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SESSIONE
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
COM-01
VALIDAZIONE DI UN ALGORITMO PER LA VALUTAZIONE
DEI RISCHI DA ESPOSIZIONE A PESTICIDI MEDIANTE DATI
DI MONITORAGGIO AMBIENTALE
N. Miraglia1*, A. Simonelli1, P. Basilicata2, G. Genovese1,
A. Acampora2, N. Sannolo1
1Dipartimento di Medicina Sperimentale - Sezione di Medicina del Lavoro,
Igiene e Tossicologia Industriale, Seconda Università degli Studi, Napoli
2Dipartimento di Medicina Pubblica e della Sicurezza Sociale,
Università degli Studi “Federico II”, Napoli
Corrispondenza: Nadia Miraglia, Dipartimento di Medicina
Sperimentale - Sezione di Medicina del Lavoro, Igiene e Tossicologia
Industriale, Seconda Università degli Studi di Napoli, Via L. De Crecchio.
80138, Napoli, e-mail: [email protected], tel: 0817463470/71 3476740980
RIASSUNTO. La stima dei rischi connessi con l’esposizione professionale a sostanze pericolose può essere effettuata o mediante dati analitici provenienti da campagne di monitoraggio ambientale e/o biologico
o mediante modelli e algoritmi matematici, spesso ritenuti economicamente più convenienti; tuttavia, per accertarsi dell’affidabilità del responso fornito dagli algoritmi circa l’entità dei rischi a cui ciascun lavoratore è esposto, è necessario validare i modelli usufruendo di dati oggettivi di monitoraggio.
È stato elaborato un modello predittivo per la stima dei rischi connessi con l’esposizione a pesticidi in ambito agricolo e, per valicare il
modello, sono state esaminate 20 aziende agricole adibite alla coltivazione del pomodoro: in ciascuna azienda, sono state compilate schede
che raccogliessero le informazioni necessarie per la stima del rischio
mediante l’algoritmo elaborato e, allo stesso tempo, è stato condotto
un monitoraggio ambientale per valutare l’esposizione inalatoria e cutanea e poter, quindi, calcolare un rischio potenziale relativo a dati oggettivi di monitoraggio, mediante il confronto tra i risultati analitici
con i valori di ADI (Admissible Daily Intake) per ciascun pesticida. Il
responso fornito dal modello è stato quindi comparato con il rischio
potenziale. Nell’85.6% dei casi, il rischio calcolato in base al modello
o ai dati concorda, mostrando la sostanziale affidabilità del modello
proposto.
Parole chiave: pesticidi - esposizione cutanea - validazione algoritmo
ALGORITHM
VALIDATION FOR PESTICIDE EXPOSURE RISK EVALUATION BY
ENVIRONMENTAL MONITORING DATA
ABSTRACT. The risk evaluation related to the occupational
exposure to hazardous substances can be performed either by analytical
data coming from environmental and/or biological monitoring or by
using models and mathematical algorithms. Models are often considered
economically more advantageous, nevertheless, in order to assure their
reliability, they need to be validated by objective monitoring data.
A predictive model for the evaluation of risks due to the exposure to
pesticides in agriculture was elaborated, and, for model validations, 20
tomato farms were examined.
For each farm, information necessary to the risk evaluation by using
the elaborated algorithm were collected and, simultaneously, an
environmental monitoring for the evaluation of inhaling and cutaneous
exposure was carried out. The potential risk was estimated by comparing
analytical data from environmental monitoring with respect to ADI
(Admissible Daily Intake) values, for each investigated pesticide. Then,
the accordance between the potential risk and the risk given by the
elaborated model was evaluated and an agreement of 85.6% was found,
showing a substantial reliability of the proposed model.
Key words: pesticides - cutaneous exposure - algorithm validation
367
INTRODUZIONE
Parte integrante del processo di valutazione dei rischi introdotto dal
D. Lgs. 626/94 e successive modifiche e integrazioni è la stima dell’esposizione dei lavoratori a sostanze pericolose. Questa può essere effettuata o mediante opportuni modelli e algoritmi matematici o mediante dati analitici provenienti da campagne di monitoraggio ambientale e/o biologico. I modelli permettono di valutare il rischio in relazione alle proprietà tossicologiche del fitofarmaco (pericolo intrinseco) e
in funzione dell’esposizione dei lavoratori, ovviando, in tal modo, alle
difficoltà connesse con l’effettuazione di costose e complesse indagini
di monitoraggio, spesso ritenute gravose soprattutto per le piccole e medie imprese. Per accertarsi, tuttavia, dell’affidabilità del responso fornito dagli algoritmi circa l’entità dei rischi a cui ciascun lavoratore è
esposto, è necessario validare i modelli usufruendo di dati oggettivi di
monitoraggio (1-4).
In quest’ambito, è stato innanzitutto elaborato un modello predittivo
finalizzato alla stima dei rischi connessi con l’esposizione a pesticidi in
ambiente agricolo; successivamente, allo scopo di validare il modello, sono state prese in esame 20 aziende agricole: per ciascuna azienda, sono
state compilate schede che raccogliessero le informazioni necessarie per
la stima del rischio mediante l’algoritmo elaborato e, allo stesso tempo, è
stato condotto un monitoraggio ambientale per valutare l’esposizione cutanea e inalatoria attraverso dati analitici. Il confronto fra la stima del rischio fornita dal modello e quella basata sui dati di monitoraggio consente di valutare l’affidabilità del modello proposto.
METODI
Algoritmo. Il modello predittivo elaborato per la stima dei rischi connessi con l’esposizione a pesticidi distingue innanzitutto le diverse mansioni svolte in ambito agricolo: miscelazione/carico delle sostanze, applicazione dei pesticidi su campo, rientro in campi precedentemente trattati
(solo se effettuato entro 48 ore dal trattamento con fitofarmaci). Per ogni
mansione, l’esposizione (cutanea e inalatoria) è stata espressa in funzione di diverse variabili: concentrazione del principio attivo adoperato, formulato, frequenza e tecnica con cui si esegue l’operazione (miscelazione); macchinari utilizzati, tempo impiegato, dose di fitofarmaco applicata (applicazione); tipo di operazioni svolte, densità e altezza della coltura, tempo di permanenza in campi trattati (rientro). A ciascun valore delle variabili è stato attribuito un indice numerico che, moltiplicato per appropriati coefficienti, connessi con i dispositivi di protezione adoperati,
consente di calcolare l’esposizione. Il rischio viene valutato associando il
valore di esposizione alla pericolosità intrinseca delle sostanze, secondo
una griglia costituita orizzontalmente dalle classi di pericolosità (assegnate in base alle frasi di rischio associate ad ogni formulato) e verticalmente dalle classi di esposizione; ciascuna cella della griglia riporta il
profilo di rischio stimato, definito da lettere variabili nell’intervallo A
(basso rischio) - I (alto rischio).
Monitoraggio ambientale. L’indagine di monitoraggio è stata condotta presso 20 aziende agricole del Sud Italia, adibite alla coltivazione
del pomodoro. Per valutare l’esposizione cutanea, a ciascun operatore,
prima del trattamento, sono stati applicati, al di sotto dei vestiti, otto pads
7x7 cm2 in carta da filtro e 1pad 4x4 cm2 sul viso; tre pads sono stati,
inoltre, posizionati al di sopra degli indumenti. Un sistema combinato di
captazione (filtri in PTFE 2 µm 37 mm, resine XAD-2) collegato ad una
pompa aspirante con un flusso di 2 L/min è stato adoperato per valutare
l’esposizione inalatoria. Previa estrazione degli analiti dalla matrice ambientale, ciascun campione è stato analizzato mediante GC/MS-SIM (Selected Ion Monitoring). I dati analitici così ottenuti consentono di calcolare la dose respiratoria e l’esposizione dermica dei soggetti indagati; è
stato, quindi, stimato il rischio potenziale, confrontando la dose respiratoria e l’esposizione dermica misurate con i valori di ADI (Admissible
Daily Intake) per ciascun pesticida: per valori molto minori dell’ADI si è
considerato un rischio effettivamente basso; per valori prossimi all’ADI,
medio; maggiori dell’ADI, alto.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Monitoraggio ambientale. Nell’ambito delle 20 aziende coinvolte
nell’indagine di monitoraggio ambientale, operano 35 soggetti, esposti a
fitofarmaci di diversa natura: metalaxyl, dimethoate, hexaconazole, tolylfluanid, cyhalothrin, cypermethrin, fenbutatin oxide, dimethomorph, abamectin, hexythiazox, propargite, chlorpyriphos methyl, chlorpyriphos,
cymoxanil.
368
Le quantità di ciascun fitofarmaco ritrovate nei campioni analizzati ovviamente variano in intervalli molto ampi a seconda delle sostanze
considerate (adoperate in quantità differenti) e del soggetto indagato;
tuttavia, in linea generale, sono state ritrovate sui pads quantità di fitofarmaco sempre maggiori di quelle presenti in fiale e membrane, a conferma che la via di esposizione preferenziale, in campo agricolo, è quella cutanea.
Il confronto tra le quantità di fitofarmaco ritrovate sui pads posti
sopra e sotto gli indumenti nella stessa zona anatomica (torace anteriore, torace posteriore, coscia) ha rivelato che la cute, se coperta anche da semplici indumenti e non da specifici dispositivi di protezione
individuale, è meno esposta a fitofarmaci, suggerendo che gli indumenti stessi possano fungere da protezione. L’ipotesi è stata avvalorata calcolando, per 158 analisi, un fattore di protezione dato dagli indumenti: in 104 casi il fattore è risultato del 100% (il fitofarmaco esaminato, ritrovato sui pads posti al di sopra dell’indumento è invece assente sul pad posto al di sotto) mentre nei rimanenti 54 casi il fattore
di protezione variava dal 70,9 al 99,8% con una deviazione standard di
3,6. È da notare, inoltre, che il fattore di protezione più basso, pari a
70.9%, è relativo all’analisi di un campione in cui l’operatore indossava un maglione di lana, la cui trama è meno fitta rispetto alle maglie in
cotone indossate dalla maggior parte degli altri operatori, suggerendo
che anche il tipo di tessuto degli indumenti indossati influenzi l’esposizione cutanea dell’operatore.
Validazione. Il confronto tra il rischio potenziale calcolato in base ai
dati di monitoraggio e il profilo di rischio fornito dal modello, inizialmente elaborato senza considerare l’influenza del tipo di indumento indossato, mostrava una concordanza pari solo al 50.6%.
In base a quanto osservato, l’algoritmo per la stima dell’esposizione
cutanea a fitofarmaci è stato modificato, inserendo il tipo di indumento
indossato come fattore moltiplicativo. I risultati ottenuti in tal modo mostrano una sostanziale concordanza tra rischio potenziale e profilo di rischio, complessivamente pari all’86%.
I motivi di discordanza sono stati attribuiti, in alcuni casi specifici,
a fattori accidentali verificatisi nei giorni di campionamento, che hanno
determinato dati di monitoraggio di fatto non confrontabili con un profilo di rischio di generale validità; in altri casi invece, la discordanza è
dipesa dalle modalità con cui è stato condotto il confronto tra rischio
potenziale e responso del modello. Infatti, i valori di ADI riguardano i
singoli principi attivi, mentre le frasi di rischio adoperate nel modello
per assegnare la pericolosità devono essere connesse col formulato adoperato: nei casi in cui un pesticida di per sé poco pericoloso è contenuto in formulati che, allo stesso tempo, contengono altre sostanze ad elevata pericolosità, la frase di rischio associata al formulato sarà elevata
e di conseguenza il profilo di rischio fornito dal modello risulta elevato, mentre il rischio potenziale, poiché è stimato in base allo specifico
pesticida in questione, risulta basso. Alcune discrepanze, infine, sono
state riscontrate nei casi in cui il valore di esposizione calcolato dal modello è prossimo ai limiti degli intervalli definiti per ciascuna classe di
esposizione.
Complessivamente, i risultati ottenuti, da un lato, suggeriscono
un’ulteriore elaborazione della griglia di stima del rischio, dall’altro, mostrano la sostanziale affidabilità del modello proposto per la stima dei rischi connessi con l’esposizione a pesticidi.
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COM-02
CARATTERIZZAZIONE DEI RISCHI E PROPOSTA DI LIMITI
PER ESPOSIZIONE AD AGENTI CHIMICI IN AMBITO INDOOR:
IL PROGETTO EUROPEO INDEX
P. Carrer1, C. Schlitt2, K. Koistinen3, S. Kephalopoulos3, M. Jantunen4,
D. Kotzias3
1
Dipartimento di Medicina del Lavoro, sez. Ospedale Luigi Sacco,
Università degli Studi di Milano
2 U.O. ICPS, Ospedale Luigi Sacco, Milano
3 European Commission, Joint Research Centre, Institute for Health and
Consumer Protection, Ispra
4 KTL, Department of Environmental Hygiene, Kuopio, Finlandia
RIASSUNTO. Il progetto INDEX (Critical Appraisal of the Setting
and Implementation of Indoor Exposure Limits in the EU) è stato promosso dalla DG SANCO della Unione Europea e coordinato dal Centro
di Ricerca Europeo di Ispra, in collaborazione con un comitato di esperti
europei in materia di inquinamento dell’aria indoor. Scopo principale del
progetto è stato quello di definire le priorità per una strategia comunitaria di prevenzione dei rischi dell’inquinamento dell’aria degli ambienti
indoor. Sono stati oggetto di una prima valutazione 14 composti chimici.
Sulla base della caratterizzazione dei rischi è stata stilata una lista di 5
composti considerati prioritari ai fini di una regolamentazione: formaldeide, monossido di carbonio, ossidi di azoto, benzene e naftalene. Per
ognuno di questi composti sono state suggerite misure preventive e proposti limiti di esposizione.
Parole chiave: valori limiti indoor, valutazione del rischio
RISK
CHARACTERIZATION AND PROPOSAL OF EXPOSURE THRESHOLDS TO
INDOOR CHEMICAL AGENTS: THE INDEX
EUROPEAN PROJECT
ABSTRACT. The European INDEX project was finalised to identify
priorities and to assess the needs for an European Community strategy
and action plan in the area of indoor air pollution. A list of 5 chemicals,
with potential of high indoor concentrations, uncontested health impacts,
and effective risk management, were selected to be regulated with
priority: Formaldehyde, Carbon Monoxide, Nitrogen Dioxide, Benzene
and Naphtalene. For each compound, guideline values and management
options were suggested.
Key words: indoor exposure limits, risk characterization
1. INTRODUCTION
Air quality may cause adverse health effects in large populations,
both in developed and developing countries. In the last years indoor air
pollution has been recognized as an emerging environmental health issue,
since people spend typically about 90% of their time indoors (Carrer et
al. 2000, Jantunen et al. 1999, WHO 2006). People are exposed to a
variety of pollutants with known health effects, which are emitted not
only from outdoor sources but they can also have their sources in the
indoor environment. The basic right for, and importance of, healthy
indoor air has been emphasized also by the World Health Organization
(WHO, 2000). While the air quality guidelines and standards are widely
used in outdoor air quality management, systematic science-based
approaches for indoor air quality are lacking. Management of indoor air
quality requires different approaches to those applicable to outdoor air.
Therefore, guidelines for indoor air quality management are needed.
(WHO, 2006). To be able to develop these guidelines for the pollutants
that pose the highest health risks, critical health risk assessment and
prioritisation of the pollutants is necessary.
The INDEX project was funded by the European Commission DG
SANCO and JRC and was coordinated by the JRC in collaboration with
a Steering Committee of leading European experts in the area of indoor
air pollution (Kotzias D. et al. 2005). The project was given the
assignment to identify priorities and to assess the needs for a Community
strategy and action plan in the area of indoor air pollution by: (1) setting
up a list of compounds to be regulated in indoor environments with
priority on the basis of health impact criteria, (2) providing suggestions
and recommendations on potential exposure limits for these compounds,
and (3) providing information on links with existing knowledge, ongoing
studies, legislation, etc. at world scale.
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2. METHODS
The main steps followed in the project were: 1) literature review; 2)
setting up criteria to select compounds; 3) risk assessment and
prioritisation of the selected compounds; and 4) recommendations and
risk management options on potential exposure limits.
Literature review
A literature review was carried out to collect information about
candidate pollutants to be assessed in the later stages of the project. The
scientific literature of the indoor air pollutants was reviewed by using
several search engines in the internet and by searching from the relevant
journals. The main focus of the review was on recent population-based
studies to be able to evaluate current population exposures to selected
pollutants in Europe. Based on the literature review, “a long list” of 41
compounds was created meeting the selection criteria. Finally, the output
of the literature review was used as an input for the next steps of the risk
assessment.
The selection criteria of the compounds to be included in the risk analysis
The steering committee defined the following criteria for the
selection of the pollutants for risk analysis: 1. Only single compounds
were considered; 2. The compound should have strong indoor sources,
which determine the exposure of significant fraction of the population; 3.
The compound should have known health effects.
It was also decided that compounds, which have been regulated by
specific guidelines or regulations would be excluded from these analyses.
For example, radon and tobacco smoke were excluded from the risk
assessment process due to the aforementioned criteria.
In the second phase of the selection process, the reviewed data were
assessed and more detailed information for the previously selected
compounds was collected if available. In this phase about 20-25
compounds were to be selected for further analysis. More compounds
were excluded using the following criteria: No expressed concerns for
health at present levels (for example acetone, decane, ethylbenzene,
phenol, propylbenzene, trimethylbenzene); Compound already regulated
by use restrictions for indoor materials (pentachlorophenol); Incomplete
or no dose-response data available at present levels (methyl-ethyl-ketone,
propionaldehyde), and Main route/media for the exposure to the
compound in question is other than indoor air (lead, mercury).
After detailed review and discussion of the available information, 25
compounds were selected for more detailed risk analyses.
Risk Characterization
According to EC Directive 93/67/EEC (EEC, 1993) formal risk
assessment was performed by four steps, which are defined as ‘hazard
identification’, ‘dose (concentration) - response (effect) assessment’,
‘exposure assessment’ and ‘risk characterization’.
Hazard Identification - The hazard identification of the indoor air
pollutants was assessed combining the information of the prevalence of
pollutants in European homes with the available knowledge of adverse
health effects that these compounds had been linked to in toxicological or
epidemiological studies. If a compound was present in the indoor air and
it has shown adverse health effects, it was considered as a potential
hazard to European populations and was thus included in the risk
assessment process.
Dose-Response Assessment - Information was retrieved from
scientific literature, comprehensive toxicological reviews of leading
health organizations, risk evaluation documents and available databases.
In addition, Toxline and Medline were searched for relevant scientific
communications. Nearly all key-studies referred to in the present
assessment establishing effect levels for appropriate toxicological
endpoints, were those selected by health organizations for the derivation
of health based limits of exposure or among risk assessment
requirements. Key-studies were summarised treating effects of shortand long-term exposure. One-page fact sheets resuming the most
relevant toxicological properties were created for each compound. Also
key-study tables were written, where the reported concentration
measures (average, adjusted etc.) were assigned to health-effect levels
(NOAELs and LOAELs), stating on whether occupational average
levels or experimental concentrations were quoted or identifying the
extrapolation process applied for the given value. Where relevant,
studies conducted on susceptible sub-populations (e.g. asthmatics,
369
infants, children, pregnant etc.) were quoted and taken into
consideration in the risk characterization.
Exposure Assessment - Exposure to selected indoor air pollutants
was evaluated by collecting exposure data from scientific literature and
from available databases. The aim of this work was to summarise
prevailing indoor air and personal exposure concentrations of these
compounds in European populations. These reviews were mainly focused
on indoor air and exposure concentrations measured recently in European
population based studies such as EXPOLIS (Bruinen de Briun et al.,
2004; Jantunen et al., 1999), German Environmental Surveys, GerES,
(Seifert et al., 2000), the German study on Indoor Factors and Genetics in
Asthma, INGA (Schneider et al., 2001), and a national survey of air
pollutants in English homes (Raw et al., 2002). Also results of the French
National Survey (Golliot et al., 2003) were available during the project.
Comparisons have been done with regard to the TEAM (Wallace et al.,
1991) and the NHEXAS (Sexton et al., 1995) studies carried out in the
USA. Results from population-based studies were used to be able to
generalise the results from studied individuals to larger populations,
targeting to get a picture of indoor exposures all over Europe.
Risk Characterization - In the final step of the general risk
assessment process, the incidence of health hazards and risks in the
European populations, associated with indoor exposure to individual
compounds, was evaluated. For all compounds threshold-level of action
could be identified, enabling a “no-observed-adverseeffect level
(NOAEL)/assessment factor (AF)” approach, i.e., EL derived by dividing
the critical effect level by the AF, with the AF based on appropriate
scientific evidence. Where no NOAEL observation was documented, a
lowest-observed-adverse-effect level (LOAEL) was taken into
consideration and an additional assessment factor of 10 used for EL
derivation. For one compound only (benzene) the characterization was
based on the evaluation of risk for cancer for the entire population than on
EL. Susceptible subpopulations considered in the present characterization
were: asthmatic individuals, infants, children, individuals with heart
diseases, individuals with (hereditary) enzyme deficiencies, pregnant
women.
3. RESULTS AND DISCUSSION
On the basis of the available information the Steering Committee
decided to include into a detailed assessment 14 compounds (out of initial
41 candidate compounds). Finally a list of compounds, consisting of 5
chemicals, with potential of high indoor concentrations and uncontested
health impacts were selected to be regulated with priority. For each
selected compound, guideline values and management options were
suggested, as reported below.
High priority pollutants
Formaldehyde: Proposed guideline value concerning noncarcinogenic effects is 30 µg/m3. Based on IARC revision of
formaldehyde carcinogenicity, the expert group in the current study
recommended a guideline value, which should be as low as reasonably
achievable. Management options include restrict emissions of
formaldehyde from building products, furnishings and household/office
chemicals, and discourage the use of formaldehyde containing
products.
Carbon Monoxide: Proposed guideline values are 10 mg/m3 (8-hour)
and 30 mg/m3 (1-hour). Management options are to connect each
combustion equipment /appliance to chimney or vented hood, to ensure
sufficient local extract ventilation in kitchens with gas stove, mandatory
inspection and maintenance of indoor combustion devices, and CO alarm
systems responding to abnormally high concentrations (e.g. 50 mg/m3).
Nitrogen Dioxide: Proposed guideline values are 40 µg/m3 (1-week)
and 200 µg/m3 (1-hour). Management options are to connect each indoor
combustion device/appliance to chimney or vented hood, and to ensure
sufficient local extract ventilation in kitchens with gas stove.
Benzene: As benzene is a carcinogen therefore its indoor air
concentration should be kept as low as reasonably achievable and not
exceed outdoor concentrations. Management options are to ban benzene
sources indoors, and lower the permissible benzene content in any
building material and consumer product.
Naphthalene: Proposed long term guideline value is 10 µg/m3.
Management option is to restrict the use of naphthalene containing
household products, particularly mothballs.
370
Low priority pollutants
Specific management options should be defined when more
information on sources, human exposure and health effects will become
available for the following compounds:
Acetaldehyde: Not found to be a priority compound at present,
because inhalation exposure levels were much lower than the health
effect levels. Should new information about sources, concentrations or
health effects emerge, this could change the situation.
Xylenes, and Toluene: Not found to be a priority compound at
present, because inhalation exposure levels were much lower than the
health effect levels. Should new information about sources,
concentrations or health effects emerge, this could change the situation.
Styrene: A long term guideline value of 200 µg/m3 is recommended
based on neurobehavioral effects. Styrene has also been discussed for a
possible mutagenic and/or carcinogenic effect, but the evidence is so far
inconclusive.
Pollutants requiring further research with regard to human exposure
or dose response
Specific management options could not be defined for these
compounds, but they should be defined
when more information on sources, human exposure and health
effects will become available.
Ammonia: A long term guideline value of 70 µg/m3 and a short term
guideline value of 100 µg/m3 were recommended based on respiratory
effects.
d-Limonene: There are insufficient toxicological data available to
recommend a guideline value. Interaction with ozone causing
biologically active products is suspected. Considering its widespread use
such data should be made available. The odour threshold is 1-2 µg/m3.
a-Pinene: There are insufficient toxicological data available to
recommend a guideline value. Interaction with ozone causing
biologically active products is suspected. Considering its widespread use
such data should be made available.
Recommendations and management options
In addition to specific recommendations reported below, the
following general recommendations and management options apply to
most or many indoor air contaminants in the high and low priority lists:
Use appropriate ventilation practices based on the well defined standards
for indoor environments according to the recommendations of the
relevant professional organizations; Ban tobacco smoking in all indoor
spaces under public jurisdiction. Raise public awareness on the hazards
of tobacco smoke, and discourage smoking in private residences,
particularly in the presence of children; Develop building codes to restrict
the construction of attached garages, and to isolate the garages from
living and working quarters (closing the doorways, sealing the structures
and ensuring proper air pressure difference between garage and other
indoor spaces).
4. CONCLUSIONS
On the basis of knowledge and data available right now, it is evident
that some pollutants present at prevailing concentration levels indoors
might pose health risks to large populations in Europe. The results of the
INDEX project provide guidance for policy makers about indoor air
pollutants that should be regulated and gives recommendations how to
manage their risks.
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COM-03
ACKNOWLEDGEMENTS
The INDEX project was funded by the European Commission (DG
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INDEX.
MODELLO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA AGENTI CHIMICI
(D. LGS. 25/2002) APPLICATO IN 19 AZIENDE CHIMICHE
DELLA PROVINCIA DI BERGAMO
REFERENCES
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Carrer P., Maroni M., Alcini D., Cavallo D., Fustinoni S., Lovato L.,
Visigalli F. (2000): Assessment through environmental and biological
measurements of total daily exposure to volatile organic compounds
of office workers in Milan, Italy. Indoor Air, 10: 258-268.
M. Santini, P. Leghissa, M.M. Riva, G.L. Rosso, G. Deleidi, G. Mosconi
Unità Operativa Ospedaliera Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera
Ospedali Riuniti di Bergamo, Bergamo
Corrispondenza: Dott.ssa Marisa Santini, Unità Operativa Ospedaliera
Medicina del Lavoro-Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo,
Largo Barozzi, 1 24126 Bergamo, Tel 035/269190 [email protected]
RIASSUNTO. L’obiettivo del presente lavoro è di descrivere il modello di valutazione del rischio da agenti chimici, in applicazione del
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D.Lgs 25/2002, progettato dalla U.O.O.M.L degli Ospedali Riuniti di
Bergamo in collaborazione con il Gruppo Industriali Chimici dell’Unione Industriali della provincia di Bergamo e applicato in 19 Aziende Chimiche della provincia di Bergamo. Alla progettazione del modello si è
posto, come scopo principale, la razionalizzazione delle procedure adottate dalle aziende sia per monitorare i livelli di esposizione, sia per valutare le diverse tipologie di rischio connesso all’uso ed alla manipolazione di sostanze chimiche, al fine di ottimizzare il rapporto tra l’impegno per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori e l’impiego
di risorse.
Parole chiave: rischio chimico, D.L. 25/2002, valutazione del rischio
MODEL OF CHEMICAL RISK ASSESSMENT (D.L 25/2002), APPLIED IN 19
CHEMICAL INDUSTRIES OF THE PROVINCE OF BERGAMO
ABSTRACT. The aim of this work is to describe a model for the
evaluation of chemical risk, according to the legislative decree 25/2002,
planned by U.O.O.M.L. “Ospedali Riuniti di Bergamo”, in collaboration
with “Gruppo Industriali Chimici dell’Unione Industriali-Provincia di
Bergamo” and applied in 19 Chemical Industries of the Province of
Bergamo.
The objective of the model is the rationalization of the procedures to
ponder the levels of exposure and to value different typologies of risk
using and manipulating chemical substances with the purpose to optimize
the relationship among the attention for safety, workers health and the
employment of resources.
Key words: chemical risk, D.L.25/2002, risk assessment
da adottare, previo un incontro con le figure Aziendali preposte alla Sicurezza.
Nel corso dei sopralluoghi effettuati in azienda, si raccolgono le
informazioni inerenti il ciclo produttivo, le sostanze impiegate, i risultati
degli eventuali monitoraggi biologici ed ambientali effettuati, con particolare attenzione alle metodiche di campionamento e di analisi, le misure di bonifica, la scelta dei DPI, il programma di Sorveglianza Sanitaria
e le attività di formazione/informazione dei lavoratori.
La seconda fase prevede la determinazione ed analisi degli indici di
rischio per attività partendo dalle informazioni sulla tossicità dei prodotti, sulle modalità di impiego degli stessi, sui tempi di esposizione e sulle
indagini ambientali e biologiche effettuate. Il profilo di rischio di ogni
singola attività lavorativa è successivamente determinato sulla base delle
mansioni svolte, per le quali si sia proceduto alle predette analisi.
I dati raccolti confluiscono nella compilazione di schede dedicate.
La prima scheda - 2Inventario degli agenti chimici” - implica la
stesura di una lista completa di tutte le sostanze e preparati utilizzati in
azienda o che possono essere presenti, a qualsiasi titolo, in stabilimento, indicandone il nome commerciale, la composizione e la denominazione chimica, il numero di CAS, l’etichettatura di legge (DM
16/02/93), le attribuzioni delle proprietà pericolose (frasi R, con particolare attenzione ai cancerogeni) e le indicazioni di sicurezza (frasi S),
i valori limite di esposizione professionale (ACGIH TLV-TWA) e, nel
caso non ci fossero, la DL50 o CL50. Per un’immediata comprensione
della scheda, è prevista un evidenziazione con colorazioni differenti del
singolo agente chimico, in relazione al principale effetto nocivo: rosso
per i cancerogeni, giallo per i sensibilizzanti, blu per i tossici o molto
tossici (Tabella I).
La seconda scheda - 2Scheda Personale di Esposizione” - prevede la
raccolta dei dati espositivi per singola mansione, indicando in specifico:
la data di compilazione, il campionamento effettuato (personale, d’area
e/o di monitoraggio biologico), l’agente indagato, le frasi di rischio R, il
risultato ottenuto dai campionamenti, i valori limite di esposizione e gli
organi bersaglio della sostanza in indagine (Tabella II). Questa scheda dovrà, al termine della valutazione, essere consegnata al Medico Competente, contribuendo alla produzione del libretto personale Sanitario e di
Rischio.
La quarta scheda - “Scheda di sintesi degli indici di Rischio per
Mansione” - prevede l’applicazione di un algoritmo per la definizione
sintetica dell’“Indice di Rischio”: in pratica si calcola l’entità (il grado)
di rischio per l’esposizione ad un particolare agente chimico, quando lo
stesso è utilizzato nelle condizioni espositive prese in esame e descritte in
precedenza. L’algoritmo considera: la quantità e la frequenza di utilizzo
della sostanza (quantità usata per ogni ciclo produttivo ed il numero di cicli annuali), il grado di esposizione (massima per le attività a cielo aperto, minima per quelle a ciclo chiuso), la durata dell’esposizione in ore, i
livelli di esposizione e la tossicità intrinseca delle sostanze in base alla loro pericolosità (Tabella IV).
INTRODUZIONE
Il conseguimento della sicurezza e della tutela dei lavoratori esposti
a rischio chimico è un obiettivo fondamentale che le aziende devono perseguire e rispettare. Dalla conoscenza della realtà produttiva bergamasca
si evidenzia come l’applicazione delle norme sulla prevenzione nelle
aziende non risulti sempre ottimizzata rispetto ai canoni della moderna
Igiene Industriale e Medicina del Lavoro: non è raro imbattersi in indagini ambientali, sanitarie ed interventi di bonifica inappropriati perché indotti dalla sovrastima o dalla sottostima di alcuni rischi.
Il D.L. 25/2002 recepisce nel nostro paese i requisiti minimi per la
protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza derivanti dagli agenti chimici presenti sul luogo di lavoro. Il decreto richiede
la determinazione della presenza di eventuali agenti chimici pericolosi in
ambito lavorativo e la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute
dei lavoratori derivante dalla presenza degli stessi agenti.
La valutazione del rischio prevede pertanto un iter metodologico che,
partendo dall’identificazione degli agenti chimici, porti alla quantificazione del rischio, per consentire a mezzo di appropriati mezzi tecnici, gestionali ed operativi, di sorveglianza sanitaria e di monitoraggio ambientale, l’eliminazione e/o la riduzione del rischio.
L’obiettivo del presente lavoro è quello di descrivere il
modello di valutazione del rischio da agenti chimici, in apTabella I. Inventario degli agenti chimici, alcuni esempi
plicazione del D.L. 25/2002, promosso dall’“Osservatorio
per il settore chimico della Provincia di Bergamo”, progettato dalla U.O.O.M.L degli Ospedali Riuniti di Bergamo in
collaborazione con il Gruppo Industriali Chimici dell’Unione Industriali della provincia di Bergamo e applicato in
19 Aziende Chimiche della Provincia di Bergamo.
Alla progettazione del modello si è posto, come scopo
principale, la razionalizzazione delle procedure adottate
Tabella II. Scheda Personale di Esposizione, alcuni esempi
dalle aziende sia per monitorare i livelli di esposizione, sia
per valutare le diverse tipologie di rischio connesso all’uso
ed alla manipolazione di sostanze chimiche, al fine di ottimizzare il rapporto tra l’impegno per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori e l’impiego di risorse, nel
rispetto della normativa vigente, delle norme di buona tecnica e dell’evoluzione scientifica.
MATERIALI E METODI
Il modello di valutazione proposto di seguito prevede
due fasi temporalmente distinte.
Durante la prima fase si procede alla raccolta delle
informazioni sulle sostanze e all’analisi delle procedure
di lavoro e delle misure preventive generali e personali
Tabella III. Scheda delle indagini di Igiene Industriale, alcuni esempi
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ti chimici, con una media di 136 lavoratori per azienda
(range 10-436).
Sono state individuate e valutate 2457 sostanze: 300
classificate come tossiche o molto tossiche, 342 classificate come sensibilizzanti per la cute o le vie respiratorie
(R42, R43), 132 classificate come cancerogene (R40,
R45, R49).
Di 288 cicli produttivi studiati, l’89,5% delle lavorazioni, per ridurre al minimo l’esposizione dei lavoratori, si svolgeva
a ciclo chiuso, con sistemi di aspirazione localizzati o con l’associazione di entrambi i sistemi, mentre il 10,5% delle attività era svolto a ciclo
aperto.
Durante il progetto sono stati valutati gli esiti di 365 campionamenti biologici e di 187 rdeterminazioni di monitoraggio biologico. In
oltre il 90% dei campionamenti, i risultati delle concentrazioni ambientali degli agenti chimici esaminati sono risultati al di sotto dei valori limite (ACGIH). Anche per quanto riguarda i risultati del monitoraggio biologico sono stati evidenziati valori entro i limiti (BEI-ACGIH) nel 97,1% dei casi. Nel 74,9% dei casi i valori ottenuti sono stati 10 volte al di sotto del valore limite; l’11,7% presentava indici espositivi pari alla metà del BEI, il 10,7 pari al valore dei BEI, il 2,7% valori superiori.
Particolare attenzione è stata posta all’esposizione a sostanze con potere cancerogeno: nel 36% dei casi la lavorazione avveniva a ciclo chiuso, nel 58,2% dei casi con aspirazione localizzata, solo nel 5,8% dei casi
l’attività lavorativa avveniva in condizioni di “sistema aperto”.
La valutazione finale, relativa alle 165 mansioni indagate, ha evidenziato i seguenti risultati:
– 131 mansioni (78,5%) sono risultate accettabili;
– 26 mansioni (16,5%) hanno documentato valori di esposizione che
hanno richiesto un’integrazione dei dati sull’esposizione (ambientale o biologica) e di verifica nel tempo;
– 8 mansioni (5%) hanno richiesto l’effettuazione di indagini ambientali suppletive.
Tabella IV. Scheda di sintesi degli indici di Rischio per Mansione, alcuni esempi
Per quanto riguarda il “monitoraggio ambientale”, ove presente, il
valore di esposizione della sostanza è inserito rapportandolo al TLVTWA, qualora il campionamento non sia disponibile (perché non effettuato o perché la metodica per eseguirlo non esiste) si deve presupporre
che la sostanza sia a livello del TLW-TVA, pertanto il valore da inserire
è pari ad 1. Per calcolare l’IR i livelli di esposizione vengono graduati in
quattro categorie, rapportando i risultati dei campionamenti ambientali ed
i rispettivi TLVs.
Per il “monitoraggio biologico” si utilizza la stessa modalità di valutazione e cioè, dove presente, il valore di monitoraggio della sostanza deve essere inserito rapportandolo al BEI. Se il campionamento non è disponibile, si deve presupporre che la sostanza sia a livello del BEI, pertanto il valore da inserire è pari ad 1.
Per quanto riguarda i manutentori, a causa della tipologia dell’attività
da loro svolta, non abbiamo ritenuto utile la compilazione delle schede precedentemente illustrate ma abbiamo predisposto una scheda ad hoc (la quinta: “Scheda informativa per i manutentori”) che prevede l’analisi delle procedure a cui attenersi in caso di interventi di manutenzione straordinaria senza bonifica degli ambienti, il tipo di formazione seguita dal personale e la
descrizione della dotazione dei dispositivi di protezione individuale.
La sesta scheda - “Scheda informativa per la Sorveglianza Sanitaria” - deve essere compilata dal Medico Competente e raccoglie le informazioni inerenti la descrizione delle procedure di Sorveglianza Sanitaria
effettuata, l’eventuale presenza di alterazioni cliniche ricorrenti nella popolazione dei lavoratori, la segnalazione di malattie professionali causate dall’esposizione ad agenti chimici negli ultimi 5 anni e le eventuali idoneità con limitazioni, sempre legate all’esposizione a sostanze chimiche.
I dati ottenuti dall’indagine, ordinati tramite la compilazione delle
schede sopradescritte, permettono di calcolare un Indice di Rischio (IRs)
relativo ad ogni singola sostanza, applicando la formula:
IRs= (%contatto/100) x (grado di esposizione/3) x (durata
dell’esposizione/8) x (monitoraggio ambientale/TLV-TWA)
x (monitoraggio biologico/BEI) x (tossicità/5).
Dove per:
• “%contatto” si intende l’esposizione “funzionale” ad agenti chimici, derivante dalla particolare natura della lavorazione, cioè la quantità di sostanza utilizzata in singolo batch, moltiplicata per i batchs
annui, in rapporto alle ore/giornate lavorative annue.
• “grado di esposizione”: il parametro numerico indicativo delle modalità espositive del lavoratore alla sostanza: (1) minima in presenza
di circuito chiuso, (2) media per la presenza di sistemi aperti ma protetti, (3) massima quando non esiste alcuna protezione.
• “durata dell’esposizione”: il numero di ore/die di esposizione alla
sostanza.
• “tossicità”: il parametro numerico indicativo della gravità degli effetti esercitati dalle diverse categorie di composti: (1) sostanze irritanti e caustiche, (2) sostanze corrosive, (3) sostanze nocive/sensibilizzanti, (4) sostanze classificate come tossiche o molto tossiche, (5)
sostanze cancerogene.
La sommatoria degli “Indici di Rischio per sostanza” (IRs), relativi a
tutti i compiti effettuati, costituisce l’“Indice di Rischio per attività” o
“Indice di Rischio cumulativo della figura professionale” (di seguito indicato come IR).
La valutazione del livello di rischio viene ricondotta ai seguenti giudizi:
“Accettabile” un valore di IR<0,1
“Da monitorare nel tempo” un valore di IR compreso tra 0,1 e 0,5
“Da migliorare” un valore di IR>0,5
RISULTATI
Al modello illustrato hanno aderito 19 aziende chimiche della
Provincia di Bergamo, per un totale di 1830 soggetti esposti ad agen-
CONCLUSIONI
Nelle 19 aziende in cui è stato applicato il modello proposto, l’indagine ha evidenziato come le tecnologie produttive nel comparto chimico
bergamasco si pongano al top degli standard di sicurezza internazionali.
Le carenze riscontrate sono legate all’incompletezza degli elenchi delle
sostanze, principalmente dovuta alla non considerazione dell’esposizione
ad intermedi, alla mancanza o incompletezza dei dati di monitoraggio
dell’esposizione e al non corretto utilizzo dei valori limite di esposizione
proposti da agenzie internazionali. Per quanto riguarda la Sorveglianza
Sanitaria, l’indagine ha documentato, oltre ad un eccesso di accertamenti sanitari non sempre appropriati né mirati a valutare i rischi specifici, lo
scarso utilizzo del monitoraggio biologico ed il mancato coinvolgimento
del Medico Competente nella valutazione e gestione del rischio. Il modello, pur nei limiti di un metodo basato sull’utilizzo di un algoritmo, si
è mostrato utile nel verificare l’adeguatezza dei sistemi di prevenzione
adottati nelle singole realtà produttive ed per testare il miglioramento dell’efficacia ed efficienza preventiva valorizzando, ove possibile, gli interventi con il migliore rapporto di costo/beneficio. Si ritiene importante
sottolineare come i valori numerici dell’IR ottenibili dalla valutazione
proposta non debbano mai essere utilizzati in modo acritico, non costituendo i risultati una chiara demarcazione tra valori ritenuti a rischio e valori ritenuti sicuri.
BIBLIOGRAFIA
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RIASSUNTO. L’elevato tasso infortunistico e di malattie professionali in edilizia testimonia di un problema sicurezza in tale settore. Lo studio dei fattori umani che intervengono può permettere una visione più
complessa della problematica. In questo contesto nasce la presente ricerca, con l’obiettivo di indagare la percezione del rischio e fotografare le
rappresentazioni nella categoria degli operai edili.
Quali sono i rischi? Quali sono le attività giudicate maggiormente
pericolose? Cos’è il rischio? Cosa rende una situazione rischiosa?. A queste e altre domande tenta di rispondere il presente studio, aprendo il campo alle rappresentazioni e percezioni degli separi edili.
L’analisi ha evidenziato intorno a quali significati gli operai costruiscono il loro discorso sul rischio, insieme a sottolineare come, nella rappresentazione degli operai, alcune variabili di natura personale, organizzativa, gruppale e culturale abbiano una diversa influenza su alcune dimensioni del rischio e funzionino da modulatori tra la percezione del rischio e l’assunzione di comportamenti rischiosi.
Parole chiave: rischio, rappresentazione, percezione, discorso
re, osservazione in cantiere
Fase dei Focus Group: sono stati condotti 8 Focus Group, di cui 4
con operai edili adulti (49 operai, età media 32 anni) e 4 con studenti della scuola edile (52 studenti, età media 15 anni)
3. Fase delle interviste semi-strutturate: la presente fase ha visto la partecipazione di 19 operai edili (età media 34 anni).
4. Fase di analisi dei dati e conclusioni
Ciascun Focus Group era organizzato in modo che in un primo momento, come esercizio di focalizzazione e stimolazione alla discussione,
i partecipanti, a cui veniva richiesta età, esperienza lavorativa (in anni),
qualifica lavorativa e infortuni pregressi (o malattie professionali), rispondessero ad un breve questionario nel quale venivano sottoposte alcune fotografie che ritraevano situazioni tipiche di cantiere; ciascun partecipante doveva stimarne il grado di rischio (su una scala Likert 1-10,
dove 1 era “per niente rischioso” e 10 “estremamente rischioso”) e successivamente indicare le azioni che avrebbero messo in atto per rendere
più sicura la situazione (safety performance).
In seguito i partecipanti venivano divisi in due gruppi e chiesto loro
di discutere insieme e poi rispondere, in maniera analoga a quanto fatto
singolarmente, al questionario, stavolta indicando le scelte del gruppo.
Una volta concluso l’esercizio di focalizzazione, iniziava in plenaria
la discussione, utilizzando come stimolo le scelte espresse dai partecipanti nel questionario, ma avendo come obiettivo la raccolta delle loro
rappresentazioni intorno al costrutto “rischio”.
Sempre con lo stesso obiettivo, ovvero sondare le rappresentazioni
degli operai edili, sono state effettuate le interviste semistrutturate, nelle
quali, tra le altre, si indagavano le aree della definizione di cosa significa
rischio e rischiare, cosa rende una situazione rischiosa, quando il rischio
diventa tollerabile, quali fattori influiscono la valutazione di un rischio e
l’assunzione di comportamenti rischiosi.
RISK
RISULTATI
COM-04
LA PERCEZIONE E RAPPRESENTAZIONE DEL RISCHIO
NEI CANTIERI EDILI: UNO STUDIO ESPLORATIVO
S. Gari1, M.S. Spada2, L. Grattieri1, D. Ramenghi2, G. Mosconi3
1USSD
Psicologia Clinica. Ospedali Riuniti di Bergamo
Medicina del Lavoro. Ospedali Riuniti di Bergamo
3Comitato Paritetico Territoriale Bergamo
2UO
Corrispondenza: Simone Gari, [email protected]
PERCEPTION AND REPRESENTATION IN CONSTRUCTION SITES: A
2.
PRELIMINARY STUDY
ABSTRACT. The number of building injuries and professional
health disease make evidence of safety problems in this field.
The study of human factors may help us in observing this problem in
a better way (more global)
The aims of this study is to investigate construction workers risk
perception and representation.
Which are the risk? Which risk is perceived as more dangerous?
What is Risk?. These are some question this study try to give an answer,
asking about worker perception and representation of risk.
Qualitative analysis shows which are the meanings workers use
when they talk about risk, underlining the influence of personal, group,
organizational and cultural variables.
Key words: Risk, perception, representation, discourse
1.
INTRODUZIONE
Attraverso l’esperienza e l’interazione sociale, l’uomo da forma al costrutto “rischio”. La percezione del rischio è definibile come quel processo
di organizzazione e unificazione sensoriale che attiva un processo valutativo, con attribuzione di significato, a cui consegue un comportamento.
Successivamente si passa poi dalla percezione alla rappresentazione,
definibile come l’insieme di immagini mentali, significati e valori che
compongono il costrutto e che utilizziamo quando pensiamo al rischio in
assenza di un referente nell’attuale quadro di stimolazione.
In una situazione di pericolo, quindi, percepiamo un rischio, esito di
un processo valutativo, lo rappresentiamo, ma a sua volta tutto il processo è influenzato da rappresentazioni che il rischio attiva nel soggetto.
La ricerca, che coniuga elementi qualitativi e quantitativi, si prefissava di indagare la percezione del rischio infortunistico e di malattie occupazionali nella categoria degli operai edili e di fotografare come il rischio viene rappresentato in quella categoria, ovvero a quali significati si
accompagna e quali pattern di valori evocati.
In letteratura sono presenti diversi lavori che studiano la percezione
e la rappresentazione del rischio in ambito lavorativo, considerando l’aspetto cognitivo (1,2), quello delle emozioni (3,) e quello delle variabili
organizzative (4).
La tabella I mostra come l’attribuzione di maggiore rischiosità ha riguardato le situazioni in cui i partecipanti hanno rintracciato la possibilità
di ferimenti, caduta dall’alto e caduta di pesi. Minor rischio è stato attribuito alle situazioni in cui si rintracciava una mancanza di adeguati DPI
(scarpe, cuffie, guanti) e in cui venivano spostati dei pesi. In entrambi i
casi tale attribuzione è probabilmente giustificata dalla percezione di differimento nel tempo delle possibili conseguenze negative, come testimoniato anche in letteratura (5).
Attraverso il questionario di rilevazione della percezione del rischio
si indagava non solo la percezione di un grado di rischiosità, ma anche la
capacità di rintracciare un rischio in una situazione e di mettere in atto le
dovute azioni per rendere la situazione più sicura.
Successivamente, si è analizzato, tramite ANOVA, la possibile influenza di alcune variabili sulla percezione del rischio, con i seguenti esiti:
• Età: in sole due foto (caduta dall’alto, P<.05 e taglio, P<.01) si evidenzia una differenza significativa tra le percezioni di adulti e studenti; in entrambi i casi la percezione del rischio degli studenti è risultata minore. Non emergono differenze significative tra studenti
con esperienza lavorativa e studenti senza esperienza lavorativa, così come nel campione degli adulti non emergono differenze significative che possano dipendere dall’esperienza.
• Qualifica lavorativa (solo gruppo adulti): l’ANOVA ha evidenziato un
possibile ruolo influente (P<.05) della qualifica lavorativa nella percezione del rischio “taglio”. In particolare il gruppo degli “artigiani”
ha fornito stime minori rispetto a tutte le altre categorie (P<.01)
METODOLOGIA E FASI
Le fasi in cui si articola il progetto sono essenzialmente quattro:
1. Fase di attivazione: ricerca letteratura, interviste ad esperti del setto-
Percezione del rischio
La rilevazione della percezione del rischio, avvenuta tramite il questionario somministrato all’inizio del Focus Group, ha mostrato i seguenti risultati:
Tabella I. Grado di rischio
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•
•
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Infortuni pregressi (solo gruppo adulti): questa variabile mostra un
influenza solo rispetto al rischio “taglio” (P<.07) e “movimentazione pesi” (P<.07), per i quali il gruppo con infortuni pregressi ha fornito stime di pericolosità maggiori. L’analisi testuale dei resoconti
verbali dei Focus Group e delle interviste mostra alcuni spunti utili a
spiegare la scarsa influenza della variabile “infortuni pregressi”. Infatti, nelle rappresentazioni degli operai adulti, la presenza di infortuni pregressi, o di malattie professionali, è un fattore in grado di influenzare l’atteggiamento solo verso quel tipo di rischio (anche a lungo termine) che ha prodotto infortunio, e se si evidenziano cambiamenti più generali sono di breve durata.
Gruppo: le stime di rischio fornite dai gruppi sono risultate mediamente maggiori se confrontate con le medie delle risposte dei partecipanti date individualmente. Tali stime sembrano rispecchiare posizionamenti più prudenti del gruppo rispetto al singolo.
Rappresentazione del rischio
La discussione durante i Focus Group e le risposte fornite nelle interviste semistrutturate sono state analizzate secondo un approccio qualitativo che cerca di intercettare i modi attraverso cui le persone forniscono un senso alla loro esperienza, cercando di far emergere il punto di vista del soggetto (6).
Parallelamente a questo approccio qualitativo si è tentato anche di
quantificare le frequenze di occorrenza di alcune tematiche e delle categorie di riferimento. In tal senso può essere letta la tabella II, di seguito
proposta, in cui sono state inserite le frequenze con cui ciascuna risposta
è apparsa nelle interviste.
Si nota come nelle rappresentazioni di circa un terzo degli operai edili intervistati l’edilizia venga considerata per niente o poco pericolosa.
Sempre restando alle interviste, nelle prime fasi si chiedeva agli operai di elencare quali fossero i rischi che caratterizzavano la loro professione (intesa globalmente). La tabella III ne mostra gli esiti.
Anche in questo caso, come per la percezione del rischio di cui si è
parlato in precedenza, i rischi di malattia professionale, derivanti da pericoli quali polveri, sollecitazione articolazioni o condizioni igieniche, vengono citati solo nel 5-10% delle interviste, a testimonianza di una ancora
non adeguata rappresentazione dei rischi i cui eventuali danni sono riscontrabili non subito ma nel tempo. Tuttavia, il rumore, un rischio anch’esso di questo tipo, viene riconosciuto e citato in circa il 50% delle interviste. Le rappresentazioni che emergono dai resoconti verbali prodotti
dagli operai edili (attraverso i Focus Group e le interviste) rimandano ad
alcuni significati che ricorrono nella loro costruzione del costrutto rischio. Tali significati sono raggruppabili in tre grandi categorie
A. Teorie attribuzionali: in tutti i resoconti verbali raccolti sembra che
un discorso sul rischio non possa che fisiologicamente integrare le
rappresentazioni di quali siano i fattori che in misura diversa influenzano le diverse dimensioni del rischio, ovvero la probabilità di
infortunio/malattia professionale, il sentirsi o meno a rischio, l’atteggiamento nei confronti del rischio e l’assunzione di comportamenti
rischiosi. In tabella IV, vengono riportati i fattori identificati dagli
operai come influenti sulle varie dimensioni del rischio.
B. Semantica del rischio: tale categoria raggruppa le rappresentazioni
che si riferiscono a cosa viene percepito e definito come “rischio”,
cosa rende una situazione rischiosa, quali significati veicola il costrutto rischio. Nei discorsi degli operai tale semantica sembra si articoli intorno ai concetti di “conseguenza” (per cui un rischio comporta una possibile conseguenza negativa), di “valutazione” (il rischio attiva un processo valutativo da parte dell’individuo che riguarda il rapporto tra costi e benefici e le emozioni correlate alla situazione), e di “controllo” (in che misura è possibile prevedere la situazione, controllarla e fronteggiarla).
C. Altri nuclei tematici: nelle rappresentazioni del rischio ricorrono anche le tematiche della responsabilità (in misura diversa attribuita al
singolo, ai capocantiere, al management, al sistema) e dell’utilizzo dei
DPI (percepiti come poco utili, di difficile utilizzo e talvolta dannosi)
2.
Tabella II. Rappresentazione professione
Tabella II. Rischi in edilizia
Tabella IV. Fattori influenti
Fattori
Fretta: può essere autoindotta (per mostrare una migliore
organizzativi competenza lavorativa) o, soprattutto, indotta dall’esterno
(cottimo, indotta dai capi)
Organizzazione cantiere (ordine, pulizia, complessità,
presenza di altri)
Dimensione dell’azienda
Politiche organizzative(controllo, materiale, adeguarsi
alle norme, selezione del personale)
Fattori
personali
Disposizione interna: una serie di caratteristiche di
personalità (fiducia in sé, tendenza al rischio, desiderio
di mettersi alla prova, pessimismo/ottimismo)
Preparazione personale e professionale (attenzione,
formazione, capacità cognitive)
Esperienza e abitudine
Stato psicofisico con il quale si va in cantiere
Infortuni pregressi
Fattori di
gruppo
Pressione al conformismo
Imitazione di modelli sbagliati
Desiderio di appartenenza e supporto sociale
Stigma per chi mostra un comportamento eccessivamente
prudente
Fattori
culturali
Questa tipologia di fattori è stata identificata come
trasversale, e si riferisce all’insieme di valori, credenze,
significati che caratterizzano individuo, gruppo e
organizzazione.
Il valore della sicurezza, del rischio come sfida, del rispetto
degli “anziani”, della fatica, del sapere lavorare anche in
una situazione di non sicurezza, del mantenimento della
propria identità professionale
DISCUSSIONE
L’analisi dei resoconti verbali ha evidenziato intorno a quali significati gli operai costruiscono il loro discorso sul rischio, insieme a sottolineare come, nella rappresentazione degli operai, diverse variabili di natura personale, organizzativa, gruppale e culturale abbiano una differente
influenza su alcune dimensioni del rischio e funzionino da modulatori tra
la percezione del rischio e l’assunzione di comportamenti rischiosi. Si
sottolineano i particolare gli aspetti che riguardano le “culture” e le dinamiche dei gruppi di lavoro, che caratterizzano le rappresentazioni degli
operai edili.
Altri nuclei tematici emersi sono serviti a mettere in relazione i significati che formano il costrutto “rischio” con quelli dell’identità professionale personale e di gruppo.
L’analisi della percezione del rischio ha evidenziato quali siano i rischi percepiti come maggiormente pericolosi, mostrando, in generale,
una tendenza a sottostimare i rischi di malattia professionale, le cui fonti
sembrano più difficilmente rintracciabili e visibili in una situazione.
CONCLUSIONI
La ricerca ha evidenziato come il rischio viene percepito e rappresentato nei contesti lavorativi, cercando di restituire la complessità del can-
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
tiere, nelle sue pratiche, nei suo attori e nella sua organizzazione. Si intuisce come gli operai siano consapevoli di tale complessità, così come delle difficoltà che comporta. Individuo, gruppo, organizzazione sono i soggetti chiamati in causa dagli operai a farsi carico di questa complessità, a
testimonianza di un’esigenza di un dialogo migliore tra essi. Il presente
studio, seppur in forma esplorativa e sperimentale, accedendo alle rappresentazioni e percezioni degli operai, può essere un contributo alla costruzione di un senso e di un discorso condiviso sul “rischio” in cantiere.
BIBLIOGRAFIA
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COM-05
VALUTAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO DA ANTIPARASSITARI
IN AGRICOLTURA: L’ESPERIENZA DELLA REGIONE LOMBARDIA
C. Colosio1, E. Ariano2, G. Catenacci3, G. De Paschale4,
A. Firmi5, F. Metruccio6, A. Moretto1-6, S. Savi2, L. Settimi7,
C. Somaruga1, L. Macchi8
1 Dipartimento
di Medicina del Lavoro dell’Università di Milano
Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro della ASL di Lodi
3UOOML Pavia;
4 Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro della ASL di Pavia
5 Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro della ASL di
Cremona
6 Centro Internazionale per gli Antiparassitari e la Prevenzione
Sanitaria, Azienda Ospedaliera Luigi Sacco, Milano
7 Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro della ASL di Como
8 Direzione Generale Sanità, Regione Lombardia
2
Corrispondenza: Claudio Colosio, MD, PhD, Dipartimento di Medicina
del Lavoro dell’Università degli Studi di Milano, Sezione Ospedale San
Paolo, Via Di Rudinì 8, 20142 Milano, Telefono: + 39 0250323305, Fax.
+ 39 02 89180221, Mobile: + 39 340 1122183
RIASSUNTO. La valutazione del rischio chimico in agricoltura presenta difficoltà nell’ottenere misure di esposizione rappresentative e riproducibili. Per questo sono in corso esperienze finalizzate a produrre
stime di esposizione con l’uso di modelli. In questo ambito, un gruppo di
lavoro regionale ha sviluppato il progetto “Profili di Esposizione e Rischio da Antiparassitari” Sono state individuate colture prioritarie e per le
principali fasi di lavorazione sono state individuate le variabili correlate
all’esposizione e sono stati stabiliti dei valori numerici discreti da attribuire a ciascuna variabile. L’applicazione ai valori numerici ottenuti di un
algoritmo porta a definire un “Indice di Esposizione” (Iexp), che è moltiplicato per un fattore di riduzione, calcolato in base alla formazione degli addetti, alle caratteristiche dei macchinari e all’uso di dispositivi di
protezione. Indicizzando le frasi di rischio dei prodotti utilizzati si giunge a definire in “Indice di Tossicità” (Itox); Il prodotto Iexp x Itox rappresenta il profilo e permette un’accettabile stima del rischio e la definizione di interventi preventivi. La successiva fase sarà indirizzata alla validazione, attraverso la definizione della concordanza tra l’allocazione in
classi di rischio realizzata attraverso l’impiego del modello e quella rea-
375
lizzata in base alla misurazione dei livelli di esposizione, negli stessi
gruppi di lavoratori.
Parole chiave: Agricoltura; Esposizione ad Antiparassitari; Misure;
Modelli; Profili.
EVALUATION
AND MANAGEMENT OF PESTICIDE RISK IN AGRICULTURE: THE
REGION OF LOMBARDY (ITALY)
ABSTRACT. The evaluation of chemical risk in agriculture is
complicated because of difficulties in obtaining measures representative
of working conditions This is the reason why experiences finalized at
producing risk estimates are running. In this frame, a Regional working
group has developed the project “Pesticide exposure and risk profiles in
agriculture”. Priority scenarios have been selected and the main
variables correlated with pesticide exposure have been pointed out. A
value for each variable has been defined. The sum of these values allows
the definition of “Exposure Indices” (EI), which can be reduced by
multiplication for a coefficient calculated based on use of personal
protective devices, training and education and equipment conditions. A
Risk Index is calculated as the product of EI per a toxicity index,
calculated based on the risk phrases of the substances used (“Risk
Profile”). Risk Profiles allow the production of risk estimates and the
definition of the appropriate preventive interventions. Next phase will be
addressed at the validation of the model, to be carried out through the
determination of the levels of concordance between the risk class
allocation obtained from the model and the one obtained from
environmental and biological measures, in the same groups of workers.
Key words: Agriculture; Pesticide Exposure; Measures; Models,
Profiles
EXPERIENCE OF THE
INTRODUZIONE
La valutazione e gestione del rischio chimico in agricoltura viene
svolta solo raramente e con numerose difficoltà, per le caratteristiche
stesse del lavoro agricolo, e in particolare per le variabilità delle condizioni climatiche, l’intermittenza dell’esposizione e l’uso di diversi prodotti chimici, spesso in miscele complesse e a composizione variabile,
che rendono assai difficile ottenere misure biologiche e ambientali realmente rappresentative di una determinata situazione espositiva e quindi
estrapolabili ad altre realtà. Inoltre, l’esecuzione di determinazioni ambientali non di rado pone problemi di difficoltà tecniche, costi elevati e,
per quanto concerne il monitoraggio biologico, non disponibilità di valori limite e Limiti Biologici di Esposizione. L’assenza di misure e stime
dell’esposizione rende difficile l’esecuzione di attività di valutazione e
gestione del rischio nel settore. Inoltre, è assai complessa anche la creazione di matrici mansione-esposizione, necessarie per la realizzazione di
indagine epidemiologiche.
Per questo sono in corso in tutto il mondo esperienze finalizzate a
produrre stime dei livelli di esposizione attraverso l’uso di modelli matematici e algoritmi di calcolo. Alcuni modelli, in particolare il cd. “Modello Tedesco” e il “Modello Inglese”, sono già da tempo utilizzati, principalmente in fase di pre-margeting, nel corso della attività finalizzate alla valutazione del rischio e all’autorizzazione all’impiego di prodotto fitosanitari. Tuttavia, tali modelli non trovano ancora un utilizzo pratico per
la definizione di surrogati di esposizione in situazioni lavorative “reali”,
perché, essendo indirizzati a situazioni “ideali”, non tengono in debito
conto alcune variabili che nella pratica quotidiana possono modificare significativamente i livelli di esposizione quali ad esempio, l’uso corretto e
la qualità dei dispositivi di protezione individuale, la qualità dei macchinari, la frequenza e l’entità dello svolgimento di attività di manutenzione
e pulizia dei macchinari e dei dispositivi di protezione non monouso
eventualmente utilizzati dai lavoratori. Inoltre, i principali modelli disponibili sono alimentati da dati ottenuti in realtà colturali molto diverse da
quelle Italiane e Mediterranea, e la loro applicabilità alla nostra realtà
agricola è dubbia.
In questo scenario, un gruppo di lavoro della Regione Lombardia ha
sviluppato il progetto “Profili di Esposizione e Rischio da Antiparassitari in Agricoltura”, finalizzato a mettere a punto e validare uno strumento
per la valutazione e gestione del rischio adeguato per la realtà colturale
della Regione.
METODI
Sono state individuate alcune colture prioritarie (mais, riso, viticoltura, coltivazioni in tunnel, florovivaismo, pioppi, frutta). Per ciascuna di
376
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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tali colture, e per le principali fasi di lavorazione (miscelazione e carico,
applicazione, rientro, pulizia e manutenzione dei macchinari e dei DIP),
sono state individuate le principali variabili correlate ai livelli di esposizione e sono stati stabiliti dei valori numerici discreti da attribuire a ciascuna variabile, in rapporto alle modalità di presenza della variabile stessa nella specifica condizione considerata. L’applicazione ai valori numerici ottenuti di un idoneo algoritmo permette di definire un punteggio
(“Indice di Esposizione”) che viene successivamente moltiplicato per un
fattore di riduzione calcolato in base alla formazione degli addetti e alle
caratteristiche tecniche e di vetustà dei macchinari; il valore ottenuto viene infine pesato, se necessario, con l’uso di dispositivi di protezione. La
formula generale per il calcolo degli indici di esposizione è la seguente:
Iexp = [(MIX %t+ APPL %t) x (DPI x FORMAZIONE x
MACCHINARI UTILIZZATI) x FREQ] + [(RE-ENTRY%t)
x (DPI x FORMAZIONE) x FREQ] + [(REPAIR%t)
x (DPI x FORMAZIONE) x FREQ]
Ove:
MIX = miscelazione e carico
APPL = applicazione
DPI = Dispositivi individuali di Protezione
REPAIR = attività di manutenzione e pulizia dei macchinari e dei DPI
non monouso
%t = percentuale del tempo complessivo di lavoro dedicato alla fase di attività considerata
FREQ = Frequenza di svolgimento dell’attività nel corso della stagione
Indicizzando le frasi di rischio dei prodotti fitosanitari utilizzati si giunge
a definire in “Indice di Tossicità” (Itox). Un indice di rischio (IR) può essere quindi calcolato come segue:
IR = Iexp x Itox.
Gli IR calcolati sono inseriti in una griglia di valutazione nella quale, in base ai valori calcolati, sono stimati diversi livelli di rischio e diverse necessità di interventi preventivi. Il “Profilo” può essere quindi utilizzato per identificare gli interventi preventivi più adeguati e per verificarne il peso nella riduzione del rischio.
DISCUSSIONE
Sono stati messi a punto profili di esposizione e di rischio per floricoltura in serra, risicoltura e maidicoltura. I profili suggeriscono che
quando le attività sono svolte in accordo con le buone pratiche agricole,
con macchinari in accettabili condizioni di manutenzione, e, quando serve, con disponibilità di DIP adeguati, non si evidenzia in genere un rischio significativo per l’operatore, il lavoratore e l’astante.
Lo strumento messo a punto sembra adeguato allo scopo di valutare
il rischio da antiparassitari in agricoltura, ma ulteriori studi di validazione devono essere condotti e sono attualmente in corso. Tali studi prevedono la valutazione della concordanza tra l’allocazione in classi di rischio
realizzata attraverso l’impiego del modello e quella realizzata in base alla misurazione dei livelli di esposizione, negli stessi gruppi di lavoratori
(monitoraggio ambientale e biologico). Una valutazione preliminare effettuata utilizzando per il confronto dati di esposizione pubblicati ha prodotto, limitatamente al profilo di esposizione e rischio per la floricoltura
in serra, un buon livello di concordanza modello/misure.
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COM-06
LA STIMA DELL’IMPATTO DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE NELLA
RIDUZIONE DEL RISCHIO IN AMBITO DI REGOLAMENTAZIONE
DEI PRODOTTI FITOSANITARI: DALLA TEORIA ALLA PRATICA
M. Tiramani1, C. Colosio2, A Colombi2
1Scuola
di dottorato in Medicina del Lavoro - Università degli Studi di
Milano.
2Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano,
sezione Ospedale San Paolo.
Corrispondenza: Claudio Colosi, Dipartimento di Medicina del Lavoro,
Università degli Studi di Milano, sezione Ospedale San Paolo,
[email protected]
RIASSUNTO. L’impiego di pesticidi in Europa può essere autorizzato previa stima del rischio per l’operatore. In particolare, sono disponibili a livello europeo due modelli, (tedesco inglese) che consentono una
stima dell’esposizione per la valutazione del rischio. I modelli considerano, tra le altre variabili, anche l’utilizzo di dispositivi di protezione (DIP),
valutandone la capacità di abbattere l’esposizione tramite opportuni fattori di riduzione, derivati da studi sul campo o da dati di laboratorio. Tali fattori, definiti negli anni ‘90, potrebbero non essere più attuali, come
indicato dalla letteratura più recente. Questo genera dubbi sulla attendibilità delle stime prodotte dai modelli. Allo scopo, sono state raccolte ed
analizzate le valutazioni dell’esposizione dell’operatore condotte in Europa tra il 2005 e il 2007, per un totale di 52 sostanze in 395 scenari, verificando se l’applicazione dei più recenti fattori di abbattimento dell’esposizione potesse avere un impatto sulla valutazione del rischio. Le valutazioni sono risultate in alcuni casi sottostimate; il problema della tutela della sicurezza dei lavoratori agricoli si ripropone, in riferimento all’ampia varietà di DIP disponibili, ai fattori di abbattimento dell’esposizione e ai diversi livelli di formazione degli operatori addetti all’applicazione di fitofarmaci.
Parole chiave: operatore, antiparassitari; dispositivi individuali di
protezione (DIP)
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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THE IMPACT OF PERSONAL PROTECTIVE EQUIPMENT IN REDUCING RISK FOR
OPERATORS EXPOSED TO PESTICIDES: FROM THEORY TO PRACTICE
ABSTRACT. In Europe, the use of plant protection products is
authorised provided the operator risk assessment carried out does not
show exposure levels above the health-based triggers. Two models are
currently available (German and UK models) to estimate exposure levels
of agricultural operators. They consider, among different variables, the
use of Personal Protective Equipment (PPE), based on their capacity to
reduce exposure through the application of specific “reduction factors”,
derived from laboratory or field studies. Such factors, which date back
to ‘90s, could be obsolete, as indicated by recent literature, posing
problems on the reliability of current estimates. Therefore, the exposure
estimates produced in Europe from 2005 to 2007, for 52 active
ingredients in 395 scenarios, have been collected and analysed to check
whether the application of recent exposure reduction factors might have
an impact on the final outcomes. In some case the exposure levels
resulted underestimated, highlighting the problem of operator safety
with regard to the use of specific PPE and to an adequate training
programme.
Key words: operator, pesticide, Personal Protective Equipment
(PPE)
INTRODUZIONE
L’autorizzazione all’uso di prodotti fitosanitari in Europa è regolata
dalla Direttiva 91/414, che prevede che i prodotti fitosanitari in agricoltura possano essere utilizzati solo se, tra l’altro, venga effettuata una stima del rischio per l’operatore prima dell’introduzione sul mercato, che
evidenzi l’assenza di un rischio inaccettabile. Tale valutazione può essere condotta sia basandosi su informazioni generali contenute in modelli
predittivi, sia tramite studi di esposizione condotti ad hoc.
In particolare, per l’autorizzazione all’uso di pesticidi sono disponibili a livello europeo due modelli principali, identificati, rispettivamente,
come “modello tedesco” e “modello inglese”.
Tali modelli sono costituiti da raccolte di studi sul campo o dati di
letteratura e, se opportunamente alimentati da informazioni specifiche (ad
esempio circa la quantità di principio attivo utilizzata, il tipo coltura, l’area trattata, le caratteristiche fisiche dei prodotti in uso), forniscono una
stima dell’esposizione che, confrontata con opportuni valori di riferimento (Acceptable Operator Exposure Level, AOEL), permette una valutazione del rischio. Ovviamente, i livelli di esposizione attesi variano in
rapporto a diversi “scenari d’uso”. Sul punto, la normativa europea richiede che per un dato principio attivo sia identificato almeno un uso sicuro. Se così avviene, la sostanza è autorizzata all’uso in Unione Europea. Dato che in agricoltura è difficile effettuare misurazioni attendibili e
riproducibili, l’applicazione di modelli espositivi viene usata nella quasi
totalità delle valutazioni.
I modelli consentono, se necessario, l’applicazione di “misure di mitigazione”, per stimare la riduzione dell’esposizione ottenuta con l’uso di
dispositivi di protezione (DIP): l’abbattimento dell’esposizione si ottiene
applicando all’esposizione stimata opportuni fattori di riduzione relativi
ad altrettanti DIP, derivati da studi sul campo o da dati di laboratorio.
Dato che i modelli attualmente maggiormente in uso risalgono agli
anni ’90, i coefficienti che rappresentano la riduzione dell’esposizione
con i DIP potrebbero essere non più attuali perché superati dall’introduzione di nuove tecnologie, o dalla migliore definizione dei livelli di esposizione attesi in reali condizioni d’uso o semplicemente più affinati da stime prodotte da una base di dati che negli anni è aumentata. Questo genera dubbi sulla effettiva attendibilità delle stime prodotte dai modelli, in
particolare in condizioni limite tra “accettabile” e “non accettabile” (ovvero, di poco al di sotto o al di sopra del limite health-based). In questi
casi, una minima variazione della stima potrebbe falsamente portare un
prodotto non accettabile tra quelli accettabili, o vice versa. Per questo
motivo vi è la necessità di valutare quale sia il rischio, in particolare condizioni border line, di ottenere stime capaci di portare ad errori nella valutazione del rischio (“falsi positivi” e “falsi negativi”).
MATERIALI E METODI
In una prima fase del lavoro, é stata esaminata la letteratura relativa
al potere di abbattimento dei DIP in agricoltura, insieme alla valutazione
dei vari fattori considerati nei diversi modelli. Nella seconda fase del lavoro sono state raccolte ed analizzate tutte le valutazioni dell’esposizione dell’operatore condotte in Europa tra il 2005 e il 2007, per un totale di
377
52 sostanze in 395 scenari; le valutazioni dell’esposizione “borderline”
(con valori pari alla saturazione del 50-150% dell’AOEL) sono state analizzate e suddivise per gruppi omogenei di DIP utilizzati. Questo ha portato a selezionare, sulle 395 valutazioni totali, 263 casi comprendenti una
valutazione del rischio per l’operatore; tra questi, 51 casi con esiti “borderline” sono stati selezionati. In tale gruppo, in 23 casi era stato stimato
l’effetto di mitigazione ottenuto con l’uso di guanti durante l’espletamento delle attività di miscelazione e carico, e applicazione Si è quindi
proceduto a ricalcolare la stima dell’esposizione per verificare se l’applicazione dei fattori di abbattimento dell’esposizione così come evidenziati dalla letteratura recente possa avere un impatto sostanziale sulla valutazione del rischio per l’operatore esposto a pesticidi.
RISULTATI
Come mostrato nelle tabelle I e II, il range di abbattimento dell’esposizione da utilizzo di dispositivi di protezione applicabile ai modelli
varia da 86% a 99% per i guanti e da 50% a 97.5% per l’utilizzo di tuta
protettiva. Occorre segnalare che il valore medio da noi ottenuto dalla letteratura è di 86% e 71% rispettivamente, e che la variabilità della protezione effettivamente garantita varia in modo notevole, tra un protezione
pressoché totale ed una protezione praticamente nulla, in rapporto alla tipologia dei DIP ed al loro stato di conservazione e manutenzione.
Nei casi borderline sono stati quindi ricalcolati i valori espositivi applicando i dati più recenti della letteratura per gli scenari che prevedevano l’utilizzo di guanti durante la miscelazione e per quelli con guanti durante la miscelazione e l’applicazione (vedi tabelle III e IV).
DISCUSSIONE
I risultati riguardano le sole valutazioni che considerano l’utilizzo
di guanti durante carico e miscelazione e applicazione, in scenari combinati.
I dati hanno mostrato come l’applicazione dei fattori di riduzione introdotti più recentemente, in alcuni casi ha fornito stime espositive sostanzialmente diverse da quelle eseguite al momento della procedura di
autorizzazione prima dell’utilizzo (nella tabella III sono evidenziati in
grassetto i valori che eccedono il 100% dell’AOEL, ovvero il limite
“health-based” entro il quale si considera che l’operatore sia esposto ma
senza rischi per la salute).
Tabella I. Confronto tra i valori di abbattimento dell’esposizione
per l’uso di guanti in diversi modelli e nella letteratura
Tabella II. Confronto tra i valori di abbattimento dell’esposizione
per l’uso di tuta protettiva in diversi modelli e nella letteratura
378
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Tabella III. Casi borderline per i quali si è proceduto a ricalcolare l’esposizione applicando fattori di abbattimento aggiornati
(uso di guanti durante miscelazione e carico)
Tabella IV. Casi borderline per i quali si è proceduto a ricalcolare l’esposizione applicando fattori di abbattimento aggiornati
(uso di guanti durante miscelazione e carico a applicazione)
In corsivo le sostanze non autorizzate all’uso in Europa o ancora in fase di valutazione
In particolare, su 23 scenari analizzati, in 7 casi, pari al 30% circa del
totale, la nostra rivalutazione dell’esposizione ha evidenziato una eccedenza del limite accettabile per l’operatore, suggerendo che l’impiego
dell’antiparassitario potrebbe essere stato autorizzato anche in presenza
di un rischio significativo per l’operatore, non evidenziato dal modello
matematico utilizzato.
Il nostro studio pone quindi il problema dell’adeguatezza degli approcci valutativi attualmente seguiti al fine della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori agricoli, in particolare in riferimento all’ampia
varietà di DIP disponibili, alle diverse stime di riduzione dell’esposizione ottenute da studi condotti in laboratorio o sul campo, e ai diversi livelli
di formazione egli operatori addetti alla manipolazione e all’applicazione
di fitofarmaci. Solo l’esecuzione di studi sul campo mirati, e la produzione di liste di DIP con relativi e specifici valori di abbattimento, potrebbe contribuire a chiarire i dubbi residui.
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tal senso un’accurata definizione delle dosi effettivamente assorbite di inquinanti [intake], per mezzo di misure di monitoraggio ambientale (MA)
e biologico (MB), costituisce un momento fondamentale quanto irrinunciabile per fornire una valida base scientifica sia alla programmazione
delle misure di tutela dei lavoratori che agli studi di epidemiologia occupazionale.
In occasione di vari eventi congressuali dedicati al “rischio chimico” [RisCh2003, “La valutazione del rischio e dell’esposizione ad agenti chimici pericolosi”,
COM-07
IMPIANTO OGGETTO DELLO STUDIO, MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto presso un impianto di un’Azienda petrolchimica, il cui scopo principale è quello di produrre basi per oli lubrificanti mediante la rigenerazione degli oli usati; le basi ottenute dalla lavorazione sono impiegate per la successiva produzione di oli e grassi lubrificanti finiti. Dal processo vengono ottenuti inoltre anche prodotti secondari, quali l’asfalto “flussato”, che viene impiegato nel settore dei bitumi, un gasolio semilavorato, ed un distillato (o “residuo di testa colonna”).
Il processo di RIRAFFINAZIONE DEGLI OLI USATI può essere semplificato in quattro macrofasi: Pretrattamento, Cleaning, Frazionamento e Finissaggio, ed oltre ad esporre gli operatori ai rischi strettamente legati alle diverse lavorazioni specifiche, può comportare altresì un potenziale
contatto con un elevato numero di agenti/prodotti chimici utilizzati durante il processo produttivo (9).
In occasione del periodico aggiornamento della “valutazione dell’esposizione” a sostanze chimiche, si è proceduto ad una revisione delle stime di rischio residuo per effetti di tipo deterministico, confrontando tra
loro i risultati ottenuti dal MA degli inquinanti aerodispersi, la valutazione di tipo qualitativo effettuata dal Servizio di Prevenzione e Protezione
(SPP) [secondo le Linee Guida delle Regioni per la Protezione da agenti chimici] (8) e l’applicazione dei modelli di calcolo predittivo INFORISCH (MOD. 1), elaborato dalla Regione Piemonte, e MOVARISCH, (MOD. 2), elaborato dalle
Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Toscana.
Si è proceduto quindi alla revisione delle schede di sicurezza/schede
chimiche delle 293 sostanze/preparati pericolosi (chemicals, additivi, solventi e catalizzatori) utilizzati e/o stoccati nello stabilimento, censendo le
sostanze non più utilizzate, quelle ancora in uso, ed i nuovi agenti chimici inseriti nel ciclo produttivo; tale accurato esame preliminare si è reso
necessario per ottenere tutte le informazioni utili all’applicazione dei due
modelli predittivi applicati.
Successivamente si è provveduto all’analisi delle 159 sostanze per
cui è stata effettuata la stima qualitativa, o quantitativa del rischio residuo; dei 293 agenti inizialmente individuati, infatti, 134 sono state classificati dal SPP a rischio “basso o nullo” perché dall’analisi delle schede
di sicurezza è emerso che non sono caratterizzate da frasi di rischio R e/o
sono utilizzate esclusivamente in circuito chiuso, ovvero senza alcuna
esposizione significativa ed abituale da parte degli operatori. Il MOD. 2
prevede l’applicazione anche a sostanze che non presentano frasi di rischio R sulla scheda di sicurezza; sebbene il SPP abbia escluso dalla VRR
queste sostanze, si è ritenuto opportuno applicare il modello anche ad alcuni di questi agenti chimici, presi a campione, al fine di poter convalidare, o meno, i criteri valutativi adottati dall’Azienda per questo tipo di
sostanze.
Per ognuna delle 18 MANSIONI OPERATIVE valutate, sono state censite
le sostanze a cui il lavoratore può essere esposto e quindi create delle tabelle in cui è stata inserita la mansione coinvolta, le sostanze da valutare
e, successivamente, i risultati ottenuti dall’applicazione degli algoritmi.
Nel caso del MOD. 1 per 37 delle 159 sostanze analizzate non è stata ef-
ESPERIENZE DI “VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE” AD
INQUINANTI CHIMICI: CONFRONTO TRA MODELLI MATEMATICI
E DETERMINAZIONI AMBIENTALI
F. Cardoni°, E. Celenza*, S. Simonazzi°^
° Dipartimento di Medicina Legale, Medicina del Lavoro, 1a Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
^ Servizio di Medicina del Lavoro e Radioprotezione Medica, Azienda
Policlinico “Umberto I”, Roma
* Consulente Tecnico della Prevenzione nell’Ambiente e nei Luoghi di
Lavoro, Frosinone
Corrispondenza: Prof.ssa Francesca Cardoni, Dipartimento di Medicina
Legale, Medicina del Lavoro, 1a Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università
degli Studi di Roma “La Sapienza” V.le Regina Elena n. 336, 00161 Rome,
Italy, Tel./telefax 06.8105787, mail to: [email protected]
RIASSUNTO. Viene presentata un’esperienza applicativa sull’impiego di due modelli matematici - INFORISCH e MOVARISCH - per la “valutazione del rischio di esposizione” a sostanze/preparati chimici pericolosi in un impianto petrolchimico. I risultati forniti dall’utilizzazione di
tale modellistica vengono quindi confrontati con le valutazioni oggettive
effettuate dal Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale, anche sulla scorta dei dati di monitoraggio ambientale.
Parole chiave: Inquinanti chimici, valutazione dell’esposizione, modelli matematici
CHEMICAL
POLLUTANTS
“EXPOSURE
ASSESSMENT”
EXPERIENCES:
MATHEMATICAL MODELLING VS ENVIRONMENTAL MONITORING
ABSTRACT. This contribution presents the employment of two risk
estimation mathematical modelling - INFORISCH and MOVARISCH - in the
context of an exposure assessment updating for different dangerous
products in a petrolchemical facility, and therefore the comparison with
occupational safety team and environmental monitoring results.
Key words: Chemical pollutants, exposure assessment, mathematical
modelling
INTRODUZIONE
L’evoluzione dei cicli tecnologici ed il considerevole miglioramento
delle condizioni di lavoro, realizzatosi con l’adozione di sistemi di “prevenzione e protezione” degli operatori sempre più efficienti ed efficaci,
ha drasticamente ridotto le possibilità di aerodispersione di agenti chimici nei luoghi di lavoro, configurandosi attualmente molte delle esposizioni occupazionali come del tipo A BASSE/BASSISSIME DOSI.
D’altro canto, l’attuazione del disposto di cui all’articolo 72-quater e
successivi del D.Lgs. 626/94 impone alle imprese una specifica “caratte-
Modena, 17 ottobre 2003, e “La Medicina del Lavoro del 2000. Nuove metodologie di controllo ambientale, sorveglianza sanitaria …”, Firenze, 16-18 novembre 2005],
una grande attenzione è stata altresì posta sulla “attendibilità” degli algoritmi di calcolo, proposti come metodo semplificato per la stima del rischio, ed al
contempo sull’utilità di un confronto con le misurazioni ambientali e
biologiche (1, 4, 6, 7, 11, 12).
Ed è in questo contesto che si inserisce il presente contributo: in occasione del periodico aggiornamento della valutazione del rischio residuo
(VRR) per esposizioni a sostanze/prodotti utilizzati in uno stabilimento
petrolchimico, ed al fine di procedere in termini “oggettivi” e “condivisibili”, si è deciso infatti di applicare due tra i modelli matematici attualmente proposti in ambito nazionale e quindi di confrontarne i risultati con
i dati ottenuti sia dalla VRR che dal MA.
380
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RISULTATI DELLO STUDIO
Dalla VRR di esposizione ad agenti chimici effettuata dal SPP aziendale è risulato che tutte le mansioni analizzate sono caratterizzate da un
“rischio residuo” di livello basso [o MODERATO, ex art. 72-quinquies, D.Lgs. 626/94];
l’indagine ambientale sulla potenziale esposizione ad idrocarburi policiclici aromatici e nebbie di oli ha evidenziato altresì una situazione positiva, in quanto per entrambi i fattori di rischio esaminati i livelli di esposizione riscontrati sono risultati di gran lunga inferiori ai limiti previsti
dalle norme vigenti.
Risultati derivanti dall’impiego degli algoritmi di calcolo previsionale:
1. MODELLO INFORISCH: è stato possibile applicare il modello per un
numero di 118 sostanze/preparati tra quelli utilizzati; i risultati ottenuti attraverso il MOD. 1 sono stati univoci nel giudicare il rischio di esposizione a tutte le 118 sostanze analizzate, per le 18 mansioni esaminate, come
“moderato”. Questa stima è risultata in accordo con quanto concluso dalla revisione della valutazione del rischio chimico effettuata dall’Azienda;
sebbene i dati richiesti da InfoRisCh siano stati di più difficile reperibilità, essi sono per lo più conformi con i dati richiesti nelle schede chimiche create internamente allo stabilimento.
2. MODELLO MOVARISCH: nella sua applicazione è stata preventivamente operata una scrupolosa revisione dell’assegnazione dei punteggi ai
parametri richiesti e delle misure di prevenzione e protezione adottate
nella realtà aziendale osservata; per 15 degli agenti chimici esaminati è
stato ottenuto un risultato valutativo di moderato con intervallo d’incertezza; altre 9 sostanze e/o preparati sono stati classificati, invece, come a
rischio superiore al moderato; mentre per le restanti 59 sostanze analizzate il rischio è stato stimato come “moderato”.
Pure a fronte di tali attenzioni, si sono evidenziate delle anomalie di
valutazione, in particolare per operazioni di ANALISI, caratterizzate da
quantità particolarmente esigue delle sostenze, con esposizioni che si realizzano occasionalmente, od una sola volta al giorno, per tempi comunque inferiori a 15 minuti, con l’agente chimico non segregato, ma con l’uso costante e corretto di Dispositivi Tecnici di Prevenzione (DPT, cappe
aspiranti) e DPI idonei, efficienti ed efficaci.
In tali condizioni sulla valutazione finale operata dal MOD. 2 risulta
influire negativamente sia l’indice di pericolo (P, in alcuni casi pari a 8)
attribuito ai diversi agenti chimici, che l’eventuale indice di esposizione
cutanea (notazione skin, S); per quest’ultimo è da sottolineare la constatazione che il rischio sussiste esclusivamente per contatto accidentale.
Trattandosi di un evento di tipo probabilistico, legato tra l’altro alla perizia ed all’attenzione del singolo lavoratore (che è stato specificatamente formato ed addestrato dall’Azienda alla mansione che svolge), appare
de facto eccessivo il “peso” attribuito a tale parametro, con un risultato
estremamente conservativo da parte del modello predittivo applicato.
Attuando invece, nella stesse situazioni suddescritte, un’analisi qualitativa risulta evidente che in relazione al tipo, alla quantità, alla modalità, ed alla frequenza di esposizione all’agente chimico considerato, il rischio per la sicurezza e la salute dell’operatore risulta oggettivamente inferiore a “moderato”.
schio fornite dai modelli matematici, ha confermato comunque il costante progresso delle misure di tutela adottate dall’Azienda; per la maggior
parte delle sostanze studiate, infatti, i risultati ottenuti attraverso la modellistica applicata sono risultati coincidenti con quelli ottenuti dal SPP
aziendale e corroborati dai dati delle determinazioni ambientali.
Dal confronto tra i due modelli utilizzati, INFORISCH e MOVARISCH,
si evince che entrambi gli algoritmi prevedono di essere alimentati da un
cospicuo numero di informazioni, di cui una buona parte risulta spesso
indisponibile. Entrambi gli algoritmi inoltre, ma soprattutto il secondo,
comportano una notevole discrezionalità del valutatore nella scelta dei
valori da immettere nel sistema; discrezionalità che, almeno parzialmente, può ridurre l’obiettività del processo di “assessment”.
Si può osservare, inoltre, che sull’indice di rischio risultante dall’applicazione di entrambi i modelli influiscono in modo eccessivo le frasi di
rischio R attribuite a ogni sostanza, ed altresì che particolare attenzione
va posta al fattore esposizione cutanea.
INFORISCH valuta l’esposizione percutanea tramite un unico punteggio correttivo, aggiunto all’indice di esposizione per via respiratoria; tale
metodo può essere accolto per sostanze che danno luogo ad un’esposizione cutanea blanda, o ad un’esposizione cutanea che può avvenire accidentalmente. Purtuttavia l’approccio metodologico non è da ritenersi
corretto nel caso in cui, ad esempio, siano prese in considerazione sostanze che possono dar luogo ad esposizione solo percutanea, come si
evince dall’esperienza applicativa della Regione Piemonte.
Il contrario appare realizzarsi per MOVARISCH: questo algoritmo
prende in considerazione molti parametri relativi all’esposizione per via
inalatoria, ma si limita a considerare solamente due parametri inerenti l’esposizione cutanea - spesso sovrastimandola - che non offrono quindi una
descrizione compiuta dell’effettiva situazione espositiva.
Confrontando i risultati ottenuti dall’applicazione degli algoritmi con
quelli ottenuti dal SPP aziendale, si può annotare che i risultati derivanti
dal MOD. 1 hanno consentito di rappresentare correttamente la realtà dello stabilimento esaminato, in conformità ai principi generali di applicazione di qualsiasi modello valutativo; le difficoltà incontrate nell’impiego del MOD. 2 trovano d’altro canto riscontro in letteratura, con risultati
che giungono a delle conclusioni analoghe a quelle emerse dall’esperienza presentata e pongono in evidenza una difficile applicabilità dell’algoritmo in aziende con cicli produttivi complessi.
È opinione condivisa peraltro che solo attraverso una nutrita ed approfondita serie di confronti sarà possibile procedere ad una effettiva validazione/revisione/integrazione di strumenti di calcolo previsionale,
quali InfoRisCh, MoVaRisCh e ChEOpE, che altrimenti possono comportare delle indesiderate sottostime o sovrastime del reale “rischio residuo” (2, 3, 5, 10).
Al contempo, e sulla scorta dei risultati di tali studi, sarà anche possibile codificare in termini più chiari - in futuro - i “livelli di intervento”,
con l’uso rispettivamente degli algoritmi o con le misurazioni ambientali e biologiche degli inquinanti, nell’ambito di corrette e rappresentative
procedure di valutazione dei rischi per la salute degli operatori.
Nel percorso valutativo per la stima del rischio residuo per la salute
dei lavoratori non si può quindi prescindere, almeno nei casi di incertezza, dall’impiego di campionamenti ambientali e/o biologici ai fini di
un’obbiettiva verifica delle condizioni di esposizione a sostanze/preparati pericolosi.
L’oramai assodata transizione culturale dal riconoscimento di un generico “rischio presunto” [ex art. 33, D.P.R. 303/56] all’individuazione di un “rischio specifico valutato” (ed ove necessario MISURATO), già iniziata con il
D.Lgs. 277/91 [ex artt. 4, 5, 11, 24 e 40], impone d’altronde a tutte le figure professionali coinvolte nel processo di exposure assessment una grande attenzione, in particolare in considerazione delle franca attribuzione di responsabilità penale in capo al Datore di lavoro, al Medico Competente,
e ad ogni singolo lavoratore, che ineluttabilmente ne consegue [ex artt. 1, c.
4-bis, 3, 4, 5, 16 e 17, D.Lgs. 626/94].
DISCUSSIONE
L’esperienza condotta nell’impianto oggetto dello studio ha portato a
concludere, in prima istanza, che l’applicazione degli ALGORITMI DI CALCOLO PREDITTIVO può risultare un utile strumento di valutazione soprattutto nella fase iniziale di stima del rischio di esposizione ad agenti chimici.
L’analisi finale del risultato complessivo delle elaborazioni in questione, ed in particolare del confronto fra la valutazione del rischio residuo scaturita dalla VRR aziendale e dalle indagini di MA e le stime di ri-
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fettuata l’applicazione del modello, in quanto non è stato possibile reperire tutte le informazioni richieste; mentre per il MOD. 2 è stato possibile
valutare esclusivamente 91 sostanze tra quelle da stimare.
Per entrambi i modelli, in base alla combinazione dei diversi indici
ottenuti, si è potuto calcolare un indice di rischio finale.
Per il MA ci si è avvalsi di determinazioni a mezzo di dosimetro personale; l’olio usato rigenerabile viene infatti considerato come sostanza
di riferimento per esposizioni ad IPA e nebbie d’olio. Per quanto attiene
ai limiti di esposizione professionale, sono stati presi in considerazione
quelli previsti dal D.M. 26.02.2004 [che definisce una prima lista per esposizione professionale ad agenti chimici]; in assenza di limiti stabiliti ex lege, sono stati utilizzati i valori per TLVs formulati dall’A.C.G.I.H.
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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del rischio e dell’esposizione ad agenti chimici pericolosi”, Modena,
17 ottobre 2003. USL Modena Ed., settembre 2003, 27
381
SESSIONE
SALUTE OCCUPAZIONALE DELLA DONNA
COM-01
BILANCIO D’ATTIVITÀ DI 10 ANNI DI TUTELA DELLA
MATERNITÀ DI LAVORATRICI NELLA PROVINCIA DI PISTOIA
M. Pellegrini 1, I. Panzone 1, P. Genovese 1, A. Fedi 1, C. Ciapini 1,
A. Innocenti 2
1 UU.FF.
2 U.F.
PISLL - Azienda USL 3 di Pistoia - Regione Toscana
Medicina del Lavoro - Azienda USL 3 di Pistoia - Regione Toscana
Corrispondenza: dott.ssa Incoronata Panzone, U.F. Medicina del Lavoro
- Dipartimento di Prevenzione USL 3, Via XXIV Maggio, 8 - 51019
Ponte Buggianese (PT), e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Sono stati analizzati i 1175 interventi relativi alle
donne in gravidanza che si sono rivolte dal 1997 al 2006 alle UU.FF. di
Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro per l’anticipo della
astensione dal lavoro durante la gravidanza. Le richieste di interdizione
anticipata provengono dai servizi (alla persona, scuola, pulizie 29%), industria calzaturiera (14,4%), tessile ed abbigliamento (11,4%), commercio (caratterizzato dalla prolungata stazione eretta 13%), sanità (8,7%),
turismo (8%). Nei primi 7 anni (1997-2003) i rischi prevalenti sono stati
gli sforzi muscolari e le posture, mentre negli ultimi 3 (2004-2006) sono
altresì aumentati sia il rischio biologico sia il chimico. I principi fondamentali per la protezione delle lavoratrici in gravidanza sono la concertazione fra tutti i soggetti interessati e l’informazione delle parti sociali, ma
soprattutto l’informazione diretta delle donne.
Parole chiave: tutela della gravidanza al lavoro
TEN YEARS OF PROTECTION OF THE MATERNITY LEAVE OF WOMEN WORKING
IN PISTOIA
ABSTRACT. We have analyzed 1175 interventions about pregnant
women who came, from 1997 to 2006, to our public occupational health
service, asked for the advance the abstention of work during pregnancy.
Requests for advance the abstention of work during pregnancy came from
service sector (welfare, school and cleaning - 29%), shoe industry
(14,4%), textile and clothing industry (11,4%), commerce (characterized
by prolonged standing straight 13%), health service (8,7%), tourism
(8%). The first seven years (1997-2003) the prevailing risks have been
the muscular effort and the postures, while the last three years (20042006) have increased biological and chemical risks. The most important
principles of labour protection for pregnant women is the agreement with
every subject, and the information of the social parties, but above all the
direct information of the women.
Key words: pregnancy protection at work
INTRODUZIONE
Nonostante in Italia la tutela della maternità sia prevista da oltre
35 anni, almeno relativamente alla parte riguardante i rischi per la gravidanza presenti negli ambienti di lavoro la legge rimane sconosciuta
e frequentemente inapplicata. Questo avviene principalmente perché
non sono stati ancora prodotti i cambiamenti culturali necessari per
mettere in atto quanto previsto dalla normativa. I datori di lavoro considerano “normale” che la donna rimanga a casa durante la gravidanza per problemi di salute, mentre non è “normale” che la donna stia a
casa a causa del rischio lavorativo, ma anche le lavoratrici stesse raccontano spesso di essere rimaste al lavoro a rischio durante precedenti
gravidanze.
I datori di lavoro, specie nelle piccole aziende in cui l’avvenuta valutazione dei rischi è solo autocertificata, omettono di valutare o sottostimano i rischi per le donne in gravidanza e pertanto la tutela della donna
è affidata all’informazione data dallo specialista ginecologo e/o alle conoscenze e all’iniziativa personale della singola lavoratrice.
382
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Tabella I. Confronto fra nascite totali ed astensioni anticipate dal lavoro delle
lavoratrici della provincia di Pistoia dal 1997 al 2006
Dopo la sentenza n. 58 del 16/2/93 della Corte Costituzionale le
competenze sanitarie già attribuite all’Ispettorato del Lavoro furono trasferite alle Regioni e la Regione Toscana ha fatto carico ai Servizi di Prevenzione delle UU.SS.LL. di questa attività che, dopo il recepimento della Direttiva Comunitaria 92/85 (avvenuto nel 1996), è stato ulteriormente sviluppato. Le UU.FF. di Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di
Lavoro della USL 3 di Pistoia dagli anni 1996-97 si sono particolarmente impegnate in una attività volta a promuovere la salute riproduttiva della donna lavoratrice facendo conoscere, da una parte, alle donne occupate in attività a rischio quali sono i loro diritti nel delicato periodo della vita riproduttiva come la gravidanza, il puerperio e l’allattamento, e permettendo, dall’altra, la corretta applicazione da parte dei datori di lavoro
della normativa in tema di tutela delle lavoratrici madri.
In quegli anni infatti iniziò una intensa attività di informazione (verso medici di famiglia, medici competenti e ginecologi) associata alla distribuzione di depliants con il Libretto della Gravidanza (messo a punto
dalla Regione Toscana) distribuito presso i Distretti della USL che ha permesso di far salire il numero di richieste di astensione anticipata dal lavoro per rischio lavorativo dalle poche unità dei primi anni alle 355 del
2006, come si vede dalla tabella I.
Obiettivo di questo lavoro è l’aggiornamento (1, 2) della attività
svolta in 10 anni e il tentativo di analisi di alcuni punti critici.
MATERIALE E METODI
Sono stati analizzati i 1175 interventi relativi alle donne in gravidanza che lavoravano in aziende dei 22 Comuni della USL 3 che si sono rivolte dal 1998 al 2006 alle UU.FF. di Prevenzione Igiene e Sicurezza nei
Luoghi di Lavoro per l’anticipo della astensione dal lavoro durante la gravidanza e sono stati valutati i settori di provenienza, nonché le cause che
hanno determinato l’allontanamento anticipato dal lavoro.
RISULTATI
Nella USL 3 si sono avuti in media circa 2260 nascite per anno (da
2030 a 2507), mentre dalle 6 donne in gravidanza (che si sono rivolte al
servizio di prevenzione) nel 1998 si è saliti fino a 284 nel 2006, anno in
cui il 14% delle lavoratrici in gravidanza è stata allontanata anticipatamente dal lavoro per la presenza di rischi professionali (tab.1).
Riguardo alle attività lavorative oggetto delle domande, si può dire
che grosso modo viene rispettata la struttura produttiva della provincia,
anche se non vi sono dati precisi sui singoli settori produttivi. La maggior
parte delle richieste di interdizione anticipata provengono dai servizi (alla persona, scuola, pulizie etc. 338 - 29%), seguono l’industria calzaturiera (tipica della Val di Nievole 168 - 14.4%), tessile ed abbigliamento
(tipica della zona Pistoiese 133 - 11.4%), il commercio (caratterizzato
dalla prolungata stazione eretta 152 - 13%), la sanità (che si conferma un
settore a rischio anche sotto questo aspetto 102 - 8.7%), il
turismo (caratteristica della Val di Nievole con terme, alberghi, bar e ristoranti (94 - 8%). Da far notare che, nonostante il settore produttivo caratteristico della provincia di
Pistoia sia il floro-vivaismo in cui la manodopera femminile è ampiamente presente, quest’ultima resta fuori dalla
legge di tutela in quanto pochissime le lavoratrici subordinate a fronte di una maggioranza di coltivatrici dirette e
collaboratrici familiari.
Analizzando i rischi prevalenti per cui è stata richiesta l’interdizione anticipata dal lavoro si è potuto costatare che mentre fino al 2003 erano quasi esclusivamente la
posizione in piedi protratta e la fatica fisica derivante da
movimentazione manuale di carichi e/o da posture incongrue (ma solo in pochi casi il rischio chimico, come quello derivante da solventi, mastici, fitofarmaci, etc.) negli
ultimi 3 anni cominciano ad emergere altri rischi. Infatti in
questi 3 anni il rischio biologico era presente in 253 casi
(32,7%) ed il rischio chimico in 114 casi (17,4%). Da considerare poi che questi due rischi sono stati causa di prolungamento dell’astensione dal lavoro nel post-partum in
parecchie lavoratrici che avevano usufruito dell’allontanamento per lettera a.
DISCUSSIONE
Innanzitutto c’è da dire che il parallelo aumento di
astensioni anticipate dal lavoro per esposizione a rischio (lett. b e c) e per
patologia della gravidanza (lett. a) conferma il legittimo sospetto che
buona parte dei casi di questa seconda causa siano in realtà delle “scorciatoie”, suggerite dagli stessi consulenti e/o datori di lavoro, per venire
incontro alle esigenze delle donne in gravidanza senza tirare in ballo le
condizioni di lavoro in azienda. Infatti da una parte pare alquanto poco
credibile che circa un quarto delle gravidanze presenti una patologia ostetrica e dall’altra questa ipotesi è avvalorata dalle numerose richieste di
astensione post-partum fino al 7° mese di donne che hanno in precedenza usufruito dell’allontanamento anticipato per patologia.
Il principio fondamentale per la protezione delle lavoratrici in gravidanza è la concertazione fra medici dei servizi di prevenzione, MMG, ginecologi, ostetriche dei distretti e l’informazione delle parti sociali (organizzazioni di categoria e sindacati dei lavoratori), dei medici competenti
delle aziende e dei consulenti del lavoro, ma, soprattutto, l’informazione
diretta delle donne, che in Toscana è facilitata dalla distribuzione gratuita a tutte le donne incinte del “libro della gravidanza” che fornisce informazioni e istruzioni.
A fronte di questi aspetti positivi bisogna però considerare che i cambiamenti dell’organizzazione del lavoro, alla ricerca della flessibilità,
portano ad una maggiore precarietà ed alla riduzione delle tutele, in particolare delle donne. Ad esempio, i cambiamenti societari hanno permesso in taluni casi la trasformazione delle lavoratrici a tempo indeterminato in lavoratrici a tempo determinato e di conseguenza hanno portato ad
una minore tutela delle lavoratrici in gravidanza.
In conclusione, la maggiore tutela osservata negli ultimi anni nel settore manifatturiero e nei servizi è legata ad una sempre maggiore diffusione della informazione delle donne, ma anche ad una maggiore sensibilità dei medici specialisti riguardo all’attività lavorativa svolta. Di converso si è osservato un certo miglioramento dell’attenzione da parte dei
datori di lavoro (anche conseguenza dell’attività svolta dal dipartimento
di prevenzione della USL), ma ancora troppe volte nei documenti di valutazione del rischio (quando presenti!) i rischi professionali per la donna in gravidanza non sono presi in considerazione.
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2) Pellegrini M, Panzone I, Genovese P, Melosi A, Fedi A, Ciapini C,
Innocenti A “Salute riproduttiva e lavoro: bilancio di 5 anni di attività” Atti 65° Congresso Società Italiana di Medicina del Lavoro e
Igiene Industriale - Taormina (ME) 2002 - G Ital Med Lav Erg 2003;
25: 550
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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COM-02
DETERMINANTI DELLE ASSENZE PER MALATTIA IN UN
CAMPIONE DI DONNE DIPENDENTI DI ENTE PUBBLICO.
LO STUDIO SEMM
M. M. Ferrario1,3, V. Cambiano1, A. Grassi2, G. Veronesi1,
F. Merluzzi4, R. Borchini1, G. Cesana3
1 Medicina del Lavoro e Preventiva. Università degli studi dell’Insubria
e Ospedale di Circolo-Fondazione Macchi, Varese
2 Dipartimento di Psicologia, Università cattolica del Sacro Cuore,
Milano
3 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli studi di Milano,
Milano
4 Centro studi e ricerche Patologia Cronico-Degenerativa, Università
degli studi di Milano-Bicocca, Monza
Corrispondenza: Prof. Marco Mario Ferrario, Medicina del Lavoro e
Preventiva, Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università
degli studi dell’Insubria, Viale Borri, 56, 21100 - Varese, Indirizzo email: [email protected]
RIASSUNTO. I rapporti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) descrivono un incremento del livello di assenteismo dal lavoro per
malattia che riguarda tutti i paesi industrializzati negli ultimi decenni.
L’obiettivo del presente studio è valutare l’incidenza di assenze da
lavoro per malattia (AM) in un campione di dipendenti pubblici donne e
individuarne i fattori determinanti, tra quelli individuali, comportamentali, legati alla situazione famigliare, occupazionali e allo stress lavorativo
percepito.
L’indagine, condotta tra l’Aprile 1992 e il Dicembre 1998, consisteva in una visita basale per la rilevazione dei fattori di rischio e in un periodo di follow-up di due anni, durante il quale venivano raccolte le AM
di durata superiore ad un giorno, escluse le maternità. La popolazione
eleggibile era costituita da 8123 lavoratori del Comune di Milano sottoposti a sorveglianza sanitaria e appartenenti ai seguenti settori municipali (SM): scuole materne, impiegati, commessi e vigili, di cui hanno aderito il 76% (3698 donne e 2448 uomini).
Poiché le donne hanno mostrato un’incidenza di assenze quasi doppia rispetto agli uomini, questi ultimi sono stati esclusi dall’analisi. L’interpolazione di modelli logistici ha permesso di determinare i fattori predittivi indipendenti. Per le assenze brevi sono risultati essere l’attività fisica nel tempo libero, l’anzianità lavorativa e il supporto sociale al lavoro; per le assenze prolungate l’attività fisica lavorativa, l’ipertensione e
l’abitudine al fumo; per le assenze lunghe: lo stress lavorativo percepito
e il numero di contatti familiari.
Parole chiave: Assenza per malattia, stress lavorativo percepito,
donne, impiegati pubblici, Italia.
SICK LEAVES RISK FACTORS IN A SAMPLE OF PUBLIC EMPLOYED WOMEN. THE
SEMM STUDY
ABSTRACT. OMS reports describe an increase of levels of sickness
leaves (SL) at work in all industrialized countries in last decades. Aims
of this study are to assess incidence of SL from work in a sample of women public employees and to identify significant factors, among individual, behavioural, familiar, occupational and work strain related.
The survey took place between April 1992 and December 1998. After the baseline examination, a two years follow-up was conducted, to detect any SL longer than one day. N. 8123 female employees of the Municipality of Milan were enrolled, undergoing a baseline health examination. They belong to the following municipality sectors (SM): kindergarten, register office, clerks and police. The overall response rate was 76%
(3698 females and 2448 males). The present analysis was restricted to female only, who showed almost double incidence of SL than men.
Interpolation of logistic models allowed to identify the following predictive independent factors: physical activity in leisure time, work length
and social support at work, for incidence of short SL; physical activity at
work, hypertension and smoking habit for intermediate SL; and perceived
work strain and number of familiar contacts for long SL.
Key words: Absenteeism, work stress, women, public employees, Italy
383
BACKGROUND
Lo studio SEMM (Surveillance of Employees of the Municipality of
Milan) è stato disegnato per stimare l’incidenza di assenze dal lavoro per
malattia e di eventi coronarici e per indagare i principali fattori di rischio
di tali eventi. Lo studio è parte di un’indagine multicentrica europea, il
JACE1(Job stress, Absenteism and Coronary Events) Study approvato
dall’Unione Europea.
Scopo dello studio è valutare le differenze di incidenza di assenze
dal lavoro per malattia (AM) in un campione di donne dipendenti del
Comune di Milano afferenti a quattro settori municipali e di individuarne i determinanti in base alle caratteristiche individuali, comportamentali, legate alla situazione famigliare, occupazionali e allo stress da lavoro percepito.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta in due fasi: la prima tesa alla rilevazione
dei fattori di rischio; la seconda, di follow-up, comprende la raccolta delle AM di durata superiore ad un giorno occorse nei due anni successivi,
escluse le maternità. I soggetti eleggibili erano lavoratori del Comune di
Milano sottoposti a sorveglianza sanitaria e appartenenti ai seguenti settori municipali (SM): scuole materne, impiegati, commessi e vigili, per
un totale di 8123 soggetti (3219 uomini e 4904 donne). Ai soggetti, in occasione del controllo sanitario offerto dall’azienda, è stato proposto un
protocollo di accertamento volto a valutare con particolare riguardo il rischio di malattia cardiovascolare e i livelli di stress lavorativo percepito,
secondo accordi presi con la direzione aziendale e con le rappresentanze
sindacali. I soggetti sono stati reclutati nel periodo compreso tra l’Aprile
1992 e il Dicembre 1996 e sono stati seguiti per almeno 2 anni di followup, fino al 31 Dicembre 1998. La percentuale di partecipazione è risultata pari al 76% (3698 donne e 2448 uomini).
Per ogni dipendente sono stati misurate, secondo una procedura standardizzata, le seguenti caratteristiche cliniche: pressione arteriosa, peso,
altezza e lipidi plasmatici (colesterolo totale, colesterolo HDL, trigliceridi). Inoltre, mediante un’intervista standardizzata sono stati rilevati i seguenti fattori: il livello di studio (EDU), categorizzato in basso (elementari o medie) e alto (diploma superiore o laurea), la prevalenza di diabete
mellito o cardiopatia (DMC), di ipertensione (HBP), l’età (18-35 e 36-65
anni); fattori di rischio comportamentali come abitudine al fumo di sigaretta (FUM: fumatore attuale, ex-fumatore, mai fumatore) e consumo di
bevande alcoliche (ALC: numero di drink al giorno, 0-2, più di 2); caratteristiche sociali come numero di contatti famigliari (FAM: vivere solo,
vivere con un famigliare, vivere con due o più famigliari) e caratteristiche lavorative: anzianità da lavoro (ANZ: inferiore o pari a 5, da 6 a 15 e
oltre i 15 anni) e classe professionale (CP: alta, prima cifra ISCO-88 pari a 1 o 2, media, prima cifra ISCO-88 da 3 a 5 e bassa, prima cifra ISCO88 da 6 a 9).
Tutti i partecipanti hanno inoltre compilato due questionari, uno
per la rilevazione dello stress lavorativo percepito (JCQ)2 e l’altro relativo all’attività fisica (Baecke Questionnaire)3. Dal primo si è provveduto ad ottenere i principali costrutti: il rapporto tra la domanda psicologica e la libertà decisionale (DPL/LD), il supporto sociale (SS) e
l’insicurezza sul lavoro; dal secondo invece sono state desunte le due
principali componenti: attività fisica al lavoro (AFL) e nel tempo libero (AFT).
Come endpoint principale è stato considerato l’incidenza delle assenze, distinguendole sulla base della durata in: (a) assenze brevi (almeno 3 ripetizioni (spell) di durata compresa tra 2 e 7 giorni in due anni);
(b) assenze prolungate (almeno un’assenza con durata compresa tra 8 e
27 giorni in 2 anni) e (c) lunghe (almeno un’assenza con durata superiore ai 27 giorni in 2 anni).
Ai fini della presente analisi sono state incluse soltanto le donne, poiché mostrano un’incidenza di assenze quasi doppia rispetto agli uomini.
Le differenze nell’incidenza di assenze tra variabili indipendenti sono state valutate con il test Chi quadrato, mentre allo scopo di identificare i principali determinanti per l’incidenza di assenza secondo la diversa
durata sono stati interpolati modelli di regressione logistica con le seguenti covariate: la tipologia di dipartimento (scuola materna, vigili, amministrativi), la classe professionale, l’età, il livello educativo, i contatti
famigliari, l’anzianità lavorativa, l’attività fisica lavorativa e nel tempo libero, l’abitudine al fumo, il consumo di alcol, essere affetti da diabete o
cardiopatie e da ipertensione, il rapporto tra DPL e LD, il supporto sociale
e l’insicurezza del posto di lavoro.
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Tra le componenti dello stress lavorativo percepito, il
supporto sociale al lavoro gioca un ruolo importante per
l’evento breve: coloro che svolgono attività a minor supporto sociale risultano avere un rischio significativamente
più elevato di assenze. Il supporto sociale non evidenzia ulteriori effetti di rilievo all’aumentare della durata dell’assenza. Il dato potrebbe trovare conferma se consideriamo
l’incremento di rischio dei soggetti con bassa anzianità lavorativa. Viceversa il rapporto tra domanda psicologica di
lavoro e libertà decisionale ha un effetto statisticamente significativo nell’end-point lungo, in particolare per il terzo
terzile rispetto al primo. Dunque coloro che svolgono un’attività caratterizzata da alta domanda psicologica e bassa libertà decisionale sperimentano il 36% di rischio in più di assenza oltre i 27 giorni.
L’insicurezza sul lavoro non ha evidenziato alcun effetto rispetto agli
endpoints considerati ed è dunque stata esclusa dai modelli.
Svolgere dell’attività fisica nel tempo libero è protettivo per il rischio
di sperimentare assenze brevi, mentre sia il lavoro sedentario che quello
troppo intenso dal punto di vista fisico aumentano significativamente il
rischio di assenze prolungate.
Tra i fattori di rischio individuali risultano significativi per le assenze di tipo prolungato l’essere ipertesi o fumatori.
Il consumo di bevande alcoliche e la presenze di patologie croniche
quali il diabete e cardiopatie non sono risultati determinanti, anche se la
bassa prevalenza nel campione considerato potrebbe aver influito su tale
risultato.
Infine il supporto dato dalla famiglia è rilevante nelle assenze lunghe, dove non avere contatti famigliari o averne solo uno (essere coniugato o avere un figlio) è una condizione di rischio rispetto a chi ha più
contatti.
Tabella I. Tassi di incidenza (per 100 anni-persona) dei tre endpoints,
per settore municipale
RISULTATI
Le 3698 donne partecipanti sono risultate così distribuite nei diversi
settori municipali: 43% commesse, 34% dipendenti presso le scuole materne, 15% impiegate e solo il 7% vigilesse.
La tabella I mostra i tassi di incidenza (numero di eventi per 100 anni-persona) per i 3 diversi endpoints per settore municipale di appartenenza. Indipendentemente dalla durata, i tassi di incidenza delle assenze
tra i settori municipali sono risultate statisticamente significative (Likelihood Ratio Test p-value).
Il contributo di ciascuna variabile esplicativa risultata significativa
nei singoli endpoint è presentato sottoforma di odds-ratio (OR)e relativi
intervalli di confidenza al 95%(I.C) in tabella II.
Il settore municipale di appartenenza risulta globalmente significativo per le assenze di tipo breve (p-value=0,003) e lunghe (p-value=0,02),
ma non per quelle prolungate. In particolare i vigili mostrano un maggior
rischio di sperimentare assenze rispetto ai dipendenti amministrativi (impiegati e commessi), mentre l’eccesso di rischio specifico dei dipendenti
delle scuole materne non risulta statisticamente significativo.
Risultano differenze complessive statisticamente significative per la
classe professionale, in tutti e tre i tipi di assenza considerati (breve p-value=0,0002, prolungate p-value<0,0001 e lunghe<0,0001). Coloro che
svolgono una professione di livello basso hanno un maggior incidenza di
assenze, rispetto a professioni di livello elevato.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Il presente contributo conferma i risultati di lavori condotti in altri
Paesi europei 4-10
Tabella II. OR stimati mediante un modello logistico
Nella nostra analisi sono state riscontrate quali peculiarità di rilievo l’elevata incidenza di assenze, soprattutto brevi e l’importanza di fattori comportamentali quali l’attività fisica nel tempo libero
e al lavoro, il supporto sociale al lavoro e
la condizione di stress lavorativo percepito, che se adeguatamente affrontato potrebbe contribuire anche a ridurre il fenomeno assenteistico. L’eccesso di rischio
di assenze brevi nei soggetti a minor anzianità lavorativa indica che la formazione ed il sostegno nell’introduzione della
nuova forza lavoro merita attenzione.
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COM-03
PROBLEMATICHE EMERSE NELL’APPLICAZIONE DELLA TUTELA
DELLA LAVORATRICE IN GRAVIDANZA, PUERPERIO
E ALLATTAMENTO: ESPERIENZA DI UN SERVIZIO PUBBLICO
DI PREVENZIONE
M. Tarchi1, D. Bartoli1, A. Demi2, F. Dini2, G.A. Farina1, G. Sannino1.
1U.O.C.
2U.O.S.
Prevenzione Luoghi di Lavoro, Usl 11, Toscana
Prevenzione Lavoro Zona Cuoio, Usl 11, Toscana
Corrispondenza: Dr.ssa Marzia Tarchi, U.O.C. Prevenzione Luoghi di
Lavoro Usl 11 via Cappuccini n. 79 Empoli (FI), Tel. 0571/704853,
[email protected]
RIASSUNTO. Abbiamo studiato il numero di pareri sanitari di interdizione dal lavoro di lavoratrici in gravidanza/allattamento pervenuti
alle U.O. PISLL della nostra Usl nel periodo 2002-2005. I comparti maggiormente rappresentati sono: calzaturiero (29%), servizi (10%) conceria
(7%), sanità (7%), pelletteria (6%), alimentare (6%) mentre i rischi prevalenti sono la postura, la MMC, il chimico e gli agenti biologici. Il numero dei pareri è aumentato nel periodo in esame. Spesso nelle aziende
non vengono valutati i rischi per le lavoratrici in gravidanza/allattamento
e non viene data adeguata informazione alle stesse sulle misure di tutela
previste. Il Servizio ha cercato di colmare il deficit informativo di lavoratrici, datori di lavoro, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e
medici competenti.
Parole chiave: astensione anticipata dal lavoro, tutela gravidanza.
EMERGING PROBLEMS IN ENFORCEMENT OF SAFE METERNITY AND FEEDING
PROTECTION AT WORK: A PUBLIC PREVENTION SERVICE EXPERIENCE
ABSTRACT. We have examined the claims for advance maternity
leave or prolonged benefits for breastfeeding addressed to Occupational
Health Unity of Local Health Service 11 by women at harmful works in
the period 2002-2005. The most frequent occupations were: shoemaker
(29%), service company’s employee (7%), tanners (7%), leather
industry’s employee (6%) and food industry’s employee (6%). The most
important risk factors were: bound postures, manual load handling,
chemical hazards and biological agents. The numbers of claims
increased during the period of interest. In the work place often risks for
pregnancy and breastfeeding are not correctly assessed and women
workers are not informed on their rights. The Occupational Health Unity
of Local Health Service 11 tried to correct the lack of information for
workers, employers, workers’ representatives in health and safety and
enterprise’ s occupational health physician.
Key words: advance maternity leave, pregnancy protection.
385
INTRODUZIONE
Il provvedimento di allontanamento anticipato dal lavoro delle lavoratrici in gravidanza e di prolungamento dell’astensione obbligatoria fino
al 7° mese di vita del bambino è emesso dalla Direzione Provinciale del
Lavoro (DPL) sulla base dell’accertamento medico (parere) espresso dalla Unità Operativa Sicurezza sui Luoghi di Lavoro (UO PISLL) competente su quel territorio (1). In Toscana nel marzo 2005 al fine di semplificare e omogeneizzare sul territorio le procedure in materia di interdizione dal lavoro delle lavoratrici madri è stata emanata una circolare congiunta Regione Toscana (RT) - Direzione Regionale del Lavoro (DRL).
La circolare dà la possibilità alla lavoratrice di presentare la istanza direttamente alla Usl riducendo (anche perché lo scambio di comunicazione tra la DPL e l’Azienda USL è curato via fax) in questa maniera, i tempi di risposta del provvedimento di allontanamento. L’obiettivo del lavoro è il resoconto degli ultimi cinque anni di attività e l’analisi delle criticità emerse.
MATERIALI E METODI
Vengono analizzati i settori lavorativi di provenienza e i principali
fattori di rischio dei 1261 pareri sanitari dal 2002 al 2006 relativi a lavoratrici in gravidanza/allattamento che lavorano nel territorio della Azienda Usl 11, che comprende undici comuni in provincia di Firenze (DPL Firenze) e quattro in provincia di Pisa (DPL Pisa), allontanate dal lavoro a
rischio o ricollocate in mansioni prive di rischio.
Risultati
Nel corso degli ultimi 5 anni a fronte di un tasso di nascite sostanzialmente costante nel territorio analizzato si registra un incremento del numero di lavoratrici allontanate o ricollocate perché esposte a rischi professionali. Come si vede in Tab. I negli anni 2003-2004
vi è stata una riduzione del numero di pareri emessi a seguito della decisione unilaterale della DPL di Pisa di richiedere il parere solo per alcune lavoratrici.
L’applicazione nel 2005 di quanto previsto nella Circolare congiunta
RT-DRL ha determinato un nuovo incremento del numero di pareri emessi. Si segnala inoltre che se nel 2005 il numero di pareri richiesti dalla
DPL di Firenze e Pisa (189) superava quello delle istanze (111) accolte
direttamente dalle UO PISLL, nel 2006 invece il numero delle istanze accolte dalle UO PISLL (237) risulta superiore al numero di richieste (90)
inoltrate dalla DPL di Firenze e Pisa.
I settori lavorativi maggiormente rappresentati sono: calzaturiero
(29%), servizi (10%) conceria (7%), sanità (7%), pelletteria (6%), alimentare (6%).
I rischi prevalenti nel nostro campione sono: la movimentazione manuale dei carichi (MMC), la postura, quello chimico, e quello da agenti
biologici. Il rischio postura, sia incongrua che prolungata, e da MMC è
quello prevalente, più diffuso e trasversale poiché le aziende presenti sul
nostro territorio sono ancora spesso di tipo manifatturiero e di piccole dimensioni.
La produzione di calzature risulta diffusa sull’intero territorio della
Usl mentre la concia delle pelli vede impiegate le lavoratrici prevalentemente in fase di rifinizione ed è concentrata in cinque comuni (quattro in
provincia di Pisa e uno di Firenze).
Nei servizi sono comprese soprattutto le cooperative di socie lavoratrici spesso extracomunitarie addette alla assistenza e cura di anziani e diTabella I. Numero pareri di astensione /prolungamento anni
2002-2006, totali e suddivisi
386
sabili che costituiscono l’indotto del settore sanità rappresentato innanzitutto dalla Azienda Usl 11 (che risulta essere l’azienda con maggior numero di addetti presente sul nostro territorio) e dalle Residenze Sanitarie
Assistite (RSA). In questi settori il rischio da agenti biologici riguarda
prevalentemente le RSA, i centri diurni per disabili e i centri per bambini con disagio sociale.
Il comparto alimentare raccoglie in prevalenza aziende che producono gelati e pasticceria surgelata. Le lavoratrici di questo settore vengono
allontanate prevalentemente per il rischio da movimenti ripetuti dell’arto
superiore (produzione cornetti).
La produzione di articoli in pelle si colloca molto spesso su un livello di qualità alto (grandi firme) e contoterzismo esclusivo. In questo comparto ma ancor di più in quello calzaturiero è presente il rischio chimico da solventi. A proposito del rischio chimico bisogna ricordare che nel territorio troviamo, anche se limitatamente, il rischio
piombo, presente nella produzione della ceramica. Infatti nonostante
le schede di sicurezza degli smalti e colori ceramici utilizzati riportino percentuali di questo metallo molto ridotte rispetto al passato è noto che la norma di tutela prevede il divieto di esposizione a questo metallo per tutta la gravidanza e dopo il parto fino al settimo mese di vita del bambino.
Discussione e conclusione. La valutazione dei rischi, quando c’è, risulta essere un documento formale che riporta molto spesso solo gli articoli di legge e non affronta assolutamente la possibilità del cambio mansione. A questo proposito è nostra opinione che la valutazione dei rischi
per le lavoratrici in gravidanza puerperio e allattamento debba essere parte integrante della più generale valutazione dei rischi e quindi sia da riferire alle donne in età fertile piuttosto che un documento da redigere in
fretta al momento in cui la lavoratrice comunica al datore di lavoro il proprio stato di gravidanza. L’informazione delle lavoratrici, parimenti prevista dalla norma di tutela è completamente disattesa. Sicuramente nella
nostra esperienza più che decennale questo tipo di deficit informativo in
Toscana può essere recuperato mediante la distribuzione insieme al “libretto di gravidanza” consegnato a tutte le donne perché dà diritto alla
esenzione tiket, del depliant illustrativo dei rischi lavorativi e delle relative misure di protezione previste dalla legge. L’informazione dei diversi
attori della prevenzione (datore di lavoro, RLS, MC) è ugualmente un’altro aspetto importante.
La possibilità di presentare le istanze ai nostri Servizi, presenti nelle
due zone della Usl, a differenza delle DPL presenti nei capoluoghi di provincia Pisa e Firenze (distanti trenta Km circa dalle rispettive sedi dei
Servizi PISLL), ha sicuramente garantito un miglioramento del servizio
offerto alle lavoratrici.
Nella nostra esperienza abbiamo verificato che la possibilità del ricollocamento a mansioni prive di rischio per gravidanza/allattamento è
abbastanza limitata. Sicuramente la dimensione aziendale medio-piccola (come prevale nel nostro territorio) e i ritmi/modalità di lavoro (just in
time, contoterzismo esclusivo) sono fattori che condizionano negativamente le reali possibilità di cambio mansione. Nelle aziende di maggiori dimensioni sarebbe possibile il ricollocamento sempre che venissero
formulate procedure trasparenti sull’eventuale ricollocamento della lavoratrice.
Altra problematica emersa è quella relativa alla flessibilità/precarietà del lavoro. Se con il Decreto 12 luglio 2007 (applicazione della tutela prevista dall’art. 17 del D. Lgs 151/01 anche alle collaboratrici a
progetto iscritte alla gestione separata) si è cercato di estendere la tutela
a quelle collaboratrici che nella realtà svolgono un lavoro parasubordinato (gli ultimi casi occorsi riguardavano una parrucchiera e una educatrice di nido!), per le lavoratrici con contratto a tempo determinato (in
netto aumento negli ultimi anni) alla scadenza dello stesso è prevista la
tutela solo se la lavoratrice, malauguratamente, ha una patologia della
gravidanza.
BIBLIOGRAFIA
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2000, n. 53.
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COM-04
GLI INFORTUNI DA VIOLENZA IN OSPEDALE: IL CASO
DELLE AGGRESSIONI NELL’UNITÀ DI PSICHIATRIA
S. Salerno1, L. Dimitri2, M. Canulla2, I. Figà Talamanca2
1
2
Enea Casaccia, Roma
Università La Sapienza, Roma
Corrispondenza: Silvana Salerno, ENEA Casaccia, SP 018, 00123
ROMA, [email protected]
INJURIES FROM VIOLENCE IN THE HOSPITAL: ASSAULTS IN THE PSYCHIATRIC UNIT
INTRODUZIONE
La violenza nei luoghi di lavoro rappresenta un problema di salute al
lavoro rilevante, soprattutto per coloro che operano nel settore della cura
alla persona [1]. L’ospedale rappresenta il luogo di cura per eccellenza,
tuttavia, l’ambiente ospedaliero presenta numerosi rischi sia per gli infortuni che per le malattie professionali. Gli ospedali italiani, in particolare,
sono spesso antichi, collocati in strutture non idonee, con infrastrutture
vetuste, all’interno delle quali opera maggiormente il personale infermieristico (60% della forza lavoro ospedaliera) rappresentato in prevalenza
da donne (76% di tutto il personale infermieristico) (fonte: IPASVI). Le
infermiere affrontano ogni giorno la possibilità di essere vittime di infortuni mentre curano i/le pazienti. In uno studio precedente [2] infatti, analizzando il registro infortuni di un ospedale romano nel periodo 19992004 nell’ambito di una ricerca integrata sull’ambiente ospedaliero, abbiamo rilevato 236 infortuni. Le aggressioni, inaspettatamente, rappresentavano il 24% di tutti gli infortuni con vittime soprattutto tra il personale infermieristico. Le aggressioni erano, inoltre, la seconda causa di
infortunio dopo le punture di ago (43%) e l’unità Psichiatrica presentava
la maggiore prevalenza con il 77% degli infortuni dovuti ad aggressioni.
Per comprendere le cause di questo elevato rischio infortunistico e predisporre delle linee guida per la prevenzione degli infortuni ospedalieri, abbiamo intrapreso un nuovo studio sulle aggressioni nel reparto psichiatrico dello stesso ospedale. È stato pertanto condotto uno studio, in stretta
collaborazione col personale del reparto Servizio Psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC), sulle cartelle cliniche dei pazienti ricoverati nell’Unità
Psichiatrica per studiare le aggressioni, puntualmente segnalate per motivi terapeutici.
MATERIALI E METODI
Sono state analizzate 2195 cartelle cliniche dei pazienti ricoverati
nell’unità psichiatrica SPDC negli anni 2002-2005. Sono stati rilevati e
codificati i dati relativi all’età, genere, stato civile, istruzione, condizione
lavorativa, nazionalità, diagnosi di dimissione ospedaliera (Classificazione internazionale delle malattie, ICD9CM), nuova ammissione ospedaliera o reiterata, trattamento sanitario obbligatorio, trattamento di contenzione, tipo di aggressione (verbale, fisica o entrambe), comportamento
autodistruttivo, vittime delle aggressioni, giorno dell’aggressione dal ricovero, turno, danni ad oggetti. L’analisi statistica è stata effettuata attraverso l’utilizzo del χ2 test e la frequenza delle variabili 2x2 è stata analizzata per confermare le principali differenze evidenziate. I casi di aggressione sono stati confrontati con controlli (nessuna aggressione) per le
variabili età, genere, diagnosi, nazionalità, trattamento sanitario obbligatorio. Gli intervalli di confidenza al 95% sono stati calcolati attraverso la
regressione multipla.
RISULTATI
Le caratteristiche demografiche, lavorative e cliniche delle 2196 cartelle cliniche dei pazienti sono riassunte nella tabella I dove vengono riportati i dati per genere e l’analisi statistica relativa. Nella tabella II vengono analizzati i 321 casi di aggressione e le caratteristiche relative.
Dalle due tabelle si evidenziano interessanti differenze di genere tra
i pazienti. Si nota come le donne ricoverate siano più anziane, più immigrate, anche se poche in percentuale, più sposate e separate, più istruite,
più occupate come impiegate o casalinghe, più ricoverate con diagnosi di
Psicosi psico-affettiva. I maschi, al contrario, sono più giovani con istruzione medio-bassa, più disoccupati, se occupati sono più operai, più disabili e presentano la diagnosi di Psicosi schizofrenica. Per quanto ri-
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387
la necessità di un suo utilizzo solo per casi estremi quando ogni altro meguarda le aggressioni rilevate (n. 321) si evidenzia un comportamento più
todo è fallito [12]. Va anche considerato uno studio che rileva come il riaggressivo nei maschi senza differenze nelle modalità di aggressione che
covero involontario generi futuri ricoveri involontari in un circolo viziosono prevalentemente fisiche in entrambi i generi. È importante qui sotso continuo [13]. Il TSO, la contenzione contro l’aggressività anche vertolineare che si tratta di aggressioni che superano la “normale” soglia di
so se stessi, rappresentano argomenti molto delicati soprattutto nel nostro
aggressività in quanto gli episodi vengono annotati nella cartella clinica
Paese che, con la legge di riforma del Servizio Sanitario Nazionale (L.
a scopo terapeutico. Le vittime delle aggressioni sono infermiere ed in833/1978), ha determinato l’abolizione dei manicomi ed il recupero di
fermieri senza una differenza di genere significativa che esiste invece per
una dignità per il paziente psichiatrico dopo anni di violenze subite. Il
i, pochi, medici aggrediti che sono più maschi. Va considerato che nelle
aggressioni le vittime sono spesso più di una anche perché
Tabella I. Caratteristiche socio-demografiche dei/lle pazienti
colleghi/e intervengono in difesa, questi potrebbero essere
più maschi. Le aggressioni avvengono prevalentemente di
giorno nei turni di mattina e/o pomeriggio, nei primi due
giorni di ricovero per le pazienti femmine, a partire dal terzo giorno nei maschi.
Alcune caratteristiche sono state elaborate attraverso
la regressione multipla per testarne la rilevanza preddittiva dell’aggressione. La tabella III evidenzia i risultati
ottenuti.
I dati della regressione multipla confermano la limitata differenza di genere, la rilevanza dell’età dei pazienti
nella fascia 31-40 ma rilevano come sia soprattutto il ricovero in seguito a trattamento sanitario obbligatorio (TSO)
a determinare le aggressioni. Il TSO raggiunge un rischio
relativo molto elevato che genera una domanda di non facile risposta: è il TSO la causa di un comportamento aggressivo o il comportamento aggressivo aumenta con il ricovero coatto avvenuto per altre ragioni?
DISCUSSIONE
Questo studio conferma l’elevato rischio di aggressione per il personale infermieristico dell’unità psichiatrica.
Nel nostro studio su 2196 cartelle cliniche psichiatriche sono state identificate 321 aggressioni (14.6%) che vengono
riportate a scopo terapeutico. Il nostro studio ha dunque
analizzato aggressioni prevalentemente fisiche non annotate ad hoc per uno studio della violenza al lavoro ma solo
per il problema clinico del paziente. Stiamo pertanto discutendo su dati che sottostimano il fenomeno che, pur con
questi limiti, è rilevante. Uno studio australiano conferma
la sottostima del problema in quanto il personale infermieristico dei reparti psichiatrici considera l’aggressione “parte del lavoro” anche se viene riconosciuta come un esperienza psicologicamente traumatica [3]. Altri studi confermano maggiori rischi nei reparti di psichiatria, tra questi
uno studio americano che riporta un rischio relativo raddoppiato per il personale infermieristico (RR 2 IC 1.1.-3.7)
[4] e uno studio italiano dove la violenza di pazienti psicotici o dementi viene confermata e agita sul solo personale
infermieristico [5]. La fascia di età 31-40 anni e la diagnosi di Psicosi schizofrenica rappresentano un maggiore rischio. Questo dato è confermato da uno studio italiano sul
comportamento violento di pazienti psichiatrici con diagnosi di schizofrenia precedentemente ricoverati [6]. Altri
studi confermano l’elevato rischio per il personale del reparto psichiatria anche se utilizzano modalità di studio differenti. Uno studio danese rileva un aumento significativo
del rischio di depressione e stress in relazione all’esposizione a violenza, il personale ospedaliero è tra le categorie
più a rischio [7]; analogamente uno studio turco conclude
che le infermiere che operano nei reparti psichiatrici in
Turchia sono a rischio per la loro sicurezza e salute [8].
Questi studi confermano i rischi per la salute del personale
infermieristico soprattutto femminile esposto a violenza
che, particolarmente suscettibile alle malattie mentali, ai
sentimenti di suicidio [9] all’ansia dovuta ad aggressioni fisiche e verbali da parte dei pazienti [10], spesso abbandona la professione come rileva il recente studio Nurses Early
Exit Study (NEXT) anche a causa della violenza subita nel
lavoro quotidiano [11].
Il TSO cioè il ricovero non volontario del paziente è,
nel nostro studio, fortemente legato al comportamento aggressivo senza differenze di genere. Questo dato conferma
388
Tabella II. Aggressioni riportate nelle cartelle cliniche e loro caratteristiche (n. 321)
*a causa di alcuni dati mancanti i numeri totali possono essere diversi
** numero delle vittime è superiore al numero delle aggressioni in quanto in alcuni casi vi era più di
una vittima
Tabella III. Regressione multipla e rischi relativi con intervalli di confidenza al 95%
aggiustati per alcune caratteristiche dei pazienti psichiatrici in relazione alle aggressioni
problema etico della violenza rimane nell’agenda dei servizi psichiatrici
che giornalmente cercano un bilanciamento difficile tra sicurezza del paziente, dei suoi familiari e della popolazione generale. In questo bilanciamento la medicina del lavoro, anche attraverso questo studio, porta un
altro elemento che è quello della salute del personale infermieristico spesso esposto in prima persona senza alcuna formazione specifica e riconoscimento.
CONCLUSIONI
Lo studio ha evidenziato un rischio relativo elevato di aggressioni
per il personale infermieristico in caso di ricovero per trattamento sanitario obbligatorio. Questo dato conferma la rilevanza degli infortuni sul lavoro da aggressioni denunciati dal reparto psichiatria negli stessi anni e
annotati nel registro infortuni negli anni 1999-2004.
Il datore di lavoro ha la responsabilità di prevenire la violenza su lavoro e di adottare le pratiche di lavoro che prevengano i rischi sul personale. Riconoscere il rischio da violenza, inserirlo nel documento di valutazione dei rischi, svolgere un monitoraggio specifico che porti alla pre-
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venzione e se necessario alla compensazione, svolgere la
formazione in senso preventivo rappresentano i modi per
conoscere il fenomeno e contribuire alla prevenzione delle
“circa 800.000 persone che in Europa sono uccise dagli
infortuni intenzionali o non. Prevenire e controllare infortuni non intenzionali e la violenza rappresenta una priorità
per l’azione di sanità pubblica che necessita un forte impegno soprattutto nel settore della cura” [14].
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COM-05
LA SALUTE DELLE DONNE AL LAVORO: INTERFERENZE
TRA RISCHI LAVORATIVI E CONDIZIONI DI VITA
A. Esposito, R. Ferrucci, L. Romano, E. Nigro, M. Lettieri, A. Barile
Dipartimento di Scienze Mediche Preventive Università degli Studi
Federico II di Napoli
Corrispondenza: Dott.ssa Alessandra Esposito, Sezione di Medicina del
Lavoro, Policlinico Universitario Federico II, Via Sergio Pansini 5, 80131
NAPOLI , Tel. 0817462127, Fax 0817462124
RIASSUNTO. La più ampia partecipazione della donna al mondo
del lavoro impone una maggiore tutela della salute, non solo riproduttiva,
e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
La Sorveglianza Sanitaria può costituire un utile indicatore delle differenze di salute tra lavoratrici e lavoratori, ma è necessario interpretare
questi dati in funzione di variabili non solo fisiologiche tra i sessi.
I dati proposti riguardano 7991 uomini e 675 donne occupati in tre
settori lavorativi sottoposti a Sorveglianza Sanitaria.
La distribuzione percentuale per settori d’attività ha visto una presenza di donne nel settore dei servizi di pulizia oltre tre volte superiore a
quella degli uomini.
Per quanto attiene ai profili di salute, tra donne ed uomini non sono
state registrate cospicue differenze, con le eccezioni delle patologie respiratorie, che caratterizzano di più il sesso maschile, e di quelle psicosomatiche, maggiormente prevalenti nel sesso femminile. Il riscontro di
maggiori prevalenze di patologie osteomuscolari, di disturbi pscichici e
cefalea ricorrente nei differenti settori d’attività nelle donne coniugate e
con figli, a differenza di quanto registrato negli uomini, sembra indicare
che i fattori, esterni al lavoro, del carico stressante, fisico e mentale, hanno un peso non trascurabile.
Parole chiave:Donne e uomini; Patologie cronico-degenerative; Lavoro e condizioni di vita
HEALTH STATUS OF WOMEN AT WORK: WORK RISKS AND LIVING CONDITIONS.
ABSTRACT. The increase of women at work calls for a new
attention to a full health protection, besides the fertility and reproduction.
Health Surveillance in workplaces can give much information about
health state of women and men, when the evaluation takes into account
physiological and social differences between the sexes.
The study reports the health data from a working population, 675
women and 7991 men, employed in different work activities. The results
showed no significant difference of health state between women and men,
except a greater prevalence of the respiratory pathologies in men and
psychosomatic disorders in women.
Prevalence of muscle-skeletal diseases, psychosomatic disorders and
recurring headache have been higher in married than in unmarried
women; among married women, prevalence of pathologies have been
related to number of children. No difference have been found between
unmarried and married men, except a greater prevalence of psychic
disorders in youngest. Results confirm the interaction between domestic
and working load on health state of women. Under the same work
conditions, women are subjected to a higher physical and mental load
that reduces the endurance of strain and stress and increases the
prevalence of some pathologies, as musculoskeletal chronic degenerative
diseases and psychological disorders.
Key words: Women and men; Chronic-degenerative diseases; Work
and life conditions
INTRODUZIONE
La tutela della salute della donna che lavora è ancora oggi prevalentemente orientata a privilegiare la funzione riproduttiva o la maternità. La
donna gravida è, infatti, tutelata da norme, che impongono l’allontanamento da ogni attività che rappresenti un rischio per il nascituro, per l’esposizione a fattori di rischio specifico e per eventuali stress fisici e mentali.
La settorializzazione dell’interesse appare dettata dal pregiudizio, solo parzialmente superato, secondo il quale le donne svolgono prevalentemente lavori “leggeri”, meno stancanti di quelli degli uomini. Questo
conduce ad orientare la ricerca sui fattori di rischio per la salute delle
donne prevalentemente alle vicende ormonali, ritenendo esse i determi-
389
nati principali della morbidità nelle lavoratrici e dei differenti profili di
salute rispetto agli omologhi maschili.
La “trasparenza” della donna che lavora è abbastanza evidente anche
nel campo della prevenzione. La maggior parte dei valori limite d’esposizione ai fattori di rischio è riferita al maschio medio, così come la gran
parte degli indumenti di protezione e delle attrezzature è pensata e costruita sulle sue caratteristiche fisico-biologiche e sulle sue dimensioni
relazionali, escludendo o limitando gli adattamenti alle “devianze” dal
prototipo maschile.
La posizione appare limitante, nel momento nel quale la stessa Comunità Europea mette in risalto che la più ampia partecipazione della
donna al mondo del lavoro impone una nuova dimensione del campo della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il rapporto ISTAT sull’occupazione del secondo trimestre 2007 conferma che anche in Italia il tasso d’occupazione femminile ha subito un
incremento, portandosi al 46.8%, anche se con notevoli differenze nelle
tre macroaree geografiche (56.9% al Nord, 52.9% al Centro e solo 31%
al Sud e Isole)[1]. La crescita del tasso d’occupazione femminile è stata
prodotta dal lavoro a tempo determinato, soprattutto nel settore delle società di servizio. Secondo il rapporto annuale ISTAT del 2006, circa il
71% delle lavoratrici ha un rapporto di lavoro contrattualmente a tempo
determinato o “part-time”, soprattutto al Nord ed al Centro[2].
Di là d’ogni motivazione legata alle scelte politiche delle nazioni, è
dato generalizzabile che sui tassi dell’occupazione e sulla scelta del lavoro part-time da parte delle donne pesano ancora il carico domestico e
l’entità della condivisione di responsabilità e sostegni alle attività di cura
della famiglia. Il tasso d’occupazione femminile, infatti, è sempre correlato al numero di figli, diminuendo significativamente all’aumentare di
questo[2].
Per quanto riguarda la distribuzione nei settori d’attività e, soprattutto, la posizione gerarchica in esse, sono ancora presenti non trascurabili
differenze tra donne ed uomini. Esistono tuttora professioni e ruoli tipicamente maschili, nei quali le più recenti “inclusioni” femminili sono avvertite come esempi di modernizzazione democratica, piuttosto che come
naturali esiti di un pareggiamento delle opportunità, fondato sulle capacità e sui meriti e non su un artificioso meccanismo di compenso. La riprova è che sono ancora poche le donne che riescono a raggiungere posizioni di vertice e ad essere coinvolte nei processi decisionali, nonostante
il fatto che nelle donne siano da anni sensibilmente più alti i livelli d’istruzione e la riuscita negli studi.[2] Nell’affido di compiti lavorativi
“difficili”, la scelta cade ancora preferenzialmente sull’uomo, riservando
alle donne i compiti meno specializzati, che non richiedono training formativi, creano scarsa competizione, non compromettono significativamente la disponibilità del tempo per la casa e la famiglia. Spesso le professioni femminili riproducono compiti e ruoli del lavoro domestico, come le attività di pulizia, cucina, assistenza e cura di bambini e anziani. Altrettanto spesso accade che queste attività siano caratterizzate da alti rischi di patologie cutanee, respiratorie, osteo-muscolari, cosicché le donne si trovano a sommare ai rischi lavorativi quelli del lavoro domestico,
con l’aggravante del fatto che quest’ultimo è svolto prevalentemente nelle ore serali, quando il cumulo di stanchezza e le fisiologiche variazioni
circadiane riducono le capacità adattative, innalzando la probabilità d’insorgenza di patologie cronico-degenerative [3,4,5,6,7].
La Sorveglianza Sanitaria può costituire un utile indicatore delle differenze di salute tra lavoratrici e lavoratori, ma, perché siano comprese le
cause delle eventuali differenze, è necessario interpretare i dati in funzione di variabili non solo quelle fisiologiche tra i sessi.
CAMPIONE E METODI
L’esperienza proposta riguarda l’elaborazione dei dati della Sorveglianza Sanitaria di 7991 lavoratori e 675 lavoratrici, condotta presso la
sezione di Medicina del Lavoro dell’Università Federico II di Napoli dal
2001 al 2005. La distribuzione per settore della popolazione esaminata ha
visto la quota maggiore nel terziario, 4348 uomini e 360 donne, seguiti da
quello industriale operaio, 3432 e 190, e dei servizi civili di pulizia, 544
e 125. Sulle cause del basso numero di donne e sulla percentuale di occupate nel settore delle pulizie, tripla di quella dei maschi, si tornerà in
sede di discussione. Le informazioni relative a ciascun lavoratore sono
state ricavate dalle cartelle sanitarie e di rischio, nelle quali, previa
espressione del consenso informato, sono stati raccolti anche informazioni socio-economiche: scolarità, stili di vita, composizione del nucleo familiare e condizioni di vita in famiglia. Per la valutazione dello stato di
390
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salute, sono stati utilizzati sistemi d’elaborazione informatica, previa introduzione dei dati raccolti nel programma statistico SPSS 10, dopo codifica numerica delle diagnosi, secondo i modelli ISTAT per le indagini
sullo stato di salute degli Italiani.
avuto maggiori prevalenze di malattie della pelle, del sistema muscoloscheletrico e la cefalea ricorrente. Le prime due sono state, altresì, in correlazione diretta e significativa, rispettivamente P<0,05 e >0,01, con il
numero di figli.
RISULTATI
Nel campione totale, con la sola variabile del sesso, le più cospicue
e statisticamente significative differenze tra i sessi hanno riguardato le
aritmie cardiache, 3.0% nelle donne vs. 1.7% negli uomini, le varicosità
agli arti inferiori, 7.7% vs. 1.2%, le malattie della pelle, 3.6% vs. 0.6%,
le neoplasie, la cefalea ricorrente, 15% vs. 0.6%, i disturbi psichici,
16.7% vs. 2.3%, le spondilopatie nei tre tratti, 11.4 vs. 6.3, e le artropatie, 5% vs. 3.9%. Negli uomini sono state significativamente più alte le
prevalenze delle patologie croniche respiratorie, 14.5% vs. 4.7%, e la cardiopatia ischemica, 2% vs. 0.3%.
La variabile età ha dimostrato influenza simile tra donne ed uomini,
con poche differenze. Va detto, innanzi tutto, che le donne hanno avuto
un’età media significativamente inferiore a quella degli uomini, 42.15 vs.
44.17 anni, P<0.01. Nelle donne le prevalenze delle patologie sono state
direttamente correlate con l’aumentare dell’età, con l’eccezione dei tumori, della cefalea ricorrente e dei disturbi psichici, che, avendo raggiunto prevalenze alte nelle fasce più giovani, hanno avuto incrementi con
l’età non statisticamente significativi. Negli uomini, quasi tutte le patologie sono state in correlazione diretta con l’età, significativa per le patologie respiratorie, l’ipertensione arteriosa, la cardiopatia ischemica, i dismetabolismi glucidici. Le epatopatie croniche ed i disturbi psichici sono
stati, invece, già presenti nelle fasce più giovani, addirittura sotto i 30 anni, motivo per il quale non si è avuta correlazione con l’età o essa non è
stata significativa.
Tra gli stili di vita, nelle donne è stata nettamente più bassa la frequenza dell’abitudine al fumo rispetto agli uomini, 35.0 vs. 50.7. Per entrambi i sessi, il maggior numero di fumatori è stato presente nelle attività di pulizia, nel quale le donne hanno concentrato il maggior numero
di fumatrici, con differenza statistica molto significativa rispetto alle altre attività, mentre negli uomini le significatività ha riguardato il confronto degli addetti ai servizi e degli operai d’industria con i lavoratori del
terziario. L’abitudine al fumo è stata in correlazione diretta e significativa con le patologie respiratorie ed ischemiche cardiache nei maschi dei
settori industriale e terziario, mentre non è stata presente significatività
nell’incrocio tra patologie respiratorie e fumo nel settore delle pulizie civili in entrambi i sessi.
In analogia con quanto dimostrato in numerosi studi, i livelli d’istruzione sono stati legati a differenti risposte in termini di prevalenza di patologie cronico-degenerative. Alla più bassa scolarità hanno corrisposto
le prevalenze più alte in uomini e donne, con significatività per diabete,
ipertensione, patologie respiratorie ed osteomuscolari.[2] Il dato può essere considerato in linea con la maggiore presenza dei livelli scolari più
bassi nei lavori più a rischio per il carico fisico, ma anche con gli stili di
vita meno orientati alla tutela della salute, che caratterizzano le popolazioni meno istruite. Una riprova è data dal fatto che nei lavoratori con più
bassa scolarizzazione sono state presenti le maggiori prevalenze di soggetti in soprappeso e che in loro è più diffusa l’abitudine al fumo.
Il tipo d’attività lavorativa ha mostrato influenze sugli indici di morbidità in entrambi i sessi. Nelle donne, il settore delle pulizie civili è stato interessato dalle prevalenze maggiori delle patologie cronico-degenerative respiratorie, cardiovascolari, cutanee ed osteomuscolari, con differenze statisticamente significative, P<0.01, rispetto agli altri due. Solo le
patologie psichiche e la cefalea ricorrente hanno avuto prevalenza maggiore nel settore terziario, con una differenza statisticamente significativa, P<0.05, rispetto agli altri. Negli uomini, invece, il settore terziario è
stato meno interessato da tutti i tipi di patologia, mentre prevalenze di
volta in volta differenti, con differenti espressioni di significatività, hanno caratterizzato il settore dei servizi e quello industriale. In particolare,
in quest’ultimo sono state registrate le prevalenze più alte dell’ipertensione arteriosa, della cardiopatia ischemica e dei tumori.
Lo stato civile è stato utilizzato come prima variabile socio.economica. 9 sono state coniugate e 140 nubili. Confrontando i dati d’emergenza delle patologie fra le donne coniugate, 509, e le nubili, 140, è emerso che quasi tutte le patologie sono state più presenti nelle donne coniugate, con significatività statistica P<0.05 per le osteomuscolari, e che solo i disturbi psichici sono stati più frequenti nelle nubili. Considerando il
carico familiare attraverso il numero di figli, le coniugate con figli hanno
DISCUSSIONE
Il primo dato da considerare è d’ordine socio politico, circa l’enorme
differenza tra il numero di uomini e di donne sottoposte a Sorveglianza
Sanitaria. In parte esso riproduce la minore presenza di donne nel mondo
del lavoro, almeno nella regione Campania.[2] Maggiormente, però, esso
è determinato dal fatto che le donne sono inserite in attività, nelle quali è
meno riconosciuta la presenza di rischi, motivo per il quale è meno diffuso l’obbligo della Sorveglianza Sanitaria. La distribuzione percentuale
per settori d’attività, con una presenza di donne nel settore dei servizi di
pulizia oltre tre volte superiore a quella degli uomini, dimostra tuttora
che, almeno nel Sud dell’Italia, la donna è maggiormente adibita ad attività di basso profilo e scarsa considerazione sociale ed economica.
Per quanto attiene ai profili di salute, alla prima osservazione tra
donne ed uomini non sono state registrate cospicue differenze, fatto salvo il ribadire che le patologie respiratorie caratterizzano di più il sesso
maschile e quelle psichiche e psicosomatiche il sesso femminile.
Questa osservazione è contraddetta o, per lo meno, relativizzata dall’incrocio con la variabile cronologica. Se si considera, infatti, che la popolazione femminile è statisticamente più giovane, affatto non si può notare che la donna lavoratrice, a parità di settore lavorativo, ammala di patologie cronico-degenerativa prima che l’uomo. Il riscontro di maggiori
prevalenze di patologie nelle donne coniugate e la correlazione diretta e
significativa con il numero dei figli sembra chiaramente dimostrare che
nella donna le variabili extra lavorative di carico domestico influenzano
negativamente lo stato di salute, innalzando gli indici di morbilità. La differenza tra gli stati civili e la condizione di curatrice di più persone oltre
che di se stessa è stata particolarmente evidente per le patologie osteomuscolari, che hanno avuto le prevalenze più alte nelle coniugate con figli, con il valore critico di questi intorno a 2.4. Questo significa che,
quando la donna ha un carico familiare di almeno 4 persone, è facilmente superata la sua capacità d’adattamento allo stress fisico, favorendo l’insorgenza precoce dei fenomeni degenerativi osteomuscolari. Non è superfluo all’uopo ricordare che l’attività domestica è caratterizzata da rischi per il sistema muscolosceheletrico per la presenza di obblighi posturali, movimenti ripetitivi, sforzi fisici reiterati e poco compensati da pause. [5,6,7] Né è semplice frutto d’intenzione enfatica sottolineare che l’attività domestica per la donna che lavora è equivalente ad un secondo lavoro, comunemente più oneroso di quello istituzionale, giacché svolto
per lo più quando sarebbe opportuno il recupero energetico.
Infine, un’ipotesi interpretativa deve essere formulata anche per
quanto attiene ai disturbi psichici e psicosomatici. [8] Le prevalenze alte
in tutte le donne di disturbi del comportamento e di cefalea ricorrente,
espressione parimenti d’alterazione organica e di manifestazioni reattive
d’insoddisfazione e di stress, senza differenze tra i differenti settori d’attività ma più presenti nelle coniugate che nelle nubili, a differenza di
quanto registrato negli uomini, sembra indicare che i fattori, esterni al lavoro, del carico stressante, fisico e mentale, hanno un peso non trascurabile. Va, altresì, considerato che le donne hanno denunciato più che gli
uomini, come fattore soggettivamente turbativo, l’autoritarismo aziendale, inteso come rigidità ed eccesso delle funzioni di controllo. Èprobabile che questa percezione, in parte corrispondente ad un oggettivo diverso
trattamento riservato alle lavoratrici, in parte conseguente alla minore capacità di reazione di chi è mediamente giunto più tardi nel mondo del lavoro, collabori anch’essa a precarizzare il benessere nei termini della salute mentale e relazionale.
CONCLUSIONI
I dati raccolti, pur non consentendo, per l’esiguità del campione femminile, di definire con precisione la condizione di salute delle donne che
lavorano, forniscono, ad ogni modo, un’informazione sulla differente risposta di donne ed uomini alle sollecitazioni lavorative. La più alta prevalenza di patologie cronico-degenerative nelle donne in genere, nelle coniugate con figli soprattutto, sembra dimostrare che, a parità di condizioni lavorative ed individuali, nella donna il carico domestico e familiare ha
un peso notevole nella determinazione della non salute. La risposta della
Medicina del Lavoro e della Competenza Medica non può che essere
orientata ad una valutazione più ampia, nella quale siano attribuiti i pesi
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dovuti ad tutte le situazioni, che la donna lavoratrice abitualmente vive.
L’applicazione di un intervento focalizzato solo su aspetti fisiologici conduce inevitabilmente a sottostimare i problemi connessi con l’esigenza di
tutela della salute delle donne, tanto più perché spesso le patologie sfuggono al meccanismo binomiale del rapporto rischio lavorativo/malattia.
Non è, pertanto, semplice esercizio retorico cominciare a progettare una
Medicina del Lavoro “di genere”.
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COM-06
LAVORO E DEPRESSIONE DELLE DONNE DOPO LA NASCITA
DI UN FIGLIO
P. Romito*, L. Pomicino*, C. Lucchetta**, F. Scrimin**,
J. Molzan Turan***
* Università degli Studi di Trieste
** I.R.C.C.S. “Burlo Garofolo”, Trieste
*** University of California, San Francisco, U.S.A.
Corrispondenza: Laura Pomicino, Facoltà di Psicologia, Università
degli Studi di Trieste, Via S. Anastasio 12, 34100 Trieste. Tel.:
349.6612016. E-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Obiettivo: Analizzare i principali fattori associati alla depressione 8 mesi dopo il parto, con particolare attenzione al ruolo
dell’attività professionale della donna.
Materiali e metodi: 352 donne hanno risposto ad un questionario faccia-a-faccia pochi giorni dopo il parto, presso l’Ospedale Infantile “Burlo Garofolo” di Trieste. Fra queste, 292 hanno risposto ad un secondo
questionario, telefonico, 8 mesi dopo.
La depressione 8 mesi dopo il parto è stata misurata con il General
Health Questionnaire (GHQ).
Risultati: 8 mesi dopo il parto il 5% delle donne era depresso. Il 32%
delle donne si dichiarava non soddisfatta della sua situazione professionale, senza differenze fra quelle che lavoravano e quelle che stavano a casa. Il 13% riportava problemi relativi al lavoro (es. licenziamento, scarsa
flessibilità di orario).
La situazione lavorativa non era associata alla depressione, mentre lo
era la congruenza fra ciò che la donna stava facendo (lavorare/stare a casa) e ciò che avrebbe desiderato fare. La relazione permaneva anche controllando per gli altri fattori associati alla depressione.
Conclusioni: L’insoddisfazione legata alla propria situazione lavorativa incide negativamente sulla salute delle donne dopo la nascita di un bambino. Questo aspetto è centrale per promuovere il benessere delle madri.
Parole chiave: Depressione, lavoro, post-partum, fattori psicosociali.
391
WORK AND DEPRESSION IN WOMEN AFTER THE BIRTH OF A CHILD.
ABSTRACT. Objective: To analyze the main factors associated to
depression at 8 months postpartum, looking more particularly at women’s
employment.
Method: 352 women responded to a face-to-face questionnaire few
days after the birth, at the Maternity Hospital “Burlo Garofolo” in
Trieste, and 292 of them responded to a telephone interview 8 months
later. Psychological distress 8 months after delivery was evaluated with
the General Health Questionnaire (GHQ).
Results: 8 months postpartum, 5% of women were depressed. 32% of
women were non-satisfied with their current working status, without
differences among those working and those staying at home. 13% of
sample reported problems related to work (such as being fired or no
flexible working hours).
The women’s actual working status was not associated with
depression, while the congruence between what the woman was doing
(working/at home) and her wishes was. The relationship was still
significant after adjusting for other factors associated with depression.
Conclusions: Employment dissatisfaction is negatively associated
with women’s health after childbirth. To promote mothers’ wellbeing, the
question of women’s employment after birth should be addressed.
Key words: Depression, work, post-partum, psychosocial factors
INTRODUZIONE
La depressione post-partum (DPP) è un disturbo molto diffuso e studiato, che colpisce dal 5 al 15% delle madri (Nielsen-Forman et al., 2000;
Stewart et al., 2003). L’anedonia, la tristezza, i sensi di colpa, i sentimenti
di inadeguatezza che lo caratterizzano provocano una profonda sofferenza individuale e familiare. Il costo di questo disturbo in termini di salute
pubblica aumenta ancora se consideriamo gli effetti negativi della DPP
sui figli dal punto di vista cognitivo, emotivo e comportamentale (Murray & Cooper, 1997). Diversi studi hanno indagato i fattori di rischio associati alla DPP (Dennis et al., 2004; Nielsen-Forman et al., 2000; Watt
et al., 2002) evidenziando l’importanza degli aspetti psicosociali: in particolare, le difficoltà nella relazione di coppia, la mancanza di supporto
sociale, l’insoddisfazione rispetto alla propria situazione lavorativa risultano significativamente associati alla DPP (Romito et al., 1999). Gli effetti del lavoro extra-domestico sulla salute delle donne con bambini piccoli è un argomento ancora controverso (Romito, 1994). Le donne lavoratrici hanno complessivamente una salute migliore rispetto alle casalinghe, ma dormono di meno e hanno meno tempo libero (Artazcoz et al.,
2004; Istat, 2007), sono soddisfatte del proprio lavoro ma non dello spazio da dedicare a se stesse (Istat, 2004). L’arrivo di un figlio comporta per
la donna una dilatazione del tempo dedicato al lavoro familiare e una riduzione di quello retribuito, in modo diametralmente opposto a quanto
avviene per gli uomini (Istat, 2007). Gli esiti sulla salute psicofisica delle donne, poi, dipendono anche da altre variabili come il livello di istruzione, il reddito, la classe sociale (Romito, 1994; Goldberg et al., 2004).
Scopo di questo studio è analizzare il ruolo dei fattori psicosociali associati alla depressione 8 mesi dopo il parto, con particolare attenzione al
ruolo dell’attività professionale della donna.
PROCEDURA E METODI
È uno studio longitudinale svolto a Trieste presso l’I.R.C.C.S. “Burlo Garofolo”, approvato dal Comitato per la Bioetica dell’Istituto. Da
gennaio ad aprile 2004 è stato chiesto a tutte le puerpere di partecipare ad
una ricerca sulla salute delle donne. Coloro che accettavano, erano intervistate con un questionario, e veniva chiesto loro se volevano rispondere
ad un altro questionario, telefonico, 8 mesi dopo. Le intervistatrici erano
competenti sul tema della DPP e informate sui servizi sociosanitari a
Trieste.
STRUMENTI E MISURE
Il primo questionario include domande su: aspetti socio-demografici,
intenzionalità della gravidanza, salute della donna e del bambino, parto.
Il secondo questionario include domande su: salute del bambino, allattamento, ripresa dell’attività sessuale, salute fisica e mentale della donna,
situazione lavorativa, relazione di coppia, condivisione del lavoro domestico e di cura del bambino, ed esperienze di violenza.
Salute mentale della donna e DPP: la DPP è stata valutata con il
General Health Questionnaire (GHQ) nella versione con 12 domande.
Abbiamo adottato un cut-off >5 per individuare le donne con una sinto-
392
matologia depressiva più grave. Inoltre, nel primo questionario abbiamo
chiesto se, prima della gravidanza, le donne avessero provato frequenti
sentimenti di depressione e/o di ansia.
Situazione professionale: nel secondo questionario abbiamo indagato la situazione lavorativa delle donne. Inoltre abbiamo chiesto se: 1.
Erano a casa, ma volevano lavorare; 2. Erano a casa, come desiderato; 3.
Lavoravano, come desiderato; 4. Lavoravano ma preferivano stare a casa; 5. Lavoravano full-time ma preferirvano il part-time. Le risposte 2 e
3 sono state ricodificate in un’unica categoria, “soddisfatta”, mentre la 1,
la 4 e la 5 sono state riunite in “insoddisfatta”.
Altre variabili psicosociali. A partire da numerose domande sulle
possibili violenze - psicologiche, fisiche, sessuali - nel dopo-parto, abbiamo costruito una variabile che include violenze di qualsiasi tipo, dal
partner o da un altro familiare. Altre domande riguardavano la relazione
di coppia: accordo sulla contraccezione prima della gravidanza, accordo
sulla gravidanza stessa, ripresa dei rapporti sessuali nel dopo parto, valutazione della relazione di coppia e del rapporto padre-bambino.
Strategia di analisi. Dopo un’iniziale analisi delle relazioni bivariate tra le variabili demografiche e psico-sociali e la depressione nel postpartum, abbiamo applicato una regressione multipla per esaminare l’importanza relativa dei principali fattori psicosociali di interesse, controllando per altri importanti fattori predittivi di depressione. Per l’analisi,
abbiamo utilizzato il programma SPSS.13.
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vece significativamente più depresse le donne che riportavano problemi
economici, quelle che riportavano ansia e depressione prima della gravidanza, o il cui bambino era stato ricoverato in ospedale dopo la nascita.
Risultavano associati con la DPP tutti gli indicatori della relazione di coppia: il disaccordo sulla contraccezione prima della gravidanza e sull’intenzionalità della gravidanza, l’aver ripreso i rapporti sessuali “troppo
presto”, la valutazione negativa della relazione di coppia e del tempo di
gioco del padre con il bambino. Anche la violenza era associata alla depressione. Tra le donne che subivano violenza dal partner o in famiglia,
il 27,6% era depressa rispetto al 2,7% di quelle che non subivano violenza (p<0.001).
La situazione lavorativa della donna non era associata alla DPP mentre lo era la congruenza fra ciò che desiderava fare e ciò che faceva. Le
lavoratrici che avrebbero preferito restare a casa o lavorare meno ore e,
ancor di più, le donne che erano a casa ma avrebbero voluto lavorare erano più depresse delle donne che lavoravano o erano a casa desiderando
farlo. Inoltre le donne che riportavano probemi relativi al lavoro erano
più depresse di quelle che non li riferivano (Tab. I)
Analisi multivariata: Controllando per gli altri fattori di rischio associati alla depressione - violenza, disaccordo sulla gravidanza, ricoveri
del bambino, problemi economici, depressione o ansia precedenti la gravidanza- l’insoddisfazione per la propria situazione professionale resta
fortemente associata alla DPP 8 mesi dopo il parto, con un rischio relativo (RR) di 11.85 (p<0.1). Restano significativamente associati alla DPP
anche la violenza (RR=13.74), il disaccordo nella coppia rispetto alla gravidanza (RR=13.39), i ricoveri del bambino (RR=15.71) e la salute mentale della donna prima della gravidanza (RR=11.28). I problemi economici, invece, non risultano più associati alla DPP quando si controlla per
altri fattori.
RISULTATI
Tasso di risposta: tra le 352 donne che hanno riempito il primo questionario 292 hanno risposto anche al secondo (83%). Delle 60 donne
“perse” al follow-up, la maggior parte è straniera, non sposata e più giovane rispetto alle donne che hanno completato lo studio.
Caratteristiche del campione: L’età media delle donne era di 32,6
DISCUSSIONE
anni (s.d. 4.4). Il 92% era italiana, con licenza liceale o diploma univerNel nostro campione di madri, il 5% è depressa 8 mesi dopo il parto.
sitario (73%) e sposata (82%). La maggior parte viveva con il padre del
Tra i fattori che incidono sulla salute mentale di queste donne, la situabambino (97%). Il 57% era primipara.
zione professionale assume un ruolo centrale ma controverso. Non è inL’età media dei bambini al momento del secondo contatto era 33.7
fatti ciò che la donna fa ad essere associato alla DPP ma la mancanza di
settimane (s.d. 1,6), l’11% era stato ricoverato nei primi 8 mesi di vita.
congruenza fra la sua condizione effettiva e i suoi desideri. Fra le altre, le
Al secondo questionario, il 12% delle donne riportava problemi ecomadri che soffrono di più sono quelle che non lavorano ma preferirebbenomici. Nel 14% delle coppie, non c’era accordo sull’aver voluto o mero farlo, seguite da chi lavora e vorrebbe stare a casa o lavorare part-time.
no la gravidanza. Il 16% delle donne non si sentiva pronta quando aveva
Ancora oggi avere un figlio rappresenta una fase critica della vita di
ripreso i rapporti sessuali dopo il parto. Riguardo alla relazione di coppia,
una donna, in cui il diritto di scegliere rimane teorico e lascia spazio a deil 49% la considerava “molto buona, il 37% “buona e il 13% “non buocisioni spesso obbligate. Dalla Seconda Edizione dell’Indagine campiona”. Il 5% del campione (15 donne) subiva violenze dal compagno, il 6%
naria sulle nascite condotta dall’Istat nel 2005, che ha coinvolto circa 50
(17 donne) da altri membri della famiglia. Nel complesso, il 10% (29
mila madri, emerge che il 18,4% delle donne occupate prima della gravidonne) riportava di subire violenza dal partner o da un familiare.
danza non lavorava più 18-21 mesi dopo il parto. Di queste, il 12,4% si
Salute mentale delle donne e DPP: Il 5,1% del campione (15 donera licenziata a causa dell’impossibilità di conciliare i propri orari lavone) era depressa 8 mesi dopo il parto (GHQ>5). Il 14% riportava frerativi con le nuove esigenze familiari (Istat, 2007a).
quenti sentimenti di ansia e depressione prima della gravidanza.
Situazione professionale: 8 mesi
Tabella I. Situazione lavorativa della donna e DPP a 8 mesi dal parto
dopo il parto, 40% delle donne erano
rientrate al lavoro, 36% erano in congedo
maternità, 8% erano disoccupate e 15%
casalinghe. La proporzione di donne che
si dichiarava “insoddisfatta” della propria situazione lavorativa era più o meno
la stessa fra quelle che erano a casa
(33%) e quelle che lavoravano (29%).
Complessivamente, il 32% delle donne si
dichiarava non soddisfatta. Il 13% riferiva problemi legati al lavoro dal momento del parto, come licenziamento, difficoltà nel trovare lavoro, orari di lavoro
non flessibili. Questi problemi riguardavano in egual misura le donne che lavoravano e quelle senza un’attività lavorativa.
Fattori associati con la DPP 8 mesi dopo il parto: età della donna, nazionalità, livello di istruzione, numero di figli, status matrimoniale e convivenza con
un partner, tipo di parto, età gestazionale
e peso del bambino alla nascita, allattamento e contraccezione postpartum non
risultavano associate alla DPP. Erano in-
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I padri, al contrario, aumentano il lavoro retribuito dopo la nascita di
un figlio (Istat, 2007) e, malgrado la loro partecipazione al lavoro familiare sia incrementata negli ultimi anni, permane un’ampia ineguaglianza
fra uomini e donne in questo ambito (Istat, 2007), che può influenzare negativamente la salute mentale delle madri lavoratrici (Romito, 1994).
Essere madre assume inoltre connotazioni contraddittorie. Ci si
aspetta che una donna si dedichi totalmente ai suoi figli “sacrificandosi”
quotidianamente per il loro bene, ma, allo stesso tempo, il lavoro di cura
svolto viene trascurato, definito come “non lavoro” (per una discussione,
Grace, 1998).
Per migliorare la salute mentale delle donne dopo la nascita di un figlio è quindi necessario agire su più fronti. Da un lato, promuovere un’ottica di conciliazione di ruoli e di pari opportunità all’interno della coppia.
Dall’altro, adottare misure di politica sociale, come la garanzia del posto
di lavoro, buone condizioni di congedo maternità, flessibilità nell’orario
e adeguati servizi per l’infanzia, che permettano alle madri che lo desiderano di riprendere il lavoro in buone condizioni.
BIBLIOGRAFIA
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COM-07
GRAVIDANZA E LAVORO NELLA ZONA LIVORNESE
O. Rossi, T. Boccuzzi, M.G. Leoni
U.O. PISLL Dipartimento di Prevenzione - Azienda U.S.L. 6 Livorno
Corrispondenza: Oriana Rossi via della Bastia 12 Livorno, Tel
0586/223966 email: [email protected]
RIASSUNTO. In questo lavoro è descritto l’osservatorio sul fenomeno delle lavoratrici madri nel territorio della zona livornese della Az.
USL6. Le fonti informative provengono a) dalle schede di informazioni
individuali raccolte dalle ostetriche tramite un questionario ad hoc somministrato a tutte le donne in gravidanza dal 1/4/2003 al 30/12/2006 e b)
393
dai dati provenienti dai pareri di interdizione dal lavoro per rischio lavorativo espressi dalla USL su richiesta della DPL.
Dall’analisi delle schede emergono i seguenti dati: il 9% delle donne
in gravidanza sono straniere e il 70% del totale risultano occupate (81.5%
sono lavoratrici con contratto di lavoro dipendente). I settori lavorativi
sono prevalentemente i seguenti: Amministrativo (34%), Commercio
(17%), Sanità (10%), Pulizie (6%), Scuola (4%), Industria Metalmeccanica (3%), Parrucchiere./Estetiste (2%), Ristorazione (2%). Dai pareri di
interdizione dal lavoro per rischio lavorativo i settori lavorativi più rappresentati sono invece: Commercio (20%), Sanità (14%), Pulizie (22%),
Industria Metalmeccanica (21%), Parrucchiere./Estetiste (8%), Ristorazione/cucina (3%), Scuola (12%). Emerge negli ultimi anni un incremento del numero di donne che si rivolgono alle strutture e del numero di pareri su lavori a rischio. Si nota peraltro un ancora troppo basso numero di
pareri in alcuni settori a prevalente manodopera femminile (pulizie, commercio) e una bassa richiesta da parte di straniere o lavoratrici con contratti precari.
Parole chiave: lavoratrici madri, tutela gravidanza, rischi per la riroduzione
PREGNANCY AND WORK IN THE AREA LIVORNO
ABSTRACT. This document describes the observatory on working
women in Livorno area. The sources of information are 1) individual
information sheets collected from midwives with a specially designed
questionnaire for all pregnant women from 1/4/2003 to 30/12/2006 2)
data from the procedures of interdiction for risk work. The analysis of
data sheets shows the following information: 9% of pregnant women are
foreign and 70% are workers. The sectors where women are mainly
employed are the following: Administrative (34%), Commerce (17%),
Health (10%), Cleaning (6%), School (4%), Metal Industry (3%), Hair
stylists(2%), Food (2%). The analysis of data by procedure of interdiction
for risk work shows that the most represented sectors are: Commerce
(20%), Health (14%), Cleaning (22%), Metal Industry (21%), School
(12%, Hair stylists (8%) and Food (3%). There is an evident increase in
the number of women who come to our occupational health service and
in the number of interdiction of risk work. However there are still
problems in some critical areas with predominantly female workforce
(cleaning, commerce) and in case of foreign workers and women with
insecure contracts.
Key words: pregnant, working women, reproductive hazards.
PREMESSA
L’applicazione della normativa sulla tutela della lavoratrice madre è
spesso di difficile attuazione in particolare per alcuni contesti lavorativi
critici quali le piccole e piccolissime aziende del commercio, i servizi di
assistenza alla persona, le ditte di pulizie etc. È noto che il datore di lavoro deve, durante la valutazione dei rischi, nel caso in cui abbia lavoratrici
dipendenti, analizzare le mansioni lavorative tenendo conto delle differenze di genere e della particolare suscettibilità nei casi di donne in gravidanza o in puerperio, identificare gli eventuali rischi aggiuntivi per la salute della gestante o del nascituro e prevedere le modifiche della mansione fino all’eventuale allontanamento dalle attività pericolose. Poiché questo obbligo è spesso disatteso, oltre a vigilare sulla corretta applicazione
delle norme, è necessario attivare azioni di informazioni rivolte ai datori
di lavoro, ai vari soggetti aziendali della prevenzione compresi i Medici
Competenti e gli RLS nonché alle lavoratrici. A tali fini è stato realizzato,
nell’ambito di un piano mirato di area vasta Nord Ovest, un osservatorio
atto ad individuare e monitorare i comparti più significativi a rischio per
la salute riproduttiva femminile nel nostro territorio. In questo lavoro è descritta la metodologia e i primi risultati di un tale osservatorio.
MATERIALI E METODI
Abbiamo utilizzato due diverse fonti di dati:
1. Schede informative compilate dalle ostetriche consultoriali. al momento della consegna del libretto di Gravidanza a tutte le donne in
gravidanza iscritte al Sistema Sanitario Toscano (comprese le donne
immigrate anche clandestine che ne facciano richiesta). Tali questionari individuali, (realizzati nell’ambito del piano mirato di area Vasta Nord Ovest) utili a raccogliere informazioni sullo stato lavorativo attuale della donna intervistata, sono raccolti e inviati alle strutture di Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro dove viene effettuata la registrazione e l’analisi delle informazioni raccolte.
394
2.
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La seconda fonte di informazione è rappresentata dalla registrazione
dei dati relativi ai pareri di interdizione dal lavoro o cambio di mansione delle lavoratrici in gravidanza o puerperio dello stesso periodo
(2003/2006) su richiesta della Direzione Provinciale del lavoro. In
tale occasione le informazioni sono prese direttamente dalle lavoratrici che hanno fatto richiesta di allontanamento da attività lavorative a rischio per la gravidanza e/o il puerperio.
RISULTATI
Dall’analisi delle schede compilate dal 1° aprile 2003 al 31 dicembre
2006 dalle ostetriche territoriali dei Comuni di Livorno e Collesalvetti
emergono i seguenti dati riportati nella figura 1: totale schede registrate
5716 (con una media di circa 1500 gravidanze/anno), di cui 432 (7,5%)
straniere, relative a 4021 lavoratrici (70,3%) (tabella I) Tra le lavoratrici è
presente una discreta prevalenza di dipendenti 3292 (media nei 4 anni
81.8%) come mostrato nella figura 2. I settori lavorativi in cui risultano impiegate le donne oggetto della nostra indagine sono risultati prevalentemente i seguenti: Amministrativo (43%), Commercio (21%), Sanità (12%),
Pulizie (8%), Scuola (6%), Industria prevalentemente Metalmeccanica
(5%), Parrucchiere./Estetiste (3%), Ristorazione (2%) (figura 4). Dall’esame dei pareri di interdizione dal lavoro per rischio lavorativo emerge nello
stesso periodo un numero totale di 1072 pareri emessi con una media di circa 300 pareri/anno. I settori lavorativi interessati sono i seguenti: Commercio (20%), Sanità (14%), Scuola (12%), Pulizie (22%), Industria Metalmeccanica (21%), Parrucchiere./Estetiste (8%) e Ristorazione/cucina (3%).
Nella figura 4 sono evidenziati i confronti tra le diverse distribuzioni dei
comparti nelle due diverse fonti di dati. Dalla casistica dei pareri emessi
scompare completamente il settore amministrativo che era il prevalente tra
le lavoratrici in gravidanza mentre diventano significativi il settore delle
pulizie e dell’industria metalmeccanica (in particolare per quanto riguarda
le addette all’assemblaggio in aziende di componentistica auto che rappresenta un importante comparto lavorativo nella nostra zona) oltre che il
commercio con particolare riferimento alla grande distribuzione.
Figura 3. Distribuzione delle donne lavoratrici in gravidanza nei
diversi settori nei 4 anni
Figura 4. Distribuzione dei pareri per interdizione dal lavoro a rischio
nei settori lavorativi
Figura 1. Numero delle schede di gravidanza compilate nei 4 anni
di osservazione
Figura 2. Andamento del numero delle schede suddivise tra
dipendenti (fascia scura), lavoratrici in proprio (fascia chiara) e
inoccupate (fascia grigia) nei 4 anni
DISCUSSIONE
L’attivazione dell’osservatorio rappresenta uno strumento utile per
monitorare il lavoro femminile nella nostra zona: le mansioni, i rischi e
i comparti. Inoltre consente di valutare il fenomeno dei lavori atipici e
dell’ingresso delle donne straniere nel mondo del lavoro. L’attuale dato
(circa 9% di donne straniere) evidenzia peraltro che il numero delle
donne immigrate registrate è superiore quasi del doppio rispetto a quello degli immigrati regolari, che a Livorno è attualmente il 5,2% dei residenti. Tale dato diventa invece insignificante quando andiamo ad analizzare il numero dei pareri di interdizione dal lavoro a rischio per una
evidente sottodenuncia nei casi di lavoratrici immigrate e con contratti
precari.
In ogni caso la collaborazione con le ostetriche distrettuali, a nostro
avviso, sta migliorando il processo di comunicazione nei confronti delle
donne lavoratrici e aumenta la qualità delle informazioni sui loro diritti
proprio nelle prime e più precoci fasi della gravidanza. Si sta osservando
infatti un incremento costante del numero di donne che si rivolgono alle
nostre strutture per avere informazioni e di conseguenza un trend positivo nel numero dei provvedimenti di interdizione da attività lavorative a
rischio durante la gravidanza o il puerperio.
Si nota tuttavia come la diffusione delle informazioni non si possa
considerare ancora accettabile giacché si assiste ad un tuttora troppo basso numero di pareri in alcuni settori a prevalente manodopera femminile
(pulizie, commercio) nonché una bassa richiesta di interdizione dal lavoro da parte di straniere o lavoratrici con contratti precari.
L’attività, pertanto, proseguirà nei prossimi anni con l’obiettivo di
mantenere l’osservatorio e attivare iniziative di comunicazione rivolte ai
datori di lavoro e medici competenti degli specifici settori lavorativi più
a rischio per la salute riproduttiva nonché a specifiche categorie di donne
lavoratrici (straniere, con contratti “flessibili” etc).
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BIBLIOGRAFIA
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Bramanti, O. Angelosanto, L. BianchiMartini, G. Carra, R. Consigli,
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2) Convegno “Maternità, lavoro e salute: le strategie di un progetto di
area vasta “Pietrasanta 15 dicembre 2006
3) Piano mirato regionale 2Promozione della tutela della salute della lavoratrice in periodo di gravidanza e puerperio dell’area vasta toscana nord ovest.” Decreto dirigenziale n.5872 del 31 ottobre 2002
395
SESSIONE
SILICE
COM-01
IL RUOLO DEL MEDICO COMPETENTE NELL’APPLICAZIONE
DELL’ACCORDO EUROPEO SULLA SILICE: L’ESPERIENZA
NEL SETTORE ESTRATTIVO
M. Coggiola, A. Baracco, F. Perrelli, D. Bosio, A. Gullino, E. Pira
Dipartimento di T. O. e Medicina del Lavoro Università di Torino A.S.O. C.T.O. - C.R.F. - Maria Adelaide Torino
RIASSUNTO. L’accordo europeo per il controllo dell’esposizione a silice sottoscritto dalle parti sociali nel 2006 prevede processi di standardizzazione nel controllo dell’esposizione e nell’esecuzione della sorveglianza sanitaria. Il medico competente deve essere considerato parte integrante nel
processo di valutazione dell’esposizione e della successiva stratificazione del
rischio da cui deriva la programmazione della sorveglianza sanitaria. Viene
presentato un esempio di prima applicazione dello “Accordo Europeo” nel
settore estrattivo ed il ruolo assunto dal medico competente nel percorso di
valutazione del rischio e di definizione della predisposizione delle misure di
intervento preventivo. In particolare si farà riferimento alla modalità di definizione dei gruppi omogenei, di classificazione degli esposti in funzione dei
risultati dei monitoraggi ambientali, della scelta delle misure tecniche ed individuali di protezione ed alla strategia di sorveglianza sanitaria.
Parole chiave: silice, valutazione dell’esposizione, medico competente del lavoro.
THE ROLE OF OCCUPATIONAL PHYSICIAN IN THE APPLICATION OF THE 2006
“AGREEMENT ON WORKERS’ HEALTH PROTECTION THROUGH THE GOOD
HANDLING AND USE OF CRYSTALLINE SILICA AND PRODUCTS CONTAINING IT”:
THE EXPERIENCE IN MINING SECTOR
ABSTRACT: The 2006 “Agreement on Workers’ Health Protection
Through the Good Handling and Use of Crystalline Silica and Products
Containing it” between social parts defines a standardization of
exposition control methods and medical surveillance.
The Occupational Physician is integral part in exposition evaluation
process and risk stratification in which derives the medical surveillance
program.
This study presents a first application of the European agreement in
mining sector and the role of Occupational Physician in the evaluation of
the risk to define methods of prevention.
In particular it will be precised the choice of homogenous groups, the
classification of exposed workers from results of workplace monitoring,
the choice of technical prevention and individual protection equipments,
and then the strategy of medical surveillance.
Key words: silica, exposition evaluation, Occupational Physician
1. INTRODUZIONE
Nel 2006 le parti sociali (rappresentanti delle imprese e dei sindacati)
hanno stipulato a livello europeo un “Accordo sulla Prevenzione e Protezione della Salute dei Lavoratori Esposti a Silice” ed hanno definito una serie di Buone Pratiche per la gestione del rischio derivante dalla manipolazione ed utilizzo della silice cristallina e dei prodotti che la contengono.
Obiettivo principe delle Buone Pratiche è la minimizzazione dell’esposizione a silice cristallina sul luogo di lavoro al fine di eliminare o ridurre i rischi per la salute dei lavoratori a partire dalla valutazione formulata dallo SCOEL (Scientific Commite Occupational Exposure Level)
in cui si afferma “che l’effetto principale sugli esseri umani dell’inalazione della silice cristallina respirabile è la silicosi. Ci sono sufficienti
informazioni che il rischio relativo di tumore polmonare è maggiore nelle persone con silicosi (e apparentemente non nei lavoratori senza silicosi esposti a silice nelle cave e nell’industia della ceramica). Perciò prevenire la silicosi ridurrà anche il rischio di cancro. Poiché non può essere
identificata una soglia certa per lo sviluppo della silicosi, qualsiasi riduzione dell’esposizione ridurrà il rischio di silicosi.”
396
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Nell’Accordo vi sono, inoltre, riferimenti sia al monitoraggio amTabella I. 4 processi raccomandati dalla Guida alle Buone Pratiche
bientale sia alla sorveglianza sanitaria con la predisposizione di relativi
per una corretta gestione del rischio
protocolli.
Valutazione
Come valutare se vi sia un significativo rischio per
Coerentemente con i principi sopra riportati le Buone Pratiche conl’esposizione alla silice cristallina respirabile
tengono chiare indicazioni sulla valutazione e sulla gestione del rischio e
la loro applicazione richiede necessariamente la collaborazione del mediControllo
Come decidere che tipo di misure di controllo e
co competente.
prevenzione devono essere messe in atto per trattare i
Nella tabella I sono riportati i quattro processi raccomandati dalla
rischi identificati, cioè eliminarli o ridurli ad un
Guida alle Buone Pratiche per una corretta gestione del rischio.
livello accettabile
Appare ovvio che i contenuti dei quattro processi non possono che deMonitoraggio Come monitorare l’efficacia delle misure di controllo
rivare da un approccio multidisciplinare che richiede competenze ingegnein atto
ristiche, igienistiche e sanitarie da cui ovviamente il medico competente
Come monitorare la salute dei lavoratori
non può essere escluso. La Guida alle Buone Pratiche suggerisce inoltre la
identificazione, nel processo di valutazione dell’esposizione e del successiFormazione
Quali informazioni,istruzioni e tipo di addestramento
vo risk assesment, di gruppi omogenei senza peraltro entrare nel merito di
dovrebbero essere forniti al personale per educarlo
come essi debbano essere costruiti. Anche in questo caso appare necessario
sui rischi a cui potrebbe essere esposto
il contributo del medico competente.
La tabella II riassume il processo globale di risk assesment e management racTabella II. Processo globale di risk assesment e management raccomandato dall’Accordo
comandato dall’Accordo con i relativi obblighi dei datori di lavoro e dei lavoratori.
In corsivo sono riportate le attività
che, a nostro parere, richiedono la collaborazione o che sono di competenza del
medico competente.
2. DISCUSSIONE
Un primo parziale esempio di applicazione dell’Accordo Europeo è stato condotto in una industria del settore minerario addetta alla estrazione e macinazione del talco. In questa prima fase si è proceduto, con
il contributo interdisclipinare di ingegneri
minerari, geologi e medici del lavoro, al
processo di rivalutazione del rischio con
una riclassificazione dei gruppi omogenei
dei lavoratori esposti a silice cristallina.
L’attività di estrazione del talco, che
avviene in sottosuolo, prevede diverse
fasi lavorative: armamento, perforazione,
volata, sgombero, carreggio, ripiena e
cernita. Ad esclusione della cernita su nastro ove vi sono lavoratori dedicati, le altre attività sono svolte alternativamente
da tutti gli operatori di sottosuolo. Per tale motivo una precedente valutazione del
rischio aveva previsto l’identificazione di
un’unica figura professionale definita appunto “operatore di sottosuolo”
Nella tabella III sono riportati i valori
di esposizione misurati nel 2005 con campionamenti personali su quattro operatori
senza uno specifico dettaglio dell’attività
svolta durante il monitoraggio ambientale.
Anche in presenza di valori rilevanti di
polverosità totale espressa come frazione
respirabile, la silice cristallina risulterebbe
non rilevabile e non si documenterebbe
pertanto una condizione significativa di rischio legata all’esposizione a quarzo.
L’applicazione dell’Accordo Europeo
ha tuttavia richiesto di procedere ad un aggiornamento della valutazione del rischio
da silice cristallina ed il primo passo è stato quello di verificare se la definizione di
una unica figura professionale potesse
considerarsi corretta o se, per contro, fosse necessario identificare più figure professionali. Per fare ciò si è deciso di utilizzare il concetto di gruppo omogeneo inteso come “gruppo in cui operano lavoratori con gli stessi compiti e le stesse respon-
Tabella III. Valori di esposizione misurati nel 2005
Tabella IV. Valutazione dell’esposizione del 2007
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
sabilità e per i quali è ipotizzabile una esposizione similare sia in termini di
pericolo che di entità dello stesso”. La definizione dei gruppi omogenei è
stata operata sulla base dell’analisi del mansionario, sulla base del dato
anamnestico lavorativo raccolto in corso di sorveglianza sanitaria e sulla
base delle osservazioni in sede di sopralluogo congiunto tra medici del lavoro e operatori del Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale. L’analisi così condotta ha permesso di evidenziare l’esistenza di due diverse
realtà operative: una caratterizzata da un’attività prevalente di avanzamento in talco e l’altra da una prevelenza di operazioni condotte in roccia.
Si è proceduto pertanto ad una parcellizzazione dei compiti con una
succesiva loro riaggregazione suddivedendo i lavoratori in operatori su
talco e operatori su roccia.
Alla luce di tali valutazioni è stata condotta una nuova campagna di
misura dell’esposizione a polveri ed in particolare a silice cristallina i cui
risultati sono riportati in tabella IV.
L’analisi dei risultati permette di evidenziare come negli operatori su
sterile vi sia, ancorché contenuta, una esposizione a silice cristalina che
si conferma, per contro, assente negli addetti all’estrazione del talco.
Il nuovo percorso di valutazione ha così portato ad evidenziare due diverse e distinte figure professionali operanti in sottosuolo ed a considerare gli operatori su roccia come potenzialmente esposti a silice cristallina.
Per le attività in roccia sono in corso verifiche al fine di identificare
la possibilità di attuare ulteriori interventi di contenimento dell’esposizione anche se i valori osservati sono ampiamente inferiori al TLV-TWA
raccomandato di 0,025 mg/m3.
Ovviamente l’Accordo Europeo prevede l’attivazione di una specifica sorveglianza sanitaria in caso di documentata esposizione a silice cristallina e nel documento sottoscritto dalle parti sociali vi sono alcune indicazioni tecniche sul protocollo da applicare. Si raccomanda l’utilizzo di
un archivio informatizzato che contenga la storia lavorativa, espositiva e
clinica dei singoli lavoratori e vengono indicati i requisiti minimi dell’esame medico, dei test di funzionalità respiratoria e le modalità di esecuzione della radiografia del torace.
Su quest’ultimo aspetto l’Accordo raccomanda che la frequenza delle radiografie venga determinata da un “Occupational Physician” (medico competente del lavoro) in base alla valutazione del rischio derivante
dall’esposizione a silice cristallina. Questa posizione del tutto razionale
contrasta con quanto ancora previsto dall’articolo 160 del DPR 1124/65
che prevede l’esecuzione di un radiogramma annuale per gli esposti a silice cristallina. Obsoleta risulta inoltre la cartella sanitaria di cui il medesimo decreto impone l’uso.
Nell’azienda in oggetto il protocollo di sorveglianza sanitaria prevedeva per gli operatori di sottosuolo una radiografia del torace triennale e
test di funzionalità respiratoria annuali.
Alla luce dei risultati dell’aggiornamento della valutazione del rischio da esposizione a silice cristallina si è ritenuto di non dover modificare tale protocollo preferendo una scelta coerente con le raccomandazioni dell’Accordo Europeo ed in linea con un approccio basato sulla Evidence-Based Medicine piuttosto che su un mero rispetto della norma.
Inoltre, da tempo, viene utilizzata una cartella sanitaria costruita sulla presenza contemporanea di più rischi e strutturalmente non rispondente al modello previsto dal DPR 1124/65.
Tale scelta, sicuramente lineare sul piano tecnico-scientifico, tuttavia
espone il medico competente a contestazioni relative al non rispetto di
quanto previsto dalla norma stessa.
In considerazione della rinnovata attenzione al problema dell’esposizione professionale a silice cristallina sarebbe quantomai opportuno che
il legislatore incanalasse la gestione del rischio da silice nell’ambito del
“rischio valutato” eliminando quei dettami normativi datati, obsoleti e
privi di supporto scientifico.
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and Use of Crystalline Silica and Products Containing it”.
www.nepsi.eu
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2007 TLVs® and BEIs® based on the documentation of the Threshold Limit Values for chemical substances and Physicak Agents & Biological Exposure Indices. ACGIH. Cincinnati, 2007.
397
COM-02
LA SILICE CRISTALLINA (MIN-U-SIL 5) INDUCE STRESS
OSSIDATIVO INIBENDO L’ESPRESSIONE DEL SISTEMA DELLE
GLIOSSALASI IN CELLULE BRONCHIALI UMANE (BEAS-2B)
A. Gambelunghe, C. Antognelli*, C. Del Buono*, R. Piccinini,
B. Ugolini, M. dell’Omo, N. Murgia, V.N. Talesa*, G. Muzi
Medicina del Lavoro, Malattie Respiratorie e Tossicologia Professionali
ed Ambientali, Università degli Studi di Perugia
*Dipartimento di Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche,
Università degli Studi di Perugia
Corrispondenza: Prof. Giacomo Muzi, Medicina del Lavoro, Malattie
Respiratorie e Tossicologia Professionali ed Ambientali, Università degli
Studi di Perugia, Ospedale S. Maria della Misericordia, Perugia, e-mail:
[email protected] tel. 075 5784488 fax 075 5784442
RIASSUNTO. La perossidazione lipidica delle membrane indotta
dalla produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) in seguito ad
esposizione a silice cristallina, responsabile della patogenesi sia della fibrosi polmonare che del tumore del polmone, induce la produzione di
metilgliossale (alfa-chetoaldeidi), inibitore della proliferazione cellulare
e induttore di apoptosi. Tra i vari sistemi di rimozione del metilgliossale
(MG), le gliossalasi I (GI) e II (GII) rappresentano un importante
pathway di inattivazione che converte il MG in D-lattato, utilizzando il
glutatione ridotto (GSH) come cofattore.
Materiali e metodi. Cellule epiteliali bronchiali BEAS-2B, sono state esposte per 2, 6, 12 e 24 ore a 50 µg/cm2 di silice cristallina (Min-U-Sil
5). Sono stati valutati i livelli di trascritto (mRNA) di GI e GII mediante
Real-Time PCR e la quantità di MG libero intracellulare mediante HPLC.
Risultati. L’esposizione alla silice induce una diminuzione significativa dell’espressione genica di GI e GII e un parallelo aumento dei livelli intracellulari di MG.
Discussione. La ridotta espressione genica di GI e GII potrebbe derivare da una minore disponibilità del GSH, cofattore essenziale del sistema
enzimatico delle gliossalasi, sottratto da altri sistemi cellulari glutationedipendenti, nella difesa dal danno ossidativo. L’accumulo di MG deriverebbe dal minor funzionamento dell’enzima e dall’eccessiva produzione
indotta dallo stress ossidativo. Conclusioni. I risultati suggeriscono il possibile impiego dei livelli di mRNA di GI e GII come indicatori di stress ossidativo da esposizione a polvere di silice cristallina in vivo.
Parole chiave: silice, gliossalasi, metilgliossale, stress ossidativo.
CRYSTALLINE
SILICA CAN INDUCE OXIDATIVE STRESS BY INHIBITING
GLYOXALASE SYSTEM IN BRONCHIAL EPITHELIAL CELLS
ABSTRACT. Chronic inflammation and reactive oxygen species
(ROS) production induced by crystalline silica are involved in the
development of silicosis and lung cancer pathogenesis. ROS can generate
lipid peroxydation of cell membranes that can produce methylglyoxal
(MG), a strong cell proliferation inhibitor and apoptosis inducer. MG is
naturally removed by glyoxalase I (GI) and glyoxalase II (GII) through a
glutathione (GSH) dependent mechanism. Therefore mRNA expression of
glyoxalases is correlated to MG concentration and oxidative stress.
Objectives: evaluate oxidative stress induced by crystalline silica by
glyoxalases mRNA expression and methylglyoxal concentration
Material and methods: In bronchial epithelial cell culture (BEAS2B), exposed to 50µg/cm2 crystalline silica (Min-U-Sil 5), for 2, 6, 12,
and 24 hours, GI and GII mRNA levels and MG intracellular
concentration were measured respectively by Real-Time PCR and HPLC.
Results: Crystalline silica exposure induced a significant reduction
in mRNA expression of glyoxalases and an increase of MG intracellular
concentration.
Conclusions: The results suggest a possible use of MG and mRNA
expression of GI and GII as crystalline silica induced oxidative stress
indicators.
Key words: methylglyoxal, glyoxalase, oxidative stress.
INTRODUZIONE
L’infiammazione cronica e la produzione di specie reattive dell’ossigeno
(ROS) indotte dall’esposizione a silice cristallina sono coinvolte sia nello svi-
398
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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luppo della fibrosi polmonare che nella patogenesi del tumore del polmone.
È noto che le specie ossidanti sono prodotte in risposta alla struttura della silice cristallina e in seguito alla fagocitosi delle particelle di silice da parte dei
macrofagi. Come noto, i ROS possono indurre una vasta gamma di risposte
cellulari, quali proliferazione, differenziamento, apoptosi, differenti in base al
tipo di cellula ed al contesto cellulare in cui essa si trova, ed in funzione della quantità di ROS prodotti e della loro permanenza nella cellula (6,9). In generale, bassi livelli di ROS promuovono la sopravvivenza cellulare e la proliferazione, mentre alti livelli possono causare danni cellulari, quali perossidazione lipidica delle membrane, ed effetti genotossici che conducono alla morte della cellula per apoptosi. Numerose sono le vie di segnalazione coinvolte
nella risposta cellulare indotta dai ROS, i quali possono attivare anche fattori
di trascrizione che regolano la produzione di chemochine, citochine infiammatorie e fattori fibrogenici nei macrofagi. Importanti fattori trascrizionali, la
cui attività è regolata dai ROS, sono p53, il cui ruolo nella protezione da danni genomici e nella regolazione dell’apoptosi sotto differenti condizioni di
stress cellulare è da tempo ben nota (7), NF-kB (nuclear factor kB) e AP-1
(activator protein 1), essenziali per la crescita cellulare e il differenziamento
(11). La quantità intracellulare dei ROS è generalmente controllata da sostanze antiossidanti ubiquitariamente espresse, come il glutatione. Quando la produzione dei ROS eccede la capacità antiossidante di tali sostanze, la cellula va
incontro a “stress ossidativo” con gravi conseguenze per la sua vitalità. Lo
stress ossidativo è anche responsabile della perossidazione lipidica delle
membrane biologiche, responsabile, a sua volta, della produzione e dell’accumulo di alfa-chetoaldeidi (1), tra cui il metilgliossale (MG), fisiologico inibitore della proliferazione cellulare e forte induttore di apoptosi (3). Il sistema
delle gliossalasi provvede alla rimozione del MG e costituisce la sua principale via di inattivazione. Tale sistema consiste di due enzimi, la gliossalasi I
(GI) e la gliossalasi II (GII) che convertono il MG in D-lattato attraverso la
formazione dell’intermedio lattoilglutatione (LSG), utilizzando il glutatione
ridotto (GSH) come cofattore (13). In particolare, la GI catalizza la conversione dell’addotto formato tra MG e GSH in LSG, che, a sua volta, viene idrolizzato dalla GII in D-lattato con rigenerazione di GSH. È, infatti, noto il coinvolgimento del sistema delle gliossalasi nella difesa cellulare da stress ossidativo (2,4). In considerazione del ruolo delle gliossalasi nei processi di detossificazione da prodotti dello stress ossidativo e dell’attività nota della silice cristallina come forte induttore dello stesso, abbiamo studiato la modulazione dell’espressione genica del sistema delle gliossalasi in cellule epiteliali
bronchiali (BEAS-2B) trattate con silice cristallina Min-U-Sil 5.
MATERIALI E METODI
Cellule epiteliali bronchiali umane
BEAS-2B (ATCC N. CRL-9609) sono
state coltivate in DMEM-F12 supplementato con 10% FBS, glutamina 2mM, Hepes e gentamicina 80mg/L e mantenute in
atmosfera al 5% CO2 a 37°C. L’effetto
della silice cristallina Min-U-Sil 5 sull’espressione genica del sistema delle gliossalasi, è stato studiato incubando le cellule a subconfluenza in fiasche da 75cm2
con 50 µg/cm2 di silice cristallina (8), per
2, 6, 12 e 24 ore. Min-U-Sil 5 è una polvere di silice cristallina contenente il 99%
di alfa-quarzo con il 95% di particelle più
piccole di 5 µm, ad elevato grado di purezza. La polvere è stata pesata, autoclavata a secco, sospesa in DMEM-F12 e opportunamente diluita per ottenere una concentrazione finale di 50 µg/cm2 (16). Al
termine del trattamento, il terreno è stato
rimosso e le cellule adese sono state sottoposte a lavaggi in tampone PBS. Il successivo isolamento dell’RNA cellulare totale è stato eseguito mediante metodica
TRIzol (Invitrogen, Carlsbad, CA) (10).
L’RNA totale è stato quindi utilizzato per
la sintesi di cDNA mediante RevertAid TM
H Minus First Strand cDNA Synthesis Kit
(Fermentas, Hanover, MD) e random primers System (Invitrogen, Carlsbad, CA).
L’espressione di GI e GII è stata valutata
mediante Real-Time TaqMan PCR in LightCycler (MX3005P System,
Stratagene, La Jolla, CA). La Tabella I riporta le sequenze di primer e sonde TaqMan utilizzate per la determinazione dei livelli di trascritto delle
gliossalasi e della β-actina (il gene housekeeping utilizzato per la normalizzazione) e le condizioni sperimentali della metodica PCR.
Le reazioni di amplificazione sono state eseguite in quadruplicato e
l’espressione genica di GI e GII è stata riportata come variazione rispetto a
controlli rappresentati da cellule mantenute nelle stesse condizioni sperimentali ma non esposte a silice cristallina. Per l’analisi comparativa dell’espressione genica, i dati sono stati ottenuti usando il metodo ∆∆Ct (12).
Inoltre, sugli stessi campioni sono stati valutati i livelli intracellulari di MG
mediante HPLC secondo la metodica di Chaplen et al. parzialmente modificata (5). La significatività statistica delle differenze tra controlli e trattati
è stata analizzata mediante analisi della varianza (ANOVA), con P < 0,05.
RISULTATI
L’esposizione a silice cristallina Min-U-Sil 5 induce una diminuzione significativa dell’espressione genica di GI in cellule bronchiali epiteliali umane BEAS 2B nelle prime ore di esposizione (2 e 6 ore). Un aumento dei livelli di trascritto di GI e GII si osserva invece dopo 12 ore di
trattamento. L’esposizione a 24 ore evidenzia un ritorno dei livelli di
espressione di GI alle condizioni pre-trattamento. L’espressione della GII
dopo un iniziale decremento a 2 ore di trattamento, subisce un aumento
significativo evidente per tutto il periodo di esposizione (Grafico 1A). I
livelli intracellulari di MG mostrano un andamento fluttuante alle diverse ore di esposizione. In particolare, si osserva un aumento significativo
dopo le 6 ore, un netto decremento dopo le 12 ore, mentre a 24 ore si rileva un ripristino dei livelli di MG che non differiscono significativamente da quelli osservati a 6 ore (Grafico 1B).
DISCUSSIONE
I risultati ottenuti evidenziano che l’esposizione a silice cristallina
(Min-U-Sil 5) induce stress ossidativo in cellule bronchiali umane (BEAS2B) mediante modulazione dell’espressione del sistema delle gliossalasi e
parallelo accumulo di MG. L’esposizione suddetta induce in generale una
marcata produzione di MG, accompagnata, da un lato, da ridotti livelli di
espressione genica di GI e, dall’altro, da aumentati livelli di GII. La ridotta espressione genica di GI è probabilmente il risultato di una diminuita disponibilità di GSH, cofattore essenziale per il funzionamento di tale enzi-
Tabella I. Sequenze dei primer e sonde TaqMan utilizzate nell’analisi
in PCR e condizioni sperimentali
*Marcato con fluorocromo FAM; **Marcato con fluorocromo HEX; *** Marcato con fluorocromo TexasRed
Figura 1. cellule bronchiali epiteliali umane BEAS 2B trattate con 50 µg/cm2 di silice cristallina MinU-Sil 5 a 2, 6, 12 e 24 ore. (A) variazione dell’espressione genica di gliossalasi I (GI) e gliossalasi
II (GII); (B) variazione delle concentrazioni di metilgliossale (MG). * p< 0,05 rispetto al controllo
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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ma, in quanto contemporaneamente impiegato anche da altri sistemi cellulari antiossidanti glutatione-dipendenti. Inoltre, fattori di trascrizione come
AP-1 o NF-kB (7), attivati dai prodotti dello stress ossidativo, potrebbero
direttamente inibire l’espressione di GI. L’aumento dei livelli di trascritto
di GII, invece, è probabilmente dovuto alla necessità per la cellula di produrre un fattore proteico in grado di evitare o ridurre il danno genomico
conseguente allo stress ossidativo e che regoli l’apoptosi, con funzioni simili a quelle dell’oncoproteina p53. Tale ipotesi trova conferma in quanto,
recentemente, Chen et al. hanno dimostrato che GII possiede un attività
p53-simile (14, 15). Infine, gli incrementi osservati nei livelli di MG, substrato delle gliossalasi, sono probabilmente da attribuire ad una ridotta funzionalità del sistema stesso e ad un’eccessiva produzione di MG, entrambe
indotte dall’elevato stress ossidativo determinato dalla silice cristallina.
L’andamento dell’espressione delle gliossalasi, così come le variazioni nei
livelli intracellulari di MG a seguito della esposizione a silice, suggeriscono un adattamento cellulare allo stress ossidativo indotto dal trattamento
medesimo. Tali osservazioni confermano l’ipotesi che l’esposizione di cellule bronchiali epiteliali a silice cristallina Min-U-Sil 5 induce alti livelli di
stress ossidativo responsabile della modulazione dell’espressione genica di
GI e GII. Pertanto, il livello di espressione di tali geni, potrebbe essere considerato indicatore di danno cellulare da esposizione a silice.
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399
SESSIONE
RISCHIO BIOLOGICO
COM-01
RUOLO DEI TEST DI SCREENING NELLA DIAGNOSI INDIRETTA
DI TUBERCOLOSI NEGLI OPERATORI SANITARI: LA MANTOUX
E IL NUOVO TEST ELISA SU SANGUE
M.R. Vinci1, C. Russo2, S. Zaffina3, C. di Felice3, D. Menichella2,
A. Pietroiusti4
1
Istituto di Medicina del Lavoro - Università Cattolica del Sacro Cuore,
UO Microbiologia Ospedale “Bambino Gesù” Roma, 3 Servizio di Protezione e Prevenzione Ospedale “Bambino Gesù” Roma, 4 Istituto di Medicina del Lavoro - Università degli studi Tor Vergata.
2
Corrispondenza: M.R. Vinci [email protected]
RIASSUNTO. L’infezione tubercolare ha assunto, negli ultimi anni,
aspetti di vera e propria emergenza. Il fallimento del tentativo di eradicazione della tubercolosi (O.M.S. Millennium Global Plan) ha portato alla
revisione della strategia di controllo mondiale finalizzato al contenimento della malattia tubercolare (The Global Plan to Stop TB 2006-2015). Di
fronte a questo scenario si comprende ancora di più l’importanza di mettere a punto metodi sempre più sensibili e specifici nell’individuare, il più
precocemente possibile, i casi infetti.
A tutt’oggi, il test di screening d’elezione per la valutazione dell’infezione tubercolare è il test dell’intradermoreazione (IDR) alla PPD secondo Mantoux. Recentemente sono stati introdotti nuovi test per lo
screening della popolazione che si basano sulla valutazione dell’immunità cellulo-mediata verso antigeni specifici; questi test (QFT-G) sono
privi dei limiti propri della IDR secondo Mantoux, più adatti all’utilizzo
come test seriali e quindi sicuramente più utili, a nostro avviso, nei programmi di screening dell’infezione tubercolare in paese a bassa incidenza, come l’Italia.
Parole chiave: Infezione tubercolare, Test di screening tubercolari,
Test QuantiFERON - G
ROLE OF SCREENING TESTS FOR INDIRECT DIAGNOSIS OF TUBERCULOSIS IN
HEALTH CARE WORKERS: MANTOUX AND THE NEW TESTS ON BLOOD ELISA
ABSTRACT. The Tuberculosis infection in recent years has become
always more a threat. The failure in the attempt to stop it (O.M.S.
Millennium Global Plan) brought to the revision of the world control
strategy to at least contain this disease (The Global Plan to Stop TB
2006-2015). Due to these severe facts it is even more important now to
elaborate more sensitive and specific methods to find out, as fast as
possible, the infected cases. As of today, the main TB infection screening
test is the Skin PPD test (Mantoux). Recently new tests for the population
screening are in use; these tests are based on the evaluation of immunity
cell-mediated. They (QFT-G) do not have the typical limits of the Skin
Test and they are more suitable as serial tests and therefore more useful,
according to us, in the screening programs of the TB infection in low
prevalence countries, like Italy.
Key words: Tubercular infection, Tubercular screening test,
QuantiFERON - G test
INTRODUZIONE E OBIETTIVI DELLO STUDIO
L’infezione tubercolare ha assunto, negli ultimi anni, aspetti di vera
e propria emergenza. Il fallimento del tentativo di eradicazione della tubercolosi (OMS Millenium Global plan) (1) ha portato alla revisione della strategia di controllo mondiale finalizzato al contenimento della malattia.tubercolare (The Global Plan to Stop TB 2006-2015). Di fronte a
questo scenario si comprende ancora di più l’importanza di mettere a
punto metodi sempre più sensibili e specifici nell’individuare, il più precocemente possibile, i casi infetti.
A tutt’oggi, il test di screening d’elezione per la valutazione dell’infezione tubercolare è il test dell’intradermoreazione (IDR) alla PPD secondo Mantoux. Recentemente sono stati introdotti nuovi test per lo
400
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
lare QFT-G IT (terza release del test QuantiFERON®-TB) rispetto ai
screening della popolazione che si basano sulla valutazione dell’immuprecedenti, utilizza un cocktail peptidico formato da proteine ESAT-6,
nità cellulo-mediata verso antigeni specifici. Con questi test è possibile
CFP-10 e TB7.7. Il test è stato eseguito previo prelievo di 3 ml di sanmisurare, su sangue, la quantità di Interferon-γ (INF-γ) prodotto a seguigue intero, utilizzando l’apposito set di provette vacutainer. Tutte le fasi
to di stimolazione linfocitaria verso gli antigeni tubercolari (2). La catedi lavorazione del test QFT-G sono state eseguite presso il Laboratorio
goria degli operatori sanitari (OS) è considerata una tipica popolazione
dell’UO di Microbiologia dell’Ospedale “Bambino Gesù”. Dopo opporesposta a rischio biologico (3). Attualmente gli OS vengono sorvegliati
tuna stimolazione, il plasma è stato separato e, su questo, è stato eseguidal medico competente che, in accordo alle Linee Guida nazionali SIMto un saggio ELISA per la misurazione dell’Interferon-γ prodotto duranLII (4), utilizza la intradermoreazione secondo Mantoux (IDR) come
te l’incubazione. Un sotware di analisi dedicato commuta i dati grezzi
strumento di screening per la valutazione dell’infezione tubercolare. Re(Densità Ottica) in Unità Internazionali/ml (UI/ml) e calcola il risultato
centemente sono state emanate le linee guida CDC in materia di prevenfinale in base ai valori ottenuti. (Tab III)
zione e controllo della tubercolosi degli OS; la novità di maggior rilievo
La positività della Mantoux è stata convalidata da un Rx torace. Nel
riguarda la possibilità di utilizzare il test QFT-G in tutte le circostanze in
caso di positività al QFT-G IT è stato ripetuto il test a distanza di 8-10 setcui viene utilizzata la Mantoux compresa la valutazione degli OS
timane; ai soggetti con secondo test positivo è stata eseguita anche in que(5,6).Nel nostro studio abbiamo voluto valutare la performance del nuosto caso una radiografia del torace per escludere la presenza di una Tuvo test ELISA QuantiFERON TB-Gold In Tube (QFT-G IT) negli operabercolosi attiva.
tori Sanitari dell’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” di Roma. Tra i benefici attesi, nell’applicazione del nuovo
test, abbiamo voluto anche considerare:
Tabella I. Caratteristiche degli OS in studio
come la somministrazione del nuovo test
venisse percepita da parte dell’OS, quale
fosse l’impatto organizzativo nel Servizio di medicina preventiva a seguito dell’applicazione del QFT-G IT. Da ultimo,
abbiamo applicato i nostri risultati in accordo alle linee guida SIMLII e alle recenti linee guida internazionali dei CDC
MATERIALI E METODI
Il nostro studio è stato condotto presso l’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” di Roma, durante il periodo Gennaio
2006 - Ottobre 2007. Il nostro campione
in studio è rappresentato da Operatori Sanitari (OS) di tale struttura. Con il termine di “operatori sanitari” abbiamo considerato i lavoratori appartenenti a varie
categorie: medici, infermieri, tecnici, ausiliari ed altre figure assistenziali (biologi, psicologi, logopedisti, terapisti…) e
impiegati amministrativi a diverso inquadramento e qualifica. Tutti gli OS sottoposti a visita preventiva assunzionale e/o
a valutazione contatto tubercolare ed
hanno effettuato entrambi i test di screening durante il periodo dello studio, sono
stati dichiarati: eleggibili allo studio
(Tab. I)
Tutti gli OS arruolati allo studio sono stati sottoposti ai due test di screening: la intradermoreazione alla tubercolina secondo Mantoux e il test di linfostimolazione tubercolare da prelievo di
sangue QuantiFERON-TB Gold versione In Tube (Cellestis). Sono stati esclusi
dallo studio gli OS che hanno rifiutato
l’esecuzione o la ripetizione di uno de
test e/o i pazienti che hanno dichiarato
allergia o ipersensibilità verso il test IDR
alla Mantoux (Tab. II). La Mantoux è
stata eseguita e letta presso il Servizio di
Medicina Preventiva dell’Ospedale
Bambino Gesù. In accordo alle procedure standard del test IDR, 1 dose da 0,1 ml
di tubercolina PPD (Biocine Test- Novartis) è stata inoculata nel derma della
faccia volare dell’avambraccio; il risultato del test IDR è stato letto a distanza
di 48-72 ore ed interpretato come cutireazione negativa la palpazione de un indurimento minore di 5 mm e cutireazione positiva l’indurimento maggiore di 5
mm. Il test di linfostimolazione tuberco-
Tabella II. Criteri di inclusione ed esclusione dallo studio
Tabella III. Criteri di interpretazione del test QFT-G
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401
Tabella IV. Risultati IDR e QFT-G Gruppo Controllo
DISCUSSIONE
Durante il nostro studio, in base agli
esami da noi effettuati, alla visita medica e
alla storia clinica del soggetto, abbiamo
potuto suddividere il nostro campione totale in tre differenti popolazioni: Sicuramente Infetti (3,2%), Sicuramente Sani
(75%) e Soggetti possibilmente infetti da
seguire nel tempo (21,8%). Questi ultimi
(54 OS) sono tuttora in corso di follow-up,
Tabella V. Risultati IDR e QFT-G Gruppo Contatto
volendo seguire l’evoluzione dell’infezione e dovendo quindi ripetere i test nel tempo, in accordo alle LG vigenti. Rispetto alla introduzione del test QFT-G IT nel protocollo di valutazione tubercolare, abbiamo potuto rilevare che il test è risultato essere maggiormente “flessibile” in quanto
può essere inserito tra i prelievi effettuati
di routine nella valutazione di idoneità o
nella procedura di sorveglianza sanitaria
RISULTATI
dell’OS. Il risultato del test QFT-G non è inficiato dall’eventuale vaccinaI risultati finali sono stati ottenuti da 248 OS che hanno ultimato lo
zione eseguita dall’OS in quanto gli antigeni specifici presenti nel test non
studio. Di questi 248 soggetti: 156 erano OS neoassunti e inseriti come
cross-reagiscono con il ceppo vaccinale BCG, né con altri micobatteri di“Gruppo Controllo” mentre 92 OS sono stati gli OS reclutati in seguito
versi dal Mycobacterium tuberculosis. Essendo un test in vitro e non in viad esposizione con malattia tubercolare e per questo definiti “Gruppo
vo non risente di effetto “booster”. Per quanto concerne il gradimento del
Contatto”. Rispetto agli obiettivi premessi nel nostro studio i risultati sotest QFT-G IT, la compliance degli OS è stata massima. Inoltre qualora tano i seguenti:
le test fosse utilizzato in accordo alle linee guida CDC, il numero degli OS
da seguire nel tempo sarebbe contenuto ad una percentuale, verosimilmenObiettivo 1. Valutazione della performance dei test di screening.
te più attinente alla prevalenza della tubercolosi nel nostro paese.
Nel Gruppo Controllo, sono risultati positivi alla Mantoux 36 operatori sanitari su 156 (23%), di cui 26 su 45 soggetti vaccinati (57,8%) e 10
CONCLUSIONI
su 111 non vaccinati (9%). Per quanto riguarda il QFT-G IT, il test è riUna corretta attività di prevenzione del rischio biologico presuppone
sultato positivo in 6 casi su 156 (3,85%), di cui 1 su 45 soggetti vaccinanecessariamente una valutazione preliminare del rischio, che, a sua volta,
ti (2,2%) e 5 su 111 non vaccinati (4,50%). (Tab. IV)
si basa sull’individuazione dei microrganismi a cui il lavoratore è espoNel Gruppo Contatti sono risultati positivi alla Mantoux 21 soggetti
sto, delle vie di trasmissione, delle occasioni e delle modalità di esposisu 92 (22,83%), di cui 8 su 10 soggetti vaccinati (80%) e 13 su 82 operazione. È necessario quindi implementare gli strumenti a disposizione del
tori non vaccinati (15,85%). Il QFT-G IT ha dato risultato positivo in 9
medico competente utili ad un rapido e corretto inquadramento dell’OS
casi su 92 contatti (9,80%), di cui 1 su 10 operatori vaccinati (10%) e 8
esposto al rischio di infezione/malattia tubercolare. Dai nostri risultati, risu 82 non vaccinati (9,75%) (Tab. V)
sulta che il nuovo test ELISA su sangue QFT-G può essere inserito nelle
In assenza di un gold standard per lo screening di infezione tubercoprocedure operative di sorveglianza ospedaliera, come test di screening
lare e di un test di riferimento per la conferma della presenza di infeziodella infezione tubercolare.
ne latente abbiamo inquadrato i nostri OS nel seguente modo:
– OS Infetti: i soggetti con entrambi i test positivi (8/248);
BIBLIOGRAFIA
– OS Sani i soggetti con entrambi i test negativi (186/248);
1) http://www.who.int/en/
– OS Da rivalutare in follow-up i soggetti con uno dei due test positi2) Pai M., Riley L.W., Colford Jr. J., Interferon-gamma assay in the imvo (54/248)
munodiagnosis of tuberculosis: a systematic review, 2004, Lancet InIn base a questa classificazione la Sensibilità di entrambi i test è stafect Dis, 4.
ta massima, mentre la specificità della Mantoux è risultata essere tra il 78
3) Gobba F., Rischi professionali in ambito ospedaliero, II Edizione,
e l’85% e quella del QFT-G IT del 97%.
214-219.
4) Linee guida SIMLII, 2005
Obiettivo 2. Valutazione dei benefici attesi
5) Pai M., Gokhale K., Joshi R., Mycobacterium tuberculosis infection
Il 100% degli OS risultati positivi al primo test QFT-G ha accettato
in Health Care Workers in rural India - Comparison of a whole-Blood
la somministrazione del secondo test. Solo il 2% degli OS risultato posiInterferon-gamma assay with tuberculin skin testing, American Metivo al primo test Mantoux ha accettato la somministrazione della secondical Association, 2005, 293 (22).
da IDR.
6) CDC, Guidelines for the investigation of contacts of persons with inIl risultati del test QFT- G IT sono stati prodotti dal laboratorio delfectious tuberculosis,2005, 54.
l’UO di Microbiologia e trasmessi per competenza al Servizio di Medicina Preventiva dopo 24 ore dal prelievo. La lettura della Mantoux è stata
eseguita a 48-72 ore o presso l’Ospedale “Bambino Gesù” o presso altra
struttura autorizzata con consegna da parte dell’OS della risposta al SerCOM-02
vizio di Medicina Preventiva.
Obiettivo 3. Follow-up linee guida
Applicazione linee guida SIMLII:gli OS con IDR positiva sono
stati 55. Di conseguenza, tutti questi OS dovrebbero essere seguiti nel
follow-up con Rx torace e ripetizione del test durante le visite periodiche.
Applicazione linee guida CDC: gli OS con test di linfostimolazione positivo sono stati 15. Abbiamo rivalutato tutti questi OS a distanza di
6-8 settimane e, al secondo test QFT-G IT, 5 OS sono risultati negativi
mentre 10 sono stati confermati positivi al test di linfostimolazione Questi 10 OS rimarrebbero da seguire nel futuro follow-up.
PATOLOGIE INFETTIVE EMERGENTI PER GLI ADDETTI
AD ALLEVAMENTI SUINICOLI
N. Vonesch, S. Di Renzi, A. Martini, P. Melis, S. Signorini, P. Tomao
ISPESL - Dipartimento Medicina del Lavoro, Monte Porzio Catone
(ROMA)
Corrispondenza: Nicoletta Vonesch, ISPESL - Dipartimento Medicina
del Lavoro, Via Fontana Candida, 1 - 00040 Monte Porzio Catone (RM),
e-mail: [email protected], tel: 06-94181280, fax: 06-94181410
402
RIASSUNTO. Le infezioni emergenti costituiscono attualmente una
realtà che si affianca alle classiche patologie infettive. Le variazioni climatiche e degli habitat, la globalizzazione dei trasporti e del commercio
sono solo alcuni dei fattori che contribuiscono alla emergenza di nuove
patologie. Elemento comune a molti agenti infettivi emergenti è l’essere
virus ad RNA, caratterizzati da un alto tasso di mutazioni capaci di far
adattare il virus stesso a nuovi ospiti e nuovi ambienti. Il rischio biologico per gli allevatori, gli addetti ai macelli, alla lavorazione e trasporto delle carni e per i veterinari si configura sostanzialmente come rischio di
zoonosi, correlato strettamente allo stato di salute degli animali. I suini allevati possono contrarre molteplici infezioni sia di origine virale che batterica, incluse quelle emergenti, con la potenzialità di trasmetterle ai lavoratori. La presente pubblicazione intende prendere in rassegna alcuni
microrganismi cosiddetti emergenti che potrebbero rappresentare un rischio occupazionale per gli addetti ad allevamenti di suini, settore in cui
la valutazione del rischio risulta tuttora piuttosto difficoltosa.
Parole chiave: zoonosi emergenti, suini, rischio occupazionale
EMERGING INFECTIOUS DISEASES AMONG SWINE WORKERS
ABSTRACT. In the last years emerging infections represent an
important problem of public health and occupational medicine.
Biological agents and their hosts exist in a precariously balanced and
continuously evolving relationship, influenced by their environment. RNA
viruses are responsible for most of the emerging diseases. Epidemics that
recently affected the world of work are zoonoses, such as cases of SARS
in healthcare staff, Dutch poultry workers infected with the avian virus
A/H7N7 in 2003, the current threat of avian flu A/H5N1 to poultry
workers. Workers at risk include those who are in contact with live or
dead infected animals, with aerosols, dust or surfaces contaminated by
animal secretions, persons engaged in animal breeding and trade,
veterinaries, and others. Pigs are at risk of acquiring many viral and
bacterial diseases and, consequently, could be able to transmit some of
these infections to occupationally exposed subjects. The aim of our study
is to set out some emerging zoonosis that could affect swine workers, an
occupational sector where a proper assessment of biological risks is
difficult to perform.
Key words: emerging zoonosis, pigs, occupational risk
INTRODUZIONE
Le infezioni emergenti e riemergenti costituiscono una realtà che si
affianca alle classiche patologie infettive e sono determinate da microrganismi identificati negli ultimi 20 anni o già noti ma di cui ultimamente
si è osservata un’importante recrudescenza. Cause della emergenza di
nuove patologie sono da ricercare sia in cambiamenti ecologici (variazioni climatiche e degli habitat) che antropologici (migrazione e mobilità
per motivi di lavoro e per turismo), i quali hanno fornito agli agenti biologici opportunità per produrre epidemie. La recente epidemia di SARS,
causata da un nuovo Coronavirus umano, e la trasmissione sporadica di
virus dell’influenza aviaria dai volatili all’uomo hanno evidenziato l’importanza del fenomeno e le problematiche ad esso correlate sia in ambito
di sanità pubblica che occupazionale. Di circa 1400 specie di microrganismi ad oggi identificate, il 61% sono responsabili di zoonosi (1). Nel
1959 l’OMS ha definito le zoonosi “malattie ed infezioni naturalmente
trasmesse tra animali vertebrati e l’uomo”. L’interesse destato da tali patologie nonché il miglioramento delle conoscenze hanno portato ad ampliare tale concetto, pertanto attualmente è accettata la definizione proposta da Mantovani nel 2000 che intende per zoonosi un “danno alla salute e/o qualità della vita umana causato da relazione con (altri) animali vertebrati o invertebrati commestibili o tossici”. Relativamente all’ambito lavorativo le zoonosi si configurano quale principale rischio biologico per gli addetti agli allevamenti, alle produzioni zootecniche, ai macelli, alla lavorazione delle carni e per i veterinari.
Scopo del presente lavoro è una breve presentazione di alcuni microrganismi di origine virale e batterica che potrebbero rappresentare un
rischio occupazionale emergente per gli addetti ad allevamenti di suini,
settore in cui la valutazione del rischio risulta piuttosto difficoltosa.
Perché l’emergenza di nuovi patogeni
L’attenzione verso le malattie infettive emergenti è iniziata alla fine
degli anni ’60 ed è aumentata negli anni ’80 con l’emergenza AIDS. L’interesse suscitato e tutte le problematiche scaturite hanno motivato i CDC
di Atlanta a pubblicare, a partire dal 1995, una rivista specifica sulle te-
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matica (Emerging Infectious Diseases). Non vi è una definizione univoca di “infezione emergente” in quanto può essere più o meno restrittiva
(2). Microrganismi emergenti possono originare da variazioni di patogeni esistenti per mutazioni genetiche o ricombinazioni, come il Coronavirus responsabile della SARS e gli Orthomyxovirus delle influenze, oppure se introdotti in un’area geografica diversa da quella di origine: ad
esempio nel mondo occidentale l’aumento dei viaggi è ritenuta la probabile causa della comparsa di infezioni esotiche quali la dengue, l’epatite
E, l’infezione da virus West Nile e la Febbre della Valle del Rift (3). Ripetute osservazioni inducono a ritenere che, tra i vari microrganismi che
possono infettare l’uomo, i più idonei ad assumere il ruolo di patogeni
emergenti sono i virus ad RNA. Appartengono a questa classe i virus influenzali umani ed animali, l’HIV, il Coronavirus SARS-associato, i virus Nipah, Hendra ed Ebola, caratterizzati da un alto tasso di mutazioni
genomiche in grado di far adattare il virus stesso a nuovi ospiti.
Rischi biologici emergenti in ambito occupazionale
Ogni anno muoiono in tutto il mondo circa 320.000 lavoratori a causa delle malattie trasmissibili, di cui 5.000 nell’Unione Europea (UE).
Nell’ambito della salute e sicurezza sul lavoro viene definito “rischio
emergente” qualunque rischio professionale “nuovo” e/o “in aumento”
(4). Da un’indagine condotta con il metodo Delphi a cui hanno partecipato 36 esperti di 20 Stati membri dell’UE si è potuto constatare che tra
i rischi biologici emergenti in ambito occupazionale vi sono quelli legati
alle epidemie globali. I casi di SARS tra gli operatori sanitari, l’infezione da virus aviario A/H7N7 in addetti al pollame verificatasi nei Paesi
Bassi nel 2003, la contaminazione da Dengue in lavoratori deputati allo
scarico merci nell’ambito del commercio internazionale, nonché la recente epidemia da influenza aviaria da virus A/H5N1 sono solo alcuni degli esempi che dimostrano come le epidemie globali possano riguardare
da vicino anche il mondo del lavoro (5). Dal momento che la maggior
parte di tali malattie sono zoonosi, un elenco non esaustivo delle categorie di lavoratori a rischio potenziale comprende: coloro che sono in contatto con animali infetti viventi o morti, con aerosol, polveri o superfici
contaminate da secrezioni animali; quelli che si occupano di commercio
di animali; allevatori; addetti all’abbattimento, alla pulizia e disinfezione
delle aree contaminate; addetti ai servizi veterinari, ai laboratori di ricerca e agli zoo.
Dall’indagine sopra citata è anche emerso che, nonostante l’obbligo
di valutare i rischi biologici imposto dalla Direttiva 2000/54/CE, le conoscenze e le informazioni trasmesse ai lavoratori sui pericoli biologici
continuano ad essere piuttosto scarse.
Allevamenti suinicoli e rischio occupazionale da agenti biologici
Negli allevamenti il rischio biologico per i lavoratori è sinonimo di
zoonosi ed è pertanto strettamente dipendente dallo stato di salute degli
animali. Microrganismi tradizionali che possono infettare i suini includono Brucella suis, Leptospira spp, Erysipelothrix rhusiopathiae, Mycobacterium avium e bovis, Streptococcus suis. Per i lavoratori le fonti di rischio sono rappresentate da tessuti e fluidi biologici infetti, lesioni cutanee degli animali, deiezioni, strumenti e superfici di lavoro contaminate,
bioaerosol, liquami e acqua contaminata; le principali vie di trasmissione
includono il contatto con animali, tessuti e fluidi biologici infetti e con
strumenti e superfici di lavoro contaminate, la contaminazione congiuntivale con schizzi contaminati e l’inalazione di bioaerosol infetto. Non
vanno infine tralasciate le lesioni da morso da parte degli animali e l’inoculazione tramite vettore. Oltre che dagli agenti biologici maggiormente diffusi e conosciuti, i suini potrebbero essere infettati da patogeni
emergenti, ed eventualmente trasmetterli all’uomo. Nel caso delle recenti epidemie si è visto come allevamenti di bestiame intensivi e promiscui,
associati a condizioni igieniche non ottimali, sono substrati idonei per favorire le trasformazioni genetiche dei virus e la loro diffusione (6).
L’allegato IX del D.Lgs 626/94 classifica le attività dove vi è contatto con animali e con prodotti di origine animale tra quelle che, pur non
comportando deliberata intenzione di operare con agenti biologici, possono implicare il rischio di esposizione dei lavoratori. Pertanto vanno rispettati e posti in atto tutti gli obblighi previsti dalla norma.
Patogeni emergenti veicolati da suini: alcuni casi in ambito lavorativo
Tra le zoonosi emergenti trasmesse da suini vi è l’influenza suina,
malattia respiratoria degli animali causata da virus influenzali di tipo A
(H1 e H3). Virus dell’influenza suina H1N1 e H3N2 sono endemici negli
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Stati Uniti, H1N1 ha diffusione cosmopolita. Tali patogeni normalmente
non infettano l’uomo, sebbene si siano verificate infezioni sporadiche tra
coloro che avevano avuto esposizione diretta a suini infetti (allevatori)
(7). Un ampio studio effettuato nel 2006 negli USA ha documentato la
presenza di elevati titoli anticorpali diretti contro i virus H1N1 e H1N2 in
tre gruppi di lavoratori esposti (111 allevatori, 97 addetti ad un industria
che produceva carne, 65 veterinari) (8). Un’altra ricerca condotta su un
numero minore di casi (74 soggetti a rischio occupazionale) ha mostrato
un titolo anticorpale (H1) significativamente maggiore rispetto ai controlli (9). Un’ulteriore pubblicazione ha dimostrato la presenza di anticorpi diretti contro il virus H1N1 in 49 addetti ad allevamenti suinicoli
confinati che utilizzavano raramente adeguate misure di protezione (uso
di guanti) o misure igieniche (fumare durante il lavoro) (10). Infezioni
con virus influenzali di tipo A, appartenenti a ceppi sia aviari che umani,
sono state riscontrate anche nei suini, nei quali la co-circolazione di influenza aviaria, umana e suina potrebbe portare ad uno scambio di materiale genetico, dal quale potrebbe scaturire un nuovo ceppo potenzialmente in grado di innescare una nuova pandemia per l’uomo (8, 11).
L’infezione da virus dell’epatite E (HEV) rappresenta un grave problema di sanità pubblica nei Paesi in via di sviluppo, dove si trasmette
principalmente per via oro-fecale. Nei Paesi industrializzati si trovano casi clinici sporadici; studi sieroepidemiologici hanno rilevato la presenza
di anticorpi anti-HEV in soggetti professionalmente esposti ai suini. L’epatite E viene attualmente considerata una zoonosi emergente e i suini sono ritenuti un serbatoio del virus. Indagini condotte negli Stati Uniti (12),
a Taiwan (13), in Moldavia (14) e in Grecia (15) hanno mostrato sieropositività nei confronti di HEV significativamente più elevate in persone
professionalmente esposte a suini rispetto a popolazioni di controllo. Va
tuttavia sottolineato che altri studi non hanno evidenziato differenze significative nel titolo anticorpale degli esposti a suini per motivi occupazionali rispetto ai controlli. In Svezia la prevalenza di IgG anti-HEV in
115 lavoratori suinicoli non risultava statisticamente più elevata rispetto
ai controlli (13% contro 9.3%) (16). Uno studio effettuato recentemente
in Italia nel Lazio non ha evidenziato differenze nella prevalenza di anticorpi anti-HEV nella popolazione generale (3511 soggetti) rispetto a lavoratori esposti (92 tra veterinari, addetti al mattatoio ed allevatori), ma
le percentuali di positività erano comunque piuttosto elevate. Sono dunque necessari ulteriori studi per capire se possano esistere particolari vie
di trasmissione che consentono al virus di creare delle nicchie serbatoio
di infezione (17).
Una zoonosi emergente di recente riconoscimento, finora riscontrata
nel Sud-est asiatico, è causata dal virus Nipah (famiglia Paramyxoviridae). Qui il virus, isolato per la prima volta nell’uomo nel 1999, costituisce un importante problema di sanità pubblica a causa delle numerose
specie animali ospiti e della possibile gravità della malattia nell’uomo. I
pipistrelli mangiatori di frutta sono ritenuti l’ospite naturale del virus; non
è noto al momento come avvenga il passaggio da questi ad altri animali
e all’uomo. È probabile che il maiale rappresenti la fonte di contagio
(contatto con tessuti o fluidi corporei infetti), ma non l’unica, per l’uomo.
In letteratura sono presenti vari studi che indicano come alcune categorie
lavorative quali allevatori di suini e addetti ai macelli risultano essere a
rischio di esposizione per tale zoonosi (18,19).
Tra le infezioni emergenti di origine batterica vi è la streptococcosi
da Streptococcus suis, ampiamente diffusa tra i suini allevati, trasmissibile all’uomo per contatto stretto con animali e carne infetta, attraverso
tagli o abrasioni della pelle. Sono documentati molteplici casi di infezioni umane da S. suis (soprattutto sierotipo 2), alcuni avvenuti in ambito occupazionale (20). L’infezione umana da S. suis è stata considerata una
zoonosi “minore” fino all’agosto del 2005, allorché le autorità sanitarie
cinesi hanno notificato all’OMS la presenza di numerosi focolai in allevamenti familiari della provincia di Sichuan e contemporaneamente l’insorgenza di 200 casi di malattia nell’uomo, circa 40 dei quali mortali. I
soggetti colpiti erano soprattutto agricoltori che avevano avuto stretto
contatto con suini infetti o morti. Sebbene l’episodio non abbia poi avuto seguito, ha allarmato la comunità sanitaria internazionale. L’infezione
è una zoonosi di origine professionale (elevata probabilità - DM 27 aprile 2004).
CONCLUSIONI
I rischi biologici “emergenti” in ambito occupazionale rappresentano
una nuova realtà ancora poco investigata, se si eccettua il settore riguardante gli operatori sanitari e coloro che lavorano nei laboratori di ricerca.
403
Negli allevamenti le infezioni emergenti sono rappresentate fondamentalmente dalle zoonosi, le quali negli ultimi anni hanno suscitato l’interesse sia a livello di salute pubblica che occupazionale per la frequenza
con cui tendono a presentarsi. Malattie emergenti e riemergenti non sono
un fenomeno nuovo nel campo dell’infettivologia, ma inaspettata è l’accelerazione della comparsa degli episodi, imputabili a molteplici fattori
legati sia alla biologia dei microrganismi che a cambiamenti antropologici, sociali e climatici. Inoltre gli spostamenti di popolazioni e merci favoriscono la diffusione dei patogeni in zone indenni, con la possibilità di
innescare epidemie.
Il processo di valutazione del rischio ai sensi del D.Lgs 626/94 risulta piuttosto difficoltoso nel settore degli allevamenti di bestiame, soprattutto per quanto riguarda il reperimento dei dati inerenti la diffusione delle zoonosi animali e professionali. Varie normative sono state emanate, sia
a livello nazionale che comunitario, per la notifica delle zoonosi nell’uomo e negli animali, nonché per la sorveglianza delle medesime. Appare
evidente che un corretto processo valutativo richiede la collaborazione
professionale di varie figure, in particolare medici e veterinari, mediante
uno studio comprensivo di tutti i rischi per la salute umana ed animale. Tale esigenza è sentita in modo particolare quando si tratta di affrontare una
tematica nuova nell’ambito della medicina del lavoro, come nel caso delle zoonosi emergenti. Una delle problematiche più urgenti sollevate dalle
infezioni emergenti in ambito occupazionale riguarda la protezione dei lavoratori. Sicuramente l’applicazione dei principi di biosicurezza negli allevamenti, intesi come insieme di misure gestionali finalizzate a prevenire l’introduzione di agenti biologici all’interno dei medesimi e la loro conseguente diffusione, costituiscono un punto fondamentale. Molto importante risulta la sorveglianza ed il monitoraggio degli animali e l’eventuale
attivazione di un rapido stato di allerta in caso di sospetto/comparsa di epidemia. Andranno inoltre poste in atto strategie vaccinali laddove disponibili ed opportune. Relativamente ai lavoratori, va tenuto presente che, se
garantire la salute e sicurezza sul luogo di lavoro, ai sensi della vigente
normativa, è compito del datore di lavoro, il quale deve anche impartire
adeguata informazione e formazione, la prevenzione e la protezione personale dei rischi è affidata anche al lavoratore.
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COM-03
LA GESTIONE DEL RISCHIO TBC NEL PERSONALE SANITARIO
G. Lo Cascio1, N. Lo Cascio2, D. Picciotto1
1Dipartimento di Medicina Clinica e delle Patologie
Emergenti - Sez. di
Medicina del Lavoro Palermo
2Azienda Ospedaliera Policlinico di Palermo - Direzione Generale - Ufficio di Staff del Medico Competente - Palermo
Corrispondenza: Dott. G. Lo Cascio - [email protected]
RIASSUNTO. Negli ambienti di lavoro ed ancor più in quelli ad indirizzo sanitario, approfondire l’opera di monitoraggio e di sensibilizzazione degli addetti per una più incisiva e puntuale rilevazione dei dati di
morbosità incidente e prevalente della tbc, costituisce il presupposto necessario per ogni successiva azione di prevenzione e controllo. D’altra
parte uno degli obblighi del datore di lavoro di una struttura sanitaria è
quello di individuare i soggetti professionalmente esposti (D.Lgs 626/94,
art. 78) ed effettuare la valutazione del rischio. A ciò vanno aggiunte le
ripetute segnalazioni, nei vari nosocomi, di sospetti casi di contatto di dipendenti con pazienti affetti da tbc. Nell’AOUP di Palermo, dal 2003 a
maggio 2007 i casi segnalati da vari reparti di degenza all’Unità di Staff
per le problematiche Igienico Sanitarie e da questo all’Ufficio del Medico Competente sono stati 39 di cui 34 ad interessamento polmonare. Ciò
ha reso necessario attivare un programma di lavoro in grado di affrontare il rischio tbc sia in situazioni di contatto sospetto o reale sia nelle normali attività lavorative.
Parole chiave: tubercolosi, rischio biologico
THE RISK MANAGEMENT IN HEALTH PERSONNEL TBC
ABSTRACT. Within work environment and even more among health
service areas, to deepen the monitoring efforts and awareness of the
workers in order to accomplish a more effective and fast response against
morbidity indexes and prevalence of tbc, constitute the necessary
prerequisite for any subsequent action of prevention and control.On the
other hand, one of the employer’s obligations toward a health facility is
to identify professionally exposed subjects (Legislative Decree 626/94
art.78), and perform risk assessment. Continuous report from various
hospitals concerning suspicious contacts between employees and patients
affected by tbc further increase the threat.
At AOUP in Palermo from 2003 to May 2007, 39 cases of suspected
contact between employees and patients affected by tbc were reported to
the ‘Staff Union for Health Related Issues’ by various hospital
departments and the ‘Office of the Medical Competent’, 34 of these
reported cases have pulmonary involvement. The above mentioned
situation made necessary to launch an effective program capable of
addressing the risks of tbc in both circumstances of suspected or certain
contact and during normal work activities.
Key words Tubercolosis, biohazard
INTRODUZIONE
Negli ambienti di lavoro ed ancor più in quelli ad indirizzo sanitario,
approfondire l’opera di monitoraggio e di sensibilizzazione degli addetti
per una più incisiva e puntuale rilevazione dei dati di morbosità incidente e prevalente della tbc, costituisce il presupposto necessario per ogni
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successiva azione di prevenzione e controllo. D’altra parte uno degli obblighi del datore di lavoro di una struttura sanitaria è quello di individuare i soggetti professionalmente esposti (D.Lgs 626/94, art. 78) (2) ed effettuare la valutazione del rischio. A ciò vanno aggiunte le ripetute segnalazioni, nei vari nosocomi, di sospetti casi di contatto di dipendenti
con pazienti affetti da tbc. Nell’AOUP di Palermo, dal 2003 a maggio
2007, i casi segnalati da vari reparti di degenza all’Unità di Staff per le
Problematiche Igienico Sanitarie e da questa all’Ufficio del Medico Competente sono stati 39 di cui 34 ad interessamento polmonare. A ciò va aggiunto che, soprattutto nelle strutture ospedaliere, la presenza pressoché
ubiquitaria di sorgenti di rischio congiuntamente alla errata convinzione
di eradicazione della malattia, ha indotto gli operatori ad assumere un attegiamento di scarsa considerazione del problema. Ciò ha reso necessario
attivare un programma di lavoro in grado di affrontare il rischio tbc sia in
situazioni di contatto sospetto o reale sia nelle normali attività lavorative.
MATERIALI E METODI
Presso l’AOUP di Palermo l’Ufficio del Medico Competente in ottemperenza a quanto previsto dal decreto 626/94 in tema di valutazione
di rischi biologici ed in sintonia con quanto descritto dalle linee guida
emanate dal Ministero della Sanità per il rischio biologico (4), ha attivato un percorso procedurale mirato alla gestione del rischio tbc per il personale sanitario (5), individuando in tale percorso sostanzialmente due fasi di cui la prima tendente a verificare lo stato delle cose in situazioni
standard e la seconda quali gli interventi attuativi in caso di sospetto contatto. Come primo atto, è stato valutato lo stato vaccinale dei soggetti
operanti in ambienti sanitari ritenuti più a rischio, acquisendo in sede di
sorveglianza sanitaria tutte le informazioni relative ad eventuali vaccinazioni contro la tbc e verificandone la risposta mediante intradermoreazione secondo Mantoux con 5 U.I.
A tale scopo su un totale di circa 2100 persone di ruolo nel 2004 sono
stati testati 700 dipendenti appartenenti a varie aree dell’ambito sanitario
dell’AOUP di Palermo ed operanti in strutture con possibile rischio di contatto. Ciò ci ha permesso di constatare che solo l’11% del personale risultava vaccinato e di questi solo il 30% mostrava una positività alla Mantoux.
In definitiva su tutta la popolazione testata (700 dipendenti) solo 35 tra i
vaccinati risultavano ancora immunizzati contro la tbc, mentre 48 erano quelli che avevano sviluppato una immunità in seguito a precedenti contatti.
L’altro aspetto ha interessato le modalità di gestione del dipendente
venuto a contatto con pazienti sicuramenti affetti da TBC.
La segnalazione di 39 casi negli ultimi cinque anni (Fig. 1), attivava
repentinamente gli interventi previsti dall’Unità di Staff per le Problematiche Igienico Sanitarie che procedeva alla valutazione dell’ambiente e
nel contempo comunicava entro 24 ore all’Ufficio del Medico Competente le persone sospette.
In tale sede, cosi come indicato dalle linee guida del Ministero della
Sanità, tutti i casi sospetti venivano individuati e, dopo attenta valutazione del contatto e della situazione vaccinale, sottoposti al test di Mantoux.
I cutinegativi vaccinati e non, ripetevano la Mantoux dopo sessanta
giorni dal sospetto contatto ed in caso di cutipositività effettuavano l’Rx
del torace. In relazione a quanto emerso dalle radiografie venivano avviati presso altri specialisti per proseguimento dell’ter diagnostico o per
eventuale terapia.
Anche i cutipositivi al primo test, pur se vaccinati, venivano sottoposti a controllo radiografico ed eventualmente inviati ad uno specialista
per l’iter diagnostico terapeutico.
Figura 1.
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405
Figura 4.
DISCUSSIONE
La tbc, in atto, pur essendo considerata una patologia infettiva non
più frequente, richiede una sempre costante attenzione sia come problema di sanità pubblica sia come fattore di rischio in alcuni ambienti di lavoro. Tra questi rivestono un ruolo di primo piano gli operatori sanitari
per i quali è demandato al medico competente l’obbligo della sorveglianza sanitaria attraverso l’attuazione di procedure operative indicate nel documento di linee guida del Ministero della Sanità per il controllo della
malattia tubercolare.
Per quanto sopra presso l’AOUP di Palermo, l’Ufficio del Medico
Competente ha attuato un piano di sorveglianza sanitaria per la gestione
del rischio tubercolosi finalizzato oltre che alla gestione delle situazioni
di sospetto contatto anche alla verifica dello stato vaccinale di gran parte
dei dipendenti in situazioni di base.
Ciò ha consentito di documentare che su tutta la popolazione potenzialmente a rischio solo 11% (Fig. 1) risultava essere vaccinato e di questi il 30% mostrava ancora una positività alla Mantoux, mentre nei non
vaccinati tale positività era limitato all’8% dei soggetti testati. Da sottolineare che tra positività alla Mantoux ed attività svolta non era stata evidenziata nessuna correlazione. Da considerare, infatti che tra questi operatori, ve ne erano alcuni che operavano in strutture definite ad alto rischio quali servizio AIDS, malattie infettive, ambulatori per extracomunitari, pronto soccorso. Dato rilevante è inoltre che, durante tali accertamenti, quasi tutti gli operatori sottostimavano il rischio tbc, ritenendolo
ormai superato.
Più recentemente, la denuncia di contatti con persone infette rilevate
dall’Unità di Staff per le Problematiche Igienico Sanitarie, 39 casi dal
2003 a maggio 2007 (Fig. 1), ha comportato l’attivazione di procedure
standardizzate finalizzate alla gestione del rischio in situazioni di sospetto contatto (1).
La metodologia cosi applicata ha consentito, unitamente agli interventi di tipo igienico ambientale avviati dall’Unità di Staff preposta, una
corretta ed adeguata gestione del rischio tbc presso la AOUP di Palermo,
tanto da non registrare nessun caso di tbc attiva nel personale dipendente
negli ultimi cinque anni.
I dati così ottenuti, oltre a validare la procedura attuata, documentano la persistenza del rischio tbc e delle patologie ad esso correlate per tutti gli operatori sanitari, riportando in primo piano una tematica che quasi
tutti ritenevano superata per le già accennate motivazioni sia di tipo medico che sociale. La mancata percezione del rischio, infatti, già da sola
determina un ulteriore aggravamento dello stesso, inducendo gli operatori a non rispettare nemmeno le più elementari norme di sicurezza.
In conclusione oltre a ribadire l’esigenza di attuare piani di valutazione del rischio tbc all’interno di stutture sanitarie, sia in fase di visita
preassuntiva che periodica attraverso la messa in atto di procedure di controllo modulato del rischio, si ritiene indispensabile l’attuazione di programmi di formazione/informazione per tutti gli operatori sanitari per ciò
che attiene a tutti gli aspetti relativi al suddetto rischio con particolare riferimento alle modalità di trasmissione ed a una puntuale osservanza delle indicazioni da seguire in caso di terapia.
Figura 5.
BIBLIOGRAFIA
1) D. Franchini, M. Caironi, P. Zottola, L. Trezzi: Indicazione per la
prevenzione della malattia tubercolare in ambiente di lavoro. ASL di
Bergamo - Dipartimento di prevenzione medico - Area della Sicurezza e della Salute negli Ambienti di Lavoro.
2) D. Lgs. 626/94 integrato e modificato dal Dlgs 242/1996 e successive modifiche
3) Dpr 7/11/2001 N. 465 recante norme in tema di vaccinazione antitubercolare.
4) Linee guida per il controllo della malattia tubercolare ai sensi dell’art. 115, comma 1 lettera b) del D.lgs. 31/3 1998 n. 112 (Ministero
della Sanità)
5) Linee guida per la sorveglianza degli operatori sanitari contro il rischio da tubercolosi. Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia - Direzione Regionale della Sanità e delle Politiche Sociali - Servizio per
la Salute Pubblica e del Lavoro - 2002.
6) Ministero della Salute - centro Nazionale per la Prevenzione ed il
Controllo delle Malattie - Programma 2004 - Progetto: Sorveglianza
sanitaria della tubercolosi e delle resistenze ai farmaci antitubercolari. Sottoprogetto: Sorveglianza della resistenza ai farmaci antitubercolari. 1/2/2006
Figura 2.
Figura 3.
406
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COM-04
SCREENING DELL’INFEZIONE TUBERCOLARE LATENTE
IN OPERATORI SANITARI CON QUANTIFERON-TB
E TEST CUTANEO TUBERCOLINICO
A. Ciaschetti1, A. Franchi1, L. Richeldi2, F. Rumpianesi3, M. Meacci3,
A.Valente1, G. Franco1
1 Cattedra e Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università
degli Studi di Modena e Reggio Emilia; Servizio di Sorveglianza Sanitaria,
Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena
2 Cattedra e Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università
degli Studi di Modena e Reggio Emilia e Azienda OspedalieroUniversitaria Policlinico di Modena
3 Servizio di Microbiologia e Virologia, Azienda OspedalieroUniversitaria Policlinico di Modena
Corrispondenza: Alessia Ciaschetti - Scuola di Specializzazione in Medicina
del Lavoro, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia - Largo del
Pozzo 71 - 41100 Modena, Italy, E-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Recenti linee guida (MMWR 2005) raccomandano
l’utilizzo del QuantiFERON-TB (QFT-TB) quale alternativa al test cutaneo tubercolinico (TCT) per lo screening dell’infezione tubercolare latente (ITL) negli operatori sanitari (OS). Materiali e metodi. 590 OS sono stati sottoposti a screening dell’ITL mediante l’utilizzo combinato di
TCT e QFT-TB; i risultati sono stati elaborati nei confronti dei principali fattori di rischio per l’ITL. Risultati. Entrambi i test erano significativamente associati con la nazionalità non italiana [TCT (OR=9,17), QFTTB (OR=3,65)], l’età ≥ 45 anni [TCT (OR=1,81), QFT-TB (OR=2,36)],
la storia di contatti familiari con tubercolosi (TB) [TCT (OR=2,63), QFTTB (OR=3,37], l’esposizione occupazionale a pazienti affetti da TB attiva [TCT (OR=2,14), QFT-TB (OR=1,93)]. 55 casi sono risultati discordanti (28 QFT-TB-negativi/TCT-positivi; 27 QFT-TB-positivi/TCT-negativi). Nessuno dei due test invece era associato alla mansione lavorativa,
alla tipologia ed al livello di rischio tubercolare valutato nei diversi reparti di appartenenza. Conclusioni. In OS in un’area a bassa incidenza di
TB sia QFT-TB che TCT sono risultati principalmente associati a fattori
di rischio extralavorativi (nazionalità, età, contatti familiari) rispetto ai
principali determinanti del rischio occupazionale per l’ITL.
Parole chiave: operatori sanitari, infezione tubercolare latente,
test di screening, test cutaneo tubercolinico, test immunologico,
QuantiFERON-TB.
SCREENING
OF LATENT TUBERCULOSIS INFECTION IN HEALTH CARE
QUANTIFERON-TB AND TUBERCULIN SKIN TEST
ABSTRACT. Recent guidelines (MMWR 2005) recommend the use
of QuantiFERON-TB (QFT-TB) as an alternative to the tuberculin skin
test (TST) for the screening of latent tuberculosis infection (LTBI) in
health care workers (HCWs). Materials and methods. 590 HCWs were
screened for LTBI by TST and QFT-TB. Results were compared with risk
factors for LTBI, determined by questionnaires. Results. Both tests were
significantly associated with non-Italian nationality [TCT (OR=9.17),
QFT-TB (OR=3.65)], age ≥ 45 years old [TCT (OR=1.81), QFT-TB
(OR=2.36)], history of household contacts [TCT (OR=2.65), QFT-TB
(OR=3.37], occupational exposure to tuberculosis (TB) patients [TCT
(OR=2.14), QFT-TB (OR=1.93)]. 55 cases were discordant (28 QFT-TBnegatives/TCT-positives; 27 QFT-TB-positives/TCT-negatives). Both
tests were not associated with workplace risk factors or TB risk level
assessed in different hospital units. Conclusions. In HCWs employed in
a low TB incidence area both QFT-TB and TCT were more associated
with non occupational risk factors (nationality, age, household contacts)
than with main determinants of workplace risk for LTBI.
Key words: health care workers, latent tuberculosis infection,
screening tests, blood test, tuberculin skin test, interferon-γ release assay,
QuantiFERON-TB.
WORKERS BY
INTRODUZIONE
La tubercolosi (TB) persiste nonostante l’implementazione dei piani
di controllo promossi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Se trattare i casi di malattia attiva costituisce un intervento sanitario di primo or-
dine, identificare i soggetti con infezione tubercolare latente (ITL) rappresenta la strategia più efficace per il controllo e prevenzione della TB
[1]. La terapia preventiva nei soggetti con recente riscontro di infezione
da M. tuberculosis (MTB) ridurrebbe il rischio individuale di malattia attiva e la quota di soggetti infettati con conseguenti benefici per la sanità
pubblica [2-3]. L’identificazione dell’ITL dovrebbe essere mirata ai gruppi a rischio della popolazione: tra questi sono compresi gli operatori sanitari (OS) esposti a MTB per i quali lo screening è raccomandato nei
programmi di sorveglianza sanitaria [3-4-5]. L’unico test disponibile fino
al 2001 era il test cutaneo tubercolinico (TCT), un approccio semplice, sicuro, economico, ma poco specifico; ciò ha comportato criticità nell’interpretazione e nella gestione dei soggetti con risultato positivo [1-2]. Da
alcuni anni è disponibile il QuantiFERON-TB (QFT-TB), un test immunologico su sangue in vitro il cui utilizzo combinato con il TCT in screening di gruppi a rischio ha potuto fornire dati preliminari che indicano
una maggiore sensibilità e specificità del QFT-TB nell’identificazione dei
soggetti infettati, pur in assenza di un vero “gold standard” per la diagnosi di ITL [6-7-8].
Le più recenti linee guida internazionali, tuttavia, non sono concordi
nelle procedure raccomandate per gli screening con test immunologici
[7]: da una parte, i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) statunitensi propongono l’uso del QFT-TB quale test sostitutivo in tutte le
circostanze in cui è utilizzato il TCT [6], dall’altra il National Institute for
Health and Clinical Excellence (NICE) britannico prevede l’uso dei test
immunologici su sangue solo per confermare un risultato positivo ottenuto con il TCT o nel sospetto di un risultato falso negativo [9]. In Italia,
in carenza di linee guida nazionali e di ampi studi epidemiologici sul rapporto costo-beneficio delle diverse strategie di applicazione dei test immunologici, alcune società scientifiche raccomandano l’adozione del modello operativo proposto dal NICE [2]. L’obiettivo della presente indagine è stato quello di valutare la risposta al QFT-TB e al TCT in una popolazione di OS che operano in una struttura ospedaliera in un’area a bassa
incidenza di TB e di confrontarne l’associazione con i principali fattori di
rischio occupazionali ed extralavorativi per l’ITL.
MATERIALI E METODI
631 OS dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena, da gennaio 2006 a luglio 2007, sono stati sottoposti all’esecuzione del test QFT-TB in occasione dei prelievi ematici effettuati nel corso della sorveglianza sanitaria; 590 OS (94%) sono stati valutati anche
con il TCT. La popolazione era costituita da OS in corso di accertamento sanitario preventivo e periodico durante il suddetto periodo. Le
informazioni demo-anagrafiche, sulla storia lavorativa e sui fattori di rischio occupazionali ed extralavorativi sono state raccolte dalle cartelle
sanitarie dei lavoratori e mediante questionario mirato. Sulla base della
valutazione del rischio di infezione tubercolare all’interno dell’azienda
ospedaliera, precedentemente condotta secondo le linee guida dei CDC
del 1994 [5], gli OS appartenevano per il 91% ad unità operative (UO)
classificate come UO a rischio alto [Nefrologia e Dialisi (18%), Ginecologia e Ostetricia (14%), Medicine (11%), Pronto Soccorso (10%),
Tisiologia (9%) e Laboratorio di Microbiologia (2%)] e UO a rischio intermedio [Anatomia Patologica (11%), Radiologie (8%), Malattie Infettive (6%) e Laboratorio di Virologia (2%)]. Le mansioni rappresentate
erano: infermieri 44%, medici 25%, tecnici (di radiologia, di anatomia
patologica e di fisiopatologia respiratoria) 12%, ausiliari 11%, ostetriche 4%, biologi 2%, amministrativi 1%, studenti di vari corsi 1%. Il
QFT-TB (Cellestis Limited, Canergie, Victoria, Australia) è stato eseguito e refertato secondo le modalità tecniche indicate dal produttore
[10]. L’esecuzione del TCT è stata condotta secondo metodo di Mantoux; la reazione cutanea veniva refertata dopo 48-72 ore dall’inoculo
ed interpretata secondo le raccomandazioni dell’ATS/CDC (reazione
positiva ≥ 10 mm di indurato) [11]. I soggetti per i quali era già documentato un risultato positivo al TCT non sono stati sottoposti a nuovo
test cutaneo. Successivamente, (i) gli OS con nuovo TCT positivo sono
stati sottoposti ad esame radiografico standard del torace in due proiezioni e consulenza specialistica per l’eventuale terapia preventiva; (ii)
gli OS con TCT negativo e QFT-TB positivo sono stati valutati solo con
esame radiografico del torace. L’analisi dei risultati riportati in questa
indagine è relativa ai 590 OS valutati con entrambi i test, ed è stata condotta mediante il programma di SPSS, usando un modello di regressione logistica binaria per ciascuna variabile indipendente associata alla
positività al TCT e al QFT-TB.
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407
RISULTATI
La popolazione esaminata (n=590) era costituita da 95% italiani,
74% femmine, età 38 ± 9 (m ± ds) anni, 56% di soggetti vaccinati in passato con Bacillo di Calmette e Guérin (BCG) ed anzianità lavorativa in
sanità di 11 ± 8 anni. La positività al QFT-TB e al TCT è stata osservata
rispettivamente nel 10,7% (63/590) e nel 10,8% (64/590) degli OS. In
particolare, 55 casi (9%) sono risultati discordanti (28 QFT-TB-negativi/TCT-positivi; 27 QFT-TB-positivi/TCT-negativi). Negli OS con una
storia documentata di TB attiva (n=5) il QFT-TB ed il TCT risultavano
positivi rispettivamente nel 100% e nel 60% dei casi. Tra gli OS vaccinati con BCG (n=333) il 10% (33/333) risultava TCT positivo (vs 12%
nei non vaccinati, “p” non significativo), mentre il 6% (21/333) era QFTTB positivo (vs 16% nei non vaccinati, OR=0,34, IC95% 0,2-0,6,
p=0,000). Entrambi i test erano significativamente associati con la nazionalità non italiana [TCT (OR=9,17, IC95% 4,3-19,5, p=0,000), QFT-TB
(OR=3,65 IC95% 1,6-8,3, p=0,002)], l’età ≥ 45 anni [TCT (OR=1,81
IC95% 1,0-3,1, p=0,036), QFT-TB (OR=2,36 IC95% 1,4-4,1, p=0,002)], la
storia di contatti TB familiari [TCT (OR=2,63 IC95% 1,0-6,9, p=0,047),
QFT-TB (OR=3,37 IC95% 1,3-8,4, p=0,009] e l’esposizione occupazionale a pazienti affetti da TB attiva [TCT (OR=2,14 IC95% 1,2-3,7, p=0,006),
QFT-TB (OR=1,93 IC95% 1,1-3,3, p=0,017)]. Il QFT-TB, ma non il TCT,
risultava associato con la maggiore anzianità lavorativa nelle UO a rischio [QFT-TB (OR=2,54 IC95% 1,48-4,36, p=0,001), TCT (OR=1,43
IC95% 0,81-2,51 “p” non significativo)]. Nessuno dei due test risultava associato alla mansione lavorativa specifica, tipologia e categoria di rischio
tubercolare valutata nelle diverse UO di appartenenza.
4) Franchi A, Banfi MB, Franco G. Appropriatezza degli interventi di
prevenzione e controllo dell’infezione tubercolare nelle strutture sanitarie: revisione delle raccomandazioni ATS, CDC, OSHA. Med
Lav 2003; 94,6:506-520
5) Centers for Disease Control and Prevention. Guidelines for preventing the transmission of Mycobacterium tuberculosis in health-care
facilities. MMWR 1994; 43:1-132
6) Mazurek GH, Jareb J, Lobue P, et al. Guidelines for using the QuantiFERON-TB Gold test for detecting Mycobacterium tuberculosis infection. MMWR Recomm Rep 2005;54(RR-15):49-55
7) Menzies D, Pai M, Comstock G. Meta-analysis: New Tests for the
Diagnosis of Latent Tuberculosis Infection: Areas of Uncertainty and
Recommandations for Research. Ann Intern Med 2007;146:340-354
8) Ferrara G, Losi M, D’Amico R, et al. Use in routine clinical practice
of two commercial blood tests for the diagnosis of infection with
Mycobacterium tuberculosis: a prospective study. Lancet
2006;367:1328-34.
9) National Collaborating Centre for Chronic Conditions. Tuberculosis:
clinical diagnosis and management of tuberculosis, and measures for
its prevention and control. London: Royal College of Physicians, 2006
10) http://www.cellestis.com/IRM/Company/ShowPage.aspx?CPID=1172
11) American Thoracic Society/Centers for Disease Control and Prevention. Targeted tuberculin testing and treatment of latent tuberculosis
infection. Am J Respir Crit Care Med 2000;161:S221-S247
CONCLUSIONI
Nella popolazione di OS che operano in una struttura ospedaliera situata in un’area a bassa incidenza di TB sia il QFT-TB che il TCT sono risultati primariamente associati a fattori di rischio extralavorativi per l’ITL,
quali la provenienza da paesi a più alto rischio di trasmissione ambientale
di MTB (Est Europa, Nord Africa), la maggiore età anagrafica e la storia
personale di contatti stretti e prolungati con familiari affetti da TB attiva.
Questi si sono confermati come i più forti determinanti del rischio di infezione in soggetti adulti sani, in condizioni socio-economiche soddisfacenti e non appartenenti ad altri gruppi a rischio della popolazione. Se assumessimo come “gold standard” l’anamnesi personale di pregressa malattia tubercolare attiva e di contatti con pazienti TB in ambiente familiare,
quali indicatori del più alto rischio di infezione, la più forte associazione
del QFT-TB rispetto al TCT con tali variabili indicherebbe di per sé una
sua maggiore specificità per la diagnosi di ITL nella nostra indagine. Al
contrario, l’associazione scarsa (OR=0,34) e altamente significativa
(p=0,000) tra QFT-TB e precedente vaccinazione con BCG (6%) rispetto
al TCT (10%) suggerisce sia il minor effetto di confondimento di tale fattore negli screening di soggetti vaccinati eseguito con test immunologico
su sangue, sia un possibile effetto protettivo del BCG nei confronti dello
sviluppo di infezione tubercolare nell’adulto.
Le difficoltà nel definire in maniera accurata le categorie ed i livelli
di rischio, specialmente in materia di rischio biologico, nella conduzione
di studi trasversali di epidemiologia occupazionale possono rappresentare importanti limiti ed elementi critici nella valutazione dei risultati.
In attesa di studi longitudinali che valutino il valore predittivo del nuovo test e il rapporto costo-beneficio negli screening degli OS, si possono comunque rilevare aspetti vantaggiosi nell’applicazione del QFT-TB nel programma di sorveglianza sanitaria, quali l’elevata adesione allo screening senza necessità di un secondo accesso del lavoratore, la possibilità di testare OS
poliallergici o con risposta iperergica al test cutaneo e l’opportunità di inquadrare più correttamente i casi con risultati dubbi o falsamente positivi al TCT.
COM-05
BIBLIOGRAFIA
1) Richeldi L. An update on the diagnosis of tuberculosis infection. Am
J Respir Crit Care Med. 2006;174(7):736-42.
2) Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri (AIPO), Società Italiana di Medicina Respiratoria (SIMeR), Associazione di Microbiologia Clinica Italiana (AMCLI) e Federazione Italiana per le Malattie Polmonari Sociali e la Tubercolosi (FIMPST). Documento sull’utilizzo dei nuovi test immunologici per la diagnosi di infezione tubercolare latente. Giugno 2006
3) Centers for Disease Control and Prevention. Targeted tuberculin testing and treatment of latent tuberculosis infection. MMWR Morb
Mortal Wkly Rep 2000; 49: (RR-6): 1-5.
SUSCETTIBILITÀ PER VARICELLA, MORBILLO, ROSOLIA
E PAROTITE NEGLI OPERATORI SANITARI DI UN OSPEDALE
DEL NORD ITALIA
S. Porru, M. Campagna, C. Arici, A. Carta, D. Placidi, A. Crotti 1,
G. Parrinello 2, L. Alessio
Sezione di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale, Università degli
Studi di Brescia
1Servizio di Medicina Preventiva, Spedali Civili di Brescia
2Sezione di Statistica Medica, Università degli studi di Brescia
Corrispondenza: Prof. Stefano Porru, E-mail [email protected]
RIASSUNTO. Introduzione: la trasmissione nosocomiale di varicella (V), rosolia (R), parotite (P) e morbillo (M) può rappresentare una rilevante causa di morbidità per gli operatori sanitari (OS). OS suscettibili
possono rappresentare percentuali rilevanti dei lavoratori. Metodi: uno
studio di sieroprevalenza è stato condotto in un ospedale pubblico. I dati
clinici, sociodemografici e relativi all’occupazione sono stati raccolti durante la sorveglianza sanitaria. I titoli anticorpali contro V, R, M e P sono
stati determinati con metodica ELISA. Risultati: sono stati dosati 2934 titoli su 1106 operatori sanitari. I dati di sieroprevalenza hanno mostrato
positività del 91% per V, 89% per R, 80% per P, 92% per M. Non sono
state evidenziate differenze significative tra le variabili testate eccetto che
per l’età (<36 anni) ed alcune mansioni (specializzandi). Rispetto alla letteratura scientifica, è stato evidenziato un maggiore numero di OS suscettibili. Discussione e conclusioni: lo studio ha evidenziato un rilevante numero di OS suscettibili per V, R, M e P. I dati di sieroprevalenza sono utili per valutazione del rischio, giudizi di idoneità, programmi vaccinali, in accordo con linee guida scientifiche. Il Medico Competente dovrebbe includere i precitati screening per proteggere la salute degli OS.
Parole chiave: suscettibilità, (morbillo, varicella, parotite, rosolia),
operatori sanitari
SUSCEPTIBILITY
VARICELLA-ZOSTER, MEASLES, ROSACEA AND MUMPS
NORTHERN ITALY HOSPITAL
ABSTRACT. Background: nosocomial transmission of varicella (V),
rubella (R), mumps (Mu) and measles (Me) may be a significant cause of
morbidity in health care workers (HCW). Susceptible HCW might be a
relevant part of the workforce. Methods: a seroprevalence study was
performed in a public hospital. Antibodies (Ab) against V, R, Mu and Me
were determined by ELISA. Sociodemographic, clinical, occupational
TO
AMONG HEALTH CARE WORKERS IN A
408
data and sera were obtained during health surveillance. Results: 2934
tests on 1106 HCW were performed. Seropositivity was 91% for V, 89%
for R, 80% for Mu, 92% for Me. No significant differencies were found
for the variables tested, except for age (<36 years) and certain job tasks
(e.g. residents). 22% of HCW tested were seronegative for at least 1 virus.
More seronegatives were detected as compared with the majority of
literature data. Discussion: this study showed a relevant number of
susceptible to V, R, Mu and Me. Seroprevalence data are useful for risk
assessment, HCW health surveillance, to evaluate fitness for work and to
promote vaccination programmes, according to scientific guidelines. OP
should include serological screening for Me, Mu, V and R to protect
HCW and third parties.
Key words: susceptibility, (mumps, varicella, rubella, measles),
health care workers
INTRODUZIONE
La trasmissione nosocomiale dei virus della varicella (V), rosolia
(R), parotite (P) e morbillo (M) può rappresentare una rilevante causa di
morbidità sia per gli operatori sanitari (OS) che per i pazienti che afferiscono alle strutture sanitarie, specialmente per gli immunocompromessi.
Gli studi disponibili in letteratura mostrano, nella popolazione generale
italiana, tassi di incidenza e percentuali di soggetti sieronegativi più elevati rispetto ad altri paesi europei. Per la V, inoltre, dagli anni ’60 alla fine degli anni ’90, è stata evidenziata una crescita della morbidità, in accordo con la letteratura internazionale, che evidenzia un incremento dei
soggetti suscettibili nello stesso periodo. I pochi studi disponibili sulla
sieroprevalenza degli anticorpi contro questi virus in ambiente sanitario
evidenziano una significativa percentuale di OS suscettibili. La significativa incidenza delle patologie causate da V, R, P e M, insieme al rilevante numero di soggetti suscettibili, può portare a gravi conseguenze in ambiente sanitario, sia in termini di morbidità degli OS, sia per quanto riguarda i rischi per la salute verso terzi. È noto come gli OS suscettibili
rappresentino una categoria ad alto rischio sia di acquisire che di trasmettere l’infezione sia ai colleghi di lavoro che ai pazienti; pertanto, la
maggior parte degli studi scientifici che ha trattato l’argomento, tra cui
autorevoli linee guida internazionali, raccomanda l’effettuazione del dosaggio dei titoli anticorpali e le successive campagne vaccinali negli OS
suscettibili. A nostra conoscenza, solo uno studio è stato pubblicato nella
letteratura internazionale riguardante la sieroprevalenza di V, R, P e M
negli OS in Italia. Gli obiettivi del presente studio sono stati: valutare la
proporzione di operatori sanitari suscettibili a V, R, P e M attraverso uno
studio di sieroprevalenza, ricercando eventuali gruppi di lavoratori a
maggior rischio; valutare e proporre specifici protocolli di sorveglianza
sanitaria e programmi vaccinali; discutere le criticità relative alla suscettibilità individuale degli operatori esposti nella formulazione del giudizio
di idoneità da parte del Medico Competente.
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gli OS è rappresentato da personale medico (74% medici specializzandi),
il 28% da personale infermieristico, il 15% da ausiliari e il 5% da altro
personale. Il 41% degli operatori risulta occupato in reparti medici, il
33% in reparti chirurgici ed il 13% presso ambulatori e servizi, il 4% in
laboratori ed il 9% in altre aree. I dati di sieroprevalenza mostrano positività pari al 92% per M, 80% per P, 91% per V e 89% per R (tab. I).
Il 22% dei lavoratori (243/1106) è risultato suscettibile per almeno
uno dei 4 virus testati. Gli OS <36 anni e i medici specializzandi risultano meno protetti rispetto agli OS > 36 anni per M e P (p<0.05) e tra gli
OS nati prima del 1957 sono stati riscontrati 7 soggetti sieronegativi per
R, uno per V e P, 5 dubbi per P e uno per R. Un’analisi effettuata tra alcuni reparti di interesse ha evidenziato, presso i reparti pediatrici, un minor numero di OS suscettibili per i 4 virus testati. Per quanto riguarda i
reparti di Ematologia, Nefrologia, Radioterapia e Trapianti sono stati evidenziati 21 OS suscettibili per i virus testati e 9 dubbi. Tra le donne in età
fertile sono stati riscontrati 143 titoli negativi e 59 dubbi. Non sono state
evidenziate differenze statisticamente significative per quanto riguarda il
sesso o le aree di lavoro mediche e chirurgiche mentre sembrano esserci
delle maggiori prevalenze di soggetti sieropositivi in alcuni reparti quali
Pediatria e Malattie Infettive.
DISCUSSIONE
Questo è il secondo studio in Italia che evidenzia un elevato numero
di OS suscettibili ai virus del M, R, V e P. I dati di sieroprevalenza, raccolti all’interno della sorveglianza sanitaria sono risultati utili per la valutazione del rischio biologico individuale e di gruppo ed hanno evidenziano un maggior numero di OS suscettibili rispetto ad altri studi, condotti sia in altri paesi europei, asiatici e negli Stati Uniti sia rispetto all’unico altro studio similare condotto in Italia, su gruppi selezionati di OS
di un ospedale del Veneto. In particolare, un maggior numero di OS suscettibili è stato riscontrato per M e P (p<0.05) e per la V, mentre le sieroprevalenze riscontrate per la R sembrano in linea con i dati degli studi
disponibili. Una volta rilevato il grado di copertura anticorpale della popolazione lavorativa, agli OS risultati non coperti verrà proposta la vaccinazione, in accordo con la normativa vigente e con linee guida nazionali ed internazionali per le vaccinazioni in ambiente sanitario. I soggetti risultati dubbi saranno sottoposti ad un secondo test su un altro campione ed eventualmente con metodiche di analisi differenti. Nel caso di
risultato confermato dubbio, la scelta di proposta di vaccinazione sarà valutata caso per caso, tenendo conto di vari aspetti, sia clinici che lavorativi. Per i soggetti risultati suscettibili può risultare necessario formulare
dei giudizi di idoneità con prescrizioni di vaccinazione, specialmente per
alcuni lavoratori in specifici reparti come ad esempio Pediatria e Malattie Infettive, dove è maggiore il rischio di infezione per l’OS non protetto. Tale necessità appare rilevante anche nei reparti dove sono presenti
pazienti ipersuscettibili, dove il rischio di contagio da OS a paziente e di
insorgenza di gravi complicanze può risultare rilevante, quali ad esempio
Radioterapia, Ematologia, Nefrologia e Centri Trapianti. È inoltre da evidenziare la tematica delle lavoratrici in età fertile che, qualora non protette per i virus testati, necessitano di una protezione aggiuntiva. L’identificazione dei soggetti suscettibili, seguita dalla proposta di vaccinazione, può portare ad un significativo decremento del rischio biologico, individuale e di gruppo. Va inoltre rilevato che nel presente studio sono state riscontrate delle sieronegatività anche in soggetti nati prima del 1957,
che secondo le indicazioni dei Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta dovrebbero rappresentare un gruppo protetto per i 4 virus.
Vanno anche considerati i limiti dell’affidabilità dell’anamnesi nell’identificare i soggetti sicuramente protetti, come confermato anche dal fatto
che molti di coloro che hanno dichiarato di non essersi mai ammalati delle patologie in oggetto sono risultati positivi. Questi dati sembrano rafforzare l’ipotesi che, in assunzione, i test di screening dovrebbero essere ef-
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto in un grande ospedale pubblico lombardo
che occupa circa 4000 OS. I dati clinici, sociodemografici e relativi all’anamnesi lavorativa sono stati raccolti durante la sorveglianza sanitaria, da
parte dei Medici Competenti della struttura, dal febbraio 2004 all’agosto
2007. Per tutti gli OS in fase di assunzione è stata condotta una anamnesi
riguardante le infezioni da V, M, P e R da parte del servizio sanitario della struttura e, successivamente, di fronte ad una anamnesi negativa o dubbia, sono stati determinati, tramite metodica Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay (ELISA) i titoli anticorpali. I kit utilizzati (BEIA IgG Quant,
Italiana Laboratori BOUTY) hanno sensibilità e specificità pari 99% e
97.4% per V, 100% per R, 100% e 98.2% per P e 98.4% e 100% per M. I
titoli sono stati classificati come dubbi, positivi o negativi, in relazione ai
livelli riscontrati. I dati raccolti sono stati elaborati con comuni analisi descrittive e con test di analisi univariata
(Pearson e Kruskal-Wallis).
Tabella I. Prevalenza anticorpi contro V, R, P e M nella popolazione studiata (n. 1106)
RISULTATI
Sono stati dosati 2934 titoli anticorpali su 1106 operatori sanitari (circa il
98% di etnia italiana, 751 femmine, 355
maschi di cui 695 per M, 860 per P, 569
per V e 810 per R). L’età media è risultata di 32 anni (range 21-67), l’anzianità lavorativa media pari a 3.5 anni. Il 52% de-
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fettuati a tutti i lavoratori senza distinzione di età o selezione tramite
anamnesi considerando, oggigiorno, anche la significativa mobilità degli
OS fra i diversi reparti delle strutture ospedaliere. Lo screening per la sieroprevalenza degli anticorpi per V, R, P e M appare molto giustificato in
quanto può anche portare dei vantaggi che possono influire positivamente sul rapporto costo/beneficio. Infatti, sono da considerare, da una parte,
l’elevato numero di soggetti suscettibili presente nella popolazione lavorativa e la potenziale gravità e frequenza degli effetti collaterali di tali
malattie (più gravi e più frequenti negli adulti) e, dall’altra, la sicurezza
degli attuali vaccini ed il basso costo sia dei vaccini che dei test di screening. Ulteriori vantaggi possono arrivare se tali strategie vengono adottate su ampie popolazioni e in particolar modo se le campagne vaccinali sono mirate su sottogruppi a maggior rischio, indirizzando preliminarmente i programmi ai soggetti di giovane età, alle donne, ai medici specializzandi e più in generale agli OS che lavorano in aree a maggior rischio. Effettuare lo screening per tutti gli OS in assunzione, compresi i medici specializzandi, sembra quindi una strategia di intervento appropriata. Alcuni
studi internazionali avvalorano molto la tesi che la promozione di programmi vaccinali possa influire positivamente sul rapporto costo-beneficio. Il presente studio segue le indicazioni di autorevoli linee guida internazionali e nazionali. Pressoché tutti gli studi di sieroprevalenza per M,
V, R e P condotti su OS concordano nel raccomandare lo screening e la
successiva vaccinazione dei soggetti suscettibili per la prevenzione della
trasmissione nosocomiale delle citate infezioni. Tali indicazioni sono
compatibili con quanto previsto dalla attuale legislazione italiana, che obbliga i datori di lavoro ad attuare delle strategie preventive per le patologie trasmesse da agenti biologici e per quelle patologie per le quali esistano delle vaccinazioni efficaci, nonché a fornire gratuitamente i vaccini ai lavoratori. Tra i vantaggi del presente studio va sottolineato l’elevato numero di soggetti sottoposti a screening, che ha portato ad una elevata potenza statistica, la comparabilità con gli studi presenti in letteratura
scientifica, l’attuazione di buone pratiche di Medicina del Lavoro, il rispetto di autorevoli linee guida e della normativa vigente. Fra le limitazioni deve essere rilevata la selezione operata tramite l’anamnesi, che ha
escluso dallo screening i soggetti che riferivano di aver contratto in passato V, R, P e M o dichiaravano una pregressa vaccinazione. Ciò ha verosimilmente limitato l’individuazione di alcuni soggetti suscettibili. Le
strategie fin qui esposte permettono al MC di poter operare seguendo
buone pratiche e gli attuali standard scientifici per la tutela della salute e
sicurezza degli OS e dei terzi.
Va sottolineato infine il ruolo fondamentale del MC nella promozione e gestione di queste tematiche per quanto riguarda la valutazione del
rischio biologico sia livello individuale che collettivo, per la stesura di
adeguati protocolli di sorveglianza sanitaria, per l’apporto all’informazione/formazione degli OS, nella gestione dei giudizi di idoneità per gli
OS suscettibili, anche in rapporto alle eventuali indicazioni o controindicazioni alla vaccinazione, e nella gestione delle campagne vaccinali.
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409
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COM-06
SORVEGLIANZA SANITARIA DELL’ESPOSIZIONE
A MYCOBACTERIUM TUBERCULOSIS IN OSPEDALE
MEDIANTE INTRADERMOREAZIONE SECONDO MANTOUX:
REVISIONE SISTEMATICA DELLA LETTERATURA
D. Placidi, B. Tonozzi, L. Alessio, S. Porru
Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli Studi
di Brescia
Corrispondenza: Dott.ssa Donatella Placidi, Sezione di Medicina del
Lavoro, Dipartimento di Medicina Sperimentale ed Applicata, Università
degli Studi di Brescia, p.le Spedali Civili, 1 - 25125 Brescia, tel.
0303996603 - fax 030394902, email [email protected]
RIASSUNTO. Obiettivi. È stata predisposta una revisione della letteratura per incrementare le conoscenze circa il valore predittivo positivo
del test tubercolinico (TT) nella sorveglianza degli operatori sanitari (OS).
Metodi. Nella banca-dati PubMed e negli atti dei Congressi Nazionali SIMLII, sono state raccolte pubblicazioni che hanno descritto la sorveglianza degli OS in ospedale mediante TT nel periodo 1997 - 6/2007, escludendo le ricerche effettuate in nazioni con medio-elevata incidenza di TB.
Risultati. Sono stati selezionati 25 studi. La compliance degli OS alla sorveglianza con TT varia da 80 a 100%. È stata stimata un’incidenza
di cuticonversioni tra 0,07 e 3,7% ed una prevalenza di cutipositività tra
5,7 e 57%, entrambe significativamente associate con la vaccinazione con
BCG e la nascita all’estero. Nel complesso, quasi tutti gli autori hanno dimostrato l’associazione tra fattori occupazionali e cutipositività o cuticonversione. L’anzianità lavorativa in ospedale non incrementa la prevalenza di cuticonversioni.
Discussione. Il TT positivo e la cuticonversione, considerando opportunamente i fattori non occupazionali, appaiono associati all’esposizione a Mycobacterium Tuberculosis in ospedale e possono rappresentare un utile strumento per la sorveglianza degli OS.
Parole chiave: test tubercolinico, operatori sanitari, sorveglianza sanitaria
TUBERCULIN SKIN TEST (TST) SURVEY AMONG HEALTHCARE WORKERS
(HCWS) IN HOSPITAL: A SYSTEMATIC REVIEW OF THE LITERATURE
ABSTRACT. Objectives: to summarize the evidence on the
Tuberculin Skin Test (TST) survey among healthcare workers (HCWs) in
hospital, in the last decade.
Methods: a systematic search was conducted in PubMed and in the
Proceedings of the congresses of the Italian Society of Occupational
Health and Industrial Hygiene (SIMLII); researches conducted in areas
with medium-high incidence of Tuberculosis were excluded.
Findings: 25 publications were identified. The compliance of HCWs
to TST surveys ranged from 80 to 100%, the incidence of TST-conversion
from 0,07 to 3,7% and the prevalence of positive TST from 5,7 to 57%.
TST-conversion and positive TST were significantly associated to BCG
vaccination and foreign-born. Most studies found an association between
TST-conversion and occupational exposure in certain location
(emergency facilities, internal medicine, infectious diseases, intensive
care units, pathology, microbiology) and occupational categories
(nurses, laboratory technicians). In some studies, period of hospital
employment do not increased TST conversion rate.
Discussion: Positive TST and TST conversion rate seem to be
associated with occupational exposure to Mycobacterium Tuberculosis in
hospital, considering non-occupational factors. Evidence from literature
seemed to support the use of TST in the tuberculosis screening
programme of HCWs in hospital.
Key words: tuberculin skin test, healthcare workers, health
surveillance
410
INTRODUZIONE
Nel corso della sorveglianza degli operatori sanitari (OS), l’identificazione dello stato di portatore di “infezione tubercolare latente” (ITL) è
fondamentale per la prevenzione della tubercolosi (TB) occupazionale. Il
principale test di screening utilizzato per la diagnosi di ITL è il test tubercolinico (TT). Il TT ha una sensibilità pari a 80% in soggetti affetti da
TB ed un valore predittivo positivo che varia in relazione alla prevalenza
dell’infezione, al tasso di trasmissione nella popolazione sottoposta allo
screening, alla prevalenza della vaccinazione con il Bacillo di Calmette e
Guerin (BCG) e al contatto con micobatteri non tubercolari. Per tali motivi, negli ultimi anni è stata proposta l’adozione di test diagnostici in vitro che dimostrerebbero maggior specificità rispetto al TT. La valutazione dei metodi e degli strumenti idonei ad una efficace SS in occasione di
esposizione occupazionale a MT in ambiente ospedaliero, in particolare
la sorveglianza mediante TT, appare pertanto una tematica di rilevante interesse scientifico.
È stata predisposta una revisione della letteratura per incrementare le
conoscenze circa il valore predittivo positivo del TT e meglio interpretare il risultato del test nell’ambito della sorveglianza sanitaria degli OS in
ospedale.
METODI
Sono state raccolte le pubblicazioni in lingua inglese ed italiana che
hanno descritto la sorveglianza di OS in ospedale mediante TT nel periodo 1997 - 6/2007, attraverso una ricerca nella banca dati PubMed e l’esame sistematico degli atti dei Congressi Nazionali SIMLII e dell’Associazione di Medicina Preventiva dei Lavoratori della Sanità. Non sono
state considerate le ricerche effettuate in nazioni con incidenza di TB medio-elevata.
RISULTATI
Sono stati selezionati 25 studi, pubblicati dal 1997 al marzo/2007 su
riviste internazionali (2-3, 5-7, 10, 12-15, 17-22, 25), nazionali (11) ed atti di congresso (1, 4, 8, 9, 16, 23, 24); 9 sono stati condotti in Italia (1, 2,
4, 8, 9, 11, 16, 23, 24), 11 in USA (3, 5-7, 10, 12, 14, 15, 19, 20, 25), 3 in
Canada (13, 17, 18), 1 in Australia (21) ed 1 in Svizzera (22). La maggior
parte delle ricerche (N° 15, 60%) ha analizzato coorti di OS di numerosità variabile tra 400 e molte migliaia, per periodi variabili tra 2 e 10 anni a partire dalla fine degli anni 80 (’86) (2, 3, 5-7, 12-15, 17-20, 22, 25);
in alcuni casi, è stata effettuata anche l’elaborazione di uno studio casocontrollo innestato nella coorte (ad esempio, selezionando esposti-non
esposti o OS in particolari settori/mansioni versus altri OS) (3, 5, 18). 5
indagini trasversali hanno descritto la prevalenza di ITL e dei fattori associati a TT positivo, in alcuni casi paragonando i soggetti con test positivo con quelli con test negativo (4, 9, 10-11, 24). 4 pubblicazioni hanno
considerato casistiche di OS sottoposti a sorveglianza dopo esposizione
rilevante a MT (1, 8, 16, 23). 1 studio caso-controllo condotto in 14 ospedali australiani, ha esaminato 4000 OS ed altrettanti controlli, reclutati tra
altre categorie di lavoratori ospedalieri (21).
La grande maggioranza degli autori ha definito il TT positivo quando il diametro dell’indurimento è pari o superiore a 10 mm; alcuni hanno
considerato 5 mm la soglia della positività (1, 4, 8, 11, 23-24) ed alcuni
hanno differenziato la cutipositività sulla base di vari fattori (ad esempio,
pregressa vaccinazione o lavoro in reparti a rischio) (21). Tutti gli studi
hanno considerato “cuticonversione” il passaggio da cutinegatività a cutipositività oppure l’incremento del diametro del TT pari o superiore a 10
mm (6 mm per gli autori canadesi) entro 2 anni dal precedente TT.
Nel complesso le modalità di effettuazione del TT (N° di Unità Internazionali somministrate, tipo di preparato) sono dichiarate in pochi
studi; 8 (32%) ricerche hanno effettuato il test con modalità “2 step” (2
test a distanza di poche settimane) (6, 10, 12-14, 20, 22, 25).
In 9 studi è stata calcolata la compliance degli OS coinvolti nello
screening mediante TT, sia in fase di assunzione che periodica o postesposizione: in media è pari a 91% (range 80-100) (3, 7, 11-12, 15-18, 24).
La prevalenza di TT positività (definita come TT ≥10 mm) in OS
considerati dagli autori come “esposti” a rischio TB è risultata variabile
tra 5,7 e 57%, in media 18,7% (mediana 12,4) (3, 10-12, 15, 21-22, 25).
È da rilevare che la percentuale più elevata di cutipositività (57%) è stata riscontrata in un gruppo di OS in laboratorio presso Ospedali di New
York, tra i quali più del 70% erano nati in paesi con medio-elevata incidenza di TB. Esaminando gli studi condotti in Italia, la cutipositività degli OS varia tra 6 e 12,4% per gli autori che hanno considerato positivi i
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TT ≥10 mm (9, 11) e tra 12,4 e 38,8% per coloro che hanno considerato
TT ≥5 mm (4, 8, 24).
Alcuni autori hanno elaborato analisi statistiche che hanno consentito di affermare che la cutipositività è associata significativamente all’incremento dell’età (10, 21) superiore a 30 anni (4, 25), ad anzianità lavorativa superiore a 8-10 anni (11, 21), all’essere nati all’estero (10-11, 25),
alla frequenza di reparti a rischio quali medicina, anestesia, psichiatria
(25), laboratori di microbiologia (10), nefrologia-dialisi, ginecologiaostetricia (9), e alla mansione di infermiere con incrementi di rischio pari a 1,7-2,8 rispetto a non OS (11, 21), medico in anestesia e rianimazione (OR 1,9) (9). Per tutti gli autori la vaccinazione con BCG è significativamente associata alla positività del TT.
La prevalenza di cuticonversioni in 4 indagini post-esposizione è risultata variabile tra 0 e 15,8% (1, 8, 16, 23) mentre in studi di coorte condotti prevalentemente negli USA sono state calcolate da 0,07 a 3,7% cuticonversioni per anno di follow up (in media 1,4%, mediana 1,05%) (23, 5-7, 10, 12-15, 19-20, 25). La prevalenza di cuticonversioni più elevata è stata riscontrata tra lavoratori addetti all’assistenza di pazienti con TB
bacillifera (5). L’incidenza di cuticonversioni è risultata variabile tra 0,2
e 1,7 /100 anni-persona (2, 7, 14, 25). Tutti gli autori considerano la possibilità di effetto booster, attribuibile soprattutto alla pregressa vaccinazione con BCG (anche per soggetti vaccinati da più di 10 anni) o, più raramente, al contatto con il micobatterio extraoccupazionale.
Molti autori attribuiscono un incremento di prevalenza di cuticonversioni al lavoro in aree a rischio (13, 17, 20), con rischi relativi variabili tra 2,9 e 13,4 statisticamente significativi tra gli OS esposti rispetto ai
non esposti a rischio di contagio (5, 19). Tra i reparti a rischio sono stati
segnalati i laboratori (2), in particolare anatomia patologica (1) e microbiologia (24), le divisioni di pneumologia (1, 24), pediatria (24), pronto
soccorso (19) -quest’ultimo con incrementi di rischio fino a 6 volte superiore altri reparti (3)-, rianimazione (13, 23), pronto soccorso, medicina
interna, radiodiagnostica (13), malattie infettive (2, 23), terapia intensiva
(23). Peraltro, uno studio condotto in ospedali pediatrici degli USA, ha rilevato un’incidenza di cuticonversioni tra gli OS molto bassa (0,02/100
anni-persona), inferiore alla popolazione generale.
Tra le mansioni con rischio di cuticonversione significativamente incrementato vi sono medici (1, 2), infermieri (5, 17, 19), fisioterapisti (17), tecnici di radiologia (8), tecnici di laboratorio (19), con rischio 5,4 volte aumentato in anatomia patologia e 1,6 volte in microbiologia rispetto a non OS (18).
Molti studi hanno rilevato incremento di rischio di cuticonversione
per vari fattori extraoccupazionali, tra i quali la nascita all’estero (13, 17,
20, 25). Tra le variabili demografiche, è da sottolineare che alcune ricerche hanno calcolato un incremento di cuticonversioni con l’aumento dell’età (17, 25), in particolare superiore a 50 anni (14), mentre alcuni autori non hanno rilevato tale incremento (16); nei 4 studi che hanno condotto analisi statistiche specifiche per anzianità lavorativa, non è stata trovata associazione (2, 18) ed in alcuni casi il rischio di cuticonversione è risultato significativamente diminuito (4, 14).
In alcune ricerche condotte in Canada, Australia, USA ed Italia è stata specificatamente analizzata l’influenza dei fattori ambientali. È stato dimostrato che sono determinanti nella prevalenza di cuticonversioni o cutipositività fattori quali la presenza di stanze di isolamento per TB bacillifera o di adeguata ventilazione (2, 15, 21), la durata dell’esposizione al
contagio (15), il numero di casi ricoverati con TB bacillifera (15, 21), il
numero di pazienti ricoverati provenienti da paesi a rischio (21). Alcuni
autori hanno evidenziato che dove il programma di controllo dell’esposizione a TB dei lavoratori è efficace, l’incidenza di cuticonversione è bassa ed è maggiormente associata fattori non occupazionali (2, 7, 14, 22).
DISCUSSIONE
La revisione della letteratura degli ultimi 10 anni ha consentito di
evidenziare una crescente attenzione alla sorveglianza degli OS in ospedale mediante TT; infatti, più della metà degli studi analizzati è stata pubblicata negli ultimi 5 anni.
È emerso che nei paesi con bassa incidenza di TB nella popolazione
generale, la TB sembra rappresentare un rischio occupazionale rilevante
per gli OS che lavorano in alcuni reparti, servizi, laboratori in ospedale;
il rischio appare più elevato quando l’esposizione a pazienti con TB bacillifera si accompagna a misure di prevenzione primaria non adeguate.
È da sottolineare la sostanziale uniformità delle ricerche considerate,
sia per quanto riguarda la metodologia di sorveglianza mediante TT utilizzata che per quanto riguarda i risultati.
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In sintesi, pressoché tutti gli autori concordano nella conclusione che
TT positivo e cuticonversione, considerando opportunamente i fattori non
occupazionali, appaiono associati all’esposizione a Mycobacterium Tuberculosis in ospedale e possono rappresentare un utile strumento per la
sorveglianza degli OS.
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COM-07
ESPOSIZIONE A GAS ANESTETICI: RISULTATI DI 13 ANNI
DI MONITORAGGIO AMBIENTALE E BIOLOGICO
IN UN AZIENDA OSPEDALIERA
S. Ritzu, P. Boccalon, M.A. Sanchez, G. Arcangeli, V. Capelli
SOD Medicina del Lavoro - Dipartimento di igiene e sanità pubblica Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi -Firenze
RIASSUNTO. Le tecniche anestesiologiche nel tempo hanno finalizzato le ricerche verso composti più maneggevoli e meno tossici e al
tempo stesso efficaci. Le normative cui si fa riferimento per il controllo
dell’inquinamento nelle sale operatorie sono la Circolare Ministeriale
della Sanità n° 5/89 e le linee guida dell’ISPESL del 1999. In questo studio è stato preso in considerazione il monitoraggio ambientale e biologico dell’Azienda Ospedaliera Careggi tra il 1991 e il 2005. Dai dati analizzati si evidenzia una costante riduzione, negli anni, dei livelli di inquinamento per tutti gli anestetici usati (protossido d’azoto, isoflurano e sevoflurano). Le sale di oculistica e di otorinolaringoiatria presentavano livelli di inquinamento maggiori. Gli operatori sanitari maggiormente
esposti risultavano essere anestesisti e strumentisti. I dati di laboratorio,
clinici e del monitoraggio biologico di 74 sanitari operanti nelle sale con
maggiore inquinamento non evidenziavano alcuna alterazione correlabile all’esposizione ai gas. Nelle cartelle cliniche esaminate sono emersi disturbi neurologici aspecifici quali cefalea e riduzione dei livelli di vigilanza non correlabili ai livelli di inquinamento. Tuttavia la presenza di tale sintomatologia neurologica fa ipotizzare che anche a livelli molto bassi si possano avere effetti sulla salute degli operatori sanitari.
Parole chiave: gas anestetici, esposizione professionale
ANESTHETIC GASES EXPOSURE: FINDINGS FROM A 13 YEAR ENVIRONMENTAL
AND BIOLOGICAL MONITORING IN A HOSPITAL COMPANY
ABSTRACT. The evolution of the modern anaesthesiologic technique aimed to detect more manageable and less toxic aesthetic gas, but
adequately efficacy. This study considered the environmental and biological evaluation of the Careggi Hospital in Florence between 1991 and
2005. The pollution threshold of each aesthetic gas used (Nitrous oxide,
Isoflurane and Sevoflurane) is reduced as time passed. The higher values
about the pollution threshold have been found in the ophthalmology and
in the othorinolaryngology operating room. We observed clinical and
biological data of 74 health care workers (HCW). The anaesthetists and
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assistants were the more exposition. We didn’t found any correlation
between the exposure at gas and the clinical, and biological data. Some
neurological and nonspecific symptoms (like head-ache and reduction of
attention threshold) appear from the clinical informations; these symptoms suggest a possible effects on the HCW’ health also for low pollution
threshold.
Key words: anaesthetic gases, occupational exposure
Una delle componenti dell’inquinamento da gas anestetici è rappresentata dalle perdite del sistema; in tabella I sono riassunti i punti di perdita identificati.
I valori riscontrati nel campionamento ambientale, riassunti per
trienni e riportati come percentuale di campionamenti che raggiungono i
valori indicati, sono riportati nella tabella II. I dati evidenziano una costante riduzione dei livelli di inquinamento presenti nelle sale.
Le sale di oculistica e otorinolaringoiatria presentavano livelli di inquinamento maggiori delle altre, in tabella III sono riassunti valori dei
campionamenti riscontrati nel monitoraggio ambientale.
I risultati sono sovrapponibili a quelli presenti in letteratura sia per le
sale a maggior inquinamento, legato alle fasi di induzione in maschera
che per le figure professionali maggiormente esposte, che anche nel nostro caso sono gli anestesisti e gli strumentisti (4,5,6).
La sorveglianza sanitaria del personale è effettuata mediante visita
medica e determinazione degli usuali parametri di laboratorio esploranti
la funzionalità emopoietica, renale ed epatica, oltre alla determinazione
dei livelli urinari di anestetici in corrispondenza delle determinazioni ambientali. Per verificare se ai livelli di esposizione documentati fossero
identificabili alterazioni nei lavoratori esposti, sono stati analizzati i ri-
INTRODUZIONE
Fin dal medioevo la medicina ha cercato di alleviare il dolore nelle pratiche chirurgiche utilizzando varie sostanze; la tecnica anestesiologica moderna è nata il 16 ottobre 1846 al Massachusetts General Hospital quando venne effettuata la prima anestesia con l’uso dell’etere.
Da allora molti farmaci sono stati sperimentati nelle tecniche anestesiologiche e molto spesso abbandonati per la tossicità dimostrata nei pazienti. Pochi contributi sono stati sviluppati nei confornti della tossicità
per gli operatori sanitari. I primi studi epidemiologici retrospettivi
(1967-1977) hanno scatenato molte polemiche, né è mancato chi ha saputo creare panico prima ancora che detti studi potessero con certezza
confermare una correlazione tra esposizione cronica ai gas anestetici e
una certa patologia. Da alcuni di questi studi risultava più
elevata, nella popolazione degli anestesisti, l’incidenza di
Tabella I. Punti di perdita ricorrenti in 28 gruppi anestesiologici
aborti spontanei e malformazioni congenite dei neonati.
Dagli studi pubblicati non sembra confermato alcun rapporto tra occupazione in sala operatoria e incidenza di tumori, né alcuna relazione tra ore di lavoro in sala operatoria e aborto (c’è invece una scontata correlazione tra
aborto e fumo di sigaretta) (1).
La mancanza di un rapporto di causa-effetto tra presenza di gas anestetici nell’ambiente di lavoro e aborto o incidenza di malformazioni congenite non ci dispensa da prendere tutti gli accorgimenti necessari per evitare inutili esposizioni ed effettuare tutti i controlli e le verifiche degli ambienti di lavoro, identificare i limiti ambientali e biologici di
sicurezza per i gruppi di soggetti professionalmente esposti.
La normativa sul controllo dell’inquinamento da gas
anestetici nei reparti operatori è particolarmente carente di
norme specifiche; al momento sono utilizzabili esclusivamente la Circolare del Ministero della Sanità n° 5/89; e le
“Linee guida per la definizione degli standard di sicurezza
e di igiene ambientale dei reparti operatori” proposte dall’ISPESL (1999).
Oltre alla necessità di garantire che nelle sale operatorie gli impianti di ventilazione prevedano 15 ricambi di aria
l’ora con filtri EPA, i valori limite di esposizione proposti
dall’ISPESL sono:
– per le Sale operatorie costruite prima del 1989: Protossido d’azoto 100 ppm (se non ristrutturate), 50 ppm
se ristrutturate; Alotano 50 ppm; Enflurano 75 ppm;
– per Sale operatorie costruite dopo il 1989 si raccomanda di adoperarsi al fine di tendere al rispetto dei
valori limite del NIOSH (potossido d’azoto = 25 ppm;
anestetici alogenati = 2 ppm, valore “ceiling”).
In letteratura sono stati riferiti vari effetti a carico dei
vari organi od apparati nei lavoratori esposti ad anestetici
nelle sale operatorie (2,3)
MATERIALI E METODI
Nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi vengono utilizzate 37 sale operatorie, per le quali esiste un periodico controllo dei livelli di inquinamento da gas anestetici effettuato, mediante monitoraggio biologico sui lavoratori esposti e ambientale, dalla SOD Medicina del Lavoro;
il presente contributo illustra i risultati di questo monitoraggio dal 1991 al 2005.
Gli anestetici utilizzati nel periodo sono stati il Protossido d’Azoto, per un breve periodo l’Alotano, l’Isoflurano
ed il Sevoflurano. Il campionamento ambientale è stato effettuato mediante Campionatori a diffusione con setacci
molecolari e carbone attivo (Radiello) e successiva analisi
gascromatografica, oppure mediante analizzatore a raggi
infrarossi (I.R.) con lettura diretta.
Tabella II Livelli di anestetici riscontrati nei campionamenti
ambientali (valori percentuali)
Tabella III. Valori riscontrati nelle varie sale (valori percentuali)
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413
sultati del monitoraggio biologico, i dati laboratoristici e clinici dei 74
operatori sanitari esposti a gas anestetici che avevano operato, nel periodo in esame, nelle sale operatorie di oculistica e otorinolaringoiatria. 22
lavoratori (29,7%) non presentavano alcuna alterazione, 38 (51.3%) presentavano alterazioni dell’apparato emolinfopopietico (alterazioni nel numero degli elementi figurati, o del contenuto emoglobinico), 27 (36,5%)
alterazioni dei parametri epatici (alterazioni dei valori delle transaminasi
e/o della γGT), tra i soggetti con alterazioni 13 17.6%) presentavano alterazioni in entrambi gli apparati, nessuno dei lavoratori presentava alterazioni della funzione renale.
L’età media dei soggetti, alla fine del periodo di osservazione, non
differiva in funzione delle tipologie di alterazioni riscontrate, i soggetti
che non presentavano alterazioni mostravano una tendenza ad un’età minore (39,7 anni) rispetto a quelli che presentavano alterazioni (42,92 anni), la differenza però non raggiungeva la significatività statistica, come
non si riscontravano differenze tra l’età in funzione delle alterazioni riscontrate. Anche la durata dell’esposizione non evidenziava alcuna correlazione con le alterazioni riscontrate che, oltre che di lieve entità e non
persistenti, risultavano tutte attribuibili a patologie già presenti (dislipidemie, pregresso contatto con i Virus dell’epatite A e B, steatosi epatica).
Dall’esame delle informazioni presenti nelle cartelle sanitarie individuali è emersa la segnalazione della presenza di disturbi aspecifici come
cefalea, riduzione dei livelli di vigilanza e alterazioni della capacità di attenzione che talune volte venivano associate alla presenza in sala operatoria, ma che non potevano essere correlate con i livelli di inquinamento
o con i valori di eliminazione urinaria dei gas, a causa dei diversi tempi
di acquisizione dei dati.
Corrispondenza: Dott. Luigi Cologni, Unità Operativa Ospedaliera
Medicina del Lavoro - Servizio Sanitario Aziendale - Azienda Ospedaliera
Ospedali Riuniti di Bergamo, Largo Barozzi, 1 24128 Bergamo,
Tel. 035/269222 [email protected]
CONCLUSIONI
I livelli di esposizione dei lavoratori attualmente proposti per le sale
operatorie appaiono sufficientemente protettivi; tuttavia la presenza di
sintomi aspecifici neurologici fanno pensare che, anche a livelli di inquinamento molto bassi, siano presenti effetti sulla salute degli operatori sanitari nelle sale operatorie. Per questo mitivo è opportuno prevedere, in
sede di sorveglianza sanitaria, una raccolta anamnestica puntuale e mirata ad evidenziare notizie di interesse neurocomportamentale più sensibili
rispetto ai parametri clinici comunemente utilizzati.
VACCINATION
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COM-08
VACCINAZIONI E IMMUNIZZAZIONE NEL PERSONALE
SANITARIO VERSO INFEZIONI SPECIFICHE: MORBILLO,
VARICELLA, ROSOLIA E PAROTITE. L’ESPERIENZA DI UNA
AZIENDA OSPEDALIERA LOMBARDA
L. Cologni1, L. Belotti1, M. Bacis1, F.Bigoni1, A. Grigis2*,
C. Passerini2, F. Locati3*, G.Mosconi1
1Unità
Operativa Ospedaliera Medicina del Lavoro - Servizio Sanitario
Aziendale - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo
2USC Microbiologia - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo
3Direzione Sanitaria- Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo
*Gruppo Operativo DIPSI - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di
Bergamo
RIASSUNTO. La Regione Lombardia, con la Delibera N. VIII del
22.12.2005 che ha per oggetto “Determinazioni in ordine alle vaccinazioni dell’età infantile e dell’adulto in regione Lombardia” suggerisce di
proporre ai lavoratori di reparti ad alto rischio (malattie infettive e area
materno-infantile), la vaccinazione su base volontaria per morbillo, parotite, rosolia (vaccino trivalente MPR) e varicella. La problematica è
stata affrontata dal Servizio Sanitario Aziendale della nostra Azienda
Ospedaliera nel corso dell’anno 2007, sottoponendo 120 operatori sanitari dei reparti considerati a rischio, al dosaggio degli anticorpi per le
malattie sopra indicate con un duplice obiettivo: la protezione degli operatori e la protezione dei degenti per i quali il contrarre la malattia infettiva costituirebbe una pericolosa complicanza. I risultati dello studio
hanno evidenziato che più dell’80% degli operatori risulta immune nei
confronti delle quattro malattie infettive. I tassi di protezione per morbillo, varicella e rosolia superano il 90% della copertura immunitaria;
per la parotite il tasso di copertura è dell’87,5%. Agli operatori identificati dalla Circolare Regionale risultati suscettibili sarà proposta la vaccinazione, illustrandone le motivazioni, i vantaggi ed i possibili effetti
collaterali. È allo studio la proposta di estendere il dosaggio anticorpale
a chi lavora a contatto con pazienti critici, con conseguente vaccinazione ai soggetti no protetti.
Parole chiave: vaccinazione, lavoratori della sanità, immunizzazione.
AND IMMUNIZATION IN HEALTHCARE WORKERS, TOWARDS
SPECIFIC INFECTIONS: MEASLES, VARICELLA, RUBELLA AND MUMPS.
THE
HOSPITAL IN LOMBARDY
ABSTRACT. Lombardy Region, with the Deliberation N°VIII (2212-2005), about vaccinations in childrens and adults, suggest to offer to
the healthcare workers (HCW) of ‘Infectious diseases’ and of ‘Obstetrics’
and ‘Pediatrics’ Department, the vaccines for varicella and measles,
mumps and rubella (MMR). We performed in 120 HCW of our hospital
the dosage of antibodies versus these infectious diseases, in order to
protect both workers and critical patients. The study results show that
more than 80% of the HCW was immune to all the four infectious
diseases. The percentage of immunisation to measles, varicella and
rubella exceeded the 90%, while 87,5% of HCW was immune to mumps.
We are going to offer the vaccine to the operators that are not immune,
but we are also thinking about offer it to the HCW working with critical
patient.
Key words: vaccination, healthcare workers, immunization.
EXPERIENCE IN A
INTRODUZIONE
Tra i rischi a cui risulta esposto il personale che lavora in una struttura sanitaria quello di acquisizione di infezioni è sicuramente uno dei più
rilevanti. L’operatore sanitario in alcuni casi può essere coinvolto in duplice veste, sia come persona contagiata, sia come potenziale fonte di
contagio dell’infezione. Negli ultimi anni si è assistito ad un sempre più
crescente interesse al problema, già con l’introduzione del D.Lgs 626/94
e successive modifiche nelle parti che rappresentano il recepimento di direttive comunitarie relative alla protezione dei lavoratori contro i rischi
derivanti da un’esposizione ad agenti biologici. Il titolo VIII “Protezione
da agenti biologici” recita: il “datore di lavoro, su conforme parere del
medico competente, adotta misure protettive particolari… Fra le quali: a)
la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente”; inoltre nel novembre 2003 è
stato approvato da parte della Conferenza Stato Regioni, il “Piano Nazionale di Eliminazione del Morbillo e della Rosolia congenita” (1) in cui
si fa riferimento alle strategie di vaccinazione per l’eliminazione del morbillo e della rosolia anche per il personale esposto a rischio professionale con vaccinazione a tutti gli operatori sanitari suscettibili. Anche la Regione Lombardia con la Delibera N. VIII del 22.12.2005 che ha per oggetto: “Determinazioni in ordine alle vaccinazioni dell’età infantile e dell’adulto in Regione Lombardia” (2) suggerisce di proporre ai lavoratori
di reparti ad alto rischio (malattie infettive e area materno infantile), la
vaccinazione su base volontaria, per malattie infettive quali il morbillo, la
parotite, la rosolia (vaccino trivalente MPR) e varicella.
414
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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È allo studio infine la proposta di
estendere il dosaggio anticorpale a chi lavora a contatto con pazienti “critici”, con
conseguente offerta di vaccinazione.
Tabella I. Immunità verso le specifiche infezioni
MATERIALI E METODI
Nel corso dell’anno 2007 presso il Servizio Sanitario Aziendale
della nostra Azienda Ospedaliera, 120 operatori sanitari, di cui 16 maschi (13,3%) e 104 femmine (87,7%), 56 appartenenti alla fascia di età
compresa fra i 20 e i 39 anni e 64 alla fascia di età ≥ 40 anni, sono stati sottoposti a prelievo venoso per il dosaggio anticorpale di IgG specifiche per morbillo, varicella, rosolia e parotite. Il personale coinvolto nello studio apparteneva a quei reparti ad alto rischio a cui fa riferimento la Delibera della Regione Lombardia N.VIII/1587 del
22.12.2005, che sono il reparto di Malattie Infettive e l’area materno
infantile (Patologia Neonatale/Nido) ed era rappresentato da personale
infermieristico, medico, e di supporto (operatori socio-sanitari ed ausiliari). A questi si sono aggiunte 16 studenti tirocinanti del Corso di
Laurea in Ostetricia dell’Università degli Studi di Milano Bicocca frequentanti il primo anno di corso e 10 neoassunti del comparto sanitario. I campioni sieroematici sono stati analizzati presso il Laboratorio
di Microbiologia dell’Azienda Ospedaliera con dosaggio delle IgG,
Metodo ELISA, per parotite e morbillo (negativo: <85mU/ml; dubbio:
85-115 mU/ml; positivo > 115 mU/ml); con ricerca delle IgG con Metodo a chemiluminescenza per la rosolia (negativo < 10 UI/ml)e con
Metodo ELISA per il dosaggio delle IgG per la varicella (negativo,
dubbio positivo).
RISULTATI
I risultati dello studio, come si evince dai dati riportati nella tabella I, hanno evidenziato che per il morbillo, la varicella e la rosolia, il
dato di sieroprevalenza copre più del 90% degli operatori sanitari indagati. La percentuale dei sieropositivi risulta essere rispettivamente
per il morbillo del 98,3%, per la varicella del 99,1% e per la rosolia del
96,6%. Per la parotite il dato di sieroprevalenza è risultato leggermente inferiore rispetto alle altre malattie infettive sopra indicate, con un
valore di sieropositività pari all’87,5%. Più dell’80% degli operatori risulta avere una sicura copertura immunitaria nei confronti delle quattro malattie infettive.
DISCUSSIONE
Con questo studio, il Servizio Sanitario Aziendale, in accordo con
il Gruppo Operativo del Dipartimento Prevenzione e Sorveglianza Infezioni della nostra Azienda Ospedaliera, ha voluto affrontare la problematica per cui la Regione Lombardia suggerisce di proporre ai lavoratori di reparti ad alto rischio (malattie infettive e area materno-infantile) la vaccinazione su base volontaria per morbillo, parotite, rosolia(con vaccino trivalente MPR), e varicella. Lo studio è finalizzato peraltro ad avere un duplice obiettivo: sia quello della immunità (protezione) dei lavoratori (lavoratrici in età fertile) verso le malattie infettive indagate, sia anche la protezione dei degenti per i quali il contrarre
la malattia infettiva costituirebbe una pericolosa complicanza. (pazienti in condizioni critiche o immunodepressi, donne gravide). I risultati
emersi dal nostro studio per quanto riguarda i dati di sieroprevalenza
per morbillo,varicella, rosolia e parotite si allineano con quelli della
letteratura.
Infatti i dati sieroepidemiologici forniti dal WHO e dall’Istituto Superiore di Sanità (3,4,5,6) documentano, per le malattie in oggetto, una
sieroprevalenza sia da copertura vaccinale che da protezione naturale superiore al 90% nei soggetti con età superiore ai 20 anni. Agli operatori dei
reparti definiti ad alto rischio dalla Regione che sono risultati non immuni sarà proposta la vaccinazione, illustrandone le motivazioni, i vantaggi
ed i possibili effetti collaterali.
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3)
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COM-09
LA PREVENZIONE DEL RISCHIO LATICE IN UNA GRANDE
AZIENDA OSPEDALIERA MILANESE
M. Minini 1, A. Chiodini 1, C. Colosio 2, S. Palumbo 2,
V. Bettamio, G. Brambilla2
1 Scuola di Specializzazione di Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Milano-Sezione AO San Paolo.
2 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano/UO Medicina del Lavoro, AO San Paolo.
3 Direzione Sanitaria, Azienda Ospedaliera San Paolo, Polo Universitario
Corrispondenza: Annalisa Chiodini, [email protected]
RIASSUNTO. Indagini epidemiologiche hanno evidenziato negli
ultimi vent’anni un progressivo aumento delle prevalenze di sensibilizzazione al latice sia nella popolazione generale che lavorativa, prevalentemente ospedaliera. Tali soggetti possono andare incontro a manifestazioni di tipo cutaneo locale o a manifestazioni generalizzate anche gravi quali lo shock anafilattico. Presso l’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano, come prima azione, si è determinata la prevalenza di sensibilizzazione e allergia a latice nella popolazione ospedaliera sottoposta a sorveglianza sanitaria. Successivamente, al fine di prevenire tale rischio, si è
ritenuto necessario costituire un gruppo di lavoro multidisciplinare che
pianificasse gli interventi di prevenzione della patologia da latice negli
operatori sanitari ed individuasse le misure organizzative da adottare a tutela dell’utente allergico, aspetti del problema intrecciati ed inscindibili
tra di loro. Poiché la prevenzione primaria dell’allergia pur essendo la più
efficace è di difficile realizzazione, sono stati messi a punto dei protocolli operativi sia per i lavoratori che per gli utenti che oltre a rilevare fattori di rischio per patologie da latice riducano od eliminino l’esposizione a
tale sostanza. Sebbene tali procedure non potranno completamente annullare il rischio di insorgenza di sensibilizzazioni o di reazioni allergiche, consentiranno tuttavia di contenerle entro i limiti più bassi possibili.
Parole chiave: latice, sensibilizzazione, allergia, prevenzione.
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
LATEX RISK PREVENTION IN SAN PAOLO HOSPITAL IN MILAN
ABSTRACT. Several epidemiologic studies have highlighted that
latex sensitization prevalence rate has increased over twenty years
both in the general and working population, mainly among health
care workers. Such subjects can develop immediate local or systemic
hypersensitivity reactions up to anaphylactic shock. First, at San
Paolo Hospital in Milan, it has been determined latex sensitization
and allergy prevalence rates in health care workers involved in health
surveillance. Subsequently an interdisciplinary task group has been
constituted in order to plan latex pathology preventive actions in
health workers and to identify the preventive measures that must be
applied in allergic patients. These facets are tightly one another
linked.
Since latex allergy primary prevention is the most effective, but
difficult to put into effect. Operational protocols, by which recognize
latex allergy risk factors and reduce exposure to this substance,
have developed for both workers and users. Latex allergy and
sensitization occurrence will not probably be erased by these
procedures application, but they will be reduced within the limits as
low as possible.
Key words: latex, sensitization, allergy, prevention.
LA PREVENZIONE DEL RISCHIO LATICE IN UNA GRANDE AZIENDA OSPEDALIERA
MILANESE
L’allergia al latice di gomma naturale rappresenta un problema
sanitario emergente. Indagini epidemiologiche hanno evidenziato un
progressivo aumento negli ultimi vent’anni delle prevalenze di sensibilizzazione al latice che vanno dal 1% nella popolazione generale al
2.9% in quella lavorativa, prevalentemente ospedaliera, dove si registrano punte di 6.2% in determinate categorie lavorative. L’aumento
può essere attribuito alla sempre maggiore diffusione dell’uso di
guanti ed altri manufatti in latice sia in ambiente sanitario che nella
vita quotidiana (1). La sensibilizzazione può avvenire per via cutanea,
mucosale, inalatoria o parenterale. Nella sensibilizzazione per via inalatoria degli utilizzatori di guanti in latice, un ruolo importante è svolto dai lubrificanti, in particolare l’amido di mais immesso in tali materiali alla produzione che veicola nell’aria le particelle di latice su di
esso adsorbite (2).
I soggetti sensibilizzati a latice possono manifestare reazioni allergiche IgE mediate quali l’orticaria, la rinite, l’oculorinite, l’asma bronchiale, l’angioedema e più raramente lo shock anafilattico.
Il presente contributo descrive la situazione riguardo al problema
nell’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano e delinea il protocollo di
prevenzione messo a punto per ridurre la prevalenza di tali patologie nel
personale sanitario. Dai dati disponibili dall’attività di sorveglianza sanitaria è stato possibile stimare una prevalenza di patologia di allergia
o sensibilizzazione a latice del 2%, dato lievemente inferiore a quello
disponibile in letteratura per la popolazione lavorativa ospedaliera. Tra
gli attuali dipendenti sono 24 quelli allergici a latice e 5 quelli sensibilizzati senza equivalenti allergici, patologia diagnosticata in assunzione
o in corso di rapporto di lavoro. Tra i 24 lavoratori in cui è stata posta
diagnosi di allergia a latice 20 mostrano uno stato di atopia con manifestazioni cliniche gravi, quali l’asma, mentre 4 non presentano atopia
e mostrano sintomatologia clinica prevalentemente cutanea. Dei 5 lavoratori sensibilizzati verso latice 1 mostra avere uno stato atopico. Nella
maggior parte dei casi la semplice sostituzione dei guanti in latice con
quelli in vinile ha risolto la sintomatologia allergica. Il provvedimento
ha interessato, a partire dal giugno 2001, la quasi totalità delle unità
operative ad esclusione di quelle di odontostomatologia e dei blocchi
operatori, dove sono in uso in caso di allergia a latice guanti in triplo
strato di cui l’intermedio e l’esterno in latice ed è in previsione l’introduzione di guanti sterili in nitrile. Solamente in tre casi, caratterizzati
da grave sinomatologia respiratoria, si è reso necessario attuare un
provvedimento di ricollocazione lavorativa in ambienti di lavoro che
non esponessero a latice. Su 10 casi di allergia a lattice già denunciati
all’INAIL solo due hanno ottenuto riconoscimento da parte dell’ente.
Altri sono in corso di denuncia.
Vista la diffusione e la gravità delle possibili reazioni allergiche a latice si è ritenuto necessario mettere a punto una specifica procedura indirizzata alla individuazione e prevenzione del rischio da latice, tenendo
conto della necessità di affrontare opportunamente sia il tema della tutela della salute degli utenti che quello della prevenzione delle allergie nei
415
lavoratori, avendo presente che molto spesso i provvedimenti preventivi
intrapresi sono utili per entrambi questi gruppi a rischio.
È stato costituito un gruppo di lavoro multidisciplinare composto da
medici del lavoro, anestesisti, allergologi e con la partecipazione alle attività della Direzione Sanitaria, all’interno del quale sono stati pianificati gli interventi per la prevenzione della patologia da latice negli operatori sanitari ed individuate le misure organizzative da adottare a tutela del
paziente allergico utente.
La prevenzione primaria dell’allergia a latice è considerata la più
efficace, ma è di difficile realizzazione, per problemi sia di natura tecnica che economica. Pertanto in ambito professionale, è stato messo a
punto un protocollo, il cui responsabile è il medico competente, che
prevede, l’individuazione di soggetti con fattori di rischio che predispongono allo sviluppo di patologia da latice in occasione sia di visite
preventive che periodiche, la valutazione clinica, la decisione di sottoporre il lavoratore ad esami diagnostici di approfondimento quali lo
Skin Prick Test, la ricerca IgE specifiche, il test d’uso ed l’eventuale
consulenza allergologica ed infine la formulazione di opportuno giudizio di idoneità. La presenza di fattori di rischio può essere determinata mediante somministrazione di questionario anamnestico messo a
punto dal Gruppo di Studio SARNePi ed opportunamente rielaborato
(3), con il quale è possibile attribuire l’appartenenza del soggetto a
gruppi ad elevato rischio di sviluppare allergia verso latice, ricercare la
presenza di atopia, indagare la presenza di reazioni allergiche in seguito al contatto con materiali contenenti latice e l’esistenza di allergie
verso alimenti per i quali è nota la reattività crociata per il latice (3).
Nel caso di positività anamnestica è prevista la consulenza allergologica ed eventuale ricerca IgE specifiche, esecuzione di Skin Prick Test e Test d’uso, adottando in attesa degli esiti degli approfondimenti richiesti l’utilizzo di guanti in vinile nelle procedure non in sterile. Dai
rilievi clinici-anamnestici e dai risultati degli accertamenti diagnostici
ottenuti il Medico Competente potrà formulare il giudizio di idoneità
con appropriata prescrizione, qualora necessaria. In caso di diagnosi di
dermatite irritativa, fattore favorente la sensibilizzazione a latice, il
protocollo operativo prevede, successivamente alla risoluzione del
quadro acuto, l’uso di creme barriera, di guanti podwer freee, di sottoguanti in cotone e se possibile l’uso di guanti in materiale sintetico. La
diagnosi di orticaria prevede la prescrizione di uso di guanti in materiale sintetico. Manifestazioni allergiche quali rinite, rinocongiuntivite
ed asma consentono a seconda della gravità di mantenere il lavoratore
allergico nel suo reparto fornendo solo a lui guanti privi di lattice e se
non fosse sufficiente anche a tutto il personale, o di spostarlo in un reparto dove abitualmente non è richiesto l’uso di guanti in lattice. Reazioni allergiche di I tipo gravi e generalizzate quali edema della glottide, shock anafilattico possono condizionare il passaggio a mansione
che non preveda l’esposizione a latice.
Contemporaneamente devono essere attuati altri interventi quali la
sostituzione graduale dei materiali, la bonifica degli ambienti di lavoro,
l’istituzione di un registro per gli esposti e per le patologie allergiche da
latice riscontrate negli operatori, interventi sull’organizzazione del lavoro, capillare informazione e addestramento del personale (4).
Nella gestione del paziente allergico si applicherà un protocollo
di cui è responsabile il medico anestesista e che prevede una valutazione allergologica, dove in base al quadro clinico, al livello sierico di
IgE totali e specifiche il paziente viene inviato a percorsi latex-free o
latex-safe con premedicazione presenti in altre strutture ospedaliere,
in attesa di una loro futura realizzazione presso questa azienda ospedaliera.
È evidente che anche la più stretta osservanza di tali procedure non
potrà completamente annullare il rischio di insorgenza di sensibilizzazioni o di reazioni allergiche, ma certamente ne permetterà il contenimento
entro i limiti più bassi possibili.
BIBLIOGRAFIA
1) Allegato al decreto n. 22303 del 24 settembre 2001: Linee guida della Regione Lombardia per la prevenzione delle reazioni allergiche a
latice nei pazienti e negli operatori sanitari.
2) Tomazic V.J. et al. Cornstarch powder on latex products i san allergen carrier. J Allergy Clin Immunol 93:751-758, 1994.
3) G. Moscato. Linee guida per la prevenzione delle reazioni allergiche
a latice nei pazienti e negli operatori sanitari. G. Ital. Med. Lav Erg.
2001; 23:4, 442-447.
416
COM-10
PREVALENZA DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINORESISTENTE (MRSA) TRA GLI OPERATORI SANITARI
C. Fenga, *M. Foti, * A. Daidone, ** G. Sturniolo, P. Maviglia,
C. Di Nola, I. Polito, ** P Mondello
Dipartimento di Medicina Sociale del territorio- Sezione di Medicina del
Lavoro
*Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università degli Studi di
Messina
**UOC Malattie Infettive- Azienda Ospedaliera Policlinico
Universitario “G. Martino”- Messina, Università degli Studi di Messina
RIASSUNTO. Lo Stafilococco Meticillino resistente (MRSA) è uno
Stafilococco resistente al alcuni antibiotici, quali meticillina, oxacillina,
penicillina, amoxicillina. Le infezioni da MRSA sono frequenti tra il personale ospedaliero. Scopo del presente studio è stato evidenziare l’attività
antibiotica contro Stafilococco aureus in personale ospedaliero. I risultati hanno evidenziato che lo S. aureus è stato isolato in 14 campioni (25%);
dei ceppi isolati di S. aureus nessuno è risultato resistente alla meticillina
e il 14% è risultato resistente all’oxacillina ed alla tetraciclina. Il 100% è
risultato sensibile alla meticillina mentre l’86% è risultato sensibile all’oxacillina ed alla tetraciclina. In conclusione l’adozione delle norme
d’igiene universali riducono l’incidenza delle infezioni nosocomiali nel
personale ospedaliero.
Parole chiave: Staphylococcus Aureus; Meticillino resistente; oxacillina resistente
PREVALENCE OF STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINO-RESISTENTE
(MRSA) AMONG HEALTH CARE WORKERS
ABSTRACT. Methicillin-resistant Staphylococcus Aureus (MRSA) is a
type of Staphylococcus that is resistant to certain antibiotics. These
antibiotics include methicillin and other more common antibiotics such as
oxacillin, penicillin and amoxicillin. Staphylococcus infections, including
MRSA, occur most frequently among persons in hospitals and healthcare
facilities. The present study was performed to investigate the in vitro activity
of oxacillin and other antimicrobial agents against S. aureus strains
obtained from nursing personnel. The study included 56 hospital personnel
of Universitary Policlinic of Messina. S. aureus strain was isolated in 14
samples (25%); resistent patterns have been studied and results have
demonstrated: none methicillin resistant, while 14% oxacillin and
tetraciclin resistant. The incidence of methicillin sensitive was 100%, while
86% proved to be sensitive to oxacillin and tetraciclin. In conclusion, the
usually hygienic methods (disposable gowns, hygienic hand disinfection
after each patients contact, masks use when is a risk of aerosolization of
MRSA) are indicate for significantly reducing of these strains. Continuing
education programmes can help to increase awareness among hospital staff.
Key words: Staphylococcus Aureus; methicillin resistant; oxacillin
resistant
INTRODUZIONE
La Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA) è il patogeno maggiormente responsabile di infezioni ospedaliere. I ceppi di stafilococchi acquisiscono la resistenza prevalentemente in ospedale per la
pressione antibiotica selettiva. Stanno sempre più emergendo anche
ceppi comunitari di Stafilococchi meticillino-resistenti responsabili anche di vere epidemie ospedaliere. È interessante la constatazione che
ceppi di MRSA comunitari sottoposti ad analisi molecolare, presentano
una sequenza corrispondente al gene mecA assolutamente sovrapponibile a quella riscontrata in ceppi circolanti in animali da compagnia.
Sono pochi i dati presenti in letteratura in merito alla colonizzazione
dell’MRSA nel personale di assistenza e del possibile ruolo degli operatori colonizzati nella diffusione dell’MRSA ai pazienti al di fuori degli
eventi epidemici; inoltre non ci sono dati in merito alla provenienza comunitaria o ospedaliera dell’MRSA del personale colonizzato.
MATERIALI E METODI
Da novembre 2006 a giugno 2007 sono stati raccolti n. 56 campioni
prelevati tramite tampone nasale del personale ospedaliero di assistenza
del Policlinico Universitario di Messina.
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I tamponi sono stati immersi in terreno di Stuart (Meus) e trasportati in breve tempo al laboratorio di Batteriologia della Sezione di Malattie
Infettive del Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria di Messina per
l’espletamento dell’esame batteriologico.
All’arrivo in laboratorio i tamponi sono stati immediatamente inoculati in brodo nutritivo (Oxoid,) e quindi posti in incubazione in termostato per 18-24 ore a 37°C. Successivamente i campioni sono stati seminati
su terreni solidi selettivi quale Staphylococcus Medium ed Baird-Parker
agar base (Oxoid). Le colonie ottenute, coltivate separatamente in coltura pura, sono state sottoposte alla colorazione di Gram, al test dell’ossidasi e della catalasi e successivamente identificate mediante il sistema
API STAPH (Bio Merieux), un sistema miniaturizzato di identificazione
che permette l’effettuazione di tests biochimici letti in base al viraggio di
colore nelle singole cellette contenenti diversi substrati colturali.
Per ciascun microrganismo isolato è stato eseguito l’antibiogramma
con il metodo di diffusione in agar (Kirby-Bauer) su Mueller-Hinton
Agar (Oxoid). Le colonie sono state sospese in brodo nutritivo o soluzione fisiologioca al fine di ottenere una torbidità pari a 0.5 McFarland. L’inoculo è stato effettuato strisciando uniformemente un tampone sul terreno. Dischi di meticillina (10 µg - Oxoid) tetraciclina (30 µg - Oxoid) ed
oxacillina (1 µg - Liophilchem) sono stati deposti sulla superficie del terreno. Dopo incubazione a 37°C per 24 h è stato misurato l’alone di inibizione in relazione al quale il batterio è stato classificato come sensibile,
intermedio o resistente. Tutti i 56 isolati sono stati saggiati nei confronti
della meticillina e della oxacillina e tetraciclina.
RISULTATI
Lo Staphylococcus aureus è stato isolato in 14 campioni (25%); S.
epidermidis è stato isolato da 33 campioni (59%) S. lugdunensis è stato
isolato da 5 campioni (9%); S. lentus e S. sciuri è stato isolato una sola
volta; S. hominis è stato isolato da 2 campioni; S. simulans è stato isolato da 1 campione (3,5%); S. saprophyticus è stato isolato da 1 campione
(3,5%); S. haemolyticus è stato isolato da 1 campione (3,5%); S. warner
è stato isolato da 1 campione (3,5%).
Il test di suscettibilità agli antimicrobici ha mostrato che le resistenze più elevate sono state evidenziate nei confronti dell’oxacillina.
Dei 14 ceppi isolati di S. aureus nessuno è risultato resistente alla
meticillina e il 14% è risultato resistenti all’oxacillina ed alla tetraciclina.
Il 100% è risultato sensibile alla meticillina mentre l’86% è risultato sensibile all’oxacillina ed alla tetraciclina. 1ceppo isolato ha presentato comportamento intermedio.
Lo S. epidermidis ha mostrato resistenze più elevate per meticillina e
l’oxacillina. Il 12% degli isolati è risultato resistente alla tetraciclina. Il
63,6% è risultato sensibile alla meticillina, il 60,6% è risultato sensibile
all’oxacillina ed il 81,8% alla tetraciclina. 1 isolato ha presentato comportamento intermedio nei confronti della meticillina.
2 dei 5 isolati di S. lugdunensis sono risultati resistenti alla meticillina, 2 sono risultati resistenti all’oxacillina ed 1 alla tetraciclina. Nessun
isolato ha presentato comportamento intermedio. 1 isolato è risultato sensibile alla meticillina all’oxacillina ed alla tetraciclina.
S. sciuri, isolato una sola volta, sono risultati resistenti alla meticillina ed all’oxacillina e sensibili alla tetraciclina.
CONCLUSIONI
I nostri risultati sono indicativi di un’ampia circolazione di Stafilococchi variamente resistenti alle molecole testate. I nostri risultati, in accordo con quanto riportato da diversi autori, confermano che l’antimicrobico, nei confronti del quale si è dimostrato un maggior numero di resistenze, è l’oxacillina seguito dalla meticillina. Pur se non supportati da
un’indagine molecolare che sveli la presenza di geni specifici, possiamo
affermare che nella popolazione ospedaliera è presente MRSA. È inoltre
da sottolineare l’elevata percentuale di resistenza registrata in specie differenti da S. aureus quale S. epidermidis.
La trasmissione di MRSA da persona colonizzata a persona sana avviene prevalentemente attraverso le mani del personale di assistenza. I
pazienti colonizzati sono più a rischio degli altri di sviluppare infezioni
anche gravi durante il ricovero in ospedale con conseguente aumento della mortalità, della durata della degenza e dei costi per l’assistenza. Con il
presente studio si è inteso sottolineare l’importanza di programmi di sorveglianza e controllo della diffusione intraospedaliera dell’MRSA, che
prevedono lo screening dei colonizzati e la conseguente bonifica. Il ricorso sistematico alle adeguate prassi igienico-sanitarie in ambienti a ri-
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schio permette di ridurre in modo estremamente marcato sia la trasmissione degli MRSA sia il numero di infezioni severe da MRSA derivanti
dal serbatoio dei pazienti colonizzati (Harbarth S., 2000; Pittet et al.,
2000). Le prospettive di prevenzione delle infezioni nosocomiali da batteri multiresistenti, tra cui gli MRSA, includono la loro identificazione ed
eradicazione precoce presso i portatori, così come le misure preventive
generali in situazione endemica o meno. Esse comportano pure l’applicazione di strategie efficaci di prevenzione delle infezioni e l’utilizzo di antibiotici appropriati.
BIBLIOGRAFIA
1) Faria NA, Oliveira DC, Westh H et al. Epidemiology of Emerging
Methicillin-Resistant Staphylococcus aureus (MRSA) in Denmark: a
Nationwide Study in a Country with Low Prevalence of MRSA Infection. J Clin Microbiol. 2005;43:1836-42.
2) Fraise AP, Mitchell K O’Brien SJ, Oldfield K & R. Wise (1997) Methicillin-resistant Staphylococcus aureus (MRSA) in nursing homes in a major UK city: an anonymized point prevalence survey.
Epidemiol Infect., 118: 1-5.
3) Fridkin SK, Hageman JC, Morrison M. et al. Methicillin-resistant
Staphylococcus aureus disease in three communities. N Engl J Med.
2005; 352:1436-44.
4) Lucet JC, Grenet K, Armand-Lefevre L et al. High prevalence of carriage of methicillin-resistant Staphylococcus aureus at hospital admission in elderly patients: implications for infection control strategies. Infect Control Hosp Epidemiol. 2005;26:121- 6
COM-11
MONITORAGGIO AMBIENTALE DELLA ESPOSIZIONE A
MICROCONTAMINANTI CHIMICI NELLE SALE OPERATORIE
GF. Desogus
Azienda USL 7 Carbonia (Sardegna)
RIASSUNTO. Il personale sanitario di sala operatoria è esposto a potenziali effetti tossici legati alla presenza di contaminanti chimici aerodispersi. Gli esiti sono legati ad una variazione di parametri ematochimici ed
ormonali, oltre alla possibile insorgenza di patologie a carico dell’apparato respiratorio, della cute e mucose e del sistema immunitario. Partendo da
una preventiva valutazione dei processi di produzione e delle procedure di
lavoro, è stato valutato il rischio ambientale per esposizione a basse concentrazioni di contaminanti chimici aerodispersi. È stato utilizzato per il
monitoraggio un sistema integrato costituito da un gascromatografo-spettrometro di massa portatile che ha rilevato livelli di contaminanti chimici
compatibili a un grado di inquinamento ambientale ridotto, per la presenza in concentrazioni inferiori ai limiti ambientali proposti dall’ACGIH(2006) di esano, metilciclopentano, toluene, etilbenzene, o-xilene, limonane e naftalene. Dallo studio emerge la necessità di sviluppare criteri
metodologici e conoscenze tecnico-scientifiche, con un approccio integrato tra le diverse problematiche ambientali, tossicologiche e sanitarie, per
garantire una maggiore tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Parole chiave: Contaminanti chimici, sale operatorie, prevenzione
ambientale
THE
ENVIRONMENTAL MONITORING OF THE EXPOSURE TO CHEMICAL
CONTAMINATION IN OPERATING ROOMS
ABSTRACT. The medical staff wich works in an operating room is
exposed to danger due to the chemical contamination found in the air.
The results of this research depend to hormonal and haematochemical
variations. The chemical contamination can be the cause of pathologies
of the respiratory organs, the skin, the mucosa and the immune system.
After a preventive evaluation of the production processes and the working
procedures, some researchers have estimated the environmental risk
caused by low concentrations of chemical products. In order to control
the levels of the chemical agents, they have used an integrated system set
up by a gaschromatography-mass spectrometer that has found some
levels of chemical agents peculiar to a low pollution, characterized by the
low concentration under the levels of the so-called ACGIH(2006) of
417
hesane, toluene, ethylbenzene, o-xylene and naphthalene. According to
the latest studies is very important to develop working methods and
scientific knowledges direct to environmental, medical and toxicological
problems. They are necessary to guarantee a greater protection of the
human health and the safety at work.
Key words: pollution, operating room, chemical contamination
INTRODUZIONE
La presenza di microinquinanti chimici espone il personale sanitario
di sala operatoria a potenziali effetti tossici connessi con l’attività professionale. L’origine di tali contaminanti dipende da molteplici fattori legati alle sorgenti esterne, alle attività anestesiologiche e chirurgiche, all’inquinamento prodotto dall’ambiente fisico interno derivante dai processi
metabolici, dalle componenti impiantistiche e dall’uso di apparecchiature elettromedicali. Le conseguenze possono limitarsi a una sensazione di
fastidio con effetti non graditi e a disturbi neurocomportamentali multifattoriali legati a stress psico-fisico per insoddisfazione al lavoro (discomfort) o determinare l’insorgenza di patologie dell’apparato respiratorio (malattie respiratorie, broncopneumopatie allergiche, bronchiti,
asma), della cute e mucose (irritazioni, dermatiti atopiche, sensibilizzazione) e del sistema immunitario (reazioni allergiche), connesse alla presenza in particolare di composti organici volatili (VOC), anche in concentrazioni molto basse (1)(2). Tale inquinamento è generalmente caratterizzato da una composizione di agenti chimici assai differente di quella
riscontrabile nell’aria esterna. In letteratura sono evidenziate sintomatologie multiformi compatibili ad un disagio legato alla presenza di contaminanti aerodispersi. La combinazione dei sintomi clinici e la loro correlazione con l’esposizione rappresenta un fattore complesso e largamente
mutevole (3) e diversi studi correlano tale condizione con una variazione
di parametri ematochimici e ormonali, anche in assenza di risultati compatibili (4)(5). In generale le esposizioni, di possibile rilevanza sanitaria
nelle sale operatorie, sono implicate nell’insorgenza di patologie a eziologia multifattoriale e questo insieme di condizioni rende difficoltosa la
valutazione del nesso di causalità e la consapevolezza di ciò porta allo
sviluppo di ricerche e contributi metodologici finalizzati allo studio epidemiologico di popolazioni lavorative, che spesso sperimentano livelli di
esposizione bassi a determinati agenti chimici presenti nelle diverse matrici ambientali. L’obiettivo del lavoro è quello di fornire indicazioni
scientifiche ambientali sui criteri metodologici da adottare per lo studio
di ambienti lavorativi complessi in ambito sanitario, partendo dal razionale e sviluppando specifici requisiti tecnico-scientifici per una corretta
conduzione di un’indagine ambientale in gruppi di lavoratori a rischio residuo presumibile, spesso non ancora identificabile.
MATERIALI E METODI
È stato esaminato un blocco operatorio costituito da 2 sale operatorie (chirurgia generale, chirurgia ostetrico-ginecologica), con annessi i locali di induzione/risveglio e di sterilizzazione. Il monitoraggio ambientale è stato condotto sulla base dell’utilizzo di specifiche mappe di rischio,
con l’individuazione di punti e momenti nei quali fare il campionamento.
Il metodo di lavoro è basato sulla valutazione dell’esposizione professionale a microcontaminanti chimici, previa valutazione di fattori intrinseci
riguardanti il blocco operatorio (valutazione dei processi, procedure di lavoro con esame delle mansioni, attività e tecniche operative in uso, processi di produzione, configurazione dei posti di lavoro prevalente per il
personale medico, infermieristico e di supporto, norme comportamentali,
impianto di aerazione, fonti di emissione, tempi di esposizione e carico di
lavoro). La valutazione iniziale ha previsto l’identificazione delle azioni
e dei comportamenti individuali (vicinanza degli operatori alla fonte,
tempo trascorso, specifiche abitudini di lavoro). La valutazione del rischio ambientale per basse esposizioni a sostanze chimiche aerodisperse
è stata eseguita con l’utilizzo di metodiche standardizzate, compatibili
con i requisiti specificati dalla norma UNI EN 689, con procedura di misurazione tesa a fornire risultati rappresentativi dell’esposizione. Il sistema di misurazione è basato sull’individuazione preventiva di punti fissi a
maggior impatto (campo anestesiologico ed operatorio, aree prossime ai
diffusori di mandata/ripresa dell’aria). I prelievi per individuare i livelli
di inquinanti chimici sono stati realizzati in posizione fissa con campionamenti predefiniti (prima, durante e dopo le attività di sala operatoria),
eseguiti utilizzando una sonda di campionamento e pompe specifiche per
il prelievo di campioni di aria. Il sistema è costituito da un gascromatografo-spettrometro di massa portatile, fornito dalla Pollution (Budrio, Ita-
418
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Tabella I. Concentrazioni medie ambientali di VOC, espresse in ppm, riscontrate nei locali
del blocco operatorio
CONCLUSIONI
Pur evidenziando concentrazioni aerodisperse di contaminanti chimici nei locali del blocco operatorio inferiori ai limiti ambientali definiti dall’ACGIH e a
quelli a livello comunitario indicati, per
alcune sostanze, nell’allegato alla Direttiva 39/2000/Cee (Occupational Exposure
Limit-Oel) è necessario sviluppare interventi di prevenzione collettiva, sulla base
dell’acquisizione di ulteriori informazioni
tecnico-scientifiche per l’effettuazione di
ulteriori ricerche (sbocchi operativi). Gli
interventi di risanamento ambientale, in
relazione alla tipologia di esposizione, alle caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche degli inquinanti chimici e alla
Tabella II. Valutazione dell’esposizione professionale a contaminanti chimici nel blocco
suscettibilità degli operatori ad effetti saoperatorio, per indice di sostanza rilevata e per esposizione ponderata nelle 8 ore lavorative
nitari, devono essere ricondotti a linee di
assembramento nozionistico, per meglio
identificare i gruppi a maggior rischio
chimico residuo per la presenza di contaminanti nell’ambiente di lavoro. È fondamentale creare nel blocco operatorio un
ambiente a contaminazione controllata,
che partendo dalla conoscenza degli indici ambientali e di rischio, possa definire
criteri metodologici controllati per effettuare accorgimenti architettonici e costruttivi, per realizzare impianti d’aria
idonei, per standardizzare le attività di
monitoraggio e controllo ambientale e per
realizzare processi basati sull’applicazione di procedure di lavoro. Occorre ricondurre la problematica ambientale
lia) e dedicato alla identificazione e quantificazione in tempo reale di sosul principio di cautela che deve suggerire il mantenimento delle esposistanze organiche volatili presenti in ambito sanitario. Le misure sono stazioni a livelli molto bassi, a prescindere dalle conoscenze attuali di tipo
te eseguite ponendo il sistema di rilevazione all’altezza di 160 cm circa
tecnico-scientifico, che sono come noto in continua evoluzione. Infine daldal pavimento, a livello delle vie respiratorie degli operatori sanitari del
lo studio emerge la necessità di un approccio integrato tra le diverse problocco operatorio. La durata dei campionamenti, intorno ai 20 minuti, ha
blematiche in campo sanitario che riguardano fatica fisica, suscettibilità
permesso con successi prelievi di rappresentare l’intera seduta operatoria.
individuale, microclima, organizzazione e carico di lavoro, conformità ai
I limiti ambientali di confronto sono quelli definiti dall’ACGIH (Amerirequisiti strutturali, impiantistici e tecnologici e aspetti di tipo tossicologican Conference of Governmental Industrial Hygienists, 2006).
co e sanitario, al fine di creare le condizioni reali di tutela della salute e
della sicurezza degli operatori del blocco operatorio.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Dall’analisi dei dati ambientali acquisiti si constata, come riportato
BIBLIOGRAFIA
nella tabella I, che complessivamente le concentrazioni medie ambienta1) Bonsang B., Boissard C. Reactive hydrocarbons in the atmosfere by
li di VOC nel blocco operatorio, per le diverse posizioni monitorate, soHewitt C.N., Academic Press, 1999
no risultate tutte al di sotto dei valori limite di riferimento proposti dal2) Stolwijk J.A.J. The determination of health effects of indoor air poll’ACGIH.
lution. Indoor Air, Vol. 4, 1987
Come si può notare, complessivamente viene rilevata un grado di in3) Winder C. Mechanism of multiple chemical sensitivity. Toxicol Letquinamento ambientale ridotto, con nessun contaminante chimico che supeters, 128:85-97, 2002
ra i limiti ambientali di riferimento, anche se l’analisi dei dati differenziati
4) Baines CJ., Mc Keown-Eyssen GE., Riley N., Cole DE., Marshall L.,
deve tener conto della presenza di altri inquinanti aerodispersi nei locali del
Loescher B., Jazmaji V. Case-control study of multiple chemical senblocco operatorio (disinfettanti, sterilizzanti, protossido d’azoto, anestetici
sitivity, comparing haematology, biochemistry, vitamins and serum
volatili, componenti chimici di prodotti utilizzati per la detersione e la pulivolatile organic compound measures. Occup Med (London), 54: 408zia). Le maggiori concentrazioni sono state riscontrate per la presenza ubi418, 2004
quitaria di toluene, con concentrazioni maggiori in prossimità dei campi
5) Dearman RJ., Kimber I. Cytokine profiling and chemical allergy.
operatori e delle attrezzature anestesiologiche e chirurgiche in uso e ove è
Toxicol Appl Pharmacol, 185(3): 228-229, 2002
presente una maggiore concentrazione di operatori. La presenza nei corridoi
e nella sala induzione/risveglio di limonene è legata all’uso di prodotti per
la pulizia da parte del personale di supporto. In tutte le aree esaminate non
sono state rilevate concentrazioni di cicloesano, stirene, p-xilene, cumene,
COM-12
trimetilbenzene, alcol benzilico, acido formico, trimetilamine, cloruro di
metilene, acetamide, acido acetico, acetonitrile. Non si sono evidenziate variazioni significative delle concentrazioni ambientali dei contaminanti chiL’ALLERGIA AL LATTICE TRA I DIPENDENTI DELL’OSPEDALE
mici prima, durante e dopo le attività di sala operatoria. Riferendo i risultaDI TERNI: FOLLOW-UP DEI SOGGETTI SINTOMATICI
ti al possibile effetto additivo, per sommatoria delle frazioni relative alle diverse sostanze aerodisperse identificate nel monitoraggio ambientale del
A. Bussetti, I. Folletti*, M. Armadori, G. Giovannelli,
blocco operatorio, si osserva un indice di esposizione cumulativo ridotto
G. Paolocci*, A. Siracusa*
(0,53) inferiore all’unità, così come espresso nella tabella II.
Medicina del Lavoro, Malattie Respiratorie e Tossicologia Professionale
L’esposizione risulta ben al di sotto dei valori limite ed è probabile
e Ambientale, *Allergologia Professionale e Ambientale, Università degli
che rimanga nel tempo, per la standardizzazione delle condizioni di lavoStudi di Perugia, Dip. di Med. Clin e Sperim
ro nel blocco operatorio.
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
419
Corrispondenza: Prof. Andrea Siracusa, Az. Ospedaliera S. Maria di
Terni, Via T. di Joannuccio, 05100 Terni
RIASSUNTO. Le manifestazioni cliniche correlate all’esposizione
professionale a guanti in lattice comprendono l’orticaria da contatto, l’angioedema, la rinocongiuntivite, l’asma e le reazioni anafilattiche. Lo scopo di questo studio di follow-up era quello di valutare se la prevenzione
effettuata sui dipendenti dell’ospedale di Terni, consistente nella sostituzione dei guanti in lattice con polvere con quelli senza polvere lubrificante, avesse determinato una riduzione di frequenza dei sintomi. Il follow-up è stato eseguito 4,6 anni dopo la prima indagine su 53 soggetti
sintomatici al primo studio. Al follow-up il 54,7% dei soggetti utilizzava
sia guanti in lattice con polvere che guanti in lattice senza polvere, il
37,7% esclusivamente guanti in lattice senza polvere e il 7,6% non aveva più utilizzato guanti in lattice dopo la prima indagine. Nel 68% dei
soggetti i sintomi erano regrediti o scomparsi al follow-up. La scomparsa dei sintomi era maggiore nei soggetti che avevano utilizzato solo guanti in lattice senza polvere (p < 0,005). In conclusione, il nostro studio dimostra che le misure preventive attuate sono sufficienti per ottenere una
riduzione significativa dei sintomi.
Parole chiave: allergia al lattice, lavoratori ospedalieri, follow-up.
LATEX
ALLERGY IN HOSPITAL WORKERS
- FOLLOW-
UP OF SYMPTOMATIC
SUBJECTS
ABSTRACT. Latex allergy may be manifested in a variety of
clinical disturbances such as contact urticaria, angioedema,
rhinoconjunctivitis, asthma, and anaphylactic reactions. The aim of this
follow-up study was to determine whether a change in glove use from
powdered to powder-free latex gloves at previously surveyed hospital
workers reduced the work-related symptoms. 53 hospital workers with
work-related symptoms where followed up 4,6 years after first
investigation. On re-examination, 54,7% use both powdered and
powder-free gloves, 37,7% used only latex free gloves and 7,6% stopped
the glove use. At follow-up, in 68% of subjects there was the remission
or the improvement of work-related symptoms. The improvement of
symptoms was greater in workers using powder-free gloves than in
others (p < 0,005). In conclusion our study shows that preventive
measures, such as the use a powder-free latex gloves, are sufficient to
induce a reduction of work-related symptoms.
Key words: latex allergy, hospital workers, follow-up.
INTRODUZIONE
Tra i dipendenti sanitari, la frequenza della sensibilizzazione a lattice è compresa tra il 2,8 ed il 17% (1), dell’asma professionale tra il 2,5
ed il 5% (2), della rinite tra il 9% ed il 12% (3) e dell’orticaria da contatto tra il 5% ed il 14% (4,5). La patologia da guanti riconosce meccanismi
patogenetici di tipo allergico e irritativo. I principali fattori determinanti
dell’allergia al lattice sono l’intensità dell’esposizione, il tipo di guanti
utilizzati (con o senza polvere lubrificante), l’atopia, la preesistente dermatite delle mani (6) e talvolta il sesso (7). Lo scopo di questo studio è di
valutare l’efficacia di un intervento di prevenzione sull’allergia al lattice.
MATERIALI E METODI
Nella prima fase (studio trasversale) sono stati studiati, mediante
questionario e prick test per allergeni comuni e per lattice, 235 dipendenti dell’ospedale di Terni. 12 soggetti non hanno eseguito i prick test perché erano in terapia con antistaminici o per rifiuto a sottoporsi al test.
Dopo un intervento di prevenzione è stato eseguito il follow-up in 53
soggetti sintomatici alla prima indagine. Al follow-up, abbiamo analizzato la frequenza dei sintomi rispetto alla prima indagine.
RISULTATI
Nei 235 dipendenti dell’ospedale di Terni, 24,7% maschi e 75,3%
femmine, c’era una frequenza di sintomi allergici (SA) da esposizione
a guanti in lattice (GL) del 9,8% e di sintomi irritativi (SI) del 28,5%. I
maschi avevano un’età media di 40,7 anni (D.S. 9,5) e le femmine di
38,1 (D.S. 9,6). I maschi avevano iniziato ad usare i GL 14,9 anni prima (D.S. 7,0), le femmine 15,0 anni prima (D.S. 8,1). L’esposizione
quotidiana a lattice era di 3,9 ore (D.S. 2,3) nei maschi e 4,6 ore (D.S.
2,2) nelle femmine; l’utilizzo medio era di 14,8 paia di GL il giorno
(D.S. 14,0) nei maschi e di 16,3 paia (D.S. 15,1) nelle femmine. 21 soggetti (8,9%) avevano una dermatite delle mani preesistente all’esordio
del lavoro con i GL. 16 soggetti (6,8%) avevano una dermatite da contatto con i GL. 15 soggetti (6,4%) avevano una storia di allergia alimentare. I prick test per allergeni comuni erano positivi nel 43,1% dei
maschi e nel 32,2% delle femmine, quelli per lattice erano positivi nel
3,5% dei maschi e nel 9,6% delle femmine.
La sintomatologia associata all’esposizione ai GL è stata riscontrata nel 43,4% dei lavoratori esaminati ed era più frequente nel sesso femminile (49,2%) che in quello maschile (25,9%, p < 0,05). Erano più frequenti l’arrossamento ed il prurito locali, con una prevalenza del 2629,4% nelle femmine e del 12,1-13,8%, rispettivamente, nei maschi. I
SI erano quasi 2 volte più frequenti nelle femmine (32,2%) che nei maschi (17,2%, p = 0,03). Anche i SA tendevano ad essere più frequenti
nelle femmine (11,5%) che nei maschi (5,2%, NS). La prevalenza della
rinite era del 7,9% nelle femmine rispetto a nessun caso di rinite nei maschi (p = 0,02).
Tra i potenziali fattori di rischio, l’intensità dell’esposizione ai
GL, misurata mediante il numero di paia di guanti usati il giorno, era
associata sia con SA (p < 0,05) sia con SI (p < 0,05). Le ore di utilizzo dei GL il giorno erano associate ai SI (p < 0,01) e ai SA (NS). Nei
soggetti con prick test positivi agli allergeni comuni la prevalenza dei
SA era 2,5 volte maggiore che in quelli con prick test negativi (p <
0,05); nei soggetti con prick test positivi al lattice la prevalenza dei SA
era 10 volte maggiore che in quelli con prick test negativi (p < 0,001).
Al contrario, la positività agli allergeni comuni e al lattice non era associata con i SI.
L’analisi mediante regressione logistica ha confermato che l’intensità dell’esposizione (numero di paia di guanti il giorno ≥ 20) e il sesso
femminile erano fattori predittivi dei SI (p < 0,05). Per quanto riguarda
i SA, l’intensità dell’esposizione (p < 0,02) e la positività ai prick test
per lattice (p = 0,0001) risultavano fattori predittivi. I prick test per allergeni comuni, gli anni di esposizione al lattice, l’abitudine al fumo e
la dermatite delle mani non erano fattori predittivi dei sintomi associati all’esposizione professionale al lattice.
A distanza di 4,6 anni dallo studio trasversale abbiamo eseguito il
follow-up in 53 soggetti sintomatici al momento della prima indagine.
I 53 soggetti sintomatici avevano un’età media di 42 anni (D.S. 8,1) ed
erano in prevalenza di sesso femminile (88%). 49 soggetti continuavano ad usare i guanti; il 60% usava sia guanti in lattice con polvere sia
quelli senza polvere, mentre il 40% usava esclusivamente guanti in lattice senza polvere e/o guanti non in lattice. Al follow-up, il 68% riferiva la scomparsa o il miglioramento dei sintomi; nel 32% i sintomi erano invariati. I SI, come il prurito e l’arrossamento da contatto, erano migliorati o scomparsi in coloro che utilizzavano i GL senza polvere, mentre nei soggetti che avevano continuato ad utilizzare GL con polvere il
miglioramento/scomparsa dei sintomi era meno marcato (p < 0,05). Al
follow-up, l’uso dei GL senza polvere o non in lattice era l’unico fattore predittivo per il miglioramento o la scomparsa dei sintomi (p < 0,02).
Nel 94% dei casi i sintomi associati all’attività lavorativa si attenuavano nei periodi al di fuori del lavoro (fenomeno arresto-ripresa positivo).
Durante il periodo del follow-up il 6% dei soggetti esaminati si è assentato dal lavoro per sintomi dovuti ai guanti e il 3% è stato spostato
ad altra mansione.
DISCUSSIONE
Il 43,4% dei soggetti presentava SI o SA associati al lavoro con GL,
una frequenza più elevata di quella osservata da altri (4,7). I SI erano
presenti in oltre un quarto dei soggetti ed erano 3 volte più frequenti dei
SA, analogamente a quanto osservato da altri (1,2,4). I SI erano associati con il sesso femminile e ciò è stato riscontrato in pochi studi (4,7).
Per quanto riguarda i SA, l’orticaria da contatto era 3 volte più frequente nel sesso femminile (5,1%) che nel sesso maschile (1,7%), analogamente a quanto osservato da altri (1,2,4). Anche la frequenza della
rinite e dell’asma da lattice era analoga a quanto rilevato in altri studi
(1,2,4,5). Dal nostro studio emerge un’associazione tra malattie allergiche da GL e positività ai prick test, in accordo a quanto riportato da altri (2,4).
In conclusione, i sintomi allergici ed irritativi associati all’uso professionale di guanti in lattice sono frequenti tra i dipendenti ospedalieri, e i principali fattori predisponenti sono l’intensità dell’esposizione, i
prick test per lattice positivi (per i sintomi allergici) e il sesso femminile (per i sintomi irritativi). È consigliabile l’utilizzo esclusivo di guanti
in lattice senza polvere.
420
BIBLIOGRAFIA
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2) Vandenplas O, Delwiche J-P, Evrard G, Aimont P, Van Der Brempt
X, Jamart J, et al. Prevalence of occupational asthma due to latex
among hospital personnel. Am J Respir Crit Care Med 1995;
151:54-60.
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using latex gloves: an epidemiological study. Allergy 2000; 55, supplement 63:68.
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SESSIONE
RADIOPROTEZIONE
COM-01
VALUTAZIONE DELLA GENOTOSSICITÀ DEI CAMPI MAGNETICI A
FREQUENZA ESTREMAMENTE BASSA (ELF- MF) IN LAVORATORI
ESPOSTI PER RAGIONI PROFESSIONALI
M. Scaringi1, 2, P. Temperani3, P. Rossi4, G. Bravo1,2, F. Gobba1,2
1 Cattedra di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Scienze di Sanità
Pubblica; Università di Modena e Reggio Emilia, Modena
2 Dottorato di Ricerca in Sanità Pubblica, Dipartimento di Scienze di
Sanità Pubblica; Università di Modena e Reggio Emilia, Modena
3 Laboratorio di Citogenetica Oncoematologica, Dipartimento Integrato
Oncologia ed Ematologia, Università degli Studi di Modena e Reggio
Emilia, Modena
4 Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro
(ISPESL)
Corrispondenza: Meri SCARINGI, Dottorato di Ricerca in Sanità
Pubblica, Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica, Università di
Modena e Reggio Emilia, Via Campi 287 - 41100 Modena (MO) ITALY,
Tel + 39 059 205 54 75, Fax + 39 059 205 54 83, e-mail:
[email protected]
RIASSUNTO. I campi ELF sono stati sospettati di indurre effetti avversi (WHO 2007). Esistono ancora discussioni sul possibile effetto genotossico diretto ed anche se diversi dati sarebbero più a favore di un effetto epigenetico, i dati, nel complesso, sono largamente inconclusivi. Su
queste basi abbiamo deciso di studiare la genotossicità dei campi ELF in
109 lavoratori esposti a vari livelli di ELF-MF. Nei linfociti di sangue periferico sono state valutate le aberrazioni cromosomiche (CA); gli scambi tra cromatidi fratelli (SCE) e i micronuclei (MN). L’esposizione mediana nell’intero gruppo è risultata 0,35 µT. La casistica è stata suddivisa
in due gruppi:“bassa esposizione” (39 soggetti ≤ 0,2 µT) e “esposizione
più elevata” (70 soggetti > 0,2 µT). In quest’ultimo gruppo è stato poi selezionato un sottogruppo di “soggetti con esposizione ≥ 1 µT” (31 soggetti). I risultati non evidenziano differenze significative negli indicatori
né nel confronto tra i due gruppi a “bassa esposizione” vs “esposizione
più elevata”, né confrontando i dati del gruppo a bassa esposizione contro i 31 soggetti con esposizione ≥ 1 µT. I risultati dello studio, condotto
in una casistica relativamente ampia di lavoratori esposti a livelli di ELFMF ben diversificati, ed utilizzando differenti indicatori di genotossicità
in grado di rilevare la mancata riparazione del danno, non forniscono supporto all’ipotesi che i campi ELF possano indurre un effetto genotossico.
Parole chiave: ELF-MF; Genotossicità; Linfociti.
EVALUATION OF THE GENOTOXICITY OF THE EXTREMELY LOW FREQUENCY
- MAGNETIC FIELDS (ELF- MF) IN WORKERS EXPOSED FOR PROFESSIONAL
REASONS
ABSTRACT. Whether or not ELF-MF has genotoxic potential is a
controversial issue. In the present study, we investigated the genotoxic
effect using cytogenetic assays (CA - SCE - MN), in 109 workers exposed
to ELF-MF. The mean value of occupational exposure in the whole group
was 0.35 µT. According to the exposure level the workers were stratified
in two different groups: low exposed (n. 39, TWA ≤ 0.2 µT) and higher
exposed (n. 70; TWA > 0.2 µT): the groups did not significantly differ for
the examined variables. Due to these results we decided to re-evaluate the
effect only considering the highest exposed workers: we selected 31
workers exposed to TWA levels exceeding 1 µT, and compared vs. the low
exposed subjects: again, the difference in the groups examined were not
significant. At multivariate regression analysis was also applied: no
correlation was observed with cytogenetic biomarkers. The results of this
study does not support the hypothesis of any direct genotoxic effect of
ELF-MF, at least at the environmental levels currently found in an
occupational settings.
Key words: ELF-MF, Genotoxicity, Lymphocytes.
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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421
Né nell’intero gruppo a “esposizione più elevata”, né nel sottogruppo dei
“soggetti con esposizione ≥ 1 µT” è stato possibile evidenziare un aumento significativo delle AC rispetto al gruppo
“bassa esposizione”. Il dato è valido
considerando sia i gaps che le rotture ed
i riarrangiamenti. Anche per l’analisi
degli SCE, valutati come media del numero di scambi, non si è riscontrata alcuna significativa differenza tra i gruppi, ed il risultato è analogo per i MN,
considerati come media delle cellule binucleate con MN, il rapporto tra cellule
micronuclei valutati sulle binucleate
esaminate ed infine come rapporto tra il
numero di cellule binucleate con MN/
cellule binucleate totali esaminate.
I dati sono stati confermati mediante analisi della regressione multipla stepwise.
Tabella I. Valori medi (± DS) degli indici di genotossicità nell’intero gruppo e rispettivamente
nei gruppi suddivisi in base ai livelli di esposizione personale TWA ai campi magnetici ELF.
La differenza tra i gruppi non è significativa (p> 0,01)
INTRODUZIONE
I campi elettromagnetici indotti dalla corrente elettrica (Extremely
Low Frequency -ELF-) sono stati sospettati di indurre vari effetti avversi
(WHO 2007). Tra gli aspetti affrontati in modo più intensivo dalla ricerca vi sono i possibili effetti cancerogeni nella popolazione infantile ed il
rischio cancerogeno nell’adulto conseguente alle esposizioni ambientali
e/o occupazionali (WHO, 2007; IARC 2002).
In particolare, per quanto riguarda il possibile meccanismo patogenetico esistono ancora discussioni sul possibile effetto genotossico diretto ed anche se diversi dati sarebbero più a favore di un effetto epigenetico, i dati, nel complesso, sono ancora largamente inconclusivi.
Su queste basi ci siamo proposti di studiare la genotossicità dei campi magnetici ELF in 109 lavoratori esposti a vari livelli di ELF-MF.
MATERIALI E METODI
L’esposizione individuale ad ELF è stata misurata per due turni lavorativi mediante dosimetri personali. I livelli di esposizione sono stati
calcolati come valori ponderati (TWA), espressi in microtesla (µT).
La proliferazione in vitro dei linfociti è stata indotta seguendo la
metodica convenzionale di stimolazione antigenica con Phythemagglutinin (PHA-M), per un totale di 720 colture allestite(Rooney e Czepulowski, 1992).
In breve, le singole colture venivano allestite con 0.8 ml di sangue
periferico eparinato in 6 ml di Medium RPMI 1640, specifico per la coltura dei linfociti, stabilizzato con tampone HEPES (25mM) ed arricchito
con siero fetale bovino (15%), L-Glutamina (200mM), gentamicina
(Gentalin 1,3 mg/ml) e Phythemagglutinin (PHA-M 7ug/ml), incubate
per 48h-72h.
Nei linfociti di sangue periferico sono stati determinati i seguenti indici di genotossicità: a) aberrazioni cromosomiche (CA): gaps cromatidiche e cromosomiche, rotture cromatidiche e cromosomiche, riarrangiamenti tra cromatidi; b) scambi tra cromatidi fratelli (SCE); c) micronuclei (MN).
La valutazione degli SCE è stata eseguita secondo la procedura
“FPG” (Fluorescence Plus Giemsa) (Perry e Wolffs, 1974) mentre l’analisi dei MN è stata ottenuta inserendo nelle colture la Citocalasina B nella concentrazione finale di 5 ug/ml (Fenech et al, 1986).
Il confronto delle medie nei gruppi di esposizione considerati è
stato effettuato tramite test t di Student. I dati sono stati analizzati anche mediante studio della regressione multipla stepwise, considerando ciascun biomarker esaminato come variabile dipendente, e esposizione, età, sesso, abitudine tabagica ed alcolica come variabili indipendenti.
Tutte le analisi statistiche sono state effettuate con il software statistico SPSS 12.0.
RISULTATI
L’esposizione mediana nell’intero gruppo è risultata 0,35 µT. Abbiamo deciso di suddividere la casistica in due gruppi, “bassa esposizione”
(39 soggetti ≤ 0,2 µT) e “esposizione più elevata” (70 soggetti > 0,2 µT).
In quest’ultimo gruppo è stato poi selezionato un sottogruppo di “soggetti con esposizione ≥ 1 µT” (31 soggetti).
La Tabella I presenta i principali risultati degli indici di danno genotossico studiati nei gruppi a diffferente esposizione.
DISCUSSIONE
Osservata in alcuni studi ma non confermata in altri (IARC, 2002;
WHO, 2007), l’ipotesi di un effetto genotossico è stata rilanciata da alcuni dati recenti, tra i quali quelli del Progetto Internazionale Reflex (Testa
et al, 2004). Anche un nostro recente studio ha rilevato un tendenziale aumento, sebbene non significativo, degli Scambi tra Cromatidi Fratelli
(SCE) in linfociti di sangue periferico in lavoratori esposti a livelli di ELF
> 0,4 µT (Gobba et al, 2003).
La casistica esaminata in questo studio (n° 109 lavoratori) è relativamente ampia rispetto a quelle esaminate in altri riportati in letteratura, e
comprende lavoratori con esposizioni abbastanza diversificate (95% dei
valori TWA: 0,02 - 4,67 µT). In questo modo è stato possibile una suddivisione dei soggetti in gruppi a differenti livelli di esposizione(≤0,2; ≥ 0,2
e ≥ 1 µT).
Inoltre abbiamo utilizzato diversi biomarker citogenetici, in modo da
valutare il potenziale danno a carico del DNA a differenti punti della replicazione cellulare.
I risultati non evidenziano differenze significative negli indicatori né
nel confronto tra i due gruppi a “bassa esposizione” vs “esposizione più
elevata”, né confrontando i dati del gruppo a bassa esposizione contro i
31 soggetti con esposizione ≥ 1 µT.
In conclusione, i risultati del nostro studio, condotto in una casistica relativamente ampia di lavoratori esposti a livelli di ELF-MF ben diversificati, ed utilizzando differenti indicatori di genotossicità in grado di rilevare la mancata riparazione del danno, non forniscono alcun supporto all’ipotesi che i campi magnetici ELF possano indurre un effetto genotossico.
BIBLIOGRAFIA
1) Gobba F, Roccatto L, Sinigaglia B, Temperani P. Scambi tra Cromatidi Fratelli (SCE) e High- Frequency Cells in lavoratori professionalmente esposti a campi magnetici a frequenza estremamente bassa
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site: http://monographs.iarc.fr/
3) Perry P, Wolff S. New Giemsa method for the differential staining of
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http://www.who.int/peh-emf/publications/elf_ehc/en/index.html
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COM-02
ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A RADIAZIONE ULTRAVIOLETTA
(UV) NATURALE: VALUTAZIONE, CONTROLLO DEL RISCHIO
E STRATEGIE DI PREVENZIONE
L. Tobia1, C. Fanelli1, S. Bianchi1, M. Paglione1, S. Diana1,
G. Di Fabio1, A. Paoletti1
1Dipartimento
di Medicina Interna e Sanità Pubblica, Cattedra Di
Medicina del Lavoro Università degli studi di L’Aquila
Corrispondenza: Loreta Tobia, Cattedra di Medicina del lavoro,
Università di L’Aquila, Piazz.le S. Tommasi, 1, Coppito (AQ) 67100, Tel
0862/434645; fax 0862/434646; e-mail [email protected]
RIASSUNTO. Scopo del lavoro è stato verificare il peso del fattore
lavorativo nell’insorgenza di neoplasie cutanee in un gruppo di pazienti e
di valutare il rischio di esposizione ad UV in un gruppo di lavoratori outdoor. Lo studio si è articolato in tre fasi: a) Somministrazione di un questionario b) Esame obiettivo dermatologico; c) Misurazione dell’esposizione all’irradianza spettrale UV (mW*cm-2). Sono stati arruolati 248
soggetti, 100 affetti da carcinoma basocellulare (BCC) (68% M e 32% F,
età media 70 ± 11.93 aa), 130 affetti da melanoma (42% M e il 58% F,
età media 53 ± 17,35 aa) e 18 pazienti affetti da carcinoma squamocellulare (33% F e 67% M, età media 78 ± 11,41 aa). Inoltre sono stati reclutati 22 soggetti sani maschi esposti al rischio di radiazioni UV (età media
38,59 ± 13,65 aa; anzianità lavorativa specifica 11,88 ±10,92 aa). Sono
state effettuate misurazioni relative all’esposizione durante l’intera giornata lavorativa per 24 giorni, nell’estate 2007. È stato calcolato il tempo
massimo di esposizione (tmax) senza protezioni consigliato al fine di prevenire alterazioni cutanee, secondo quanto indicato dall’ACGIH. L’esposizione ad UV, sia professionale che extraprofessionale ha un ruolo determinante nella genesi del carcinoma squamocellulare. I nostri risultati
evidenziano inoltre che anche il carcinoma basocellulare è correlato ad
un’esposizione cumulativa alla radiazione UV. Per i melanomi cutanei è
invece poco probabile una correlazione con l’attività lavorativa svolta.
Non sono state evidenziate lesioni precancerose nei soggetti esposti da
poco tempo. Le misurazioni effettuate hanno rilevato una bassa esposizione nella prima mattinata e nel tardo pomeriggio, senza particolari vincoli sul tmax e un periodo di esposizione massima tra le ore 10.00 e le ore
16.00, con un tmax consigliato di pochi minuti. È pertanto necessario favorire una maggiore sensibilizzazione dei lavoratori al fine di fornire adeguate strategie di prevenzione, quali ad esempio, utilizzare, in considerazione della fascia di esposizione, le protezioni più idonee.
Parole chiave: Radiazione ultravioletta, Gestione del rischio, lavoro
PROFESSIONAL
EXPOSURE TO NATURAL ULTRAVIOLET RADIATION: RISK
ASSESSMENT AND MANAGEMENT AND PREVENTING STRATEGIES
ABSTRACT. The aim of our study was to verify the impact of work
risk factor in causing cutaneous neoplasia on a group of patients and to
assess the risk of exposure to UV on outdoor workers. The survey was
divided in three phases: a) Questionnaire. b) Dermatological clinical
examination. c) Exposure measurement by spectral radiance method
(mW/cm2). 248 subjects were enrolled, 100 of which affected by basal
cellular carcinoma (BCC) (68% M and 32% F; mean age 70 ± 11.93 y)
130 by melanoma (42% M and 58% F; mean age 53 ± 17.35 y) and 18
by squamous cellular carcinoma (33% F and 67% M; mean age 78 ±
11.41 y). In addiction 22 healthy male subjects exposed to UV were
examined (mean age 38.59 ± 13.65 y; specific working age 11.88±10.92
y). The assessment of UV exposure was performed over a 24 days
timeframe during summer 2007, all over the working day. Furthermore,
maximum allowed exposure time (tmax) without protection was calculated
according to ACGIH guidelines in order to prevent cutaneous alterations.
It turned out that the UV exposure, both in working and spare time, is the
root cause for squamous cellular cancer developing. Furthermore our
results proved that also BCC is related to the overall UV exposure. No
clear link to the UV exposure was found for cutaneous melanoma. No
precancerous lesions were observed on shortly exposed subjects. The
measurements performed revealed, as expected, lower exposure during
first and last hours of the day without any particular constrain on tmax,
and maximum exposure in the timeframe between 10:00 AM and 4:00
PM. Therefore, it is necessary to pay higher attention to the UV exposure
and related consequences on employees health in order to provide with
the most suitable preventing measures such the usage of protections
depending from the requested exposure time.
Key words: Ultraviolet radiation, Risk management, work
INTRODUZIONE
I rischi per la salute dell’uomo, derivanti dall’esposizione alla radiazione UV, sono oggi riconosciuti, in particolare è accertata l’associazione
con alcuni danni alla cute e agli occhi [1,2]. La principale fonte di esposizione per la popolazione generale ed i lavoratori outdoor è rappresentata
dalla radiazione solare. I lavoratori principalmente interessati sono agricoltori, floricoltori, giardinieri, operai edili. La valutazione del rischio specifico per queste categorie lavorative non è sempre sufficientemente ed
adeguatamente attuata perché non di agevole fattibilità [3,4]. Lo scopo del
presente lavoro è stato quello di verificare il peso del fattore lavorativo
nell’insorgenza di neoplasie cutanee in un gruppo di pazienti sottoposti ad
intervento chirurgico ed a terapia fotodinamica presso un reparto di dermatologia oncologica di un ospedale del Centro Italia e di valutare il rischio di esposizione ad UV in un gruppo di lavoratori outdoor.
SOGGETTI, MATERIALI E METODI
Il nostro studio, condotto tra dicembre 2006 e settembre 2007, si è articolato in tre fasi: a) Somministrazione di un questionario composto da
tre sezioni: una riguardante dati anagrafici ed abitudini del paziente/dipendente, una relativa alla storia lavorativa ed un’altra volta a rilevare dati sulla salute del soggetto e il relativo fenotipo. b) Esame obiettivo dermatologico di tutti i soggetti reclutati. c) Misurazione dell’esposizione all’irradianza spettrale UV (mW*cm-2), attraverso un misuratore UVAUVB, λ 290÷390 nm. Sono stati arruolati 248 soggetti, di cui 100 affetti
da BCC (40% del totale, il 68% maschi e 32% femmine, età media di 70
± 11.93 anni), 130 affetti da melanoma (53% del totale, 42% di maschi e
58% femmine, età media 53 ± 17,35 aa) e 18 pazienti affetti da carcinoma squamocellulare (7% del totale, 33% femmine 67% maschi, età media 78 ± 11,41 aa). Inoltre sono stati reclutati 22 soggetti sani di sesso maschile esposti al rischio di radiazioni UV (età media 38,59 ± 13,65 aa; anzianità lavorativa specifica 11,88 ±10,92 aa), categoria lavorativa edili e
benzinai. I dati ottenuti relativi ai BCC sono stati analizzati mediante uno
studio caso-controllo, con selezione dei controlli per appaiamento per
sesso ed età nella stessa popolazione dei casi, mentre per il gruppo dei pazienti affetti da melanoma e carcinoma squamocellulare è stato effettuato uno studio osservazionale. Per la valutazione del rischio sono state effettuate misurazioni dell’esposizione durante l’intera giornata lavorativa
per 24 giorni, nell’estate 2007. È stato inoltre calcolato il tempo massimo
di esposizione (tmax) consigliato al fine di prevenire alterazioni cutanee,
secondo quanto indicato dall’ACGIH. Per l’analisi dei dati sono stati utilizzati i correnti test statistici, con significatività P≤0,05.
RISULTATI
1) Pazienti affetti da carcinoma basocellulare (BCC). Dei 100 pazienti affetti da BCC sono stati individuati in base all’attività professionale svolta 50 lavoratori “outdoor”, il 50% del totale, di cui il 72% maschi e il 28% femmine. I dati raccolti dal questionario hanno permesso di
stabilire che le parti del corpo più esposte nei lavoratori outdoor erano
state, come atteso, il viso e le braccia (48% della popolazione). Circa il
20% ha dichiarato di esporre spesso contemporaneamente viso, torace e
braccia. L’esposizione congiunta di viso, braccia e gambe è stata registrata in circa il 10% degli intervistati. Una minima percentuale di essi
aveva contemporaneamente esposti viso, torace, braccia e gambe. La distribuzione occupazionale è stata la seguente: edile (28%); agricoltore
(36%); allevatore (2%); asfaltatore (6%); vari lavori all’aperto (soggetti
che hanno svolto in sequenza o in concomitanza più lavori all’aperto)
(16%); altre attività (tecnici, agenti di polizia con attività all’aperto,12%).
È stata fatta anche un’analisi relativa all’utilizzo di capi di abbigliamento come forma di protezione. Il 24% ha dichiarato di non utilizzare alcun
capo di abbigliamento specifico, il 40% ha utilizzato una protezione per
la testa, il 10% ha fatto uso di altri indumenti quali magliette a maniche
lunghe e pantaloni lunghi. Sono state infine considerate, per ogni lavoratore, l’anzianità lavorativa (AL) e l’età di insorgenza della malattia (EI).
È stata quindi analizzata un’eventuale correlazione tra Al ed EI della neoplasia prendendo in esame anche il fattore di confondimento “esposizione extra-professionale all’aperto”, considerando esposto extra-professio-
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
nalmente chi ha trascorso più di 20 giorni all’anno al mare o in montagna, nel periodo più caldo. Come evidenziato nella fig. 1, l’indice di correlazione AL-EI è negativo (R=-0,444), con coefficiente di determinazione R2=0,197. Ciò indica che per alti valori di esposizione, nel sottogruppo di pazienti esposti sia professionalmente che extraprofessionalmente, l’età di insorgenza si riduce.
Risultati non significativi si sono ottenuti per il solo fattore esposizione lavorativa, (R=0.148). I risultati dello studio caso-controllo hanno
evidenziato un OR pari a 2,1 (I-C 95% 1.15; 3.94), dato che indica che
gli esposti hanno avuto un rischio statistico più che doppio di sviluppare
la patologia neoplastica rispetto ai non esposti.
2) Pazienti affetti da melanoma. Dei 130 pazienti affetti da melanoma, 24 (18,5%) sono lavoratori “outdoor”. Dai calcoli effettuati sono
stati ottenuti un indice di correlazione R=0.850 tra AL e EI e un coefficiente di determinazione R2=0,722, indice di mancata correlazione tra anzianità lavorativa ed età di insorgenza di malattia.
3) Pazienti affetti da carcinoma squamocellulare. Gli esposti, in
ragione dell’attività lavorativa svolta, sono risultati essere il 72%, dato è
in accordo con quanto già noto dalla letteratura sulla frequenza del carcinoma squamocellulare[8]. La fig. 2 si riferisce all’intera popolazione
esposta giacché non sono stati ottenuti, dai questionari somministrati, risultati sufficienti per poter operare un’ulteriore suddivisione in sottogruppi extraprofessionalmente esposti e non. L’indice di correlazione
AL-EI è negativo (R=-0,339), il coefficiente di determinazione è pari a
R2=0,115. Anche in questo caso, come per i BCC, all’aumentare dell’anzianità lavorativa diminuisce l’età di insorgenza della neoplasia.
4) Misurazione dell’esposizione ed esame obiettivo su soggetti sani. Dall’esame obiettivo condotto sui soggetti sani, è stato possibile constatare l’assenza di lesioni precancerose, forse per la giovane età del
gruppo considerato e la breve carriera lavorativa specifica, oltre alla limitata numerosità del campione. Le misurazioni UV hanno rilaveto, come atteso, per tutte le categorie esaminate (edili, benzinai, agricoltori ed
asfaltatori) che la maggiore esposizione si ha nelle ore centrali della giornata, con un tmax possibile, senza le dovute protezioni, solo di alcuni mi-
Figura 1. Correlazione tra entità di esposizione a UV ed età di
insorgenza di BCC
Figura 2. Correlazione tra entità di esposizione a UV ed età di
insorgenza di carcinoma squamocellulare
423
Tabella I. Suddivisione in fasce orarie di esposizione
nuti nell’arco di tempo compreso tra le 10.00 del mattino e le 16.00 del
pomeriggio. Dall’analisi dei dati rilevati, si è potuto confermare che le attività lavorative studiate sono quelle più a rischio di elevata irradianza
spettrale. Poiché sono state effettuate 66 rilevazioni giornaliere si è pensato di raggruppare queste in gruppi da 11, ottenendo così 6 “fasce di
esposizione”. Lo scopo è quello di poter suggerire ai lavoratori esposti
durante una certa fascia le misure protettive, ritenute più idonee, per la limitazione del rischio. La tabella I mostra la suddetta divisione.
Negli orari relativi alle fasce I e VI sono stati ottenuti valori altissimi del tempo massimo di esposizione mentre in quelli relativi alla II, III
e V tempi medio-bassi.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Dai dati ottenuti possiamo affermare che la radiazione UV è un importante fattore di rischio per la salute dei lavoratori outdoor[6]. Infatti,
nonostante l’esiguità del campione, supportati da quando sostenuto in letteratura, confermiamo che l’esposizione ad UV professionale ed extraprofessionale ha un ruolo determinante nella genesi del carcinoma squamocellulare. Per quanto riguarda la relazione tra esposizione a lungo termine ai raggi UV con il BCC e il melanoma, le opinioni dei vari autori
sono controverse. I nostri risultati evidenziano che il BCC è correlato ad
un’esposizione cumulativa alla radiazione UV. I melanomi cutanei, secondo gli studi di letteratura risultano essere correlati ad un’esposizione
intensa e sporadica più che ad un’esposizione cronica ad eccezione della
lentigo maligna [8]. È poco probabile una correlazione con l’attività lavorativa svolta, risultato confermato dai nostri studi. Tuttavia, data la multifattorialità della loro etiologia, non si può escludere un ruolo anche minimo dovuto all’esposizione lavorativa, poiché dall’analisi delle sedi
maggiormente interessate emerge che è il melanoma è più frequente nelle donne alle gambe e negli uomini al dorso [9], parti del corpo spesso scoperte in estate e quindi suscettibili di esposizione intensa e sporadica. Infine, alcuni casi di melanomi insorgono in soggetti con una storia personale di tumori cutanei non melanocitari e di cheratosi solare. Non sono
state evidenziate lesioni precancerose nei soggetti esposti da poco tempo.
Dall’analisi relativa alle misurazioni effettuate emerge una omogeneità
dei dati sia nelle diverse categorie esaminate, sia facendo una media delle misurazioni effettuate sui sei giorni lavorativi. Viene osservata una bassa esposizione nella prima mattinata e nel tardo pomeriggio senza particolari vincoli sul tmax, mentre il periodo di esposizione massima si registra tra le 10.00 e le 16.00. È pertanto necessario favorire una maggiore
sensibilizzazione da parte dei datori di lavoro e dei lavoratori al fine di
fornire adeguate strategie di prevenzione. Si potrebbe suggerire ad esempio ai lavoratori, mediante l’impiego di cartelli ad hoc quali la cartellonistica già prevista in ambito internazionale [4], di utilizzare, in considerazione della fascia di esposizione, le protezioni più idonee, quali, per le ore
più a rischio, occhiali da sole, cappelli, magliette e pantaloni lunghi.
BIBLIOGRAFIA
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laboratori biochimici, G.Ital. Med. Lav. Erg. 24:1, 56-65; 2002
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(ICNIRP). Guidelines on Limits of Exposure to Ultraviolet Radiation
of Wavelengths between 180 nm and 400 nm (Incoherent Optical Radiation), Health Physics 87(2): 171-186; 2004
4) M. Weber, K. Schulmeister, A. Uller, H. Brusl, H. Hann and P.
Kindl., Outdoor worker’s acceptability of personal protective measures against solar ultraviolet radiation. Submitted to Photochemistry
and Photobiology; 2007
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6) M. Antoine, S. Pierre-Edouard, B. Jean-Luc, V. David,“Effective exposure to solar UV in building workers: influence of local and individual factors” J Expo Sci Environ. Epidemiol.; 2006
7) C.C. Salomon, White E., A.R. Kristal, T. Vaughan, “Melanoma and
lifetime UV radiation” Cancer Causes Control 15(9): 893-902; 2004
8) K. Glanz, D. B. Buller, M. Saraiya, Reducing ultraviolet radiation
exposure among outdoor workers: State of the evidence and reccomendations“, Environ Health, 6 6:22; 2007
9) A. du Vivier, Atlas of Clinical Dermatology, London, TMIPL; 1993
COM-03
CAMPI MAGNETICI ELF ED ESPOSIZIONE PROFESSIONALE:
MISURE RIPETUTE DELLA ESPOSIZIONE INDIVIDUALE
IN LAVORATORI ADDETTI A VARIE MANSIONI
Bravo1,2, M.
G.
F. Gobba1,2
Scaringi1,2, A.
M.
Vandelli3, A.
Romanelli4,
P.
Rossi5,
1Cattedra di Medicina del Lavoro, Università di Modena e Reggio
Emilia, Modena
2Dottorato di Ricerca in Sanità Pubblica, Dipartimento di Scienze di
Sanità Pubblica; Università di Modena e Reggio Emilia, Modena
3Dipartimento di Sanità Pubblica, Azienda USL di Modena.
4Dipartimento di Sanità Pubblica, Azienda USL di Reggio Emilia.
5 Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro
(ISPESL)
Corrispondenza: Dott.ssa Giulia BRAVO, Dottorato di Ricerca in Sanità
Pubblica, Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica, Università di
Modena e Reggio Emilia, Via Campi 287 41100 Modena (MO) ITALY, Tel
+ 39 059 205 54 75, Fax + 39 059 205 54 83, e-mail [email protected]
After 6-9 months we repeated measurement in about 10% of the
original sample (about 48 subjects) to verify the resulted obtained. At
repeated measurement analysis with SPSS 12.0 no variation was found
compared the previous monitoring.
Individual occupational exposure to ELF-MF evaluated in a
relatively large group of workers engaged in the main occupational
activities proved low values compared to the proposed occupational limit.
Key words: ELF-MF, occupational exposure, repeated measures
INTRODUZIONE
La imprecisione nella stima della esposizione è uno dei principali
problemi che caratterizzano la ricerca epidemiologica sugli effetti della
esposizione occupazionale ai campi elettromagnetici a frequenza estremamente bassa (Extremely Low Frequency -ELF-) (1, 2).
Lo studio è stato condotto allo scopo di ottenere una stima rappresentativa della esposizione professionale ai campi magnetici ELF
(ELF-MF) nei lavoratori addetti alle principali mansioni lavorative
presenti nella realtà produttiva della regione Emilia-Romagna, attraverso una misurazione personale prolungata e la riproducibilità dei risultati ottenuti.
MATERIALI E METODI
Tramite l’impiego di dosimetri personali (Emdex LITE, Enertech
Consultants, USA) indossati alla cintura per due turni di lavoro completi, si è proceduto al monitoraggio di 543 lavoratori addetti a circa 150
mansioni dei comparti Metalmeccanico, Ceramico, Tessile, Alimentare,
Grande Distribuzione-Commercio, Biomedicale, Legno, Grafica Industriale; alcune altre mansioni, non considerate adeguatamente rappresentative del comparto di appartenenza, sono state raccolte in un unico gruppo non differenziato (Altre mansioni).
Per ogni lavoratore sono state raccolte oltre 5.750 misurazioni durante l’attività lavorativa, e oltre 11.500 fuori dal lavoro, tramite campionamento dell’esposizione ogni 10 secondi.
L’esposizione personale è stata calcolata come media aritmetica di
tutte le misurazioni (Time Weighted Average -TWA). Sono stati calcolati
anche i TWA di comparto (media dei TWA individuali di tutti gli addetti
al comparto) ed i TWA di mansione (media dei TWA di tutti gli addetti alla mansione). I valori di ELF-MF sono espressi in microtesla (µT).
A distanza di circa 6-9 mesi dall’effettuazione delle ultime misurazioni, lo studio è stato ulteriormente sviluppato tramite una ripetizione
delle misurazioni di esposizione, per poter verificare la variabilità e quindi la rappresentatività dei dati precedentemente raccolti.
I dati sono stati elaborati con il programma Emcalc 2000 (Enertech
Consultants, USA), e con il software statistico SPSS 12.0 (SPSS Italia).
RIASSUNTO. L’obiettivo del nostro studio è stimare l’esposizione
occupazionale a campi elettromagnetici a frequenza estremamente bassa
(ELF-MF) attraverso l’impiego di dosimetri personali. Sono stati monitorati 543 lavoratori impiegati in 9 comparti aziendali (addetti ad oltre
150 mansioni) rappresentativi della realtà produttiva della regione Emilia-Romagna. Nell’intero campione esaminato il TWA (Time-Weighted
Average) mediano di esposizione è risultato pari a 0,14 µT (5° - 95° perRISULTATI
centile: 0,04 - 2,50 µT). Il comparto ceramico ha presentato il più alto
Nell’intero campione, è stato possibile rilevare un TWA mediano di
TWA occupazionale (0,46 ± 1,83µT), mentre, per quanto riguarda il TWA
esposizione ad ELF-MF pari a 0,14 µT con 5° e 95° percentile rispettivadi mansione i più bassi sono risultati quelli relativi alle figure di Magazmente pari a 0,04 µT e 2,50 µT (Tabella I).
ziniere sia nella Ceramica che nel settore Tessile.
Passando all’analisi dei TWA medi di comparto (Tabella I), è quello
A distanza di 6-9 mesi le misure di esposizione sono state ripetute in
del settore ceramico ad essere il più elevato, con un’esposizione media
circa il 10% del campione originario (48 soggetti) per verificare i risultapari a 0,46±1,83 µT.
ti ottenuti inizialmente. Ad un’analisi condotta con il software SPSS 12.0
Dall’analisi successiva dei TWA di mansione presenti nei rispettivi
non sono emerse differenze significative con il precedente monitoraggio.
comparti produttivi esaminati, i più bassi (con esposizione TWA pari a
L’esposizione professionale individuale ad ELF-MF così stimata ha
0,02 µT) sono risultati, ad esempio, quelli relativi alle figure di Magazzifornito valori più bassi dei limiti occupazionali previsti dalla Direttiva
niere e Addetto ai Campioni nel comparto Ceramico, Magazziniere nel
Comunitaria 2004/40/CE.
Tabella I. Livelli di esposizione TWA a campo magnetico ELF-MF nei vari comparti
ELF-MF OCCUPATIONAL EXPOSURE: REPEATED MEASURES ON
lavorativi esaminati. I valori sono espressi in microtesla (µT)
WORKERS
ABSTRACT. The aim of our study was to estimate
occupational exposure to Extremely Low FrequencyMagnetic Fields (ELF-MF). Using personal dosimeters we
evaluated occupational exposure in 543 workers employed
in 9 occupational settings (about 150 jobs), representative
of the main occupational activities in Emilia-Romagna
region. In the whole sample, the median Time-Weighted
Average (TWA) exposure resulted 0,14 µT (5° - 95°
percentiles: 0,04 - 2,50 µT); Tile production presented the
highest occupational setting TWA (0,46 ± 1,83µT), while
the lower job TWA was Stock Clerk in Tile Production and
Stock Clerk in Garment Production.
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comparto Tessile, Addetto alla Formatura nel comparto Alimentare e Addetto all’Impiallacciatura nel settore del Legno.
Molto modeste (< 0,1 µT) sono risultate anche le esposizioni negli
addetti di vari reparti nel settore della Grande Distribuzione e Alimentare così come negli addetti alla Manutenzione Tessile e negli addetti al
Montaggio in Metalmeccanica, nonché nella maggior parte degli impiegati amministrativi monitorati.
Le mansioni con valori di esposizione più elevati erano quelle di
Commesso al Reparti HI-FI nella Grande Distribuzione-Commercio
(3,22 µT), di Elettricista e di Addetto alla Smalteria nel comparto della
Ceramica (rispettivamente 2,44 e 1,46 µT) ed infine quella di Addetti alla Linea Telai nella lavorazione del Legno (pari a 1,98 µT).
Successivamente, al fine di verificare la rappresentatività delle misurazioni effettuate, abbiamo ripetuto le misure di esposizione a distanza di
6-9 mesi.
È stato monitorato nuovamente il 10% circa (48 soggetti) del campione originariamente raccolto. Tramite un’analisi per misure ripetute
condotta con il software SPSS 12.0 è stato possibile osservare che non vi
erano significative variazioni dei livelli TWA individuali rispetto al monitoraggio precedente (p<0,01).
Discussione e Conclusioni
Va osservato che la procedura adottata in questo studio richiede lo
sviluppo di più attività, dall’impiego della dosimetria personale estesa a
più turni lavorativi come tecnica di rilevazione della esposizione ad ELFMF, ad un’analisi dei risultati strumentali effettuata contestualmente con
la riconsegna dello strumento da parte del lavoratore al fine di verificare
eventuali anomalie presenti nei dati rilevati e un successivo ricampionamento dei lavoratori inizialmente monitorati per poter ottenere delle stime di esposizione occupazionale ad ELF-MF che possano essere considerate riproducibili a livello di popolazione lavorativa.
Sebbene complessa, questa metodica consente di ottenere un’elevata
rappresentatività nella stima dell’esposizione.
Tuttavia, i risultati conseguiti indicano una esposizione occupazionale ad ELF-MF inferiore a 1 µT in oltre l’89% dei lavoratori esaminati
e inferiore a 3 µT in oltre il 96%. Inoltre, il 95% dei lavoratori ha presentato un TWA inferiore di oltre due ordini di grandezza del Valore di
azione (500 µT) previsto dalla Direttiva Comunitaria per i campi magnetici a 50 Hz (3).
Nella maggior parte dei comparti industriali analizzati sono stati registrati valori medi inferiori a 0,4 µT, soglia suggerita da alcuni studi epidemiologici per i possibili effetti della esposizione cronica ad ELF-MF
nella popolazione infantile (2); mentre, considerando i risultati per mansione, solo in 16 (10% circa dell’intero campione di mansioni) delle oltre
150 esaminate, il TWA è risultato superiore o uguale a tale valore.
Sebbene, per la numerosità dei soggetti fino ad ora monitorati, il
campione di lavoratori non possa essere considerato del tutto rappresentativo dell’intera popolazione lavorativa, i dati raccolti fino ad ora indicano che la esposizione professionale a campi magnetici ELF sia complessivamente modesta, sia a livello individuale che a livello di comparto industriale.
BIBLIOGRAFIA
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Health. Environ Health Persp; 109:910-933; 2001.
2) NRPB Review of the Scientific Evidence for Limiting Exposure to
Electromagnetic Fields (0-300 GHz) Report by the Board of
NRPB. National Radiological Protection Board. NRPB Documents; 15(3); 2004.
3) Direttiva 2004/40/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29
aprile 2004, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici
(campi elettromagnetici) (Diciottesima direttiva particolare ai sensi
dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) Gazzetta
Ufficiale n. L 159 del 30/04/2004 pag. 1 - 26
4) Floderus B, Persson T, Stenlund C. Magnetic-field exposures in the
workplace: reference distribution and exposures in occupational
groups. Int J Occup Environ Health; 2:226-238; 1996.
425
SESSIONE
ATTIVITÀ DEL MEDICO COMPETENTE
COM-01
IL RAPPORTO TRA MEDICO DEL LAVORO NEI SERVIZI PUBBLICI
DI PREVENZIONE E MEDICO COMPETENTE: DESCRIZIONE DI
UN’ESPERIENZA NEL COMPARTO LAPIDEO DELL’ALTO MUGELLO
P. L. Faina1, F. Molinaro2, R. Bolognesi1, M. Pristerà1, G. Mignani1.
1UF
Prevenzione, Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro AUSL 10
Firenze Toscana
2SS Medicina Preventiva AUSL 10 Firenze Toscana
Corrispondenza: Dr. Roberto Bolognesi, Azienda Sanitaria 10 Firenze
Dipartimento di Prevenzione , U.F. PISLL zona Mugello, Viale IV
Novembre, 93 - Borgo San Lorenzo (FI), Tel.: 055 8451 625 Fax: 055
8451 628, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. L’attuale andamento delle patologie e dei danni da lavoro impone una maggiore e più efficace collaborazione tra medici dei
servizi pubblici di prevenzione e medici competenti. Viene riportata la
positiva interazione dei due sistemi realizzata in occasione di un piano
mirato di prevenzione sul rischio vibrazioni nel comparto lapideo dell’Alto Mugello condotto dall’U.F. Prevenzione Igiene e Sicurezza nei
Luoghi di Lavoro della ASL di Firenze. Contestualmente alla raccolta di
dati relativi all’esposizione (acquisizione documenti di valutazione, misurazione diretta su attrezzature, identificazione dei tempi e dei livelli
personali di esposizione, ecc.) il Medico Competente ha condiviso i dati
di salute che evidenziavano disturbi a probabile genesi angioneurotica in
una elevata percentuale di lavoratori. L’indagine clinico-strumentale effettuata ha consentito di correlare l’elevato livello di esposizione a vibrazioni mano-braccio con il danno funzionale, risultato superiore ai dati riportati in letteratura. La condivisione d’informazioni rappresenta quindi
uno strumento prezioso sia per il Servizio PISLL, permettendo una rappresentazione dinamica dello stato di salute dei lavoratori, che per il Medico Competente che, estendendo lo studio a tutti gli esposti, potrà contribuire ad una migliore gestione del rischio insieme alle Aziende e avere positive ricadute sull’emissione dei giudizi d’idoneità.
Parole chiave: servizi pubblici di prevenzione, medico competente,
collaborazione
COLLABORATION BETWEEN OCCUPATIONAL
PREVENTION SERVICES AND QUALIFIED
DOCTORS IN THE
OCCUPATIONAL
PUBLIC
DOCTORS:
ALTO
MUGELLO
ABSTRACT. Background: the present course of work-related
injuries imposes an effective collaboration among public service’s
doctors and qualified occupational doctors. We refer to a positive
interaction in a prevention plan of hand-arm vibrations exposure during
phases of dressing in the sandstone sector of Alto Mugello. Methods:
both were acquired data on exposition (risk assessment, measures on
tools, times and levels of exposition, etc.) and data on workers’ health (an
high number of workers showed suspect angioneurotic disorders). The
symptomatic workers were subjected to a clinical-instrumental
examination that highlighted a clear correlation between high hand-arm
vibrations exposition and functional injury. Results: sharing
informations is a precious tool both for Public Prevention Services, it
enables in fact to realize an accurate representation of workers’ health
state, and for qualified occupational doctors to manage risk with
emplyers and to carry out an effective health surveillance.
Key words: public prevention services, qualified occupational
doctors, collaboration
DESCRIPTION OF AN EXPERIENCE IN THE SANDSTONE SECTOR OF
INTRODUZIONE
Il medico che opera nei servizi pubblici di prevenzione ed il medico
che svolge funzione di medico competente hanno entrambi come obbiettivo generale la tutela della salute dei lavoratori.
426
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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mità, cicatrici, callosità, disturbi eventuali del trofismo, presenza o
La collaborazione tra queste due figure professionali, pur nel rimeno di cianosi, temperatura.
spetto dei propri ruoli istituzionali, rappresenta un elemento di prima manovre semeiologiche per la valutazione clinica dell’apparato varia importanza per la definizione e la realizzazione di un percorso prescolare e nervoso periferico e dell’apparato muscolo tendineo
ventivo negli ambienti di lavoro, pur essendo tale azione svolta all’ino pressione e polso, presenza/assenza dei polsi periferici
terno di due diversi sistemi polidisciplinari differenziati per approccio
o test di Adson e test di Allen
metodologico.
o riflessi radiale e bicipitale
L’attuale andamento delle patologie e dei danni da lavoro impone
o forza e destrezza manuale
che tale collaborazione sia resa efficace da elementi di comunicazione ed
informazione condivisi, per meglio interpretare e valutare le criticità e le modalità
Tabella I. Anamnesi
di impatto sulla salute negli ambienti di
lavoro e per individuare, in sinergia con
gli altri soggetti coinvolti nel processo,
provvedimenti finalizzati a ridurre i rischi nei luoghi di lavoro.
Viene riportata la positiva interazione tra questi due sistemi, scaturita in occasione di un piano mirato di prevenzione relativo al rischio vibrazioni nei laboratori del comparto lapideo, che rappresenta uno dei settori lavorativi, presenti
nella nostra realtà territoriale, nel quale
l’esposizione a tale rischio appare significativamente elevata.
Legenda:
Tale piano ha previsto l’analisi pun- Lav. = lavoratore, A = mano dominante B = anzianità lavorativa generica, C = anzianità lavorativa specifica, D = assuntuale del ciclo di lavoro, la valutazione zione di farmaci E= familiarità F = esposizione totale a strumenti vibranti su media giornaliera in minuti G = anamnesi
degli strumenti utilizzati (martelletti, mo- positiva per dito bianco H = mano colpita I = dita colpite L = presenza di formicolii
le abrasive), l’identificazione dei tempi M = disturbi osteo muscolo tendinei arti superiori, N = uso di strumenti vibranti nel tempo libero
di esposizione individuali e delle misure * soggetto ipotiroideo
organizzative e procedurali messe in atto ** soggetto affetto da Morbo di De Quervain
per abbattere il rischio
L’esperienza è stata agevolata dal
Tabella II. Esame obbiettivo
fatto che le aziende oggetto dello studio
hanno il medico competente in comune
tra loro. Quest’ultimo nell’ambito dell’attività di sorveglianza sanitaria, ha individuato alcuni casi di lavoratori operanti nei laboratori di lavorazione della
pietra serena che fanno uso di strumenti
vibranti come martelletti e flessibile e
che hanno riferito problemi attribuibili ad
alterazioni verosimilmente di tipo vascolare alle mani Questi lavoratori, su segnalazione del medico competente, sono
stati invitati presso la nostra struttura per
un accertamento diagnostico di secondo
livello.
MATERIALI E METODI
È stato selezionato un campione di
12 lavoratori dei laboratori per la lavorazione della pietra serena che fanno
uso del martelletto e/o del flessibile e
che hanno riferito al medico competente problemi attribuibili ad alterazioni
verosimilmente di tipo vascolare alle
mani.
Così come previsto dalle linee guida
SIMLII per la prevenzione dei disturbi e
delle patologie da esposizione a vibrazioni meccaniche del sistema mano-braccio
negli ambienti di lavoro, è stata raccolta
la storia personale, lavorativa e sanitaria
attraverso un questionario anamnestico
standard.
È stato effettuato un esame clinico
obiettivo orientato particolarmente verso
l’apparato vascolare, nervoso e muscoloscheletrico degli arti superiori e delle mani, articolato attraverso:
osservazione ispettiva delle mani
volta a riscontrare: anomalie, defor-
Tabella III. Semeiologia clinica
Legenda:
A = polsi periferici, B Test di Adson, C = Test Allen,, D = Test di Finkelstein E = destrezza manuale, F = Sensibilità, G =
Test Phalen, H =Test di Tinel, I = Riflessi, L = Forza
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Tabella IV. Fotopletismografia
o sensibilità dolorifica tattile termica e vibratoria
o test di Phalen, di Finkelstein e di Tinel
È stato effettuato un esame clinico vascolare strumentale mediante
cold test fotopletismografico, verificando le variazioni dei flussi sanguigni a livello delle dita delle mani, rispetto ad un tracciato basale, durante
e dopo uno stress termico (freddo) e calcolando i tempi di recupero.
Per l’esame abbiamo utilizzato l’apparecchiatura TERMOFLOW
M-463 Rev. 3 della Microlab Elettronica costituito da un fotopletismografo a 10 canali di rilevazione, box termico e PC con specifico
software di gestione.
Tale metodica richiede uno standard applicativo orientato alla riduzione di quei fattori che potrebbero influenzare negativamente l’esito dell’esame.
In particolare il nostro studio è stato effettuato in stagione fredda,
da parte di personale medico ed infermieristico adeguatamente informato ed addestrato, dopo acclimatazione del lavoratore per almeno 30
minuti prima dell’esecuzione dell’esame in posizione comoda, senza
aver fumato ed a digiuno da almeno 1 ora, senza avere assunto farmaci
vasoattivi da almeno 3 ore e con temperatura di laboratorio compresa
fra i 21 e i 23 gradi °C.
Operativamente il test prevede:
applicazione dei trasduttori alle dita (1 per ogni dito e per ogni canale)
calibrazione del sistema di rilevazione
acquisizione del tracciato morfologico
acquisizione del tracciato basale
raffreddamento (per 5’ inserendo le mani all’interno del box a 4 c°)
recupero misurato in minuti per il ritorno del tracciato a livelli basali
rielaborazione, archiviazione e refertazione.
RISULTATI
Vengono riportati nelle seguenti tabelle i dati raccolti riguardanti alcuni aspetti anamnestici, obbiettivi, semeiologici, fotopletismografici come meglio specificato nelle singole tabelle.
DISCUSSIONE
I 12 lavoratori selezionati del gruppo degli esposti hanno una età
compresa fra i 25 ed 48 anni con anzianità lavorative generica e specifica quasi sovrapponibili. L’esposizione giornaliera a strumenti vibranti (martelletto, flessibile e fresini) risulta compresa dai 30 ai 360 minu-
ti. Solo in tre casi i soggetti esaminati
hanno dichiarato di utilizzare strumenti vibranti al di fuori della attività lavorativa.
Anamnesticamente in quattro casi
sono stati riferite familiarità per quadri
clinici di tipo disendocrino (ipotirodismo) e dell’apparato cardiovascolare
(infarto miocardio ed ipertensione di
tipo essenziale). In due casi i soggetti
sono risultati affetti da patologia conclamata e farmacologicamente controllata (ipotiroidismo e malattia di De
Quervain).
In 11 casi sono stati riferiti episodi più o meno frequenti di “dito bianco” nella stagione fredda che coinvolgono uno o più dita delle mani, in 2 casi bilateralmente, in 6 casi a sinistra e
in 3 casi a destra. In 10 casi la sintomatologia riferita al dito bianco è stata
associata a presenza di parestesie ed in
8 a disturbi osteo muscolo tendinei degli arti superiori.
In 4 casi è stata obiettivata positività al test di Adson, in 2 casi al test di
Allen, in 1 caso al test di Finkelstein, in
4 casi positività al test di Phalen e 4 al
test di Tinel.
Dal punto di vista strumentale l’esame fotopletismografico ha mostrato
alterazioni già al tracciato di base in 2 casi con una forte riduzione dell’ampiezza dell’onda dopo raffreddamnto in 5 casi e un recupero non
completo ai livelli del tracciato di basale in 7 casi per almeno un dito della di una mano (in 3 casi sono coinvolte tutte le dita della mano bilateralmente). In un caso il quadro ha evidenziato una situazione, ancorché funzionale, di probabile origine organica ed è stato suggerito un ulteriore approfondimento con esami emotochimici e capillaroscopia.
CONCLUSIONI
Lo studio ha confermato la presenza di elevati livelli equivalenti delle singole attrezzature e di elevati livelli di esposizione personale, nonché
un elevato numero di lavoratori sintomatici per angioneurosi correlata ad
indagini strumentali positive.
Le conclusioni preliminari dello studio confermano l’importanza dei
dati di salute monitorati in senso longitudinale da parte del medico competente, la disponibilità dei quali ha permesso di correlare l’elevato livello di esposizione a vibrazioni a carico del sistema mano-braccio, con un
danno funzionale la cui incidenza nella popolazione oggetto dello studio
appare di livello superiore a quello riportato in letteratura.
Gli elementi di comunicazione ed informazione condivisi rappresentano inoltre un prezioso strumento per il Servizio PISLL, permettendo
una rappresentazione dinamica dello stato di salute dei lavoratori, ma anche per il Medico Competente che attraverso l’estensione dello studio clinico-strumentale a tutti gli esposti, potrà avere gli strumenti per orientare la gestione del rischio insieme all’impresa (gestione dei DPI, dei contenuti di mansione, dei tempi di esposizione), con ricadute anche sulla
espressione dei giudizi di idoneità.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
1) European Foundation Dublin, 2001
2) Bovenzi e Coll. - Linee guida dei disturbi e delle patologie da esposizione a vibrazioni meccaniche negli ambienti di lavoro
3) ISPESL - Linee guida per la valutazione del rischio vibrazioni negli
ambienti di lavoro
4) UNI EN ISO 5349-1 SETTEMBRE 2004 Vibrazioni meccaniche
Misurazione e valutazione dell’esposizione dell’uomo alle vibrazioni trasmesse alla mano Parte 1: Requisiti generali
5) UNI EN ISO 5349-2 DICEMBRE 2004 Vibrazioni meccaniche Misurazione e valutazione dell’esposizione dell’uomo alle vibrazioni
trasmesse alla mano - Parte 2: Guida pratica per la misurazione al posto di lavoro.
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COM-02
LA PIANIFICAZIONE REGIONALE DELLE ATTIVITÀ
DI PREVENZIONE NEGLI AMBIENTI DI LAVORO;
L’ESPERIENZA DELLA REGIONE VENETO
L. Marchiori1, M. Lovison2, S. Rosin2
1Ulss
20, Verona
per Prevenzione Regione Veneto
2Direzione
RIASSUNTO. In Veneto dal 1999 la prevenzione negli ambienti di
lavoro è stata pianificata secondo programmi triennali, definiti in base alle politiche europee, nazionali e regionali, ed al quadro epidemiologico.
La gestione dei piani triennali ha seguito il modello Plan - Do - Check Act, con azioni di progettazione, attuazione, controllo e valutazione delle performance per il miglioramento continuo.
REGIONAL PLANNING OF PREVENTION MEASURES IN WORK ENVIRONMENT:
VENETO REGION EXPERIENCE
ABSTRACT. In Veneto, from 1999, activities for health promotion in
workplaces have been defined like a three - years planning, based on
European, national and local policy, and on work accidents and injuries
epidemiologist data. Activity plans have always been managed by using
Plan - Do - Check - Act quality cycle, with in itinere and ex post
evaluation steps to control system performances, and to define necessary
activities for a never- ending improvement.
1. INTRODUZIONE
In Veneto dal 1999 le attività di prevenzione negli ambienti di lavoro sono pianificate secondo programmi triennali di attività che hanno tenuto conto dello scenario nazionale e regionale definiti dai seguenti elementi:
1. I vincoli e le criticità evidenziati dalla Commissione d’indagine del
Senato presieduta dal Senatore Smuraglia, in particolare la disomogeneità dell’azione di vigilanza delle ulss, la mancanza di politiche
nazionali e regionali;
2. La pianificazione regionale e la pianificazione nazionale compreso il
Piano del CCM avviato dal Ministero della Salute;
3. La necessità di incrementare i livelli di efficacia ed efficienza del sistema regionale di prevenzione negli ambienti di lavoro, attraverso la
definizione di obiettivi regionali e un’azione coordinata degli Spisal;
4. La necessità di promuovere la partecipazione delle parti sociali quali espressione diretta dei protagonisti del mondo del lavoro.
5. Il quadro epidemiologico con le principali problematiche di salute
per i lavoratori del Veneto(1) rappresentate dallo stress sul lavoro
(26.9%), dal mal di schiena (17.8%) e dal dolore agli arti (11.1%). Le
malattie professionali segnalate agli Spisal sono mediamente 2000
all’anno e meno del 50% di queste sono indennizzate dall’Inail. L’ipoacusia da rumore è ancora la patologia professionale maggiormente rappresentata (80%), seguita dalla patologia cutanea (5%) e
dalla patologia articolare da sovraccarico funzionale (2.3%). Le neoplasie rappresentano il 2% delle malattie segnalate, ma negli ultimi
anni vi è stato un aumento, essenzialmente a seguito dello specifico
progetto regionale di sorveglianza degli ex esposti ad amianto e
c.v.m. Le malattie professionali con invalidità permanente sono oltre
60 all’anno, un decimo di queste ad esito fatale. Gli infortuni determinano mediamente più di 120 decessi all’anno e circa 3000 invalidità permanenti, mentre gli infortuni con assenze dal lavoro superiori a 3 giorni sono oltre 110.000 (2). Il 45% degli infortuni accade in
aziende pubbliche o private con oltre 30 addetti (5700), pari all’1,5%
delle aziende della regione.
Nel contesto delineato, la Direzione per la Prevenzione della Regione Veneto ha attuato la pianificazione ed il monitoraggio delle attività degli Spisal anche al fine di garantire il raggiungimento dei Livelli Essenziali di Assistenza. La visione è stata quella di un sistema regionale della
prevenzione, ove centro (Direzione della Prevenzione) e periferia (Spisal)
sono parte di un unico processo organizzativo finalizzato a produrre salute nei luoghi di lavoro ed a ridurre la disomogeneità attraverso un sistema di misura e monitoraggio dei processi e di attuazione di provvedimenti migliorativi.
2. MATERIALI E METODI
La scelta operativa non è stata quella di intervenire secondo politiche
simboliche o di marketing sociale e di immagine, ma di attivare un progressivo percorso di miglioramento della qualità.
Pianificazione
La pianificazione ha seguito le strategie della U.E. (3) finalizzate al
raggiungimento dei seguenti obiettivi.
1. Incremento dei livelli di sicurezza e protezione della salute attraverso la vigilanza per il rispetto delle normative sulla sicurezza negli
ambienti lavorativi. Le evidenze empiriche di efficacia nel ridurre gli
incidenti e gli infortuni fanno di questa strategia un elemento fondamentale del piano. La vigilanza è stata mirata verso le priorità epidemiologiche (edilizia, metalmeccanica, agricoltura, trasporti, amianto).
2. Promozione degli stili di vita salubri (educazione alla salute) finalizzati alla riduzione del rischio di malattia e compromissione della salute in senso lato.
3. Promozione di politiche sociali di controllo dei determinanti di salute attraverso azioni di comunicazione sociale del rischio, di condivisione e coinvolgimento attivo di Parti Sociali, Enti ed Istituzioni.
L’obiettivo è di promuovere e facilitare la formazione di RETI attive
ed indipendenti nel campo della prevenzione negli ambienti di lavoro. Tale politica si basa sulla consapevolezza che le condizioni di sicurezza del lavoro dipendono principalmente da determinanti di natura politica, culturale, economica e sociale, solo in parte modificabili con interventi di prevenzione sanitaria.
4. Un’impostazione globale del benessere sul luogo di lavoro, prendendo in considerazione sia le trasformazioni del mondo del lavoro che
l’insorgenza di nuovi rischi, in particolare psicosociali, nell’ottica del
miglioramento della qualità e del benessere sul lavoro quali fattori di
competitività economica e sviluppo sociale della società.
Azioni intraprese
La realizzazione della politica indicata ha comportato, sul piano operativo, lo sviluppo di azioni orientate al miglioramento della qualità delle pratiche di lavoro consolidate e l’implementazione di processi di innovazione del lavoro, come di seguito specificato.
Riorientameto delle linee di lavoro: tale azione è stata perseguita attraverso l’avvio di progetti finalizzati alla realizzazione della rete dei servizi ed al miglioramento delle attività indirizzate ai principali problemi di
sicurezza e salute. La progettazione ha riguardato interventi di prevenzione, condotti con omogeneità della metodologia, nei confronti dei principali comparti produttivi a maggior rischio (metalmeccanica, edilizia, agricoltura, trasporti, legno) e dello svolgimento delle inchieste per infortunio.
L’innovazione delle linee di intervento degli Spisal è stata perseguita attraverso progetti orientati allo sviluppo di:
– Sistemi di Gestione della Sicurezza aziendale (SGS), a conclusione del monitoraggio sullo stato di attuazione del D.Lgs. 626/94, si è
promossa l’implementazione di SGS, in collaborazione con le categorie economiche nell’obiettivo di sviluppare un modello di vigilanza che comprenda non solo il controllo degli aspetti tecnici della sicurezza sul lavoro e sulla loro rispondenza stretta a specifici articoli
di legge, ma anche un audit analitico sui sistemi organizzativi e gestionali, verificandone la capacità di assicurare, monitorare, valutare,
migliorare e mantenere nel tempo la sicurezza e l’igiene dell’ambiente di lavoro.
– Sviluppo del benessere organizzativo, il moderno concetto di salute, supera la dicotomia tra individuo e organizzazione evidenziando
come entrambi siano attori e responsabili della salute. Allo studio dei
classici rischi fisici, chimici, biomeccanici, biologici, si è affiancato
quello dei cosiddetti rischi psicosociali che riguardano variabili legate al clima organizzativo e agli stili di convivenza sociale.
– Centro di Riferimento Regionale per l’Ergonomia Occupazionale con la sperimentazione di interventi di ergonomia in aziende di diversi comparti (macellazione carni avicole, abbigliamento, assemblaggio lampadari, legatoria, servizi di lavanderia, assemblaggio ferri da stiro, occhialeria) e conseguenti interventi di miglioramento
delle condizioni lavorative.
– Centro Regionale di Epidemiologia Occupazionale, finalizzato alla gestione dei flussi informativi INAIL, al loro utilizzo ai fini di prevenzione e alla gestione del registro regionale mesoteliomi.
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abbia permesso di migliorare la performance produttiva dei
servizi, in un contesto di favorevole anche in termini epidemiologici. Dimostra anche che sono possibili miglioramenti ulteriori dell’efficienza ed efficacia del sistema, stimabili in una quota pari o superiore al 30%. Inoltre, l’attuale organizzazione territoriale, eccessivamente decentrata, non permette di liberare risorse da dedicare all’innovazione e ciò, aggiunto alla impossibilità di investire in personale con professionalità mancanti (psicologi del lavoro,
esperti in comunicazione e in sociologia), a lungo andare
può compromettere la capacità del servizio pubblico di essere di supporto e sostegno al mondo del lavoro sul terreno
della sicurezza e della salute. Il parametro suggerito dall’U.E. di un ispettore del lavoro ogni 10.000 lavoratori occupati; in Veneto non è raggiunto per la mancanza di 16
UPG (medici o tecnici diplomati o laureati) essendo l’organico attuale effettivo di 184 unità rispetto a 2.000.000
occupati Istat. Mentre l’U.E. non fornisce parametri per latro personale da dedicare ad attività sanitaria o di promozione della salute.
Un confronto con i vari sistemi regionali, ci colloca tra i servizi a più
alti indici di produttività, anche se il Veneto, con il Friuli, sono le regioni
che destinano le minori risorse alla prevenzione negli ambienti di lavoro,
tanto da risultare di tre volte inferiori a quelle destinate dalla Toscana.
In Friuli prevale un orientamento verso le inchieste infortuni, nelle
Marche verso gli interventi ispettivi in aziende ed in Lazio verso i cantieri edili. Le regioni che dispongo maggior personale hanno mantenuto linee
di lavoro di tipo sanitario tradizionale, come le visite mediche di idoneità.
Tali disparità rappresentano un punto di forte criticità in quanto trattasi di differenze di processo, e non di prodotto, e rendono assai difficile
il monitoraggio e la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia del sistema nazionale della prevenzione nei luoghi di lavoro.
Tabella I. Produzione dei servizi di prevenzione negli ambienti di lavoro
del Veneto, 1999- 06
–
Ricerca del Ministero della Salute e dell’Ispesl orientate a pratiche
di lavoro innovative come la sorveglianza dei lavoratori ex esposti a
cancerogeni, la promozione di un’indagine sullo stato di salute dei
lavoratori del Veneto secondo il questionario della Fondazione Europea di Dublino, un’indagine sui casi di mobbing e sui costi correlati,
la definizione di buone pratiche per la strutture sanitarie.
3. RISULTATI
Il monitoraggio delle attività Spisal nel periodo1999 - 2006 è stato impostato secondo obiettivi finalizzati a garantire i Livelli Essenziali di Assistenza.
La tabella evidenzia come a parità di risorse il sistema Spisal si sia
orientato verso interventi di maggior efficacia quali gli interventi di prevenzione in aziende e cantieri. Il numero di verbali ex art. 20 D.Lgs
758/94 è aumentato del 32%, passando da 2589 del 2000 a 3416 del 2006,
in condizione di isorisorse.
4. DISCUSSIONE
La pianificazione ha rappresentato un momento di confronto, con visione proattiva, degli indirizzi politici e strategici regionali, con l’operatività ed i vincoli dei Servizi sul territorio, e con le esigenze dei vari soggetti/enti/istituzioni che si occupano di prevenzione nei luoghi di lavoro.
Uno dei principali punti di forza è stato il consolidamento di “reti di
lavoro” allargate a tutti i soggetti/Enti/Istituzioni/Centri che a vario titolo
contribuiscono alla promozione della salute negli ambienti di lavoro.
Nell’ottica indicata, appare significativo il calo dell’18% del numero di infortuni denunciati in Veneto nel periodo 1999-06, contro un dato
nazionale di 7 punti inferiore.
Il calo dal 2001 al 2005 del tasso di incidenza (numero infortuni ogni
100 lavoratori assicurati INAIL nell’industria e nei servizi) è del 28%.
Gli infortuni mortali denunciati all’INAIL nel periodo 1999 - 2006 si
sono ridotti del 35%, compresi quelli in itinere, rispetto ad un calo del
22% a livello nazionale.
Il confronto delle attività Spisal ha evidenziato margini di miglioramento in termini di efficacia, intesa come capacità del servizio di selezionare gli interventi secondo criteri di priorità (scostamenti tra Ulss superiori al 100%). Rispetto all’efficienza, intesa come produzione di interventi di prevenzione in rapporto alle risorse impiegate, ad un dato medio
regionale di 33, 3 interventi di prevenzione all’anno per operatore Upg
(medico, tecnico laureato o diplomato) in alcune Ulss si osserva una produzione inferiore di oltre il 50% ed in altre superiore del 100%.
In termini di risorse, in Veneto il budget dei Dipartimenti di Prevenzione si aggira intorno al 2-3% del finanziamento complessivo destinato
alla sanità, ed il budget destinato ai servizi Spisal è circa il 10- 15% del
budget del Dipartimento di Prevenzione essendo le quote maggiori assorbite dai servizi veterinari e di igiene pubblica.
Una stima di massima del costo di un intervento di prevenzione in
ambiente di lavoro porta ad un valore medio di circa 2000 €, con una variabilità compresa tra 1200 € e 3500 € a seconda delle ulss.
CONCLUSIONI
L’esperienza della Regione Veneto dimostra come la pianificazione
regionale per obiettivi e priorità, basata sulle reti istituzionali e sociali,
BIBLIOGRAFIA
1) Mastrangelo G., Fadda E., Marchiori L. e coll.: 2Indagine pilota conoscitiva sulle condizioni di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro relativa ad una realtà regionale: Veneto ”, Roma, 2006 Ispesl.
2) Inail: “Rapporto annuale 2005”, Roma. 2005.
3) Consiglio dell’U.E.: “Risoluzione del Consiglio del 25 giugno 2007
su una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (2007-20012), Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.
COM-03
IMPLEMENTAZIONE DI UN SISTEMA DI GESTIONE PER LA
SALUTE E LA SICUREZZA (SGSS) IN UN’AZIENDA OSPEDALIERA
POLO UNIVERSITARIO
F. Mariani (1), C. Bravi (3), L. Dolcetti (4), A. Moretto (5),
A. Palermo (6), M. Ronchin (2), F. Tonelli (2), P. Carrer (2)
(1)
Servizio Prevenzione e Protezione - Ospedale Luigi Sacco - Azienda
Ospedaliera Polo Universitario - Milano
(2) Unità Operativa Medicina del Lavoro - Ospedale Luigi Sacco Azienda Ospedaliera Polo Universitario - Università degli Studi di
Milano
(3) Direzione Sanitaria - Ospedale Luigi Sacco - Azienda Ospedaliera
Polo Universitario - Milano
(4) Direzione Medica di Presidio - Ospedale Luigi Sacco - Azienda
Ospedaliera Polo Universitario - Milano
(5) Centro Internazionale per gli Antiparassitari e la Prevenzione
Sanitaria ICPS - Ospedale Luigi Sacco - Azienda Ospedaliera Polo
Universitario - Università degli Studi di Milano
(6) Servizio Qualità - Ospedale Luigi Sacco - Azienda Ospedaliera Polo
Universitario - Università degli Studi di Milano
Corrispondenza: Franco Mariani, Servizio Prevenzione e Protezione,
Ospedale Luigi Sacco - Azienda Ospedaliera Polo Universitario, Via
G. B. Grassi 74 - 20157 Milano, Tel. 02 39042626, Fax 02 39042433,
e-mail: [email protected]
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RIASSUNTO. L’Azienda Ospedaliera Polo Universitario Ospedale
Luigi Sacco di Milano ha avviato nel 2006 un progetto biennale per la realizzazione di un Sistema di Gestione per la Salute e la Sicurezza (SGSS),
i cui modelli di riferimento sono la specifica tecnica OHSAS 18001:1999
e le Linee guida per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro sviluppate da UNI e INAIL. Le fasi attuative realizzate sono state:
– Costituzione di una Commissione all’interno del Comitato Risk Management aziendale;
– Individuazione e nomina dei Referenti Dipartimentali del Sistema;
– Realizzazione di un corso di formazione rivolto ai Rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza e ai Referenti Dipartimentali SGSS;
– Progettazione e sviluppo di un sistema informativo integrato per la
prevenzione e la sicurezza;
– Qualificazione di auditor;
– Conduzione di sopralluoghi da parte del Medico Competente e del
Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, con l’indicazione delle criticità riscontrate e la definizione di un calendario di verifica delle azioni di risoluzione intraprese.
Le prospettive a breve termine sono:
– Autovalutazione dipartimentale tramite l’uso di check list;
– Condivisione con i Dipartimenti dell’Azienda Ospedaliera del Piano
di miglioramento;
– Programmazione delle attività formative dipartimentali per la prevenzione e la sicurezza all’interno del Piano Formativo Aziendale;
– Attuazione di audit per la sicurezza.
Parole chiave: prevenzione; sicurezza; valutazione dei rischi; gestione dei rischi; formazione
IMPLEMENTATION
OF A SAFETY AND HEALTH PLANNING SYSTEM IN A
TEACHING HOSPITAL
ABSTRACT. University Hospital “L. Sacco” had started in 2006 a
two-year project in order to set up a “Health and Safety Management
System (HSMS)” referring to the technical guideline OHSAS 18001:1999
and the UNI and INAIL “Guidelines for a health and safety management
system at workplace”.
So far, the following operations had been implemented:
– Setting up of a specific Commission within the Risk Management
Committee;
– Identification and appointment of Departmental Representatives of
HSMS;
– Carrying out of a training course addressed to Workers
Representatives for Safety and Departmental Representatives of
HSMS;
– Development of an Integrated Informative System for Prevention and
Safety;
– Auditors qualification;
– Inspection of the Occupational Health Unit and the Prevention and
Safety Service: reporting of critical situations and monitoring
solutions adopted.
Short term objectives are:
– Self-evaluation through check-lists of each department;
– Sharing of the Improvement Plan among the departments of the
hospital;
– Planning of Health and Safety training activities in the framework of
the Hospital Training Plan;
– Safety audit
Key words: prevention; safety; risk assessment; risk management;
training
INTRODUZIONE
Un sistema di gestione per la salute e la sicurezza, secondo il Decreto legislativo 626/94 e norme successive, è caratterizzato da strutture organizzative, definizioni di responsabilità, procedure, istruzioni operative,
risorse che permettano all’Azienda di operare secondo uno schema che
preveda: la valutazione e gestione dei rischi; l’emissione di una politica
riguardante la prevenzione e la sicurezza; l’attuazione delle attività pianificate e programmate; il controllo dei risultati raggiunti; l’individuazione delle non conformità e la messa in atto di azioni correttive; il riesame
periodico da parte dell’Alta Direzione; la definizione e la gestione del miglioramento. Obiettivo del progetto avviato presso l’Azienda Ospedaliera Polo Universitario Luigi Sacco di Milano è garantire la tutela della salute e la prevenzione dei rischi per gli operatori e gli utenti.
MATERIALI E METODI
I modelli di riferimento sono la specifica tecnica OHSAS 18001:1999
(OHSAS = Occupational Health and Safety Assessment Series) e le LINEE GUIDA PER UN SISTEMA DI GESTIONE DELLA SALUTE E
SICUREZZA SUL LAVORO sviluppate da UNI e INAIL (settembre
2001). È stata avviata l’integrazione con il Sistema Qualità Aziendale. In
questo senso sono stati privilegiati gli aspetti del miglioramento continuo
e dello sviluppo di indicatori per il monitoraggio delle attività.
RISULTATI
Fasi attuative realizzate:
Costituzione della Commissione rischi patrimoniali e rischi professionali all’interno del Comitato Risk Management aziendale
Nella Commissione sono rappresentate le “funzioni trasversali”
aziendali e i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza; in particolare:
U.O. Medicina del Lavoro con il Servizio Medico Competente ed il
Medico Autorizzato, Servizio Prevenzione Protezione e Radioprotezione, Dipartimento Tecnico Economale, Ingegneria Clinica, U.O. Personale, Direzione Medica di Presidio, Servizio Infermieristico Tecnico Riabilitativo Aziendale, U.O. Farmacia, Centro Internazionale per gli Antiparassitari e la Prevenzione Sanitaria, Rappresentanti dei Lavoratori per
la Sicurezza.
La Commissione ha i seguenti compiti:
– fornire alla Direzione Strategica un sistema gestionale efficiente ed
efficace che consenta una attività permanente di individuazione e gestione dei problemi emergenti ed un ordinato flusso di informazioni
in grado di supportare adeguatamente le responsabilità decisionali ed
operative nell’ambito della prevenzione e sicurezza;
– adottare e applicare procedure relative alla valutazione periodica e sistematica della politica di prevenzione e dell’efficacia e adeguatezza
del Sistema di gestione per la Salute e la Sicurezza, in relazione agli
obiettivi prefissati, alle disposizioni di legge, a riferimenti e prassi
accettate.
Sono state avviate attività sull’integrazione delle informazioni in materia di salute e sicurezza e per la definizione di priorità per la programmazione di misure di prevenzione dei rischi.
Individuazione e nomina dei Referenti Dipartimentali del Sistema
Sono stati nominati 14 Referenti Dipartimentali del Sistema di Gestione per la Salute e la Sicurezza, definendo le loro competenze, che
consistono essenzialmente nell’assicurare la corretta informazione e collaborazione tra il Servizio Prevenzione e Protezione e i Dirigenti e i Preposti del Dipartimento in merito all’applicazione del D. Lvo 626/94. I Referenti Dipartimentali rappresentano l’anello di congiunzione con la
realtà operativa quotidiana, a partire dalla quale realizzare concrete iniziative di prevenzione.
In particolare sono state individuate le seguenti figure professionali:
7 medici, 2 caposala, 2 infermieri professionali, 2 tecnici sanitari, 1 programmatore informatico.
Realizzazione di un corso di formazione rivolto ai Rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza e ai Referenti Dipartimentali SGSS
È stato sviluppato un progetto formativo rivolto ai Rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza e ai Referenti Dipartimentali SGSS, gestito
dall’Unità Operativa di Medicina del Lavoro e dal Servizio Prevenzione
e Protezione in collaborazione con il Servizio Prevenzione e Sicurezza
negli ambienti di lavoro (PSAL) dell’Azienda Sanitaria Locale Città di
Milano. Gli argomenti principali sono stati:
– Il sistema aziendale di gestione della prevenzione - Gli strumenti gestionali fondamentali
– I rischi da movimentazione manuale dei pazienti o di carichi - I rischi da apparecchiature e impianti - I rischi da movimentazione manuale dei pazienti o di carichi (parte pratica)
– I rischi da fattori psicologici ed organizzativi nel particolare contesto
ospedaliero
– Il rischio d’infortuni in ospedale - I rischi da esposizione ad agenti
biologici
– I rischi da agenti chimici - I rischi da agenti fisici - Le emergenze.
Il corso si è concluso con due distinti momenti di verifica rivolti ai
Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e ai Referenti Dipartimentali SGSS in cui, oltre alla sintesi di quanto emerso nei moduli formativi,
è stato realizzato anche un confronto col datore di lavoro, il medico com-
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petente, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, un medico responsabile di struttura, una caposala.
Progettazione e sviluppo di un sistema informativo integrato per la
prevenzione e la sicurezza
È stata realizzata un’area del sistema informativo aziendale intranet
per la condivisione in tempo reale da parte dell’U.O. Medicina del Lavoro e del Servizio Prevenzione e Protezione delle informazioni relative alla collocazione lavorativa di ogni dipendente, alla dotazione di apparecchiature medicali e al loro stato di manutenzione, alle misure di gestione
dell’emergenza. È in corso di realizzazione un’area intranet pubblica rivolta a tutti i dipendenti, con elementi di informazione ma anche di interazione con il Sistema.
Qualificazione di auditor per la sicurezza secondo la Norma UNI EN
ISO 19011:2003
Il Servizio Prevenzione e Protezione ha realizzato un corso di formazione al termine del quale sono stati qualificati 6 auditor per la sicurezza secondo la Norma UNI EN ISO 19011:2003.
Il progetto formativo ha previsto anche la simulazione di audit per la
sicurezza, in cui sono state condotte le fasi previste dalla Norma:
– definizione del programma di audit (obiettivi ed estensione, responsabilità, risorse;
– attuazione del programma di audit;
– monitoraggio e riesame del programma di audit, con identificazione
delle esigenze di azioni correttive / preventive e delle opportunità di
miglioramento.
Conduzione di sopralluoghi da parte del Medico Competente e del
Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, con l’indicazione
delle criticità riscontrate e la definizione di un calendario di verifica delle azioni di risoluzione intraprese
Le usuali attività di sopralluogo dei luoghi di lavoro sono state integrate con la programmazione di verifiche dell’attuazione delle indicazioni di miglioramento, in collaborazione con i Referenti Dipartimentali del
Sistema di Gestione per la Salute e la Sicurezza.
DISCUSSIONE E PROSPETTIVE
L’Alta Direzione Aziendale, avviando il progetto di realizzazione di
un Sistema di Gestione per la Salute e la Sicurezza, ha dato seguito positivo alle linee di indirizzo delineate dal Decreto Legislativo 626/94 e
s.m.i. In particolare è stato valorizzato e sostenuto il ruolo dei Dirigenti e
dei Preposti, tramite l’affiancamento della figura del Referente Dipartimentale SGSS. L’Unità Operativa di Medicina del Lavoro con il Servizio
del Medico Competente e il Servizio Prevenzione e Protezione sono stati messi in condizione di affrontare le tematiche della prevenzione e della sicurezza in un’ottica di approccio coordinato e complessivo.
Le prospettive a breve termine prevedono:
– Autovalutazione a livello di ogni Dipartimento dello stato di attuazione delle misure di prevenzione, sicurezza e tutela della salute tramite l’uso di check list;
– Condivisione con i Dipartimenti dell’Azienda Ospedaliera di schede
che riportano i pericoli, i rischi specifici, le attuali misure di prevenzione e protezione e il Piano di miglioramento;
– Programmazione delle attività formative dipartimentali per la prevenzione e la sicurezza all’interno del Piano Formativo Aziendale;
– Attuazione di audit per la sicurezza.
BIBLIOGRAFIA
ISO 9001:1994 Quality systems: Model for quality assurance in design,
development, production, installation and servicing
BS 8800:1996 Guide to occupational health and safety management
systems
OHSAS 18001:1999 Occupational health and safety management
systems - Specification
OHSAS 18002:1999 Occupational health and safety management
systems - Guideline
UNI EN ISO 9001:2000 Sistemi di gestione per la qualità - Requisiti
UNI INAIL Linee guida per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro - Settembre 2001
UNI INAIL Linee guida per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro - Guida operativa - Ottobre 2003
UNI INAIL Linee guida per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro - Manuale del Sistema - Ottobre 2003
UNI EN ISO 19011:2003 Linee guida per gli audit dei sistemi di gestione
431
COM-04
LA FORMAZIONE PER LA QUALITÀ: L’ESPERIENZA
DEL DIPARTIMENTO DELLA PREVENZIONE
DELLA AZIENDA USL 11 DI EMPOLI
P. Del Guerra, C. Mengozzi, P. Pistolesi, M. Valiani
Dipartimento della Prevenzione, Azienda USL 11 Empoli - Regione
Toscana; Empoli (FI)
Corrispondenza: Paolo Del Guerra, Dipartimento di Prevenzione
Azienda USL 11 Empoli, Via Cappuccini, 79, 50053 Empoli (FI), 0571704813 fax 0571-704848, cell. 335-1366247
RIASSUNTO. Il miglioramento della qualità (MQ) è fondamentale
per il SSN. La Regione Toscana sta conducendo un progetto pilota per
promuovere un percorso sul MQ nei Dipartimenti di Prevenzione (DP). Il
DP dell’Azienda USL 11 Empoli ha predisposto un programma formativo propedeutico, nella convinzione che il personale dovrebbe possedere
almeno le conoscenze di base prima di partecipare a progetti di MQ. I responsabili delle strutture del DP hanno partecipato ad una giornata centrata sul loro ruolo nel promuovere e realizzare una cultura di MQ, come
opportunità per un coinvolgimento diretto della stesura del manuale di
qualità del DP e nel miglioramento delle procedure di lavoro.
Tutto il personale è stato invece coinvolto in un corso di due giorni,
che trattava gli aspetti di base del MQ nei sistemi sanitari e l’illustrazione del progetto regionale; veniva anche richiesta la stesura di alcune procedure di lavoro secondo lo schema già in uso nell’azienda USL, da inserire successivamente nel manuale di qualità.
L’obiettivo dell’iniziativa di formazione era di realizzare le condizioni per un miglioramento delle procedure di lavoro attraverso la competenza, l’autonomia e la responsabilità nel lavoro integrato delle varie figure professionali del DP.
Parole chiave: Miglioramento della qualità, servizio sanitario nazionale, prevenzione, formazione
QUALITY
ORIENTED EDUCATION: THE EXPERIENCE OF THE PREVENTION
EMPOLI LOCAL HEALTH COMPANY N 11
ABSTRACT. Quality management (QM) is a key issue for the Italian
National Health System (NHS). Regione Toscana is currently undertaking
a pilot programme to promote QM in Prevention Departments (PD). An
introductory training to such programme was devised in the PD of the
Local Health Unit no.11 Empoli, since the management was persuaded
that all staff should be provided with basic knowledge concerning quality
before being enrolled in QM programmes. Managers in charge of PD
Units were offered a one-day training, focused on their role in promoting
and achieving a QM culture, as an opportunity to be directly involved in
the drafting of the DP quality handbook and in improving working
procedures.
The whole staff took part in a more extensive two-days course,
including the basic concepts about QM in health systems, and the
illustration of the programme in Regione Toscana; they were also asked
to draw up some working procedures according to the draft already used
in the Local Health Unit no.11, to be included in the DP quality
handbook.
The goal of this training programme was to implement a process
capable of improving integrated working procedures through the
competence, autonomy and responsibility of PD professionals.
Key words: Quality management, national health service,
prevention, training
DEPARTMENT OF
INTRODUZIONE
La qualità in medicina del lavoro (MDL) non può prescindere dagli
orientamenti recentemente assunti dal Servizio Sanitario Nazionale
(SSN) (1). Ciò significa organizzarsi per processi, in un’ottica interdisciplinare: non si tratta solo della qualità tecnico-professionale delle prestazioni del medico del lavoro, quanto della qualità complessiva dei processi cui partecipa. Si rendono così più facilmente misurabili gli esiti (prodotti e processi), ed anzi ci si obbliga alla loro valutazione: sarà così possibile organizzarsi secondo percorsi assistenziali, orientati al lavoratore o
alla comunità, più che per singoli prodotti/attività, come sembra invece
432
indirizzarsi, per l’assistenza sanitaria collettiva nell’ambito del SSN, il
Progetto Mattoni del Ministero della Salute e delle Regioni (2-3).
Dal 2005 la Regione Toscana, coniugando varie esperienze locali, ha
avviato un percorso sulla qualità nei Dipartimenti di Prevenzione (DP),
orientato soprattutto al miglioramento della qualità gestionale, producendo un manuale e sviluppando vari aspetti attraverso gruppi di lavoro (4).
Parallelamente partiva il progetto “Prodotti Finiti” per l’analisi delle attività dei DP (ognuna delle quali rappresenta, schematicamente, un “prodotto finito”), inteso a realizzare flussi informativi omogenei e creare “un
rapporto tra efficienza del sistema ed efficacia - soddisfazione dei bisogni” (5). Questi indirizzi sono attualmente in via di integrazione col “Progetto Mattoni” (4).
Il nostro DP dal 2005 ha nominato Referenti Qualità di area, nonché
un Referente per il percorso regionale, andando a costituire un gruppo
qualità, che ha seguito l’evoluzione del progetto, individuando innanzitutto per gli operatori un bisogno formativo propedeutico, nella convinzione che sia necessaria una cultura di base sulla qualità prima di realizzare il progetto regionale.
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sponsabile di struttura - dato che era stata preventivamente accertata una
competenza almeno di base nei sistemi di qualità - sia per gli aspetti tecnico-professionali che organizzativi, focalizzando maggiormente l’attenzione su questi ultimi (come del resto fa l’intero progetto regionale).
Un primo aspetto emergente è la esigenza che della qualità non venga incaricato un gruppo selezionato di operatori, anche su esplicita delega dei responsabili, ma che questi ultimi siano coinvolti, in prima persona ed in modo sistematico, sia nella stesura che nella validazione delle diverse parti del manuale. Un secondo investe i rapporti (quasi inevitabili)
tra il sistema qualità ed il sistema informativo del DP, anche per gli aspetti di budget delle strutture: al proposito è essenziale definire in prospettiva i rapporti tra il sistema qualità del DP ed i progetti nazionali (“Progetto mattoni”) e regionali (“Prodotti finiti”), che investono anche l’ambito
dei ritorni informativi, con la costruzione di nomenclatori per la classificazione e la codifica delle prestazioni e funzioni dell’assistenza sanitaria
collettiva negli ambienti di vita e di lavoro, a partire dai Livelli Essenziali
di Assistenza (non del tutto coincidenti, peraltro); si ricordi inoltre la particolare attenzione dei progetti toscani agli aspetti gestionali (es. dotazione ed allocazione delle risorse).
Per quanto riguarda il secondo corso, il primo dato di rilievo è la formazione comune delle varie professionalità (tab.III), un aspetto che oggi
appare indispensabile in tutto il DP, ma soprattutto per la prevenzione lavorativa: da un’impostazione multidisciplinare non si può oggi prescindere, e ciò vale a maggior ragione per garantire l’efficacia dell’implementazione dei sistemi di qualità.
Le procedure di lavoro, in sostanza un adattamento dei clinical
pathways di ambito ospedaliero (6), rappresentano una traduzione operativa delle linee guida e delle migliori evidenze scientifiche, tenendo conto dei vincoli di razionalizzazione delle risorse disponibili a livello locale. Per la medicina del lavoro, rileva particolarmente la tensione verso la
“Evidence Based Prevention” (EBP), sostenuta anche dall’Istituto Superiore di Sanità, “un movimento di operatori sanitari che cooperano per
cambiare la pratica della prevenzione, sforzandosi di migliorarla al fine
di renderla sempre più utile per la salute della popolazione (che) intende
arricchire la prevenzione di tutti gli interventi per cui - in studi basati su
metodologie scientifiche - è stata dimostrata l’utilità e l’efficacia, e al
MATERIALI E METODI
Sono state programmate due distinte iniziative, in collaborazione con
la struttura aziendale qualità (U.O. Qualità e Gestione Rischio Clinico),
impiegando docenti interni (alcuni dei referenti e il responsabile aziendale qualità) e due consulenti esterni coinvolti nel progetto regionale.
La prima (tab.I) era rivolta ai responsabili di struttura semplice e
complessa, in quanto la qualità non può essere delegata o relegata a piccoli gruppi svincolati dall’operatività: la figura apicale è infatti tra i principali protagonisti nella risposta alla complessità tipica dei sistemi sanitari attuali, che si esprime anche attraverso le metodologie di miglioramento della qualità (1).
Il secondo corso, articolato su due giornate (il programma della prima è mostrato in tab.II), ha coinvolto i restanti operatori.
Mentre la prima giornata, in due distinte edizioni rivolte ciascuna a 75
persone circa, è indirizzata a tutte le strutture indistintamente, per la seconda sono previste state 13 edizioni, articolate secondo per struttura di appartenenza in gruppi di 4/5 persone ciascuno, con la stesura di protocolli/ procedure secondo un adattamento delle procedure del manuale qualità aziendale,
Tabella I. Corso per responsabili di struttura (“Il miglioramento della qualità
schematizzato in fig.1. Gli elaborati sarannei Dipartimenti della Prevenzione: il ruolo dei responsabili di struttura”)
no poi rivisti in un secondo momento da
piccoli gruppi multiprofessionali per l’inserimento nel manuale qualità.
Per la MDL sono state scelti per il lavoro multidisciplinare i seguenti protocolli/procedure: 1-inchiesta per malattia
professionale; 2-inchiesta per infortunio
sul lavoro; 3-sopralluogo in cantiere ediTabella II. Prima giornata del corso di base per tutti gli operatori (“Il miglioramento della qualità
le; 4-campionamento ambientale di polnei Dipartimenti della Prevenzione: elementi di base”)
veri (frazione respirabile per silice libera
cristallina); 5-monitoraggio biologico
(analisi schede di sicurezza, scelta sostanza o metabolita, individuazione procedure specifiche; analisi e diffusione dei
risultati); 6-atti di polizia giudiziaria (foglio di prescrizione, sequestro, verbale
accertamenti e rilievi, informazioni da
persona informata sui fatti).
Gli operatori dell’area hanno anche
partecipato a gruppi su argomenti trasversali alle strutture del DP (riunione di
servizio; comunicazione interna alla
Tabella II. Prima giornata del corso di base per tutti gli operatori (“Il miglioramento della qualità
struttura di appartenenza e tra strutture).
nei Dipartimenti della Prevenzione: elementi di base”)
Parallelamente è stata condotta una
iniziativa sulla comunicazione interna
al DP.
RISULTATI E DISCUSSIONE
L’iniziativa di formazione ha coinvolto 152 operatori della diverse qualifiche (tab.III).
Nel corso della prima iniziativa è
stato discusso soprattutto il ruolo del re-
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433
È anche con questa logica di razionalizzazione e di ricerca di efficacia che si è
lavorato alla stesura dei 6 protocolli/procedure di lavoro multidisciplinari. Quando già esistenti (es. sopralluogo in cantiere edile, atti di P.G.), sia pure sotto altra
forma, si è lavorato alla loro revisione e
all’inquadramento secondo lo schema
previsto dal manuale di qualità aziendale
(fig.1). Questo si dimostra una guida pratica e duttile per il lavoro, sia pure in una
forma preliminare di esercitazione: i materiali ottenuti saranno in ogni caso riveduti dai gruppi incaricati delle singole attività per una validazione definitiva, con
l’inserimento nel manuale del DP.
Il manuale di qualità del DP può in
questo modo coniugare le indicazioni regionali sulla sua strutturazione (8) con le
linee già sviluppate a livello aziendale
nell’ambito dell’accreditamento istituzionale, e finora non attuate dal DP in
quanto non soggetto alla normativa specifica (9-10), realizzando un strumento
che abbia valenza non solo formale, ma
operativa, e migliorando l’integrazione
ed il coordinamento del DP con la restante realtà dell’azienda sanitaria.
Il coinvolgimento di tutti gli operatori,
nella doppia accezione di produttori e fruitori del sistema di qualità, consente di trasformare il manuale qualità in uno strumento operativo e di garanzia, che contiene
un sistema di regole e procedure validate,
cui riferirsi quotidianamente, che viene rivisto e aggiornato, in base sia a miglioramenti organizzativi sia a nuove necessità/attività, sia secondo le indicazioni degli
stessi operatori (8). Questi vengono così
portati a richiedere e fornire qualità al sistema, con una ricaduta prevedibilmente positiva anche sul benessere organizzativo, sulFigura 1. Schema di procedura del manuale di qualità aziendale, adattato alle attività del DP
le dinamiche comunicative, e con una maggiore attenzione ai fattori psico-sociali.
Sono state perciò avviate, prima del
Tabella III. Personale formato nel DP nel corso delle due iniziative
corso, iniziative pilota sulla qualità percepita dagli operatori, che hanno esplorato la
comunicazione interna alle strutture, fornendo anche indicazioni utili di miglioramento; per la comunicazione esterna (di tipo sociale/istituzionale) sono necessari invece approfondimenti per individuare l’utente finale di ciascun processo (P.A., lavoratore, paziente…) e le relative modalità,
che non si limitino alla mera reportistica di
attività o descrizione di alcuni fenomeni rilevanti (ad esempio, andamento degli infortuni; violazioni alle norme di prevenzione).
La nostra iniziativa rappresenta ancora un esercizio soprattutto didattico, che
può creare aspettative di miglioramento
che possono essere in parte disattese, incrementando così fenomeni altrimenti fisiologici di resistenza all’impianto
contempo intende eliminare progressivamente tutte quelle pratiche di
di un sistema di qualità. Da qui la necessità di un impegno di governance per
prevenzione per cui è stata dimostrata l’inutilità o l’inefficacia. Poiché alproseguire il lavoro sul manuale subito dopo il completamento del corso.
cune delle pratiche inefficaci sono ancora obbligatorie per legge, l’iniziaVa sottolineata anche l’attenzione al raccordo col sistema qualità
tiva EBP intende anche adeguare l’attuale normativa alle attuali conoaziendale, sia attraverso le docenze sia attraverso l’uso dello schema
scenze scientifiche” (7). In realtà, come si può vedere dall’esame sia dalaziendale di procedura, criticità evidenziata anche dalle indicazioni della
le schede del Progetto Mattoni che dalle flow-charts dei Prodotti Finiti,
Regione Toscana, in quanto i due percorsi qualità (quello del DP e quelbuona parte del lavoro del DP, ed in particolare della MDL, non risulta aflo aziendale) sono partiti con modalità e tempi diversi. Un aspetto che va
fatto di “provata efficacia” nel senso della EBP, ma è in ogni caso obblisenz’altro affrontato, con la collaborazione proprio di questa struttura, è
gatorio in forza di disposizioni di legge o di altri vincoli (esempio indila questione del rischio in MDL - se non come rischio clinico in senso
cazioni regionali).
434
proprio -, dove sia nella pratica pubblica che libero-professionale il tema
del rischio tecnico-professionale appare inadeguatamente trattato. Si deve infatti arrivare ad evidenziare quegli errori organizzativi che rappresentano situazioni predisponenti all’errore, qualunque sia la persona che
realizza uno specifico compito (11), per i quali impiantare un sistema di
qualità efficace può rappresentare di per sé una risposta. Occorre poi evitare la c.d. “sindrome del sistema vulnerabile”, per cui gli operatori di prima linea (medici e tecnici della prevenzione) possono venire colpevolizzati (o addirittura sottoposti ad azioni giudiziarie), magari negando la
possibilità di errori nelle scelte del management: in merito si può fare riferimento al modello teorico della c.d. affidabilità, che presuppone una
analisi degli errori attivi e degli errori latenti (12).
Tra le criticità emerse nell’esposizione del progetto regionale si può
citare qui il modello di verifica, che resta ancora non definito: l’ipotesi da
noi privilegiata è un sistema di accreditamento simile a quanto sperimentato per le strutture sanitarie pubbliche e private (10).
Va infine citata come importante riferimento per lavori sulla qualità
nei DP l’esperienza della Regione Marche (13), che, prima nel SSN, ha
avviato un percorso sin dal 1999, producendo un set di processi ed indicatori e un manuale qualità, con un sistema di verifica incrociata a tipo
peer review - percorso confermato con L.R. 13/03.
BIBLIOGRAFIA
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2. Ministero della Salute. II evento mattoni SSN. Roma, 9.5.07.
www.vdanet.it.
3) Mattoni del Servizio Sanitario nazionale. Mattone 15. Assistenza
collettiva. www.vdanet.it.
4) Petrioli G. Progetto per il miglioramento della qualità nei Dipartimenti di Prevenzione. Atti seminario “Progetto regionale La qualità
nei Dipartimenti di Prevenzione”; Agenzia Regionale di Sanità, Firenze 3.7.07 https://159.213.57.198/dipprev/.
5) Franco F. Prodotti finiti nel Dipartimento di Prevenzione. Un progetto di
area vasta. Giugno 2005. www.salute.toscana.it/prevenzione/franco.ppt.
6) Pearsons D., Goulart Fischer D., Lee T.H. Critical pathways as a strategy for improving care: problems and potential. Ann Int Med 123:
941-8, 1995
7) http://www.epicentro.iss.it/ebp/ebp.asp
8) Tonelli S. (a cura di). Manuale di qualità in funzione del sistema gestione qualità. Atti seminario “Progetto regionale La qualità nei Dipartimenti di Prevenzione”; Agenzia Regionale di Sanità, Firenze;
3.7.07. https://159.213.57.198/dipprev/.
9) L.R.23 febbraio 1999, n.8 “norme in materia di requisiti strutturali,
tecnologici ed organizzativi delle strutture sanitarie: autorizzazione e
procedura di accreditamento”. BURT n.42 del 2.11.04.
10) Deliberazione Consiglio Regionale n.221 del 26.7.99 “Requisiti
strutturali, tecnologici ed organizzativi delle strutture pubbliche e
private per l’esercizio delle attività sanitarie”. In: BURT n.36
dell’8.9.99.
11) Catino M. Errori organizzativi. Oltre la cultura della colpa. Urbino.
5 maggio 2007; 1-12.
12) Tartaglia R., Bagnara S., Tomassini C.R. La prevenzione degli errori in medicina. In (Bagnara S e Tartaglia R. eds.) Ergonomia e ospedale. Valutazione, progettazione e gestione di ambienti, organizzazioni, strumenti e servizi,. Milano, Ed. Il Sole 24 Ore, 2002; 234-45.
13) www.marcheinsalute.it.
COM-05
UN INTERVENTO DI PREVENZIONE INTEGRATA PER LA
GESTIONE DI UN OPERATORE SSUEM118 CON DISTURBI
UDITIVI
J. Gilardi1, R. Latocca2, G. Boffi2, M. D’Orso3, GC. Cesana3
1Università
Milano Bicocca. Dipartimento Medicina Clinica e
Prevenzione. Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro.
2Unità medicina occupazionale e ambientale. Azienda Ospedaliera San
Gerardo di Monza.
3Università Milano Bicocca. Dipartimento Medicina Clinica e
Prevenzione.
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www.gimle.fsm.it
Corrispondenza: Juva Gilardi, [email protected], Università
Milano Bicocca. Dipartimento Medicina Clinica e Prevenzione, Scuola di
Specializzazione in Medicina del Lavoro, Via Pergolesi, 33 - 20052
Monza (MI)
RIASSUNTO. Il rischio da rumore in ospedale riveste un ruolo marginale, ci sono però aree, fra le quali l’SSUEm118, che hanno un rumore di
fondo non trascurabile. In questo contesto si pone l’esigenza di non sottovalutare condizioni di ipoacusia anche minima. A causa dell’interferenza
acustica e della peculiarità della mansione, che prevede una funzione uditiva bilaterale adeguata, gli operatori 118 possono incorrere in errori di
comprensione, come nel caso in esame. Per tale motivo è stata effettuata la
valutazione clinica del lavoratore con audiometria tonale e prova vocale
che hanno rilevato una lieve ipoacusia monolaterale di tipo misto con buona risposta vocale. La rumorosità del SSUEm118 è inferiore alla soglia di
rischio stabilita da D.Lgs 195/06, il valore NR è paragonabile ad ambienti
tipo ufficio e la distanza alla quale è possibile comunicare in modo soddisfacente è appropriata. Il presente studio introduce un approccio metodologico multidisciplinare che permette di definire interventi di prevenzione e
protezione tecnici e organizzativi e di intraprendere provvedimenti sanitari
(audiometria in assunzione ed eventuale giudizio di non idoneità). Per il caso specifico le indicazioni fornite al responsabile SSUEm118 hanno consentito un buon riposizionamento del lavoratore nella propria mansione.
Parole chiave: esposizione a rumore, noise rating, interferenza acustica.
An integrated prevention intervention for the management of
SSUEM118 operator with hearing loss
ABSTRACT. Noise risk is moderate in hospital but there are some
areas, as SSUEm118, where the background noise is not negligible. In this
context it is important not to underestimate hearing loss even minimal,
because the noise interference can cause errors of understanding, as the
case in exam: an operator 118. The clinical assessment of this worker with
liminar tonal audiometry and vocal audiometry revealed a mild unilateral
mixed hearing loss with good voice response. The equivalent sound pressure
level (Leq) throughout the SSUEm118 area is under the first attention level,
the index NR is comparable to office type environments and the distance
between speaker and listener for satisfactory face-to-face communication is
suitable. The present study proposes a multi-multidisciplinary approach to
define prevention and protection measures and health surveillance plan with
audiometric testing and possible judgment of the unfitness to specific work.
For this specific case advices given to SSUEm118 administrator allowed a
good repositioning of the worker.
Key words: Hearing damage, noise exposure, noise rating, speech
interference level.
INTRODUZIONE
Nonostante la struttura ospedaliera sia un ambiente lavorativo a rumorosità contenuta [1], al proprio interno esistono aree, fra le quali si segnala l’SSUEm118, con rumore di fondo non trascurabile a causa dell’organizzazione del lavoro e della tipologia dell’attività [2]. In questo
contesto si pone l’esigenza di non trascurare il rischio legato all’interferenza del rumore di fondo che può avere un impatto negativo anche sui
lavoratori normoudenti, ma soprattutto su quelli che presentano una lesione uditiva seppure minima.
La letteratura scientifica riporta numerosi studi, con risultati tra loro
discordanti, sul rischio uditivo provocato da rumore negli addetti che impiegano dispositivi di ricezione quali cornette, cuffie e auricolari[3-7].
Tali valutazioni si riferiscono principalmente agli addetti ai call center e
nessuna agli operatori 118, dove l’interferenza acustica è determinata dalla voce degli addetti, dalla presenza di un maggior numero di lavoratori
durante i cambi del turno, dai telefoni e dal mancato confinamento delle
sorgenti sonore (server non isolato).
La specificità della mansione di operatore 118 richiede una funzione
uditiva bilaterale adeguata che gli consenta di comunicare con l’utenza
mediante una cuffia monolaterale e contemporaneamente di interagire
con gli altri addetti presenti per predisporre l’invio di mezzi di soccorso,
in base alla disponibilità sul territorio. Si sottolinea perciò la necessità di
valutare la funzione uditiva nei soggetti addetti a tale area.
In particolare il presente studio, nato da una collaborazione tra l’Azienda ospedaliera San Gerardo di Monza (Mi) e l’Università di MilanoBicocca, propone un approccio preventivo e protettivo multidisciplinare
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che coinvolge diverse figure professionali per la definizione di un percorso di riposizionamento nella mansione specifica, per gli operatori del
SSUEm118 che presentano una lieve lesione uditiva.
METODI
Il responsabile SSUEm118 ha segnalato all’Unità Medicina Occupazionale e Ambientale Ospedaliera un errore di comprensione di informazioni da parte di un operatore infermieristico durante la comunicazione
con un secondo operatore. Inizialmente è stata effettuata la valutazione
clinica del lavoratore: anamnesi lavorativa, fisiologica e patologica volta
a rilevare la presenza di fattori di rischio, malattie pregresse, eventuali interventi chirurgici e farmaci assunti in grado di provocare danni al sistema uditivo; esame otoscopico per valutare l’integrità della membrana
timpanica e del condotto uditivo esterno; audiometria tonale liminare in
cabina silente per determinare la soglia uditiva [8]. Successivamente è
stato effettuato il sopraluogo nell’ambiente lavorativo collocato al primo
piano sotterraneo dell’ospedale San Gerardo (figura 1). La centrale operativa presenta nella parte centrale un tavolo semicircolare con tre postazioni lavorative, distanti circa 1 metro, costituite da videoterminale e cuffia monolaterale con microfono. Le sorgenti sonore, che possono provocare problemi di interferenza acustica sono il megaschermo, collocato davanti alle postazioni e dal server non isolato posto al suo fianco.
Sono state effettuate nell’SSUEm118 le misure fonometriche durante tutti i turni lavorativi per la valutazione del livello equivalente (Leq) e
della pressione acustica di picco. Si è effettuata una serie di misurazioni
del livello di pressione sonora ponderato secondo le curve A e C per la
durata di 24 ore. Il fonometro è stato posizionato tra il tavolo semicircolare e il megaschermo a circa 1,5 metri dal pavimento e alla distanza minima di 1 metro da ogni altra superficie riflettente [9,10].
Per valutare qualitativamente il clima acustico all’interno del SSSUEm118 è stato utilizzato il criterio Noise Rating (NR): si confronta il
tracciato dello spettro di frequenza del rumore in esame, filtrato in bande
d’ottava, con il diagramma delle curve NR sviluppato dall’ISO e il valore così determinato viene comparato con gli indici di accettabilità per tipo di ambiente lavorativo, stabiliti dal metodo ISO R 1996 [11].
Per stabilire la soddisfacente comprensione della comunicazione verbale in funzione della distanza tra gli interlocutori si è utilizzato il metodo
LCCV (livello di comprensione della comunicazione verbale). La stima,
in base al suddetto criterio, viene effettuata a partire dalla determinazione
del livello di interferenza verbale (SIL: Speech Interference Level), calcolato come media aritmetica del livello di pressione sonora in banda d’ottava per le frequenze 500, 1000, 2000, 4000 Hz. La distanza alla quale è
possibile comunicare in modo soddisfacente in presenza di rumore viene
determinata riportando i valori SIL nello specifico diagramma [12-14].
Per determinare la capacità di comprendere un messaggio verbale e
verificare quanto la perdita uditiva incida realmente sulle possibilità comunicative è stata effettuata l’audiometria vocale in cabina silente, richiesta da specialista otorinolaringoiatra. Il risultato indica la percentuale di parole o frasi correttamente riconosciute e ripetute alle diverse intensità di presentazione. La perdita uditiva è misurata valutando lo spostamento della curva dell’individuo ipoacusico rispetto a quella normale: tanto
Figura 1. Planimetria SSUEm118
maggiore è il deficit uditivo quanto più la curva di intelligibilità è spostata verso destra rispetto alla curva normale. La prova vocale è stata ripetuta in campo libero utilizzando una interferenza acustica del valore
NR ottenuto, in modo da riproporre la realtà della situazione lavorativa.
RISULTATI
Il lavoratore ha sempre svolto la professione di infermiere e da circa
1 anno lavora presso l’SSUEm118. Alla visita di assunzione, svoltasi nel
2006, egli presentava un quadro di lieve ipoacusia di tipo misto prevalentemente trasmissiva monolaterale da pregresso colesteatoma sottopo-
Figura 2. Esame audiometrico tonale
Figura 3. Prova vocale
Figura 4. Spettro acustico e relativo SIL alle ore 16:00
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Le misure adottate possono essere di
tipo organizzativo: limitare l’afflusso di
persone nella centrale operativa durante
il cambio del turno, confinare le sorgenti
rumorose, programmare i turni e le posizioni degli operatori. Nel caso studiato il
lavoratore è stato collocato nella postazione lavorativa centrale per facilitare la
comunicazione con i colleghi.
Gli interventi di tipo tecnico comprendono la comunicazione non verbale
tra operatori tramite rete informatica, anche se possono creare problemi di velocità nella trasmissione delle informazioni.
Tabella II. Livello di interferenza verbale in determinati momenti della giornata
Possono essere intrapresi provvedimenti di tipo sanitario che prevedono l’esame audiometrico in fase di assunzione
ed eventualmente un giudizio di non idoneità alla mansione specifica se il lavoratore presenta una ipoacusia neurosensoriale monolaterale o bilaterale tale da impedire la comunicazione verbale in funzione del livello di interferenza acustica nell’ambiente in cui dovrà svolgere l’attività.
Per il caso specifico le indicazioni organizzative e tecniche fornite al
responsabile del SSUEm118 hanno permesso un buon riposizionamento
del lavoratore nella propria mansione.
L’esperienza maturata ci ha permesso di reperire indicazioni utili ai
fini dell’organizzazione della nuova centrale operativa 118 Brianza attivata presso l’ospedale San Gerardo di Monza da ottobre 2007.
Tabella I. Metodo ISO R 1996. Valori dell’indice NR per diversi ambienti
Figura 5. Distanza di comunicazione in funzione del SIL
sto a cofochirurgia nel 1993 e nell’ultimo controllo del 2003 non presentava recidive. Alla visita di controllo il lavoratore non ha riferito disturbi
uditivi soggettivi e acufeni. L’esame otoscopio non ha mostrato presenza
di lesioni o alterazioni del condotto uditivo esterno e del timpano.
L’esame audiometrico tonale ha evidenziato un quadro di lieve ipoacusia mista prevalentemente di tipo trasmissivo pantonale monolaterale destro
(figura 2) [8]. Le prove vocali hanno fornito una risposta più che soddisfacente e una buona riserva cocleare a carico dell’orecchio operato (figura
3).La rumorosità è risultata ampiamente al di sotto della soglia di rischio
stabilita dal D.Lgs 195/06, con un Leq di 60,8 dB(A) e una pressione acustica di picco di 124,9 dB(C) [9]. L’analisi in frequenza su tutti i turni lavorativi ha evidenziato oscillazioni del Leq con lievi aumenti nelle prime
ore mattutine, nel pomeriggio e in serata (figura 4) e lievi riduzioni durante la notte.
Il livello NR, che risulta ricalcare l’andamento della giornata, è per
la maggior parte del tempo paragonabile a valori indicati per ambienti tipo ufficio (tabella I) [11].
Per la determinazione della distanza alla quale è possibile comunicare in modo adeguato, sono stati considerati gli spettri acustici in terzi
d’ottava in determinati momenti della giornata, in particolare quello con
Leq più alto alle ore 16:00 e quello più basso intorno alle 5:30.I valori
SIL così calcolati indicano che la distanza varia tra 2,10 e 4,40 metri (figura 5) [12].
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Negli operatori 118 non si può trascurare nessuna condizione di
ipoacusia anche se di lieve entità. A causa della peculiarità della mansione, che prevede una funzione uditiva bilaterale adeguata, e dell’interferenza del rumore di fondo nell’ambiente lavorativo, essi possono
incorrere in errori di comprensione. Per tale motivo è necessario intraprendere un approccio metodologico multidisciplinare, che coinvolga
medici e tecnici, al fine di individuare interventi di prevenzione e protezione adeguati.
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437
SESSIONE
CLINICA DEL LAVORO
COM-01
RABDOMIOLISI IN OPERAIO ESPOSTO AD OLII MINERALI
PARAFFINICI. INSOLITA ASSOCIAZIONE CON BRONCHIOLITE
OBLITERANTE E POLMONITE ORGANIZZATIVA (BOOP)
G. Ragno1, G. Brunetti2, F. Scafa1, 3, M. Scelsi4, V. Martellosio1,
S.M. Candura1, 3
1Scuola
di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Pavia
2Unità Operativa di Pneumologia Riabilitativa, 3Unità Operativa di
Medicina del Lavoro, 4Servizio di Anatomia Patologica e
Citodiagnostica, Fondazione Salvatore Maugeri, Clinica del Lavoro e
della Riabilitazione, IRCCS, Istituto Scientifico di Pavia
Corrispondenza: Prof. Stefano M. Candura - UO Medicina del Lavoro,
Fondazione Salvatore Maugeri, Via Maugeri, 10 - 27100 Pavia - E-mail:
[email protected]
RIASSUNTO. Descriviamo un lavoratore di 29 anni, esposto a polveri metalliche, segatura di legno ed olii minerali paraffinici in una ditta
produttrice di accessori per pelletteria e abbigliamento, giunto all’osservazione con febbre (39°C), dolore toracico e notevole aumento degli enzimi muscolari. Lo studio tomografico computerizzato del torace dimostrava la presenza di due aree di addensamento polmonare, apparse aumentate (con escavazione centrale) a un
successivo controllo. L’esame bioptico
del polmone deponeva per una BOOP. Il
caso è stato segnalato alle autorità competenti come probabile miopatia tossica
professionale. Infatti, l’esposizione ad
olii minerali paraffinici è una nota, benché rara, causa di rabdomiolisi. L’associazione con BOOP non è mai stata in
precedenza descritta.
Parole chiave: miopatia, pneumopatia interstiziale, olii minerali.
RHABDOMYOLYSIS
DESCRIZIONE DEL CASO
Nell’agosto 2006 è giunto alla nostra osservazione un operaio di 29
anni, fumatore, dipendente di una ditta produttrice di fibbie, borchie, maniglie ed altri accessori per pelletteria ed abbigliamento. Il soggetto giungeva all’osservazione clinica per addominalgie localizzate prevalentemente ai quadranti addominali di sinistra, febbre (39°C) e dolore acuto all’emitorace di sinistra. Dall’anamnesi lavorativa emergeva esposizione
inalatoria (dall’età di 14 anni) a polveri metalliche, polveri di segatura ed
olii minerali paraffinici. Gli esami di laboratorio evidenziavano notevole
aumento degli enzimi muscolari (CPK: 6797 U/L; GOT: 175 U/L; GPT:
77U/L; LDH:1060 U/L) e modesta leucocitosi con alterazione degli indici di flogosi.
Le indagini radiografiche eseguite in urgenza documentavano normalità del quadro polmonare. Una successiva radiografia del torace, ese-
IN A WORKER EXPOSED
TO PARAFFINIC MINERAL OILS.
ASSOCIATION
INTRODUZIONE
La rabdomiolisi consiste nella necrosi del muscolo striato con rilascio ematico di enzimi intracellulari. Essa può essere dovuta a diverse
cause tra cui eventi traumatici, eccessiva attività muscolare, autoimmunità, infezioni virali o batteriche, assunzione di farmaci e, raramente,
agenti chimici industriali (1, 2).
La bronchiolite obliterante con polmonite organizzativa (BOOP) è
un’entità clinico-patologica caratterizzata da flogosi del polmone profondo con presenza di tessuto fibroso all’interno dei bronchioli respiratori e
dei dotti alveolari. Nella più recente classificazione delle pneumopatie interstiziali idiopatiche è stata ridenominata criptogenic organizing pneumonia (COP), se di eziologia sconosciuta, o organizing pneumonia (OP)
quando sia identificabile una causa (farmaci, infezioni, radiazioni, agenti
chimici, malattie del collagene). La OP presenta quattro quadri radiotomografici distinti: opacità multiple, opacità interstiziali bilaterali, addensamento localizzato, masse o noduli di grandi dimensioni. Il gold standard diagnostico è l’esame istologico (3).
WITH
UNUSUAL
BRONCHIOLITIS
OBLITERANS AND ORGANIZING PNEUMONIA
(BOOP)
ABSTRACT. We describe a 29-yearold worker, exposed to metal dust,
sawdust and paraffinic mineral oils in a
factory producing accessories for leather
articles and clothing, who came to
observation with fever (39°C), chest pain
and marked increase of muscular
enzymes. Chest computed tomography
showed two areas of lung consolidation,
that subsequently appeared enlarged
with central escavation. Lung biopsy
lead to the diagnosis of BOOP. The case
has been reported to the judicial and
workers’ compensation authorities as
probable occupational toxic myopathy.
Indeed, exposure to paraffinic mineral
oils is a known, though unusual, cause of
rhabdomyolysis. The association with
BOOP has never been previously
described.
Key words: myopathy, interstitial
pneumopathy, mineral oils.
Figura 1. Tomografia computerizzata (TC) del torace che evidenzia la presenza di un addensamento
parenchimale subpleurico a destra (A). Nello stesso esame, una sezione più caudale (B) dimostra
la presenza di un addensamento parenchimale subcentimetrico a sinistra
Figura 2. Ricostruzione in sezione frontale di esame TC che mostra incremento volumetrico con
escavazione centrale delle lesioni evidenziate nella figura 1 (A). Normalizzazione del quadro
tomografico polmonare a quattro mesi (B)
438
guita per la comparsa di tosse stizzosa e riduzione del murmure vescicolare alla base sinistra, mostrava versamento pleurico basale sinistro con
fine marezzatura del parenchima polmonare basale adiacente. Una tomografia computerizzata (TC) del torace dimostrava la presenza di un addensamento subpleurico a destra (fig. 1A) e di una lesione subcentimetrica polmonare a sinistra (fig. 1B).
Il quadro enzimatico muscolare si normalizzava nell’arco di una settimana, mentre persistevano febbre e dolore all’emitorace sinistro. Il paziente era sottoposto a broncoscopia con biopsia e lavaggio broncoalveolare (BAL). Questo esame evidenziava sedimenti composti da leucociti e
macrofagi con citoplasma pigmentato e, in misura minore, microvacuolizzato, contenenti materiale antracotico (reperto normale per un soggetto fumatore). Una nuova TC evidenziava incremento volumetrico delle
lesioni parenchimali e comparsa di un’escavazione centrale nelle stesse
(fig. 2A). Il paziente era quindi sottoposto a videotoracoscopia con resezione polmonare atipica. L’esame istologico deponeva per una BOOP,
escludendo altre ipotesi diagnostiche. Gli accertamenti colturali per flora
micetica, schizomicetica e per micobatteri risultavano negativi. Il quadro
polmonare regrediva successivamente nell’arco di quattro mesi (fig. 2B).
DISCUSSIONE
Il caso è stato segnalato alle Autorità competenti (Procura della Repubblica, ASL, Ispettorato del Lavoro, INAIL) come probabile miopatia
tossica professionale. Infatti, l’esposizione ad olii minerali paraffinici è
una nota, benché rara, causa di rabdomiolisi (2).
La definizione del concomitante quadro polmonare ha posto notevoli difficoltà diagnostico differenziali e ha richiesto un approccio multidisciplinare, con coinvolgimento del radiologo, dello pneumologo e dell’anatomo-patologo. Si è reso necessario eseguire una broncoscopia con
biopsia e BAL per escludere una possibile alveolite allergica estrinseca.
Tra le pneumopatie da ipersensibilità rientra infatti il cosiddetto “polmone dell’operatore di macchine”, la cui insorgenza è dovuta alla esposizione a fluido lubrificante contaminato con antigeni di microrganismi (4).
L’esame istopatologico ha permesso inoltre di escludere una possibile
polmonite lipoidea da inalazione, mentre gli esami microbiologici hanno
escluso un’eziologia infettiva. Alla luce dei dati complessivamente raccolti si è quindi giunti alla diagnosi di BOOP.
Nonostante l’inalazione di sostanze chimiche possa causare pneumopatie interstiziali (3), l’associazione di rabdomiolisi tossica con BOOP
non è mai stata in precedenza descritta. Per quest’ultima, sempre nuove
sostanze sono chiamate in causa come agenti eziologici. Tipici esempi
sono la toxic oil syndrome (5) e alcuni casi osservati nell’industria tessile (6, 7). Nel paziente descritto non è stato possibile stabilire con certezza se la patologia polmonare fosse stata causata dall’inalazione delle sostanze presenti nel luogo di lavoro. È opportuno comunque richiamare
l’importanza della protezione respiratoria dei lavoratori esposti a sostanze chimiche. Essa deve essere garantita dal rispetto della normativa vigente, dall’uso di dispositivi individuali di protezione (DPI) adeguati e da
un efficace impianto di aspirazione delle sostanze aerodisperse.
BIBLIOGRAFIA
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COM-02
ESPOSIZIONE PROFESSIONALE E GRAVITÀ DELLO SCOMPENSO
CARDIACO CRONICO
D. Beltrame*, N. Lo Cascio*, D. Miotto, CE. Mapp,
E. De Rosa, P. Boschetto
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sezione di Igiene e
Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Ferrara, Ferrara.
* D. Beltrame e N. Lo Cascio hanno contribuito in egual misura allo
svolgimento di questo lavoro.
Corrispondenza: Piera Boschetto, Indirizzo di posta elettronica:
[email protected], Telefono 0532-455565, Fax 0532-205066
RIASSUNTO. Lo scompenso cardiaco cronico (SCC) è una patologia caratterizzata dall’incapacità del muscolo cardiaco di apportare all’organismo una quantità di sangue adeguata ai bisogni metabolici e circolatori. I principali fattori di rischio per l’insorgenza dello SCC sono:
ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia, obesità, fumo, malattie renali croniche.
È noto che alcune esposizioni lavorative, quali temperature estremamente elevate o troppo basse, prolungata esposizione a rumore, vibrazioni, pesticidi, ecc, possono contribuire all’eziologia di questa patologia.
Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare se l’esposizione
professionale può influire sulla gravità dello SCC.
Abbiamo condotto un’analisi retrospettiva sui primi 76 soggetti
fumatori di età superiore ai 65 anni, che si sono presentati al Centro
dello Scompenso che sono risultati affetti da SCC. I pazienti sono stati divisi in quattro gruppi in base alle mansioni lavorative svolte: impiegati, agricoltori, metalmeccanici e soggetti con esposizioni professionali diverse (parrucchiera, fuochista, muratore, ecc.). I nostri risultati hanno evidenziato che gli agricoltori hanno una frazione di
eiezione del ventricolo sinistro minore rispetto agli impiegati
(p=0.0045) pur non essendoci differenza di classe NYHA e/o di presenza/assenza dei fattori di rischio dello SCC. Questi dati suggeriscono pertanto che la mansione di agricoltore si associa ad una maggiore gravità dello SCC.
Parole chiave: scompenso cardiaco, esposizione lavorativa
OCCUPATIONAL EXPOSURE AND CHRONIC HEART FAILURE SEVERITY
ABSTRACT. Chronic heart failure (CHF) is characterized by the
inability of the heart to supply the body with sufficient amount of blood
for metabolic and circulatory needs. The main risk factors for CHF
development are: hypertension, type 2 diabetes, obesity, smoking, chronic
kidney diseases. Many occupational exposures, such as extremes of heat
or cold temperatures, prolonged exposure to noise, vibrations, pesticides,
can contribute to etiology of this disease.
The aim of our study was to evaluate if work can affect CHF severity.
We analyzed retrospectively the first 76 smokers aged over 65 years
who presented to the outpatient Clinic of Chronic Heart Failure. The
patients were divided in 4 groups based on their previous job: whitecollars, farmers, steelworkers and subjects performing different
occupational activities (hairdressers, firemen, masons). Our results
showed that farmers had a reduced left ventricular ejection fraction
compared with white-collars (p=0.0045) although NYHA class and the
presence/absence of CHF risk factors were not different between the two
groups. This data suggests that the farmer job could be associated with
the severity of CHF.
Key words: chronic heart failure, occupational exposure
INTRODUZIONE
Lo scompenso cardiaco cronico (SCC) è una sindrome clinica dovuta a disfunzione miocardica caratterizzata da diminuzione della gittata
cardiaca e quindi della perfusione sistemica [1]. Esso rappresenta lo stadio finale di numerose patologie cardiovascolari. La prevalenza dello
scompenso cardiaco cresce notevolmente con l’aumentare dell’età, costituisce infatti la maggior causa di ospedalizzazione per la popolazione sopra i 65 anni. Questa patologia determina inoltre un peggioramento della
qualità di vita e delle capacità lavorative [2].
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I principali fattori di rischio per l’insorgenza dello SCC sono rappresentati da ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia, obesità, fumo, malattie renali croniche [3] [4] [5].
Alcune esposizioni lavorative possono contribuire all’eziologia di
questa malattia o concorrere al suo aggravamento. Le temperature
estremamente elevate (fonderia, industria mineraria) o troppo basse (industria della surgelazione, attività in ambiente esterno in climi freddi
come i maestri di sci) sembrano essere correlate ad un aumentato rischio cardiovascolare [6] [7] [8] [9]. La prolungata esposizione a rumore a livelli superiori a 80 Db può causare un significativo aumento
della pressione arteriosa, fattore di rischio per le patologie cardiovascolari [6] [10]. Le vibrazioni, sia limitate ad una parte del corpo che generalizzate, provocano effetti sul sistema cardiovascolare attraverso il
danneggiamento dell’intima delle arterie [6] [11]. Inoltre l’esposizione
a sostanze chimiche, ad alcuni solventi, a piombo, cobalto, arsenico, a
pesticidi (tra cui i pesticidi arsenicali usati in viticoltura), a campi elettromagnetici, radiazioni, stress psicofisico, rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di patologie cardiovascolari [6] [12]. La funzionalità globale del ventricolo può essere misurata attraverso un esame
ecocardiografico e la frazione di eiezione del ventricolo sinistro sembra
essere l’indice clinicamente più significativo [13] [14]. Lo scopo del
nostro studio è stato quello di valutare se attività lavorative diverse, che
comportano quindi esposizioni ad agenti di rischio diversi, possano influire sulla gravità dello SCC.
MATERIALI E METODI
Abbiamo condotto un’analisi retrospettiva sui primi 76 soggetti
fumatori di età superiore ai 65 anni con prima diagnosi di SCC reclutati dal Centro dello Scompenso Cardiaco dell’Arcispedale Sant’Anna
di Ferrara. I soggetti sono stati divisi in quattro gruppi in base alle
mansioni lavorative svolte: il primo gruppo (n= 21) era costituito da
impiegati (gruppo di controllo), il secondo (n= 14) da agricoltori, il terzo (n= 13) da metalmeccanici ed il quarto gruppo (n= 28) raggruppava
soggetti che avevano svolto attività lavorative diverse (parrucchiera,
fuochista, muratore, ecc.). I soggetti sono stati sottoposti ad anamnesi
lavorativa e visita medica e di ciascuno di essi sono state raccolte le seguenti informazioni: età, sesso, storia di fumo (pack years ed anni di
ex fumo nel caso di ex fumatori), gravità dello scompenso cardiaco secondo la classificazione NYHA (New York Heart Association), valori
delle prove di funzionalità respiratoria con test di reversibilità al broncodilatatore e costante di diffusione polmonare del monossido di carbonio, valori delle indagini ecocardiografiche (frazione di eiezione,
diametro telediastolico e telesistolico e volume telediastolico e telesistolico del ventricolo sinistro). Queste ultime sono state effettuate
sempre dallo stesso operatore.
RISULTATI
I 4 gruppi studiati non sono risultati diversi per età e/o storia di fumo. Su 76 soggetti: 68 erano ex fumatori e 8 fumatori correnti. Le principali professioni riscontate nei 76 soggetti oggetto dello studio sono state attività varie quali parrucchiera, fuochista, muratore, ecc (28), impiegato (21), agricoltore (14) e metalmeccanico (13). Questi gruppi non presentavano differenze per fattori di rischio di insorgenza dello SCC quali
ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia, obesità, malattie renali croniche.
Gli agricoltori presentavano una frazione di eiezione del ventricolo
sinistro minore rispetto agli impiegati (p=0.0045, media LVEF agricoltori 32±2.5 ES, media LVEF impiegati 45±3.1 ES) pur non essendoci differenza nella classe NYHA. Dividendo i 4 gruppi secondo la classe
NYHA dicotomizzata in classe NYHA I-II e classe NYHA III-IV è emerso che dei 21 impiegati 16 erano in classe NYHA I-II e 4 in classe NYHA
III-IV, di un soggetto non si aveva il dato. I 14 componenti del gruppo degli agricoltori erano tutti in classe NYHA I-II. Dei 13 metalmeccanici: 12
soggetti erano in classe NYHA I-II ed 1 in classe NYHA III. Infine dei 28
soggetti del gruppo “Altro”: 16 erano in classe NYHA I-II, 9 in classe
NYHA III-IV e di 3 soggetti non si aveva il dato. L’unica differenza significativa riscontrata per quanto riguarda la classe NYHA era tra il gruppo degli agricoltori ed il gruppo “Altro”, con un valore del Fisher exact
test pari a p=0.015. Erano gli agricoltori ad avere la classe NYHA più
bassa (I-II) pur non essendoci differenza tra i due gruppi nella frazione di
eiezione. Non abbiamo riscontrato differenze significative per gli altri
gruppi per gli altri parametri.
439
DISCUSSIONE
Nel nostro studio abbiamo dimostrato che i pazienti con scompenso cardiaco cronico ed attività lavorativa pregressa di agricoltore presentano una frazione di eiezione del ventricolo sinistro diminuita rispetto a quella dei pazienti con scompenso cardiaco cronico ed attività
lavorativa pregressa di impiegati. La classe NYHA non era differente
in maniera significativa tra questi due gruppi. Ciò suggerisce che la
mansione di agricoltore si associa ad una maggiore gravità dello scompenso cardiaco cronico, a parità di età, fumo e degli altri fattori di rischio della malattia.
La frazione di eiezione del ventricolo sinistro è un indice di gravità
dello scompenso cardiaco. Nel nostro studio, l’ecocardiogramma e la misura della frazione di eiezione sono stati eseguiti dallo stesso cardiologo
in modo da evitare la variabilità operatore-dipendente.
Anche la storia di fumo (pack-years ed anni di fumo) può svolgere
un ruolo importante sull’insorgenza e sulla gravità dello scompenso cardiaco cronico. Noi abbiamo reclutato solo soggetti fumatori proprio per
rendere la nostra casistica il più omogenea possibile in relazione ai fattori di rischio diversi dall’attività lavorativa.
È noto che esposizioni occupazionali quali: temperature estremamente alte o basse, rumore e vibrazioni sono fattori di rischio per l’insorgenza e la gravità dello scompenso cardiaco cronico. Una possibile spiegazione della maggiore gravità dello scompenso cardiaco riscontrata nei
soggetti con attività pregressa di agricoltore potrebbe essere che questa
mansione comporta lo svolgimento di attività all’aperto con esposizione
a temperature alte o basse e l’esposizione al rumore ed alle vibrazioni dei
mezzi agricoli meccanici.
CONCLUSIONI
L’attività di agricoltore è associata, a parità degli altri fattori di rischio, ad una maggiore gravità dello scompenso cardiaco cronico, anche
se il campione numericamente limitato da noi studiato non permette conclusioni definitive.
BIBLIOGRAFIA
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440
COM-03
CLUSTER DI CONNETTIVITI SCLERODERMICHE
NELL’ATTIVITÀ TIPOGRAFICA
N. Magnavita
Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma
Corrispondenza: Nicola Magnavita [email protected]
RIASSUNTO. L’eziologia della sclerosi sistemica, probabilmente
multifattoriale, non è ancora completamente definita. Tra i molti fattori
endogeni ed esogeni coinvolti, i rischi professionali possono svolgere un
ruolo essenziale. Riportiamo un cluster di scleroderma localizzato e sistemico osservato in un piccolo gruppo di operaie grafiche esposte a colle poliviniliche contenenti fino all’1% di acetato di vinile.
L’esposizione a vinil acetato è stata associata con l’acidificazione
dell’ambiente endocellulare, che induce effetti citotossici e mitogeni ritenuti l’evento sentinella che può precedere il cancro. La produzione di autoanticorpi nella sclerosi sistemica dipende da una fase di acidificazione
cellulare. Studi successivi sono necessari per chiarire la relazione tra acetato di vinile e scleroderma.
Parole chiave: sclerodermia, morfea, acetato di vinile, solventi, malattia professionale.
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Lo stabilimento risultava funzionalmente diviso in due reparti, Legatoria e Stampa, non compartimentati e prossimi (pochi metri di distanza tra l’ultima macchina “offset” della Stampa e la prima cucitrice
della Legatoria). Nel reparto Stampa erano usate diverse miscele di solventi alifatici e aromatici. Le indagini ambientali, eseguite ad intermittenza e su una parte soltanto dei solventi, fornivano, negli anni tra il
1995 ed il 2001, valori atmosferici prossimi e talora superiori ai TLVTWA delle singole sostanze esaminate. Nel reparto Legatoria si usavano colle viniliche diluite con solventi alifatici e aromatici (principalmente eptano e toluene); anche in questo caso monitoraggi atmosferici
parziali indicavano valori prossimi ai limiti di ogni singola sostanza.
Non risulta essere stato compiuto alcun tentativo di integrare i valori
dei singoli prodotti chimici, né di valutare, mediante monitoraggio biologico, l’eventuale assorbimento percutaneo, probabilmente rilevante
dato che le pulizie dei macchinari venivano effettuate routinariamente
con solventi a spruzzo, rimuovendoli poi con uno straccio o con un batuffolo di carta, a mani nude.
I sintomi erano insorti nelle 4 lavoratrici nell’arco di 24 mesi tra il
1995 e 1997, in seguito all’applicazione manuale sul dorso delle pubblicazioni di una colla a base di acetato di polivinile (PVA). Il prodotto era
stato successivamente ritirato e sostituito con altri similari. La sintomatologia nelle quattro lavoratrici si era progressivamente aggravata, consentendo di formulare diagnosi di sclerodermia sistemica nel primo caso nel
1998, di connettivite sclerodermica negli altri tre casi tra il 2000 ed il
2004 (Tab.I).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
SCLERODERMA CLUSTER AMONG TYPE-SETTERS
I solventi organici sono stati più volte indicati come responsabili di
ABSTRACT. The etiology of systemic sclerosis, probably
sclerodermia e connettiviti.
multifactorial, is not yet well defined. Among the many endogenous and
Dopo le pionieristiche segnalazioni di Reinl [1], la letteratura ha racexogenous factors probably involved, occupational elements may play an
colto numerose segnalazioni di casi isolati [2-8] e studi caso-controllo [9essential role. Here we report a cluster of local scleroderma and systemic
19]. Due studi di meta-analisi [20-21] giungono alla conclusione che esisclerosis, which occurred in a small group of typography workers
ste un nesso tra esposizione professionale a solventi e sclerosi sistemica.
exposed to polyvinyl-acetate glues, containing up to 1% of vinyl-acetate.
La tossicità del PVA non è completamente approfondita, per cui coVinyl acetate exposure has been associated with acidification of the
munemente si ritiene che non sia particolarmente elevata. Occorre però teintracellular environment, which is thought to produce cytotoxic and/or
nere presente che il PVA è generalmente solubilizzato da solventi organici,
mitogenic responses that are the sentinel pharmacodynamic steps toward
tra i quali toluene ed eptano. Anche nei casi in cui il PVA è in emulsione
cancer. Autoantibody production in systemic sclerosis depends upon
acquosa, i prodotti commerciali possono contenere dibutil-ftalato, aldeide
intracellular acidification. More studies are needed to clarify the
formica, alcol polivinilico, butilglicole, colofonia, cere. Contengono inoltre
relationship between vinyl acetate exposure and scleroderma.
fino all’1% di monomero residuo (acetato di vinile). Il vinil-acetato è un
Key words: scleroderma, systemic sclerosys, morphea,
vinyl acetate, solvents, occupational disease
Tabella I. Esposizione professionale e andamento dei sintomi nei soggetti esaminati
INTRODUZIONE
La relazione tra sclerodermia sistemica o localizzata
(morfea) ed esposizione professionale a solventi è un argomento controverso. Incertezze nosografiche e diagnostiche
sul versante clinico, carenze valutative e di monitoraggio
su quello igienico-industriale, mancanza di un soddisfacente modello sperimentale e di una piena comprensione
dei meccanismi patogenetici, rendono difficile l’esecuzione di studi epidemiologici ed il loro confronto. Per questo
motivo assume rilievo lo studio di cluster occupazionali e
la formulazione di ipotesi circa le sostanze chimiche presumibilmente correlabili agli eventi osservati.
MATERIALE E METODI
L’esame delle attività lavorative dei pazienti ricoverati per sclerodermia nel reparto di Reumatologia del CIC ha
permesso di individuare due operaie provenienti dalla stessa azienda. Il colloquio con queste pazienti ha condotto all’identificazione di altri due soggetti affetti da sintomi suggestivi di connettivite, nella stessa azienda tipografica che
aveva dato lavoro negli ultimi venti anni a meno di 60 soggetti divisi in due reparti (stampa e legatoria).
CASISTICA
Tutte le lavoratrici affette da connettivite di vario grado, che in un caso assumeva i caratteri di sclerodermia sistemica, provenivano dal reparto legatoria di una azienda
poligrafica, dove avevano lavorato da 12 a 16 anni prima
della comparsa dei disturbi.
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agente mutageno, efficiente induttore di scambi intercromatidici [22], sperimentalmente associato con un aumento dell’incidenza totale dei tumori e
con la comparsa di carcinomi e lesioni precancerose della cavità orale, delle labbra, della lingua, dell’esofago, dello stomaco [23]. Risulta specificamente cancerogeno nella sede di ingresso (cavità nasale e tratto gastro-intestinale) [23-25]. Il meccanismo d’azione proposto coinvolge il metabolismo del vinil acetato ad acido acetico tramite le carbossil-esterasi e la produzione di protoni che inducono un abbassamento del PH della cellula [26].
L’acidificazione intracellulare è la risposta sentinella che precede la citotossicità, la rigenerazione compensativa e la proliferazione cellulare.
La relazione tra esposizione a vinil-acetato e malattie del collagene
non è mai stata indagata, ma studi recenti indicano che la produzione di
autoanticorpi contro ribonucleoproteine di basso peso molecolare, comune nei pazienti con lupus o altre connettiviti, richiede una fase di acidificazione endosomiale [27].
Essendo noto che il cloruro di vinile monomero può indurre una sclerodermia localizzata [28-32], sarebbe opportuno indagare se l’acetato di
vinile, o altre sostanze presenti nel PVA industriale, posseggano proprietà
analoghe.
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COM-04
ELETTROCARDIOGRAFIA DA SFORZO NELLA SORVEGLIANZA
SANITARIA DI LAVORATORI CON IMPEGNATIVO DISPENDIO
ENERGETICO
F. Scafa1, 2, G. Calsamiglia3, G. Pala1, M. R. Perotti3, R. Colombi1,
S.M. Candura1, 2
1Scuola
di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Pavia
2Unità Operativa di Medicina del Lavoro e 3Unità Operativa di
Cardiologia Riabilitativa, Fondazione Salvatore Maugeri, Clinica del
Lavoro e della Riabilitazione, IRCCS, Istituto Scientifico di Pavia
Corrispondenza: Dott. Fabrizio Scafa - UO Medicina del Lavoro,
Fondazione Salvatore Maugeri, Via Maugeri, 10 - 27100 Pavia - E-mail:
[email protected]
442
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RIASSUNTO. Per valutare l’opportunità di inserire l’elettrocardiografia (ECG) da sforzo nella sorveglianza sanitaria di lavoratori con impegnativo impegno fisico, abbiamo stimato il dispendio energetico delle
mansioni di 22 installatori/manutentori di linee elettriche (maschi, età 3456 anni). I lavoratori hanno quindi eseguito ECG da sforzo secondo protocollo di Bruce al Treadmill, determinando per ognuno di essi i METs
(multipli del metabolismo basale) massimali e la potenza critica (PCRIT).
In un soggetto è comparsa ischemia cardiaca dopo 9 minuti dall’inizio
della prova. Gli altri hanno interrotto la prova in un tempo variabile tra 7
e 13 minuti per affaticamento; 5 di essi hanno mostrato battiti ectopici
ventricolari (BEV), isolati o in coppie. Dodici soggetti presentavano ipertensione arteriosa, a riposo e/o sotto sforzo. All’analisi ergonomica, le
operazioni lavorative sono risultate comprese tra 1,5 e 8,0 METs. Il dispendio energetico della mansione nel suo insieme era di media intensità
(METs tra 4 e 6). I METs massimali raggiunti dai soggetti esaminati erano tra 8,8 e 15,6, ma solo 11 lavoratori superavano in maniera rassicurante i 4 METs richiesti dall’analisi della mansione alla PCRIT. Un dipendente è stato giudicato non idoneo alla mansione, per 3 è stato espresso
un giudizio di idoneità parziale. A 12 soggetti sono state fornite indicazioni preventive e terapeutiche, a 10 è stato consigliato allenamento aerobico costante. Lo studio evidenzia l’opportunità di valutazione specifica delle mansioni, in termini di dispendio energetico, nelle occupazioni
maggiormente impegnative e gravose. La sorveglianza sanitaria dovrà includere valutazione cardiologica ed ECG da sforzo, riproducendo le condizioni di affaticamento durante la mansione specifica.
Parole chiave: Treadmill, cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa, idoneità alla mansione.
EXERCISE
tabelle presenti in letteratura (2), il relativo dispendio energetico, misurato in METs (multipli del metabolismo basale). I valori ottenuti variano da
1,5 a 8 METs (tabella I). La mansione nel suo insieme è da considerare
con valori di dispendio energetico di media intensità (METs tra 4 e 6)
(tab. II).
I soggetti sono stati quindi sottoposti a ECG da sforzo secondo protocollo di Bruce al Treadmill, determinando, per ciascun soggetto, il carico di lavoro massimale espresso in METs; sono stati inoltre valutate la
pressione arteriosa e la frequenza cardiaca, basali, sotto sforzo, e a 5 e 7
minuti del recupero. Per ogni singola prova è stata eseguita una valutazione soggettiva della fatica secondo la scala di Borg (6-20); ogni paziente ha raggiunto almeno il livello 15 (sforzo intenso).
Il parametro finale di riferimento utilizzato è stata la potenza critica
(PCRIT), cioè il valore di potenza sviluppata indefinitamente, che può essere mantenuto per tutto il turno di lavoro senza che si manifestino segni
di affaticamento. Il valore di dispendio energetico rappresentativo della
PCRIT è pari al 30-35% del massimale (espresso in METs) di ciascun lavoratore (2).
RISULTATI E DISCUSSIONE
L’ECG basale dei soggetti era nella norma in 21 dei 22 soggetti esaminati, mentre uno mostrava alterazioni della ripolarizzazione come da
sovraccarico del ventricolo sinistro. Due operatori erano in terapia con
farmaci antipertensivi (Ca antagonista, Ca antagonista + beta bloccante).
Un soggetto presentava sottoslivellamento del tratto ST (in V5) significativo per ischemia cardiaca dopo 9 minuti dall’inizio dell’ECG da
sforzo, al carico di lavoro pari a 10 METs. Il paziente è stato ricoverato
ELECTROCARDIOGRAPHY IN THE SANITARY SURVEILLANCE OF
WORKERS WITH PHYSICAL STRAIN
ABSTRACT. To evaluate the opportunity of exercise
electrocardiography (ECG) in the sanitary surveillance of workers with
physical strain, we estimated the energy consumption of the duties of 22
electrical workers (males; age: 35-56 years). They subsequently
underwent Treadmill exercise ECG, determining for each worker the
maximal METs (multiples of basal metabolism) and the critical potency
(PCRIT). In one subject, myocardial ischemia arose 9 minutes after the
beginning of the test. The others interrupted the test after 7-13 minutes
for tiring; 5 of them showed ventricular extra systoles, paired or isolated.
Twelve subjects presented arterial hypertension, at rest and/or during
exercise. Ergonomic analysis revealed that the occupational duties were
between 1.5 and 8.0 METs. The energy consumption of the job on the
whole was 4-6 METs (medium intensity). The maximal METs reached by
the examined subjects were between 8.8 and 15.6; however, only 11
workers went reassuringly over the 4 METs required by duty analysis at
PCRIT. One subject was declared unfit for the job, and a judgement of
partial idoneity was expressed for 3 workers. Preventive and therapeutic
indications were given to 12 subjects. Aerobic training was suggested to
10 workers. The study indicates that an ergonomic evaluation is
advisable for the most energy consuming occupational duties. In such
cases, the sanitary surveillance should include a cardiologic assessment
with exercise ECG, reproducing the physical strain of the specific job.
Key words: Treadmill, ischemic cardiopathy, arterial hypertension,
fitness to work.
INTRODUZIONE
Il presente studio si è proposto di valutare l’opportunità di inserire
l’elettrocardiografia da sforzo nei protocolli di sorveglianza sanitaria dei
lavoratori con mansioni richiedenti impegnativo (medio-alto) dispendio
energetico. A tale scopo è stata esaminata una popolazione di installatori/manutentori di linee elettriche ad alta e ad altissima tensione, a elevato
rischio infortunistico, sottoposti annualmente a sorveglianza sanitaria
presso il nostro Istituto ai sensi del DM 13 luglio 1990, n. 442 (1).
SOGGETTI E METODI
La popolazione esaminata è costituita da 22 soggetti di sesso maschile di età compresa tra 34 e 56 anni, con media di 48. Essi hanno eseguito, come prevede la legislazione, visita di medicina del lavoro e neurologica, colloquio psicologico, prove vestibolari, esami ematourochimici, spirometria, audiometria, elettrocardiogramma (ECG) basale. Sono
state quindi analizzate le operazioni lavorative più significative nell’ambito della mansione. Per ognuna di esse è stato determinato, sulla base di
Tabella I. Valori di dispendio energetico delle principali mansioni
espressi come multiplo del metabolismo di base (METs);
da Pezzagno & Capodaglio (2)
Tabella II.Valori approssimativi di DispendioEnergetico (DE)
in funzione dell’intensità di carico, espressi come multipli
del metabolismo di base (METs); da Haskell et al. (3)
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443
2) Pezzagno G, Capodaglio E. Criteri di valutazione energetica delle attività fisiche. Pavia: La Goliardica Pavese 1991.
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5) Linee guida. Protocolli cardiologici per l’idoneità allo sport agonistico. Ital Heart J 2005; 6, suppl.
Grafico 1
COM-05
presso l’ospedale cittadino di residenza dove ha eseguito esami di controllo tra cui coronarografia e successiva angioplastica coronarica. Si è
escluso questo paziente da ulteriori valutazioni.
Il ritmo cardiaco presentava in 4 soggetti alcuni battiti ectopici ventricolari (BEV), in un caso sporadicamente in coppie. 11 soggetti presentavano a riposo valori di pressione arteriosa sistolica (PAS) compresi tra
140 e 160 mmHg; 9 soggetti valori di pressione arteriosa diastolica (PAD)
compresi tra 90 e 1000 mmHg. Pertanto 11 soggetti, in accordo con le recenti linee guida ESH-ESC dell’ipertensione [4], potevano essere classificati come ipertesi di 1° grado (PAS tra 140 e 159 e/ tra 90 e 99 mmHg).
Riguardo i valori di pressione da sforzo, nessun test è stato interrotto per raggiungimento della PAS massima teorica (5). Quattro lavoratori
hanno presentato a 6 minuti dall’interruzione dello sforzo valori di pressione arteriosa patologici (5). Complessivamente, a 12 dipendenti è stata
riscontrata ipertensione arteriosa (a riposo o sotto sforzo): a 5 di essi è
stata consigliata terapia farmacologica antipertensiva; agli altri 7, ulteriori controlli periodici da parte sia del curante sia del medico competente.
Al test da sforzo tutti gli operatori hanno superato il livello 2° di Bruce; la prova è stata interrotta tra il livello 3° e 5°. Per tutti gli operatori i
valori di METs al momento dello sforzo massimale erano compresi tra
8.80 e 15.60; tutti erano quindi in grado di eseguire lo sforzo massimo
previsto dalla mansione. Tuttavia, solo 11 su 21 superavano in maniera
rassicurante i 4 METs richiesti dall’analisi della mansione alla PCRIT; gli
altri avevano valori lievemente inferiori, essendo compresi tra 3 e 3,8
METs (graf.1).
Per quanto riguarda il giudizio finale d’idoneità alla mansione sulla
base dei dati ottenuti dall’analisi qualitativa (alto indice infortunistico) e
quantitativa (impegnativo dispendio energetico) della stessa, 1 dipendente è stato dichiarato non idoneo poiché affetto da ischemia cardiaca, 3
hanno ricevuto idoneità parziale alla mansione, a 12 sono stati consigliati accorgimenti terapeutici e preventivi riguardo la pressione arteriosa, a
10 è stato consigliato allenamento aerobico costante al fine di migliorare
le proprie performance di PCRIT.
I tre giudizi di idoneità parziale sono stati formulati per i seguenti
motivi: (i) ipertensione arteriosa a riposo e da sforzo, di grado severo; riferite manifestazioni vertiginose durante lavori in altezza; (ii) ipertensione arteriosa a riposo e da sforzo, BEV isolati e a coppie; stereopsi al test
di Lang incompleta; (iii) ipertensione arteriosa a riposo e da sforzo, con
pregressa crisi ipertensiva durante lavori in altezza (PA 200/100 mmHg,
misurata alla discesa al suolo).
RECUPERO PROFESSIONALE DI PANIFICATORI ALLERGICI
MEDIANTE VACCINO VERSO FARINA DI FRUMENTO
CONCLUSIONI
Lo studio evidenzia l’opportunità di valutazione specifica delle mansioni, in termini di dispendio energetico, nelle occupazioni maggiormente impegnative e gravose. La sorveglianza sanitaria dovrà pertanto tener
conto di queste indicazioni e valutare ogni singolo caso non solo in condizioni di riposo, ma anche con metodiche che riproducano le condizioni
di affaticamento fisico.
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b Gruppo CIMAL, Divisione Malattie Allergiche (DIMAC), Cremona.
Corrispondenza: Angelo Mario Cirla, tel. 02.59901542, e-mail
[email protected]
RIASSUNTO. La patologia rinitica e asmatica dei lavoratori dell’arte bianca esposti a farina di frumento ha come causa principale l’allergia professionale a componenti proteici del chicco di frumento, le cui
capacità sensibilizzanti sono state studiate e riconosciute. La patogenesi
è IgE-mediata. Utilizzando un estratto di farina di frumento standardizzato è possibile attuare una ITS, con lo scopo di attenuare la reattività individuale specifica e consentire ai lavoratori che lo desiderano di essere
ricollocati al lavoro e proseguire l’attività. Uno studio osservazionale trasversale retrospettivo è stato condotto su un gruppo di 41 panettieri, pasticceri e pizzaioli, tutti sottoposti a ITS con vaccino ritardo (SCIT) secondo lo stesso schema e per un periodo medio di 4 anni, con prolungamento del mantenimento se richiesto. I dati sono stati raccolti con questionario, valutando il recupero professionale in due gruppi distanziati nel
tempo. 34 soggetti su 41 continuano attualmente il lavoro con una accettabile qualità di vita lavorativa, anche dopo 4-10 anni dalla sospensione
dell’ITS. La pratica della vaccinazione specifica lenta è possibile come
strumento medico di protezione individuale, da associare alle misure di
miglioramento esterno dell’ambiente di lavoro.
Parole chiave: immunoterapia specifica, allergia professionale, farina di frumento, panificatori, recupero professionale
SPECIFIC
IMMUNOTHERAPY AND RELOCATION IN OCCUPATIONAL ALLERGIC
BAKERS
ABSTRACT. Occupational allergy to components of wheat flour is
the main cause of rhinitis and asthma of workers in bakeries and similar
activities. An immunological mechanism IgE-mediated is involved and
the sensitising properties of some proteins of wheat where assessed.
Nowadays it is possible to have an extract to be used for specific
immunotherapy. The aim of this treatment should be a reduction of
individual immunological reactivity and the possibility of going on the
particular activity of allergic bakers, pastry makers or pizza makers. An
observational crossectional retrospective study was performed on 41
sensitised workers that were diagnosed in the same occupational health
unit. All underwent a subcutaneous specific immunotherapy (SCIT) with
the same schedule and the same extract (Lofarma Allergeni, Milan) for 4
or more years, without avoiding their work activity. The outcome was
investigated after five or ten years. Data were collected by a
questionnaire. 34 subjects on 41 are still at work with an acceptable
quality of life and a normal working efficiency, mainly in their small
enterprises. In the “old” subgroup (19 cases), treated in the past, several
bakers still at work stopped SCIT even from 4-10 years. In the “new”
subgroup (15 cases), still in treatment, symptoms and drug use during the
work activity resulted to be reduced or absent in the majority of cases.
444
According to results of other immunotherapies by allergenic vaccines
(pollens, mites) also for wheat flour occupational allergy a specific
treatment seems to be possible and SCIT may be an useful tool to reduce
and control the biological individual effects of allergy. By the
occupational point of view wheat flour SCIT allows a relocation in many
of cases and may be associated to other intervention of environmental
prevention at workplaces, improving the relocation of occupational
allergic subjects when requested.
Key words: specific immunotherapy, wheat flour, occupational
allergy, relocation, bakers
INTRODUZIONE
Le malattie respiratorie dei panificatori sono essenzialmente causate
dall’inalazione di polveri di macinati di cereali, fra i quali prevale il frumento. L’esposizione a farine accomuna i cosiddetti lavoratori dell’”arte
bianca”: panificatori, pasticceri, pizzaioli, sia in ambito artigianale che
industriale (1).
La categoria dei panificatori, per le peculiari esigenze del modo di
produrre, è quella che ha dato il maggior tributo all’invalidità per asma
e/o broncopatia cronica ostruttiva, ma anche per rinite cronica e relative
complicanze.
La rinite non è soltanto una affezione che interferisce pesantemente
con la qualità di vita; essa va considerata soprattutto come il primo stadio
di una evoluzione che coinvolge in almeno un terzo dei casi le vie bronchiali,generando sindromi asmatiche (2). Ne deriva l’importanza di una
diagnosi precoce, poiché intervenendo sui primi stadi di malattia, sia a livello di riduzione dei rischi, sia a livello di interventi terapeutici, ci si pone nelle condizioni di poter rallentare od arrestare il decorso naturale della patologia, cioè di realizzare una prevenzione dell’aggravamento e delle complicanze.
La nocività delle farine, ossia i relativi meccanismi patogenetici, non
è univoca. Le polveri di frumento e cereali hanno capacità genericamente infiammatorie (contengono anche endotossine), con un’azione chimico-biologica di stimolo sulle membrane cellulari e sulla liberazione di
mediatori dell’infiammazione tissutale. Tale aspetto è correlato alla quantità inalata, con una relazione dose-risposta. Al giorno d’oggi però la caratteristica più rilevante è la capacità di sensibilizzare l’organismo umano, cioè di stimolare una risposta anomala del sistema immunitario di
protezione dell’organismo stesso, con produzione di anticorpi specifici
(IgE ed IgG) e capacità di stimolo su cellule immunocompetenti e loro
mediatori implicati nel processo di infiammazione allergica, con risposte
d’organo immediate e persistenti (3). Questo è dovuto alle proprietà di alcune delle proteine contenute nel chicco di frumento e di cereali assimilati (mais, orzo, segale, avena, riso). Tale tipo di rischio è parzialmente indipendente dalla quantità di polveri inalate, nel senso che, a seconda del
livello di esposizione, aumenta non tanto l’intensità dei sintomi nei sensibilizzati (che si estrinsecano in funzione della soglia individuale genetica di risposta immunologica) quanto la probabilità di instaurarsi di uno
stato di sensibilizzazione allergica in nuovi individui. Le conoscenze attuali di interazione fra epigenetica e ambiente ci dicono che anche ai livelli più bassi di dispersione di farine nei panifici, ritenuti livelli di protezione ma difficilmente raggiungibili in permanenza (0,5-1-2 mg/metro
cubo), una quota di lavoratori andrà incontro ad una sensibilizzazione allergica nell’arco della vita lavorativa (4).
Ha assunto pertanto importanza crescente l’impostazione di un trattamento immunologico iposensibilizzante, con lo scopo di ridurre la reattività dei soggetti allergici alla farina di frumento inducendo tolleranza
immunologica specifica e fondandosi sul presupposto che la reattività sia
principalmente connessa a patogenesi IgE-mediata, come è per l’allergia
ai pollini o agli acari delle polveri abitative. Pochi ricercatori si sono occupati del problema in passato, ma esperienze positive sono state riferite
a partire dagli anni novanta (5).
Il lavoro di panificatore è spesso una scelta consapevole di un modo
di vivere, con forti motivazioni anche economiche a non cambiarlo. L’opportunità di proseguire l’attività senza peggiorare la salute e dominando
l’allergia è l’istanza che molti soggetti sfortunatamente allergici pongono
all’allergologo e al medico del lavoro. Da parecchi anni abbiamo avviato
un’esperienza di Immunoterapia Specifica (ITS) mediante un vaccino allergenico, garantendo l’appoggio di un centro di riferimento e il monitoraggio durante il periodo di terapia.
Il presente contributo non espone i dati dell’evoluzione immunologica. Viene invece riferita l’evoluzione lavorativa di un gruppo di lavorato-
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ri allergici trattati, intervistati a distanza per la verifica dell’esito rispetto
alla prosecuzione del lavoro e dell’efficacia attuale sulla protezione dei
disturbi durante l’esposizione a rischio professionale. Lo studio è di tipo
osservazionale trasversale retrospettivo.
MATERIALI E METODI
Tabella I. Caratteristiche del
La popolazione originaria è
gruppo di soggetti oggetto di
costituita da 125 panificatori visi- studio: attività lavorativa e sesso
tati presso il Centro Malattie Allergiche da Ambiente dell’Unità
Complessa di Medicina del Lavoro dell’ospedale di Cremona nel
periodo 1995-2005. Fra questi è
stato selezionato un gruppo omogeneo di 41 soggetti accomunati
dalle seguenti caratteristiche: attività artigianale “arte bianca”, esecuzione di ITS verso farina di frumento per almeno un anno con lo stesso preparato e con lo stesso schema, effettuazione di almeno due visite di controllo presso il Centro, consenso informato allo studio e reperibilità anagrafica. In Tabella I l’attività
lavorativa ed il sesso. L’età media all’osservazione è di 39 anni, con estremi 23-67 anni.
È stato utilizzato un vaccino allergenico ad assorbimento sottocutaneo lento, contenente un estratto standardizzato di farina bianca di frumento alimentare, per il quale è stato documentato il contenuto dei principali determinanti allergenici del frumento stesso (Lofarma Allergeni,
Milano). Lo schema vaccinale è stato basato su una fase di induzione lenta di 5 settimane, senza interrompere il lavoro ed eventualmente con supporto di farmaci di protezione) e su una fase di mantenimento ogni 4-6
settimane di durata variabile secondo l’individuo, in media 4 anni, ma sovente con mantenimento prolungato a richiesta.
Un questionario apposito è stato somministrato per via postale, previo contatto telefonico. Le informazioni hanno riguardato l’epoca dell’ITS, la situazione di lavoro attuale, i disturbi e l’utilizzo di farmaci durante il lavoro nell’ultimo anno e nell’ultima settimana-tipo, l’utilizzo di
protezioni personali, il giudizio personale sull’esito dell’ITS. Lo schema
di rilevazione ha utilizzato domande a risposta chiusa e alcune domande
ripetitive di controllo della credibilità di risposta; la comprensibilità dei
termini e la logica sequenziale delle domande sono state previamente verificate in un gruppo di soggetti volontari di varia cultura.
RISULTATI
La patologia dalla quale risultavano affetti i 41 soggetti intervistati
all’epoca di inizio della ITS ha compreso solo rinite professionale in 17
casi (41,4%) e rinite con asma intermittente o persistente moderato in 24
Tabella II. Caratteristiche ITS: inizio e durata
Tabella III. Caratteristiche ITS: intervallo temporale
dopo la sospensione ITS
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Tabella IV. Caratteristiche della gestione del lavoro
Tabella V. Soddisfazione attuale durante l’attività lavorativa
casi (58,5%). Nessun caso di asma puro. Solo un quinto del gruppo si è
dichiarato fumatore modesto e tutti attribuivano la patologia esclusivamente al lavoro.
Ben 34 hanno potuto continuare la loro attività regolarmente. Fra i 7
che non sono più esposti nessuno ha abbandonato a causa di disturbi provocati dal vaccino: uno è pensionato (dopo aver lavorato ancora per anni), uno è rimasto vittima di incidente stradale e 5 hanno trovato lavori
differenti più remunerativi, sospendendo di conseguenza il trattamento.
La valutazione di efficacia risulta quindi condotta su 34 casi attualmente al lavoro. Tenendo conto dell’epoca di inizio della ITS il campione è stato suddiviso in due sottogruppi, denominati “old” (inizio 19951999) e “new” (inizio 2000-2005). In Tabella II sono riportati gli anni
complessivi di mantenimento periodico dell’ITS. Nel gruppo che ha iniziato nel o dopo l’anno 2000 la maggior parte dei soggetti è ancora a
mantenimento; è interessante invece constatare che nel gruppo precedente (Tabella III) tutti i soggetti tranne uno lavorano avendo sospeso il trattamento da un minimo di tre anni ad un massimo di dieci anni.
Il passaggio generazionale nell’“arte bianca” non sembra aver comportato mutamenti occupazionali in coloro che si ammalano e chiedono
di essere curati per continuare il lavoro. Infatti, la proporzione fra proprietari e dipendenti nelle piccole aziende artigiane non è cambiata (Tabella IV).
I giudizi soggettivi sull’esito atteso sottoponendosi a ITS e quelli attinenti la permanenza di disturbi significativi in epoca attuale sono stati
raggruppati in due categorie: relativamente sfavorevoli e insoddisfacenti
e relativamente favorevoli. Nella Tabella V si evidenzia come prevalga
chiaramente il voto favorevole, senza sostanziali differenze; è infatti poco soddisfatto un quinto dei soggetti in entrambi i sottogruppi, in particolare in chi ha in corso un trattamento ancora recente. Un elemento di
valutazione oggettivo è la necessità di utilizzare mascherina antipolvere
protettiva durante il lavoro. Tale dato è favorevole,soprattutto nel sottogruppo più recente.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONE
Il campione di allergici professionali del quale ci si è proposti di verificare la situazione lavorativa attuale dopo che tutti avevano partecipato ad un percorso di Immunoterapia Specifica riflette bene le condizioni
sociologiche dei lavoratori dell’”arte bianca” che si ammalano: prevalentemente uomini e prevalentemente panificatori o pasticceri. Tutti avevano una rinite professionale persistente, che in più della metà dei casi si associa a manifestazioni asmatiche iniziali o di limitata gravità. Questa è,
infatti, l’indicazione medica per iniziare e mantenere il trattamento immunologico. L’ITS è una forma di terapia preventiva, come tutte le vaccinazioni, che nell’applicazione alla patologia da lavoro ha il fine di modificare la reattività individuale verso l’allergene, ridurre l’utilizzo di farmaci sul lavoro e soprattutto consentire la prosecuzione dell’attività alla
quale il soggetto è per varie ragioni legato.
445
Il piano di applicazione negli allergici a farina di frumento ha avuto
all’inizio carattere sperimentale, ma si è ben presto trasformato in un protocollo proponibile ai soggetti che desideravano un’alternativa all’abbandono del lavoro specifico.
Lo studio ha coinvolto casi per i quali l’ITS è ancora in corso od è
stata arrestata a 4 anni (23 lavoratori, dei quali 9 ancora a metà trattamento) e casi che hanno proseguito con richiami periodici per ulteriori
anni. In base alle interviste si è constatato in proposito che parecchi panificatori hanno considerato i richiami periodici con il vaccino come una
sorta di scudo protettivo per il lavoro ed hanno richiesto espressamente di
proseguire l’ITS di mantenimento. È verosimile che, in analogia all’ITS
verso veleno di imenotteri, questa opzione sia necessaria almeno per una
parte degli individui iposensibilizzati con il vaccino. Molto importante è
la constatazione che vi sono soggetti nel gruppo “old” che sono professionalmente attivi benché esposti a rischio allergico dopo parecchi anni
dalla cessazione dell’ITS. I pareri generali espressi sia da chi ha avuto
trattamento in passato che da chi è stato impostato negli ultimi 5 anni ed
è ancora in corso sono comunque decisamente buoni. La proporzione di
poco soddisfatti è leggermente superiore nel gruppo “new”, ma questo è
un risultato atteso per chi ha in corso l’ITS. In generale il permanere di
sintomi sul lavoro in almeno un quarto dei soggetti, ma tali da non impedire l’efficienza nel panificare e comunque riguardanti solo le vie nasali,
si accorda con il fatto che l’ITS con vaccini allergenici non abolisce, ma
solo riduce, la reattività allergica specifica. Nell’esperienza descritta consente una qualità di vita lavorativa accettabile, ulteriormente migliorabile associandola agli interventi migliorativi dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro.
BIBLIOGRAFIA
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COM-06
SINDROME METABOLICA E ATTIVITÀ LAVORATIVA:
IDENTIFICAZIONE DELLA POPOLAZIONE A RISCHIO
M. La Sala1; A. Pietroiusti2, A. Magrini2, L. De Santis2, A. Babbucci2,
A. Bergamaschi1.
1
Istituto medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Interna Università Cattolica del Sacro Cuore; Roma
2 Università Tor Vergata, Roma- Cattedra di Medicina del Lavoro
Corrispondenza: Dr.ssa Monica la Sala, c/o Istituto Medicina del
Lavoro; L.go A. Gemelli 1 00168 Roma, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Obiettivo dello studio: Valutare se l’attività lavorativa in turno abbia un nesso causale con l’incidenza della sindrome metabolica (SM). Disegno:studio storico di follow-up di tipo caso-controllo.
Materiali e Metodi: sono stati valutati un totale di 202 infermieri generici e professionali, di età compresa tra i 23 e i 60 anni, aventi un followup minimo di 1 anno ed esenti, alla prima visita, da SM; per la diagnosi
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di SM sono stati adottati i criteri ATPIII modificati: presenza di almeno 3
delle seguenti condizioni sono presenti contemporaneamente nello stesso
soggetto: circonferenza vita ≥ 102 cm negli uomini e≥ 88 cm nelle donne, trigliceridi serici ≥ 150 mg/dl, colesterolo HDL ≥ 40 mg/dl negli uomini e ≥ 50 mg/dl nelle donne, pressione arteriosa sistolica ≥130 mmHg,
pressione diastolica ≥ 85 mmHg, glicemia ≥ 100 mg/dl. Sono stati inoltre considerati fumo, uso di alcool, livello di scolarità e attività fisica, come fattori di confondimento. La popolazione è stata suddivisa in 2 gruppi in base allo svolgimento di turni notturni. Risultati: l’incidenza di SM
è risultata significativamente maggiore tra i lavoratori a turni rispetto agli
altri lavoratori: (OR: 4.10, 95% CI 1.34-12.55, p=0.01). La differenza era
più evidente nei soggetti al di sotto dei 40 anni (OR=6.6, 95% CI 1.0540.85, p=0.04) rispetto a quelli al di sopra di 40 anni: OR= 3.8, 95% CI=
0.92-15.81, p=0.06). La differente incidenza di sindrome metabolica tra i
due gruppi era rilevabile anche dopo analisi multivariata, che ha preso in
considerazione tutti i fattori di confondimento valutati: OR=3.66, 95% CI
1.25-10.53, p=0.001.
Conclusioni in questo studio si dimostra per la prima volta che la turnazione notturna si associa ad un aumentato rischio di sviluppare la sindrome in lavoratori esenti da essa in condizioni di base.
Parole chiave:lavoro a turni; variabili metaboliche; incidenza.
METABOLIC
SYNDROME AND WORK: IDENTIFICATION OF POPULATIONS AT
RISK
ABSTRACT. Objective: to assess whether shift work has a causeeffect nexus with the incidence of metabolic syndrome. Design:
retrospective follow-up study, case-control type. Research Methods and
Procedures: a total of 202 female and male nurses, aged 23-60 years,
having a 1 year minimal follow-up, and without any metabolic syndrome
criterion at the first visit were evaluated. The ATP modified criteria were
applied for the diagnosis of metabolic syndrome. Moreover smoking
habitus, alcohol consumption, educational level and physical activity
were considered as bias factors. The.sample was divided in two groups
doing or not night shifts. Results: the metabolic syndrome incidence
resulted significantly greater in shift workers than in other workers (OR:
4.10, 95% CI 1.34-12.55, p=0.01). The difference was more evident in
subjects aged <40 years (OR=6.6, 95% CI 1.05-40.85, p=0.04) the
different metabolic syndrome incidence between two groups was
detectable even after the multivariate analyse, which considered all the
bias factors evaluated.
Conclusions: this study shows for the first time that the night shift
work is associated with a greater risk to develop metabolic syndrome in
workers healthy in baseline conditions.
Key words: shift work; metabolic variables; incidence.
INTRODUZIONE
Il termine sindrome metabolica identifica la concomitante presenza
nello stesso soggetto di una serie di fattori di rischio cardiovascolare che
determinano un netto aumento della probabilità di eventi ischemici su base aterosclerotica. L’ evento patogenetico comune dei vari elementi costituenti la sindrome è rappresentato da una aumentata resistenza all’azione
dell’insulina. L’aumento ponderale è il dato distintivo della sindrome, ed
è a sua volta correlato ad erronee abitudini alimentari, stress e sedentarietà.
Esistono segnalazioni in letteratura che l’attività lavorativa in turni notturni possa determinare stress ed erronee abitudini alimentari, così come un
incremento del rischio di malattie coronariche, con una correlazione diretta tra rischio relativo per tali malattie e tempo di esposizione a lavori a turno 1-5,ma non è attualmente noto se tale attività possa essere correlate ad
un aumentato rischio di sindrome metabolica. Sono stati proposti diversi
modelli per spiegare quest’associazione, e quello più accreditato suggerisce tre differenti vie allo sviluppo della malattia: un’inversione del ritmo
circadiano, cambiamenti del comportamento, alterazioni della vita sociale
6. È stato inoltre documentato che l’obesità, fattore di rischio cardiovascolare indipendente, è più frequente tra i lavoratori turnisti 6. Considerando poi gli altri fattori di rischio cardiovascolari, i lavoratori a turno presentano livelli plasmatici di colesterolo e trigliceridi maggiori rispetto ai
lavoratori giornalieri, indipendentemente da altri fattori ambientali 7. Significativi aumenti dei livelli nel sangue di colesterolo, glucosio, acido
urico e potassio sono stati riportati durante la prima settimana di lavoro
notturno 8, valori che ritornavano normali con il passaggio al turno diurno. Questo fatto sembra indicare che la qualità e la durata del sonno potrebbero influire sulle funzioni endocrine e metaboliche 9,10.
I lavoratori a turno a rotazione antioraria, presentano livelli di pressione arteriosa sistolica, escrezione urinaria di catecolamine, e livelli plasmatici di trigliceridi e glucosio più elevati rispetto ai lavoratori a turno a
rotazione oraria 11.
OBIETTIVO DELLO STUDIO
Lo scopo di questo studio è valutare se l’attività lavorativa in turno
abbia un nesso causale con l’incidenza della sindrome metabolica.
Materiali e Metodi. NeI presente studio di tipo longitudinale retrospettivo abbiamo selezionato 202 infermieri generici e professionali, di
età compresa tra 23 e 60 anni, dal 2001 ad oggi ed esenti, alla prima visita medica, da sindrome metabolica, con un follow-up minimo di 1 anno (range 1-6 anni).
Per la diagnosi clinica della sindrome metabolica, sono stati utilizzati i criteri raccomandati dall’ATP III 12, in quanto semplici da applicare
clinica e avvalorati da un ampio numero di studi. In accordo con questi
criteri, la sindrome metabolica è stata diagnosticata in presenza almeno 3
delle seguenti condizioni nello stesso soggetto: circonferenza addominale ≥102 cm negli uomini e ≥88 cm nelle donne, trigliceridi ≥150 mg/dL,
HDL colesterolo ≤ 40 mg/dL negli uomini e ≤50 mg/dL nelle donne, pressione arteriosa ≥130/≥85 mmHg e/o terapia antiipertensiva e glicemia a
digiuno ≥110 mg/dL e/o soggetti in trattamento con antidiabetici. Per la
valutazione dell’obesità addominale abbiamo utilizzato il valore del BMI,
(cut-off:28.8, come riportato nei nuovi criteri modificati dell’ATP III1314). Tra i possibili fattori di confondimento sono stati studiati: il consumo
di alcol (mai, fino a 30 gr, oltre 30 gr al giorno), il consumo di caffè (nullo; fino a 3 caffè al giorno; da 3 a 6 caffè al giorno; più di 6 caffè al giorno), il fumo (non-smokers, smokers, ex) ed il regime alimentare quotidiano (regolare o altro). Nell’anamnesi di ogni singolo lavoratore abbiamo raccolto, inoltre, i dati relativi alla familiarità per diverse malattie
quali diabete mellito, ipertensione arteriosa, obesità, dislipidemie e cardiopatia ischemica. È stata raccolta l’anamnesi patologica remota, e l’anamnesi farmacologia. Per ciò che riguarda il numero di turni svolti, abbiamo considerato lavoratori che effettuavano attività lavorativa esclusivamente diurna e quelli con turnazione comprendente anche attività lavorativa notturna. Un altro parametro valutato è stato il grado di scolarità
(< 9 anni; < 13 anni; > 13 anni), al fine di evidenziare un eventuale fattore di confondimento.
ANALISI STATISTICA
Le variabili sono espresse come media e deviazione standard. Il confronto di variabili continue è stato eseguito con il test del t di Student o,
quando appropriato, con il test esatto di Fischer. Per il confronto delle variabili categoriche è stato utilizzato il test del Chi quadro. Le differenze
nell’incidenza della sindrome metabolica tra i lavoratori in turno notturno ed il gruppo di controllo sono state espresse come Odds Ratio (OR) ed
intervalli di confidenza al 95% (95% CI). La differenza è stata inoltre valutata anche con analisi multivariata mediante regressione logistica multipla, inserendo come possibili fattori di confondimento il fumo, la scolarità, l’età ed il consumo di alcool. Infine, per verificare l’andamento temporale dei singoli componenti della sindrome metabolica, è stata utilizzata l’ANOVA per misure ripetute. L’analisi statistica è stata eseguita utilizzando il software SPSS versione 13.
Risultati. L’incidenza di sindrome metabolica in corso di follow-up è
risultata significativamente maggiore tra i lavoratori impegnati in turno
notturno in confronto agli altri lavoratori: gruppo con turno notturno: 19
su 115 (16.52%); altro gruppo: 4 su 87 (4.59%) (OR: 4.10, 95% CI 1.3412,55; p=0.01.) La differenza era più evidente nei soggetti al di sotto dei
40 anni; infatti, in questa fascia di età, l’incidenza di sindrome metabolica è risultata pari a 14 su 84 (16.66%) nel gruppo dei lavoratori in turno,
e ad 1 su 31 (3.2%) nel secondo gruppo di lavoratori (OR=6.6, 95% CI
1.05-40.85, p=0.04) (Fig. 1).
Il confronto tra i due gruppi limitato ai lavoratori con più di 40 anni
di età ha mostrato una differenza al limite della significatività statistica:
gruppo dei lavoratori con turno notturno: 5 su 31(16.1%); altro gruppo:3
su 56 (5.35%)(OR= 3.8, 95% CI= 0.92-15.81, p=0.06) Figura 2
La differente incidenza di sindrome metabolica tra i due gruppi era
rilevabile anche dopo analisi multivariata, che ha preso in considerazione età, fumo, alcool, familiarità e scolarità come possibili fattori di
confondimento nell’incidenza della sindrome.
Nella grande maggioranza dei sottogruppi considerati ciascun
componente della sindrome metabolica è risultato maggiormente alte-
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Figura 1
Figura 2
rato nel gruppo di lavoratori in turno notturno sia in condizioni di base sia in corso di follow-up. Inoltre, significative variazioni peggiorative in corso di follow-up sono state riscontrate solo per i lavoratori in
turnazione notturna per tutte le componenti della sindrome, eccettuata
la glicemia.
CONCLUSIONI
I dati del presente studio mostrano una associazione tra sindrome
metabolica e attività lavorativa in turno notturno, sia nei soggetti al di
sotto dei che al di sopra dei 40anni di età. Inoltre, un progressivo peggioramento dei fattori associati alla sindrome è stato riscontrato in modo omogeneo nei lavoratori con turnazione notturna. Un possibile effetto negativo dell’attività lavorativa notturna sui parametri della sindrome
metabolica è stato riportato in precedenti studi 8-10. Il nostro è però il primo studio a dimostrare che la turnazione notturna si associa ad un aumentato rischio di sviluppare la sindrome in lavoratori esenti da essa in
condizioni di base, e pertanto rafforza l’ipotesi che tra i due eventi esista un nesso di causalità. Va rilevato che la popolazione lavorativa presa
in considerazione nel presente studio è caratterizzata da un’attività lavorativa notturna di notevole impegno, e non è pertanto certo che i dati siano estrapolabili ad altra personale lavorativo impegnato in attività notturna con un carico minore di stress. L’analisi multivariata che ha preso
in considerazione alcune di tali attività quali il fumo e l’alcool, non ha
modificato sostanzialmente l’associazione rilevata, suggerendo un ruolo
non di primaria importanza per tali componenti. Poiché l’attività fisica
svolta sul posto di lavoro può essere considerata simile per i due gruppi,
la sedentarietà sul posto di lavoro può essere esclusa. L’incremento ponderale rilevato nei lavoratori in turnazione notturna può pertanto essere
attribuito ad aumentato introito calorico e/o a ridotta attività fisica al di
fuori del contesto lavorativo.
447
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COM-07
SINDROME METABOLICA E ATTIVITÀ LAVORATIVA
AL VIDEOTERMINALE
A. Babbucci, L. De Santis, L. Pannunzio, L. Coppeta,
A. Pietroiusti, A. Magrini.
Università Tor Vergata, Cattedra di Medicina del Lavoro, Roma
Corrispondenza: Antonio Pietroiusti, Università Tor Vergata, Via
Montpellier 1, 00161, Roma, Tel +390620902204, Fax +390620902212,
e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Esistono dati contrastanti circa le possibili conseguenze sulla salute del lavoro sedentario. Esso potrebbe essere associato
alla sindrome metabolica, che è data dalla presenza contemporanea di una
serie di fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione, iperglicemia, obesità, dislipidemia). Pertanto, abbiamo investigato la prevalenza della sindrome in 1547 videoterminalisti (lavoratori molto sedentari) e in 892 controlli con minore livello di sedentarietà. La sindrome era presente nel
3,10% dei videoterminalisti e nel 2,01% dei controlli (OR 2.048, 95% CI
1.169-3.587, p=0.012). La differenza significativa persisteva anche dopo
il controllo con analisi multivariata di possibili fattori di confondimento
quali il fumo e le attività ricreative (OR 1.555, 95% CI 1.03 -.690,
p<0.05). I video terminalisti vanno pertanto considerati un gruppo ad alto rischio per lo sviluppo della sindrome metabolica
Parole chiave: Sindrome metabolica, videoterminalisti, sedentarità,
stress
448
METABOLIC SYNDROME IN VISUAL DISPLAY UNITS USERS
ABSTRACT. Background. Reports about medical consequences
from sedentary work are contradictory. It might be associated with the
metabolic syndrome (MS), a collection of cardiovascular risk factors including hypertension, dyslipidemia, insulin resistance and central obesity. No data are currently available on workers using visual display units
(VDU), a potential high risk group, given the sedentariness inherent in
this work.
Patients and methods. We evaluated MS prevalence in 1547 VDU
users with a mean age of 29.7 years and in a control group of 892 individuals with a mean age of 30.2 years who performed non-sedentary
work, selected on the basis of similar demographic data. Physical examination and laboratory tests useful for MS diagnosis were performed.
Results MS prevalence was 3.10% in VDU users vs 2.01% in controls
(OR 2.048, 95% CI 1.169 to 3.587, p=0.012). Significance persisted after controlling for confounding factors (e.g. smoking and leisure activity)
in a multivariate analysis (OR 1.555, 95% CI 1.03 to 2.690, p<0.05).
Conclusions MS should carefully considered when performing health
surveillance programmes in VDU users.
Key words: Metabolic syndrome, Visual display units users, sedentariness, stress
INTRODUZIONE
Il termine sindrome metabolica identifica la concomitante presenza
nello stesso soggetto di una serie di fattori di rischio cardiovascolare che
riconoscono quale evento patogenetico comune una aumentata resistenza
all’azione dell’insulina (1). La sindrome è in costante aumento nel mondo occidentale ed è associata con l’assenza di attività fisica e, probabilmente, con lo stress cronico (2,3). Poiché l’espletamento dell’attività lavorativa occupa buona parte della giornata delle persone occupate, è ragionevole supporre che attività caratterizzate da sedentarietà e stress possano costituire un fattore di rischio per la sindrome. Per tale motivo abbiamo valutato la possibile associazione con la sindrome metabolica in
una popolazione di lavoratori del “call center” di una compagnia telefonica, data la sedentarietà e l’elevato livello di stress insiti nella loro attività lavorativa (4).
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sono stati ottenuti tramite questionario; il dato pressorio è stato ottenuto
dalla media di due misurazioni consecutive; la circonferenza fianchi è
stata misurata al punto più alto delle creste iliache, al termine dell’espirazione; i parametri di laboratorio sono stati misurati con procedure standard. Poiché l’attività fisica svolta durante il tempo libero può influenzare lo sviluppo della sindrome metabolica, abbiamo investigato questo parametro tramite un questionario validato (6), che ci ha permesso di calcolare, per ciascuna attività il numero di minuti settimanali e di ottenere
quindi dalla somma delle singole attività settimanali l’attività fisica complessiva, che è stata suddivisa in due categorie: < 150 e ≥ 150 minuti settimanali di attività fisica moderata/severa (7).
La valutazione dello stress lavorativo è stata effettuata sulla base del
Job Content Questionnaire (8) che valuta due dimensioni caratteristiche
dell’attività lavorativa: impegno (5 parametri) e ruolo decisionale (9 parametri): per ciascun parametro, l’intervistato ha espresso in che misura
concordava o era in disaccordo con l’affermazione contenuta. Sono state
così identificate 2 principali situazioni lavorative:1. Ad alto impegno e
scarso ruolo decisionale; 2. Altro, costituito dalla sommatoria delle combinazioni: alto impegno e alto ruolo decisionale; basso impegno e basso
ruolo decisionale; basso impegno e alto ruolo decisionale.
Tutti i partecipanti hanno dato il consenso scritto, e lo studio è stato
approvato dal Comitato Etico della nostra Istituzione.
Analisi statistica: I dati sono riportati come media ± deviazione standard (DS). Un valore di p < 0.05 è stato considerato statisticamente significativo. Le variabili continue sono state comparate mediante il test
del t di Student, mentre per le variabili categoriche sono stati usati tests
non parametrici (il test del Chi quadro o, quando appropriato, il test esatto di Fischer). È stata utilizzata la regressione logistica multipla per valutare il possibile effetto di confondimento di variabili quali il fumo, l’attività fisica durante il tempo libero, e lo stress lavorativo.
RISULTATI
Sono stati inseriti nello studio 1547 lavoratori del call center e 892
controlli.
La tabella I mostra le principali caratteristiche cliniche dei due gruppi.
Tra i due gruppi non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa nei parametri valutati.
I lavoratori del call center hanno mostrato una prevalenza di sindrome metabolica del 30% superiore rispetto ai controlli. Infatti, la sindrome
metabolica è stata rilevata in 48 (3.10%) lavoratori del call center e in 18
(2.01%) controlli, OR=2 95% CI 1.2-3.6, p=0.012. La differenza tra i due
gruppi persisteva dopo analisi multivariata che ha controllato per potenziali fattori di confondimento per almeno uno dei componenti della sindrome come il fumo e l’attività fisica moderata/severa durante il tempo
libero (OR= 1.6, 95% CI 1-2.7, p<0.05).
La tabella II mostra la frequenza dei singoli componenti della sindrome metabolica nei 2 gruppi. Ogni singolo componente veniva rilevato con frequenza significativamente aumentata nei lavoratori del call center rispetto ai controlli (p<0.0001 per tutti i confronti, eccetto che per la
presenza di obesità viscerale, che era associata ai lavoratori del call center con minore evidenza statistica (p<0.002).
Considerando la contestuale presenza di più di 3 parametri anormali, la sindrome risultava presente in misura doppia nei lavoratori del call
center rispetto ai controlli: 11-0.7%- vs 3-0.3%-; (P=0.04).
MATERIALI E METODI
I lavoratori sono stati reclutati nello studio nel corso di una campagna di sorveglianza sanitaria. I criteri di inclusione erano: 1. Lavoro al
computer per almeno 25 ore settimanali; 2. Età inferiore ai 45 anni; 3. Assenza di storia familiare di ipertensione, diabete o dislipidemia. Quale popolazione di controllo sono stati utilizzati i dipendenti di una azienda
ospedaliera che avevano un’attività settimanale al computer inferiore alle 20 ore, ma che soddisfacevano gli altri 2 criteri di inclusione dei lavoratori del call center. Inoltre, ai fini dell’inclusione nello studio, ciascun
soggetto di controllo doveva essere comparabile con almeno un lavoratore del call center per numero di ore settimanali di attività lavorativa, tipo
di attività (lavoro diurno o lavoro in turni), stato socio-economico (+/2000 euro di guadagno annuale, stesso livello di istruzione) e anni di impiego (stesso numero di anni).
Tra i vari criteri proposti per definire la sindrome metabolica, si è deciso di adottare quelli del National Cholesterol Education Program (5), in
quanto semplici da usare, e ampiamente validati nella letteratura internazionale.
Sulla base di questi criteri, si ritiene
Tabella I. Caratteristiche cliniche e demografiche e valutazione clinica
presente la sindrome metabolica quando
dei lavoratori del call center e dei controlli
almeno 3 delle seguenti condizioni sono
presenti contemporaneamente nello stesso soggetto: circonferenza vita ≥ 102 cm
negli uomini e≥ 88 cm nelle donne, trigliceridi serici ≥ 150 mg/dl, colesterolo
HDL ≥ 40 mg/dl negli uomini e ≥ 50
mg/dl nelle donne, pressione arteriosa sistolica ≥130 mmHg, pressione diastolica
≥ 85 mmHg, glicemia ≥ 100 mg/dl.
I lavoratori con diagnosi nota di diabete tipo1 o quelli con ipertensione secondaria accertata o sospetta (cioè quelli
di età inferiore a 35 anni senza adeguati
accertamenti diagnostici) erano esclusi
dallo studio. I dati sull’abitudine al fumo
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449
Tabella II. Prevalenza dei singoli componenti della sindrome metabolica nelle due populazioni
DISCUSSIONE
Questo è il primo studio che mostra che giovani lavoratori del call
center hanno un’aumentata prevalenza di sindrome metabolica in confronto con lavoratori impegnati in attività che implicano un uso meno intenso del computer. Questo dato è probabilmente correlato a fattori presenti nell’ambiente di lavoro e in particolare la sedentarietà, che si crede
che rappresenti un importante fattore di rischio per lo sviluppo della sindrome, specie in soggetti giovani (7).
La correlazione tra sedentarietà e sindrome metabolica ha una plausibilità fisiopatologica. Infatti, la resistenza all’insulina costituisce l’evento centrale nella patogenesi della sindrome (9), ed è stato recentemente riportato che la sedentarietà è il fattore più importante nel determinare alterazioni delle funzioni mitocondriali muscolari e della capacità
ossidativa dei grassi, i due fattori principali che determinano l’iperinsulinismo (10).
Solo pochi dati sono disponibili sul possibile ruolo causale dell’ambito lavorativo nello sviluppo della sindrome. Chandola e coll (3) hanno
recentemente suggerito che lo stress lavorativo cronico può essere importante per lo sviluppo della sindrome, mentre altri autori hanno notato
un’associazione con il lavoro manuale (11). Un altro elemento correlato
con il lavoro, che potrebbe influenzare lo sviluppo della sindrome, sembra essere rappresentato dall’orario di svolgimento delle attività lavorative: alcuni studi trasversali hanno riportato un’aumentata prevalenza della sindrome nei lavoratori in turno in confronto con quelli non in turno
(12,13). Peraltro, nessuno dei fattori su elencati può avere influenzato i
nostri dati, dato che nel nostro studio sia i casi che i controlli erano strettamente comparabili secondo i criteri di inclusione per classe sociale e
svolgimento dell’attività lavorativa, mentre il livello di stress è risultato
simile nei due gruppi, sebbene nei lavoratori del call center sia stata rilevata una prevalenza lievemente maggiore di alto carico lavorativo.
La prevalenza di sindrome metabolica nel presente studio è risultata
più bassa di quella riportata in altri lavori effettuati su popolazione adulta (14,15), sebbene ci sia una sostanziale eterogeneità per sesso e gruppo
etnico (16, 17). Va comunque rilevato che la nostra popolazione era molto selezionata, essendo composta da soggetti giovani, senza chiara predisposizione genetica. Inoltre, sono stati esclusi i soggetti con diagnosi di
diabete di tipo1, e quelli con nota o sospetta ipertensione secondaria, Poiché l’età media della nostra popolazione era inferiore a 30 anni, quasi tutti i pazienti con diabete avevano la forma di tipo 1 e la maggior parte degli ipertesi aveva una forma nota o sospetta di ipertensione secondaria:
questo fatto ha indotto un’ulteriore riduzione nella prevalenza attesa della sindrome metabolica.
Il nostro studio ha alcuni limiti. Per esempio, è ben noto che alcune
abitudini alimentari (che non sono state investigate) predispongono allo
sviluppo della sindrome (19); peraltro, non sembra esservi ragione di
pensare che i lavoratori dei call center abbiano abitudini alimentari diverse da quelle di altri lavoratori appartenenti alla stessa classe sociale, e
non vi sono studi che riporti il consumo di dieta ad alto rischio in tali lavoratori.
In conclusione, questo studio mostra un’aumentata prevalenza di
sindrome metabolica tra i lavoratori del call center che usano il computer
per buona parte della loro attività lavorativa. Le implicazioni pratiche
dello studio sono: 1. La necessità di valutare la presenza della sindrome
o, ancora meglio, delle sue singole componenti in questo gruppo di lavoratori, in quanto, una volta instauratasi, la sindrome è fortemente predittiva per l’insorgenza di eventi cardiovascolari sfavorevoli; 2. L’opportunità di istituire un’attività di counseling per questo gruppo di lavoratori,
specie sulle conseguenze per la salute della sindrome; 3. La necessità di
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
10)
11)
12)
13)
14)
15)
16)
17)
18)
19)
includere opportune modifiche dell’ambiente di lavoro, sia a livello individuale
(per esempio incoraggiando l’attività fisica nell’ambiente di lavoro), sia, probabilmente, a livello organizzativo, riducendo i fattori stressogeni.
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450
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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SESSIONE
BRONCOPNEUMOPATIE OCCUPAZIONALI
COM-01
ANCHE LA SCELTA E LA VALIDAZIONE DEI VALORI TEORICI
DI RIFERIMENTO SONO UN PROBLEMA DI QUALITÀ
DELLA SPIROMETRIA.
A. Innocenti 1, A.M. Fialdini 1, C. Ciapini 2
1 U.F.
2 U.F.
Medicina del Lavoro - Azienda USL 3 di Pistoia - Regione Toscana
PISLL zona Pistoia - Azienda USL 3 di Pistoia - Regione Toscana
Corrispondenza: dott. Andrea Innocenti, U.F. Medicina del Lavoro Dipartimento di Prevenzione USL 3, Via XXIV Maggio, 8 - 51019 Ponte
Buggianese (PT), e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. La spirometria è largamente utilizzata per la valutazione clinica di routine dei lavoratori esposti a irritanti o sensibilizzanti
bronchiali, tuttavia la sua interpretazione richiede appropriati valori di riferimento per valutare la normalità. Sono stati studiati 1319 giovani di età
18-25 anni (754 maschi - 57.1% e 565 femmine - 42.9%) con spirometro
BAIRES-Biomedin. ed i valori osservati sono stati confrontati con vari
teorici di riferimento utilizzabili per lavoratori italiani: CECA 1971, ERS
1993, Scotti e coll. 1986, Pistelli e coll. 2000. Tutte le equazioni studiate
mostravano differenze statisticamente significative per uno o più indici,
anche se i valori osservati erano tutti vicini al 100% dei valori predetti. I
valori di riferimento ERS 1993 sono sempre risultati statisticamente differenti dai valori osservati. In conclusione si suggerisce cautela nella interpretazione della spirometria in soggetti giovani e si augura lo studio di
nuovi valori di riferimento per la popolazione italiana.
Parole chiave: spirometria, valori di riferimento, giovani
THE
indicazioni per la sorveglianza sanitaria in azienda di lavoratori immigrati (1) o per i soggetti ultrasettantenni, come quelli in passato esposti ad
amianto od altre sostanze con effetti dilazionati nel tempo (2) sono state
gia fornite, mentre scarse indicazioni vi sono per i soggetti al di sotto dei
25 anni. È noto infatti che in media la massima crescita degli indici funzionali si ha intorno ai 20 anni (con possibili differenze secondo il sesso e
l’etnia) seguita da un plateau grossolanamente corrispondente alla fascia
di età di 25-35 anni, dopo il quale comincia il decremento. Scopo del presente lavoro è la verifica della validità di alcune equazioni di riferimento
utilizzate in Italia per i soggetti dai 18 ai 25 anni, anche alla luce del fatto
che nei teorici CECA 1971 e Scotti 1986 (5) il decremento parte dai 18 anni, mentre per i teorici ERS 1993 dai 18 ai 25 anni il valore degli indici
funzionali è influenzato solo dall’altezza, ma non dall’età, mentre le equazioni proposte da Pistelli e coll. 2000 (4) sono sviluppate con un modello
matematico continuo dall’infanzia all’età avanzata che tiene conto dei fisiologici punti di flesso fra sviluppo, plateau e decadimento della funzionalità polmonare e non con un modello di regressione lineare.
MATERIALI E METODI
Sono stati studiati i giovani visitati presso gli ambulatori della USL
3 di Pistoia in occasione dell’avviamento al lavoro nel periodo 19922006. Esclusi dallo studio i soggetti con pregressi o attuali sintomi respiratori, cardiaci e neurologici e malattie respiratorie dell’infanzia, i fumatori e gli ex-fumatori, i soggetti con rinite allergica, i soggetti con pregresse esposizioni ad irritanti respiratori e con sintomi respiratori acuti
nell’ultimo mese, sono residuati 754 maschi - 57.1% e 565 femmine 42.9% per un totale di 1319 soggetti. I dati antropometrici della popolazione studiata sono esposti in tab. I
L’esame funzionale è stato effettuato a tutti i soggetti con lo stesso
spirometro a campana BAIRES (Biomedin - PD) secondo i criteri raccomandati dall’American Thoracic Society con l’esecuzione di almeno 3
prove accettabili ed i valori osservati dei volumi polmonari sono stati
confrontati con vari teorici di riferimento utilizzabili per la popolazione
italiana: CECA 1971, ERS 1993, Scotti e coll. (5), Pistelli e coll. (4). Non
sono stati considerati i flussi polmonari in quanto possono essere considerati indici derivati. La significatività statistica (p 0.05) è stata calcolata
fra valore osservato e teorico mediante test t di Student per dati appaiati.
REFERENCE VALUES SELECTION AND VALIDITY CHECK ALSO ARE A
RISULTATI
Nessuna equazione di riferimento è apparsa più adeguata delle altre,
ABSTRACT. Spirometric measurements are widely used for routine
infatti la maggior parte dei confronti effettuati ha mostrato differenze staclinical assessment of workers with occupational exposures to bronchial
tisticamente significative fra valori osservati e di riferimento, anche se i
irritants or sensibilizing agents, however their interpretation requires
valori teorici sono sempre risultati in media vicini al 100% del valore miappropriate reference values for predicting normality. We studied 1319
surato (tab. II); sono risultati non significativamente differenti (p>0.05)
subjects 18-25 years old (754 males - 57.1% e 565 females - 42.9%) with
solo i valori di VC e FVC di Pistelli e coll. per i maschi e di VC CECA
BAIRES-Biomedin spirometer and observed values were compared with
1971, VC di Pistelli e coll. e FEV1 di Scotti e coll. per le femmine, mendifferent reference equations for italian workers: CECA 1971, ERS 1993,
tre tutti i valori di riferimento degli indici ricavati dalle equazioni ERS
Scotti and coll. 1986, Pistelli and coll. 2000. All reference equations
1993 sono risultati significativamente differenti dai valori osservati.
studied have significantly differences for one or more index, even if the
observed values are all near to 100% of predicted values.
The ERS 1993 reference values were always statistically
Tabella I. Dati antropometrici (media + d.s) dei soggetti esaminati
different from observed values. In conclusion we suggest
prudence in interpreting spirometry in young people and
we hope the identification of new spirometry reference
values for italian people.
Key words: spirometry, reference values, young people
SPIROMETRY QUALITY ISSUE.
INTRODUZIONE
I valori di riferimento per la funzionalità polmonare
giocano un ruolo importante nella qualità della sorveglianza sanitaria e la loro scelta (come la scelta dei limiti inferiori
della normalità o l’intervallo di confidenza e lo schema interpretativo delle alterazioni) sono importanti come l’accuratezza e la precisione della misura originale per lo studio
della funzionalità polmonare. Sfortunatamente l’attenzione
ai valori di riferimento è spesso minima o addirittura sottovalutata, quando invece essi sono selezionati per influenzare l’interpretazione e la loro selezione non è indifferente anche per le eventuali conseguenze di ulteriori indagini di approfondimento spesso radiologiche o invasive.
Tuttavia vi sono condizioni particolari che rendono ancora più critica e problematica la scelta dei valori teorici di
riferimento e che richiedono riflessioni particolari. Alcune
Tabella II. Media + d.s dei valori assoluti rilevati (in litri) degli indici studiati nella
popolazione esaminata e delle percentuali rispetto ai quattro differenti valori
teorici di riferimento analizzati
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DISCUSSIONE
Il problema reale nella scelta dei valori di riferimento è che in effetti non esistono dei valori teorici validi “per tutte le stagioni” e quindi la
scelta dell’equazione sorgente è condizionata, anche dall’uso che viene
fatto della spirometria, cioè clinico, epidemiologico, medico-legale, preventivo; di conseguenza in Medicina del Lavoro non si può non tenere
conto dell’healthy worker effect quando si voglia mettere in evidenza una
alterazione precoce e non dovrebbero essere utilizzate formule che forniscono valori sottostimati, in particolare di Capacità Vitale in quanto il
rapporto FEV1/VC% è il primo indice che si deve valutare nella strategia
di interpretazione (3). Anche per questo motivo, i teorici ERS 1993 (comunemente utilizzate da molti pneumologi italiani) hanno trovato numerose critiche nella stesso gruppo di studio della European Community Respiratory Health Survey o in chi le ha comunque verificate in popolazioni locali finlandesi, norvegesi, croate, polacche, tedesche, in quanto forniscono indici ventilatori sottostimati in particolare di VC, tant’è che lo
stesso autore che li ha elaborati, per la popolazione olandese, usa altre
equazioni (1). Da rimarcare il pessimo confronto ottenuto anche in questo studio, anche se relativo ad una particolare fascia di età particolarmente difficile da indagare.
Molti medici del lavoro continuano ad utilizzare i valori teorici CECA 1971 (a cui i lavoratori italiani hanno dato un notevole contributo numerico non solo per la parte di studio in Italia, ma anche per l’elevato numero di emigrati visitati in Francia, Belgio e Germania in occasione dell’indagine sanitaria degli anni sessanta) e, poiché nessuna equazione di riferimento è apparsa più adeguata di altre nella fascia di età 18-25 anni, i
valori di riferimento provenienti dalle suddette equazioni possono essere
utilizzati anche per i lavoratori di questa fascia di età, utilizzando ovviamente molta cautela nella interpretazione e refertazione della spirometria.
In ultimo, ma non per importanza, poiché nei soggetti giovani è più
evidente l’effetto coorte in quanto le abitudini di vita (alimentazione, sedentarietà, etc.) hanno avuto notevoli cambiamenti a partire dagli anni
’80, sarebbe opportuno procedere ad una messa a punto di nuove adeguate equazioni di riferimento per i valori polmonari, come recentemente effettuato negli USA con lo studio NHANES III, o perlomeno a valutazioni e validazioni periodiche di valori teorici utilizzati nello studio delle popolazioni lavorative.
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nelle broncopneumopatie professionali. Valori di riferimento italiani.
Masson Italia Editori - Milano 1986
451
SESSIONE
CUTE
COM-01
ASSORBIMENTO PERCUTANEO DI NANOPARTICELLE
DI ARGENTO IN UN SISTEMA IN VITRO
F. Larese Filon1, F. D’Agostin1, M. Crosera2, G. Adami2, R. Rosani 1,
C. Romano 3, M. Bovenzi1, G. Maina3
1 Unità Clinica Operativa di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Trieste
2 Dipartimento di Scienze Chimiche - Università degli Studi di Trieste
3 Laboratorio di Igiene Industriale - Università di Torino
Corrispondenza: Francesca Larese Filon - UCO Medicina del Lavoro Via della Pietà 19 -34129 Trieste, Italy - E-mail: [email protected]
RIASSUNTO. La sicurezza di prodotti ad uso cutaneo contenenti nanoparticelle riveste notevole interesse. L’utilizzo delle nanoparticelle è
vantaggioso in numerosi settori scientifici, ma la loro capacità di penetrare la cute non è ancora ben nota. Abbiamo valutato in un sistema in vitro
la penetrazione cutanea di nanoparticelle di argento. Gli esperimenti sono
stati condotti utilizzando il metodo delle celle a diffusione di Franz e cute
umana sia integra che lesa. La fase ricevente era costituita da soluzione fisiologica e la fase donatrice da 70µg/cm2 di nanoparticelle di argento, disperse in sudore sintetico e applicate alla superficie esterna della cute per
24h. Le misurazioni nel fluido ricevente sono state effettuate con Spettrometria di Assorbimento Atomico con fornetto di grafite (ETAAS). La concentrazione di argento nella fase ricevente di 2 celle con cute lesa era pari a 0.2µg/L, mentre negli altri test non raggiungeva il limite di rilevabilità.
I risultati dimostrano che l’assorbimento di nanoparticelle di argento attraverso la cute sia integra che lesa è trascurabile, come già evidenziato in
altri studi anche se ulteriori ricerche sono necessarie per comprendere l’assorbimento percutaneo di nanoparticelle di argento nella cute.
Parole chiave: nanoparticelle di argento, assorbimento percutaneo,
in vitro, cute lesa.
IN VITRO PERCUTANEOUS ABSORPTION OF SILVER NANOPARTICLES
ABSTRACT. There is a growing interest in the debate on nanoparticle
safety for topical use. The benefits of nanoparticles have been shown in
several scientific fields, but little is known about their potential to penetrate
the skin lies. This study aims at evaluating in vitro silver nanoparticles skin
penetration. Experiments were performed using the Franz diffusion cell
method with intact and damaged human skin. Physiological solution was
used as receiving phase and 70µg/cm2 of silver nanoparticles dispersed in
synthetic sweat were applied as donor phase to the outer surface of the skin
for 24h. The receptor fluid measurements were performed by Electro
Thermal Atomic Absorption Spectroscopy (ETAAS). Silver concentration of
0.2µg/L was found in the receiving solutions of two cells, in which damaged
skin membranes were set up. In the other tests, we obtained a silver
concentration below the limit of detection in the receiving cells. Our
experimental data show that silver nanoparticles permeation through
intact and damaged skin is negligible. These findings are consistent with
previously published results. Further researches are necessary to explore
skin absorption of silver nanoparticles.
Key words: silver nanoparticles, percutaneous absorption, in vitro,
damaged skin.
INTRODUZIONE
La diffusione sul mercato di prodotti ad uso cutaneo contenenti formulazioni in dimensioni nano (<100nm) costituisce uno dei principali
fattori nello studio dell’assorbimento cutaneo di nanoparticelle. Numerose ricerche hanno dimostrato che i materiali di tali dimensioni acquisiscono nuove proprietà che possono rivelarsi utili in vari settori: dalla biotecnologia alla bioingegneria, dalla nanotecnologia alla nanomedicina. In
particolare, le nanoparticelle di argento (Ag) vengono utilizzate come antisettico in creme, tessuti, farmaci ad uso topico, ma il rischio potenziale
452
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di contaminazione che può derivare dal contatto accidentale durante la loro produzione o uso non è completamente noto, né sono disponibili dati
esaustivi che valutino il passaggio di esse attraverso la cute (1).
Alcuni studi condotti in vitro e in vivo sottolineano il potenziale ruolo dei follicoli piliferi nel processo di assorbimento: le particelle con diametro da 3 a 10 nm potrebbero utilizzare i follicoli piliferi per penetrare
attraverso la cute, mentre quelle con diametro maggiore resterebbero nello strato corneo (2). Al contrario, Laedmann e Coll. hanno riscontrato in
volontari, dopo applicazioni ripetute di un prodotto solare contenente nanoparticelle di ossido di titanio, un limitato assorbimento nella superficie
più esterna dello strato corneo e nei follicoli piliferi (3). Analogamente i
test effettuati in vitro con cute umana (4) e porcina (5) non hanno evidenziato alcun significativo assorbimento di nanoparticelle di ossido di
titanio e ossido di zinco contenute in creme solari applicate topicamente.
Questi risultati sono simili a quelli rilevati da Cross e Coll. (6).
In questo studio abbiamo valutato con il metodo in vitro delle Franz
cells (7) il passaggio di nanoparticelle di argento rivestite con polivinilpirrolidone attraverso la cute sia integra che lesa.
MATERIALI E METODI
Gli esperimenti sono stati condotti utilizzando celle di Franz e lembi
di cute umana proveniente da interventi di chirurgia plastica. I campioni
cutanei, privati del grasso sottocutaneo con un bisturi fino ad uno spessore medio di 1 mm, sono stati tagliati in sezioni pari a 3x3 cm. Per 4 sezioni cutanee si è applicato il protocollo suggerito da Bronaugh (8) che
simula un danno alla cute tramite lesione con aghi. Infine i campioni cutanei sono stati posizionati in 10 celle con il lato epidermico a contatto
con il compartimento donatore e quello dermico esposto alla soluzione ricevente, costituita da soluzione fisiologica. Nel compartimento donatore
delle celle, tranne che in 2 utilizzate come bianco, è stata collocata una
quantità pari a 70µg/cm2 di nanoparticelle di argento, rivestite in polivinilpirrolidone e con un diametro medio di 25 nm determinato con il microscopio elettronico a trasmissione (TEM). Esse sono state disperse in
etanolo 0.14 wt % e diluite 1:10 con sudore sintetico per riprodurre le
condizioni in vivo. Le misurazioni nella soluzione ricevente sono state effettuate mediante Spettrometria di Assorbimento Atomico con correzione
di Zeeman utilizzando lo spettrometro Perkin Elmer 4100 ZL (USA) con
fornetto di grafite. Il limite di rilevabilità era di 0.1 µg/L ad una lunghezza d’onda di 328.1 nm. Le curve di calibrazione sono state ottenute con
diversi standard a 5, 10 e 20 g µ/L utilizzando una soluzione allo 0.1% di
Mg(NO3)2 e una soluzione di Pd(NO3)2 1 g/L come matrice.
RISULTATI
La concentrazione di argento nella fase ricevente delle celle con cute integra, di 2 celle con cute lesa e nei bianchi, a 24 ore dall’inizio dell’esperimento, non raggiungeva il limite di rilevazione. Solo nella soluzione ricevente delle altre 2 celle allestite con cute danneggiata è stata misurata una concentrazione di argento di 0.2 µg/L (Tabella I).
CONCLUSIONI
I risultati dei nostri esperimenti dimostrano che l’assorbimento di nanoparticelle d’argento rivestite in polivinilpirrolidone attraverso la cute integra è trascurabile, confermando gli studi precedenti (3,4,5,6). I test con
cute lesa evidenziano un limitato assorbimento di argento, attribuibile ad
una diminuzione della capacità dello strato corneo di fungere da barriera.
Dati recenti di letteratura dimostrano che le nanoparticelle di dimensioni
inferiori ai 10nm sono capaci di penetrare la cute passivamente attraverso
la matrice lipidica dello strato corneo e i follicoli piliferi, raggiungendo gli
strati più profondi dell’epidermide e, talora, lo strato germinativo (9). Pertanto, allo stato attuale, sono necessarie ulteriori ricerche che consentano
di chiarire il meccanismo che regola tale assorbimento.
Tabella I. Concentrazioni di Ag rilevate
nella soluzione ricevente alle 24 ore
BIBLIOGRAFIA
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COM-02
ASSORBIMENTO PERCUTANEO DI POLVERE DI CROMO
ED EFFETTI DELLA DETERSIONE: RISULTATI DI UNA INDAGINE
IN VITRO
D’Agostin F1, Crosera M2, Adami G2, Malvestio A1, Rosani R1,
Bovenzi M1, Maina G3, Larese Filon F1
1 Unità Clinica Operativa di Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Trieste
2 Dipartimento di Scienze Chimiche - Università degli Studi di Trieste
3 Laboratorio di Igiene Industriale - Università di Torino
Corrispondenza: Francesca Larese Filon - UCO Medicina del Lavoro Via della Pietà 19 -34129 Trieste, Italy - E-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Le dermatiti da contatto da cromo sono frequenti nel
settore edile, metallurgico, della lavorazione del cuoio e della ceramica.
Abbiamo valutato in un sistema in vitro l’assorbimento percutaneo della
polvere di cromo e l’effetto della rapida decontaminazione con un comune detergente. Gli esperimenti sono stati condotti utilizzando il metodo
delle celle a diffusione di Franz e cute umana. La fase ricevente era costituita da soluzione fisiologica e la fase donatrice da una sospensione di
polvere di cromo in sudore sintetico. In alcuni test, a 30 minuti dall’esposizione, è stata effettuata la detersione. La concentrazione di cromo
assorbita è stata analizzata con Spettroscopia di Emissione Atomica al
Plasma e Spettroscopia di Assorbimento Atomico con fornetto di grafite.
È stata effettuata l’analisi speciativa del cromo e determinate le concentrazioni nella cute. Il flusso di permeazione era pari a 0.843±0.25 ng cm2 h-1 e il lag time a 1.1± 0.7 ore. La detersione aumentava significativamente la concentrazione di cromo nella cute, ma non il passaggio attraverso essa. I risultati dimostrano che la polvere di cromo può permeare la
cute e che la detersione non diminuisce l’assorbimento. Pertanto, è necessario prevenire la contaminazione quando si utilizzano sostanze tossiche.
Parole chiave: cromo, assorbimento percutaneo, in vitro, detersione.
IN
VITRO PERCUTANEOUS ABSORPTION OF CHROMIUM POWDER AND THE
EFFECT OF SKIN CLEANSER
ABSTRACT. Occupational chromium dermatitis occurs frequently
among cement and metal workers, workers dealing with leather tanning
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
and employees in the ceramic industry. The present study, using an invitro system, evaluated percutaneous absorption of chromium powder
and the effect of rapid skin decontamination with a common detergent.
Experiments were performed using the Franz diffusion cell method with
human skin. Physiological solution was used as receiving phase and a
suspension of chromium powder in synthetic sweat was used as donor
phase. The tests were performed without or with decontamination using
the cleanser 30 minutes after the start of exposure. The amount of
chromium permeated through the skin was analysed by Inductively
Coupled Plasma Atomic Emission Spectroscopy and Electro Thermal
Atomic Absorption Spectroscopy. Speciation analysis and measurements
of chromium skin content were also performed. We calculated a
permeation flux of 0.843±0.25 ng cm-2 h-1 and a lag time of 1.1± 0.7 h.
The cleaning procedure significantly increased chromium skin content,
whereas skin passage was not increased. These results showed that
chromium powder can pass through the skin and that skin
decontamination did not decrease skin absorption. Therefore, it is
necessary to prevent skin contamination when using toxic agents.
Key words: chromium, percutaneous absorption, in vitro, skin
cleanser.
INTRODUZIONE
Il ruolo della cute è stato a lungo sottostimato in ambito professionale e fino agli anni ’60 la cute era considerata una barriera impermeabile alle sostanze chimiche. Oggi è noto che molte sostanze tossiche sono
in grado di penetrare attraverso la cute e in letteratura sono reperibili numerosi studi che valutano l’assorbimento di esse e di metalli, sia in vivo
che in vitro. Tra questi, il cromo (Cr) rappresenta uno dei metalli principalmente analizzati: esso è un noto aptene che può determinare la comparsa, in soggetti sensibilizzati, di dermatite da contatto. Questo aspetto è
frequente in ambito occupazionale e, in modo particolare tra gli edili, i
metalmeccanici, gli addetti alla concia del cuoio, i lavoratori dell’industria ceramica (1,2). Soltanto i composti del cromo trivalente ed esavalente possono essere considerati apteni potenziali, essendo gli altri composti instabili (3). È inoltre noto che il cromo esavalente è molto più reattivo e facilmente trasportato attraverso le membrane cellulari rispetto alla forma trivalente, come hanno dimostrato gli studi in vivo (4) e in vitro
(5). Fino ad ora comunque i dati disponibili sul possibile assorbimento
del cromo allo stato metallico, e le informazioni inerenti il suo meccanismo risultano insufficienti. Un’indagine in vitro, condotta da Larese Filon e Coll. ha dimostrato che, mentre le polveri di nichel e cobalto a contatto con sudore sintetico (pH 6.5) si ossidano in ioni solubili capaci di
permeare la cute, la polvere di cromo, alle medesime condizioni, non ionizza e non attraversa la cute (6). La presente ricerca valuta l’assorbimento percutaneo del cromo metallico in vitro, utilizzando un sudore sintetico a pH 4.5, e l’effetto di un comune detergente (contenente sodio lauril solfato) sul processo di assorbimento del metallo stesso. Negli ambienti di lavoro la pulizia con il detergente della cute contaminata è una
pratica abituale: essa dovrebbe rimuovere la maggior parte delle sostanze tossiche depositatesi, ma numerosi studi hanno dimostrato che essa
può determinare un aumento dell’assorbimento percutaneo delle stesse.
In particolare, il sodio lauril solfato può facilitare la penetrazione di alcuni agenti tossici, ad esempio nichel e piombo, alterando il mantello
idrolipidico e la normale funzione “barriera” della cute (7, 8).
MATERIALI E METODI
Una sospensione di polvere di cromo (APS<10 µm) in sudore sintetico fresco a pH 4,5 è stata preparata e agitata per 30 minuti a temperatura ambiente. I lembi di cute umana, provenienti da interventi di chirurgia
estetica, sono stati scongelati in soluzione fisiologica (NaCl 0.9% in tampone fosfato) e posizionati in 12 celle a diffusione di Franz (9). Le due
camere, donatrice e ricevente di ciascuna cella, sono state riempite con
soluzione fisiologica e termostatate a 32°C per 30 minuti per misurare la
resistenza elettrica della cute e controllarne l’integrità. La soluzione fisiologica della camera donatrice, tranne che in 2 celle analizzate come
bianco, è stata successivamente rimossa e sostituita da 1 ml della sospensione di polvere di cromo. Inoltre in 4 celle, a 30 minuti dall’inizio dell’esperimento, è stato eseguito il lavaggio della cute con un comune detergente contenente sodio lauril solfato. L’assorbimento del cromo è stato monitorato attraverso il prelievo, a tempi diversi, della fase ricevente
nel corso delle 24 ore. Alla fine degli esperimenti la cute è stata digerita
e mineralizzata con acido nitrico, concentrato in un sistema a microonde,
453
Tabella I. Flusso e lag time (media e deviazione standard)
Tabella II. Concentrazioni di Cr rilevate nella cute e nella soluzione
ricevente alle 24 ore (media e deviazione standard)
per l’analisi del cromo residuo. I valori di concentrazione del cromo sono stati determinati con spettroscopia di emissione atomica al plasma
(ICP-AES) e spettroscopia di assorbimento atomico con fornetto di grafite (GF-AAS). L’analisi speciativa del cromo è stata ottenuta con spettrofotometria UV-visibile mediante complessazione con difenilcarbazide
e con voltammetria ad impulsi differenziale (DPV). Per l’analisi statistica è stato utilizzato il programma SPSS per Windows. Il confronto tra
medie è stato eseguito con il test di Mann-Whitney (2 gruppi) e con il test di Kruskal-Wallis (più gruppi). Il limite della significatività statistica è
stato posto per p<0.05.
RISULTATI
I risultati sono illustrati nelle tabelle I e II.
Il nostro studio ha evidenziato un incremento progressivo nel passaggio del metallo. Alle 24 ore, la concentrazione di cromo nella fase ricevente delle celle non trattate con il detergente era pari a 0.016±0.005
µg cm-2 con un flusso medio di 0.843±0.25 ng cm-2 h-1 e un lag time di
1.1± 0.7 ore. Nelle celle trattate con il detergente le concentrazioni di cromo erano molto basse e simili a quelle osservate nei bianchi di controllo.
L’analisi della cute ha rilevato una concentrazione di cromo alle 24
ore di 3.19±1.48 µg cm-2 nelle celle non lavate con il detergente ed una
concentrazione di 5.46±1.09 µg cm-2 (p<0.03) in quelle trattate con il lavaggio. L’analisi speciativa ha rivelato che il cromo era presente solo in
forma trivalente.
DISCUSSIONE
Il nostro studio ha confermato, analogamente ai dati disponibili in letteratura, un basso flusso di assorbimento percutaneo per il cromo metallico,
rispetto ad altri metalli: il sudore sintetico a pH 4.5 era in grado di ossidare
la polvere di Cr a Cr (III) che, a differenza del Cr (VI), attraversa la cute meno facilmente e presenta una maggiore affinità per le proteine cutanee.
Il lavaggio della cute con il detergente e la rimozione del Cr, a 30 minuti dall’esposizione, hanno determinato una riduzione del passaggio del
metallo nel liquido ricevente e un significativo incremento della concentrazione di cromo nella cute: questo può essere attribuito da un lato alla
elevata affinità del Cr (III) per i costituenti della cute e dall’altro all’azione del sodio lauril solfato che, alterando l’integrità della membrana, facilita l’assorbimento del metallo nella cute. Questo dato deve essere tenuto
in considerazione, in particolare in ambito professionale, al fine di predisporre un’adeguata protezione della cute dal contatto con ogni sostanza
tossica, poiché anche una breve esposizione, seguita da accurata pulizia,
rappresenta un potenziale fattore di rischio per l’assorbimento. Va inoltre
sottolineata l’importanza della scelta del detergente: utilizzando un prodotto comune per la decontaminazione è possibile determinare un aumento di concentrazione, non trascurabile, dell’agente tossico nella cute.
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9) Franz TJ. On the relevance of in vitro data. J. Invest. Dermatol. 1975;
93: 633-640.
La ricerca è stata finanziata nell’ambito dei progetti PRIN 2007.
Molte sono le cause ambientali ed individuali che sembrano potenzialmente coinvolte in questo processo. Riguardo alle prime, sono stati presi
in considerazione gli agenti fisici (campi elettromagnetici, UV e microclima), gli agenti chimici (polveri di carta, frequenza di pulizia, qualità dell’aria indoor), così come la presenza di “aree sovraffollate”. Per quanto riguarda le seconde, giocano un ruolo importante le caratteristiche costituzionali (tipo di pelle, dermatite atopica, asma/rinite), le abitudini personali come il fumo, e lo stress (professionale e non professionale). Da una prima osservazione nel 1979 [2], sono stati eseguiti numerosi studi per spiegare le ragioni per le quali alcune forme di dermatite, come la rosacea (figura 1 e 2), la dermatite seborroica (figura 3 e 4) e l’eritema sembrano essere più frequenti in operatori a VDT rispetto alla popolazione generale.
Fino ad oggi nessuna chiara e convincente conclusione è stata realizzata sulla questione. Scopo della nostra ricerca è stata la stesura di “stato
aggiornato dell’arte” su questo tema, corredato degli specifici riferimenti connessi ai problemi ambientali che possono rappresentare, in questo
ambito, un punto chiave nello sviluppo di future ricerche.
COM-03
RISULTATI
Le parole chiave e il numero di riferimenti bibliografici sono riportati in tabella I. Nessuna nota bibliografica era presente fino agli anni 70.
La prima osservazione sistematica fu pubblicata da Linden [2] nei primi
anni 80. Nel 1989 Swanbeck [3] studiò una popolazione di trenta pazienti che presentavano problemi cutanei causati dal lavoro con unità VDT.
Questi pazienti furono sottoposti a uno studio in doppio-cieco mediante
esposizione a due tipi di VDT: uno emetteva un campo elettrostatico ed
elettromagnetico ad elevata intensità e l’altro apparentemente
identico al primo) emetteva un campo elettrostatico ed elettromagnetico a bassa intensità. Approssimativamente, l’80% dei pazienti reagì con
problemi puntori e di prurito sulla faccia durante il periodo di 3 ore di lavoro, con il 25% di umidità relativa nella stanza: non fu trovata nessuna
differenza tra i due gruppi. Si concluse che il problema cutaneo fra gli
utenti di VDT esiste indubbiamente, anche se l’associazione con l’esposizione a campo magnetico non fu confermata. La patologia principale era
la rosacea, seguita dalla dermatite seborroica, dall’eritema aspecifico e
dall’acne le quali sono un gruppo di patologie dermatologiche molto comuni, facili da trovare anche nella popolazione generale. Di conseguenza
gli autori conclusero che le patologie cutanee osservate non erano specifiche e che molti fattori, professionali e non professionali, erano verosimilmente coinvolti, suggerendo che i molteplici quadri clinici osservati
dovessero essere analizzati separatamente, in condizioni controllate e preferibilmente con studi in doppio-cieco. Anche Pierini [4] in una review
pubblicata nel 1991 concluse che non si era trovata nessuna associazione
tra livelli di campo elettromagnetico e malattie della pelle, ma probabilmente altri fattori erano coinvolti nelle malattie cutanee facciali in operatori di VDT. Nel 1994 Johansson [5] mediante l’immunoistochimica è stato capace di dimostrare un elevato numero di cellule dendritiche immunoreattive così come mast-cellule, in biopsie cutanee di due pazienti esposti a schermi televisivi. Dopo l’esposizione, il numero di mast-cellule era
immutato, ma le cellule immunoreattive erano “scomparse”. Il numero
elevato ed inaspettato di mast-cellule trovato fu considerato un buon chiarimento dei sintomi clinici quali il prurito, l’edema e l’eritema che sono
anche un reperto piuttosto comune in lavoratori addetti a VDT colpiti da
disturbi cutanei. Nel 1994 Bergqvist [6] in un studio trasversale su 353 lavoratori di ufficio di 7 imprese a Stoccolma, osservò che c’era una ten-
DERMATITI E LAVORO CON VDT/PC
P. Pigatto1, C. Marsili2, F. Pierini3, A. Bergamaschi4, B. Piccoli2
1Dipartimento
di Scienze Dermatologiche - IRCCS Fondazione Ospedale
Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena, Milano
2Dipartimento di Medicina del Lavoro - IRCCS Fondazione Ospedale
Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena, Milano
3Azienda Ospedaliera G. Salvini, Garbagnate Milanese (Servizio Medico
Competente), Milano
4 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore,
Roma
Corrispondenza: Chiara Marsili, Dipartimento di Medicina Preventiva,
Clinica e del Lavoro, Clinica del Lavoro “Luigi Devoto”, Fondazione
IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena,
Università degli Studi di Milano, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Scuola
di Specializzazione in medicina del Lavoro, Tel. 3476663369; Fax: 02
50320150, e-mail:[email protected]
RIASSUNTO. Alterazioni cutanee come rosacea, dermatite seborroica, eritema aspecifico ed acne possono essere correlate al lavoro con
videoterminali. Attualmente, vari fattori ambientali e individuali sono
coinvolti nello sviluppo di tali patologie, ma i primi sembrano essere
quelli meritevoli di maggiore approfondimento.
Parole chiave: alterazioni cutanee, lavoro con VDT, ambiente.
DERMATITIS AND VDU WORK
ABSTRACT. Skin disorders like rosacea, seborrhoeic dermatitis,
non-specific erythema and acne can be VDU work linked. At present,
many environmental and individual causes are involved in the
development of these disorders, but the former appear to be the issue to
investigate more in depth.
Key words: skin disorders, VDU work, environment.
INTRODUZIONE
L’uso intensivo dei VDT è molto comune in praticamente tutte le attività di
ufficio. Secondo la letteratura, l’apparato
visivo e quello muscolo-scheletrico sono
i sistemi più direttamente colpiti da numerose patologie [1] Anche se meno frequentemente, la pelle può essere interessata da numerose alterazioni che possono
manifestarsi ex novo e/o costituire un aggravamento di alterazioni preesistenti.
MATERIALI E METODI
È stata fatta un’ampia revisione della letteratura dal 1970 ad oggi, sui
problemi cutanei in operatori a VDT. Le basi dati consultate sono state
Pub Med ed Embase.
Figure 1 e 2. Rosacea e particolare dell’area zigomatica
Figure 3 e 4. Dermatite seborroica del volto e particolare dell’area perinasale
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
455
ra. Nel 2001, Johanson, [12] usando una
tecnica di immunofluorescenza indiretta
studiò la presenza di mast-cellule nel derma di 13 volontari sani che utilizzavano
un TV o un PC per almeno 2 o 4 ore. Le
biopsie cutanee eseguite prima e dopo
l’esposizione mostrarono che in 5 dei 13
soggetti, il numero delle mast-cellule nel
derma papillare e reticolare era aumentato, anche se 24 ore più tardi il numero e
la distribuzione si erano normalizzate in
tutti i soggetti. Nel 2002 Stenberg [13],
studiando 350 pazienti con sensibilità
elettrica conclusero che, sebbene la prognosi fosse favorevole, un intervento precoce e consistente, sia farmacologico che organizzativo, è spesso necessario in questi casi. Questi autori, inoltre, affermarono che gli operatori
colpiti da sintomi cutanei VDT-connessi fanno parte di un gruppo più
grande di soggetti che hanno una spiccata sensibilità elettrica. Questi soggetti, infatti, normalmente mostrerebbero un quadro clinico e soggettivo
più complesso, dove sarebbero presenti anche lipotimia, astenia, e perdita di memoria. Inoltre, i sintomi cutanei VDT-relativi spesso precederebbero la percezione di “ipersensibilità all’elettricità”, che adeguati interventi preventivi, ambientali e/o personali, sarebbero in grado di eliminare. In uno studio trasversale eseguito da Skiberg [14] presso 8 imprese
emerse che il rischio di sintomi importanti aumenta con il tempo di lavoro al VDT e che fumo passivo e carico psicosociale rappresentavano fattori predisponenti ai sintomi. Anche la frequenza di pulizia degli uffici 2
o 4 volte alla settimana aumenterebbe il rischio, così come un elevato
flusso di ventilazione o una ventilazione centrale nonché l’assenza di controllo di temperatura locale. Bergdahl [15] somministrò un questionario a
350 pazienti, accertati lavoratori al VDT e ipersensibili all’elettricità. I pazienti affetti presentavano una immagine del self deviata, specialmente
nei soggetti di sesso femminile con ipersensibilità all’elettricità, che faceva pensare ad una correlazione con lo stress. Riguardo all’ambiente, un
studio tedesco [16], riporta che i VOCs e condizioni di bassa U rel. interferiscono significativamente con i processi di idratazione della pelle. Inoltre, in 600 lavoratori d’ufficio, studiati a Teheran da Aminian [17] si è osservata una differenza staisticamente significativa per quanto riguarda le
alterazioni cutanee tra gli operatori a VDT esposti rispetto a quelli non
esposti. Più recentemente, Eriksson [18] in un studio eseguito su 3.000
svedesi casualmente selezionati, di età compresa tra i 18 e i 64 anni, ha
concluso che una maggiore prevalenza di sintomi cutanei era effettivamente presente fra soggetti che facevano un esteso uso di VDT. Conclusioni sostenute anche da Pejtersen [19]
Tabella I. database bibliografici consultati, parole chiave utilizzate e n° di riferimenti
denza ad un aumento di prevalenza della dermatite seborroica, di eritema
aspecifico e di altri sintomi cutanei fra i lavoratori che utilizzavano VDT,
rispetto ai lavoratori che non ne facevano uso. In questo studio, le patologie cutanee furono accertate dalla visita dermatologica mentre i sintomi
cutanei ed i dettagli sulla esposizione lavorativa furono ottenuti da un
questionario. Gli autori sottolinearono il concetto che l’eritema aspecifico
appariva correlato ad alcune condizioni, quali un’elevata percezione del
proprio ruolo o carico lavorativo, associate a scarse possibilità di avere
pause durante il lavoro. La bassa umidità relativa fu considerata positivamente correlata alla diagnosi di dermatite seborroica. Nessuna associazione fu trovata tra sintomi o malattie cutanee ed i livelli dei campi elettrostatici, elettrici o magnetici misurati nelle singole postazioni di lavoro
con VDT. Conclusione simile fu proposta da Oftedal [7]. In una ricerca
eseguita in collaborazione con dermatologi, egli conclude infatti, dicendo
che “il risultato sostiene debolmente l’ipotesi che i sintomi cutanei possono essere diminuiti da una riduzione di campo elettrico”. Quattro anni più
tardi gli stessi autori, in un studio in doppio-cieco conclusero che i sintomi relativi a cute, apparato visivo e sistema nervoso non possono essere
eliminati riducendo i campi elettrici emessi dai VDT. Stenberg, [8] in un
studio caso-controllo su sintomi cutanei del volto su 163 operatori di
VDT, stabilì che i sintomi cutanei hanno un sfondo multifattoriale. Questa conclusione fu raggiunta dopo avere analizzato fattori psicosociali,
fattori ambientali presenti nelle abitazioni (sistema di ventilazione, tappeti, animali domestici, fumo di tabacco, la condensazione dell’umidità sulle finestre) e nei luoghi di lavoro (tipo di pavimento, pulizia, presenza di
fotocopiatrici, differenti tipi di carta presenti, tipi di schermo a tubo fluorescente e tipo di riscaldamento), e caratteristiche personali (asma rinite,
dermatite atopica, disturbi gastrici e astenia correlati allo stress, tipo di
pelle, fumo di sigaretta). Questi autori affermarono che “uno sfondo multifattoriale” (fattori psicosociali, fattori fisici, IAQ) potrebbe chiarire l’eziopatogenesi dei sintomi cutanei in operatori di VDT. Gangi [9] in una
review concluse che nella cute dei soggetti con dermatiti indotte da schermo, per quanto concerne gli aspetti clinici, esistono alterazioni molto simili a quelle delle popolazioni cellulari nei danni cutanei indotti da raggi
UV e dalle radiazioni ionizzanti. Eriksson [10] in un studio caso-controllo, confermò che i fattori psicosociali, specialmente la mancanza di sostegno sociale dai colleghi di lavoro, erano associati ad un aumentato rischio
di presenza di sintomi cutanei. La stratificazione per sesso mostrò che
l’associazione tra fattori psicosociali e salute differiva tra maschi e femmine. Gli stessi autori indicarono inoltre che i sintomi cutanei fra gli operatori a VDT sembrano essere di una natura transitoria, per la maggior
parte dei soggetti che presenta sintomi isolati, mentre la prognosi è più negativa (tendenza a recidivare e/o a cronicizzare) per quelli affetti da un
quadro sintomatologico più complesso. Inoltre, pare utile sottolineare che
l’ipotesi precedentemente formulata dagli stessi autori, per esempio che le
misure di prevenzione primaria prese in un ambiente di lavoro, possano
influenzare la prognosi positivamente, non è stata supportata in questo
studio. Gli indicatori di rischio più forti per l’insorgenza di sintomi cutanei sembrarono invece essere le condizioni individuali di salute ed il clima” psicosociale” nel luogo di lavoro. Berg [11] studiò 30 pazienti senza
evidenza di malattia cutanea, ma con sintomi cutanei riferiti da esposizione lavorativa a VDT, e 32 soggetti sani, con un “single blind test” per evidenziare la cosiddetta “pelle sensibile” (5% acido lattico ed acqua pura
sulle guance). Nel primo gruppo 13 soggetti e 6 nel secondo reagirono positivamente, come affetti da dolore puntorio (“as stingers”, p<0,05). Gli
autori conclusero che i pazienti con esposizione a VDT che riferivano sintomi cutanei hanno una “pelle sensibile”, anche se l’eziologia è poco chia-
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Un problema” cutaneo “fra gli operatori di VDT esiste indubbiamente, anche se le alterazioni cutanee mostrate sono estremamente comuni (rosacea, dermatite seborroica, eritema aspecifico ed acne) e facili
da trovare anche nella popolazione generale. La ragione di queste reazioni cutanee probabilmente risiede nell’ambiente di lavoro inteso come clima organizzativo e ambiente fisico), aggravato da predisposizioni individuali. Le modifiche a carico della cute del viso sembrano evolvere facilmente verso la guarigione per la maggior parte di quegli operatori che
hanno solamente piccole alterazioni, mentre prognosi e trattamento diviengono più problematiche per quelli che soffrono di un quadro clinico
più complesso. Va inoltre segnalata l’ipotesi di alcuni autori secondo la
quale gli operatori colpiti da sintomi cutanei VDT-relativi farebbero parte di un più grande gruppo di soggetti caratterizzati da “sensibilità elettrica”. Questi soggetti sembrerebbero presentare una storia soggettiva che
include, oltre ai sintomi soliti, anche l’astenia, la lipotimia, la perdita di
memoria, ecc. In conclusione, due paiono essere le implicazioni pratiche
che emergono dalla rassegna della letteratura: l’esistenza di una relazione positiva tra disturbi cutanei, principalmente del viso (con una grande
variabilità in termini di frequenza e di gravità del quadro clinico), in rapporto all’ambiente di lavoro ed alle caratteristiche individuali Si ritiene
che tutto ciò dovrebbe essere preso in considerazione da medici del lavoro e da dermatologi. Effettivamente, a causa del lavoro e di fattori professionali, è consigliabile che ulteriori studi si concentrino sull’accertamento del rischio ambientale che in particolare dovrebbe essere confrontato con i disturbi cutanei degli operatori con studi in doppio cieco.
456
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G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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SESSIONE
VARIE
COM-01
LAVORATORI NOTTURNI E CORTISOLO PLASMATICO
P. Palermo1, M.V. Rosati1, M. Ciarrocca1, P. Nicassio2, F. Piccoli3,
D. Cerratti1, M.F. Anzani1, G. Tomei4, F. Perugi1, C. Monti1,
T. Palitti1, E. Tomao5, T. Caciari6, F. Tomei1.
1
Cattedra e Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro.
“Sapienza” Università di Roma
2 Servizio Prevenzione e Protezione Roma
3 Istituto Medico Legale AM Roma
4 Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica.
“Sapienza” Università di Roma
5 Ufficio Generale della Sanità Militare, Stato Maggiore Difesa Roma
6 Ministero Interno Dipartimento Polizia di Stato Roma
Corrispondenza: Cattedra e Scuola di Specializzazione in Medicina del
Lavoro “Sapienza” Università di Roma: Dipartimento di Medicina
Legale Viale Regina Elena 336, 00161 Roma, Tel 0649912540 Fax
0649912554, E-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Scopo dello studio è di valutare se l’esposizione professionale al lavoro notturno possa causare alterazioni del cortisolo plasmatico.
L’interesse per questo argomento nasce dall’intensificarsi degli studi
presenti in letteratura che riferiscono un’alterazione nella sintesi e nel rilascio di cortisolo in lavoratori esposti al lavoro notturno.
La popolazione studiata comprende lavoratori con mansione di addetto al servizio di vigilanza notturna e addetto al servizio di monitoraggio dei sistemi di allarme in vari musei paragonati ad un gruppo di controllo che non esegue lavoro a turni e/o notturno.
Esposti e controlli sono stati paragonati per età anagrafica, anzianità
lavorativa, abitudine al fumo di sigaretta (n. di sigarette/die) e consumo
abituale di bevande alcoliche (n. bicchieri di vino/birra al die).
Sono state valutate le concentrazioni plasmatiche di cortisolo su 50
esposti al lavoro notturno, tutti di sesso maschile di cui 30 fumatori e 20
non fumatori; e su 50 controlli di cui 30 fumatori e 20 non fumatori.
Il prelievo di sangue venoso sul quale è stato dosato il cortisolo è stato eseguito alle 8:00 per tutti i soggetti inclusi nello studio.
Gli esposti e i controlli hanno lavorato con turno di mattina il giorno
precedente al prelievo.
Nei sorveglianti esposti fumatori e non fumatori le concentrazioni
plasmatiche di cortisolo sono risultate significativamente aumentate rispetto ai non esposti.
I risultati fanno ipotizzare che il lavoro notturno e gli stressor psicosociali ad esso correlati possano determinare un aumento del cortisolo
plasmatico. Il cortisolo plasmatico potrebbe essere utilizzato come indicatore precoce di effetto nei lavoratori notturni
Parole chiave: cortisolo, lavoratori notturni, stressors
NIGHT WORKERS AND PLASMATIC CORTISOL
ABSTRACT. The aim of the study is to evaluate whether
occupational exposure to night work could cause alterations in the levels
of plasmatic cortisol.
The interest toward this argument arises form several studies in
scientific literature referring the presence of an alteration in the synthesis
and release of cortisol in workers exposed to night work.
We studied a population of workers employed in night security service
and monitoring service of alarm systems in different museums compared
to a control group not performing shift-work and/or night work.
The exposed and control subjects were compared by age, length of
service, smoking habit (n. cigarettes per day), habitual consumption of
alcoholic drinks (n. glass of wine/beer per day).
We evaluated the levels of plasmatic cortisol on 50 workers exposed
to night work, all males of whom 30 smokers and 20 non-smokers and on
50 controls of whom 30 smokers and 20 non-smokers.
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The sample of venous blood on which the cortisol has been dosed has
been performed at 8:00 am on all the subjects included in the study. The
exposed and control subjects worked the morning shift on the day
preceding the sample. The levels of plasmatic cortisol were significantly
higher in the smoker and non-smoker exposed workers compared to not
exposed workers. The results allow to hypothesise that night work and
related psycho-social stressors can cause an increase in the levels of
plasmatic cortisol. Plasmatic cortisol could be used as an early
biological marker for night workers.
Key words: cortisol, night workers, stressors
INTRODUZIONE
Il lavoro a turni, ed in particolare il lavoro notturno, costituisce un
fattore di rischio per la salute dei lavoratori (Costa, 2003). L’impatto
negativo che il lavoro notturno esercita sulla salute del lavoratore si
manifesta nei seguenti quattro aspetti: assetto biologico (bioritmi circadiani, funzioni psico-fisiologiche, ciclo sonno-veglia), lavorativo
(efficienza), sanitario (stato di salute) e psico-sociale (relazioni familiari e sociali) (Garbarino, 2006). Park et al. (2006) analizzano i risultati di numerosi studi indicando che il lavoro a turni ed in particolare
quello notturno rappresenta uno stressor fisico, psicologico e sociale
che agisce quindi sulla salute in maniera globale. Selye (1951) definì
lo stress come una risposta non specifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso. Tali richieste possono essere di natura fisica, sociale o psicologica e lo stress che ne deriva rappresenta una reazione di adattamento che solo in tempi successivi può diventare patogena. Infatti, dal punto di vista endocrino, vi è una prima fase detta reazione di allarme (con aumento della glicemia, riduzione del colesterolo nelle surrenali, ecc.), seguita da una fase di resistenza (con aumento del cortisolo plasmatico ed altri ormoni ipofisari) in cui il soggetto
stabilizza le sue condizioni e si adatta alle nuove richieste dell’organismo ed una fase conclusiva di esaurimento con la caduta delle difese,
la comparsa di sintomi fisici come spossatezza, fisiologici come
un’immunodepressione, emotivi come ansia, senso di impotenza e sfiducia (Selye, 1951).
In uno nostro precedente studio (Tomei et al., 2003) i livelli plasmatici di cortisolo sono risultati essere significativamente più elevati in lavoratori esposti a stressor chimici, fisici e psico-sociali rispetto ad un
gruppo di controllo e si modificavano rispetto all’abitudine al fumo di sigaretta. Inoltre alcuni studi presenti in letteratura (Lac e Chamoux, 2003;
Haus e Smolensky, 2006) dimostrano un’alterazione della secrezione di
cortisolo nei lavoratori esposti a lavoro notturno.
Scopo della ricerca è quello di valutare se il lavoro notturno possa
determinare alterazioni del cortisolo plasmatico in un gruppo di lavoratori esposti rispetto ad un gruppo di controllo.
MATERIALI E METODI
La ricerca è stata condotta su una popolazione lavorativa iniziale di 335 soggetti (92 esposti al lavoro notturno e 243 preposti ufficio), tutti di sesso maschile impiegati nella pubblica amministrazione di una città. I sorveglianti esposti al lavoro notturno lavorano in vari musei di
città. La mansione svolta è di addetto al servizio di vigilanza notturna e addetto al servizio di monitoraggio dei
sistemi di allarme, con il seguente orario variabile 19:007:00, 20:00-8:00 e 19:30-7:30, con un sistema di rotazione di una notte e due giornate di riposo successive. I soggetti che svolgono attività indoor di natura burocraticoamministrativa, con nessuna esposizione al lavoro a turni/notturno e con orario di lavoro 8:00-16:00, sono stati
utilizzati come gruppo di controllo. Tutti i sorveglianti e i
controlli lavorano per otto ore al giorno per cinque giorni
a settimana. Per l’inclusione nello studio tutti i soggetti
hanno compilato, in presenza di un medico, un questionario clinico-anamnestico che comprendeva i seguenti
items: età anagrafica, anamnesi lavorativa, uso recente e
nei sei mesi precedenti al prelievo di farmaci in grado di
alterare le concentrazioni plasmatiche di cortisolo, esposizione extra-lavorativa a vernici, solventi e pesticidi, abitudine al fumo di sigaretta (n. medio di sigarette/die),
consumo abituale di alcol (n. medio di bicchieri di vino/birra die e n. di bicchierini di superalcolici/settimana).
457
Per evitare l’influenza dei fattori di confondimento sono stati esclusi
dallo studio tutti i soggetti che riferivano l’assunzione regolare di cortisone e derivati, ansiolitici e altri psicofarmaci e coloro che riferivano
una esposizione a solventi, vernici e pesticidi. In totale sono stati esclusi 43 soggetti (12 esposti e 31 controlli). Non erano presenti nello studio soggetti che riferivano un consumo abituale di superalcolici. I rimanenti soggetti esposti sono stati paragonati con i controlli (tramite la
media, la deviazione standard e la distribuzione in classi) per età anagrafica, anzianità lavorativa, assunzione di alcol (n. bicchieri di
vino/birra die) e abitudine al fumo (n. sigarette/die). Per una migliore
valutazione dell’influenza del fumo di sigaretta sui livelli plasmatici di
cortisolo, i soggetti fumatori sono stati valutati separatamente rispetto
ai non fumatori, considerando fumatori i soggetti che fumano più di una
sigaretta al giorno, non fumatori i soggetti che non hanno mai fumato o
hanno smesso di fumare da almeno 5 anni. Sono rimasti inclusi nello
studio 50 esposti (30 fumatori e 20 non fumatori) e 50 controlli (30 fumatori e 20 non fumatori) (Tabella I).
Ad ogni soggetto è stato prelevato un campione di 10 ml di sangue venoso alle ore 8:00 del mattino a digiuno. I campioni di sangue
prelevati sono stati conservati in frigorifero ad una temperatura di
+4°C fino al trasferimento (in un contenitore alla stessa temperatura)
in laboratorio, dove sono stati immediatamente centrifugati ed il siero ottenuto è stato conservato ad una temperatura di -20°C fino all’analisi (meno di 3 giorni). Il dosaggio ormonale del cortisolo è stato effettuato con metodo RIA (radioimmunoenzimatico) su sangue venoso;
i valori normali del nostro laboratorio per il cortisolo sierico sono pari a 50-230 ng/ml (ore 8:00). Tutti i soggetti inclusi nello studio hanno lavorato con turno di mattina il giorno precedente il prelievo (orario di lavoro giornaliero dalle 8:00 alle 16:00). Il laboratorio non era
a conoscenza se il prelievo fosse del gruppo degli esposti o del gruppo dei controlli, così come i medici e i tecnici di laboratorio. Tutti i
soggetti hanno acconsentito al trattamento dei propri dati personali,
dichiarato di aver avuto conoscenza che i dati medesimi rientrano nel
novero dei “dati sensibili” e hanno acconsentito che i dati scaturiti dal
protocollo venissero trattati in modo anonimo e collettivo, con modalità e scopi scientifici in accordo con i principi della Dichiarazione di
Helsinki.
ANALISI STATISTICA
L’analisi statistica dei dati è basata sul calcolo della media, della deviazione standard, della distribuzione e del range in funzione della natura della singola variabile. La differenza tra le medie è stata comparata
usando il Test di Student. Le frequenze delle singole variabili sono state
comparate usando il test Chi-quadro con correzione di Yates. Le differenze sono considerate significative quando la P valutata era <0.05. L’analisi statistica è stata effettuata usando il programma statistico SoloBMDP™ Statistical Software.
Tabella I. Caratteristiche della popolazione studiata
458
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
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fumatori) non è risultato alcun soggetto con valori di cortisolo plasmatico
al di sopra dei normali valori di laboratorio (50-230 ng/ml).
Figura 1. Distribuzione dei valori plasmatici di cortisolo negli esposti
fumatori vs controlli fumatori
Figura 2. Distribuzione dei valori plasmatici di cortisolo negli esposti
non fumatori vs controlli non fumatori
RISULTATI
Nel gruppo dei fumatori i valori medi di cortisolo plasmatico sono risultati significativamente maggiori nei lavoratori notturni rispetto al gruppo di controllo (p=0.014) (Tabella I). La distribuzione dei valori di cortisolo plasmatico tra i due gruppi è risultata significativa (p=0.036) ed è mostrata in Figura 1. Nel gruppo dei non fumatori i valori medi di cortisolo
plasmatico sono risultati significativamente maggiori nei lavoratori notturni rispetto al gruppo di controllo (p=0.030) (Tabella I). La distribuzione dei
valori di cortisolo plasmatico tra i due gruppi è risultata significativa
(p=0.029) ed è mostrata in Figura 2. Non sono risultate differenze statisticamente significative tra i lavoratori notturni fumatori e non fumatori per i
valori medi di cortisolo plasmatici e per la distribuzione dei valori di cortisolo plasmatico. Tra i lavoratori notturni e i controlli non è risultato alcun
soggetto con valori di cortisolo plasmatico al di sotto del normale valore di
laboratorio (<50 ng/ml). Nel gruppo dei lavoratori notturni n. 6 soggetti fumatori e n. 6 soggetti non fumatori presentavano valori di cortisolo plasmatico al di sopra dei normali valori di laboratorio (>230 ng/ml): la differenza non è risultata significativa. Nel gruppo dei controlli (fumatori e non
DISCUSSIONE
Considerato che i soggetti con i principali fattori di confondimento sono stati esclusi dallo studio e che i soggetti studiati sono stati paragonati per
età, anzianità lavorativa abitudine al fumo di sigaretta e consumo abituale
di bevande alcoliche, i risultati suggeriscono che l’esposizione professionale al lavoro notturno può avere un’influenza sulla concentrazione plasmatica del cortisolo. In questo studio il fumo di sigaretta non ha mostrato
avere influenza visto che la differenza tra le concentrazioni medie di cortisolo tra esposti fumatori ed esposti non fumatori non è risultata statisticamente significativa. L’influenza del fumo di sigaretta sul cortisolo plasmatico può essere variabile così come indicato da Fuxe et al. (1989). È ben conosciuto il fatto che i lavoratori a turni e i lavoratori notturni sono popolazioni lavorative esposte allo stress (Park et al, 2006). È stato dimostrato che
gli stressor psico-sociali alterano i livelli di cortisolo (Gonzalez-Bono et al.,
2002; Scantamburlo et al., 2001). Altri studi (Lac e Chamoux, 2003; Haus
e Smolensky; 2006) condotti con metodologie diverse dimostrano alterazioni del cortisolo nei lavoratori notturni in linea con i risultati del nostro
studio. In conclusione si può ipotizzare che il lavoro notturno con gli stressor psico-sociali ad esso correlati possano alterare le funzioni del sistema
neuroendocrino ed in particolare le concentrazioni medie di cortisolo plasmatico. Tale parametro risulta inoltre essere facilmente dosabile mediante
prelievo mattutino a digiuno rendendo il cortisolo plasmatico un semplice
e buon indicatore precoce di effetto nei lavoratori notturni.
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COM-02
STUDI DI EFFICACIA DI INTERVENTI PREVENTIVI IN MEDICINA
DEL LAVORO NELLE RIVISTE ITALIANE
A. Baldasseroni1, S. Mattioli2, G. Mancini3, D. Placidi4, M. Fierro5,
F. Zanardi5, G. Campo6, F.S. Violante2
1CeRIMP,
Regione Toscana, Firenze
di Medicina del Lavoro, Policlinico S.Orsola-Malpighi, Alma
Mater Studiorum_Università di Bologna
3Dipartimento di Sanità Pubblica, SPSAL, AUSL di Ravenna
4Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Brescia
5Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Alma Mater
Studiorum_Università di Bologna
6Dipartimento Processi Organizzativi, ISPESL, Roma
2U.O.
G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3
www.gimle.fsm.it
Corrispondenza: Stefano Mattioli, Laboratorio di Epidemiologia, UO
Medicina del Lavoro, Università di Bologna, Policlinico Sant’OrsolaMalpighi, via Palagi 9, 40138 Bologna, tel. 051-4290-212 , fax 0516362-609, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Obiettivi. Da alcuni anni la Medicina del Lavoro evidence-based riscuote il crescente interesse della comunità scientifica internazionale. Al fine di mettere in luce l’impegno che in Italia è stato dedicato a questo tema, è stata condotta una ricerca sistematica della pertinente produzione scientifica in lingua italiana.
Metodi. Nelle principali riviste di Medicina del Lavoro italiane, sono state esaminate, con “ricerca manuale” le pubblicazioni del periodo
1990-2006. Gli articoli selezionati sono stati classificati per settore produttivo, disegno dello studio, caratteristiche dell’intervento, fattore di rischio, affiliazione degli autori.
Risultati. I 16 studi selezionati rappresentano meno dello 0,5% di
tutte le pubblicazioni delle riviste esaminate. Due soli sono i trial randomizzati, mentre il disegno dello studio più comune è quello di tipo primadopo. Il fattore di rischio più studiato è il rumore, seguito dal sovraccarico biomeccanico. I settori produttivi più studiati sono risultati il tessile, la
sanità e la produzione di energia. Tra gli articoli pubblicati su rivista e selezionati per questo studio, nessuno riguardava il settore metalmeccanico
o la prevenzione di infortuni.
Discussione. Questa rassegna può essere di stimolo, affinché nel nostro Paese si sviluppi la coscienza della necessaria ricerca dell’efficacia,
sul campo, degli interventi preventivi.
Parole chiave: bibliometria, interventi di prevenzione, medicina del
lavoro
EFFECTIVENESS STUDIES IN THE ITALIAN LITERATURE ON OCCUPATIONAL
HEALTH (1990-2006
ABSTRACT. Introduction. Evidence-based prevention (EBP) is
gaining the growing interest of the scientific community in Occupational
Health (OH). To highlight the Italian contribution to EBP, a systematic
review was performed, on the main OH-journals publishing in Italian
language.
Methods. Studies that have evaluated interventions carried out to
improve workers’ health were found out from the articles published in the
period 1990-2006, by means of hand-searching. The selected articles
were classified on occupational health topics as health intervention,
study design, risk factor, authors affiliation.
Results. 16 publications were selected, which represent less than
0,5% of all papers published on the 8 Italian journals examined. The
most frequent study-design is the pre-post intervention evaluation; 2 out
of 16 (25%) studies are randomized trial. The interventions are directed
mainly to control the effects of noise and biomechanical overload; textile,
health-care and energy production are the most frequent industrial
settings. We did not found researches aimed to evaluate the effectiveness
of interventions performed in the metalware industry or addressed to
injuries prevention.
Discussion. The systematic approach of EBP can be applied to most
of the occupational health interventions and effectiveness evaluation
should represent a challenge for the occupational health field. The results
of the hand searching among publication in Italian could raise interesting
debate about methodology and outcomes in the scientific community.
Key words: bibliometric, intervention programs, occupational health
INTRODUZIONE
Da alcuni anni la valutazione della efficacia pratica (effectiveness)
degli interventi e delle attività di prevenzione in medicina del lavoro riscuote il crescente interesse della comunità scientifica nazionale ed internazionale (2). Analogamente a quanto già avviene per la medicina clinica, anche nel campo della medicina del lavoro sono state poste le basi per
la prevenzione basata sulle prove di efficacia (evidence based prevention,
EBP) (6). In particolare, nel 2004 è stato dato l’avvio alla Cochrane Collaboration Occupational Health Field (CCOHF) (1), con l’obiettivo di
raccogliere le evidenze riguardo all’efficacia di “interventi” in Medicina
del Lavoro e di stimolare revisioni sistematiche di questi studi. Occorre
precisare che con il termine “intervento” viene definito un programma indirizzato alla promozione della salute dei lavoratori attraverso la diminuzione dell’esposizione, adozione di comportamenti o miglioramento di
patologia o disabilità.
459
Gli strumenti più appropriati per la valutazione della effectiveness
sono rappresentati dai trial controllati e dalle revisioni sistematiche e tali
tipi di studi costituiscono una sempre più ampia parte della letteratura
scientifica internazionale di medicina.
Nel campo della medicina preventiva lo sviluppo di studi sul tema
della valutazione di efficacia degli interventi di prevenzione è molto recente ed incontra ancora ostacoli in coloro che considerano la prevenzione efficace “per definizione” o ritengono superfluo cercare conferme di
quanto è accreditato per essere efficace in condizioni “ideali” (di laboratorio per esempio). Inoltre, è da considerare che i risultati della valutazione di effectiveness talvolta vengono resi noti solamente alla comunità
scientifica locale, attraverso la pubblicazione delle ricerche su riviste con
diffusione nazionale ed in lingua italiana.
Al fine di mettere in luce l’impegno che i ricercatori italiani hanno
dedicato alla valutazione della efficacia degli interventi di medicina occupazionale, è stata condotta una ricerca nella produzione scientifica in
lingua italiana degli ultimi 10 anni.
MATERIALI E METODI
Sulle riviste La Medicina del Lavoro, Giornale Italiano di Medicina del
Lavoro ed Ergonomia (già Giornale Italiano di Medicina del Lavoro), Archivi di Scienze del Lavoro, Epidemiologia e Prevenzione, Prevenzione Oggi,
Annali dell’Istituto Superiore di Sanità, Igiene Moderna, Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali si è cercato di individuare gli articoli, in lingua italiana, che avessero come oggetto, principale o collaterale, la valutazione di efficacia preventiva di iniziative assunte nei confronti di rischi presenti nei luoghi di lavoro. La ricerca è stata eseguita in due fasi. Una prima
fase ha consentito di individuare articoli di possibile interesse, attraverso la
lettura di titolo, scopi, tabelle e figure di ogni singolo contributo. Nella seconda fase tre degli autori (SM, AB, GM) hanno esaminato il testo completo
degli articoli selezionati, individuando quelli pertinenti, dai quali sono state
estratte le informazioni descrittive secondo una griglia di lettura predeterminata. Il periodo preso in esame ha riguardato gli anni tra 1990 e 2006.
Per ogni articolo sono state estratte le stesse informazioni raccolte
nell’analogo studio sulle comincazioni congressuali SIMLII (3), in sintesi: affiliazione del primo autore, settore produttivo, disegno dello studio,
caratteristiche dell’intervento preventivo, fattore di rischio.
RISULTATI
Sono stati individuati 16 articoli che rispondevano ai criteri di selezione descritti.
L’analisi descrittiva delle diverse caratteristiche esaminate è presentata in tabella I, laddove vengono riportati, a confronto, i risultati dello
studio sulle comunicazioni congressuali SIMLII (3).
Per quel che riguarda il disegno dello studio, prevalgono gli studi di
tipo prima-dopo, senza gruppo di controllo, ma sono presenti anche 4
trial, di cui 2 randomizzati. Quest’ultimo disegno di studio non era presente nelle comunicazioni congressuali.
Gli interventi di prevenzione maggiormente sottoposti a valutazione
di efficacia sono stati quelli di tipo tecnologico, così come si ritrovava
nello studio sulle comunicazioni congressuali; rispetto a queste ultime,
comunque, si rileva una sostanziale omogeneità relativa alle caratteristiche di intervento studiato.
La metà degli studi sull’efficacia degli interventi di prevenzione è attribuibile alle Università, che erano ben rappresentate anche nelle comunicazioni congressuali. I Servizi di prevenzione delle ASL, che avevano
prodotto il maggior numero di comunicazioni congressuali, sono risultati artefici di soli 3 articoli.
Per quanto riguarda le Regioni in cui stati studiati gli interventi preventivi, è la Lombardia che ha prodotto il maggior numero di articoli,
mentre la Toscana, che aveva prodotto il maggior numero di comunicazioni congressuali, non ha pubblicato alcun articolo tra quelli selezionati
per questa ricerca.
Il fattore di rischio più studiato è il rumore, seguito dal sovraccarico
biomeccanico, mentre nelle comunicazioni congressuali erano più frequentemente studiati metalli, solventi ed allergeni.
I settori produttivi più studiati negli articoli esaminati sono risultati
il tessile (4 articoli), la sanità e la produzione di energia (3 articoli ciascuno), mentre nelle comunicazioni congressuali la sanità e la metalmeccanica annoveravano ognuno circa il 20% degli studi. Va sottolineato che,
negli articoli pubblicati su rivista e selezionati per questo studio, nessuno
riguardava il settore metalmeccanico.
460
Tabella I. Analisi descrittiva delle caratteristiche esaminate comparate
con i risultati dello studio sulle comunicazioni congressuali
DISCUSSIONE
Nelle riviste italiane che si occupano (anche) di medicina del lavoro,
la ricerca di articoli scientifici riguardanti valutazione di efficacia di attività preventive (in ambito occupazionale) ha fatto emergere un numero di
studi (16) che corrisponde ad una frazione inferiore allo 0,5% del totale
del corpus degli articoli pubblicati in italiano dal 1990 al 2006. Tale proporzione appare sensibilmente inferiore a quella reperibile in letteratura
internazionale su questo tema (4, 5) ed a quella riscontrata tra le comunicazioni congressuali (3).
I 16 articoli individuati, le cui caratteristiche sono riportate in tabella I, rivelano la presenza di attività di valutazione di interventi in campo
preventivo occupazionale di cui però i risultati sono pubblicati solo in minima parte.
Analogamente a quanto riscontrato in un simile lavoro svolto nel
campo della prevenzione degli infortuni (5), gli studi considerati erano
quasi tutti di tipo prima-dopo (studi in cui esiste un confronto, ma non
con un gruppo esterno ed in cui le misure di outcome non sono multiple). Data la debolezza di questo disegno di studio, sarebbe opportuno
che almeno si provvedesse a ripetere, a distanza di tempo, la misura di
outcome (pre-post-post). Dobbiamo viceversa annotare il ricorso al
trial, 4 in totale (25% dei casi), tra i quali 2 randomizzati. Peraltro i settori interessati da questo disegno sono non solo la sanità, com’era avvenuto per le comunicazioni congressuali ma anche altri settore quali
il tessile.
Contrariamente a quanto ci si poteva attendere, nessun articolo ha riguardato interventi per la prevenzione degli infortuni (che tra le comunicazioni congressuali erano studiati nel 15% dei casi), così come nessun
articolo interessava il settore metalmeccanico. Questo risultato suggerisce una probabile minor tendenza, tra gli operatori della prevenzione, ad
occuparsi di valutare (e pubblicare) interventi di prevenzione degli infortuni, rispetto a quelli relativi ad altre fonti di rischio quali rumore e sovraccarico biomeccanico.
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Il dato, di rilievo, relativo ad una minore rappresentanza dei Servizi
di prevenzione delle ASL tra gli autori degli articoli selezionati a fronte
di una spiccata maggiore evidenza delle Università non desta sorpresa,
confermando la maggiore attitudine degli autori universitari alla pubblicazione su rivista, in questo caso delle esperienze di valutazione condotte in campo preventivo.
L’assenza della Regione Toscana tra le affiliazioni degli autori degli
articoli selezionati, rispetto al 21% di comunicazioni congressuali di autori toscani, non appare spiegabile se non correlandolo al dato della loro
appartenenza istituzionale, prevalentemente non universitaria.
Un limite di questa revisione, oltre a quello del numero e del tipo delle riviste selezionate può essere considerato il metodo adottato per la ricerca (esame dei titoli, lettura del testo, delle tabelle, delle figure e degli
scopi e successiva valutazione degli articoli). Esso può non aver permesso di individuare tutti gli articoli che avevano per oggetto valutazioni di
efficacia, sul campo, di attività di prevenzione in ambito occupazionale.
Malgrado ciò il metodo utilizzato è certamente più accurato che non l’eventuale selezione sulla base di sole parole chiave, tra le quali, peraltro,
non esiste in questo campo alcun tipo di standardizzazione.
Questa rassegna, conseguente a quella precedentemente pubblicata
riguardo alle comunicazioni congressuali, come questa si prefigge in primo luogo di stimolare la presa di coscienza dell’importanza di valutare
l’efficacia degli interventi che si conducono. La valutazione va considerata parte necessaria dell’intervento, che andrebbe eseguito applicando un
disegno dello studio più informativo di quanto non sia un prima-dopo. Si
vuole inoltre sottolineare l’importanza di divulgare i risultati ottenuti, positivi o negativi che siano, non solo nelle sedi congressuali ma anche e soprattutto sulle riviste scientifiche, che sono raggiungibili attraverso ricerche in banca dati. Infine, il pubblicare i risultati dei propri studi in lingua
inglese permetterebbe la loro diffusione ed il loro utilizzo anche al di là
dei confini nazionali.
BIBLIOGRAFIA
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www.cohf.fi. Accesso del 31-10-2007
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3) Mattioli S, Baldasseroni A, Mancini G, Fierro M, Violante FS. Studi
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della Societa Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale
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4) Roelofs Cr, Barbeau Em, Ellenbecker Mj, Moure-Eraso R. Prevention strategies in industrial hygiene: a critical literature review. Am
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6) Verbeek Jh, Van Dijk Fj, Malmivaara A, et al: Evidence-based medicine for occupational health. Scand J Work Environ Health 2002; 28:
197-204
COM-03
STUDIO DELLA FUNZIONE OLFATTIVA DI UN GRUPPO DI
LAVORATORI CON RILEVANTE ESPOSIZIONE A PIOMBO
A. Caruso1, R. Lucchini1, F. Toffoletto2, S. Porro2,
P. Moroni3, P. Mascagni2
1Cattedra
di Medicina del Lavoro- Università degli Studi di Brescia
Operativa Complessa di Medicina del Lavoro - Presidio
Ospedaliero di Desio (MI)
3Medico Competente Aziendale
2Unità
RIASSUNTO. Lo scopo dello studio è indagare la funzione olfattiva di lavoratori con rilevante esposizione a piombo, metallo probabilmente olfattolesivo, con l’intento di identificare eventuali effetti precoci
attribuibili all’esposizione stessa,
La nostra valutazione diagnostica ha incluso: (i) un questionario per
indagare l’anamnesi lavorativa e patologica (ii) la valutazione dell’olfat-
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to mediante l’impiego di un test di soglia (Single-Starcaise) e di un test
di discriminazione e identificazione degli odori (Wright test); (iii) il monitoraggio biologico (piombemia) di tutti i lavoratori.
Il gruppo degli esposti è costituito da 18 lavoratori di sesso maschile (età media 41.3 ± 7.8; anni di esposizione 8.38 ± 6).Il gruppo di controllo è costituito da 39 soggetti di sesso maschile (età media 41.9 ± 9.7
anni).
Il confronto tra le medie delle soglie olfattive di gruppo conferma, in
termini statisticamente significativi, un peggioramento della funzione olfattiva negli esposti (-4.97 log10vol/vol) rispetto ai controlli (-6.37
log10vol/vol); non si documentano, invece sensibili variazioni per quanto
concerne il test di Wright.
Non vi è una relazione statisticamente significativa tra i livelli di
piombemia e il test di soglia.
Si è individuato un peggioramento della funzione olfattiva negli
esposti rispetto ai controlli mentre il limite dell’indagine risiede nella dimensione limitata del campione. L’indagine olfattometrica può fornire al
medico del lavoro un ausilio diagnostico che permette l’acquisizione di
nuove conoscenze in tema di effetti precoci di composti neurotossici.
Parole chiave: piombo, olfatto, test olfattometrici
STUDY
OF THE OLFACTORY FUNCTION OF A GROUP OF WORKERS WITH
SIGNIFICANT LEAD EXPOSURE
ABSTRACT. The aims of this study are to verify the potential lead
damage on olfactory function and to identify early effects due to lead exposure.
Our diagnostic evaluation included: (i) questionnaire to collect data
about work and clinical history, (ii) olfactory evaluation: threshold test
(Single-Starcaise) and idientification/discrimination test (Wright).
Lead exposure was evaluated by air sampling and biological monitoring (PbB, lead in blood).
A sample of 18 exposed workers (mean age: 41.3 ±7.8; years exposure: 8.38 ± 6) and of 39 controls (mean age: 41.9 ±9.7) were evaluated.
The comparison between the threshold test of two groups confirmed
a worse olfactory function in exposed (-4.97 log10vol/vol) compared to
controls (-6.37 log10vol/vol), while the Wright test didn’t show any significant correlation. The study didn’t find a significant association between
individual PbB levels and the threshold test.
Knowledge of the effect of chronic occupational exposure to industrial chemicals on olfactory function is largely incomplete, but supports
the hypothesis that olfactory neuroepithelium is susceptible to environmental exposures to chemicals. Occupational-related olfactory impairment is usually sub-clinical, and can be only detected using adeguate
quantitative olfactory function testing procedures for quality research in
this field.
Key words: lead, olfactory function, olfactory tests
INTRODUZIONE
Tra gli interessi della Medicina del Lavoro vi è lo studio e l’applicazione dei mezzi diagnostici tesi ad evidenziare il più precocemente possibile l’azione dei tossici sull’uomo e le interazioni tra ambiente esterno
ed organismo. Il naso rappresenta una possibile via di entrata di varie sostanze nocive per l’organismo ed è oggetto di crescente interesse nella comunità scientifica.
Per il medico del lavoro e per chi comunque opera nel
campo della prevenzione e dell’igiene industriale vi sono
salde motivazioni per includere nel bagaglio professionale
la valutazione dell’olfatto:
• il recettore olfattivo è l’unica cellula nervosa situata in
un epitelio a contatto con l’ambiente esterno e quindi
esposto all’azione diretta dei tossici;
• una sua lesione può costituire l’azione precoce di un
neurotossico sul sistema nervoso;
• una sua alterazione, potendo esitare in un indebolimento permanente di un senso, è considerata lesione
grave e rientra pertanto fra gli obblighi di referto.
Il presente studio sperimentale ha indagato la funzione olfattiva di lavoratori con rilevante esposizione a
un agente neurotossico, il piombo, per il quale vi è sospetto di olfattolesività, con l’intento di identificare
eventuali effetti precoci dose-dipendenti sulla funzione
olfattiva (1, 2).
461
MATERIALI E METODI
Sono stati individuati, all’interno della popolazione lavorativa di sesso maschile abitualmente sottoposta presso l’Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro di Desio alla sorveglianza sanitaria, prevista
dalle normative vigenti in materia di sicurezza sul lavoro, 2 gruppi aventi le seguenti caratteristiche:
• Gruppo 1: 18 esposti a piombo provenienti da un’industria che svolge attività di seconda fusione del piombo nel nord di Milano.
• Gruppo 2: 39 soggetti, individuati tra impiegati in lavorazioni manuali ma non esposti a sostanze dannose per l’olfatto (autisti, magazzinieri).
Fra questi sono stati esclusi i portatori di patologie locali e sistemiche, pregresse o in corso, che potessero interferire con la performance
olfattiva.
Tutti i soggetti che si sono presentati alla nostra attenzione sono stati sottoposti ad accurata anamnesi sanitaria e lavorativa. Per bene indagare quelle abitudini voluttuarie e quelle noxae patologiche e lavorative che
possono aver cagionato alterazioni olfattive, è stato da noi messo a punto un questionario.
Per indagare le tre componenti della funzione olfattiva (la soglia, la
discriminazione e la identificazione degli odori), ci siamo avvalsi di metodiche diagnostiche ben standardizzate: una precisa quantificazione della soglia olfattiva, è stata ottenuta mediante l’impiego della metodica Single-Staircase all’alcool feniletilico (3); la capacità di discriminare e di
identificare gli odori è stata saggiata avvalendosi della metodica di Wright (4).
L’analisi dei dati è stata condotta attraverso il confronto della prevalenza delle alterazioni olfattive e dei risultati dei test olfattometrici tra i
gruppi allo studio.
Sono state inoltre confrontate le medie dei risultati dei test olfattometrici di gruppo mediante metodi parametrici (t-test) e non parametrici
(Mann-Whitney Rank Sum Test). Per gestire l’informazione statistica siamo ricorsi al programma informatico Sigma-Stat‘ for Windows‚ V2.03.
RISULTATI
La Tabella I riporta i parametri osservati relativi alle variabili sociodemografiche, alle abitudini di vita e all’esposizione.
Questi dati rivelano che non vi sono differenze significative tra le variabili sociodemografiche dei due gruppi studiati: infatti i lavoratori esposti a piombo hanno età sovrapponibile ai controlli e il livello di scolarità
è invece risultato lievemente superiore nel gruppo degli esposti.
In Tabella II sono riassunti gli esiti della valutazione olfattologica
della popolazione allo studio.
Il confronto tra le medie delle soglie olfattive di gruppo conferma,
anche in termini statisticamente significativi (p=0.005), un peggioramento della funzione olfattiva negli esposti (-4.97 log10 vo/vol) rispetto ai
controlli (-6.37 log10 vol/vol). Il grafico 1 ripropone in forma grafica
quanto appena descritto (Grafico 1).
In ascissa sono rappresentati i gruppi allo studio, in ordinata, in scala logaritmica, le soglie olfattive medie. L’origine corrisponde all’anosmia; ogni riduzione di 1 unità logaritmica corrisponde ad un indebolimento di 10 volte della soglia.
La riga tratteggiata demarca la normosmia dalla iposmia.
Tabella I. Caratteristiche della popolazione dello studio
462
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Non si documentano, invece sensibili variazioni tra i
gruppi a carico della identificazione e discriminazione degli odori (Grafico 2).
In ascissa sono ancora rappresentati i gruppi allo studio, in ordinata, in scala lineare, la percentuale media di
risposte corrette. Le barre rappresentano l’intervallo di
confidenza della media. I valori osservati sono pressoché
sovrapponibili.
La figura 1 illustra l’andamento della soglia olfattiva
di ogni singolo lavoratore in funzione della concentrazione
ematica di piombo.
Dai dati del monitoraggio biologico effettuato è emerso che la piombemia nei soggetti esposti è 38.6 +11 (37)
µg/dl; non vi è una correlazione significativa (r = 0.37) tra
i livelli individuali di piombemia e la corrispondente soglia
olfattiva.
Per quanto concerne l’abitudine al fumo è noto che il fumo di sigaretta è un olfattolesivo. Nella nostra casistica non vi è una differenza statisticamente significativa (p=0.14) del test di soglia tra il gruppo dei fumatori (-4.67 log10 vo/vol) e non fumatori (-5.45 log10 vo/vol) esposti a
piombo. Analogamente nei controlli non vi è una differenza statisticamente significativa (p=0.74) del test di soglia tra i fumatori (-5.4 log10
vo/vol) e non fumatori (-5.7 log10 vo/vol). Tuttavia, mentre nei controlli
i risultati dei test di soglia appaiono sovrapponibili, negli esposti a piombo emerge una differenza tra i test di soglia. In merito a questo risultato
l’analisi della regressione statistica ha evidenziato che le due variabili fumo e piombo considerate singolarmente non sembrano correlarsi con le
corrispettive soglie olfattive (r = 0.33; r = 0.37). L’analisi delle due variabili considerate contemporaneamente sembrerebbero invece in grado
di influenzare il test di soglia (r = 0.52). Tuttavia, essendo bassa la numerosità del campione di esposti esaminato sarebbe auspicabile pertanto
uno studio più ampio per confermare questi dati.
Interessante appare l’analisi della corrispondenza tra autovalutazione
della performance olfattiva e responso olfattometrico che consente di rilevare una discrepanza tra il dato anamnestico (tutti i lavoratori hanno
giudicato il proprio olfatto “buono”) e quanto osservato ai test, lasciando
supporre che solo le alterazioni più importanti assumono importanza clinica per il paziente, il quale invece non sembra in grado di avvertire indebolimenti lievi dell’olfatto.
Tabella II. Valutazione olfattologica della popolazione dello studio
Grafico 1 Confronto fra soglie olfattive medie di gruppo
Grafico 2. Percentuale media corretta di identificazione degli odori
Figura 1. Andamento della soglia olfattiva in funzione della piombemia
CONCLUSIONI
In medicina del lavoro lo studio delle alterazioni della funzione olfattiva da cause professionali ha avuto finora scarso rilievo a causa della
mancanza di metodi diagnostici e dello scarso interesse dello specialista
verso l’argomento, nonostante la via olfattiva possa costituire la sede più
sensibile ove si manifesta l’azione di sostanze neurotossiche.
Questo lavoro, ancorché iniziale, consente di evidenziare differenze
di performance olfattiva in un gruppo di lavoratori caratterizzati da rilevante esposizione a piombo. Come emerso dalla valutazione dei risultati,
tali differenze non sono spiegate da altri fattori quali età, livello culturale e fumo di sigaretta.
Continua ad essere opinione corrente che, mentre livelli molto alti di
vari inquinanti, da attribuire ad insufficiente pratica dell’igiene industriale, possono produrre difetti olfattivi anche irreversibili, lo stesso non accade per esposizione cronica a bassi livelli.
Il confronto tra le medie delle soglie olfattive di gruppo conferma,
anche in termini statisticamente significativi (p=0.005, un peggioramento della funzione olfattiva negli esposti(-4.97 log10 vo/vol) rispetto ai
controlli (-6.37 log10 vol/vol).
Non si documentano invece sensibili variazioni tra i gruppi a carico
dell’identificazione e discriminazione degli odori. Dai dati di monitoraggio biologico effettuato è emerso che la piombemia nei soggetti esposti è 38.6 +11 (37) µg/dl; non vi è una correlazione statisticamente significativa (r = 0.37) tra i livelli individuali di piombemia e i corrispondenti test di soglia.
È stato interessante il riscontro di 4 lavoratori con deficit olfattivi
(iposmia lieve) sconosciuti agli stessi lavoratori ed evidenziabili solo mediante test. L’interpretazione può essere duplice: da un lato la sensibilità
del metodo è in grado di cogliere alterazioni precoci ancora in fase subclinica, dall’altro la riserva funzionale dell’organo dell’olfatto fa si che
non venga compromessa la funzione olfattiva se non per disturbi di grado avanzato. La presente indagine non permette di identificare l’esatto si-
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463
to d’azione del tossico valutato, anche se il riscontro di alterazioni della
soglia in assenza di variazioni dell’identificazione e discriminazione degli odori orienta verso un danno olfattivo periferico, in sintonia con quanto proposto da altri autori che hanno studiato un altro metallo, il cadmio,
che come già detto è un olfattolesivo (5, 6).
Pur con il limite della dimensione limitata del campione valutato, lo
spunto originale di riflessione consiste nell’aver individuato un peggioramento della funzione olfattiva negli esposti a piombo rispetto ai controlli, per i quali non sono apprezzabili altre manifestazioni cliniche. Anche
nella presente esperienza, l’indagine olfattometrica opportunamente condotta fornisce al medico del lavoro un ausilio diagnostico per la diagnosi
precoce di malattie professionali e permette l’acquisizione di nuove conoscenze in tema di effetti precoci di composti neurotossici. È pertanto
uno strumento efficace nel monitoraggio della salute dei lavoratori esposti a tossici aerodispersi e può essere inserita nei protocolli di sorveglianza sanitaria.
BIBLIOGRAFIA
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COM-04
NANOPARTICELLE ED EFFETTI SULLA SALUTE: APPROCCIO
BASATO SULL’EVIDENZA
I. Martinotti, P.E. Cirla, V. Foà
Gruppo CIMAL, Divisione Igiene e Tossicologia (DITOC), Milano.
Corrispondenza: Irene Martinotti,
[email protected]
tel.
02.59901542,
e-mail
RIASSUNTO. La questione dei possibili effetti sulla salute legati alle nanoparticelle (particelle con dimensione critica < 100 nm) appare oggi di primario interesse. L’argomento è stato affrontato spesso in modo
parziale e senza considerare le informazioni multidisciplinari oggi a disposizione. Scopo della ricerca condotta è stato quello di inquadrare la
problematica, avvalendosi di un approccio basato sull’evidenza: mediante la raccolta di tutti i dati pertinenti dalla letteratura scientifica disponibile e la loro valutazione critica si sono definite le possibili modalità di
interazione con l’uomo. Fondamentale risulta la distinzione tra le nanoparticelle non intenzionali (“particolato ultrafine” o PUF) e quelle prodotte intenzionalmente (“particelle nanometriche costruite” o PNC).
L’importanza della singola tipologia di nanoparticella prevale sull’aspetto puramente dimensionale. Nel complesso gli studi sperimentali appaiono indicare una possibile azione infiammatoria acuta. La maggior parte
delle informazioni disponibili riguarda le PUF. Gli studi disponibili relativi ad effetti sull’uomo delle PNC sono ancora pochi e richiedono ulteriori approfondimenti: nessun effetto cardiovascolare, respiratorio o sulla
coagulazione sanguigna è stato evidenziato come correlabile all’esposizione. Nessuno studio sull’uomo è disponibile riguardo a possibili effetti
cronici di PNC, come pure nessun dato sull’uomo è disponibile in relazione a possibili effetti cancerogeni e sensibilizzanti delle PNC.
Parole chiave: nanoparticelle, effetti acuti, effetti cronici
NANOPARTICLES AND HEALTH EFFECTS: AN EVIDENCE BASED APPROACH
ABSTRACT. The possibility of health effects related to
nanoparticles (less than 100 nanometers diameter) exposure may be
considered as an emerging problem. Current approaches are usually
partial and do not consider the multidisciplinary available data. The
purpose of this work is to define the problem using an evidence-based
approach: we characterized the possible nanoparticles-human
interactions by collection of all pertinent scientific data available in the
literature and by their critical evaluation. The distinction between nonintentional nanoparticles (“ultrafine particles”, UFP) and intentional
nanoparticles (“intentionally produced nanomaterials” or simply
“nanomaterials”, IPN) is a critical item. Each single type of nanoparticle
is more relevant than isolated metric characteristics. Globally, the
experimental studies suggest a possible inflammatory acute effect. The
available data regard mainly the UFP. Regarding IPN, the studies about
attaints on human health are actually few and limited: no cardiovascular,
respiratory and coagulation effect were showed as consistent with
exposure. No human study about IPN chronic effect is available, and any
human data is not showed relating carcinogenic and sensitizing effects.
Key words: nanoparticles, acute effect, chronic effect
INTRODUZIONE
Con i più recenti sviluppi tecnologici nell’ambito del “molto piccolo”, è diventata di primario interesse la questione dei possibili effetti sulla salute legati alle nanoparticelle (particelle con dimensione critica < 100
nm). Da un punto di vista concettuale i termini “nanoparticelle”, “nanoscienze” e “nanotecnologie”, rimandano alla scala nanometrica degli atomi e delle molecole ad ai principi scientifici ed alle proprietà che possono essere compresi e controllati operando in questo ambito.
In generale va sottolineato che l’enorme numero e la grande estensione
superficiale delle nanoparticelle inducono a ipotizzare, a parità di massa, una
loro maggiore tossicità rispetto ad analoghe particelle di dimensioni maggiori. La reattività delle particelle, infatti, dipende proprio dalle caratteristiche
chimiche di superficie (composizione molecolare e atomica, struttura fisica,
energia e carica), che determinano le modalità di interazione con i sistemi
biologici con cui vengono a contatto. In questo senso, però, sembra giocare
un ruolo di rilievo anche lo stato di aggregazione in aria delle nanoparticelle
(forma più o meno aggregata per l’azione di vari fattori come ad es. umidità),
anche se attualmente non sono a disposizione dati sufficientemente chiari e
sono tuttora poco noti i fenomeni che regolano tale fenomeno.
Più in dettaglio si possono distinguere le “particelle ultrafini” (PUF),
di origine naturale o antropica non intenzionale, e le “particelle nanometriche costruite” (PNC), prodotte intenzionalmente e con caratteristiche
ben definite. Sebbene accomunate dall’ambito dimensionale, esse mostrano differenze fondamentali: le PUF mostrano una morfologia abbastanza variegata, con una distribuzione dimensionale polidispersa (frazioni Aitken mode e Nucleation mode del particolato totale di zone antropizzate) ed una composizione chimica complessa; le PNC, se prese
singolarmente, appaiono invece d’aspetto omogeneo conforme all’applicazione tecnologica desiderata, in forma monodispersa che può variare
nelle caratteristiche secondo la singola tipologia di nanoparticella costituente e con una composizione chimica ben definita (1).
Il dibattito medico-scientifico si è sviluppato spesso affrontando il
complesso argomento in modo parziale e senza considerare le necessarie
informazioni multidisciplinari oggi a disposizione. Scopo della ricerca
condotta è stato quello di inquadrare la problematica, avvalendosi di un
approccio basato sull’evidenza. Nello specifico, per valutare l’impatto
che la dispersione di queste particelle può avere sulla salute umana, si è
scelto di seguire un approccio mutuato dall’Evidence Based Medicine
(EBM), un modello di pratica sanitaria che prevede che il medico debba
prendere decisioni ed individuare soluzioni utilizzando le informazioni
disponibili in modo coscienzioso (applicando prove scientifiche alle pratiche sanitarie), giudizioso (adattando orientamenti e raccomandazioni ai
singoli problemi), ed esplicito (riuscendo sempre a dimostrare con trasparenza la fondatezza delle decisioni adottate) (2).
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto rispettando il paradigma dell’EBM articolato nei seguenti punti:
– Formulazione del problema: il quesito oggetto di studio valuta quanto l’aspetto dimensionale nanometrico è di rilievo nell’azione tossica di particelle.
464
–
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Ricerca nelle banche dati disponibili delle migliori evidenze che consentano di rispondere al quesito formulato: la rivisitazione puntuale
della letteratura scientifica nazionale ed internazionale pubblicata dal
2005 è stata condotta utilizzando quale motore di ricerca rintracciabile in rete PubMed; le parole chiave utilizzate sono riportate in Figura 1. Questa risorsa è stata integrata con l’esame delle documentazioni ufficiali e position paper di Enti ed Associazioni internazionali. Sono stati inoltre consultati manuali di anatomia e fisiologia.
Analisi critica delle informazioni trovate e determinazione della loro validità e utilità: le informazioni recuperate on-line sono state
analizzate, valutate criticamente e confrontate con i dati disponibili
di tipo anatomico e fisiologico e con quanto emergente dalla lettura
di position paper. Ai fini della revisione sistematica gli studi sono
stati raggruppati in base al tipo di variabile investigata. Nella valutazione critica degli studi è stato dato il maggiore peso alle evidenze
derivanti da studi randomizzati controllati, studi di coorte, studi caso-controllo, sono stati presi in considerazione tuttavia anche studi
non controllati e studi sull’animale.
Applicazione delle soluzioni al problema: La soluzione al problema
è stata formulata integrando le conoscenze disponibili con le prove
esterne derivanti dalla ricerca delle informazioni.
RISULTATI
Vi è ancora una rilevante carenza nelle conoscenze disponibili riguardo alle implicazioni per la salute dell’uomo dell’esposizione a particelle nanometriche in genere ed in particolare a PNC. La maggior parte
delle informazioni disponibili riguarda le PUF, ma attualmente scarseggiano studi comparativi in grado di valutare l’ambito d’utilità dei dati tossicologici legati a queste particelle rispetto alle PNC (Figura 1).
Gli studi sperimentali in merito al destino specifico delle PNC sono
abbastanza limitati (3-4), oltre che particolarmente difficili da realizzarsi
considerata la notevole interferenza dovuta alla naturale presenza di consistenti quantitativi di PUF. Per quanto riguarda possibili effetti tossici
emerge l’importanza della singola tipologia di nanoparticella sull’aspetto
puramente dimensionale (5-7) e nel complesso gli studi sperimentali appaiono indicare una possibile azione infiammatoria acuta.
Gli studi di tossicità animale disponibili sono per lo più mirati alla
valutazione di effetti acuti di tipo infiammatorio, paragonando la tossicità
delle nanoparticelle con quella di particolato con dimensioni maggiori.
L’effetto flogistico più intenso esercitato dalle nanoparticelle rispetto alle polveri più grossolane è stato attribuito al fatto che le prime possiedono per unità di massa, un maggior numero di particelle ed una maggiore
area superficiale (8). Tuttavia recenti esperienze (9-10) hanno smentito
questa interpretazione evidenziando come la tossicità non dipenda dalle
dimensioni del particolato o dalla superficie, ma piuttosto da proprietà intrinseche.
La maggior parte degli studi disponibili in letteratura in riferimento
alla tossicità sull’uomo delle nanoparticelle riguarda la valutazione di effetti acuti. Gli effetti biologici risultano legati all’entità della dose depo-
Figura 1. Numero di pubblicazioni disponibili in PubMed dal 2005
al giugno 2007 utilizzando come parola chiave “Toxicity” ed i descrittori indicati in ascisse (UF ed il colore più chiaro indicano le particelle <100 nm)
sitata a livello del tessuto/organo bersaglio piuttosto che alla semplice
esposizione; numerosi sono i fattori biologici che possono influenzare la
deposizione e l’assorbimento di nanoparticelle nell’uomo (variabilità
anatomica, sesso, età, patologie respiratorie, inalazione di sostanze irritanti ed esercizio fisico) (11-14). In particolare il passaggio diretto attraverso l’endotelio alveolo-capillare è un’ipotesi non ancora attualmente
dimostrata con sufficiente solidità nell’uomo: appare ipotizzabile esclusivamente per le particelle di più piccole dimensioni (inferiori a circa 30
nm), pur rimanendo comunque una via non particolarmente agevole senza una preventiva solubilizzazione degli elementi costituenti (distribuzione secondo le modalità proprie delle singole sostanze in quanto tali).
Mancano informazioni specifiche sulla via digerente, mentre la via dermica è stata ampiamente studiata in ambito cosmetico.
Tutta una serie di dati epidemiologici indica che nella popolazione
generale si rilevano associazioni, più o meno significative, tra i livelli atmosferici di PUF e particolato fine da un lato e incrementi di morbidità e
mortalità per patologie respiratorie (attacchi di asma, tosse, respiro difficoltoso, bronchite acuta) e cardiovascolari (aritmie, attacco cardiaco). Al
di là di differenti modalità d’impianto degli studi, appare di rilievo evidenziare come l’associazione tra due fenomeni non comporti di per sé
l’instaurarsi di un rapporto di causalità, soprattutto nel caso in cui, come
quello in esame, le possibili variabili interferenti sono in numero considerevole (variazione umidità aria, presenza di vento, modifiche di pressione atmosferica, ecc. sono solo alcuni dei parametri che possono portare ad un aumento delle concentrazioni di particolato in aria, oltre che a
potere avere effetti diretti sull’organismo umano). In ambito professionale le valutazioni epidemiologiche, più limitate (es. saldatura, esposizione
a berillio, ecc.), suggeriscono un’associazione dell’esposizione a PUF e
particolato fine con il decremento di funzionalità polmonare e sintomi respiratori acuti. Occorre considerare però che le situazioni indagate comportano esposizione non selettiva a nanoparticelle (insieme composito di
sostanze con varia tossicità intrinseca); in ogni caso si tratta di lavorazioni per le quali è noto da tempo un rischio di infiammazione respiratoria,
più o meno immunomediata.
Gli studi disponibili con valutazione dell’esposizione a PNC sono
ancora pochi e richiedono ulteriori approfondimenti; in particolare spicca per completezza uno studio (15) i cui dati non hanno evidenziato effetti cardiovascolari o respiratori correlabili all’esposizione a nanoparticelle, né alcun effetto su coagulazione sanguigna, attivazione dei leucociti circolanti, espressione di molecole di attivazione e adesione leucocitaria. Nessuno studio sull’uomo è disponibile riguardo a possibili effetti
cronici di PNC, come pure nessun dato sull’uomo è disponibile in relazione a possibili effetti cancerogeni e sensibilizzanti.
Le ricerche tossicologiche sull’esposizione a particolato hanno mostrato come non tutti gli individui rispondono nella stessa maniera e con
la stessa intensità. In effetti, persone con problemi cardiaci o respiratori
oltre che i bambini e gli anziani, sono considerati a maggior rischio di aggravamento per esposizione a particolato in generale. Rispetto all’esposizione a PNC, ad eccezione di uno studio che riguarda la deposizione di
nanoparticelle nel tratto respiratorio di asmatici (16), i fattori di ipersuscettibilità, che influenzano la tossicità, la deposizione, il destino e la persistenza, sono ampiamente sconosciuti.
CONCLUSIONI
La maggior parte delle informazioni disponibili riguarda le PUF. Gli
studi disponibili relativi ad effetti sull’uomo delle PNC sono ancora pochi e richiedono ulteriori approfondimenti: nessun effetto cardiovascolare, respiratorio o sulla coagulazione sanguigna è stato evidenziato come
correlabile all’esposizione. Nessuno studio sull’uomo è disponibile riguardo a possibili effetti cronici di PNC, come pure nessun dato sull’uomo è disponibile in relazione a possibili effetti cancerogeni e sensibilizzanti delle PNC.
Gli effetti biologici delle nanoparticelle risultano legati all’entità della dose depositata a livello del tessuto/organo bersaglio piuttosto che alla
semplice esposizione.
L’evidenza scientifica più recente sottolinea l’importanza della singola tipologia di nanoparticella (solubilità, proprietà chimiche, ecc.) sull’aspetto puramente dimensionale. In particolare per quanto riguarda le
nanoparticelle solubili, le più recenti indicazioni sperimentali suggeriscono una non correlazione dei possibili effetti con la dimensione della particella o con la superficie disponibile. Tali proprietà sembrano invece essere determinanti per le particelle insolubili, come quelle in carbonio.
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COM-05
INTERAZIONE TRA NANOTUBI DI CARBONIO E CONTROLLO
CARDIOVASCOLARE DEL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO:
PRESENTAZIONE DI UN MODELLO SPERIMENTALE ANIMALE
E RISULTATI PRELIMINARI
L. Coppeta, J. Legramante*, A Galante*, A. Bergamaschi^,
E. Bergamaschi+, A. Magrini, A. Pietroiusti.
Università Tor Vergata, Roma- Cattedra di Medicina del Lavoro
*Università Tor Vergata, Roma- Dipartimento di Medicina Interna
^Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma- Istituto di Medicina del
Lavoro
+Università di Parma, Cattedra di Medicina del Lavoro
Corrispondenza: Antonio Pietroiusti, Università Tor Vergata, Via
Montpellier 1, 00161, Roma, Tel +390620902204, Fax +390620902212,
e-mail: [email protected]
465
RIASSUNTO. Alterazioni della regolazione autonomica cardiovascolare potrebbero mediare l’associazione tra esposizione a nanotubi di
carbonio a parete singola (SWCNT) ed eventi cardiovascolari. In questo
studio sono stati somministrati 400 µg di SWCNT in 400 µl di soluzione
salina tamponata (PBS) o 400 µl di PBS a 7 ratti Wystar-Kyoto del peso
di 400 g con un trasmettitore impiantato in aorta addominale per la registrazione continua del segnale pressorio. Sono state eseguite registrazioni di base, a 24 ore e a 2 settimane dall’instillazione intratracheale, che
hanno consentito di valutare la presenza di sequenze baroriflesse (variazione consensuale della pressione sistolica-PS- e dell’intervallo ECG RR9 e non baroriflesse (variazioni opposte dei due parametri). Lo “slope”
medio individuale delle sequenze è stato considerato quale indice della
sensibilità baroriflessa e non baroriflessa per un dato periodo. Questo parametro ha mostrato un incremento a 24 ore del 100% nei controlli (da
4.6 a 9.2 msec/mmHg), mentre è risultato piatto nei casi (da 5.1 a 6.1
msec/mmHg) (p<0.05). Questo studio dimostra l’utilità del nostro modello animale e suggerisce che i SWCNT possano determinare una riduzione della sensibilità baro-riflessa.
Parole chiave: nanotubi di carbonio a parete singola, cardiopatia
ischemica, sistema nervoso autonomo.
INTERACTION
BETWEEN CARBON NANOTUBES AND CARDIOVASCULAR
AUTONOMIC NERVOUS SYSTEM REGULATION: PROPOSAL OF AN ANIMAL
MODEL AND PRELIMINARY FINDINGS
ABSTRACT. Background. Altered autonomic cardiovascular
regulation (ACR) may mediate the association between single-wall
carbon nanotubes (SWCNT) exposure and adverse cardiovascular
events. Material and Methods 400 mg of SWCNT in 400 ml of phosphate
buffer saline (PBS) or 400 ml of PBS were randomly given to 7 WystarKyoto rats (400 g body wt) previously implanted in abdominal aorta with
a telemetry transmitter for recordings of arterial pressure signals.
Recordings were performed at baseline, 24 hours and two weeks after
intratracheal instillation. The beat-by-beat time series of systolic arterial
pressure (SAP) and PR interval were analyzed to identify sequences of
three or more consecutive beats in which SAP and PR changed in the
same (baroreflex sequences) or in the opposite direction (nonbaroreflex
sequences). The mean individual slope of the sequences was calculated
and taken as a measure of the baroreflex (BRS) and nonbaroreflex
sensitivity for that period.
Results. The 24 hour BRS response showed a 100% increase (from
4.6 to 9.2 msec/mmHg) in controls, whereas it was blunted in cases (from
5.1 to 6.1 msec/mmHg) (p<0.05).
Conclusions. Our study demonstrates that this rat model is suitable
to study the ACR during exposure to SWCNT and suggests a blunted BRS
response after SWCNT instillation.
Key words: Single wall carbon nanotubes, coronary heart disease,
autonomic nervous system
INTRODUZIONE
I costanti progressi della nanotecnologia hanno condotto allo sviluppo di nanomateriali con differenti strutture e caratteristiche geometriche,
quali i nanotubi cilindrici, nanofilamenti, “quantum dots”, nanofibre,
“nanorods”, etc. che hanno peculiari proprietà meccaniche, fisiche e chimiche. I nanotubi di carbonio a parete singola (SWCNT), scoperti nel
1991, sono quelli maggiormente studiati per specifiche applicazioni tecnologiche, principalmente per il loro uso quali rilevatori elettrochimici,
sensori e biosensori. Il motivo di tale interesse risiede sia nelle loro dimensioni, caratterizzate da un elevato rapporto superficie/volume, sia
nella possibilità di reattività chimica, essenzialmente correlata alla procedure di funzionalizzazione. La loro struttura, costituita da fasci cilindrici
cavi di grafene, è responsabile del loro comportamento quali semiconduttori o metalli, in relazione alla loro dimensione (tipicamente di 1-2 nm
di diametro e 1µm di lunghezza). A fronte di queste crescenti applicazioni tecnologiche, sono emersi negli ultimi anni alcuni motivi di allarme
per possibili effetti tossici sull’organismo umano, che potrebbero esplicarsi sia negli ambienti di lavoro coinvolti in tale tecnologie, sia, a più
ampio livello, nell’ambiente in cui prodotti contenenti nanomateriali saranno utilizzati in misura crescente. Tali allarmi risiedono nel fatto che i
SWCNT hanno dimensioni dello stesso ordine di grandezza delle particelle ultrafini derivate dai processi di combustione del diesel, del carbone e della nafta, la cui presenza quali inquinanti atmosferici sembra correlata con numerose patologie (1,2). Di particolare importanza appaiono
466
gli effetti cardiovascolari di tipo ischemico e aritmico, sia perché i più rilevanti dal punto di vista della mortalità correlata alle particelle ultrafini
(2), sia perché tale effetto si esplica già nelle ore successive all’esposizione, come confermato anche da recentissimi dati sperimentali sull’uomo (3). È da ritenere pertanto che l’esposizione a particelle ultrafini determini precocemente una destabilizzazione della placca aterosclerotica
in soggetti a rischio. Il meccanismo etiopatogenetico più plausibile per
spiegare questo fatto dovrebbe consistere in un’alterazione del tono coronarico, mediata a sua volta da un’alterata regolazione del controllo autonomico del sistema cardiovascolare. Sebbene siano gia disponibili alcuni dati che suggeriscono una possibile relazione tra esposizione prolungata a SWCNT e accelerata aterosclerosi (4), non vi sono dati disponibili sulla interferenza dell’inalazione di SWCNT sulla regolazione autonomica cardiovascolare. Scopo del presente studio è pertanto quello di
verificare in primo luogo la possibilità di utilizzare per la valutazione di
tale possibile interferenza un modello sperimentale messo a punto nel nostro laboratorio e in secondo luogo di valutare i primi dati preliminari forniti da tale modello in ratti esposti e non esposti a SWCNT.
MATERIALE E METODI
Disegno dello studio Il protocollo prevede 3 somministrazioni (ad intervalli di 2 settimane) di SWCNT o di soluzione fisiologica tamponata
per via intratracheale a ratti di laboratorio. Ciascuna somministrazione è
preceduta e seguita, entro 24 ore dall’esposizione, da una valutazione di
almeno 30 minuti della regolazione del sistema autonomico cardiovascolare. A 2 settimane di distanza dall’ultima somministrazione si esegue una
nuova registrazione, a cui segue l’induzione sperimentale di infarto del
miocardio. A una settimana dall’induzione dell’infarto si replica lo stesso
protocollo utilizzato nella prima fase dello studio.
Caratterizzazione dei nanotubi SWCNT (CarboLex AP-grade, 5070%, Aldrich, Steinheim-Germany) prodotti con la metodica dell’arco
elettrico sono stati purificati con HNO3 a temperatura ambiente e caratterizzati con spettroscopia Raman e microscopia elettronica a scansione. Il
diametro dei nanotubi utilizzati nel presente studio è stato di 1.2-1.6 nm,
la lunghezza di 2-5 µm e la superficie 300 m2/g.
Protocollo sperimentale Lo studio è stato eseguito su ratti Wistar
Kyoto di entrambi i sessi del peso medio di 400 gr trattati secondo i criteri dell’Association for Assessment and Accreditation of Laboratory Care International ed è stato approvato dalla stazione per la Tecnologia Animale dell’Università Tor Vergata e dal Ministero della Salute. In tutti i ratti è stato impiantato in aorta addominale un trasmettitore telemetrico secondo la seguente procedura: previa anestesia con Ketamina (Ketavet
50 60 mg/kg i.p.) e Medetomidina (Domitor 0.3 mg/Kg i.p.) si è proceduto ad incisione lungo la linea mediana addominale, esponendo quindi l’aorta addominale; l’apice del catetere arterioso del trasmettitore telemetrico (TA11PA-C40, Data Sciences, St. Paul, MN) è stato quindi inserito in aorta addominale immediatamente al di sopra della biforcazione
delle arterie iliache e ancorato in situ con una colla tissutale (Vetbond,
3M). Il corpo del trasmettitore è stato ancorato alla parete addominale
con punti di sutura lungo la linea di incisione, che è stata chiusa a questo
punto della procedura. Successivamente, i ratti sono stati trattati con antibiotici (ceftriaxone) per 7 giorni, fino al completo recupero funzionale.
Il sistema usato per la registrazione della pressione arteriosa consiste essenzialmente di 3 elementi: un trasmettitore per il monitoraggio della
pressione arteriosa (TA11PAC40); un ricevitore(RPC-1); e un adattatore
(R11CPA) con un monitor di pressione ambientale (APR-1), che produce
segnali di uscita analoghi a quelli della pressione arteriosa. Il segnale di
pressione arteriosa rilevato in telemetria viene trasformato in segnale digitale usando una I/O PC card (National Instrument 6024E, Austin, TX)
a una frequenza di 2000 Hz, trasmesso allo schermo di un computer e
analizzato mediante un algoritmo basato su metodica di estrazione per rilevare e misurare le caratteristiche dei cicli di pressione arteriosa. Tale algoritmo è stato sviluppato nel nostro laboratorio sulla base di un software Lab View Platform. È stato misurato l’intervallo dei picchi pressori,
che è stato a sua volta utilizzato per calcolare la frequenza cardiaca. Nei
giorni di esperimento, gli animali venivano lasciati per almeno 30 minuti nel laboratorio per familiarizzare con l’ambiente. A questo punto venivano assegnati in mediante randomizzazione al gruppo SWCNT o al
gruppo controllo. Tutte le registrazioni si sono svolte a ratto sveglio e libero di muoversi nella gabbia secondo il pattern usuale. Prima della procedura di instillazione, gli animali sono stati anestetizzati con il metodo
già descritto e si è proceduto ad inserzione di cannula endotracheale, at-
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traverso la quale è stata somministrata una sospensione di 400 µl di
SWCNT ad una concentrazione finale di 1mg/ml. Il giorno dell’induzione dell’infarto miocardico si provvede ad effettuare una registrazione base di 30 minuti della Pressione Arteriosa e della Frequenza Cardiaca, prima di qualsiasi intervento sul ratto. Dopo aver anestetizzato l’animale come prima descritto si procede all’intubazione tracheale con una piccola
cannula e l’instaurazione della ventilazione artificiale. La procedura chirurgica vera e propria invece inizia con una toracotomia sinistra al livello del terzo spazio intercostale per esporre il cuore e, con l’ausilio del microscopio operatore, prosegue con l’apertura del pericardio e l’esposizione della coronaria sinistra. Quindi si provvede alla cauterizzazione dell’arteria coronaria discendente anteriore ad 1 mm circa dalla sua origine.
Questa procedura produce un’area cianotica e lievemente rigonfia di miocardio ischemico (chiaramente demarcata da quello sano circostante) nel
territorio di irrorazione della coronaria sinistra, distalmente all’occlusione. Dopo la cauterizzazione della coronaria il cuore viene riposizionato
nel torace, il sottocute e la cute vengono suturati e l’aria nel torace rimossa con una siringa.
Analisi delle sequenze i valori pressori battito per battito e l’intervallo R-R all’elettrocardiogramma, sono stati analizzati al computer secondo le modalità descritte, al fine di identificare sequenze spontanee di 3 o
più battiti consecutivi in cui la pressione e l’intervallo R-R del quinto battito successivo (lag 5) si modificavano nello stesso senso (cioè ipertensione e bradicardia, sequenze baro-riflesse) o in modo opposto (cioè ipertensione e tachicardia, sequenze non baroriflesse). A ciascuna sequenza
individuale è stata applicata una regressione lineare, analogamente alla
tecnica Oxford, che usa iniezioni in bolo di farmaci vasoattivi. Sono state prese in considerazione solo le sequenze in cui r2 era > 0.85, ed è stato calcolato il numero delle sequenze baro-riflesse e non baroriflesse. Altri parametri calcolati sono stati: lo slope medio individuale delle sequenze non baroriflesse, e l’engagement time.
RISULTATI
7 ratti sono stati inclusi nel protocollo di studio. Tutti e 7 (4 casi sottoposti ad instillazione e 3 controlli) hanno eseguito una sola seduta di in-
Figura 1. Numero di sequenze baroriflesse nei casi e nei controlli
Figura 2. Percentuale di “engagement” baroriflesso nei casi e nei
controlli
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Figura 3. Slope baroriflesso nei casi e nei controlli
Figura 4. Sequenze non baro-riflesse nei casi e nei controlli
stillazione e tre valutazioni della regolazione autonomica (1 pre e 2 post),
3 dei 7 ratti hanno concluso l’intero protocollo pre-infarto, sono stati sottoposti ad infarto sperimentale,ed hanno eseguito la prima instillazione
post-infarto e la prima valutazione autonomica post infarto.
I dati riportati nel presente studio si riferiscono ai 7 ratti che hanno
eseguito una valutazione pre e due valutazioni post-instillazione. I dati
principali sono mostrati nelle figure 1-4. Tutti i parametri esaminati hanno mostrato una minore variabilità nei ratti sottoposti a instillazione dei
SWCNT rispetto ai controlli instillati con soluzione salina tamponata. In
particolare, la differenza è risultata statisticamente significativa per lo
slope baro-riflesso valutato a 24 ore dall’instillazione (p<0.05).
CONCLUSIONI
Questo studio dimostra che il modello sperimentale utilizzato è adatto a valutare le variazioni di regolazione del sistema autonomico cardiovascolare dopo esposizione a SWCNT. Inoltre i dati rilevati sembrano
suggerire una perdita di variabilità del ritmo cardiaco dopo instillazione
con SWCNT. Poiché una ridotta variabilità del ritmo cardiaco è associata ad effetti cardiovascolari sfavorevoli (5), tale dato, se confermato in ulteriori studi, indicherebbe che i SWCNT sono in grado di influenzare il
controllo autonomico del sistema cardiovascolare.
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Valutazione del rischio chimico e biologico