Carlo Goldoni
I Rusteghi
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: I Rusteghi
AUTORE: Goldoni, Carlo
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Opere di Carlo Goldoni,
Ugo Mursia editore 1969
CODICE ISBN: informazione non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 8 aprile 1997
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
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I Rusteghi - Carlo Goldoni
I RUSTEGHI
di Carlo Goldoni
Commedia in tre atti in prosa rappresentata per la prima volta in Venezia nel carnevale dell'anno 1760
NB: le note al testo sono dell'autore
L'AUTORE A CHI LEGGE
I Rusteghi in lingua Veneziana non è lo stesso che i Rustici in lingua Toscana. Noi intendiamo
in Venezia per uomo Rustego un uomo aspro, zottico, nemico della civiltà, della cultura, del
conversare. Si scorge dal titolo della Commedia non essere un solo il Protagonista, ma varii insieme, e
in fatti sono eglino quattro, tutti dello stesso carattere, ma con varie tinte delineati, cosa per dire il vero
dificilissima, sembrando che più caratteri eguali in una stessa Commedia possano più annoiare che
dilettare.
Questa volta mi è riuscito tutto al contrario: il Pubblico si è moltissimo divertito, e posso dire
quest'opera una delle mie più fortunate; perché non solo in Venezia riuscì gradita, ma da per tutto, dove
finora fu dai comici rappresentata. Ciò vuol dire, che il costume ridicolo delle Persone è conosciuto da
tutti, e poco scapita la Commedia per il linguaggio particolare. Quantunque per altro sia stata fuor di
qui recitata con buona sorte, son sicurissimo che tutti i termini, e tutte le frasi nostre non possono esser
capite, però con quanto studio ho potuto, ne ho posta in piè di pagina la spiegazione.
Molti bramerebbero un Dizionario Veneziano per intendere questa lingua, ed io stesso ho
pensato di farlo; ma credo sieno meglio i Leggitori serviti dando loro la spiegazione sul fatto, anzicché
distrarli dalla lettura, per ricorrere al Dizionario, il quale non si può aver sempre vicino quando
bisogna.
Io non credea veramente dover sì presto annicchiare ne' primi Tomi di quest'edizione Commedie
in Veneziana favella. L'ho fatto per la ragione accennata nella precedente epistola dedicatoria, e non mi
pento d'averlo fatto, dacché parmi colle annotazioni più necessarie aver chiarito il più difficile da
capirsi. Ho data la spiegazione a tutti quei termini, e a quelle frasi, che non possono dagli stranieri
rinvenirsi nei Vocabolari Italiani; ma quelle voci, che hanno in qualche modo dell'analogia colle dizioni
Toscane, le ho lasciate com'erano, potendo chi ha un po' di talento conoscerne la derivazione, e
superare la picciola diferenza. Per esempio, le coniugazioni de' verbi sono alquanto diverse, ma si
capiscono facilmente: "farave" per "farei"; "son andà" per "sono andato"; "se savessi" in luogo di "se
sapeste", non sono modi sì strani, che abbino bisogno di spiegazione, né basterebbe il Dizionario a
spiegarli, ma vi vorrebbe ancor la Grammatica.
Anche l'ortografia Veneziana altera talvolta il significato, ma chi vi abbada l'intende, ed è
l'ortografia regolata secondo il suono della pronuncia. Noi, per esempio, non diciamo "bello", ma
"belo", non "perfetto", ma "perfeto"; e per regola generale quasi tutte le consonanti doppie da noi si
pronunciano semplici. Però in alcune voci le lettere semplici da noi si raddoppiano, come in luogo di
"cosa" noi diciamo "cossa", ma queste sono pochissime.
I pronomi hanno qualche diversità dai Toscani: i più osservabili sono "io", che si dice "mi", "tu",
che si dice "ti", "egli", che dicesi "elo". Così è osservabile nella espressione dei verbi, che tanto nel
singolare, che nel plurale, si dice nella stessa maniera. Per esempio: "io andava: mi andava"; "quelli
andavano: queli andava". Molto vi vorrebbe per dir tutto su tal proposito. Per ora basti così. Può essere
che in altra occasione dirò qualche cosa di più.
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I Rusteghi - Carlo Goldoni
Personaggi
Canciano, cittadino
Felice, moglie di Canciano
Il conte Riccardo
Lunardo, mercante
Margarita, moglie di Lunardo in seconde nozze
Lucietta, figliuola di Lunardo del primo letto
Simon, mercante
Marina, moglie di Simon
Maurizio, cognato di Marina
Filippetto, figliuolo di Maurizio
La scena si rappresenta in Venezia
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera in casa di Lunardo
MARGARITA che fila. LUCIETTA che fa le calze. Ambe a sedere
LUCIETTA Siora madre.
MARGARITA Fia (1) mia.
LUCIETTA Deboto (2) xè fenìo (3) carneval.
MARGARITA Cossa diseu, che bei spassi, che avemo abuo (4) ?
LUCIETTA De diana! gnanca una strazza de commedia no avemo visto.
MARGARITA Ve feu maraveggia per questo? Mi gnente affato. Xè deboto sedese mesi, che son
maridada, m'àlo mai menà in nissun liogo vostro sior padre?
LUCIETTA E sì, sàla? no vedeva l'ora, che el se tornasse a maridar. Co giera (5) sola, in casa, diseva
tra de mi: lo compatisso sior padre; élo no me vol menar, nol gh'ha nissun da mandarme; se el se
marida, anderò co siora maregna. El s'ha tornà a maridar, ma per quel, che vedo, no ghe xè gnente né
per mi, né per éla.
MARGARITA El xè un orso, fia mia; nol se diverte élo, e nol vol che se divertimo gnanca nu. E sì,
LE NOTE SONO A CURA DELL'AUTORE
ATTO PRIMO
(1)
Figlia.
Or'ora.
(3)
È finito; servendo per sempre, che il xè in veneziano vuol dire “è”. “est”.
(4)
Avuto.
(5)
Quando io era.
(2)
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I Rusteghi - Carlo Goldoni
savè? co giera da maridar, dei spassi no me ne mancava. Son stada arlevada ben. Mia mare (6) giera una
donna sutila, e se qualcossa no ghe piaseva la saveva criar, e la saveva menar le man. Ma ai so tempi la
ne dava i nostri divertimenti. Figurarse, l'autuno se andava do o tre volte al teatro; el carneval cinque o
sie.(7) Se qualchedun ghe dava una chiave de palco la ne menava all'opera, se no, alla comedia, e la
comprava la so bona chiave, e la spendeva i so boni bezzeti. La procurava de andar dove la saveva, che
se fava(8) delle comedie bone, da poderghe menar de le fie, e la vegniva con nu, e se divertivimo.
Andévimo, figurarse, qualche volta a Reduto; un pochetin sul Liston,(9) un pochetin in Piazzeta da le
stròleghe, dai buratini, e un pèr de volte ai casoti. Co stevimo po in casa, gh'avevimo sempre la nostra
conversazion. Vegniva i parenti, vegniva i amici, anca qualche zovene; ma no ghe giera pericolo,
figurarse.
LUCIETTA (“Figurarse, figurarse”; la l'ha dito fin adesso sie volte).
MARGARITA No digo; che no son de quele, che ghe piasa tutto el zorno andar a torziando(10) . Ma,
sior sì. Qualche volta me piaserave anca a mi.
LUCIETTA E mi, poverazza, che no vago mai fora della porta? E nol vol mo gnanca(11) che vaga un
fià(12) al balcon? L'altro zorno me son butada cusì, un pocheto in scampar; m'ha visto quella petazza(13)
della lasagnera(14) , la ghe l'ha dito, e ho credesto, che el me bastona.
MARGARITA E a mi quante no me n'àlo dito per causa vostra?
LUCIETTA De diana! cossa ghe fazzio?
MARGARITA Vu almanco, fia mia, ve mariderè; ma mi gh'ho da star fin, che vivo.
LUCIETTA La diga, siora madre, me marideròggio?
MARGARITA Mi crederave de sì.
LUCIETTA La diga, siora madre, e quando me marideròggio?
MARGARITA Ve mariderè, figurarse, quando, che el Cielo vorà.
LUCIETTA El Cielo me marideràlo, senza che mi lo sappia?
MARGARITA Che spropositi! l'avè da saver anca vu.
LUCIETTA Nissun gnancora m'ha dito gnente.
MARGARITA Se no i ve l'ha dito, i ve lo dirà.
LUCIETTA Ghe xè gnente in cantier?(15)
MARGARITA Ghe xè, e no ghe xè; mio mario no vol che ve diga gnente.
LUCIETTA Cara éla, la diga.
MARGARITA No dasseno, fia mia.
LUCIETTA Cara éla, qualcossa.
MARGARITA Se ve digo gnente, el me salta ai occhi co fa(16) un basilisco.
LUCIETTA Noi lo saverà miga sior padre, se la me lo dise.
MARGARITA Oh figurarse, se no lo dirè!
LUCIETTA No dasseno, figurarse, che no lo digo.
(6)
Madre.
Sei.
(8)
Si faceva.
(9)
Situazione stabilita dall'uso nella gran Piazza di San Marco, ove si fa il passeggio delle maschere.
(10)
Andar gironi.
(11)
Nemmeno.
(12)
Un poco.
(13)
Sguaiata.
(14)
Che vende le paste.
(15)
C'è niente per aria?
(16)
Come
(7)
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I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARGARITA Cossa gh'intra sto “figurarse”?
LUCIETTA No so gnanca mi, gh'ho sto uso, el digo, che no me n'incorzo.
MARGARITA (Gh'ho in testa, che la me burla mi sta frascona).
LUCIETTA La diga, siora madre.
MARGARITA Animo laorè,(17) l'aveu gnancora fenìa quella calza!
LUCIETTA Deboto.
MARGARITA Se el vien a casa élo(18) , e che la calza no sia fenìa, el dirà che sè stada su per i balconi,
e mi no vòi figurarse... (sia maledeto sto vizio!)
LUCIETTA La varda co spessego(19) . La me diga qualcossa de sto novizzo.(20)
MARGARITA De qual novizzo?
LUCIETTA No dìxela, che me mariderò?
MARGARITA Pol esser.
LUCIETTA Cara éla, se la sa qualcossa.
MARGARITA No so gnente. (con un poco di collera)
LUCIETTA Gnanca mo gnente, mo, gnanca mo.(21)
MARGARITA Son stuffa.
LUCIETTA Sia malignazo(22) .(con rabbia)
MARGARITA Coss'è sti sesti?(23)
LUCIETTA No gh'ho nissun a sto mondo, che me voggia ben.
MARGARITA Ve ne voggio anca troppo, frascona.
LUCIETTA Ben da maregna(24) . (a mezza voce)
MARGARITA Cossa aveu dito?
LUCIETTA Gnente.
MARGARITA Sentì, savè, no me stè a seccar, che deboto, deboto... (con isdegno) Davantazo(25) ghe
ne soporto assae in sta casa. Gh'ho un mario che me rosega(26) tutto el zorno, no ghe mancarave altro,
figurarse, che m'avesse da inrabiar anca per la fiastra.(27)
LUCIETTA Mo cara siora madre la va in colera molto presto!
MARGARITA (La gh'ha squasi rason. No giera cusì una volta, son deventada una bestia. No gh'è
remedio; chi sta col lovo(28) impara a urlar).
SCENA SECONDA
LUNARDO e dette
LUNARDO (entra e viene bel bello, senza parlare)
(17)
Via lavorate.
Egli, cioè s'intende il padrone di casa.
(19)
Come io mi sollecito.
(20)
Sposo.
(21)
Quel mo repplicato è un certo modo caricato di lamentarsi, conveniente all'età di Lucietta.
(22)
Lo stesso che maledetto, ma con più modestia.
(23)
Che malegrazie son queste?
(24)
Matrigna
(25)
Di vantaggio.
(26)
Mi rode, mi tormenta
(27)
Figliastra
(28)
Lupo
(18)
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I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARGARITA (Vèlo qua per diana). (s'alza)
LUCIETTA (El vien co fa i gatti). (s'alza) Sior padre, patron.
MARGARITA Sioria. No se saludemo gnanca? (a Lunardo)
LUNARDO Laorè, laorè. Per farme un complimento tralassè de laorar?
LUCIETTA Ho laorà fin adesso. Ho deboto fenìo la calza.
MARGARITA Stago a véder, figurarse, che siémo pagae a zornada.(29)
LUNARDO Vu sempre, vegnimo a dir el merito(30) , me dè sempre de ste risposte.
LUCIETTA Mo via, caro sior padre; almanco in sti ultimi zorni de carneval, che nol staga a criar. Se
no andemo in nissun logo, pazenzia; stemo in pase(31) almanco.
MARGARITA Oh, élo no pol star un zorno senza criar.
LUNARDO Sentì che strambazza? Cossa songio? un tartaro? una bestia? De cossa ve podeu lamentar?
Le cosse oneste le me piase anca a mi.
LUCIETTA Via donca, che el ne mena un pocheto in maschera.
LUNARDO In maschera? In maschera?
MARGARITA (Adesso, el va zoso).(32)
LUNARDO E avè tanto muso(33) de dirme, che ve mena in maschera? M'aveu mai visto mi, vegnimo a
dir el merito, a meterme el volto sul muso?(34) Coss'èla sta maschera? Per cossa se va in maschera? No
me fe parlar; le putte(35) no ha da andar in maschera.
MARGARITA E le maridae?
LUNARDO Gnanca le maridae, siora no, gnanca le maridae.
MARGARITA E per cossa donca le altre, figurarse, ghe vàle?
LUNARDO “Figurarse, figurarse”. Mi penso a casa mia, e no penso ai altri. (la burla del suo
intercalare)
MARGARITA Perché, “vegnimo a dir el merito”, perché sè un orso. (fa lo stesso)
LUNARDO Siora Margarita, la gh'abia giudizio.
MARGARITA Sior Lunardo, no la me stuzzega.
LUCIETTA Mo via, sia malignazo! sempre cusì. No m'importa d'andar in maschera. Starò a casa, ma
stemo in bona.
LUNARDO No sentìu? Vegnimo... no sentìu? La xè éla che sempre...
MARGARITA (ride)
LUNARDO Ridè, patrona?
MARGARITA Ve n'aveu per mal, perché rido?
LUNARDO Via, vegnì qua tutte do(36) , sentì. Delle volte anca mi gh'ho qualcossa per la testa, e par,
che sia fastidioso, ma ancuo(37) son de voggia. Semo de carneval, e vòi, che se tolemo la nostra
zornada.(38)
(29)
Pagate a giornata.
Un intercalare vizioso.
(31)
In pace.
(32)
Va giù, dà fuori.
(33)
E avete tanta faccia?
(34)
La maschera sulla faccia?
(35)
Le fanciulle.
(36)
Tutte due
(37)
Oggi.
(38)
Che ci prendiamo la nostra giornata. I capi di casa all'antica concedevano una giornata di carnovale alla famiglia. Ora
tutti i giorni sono compagni.
(30)
7
I Rusteghi - Carlo Goldoni
LUCIETTA Oh magari.(39)
MARGARITA Via mo, sentimo.
LUNARDO Sentì; voggio, che ancuo disnemo in compagnia.
LUCIETTA Dove, dove, sior padre? (con allegria)
LUNARDO In casa.
LUCIETTA In casa? (malinconica)
LUNARDO Siora sì, in casa. Dove voressi che andessimo? all'osteria?
LUCIETTA Sior no all'osteria.
LUNARDO In casa de nissun mi no vago(40) , mi no vago, vegnimo a dir el merito, a magnar le coste a
nissun.
MARGARITA Via, via, no ghe tendè. Parlè con mi, figuremose, voleu invidar qualchedun?
LUNARDO Siora sì. Ho invidà della zente, e i vegnirà qua, e se goderemo, e staremo ben.
MARGARITA Chi aveu invidà?
LUNARDO Una compagnia de galantomeni, tra i quali ghe ne xè do de maridai, e i vegnirà co le so
parone,(41) e staremo alliegri.
LUCIETTA (Via, via gh'ho a caro). (allegra) Caro élo, chi xèli? (a Lunardo)
LUNARDO Siora curiosa!
MARGARITA Via, caro vecchio(42) , no volè che sappiemo chi ha da vegnir?
LUNARDO No voleu, che vel diga? Se sa. Vegnirà sior Canzian Tartuffola, sior Maurizio dalle
Strope, e sior Simon Maroele.
MARGARITA Cospeto de diana! tre cai su la giusta! I avè ben trovai fora del mazzo.
LUNARDO Cossa voressi dir? No i xè tre omeni co se diè?(43)
MARGARITA Sior sì. Tre salvadeghi come vu.
LUNARDO Eh, patrona, al tempo d'ancuo, vegnimo a dir el merito, a un omo, che gh'ha giudizio se
ghe dise un omo salvadego. Saveu perché? Perché vualtre donne xè tropo desmesteghe. No ve contentè
dell'onesto; ve piaserave i chiasseti, i pacchieti, le mode, le buffonerie, i putelezzi.(44) A star in casa, ve
par de star in preson(45) . Co i abiti no costa assae, no i xè beli; co no se pratica, ve vien la malinconia, e
no pensè al fin; e no gh'avè un fià de giudizio, e ascoltè chi ve mette su, e no ve fa specie sentir quel
che se dise(46) de tante case, de tante fameggie precipitae; chi ve dà drio(47) se fa menar per lengua,(48) se
fa meter sui ventoli,(49) e chi vol viver in casa soa con riguardo, con serietà, con reputazion, se ghe dise,
vegnimo a dir el merito, seccaggine, omo rustego, omo salvadego. Pàrlio ben? Ve par che diga la
verità?
MARGARITA Mi no vòi contender; tutto quel, che volè. Vegnirà donca a disnar con nu siora Felice, e
siora Marina.
LUNARDO Siora sì. Cusì, vedeu? me piase anca mi praticar. Tutti col so matrimonio. Cusì no ghe xè
(39)
Il Ciel volesse.
Non vado
(41)
Padrone, cioè mogli
(42)
Parola detta per amore
(43)
Co se diè: è un detto di baso volgo, che spiega essere quei' taliuomini di proposito, cioè come devono essere.
(44)
Ragazzate.
(45)
Prigione
(46)
Quello che si dice.
(47)
Chi vi seconda.
(48)
Fa mormorare
(49)
Farsi mettere sui ventagli, è lo stesso che farsi ridicoli.
(40)
8
I Rusteghi - Carlo Goldoni
sporchezzi,(50) no ghe xè, vegnimo a dir el merito... Cosa steu a ascoltar? Adesso no se parla con vu. (a
Lucietta)
LUCIETTA Xèle cosse, che mi no possa sentir? (a Lunardo)
LUNARDO (No vedo l'ora de destrigarmela).(piano a Margherita)
MARGARITA (Come va quel negozio?) (piano a Lunardo)
LUNARDO (Ve conterò). (piano a Margherita) Andè via de qua. (a Lucietta)
LUCIETTA Cossa ghe fazzio?
LUNARDO Andè via de qua.
LUCIETTA De diana! el xè impastà de velen.
LUNARDO Andè via, che ve dago una schiaffazza in tel muso.
LUCIETTA Séntela, siora madre?
MARGARITA Via, col v'ha dito, che andè, obedì. (con caldezza)
LUCIETTA (Oh, se ghe fusse mia mare bona! Pazzenzia, se me vegnisse un scoazzer(51) , lo torìa).
(parte)
SCENA TERZA
LUNARDO e MARGARITA
MARGARITA Caro sior Lunardo, sul so viso, no ghe dago rason, ma in verità sè troppo rustego con
quela puta.
LUNARDO Vedeu? vu no savè gnente. Ghe voggio ben, ma la tegno in timor.
MARGARITA E mai che ghe dessi un devertimento.
LUNARDO Le pute le ha da star a casa, e no le se mena a torziando.
MARGARITA Almanco una sera alla comedia.
LUNARDO Siora no. Vòi poder dir, co la marido; tolè, sior, ve la dago, vegnimo a dir el merito, che
no la s'ha mai messo maschera sul viso, che no la xè mai stada a un teatro.
MARGARITA E cusì, vàlo avanti sto maridozzo?(52)
LUNARDO Gh'aveu dito gnente a la puta?
MARGARITA Mi? Gnente.
LUNARDO Vardè ben, vedè.
MARGARITA No in verità, ve digo.
LUNARDO Mi credo, vedè, mi credo d'averla maridada.
MARGARITA Con chi? se porlo saver?
LUNARDO Zito, che gnanca l'aria lo sapia. (guarda intorno) Col fio de sior Maurizio.
MARGARITA Co sior Filipetto?
LUNARDO Sì, zito, no parlè.
MARGARITA Zito, zito, de diana! xèlo qualche contrabando?
LUNARDO No voggio, che nissun sapia i fati mi.
MARGARITA Se faràlo presto?
LUNARDO Presto.
MARGARITA L'àlo fata domandar?
LUNARDO No pensè altro. Che l'ho promessa.
(50)
Porcherie.
Uno di quelli che raccolgono le immondizie
(52)
Trattato di matrimonio, in modo di dire bassissimo.
(51)
9
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARGARITA Anca promessa ghe l'avè? (con ammirazione)
LUNARDO Siora sì, ve feu maraveggia?
MARGARITA Senza dir gnente?
LUNARDO Son paron mi.
MARGARITA Cossa ghe deu de dota?
LUNARDO Quelo, che voggio mi.
MARGARITA Mi son una statua, donca. A mi, figurarse, no se me dise gnente.
LUNARDO “Figurarse, figurarse”, no ve lo dìghio adesso?
MARGARITA Sior sì, e la puta quando lo saveràla?
LUNARDO Co la se sposerà.
MARGARITA E no i s'ha da véder avanti?
LUNARDO Siora no.
MARGARITA Seu seguro, che el gh'abia da piàser?
LUNARDO Son paron mi.
MARGARITA Ben ben; la xè vostra fia. Mi no me n'impazzo(53) ; fè pur quel che volè vu.
LUNARDO Mia fia no vòi che nissun possa dir d'averla vista, e quel che la vede, l'ha da sposar.
MARGARITA E se col la vede nol la volesse?
LUNARDO So pare m'ha dà parola.
MARGARITA Oh che bel matrimonio!
LUNARDO Cossa voressi? che i fasse prima l'amor?
MARGARITA I bate, i bate; vago a véder chi è.
LUNARDO No ghe xè la serva?
MARGARITA La xè a far i leti, anderò a véder mi.
LUNARDO Siora no. No vòi, che andè sul balcon.
MARGARITA Vardè che casi!
LUNARDO No vòi, che gh'andè, gh'anderò mi. Comando mi, vegnimo a dir el merito, comando mi.
(parte)
SCENA QUARTA
MARGARITA, poi LUNARDO
MARGARITA Mo che omo, che m'ha toccà! no gh'è el compagno sotto la capa del cielo.(54) E po el
me stuffa con quel so “vegnimo a dir el merito”; deboto, figurarse, no lo posso più soportar.
LUNARDO Saveu chi xè?
MARGARITA Chi?
LUNARDO Sior Maurizio.
MARGARITA El pare del novizzo?
LUNARDO Tasè. Giusto élo.
MARGARITA Viènlo per stabilir?
LUNARDO Andè de là.
MARGARITA Me mandè via?
LUNARDO Siora sì; andè via de qua.
MARGARITA No volè, che senta?
(53)
(54)
Non m'impiccio.
Modo di dire, che è lo stesso, come se si dicesse sotto il cielo, semplicemente.
10
I Rusteghi - Carlo Goldoni
LUNARDO Siora no.
MARGARITA Vardè vedè! cossa songio mi?(55)
LUNARDO Son paron mi.
MARGARITA No son vostra muggier?(56)
LUNARDO Andè via de qua, ve digo.
MARGARITA Mo che orso che sè!
LUNARDO Destrighève(57)
MARGARITA Mo che satiro! (incaminandosi a piano)
LUNARDO La fenìmio? (58) (con isdegno)
MARGARITA Mo che bestia de omo! (parte)
SCENA QUINTA
LUNARDO, poi MARGARITA
LUNARDO La xè andada. Co le bone no se fa gnente. Bisogna criar. Ghe voggio ben assae, ghe ne
voggio assae; ma in casa mia no gh'è altri paroni, che mi.
MAURIZIO Sior Lunardo, patron.
LUNARDO Bondì siorìa, sior Maurizio.
MAURIZIO Ho parlà con mio fio.
LUNARDO Gh'aveu dito, che el volè maridar?
MAURIZIO Ghe l'ho dito.
LUNARDO Cossa dìselo?
MAURIZIO El dise, che el xè contento, ma el gh'averave gusto de véderla.
LUNARDO Sior no, questi no xè i nostri pati. (con isdegno)
MAURIZIO Via, via, no andè in colera, che el puto farà tuto quelo che voggio mi.
LUNARDO Co volè, vegnimo a dir el merito, la dota xè parecchiada. V'ho promesso sie mile ducati, e
sie mile ducati ve dago. Li voleu in tanti zecchini, in tanti ducati d'arzento, o voleu, che ve li scriva in
banco? comandè.
MAURIZIO I bezzi mi no li voggio. O zirème un capital de zecca, o investimoli meggio che se pol.
LUNARDO Sì ben; faremo tutto quel che volè.
MAURIZIO No stè a spender in abiti, che no voggio.
LUNARDO Mi ve la dago, come che la xè.
MAURIZIO Gh'àla roba de séa?(59)
LUNARDO La gh'ha qualche strazzeto.
MAURIZIO In casa mia no voggio séa. Fin che son vivo mi, l'ha da andar co la vesta de lana, e no vòi
né tabarini, né scuffie, né cerchi,(60) né toppè, né cartoline sul fronte.(61)
LUNARDO Bravo, sieu benedeto. Cusì me piase anca mi. Zoggie(62) ghe ne feu?
MAURIZIO Ghe farò i so boni manini(63) d'oro, e la festa ghe darò un zoggielo, che giera de mia
(55)
Cosa sono io?
Moglie
(57)
Spicciatevi
(58)
La vogliamo finire?
(59)
Di seta?
(60)
Guardinfanti.
(61)
Papigliotti.
(62)
Gioje
(56)
11
I Rusteghi - Carlo Goldoni
muggier, e un per de recchineti de perle.
LUNARDO Sì ben, sì ben, e no stessi a far la minchioneria, de far ligar sta roba a la moda.
MAURIZIO Credeu, che sia mato? Coss'è sta moda? Le zoggie le xè sempre a la moda. Cossa se
stima? i diamanti, o la ligadura?
LUNARDO E pur al dì d'ancuo(64) , vegnimo a dir el merito, se buta via tanti bezzi in ste ligadure.
MAURIZIO Sior sì; fè ligar ogni dies'anni le zoggie, in cao de cent'anni(65) l'avè comprae do volte.
LUNARDO Ghe xè pochi, che pensa come che pensemo nu.
MAURIZIO E ghe xè pochi, che gh'abbia dei bezzi, come che gh'avemo nu.
LUNARDO I dise mo, che nu no savemo gòder.
MAURIZIO Poverazzi! ghe vèdeli drento del nostro cuor? Crédeli, che no ghe sia altro mondo, che
quelo, che i gode lori? Oh compare,(66) el xè un bel gusto el poder dir: gh'ho el mio bisogno, no me
manca gnente, e in t'una ocorenza posso meter le man su cento zecchini!
LUNARDO Sior sì, e magnar ben, dei boni caponi, delle bone polastre, e dei boni straculi de
vedèlo.(67)
MAURIZIO E tutto bon, e a bon marcà, perché se paga de volta in volta.
LUNARDO E a casa soa; senza strepiti, senza sussuri.
MAURIZIO E senza nissun, che v'intriga i bisi.(68)
LUNARDO E nissun sa i fati nostri.
MAURIZIO E semo paroni nu.
LUNARDO E la muggier no comanda.
MAURIZIO E i fioi sta da fioi.(69)
LUNARDO E mia fia xè arlevada cusì.
MAURIZIO Anca mio fio xè una perla. No gh'è pericolo che el buta via un bagatin.(70)
LUNARDO La mia puta sa far de tuto. In casa ho volesto, che la faza de tuto. Fina lavar i piati.
MAURIZIO E a mio fio, perché no voggio, che co le serve el se ne impazza, gh'ho insegnà a tirar suso
i busi delle calze, e metter i fondèli alle braghesse.(71)
LUNARDO Bravo. (ridendo)
MAURIZIO Sì dasseno. (ridendo)
LUNARDO Via fémolo sto sposalizio; destrighemose. (fregandosi le mani, e ridendo)
MAURIZIO Co volè, compare.
LUNARDO Ancuo v'aspetto a disnar con mi. Za savè, che ve l'ho dito. Gh'ho quatro latesini,(72)
vegnimo a dir el merito, ma tanto fati.
MAURIZIO I magneremo.
LUNARDO Se goderemo.
MAURIZIO Staremo aliegri.
LUNARDO E po i dirà, che semo salvadeghi!
MAURIZIO Puffe!
(63)
Smanigli
Al giorno d'oggi
(65)
In capo a cent'anni.
(66)
Termine d'amicizia.
(67)
La coscia del vitello.
(68)
Vhe venga a infastidirvi.
(69)
E i figliuoli stanno da figliuoli.
(70)
La duodecima parte d'un soldo.
(71)
Le pezze ai calzoni.
(72)
Animelle.
(64)
12
I Rusteghi - Carlo Goldoni
LUNARDO Martuffi! (partono)
SCENA SESTA
Camera in casa del signor Simon
MARINA e FILIPPETTO
MARINA Coss'è, nevodo(73) ? Che miracolo, che me vegnì a trovar?
FILIPPETTO Son vegnù via de mezà(74) , e avanti de andar a casa son vegnù un pochetin a saludarla.
MARINA Bravo, Filipeto; avè fato ben. Sentève(75) , voleu marendar?(76)
FILIPPETTO Grazie, sior'àmia.(77) Bisogna che vaga a casa, ché se sior padre no me trova, povereto
mi.
MARINA Disèghe, che sè stà da vostra àmia Marina, cossa diràlo?
FILIPPETTO Se la savesse! nol tase mai, nol me lassa mai un momento de libertà.
MARINA El fa ben, da una banda. Ma da vostr'àmia el ve doverave lassar vegnir.
FILIPPETTO Ghe l'ho dito; nol vol che ghe vegna.
MARINA Mo el xè ben un satiro compagno de mio mario.
FILIPPETTO Sior barba(78) Simon, ghe xèlo in casa?
MARINA Nol ghe xè, ma no pol far che el vegna.
FILIPPETTO Anca élo, co el me vede, co vegno qua, el me cria.
MARINA Lassè, che el diga. La sarave bela. Sè mio nevodo. Sè fio de una mia sorela; quela poverazza
xè morta, e posso dir, che no gh'ho altri a sto mondo, che vu.
FILIPPETTO No vorave, che, per causa mia, el ghe criasse anca a éla.
MARINA Oh per mi, fio mio, no vo tolè sto travaggio. Se el me dise tantin, mi ghe respondo tanton.
Povereta mi, se no fasse cusì! Su tuto el cateria da criar. No credo, che ghe sia a sto mondo un omo più
rustego de mio mario.
FILIPPETTO Più de sior padre?
MARINA No so, vedè, la bate là.
FILIPPETTO Mai, mai, dopo che son a sto mondo, nol m'ha mai dà un minimo spasso. El dì da
laorar(79) a mezà, e a casa. La festa a far quel che va fatto, e po subito a casa. El me fa compagnar dal
servitor, e ghe n'ha volesto a persuader el servitor a menarme qua stamatina. Mai una volta alla
Zueca(80) , mai a Castelo(81) , mi no credo de esser passà in vita mia tre o quattro volte per Piazza(82) ,
quel, che el fa élo, el vol che fazza anca mi. La sera fina do ore se sta in mezà, se cena, se va in leto, e
bondì siorìa.
MARINA Povero puto; dasseno me fè peccà. Xè vero; la zoventù, bisogna tegnirla in fren, ma el tropo
xè tropo.
(73)
Nipote.
Studio, scrittoio.
(75)
Sedete.
(76)
Far colazione.
(77)
Zia.
(78)
Zio.
(79)
I giorni da lavoro.
(80)
La Giudecca, isola deliziosa dirimpetto a Venezia, e poco distante
(81)
Uno de' sentieri di Venezia, che ha delle passeggiate piacevoli.
(82)
Intendesi in Venezia, quando si dice la Piazza, quella di San Marco; le altre piazze si chiamano campi.
(74)
13
I Rusteghi - Carlo Goldoni
FILIPPETTO Basta; no so, se da qua avanti l'anderà cusì.
MARINA Sè in ti ani de la discrezion, el ve doverave dar un pocheto de libertà.
FILIPPETTO Sàla gnente, sior'àmia?
MARINA De cossa?
FILIPPETTO Nol gh'ha dito gnente sior padre?
MARINA Oh xè un pezzo, che no lo vedo.
FILIPPETTO No la sa gnente donca.
MARINA No so gnente. Cossa ghe xè de niovo?
FILIPPETTO Se ghe lo digo, ghe lo diràla a sior padre?
MARINA No, non v'indubitè.
FILIPPETTO La varda ben, la veda.
MARINA Ve digo de no, ve digo.
FILIPPETTO La senta, el me vuol maridar.
MARINA Dasseno?
FILIPPETTO El me l'ha dito élo.
MARINA Àlo trovà la novizza?
FILIPPETTO Siora sì.
MARINA Chi xèla?
FILIPPETTO Ghe lo dirò, ma, cara éla, la tasa.
MARINA Mo via, deboto me fè rabia. Cossa credeu, che sia?
FILIPPETTO La xè fia de sior Lunardo Cròzzola.
MARINA Sì, sì, la cognosso. Cioè, no la cognosso éla, ma cognosso so maregna, siora Margarita
Salicola, che ha sposà sior Lunardo, e el xè amigo de mio mario, un salvadego co fa élo. Mo i s'ha ben
catà(83) , vedè, el padre del novizzo col padre de la novizza. L'aveu vista la puta?
FILIPPETTO Siora no.
MARINA Avanti de serar el contrato i ve la farà véder.
FILIPPETTO Mi ho paura de no.
MARINA Oh bela! e se no la ve piase?
FILIPPETTO Se no la me piase, mi no la togo per diana.
MARINA Sarave meggio, che la vedessi avanti.
FILIPPETTO Come vorla, che fazza?
MARINA Disèghelo a vostro sior padre.
FILIPPETTO Ghe l'ho dito, e el m'ha dà su la ose.(84)
MARINA Se savesse come far, vorave farvelo mi sto servizio.
FILIPPETTO Oh magari!
MARINA Ma anca quel orso de sior Lunardo nol la lassa véder da nissun so fia.
FILIPPETTO Se se podesse, una festa...,
MARINA Zito, zito che xè qua mio mario.
FILIPPETTO Vorla, che vaga via?
MARINA Fermève.
SCENA SETTIMA
SIMON e detti
(83)
(84)
Si sono per l'appunto trovati.
Mi ha dato su la voce.
14
I Rusteghi - Carlo Goldoni
SIMON (Cossa falo qua sto frascon?)
FILIPPETTO Patron, sior barba.
SIMON Sioria. (bruscamente)
MARINA Un bel acèto, che ghe fè a mio nevodo!
SIMON Mi v'ho tolto co sto pato, che in casa mia parenti no ghe ne voggio.
MARINA Varè!(85) ve viènli a bater a la porta, e a domandarve qualcossa i mi parenti? No i gh'ha
bisogno de vu, sior; in cao de tanto,(86) vien mio nevodo a trovarme, e ancora me brontolè?(87) Gnanca
se fussimo taggialegni,(88) gnanca se fussimo dalle valade. Vu sè un omo civil? Sè un tangaro,
compatìme.
SIMON Aveu gnancora fenìo? Stamatin no gh'ho voggia de criar.
MARINA No lo podè véder mio nevodo? Cossa v'àlo fato?
SIMON Nol m'ha fato gnente; ghe voggio ben; ma savè che in casa mia no gh'ho gusto, che ghe vegna
nissun.
FILIPPETTO Che nol se indubita, che no ghe vegnirò più.
SIMON Me farè servizio.
MARINA E mi vòi che el ghe vegna.
SIMON E mi no vòi, che el ghe vegna.
MARINA Sta sorte de cosse no me le avè da impedir.
SIMON Tuto quelo, che no me piase, ve lo posso, e ve lo voggio impedir.
FILIPPETTO Patron. (in atto di partire)
MARINA Aspetè. (a Filippetto) Cossa gh'aveu co sto puto?
SIMON No lo voggio.
MARINA Mo per cossa?
SIMON Per cossa, o per gamba(89) , no vòi nissun.
FILIPPETTO Sior'àmia, la me lassa andar via.
MARINA Andè, andè, nevodo. Vegnirò mi da vostro sior padre.
FILIPPETTO Patrona; patron, sior barba.
SIMON Sioria.
FILIPPETTO (Oh, el ghe pol a mio padre, el xè più rustego diese volte). (parte)
SCENA OTTAVA
MARINA e SIMON
MARINA Vardè che sesti! cossa voleu, che el diga quel putto!
SIMON Lo savè pur el mio temperamento. In casa mia voggio la mia libertà.
MARINA Che intrigo ve dàvelo mio nevodo?
SIMON Gnente. Ma no voggio nissun.
MARINA Perché no andeu in te la vostra camera?
SIMON Perché voggio star qua.
(85)
Guardate.
Dopo tanto tempo.
(87)
Borbottate?
(88)
Se fossimo taglialegni, gente villana, nata nelle valli più incolte.
(89)
In veneziano “cosa” si dice “cossa”, e “coscia” si dice “cossa”, dunque succede l'equivoco scherzoso di cossa e gamba.
(86)
15
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARINA In verità, che sè caro. Aveu mandà la spesa?(90)
SIMON Siora no.
MARINA No se disna ancuo?(91)
SIMON Siora no. (più forte)
MARINA No se disna?
SIMON Siora no.
MARINA Ghe mancarave anca questa, che andessi in collera anca col disnar.
SIMON Za, chi ve sente vu, mi son un strambo, un alocco.
MARINA Ma ancuo perché no se disna?
SIMON Perché avemo da andar a disnar fora de casa.
MARINA E mel disè co sta bona grazia?
SIMON Me fè vegnir suso el mio mal.
MARINA Caro mario, compatìme, gh'avè un natural, che de le volte fè rabia.
SIMON No lo cognosseu el mio natural? Co lo cognossè, cossa feu ste scene?
MARINA (Ghe vol una gran pazienzia). Dove andémio a disnar?
SIMON Vegnirè con mi.
MARINA Ma dove?
SIMON Dove, che ve menerò mi.
MARINA Per cossa no voleu, che lo sappia?
SIMON Cossa importa, che lo sappiè? Co sè co vostro mario, no stè a cercar altro.
MARINA In verità, me parè matto. Bisogna ben che sappia dove che s'ha da andar, come che m'ho da
vestir, che zente ghe xè. Se ghe xè suggizion, no voggio miga andar a farme smatar.
SIMON Dove, che vago mi sè segura, che no ghe xè suggizion.
MARINA Ma con chi andémio?
SIMON Vegnirè con mi.
MARINA Mo la xè mo curiosa lu!(92)
SIMON Mo la xè curiosa seguro.
MARINA Ho da vegnir senza saver dove?
SIMON Patrona sì.
MARINA Muème el nome(93) se ghe vegno.
SIMON E vu resterè a casa senza disnar.
MARINA Anderò da mio cugnà(94) Maurizio.
SIMON Sior Maurizio vostro cugnà anderà a disnar dove che anderemo nu.
MARINA Ma dove?
SIMON Vegnì con mi, che lo saverè. (parte)
SCENA NONA
MARINA, poi FELICE, CANCIANO ed il conte RICCARDO
(90)
S'intende il bisognevole per il pranzo.
Non si pranza oggi?
(92)
Questo lu dà una certa forza all'espressione, che non si può tradurre.
(93)
Cambiatemi il nome.
(94)
Cognato.
(91)
16
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARINA Mo caro! mo siestu benedetto! mo che bona grazia, che el gh'ha! I batte.(95) Oe, vardè che i
batte. (alla scena) La xè una cossa da far rider i capponi. Ho d'andar a disnar fora de casa senza saver
dove? Gh'averave anca voggia de andarme a devertir un pocheto, ma senza saver dove, no vago. Se
savesse come far a saverlo. Oh chi xè qua? Siora Felice! Chi xè con éla? Uno xè quel scempio(96) de so
mario. E quell'altro chi mai xèlo? Eh éla la gh'ha sempre qualchedun, che la serve. So mario xè de la
taggia del mio(97) ; ma Felice no se tol suggizion; la la vol a so modo, e quel poverazzo ghe va drio,(98)
come un can barbin. Me despiase de mio mario. Cossa diralo, se el vede tuta sta zente? Oe! che el diga
quel che el vol; mi no li ho fari vegnir. Malegrazie no ghe ne vòi far.
FELICE Patrona, siora Marina.
MARINA Patrona, siora Felice. Patroni riveriti.
CANCIANO Patrona. (malinconico)
RICCARDO Servitore umilissimo della signora. (a Marina)
MARINA Serva sua. Chi xèlo sto signor? (a Felice)
FELICE Un conte, un cavalier forestier, un amigo de mio mario; n'è vero,(99) sior Cancian?
CANCIANO Mi no so gnente.
RICCARDO Buon amico, e buon servitore di tutti.
MARINA Col xè amigo de sior Cancian, nol pol esser che una persona de merito.
CANCIANO Mi ve digo, che no so gnente.
MARINA Come no saveu gnente, se el vien con vu in casa mia?
CANCIANO Con mi?
FELICE Mo con chi donca? Caro sior Conte, la compatissa. Semo de carneval, sàla; mio mario se
deverte un pocheto. El vol far taroccar siora Marina; n'è vero, sior Cancian?
CANCIANO (Bisogna che ingiotta).
MARINA (Oh co furba, che xè custìa!) Vorle sentarse? Le se comoda.
FELICE Sì, sentémose un pochetin. (siede) La se comoda qua, sior Conte.
RICCARDO La fortuna meglio non mi potea collocare.
CANCIANO E mi dove m'òi da sentar?
FELICE Andè là, arente(100) siora Marina. (a Canciano)
MARINA No, cara fia,(101) che se vien mio mario, povereta mi. (piano a Felice)
FELICE Vardè là; no ghe xè de le careghe?(102) (a Canciano)
CANCIANO Eh siora sì, la ringrazio. (siede in disparte)
RICCARDO Amico, se volete seder qui, siete padrone; non facciamo cerimonie. Io andrò dall'altra
parte presso della signora Marina. (a Canciano)
MARINA Sior no, sior no, no la s'incomoda. (a Riccardo)
FELICE Per cossa dìsela ste fredure? Crédela fursi, che mio mario sia zeloso? Oe, sior Cancian,
defendève.(103) Sentì, i ve crede zeloso. Me maraveggio de éla, sior Conte. Mio mario xè un galantomo,
el sa che muggier che el gh'ha, nol patisse sti mali, e se el li patisse, ghe li farave passar. La saria bela,
che una donna civil no podesse tratar onestamente un signor, una persona pulita, che vien a Venezia,
(95)
Picchiano.
Stolido.
(97)
Suo marito è del fare del mio.
(98)
Le va dietro.
(99)
Non è egli vero?
(100)
Appresso
(101)
Cara fia, cara figlia, dicesi per amicizia.
(102)
Seggiole.
(103)
Difendetevi.
(96)
17
I Rusteghi - Carlo Goldoni
per sti quatro zorni de carneval, che me xè stada raccomandada da un mio fradelo che xè a Milan!
Cossa diseu, Marina, no saràvela una inciviltà? no saràvela un'asenaria? Mio mario no xè de sto cuor, el
gh'ha ambizion de farse merito, de farse onor, el gh'ha gusto che so muggier se deverta, che la fazza
bona figura, che la staga in bona conversazion. N'è vero, sior Cancian?
CANCIANO Siora sì. (masticando)
RICCARDO Per dire la verità, io ne avea qualche dubbio; ma poiché voi mi disingannate, ed il signor
Canciano il conferma, vivrò quietissimo, e mi approfitterò dell'onor di servirvi.
CANCIANO (Son stà mi una bestia, a receverlo in casa la prima volta).
MARINA Stàla un pezzo, sior Conte, a Venezia?
RICCARDO Aveva intenzione di starci poco; ma sono tanto contento di questa bella città, che
prolungherò il mio soggiorno.
CANCIANO (Pussibile, che el diavolo no lo porta via?)
FELICE E cusì, siora Marina, ancuo disneremo insieme.
MARINA Dove?
FELICE Dove? no lo savè dove?
MARINA Mio mario m'ha dito qualcossa de sto disnar, ma el logo nol me l'ha dito.
FELICE Da siora Margarita.
MARINA Da sior Lunardo?
FELICE Sì ben.(104)
MARINA Adesso ho capìo. Fài nozze?(105)
FELICE Che nozze?
MARINA No savè gnente?
FELICE Mi no. Contème.(106)
MARINA Oh, novità grande.
FELICE De chi? De Lucietta?
MARINA Sì ben; ma, zito.
FELICE Cara vu, contème. (si tira appresso a Marina)
MARINA Sénteli?(107) (accennando Riccardo e Canciano)
FELICE Sior Riccardo, la ghe diga qualcossa a mio mario, la ghe vaga a rente; la fazza un poco de
conversazion anca con élo, el gh'ha gusto che i parla con so muggier, ma nol vol mo gnanca élo esser
lassà in t'un canton. N'è vero sior Cancian?
CANCIANO Eh nol s'incomoda, che no me n'importa. (a Riccardo)
RICCARDO Anzi avrò piacere di discorrere col signor Canciano. Lo pregherò informarmi di alcune
cose. (si accosta a Canciano)
CANCIANO (El sta fresco).
FELICE E cusì? (a Marina)
MARINA Andè là, che sè una gran diavola. (a Felice)
FELICE Se no fosse cusì, morirave etica con quel mio mario.
MARINA E mi?...
FELICE Disème, disème. Cossa gh'è de Lucieta?
MARINA Ve dirò tuto; ma appian, che nissun ne senta.
RICCARDO Signore, parmi che voi mi badiate poco. (a Canciano)
(104)
Lo stesso che sì.
Fanno nozze in casa?
(106)
Raccontatemi.
(107)
Sentono?
(105)
18
I Rusteghi - Carlo Goldoni
CANCIANO La compatissa, gh'ho tanti intrighi per mi, che no posso tòrmene per i altri.
RICCARDO Bene dunque, non v'incomoderò più. Ma quelle signore parlano segretamente fra di loro,
diciamo qualche cosa; facciamo conversazion fra di noi.
CANCIANO Cossa vorla, che diga? Mi son omo de poche parole; no stago su le novità, e no amo
troppo la conversazion.
RICCARDO (È un bel satiro costui).
FELICE Nol l'ha vista? (a Marina)
MARINA No, e no i vol, che el la veda.
FELICE Mo questo el xè un gran codogno.(108)
MARINA Se savessi? pagheria qualcossa de belo che el la vedesse, avanti de serar el contrato.(109)
FELICE In casa nol ghe pol andar?
MARINA Oh gnanca per insonio.(110)
FELICE No se poderia co l'occasion de le maschere?...
MARINA Disè appian, che i ne sente.
FELICE Via, che i tenda(111) ai fati soi. Che no i staga a spionar; che i parla, che parlemo anca nu. (a
Riccardo) Sentì cossa, che me vien in testa. (a Marina, e si parlano piano)
RICCARDO Dove si va questa sera?
CANCIANO A casa.
RICCARDO E la signora?
CANCIANO A casa.
RICCARDO Fate conversazione?
CANCIANO Sior sì. In letto.
RICCARDO In letto? A che ora?
CANCIANO A do ore.(112)
RICCARDO Eh, mi burlate.
CANCIANO Sì anca da so servitor.
RICCARDO (Sono male impicciato, per quel, ch'io vedo).
FELICE Cossa diseu? ve piàsela? (a Marina)
MARINA Sì ben; cusì andarave pulito. Ma no so come far a parlar con mio nevodo. Se el mando a
chiamar, mio mario va in bestia.
FELICE Mandèghe a dir, che el vegna da mi.
MARINA E so pare?
FELICE No valo anca élo a disnar da sior Lunardo? Col xè fora de casa, che el vegna; lassème el
travaggio a mi.(113)
MARINA E po?(114) ...
FELICE E po, e po! dopo el Po vien l'Adese(115) . Lassème far a mi, ve digo.
MARINA Adessadesso lo mando a avisar.
FELICE Coss'è, seu mutti? (a Riccardo e Canciano)
(108)
Codogno vuol dire melcotogno, ma qui s'intende per uno sproposito, per una cosa malfatta.
Vuol dire sottoscriver la scritta.
(110)
Nemen per sogno.
(111)
Che badino.
(112)
A due ore di notte, cioè due ore dopo il tramontar del sole.
(113)
Lasciate la cura a me.
(114)
E poi?
(115)
Scherzo di parole fra il Po fiume, e po proposizione, che vuol dire “poi”. Dopo il Po vien l'Adese vuol dire, che dopo il
Po si trova il fiume Adige, onde da cosa nasce cosa.
(109)
19
I Rusteghi - Carlo Goldoni
RICCARDO Il signor Canciano non ha volontà di parlare.
FELICE Gramazzo! el gh'averà qualcossa per la testa. El xè pien d'interessi: el xè un omo de garbo,
sàla, mio mario.
RICCARDO Dubito stia poco bene.
FELICE Dasseno? Oh povereta mi; me despiaserave assae. Cossa gh'aveu, sior Cancian?
CANCIANO Niente.
FELICE Per cossa dìselo, che el gh'ha mal? (a Riccardo)
RICCARDO Perché ha detto, che vuol andar a dormire a due ore di notte.
FELICE Dasseno? Fè ben a governarve, fio mio. (a Canciano)
CANCIANO Ma ghe vegnirè anca vu.
FELICE Oh, aponto, no v'arecordè, che avemo da andar a l'opera?
CANCIANO A l'opera mi no ghe vago.
FELICE Come? Questa è la chiave del palco; me l'avè pur comprada vu. (a Canciano)
CANCIANO L'ho comprada... l'ho comprada, perché m'avè incinganà; ma a l'opera mi no ghe vago, e
no gh'avè d'andar gnanca vu.
FELICE Oh caro! el burla sàla? El burla, savè, Marina? El mio caro mario me vol tanto ben, el m'ha
comprà el palco, e el vegnirà a l'opera con mi: n'è vero fio? (Senti sa, no me far el mato, che povereto
ti). (piano a Canciano)
MARINA (O che gaìna(116) !)
FELICE Vorla restar servida con mi? Ghe xè logo in tel palco: n'è vero, sior Cancian? (a Riccardo)
CANCIANO (Siestu maledeta! La me fa far tuto quel che la vol).
SCENA DECIMA
SIMON e detti
SIMON Marina. (bruscamente)
MARINA Sior.
SIMON (Cossa xè sto baccan? Cossa vorli qua? Chi xèlo colù?) (accenna a Riccardo)
FELICE Oh, sior Simon, la reverisso.
SIMON Patrona. (a Felice) Ah? (a Marina)
FELICE Semo vegnui a farve una visita.
SIMON A chi?
FELICE A vu. N'è vero, sior Cancian?
CANCIANO Siora sì. (a mezza bocca)
SIMON Andè via de qua, vu. (a Marina)
MARINA Volè, che usa una mala creanza?
SIMON Lassème el pensier a mi; andè via de qua.
FELICE Via, Marina, obedìlo vostro mario: anca mi, vedè, co sior Cancian me dise una cossa, la fazzo
subito.
MARINA Brava, brava, ho capìo. Patroni.
RICCARDO Umilissima riverenza. (a Marina)
SIMON Patron. (ironico al Conte)
MARINA Serva sua. (fa la riverenza al Conte)
SIMON Patrona. (contrafà la riverenza)
(116)
Finta, accorta, maliziosa.
20
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARINA (Taso, perché, perché: ma sta vita no la voggio far). (parte)
SIMON Chi èlo sto sior? (a Felice)
FELICE Domandèghelo a mio mario.
RICCARDO Se volete saper chi sono, ve lo dirò io, senza, che fatichiate, per domandarlo. Io sono il
conte Riccardo degli Arcolai, cavaliere d'Abruzzo; son amico del signor Canciano, e buon servidore
della signora Felice.
SIMON E vu lassè praticar vostra muggier co sta sorte de cai?(117) (a Canciano)
CANCIANO Cossa voleu, che fazza?
SIMON Puffeta!(118) (parte)
FELICE Vedeu, che bella creanza, che el gh'ha? El n'ha impiantà qua senza dir sioria bestia. Védela,
sior Conte la differenza? Mio mario xè un omo civil; nol xè capace de un'azion de sta sorte. Me
despiase, che a disnar con nu ancuo no la podemo menar. Ma ghe dirò po mi un no so che per dopo
disnar, e sta sera anderemo a l'opera insieme. N'è vero, sior Cancian?
CANCIANO Ma mi ve digo...
FELICE Eh via vegnì qua, sior pampalugo(119) . (prende per un braccio Canciano, per l'altro Riccardo,
e partono)
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Camera in casa di Lunardo
MARGARITA vestita con proprietà, e LUCIETTA
LUCIETTA Brava, siora madre. Mo co pulito, che la s'ha vestìo.
MARGARITA Cossa voleu, cara fia? Se vien sta zente ancuo, voleu, che staga, figurarse, co fa una
massèra?
LUCIETTA E mi, che figura vorla che fazza?
MARGARITA Vu da puta stè ben.
LUCIETTA Eh sì sì, stago ben! Co no son amalada, stago ben.
MARGARITA Mi no so cossa dir, cara fia. Se podesse, me piaserave anca a mi che gh'avessi el vostro
bisogno; ma savè chi xè vostro pare. Con élo no se pol parlar. Se ghe digo de farve qualcossa, el me
salta a i occhi. El dise, che le pute le ha da andar desmesse(1) ; el me sa dir, che ve meto su(2) ; e mi, per
no sentir a criar, no me n'impazzo; lasso, che el fazza élo. Finalmente no sè mia fia, no me posso tòr
certe boniman.(3)
LUCIETTA Eh lo so, lo so, che no son so fia. (mortificata)
(117)
Con questa sorte di gente?
Espressione che spiega assaissimo la maraviglia e il dispregio.
(119)
Babbeo, scioccone.
(118)
ATTO SECONDO
(1)
Senza adornamenti.
Che vi do io de' consigli.
(3)
Arbitrî.
(2)
21
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARGARITA Cossa voressi dir? No ve voggio ben fursi?(4)
LUCIETTA Siora sì, la me ne vol; ma no la se scalda gnente per mi. Se fusse so fia, co(5) vien zente de
suggizion, no la lasserave miga che stasse co la traversa(6) davanti.
MARGARITA Via, cavèvela la traversa.
LUCIETTA E po, co me l'averò cavada?
MARGARITA Co ve l'averà cavada, figurarse, no la gh'averè più.
LUCIETTA Eh za! crédela, che no sappia, che la me burla?
MARGARITA Me fè da rider. Cossa voressi?
LUCIETTA Vorave anca mi comparir cofà(7) le altre.
MARGARITA Disèghelo a vostro padre. Voleu, che manda a chiamar un sartor in scondon(8) , e che ve
fazza un abito? E po? xèlo orbo sior Lunardo? Credeu, figurarse, che nol ve l'abia da véder?
LUCIETTA Mi no digo un abito; ma qualcossa almanco. La varda; no gh'ho gnanca un fià de cascate(9)
. Gh'ho sto strazzo de goliè da colo, che me vergogno. E xè antigo cofà mia nona. Per casa co sto abito
no stago mal; ma ghe voria, cusì, qualcossa, che paresse bon. Son zovene, e no son mo gnanca una
pitocca, me par che qualche bagatela no la me desdiga.(10)
MARGARITA Aspetè. Se volè un pèr de cascate, ve le darò mi de le mie. Voleu una colana de perle?
LUCIETTA Magari.
MARGARITA Adesso ve la vago a tòr. (Poverazza! la compatisso. Nu altre donne, figurarse, semo
tute cusì). (parte)
SCENA SECONDA
LUCIETTA e detta.
LUCIETTA Vardè! la dise, che mio sior padre no vol. Credo, che la sia éla mi, che no voggia. Xè vero,
che sior padre xè un omo rustego, e che in casa nol vol certe bele cosse, ma éla però la s'ha savesto
vestir, e co la vol un abito, la se lo fa, e la lassa che el diga. Ma per mi, poverazza, no se ghe pensa.
Maregna(11) , basta cussì. E po la cognosso, la gh'ha rabbia con mi, perché son più zovene, e più bela de
éla. In casa ghe fazzo fastidio. La me dise fia co la boca streta; co ghe digo siora madre, la gh'ha paura
che ghe fazza crescer i ani.
MARGARITA Via, cavève quela traversa.
LUCIETTA Siora sì, subito. (si cava il grembiale)
MARGARITA Vegnì qua, che ve meterò le cascate.
LUCIETTA Cara éla, la lassa véder.
MARGARITA Vardè; le xè squasi nòve.
LUCIETTA Cossa vorla, che fazza de sti scovoli(12) da lavar i piati?
MARGARITA Scovoli ghe disè? Un pèr de cascate de cambrada, che no le ho doperae quatro volte?
LUCIETTA No la vede co fiappe(13) che le xè?
(4)
Forse?
Quando.
(6)
Grembiale.
(7)
Come
(8)
Di nascosto
(9)
Manicotti.
(10)
Non mi discovenga.
(11)
Matrigna.
(12)
Scovolo in veneziano è uno spazzolino di sarmenti di biade minute, con cui si ripuliscono i tondi in cucina.
(5)
22
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARGARITA Vardè, che desgrazia! certo, che i ve vegnirà a vardar le cascate, se le xè de lissìa.(14)
LUCIETTA Le soe però le xè nete.
MARGARITA Che cara siora! vo voressi meter co mi? Queste xè le cascate: se le volè, metèvele; se
ghe ne volè de meggio, catèvene.
LUCIETTA Via, no la vaga in colera, che me le meterò.
MARGARITA Vegnì qua. Za, co ste spuzzete(15) , più che se fa, se fa pezo. (mettendole le cascate)
LUCIETTA Certo! la fa assae per mi. (accomodandosi le cascate)
MARGARITA Fazzo più de quel che me tocca. (come sopra)
LUCIETTA Cara éla, che no la se struppia. (come sopra)
MARGARITA Sè ben insolente sta matina. (come sopra, tirandola)
LUCIETTA Mo via, no la me staga a strascinar, che no son miga una bestia.
MARGARITA No, no, no v'indubitè, che no ve vegnirò più intorno. Sè tropo delicata, siora. Fève
servir da la serva, che con vu no me ne voggio impazzar.
LUCIETTA Gh'àla le perle?
MARGARITA No so gnente: no voggio più mustazzae.(16)
LUCIETTA Via mo; cara éla.
MARGARITA Mata inspiritada, che son, a deventar mata co sta frascona.
LUCIETTA (piange, e si asciuga col fazzoletto)
MARGARITA Coss'è stà? cossa gh'aveu?
LUCIETTA (piange)
MARGARITA Pianzè? cossa v'òggio fato?
LUCIETTA La m'ha dito... de darme... una colana de perle... e no la me la vol... più dar. (piangendo)
MARGARITA Mo se me fè andar in colera.
LUCIETTA Me la dàla?
MARGARITA Via, vegnì qua. (le vuol mettere la collana)
LUCIETTA La lassa véder.
MARGARITA Trovereu da dir anca in questo? Lassè, lassè, che ve la zola.(17)
LUCIETTA La sarà qualche antigaggia.(18) (piano, brontolando)
MARGARITA Cossa diseu? (allacciando la collana)
LUCIETTA Gnente.
MARGARITA Sempre brontolè. (come sopra)
LUCIETTA La varda; una perla rota. (si trova una perla rotta in seno)
MARGARITA E cusì? cossa importa? Slarghèle un pochetin.(19)
LUCIETTA Xèle tute rote?
MARGARITA Deboto me faressi dir...
LUCIETTA Quanti ani gh'àla sta colana?
MARGARITA Voleu zogar(20) , che ve la cavo, e la porto via?
LUCIETTA De diana! sempre la cria.
MARGARITA Mo se no ve contentè mai.
(13)
Appassite.
Di bucato.
(15)
Begli umoretti.
(16)
Rimbrotti.
(17)
Che io v'allacci.
(18)
Anticaglia.
(19)
Allargatele un poco.
(20)
Volete giuocare.
(14)
23
I Rusteghi - Carlo Goldoni
LUCIETTA Staghio ben?
MARGARITA Stè benissimo.
LUCIETTA Me fàla ben al viso?
MARGARITA Pulito, ve digo, pulito. (La gh'ha un'ambizion maledetonazza(21) ).
LUCIETTA (No ghe credo gnente, me vòi vardar(22) ). (tira fuori di tasca uno specchietto)
MARGARITA El specchio gh'avè in scarsela(23) ?
LUCIETTA Oh el xè un strazzetto(24) .
MARGARITA Se vostro sior padre ve lo vede!
LUCIETTA Via, no la ghe lo staga a dir.
MARGARITA Vèlo qua, vedè, che el vien.
LUCIETTA Sia malignazo! No m'ho gnanca podesto véder ben. (mette via lo specchio)
SCENA TERZA
LUNARDO e dette
LUNARDO Coss'è, siora? andeu al festin? (a Margarita)
MARGARITA Tolè. Vèlo qua. Me vesto una volta a l'anno, e el brontola. Aveu paura, figurarse, che
ve manda in mal'ora?
LUNARDO Mi no m'importa, che fruessi(25) , vegnimo a dir el merito, anca un abito a la setimana.
Grazie al Cielo, no son de quei omeni che patissa la spienza(26) . Cento ducati li posso spender. Ma no
in ste buffonarie; cossa voleu che diga quei galantomeni, che vien da mi? Che sè la piavola de
Franza(27) . No me vòi far smatar.
LUCIETTA (Gh'ho gusto in verità, che el ghe diga roba(28) ).
MARGARITA Come credeu, che vegnirà vestìe quelle altre? Co una scarpa, e un zoccolo?
LUNARDO Lassè, che le vegna come che le vol. In casa mia no s'ha mai praticà de ste cargadure, e no
vòi scomenzar, e no me vòi far meter sui ventoli. M'aveu capìo?
LUCIETTA Dasseno, sior padre, ghe l'ho dito anca mi.
LUNARDO Senti sa, no tòr esempio da éla... Coss'è quela roba? Cossa xè quei diavolezzi, che ti gh'ha
al colo? (a Lucietta)
LUCIETTA Eh gnente, sior padre. Una strazzaria, un'antigaggia.
LUNARDO Càvete quele perle.
MARGARITA Dasseno, sior Lunardo, che ghe l'ho dito anca mi.
LUCIETTA Via, caro élo, semo de carneval.
LUNARDO Cossa s'intende? che siè in maschera? No voggio sti putelezzi. Ancuo vien zente; se i ve
vede, no voggio, che i diga, che la fia xè mata, e che el pare no gh'ha giudizio. Dà qua quele perle. (va
per levarle, ella si difende) Cossa xè quei sbrindoli(29) . Cascate, patrona? cascate? Chi v'ha dà quei
(21)
Maledettissima
Guardare.
(23)
Saccoccia.
(24)
Straccietto.
(25)
Che logoraste.
(26)
Spienza vuol dire la milza, ma in proverbio patire la spienza s'intende per uomo avaro.
(27)
Bamboccia che si espone in Venezia dai professori di mode.
(28)
Che le gridi.
(29)
Ciondoli.
(22)
24
I Rusteghi - Carlo Goldoni
sporchezzi?(30)
LUCIETTA Me l'ha dae siora madre.
LUNARDO Dona mata! cusì pulito arlevè mia fia? (a Margarita)
MARGARITA Se no la contento, la dise che la odio, che no ghe vòi ben.
LUNARDO Da quando in qua ve xè vegnù in testa sti grili?
LUCIETTA L'ho vista éla vestìa, me xè vegnù voggia anca a mi. (a Margarita)
LUNARDO Sentìu? Questa xè la rason del cativo esempio.
MARGARITA Ela xè pura, e mi son maridada.
LUNARDO Le maridae ha da dar bon esempio a le pute.
MARGARITA Mi no m'ho maridà, figurarse, per vegnir a deventar mata co i vostri fioi.
LUNARDO Né mi v'ho tolto, vegnimo a dir el merito, acciò, che vegnì a discreditar la mia casa.
MARGARITA Ve fazzo onor più de quelo, che meritè.
LUNARDO Anemo, andève subito a despoggiar. (a Margherita)
MARGARITA No ve dago sto gusto gnanca se me copè.
LUNARDO E vu no vegnirè a tola.
MARGARITA No ghe penso né bezzo, né bagatin.
LUCIETTA E mi, sior padre, vegniroggio a tola?
LUNARDO Càvete quelle strazzarie.
LUCIETTA Sior sì, co nol vol altro che el toga. Mi son ubidiente. La varda che roba: gnanca vergogna
che me le meta. (si cava le perle e cascate)
LUNARDO Vedeu? Se cognosse che la xè ben arlevada. Eh la mia prima muggier povereta! quela
giera una donna de sesto(31) . No la se meteva un galan(22) senza dirmelo; e co mi no voleva, giera fenìo,
no ghe giera altre risposte. Siestu benedeta dove che ti xè(23) . Mato inspirità, che son stà mi a tornarme
a maridar.
MARGARITA Mi mi ho fato un bon negozio a tòr un satiro per mario.
LUNARDO Povera grama! ve manca el vostro bisogno? no gh'avè da magnar?
MARGARITA Certo! una dona co la gh'ha da magnar, no ghe manca altro!
LUNARDO Cossa ve manca?
MARGARITA Caro vu, no me fè parlar.
LUCIETTA Sior padre.
LUNARDO Cossa gh'è?
LUCIETTA No me meterò più gnente, senza dirghelo sàlo?
LUNARDO Ti farà ben.
LUCIETTA Gnanca se me lo dirà siora madre.
MARGARITA Eh mozzina! se cognossemo. Sul so viso, figurarse, tegnì da élo, e po da drio le spale
tirè zoso a campane doppie.
LUCIETTA Mi, siora?
LUNARDO Tasè là. (a Lucietta)
LUCIETTA La dise delle busie(24) . (a Lunardo)
MARGARITA Sentìu come che la parla? (a Lunardo)
LUNARDO Tasè là ve digo. Co la maregna no se parla cusì. Gh'avè da portar respeto; l'avè da tegnir in
(30)
Chi vi ha dato quelle porcherie?
Una donna di garbo.
(22)
Un nastro.
(23)
Che tu sia benedetta dove tu sei.
(24)
Bugie.
(31)
25
I Rusteghi - Carlo Goldoni
conto de mare.
LUCIETTA De mi no la se pol lamentar. (a Lunardo)
MARGARITA E mi... (a Lunardo)
LUNARDO E vu, vegnimo a dir el merito, despoggiève, che farè meggio.
MARGARITA Diseu dasseno?
LUNARDO Digo dasseno.
LUCIETTA (Oh magari!)
MARGARITA Son capace de strazzarlo sto abito in cento tocchi.
LUNARDO Animo scomenzè, che ve aggiuterò.
LUCIETTA Sior padre, vien zente.
LUNARDO Aseni! i averze senza dir gnente? Andè via de qua.
LUCIETTA Mo per cossa?
LUNARDO Andève a despoggiar. (a Margarita)
MARGARITA Cossa voleu, che i diga?
LUNARDO Cospeto, e tacca via!(25)
SCENA QUARTA
SIMON, MARINA e detti.
MARINA Patrona, siora Margarita.
MARGARITA Patrona, siora Marina.(26)
LUCIETTA Patrona.
MARINA Patrona, fia, patrona.
MARGARITA Sior Simon, patron.
SIMON Patrona. (ruvido)
MARINA Sior Lunardo, gnanca? Pazenzia.
LUNARDO La reverisso. (Cavève(27) ). (a Lucietta)
LUCIETTA (Gnanca se i me coppa no vago via).
SIMON Semo qua, sior Lunardo, a ricever le vostre grazie.
LUNARDO (Quela mata de mia muggier, ancuo la me vol far magnar tanto velen).
SIMON Mio cugnà Maurizio nol xè gnancora vegnù. (a Lunardo)
LUNARDO (Figurève cossa che el dirà sior Simon in tel so cuor, a véder sta cargadura(28) de mia
muggier).
MARINA (Vardè che bel sesto! nol ve bada gnanca). (a Simon)
SIMON Tasè là, va; cossa gh'intreu? (a Marina)
MARINA Cara quela grazieta! (a Simon)
MARGARITA Via, siora Marina, la se cava zoso.
MARINA Volentiera. (vuole spuntarsi il zendale)
LUNARDO Andè de là, siora, a cavarghe la vesta, e el zendà. (con rabbia a Margarita)
MARGARITA Via, via, figurarse, no me magnè. Andemo, siora Marina.
LUNARDO E despoggiève anca vu. (a Margarita)
(25)
Cospetto e tacca via, esclamazione bassa, collerica, per non bestemmiare.
Questo saluto: patron, patrona è l'ordinario, e quasi indispensabile di questo ordine di persone.
(27)
Andate via.
(28)
Caricatura.
(26)
26
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARGARITA Anca mi m'ho da despoggiar? Cosa dìsela, siora Marina? El vol, che me despoggia.
Xèlo belo mio mario? (ridendo)
MARINA De mi no la gh'ha d'aver suggizion. (a Margarita)
LUNARDO Sentìu? che bisogno ghe giera, vegnimo a dir el merito, che ve vestissi in andriè? (a
Margarita)
MARGARITA Che caro sior Lunardo! e éla, figurarse, come xèla vestìa?
LUNARDO Éla xè fora de casa, e vu sè in casa.
SIMON Anca mi ho combatù do ore co sta mata. La s'ha volesto vestir a so modo. (a Lunardo) Mandè
a casa a tòr el vostro cotuss.(29) (a Marina)
MARINA Figurève se mando!
MARGARITA Andémo, andémo, siora Marina.
MARINA Vardè! gnanca se fussimo vestìe de ganzo(30) !
MARGARITA I xè cusì. Se gh'ha la roba, e no i vol che la se dopera.
MARINA I vederà siora Felice, come che la xè vestìa.
MARGARITA L'aveu vista?
MARINA La xè stada da mi.
MARGARITA Come gièrela, cara va?
MARINA Oe, in tabarin. (con esclamazione)
MARGARITA In tabarin?
MARINA E co pulito!
MARGARITA Sentìu, sior Lunardo? Siora Felice, figurarse, la xè in tabarin.
LUNARDO Mi no intro in ti fati dei altri. Ve digo a vu, vegnimo a dir el merito, che la xè una
vergogna.
MARGARITA Che abito gh'avévela? (a Marina)
MARINA Arzento a sguazzo.(31)
MARGARITA Sentìu? Siora Felice gh'ha l'abito co l'arzento, e vu criè perché gh'ho sto strazzeto de
séa(64) ? (a Lunardo)
LUNARDO Cavèvelo, ve digo.
MARGARITA Sè ben minchion, se el credè. Andémo, andémo siora Marina. Se ghe tendessimo a
lori(65) , i ne meterave i moccoli drio(66) . Se poderessimo ficcar in canèo(67) . Della roba ghe n'ho, e fin
che son zovene me la voggio gòder. (a Marina) Ma no gh'è altro; cusì la xè. (a Lunardo, e parte)
LUNARDO Custìa la me vol tirar a cimento
MARINA Caro sior Lunardo, bisogna compatirla. La xè ambiziosa; certo che no ghe giera bisogno,
che per casa la mostrasse sta affetazion, ma la xè zovene: no la gh'ha gnancora el so bon
intendacchio.(68)
SIMON Tasè là. Vardève vu, siora petegola.
MARINA Se no portasse respeto dove che son...
SIMON Cossa diressi?
(29)
Abito assai succinto, che si usava molti anni prima.
Di broccato.
(31)
Argento in quantità.
(64)
Di seta?
(65)
Se badassimo a loro.
(66)
“Mettere i moccoli dietro a qualcheduno” vuol dire svergognarlo, deriderlo.
(67)
Andarsi a nascondere.
(68)
Giudizio, detto burlescamente.
(30)
27
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARINA Ve diria di chi v'ha nanìo(67) . (Orso del diavolo). (parte)
SCENA QUINTA
LUNARDO e SIMON
SIMON Maridève, che gh'averè de sti gusti.
LUNARDO Ve recordeu de la prima muggier? Quella giera una bona creatura; ma questa la xè un
muschieto! (a Simon)
SIMON Ma mi, mato bestia, che le donne no le ho mai podeste soffrir, e po son andà a ingambararme
co sto diavolo descaenà.
LUNARDO Al dì d'ancuo no se se pol più maridar.
SIMON Se se vol tegnir la muggier in dover, se xè salvadeghi; se la se lassa far, se xè alocchi.
LUNARDO Se no giera per quella puta che gh'ho, ve protesto da galantomo, vegnimo a dir el merito,
che no m'intrigava con altre donne.
SIMON Me xè stà dito, che la maridè; xe vero?
LUNARDO Chi ve l'ha dito? (con isdegno)
SIMON Mia muggier.
LUNARDO Come l'ala savesto? (con isdegno)
SIMON Credo, che ghe l'abia dito so nevodo.
LUNARDO Felipeto?
SIMON Sì, Felipeto.
LUNARDO Frascon, petegolo; babuin! So pare ghe l'ha confidà, e lu subito el lo xè andà a
squaquarar? Conosso, che nol xè quel puto, che credeva, che el fusse. Son squasi pentìo d'averla
promessa, e ghe mancherave poco, vegnimo a dir el merito, che no strazzasse el contrato.
SIMON Ve n'aveu per mal, perché el ghe l'ha dito a so àmia?
LUNARDO Sior sì; chi no sa tàser, no gh'ha prudenza, e chi no gh'ha prudenza, no xè omo da maridar.
SIMON Gh'avè rason, caro vecchio; ma al dì d'ancuo no ghe ne xè più de quei zoveni del nostro
tempo. V'arecordeu? No se fava né più, né manco de quel che voleva nostro sior pare.
LUNARDO Mi gh'aveva do sorele maridae: no credo averle viste diese(68) volte in tempo de vita mia.
SIMON Mi no parlava squasi mai gnanca co mia siora mare.
LUNARDO Mi al dì d'ancuo no so cossa che sia un'opera, una comedia.
SIMON Mi i m'ha menà una sera per forza all'opera, e ho sempre dormìo.
LUNARDO Mio pare, co giera zovene, el me diseva: Vustu véder el Mondo niovo(69) ? o vusto, che te
daga do soldi? Mi me taccava ai do soldi.
SIMON E mi? sunava le boneman(70) , e qualche soldeto, che ghe bruscava(71) , e ho fato cento ducati, e
i ho investii al quatro per cento, e gh'ho quattro ducati de più d'intrada; e co i scuodo(72) gh'ho un gusto
cusì grando, che no ve posso fenir de dir. No miga per l'avarizia dei quatro ducati, ma gh'ho gusto de
poder dir: tolè; questi me li ho vadagnai da putelo.
LUNARDO Trovèghene uno ancuo, che fazza cusì. I li buta via, vegnimo a dir el merito, a palae(73)
(67)
Vi direi delle villanie.
Dieci
(69)
Quelle macchinette che si mostrano in Piazza ai curiosi per poco prezzo.
(70)
Raccoglieva le mance.
(71)
Ch'io gli cavava di mano.
(72)
E quando li riscuoto.
(73)
Li gettano con la pala.
(68)
28
I Rusteghi - Carlo Goldoni
SIMON E pazenzia i bezzi, che i buta via. Xè che i se precipita in cento maniere.
LUNARDO E tuto xè causa la libertà.
SIMON Sior sì, co i se sa meter le braghesse(72) da so posta, subito i scomenza a praticar.
LUNARDO E saveu chi ghe insegna? So mare.
SIMON No me disè altro: ho sentìo cosse, che me fa drezzar i cavei.
LUNARDO Sior sì; cusì le dise: Povero putelo! che el se deverta, povereto! voleu, che el mora da
malinconia? Co vien zente, le lo chiama: Vien qua, fio mio; la varda, siora Lugrezia, ste care raìse(73) ,
no fàlo vogia?(74) Se la savesse co spiritoso, che el xè! Cànteghe quella canzoneta: dighe quela bela
scena de Trufaldin. No digo per dir, ma el sa far de tuto; el bala, el zoga a le carte, el fa dei soneti; el
gh'ha la morosa, sàla? El dise, che el se vol maridar. El xè un poco insolente, ma pazenzia, el xè ancora
putelo, el farà giudizio. Caro colù; vien qua vita mia; dàghe un baso a siora Lugrezia... Via; sporchezzi;
vergogna; donne senza giudizio.
SIMON Cossa che pagherave, che ghe fusse qua a sentirve sete o oto de quele donne, che cognosso mi.
LUNARDO Cospeto de diana! le me sgrafarave i occhi.
SIMON Ho paura de sì; e cussì, disème: aveu serà el contrato co sior Maurizio?
LUNARDO Vegnì in mezà(75) da mi, che ve conterò tuto.
SIMON Mia muggier sarà de là co la vostra.
LUNARDO No voleu?
SIMON No ghe sarà nissun m'imagino.
LUNARDO In casa mia? no vien nissun senza che mi lo sappia.
SIMON Se savessi! da mi stamatina... basta, no digo altro.
LUNARDO Contème... cossa xè stà?
SIMON Andémo, andémo; ve conterò. Donne, donne, e po donne.
LUNARDO Chi dise donna, vegnimo a dir el merito, dise danno.
SIMON Bravo da galantomo. (ridendo ed abbracciando Lunardo)
LUNARDO E pur, se ho da dir la verità, no le m'ha despiasso.
SIMON Gnanca a mi veramente.
LUNARDO Ma in casa.
SIMON E soli.
LUNARDO E co le porte serae.
SIMON E co i balboni inchiodai.
LUNARDO E tegnirle basse.
SIMON E farle far a nostro modo.
LUNARDO E chi xè omeni, ha da far cusì. (parte)
SIMON E chi no fa cusì no xè omeni. (parte)
SCENA SESTA
Altra camera
(72)
I calzoni.
Espressione tenera, amorosa, lo stesso che “viscere”.
(74)
Non muove a baciarlo, a vezzeggiarlo? Ecc.
(75)
Mezzà in Venezia dicesi a quella stanza, in cui si fanno le maggiori faccende: mezzà è lo studio degli avvocati, sei
ministri, dei legali, dei mercadanti; dicesi anche mezzà ad una o più stanze, che sono ad un primo piano al di sotto del piano
nobile, ed alcuni ve ne sono anche a terreno.
(73)
29
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARGARITA e MARINA
MARINA Fème a mi sto servizio. Chiamè Lucieta, e disémoghe qualcossa de sto so novizzo.
Consolémola, e sentimo cossa, che la sa dir.
MARGARITA Credème, siora Marina, che no la lo merita.
MARINA Mo perché?
MARGARITA Perché la xè una frascona. Procuro per tuti i versi de contentarla, e la xè con mi,
figurarse, ingrata, altiera, e sofistica al mazor segno.
MARINA Cara fia, bisogna compatir la zoventù.
MARGARITA Cossa credeu? che la sia una putela?
MARINA Quanti anni gh'averàla?
MARGARITA Mo la gh'averà i so disdot'ani fenii lu.
MARINA Eh via!(76)
MARGARITA Sì! da quella che son.
MARINA E mio nevodo ghe n'ha vinti deboto.
MARGARITA Per età i va pulito.
MARINA Disè mo anca, che el xè un bon puto.
MARGARITA Se ho da dir la verità, gnanca Lucieta no xè cativa; ma cusì; la va a lune. De le volte la
me strucola de carezze,(77) e de le volte la me fa inrabiar.
MARINA I xè i so anni, fia mia. Credèmelo, che me recordo giusto come se fusse adesso: anca mi fava
cusì con mia siora madre.
MARGARITA Ma gh'è diferenza, vedeu? Una mare pol soportar, ma a mi no la me xè gnente.
MARINA La xè de vostro mario.
MARGARITA Giusto élo me fa passar la vogia de torme qualche pensier; perché se la contento, el
cria; se no la contento, el brontola. In verità no so più quala far.
MARINA Fè de tuto, che la se destriga.
MARGARITA Magari doman.
MARINA No xèli in contrato?
MARGARITA No gh'è miga fondamento in sti omeni: i se pente da un momento a l'altro.
MARINA E pur mi ghe scometeria qualcossa, che ancuo se stabilisse ste nozze.
MARGARITA Ancuo? per cossa?
MARINA So che sior Lunardo ha invidà a disnar anca mio cugnà Maurizio. No i xè soliti a far sti
invidi; vederè quel che digo mi.
MARGARITA Pol esser; ma me par impussibile, che no i diga gnente a la puta.
MARINA No saveu, che zente, che i xè? I è capaci de dirghe dal dito al fato. Tocchève la man, e bondì
sioria.
MARGARITA E se la puta disesse de no?
MARINA Per questo xè megio che l'avisemo.
MARGARITA Voleu, che la vaga a chiamar?
MARINA Se ve par che sia ben, chiamémola.
MARGARITA Cara fia, me reporto a vu.
MARINA Eh cara siora Margarita; in materia de prudenza no ghe xè una par vostro.
MARGARITA Vago, e vegno. (parte)
(76)
(77)
Espressione di meraviglia.
Mi carica di carezze.
30
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARINA Povera puta! lassarghe vegnir l'acqua adosso cusì! sta so maregna no la gh'ha un fià(78) de
giudizio.
SCENA SETTIMA
MARGARITA, LUCIETTA e MARINA
MARGARITA Vegnì qua, fia, che siora Marina ve vol parlar.
LUCIETTA La compatissa, sàla, se no son vegnua avanti, perché, se la savesse, ho sempre paura de
falar. In sta casa i cata da dir sun tuto.
MARINA Xè vero; vostro sior padre xè un poco tropo sutilo; ma consolève, che gh'avè una maregna,
che ve vol ben.
LUCIETTA Siora sì. (le fa cenno col gomito, che non è vero)
MARINA (Figurarse. Se gh'avesse una fiastra, anca mi farave l'istesso).
MARGARITA (Ghe voggio ben, ma no vedo l'ora, che la me vaga fora dai occhi).
LUCIETTA E cusì, siora Marina, cossa gh'àla da dirme?
MARINA Siora Margarita.
MARGARITA Fia mia.
MARINA Disèghe vu qualcossa.
MARGARITA Mi ve lasso parlar a vu.
LUCIETTA Povereta mi! de ben, o de mal?
MARINA Oh de ben, de ben.
LUCIETTA Mo via donca, che no la me fazza più sgangolir(79)
MARINA Me consolo con vu, Lucieta.
LUCIETTA De cossa?
MARINA Che ghe lo diga? (a Margarita)
MARGARITA Via, tanto fa,(80) disèghelo. (a Marina)
MARINA Me consolo, che sè novizza. (a Lucietta)
LUCIETTA Oh giusto! (mortificandosi)
MARINA Vardè! no lo credè?
LUCIETTA Mi no, la veda. (come sopra)
MARINA Domandèghelo. (accennando Margarita)
LUCIETTA Xèla la verità, siora madre?
MARGARITA Per quel che i dise.
LUCIETTA Oh! no ghe xè gnente de seguro?(81)
MARINA Mi credo, che sia sicurissimo.
LUCIETTA Oh, la burla, siora Marina.
MARINA Burlo? so anca chi xè el vostro novizzo.
LUCIETTA Dasseno? Chi xèlo?
MARINA No savè gnente vu?
LUCIETTA Mi no la veda. El me par un insonio.(82)
(78)
Niente.
Penare.
(80)
È tutt'uno.
(81)
Non vi è niente di certo.
(82)
Mi pare un sogno.
(79)
31
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARINA Lo spiegheressi volentiera sto insonio?(83)
LUCIETTA No vorla?(84)
MARGARITA Pol esser, che ve tocca la grazia.
LUCIETTA Magari. Xèlo zovene? (a Marina)
MARINA Figurève, in circa della vostra età.
LUCIETTA Xèlo belo?
MARINA Più tosto.
LUCIETTA (Siestu benedetto!)
MARGARITA La s'ha mo messo, figurarse, in t'un boccon de gringola.(85)
LUCIETTA Mo via no la me mortifica. Par, che ghe despiasa. (a Margarita)
MARGARITA Oh v'inganè. Per mi piutosto stassera, che doman.
LUCIETTA Eh lo so el perché.
MARGARITA Disè mo.
LUCIETTA Lo so, lo so, che no la me pol più véder.
MARGARITA Sentìu, che bella maniera de parlar? (a Marina)
MARINA Via, via, care creature, butè a monte.(86)
LUCIETTA La diga: cossa gh'àlo nome? (a Marina)
MARINA Filipetto.
LUCIETTA Oh che bel nome! xèlo civil?
MARINA El xè mio nevodo.
LUCIETTA Oh sior'àmia!(87) gh'ho tanto a caro, sior'àmia, sia benedeto, sior'àmia. (con allegria bacia
Marina)
MARGARITA Vardè, che stomeghezzi.(88)
LUCIETTA Cara siora, la tasa, che l'averà fato pezo de mi.
MARGARITA Certo, per quela bela zoggia, che m'ha toccà.(89)
MARINA Dixè, fia mia. L'aveu mai visto? (a Lucietta)
LUCIETTA Oh povereta mi! quando? dove? Se qua no ghe vien mai un can, se no vago mai in nissun
liogo.
MARINA Se lo vederè el ve piaserà.
LUCIETTA Dasseno? Quando lo vederoggio?
MARINA Mi no so; siora Margarita saverà qualcossa.
LUCIETTA Siora madre, quando lo vederoggio?
MARGARITA Sì, sì: “siora madre, quando lo vederoggio”! Co ghe preme, la se raccomanda. E po
gnente gnente, la ranzigna la schizza(90)
LUCIETTA La sa, che ghe vòi tanto ben.
MARGARITA Va' là, va' là mozzina.
MARINA (Caspita! la gh'ha de la malizia tanta, che fa paura).
LUCIETTA La diga, siora Marina. Xèlo fio de sior Maurizio?
MARINA Sì, fia mia, e el xè fio solo.
(83)
Spiegare il sogno, s'intende verificarlo.
C'è dubbio?
(85)
Allegrezza con desiderio.
(86)
Non parlate altro.
(87)
Si repplica, che àmia vuol dire zia
(88)
Che sguaiataggini.
(89)
Intende ironicamente del suo cattivo marito.
(90)
Aggrinza il naso.
(84)
32
I Rusteghi - Carlo Goldoni
LUCIETTA Gh'ho tanto da caro. La diga: saràlo rustego co fa so sior padre?
MARINA Oh che el xè tanto bon!
LUCIETTA Mo quando lo vederoggio?
MARINA Per dir la verità, gh'averave gusto, che ve vedessi, perché se pol anca dar, che élo no ve
piasa a vu, o che vu no ghe piasè a élo?
LUCIETTA Pussibile, che no ghe piasa?
MARGARITA Cossa credeu de esser, figurarse, la dea Venere?
LUCIETTA No credo de esser la dea Venere, ma no credo mo gnanca de esser l'orco.
MARGARITA (Eh, la gh'ha i so catari).
MARINA Sentì, siora Margarita, bisogna, che ve confida una cossa.
LUCIETTA Mi possio sentir?
MARINA Sì, sentì anca vo. Parlando de sto negozio co siora Felice, la s'ha fato de maraveggia, che
avanti de serar el contrato sti puti no s'abbia da véder. La s'ha tolto éla l'impegno de farlo. Ancuo, come
savè, la vien qua a disnar, e sentiremo cossa, che la dirà.
LUCIETTA Pulito, pulito dasseno.
MARGARITA Se fa presto a dir “pulito pulito”! e se mio mario se n'incorze? Chi tol de mezzo,
figurarse, altri che mi?
LUCIETTA Oh, per cossa vorla, che el se n'incorza?
MARGARITA Àlo da vegnir in casa per el luminal(91) ?
LUCIETTA Mi no so gnente. Cossa dìsela, siora Marina?
MARINA Sentì, ve parlo schieto. Mi no ghe posso dar torto gnanca a siora Margarita. Sentiremo quel,
che dixe siora Felice. Se gh'è pericolo, gnanca mi no me ne voggio intrigar.
LUCIETTA Vardè; le me mette in saor(92) , e po, tolè suso.
MARGARITA Zito, me par de sentir...
MARINA Vien zente.
LUCIETTA Uh, se xè sior padre, vago via.
MARINA Cossa gh'aveu paura? Omeni no ghe ne xè.
MARGARITA Oh, saveu chi xè?
MARINA Chi?
MARGARITA Siora Felice in maschera. In t'un'aria malignazonazza.(93)
LUCIETTA Xèla sola?
MARGARITA Sola. Chi voressi, che ghe fusse, patrona? (a Lucietta)
LUCIETTA Via, siora madre, che la sia bona, che ghe vòi tanto ben. (allegra)
MARINA Sentiremo qualcossa.
LUCIETTA Sentiremo qualcossa. (allegra)
SCENA OTTAVA
FELICE in maschera in bavuta, e dette.
FELICE Patrone. (tutte rispondono patrona, secondo il solito)
MARGARITA Molto tardi, siora Felice; v'avè fato desiderar.
LUCIETTA De diana(94) se l'avemo desiderada.
(91)
Finestra a tetto per dar lume al soffitto.
Mi mettono in sapore, cioè in lusinga.
(93)
Grandissima.
(92)
33
I Rusteghi - Carlo Goldoni
FELICE Se savessi! Ve conterò.
MARINA Sola sè? No gh'è gnanca vostro mario?
FELICE Oh, el ghe xè quel torso de verza.(95)
MARGARITA Dove xèlo?
FELICE L'ho mandà in mezà da vostro mario. No ho volesto, che el vegna de qua, perché v'ho da
parlar.
LUCIETTA (Oh se la gh'avesse qualche bona niova da darme!)
FELICE Saveu chi ghe xè in mezzà con lori?
MARINA Mio mario?
FELICE Eh sì ben, ma ghe xè un altro.
MARINA Chi?
FELICE Sior Maurizio.
LUCIETTA (El padre del puto!) (con allegria)
MARINA Come l'aveu savesto?
FELICE Mio mario, che anca élo xè un tangaro, avanti de andar in mezà, l'ha volesto saver chi ghe
giera, e la serva gh'ha dito, che ghe giera sior Simon, e sior Maurizio.
MARINA Cossa mai fàli?
FELICE Mi credo, vedè, mi credo, che i stabilissa quel certo negozio...
MARINA Eh sì, sì, ho capìo.
MARGARITA Gh'arivo anca mi.
LUCIETTA (Anca mi gh'arivo).
MARINA E de quel altro interesse gh'avémio gnente da novo?
FELICE De quel amigo?
MARINA Sì, de quel amigo.
LUCIETTA (Le parla in zergo(96) ; le crede, che no capissa).
FELICE Podémio parlar liberamente?
MARGARITA Sì, cossa serve? Za Lucieta sa tutto.
LUCIETTA Oh cara siora Felice, se la savesse quanto che ghe son obbligada.
FELICE Mo andè là, fia mia, che sè fortunada. (a Lucietta)
LUCIETTA Per cossa?
FELICE Mi no l'aveva mai visto quel puto. V'assicuro che el xè una zoggia.
LUCIETTA (si pavoneggia da sé)
MARGARITA Tegnìve in bon, patrona.(97) (a Lucietta)
MARINA No fazzo per dir, che el sia mio nevodo; ma el xè un puto de sesto.(98)
MARGARITA Ma ghe vol giudizio, figurarse, e bisogna farse voler ben.
LUCIETTA Co saremo a quela(99) , farè el mio debito.
MARINA E cusì? se vederàli sti puti? (a Felice)
FELICE Mi ho speranza de sì.
LUCIETTA Come? quando, siora Felice? quando, come?
FELICE Puta benedeta, gh'avè più pressa de mi.
(94)
Lo stesso come se si dicesse: Per Bacco!
Tronco di cavolo.
(96)
Parlano in gergo.
(97)
Insuperbite.
(98)
Un giovine di garbo.
(99)
Quando sarò nel caso.
(95)
34
I Rusteghi - Carlo Goldoni
LUCIETTA No vorla?
FELICE Sentì. Adessadesso el vegnirà qua. (piano a tutti tre)
MARGARITA Qua! (con maraviglia)
FELICE Siora sì, qua.
LUCIETTA Perché no porlo vegnir qua? (a Margarita)
MARGARITA Tasè là, vu, siora, che no savè quel che ve disè. Cara siora Felice, lo cognossè mio
mario, vardè ben, che no femo pezo.(100)
FELICE No v'indubitè gnente. El vegnirà in maschera, vestìo da donna; vostro mario nol cognosserà.
MARINA Sì ben, sì ben: l'avè pensada pulito.
MARGARITA Eh cara siora, mio mario xè sutilo(101) ; se el se ne incorze, figurarse, povereta mi.
LUCIETTA No séntela? el vegnirà in maschera. (allegra a Margarita)
MARGARITA Eh via, frasconazza. (a Lucietta)
LUCIETTA El vegnirà vestìo da donna. (mortificata, a Margarita)
FELICE Credème, siora Margarita, che me fè torto. Stè sora de mi, no abbiè paura. No pol far che el
vegna(102) . Se el vien, che semo qua sole, come che semo adesso, podemo un pochetin chiaccolar; se el
vien, che siémo a tola(103) , o che ghe sia vostro mario, lassème far a mi. So mi quel che gh'ho da dir. I
se vederà come che i poderà. Un'occhiadina in sbrisson no ve basta?
LUCIETTA In sbrisson(104) ? (a Felice, pateticamente)
MARGARITA Vegniràlo solo?
FELICE No, cara fia; solo nol pol vegnir. Vedè ben, in maschera, vestìo da donna...
MARGARITA Con chi vegniràlo donca(104) ? (a Felice)
FELICE Con un forestier. (a Margarita) Oe con quelo de stamatina. (a Marina)
MARINA Ho capìo.
MARGARITA Figurarse, se mio mario vuol zente in casa, che nol cognosse!
FELICE El vegnirà in maschera anca élo.
MARGARITA Pezo: no, no assolutamente.
LUCIETTA Mo via, cara siora madre, la trova dificoltà in tuto. (La xè proprio una caga dubi).
MARGARITA So quel che digo; e mio mario, figurarse, nissun lo cognosse meggio de mi.
FELICE Sentì, fia mia, dal vostro al mio, semo là. I xè tuti do taggiai in t'una luna. Mi mo, vedeu? no
me lasso far tanta paura.
MARGARITA Brava, sarè più spiritosa de mi.
LUCIETTA I bate.
MARGARITA Eh che no i bate, no.
MARINA Poverazza, la gh'ha el bataor in tel cuor.
FELICE Vedè, cara siora Margarita, che mi in sto negozio no gh'ho né intrar, né insir(105) . L'ho fato per
siora Marina, e anca per sta puta, che ghe voggio ben. Ma se vu po ve n'avè per mal...
LUCIETTA Eh giusto! cossa dìsela?
MARINA Eh via za, che ghe semo. (a Margarita)
MARGARITA Ben ben; se nasserà qualcossa sarà pezo per vu. (a Lucietta)
LUCIETTA No la sente? I bate ghe digo. (a Margarita)
(100)
Peggio.
Delicato.
(102)
Può star poco a venire
(103)
A tavola.
(104)
Un'occhiata alla sfuggita.
(104)
Dunque.
(105)
Né entrata, né uscita, cioè non ci ho interesse veruno.
(101)
35
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARGARITA Adesso sì, ch'i ha batù.
LUCIETTA Bisogna che la dorma culìa. Anderò mi.
MARGARITA Siora no, siora no, anderò mi. (parte)
SCENA NONA
FELICE, MARINA e LUCIETTA
LUCIETTA Cara éla, me racomando. (a Felice)
FELICE No vorave desgustar siora Margarita.
MARINA No ghe badè. Se stasse a éla, sta puta no se mariderave mai.
LUCIETTA Se la savesse!
FELICE Cossa vol dir? cossa gh'àla co sta creatura? (a Marina)
MARINA No saveu? invidia. Gh'ha toccà un mario vecchio, la gh'averà rabbia, che a so fiastra ghe
tocca un zovene.
LUCIETTA Ho paura de sì mi, che la diga la verità.
FELICE Ora la dise una cossa, ora la ghe ne dise un'altra.
MARINA Se ve digo; no gh'è né sesto, né modelo.(106)
LUCIETTA No la sa dir altro, che “figurarse, figurarse”.
SCENA DECIMA
MARGARITA, e dette
MARGARITA A vu, siora Felice.
FELICE A mi? cossa?
MARGARITA Maschere, che ve domanda.
LUCIETTA Mascare, che la domanda! (allegra a Felice)
MARINA Saràlo l'amigo? (a Felice)
FELICE Pol darse. (a Marina) Fèlo vegnir avanti. (a Margarita)
MARGARITA E se vien mio mario?
FELICE Se vien vostro mario, no ghe saverò dar da intender qualche panchiana? No ghe posso dir, che
la xè mia sorela maridada a Milan? Giusto l'aspetava in sti zorni, e la pol capitar de momento in
momento.
MARGARITA E la maschera omo?
FELICE Oh bela! no ghe posso dir, che el xè mio cugnà(107) ?
MARGARITA E vostro mario cossa diralo?
FELICE Mio mario, co voggio, che el diga de sì, basta, che lo varda; con un'occhiada el me intende.
LUCIETTA Siora madre, ghe n'àla più?
MARGARITA Cossa?
LUCIETTA Delle dificoltà?
MARGARITA Me faressi dir, deboto... orsù tanto fa, che le staga de là quele maschere come, che le
vegna de qua. A l'ultima de le ultime, gh'averè da pensar vu più de mi. (a Lucietta) Siore maschere, le
favorissa, le vegna avanti. (alla scena)
(106)
(107)
Lo stesso che dire né dritto, né rovescio
Cognato.
36
I Rusteghi - Carlo Goldoni
LUCIETTA (Oh come, che me bate el cuor!)
SCENA UNDICESIMA
FILIPPETTO in maschera da donna, il conte RICCARDO e dette.
RICCARDO Servitor umilissimo di lor signore.
FELICE Patrone, siore maschere.
MARGARITA Serva. (sostenuta)
MARINA Siora maschera donna, la reverisso. (a Filippetto)
FILIPPETTO (fa la riverenza da donna)
LUCIETTA (Vardè che bon sesto!).(108)
FELICE Maschere, andeu a spasseti?
RICCARDO Il carnovale desta l'animo ai divertimenti. (a Marina)
MARINA Siora Lucieta, cossa diseu de ste maschere?
LUCIETTA Cossa vorla, che diga? (mostrando di vergognarsi)
FILIPPETTO (Oh cara! oh che pometo da riosa!)(109)
MARGARITA Siore maschere, le perdona la mala creanza; àle disnà ele?
RICCARDO Io no.
MARGARITA In verità, voressimo andar a disnar.
RICCARDO Vi leveremo l'incomodo.
FILIPPETTO (De diana! no l'ho malistente(110) vardada!)
RICCARDO Andiamo, signora maschera. (a Filippetto)
FILIPPETTO (Sia malignazo!)
MARINA Eh aspetè un pochetin. (a Riccardo e Filippetto)
MARGARITA (Me lo sento in te le recchie quel satiro de mio mario).
FELICE Maschera, sentì una parola. (a Filippetto)
FILIPPETTO (si accosta a Felice)
FELICE Ve piàsela? (piano a Filippetto)
FILIPPETTO Siora sì. (piano a Felice)
FELICE Xèla bela? (come sopra)
FILIPPETTO De diana! (come sopra)
LUCIETTA (Siora madre).
MARGARITA (Cossa gh'è?)
LUCIETTA (Almanco, che lo podesse véder un pochetin).
MARGARITA (Adessadesso, ve chiapo per un brazzo, e ve meno via).
LUCIETTA (Pazzenzia).
MARINA Maschera. (a Filippetto)
FILIPPETTO (s'accosta a Marina)
MARINA Ve piàsela?
FILIPPETTO Assae.
MARINA Toleu tabacco, maschera?
FILIPPETTO Siora sì.
(108)
Che bel garbo!
Mela rosa.
(110)
Appena.
(109)
37
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARINA Se comandè, servìve.
FILIPPETTO (prende il tabacco colle dita, e vuol pigliarlo colla maschera al volto)
FELICE Co se tol tabacco, se se cava el volto. (gli leva la maschera)
LUCIETTA (Oh co belo!) (guardandolo furtivamente)
MARINA Mo che bela puta! (verso Filippetto)
FELICE La xè mia sorela.
LUCIETTA (I me fa da rider).(ridendo)
FILIPPETTO (Oh co la ride pulito!)
FELICE Vegnì qua, tirève la bauta soto la gola. (gli cala la bauta)
LUCIETTA (El consola el cuor).
MARINA Chi xè più bela de ste do pute? (gi Filippetto e Lucietta)
FILIPPETTO (si vergogna, e guarda furtivamente Lucietta)
LUCIETTA (fa lo stesso)
RICCARDO (Sono obbligato alla signora Felice, che oggi mi ha fatto godere la più bella commedia di
questo mondo).
MARGARITA Oh via, fenìmola, figurarse, che xè ora. No parlemo più in equivoco. Ringraziè ste
signore, che ha fato sto contrabando, e racomandève al Cielo, che se sarè destinai, ve torè.(111) (a
Lucietta e Filippetto)
FELICE Via andè, maschere; contentève cusì per adesso.
FILIPPETTO (Mi no me so destaccar).
LUCIETTA (El me porta via el cuor).
MARGARITA Manco mal, che la xè andada ben.
MARINA Tirève su la bauta. (a Filippetto)
FILIPPETTO Come se fa? No gh'ho pratica.
FELICE Vegnì qua da mi. (gl accomoda la bauta)
LUCIETTA (Poverazzo! nol se sa giustar la bauta). (ridendo forte)
FILIPPETTO Me bùrlela? (a Lucietta)
LUCIETTA Mi no. (ridendo)
FILIPPETTO Furba!
LUCIETTA (Caro colù).(112)
MARGARITA Oh povereta mi! oh povereta mi!
FELICE Coss'è stà.
MARGARITA Ve' qua mio mario.
MARINA Sì per diana: anca el mio.
FELICE No xèla mia sorela?
MARGARITA Eh cara ela, se el me trova in busia, povereta mi. Presto, presto, scondève, andè in
quela camera. (a Filippetto, spingendolo) Caro sior la vaga là drento. (a Riccardo)
RICCARDO Che imbroglio è questo?
FELICE La vaga, la vaga, sior Ricardo. La ne fazza sta grazia.
RICCARDO Farò anche questo per compiacervi. (entra in una camera)
FILIPPETTO (Spionerò intanto). (entra in una camera)
LUCIETTA (Me trema le gambe, che no posso più).
MARGARITA Ve l'òggio dito? (a Felice e Marina)
MARINA Via via, no xè gnente. (a Margarita)
(111)
(112)
Se sarete destinati, vi sposarete.
Colui.
38
I Rusteghi - Carlo Goldoni
FELICE Co anderemo a disnar i se la baterà.(113)
MARGARITA Son stada tropo minchiona.
SCENA DODICESIMA
LUNARDO, SIMON, CANCIANO e dette.
LUNARDO Oh patrone, xèle stuffe d'aspetar? Adessadesso anderemo a disnar. Aspetemo sior
Maurizio, e subito che el vien, andemo a disnar.
MARGARITA No ghe gièrelo sior Maurizio?
LUNARDO El ghe giera. El xè andà in t'un servizio, e el tornerà adessadesso. Cossa gh'àstu ti, che ti
me par sbattueta(114) ? (a Lucietta)
LUCIETTA Gnente. Vorlo che vaga via?
LUNARDO No no, sta qua, fia mia, che anca per ti xè vegnù la to zornada: n'è vero, sior Simon?
SIMON Poverazza! gh'ho a caro.
LUNARDO Ah! cossa diseu? (a Cancian)
CANCIANO Sì, in verità, la lo merita.
LUCIETTA (No me vol andar via sto tremazzo(115) ).
FELICE Gh'è qualche novità, sior Lunardo?
LUNARDO Siora sì.
MARINA Via, che sapiemo anca nu.
MARGARITA Za mi sarò l'ultima a saverlo. (a Lunardo)
LUNARDO Sentì, fia, ancuo disè quel che volè, che no gh'ho voggia de criar. Son contento, e voggio
che se godemo. Lucieta vien qua.
LUCIETTA (si accosta tremando)
LUNARDO Cossa gh'àstu?
LUCIETTA No so gnanca mi. (tremando)
LUNARDO Gh'àstu la freve(116) ? Ascolta, che la te passerà. In presenza de mia muggier, che te fa da
mare; in presenza de sti do galantomeni, e delle so parone, te dago la niova, che ti xè novizza.
LUCIETTA (trema, piange e quasi casca)
LUNARDO Olà, olà, cossa fastu? Te despiase, che t'abbia fato novizza?
LUCIETTA Sior no.
LUNARDO Sastu chi xè el to novizzo?
LUCIETTA Sior sì.
LUNARDO Ti lo sa? come lo sastu? chi te l'ha dito? (sdegnato)
LUCIETTA Sior no, no so gnente. La compatissa, che no so gnanca cossa che diga.
LUNARDO Ah! povera inocente! così la xè arlevada, vedeu? (a Simon e Cancian)
FELICE (Se el savesse tuto). (piano a Margarita)
MARGARITA (M'inspirito(117) che el lo sapia). (a Felice)
MARINA (No gh'è pericolo). (a Margarita)
(113)
Se ne andranno
Di malavoglia.
(115)
Tremore.
(116)
Febbre.
(117)
Tremo, ho paura.
(114)
39
I Rusteghi - Carlo Goldoni
LUNARDO Orsù sapiè che el so novizzo xè el fio de sior Maurizio, nevodo de siora Marina.
MARINA Dasseno? mio nevodo?
FELICE Oh cossa che ne contè!
MARINA Mo gh'ho ben a caro, dasseno.
FELICE De meggio no podevi trovar.
MARINA Quando se faràle ste nozze?
LUNARDO Ancuo.
MARGARITA Ancuo?
LUNARDO Sior sì, ancuo, adessadesso. Sior Maurizio xè andà a casa; el xè andà a levar(118) so fio, el
lo mena qua, disnemo insieme, e po subito i se dà la man.(119)
MARGARITA (Oh povereta mi!)
FELICE Cusì a la presta?
LUNARDO Mi no voggio brui longhi.(120)
LUCIETTA (Adesso me trema anca le buele(121) ).
LUNARDO Cossa gh'àstu? (a Lucietta)
LUCIETTA Gnente.
SCENA TREDICESIMA
MAURIZIO e detti
LUNARDO Oh via; seu qua? (a Maurizio)
MAURIZIO Son qua. (turbato)
LUNARDO Cossa gh'aveu?
MAURIZIO Son fora de mi.
LUNARDO Coss'è stà?
MAURIZIO Son andà a casa, ho cercà el puto. No l'ho trovà in nissun liogo. Ho domandà, me son
informà, me xè stà dito, che l'è stà visto in compagnia de un certo sior Riccardo, che pratica siora
Felice. Chi èlo sto sior Riccardo? Chi èlo sto forestier? cossa gh'ìntrelo con mio fio? (a Felice)
FELICE Mi de vostro fio no so gnente. Ma circa al forestier el xè un cavalier onorato. N'è vero, sior
Cancian?
CANCIANO Mi no so gnente chi el sia, e no so chi diavolo l'abia mandà. Ho tasesto fin adesso, ho
mandà zo dei boconi amari, per contentarve, per no criar; ma adesso mo ve digo, che per casa mia no lo
voggio più. Siora sì, el sarà un fa pele.(122)
SCENA QUATTORDICESIMA
(118)
A prendere.
Si sposano.
(120)
Brodi lunghi.
(121)
Le budella.
(122)
Un ingaggiator di soldati.
(119)
ATTO TERZO
40
I Rusteghi - Carlo Goldoni
RICCARDO e detti; poi FILIPPETTO
RICCARDO Parlate meglio dei cavalieri d'onore.(a Canciano)
LUNARDO In casa mia? (a Riccardo)
MAURIZIO Dove xè mio fio? (a Riccardo)
RICCARDO Vostro figlio è là dentro. (a Maurizio)
LUNARDO Sconto in camera?
MAURIZIO Dov'èstu, desgrazià?
FILIPPETTO Ah sior padre, per carità. (s'inginocchia)
LUCIETTA Ah sior padre, per misericordia. (s'inginocchia)
MARGARITA Mario, no so gnente, mario. (raccomandandosi)
LUNARDO Ti, ti me la pagherà, desgraziada. (vuol dare a Margarita)
MARGARITA Agiuto.
MARINA Tegnìlo.
FILIPPETTO Fermèlo.
SIMON Stè saldo.
CANCIANO No fè. (Simon e Canciano strascinano dentro Lunardo e partono in tre)
MAURIZIO Vien qua, vien qua, furbazzo. (piglia per un braccio Filippetto)
MARGARITA Vegnì qua, frasconazza. (piglia per un braccio Lucietta)
MAURIZIO Andemo. (lo tira)
MARGARITA Vegnì via con mi. (la tira)
MAURIZIO A casa la giustaremo. (a Filippetto)
MARGARITA Per causa vostra. (a Lucietta)
FILIPPETTO (andando via, saluta Lucietta)
LUCIETTA (andando via, si dà de' pugni)
FILIPPETTO Povereta!
LUCIETTA Son desperada.
MAURIZIO Va' via de qua. (lo caccia via, e partono)
MARGARITA Sia maledeto co son vegnua in sta casa. (parte spingendo Lucietta)
MARINA Oh che sussuro, o che diavolezzo! Povera puta, povero mio nevodo! (parte)
RICCARDO In che impiccio mi avete messo, signora?
FELICE Xèlo cavalier?
RICCARDO Perché mi fate questa dimanda?
FELICE Xèlo cavalier?
RICCARDO Tale esser mi vanto.
FELICE Donca, che el vegna con mi.
RICCARDO A qual fine?
FELICE Son una donna onorata. Ho falà, e ghe vòi remediar.
RICCARDO Ma come?
FELICE Come, come! se ghe digo el come, xè fenìa la commedia. Andemo. (partono)
ATTO TERZO
41
I Rusteghi - Carlo Goldoni
SCENA PRIMA
Camera di Lunardo
LUNARDO, CANCIANO e SIMON
LUNARDO Se trata de onor, se trata, vegnimo a dir el merito, de reputazion de casa mia. Un omo
della mia sorte. Cossa dirài de mi? cossa dirài de Lunardo Cròzzola?
SIMON Quietève, caro compare. Vu no ghe n'avè colpa. Xè causa le donne; castighèle(1) , e tuto el
mondo ve loderà.
CANCIANO Sì ben, bisogna dar un esempio. Bisogna umiliar la superbia de ste muggier cusì altiere, e
insegnar ai omei a castigarle.
SIMON E che i diga pur, che semo rusteghi.
CANCIANO E che i diga pur, che semo salvadeghi.
LUNARDO Mia muggier xè causa de tuto.
SIMON Castighèla.
LUNARDO E quela frasconazza, la ghe tien drio.
CANCIANO Mortifichèla.
LUNARDO E vostra muggier ghe tien terzo. (a Cancian)
CANCIANO La castigherò.
LUNARDO E la vostra sarà d'accordo. (a Simon)
SIMON Anca la mia me la pagherà.
LUNARDO Cari amici, parlemo, consegiemose. Con custìe(2) , vegnimo a dir el merito, cossa avémio
da far? Per la puta xè facile, e gh'ho pensà, e ho stabilio. Prima de tuto, a monte el matrimonio(3) . Mai
più, che no la parla de maridarse. La manderò a serar in t'un liogo(4) , lontana dal mondo, tra quatro
muri, e la xè fenìa. Ma le muggier come le avémio da castigar? Disè la vostra opinion.
CANCIANO Veramente, confesso el vero; son un pochetin intrigà.
SIMON Se poderave ficcarle(5) anca ele in t'un retiro tra quatro muri, e destrigarse cussì.
LUNARDO Questo, vegnimo a dir el merito, sarave un castigo più per nu, che per ele. Bisogna
spender; pagar le spese, mandarle vestìe con un pocheto de pulizia, e per retirae che le staga, le gh'averà
sempre là drento più spasso, e più libertà, che no le gh'ha in casa nostra. Pàrlio ben(6) ? (a Simon)
SIMON Disè benissimo. Specialmente da vu, e da mi, che no ghe lassemo la brena(7) sul colo come
mio compare Cancian.
CANCIANO Cossa voleu, che diga? gh'avè rason. Poderessimo tegnirle in casa, serae in t'una camera;
menarle un pochetin a la festa con nu, e po tornarle a serar, e che no le vedesse nissun, e che no le
parlasse a nissun.
SIMON Le donne serae? senza parlar con nissun? Questo xè un castigo, che le fa crepar in tre dì.
CANCIANO Tanto meggio.
LUNARDO Ma chi è quel omo, che voggia far l'aguzin? e po se i parenti lo sa, i fa el diavolo, i mete
soto mezzo mondo, i ve la fa tirar fora, e po ancora i ve dise, che sè un orso, che sè un tangaro, che sè
(1)
Castigatele
Costoro.
(3)
Non si parli più del matrimonio.
(4)
Loco.
(5)
Metterle per forza.
(6)
Parlo bene?
(7)
La briglia.
(2)
42
I Rusteghi - Carlo Goldoni
un can.
SIMON E co avè molà(8) , o per amor, o per impegno, le ve tol la man, e no sé più paron de criarghe.
CANCIANO Giusto cusì ha fato con mi mia muggier.
LUNARDO La vera saria, vegnimo a dir el merito, doperar un pezzo de legno.
SIMON Sì, da galantomo, e lassar, che la zente diga.(9)
CANCIANO E se le se revolta contra de nu?
SIMON Se poderave dar savè(10)
CANCIANO Mi so quel che digo.
LUNARDO In sto caso, se troveressimo in t'un bruto cimento.
SIMON E po? no saveu? Ghe ne xè dei omeni, che bastona le so muggier, ma credeu, che gnanca per
questo i le possa domar? Oibò(11) ; le fa pezo(12) , che mai; le lo fa per despeto; se no i le copa, no gh'è
remedio.
LUNARDO Coparle po no.
CANCIANO Mo no, certo; perché po, vòltela, ménela(13) , senza donne no se pol star.
SIMON Mo no saràvela una contentezza, aver una muggier bona, quieta, ubidiente? No saràvela una
consolazion?
LUNARDO Mi l'ho provada una volta. La mia prima, povereta, la giera un agnelo. Questa? la xè un
basilisco.
CANCIANO E la mia? Tuto a so modo la vol.
SIMON E mi crio, strepito, e no fazzo gnente.
LUNARDO Tuto xè mal, ma un mal, che se pol soportar; ma in tel caso, che son mi adesso, vegnimo a
dir el merito, se trata de assae. Voria ressolver, e no so quala far.
SIMON Mandèla dai so parenti.
LUNARDO Certo! acciò, che la me fazza smatar.(14)
CANCIANO Mandèla fora(15) . Fèla star in campagna.
LUNARDO Pezo! la me consuma le intrae(16) in quatro zorni.
SIMON Fèghe parlar; trovè qualchedun che la meta in dover.
LUNARDO Eh! no l'ascolta nissun.
CANCIANO Provè a serarghe i abiti, a serarghe le zoggie, tegnìla bassa; mortifichèla.
LUNARDO Ho provà; se fa pezo, che mai.
SIMON Ho capìo; fè cusì, compare.
LUNARDO Come?
SIMON Godèvela, come che la xè.
CANCIANO Ho pensier anca mi, che no ghe sia altro remedio, che questo.
LUNARDO Sì, l'ho capìa che xè un pezzo. Vedo anca mi, che, co l'è fata no ghe xè più remedio.
M'aveva comodà el mio stomego de soportarla; ma questa, che la m'ha fato, la xè tropo granda.
Ruvinarme una puta de quela sorte? farghe vegnir el moroso in casa? Xè vero, che mi ghe l'aveva
destinà per mario, ma cossa savévela, vegnimo a dir el merito, la mia intenzion? Gh'ho dà qualche
(8)
E quando avete ceduto.
Lasciar che la gente dica quel che sa dire.
(10)
Sapete.
(11)
Messer no.
(12)
Peggio.
(13)
Volta, rivolta.
(14)
Svergognare, deridere.
(15)
S'intende in villa.
(16)
Le entrate.
(9)
43
I Rusteghi - Carlo Goldoni
motivo(17) de maridarla. Ma no me podévio pentir? No se podeva dar, che no se giustessimo? No
podeva portar avanti dei mesi, e dei anni? E la me lo introduse in casa? in maschera? da scondon(18) ?
La fa che i se veda? la fa che i se parla? Una mia puta? una colomba inocente? No me tegno; la vòi
castigar, la vòi mortificar, se credesse, vegnimo a dir el merito, de precipitar.
SIMON Causa siora Felice.
LUNARDO Sì, causa quella mata de vostra muggier. (a Cancian)
CANCIANO Gh'avè rason. Mia muggier me la pagherà.
SCENA SECONDA
FELICE e detti
FELICE Patroni reveriti, grazie del so bon amor.
CANCIANO Cossa feu qua?
LUNARDO Cossa vorla in casa mia?
SIMON Xèla qua, per far che nassa qualche altra bela scena?
FELICE I se stupisse perché son qua? Voléveli che fusse andada via? Credévelo sior Cancian, che
fusse andada col forestier?
CANCIANO Se anderè più con colù, ve farò véder chi son.
FELICE Disème, caro vecchio, ghe songio mai andada senza de vu?
CANCIANO La sarave bela!
FELICE Senza de vu, l'òggio(19) mai recevesto in casa?
CANCIANO Ghe mancarave anca questa!
FELICE E perché donca credevi, che fusse andada con élo?
CANCIANO Perché sè una mata.
FELICE (El fa el bravo, perché el xè in compagnia).
SIMON (Oe la gh'ha filo(20) ). (piano a Lunardo)
LUNARDO (El fa ben a mostrarghe el muso). (piano a Simon)
CANCIANO Andémo, siora, vegnì a casa con mi.
FELICE Abiè un pocheto de flema.
CANCIANO Me maraveggio, che gh'abiè tanto muso de vegnir qua.
FELICE Per cossa? cossa òggio fato?
CANCIANO No me fè parlar.
FELICE Parlè.
CANCIANO Andémo via.
FELICE Sior no.
CANCIANO Andémo, che cospeto de diana... (minacciandola)
FELICE Cospeto, cospeto... so cospetizar anca mi. Coss'è, sior? M'aveu trovà in t'un gatolo(21) ?
Songio la vostra massèra? Cusì se parla con una donna civil? Son vostra muggier; me podè comandar,
(17)
Qualche cenno.
Di nascosto.
(19)
L'ho
(20)
Ha timore.
(21)
Quasi tutte le strade di Venezia hanno de' piccioli canaletti lateralmente, dove si uniscono le immondizie, e per dove
scorre e si perde l'acqua piovana, e si chiamano gattoli.
(18)
44
I Rusteghi - Carlo Goldoni
ma no me vòi(22) lassar strapazzar. Mi no ve perdo el respetto a vu, e vu no me l'avè da perder a mi. E
dopo che sè mio mario, no m'avè mai più parlà in sta maniera. Coss'è sto manazzar? coss'è sto cospeto?
cossa xè sto alzar le man? A mi manazzar? a una donna della mia sorte? Disè, sior Cancian, v'àli messo
su sti patroni? v'àli conseggià, che me tratè in sta maniera? Ste asenarie l'aveu imparade da lori? Se sè
un galantomo, tratè da quelo, che sè, se ho falà, corezème(23) ; ma no se strapazza, e no se manazza, e
no se dise cospetto, e no se tratta cusì. M'aveu capìo, sior Cancian? Abiè giudizio vu, se volè, che ghe
n'abbia anca mi.
CANCIANO (resta ammutolito)
SIMON (Aveu sentìo che ràcola(24) ?) (a Lunardo)
LUNARDO (Adessadesso me vien voggia, de chiaparla mi per el colo. E quel martuffo(25) sta zito). (a
Simon)
SIMON (Cossa voleu, che el fazza? Voleu che el precipita?)
FELICE Via, sior Cancian, no la dise gnente?
CANCIANO Chi ha più giudizio el dopera.(24)
FELICE Sentenza de Ciceron! Cossa dìsele ele, patroni?
LUNARDO Cara siora, no me fè parlar.
FELICE Perché? son vegnua a posta, acciò, che parlè; so che ve lamentè de mi, e gh'ho gusto de sentir
le vostre lamentazion. Sfoghève con mi, sior Lunardo, ma no stè a meter su mio mario. Perché se me
dirè le vostre rason, son donna giusta, e se gh'ho torto sarò pronta a darve sodisfazion; ma arecordève
ben, che el meter disunion tra mario e muggier el xè un de quei mali che no se giusta cusì facilmente, e
quel che no voressi che i altri fasse con vu, gnanca vu coi altri no l'avè da far, e parlo anca co sior
Simon, che con tuta la so prudenza el sa far la parte da diavolo co(25) bisogna. Parlo con tutti do(26) , e
ve parlo schieto, perché me capì. Son una donna d'onor, e se gh'avè qualcossa, parlè.
LUNARDO Disème, cara siora, chi è stà, che ha fato vegnir quel puto in casa mia?
FELICE Son stada mi. Mi son stada, che l'ha fato vegnir.
LUNARDO Brava, siora!
SIMON Pulito!
CANCIANO Lodève, che avè fato una bel'azion!
FELICE Mi no me lodo; so che giera meggio che no l'avesse fato; ma no la xè una cativa azion.
LUNARDO Chi v'ha dà licenza, che lo fè vegnir?
FELICE Vostra muggier.
LUNARDO Mia muggier? v'àla parlà? v'àla pregà? xèla vegnua éla a dirvelo, che lo menè(27) ?
FELICE Sior no; me l'ha dito siora Marina.
SIMON Mia muggier?
FELICE Vostra muggier.
SIMON Ala pregà éla el forestier, che tegnisse terzo(28) a quela pura?
FELICE Sior no, el forestier l'ho pregà mi.
CANCIANO Vu l'avè pregà? (con isdegno)
(22)
Non mi voglio.
Correggetemi
(24)
Che bagatella?
(25)
Sciocco.
(24)
Lo adoperi.
(25)
Quando
(26)
Due
(27)
Che lo conduciate.
(28)
Che tenesse mano.
(23)
45
I Rusteghi - Carlo Goldoni
FELICE Sior sì, mi. (a Canciano, con isdegno)
CANCIANO (Oh che bestia! no se pol parlar!)
LUNARDO Mo perché far sta cossa? mo perché menarlo? mo perché siora Marina se n'àla intrigà? mo
perché mia muggier s'àla contentà?
FELICE Mo perché questo, mo perché st'altro! Ascoltème; sentì l'istoria come che la xè. Lassème dir;
no me interrompè. Se gh'ho torto, me darè torto; e se gh'ho rason, me darè rason. Prima de tuto, lassè,
patroni, che ve diga una cossa. No andè in colera, e no ve n'abiè per mal. Sè tropo rusteghi; sè tropo
salvadeghi. La maniera che tegnì co le donne, co le muggier, co la fia, la xè cusì stravagante fora de
l'ordinario, che mai in eterno le ve poderà voler ben; le ve obedisse per forza, le se mortifica con rason,
e le ve considera, no marii, no padri, ma tartari, orsi e aguzini. Vegnimo al fato. (No “vegnimo a dir el
merito”, vegnimo al fato). Sior Lunardo vol maridar la so pura, nol ghe lo dise, nol vol che la lo sapia;
no la lo ha fa véder; piasa, o no piasa, la lo ha da tòr. Accordo anca mi, che le pute no sta ben, che le
fazza l'amor, che el mario ghe l'ha da trovar so sior padre, e che le ha da obedir, ma no xè mo gnanca
giusto de meter alle fie un lazzo al colo, e dirghe: ti l'ha da tiòr. Gh'avè una fia sola, e gh'avè cuor de
sacrificarla? (a Lunardo) Mo el puto xè un puto de sesto, el xè bon, el xè zovene, nol xè bruto, el ghe
piaserà. Seu seguro, “vegnimo a dir el merito”, che el gh'abia da piàser? E se nol ghe piasesse? Una
puta arlevada a la casalina con un mario fio d'un pare selvadego, sul vostro andar(29) , che vita
doveràvela far? Sior sì, avemo fato ben a far che i se veda. Vostra muggier lo desiderava, ma no la
gh'aveva coraggio. Siora Marina a mi s'ha racomandà. Mi ho trovà l'invenzion de la maschera, mi ho
pregà el forestier. I s'ha visto, i s'ha piasso(30) , i xè contenti. Vu doveressi esser più quieto, più consolà.
Xè compatibile vostra muggier, merita lode siora Marina. Mi ho operà per bon cuor. Se sè omeni,
persuadève, se sè tangheri, sodisfève. La puta xè onesta, el puto no ha falà; nualtre semo donne d'onor.
Ho fenito la renga; laudè el matrimonio, e compatì l'avocato.(31)
(Lunardo, Simon e Cancian si guardano l'un l'altro, senza parlare)
FELICE (I ho messi in sacco, ma con rason).
LUNARDO Cossa diseu, sior Simon?
SIMON Mi, se stasse a mi, lauderave.(32)
CANCIANO Gnanca mi no ghe vago in tel verde.(33)
LUNARDO E pur ho paura, che bisognerà che taggiemo.(34)
FELICE Per cossa?
LUNARDO Perché el padre del puto, vegnimo a dir el merito...
FELICE “Vegnimo a dir el merito”, al padre del puto xè andà a parlarghe sior Conte, el xè in impegno,
che se fazza sto matrimonio, perché el dise, che inocentemente el xè stà causa élo de sti sussuri, e el se
chiama affrontà, e el vol sta sodisfazion; el xè un omo de garbo; el xè un omo che parla ben, e son
segura, che sior Maurizio no saverà dir de no.
LUNARDO Cossa avémio da far?
SIMON Caro amigo, de tante, che ghe ne avemo pensà, no ghe xè la meggio de questa. Tòr le cosse
come che le vien.
LUNARDO E l'affronto?
FELICE Che affronto? co el xè mario(35) xè fenìo l'affronto.
(29)
Fatto alla vostra maniera.
Si son piaciuti
(31)
Ho terminato l'aringa, approvate il matrimonio, e compatite l'avvocato. Scherza sulla maniera con cui si terminavano
ordinariamente le aringhe degli avvocati in Venezia.
(32)
Approverei.
(33)
L'urna verde è quella de' voti contrari
(34)
Temo che si dovrà revocare.
(30)
46
I Rusteghi - Carlo Goldoni
CANCIANO Sentì, sior Lunardo; siora Felice gh'ha anca éla le so debolezze, ma per dir la verità,
qualche volta la xè una donna de garbo.
FELICE N'è vero sior Cancian?
LUNARDO Mo via, cossa avémio da far?
SIMON Prima de tuto, mi dirave de andar a disnar.
CANCIANO Per dirla, pareva, che el disnar s'avesse desmentegà.(36)
FELICE Eh chi l'ha ordenà no xè alocco.(37) El l'ha sospeso, ma nol xè andà in fumo. Fè cusì, sior
Lunardo, se volè, che magnemo in pase: mandè a chiamar vostra muggier, vostra fia, disèghe qualche
cossa, brontolè al solito un pochetin, ma po fenìmola; aspetemo che vegna sior Riccardo, e se vien el
puto, fenìmola.
LUNARDO Se vien qua mia muggier, e mia fia, ho paura de no poderme tegnir.
FELICE Via, sfoghève, gh'avè rason. Seu contento cussì?
CANCIANO Chiamémole.
SIMON Anca mia muggier.
FELICE Mi, mi: aspettè mi. (parte correndo)
SCENA TERZA
LUNARDO, CANCIANO e SIMON
LUNARDO Una gran chiaccola gh'ha quela vostra muggier. (a Cancian)
CANCIANO Vedeu! no me disè donca, che son un martuffo, se qualche volta me lasso menar per el
naso. Se digo qualcossa, la me fa una renga , e mi laudo.(38)
SIMON Gran donne! o per un verso, o per l'altro le la vol a so modo seguro.
LUNARDO Co le lassè parlar, no le gh'ha mai torto.
SCENA QUARTA
FELICE, MARINA, MARGARITA, LUCIETTA e detti.
FELICE Vèle qua, velè qua. Pentie, contrite, e le ve domanda perdon. (a Lunardo)
LUNARDO Se me fa anca de queste? (a Margarita)
FELICE No la ghe n'ha colpa, son causa mi. (a Lunardo)
LUNARDO Cossa meriteressistu, frasconcela! (a Lucietta)
FELICE Parlè con mi, ve responderò mi. (a Lunardo)
LUNARDO I omeni in casa? i morosi sconti? (a Margarita e Lucietta)
FELICE Criè co mi, che son causa mi. (a Lunardo)
LUNARDO Andève a far squartar anca vu. (a Felice)
FELICE “Vegnimo a dir el merito...” (a Lunardo, deridendolo)
CANCIANO Come parleu co mia muggier? (a Lunardo)
LUNARDO Caro vu, compatìme. Son fora de mi.(a Cancian)
(35)
Marito.
Si fosse scordato.
(37)
Qui l'autore parla di se stesso, che non si scorda ciò di cui ha parlato.
(38)
Mi fa un'aringa, ed io approvo.
(36)
47
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MARGARITA (mortificata)
LUCIETTA (piange)
MARGARITA Siora Felice. Cossa n'aveu dito? Cusì pulito la xè giustada?
SIMON Anca vu siora meriteressi la vostra parte. (a Marina)
MARINA Mi chiapo(39) su, e vago via.
FELICE No, no, fermève. Al povero sior Lunardo ghe giera restà in corpo un poco de còlera: l'ha
volesto butarla fora(40) . Da resto el ve scusa, el ve perdona; e se vien el puto, el se contenterà, che i se
sposa; n'è vero, sior Lunardo?
LUNARDO Siora sì, siora sì. (ruvido)
MARGARITA Caro mario, se savessi quanta passion, che ho provà! Credèmelo no saveva gnente. Co
xè vegnù quele maschere, no voleva lassarle vegnir. Xè stà... xè stà...
FELICE Via son stada mi, cossa ocore?
MARINA (Disèghe anca vu qualcossa). (piano a Lucietta)
LUCIETTA Caro sior padre, ghe domando perdonanza. Mi no ghe n'ho colpa...
FELICE Son stada mi, ve digo, son stada mi.
MARINA Per dir la verità, gh'ho anca mi la mia parte de merito.
SIMON Eh savemo, che sè una signora de spirito. (a Marina, con ironia)
MARINA Più de vu, certo.
FELICE Chi xè? (osservando fra le scene)
MARGARITA Oe, i xè lori.(41) (a Felice)
LUCIETTA (El mio novizzo). (allegra)
LUNARDO Coss'è? chi xè? chi vien? Omeni? Andè via de qua. (alle donne)
FELICE Vardè! cossa femio? Aveu paura, che i omeni ne magna? No semio in quarto? no ghe seu vu?
Lassè, che i vegna.
LUNARDO Comandeu vu, patrona?
FELICE Comando mi.
LUNARDO Quel forestier no lo voggio. Se el vegnirà élo, anderò via mi.
FELICE Mo perché nol voleu? El xè un signor onorato.
LUNARDO Che el sia quel, che el vol, no lo voggio. Mia muggier, e mia fia no le xè use a véder
nissun.
FELICE Eh per sta volta le gh'averà pazenzia, n'è vero fie?
MARGARITA Oh mi sì.
LUCIETTA Oh anca mi.
LUNARDO Mi sì, anca mi. (burlandole) Ve digo, che no lo voggio. (a Felice)
FELICE (Mo che orso, mo che satiro!) Aspettè aspettè che lo farò star in drio.(42) (si accosta alla
scena)
LUCIETTA (Eh no m'importa. Me basta uno che vegna).
SCENA ULTIMA
MAURIZIO, FILIPPETTO e detti
(39)
Chiapo vuol dire prendo: qui s'intende risolvo sul momento, e vado via.
Gettarla fuori.
(41)
Ehi, son dessi.
(42)
Indietro.
(40)
48
I Rusteghi - Carlo Goldoni
MAURIZIO Patroni. (sostenuto)
LUNARDO Sioria. (brusco)
FILIPPETTO (saluta furtivamente Lucietta. Maurizio lo guarda. Filippetto finge che non sia niente)
FELICE Sior Maurizio, aveu savesto come che la xè stada?
MAURIZIO Mi adesso no penso a quel che xè stà, penso a quel, che ha da esser per l'avegnir. Cossa
dise sior Lunardo?
LUNARDO Mi digo cusì, vegnimo a dir el merito, che i fioi, co i xè ben arlevai no i va in maschera, e
no i va in casa, vegnimo a dir el merito, delle pute civil.
MAURIZIO Gh'avè rason: andémo via de qua. (a Filippetto)
LUCIETTA (piange forte)
LUNARDO Desgraziada! cosa xè sto fifar(43) ?
FELICE Mo ve digo ben la verità, sior Lunardo, “vegnimo a dir el merito”, che la xè una vergogna.
Seu omo, o seu putelo? Disè, desdisè, ve muè(44) co fa le zirandole.(45)
MARINA Vardè che sesti! No ghe l'aveu promessa? no aveu serà el contrato? Cossa xè stà? cossa xè
successo? Ve l'àlo menada via? v'àlo fato disonor a la casa? Coss'è sti purelezzi? cossa xè ste smorfie?
cossa xè sti musoni? (a Lunardo)
MARGARITA Ghe voggio mo intrar anca mi in sto negozio. Sior sì, m'ha despiasso, che el vegna: l'ha
fato mal a vegnir; ma col gh'ha dà la man no xè fenìo tuto? Fina a un certo segno me l'ho lassada
passar, ma adesso mo ve digo, sior sì, el l'ha da tòr, el l'ha da sposar. (a Lunardo)
LUNARDO Che el la toga, che el la sposa, che el se destriga: son stuffo; no posso più.
LUCIETTA e FILIPPETTO (saltano per allegrezza)
MAURIZIO Co sta rabbia i s'ha da sposar? (a Lunardo)
FELICE Se el xè inrabià, so danno. Nol l'ha miga da sposar élo.
MARGARITA Via, sior Lunardo, voleu, che i se daga la man?
LUNARDO Aspetè un pochetin. Lassè, che me daga zoso la còlera.
MARGARITA Via, caro mario, ve compatisso. Conosso el vostro temperamento; sè un galantomo, sè
amoroso, sè de bon cuor; ma, figurarse, sè un pocheto sutilo.(46) Sta volta gh'avè anca rason; ma
finalmente tanto vostra fia, quanto mi, v'avemo domandà perdonanza. Credème, che a redur una donna
a sto passo ghe vol assae. Ma lo fazzo, perché ve voggio ben, perché voggio ben a sta puta, benché no
la 'l conossa, o no la lo voggia conosser. Per éla per vu, me caverave tuto quelo che gh'ho; sparzerave el
sangue per la pase de sta fameggia; contentè sta puta, quietève vu, salvè la reputazion della casa, e se
mi no merito el vostro amor, pazenzia, sarà de mi quel che destinerà mio mario, la mia sorte, o la mia
cativa desgrazia.
LUCIETTA Cara siora madre, sìela benedeta, ghe domando perdon anca a éla de quel, che gh'ho dito,
e de quel che gh'ho fato.
FILIPPETTO (La me fa da pianzer anca mi).
LUNARDO (si asciuga gli occhi)
CANCIANO Vedeu, sior Lunardo? Co le fa cusì no se se pol tegnir. (a Lunardo)
SIMON In suma(47) , co le bone, o co le cative, le fa tuto quel che le vol.
FELICE E cusì, sior Lunardo?...
LUNARDO Aspetè. (con isdegno)
(43)
Pianger, detto bassamente.
Vi cambiate.
(45)
Ruotelle di fuochi artificiali, ed anco gioccolini da bambini, che girano coll'agitazione dell'aria.
(46)
Sottile, delicato.
(47)
Insomma.
(44)
49
I Rusteghi - Carlo Goldoni
FELICE (Mo che zoggia!)
LUNARDO Lucieta. (amorosamente)
LUCIETTA Sior.
LUNARDO Vien qua.
LUCIETTA Vegno. (si accosta bel bello)
LUNARDO Te vustu maridar?
LUCIETTA (si vergogna, e non risponde)
LUNARDO Via, respondi, te vustu maridar? (con isdegno)
LUCIETTA Sior sì, sior sì.(forte, tremando)
LUNARDO Ti l'ha visto ah, el novizzo?
LUCIETTA Sior sì.
LUNARDO Sior Maurizio.
MAURIZIO Cossa gh'è? (ruvido)
LUNARDO Via, caro vecchio, no me respondè, vegnimo a dir el merito, cusì rustego.
MAURIZIO Disè pur su quel che volevi dir.
LUNARDO Se no gh'avè gnente in contrario, mia fia xè per vostro fio. (i due sposi si rallegrano)
MAURIZIO Sto baron no lo merita.
FILIPPETTO Sior padre... (in aria di raccomandarsi)
MAURIZIO Farme un'azion de sta sorte? (senza guardar Filippetto)
FILIPPETTO Sior padre... (come sopra)
MAURIZIO No lo vòi maridar.
FILIPPETTO Oh povereto mi.(traballando mezzo svenuto)
LUCIETTA Tegnìlo, tegnìlo.(48)
FELICE Mo via, che cuor gh'aveu(49) ? (a Maurizio)
LUNARDO El fa ben a mortificarlo.
MAURIZIO Vien qua. (a Filippetto)
FILIPPETTO Son qua.
MAURIZIO Xèstu pentìo de quel che ti ha fato?
FILIPPETTO Sior sì, dasseno, sior padre.
MAURIZIO Varda ben, che anca se ti te maridi, voggio che ti me usi l'istessa ubbidienza, e che ti
dipendi da mi.
FILIPPETTO Sior sì, ghe lo prometo.
MAURIZIO Varda qua, siora Lucieta, ve acceto per fia; e ti, el Cielo te benedissa; dàghe la man.
FILIPPETTO Come sa fa? (a Simon)
FELICE Via, dèghe la man; cusì.
MARGARITA (Poverazzo!)
LUNARDO (si asciuga gli occhi)
MARGARITA Sior Simon, sior Cancian, sarè vu i compari.(50)
CANCIANO Siora sì semo qua, semo testimoni.
SIMON E co la gh'averà un putelo?
FILIPPETTO (ride e salta)
LUCIETTA (si vergogna)
LUNARDO O via, puti, stè aliegri. Xè ora, che andémo a disnar.
(48)
Tenetelo, sostenetelo.
Che core avete?
(50)
In Venezia quelli che servono da testimonio nei matrimoni, si chiamano “compari dall'anello”.
(49)
50
I Rusteghi - Carlo Goldoni
FELICE Disè; caro sior Lunardo, quel forestier che per amor mio xè de là che aspeta, ve par
convenienza de mandarlo via? El xè stà a parlar co sior Maurizio, el l'ha fato vegnir qua élo. La civiltà
non insegna a tratar cusì.
LUNARDO Adesso andémo a disnar.
FELICE Invidèlo anca élo.
LUNARDO Siora no.
FELICE Vedeu? sta rusteghezza, sto salvadegume che gh'avè intorno xè stà causa de tuti i desordeni,
che xè nati ancuo(51) , e ve farà esser... Tuti tre, saveu? parlo con tuti tre; ve farà esser rabbiosi, odiosi,
malcontenti, e universalmente burlai. Siè un poco più civili, tratabili, umani. Esaminè le azion de le
vostre muggier, e co le xè oneste, donè qualcossa, soportè qualcossa. Quel Conte forestier xè una
persona propria, onesta, civil; a tratarlo no fazzo gnente de mal; lo sa mio mario, el vien con élo; la xè
una pura, e mera conversazion. Circa al vestir, co no se va drio a tute le mode, co no se ruvina la casa,
la pulizia sta ben, la par bon. In soma, se volè viver quieti, se volè star in bona co le muggier, fè da
omeni, ma no da salvadeghi, comandè, no tiraneggiè, e amè, se volè esser amai.
CANCIANO Bisogna po dirla; gran mia muggier!
SIMON Seu persuaso, sior Lunardo?
LUNARDO E vu?
SIMON Mi sì.
LUNARDO Disèghe a quel sior forestier, che el resta a disnar con nu. (a Margarita)
MARGARITA Manco mal. Vogia el Cielo, che sta lizion abia profità.
MARINA E vu, nevodo, come la tratereu la vostra novizza? (a Filippetto)
FILIPPETTO Cusì; su l'ordene, che ha dito siora Felice.
LUCIETTA Oh, mi me contento de tuto.
MARGARITA Ghe despiase solamente co le cascate xè fiape.
LUCIETTA Mo via no la m'ha gnancora perdonà?
FELICE A monte tuto. Andemo a disnar, che xè ora. E se el cuogo de sior Lunardo non ha provisto
salvadeghi, a tola(52) no ghe n'ha da esser, e no ghe ne sarà. Semo tuti desmesteghi(53) , tuti boni amici,
con tanto de cuor. Stemo aliegri, magnemo, bevemo, e femo un prindese alla salute de tuti queli, che
con tanta bontà, e cortesia n'ha ascoltà, n'ha sofferto, e n'ha compatìo.
(51)
Oggi.
Tavola.
(53)
Domestici, cioè umani, trattabili.
(52)
51
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