l’uomo credente, (ma anche chi fosse attratto in qualche modo dalla sacra scrittura), riuscisse a indagare ancora su questo rapporto generativo e creativo della divinità, potrebbe aprire la mente alla comprensione almeno ipotetica di un Dio che non dovrebbe restare chiuso negli spazi angusti che la storia della speculazione teologica gli ha confezionato o anche negato. Rivendicare per Dio Padre una capacità materna, in contrasto con la forza e la potenza terrena del maschio, sbilanciandola verso la debolezza femminile, potrebbe ricomporre anche i frammentati e conflittuali rapporti umani. Rapporti che da lungo tempo hanno messo in stato subalterno la vitale capacità generativa (donna maternità), rispetto a quella distruttivo-impositiva (dominio-potere maschile). Il testo evangelico citato aiuta a superare le differenze: l’Unigenito è generato e vive nell’intimità generante del Padre, non per rimanere infantile ma perché in quel luogo esiste l’essenza stessa di creatività. Una via sempre aperta alla novità nella sostanza perfetta e completa della divinità. La novità è la risposta alle aspettative umane. Per questo è scritto:”Ecco, faccio nuove tutte le cose.”(Apoc. 21,5) E’comunque da queste considerazioni che si dovrebbe partire per capire forse meglio quanto è avvenuto con l’incarnazione e con la maternità di Maria. Un Padre che genera rende comunque giustizia per una discriminazione troppo a lungo sostenuta contro l’identità femminile. L’uomo normalmente ma non sempre, tende in modo naturale a stabilire un rapporto con Dio, ma facendo questo non può o non dovrebbe www.ilcrocevia.it 38 abusare delle differenze inerenti la propria specie di appartenenza. La maternità di Maria di Nazareth. Dalla sacra scrittura di lei si hanno notizie piuttosto scarne (il vangelo di Luca il più generoso!). La tradizione cristiana ortodossa e non dei primi secoli (tra assensi e limitazioni), ne ha fatto una creatura speciale a metà strada tra Dio e l’uomo. Nel Concilio di Efeso del 431 i padri conciliari ‘osano’ e definiscono Maria usando l’appellativo di “Theotokos, Deipara, Madre di Dio”. Una definizione eccezionale che però crea dei problemi alla comune comprensione umana. I partecipanti di quel concilio lo hanno intuito e forse sono andati appena poco oltre le più belle e devote intenzioni. In precedenza a Nicea nel 325 e in seguito, mentre si stringeva il cerchio della discussione intorno alla figura carismatica di Gesù, stabilendo che era vero Dio e insieme vero uomo, sulla figura di Maria la preoccupazione maggiore era di farne una vergine, con prerogative personali e materne del tutto speciali grazie all’intervento divino. Del resto all’origine del peccato la condanna principale per la donna era di partorire nel dolore. Inoltre la trasmissione della colpa d’origine avveniva e avviene ancora oggi attraverso il seme maschile. Necessario dunque anche l’intervento dello Spirito Santo all’atto della fecondazione. Papa Ormisda nel marzo del 521 scriveva all’imperatore Giustino: “Proprium autem Filii Dei, ut in novissimis temporibus Verbum caro fieret et abitare in nobis, ita intra viscera Sanctae Mariae virginis genitricis Dei unitis utrisque sine aliqua confusione naturis, ut qui ante tempora erat Filius Dei, fieret Filius hominis et nasceretur ex tempore hominis more, matris vulvam natus aperiens et virginitatem matris deitatis virtute non solvens. Dignum plane Deo nascente mysterium, ut servaret partum sine corruptione, qui conceptum fecit esse sine semine servans quod ex Patre erat, et repraesentans quod ex matre suscepit …” (cfr. Denzinger-Schonmetzer,”Enchiridion Symbolorum”,ed.XXXIII, a.MCMLXV, p.130131). Segnale forte, contro la situazione iniziale di condanna avvenuta nell’Eden, ma che non si amalgama bene con le sofferenze fisiche patite da Cristo, a cui la chiesa con insistenza associa anche quelle della madre nel contesto complessivo della salvezza. E ancora, non è il sesso che rende impura una persona ma sono i pensieri che contaminano le azioni umane. www.ilcrocevia.it 39 Per avere il coraggio di dire qualcosa di più e trovare una spiegazione, sganciata in qualche modo dai limitanti aspetti fisici legati a quella maternità, bisognerebbe 6 indagare ancora sulla particolare simbiosi esistente fra Dio e uomo e confermare la riflessione applicandola alla copia Maria-Gesù. C’è, impropriamente o umanamente parlando, una voglia eterna di Dio di immergersi nell’esperienza di una sua creatura alimentata dall’intelligenza. Tutta la metafisica su Dio, increato, invisibile, infinito, eterno, viene segnata con l’immissione nel divenire dell’Unigenito Figlio che sta nel grembo del padre. La cosa più interessante e degna di attenzione detta oggi da un teologo sul problema si può riassumere così: “Dio e uomo devono essere pensati come la medesima cosa da sempre. Il Figlio di Dio che diviene uomo in un momento preciso della storia è l’archetipo eterno dell’uomo, da sempre sussistente in Dio(…) Si può sostenere che Dio diviene realmente uomo, senza alcuna diminuzione della sua divinità, solo pensando che egli, da sempre, non solo ha in sé, ma è in sé, l’dea di uomo …”(MANCUSO V.,”Quale Dio sta nei cieli”, in “La Repubblica”, venerdì 23 settembre 2005, p. 47). Questa eterna idea divina dell’uomo, è dunque presente nel grembo generante del Padre, indipendentemente dal tempo e precede storicamente l’origine del peccato. Nel 375 papa Damaso ribadiva a Paolino vescovo di Antiochia: Confitendum (est) … Filius Dei humanum suscepisse corpus, animam, sensum, is est integrum Adam, et, ut expressius dicam, totum veterem nostrum sine peccato hominem.”( in Denzinger- Scon., “Enchiridion”, cit., pag.64) Togliere il peccato dall’esperienza di un essere umano risulta talmente eccezionale che difficilmente rientra negli schemi mentali della vita quotidiana. Si è costretti a pensare che il divenire contiene in sé l’imperfezione e per questo l’intelligenza e la volontà devono continuamente cercare e rincorrere la fonte della perfezione che sta all’origine di tutto, cioè il grembo generante del Padre. Il credente ormai sa che in quel contenitore eccellente di vita l’integrità è e sarà sempre presente. Considerando con più passione questo fatto, é facile intuire che non solo una ma due creature esenti dal peccato, eternamente pensate, entrano nella storia umana e non si possono separare: madre e figlio. www.ilcrocevia.it 40 L’essenza divina contiene in sé anche l’idea eterna e archetipica di Madre. Le formule umane risultano sempre incomplete nei confronti di Dio. Maria andrebbe inserita meglio nella dinamica del Figlio dell’uomo che da sempre e per sempre ha necessità di una madre. Questa coppia è la manifestazione umana della divinità che genera, ama, crea e rinnova. Circa il dogma che ha stabilito in un determinato e conflittuale momento storico i ‘limiti’ di Dio (Padre, Figlio, Spirito Santo), appare a chi si avvicina per la prima volta a questa triplice unità, come una lastra di marmo levigata che protegge la mente umana da un reale contatto-dialogo con Dio. Ogni essere vivente passa attraverso la maternità e da lì scaturisce la sua capacità di relazione. Le leggi vengono dopo. Le dogmatiche qualità divine, insieme alle prerogative elaborate dall’indagine teologica, dimenticano però di evidenziare l’aspetto materno che sempre da Dio proviene. A Maria, nella storia, è stato demandato tale compito. Madre della Chiesa? Di tutti? Ogni tanto la Madonna appare e talvolta piange per i peccati del mondo. Non è che 7 lo fa per alcuni miliardi di esseri esclusi che vivono nell’indigenza e nell’ingiustizia? E perché non nominare i responsabili di tale situazione? Per non sbilanciarsi? Madre di Dio e responsabilità reali. Madre partecipe del mistero divino e segno di un’autentica emancipazione umana da realizzare in virtù dell’annuncio nuovo trasmesso da suo figlio il Cristo. Molto è stato detto ma non per questo si deve smettere di riflettere ancora con serena attenzione su questa figura, di cui sulla terra l’umanità, senza distinzione e con meno ipocrisia, ha estremo bisogno per migliorare i suoi rapporti sulla terra e con Dio. BiBi P. 10/02/2013 www.ilcrocevia.it 41 ROSSANA (***I Racconti del Rio) L’ultima volta che Adriano vide Rossana frequentava già da circa tre anni il seminario dei frati. Suo malgrado, nonostante i consigli del vecchio Quaresima, morto tragicamente qualche anno prima, era stato indotto insistentemente dai parenti a intraprendere quella carriera sicura, in un luogo privilegiato. Dove la divisa aveva la sua importanza e i possibili imprevisti erano ben calcolati. Del resto, per un anno finite le elementari, aveva lavorato in una piccola fabbrica di penne stilografiche. Nove ore al giorno, per sei giorni. Compenso settimanale duemilacinquecento lire. Studiare era considerato un lusso. In collegio invece,con una piccola retta mensile costituita dall’assegno famigliare, poteva istruirsi. Prima di partire per il nuovo collegio Adriano pestò i piedi con rabbia e disappunto perché ancora non aveva smaltito i postumi del periodo precedente, quando, come orfano, aveva conosciuto le pesanti conseguenze dell’amore divino applicato da uomini pieni di fervore. Ma nonostante le attuali proteste per questa seconda esperienza, non ci fu niente da fare. Per fortuna nel nuovo ambiente le cose erano diverse. Si pregava, si studiava ma il trattamento era molto più dolce. Non si stava male, ed era più sopportabile accettare le manifestazioni che Dio affidava ai responsabili del collegio. Certo tutto era finalizzato a scoprire e coltivare i germi della chiamata divina e in seguito poter rivestire la sacra divisa che la Madonna aveva dato ai suoi servi devoti alcuni secoli prima. Alla fine dell’anno scolastico c’erano le vacanze estive da trascorrere in famiglia. Un mese scarso. Questo periodo era considerato delicato e pericoloso. Veniva chiamato “la vendemmia del diavolo”, nel senso che alcuni, abbagliati dalle lusinghe del mondo non rientravano al collegio. La vacanza costituiva in pratica una prova da superare. Come aiuto ognuno riceveva un libretto dalla copertina nera intitolato “Il Giovane Provveduto”, da consultare ogni giorno e naturalmente all’insorgere di possibili tentazioni. Adriano, come già in passato, si recava quindici giorni in campagna dagli zii, fra quelle www.ilcrocevia.it 42 colline della sua prima infanzia. Là il tempo era fermo e non c’erano particolari distrazioni. Però quell’anno, presso il rio, vicino alla cascina dei Bertozzo, era stata organizzata la festa del Popolo, vale a dire quella dei Comunisti. Gente da non frequentare assolutamente in quanto nemici della chiesa e scomunicati. Paolino dei Losa suo amico ed altri, gli fecero una testa così perché il sabato sera si recasse con loro alla festa. C’erano solo brave persone, si conoscevano tutti, anche quelli delle borgate vicine. Andavano a messa la domenica e quando bestemmiavano non erano in disaccordo con Dio ma con quanto succedeva sulla terra. Si bestemmiava per abitudine e alle rimostranze del parroco ognuno aveva qualche motivo pratico per giustificarsi. Avevano organizzato anche una “Pesca” di beneficenza per aiutare i giovani “pionieri” delle Repubbliche Sovietiche. E poi c’era Rossana che dava i numeri della fortuna e anche altro. Capì chi era Rossana quando, presentandosi sul posto con un po’ di anticipo per rendersi conto del clima della festa, vide il carretto e quella donna che in passato chiamavano Quartina e in seguito Consolina. Già da alcuni anni, nei mesi estivi, girava per i paesi fra le colline con un carretto tirato da una cavalla magra. Aveva un passato di cui si vantava spesso: era stata una promettente allieva di danza classica. Per campare però era approdata come ballerina nell’avanspettacolo. La guerra l’aveva costretta poi a desistere e a mettersi in proprio con altre attività di fortuna. In un primo tempo la gente la chiamava Quartina. Non per il vino in quanto era astemia ma perché improvvisava delle rime poetiche per chi sperando nella buona sorte, le dava un po’ d’aiuto. Aveva un aspetto piacevole e giovanile, sorrideva con grazia e la gente in genere l’accoglieva con simpatia. I suoi versi venivano ricordati anche a distanza di tempo. Quelli sui padroni della guerra: “Ci hanno invitati a corte/per ballare con la morte./Che ha fatto il suo lavoro,/ora basta, tocca a loro.” Le previsioni del tempo: “”Se hai dolore alla spalla/ lascia i buoi dentro la stalla./E col vento fastidioso/il lavoro è faticoso.” Per una ragazza che doveva sposarsi: “Non bruciare la polpetta/ se il moroso va di fretta./E mantieni la modestia,/altrimenti lui va in bestia.” www.ilcrocevia.it 43 Per il venticinquesimo di matrimonio dei Pontone, invitata ad un pranzo che non finiva più, Consolina esagerò con qualche verso. Qualcuno maliziosamente l’aveva convinta a bere un po’ di vino. Un bicchiere scarso la mandò subito nel mondo dei poeti. In piedi su una sedia cominciò a declamare: “O amabili Pontone,/dopo tante cose buone,/ mi sovvien che fate festa/ per quel chiodo nella testa,/che per anni vi ha impegnati/ dentro il letto e anche nei prati …”Le prese improvviso il singhiozzo e allora cambiò ritmo: “Orsù impetuosa Piera/ alza la vela nera,/ prima che il prode Attilio/ nel mar porti scompiglio …” Da Piera le arrivò in fronte un uovo sodo. Attilio disse al figlio più grande di accompagnarla fuori. Quella volta finì così e per un po’ di tempo non si fece più vedere. Quando riapparve aveva cambiato colore ai capelli. Da castani a biondi. Le faceva compagnia un pappagallino che diceva “Viva Gesù” ma anche qualche parolaccia. Lei distribuiva foglietti con i numeri da giocare al lotto e soprattutto prometteva preghiere particolari a seconda delle necessità. Era incappata in una crisi mistica e propagandava la devozione alle varie madonne che però non corrispondevano a quelle dei più noti santuari. Comunque aveva una parola di conforto per tutti, e la gente cominciò a chiamarla Consolina. Per chi allattava prometteva preghiere alla madonna della capra. Il latte di capra abbonda di elementi nutritivi. Per chi soffriva di vene varicose si rivolgeva alla madonna dell’ortica. Le proprietà dell’ortica vanno ben oltre lo spiacevole effetto urticante. A don Ameriso che soffriva di cirrosi epatica, aveva osato promettere una preghiera alla madonna della menta perché gli rinfrescasse certe idee sulle donne, ma quello piccato la mandò via ricordandole di abbandonare i suoi liberi costumi e di prendere esempio dalla vita dei santi. Alla zampa del pappagallino che si chiamava “Baloss”,(‘birbante’ in dialetto), era legato un piccolo barattolo in cui, chi si raccomandava, doveva versare un obolo. La bestiola rispondeva a tutti “Viva Gesù”, ma se l’offerta era scarsa, un breve colpo di tosse della padrona lo avvisava di aggiungere al pio ringraziamento un: “tirchio spilorcio”. L’effetto risultava poco religioso anzi suonava quasi come una bestemmia. Così capitò appunto con don Ameriso che cacciò Consolina come una Maddalena impenitente. Siccome la donna si manteneva sempre in buona forma ed esteticamente piacente, lasciò da parte le madonne strane e si propose con il nome d’arte “Rossana”. Offriva sempre i www.ilcrocevia.it 44 numeri della fortuna ma ai contadini golosi regalava anche altre cose personali molto intime. Ebbe un buon successo anche se le donne, mangiata la foglia, cominciarono a non darle troppa confidenza, e quando la vedevano trovavano per i mariti e i figli più grandi varie scuse per impegnarli nei vari lavori della cascina. Ma evidentemente non era sufficiente, fienili e capanni degli orti,bisognosi di manutenzione, coprivano con discrezione le scappatelle consolatorie. Adriano fece amicizia con Rossana in modo del tutto casuale. Stava tornando a casa con un secchiello di latte avuto dai Merlecca per aver tenuto al pascolo le loro pecore. Rossana, che qualche malalingua soprannominava anche Diavolina, aveva fatto sosta presso il ponte sopra il rio, sulla strada che dava verso il cimitero. Aveva acceso un fuoco e stava facendo bollire della cicoria. Mentre era girata a sistemare delle cose sul carretto, la gonna lunga e ampia, sfiorando il fuoco si stava incendiando. La vecchia cavalla spaventata scalpitava e nitriva mentre la sua padrona sentendo quel calore improvviso si dava gran manate sul di dietro. Adriano in un attimo corse in aiuto e le rovesciò addosso il latte che aveva nel secchiello. Rossana, passato lo spavento, lo abbracciò. Gli aveva salvato la vita o almeno una parte importante per continuare a campare senza problemi. Adriano era ancora un ragazzo, di quella parte sapeva poco. Rossana lo ringraziò e gli disse che con lui aveva un debito che prima o poi avrebbe saldato. Gli diede due numeri da giocare e qualche soldo per ricomprare il latte. Ogni anno poi lo voleva incontrare,in fondo con gli uomini si annoiava. Parlare con un ragazzo che ancora guardava la vita senza calcoli e avidità la faceva sentire bene, gli ridava un po’ di fiducia. Ecco, a distanza di qualche anno Adriano la rivedeva in quella festa proibita. C’era un grande telone tirato fra gli alberi. Su un grande tavolo, pane, vino, gazzose salami e dolci fatti in casa. E su un carro da fieno i premi della “pesca”; legata a una stanga anche una pecora come primo premio. Completavano il tutto due bandiere rosse con la falce e il martello e al tronco di un pioppo appesi due ritratti: un uomo con i baffi e sotto un altro tipo con gli occhiali. Il carretto di Rossana era piazzato nelle vicinanze, sotto un grande salice. Una tenda, tra il www.ilcrocevia.it 45 carretto e l’albero, separava la zona riservata. Su un tavolino alcuni portafortuna e il solito Baloss abbarbicato su di un trespolo, con l’immancabile ciotolina per le offerte. Nel becco aveva un piccolo morso; dato il carattere della festa se ne doveva stare zitto e non dire “Viva Gesù”. Adriano si avvicinò e Rossana, intenta a sistemare delle zampe di coniglio sul tavolino, senza voltarsi disse :”E’ ancora presto, ripassa più tardi.” Poi si girò e lo vide. “Guarda, guarda, Adriano! Come ti sei allungato!” Aveva le labbra rosse come il peperoncino e un profumo che stordiva. Il seno molto scoperto si godeva l’aria di campagna. Abbracciò il ragazzo e gli schioccò due baci decisi sulle guance. “Sono proprio contenta di rivederti. Eri sparito di circolazione. Ho poi saputo che non abiti più da queste parti. Questa sera però dobbiamo festeggiare.” Prese dal carretto due aranciate. “Sono fresche. Le ho appena comprate al bancone della festa. Sono felice che tu sia venuto a trovarmi. Con te ho sempre un debito. E poi, da quella volta, mi ricordi il candore di quando ero piccola. Senti un po’, che dice la gente di me?” “Che sei bella, simpatica, che regali la fortuna e anche altre cose particolari …!” rispose Adriano. “Ah, ah, non sei più tanto candido”, fece lei, “vediamo un po’ …” Le stava per rispondere che ormai si era messo in una condizione speciale ma lei veloce e senza pensarci troppo gli aveva già piazzato la mano in una certa zona. Adriano, bianco come un lenzuolo si irrigidì come un baccalà. “Oh, rilassati” scherzò Rossana,” mica ti ha morso la tarantola.” Ormai aveva lei il controllo della situazione, e con il profumo lo aveva completamente imbambolato. Passata la tensione al ragazzo parve di galoppare tranquillo verso la libertà. “Prometti bene. Cresci e ti regalerò qualche altra emozione”, gli disse Rossana fissandolo e sorridendo maliziosa. Adriano contento e preoccupato allo stesso tempo, le disse che stava frequentando il seminario. Lei a quella notizia rise veramente divertita. “Chissà che sensi di colpa adesso!Ma dai, non è successo niente di strano. Se mi dici che non ti è piaciuto ricomincio!” A quella scherzosa minaccia stava per dire di no ma subito pensò al dopo e in fretta rispose che gli era proprio piaciuto. “Adriano, non so se resisterai in seminario, ma sappi che d’estate mi puoi trovare da queste www.ilcrocevia.it 46 parti. Però adesso devo pensare agli affari.” Lo baciò con naturalezza sulla bocca e lo spinse oltre la tenda. Alla festa cominciava ad esserci gente. Non si divertì molto perché i pensieri restavano incollati a quei minuti passati con Rossana. Si era comportato come un “giovane sprovveduto”, ma era pur vero che sul libretto di pronto soccorso l’argomento era piuttosto avaro di dettagli e consigli concreti. E trovava anche difficile cacciare via un profondo senso di rimorso di cui non riusciva però a stabilire i confini e neppure le vere ragioni. Il giorno seguente alla messa, con la testa confusa e quel vago profumo che gli era rimasto addosso, non fece la comunione. Come sbrogliare la questione? Per i comunisti avrebbe forse riscosso una certa comprensione ma per Rossana no. Due mondi distanti: da una parte il piacere improvviso vissuto con sorpresa e naturale semplicità, dall’altra la negazione del piacere come peccato. Non c’era modo di farli convivere e rimandò il problema alla fine delle vacanze. Ogni mese veniva al collegio un confessore dalla città. Manteneva sempre una maschera severa e si informava in particolare dei toccamenti pericolosi e delle amicizie particolari. In realtà quasi nessuno dei giovani seminaristi sapeva esattamente di che si trattasse. Quando incautamente qualcuno ammetteva quei fatti, lui alzava la voce, comminando penitenze pesanti. Chi stava in fila, aspettando il suo turno, capiva che c’erano problemi con il sesto comandamento. Per Adriano la reprimenda fu solenne: aveva contaminato il suo corpo, tempio dello Spirito Santo e per di più con una peccatrice. Aveva offeso Dio e fatto appassire il tenero germe della vocazione. E poi, quella invasione sconsiderata nel campo degli avversari della chiesa!Intollerabile! Per riflettere ed espiare quei fatti gravissimi, traendone il dovuto giovamento, la penitenza fu salutare. Tre recite complete del rosario da smaltire in due giorni, con il salmo “Miserere” a conclusione di ogni decina(45 in tutto). Durante la ricreazione, nelle ore di studio e prima di addormentarsi portò a termine l’atto espiatorio. Lentamente il germe della vocazione riprese vigore. Il salmo “miserere” ormai lo sapeva a www.ilcrocevia.it 47 memoria. E nella memoria rimase comunque a lungo il ricordo di Rossana, una peccatrice che in quelle cose, ci metteva tanto impegno e simpatia. Possibile che per arrivare a Dio, si dovesse per forza cancellare una parte così importante della creazione? Dio probabilmente su quel punto aveva ecceduto, o magari, per distrazione, calcolato male gli effetti. Gli uomini con la divisa ne erano convinti e quindi erano pronti a dargli una mano per rimediare. BiBi P. www.ilcrocevia.it 48 MARIUS (Saluti extra) Il Grande Architetto che presiede l’immensa struttura cosmica, nel sistema della stella Fenix, cedendo a numerose richieste, ha dovuto riservare un pianeta a quanti devono ad ogni costo inviare saluti postumi, prima di raggiungere la destinazione finale come previsto dalle regole cosmiche. A capo della petizione un baldo informatico terrestre di nome Marius. Il Grande Architetto, commosso dalla tenacia di quel tecnico ansioso, ha legato il suo nome al pianeta concedendogli di inaugurare la complessa struttura per le proiezioni olografiche con relativa trasmissione di saluti. Tempo dieci dei vecchi minuti (più due minuti per eventuali lacrime di commozione), forse pochi ma sufficienti. Infatti non bisogna trascurare il fatto delle liste d’attesa (pur essendo la struttura adatta a milioni di proiezioni), dell’immenso stuolo degli estimatori dei saluti postumi. www.ilcrocevia.it 49 Ci sono inoltre da tener presenti i vari riti di passaggio dei confini spazio temporali. In pratica esistono diversi gruppi e scuole di pensiero su quanto avviene negli istanti dilatati dall’angoscia, nel passaggio da uno stato all’altro. In molti casi il soggetto che parte, si sente circondato da figure conosciute o a lui legate affettivamente. Con loro spesso si parla non del viaggio da intraprendere ma del più e del meno perdendosi in mille ricordi del passato. In quei momenti possono apparire anche le immagini accigliate e minacciose dei creditori. Poveri cretini, ormai il denaro si è volatilizzato tra parenti e spese per il biglietto di partenza. Accidenti! Il più delle volte le persone che si vorrebbero salutare sono assenti e intanto si profila la bocca nera della galleria di partenza. Uno stato di agitazione fuori controllo spinge ad affrettare il passo. C’è chi corre e sbanda, chi mostra la schiena ma viene risucchiato dal cosiddetto tunnel; chi si alza di qualche metro da terra (corpo astrale?) e vede il subbuglio che lo circonda; chi si arrabbia per le sciocchezze che a ruota libera pronunciano i presenti sul suo conto mentre gli vien meno la voce per rispondere picche. E’ proprio un momentaccio. Altri che hanno seguito tecniche di meditazione orientale vengono abbagliati da una luce aliena (fari oltre il confine?), e sentono musica extraterrestre irresistibile simile a quella del pifferaio magico. Sono persone che hanno prenotato la prima classe ma che sul momento vorrebbero cambiare la data del viaggio. Marius? Un filantropo che, esponendosi in prima persona, ha disturbato l’Eccellentissimo per rimettere ordine nelle partenze convulse o sbagliate. Ecco, ora lui finalmente, di fronte a parenti ed amici convenuti per un saluto fuori tempo. Seduto, con sorriso serafico sul contenitore lucido e odoroso d’incenso che racchiude il suo corpo, guarda con intensità le persone che lo hanno amato e pure quelle che gli hanno creato problemi. Alzando la mano in segno di commiato, ricorda i loro nomi; rivela che il passaggio è stato veloce e indolore e che lo attendono altre esperienze. Tutti piangono e lui: “Addio. Vi ho aperto la strada dei saluti. Vi aspetto!” Tra i presenti gran movimento di mani e scongiuri. Però grande il Marius! BiBi P. www.ilcrocevia.it 50 SOTER (missione speciale) Oltre Andromeda, nell’ammasso aperto Nous, una civiltà costituita da gracili ma intelligenti creature, stava per dare inizio ad una importante missione di recupero. Si trattava di una comunità che in tempi lontani, con l’aiuto di alieni provenienti da quello stesso nucleo di stelle, era approdata su Gunland, nel sistema della gigante blu Igea. Senza troppi rimpianti avevano lasciato il luogo della loro origine (il pianeta Gheopòlem), posto stupendo ma scarso di presenze civili e con alto tasso di aggressività belluina. La loro iniziale speranza era di poter tornare presto alla terra d’origine con opportune soluzioni biotecniche in grado di migliorare sia i discendenti dei loro antenati, nonché all’occorrenza, le loro traumatiche relazioni sociali. Alcuni eventi cosmici, tra cui l’esplosione di una stella del sistema aperto, avevano alterato la sequenza di passaggi spazio-temporali che a suo tempo avevano favorito il primitivo esodo. Questo fatto aveva quindi ritardato una tempestiva ed efficace missione di aiuto. Ma superate le difficoltà e ricorrendo alla fusione di luce e materia oscura, per dare potenza ed energia ottimale ai motori per il viaggio, mille discendenti a bordo di una enorme astronave, partirono dunque per la missione “Salvezza” verso Gheopòlem. Quello che recavano in dono era un’aggiunta biologica importante per migliorare la primigenia elica genetica. Aggiunta che già per loro, pur indebolendo un poco la forza fisica, aveva dato innegabili vantaggi cognitivi e un ottimo controllo sugli istinti aggressivi. Inoltre questa costituiva anche un certo rimedio sul versante dell’immortalità, rendendo possibile una forma aggiornata di partenogenesi. Il processo si rendeva necessario quando la conoscenza troppo avanzata, dopo alcune migliaia di fasi temporali, si proiettava alla ricerca di un supporto fisico diverso e di livello meno ingombrante, lasciando al nuovo venuto l’eredità cognitiva acquistata in precedenza. In tal modo veniva anche cancellato l’arcaico concetto del possesso esclusivo su cose e persone, con la trasmissione gratuita e indolore della vocazione insopprimibile per la conoscenza e la solidarietà in ogni avanzamento e progresso. www.ilcrocevia.it 51 Quando si viaggia nello spazio profondo, anche per le intelligenze evolute, le sorprese non mancano mai. I coloni spaziali, pieni di buone intenzioni e alla ricerca delle loro origini, ebbero a metà viaggio un incontro piuttosto strano e foriero di quanto avrebbero potuto scoprire in seguito. La loro rotta stava incrociando quella di un’altra struttura spaziale misteriosa. Furono tentate varie forme di contatto non aggressivo ma quando la vicinanza lo permise da quella sorta di enorme arca vagante, partì una violenta bordata di energia distruttiva. Soter Max, il capitano della missione, sfiorando un sensore, trasformò quell’energia in una specie di rete paralizzante che rispedì al mittente bloccandone movimenti e altri possibili attacchi. Fu imposto il contatto galattico e così i coloni scoprirono nella struttura aliena, un gruppo di loro antenati, tecnicamente progrediti, ma in fuga e in preda ad angoscia distruttiva. Si trattava di maschi e femmine di atavica memoria in cerca di nuovi territori da colonizzare. Li guidava un capo spirituale intransigente che si imponeva sul gruppo come emanazione fisica del SEC ovvero del Supremo Ente Cosmico. Il momento del contatto veniva ad inserirsi in un momento drammatico all’interno di quella comunità. Era in atto un giudizio senza contraddittorio contro elementi rei di aver messo in dubbio, anzi complottato contro le direttive religiose del capo che si faceva venerare col titolo di Beatitudine Spaziale. I malcapitati, uomini e donne considerati irriducibili, stavano per ascoltare la loro condanna e subire poi il sacrificio della disintegrazione. Tutto quel che restava delle loro energie andava ad alimentare le ormai scarse riserve dei biomotori dell’arca per proseguire il viaggio. Sua beatitudine, contando sull’approvazione dell’Ente Supremo, aveva intrapreso l’avventura nello spazio con la stiva stracarica di esseri dotati di bioenergia. Il compito di questi era di riprodursi e, sacrificandosi per il bene della comunità, non fare mancare mai il propellente per il viaggio. Ma tra malattie e scarsità di nutrimento le cose si stavano mettendo piuttosto male. www.ilcrocevia.it 52 Riti propiziatori erano previsti per i sacrifici normali, ma nel caso in questione si trattava ipocritamente di sfruttare l’insubordinazione come esempio di empietà da punire nel modo più severo e utile. Le vittime del processo sommario, debitamente insultate da tutti, stavano per finire la loro avventura come scorie espulse dai motori, disperdendosi nello spazio, mentre chi restava levava un inno di ringraziamento all’Ente Supremo così lungimirante verso i devoti e ossequiosi viaggiatori. Soter, bloccando quell’imminente sacrificio, si offrì di cedere parte delle proprie abbondanti riserve di energia in cambio dei condannati, promettendo di scortare tutti gli altri fino al primo pianeta abitabile. Urla di gioia accolsero quel gesto di aiuto. Sua beatitudine chiese qualche attimo per collegarsi spiritualmente onde ricevere il parere del suo dio. Pensò velocemente come realizzare un proficuo atto di pirateria e poi con occhi languidi diede la sua risposta: “Dio vuole così e così sia!” Soter ordinò ai suoi di trasferire gli empi insubordinati sulla propria astronave e di rifornire poi di energia quella di sua Beatitudine. Per prudenza rimaneva sul posto a controllare che tutto si svolgesse secondo i patti. All’improvviso una gabbia calò improvvisa, imprigionando Soter e due suoi compagni. Sua Beatitudine si avvicinò esibendo un ghigno di disprezzo: “Illusi! Contro la forza le buone intenzioni non contano. Lo stabilisce il primo comandamento del nostro Supremo che dice: ‘Per ogni preda colpite veloci e con l’inganno.’ Abbiamo abbandonato Gheopòlem applicando questo principio e lasciando dietro di noi una scia di inutili cadaveri . Gente che da viva mirava ad un grado superiore di civiltà inseguendo il sogno di ottenere una società perfetta. Idioti! Pretendevano di rinunciare al piacere insopprimibile di predare tutto quanto potesse capitare a tiro. Egregio capitano, su Gheopòlem abbiamo lasciato solo polvere. Ed ora, sempre per volere del Supremo, lei e la sua gente siete destinati alla stessa fine. Costituite un ottimo sacrificio e …” Non terminò la frase. Un breve batter di ciglia da parte di Soter e la gabbia scomparve, mentre il corpo del predatore stava svanendo nel nulla. Imprigionata in una sfera di energia, di sua beatitudine www.ilcrocevia.it 53 rimase integra solo la testa con gli occhi sbarrati dalla sorpresa. I suoi pesanti e preziosi paludamenti sacri scivolarono giù con irreale lentezza nel silenzioso stupore collettivo. Appena un attimo e un immenso urlo liberatorio accompagnò l’inaspettata fine del despota religioso. Si fece avanti un vegliardo, Eliu, che secondo alcuni devoti possedeva il dono della profezia e chiese umilmente a Soter: “Tu sei giusto. Dacci la luce della tua religione e noi ne godremo il suo beneficio. Da te che hai poteri speciali chiedo di ottenere l’autorità e l’onere di nuova guida religiosa.” Una donna giovane, Susan, si affiancò al nuovo aspirante e a sua volta si propose come alternativa: “Sono bella e ricca di qualità. Soprattutto sono intelligente. Sarebbe ora di trasmettere certi compiti nelle mani di un genere più sensibile che sappia valorizzare la vita e non la distruzione.” E Soter con un fondo di amara ironia : “La religione deve rendere tutti liberi. Ogni figura sacra che non rispetta la libertà è inutile e dannosa. E l’Essere supremo non sarà mai suo complice. Qualsiasi tipo di fede non può mai abbassarsi ad umiliare l’intelligenza a qualunque genere appartenga. Noi stavamo per recarvi un dono speciale. Rimandiamo questo dono ad una prossima fase. Ora vi daremo le coordinate per raggiungere il pianeta Shalom nella costellazione denominata Irene.” Da un anonimo in prima fila: “Però un dono, essendo ormai orfani della nostra dispotica guida, sarebbe molto gradito. Siamo pronti a dedicarti inni perenni di ringraziamento se ci trasmetti un poco della tua sapienza.” Soter :”Dopo che avrete sostato nei vari porti dell’impegno e della lealtà, incontrerete la sapienza lasciando navigare l’intelligenza nel silenzio. Considerando bene quanto accaduto, credo sia opportuno che prima dobbiate masticare e digerire l’aspro sapore della pace. Poi vi faremo avere quel dono, ma forse sarà anche superfluo. Addio.” BiBi P. 13/02/2013 www.ilcrocevia.it 54 JUPITER (Coelum Dei) Avvolto nella nebbia di tripodi fumanti d’incenso, Jupiter risuona di cantilene e preghiere di miliardi di voci provenienti dall’universo profondo. Si tratta di un pianeta enorme e speciale che raccoglie invocazioni e richieste lagnose, petulanti o disperate da individui la cui civiltà e ancora agli esordi. Si tratta di soggetti dotati di intelligenza instabile e istinti fuori controllo, bisognosi di un supporto continuo di quella presenza onnicomprensiva che chiamano Dio. Per chi volesse individuare tale pianeta tra le costellazioni dovrebbe orientarsi nei paraggi della Vulpecula ma con scarsa fortuna. C’è un che di mistero che non lo rende accessibile (a parte le preghiere che vi sono portate dal vento cosmico), se non a pochi fortunati. Per ognuna delle numerose neociviltà sparse fra i sistemi stellari, solo alcuni individui di età e provenienza sconosciuta (li chiamano sapienti), hanno facoltà di accedere al misterioso Jupiter per comunicazioni di speciale importanza. Ogni civiltà nutre la convinzione di essere unica o superiore e perciò tali presenze devono auto proteggersi dalla www.ilcrocevia.it 55 morbosa curiosità e dai possibili assalti dei soliti personaggi bisognosi di un contatto privilegiato con l’Entità che regge l’universo. Tra le varie intelligenze che abitano negli spazi cosmici, la più problematica pare sia quella del pianeta Arthe. Su Jupiter una vasta zona è riservata ai tripodi di quella variegata concentrazione di esseri pensanti ma confusi ancora da sogni infantili. Gli abitanti più evoluti, tanto per essere chiari, nella paura di essere sorpassati da una delle numerose specie inferiori (le più temute pecore, oche e galline), con tratti di puerile supponenza millantano rivelazioni inconfutabili così da permettere loro di allungare gli arti prensili su tutto quanto possa calmare la loro smania di possedere. I più abili, tramite mistici contatti divini, hanno elaborato una serie di leggi e disposizioni per rendere più facile e credibile il controllo sul mercato delle ricchezze e delle persone sparse sul territorio. Naturalmente hanno pilotato le immancabili richieste su due fronti. Uno a livello locale: per dare seguito ad ogni richiesta, sono necessarie adeguate offerte anticipate. L’altro prevede l’invio, dopo attento esame delle petizioni, a Jupiter. Lassù, i vari ierosatrapi, giurano di pagare l’affitto di tripodi speciali che, con l’aroma penetrante dell’incenso, tengono desta la benevolenza di Dio per eventuali, possibili risposte favorevoli. Qualcuno con messaggi più seri ha cercato di correggere questa tendenza ingannevole ed endemica ma con risultati irrisori. Da quelle parti tutto viene trasformato e fagocitato dall’inesorabile e ipertrofico appetito dei soliti. L’emulazione inoltre genera di continuo nuovi pretendenti e scatena di conseguenza gravi scontri di inciviltà tanto che i misteriosi saggi del posto hanno da poco interrotto il contatto con Jupiter. E abbandonando in segreto l’insalubre luogo, con l’abile uso delle reti di comunicazione, hanno lasciato un messaggio chiaro: “Dio è in completo disaccordo con i sistemi rivelati in voga su Arthe. E non riconosce nessuna norma etica, igienica o sociale promulgata in suo nome. Ognuno impari a prendersi finalmente delle responsabilità. I tripodi su Jupiter ormai sono spenti. Chi può abbandoni il pianeta e ne cerchi uno meno empio. Le religioni stanno per divorarsi. Quelle che non saranno divorate moriranno per indigestione.” Questa la situazione in quel lontano pianeta. I più hanno accolto il messaggio come uno scherzo. www.ilcrocevia.it 56 BiBi P. www.ilcrocevia.it 57 BISOGNO DI FUTURO Non aver paura della solitudine interiore, per ogni persona in grado di pensare, è la prima importante tappa per esplorare la vasta ricchezza del silenzio. Perché il silenzio? Perché il rumore continuo e assordante della vita quotidiana, spesso senza senso, impedisce la percezione degli impulsi intuitivi e creativi. La capacità di elaborare questi impulsi costituisce un aspetto non secondario di essere, di esistere. Soprattutto di scoprire vie prima sconosciute per raggiungere ciò che all’inizio della solitudine veniva percepito come mancante o assente. Nel caos frenetico delle compulsive e venali attività umane la prima grande assenza (che in parte alimenta la paura) è quella di Dio. O meglio da ogni parte si dice che c’è ma in pratica nessuno ne sente la presenza. Infatti mi gli atti distruttivi operati dall'uomo un lamentoso ritornello chiama in causa l'assenza di Dio. Questa assenza pesa soprattutto perché a garantirne la presenza ci sono invece le grandi chiese, le religioni più importanti: esiste una provvidenza che vede e predispone là dove l’occhio umano non è in grado di vedere o vede male. Il difetto più grande di queste strutture religiose sta nel fatto che accumulano potenza a scapito del dio che predicano. Più è grande il potere delle religioni e più risulta illusoria e astratta la potenza di Dio. In pratica Dio viene messo sotto una campana di vetro. Certo non si può e non si deve dire che è mummificato ma di sicuro gli manca l’aria. Questo avviene semplicemente perché ogni potere religioso (i vertici), proietta su Dio la propria giustificazione di potere per alimentare interessi economici, approfittando delle paure di altri esseri più deboli. Oggi ci sono ancora religioni importanti che fondano la loro potenza www.ilcrocevia.it 58 sulla magia del divino. Ed è su tale linea che a volte Dio viene sollecitato a parlare mediante i profeti. La parola profetica può dare una frustata energetica o costituire una trappola senza uscite. Questo perché su ogni rivelazione le impronte sono due: una nitida ascrivibile alla passione che l’animo sincero sente per Dio; l’altra velata e confusa che si può adattare alle convenienze della grettezza umana. Visto come va la storia da qualche millennio, sembra assodato che la presunzione umana al potere proclami continuamente Dio e le sue verità e ne usurpi tranquillamente l’identità. Contro questa tentazione perenne e inguaribile qualche parola rivelata, consona cioè alle più vere aspirazioni umane, pare resistere alle varie manipolazioni, forse perché retaggio di esperienze collettive antichissime difficilmente cancellabili. La profezia guarda al futuro. E dal futuro si attende una risposta. La novità per ogni gruppo religioso si prefigura perciò come un "dopo". Il dopo presuppone che il nuovo, per essere tale, dovrà liberarsi definitivamente da tutte le dispute, divisioni, guerre e ipocrisie accumulate per conto dell'essere supremo. Chi avrà millantato di possedere la verità dovrà fare molti passi indietro in virtù di quelle parole che vengono proclamate da un lontano passato e che dal futuro sono in procinto di tornare per rendere giustizia a chi ha sete di Dio. E i templi innalzati a gloria di Dio? Saranno inutili. Verranno eliminati. Per chi ha riposto le sue speranze in Gesù di Nazaret, una risposta chiara su tale argomento viene dalla Rivelazione o Apocalisse dell’apostolo Giovanni. Nella Nuova Gerusalemme che dal futuro apparirà e scenderà dal cielo a coprire le brutture e il vecchiume della terra, non ci sarà posto per nessun tempio, " ... perché il Signore l'onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio."(Ap. 21,22) Questa la prima grande speranza che caratterizza il dopo. Presenze viventi al posto di pietre innalzate per tenere in ombra la vitalità divina. E non ci sarà neppure l’alibi per chi nonostante il nuovo assetto si ostinerà a chiamare il Signore con il suo vecchio nome. Non avrà risposta perché anche il Nome sarà nuovo. (Ap. 3,12) E la novità non si ferma. Dice infatti l'Agnello: "Faccio nuove tutte le cose." (Ap. 21,5) Questa la seconda grande speranza. Un potente soffio vitale che non rianima un corpo decrepito ma ne vivifica un altro totalmente rinnovato. Il vecchio modello, come si dice www.ilcrocevia.it 59 oggi, verrà rottamato senza alcuna nostalgia. Tutta la sapienza umana finalizzata a costruire e distruggere si ritroverà esausta su mucchi di resti obsoleti e in disfacimento. Le aberrazioni prodotte dagli arcaici sistemi saranno preda del fuoco insieme alla morte e all'inferno.(Ap. 20,14) Dalle speranze alla grande attesa. Quando? Come e cosa attendere? Sulla prima domanda le stime temporali risentono di valutazioni relative e non coordinate esattamente sui tempi limitati della vita terrestre. Stando al prologo della Rivelazione le parole profetiche vanno ascoltate e messe in pratica con attenzione e fedeltà "perché il tempo è vicino." (Ap. 1,3) Per ogni vita singola il termine è ingannevole. Per la storia della terra già i tempi sono diversi e dilatati e lo sono ancor di più se inseriti nel contesto dell'universo. Cosa accadrà alle varie comunità di credenti? Alcune saranno premiate in virtù della loro vigilanza e attaccamento alla parola. Questo si evidenzia nelle lettere iniziali della Rivelazione inviate alle sette chiese della Frigia (Asia Minore) rappresentate ciascuna da un angelo. Di particolare interesse è quella inviata all'angelo della chiesa di Laodicea. In quel testo è indicato ciò che indispone la pazienza e le attese dell'Agnello: "Così parla l'Amen... il Principio della creazione di Dio: 'Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca'... "(Ap. 3,14 ssg.) Il testo lascia qualche stupore. C'è forse mancanza d'amore? L'amore c'è ma l'obiettivo è sbagliato e l'Amen rivela subito ciò di cui è preda l'anima di quella comunità. "Tu dici: ‘Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla’, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo." (Ap. 3,17) Per il Signore la chiesa attaccata alle ricchezze ha abbassato l'obiettivo della propria speranza, è indigeribile e la vomita. Da questa indicazione ognuno può confrontarsi con la sua comunità e capire se ci sono le condizioni per essere vomitato. E per coloro che non sono tiepidi? Intanto la possibilità di riavvicinarsi all'albero della vita, quello precluso dopo il fattaccio del paradiso terrestre. (Ap. 22,2) Altre indicazioni non possono essere che imprecise altrimenti la novità non sarebbe più tale. Per ora solo Dio può vedere ciò che sarà per quelli che lo attendono. "Occhio non vide... quello che hai preparato per coloro che ti aspettano." (Is. 64,4) www.ilcrocevia.it 60 Ma il tempo della novità, occorre ripeterlo, per ogni uomo è scandito dall'ansia che divorai giorni e le notti e questo, in certo modo, vale anche per le altre creature soggette al ciclo breve della vita. Già. L’uomo e le altre creature sono accomunate da una medesima attesa. (Ap. 5,13) Come dice bene Paolo nella sua epistola ai Romani la sofferenza dell'uomo va di pari passo con la sofferenza degli altri esseri viventi: "La creazione stessa attende con impazienza, la rivelazione dei figli di Dio... e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo." (Rom. 8,19-23; anche Ebrei 9,23) Pare quasi di capire che su questa terra sia inevitabilmente raccolta una quantità di creature destinate da tempi lontanissimi alla sofferenza e alla lotta per la sopravvivenza a cui comunque fa sempre da sfondo la morte. In un posto per molti versi bello e piacevole paura e violenza non danno tregua, rendendo la vita dell'uomo simile a quell’inferno tanto minacciato e temuto. Forse quando l’Apocalisse dice che gli Inferi (luogo e simbolo del potere della morte), verranno bruciati nello stagno di fuoco si riferisce proprio a questa situazione in cui il male distrugge sistematicamente ogni momento felice e chiude alla speranza qualunque spiraglio di luce. La visione profetica riapre il discorso. "Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli Inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco. E chi non era scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco." (Ap. 20,13-15) Anche nella seconda epistola attribuita all'apostolo Pietro, tanto sui tempi quanto sulle modalità della trasformazione o rinnovamento finale, le considerazioni sono inquietanti e si aggiungano alle sofferenze adombrate da Paolo nelle doglie del parto. Anzi la nascita della novità deve essere preceduta dal dissolvimento delle vecchie realtà nel calore distruttivo del fuoco per fare spazio al regno della giustizia: " ... davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo... Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi www.ilcrocevia.it 61 consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c'è in essa sarà distrutta... E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia... " (2 Ptr. 3,8,10,13). A questo testo, per secoli considerato minaccioso e catastrofico, oggi la scienza affianca una teoria che, pur non essendo rassicurante, segue comunque una ipotesi scientifica. Il sole del nostro sistema, al termine del suo ciclo si trasforma ed esplode in una fase parossistica in cui la sua corona di fuoco arriva a consumare irrimediabilmente la terra. Soluzione terribile. A parte il problema del giudizio finale, dove si sposta il confine di un cielo nuovo a protezione di una nuova terra? In tanta incertezza almeno una notizia buona o almeno un'altra speranza: la giustizia che nella vecchia storia ha sempre avuto vita grama e stentata, dal futuro si affaccia stabile e sicura secondo la promessa veritiera di Gesù. L’altra notizia non buona ma da tenere in considerazione è la questione del tempo e dei modi che accompagneranno il dissolvimento finale. Intanto il giorno del Signore verrà come un "ladro", al di fuori di ogni calcolo umano. E il tipo di distruzione non sarà più pilotato dall'uomo ma imputabile all'azione fragorosa degli elementi celesti. Di fronte alle incertezze e alle paure apocalittiche il credente non può che rafforzare la sua convivenza comunitaria, attuando con mezzi impropri' e goffamente le indicazioni che provengono dalla Rivelazione. Come dice Paolo scrivendo agli Efesini dobbiamo superare le paure sapendo che: "Dio è capace di realizzare infinitamente ben oltre ciò che noi possiamo aspettarci o immaginare." (Ef. 3,20) Per ora infatti "Ancora non è manifesto ciò che saremo."(1 Giov. 3,2) Comunque qualche altra cosa dalle profezie trapela. Ancora Giovanni, nella parte finale della sua profezia, da un quadro carico di promesse: "Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi anche la città Santa, la Nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio,... Udii allora una voce potente che usciva dal trono: ‘Ecco la dimora di Dio con gli uomini Egli dimorerà tra loro ed essi saranno il suo popolo www.ilcrocevia.it 62 ed egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate.” E colui che sedeva sul trono disse: ‘Ecco,io faccio nuove tutte le cose e soggiunse’: ‘Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci’ Ecco sono compiute. Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine... ‘ “(Ap. 21,1-6) La novità che avanza dal futuro porterà alle creature un corpo nuovo , un nuovo ambiente e uno stato d'animo finalmente liberato dall'ansia. La curiosità umana sulla nuova vita già dilagava nelle prime comunità di credenti. Paolo, per soddisfare le domande della chiesa di Corinto su tale argomento, abbozza una spiegazione in parte dedotta dalla natura e in parte dalla potenza fornita dallo Spirito di Dio: "... ciò che tu semini non prende vita se prima non muore... E Dio gli da un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo... Così anche la resurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale... E come abbiamo portato l’immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste... "(1 Cor. 15,36-38, 42-43, 49) Bastano i testi citati per rendersi conto che l’uomo ha una fame estrema di futuro. Non quello effimero che non lo sazia mai ma del futuro che lo liberi dall'angoscia di perdere la propria identità e la forza del proprio pensare. Nessun tentativo è in grado, pur con tutto l'aiuto della ragione, di eliminare questo bisogno, perché quel tipo di futuro è l'unico capace di rendere relative tutte le sconfitte accumulate e dare a ciascuno la forza necessaria per completare la proprio esperienza di vita. In ogni previsione profetica, il bisogno di non morire è sorretto da una certezza che potrebbe essere illusoria ma che in alternativa potrebbe giacere nella memoria più antica, quasi una traccia di cose già avvenute altrove. Cose ed esseri che hanno conosciuto la novità, che l'hanno dolorosamente persa, che www.ilcrocevia.it stanno accumulando sempre 63 drammaticamente altre esperienze in attesa di riagganciare il nuovo che da qualche parte li attende. Che dire delle religioni e dei loro apparati legislativi e impositivi? Per molti vanno bene così. Ci sono dei doveri da compiere e un premio a fine corsa. Invece la speranza del nuovo implica l'ascolto della coscienza, l’uso dell’introspezione e dell’intelligenza e questo mette all'angolo l’invadenza delle varie chiese, la loro esclusiva pretesa di interpretare il pensiero divino. Per tornare alle riflessioni iniziali si può anche pensare che più una chiesa è debole (di potere) più le coscienze sono in grado di percepire la novità che viene da Dio. Roma,10/6/2005 www.ilcrocevia.it 64 Bruno P.B. MARATONA DELL'ANIMA L’anima essendo la forza dell’intelligenza non può mai scendere oltre il non essere. Però appena ha il coraggio di salire contemplando, ritrova pienamente se stessa e questo significa che sta per rispecchiarsi nell'Assoluto. In altre parole passa dallo stato di copia alla congiunzione della sua vera essenza originale. Arriva cioè alla fine del suo viaggio. Se la contemplazione si interrompe, il cammino dell’essere può proseguire comunque ricorrendo alle virtù che scopre nel proprio mondo interiore; recuperando il contatto animaintelligenza si riconquista la saggezza e quindi riprendere il percorso che porta all’Assoluto: "Questa è la vita degli dei e degli uomini divini e beati: distacco dalle restanti cose di quaggiù, via che non si compiace più delle cose terrene, fuga da solo a solo."(Plotino, Enneadi VI 9,11 - p.1363) Ma è una fuga piena di imprevisti, di ostacoli e richiami dei sensi che attingono energie nascoste pur di ingoiare luce e stimoli, tutto per non lasciar morire gli ultimi improrogabili desideri. La vita si alimenta nella tensione verso cose che ancora non possiede. Sicuramente appena conquistate non appartengono più all'attesa ma subito la vita regala altro spazio per ulteriori conquiste. Una catena a cui si aggiungono sempre nuovi anelli e la fuga non è mai libera e solitaria. L’Assoluto vuole l'esclusiva e si propone come traguardo. Verso di lui convergono tutti coloro che attendono la conferma della propria immortalità. Ma la trappola insidiosa delle proprie caratteristiche materiali non sono esattamente un regalo della divinità. Si rende necessaria una paziente e spesso lunga ascesi. Il più delle volte la fuga risulta tardiva in quanto si attende che i sensi abbiano perso molte loro velleità di contatti così che la mente possa superare meglio gli ostacoli. Capita poi a sorpresa che oltre ogni imposizione religiosa esteriore nascano forme di meditazionepreghiera del tutto eccezionali. Nel riposo del corpo può rivelarsi uno stato molto particolare in cui il saggio assapora la veglia dell’anima con occhi che si aprono alla visione; e nel silenzio gode della gestazione del bene che il Logos gli infonde. Sotto l’ispirazione del soffio divino della verità l’anima pronuncia la sua benedizione:"Santo è www.ilcrocevia.it 65 Dio, Padre di tutti gli esseri, Santo è Dio, il cui volere è compiuto dalle sue Potenze; Santo è Dio che vuole essere conosciuto e che è conosciuto dai suoi; Santo sei Tu, che con il Logos hai costituito gli esseri; Santo sei Tu, di cui ogni natura per sua natura, è immagine; Santo sei Tu, al quale la Natura non ha dato forma; Santo sei Tu, che sei più forte di ogni potenza; Santo sei Tu, che sei maggiore di ogni eccellenza; Santo sei Tu, che sei superiore alle lodi. Ricevi le offerte sacrificali di parole provenienti da un’anima pura e da un cuore che tende verso di te, o indicibile, o inesprimibile, o tu che puoi essere pronunciato soltanto nel silenzio." (Ermete Trismegisto in "Pimandro", p.90-91) Per trovare il sentiero di Dio serve soltanto il silenzio. Il silenzio si apre anche all’accoglienza delle rivelazioni di altri che non pretendono il marchio di proprietà. Roma, 31/12/2009 Bruno P.B. www.ilcrocevia.it 66 FEDE E IPERSPAZIO (La Terra dei Giusti) Dalle pietre cariche di magia ai miti e poi agli dei che intervengono nella storia dell’uomo, l’intelligenza è giunta a scoprire e a valorizzare la divinità, ponendola al di sopra o al di là del sensibile e mantenendosi tuttavia a stretto contatto con essa. Facendo tesoro di molte tradizioni orali e in seguito di quelle scritte l'uomo ha trovato un filone originale per distinguersi e anche per confrontarsi con Dio. Un Dio dotato di enorme potere creativo, superiore e diverso da tutte le espressioni della materia, ma strettamente legato alla creatura intelligente, capace questa di riconoscerlo e in grado di entrare in sintonia con lui. Tolta di mezzo ogni ingannevole immagine di Dio, l’uomo ha poi dovuto compensare questa mancanza attingendo alle proprie qualità e ispirazioni adattandole a Dio. Operazione molto imperfetta, a tratti efficace ma non sufficiente a giustificare pienamente la superiorità e la perfezione di Dio. Inconsciamente forse si cela in questa operazione la volontà di permettere all'occorrenza una reciproca invasione di campo. Ne risulta un rapporto sbilanciato difficilmente correggibile almeno su questa terra, dove il potere di Dio deve arginare la scorrettezza umana tesa a mantenere il sopravvento sia in ambito sociale che in quello religioso. Ma già dai tempi più antichi della storia biblica viene ipotizzata una via di fuga costituita dall'esistenza di uno spazio diverso dove Dio, l'uomo e la giustizia trovano un terreno adatto per una convivenza senza conflitti. Ognuno legge la Bibbia con la libertà che gli permette il proprio grado di fede. Se poi il lettore non è credente la libertà gli concede anche di essere scettico rispetto alla rivelazione a cui altri si affidano. Ma le figure bibliche a cui si farà cenno lasciano spazio per interrogativi interessanti anche per chi non crede. Stando alle indicazioni delle sacre scritture esiste un altro luogo o forse più luoghi nelle profondità dello spazio, dove esseri terrestri vivono ormai da secoli da millenni. Sono persone accomunate da particolari connotazioni che la parola rivelata si premura di precisare. Ci viene detto poco o nulla invece sulla regione dello spazio dove queste persone dimorano. Ci é riferito soltanto che nei vari corsi della storia umana alcuni individui non hanno conosciuto la morte. Che amavano talmente Dio e i suoi precetti che Dio stesso li ha www.ilcrocevia.it 67 prelevati vivi e vegeti da questo mondo per trasferirli in un altro più sicuro e inaccessibile dove le vibrazioni tra il divino e l'umano, senza contaminazioni, si potessero sentire in perfetta armonia. Esaminando i testi non pare proprio si tratti di racconti allegorici. Vengono usati termini concreti per azioni altrettanto concrete. Come già detto, le parole rivelate si possono leggere con atteggiamenti diversi. Con una visione laica e critica e allora quello che si legge assume un valore molto relativo. Oppure con una disposizione di fede: di conseguenza in questa ottica viene in aiuto il riferimento allo spirito dell'uomo che ritorna a Dio o ancora la richiesta di un atto di fede puro e semplice per cui ciò che la rivelazione propone va accettato così come viene enunciato. L’apostolo Paolo, nella lettera agli Ebrei, esaltando la fede dei Patriarchi ricorda con molta serietà l'epigono di questi uomini strappati alla terra da parte di Dio. ENOC, il settimo patriarca nella discendenza da Adamo (Luca 3,37), così viene ricordato da Paolo: "Per fede Enoc fu trasportato via in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più perché Dio lo aveva portato via. Prima infatti di essere trasportato via ricevette la testimonianza di essere gradito a Dio. Senza la fede però è impossibile essergli graditi." (Ebrei, 11,5) Di fronte a un simile testo le domande che si accavallano sono più di una e le risposte affondano in possibili ipotesi che non riguardano semplicemente la fede e lo spirito ma mettono in gioco l'affettività divina e la sua possibile commistione con la fisicità emozionale dell'uomo. Paolo del resto riprendeva come autentica una tradizione antichissima corroborata da una nota contenuta nel racconto del libro del Genesi in poche righe: "L’intera vita di Enoch fu di trecentosessantacinque anni. Poi Enoch camminò con Dio. E non fu più perché Dio l'aveva preso con sé." (Genesi 5,24). Nella sintesi stringata di queste frasi ci sono due indicazioni: 'camminare con Dio' si può leggere anche in senso figurato ma l'atto di prendere con se una persona, nel contesto vetero testamentario significa stare fisicamente con l'entità o essere che ha compiuto questo tipo di azione. Il Dio della collera, delle punizioni per le infedeltà umane, di fronte all'amore che qualche uomo giusto nutre per Lui pare quasi emozionarsi, accendersi di passione. Emerge un aspetto femminile dolce e geloso tipico del sentimento umano. Invertendo i ruoli tradizionali a noi noti Dio "rapisce" www.ilcrocevia.it 68 la creatura che ama. Antropomorfismo certo. Ma la spiegazione risulta troppo semplice per essere esauriente. Tra Dio e uomo il legame coinvolge l'esistere e lo stesso atto creativo. L' intima connessione tra le due esistenze costringe la più forte a conservare un tesoro irrinunciabile. Dio 'rapisce' colui che ama e lo fa per suscitare altre adesioni. Nel libro del "Siracide" infatti si legge: "Enoc piacque al Signore e fu rapito, esempio istruttivo per tutte le generazioni."(44,16) Che Dio senta di continuo l'esigenza dell'amore dell'uomo giusto e ne sia particolarmente attratto, lo si può constatare anche da un altro brano nel libro della "Sapienza": "...Divenuto caro a Dio, fu amato da lui, e poiché viveva fra peccatori, fu trasferito, fu rapito perché la malizia non ne mutasse i sentimenti o l'inganno non ne rovinasse l’animo... La sua anima fu gradita al Signore; perciò Egli lo tolse in fretta da un ambiente malvagio." (Sapienza 4,10) C’è dunque uno spazio in cui Dio trasporta le persone che ama. Le leggi che regolano la vita sulla terra in quel luogo non hanno valore. Mancano infatti malvagità e malizia, astuzia e peccato. Oggetto di amore sono però solo uomini maschi. Per avere almeno una vaga idea di come possano avvenire i rapimenti divini ci viene in aiuto la vicenda del profeta Elia, rapito a sua volta dopo un preavviso di cui erano a conoscenza varie persone, tra queste il suo discepolo Eliseo. "Mentre camminavano conversando (Ella ed Eliseo) ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo." (2 RE, 2,11) Il rapimento e la conservazione dei giusti da parte di Dio racchiude anche un intento escatologico. Infatti tanto per Enoch (ep. di Giuda 1,14) che per Elia ci sarà un ritorno per giudicare gli empi e i malvagi. Così il "Siracide": 'Fosti assunto in un turbine di fioco, su un carro di cavalli di fuoco, designato a rimproverare i tempi futuri, per placare l'ira prima che divampi..."(Sir. 48,9-10) E ancora in Malachia: "-Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore..." (Mal. 3,23) Di questo ritorno se ne accenna anche nel Nuovo testamento, nel Vangelo di Matteo: "Allora i discepoli gli domandarono: "Perché dunque gli Scribi dicono che prima deve venire Elia?" Ed egli rispose: "Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa."(Mt. 17,11) Nel "Quarto Libro di Esdra", un testo considerato apocrifo ma ritenuto sacro e ispirato www.ilcrocevia.it 69 almeno nei primi secoli del cristianesimo, si legge ancora a proposito di giusti e di giudizio finale: "Allora compariranno gli uomini che un tempo sono stati rapiti in cielo, che fin dalla loro nascita non hanno assaggiato la morte." (Gli Apocrifi, Ed. Piemme, 2004, p.311-312) Anche ad Esdra toccherà la sorte di quei giusti, così rivela lo spirito che gli descrive i tempi che precederanno il giudizio. "Ma tu verrai rapito dagli uomini e da allora in poi resterai con mio figlio e con tutti i tuoi simili finché i tempi non finiranno ( ... ) Allora Esdra fu rapito in cielo e fu accolto nel luogo ove stanno i suoi pari." ("Gli Apocrifi", ed. Piemme, p. 339 e 341). Per sapere qualcosa di più sul luogo destinato ai giusti bisogna affidarsi ad un altro testo apocrifo: il "Libro Etiopico di Enoc". Anche in questo caso visioni apocalittiche vetero testamentarie (sec. II-I a.C.) con commistioni posteriori di elementi cristiani, confermano la credenza di un luogo privilegiato in cui dimorano i giusti scelti da Dio. Enoc racconta ciò che vede e anche ciò che riguarda la sua persona: "E dopo di ciò il nome di Enoc fa esaltato durante la sua vita dagli abitanti della terra (... ) Il suo nome fu sollevato sul carro degli spiriti e tra di loro scomparve. Da quel giorno io non vengo più enumerato tra di loro, ed Egli mi pose tra due regioni celesti, tra il nord e l'ovest, là dove gli angeli presero le corde per misurarmi il luogo degli eletti." (Libro etiopico di Enoc", in "Gli Apocrifi", ed. Piemme, p. 390). Il nome nella cultura antica era sinonimo di persona. Enoc dunque su un carro particolare viene trasportato in una regione dello spazio posta tra settentrione e occidente. Di questo spazio abbiamo una ulteriore precisazione che però è senza coordinate celesti: "Allora lo spirito rapì Enoc nel cielo dei cieli e io vidi là nel mezzo di quella luce un edificio di pietre di cristallo e tra quelle pietre lingue di fuoco vivente. "("Libro Etiopico di Enoc", (ritenuto sacro dalla chiesa Copta), in "Gli Apocrifi", ed. Piemme, a cura di E. Weidinger, p. 391). Di conseguenza m quel determinato spazio esiste un ipercielo dove i giusti godono di una iperprotezione. Non si può a questo punto omettere di ricordare la figura di Melchisedek, sacerdote cananeo al tempo delle vicende del patriarca Abramo (cfr. Gen. 14,17-20 e Sal.109.4). S. Paolo nella lettera agli Ebrei ne fa l'epigono del compimento della perfezione sacerdotale operata da Cristo. Così lo ricorda S. Paolo: " Questo Melchisedek infatti, re di Salem, www.ilcrocevia.it 70 sacerdote del Dio Altissimo andò incontro ad Abramo e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa e il suo nome tradotto significa re di giustizia, e quindi anche re di Salem, cioè re di pace. Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno." (Ebr. 7,1-4) Di fronte a tali affermazioni c'è da rimanere perlomeno sbalorditi. Il messaggio che vuoi tramandare l'apostolo Paolo però è lampante. Dio sceglie il suo sacerdote al di sopra delle parti, delle leggi e delle convenienze sociali, ne fa un soggetto speciale al di fuori del tempo e dello spazio. Non si tratta comunque di una semplice figura simbolica; quel tipo di sacerdote è vivo, prototipo del nuovo sacerdote che, è Cristo. Le conseguenze si riversano perciò sul vecchio sistema sacerdotale. La classe dei Leviti, quella della legge mosaica, e superata. Abramo a suo tempo vide e onorò in Melchisedek la perfezione di Dio che si ergeva sopra ogni limite di appartenenza o imposizione legislativa. I leviti riscuotevano le decime di ogni guadagno in quanto esseri mortali; nel caso di Melchisedek, ancora prima che nascesse la classe sacerdotale1e riscuote uno di cui si attesta che vive." (Ebr. 6.8) Della dimora di Melchisedek l'apostolo Paolo non dice nulla ma resta il profondo mistero di questa figura senza genealogia ma vivente ed eterno (in senso reale) nel suo sacerdozio. Dai Vangeli abbiamo comunque una indicazione di come e dove viene esercitato il sacerdozio dallo stesso Gesù, divenuto nuovo sacerdote secondo la maniera di Melchisedek. Gesù risorto, dopo la discesa agli inferi, rivestito di gloria, ritorna al cielo in uno spazio che gli appartiene di diritto: "Gesù... fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio (Mc. 16,19). Luca negli "Atti degli Apostoli" dice qualcosa di più. Dopo ultime raccomandazioni ai suoi discepoli: " Gesù ... fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo, mentre egli se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro: "Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo." (Atti 1,9 ss.) La stessa cosa è ribadita dall'apostolo Giovanni: "Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il figlio dell'uomo che è disceso dal cielo."(Gv. 3,13 e 6,38) Sappiamo dai testi biblici già citati che le cose non stanno esattamente così ma è certo che www.ilcrocevia.it 71 il doppio percorso di discesa e salita con uno scopo salvifico appartiene solo a Cristo. Per concludere, l'epistola di S. Paolo agli Efesini in cui spiega il motivo di quel doppio movimento: "Ma che significa la parola ascese se non che prima discese quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose." (Ef. 4,9-10) Anche in questo caso viene citato un supercielo. Le domande continuano ad essere molte. Una risposta almeno balza evidente alla mente: nella coscienza intima dell'uomo giace una insopprimibile fede-speranza di spazi infiniti, e desiderio di ribellione ad una costrizione terrena che mortifica l'enorme voglia di libertà. Ma in primo luogo l’Infinito è dentro l'uomo, gli appartiene dalla notte dei tempi. In questo caso per inoltrarsi negli spazi sconfinati non occorre un carro di fuoco ma disposizione profonda alla meditazione. La fede, requisito per piacere a Dio, non è sorretta dai dogmi ma dalla ricerca continua e non sempre gratificante dei segnali divini. Dice ancora l'apostolo Paolo: "La fede è sostanza delle cose che si sperano e base per indagare quelle che non si vedono." (Ebr. 11,1) La speranza nutre l’indagine, e il dubbio tiene in vita la fede. Roma, 22/4/2005 Bruno P.B. www.ilcrocevia.it 72 L'AMBIVALENZA DEL SILENZIO (La parola e il silenzio) Quando Dio parla, ci ricorda il salmista, " la terra, sbigottita, tace." (Sal. 75,9) Oppure come dice Sofonia, se il Signore sta per emettere la sua definitiva sentenza: "Silenzio alla presenza del Signore Dio." (Sof 1,7) Nel trasmettere il suo messaggio Dio richiede silenzio e attenzione. Dopo tocca all'uomo diffondere correttamente la parola di Dio. Ma pare che da tempo immemorabile e fino ad oggi, sia in voga il gioco delle tre carte. La parola vincente di Dio resta molte volte intrappolata nelle mani di chi si assume per le strade del mondo il compito lucroso di trasmetterla e all'occorrenza, di travisarla o addomesticarla per fini personali o per interesse di gruppi privilegiati. A volte anche di tacerla. Oggi però siamo sommersi di messaggi. I mezzi di comunicazione rovesciano addosso agli ascoltatori milioni di parole inutili, fuorvianti, stupide e ipocrite. Tutti coloro che smerciano prodotti disparati, anche la felicità religiosa, non si chiedono se le parole possono toccare lo spirito o la mente di chi ascolta, ma solo se le parole possono sbalordire chi ascolta per indurlo con irrefrenabile curiosità a comprare. Anche le varie comunità di credenti, sempre con le migliori intenzioni, hanno fatto della predicazione uno strumento così ben lubrificato che le parole scorrono senza fermarsi sui reali problemi della gente. Già, la gente: ascolta migliaia di parole che sembrano tutte vere o verosimili ma non ha la possibilità di interloquire con chi parla o impone asetticamente il prodotto, vile o divino che sia. Di fronte a questa marea per molti non resta che l'isola del silenzio per una o più pause di riflessione. Come suggeriva Qoélet, c'è " un tempo per tacere e un tempo per parlare."(3,7) E comunque come avverte il Siracide non sempre il silenzio ha un valore contemplativo o di saggezza: "C'è chi tace ed è ritenuto saggio, e c'è chi è odiato per la sua loquacità. C'è chi tace perché non sa che cosa rispondere, e c'é chi tace perché conosce il momento propizio. L'uomo saggio sta zitto fino al momento opportuno. "(S ffi. 20,6-7) E a scanso di brutte figure aggiunge: "Meglio scivolare sul pavimento che con la Imigua."(Sir. 20,18) Questi www.ilcrocevia.it 73 consigli valevano a quel tempo e valgono ancora più oggi con l'inflazione della parola. Lo stordimento però è talmente forte che nessuno li ascolterebbe tanto sono lontani dagli interessi dei comunicatoci. Alla parola che dilaga quale silenzio come difesa? L'uomo, nella sua memoria più antica, porta impresse le diverse valenze del silenzio. Quando Caino offre a Dio i frutti della terra e il Signore mostra invece di gradire gli agnelli di suo fratello Abele, ci troviamo di fronte ad un primo esempio irritante e negativo di silenzio. Quello di Caino è un mutismo generato dalla depressione e dall'odio. '11 Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: 'Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene non dovrai forse tenere alzato il tuo volto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta." Pizzicato in questo modo Caino non risponde e incassa. Con una scusa invita in campagna il fratello e lo uccide. (Gen. 4,4 -7) Sempre drammatico ma carico di speranza il silenzio che accompagna Noé e la fine del diluvio. La veemenza delle acque ha cancellato la prepotente brutalità umana coinvolgendo anche le altre creature. Il silenzio aleggia intorno all'arca dei superstiti . dà uúà féritòià p òs-s-ibili sèg-ni es mi -senza avere spos Nóè scruta te ' di Vita ri ià. Manda più volte esploratori alati (corvo e colomba), in cerca di indizi vitali. La prima "parola" gli giunge sotto forma di un rametto di olivo riportato dalla colomba. E' una parola per gli occhi che, nella desolazione operata dal diluvio, vale come un grido lìberatorìo di gìoìa- (cfr. Gen. 8,10) Tra parola e silenzio ci sono somiglianze e connivenze. A questo proposito ancora la riflessione del Siracide: " ... Unica sia la tua parola. Sii pronto nell'ascoltare, lento nel proferire una risposta... Nel parlare ci può essere onore e disonore; la lingua dell'uomo è la sua rovina." (Sir. 5,11 ssg.) E dai Proverbi: "Se ti sei esaltato per stoltezza e se poi hai riflettuto, metti una mano sulla bocca... "(Prov. 30,32) Anche il silenzio si pone sullo stesso binario: può passare dalla saggezza e dalla riflessione alla vigliaccheria e all'indifferenza. Nei momenti più tragici della storia un certo tipo dì silenzio sia ìn alto (Dio) che ìn basso (crudeltà umana), è sinonimo dì sofferenza senza senso. La metafisica si dissocia dalla realtà fisica. Ognuno va per la sua strada in attesa di un ipotetico "poi" sempre in ritardo sui disastri. Può anche essere che i disegni di chi sta in www.ilcrocevia.it 74 alto abbiano un senso, ma la parte più debole è costretta solo a subire la sofferenza. Se però l'uomo accetta di essere responsabile dei suoi silenzi nocivi spunta allora un'altra considerazione, vale a dire il confronto tra chi infligge un male e chi lo assume per rivelarne tutta la nauseante crudeltà e metterlo all'angolo. La Bibbia ha dei passi significativi a questo proposito anche se c'è subito da aggiungere che l'uomo, essendo di dura cervice, non si accontenta mai di un esempio solo. Da Isaia parole pregnanti sul "servo di Dio": Non ha apparenza ne bellezza per attirare i nostri sguardi... Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori... per le sue piaghe noi siamo stati guariti. "(Is. 53,2-5) Questa citazione ci porta a considerare la figura di Gesù di Nazaret e la narrazione, tra parole scarne e silenzio di morte, della sua passione. Così Matteo: "Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre, Gesù grido a gran voce: 'Elì,Elì, lama sabactàni', che significa :'Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? Udendo questo alcuni dei presenti dicevano: 'Costui chiama Elia.' E subito uno di loro corse a prendere una spugna e imbevutala di aceto la fissò su una canna e così gli dava da bere. Altri dicev-ano:'Lascia vediamo se viene Elia a salvarlo.' E Gesù emesso un alto grido spirò. "(Mat. 27,45-5 0) Poi, nel muto stupore di questa morte ingiusta, "il velo del Tempio si squarciò m due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono..."(Mat. 27,51-52) Incisiva descrizione: c'è l'abbandono di riferimenti sicuri (Dio), la terra che si ribella e gli uomini in preda all'ignoranza e alla stupidità. Aleggia un forte pathos nel fissare 1'attìíno in cui il silenzio, complice la morte. si libera con violenza della parola. Come sottofondo solo commenti senza senso. Eppure, prima di questo drammatico epilogo, le intenzioni erano ottime e ben suffragate dall'alto. Parole brevi e fatti concreti: '11 vostro parlare sia sì, sì; no,no; il di più viene dal maligno."( Mat. 5,37) infatti: "Non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del padre mio."(Mat. 7,21). A chi verrà consegnato questo regno? "Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio." (Lc-. 6,20) 1 molteplici rimandi evangelici su questo t~ pur non escludendo altri destinatari, lasciano intendere che l'ostentazione della ricchezza costituisce un grave ostacolo per entrare nel regno del Padre. Nelle vicende umane il possesso dei beni da forza alla parola di chi è ricco. Chi non ha nulla difficilmente sarà ascoltato. Il consiglio migliore è che stia zitto. Se mai si potrà rifare www.ilcrocevia.it 75 più avanti nel Regno preannunciato. Queste considerazioni ci riportano alle riflessioni iniziali sull'uso disinvolto delle ricchezze da parte di alcuni responsabili di spicco nelle comunità religiose. Esistono momenti rituali talmente impregnati di esibizione -che inducano molti credenti all'esaltazione euforica di una fede fatta di colori, grida di giubilo, emozioni facili, abbondanza, e illusione di una anticipazione dì beatitudine totale. La cosa sarebbe anche accettabile se di fronte non ci fosse il grido enorme della povertà a cui, mentre sta per esplodere, viene sempre messa la sordina mediante la beneficenza a scadenze cicliche. Questo si verifica in quei particolari momenti pseudo rituali quando enormi lavatrici mistiche sciacquano le coscienze. E gli occhi dell'anima, ripuliti da sedimenti di avida cisposità, finalmente vedono e costringono le mani a versare qualche moneta sui poveri affinché il loro urlo non si alzi mai a svegliare il nascosto terrore dei ricchi di perdere tutto. (Non sempre però la manovra riesce.) Ci sono due modi di essere chiesa, ( tra le varie confessioni), e pur essendo unica la sposa di Cristo, da una parte continuano cortei di gerarchia paludata e titolata che parla e predica ad effetto e dall'altra processioni di individui privati di tutto, anche della voce. Prevale una chiesa potente che si autopromuove, che indaga -anche volentieri sui poveri e sulla povertà ma senza disturbare il mondo della ricchezza_ Civorrebbe più coraggio e trasformare il silenzio repressivo o elusivo in poche parole significative e in fatti liberatori. In fondo la figura del servo di Jùvhé, esaltata dalla testimonianza di Cristo, costituisce l'esempio concreto da seguire. Chi veste di porpora e seta ha ben poco o niente da spartire per esempio con un abbé Pìerre, una Madre Teresa, o una piccola Sorella. Per fortuna esistono queste figure speciali, molto spesso sconosciute, che nel silenzio, con il loro impegno, forniscono energia alla parola e alla -solidarietà. Prendersi carico di una situazione disastrata per ridare senso alla dignità umana. Ad ogni sofferenza deve corrispondere un forte gesto d'amore. BiBi Roma, 19112/2005 www.ilcrocevia.it 76 ANNO 587 A.C. (Muro fragile) Il mistero di un muro che si frappone fra l'uomo e il suo mondo interiore, fra una comunità e il suo riferimento divino, viene espresso in modo vivace e senza veli dalle visioni profetiche di Ezechiele: un visionario dai colori ora cupi (collera di Dio) ora brillanti (la potenza divina). Il profeta è già in esilio e sulle rive del canale di Chébar (Babilonia) vede scorrere le immagini di una Gerusalemme malata e decadente. Nel criticare il comportamento scorretto dei suoi conterranei verso Dio Ezechiele lancia a tutti e a ciascuno una visione introspettiva di notevole potenza. Nei primi capitoli l'enorme forza divina viene descritta con fantastiche esplosioni di luce e di fuoco, con riverberi di immensi getti luminosi verso la terra. Una enorme calotta fra nubi e lampi di energia sovrasta il tempio. Ma a parte Ezechiele, i bagliori e i rumori prolungati di tuono (la gloria di Dio), di quella che oggi qualcuno potrebbe scambiare per una enorme astronave aliena con relativa flotta di mezzi di collegamento con la terra, a suo tempo non incantava nessuno. E perché? Anche allora, inconsciamente, prevaleva la paura che la luce mettesse troppo in evidenza tutte le debolezze sorrette dalle false ma gratificanti superstizioni. Il tempio (ritenuto magicamente indistruttibile) era invaso dagli idoli stranieri; parte del popolo già in esilio e Gerusalemme ad un passo dalla distruzione totale.. Molti preferivano chiudere gli occhi e affidarsi all'illusione di più domestiche e ingannevoli risorse. Nei pressi del tempio spopolava l'idolo della gelosia (un groviglio di malizie e odio):agli umani provocava invidia e ostilità e su Dio gettava ombre di ridicolo discredito. Come frantumare questa barriera che inibiva l'amore e l'intesa da ambo le parti? Lo spirito divino solleva per i capelli Ezechiele e lo trasporta verso il tempio e là, presso l'idolo della gelosia, gli indica un muro con una breccia. Per capire, *per scoprire cosa si nasconda oltre il muro, il profeta deve completarne l'abbattimento. Le barriere artificiose e ambigue vanno eliminate. Il consiglio dello spirito: "Figlio dell'uomo, sfonda la parete."(Ez.8,8) Operazione non difficile: l'effimero si sgretola facilmente:"Sfondai la parete ed ecco apparve una porta. Mi disse : 'entra e osserva...' Io entrai e vidi ogni sorta di rettili e di animali,... e idoli raffigurati intorno alle pareti."( Ez. 8.8-10) www.ilcrocevia.it 77 Eliminato il muro la porta d'ingresso non da alcun problema; chi entra in contatto con le presenze di quella stanza si sente ingenuamente al sicuro: in primo luogo ogni anima affida a quelle pareti tutto ciò che non vuole manifestare all'esterno; ci sono debolezze, tradimenti,istinti aggresivi e di vendetta, progetti di violenza e rivalsa che riposino in attesa del loro momento su uno strato misto di cinismo e malessere che tutto avvolge in un torpore insano.L'altro motivo di sicurezza è garantito dalla prese'wà sacerdotale. Ecco "Settanta anziani, ognuno con un turibolo, da cui un profumo saliva in nubi di incenso "(Ez. 8,11). Dovunque si annida una debolezza fiorisce una sacra presenza con relativi sacri appetiti. Abbattere il muro non serve. Ogni idolo ha bisogno del suo servizievole sacerdote. Accampando suggerimenti divini il muro verrebbe subito ricostruito. Molteplici ombre sacre danno più illusioni consolatorie di un Dio che dialoga senza inganni con le sue creature. Ma la falsità non può averla vinta e dovrà cedere alla Verità. Vivere costantemente nell'inganno rende però difficile capire quale sia la verità. Come si fa a rinsavire? Che prevede Ezechiele come rimedio divino? Tremenda la visione simbolico-cannibalesca per cui, coloro che confidano nell'impunità delle magie scellerate del tempio, diverranno ingredienti per una cucina orribile. Così dice Dio al profeta: "Metti su la pentola,/ e versaci l'acqua./Getta dentro i pezzi di carne,/tutti i pezzi buoni,/la coscia e la spalla,/ e riempila di pezzi scelti; prendi il meglio del gregge. Mettici sotto la legna/ e falla bollire molto.../ fa consumare la carne,/ riducila in poltiglia/ e le ossa siano riarse..." (Ez. 24,3-5). Difficile sradicare il vizio dell'empietà. Nessuno rinuncia spontaneamente a distruggere il muro eretto a protezione del proprio dio. Questo è un avvenimento che solo il tempo realizza facendo crollare le vecchie superstizioni, con dolorose purificazioni imposte dall'esterno. Il guaio è che la lezione viene presto rimossa. Si presenta sempre qualcuno che, in nome di dio, vuole di nuovo smerciare un po' di beata sacralità a prezzi di concorrenza. E i compratori non mancano mai. BiBi Roma, 20/4/2007 www.ilcrocevia.it