UNA COMUNITÀ IN FESTA:
E S T E R L A S A L V E Z Z A D ' U N POPOLO MINACCIATO
1. LA TRAMA DEL TESTO EBRAICO
Il libro di Ester, una delle cinque Megillôt, è il rotolo che viene letto nella festa
dei P×rîm e narra l'avventura di una giovane ebrea, che viene elevata al rango di
regina e riesce così a sventare una persecuzione contro i suoi correligionari all'epoca del
re Assuero. Seguiamo la trama del testo più breve, cioè quello dell'edizione
ebraica. La narrazione si apre con un sontuoso, interminabile e pantagruelico
banchetto (cc. 1-2) seguito da un banchetto più breve; la regina Vasti viene ripudiata dal re
Assuero perché insubordinata. E l'ebrea Ester-Hadassa diviene regina al suo posto.
Compaiono anche due personaggi maschili: l'ebreo Mardocheo (2,5-7), che
risulta essere zio di Ester e che sventa un complotto degli eunuchi contro
Assuero-Serse 1 , e l'agagita Amàn, discendente di Amalek tradizionale nemico
di Israele. Il conflitto tra i due scoppia subito e si dilata da inimicizia personale al
progetto di un pogrom anti-ebraico, da condursi su larga scala, in tutto l'impero
persiano (c. 3). Mardocheo fa intervenire Ester per scongiurare l'immane sciagura,
che sta per riversarsi sui Giudei (c. 4). È in questo punto che si ha il più consistente
intervento delle aggiunte greche con le preghiere di Mardocheo e di Ester. Dapprima
Ester esita un momento, ma poi si offre per l'impresa per lei pericolosa,
sostenuta da tre giorni di digiuno di tutti gli Ebrei dell'impero: "Non pensare
di salvare solo te stessa fra tutti i Giudei, per il fatto che ti trovi nella reggia.
Perché se tu in questo momento taci, aiuto e liberazione sorgeranno per i Giudei da un
altro luogo; ma tu perirai insieme con la casa di tuo padre. Chi sa che tu non sia
stata elevata a regina proprio in previsione d'una circostanza come questa
Allora Ester fece rispondere a Mardocheo: «Va, raduna tutti i Giudei che si
trovano a Susa: digiunate per mite, state senza mangiare e senza bere per tre
giorni, notte e giorno; anch'io con le ancelle digiunerò nello stesso modo;
dopo entrerò dal re, sebbene ciò sia contro la legge e, se dovrò perire,
perirò!». Mardocheo se ne andò e fece quanto Ester gli aveva ordinato" (4,161
Il testo ebraico ha il nome di Serse (Assuero) mentre il greco usa costantemente Artaserse; su Serse e
Artaserse cfr. Esd 4,6-7.
1
17).
L a r e a l i z z a z i o n e d e l p i a n o p e r mandare a monte il progetto di
sterminio dei Giudei da parte di Amàn si svolge in più tappe, mentre nel lettore
cresce l'apprensione per la sorte dei pers eguitati, perché nel frattempo Amàn è
sempre più sicuro della riuscita del proprio intrigo e prepara l'eliminazione di
Mardocheo, l'odiato concorrente (5,9-14).
Ester si presenta al re (c. 5,1-8) e causa lo smacco di Amàn, il cui perfido
piano è denunciato al re (c. 6); gli stessi consiglieri e sua moglie Zeres ne dichiarano
il fallimento: «Amàn raccontò a sua moglie Zeres e a tutti i suoi amici quanto gli era
accaduto. I suoi consiglieri e sua moglie Zeres gli dissero: "Se Mardocheo, davanti al
quale tu hai cominciato a decadere, è della stirpe dei Giudei, tu non potrai nulla contro di
lui, anzi soccomberai del tutto davanti a lui"» (Est 6,13).
E alla fine, dopo un goffo tentativo di chiedere grazia alla regina Ester, che
peggiora la sua situazione, Amàn viene impiccato per ordine del re allo stesso
palo che aveva fatto preparare per Mardocheo (7,9ss.).
Allora Mardocheo assume il posto di Amàn (8,1ss.) ed è premiato dal re
che si era fatto leggere il «libro delle Memorie» (6,1-2) e ave va scoperto così che
l'ebreo non era ancora stato p r e m i a t o p e r a ve r e s c o ng i u r a t o il complotto.
Gratitudine un po' tardiva, ma doverosa!
Con il consenso del re, Mardocheo sventa dunque il progetto di pogrom contro i
Giudei, delineato dal perfido Amàn, il che diventa per la comunità ebraica dell'impero
persiano motivo di una gioiosa festa (8,3-9,19). «Questo avvenne il tredici del
mese di Adàr; il quattordici si riposarono e ne fecero un giorno di banchetto e di
gioia. 18 Ma i Giudei che erano a Susa si radunarono il tredici e il quattordici di
quel mese; il quindici si riposarono e ne fecero un giorno di banchetto e di gioia. 19
Perciò i Giudei della campagna, che abitano in città non circondate da mura, fanno del
quattordici del mese di Adar un giorno di gioia, di banchetto e di festa, nel quale si
mandano regali gli uni gli altri» (Est 9,17-19). Troviamo in questa parte il
linguaggio delle vecchie formule delle guerre di JHWH, con un certo compiacimento
per la violenza che rappresenta uno dei maggiori problemi posti dal rotolo di Ester. Nel
linguaggio della guerra santa rientrano espressioni come "attaccare, colpire,
distruggere, il numero impressionante delle vittime e il terrore che piomba sui
nemici". La rinuncia alla preda rientra nel concetto di 'santo sterminio' (herem) della
guerra santa.
2
Scandalizza in particolare la richiesta di Ester di un secondo giorno di strage dei
nemici degli Ebrei, per assicurarsi che non sopravviva alcun pericoloso superstite.
Questo secondo giorno trova la sua spiegazione letteraria nella necessità che
l'autore ha di spiegare la ragione della durata di due giorni della festa dei Purim ,
memoria di come furono mutate le 'sorti', i Purim 2 appunto, nel 13 e 14 di Adar.
La parte finale presenta una particolareggiata esposizione della data e della
regolamentazione della medesima festa dei Purim e si sottolinea il carattere
obbligatorio e non facoltativo. di questa festa molto 'laica' (9,20-32).
Il testo si chiude con una breve cornice narrativa nello stile del libro dei Re (Est
10,1-3).
Dal punto di vista storico è chiaro come gli avvenimenti qui narrati provengano
dal mondo della Finzione letteraria, infatti né il libri di Esdra e Neemia né il Siracide
parlano di questi fatti. Si noti che frammenti del libro di Ester non sono stati ritrovati
a Qumran (ed è l'unico a mancare). Questo conferma ulteriormente la tesi della non
storicità dell'avvenimento ivi raccontato e di come tale rotolo non sia stato accolto
dalla Sinagoga senza discussioni.
È 2Mac 15,36 a parlare per primo del «giorno di Mardocheo), e ciò prova che la
festa dei Púrim era già celebrata nella Palestina del I° secolo a. C.
2. LE AGGIUNTE GRECHE
Come si è visto, la trama è abbastanza lineare, anche se vari particolari
si rivelano importanti solo alla fine del libro. Ma, già nel descriverla, abbiamo
trovato alcune complicazioni inaspettate con la numerazione dei versetti. Infatti,
le nostre edizioni della Bibbia cattoliche e ortodosse presentano un testo più
lungo, che accoglie le aggiunte greche; così la traduzione CEI, quando inserisce i
testi in greco accanto ai numeri dei versetti, pone delle piccole lettere in apice,
ad indicare appunto il testo dell'edizione della Bibbia greca.
Ma la dispos izione di queste aggiunte non trova una prassi comune;
infatti S. Gerolamo aveva optato per collocare questi testi, tradotti dal greco, in
2
La parola «p×r», che non è ebraica, viene spiegata con il termine ebraico di gôral (=sorte); in accadico il
termine puru è attestato con il significato di 'sorte'.
3
fondo al libro che traduceva il testo ebraico.
Altre Bibbie interconfessionali (cf TOB) pongono tali aggiunte in un posto a
parte, tra i libri che noi definiamo deuterocanonici. Molte Bib bie protestanti le
omettono.
Data la complessità della lettura è opportuno offrire un quadro delle
maggiori aggiunte greche, seguendo, per comodità, l'edizione CEI:
A.
Sogno di Mardocheo e scoperta del complotto contro il re (1,1a-1r);
B.
Lettera del decreto di sterminio dei Giudei (3,13a-13g);
C.
P r e g h i e r a d i M a r d o c h e o (4,17a-17j) e di Ester (4,17k-17z);
D.
E s t e r d a v a n t i a d A s s u e r o (5,1a-1f.2a-2f);
E.
Decreto di riabilitazione dei Giudei (8,12a-12x);
F.
Interpretazione del sogno di Mardocheo e conclusione posta alla
traduzione greca (10,3a-3l).
Torneremo tra poco a presentare più in dettaglio il senso di queste
aggiunte greche, ma già ad un pr imo sguardo è facile rilevare che un loro
intento è rendere più religioso il libro, esplicitando l'intervento di Dio e non p r e s e n t a n d o
p i ù g l i a v v e n i m e n t i come se fossero dovuti solo al caso o alla forza e all'astuzia
umana.
Nel testo greco il libro comincia con il sogno di Mardocheo e la scoperta
da parte sua del complotto contro il re (A: 1,1 a -1 r ). È un tono profondamente
diverso da quello del resto del libro; infatti il contesto è quello della tribolazione ed
angustia apocalittica. Lo scontro tra i due dragoni e la supplica del popolo dei
giusti, afflitto, provoca l'intervento liberatore di Dio,come è tipico del messaggio biblico.
La visione di una piccola fonte che diventa un grande fiume diventa metafora del
soccorso divino e della sorte del popolo di Dio perseguitato che si identifica nella sorte
di Ester che da esule diventa regina. La spiegazione finale del sogno che, oltre che
la regina Ester, identifica i due dragoni con Amari e Mardocheo è conforme al genere
apocalittico
che
richiede
una
interpretazione
di
visioni
non
facilmente
decifrabili.
La lettera del decreto di sterminio dei Giudei (3,13a-13g) potrebbe essere
definito un capolavoro di antisemitismo, con tutti i suoi terribili luoghi comuni.
Più tardi lo stesso Tacito riecheggerà gli argomenti di questo passo quando
4
spiegherà la persecuzione di Nerone contro i cristiani: «Considerando dunque che
questa nazione è l'unica ad essere in continuo contrasto con ogni essere umano,
differenziandosi per uno strano tenore di leggi, e che, malintenzionata contro i nostri
interessi, compie le peggiori malvagità e riesce di ostacolo alla stabilità del regno...» (Est
3,13e).
Accanto ai pregiudizi razzisti ecco le lodi sperticate del regime oppressore,
che puzzano dell'eterna propaganda dei regimi assolutisti ed imperialisti e
fanno di questa pagina un documento di valore profetico, tremendamente valido
anche per i nostri giorni.
L'autore greco ha poi composto due lunghe preghiere che riecheggiano
molti altri testi (come Esd 9; Dn 9; Ne 9; Bar 1-3 e Sir 36,1-17): preghiera di
Mardocheo e di Ester. Se Mardocheo (4,17 a -17 j ) rivendica il proprio diritto di adorare
solo Dio, Ester propone una preghiera che è una sorta di compendio della fede
ebraica (4,17 k - 17z). I temi sono quelli della sovranità assoluta di Dio, che punisce gli
empi e custodisce i giusti; si canta poi la sua fedeltà alle promesse che certamente
troveranno compimento. La supplica di Ester è un vero modello di preghiera di
coloro che sono afflitti a causa della loro fedeltà a Dio e alla sua santa legge.
Il racconto della presentazione di Ester davanti ad Assuero (5,1a-1f.2a-2f)
integra il testo ebraico che è molto conciso rispetto alla drammaticità del momento.
L'autore greco elabora sviluppi di genere romanzesco con toni romantici come il
languore e lo svenimento di Ester. Così Ester sviene tra le braccia del re incollerito che,
mosso a dolcezza da Dio, la sostiene finché la bella e affascinante fanciulla si
riprende e la bacia con affetto e trasporto. Vi è quindi una trasformazione dei
sentimenti del re Assuero, nella quale opera Dio stesso che vuole provvedere alla
salvezza del popolo ebraico, minacciato di morte come Ester.
Il decreto di riabilitazione dei Giudei (8,12 a -12 x ) è abbastanza ampio e
oltre a lodare la fedeltà e la lealtà dei Giudei verso il regno e proclama la loro
innocenza, confessa che JHWH è il «Signore di ogni cosa» (8,12 b ), il «Signore di
tutti gli eventi» (8,12r).
Infine l'interpretazione del sogno di Mardocheo e la conclusione posta alla
traduzione greca (10,3 a -3 i ) permette di ribadire il senso della festa dei Purim,
come festa religiosa: «3 g In tal modo egli ha stabilito due sorti, una per il popolo
di Dio e una per tutte le nazioni. 3h Queste due sorti si sono realizzate nell'ora, nel
5
momento e nel giorno stabilito dal giudizio di Dio e in mezzo a tutte le nazioni. 3 i
Dio si è allora ricordato del suo popolo e ha reso giustizia alla sua eredità...».
Si comprende così che la Chiesa cattolica abbia accolto questa rilettura
greca del libro di Ester, proprio perché è un esempio ottimo di quel processo di
attualizzazione e reinterpretazione che inizia già all'interno della stessa Bibbia e
che continua nella vita della Chiesa. Il processo di reinterpretazione avviene in
particolare attraverso la tipizzazione dei personaggi e delle situazioni che rende il
libro uno « s c h e m a » o p a r a d i g m a f a c i l m e n t e fruibile dalle future generazioni.
3. I PERSONAGGI DEL LIBRO
Il messaggio del libro si dipana attraverso lo sviluppo che ricorda un po' il
dramma greco con i protagonisti molto caratterizzati, Ester e Mardocheo,
Amàn. Decisamente minore è il ruolo del re Assuero o di Vasti.
Ester è davvero l'eroina, la "salvatrice". Il suo nome in persiano significa
"stella" (stare); in babilonese è il nome della dea dell'amore e della bellezza,
Ishtar, e davvero il suo personaggio brilla nella storia a lei dedicata.
Hadassa è l'altro nome che le viene attribuito ed indica in ebraico il 'mirto',
perché secondo una leggenda la sua pelle aveva il colore bruno olivastro degli
orientali. Essa rappresenta il popolo ebreo in diaspora, che si deve "acculturare" nei
vari ambienti in cui si trova a vivere, senza però venire meno alla propria identità
e alle proprie tradizioni di fede.
Essa è modello di tenacia nella lotta per la vita del suo popolo, di capacità di
iniziativa, di abnegazione e di coraggio, che sono possibili solo là dove non c'è il
calcolo per il proprio interesse particolare, ma la dedizione completa ad una causa
più alta.
Essa come Rut è la donna solidale 3 , ma non tanto con alcune persone, ma
con un intero popolo perseguitato. Il suo digiuno è una forma di preghiera, di
supplica accorata a Dio perché intervenga in favore di Israele.
3
Questo tratto della solidarietà di Ester-Hadassa ispira il nome dell'organizzazione umanitaria ebraica di
Israele, HADASSA, che ha costruito vari ospedali e curato la preparazione dei medici e del personale
infermieristico.
6
Certamente il suo personaggio ha una crescita ed il passo decisivo si
registra dal v. 4,17 in poi. Ella diventa un vero leader e guida il popolo verso la
liberazione dal potere oppressivo. E per la sua impresa Ester sfrutta tutto, anche il
proprio fascino femminile perché è sempre più consapevole che il "gioco"
comprende tutti gli ingredienti umani, messi al servizio di una causa più grande.
Il personaggio di Ester si intreccia con quello di Mardocheo. Egli è
l'incarnazione dell'amore verso il proprio popolo ed insieme di lealtà nei riguardi del
bene autentico dello Stato nel quale si trova a vivere: in questo senso incarna
l'ideale del giudeo in diaspora. La sua forza sta nella fede che diventa, con il digiuno
e i riti penitenziali cui si sottopone, supplica al Dio salvatore di Israele. Certamente in
Est 4,1 non è dichiarata la natura religiosa del lamento di Mardocheo, ma
essa appare chiara agli occhi del lettore giudeo.
Amàn invece è la quintessenza del male, è un Amalecita. È come
l'incarnazione dello spirito antisemita che non ha alcuna ragione di esistere se
non nell'invidia inconfessata, ma cerca sempre giustificazioni pretestuose. Egli
vorrebbe rivendicare per sé le ragioni della lealtà allo Stato in cui si vive, ma in
definitiva si rivela come un nemico di esso, perché non ne cerca il vero bene. La sua
ignominiosa fine è quella dell'«imbroglione imbrogliato».
Vi è poi il personaggio mai nominato nel testo ebraico: JHWH. La sua
presenza-assenza è precisamente uno dei problemi posti dal rotolo di Ester. È
però chiaro al lettore giudaico che il r ibaltamento di sorti (P×rîm) rivela che là
dove la storia umana pare determinata dal P×r, ossia dalla sorte o dal caso (cfr.
3,7) e che in essa si dia solo una serie di coincidenze ivi è all'opera il Dio che
Israele ha conosciuto nella propria storia come il liberatore potente: JHWH.
4. I PROBLEMI CHE PONE LA LETTURA DEL ROTOLO DI ESTER
Ester è un libro controverso. Esso sembra essere stato scritto verso la fine o
subito dopo l'epoca maccabaica, verso il 150 a.C., in ogni caso non dopo il 114 a.
C. perché in quell'anno, sotto il Regno di Tolomeo VIII e di sua moglie Cleopatra, il
sacerdote Dositeo portò alla comunità ebraica residente in Egitto le lettere sui
P×rîm, come racconta la finale greca del libretto:
10,3l «Nell'anno quarto di Tolomeo e di Cleopatra, Dositeo, che diceva di essere
7
sacerdote e levita, e Tolomeo suo figlio, portarono in Egitto la presente lettera sui P×rîm,
affermando che si trattava della lettera autentica tradotta da Lisimaco, figlio di Tolomeo,
uno dei residenti in Gerusalemme».
Eppure l'opera venne accolta con molta difficoltà nella comunità ebraica.
Queste difficoltà si scontrano d'altra parte con l'entusiasmo con cui la sinagoga
ha accolto il libretto e lo ha voluto come una delle cinque Megillôt.
Ma alcune delle difficoltà che la comunità ebraica provava di fronte ad Ester
restano e anzi risultano ancora più forti per il lettore cristiano. Si pensi al duro
discorso a tavola, in proposito, da parte di Lutero: «Sono così nemico di 2Mac e di
Ester che vorrei che non esistessero affatto perché sono t r oppo giudaizzanti e
c o n t e n g o n o troppa malvagità pagana» (Discorsi a Tavola, ed. Weimar I, p. 208).
A n z i t u t t o è u n l i b r o d o v e n o n compare mai nel testo ebraico il nome "Dio";
per questo i LXX provvidero ad arricchire con ampie esplicitazi oni teologiche il
carattere poco religioso del libro. Ma il problema resta: come è possibile che un testo
così laico, così poco religioso faccia parte della Bibbia e addirittura sia la lettura
liturgica una festa sinagogale?
E anche la festa dei P×rîm viene a complicare molto le cose perché il lettore vi
scopre una sorta di carnevale giudaico e fatica ad individuare il suo carattere
religioso. Per certi versi, sembra l'inno ad un adagio ben noto e ben poco ‘ credente’ :
«aiutati che il ciel t'aiuta!».
Perché tanto pudore teologico? Perché non dire esplicitamente che la
sorte umana non è determinata dal P×r 4 , ossia dalla sorte o dal caso (3,7)
Perché non affermare, senza mezzi termini, che la storia non è un insieme di
fortuite coincidenze, ciel destino (p×rîm), ma nascostamente in essa è
all'opera JHWH? È sufficiente il digiuno dei Giudei per tre giorni, richiesto da Ester,
per evidenziare la dimensione teologica della vicenda?
Comprendiamo anche che il libro sia sorto come reazione alle avvisaglie di
pogrom antiebraici che si profilavano all'orizzonte di certi ambienti della diaspora, ma
soprattutto in Palestina con la politica di ellenizzazione forzata dei Seleucidi, ma ciò
4
Forse il lesto in cui il lettore incontra un'allusione un po' più esplicita alla dimensione teologica è nella parola
dura e tagliente di Mardocheo, che ricorda quella dei profeti, rivolta alla esitante Ester: «Non pensare di salvare
solo te stessa fra tutti i Giudei, per il fatto che ti trovi nella reggia. Perché se tu in questo momento taci, aiuto e
liberazione sorgeranno per i Giudei da un altro luogo; ma tu perirai insieme con lo casa di tuo padre. Chi sa che
tu non sia stata elevata a regina proprio in previsione d'una circostanza come questa?» (Est 4,1 3-1 4).
8
non toglie che si respiri in questo romanzo o novella di diaspora un'aria di
nazionalismo, di sciovinismo.
Certo vi è l'aspetto positivo che è il senso di solidarietà all'interno del popolo
giudaico, ma proprio a causa all'oppressione da esso stesso patita non avrebbe
forse dovuto essere un po' più tollerante, se non capace di perdono
Certamente il libro di Ester è di grande attualità per mostrare l'assurdità e la
ferocia dell'antisemitismo e permette di rilevare come esso possa avere radici molto
lontane, ma il risentimento e la voglia di vendetta sembra prendere talora il sopravvento.
È forse per questo che il nome di JHWH non vi appare mai?
Certamente il libro di Ester è pervaso di ironia che mette un po' in ridicolo le
pretese dei grandi imperi; ma la stessa ironia non si deve rivolgere anche allo stesso
popolo ebraico che dall'oppressione
patita
non
sembra
avere imparato la
tolleranza?
Ma vi è ancora un'ultima domanda, forse la più 'bisbetica': non è che
l'opera voglia spiegare una festa molto popolare tra gli Ebrei, ma non tale da imporsi per
la qualità del suo contenuto intrinseco?
5. LE RISPOSTE AI PROBLEMI POSTI DAL LIBRO DI ESTER
A queste domande risponde il collega don Giacomo Facchinetti.
5.1. Ester, ovverosia il libro delle metamorfosi
"Nel tentativo di rispondere alle domande di don Patrizio, ci sarebbe una
prima questione da risolvere: che titolo dare al libro?
Noi pot r e m m o dir e " I l libr o di Ester" o "Il libro di Mardocheo" (sarebbe
già un'altra prospettiva...), oppure "Il libro delle metamorfosi" perché, secondo
una delle affermazioni finali del testo, parla di giorni in cui "è cambiato" il lutto in
festa, il dolore in gioia e dal digiuno si è passati al banchetto.
Potremmo anche pensare di essere nel Regno delle Mille e una notte:
ambiente di corte, intrighi, complotti,mogli, concubine, regine allontanate e regine
chiamate, il potere, la forza, ecc...
Se scelgo "Il libro delle metamorfosi", mi trovo davanti ad una delle esperienze
9
decisive della storia umana, della nostra storia, della storia d'Israele: il cambiamento,
il cammino, l'itinerario così precario, quel sentiero così stretto, quel passaggio dal
dolore alla gioia, dal lutto alla festa, dal digiuno al banchetto, dalla precarietà ad
una tregua, ad una sicurezza, ad una garanzia. Dal non essere all'essere, dalla morte
alla vita.
Se uso il titolo "Le Mille e una notte", suggerisco un mondo fantastico, ma
dal senso importante, perché svilupperebbe il tema del raccontare per vivere, perché
ogni racconto allunga la vita: sembrano messaggi pubblicitari, ma sono la realtà di un
certo tipo di letteratura...
Si potrebbero usare parole meno sacre, ma si vuole dare maggiormente il
senso ad una storia così lontana, vissuta in un ambiente così diverso dal nostro,
la quale tuttavia affronta temi decisivi per la vita quotidiana.
P o s s i a m o q u i n d i a n c h e p a r l a r e come di una novella, ma dobbiamo
fare attenzione al fatto che il raccontare è in funzione della vita. C'è un
racconto che dà vita, che diventa sorgente di vita. È pur vero, sentiremo, che
talvolta ci può essere uno scritto che è causa di morte.
È un modo, quello della affabulazione, di non essere sempre "seriosi", al
limite quasi della tristezza, almeno esteriore, con il viso accigliato, quando si deve
parlare di Dio e delle sue opere. Perché non dovremmo essere, anche
esternamente, gioiosi? Perché non utilizzare, come nella Festa dei P×rîm, il
linguaggio allusivo e la figura del gioco, della maschera, del banchetto per dire
una verità in modo meno serioso? Una verità che è la stessa verità dell'Esodo
perché P×rîm può essere veramente associato, anche dal punto di vista
cronologico, oltre che da un punto di vista letterario, all'Esodo perché la Festa
avviene un mese prima della Pasqua; in un certo modo ne è l'anticipazione,
profana nelle forme, ma profondamente simile nella sostanza. È il tema della
liberazione.
Sono divagazioni, ma suggeriscono di raccontare senza stancarsi: peccato
non avere tempo a sufficienza, un camino intorno a cui sedersi, un bicchiere da
sorseggiare insieme per abbandonarsi al discorso... Questo sarebbe il clima più
adatto per inserire la lettura, l'ascolto, il commento e il confronto sul libro di P×rîm.
5.2. Il Nome non nominato
Una questione, seria ma forse solo seriosa, è l'assenza del nome del
10
Signore. È un fatto letterario: Dio non viene mai nominato. Ne nasce una domanda:
questa assenza letteraria del "personaggio" Dio invia anche ad una sua assenza nella
realtà?
E questa mancanza del nome di Dio da che cosa è motivata?
Nasce dalla paura, dall'imbarazzo di coinvolgere Dio, il Santo, il
Trascendente, l'Unico - mi richiamo volentieri qui al Libro del Levitico, al
tema della trascendenza di Dio che determina la diversità del suo popolo in relazione al
modo di essere e di vivere rispetto agli altri popoli... - in una realtà quotidiana
troppo umana, fatta di potere, violenza, sesso, banchetti?
È un imbarazzo teologico il coinvolgere Dio in questi luoghi un po'
ambigui come il palazzo, la cucina, la mensa, il letto dell'harem, la sala del
Consiglio, le cancellerie e la loro burocrazia?
Allora, dietro a questa as senza, che cosa ci sta? Un imbarazzo dei
credenti di quel tempo, e forse anche di oggi, oppure un espediente letterario
ma geniale, espressione di una profonda teologia della Rivelazione, perché ha
come sostanza quella dell'Esodo, ma ha una forma sostanzialmente diversa?
Teniamo anche presente che questo è il libro della diaspora. È vero che la
Festa verrà autorizzata, e forse imposta, a partire dal centro spirituale
di
Gerusalemme, ma il contesto letterario e storico del libro è la diaspora, cioè la
situazione in cui vive il popolo di Dio e in cui mancano i segni visibili che
permettono di identificare in modo concreto, pubblico, e condiviso la presenza di
Dio.
Nella diaspora non c'è il re discendente da Davide, a favore del quale c'è la
promessa messianica; non c'è un tempio che possa essere identificato come
il luogo visibile della presenza di Dio e nel quale c'è il trono su cui Dio siede.
Non c'è un sacerdozio nell'esercizio delle sue funzioni, non c'è un
calendario tipicamente ebraico, ecclesiastico, con le sue Feste, i suoi riti, le sue
celebrazioni, che permettono di dire: ecco quello è il servizio di Dio, quelli sono i
giorni di Dio, quelle sono le Feste di Dio.
Non esiste nulla di tutto questo, come non esiste una nazione che, nella
sua unità e nella sua organizzazione visibile, permetta di riconoscere in Israele il
popolo di Dio.
Sono dei frammenti che sembrano, essi stessi, nascondersi in un mare
immenso e vivere da assimilati, velando la propria identità.
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Questa situazione dei credenti viene presa sul serio da Dio, che ne segue lo
stile di vita nella dispersione. I cred e n t i
vivono
nel
nascondimento,
nell'assenza di segni visibili che rende difficile il riconoscimento di Dio.
Dio
non
entra
in
gioco
risolvendo
la difficoltà, facilitando la propria
identificazione, ma si adatta, quasi raddoppiando la difficoltà stessa, ad uno stile di
vita come quello della diaspora.
È a l l o r a u n e s p e d i e n t e g e n i a l e , come dicevo prima? È un modo di parlare
che nasce da una fede tanto profonda e certa che non ha bisogno di nominare
esplicitamente Dio perché lo sa riconoscere, non facilmente ma con certezza; lo sa
riconoscere dentro il tessuto, o dietro il velo, delle passioni umane, dei desid e r i ,
d e l l e v i r t ù e d e i v i z i u m a n i . Nell'umanità con il suo spessore, che può
diventare velo e può diventare "segno". Può diventare svelamento e può
diventare nascondimento.
L'espediente
scelto
dall'autore
per
alludere,
e
non
per
dimostrare
trionfalmente, per suggerire degli indizi di un Dio che resta sempre trascendente,
realmente presente anche se nascosto, è l'insieme delle coincidenze.
Noi lettori possiamo parlare di coincidenze, ma per l'autore sono inviti a
riflettere.
Una prima coincidenza: è proprio per caso che, nel momento in cui si
prospetta
e
poi
si
tenta
di
realizzare
una
politica
sistematicamente
antisemitica, che ha come fine ultimo lo sterminio, sul trono imperiale di
Persia troviamo una donna ebrea, che è stata prescelta come la favorita?
Un secondo esempio: sarà un caso che, mentre si sta realizzando quel
progetto, in una notte di terribile insonnia il re si trovi a leggere le cronache del
regno e trovi un documento in cui si parla di Mardocheo, un ebreo che ha sventato
un complotto contro la persona del re e non ne è stato ricompensato, per cui Assuero
ordina di fare qualcosa per riconoscere la sua attenzione coraggiosa?
Vediamo come l’ autore scelga questo espediente fatto di indizi, puntando
sul rispetto della capacità di intelligenza e di riflessione del lettore.
Questo tipo di letteratura può essere certo paragonato anche a un tipo di
letteratura da intrattenimento (ecco il paragone con le Mille e una notte...), ma è
comunque intrattenimento e non evasione; ti trattiene e non ti fa evadere, in un
modo abbastanza piacevole, suggerendo però cose grandi.
Parlare di Dio tacendo, far pensare a Dio per allusioni, suscitare la
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domanda su Dio: è proprio vero?
Certo, l'autore suggerisce anche la sua risposta, poiché dietro questo
insieme di coincidenze sta una presenza velata, nascosta, ma reale. Ecco, la provvidenza.
E v e d e t e c o m e d i e t r o c i s i a u n modo di interpretare la teologia della
liberazione
molto
diversa
da
quella
dell'Esodo. La sostanza, dicevo, è
profondamente simile: è il tema della liberazione; e pure il risultato è simile. Ma
i modi, le forme, le vie dell'azione di Dio sono concepite, rappresentate e raccontate
in maniera radicalmente diversa.
Basta pensare a Mosè, ai poteri accordatigli, alla teofania spettacolare, alle
piaghe come segni divini, al miracolo del mare, alla teofania del Sinai, ai segni nel
deserto, per riconoscere che la presenza di Dio è indiscutibile.
Si potrebbe parlare di trionfalismo teologico, secondo il quale la teologia
della liberazione passa attraverso i grandi segni.
L'autore del Libro di Ester segue l'altro modulo, profondamente diverso;
per dire la stessa cosa, per dire che l'evento dell'Esodo è una realtà sempre attuale,
un metodo completamente differente, sviluppa, utilizza un modello letterario ed
un pensiero totalmente diversi: quello di un Dio che lavora in un modo nascosto ma
reale. Così guida gli eventi verso lo stesso risultato.
Per tutto questo, mi sento di dire che l'assenza del nome di Dio è un
espediente letterario che rinvia ad una teologia sulla presenza di Dio ancora più
intensa e costituisce una provocazione per il lettore, che deve riflettere di non
dover incontrare Dio soltanto nei grandi momenti, negli eventi spettacolari di fronte
ai quali si pone il problema del "sacro" o del "mistero", ma anche in una storia
apparentemente banale.
Può incontrare Dio là dove, in risposta ad un desiderio umano, umanissimo, si deve scegliere una giovane per compiacere il re. Perfino in un momento di
insonnia, si può incontrare Dio...
Questo tipo di letteratura, quindi, non può essere definito di "evasione", ma
di intrattenimento perché vuole catturare il lettore al fine di fargli porre questa
domanda: "E se Dio...? ". Non c'è nessun luogo che sia estraneo a Dio; nessun
luogo da cui Egli possa essere esiliato.
Vedete il capovolgimento? Questo Dio, che prende lo stile della diaspora,
nascondendosi, lo fa per rendersi presente in ogni luogo, per suscitare una
ricerca che non si limita ai luoghi classici, ai luoghi canonici della ricerca e dell'incontro
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con Dio: la Scrittura, i sacramenti, la gerarchia, la virtù..., ma si estende anche ai
luoghi più profani, più compromessi ed ambigui. Questo per realizzare la sua
opera costante, che è la liberazione del suo popolo.
5.3. Il nascondimento dell'identità giudaic a
Il tema del nascondimento si allarga e investe un'altra questione: il
velamento dell'identità giudaica.
Se volete, nel primo capitolo c'è il primo momento di nascondimento. Si
parla della festa voluta dal , re nel terzo anno del suo regno per esibire il proprio
potere, la propria ricchezza ai sudditi, che ne godono per un attimo.
Si dice che tutta la città di. Susa partecipa a questo banchetto; ma a Susa
viveva anche una comunità notevole di ebrei che, come segno distintivo, secondo il
Levitico,
doveva
avere
una
particolare
alimentazione.
Come
mai
questa
assimilazione?
Un secondo elemento: Ester, che entra nel gruppo delle giovani scelte
per il re e che riceve il consiglio di non dire la sua famiglia e la sua appartenenza
etnica.
V e d e te q u e sta masch e ra che nasconde l'identità?
Avrà probabilmente dato false generalità, celandosi dietro ad una menzogna,
per poter accedere al palazzo, all'harem; lì vive per anni, senza che la sua identità
emerga. Però nel momento in cui si pone il problema di vita o di morte (non solo
quello della libertà o della servitù), Ester fa emergere la sua personalità, si dichiara
giudea.
È il passaggio dal nascondimento alla rivelazione, dalla maschera alla
vera identità.
E questa rivelazione avviene nel momento più difficile e critico; certo Mardocheo
le fa giungere un messaggio in cui l'ammonisce di non illudersi di potersi salvare da
sola, altrimenti un altro verrà suscitato per la salvezza di tutto il popolo.
In qualche modo Ester cerca di celare anche il proprio carattere femminile,
come risulta chiaro se si confrontano le due grandi figure di Vasti ed Ester.
La prima potrebbe essere consider at a la r ap pr esent ant e di u n ce r t o
femminismo radicale, colei che afferma la propria identità femminile nel dire di
no al marito - che incarna il potere politico, familiare e sessuale, essendo remarito-uomo -, quando questi la convoca per mostrare la sua bellezza al popolo.
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In questo rifiuto viene percepito bene un manifesto di rivolta delle
donne, delle mogli, delle suddite nei confronti del potere politico e maritale, maschile,
anche se poi questo atteggiamento risulta perdente quando Vasti non potrà più
comparire davanti al re.
Il modello di Ester non è così, ma è, di fatto, soggetto, anche se non asservito,
soggetto alle regole di corte, dal momento che accetta i dodici mesi di preparazione per
rendersi presentabile al re. Accetta le regole della corte, anche se, a un certo
punto, le sfida e si pone sotto la tutela di Mardocheo.
Da una parte, perciò, è l'immagine di una donna sottomessa; dall'altra, di
fronte alla morte, si rivela come ebrea, disposta a rischiare la vita pur di solidarizzare, lei
che è nel palazzo, con quelli che ne stanno fuori e sono minacciati perché il
loro diritto ad esistere dipende dal potere e dalla volontà di altri.
Lei ; che non ha figli, assume il ruolo di madre della collettività degli ebrei. Lei,
che era la sottomessa (anche a Mardocheo), si assume il rischio di riparare il
pericolo costituito dall'intransigenza di Mardocheo nei riguardi di Amàn, davanti al
quale non vuole inchinarsi; intransigenza che lo spinge a rifiutare assolutamente le
regole o le convenienze dell'ambiente in cui vive.
Questo è il modo di essere ebrea di Ester, opposto a quello di Mardocheo;
mentre questi ha un comportamento che potrebbe ritorcersi contro tutta la comunità
ebraica, quella sembra più docile, per dimostrarsi invece tanto forte da
assumere il rischio della propria morte per restituire ai suoi il diritto di vivere.
Ecco quindi una metamorfosi interessante, che fa sorgere una domanda: che
cosa identifica l'ebreo (o il giudeo)? È il rispetto delle regole alimentari? È il
rispetto di quelle matrimoniali? È la pratica di certe forme relig i o s e , c o m e l a
p r e g h i e r a e b r a i c a ? Niente di tutto questo: ciò che svela l'identità di Ester è il
coraggio di una radicale solidarietà.
Mi riporto al Levitico, al tema del puro e dell'impuro. Questa è una cosa
che qualifica l'ebreo; l'altra è "ama il prossimo tuo come te stesso" (e forse u n
p o ' d i p i ù , c o m e n e l c a s o d i Ester...).
Sulla carta sono due posizioni armonicamente concilia bili, posizioni che
rappresentano i gradini di un cammino progressivo verso l'incontro con la santità di
Dio. Ma ci sono situazioni estreme e critiche, anche se non infrequenti, in cui forse
non è possibile vivere contemporaneamente le due istanze della legge, che va
quindi vissuta a brani e a pezzi. Ester vive l'esperienza di quella legge. Ecco la
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grande provocazione della domanda: che cosa distingue l'ebreo? Non è la legge
cerimoniale, ma la solidarietà fino al sacrificio di sé stessi.
5.4. L'avventura della Scrittura
Ci sarebbe un terzo livello, che potrebbe essere considerato in queste
riflessioni sul nascondimento che passa alla rivelazione: la scrittura.
È un tema ricorrente e significativo nel Libro di Ester, collegato alla cultura
persiana, in cui sembra che una realtà sia valida e duratura proprio per la sua
fissazione scritta.
Ecco allora che potremmo parlare di un'avventura della scrittura.
C'è un percorso della scrittura che parte come segno e strumento di morte
(l'editto diffuso nell'Impero contro gli ebrei, quello della destituzione di Vasti o
quello della superiorità maschile...), di umiliazione, di repressione, di minaccia, e
viene poi riscattata da questa sua funzione diventando strument o di vi t a
quando un altro editto permette agli ebrei l'autodifesa per vivere come minoranza
all'interno dell'Impero.
Può, la scrittura, diventare memoria del bene che qualcuno ha compiuto; una
memoria tardiva, come nel caso di Mardocheo, o una memoria immediata come nel
caso di questa storia, che dà origine poi alla celebrazione annuale della Festa dei
Púrim.
A proposito della scrittura, si pone anche un'importante questione giuridica:
come rendere mutabile l'immutabile? Perché uno dei motivi ricorrenti è che,
nell'organizzazione dello Stato persiano, la scrittura del re, i suoi decreti, sono
immutabili: se c'è un decreto di morte, non può essere né corretto né abrogato.
Come spezzare questo legame tra scrittura e morte?
Il suggerimento è quello di scrivere un ulteriore decreto: è l'addizione,
l'aggiunta... Ma si capisce bene la complicazione nell'ambito della scrittura, perché si
trovano a coesistere due testi contrastanti e contraddittori... Così quello che sembra
la fine di una storia, con la sua fissazione per scrittura, diventa l'inizio di un'altra
storia, nata dalle correzioni e dalle aggiunte. Infatti se è vero che il fatto in sé è
irripetibile, la narrazione e la stesura del fatto dà origine ad altre scritture, ad altre
narrazioni e ad altri ampliamenti.
Un esempio di questo è proprio il Libro di Ester, con le aggiunte del testo
greco, che ampliano e arricchiscono quello ebraico.
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5.5. Ester, un libro della vendetta?
Potremmo definire il Libro di Ester come "il libro della vendetta” ? Oppure
come "il libro del diritto di esistere” ? Certo un diritto affermato attraverso l'uso
della violenza!
L'uso delle parole non è neutro: se io parlo di vendetta, carne cristiani
abbiamo una reazione negativa; se parlo di difesa del diritto alla vita siamo tutti
d'accordo; se poi aggiungo con forme problematiche tutte inevitabili si apre lo spazio
per la riflessione.
Tuttavia prendere il libro s otto questa prospettiva significa introdurre un
tipo di lettura che potremmo definire "politica", perché esamina le affermazioni del
testo in relazione alle realtà e alle istituzioni politiche.
Una prima pista potrebbe essere quella di prendere in considerazione le
affermazioni relative al re Assuero, nelle quali l'ironia arriva al limite del
ridicolo: è il re grande e temuto per la sua potenza, ma in casa è un marito
piccolo, piccolo, che può essere tranquillamente sfidato dalla sua sposa.
Per questo ha bisogno di tutta la struttura del suo Impero per riportare,
all'interno della famiglia, un ordine che ha come prezzo la perdita della sua
donna.
Ancora: il re è l'autorità suprema, centrale, ma per ogni passo deve
consultarsi; anche per risolvere il suo problema familiare convoca i consiglieri e chiede
il loro parere e le modalità di intervento.
A n c o r a : a c c e t t a p a s s i v a m e n t e quella proposta di genocidio per motivi
con implicazioni economiche suggeriti da Amàn; non chiede, non si interessa, come
invece dovrebbe fare un re, circa le ragioni dello sterminio: dà carta bianca. È la
sua volontà di non affrontare i problemi e le decisioni, ma di delegarli anche quando
sono della massima gravità.
Il modo di raccontare è certamente i r o n i c o, m a p o n e q u e s t i o n i f o n d a mentali
e denuncia uno stile di potere che era fin troppo diffuso.
Dietro questo ci sta un'intuizione che potremmo definire così: la banalità
del male nelle sue cause e la radicalità del male nelle sue forme di risposta.
Se io guardo alle cause di quell'editto di assoggettamento generale delle
donne, delle spose all'ordine familiare, vedo che nasce dal fatto che una donna ha
sfidato il re e ha rischiato di umiliarlo: un episodio che diventa causa di un
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provvedimento repressivo e generale.
Un altro esempio: Amàn decide non solo di eliminare fisicamente il
proprio avversario, Mardocheo, il quale non vuole riconoscere la sua autorità,
inchinandosi al suo passaggio; ma a partire da questo vuole sterminare tutta la
stirpe ebraica.
Non c'è proporzione tra la banalità della causa di quei provvedimenti
irreversibili e la radicalità della risposta del male!
Certo, non si fanno grandi discorsi, non si sviluppano tesi e trattati su questo,
però il modo di raccontare mette in evidenza questa sproporzione.
È anche vero che il re ha una duplice funzione: è colui che è causa della
minaccia, con la sua autorizzazione al decreto di sterminio, ed è anche colui che
promulga il decreto sulla legittima difesa. Ecco l'ambiguità del potere supremo.
Il Libro di Ester è il libro di una minoranza minacciata di annientamento per il
suo desiderio di veder rispettato il proprio diritto all'esistenza.
La possibilità della sua vita o della sua morte è in mano ad altri, che non
sembrano essere dei soggetti eticamente affidabili, ma piuttosto eticamente
arbitrari, perché si lasciano spingere o condizionare da fatti che con i principi
morali hanno poco a che fare.
A partire da ciò, non posso negare c h e q u e s t o t e s t o s u s c i t a m o l t e
d o mande. Questa minoranza tollera, subisce, giustifica il potere imperiale in tutti
i settori della vita e della società, meno che nell'esercizio del diritto di vita o di
morte: come mai questa tolleranza e insieme questa resistenza solo in extremis?
Il superamento della crisi non viene da un processo di autocoscienza o di
'organizzazione delle masse', ma avviene attraverso personaggi e intrighi di
palazzo.
Il luogo in cui si decide il problema del diritto ad esistere di una minoranza,
di una collettività, non è all'interno dell'azione della collettività stessa con la sua
presa di coscienza, ma è il palazzo, luogo del potere, dell'avere e del piacere. È
intorno al trono, alla mensa, al letto, che si decide questa grande questione,
che coinvolge il diritto di vivere per minoranze consistenti.
È una visione reazionaria, questa, non certo progressista. È un libro che
racchiude, direi, non tanto un appello alla solidarietà per una liberazione che unisce
le minoranze (Mardocheo è ebreo, ma anche Amàn è uno straniero.), perché
nel contesto si vede che la rivalità porta ad uno scontro per la vita o per la morte.
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Occasione perduta di solidarietà internazionalista? Ecco, domande legittime che
possono trovare legittime delusioni.
Il Libro di Ester, libro della diaspora, affronta il tema della doppia fedeltà,
della doppia lealtà: lealtà a sé stessi, come popolo di Dio distinto, separato, santo,
e insieme lealtà alla Nazione ospitante e alle sue istituzioni politiche; lealtà
all'autorità legittima, che è m i n a c c i a t a d a l c o m p l o t t o i n t e r n o s v e n t a t o d a
M a r d o c h e o m a a n c h e dall'arbitrio, dalla rivalità, dalla sete di potere e di
ricchezza, dal pregiudizio razzista, rappresentati da Amàn.
Nel testo passa un messaggio di collaborazione con l'autorità legittima;
secondo il Libro di Ester non è né colpa né delitto collaborare con il potere legittimo
della Nazione straniera in cui si è ospiti, ma è una possibilità favorevole da non
trascurare, anzi da valorizzare e da sfruttare. C'è una critica esplicita alla mentalità del
ghetto.
Ancora: il Libro di Ester è il libro di una minoranza che coltiva il sogno di un
proselitismo di massa. Al cap. 8,17 si dice che: "molti appartenenti ai popoli del
paese, si fecero Giudei, perché il timore dei Giudei era piombato su di loro"; il
bisogno di una unificazione che non nasce da un'azione violenta, autorizzata solo
quelli che attivamente minacciano e aggrediscono gli ebrei, ma dall'intuizione ciel
riconoscimento che in quella minoranza è presente, sia pure in modo nascosto
ma efficace, un mistero.
Ecco il sogno di un incontro non in nome del potere, ma del senso del mistero,
che lavora dentro la storia di una minoranza e anche dentro la vita di una
maggioranza più ampia, nella quale quella minoranza è dispersa.
Il punto di partenza, che non si. deve mai perdere di vista, è che il Libro di
Ester è il libro di una minoranza che vive in una realtà determinata dai rapporti di
forza.
Posso fare fatica a capirlo, perché non vivo questa esperienza, ma
l'esperienza della diaspora, degli ebrei di Susa e dell'Impero persiano è quella di.
vivere in una società in cui sembrano emergere rapporti di forza che possono portare
all'omicidio o addirittura al genocidio. Da questo stile finiscono per essere presi gli
ebrei stessi, per cui pure loro elaborano una risposta adeguata alla situazione.
Non pensano ad un'ipotesi del tipo dell'Esodo: fuggiamo, lasciamo questa società.
Forse era impensabile perché l'Impero era una struttura, per così dire, "mondiale",
inglobante e totalizzante.
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Visto che non possono fuggire, essi fanno i conti e arrivano alla conclusione
che devono riuscire ad occupare una posizione di forza per poter ottenere il
diritto di esistere.
In un contesto in cui non è possibile abrogare l'editto di sterminio, per cui la
persecuzione è .autorizzata, l'unica via di scampo pare essere quella di
contrapporre un decreto legislativo analogo, che autorizzi l'uso della forza per opporsi
(non solo per difendersi, ma anche per eliminare gli aggressori, inclusi donne e
bambini...), anche se si è coscienti della precarietà di questa soluzione, per il
fatto che il provvedimento precedente continua ad esistere. Il libro quindi
suggerisce che l'esercizio del diritto alla difesa è stato praticato, con le cifre
impressionanti di migliaia di morti.
Eppure in questo contesto di violenza ci sono alcune indicazioni che
vale la pena di tenere presenti. Per esempio, questa violenza può essere
esercitata nei limiti stabiliti dalla legge, limiti di tempo e di persone; inoltre si
segnala che gli ebrei non si diedero al saccheggio, perciò non approfittarono della
situazione per arricchirsi.
Alle domande di don Patrizio non so che cosa rispondere: ho dato soltanto
alcuni suggerimenti. D'altra parte io non so come reagirei; conosco anche altre
reazioni: quella di chi si affida alla preghiera a Dio lasciandogli i tempi e i modi
della risposta non è ricordata.
È i n t e r e s s a n t e c h e l a s o s t a n z a dell'Esodo, con le ambiguità e i limiti,
con gli aspetti inevitabilmente criticabili, è presa in mano dalle persone. Diventa
oggetto della responsabilità e della libertà delle persone. Non viene delegata a Dio
e al suo intervento diretto, immediato, ma è vissuta come un compito affidato agli
uomini. Essi d e v o n o a s s u m e r s i q u e s t a t e r r i b i l e questione: come difendere il diritto
di esistere da parte di una minoranza, da parte del popolo di Dio.
5.6. Ester il libro della festa
Il Libro di Ester è il libro di una Festa, o almeno è usato per giustificare una
festa. Può essere una Festa troppo laica Direi questo: anche dietro questa
relazione tra un evento, la sua narrazione, la sua scrittura, e una festa c'è una
intuizione profonda. Se la Festa è un giorno di Dio in cui si celebra l'evento santo,
essa mette in evidenza che il valore più sacro da difendere è proprio la vita: al
centro della Festa dei P×rîm, di una vita riacquistata, sta la celebrazione del bene
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più alto che è la vita di ogni persona, come quello collettivo più santo è il diritto di
esistere da parte del popolo di Dio.
Ecco perché questo evento è diventato oggetto di un giorno s ant o: il
giorno del Signore è il giorno dell'uomo. Non è il giorno dell'evasione in cui ci si
distrae dall'umanità per contemplare l'opera di Dio, ma è il giorno in cui si gusta
questa intimità ritrovata o continuamente da ritrovare: un Dio sempre presente
anche se nascosto, e un'umanità che ritrova la via verso la propria
realizzazione, nel rischio di se stessa per il bene degli altri, una comunità che
ritrova la propria unità nel superamento delle discriminazioni tra uomo e
donna, tra individuo e comunità. Non si celebra la Festa per la vittoria contro
qualcuno, quanto il diritto alla propria vita; è la celebrazione della liberazione dai
nemici, ma non dell'aggressione contro i nemici.
È la Pasqua laica in cui si celebra il fatto che solo Dio ci può liberare dal
male. È la Festa del sorriso, dell'ironia e dell'irriverenza, una Festa in cui si ha il
permesso, una volta all'anno, nella felicità di una vita ritrovata, di canzonare tutto e
tutti e forse anche la morte.
E finisco con la lettura di una pagina di un autore ebraico, che presenta le
Feste di Israele: «Anche lo spirito fa parte della Festa di P×rîm. Tutto può essere
canzonato e deriso; nulla rimane sacrosanto.
Un grande rabbino vissuto nel IV secolo in Babilonia, insegnava già: alla Festa
di P×rîm ci si deve talmente ubriacare da non distinguere più tra il maledetto Amàn
e il benedetto Mardocheo. Nelle scuole superiori talmudiche, dal medioevo, nel giorno
dei P×rîm veniva eletto dagli studenti il P×rîm Rabbi, che aveva il compito di prendere in
giro il venerando preside della scuola; un uso che, di tanto in tanto, è stato anche
ripreso dagli studenti dei seminari rabbinici moderni, che però non si limitano al capo
della scuola, ma non risparmiano nemmeno gli altri professori, come lo testimonia lo
scrittore di queste righe per esperienza propria.
Anche se la storia di P×rîm come viene raccontata nel Libro di Ester, non
fosse mai accaduta, un giorno come la Festa di P×rîm è comunque una assoluta
necessità psicologica... Dopo l'Ufficio del mattino, si passa il tempo a bere, a preparare, a
consegnare regali ad amici e parenti, a distribuire doni ai poveri, a organizzare
mascherate e manifestazioni drammatiche chiamate "giochi di P×rîm".
E finalmente, nel tardo pomeriggio, ci si siede per il pranzo principale della
Festa di Purim, con parenti e amici. Al banchetto di Purim, soprattutto in famiglie di
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persone colte che conoscono la letteratura rispettiva, si può dovutamente parodiare
anche il Talmud e persino la liturgia, senza che questo porti scandalo.»
È davvero la celebrazione del diritto al sorriso e all'irriverenza. Una volta
all'anno sperimentiamolo!
(Risposte di don Giacomo alle domande di don Patrizio).
6. BIBLIOGRAFIA
E. BIANCHI, Lontano da Chi?. Lontano da dove? Introduzione e commento ai
cinque volti i biblici: Cantico, Ruth, Lamentazioni, Qohelet, Ester, Gribaudi, Torino
1977.
G.J. B ICKERMAN , Q uattro libri stravaganti della Bibbia: Giona - Daniele - Kohelet
- Ester, Patron Editore, Bologna 1979, 181-250.
J.W.H.
VAN
W IJK -B OS , I libri di Ruth, Ester e Giona, Claudiana, Torino
1992.
F. DALLA VECCHIA, Ester, in La Bibbia, Piemme, Casale Monferrato 1995, 10021029.
Testo tratto da P. ROTA SCALABRINI, “ Una comunità in festa: Ester e la salvezza di un popolo minacciato” ,
141-158, in G. FACCHINETTI – P. PEZZOLI – P. ROTA SCALABRINI – U. VANNI, Scuola della Parola, Diocesi di
Bergamo, Litostampa Istituto Grafico, Bergamo 1998 (con l’ autorizzazione dell’ autore).
BIBLIOGRAFIA (oltre quella già indicata)
▪1. INTRODUZIONE AL LIBRO
Per coloro che desiderano approfondire la conoscenza della Bibbia
● LACOQUE A., Subversives ou un Pentateuque de femmes, Lectio Divina 148, Cerf, Paris 1992
(originale inglese: 1990), 63-97.
▪2. COMMENTARI
Per coloro che iniziano un cammino di conoscenza della Bibbia
● BECHTEL C. M., Ester, Claudiana, Torino 2005.
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Per coloro che desiderano approfondire la conoscenza della Bibbia
● VILCHEZ LINDEZ J., Rut ed Ester, Borla, Roma 2004 (originale spagnolo: 1998).
▪3. INTRODUZIONI ALLA LECTIO DIVINA
● ROTA SCALABRINI P. – ZATTONI M. – GILLINI G., Ester. La seduzione del bene, Queriniana,
Brescia 2009.
● MAGGI L., Le donne di Dio. Pagine bibliche al femminile, Claudiana, Torino 2009, 135-140
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Una comunità in festa