LA CHIESA PARROCCHIALE DI SIRIMA dedicata a Sant’Agostino d’Ippona Per noi occidentali è difficile pensare alla vita di una persona che dipende totalmente dalla Provvidenza, tanto meno immaginare una comunità di molte decine di famiglie che dipendono totalmente dalla Provvidenza. Ebbene a Sirima, in Kenya, questo accade; davvero lì ci sono centinaia di persone che ogni giorno pregano Dio perché “provveda”. Anche don Elvino Ortolan, il loro “padre”, ha deciso di condividere con loro questa esperienza cristiana, cioè vivere affidandosi totalmente alla generosa Provvidenza del Signore. Noi, forse, possiamo solo percepire quel “senso di vita cristiana”. Maurizio Martinuzzi Parrocchia di Sirima Mweiga Kenya Situata a cavallo dell’equatore a 1935 m slm, tra la catena montuosa dell’Abardare e la maestosità del Monte Kenya, Sirima era un tempo territorio abitato dai Laikipia, un sottoclan dei Masai, scomparso come entità etnica verso la fine del 1800 lasciando dietro di sé a perpetua memoria il proprio nome al Distretto: il Laikipia District che recentemente è stato suddiviso in ben 4 Distretti. Sirima fa parte ed è sede del nuovo Distretto Centrale del Laikipia. La nostra zona gode la fama d’essere il luogo ideale per l’allevamento di bovini, ovini e caprini. Un tempo era il Paradiso della fauna africana ora quasi scomparsa… Nella vastità delle sconfinate savane di Sirima il cielo e la terra si fondono nell’armonia del creato tra colline, valli e pianure che offrono pace e serenità. Ma anche qui il mondo cambia… Ai Laikipia sono subentrati i Masai e a questi - all’inizio del secolo scorso – gli Inglesi che mediante l’esproprio dichiararono “loro” tutto il Laikipia ribattezzato “The White Highlands“. Con l’indipendenza del Kenya nel 1963 molti coloni se ne andarono e le loro terre furono lottizzate e vendute in piccoli appezzamenti a prezzi minimi per dare la possibilità a migliaia di famiglie di possedere un pezzo di terra su cui costruire il proprio futuro. Le terre a Sirima furono distribuite nel 1982. La gente che ora qui vi abita è in maggioranza di etnia Agikuyu (agricoltori e pastori ma anche abilissimi imprenditori e commercianti) con disseminate qua e là su tutto il territorio gruppi di famiglie Turkana (pastori seminomadi), Masai (pastori seminomadi) e, tra gli ultimi arrivati, consistenti nuclei di Ameru, cugini dei Kikuyu, anch’essi agricoltori e pastori. Noi come Missionari Fidei Donum di Concordia-Pordenone, presenti in Kenya dal 1970, abbiamo condiviso l’insediamento ed il cammino di questa gente partecipando alla loro crescita sociale cercando di promuovere quei valori umani ed evangelici che creano aggregazione, senso di appartenenza, condivisione, dignità e identità. A Sirima le priorità per la popolazione erano l’acqua e l’educazione. Abbiamo investito grandi risorse economiche, grazie alla generosità della Diocesi, di varie Istituzioni, in prima linea il Rotary Club del Distretto 2060, e amici sparsi un po’ in tutta Italia, che hanno reso possible e significativo il nostro operare a Sirima. Con l’arrivo delle Suore, le Figlie di San Giuseppe del Caburlotto anche il settore della salute ha trovato la sua risposta nel Dispensario mentre quello educativo sta ricevendo sempre dalle Suore un sostegno incomparabile! Ultimamente stiamo promuovendo l’aggregazione giovanile attraverso lo Sport: la Missione sta completando il Centro Sportivo Giovanile con campo da calcio, pallavolo e pallacanestro. Parallelamente a queste attività di carattere sociale stiamo portando avanti da 15 anni un programma pastorale che si avvale della metodologia comunitaria del Centro Pastorale Benedettino del Sud-Africa conosciuto come Lumko. Siamo aiutati a crescere come comunità mediante un catecumenato permanente che esprime bene il nostro impegno alla solidarietà ed alla condivisione… all’ascolto della Parola che genera la Fede e la Diaconia…… Sirima è una realtà umana esclusivamente formata da immigrati: il Vangelo è la Parola che ci aiuta a vincere la paura della precarietà e la diffidenza verso lo “straniero”… Insieme, come credenti e cristiani, celebriamo la Speranza nella presenza di Colui che Risorto ci guida verso il Regno dove c’è pienezza di vita perché è di casa l’Amore. In questi 13 anni dalla fondazione della Missione di Sirima la nostra chiesa ha per pavimento la nuda terra e per soffitto il cielo! Ci manca qualcosa… il luogo dove celebrare e vivere il Mistero! Le 14 comunità che formano la famiglia della Missione di Sirima, pur avendo ciascuna una cappella in legno o in pietra, sentono il bisogno-più volte espresso di avere una “casa” comune dove poter esprimere la propria identità cattolica. Da qui il desiderio di costruire una chiesa che possa accoglierci nel giorno del Signore per celebrare una Liturgia che sia espressione del Mistero e pedagogia alla Fede che ci abiliti a vivere la Carità. La chiesa è dedicata a Sant’Agostino di Ippona perché a lui chiediamo per tutti noi il dono della conversione e l’incontro con il Signore mediante il calore della fraternità e la luce della Fede. Don Elvino Ortolan Missionario Fidei Donum a Sirima Arcidiocesi di Nyeri Nyeri - Kenya Diocesi di Concordia-Pordenone Pordenone - Italia La mia Casa può essere definita una casa di preghiere. Possa la Pace di Dio Risorto essere con te. È con gioia che presento il progetto della nuova chiesa che verrà realizzata nella missione di Sirima, diocesi di Nyeri dove esercita il ministero sacerdotale il nostro Fidei Donum don Elvino Ortolan. I preti Fidei Donum di ConcordiaPordenone, presenti in Kenya dal 1970, hanno condiviso l’insediamento ed il cammino di questa gente partecipando alla loro crescita sociale, culturale e scolastica - cercando di promuovere quei valori umani che creano condivisione, dignità e identità – e soprattutto annunciando loro il Vangelo di Gesù e l’amore di Dio Padre per tutta l’umanità. Con l’arrivo poi delle Suore, e Figlie di San Giuseppe del Caburlotto, anche il settore della salute ha trovato la sua risposta nel Dispensario. Ultimamente si sta promuovendo l’aggregazione giovanile attraverso lo Sport: la Missione sta completando il Centro Sportivo Giovanile con campo da calcio, pallavolo e pallacanestro. Sono grato alla comunità parrocchiale di Sirima per la continua testimonianza di Cristo al giorno d’oggi. Come si legge dal Vangelo: ”La parola diventa carne e dimora tra di noi“ (Giovanni 1:14), Cristo sceglie di vivere tra la gente e perfino oggi è fra di noi in molti modi: con i Sacramenti, con la Sua Parola,con la sua fedeltà etc. Vi è perciò l’esigenza di avere luoghi sacri che servano da punto di riferimento nello specifico “Luogo Divino” siano essi reliquiari o chiese dove noi incontriamo Dio. Qualsiasi luogo consacrato perciò diventa un luogo dove noi ci sentiamo a casa come fratelli e sorelle con il nostro padre che ci nutre, ci conforta, ci consola, ci corregge e ci ascolta. Invito tutti a questa venerazione attraverso le costanti visite alle nostre parrocchie con pazienza e calma, infatti come disse S. Agostino: “la fretta uccide la devozione”. S.E. Mons. Peter Kairo Arcivescovo di Nyeri Le 14 comunità che formano la famiglia della Missione di Sirima, pur avendo ciascuna una cappella in legno o in pietra, sentono il bisogno, più volte espresso, di avere una “casa” comune dove poter esprimere la loro fede e il loro senso di appartenenza. Da qui il desiderio di costruire una chiesa che possa accogliere tutta la comunità di Sirima, segno ulteriore della presenza dei missionari diocesani. La chiesa sarà dedicata a Sant’Agostino di Ippona perché Santo africano e conosciuto dalle popolazioni locali. Il tema progettuale è stato immaginare e definire un edificio-chiesa contestualizzato cioè calato in una realtà socialmente molto povera, ma con una propria storia “in cantiere”. L’habitat in cui si interviene è la savana africana, densa di quella vegetazione tipica dei luoghi con scarsità d’acqua, un’area collocata a circa 2.000 m slm e molto vicina all’equatore. Il nuovo complesso edilizio, che potrà contenere 300-350 persone, andrà ad inserirsi e a completare un’area già parzialmente urbanizzata se consideriamo le strutture pubbliche, quelle sanitarie, scolastiche e sportive, e quelle private come le abitazioni dei sacerdoti, delle suore, dei docenti scolastici ed altri.La nuova chiesa si affaccia su uno spazio comune alle strutture insediate, appena a ridosso della via pubblica di acceso, pur distinguendosi con la necessaria distanza, sia dallo spazio comune che dal complesso sanitario e dalla casa canonica. Un grazie sincero a tutti quelli che permetteranno la realizzazione di questo progetto, in particolare all’architetto progettista Maurizio Martinuzzi e a tutti coloro che lo sosterranno economicamente. Con la benedizione del Signore † Giuseppe Pellegrini Vescovo DIOCESI DI CONCORDIA-PORDENONE Commissione Arte Sacra e Beni Culturali Qualche anno fa, in occasione di un suo rientro in Italia, don Elvino Ortolan, nostro sacerdote diocesano, missionario Fidei Donum a Sirima in Kenya, è venuto nel mio ufficio e mi ha pregato di aiutarlo per la progettazione di una chiesa da costruirsi nella sua parrocchia di missione, trovando qualche architetto disponibile a farlo. Così ho lanciato la proposta fra gli architetti della Commissione Diocesana per l’Arte Sacra e i Beni Culturali e due hanno risposto positivamente. Ho consigliato loro di fare un viaggio in quei luoghi dell’Africa, per poter meglio rendersi conto dell’ambiente e della cultura della gente, per la quale dovevano progettare la chiesa; ed è ciò che hanno fatto, portando nel cuore un grande stimolo. Il lavoro di progettazione è stato poi portato avanti da Martinuzzi, uno dei due architetti che hanno aderito alla proposta e che sono andati in Africa: e con lui poi mi sono incontrato più volte, offrendo collaborazione e dando indicazioni utili; in alcuni casi con anche la consulenza preziosa, per la parte liturgica, di don Alessandro Tracanelli, direttore dell’Ufficio Diocesano per la Liturgia. Ma ha pure avuto la collaborazione di diverse altre persone, specialiste nei vari settori. Ovviamente l’Architetto Martinuzzi ha mantenuto contatti costanti con don Elvino, al fine di arrivare alla progettazione finale ed esecutiva, per poter quindi dare il via alla realizzazione dell’opera quanto prima. Ora, alla fine del percorso progettuale, viene opportunamente onorato tutto questo lavoro con anche la edizione di un libretto che ne ricordi il cammino percorso per arrivare alla meta; un cammino fatto assieme con varie persone, compresa quella comunità in Sirima che avrà la possibilità e la gioia di avere – speriamo molto presto la propria chiesa dove celebrare le liturgie e raccogliersi per pregare il Signore. Anche la scelta della dedicazione della chiesa a Sant’Agostino ha avuto e avrà un significato particolare per quella comunità. Son ben lieto quindi di questo risultato e partecipo con questa breve presentazione. E lo faccio anche a nome di don Alessandro Tracanelli, dell’Ufficio Liturgico. Mons. Remigio Clozza Presidente Commissione Diocesana per l’Arte Sacra e i Beni Culturali Dott. Giovanni Catapano SANT’AGOSTINO E IL FONTE BATTESIMALE Perché intitolare la chiesa di Sirima a Sant’Agostino? E perché raffigurare il santo proprio nello spazio riservato al fonte battesimale? Tra i fedeli e i visitatori che frequenteranno il nuovo edificio sacro vi saranno probabilmente alcuni che si porranno questi due interrogativi. È giusto fornire loro una risposta. In primo luogo, la chiesa di Sirima è intitolata a Sant’Agostino perché questi è uno dei più grandi santi africani, se non addirittura il più grande. Sant’Agostino è forse il dono più prezioso che le chiese africane hanno dato non solo all’Africa, ma alla Chiesa universale e al mondo intero. Come ha ricordato papa Benedetto XVI nell’udienza generale di mercoledì 9 gennaio 2008, «per la sua singolare rilevanza, Sant’Agostino ha avuto un influsso larghissimo, e si potrebbe affermare, da una parte, che tutte le strade della letteratura latina cristiana portano a Ippona (oggi Annaba, sulla costa algerina), il luogo dove era vescovo e, dall’altra, che da questa città dell’Africa romana, di cui Agostino fu Vescovo dal 395 fino alla morte nel 430, si diramano molte altre strade del cristianesimo successivo e della stessa cultura occidentale». Nessun altro dottore della Chiesa ha esercitato sul pensiero cattolico un influsso comparabile a quello di Sant’Agostino. La sua figura ricorda perciò agli africani il contributo fondamentale che essi hanno saputo fornire alla dottrina e alla vita della Chiesa fin dai tempi più antichi del cristianesimo. Prendendo coscienza di questo fatto storico, la comunità cattolica di Sirima potrà essere più consapevole dell’importanza che la Chiesa africana è chiamata ad avere nuovamente per il presente e il futuro della Chiesa in tutto il mondo. Ma Sant’Agostino non è soltanto una gloria del passato, di cui gli africani possono essere giustamente orgogliosi. La storia della sua vita, che egli stesso ha raccontato in maniera indimenticabile nelle famose Confessioni, contiene un messaggio perennemente valido per ogni generazione cristiana, e attualissimo anche al giorno d’oggi. Come ha più volte ricordato il beato Giovanni Paolo II, «la conoscenza esatta e affettuosa della vita di Sant’Agostino suscita la sete di Dio, il fascino di Cristo, l’amore alla sapienza e alla verità, il bisogno della grazia, della preghiera, della virtù, della carità fraterna, l’anelito dell’eternità beata» (Lettera apostolica Augustinum Hipponensem, 2). Intitolare la chiesa di Sirima a Sant’Agostino significa perciò anche riproporre la sua vita come un esempio per i fedeli di oggi; un esempio riflettendo sul quale è possibile ricavare ancora utili e profondi insegnamenti per la vita personale e comunitaria. È stata anzitutto la meditazione sulla vita di Agostino a suggerire di raffigurare il santo lì dove si trova il fonte battesimale. Il fonte battesimale rappresenta infatti, nella vita di Agostino, sia un punto di arrivo, sia un punto di partenza. Benedetto XVI lo ha spiegato con particolare chiarezza in un’omelia tenuta il 22 aprile 2007 a Pavia, città in cui sono custodite le spoglie del santo. Conviene citare le sue stesse parole: «Nel suo libro Le Confessioni, Agostino ha illustrato in modo toccante il cammino della sua conversione, che col battesimo amministratogli dal vescovo Ambrogio a Milano aveva raggiunto la sua meta. Chi legge Le Confessioni può condividere il cammino che Agostino in una lunga lotta interiore dovette percorrere per ricevere finalmente, nella notte di Pasqua del 387, al fonte battesimale il sacramento che segnò la grande svolta della sua vita. Seguendo attentamente il corso della vita di Sant’Agostino, si può vedere che la conversione non fu un evento di un unico momento, ma appunto un cammino. E si può vedere che al fonte battesimale questo cammino non era ancora terminato. Come prima del battesimo, così anche dopo di esso la vita di Agostino è rimasta, pur in modo diverso, un cammino di conversione». Dopo la decisiva conversione che lo condusse ad abbracciare definitivamente la fede cattolica, infatti, Agostino dovette nuovamente “convertirsi” a un genere di vita diverso da quello contemplativo che aveva inizialmente scelto, ossia al ministero di sacerdote e di vescovo con tutte le sue impegnative esigenze pastorali. Il fonte battesimale era perciò il luogo più opportuno per collocare l’immagine del santo a cui la chiesa di Sirima è intitolata. A ciò si aggiunge una motivazione storico-artistica: Agostino fu infatti battezzato a Milano nel battistero di San Giovanni alle Fonti, il primo battistero ottagonale della storia cristiana, che pare sia stato voluto con questa forma, ricca di significati simbolici, proprio da Sant’Ambrogio. La decisione di rappresentare Agostino in due momenti della sua esistenza, quello appunto del battesimo e quello del ministero episcopale e teologico (indicato dal libro che il santo vescovo tiene in mano), è stata motivata essenzialmente da due ragioni. La prima è che l’Agostino convertito e battezzato e l’Agostino vescovo e dottore sono le due immagini che riassumono tutta la sua biografia e la sua santità. La seconda ragione va al di là della vicenda personale di Agostino e interpella quella di ogni fedele. Se la Chiesa continua ancora oggi a fare memoria dell’esperienza esistenziale di Agostino, è perché questa può essere letta come simbolo della vita dei credenti in Cristo. L’uomo peccatore, mediante la conversione e il battesimo, viene accolto nella famiglia di Dio rinascendo come figlio adottivo nella nuova vita dello Spirito, e sorretto costantemente dalla grazia e dalla misericordia di Dio, comunicate attraverso gli altri sacramenti, diventa capace a sua volta di donare la propria vita a servizio dei fratelli. Ogni fedele che arriverà nella chiesa di Sirima potrà così riconoscersi in quell’Agostino spogliato e povero che, grazie al battesimo, viene ammesso con gioia nella casa di Dio, e ogni fedele che uscirà al termine della celebrazione liturgica potrà vedersi rappresentato in quell’Agostino che, completamente trasformato e rivestito della splendida dignità di figlio di Dio, è chiamato a donare a sua volta, con generosità e umiltà, il grande dono d’amore che ha ricevuto. In questo modo molto semplice, la comunità riunita nella chiesa di Sirima per celebrare l’Eucaristia potrà sentirsi accolta e accompagnata da Sant’Agostino, e farà proprie le stupende parole da lui pronunciate nelle omelie sul Vangelo di San Giovanni: «Mistero di amore! Simbolo di unità! Vincolo di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha di che vivere. S’avvicini, creda, entri a far parte del Corpo di Cristo, e sarà vivificato». Dott. Giovanni Catapano EURO ENGINEERING SRL – PORDENONE Sono stato, da sempre, abituato a progettare grandi ponti, acciaierie, impianti industriali, capannoni in acciaio; Chiese, no. Quando mi è stato proposto di vestire strutturalmente questo progetto, sono stato, per un attimo, perplesso, poi, immediatamente attratto, invece, dai significati intrinsechi, che ogni particolare e dettaglio architettonico porta con se. Ogni scelta, dimensione e finitura di questo progetto, ha il suo significato; mi sono sentito immedesimato in ciò ed ho voluto, da subito, essere coinvolto nel lavoro, con la determinazione di voler far coinvolgere anche la struttura portante, solitamente amorfa e fredda, all’ottenimento di un qualche significato, che superi il seppur importante aspetto, strettamente, tecnico. Una chiesa bellissima, e se lo dice un ingegnere, la cui categoria, ha, simpaticamente, da sempre, un rapporto d’amore e d’odio, nei confronti di quella degli architetti, potete credermi. D’altronde credo che tutti l’abbiano già potuto verificare. La struttura portante sarà semplice, ma forte; facile, ma sicura. Sullo zoccolo solido di calcestruzzo e pietra eleveremo una struttura metallica leggera ed ariosa, su colonne circolari in acciaio, fatta per durare nel tempo, come si addice al simbolo che questo edificio rappresenta. Ing. Roberto Bassi RELAZIONE TECNICA DEL PROGETTO PREMESSA Dunque si parte da una esperienza di tipo professionale, la progettazione della chiesa parrocchiale di Sirima. Per mia fortuna lo studio di progettazione è via via divenuto un gruppo di persone numeroso e variegato per esperienza culturale e professionale ma tutti infine motivati per realizzare quel progetto di chiesa “riuscita” come amava ricordare il compianto S.E. Mons. Carlo Chenis, ovvero realizzare il “Progetto” per definizione: la chiesa. Persone, amici, che voglio citare in premessa perché quanto di seguito descritto e visibile appartiene anche a loro, e a loro va il mio sentito ringraziamento: - Mons. Remigio CLOZZA (Presidente Commissione Diocesana per l’Arte Sacra e i Beni Culturali - Diocesi di Concordia-Pordenone) - Don Alessandro TRACANELLI (Liturgista Diocesi di Concordia-Pordenone) - Ing. Roberto BASSI (Euro Engineering - Strutturista) - Dott. Giovanni CATAPANO (Università degli Studi di Padova Studioso di Sant’Agostino) - Geom. Nicola DI BON (Topografo) - Mauro MARTINUZZI (Designer) - Dott. Federico LENARDUZZI (Consulente grafica e CAD) Una chiesa “riuscita” è quella che sa contenere ed esprimere in modo sincronico la unicità della storia della comunità che la vive e la STORIA, la vita di Gesù. In altri termini a partire dalla “forma” teologicoliturgica della chiesa conciliare il tema progettuale è stato immaginare e definire un edificio-chiesa davvero contestualizzato, un concetto che in occidente può essere facile da comprendere in un contesto probabilmente conosciuto, i cui codici di lettura sono molti e disponibili: più complesso è calarsi in una realtà nuova, socialmente molto povera, con una propria storia “in cantiere” e lì immaginare una chiesa! È stato necessario quindi leggere con attenzione il loro “modo” di prepararsi o predisporsi per l’incontro eucaristico e conseguentemente immaginare i luoghi della chiesa, più propriamente definirne l’impianto liturgico e la conseguente composizione spaziale. IL SAGRATO Il primo atto è il riunirsi, cosa che quelle popolazioni fanno provenendo da luoghi lontani anche 12 chilometri percorsi a piedi, incontro che precedono con un saluto rituale e proseguono poi con il racconto del quotidiano, ricco di gestualità, a cui dedicano molto tempo com’è nella loro tradizione, in una vibrante attesa già condivisa con il sacerdote che si dispone per il rito di ingresso, come dev’essere, a partire dal sagrato: è in quel momento che ci si riconosce comunità cristiana, è in quel momento che si condividono le gioie e i dolori dell’altro e si rimanda nell’esperienza eucaristica l’invocazione e il ringraziamento al Signore. Dunque abbiamo pensato ad uno spazio-sagrato ampio, senza barriere, arricchito dall’ombra del pronao e del verde perimetrale, uno spazio che non delimita il “sacro” ma che si apre per favorire l’accoglienza e il dialogo a quel “profano” così complesso e così bisognoso dell’incontro. L’AULA L’azione liturgica, assolutamente dinamica e partecipativa, è lungamente danzata e cantata; non si tratta di una ritualità tribale “rivisitata” in chiesa ma di un modo autentico di esprimere le emozioni più intime, quelle della gioia e, in determinate circostanze, quelle del dolore; c’è da considerare che in occidente viviamo in chiese riccamente “disegnate” che sono di fatto la secolare sintesi storico-liturgico-artistica delle comunità di riferimento, dalle quali ricaviamo quel “trasporto” interiore propedeutico la celebrazione, anzi consideriamo questa condizione come indispensabile tanto da trovarci smarriti in chiese “povere”; in Kenya non c’è memoria storicoreligiosa ed i luoghi di culto che ho visitato sono apparentemente “spogli”, pieni però di quell’energia emanata dalla danza e dal canto che si alternano a momenti di totale silenzio, resi poi ancor più vibranti dalla sola voce del celebrante: in questa azione liturgica c’è una forte dimensione “concelebrativa”. L’aula pertanto è pensata con spazi e percorsi favorevoli a questa “dinamica”, così come la disposizione delle sedute favorisce la partecipazione dell’assemblea, a partire dal luogo del battesimo fino a concludersi in quello spazio che precede l’altare: l’onfalo. IL FONTE BATTESIMALE Il rito Sacramentale del Battesimo si svolge in forma rigorosamente assembleare e svolto alla vigilia della Pasqua come da tradizione, dopo che i catecumeni hanno concluso due anni di cammino spirituale. La sua collocazione nella chiesa, oltreché precedere rigorosamente l’aula, tiene conto anche della possibilità di utilizzo del sagrato quale luogo celebrativo in caso di grande affluenza di fedeli, come nel caso dei battesimi, oppure per la Confermazione, con la “presenza” di 70-100 catecumeni e qualche centinaio di familiari, rendendo il pronao un ideale “presbiterio temporaneo” e da ciò il fonte battesimale reso disponibile; inoltre questa collocazione, subito dopo l’ingresso, coincide anche con un personale recupero di quel “segno permanente” che accoglie non solo il catecumeno ma anche il battezzato lungo tutto il suo percorso di vita cristiana; la forma ottagonale del fonte battesimale, realizzato interamente in marmo, è volutamente semplice e intuitiva, forse per alcuni scontata, ma credo qui efficace nella sua “semplicità” formale; dal punto di vista iconografico nella faccia dell’ottagono rivolta verso l’ingresso sarà inserita l’immagine di Sant’Agostino uomo di scienza, laico, e in quella rivolta verso l’aula l’immagine di Sant’Agostino Vescovo e Dottore della Chiesa. L’AMBONE La proclamazione della Parola vede coinvolti molti laici, e spesso è celebrata da soli laici; una esperienza la loro oramai matura e consolidata che vede la popolazione locale fortemente responsabilizzata e partecipativa alla vita religiosa; le necessità logistiche relative alle distanze, le molte chiese, quattordici per la precisione, nonché l’assenza di sacerdoti hanno contribuito a far crescere una liturgia della Parola avente un preminente ruolo liturgico per le comunità locali, interpretato peraltro da almeno cinque persone con un rituale virtuoso e coinvolgente: in questa azione liturgica noto una forte coerenza conciliare da noi stranamente difficile da realizzare. Il luogo della Parola quindi è molto ampio, non solo per la normale accessibilità del celebrante o dei concelebranti ma anche per la presenza dei laici abituati ad uno spazio “dedicato”; l’ambone è in legno con una forma circolare com’è consuetudine per questo segno Cristologico. L’ALTARE La prima volta che ho conosciuto don Elvino Ortolan è stato attraverso una registrazione digitale divulgativa della missione che ho consultato prima recarmi a Sirima. In quella comunicazione il primo “bisogno” indicato per la comunità, come se fosse il più urgente e grave, era quello dell’aggregazione-integrazione tre le diverse etnie residenti, i Kikuyu, i Turkana e i Masaai, popolazioni storicamente nomadi, ora invece costretti ad una vita stanziale e socialmente condivisa. Nel progetto dell’altare ho pensato ad una stratificazione orizzontale di elementi marmorei colorati, alcuni costituenti l’Ara del Sacrificio, con precise caratteristiche, quali la varietà del colore, lo stesso spessore ed eguali misure dei lati, per significare l’originalità nella diversità, l’eguaglianza nell’apparente separazione, e in quell’insieme stratificato un’idea di unicità capace di “sostenere” la Mensa del convito Pasquale realizzata infine con una pietra bianca di diverso spessore. LA CAPPELLA DEL SANTISSIMO Come detto, in Kenya non c’è memoria storicoreligiosa, non sono conosciute le storie dei santi e l’impianto liturgico-iconografico delle chiese è semplicemente circoscritto all’altare, al crocefisso, alla devozione mariana e a quella del Santissimo Sacramento. L’adorazione del Santissimo, quale preghiera “personale”, è l’unica eccezione in un contesto celebrativo fortemente caratterizzato dall’assemblearità e, per questo, luogo irrinunciabile dell’intimità personale con Dio. Si è ritenuto di realizzare uno spazio proprio collocato a lato dell’ingresso della chiesa avente le caratteristiche tipiche del luogo del Santissimo: innanzitutto la collocazione al centro del vano della Custodia Eucaristica, il cui supporto sarà oggetto di un ulteriore studio esecutivo; lo spazio e l’arredo necessario per l’adorazione stando in piedi, seduti o inginocchiati; la comunicazione e visibilità con l’aula; la luce discreta; un accesso esterno per consentire la “visita” anche nei momenti non celebrativi; la collocazione a ridosso della cappella del Santissimo, comunicante per il solo sacerdote, con il luogo della Riconciliazione, così comunque collocato all’ingresso della chiesa, come prescritto, quando questo sacramento è celebrato in forma privata. IL COMPLESSO ARCHITETTONICO Il sito L’habitat in cui si interviene è la savana africana, densa di quella vegetazione tipica dei luoghi con scarsità d’acqua, un’area collocata a circa 2.000 m slm. e molto vicina all’equatore; da un punto di vista morfologico, oltre agli aspetti tecnici riferiti dall’altitudine, al vento, all’escursione termica, ecc.., nell’altopiano in cui si interviene nulla risulta orizzontale, ci troviamo in totale assenza di “piani” e il terreno si presenta sempre roccioso. Il nuovo complesso edilizio va ad inserirsi e a completare un’area già parzialmente urbanizzata se consideriamo le strutture pubbliche, quelle sanitarie, scolastiche e sportive, e quelle private come le abitazioni dei sacerdoti, delle suore, dei docenti scolastici ed altri. La nuova chiesa si affaccia su uno spazio comune alle strutture insediate, appena a ridosso della via pubblica di acceso, pur distinguendosi con la necessaria distanza, sia dallo spazio comune che dal complesso sanitario e dalla casa canonica. La forma Altri “luoghi” e l’arredo Vista dall’alto, la forma della chiesa è stata interpretata come uno scudo tribale, un’arma che non offende ma difende, che protegge; casualmente anche la disposizione delle sedute rafforza questa lettura “simbolico-religioso-tribale”: dunque chi risiede nel Tempio è al “sicuro”, protetto da Lui, questa è l’interpretazione data. Per quanto mi riguarda, lo spazio pensato è la sintesi degli andamenti curvilinei che regolano l’intorno morfologico, sia in pianta che nell’andamento ascendente del volume verso l’abside, ma anche quell’idea di “continuità spaziale” che la curva ti consente di generare e ti “aiuta” infine a rendere coerente la forma architettonica con lo spazio sacro. Nella nuova chiesa l’abside è orientata ad est in direzione del Monte Kenya che per una felice coincidenza mette in relazione l’antica tradizione cristiana di orientare le chiese al sorgere del sole, e la tradizione locale che assegna al Monte Kenya una valenza di “sacralità”. Oltre quanto già detto è necessario completare la descrizione della chiesa a partire dal presbiterio laddove si prevede uno spazio dedicato alla Presidenza e costituito dalla sede del Presidente, ben distinta dalle altre sedute per i concelebranti e\o ministranti, tutte realizzate in legno riprendendo quelle forme curvilinee già presenti nell’ambone; è prevista la croce astile con il Cristo Risorto, e la “credenza” per le normali necessità nello svolgimento dei riti Sacramentali. Nel presbiterio si realizzano due “schermature” laterali con pannelli curvilinei per delimitare, a destra, il luogo della Parola, a sinistra il luogo della devozione alla Madonna, Madre della Chiesa: non c’è chiesa senza la sua “presenza” e il suo posto, non a caso, è pensato tra l’aula e il presbiterio. Accanto all’ambone è previsto il candelabro per il cero pasquale. All’interno dell’aula sono evidenti 14 colonne corrispondenti alle 14 stazioni della Via Crucis. La Porta Santa è in legno naturale massello e vetro. Le sedute sono pensate fisse e costituite da una base in calcestruzzo e il rivestimento in legno per la seduta e lo schienale. Si è pensato anche ad uno spazio di servizio per la sacrestia e il servizio igienico. Nel piano semiinterrato sono previste alcune aule parrocchiali e gli uffici amministrativi. L’edificio inoltre è dotato di accesso per disabili e uscite di sicurezza. La chiesa parrocchiale di Sirima può contenere 300-350 persone. La luce Come detto, ci troviamo molto vicini all’equatore e dunque la luce del sole insiste allo zenit per molte ore al giorno; mi è parsa, questa, un’opportunità che non poteva essere trascurata, una risorsa “venuta dal cielo” dal grande significato simbolico per noi cristiani: ho pensato di indirizzare una luce sul fonte battesimale, “generata” dalla croce collocata all’esterno sul pronao, quale l’inizio della vita cristiana, e poi un ampio ciborio sull’altare, laddove tutto ha esito. I materiali L’edificio-chiesa ha una struttura portante verticale e di copertura in ferro, costruita in Italia e trasportata a Sirima per la posa; a tal riguardo mi preme ricordare con affetto e gratitudine il Cav. Ing. Armando Cimolai di Pordenone. Le murature perimetrali sono in pietra locale opportunamente intonacate e dipinte con colore bianco sia internamente che esternamente la chiesa; il sagrato è pavimentato con pietra naturale proveniente da cave locali, fortunatamente molto vicine a Sirima; i pavimenti interni sono finiti con pitture idrorepellenti su base di cemento lisciato; i serramenti sono previsti in alluminio di adeguata sezione e composizione. Conclusione Come concludere se non svelare che c’è stato un’ispiratore che ha reso “facile” un compito per me molto “difficile”, e come non ammettere che c’è stato un “suggeritore” attento e amoroso: grazie don Elvino e grazie Giuliana. Arch. Maurizio Martinuzzi