PERSONA E MERCATO Rivista periodica on-line www.personaemercato.it Persona e Mercato Numero 2 – Giugno 2010 Persona e Mercato - Indice Saggi Dialogo con Giuseppe Benedetti su Ermeneutica e Diritto europeo, a cura di Giuseppe Vettori…... p. 83 La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore, di Stefano Pagliantini............................................................. p. 86 Invalidità del contratto e restituzioni, di Giovanni Passagnoli…………...……………….. p. 100 Materiali e commenti Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale, di Antonio Gorgoni………… p. 108 Persona e Mercato è una rivista fondata da Giuseppe Vettori. Editore: Persona e Mercato Direttore Scientifico Responsabile: Giuseppe Vettori Redazione: Fabio Addis; Massimo Franzoni; Marisaria Maugeri; Emanuela Navarretta; Fabio Padovini; Stefano Pagliantini; Giovanni Passagnoli; Pietro Sirena. Collaboratori: Antonio Gorgoni, Francesca Lucchesi, Mario Mauro, Serena Meucci. Segreteria: P.zza San Marco 5, 50121 Firenze. E-mail: [email protected] Info: www.personaemercato.it Attualità Centralità del giudice e filtro in Cassazione (sull’art. 360 bis c.p.c.), di Giuseppe Vettori…... p. 129 Persona e Mercato è testata registrata in data 9/10/2000 al n. 4995 dell’elenco della stampa periodica curato dal Tribunale di Firenze. Tutti i diritti di riproduzione sono riservati, comprese le rappresentazioni grafiche ed iconografiche. Ogni riproduzione, anche parziale e qualunque sia il formato e il supporto, è vietata, tranne per uso privato senza alcuno scopo commerciale. Sono consentite, inoltre, le citazioni a titolo di cronaca, studio, critica o recensione. In ogni caso, l’integrità dei documenti riprodotti dovrà essere rispettata e la riproduzione, anche parziale, dovrà essere accompagnata dall’indicazione della fonte. Hanno collaborato a questo numero: Antonio Gorgoni; Stefano Pagliantini; Giovanni Passagnoli; Giuseppe Vettori. Persona e Mercato Persona e Mercato - Saggi A cura di Giuseppe Vettori Caro Professore, in una sua recente Lezione il metodo di analisi del diritto europeo si è arricchito sino a sollecitare una percezione nuova del civilista per porsi in sintonia con una materia che rivendica una spiccata peculiarità. Vuole indicarci i tratti di questo percorso. Persona e Mercato Nel recente volume di Paolo Grossi, L’Europa del diritto, l’analisi storica termina con l’indicazione di un «faticoso e grandioso processo» per formare, da un arcipelago di diritti nazionali, un continente innervato dalle tradizioni culturali e giuridiche di civiltà diverse e plurali. Questo iter si designa come integrazione europea. Il discorso muove da alcune consapevolezze ormai acquisite. Lo Stato nazionale non è più sufficiente a risolvere problemi assoluti che valicano confine e territorio. La legge non è più l’unica fonte di produzione delle regole in un sistema complesso di emersione della giuridicità. Lo spazio sconfinato del mercato esige regole e impone strumenti di analisi diversi dal passato. Ma tutto ciò è solo una constatazione di partenza per la comprensione del presente e della via da per- correre. A tal fine è necessario un dialogo che non teme di sorpassare il diritto positivo e si fonda su un continuo domandare. La prima domanda concerne la possibilità di utilizzare le tradizionali categorie ordinanti quali: Stato, territorio, sovranità, fattispecie. Come ho premesso, il metodo deve essere tagliato sulla cosa. Nella specie dovrà essere adeguato alla nuova realtà. Le vecchie categorie non ci consentono di comprendere come si forma il diritto europeo. E’ necessario mettersi in consonanza col fenomeno da analizzare, l’integrazione europea: senza l’affinità con la cosa, avverte Platone, nella Settima Lettera, neppure Linceo saprebbe darci la vista. Gli euro-scettici commettono un errore che sta alla radice del pensiero: l’approccio condiziona in limine l’analisi. Lo scenario è caratterizzato da un’antinomia: le pretese del Diritto dell’Unione non possono restare indifferenti alle culture e alle tradizioni nazionali: questa antinomia è rappresentata bene nella locuzione unità nella diversità. | 83 Dialogo con Giuseppe Benedetti su Ermeneutica e Diritto europeo (a cura di Giuseppe Vettori) DIALOGO CON GIUSEPPE BENEDETTI SU ERMENEUTICA E DIRITTO EUROPEO. Persona e Mercato - Attualità Persona e Mercato - Saggi Come la si risolve questa antinomia? Dialogo con Giuseppe Benedetti su Ermeneutica e Diritto europeo (a cura di Giuseppe Vettori) | 84 Si risolve con un criterio che si riassume in una sola parola: equilibrio. Il linguaggio è la dimora dell’essere. La parola equilibrio è formata da equus e librare (libra è la bilancia). Dunque, esige bilanciamento e ponderazione, secondo equità. Il termine può avere un significato statico, di conservazione dello status quo; ma qui è assunto nel suo significato dinamico, che è il più comune: evoca non la conservazione, ma la marcia equilibrata verso un ordine nuovo. Ciò pone un’ulteriore domanda: quali sono gli strumenti tecnici più adeguati per realizzare, sul piano del diritto, l’equilibrio? Il nostro dialogo entra nel vivo. Certo. Per realizzare l’equilibrio non si possono utilizzare gli strumenti tipici del vecchio sistema municipale, come ad esempio la fattispecie o il sillogismo. Occorre mettere fra parentesi questo strumentario, per osservare con occhi limpidi la cosa. Innanzitutto si deve abbandonare l’ambizione di perseguire una verità assoluta, per abbracciare un pensiero che si adatti e si realizzi hic et nunc a seconda del contesto storico. Un pensiero contestuale che non va in cerca di verità universali. Secondo l’ammaestramento di Heidegger, che si trova nelle prime pagine di Essere e Tempo, «il livello di una scienza si misura dall’ampiezza entro cui è capace di ospitare la crisi dei suoi concetti fondamentali». Tutto ciò sembra legittimare l’attività del giudice, ma come rispondere ai dubbi di chi reputa che siano vanificati i diritti politici dei cittadini, in presenza di un legislatore che non è più l’unica fonte di produzione del diritto? La verità è che nel tempo presente il diritto, (e il discorso si accentua per il diritto europeo) non può essere del tutto prestabilito. Sicché i giudici e la dottrina debbono non tanto creare, ma trovare la regola nelle diverse culture da integrare, che perciò vanno interrogate. Questo è ben lontano dal governo dei giudici, esprime solo una nuova forma della democrazia costituzionale e una rivincita della natura pratica del diritto, che si esprime in un ordine europeo che non è un dato, ma si automanifesta come espressione delle culture giuridiche nazionali in evoluzione e in continuo confronto. 4. Il “rischio giustizia”. Resta da precisare come e dove la dottrina e i giudici possono trovare le regole nuove. La risposta sta in un’altra parola: il dialogo. L’impatto delle regole e dei principi europei con gli ordinamenti nazionali sta nelle cose e perciò il giurista non può evitarlo, ma deve saperlo governare. Qui dobbiamo arrivare ai Principi, e perciò occorre varcare le soglie della filosofia. Heidegger utilizza la frase famosa di Marx (dalla Dodicesima Tesi su Feuerbach) secondo la quale la filosofia, sino ad allora limitata a comprendere il mondo, doveva iniziare a cambiarlo. Heidegger aggiunge che il cambiamento può essere governato solo dalla filosofia. Io credo che a ciò più si adatti la recente filosofia ermeneutica, che appresta i fondamenti. Concetto non facile e spesso travisato. Ce ne può indicare i punti essenziali per il discorso del giurista? La risposta richiederebbe ampio svolgimento, inducendo passaggi ineludibili che attraversano quantomeno il pensiero di Gadamer e del suo Maestro Heidegger. Cercherò di ridurre il discorso a poche battute. Bisogna prendere le mosse proprio da Heidegger per intendere come l’ermeneutica, da metodica dell’interpretazione, diviene questione fondamentale della filosofia e dunque ermeneutica filosofica. Heidegger, radicalizzando e universalizzando la comprensione ermeneutica, la sospinge dal piano epistemologico a quello ontologico, ove svolge l’analitica dell’Esserci. In quel luogo, la comprensione ermeneutica si scopre come l’Essere dell’Esserci, nelle cui strutture essenziali viene assunta. Questa nuova dimensione teoretica sorpassa la tradizionale ambizione epistemica dell’interpretazione metodica e diviene filosofia, filosofia ermeneutica. Se sono riuscito ad evocare, seppure rozzamente, la svolta heideggeriana, possiamo trascorrere a Gadamer. Il quale, sulla base della radicalità del pensiero del Maestro, volge il suo interesse verso altro versante. Se il pensiero di Heidegger, malgrado tutto, rimane essenzialmente incentrato sul problema dell’Essere, nell’orizzonte della finitezza dell’Esserci, Gadamer dirige il suo sguardo al Mondo, orientando il suo pensiero verso un sapere pratico. In questa prospettiva fonda la sua filosofia sulla phronesis, la prudentia, da intendere, oltre la tradizionale virtù, come Vernuftigkeit, e cioè «ragionevolezza del sapere pratico». In questo orizzonte si tematizzano i grandi problemi attuali, come quello della Se tutto ciò è vero non credo che esista un “rischio giudice” ma piuttosto un pericolo attuale imputabile alla crisi profonda della giustizia civile in Italia. Il perché è sin troppo facile da motivare. I dati che emergono dalle ultime Relazioni del Primo Presidente della Cassazione sono desolanti23. Di fronte a ciò occorre anzitutto rifuggire da atteggiamenti banali e inutili. Non è proficuo il disincanto e la noia di fronte alla «periodica litania dei tempi eterni» tracciata dalle cerimonie di apertura degli anni giudiziari. Ma anche l’indignazione della denunzia ha ben poco valore. Per un motivo preciso. «Capire è difficile. Richiede tempo e acquisizione di conoscenze e pazienza. Proporre rimedi o costruire programmi è ancora più difficile: richiede tempo e pazienza e immaginazione e creatività e capacità di far convergere su un punto l’opinione di molti. Manifestare indignazione è invece molto facile»24. Tanto che viene da pensare a quanto scriveva Marshal Mc Luhan, ricordato di recente da Paolo Rossi. Quando diventa solo un esercizio retorico o sfocia in una «predica apocalittica» «l’indignazione morale è la strategia adatta per rivestire di dignità un imbecille»25. 23 Nel rapporto Doing Business che la banca Mondiale «redige per fornire indicazioni alle imprese sui Paesi in cui è più vantaggioso investire» «i Paesi europei (tranne la Spagna) sono tra i primi 50 (Germania 9° posto, Francia 10°, Belgio 22°, Regno unito 24°, Svizzera 32°). L’ Italia è al 156° su 181, dopo Angola, Gabon, Guinea e prima di Gibuti, Liberia, Sri Lanka, Trinidad». Per il recupero di un credito commerciale si stimano 1210 giorni in Italia, 331 in Francia, 394 in Germania, 316 in Giappone, 515 in Spagna. Il numero dei giudici in Italia non è inferiore a quelli europei e le risorse destinate sono addirittura superiori a quelle della Francia, ma in questo paese la durata dei processi ha una durata di 15 mesi per un processo in Cassazione, 12 in Corte di Appello, 5 per i Tribunali. Contro ai cinque anni per i giudizi di primo e secondo grado e oltre gli otto di una procedura fallimentare in Italia, con disparità enormi da regione a regione. Tutto ciò è stimato (dalla Confartigianato) in un danno per le imprese di oltre due miliardi l’anno. Le responsabilità sono naturalmente distribuite fra molti agenti. Il numero degli avvocati (213.081 contro i 154.953 in Spagna, 146.910 in Germania,139.789 in Inghilterra,47.765 in Francia). La massa del contenzioso (su 100.000 abitanti esistono 6.277 cause civili in Italia, 1844 in Francia, 1787 in Spagna, 661 in Germania). Cause esterne come la irrazionale distribuzione delle sedi e delle risorse e cause interne alla magistratura. L’abuso del processo. 24 P. ROSSI, Speranze, Bologna, 2008, p. 17. 25 P. ROSSI, op. cit., p. 18. 5. Giudizio di legittimità e filtro in Cassazione (art. 360 bis) Un segno di novità può giungere dalla nuova disciplina dell’art. 360 bis del codice di procedura civile e sul ruolo che può assumere la Corte di Cassazione si può muovere ancora dalle parole di Piero Calamandrei . La Corte è posta al centro e al vertice della interpretazione giudiziaria come «organo unificatore e regolatore»; ha carattere costituzionale nel coordinare la funzione legislativa e la funzione giudiziaria e uno scopo unificante dell’ordinamento giuridico nella fase di formazione o di formulazione del diritto da applicarsi ai casi futuri. Il mezzo che permette di far camminare di pari passo l’interesse individuale alla giustizia del caso singolo e l’interesse pubblico alla esatta interpretazione della legge in astratto è il ricorso per Cassazione26. La scelta poteva essere diversa ma si è voluto sfruttare l’interesse individuale al servizio dell’interesse pubblico per un motivo chiaro. L’interesse individuale è soddisfatto dall’annullamento della sentenza. L’interesse pubblico attende soddisfazione dalla motivazione ove si ha un «ammaestramento scientifico» frutto della «fusione fra insegnamenti della pratica e della dottrina»27. La nuova disposizione del codice di procedura civile (360 bis) può aiutare il processo di consolidazione e di revisione del precedente tramite, appunto, il giudizio di inammissibilità che si ha quando la sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza consolidata o quando i motivi non offrono elementi nuovi per confermare o mutare tale indirizzo. E’ evidente il richiamo in tale formulazione ad un dialogo fra operatori consapevoli e protagonisti di una nuova stagione della pronunzia di legittimità. Avvocati giudici e studiosi debbono conoscere a fondo il diritto vivente e devono essere attenti, gli uni a sconsigliare il ricorso ai loro clienti o a proporre alla Corte elementi nuovi di valutazione, gli altri a esaminare la necessità o meno di un mutamento dell’indirizzo consolidato. Insomma la nuova regola processuale può essere un buon strumento per assicurare certezza e flessibilità all’ordinamento e per favorire una vera teoria della prassi che nella nostra cultura giuridica, nonostante la sollecitazione dei maestri, non ha avuto sviluppi considerevoli. Mi auguro che davvero sia così. 26 P. CALAMANDREI, voce, Cassazione civile, in Nuov. dig. it., Torino 1937, p. 981 ss; ora in Opere giuridiche, 8, Napoli, 1979, p. 8 ss. 27 P. CALAMANDREI, op. cit., p. 12 ss. | 133 Centralità del giudice e filtro in Cassazione (Giuseppe Vettori) Ma il principio sollecita subito un’altra domanda: come si può procedere verso questo arduo percorso? Persona e Mercato - Saggi bus e di recente per le decisioni sul nesso causale e le regole di responsabilità e ciò ha dato buoni risultati. Non sempre, naturalmente, è stato così. Centralità del giudice e filtro in Cassazione (Giuseppe Vettori) b) Certezza e flessibilità. D’altra parte le sentenze di legittimità devono | 132 stabilizzare il diritto applicato dalla giurisprudenza dominante e consolidata. Ciò lo si può ottenere attraverso l’utilizzo dei principi costituzionali in funzione integrativa di clausole generali o attraverso la mediazione di norme ordinarie a struttura aperta con una circolarità fra norme, principi e leggi ordinarie e comunitarie che è il filtro per dare rilievo a nuovi bisogni e nuovi interessi. La vicenda del danno non patrimoniale ne è una riprova. Per una serie di motivi precisi. La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 non si arresta ai diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti ma consente all’interprete (ex art. 2 Cost.) di «rinvenire nel sistema indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano di rango costituzionale». C’è in questa affermazione il rinvio alla produzione di una regola del caso che supera l’idea moderna di soggetto, attraverso il rilievo della diversità, della autodeterminazione, delle dinamiche del corpo come valori che innovano e completano lo statuto della persona. Questa regola per essere effettiva deve muovere dagli articoli 2 e 3 Cost., richiamare le norme che precisano i vari contesti di rilevanza costituzionale della vita di relazione (famiglia, scuola, lavoro, processo), tenere conto delle fonti comunitarie e delle leggi ordinarie di attuazione dei principi costituzionali. Basta pensare alla nuova disciplina degli articoli 414 e seguenti in tema di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia ove emergono aspetti di debolezza e fragilità del soggetto prima privi di rilevanza o alla nuova forma giuridica dell’art. 96 c.p.c. che assegna rilievo forte al pregiudizio morale che il processo di per sé produce come è riconosciuto dalla Corte di Strasburgo e dai giudici di legittimità. Certo, se trascuriamo la questione della tipicità del danno non patrimoniale che potrebbe tornare nell’agenda del giudice delle leggi, restano altri aspetti ancora controversi da comporre in un’attenta revisione teorica che sia in grado di consolidare l’indirizzo giurisprudenziale. Cito solo il danno non patrimoniale da inadempimento e il concorso di responsabilità. Rispetto al primo resta poco comprensibile il limite della situazione di rilevanza costituzionale perché la fonte negoziale può dare rilievo, come oggetto dell’accordo, ad interessi anche di profilo diver- so20 e in caso di lesione è difficile escludere la loro risarcibilità o ricondurli con un espediente ad un diritto inviolabile. Non fosse altro perché sono tanto violabili che si sente la necessità di fissare un obbligo di inviolabilità che non può coincidere affatto con la «soglia» costituzionale. Quanto al concorso la nuova giurisprudenza lo considera un inutile espediente, ma il tema cela invece la sempre più difficile linea di confine fra le due aree di responsabilità, ed evoca il tema diverso ma collegato del concorso di norme. Basta pensare al danno endofamiliare o all’OPA ove la responsabilità aquiliana, in un caso, e la responsabilità contrattuale o precontrattuale nell’altro, si richiamano in concorso con le regole specifiche di tutela di interessi coniugali o dei soci di capitale. Resta dunque un tratto di strada ancora da compiere21. c) Efficienza e ragionevolezza. Un momento alto dell’equilibrio fra legge e giurisdizione si è avuto nella precisazione dei rimedi contro l’inadempimento di un obbligo. E’ nota la vicenda. Si muove alla ricerca di un criterio fra principi e regole in un settore ove l’eccesso di distinzioni concettuali era fonte di difficoltà per tutti. L’interpretazione congiunta di norme non univoche (1453, 1218, 2697) muove da un criterio di ragionevolezza che esclude di attribuire «diversa rilevanza al fatto inadempimento a seconda del tipo di azione che venga in concreto esercitata». Si va alla ricerca di un principio di persistenza del diritto (2697) e di riferibilità o vicinanza della prova (art. 24 Cost.) e si grava il creditore del solo onere probatorio della fonte negoziale o legale del suo diritto. Tutto ciò passa poi al vaglio, in una sentenza successiva, della costruzione dogmatica. Si recupera una forte dottrina processuale che costruisce nelle obbligazioni positive il risarcimento del danno, la risoluzione e l’adempimento come parte di una struttura complessa del rapporto obbligatorio. Sicché non è l’inadempimento fatto costitutivo della domanda (di risoluzione o di risarcimento) ma l’adempimento fatto estintivo dei diritti sorti con il contratto in favore del creditore. Tutto ciò per costruire la regola operativa con un procedere autorevole e convincente22. 20 G. VETTORI, Diritto privato e ordinamento comunitario, Milano, 2009, p. 33 ss. 21 v. sul punto G. VETTORI, Diritto privato e ordinamento comunitario, cit., p. 307 ss. e 324 ss. 22 G. VETTORI, Diritto privato e ordinamento comunitario, cit., p. 280 ss. tolleranza, della interculturalità, del dialogo religioso e così via. Così si comprende come Gadamer, nella sua analisi, abbia assunto a figura esemplare la iuris-prudentia, che è la prudentia della quale si è impadronito, con quel genitivo possessivo, il diritto. Io credo che questo pensiero ermeneutico possa essere adeguato fondamento e giusto accesso al diritto europeo, e accompagnarlo nel processo storico dell’integrazione. Come ha detto Gadamer, l’ontologia non è riuscita a scongiurare la tragedia del secolo breve. Gadamer aveva compreso il ruolo che nella filosofia contemporanea deve assumere la ragionevolezza pratica, sorretta da quel concetto di phronesis, come fondamento teoretico nel quadro di un pensiero che non esaurisce la verità nel metodo. Io credo che a questo pensiero ermeneutico possa ispirarsi e su questo fondarsi oggi il giurista, che voglia assolvere la sua missione di giurista impegnato ad accompagnare col suo sapere la cultura dell’Unione Europea. | 85 Dialogo con Giuseppe Benedetti su Ermeneutica e Diritto europeo (a cura di Giuseppe Vettori) Persona e Mercato - Attualità Persona e Mercato - Attualità La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefan o Pagliantini) | 86 LA FORMA INFORMATIVA DEI C.D. SCAMBI SENZA ACCORDO: L’INDENNITÀ D’USO DEL BENE TRA RECESSO ED ABUSO DEL CONSUMATORE (a proposito di C giust. CE, 3 settembre 2009, C-489/07) Di Stefano Pagliantini SOMMARIO: 1. Introduzione: formalismo informativo, rischio contrattuale e nuova discrezionalità giudiziale? - 2. La narrativa del fatto.- 3. I (tre) paradossi del formalismo informativo nei contratti a distanza: l’abuso del consumatore tra responsabilità oggettiva d’impresa e canone interpretativo della best consumer protection. – 4. Segue: eccesso di consumerism, abuso ed ingiustificato arricchimento. - 5. Forma informativa, effetti economici del recesso e la valenza integrativa/correttiva del diritto comune.– 6. Traccia per un secondo approccio: la bona fides interpretativa come volet di orientamento applicativo del formalismo informativo. – 7. Segue: gli usi ex fide bona del formalismo informativo. – 8. Intermezzo: l’ingiustificato arricchimento come effetto collaterale nei contratti conclusi fuori dei locali commerciali. – 9. Una piccola chiosa finale. – 10. Postilla: la proposta di direttiva sui diritti dei consumatori. 1. Introduzione: formalismo informativo, rischio contrattuale e nuova discrezionalità giudiziale? L’affacciarsi di una rigorosa interpretazione giurisprudenziale del formalismo informativo è segno, a detta di molti1, di una nuova sensibilità giudiziale, 1 V., principaliter, A. GENTILI, Informazione contrattuale e regole dello scambio, in Riv. dir. priv., 2004, p. 576 e L. ROSSI CARLEO, Il diritto all’informazione: dalla conoscibilità al documento informativo, ivi, p. 349 ss. Nel sistema francese, senza alcuna pretesa di esaustività, J. CALAIS AULOY, L’influence du droit de la consommation sur le droit civil des contrats, in RTD civ., 1994, p. 239 ss.; J. P. PIZZIO, La protection des consommateurs par le droit commun des obligations, e D. MAZEAUD, L’attraction du droit de la consommation, entrambi in RTD. comm., 1998, rispettivamente, p. 53 ss. e p. 95 ss. In quello tedesco, inter alios, J. BASEDOW, Freedom of Contract in the European Union, in ERPL, 2008, §§ 3.2 e 4; AA. VV., Consumer Si può infine prendere atto che nella società complessa il fatto spesso non chiede più di misurarsi con le regole, ma ha in sé elementi per diventare giuridico, sicché spetta alla giurisprudenza porre in luce quegli elementi in un confronto con la pluralità delle fonti esistenti e rendere effettiva una regola autorevole e condivisa da consolidare come precedente non soggetto a modifiche in tempi brevi. Questa ultima considerazione è di gran lunga la più convincente se non altro perché anche coloro che lamentano un troppo veloce rifiuto del positivismo e del ruolo della legge debbono riconoscere un dato che emerge dal presente in modo netto. Il conflitto fra le prerogative della rappresentanza e della legislazione non «può essere eliminato ma solo contenuto e preservato in equilibrio con saggezza »16. 3. Sulla legittimazione dei giudici. L’eccessivo potere dei giudici certo può far dubitare dello spessore dei diritti politici in un ordine ove il legislatore diviene solo uno delle fonti di produzione del diritto, ma una risposta ragionevole deve partire da lontano. Dopo il primato illuminista della legge che ammetteva solo un’attività esecutiva dell’interprete, le costituzioni del 900 hanno prodotto una trasformazione radicale. Le norme sui diritti sono state inserite nella Carta fondamentale come precetti senza fattispecie. Sono principi che non possono essere applicati come la legge ma sono fonte di diritto. Sicché nella cultura giuridica della seconda metà del 900 è emerso con chiarezza che il diritto ha forza oltre la legge e che il potere del giudice non può essere un’anomalia ma una forma della democrazia costituzionale che lavora sulle cose e si basa sulla natura pratica del diritto. Il che non elude la funzione insostituibile del legislatore ma implica solo di riconoscere che si ha diritto anche quando il giudice fonda la sua interpretazione su un principio. Né si può dire con sicurezza chi fra legge e giudice abbia l’ultima parola perché non esistono monopoli, ma tutti i poteri debbono stare nei limiti previsti dalla Costituzione. Tutto ciò non è uno squilibrio nel sistema né una rivincita di un potere sull’altro, ma è un frutto della complessità delle fonti e della natura essenzialmente concreta del diritto che attribuisce all’interprete poteri e responsabilità nuove. Si tratta solo di non smarrirsi nei dubbi e di prendere consapevolezza delle nuove necessarie tecniche di attuazione di regole e principi. 16 M. DOGLIANI, op. cit., p. 41 . Questa trasformazione culturale deve riflettere sul ruolo mutato della giurisdizione e considerare ciò un fatto positivo purché questa nuova legittimazione si fondi su un dialogo fra le Corti e la scienza giuridica capace di costruire fondamenta sicure. Ne indico tre: a) sapienza e prevedibilità; b) certezza e flessibilità; c) efficienza e ragionevolezza. Vediamole da vicino. a) Sapienza e prevedibilità. Un grande sociologo, in un prezioso libretto 17, ha definito la sapienza come un insieme di sapere e saggezza (juris-prudentia). La sentenza di legittimità deve unire questi tratti per fondarsi su di un auctoritas che costituisce la sua prima e fondamentale legittimità. A ciò si può tendere in vari modi. Da sempre nel mondo della common law la legittimazione dei giuristi sta in un legame con il precedente18. L’idea di fondo è chiara: deve essere preferito un diritto certo e prevedibile ad un’astratta giustizia contrattuale, perché gli imprenditori debbono poter contare sull’adempimento preciso dei termini dell’accordo; su di un’interpretazione rigorosa di esso; su di un ragionevole grado di «continuità nel pensiero giuridico», senza i rischi di una decisione ispirata da personali ideali di chi giudica. Il che non esclude il cambiamento, ma esige che esso non avvenga troppo rapidamente o troppo frequentemente. Questa convinzione -è bene precisarlo- non ha escluso affatto un arricchimento del rigido formalismo della Common Law. Solo che tale evoluzione è avvenuta interrogandosi continuamente sul difficile passaggio «dalle regole agli standard, dai precetti legali nei quali il contenuto della regola è determinato in anticipo, ai precetti legali, nei quali tale contenuto è stabilito solo al momento della decisione da un giudice o da un administrator e su base casistica»19. In molti settori la Cassazione ha compiuto un percorso analogo e nell’affermare una svolta ha manifestato di voler dare continuità ad un precedente che ha assunto un indirizzo consolidato. E’ accaduto così per l’anatocismo e la fideiussione omni17 R. BARTHES, Lezione. Il punto sulla semeiotica letteraria, Torino, Einaudi, 1981, p. 36. 18 V. per questi schematici riferimenti, l’opera lucidissima di R. GOODE, Il diritto commerciale del terzo millennio, trad. it. a cura di C. Mazzoni e V. Varano, Milano, 2003. Il diritto inglese non conosce un obbligo generale di buona fede e non è affatto sensibile ai temi dello squilibrio delle prestazioni, sia originario che sopravvenuto, e ciò per un motivo chiarissimo. Le Corti si preoccupano ben poco dell’iniquità sostanziale, mentre grande risalto viene dato «alla slealtà procedurale, alla scorrettezza del modo in cui si determina lo scambio contrattuale» tramite azioni che colpiscono l’omissione di informazioni su fatti rilevanti (“misrepresentation”) o reprimono la violenza fisica o morale. 19 R. GOODE, op. cit., p. 30 ss. | 131 Centralità del giudice e filtro in Cassazione (Giuseppe Vettori) Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Saggi dell’atto di autonomia, dalla attività precontrattuale6 e esecutiva 7 al suo esercizio in concreto 8. Ma c’è di più. Si è ribadito il ruolo essenziale dei diritti della persona attraverso «una delicata opera di ricostruzione della regola di giudizio nel quadro dei principi | 130 costituzionali9», sino a far «emergere una norma consuetudinaria internazionale con portata conformativa degli altri principi dell’ordinamento internazionale»10. Si è «assegnata priorità alla preventiva rimozione di ogni vincolo che, ostacolando la realizzazione di una condizione di parità nella fase anteriore alla stipulazione del contratto, impedisca alle parti di pervenire ad un equilibrato assetto di interessi», riconoscendo un diritto di audeterminazione che assume tratti di fondamentale importanza, non solo nel rifiuto del trattamento medico ma in ogni altro caso in cui la libera esplicazione della persona previamente informata debba manifestarsi (Cass. n. Centralità del giudice e filtro in Cassazione (Giuseppe Vettori) 6 Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26725 (e 26724) vedila in Obb. e contr., 2008, 2, con il commento di G. VETTORI, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio, p. 1 ss. 7 Cass., 7 marzo 2007, n. 5273 in Foro it. On-line Nella fase esecutiva del rapporto la tendenza giurisprudenziale non è meno netta. Scorrettezze, eccezioni di dolo, abuso del diritto hanno un riconoscimento esplicito entro l’area della clausola di buna fede in esecutivis con funzione correttiva. La massima della Cassazione è ancora chiarissima ed è volta ad attribuire al rimedio efficacia generale. Si distingue una figura di dolo commessa al tempo della conclusione del contratto (seu praeteriti) volta ad ottenere l’annullamento o il risarcimento del «danno prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell’obbligo di buona fede» da una figura diversa e generale. L’exceptio doli generalis (seu preasentis) che è indicato appunto come «rimedio generale, diretto a precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento», con un preciso fondamento. Contenere «azioni giudiziarie pretestuose o palesemente malevole, intraprese, cioè, all’esclusivo fine di arrecare pregiudizio ad altri o contro ogni legittima ed incolpevole aspettativa altrui». La casistica richiama il contegno di chi tace nella prospettazione della fattispecie controversa situazioni sopravvenute alla fonte negoziale modificative o estintive del diritto fatto valere (Cass. n.10864 del 1999), richieste di pagamento risultanti prima facie abusive o fraudolente in caso di contratto autonomo di garanzia (Cass. n.3964 del 1999), divieti di venire contra factum proprium ( Cass. 5639 del 1984). 8 G. VETTORI, L’abuso del diritto, cit., p. 166 e ss. D’altra parte si delinea la figura dell’abuso di diritto in una pluralità di casi assai significativi. Dal congedo parentale usato in modo illegittimo (16207-08), al frazionamento del credito (15476-08) o di un atto negoziale per perseguire un risparmio fiscale (2537408) sino ad individuare un principio antielusivo delle imposte nelle norme costituzionali in tema di capacità contributiva e di progressività della tassazione (S.U. 30057-08) V. CARBONE, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2007, Roma, 2008, in www.cortedicassazione.it, p.45-46 ed ivi il richiamo delle sentenze n. 10692, 2137 e 23726 del 2007. 9 V. CARBONE, op. cit., p. 42. 10 V. V. CARBONE, op. cit., p. 101. e SENESE, La risposta dei giudici italiani al conflitto tra gli ordinamenti, Napoli, 2008. V. altresì S.U. 27310-08 e 7472-08 27145 del 2008 e già Cass. n. 21748 del 2007 ). Si sono «valorizzate le finalità sociali della responsabilità civile» nella selezione del danno risarcibile (Cass. S.U. 26972-08) e nella delimitazione del pregiudizio nelle obbligazioni di moneta (Cass. S.U., 19499 del 2008), mentre la centralità della persona è indicata come clausola generale di lettura dell’ordinamento positivo (Cass. n. 27145 del 2008 e già Cass. n. 21748 del 2007 e da ultimo Cass. n. 10741 del 2009). Tutto ciò si unisce al tentativo di creare modelli giurisprudenziali condivisi11 come frutto di un’attività che ha molti meriti12 per una serie di motivi che è bene cercare di rappresentare in sintesi. Il precetto costituzionale in alcuni casi proclama il diritto (principio) in altri precisa il contenuto (regola) ma si è sempre in presenza di una norma. I principi possono anche consistere in valori prodotti dalla coscienza sociale del tempo e possono determinare anomalie e lacune che possono essere colmate dalla legge o dalla giurisprudenza ordinaria o costituzionale «in ambiti che tendono ad avvicinarsi». Ciò perché il principio deve essere trasformato in regola da confrontarsi con altre regole di rango ordinario e tale opera di specificazione, eseguita dall’interprete e non dalla legge sconta il rischio che «qualunque lacuna ideologica possa essere trasformata in lacuna giuridica»13. Tutto questo fa parte del presente non fosse altro perché l’evoluzione costituzionale dagli anni 50 attraverso la svolta degli anni 70-80 sino ad oggi è chiara. Una volta ammesso che si possono individuare nuovi diritti come forme definite dalla coscienza sociale del tempo, tramite anche la tecnica del bilanciamento che non interpreta ma crea nuove norme, si tratta di precisare quale sia il fondamento di questa giurisprudenza creativa. Le alternative sono molteplici. Si può ipotizzare il formarsi di una specifica consuetudine che configura una competenza concorrente del legislatore e del circuito Corte-giudici a livello interno e comunitario sicché «in caso di protratto silenzio del legislatore la competenza normativa può essere esercitata dalla giurisdizione»14. Si può rivalutare il ruolo della discussione pubblica in Parlamento come forma superiore di decisione capace di «allacciare più facili rapporti con le correnti vive della filosofia morale»15. 11 La Corte del precedente, in www.cortedocassazione.it M. DOGLIANI, I diritti fondamentali, in Il valore della Costituzione. L’esperienza della democrazia repubblicana, a cura di M. Fioravanti, Roma-Bari, 2009, p. 41 ss. 13 M. DOGLIANI, op. cit., p. 47 14 M. DOGLIANI, op. cit., p. 59. 15 M. DOGLIANI, op. cit., p. 59 12 più attenta alla «morale collective, d’ordre économique, qu’à la morale individuelle»2. Questo stringato rilievo si iscrive nella tendenza più recente, detta di ´instrumentalisation`del diritto3, che cataloga l’insieme della normativa consumerista tra le tecniche del legiferare che sono al servizio di una politica di protezione di interessi seriali «dont la réalisation semble commander de donner la plus grande ampleur possibile à ses mesures clés». Ma se è vero che il formalismo informativo costituisce il fleuron del diritto secondo dei consumi, residua più di un dubbio ch’esso rappresenti pure il laboratorio ove si può inverare un nuovo modo di essere della discrezionalità giudiziale: come l’affaire Pia Messner c. Firma Stefan Krüger (C-489/07)4, deciso in epigrafe, dimostra con un’evidenza che ha del paradigmatico. 2. La narrativa del fatto La narrativa del fatto: il consumatore, che sia receduto da un contratto di compravendita a distanza trascorsi ben undici mesi dalla stipula, è tenuto a versare al professionista, resosi responsabile di un non corretto adempimento dell’obbligo informativo, un’indennità per l’uso transitorio della res restituenda?5 Nella specie un pc portatile acquistato a prezzo d’occasione. Oppure, proprio a motivo della non corretta istruzione sul diritto di recesso, non è ipotizzabile un ripristino dello status quo ante che tenga conto, riguardo al quantum delle obbligazioni restitutorie, del deteriorarsi della merce ordinata in conseguenza di un impiego temporaneo della stessa conforme alla sua destinazione tipica?6 Law Compendium, a cura di Schulte-Nölke/Twig-Flesner, München, 2008, p. 728 (in www. eu-consumer-law. org/consumerstudy). 2 Così A. LEPAGE, Les paradoxes du formalisme informatif, in Études de droit de la consommation. Liber amicorum Jean Calais – Auloy, Dalloz, 2004, p. 616 (pure per la citazione che segue). 3 Cfr. N. SAUPHANOR-BROUILLAUD, L’influence du droit de la consommation sur le système juridique, Paris, 2001, n. 11. 4 La questione pregiudiziale era stata sollevata dall’AG Lahr 26 ottobre 2007- a seguito della domanda di rimborso della consumatrice (contestata dalla stessa impresa che si era rifiutata di riparare gratuitamente il difetto). Per un primo commento v. J. FAUSTMANN, Anmerkung, in MMR, 2008, p. 271. 5 E’ prassi delle imprese, operanti su internet, pubblicare nel proprio sito delle condizioni generali di vendita ove figurano clausole di siffatto tenore. Cfr. V. AVENA –ROBARDET, Faculté de rétractation dans les ventes à distance: entre illusion et réalité, in D., 2009, p. 2161 e G. ROUSSET, Droit de rétractation et vente à distance, un éclairage communautaire intéressant, in JCP E, 2009, n. 50, p. 2168. 6 Ai sensi del § 357, Abs. 3, BGB, il consumatore «hat abweichend von § 346 Abs. 2 Satz 1 Nr. 3 Wertersatz für eine durch die bestimmungsgemäße Ingebrauchnahme der Sache entstan- Sono interrogativi, che la prassi pone, su cui piuttosto raramente si appunta l’attenzione della dottrina 7, complice una qual certa vaghezza del dato normativo, comunitario prima (art. 6, 2 co., dir. 97/7)8 e nazionale poi (artt. 64, 1 co. e 66, 2 co., c. cons.). Eppure la questione è essenziale, non foss’altro per il fatto che, definendosi per suo tramite il quantum di tutela spettante al consumatore, l’interprete può procedere più consapevolmente ad illustrare, in maniera fedele, il regime protettivo che connota la forma informativa dei contratti a distanza. Che -si badi- contrariamente a quanto è abituale trovare scritto, mostrano lo svolgersi di una forma di protezione governata da regole tutte proprie. D’altronde se ogni rapporto di consumo, com’è stato finemente scritto, ha quale tratto connotativo quello di mettere in mostra una spiccata «contrazione espressiva»9, quand’è questione di uno scambio a distanza innegabilmente lo strutturarsi della fattispecie segue lo schema di una rigida fissità di segni e gesti telematici. E siccome lo scambio on line, per effetto di questi segni e gesti telematici, si articola entro la cornice di una «ricognizione di univocità prestabile»10, a risentire -nel senso di manifestare il solo «senso programmato»- è pure l’insieme ripetitivo e standard delle formalità modali, di avviamento al contratto, satisfattive del «bisogno informati- dene Verschlechterung zu leisten». Mentre il § 312d stabilisce che, in deroga al § 355, n. 2, il termine per il recesso non inizia a decorrere prima dell’adempimento dei doveri di informazione di cui al § 312c, n. 2. Il diritto francese non presenta, viceversa, alcuna norma corrispondente al § 357, abs. 2 BGB. C’è per altro chi fa notare che la direttiva non preclude affatto «obblighi di rimborso delle spese quale effetto naturale dello scioglimento del vincolo» (così R. GIAMPETRAGLIA, sub. art. 64, in Codice del consumo. Commentario, a cura di Alpa e Rossi Carleo, Napoli, 2005, p. 467). 7 Almeno di quella italiana. Diverso il panorama europeo: v., con dovizia di riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, H. – J. MUSIELAK, Grundkurs BGB, 10 Aufl., München, 2007, p. 67 – 69 e 72 – 74 nonché, proprio a commento della Corte di giustizia, M. SCHIRMBACHER, Erhebliche Unsicherhait bei der Abfassung der Widerrufsbelehrungen, in BB, 2009, 2165 s. e G. PAISANT, Obs., in JCP G, 2009, n. 47, p. 25 ss. 8 Sulla spiccata natura anfibologica della littera legis comunitaria v., in luogo di tanti, H. W. MICKLITZ, La directive vente à distance 97/7/EC, in STAUDER (a cura di), La protection des consommateurs acheteurs à distance, Zurigo, 1999, p. 23 ss., spec. 37. Di una Corte che si è «befand sich in einem Dilemma» discorre O. DAMM, Anmerkung, in MMR, 2009, p. 745. 9 V. N. IRTI, Testo e contesto, Padova, 1996, p. 78; ID., Scambi senza accordo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, p. 347 ss. 10 V. N. IRTI, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, in AA. VV., L’interpretazione del contratto nella dottrina italiana, a cura di Irti, Padova, 1996, p. 638 (pure per la citazione che segue).Lo «sradicamento dal tempo e dallo spazio» isola i «simboli telematici…in un’astratta funzionalità, in una prestazione tecnica che vale in sé e per sé» (v. IRTI, op. loc. ult. cit.). | 87 La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefano Pagliantini) Persona e Mercato - Attualità Persona e Mercato - Attualità Persona e Mercato - Saggi 11 Così N. IRTI, «E’ vero, ma…» (Replica a Giorgio Oppo),in Riv. dir. civ., 1999, p. 275 e 277. 12 La polemica -notissima- si legge in G. OPPO, Disumanizzazione del contratto?, in Riv. dir. civ, 1998, I, p. 525 ss. 13 Come fa notare un’autorevole dottrina: v. G. D’AMICO, La formazione del contratto, in Il terzo contratto, a cura di G. Gitti e G. Villa, Bologna, 2008, p. 82. Il periodare di questo a. è molto vicino a quanto, significativamente, nota altrove A. LEPAGE, Les paradoxes du formalisme informatif, cit., p. 616 s. 14 Per un primo commento delle quali v. J. HOFFMANN, Die EuGH-Entscheidungen "Schulte" und "Crailsheimer Volksbank": Ein Meilenstein für den Verbraucherschutz beim kreditfinanzierten Immobilienerwerb?, in ZfW, 2005, p. 19851994; A. STAUDINGER, Die Zukunft der "Schrottimmobilien" nach den EuGH-Entscheidungen vom 25.10.2005, in NjW, 2005, p. 3521-3525; M. HÄUBLEIN, Rechtsfolgen unterlassener Belehrung über das Verbraucherwiderrufsrecht nach den Urteilen des EuGH, ivi, 2006, p. 1553-1558; G. PIGNARRE – L. F. PIGNARRE, A propos de la gratuité du remplacement d'un bien non conforme, in D., 2008, p. 2631-2635; T. MÖLLERS – A.MÖHRING, Recht und Pflicht zur richtlinienkonformen Rechtsfortbildung bei generellem Umsetzungswillen des Gesetzgebers, in JZ, 2008, p. 919-924 (per la terza).Una preziosa trattazione del problema si trova in E. BARGELLI, Gli effetti del recesso nei principi Acquis del diritto comunitario dei contratti, in AA. VV., I “Principi” del diritto comunitario dei contratti, a cura di G. De Cristofaro, Torino, 2009, p. 391 ss. e, in luogo di tanti, nelle belle pagine di M. DE FRANCESCHI, La sostituzione del bene «non conforme» al contratto di vendita (a proposito di C. giust. CE 17 aprile 2008, C-404/06), in Riv. dir. civ., 2009, II, p. 559 ss. da un vizio insorto dopo che sono trascorsi alcuni mesi dalla consegna. Perciò, se è pur vero che, in ambedue i casi, si fa domanda di un’indennità per l’uso medio tempore della res poi restituita, manco può trascurarsi di rilevare che le circostanze fattuali sono molto differenti. Di talché, per evidenti ragioni di congruenza logica, non è dato pensare che il dispositivo di Quelle 15 possa utilmente invocarsi come fattore regolativo della questione. Ma, allora, come risolvere il problema? 3. I (tre) paradossi del formalismo informativo nei contratti a distanza: l’abuso del consumatore tra responsabilità oggettiva d’impresa e canone interpretativo della best consumer protection. Come premessa del ragionamento può tornare utile muovere dalla constatazione che il contratto a distanza si caratterizza per il fatto di dare veste ad una operazione di scambio che si perfeziona senza il medio di un qualsiasi contatto personale tra fornitore ed acquirente. C’è un contrarre, com’è stato suggerito, che scaturisce soltanto dal confluire di due atti unilaterali in «altro» (leggi nell’«immagine della merce»)16. Di qui l’esigenza di riconoscere al consumatore, proprio allo scopo di ovviare alla carenza di una «simultanea presenza fisica» tra le parti17, un diritto di recesso senza alcuna penalità: un recesso rivolto, negli intendimenti del legislatore comunitario, a collocare l’acquirente a distanza nella condizione di colui che, per il fatto di negoziare de visu, prende visione dell’oggetto prima di procedere alla stipula. 15 Secondo il quale, com’è noto, osta all’art. 3 della direttiva 99/44 una disciplina nazionale che riconosca al venditore, ove sia stato alienato un bene di consumo non conforme a quanto contrattualmente previsto, il diritto di esigere dal consumatore un’indennità per l’uso della res non conforme (fino, s’intende, al momento della sua sostituzione con un nuovo bene). Sulla questione si rinvia alle acute considerazioni di S. ROHLFING, Nutzungsvergütung bei Ersatzlieferung?, in GPR, 2006, 80-86 e di P. ROTT, The Quelle Case and the Potential of and Limitations to Interpretation in the Light of the Relevant Directive, in ERPL, 2008, p. 1119-1130. 16 Se c’è accordo, la proposta e l’accettazione «assumono la merce come oggetto del rapporto dialogico». Qui, invece, c’è solo «l’esporre e il preferire la merce» (così N. IRTI, «E’ vero, ma…» (Replica a Giorgio Oppo), cit., p. 277). 17 L’espressione è di V. TRSTENJAK, Conclusioni alla causa C489/07 (§ 3). Nella stessa ottica v. pure il 14 Considerando della direttiva 97/7 ed il 22 della Proposta di direttiva sui diritti dei consumatori dell’ottobre 2008. Meglio ancora si legge in E. NAVARRETTA, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Remedies in contract, a cura di Vettori, Padova, 2008, p. 161, quanto all’esigenza di una «corrispondenza biunivoca tra interesse protetto e rimedio». CENTRALITÀ DEL GIUDICE E FILTRO IN CASSAZIONE | 129 (sull’art. 360 bis c.p.c.) Di Giuseppe Vettori SOMMARIO: 1. Il segno dei tempi. – 2. La Corte dei diritti e del precedente. – 3. Sulla legittimazione dei giudici. – 4. Il “rischio giustizia”. – 5. Giudizio di legittimità e filtro in Cassazione ( art. 360 bis). 1. Il segno dei tempi Negli ultimi anni del 900 e della sua vita, Piero Calamandrei era al culmine di un lungo itinerario che lo aveva condotto dalla piena fiducia in una legalità formale ad una sofferta percezione dell’inadeguatezza della logica illuministica e del positivismo. In una conferenza, ricordata di recente da Paolo Grossi1, ciò è espresso con piena lucidità. «Vi sono tempi di stasi sociale in cui il giudice può limitarsi ad essere fedele secondo del legislatore, ma vi sono tempi di rapida trasformazione in cui il giudice deve avere il coraggio di esserne il precursore, l’antesignano, l’incitatore».2 Quanto accadde allora è noto. Il giurista fiorentino avvertiva chiaramente l’esigenza di un ripensamento sul sistema delle fonti in uno Stato di diritto di stampo ottocentesco che stava trasformandosi in Stato sociale ed era consapevole che la nuova e diversa legalità «si incarnava in quel complesso di valori giuridici circolanti, che la Costituzione aveva avuto la capacità di leggere nelle trame della società 1 V. il bel saggio di P. GROSSI, Lungo l’itinerario di Piero Calamandrei, in Riv. trim. dir. civ., 2009, p. 865 ss. 2 P. CALAMANDREI, La funzione della giurisprudenza nel tempo presente, in Opere giuridiche, I, Napoli, 1968, p.45. civile italiana formulando un breviario essenziale di principi e di regole per il cittadino». Il che imponeva al giurista positivo di vivere nella contemporaneità3 di «recuperare al tempo “attuale” quelle soluzioni ad esso congeniali», «lasciandosi coinvolgere dal flusso storico» per tentare di «ordinarlo e di governarlo senza operare antistoriche resistenze di retroguardia». 4 Forse solo adesso, a cinquanta anni di distanza, l’evoluzione auspicata è giunta ad un culmine da cui occorre osservare la centralità del giudice nel sistema delle fonti. Provo a dire qualcosa muovendo da una rapida analisi del presente. 2. La Corte dei diritti e del precedente. Si è già ricordato5 come la buona fede sia valorizzata dai Giudici di legittimità in ogni fase 3 Illuminanti sono le parole di G. BENEDETTI, La contemporaneità del civilista, in Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, a cura di V. Scalisi, Milano, 2004, p. 1229 ss. 4 P. GROSSI, Lungo l’itinerario di P.Calamandrei, cit., p. 883, 884 e 885. 5 V. G. VETTORI, L’abuso di diritto, in Obbl. e contr., 2010, n. 3, p. 166 ss. Centralità del giudice e filtro in Cassazione (Giuseppe Vettori) La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefan o Pagliantini) vo»11 di chi accetta (cioè sceglie) la merce offerta (cioè esposta sul sito web). Vuol forse questo dire, di là da tutte le considerazioni formulabili sull’ammissibilità di scambi contrattuali senza accordo ovvero risultanti dal combinarsi di due atti unilaterali in pari tempo leciti e «a-dialogici»12, che | 88 tutti i vari ragionamenti incentrati sulla perdita della fattispecie hanno un senso compiuto solo allorquando risultano comunque punteggiati da un apprezzamento in concreto delle circostanze contingenti in cui si articola il singolo atto o rapporto di consumo? E’ molto più che probabile13: ed il fatto che la giurisprudenza della CGE talora riconosca (riguardo all’obbligo di versare gli interessi al tasso di mercato: v. Schulte, 25 ottobre 2005, causa C-350/03 e Crailsheimer Volksbank, 25 ottobre 2005, causa C229/04) quel che altrove più plausibilmente nega (Quelle, 17 ottobre 2008, causa C-404/06, rispetto invece ad un’indennità d’uso)14, ne è la rappresentazione più vividamente sintomatica. Una piccola avvertenza, a scanso di equivoci, prima di procedere oltre. La fattispecie testé sunteggiata ricorda molto da vicino quella che ha originato la sentenza Quelle: ma, nonostante quello che potrebbe sembrare a tutta prima, non le è per nulla assimilabile. Vi osta l’elementare ma decisiva ragione che, mentre là si dibatteva sulla fornitura di un bene (di consumo) non conforme a quanto pattuito, qui la questione riguar- Persona e Mercato - Saggi Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) annotare la convenzione matrimoniale, programmatica o dispositiva che sia, per renderla opponibile. Tornando al problema della tutela dei creditori della comunione, si può rilevare come anche nel caso di esclusione di un bene dalla comunione si dubiti dell’esperibilità dell’azione revocatoria. L’estro| 128 missione, infatti, determina non un trasferimento della proprietà, ma solo un mero cambiamento del regime giuridico cui è assoggettato il bene. Il quale transita dalla comunione legale a quella ordinaria, senza che vi sia perciò spostamento di ricchezza da un soggetto a un altro. Tale atto può danneggiare i creditori chirografari del regime legale, i quali perdono il diritto di essere preferiti ai creditori particolari di uno dei coniugi, diritto, questo, previsto dall’art. 189, comma 2°, cod. civ. E’ vero, abbiamo appena osservato che la mancanza dell’effetto traslativo non preclude necessariamente la revocatoria. Tant’è - si può aggiungere che la Cassazione ha ritenuto suscettibile di revocatoria l’atto costitutivo del fondo patrimoniale anche nel caso in cui non vi sia stato trasferimento della proprietà, permanendo quest’ultima in capo al soggetto costituente (arg. ex art. 168, comma 1°, cod. civ.)86. Opinando altrimenti si pregiudicherebbero i creditori, i quali non possono agire esecutivamente sui beni oggetto del fondo per crediti estranei ai bisogni della famiglia. terzi del fondo patrimoniale, ha rigettato la tesi sostenuta da un parte della dottrina secondo cui la trascrizione di cui all’art. 2647 cod. civ. è necessaria, nonostante il tenore letterale dell’art. 162, comma 4°, cod. civ., al fine di rendere opponibile ai terzi l’atto costitutivo del fondo patrimoniale avente ad oggetto beni immobili. L’annotazione, secondo quest’impostazione non accolta, avrebbe soltanto la funzione di rendere conoscibili l’esistenza e il contenuto del fondo patrimoniale. A sostegno si adducono due argomenti: 1) il fondo patrimoniale non è una convenzione matrimoniale; 2) è incongruo un sistema pubblicitario in cui al terzo acquirente, pur conoscendo il vincolo sul bene risultante dal controllo nei registro immobiliari, non sia opponibile tale vincolo perché non annotato a margine dell’atto di matrimonio. Le Sezioni unite, tuttavia, non hanno accolto tali argomenti replicando, in particolare, che quando il legislatore «ha voluto attribuire alla pubblicità determinati effetti lo ha detto esplicitamente laddove non ha detto nulla deve ritenersi trattarsi di pubblicità notizia». 86 Cass., 29 aprile 2009, n. 10052, in Fam. e dir., 2009, 10, p. 901 ss., con nota di G. BILÒ, Revocatoria ordinaria del fondo patrimoniale e legittimazione passiva alla causa del coniuge non debitore, ha ammesso la revocatoria dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale in cui il costituente-debitore aveva conservato la proprietà del bene conferito. Vi era stata, si legge nella sentenza, soltanto una «mera variazione qualitativa del patrimonio del debitore». La stessa conclusione vale per il trust autodichiarto. Sui rapporti tra fallimento e fondo patrimoniale cfr. Cass., 22 gennaio 2010, n. 1112, in Notariato, 2010, 3, p. 247 ss., con nota di F. FIMMANÒ, Destinazione patrimoniale e separazione delle masse. Non devono, tuttavia, sfuggire le differenze tra l’atto costitutivo del fondo patrimoniale e l’estromissione dalla comunione legale. Il primo impone un vincolo di destinazione e costituisce un diritto di godimento attributivo dei diritti e dei doveri sanciti dagli artt. 167-171 cod. civ. Con l’estromissione, invece, si ha soltanto una qualificazione diversa del titolo costitutivo del diritto di proprietà. Il che non sembra dar luogo a un atto dispositivo che incida effettivamente sulla situazione patrimoniale del debitore, nel senso di ridurre la garanzia generale87. Naturalmente se all’estromissione segue l’alienazione della quota - atto, questo, sicuramente dispositivo - l’azione revocatoria può essere esercitata al fine di ottenere la restituzione del bene al patrimonio del debitore, consentendo eventualmente la soddisfazione coattiva del credito. Orbene, quand’è così, per lo studioso dei paradossi del formalismo informativo, ci sono almeno tre ottime ragioni che rendono la questione pregiudiziale (e la decisione) Messner c. Krüger di un’evidenza topica. Si può cominciare osservando che un contesto normativo nel quale il diritto di recesso, nonostante la contraria lettera dell’art. 65, 3 co., c. cons. 18, non si dovrebbe estinguere fin quando il consumatore non sia stato correttamente informato, abilita evidentemente costui, essendo tenuto alle sole spese dirette di restituzione del bene al mittente, a servirsi medio tempore della res. Ma viene da chiedersi: non è, nella misura in cui l’utilizzo temporaneo del bene avviene senza alcun costo aggiuntivo, che qui si materializza quell’effetto perverso della legge di cui parla la dottrina francese allorquando l’inverarsi di un dato normativo importa delle vicende secondarie o collaterali, impreviste o «sous – estimés, … indésiderables et non désirées»?19 Lo stesso concetto -si badi- si può esprimere evidenziando che, ove il tasso di operatività di una legge speciale sia debordante, il risultato che si ottiene è di penalizzare oltre misura l’esigenza di «impersonalité» del diritto patrimoniale comune20. Bisogna infatti considerare che l’indennità domandata dal professionista si commisura esclusivamente ai vantaggi che dall’uso giornaliero il consumatore ha tratto. Nelle Conclusioni dell’Avvocato generale Trstenyak (§ 52) si denomina una siffatta indennità come canone di noleggio per l’uso plurimensile del bene: e l’espressione ben rende su quali utilità si appunti la pretesa del professionista. Che, giova evidenziarlo, non differisce poi troppo dall’ammontare degli interessi dovuti dal consumatore, mutuatario di un credito fondiario, che sia poi receduto dal contratto stipulato fuori dei locali commerciali. Seconda notazione. E’ evidente che l’ammettere o l’escludere l’indennità reagisce sui criteri di distribuzione del rischio contrattuale. Nulla quaestio infatti sulla circostanza che il fornitore debba sopportare il rischio 18 87 Neppure si determina un pregiudizio per i creditori della comunione legale, pur il medesimo inteso come pericolo di danno ravvisato nell’infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore. Oltretutto, il pregiudizio deve sussistere al compimento dell’atto ed essere legato all’eventus damni da un nesso di causalità. Stando alla quale se il professionista non ha soddisfatto gli obblighi di informazione legale «il termine di recesso è … di novanta giorni» decorrente, per i beni, «dal giorno del loro ricevimento da parte del consumatore» e, per i servizi, «dal giorno della conclusione del contratto». 19 Così J. GHESTIN, Les effets pervers de l’ordre public, in Mélanges en l’honneur de Christian Gavalda. Propos impertinents de droit des affaires, Dalloz, 2001, p. 123 s. e A. LEPAGE, Les paradoxes du formalisme informative, cit., p. 602. Indispensabili, per la ricostruzione di un dibattito alquanto vivace, pure le raffinate notazioni di P. MALAURIE, L’effet prophylactique du droit civil, in Études de droit de la consommation, cit., p. 670 s. 20 La felice espressione si legge in C. NOBLOT, Le contractant professionnel à l’épreuve du réalisme judiciaire, in Petites Affiches, 9 nov. 2001, p. 3 ss. dell’operazione economica pendente il termine (ordinario) relativamente breve -dieci giorni lavorativi, art. 64, 1 co., c. cons.- per l’esercizio del diritto di recesso. E’ un corollario, come prima si diceva, dell’essere la contrattazione a distanza spoglia di ogni diretto contatto interpersonale tra professionista e consumatore. Sennonché, se il termine per il recesso non inizia a decorrere fin quando il consumatore non sia stato correttamente istruito, nel caso si abbia la propensione a credere che il professionista, inadempiente quanto agli obblighi di informazione documentale, mai abbia titolo a domandare qualsivoglia indennità per l’uso, l’effetto che si ottiene è rimarchevole. Perché, giova evidenziarlo, da un lato si ha come risultato di imputare per intero al professionista il rischio economico dell’affare; dall’altro, e pour cause, di apprezzare un fatto di per sé neutro -la mancata attribuzione di ogni utilità interinale- in termini di sanzione tipica per il professionista che, non dando pieno seguito agli obblighi legali di informazione, negozi comunque a distanza. Ove tipica -si badi- sta per tipizzante: nel senso che l’esclusione dell’indennità è catalogabile, ove sia questione di contratto a distanza, alla stregua di una sanzione costitutivamente ancillare allo svolgersi dell’abituale rimedio rappresentato dalla mancata estinzione del recesso21. Pure la teorica su menzionata degli scambi senza accordo può, volendo, suffragare un siffatto modo di ragionare. Si potrebbe infatti sostenere (con un primo argomento che mima il canone dell’interpretazione funzionale ex art. 1363 c.c.): chi acquista a distanza, poiché lo fa col solo ausilio di un’icona corredata di un’immagine illustrativa (della merce), impiega sì parole ma di un linguaggio tecnico, «destoricizzato e de – localizzato che nulla ha [da spartire] con il dialogo» (leggi con l’accordo) 22. E siccome il lessico telematico in quanto forma astratta, «mezzo e messaggio» nello stesso tempo, è in grado di esprimere la sola ed incontestabile univocità significativa che è stata pre–stabilita, si avrà che ogni incompletezza informativa, essendo deviazione da uno standard prescrittivo (di diritti ed obblighi) infungibile, gemina di per sé un rischio interamente a carico del professionista. D’altronde, si potrebbe aggiungere, uno scambio che non conosce alcun tasso di ambiguità interpretativa, in quanto il linguaggio telematico che lo veicola si compone solo dei segni meccanici compresi «entro l’apparato tec- 21 V., per una più diffusa disamina, S. PAGLIANTINI, Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, Pisa, 2009, 52 – 60. 22 Così N. IRTI, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, cit., p. 637 (pure per la successiva). | 89 La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefano Pagliantini) Persona e Mercato - Materiali e commenti Persona e Mercato – Materiali e commenti La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefan o Pagliantini) nico»23, ha il vantaggioso effetto, per l’impresa, di abbattere (se non di azzerare) una parte cospicua dei costi transattivi legati all’operazione economica. Niente di più plausibile, allora, che il professionista, così come è titolare esclusivo dei benefici che sono connessi alla «pura oggettività»24, risponda, quando | 90 il recesso del consumatore risulti -come qui- comunque nei termini, di tutte le disutilità ancillari ad una sua condotta negligente. Lo si potrebbe definire -questo secondo rilievo- come l’argomento di una responsabilità capitalistica d’impresa25, ovvero, in una prospettiva contigua, della best consumer protection, elevata a canone di interpretazione privilegiata della disciplina comunitaria: il «costo dell’autonomia» che il consumatore, essendo spogliato della facoltà di contrattare, cioè di «discutere o sovvertire26» (art. 1326, 5 co., c.c.), si trova a patire, non può non essere compensato da un’imputazione al professionista di tutte le disutilità consequenziali al fatto oggettivo di debordare dallo standard di forma prescritto come misura di protezione27. In quanto questo fatto comunque è qualificabile come una inesatta esecuzione. Il tutto nel segno della rinnovata qualificazione del contratto come «momento dell’attività di mercato dell’impresa»28. Già, sennonché viene subito da domandarsi: ma quant’è corretto pensare che il consumatore, per quanto lamenti un qualche difetto informativo, abbia titolo per non restituire un arricchimento che ha maturato a seguito di un utilizzo gratuito della merce poi restituita? Si pensi al consumatore che non si limita a provare il bene ma ne fa invece un «uso intenso»29 oppure che ordina la merce per una particolare occasione, la utilizza debitamente a tal fine e poi provvede a rispedirla al mittente adducendo come motivazione il recesso dal contratto30. La (fe- lice) notazione della Corte che, in caso di uso incompatibile con i principi del diritto civile31, fa salva la previsione di un’indennità, essendo stata pronunziata in modo assertivamente generico e con una buona dose di pragmatismo, si mostra troppo evasiva. Si poteva infatti meglio rilevare: se arricchimento notoriamente è pure una mancata diminuzione patrimoniale, siccome qui tra il fatto (dell’uso) ed il depauperamento (del professionista) si ha un rapporto di immediatezza, non si può non porre un problema di restituzione di una somma pari a ciò di cui il consumatore si sia arricchito per effetto del godimento della prestazione ricevuta. C’è un argomento dogmatico che può dare una veste teorica più che plausibile a quest’ultimo ragionamento. Ed è declinabile così: abusa (in senso stretto) il consumatore che cerchi di lucrare «utilità diverse ed ulteriori» rispetto a quelle che, col riconoscergli il recesso di pentimento, il diritto comunitario ha inteso riservargli32. E’ un abuso (del diritto) vero e proprio in quanto, se questo è da ritenere prospettabile solo allorché il potere esercitato risulta indirizzato all’appropriazione di «altre e diverse utilità»33, allora è innegabile ch’esso qui ricorra, avendo il consumatore mostrato di servirsi dello ius poenitendi per uno scopo difforme da quello consentaneo alla sua originaria attribuzione. Kein grenzenlosen Verbraucherschutz quindi: posto che la direttiva 97/7, come la Corte (involontariamente?) rammenta, non ha quale scopo di riconoscere al consumatore delle utilità che oltrepassino il suo diritto a sciogliersi dal contratto. Il tutto, se le utilità trattenute non rientrano nel contenuto del diritto, nella prospettiva di una gemeinschaftsrechtliche Kontrolle für verbraucherschützende Widerrufsrechte34 in termini di ragionevolezza. 23 Cfr. N. IRTI, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, cit., p. 638. 24 Che «sarebbero compromessi o minacciati dall’uso della parola» (così N. IRTI, «E’ vero, ma…» (Replica a Giorgio Oppo), cit., p. 274). 25 Nella prospettiva di un «capitalismo» che «non può tollerare l’ambigua soggettività del dialogo» (v. N. IRTI, E’ vero, ma…» (Replica a Giorgio Oppo),cit., p. 273. 26 Così N. IRTI, Principi e problemi di interpretazione contrattuale, cit., p. 638. 27 V., per questo sintagma, G. OPPO, Categorie contrattuali e statuti del rapporto obbligatorio, in Riv. dir. civ., 2006, p. 48. 28 Cfr. G. OPPO, Contratto e mercato, in Scritti giuridici, VII, Padova, 2005, p. 196. Sul fatto che gli utili percepiti vadano restituiti nel caso il consumatore, nonostante il difetto, abbia potuto comunque servirsi della cosa, v. B. GRUNEWALD, sub § 439, in Erman Kommentar zum BGB12, Köln, Rdnr. 11. 29 Per questa espressione v. V. TRSTENJAK, Conclusioni, cit. § 31. 30 La dottrina tedesca e francese offre una puntuale ricostruzione di quest’ultima fattispecie: si fa il caso dell’ordine di un capo d’abbigliamento per un dato evento, di stoviglie per un ricevimento o di un televisore per un evento calcistico. Cfr. B. SCHINKELS, Fernabsatzverträge, in Gebauer – Wiedemann (a cura di), Zivilrecht unter europäischem Einfluss, 2005, p. 209 ss., Rdnr .63; T. BRÖNNEKE, Abwicklungsprobleme beim Widerruf von Fernabsatzgeschäften, in MMR, 2004, p. 127 ss. e G. PAISANT, Obs., cit., p. 27. 31 V. CGE, 3 settembre 2009, cit. § 29: una formula, per altro, che ricorre assai raramente nella giurisprudenza della Corte. 32 Questo, naturalmente, a seguire la ricostruzione dell’abuso del diritto, come tecnica di controllo ´causale`, finemente suggerita, di recente, da G. D’AMICO, Il recesso ad nutum tra buona fede e abuso del diritto, in Contratti 2010, p. 19 ss. 33 V. G. D’AMICO, op. ult. cit., p. 20. Sembra invece non distinguere tra abuso e contrarietà a buona fede G. ROUSSET, Droit de rétractation et vente à distance, un éclairage communautaire intéressant, cit., p. 2168. E solo lessicale pare pure l’affinità – finalités du droit, rimedio che sort du domaine de la protectiondi G. PAISANT, Obs., cit., p. 27. 34 A voler mimare il titolo di un noto contributo di P. MANKOWSKI, Die gemeinschaftsrechtliche Kontrolle von Erlöschentatbeständen für verbraucherschützende Widerrufsrechte, in JZ, 2008, 1141 ss., p. 1146. particolari di chi ha rifiutato la con titolarità, aprendo così la strada all’azione revocatoria. Diventa allora essenziale indagare la natura gratuita o onerosa dell’atto di rifiuto, stante la diversità dei presupposti dell’azione in un caso e nell’altro. E’ agevole osservare come l’incremento del patrimonio del coniuge acquirente, determinato dal rifiuto dell’altro della contitolarità, possa essere giustificato dallo spirito di liberalità78 o dalla volontà di realizzare un interesse economico. In entrambi i casi, i quali integrano rispettivamente donazione (indiretta)79 e atto a titolo gratuito80, è irrilevante, per il vittorioso esercizio della revocatoria, la buona fede del terzo ossia, nella specie, del coniuge acquirente (arg. ex art. 2901, comma 1° n. 2, cod. civ.). L’attore (id est: il creditore) deve provare l’esistenza del credito, il pregiudizio e la scientia damni81 da parte del debitore. on line, secondo cui «deve ritenersi di per sè revocabile ex art. 2901 c.c., l'atto dispositivo che incida in un contesto di insufficienza dell'attivo al soddisfacimento dei creditori». 78 Lo spirito di liberalità (o animus donandi) indica la coscienza di non essere costretti a conferire ad altri un vantaggio patrimoniale (liberalitas nullo iure cogente in accipientem facta). L’attribuzione deve essere spontanea (cfr. sul punto A. PALAZZO, Atti gratuiti e donazioni, in Trattato Sacco, Torino, 2000, p. 59 ss). Per una convincente critica alla tesi anticausalista cfr. sempre A. PALAZZO, La causalità della donazione tra ricerca storica e pregiudizio dogmatico, in Riv. crit. dir. priv., 2002, p. 245 ss., il quale fa leva sulle fonti di diritto romano dalla Lex Cincia del 204 a.C. fino all’epoca postclassica e giustinianea e sugli sviluppi della civilistica in ordine alla causa dell’attribuzione nei negozi gratuiti. La causa della donazione, che sorregge la validità dell’attribuzione, risiede nel motivo oggettivato che penetra nella struttura dell’atto. 79 Com’è noto, l’assenza del corrispettivo è insufficiente per integrare lo schema della donazione. A tal fine occorre l’incremento del patrimonio altrui, il depauperamento di chi ha disposto del diritto o assunto l’obbligazione e lo spirito di liberalità consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio senza esservi in alcun modo costretto. Ora se il rifiuto del coacquisto presenta tutti i tratti della donazione, avremo una donazione indiretta essendo ravvisabile, nell’atto che ci occupa, uno scopo tipico e un effetto indiretto. Il primo consiste nell’impedire l’acquisto in comunione dei beni, il secondo nell’arricchimento del patrimonio del coniuge acquirente. Di conseguenza, ai sensi dell’art. 809 cod. civ., non è richiesta la forma solenne, mentre si applicano le norme sulla revoca per ingratitudine e sopravvenienza di figli (artt. 800 ss. cod. civ.), sull’azione di riduzione (artt. 555 ss. cod. civ.) e sulla collazione (artt. 737 ss. cod. civ.). 80 Per una trattazione degli atti a titolo gratuito, con un accurato esame della casistica giurisprudenziale sulle attribuzioni gratuite da parte di società o di soci (c.d. negozi mezzo) cfr. A. PALAZZO, Gratuità e corrispettività indiretta, in I contratti gratuiti, a cura di A. Palazzo e S. Mazzarese, Bologna, 2008, p. 29 ss. In giurisprudenza cfr. Cass. 22 gennaio 2009, n. 591, in Giur. it., 2000, 516, secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale è un atto a titolo gratuito anche se effettuata da entrambi i coniugi. Il curatore fallimentare potrà, quindi, usufruire delle agevolazioni probatorie dell’art. 64 l. fall. 81 Cass., 29 aprile 2009, n. 10052, cit., ha affermato che è sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi Il rifiuto del coacquisto può avere anche natura onerosa. L'assenza di corrispettivo non è, come ha chiarito la dottrina, «indice di per sé sufficiente ed idoneo alla qualificazione del regolamento come gratuito»82. Onde, in definitiva, la valutazione sulla natura liberale, gratuita o onerosa dell'atto dovrà essere compiuta volta a volta, alla luce del concreto assetto di interessi che le parti hanno inteso realizzare83. Anche l’estromissione di uno o più singoli beni dalla comunione legale, ove sia ritenuta ammissibile84, può cagionare un pregiudizio ai creditori della comunione, i quali hanno interesse a non subire una riduzione dell’oggetto del regime patrimoniale legale. Questo punto richiede alcune precisazioni, ma prima di svolgerle è utile una notazione. L’estromissione, secondo la tesi sostenuta in queste pagine, dà luogo a una convenzione matrimoniale sebbene si tratti di un atto con effetti dispositivi e non programmatici. Si applicano, quindi, le disposizioni sulla forma (art. 162 cod. civ.) e sulla pubblicità (artt. 162, comma 4°, e 2647 cod. civ.). Con riguardo a quest’ultimo profilo, l’art. 162, comma 4°, cod. civ., com’è noto, prescrive, quale condizione di opponibilità della convenzione matrimoniale, l’annotazione di alcuni dati a margine dell’atto di matrimonio. Le Sezioni Unite della Cassazione, in un’attesa sentenza, hanno chiarito che «detta annotazione costituisce l’unica formalità pubblicitaria rilevante agli effetti dell’opponibilità della convenzione ai terzi e che la trascrizione del vincolo ex art. 2647 c.c. è stata degradata al rango di pubblicità notizia»85. I coniugi, quindi, devono del creditore, non rilevando l'intenzione di ledere la garanzia patrimoniale generica. Sul requisito della partecipatio fraudis del terzo cfr. Cass., 5 marzo 2009, n. 5359, in Leggi d’Italia on line, secondo cui esso può presumersi dalla sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore ed il terzo. 82 A. PALAZZO, Gratuità a attuazione degli interessi, in I contratti gratuiti, cit., p. 19-21, rileva come apporre ad un atto gratuito un elemento accidentale (condizione termine o modus) può far emergere i tratti dell'onerosità dell'attribuzione benché a carattere non corrispettivo. 83 V. L. MOSCARINI, Convenzioni matrimoniali in generale, cit., p. 1029-1032, ritiene che a seconda dall’oggetto della convenzione matrimoniale cambi la sua natura. In linea generale se l’attribuzione patrimoniale s’inquadra nella logica dei reciproci apporti - ciò che giustifica la contitolarità degli acquisti nella comunione - «la causa dell’attribuzione sarà da ravvisare in un profilo di corrispettività». Invece, nelle ipotesi in cui l’attribuzione patrimoniale da un coniuge a favore dell’altro non riceva un compenso con uno spostamento patrimoniale di segno opposto, la causa, tendenzialmente può essere individuata in «in un profilo di gratuità, e quindi di liberalità». 84 Cfr. supra § 5, ove si è posto in luce come vi siano ragioni per ammettere l’estromissione di un singolo bene dalla comunione, sebbene le Sezioni Unite in commento abbiano negato il rifiuto del coacquisto ex lege. 85 La Cass. Sez. un., 13 ottobre 2009, n. 21658, in Corr. giur., 2009, 12, p. 1601 ss., a cura di V. CARBONE, Opponibilità ai | 127 Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Saggi Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Diversamente, il rifiuto del coacquisto e l’estromissione di un bene dalla comunione, se ritenuti ammissibili, possono determinare un pregiudizio per i predetti creditori. Ove ciò accada, essi hanno interesse a far dichiarare l’inefficacia dell’atto nei loro confronti mediante azione revoca| 126 toria, al fine di ricostituire la garanzia generica costituita dal patrimonio del coniuge-debitore (art. 2740 cod. civ.). Si deve allora chiarire se il rifiuto della contitolarità e l’estromissione costituiscono atti di disposizione del patrimonio, oggetto, in quanto tali, dell’azione revocatoria (art. 2901, comma 1°, cod. civ.). Con riferimento al primo, occorre una premessa. La dottrina ha distinto il rifiuto impeditivo, come la rinuncia all’eredità, da quello eliminativo, come il rifiuto del legato72. Mentre il primo impedisce il perfezionarsi della sequenza contrattuale scandita per la produzione dell’effetto sostantivo, il secondo postula che tale effetto si sia già verificato73. Questi due tipi di rifiuto costituiscono «atti di disposizione del patrimonio» e, perciò, possibile oggetto di revocatoria. Ora il rifiuto del coacquisto ex lege non è classificabile come rifiuto impeditivo, perché quest’ultimo, nella ricostruzione della dottrina, impedisce il perfezionamento della sequenza «in quei casi in cui l’accettazione è richiesta comunque dalla legge perché l’effetto [sostantivo] si verifichi in capo al soggetto»74. L’acquisto in comunione, invece, non necessita dell’accettazione del coniuge che non è parte dell’atto; da qui l’impossibilità di configurare il rifiuto del coacquisto come rifiuto impedito. E, di certo, esso non è neppure un rifiuto di tipo eliminativo, non respingendo un effetto già prodotto. Di conseguenza dovrebbe escludersi l’azione revocatoria, essendo configurabile non un atto di disposizione, ma una mera omissio adquirendi; così 72 U. NATOLI, voce Azione revocatoria, in Enc. dir., 1959, p. 894-895; L. BIGLIAZZI GERI, voce Revocatoria (azione), in Enc. giur., 1991, p. 6; C. M. BIANCA, La responsabilità, Milano, 1994, p. 450. La disciplina della rinuncia all’eredità (art. 524 cod. civ.) e alla prescrizione (art. 2939 cod. civ.) prevede in capo ai creditori poteri tipici di attivazione. 73 G. BENEDETTI, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, p. 165-191, distingue due procedimenti caratterizzati uno dall’accettazione (dove il rifiuto, in quanto comportamento empirico, non ha autonomia dogmatica), l’altro dal rifiuto pronunciato al fine di respingere un effetto sostantivo già prodotto (es: art. 649 cod. civ.). Il rifiuto previsto dall’art. 1333, comma 2°, cod. civ. si dirige, secondo l’A., contro un effetto sostantivo favorevole già verificato. La disposizione, infatti, nella ricostruzione dell’A., prevede un negozio unilaterale esposto al rifiuto del destinatario. 74 G. BENEDETTI, Dal contratto al negozio unilaterale, cit., p. 171. come andrebbe negata la trascrizione dell’atto di rifiuto, ai fini di cui all’art. 2644 cod. civ. 75. Si è replicato come tale conclusione sia formalistica, poiché non si può equiparare il rifiuto della contitolarità alla libertà negoziale negativa qual è, ad esempio, la dichiarazione di non accettare l’offerta di donazione. Il primo esprime «un comportamento positivo inteso a impedire un acquisto che, in difetto, si sarebbe immancabilmente verificato»76. In sostanza se il coniuge si oppone al coacquisto dispone del proprio patrimonio a favore del coniuge acquirente, il quale diventa, perciò, titolare esclusivo dell’intera piena proprietà. Il che può arrecare pregiudizio77 ai creditori della comunione e a quelli 75 F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., p. 381. G. GABRIELLI, Scioglimento parziale della comunione legale fra coniugi, cit., p. 364. Sotto altro ma connesso profilo G. OPPO, Acquisti alla comunione legale e pregiudizio dei creditori personali, in Diritto di famiglia, Scritti in onore di R. Nicolò, 1982, p. 384-385, aderisce alla tesi secondo cui l’esperimento dell’azione revocatoria «può collegarsi anche a un’omissione, per lo meno nei casi in cui la volontà contraria si debba necessariamente concretare in un comportamento attivo». L’autore reca l’esempio della dichiarazione richiesta dall’art. 179, comma 1° let. f), cod. civ. per impedire l’acquisto alla comunione legale. Se essa non viene resa si determina un apporto spontaneo alla comunione e un’attribuzione gratuita all’altro coniuge; effetto, questo, oggetto di eventuale azione revocatoria da parte dei creditori del coniuge acquirente che ha scelto, col suo silenzio, di ampliare il patrimonio in comunione. Rileva U. NATOLI, voce Azione revocatoria, cit. p. 894, che anche comportamenti passivi - in linea di principio irrilevanti – possono essere oggetto di azione revocatoria qualora «sia possibile riscontrare una manifestazione tacita di volontà». A fortiori, allora, deve essere ammessa la revocatoria del rifiuto del coacquisto. Cfr. anche L. BARBIERA, La comunione legale, cit., p. 94, il quale reputa il rifiuto del coacquisto «atto abdicativo, avente natura dispositiva». 77 Il pregiudizio (c.d. eventus damni), presupposto oggettivo dell’azione revocatoria, si verifica, secondo la tesi maggioritaria, quando l’atto di disposizione determina la perdita della garanzia patrimoniale o accresce la difficoltà, l’incertezza o la gravosità dell’esazione coattiva del credito. E’ sufficiente, quindi, che l’atto del debitore determini non una situazione attuale di danno (es: l’insolvenza), ma un pericolo effettivo di danno. Il che può verificarsi quando il debitore, con una vendita, sostituisca un bene facilmente reperibile e aggredibile, come l’immobile, con un altro agevolmente occultabile come il denaro. In tal caso la revocatoria è esperibile anche se muta soltanto la composizione qualitativa del patrimonio, rimanendo immutato il valore complessivo dello stesso. In dottrina cfr: U. NATOLI, cit., p. 893; L. BIGLIAZZI GERI, cit., p. 5; F. GALGANO, Le obbligazioni in generale, Padova, 2007, p. 248-249; S. D’ERCOLE, L’azione revocatoria, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 1998, p. 172 ss. Diversamente G. DIMARTINO, voce Revocatoria (azione), postilla di agg. in Enc. giur., 1991, p. 3 il quale reputa, con altri autori, eccessivamente estensiva l’interpretazione dominante dell’eventus damni, la quale comprime oltre misura la libertà del debitore di disporre dei propri beni. L’A. ritiene che l’incertezza o l’eccessiva lunghezza del tempo dell’espropriazione integrino il pregiudizio, non, invece, la semplice maggiore onerosità della stessa. In giurisprudenza sulla nozione di pregiudizio cfr.: Cass., 29 aprile 2009, n. 10052, cit.; Cass., 4 settembre 2009, n. 19234, in Leggi d’Italia 76 Sotto questo aspetto non è sorprendente, sebbene altrove sia apparso tale35, che lo stesso argomento interpretativo -l’effettività del recesso- spieghi per la Corte sia il principio di diritto (divieto di indennità) che l’annesso suo temperamento. 4. Segue: eccesso di consumerism, abuso ed ingiustificato arricchimento. Che dire inoltre riguardo ad un possibile titolo del professionista per esigere una somma compensativa dei danni originati dall’uso della res: cioè un’indennità non per l’uso ma per l’usura? E’ vero che la littera legis, comunitaria (art. 6, 2 co., dir. 97/7/CE) e nazionale (art. 64, 1 co., c. cons.) fa esplicito divieto di ogni penalità: ma per tali, sembra ragionevole pensare, devono intendersi quelle indennità che fossero connesse all’esame diretto della merce o ad un suo breve impiego a titolo di prova. Come, per la verità, la stessa Corte riconosce allorquando evidenzia che contraria al diritto comunitario sarebbe una norma nazionale che prevedesse in modo generico un’indennità (per un primo vaglio della res) o, come sembra ragionevole credere, l’addebito, in caso di recesso, delle somme versate a titolo di spese di consegna della merce 36. Non però per altre voci37. Di talché l’impressione che un’interpretazione refrattaria ad una riduzione teleologica della portata dell’art. 64 c. cons. (a mo’ di una Richtlinienkonforme Rechtsfortbildung)38 avvantaggi troppo il consumatore e comprometta il costituirsi di un equilibrio rimediale soddisfacente 35 Così G. PAISANT, Obs., cit., p. 27. La questione -causa C-511/08 (Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen e V c. Heinrich Heine GmbH), sollevata dal Bundesgerichtshof con decisione del 1 ottobre 2008- è ancora pendente, ma tutto lascia pensare che non possa concludersi diversamente: da un lato infatti la lettera dell’art. 6, n. 1, della direttiva 97/7 giacché, se le uniche spese dovute sono quelle dirette di spedizione dei beni al professionista, si impone l’esigenza di un’interpretazione restrittiva; dall’altro l’espressione dell’art. 6, n. 2 riguardo all’obbligo del professionista di rimborso gratuito delle somme versate dal consumatore recedente: che sembra preludere, se davvero di rimborso integrale si tratta, alla restituzione di tutto quanto risulta sia stato versato a titolo di spese contrattuali. V., comunque, le Conclusioni dell’Avvocato generale P. Mengozzi del 28 gennaio 2010 (che motiva pure in forza del principio di equa ripartizione delle spese (§§ 47 – 49). 37 Concorda M. DE FRANCESCHI, La sostituzione del bene «non conforme» al contratto di vendita (a proposito di C. giust. CE 17 aprile 2008, C-404/06), cit., p. 579. Sulla vessatorietà delle clausole prescriventi «des modalités… non justifiées par la nécessité d’assurer la protection du bien restitué», v. V. AVENAROBARDET, Faculté de rétractation dans les ventes à distance: entre illusion et réalité, cit., p. 2161. 38 Sul problema, che in Germania ha sollevato un dibattito appassionato ancora in corso, v. C. BALDUS, Quelle: Ärger frei Haus, in GPR, 2009, p. 53 s. 36 permane. La previsione di un diritto di recesso, se si apparenta con le sole utilità che sono organiche alla sua attribuzione, non tollera torsioni verso finalità dissimili (il godere di una res acquistata ad un prezzo d’occasione), inesigibili perché ultronee. Perplessità -semmai- desta il richiamarsi della Corte ad una indennità ammissibile ove il suo importo non si mostri «sproporzionato rispetto al prezzo di acquisto del bene» 39. Evidentemente non per il rilievo in sé: ovvio e col pregio di marcare il (netto) distinguo teorico che passa tra sindacato avente ad oggetto la proporzionalità (di un quantum indennitario) e giudizio sull’abusività delle modalità di esercizio (di un potere)40. Gli è però che un enunciato di siffatto tenore rischia di trasformare in illusoria la pretesa del professionista nel momento in cui lo si fa subito seguire dall’osservazione, per nulla di complemento, che l’onere della prova di uso indebito -durante il periodo di recesso- è sempre a carico del venditore41. Un onere del genere, non v’è chi non lo veda, è difficile infatti da soddisfare, salvo che il pensiero sottinteso della Corte non sia quello di immaginare, per il fatto stesso del mero possesso utilitaire della cosa, un discutibile ricorso al meccanismo delle presunzioni42. Ma allora quid iuris se il cyberconsumatore, ignaro della parzialità informativa, dovesse aver scelto sua sponte di non dare corso all’utilizzo della cosa fino al momento del recesso visto che l’oggetto «si sarà nondimeno svalutato in conseguenza del mero decorso del tempo»?43 Ma c’è di più. Il fatto, si prenda nota, è che il problema non consiste tanto nel rilevare l’attitudine fisiologica di ogni regime protettivo -d’ordine pubblico- di riconvertire sempre il contraente faible in quello puissant44. Rilievo che può esser vero, ma con la controindicazione evidente di omettere il dato topico dell’intera questione: che pare risiedere sempre e soltanto nell’individuazione di una misura di ragio39 Così CGE, 3 settembre 2009, cit. § 27. Ovvero il discrimine ignorato, visto che non figura nella sua pur lunga motivazione, da Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Corr. giur., 2009, p. 1577 ss., con nota di F. MACARIO, Recesso ad nutum e valutazione di abusività nei contratti tra imprese: spunti da una recente sentenza della Cassazione. 41 In quanto pregiudicherebbe l’efficacia del diritto di recesso una disciplina nazionale «che ponesse a carico del consumatore l’onere della prova di non avere usato [il bene] …. oltre quanto necessario» all’utile esercizio del recesso (così CGE, 3 settembre 2009, § 27). 42 E’ l’avviso di G. PAISANT, Obs., cit., p. 28, secondo il quale il problema della prova «ne devrait pas se poser». 43 Così, in termini denegativi dell’indennità, M. DE FRANCESCHI, La sostituzione del bene «non conforme» al contratto di vendita (a proposito di C. giust. CE 17 aprile 2008, C404/06), cit., p. 581. 44 Così A. LEPAGE, Les paradoxes du formalisme informatif, cit., p. 617. 40 | 91 La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefano Pagliantini) Persona e Mercato - Materiali e commenti Persona e Mercato – Materiali e commenti La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefan o Pagliantini) nevolezza cui devono attenersi i singoli standards di tutela del consumatore. Altrove, per scongiurare il pericolo di un regime di superprotezione (formale) del consumatore, onde evitare il proliferare di condotte palesemente di malafede e sminuenti il «sentiment de responsabilité individuelle»45, si escogita| 92 no tecniche correttive più o meno raffinate: pas de nullitè sans grief, si dice (specialmente allorché la sanzione invalidante comminata non si commisura per nulla al veniale vizio di forma eccepito) 46; pondération des situations in concreto (se c’è così modo di ovviare al paradosso di un formalismo informativo fatto valere come strumento anticontractuel)47; forme de protection en juste mèsure (che significa imputazione di responsabilità al professionista solo quando se ne accerti previamente la patente malafede o la grave negligenza)48; caractère facultatif, per finire, «de la sanction des règles de forme»49: che vuol dire discrezionalità giudiziale nell’azionabilità dei rimedi conseguenti al mancato rispetto del formalismo informativo, onde evitare una compromissione patente delle regole che governano la circolazione giuridica dei beni. Nel caso qui descritto si possono, invece, utilmente invocare -come avverte del resto la Corte- la disciplina dell’ingiustificato arricchimento (rilevante alla stregua di un’indennità per l’uso) 50 e del risarcimento dei danni (quanto all’indennità per l’usura), perché l’una e l’altra normativa si mostrano compiutamente idonee ad orientare il declinarsi del formalismo informativo in un’accezione che trascende la rozza opposizione astratta professionista/consumatore. Non sempre infatti il consumatore, che lamenti in executivis una pregressa irregolarità formale, è la «victime toute désignée des menigances» del professionista51: se è vero ch’egli si può 45 Cfr. A. LEPAGE, op. loc. ult. cit. V., in special modo, S. PIEDELIÈVRE, Droit de la consummation, Paris, 2008, p. 61; Y. ROUQUET, Sanction du non respect des formalités du cautionnement, in D., 2006, p. 808; X. LAGARDE, Office du juge, in JCP. La semaine juridique, 2009, p. 32 e, da ultimo, a S. PAGLIANTINI, Nullità virtuali di protezione?, in Contratti., 2009, p. 1044 ss. 47 Così G. ROUHETTE, Droit de la consommation et théorie générale du contrat, in Études offertes à René Rodière, Paris, 1981, p. 247 ss. 48 E’ l’emblematico argomentare di J. MESTRE, Obs., in RTD civ., 1998, p. 365. 49 Così A. LEPAGE, Les paradoxes du formalisme informatif, cit., p. 619 e C. OUERDANE – AUBERT DE VINCELLES, Altération du consentement et efficacité des sanctions contractuelles, Dalloz, 2002, n. 215 s. 50 Che poi è l’interpretazione caldeggiata, a margine del caso Quelle, da S. HERRLER – L. TOMASIC, Keine Nutzungsersatzpflicht im Fall der Neulieferung, in BB, 2008, 1245 (con esplicito richiamo al combinato disposto dei §§ 346, 3 co. e 818 ss. BGB). 51 L’espressione si legge in D. MAZEAUD, L’endettement des acquéreurs, in RD imm., 1995, p. 641 s. 46 pure presentare, come nell’ipotesi qui illustrata, nella veste di un’acquirente che recede sì legittimamente dopo undici mesi, dalla stipula del contratto, ma trascorsi facendo operoso uso della res tradita. Che significa, non v’è chi non lo veda, accaparrare seu introitare utilità «a spese della controparte»52. Dire, come suggerisce la Corte, che l’indennità è sì ammissibile quando l’uso contravviene ai principi della buona fede o dell’arricchimento senza causa, purché però non venga pregiudicata «l’effettività del diritto di recesso», è esatto ma troppo indeterminato. Un recesso a costo zero, nonostante la primitiva consegna del bene sia risultata per più mesi soddisfacente, offusca anziché assecondare lo scopo attributivo del rimedio. A tacer del fatto che, così ragionando, non si «esalta [certo] il valore economico dell’affare»53. Di qui, allora, lo spunto per un discorso che, in queste pagine, si può solo abbozzare: non è che l’attribuzione patrimoniale originata da un valido ed efficace atto di recesso può però rivelarsi, in più di una circostanza54, carente di una propria giustificazione, tanto che il conseguente arricchimento del consumatore recedente finisca per mostrarsi come sprovvisto di una iusta causa? In soccorso di un siffatto argomentare, che ha comunque dalla sua un precedente illustre55, potrebbe invocarsi la teorica del cd. arricchimento indiretto, cioè prodotto da una vicenda particolarmente complessa. Riguardo a questo tipo di fattispecie la migliore dottrina ha, invero, mostrato sempre di voler distinguere tra il fatto (o il negozio) idoneo a determinare l’attribuzione (cioè il titolo) ed un secondo requisito necessario, invece, alla giustificazione degli effetti56. Orbene, qui la fattispecie -contratto, abuso del consumatore e recesso- è indubbiamente complessa: perciò potrebbe sostenersi che la condizione del professionista impoverito risulta meritevole di una distinta tutela nei riguardi del consumatore arricchitosi giacché, pur vantando costui una «legittimazione formale nei riguardi dell’incremento ricevuto»57, per il fatto dell’abuso si annulla la «specifica» ed intrin52 Così G. D’AMICO, Il recesso ad nutum tra buona fede e abuso del diritto, cit., p. 21 s. 53 E’ la fine osservazione di G. VETTORI, I rimedi di ´terza generazione`, in Diritto privato e ordinamento comunitario, Milano, 2009, p. 259. 54 V. infra, § 8 (testo e note). 55 V., in particolare, P. BARCELLONA, Note critiche in tema di rapporti tra negozio e giusta causa dell’attribuzione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1965, p. 14 ss. e 22 – 24. 56 Cfr., in luogo di tanti, A. TRABUCCHI, Arricchimento (azione di), in Enc. dir., III, Milano, 1959, p. 67 s.; E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni. III, Fonti e vicende dell’obbligazione, Milano, 1954, p. 145 e, soprattutto, U. BRECCIA, L’arricchimento senza causa, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, 9, T. I, Torino, 2 ed., 2002, p. 990 – 992. 57 Così A. TRABUCCHI, Arricchimento (azione di), cit., p. 68. civ. (c.d. tutela esterna) 67. E legittimato all’azione è soltanto il consorte estraneo all’atto68. Con riguardo al caso appena descritto, si è posto il problema, su cui si è pronunciata la sentenza in commento, dell’opponibilità al terzo dell’accertamento della comunione legale sul bene alienato dal coniuge che appariva unico titolare. L’art. 184 cod. civ. tace sul punto, non dettando una regola sugli effetti dell’invalidità nei confronti dei terzi. Secondo le Sezioni Unite, poiché il legislatore ha previsto il rimedio dell’annullamento per vizio del titolo del dante causa, per «tutto quanto non diversamente stabilito dalla norma speciale (…), deve ritenersi applicabile la disciplina generale dell’azione di annullamento dei contratti»69. Ne deriva che la pronuncia d’invalidità ha efficacia retroattiva reale, ma il terzo acquirente non vede pregiudicato il suo diritto se ha acquistato a titolo oneroso e in buona 67 L’atto dispositivo del bene della comunione è parimenti annullabile quando il bene risulta intestato e trascritto a favore di entrambi i coniugi e uno soltanto compia l’alienazione. L’art. 184 cod. civ. non ha operato alcuna distinzione a seconda della titolarità; anzi non può sfuggire come la previsione normativa dell’annullamento e della convalida - che, nel testo di legge definitivo, ha sostituito la ratifica - sia incompatibile con l’inefficacia (comma 1°). 68 G. GABRIELLI, voce Regime patrimoniale della famiglia, cit, p. 364, rileva altresì che sono legittimati passivi in litisconsorzio necessario il coniuge che ha posto in essere l’atto e l’avente causa. E’ pacifico che il terzo, sebbene possa avere interesse all’annullamento, non sia legittimato ad agire. Quanto al termine annuale, da qualificarsi di prescrizione (breve), esso non è soggetto alla sospensione tra coniugi. Inoltre, sotto altro profilo, un’eventuale richiesta formale da parte del terzo al coniuge pretermesso di palesare le proprie intenzioni circa l’annullamento non obbliga quest’ultimo a rispondere, né la mancata risposta equivale a ratifica, a convalida o a rinuncia all’azione di annullamento. I convenuti - coniuge alienante e terzo - possono eccepire che sussistevano i presupposti per ottenere l’autorizzazione prevista dall’art. 181 cod. civ. Secondo F. MASTROPAOLO, Sub. art. 184, cit. , p. 216, «se l’azione non viene tempestivamente proposta, il coniuge che non aveva espresso il consenso all’atto ha diritto a pretendere che l’altro coniuge ricostruisca la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell’atto o, se ciò sia possibile, al pagamento dell’equivalente secondo i valori correnti all’epoca della ricostruzione». Nei rapporti interni tra i coniugi, quindi, l’A. ritiene applicabile, se non si vuole incorrere in una irragionevole esclusione, la tutela prevista dall’art. 184, comma 3° cod. civ. 69 Di conseguenza alla convalida prevista dall’art. 184, comma 1°, cod. civ. si applica la disciplina dell’art. 1444 cod. civ. Rimane tuttavia il dubbio, che ha diviso la dottrina, con riguardo all’ammissibilità della convalida tacita (art. 1444, comma 2°). Secondo alcuni, essa è ammissibile qualora, ad esempio, il coniuge che non abbia manifestato il consenso necessario dia consapevolmente esecuzione al contratto concluso dall’altro, oppure metta in mora o consegni il bene all’acquirente. Contra F. MASTROPAOLO, Sub. art. 184, cit. , p. 213, il quale rileva, tra l’altro, che, provenendo la convalida dal coniuge che non è stato parte dell’atto, «il suo comportamento non si presta ad essere valutato in termini di adempimento da parte sua ad obblighi mai assunti, neppure invalidamente». fede, ossia ignorando la natura comune del bene (art. 1445 cod. civ.)70. Chiarita la posizione del terzo, la pronuncia in commento non si è occupata della tutela dei creditori della comunione né di quelli particolari del coniuge che rifiuta di divenire comproprietario. Non si è trattato di un’omissione perché aver negato il rifiuto del coacquisto ha eliminato il problema, rafforzando, anzi, la garanzia patrimoniale dei creditori. Difatti, i primi vedono incrementarsi il patrimonio su cui fare affidamento, mentre i secondi beneficiano della responsabilità sussidiaria dei beni della comunione71. | 125 70 All’applicazione dell’art. 1445 cod. civ., si legge nella sentenza in commento, non osta «il fatto che il vizio del titolo del dante causa dipende nel caso dell’art. 184 c.c. da un’azione di accertamento e nel caso dell’art. 1445 c.c. da un’altra azione di annullamento». Nel caso di specie, poiché il terzo acquirente aveva trascritto l’acquisto prima della trascrizione della domanda giudiziale di annullamento, per opporgli l’invalidità del titolo del dante causa occorreva dimostrare la sua mala fede. Ora, in generale, si deve escludere la buona fede se entrambi i coniugi risultano intestatari del bene immobile o mobile registrato, oppure se il bene è intestato soltanto al coniuge che non presta il consenso e il coniuge contraente dimostri, esibendo il certificato di matrimonio, che opera la comunione legale, oltre ad asserire di avere il potere di disporre. 71 I creditori della comunione (art. 186 cod. civ.), com’è noto, possono agire sui beni di quest’ultima e, in via sussidiaria «sui beni personali di ciascuno nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti» (art. 190 cod. civ.). Anche i creditori particolari di un coniuge traggono vantaggio dal regime legale, in quanto i beni di quest’ultimo rispondono, in via sussidiaria, «fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato» delle obbligazioni contratte prima e dopo il matrimonio (art. 189 cod. civ.). I creditori personali chirografari, tuttavia, sono posposti ai creditori della comunione. In sostanza i creditori della comunione possono agire sui beni personali, così come i creditori personali possono aggredire i beni comuni. Due precisazioni. La prima sul regime dei creditori personali: la limitazione cui essi sono assoggettati è meramente quantitativa e non attiene alla scelta dei beni da escutere. In caso di esecuzione, se l’altro coniuge (che vi si oppone) prova che il bene aggredito è stato acquistato in costanza di matrimonio, il creditore procedente dovrà provare che il bene escusso rientra tra quelli contemplati dall’art. 179 cod. civ. (cfr. amplius G. OPPO, Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia, cit., p. 111). La seconda riguarda il limite legale della metà del credito, posto ai creditori della comunione che agiscono, in via sussidiaria, sui beni personali di ciascun coniuge (art. 190 cod. civ.). Tale limite implica, ad una prima lettura della disposizione, che il creditore della comunione potrebbe non essere soddisfatto ove i beni di quest’ultima siano insufficienti e solo uno dei coniugi abbia un patrimonio capiente. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009, p. 382-383, giustamente, compie un’interpretazione correttiva dell’art. 190. Il quale - ritiene l’A. - non si applica «quando entrambi i coniugi hanno assunto l’obbligazione», situazione, questa, in cui opera il principio generale di cui all’art. 2740 cod. civ. L’art. 190, invece, regola la materia quando «l’obbligazione è contratta separatamente da un coniuge per l’ordinaria amministrazione (per la straordinaria si applicherà (…) l’art. 189, comma 1)». Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Saggi Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) mette, indirettamente, convenzioni matrimoniali dispositive con riguardo ai beni diversi da quelli elencati dalle lettere c), d) ed e) dell’art. 179. Inoltre, l’art. 211 cod. civ. si riferisce chiaramente alle convenzioni dispositive, stabilendo che i beni di proprietà del coniuge prima del matrimonio, se entrano | 124 a far parte della comunione - ecco l’effetto dispositivo - possono essere aggrediti dai creditori. La «diversa convenzione» cui fa menzione l’art. 159 cod. civ. è, dunque, sia quella programmatica (separazione dei beni, comunione convenzionale che regola gli acquisti futuri), sia quella che modifica il regime della comunione legale con riguardo ad un solo bene (rifiuto del coacquisto o estromissione)63. Se così è, si deve ritenere che il rifiuto e l’estromissione sono assoggettati alle prescrizioni sulla forma e all’art. 163, comma 3°, cod. civ. che richiede, a pena di inopponibilità, l’annotazione della modifica in margine all’atto di matrimonio64. convenzioni matrimoniali le quali possono, a loro volta, specificare il criterio di proporzionalità sancito dall’art. 143 cod. civ. o escludere un singolo bene dalle comunione. Le convenzioni matrimoniali, continua l’A., appartenendo all’area dei contratti, sono assoggettate, in via sussidiaria e integrativa rispetto agli artt. 160-166-bis cod. civ., alla disciplina dei contratti in generale. Contra: E. RUSSO, Le convenzioni matrimoniali, Sub. artt. 159-166-bis, Milano, 2005, p. 58-79; M. CAVALLARO, Le convenzioni matrimoniali, in La famiglia, tratt. diretto da Lipari e Rescigno, Milano, 2010, p. 173, secondo i quali la convenzione matrimoniale in senso tecnico è solo quella programmatica. Si può osservare che, accogliendo la tesi della convenzione matrimoniale come necessariamente programmatica, l’atto costitutivo del fondo patrimoniale non dovrebbe essere ad essa ricondotto poiché dà luogo a un vincolo su determinati beni, senza derogare al regime legale. La giurisprudenza di legittimità, tuttavia, qualifica il fondo patrimoniale convenzione matrimoniale: Cass., 27 novembre 1987, n. 8824, in Giust. civ., 1988, I, p. 677 ss.; Cass., 1 ottobre 1999, n. 10859, in Vita not., 1999, p. 1433 ss.; Cass., 7 agosto 2003, n. 10666, in Fam. e dir., 2004, p. 85 ss.; Cass., 7 ottobre 2008, n. 24757, in Giur. it., 2009, 8-9, p. 1947 ss. 63 La Cass., 2 giugno 1989, n. 2688, cit., ha affermato che il rifiuto del coacquisto è assoggettato al formalismo previsto dall’art. 162 cod. civ. Tale atto segue, quindi, la disciplina delle convenzioni matrimoniali, le quali possono avere anche natura dispositiva. Secondo questa impostazione l’art. 159 cod. civ. si può leggere nel modo seguente. Se è stipulata una diversa convenzione programmatica o dispositiva (rifiuto del coacquisto o estromissione di un singolo bene dalla comunione legale), il regime patrimoniale legale non è più regolato soltanto «dalla sezione III del presente capo», ma anche, appunto, dalla convenzione che ne ha modificato il regime. In altri termini, l’art. 159 non contrappone al regime legale soltanto la convenzione programmatica, ma anche quella dispositiva. 64 Com’è noto, l’annotazione non consente ai terzi di conoscere il contenuto della convenzione matrimoniale, ma soltanto alcuni dati (art. 162, comma 4°, cod. civ.) tra cui il nome del notaio rogante al quale richiedere, ai sensi dell’art. 743 c.p.c., una copia autentica della convenzione. Con l’ispezione del registro di matrimonio, quindi, si può sapere solo se è stata conclusa una convenzione senza però avere contezza del contenuto. Orbene, poiché «l’autonomia è giuridicamente pensabile solo come normativa»65, si può affermare che l’estromissione e il rifiuto della contitolarità sono negozi compatibili con i valori espressi dal sistema della comunione legale. Questi atti realizzano finalità pratiche sempre diverse e altresì, essenzialmente, quelle modificazioni che autorevole dottrina reputa essere gli effetti del negozio66. I quali, nei casi in esame, sono, rispettivamente, il mancato acquisto alla comunione legale e l’uscita da questa di un bene che ne fa parte. 7. Opponibilità della natura comune e tutela dei creditori. L’effetto legale acquisitivo è, secondo le Sezioni Unite, indisponibile al di fuori dei casi elencati dall’art. 179 cod. civ. Ne consegue che è sempre possibile chiedere l’accertamento della comunione legale su un dato cespite, sebbene vi sia stato il rifiuto della contitolarià o l’intervento del coniuge non acquirente ai sensi dell’art. 179, comma 2° cod. civ. Non solo. Com’è noto, gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, tra cui rientrano gli atti di disposizione di diritti reali su beni immobili, devono essere compiuti congiuntamente dai coniugi (art. 180, comma 2°, cod. civ.). Se il coniuge unico intestatario aliena, disgiuntamente dall’altro, a un terzo un bene che è in comunione legale, l’atto è annullabile ai sensi dell’art. 184, comma 1°, cod. seca «ragione» che costui poteva eccepire, nei confronti del professionista impoverito, per conservare il suddetto arricchimento. L’alternativa, ovviamente, è declassare la vicenda ad un arricchimento occasione iuris, irripetibile stante il suo palesarsi come un effetto indiretto dell’agire negligente del professionista: ma vi osta la circostanza che la libertà di arricchimento, per chi muove dall’assunto che «ogni situazione giuridica [ha] una [sua] fisionomia caratteristica»58, sempre si arresta alla porzione di utilità spettante ex lege ad un altro soggetto. Ed il fatto che il dato normativo comunitario -v. art 6, nn. 1 e 2 dir. 97/759- si presti ad interpretazioni divergenti non può certo rappresentare di per sé un motivo aggiunto di controvertibilità della lettura testé suggerita. 5. Forma informativa, effetti economici del recesso e la valenza integrativa/correttiva del diritto comune. E’ facile comprendere, naturalmente, in quale altro modo si possa motivare, con plausibile persuasività, una lettura denegativa dell’indennità d’uso. La trama argomentativa che scandisce il periodare delle Conclusioni depositate dall’Avvocato Generale rappresenta, in tal senso, l’esemplificazione più rigorosa che si possa dare di un siffatto intendimento. Indubbiamente è corretto muovere dalla constatazione che un palesarsi del recesso come rimedio efficace ed effettivo postula il previo scrutinio degli effetti «economici [che sono] connessi al suo esercizio»60. In quest’ottica, ragionando in termini di interpretazione teleologica, ha un senso affermare che il fatto di imputare, al consumatore non compiutamente informato, degli oneri aggiuntivi, avrebbe l’effetto di compromettere il suo diritto di recesso. Invero, se il beneficio di una tutela maggiore dipende da un fatto originato dalla negligenza del professionista, non è pensabile poi che il consumatore, per giovarsene, debba contestualmente versare 58 65 B. DE GIOVANNI, Fatto e valutazione nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1958, p. 112. 66 G. B. FERRI, Il negozio giuridico, Padova, 2004, p. 58 ss., chiarisce come il negozio miri a realizzare «finalità pratiche» (c.d. effetti empirici) e «modificazioni (anche materiali) della situazione preesistente». Tali modificazioni costituiscono gli effetti giuridici del negozio, i quali si producono soltanto se vi è «compatibilità tra il valore espresso dalla regola negoziale, con quello espresso dalle norme dell’ordinamento». Questa duplicità di piani (norma e negozio) è stata già posta il luce da F. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, 1951, rist. Esi, 1998, p. 223-224 e da B. DE GIOVANNI, Fatto e valutazione nella teoria del negozio giuridico, cit., passim, il quale ha composto la frattura tra volontaristi e dichiarazionisti, ricostruendo il negozio quale atto di autonomia. Cfr. U. BRECCIA, L’arricchimento senza causa, cit., p. 986 (nt. 43). 59 L’espressione spese dovute si presta infatti, nelle varie versioni nazionali, ad (almeno) due interpretazioni. Se nella versione tedesca e francese è forte invero il sospetto che il rimborso al consumatore riguardi le sole spese eziologicamente connesse al recesso (infolge e en raison de), nella logica spagnola ed italiana l’idea di un nesso causale manca del tutto: il riferimento infatti è «semplicemente al consumatore che esercita il suo diritto di recesso». Così P. MENGOZZI, Conclusioni, cit. § 41. 60 Così V. TRSTENYAK, Conclusioni, cit. §§ 86 ss. e CGE, 3 settembre 2009 (§§ 19 e 20). In dottrina v. pure le eleganti considerazioni di P. MANKOWSKI, Beseitigungsrechte, Tübingen, 2003, p. 893 e di V. AVENA-ROBARDET, Faculté de rétractation dans les ventes à distance: entre illusion et réalité, cit., p. 2161 un corrispettivo. In questi termini non c’è dubbio alcuno che l’incondizionata previsione o la pattuizione, anticipata ed insindacabile, di un’indennità d’uso rileverebbe alla stregua di un prezzo per il recesso. Con tutto quello che ne consegue, è evidente, nella prospettiva di una rappresentazione del medesimo come rimedio -o diritto- a carattere puramente formale: un droit payant, com’è stato scritto61. Ma c’è il fatto, volendo subito replicare, che chi mostra di ragionare in questi termini, essendo questione di condotte contrattuali che si «riflettono sul mercato»62, trascura di considerare due obiezioni, entrambe di non poco conto. La prima. Vero che l’articolato normativo comunitario -art. 6, 2 co. dir. 97/7/CE- contempla una nozione di spese, plausibilmente comprensiva di quelle dirette ed indirette; e vero pure che, per controbattere all’abuso di un consumatore, non è che si possa procedere ad una torsione della littera legis strumentale alla definizione (interpretativa) di una normativa più gravosa «per tutti i consumatori»63. Sennonché, muovendo dalla corretta premessa che la legislazione consumerista rileva alla stregua di un diritto secondo64, non si vede cosa osti, come pur incidentalmente si riconosce e la Corte poi corrobora65, a che il professionista possa agire «caso per caso» sulla scorta dei principi di diritto privato generale. Che, nella fattispecie descritta, significa contestare l’inesigibilità di tutte le utilità estranee al contenuto del diritto di recesso e domandare, per l’eventuale usura del bene, il risarcimento danni. Opporre, ad uno svolgimento del diritto comune patrimoniale in funzione integrativa/correttiva, che non può dimidiarsi ope interpretationis un regime di tutela modellato esclusivamente sulla qualità subiettiva delle parti66, serve a ben poco: se è vero che lo scopo protettivo non risulta neanche intaccato allorquando il consumatore lamenta un pregiudizio 61 Così G. ROUSSET, Droit de rétractation et vente à distance, un éclairage communautaire intéressant, cit., p. 2168 e P. MENGOZZI, Conclusioni nella causa causa C-511/08 (Verbraucherzentrale Nordrhein-Westfalen e V c. Heinrich Heine GmbH), cit. §§ 43 – 45 (con testuali richiami alla Messner). 62 Così G. OPPO, Impresa e mercato, in Scritti giuridici, VII, cit., p. 186. 63 Cfr. V. TRSTENJAK, Conclusioni, cit. § 94 (pure per la citazione successiva, §§ 90 - 93 ). 64 V. per tutti C. CASTRONOVO, Diritto privato generale e diritti secondi. La ripresa di un tema, in Europa dir. priv., 2006, p. 397 ss. In una diversa prospettiva, com’è notorio, M. LIBERTINI, Alla ricerca del «diritto privato generale» (Appunti per una discussione), in Riv. dir. comm., 2006, p. 541 ss. 65 Cfr. V. TRSTENJAK, Conclusioni, cit. § 93. 66 Del rilievo, talmente diffuso da rendere superflua ogni citazione, dà conto criticamente A. GENTILI, Informazione contrattuale e regole dello scambio, cit., p. 575. | 93 La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefano Pagliantini) Persona e Mercato - Materiali e commenti Persona e Mercato – Materiali e commenti La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefan o Pagliantini) informativo soltanto nominale67. Che poi, si prenda nota, è il particolare, pur nell’ottica di un uso non incompatibile con i principi del diritto civile, sfuggito alla stessa Corte68. Non si può infatti dire che lo speciale sistema di garanzia consumerista, ad abbinare forma di protezione ed abuso del diritto, ne e| 94 sca disarticolato. Invero, se la ragione che ha indotto il legislatore a procedimentalizzare la vendita a distanza, sta tutta nell’assicurare, per il tramite di un formalismo informativo rigoroso, la lucidité della volontà di obbligarsi69, non si vede per quale ragione dovrebbe eccepirsi una carenza informativa quando lo scopo del formalismo non viene in gioco stante il mancato violarsi della sua ratio. Semmai, giova evidenziarlo, c’è il rischio, ad escludere che il professionista possa reclamare una qualsiasi indennità, che si instauri un immotivato squilibrio ai suoi danni: il che, oltre a produrre l’effetto perverso di disincentivare i fornitori dall’operare nel settore della contrattazione a distanza, cozza con l’esigenza, già richiamata, di un’intrinseca ragionevolezza dell’apparato remediale consumerista70. Che, si badi, un’indennità proporzionale al prezzo iniziale (del bene) ed alla durata (del suo utilizzo) pare invece garantire al meglio. Prima conclusione: che l’abuso del diritto, in quanto geeignete Maßnahme zum Schutz des Verbrauchers71, presenti allora l’attitudine a coniare una Beschränkung des Widerrufsrechts? 6. Seconda obiezione, non meno tranchant. Per chi non dovesse trovare soddisfacente il trittico forma di protezione/abuso del diritto/ingiustificato arricchimento, è suggeribile un’altra tecnica che si mostri comunque idonea a governare quanto fin qui è andato sotto il nome di paradossi del formalismo informativo? 67 Cfr. G. D’AMICO, Formazione del contratto, in Enc. dir. Annali, T 2, Milano, 2008, 583. V., poi, S. PAGLIANTINI, Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, cit., p. 34 ss. 68 Che mostra di preferire l’argomento di un recesso esercitato «in piena libertà e senza alcuna pressione» (§ 23 della motivazione). Per un’attenta rimeditazione del problema v., in luogo di tanti, G. D’AMICO, Formazione del contratto, cit., p. 588 ss. 69 V., in tal senso, G. D’AMICO, Nullità virtuale – Nullità di protezione (Variazioni sulla nullità), in Contratti, 2009, p. 738 e 744 e S. PAGLIANTINI, Nullità virtuali di protezione, cit., p. 1044 e 1052. 70 Sul fatto che la tutela del consumatore incontra, comunque, i limiti delle «esigenze del mercato e della contrattazione imprenditoriale», v. emblematicamente G. OPPO, Categorie contrattuali e statuti del rapporto obbligatorio, cit., p. 49. 71 La terminologia, seppur in una diversa prospettiva, è di P. MANKOWSKI, Die gemeinschaftsrechtliche Kontrolle von Erlöschentatbeständen für verbraucherschützende Widerrufsrechte, cit., p. 1143. A tutta prima sembra che questa seconda tecnica si possa plausibilmente sostanziare o risolvere nella regola di buona fede oggettiva: ma, si badi, maneggiandola non nella maniera ornamentale che ne ha fatto la Corte, bensì nelle versioni che ha provveduto a declinare, nell’ultimo trentennio, quella raffinata dottrina italiana propensa a vedere nella bona fides interpretativa dell’art. 1366 c.c. vuoi un criterio «bilaterale e qualitativo…perché implicante un giudizio di relazione»72, tra due interessi, vuoi un canone deputato a dischiudere tutte le conseguenze che sono immanenti alla regola contrattuale (in quanto iscritte nell’«intrinseca razionalità dell’operazione voluta dalle parti»73. Della prima teoria, seppur nella prospettiva assai discussa di una buona fede con funzione correttiva, giova qui il riferimento ch’essa fa ad un atteggiarsi del bilanciamento d’interessi su di un parametro di potiorietà che non è «sempre e soltanto» da riferire a quello «astrattamente privilegiato da una norma di stretto diritto». E’ vero che questa dottrina declina l’art. 1366 c.c. nel senso di assoggettare il contratto, che abbia ottemperato ad un giudizio di validità stricto iure, ad un sindacato posteriore di rilevanza ex fide bona condotto sulla scorta di un giudizio di meritevolezza civil-costituzionale (artt. 2 Cost. e 1322, 2 co., c.c.). Ma è tutto da verificare che, in fattispecie similari a quella descritta, la qualitas degli interessi confliggenti riservi una valutazione di esclusiva meritevolezza alla condizione del consumatore74. Che, si prenda nota, è sleale se recede senza che il suo pregresso comportamento operoso abbia lasciato trasparire, per ben otto mesi, la minima censura sul funzionamento del bene. A ragionare diversamente si incorre nel difetto (paradossale) di riconoscere a questo consumatore una condizione migliore di quella riservata a chi concluda l’acquisto al cospetto del professionista. Come la Corte, di altro avviso sì rispetto alle Conclusioni dell’Avvocato generale ma non troppo, avrebbe ben potuto rilevare75. D’altronde se è ad una «valutazio72 Il riferimento, va da sé, è al denso argomentare, espresso in più di un’opera, di L. BIGLIAZZI GERI. La citazione è tratta dallo scritto suo che, ratione materiae, è forse il più emblematico: L’interpretazione, Milano, 1994, p. 160. Da ultimo una convincente disamina del problema si legge in V. CALDERAI, Interpretazione dei contratti e argomentazione giuridica, Torino, 2008, p. 221 ss. e 275 ss. 73 Così -notoriamente- G. B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, p. 281 ss. Successivamente, per una rimeditazione complessiva dell’art. 1366, v. la lucida revisione critica di C. SCOGNAMIGLIO, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova,1992, p. 352 ss. 74 Come pare credere V. TRSTENJAK, Conclusioni, cit. § 86. 75 Ma, significativamente, la Corte non parla mai di abuso e contempla la previsione dell’indennità come un’eccezione soggetta alla «condizione che non venga pregiudicato il fine della… direttiva» (§ 29). per quanto oggettivamente inopportuno relativo [ai beni comuni], pur in presenza dei figli minori»56. 6. Rifiuto, estromissione e convenzione matrimoniale. Se devono ritenersi ammissibili, come si è cercato di dimostrare, l’estromissione e il rifiuto del coacquisto, si apre il problema della riconducibilità o meno di questi atti alla nozione di convenzione matrimoniale. Più esattamente, occorre chiarire se il tratto caratterizzante di quest’ultima è l’efficacia programmatica o anche soltanto reale (id est: immediatamente dispositiva)57. A favore della tesi della natura dispositiva è stato richiamato l’art. 2647, comma 2°, cod. civ. il quale postulerebbe la stipula della convenzione matrimoniale con cui si escludono dalla comunione legale singoli beni che già ne fanno parte58. Il che, invero, è contestato da chi ritiene che la convenzione matrimoniale possa essere solo programmatica. In quest’ottica l’art. 2647, comma 2° disporrebbe la trascrizione dell’atto di acquisto esecutivo della convenzione matrimoniale programmatica - trascritta ai sensi del comma 1 della medesima norma - che 56 G. GABRIELLI, op. ult. cit., p. 352. F. MASTROPAOLO-P. PITTER, Sub art. 191, cit., p. 340, osservano che l’art. 210 cod. civ. non vieta di ridurre l’oggetto della comunione legale. La riduzione può dunque essere attuata o con una convenzione che escluda dalla comunione determinati beni che già ne facciano parte (c.d. decremento), o con una convenzione che precluda l’ingresso in comunione degli acquisti futuri riguardanti una determinata categoria di beni [(ad es: i fondi rustici), c.d. mancato incremento]. Secondo quest’opinione, per escludere uno o più beni dalla comunione legale occorre stipulare una convenzione matrimoniale, rispettando il vincolo della forma solenne ad substantiam prescritto dall’art. 162 cod. civ. Anche A. GALASSO, Regime patrimoniale della famiglia, cit, p. 159 ss., ritiene che la riduzione convenzionale dell’oggetto della comunione possa riguardare determinati beni che già ne facciano parte (effetto dispositivo) o tipologie di beni da acquistare in futuro (effetto programmatico). 58 E. QUADRI, Sub art. 210 cod. civ., in Commentario al diritto italiano della famiglia, cit., p. 403. Si può osservare che l’esclusione di singoli beni dalla comunione si desume anche dall’art. 2647, comma 1°. Difatti se i coniugi decidono di escludere una determinata categoria di beni dalla comunione legale (ad es. i beni immobili da acquistare successivamente al matrimonio), tale convenzione deve essere immediatamente trascritta ai sensi della norma in parola per quanto concerne i beni già in comunione legale e indicati nella convenzione matrimoniale. La convenzione, quindi, in questo caso è programmatica quanto ai beni da acquistare in futuro e dispositiva per quelli già in comunione riconducibili alla categoria esclusa. La trascrizione dovrà essere effettuata, invece, ai sensi dell’art. 2647, comma 2°, cod. civ. ogniqualvolta un coniuge effettui un acquisto che rientra nella categoria individuata dalla convenzione. Ammette la sottrazione di un singolo bene alla comunione legale M. R. MORELLI, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 141. 57 prevede l’esclusione dalla comunione di una o più categorie di beni59. Chi accoglie quest’ultima interpretazione non nega la legittimità dell’estromissione dalla comunione legale di un singolo bene. Tale atto, però, non costituendo convenzione matrimoniale, in quanto privo del tratto programmatico60, non sarebbe assoggettato alla relativa disciplina come, ad esempio, ai vincoli di forma prescritti dagli artt. 162 cod. civ., 48 e 58, comma 1° n. 4 legge notarile61. Vi sono, tuttavia, alcune repliche che possono essere rivolte a questa autorevole ricostruzione. Dall’art. 159 cod. civ. non si evince, con sicurezza, che le convenzioni matrimoniali sono soltanto quelle che, nel derogare alla comunione legale, instaurino un regime alternativo a quest’ultimo. Sottoporre gli acquisti a una regola diversa da quella dell’art. 177 cod. civ. è senz’altro una loro funzione, ma da nessuna norma si ricava che essa sia l’unica62. Anzi l’art. 210, comma 2°, cod. civ. am59 G. GABRIELLI, Scioglimento parziale della comunione legale, cit., p. 344, ritiene che la convenzione programmatica riduttiva dell’oggetto dalla comunione legale possa riguardare anche quei beni, riconducibili alla categoria scelta, già in comunione. 60 G. GABRIELLI, Scioglimento parziale della comunione legale, cit., p. 349, argomenta dall’art. 191, comma 2°, cod. civ. per negare che lo scioglimento della comunione limitato a beni specifici dia luogo a una convenzione matrimoniale. La prescrizione della «forma prevista dall’art. 162», continua l’autore, sarebbe superflua «qualora il sistema muovesse dal presupposto che il negozio di scioglimento relativo all’azienda ha in sé natura di convenzione matrimoniale. Né, così intesa, la norma verrebbe a perdere fondamento razionale: (…) giacché la decisione necessariamente influisce anche sulla sorte di acquisti futuri i quali vengano ad aggregarsi al complesso aziendale estromesso; donde l’opportunità di assoggettare il negozio a un regime formale identico a quello delle convenzioni matrimoniali, in quanto destinato ad incidere anche al di là dei beni attualmente contemplati in concreto». 61 Secondo la tesi in esame, l’estromissione di un singolo bene dalla comunione legale è ammissibile, ma non integra una convenzione matrimoniale. Si apre, di conseguenza, il problema della disciplina applicabile soprattutto in punto di trascrizione G. GABRIELLI, op. ult. cit., p. 355-356, considera necessaria la forma scritta a pena di nullità quando l’estromissione ha ad oggetto beni immobili e taluni mobili registrati (navi maggiori e aeromobili diversi dagli alianti). Il che si trae dalla «disposizione contenuta nell’art. 1350 c.c. - come quelle degli artt. 249 e 864 c. nav. - da interpretarsi nel senso che la trasformazione di un diritto reale in un altro diverso sia sempre assoggettata ad onere formale quando concerna i beni sopraindicati». Con riguardo alla trascrizione e precisamente per gli effetti indicati dall’art. 2644 cod. civ., l’A. ritiene applicabili gli artt. 2643 e 2684 cod. civ. interpretati estensivamente. 62 U. CARNEVALI, Le convenzioni matrimoniali, in Il diritto di famiglia, II, cit., p. 24. Altri autori ammettono che le convenzioni matrimoniali possano essere meramente dispositive: E. ROPPO, voce Convenzioni matrimoniali, in Enc. giur., Roma, 1988, p. 2-3; F. D. BUSNELLI-E. BARGELLI, voce Convenzione matrimoniale, in Enc. dir., Milano, 2000, p. 445. V. L. MOSCARINI, Convenzioni matrimoniali in generale, cit., p. 1004-1008, riconduce all’ampia nozione di «convenzione» le | 123 Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Saggi Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Quest’argomento, apparentemente solido, può essere confutato ragionando, in un quadro sistematico, sullo spazio riconosciuto all’autonomia privata nel derogare al regime patrimoniale legale. Le norme che la limitano (artt. 166-bis, 168, comma 3° e 210, commi 2° e 3°, cod. civ.), si è già | 122 posto in luce, non sono incompatibili con il rifiuto del coacquisto, il quale non incrina l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, principio garantito dal dovere di contribuzione. Incisiva è anche la sottolineatura dottrinale51 della legittimità di una comunione convenzionale che assuma i tratti della convenzione atipica sostitutiva (non solo modificativa) del regime legale52. La facoltà di impedire l’effetto espansivo della comunione non altera, dunque, la trama normativa. Oltretutto non vi è ragione per svilire la meritevolezza dell’interesse sotteso all’esercizio di tale facoltà. Si pensi, ad esempio, alla volontà di evitare un danno alla propria immagine (per vicende legate al bene che il consorte intende acquistare) o di tutelare il proprio patrimonio personale (se l’operazione è azzardata). Insomma, se l’arricchimento del coniuge acquirente, determinato dal rifiuto del coacquanto non ha per oggetto l’adozione di regole generali di regime patrimoniale, non può qualificarsi come convenzione matrimoniale». Il ragionamento postula, dunque, l’accoglimento della ricostruzione della convezione matrimoniale quale atto necessariamente programmatico. Ora poiché l’esclusione dell’azienda non ha tale carattere, ma effetto immediato, il legislatore avrebbe previsto l’onere della forma, lasciando intendere che se l’esclusione ha ad oggetto un bene diverso non si applicherà l’art. 162. L’A., quindi, ammette l’esclusione di un singolo bene dalla comunione legale, ma, qualora non si tratti di azienda, non viene in rilievo l’art. 162. Anche F. MASTROPAOLO-P. PITTER, Sub art. 191, in Commentario al diritto italiano della famiglia, cit., escludono che l’art. 191 comma 2° sia inutile pur ammendo, in generale, lo scioglimento parziale. «E’ vero, invece, [affermano gli autori] che con essa [la disposizione ex 191, comma 2°] si nega espressamente ciò che in sua mancanza si potrebbe forse sostenere, e cioè che come la comunanza di gestione è idonea a far entrare l’azienda in comunione [art. 177 let. d], così il semplice venir meno di essa sarebbe idoneo a farla uscire». 51 A. ZACCARIA, Possono i coniugi optare per un regime patrimoniale «atipico»?, in Studium iuris, 2000, p. 947 ss., ammette un regime di comunione atipico, soggetto soltanto ai limiti posti dagli artt. 160, 161, 163, comma 3° e 166-bis cod. civ., nonché della regola che preclude di estendere la comunione ai beni di cui all’art. 179 lett. c), d) ed e). Cfr. anche E. QUADRI, Famiglia e ordinamento civile, cit., p. 148 ss. 52 In tal caso afferma giustamente A. GALASSO, Regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 582 e p. 561, che il giudizio sulla modifica delle regole legali relative all’amministrazione, alla responsabilità e alla divisione delle quote del patrimonio comune deve essere svolto «alla stregua dei principi generali inderogabili richiamati e sanciti dall’art. 160, non attraverso il rinvio alle norme sulla comunione legale». Queste modifiche sono ammissibili nei limiti in cui non violano, in concreto, il principio di uguaglianza tra i coniugi (artt. 160, 161 e 166-bis cod. civ.). quisto, è sorretto da una causa in concreto, esso è valido ed efficace53. Certo è che se è legittimo il rifiuto del coacquisto si deve ammettere anche l’esclusione di un singolo bene dalla comunione legale, atto questo che, peraltro, di per sé, non comporta alcuna rinuncia alla propria quota54, ma solo il passaggio al regime della comunione ordinaria. Il che può certamente realizzare interessi meritevoli di tutela 55. In quest’ottica, l’art. 191, comma 2° costituisce piuttosto un’esemplificazione della più ampia possibilità per i coniugi di procedere a scioglimenti parziali e non, invece, un’eccezione al divieto di questi ultimi. Sembra insomma potersi fondatamente affermare che l’estromissione e il rifiuto del coacquisto, atti espressivi dell’autonomia privata (artt. 1321, 1322 cod. civ.), non incontrino ostacoli, stante la mancanza di una norma imperativa e di un principio di ordine pubblico che li vieti. Non vi è neppure un interesse della famiglia distinto da quello individuale dei coniugi che potrebbe giustificare un divieto. L’art. 181 cod. civ., infatti, pur incentrato sull’interesse della famiglia, dimostra che se vi è accordo tra i coniugi, questi «possono compiere qualsiasi atto, 53 V. L. MOSCARINI, Convenzioni matrimoniali in generale, in La comunione legale, cit., p. 1028 ss., ritiene che «la causa dell’attribuzione contenuta nella convenzione matrimoniale dev’essere individuata (…) o in un criterio di corrispettività pur latamente inteso - o in un’idea di liberalità» (cfr. amplius infra nota 83). 54 L’esclusione di un singolo bene dalla comunione legale non viola il limite dell’inderogabilità del principio dell’uguaglianza delle quote. Il quale, come già osservato, riguarda la disciplina dei beni che fanno già parte della comunione, in ordine ai quali non si può stabilire una titolarità per quote diseguali. Diverso è, invece, il profilo di cui discutiamo riguardante il potere di ridurre l’oggetto del regime legale; potere che, per le cose dette, può essere esercitato dai coniugi. A. GALASSO, Regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 581, reputa che la formula «limitatamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione», contenuta nell’art. 210, comma 3° cod. civ., debba essere riferita alle norme sullo scioglimento della comunione. Di conseguenza il principio dell’inderogabilità dell’uguaglianza delle quote si collega non all’art. 177 cod. civ., ma all’art. 194 cod. civ., sicché esso non impedisce di modificare la regola dell’acquisizione dei beni alla comunione. 55 F. MASTROPAOLO-P. PITTER, Sub art. 191, cit., 1992, p.340341, recano il seguente esempio. Un coniuge intende adibire parte di un immobile in comunione legale all’esercizio di un’attività produttiva alla quale l’altro è d’accordo a non partecipare. Vi è, quindi, l’interesse di entrambi a sottrarre l’immobile alla comunione e a dividerlo attribuendo a ciascuno una porzione in proprietà esclusiva. In questo caso è rispettato il principio della parità delle quote se a ciascun coniuge è «riconosciuto il diritto al 50% del valore del bene o dei beni, oggetto del singolo atto di scioglimento parziale». Ma questo principio non impedisce a un coniuge di donare all’altro la sua quota dopo aver estromesso il bene dalla comunione legale. ne ex fide bona degli interessi in gioco»76 che si affida un «controllo sulle modalità dell’agire»77, quali sarebbero le ragioni ostative ad intendere le disposizioni consumeristiche (artt. 65 e 66 c. cons.), secondo il lessico stipulativo di questa dottrina, come norme di stricto iure, da assoggettarsi perciò ad una interpretazione finale? Dalla seconda impostazione, che più convince, si può invece trarre il riferimento costantemente fatto ad un utilizzo della buona fede come criterio che implementa la regola negoziale del set di conseguenze giudicabili come costitutivamente ancillari seu conformi alla lex contractus. Se infatti si muove dall’assunto (corretto) che il disposto dell’art. 1366 c.c. operi entro i limiti di quanto si ricava dal contratto nel suo complesso come operazione economica78, si ottiene un risultato comunque di rilievo. Visto che ogni rapporto di scambio a distanza è pur sempre un’operazione economica, interpretarlo ex fide bona ha invero il preciso significato di importare la corresponsione di quel controvalore che appaia conforme -leggi congruo- al contenuto ed alle modalità del contratto concluso. In questa prospettiva un’equa indennità d’uso si può mostrare come un costo funzionale giustificato allorché salvaguarda, senza frustrare lo scopo del contratto, in eguale misura l’interesse di entrambe le parti. Certo, residua il rilievo, già opposto per la verità dalla Corte di giustizia79, secondo cui la configurabilità di una pretesa del venditore/professionista all’indennizzo, nella misura in cui implementa il tasso di litigiosità inter partes, avrà l’effetto di compromettere la risoluzione stragiudiziale di questo genere di controversie80. Ma non è un’obiezione di grande spessore visto quanto sbrigativamente accantona il vero dato fattuale di rilievo: essendo evidente la scorrettezza procedurale in executivis di cui si rende responsabile ogni consumatore che ac76 Cfr. L. BIGLIAZZI GERI, Art. 1469-bis co. 1, c.c. Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore, ora in L. BIGLIAZZI GERI, Rapporti giuridici e dinamiche sociali. Scritti giuridici, Milano, 1998, p. 1238 e, prima ancora, 1237 per il significativo rilievo che «un’interpretazione secondo buona fede costituisce il risultato di un complesso procedimento, di un iter articolato che, passando attraverso fasi dinamiche…e statiche, …non può ovviamente ignorare…l’elemento che sta a monte (il diritto) e il modo nel quale il diritto è stato esercitato» (corsivo aggiunto). 77 Così G. D’AMICO, Il recesso ad nutum tra buona fede e abuso del diritto, cit., p. 26. 78 V, in luogo di tanti, C. SCOGNAMIGLIO, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, cit., p. 288 ss., 334 ss., 368 ss., 430 e, di recente, per una lucidissima sintesi, G. VETTORI, I rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Diritto privato e ordinamento comunitario, cit., p. 238 s. 79 V. C. giust. CE, 17 aprile 2008, causa C-404/06, cit. § 34. 80 Insistono su questo argomento, pur se con esplicito riferimento al caso Quelle, S. HERRLER – L. TOMASIC, Keine Nutzungsersatzpflicht im Fall der Neulieferung, cit., p. 1245. quisti un bene, lucri il godimento e poi receda dal contratto. Tra l’altro se si vuole che il riferimento, insistito in ogni lettura dell’art. 1366, ad una valutazione complessiva e concreta della condotta contrattuale delle parti, abbia davvero un senso, bisogna per vero riconoscere che l’oggetto del sindacato giudiziale sempre è destinato ad appuntarsi, in vicende come quella in epigrafe, sulla censurabilità o meno delle modalità che fanno da corona od accompagnano l’esercizio del recesso. Insomma, sarà pur vero che non può farsi questione di un precludersi del recesso per il semplice fatto, insorto il vizio, che il consumatore abbia utilizzato la res (art. 1492, 3 co., c.c.). Gli è, però, che non pare presentarsi come un assetto di interessi conforme a buona fede quello che dovesse permettere al consumatore, seppur non correttamente informato81, di profittare di un lucro conseguito slealmente (art. 1375 c.c.). Di qui la prospettazione di un’indennità, a mo’ di bémol, stante la circostanza che un droit de repentir «l’on peut ne pas vouloir totalement discrétionnaire»82. O, se si preferisce un linguaggio non metaforico, perché la «lealtà delle operazioni commerciali» postula indefettibilmente un «giusto equilibrio» tra la tutela del consumatore e le modalità con le quali costui la esercita 83. 7. Segue: gli usi ex fide bona del formalismo informativo. Ebbene, rebus sic stantibus, si può plausibilmente affermare che pure a governare il formalismo informativo tramite il principio di buona fede oggettiva, si ottiene più di un effetto vantaggioso. Basta, d’altronde, scorrere l’elenco che segue per constatarlo. Sostenere che la singola irregolarità formale non pregiudica, ove risulti ch’essa non ha vulnerato il consumatore, significa infatti -assecondare lo scopo di protezione preventiva del consumatore, certo da preferirsi ad una inefficiente «protection a posteriori du consentement»84, senza però ch’esso trascorra o debordi nel paradosso di garantire chi, non potendo addurre una parzia81 Contra O. DAMM, Anmerkung, cit., p. 746. Così V. AVENA-ROBARDET, Faculté de rétractation dans les ventes à distance: entre illusion et réalité, cit., p. 2161 e, ma non sempre in modo del tutto congruente, G. ROUSSET, Droit de rétractation et vente à distance, un éclairage communautaire intéressant, cit., p. 2168. 83 Così, significativamente, l’Avvocato Generale Poiares Maduro, Conclusioni nella causa C-412/06 Hamilton c. Volksbank Filder eG (§ 27). 84 Per il tramite, s’intende, dell’annullabilità. La citazione è tratta da J. CALAIS AULOY, L’influence du droit de la consommation, cit., p. 240. 82 | 95 La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefano Pagliantini) Persona e Mercato - Materiali e commenti Persona e Mercato – Materiali e commenti La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefan o Pagliantini) lità informativa che abbia davvero inciso sul suo consenso, non è stato pregiudicato. Diversamente, si faccia attenzione, la cd. forma di protezione si converte in una forma sanzione, per di più a titolo di responsabilità oggettiva, per il professionista85. In soccorso dell’interprete, chiamato a maneggiare | 96 concetti contraddistinti da un alto tasso di vischiosità, possono venire, all’occorrenza, gli elementi, tratti dalla fattispecie concreta, della natura del bene acquistato (spesso esposto ad una rapida obsolescenza) e della durata del periodo di utile impiego del medesimo86. Né si dica che un siffatto argomentare incappa nel difetto di far diventare monca la particolare tutela «a fronte della situazione di mercato e della condizione del soggetto nel mercato»87. Anche a muovere dall’idea che, in uno scambio senza accordo, l’an della tutela di una parte non si allacci alla «ricerca della comune intenzione» ma si leghi alla «disciplina legislativa del mercato»88, con l’annessa irretrocedibilità allora delle utilità interinali, poco cambierebbe. Seppure dovesse risultare il regime giuridico del mercato a definire il quantum di autonomia riservato ad ogni professionista, c’è da dubitare alquanto che, nella griglia di protezione normativa approntata per l’insieme di «scopi ed interessi» del consumatore, abbia modo di trovare un legittimo titolo di iscrizione il fatto di un prolungato uso gratuito della merce. Gli è che quell’interesse del mercato a «spersonalizzare i rapporti» che ha fatto parlare di uno scarnificarsi della compravendita telematica «in atto di scelta, solitario e puntuale»89, pare piuttosto lasciare intravedere, quand’è questione di un risparmio di spesa per il consumatore accipiens90, un riemergere dell’individualità dell’agire in guisa di una tutela differenziata. Il vantaggio è quello di correggere un risultato che sarebbe «lesivo» della stessa forma informativa come criterio di misura del singolo rapporto contrattuale91. 85 Di un nitido «enforcement di tipo sanzionatorio» ragiona S. MAZZAMUTO, La multiproprietà, in Manuale di diritto privato europeo, a cura di Castronovo e Mazzamuto, Milano, 2007, II, p. 99. V. anche S. PAGLIANTINI, Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, cit., p. 40 s. 86 Sull’obsolescenza della res -«technische bzw. modische Veralterung»- v. B. GSELL, Nutzungsentschadigung bei kaufrechtlicher Nacherfüllung?, in NjW, 2003, 1969 ss., p. 1972 s. 87 Così, ma criticamente, G. OPPO, Categorie contrattuali e statuti del rapporto obbligatorio, cit., p. 45. 88 Cfr. N. IRTI, Testo e contesto, cit., p. 82. 89 Così N. IRTI, Testo e contesto, cit., p. 81. 90 Su questa nozione di arricchimento v. E. MOSCATI , L’arricchimento senza causa, in Fonti legali e fonti «private» delle obbligazioni, Padova, 1999, p. 258. Per un insistito richiamo ad una «valutazione…di buona fede della condotta di entrambi i contraenti», v. G. OPPO, Osservazioni, in Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonomia privata, a cura di L. Ferroni, Napoli, 2002, p. 16. 91 Onde evitare, come ammoniva tempo addietro chi di forma e formalismi era un fine conoscitore (v. D. BARBERO, A proposito Non solo. Volendo proseguire nel catalogo intrapreso, pare corretto dire che immaginare un atto di consumo oggetto, al pari di qualsiasi altro contratto, di una «valutazione complessiva e finale»92 significa -delineare orientativamente la latitudine applicativa del diritto patrimoniale comune. Perché può ben essere ch’esso non intacchi il corpo del diritto secondo, se ciò osta alla tutela del consumatore. Com’è accaduto, volendo fare un esempio, in quel celebre caso francese ove si discuteva sull’irregolarità informativa dell’offerta préalable di un credito immobiliare (art. L. 312 – 8 c. consomm.): fattispecie sanzionabile con la decadenza dal diritto agli interessi e, ove si fosse fatto ricorso al diritto comune, con la nullità dell’intero contratto93. Il che, però, avrebbe evidentemente nociuto agli interessi del consumatore, se è vero che l’estinzione del contratto -seu la sua inefficacia originaria- importa l’obbligo, per il consumatore, di restituire l’intera somma mutuata maggiorata degli interessi. Con un correlato effetto dissuasivo -ad eccepire il vizio- che pure la CGE ha, per la verità, percepito -v. Schulte94 ma senza valorizzarlo, in una prospettiva remediale, adeguatamente. Per finire, ragionare in termini di bilanciamento di interessi significa, senza tante circonlocuzioni, della forma negli atti giuridici (l’efficacia del testamento olografo nonostante l’incompletezza della data), in Jus, 1940, p. 451), che il contrasto si radicalizzi fra «logicisti senza sostanza e sostanzialisti con poca logica». Il distinguo tra il titolo «alla tutela o ad una tutela», seppur con riguardo alla vessatorietà di una clausola tra professionisti, è già, per altro, in G. OPPO, Categorie contrattuali e statuti del rapporto obbligatorio, cit., p. 50. La citazione nel testo è invece tratta da M. FRANZONI, La responsabilità precontrattuale: una nuova stagione, in La responsabilità civile, 2006, p. 295 ss. 92 Cfr. L. BIGLIAZZI GERI, L’interpretazione, cit., p. 159 e 164. Sull’assoggettarsi dei contratti b2c alle regole di interpretazione soggettiva, «con l’aggiunta dell’art. 1366», v., per tutti, C. SCOGNAMIGLIO, L’interpretazione, in I contratti in generale2, a cura di E. Gabrielli, Torino, 2006, p. 1128. 93 Il vivace dibattito giurisprudenziale è segnato dalle contrapposte Cass. 1re civ., 20 luglio 1994, in D., 1995, somm., 314, obs. J. P. PIZZIO e Cass. 1re civ., 23 marzo 1999, in D., 2000, somm.,50, obs. J. P. PIZZIO. In dottrina, inter alios, v. almeno, tutti con accenti critici verso l’idea del cumulo, D. MAZEAUD, Droit commun du contrat et droit de la consommation. Nouvelles frontières?, in Études de droit de la consommation, cit., p. 703 e S. PIEDELIÈVRE, Remarques sur les sanctions civilies dans les dispositions relatives à l’information et à la protection des emprunteurs dans le domaine immobilier, in JCP, 1995, doctr., p. 889. 94 V. R. ALESSI, I doveri di informazione, in Manuale di diritto privato europeo, cit., II, p. 407 e S. PAGLIANTINI, Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, cit., p. 97 – 107. Da notare che l’Avvocato Generale Léger, Conclusioni, pur riconoscendo l’obbligo per il mutuatario di versare gli interessi (§§ 71 e 72), escluse poi che la fattispecie si prestasse ad una esigibilità degli interessi di mora fino a quando la banca – mutuante non avesse adempiuto ai propri obblighi (§§ 75 e ss.). ciò come impedire l’acquisto alla comunione di un singolo diritto48. Oltre agli argomenti appena esposti, esiste un altro fronte interpretativo fertile che può rafforzare la legittimità del rifiuto del coacquisto. Verificare se sia possibile, attraverso la comunione convenzionale (art. 210 cod. civ.) o al fuori di quest’ultima, escludere dalla comunione un singolo bene che ne fa parte, ammettendo così lo scioglimento parziale. E' evidente, infatti, che il rifiuto del coacquisto non tiene sotto il profilo della coerenza dell’ordinamento se da un lato si nega tale negozio e, dall’altro, si ammette l'esclusione di un singolo bene dalla comunione. Quest’ultimo atto produce l’effetto di rendere la quota di ciascun coniuge liberamente alienabile. In sostanza, tenendo separati i destini dei due atti si consentirebbe di realizzare dopo ciò che è vietato prima. 5. L’estromissione di un bene dalla comunione legale. Le Sezioni Unite non si sono pronunciate sull’ammissibilità dell’estromissione dalla comunione legale di uno o più beni determinati. L’effetto di tale atto è, come si è già anticipato, sottoporre il bene alla disciplina della comunione ordinaria, con conseguente libera disponibilità della quota da parte di ciascun coniuge (art. 1103 cod. civ.). Viene da domandarsi come debba essere interpretato il silenzio dei Supremi giudici. La motivazione che ha condotto a negare il rifiuto del coacquisto deve essere estensa anche all’estromissione? A tutta prima, una sorte comune sembra unire questi due atti. Nel senso che se è vietato il primo deve essere precluso anche il secondo, altrimenti il divieto iniziale può essere aggirato in seguito, attraverso due atti. Uno stabilisce l’uscita del bene dalla 48 Sul tema della modifica al regime della comunione legale e segnatamente dell’esclusione da essa di un singolo bene che ne fa parte, ci soffermeremo tra breve. Preme, invece, porre in luce come la mancanza, nell’ambito della comunione legale, di una norma che precluda il rifiuto del coacquisto emerga dal confronto con il diritto della crisi coniugale, dove si riscontra un preciso limite all’autonomia privata. Secondo un’interpretazione sistematica che muove dall’art. 5, comma 8°, l. n. 898/1970, si può affermare che i coniugi, in sede di separazione o in previsione di questa, possono regolare definitivamente i loro rapporti economici, purché l’accordo sia equo. L’equità, quindi, costituisce il limite legislativo posto all’autonomia privata, la quale non è del tutto libera di determinare il contenuto del patto volto a eliminare l’efficacia rebus sic stantibus che, generalmente, lo connota (art. 9, comma 1°, l. n. 898/1970 e art. 156 ult. comma, cod. civ.). Sul punto mi permetto di rinviare ad A. GORGONI, Accordi traslativi e crisi coniugale, Milano, 2009, p. 257 ss. comunione, l’altro l’alienazione della quota. La prima sezione civile della Cassazione è pervenuta, infatti, alla stessa conclusione (d’inammissibilità) per entrambi gli atti, mediante un’interpretazione logica e sistematica che ha valorizzato, soprattutto, la nozione di convenzione matrimoniale. Soffermiamoci su alcuni discutibili passaggi della motivazione. Le eccezioni all’acquisto automatico in comunione - si è affermato nella sentenza - sono soltanto quelle contenute nell’art. 179 cod. civ.; esse devono esistere effettivamente, non essendo sufficiente dichiarare che lo siano. Ora, continua la Suprema Corte, se i coniugi intendono conservare la titolarità esclusiva dei diritti acquistati durante il matrimonio, devono scegliere il regime della separazione dei beni (art. 215 cod. civ.), ovvero instaurare tra loro una comunione convenzionale modificativa del regime tipico (art. 210 cod. civ.). Ma - ecco il punto, non immune da critiche - «tali convenzioni, oltre a soggiacere a determinate forme (art. 162 cod. civ.), riguardano sempre il regime patrimoniale della famiglia e non possono essere limitati a beni specifici, compresi nella comunione»49. Si vuol dire, in altri termini, che l’autonomia privata non può disporre di singoli beni, né in ingresso né in uscita, ma solo modificare complessivamente il regime patrimoniale legale, attraverso una convenzione matrimoniale che può essere, perciò, solo programmatica. Sul concetto di convenzione matrimoniale ci soffermeremo tra breve, non prima di aver ricordato una norma richiamata da una parte della dottrina a sostegno del divieto di escludere singoli beni dalla comunione. L’art. 191, comma 2°, cod. civ. stabilisce che i coniugi possono sottrarre dal regime legale l’azienda gestita da entrambi e costituita dopo il matrimonio. Secondo una tesi, il legislatore, con tale norma, avrebbe posto un’eccezione al divieto implicito di scioglimenti parziali anticipati; eccezione che postula, quindi, la mancanza di un principio generale di libertà di escludere qualunque bene dalla comunione. Del resto se lo scioglimento parziale fosse stato ammesso in tutti i casi, il legislatore non avrebbe dovuto formulare l’art. 191, comma 2° soltanto con riferimento all’azienda. Opinando diversamente, la regola in esame sarebbe inutiliter data50. 49 Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954, cit. Dissente G. GABRIELLI, voce Regime patrimoniale della famiglia, cit., secondo il quale l’art. 191, comma 2 °, cod. civ. non si limita a prevedere la possibilità di estromettere l’azienda dalla comunione legale ma prescrivere, per tale atto, l’onere della forma stabilita dall’art. 162 cod. civ. Quest’ultimo, continua l’A., non è applicabile all’accordo con cui i coniugi estromettono beni diversi dall’azienda, «giacché tale accordo, in 50 | 121 Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Saggi quisti a titolo originario43. Siamo sul piano della dialettica tra la logica acquisitiva sottesa alla comu- Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) | 120 deposito bancario in conto corrente, il cui saldo non rientra nella comunione dei beni ex art. 177 comma 1°, cod. civ. (da ultimo Cass. 20 gennaio 2006, n. 1197) proprio perché non rappresenta una forma di investimento dello stesso, rientrando invece solo nella comunione de residuo ai sensi dell’art. 177, comma 1° let. c), cod. civ.». Cass., 2 febbraio 2009, n. 2569, in Fam. e dir., 2009, 8-9, p. 799 ss., con nota critica di C. DELMONTE, Quote di partecipazione in società di persone e comunione legale dei coniugi, ha affermato che cadono in comunione immediata la quota di partecipazione in una s.n.c. e gli aumenti di essa sottoscritti in costanza di matrimonio con denaro contante o con gli utili non distribuiti negli esercizi precedenti. Per una condivisibile critica alla tesi secondo cui sono esclusi dalla comunione legale i beni rispetto ai quali l’acquisto del diritto non è il momento finale di una vicenda economica, ma si atteggia a strumento di un rapporto più complesso in itinere cfr. M. NUZZO, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, cit., p. 47 ss. L’A. conclude ritenendo che «la strumentalità del diritto acquistato ad una situazione giuridica ulteriore e finale, impedisce la comunione solo quando la strumentalità è configurata in modo tale da escludere un attuale ed effettivo incremento del patrimonio del coniuge contraente» (p. 68). Secondo G. OPPO, Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia, cit., p. 110, «è (…) comune il credito (ad es., obbligazionario) in cui la somma possa dirsi «investita» e più in generale il credito il cui «acquisto» significhi che qualcosa di nuovo entri nel patrimonio o si sostituisce ad altro elemento del patrimonio». Egli precisa anche che l’esistenza della comunione del credito tra i coniugi non comporta anche la legittimazione comune nel rapporto contrattuale con il terzo. «Tale legittimazione compete solo a chi sia parte del rapporto e solo questo soggetto potrà quindi operare nell’ambito del rapporto medesimo e così disporre del credito» (arg. ex art. 184, comma 3° cod. civ.). Preziosa è l’osservazione di C. M. BIANCA, La comunione legale, cit., p. 5, secondo cui «la tutela dell’uguaglianza sostanziale dei coniugi rimane comunque fondamento dell’istituto della comunione, e pertanto le soluzioni interpretative devono essere coerenti con tale fondamento ove non risulti una diversa e preminente ragione». Vi sono, quindi, argomenti consistenti per ammettere che il credito derivante dal contratto preliminare cada in comunione. 43 Secondo Cass., 23 luglio 2008, n. 20296, in Fam. e dir., 2009, 4, p. 351 ss., con nota di F. FAROLFI, Due questioni in tema di comunione legale dei beni, l’acquisto di un immobile per usucapione effettuata da un solo coniuge entra in comunione legale, purché il termine di ininterrotto possesso (diverso nei casi di cui agli artt. 1158, 1159, 1159-bis cod. civ.) trascorra in vigenza di tale regime patrimoniale. L’acquisto del diritto di comproprietà, quindi, non avviene dalla pronuncia della sentenza (dichiarativa) di accoglimento della domanda di usucapione, ma dal compimento del tempus ad usucapionem. Stante la centralità di quest’ultimo, è irrilevante, per l’acquisto in comunione, che il possesso sia iniziato prima del matrimonio. Difatti gli effetti della pronuncia dichiarativa non retroagiscono all’inizio del periodo di possesso (cfr. in senso conforme Cass., 18 luglio 2008, n. 19984, in Foro it. on line). Tuttavia ragioni sostanziali legate alla logica sottesa alla regola dell’art. 177 let.a) cod. civ. dovrebbero condurre a negare l’acquisto in comunione qualora il tempo dell’usucapione sia maturato, quasi integralmente, prima del matrimonio. La giurisprudenza, invece, in altro ambito, ha costantemente escluso che la costruzione realizzata durante la vigenza del regime patrimoniale legale sul suolo di proprietà esclusiva di uno dei coniugi cada in comunione, cfr.: Cass. Sez. Un., 27 gennaio 1996, n. 651, in Corr. giur., 1996, p. 556 ss.; Cass., 14 aprile nione e i predetti contrapposti valori; dialettica che non preclude, in ossequio al principio di parità sostanziale di poteri tra coniugi44, di manifestare la volontà contraria all’acquisto in comunione. La derogabilità esprime, invece, la volontà del legislatore di lasciare gli sposi liberi di scegliere il regime patrimoniale più consono al proprio assetto economico. Scelta che deve avvenire nel rispetto di alcune regole cogenti e di pochi principi inderogabili (artt. 166-bis, 168, comma 3° e 210, commi 2° e 3°, cod. civ.)45. Il che non dà affatto luogo all’incostituzionalità della comunione legale - come qualcuno ha pensato - per violazione del principio di uguaglianza tra i coniugi, poiché quest’ultimo è assicurato, in via primaria, dal dovere di contribuzione (art. 143, commi 2° e 3°, cod. civ.) 46, inderogabile ai sensi dell’art. 160 cod. civ. Si deve ammettere, allora, che «non vi è alcun dato certo e rigoroso per escludere rilievo alla libera volontà dei coniugi di rinunciare [alla contitolarità]47». Se vi è libertà di scegliere la separazione dei beni (art. 159 cod. civ.) e di modulare, entro certi limiti, il regime patrimoniale legale (art. 210 cod. civ.), deve pur essere possibile un minus rispetto a 2004, n. 7060, in Familia, 2005, 2, p. 146 ss.; Cass., 23 luglio 2008, n. 20296, cit. 44 V. L. MOSCARINI, Parità coniugale e governo della famiglia. Milano, 1974, pp. 32-35, 83-107, 176. 45 A. GALASSO, Regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 295, afferma che il rifiuto del coacquisto «non sembra scalfire i cardini della riforma e i valori fondamentali ad essa sottostanti (uguaglianza dei coniugi, solidarietà familiare). Al contrario, la [sua] negazione potrebbe costituire una compressione della sfera di libertà individuale e autonomia negoziale, che la legge di riforma riserva ai coniugi proprio in ragione della celebrazione del matrimonio». Anche F. PATTI, Il cosiddetto rifiuto del coacquisto alla luce della sentenza n. 2954/2003, cit., p. 1553 ss., argomentando dagli artt. 161, 210, 215 cod. civ. e dall’art. 30 legge n. 218/1995, fa leva sul consenso quale principio di governo della comunità familiare e ritiene che non si possa limitare l’autonomia privata oltre le previsioni normative del regime patrimoniale. Oltretutto - egli aggiunge - non si deve consentire al coniuge che abbia rifiutato il coacquisto di ritrattarlo, ricattando così l’altro coniuge nella fase della crisi coniugale. 46 A. FALZEA, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, p. 619. Il punto è pacifico in dottrina. C. M. BIANCA, Il regime della comunione legale, cit., p. 4, osserva, come altri Autori, che «il superamento della diseguaglianza sostanziale del coniuge economicamente più debole non è affidato, né pienamente né esclusivamente, al regime patrimoniale legale. La regola primaria in funzione dell’eguaglianza sostanziale dei coniugi è infatti quella dell’obbligo reciproco di assistenza morale e materiale, a prescindere dal regime della comunione (art. 143, comma 2°, cod. civ.)». Anche G. GABRIELLI, voce Regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 337, ritiene che il principio dell’uguaglianza morale fra i coniugi (art. 29, comma 2°, Cost.), favorito dall’applicazione del regime patrimoniale legale, è garantito dagli artt. 144 e 143, comma 2°, cod. civ., norme inderogabili. Nello stesso senso U. MAJELLO, voce Comunione dei beni tra coniugi, cit., p. 2. 47 G. VETTORI, Il dovere di contribuzione, cit., p. 21. -neutralizzare quelle audaci interpretazioni giurisprudenziali95, rigide nel riconoscere alla forma di protezione un’astratta connotazione «formulaire»96, che non contribuisce affatto a rinvigorire la tutela del consumatore. D’altronde, non è forse vero che le «esigenze della buona fede» sortiscono l’utile risultato di riconvertire «su un piano individuale 97» quanto si è venuto a costituire come anonimo rapporto di consumo? 8. Intermezzo: l’ingiustificato arricchimento come effetto collaterale nei contratti conclusi fuori dei locali commerciali. Uno dei primi commentatori ha addebitato la peculiarità argomentativa della sentenza Messner all’assoluta originalità della fattispecie presentatasi, adombrando di conseguenza l’idea che se ne possa così parcellizzare l’impatto sistematico98. Si è poi avuto cura di aggiungere che, se la consumatrice avesse invocato la direttiva 99/44 CE, buona parte delle questioni testé evidenziate non avrebbero costituito motivo di riflessione. Un computer portatile avente uno schermo difettoso non è, in effetti, idoneo all’uso cui sono destinati beni dello stesso tipo (art. 2, 2 c dir. 99/44; art. 129, 2 co., l. a c. cons.). E se è vero che la consumatrice non poteva avvalersi della presunzione di cui al § 476 del BGB (art. 132, 3 co., c. cons.), neppure va taciuta la circostanza che poteva comunque tornarle utile la garanzia annuale di cui all’art. 7, § 1 dir. 99/44 (v. art. 134, 2 co., c. cons.)99. Con archiviazione, di conseguenza, d’ogni altra (più complessa) problematica. In realtà, pur se c’è del vero, oltre a mostrarsi riduttiva, non sembra che una lettura, oltre a mostrarsi riduttiva, si mostri davvero convincente. E’ facile infatti, spigolando tra le singole previsioni di legge, avvedersi della circostanza che il problema occasionato dalla vicenda Messner può 95 Per citare il qualificativo che più ricorre nella dottrina d’Oltralpe. Le altre espressioni che si incontrano sono portée démesurée del formalismo e conseguenze nefastes à la sécurité juridique: il catalogo è in A. LEPAGE, Les paradoxes du formalisme informatif, cit., p. 613 s. 96 Così X. LAGARDE, Observations critiques sur la renaissance du formalisme, in JCP, 1999, I, p. 170 ss. , n. 15. Sulla trasparenza che diventa chicane v. pure S. PAGLIANTINI, Nullità virtuali di protezione?, cit., p. 1042 – 1044. 97 Così G. OPPO, Impresa e mercato, cit., p. 189 e, incisivamente, E. NAVARRETTA, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto europeo dei contratti, cit., p. 177, riguardo alla circostanza che «il rapporto flessibile tra interessi e rimedi» rappresenta un metodo che «contribuisce ad affrontare l’attuale dimensione pluralistica della materia contrattuale». 98 Così G. ROUSSET, Droit de rétractation et vente à distance, un éclairage communautaire intéressant, cit., p. 2168. 99 Così G. PAISANT, Obs., cit., p. 27 s. ripresentarsi, pressoché tale e quale, ogni qual volta il consumatore benefici, a causa della parzialità informativa, di un procrastinarsi del termine per recedere dal contratto. D’altronde è una constatazione evidente: più il termine per esercitare il recesso è ampio o prolungato, più c’è modo, in questo lasso di tempo, che il consumatore usi la merce, poi da restituire, in modo fraudolento o eccessivo. E, stando al dispositivo della Heininger, il termine non inizia a decorrere fin quando l’obbligazione informativa non è stata adempiuta. Si pensi all’acquisto, effettuato in forza di un contratto stipulato fuori dei locali commerciali: visto che, in caso di omissione informativa, il termine per recedere è comunque prorogato, secondo la legge italiana, a sessanta giorni (art. 65 c. cons.), senza che il professionista, in quello stesso periodo, sia in alcun modo esonerato dall’adempimento, può ben accadere che il consumatore addivenga alla decisione di utilizzare transitoriamente la res consegnata. Non solo: è un consumatore, quello che acquista ai sensi degli artt. 45-49 c. cons., che non versa nella condizione di non poter tester la cosa trasmessagli100; e d’altra parte -lo si è ricordato primaun’indennità, sia pure nella veste di una obbligazione di interessi al tasso di mercato, è già stata ammessa dalla stessa Corte quando il contratto, retto dalla direttiva 85/577 CEE, recava la veste di un mutuo fondiario (C-350/03, Schulte)101. L’impressione allora, di là dall’applicazione analogica del principio di diritto espresso nella sentenza Schulte102, è che l’ingiustificato arricchimento, lungi dall’essere confinato in ipotesi residuali, può rivelarsi un rimedio carico di potenzialità applicative insospettabili. 9. Un ultimo approfondimento. Le sequenze forma di protezione/abuso del diritto/ingiustificato arricchimento ovvero forma informativa/bona fides non sono, quindi, dei faux amis. Neanche se, in luogo dell’approccio suggerito, si dovesse sostenere che gli interessi economici del professionista – venditore sono già sufficientemente 100 Cfr. G. PAISANT, op. loc. ult. cit. V. supra nt. 14. Gli artt. 5 e 7 della direttiva 85/577 ed il disposto dell’art. 66 c. cons. (relativamente al fatto che le parti sono sciolte dalle rispettive obbligazioni derivanti dal contratto) non offrono d’altro canto appigli affidabili per risolvere adeguatamente la questione circa l’an di un’indennità d’uso. 102 Contestabile, per vero, con l’argomento che trattasi di contratti diversi, retti da norme comunitarie differenti e, non da ultimo, col rilievo che il legislatore europeo potrebbe aver preferito riservare «una tutela più elevata» al solo consumatore che stipula a distanza: v., ad esempio, P. MENGOZZI, Conclusioni, cit. § 61. 101 | 97 La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefano Pagliantini) Persona e Mercato - Materiali e commenti Persona e Mercato – Materiali e commenti La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefan o Pagliantini) garantiti dal combinato disposto degli artt. 65 e 66 c. cons., senza dovergli riconoscere il diritto, nel restituire il prezzo, di decurtarlo di quanto reclamabile a titolo d’uso103. Che poi è l’assunto di chi, vista la negligenza informativa del professionista, spiega tutto osservando che, se il consumatore fosse stato | 98 tempestivamente informato, avrebbe evitato di usare il bene «trop longtemps» ed in un modo «somme tout non indispensable»104. Un siffatto modo di argomentare è, invero, semplicistico giacché, nel mentre procede ad identificare «meccanicamente i ruoli di parte debole e parte forte»105, incorre pure nell’istintiva replica che, in un’ottica di sistema, il riduzionismo della legislazione consumerista non contempla l’impoverirsi o l’azzeramento del comparto di regole (prime) incentrate sul principio di autoresponsabilità. A tacer poi, sia detto per inciso, del fatto che, seppure nel corpo della direttiva 99/44 (15 Considerando), il diritto comunitario conosce già una figura di rimborso -al consumatore- riducibile in considerazione dell’uso che costui abbia fatto della res dal momento della consegna. E la circostanza che una siffatta riduzione sia da riferire esclusivamente, nell’interpretazione offertane dalla CGE106, all’ipotesi della risoluzione del contratto (art. 130, 8 co., c. cons.), lungi dal fiaccare, evidentemente corrobora il convincimento che un recesso sia assoggettabile al rifondere il controvalore delle utilità certe che il consumatore abbia tratto dalla res. Tanto più che il bene, usato e poi restituito, non potrà più essere presentato al pubblico come nuovo. Altrove, con uno diverso strumentario concettuale, si ipotizza una riscrittura dei rimedi in vista di un formalismo attenuato107. L’espressione ricorda, è da credere del tutto inconsapevolmente, la distinzione binaria tra un formalismo assoluto, spoglio di ogni sostanza, ed un formalismo relativo, attento all’individualità delle situazioni contingenti 108. Quelle stesse individualità che la Corte, significati- vamente, sembra adombrare quando rimette al giudice nazionale il potere/dovere di sentenziare sulla fattispecie concreta «tenendo debitamente conto di tutte le sue particolarità»109. Sono diversi i vocaboli ma, si faccia attenzione, non il modo di vedere e declinare il problema. Se è infatti una species di arricchimento pure quella che origina dal prodursi di un impedimento al sorgere di un obbligo restitutorio o al materializzarsi di una perdita110, va da sé che, ove questo impedimento sia rappresentato da un’interpretazione amplificante o immotivatamente letterale del formalismo, bisognerà orientarsi per il significato che consente di riscrivere in una dimensione di ragionevolezza lo standard di tutela del consumatore. Senza che il formalismo degradi ad una sorta di passe-droit111 per chi agisce in malafede. 10. Postilla: la proposta di direttiva sui diritti dei consumatori. Se si volesse accostare il dictum della Corte di giustizia alla Proposta di direttiva dell’8 ottobre 2008, relativa ai diritti dei consumatori e destinata ad abrogare l’articolato della 97/7, si potrebbe avere la percezione di un quadro normativo ancora ambiguamente in itinere. Stando infatti alla lettera dell’art. 17, § 2, rubricato ´Obblighi del consumatore nel caso di recesso`, il consumatore a distanza è responsabile unicamente del deprezzamento del bene ove lo abbia manipolato oltre quanto resosi necessario per accertare valore e buon funzionamento del medesimo. Se ne ricava, almeno a detta di un autore, che il consumatore deve unicamente manipuler o essayer la res «d’una manière qui lui serait 109 103 Per un esile (e controvertibile) appiglio interpretativo, v. C. giust.CE, 22 aprile 1999, causa C-423/97, Travel Vac SL c. Sanchis, in Racc., 1999, I-2195, (sulla contrarietà alla direttiva 85/577/CEE della clausola che imponga al consumatore il pagamento di un’indennità forfettaria per i danni cagionati al professionista a seguito del recesso). Al rischio che il principio di Treu und Glauben ed il richiamo alle norme sull’ungerechtfertige Bereicherung alimentino un dibattito inutile e vischioso, allude O. DAMM, Anmerkung, cit., p. 746. 104 Così G. PAISANT, Obs., cit., p. 28. 105 Cfr. G. OPPO, Osservazioni, cit., p. 16. 106 V. C. giust. CE, 17 aprile 2008, causa C-404/06, cit. § 39. In dottrina E. POILLOT e N. SAUPHANOR-BROUILLAUD, Obs., in D., 2009, Pan., p. 293. 107 Di un vaglio del comportamento dell’appauvri che va condotto cas par cas ragiona G. PAISANT, Obs., cit., p. 28. 108 Ove le «parole diventano davvero l’espressione logica di ragionevoli cose»: così D. BARBERO, A proposito della forma negli atti giuridici (l’efficacia del testamento olografo nonostante l’incompletezza della data), cit., p. 451. Così CGE, 3 settembre 2009, cit. (§ 28). Meglio si legge in G. OPPO, Contratto e mercato, cit., p. 195 riguardo all’insopprimibile esigenza che il nuovo diritto dei contratti pone circa lo «stabilire chi è meritevole di tutela e fin dove può spingersi la tutela medesima». Per il riferimento all’unità dell’operazione economica C. SCOGNAMIGLIO, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, cit., p. 459. 110 Comunemente definita, sebbene l’espressione sia stata giudicata «in verità alquanto infelice ed enigmatica» (v. L. BARBIERA, L’ingiustificato arricchimento, Napoli, 1964, p. 315), arricchimento negativo. Per un richiamo alle regole di indebito oggettivo ovvero, ed in alternativa, comunque all’esigenza di «conteggiare a carico del compratore la diminuzione di valore della cosa», v. A. ZACCARIA, Riflessioni circa l’attuazione della direttiva n. 1999/44/CE «su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo», in Annuario di diritto tedesco, 2000, a cura di Patti, Milano, 2001, p. 169 s. 111 L’espressione è di G. ROUSSET, Droit de rétractation et vente à distance, un éclairage communautaire intéressant,, cit., p. 2168. sancito dall’art. 210, comma 2°, cod. civ. Esso garantisce la parità delle posizioni con riguardo ai beni comuni, senza che ciò influisca, ponendo un limite, sulla consistenza del patrimonio personale di ciascun coniuge36. Insomma dall’uguaglianza delle quote non discende, quale conseguenza necessitata, l’inammissibilità del rifiuto del coacquisto. Esiste, invece, un dato giuridico eloquente cui agganciare la rilevanza della libera volontà del coniuge contraria all’acquisto in comunione legale. E’ la derogabilità del regime patrimoniale legale (art. 159 cod. civ.). Tale carattere contrasta con l’individuazione della ratio dell’istituto nell’attuazione del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29, comma 2°, Cost.) 37. Non è concepibile, infatti, che l’applicazione di principi costituzionalmente garantiti sia lasciata alla discrezionalità delle parti38. Certo, la comunione legale, la cui finalità non appare unitaria39, è volta ad attuare la parità sostan- 36 G. GABRIELLI, Scioglimento parziale della comunione legale fra coniugi, esclusione dalla comunione di singoli beni e rifiuto preventivo al coacquisto, in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 359; A. GALASSO, Regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 298. 37 Non condividono l’argomento incentrato sulla funzione pubblica della comunione legale e ammettono il rifiuto del coacquisto: A. DI MAJO, Dovere di contribuzione e regime dei beni nei rapporti patrimoniali della famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, p. 351; G. GABRIELLI, Scioglimento parziale della comunione legale, cit., p. 341 ss.; M. LABRIOLA, Esclusione di un acquisto dalla comunione legale per consenso (rifiuto) dell’altro coniuge, in Vita not., 1989, 4, p. 389 ss.; G. DE MARZO, op. cit., p. 1042; P. CEROLINI, Comunione legale e autonomia privata, in Giur. it., 2004, 2, p. 898 ss.; G. OBERTO, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, p. 660-661. 38 A. CATAUDELLA, Ratio dell’istituto e ratio della norma nella comunione legale tra coniugi cit., p. 305. 39 Secondo il legislatore della riforma, la comunione legale avrebbe dovuto elevare la posizione morale e giuridica della donna nell’ambito della famiglia, riconoscendo il lavoro casalingo e quello svolto nell’azienda a conduzione familiare. Sebbene tale finalità fosse stata espressa chiaramente nella Relazione al Progetto Iotti, essa non è stata trasfusa nella nuova normativa così da assurgere a ratio dell’istituto. Sono state, pertanto, avanzate altre ricostruzioni ugualmente insoddisfacenti: 1) attuazione del principio di parità dei coniugi; 2) garanzia, «anche sotto il profilo economico, del carattere comunitario della vita familiare» nel rispetto della necessaria coerenza tra concezione comunitaria della famiglia e comunione dei beni tra coniugi. Per una sintesi delle varie posizioni e delle rispettive repliche cfr. M. NUZZO, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, Milano, 1984, p. 21 ss. A. CATAUDELLA, op. cit., passim, il quale, negata l’unicità della finalità della comunione legale, spiega, riprendendo il pensiero di R. Sacco, che il legislatore della riforma, prevedendo la comunione come regime legale, ha codificato una prassi già «diffusa anche se non generalizzata (…). Siffatta ragione, a differenze della altre variamente proposte, è in perfetta sintonia con la derogabilità del regime» (p. 310). ziale tra i coniugi40, ma ciò avviene in via eventuale e tendenziale atteso il carattere derogabile e non universale del regime. Su questi due caratteri sono opportune alcune notazioni per sviluppare, ulteriormente, il discorso sull’autonomia privata nel regime patrimoniale legale. La non universalità si giustifica sotto il profilo dei contrapposti valori costituzionali che vengono in gioco nella disciplina del regime patrimoniale legale: da una parte, l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, dall’altra, i diversi valori della proprietà, del lavoro e dell’iniziativa economica privata 41. La corretta comparazione tra questi valori ha consentito alla giurisprudenza di superare, sia pur mantenendo alcuni limiti, la tesi che esclude dall’oggetto della comunione i diritti di credito42 e gli ac40 C. M. BIANCA, Il regime della comunione legale, cit., p. 3 ss., afferma che «il regime della comunione legale tende al superamento della condizione di inferiorità economica del coniuge privo di un reddito di lavoro. Il regime patrimoniale ha quindi un fondamento specifico nel principio di solidarietà coniugale e, oltre, un fondamento generale nel principio di parità sostanziale». In questo si distingue dal regime di separazione il quale «è conforme al principio di eguaglianza formale» (corsivo mio). 41 M. NUZZO, L’oggetto della comunione legale tra coniugi, cit., p. 29-43, ricostruisce lucidamente le eccezioni alla regola dell’acquisto in comunione (art. 179, comma 1°, let. a), riconducendole nel quadro della Costituzione, confrontando il principio dell’uguaglianza tra coniugi con altri principi costituzionali. Egli ritiene che le scelte compiute dal legislatore della riforma con gli artt. 177, 178 e 179 cod. civ. siano coerenti con l’ordinamento positivo. Tale coerenza emerge, tuttavia, soltanto se non s’individui nel principio della parità dei coniugi il criterio esclusivo per la soluzione unitaria di tutti i problemi posti dalla disciplina della comunione legale. 42 Cass., 15 gennaio 2009, n. 799, in Fam. dir., 2009, 6, p. 571 ss., con nota critica di C. RIMINI, I diritti di credito fra comunione immediata e comunione differita: una questione ancora aperta, pur ritenendo superata la tesi che qualifica «acquisti» soltanto il trasferimento della proprietà o la costituzione di diritti reali, ha precisato che, per aversi acquisto in comunione, «l’atto deve avere ad oggetto l’acquisto di un «bene», ai sensi degli artt. 810, 812 e 813 c.c., dovendosi escludere, pertanto, che la comunione degli acquisti possa comprendere tutti indistintamente i diritti di credito che ciascun coniuge può acquistare». Ne deriva, secondo la Suprema Corte che cadono in comunione i titoli di partecipazione azionaria, le quote di fondi di investimento e i titoli obbligazionari acquistati con i proventi di attività separata, trattandosi di «entità che hanno una componente patrimoniale suscettibile di acquisire un valore di scambio». Restano, invece, esclusi i meri diritti di credito come quelli all’indennità di cui all’art. 936 cod. civ. (oggetto della sentenza in esame) o derivanti dal contratto preliminare (Cass., 4 marzo 2003, n. 3185, in Guida al dir., 2003, 17, p. 43 ss., nega al coniuge che non è stato parte dell’atto la legittimazione all’azione di cui all’art. 2932 cod. civ.; Cass., 24 gennaio 2008, n. 1548, in Foro it. on line). Cfr. anche Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, in Fam. e dir., 2008, 1, p. 5 ss., con nota di C. RIMINI, Cadono in comunione i diritti di credito acquistati durante il matrimonio?, secondo cui fanno parte della comunione legale i titoli obbligazionari acquistati da un coniuge con i proventi della propria attività personale. Essi «costituiscono …una forma d’investimento del denaro non assimilabile in alcun modo al | 119 Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Saggi Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) stemporanea di ciascuno dei coniugi in relazione a singoli beni», ma solo nel suo complesso rispettando la forma solenne prevista dalla legge29. Quest’argomento, se fosse vero, presidierebbe davvero l’indisponibilità dell’effetto legale acquisitivo (art. 177 let. a), salvo quanto stabilisce l’art. | 118 179. In realtà alcune repliche, sulle quali è opportuno soffermarsi, lo incrinano. Dalla disciplina degli obblighi gravanti sui beni della comunione (art. 186 cod. civ.) e delle obbligazioni contratte separatamente dai coniugi (art. 189 cod. civ.) si deduce che la comunione legale non dà vita a un patrimonio destinato30. L’art. 186 let. d) stabilisce che i beni della comunione rispondono «di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi»; dunque, anche di quelle assunte per scopi estranei ai bisogni della famiglia. L’art. 189, comma 1°, cod. civ. prevede la responsabilità sussidiaria dei beni comuni, nei limiti della quota del coniuge obbligato, per le obbligazioni eccedenti l'ordinaria amministrazione contratte da un solo coniuge per finalità diverse dall’interesse familiare. Parimenti dispone l’art. 189, comma 2°, cod. civ. per le obbligazioni contratte disgiuntamente «anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio»31 - quindi pure successivamente a quest’ultimo32 - senza alcun riferimento alla causa familiare dell’atto33. 29 Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954, cit. Il patrimonio di destinazione implica che i beni che lo compongono possono essere aggrediti soltanto per le obbligazioni contratte in conformità alla destinazione medesima. I creditori sorti per causa diversa devono escutere beni diversi da quelli destinati. Ora questa limitazione così netta non si riscontra nel regime della responsabilità della comunione legale, sebbene «una qualche separazione sembra innegabile» (così G. OPPO, Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia, in Riv. dir. civ., 1976, I, p. 113, il quale argomenta dalla postergazione dei creditori personali, art. 189 comma 2°, cod. civ., e dalla responsabilità dei singoli coniugi per le obbligazioni della comunione). 31 A. CATAUDELLA, Ratio dell’istituto e ratio della norma nella comunione legale tra coniugi, in Diritto di famiglia, Scritti in onore di Rosario Nicolò, Milano, 1982, p. 306-307, rileva che si tratta di disposizioni che «si ispirano a finalità di tutela dei terzi in buona fede (…) cui è parso eccessivo imporre, sia quando un coniuge dichiari di agire nell’interesse della famiglia sia quando i coniugi agiscano congiuntamente, l’onere di accertare se effettivamente sussista siffatto interesse». 32 La destinazione comporta che i creditori il cui credito sia sorto successivamente alla destinazione non possano aggredire i beni destinati. L’art. 2447-quinquies cod. civ. stabilisce che «decorso il termine di cui al secondo comma del precedente articolo [id est: sessanta giorni dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese] ovvero dopo l’iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento del tribunale ivi previsto, i creditori della società non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare né, salvo che per la parte spettante alla società, sui frutti o proventi da esso derivanti». Anche 2645-ter stabilisce che i beni conferiti e i loro frutti possono costituire oggetto di esecuzione solo per i debiti contratti 30 Da queste disposizioni è agevole dedurre che la comunione legale non costituisce un patrimonio autonomo e unitario rispetto a quello personale dei coniugi, bensì un patrimonio comune destinato al soddisfacimento di qualunque interesse, anche estraneo ai bisogni della famiglia, sia pur con il limite della quota in fase di esecuzione forzata34. Il che sembra contrastare con la presenza di vincoli stringenti all’autonomia privata, ad eccezione di alcuni circoscritti limiti. Occorre allora soffermarsi su questi ultimi, per verificare se da essi possa trarsi una norma imperativa sull’inderogabilità della disciplina degli acquisti. E’ stato giustamente osservato che «indici della presenza di una tale norma non sono deducibili dalla prescrizione relativa all’indisponibilità della quota, che assume un significato verso i terzi, i quali non potranno mai subentrare ad uno dei coniugi nel regime di comunione; d’altra parte la necessaria eguaglianza della partecipazione esige una paritaria posizione nel patrimonio familiare senza riflesso alcuno sul profilo della sua minore o maggiore estensione»35. Ugualmente non giova argomentare dal principio dell’inderogabilità dell’uguaglianza delle quote, per realizzare il fine della destinazione, salvo l’anteriorità della trascrizione del pignoramento. I beni in comunione legale, invece, sia pur entro certi limiti, rispondono anche delle obbligazioni sorte successive al suo instaurarsi assunte per il soddisfacimento di interessi personali. 33 Il fondo patrimoniale è, invece, il regime specifico con il quale destinare uno o più beni ai bisogni della famiglia (artt. 167, comma 1 e 170 cod. civ.). La comunione legale, tuttavia, crea un patrimonio vincolato sotto il profilo non delle obbligazioni assunte per il perseguimento di un determinato scopo, ma del vincolo d’indivisibilità se non dopo lo scioglimento (art. 194 e 191 cod. civ.). Il coniuge, trattandosi di comunione senza quote, non può compiere, senza il consenso del consorte, neanche pro quota, atti aventi a oggetto bei della comunione. In una notissima sentenza la Corte Cost., 10 marzo 1988, n. 311, in Foro it., 1990, I, c. 2146 ss. (Est. Mengoni), ha affermato che i coniugi sono «solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente ad oggetto i beni della comunione. Nella comunione legale la quota non è elemento strutturale, ma ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190), e infine la proporzione in cui, sciolta la comunione, l’attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194)». 34 C. M. BIANCA, Il regime della comunione legale, in La comunione legale, a cura di C. M. Bianca, Milano, 1989, I, p. 9, afferma che la comunione legale non dà luogo ad un patrimonio autonomo, non è un centro di imputazioni giuridiche sebbene il singolo coniuge non possa disporre della propria quota. Cfr. anche A. GALASSO, Regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 21 ss. 35 G. VETTORI, Il dovere di contribuzione, in Il diritto di famiglia, II, Il regime patrimoniale della famiglia, agg. di A. Gorgoni, Torino, 2007, trattato continuato da G. Bonilini, p. 20. également permise en magasin»112. Sempre che, come si aggiunge, quel consumatore sia stato però «correctement» informato sul proprio diritto di pentirsi: giacché se è stata omessa, in tutto o in parte, l’informativa di cui all’art. 9, l b), egli non è responsabile per la diminuzione di valore. Quindi il correttivo dell’arricchimento senza causa non è ammesso a svolgere alcuna funzione di temperamento. Ora, a tacer del fatto che il diritto di recesso si estingue entro (e non oltre) un mese (o tre mesi: art. 13 della Proposta)113 dal pieno adempimento reciproco del contratto -Vertragserfüllung als zeitliche Grenze- ov’anche il consumatore abbia ricevuto un’informativa errata seu incompleta114, residua un dubbio: non è che, col ritenere ammissibile un recesso a costo zero, attuato o minacciato al solo scopo di rivedere i termini dell’affare, i paradossi del formalismo informativo, se vale la sola lettera dell’art. 17, § 2, sono destinati a rimanere irrisolti? Non è, ovviamente, la prospettiva auspicata da chi si rifiuta di pensare che il correttivo della Corte sia soltanto una nuance indotta dal contesto anomalo -atypique, com’anche è stato definito115- della vicenda. Ma è l’ipotesi, c’è da credere, di gran lunga più probabile. 112 Così V. AVENA-ROBARDET, Faculté de rétractation dans les ventes à distance: entre illusion et réalité, cit., p. 2162 e G. PAISANT, Obs., cit., p. 27 (che giudica ammissibile un simple test). 113 E Considerando 27 della proposta. Critica, a tal riguardo, V. AVENA-ROBARDET, op. loc. ult. cit. 114 V. C. giust. CE, 10 aprile 2008, causa C-412/06 Hamilton c. Volksbank Filder eG, causa C-412/06, relativa ad un contratto di mutuo, stipulato fuori dei locali commerciali, per finanziare l’acquisto di quote di un fondo immobiliare. La consumatrice, trascorsi quattro anni dal pieno adempimento del contratto, aveva provveduto ad esercitare il recesso (in quanto prima malamente informata dal professionista) e, di poi, domandato la restituzione degli interessi e del capitale corrisposto. Per un primo commento v., in particolare, P. MANKOWSKI, Die gemeinschaftsrechtliche Kontrolle von Erlöschentatbeständen für verbraucherschützende Widerrufsrechte, cit., p. 1141 ss. 115 Così G. ROUSSET, Droit de rétractation et vente à distance, un éclairage communautaire intéressant, cit., p. 2168. | 99 La forma informativa dei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (Stefano Pagliantini) Persona e Mercato - Materiali e commenti Persona e Mercato – Materiali e commenti | 100 INVALIDITÀ DEL CONTRATTO E RESTITUZIONI. Di Giovanni Passagnoli Lasciando da parte quest’ultimo aspetto, certamente rilevante, è agevole osservare come le Sezioni Unite, nel riprendere alcuni passaggi dell’orientamento maggioritario, abbiano incentrato la motivazione sul rapporto tra l’art. 177, comma 1° let. a) e l’art. 179 cod. civ. Più esattamente, i punti fondamentali dell’impianto argomentativo sono stati la tassatività dei casi posti in deroga alla prima norma e l’effettività della natura personale quale unico presupposto, sostanziale, dell’esclusione dalla comunione legale. Non vi è, invece, alcun cenno nella sentenza in commento a un altro argomento, addotto dalla prima sezione civile della Cassazione25, decisivo per supportare l’orientamento accolto. Si tratta della funzione pubblicistica riconosciuta alla comunione legale con cui urterebbe il rifiuto del coacquisto. In realtà vedremo come la trama normativa non consenta di ricostruire un interesse sovraordinato - perciò indisponibile - a quello dei coniugi. 4. Rilievi critici alla motivazione delle Sezioni Unite. Invalidità del contratto e restituzioni (Giovanni Passagnoli) SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Le disposizioni del Codice Civile. – 3. Il concorso tra la ripetizione dell’ indebito e la rivendicazione. – 4. Indebito e azione di arricchimento. – 5. I limiti alla restituzione posti dall’ art. 2035. 1. Considerazioni introduttive Un discorso sulle restituzioni conseguenti alla invalidità del contratto coinvolge i distinti piani di disciplina del rapporto tra le parti e della posizione dei terzi aventi causa. Con riferimento a questi ultimi, i criteri normativi risolvono il conflitto circolatorio graduando la opponibilità della invalidità del contratto, nelle differenti ipotesi di nullità, annullabilità e rescindibilità. Il quadro di disciplina diviene ancora più articolato per quanti riconducano alla sfera dell’invalidità il fenomeno simulatorio. Al profilo dell’opponibilità e dell’invalidità nei confronti dei terzi, si affianca il piano, evidentemente distinto, della tutela obbligatoria del solvens sine causa, nei confronti dell’accipiens, tramite la ripetizione dell’indebito e, secondo una opinione, l’arricchimento senza causa. Assumono, poi, rilevanza le fattispecie nelle quali la ripetizione viene positivamente esclusa: da quella, di portata generale, posta dall’art. 2035 per le prestazioni contrarie al buon costume, alle presta- zioni di fatto con violazione di legge (art. 2126), sino ad ipotesi recenti ma significative quale l’art. 2 della legge 18 giugno 1998, n.192, in materia di nullità formale del contratto di subfornitura. L’ampiezza delle tematiche e la complessità dei problemi che esse sollevano, impongono una delimitazione del discorso. Escludo perciò e subito dall’orizzonte di queste riflessioni le restituzioni conseguenti ad annullabilità, rescindibilità e simulazione, concentrando l’attenzione sulle conseguenze restitutorie della sola nullità. 2. Le disposizioni del Codice Civile. Le conseguenze tra le parti della nullità del contratto sono date, in larga misura, per scontate nella disciplina codicistica, tanto è forte la suggestione che, anche sul legislatore, ha esercitato l’idea della irrilevanza del contratto nullo, la cui radicale ed originaria inefficacia costituirebbe un corollario logico, ancor prima che giuridico della figura. E’ convincente ma, vedremo, non decisiva, l’affermazione delle Sezioni Unite secondo cui il rifiuto del coacquisto non trova spazio nella dialettica tra l’art. 177, comma 1° let. a) e l’art. 179, comma 2°, cod. civ. Quest’ultima disposizione stabilisce, difatti, che occorrono tre condizioni per impedire l’acquisto in comunione legale, senza contenere alcun riferimento alla possibilità di precludere l’effetto acquisitivo ex lege con una semplice dichiarazione di rifiuto da parte del coniuge non acquirente. Tale rilievo è indiscutibile, tuttavia non persuade la convinzione di ritenere conclusiva, per risolvere la questione in esame, l'interpretazione delle disposizioni appena citate. Si deve comunque riconoscere che i Supremi giudici hanno intravisto un orizzonte interpretativo più ampio, capace di coniugare i principi della comunione con altri di carattere più generale. Si sono, infatti, domandati se la facoltà di impedire l’acquisto in comunione «debba essere riconosciuta ai coniugi per ragioni sistematiche». E se, per effetto della dichiarata incostituzionalità del divieto di donazione tra coniugi, debba ammettersi la re; apporto inesistente con riguardo al patrimonio già formato e reinvestito o impiegato in nuove operazioni. L’effetto di impedire l’acquisto in comunione, nei casi elencati dall’art. 179 cod. civ., deve potersi realizzare a prescindere dalla volontà contraria del coniuge non acquirente, anche a costo di accettare qualche incorenza - puntualmente posta in luce dall’A. - in cui cadono le altre tesi. 25 Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954, cit. donazione indiretta attraverso il rifiuto del coacquisto26. La sentenza sembra aprire a una soluzione diversa da quella fatta propria dall’orientamento maggioritario sopra esaminato, affermando, giustamente, che la facoltà di impedire l’acquisto in comunione non può «affatto desumersi dall’art. 179 comma 2° cod. civ. che condiziona comunque l’effetto limitativo della comunione alla natura realmente personale del bene (…)». Si può allora desumere altrove? Qui la sentenza è ambigua. Non è chiaro, come rilevato in alcuni commenti27, se il richiamo all’interpretazione sistematica costituisca un invito all’interprete a verificare l’ammissibilità del rifiuto del coacquisto in base ad altre regole e principi dell’ordinamento. In verità le Sezioni Unite, in altra parte della motivazione, sembrano ritenere non percorribile questa strada, asserendo che «se il legislatore avesse voluto riconoscere ai coniugi la facoltà di escludere ad libitum determinati beni dalla comunione, lo avrebbe fatto prescindendo dal riferimento alla natura personale dei beni». Questo esito appare frettoloso, perché l’interpretazione sistematica, come vedremo subito, porta ragioni consistenti a favore della rilevanza della volontà di rifiutare l’acquisto in comunione legale. In questa direzione occorre un chiarimento iniziale: se i limiti sanciti dall’art. 179 cod. civ. all’effetto posto dall’art. 177, comma 1° let. a) cod. civ. sottendano un interesse indisponibile - magari risultante da altre norme - e se la comunione legale svolga una funzione pubblica. Tali aspetti, ignorati dalla sentenza in commento, sono stati colti, come si accennava, dalla prima sezione civile della Cassazione. La quale ha affermato che la ratio essenziale dell’inderogabilità dell’uguaglianza delle quote (art. 210, comma 3°, cod. civ.) e della tassatività dei casi di cui all’art. 179 cod. civ. consiste nella «natura pubblicistica» degli obblighi, non derogabili dai coniugi (art. 160 cod. civ.), gravanti sui beni della comunione. Obblighi quali il mantenimento della famiglia, l’istruzione e l’educazione dei figli e il soddisfacimento di ogni altra obbligazione contratta nell’interesse della famiglia [art. 186, comma 1° let. c), cod. civ.]28. La comunione legale, continua la sentenza in esame, svolgendo una funzione pubblica, non sarebbe «modificabile ad nutum, secondo l’opzione e26 R. SACCO, Sub. art. 160, in Commentario Cian-OppoTrabucchi, Padova, 1992, p. 17, ritiene che l’eliminazione del divieto di donazioni tra coniugi «è evidentemente incompatibile, sul piano del sistema, con ogni predeterminazione cogente dei rapporti patrimoniali tra coniugi». 27 R. MAZZARIOL, cit., p. 259; D. RANDO, cit., p. 132-133. 28 Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954, cit. | 117 Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Saggi Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) fermato tale circostanza o semplicemente partecipato all’atto. D’altra parte, si legge nella sentenza in commento: «se il legislatore avesse voluto riconoscere ai coniugi la facoltà di escludere ad libitum determinati beni dalla comunione, lo avrebbe fatto prescin| 116 dendo dal riferimento alla natura personale dei beni, che condiziona invece gli effetti previsti dall’art. 179 c.c., comma 2»21. In sostanza, l’unico presupposto sostanziale impeditivo dell’ingresso in comunione legale dell’acquisto è la natura effettivamente personale del bene. L’intervento adesivo del coniuge non acquirente svolge la funzione necessaria di documentare tale natura, ma non impedisce una successiva azione di accertamento in caso di falsità. Se così è, continuano le Sezioni Unite, la dichiarazione resa dal coniuge che interviene nell’atto ha un contenuto sostanzialmente confessorio22 ed è idonea a determinare una presunzione juris et de jure di non contitolarità dell’acquisto; presunzione superabile solo fornendo la prova dell’errore di fatto, del dolo o della violenza 23. 21 In realtà si può replicare che il rifiuto del coacquisto non sembra incompatibile con l'elencazione dei beni personali dell'art. 179 cod. civ. Il legislatore, con questa disposizione, ha giustamente temperato la regola dell'acquisto automatico (art. 177, comma 1° let. a), prevedendo casi incompatibili con la ratio della comunione legale [lett. a), b), f)], valorizzando la dignità personale (let. c) o il diritto al lavoro (let. d). Questo elenco garantisce il coniuge acquirente, lasciando impregiudicata l'eventuale volontà contraria alla contitolarità. Le Sezioni Unite, a onor del vero, si sono prefigurate questo ragionamento, rigettandolo; precisamente, l’obiezione secondo cui il rifiuto del conquisto, dopo la sentenza n. 91/1973 della Corte costituzionale, andrebbe ammesso per ragioni sistematiche. Difatti, si potrebbe sostenere che, caduto il divieto di donazione tra coniugi (art. 781 cod. civ.), deve ritenersi ammissibile anche la donazione indiretta perfezionata con il rifiuto del coacquisto. Tuttavia, replicano le Sezioni Unite, la legittimità della stessa «non potrebbe affatto desumersi dall’art. 179, comma 2°, cod. civ. che condiziona comunque l’effetto limitativo della comunione alla natura realmente personale; e attribuisce all’intervento adesivo del coniuge non acquirente la sola funzione di riconoscimento dei presupposti di quella limitazione, ove effettivamente già esistenti». 22 Secondo le Sezioni Unite l’intervento adesivo del coniuge non acquirente è «condizione necessaria ma non sufficiente» al fine di precludere l’acquisto alla comunione legale. Esso «può rilevare come prova dei presupposti di tale effetto limitativo, quando assuma il significato di un’attestazione di fatti [come con riferimento alla provenienza personale del bene o del denaro impiegato per l’acquisto ex let. f)]. Ma non rileva come atto negoziale di rinuncia alla comunione legale». 23 Sul punto le Sezioni Unite in commento hanno ripreso e ampliato un orientamento consolidato della Cassazione secondo cui la mancata contestazione o l’esplicita conferma da parte del coniuge non acquirente di quanto dichiarato dal coniuge acquirente ha valenza di «testimonianza privilegiata o di riconoscimento della destinazione (let. d) o della continuità tra bene personale ceduto e acquisto effettuato (let. f)». La presunzione di esclusione della contitolarità può essere vinta solo nei limiti Naturalmente - precisa correttamente la sentenza - la dichiarazione del coniuge non acquirente non può avere natura ricognitiva e confessoria quando essa non è «descrittiva di una situazione di fatto bensì solo espressiva di una manifestazione di intenti». Com’è avvenuto nel caso sotteso alla pronuncia in commento, in cui il consorte non acquirente ha confermato, nell’atto di compravendita, che l’immobile sarebbe stato destinato all’esercizio dell’attività professionale del marito (art. 179, comma 1°, let. d) cod. civ.). Trattandosi di una futura destinazione, assunta quale unica ragione dell’esclusione, «sarà la sua effettività (…) a determinare l’esclusione dalla comunione, non certo la pur condivisa dichiarazione di intenti dei coniugi». Ne consegue che il coniuge non acquirente, pur autore della dichiarazione confermativa della destinazione, potrà esperire l’azione d’inefficacia della dichiarazione stessa per mera contrarietà al vero, qualora la destinazione non sia attuata. Non trovando applicazione, in tal caso, i limiti sanciti dall’art. 2732 cod. civ.24. dell’art. 2732 c.c., ossia dell’errore di fatto e della violenza (cfr.: Cass., 19 febbraio 2000, n. 1917, cit.; Cass., 6 marzo 2008, n. 6120, in Notariato, 2008, e, p. 493 ss. A questi le Sezioni Unite hanno aggiunto il dolo. 24 Le Sezioni Unite hanno, quindi, distinto tra dichiarazioni su situazioni di fatto aventi natura ricognitiva e portata confessoria, e manifestazioni di intenti che, in quanto eventi futuri, non sono predicabili di verità o falsità. Nel primo caso la dichiarazione può essere impugnata solo nei limiti dell’art. 2732 cod. civ. (ad es. artt. 179 lett. c e d), nel secondo si fa può far valere il semplice mendacio. Resta, tuttavia, il dubbio che la qualificazione confessoria sia appropriata con riguardo alle altre ipotesi dell’art. 179. Cfr. amplius M. PALADINI, Alle Sezioni unite la controversa questione, cit., p. 721, il quale pone giustamente in luce come la tesi ricognitivo-confessoria incrini fortemente la tassatività dell’elenco contenuto nell’art. 179. Infatti, se il mancato ingresso in comunione è consentito solo qualora effettivamente sussistano i casi dell’art. 179, è evidente che attribuire natura confessoria alla dichiarazione del coniuge non acquirente implica «relega[re] a ipotesi del tutto marginali la possibilità di una successiva contestazione dei requisiti oggettivi». Dovrebbe, pertanto, ammettersi, continua esattamente l’Autore, la «possibilità di ricorrere a ogni mezzo di prova per dimostrare la mendacità della dichiarazione e, a causa dell’inefficacia della stessa, la conseguente appartenenza del bene al patrimonio della comunione legale. La legittimazione all’azione finalizzata a far valere l’inefficacia della dichiarazione deve essere riconosciuta sia al coniuge dichiarante, sia (qualora vi abbiano interesse) al coniuge acquirente, sia, infine, ovviamente, ai terzi e ai creditori». Non convince, invece, la ricostruzione “contrattuale” dell’art. 179, comma 2° cod. civ. prospettata dallo stesso M. PALADINI, Sub. art. 179, cit., p. 75-77. Ad essa consegue - l’A. ne è perfettamente consapevole - l’incoercibilità della volontà del coniuge non acquirente, il quale potrebbe porre “il veto” all’inclusione dell’aqcuisto nel patrimonio personale. Si può replicare che la ricostruzione dell’art. 179 cod. civ. quale norma che prevede un diritto soggettivo a conservare e a movimentare il patrimonio di cui si è titolari prima del matrimonio è coerente con la logica della comunione: valorizzare attraverso la contitolarità l’apporto di entrambi i coniugi alla conduzione familia- Non stupisce, allora, che il Codice si riferisca alle pretese restitutorie solo in modo implicito all’art. 1422, ove, nel disciplinare la imprescrittibilità dell’azione di nullità, fa salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione. In tal modo, il legislatore presuppone la esperibilità della tutela restitutoria, correlandola, in negativo, alle circostanze che potrebbero ostare al suo accoglimento: estensivamente, l’acquisto della proprietà a titolo originario da parte dell’avente causa, oppure la prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito. Certo, la disposizione rinvia a piani di rilevanza ben distinti. Quello della relazione proprietaria, cui è pertinente il riferimento all’usucapione; quello obbligatorio, della azione di ripetizione e della prescrizione. Il carattere implicito, ancorchè inequivoco, della normativa consiglia di ricercare altrove indici normativi che consentano di dar più sicura risposta al problema del concorso, a favore dell’alienante, della azione di rivendicazione (art. 948) con quella di ripetizione dell’indebito (art. 2033), nei confronti dell’accipiens sine causa. Anche con riferimento alla posizione dei terzi diversamente da quanto dispongono gli artt. 1445 e 1452, rispettivamente per il contratto annullato e per quello rescisso – manca una espressa disciplina nel capo della nullità. La si deve ricavare dal sistema, attraverso la interpretazione di disposizioni che, almeno ad una prima lettura, appaiono tra loro profondamente contraddittorie. Dagli artt. 2652, n. 6 e 2690, n. 3, si ricava con chiarezza, benché a contrario, che la sentenza che accolga la domanda diretta a far dichiarare la nullità pregiudica i diritti dei terzi aventi causa a qualsiasi titolo dal primo acquirente; con la sola deroga della circoscritta fattispecie della c.d. pubblicità sanante, enunciata nelle anzidette disposizioni. Sempre con riferimento ai terzi, l’art. 2038 disciplina le conseguenze - sul piano obbligatorio della ripetizione dell’indebito - della alienazione della cosa ricevuta indebitamente, assicurando, invece, una ampia e sostanziale intangibilità dell’acquisto del terzo. 3. Il concorso tra la ripetizione dell’ indebito e la rivendicazione. Prima di procedere oltre sembra dunque opportuno soffermarsi su questo aspetto del problema, che ha radici antiche. Come sappiamo, nel diritto romano si contrapponevano le nullità iure civili, operanti ipso iure, alle ipotesi di inefficacia officio iudicis dell’atto. Le prime erano riconducibili al difetto degli essentialia del contratto tipico 1; le seconde alle exceptiones e condictiones esperibili riguardo all’atto integro, valido de iure civili e però malus in effectu, per l’incidenza di circostanze esterne all’atto stesso: principalmente i vizi del volere e della causa2. Il fenomeno, gradatamente attuato con le codificazioni e portato al suo estremo dal codice italiano vigente, dell’assorbimento all’interno della fattispecie del requisito causale, muta i termini del discorso3. La mancata integrazione del requisito non costituisce più il presupposto, a posteriori, di semplici exceptiones e condictiones, ma incide direttamente sulla validità dell’atto. Ciò diviene tanto più rilevante in quanto, grazie alla efficacia reale del consenso ed alla moderna commistione tra titulus e modus adquirendi, il fenomeno investe anche l’atto traslativo, trascendendo l’ambito del contratto obbligatorio nel quale era sorto4. Questo fenomeno, già nella elaborazione teorica anteriore al codice vigente, aveva consentito di argomentare a favore della radicale eterogeneità delle condictiones romane rispetto alle «azioni ripetitorie moderne», che sarebbero ormai la «conseguenza della nullità del negozio » e non il «correttivo di un negozio giuridicamente valido»5. La nullità, non importa se legata al mancato assolvimento di un onere di legalità, oppure fondata sull’illiceità della causa o del motivo, doveva risolversi necessariamente in una carenza strutturale della fattispecie, dando luogo alla sua inefficacia erga omnes, sì da fondare una tutela reale del solvens, sottratta alle ristrettezze applicative della condictio6. Il punto, però, è tutt’altro che pacifico. Tanto è vero che taluno ha rilevato la contraddittorietà di simili conclusioni rispetto alla disciplina positiva. Proprio gli artt. 2037 e 2038, dimostrerebbero, piuttosto, che «i principi della inefficacia del negozio 1 FERRARA F. Sen., Teoria del negozio illecito, Milano, 1902, p. 277; ZANI, L’evoluzione storico-dogmatica dell’ odierno sistema dei vizi del volere e delle relative azioni di annullamento, in Riv. it. sc. giur., 1927, p. 335 ss.. 2 M. GIORGIANNI, voce Causa (dir. priv.), in Enc. Dir., VI, Milano, 1960, p. 550. 3 M. GIORGIANNI, loc.cit., p. 594. 4 G. ASTUTI, I contratti obbligatori nella storia del diritto italiano, I, Milano, 1952, pp. 22-23. 5 FERRARA F. Sen., op. cit, p. 277. 6 Lo sottolinea M. GIORGIANNI, op. cit., p. 552, pur circoscrivendo la portata della tutela reale, escludendola per le prestazioni isolate senza causa, per le quali troverebbe invece applicazione la disciplina dell’ indebito. | 101 Invalidità del contratto e restituzioni (Giovanni Passagnoli) Persona e Mercato - Materiali e commenti Persona e Mercato – Materiali e commenti Invalidità del contratto e restituzioni (Giovanni Passagnoli) nullo e della retroattività reale dell’annullamento sono privi di contenuto normativo »7. Una tale affermazione, tuttavia, risulta condivisibile solo a condizione che si possa escludere, positivamente, il concorso tra la tutela reale e quella obbligatoria del solvens. E sul punto a me pare che gli argomenti ricava| 102 bili dalla lettura congiunta dell’art. 1422 con gli artt. 2652, n. 6 e 2690, n. 3, siano decisivi a favore del concorso di azioni. Da un lato, stante la chiara lettera dell’art. 1422, è sicura la esperibilità della azione di ripetizione. Dall’altro, è parimenti evidente che - con la sola eccezione della c.d. pubblicità sanante e degli acquisti a titolo originario - la sentenza dichiarativa della nullità pregiudica, sempre, i diritti del terzo sub acquirente: segno, questo, della esperibilità della tutela petitoria nei confronti dei terzi cui la nullità sia opponibile. Nè può stupire, nella consueta relatività delle valutazioni giuridiche, che una tal tutela reale nei confronti del sub acquirente8 differisca radicalmente dal modello di disciplina posto dall’ art. 2038, giacché in ciò si apprezza il riflesso della diversità di presupposti ed effetti delle due discipline. Quella dell’indebito ha natura personale, è volta alla sola rimozione degli effetti materiali e possessori della traditio, indifferentemente dalla circostanza che il solvens sia o meno proprietario del bene oggetto della prestazione; quella di rivendicazione ha natura reale e suppone l’ accertamento della proprietà, con l’assolvimento dei relativi oneri probatori9. 7 P. BARCELLONA, Note critiche in tema di rapporti fra negozio e giusta causa dell’ attribuzione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1965, I, p. 11 ss.. 8 Sotto quest’ ultimo profilo, è il caso di ricordare, pur non potendo approfondire in questa sede l’ argomento, la recente motivata teorizzazione (C. PILIA, Circolazione giuridica e nullità, Milano, 2002, p. 159 ss.), volta a relativizzare, cioè a graduare in concreto, la opponibilità della nullità nei confronti dei terzi. La tesi muove dalla constatazione della perdita di fattispecie delle nullità speciali e più in generale dalla constatazione del carattere costitutivo che la azione di nullità può assumere ogni qual volta il titolo si presenti integro nella propria fattispecie costitutiva e perciò idoneo a fondare un rilevante affidamento circolatorio. Si pensi alla frode alla legge o al motivo illecito comune e in genere alle ipotesi di illiceità della causa in concreto, desumibile solo dal collegamento negoziale: in simili ipotesi, la causa di nullità costituisce un elemento impeditivo e deve di norma essere eccepita. Ciò potrebbe giustificare un temperamento, in concreto, cioè secondo la composizione giudiziale degli interessi in conflitto, dell’ampiezza delle conseguenze della nullità, sotto il profilo di una sua più limitata opponibilità. 9 Sul punto, risultano illuminanti le considerazioni di P. SCHLESINGER, Il pagamento di terzo, Milano, 1961, p. 26 ss.; e vedi già G. ANDREOLI, La ripetizione dell’indebito, Padova, 1940, p. 5 ss.. 4. Indebito e azione di arricchimento. La disciplina dell’indebito è, almeno in prima lettura, dettata con riferimento alle prestazioni aventi ad oggetto beni, tanto fungibili - tipicamente il danaro - che infungibili. Ciò ha autorizzato parte della dottrina e soprattutto una netta giurisprudenza10 ad affermare che, ove il contenuto della prestazione e la possibilità concreta della ripetizione non lo consentano, le conseguenze restitutorie della nullità debbano trovare attuazione tramite l’azione generale di arricchimento, regolata dall’art. 2041. L’affermazione parrebbe avere la forza dell’ovvietà, specie alla luce del carattere sussidiario della azione di arricchimento. Resta da vedere se un simile esito applicativo sia compatibile con la ratio della disciplina dell’indebito, oppure conduca, come a me pare, ad una ingiustificata disparità di trattamento. Per meglio comprendere questo rilievo, è opportuno ricordare che nella complessa articolazione di regole poste dagli artt. 2037 e 2038 già trova spazio una obbligazione indennitaria - dell’acquirente o del sub acquirente a seconda dei casi - nei confronti del solvens, nei limiti dell’ arricchimento verificatosi. Ciò accade, in particolare, nel caso dell’ accipiens di buona fede i) ove la restituzione sia impossibile per il perimento della cosa (art. 2037, terzo comma); ii) nel caso di alienazione ad un terzo sub acquirente a titolo gratuito, il quale è direttamente gravato della obbligazione indennitaria verso il solvens. Ove vi sia mala fede dell’ accipiens, valgono regole diverse, che commisurano il diritto del solvens ora al “valore”, ora al “corrispettivo”, della cosa alienata. Nel solo caso di accipiens di mala fede, che abbia alienato a titolo gratuito la cosa ricevuta, riemerge una obbligazione sussidiaria – nell’ipotesi di inutile escussione dell’alienante – di natura indennitaria, nei limiti dell’arricchimento del sub acquirente. In questo contesto di disciplina, la differenza di trattamento tra l’accipiens di mala e di buona fede non sembra in alcun modo correlata alla natura della prestazione, bensì e solo alla considerazione dello stato soggettivo del contraente tenuto alla restituzione. Risulta allora piuttosto evidente che l’applicazione indiscriminata della azione di arricchimento di cui all’art. 2041 alle restituzioni delle prestazioni di fare, conseguenti alla nullità del con10 Per tutte, Cass., 8 novembre 2005, n. 21647, in Giust. civ,. Mass., 2005, p. 11. mente uno dei casi indicati dall’art. 179, il coniuge acquirente può ovviare al mancato intervento del consorte chiedendo al giudice, anche ex post, di accertare in un giudizio contenzioso la natura personale del bene17. 3. L’orientamento maggioritario contrario accolto dalle Sezioni Unite. Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario18, il legislatore della riforma del 1975 ha indicato espressamente i casi in cui l’acquisto automatico alla comunione non opera. L’art. 179 cod. civ. contiene un elenco tassativo, pertanto l’interprete non può aggiungere ulteriori ipotesi limitative dell’effetto legale disposto dall’art. 177, comma 1° let. a), cod. civ. Certo è che se l'interprete limita il campo dell’interpretazione soltanto al comma 2° dell’art. 179, non sembra esservi spazio per il rifiuto del coacquisto19. Questa disposizione prevede, come noto, la cosiddetta surrogazione dei beni, una fattispecie complessa, occorrendo tre condizioni affinché vi sia l’esclusione dell’acquisto dalla comunione. Esse sono: 1) la sussistenza di uno dei casi di cui alle lettere c), d) ed f); 2) la dichiarazione del coniuge ac17 Così Cass., 2 giugno 1989, n. 2688, cit. D’accordo T. AULETTA, Il diritto di famiglia, Torino, 2008, p. 156, il quale precisa che, stante il mancato intervento del consorte, il coniuge acquirente non può ottenere la relativa trascrizione per l’opponibilità ai terzi. A tal fine si rende necessaria una sentenza o un negozio di accertamento (contra F. RUSCELLO, Lineamenti di diritto di famiglia, Milano, 2005, p. 126, il quale ammette la trascrizione condizionata all’accertamento giudiziale). Nel giudizio il coniuge acquirente dovrà provare «l’esistenza dei presupposti che legittimavano l’acquisto». G. BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2005, p. 117, esclude giustamente che si possa applicare analogicamente l’art. 181 cod. civ., qualora il coniuge non acquirente si rifiuti di intervenire nell’atto di acquisto. 18 Cass., 19 febbraio 2000, n. 1917, in Giur. it., 2001, p. 39 ss.; Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954, in Foro it., 2003, c. 1040 ss., con nota di G. DE MARZO, Acquisto in comunione ordinaria da parte di coniugi in regime di comunione legale, in Riv. not., 2003, 6, p. 1548 ss., con nota critica di F. PATTI, Il cosiddetto rifiuto del coacquisto alla luce della sentenza n. 2954/2003, in Giust. civ., 2003, 10, p. 2113 ss., con nota critica di M. FINOCCHIARO, La Cassazione e la «corretta» interpretazione dell’art. 179, comma 2°, cod. civ.; Cass., 24 settembre 2004, n. 19250, in Contr. e impr., 2004, p. 574 ss., con nota di L. NAPOLITANO, Beni personali e rifiuto del coacquisto. 19 Contrari al rifiuto del coacquisto: G. LAURINI, A proposito di un’originale interpretazione dell’ultimo comma dell’art. 179 c.c., in Riv. not., 1990, p. 173 ss.; R. CARAVAGLIOS, La comunione legale, Milano, 1995, p. 172; E. QUADRI, Famiglia e ordinamento civile, Torino, 1999, p. 172 ss.; M. C. LUPETTI, Rifiuto del coacquisto: è il tramonto di un’epoca?, in Riv. not., 2003, p. 416 ss.; M. PALADINI, Sub. art. 179, in Commentario del codice civile, Della Famiglia, a cura di L. Balestra, Torino, 2010, p. 69-70. quirente, risultante dall’atto di acquisto, di voler acquisire il bene al proprio patrimonio personale; 3) la partecipazione all’atto anche dell’altro coniuge. Tutte queste tre condizioni devono sussistere, sebbene la giurisprudenza sia stata meno rigorosa nel valutare l’inosservanza delle formalità previste dall’art. 17920. Ma sulla necessaria esistenza dei casi di surrogazione, le Sezioni Unite hanno insistito, affermando che «l’effetto limitativo della comunione si produce solo ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, vale a dire solo se i beni sono effettivamente personali». Ciò implica, ad esempio, che se il denaro impiegato per comprare un immobile non deriva realmente dalla precedente vendita di un bene personale (let. f), l’acquisto entrerà in comunione. Tele effetto si produrrà benché il coniuge acquirente abbia dichiarato falsamente la natura personale del bene, e il consorte abbia con20 Cass., 5 maggio 2010, n. 10855, in Guida al dir, 2010, 22, p. 57 ss., ha affermato che i beni acquistati con denaro personale sono esclusi dalla comunione legale, sebbene manchi, nell’atto di acquisto, l’espressa dichiarazione richiesta dall’art. 179, comma 1° let. f), cod. civ. Occorre, però, «l’obiettiva certezza della natura personale del denaro utilizzato per l’acquisto». Nel caso di specie era stato dimostrato, con prova documentale, che il coniuge, prima del matrimonio, era titolare della somma impiegata per l’acquisto dei titoli avvenuto in vigenza della comunione legale. Nella sentenza si legge che l’obiettiva certezza può ricavarsi dal titolo di acquisto del bene (donazione o successione, let. b), dalla sua natura intrinseca (come ad es. per alcuni beni di uso strettamente personale, let. c) o dalla semplice comparazione tra la data di acquisto del bene impiegato e quella del matrimonio. La Suprema Corte compie un’interpretazione analogica, equiparando al prezzo costituito dal denaro ricavato dalla vendita di un bene personale (caso previsto dall’art. 179 let. f cod. civ.) il danaro direttamente acquisito a titolo gratuito da uno dei coniugi e poi investito nell’acquisto di beni. A sostegno del decisum, la Cassazione ha richiamato i precedenti di legittimità secondo i quali la dichiarazione della lettera f) occorre soltanto se possano sorgere dubbi sulla natura personale del bene impiegato per l’acquisto. Essa, invece, avendo natura ricognitiva, sarebbe superflua qualora vi sia obiettiva certezza circa la natura personale del bene utilizzato (cfr: Cass., 8 febbraio 1993, n. 1556, in Riv. notar., 1994, p. 1023 ss., riguardante un atto di permuta con bene personale in cui mancava la dichiarazione prevista dall’art. 179, comma 1° let. f) e la partecipazione dell’altro coniuge ai sensi comma 2° della stesso articolo; Cass. 18 agosto 1994, n. 7437, in Vita notar., 1995, p. 798 ss., sul reimpiego di grossi capitali ricevuti in donazione e successione per l’acquisto di azioni sociali; Cass. 25 settembre 2008, n. 24061, in De jure on line, sulla cointestazione di titoli quale indice inequivoco della volontà di mettere in comune l’acquisto, sebbene, per quest’ultimo, sia stato impiegato denaro personale. Questa giurisprudenza è criticabile perché introduce una deroga - rappresentata dall’«obiettiva certezza» della natura personale al requisito formale della dichiarazione richiesta dalla let. f) dell’art. 179. In tal modo si consente al coniuge acquirente di approfittare dell’«obiettiva certezza» per revocare la donazione indiretta che l’omessa dichiarazione ha determinato a vantaggio del consorte (cfr. M. R. MORELLI, Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Padova, 1996, p. 107; E. QUADRI, Famiglia e ordinamento civile, cit., p. 174-176). | 115 Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Materiali e commenti 11 Cass., ord. 30 dicembre 2008, n. 30416, cit. G. GABRIELLI, voce Regime patrimoniale della famiglia, in Digesto, 1997, p. 331 ss.; U. MAJELLO, voce Comunione dei beni tra coniugi, in Enc. giur., 1988, p. 2. 12 realizzare «l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi», ma si limitano a favorirla. Il che sarebbe comprovato dalla scelta legislativa del rimedio dell'annullamento (art. 184 cod. civ.) in luogo dell'inefficacia. Rimedio soggetto, peraltro, a un termine breve di prescrizione13. Se l’autonomia negoziale non è stata limitata per il perseguimento di un interesse sovraordinato rispetto a quello del coniuge economicamente più debole, essa può, secondo la Cassazione, «limitare l’efficacia soggettiva dell’atto di acquisto nei confronti del solo coniuge acquirente»14. Ne consegue l’irrilevanza, nei rapporti tra coniugi, della natura effettivamente personale del bene acquistato, qualora «il coniuge che poteva avere interesse a contestarne [tale] carattere, ne ha rifiutato la contitolarità»15. Diversamente, continua la Suprema Corte16, la natura personale assume rilevanza nell’ipotesi inversa in cui il coniuge non acquirente sia contrario all’acquisto esclusivo da parte del consorte. Questa volontà negativa si attua non intervenendo nell'atto di acquisto, intervento richiesto dall’art. 179, comma 2°, cod. civ. proprio per impedire l'ingresso in comunione. Naturalmente - è stato esattamente rilevato - il coniuge che intende acquistare non può restare prigioniero della decisione del consorte di non intervenire nell'atto di acquisto. Così se sussiste effettiva13 Oltretutto la Cass., ord. 30 dicembre 2008, n. 30416, cit., ricorda, che l’art. 184 cod. civ. non prevede la regola temporalia ad agendum, perpetua ad excipiedum contenuta, invece, nell’art. 1442, ultimo comma, cod. civ. La Suprema Corte richiama una sentenza della Corte Costituzionale (n. 311/1988) che, con «motivazione tipicamente privatistica» ha dichiarato costituzionalmente legittima la brevità del termine di prescrizione. Si legge nell’ordinanza che «il bilanciamento compiuto dalla norma [art. 184 cod. civ.] tra gli opposti interessi del coniuge pretermesso e dei terzi non appare lesivo del diritto di difesa del primo, cui resta, pur sempre, un lasso di tempo sufficientemente ampio per impugnare l’alienazione». 14 Secondo Cass., 2 giugno 1989, n. 2688, cit., stante la natura negoziale del rifiuto del coacquisto, i creditori della comunione e quelli particolari del coniuge non acquirente possono esperire l’azione revocatoria, ove ne sussistano i presupposti, dimostrando che si trattava di un bene destinato a cadere nella comunione. Sul punto ci soffermeremo più ampiamente nel § 6. 15 La Cass., 2 giugno 1989, n. 2688, cit., però, ha ritenuto che il rifiuto del coacquisto debba rivestire, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico, dando per scontato che esso possa realizzarsi soltanto mediante una convenzione matrimoniale. Il che, vedremo, è discutibile essendo possibile, secondo una tesi, impedire l’acquisto alla comunione senza che il relativo atto sia assoggettato al formalismo dell’art. 162 cod. civ. In dottrina, tra gli autori favorevoli al rifiuto del coacquisto: M. LABRIOLA, Esclusione di un acquisto dalla comunione legale per consenso (rifiuto) dell’altro coniuge, in Vita not., 1989, 4, p. 389 ss.; A. GALASSO, Regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 295 ss.; P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, 2005, Napoli, p. 827. 16 Cass., 2 giugno 1989, n. 2688, cit. tratto, realizzerebbe una soluzione del tutto incoerente. Il solvens si vedrebbe indennizzato, anche in caso di mala fede dell’ accipiens, nei soli limiti dell’ arricchimento di questo, anziché nei più pregnanti termini del “valore” o del “corrispettivo” previsti, a seconda dei casi, dalla disciplina dell’ indebito. Se queste considerazioni appaiano condivisibili, sembra segnata la via dell’applicazione analogica dell’ art. 2037 per le prestazioni indebite di fare: quindi, arricchimento nel caso di buona fede dell’accipiens, debito di valore in quello di mala fede. 5. I limiti alla restituzione posti dall’ art. 2035. Sul piano del trattamento riservato al contratto nullo, la disciplina posta dall’art. 2035 circa l’irripetibilità delle prestazioni contrarie al buon costume, ci appare come una specificazione della distinta regolamentazione riservata al contratto illecito. Ove la illiceità di esso risieda nel perseguimento di uno scopo che, anche da parte del solvens, costituisca offesa al buon costume, questi, nonostante la nullità del contratto, “non può ripetere quanto ha pagato”. Si deroga così alla ordinaria conseguenza restitutoria, fondata sull’art. 2033 c.c., della nullità del contratto. Dubbio è il fondamento della regola; incerto risulta il suo rapporto con la nozione di buon costume, altrove enunciato quale criterio di liceità dei requisiti od elementi del contratto; controverse appaiono le implicazioni di disciplina. Sarà quindi utile muovere da una puntualizzazione della nozione e del fondamento di questo parametro di liceità del contratto. a) Il buon costume. Si assiste in materia ad una ampiezza definitoria che, se appare espressione di una tensione ideale verso una perdurante rilevanza della regola morale nel diritto, risulta poi insuscettibile di impiego effettivo, per le incongruità sistematiche che ne derivano. Così, quando si identifica il buon costume con le norme implicite del sistema «che comportano una valutazione del comportamento dei singoli in termini di moralità o di onestà»11, oppure con i «canoni fondamentali di onestà pubblica e privata alla stre11 F. GALGANO, Della simulazione, della nullità del contratto, cit., p. 130. gua della coscienza sociale»12, od ancora con i principi e le esigenze «etiche appartenenti alla coscienza morale collettiva, cui la generalità delle persone corrette uniforma il proprio comportamento in un determinato ambiente e momento storico»13, o infine con la «matrice etica delle strutture normative vigenti e specialmente delle norme costituzionali»14, si pongono forse più problemi di quanti simili definizioni valgano a risolverne. Da un lato, infatti, diviene difficile distinguere simili canoni di onestà dal sistema delle regole di buona fede e correttezza; dall’altro, appare assai arduo giustificare tanto radicali divergenze di trattamento tra la violazione di queste ultime e lo speciale rigore di disciplina posto dall’ art. 2035 c.c. . Non a caso, coerentemente col cauto impiego giurisprudenziale15, si assiste al diffuso tentativo di | 103 12 C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, p. 621. 13 Così, da ultimo, Cass., 15 febbraio 2001, n. 7523, in Dir. fall., 2001, 2, p. 1190, con nota di DI LEO, Cambiale, promessa di pagamento e negozio contrario al buon costume. 14 D. CARUSI, Illiceità del contratto e restituzioni, cit., p. 498. 15 La Corte di Cassazione ha, in più di una occasione (recentemente, Cass., 15 febbraio 2001, n. 7523, cit.) precisato che “le prestazioni considerate contrarie al buon costume non sono solo quelle contrarie alle regole del pudore sessuale e della decenza, ma anche quelle lesive dei principi e delle esigenze etiche appartenenti alla coscienza morale collettiva, cui la generalità delle persone uniforma il proprio comportamento in un determinato ambiente e momento storico”. Alla luce di una simile concezione, sono considerati nulli perché in contrasto con il buon costume, oltre ai contratti che prevedono prestazioni a carattere sessuale (Cass., 1 agosto 1986, n. 4927, in Giust .civ., 1986, I, p. 2710; Cass., 31 marzo 1958, n. 1110, in Giust. civ., 1958, I, p. 1310; Trib. Milano, 1 luglio 1993, in Rep. Giur .it., 1994, voce “Obbligazioni e contratti”, p. 559). Il contratto a titolo oneroso avente ad oggetto il conferimento di un incarico professionale stipulato tra i competenti organi di una istituzione pubblica ed un membro del consiglio di amministrazione dell’ente, con intenzionale lesione degli interessi di quest’ultimo (Cass., 18 ottobre 1982, n. 5408, in Foro it., 1983, I, c. 691). Le convenzioni usurarie (Cass., 10 agosto 1973, n. 2330, in Sett .giur., 1073, II, p. 1028; Cass., 10 novembre 1970, n. 2334, in Rep. Giust. civ., 1970, voce “Fidejussione”, p. 6). I contratti di prossenetico matrimoniale, qualora si risolvano in una pressione diretta o indiretta alla libertà del consenso matrimoniale (Cass., 25 marzo 1966, n. 803, in Giur. it, 1967, I, 1, c. 1960; Cass., 30 luglio 1951, n. 2226, in Giur .it., 1952, I, 1, c. 22). Sono stati altresì ritenuti illeciti contratti contenenti accordi fraudolenti in danno di terzi (Cass., 15 febbraio 1960, n. 234, in Giur. it., 1960, I, c. 1134), o in forza dei quali una parte si obbliga a tenere un determinato contegno processuale in cambio di denaro (Trib. Genova, 17 ottobre 1984, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, p. 65). Così come si è considerato immorale il patto col quale un candidato al Parlamento si obblighi a pagare una somma affinchè gli altri candidati della stessa lista lo sostengano nella campagna elettorale e rinunzino al mandato parlamentare, così da far risultare eletto il primo (Trib. Roma, 21 marzo 1968, in Giur. mer., I, 1968, p. 104). E’ considerato altresì illecito il contratto con cui taluno si impegna a svolgere un’opera di intermediazione finalizzata all’ottenimento a favore del mandante di fa- Invalidità del contratto e restituzioni (Giovanni Passagnoli) Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Il principio appena ricordato ha un solido fondamento normativo, come ha rilevato l’ordinanza di rimessione degli atti al Primo Presidente11. Vi sono, infatti, diverse fattispecie negoziali che proteggono l’interesse a non subire invasioni della propria sfera giuridica. La donazione esige l’accettazione del do| 114 natario (art. 782 cod. civ.), la remissione del debito lascia al debitore la facoltà di dichiarare di non volerne profittare (art. 1236 cod. civ.), com’è parimenti previsto nel contratto a favore del terzo (art. 1411, comma 3°, cod. civ.). Ancora, il contratto con obbligazioni del solo proponente si perfeziona con il mancato rifiuto, ma il destinatario può, entro un certo tempo, rifiutare la proposta (art. 1333, comma 2°, cod. civ.); infine, il legato si acquista senza bisogno di accettazione, ma è fatta salva la facoltà di rinunciare (art. 649, comma 1°, cod. civ.). Il secondo argomento è desunto da una disposizione legata più strettamente al problema interpretativo in esame, la quale riguarda la pubblicità delle convenzioni matrimoniali. L’art. 2647, comma 2°, cod. civ. stabilisce che «le trascrizioni previste dal precedente comma devono essere eseguite anche relativamente ai beni immobili che successivamente (…) risultano esclusi dalla comunione tra i coniugi». La disposizione sembra postulare la legittimità dell’esclusione dalla comunione legale di beni che già ne fanno parte, ma ne richiede la trascrizione. Il che troverebbe conferma nel comma 1° della medesima disposizione, il quale disciplinerebbe, invece, la trascrizione della convenzione matrimoniale cosiddetta programmatica in quanto prevede che i futuri acquisti di certi beni saranno esclusi dalla comunione legale. Quest’effetto si può realizzare, com'è noto, mediante una comunione convenzionale modificativa del regime legale (art. 210 cod. civ.). Ora, se è consentito escludere dalla comunione un bene che già ne fa parte, si deve ammettere, per coerenza, anche il rifiuto del coacquisto. Nell’ordinanza di rimessione, più volte citata, si è, infatti, affermato che «questo è l’argomento forte della sentenza [della Cassazione] 2 giugno 1989, n. 2688». Vedremo, invece, che una parte della dottrina ha criticato l’interpretazione appena esposta dell’art. 2647, comma 2°, cod. civ. E' il terzo argomento, tuttavia, che ha maggior forza persuasiva a sostegno del rifiuto del coacquisto ex lege. Anch’esso, però, contestato da una parte della giurisprudenza di legittimità e della dottrina. Secondo tale argomento l’art. 179 cod. civ. e, in generale, l’istituto della comunione legale non perseguono un interesse pubblico12: non sono deputati a Persona e Mercato – Materiali e commenti Invalidità del contratto e restituzioni (Giovanni Passagnoli) circoscrivere l’ambito di applicazione del buon costume, sulla base di rilievi diversi, ma concorrenti, nel giustificare una simile operazione interpretativa. Un primo ordine di considerazioni attiene proprio al mutato rapporto tra morale e società, che assume evidente rilievo ai nostri fini, in considerazio| 104 ne del carattere necessariamente oggettivo, per quanto relativo, che la regola morale deve avere per acquisire rilevanza per il diritto16. La accentuata mobilità sociale, la sua evoluzione pluralistica, il dissolversi del tradizionale ordine familiare, il radicale mutamento del costume sessuale, rendono sempre più inattingibile una simile coscienza collettiva, se non a costo di arbitrarie generalizzazioni di quella propria di determinati ceti o gruppi17. Da un complementare punto di vista, si propone perciò una positivizzazione del buon costume, non contrapposto all’ordine pubblico, ma ad esso omogeneo, secondo due possibili chiavi di lettura. Da un lato, vi sarebbe un continuo processo «di assorbimento e di osmosi» tra i due concetti, in considerazione del fatto che i «valori morali, nella concretezza della realtà sociale, quali la lealtà, la fedeltà, il rispetto degli usi onesti commerciali e industriali, la correttezza, la buona fede, progressivamente penetrano nell’ordine giuridico, materializzandosi in forme progressivamente nuove e costituiscono il fondamento di esso, concretando la nozione di ordine pubblico»18. vori pubblici o privati – cd “raccomandazione onerosa” - qualora goda di un beneficio economico non solo l’intermediario, ma anche il pubblico ufficiale (Cass., 14 luglio 1972, n. 2420, in Foro it., 1973, I, c. 1224). Così anche il contratto di consulenza commerciale stipulato al fine di concludere contratti con la pubblica amministrazione, quando il sedicente consulente tratti le modalità di partecipazione alle gare sfruttando conoscenze politiche e le frequentazioni con gli amministratori (Trib. Milano, 15 luglio 1995, in Orient. giur. lav., 1995, p. 641). E’ dubbio, invece, se debbano o meno essere considerati immorali, oltre che illegali, i contratti che violano disposizioni di natura valutaria (Cass., 7 luglio1981, n. 4414, in Giust. civ., 1982, I, p. 2418; Cass., 8 luglio 1983, n. 4605, in Foro it., 1983, I, c. 2781). Nnon rientrano nell’ipotesi di contratto a causa turpe le attività di chiromanzia e astrologia (Cass. pen., 29 gennaio 1986, Giur. imp., 1988, p. 1291). 16 G. PANZA, Ordine pubblico. Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, XXII, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1990, p. 2 17 S. RODOTA`, Ordine pubblico o buon costume, in Giur. mer., 1970, I, p. 106. Condivide tale impostazione F. DI MARZIO, Buon costume, in I contratti in generale, Torino, 2000, VI, p. 250, nel riferirsi alla “frammentazione delle visioni politiche, etiche e religiose accaduta nel convulso moto storico dell’ ultimo secolo” ed ancora alla “proliferazione di stili di vita prima inammissibili o sconosciuti”, alla “contaminazione culturale fra paesi di aree diverse del mondo”. Fattori tutti che hanno “decretato la fine inesorabile di fenomeni antropologici (troppo spesso mitizzati) come la morale comune o sociale”. 18 Così M. NUZZO, Negozio illecito, cit., p. 5. Dall’altro, si propone di considerare il buon costume quale species dell’ordine pubblico, inscritto senza ambiguità nella cornice di principi e valori enunciati dalla Costituzione: in breve, il buon costume come “ordine pubblico non economico”19. Il tratto caratterizzante della contrarietà al buon costume consisterebbe nella lesione della dignità umana, quindi di un «valore assoluto dell’ ordinamento positivo»20. In tale prospettiva potrebbe condividersi anche l’affermazione che il buon costume costituisca la «linea di confine tra ciò che è commerciabile e ciò che non si può sottoporre a scambio»21, purché, a mio modo di vedere, la ragione di una simile incommerciabilità risieda nella protezione della dignità. In caso contrario, smarrita ogni peculiarità assiologica, verrebbe meno (come in altri ordinamenti, in specie quello tedesco) la stessa possibilità di enucleare il buon costume dall’ ordine pubblico22. Può essere interessante rileggere in questa chiave la casistica della materia, che non di rado accomuna ipotesi di contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume. Se, infatti, non sembrano porre particolari problemi le classiche fattispecie legate variamente a prostituzione23 e pornografia24, e se del pari non può 19 F. DI M ARZIO, Buon costume, cit., p. 250. Così, ancora, F. DI MARZIO, Buon costume, cit., p. 252. Sul punto, si veda G. ALPA, Dignità. Usi giurisprudenziali e confini concettuali, in Nuova giur. civ. comm.,1997, II, p. 416. Osserva da ultimo condivisibilmente V. SCALISI, Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 459 ss., p. 484, che “anche la violazione della dignità della persona viene ora a tradursi in altrettanta causa di nullità del regolamento contrattuale in virtù del suo carattere conformativo di ogni situazione soggettiva”. E vedi ora, in prospettiva sistematica, G. VETTORI, Diritto dei contratti e “Costituzione” europea, cit., p. 29 ss.. 21 D. CARUSI, Disciplina della causa, in Tratt. Rescigno, I, I contratti in generale, Torino, 1999, p. 562. Osserva condivisibilmente tale A., seppur nella prospettiva dell’art. 2035 c.c., che “Non è forse un caso che l’interesse intorno a questa regola si risvegli ai giorni nostri, in epoca di consumismo globale e sfrenato: oggi non si commercia più – ai limiti della legalità – soltanto in sesso, ma nelle sua più svariate applicazioni medianiche, e inoltre in organi umani, in gameti, in gravidanze ed in bambini” (D. CARUSI, Illiceità del contratto e restituzioni, cit., p. 501). 22 Prospettiva che in effetti non è estranea a chi, nel ricostruire la disciplina dell’art. 2035, argomenta dalla ratio dell’ “abuso di pretesa restitutoria”, su cui infra. 23 Cass., 1 agosto 1986, n. 4927, in Foro it., 1987, I, c. 495 (precedente edito in termini si trova in Trib Roma, ord., 27 ottobre 1947, in Resp. civ. prev, 1950,p. 264; analoga pretesa risarcitoria aveva invece precedentemente trovato accoglimento in Trib. Varese, 5 marzo 1979, inedita); Cass., 31 marzo 1958, n. 1110, in Giust. civ., 1958, I, p. 1310; Trib. Milano, 1 luglio 1993, in Rep. Giur. it, voce “Obbligazioni e contratti”, 1994, p. 559. La giurisprudenza meno recente offre un vasto numero di pronunce relative alle case di meretricio: Cass., 19 luglio 1965, n. 1622, in Rep. Giust. civ., 1965, voce “Lavoro”, 20 La Cassazione4, preso atto dell’esistenza di due tesi contrapposte, ha sollecitato la rimessione alle Sezioni Unite. La prima, muovendo dalla disponibilità dell’acquisto automatico, reputa legittimo il rifiuto del coacquisto. Il quale, avendo natura negoziale, impedisce il perfezionamento della fattispecie acquisitiva. Con la conseguenza che il diritto sul bene, pur in assenza dei presupposti di cui all’art. 179 cod. civ., appartiene esclusivamente e per intero al coniuge contraente5. La seconda tesi ritiene, invece, che la dichiarazione di non voler acquisire la comproprietà sia inammissibile perché non contemplata dall’art. 179 cod. civ., né da altre disposizioni della normativa sulla comunione legale. L’art. 179, comma 2°, cod. civ. stabilisce che il coniuge non acquirente partecipi all’atto di acquisto, limitandosi a non contestare ovvero confermando espressamente la natura personale. Tale partecipazione avrebbe natura meramente ricognitiva dell’esistenza di uno dei casi di esclusione dalla comunione tassativamente previsti dall’art. 179 cod. civ. Le Sezioni Unite hanno accolto quest’ultima interpretazione6, consolidando l’inversione di quella tendenza giurisprudenziale che, in passato, interpretava in modo sistematicamente riduttivo le norme sulla comunione legale7. Esse si sono pronunciate anche su un’altra questione connessa a quella appena enunciata. Se, e in quali limiti, il sopravvenuto accertamento della comunione legale sul bene alienato dal coniuge, unico intestatario, sia opponibile al terzo acquirente. Il dubbio nasce dalla laconicità del testo dell’art. 184 cod. civ., il quale prevede il rimedio dell’annullamento, ma non ne detta una compiuta disciplina, né instaura un coordinamento con i principi generali in materia8 (art. 1441 ss. cod. civ). 2. L’orientamento minoritario favorevole. L’orientamento giurisprudenziale minoritario reputa che la volontà di un coniuge, contraria alla contitolarità, manifestata nel contratto concluso dal consorte, precluda l’ingresso del diritto in comunione legale. Quest’effetto si produrrebbe a prescindere dalla presenza di uno dei casi elencati dall’art. 179 cod. civ. 9. Secondo quest’impostazione è consentito derogare alla regola dell’acquisto automatico, sancita dall’art. 179, comma 1° let. a) cod. civ., manifestando un semplice rifiuto impeditivo, di contenuto dispositivo, della contitolarità (omissio adquirendi). Sebbene le Sezioni Unite non abbiano accolto quest’orientamento, è utile, tuttavia, ripercorrerne gli argomenti per confrontarli con quelli a sostegno della tesi maggioritaria. Essi sono sostanzialmente tre e appaiono pregnanti. Il primo fa leva sul principio generale che informa il sistema dei diritti patrimoniali, secondo cui nessuno può essere costretto a un acquisto non condiviso (nemo invitus locupletari potest). La costrizione naturalmente preclude al coniuge ogni valutazione di convenienza dell’operazione che l’altro intenda compiere. Si pensi all’esistenza di pesi od oneri reali e alla responsabilità derivante dagli artt. 2051 e 2053 cod. civ. Così come, sotto altro profilo, la costrizione impedisce di perseguire scopi soggettivi meritevoli di tutela 10. 8 4 Cass., ord. 30 dicembre 2008, n. 30416, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 7-8, p. 719 ss., con nota di M. PALADINI, Alle Sezioni unite la controversa questione della natura giuridica della dichiarazione del coniuge non acquirente ex art. 179, comma 2°, cod. civ. 5 Si tratta, com’è noto, di una rinuncia ad acquistare un diritto e non alla quota come, ad esempio, nei casi previsti dagli artt. 882, comma 2° (rinuncia al diritto di comunione sul muro comune) e 1104 (rinuncia al diritto sulla cosa comune) cod. civ. 6 Cass. Sez. un., 28 ottobre 2009, n. 22755, in Fam. e dir., 2010, 2, p. 122 ss., con nota di D. RANDO, Le Sezioni Unite si pronunziano sul rifiuto del coacquisto; in Fam. pers. e succ., 2010, 2, p. 91 ss., con nota di M. PALADINI, Le Sezioni Unite si pronunciano sugli acquisti personali di beni immobili in regime di comunione legale; in Nuova giur. civ. comm., 2010, 2, p. 253 ss., con nota di R. MAZZARIOL, Intervento del coniuge non acquirente nell’atto di acquisto di un bene personale: natura ed effetti. La presa di posizione delle sezioni unite. 7 F. GALGANO, La comunione dei beni fra coniugi a trent’anni dalla sua introduzione, in Contr. e impr., 2005, p. 1007. A. GALASSO, Regime patrimoniale della famiglia, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 2003, p. 354; F. MASTROPAOLO, Sub. art. 184 cod. civ., in Commentario CianOppo-Trabucchi, Padova, 1992. 9 Cass., 2 giugno 1989, n. 2688, in Foro it., 1990, I-1, c. 607 ss., con nota di F. PARENTE, Il preteso rifiuto del coacquisto «ex lege» da parte di coniuge in comunione legale, e ivi con nota di A. JANNARELLI, Comunione, acquisto «ex lege», autonomia privata. 10 Se il coniuge non acquirente intende fare una donazione al consorte potrebbe intervenire nell’atto di acquisto di quest’ultimo rifiutando la contitolarità. Il mancato ingresso del bene in comunione legale dà luogo a una donazione indiretta per la quota di ½ a favore del coniuge acquirente. Secondo L. BARBIERA, La comunione legale, Bari, 1997, p. 94, se l’ordinamento permette di inserire singoli beni di proprietà di un coniuge in comunione (arg. ex art. 210, comma 2°, cod. civ.), atto, questo, che ha causa liberale, si deve ammettere anche l’atto dispositivo in senso contrario. Afferma l’A. che «il favor communionis non può avere tale forza da contrastare questo parallelismo, difendendo la comunione con un limite alla facoltà di disporre, tenuto conto che la stessa costituzione del regime è libera e non coatta». | 113 Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Materiali e commenti Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) P.Q.M. LA CORTE Pronunciando a sezioni unite, riuniti i ricorsi, accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso principale e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2009. Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2009 IL COMMENTO 1. Il caso e il problema del rifiuto del coacquisto. In regime di comunione legale il marito acquista la piena proprietà di un immobile, dichiarando di volerlo destinare alla propria attività professionale. La moglie, intervenuta nell’atto di compravendita, conferma tale destinazione. Queste due formalità poste a carico dei coniugi, com’è noto, sono richieste dall’art. 179, comma 2° e comma 1° let. d), cod. civ. per impedire che l’acquisto cada in comunione1. In seguito il marito, unico soggetto a favore del quale risulta la trascrizione, vende l’immobile senza il consenso della moglie. Quest’ultima, pronunciata nel frattempo la separazione personale, cita in giudizio il marito e l’acquirente, chiedendo di dichiarare la simulazione della destinazione, effettuata, secondo l'attrice, per realizzare un risparmio fiscale2. L’immobile, in realtà, era stato destinato a casa co- 1 Con la formula «se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge», l’art. 179, comma 2°, cod. civ. richiede la mera partecipazione del coniuge non acquirente all’atto compiuto dal consorte. Non occorre, quindi, una dichiarazione espressa da parte del primo, essendo sufficiente il silenzio che, nella specie, esprime tacitamente la volontà di confermare quanto dichiarato dal coniuge acquirente. Più spesso, però, l’atto di acquisto contiene una conferma espressa da parte del coniuge non acquirente. 2 La domanda di accertamento della simulazione, già proposta nella causa di separazione e di divorzio, era stata dichiarata inammissibile. Essa è stata, pertanto, riproposta al tribunale instaurando un processo ordinario di cognizione. niugale sin dal suo acquisto3, contrariamente a quanto dichiarato e confermato nell’atto. La moglie chiede altresì di accertare la comune proprietà e, per l’effetto, di disporre l’annullamento della vendita ai sensi dell’art. 184, comma 1°, cod. civ. e la restituzione del bene da parte del terzo acquirente. Il tribunale rigetta le domande, mancando la prova scritta dell’accordo simulatorio. La Corte d’appello, più correttamente, riqualifica d’ufficio la domanda quale azione di accertamento della comunione legale e riforma la sentenza di primo grado. Riconosce la moglie comproprietaria dell’immobile e, di conseguenza, annulla il contratto di compravendita concluso dal marito senza il necessario consenso della consorte (artt. 180, comma 2° e 184, comma 1°, cod. civ.). L’accertata destinazione del bene a casa coniugale, si afferma nella sentenza, ne ha determinato la caduta in comunione legale, in quanto la mendace conferma della destinazione non ha efficacia negoziale. In altri termini, secondo il giudice del gravame, per impedire la contitolarità, occorre che il bene acquistato sia destinato effettivamente all'attività professionale. L’avente causa dal marito propone ricorso in Cassazione, chiedendo la riforma della sentenza d’appello. Egli lamenta l'erronea qualificazione della dichiarazione del coniuge non acquirente come meramente ricognitiva e non, invece, negoziale. Su questo punto si concentra principalmente la questione giuridica oggetto dell'intervento delle Sezioni Unite. In dottrina e in giurisprudenza non si riscontra un orientamento univoco sulla legittimità del cosiddetto rifiuto del coacquisto ex lege. E’ dubbio se la regola sancita dall’art. 177, comma 1° let. a) (comunione incidentale) sia derogabile al di fuori dei casi dettati dall’art. 179 cod. civ. 3 Ciò era stato accertato con la sentenza di separazione, passata in giudicato, nella quale si dava atto che l’appartamento era stato adibito ad abitazione familiare dei coniugi. Un altro caso, cui è utile accennare, anche se esula dalla sentenza in commento, riguarda le conseguenze della cessazione della destinazione inizialmente effettuata all’esercizio della professione (art. 179 let. d). Secondo la tesi maggioritaria il bene, distolto dallo svolgimento del lavoro entra in comunione «purché non si tratti di una inutilizzazione solo momentanea» (M. SESTA, Diritto di famiglia, Padova, 2005, p. 197). Lo stesso problema si è posto con riferimento all’art. 178 cod. civ. qualora il cespite non sia più utilizzato per l’esercizio dell’impresa. Secondo P. SCHLESINGER, Sub art. 178, Commentario al dir. it. della famiglia, diretto da Cian-Oppo-Trabucchi, Padova, 1992, p. 143, si verifica «l’acquisto a favore della comunione, dal momento che viene meno la ragione dell’esclusione (temporanea) del cespite dall’applicazione del principio fondamentale dell’art. 177/a» che apprezzarsi la ritenuta estraneità alla materia degli accordi di convivenza25, appare più dubbia la inclusione nella contrarietà al buon costume e non all’ordine pubblico degli accordi di corruzione 26 o di rinuncia al mandato elettorale27, rispetto ai quali, peraltro, la irripetibilità delle prestazioni può giustificarsi nel quadro di complementari rationes, pur sempre rinvenibili nell’art. 2035 28. Coerente sembra, invece, il più recente impiego del buon costume in materia di atti di disposizione del corpo e di surrogazione di maternità 29. Proprio quest’ultima problematica, a seguito della sopravvenuta disciplina imperativa della materia, attuata con l. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), si presta a talune considerazioni ulteriori, circa il possibile concorso, p. 42; Cass., 31 marzo 1958, n. 1110, in Giust. civ., 1958, I, p. 1310; Cass., 27 febbraio 1950, n. 473, in Giur. compl. cass. civ., 1950, I, p. 443; Cass., 8 luglio 1948, n. 1104, in Giur.it., 1949, I, 1, c. 45. 24 Cass., 15 dicembre 1994, n. 10779, in Contr., 1996, p. 8. 25 Cass., 8 giugno 1993, n. 6381, in Nuova giur. civ. comm., 1994, p. 339. Si segnalano in proposito una serie di risalenti pronunce giurisprudenziali relative ai negozi attinenti al concubinato, fra le altre, Cass., 14 marzo 1952, n. 672, in Giur. compl. cass. civ., 1952, I, p. 588 e Cass., 30 giugno 1950, n. 1678, in Foro it., 1951, II, c. 1067. 26 Significativa, da ultimo, Cass., 15 febbraio 2001, n. 7523, cit., relativa alla nullità della promessa di pagamento e della obbligazione cambiaria quale corrispettivo di una assunzione presso un ente pubblico. In essa la Corte ribadisce la massima, ormai ricorrente secondo la quale “Le prestazioni considerate contrarie al buon costume non sono solo quelle contrarie alle regole del pudore sessuale e della decenza, ma anche quelle lesive dei principi e delle esigenze appartenenti alla coscienza morale collettiva, cui la generalità delle persone corrette uniforma il proprio comportamento in un determinato ambiente e momento storico”. In precedenza, Cass., 14 luglio 1972, n. 2420, in Foro it., 1973, I, c. 1224; Trib. Como, 24 marzo 1979, in Giur. it., 1980, I, 2, p. 630; Trib. Milano, 15 luglio 1995, in Orient. giur. lav., 1995, 3, p. 641; Cass., 18 ottobre 1982, n. 5408, in Foro it., 1983, I, c. 691; Cass., 10 febbraio 1949, n. 206, in Giur.it., 1949, I, 1, c. 555; Cass., 26 maggio 1961, n. 1257, in Foro it., 1961, I, c. 1332. 27 Cass., 27 maggio 1971, n. 1574, in Giust. civ., 1971, p. 982; Trib. Roma, 21 marzo 1968, in Giur. mer., 1970, I, p. 104. 28 Solo in questa prospettiva, come dirò, può condividersi la affermazione che il riferimento al buon costume assuma un significato diverso ai fini degli art. 1343 e 1346 rispetto a quello che può essergli attribuito nella fattispecie dell’art. 2035 (così, ancora D. CARUSI, Illiceità del contratto e restituzioni, cit., p. 516; e v. già G. PANZA, L’autonomia fra gli artt. 2033 e 2035 c.c. nel concorso fra illegalità ed immoralità del negozio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, p. 1186 ss.; e in giurisprudenza, Cass., 18 giugno 1987, n. 5371, in Giust. civ., 1988, I, p. 197). 29 Trib. Monza, 27 ottobre 1989, in Dir. fam,, 1990, p. 174; Trib. Roma, ord., 17 febbraio 2000, in Nuova giur. civ. comm., 2000, p. 203; Trib. Palermo, ord., 8 gennaio 1999, in Fam. dir., 1999, p. 52; Trib. Napoli, 20 luglio 1988, in Dir. fam., 1988, p. 1728; Corte App. Salerno, 25 febbraio 1992, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 179; Trib. Roma, 31 marzo 1992, in Dir. fam., 1993, p. 188. rilevante agli effetti della applicazione dell’art. 2035, tra la contrarietà al buon costume ed a norma imperativa. Le recenti pronunzie, innanzi richiamate, avevano, prima della introduzione del divieto legale delle pratiche di surrogazione, tanto affermata che negata la contrarietà di queste al buon costume. Si pone così, nel vigore della nuova disciplina, il problema della possibile sopravvivenza della contrarietà al buon costume di simili accordi, ferma la loro attuale sicura nullità per contrarietà a norma imperativa. Ad un simile interrogativo, una volta ammessa la peculiarità assiologica del fondamento del criterio di liceità costituito dal buon costume, mi sembra possibile rispondere, in linea con la giurisprudenza30, in senso affermativo. Come ho sopra accennato, la protezione, anche nella dimensione contrattuale, della dignità della persona è destinata ad assumere specifico rilievo in prospettiva europea. Già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona si era in effetti condivisibilmente sottolineato in dottrina il significato precettivo che, in linea con le fonti sopranazionali e recependo esperienze maturate in altri ordinamenti31, doveva attribuirsi all’art. 1 della Carta di Nizza. | 105 30 Vedi ancora Cass., 18 giugno 1987, n. 5371, cit.; Cass., sez. un., 7 luglio 1981, n. 4414 in Foro it., 1982, I, c. 1679 (con nota di F. M ACARIO). Le S.U. nell’ultima sentenza citata motivano infatti nel senso che “l’indirizzo prevalente che queste sezioni unite ritengono di accogliere è nel senso che l’accertamento che un contratto sia contrario a norme imperative, e quindi nullo per tale ragione (art. 1343 c.c.), non impedisce una autonoma valutazione dell’atto dal punto di vista della sua (eventuale) immoralità, al fine di negare l’azione di ripetizione (art. 2035 c.c.)”. Infatti “la vera ratio della irripetibilità sancita dall’art. 2035 va ravvisata … nella considerazione che … non è ammissibile che la stessa condotta immorale del soggetto che agisce possa essere addotta come ragione giustificativa del diritto alla restituzione. Deve pertanto concludersi nel senso che la sovrapposizione delle qualifiche giuridiche non implica l’assorbimento e l’atto rimane nella categoria degli atti contrari al buon costume, anche se può contemporaneamente essere considerato contrario all’ordine pubblico o alla legge. In altri termini, la contrarietà al buon costume è in quid pluris che si può aggiungere alla contrarietà alla legge (ed alla conseguente nullità) e non è affatto con essa incompatibile”. 31 Sono casi emblematici le implicazioni negoziali degli spettacoli del “lancio dei nani” o dei peep-show, oppure di esibizione di mostruosità, o di esibizione via internet o in programmi televisivi di aspetti della vita privata. E ancora gli accordi di aiuto al suicidio, le clausole di irresponsabilità per danni corporali, le restrizioni della libertà nuziale, le clausole dei contratti di locazione che escludano il godimento del bene da parte di persone diverse dal conduttore: cfr., amplius, G. VETTORI, La disciplina generale del contratto, cit., p. 318 ss.; G. RESTA, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità (Note a margine della Carta dei diritti), in Riv. dir. civ ., 2003, II, p. 801 ss.; V. VARANO, Verso un nuovo Invalidità del contratto e restituzioni (Giovanni Passagnoli) Ma di tale questione la corte d’appello non s’è occupata affatto. Va pertanto accolto sotto questo profilo il ricorso di P.N.. E la sentenza impugnata deve cassata con rinvio, perché il giudice del merito proceda all’accertamento di tale fatto rilevante e controverso. Del resto, con il ricorso incidentale condizionato, | 112 B.R. censura la sentenza impugnata per avere appunto omesso l’accertamento della mancanza di buona fede dell’acquirente. Sicché la sentenza impugnata va cassata anche in accoglimento del ricorso incidentale. Persona e Mercato – Materiali e commenti Invalidità del contratto e restituzioni (Giovanni Passagnoli) Quest’ultimo afferma, oggi con piena e sicura precettività, la inviolabilità della dignità della persona, che viene ad assumere, in termini operativi, la funzione di «limite interno che configura ogni situazione soggettiva», assumendo un rilievo fondante «nella costruzione di un modello europeo di so| 106 cietà e di mercato»; un limite la cui violazione «può esser causa di nullità, di inadempimento, di recesso illegittimo, di risarcimento del danno», tanto che sul punto «è tutta da scrivere un’ attenta serie di regole e concetti generali»32. b) La irripetibilità delle prestazioni. E’ possibile sintetizzare, in termini necessariamente problematici, considerato anche il limite di questo scritto, gli orientamenti interpretativi circa il fondamento dell’art. 2035. Con una certa approssimazione essi possono ricondursi a tre proposte costruttive. La prima e più tradizionale opinione33 fonda la irripetibilità sulla ratio insita nel principio in pari causa turpidudinis melior est condicio possidentis, che esprime, secondo la più recente argomentata adesione a tale tesi, «l’esigenza di escludere dalla tutela giudiziaria conseguente all’esercizio dell’azione ex indebito colui che, per goderne, dovrebbe allegare il fatto della propria immoralità»34. Un secondo orientamento, svolgendo taluni rilievi critici a suo tempo formulati da Rescigno35 sul fondamento della regola enunciata dall’art. 2035, perviene ad una spiegazione completamente diversa del disposto normativo. La retentio si giustificherebbe quale reazione dell’ordinamento all’abuso della pretesa restitutoruolo del giudice in Inghilterra, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 763 ss.. 32 G. VETTORI, La disciplina generale del contratto nel tempo presente, in Riv. dir. priv., 2004, p. 313 ss. e vedi ora, con specifico riferimento all’art. II-61 del Trattato, ID., Diritto dei contratti e “Costituzione” europea. Regole e principi ordinanti, cit., p. 29 ss.; W. HUTTON, Europa vs. America, Roma, 2003. 33 Per tutti F. FERRARA, Teoria del negozio illecito, cit., p. 274 ss.. 34 S. DELLE MONACHE, Della irripetibilità della prestazione “ob turpem causam”, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 697 ss., p. 716; ID., Il negozio immorale tra negazione dei rimedi restitutori e tutela proprietaria. Per una riflessione sul sistema traslativo dei diritti, Padova, 1997, p. 230 ss.. Precisa l’Autore che, nonostante le correlazioni storiche esistenti tra i due principi, deve escludersi che l’art. 2035 trovi fondamento sulla diversa regola “nemo auditur turpidinem suam allegans” che avrebbe, evidentemente, ben altra portata. Giacchè altro è predicare la irripetibilità delle prestazioni di un accordo eseguito, altro consentire, come è certamente consentito nel sistema di allegare, per l’accordo non eseguito e proprio al fine di non darvi attuazione, la nullità per immoralità del contratto (ivi, 724). 35 P. RESCIGNO, In pari causa turpitudinis, in Riv. dir. civ., 1966, I, p. 1 ss.. ria da parte del solvens, ove egli abbia retribuito una prestazione illecita perché incommerciabile oppure consistente in un facere illecito; ipotesi entrambe, rispetto alle quali, alla ripetizione da parte del solvens, non potrebbe corrispondere, anche a favore dell’accipiens, il ripristino dello status quo ante, avendo egli effettuata una prestazione irripetibile36. Una terza proposta dottrinale37, tutta svolta nei termini di una razionale analisi economica dei costi e benefici della regola posta dall’art. 2035, vi scorge una tecnica deterrente. In effetti, il maggior rischio cui, grazie alla regola della irripetibilità, viene esposto colui che esegua per primo la prestazione immorale senza conseguire la controprestazione, dovrebbe disincentivare tanto la conclusione del patto illecito che la sua attuazione; e ciò almeno ogni qual volta essa non possa realizzarsi mediante prestazioni contestuali. La norma, così sganciata da ogni evanescente giustificazione morale, troverebbe un solido fondamento razionale, tale da candidarla addirittura ad una più estesa applicazione «all’intera area dell’illiceità»38. Come quest’ultima teoria rende manifesto, alla diversità delle impostazioni costruttive circa il fondamento della norma, corrisponde sia un diverso ambito di applicazione della disciplina, sia un diverso atteggiarsi di quest’ultima sotto taluni qualificanti profili. Così, l’applicazione del principio “in pari causa” conduce ad includere pacificamente nell’ambito di operatività della norma ogni ipotesi di contrarietà al buon costume «sotto il profilo della causa, dell’oggetto o anche del solo motivo comune»39. Viceversa, la tesi dell’abuso della pretesa restitutoria rende ad un tempo più ristretta e più ampia la nozione di buon costume, rilevante ai fini dell’art. 2035, rispetto alla accezione di essa desumibile dagli art. 1343 e 1346 . In effetti, se nell’art. 2035 «la contrarietà al buon costume rinvia ad un novero di attività che non possono essere sollecitate e retribuite patrimonialmente»40, diviene coerente escluderne l’operatività per il contratto viziato per illiceità del motivo 41. Ed al contempo, il medesimo fondamento della norma ne 36 D. CARUSI, Illiceità del contratto e restituzioni, cit., p. 500 ss.; ID., La rilevanza del negozio nullo, cit., p. 348 ss.. 37 G. VILLA, Contratto illecito ed irripetibilità della prestazione, cit., 1992, p. 32 ss.. 38 Sottolinea criticamente questa potenzialità espansiva, già foriera di “non poche perplessità in Germania e nella common law”, U. BRECCIA, Causa, cit., p. 318. 39 S. DELLE MONACHE, Della irripetibilità, cit., p. 715. 40 D. CARUSI, Illiceità del contratto, cit., p. 516. 41 D. CARUSI, Illiceità del contratto, cit., p. 508, nota 37; ID., La rilevanza del negozio nullo, cit., p. 349, p. 357. nello stesso art. 179 c.c., comma 1; e l’effetto limitativo della comunione si produce solo vai sensi delle lett. e), d) ed f) del precedente comma", vale a dire solo se i beni sono effettivamente personali. L’intervento adesivo del coniuge non acquirente può dunque rilevare solo come prova dei presupposti di tale effetto limitativo, quando, come s’é detto, assuma il significato di un’attestazione di fatti. Ma non rileva come atto negoziale di rinuncia alla comunione. E quando la natura personale del bene che viene acquistato sia dichiarata solo in ragione di una sua futura destinazione, sarà l’effettività di tale destinazione a determinarne l’esclusione dalla comunione, non certo la pur condivisa dichiarazione di intenti dei coniugi sulla sua futura destinazione. Secondo il sistema definito dall’art. 177 c.c. e dall’art. 179 c.c., comma 1 infatti, l’inclusione nella comunione legale e’ un effetto automatico dell’acquisto di un bene non personale da parte di alcuno dei coniugi in costanza di matrimonio. Ed é solo la natura effettivamente personale del bene a poterne determinare l’esclusione dalla comunione. Se il legislatore avesse voluto riconoscere ai coniugi la facoltà di escludere ad libitum determinati beni dalla comunione, lo avrebbe fatto prescindendo dal riferimento alla natura personale dei beni, che condiziona invece gli effetti previsti dall’art. 179 c.c., comma 2. Certo, potrebbe anche ritenersi che una tale facoltà debba essere riconosciuta ai coniugi per ragioni sistematiche, indipendentemente da un’espressa previsione legislativa. Come potrebbe ritenersi che, dopo C. cost., n. 91/1973, non possa negarsi a ciascun coniuge il diritto di donare anche indirettamente all’altro la proprietà esclusiva di beni non personali. Tuttavia tali facoltà non potrebbero affatto desumersi dall’art. 179 c.c., comma 2 che condiziona comunque l’effetto limitativo della comunione alla natura realmente personale del bene; e attribuisce all’intervento adesivo del coniuge non acquirente la sola funzione di riconoscimento dei presupposti di quella limitazione, ove effettivamente già esistenti. 4.4 - Deve nondimeno ritenersi che l’intervento adesivo del coniuge non acquirente sia condizione necessaria dell’esclusione dalla comunione del bene acquistato dall’altro coniuge. L’art. 179 c.c., comma 2 prevede infatti che l’esclusione della comunione ai sensi dell’art. 179 c.c., comma, lett. e) d) e f) si abbia solo se la natura personale del bene sia dichiarata dall’acquirente con l’adesione dell’altro coniuge. Sicché nei casi indicati la natura personale del bene non è sufficiente a escludere di per sé l’esclusione dalla comunione, se non risulti concordemente riconosciuta dai coniugi. E tuttavia l’intervento adesivo del coniuge non acquirente e’ richiesto solo in funzione di necessaria documentazione della natura personale del bene, unico presupposto sostanziale della sua esclusione dalla comunione. Sicché l’eventuale inesistenza di quel presupposto potrà essere comunque oggetto di una successiva azione di accertamento, pur nei limiti dell’efficacia probatoria che l’intervento adesivo avrà in concreto assunto. 4.5 - Come correttamente ritenuto nella sentenza impugnata, pertanto, il coniuge non acquirente può succes- sivamente proporre domanda di accertamento della comunione legale anche rispetto a beni che siano stati acquistati come personali dall’altro coniuge, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente fosse intervenuto nel contratto per aderirvi. Tuttavia, se l’intervento adesivo ex art. 179 c.c., comma 2 assunse il significato di riconoscimento dei già esistenti presupposti di fatto dell’esclusione del bene dalla comunione, l’azione di accertamento presupporrà la revoca di quella confessione stragiudiziale, nei limiti in cui e’ ammessa dall’art. 2732 c.c. Se invece, come nel caso in esame, l’intervento adesivo ex art. 179 c.c., comma 2 assunse il significato di mera manifestazione dei comuni intenti dei coniugi circa la destinazione del bene, occorrerà accertare quale destinazione il bene ebbe effettivamente, indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità degli intenti così manifestati. E poiché nel caso in esame e’ indiscusso che l’immobile, benché acquistato come bene personale, fu in realtà destinato a casa coniugale, il ricorso e’ sotto questo aspetto infondato. 5. Viene allora in considerazione l’ultima questione posta dal ricorrente principale, quella dell’opponibilità al terzo acquirente in buona fede del sopravvenuto accertamento della comunione legale sul bene vendutogli. Come lo stesso ricorrente riconosce, all’azione proposta a norma dell’art. 184 c.c. e’ applicabile la disposizione dell’art. 1445 c.c., che fa salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento anche in pregiudizio dei diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede. Quella prevista dall’ari. 184 c.c. e’ infatti un’azione di annullamento (C. cost., n. 311/1988); e per tutto quanto non diversamente stabilito dalla norma speciale che la prevede, deve ritenersi applicabile la disciplina generale dell’azione di annullamento dei contratti. L’art. 184 c.c., come l’art. 1445 c.c., si riferisce infatti a un caso di invalidazione dell’atto di acquisto del terzo per vizio del titolo del suo dante causa. E non rileva il fatto che il vizio del titolo del dante causa dipende nel caso dell’art. 184 c.c. da un’azione di accertamento, nel caso dell’art. 1445 c.c. da altra azione di annullamento. Sicché deve ritenersi che, salvi gli effetti della trascrizione della domanda, il sopravvenuto accertamento della comunione legale non è opponibile ai terzo acquirente di buona fede. Nel caso in esame è indiscusso che il ricorrente trascrisse il suo atto di acquisto il (OMISSIS), prima della domanda di annullamento del contratto proposta il 25 giugno 1996 da B. R.. E’ vero che l’attrice aveva già trascritto in data 10 luglio 1991 la sua domanda di accertamento della comunione. Ma come risulta anche dalla sentenza impugnata, quella domanda fu dichiarata inammissibile il 26 novembre 1994. Sicché la trascrizione non può giovare a B.R., che ripropose la sua domanda solo il 25 giugno 1996 (Cass., sez. 2^, 9 gennaio 1993, n. 148, m. 480203). Ne consegue che il sopravvenuto accertamento dell’appartenenza anche a B.R. del bene acquistato da P.N. può essere opposte al compratore solo se si dimostri che egli non era in buona fede. | 111 Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Persona e Mercato - Saggi Persona e Mercato - Saggi Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) posta in appello a norma dell’art. 346 c.p.c. (Cass., sez. L, 7 settembre 2007, n. 18901, m. 598866, Cass., sez. L, 12 novembre 2007, n. 23489, m. 600249). In mancanza di tale allegazione, l’eccezione di prescrizione e’ preclusa anche in questa sede. 4. Risulta dunque rilevante la questione della natura e degli effetti della dichiarazione con la quale B.R., inter| 110 venuta nell’atto per notar La Francesca stipulato da B.P. il (OMISSIS), riconobbe che l’immobile controverso veniva acquistato allo scopo di destinarlo all’attività professionale del marito commercialista. Ed è con riferimento a tale questione che s’è manifestato nella giurisprudenza di legittimità il contrasto denunciato dalla prima sezione civile di questa Corte. I riferimenti normativi di questa controversa questione sono tre: a) l’art. 177 c.c., comma 1, lett. a), che include nella comunione legale "gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali"; b) l’art. 179 c.c., comma 1, che elenca i beni esclusi dalla comunione in quanto personali e tra gli altri vi annovera, alla lett. d), anche "i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione"; c) l’art. 179 c.c., comma 2, laddove prevede che l’acquisto di beni immobili o equiparati, benché effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto, se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge e ove si tratti di "beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge" (art. 179 c.p.c., comma 1, lett. c), di "beni che servono all’esercizio della professione del coniuge" acquirente (art. 179 c.c., comma 1, lett. d), di "beni acquisiti con il prezzo del trasferimento" di altri beni già personali del coniuge acquirente (art. 179 c.c., comma 1, lett. f). 4.1 - Come risulta dalla citata ordinanza interlocutoria della prima sezione civile, è controverso sia in dottrina sia in giurisprudenza se abbia natura meramente ricognitiva ovvero negoziale l’atto con il quale uno dei coniugi, intervenendo nel contratto stipulato dall’altro coniuge, riconosca a norma dell’art. 179 c.c., comma 2 la natura personale del bene acquistato e consenta perciò alla sua esclusione dalla comunione legale. Dalla natura meramente ricognitiva attribuita all’atto previsto dall’art. 179 c.c., comma 2 in particolare, un orientamento maggioritario della giurisprudenza di questa Corte fa discendere l’enunciazione di un principio di indisponibilità del diritto alla comunione legale (Cass., sez. 1^, 27 febbraio 2003, n. 2954, m, 5 6074 3, Cass., sez. 1^, 2 4 settembre 2004, n. 19250, m. 577347), benché ne riconosca poi la irretrattabilità, quale "dichiarazione a contenuto sostanzialmente confessorio, idonea a determinare l’effetto di una presunzione "juris et de jure" di non con titolarità dell’acquisto, di natura non assoluta ma superabile mediante la prova che la dichiarazione sia derivata da errore di fatto o da dolo e violenza nei limiti consentiti dalla legge" (Cass., sez. 2^, 6 marzo 2008, n. 6120, m. 602411, Cass., sez. 1^, 19 febbraio 2000, n. 1917, m. 534144). Sennonché può certo ammettersi che la dichiarazione prevista dall’art. 179 c.c., comma 2 abbia natura ricognitiva e portata confessoria quando risulti descrittiva di una situazione di fatto, ma non quando sia solo espressiva di una manifestazione di intenti. Infatti una dichiarazione di intenti può essere più o meno sincera o affidabile, ma non e’ una attestazione di fatti, predicabile di verità o di falsità; e quindi, secondo quanto prevede l’art. 2730 c.c., non può avere funzione di confessione (Cass., sez. un., 26 maggio 1965, n. 1038, m. 312020, Cass., sez. 2^, 6 febbraio 2009, n. 3033, m. 606575). Esemplificando, può avere dunque natura ricognitiva la dichiarazione con la quale uno dei coniugi riconosca appunto che il corrispettivo dell’acquisto compiuto dall’altro coniuge viene pagato con il prezzo del trasferimento di altri beni gia’ personali (art. 179 c.c., comma 1, lett. f). Ma non può attribuirsi natura ricognitiva alla dichiarazione con la quale uno dei coniugi esprima condivisione dell’intento dell’altro coniuge di destinare alla propria attività personale il bene che viene acquistato. Certo, non può negarsi una peculiare efficacia probatoria all’intervento del coniuge non acquirente che sia effettivamente ricognitivo dei presupposti di fatto dell’esclusione dalla comunione del bene acquistato dall’altro coniuge. Ma il problema qui realmente in discussione non è tale possibile efficacia probatoria. 4.2 – Il problema che è effettivamente in discussione è se l’intervento ex art. 179 c.c., comma 2 del coniuge non acquirente sia elemento costitutivo della fattispecie cui si ricollegano gli effetti di esclusione dalla comunione del bene acquistato dall’altro coniuge. Occorre dunque stabilire non solo se l’intervento adesivo del coniuge non acquirente sia condizione sufficiente dell’esclusione dalla comunione del bene acquistato dall’altro coniuge; ma anche se sia condizione necessaria di un tale effetto. Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza, infatti, l’intervento adesivo del coniuge non acquirente e’ di per se’ sufficiente all’esclusione dalla comunione del bene acquistato dall’altro coniuge, indipendentemente dall’effettiva natura personale del bene (Cass., sez. 1^, 2 giugno 1989, n. 2688, m. 462974). Secondo altra parte della dottrina e della giurisprudenza, invece, l’intervento adesivo del coniuge non acquirente non è sufficiente a escludere dalla comunione il bene acquistato dall’altro coniuge, ma è condizione necessaria di tale esclusione; sicché, quand’anche sia effettivamente personale, il bene rimane incluso nella comunione in mancanza dell’intervento adesivo del coniuge non acquirente (Cass., sez. 1^, 24 settembre 2004, n. 19250, m. 577347). 4.3 - Dalla stessa lettera dell’art. 179 c.c., comma 2 risulta peraltro che l’intervento adesivo del coniuge non acquirente non é di per sé sufficiente a escludere dalla comunione il bene che non sia effettivamente personale. La norma prevede infatti che i beni acquistati risultano esclusi dalla comunione "ai sensi delle lett. e), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge". Sicché dall’atto deve risultare alcuna delle cause di esclusione della comunione tassativamente indicate giustifica una applicazione più ampia, poiché potrebbe risultare impossibile ripristinare lo status quo ante, anche per prestazioni contrarie a norme imperative o all’ordine pubblico42. Ed ancora, nella prima prospettiva, la contrarietà al buon costume, mentre impedisce la tutela restitutoria, non impedirebbe quella petitoria. La «prestazione ob turpem causam» non costituirebbe infatti valido «titulus adquirendi a favore dell’accipiente…qualora…abbia avuto ad oggetto la consegna di cose non andate commiste con altre dello stesso genere», fermo in tal caso il diverso onere probatorio per l’attore in petitorio43. Nella costruzione in chiave di abuso della pretesa restitutoria, la ratio della disposizione precluderebbe, invece, l’esperibilità di un tale rimedio 44. Vero è che le applicazioni giurisprudenziali45 riflettono puntualmente la incertezza indotta dalle difficoltà fondative dell’istituto. Si comprende, allora, la posizione espressa da una attenta dottrina, secondo la quale ogni tentativo di spiegazione “a senso unico” della norma, moralistico o razionalistico nei sensi accennati, sarebbe intrinsecamente fragile come spiegazione totalizzante, col corollario ineludibile di un «aumento dei poteri dell’interprete»46 sottratto ad un controllo razionale. Dovrebbe evitarsi «la contrapposizione rigida fra le scelte simboliche e di valore e i calcoli di efficiente razionalità economica», a favore di «un contemperamento fra criteri di giudizio concorrenti». Giacchè, a ben vedere, i «parametri di giudizio» non sono «forniti dal gioco strumentale dell’immoralità e dell’illegalità»; e debbono piuttosto riconoscersi nella «composizione del conflitto di interessi: la quale rispetti la ragione preventiva insita…nella regola della ripetibilità e nella sua eccezione; senza porsi tuttavia in contraddizione insanabile con l’esigenza di un razionale controllo volto a frustrare i più lampanti abusi»47. In questa prospettiva, l’interprete, non più paludato da pseudo-criteri di giudizio, tanto totalizzanti quanto in definitiva inveritieri, si trova immerso nella propria dimensione –ineludibile ogni qual volta la normazione proceda per clausole generali – di mediatore degli interessi in conflitto nella fattispecie concreta. Potrà pertanto riuscirgli utile, per fondare in termini di ragionevolezza sistematica la soluzione del caso concreto, la consapevolezza della strumentalità del criterio normativo del buon costume alla tutela dei fondamentali attributi della persona: la preminenza ad essi riconosciuta nella gerarchia di valori posta dalla Costituzione ed, ora, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione, potrà offrirgli significativi elementi di giudizio per concretizzare una delle concorrenti rationes della disciplina posta dall’ art. 2035 c.c.48. 42 D. CARUSI, Illiceità del contratto, cit., p. 516. S. DELLE MONACHE, Della irripetibilità, cit., p. 699. 44 D. CARUSI, La rilevanza del negozio nullo, cit., p. 350 ss.. 45 Per una attenta analisi della variegata giurisprudenza si veda D. MAFFEIS, Contratti illeciti o immorali e restituzioni, Milano, 1999, p. 82 ss., p. 101 ss.. 46 U. BRECCIA, Causa, cit., p. 325. 47 U. BRECCIA, Causa, cit., p. 329. 43 48 Una coerente ricostruzione della disciplina posta dall’art. 2035 impone pertanto di rifuggire dalla riduzione della sua ratio ad unità, risultando più aderente una articolazione fondata “sul confronto fra la ragion d’essere dei divieti giuridici di efficacia e di restituzione e i risultati incoerenti che possano derivarne” (cfr. U. BRECCIA, Causa, cit., p. 329). | 107 Invalidità del contratto e restituzioni (Giovanni Passagnoli) Persona e Mercato - Materiali e commenti Persona e Mercato – Materiali e commenti Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) | 108 IL RIFIUTO DEL COACQUISTO E L’ESTROMISSIONE DALLA COMUNIONE LEGALE Di Antonio Gorgoni SOMMARIO: 1. Il caso e il problema del rifiuto del coacquisto. - 2. L’orientamento minoritario favorevole. - 3. L’orientamento maggioritario contrario accolto dalle Sezioni Unite. - 4. Rilievi critici alla motivazione delle Sezioni Unite. - 5. L’estromissione di un bene dalla comunione legale. - 6. Rifiuto, estromissione e convenzione matrimoniale. - 7. Opponibilità della natura comune e tutela dei creditori. LA SENTENZA Cassazione civile, Sez. Un., 28 ottobre, 2009, n. 22755 (Pres.: Carbone; Rel.: Nappi) Famiglia - Comunione legale - Acquisti personali Partecipazione all’atto dell’altro coniuge - Acquisto al patrimonio personale - Inammissibile se non nei casi previsti dall’art. 179 cod. civ. - Accertamento della contitolarità - Inopponibile al terzo di buona fede. Massime. I) La lettera dell’art. 179, comma 2°, cod. civ. prevede che dall’atto deve risultare una delle cause di esclusione tassativamente indicate nello stesso art. 179, comma 1° cod. civ.. L’effetto limitativo della comunione si produce solo ai sensi delle lett. c), d), f), ossia se i beni sono effettivamente personali. Dunque la dichiarazione di destinazione all’attività professionale, contenuta nell'atto di compravendita di un immobile, resa allo scopo di sottrarlo alla comunione legale non ha efficacia negoziale. Ne consegue che il coniuge non acquirente potrà sempre proporre azione di accertamento della comunione legale; in tale caso è determinante la verifica dell'effettiva esclusione del bene dalla comunione conseguente alla dichiarazione di destinazione. Per quanto riguarda l’efficacia dell’esclusione verso terzi, il sopravvenuto accertamento della comunione legale non è opponibile al terzo acquirente in buona fede. II) Nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la dichiarazione resa nell'atto dall'altro coniuge non acquirente, ai sensi dell'art. 179, secondo comma, cod. civ., in ordine alla natura personale del bene, si atteggia diversamente a seconda che tale natura dipenda dall'acquisto dello stesso con il prezzo del trasferimento di beni personali del coniuge acquirente o dalla destinazione del bene all'uso personale o all'esercizio della professione di quest'ultimo. Nel primo caso la dichiarazione assume natura ricognitiva e portata confessoria di presupposti di fatto già esistenti. Nel secondo essa esprime la mera condivisione da parte del coniuge non acquirente dell'intento del coniuge acquirente. Ne consegue che l'azione di accertamento negativo della natura personale del bene acquistato postula nel primo caso la revoca della confessione stragiudiziale, nei limiti in cui la stessa è ammessa dall'art. 2732 cod. civ., e nel secondo la verifica dell'effettiva destinazione del bene, indipendentemente da ogni indagine sulla sincerità dell'intento manifestato (cassa con rinvio, App. Palermo, 15/03/2005). Svolgimento del processo Il 25 giugno 1996 B.R. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Marsala l’ex marito B.P. e P.N., cui in data (OMISSIS) lo stesso B.P. aveva venduto un alloggio, che in precedenza era stato destinato a casa coniugale sin dal suo acquisto in data (OMISSIS), benché entrambi i coniugi ne avessero all’epoca simulato la destinazione all’attività professionale del marito, per sottrarlo a scopo fiscale alla comunione legale. Chiese dunque che, dichiarata la simulazione dell’atto pubblico per notar La Francesca di acquisto dell’immobile a nome del solo B. P., fosse accertata la comune proprietà dell’alloggio in capo a entrambi i coniugi e ne fosse di conseguenza annullata la successiva vendita a P.N.. Ripropose così la domanda già proposta nel giudizio di separazione personale dei coniugi e trascritta il (OMISSIS), ma dichiarata inammissibile in quella sede. Il tribunale qualificò la domanda di B.R. come azione di simulazione del contratto di compravendita stipulato dai coniugi B. per l’acquisto dell’immobile controverso. Ordinò pertanto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di F.A. e A.M.L., danti causa di B.P. e B. R.. E rigettò la domanda per mancanza di prova scritta. La decisione, impugnata da B.R., fu tuttavia riformata dalla Corte d’appello di Palermo, che, qualificata la domanda come azione di accertamento della comunione legale, riconobbe B. R. comproprietaria dell’immobile e di conseguenza annullò il contratto di compravendita per notar Cavasino stipulato da P. N. con il solo B.P.. Ritennero i giudici d’appello che l’indiscussa e comunque accertata destinazione dell’immobile a casa coniugale ne aveva determinato l’immediata inclusione nella comunione legale sin dall’acquisto, perché la dichiarazione resa da B.R. nell’atto pubblico di compravendita del (OMISSIS), circa la destinazione dell’immobile all’attività professionale del marito commercialista, non aveva avuto efficacia negoziale e non aveva comportato pertanto la sottrazione del bene alla comunione. Contro la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione P.N., con un unico motivo d’impugnazione, cui resiste con controricorso B.R., che ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato e ha poi depositato anche una memoria. Mentre non ha spiegato difese B.P.. La prima sezione civile di questa Corte, cui il ricorso era stato assegnato, ne ha sollecitato la rimessione alle Sezioni unite. Ha rilevato infatti un contrasto di giurisprudenza circa la disponibilità del diritto alla comunione legale su beni che per legge vi sarebbero inclusi; e la particolare importanza della consequenziale questione degli effetti nei confronti dei terzi acquirenti nel caso di sopravvenuto accertamento della comunione legale sui beni alienati dal coniuge unico intestatario. Successivamente P.N. ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. Disposta a norma dell’art. 335 c.p.c. la riunione dei ricorsi proposti contro la stessa sentenza, va innanzitutto rilevato che nella memoria depositata dalla controricorrente B.R. viene eccepita l’improcedibilità del ricorso principale per omessa notifica ai chiamati in causa F.A. e A.M.L.. Si tratta tuttavia di eccezione palesemente infondata, perché non è più in discussione in questo giudizio il contratto di compravendita cui parteciparono F.A. e A.M.L., bensì solo il contratto di compravendita stipulato da P.N. con B.P.. Ne’ rileva in questa sede se violi l’art. 112 c.p.c., la modificazione della qualificazione giuridica della domanda da parte della Corte d’appello, posto che si tratterebbe comunque di un error in procedendo non dedotto dal ricorrente e non rilevabile d’ufficio (Cass., sez. 3^, 17 gennaio 2007, n. 978, m. 596924). 2. Con l’unico complesso motivo del suo ricorso P.N. deduce violazione degli art. 179, 184, 1445 c.c. vizi di motivazione della decisione impugnata. Lamenta innanzitutto che la corte d’appello non abbia tenuto conto della sua buona fede di terzo acquirente, cui non poteva addossarsi una responsabilità del solo B.P.. Eccepisce poi la prescrizione dell’azione di annullamento, perché proposta a oltre un anno sia dall’acquisto dell’immobile da parte dei coniugi B.P. sia dal successivo acquisto dello stesso immobile da parte sua. Lamenta infine che la dichiarazione resa da B.R. all’atto dell’acquisto dell’immobile da parte del marito sia stata erroneamente qualificata come meramente ricognitiva, anziché negoziale, senza considerarne la destinazione a rifiutare gli effetti traslativi del contratto. E rilevato che su tale questione v’è contrasto di giurisprudenza, chiede che la questione sia risolta dalle Sezioni unite della Corte. 3. Risulta preliminare l’esame dell’eccezione di prescrizione proposta dal ricorrente, perche’, ove tale eccezione risultasse ammissibile e fondata, la conseguente dichiarazione di estinzione del diritto azionato da B.R. renderebbe irrilevante l’accertamento della sua effettiva esistenza (Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581, m. 600910). Sennonché, posto che quella prevista dall’art. 184 c.c. e’ effettivamente una prescrizione e non una decadenza (Cass., sez. 2^, 19 febbraio 1996, n. 1279, m. 495904), l’eccezione e’ inammissibile, perché il ricorrente non ha neppure allegato di averla già proposta sin dal giudizio di primo grado. Infatti l’art. 345 c.p.c., comma 2 ammette che siano dedotte in appello nuove eccezioni solo quando sarebbero rilevabili d’ufficio. Sicché, essendo quella di prescrizione un’eccezione non rilevabile d’ufficio (art. 2938 c.c.), il ricorrente avrebbe dovuto quantomeno allegare, non solo di averla dedotta già in primo grado, ma anche di averla poi ripro- | 109 Il rifiuto del coacquisto e l’estromissione dalla comunione legale (Antonio Gorgoni) Persona e Mercato - Materiali e commenti