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ASSICURAZIONI
SOMMARIO
N. 2-2013
PARTE PRIMA
Dottrina
GIOVANNA VOLPE PUTZOLU, Evoluzione del diritto delle assicurazioni: continuità o rottura con il passato? .............. Pag.
171
SARA LANDINI, Divieto di rinnovo automatico e commercializzazione dei contratti di assicurazione per la responsabilità civile automobilistica ............................................
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181
PAOLO MONTALENTI, Il sistema dei controlli interni nel settore assicurativo.................................................................
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193
GIANLUCA ROMAGNOLI, La vigilanza pubblica sul contrasto
alle frodi assicurative tra legge (art. 30 d.l. 1/2012) e regolamento ISVAP n. 44/2012 ............................................
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217
GIORGIOMARIA LOSCO, Repressione delle frodi e modelli organizzativi interni............................................................
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233
SABRINA BOSCIONI, Market consistent embedded value: un approccio pratico per una compagnia vita.........................
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247
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263
PARTE SECONDA
Giurisprudenza
Note a sentenza
MARCO ROSSETTI, Breve storia di un equivoco: chi è l’“assicurato” nell’assicurazione della r.c.a.? .........................
I
Assicurazioni – n. 2-2013
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ASSICURAZIONI
Dalla Corte di Cassazione
(a cura di MARCO ROSSETTI)
Ass. responsabilità civile – Clausola limitativa del rischio assicurato relativa alla conseguenza di fatti accidentali – Fatti dannosi derivanti da colpa grave – Inclusione nella copertura assicurativa – Sussistenza – Fondamento – Fattispecie relativa all’operatività della polizza stipulata da un
condominio per danni causati dalla rottura di un impianto
idrico condominiale (Cass. 26 febbraio 2013, n. 4799)..... Pag.
283
Ass. contro i rischi del trasporto – Assicurazione stipulata
dall’acquirente contro i rischi del trasporto di merce spedita via mare a rischio e pericolo del venditore – Nullità
per carenza di interesse – Sussistenza (Cass. 13 marzo
2013, n. 6293) .................................................................
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289
Ass. in generale e danni in generale – Perizia contrattuale –
Natura – Mandato collettivo – Scelta del terzo affidata
al Presidente del Tribunale – Necessaria coerenza con la
determinazione volitiva delle parti – Difetto di tale requisito – Conseguenze – Invalidità della perizia (Cass.
14 marzo 2013, n. 6554) .................................................
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299
Ass. responsabilità civile – Clausola “claim’s made” – Contenuto – Validità ed efficacia della stessa – Vessatorietà
– Accertamento giudiziale caso per caso – Necessità.
Ass. responsabilità civile – Clausola “claim’s made” – Contenuto – Clausole ulteriori – Imposizione all’assicurato
dell’obbligo di rendere dichiarazioni complete e veritiere – Compatibilità – Sussistenza (Cass. 22 marzo 2013,
n. 7273)..........................................................................
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304
Ass. obbligatoria autoveicoli – Ambito di applicazione – Sinistro verificatosi in area privata – Apertura dell’area ad
un numero indeterminato di persone – Accertamento relativo – Giudice di merito – Devoluzione – Insindacabilità in sede di legittimità – Fattispecie relativa a sinistro verificatosi in una rampa di accesso ad un garage (Cass. 3
aprile 2013, n. 8090) .......................................................
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312
II
Assicurazioni – n. 2-2013
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ASSICURAZIONI
Ass. obbligatoria autoveicoli – Azione diretta – Terzi chiamati
in causa – Osservanza dell’onere ex art. 22 della l. n. 990
del 1969 – Obbligatorietà – Limiti (Cass. 3 aprile 2013,
n. 8115) ........................................................................... Pag.
322
Massimario
(a cura di MARCO ROSSETTI)
Ass. obbligatoria autoveicoli – Danneggiamento causato da incendio di autovettura in sosta – Evento prodotto dalla circolazione stradale – Configurabilità – Condizioni – Fattispecie (Cass. 5 marzo 2013, n. 5398) ...........................
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335
Ass. contro gli infortuni mortali – Ripartizione dell’onere di
prova (Cass. 14 marzo 2013, n. 6548) ............................
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336
Prescrizione – Assicurazione della responsabilità civile – Decorrenza del termine – Richiesta stragiudiziale di risarcimento in forma specifica – Idoneità (Cass. 13 marzo 2013,
n. 6296) ...........................................................................
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337
Ass. contro il rischio del ritiro del libretto di navigazione – Rischio assicurato – Contenuto – Patologia di gravità tale da
comportare il ritiro del libretto – Rilevanza – Preesistenza rispetto alla stipulazione del contratto – Copertura assicurativa – Limiti – Fattispecie (Cass. 21 marzo 2013, n. 7151) ...
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338
Danno – Patrimoniale – Danno derivante da incidente stradale
– Cosiddetto fermo tecnico – Liquidazione equitativa –
Ammissibilità – Condizioni – Necessità che la durata del
fermo non sia particolarmente breve (Cass. 19 aprile 2013,
n. 9626) ...........................................................................
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339
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340
Dalle Corti di merito
Responsabilità medica – Riforma Balduzzi – Art. 3, comma 1,
l. 189/2012 – Richiamo all’art. 2043 c.c. – Portata innovativa
del “diritto vivente” – Esclusione – Responsabilità contrattuale del sanitario e della struttura (Trib. Arezzo 14 febbraio 2013) con nota redazionale di Ilaria Riva ...............
III
Assicurazioni – n. 2-2013
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ASSICURAZIONI
Responsabilità medica – Riforma Balduzzi – Art. 3, comma
1, l. 189/2012 – Richiamo all’art. 2043 c.c. – Portata innovativa del “diritto vivente” – Responsabilità aquiliana
del sanitario e della struttura (Trib. Torino 14 febbraio
2013) con nota redazionale di Ilaria Riva ...................... Pag.
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Responsabilità medica – Riforma Balduzzi – Art. 3, comma 1, l. 189/2012 – Richiamo all’art. 2043 c.c. – Portata innovativa del “diritto vivente” – Responsabilità
aquiliana del sanitario e della struttura – Contratto tra
medico e paziente – Responsabilità da inadempimento
(Trib. Varese 26 novembre 2012) con nota redazionale di Ilaria Riva...........................................................
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341
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371
PARTE TERZA
Osservatorio
AIDA – Associazione Internazionale di Diritto delle Assicurazioni..............................................................................
IV
Assicurazioni – n. 2-2013
169-170 OCCHIELLO dottrina:02 - ROMAGNOLI 17/07/13 06:40 Pagina 169
Parte I
Dottrina
Assicurazioni – n. 2-2013
169-170 OCCHIELLO dottrina:02 - ROMAGNOLI 17/07/13 06:40 Pagina 170
EVOLUZIONE DEL DIRITTO DELLE ASSICURAZIONI:CONTINUITÀ O ROTTURA CON IL PASSATO?
I contributi pubblicati nella parte iniziale di questo fascicolo, di Volpe Putzolu e Landini, seguono le tracce delle relazioni tenute al convegno organizzato dalla Sezione Toscana dell’AIDA, di concerto con la Fondazione
CESIFIN, e svoltosi a Firenze l’8 febbraio 2013.
NUOVE NORME IN MATERIA DI CONTROLLI ANTIFRODI PER LE IMPRESE DI ASSICURAZIONE
Gli scritti che seguono, di Montalenti, Romagnoli e Losco, sono il frutto della rielaborazione delle relazioni svolte al convegno tenutosi a Milano il 5 ottobre 2012 per iniziativa della Sezione Lombarda. In particolare, il contributo del prof. Montalenti nella sua prima sezione riprende studi precedenti, tra
cui si veda sin d’ora Amministrazione e controllo nella società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. soc., 2013, 42 ss.
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Evoluzione del diritto delle assicurazioni:
continuità o rottura con il passato?
DI
GIOVANNA VOLPE PUTZOLU
L’evoluzione della disciplina dell’attività assicurativa, a partire dalla
legge di riforma della vigilanza n. 576/1982, è avvenuta per gradi (1).
Nel corso di questo lungo periodo si può considerare una vera e propria
“rottura” con il passato la legislazione che ha interessato le assicurazioni
nell’anno 2005: codice delle assicurazioni, legge n. 262 sulla tutela del
risparmio e decreto legislativo n. 252 sulla previdenza complementare.
L’evoluzione successiva non ne è che il fisiologico sviluppo.
Il tema è amplissimo. Mi limiterò a qualche flash, partendo dalla normativa comunitaria che costituisce la cornice, nella quale si deve inserire
la disciplina dettata dai singoli Stati membri.
L’obbiettivo della normativa comunitaria in materia assicurativa si inserisce nel più ampio obbiettivo della instaurazione e del funzionamento del
mercato unico. In sostanza si tratta di costruire un mercato nel quale le imprese possono operare in concorrenza. Nelle direttive assicurative, però, la
concorrenza è considerata essenzialmente come possibilità per i consumatori di accedere a tutti i prodotti assicurativi commercializzati nel territorio della UE e, a questo scopo, è sufficiente che gli Stati comunitari non ostacolino
l’accesso al proprio mercato delle imprese degli altri Stati membri (2).
(1) Legge 12 agosto 1982, n. 576, modificata ed integrata dalla l. 9 gennaio 1991,
n. 20, dal d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 49, dalla l. 24 dicembre 1992, n. 506, dal d.P.R. 18
aprile 1994, n. 385, dal d.lgs. 13 ottobre 1998, n. 373 e dal d.lgs. 4 agosto 1999, n. 343.
(2) V. i considerando n. 19 della direttiva 92/49/CEE (rami danni) e n. 46 direttiva 2002/83/CE (rami vita); v. anche il considerando n. 77 direttiva 2009/138/CE
(Solvency II).
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Giovanna Volpe Putzolu
Ovviamente l’accesso dei consumatori a tutti i prodotti commercializzati nella UE richiede una disciplina di vigilanza comune che garantisca una
sana e prudente gestione delle imprese operanti nel territorio comunitario.
Le direttive, quindi, contengono norme vincolanti per gli Stati membri, considerate sufficienti a garantire la solvibilità delle imprese. Gli Stati membri
sono liberi di dettare norme di dettaglio o di disciplinare aspetti non regolati dalle direttive.
In questo ambito gli Stati membri sono “sovrani”, ma soltanto nei confronti delle imprese con sede legale nel loro territorio. Nei confronti delle
imprese di altri Stati membri l’applicazione di disposizioni nazionali è consentita soltanto a condizione che si tratti di materie che tutelino “interessi
generali”, nella misura in cui l’interesse generale non sia salvaguardato
dalle disposizioni dello Stato membro di origine, sempreché tali disposizioni si applichino senza discriminazioni e siano necessarie e proporzionate all’obbiettivo perseguito (3).
Ne consegue che la disciplina di vigilanza nazionale, in un regime di
“licenza unica” e di “home country control ”, ha una notevole influenza,
nel bene o nel male, sulla competitività delle “imprese di casa” nei confronti delle imprese di altri Stati membri (4). Più è dettagliata e onerosa
la disciplina nazionale, più è difficile la competizione nel mercato unico.
Una gestione più complessa non solo si riflette sui costi e quindi necessariamente sul prezzo del servizio, ma sottrae anche risorse allo sviluppo
della innovazione.
Un’altra caratteristica della normativa comunitaria, rilevante ai fini della valutazione della disciplina nazionale, è la rigorosa separazione della di-
(3) Cfr. i considerando citati nella nota 2.
(4) V. RICOLFI, Attività assicurativa e competizione regolatoria, in questa Rivista,
2006, I, 395. Va rilevato che gli organi comunitari, a seguito della crisi finanziaria degli anni 2007-2008, hanno finalmente affrontato il problema della creazione di un mercato europeo dei servizi più integrato. Ne sono derivate una serie di iniziative con lo
scopo di assicurare “reali” condizioni di parità per tutte le imprese, mediante l’applicazione uniforme del diritto della UE, obbiettivo considerato non realizzabile in modo
soddisfacente dagli Stati membri. A questo scopo è stato istituito il Sistema europeo di
vigilanza finanziaria – SEVIF. Il Sistema è composto da un Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS), con competenze di tipo macroprudenziale e tre Autorità di regolazione e vigilanza microprudenziale (AEV): Autorità bancaria europea (ABE), Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni (AEAP), Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (AESFEM). Il Sistema comprende inoltre le Autorità nazionali di vigilanza e il Comitato congiunto delle Autorità europee di vigilanza. Ciascuna Autorità ha il compito di elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione
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Evoluzione del diritto delle assicurazioni: continuità o rottura ecc.
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sciplina dell’attività assicurativa da quella delle altre attività finanziarie.
Una separazione che non riguarda solo la vigilanza prudenziale, ma anche
la disciplina della trasparenza e della correttezza nei rapporti con la clientela e quella della intermediazione.
Anche la direttiva MIFID (2004/39/CE) dispone espressamente che la
direttiva non si applica alle imprese di assicurazione perché, come si legge nei considerando, queste sono oggetto di appropriata vigilanza da parte delle autorità competenti in materia di vigilanza prudenziale.
La connessione tra vigilanza assicurativa e vigilanza sulla trasparenza
si comprende se si tiene presente la specialità “tecnica” della gestione assicurativa, che si riflette inevitabilmente su tutti i prodotti, anche su quelli ai
quali non si applicano gli artt. 1882 ss. c.c. (5).
La disciplina italiana di vigilanza sull’attività assicurativa non solo non
rispetta il principio della separazione dell’attività assicurativa, ma è anche
non di rado penalizzante per le nostre imprese.
La prima caratteristica è dovuta ad una singolarità del nostro legislatore: la ricerca di altre attività alle quali “assomigli” l’attività assicurativa, in modo da poter estendere a quest’ultima norme dettate per l’attività
che si presume somigliante. Una tendenza che contrasta con la specialità
dell’attività assicurativa, sia per il suo oggetto che per le conseguenti regole di gestione.
o di attuazione, da sottoporre all’approvazione della Commissione, nonché di emanare orientamenti o raccomandazioni indirizzate alle Autorità di vigilanza, al fine di istituire prassi di vigilanza uniformi e assicurare l’applicazione uniforme del diritto comunitario (v. regolamenti UE 1093, 1094 e 1095 del 2010; v. LAMANDINI, I regolamenti
europei istitutivi del comitato per il rischio sistemico e delle autorità europee di vigilanza su assicurazioni, banche, strumenti finanziari e mercati, in Nuove leggi civ. comm.,
2012, 211).
(5) Come, ad es., le assicurazioni cauzionali. Anche le recenti iniziative europee
volte a garantire una maggiore trasparenza e a rafforzare la tutela dei consumatori in
sede di collocamento dei prodotti assicurativi rispettano il criterio della separazione della normativa assicurativa. Si tratta, in particolare, della proposta di una nuova direttiva
sulla intermediazione assicurativa (Insurance Mediation Directive 2), che da un lato
prevede obblighi informativi e di comportamento comuni agli intermediari e alle imprese di assicurazione in sede di collocamento dei prodotti assicurativi e, per quanto riguarda i prodotti di investimento assicurativi, “regole rafforzate” in linea con la definizione di prodotto di investimento contenuta nella proposta di regolamento sui documenti contenenti informazioni chiave per i prodotti di investimento (Packaged Retail
Investment Products – PRIP).
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Questa tendenza emerge chiaramente dagli obbiettivi del codice delle
assicurazioni, fra i quali, come si legge nella relazione ministeriale, l’avvicinamento al T.U. bancario. Ma più che di “avvicinamento” si è trattato di
una serie di disposizioni che replicano norme del TUB. Questo non significa che sia irragionevole “avvicinare” le due discipline, ma si doveva evitare di trasporre nel codice delle assicurazioni norme che mal si conciliano
con la disciplina di vigilanza dell’attività assicurativa.
Mi limito a citare il caso più eclatante, costituito da due norme in materia di revoca dell’autorizzazione e liquidazione coatta amministrativa. Si
tratta dell’art. 242 e del primo comma dell’art. 245 cod. ass., norme inconciliabili, perché la prima trae origine dalle direttive del settore assicurativo,
mentre la seconda è la riproduzione fedele del primo comma dell’art. 80 del
TUB. Le due norme sono significativamente diverse, perché diversa è la
natura dell’interesse tutelato, rispettivamente, nella disciplina delle imprese di assicurazione e nella disciplina delle banche.
Nel settore bancario, la liquidazione coattiva deve sempre seguire il
provvedimento di revoca, perché solo la liquidazione coatta consente di
tutelare il risparmio già raccolto (6).
Nel settore assicurativo, invece, le condizioni della revoca rispondono alla esigenza di evitare il proseguimento dell’attività, in presenza
di violazioni o di situazioni (puntualmente individuate) ritenute dal legislatore comunitario incompatibili con l’esercizio delle assicurazioni,
per cui si rende necessaria la liquidazione della società; ma, nei casi che
non coinvolgono la solvibilità dell’impresa, si consente alle autorità di
vigilanza di valutare se la liquidazione ordinaria sia meno sfavorevole
per gli assicurati della procedura coattiva.
Il “pasticcio” legislativo creato dal codice delle assicurazioni con gli
artt. 242 e 245, a ben vedere, trae origine dall’art. 231, che stabilisce le condizioni per l’adozione dell’amministrazione straordinaria, norma a sua volta ripresa dal TUB; ma la derivazione “bancaria” delle condizioni dell’amministrazione straordinaria era già palese nella norma che ha introdotto la
procedura di risanamento nel settore assicurativo (7).
Mi limito ad osservare che tra i presupposti dell’amministrazione
straordinaria, di cui all’art. 231, rientrano violazioni che dovrebbero comportare, secondo la norma di origine comunitaria, la revoca dell’auto-
(6) V. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna 2001, p. 736.
(7) V. il testo originario dell’art. 7 l. 12 agosto 1982, n. 576.
(8) V. art. 14 direttiva 92/49/CEE e art. 39 direttiva 2002/83/CE.
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rizzazione e la liquidazione della società (8). Non si può escludere che
l’ampiezza e la conseguente genericità delle condizioni, sia pure gravi,
dell’amministrazione straordinaria, abbiano orientato l’Autorità di vigilanza verso la misura di risanamento anche in casi nei quali sussistevano gravi violazioni della disciplina di vigilanza che legittimavano la revoca dell’autorizzazione ai sensi della norma di origine comunitaria. Così probabilmente si spiega il fatto che alla procedura di amministrazione straordinaria sia, nella maggioranza dei casi, seguita la liquidazione
coattiva.
Il punto di arrivo dell’intento di adeguare la disciplina assicurativa a
quella bancaria è dato (per il momento) dalla soppressione dell’ISVAP e dalla creazione dell’IVASS, istituto che, a differenza dell’ISVAP, è solo “di nome” una autorità indipendente, in quanto è stato attratto nella sfera di vigilanza della Banca d’Italia (9).
L’indipendenza conclamata dell’Istituto (10) è smentita dalla composizione degli organi: il Presidente è il direttore generale della Banca
d’Italia, i consiglieri, che con il Presidente costituiscono il Consiglio, sono nominati con d.P.R. su proposta del Governatore della Banca d’Italia
e il Direttorio integrato è costituito dal Governatore, dal Direttore generale e da tre Vice direttori generali della Banca d’Italia, nonché dai due
consiglieri nominati con d.P.R. sempre su proposta della Banca d’Italia.
Si consideri che al Direttorio spetta l’attività di indirizzo e direzione strategica dell’Istituto, nonché, fra l’altro, l’assunzione di provvedimenti aventi rilevanza esterna in materia di vigilanza assicurativa e di provvedimenti
a carattere normativo (11).
Il secondo caso di assimilazione dell’attività assicurativa ad una attività molto diversa è addebitabile alla legge sulla tutela del risparmio, che ha
creato una frattura tra vigilanza prudenziale e vigilanza sulla trasparenza e
sui conflitti di interesse per l’esercizio dei rami vita III e V, la prima regolata dal codice delle assicurazioni e assoggettata al potere regolamentare e
di controllo dell’ISVAP (ora IVASS), la seconda disciplinata dalle norme del
TUF e assoggettata al controllo della CONSOB.
(9) In merito al dibattito sulla natura di autorità indipendente dell’ISVAP nel testo
originario della l. n. 576 del 1982 v. NIGRO, La riforma della vigilanza sulle assicurazioni e la posizione dell’ISVAP, in Giur. comm., 1984, I, 1040.
(10) V. art. 1 dello statuto, approvato con d.P.R. 12 dicembre 2012.
(11) V. artt. 3, 4 e 7 dello statuto.
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Una elementare conoscenza dell’attività dei rami vita avrebbe dovuto
consigliare di risolvere in altro modo il problema della esigenza di una informativa particolare per i c.d. prodotti finanziari assicurativi.
La componente finanziaria ha sempre caratterizzato gran parte delle assicurazioni sulla vita. All’ISVAP non è mai mancata una buona conoscenza del
mercato finanziario, come si desume dalle disposizioni regolamentari emanate in materia di polizze linked non appena questi prodotti sono comparsi nel
mercato italiano; disposizioni che prevedevano regole più appropriate e, per
certi aspetti, più stringenti di quelle del TUF e del regolamento CONSOB. Comunque, nel disporre l’applicazione di norme del TUF al settore assicurativo, il legislatore avrebbe dovuto, quanto meno, tenere presenti la disciplina
comunitaria e la inscindibilità del profilo finanziario dal profilo assicurativo.
Che questi due profili non possano andare disgiunti è confermato dalla
vicenda dei c.d. prodotti multiramo, caratterizzati dalla combinazione di coperture assicurative di ramo vita I e di prodotti assicurativi finanziari di ramo III. Sono trascorsi cinque anni e il regolamento congiunto, predisposto
dall’ISVAP e dalla CONSOB, non è stato ancora emanato, ed è significativo
che le due Autorità abbiano concordato che fino alla sua emanazione si applicano le disposizioni dell’ISVAP.
Il risultato è che alcune delle norme del TUF sono in contrasto con la
normativa comunitaria o inapplicabili ai prodotti assicurativi (12). Non solo, la disciplina della trasparenza e del conflitto di interessi del codice delle assicurazioni non è mai stata coordinata con la legge sulla tutela del risparmio e l’ISVAP, quindi, ha conservato o introdotto disposizioni regolamentari anche in queste materie (13).
(12) Gli artt. 30, comma 6, e 100, comma 2, del TUF e le relative norme regolamentari sono in contrasto con gli artt. 34 e 35 della direttiva 2002/83. Il primo articolo vieta agli
Stati membri di adottare disposizioni che prevedano l’approvazione preventiva o la comunicazione sistematica delle condizioni e delle tariffe delle polizze di assicurazione. L’Autorità di vigilanza può quindi richiedere queste comunicazioni soltanto in via occasionale. La
comunicazione contestuale all’avvio dell’offerta, disposta in via regolamentare dalla
CONSOB, è indubbiamente una comunicazione sistematica (v. art. 31 reg. Emittenti). L’art. 35,
a sua volta, impone allo Stato membro di richiedere che il contraente disponga di un termine, tra 14 e 30 giorni dal momento in cui è informato che il contratto è concluso, per rinunciare agli effetti del contratto. Quindi, il contratto è immediatamente efficace e il contraente
può esercitare il recesso nel temine previsto dallo Stato membro, che non deve essere inferiore a 14 gg. L’art. 30, comma 6, del TUF prevede invece la sospensione del contratto collocato fuori sede per 7 giorni, nel corso dei quali l’investitore può esercitare il recesso.
(13) La disciplina dell’informazione precontrattuale dei contraenti dei prodotti di
ramo III e V è stata coordinata con quella del codice delle assicurazioni dal regolamento
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Si deve invece convenire sulla opportunità di attribuire alla COVIP alcune competenze di vigilanza sulle polizze pensionistiche (c.d. PIP), al fine di realizzare una parità di trattamento per tutte le forme pensionistiche
previste dal d.lgs. 252/2005. È tuttavia mancato il coordinamento con il codice delle assicurazioni, con particolare riguardo alla disposizione che prevede una disciplina speciale per le riserve tecniche delle PIP (v. art. 13).
Non deve quindi sorprendere che lo schema di regolamento della COVIP presenti significativi problemi interpretativi, con particolare riguardo ai rispettivi diritti, degli aderenti alle PIP e degli altri assicurati, in caso di l.c.a.
dell’impresa di assicurazione (14).
Le imprese di assicurazione sulla vita sono quindi assoggettate alla vigilanza di tre Autorità e la mancanza di coordinamento rende incerta la disciplina applicabile, costringendo le compagnie, per evitare sanzioni, a dover tenere conto, nel dubbio, di disposizioni che appartengono a settori disciplinari diversi, non sempre conciliabili.
È tuttavia dalla normativa regolamentare che sono conseguiti gli oneri
più gravosi per le imprese.
Il trend della ormai imperante delegificazione, con l’attribuzione alle Autorità di vigilanza di un potere regolamentare ampio al di là della ra-
intermediari CONSOB, ma in questa materia l’ISVAP è intervenuto con disposizioni regolamentari complementari sull’informazione nel corso del contratto (v. artt. 25-29 reg.
n. 35). Il conflitto di interessi è regolato in modo diverso dal TUF e dal codice delle assicurazioni (v. art. 21 TUF e art. 183 cod. ass.), ma l’ISVAP è intervenuto in sede regolamentare con una norma che interferisce con i poteri regolamentari della CONSOB (v.
art. 51, reg. n. 35). Inoltre è ancora parzialmente in vigore la circolare 474 sulla disciplina dei prodotti Unit Linked, nel testo modificato dalla circ. 551 del 1° marzo 2005
(v. in particolare i §§ 2.3, 2.5 e 4).
(14) Le polizze pensionistiche Unit Linked (c.d. PIP) sono escluse dalla normativa del TUF (art. 1, comma 1, lett. w-bis) e assoggettate alla disciplina del d.lgs.
252/2005, fatta salva la vigilanza prudenziale che spetta comunque all’ISVAP. In particolare, la gestione delle risorse segue le regole di investimento del codice delle assicurazioni, ma tali risorse costituiscono patrimonio autonomo e separato con gli effetti di cui all’art. 4, comma 2, che a sua volta rinvia all’art. 2117 c.c. (art. 13, comma 3, d.lgs. 252/2005). Lo schema di regolamento (delibera COVIP 31 ottobre 2006)
precisa che per “risorse” si devono intendere gli attivi posti a copertura delle PIP e
che su questi attivi non sono ammesse azioni esecutive da parte dei creditori della
Compagnia, né da parte dei creditori degli aderenti (cfr. art. 2117 c.c.). Inoltre detto patrimonio non può essere coinvolto nelle procedure concorsuali che riguardano
la Compagnia. Quest’ultima disposizione, tratta dall’art. 6, comma 9, si giustifica
pienamente nel caso di gestione dei fondi pensione (ramo vita VI), perché si tratta di
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gionevolezza, si è tradotto in un diluvio di prescrizioni, che solo in parte
possono considerarsi proporzionate all’obbiettivo della salvaguardia di
una sana e corretta gestione e alla esigenza di tutelare i contraenti e gli assicurati.
La sproporzione tra disposizioni legislative e disposizioni regolamentari favorisce, inoltre, continue e plurime modificazioni di queste ultime,
che rendono quanto mai instabile il quadro normativo. Una conseguenza
che si riflette pesantemente sulla gestione dell’attività.
Non solo, non sempre le prescrizioni dell’Autorità di vigilanza sono
conformi alle direttive. L’esempio più significativo è rappresentato da una
disposizione in materia di polizze linked, che obbliga le imprese a garantire la conservazione del capitale per il caso di morte (15), mentre, secondo
la direttiva 2002/83/CE, le polizze di ramo III sono contratti di assicurazione anche se privi di garanzie di qualsiasi tipo. Per questo motivo la norma non figura nell’Elenco delle disposizioni di interesse generale che possono essere applicate anche alle imprese di altri Stati membri operanti in
Italia (16).
Come rilevato da Marco Frigessi, si crea una fattispecie di discriminazione alla rovescia, in cui le imprese italiane sono discriminate in peius rispetto alle concorrenti europee che operano nel nostro mercato (17). La
disposizione regolamentare, peraltro, è anche in contrasto con il codice delle assicurazioni, che rispetta la norma comunitaria (18).
In conclusione, non si possono che condividere i giudizi espressi da
Marco Ricolfi e da Marino Bin. Ricolfi ha rilevato la riluttanza del legislatore italiano a rendere fruibili gli spazi di libertà che si aprono per gli operatori economici nel quadro dalla integrazione europea, nonché la riluttanza delle imprese a reagire contro tale tendenza (19). In realtà la “timi-
mera attività di gestione delle risorse del fondo pensione. Le risorse sono del fondo
e restano tali anche dopo il conferimento in gestione. Nel caso delle PIP, l’impresa
non si limita a gestire le risorse, ma assume impegni assicurativi nei confronti degli
aderenti, impegni dei quali risponde con tutto il suo patrimonio. Di qui una serie di
problemi in caso di liquidazione coatta dell’impresa, dovuti alla mancanza di coordinamento tra l’art. 13 cit. e gli artt. 42 e 258 cod. ass.
(15) V. art. 9 reg. ISVAP n. 32.
(16) Elenco predisposto dall’ISVAP nel 2011.
(17) V. la relazione svolta nel presente convegno.
(18) V. VOLPE PUTZOLU, Le polizze linked tra norme comunitarie, TUF e codice civile, in questa Rivista, 2012, I, 399.
(19) RICOLFI, Attività assicurativa e competizione regolatoria, cit. p. 415.
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Evoluzione del diritto delle assicurazioni: continuità o rottura ecc.
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dezza” delle imprese è spiegabile, ma si tratta di un problema che interessa un contesto normativo più generale e ben più ampio di quello oggetto del
presente convegno. Marino Bin ha denunciato il grande caos normativo
creato da un legislatore inconsapevole e disordinato (20).
(20) BIN, La trasparenza dei “prodotti” emessi dalle imprese di assicurazione tra
principî generali e nuovo regolamento ISVAP, in questa Rivista, 2010, I, 613.
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Divieto di rinnovo automatico
e commercializzazione dei contratti
di assicurazione per la responsabilità
civile automobilistica
DI
SARA LANDINI
Università degli Studi di Firenze
SOMMARIO: 1. Recenti misure per favorire la concorrenzialità del mercato assicurativo con
particolare riguardo al divieto di rinnovo tacito. – 2. Il rinnovo tacito nel codice civile.
– 3. Il rinnovo tacito nella giurisprudenza. – 4. Il nuovo articolo 170 bis del codice delle assicurazioni private. – 5. Alcuni problemi applicativi.
1. RECENTI MISURE PER FAVORIRE LA CONCORRENZIALITÀ DEL MERCATO ASSICURATIVO CON PARTICOLARE RIGUARDO AL DIVIETO DI RINNOVO TACITO
Il c.d. decreto sviluppo bis [d.l. 18 ottobre 2012, n.179 (in Suppl. ordinario n. 194 alla G.U. 19 ottobre 2012, n. 245), convertito, con modificazioni, in l. 17 dicembre 2012, n. 221 - Ulteriori misure urgenti per
la crescita del Paese] ha introdotto misure aventi l’obbiettivo di facilitare dinamiche concorrenziali nel mercato dell’assicurazione degli autoveicoli.
Al fine di favorire la comparazione tra i prodotti si è introdotto il “contratto di base” stabilito con decreto del Ministro dello Sviluppo economico, sentiti l’IVASS, l’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici ANIA, le principali associazioni rappresentative degli intermediari assicurativi e le associazioni dei consumatori di maggiore rilevanza. Si tratta di un
contratto di assicurazioni standard contenente le clausole minime, necessarie ai fini dell’adempimento dell’obbligo di legge, e articolato secondo clas-
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si di merito e tipologie di assicurato. Ciascuna impresa di assicurazione determina liberamente il prezzo del “contratto base”, ferma restando la libertà di offrire separatamente qualunque tipologia di garanzia aggiuntiva o diverso servizio assicurativo (1).
Il decreto legge, come convertito, innova anche in punto di divieto di
rinnovo automatico delle polizze di assicurazione civile dei veicoli a motore e dei natanti attraverso una novellazione delle norme del codice delle
assicurazioni private avente l’intento di ampliare la libertà nella fase precontrattuale dell’assicurato, il quale potrebbe vedersi impedita la possibilità di stipulare la polizza con un diverso assicuratore, rispetto a quello del
precedente rapporto, in quanto ha mancato di disdettare per tempo il pregresso contratto secondo quanto previsto dal codice civile e dai contratti in
commercio.
Viene infatti introdotta, con l’art. 170 bis, una disciplina speciale della
durata del contratto di assicurazione della responsabilità civile automobilistica, rispetto a quanto previsto per la durata del contratto di assicurazione
in generale all’art. 1899 c.c.
Prima di calarci nell’interpretazione della nuova norma introdotta dal
legislatore vediamo come il rinnovo automatico è disciplinato nel codice
civile e opera a livello generale nei contratti di assicurazione.
(1) Il Ministero dello Sviluppo economico ha concluso la consultazione e gli incontri tecnici e il 14 febbraio 2013 ha inviato il decreto ministeriale sul contratto base
al Consiglio di Stato per il parere.
Da anticipazioni (Il Sole 24 Ore, 14 febbraio) il contratto definito dal decreto risulta molto vicino alla maggioranza di quelli attualmente in uso e prevede, in sintesi:
• la clausola “guida libera” (che considera la garanzia operante anche se il veicolo è guidato da persona diversa dall’assicurato);
• la rivalsa della compagnia per i danni pagati quando l’incidente avviene nelle ipotesi classiche (guida senza patente, in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droga,
esercitazione di guida senza che a bordo ci sia un accompagnatore con i requisiti richiesti e danni subìti dai terzi a bordo quando essi vengono trasportati violando “le disposizioni vigenti o le indicazioni della carta di circolazione”);
• la formula bonus-malus;
• la previsione di sconti per le polizze nuove in caso di assenza di sinistri negli anni precedenti;
• il massimale minimo richiesto per legge.
Tenuto conto degli obbiettivi della norma l’elenco è da intendersi tassativo. Un’interpretazione estensiva dei termini importerebbe, infatti, incertezza e potrebbe aprire a
dubbi sul contenuto minimo del contratto col rischio di incidere negativamente sull’uniformità di condizioni nei preventivi di base che si intendeva raggiungere.
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2. IL RINNOVO TACITO NEL CODICE CIVILE
Il rinnovo automatico trovava e trova una disciplina di carattere generale all’art. 1899 c.c. in materia di durata del contratto il quale al comma 2
prevede “Il contratto può essere tacitamente prorogato una o più volte, ma
ciascuna proroga tacita non può avere una durata superiore a due anni.”.
La norma in esame disciplina la durata del contratto ponendo il termine di inizio degli effetti del contratto alle ore ventiquattro del giorno
della conclusione dello stesso, determinata in via generale secondo la
regola dell’art. 1326, e il termine di cessazione degli effetti del contratto alle ore ventiquattro dell’ultimo giorno di durata individuato in via
convenzionale.
Si tratta, comunque, di una norma derogabile. È quindi consentito alle
parti di individuare un termine diverso di inizio o di fine del contratto (2).
Al fine di evitare che, attraverso la stipulazione di polizze poliennali,
l’assicurato si trovi vincolato ad un contratto che non risponde più ai propri interessi, il legislatore, già nella versione dell’art. 1899 del 1942, prevedeva il diritto di disdetta dell’assicurato.
Il secondo periodo del comma 1 dell’art. 1899, come in origine formulato, sanciva infatti: “in caso di durata poliennale, l’assicurato ha facoltà
di recedere annualmente dal contratto”.
La presente disposizione è stata modificata in un primo momento dall’art. 5 della l. 2 aprile 2007, n. 40, nota come legge Bersani, con cui si prevedeva la facoltà per l’assicurato di recedere annualmente con preavviso
di sessanta giorni. Successivamente gli attuali secondo e terzo periodo sono stati sostituiti dal secondo periodo dall’art. 21, comma 3, l. 23 luglio
2009, n. 99.
In base a tale nuova disposizione vi è la possibilità di stipulare contratti di durata poliennale purché il premio sia ridotto rispetto a quello previsto
nei contratti annuali. Si cerca così di riequilibrare, sul piano economico, lo
svantaggio che all’assicurato può derivare dall’essere vincolato al contratto per un periodo di tempo mediamente lungo.
Ove poi il contratto abbia durata superiore a cinque anni, allo scadere
del quinquennio l’assicurato ha diritto di recedere con preavviso di sessanta giorni.
Come detto al comma 3 dell’art. 1899 si prevede poi la possibilità di
prorogare tacitamente la durata del contratto.
(2) In tal senso da ultimo Cass. 10 giugno 2005, n. 12305, in Mass. Foro it, 2005;
Cass. 24 dicembre 1994, n. 11142, in Giust. civ., 1995, I, 1234.
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In mancanza di espressa disdetta il contratto è quindi prorogato di diritto
(3). Il silenzio in questo caso ha per legge valore ai fini della conclusione di
un nuovo contratto di identico contenuto e durata del precedente (4).
La norma non è tra quelle inderogabili ex art. 1932, ne segue che il rinnovo potrebbe essere escluso dalle condizioni di polizza. Anche i termini
per la disdetta sono rimessi all’autonomia contrattuale.
Si tratta di condizioni convenzionali predisposte dall’impresa e in quanto tali rimesse alle regole dell’interpretazione contra proferentem. Si è così
previsto che la clausola di una polizza assicurativa, con cui si dà carico all’assicurato di “dare disdetta” con lettera raccomandata prima della scadenza, va interpretata in base al criterio dell’interpretazione contra proferentem
(3) Ben diverso il problema del recesso dell’assicuratore in corso di contratto. Qualche parola merita di essere spesa in ordine al diritto di recesso dell’assicuratore al primo sinistro, generalmente previsto nelle condizioni generali di polizza, al fine di gestire il rischio attraverso lo scioglimento di contratti che, nel tempo, risultano avere una
sinistrosità ben più elevata di quelle che erano state le valutazioni iniziali dell’assicuratore, anche se non si ricade in ipotesi di reticenze o falsità sullo stato del rischio (art.
1892) o di aggravamento del rischio (art. 1898).
Le clausole che prevedono il recesso unilaterale dell’assicuratore sono state considerate vessatorie da parte della dottrina maggioritaria pronunciatasi sul punto sin dall’emanazione della direttiva CE/93/13 sui contratti col consumatore. ALPA, Le clausole abusive nei contratti con i consumatori, in Corr. giur., 1993, 635; BIN, Condizioni
generali di contratto e rapporti assicurativi, in Giur. comm., 1994, II, 798 ss. Per la
giurisprudenza di merito Giud. pace Parma 22 novembre 2001, in Giudice di pace, 2002,
128, con nota di PALMIERI, Vessatorietà del recesso unilaterale nei contratti di assicurazione con i consumatori.
I giudici hanno riconosciuto la vessatorietà anche delle clausole che prevedono il
diritto di recesso in capo ad entrambe le parti quando queste realizzano un eccessivo
squilibrio a svantaggio del consumatore tenuto conto del diverso interesse a recedere
dei contraenti. Trib. Roma 28 ottobre 2000, in Corr. giur., 2001, 380, con nota di DI
MAJO, Clausole vessatorie e rischi assicurati: un difficile confine; in Danno e resp.,
2001, 626, con nota di PALMIERI, Imprese assicuratrici e contrattazione seriale: la falcidia delle clausole abusive; in Contratti, 2001, 441, con nota di SCARPELLO, Clausole
abusive nei contratti di assicurazione del consumatore; in Giur. it., 2001, 744, con nota di ZUCCARO, Ancora qualche riflessione in tema di tutela del consumatore e clausole abusive.
Contro tali clausole da ultimo è intervenuta anche l’Autorità di controllo del mercato assicurativo. All’art. 48 del regolamento ISVAP 35/2010 si è sancito che “nei contratti Malattia le imprese non prevedono la facoltà di recesso in caso di sinistro”.
(4) In giurisprudenza con, particolare riguardo all’ambito dei contratti locazione,
è frequente l’inquadramento della proroga come nuovo contratto. V. ex plurimis Cass.
16 novembre 2011, n. 24012, in Mass. Foro it., 2011.
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(art. 1370) e secondo buona fede (art. 1366), con la conseguenza che la disdetta medesima, inviata con lettera raccomandata prima del termine indicato, non può ritenersi tardiva, per il solo fatto che sia pervenuta all’assicuratore in data successiva, ma pur sempre anteriore alla scadenza del contratto (5).
3. IL RINNOVO TACITO NELLA GIURISPRUDENZA
Il rinnovo tacito rappresenta un meccanismo di interesse per l’assicuratore, che vede la possibilità di mantenere il rapporto risparmiando sui costi di intermediazione del prodotto, e per l’assicurato, che attraverso il rinnovo tacito copre il rischio di rimanere involontariamente scoperto a causa
della scadenza dimenticata del contratto.
Quest’ultimo profilo acquista peraltro una particolare rilevanza in ipotesi di assicurazione obbligatoria in cui la mancanza di copertura importa
conseguenze anche sul piano sanzionatorio (6).
La funzione di interesse per l’assicurato viene sottolineata dalla giurisprudenza che ha interpretato la norma in chiave di tutela del contraente.
In tal senso si può in primis ricordare come la giurisprudenza abbia affermato che la manifestazione di una volontà contraria alla proroga può essere espressa anche in forma tacita.
In caso di controversia promossa dall’assicurato per l’accertamento dell’avvenuta disdetta alla naturale scadenza del contratto, onde evitarne la
proroga tacita di cui all’art. 1899, comma 2, c.c., la prova di tale disdetta
può essere fornita anche mediante la prova dell’esistenza di tempestive e
inequivoche manifestazioni tacite di volontà, evidenzianti un’intenzione
contraria alla prosecuzione del rapporto. Né può dirsi che allo scioglimen-
(5) Così Cass. 5 giugno 1985, n. 3353, in Giur. it., 1986, I, 1, 1370. Per la giurisprudenza di merito App. Milano 24 maggio 1994, in Nuova giur. civ. comm.,
1994, I, 613.
(6) Ricordiamo al riguardo che in base all’art. 193 del codice della strada “1. I veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli e i rimorchi, non possono essere posti in circolazione sulla strada senza la copertura assicurativa a norma delle vigenti disposizioni di legge sulla responsabilità civile verso terzi. 2. Chiunque circola
senza la copertura dell’assicurazione è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 841 a euro 3.287. 3. La sanzione amministrativa di cui
al comma 2 è ridotta ad un quarto quando l’assicurazione del veicolo per la responsabilità verso i terzi sia comunque resa operante nei quindici giorni successivi al termine
di cui all’art. 1901, secondo comma, del codice civile.”.
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to del rapporto per facta concludentia è di ostacolo l’assoggettamento del
contratto di assicurazione alla forma scritta ad probationem (7).
Una pratica invalsa nel mercato assicurativo era quella di ammettere la
proroga a condizioni diverse del contratto.
I giudici di pace sono intervenuti contro simili prassi ritenendole contrarie al dettato dell’art. 1899, a meno che la modifica delle condizioni, in
particolare del premio, sia giustificata dall’applicazione della clausola bonus malus (8).
La giurisprudenza di merito si è interessata anche della vessatorietà delle clausole di proroga che prevedano termini eccessivamente anticipati rispetto alla scadenza del contratto per dare disdetta. In tal modo, infatti, si
imporrebbe all’assicurato di dover ponderare entro un termine troppo anticipato rispetto alla scadenza naturale del contratto sull’opportunità di una
proroga dello stesso (9).
Talune prassi commerciali, poste in essere dall’assicuratore al fine di incidere sull’esercizio del diritto di recesso dell’assicurato, sono state oggetto
di alcune pronunce dell’AGCM (Autorità garante della concorrenza e del mercato) in applicazione della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette.
In base all’art. 20 cod. cons., come modificato dal d.lgs. 146/2007, è
vietata ogni pratica commerciale “contraria alla diligenza professionale (…)
(7) Così Cass. 29 maggio 2001, n. 7278, in Mass Foro it., 2001. In giurisprudenza si precisa però che le determinazioni delle parti in relazione al termine di inizio e di
fine degli effetti del contratto non ammettono modifica o risoluzione per determinati
comportamenti concludenti laddove, come di norma avviene, nel contratto detti comportamenti siano stati preventivamente ed espressamente qualificati dalle parti come
vicenda non in grado di rappresentare una tacita deroga al limite temporale stabilito per
l’esercizio del diritto potestativo di proroga. Così, in caso di individuazione del termine finale del contratto, l’eventuale incasso di premi da parte dell’assicuratore, oltre il
suddetto termine, non configura un comportamento concludente al fine di prorogare la
durata del contratto oltre i termini convenzionalmente stabiliti. In tal senso Trib. Arezzo 6 ottobre 2000, in Foro it., 2001, I, 1393, contra la giurisprudenza di merito anteriore. Trib. Como 3 aprile 1998, in Danno e resp., 1998, 575, con nota di CAPUTI, Cessazione della polizza assicurativa al settantesimo anno di età e incasso di premi oltre
il compimento, e, prim’ancora; Trib. Alessandria 14 maggio 1987, in Resp. civ. e prev.,
1988, 81, con nota critica di SCALFI, Condizione, «dies incertus» o termine all’esercizio del diritto di proroga? Considerazioni sulla non assicurabilità contro gli infortuni
dell’ultrasettantenne.
(8) Giudice di pace Napoli 5 febbraio 2003, in Dir. e giustizia, 2003, fasc. 15, 78.
(9) Cfr. App. Roma 7 maggio 2002, in Foro it., 2002, I, 2823, con nota di DE ROSAS - PALMIERI, Consumatori, contratti e difesa dalle vessazioni: gli ingranaggi cominciano faticosamente a girare.
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falsa, o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge
o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”.
In particolare l’AGCM avrebbe sanzionato la prassi di alcune compagnie e agenzie di inviare presso il recapito postale degli assicurati, in
prossimità della prima scadenza annuale successiva all’intervenuto scioglimento del contratto, avvisi di scadenza di polizza con indicazione degli importi dovuti a titolo di rata annuale del premio, corredati di moduli
prestampati da utilizzare per il versamento sul conto corrente postale dell’Agenzia (10).
In tal modo si finiva per sollecitare un’esecuzione del contratto dopo lo
scadere del suo termine finale, al fine di giustificare l’applicazione del meccanismo di “rinnovo tacito”, in violazione della libera determinazione del
consumatore che aveva pagato il premio nell’errato convincimento che questo fosse ancora dovuto.
È stata inoltre considerata scorretta la pratica adottata da alcuni assicuratori tesa a falsare la conoscenza da parte dei consumatori dei diritti loro
riconosciuti dalla legge Bersani (n. 7/2007) in tema di disdette da polizze
poliennali (11), incidendo, in misura apprezzabile, sul comportamento economico del consumatore medio rispetto alla esatta individuazione dei presupposti necessari per esercitare detta facoltà di recesso.
Veniamo quindi a considerare il divieto di rinnovo tacito previsto nel
decreto sviluppo bis.
4. IL NUOVO ARTICOLO 170 BIS DEL CODICE DELLE ASSICURAZIONI PRIVATE
Come anticipato, l’art. 22 intitolato “Misure a favore della concorrenza e della tutela del consumatore nel mercato assicurativo “ prevede, al fine di escludere il rinnovo tacito delle polizze assicurative per la responsabilità civile dei veicoli a motore e dei natanti, l’inserimento dell’art. 170 bis
intitolato “durata del contratto”, ove si prevede che il contratto di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile da circolazione dei veicoli a
motore e dei natanti ha durata annuale (o, su richiesta dell’assicurato, di anno più frazione) e si risolve automaticamente alla sua scadenza naturale sen-
(10) AGCM provv. 20158 / 2009, in Boll. 2009 ora in Jus, 2009, p. 3.
(11) AGCM provv. 19655 / 2009, in Boll. 2009; AGCM provv. 19501/2009, in
Boll. 2009.
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za possibilità di rinnovo tacito, in deroga all’articolo 1899, primo e secondo comma, del codice civile.
L’impresa di assicurazione è tenuta ad avvisare il contraente della scadenza del contratto dando un preavviso di almeno trenta giorni e a mantenere operante, fino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del contratto, la garanzia prestata con il precedente contratto assicurativo fino all’effetto della nuova polizza.
Tali disposizioni hanno effetto anche per i contratti in corso a far data
dal 1° gennaio 2013.
Nelle ipotesi di contratti in corso di validità alla data di entrata in vigore del decreto con clausola di tacito rinnovo, è fatto obbligo alle imprese di assicurazione di comunicare per iscritto ai contraenti la perdita
di efficacia delle clausole di tacito rinnovo con congruo anticipo rispetto
alla scadenza del termine originariamente pattuito nelle medesime clausole per l’esercizio della facoltà di disdetta del contratto. Siamo così in
presenza di un nuovo obbligo informativo avente ad oggetto contenuti di
legge (12).
5. ALCUNI PROBLEMI APPLICATIVI
La norma, contenuta nell’art. 170 bis prevede una serie di regole di condotta che prendono forma in obblighi di avviso della imminente scadenza
del contratto e, in caso di contratti in corso in cui sono previste clausole di
rinnovo tacito, anche di comunicazione della sopravvenuta “inefficacia” di
dette clausole.
Quali le conseguenze? La soluzione che ci pare più convincente e in linea con la giurisprudenza è quella di considerare tali obblighi come parte
del contenuto contrattuale integrato ex lege. La loro violazione darebbe quindi luogo a responsabilità per inadempimento.
In questa direzione muove la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite la quale, escludendo l’automatica applicazione del rimedio della nullità
virtuale per violazione di norma imperativa, osserva che “i doveri di comportamento in generale sono troppo immancabilmente legati alle circostanze
del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di va-
(12) Del tema ci siamo già occupati con riferimento all’erosione del mito della certezza della legge. Si rinvia al nostro Ius poenitendi nell’assicurazione sulla vita, in questa Rivista, 2000, I, 396.
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lidità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite” (13).
La Cassazione a Sezioni Unite, con specifico riguardo alle regola di
condotta operanti in corso di contratto, ritiene che in queste ipotesi si sia in
presenza di obblighi contrattuali il cui mancato adempimento darebbe luogo alle relative conseguenze civilistiche (14).
Quale il danno risarcibile? In caso di incidente dell’ “assicurato” rimasto scoperto, avendo dimenticato la scadenza dalla copertura in assenza dei
dovuti avvertimenti da parte dell’assicuratore, detto danneggiante potrebbe trovarsi di fronte ad una serie di conseguenze pregiudizievoli: sanzione
amministrativa per guida senza assicurazione obbligatoria e rivalsa del-
(13) Così Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, nn. 26724, 26725, in Foro it., Rep.
2007, voce Intermediazione finanziaria [3655], n. 147, ora in Foro it., 2008, I, con
nota di SCODITTI, La violazione delle regole di comportamento dell’intermediario finanziario e le Sezioni Unite. La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza Cass. 16 febbraio 2007, n. 3683, in Nuova giur. civ. comm., 2007, 999 con
nota di SALANITRO, Violazione delle norme di condotta nei contratti di intermediazione finanziaria e tecniche di tutela degli investitori: la prima sezione della Cassazione non decide e rinvia alle sezioni unite. Il contrasto giurisprudenziale concerneva appunto la questione “se la violazione degli obblighi gravanti sulle parti nel corso delle trattative contrattuali, ed in specie la violazione degli specifici obblighi di
informazione che la legge pone a carico degli intermediari finanziari nei confronti
dei propri clienti, determini la nullità dei successivi contratti per violazione di norma imperativa ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c.”.
Fondamentali sono sull’argomento i contributi di ROPPO, La tutela del risparmiatore tra nullità e risoluzione (a proposito di Cirio bond & tango bond), in Danno e
resp., 2005, 627 ss.; D’AMICO, Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, p. 99 ss.; ID., Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, I, 39; BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito: la responsabilità
per informazioni inesatte, in Contr. impr., 1991, 556 ss.; VETTORI, Anomalie e tutele
nei rapporti di distribuzione fra imprese. Diritto dei contratti e regole di concorrenza, Milano, 1983, p. 83.
(14) Osserva Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit. “la violazione dei doveri dell’intermediario riguardanti invece la fase successiva alla stipulazione del contratto d’intermediazione può assumere i connotati di un vero e proprio inadempimento (o non
esatto adempimento) contrattuale: giacché quei doveri, pur essendo di fonte legale, derivano da norme inderogabili e sono quindi destinati ad integrare a tutti gli effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti. Ne consegue che l’eventuale loro violazione, oltre
a generare eventuali obblighi risarcitori in forza dei principî generali sull’inadempimento contrattuale, può, ove ricorrano gli estremi di gravità postulati dall’art. 1455 c.c., condurre anche alla risoluzione del contratto d’intermediazione finanziaria in corso”.
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l’impresa designata che abbia risarcito il danneggiato dalla circolazione della vettura non assicurata (15).
Ancora tali avvertimenti nei loro contenuti devono essere limitati alla
funzione di ricordare all’assicurato della scadenza della polizza affinché
questi possa rivolgersi liberamente al mercato cercando l’offerta più rispondente ai propri interessi. Sarebbero allora da considerare pratiche commerciali scorrette quelle comunicazioni ai contraenti-consumatori che siano piuttosto volte a sollecitare la stipula di un contratto con il precedente
assicuratore, falsando la loro conoscenza delle disposizioni di legge ed inducendoli a ritenere, ad esempio, di avere un obbligo a proseguire il rapporto assicurativo con la medesima impresa (16).
Dal lato degli assicuratori la norma impone una riflessione in quanto incide anche sulla durata del contratto. Si prevede, infatti, che l’impresa sia tenuta “a mantenere operante, non oltre il quindicesimo giorno successivo alla
scadenza del contratto, la garanzia prestata con il precedente contratto assicurativo fino all’effetto della nuova polizza”. Questo importa un allungamento
della durata del contratto con incidenze sui profili microeconomici delle polizze in corso. Tale aspetto non potrà che determinare, insieme ai maggiori costi per l’intermediazione e per la gestione dei rapporti in atto (il riferimento è
ai nuovi obblighi di comunicazione ai clienti), un innalzamento dei premi.
Sul lato dell’innalzamento dei premi non si può dimenticare inoltre come il divieto di rinnovo tacito impedirà alle donne di poter contenere gli effetti dell’aumento dei premi dovuti alla sentenza Corte giust. UE 1° marzo
2011 la quale ha vietato alle imprese di assicurazione di discriminare i premi in ragione del sesso per i nuovi contratti. Varie le posizioni sulla possibile efficacia orizzontale della sentenza (17). Nel dubbio gli assicuratori
hanno proceduto ad un incremento dei premi delle polizze stipulate dalle
donne. Per le polizze rinnovate, però, come precisato dalla Commissione
(15) In base all’art. 283 cod. ass. in caso di veicolo non assicurato i danni sono risarciti dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, costituito presso la CONSAP. La
liquidazione dei danni per tali sinistri è effettuata a cura di un’impresa designata dall’IVASS. All’art. 292 è sancito il diritto dell’impresa designata ad agire in regresso nei
confronti dei responsabili del sinistro per il recupero dell’indennizzo pagato nonché dei
relativi interessi e spese. Cfr. P. PANARELLI, I sistemi di indennizzo, in Il nuovo codice
delle assicurazioni, in Commento sistematico, a cura di Amorosino - Desiderio, Milano, 2006, p. 534.
(16) V. supra nota 10.
(17) Cfr. M. FRIGESSI, Premi “unisex” vs tariffe differenziate nel settore assicurativo: la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea nel caso Test-Achats, in
questa Rivista, 2012, I, 3 ss.
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Divieto di rinnovo automatico e commercializzazione ecc.
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Europea, la sentenza non doveva spiegare effetti, ma il divieto di rinnovo
tacito impedirà alle donne di rinnovare, alle vecchie condizioni, polizze per
la responsabilità da circolazione dei veicoli a motore.
Accanto ai problemi interpretativi evidenziati che la norma pone, ci pare
che essa non potrà che spiegare in primis effetti sull’innalzamento dei premi.
Si esclude inoltre per le polizze contro la responsabilità civile automobilistica l’operatività di un meccanismo (il rinnovo tacito) che, per le ragioni dette, ha da sempre spiegato effetti anche nell’interesse dell’assicurato.
Che il meccanismo del rinnovo tacito sia da considerarsi anche in una logica di tutela degli interessi dell’assicurato lo si può percepire pure movendo
da una pronuncia che evidenzia un problema proprio della assicurazione obbligatoria ovvero l’opportunità degli assicuratori di cessare la prosecuzione di
taluni rapporti assicurativi e il correlato obbligo a contrarre.
Il Tribunale di Torino, con riguardo a un caso di mancato rinnovo di polizza della responsabilità civile automobilistica, affermava che la decisione
di una compagnia di assicurazioni, assunta nell’ambito della naturale
discrezionalità spettante alla stessa, per quanto attiene all’assunzione dei rischi, di non voler proseguire ulteriormente in quelli già assunti, ove fondata su una motivazione di carattere squisitamente “tecnico”, consequenziale
all’osservazione, in un determinato periodo, dello “sfavorevole andamento
del rapporto” tra il numero dei sinistri liquidati ed i premi assicurativi incamerati, corrispondenti alle polizze precedentemente stipulate, non integra un
comportamento vessatorio nei confronti dell’agente preposto al servizio e
del singolo utente del rapporto assicurativo. Né può ravvisarsi da parte della compagnia, che ha disdettato le polizze, l’automatica violazione dell’obbligo a contrarre, previsto ex lege, in quanto, all’assicurato è concessa la facoltà di individuare un’altra compagnia, oppure di insistere presso quella che
ha dato formale disdetta, invitandola a continuare nella prosecuzione del rapporto. Soltanto verificandosi tale ultima eventualità deve ritenersi sussistente a carico della medesima compagnia l’obbligo a contrarre (18).
Questa pronuncia evidenzia a nostro avviso come il rinnovo tacito abbia presentato problematicità anche per gli assicuratori e come meriti attenzione la lotta alle frodi pure nella fase di assunzione del rischio e anche
in ambito di assicurazione obbligatoria.
(18) Trib. Torino 31 gennaio 2006, in questa Rivista, 2006, II, 2, 181, con nota di
V. AMENDOLAGINE, La legittimità della disdetta intimata dall’assicuratore, fondata su
ragioni di antieconomicità derivanti da un’eccessiva sinistrosità sopravvenuta, ed il rispetto degli obblighi contrattuali e legali nei confronti dell’agente e del singolo utente del rapporto assicurativo.
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Il sistema dei controlli interni
nel settore assicurativo
DI
PAOLO MONTALENTI
Ordinario di Diritto commerciale
Università degli Studi di Torino
Sezione I
SOMMARIO: 1. Controlli interni e corporate governance. – 2. Principî di corretta amministrazione, adeguatezza degli assetti organizzativi, sistema di controllo interno. – 3. Il
concetto di controllo: i nuovi paradigmi. – 4. Controllo e vigilanza. – 5. Controllo diretto e controllo indiretto. – 6. Il sistema dei controlli interni: istituzione, valutazione e
vigilanza. – 7. La nuova disciplina della revisione legale (d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39)
e i controlli interni. – 8. Il coordinamento tra gli organi di controllo: il problema aperto. – 9. Il nuovo Codice di Autodisciplina e il sistema dei controlli.
Sezione II
– 10. Il settore assicurativo: indicazioni di sistema. – 11. Il sistema dei controlli interni
nel settore assicurativo: i principî generali. – 12. Il ruolo degli organi sociali nel settore
assicurativo. – 13. I componenti del sistema dei controlli interni. – 14. Cooperazione interorganica e controlli funzionali alla corretta gestione nel settore assicurativo. – 15. Gestione dei rischi e funzione di compliance. – 16. Gruppo assicurativo, presidio dei rischi,
sistema di controllo. – 17. Regole tecniche e regole giuridiche: riflessioni conclusive.
Sezione III
– 18. Proposte di riforma per una razionalizzazione del sistema dei controlli nelle società per azioni.
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Paolo Montalenti
Sezione I
1. CONTROLLI INTERNI E CORPORATE GOVERNANCE
I controlli interni nelle società di capitali rappresentano (1) uno dei pilastri fondamentali, se non l’architrave, della struttura della corporate governance negli ordinamenti dei Paesi industriali avanzati.
Dal Sarbane-Oxley Act – si pensi, in particolare, alle norme in tema di
Audit Committee (sec. 301) – al Dodd-Franck Act – si pensi alle rules in tema di “Strengthening Corporate Governance” (sec. 972) – il sistema statunitense ha rappresentato, sia pure con soluzioni suscettibili di valutazioni critiche per eterogenesi dei fini da eccesso di rigore (si pensi ai numerosi delisting), un punto di riferimento anche per gli ordinamenti europei.
Si pensi, ad esempio, alla disciplina dei non audit services nella l.
262/2005, mutuata, appunto, dal Sarbanes-Oxley Act.
In Italia la materia è stata oggetto di plurimi interventi (2): dalla separazione tra controllo di legalità e controllo contabile nelle società quotate,
(1) Le pagine che seguono sono in parte tratte dal mio ultimo contributo in argomento: Amministrazione e controllo nella società per azioni: riflessioni sistematiche e
proposte di riforma, in Riv. soc., 2013, 42, ss.; v. anche P. MONTALENTI, Società per
azioni, corporate governance e mercati finanziari, Milano, 2011, p. 159 ss. Segnalo alcuni lavori in cui ho precedentemente trattato il tema degli assetti organizzativi e del
sistema dei controlli: Consiglio di amministrazione e organi delegati: flussi informativi e responsabilità, in Le Società, 1998, 899 ss.; Corporate governance, consiglio di
amministrazione, sistemi di controllo interno: spunti per una riflessione, in Riv. soc.,
2002, 803 ss.; L’amministrazione sociale dal testo unico alla riforma del diritto societario, in AA.VV., La riforma del diritto societario, Giuffrè, Milano, 2003, p. 65 ss.; La
società quotata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, vol. IV, t. 2,
Cedam, 2004, p. 227 ss.; La responsabilità degli amministratori nell’impresa globalizzata, in Giur. comm., I, 2005, 435 ss.; Il sistema dei controlli interni nelle società di
capitali, in Le Società, 2005, 294 ss.; Gli obblighi di vigilanza nel quadro dei principî
generali sulla responsabilità degli amministratori di società per azioni, in Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Torino, 2006, Vol. 2, p. 832 ss.; Sui controlli societari: funzioni da semplificare, in Il Sole 24 ore, 27 novembre 2007; Organismo di vigilanza e sistema dei controlli, in Giur. comm., 2009, I, 643 ss.; Il sistema dei controlli interni: realtà e prospettive, in Riv. dir. comm., 2010, 935 ss. Il sistema dei controlli: profili generali, in N. ABRIANI, S. AMBROSINI, O. CAGNASSO, P. MONTALENTI, Le società per azioni, in Trattato Cottino, vol. V, 1, Padova, 2010, p. 691, anche per riferimenti.
(2) Cfr. P. MONTALENTI, S. AMBROSINI, Il controllo sulla gestione, in N. ABRIANI,
S. AMBROSINI, O. CAGNASSO, P. MONTALENTI, Le società per azioni, cit., p. 691 ss. e
già A. DE NICOLA, Il diritto dei controlli societari, ed. Il Sole 24 ore, Milano, 2010.
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con la l. 216/1974, all’introduzione della vigilanza sui principî di corretta
amministrazione e sull’adeguatezza degli assetti organizzativi in capo al
collegio sindacale di società quotate, con il testo unico della finanza nel
1998, all’estensione di poteri analoghi al collegio sindacale nelle non quotate con la riforma societaria del 2003, sino all’intervento sul comitato per
il controllo interno e la revisione contabile, di cui all’art. 19 d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 e alle modifiche in materia di organismo di vigilanza 231.
Il quadro si compone, poi, per le società quotate, di ulteriori tasselli normativi e regolamentari: si pensi alle competenze del collegio sindacale in
tema di regole di governo societario (art. 149, comma 1, lett. c-bis, t.u.f.) e
alle competenze del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili in materia di “adeguate procedure amministrative e contabili” per la
formazione del bilancio (art. 154-bis, comma 3, t.u.f.), introdotte dalla legge sulla tutela del risparmio (l. 28 dicembre 2005, n. 262), alle disposizioni regolamentari nei settori vigilati, al Comitato per il controllo interno previsto dal Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana, nella versione aggiornata del 2011.
È paradigmatico con quale attenzione, e costanza, operatori e studiosi stiano formulando quantomeno da un decennio riflessioni, valutazioni, proposte (3).
In argomento si vedano, altresì, sui temi generali, AA.VV., Controlli interni ed esterni
nelle società per azioni, Milano, 1972; ROOT, Beyond COSO. Internal control to enhance corporate governance, Hoboken (New York), 2000; M. BARALDI, A. PALETTA, M. ZANIGNI, Corporate governance e sistema di controllo interno, Milano, 2004; M. COMOLI, I
sistemi di controllo interno nella corporate governance, Milano, 2002; M.A. EISENBERG,
Corporations and Other Business organizations. Cases and Materials, 9a ed., New York,
2005, 199; S. AMBROSINI, L’amministrazione e i controlli nella società per azioni, in
AA.VV., La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, Torino, 2003, p. 71; R.
RORDORF, Il nuovo sistema dei controlli sindacali nelle società per azioni, in Foro it.,
1999, V, 242; AA.VV., Mercati finanziari e sistema dei controlli, Atti convegno CNPDS
- Fondazione Courmayeur, 1-2 ottobre 2004, Milano, 2005; CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI, Norme di comportamento del collegio sindacale, 1° gennaio 2012, reperibile sul sito; AA.VV., Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Torino, 2010; C. ANGELICI, Su mercato finanziario, amministratori e
responsabilità, in Riv. dir. comm., 2010, I, 1 ss., specie 3-11; P. MONTALENTI, Società per
azioni, corporate governance e mercati finanziari, cit., p. 159 ss.; F. GRANDE STEVENS,
Controlli interni e responsabilità nelle società di capitali, in Dir. fall., I, 251 ss.
(3) Cfr. AA.VV., a cura di ASSONIME, I controlli societari. Molte regole nessun sistema, Milano, 2009. Cfr. OSSERVATORIO DEL DIRITTO SOCIETARIO, Il sistema dei controlli
societari: una riforma incompiuta?, ed. Il Sole 24 ore, 2008; ID.; Il sistema dei controlli interni nelle società quotate: i risultati di una ricerca, ed. Il Sole 24 ore, 2010.
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E in questo quadro, legislativo e tecnico, si innestano la disciplina del
modello di prevenzione dei reati ex d.lgs. 231/2001 (4) e delle procedure
antiriciclaggio introdotte dal d.lgs. 21 novembre 2007 (5).
2. PRINCIPÎ
DI CORRETTA AMMINISTRAZIONE, ADEGUATEZZA DEGLI ASSETTI OR-
GANIZZATIVI, SISTEMA DI CONTROLLO INTERNO
Per inquadrare correttamente i complessi problemi che la materia suscita, si deve prendere le mosse dalla riforma del diritto societario (6).
La riforma del 2003 ha elevato, come è noto, i principî di corretta amministrazione a clausola generale di comportamento degli amministratori,
prima espressamente contemplata soltanto per le società quotate [arg. ex art.
149, lett. b) t.u.f.] (7).
Il rispetto delle regole, anche tecniche, elaborate dalla prassi e dalle
scienze aziendali, e non solo giuridiche, di buona gestione è oggi, dunque,
norma di diritto comune.
Inoltre il paradigma degli assetti organizzativi adeguati (8), assurge a
canone necessario di organizzazione interna dell’impresa, sul piano gestionale, amministrativo e contabile, e, conseguentemente, a direttrice fisiolo-
(4) Mi permetto di rinviare, anche per i riferimenti, a due contributi che ho dedicato all’argomento: P. MONTALENTI, Organismo di vigilanza e sistema dei controlli, in
Giur. comm., 2009, I, 643 ss.; ID., Organismo di vigilanza 231 e gruppi di società, in
AGE, 2009, 383 ss. Vedi anche ID., L’organismo di vigilanza ex d.lgs. 231/2001, in N.
ABRIANI, S. AMBROSINI, O. CAGNASSO, P. MONTALENTI, Le società per azioni, cit., p. 842
ss. In argomento vedi ora AA.VV., D.lgs. 23: dieci anni di esperienza nella legislazione e nella prassi, in Società, Gli speciali, 2011.
(5) Sul punto mi permetto di rinviare al mio Corporate governance, sistema dei
controlli e procedure antiriciclaggio, in AA.VV., Riciclaggio e corruzione: prevenzione e controllo tra fonti interne e internazionali, Atti del Convegno CNPDS-Fondazione Courmayeur, 28-29 settembre 2012, Milano, 2013, p. 79 ss.
(6) Ho trattato questi temi in Società per azioni, corporate governance e mercati
finanziari, cit., p. 159 ss. (da cui traggo, in parte, i paragrafi 2-5).
(7) Lo si evince dalla previsione di un obbligo specifico di vigilanza sul rispetto di
tali principî in capo agli organi di controllo, anche se, a mio parere per un difetto di
coordinamento, la statuizione espressa si rinviene soltanto per il collegio sindacale (art.
2403) e per il consiglio di sorveglianza [(art. 2409-octiesdecies, comma 1, lett. c)], ma
non per il comitato per il controllo sulla gestione (cfr. art. 2409-octiesdecies).
(8) Sull’argomento si veda, per tutti, P. MONTALENTI, Commento sub art. 2381, in
Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino e al., vol. 1, Bologna, 2004, p. 682; M. IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, 2005.
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gica dell’attività, strumento di tracciabilità dei processi, criterio di valutazione della responsabilità di amministratori, dirigenti e controllori.
Segmento, e fulcro, degli assetti organizzativi adeguati è il sistema di
controllo interno, che costituisce lo snodo cruciale dell’articolazione del
potere d’impresa e delle regole di responsabilità.
L’obbligatorietà del sistema di controllo interno deve essere riconosciuta come principio di diritto societario comune in quanto elemento necessario ai fini dell’adeguatezza della struttura organizzativa della società, sia pure con caratteri di maggiore o minore complessità in ragione della dimensione e della tipologia dell’impresa. Resta fermo, in ogni caso, che
per la società quotata su mercati regolamentati l’obbligatorietà del sistema
di controllo interno è espressamente prevista dal legislatore del testo unico
[arg. ex art. 149, comma 1, lett. c), t.u.f. e art. 149, comma 4-bis] (9).
Ma una riflessione critica sulla materia, e in particolare sulle recenti riforme, richiede qualche considerazione sistematica di ordine più generale.
3. IL CONCETTO DI CONTROLLO: I NUOVI PARADIGMI
La partizione concettuale tradizionale in tema di controllo – controllo
di legalità (formale e sostanziale), controllo di merito – merita una rivisitazione sistematica.
Il controllo di merito, e cioè il controllo sull’opportunità e la convenienza economica dell’attività (più che dei singoli atti) di gestione, spetta
ai soci nei confronti del consiglio di amministrazione e a quest’ultimo, come plenum, nei confronti dei delegati. Si tratta di un controllo in forma di
potere di indirizzo, di condizionamento e anche di contrapposizione antagonistica, con la revoca dell’amministratore o della delega, non già di sor-
(9) L’obbligatorietà del controllo interno nel sistema monistico è invece prevista, come
si è detto, in via generale per tutte le società: pertanto l’esclusione dell’applicazione della
lett. c) dell’art. 149 t.u.f. al comitato per il controllo della gestione stabilita dal comma 4-ter
del medesimo articolo è, a ben vedere, impropria, perché la vigilanza sul sistema di controllo
interno nel sistema monistico da parte del comitato di controllo sulla gestione è prevista dall’art. 2409-octiesdecies, comma 5, lett. b), la cui applicazione nelle quotate non è esclusa,
come si evince dall’art. 154 t.u.f., ai sensi del quale al comitato per il controllo sulla gestione delle società per azioni quotate non si applicano soltanto gli artt. 2399, comma 1, e 2409septies c.c.; dal che discende che l’art. 2409-octiedecies trova, invece, applicazione.
Un puzzle normativo vagamente barocco, dal quale si evince, in definitiva, che per
tutte le società quotate, quale che sia il modello di governance adottato, l’istituzione del
sistema di controllo interno è sempre obbligatoria.
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veglianza e verifica in funzione di eventuali iniziative sul terreno della responsabilità.
Infatti il merito della gestione, e cioè il contenuto delle scelte manageriali è assistito – il punto è pacifico anche nel nostro ordinamento – dalla
c.d. business judgment rule: le operazioni gestorie degli amministratori non
sono sindacabili, né dal collegio sindacale, né dal comitato audit, né dai revisori, né dal giudice se non in caso di manifesta irrazionalità oppure di palese assenza di procedimenti di valutazione dei profili economici, finanziari, tecnici dell’operazione (ma allora, a rigore, per violazione delle regole di corretta gestione) (10).
Categoria a sé stante è, invece, il controllo sul rispetto dei principî di
corretta amministrazione, la verifica, cioè dell’osservanza delle regole tecnico-aziendalistiche – istruttorie, procedurali, decisionali – che concretano
la diligenza professionale del buon amministratore (cfr. art. 2392, nuovo testo, c.c.). Controlli che sono affidati, con compiti differenziati, sia all’organo di gestione come plenum sia all’organo di controllo (cfr. art. 2381,
comma 3, art. 2403, comma 1, art. 149, comma 1, t.u.f.; art. 149, comma 4bis e comma 4-ter, t.u.f.).
Il controllo sui principî di corretta amministrazione è strettamente collegato al controllo sull’adeguatezza degli assetti organizzativi, cioè il controllo sull’idoneità dell’intero sistema di funzionigramma e di organigramma e in particolare del sistema procedurale di controllo, dal monitoraggio
dei rischi (c.d. funzione di risk management) alla verifica del rispetto delle regole, primarie e secondarie (c.d. funzione di compliance).
In conclusione il concetto di controllo (11) pare oggi doversi più analiticamente scomporre in (i) controllo di merito (ii) controllo di correttezza
gestionale e di adeguatezza organizzativa (iii) controllo di legalità formale e sostanziale (12).
(10) Sul punto si veda, tra le decisioni più recenti, Cass. 12 agosto 2009, n. 18231,
in Diritto & Giustizia, 2009; cfr. anche A. ZANARDO, Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nella società per azioni, Padova, 2010, p. 219 ss.
(11) Sulla pluralità di significati del concetto di controllo si veda P. FERRO-LUZZI,
Controllo: organi, funzioni e attività, in AA.VV., I controlli societari. Molte regole
nessun sistema, cit., p. 115 ss.; ID., Riflessioni in tema di controllo, in Diritto, mercato
ed etica. Dopo la crisi, Omaggio a Piergaetano Marchetti, Milano, 2010, p. 309 ss.
(12) Un esempio può chiarire la rilevanza applicativa delle diverse categorie così
come ricostruite, in un tentativo di inquadramento sistematico.
Si pensi ad una operazione di acquisizione di una partecipazione di controllo di società estera da parte di una società italiana.
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Un assunto deve essere in ogni caso ribadito con chiarezza: il controllo si emancipa dall’accezione tradizionale di “verifica ex post” (derivato del
diritto amministrativo) e si evolve in elemento coessenziale dell’esercizio
dell’impresa e del potere amministrativo (13).
In altri termini il controllo non è estrinseco ma intrinseco alla funzione
gestoria; in chiave assiologica la nozione dovrebbe evolvere da una concezione del controllo come “costo” all’idea del controllo come “opportunità”.
Di là dalla singolarità della formulazione legislativa – “il comitato ... si
identifica con ...” – ritengo che le nuove disposizioni non abbiano introdotto
un nuovo organo, ma abbiano, per contro, ampliato (o precisato) le funzioni
dell’organo di controllo (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza – o comitato costituito al suo interno, comitato per il controllo sulla gestione).
Si deve poi osservare che diverse competenze introdotte con la riforma,
ancorché apparentemente “nuove” sono, a mio parere, ricomprese, pressoché in toto, nelle funzioni degli organi di controllo.
Il controllo di merito concerne la convenienza dell’operazione, in termini di espansione del mercato, di redditività immediata o di redditività prospettica.
Il controllo di legalità si appunterà sul rispetto delle normative interne (legislazione antitrust, regolamento su operazioni con parti correlate, eventuali maggioranze
statutarie qualificate, poteri di rappresentanza, ecc.) e dell’ordinamento straniero (normativa sugli investimenti esteri, legislazione sui take-over, normativa fiscale ecc.).
Il controllo di correttezza dovrà verificare se siano state adottate le procedure informative e istruttorie tipiche in questa categoria di operazioni (perizie di merchant
bank indipendenti, financial planning, due diligence e così via).
Il controllo di efficienza e di efficacia dovrà valutare quale sia l’impatto dell’acquisizione sulla struttura dell’impresa (razionalizzazione di funzioni, sinergie, integrazioni sistemiche ecc.).
E i diversi organi dovranno esercitare la propria funzione di controllo in forma diretta – così, ad esempio, l’amministratore delegato; in forma di valutazione decisionale – così il consiglio di amministrazione se l’operazione è di competenza collegiale –
oppure di informazione, anche attiva, in caso di competenza degli esecutivi; in forma
di vigilanza, se del caso ispettiva, dell’organo di controllo; di supervisione informativa sul rispetto delle regole di correttezza da parte del comitato audit di amministratori
indipendenti.
(13) Così, con chiara intuizione, P. FERRO-LUZZI, Controllo: organi, funzioni e attività, in AA.VV., I controlli societari. Molte regole nessun sistema, cit., p. 115 ss.; ID.,
Riflessioni in tema di controllo, in Diritto, mercato ed etica. Dopo la crisi, Omaggio a
Piergaetano Marchetti, a cura di Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2010, p. 309 ss. E
vedi ora, in questa puntuale direzione, il Codice di Autodisciplina, Art. 8. Sindaci, che
sottolinea il “compito di vigilanza anche preventiva e non meramente ex post” del collegio sindacale e la sua non “estraneità rispetto all’organizzazione societaria”.
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Ad esempio la vigilanza sul “processo di informativa finanziaria” è, a
ben vedere, una specificazione del controllo sul rispetto della legge, delle regole di correttezza gestionale e dell’adeguatezza degli assetti organizzativi.
La vigilanza sull’“efficacia del sistema di controllo interno, di revisione interna, se applicabile e di gestione del rischio”, in ragione di quanto
poco sopra argomentato, ben può ritenersi ricompresa – ancorché utilmente precisata come competenza espressa – nella vigilanza sugli assetti organizzativi, di cui controllo interno e gestione del rischio costituiscono un segmento procedurale, di complessità graduata in ragione delle caratteristiche
dimensionali e operative dell’impresa.
Per quanto riguarda poi la vigilanza sull’indipendenza del revisore, con
particolare riferimento ai non audit services, può dirsi, nuovamente, che si
tratta del controllo su di una, sia pur specifica, disposizione di legge: la novità della disposizione consiste, quindi, nell’imporre una verifica precisamente individuata nell’oggetto, che può, allora, richiedere atti di ispezione
espressamente dedicati.
Il punto più critico è, a mio parere, rappresentato dalla funzione di vigilanza su “la revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati”.
Ritengo che l’interpretazione della nuova disposizione debba essere rigorosamente restrittiva e che non possa dunque reputarsi surrettiziamente
reintrodotta una competenza contabile in capo al collegio sindacale.
In altre parole l’organo di controllo dovrà sì esercitare una vigilanza
specifica in materia, ma limitandosi ad una supervisione sintetica e meramente procedurale sulla conduzione dell’attività di revisione.
Si tratta, in ogni caso, di materia che richiede, a mio avviso, come preciserò nelle conclusioni, un’opportuna revisione legislativa.
4. CONTROLLO E VIGILANZA
Si deve altresì distinguere tra controllo e vigilanza (14).
I due concetti non sono, a mio parere coestensivi. Il controllo evoca strumenti di verifica più pervasivi; di contro, la vigilanza deve essere intesa come attività di sorveglianza generale e, di regola, indiretta. Si pensi, ad esempio, alla funzione di internal auditing ripartita tra amministratore delegato,
con funzioni, dunque, di controllo in senso proprio e presidente, con funzioni, dunque, di supervisione sintetica.
(14) Sottolinea la rilevanza della distinzione B. LIBONATI, Noterelle a margine dei
nuovi schemi di amministrazione della società per azioni, in Riv. soc., 2008, 299.
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Deve peraltro rilevarsi che il legislatore predica allo stesso verbo oggetti diversi che caratterizzano, con declinazioni diverse, la condotta.
Ad esempio il collegio sindacale “vigila” sull’“osservanza” della legge e dello statuto [art. 2403 c.c.; art. 149, comma 1, lett. a), t.u.f.], mentre
il consiglio di amministrazione (nelle quotate) “vigila” sul “rispetto effettivo” delle procedure (art. 154-bis, comma 4, t.u.f.): espressione, quest’ultima, che sembra evocare un controllo più pervasivo.
Gli organi delegati, invece, e il dirigente preposto, “attestano” anche
“l’effettiva applicazione”: espressione che pare alludere ad un controllo ancor più immediato e diretto.
In conclusione credo che si possa affermare che – pur nelle inevitabili
contiguità – le categorie logico-giuridiche elaborate dal legislatore e dalla
dottrina possano trovare, se razionalizzate, pratica applicazione nell’operatività ancorché sempre più complessa dell’impresa.
5. CONTROLLO DIRETTO E CONTROLLO INDIRETTO
La distinzione tra controllo e vigilanza e le altre subfattispecie ora segnalate evocano poi un’ulteriore partizione che non trova un riferimento
normativo specifico ma che ha una rilevanza cruciale nella realtà operativa
dei controlli, ovvero la suddivisione del controllo tra controllo diretto e controllo indiretto. Una bipartizione che incrocia trasversalmente organi e funzioni e che vede però, nella tipologia economico-sociale, la netta prevalenza dei controlli indiretti sui controlli diretti.
Ciò deriva, è indubbio, anche dalla oggettiva complessità della grande
impresa moderna nella quale il potere di amministrazione, sia pure gerarchicamente organizzato, è fortemente articolato e diffuso, per cui ben si può
affermare che anche la “direzione suprema degli affari” si estrinseca, da un
lato, in linee direttrici generali, dall’altro nella verifica dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione di altri soggetti (organi delegati, alta dirigenza, managers, responsabili di settore, amministratori di società controllate ecc.).
Analogo fenomeno si verifica nelle procedure di controllo per cui molte istanze procedono non già ad atti di ispezione e di controllo diretto bensì ad atti di accertamento presso le “istanze inferiori” volti a verificare il
corretto svolgimento delle procedure di controllo e l’adeguatezza degli assetti organizzativi di cui le procedure stesse sono parti integranti.
L’amministratore delegato riceve i report del preposto al sistema di controllo interno, questi le informazioni dai propri sottoposti, il consiglio di
amministrazione – per effettuare la valutazione di adeguatezza – le “attestazioni di conformità” degli organi delegati, “validate” dal preposto al con-
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trollo interno e dal collegio sindacale, che sugli assetti organizzativi deve
vigilare con atti di ispezione sì ma, anch’esso, prevalentemente, attraverso
un’attività di sorveglianza indiretta.
In conclusione il sistema si presenta come una sorta di “piramide rovesciata” che ricomprende l’insieme delle funzioni di controllo indiretto e che
poggia sul vertice, anch’esso rovesciato, dei controlli diretti su cui si regge, in definitiva, l’intera architettura.
I controlli indiretti, proprio perché molteplici articolati e diffusi, contengono in sé maggiori risorse di feedback e quindi di “autocorrezione”, ma,
proprio perché si fondano sui controlli diretti (i c.d. “controlli di linea”) rischiano anch’essi un “default a catena”, in caso di carenza o di inefficacia
di questi e richiedono quindi un apposito presidio attraverso l’istituzione di
un sistema di “controllori dei controllori”.
6. IL SISTEMA DEI CONTROLLI INTERNI: ISTITUZIONE, VALUTAZIONE E VIGILANZA
Se, come si è osservato, il sistema di controllo interno è parte, e nel contempo elemento essenziale degli assetti organizzativi, dalle disposizioni del
modello-base di amministrazione e controllo si evincono le regole sul controllo del sistema di controllo interno:
(i) gli organi delegati curano che l’assetto, organizzativo, amministrativo e contabile – e quindi anche il anche il sistema di controllo come parte di esso – sia adeguato alla natura e alla dimensione dell’impresa (art.
2381, comma 5);
(ii) il consiglio di amministrazione ne valuta l’adeguatezza sulla base
delle informazioni ricevute (art. 2381, comma 5);
(iii) il collegio sindacale (art. 2403, comma 1), o il consiglio di sorveglianza [art. 2409-terdecies, comma 1, lett. c)] o il comitato per il controllo sulla gestione [art. 2409-octiesdecies, comma 5, lett. b)] vigilano sull’adeguatezza;
(iv) il dirigente preposto alla relazione dei documenti contabili societari “predispone adeguate procedure amministrative e contabili per la
formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto dal bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario” (art.
154 bis, t.u.f.).
In conclusione la verifica sull’adeguatezza della struttura organizzativa, amministrativa e contabile, e quindi sul sistema di controllo interno, che,
sia pure con maggiore o minore complessità, in ragione della natura e della
dimensione dell’impresa, ne è articolazione necessaria, è oggi compito espressamente assegnato sia al consiglio di amministrazione come plenum sia al-
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l’organo di controllo, anche se con tipologie di controllo diverse, di valutazione, il primo, di vigilanza, anche con atti ispettivi, il secondo.
La distinzione va rimarcata con particolare evidenza. L’organo di controllo ha poteri-doveri di ispezione, di accesso alla documentazione, di confronto diretto con la struttura aziendale.
L’amministratore senza deleghe, ex art. 2381, comma 6, c.c. può richiedere soltanto in consiglio informazioni ulteriori ma non può – né deve
– compiere atti ispettivi o qualsiasi atto di controllo diretto (15).
La summa divisio, chiara nei suoi confini, si riflette significativamente
sul piano delle responsabilità, vuoi civilistiche vuoi amministrative (i.e.: le
sanzioni delle Authorities).
7. LA NUOVA DISCIPLINA DELLA REVISIONE
N. 39) E I CONTROLLI INTERNI
LEGALE (D.LGS.
27
GENNAIO
2010,
Il legislatore, nell’intervento legislativo di attuazione della Direttiva Comunitaria in materia di revisione legale dei conti ha invece reso più complesso il quadro ora delineato, sotto il profilo dei rapporti tra il collegio sindacale e il comitato per il controllo interno (ora anche “di gestione dei rischi”) previsto, per le società quotate, dal Codice di Autodisciplina (16).
Infatti il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, che ha dato attuazione alla Direttiva 2006/43/CE relativa alla revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati, ha dettato una disposizione specifica in tema di controllo interno.
L’art. 19 ha stabilito che nei cosiddetti “enti di interesse pubblico”, e
cioè oltre alle società quotate, banche, imprese di assicurazione, SGR, SIM,
SICAV, ecc. (cfr. art. 16 d.lgs. 39/2010) deve essere istituito un apposito
(15) In senso contrario pare orientato B. LIBONATI, op. cit., p. 304. P. FERRO-LUZZI,
L’esercizio dell’impresa tra amministrazione e controllo, in AGE, 2007, p. 239, ricorda
però, esattamente, come “la riforma si sia, meritoriamente, ... preoccupata di distinguere,
ovviamente ove delega vi sia, tra amministratori con delega, in sostanza che gestiscono,
e amministratori senza delega, e di proteggere questi ultimi” anche se, a suo parere, “forse fin troppo”. Nel senso del testo, già ante riforma, anche A. GAMBINO, Sui poteri individuali dei componenti il consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo della società per azioni, in Studi in onore di Gastone Cottino, I, Torino, 1997, p. 641 ss.
(16) Sul tema vedi ora, con plurime consonanze con quanto sostenuto in questo
scritto, N. ABRIANI, L’organo di controllo (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza,
comitato per il controllo della gestione), in Atti del convegno della Fondazione CESIFIN, Corporate Governance e “sistema dei controlli” nella s.p.a., Firenze, 14-15 aprile 2011, Torino, 2013, p. 95 ss.
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organo definito “comitato per il controllo interno e la revisione contabile”.
A questo organo è espressamente attribuita la funzione di “vigilanza su: a)
il processo di informativa finanziaria; b) l’efficacia dei sistemi di controllo interno, di revisione interna, se applicabile, e di gestione del rischio; c)
la revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati; d) l’indipendenza del revisore legale o della società di revisione legale, in particolare
per quanto concerne la prestazione di servizi non di revisione all’ente sottoposto alla revisione legale dei conti”.
Dal dato testuale del secondo comma del medesimo articolo si evince
che, in realtà, non di un nuovo organo si tratta bensì di un’estensione dei
poteri dell’organo di controllo (17). Di là dalla singolarità della formulazione legislativa – “il comitato ... si identifica con ...” – ritengo che le nuove disposizioni non abbiano introdotto un nuovo organo, ma abbiano, per
contro, ampliato (o precisato) le funzioni dell’organo di controllo (collegio
sindacale, consiglio di sorveglianza – o comitato costituito al suo interno –
comitato per il controllo sulla gestione).
Si deve poi osservare che diverse competenze introdotte con la riforma,
ancorché apparentemente “nuove” sono, a mio parere, ricomprese, pressoché in toto, nelle funzioni degli organi di controllo.
Ad esempio la vigilanza su il “processo di informativa finanziaria” è, a
ben vedere, una specificazione del controllo sul rispetto della legge, delle regole di correttezza gestionale e dell’adeguatezza degli assetti organizzativi.
La vigilanza sull’“efficacia del sistema di controllo interno, di revisione interna, se applicabile e di gestione del rischio”, in ragione di quanto
poco sopra argomentato, ben può ritenersi ricompresa – ancorché utilmente precisata come competenza espressa – nella vigilanza sugli assetti organizzativi, di cui controllo interno e gestione del rischio costituiscono un segmento procedurale, di complessità graduata in ragione delle caratteristiche
dimensionali e operative dell’impresa.
Per quanto riguarda poi la vigilanza sull’indipendenza del revisore, con
particolare riferimento ai non audit services, può dirsi, nuovamente, che si
tratta del controllo su di una, sia pur specifica, disposizione di legge: la novità della disposizione consiste, quindi, nell’imporre una verifica precisa-
(17) La norma stabilisce, infatti, che il comitato per il controllo interno e la revisione contabile “si identifica”, nel modello tradizionale, con il collegio sindacale, nel
modello dualistico con il consiglio di sorveglianza a meno che ad esso siano attribuite
funzioni strategiche [art. 2409-terdecies, comma 1, lett. f-bis)], nel qual caso il comitato deve essere costituito al suo interno; nel sistema monistico con il comitato per il
controllo sulla gestione.
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mente individuata nell’oggetto, che può, allora, richiedere atti di ispezione
espressamente dedicati.
Il punto più critico è, a mio parere, rappresentato dalla funzione
di vigilanza su “la revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati”.
Ritengo che l’interpretazione della nuova disposizione debba essere rigorosamente restrittiva e che non possa dunque reputarsi surrettiziamente
reintrodotta una competenza contabile in capo al collegio sindacale.
In altre parole l’organo di controllo dovrà sì esercitare una vigilanza
specifica in materia, ma limitandosi ad una supervisione sintetica e meramente procedurale sulla conduzione dell’attività di revisione.
8. IL COORDINAMENTO TRA GLI ORGANI DI CONTROLLO: IL PROBLEMA APERTO
Il problema del coordinamento tra organi e funzioni è questione strettamente connessa al tema delle sovrapposizioni ed è meritevole di specifica considerazione.
Gli operatori si chiedono, infatti, come coordinare l’intero meccanismo
dei controlli e cioè i rapporti tra funzioni (le diverse fattispecie di controllo)
e i diversi organi ad esse deputati (sindaci, revisori, amministratori indipendenti, amministratori di minoranza, leading indipendent director, comitato
audit, preposto al controllo interno, responsabile dei documenti contabili, organismo di vigilanza, responsabile antiriciclaggio, ecc.). Problema che si acuisce nei settori vigilati – banche e assicurazioni – ove si aggiungono le norme
speciali, primarie e secondarie, e le Istruzioni dell’Organo di vigilanza.
Nel settore assicurativo, ad esempio, il problema è stato, come si dirà
poco oltre, espressamente affrontato.
9. IL NUOVO CODICE DI AUTODISCIPLINA E IL SISTEMA DEI CONTROLLI
Il 5 dicembre 2011 è stato varato il nuovo Codice di Autodisciplina di
Borsa Italiana.
Con riferimento alla precedente versione avevo segnalato le difficoltà
di individuazione di un ruolo autonomo del Comitato Audit rispetto al Comitato di controllo interno incarnato ex d.lgs. 39/2010 nel collegio sindacale (o nell’organo di controllo equivalente) (18).
(18) Cfr. P. MONTALENTI, Società per azioni, corporate governance e mercati finanziari, cit., p. 174 ss.
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Il nuovo Codice, anche sulla base di attente analisi e indicazioni propositive (19), apporta un significativo contributo in questa materia, fornendo una prima soluzione ai problemi di sovrapposizione e di coordinamento che il “reticolo” dei controlli imponeva, come da tempo ebbi modo di
sottolineare (20).
Il Codice, nella sua nuova versione, precisa, anzitutto, che il sistema di
controllo interno è anche sistema di gestione dei rischi (21), focalizzando così molto opportunamente e in coerenza con le indicazioni comunitarie l’oggetto primario delle procedure e delle strutture organizzative di monitoring.
Si prescrive altresì che il sistema sia “integrato nei più generali assetti
organizzativi e di governo societario”. La precisazione non è meramente
lessicale ma esprime per contro la necessità che il sistema di controllo non
sia una procedura organizzativa “a latere” o “ex post” bensì un elemento
coordinato e omogeneo all’intero assetto organizzativo dell’impresa. Il sistema si emancipa una concezione per così dire “sanzionatoria” per configurarsi invece come elemento della “condivisione dell’impresa coerente
con gli obiettivi aziendali” e come strumento di attuazione del principio di
corretta gestione, sotto il profilo della completezza informativa e procedurale che, ci estrinseca nella “assunzione di decisioni consapevoli”.
(19) Si veda, in particolare, ASSONIME, Alcune proposte in materia di controlli societari, in Riv. soc., 2011, 1298 ss.
(20) Sia consentito il rinvio ad alcuni tra i miei scritti in cui mi sono soffermato particolarmente sul tema: Il sistema dei controlli interni nelle società di capitali, in Le Società, 2005, 294 ss.; Sui controlli societari funzioni da semplificare, Il Sole 24 ore, 27
novembre 2007, p. 37; Il sistema dei controlli interni: profili critici e prospettive, in Riv.
dir. comm. 2010, I, 935; I controlli societari: recenti riforme antichi problemi, cit., p.
535 e ora anche in Società per azioni, corporate governance e mercati finanziari.
(21) Il principio 7.P.1. è così formulato: “Ogni emittente si dota di un sistema di
controllo interno e di gestione dei rischi costituito dall’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte a consentire l’identificazione, la misurazione, la gestione e il monitoraggio dei principali rischi. Tale sistema è integrato nei più
generali assetti organizzativi e di governo societario adottati dall’emittente e tiene in
adeguata considerazione i modelli di riferimento e le best practices esistenti in ambito
nazionale e internazionale”.
Il principio 7.P.2. del Codice di Autodisciplina scolpisce con chiarezza la funzione del controllo: “Un efficace sistema di controllo interno e di gestione dei rischi contribuisce a una conduzione dell’impresa coerente con gli obiettivi aziendali definiti dal
consiglio di amministrazione, favorendo l’assunzione di decisioni consapevoli. Esso
concorre ad assicurare la salvaguardia del patrimonio sociale, l’efficienza e l’efficacia
dei processi aziendali, l’affidabilità dell’informazione finanziaria, il rispetto di leggi e
regolamenti nonché dello statuto sociale e delle procedure interne”.
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Le diverse funzioni coinvolte – “l’amministratore incaricato del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi”, il comitato controllo e rischi, il responsabile della funzione di internal audit, gli altri ruoli e funzioni
aziendali, il collegio sindacale – sono espressamente contemplate con una
puntuale specificazione dei ruoli.
Si consente la composizione del comitato con amministratori non esecutivi, in maggioranza indipendenti, ma la regola primaria, se pur derogabile, è ora nel senso che gli amministratori sono tutti indipendenti.
Il comitato deve rendere un “parere” sull’intero sistema e, oltre ad assolvere compiti di valutazione e di informazione (cfr. 7. c.1.) “valuta” – ecco la novità – con cadenza almeno annuale il piano di lavoro predisposto
dal responsabile della funzione di internal audit e ne “monitora l’autonomia, adeguatezza, efficacia ed efficienza”.
L’amministratore incaricato verifica l’evoluzione del sistema, può chiedere verifiche ad hoc e riferire tempestivamente al comitato problemi e criticità.
Il Codice contiene una nuova disposizione di significativo valore sia sistematico sia operativo disponendo che “l’emittente prevede modalità di
coordinamento tra i soggetti sopra elencati al fine di massimizzare l’efficienza del sistema di controllo interno e di gestione dei rischi e di ridurre
le duplicazioni di attività”.
Si vuole così molto opportunamente indicare la strada per tentare di superare, attraverso – riterrei – un apposito regolamento, il problema che abbiamo ampiamente sviscerato del coordinamento tra organi e delle duplicazioni dei compiti.
In fondo la conoscenza in concreto delle realtà aziendale può condurre
a superare quelle inefficienze da sovrapposizioni e quelle aporie da reticolo (di contro alle sinergie di sistema) di cui il legislatore primario non si è,
ad oggi, fatto carico. Una risposta – in definitiva – efficace.
Sezione II
10. IL SETTORE ASSICURATIVO: INDICAZIONI DI SISTEMA
In questo quadro si innesta il Regolamento ISVAP 26 marzo 2008, n.
20, come modificato dal Provvedimento ISVAP 8 novembre 2012, n.
3020, che disciplina la materia con particolare analiticità, collegando
strettamente – in tema di controlli interni, di componenti del sistema,
di flussi informativi, di gestione dei rischi, di esternalizzazione – le
regole aziendalistiche con i precetti normativi (22) e affronta con una
disposizione specifica (art. 17), il tema – di rilievo sistematico gene-
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rale – del coordinamento tra organi di controllo affidato ad un regolamento del consiglio di amministrazione.
Più precisamente la norma ha anticipato il Codice di Autodisciplina (23) prevedendo espressamente che “l’organo amministrativo definisce e formalizza i collegamenti tra le varie funzioni a cui sono attribuiti compiti di controllo (24)”.
La norma rinvia dunque alla autonomia privata la soluzione di uno dei
problemi più delicati in materia di amministrazione e controllo, area del diritto societario su cui incombe il grave interrogativo se la pluralità di istanze di controllo stimoli sinergie virtuose o produca invece inefficienti sovrapposizioni o duplicazioni.
E in effetti il combinarsi virtuoso di autonomia privata, norme secondarie, norme primarie può consentire – se l’equilibrio è raggiunto –
la realizzazione di una regolazione efficace della materia, com’è avvenuto per altri profili, quale, ad esempio il tema delle operazioni con parti correlate (25).
11. IL
SISTEMA DEI CONTROLLI INTERNI NEL SETTORE ASSICURATIVO: I PRINCIPÎ
GENERALI
La normativa secondaria detta una disciplina articolata del sistema dei
controlli interni.
(22) Di particolare interesse la nozione di “Alta Direzione”, che getta un ponte tra diritto societario e diritto dell’impresa; la disciplina delle funzioni di controllo – revisione interna, risk management e compliance – di cui si individuano
analiticamente le articolazioni operative; le disposizioni in materia di gruppo assicurativo.
(23) Sul punto vedi, supra, § 9.
(24) La norma secondaria stabilisce infatti che “l’organo di controllo, la società di revisione, la funzione di revisione interna, di risk management e di compliance, l’organismo di vigilanza di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.
231, l’attuario incaricato e ogni altro organo o funzione a cui è attribuita una
specifica funzione di controllo collaborano tra di loro, scambiandosi ogni informazione utile per l’espletamento dei rispettivi compiti. L’organo amministrativo definisce e formalizza i collegamenti tra le varie funzioni a cui sono attribuiti compiti di controllo”.
(25) Mi permetto, sul punto, di rinviare al mio Società quotate, mercati finanziari
e tecniche di regolazione, in Diritto, mercato ed etica. Dopo la crisi, Omaggio a Piergaetano Marchetti, cit., p. 437 ss.
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Si precisano, in primo luogo, i principî generali (Capo II, Sezione I, Reg.
ISVAP 20/2008), anticipando alcuni obiettivi che oggi ritroviamo sia nella regolazione secondaria nel settore bancario sia nel Codice di Autodisciplina, precisandosi che il sistema deve garantire “l’efficienza e l’efficacia dei processi aziendali, l’adeguato controllo dei rischi, l’attendibilità e l’integrità delle informazioni contabili e gestionali, la salvaguardia del patrimonio e la conformità dell’attività dell’impresa alla normativa vigente, alle direttive e alle procedure
aziendali” (art. 4); obiettivi che richiamano le funzioni di risk management, audit, e compliance, oggi entrate, se così si può dire, nel vocabolario comune.
La previsione di norme di principio può lasciare, a prima vista, perplessi
circa l’efficacia prescrittiva; vero è, tuttavia, che disposizioni apparentemente solo descrittive di strutture e processi trasposte in norme, sia pure regolamentari, assumono connotati di doverosità cogente che specificano e
concretizzano il paradigma generale della diligenza professionale degli amministratori.
Si tratta, inoltre, di regole che si collegano esplicitamente ad assetti,
procedure e funzioni ampiamente esplorate – in teoria e nella prassi – dalle discipline aziendalistiche e che, quindi, assumono connotati di specificità e concretezza tali da poterle configurare come norme di condotta e non
come meri “principî costituzionali”.
12. IL RUOLO DEGLI ORGANI SOCIALI NEL SETTORE ASSICURATIVO
Il regolamento qui in esame contiene numerose, analitiche disposizioni dirette a disciplinare il ruolo degli organi sociali. Precisata la responsabilità di vertice dell’organo amministrativo (art. 5, comma 1), il regolamento
specifica analiticamente “i compiti di indirizzo strategico e organizzativo
di cui all’articolo 2381 del codice civile”, con puntualizzazioni utili sul piano operativo perché non necessariamente configurabili ictu oculi siccome
ricomprese nel precetto generale.
Si segnalano, ad esempio, il dovere di curare “una appropriata separatezza di funzioni”, la previsione di “strumenti di verifica sull’esercizio dei
poteri delegati, l’impostazione di periodicità (annuale) della revisione delle procedure, l’obbligo dell’organo gestorio di richiedere di essere “periodicamente informato sulla efficacia e adeguatezza del controllo interno e di
gestione dei rischi” (cfr. art. 5, comma 2, Reg. cit.).
Si stabilisce poi – con il Provvedimento ISVAP n. 3020/2012 – che l’organo amministrativo possa prevedere adeguati piani di emergenza (c.d. “contingency arrangements”) qualora decida di avocare a sé i poteri delegati
[art. 5, comma 2, lett. c)].
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Si prevedono altresì, sempre al comma 2, compiti specifici dell’organo
amministrativo che:
“j) assicura un aggiornamento professionale continuo, esteso anche ai
componenti dell’organo stesso, predisponendo, altresì, piani di formazione adeguati ad assicurare il bagaglio di competenze tecniche necessario
per svolgere con consapevolezza il proprio ruolo nel rispetto della natura,
dimensione e complessità dei compiti assegnati e preservare le proprie conoscenze nel tempo;
k) effettua, almeno una volta l’anno, una valutazione sulla dimensione,
sulla composizione e sul funzionamento dell’organo amministrativo nel suo
complesso, nonché dei suoi comitati, esprimendo orientamenti sulle figure
professionali la cui presenza nell’organo amministrativo sia ritenuta opportuna e proponendo eventuali azioni correttive”.
Infine, al comma 3, si aggiunge ex novo che “l’organo amministrativo
assicura che la relazione sul sistema dei controlli interni e di gestione dei
rischi illustri in modo adeguato la struttura organizzativa dell’impresa e
rappresenta le ragioni che rendono tale struttura idonea ad assicurare la
completezza, la funzionalità ed efficacia del sistema dei controlli interni e
di gestione dei rischi”, nonché il conseguente obbligo (comma 4) di comunicare all’IVASS ogni significativa modifica alla struttura organizzativa.
Si disciplinano espressamente il Comitato per il controllo interno (art.
6), i compiti dell’organo di controllo (art. 8), le funzioni dell’Alta Direzione (art. 7).
13. I COMPONENTI DEL SISTEMA DEI CONTROLLI INTERNI
Il regolamento (art. 10) impone la promozione della cultura del controllo interno come strumento di “efficientamento” del sistema in termini di adeguata preparazione del personale, di effettività nello svolgimento dell’attività di controllo, di rispetto degli standard etico-legali.
Si prevede l’adozione di un codice etico che “definisca le regole comportamentali, disciplini le situazioni di potenziale conflitto di interesse e
preveda azioni correttive adeguate, nel caso di deviazioni dalle direttive”.
Si prevedono poi (art. 11) procedure specifiche – quali meccanismi di
doppie firme, autorizzazioni, verifiche e raffronti, liste di controllo e riconciliazione dei conti – al fine di costruire un sistema efficiente di check
and balance.
Si disciplinano nel dettaglio (art. 12) le procedure relative a flussi informativi e canali di comunicazione, precisando i tratti distintivi dei prin-
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cipî a cui il sistema informativo deve ispirarsi, ovvero i principî di accuratezza, completezza, tempestività, coerenza, trasparenza e pertinenza.
14. COOPERAZIONE INTERORGANICA E CONTROLLI FUNZIONALI ALLA CORRETTA GESTIONE NEL SETTORE ASSICURATIVO
Fissato il principio generale di cooperazione tra organi e tra “tutte le strutture che svolgono funzioni di controllo” (art. 8, comma 2, Reg.) il regolamento in esame prevede specifici obblighi di collaborazione con la società di
revisione e con gli organi di controllo di altre società del gruppo – regole del
resto già contenute in disposizione legislative – ma, soprattutto, impone un
obbligo di rapporto dialettico attivo con l’organo amministrativo che, alla luce dell’esperienza, pare particolarmente rilevante. L’art. 8, comma 3, lett. f),
stabilisce che l’organo di controllo “segnala all’organo amministrativo le eventuali anomalie o debolezze dell’assetto organizzativo e del sistema dei controlli interni indicando e sottolineando idonee misure correttive”.
La disposizione è densa di significato operazionale e sistematico.
In primo luogo sottolinea la funzione di cooperazione diretta alla gestione dell’organo di controllo di contro ad una visione meramente sanzionatoria.
Inoltre impone all’organo di controllo lo specifico dovere non solo di
segnalare le anomalie, ma anche di individuare possibili soluzioni per superare anomalie, criticità, debolezze del sistema di controllo interno.
L’esperienza pratica ci insegna quanto frequente sia non tanto la mancanza di rilevazione di criticità quanto la non tempestività della segnalazione e la conseguente tardività delle misure reattive.
Un’indicazione sistematica che dovrebbe essere, come dirò in chiusura (26), ripresa a livello di normativa primaria imponendo all’organo di controllo un obbligo periodico di report all’organo amministrativo per stabilire un nesso operativo efficace tra controllo e gestione.
15. GESTIONE DEI RISCHI E FUNZIONE DI COMPLIANCE
Il tema della gestione dei rischi che, come si è detto, è oggi al centro
delle “regole di governance” della disciplina secondaria nel settore banca-
(26) Vedi infra § 18.
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rio e del Codice di Autodisciplina, è, in una prospettiva anticipatrice, presidiato nel Regolamento ISVAP sotto il profilo degli obiettivi, della tipologia dei rischi, delle tecniche procedurali.
I rischi “più significativi” sono individuati tra quelli che (i) “possono minare la solvibilità dell’impresa” e quelli che (ii) possono “costituire un serio
ostacolo alla realizzazione degli obiettivi aziendali” (Art. 18, comma 1).
La catalogazione deve includere “almeno” il rischio di assunzione, di
riservazione, di mercato, di credito, di liquidità; il rischio operativo, il rischio legato all’appartenenza al gruppo, il rischio di non conformità alle
norme, il rischio reputazionale (art. 18, comma 2).
Se si analizzano i singoli rischi – puntualmente descritti – si percepisce
quanto la loro tempestiva rilevazione – vuoi che si tratti di rischi generali
(quale il rischio di mercato, di credito, di liquidità) o di rischi specifici del
settore (qual è il rischio di riservazione) – sia necessaria per l’adozione tempestiva di misure correttive.
Anche la metodologia procedurale (art. 19) è disciplinata, precisandosi la tipologia del processo di analisi, le tecniche di misurazione del rischio,
l’inserimento della politica dei rischi in una visione integrata con l’adozione di modelli di asset-liability management.
Si impone espressamente l’obbligo della “tempestività di rilevazione” e della predisposizione di “adeguati piani di emergenza” (art. 19,
comma 7).
Prescrizioni specifiche sono poi dettate per l’utilizzo degli “stress test”
(art. 20).
Trasponendo risultati acquisiti dalle scienze aziendalistiche ma non sempre adeguatamente metabolizzati nella prassi, si disciplinano, sotto il profilo organizzativo e funzionale, sia la funzione di risk management (art. 21)
sia la funzione di compliance (art. 22).
16. GRUPPO ASSICURATIVO, PRESIDIO DEI RISCHI, SISTEMA DI CONTROLLO
Il diritto comune conosce oggi una disciplina del gruppo, più esattamente della responsabilità da direzione e coordinamento (art. 2497 c.c.), da
cui di evince la legittimazione all’esercizio, da parte della controllante, di
un’attività di condizionamento e indirizzo, nella logica unitaria del gruppo,
nei confronti delle singole controllate (27). Con un puntuale parallelismo
(27) Sia consentito il rinvio al mio Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principî e problemi, in Riv. soc., 2007, 317 ss.
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con l’ordinamento bancario e, segnatamente, con la disciplina della direzione unitaria in funzione della stabilità del gruppo (cfr. art. 61, comma 4,
d.lgs. 385/1993), il Regolamento ISVAP declina il ruolo della capogruppo
nell’ambito del presidio dei rischi e delle procedure di controllo.
Il ruolo della capogruppo deve esplicarsi in termini di controllo strategico, controllo gestionale, controllo tecnico operativo (art. 26). Fermi restando gli obblighi organizzativi di ogni singola società, si regolano le procedure di coordinamento e di collegamento infragruppo anche in punto di
integrazione dei sistemi contabili, di flussi informativi periodici, di accertamento, quantificazione e controllo delle operazioni infragruppo, di definizione dei compiti e delle responsabilità delle diverse unità deputate al controllo e i meccanismi di coordinamento, di identificazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi a livello di gruppo (art. 27).
La rispondenza dei comportamenti delle società del gruppo agli indirizzi della capogruppo e l’efficacia di sistemi di controllo interno devono
essere verificate attraverso accertamenti periodici.
È prevista e regolata (art. 29) anche la possibilità di esternalizzazione
di funzioni attraverso accordi di esternalizzazione.
17. REGOLE TECNICHE E REGOLE GIURIDICHE: RIFLESSIONI CONCLUSIVE
La lettura delle disposizioni regolamentari che qui ho inteso esaminare e descrivere analiticamente potrebbe condurre a qualche riflessione
critica.
Si potrebbe cioè essere tentati di ritenere che la trasposizione di principî e regole tecniche in disposizioni regolamentari sia sostanzialmente superflua, atteso che i paradigmi aziendalistici sono comunque noti agli operatori del settore e che pertanto la loro osservanza discende dai doveri generali di diligenza professionale imposti dalla disciplina societaria di diritto comune. Si potrebbe anche essere condotti a ritenere che le prescrizioni
tecniche sono in qualche misura self-evident, limitandosi a precisare il contenuto di doveri generali già insiti nelle norme primarie.
In realtà così non è.
In primo luogo la regola tecnica trasposta in disposizione normativa assume un grado diretto di cogenza.
Inoltre la specificazione analitica dei doveri è strumento prezioso per
orientare e omologare i comportamenti fornendo indicazioni di dettaglio su
funzioni, procedure, obiettivi che diversamente potrebbero trovare applicazioni fortemente differenziate pur nella condivisione di massima delle finalità e delle metodologie.
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Infine la traduzione delle best practices in regole normative quando si
è pervenuti ad un grado significativo di adesione spontanea – ad esempio
attraverso linee-guida di associazioni imprenditoriali, principî di comportamento elaborati da ordini professionali, codici di autodisciplina, “manuali
operativi riconosciuti” – trasforma gli standard in rules accrescendone la
cogenza e la coercibilità.
È ciò che è avvenuto anche a livello di norme primarie: la “omologazione” del linguaggio tecnico – si pensi al bilancio o alle regole di organizzazione (cfr. art 2381 c.c.) – diminuisce i margini di opinabilità dei precetti, fornisce quindi criteri di comportamento più puntuali, favorisce una
maggiore uniformità dell’applicazione giurisprudenziale.
In conclusione in materia di imprese e di settori specialistici un appropriato bilanciamento tra norme primarie, norme secondarie e autodisciplina costituisce una tecnica di regolazione appropriata.
Sezione III
18. PROPOSTE
DI RIFORMA PER UNA RAZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA DEI CON-
TROLLI NELLE SOCIETÀ PER AZIONI
Per una più organica regolamentazione dell’intera materia si possono
suggerire alcuni interventi razionalizzatori (28), prescindendo dalla questione se attraverso norme primarie o secondarie, anche se le tre proposte
principali qui formulate ben potrebbero essere inserite nel diritto societario comune in quanto non necessariamente appropriate per le sole società quotate.
Le proposte di modificazione legislativa che mi sento di suggerire sono le seguenti:
(i) attribuire espressamente all’organo di controllo – collegio sindacale, comitato di controllo all’interno del consiglio di sorveglianza, comitato
per il controllo sulla gestione o nelle società quotate, se previsto dallo Statuto, comitato controllo e rischi – la funzione di coordinamento di tutte le
istanze di controllo interno alla società in base ad un regolamento adottato
dal consiglio di amministrazione;
(28) Ho già formulato le proposte qui indicate in Il sistema dei controlli nella spa
e nella srl: proposte di riforma, in Il Nuovo Diritto delle Società, 2012, n. 12, 9 ss.
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(ii) prevedere l’obbligo periodico – ad esempio trimestrale – di relazione al consiglio di amministrazione da parte dell’organo di controllo sul
funzionamento del sistema di controllo e sulle risultanze dei controlli effettuati anche ai fini di eventuali decisioni di intervento correttivo da parte
dell’organo gestorio.
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La vigilanza pubblica sul contrasto
alle frodi assicurative tra legge
(art. 30 d.l. 1/2012)
e regolamento ISVAP n. 44/2012
DI
GIANLUCA ROMAGNOLI
Docente di Diritto dei Mercati finanziari
Università degli Studi di Padova
SOMMARIO: 1. Il regolamento ISVAP 44/2012, l’art. 30 d.l. 1/2012 e il codice delle assicurazioni. – 2. Rilevanza organizzativa delle informazioni sulle misure antifrode. – 3. Aspetti innovativi e non dell’art. 30 d.l. 1/2012. – 4. Obblighi di informativa diretta delle imprese comunitarie. – 5. Prescrizioni sanzionatorie della disciplina antifrode.
1. IL REGOLAMENTO ISVAP 44/2012, L’ART. 30 D. L. 1/2012 E IL CODICE DELLE
ASSICURAZIONI
Ogni qual volta il legislatore assegna nuovi compiti alle amministrazioni di settore ci si chiede sempre quali siano i limiti dell’abilitazione, se quella sia sufficiente a legittimare i conseguenti interventi specifici, se, ancora, in
che termini possa dirsi vincolato il soggetto passivo della vigilanza e, in specie, che forme di limitazione ne possono derivare all’autonomia decisionale
del secondo. Tanto è puntualmente accaduto anche per l’attuazione da parte
dell’ISVAP (1) dell’art. 30 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, rubricato “repressione
(1) l’art. 13 d.l. 6 luglio 2012, n. 95 ha disposto la soppressione di ISVAP e COVIP e
l’attribuzione delle loro funzioni all’IVASS - Istituto di Vigilanza sulle Assicurazioni,
espressamente statuendo (comma 43) che le disposizioni adottate dal primo “restano in
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delle frodi”, sostanziatosi nel regolamento n. 44 del 9 agosto 2012 con cui è
stato definito “il modello di relazione sull’attività antifrode” che le imprese
di assicurazione abilitate all’esercizio del ramo r.c. autoveicoli devono predisporre con cadenza annuale e trasmettere all’Autorità.
Chi scorre gli atti raccolti nel corso del procedimento normativo (art.
23, comma 1, l. 28 dicembre 2005, n. 262) si accorge che in sede di pubblica consultazione sono stati sollevati più rilievi sulla soluzione disciplinare prima proposta e poi adottata dall’Autorità (2). L’ANIA rilevava come
la soluzione prospettata imponeva la predisposizione di una relazione che
superava la previsione dell’art. 30 d.l. 1/2012 poiché includeva informazioni attinenti, non solo alla gestione dei sinistri, ma anche ai presidi di prevenzione delle frodi operanti nella “fase assuntiva delle polizze”. Alcuni legali dubitavano della correttezza della previsione della bozza che, imponendo l’adempimento informativo a carico di tutte le imprese comunitarie
operanti in Italia, pareva collidere con il principio dell’home country control (art. 193, comma 1, cod. ass.). Tendenzialmente tutti i partecipanti alla consultazione, ancora, manifestavano una certa perplessità in merito alla genericità della definizione del c.d. rischio frode che le imprese sono tenute a prevenire e combattere.
Prima di considerare alcuni aspetti dei documenti normativi d’interesse si impone una notazione preliminare in merito al rapporto corrente tra
legge e regolamento. La non perfetta coincidenza o concordanza tra l’una
e l’altro – e cioè tra la fonte del potere ed il risultato del suo esercizio – non
è di per sé elemento sintomatico d’un vizio del prodotto anche per chi reputa che la legittimazione provvedimentale delle autorità di vigilanza non
possa essere rinvenuta nella semplice indicazione dei fini o degli interessi
che la legge loro assegna (3).
Tanto precisato, se non mi inganno, benché il regolamento 44/2012
possa prestarsi a qualche osservazione critica, anche la previsione dell’in-
vigore fino all’eventuale adozione, da parte dell’IVASS medesimo, di nuove disposizioni sulle materie regolate”. Ulteriormente, l’art. 13, comma 42, l. 7 agosto 2012, n. 135,
ha disposto che ogni riferimento all’ISVAP da parte di norme di legge o di altre disposizioni normative “deve intendersi effettuato all’IVASS”.
(2) Tutti i materiali sono raccolti nel documento intitolato, Esiti della pubblica consultazione - 9 agosto 2012, consultabile nella sezione normativa del sito www.ivass.it.
(3) Sui termini del problema, per tutti si vedano, V. CERULLI IRELLI, Sul potere normativo delle autorità amministrative indipendenti, in AA.VV., Arbitri dei mercati. Le
autorità indipendenti e l’economia, a cura di M. D’Alberti e A. Pajno, Bologna, 2010,
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clusione nella relazione delle informazioni relative alla fase assuntiva trova un sicuro fondamento nel codice delle assicurazioni. L’inclusione di tali dati si spiega, infatti, come prescrizione funzionale al miglior o più efficace esercizio della vigilanza che l’ISVAP prima ed ora l’IVASS è chiamato a svolgere sulla adeguatezza e idoneità funzionale della struttura organizzativa delle imprese assicuratrici. L’Amministrazione, infatti, può meglio operare – e collaborare – con i soggetti vigilati se è in grado di “leggere”
anche i dati relativi alla gestione dei sinistri avendo riguardo a quei presidi che i secondi approntano, nell’esercizio della loro autonomia, per garantire un corretto approccio con i propri interlocutori, siano essi assicurati o danneggiati.
Di qui l’impressione che il senso del documento normativo non sia reso pienamente dalla sua formulazione e che quello sarebbe stato meglio
espresso attraverso una inversione dell’ordine dei periodi dell’art. 30 d.l.
1/2012. Dunque ricombinandoli come segue: l’IVASS “esercita i poteri di vigilanza di cui al titolo XIV, capo I, del codice delle assicurazioni private
(…) al fine di assicurare l’adeguatezza dell’organizzazione aziendale e dei
sistemi di liquidazione dei sinistri rispetto all’obbiettivo di contrastare le
frodi nel settore” anche sulla base della relazione annuale, redatta secondo
un modello predisposto dallo stesso Istituto, che le imprese gli trasmettono
e contenente “informazioni dettagliate circa il numero dei sinistri per i quali si è ritenuto di svolgere approfondimenti in relazione al rischio frodi, il
numero delle querele presentate all’autorità giudiziaria, l’esito dei conseguenti procedimenti penali nonché in ordine alle misure organizzative interne adottate o promosse per contrastare le frodi”.
2. RILEVANZA ORGANIZZATIVA DELLE INFORMAZIONI SULLE MISURE ANTIFRODE
Dalla disposizione legislativa e dal regolamento si desume, dunque, che
l’impresa abilitata all’esercizio dell’assicurazione obbligatoria autoveicoli
terrestri deve farsi carico – a livello organizzativo interno – del rischio frodi, predisponendo presidi e procedure, in astratto, efficaci a prevenire e com-
p. 75 ss.; F. CINTIOLI, Potere regolamentare e sindacato giurisdizionale2, Torino, 2007,
p. 107 ss. Con specifico riguardo alla potestà normativa dell’Autorità di vigilanza assicurativa si veda, G. MORBIDELLI, I regolamenti di ISVAP, in AA.VV., Il nuovo codice
delle assicurazioni. Commentario sistematico, a cura di S. Amorosino e L. Desiderio,
Milano, 2006, p. 35 ss.
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battere la scorrettezza delle condotte di quei soggetti – siano essi assicurati o danneggiati – che tendono a conseguire un “profitto” e non un indennizzo; procedure ed accorgimenti la cui idoneità è oggetto di una peculiare
verifica da parte dell’Autorità di vigilanza (4), poiché, l’art. 30 d.l. 1/2012
li eleva a requisiti necessari per l’esercizio di impresa (5).
Nel senso indicato depongono chiaramente tanto la relazione al regolamento 44/2012, che ne circostanzia la parte dispositiva, quanto gli artt. 4 e
5 dello stesso provvedimento.
L’introduzione dell’atto normativo esplicita la funzione della relazione
e la sua strumentalità rispetto alla verifica di “adeguatezza dell’organizzazione aziendale e dei sistemi di liquidazione sinistri rispetto all’obbiettivo
di contrastare le frodi”. Nel predisporre la loro informativa – seguendo le
indicazioni contenute nel modello definito dall’Autorità – le imprese vengono ad illustrare “le misure adottate e le iniziative promosse nello svolgimento di ogni fase del ciclo produttivo” (6).
Le finalità o – se si vuole – il ruolo servente della relazione rispetto all’attività generale di vigilanza sul corretto esercizio dell’impresa assicurativa è poi esplicitata da un’apposita disposizione (art. 4) che le attribuisce
il compito di veicolare “gli elementi necessari per la valutazione dell’efficienza di processi, sistemi e persone al fine di garantire l’adeguatezza del-
(4) Negli stessi termini si veda M. FRIGESSI DI RATTALMA, Controlli Solvency II: il
rischio frode assicurativa tra disciplina nazionale ed europea, in corso di pubblicazione in Resp. civ. e prev., 2013 (fasc. 3), che, nel verificare la corrispondenza (anticipatrice) delle regole domestiche alle indicazioni della direttiva 2009/138/CE, sottolinea come la rilevanza sostanziale dei documenti normativi italiani non sia da rinvenire tanto nelle prescrizioni informative quanto nella circostanza che quelli incidono sulla struttura organizzativa delle imprese di assicurazione, implementando quegli articolati presidi in cui sono strutturati i sistemi di controllo interno delle società e, in specie,
di quelle a vocazione peculiare, sul cui tema, per una considerazione in termini generali, è doveroso il rinvio a P. MONTALENTI, I controlli societari: recenti riforme, antichi
problemi, in Banca borsa e tit. cred., 2011, 535 ss.
(5) Dunque l’art. 30 d.l. 2012 si presta ad essere considerata disposizione speciale, integrativa dei requisiti necessari per l’esercizio delle assicurazioni r.c. auto, implementando le prescrizioni dell’art. 30 cod. ass., su cui A. DONATI G. - VOLPE PUTZOLU,
Manuale di diritto delle assicurazioni10, Milano, 2012, p. 30.
(6) Dati della relazione che, ai sensi dell’art. 7, reg. 44/2012, risultano rilevanti ai
fini del processo di revisione periodica dei parametri di significatività definiti dall’Autorità di vigilanza – Provvedimento ISVAP n. 2827 del 25 agosto 2010, in www.ivass.it –
posti come condizioni d’accesso alla banca sinistri relativi ai veicoli a motore registrati in Italia (art. 135, comma 1, cod. ass.).
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l’organizzazione aziendale rispetto all’obbiettivo di prevenire e contrastare le frodi” che, appunto, postula la predisposizione di una specifica funzione interna a ciò deputata (7).
Ulteriore conferma della necessaria predisposizione di apparati specifici destinati ad operare in tutte le fasi del rapporto assicurativo – e dunque
anche in quelle precedenti alla gestione dei sinistri – si ricava dai dati che
devono essere contenuti nella relazione.
Le varie parti del documento informativo descritto dall’art. 5, invero, fanno riferimento ad attività o presidi tanto operanti nella fase genetica del rapporto quanto in quella operativa di determinazione dell’indennizzo. Il documento di sintesi – che contiene la descrizione delle linee di politica aziendale, degli obbiettivi e strategie di prevenzione e contrasto delle diverse forme di scorrettezza – si completa con tre diverse
sezioni contenenti specifiche informazioni e la prima di quelle pare particolarmente significativa ai nostri fini. In questa, infatti, l’impresa deve
illustrare le notizie di carattere generale riguardanti la struttura organizzativa, la formazione dei dipendenti e dei fiduciari (lett. a); le notizie sulla fase assuntiva, cioè quelle adottate in quella precedente alla conclusione del contratto (lett. b); le notizie relative alla gestione dei sinistri,
vale a dire, riguardanti le procedure interne adottate allo scopo di evadere le domande e le forme di controllo previste nei confronti di chi partecipa all’accertamento, alla stima dei danni ed al pagamento dei risarcimenti (lett. c).
Le ulteriori due sezioni sono destinate, invece, a contenere elementi di
confronto a carattere “retrospettivo”, indicativi della capacità di tenuta del
sistema predisposto dall’impresa e dunque della sua forza di reazione all’attività fraudolenta. Dati significativi che tengono conto della realtà italiana (8) e che si vorrebbe offrissero, in modo quanto più puntuale, la mi-
(7) In questo senso, si esprime anche M. FRIGESSI DI RATTALMA, op. loc. cit., che rileva come le prescrizioni regolamentari si pongano in armonia con le indicazioni della direttiva 2009/138/CE nella parte in cui impone alle compagnie la predefinizione di
procedure relative alla gestione dei rischi operativi, tra cui si deve intendere incluso
quello delle frodi.
(8) Cfr. Corte giust. CE 28 aprile 2009, C- 518/06, par. 88-89, in www.europa.eu,
ove viene dichiarata la compatibilità con il diritto dell’Unione dell’obbligo a contrarre
posto dal nostro diritto a carico delle imprese operanti nella r.c. auto, in quanto scelta
pubblica proporzionata per far fronte alla situazione che pacificamente si registra in alcune zone dell’Italia meridionale caratterizzate da un elevato tasso di sinistrosità. Peraltro, nell’audizione alla VI Commissione (Finanze) della Camera dei deputati –
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sura della capacità di isolare le condotte sospette che legittimano – al ricorrere di determinati parametri – una sospensione dell’obbligo dell’impresa di procedere all’offerta di risarcimento (art. 148, comma 2-bis, cod.
ass.) (9) e poi la spingono, in esito ad una ponderata valutazione delle condotte dell’interlocutore, a sporgere denunzia all’autorità giudiziaria.
La seconda sezione (art. 5, comma 4, reg. 44/2012) è indicata come sede dei dati quantitativi e qualitativi sui sinistri rapportati al portafoglio dell’impresa nelle singole aree territoriali (10), con specifica indicazione di
quelli esposti al rischio frode per cui siano stati svolti approfondimenti e
poi, tra questi, di quelli, rispettivamente, evasi o per cui sono state prestate
denunce/querele.
Infine, la terza sezione si compone di due parti (o prospetti). Una destinata a contenere i dati aggregati relativi alle denunzie/querele, alla partecipazione dell’impresa al conseguente procedimento e al suo esito; una
seconda in cui i medesimi dati sono riferiti ai contratti e alla documentazione contrattuale.
La correttezza della scelta regolamentare e il fatto che questa postula
l’adozione da parte delle imprese di un apparato di accorgimenti rilevanti per l’esercizio di questo ramo d’attività, destinati a ridondare a favore
degli assicurati, risulta, peraltro, confermata dal secondo comma dell’art.
30 d.l. 1/2012, per cui le prime “sono tenute a indicare nella relazione o
nella nota integrativa allegata al bilancio annuale e a pubblicare sui propri siti internet, o con altra idonea forma di diffusione, una stima circa la
riduzione degli oneri per i sinistri derivanti dall’accertamento delle frodi,
conseguente all’attività di controllo e repressione delle frodi autonomamente svolta”.
svoltasi l’8 luglio 2010 (reperibile nel sito www.ivass.it) – il presidente dell’ISVAP evidenziava come il fenomeno delle frodi assicurative avesse assunto “da tempo nel nostro Paese proporzioni preoccupanti con effetti distorsivi che si ripercuotono nettamente sulla funzionalità generale del mercato e, in definitiva, sugli assicurati, con particolare riferimento al segmento r.c. auto”. Nel richiamare i dati relativi al 2009 (p. 4),
il rappresentante dell’Autorità rilevava come l’incidenza del fenomeno fraudolento sul
numero dei sinistri a livello nazionale fosse pari al 2,5% del loro totale ed appariva in
lieve ma costante crescita rispetto al quinquennio precedente.
(9) Su cui si veda la nota ISVAP, prot. 21-21-000503 del 14 settembre 2012, concernente le istruzioni operative relative agli “obblighi informativi derivanti dall’applicazione dell’art. 148, comma 2-bis, del codice delle assicurazioni private”.
(10) Nel corso dell’audizione dell’8 luglio 2010, cit., il presidente dell’ISVAP segnalava, peraltro, come il fenomeno delle frodi avesse un’eterogenea incidenza territoriale, concentrandosi significativamente in alcune regioni meridionali (p. 4).
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L’inclusione della valutazione tra le notizie da inserire nella relazione
al bilancio o nella nota integrativa sembra, ragionevolmente, far intendere
che il legislatore vuole imporre alle imprese la misurazione dei benefici,
anche in termini di riduzione dei costi di copertura, che ci si può attendere
dall’attività antifrode, elevata ad elemento qualificante del corretto svolgimento della attività assicurativa nel ramo r.c. auto. Elevazione, peraltro,
coerente con l’impostazione seguita dal regolamento ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008, relativo alla “materia dei controlli interni, gestione dei rischi, compliance ed esternalizzazione delle attività delle imprese di assicurazione”.
In questo l’Autorità, dopo aver prescritto che le imprese si dotino di un’idonea
organizzazione amministrativa e contabile e di un adeguato sistema di controlli interni, proporzionati alle dimensioni e alle proprie caratteristiche
operative (art. 4, comma 1, reg. 20/2008), già prevedeva che il secondo,
“costituito dall’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte ad assicurare il corretto funzionamento ed il buon andamento dell’impresa”, tende a garantire, con ragionevole margine di sicurezza, l’efficienza e l’efficacia dei processi aziendali (lett. a) e l’adeguato
controllo dei rischi. Ulteriormente, l’art. 18, comma 2, reg. 20/2008, nel
prendere posizione sulle modalità di gestione dei rischi, pure prevedeva che
i sistemi di controllo ne devono considerare alcuni qualificati come “principali”, tra cui includeva il rischio assunzione, che è proprio dell’essenza
dell’impresa assicurativa (11).
3. ASPETTI INNOVATIVI – E NON – DELL’ART. 30 D. L. 1/2012
La riconduzione della disposizione d’interesse tra quelle relative alla
vigilanza sull’attività porta ad individuare la copertura delle previsioni regolamentari non immediatamente riconducibili all’art. 30 d.l. 1/2012 nel
codice delle assicurazioni e rende incontestabile, in principio, la previsione di ogni informazione da includere nella relazione sulla prevenzione delle frodi. Infatti, le prescrizioni informative ulteriori – o, in ipotesi, eccedenti
rispetto a quelle legittimate dall’art. 30 d.l. 1/2012 – trovano un’ampia
copertura nell’art. 190, comma 1, cod. ass. che costituisce norma sulla regolazione di portata generale, abilitante all’imposizione di tutti quei flussi
(11) Rischio di assunzione definito come “il rischio derivante dalla sottoscrizione
dei contratti di assicurazione, associato agli eventi coperti, ai processi seguiti per la tariffazione e selezione dei rischi, all’andamento sfavorevole della sinistralità effettiva
rispetto a quella stimata”.
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di dati che l’Amministrazione reputa utili per l’espletamento delle proprie
funzioni (12), con il solo limite della loro strumentalità all’esercizio della
vigilanza assicurativa (13).
La prima disposizione, peraltro, più che porsi in una relazione di specialità rispetto alla seconda, si segnala per essere fonte di un vincolo d’intervento a carico dell’Autorità di settore. Dunque, non già come legittimante
la domanda dei dati individuati dal regolamento 44/2012 – che già potevano essere richiesti anche prima – bensì come introduttiva d’un obbligo d’intervento specifico. In altri termini, non è avventato individuare la forza prescrittiva della legge nella circostanza che questa limita il potere di scelta
dell’amministrazione in merito ai flussi di informazioni rilevanti – imponendole di intervenire sul punto (indirettamente) indicando nel “fatto” dell’esistenza di un sistema antifrode un elemento significativo di valutazione
da cui la vigilanza non può prescindere.
L’art. 30 d. l. 1/2012, invece, non risulta innovativo rispetto alle modalità o ai profili di vigilanza ma per uno ad essa “esterno” quale è quello
relativo alle modalità di diffusione della stima dei benefici che ritrarranno
gli assicurati dall’attività antifrode delle singole imprese.
Per quanto concerne il secondo profilo, infatti, solo il legislatore primario poteva prescrivere delle informazioni da inserire obbligatoriamente
nella nota integrativa o nella relazione degli amministratori (14), così come imporre che la valutazione relativa ai benefici stimati dell’attività antifrode sia resa di pubblica ragione tramite il sito internet dell’impresa o con
altra idonea forma di diffusione.
Per quanto riguarda il primo profilo – cioè quello dell’individuazione dello strumento con cui l’Amministrazione procede all’attuazione della “delega”
(12) Mutuando le parole d’autorevole dottrina – G. MORBIDELLI, op. cit., p. 50 – si
potrebbe dire che la seconda disposizione è una di quelle norme da cui si ricava l’attribuzione all’Autorità di una potestà “consostanziale” alla missione affidatale, “funzionale” al corretto ed efficace espletamento dei suoi compiti.
(13) Cfr. M. SCALISE - P. MARIANO, L’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni private, in AA.VV., Le autorità amministrative indipendenti, a cura di P. Cirillo e R. Chieppa, Padova, 2010, p. 774.
(14) Il contenuto della nota integrativa, pur caratterizzato da un certo margine di
elasticità, è in generale fissato dagli artt. 2427- 2427-bis c.c., come integrato dalle previsioni che l’Autorità di vigilanza è abilitata ad adottare con proprio regolamento (art.
191, comma 1, lett. f, cod. ass.). Ragionevolmente, poi, solo una fonte primaria poteva
elevare l’indicazione dei benefici attesi dall’attività antifrode ad informazione da inserire – in alternativa alla menzione nella nota integrativa – nella relazione sulla gestione che gli amministratori devono accompagnare al bilancio d’esercizio (art. 2428 c.c.).
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– non si rinviene alcuna novità rispetto al regime preesistente e dunque è da
escludere che l’Autorità disponga di una qualche “discrezionalità”. È, invero,
ragionevole ritenere che il riferimento contenuto nel primo comma dell’art.
30 d.l. 1/2013 al generico provvedimento definitorio del modello di relazione non abbia attribuito alcun margine di scelta in merito al tipo e forza di atto da impiegare, ponendo all’amministrazione l’alternativa tra provvedimento ad effetti generali e quello ad effetti normativi, quale è il regolamento.
Una ragione di coerenza con la previsione “quadro” dell’art. 190, comma 1, cod. ass. impone di concludere per il necessario impiego dell’atto normativo attese le maggiori garanzie di certezza che questo offre, ponendosi
quale fonte di maggiori e più rigorosi vincoli per la stessa amministrazione emanante, tenuta anch’essa ad osservare i propri precetti, salva la possibilità, verificatane la loro “inadeguatezza”, di modificarne il contenuto per
il futuro. È forse pleonastico ricordare come la parificazione procedurale
operata dalla legge sul risparmio (art. 23, comma 1, l. 262/2005) tra le due
categorie di atti non sia tale da superare le loro obbiettive diversità (15).
Dunque, in sede d’attuazione si privilegia lo strumento che garantisce il
più alto livello di autovincolo per l’autorità emanante, tenuta ad adeguarsi alle proprie indicazioni salva la possibilità del regolamento di disporre deroghe
o temperamenti alla previsione principale. Ed è proprio, verosimilmente, la
mancata previsione di un potere di temperamento, in uno con l’inesistenza
di norme transitorie, un punto critico dell’atto conformativo d’interesse.
L’aspirazione della regolazione ad imprimere un potente stimolo alla lotta
contro una diffusa scorrettezza che interessa il ramo della r.c. auto porta all’introduzione di una prescrizione draconiana di difficile attuazione almeno
nell’immediatezza della sua vigenza. Come è stato osservato in sede di pubblica consultazione dall’ANIA, sarebbe risultato oltremodo difficile per le imprese predisporre, a fine 2012, una relazione antifrode relativa allo stesso esercizio e da presentare entro un mese dall’approvazione del bilancio (art. 7, reg.
44/2012), sebbene l’Amministrazione avesse anticipato che avrebbe tenuto
conto di tale circostanza in sede di valutazione dei dati trasmessi (16).
(15) Sulle ragioni della scelta dell’uniformazione del regime di atti normativi e amministrativi ad effetti generali delle Autorità di vigilanza dei mercati finanziari, mi sia
consentito il rinvio a G. ROMAGNOLI, Consob. Profili e attività, Torino, 2012, p. 95 ss.
e 201 ss.
(16) Nel rispondere al rilievo dell’ANIA, mantenendo immutato il termine di presentazione della prima relazione, l’Amministrazione (Esiti della pubblica consultazione, cit., p. 4) prendeva atto del rilievo, dichiarando che avrebbe tenuto conto delle difficoltà, provvedendo a “valutare con rigore adeguato alla circostanza la qualità dei dati prodotti”. Ora se da un lato si può ritenere immanente ai poteri d’apprezzamento il
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Il valore prescrittivo dell’art. 30 d.l. 1/2013, ancora, può ravvisarsi nel
fatto che non solo ha imposto all’Autorità di rendere obbligata la relazione
d’interesse ma anche in quello d’aver elevato i suoi dati ad elemento rilevante ai fini degli interventi di vigilanza, precisando che le prerogative regolatorie sono esercitate “anche sulla base” degli elementi informativi “ivi
contenuti”. I dati della relazione – così come la sua omessa trasmissione –
dunque, possono essere posti a base e giustificazione dei variegati poteri
d’intervento che la legge attribuisce all’Autorità, nei confronti delle imprese
operative nel ramo d’interesse e, per converso, per attualizzare l’obbligo di
informativa a carico degli organi interni dell’assicurazione (17). Perciò l’incompletezza della relazione o le perplessità da questa suscitate possono dar
luogo ad una convocazione dei vertici della vigilata per la sollecitazione
all’adozione di misure correttive (art. 188, comma 1, lett. a, cod. ass.) o giustificare l’avvio di più approfonditi accertamenti, da svolgersi attraverso la
richiesta di ulteriori specifiche informazioni, atti o documenti o, al limite,
attraverso il compimento di ispezioni (art. 189 cod. ass.). Ulteriormente,
l’organo di controllo interno dell’impresa assicuratrice deve ritenersi tenuto ad informare senza indugio l’Autorità di vigilanza dell’eventuale mancanza di presidi di misure antifrode o della loro ragionevole insufficienza
o inadeguatezza, stante la rilevanza di questi e l’assimilabilità di quelle carenze alle irregolarità nella gestione dell’impresa se non alla violazione di
norme che ne disciplinano l’attività per cui è previsto il dovere di segnalazione (art. 189, comma 3, cod. ass.).
4. OBBLIGHI DI INFORMATIVA DIRETTA DELLE IMPRESE COMUNITARIE
Data ragione di fini ed effetti del regolamento ci si può soffermare sul suo
principale motivo di perplessità costituito dall’estensione dell’obbligo di co-
dovere di tenere in considerazione il momento e il contesto in cui viene dato seguito all’adempimento, dall’altro, in modo parimenti certo, sembra che il generale principio di
proporzionalità avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a contemplare un’apposita
norma per la fase di “rodaggio” della nuova disciplina.
(17) Così anche M. FRIGESSI DI RATTALMA, op. loc. cit., il quale, ricondotto il sistema antifrode nell’ambito dei controlli interni, evidenzia come la previsione risulti
coerente con le prescrizioni dell’art. 41, par. 5, di Solvency II, che impone agli Stati di
affidare alle Autorità di vigilanza “mezzi, metodi e poteri appropriati per verificare i
sistemi di governance delle imprese di assicurazione” dotandole “di poteri necessari
per esigere che il sistema di governance sia migliorato e rafforzato” con particolare attenzione alla “funzione di gestione dei rischi”.
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municazione, oltre che alle imprese di assicurazione autorizzate in Italia, anche a quelle comunitarie abilitate all’esercizio delle assicurazione per responsabilità derivante dalla circolazione di veicoli terrestri (art. 3 reg. 44/2012).
Previsione, come anticipato, criticata nel corso della pubblica consultazione
della bozza per la sua, quanto meno, apparente contrarietà ai principî dell’Unione e con quello dell’home country control che riserva la più ampia vigilanza all’autorità del Paese d’origine (art. 193, comma 1, cod. ass.).
Si ricorda, ancora, come l’ISVAP nel giustificare l’estensione – e mantenerne la previsione – sostenne la compatibilità comunitaria dell’obbligo
richiamando i principî che sarebbero stati espressi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia occupandosi del dovere di collaborazione delle imprese straniere “all’alimentazione” della banca sinistri. Per l’Autorità italiana
la previsione non infrangerebbe alcun principio derivato dalla normativa
dell’Unione, poiché quella non introduce “nuovi obblighi rispetto a quelli
esistenti per l’esercizio dell’attività assicurativa”; lo stesso incombente si
inserirebbe, poi, in un sistema normativo “teso a individuare, contrastare e
reprimere le frodi mediante norme di interesse generale, come tali applicabili anche alle imprese comunitarie”. Ulteriormente l’obbiettivo del contrasto alle frodi – rientrando tra quelli espressamente presi in considerazione dalla Commissione UE con una propria comunicazione interpretativa
(2000/C/43/03) – sarebbe idoneo a giustificare le singole discipline nazionali d’interesse generale, fermo comunque il rispetto da parte dell’Autorità di vigilanza domestica – nell’esercizio delle sue funzioni – dei limiti posti dalla normativa europea vigente (18).
Lo sforzo argomentativo dell’ISVAP non persuade e induce ad esprimere un giudizio di temperata compatibilità con il diritto dell’Unione e, quindi, a dissentire dalla posizione dell’Autorità.
Nei confronti delle imprese comunitarie operanti in Italia si può ammettere la formulazione di una richiesta di informazioni anche se inidonea
a generare degli obblighi giuridici, la cui risposta è, cioè, rimessa all’apprezzamento delle interpellate ed al loro interesse ad offrire all’Autorità del
Paese ospitante elementi utili per combattere le frodi, non solo tramite l’aggiornamento della banca sinistri e dei parametri di significatività, ma anche
avvalendosi della sua ampia opera di supporto prevista dall’art. 21 d.l. 18
ottobre 2012, n. 179.
Al più la collaborazione delle imprese comunitarie potrebbe essere resa – indirettamente – vincolante per tramite dell’intervento dell’Autorità
europea delle assicurazioni. Questa – coerentemente con la sua funzione di
(18) Esiti della pubblica consultazione, cit., p. 2.
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uniformazione e coordinamento dell’azione delle vigilanze dei Paesi dell’Unione – potrebbe adottare una determinazione in forza della quale le Amministrazioni domestiche obbligano le imprese da ciascuna vigilate a collaborare con quelle dei Paesi in cui le seconde operano in regime di libera
prestazione di servizi o di stabilimento (19). Solo così, ragionevolmente, si
potrebbe rendere sistematica quella collaborazione informativa, altrimenti,
a carattere episodico perché ottenibile sollecitando un provvedimento all’Autorità del Paese d’origine (art. 193, commi 2 e 3, cod. ass.).
Al di là di quello, però, non si potrà andare ed è da negare l’esercizio
di qualunque potere autoritativo nei confronti delle imprese comunitarie.
Potere che è escluso non dalla circostanza che l’obbligo è esplicitato da una
disposizione di natura regolamentare ma dal rapporto di strumentalità che
lega indissolubilmente le prerogative informative e d’indagine alle funzioni proprie dell’Autorità procedente, legittimata ad esercitarle esclusivamente
nei confronti delle imprese autorizzate in Italia (20).
Come si è detto, l’imposizione dell’obbligo della relazione antifrode è
previsto per consentire una più puntuale verifica dell’adeguatezza dell’or-
(19) L’Autorità europea delle assicurazioni, istituita con regolamento UE n. 1094/2012
del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010, al fine di conseguire la
realizzazione di un sistema efficace ed uniforme di regolazione, “anche a diretta tutela
dei titolari di polizze assicurative” (decimo considerando), può elaborare orientamenti e valutazioni (vincolanti) da indirizzare alle Autorità competenti ed individuare le migliori prassi al fine di rafforzare i risultati della vigilanza (art. 8, comma 1, lett. e).
(20) Limite che non può ritenersi superabile facendo forza sul contenuto o sugli
indirizzi di una comunicazione interpretativa della Commissione, determinazione priva di forza normativa propria, per essere il veicolo – G. TESAURO, Diritto dell’Unione
europea6, Padova, 2010, p. 168 – che l’esecutivo europeo impiega “per far conoscere
agli Stati ed agli operatori i diritti e gli obblighi ad essi derivanti dal diritto dell’Unione”, anche se alla luce degli sviluppi giurisprudenziali registrati nel settore oggetto di
attenzione. Parimenti non persuasivo o rilevante è il richiamo, fatto dall’ISVAP, alla sentenza Corte giust. CE 25 febbraio 2003, C- 59/01, in Foro it., 2003, IV, 112, con cui è
stata dichiarata la contrarietà della disciplina domestica relativa alle tariffe r.c. auto al
diritto dell’Unione, per un’analisi della quale si segnala M. FRIGESSI DI RATTALMA, Blocco delle tariffe assicurative e responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario: riflessioni a margine di Corte di giustizia 25 febbraio 2003, n. C-59/01, in
Dir. econ. assic., 2003, 629. Il giudice di Strasburgo, infatti, non si è pronunciato espressamente sulla compatibilità con il diritto europeo dell’obbligo di alimentazione della
banca sinistri da parte delle imprese comunitarie operanti in Italia, limitandosi a respingere la domanda per ragioni processuali (par. 46). Normativa, contestata dalla Commissione, peraltro, superata dall’impostazione del vigente art. 132, comma 2, cod. ass.,
allineato alle indicazioni dell’art. 44, comma 2, della direttiva 92/49/CEE del Consiglio del 18 giugno 1992.
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ganizzazione aziendale e dei sistemi di liquidazione, elevato dal nostro legislatore – per l’assicurazione r.c. auto – ad elemento qualificante il sistema
operativo dell’impresa, che si vuole orientare al contenimento di un malcostume domestico, destinato a riflettersi negativamente sulla comunità degli
assicurati. E da qui, appunto, la conferma che nei confronti dei soggetti sottratti alla vigilanza dell’IVASS non v’è spazio per l’esercizio del potere strumentale di richiesta e poi di quelli ulteriori in ipotesi di inadempimento.
La conclusione prospettata risulta anche coerente e conforme a quella
seguita dal sistema per la soddisfazione di un interesse generale cui sono
chiamati a contribuire tutti i soggetti operanti in Italia, indipendentemente
dall’Autorità cui sono sottoposti. La disposizione relativa all’alimentazione dell’anagrafe sinistri domestica da parte delle imprese comunitarie esclude una interlocuzione di queste con l’Istituto; l’art. 135, comma 2, cod. ass.
prevede, infatti, che “i dati relativi alle imprese di assicurazione che operano nel territorio della Repubblica in regime di libera prestazione dei servizi o in regime di stabilimento sono richiesti dall’ISVAP alle rispettive Autorità di vigilanza degli Stati membri interessati”.
5. PRESCRIZIONI SANZIONATORIE DELLA DISCIPLINA ANTIFRODE
Una riflessione sulla vigilanza amministrativa sul contrasto alle frodi,
infine, deve dedicare un cenno all’aspetto sanzionatorio. La previsione del
potere repressivo e di quantificazione della misura afflittiva rilevano, invero, in una, quanto meno, duplice prospettiva. Da un lato, l’attribuzione di
una potestà di reazione viene a completare gli strumenti messi a disposizione dell’Amministrazione, concedendole una leva di pressione che può
considerarsi strumentale al raggiungimento degli obbiettivi fissati dal legislatore. Dall’altro, la determinazione tra un minimo ed un massimo della
“pena” amministrativa, oltre che operare come deterrente all’inadempimento, offre un’indicazione in merito all’attesa che l’ordinamento ripone
nei comportamenti imposti.
Se si confrontano le previsioni specifiche con quelle di altre sanzioni ci
si accorge di come il legislatore tenda a riconoscere un alto valore – quanto meno di principio – alla presentazione della relazione antifrode poiché
punisce in modo particolarmente pesante la sua omissione. Infatti, a seconda
della gravità dell’illecito si prevede che l’Amministrazione possa comminare una sanzione oscillante tra un minimo di 10.000 euro ed un massimo
di 50.000 (art. 30, comma 1-bis, d.l. 1/2012). La legge, dunque, contempla
un minimo edittale ben superiore a quello di 5.000 euro previsto per il caso di omissione degli obblighi informativi dall’art. 190, comma 1, cod. ass.
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(art. 310, comma 1, cod. ass.). Minimi e massimi, ancora, più alti di quelli
posti a presidio dell’obbligo di comunicazione periodica necessaria per l’aggiornamento della banca sinistri (art. 135, comma 2, cod. ass.), compresi
tra i 1.000 ed i 10.000 euro (art. 316, comma 1, cod. ass.) (21).
Peraltro, poiché le disposizioni d’interesse operano rispetto ad un particolare ramo, per cui è previsto l’obbligo a contrarre per gli assicuratori
abilitati, ci si può chiedere se vi possano essere interferenze tra l’uno e l’altro plesso di norme tali da rilevare sul piano sanzionatorio. In specie, ci si
può domandare se l’allungamento dei tempi di conclusione del contratto
dovuti all’operare dei presidi di prevenzione introdotti in sede assuntiva
possa assumere una valenza esimente rispetto all’applicazione delle sanzioni previste sia per il rifiuto che per l’elusione dell’obbligo a contrarre
(art. 314 cod. ass.) (22).
Nonostante l’enfasi con cui la vigilanza sottolinea la necessità di presidi preventivi la risposta è ragionevolmente negativa; infatti, la stessa fonte
dell’obbligo (art. 132, comma 1, cod. ass.) consente l’espletamento di una
contenuta attività di verifica preliminare, limitata (23) al controllo della correttezza degli attestati di rischio, all’identità del contraente e dell’assicurato e, al più, se richiesta, all’ispezione del veicolo. Dunque non v’è spazio
per dilazioni, risultando ininfluente ogni indice di sospetto e, secondo alcuni, neppure il tentativo di truffa, nel caso in cui il c.d. proponente si ravvede e svela l’iniziale reticenza (24).
Ad oggi l’ordinamento tende pragmaticamente a garantire il rispetto
dell’obbligo degli assicuratori in prevalenza tramite lo “spettro” della sanzione, rendendosi conto che i rimedi civilistici astrattamente percorribili
di fatto risultano “impraticabili” (25). Perciò il contratto dovrà conclu(21) Per una rassegna dei poteri d’indagine dell’Autorità di vigilanza assicurativa e
del relativo “apparato” sanzionatorio, si veda M. FRATTINI, Le sanzioni dell’Istituto per la
vigilanza delle assicurazioni private e di interesse collettivo, in AA.VV., Le sanzioni delle autorità amministrative indipendenti, a cura di M. Frattini, Milano, 2011, p. 625 ss.
(22) Per un’esemplificazione delle fattispecie elusive si vedano, A. CANDIAN - C.
DABRASSI, La vigilanza sul settore r.c. auto, in AA. VV., La responsabilità civile automobilistica, a cura di C. Dabrassi e P. Prandi, Milano, 2013, p. 97 ss. e spec. 105.
(23) Cfr. M. MAGGIOLO, Appunti sull’obbligo a contrarre nell’assicurazione obbligatoria di veicoli a motore e natanti, in Riv. dir. civ., 2008, II, 41.
(24) Così M. ROSSETTI, L’assicurazione obbligatoria della r.c.a, Torino, 2010, p. 58.
(25) Per quanto si ammetta – M. MAGGIOLO, op. cit., p. 47 – la possibilità di reagire al rifiuto dell’assicuratore con il rimedio dell’art. 2392 c.c., anticipando gli effetti della pronuncia finale con un provvedimento d’urgenza, lo strumento si palesa di teorica
applicazione, attesa la non immediatezza del ricorso all’autorità giudiziaria, inconciliabile con l’impellenza del tipo di bisogno che con quello si vorrebbe soddisfare.
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dersi quanto più velocemente, salvo poi reagire contro chi tenta d’approfittare indebitamente della copertura assicurativa. Perciò solamente nella
fase di gestione del sinistro si potranno svolgere quei più approfonditi accertamenti, che abilitano, al ricorrere di indici di allarme, alla sospensione dell’obbligo di pagamento e, poi, spingere a denunciare gli autori delle condotte sospette all’autorità giudiziaria. Reazione dell’assicuratore,
peraltro, che potrebbe avvalersi anche del supporto che in forza dell’art.
21 d.l. 179/2012 può ricevere dalla stessa Autorità di vigilanza. Nel ribadire il proprio impegno alla lotta alle frodi assicurative, infatti, il legislatore ha affidato all’Amministrazione di settore anche il compito di sostenere e stimolare, attraverso la propria attività d’indagine e propositiva,
tanto le imprese che gli organi inquirenti e giudiziari chiamati a far fronte all’esecrato fenomeno (26).
Le riflessioni esposte, però, inducono ad una conclusione critica. Se
la soluzione normativa è quella di garantire il diritto all’assicurazione (27),
l’obbligo di predisporre rimedi preventivi in fase assuntiva, a fronte dell’attuale quadro legislativo, assume una rilevanza marginale se non
discutibile per una plausibile violazione del principio di proporzionalità
(28); per la collisione, cioè, con quel parametro di legittimità degli atti di
portata generale confermato tanto dalla legge sul risparmio (art. 23, comma 1, l. 262/2005) quanto da quella specifica (art. 191, comma 2, cod.
ass.) (29). Non pare, infatti, aver senso una pretesa dell’Amministrazione alla predisposizione di procedure e rimedi che pur, se in astratto, ca-
(26) L’attività dell’IVASS è agevolata dall’impiego di un “archivio informatico
integrato”, realizzato tramite la connessione a tutte le banche dati preesistenti e future, individuate da apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti
cui, comunque, tutte le imprese sono tenute a concorrere, consentendo all’Autorità
l’accesso ai propri archivi informatici e banche dati (art. 21, commi 3-4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 178).
(27) In quanto situazione strumentale alla soddisfazione di coloro che possono risultare vittime di attività che presentano un particolare rischio, cfr. A. DONATI - G. VOLPE PUTZOLU, op. cit., p. 223.
(28) Cfr. G. MORBIDELLI, op. cit., p. 56-58.
(29) Dunque, l’obbligo a contrarre non si presta come da altri evidenziato – M. FRIGESSI DI RATTALMA, Controlli e Solvency II, loc. cit. – come ragione delle difficoltà di
implementazione dei controlli antifrode in sede assuntiva, bensì come elemento di
irrazionalità di una disciplina che impone la predisposizione di apparati organizzativi
interni di prevenzione destinati a non poter operare in caso di individuazione di situazioni critiche.
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Gianluca Romagnoli
paci di individuare anche gravi indici d’allarme non rilevano ai fini della
conclusione dei singoli contratti e non sono destinati ad aver alcun peso
quando si va a misurare la correttezza della condotta dell’impresa (30).
(30) Motivi tutti di perplessità che, forse, sarebbero stati meglio apprezzati nel caso
in cui il progetto di provvedimento fosse stato sottoposto anche all’analisi d’impatto regolamentare, previsto dall’art. 23 l. 262/2005, come momento del procedimento di produzione degli atti normativi, ma allo stato – secondo una lettura formalistica – non imposto, in attesa dell’adozione, da parte dell’Autorità, dell’apposito regolamento attuativo.
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Repressione delle frodi
e modelli organizzativi interni
DI
GIORGIOMARIA LOSCO
Consigliere Sezione Italiana AIDA
1. L’art. 30, comma 1, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, recante Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito con modificazioni in l. 24 marzo 2012, n. 27 (di seguito “decreto liberalizzazioni”) prevede che le imprese di assicurazione
autorizzate ad esercitare il ramo r.c. auto trasmettano all’ISVAP, con cadenza annuale, una relazione predisposta secondo un modello definito dall’Autorità. La relazione contiene informazioni dettagliate circa il numero
dei sinistri per i quali si è ritenuto di svolgere approfondimenti in relazione al rischio di frodi, il numero delle querele o denunce presentate all’Autorità giudiziaria, l’esito dei conseguenti procedimenti penali, nonché le misure organizzative interne adottate o promosse per contrastare le frodi.
Come è noto, peraltro, il fenomeno delle frodi assicurative è antico come lo stesso contratto di assicurazione tanto che, a loro volta, le imprese assicurative si sono nel tempo affinate, sino ai giorni nostri, per porre in essere adeguate politiche organizzative a contrasto del pernicioso fenomeno.
L’Autorità di vigilanza ISVAP (ora IVASS), come già detto, intende sottoporre ad attento esame la validità delle misure adottate dalle imprese, tenuto
conto che il fenomeno fraudolento incide notevolmente sul costo dei premi
assicurativi a carico della comunità assicurata.
Nello specifico le fattispecie fraudolente che incidono sempre più frequentemente nell’ambito del rapporto assicurativo (specialmente in tempi
di crisi economica) sono incentrate nella falsificazione materiale o ideologica della documentazione qualificativa del rischio al fine di ottenere una
indebita riduzione dei premi e nella falsificazione o alterazione dei fattori
inerenti alla liquidazione dei sinistri, sia sulle dinamiche di accadimento (o
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Giorgiomaria Losco
persino la creazione di sinistri mai avvenuti), sia sulla natura ed entità dei
danni di cui si chiede il risarcimento o l’indennizzo.
In questo quadro realistico si dovranno individuare le modalità difensive del patrimonio dell’impresa assicurativa poste in essere a contrasto da
parte degli organi direzionali/organizzativi delle imprese stesse; tutto ciò
anche nell’ottica della speciale attenzione imposta dalla normativa regolamentare sulle imprese assicurative nel contesto delle attività di risk management per i c.d. rischi di assunzione, operativi, di legalità (ex art.18 Reg.
ISVAP n. 20 del 26 marzo 2008).
2. Premessa d’ordine giuridico generale delle indicazioni che forniremo in tema di strutture organizzative aziendali è senz’altro il principio di
buona fede (rectius: uberrima fides) che deve ispirare il rapporto contrattuale assicurativo come traspare dagli artt. 1882 e seg. del codice civile.
Buona fede dell’assicurato, che deve poter contare (avendo versato un
premio ante fatto dannoso e solo per la presenza di un supposto rischio, che
probabilmente non sfocerà mai, nel corso del contratto, in un sinistro!):
– su un accorto accantonamento da parte dell’assicuratore delle somme
idonee a far fronte all’eventuale danno;
– su una rapida istruttoria e una corretta liquidazione dei danni.
E buona fede dell’assicuratore, che confida nelle dichiarazioni e nelle realtà sottopostegli dagli assicurati, sia di quelle necessarie alla individuazione corretta dei rischi e dei premi necessari alla loro copertura, sia di
quelle connesse all’evento sinistro nella sua complessità (leggi: stato delle cose e rappresentazione dei fatti e dei pregiudizi vantati). Certamente le
note previsioni del codice civile in ordine alla tutela della buona fede delle parti (tra tutte, ad esempio, gli artt. 1892 e ss.) evidenziano l’intento del
legislatore di mantenere economicamente integro il sinallagma contrattuale
e mutualistico; e non solo, anche in sede penale la previsione puntuale dell’art. 642 cod. pen., come novellato, assurge altresì a precetto di difesa sociale contro le frodi o le tentate frodi a tutela dello stesso principio mutualistico. È indubbio, infatti, che la lesione illecita del patrimonio a
disposizione degli assicurati e degli assicuratori, che tale patrimonio amministrano, non può che costituire un’illecita locupletazione a scapito di
tutti gli assicurati.
3. Accanto, allora, ai precetti ordinamentali, occorrerà un’adeguata struttura organizzativa aziendale per controlli e verifiche nei rami assicurativi
principalmente coinvolti dai fenomeni fraudolenti.
Tali sono quelli afferenti al settore danni: danni a cose e al patrimonio,
quali le garanzie dirette furto, incendio, kasko, bagnamenti, fenomeni elet-
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trici, ecc.; danni al patrimonio, quali le garanzie perdite pecuniarie, rimborso spese mediche e di cura, responsabilità civile, ove il ristoro del danno al soggetto danneggiato da fatto illecito dell’assicurato salvaguardi da
tale obbligazione risarcitoria l’assicurato stesso; credito e cauzioni; danni
diretti alla persona (ramo infortuni).
Nei processi gestionali assicurativi i soggetti potenzialmente coinvolgibili sono, oltre all’impresa assicuratrice, gli assicurati o i danneggiati (o
presunti tali), nelle assicurazioni di responsabilità civile (auto e non auto),
i periti, consulenti e patrocinatori, gli intermediari di assicurazione di cui
all’art. 109 cod. ass. (agenti, collaboratori di agenzia, ecc.), gli addetti direzionali al controllo dell’assunzione dei rischi, gli addetti direzionali e territoriali alla liquidazione sinistri ed i loro collaboratori tecnici valutatori e
informatori, i legali fiduciari dell’assicuratore nella fase dell’eventuale contenzioso civile o penale, così che anche in relazione alle attività di tali soggetti, interni o esterni all’impresa, non potranno mancare attività di controllo di secondo livello dirette alla verifica della corretta conduzione da
parte dei citati organi dell’impresa, onde verificare che svolgano correttamente e compiutamente i compiti gestionali e di controllo di primo livello
loro affidati dall’organizzazione aziendale.
Tali controlli ispettivi sulle strutture operative, per così dire, di primo
livello, possono essere collocati nella “funzione antifrode” (di seguito: FA),
ma più spesso presso Ispettorati di controllo: a livello di direzioni di ramo
per la parte assuntiva, a livello di direzione sinistri per la parte liquidativa
e ciò anche al fine di evitare che avvengano liquidazioni prive di approfondite analisi di genuinità (per timore o quieto vivere), ovvero resistenze
per semplici sospetti senza adeguati riscontri e supporti probatori.
4. Ciò detto potremo individuare alcune macrolinee nelle specifiche fasi dei processi gestionali del contratto assicurativo.
a) Fase assuntiva
Una fase di verifica dei dati forniti dagli assicurandi o assicurati diretti alla determinazione del premio da loro dovuto a copertura dei rischi sottoposti all’assicuratore.
È, per esempio, il caso della verifica, nel settore delle polizze di responsabilità civile veicoli a motore, dell’attestato di rischio per la determinazione della classe di merito (il c.d. meccanismo del bonus/malus) relativa al veicolo per il quale è richiesta una nuova copertura presso un assicuratore diverso da quello che assicurava il veicolo precedentemente,
ovvero quella di altro veicolo di proprietà di familiare convivente, appartenente a miglior classe di merito per l’applicazione della normativa pre-
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vista dalla c.d. riforma Bersani di liberalizzazione (l. n. 40/2007). Oppure, ancora, della verifica dei documenti identificativi del mezzo in circolazione e della residenza degli assicurati in relazione alle diverse tariffazioni previste per targhe di autoveicoli o provincia di residenza dell’assicurato per ciclomotori o, ancora, per tale tipo di mezzi, la falsa attestazione di proprietà dei mezzi stessi da parte di soggetti residenti in località diverse da quelle di effettiva messa in circolazione da parte dei proprietari
reali. Anche nei rami furto/incendio potranno essere necessarie verifiche
sulla corretta descrizione del rischio e sulla sua consistenza al fine di determinare correttamente il premio applicabile e/o di prevenire onerosi conflitti a sinistro avvenuto, specie in presenza di beni di considerevole valore e/o elevata rischiosità.
Alle incombenze di controlli del rischio provvederà in prima battuta la
rete produttiva sul territorio a cui l’impresa affida la responsabilità del controllo di primo livello; a loro volta gli uffici assuntivi direzionali, in base al
ramo di competenza, direttamente o tramite ispettori in zona, verificheranno il corretto adempimento del controllo di primo grado. Laddove si verifichino anomalie fraudolente, a contratto stipulato, e che ne richiedano l’annullamento e il recupero del pregiudizio (es. maggior premio), potranno
procedere le stesse citate direzioni di ramo, interessando, laddove il fenomeno appare essersi manifestato in un contesto diffuso, gli uffici direzionali con funzioni antifrode che coordineranno le attività a contrasto nelle
sedi giudiziarie adeguate (civili o penali).
Anche in questo ambito c.d. di regolarità assuntiva dei rischi viene a rilevare l’intervento spesso primario della rete di liquidazione sinistri, che
proprio in occasione della istruttoria sul sinistro rilevi anomalie assuntive;
la rete liquidativa ne darà allora adeguata informazione agli organi sopra
indicati per il prosieguo sia di mantenimento o meno del contratto, sia di
iniziative legali a contrasto.
Ovviamente laddove si constati, in genere a seguito di sinistri, la presenza di documenti assicurativi (polizze, contrassegni r.c.a.) falsificati o alterati, la stessa gestione del sinistro, con la reiezione della garanzia e le iniziative processuali del caso, sarà assunta dai competenti uffici antifrode dell’impresa assicurativa.
b) Fase di liquidazione sinistri
Più variegata e complessa, stante la pluralità di condotte possibili a danno dell’assicuratore, sarà la gestione delle frodi o sospette tali in ambito sinistri: sia per i casi di eventi/sinistro simulati che per quelli di danni simulati o dolosamente esagerati anche a seguito di sinistri effettivamente avvenuti ma con nessuna o minore conseguenza.
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Ciò si potrà manifestare ad esempio:
– simulando furti mai avvenuti;
– ovvero provocando dolosamente incendi o autolesioni;
– in ambito di sinistri stradali, creando incidenti fittizi utilizzando veicoli già danneggiati (e non riparati) da precedenti sinistri, ovvero dichiarando lesioni a terzi o trasportati a causa del sinistro mentre tali soggetti ne
furono effettivamente estranei ancorché lesi da precedenti diversi eventi o,
peggio, utilizzando documenti medici falsi o alterati o mendaci con responsabilità civile e penale del medico certificatore (vedasi, in tema, le previsioni punitive ex art.10 bis del d.l. n. 78/2010, integrate dal d.l. n. 1/2012);
– non infrequentemente con l’uso di testimoni falsi;
– con l’uso di uno stesso veicolo con targhe false per più sinistri;
– con l’acquisto di veicoli già incidentati al fine di simulare altro incidente.
In tema di frodi sulle conseguenze dannose è frequente l’uso di ricorrere alla falsificazione di documenti sanitari (comprese lastre radiografiche
e notule di spese assertivamente sostenute).
Anche per i danni alle cose si riscontrano:
– false fatture di riparazione a veicoli;
– sovrafatturazioni;
– utilizzo di precedenti fatture riproposte con dati alterati;
– incongruenze tra danni riportati dai veicoli coinvolti o tra danni e dinamiche rappresentate.
Dalla suesposta semplificata panoramica di casistiche emergono le possibili linee strategiche di difesa a disposizione delle unità addette alla gestione di tali situazioni che – anche attraverso le proprie strutture centrali e
periferiche ed attraverso consulenti tecnici, legali, medici, investigatori e in
molti casi con l’ausilio delle autorità di polizia o giudiziaria (esistono infatti in più procure della repubblica pool antifrode assicurativa con magistrati ed investigatori specializzati) – si attiveranno per debellare o almeno
contenere il fenomeno.
Fenomeni nettamente in contrasto con il principio di solidarietà mutualistica che rappresenta la funzione economico-sociale del contratto di assicurazione per cui tutti gli assicurati (il che vuol dire i milioni di assicurati onesti), di fatto, dovranno farsi carico dei costi di tale disonesta attività
ove non efficacemente contrastata; ed all’uopo è sempre più frequente l’input del legislatore (da ultimo il d.l. n. 1/2012, artt. 30 e ss., conv. in l. 24
marzo 2012. n. 27) e dell’ISVAP (cfr. Reg. n. 48/2012) a che il fenomeno sia
attentamente monitorato in termini di:
– costi;
– incidenza sui premi;
– efficacia delle attività a contrasto.
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In altri termini la frode assicurativa non deve essere un pretesto per
poter aumentare i premi assicurativi nella generalità e quindi l’attività
antifrode non deve essere un mero processo di routine e formale di gestione dei casi più o meno fondatamente sospetti, intasando il sistema
giudiziario con querele poi reiette per inidoneità di prove a sostegno o
con resistenze in sede civile sfocianti in operosissime soccombenze per
le stesse ragioni.
5. Perciò, prima di illustrare i modelli di impresa a contrasto, vorremmo inquadrare anche le linee di azione richieste ai collaboratori come sopra indicati.
Ad esempio, le strutture liquidative dell’impresa richiederanno al medico-legale, fornendogli tutta la necessaria documentazione (in primo luogo, in caso di incidenti veicolari, le indicazioni o le fotografie attestanti tipologia e gravità dei danni, le risultanze della Banca Dati Sinistri ISVAP e
del Casellario Centrale Infortuni):
– la verifica che i danni fisici siano in rapporto di causalità con l’evento (nesso causale);
– la loro determinazione e quantificazione, verificando che siano congruenti e gli oneri relativi congrui;
– l’indicazione se la lesione risulti o meno strumentalmente o visivamente accertabile;
– la segnalazione all’organizzazione liquidativa della opportunità di una
perizia ergonomica per valutare la congruità delle lesioni lamentate con i
danni veicolari (specie nei casi di dubbi colpi di frusta);
– l’attenta verifica sulla genuinità di documenti sanitari prodotti.
Tutto ciò sia nella fase immediatamente successiva al sinistro sia in
quella c.d. di guarigione avvenuta e deputata alla valutazione di eventuali
postumi permanenti di invalidità residuati.
A sua volta il tecnico valutatore dei danni alle cose procederà su incarico dei centri di liquidazione, analogamente, a verificare:
– l’entità dei danni;
– la relazione causale con il sinistro denunciato, come corrispondenza
tra quanto dichiarato dalle parti come modalità di accadimento e tipi ed ubicazione dei danni, invece, riscontrati;
– la ricostruzione cinematica del sinistro ove necessario;
– la congruità dei documenti di spesa ovvero la verifica che non si
tratti di preventivi o fatture false (integralmente ovvero di fatture relative ad altri mezzi e falsificate per riferirle ad altro mezzo), che non si sia
in presenza di strutture di riparazione inesistenti o non strutturate per le
riparazioni indicate come eseguite, che gli importi indicati non siano mag-
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giorati rispetto a quelli effettivamente necessari o riguardino parti di veicolo non interessate al sinistro.
Ancora, tra gli strumenti professionali di intervento vi sono i legali fiduciari delle imprese, cui faranno capo le attività di stimolo dell’azione penale, compresa l’eventuale costituzione di parte civile dell’impresa (in ordine alle fattispecie penalmente rilevanti quali il falso materiale o ideologico, la truffa, il tentativo di truffa, il fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e la mutilazione fraudolenta della propria persona, la simulazione di reato e, in alcuni casi, la stessa associazione a delinquere); nonché
le attività di difesa in sede civile nei casi in cui l’assicurato, o il danneggiato se diverso dall’assicurato, a fronte di contestazioni dell’impresa ritenga di far valere le sue pretese avanti il giudice civile. In entrambi i casi
il legale avrà l’importante compito di saper rappresentare al magistrato la
fondatezza dei rilievi mossi dall’assicuratore onde ottenere il rigetto della
domanda ed il ristoro delle spese; nel caso di soccombenza dell’assicuratore per ritenuta infondatezza delle sue eccezioni si abbatteranno, infatti,
sul patrimonio assicurativo, oltre agli obblighi risarcitori maggiorati di interessi e rivalutazione, anche le spese processuali (perizie, attività istruttorie, ecc.) e quelle legali, sia del proprio difensore che di quello della controparte, con evidente enorme lievitazione dei costi del sinistro, oltre al danno d’immagine. Sarà pertanto cura delle strutture antifrode o liquidative
competenti sottoporre, anche con l’ausilio preventivo del proprio legale fiduciario, ad attento e prudente esame il materiale raccolto affinché semplici sensazioni o sospetti, non convincenti né suffragabili da prove, non conducano, con una resistenza ritenuta poi immotivata, alla debacle.
Faranno capo alle strutture investigative antifrode d’impresa, se non già
rilevate in sede di gestione del sinistro da parte delle reti liquidative (e ciò
si verifica laddove all’atto dell’apertura della posizione non si siano ancora appalesate anomalie sia da parte della rete agenziale, sia da parte della
rete liquidativa stessa, sia, infine, da parte del sistema di inserimento dati
informatici che, sulla scorta di particolari indicatori, segnala in automatico
la possibile anomalia con conseguente passaggio della posizione alla funzione antifrode) :
– gli accertamenti presso l’autorità di polizia;
– l’interrogatorio dell’assicurato e degli eventuali testimoni;
– l’interrogatorio del/dei danneggiati anche al fine di accertarne lo stato di salute;
– le indagini sui precedenti specifici dei soggetti e dei veicoli coinvolti anche attraverso la Banca Dati Sinistri ISVAP, il Casellario Centrale Infortuni e lo Schedario Sinistri R.C. ANIA;
– l’eventuale perizia di riscontro.
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Il tutto, peraltro, nel rispetto delle tempistiche istruttorie/liquidative, di
offerta o diniego della stessa, previste dalla legge per evitare le sanzioni degli organi di vigilanza.
6. Nel contesto dell’organizzazione liquidativa aziendale possiamo distinguere tra strutture periferiche e strutture centrali sinistri. In alcune realtà la FA è centralizzata e si avvale delle strutture periferiche, in
altre invece essa opera direttamente dal centro ovvero ha propri uffici FA
distaccati sul territorio, soprattutto in base al numero di frodi o tentate
frodi che caratterizzano certi territori rispetto ad altri meno colpiti dal fenomeno.
In ogni caso, ogni attività di monitoraggio e contrasto del fenomeno de quo non può non giovarsi della collaborazione delle strutture periferiche aziendali (Ispettorati sinistri, Centri liquidazione danni ed Agenzie). Saranno, infatti, queste strutture a fornire il primo input alla FA, e,
a latere, come già detto, potranno essere previste forme di segnalazione automatica dei sistemi informatici che, all’atto della registrazione dei
dati del sinistro, possono evidenziare fattori predeterminati tali da ingenerare sospetti di anomalia (come, ad esempio, la frequenza di sinistri in determinati ambiti temporali per determinati mezzi o soggetti
coinvolti).
È, infatti, essenziale che tutte le imprese, indipendentemente dalle diverse modalità di gestione dei sinistri, siano dotate di funzione antifrode finalizzata a conoscere e quantificare i fenomeni fraudolenti che le colpiscono, valutazioni che permetteranno di individuare il modello organizzativo
a contrasto ritenuto più idoneo, soprattutto nell’ottica di necessario o meno
accentramento della funzione rispetto alla gestione autonoma delle strutture territoriali originarie, ancorché supportate e vigilate in questo compito
da organi direzionali di audit.
Non si trascura in questo contesto valutativo anche la necessità che, oltre alla preparazione specifica degli addetti, sia garantita anche la loro sicurezza personale e la stessa integrità fisica.
Ed è indubbio che laddove, in prima battuta, la gestione del sinistro evidenzi velati o palesi atteggiamenti minacciosi ovvero ci si trovi a trattare
con soggetti coinvolti in indagini o reati commessi, la competenza di gestione non potrà che essere assunta dalla FA.
È prevalente, infatti, in quanto rilevante, la costituzione di una FA centralizzata quanto meno nelle scelte operative, nell’ambito dell’impresa assicurativa, essa potrà, come detto, avvalersi di propri uffici decentrati operativi o semplicemente di smistamento, in prima battuta, alla gestione ordinaria oppure a quella “speciale”. Non mancano realtà operative in cui, ac-
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canto agli uffici di gestione ordinaria per i sinistri ritenuti “normali” (uffici liquidazione danni di zona), potranno esservi uffici per la gestione di sinistri ritenuti “speciali”, sulla base di criteri e parametri predeterminati, in
quanto potrebbero essere fraudolenti, e uffici di FA addetti alla gestione
delle frodi concretamente acclarate, funzione alla quale faranno capo anche
attività di audit sia verso l’esterno (situazioni critiche di particolari territori o di particolari organizzazioni di profilo delinquenziale) che verso l’interno per prevenire ed accertare eventuali infedeltà fraudolente messe in
opera da organismi liquidativi o assuntivi o di altri collaboratori istruttori
della società.
È indubbio che, indipendentemente dalle possibili strutturazioni della FA, nessuna impresa declina al principio che le strutture liquidative di
zona vengono a costituire importanti punti di osservazione delle realtà locali, dei rischi di gestione in determinate aree e di conoscenza di soggetti inclini alla fraudolenza. La centralizzazione della gestione frodi o sospette tali assicura certamente maggior conoscenza del fenomeno, potenza strutturata a contrasto e minor pericolo di condizionamento ambientale, ma nessuna struttura d’impresa rinuncia alla costante e stretta correlazione con le reti territoriali, come detto, sentinelle sensibili delle realtà
locali soprattutto di quelle a maggior diffusione di criminalità, specie se
organizzata.
7. Indipendentemente, poi, dalle possibili diverse collocazioni della FA
nell’organigramma aziendale (come funzione facente capo alla direzione
sinistri ovvero più in generale alla direzione assicurativa sovrastante ovvero, in alcuni casi, come funzione di staff della direzione generale) permarranno i controlli su tale attività da parte degli organi di vigilanza di impresa in supporto agli organi amministrativi e cioè: Internal audit, Compliance, Risk management, previsti dalla vigente normativa.
In linea generale le FA sono costituite ed organizzate al fine di diffondere la cultura antifrode interdisciplinare nell’impresa, coordinandosi con
le altre funzioni interessate, con gli uffici addetti dell’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA) con la pubblica autorità e con analoghe strutture del mercato assicurativo, per garantire organicità e sistematicità all’attività, nonché al fine di individuare strumenti di prevenzione e
di evidenziazione dei fenomeni (banche dati, sistemi di estrazione ed evidenza informatica automatica), consentendo così ai vari operatori assicurativi di essere per tempo allertati ed agire di conseguenza secondo le direttive aziendali in merito, e, infine, per seguire gli sviluppi delle azioni penali o civili, assicurarne il buon esito e comunque costituirsi indici di prassi e precedenti giudiziari in materia.
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Infatti, nella specificità dell’attività della FA possiamo, poi, distinguere le attività connesse con le frequenti ipotesi di falsità di certificati/contrassegni, quietanze di pagamento di premi e polizze r.c.a., carte verdi
o attestati di rischio.
Qui il rapporto è diretto tra FA e strutture commerciali dell’impresa
(agenzie/ispettorati commerciali/uffici assuntivi direzionali).
Le fonti di informazione possono rinvenirsi sia in segnalazioni provenienti dall’Autorità, da altre società assicuratrici, o dalle reti agenziali o
ispettive commerciali e assuntive, sia in presenza di richieste danni in assenza di una posizione contrattuale presso la società.
La FA, effettuate le debite verifiche anche con gli uffici competenti e
consultate le banche dati PRA, ANIA ed ISVAP su targhe e nominativi, e riscontrate le anomalie, potrà incaricare il fiduciario penalista centrale o di
zona per la predisposizione degli atti di denuncia-querela, da estendersi, se
del caso, anche nei confronti di soggetti venditori di polizze e documenti
falsi e per seguire gli sviluppi dell’indagine penale; parallelamente potranno essere disposte verifiche presso le reti commerciali (agenzie o subagenzie) su eventuali omissioni o carenze nei controlli assuntivi.
In questo settore i controlli antifrode si svolgeranno, a fini preventivi,
incrociando i dati contrattuali presenti in azienda (ad es., l’elenco delle polizze senza attestato di rischio rispetto ai sinistri denunciati), nonché i dati
dei nuovi ingressi e le banche dati intersocietarie e pubbliche per evidenziare eventuali coincidenze con nominativi sospetti.
8. Parallelamente le altre importanti attività funzionali sono incentrate nell’emersione e nel contrasto di frodi in materia di sinistri considerati come:
– eventi non verificatisi;
– eventi verificatisi con modalità diverse da quelle descritte;
– eventi verificatisi ma con conseguenze diverse da quelle lamentate;
in questo ambito, oltre che sull’assicurato, si dovrà vigilare anche sulla o
sulle controparti nei casi di polizze di responsabilità civile.
Come noto i meccanismi di liquidazione sinistri sono impostati su:
– analisi della denuncia sinistri, delle richieste di controparte (in R.C.)
e della documentazione a sostegno presentata;
– istruttoria su fatti, responsabilità e danni direttamente o a mezzo consulenti tecnici di fiducia (periti, medici legali, investigatori);
– quantificazione e liquidazione.
Il tutto nel rispetto dei tempi e delle modalità previste dal codice delle
assicurazioni per i sinistri inerenti l’assicurazione r.c.a., come modificato
dal citato d.l. n. 1/2012.
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In questi processi si vengono a collocare le strutture preposte alla gestione delle possibili frodi e ciò, come detto, in autonomia diretta o in parallelo alle strutture liquidative per così dire “ordinarie” sul territorio, su input di queste ultime.
Le società assicuratrici predispongono, infatti, per queste funzioni e per
ogni ramo, indici fattuali diretti ad allertare le iniziative antifrode, nonché
possibili indicatori a sistema di questi fenomeni.
A titolo di esempio indichiamo solo alcune delle casistiche spesso ricorrenti :
nel ramo A.r.d. (Auto rischi diversi)
– denuncia di furto di veicoli venduti all’estero o di parti di veicolo precedentemente smontate ed occultate;
– denuncia di sinistro avvenuto entro breve tempo dalla decorrenza della garanzia o eccessivo ritardo nella denuncia di sinistro;
nel ramo Furto e incendio
– simulazione di scasso di porte e finestre o sottrazione di merci prima
del sinistro;
– capitali assicurati elevati o eccessivi o loro aumento in data di poco
antecedente al sinistro.
nel ramo Infortuni e malattie
– simulazione di lesioni o malattie, mettendo in risalto menomazioni
pregresse o aggravando quelle esistenti;
– sinistri avvenuti in Paesi esteri ove è difficoltosa la verifica della autenticità della documentazione medica prodotta;
– sproporzione tra capitali assicurati per il caso morte e per il caso di
invalidità permanente ovvero assicurazione con capitali elevati in rapporto
all’età e alla professione.
nel ramo Trasporti
– copertura di singoli trasporti da clienti occasionali o singoli trasporti
di merci ad elevato rischio e di elevato valore;
– simulazione di manomissione di antifurto, o di rapina, o dello scasso
di portelloni o teloni.
nel ramo R.c.a.
– postdatazione della data dell’evento rispetto a quella di stipulazione
del contratto o del pagamento delle rate;
– utilizzo delle stesse fotografie per più sinistri denunciati ad altre imprese;
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– denuncia di falsi sinistri con la complicità o meno di altro conducente, ovvero richiesta al Fondo di garanzia vittime della strada di risarcimenti per danni da auto pirata;
– omessa denuncia di sinistro o estremo ritardo nella denuncia;
– denuncia di trasportato non segnalato in denuncia;
– anomalo numero di veicoli assicurati dallo stesso contraente;
– denuncia di investimento di pedoni ad opera di ciclomotori (non essendo tali veicoli inseriti nello Schedario Centrale Sinistri R.C.)
– anomala frequenza di sinistri con controparte diversa da autoveicoli;
– indisponibilità dei veicoli coinvolti alle operazioni peritali prima delle riparazioni;
– ripetitività degli stessi nominativi come testimoni;
– eventuali anomalie nella ricostruzione del sinistro emergenti dal controllo dei veicoli sui quali sono installati dispositivi elettronici di rilevazione delle condotte di guida.
Oltre a queste fattispecie – indicate, come detto, in via meramente esemplificativa rispetto ad una ben maggiore pluralità di eventi possibili espressione di anomalie – va da sé che tutti i casi in cui emergano dubbi sulla genuinità di documenti, sottoscrizioni, testimonianze saranno oggetto di speciale attenzione e gestione; gestione che sfocerà nelle più idonee difese legali e nei
provvedimenti contrattuali connessi (annullamento o recesso di polizza).
9. Per sintetizzare, tutti i compiti sin qui elencati richiedono che i modelli organizzativi assunti dalle imprese siano caratterizzati da:
– autonomia funzionale ispettiva della FA;
– specializzazione degli addetti e dei collaboratori;
– difese da indebite pressioni sugli addetti alla FA (interni ed esterni all’impresa) ovvero loro superficialità o, peggio, negligenza dolosa sui controlli/contrasti;
– vigilanza sulla FA da parte dei dirigenti apicali delle imprese;
– vigilanza da parte degli organi di controllo e di audit dell’impresa;
– trasparenza operativa e completezza della raccolta dati per consentire i controlli ISVAP (ora IVASS) sulla idoneità ed efficacia della attività della FA.
Di fatto, fermi e indiscussi questi criteri generali ma indefettibili, le organizzazioni interne di impresa sono dotate di strutture di FA centralizzata. Variano, peraltro, modalità e tipologie di rapporti e reciproca collaborazione ed informazione con le strutture di controllo assuntivo e liquidativo
esistenti per i sinistri per così dire “normali”.
In relazione a queste tipologie di strutture uniche o dettagliate in/con
altre unità organizzative sono da ritenere determinanti le necessità, anche
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numeriche, di risorse dedicate e competenti; sicché sono considerate importanti le politiche formative del personale coinvolto e dei loro collaboratori tecnici. A titolo esemplificativo un’unità organizzativa che ordinariamente si viene a confrontare con la FA è quella addetta alla gestione reclami (ex art. 7 cod. ass. e Reg. ISVAP n. 28 del 19 maggio 2008), reclami da
cui possono emergere spesso segnali di anomalie, non solo gestionali.
Infine, ricordiamo che diversi gruppi assicurativi hanno deliberato, in
un’ottica di sinergie informative, di unificare la FA presso la capogruppo.
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Market consistent embedded value:
un approccio pratico
per una compagnia vita
DI
SABRINA BOSCIONI
Attuario
SOMMARIO: 1. Embedded Value (EV), European Embedded Value (EEV) e Market Consistent Embedded Value (MCEV). – 2. Market Consistent Embedded Value: un approccio pratico.
Un indicatore della capacità reddituale d’azienda è rappresentato dal
“Return On Equity” (ROE), determinato come rapporto tra l’utile netto
d’esercizio e il capitale proprio.
Nel settore assicurativo, e in particolare per le imprese che esercitano i
rami vita, tale indicatore risulta inficiato da alcuni importanti fattori di
business che ne alterano l’“attendibilità”, sia come risultato a sé stante che
come valutazione di riferimento per fini comparativi nel tempo e fra diverse compagnie.
Tali fattori sono da ricondursi, principalmente, all’aleatorietà delle prestazioni insite nei contratti assicurativi, contraddistinte da un orizzonte temporale decisamente significativo, nonché alle normative di settore caratterizzanti i bilanci di un’impresa vita.
Si pensi, ad esempio, al diverso criterio contabile attribuito agli asset
di una compagnia che, nella distinzione tra comparto “durevole” e “circolante”, determina una diversa contabilizzazione delle plusvalenze e minusvalenze implicite di bilancio. O, ancora, alle difficoltà scaturenti dallo sfasamento temporale fra il riconoscimento anticipato delle provvigioni d’acquisto alla rete di vendita e l’incasso dei relativi caricamenti. Al riguardo
sintomatico è il caso di un impresa in forte espansione produttiva il cui in-
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gente anticipo di commissioni può determinare un sostanziale abbattimento dell’utile se non, addirittura, la registrazione di una perdita d’esercizio.
Al fine di superare i limiti suddetti le compagnie inglesi, già negli anni
’80, cominciarono a render pubblico l“Embedded Value” (EV) di compagnia, ossia il “valore intrinseco d’impresa”. Tale valutazione ha due finalità principali:
• interna: in quanto volta a monitorare la capacità d’azienda di creare valore, a valutare l’impatto economico scaturente dalla commercializzazione di nuovi prodotti, ad essere adottata come utile strumento, per il management, per le scelte strategiche;
• esterna: in quanto dedita ad aumentare la trasparenza nei confronti
degli azionisti e del mercato fornendo un’indicazione sul valore d’azienda.
Tenuto conto che il Market Consistent Embedded Value (MCEV) rappresenta un’evoluzione dell’Embedded Value (nonché del successivo European Embedded Value) si ritiene utile ripercorrere il processo evolutivo
che ha condotto all’attuale valutazione intrinseca di portafoglio, al fine di
proporre un approccio pratico per la valutazione di un’impresa vita.
1. EMBEDDED VALUE (EV), EUROPEAN EMBEDDED VALUE (EEV) E MARKET CONSISTENT EMBEDDED VALUE (MCEV)
L’“Associazione degli assicuratori inglesi” (1) emanò, nel dicembre
2001, le prime linee guida sui criteri di valutazione d’azienda, enucleando
gli aspetti chiave necessari ad un valutazione di portafoglio di tipo “embedded” (“incorporato”). Tali principî si rifacevano al criterio dei “profitti
medi raggiunti” e davano indicazione sulle modalità di stima delle principali variabili da considerare.
L’Embedded Value, già nella sua prima formulazione (“EV tradizionale” o “EVT”), risulta composto da due elementi: il primo, di natura prospettica, denominato “Value In Force” (VIF), e l’altro, a carattere prettamente bilancistico, noto come “Adjusted Net Asset Value” (ANAV):
EV=VIF+ANAV
Il VIF esprime la parte “core” della valutazione di portafoglio ed è determinato, a sua volta, come differenza fra il “Present Value Future Profit”
(1) ABI = Association of British Insurer.
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(PVFP), ossia il valore attuale degli utili “industriali” (tecnici e finanziari) futuri generati dal portafoglio polizze, al netto delle tasse, e il “Cost of Capital” (CoC), ossia il costo di immobilizzazione del capitale. In formule sarà:
VIF=PVPF—CoC
laddove:
兺k Uk (1+RDR)—k
PVPF=
e avendo posto con:
Uk= l’utile, al netto delle tasse, realizzato nel generico anno futuro k;
RDR= il tasso deflattivo noto come “Risk Discount Rate”.
Il tasso di sconto “RDR”, nella valutazione dell’EVT, è un elemento di
“input”, in quanto tale tasso è scelto soggettivamente dal valutatore ed è posto pari al tasso di remunerazione atteso dall’azionista.
Il CoC rappresenta, invece, il costo di immobilizzazione del capitale
proprio, accantonato per fini di solvibilità. In particolare l’ammontare allocato dovrà, al minimo, essere pari al margine di solvibilità richiesto dalla
normativa “local”, tenuto conto di ogni altro ulteriore elemento ivi previsto (come ad esempio la limitazione di distribuzione degli utili). Il suddetto accantonamento potrà, poi, essere maggiorato laddove la compagnia si
prefigga il perseguimento di un rating minimo aziendale, al fine di migliore la propria capacità di accesso al credito.
Il CoC può essere considerato come il costo derivante dalla mancata remunerazione del capitale libero d’impresa. In tale ottica l’onere è calcolato come valore attuale degli accantonamenti annui futuri moltiplicati per il
differenziale tra il tasso di remunerazione dell’azionista e il tasso atteso dall’investimento degli attivi a copertura del suddetto capitale di garanzia. Tale differenza è, quindi, riportata all’origine attraverso il medesimo fattore
deflattivo utilizzato nel calcolo dei PVFP.
In formule sarà:
兺k Mk—1 (RDR—i)(1+RDR)—k
CoC=
dove con Mk-1 è stato indicato il capitale di garanzia allocato, all’inizio
di ogni anno di sviluppo prospettico, al fine di garantire all’impresa un determinato livello di solvibilità e con “i” il tasso di remunerazione generato
dal medesimo capitale di garanzia.
L’“Adjusted Net Asset Value” (ANAV) rappresenta il capitale proprio di
impresa, a sua volta distinto fra il suddetto capitale immobilizzato per fini
di solvibilità (“allocated capital”) e il capitale libero (noto come “excess
capital” o “free surplus”).
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Il capitale proprio di impresa è pari alla mera differenza tra attivi e passivi di bilancio e denominato, in terminologia inglese, “Net Asset Value”
(NAV). Tale capitale è, quindi, “aggiustato” delle rettifiche di valore, per
tener conto delle plusvalenze e minusvalenze di bilancio, e ridenominato
“Adjusted Net Asset Value” (ANAV). In un bilancio di un’impresa di assicurazione vita l’ANAV è rappresentato dal patrimonio netto rettificato.
Ai fini della valutazione del VIF le variabili da considerare sono molteplici e sono rappresentate, principalmente, da: i tassi di decadenza dei contratti assicurativi (morte, riscatto, storno, ecc), le spese (acquisizione, incasso e gestione), le ipotesi finanziarie (redditività degli attivi, aliquote di
partecipazione agli utili, inflazione e tasso di sconto) e le tasse.
Le statistiche a supporto delle variabili considerate, siano esse interne
o esterne alla compagnia (dati di mercato), vengono proiettate secondo il
concetto di “best estimate”. Tale principio impone che la modalità della variabile proiettata, da prendere in considerazione nello sviluppo prospettico,
non rappresenta la casistica “maggiormente probabile” bensì quella “mediamente probabile”, ossia in corrispondenza di una frequenza relativa cumulata del 50% (mediana della distribuzione).
L’EVT sebbene rappresenti un utile strumento di gestione d’impresa che
coniuga aspetti tecnico-attuariali con fattori economico-aziendali ha presentato, negli anni, limiti non del tutto irrilevanti. Ci si riferisce in particolare:
1. al considerare unicamente il portafoglio in vigore, non valutando
pertanto la capacità dell’impresa di acquisire nuovi contratti;
2. all’impossibilità di valutare le opzioni implicite nei contratti assicurativi vita. Tipicamente le polizze di assicurazione sulla vita presentano una
garanzia di tasso di rendimento minimo, sia esso offerto su base annua consolidata o media all’“evento” (scadenza, riscatto, decesso), che implica la
necessità di valutare opzioni finanziarie, rispettivamente, di tipo “cliquet”
e “plain vanilla”. L’utilizzo di un’unica curva dei rendimenti degli attivi,
posta in genere maggiore di quella del tasso minimo riconosciuto in polizza, trascura la valutazione delle opzioni implicite, in quanto le valorizza tutte come “out of the money”;
3. alla estrema sensibilità del valore del VIF in corrispondenza di alcuni parametri, quali, tipicamente, il tasso di sconto “RDR” scelto, come
detto, soggettivamente dal valutatore ed esogenamente al modello prospettico;
4. alla scarsa trasparenza dovuta agli ampi margini di scelta in capo al
valutatore;
5. alla considerazione del valore corrente degli asset tramite una mera
rettifica del patrimonio netto.
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La limitazione posta nel primo dei punti sopra elencati è stata superata
con l’introduzione del New Business Value (NBV) che rappresenta il valore attuale degli utili futuri industriali, al netto delle tasse e del costo immobilizzazione del capitale di garanzia, derivanti dalla nuova produzione. Di
fatto trattasi di un “VIF” limitato alla sola nuova produzione dell’anno e
utilizzato, tra l’altro, come indice del valore di avviamento d’impresa. Il
NBV sommato all’EV definisce il cosiddetto “Appraisal Value” (AV):
AV=EV+NBV
Il NBV può essere determinato come VIF a sé stante oppure come differenza tra VIF che già incorpora la nuova produzione e il VIF in assenza
della stessa. In ogni caso l’estrema soggettività derivante dalle ipotesi adottate sui contratti di futura acquisizione rende necessario mantenere ben separato il concetto di Embedded Value da quello di Appraisal Value.
Il principio di separatezza della valutazione del NBV è sancito, tra l’altro, nelle linee guida del CFO Forum (2), “European Embedded Value Principles”, emanate nel maggio 2004, laddove, all’art. 3, comma 2, si stabilisce, chiaramente, che il NBV è escluso dalla valutazione dell’EV.
Gli altri limiti sovra elencati (precedenti punti dal 2 al 5) sono stati superati tramite l’adozione di strumenti di tipo stocastico che tengono conto,
tra l’altro, del valore degli attivi prezzati su una quotata curva di mercato.
In particolare, l’introduzione di modelli probabilistici è stata conseguente
alla necessità di valutare le opzioni implicite nei contratti assicurativi dando luogo al cosiddetto “European Embedded Value” (EEV), così come quella di collegare il valore degli asset a parametri di mercato è stata realizzata con il “Market Consistent Embedded Value” (MCEV).
Il MCEV, oltre a rendere la valutazione intrinseca di portafoglio maggiormente aderente a logiche di mercato, individua un’analisi certamente
più svincolata da fattori “soggettivi”, migliorando il livello di confrontabilità tra impresa e impresa. Tuttavia i diversi criteri di valutazione e di calcolo, ancora in uso, fra i diversi Paesi e, a volte, fra compagnie appartenenti
allo stesso gruppo assicurativo trans-nazionale, rendono le risultanze del
MCEV ancora inficiate da fattori che ne limitano la completa comparabilità. Al riguardo il CFO Forum, nel settembre 2012, ha tentato di armonizzare tali differenze revisionando le proprie linee guida ma l’obiettivo non
è stato raggiunto nella sua interezza anche a causa del processo di revisione contabile e di solvibilità (denominato Solvency II) di cui non si conoscono, all’attualità, le possibili implicazioni conclusive.
(2) Gruppo di Chief Financial Officers delle maggiori compagnie Europee.
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2. MARKET CONSISTENT EMBEDDED VALUE: UN APPROCCIO PRATICO
Effettuare una valutazione dell’EEV di tipo “market consistent” significa assegnare alle variabili oggetto di sviluppo prospettico (rendimenti, mortalità, riscatti, ecc.) delle distribuzioni di probabilità da cui trarre un indicatore sintetico in grado di rappresentarne tale sviluppo aleatorio. L’indicatore scelto dal mercato è rappresentato dal valore atteso della variabile, calcolato su un tasso di sconto che tenga conto del livello di esposizione al rischio
del business assicurativo. In sostanza si tratta di andare a determinare:
1. una distribuzione di probabilità “realistica” (“best estimate”) delle
variabili oggetto di analisi;
2. la grandezza di riferimento che ne identifichi lo sviluppo prospettico. Tale indicatore, secondo l’approccio “Deferral and Matching” (3) è rappresentato dall’utile atteso. Tale criterio è, tra l’altro, quello adottato per la
valutazione per il calcolo dei PVFP dell’Embedded Value Tradizionale;
3. adozione del tasso di sconto fornito dal mercato finanziario, da applicare alla suddetta grandezza di riferimento.
Assegnare una specifica funzione di probabilità a tutte le variabili oggetto di valutazione prospettica rappresenta una complessità computazionale di non facile gestione. Le imprese di assicurazione hanno, pertanto, approcciato a questo tipo di analisi in maniera “graduale”, individuando le variabili maggiormente significative da valutare con un modello stocastico e
continuando a stimare le altre variabili in ambito deterministico.
Il Market Consistent Embedded Value si presenta, quindi, come un mix
di valutazioni deterministiche e stocastiche, volto a cogliere il valore dell’impresa, in modo certamente più complesso di quanto non sia perseguibile con un Embedded Value Tradizionale ma, parimenti, in modo maggiormente adeguato alle caratteristiche tipiche del business assicurativo vita.
Il “Market Consistent Embedded Value” si basa sulla stessa condizione di equilibrio dell’EVT (ed EEV) secondo la quale la valutazione intrinseca di portafoglio risulta composta da due componenti, una di tipo “prospettico” (VIF) e l’altra di tipo bilancistico (ANAV). Tuttavia il calcolo del
VIF risulta composto di ulteriori elementi volti a recepire i principî di
coerenza sia con i valori di mercato ( “market consistency”) che con la curva di interesse priva di rischio (“risk-free consistency”).
(3) Oltre l’approccio “Deferral and Matching” basato sul calcolo degli utili attesi,
in letteratura è noto anche il criterio “Assets and Liabilities” basato, invece, sulla determinazione di attivi e passivi.
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Il principio n. 6 delle linee guida “Market Consistent Embedded Value
Principles” emanate dal CFO Forum nell’ottobre 2009 (di seguito “linee guida”), dispone che il Value in Force risulta composto dai seguenti elementi:
1) valore attuale degli utili attesi, al netto delle tasse (PVFP);
2) opzioni e garanzie finanziarie implicite nei contratti assicurativi, note come “Time Value of Options and Guarantees” (TVOG). Tali garanzie
sono rappresentate dalle garanzie di rendimento minimo (scadenza, caso
morte e riscatto), dalle opzioni in rendita garantita, ecc.;
3) “Frictional Costs of Required Capital” (FCRC) relativi alla valutazione dei cosiddetti “costi accessori”;
4) “Non-hedgeable Risks” (NHR) relativi ai rischi “non copribili” con
strumenti finanziari liquidi e/o valutati su robusti dati statistici di riferimento.
In sintesi sarà:
VIF=PVPF—TVOG—FCRC—NHR
Prima di procedere all’analisi delle singole voci del VIF va osservato
che le linee guida dispongono che il VIF deve essere scontato sulla base di
una curva dei tassi “coerente” con quella che sarebbe stata utilizzata per valutare lo stesso flusso di cassa nel mercato finanziario.
Tale principio, che afferma il criterio della “market consistency”, deve
presupporre l’assenza di operazioni di “arbitraggio”, ossia l’impossibilità
per un portafoglio titoli di generare ricchezza dal nulla. Tale impostazione
implica, tra l’altro, il principio del “prezzo unico” per cui due flussi di cassa uguali devono dare luogo allo stesso valore di mercato.
Le stesse linee guida affermano, poi, che la curva da prendere in considerazione per la valutazione del flusso di cassa delle attività e passività di
portafoglio è una “proxy” della curva “risk-free” che tenga conto della valuta, della data di esigibilità e del livello di “liquidità” del flusso di cassa.
In particolare il CFO Forum identifica, come curva “risk-free”, la curva
Swap con valuta pari all’impegno tecnico/finanziario da scontare, tenuto
conto di uno spread da commisurarsi al livello di “liquidità” del singolo
cash-flow.
Sulla base di tali principî il comparto obbligazionario degli asset di
un’impresa vita dovrà essere “rimodulato” in funzione sia del valore di mercato (“market consistency”) che della curva “risk-free” (“risk-free consistency”) rilevata alla data di valutazione. Tale scopo può essere realizzato
attraverso due approcci, in genere tra loro alternativi:
1. applicazione di uno spread di credito su titolo che permetta di ottenere, alla data di valutazione, un prezzo dell’asset di portafoglio pari al va-
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lore del titolo, prezzato sulla curva “risk-free” quotata. In tal senso il prezzo del titolo in base al quale definire lo spread da applicare al singolo bond
di portafoglio non è quello proveniente dalla quotazione reale del titolo oggetto di rimodulazione bensì quello derivante da un “riprezzamento” del
medesimo bond sulla struttura dei tassi forward derivata dai tassi swap (per
i titoli europei curva Euribor/Euroswap);
2. mantenere inalterato il flusso di cassa del titolo, ipotizzando un default del valore nominale del titolo, su base annua, pari allo spread di credito annuo fra il flusso cedolare del bond in portafoglio e la curva “riskfree”.
La scelta della curva “swap”, operata in ambito CFO Forum nel 2009,
rispondeva all’esigenza di individuare una curva maggiormente liquida dei
titoli governativi e, soprattutto, in linea con la curva dei tassi di interesse
utilizzata dal mercato ai fini della quotazione delle opzioni implicite dei
contratti finanziari. Al riguardo si osserva che l’attuale persistente basso livello dei tassi di interesse, registrati sulla curva in argomento, rischia di penalizzare, in modo eccessivo, il valore intrinseco di compagnia di un’impresa italiana, i cui titoli governativi presentano un flusso cedolare atteso
ben al di sopra di tale struttura implicita dei tassi.
Una volta rimodulato il flusso di cassa del comparto obbligazionario
del portafoglio attivi è possibile procedere alla determinazione delle poste
del VIF. Il portafoglio attivi ricalibrato rimarrà tale sia nelle proiezioni deterministiche del PVFP che nelle proiezioni per scenario, necessarie alla
determinazione del TVOG.
1) Present Value Future Profit
Il PVFP, analogamente a quanto precedentemente operato in ambito
EVT, è stimato come valore attuale degli utili annui, proiettati con logiche
deterministiche “best estimate”, scontati sulla base della curva risk-free.
L’assoluta novità introdotta nel calcolo del PVFP, in ambito “risk-free
market consistent” (rispetto a quanto effettuato per i precedenti EVT o EEV),
è rappresentata dal tasso di sconto che non è più un dato di input, assegnato esogenamente dal valutatore, ma è calcolato come dato di output, sulla
base di prezzi di mercato valutati in ottica “risk-free”.
In particolare, in coerenza con quanto applicato per il lato assets, il tasso di sconto delle passività risulterà pari alla struttura implicita dei tassi
Swap, a cui applicare un “liquidity premium”, in relazione al grado di illiquidità del contratto assicurativo. Ciò in quanto una polizza assicurativa (di
cui si conosce, ragionevolmente, il cash-flow atteso) può essere assimilata
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ad un titolo obbligazionario con spread di credito funzione del livello di illiquidità della polizza.
La prassi di mercato definisce il premio di illiquidità (“illiquidity premium” o “IP”) come il 50% dei credit spread registrati su un paniere di corporate bond (“Market Bond Spread”) al netto di 40 bps, ossia:
IP=50%*(MBS—40bps)
La scelta del paniere di riferimento è praticata dal mercato nonché suggerita dalle aziende specializzate nello sviluppo dei generatori di scenario
in ambiente “risk-neutral”.
L’adozione di un premio di illiquidità di mercato piuttosto che di portafoglio se da un lato presenta il notevole vantaggio di rendere i MCEV di diverse compagnie maggiormente confrontabili, soprattutto all’interno dello
stesso gruppo assicurativo, dall’altro non permette di catturare il livello di rischio dei titoli obbligazionari presenti negli attivi di portafoglio d’impresa.
Il livello di liquidità di un contratto di assicurazione è diverso in relazione
al tipo di prodotto offerto. Al riguardo le “Technical Specifications QIS5”, emanate dal CEIOPS nel luglio 2010, hanno suggerito la suddivisione delle passività di portafoglio in macro-categorie, distinguendo fra prodotti “rivalutabili”
(o “tradizionali”), di puro rischio (temporanee caso morte) e passività “hedgeable” (tipicamente prodotti di ramo III) a cui applicare uno spread di credito pari, rispettivamente, al 75%, 50% e 0% del suddetto illiquidity premium.
Focus sull’ipotesi di riscatto “dinamico”
Il PVFP viene calcolato sulla base di ipotesi di smontamento del portafoglio polizze (riscatti, sinistri, scadenze, ecc.), le cui frequenze di storno
sono la risultante di robuste analisi statistiche di portafoglio, laddove
disponibili, o di dati di mercato (tipicamente per i portafogli “giovani”).
Un’attenzione particolare va riservata all’ipotesi di riscatto “dinamico”
che ha la finalità di catturare il comportamento dell’assicurato in relazione
all’andamento della performance finanziaria della polizza. In pratica il “policyholder behaviour” viene modellato attribuendo un incremento/decremento alle frequenze di riscatto di tipo deterministico, in relazione al confronto fra quanto riconosciuto finanziariamente sulla polizza e quanto prodotto da “altri” investimenti di mercato. Ciò può essere realizzato, alternativamente, tramite confronto annuale tra:
• il capitale rivalutato alla scadenza contrattuale e lo stesso capitale investito in un titolo finanziario disponibile sul mercato avente durata pari al
differimento di polizza;
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• il rendimento retrocesso nell’anno all’assicurato e quanto reso da una
curva dei tassi di rifermento di mercato, denominata curva “benchmark”.
Purtroppo l’assenza di dati storici di riferimento significativi e giustificativi sulla scelta di un idoneo investimento alternativo alla polizza obbliga le imprese a verificare, annualmente, la tenuta di tale ipotesi, nonché a
modificarla in relazione agli andamenti di mercato. La soggettività di tale
rivisitazione rappresenta uno degli aspetti critici del MCEV, anche in relazione all’effetto “dirompente” che i riscatti dinamici hanno sulla valutazione intrinseca complessiva, soprattutto in ipotesi di stress.
2) Time Value of Options and Guarantees
Per la valutazione delle opzioni finanziarie, implicite nel business assicurativo, ossia per il calcolo del TVOG, le imprese si avvalgono di diversi
modelli di simulazione degli scenari, noti come “Economic Scenario Generators”.
I modelli maggiormente diffusi per la simulazione del tasso di interesse dei titoli obbligazionari sono rappresentati da: Libor Market Model (LMM),
Vasicek, Cox Ingersoll & Ross (CIR), Black-Karasinski, mentre per il comparto azionario vengono generalmente adottati dei modelli log-normali, anche a formula chiusa, quale il Black & Scholes.
I modelli presentano parametri che dovranno essere definiti in relazione a valori di mercato. Il processo di determinazione dei parametri, noto come “calibratura” del modello, è l’aspetto maggiormente delicato e difficile
di tutto il processo di simulazione.
La “calibratura” avviene, infatti, sulla base delle serie storiche di quotazioni di mercato (curve e/o titoli) scelte dal valutatore che sarà chiamato,
tra l’altro, ad assegnare pesi diversi in base ai nodi della curva maggiormente rappresentativi del cash-flow dei passivi (4). L’arbitrarietà nella scelta dei dati storici, nonché dei pesi da applicare ai nodi della curva dei tassi, rappresenta un elemento di soggettività di non poco conto che deve, quantomeno, essere palesata nella “disclosure” del MCEV.
Una volta individuato il modello di generazione degli scenari è possibile proiettare una sequenza di curve dei tassi sulla base delle quali ver-
(4) Tipicamente le durate inferiori ai 10 anni avranno pesi maggiori rispetto alle
durate superiori per via dei riscatti maggiormente frequenti per tali antidurate di portafoglio.
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ranno calcolati tanti PVFP stocastici quante sono le curve simulate dal
modello (denominate curve “risk-neutral”), necessari alla determinazione del TVOG.
In particolare il calcolo del TVOG può essere realizzato attraverso i seguenti passi operativi:
1. accorpamento del portafoglio polizze in categorie di contratti similari tra di loro (“model point”);
2. proiezione degli utili attesi dei model point sulla base dei 1001 scenari relativi alle 1000 curve forward generate dal processo stocastico e alla curva deterministica risk-free, nota come scenario “centrale”;
3. somma, su base annuale, degli utili attesi prodotti dai singoli model
point, in modo da determinare il cash-flow annuo degli utili attesi di portafoglio per ognuno degli scenari prodotti (e quindi per i 1000 scenari stocastici più lo scenario “centrale”);
4. attualizzazione del singolo utile atteso di portafoglio sulla base del
proprio fattore deflattivo, relativo alla curva “risk-neutral” generata dal modello stocastico (1000 curve) e alla curva “risk-free” dello scenario deterministico;
5. somma degli utili attesi attualizzati per l’intero periodo di proiezione per i 1001 scenari;
6. media semplice della somma degli utili attesi sull’orizzonte temporale dei soli 1000 scenari stocastici;
7. calcolo del TVOG di portafoglio come differenza tra il PVFP determinato al precedente punto 6 e il PVFP proveniente dallo scenario base di
cui al precedente punto 5.
Come sopra indicato il calcolo del TVOG necessita, in primo luogo, di
un processo di aggregazione polizze, volto a definire i model point di portafoglio. Ciò in quanto la stima dei PVFP stocastici dovendo proiettare diversi flussi di cassa, su una arco temporale certamente considerevole (30/40
anni), laddove venisse effettuata come sviluppo analitico, polizza per polizza, sulla totalità degli scenari ipotizzati (in genere almeno pari a 1000),
comporterebbe una mole di calcoli di difficile gestione.
Il processo di definizione dei “model point” rappresenta un altro momento delicato della stima del MCEV in quanto l’approssimazione realizzata con gli accorpamenti di contratto deve essere tale da non compromettere le caratteristiche del portafoglio polizze. Al riguardo un’analisi sulla
“qualità” delle aggregazioni operate può essere realizzata ponendo a confronto lo scenario “centrale” del calcolo del TVOG e il Present Value Future Profit deterministico, calcolato polizza per polizza, rappresentante il
primo elemento del VIF.
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Focus sul modello “Cox Ingersoll & Ross”
Per quanto attiene agli Economic Scenario Generators si soffermi l’attenzione sul modello “CIR”, nella sua versione “univariata”, la cui struttura dei tassi di interesse è descritta dall’evoluzione aleatoria del tasso di interesse locale, noto come “spot rate”. In particolare, il processo stocastico
del tasso a breve, {rt}, è descritto dalla seguente equazione differenziale:
333
drt=α(γ—rt)dt+␳冑 rt dZt
laddove γ, α e ␳ sono costanti positive che caratterizzano, rispettivamente, lo spot rate “di lungo periodo” (ossia il valore asintotico del tasso
istantaneo di interesse), il tempo del processo di richiamo (ossia la velocità con cui il tasso “r” tende al suddetto valore asintotico), la volatilità dello spot rate {rt}. La variabile {Zt} è invece una variabile aleatoria che
“disturba” il processo deterministico attraverso un moto Browniano standard.
Per l’utilizzo pratico del modello è necessario associare ai suddetti parametri “γ”, “α” e “␳” degli importi numerici, ricavati dalle quotazioni di
mercato. Tale calibrazione del modello può essere realizzata attraverso la
minimizzazione dei minimi quadrati tra quanto quotato sul mercato e quanto prodotto dal modello in termini di tasso. Tuttavia nel modello “CIR” tale procedura di regressione lineare può incontrare delle difficoltà in corrispondenza di particolare strutture dei tassi di interesse che danno luogo a
più minimi locali.
Una volta individuata la curva dei tassi a pronti “CIR” i relativi tassi
forward vengono determinati attraverso l’operatore di aspettativa propria
del modello che quotando nel continuo non necessita di processi interpolativi, ai fini della definizione di punti di curva infrannuali.
Al riguardo si osserva che il modello “CIR”, come altri modelli proiettivi di mercato, non hanno la finalità di costruire l’andamento futuro dei tassi di interesse (e quindi di definire, in modo “affidabile”, le prestazioni future), quanto più di garantire una coerenza dei diversi prezzi di mercato nel
tempo, stimati alla stessa data di valutazione.
In letteratura si dimostra che il processo di diffusione CIR, sotto la parametrizzazione proposta da “Brown e Dybvig” (i cui parametri sono collegati, in modo univoco, a quelli indicati nella succitata equazione differenziale), si approssima ad una distribuzione di probabilità condizionata di tipo chi-quadro non centrata. Il notevole vantaggio di convergere ad una
distribuzione nota è dato dal fatto che una volta “calibrato” il modello (e
quindi noti i parametri) è sufficiente individuare il percentile della distribuzione per definire la curva “risk-neutral” sulla base della quale calcola-
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re i PVFP aleatori da porre a confronto con quelli deterministici, ai fini del
calcolo del TVOG.
3) Frictional Costs of Required Capital
Una valutazione a parte è poi riservata ai costi “frizionali”, distinta dalla valutazione dei rischi “non hedgeable”. Tali costi sono, principalmente,
imputabili a:
• doppia tassazione applicata nella gestione finanziaria delle imprese,
in quanto la redditività degli attivi iscritti in gestione separata viene tassata dapprima come rendimento e poi come utile finanziario d’impresa;
• altri oneri accessori, tendenzialmente di importo irrilevante se non
nullo, fatta eccezione per le imprese particolarmente specializzate nella gestione finanziaria i cui costi di intermediazione possono impattare sul valore di compagnia.
I “Frictional Costs of Required Capital” vengono determinati come ulteriore costo di immobilizzazione del capitale di solvibilità.
4) Non Hedgeable Risks
I rischi “non hedgeable” sono quei rischi “non copribili” non considerati nel calcolo del TVOG. Tale valutazione attiene, principalmente, ai
rischi:
• “non finanziari” quali: il rischio di longevità, mortalità, spese, operativo, ecc.;
• “finanziari non direttamente disponibili sul mercato”, relativi a strumenti finanziari illiquidi o quotati su variabili finanziarie non supportate da
una base statistica significativa.
In considerazione del fatto che tali rischi non possono essere “neutralizzati” con l’acquisto di strumenti finanziari di mercato l’impresa sarà tenuta ad effettuare un apposito accantonamento a copertura.
Il principio n. 9 delle linee guida evidenzia come il criterio di determinazione di tali costi debba essere “appropriato” e “sufficientemente
trasparente”. In particolare la valutazione dovrebbe essere supportata da
un modello interno, di tipo economico, in grado di proiettare la distribuzione di profitti e perdite derivanti da ognuno dei rischi “non hedgeable”. Tuttavia un metodo di approssimazione ragionevole è quello che
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faccia ricorso al costo di immobilizzazione di capitale di solvibilità per
i rischi in questione.
In pratica ciò può essere realizzato sviluppando, annualmente, il flusso
dei “Solvency Capital Requirement” per i rischi “non hedgeable” (SCR(NHR)),
calcolati su un orizzonte temporale di un anno, ad un livello di confidenza
del 99,5%. Ogni SCR annuale dovrà, quindi, essere riportato all’origine tramite opportuno fattore di sconto.
In sintesi sarà:
兺k αSCR(NHR)k*(1+i)k
Cost of Capital (NHR)=
dove:
α = è una percentuale coerente al livello di solvibilità dell’impresa
SCR(NHR)k = il livello del Solvency Capital Requirement per i rischi
“non hedgeable” nel generico anno k;
i = tasso di sconto.
La percentuale alfa proposta dal QIS5 è stata pari al 6% mentre il CFO
Forum ha indicato un’aliquota compresa nell’intervallo tra il 2,5% e il 4,5%.
Tale differenza, oltre ad essere giustificata dal fatto che il QIS5 è maggiormente orientato a soddisfare un principio di prudenza, è soprattutto conseguenza del diverso livello di confidenza adottato nel calcolo del SCR (NHR).
Infatti, mentre il QIS5 ha come presupposto un livello di probabilità del
99,5%, le imprese, al fine di migliorare la propria capacità di accesso al credito, hanno determinato tale accantonamento su un livello di confidenza
maggiormente cautelativo (ad es. il 99,95%).
I suddetti importi vengono, infine, riportati all’origine sulla base della
struttura dei tassi impliciti “risk-free”.
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Note a sentenza
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III – 13 marzo 2013, n. 6291– Pres. Petti, Est. Ambrosio, P.M. Golia
(parz. diff.) – P. (avv. Delianni) c. INA Assitalia S.p.A. ed altri (avv.
Seminaroti).
(Sentenza impugnata: App. Roma 24 ottobre 2006)
Ass. obbligatoria autoveicoli – Responsabilità per mala gestio dell’assicuratore della r.c.a. – Domanda formulata dal conducente-danneggiante non proprietario del veicolo – Estraneità al rapporto assicurativo – Difetto di legittimazione – Sussistenza.
Il conducente di un veicolo che sia responsabile di un sinistro stradale, ma non anche proprietario del mezzo, in quanto estraneo al rapporto di
assicurazione ex art. 1917 c.c., non è legittimato a far valere diritti nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione di quel veicolo la responsabilità ultramassimale per mala gestio (1).
(1) NOTA. – Breve storia di un equivoco: chi è l’“assicurato” nell’assicurazione della r.c.a.?
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Chi è l’“assicurato”? – 3. Le opinioni della giurisprudenza.
– 4. Le mende della giurisprudenza. – 5. La dottrina.
1. Premessa
La sentenza qui in rassegna alimenta un risalente equivoco e, muovendo da premesse sbagliate, perviene ovviamente ad un risultato iniquo: e cioè
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Giurisprudenza
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – La presente controversia trae origine
da un sinistro stradale verificatosi in data (Omissis) in (Omissis), in cui vennero coinvolti una Wolkswagen Golf di proprietà di G.R. e condotta da P.G.
e un ciclomotore Piaggio SI condotto da B.A., sul quale viaggiava F.F. che,
nel sinistro, perse la vita.
Nel giudizio promosso, in proprio e quali eredi, dai genitori di F.F.,
Fi.As. e F.C. e dai fratelli, F.M.T. e F.G., nei confronti di P.G., di G.R., della compagnia di assicurazione Tirrena Assicurazioni S.p.A. in l.c.a. (di seguito brevemente Tirrena in l.c.a.) e dell’Assitalia - Assicurazioni d’Italia
S.p.A. (di seguito, brevemente, Assitalia, ora INA Assitalia S.p.A.) quale
impresa designata dal F.G.V.S., l’adito Tribunale di Roma con sentenza n.
27260 in data 1° gennaio 2003 – tenuto conto della limitazione della domanda nei limiti dei due terzi della responsabilità del P., come accertata in
sede penale e considerato, altresì, l’avvenuto pagamento, nel febbraio del
negare al conducente di un veicolo a motore, che non ne sia anche il proprietario, il diritto di essere tenuto indenne dall’assicuratore della r.c.a. anche oltre il massimale, in presenza di una colposa renitenza dell’assicuratore medesimo a risarcire il terzo danneggiato.
Così decidendo, la sentenza qui in rassegna trascura di considerare che
qualsiasi conducente di qualsiasi veicolo a motore, alla sola condizione che
si sia posto alla guida col consenso del proprietario del mezzo, rientra tra
le persone la cui responsabilità è coperta dall’assicuratore, e quindi tra gli
“assicurati”. Conseguentemente, egli avrà pieno titolo per esigere dall’assicuratore della r.c.a. il rispetto degli obblighi contrattuali, e farne valere la
responsabilità per mala gestio nel caso della violazione di essi.
Ho la presunzione di affermare che il benevolo lettore non potrà non
condividere tale assunto, sol che abbia la pazienza di proseguire per qualche istante nella lettura.
2. CHI È L’“ASSICURATO”?
L’assicurato è la persona titolare dell’interesse esposto al rischio, ai sensi dell’art. 1904 c.c. E poiché nell’assicurazione di responsabilità civile il rischio coperto è quello di veder depauperare il proprio patrimonio in conseguenza dell’insorgenza di un debito risarcitorio, l’“assicurato” in tema di r.c.a.
è qualunque persona che possa essere chiamata a rispondere dei danni causati dalla circolazione del veicolo indicato nella polizza, e quindi:
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Note a sentenza
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1997, della somma corrispondente al massimale assicurativo di lire
100.000.000 – condannava in solido G.R., P.G. e l’Assitalia, nella qualità
di impresa designata e dichiarava tenuta la Tirrena in l.c.a. nei limiti di quanto dovuto sino all’instaurazione della procedura di liquidazione, al pagamento della complessiva somma di euro 88.220,61, a titolo risarcimento dei
danni morali subìti dai congiunti del F. oltre interessi legali successivi alla
sentenza e alle spese.
La decisione, gravata da impugnazione dei congiunti di F.F. e, in via incidentale, anche della Tirrena in l.c.a., era parzialmente riformata con sentenza in data 24 ottobre 2006 della Corte d’Appello di Roma la quale determinava l’ulteriore somma dovuta agli appellanti principali, a titolo di risarcimento
del danno morale subìto, in euro 124.747,04 (di cui euro 48.003,16 ciascuno
per F.C. e Fi.As., euro 18.603,86 per F.G. e euro 10.103,86 per F.M.T.);
– condannava in solido al pagamento delle predette somme a favore degli appellanti G.R., P.G., nei limiti della somma complessiva di euro 78.724,00
oltre al lucro cessante e l’Assitalia, nella qualità di impresa designata, a titolo di responsabilità per mala gestio nei limiti della ulteriore somma dovuta, in eccedenza al massimale e a quant’altro già corrisposto in corso di
causa, per danno da svalutazione monetaria e da lucro cessante sulla base
dei criteri di calcolo specificati in motivazione, oltre interessi legali successivi alla sentenza;
– rigettava l’appello della Tirrena Assicurazioni in l.c.a.; condannava
G.R., P.G. e l’Assitalia al pagamento delle spese del grado in favore degli
appellanti e interamente compensate le stesse spese tra gli appellanti e la
Tirrena.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.G., svolgendo due motivi.
(a) il conducente, che di tali danni risponde ai sensi dell’art. 2054, comma 1 o 4, c.c.;
(b) il proprietario (ovvero l’usufruttuario o l’acquirente a rate), che di
tali danni rispondono ex art. 2054, comma 3 o 4, c.c.;
(c) l’utilizzatore in leasing, che di tali danni risponde ex art. 91, comma 2, cod. strad (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285).
Tanto si desume in modo inequivocabile dall’art. 122, comma 1, cod.
ass., a mente del quale l’assicurazione deve coprire “la responsabilità civile verso i terzi prevista dall’art. 2054 c.c.”: e l’art. 2054 c.c., giustappunto,
disciplina la responsabilità del conducente e del proprietario (ovvero delle
figure a questi alternative, come usufruttuario ed acquirente a rate).
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Giurisprudenza
Si sono costituiti con controricorso, per aderire al primo motivo del ricorso del P. e resistere all’altro motivo, F.A., F.G. e F.M.T., in proprio e
quali eredi di F.C.; gli stessi hanno anche formulato ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
Si è costituita, inoltre, l’INA Assitalia, nella qualità di impresa designata, depositando controricorso e ricorso incidentale affidato ad unico motivo.
Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli altri intimati.
È stata depositata memoria da parte dell’INA Assitalia per rappresentare che il ricorrente principale avrebbe perso interesse alla lite e chiedere
di emettere “il provvedimento ritenuto più opportuno in ordine alla cessata materia del contendere tra le parti”.
DIRITTO. – 1. Preliminarmente si dà atto che i ricorsi proposti in via principale e incidentale avverso la stessa decisione sono riuniti ai sensi dell’art.
335 c.p.c.
Gli stessi ricorsi – avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009)
– sono soggetti, in forza del combinato disposto di cui al d.lgs. 2 febbraio
Da quanto esposto consegue che dal punto di vista dei soggetti l’assicurazione della r.c.a. è necessariamente o una assicurazione per conto altrui, ovvero una assicurazione per conto di chi spetta.
Sarà una assicurazione per conto altrui quando il contraente non ha, e non
potrà mai avere, la veste di proprietario o di conducente del veicolo indicato
nel contratto. In questo caso, infatti, il contraente non è titolare dell’interesse
assicurato, perché non può risentire pregiudizio patrimoniale dal fatto che per
mezzo del veicolo indicato in polizza siano stati arrecati danni a terzi.
In tutti gli altri casi il contratto sarà sempre un’assicurazione per conto di
chi spetta, in quanto titolare dell’interesse assicurato sarà chiunque, col consenso del proprietario, si ponga alla guida del veicolo indicato nel contratto,
ivi compreso il contraente stesso. Infatti qualunque persona che, col consenso del proprietario, conduce un veicolo a motore su strade pubbliche ha diritto, in caso di sinistro, ad essere tenuto indenne dall’assicuratore, il quale
dal canto suo una volta indennizzato il terzo danneggiato non può pretendere di rivalersi della somma pagata nei confronti del conducente, nemmeno
nell’ipotesi in cui questi fosse persona diversa sia dal proprietario che dal contraente. Qualsiasi legittimo conducente del veicolo è, quindi, coperto dall’assicurazione, nel senso che nel caso di sua responsabilità il suo patrimonio
non verrà depauperato sino all’ammontare del massimale assicurato.
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2006, n. 40, art. 27, comma 2, e della l. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, alla
disciplina di cui agli artt. 360 c.p.c. e segg. come risultanti per effetto del
cit. d.lgs. n. 40 del 2006.
1.1. Sempre in via preliminare si precisa che la genericità delle allegazioni svolte nella memoria dell’Assitalia (secondo cui la stessa compagnia
di assicurazione “avrebbe composto la lite con i danneggiati salvaguardando il ricorrente P.G. da ogni obbligazione per rinuncia degli eredi F.F. a
qualsivoglia ulteriore pretesa nei confronti di chicchessia”) e l’assenza di
riscontri documentali e/o allegazioni delle altre parti non consentono di ritenere cessata la materia del contendere.
2. Il ricorrente principale, G.P., formula due motivi, deducendo:
2.1. Violazione degli artt. 1917, 1175, 1223, 1224, 1226, 1227, 1335
c.c. e l. 14 dicembre 1969, n. 990, art. 18, sostituito dalla l. 26 febbraio 1977,
n. 39, in relazione agli artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; ai sensi dell’ex art. 366 bis
c.p.c., si enuncia il seguente principio di diritto: “a seguito di incidente stradale, in caso di mala gestio dell’assicuratore accertata in giudizio, questi è
tenuto a pagare tutte le somme anche eccedenti il massimale di polizza e ai
sensi dell’art. 1917 c.c., è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quan-
Ricorre, infatti, l’assicurazione per conto di chi spetta quando al momento
della conclusione del contratto non è noto chi sarà il titolare dell’interesse assicurato al momento del sinistro, ma non si esclude che possa essere lo stesso contraente. La stipulazione, quindi, avviene per conto di un terzo momentaneamente indeterminato, ma che sarà necessariamente determinato al momento del sinistro. E tale è proprio l’ipotesi dell’assicurazione della r.c.a.: chi
stipula sapendo che potrà egli stesso trovarsi un giorno ad essere proprietario
ovvero conducente del veicolo indicato nel contratto, garantisce sia l’interesse proprio, sia quello di cui è titolare qualunque persona che, col consenso del proprietario, condurrà il veicolo su strade pubbliche.
Tali regole non si applicano nel solo caso in cui il conducente si sia posto alla guida del mezzo contro la volontà del proprietario. Ciò però non costituisce una deroga al generale principio appena esposto, in quanto la responsabilità per i danni derivanti dalla circolazione prohibente domino è un
rischio escluso dalla copertura assicurativa: dunque il conducente “abusivo” non può pretendere di essere tenuto indenne dall’assicuratore del veicolo non perché un’assicurazione c’è, ma egli non ne è beneficiario, ma per
il ben diverso motivo che nell’ipotesi in esame manca addirittura la copertura assicurativa (cfr. art. 122, comma 3, cod. ass.).
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Giurisprudenza
to questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo in dipendenza della responsabilità dedotta nel
contratto”.
2.2. Violazione della l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 24, art. 360 c.p.c.,
nn. 3 e 5; ai sensi dell’ex art. 366 bis c.p.c. si enuncia il seguente principio
di diritto: “in caso di liquidazione coatta amministrativa dell’assicuratore
r.c.a. l’eventuale danno da mala gestio al cui risarcimento sia tenuta l’impresa cessionaria o designata va calcolato sulla base del massimale minimo
legale di cui alla l. 24 dicembre 1969, art. 21, e non sul massimale eventualmente superiore previsto dalla polizza”.
2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale i F.– Fi. denunciano violazione della l. n. 990 del 1969, artt. 1917, 1175, 1223, 1224 ora l. 26 febbraio 1977, n. 39 in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5. Con il quesito conclusivo ex art. 366 bis c.p.c., si chiede a questa Corte “a seguito di un sinistro
stradale nel quale trova la morte un giovane di sedici anni lasciando i genitori e due fratelli, ed in presenza di un massimale di polizza che si rilevava
3. Le opinioni della giurisprudenza
L’opinione appena esposta non è affatto pacifica in giurisprudenza.
Essa è stata condivisa da un primo orientamento, secondo il quale nell’assicurazione della r.c.a. i “soggetti assicurati”, cioè titolari dell’interesse esposto al rischio di cui all’art. 1904 c.c., sono tutti quelli indicati dall’art. 2054 c.c. e dall’art. 91, comma 2, cod. strad.: e quindi sia il conducente, sia il proprietario (o, in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con
patto di riservato dominio), sia l’utilizzatore in leasing (1). Questa conclusione viene solitamente fondata, oltre che su rilievi analoghi a quelli
svolti più sopra, sulla ulteriore considerazione che l’assicuratore della r.c.a.
non può di norma rivalersi nei confronti del conducente delle somme pagate al terzo danneggiato: se dunque l’esistenza dell’assicurazione vale a
(1) Cass. 29 settembre 2011, n. 19883, in Arch. circolaz., 2012, 331; Cass., Sez.
III, 8 febbraio 2005, n. 2505, in Foro it. Rep., 2005, Assicurazione (contratto), n. 221;
Cass., Sez. III, 6 giugno 2002, n. 8216, in Arch. circolaz., 2002, 745; Cass., Sez. III, 14
dicembre 2001, n. 15848, in Foro it., 2002, I, 1795; Cass., Sez. III, 25 maggio 2000, n.
6862, in Arch. circolaz., 2001, 32; Cass., Sez. III, 26 novembre 1998, n. 11978, in questa Rivista, 1999, II, 2, 197; Cass., Sez. III, 28 novembre 1995, n. 12302, in Dir. econ.
assic., 1996, 1086; Cass., Sez. III, 3 luglio 1993, n. 7276, in Arch. circolaz., 1993, 857;
Cass., Sez. III, 8 marzo 1993, n. 2764, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1993, 796.
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immediatamente insufficiente qualora sussista la mala gestio dell’istituto
assicuratore a seguito di un comportamento che configura l’esistenza della
colpa grave e/o del dolo, l’istituto assicuratore è tenuto a versare ai danneggiati tutte le somme loro liquidate a titolo di sorte, interessi e rivalutazioni, senza che possa essere eccepito il limite del massimale di polizza”.
3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’INA Assitalia denuncia insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Al riguardo parte ricorrente lamenta una difficoltà di interpretazione della sentenza impugnata nel punto in cui determina l’obbligazione residua dell’impresa designata nei confronti dei F.– Fi. e chiede a questa Corte di “integrare la motivazione della sentenza della corte territoriale”.
tenere indenne il conducente (diverso dal proprietario del veicolo), quest’ultimo è da considerare “assicurato” ai sensi dell’art. 1904 c.c. (2).
Di diversa opinione è invece un secondo orientamento (3), per il quale
allorché il conducente responsabile del sinistro non coincida col contraente della polizza, egli non può ritenersi “assicurato” ai sensi dell’art. 1904
c.c., perché il conducente sarebbe “estraneo al rapporto assicurativo” (4).
4. Le mende della giurisprudenza
Tra i due orientamenti giurisprudenziali appena ricordati, il secondo non
può essere in alcun modo condiviso, sia per la erronea impostazione giuridica da cui muove, sia per le aberranti conseguenze pratiche cui conduce.
(2) Sostanzialmente in questo senso Cass., Sez. III, 25 maggio 2000, n. 6862, in
Arch. circolaz., 2001, 32.
(3) Formatosi per lo più in tema di individuazione del legittimato passivo rispetto
all’azione di rivalsa dell’assicuratore, prevista dall’abrogato art. 18, comma 2, l. 24 dicembre 1969, n. 990 (e, oggi, dall’art. 144 cod. ass.).
(4) In tal senso Cass., Sez. III, 29 maggio 2003, n. 8622, in Dir. e giustizia, 2003,
fasc. 25, 55; Cass., Sez. III, 28 novembre 1998, n. 12083, in Dir. econ. assic., 2000,
248; Cass., Sez. III, 7 aprile 1993, n. 4147, in Arch. circolaz., 1993, 788.
Lo stesso principio è stato affermato, ma soltanto obiter dictum e senza alcuna specifica motivazione, da molte altre decisioni: si vedano in tal senso le motivazioni (non le
massime) di Cass. 5 marzo 2013, n. 5400, inedita; Cass., Sez. III, 23 febbraio 2000, n. 2047,
in Resp. civ., 2001, 140; Cass., Sez. III, 25 settembre 1998, n. 9592, in Arch. circolaz.,
1998, 1128, e da Cass., Sez. III, 18 febbraio 1997, n. 1502, in Foro it., 1997, I, 2144.
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Giurisprudenza
4. Tutti i motivi di ricorso si incentrano, sotto vario profilo, sui limiti della responsabilità solidale del danneggiante e dell’assicuratore e, segnatamente, nella specie, dell’impresa designata dal F.G.V.S., in relazione alle questioni variamente agitate dalle parti della mala gestio propria
e impropria.
5.1. Gli elementi di fatto e di diritto, assunti come rilevanti a tali effetti dalla decisione impugnata, sono i seguenti:
a) il danno morale complessivamente spettante ai congiunti F. – con riferimento alle tabelle utilizzate nell’anno 2006 e quindi al momento della
decisione e nella percentuale di 2/3 cui risultava delimitata la domanda risarcitoria – è stato quantificato nella complessiva somma di euro 197.051,00
Iniziamo col dire che l’orientamento il quale nega al conducente, se diverso dal contraente, la qualifica di “assicurato” ex art. 1904 c.c., presenta un
aspetto singolare: esso si compone di una catena di sentenze le quali hanno
motivato il principio qui in contestazione quasi sempre limitandosi a richiamare i precedenti, fino alla sentenza “capostipite”. Quest’ultima, tuttavia, non
aveva mai seriamente spiegato per quale ragione il conducente non potesse ritenersi “assicurato”, limitandosi ad affermare – con motivazione ai limiti dell’ermetismo – che l’art. 18, comma 2, l. 24 dicembre 1969, n. 990 (oggi trasfuso nell’art. 144 cod. ass.) “non ammette alcuna interpretazione estensiva;
di modo che la rivalsa può essere esercitata esclusivamente nei confronti dell’assicurato” (5). A quella stringatissima sentenza capostipite seguirono alcune decisioni nelle quali il principio di cui si discorre veniva affermato come mero obiter (6), ed altre decisioni nelle quali il medesimo principio ven(5) Cass. 4147/93, cit.
(6) Oltre quelle richiamate supra, rientrano in questo gruppo le decisioni che, chiamate a stabilire se al giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore dovesse partecipare, quale litisconsorte necessario ex art. 23 l. 990/69, solo il proprietario del veicolo ovvero anche il conducente, hanno optato per la prima soluzione,
affermando che la presenza del proprietario (e non del conducente) è finalizzata a consentire all’assicuratore “di opporre l’accertamento di responsabilità al proprietario del
veicolo, quale soggetto del rapporto assicurativo, ai fini dell’esercizio dei diritti nascenti da tale rapporto, ed in particolare, dall’azione di rivalsa ex art. 18 della Legge” 990 del 1969 [così, testualmente, Cass., Sez. III, 8 febbraio 2006, n. 2665, in Foro it. Rep., 2006, Assicurazione (contratto), n. 220]; nello stesso senso anche Cass., Sez.
III, 6 novembre 1996, n. 9647, in Danno e resp., 1997, 327 e Cass., Sez. III, 20 marzo
1995, n. 3215, in Giust. civ., 1995, I, 2432.
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(con una differenza in più rispetto a quanto riconosciuto in prime cure di
euro 124.747,04) su cui è stato riconosciuto il danno da lucro cessante (calcolato al tasso del 5% annuo sulla somma devalutata al momento del sinistro e annualmente rivalutata);
b) la somma ulteriore di euro 124.747,04, oltre lucro cessante è stata
posta a carico della G. e sino alla concorrenza di euro 78.724,00, oltre al lucro cessante, a carico in solido del P.:
tanto in considerazione del fatto che l’importo sopra indicato di euro
197.051,00, complessivamente spettante ai congiunti del F. a titolo di risarcimento del danno morale, devalutato alla data del sinistro (settembre
1984) ammontava ad euro 86.007,00, pari a lire 166.533.070 e pertanto, già
a quella data, superava di lire 66.533.070 il massimale assicurativo di lire
100.000.000; tale circostanza – se riguardata, con riferimento alla posizione dei danneggiati, confermava l’inequivoca responsabilità per mala gestio
originariamente della compagnia assicuratrice per la r.c.a. e, dopo che la
stessa era stata posta in liquidazione, dell’impresa designata – valutata nei
riguardi del P., comportava che l’istanza dallo stesso formulata di “esclusione della solidarietà per la somma eccedente il massimale di polizza” non
poteva trovare accoglimento relativamente alla somma di lire 66.533.070
(pari a euro 34.361,00) corrispondente al momento della decisione, per l’appunto, a euro 78.724,00; mentre “la G. rimasta contumace, non (aveva) for-
ne frettolosamente motivato con un rinvio mero ai precedenti (7). Sicché la
prima volta in cui la S.C. ha esposto in modo disteso le ragioni di questo
secondo orientamento è stato con la sentenza 8622/2003, cit.
Con la sentenza ricordata da ultimo, come in molte di quelle che avevano affermato l’analogo principio, la S.C. era stata chiamata a stabilire se
l’assicuratore, dopo avere indennizzato il terzo danneggiato, potesse recuperare il relativo importo dal conducente, allorché il contratto prevedesse
clausole limitatrici del rischio che, pur inopponibili al danneggiato, nei rapporti interni tra assicuratore ed assicurato avevano l’effetto di escludere la
copertura assicurativa. A tale quesito la Corte diede risposta negativa, sulla base di due assunti:
(a) solo il proprietario è soggetto all’obbligo assicurativo ed è quindi
parte del rapporto assicurativo, al quale è invece estraneo il conducente;
(7) Cass., Sez. III, 31 gennaio 2006, n. 2130, in Arch. circolaz., 2006, 944; Cass.
12083/98, cit.
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mulato alcuna domanda nei confronti dell’assicuratore” (cfr. pagg. 8 e 9
della sentenza impugnata) per cui era tenuta al pagamento dell’importo globale come sopra determinato;
c) quanto all’Assitalia, quale impresa designata, si è tenuto conto del
fatto che – pur rivalutando al momento della decisione le somme corrisposte in corso di causa (massimale assicurativo di lire 100.000.000, pari a euro 51.426,00 versato nel febbraio 1997 e l’ulteriore somma di euro 82.220,61
corrisposta nell’ottobre 2003 in esecuzione della sentenza di primo grado)
– si perveniva ad un importo complessivo di euro 147.559,00 (di cui euro
61.886,00 per massimale rivalutato ed euro 85.673,00, pari all’importo rivalutato di quanto versato in esecuzione della sentenza di primo grado) che
era comunque inferiore a quello risultante dalla rivalutazione del massimale (euro 117.822,00) e dal lucro cessante come innanzi determinato (sub a);
di conseguenza la stessa è stata ritenuta obbligata, a titolo di responsabilità per mala gestio, al pagamento della rivalutazione e del lucro cessante sul-
(b) che il solo proprietario possa ritenersi “assicurato” si desumerebbe
dalla previsione dell’art. 23 l. 990/69 (oggi, art. 144 cod. ass.), il quale stabilisce che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore deve essere convenuto anche il “responsabile del sinistro”. Questi
è stato sempre ritenuto il solo proprietario, non il conducente, “proprio per
il collegamento del primo soggetto (e non pure del secondo) con il contratto di assicurazione”: la partecipazione del proprietario al giudizio permette infatti all’assicuratore un accertamento opponibile all’assicurato, ai fini
del giudizio di rivalsa.
Tuttavia nessuna delle motivazioni sopra riassunte appare convincente.
Che “solo il proprietario sia soggetto all’obbligo assicurativo” è proposizione contrastante con la dottrina e la stessa giurisprudenza di legittimità pressoché unanimi, sempre concordi nel ritenere che obbligato alla stipula del contratto sia chiunque abbia la disponibilità del veicolo di diritto
o di fatto: quindi non solo il proprietario o il titolare di un diritto reale, ma
anche il mero possessore o detentore.
Quella proposizione inoltre cozza con la lettera dell’art. 122 cod. ass.,
il quale non specifica chi debba stipulare il contratto in esame, e con molteplici disposizioni regolamentari, le quali presuppongono od ammettono
chiaramente che il contratto possa essere stipulato da persona diversa dal
proprietario: ad es. l’art. 5, comma 3, Reg. ISVAP 9 agosto 2006, n. 4, in tema di certificato e contrassegno, il quale esordisce con le parole “qualora
il contraente sia persona diversa dal proprietario (…)”.
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l’importo contenuto nei limiti del massimale assicurativo di lire 100.000.000,
pari a euro 51.426,00.
5.2. In punto di diritto si rammenta che a partire dal noto arresto delle
Sezioni Unite (8 luglio 2003, n. 10725) che ha riconsiderato ex novo la problematica, questa Corte ha costantemente ribadito (ex plurimis cfr. sentenze 5 agosto 2005, n. 16598; 4 febbraio 2005, n. 2276; 22 dicembre 2004, n.
23819) che in tema di assicurazione della responsabilità civile derivante
dalla circolazione dei veicoli a motore, va distinta l’obbligazione diretta dell’assicuratore nei confronti del danneggiato da quella dell’assicuratore stesso nei confronti del danneggiante-assicurato e va, conseguentemente, distinta l’eventuale ipotesi di cosiddetta mala gestio relativa ai rapporti assi-
Ma si ammetta pure che effettivamente solo il proprietario sia il soggetto tenuto a stipulare la polizza di assicurazione della r.c.a.: ciò non varrebbe a risolvere il problema qui in esame, posto che resterebbe da spiegare perché mai quello stipulato dal proprietario non possa configurarsi come
contratto per conto di chi spetta, stipulato al fine di coprire tanto la responsabilità del proprietario, quanto quella di qualsiasi persona che, col consenso di quest’ultimo, si ponga alla guida del veicolo.
Quanto al rilievo sub (b) (“solo il proprietario, e non anche il conducente è il litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal danneggiato
contro l’assicuratore”) esso non ha alcuna attinenza (se non mediata e riflessa) col problema della corretta individuazione dei soggetti assicurati, investendo una questione processuale e non sostanziale. Dopo avere ricordato che l’art. 144 cod. ass. non parla affatto di “proprietario”, ma solo di “responsabile” del sinistro, possiamo convenire che la disposizione da ultimo
ricordata abbia lo scopo di agevolare l’assicuratore nell’esercizio del diritto di rivalsa. Tuttavia l’avere stabilito ciò non consente di ricavarne quale
conseguenza che il conducente non contraente della polizza sia per ciò solo escluso dalla rivalsa stessa. L’azione di rivalsa verso il proprietario e quella verso il conducente non si escludono tra loro, ma anzi si cumulano se si
condivide la tesi del contratto a favore di chi spetta: l’uno e l’altro sono infatti “assicurati” ex art. 1904 c.c., e l’uno e l’altro possono essere convenuti
con l’azione di rivalsa. Di conseguenza, se le due azioni non si escludono
a vicenda, il problema qui in esame non può risolversi col principio dell’inclusio unius, exclusio alterius: e cioè affermando che siccome litisconsorte necessario è solo il proprietario, e il litisconsorzio necessario serve a
facilitare l’azione di rivalsa, quest’ultima solo verso il proprietario dovrà
necessariamente essere promossa.
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curatore/danneggiato (mala gestio c.d. impropria) da quella dalla mala gestio (propria) riconducibile ai rapporti assicuratore/assicurato.
5.2.1. In particolare la responsabilità ultramassimale dell’assicuratore nei
confronti della parte danneggiata (che solo con formula tralaticia si continua
a definire mala gestio, trattandosi propriamente di responsabilità da colpevole ritardo) trova titolo in un comportamento dell’assicuratore ingiustificatamente dilatorio, a fronte della richiesta di liquidazione avanzata dal danneggiato, trascorso il termine di cui alla l. n. 990 del 1969, art. 22 (e, attualmente, i termini di cui al d.lgs. n. 209 del 2005, art. 145), alla cui scadenza
Al contrario, la circostanza che il legislatore abbia imposto la partecipazione al giudizio del proprietario del veicolo per agevolare la rivalsa verso quest’ultimo non basta ad escludere l’ammissibilità della rivalsa verso il
conducente, e quindi la qualifica di “assicurato” in capo a quest’ultimo.
E non sarà superfluo aggiungere che l’argomento qui criticato si risolve a ben vedere in una tautologia, finendo per sostenere che il conducente
non è soggetto alla rivalsa perché non è assicurato, e non è assicurato perché “è estraneo al rapporto assicurativo”.
5. La dottrina
La tesi secondo cui il conducente non contraente non sarebbe “assicurato” ex art. 1904 c.c. è stata sostenuta anche da parte della dottrina, ma anche in tal caso con argomenti assolutamente erronei.
Taluni autori hanno fatto leva sull’abrogato disposto dell’art. 1 l. 990/69,
il quale concedeva all’assicuratore l’azione di rivalsa nei confronti del conducente nel caso di danni causati dalla circolazione prohibente domino del
veicolo. Da tale norma si desumeva il principio che la copertura assicurativa del conducente fosse un effetto solo indiretto di quella del proprietario,
tanto è vero che, là dove la responsabilità del proprietario veniva meno, il
conducente era esposto all’azione di rivalsa. Del resto, si aggiungeva, una
azione di rivalsa non potrebbe mai giustificarsi nei confronti di un soggetto “assicurato” (8).
(8) POLIMENO, Osservazioni su di una dibattuta questione: può il conducente dell’autoveicolo coinvolto nel sinistro qualificarsi soggetto «assicurato»?, in Giust. civ.,
2001, II, 83.
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l’assicuratore è da considerarsi in mora, sempreché sia stato posto in grado
con la detta richiesta di determinarsi in ordine all’an e al quantum della somma dovuta a titolo di risarcimento. Invero l’assicuratore, in linea di principio,
è obbligato verso il danneggiato non oltre il limite del massimale;
tuttavia l’assicuratore stesso, se nell’adempiere la sua obbligazione (che
resta un’obbligazione pecuniaria e non si trasforma in debito di valore, quale è l’obbligazione del danneggiante-assicurato) cade in mora, si può trovare ad essere obbligato oltre il limite del massimale, a titolo di responsabilità per inadempimento ex art. 1224 c.c., senza necessità, quindi, di altra
prova del danno, quanto agli interessi maturati sul massimale per il tempo
della mora ed al saggio degli interessi legali e, oltre questo livello, in presenza di allegazione e prova (se del caso, mediante ricorso a presunzioni)
del “maggior danno” di cui al comma 2 del cit. art. 1224. Inoltre proprio
Tale argomento non era decisivo in passato, ed è comunque divenuto
privo di rilievo con l’entrata in vigore del codice delle assicurazioni.
Non era decisivo in passato, perché il diritto di rivalsa dell’assicuratore nei confronti del conducente, nei casi di danni causati da circolazione
prohibente domino, non era incompatibile con lo schema dell’assicurazione per conto di chi spetta. Il rischio coperto da quest’ultima era infatti quello dell’insorgenza di debiti risarcitori scaturenti da circolazione legittima
del veicolo: dunque una circolazione illegittima del veicolo esponeva il
conducente all’azione di rivalsa non perché mancasse la responsabilità del
proprietario, ma perché quel rischio non era coperto da un contratto che,
altrimenti, avrebbe avuto l’effetto di tenerlo indenne. In ogni caso, la rivalsa prevista dall’art. 1 l. 990/69 è stata abrogata dal codice delle assicurazioni, il quale nelle ipotesi di circolazione prohibente domino ha previsto puramente e semplicemente la cessazione degli effetti del contratto di
assicurazione, a partire dal giorno successivo a quello di presentazione della denuncia.
Altra parte della dottrina, muovendo dall’esatto ma non pertinente rilievo secondo cui nell’assicurazione della r.c.a. “oggetto” della copertura
assicurativa non è il veicolo, ma la responsabilità del proprietario, perviene alla conclusione che “non debbono considerarsi assicurati coloro i quali si trovano alla guida del mezzo”, poiché esisterebbe una incompatibilità
“strutturale e funzionale” tra l’assicurazione della r.c.a. e l’assicurazione
per conto di chi spetta. Tale incompatibilità deriverebbe dal fatto che:
(a) nell’assicurazione “per conto” il beneficiario non potrebbe mai
coincidere col contraente;
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Giurisprudenza
perché la responsabilità da colpevole ritardo, nell’ambito del rapporto tra
assicuratore e danneggiato, è fondata sulla costituzione in mora del primo –
l. n. 990 del 1969, ex art. 22 – per ottenere la corresponsione degli interessi e rivalutazione oltre il limite del massimale non è necessario che il danneggiato formuli una specifica domanda, essendo sufficiente che abbia formulato la domanda di integrale risarcimento del danno, che è comprensiva
sia della somma rappresentata dal massimale di polizza, sia delle altre somme che possono essere aggiunte per interessi moratori, rivalutazione e spese (Cass. 24 gennaio 2006, n. 1315) ovvero, anche, che abbia richiesto il
pagamento degli interessi.
5.2.2. La seconda fattispecie di responsabilità da mala gestio propriamente detta (relativa al rapporto assicuratore/assicurato) trova fondamento
nella violazione dell’obbligo dell’assicuratore di comportarsi secondo buona fede o correttezza nell’esecuzione del contratto ai sensi degli artt. 1175
(b) in tutte le assicurazioni “per conto” l’interesse assicurato è quello
del titolare di un diritto dominicale a cautelarsi contro il deprezzamento della cosa, e l’assicurazione per conto “ha sempre ad oggetto una cosa od una
persona determinata”, mai il patrimonio;
(c) nell’assicurazione “per conto” lo stipulante è sempre legato all’assicurato da un precedente rapporto contrattuale.
Poiché, si afferma, queste caratteristiche sarebbero inconciliabili con
l’assicurazione della r.c.a., quest’ultima non potrebbe essere ritenuta un’assicurazione “per conto” (9).
Anche queste argomentazioni appaiono, prima ancora che inaccettabili, sorprendenti.
La prima di esse (“nell’assicurazione per conto il beneficiario non potrebbe mai coincidere col contraente”) è smentita dall’opinione unanime
della dottrina, che ravvisa nell’assicurazione per conto di chi spetta un
contratto in incertam personam, per effetto del quale al momento del sinistro il titolare dell’interesse assicurato potrebbe essere tanto il medesimo contraente, quanto un terzo. Del resto la potenziale coincidenza tra
contraente ed assicurato nell’assicurazione per conto di chi spetta è ogni
giorno palesata dalla realtà dei traffici commerciali: così è nell’assicurazione della merce depositata, stipulata da parte del depositario che sia titolare di una opzione per l’acquisto (il depositario sarà solo contraente se
(9) GALLONE, Il danno alla persona e alle cose nell’assicurazione per la R.C.A.,
vol. I, Torino, 2005, p.295.
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- 1375 c.c., ed è configurabile non solo nel caso in cui l’assicuratore, avvalendosi del patto di gestione della lite, la gestisca in modo da arrecare pregiudizio all’assicurato, ma anche nell’ipotesi in cui, senza un apprezzabile
motivo, rifiuti di gestire la lite e se ne disinteressi in modo da recare pregiudizio allo stesso assicurato. In tale seconda ipotesi, all’obbligazione nei
confronti del danneggiato può aggiungersi, sempre a carico dell’assicuratore, un’ulteriore e diversa obbligazione nei confronti del danneggiante-assicurato, sul quale sia, in definitiva, venuto a gravare l’onere economico del
danno provocato dal colpevole ritardo con cui è stato corrisposto l’indennizzo al danneggiato. E poiché tale (maggior) onere deriva dal comportamento tenuto dal suo assicuratore in violazione dei principî di correttezza
e buona fede, il danneggiante-assicurato ben può pretendere il ristoro di tale danno, facendo a sua volta valere quella forma di responsabilità contrattuale, comunemente definita “da mala gestio”, che si differenzia, peraltro,
dalle conseguenze della predetta “mala gestio” (impropria) che l’assicuratore subisce nei suoi rapporti diretti con il danneggiato, venendo in que-
non esercita l’opzione, sarà anche assicurato se la esercita); così è nell’assicurazione della merce oggetto di sequestro giudiziario, stipulata da
uno dei due litiganti per l’accertamento della proprietà (questi sarà solo
contraente se perde la causa, anche assicurato se la vince); così è nell’assicurazione del credito stipulata dal factor, quando sia in contestazione la
validità o l’efficacia della cessione (questi sarà solo contraente se la cessione è invalida, anche assicurato nel caso contrario).
Ancor meno accettabile è l’affermazione secondo cui l’assicurazione
per conto avrebbe “sempre ad oggetto una cosa od una persona determinata”, e mai il patrimonio. Premesso che tale divieto non si riscontra in alcuna norma di legge, basterà ricordare come possano essere e siano quotidianamente stipulate “per conto” praticamente tutte le assicurazioni di patrimoni: da quelle marittime del nolo o del profitto sperato, a quelle terrestri contro le perdite pecuniarie (ad es., assicurazione contro i danni da interruzione di attività stipulata dalla confederazione di artigiani per conto
degli associati), di assistenza (ad es., assicurazione assistenza stipulata dall’impresa per conto dei propri manager) o di tutela legale (ad es., stipulata
dall’ente locale per conto dei propri amministratori). Quanto, poi, all’assicurazione di responsabilità civile, essa è con vece assidua stipulata da enti
ospedalieri per conto dei medici propri dipendenti, da datori di lavoro per
conto di dipendenti, da associazioni di volontariato per conto degli associati, e via pressoché all’infinito.
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stione, nel rapporto con il danneggiante-assicurato, l’ammontare di quanto
quest’ultimo si veda costretto a pagare in più rispetto a quello cui sarebbe
stato tenuto se l’assicuratore si fosse comportato in buona fede nella gestione del rapporto contrattuale assicurativo, non tralasciando occasioni di
pagare per tempo il dovuto. Peraltro in quest’ultima ipotesi – proprio perché trattasi di inadempimento contrattuale – l’affermazione della responsabilità dell’assicuratore verso il danneggiante-assicurato (a differenza di quanto si è detto per l’affermazione di responsabilità verso il danneggiato) richiede da parte dell’assicurato una specifica domanda nell’atto introduttivo del giudizio per responsabilità per mala gestio, con allegazione e conseguente prova dei comportamenti che la sostanziano.
6. Ciò posto in via di principio si osserva che il ricorso principale, al limite dell’inammissibilità, non merita accoglimento.
6.1. Invero – premesso che entrambi i motivi di ricorso, pur lamentando congiuntamente la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, pongono essenzialmente delle questioni di diritto e non sono, comunque, corredati dalla “chiara indicazione” richiesta dall’art. 366 bis c.p.c., in relazione al vizio motivazionale – si osserva che il quesito di diritto, a corredo del primo
motivo, muove da una premessa assertiva, qual è l’avvenuto accertamento
in giudizio della mala gestio dell’assicuratore, che, se riferita al rapporto
assicurato/assicuratore (c.d. mala gestio propria) non trova riscontro nella
Stupefacente, infine, appare l’affermazione secondo cui “nell’assicurazione ‘per conto’ lo stipulante è sempre legato all’assicurato da un precedente rapporto contrattuale”. Ciò, semplicemente, non è vero: vanamente infatti tale rapporto si cercherebbe nell’assicurazione contro i danni alla merce
stipulata dallo spedizioniere per conto del destinatario finale, o nell’assicurazione contro i danni stipulata dal custode di beni sottoposti a confisca o sequestro; od ancora nell’assicurazione stipulata dal condominio per conto dei
condòmini. Del resto, che “lo schema dell’assicurazione per conto altrui (art.
1891 c.c.) [sia] applicabile ad ogni tipo di assicurazione, perciò anche all’assicurazione della responsabilità civile” è stato ripetutamente ed espressamente affermato dalla Corte di legittimità, persino – curiosamente – nelle
decisioni che hanno aderito all’orientamento qui in contestazione (10).
(10) Così, testualmente, Cass., Sez. III, 14 dicembre 2001, n. 15848, in Foro it.,
2002, I, 1795; nello stesso senso, Cass., 18 aprile 1984, n. 2508, in Riv. giur. circolaz.
e trasp., 1984, 667.
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decisione impugnata, laddove, anzi, si pone in evidenza che la proprietaria
del veicolo non aveva formulato alcuna specifica istanza in ordine ad eventuali limitazione della propria responsabilità solidale e, se riferita, invece,
alla posizione dei danneggiati (c.d. mala gestio impropria), risulta, comunque, inconferente nella prospettiva del ricorrente, che è il conducente del
veicolo. Per altro verso lo stesso quesito e, prima ancora, il motivo ignorano la ratio decidendi laddove si pone in evidenza che la somma liquidata,
devalutata al momento del sinistro, era comunque superiore al massimale
di polizza; ed è, per l’appunto, questa differenza per eccesso che è stata posta (in solido con l’assicurata) a carico del danneggiante.
Del resto l’ambiguità del quesito – che lo rende inadeguato a risolvere
il caso concreto – non è altro che il riflesso dell’equivoco di fondo sotteso
al motivo, consistente nell’erronea sovrapposizione delle diverse ipotesi
mala gestio propria e impropria, evidenziata dal contemporaneo richiamo
in rubrica delle norme a presidio della correttezza contrattuale e in materia
di mora debendi.
Ciò posto e ribadito che, per quanto emerge dalla decisione impugnata, nel caso in esame non vi è stato esercizio dell’azione di mala gestio (propria), il motivo risulta anche manifestamente infondato alla luce del fatto
che il P., quale conducente del mezzo, risulta estraneo al rapporto assicurativo e, quindi, neppure legittimato a far valere diritti che – a seconda della prospettiva di volta in volta assunta – appaiono riferibili ora all’assicurata, proprietaria del mezzo, ora ai danneggiati.
6.2. Il secondo motivo è corredato da un quesito che si risolve nell’astratta enunciazione di un principio di diritto che, per un verso, appare
inconcludente in considerazione del fatto che, nella specie, non risulta esservi differenza tra massimale di legge e massimale convenzionale e, per
In conclusione, la tesi secondo cui il conducente non contraente non sarebbe soggetto “assicurato” ex art. 1904 c.c. è inaccettabile sul piano dogmatico, perché non spiega:
(a) come possa escludersi la qualifica di “assicurato” in capo ad un soggetto il cui debito viene pagato dall’assicuratore;
(b) come possa escludersi la qualifica di “assicurato” in capo ad un soggetto la cui responsabilità per legge (art. 122, comma 1, cod. ass.) deve essere coperta obbligatoriamente da assicurazione;
(c) come possa escludersi la qualifica di “assicurato” in capo al conducente, a fronte di una prassi contrattuale che con clausola standard definisce l’oggetto dell’assicurazione come “i rischi per i quali l’assicurazione è
obbligatoria”.
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altro verso, prospetta una questione nuova, rivelandosi il motivo, anche sotto questo versante, inammissibile. Invero i motivi di ricorso per cassazione
devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che abbiano già formato oggetto del thema decidendum nel giudizio di merito, essendo consentito dedurre nuovi tesi giuridiche e nuovi profili di difesa solo quando
essi si fondano su elementi di fatto già dedotti dinanzi al giudice di merito
e per i quali non sia perciò necessario procedere ad un nuovo accertamento (Cass. 16 dicembre 2010, n. 25510; 2000/5845; 2000/14848; 2004/22154;
2005/19350).
7. Anche il ricorso incidentale dei Fi.– F. – pur denunciando congiuntamente violazione di legge e vizio motivazionale – propone essenzialmente
una questione di diritto ed è, comunque, privo della “chiara indicazione”
(c.d. quesito di fatto) richiesta dall’art. 366 bis c.p.c., in relazione all’art.
360 c.p.c., n. 5. Peraltro il quesito di diritto, al pari del motivo, prescinde
dalla ratio decidendi e dalle conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, la quale – come evidenziato dalla sintesi sopra riportata – non ha affatto contenuto la responsabilità dell’assicuratore entro il limite del massimale di polizza, avendo, anzi, riconosciuto la mala gestio (impropria) dell’assicuratore per la r.c.a. prima e dell’impresa designata dopo, ponendo a
carico di quest’ultima l’ulteriore danno da ritardo.
La decisione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo
cui il massimale di polizza costituisce il limite dell’obbligazione indennitaria, gravante sull’assicuratore nei confronti del danneggiato e non anche
del(ulteriore) diritto al risarcimento per il ritardato adempimento di siffatta obbligazione, sebbene il danno da mora non possa che essere calcolato
sull’ammontare del massimale.
Merita puntualizzare – dal momento che il ricorso incidentale incorre
nello stesso equivoco di fondo già evidenziato in relazione al primo motivo di ricorso del P. – che il ristoro del danno subìto dal danneggiato, trovando fondamento della mora, si differenzia dalle conseguenze della mala
gestio propria, venendo in questione, nei rapporti con l’assicurato, l’ammontare di quanto quest’ultimo si veda costretto a pagare in più rispetto a
quello cui sarebbe stato tenuto se l’assicuratore si fosse comportato in buona fede nella gestione del rapporto contrattuale assicurativo. Ne deriva che
il danneggiato non può far valere contro l’assicuratore come diritto proprio,
Non meno inaccettabili sono le conseguenze pratiche della tesi qui in
contestazione (secondo cui il conducente non rientrerebbe tra i soggetti “assicurati” ex art. 1904 c.c.).
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il diritto al risarcimento del danno che, nel rapporto contrattuale di assicurazione, deriva all’assicurato dal pregiudizio che l’assicuratore gli cagiona
non eseguendo la sua obbligazione in buona fede (mala gestio c.d. propria).
Per farlo il danneggiato deve agire con l’azione surrogatoria, sostituendosi
al proprio debitore che trascura di esercitare quel diritto verso l’assicuratore ex art. 2900 c.c.; solo in tal caso egli può ottenere in suo favore la condanna dell’assicuratore, nei limiti in cui, a seconda dei casi, l’avrebbe potuta ottenere l’assicurato (in termini Cass. 8 luglio 2003 n. 10725, in motivazione). Sennonché – come si è già avuto modo di evidenziare – nella specie non risulta che sia stata esercitata, né in via diretta, né in via surrogatoria, da parte dei danneggiati, l’azione contrattuale spettante all’assicurata.
Anche il ricorso incidentale dei Fi.– F. va, dunque, rigettato.
8. Va, infine, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale dell’INA
Assitalia.
Invero – prima ancora della mancanza del necessario momento di sintesi necessario, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., a individuare non solo il “fatto controverso”, ma anche e soprattutto le ragioni per cui la motivazione è
conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (Cass., ord., 13 luglio
2007, n. 16002) – rileva la non riconducibilità del motivo all’ambito normativo dell’art. 360 c.p.c.
Il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione è, infatti, una doglianza che investe la ricostruzione della fattispecie concreta addebitando a questa ricostruzione di essere stata effettuata in una massima,
la cui incongruità emerge dalla insufficiente, contraddittoria o omessa motivazione della sentenza impugnata e il controllo della Cassazione sulla motivazione si riferisce alla sola giustificazione del giudizio di fatto, perché
quello sul giudizio di diritto rientra nell’art. 360 c.p.c., n. 3. Per altro verso
la correzione e/o integrazione della decisione ai sensi dell’art. 384 dello
stesso codice può aversi unicamente ove il vizio investa la motivazione di
diritto.
Nel caso di specie non viene censurato un giudizio di fatto e neppure si
deduce la violazione di legge, tentandosi surrettiziamente di affidare a questa Corte un’attività di “interpretazione” dei contenuti della sentenza im-
Quella tesi sortisce infatti un aberrante effetto: quello di mandare esente da responsabilità il conducente, se diverso dal contraente della polizza,
che si sia posto alla guida del veicolo in spregio alle norme del codice della strada sulla abilitazione alla guida. In tal caso, infatti, il conducente non
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Giurisprudenza
pugnata che doveva essere svolta in primis dalla parte e, se del caso, tradursi nella proposizione di una censura riconducibile all’art. 360 c.p.c., ovvero in motivo di opposizione all’eventuale esecuzione.
In conclusione il ricorso principale e quello incidentale dei Fi.– F. vanno rigettati, mentre va dichiarato inammissibile quello dell’INA Assitalia.
L’esito del giudizio di legittimità impone la compensazione delle relative spese. (Omissis).
sarà escusso dal terzo danneggiato, perché questi sarà risarcito dall’assicuratore; e non sarà escusso in sede di rivalsa dall’assicuratore, essendo
l’azione di rivalsa accordata dall’orientamento qui criticato nei soli confronti del contraente (11).
MARCO ROSSETTI
Magistrato addetto all’Ufficio Massimario
della Corte Suprema di Cassazione
(11) In questo senso anche HAZAN, La nuova assicurazione della rca nell’era del
risarcimento diretto, Milano, 2006, 68.
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Dalla Corte di Cassazione
A CURA DI
MARCO ROSSETTI
Magistrato addetto all’Ufficio Massimario
della Corte Suprema di Cassazione
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III – 26 febbraio 2013, n. 4799 – Pres. Berruti, Est. Barreca, P.M. Corasaniti (diff.) – B. (avv. Cirillo ed altro) c. Comp. Assicuratrice Unipol S.p.A. ed altri (avv. Casoli).
(Sentenza impugnata: App. Napoli 18 luglio 2006)
Ass. responsabilità civile – Clausola limitativa del rischio assicurato relativa alla conseguenza di fatti accidentali – Fatti dannosi derivanti da colpa grave – Inclusione nella copertura assicurativa – Sussistenza – Fondamento – Fattispecie relativa all’operatività della polizza stipulata da un condominio per danni causati dalla rottura di
un impianto idrico condominiale.
L’assicurazione della responsabilità civile, mentre non può concernere
fatti meramente accidentali, dovuti, cioè, a caso fortuito o forza maggiore,
dai quali non sorge responsabilità, per la sua stessa natura importa necessariamente l’estensione ai fatti colposi, restando escluso, in mancanza di
espresse clausole limitative del rischio, che la garanzia assicurativa non copra alcune forme di colpa. Pertanto la clausola della polizza stipulata da un
condominio, la quale preveda la copertura dei danni “involontariamente cagionati a terzi in conseguenza di un fatto accidentale”, senza contenere alcuna limitazione con riguardo a determinati gradi di colpa, fa ritenere ope-
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rante la garanzia anche in ipotesi di comportamento gravemente colposo dell’assicurato (nella specie, per il difetto di manutenzione di una tubazione idrica condominiale), con la sola eccezione delle condotte dolose (1).
(1) La sentenza consolida l’orientamento più recente (Cass. 10 aprile 1995, n. 4118,
in Resp. civ. prev., 1995, 528, con nota di DIES, In margine ad una conferma della Cassazione sul “fatto accidentale” e sulla “mala gestio” nell’assicurazione della responsabilità civile), secondo il quale, quando la polizza r.c. limita l’indennizzabilità ai danni derivati da fatti accidentali, per tali debbono intendersi i “fatti colposi”, in quanto “secondo la terminologia giuridica tradizionalmente accettata senza contestazioni, il fatto accidentale è equivalente a fortuito o forza maggiore; di conseguenza appare evidente la contraddizione della previsione del risarcimento dovuto all’assicurato quale
civilmente responsabile per danni prodotti a terzi in dipendenza di un fatto accidentale” (così, testualmente, Cass. 10 aprile 1995, n. 4118, cit.; nello stesso senso Cass. 28
febbraio 2008, n. 5273, in questa Rivista, 2008, II, 2, 273; Cass. 30 marzo 2010, n.
7766, in Giust. civ., 2011, I, 2176).
Principî analoghi sono stati affermati anche da Cass. 5 aprile 1990, n. 2863, in
Banca, borsa e tit. cred., 1992, II, 299, con nota di FESTI, Le clausole aggiunte ai moduli o formulari ed interpretazione secondo buona fede, ove espressamente si afferma
che “l’assicurazione della responsabilità civile non può riguardare i fatti meramente
accidentali, dovuti cioè a caso fortuito o a forza maggiore”; da Cass. 17 ottobre 1983,
n. 6071, in Giur. it., 1984, I, 1, 1485, la quale ha escluso che la clausola di limitazione della copertura assicurativa ai “fatti accidentali” comporti l’esclusione dei danni
causati da colpa cosciente; da Cass. 25 novembre 1980, n. 6265, in Arch. civ., 1981,
214, la quale, in ipotesi di polizza che limiti il rischio assicurato ai “fatti accidentali”,
ha affermato che il contratto può spiegare effetto se ed in quanto la garanzia abbia
ad oggetto i fatti colposi dell’assicurato.
Per un diverso e minoritario orientamento invece, che tuttavia alla luce della sentenza qui in rassegna può ritenersi ormai superato, i “fatti accidentali” non coincidono
coi “fatti colposi”, ma costituiscono una categoria più ristretta di questi ultimi. Ben
possono, pertanto, sussistere eventi non dolosi e non accidentali. L’accidentalità secondo questo orientamento non richiederebbe “l’imprevedibilità dell’evento dannoso,
ma l’incertezza della sua specificità, sicché si configura quando, pur essendo astrattamente possibile prevedere il verificarsi di una evenienza, sia incerto il complesso di
fattori che concorrono a produrla secondo le modalità materiali e temporali concretamente verificatesi” (così Cass. 4 febbraio 1992, n. 1214, in questa Rivista, 1993, II, 2,
45, nonché in Dir. econ. assic., 1992, 621, con nota di DE STROBEL, Accidentalità: una
sentenza confortante; in Resp. civ. prev., 1993, 590, con nota di DIES, Il fatto accidentale nella assicurazione della responsabilità civile: un dilemma insoluto (e irrisolvibile?); nello stesso senso Cass. 30 aprile 1981, n. 2652, in Riv. giur. circolaz. trasp.,
1981, 1043; si veda anche Trib. Pordenone 12 gennaio 2000, in Dir. econ. assic., 2000,
911, con nota di SCIBETTA, Il fatto accidentale nell’assicurazione della responsabilità
civile, secondo cui “fatti accidentali” sono quelli che causano il sinistro repentinamente
e non in un comportamento ripetuto nel tempo).
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La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – 1. Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 18 luglio 2006, la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’appello
avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 98 del 27 dicembre 2001.
Quest’ultimo era stato adito da E.P., G.A., R.P., A.DeM., G.G., G.A.,
A.LoM. e G.I. per sentire condannare il Condominio (Omissis) al risarcimento dei danni subìti dagli immobili di loro proprietà a seguito della rottura, in data 10 gennaio 1998, della tubazione idrica interrata posta al servizio del parco condominiale. Il Condominio si era costituito per resistere
alla domanda ed aveva chiesto ed ottenuto di chiamare in garanzia la Compagnia Assicuratrice Unipol S.p.A. per essere tenuto indenne dalle conseguenze negative del giudizio. Quest’ultima si era costituita ed aveva chiesto il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.
1.1. Il Tribunale di Napoli aveva condannato il Condominio convenuto al risarcimento dei danni spettanti a ciascuno degli attori, oltre che al pagamento in loro favore delle spese di lite; aveva rigettato la domanda di garanzia, dichiarando compensate le spese tra il convenuto e la società assicuratrice chiamata in causa.
2. Proposto appello da parte del Condominio, al fine di chiedere la condanna della Compagnia Assicuratrice Unipol S.p.A. al pagamento delle
somme dovute dal Condominio agli attori originari per risarcimento e spese di lite e costituitasi la società appellata, la Corte d’Appello di Napoli ha,
come detto, rigettato il gravame, ritenendo che, poiché la polizza stipulata
dal condominio appellante per la responsabilità civile verso terzi ricopriva
“i danni involontariamente cagionati a terzi... in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi in relazione ai rischi per i quali è stipulata l’assicurazione”, per il sinistro per cui è causa la garanzia non fosse operativa perché
il medesimo non avrebbe potuto essere ricondotto ad un fatto accidentale,
inteso come caso fortuito o forza maggiore, ma sarebbe stato conseguenza
di una condotta omissiva integrante “un’ipotesi di comportamento colposo
significativo”. Ha così confermato anche le ragioni poste a fondamento della sentenza di primo grado; ha compensato tra le parti le spese del grado.
3. Avverso la sentenza il Condominio (Omissis), in persona dell’amministratore, propone ricorso affidato a tre motivi.
La Compagnia Assicuratrice Unipol S.P.A. resiste con controricorso.
Non si difendono gli altri intimati.
DIRITTO. – 1. Pregiudiziale risulta l’esame congiunto del secondo e del
terzo motivo, che vanno accolti per le comuni ragioni di cui appresso. Col
secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 1321, 1322, 1372, 1363,
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1366 e 1370 c.c., in relazione all’esistenza della garanzia ed all’interpretazione delle clausole del contratto di assicurazione.
Rileva il ricorrente che nelle condizioni generali del contratto (settore
A, punto 1.1. lett. e) sono inclusi tra i rischi assicurati anche quelli causati
da colpa grave dell’assicurato e, con specifico riferimento alla responsabilità civile, si legge che “La Compagnia si obbliga a tenere indenne l’Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile
ai sensi di legge, a titolo di risarcimento (capitale, interessi e spese) di danni involontariamente cagionati a terzi, compresi i locatari, per morte, per lesioni personali e per danneggiamenti a cose ed animali, in conseguenza di
un fatto accidentale verificatosi in relazione ai rischi per i quali è stipulata
l’assicurazione. L’assicurazione vale anche per la responsabilità civile che
possa derivare all’Assicurato da fatto doloso di persone delle quali debba
rispondere”.
Tenuto conto sia di quanto disposto dalle condizioni generali di contratto, unilateralmente predisposte dalla Compagnia assicuratrice su modulo prestampato, sia di quanto previsto nel capo specifico riguardante la responsabilità civile, il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello, interpretando il contratto e ponendo in relazione tra loro le varie clausole, comunque in buona fede e nel rispetto di quanto previsto dall’art. 1370 c.c., non
avrebbe potuto escludere l’operatività della garanzia nell’ipotesi della colpa grave, poiché ogni ipotesi di colpa sarebbe rientrata tra i rischi coperti
dall’assicurazione.
1.1. Col terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 1917 c.c., nonché
degli artt. 1321, 1322, 1372, 1363, 1366 e 1370 c.c., in relazione all’esistenza
della garanzia ed all’interpretazione delle clausole del contratto di assicurazione. Il ricorrente richiama il precedente costituito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 4118 del 10 aprile 1995, che, a sua volta, richiama i precedenti di cui a Cass. n. 6071/83 e n. 2863/90, al fine di sostenere che l’argomentazione della Corte d’Appello, secondo cui fatto accidentale sarebbe
equivalente a fortuito o forza maggiore, comporterebbe la violazione dell’art. 1917 c.c. nonché delle norme sull’interpretazione dei contratti sopra richiamate. Infatti, finisce per escludere la copertura assicurativa nei soli casi
in cui può operare la responsabilità civile, vale a dire nei casi di comportamento colposo, dato che in mancanza di colpa non esisterebbe nemmeno
l’obbligo risarcitorio dell’assicurato, per cui il contratto risulterebbe privo
di oggetto. Il ricorrente conclude rilevando che il termine “accidentale”, di
cui alla richiamata clausola del contratto di assicurazione, debba essere inteso ed interpretato nel senso che l’assicurazione sia tenuta a risarcire i danni derivanti da fatto colposo con la sola esclusione del fatto doloso; osserva,
altresì, che questa interpretazione troverebbe riscontro in quanto esposto nel
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secondo motivo, relativamente all’esistenza di apposita clausola che copre
le ipotesi di colpa grave e, sia pure parzialmente, di dolo.
2. I motivi sono volti a censurare l’interpretazione della clausola contrattuale, il cui testo è stato sopra riprodotto. In particolare, la Corte d’Appello ha inteso la copertura assicurativa per la responsabilità civile verso
terzi come relativa a “fatto accidentale, inteso come caso fortuito o forza
maggiore”, nel quale non potrebbero rientrare difetti di costruzione o di manutenzione, a seguito dei quali i danni a terzi si siano prodotti per una “condotta omissiva” dell’assicurato, quando, come, nella specie, questa concretizzi “un’ipotesi di comportamento colposo significativo”.
Le censure sono fondate.
Quanto dedotto col terzo motivo di ricorso trova riscontro nella giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato il principio per il
quale “l’assicurazione della responsabilità civile, mentre non può concernere fatti meramente accidentali, dovuti cioè a caso fortuito o forza maggiore, dai quali non sorge responsabilità, importa necessariamente per la
sua stessa denominazione e natura l’estensione ai fatti colposi, restando
escluso, in mancanza di espresse clausole limitative del rischio, che la garanzia assicurativa non copra alcune forme di colpa. Pertanto, la clausola di
un contratto di assicurazione che preveda la copertura del rischio per danni conseguenti a fatti accidentali è correttamente interpretata nel senso che
essa si riferisce semplicemente alla condotta colposa in contrapposizione ai
fatti dolosi” (così, oltre a Cass. n. 4118/95, citata in ricorso, anche Cass. n.
752/00, nonché, di recente, Cass. n. 5273/08 e n. 7766/10).
Il Collegio intende ribadire il principio appena richiamato.
2.1.– Quest’ultimo, d’altronde, trova riscontro nelle clausole contrattuali menzionate in ricorso.
Come evidenziato col secondo motivo, non solo, nel caso di specie, la
polizza stipulata dal Condominio non contiene alcuna limitazione della garanzia per determinate forme di colpa, specificamente per la colpa grave
(cui sembra alludere la sentenza impugnata laddove qualifica il comportamento del Condominio come “comportamento colposo significativo”), ma
addirittura espressamente prevede che tra i rischi coperti dalla garanzia vi
siano anche quelli dovuti a colpa grave dell’assicurato. Pertanto, è fondata
la censura relativa alla mancata considerazione, da parte del giudice di merito, sia dell’apposita previsione contrattuale sia della mancanza di eventuale apposita limitazione concernente l’assicurazione per la responsabilità civile verso terzi.
Inoltre, la contrapposizione di fatto “accidentale” a fatto “doloso”, quale risulta dal principio sopra richiamato, è coerente col testo dell’inciso fi-
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Giurisprudenza
nale della clausola esaminata dalla Corte d’Appello e sopra riportato. Detto inciso amplia la garanzia all’ipotesi della responsabilità civile “che possa derivare all’Assicurato da fatto doloso di persone delle quali debba rispondere”, cosicché ne resta escluso soltanto il fatto doloso dello stesso assicurato, in coerenza con la previsione dell’art. 1917 c.c. E ciò, ad ulteriore riprova che per fatto “accidentale” si debba intendere fatto “colposo” quale contrapposto a “doloso”, tale che, essendo soltanto questo escluso dalla
copertura assicurativa, si rende necessaria un’apposita previsione, quale
quella appena riportata, per il relativo ampliamento. È corretta, quindi, la
censura del ricorrente che, sempre col secondo motivo, fa rilevare l’incoerenza dell’interpretazione del giudice di merito che, pur ritenendo estesa la
garanzia al fatto doloso del terzo, la reputa esclusa per il fatto colposo dello stesso assicurato.
2.2. L’indirizzo interpretativo sopra richiamato, che qui si intende ribadire, rende non pertinenti i rilievi svolti dalla resistente laddove, in controricorso, con riferimento al terzo motivo di ricorso, tenta un distinguo tra colpa “inconsapevole” e colpa con “previsione”, al fine di sostenere che la seconda escluderebbe la garanzia, laddove invece la prima ne consentirebbe
l’operatività. Si è già evidenziato come, in mancanza di apposita clausola
derogatoria, i principî generali sull’assicurazione per la responsabilità civile desumibili dall’art. 1917 c.c. consentano di distinguere soltanto i fatti colposi, di norma assicurati, dai fatti dolosi, di norma esclusi, non essendo consentite ulteriori distinzioni, specificamente tra le diverse forme di colpa; e
come, nella polizza in questione, non vi fosse alcuna clausola limitativa delle ipotesi di assicurazione della responsabilità civile verso terzi.
3. In conclusione, i motivi secondo e terzo vanno accolti, la sentenza
impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’Appello di Napoli,
in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto sopra ribadito.
L’accoglimento dei detti motivi, comporta l’assorbimento del primo, col
quale sono dedotti ulteriori profili di erroneità nell’interpretazione del contratto di assicurazione prodotto in atti.
Va rimessa al giudice di rinvio anche la decisione sulle spese del giudizio di cassazione. (Omissis).
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III – 13 marzo 2013, n. 6293 – Pres. Petti, Est. Amendola, P.M. Corasaniti (conf.) – Jakil S.p.A. (avv. Longanesi ed altri) c. SIAT Italiana di
Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A. ed altri (avv. Fogliani).
(Sentenza impugnata: App. Genova 22 aprile 2006)
Ass. contro i rischi del trasporto – Assicurazione stipulata dall’acquirente contro i rischi del trasporto di merce spedita via mare a rischio e pericolo del venditore – Nullità per carenza di interesse –
Sussistenza.
È affetta da nullità per difetto di interesse, ex art. 1904 c.c., l’assicurazione contro i rischi del trasporto, stipulata dall’acquirente di merce spedita via mare a rischio e pericolo del venditore, con la previsione che l’effetto traslativo della proprietà sia subordinato alla ricezione del pagamento
del prezzo, a nulla rilevando che, dopo l’arrivo a destinazione e l’accertamento dell’avaria di parte del carico, l’acquirente ne abbia egualmente pagato il prezzo (1).
(1) Non consta alcun precedente su fattispecie analoga. Tuttavia che le parti di un
contratto di vendita fuori piazza possano derogare alla previsione di cui all’art. 1510
c.c., pattuendo che la merce viaggi a rischio e pericolo del venditore, e che in tal caso
– se la merce trasportata viene assicurata per conto di chi spetta – “assicurato” ex art.
1904 c.c. sia il mittente-venditore era principio già affermato da Cass. civ., Sez. III, 19
maggio 2004, n. 9469, in questa Rivista, 2005, II, 2, 10 (in motivazione).
Tale principio è un corollario della tradizionale affermazione secondo cui nell’assicurazione per conto di chi spetta di cose mobili da trasportare da un luogo all’altro, il diritto all’indennizzo spetta non al mittente-venditore, bensì all’acquirente destinatario della merce in quanto titolare dell’interesse tutelato dalla garanzia assicurativa: ciò in applicazione dell’art. 1510, comma 2, c.c., il quale stabilisce che il venditore, rimettendo
al vettore o allo spedizioniere le cose oggetto della vendita, non solo si libera dell’obbligazione della loro consegna e dei rischi connessi al loro perimento, ma trasferisce
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La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – I fatti di causa rilevanti ai fini della
decisione del ricorso possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata. Con citazione notificata il 17 aprile 1998 Jakil S.p.A. convenne
innanzi al Tribunale di Genova SIAT - Società Italiana di Assicurazioni e
Riassicurazioni S.p.A., SASA Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A., Lloyd
Italico Assicurazioni S.p.A., FARO Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A. e The Sea Insurance Co. Ltd. esponendo che, in data 5 agosto 1997 aveva stipulato con SIAT, in regime di coassicurazione con le altre società evocate in giudizio, una polizza avente ad oggetto l’assicurazione di una rilevante quantità di farina di estrazione di colza indiana, da essa
acquistata, per il tramite del broker AGRIAG di Ginevra, da Concordia Agritrading Pte di (Omissis) e caricata a bordo di una nave per essere trasportata dal porto di (Omissis), a quello di (Omissis); che all’arrivo la merce era
risultata gravemente danneggiata; che, esperito accertamento tecnico preventivo, l’esperto aveva concluso che, a causa della mancata chiusura delle stive nella fase dell’imbarco, solo una piccola parte del prodotto era in
buone condizioni, mentre il resto era irrecuperabile; che il valore della merce danneggiata ammontava a US 677.302.
Al pagamento di tale importo, maggiorato di svalutazione e interessi,
chiese dunque la società attrice che venissero condannate le convenute, ciascuna per la quota di sua spettanza.
Costituitesi in giudizio, le controparti contestarono l’avversa pretesa.
all’acquirente, salvo patto contrario, anche la loro proprietà, con la conseguenza che
per effetto della consegna la qualità di assicurato si trasferisce dal venditore all’acquirente (Cass. civ., Sez. III, 3 settembre 2007, n. 18514, in Foro it. Rep., 2007, Vendita,
n. 72). Pertanto, se le parti del contratto di vendita stabiliscono che, in deroga all’art.
1510 c.c., la merce viaggi a rischio e pericolo del venditore, l’acquirente non è titolare di alcun interesse esposto al rischio di perimento, e di conseguenza non può ritenersi
“assicurato” ai sensi dell’art. 1904 c.c.
Se le parti non scelgono di derogare all’art. 1510 c.c., e la merce viaggia quindi a rischio e pericolo del compratore-destinatario, legittimato a domandare l’indennizzo assicurativo sarà invece quest’ultimo, a meno che egli non scelga di non esigere dal vettore
la consegna della merce: ricorrendo tale ipotesi il diritto all’indennizzo ritorna in capo al
venditore, mentre deve escludersi che esso possa essere invocato dal vettore che sia responsabile dalla perdita o dell’avaria: il diritto all’indennizzo spetta infatti soltanto a chi
al momento dell’evento dannoso risulti essere proprietario del bene, sicché qualora il terzo destinatario rifiuti di profittare della prestazione a lui dovuta per effetto del contratto
di trasporto, essa rimane a beneficio dello stipulante (in applicazione di tale principio, le
Sezione Unite hanno escluso la possibilità, per il contraente-vettore, di beneficiare della
prestazione assicurativa a seguito del rifiuto della stessa da parte dell’assicurato (Cass.
civ., Sez. Un., 18 aprile 2002, n. 5556, in questa Rivista, 2002, II, 2, 129).
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Con sentenza del 19 maggio 2003 il giudice adito rigettò la domanda.
Proposto dalla soccombente gravame, la Corte d’Appello lo ha respinto in data 22 aprile 2006.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte Jakil S.p.A.,
formulando cinque motivi.
Resistono con controricorso SIAT - Società Italiana di Assicurazioni e
Riassicurazioni S.p.A., SASA Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A., TORO
Assicurazioni S.p.A. (società incorporante Lloyd Italico Assicurazioni S.p.A.),
FARO Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A. e The Sea Insurance Co. Ltd., che propongono altresì ricorso incidentale affidato a un solo mezzo, al quale la ricorrente ha, a sua volta, replicato con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
DIRITTO. – 1. Con il primo motivo di ricorso l’impugnante denuncia violazione degli artt. 1326 e 1327 c.c., nonché vizi motivazionali.
Oggetto delle critiche è l’esatta individuazione del contenuto del contratto di compravendita, con particolare riferimento alle clausole di allocazione del rischio.
Secondo il decidente, il documento rappresentativo del consensus in
idem placitum raggiunto dalle parti era la conferma d’ordine, non a caso
qualificata dallo stesso appellante copia del contratto di compravendita. Essa era invero posteriore agli altri scritti che le parti si erano scambiati, in
quanto comprensiva della modifica delle condizioni CIF in condizioni C&F,
intervenuta il 6 agosto 1996. Ora, il contenuto della conferma d’ordine induceva inequivocabilmente a ritenere che la proprietà della merce e, con essa, il rischio del perimento della stessa durante il viaggio, restavano a carico del venditore, essendo contrattualmente previsto che i documenti e le
merci afferenti rimanevano in proprietà dei venditori fino alla ricezione del
pagamento. La rilevanza traslativa della consegna della merce al vettore era
del resto smentita da una serie di indici extratestuali, quali le indicazioni del
mediatore in punto di contenuto del contratto intercorso tra le parti e il testo della lettera inviata dalla venditrice alla Banca Nazionale del Lavoro per
riscuotere il pagamento.
Sostiene per contro l’esponente che il testo del contratto era quello documentato dal broker nel fax in data 12 giugno 1996, che non conteneva la
pattuizione in ordine al differimento dell’efficacia reale del contratto al momento del versamento del prezzo, di talché, rispetto a detto testo, l’unica
modifica concordata era stata quella relativa all’onere della copertura assicurativa, con il passaggio dalla condizione CIF a quella C&F, ora CFR. Formula, quindi, il seguente quesito: se, ai sensi dell’art. 1326 c.c., possa ritenersi espressione di un nuovo accordo tra le parti, modificativo dei prece-
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denti, un testo redatto successivamente e unilateralmente da una delle parti, contenente clausole difformi da quelle precedentemente concordate e non
seguito da accettazione dell’altra parte.
2. Con il secondo mezzo la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1177,
1378, 1510 e 1527 c.c., artt. 1363, 1367, 1368, 1369, 1371 c.c., nonché vizi motivazionali. Le critiche si appuntano contro l’affermazione del giudice di merito secondo cui le clausole C&F, al pari di quelle CIF, avevano il
prevalente significato di clausole di spesa, come del resto ripetutamente statuito dal Supremo Collegio, laddove la disciplina del rischio andava desunta
dall’insieme delle pattuizioni negoziali, e ciò tanto più che, nella fattispecie, la clausola in contestazione era collocata nella sezione concernente i
termini di pagamento.
Secondo la ricorrente, così argomentando, la Corte territoriale non avrebbe considerato che, in base al disposto del secondo comma dell’art. 1510
c.c., il venditore si libera dall’obbligo di consegna con la rimessione delle
cose al vettore, di talché siffatti criteri di allocazione del rischio non erano
modificati dalle clausole CIF o C&F, le quali non smentivano ma confermavano la presunzione della liberazione del venditore dall’obbligo di custodia al momento del caricamento sul mezzo di trasporto. Aggiunge anche
l’esponente che la Corte d’Appello aveva del tutto ignorato la clausola che
imponeva ai compratori di estendere ai venditori i benefici dell’assicurazione fin dal momento in cui le merci lasciavano il magazzino del mittente e che ogni avaria sarebbe stata in conto ai compratori, di talché l’interpretazione seguita dal decidente violava i criteri di ermeneutica contrattuale stabiliti dagli artt. 1363, 1367, 1368, 1369 e 1371 c.c. In tale contesto la
clausola concernente il mantenimento della proprietà in capo al venditore
aveva la sola funzione di garantire il pagamento del corrispettivo e andava
pertanto ricostruita come clausola di riservato dominio, ex art. 1527 c.c.
Formula il seguente quesito: se, in presenza di una clausola CIF (o C&F,
ora CFR), e di una clausola in tema di assicurazione, come quella nel contratto di cui è causa, che pone i danni da trasporto in capo al compratore, e
tenuto conto delle norme in tema di interpretazione dei contratti, la presunzione in ordine al trasferimento del rischio in capo al compratore al momento del caricamento della merce sulla nave possa dirsi separata da clausole relative all’accertamento della qualità della merce o al pagamento del
prezzo come quelle del contratto di cui è causa; e, occorrendo, se nel suddetto contesto e tenuto conto delle suddette norme in tema di interpretazione dei contratti, una clausola che attribuisca la proprietà della merce al venditore fino al momento del pagamento del prezzo, possa essere intesa come clausola di riservato dominio.
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3. Con il terzo motivo l’impugnante denuncia violazione degli artt. 1904
e 1527 c.c., nonché art. 517 cod. nav. Le critiche si appuntano contro l’affermazione, preliminare nell’impianto argomentativo della decisione impugnata, della piena condivisibilità della ratio decidendi della sentenza di
prime cure, secondo cui al momento della stipulazione del contratto di assicurazione la Jakil S.p.A. non era proprietaria della merce né ad altro titolo onerata del rischio di perimento della stessa, di talché il contratto di assicurazione giudizialmente azionato doveva ritenersi nullo per mancanza di
interesse, ex art. 1904 c.c.
Evidenzia per contro l’esponente che, indipendentemente dalla proprietà
del bene al quale inerisce il contratto di assicurazione, siffatto interesse sussiste in capo al soggetto che sopporti le conseguenze negative della perdita o del danneggiamento del bene assicurato e, segnatamente, nell’ambito
del contratto di compravendita, in capo al soggetto sul quale grava il rischio
del perimento fortuito del bene che ne è oggetto. Sulla base di tali premesse, sostiene quindi che le affermazioni della Corte territoriale in ordine alla non qualificabilità del contratto di assicurazione dedotto in giudizio come contratto per conto di chi spetti, oltre che basate su una palese confusione tra legittimazione ex titulo nel contratto di trasporto e titolarità dell’interesse assicurato, violavano il disposto dell’art. 517 cod. nav.
Formula il seguente quesito: dica la Corte se, ai fini dell’art. 1904 c.c.,
la titolarità dell’interesse assicurato spetti al soggetto che, nell’ambito del
contratto di compravendita, sopporti il rischio del perimento fortuito della
merce ovvero al proprietario della stessa; in particolare se, in caso di vendita con riserva di proprietà, ex art. 1527 c.c., la titolarità dell’interesse assicurato spetti al venditore o al compratore; inoltre se un contratto di assicurazione marittima di merci debba ritenersi, a norma dell’art. 517 cod. nav.,
stipulato per conto di chi spetti anche in assenza di espressa pattuizione in
tal senso.
4. Con il quarto mezzo la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1326
e 1888 c.c., nonché vizi motivazionali. Le censure hanno ad oggetto il contenuto del contratto di assicurazione, individuato dal giudice di merito in
quello esplicitato nel certificato di assicurazione, laddove lo stesso non corrispondeva alle intese raggiunte dalle parti. Formula il seguente quesito: se
un certificato di assicurazione sottoscritto dai soli assicuratori, emesso due
settimane dopo la conclusione del contratto e non conforme agli accordi
precedentemente intervenuti tra le parti, possa costituire prova scritta del
contratto di assicurazione ex art. 1888 c.c. o se invece integri una proposta
di modifica del contratto che, come tale, richiede ex art. 1326 c.c., l’accettazione dell’assicurato.
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Giurisprudenza
5. I motivi, che si prestano a essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione, sono, per certi aspetti inammissibili, per altri infondati.
Valga al riguardo considerare che l’art. 366 bis c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis (la sentenza impugnata è stata depositata il 22 aprile 2006), impone, in presenza dei motivi previsti dai nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art.
360 c.p.c., comma 1, che ciascuna censura, all’esito della sua illustrazione,
si traduca in un quesito, la cui formulazione deve essere funzionale, come
attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione di un principio di diritto ovvero di un dictum giurisprudenziale; mentre, ove venga in rilievo il motivo
di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si concretizzi nella esposizione chiara e sintetica del
fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa
o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende la motivazione inidonea a giustificare la decisione (Cass. n.
4556/2009).
6. Orbene, nel caso in esame, i quesiti formulati in relazione al primo e
al quarto motivo di ricorso, nella parte in cui denunciano violazioni di legge, sono assolutamente carenti, in quanto si risolvono in un mero interpello alla Corte in ordine alla correttezza di principî di diritto affatto scontati,
e alla conseguente fondatezza delle censure così come illustrate. Una formulazione del quesito di diritto congrua, in relazione alla sua funzione, richiede, invece che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito
dal motivo, la parte, dopo avere riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice abbia deciso, esprima la diversa regola
di diritto sulla cui base il punto controverso andava viceversa risolto, formulando il quesito in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del
relativo accoglimento o rigetto (cfr. Cass. civ. 17 luglio 2008, n. 19769;
Cass. civ. 26 marzo 2007, n. 7258), sicché la Corte, leggendolo, possa comprendere immediatamente l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.
7. A ciò aggiungasi che gli stessi motivi, nella parte in cui denunciano
vizi motivazionali, sono inammissibili per mancanza del momento di sintesi, omologo del quesito di diritto, trattandosi di elemento espositivo che,
come da questa Corte ripetutamente precisato, richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione delle critiche alla decisione impugnata. Il momento di sintesi, invero, impone un contenuto specifico autonomamente e
immediatamente individuabile, volto a circoscrivere i limiti delle allegate
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incongruenze argomentative, in maniera da non ingenerare incertezze sull’oggetto della doglianza e sulla valutazione demandata alla Corte (cfr. Cass.
civ. 1° ottobre 2007, n. 20603).
8. Sotto altro, concorrente profilo, va poi osservato quanto segue.
Il nucleo argomentativo centrale della sentenza impugnata sta nella ritenuta operatività del disposto dell’art. 1904 c.c., secondo cui il contratto di
assicurazione contro i danni è nullo se, nel momento in cui l’assicurazione
deve avere inizio, non esiste un interesse dell’assicurato al risarcimento del
danno.
A tale affermazione, segnatamente censurata nel terzo motivo di ricorso, il giudice di merito è pervenuto sulla base del rilievo che, da un lato, la
Jakil S.p.A., né al tempo della stipula del contratto, né in quello in cui la merce era stata caricata sulla nave né ancora successivamente, durante il viaggio, era proprietaria della merce, essendolo divenuta solo con il pagamento
del prezzo, quando peraltro le irrimediabili avarie del prodotto erano già state definitivamente acclarate; e, dall’altro, che la contraente neppure era contrattualmente onerata del rischio del perimento della cosa durante il viaggio,
non avendo le parti derogato alla regola per cui res perit domino.
9. In ordine alla prima questione, segnatamente censurata con il primo
motivo di ricorso, la Corte territoriale ha congruamente esplicitato le ragioni per le quali riteneva corretta l’individuazione del contenuto del contratto nella conferma d’ordine, evidenziando che, non a caso, essa era stata qualificata dallo stesso appellante copia del contratto di compravendita.
Ed è significativo che nessuna contestazione sia stata formulata dall’impugnante a siffatto, dirimente, rilievo del giudice di merito.
Peraltro, a prescindere dalla inammissibilità del mezzo, per inidoneità
del quesito, non può omettersi di evidenziare (andando a esaminare le argomentazioni in esso svolte dall’impugnante per la loro incidenza sullo scrutinio delle altre censure proposte), che la linea difensiva della Jakil non solo pretende di scindere il contenuto della conferma d’ordine, ritenendola rispondente alle intese raggiunte con Concordia nella sola parte in cui essa
recepiva la modifica delle condizioni CIF in condizioni C&F, di cui al messaggio del broker in data 6 agosto 1996, ma, contro ogni ragionevolezza,
individua il contenuto del contratto in uno schema proposto dal mediatore,
senza indicare come e quando venditore e acquirente abbiano manifestato
il loro consenso al riguardo.
10. Se dunque la sentenza impugnata resiste alle critiche della ricorrente
nella parte in cui ha ritenuto pienamente operativa la clausola che differiva
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Giurisprudenza
il passaggio della proprietà della merce al momento del pagamento del prezzo, neppure colgono nel segno le censure relative alla insussistenza di accordi derogativi della regola res perit domino.
A prescindere dai profili di inammissibilità connessi al richiamo al contenuto di clausole contrattuali non trattate nella sentenza impugnata e quindi virtualmente estranee al thema decidendum del giudizio di appello, niente affatto condivisibile è la portata che l’impugnante pretende di attribuire
alla modifica del contratto attestata dal fax del broker in data 6 agosto, fax
nel quale si dava atto che compratori e venditori avevano deciso di mutare
il contratto concluso in un contratto “costo e nolo free out Ravenna”. Secondo l’esponente (cfr. pagg. 32 e 33 del ricorso), si tratterebbe della modifica della clausola CIF in clausola C&F, ora CFR, di un patto, cioè, relativo alla allocazione del rischio, patto conforme alla presunzione legale di
trasferimento dello stesso sul compratore sin dal momento della caricazione, e cioè del superamento della murata della nave nel porto di imbarco.
Ma la deduzione è francamente oscura, sia in quanto il significato attribuito dall’impugnante alla previsione pattizia non ha alcun nesso con il tenore letterale della stessa, ove si parla di costo, sia in quanto neppure si comprende quale sia stata, nella prospettiva della Jakil, la portata della pattuita modifica, considerato che entrambe le clausole porrebbero a carico del compratore tutti i rischi di perdita o di danni alla merce dal momento del caricamento sul mezzo di trasporto, sì da essere, in definitiva, tra loro sovrapponibili.
Non a caso la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ricondotto le clausole CIF nell’ambito delle previsioni relative all’incidenza economica del trasporto e degli oneri connessi (cfr. Cass. civ. 20 luglio 2011,
n. 15905; Cass. civ., Sez. Un., 25 gennaio 1995, n. 892; Cass. civ. 17 agosto 1990, n. 8359; Cass. civ. 15 gennaio 1985, n. 74), di talché anche sotto
questo profilo la decisione della Corte territoriale appare ineccepibile.
11. Peraltro neppure corretta è l’affermazione secondo cui, in base al
disposto dell’art. 1510 c.c., comma 2, il rischio del perimento fortuito del
bene venduto si trasferisce tout court a carico del compratore al momento
della rimessione al vettore o allo spedizioniere, quale momento in cui, ex
art. 1378 c.c., avviene l’individuazione, e quindi il trasferimento della proprietà della cosa determinata solo nel genere.
È sufficiente al riguardo considerare che la proprietà si trasferisce e il
venditore è liberato dall’obbligo di consegna in mancanza di patto o uso
contrario e che la giurisprudenza costantemente lega la titolarità del rischio,
e con essa il diritto all’indennizzo, alla proprietà del bene perito o danneggiato (cfr. Cass. civ. 30 settembre 2011, n. 19983; Cass. civ. 3 settembre
2007, n. 18514).
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In tale contesto, di nessun ausilio è il richiamo alla disciplina della vendita con riserva di proprietà, considerato che la ricorrente neppure indica i
presupposti di fatto che legittimerebbero l’inquadramento della fattispecie
dedotta in giudizio in quella di cui all’art. 1523 c.c., e segg. E tanto a tacer
del fatto che trattasi, ancora una volta, di questione nuova, in quanto non
trattata nella sentenza impugnata, ove il giudice di merito si è solo occupato, per escluderla come affatto gratuita, di una pretesa funzione di garanzia
della clausola relativa alla proprietà.
12. Infine, con riferimento al preteso malgoverno delle norme in materia di vendita su documenti, ex art. 1527 c.c., e di vendita per conto di chi
spetta, ex art. 517 cod. nav. e art. 1891 c.c., mette conto evidenziare che il
decidente, dopo aver respinto la tesi secondo cui ogni e qualsiasi assicurazione marittima debba automaticamente intendersi per conto di chi spetta,
ha affermato che, anche a volerla ravvisare nella fattispecie, la Jakil non
avrebbe comunque potuto chiedere, in base alla polizza, il pagamento dell’indennizzo, senza il consenso di Concordia, considerato che, a norma dell’art. 1891 c.c., i diritti derivanti dal contratto spettano all’assicurato, e il
contraente, anche se in possesso della polizza, non può farli valere senza
espresso consenso dell’assicurato medesimo.
Ed è appena il caso di evidenziare che, per consolidata giurisprudenza
di questa Corte, l’accertamento della comune volontà contrattuale delle parti al fine di stabilire se esse abbiano inteso stipulare o meno un contratto di
assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta è riservata all’apprezzamento del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità
ove congruamente motivato (cfr. Cass. civ. 5 giugno 2007, n. 13058; Cass.
civ. 10 febbraio 2003, n. 1942).
A ciò aggiungasi, e conclusivamente sul punto, che nessuna specifica
censura ha formulato l’impugnante per contestare, anche nella non accolta
prospettiva della configurabilità, nella fattispecie, di un contratto di assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta, l’affermata insussistenza
delle condizioni per la riscossione dell’indennizzo, da parte della Jakil, a
partire dall’espresso consenso dell’assicurato.
13. Le considerazioni sin qui svolte impongono di ritenere assorbito il
quinto motivo di ricorso, con il quale l’impugnante denuncia violazione degli artt. 1326 e 1888 c.c., artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1370 e 1371 c.c., art.
522 cod. nav., nonché vizi motivazionali con riferimento alle altre argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello al fine di ribadire, sotto profili ulteriori, l’insussistenza dell’obbligo di indennizzo degli assicuratori; e il ricorso incidentale di SIAT - Società Italiana di Assicurazioni e Riassicura-
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Giurisprudenza
zioni S.p.A., SASA Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A., TORO Assicurazioni S.p.A. (società incorporante Lloyd Italico Assicurazioni S.p.A.),
FARO Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A. e The Sea Insurance Co. Ltd., di fatto condizionato, essendo le stesse risultate totalmente
vittoriose.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. (Omissis).
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III – 14 marzo 2013, n. 6554 – Pres. Amatucci, Est. Carleo, P.M.
Patrone (conf.) – M. (avv. Di Giovanni) c. Assitalia S.p.A. (avv. Spinelli).
(Sentenza impugnata: App. Salerno 24 gennaio 2007)
Ass. in generale e danni in generale – Perizia contrattuale – Natura
– Mandato collettivo – Scelta del terzo affidata al Presidente del
Tribunale – Necessaria coerenza con la determinazione volitiva
delle parti – Difetto di tale requisito – Conseguenze – Invalidità
della perizia.
Quando nel contratto di assicurazione contro i danni sia prevista, per
la stima dell’indennizzo, una c.d. perizia contrattuale collegiale, e si stabilisca che uno dei tre periti sia scelto dal Presidente del Tribunale tra persone dotate di determinati requisiti soggettivi (nella specie, laurea in scienze agrarie), la nomina di persona priva di tali requisiti rende invalida la
deliberazione dei periti. L’invalidità della perizia, tuttavia, lascia fermi gli
effetti della clausola compromissoria, sicché anche in tal caso resta onere
dell’assicurato che invochi il pagamento dell’indennizzo chiedere la nomina di un diverso perito, mentre resta esclusa la possibilità di adire direttamente l’autorità giudiziaria (1).
(1) Non consta alcun precedente edito su fattispecie analoga. Che la violazione delle regole (di legge o di contratto) per la nomina degli arbitri anche irrituali fosse causa
di nullità del lodo lo aveva affermato, sia pure al di fuori della materia assicurativa,
Cass. civ., Sez. I, 21 giugno 1996, n. 5778, in Giur. it., 1996, I, 1, 1438.
Si ricordi che, secondo Cass. civ., Sez. I, 3 marzo 1995, n. 2452, in Foro it. Rep.,
1995, Arbitrato, n. 114, il provvedimento con il quale il Presidente del Tribunale, in ipotesi di arbitrato irrituale, decide, a norma dell’art. 810 c.p.c., sulla richiesta di una parte
diretta ad ottenere la nomina di un arbitro che l’altra parte si rifiuta di effettuare, non
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Giurisprudenza
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – Con atto di citazione ritualmente
notificato M.G., premesso di aver stipulato con la S.p.A. Assitalia una polizza “rischio grandine” riguardante due partite di ciliegie, poi colpite dall’evento grandine in data 27 aprile 1998, e che dopo due perizie di parte
contrastanti era stata effettuata una terza perizia da parte del perito nominato dal Presidente del Tribunale di Nocera Inferiore, conveniva in giudizio la compagnia assicurativa al fine di sentir dichiarare vincolante tra
le parti il verbale della terza perizia e sentir condannare la convenuta al
pagamento della somma di lire 59.850.000 quantificata dal terzo perito,
oltre interessi e rivalutazione. In esito al giudizio, in cui si costituiva la
compagnia eccependo l’infondatezza della domanda per la nullità della
perizia collegiale, il Tribunale adito accoglieva in parte la domanda condannando l’Assitalia al pagamento della più ridotta somma di lire 34.359.315
oltre interessi di legge.
Avverso tale decisione proponeva appello la compagnia assicuratrice e,
in esito al giudizio in cui si costituiva l’appellato, la Corte d’Appello di Salerno con sentenza depositata in data 24 gennaio 2007 accoglieva l’appello per quanto di ragione, rigettava la domanda del M., dichiarando che nulla gli era dovuto, respingeva la domanda di restituzione di ogni somma percepita in forza della sentenza, avanzata dall’Assitalia, provvedeva al governo delle spese.
Avverso la detta sentenza il M. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Resiste la S.p.A. INA Assitalia con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO. – Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa
applicazione degli artt. 1349, 1882, 1905 e 1908 c.c., art. 810 c.p.c., il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello ha affermato la nullità della perizia contrattuale per aver il Presiden-
è suscettibile di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di “volontaria giurisdizione”, in senso sia formale che sostanziale, in quanto ha carattere sostitutivo di un’attività negoziale (manchevole) delle parti ed è ad esso
estranea la risoluzione di ogni questione giuridica attinente all’interpretazione del contratto e della clausola compromissoria, di modo che l’eventuale nullità dell’indicato procedimento può essere dedotta e rilevata in ogni sede, senza preclusione alcuna.
Sugli effetti della previsione contrattuale della c.d. perizia contrattuale si veda, da
ultimo, Cass. 13 marzo 2012, n. 3961, in questa Rivista, 2012, II, 350; sulla natura di
tale clausola si veda invece Cass. civ., 11 maggio 2011, n. 10332, in questa Rivista,
2011, II, 554.
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te del Tribunale nominato un perito privo dei requisiti indicati nell’art. 10
delle condizioni generali del contratto. Ed invero, il contratto pone regole
vincolanti per i contraenti e non per il terzo investito del potere di nomina
del perito. L’Assitalia avrebbe potuto (e dovuto) domandare al Presidente
del Tribunale di revocare il proprio provvedimento oppure avrebbe potuto
(e dovuto) revocare unilateralmente il mandato collettivo conferito al perito invocando una giusta causa ex art. 1726 c.c. onde l’arbitrarietà dell’astensione del perito nominato dall’assicuratore e l’insussistenza della lamentata violazione del principio di collegialità.
Con la seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 1349, 1882, 1905 c.c. e art. 112 c.p.c. nonché
della motivazione insufficiente, il ricorrente ha inoltre censurato la sentenza nella parte in cui la Corte ha escluso che il Tribunale adito, ravvisata la
nullità della perizia, potesse procedere all’accertamento del danno da indennizzare. Ed invero la ritenuta invalidità della perizia – questo in sintesi
il contenuto della doglianza – non poteva cancellare il diritto dell’assicurato all’indennizzo, con la conseguenza che, ad avviso del ricorrente, tale diritto avrebbe dovuto essere accertato dal giudice.
I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in quanto,
sia pure sotto diversi ed articolati profili, prospettano ragioni di censura intimamente connesse tra loro, sono infondati.
Torna utile premettere che la Corte di merito ha ricondotto alla figura
giuridica della perizia contrattuale quella prevista dalla clausola della polizza in esame. Ciò, in base agli artt. 10 e 14 delle Condizioni generali del
contratto secondo cui l’eventuale diritto all’indennizzo doveva essere accertato con la perizia contrattuale ed il collegio di periti doveva essere composto secondo le modalità e i criteri convenuti nei patti contrattuali. La relativa indagine, trattandosi di “quaestio facti” e “quaestio voluntatis”, rientra esclusivamente nei poteri del giudice di merito, il cui apprezzamento
è insindacabile in Cassazione, se motivato congruamente e immune da errori di diritto (ex multis, Cass. n. 4954/99).
Peraltro, tale interpretazione del contenuto delle clausole negoziali, che
valorizza il profilo tecnico dell’accertamento deferito agli arbitri, è pacifica tra le parti, per cui la censura deve essere esaminata nella prospettiva segnata dalla qualificazione giuridica indicata dalla Corte di merito e sostanzialmente condivisa dalle parti stesse.
Ora, va considerato che la perizia contrattuale viene tradizionalmente
inquadrata nell’ambito di un mandato collettivo, con cui le parti deferiscono ad uno o più terzi scelti per la loro competenza specifica, il compito di
formulare un apprezzamento tecnico che si impegnano preventivamente
ad accettare come diretta espressione della loro volontà negoziale.
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Giurisprudenza
La decisione è pertanto riconducibile alla volontà dei mandanti mediante
creazione di un nuovo assetto di interessi dipendente dal responso del terzo. In questa ottica, la scelta del terzo, seppur affidata al Presidente del Tribunale, deve essere coerente con le determinazioni volitive delle parti circa le qualità e le competenze tecniche del terzo, vertendosi in tema di un
negozio riconducibile esclusivamente alla loro volontà, impugnabile con le
ordinarie azioni dirette a far valere i vizi della volontà. E, nella specie, convenendo nel medesimo tempo la facoltà di adire il Presidente del Tribunale per la nomina del terzo perito per la composizione del collegio arbitrale
ed i requisiti da rispettare per la scelta del medesimo (i periti ex art. 10 citato dovevano essere in possesso di laurea in scienze agrarie, ovvero diploma di geometra o di perito agrario o di altro titolo equipollente, ed essere autorizzati all’esercizio della rispettiva professione), i contraenti avevano palesato la volontà di fissare limiti assai precisi entro i quali andava
esercitato il potere di scelta da parte del Presidente del Tribunale.
Ed è appena il caso di osservare che la scelta poteva essere ritenuta valida e vincolante per le parti sempre che la nomina fosse stata effettuata con
le modalità previste e nel rispetto dei requisiti stabiliti con le pattuizioni
contrattuali. Con la conseguenza che la nomina, caduta come nella specie
a favore di un soggetto privo dei requisiti previsti in contratto, “nomina contestata subito dalla società (assicuratrice) con l’abbandono, attraverso il suo
rappresentante e perito, delle operazioni”, come scrivono i giudici di seconde cure, non poteva non integrare una causa di invalidità della perizia
collegiale, in quanto violatrice della volontà delle parti.
Coerentemente con tale premessa, la partecipazione alla perizia di un
terzo estraneo – quale l’esperto nominato dai due periti del collegio rimasti dopo l’abbandono del perito della compagnia assicuratrice – doveva essere ritenuta, anch’essa, viziata da illegittimità, trattandosi di una nomina
non prevista in contratto, come tale assolutamente non riconducibile alla
volontà delle parti contraenti, con conseguente nullità di un accertamento
compiuto da un terzo estraneo nonché in assenza di contraddittorio con il
consulente della compagnia assicurativa.
Né merita accoglimento la tesi del ricorrente quando lamenta – la considerazione sostanzia il secondo motivo di ricorso – che la ritenuta invalidità della perizia non poteva cancellare il diritto dell’assicurato all’indennizzo, con la conseguenza che il giudice del merito doveva ugualmente procedere all’accertamento di tale diritto e alla determinazione dell’indennizzo sulla base della valutazione degli elementi acquisiti al giudizio.
La tesi non è condivisibile alla luce della considerazione posta dalla
Corte d’Appello a base della decisione, quando ha rigettato la domanda di
indennizzo avanzata dal M. per mancanza di prova in ordine alla causa del
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danno lamentato ed ha sottolineato l’erroneità della decisione impugnata
per aver il primo giudice ritenuto come egualmente avvenuto, tramite l’indagine di soli due periti, oltre il terzo da loro stessi nominato, l’accertamento del danno, senza considerare, come invece avrebbe dovuto, l’illegittimità della nomina del terzo perito e quindi l’invalidità della perizia, essendo entrambe avvenute con modalità diverse da quelle che le parti avevano contrattualmente stabilito.
Ed è appena il caso di osservare come tale ratio decidendi, fondata sulla mancanza di prove riguardo all’eziologia del danno e sulla carenza dei
requisiti del terzo perito, vada correlata al mancato assolvimento, da parte
di entrambi i contraenti, dell’onere di richiedere al Presidente del Tribunale la nomina di un altro perito, che presentasse i requisiti convenuti in contratto.
In definitiva, appare pertanto corretta la conclusione della Corte di merito quando ha statuito che il primo giudice era andato ad integrare il contratto mediante un proprio accertamento, in contrasto con quanto le parti
avevano invece convenuto “rimettendosi alla perizia, unicamente destinata ad integrare il contratto di garanzia rimasta scoperta nel quantum una volta verificatosi conflitto tra le parti” (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
Considerato che la sentenza impugnata è esente dalle censure dedotte,
ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.
La controvertibilità della questione trattata, alla luce dell’alternarsi degli esiti delle decisioni di merito, giustifica la compensazione delle spese di
questo giudizio. (Omissis).
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III – 22 marzo 2013, n. 7273 – Pres. Finocchiaro, Est. Vivaldi, P.M.
Corasaniti (conf.) – R. (avv. Ryllo ed altro) c. Compagnia Italiana Assicurazioni S.p.A. (avv. Liuzzi).
(Sentenza impugnata: App. Catanzaro 24 gennaio 2011)
Ass. responsabilità civile – Clausola “claim’s made” – Contenuto – Validità ed efficacia della stessa – Vessatorietà – Accertamento giudiziale caso per caso – Necessità.
Ass. responsabilità civile – Clausola “claim’s made” – Contenuto – Clausole ulteriori – Imposizione all’assicurato dell’obbligo di rendere
dichiarazioni complete e veritiere – Compatibilità – Sussistenza.
La clausola cosiddetta “a richiesta fatta” (“claim’s made”) inserita in
un contratto di assicurazione della responsabilità civile (in virtù della quale l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato dalle conseguenze dannose dei fatti illeciti da lui commessi anche prima della stipula, se
per essi gli sia pervenuta una richiesta di risarcimento da parte del terzo
danneggiato durante il tempo per il quale è stata stipulata l’assicurazione)
è valida ed efficace, mentre spetta al giudice stabilire, caso per caso, con
valutazione di merito, se quella clausola abbia natura vessatoria ai sensi
dell’art. 1341 c.c. (1).
(1-2) La validità delle clausole claim’s made (in virtù delle quali l’assicuratore
della responsabilità civile si obbliga a tenere indenne l’assicurato solo delle conseguenze
di fatti illeciti per i quali gli sia pervenuta la richiesta di risarcimento nella vigenza del
contratto) ha formato oggetto di vive dispute in dottrina ed in giurisprudenza.
Al riguardo sono emerse ben tre opinioni diverse: secondo taluni la clausola
claim’s made sarebbe valida e non vessatoria; secondo altri sarebbe valida ma vessatoria; per un terzo orientamento sarebbe invece nulla.
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Dalla Corte di Cassazione
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La clausola cosiddetta “a richiesta fatta” (“claim’s made”) inserita in
un contratto di assicurazione della responsabilità civile (in virtù della quale
l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato dalle conseguenze dannose dei fatti illeciti da lui commessi anche prima della stipula, se per essi
gli sia pervenuta una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato
durante il tempo per il quale è stata stipulata l’assicurazione) è compatibile
con le clausole le quali pongano a carico dell’assicurato l’obbligo di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio al momento della sottoscrizione della polizza (2).
Per un primo orientamento la clausola claim’s made sarebbe perfettamente valida: nel nostro ordinamento, infatti, vige il principio dell’autonomia negoziale, e non è
inibito alle parti creare tipi contrattuali non previsti dalla legge, purché meritevoli di
tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico. Si aggiunge che la clausola in esame,
lungi dall’essere invalida, assolve invece una funzione essenziale, in quanto consente
all’assicurato di ottenere copertura per tipi di rischi (c.d. long tail claims) che altrimenti
ben pochi assicuratori vorrebbero assumere; e che ancorare l’obbligo indennitario dell’assicuratore al periodo nel quale il terzo ha formulato la richiesta risarcitoria non snatura lo schema del contratto assicurativo, come si desume dal fatto che anche l’art. 2952
c.c. fa decorrere la prescrizione del diritto all’indennizzo dal momento in cui il terzo
danneggiato ha richiesto all’assicurato il risarcimento (BOGLIONE, Le clausole loss occurrence e claims made nell’assicurazione di responsabilità civile, in questa Rivista,
2009, I, 469; SIMONE, Assicurazione claims made, sinistro (latente) e dilazione (temporale) della responsabilità civile, in Danno e resp., 2005, 1079; ROSSI, Contratti assicurativi, clausole claims made e sinistri latenti, in Il merito, 2007, fasc. 6, 2; DE STROBEL, Claim’s made e rischio putativo, in Dir. econ. assic., 2007, 171. In giurisprudenza la validità della clausola claim’s made è stata ritenuta da Trib. Milano 18 marzo
2010, n. 3527, in www.altalex.it.). Tra i giudici di merito, hanno ritenuto valida e non
vessatoria la clausola claim’s made Trib. Napoli 11 febbraio 2010, in questa Rivista,
2011, II, 131, con nota di VOLPE PUTZOLU, Obbligazione e responsabilità; Trib. Catania 12 ottobre 2009, in questa Rivista, 2011, II, 309, con nota di ROSSETTI, Assicurazione della responsabilità civile e delimitazione temporale del rischio: la clausola
claim’s made; Trib. Milano 5 luglio 2005, in Fallimento, 2006, 438, con nota di COSTANZA, L’assicurazione r.c. professionale in caso di insolvenza di società.
Per un secondo orientamento le clausole claim’s made non sarebbero nulle, ma vessatorie ex art. 1341 c.c.: esse pertanto non producono effetti se non sottoscritte due volte, ai sensi dell’art. 1341 c.c. (Trib. Milano 18 marzo 2010, in Dir. econ. assic., 2010,
778; App. Napoli 28 febbraio 2001, AXA c. Pisani, inedita; nonché, parrebbe, Trib. Crotone 8 novembre 2004, Magro c. ASL n. 5, inedita, la cui motivazione peraltro è troppo
stringata per desumerne princìpi generali). A quest’orientamento ha aderito la S.C.,
(2) V. nota (1-2) a pag. precedente.
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Giurisprudenza
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – S.M.C. convenne, davanti al Tribunale di Crotone, l’avv. R.F. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni
per responsabilità professionale, con riferimento ad una procedura esecutiva
immobiliare dichiarata estinta a causa dell’intervenuta prescrizione del diritto di credito vantato dall’attrice nei confronti degli eredi di F.F.
stabilendo che le clausole claim’s made non sono nulle, ma possono concretamente risultare vessatorie, secondo un apprezzamento devoluto al giudice di merito (oltre la sentenza qui in rassegna, Cass., Sez. III, 15 marzo 2005, n. 5624, in Danno e resp.,
2005, 1071, nonché in Dir. e giustizia, 2005, fasc. 37, 20). In questo orientamento possono iscriversi quanti hanno affermato che la clausola claim’s made sia sempre valida
se non preveda limitazioni retroattive della responsabilità dell’assicuratore (quando, cioè,
sia presente la c.d. “pregressa illimitata”). Se, invece, la clausola in esame limiti l’efficacia della polizza ad un tempo più breve è da ritenersi vessatoria ai sensi dell’art. 1341
c.c. (Trib. Milano 18 marzo 2010, in questa Rivista, 2010, II, 673, con nota di PARTENZA, Assicurazione di r.c. delle aziende ospedaliere e clausole claims made: un equivoco senza fine, nonché in Nuova giur. civ., 2010, I, 857, con nota di LANZANI, La travagliata storia delle clausole claims made: le incertezze continuano; in Danno e resp.,
2011, 167, con nota di SANTORO, Limiti convenzionali al rischio assicurato e giudizio di
vessatorietà; in Dir. econ. assic., 2010, 778, con nota di LOCASCIULLI, Ancora in tema di
clausola claims made: due pronuncie a confronto).
Per un terzo orientamento, infine, le clausole claim’s made sarebbero radicalmente nulle in quanto contrarie alla previsione di cui all’art. 1917, comma 1, c.c., in virtù
del quale “nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante
il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo (...)”. Per questo orientamento il
“fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” non può che essere il fatto illecito commesso dall’assicurato, e non la richiesta di risarcimento proveniente dal danneggiato. Se così non fosse, si produrrebbero tre conseguenze inammissibili:
(–) da un lato si verrebbero ad assicurare rischi già concretizzatisi prima della stipula del contratto, e quindi non più esistenti (in violazione del tradizionale divieto di
assicurazione retroattiva, desumibile dall’art. 1895 c.c.);
(–) dall’altro si farebbe dipendere l’efficacia della copertura assicurativa dalla scelta del tutto imponderabile ed imprevedibile del terzo danneggiato;
(–) in terzo luogo si violerebbe la causa del contratto di assicurazione della responsabilità civile, per come espressa dall’art. 1917 c.c. Tale norma sarebbe infatti inderogabile, in quanto “rappresenta l’essenza stessa del contratto di assicurazione e cioè il trasferimento del rischio derivante dall’esercizio di una attività professionale esercitata”;
con la conseguenza che la clausola claim’s made darebbe origine ad un contratto atipico
nullo perché rende il contratto privo di causa, e cioè il trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore (Così Trib. Genova 8 aprile 2008, in Danno e resp., 2009, 103, con
nota di CARASSALE, La nullità della clausola claims made nel contratto di assicurazione
della responsabilità civile, nonché in Dir. econ. assic., 2010, 774, con nota di LOCASCIULLI,
cit.; Trib. Bologna 2 ottobre 2002, in Dir. econ. assic., 2005, 711, con nota di MONTI,
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Il convenuto, costituitosi, contestò il fondamento della domanda ed estese il contraddittorio nei confronti della Italiana Assicurazioni S.p.A. al fine di
essere garantito in forza di polizza per la responsabilità civile professionale.
Quest’ultima, costituitasi, eccepì l’inoperatività della garanzia assicurativa.
Il Tribunale, con sentenza del 18 maggio 2005, condannò il convenuto
al risarcimento dei danni, e la Italiana Assicurazioni S.p.A. a tenere indenne lo stesso per gli importi cui era stato condannato.
Proposero appelli, principale S.M.C. ed incidentale la compagnia di assicurazioni.
Si costituì, ma tardivamente, anche il R. che contestò la propria responsabilità.
La Corte d’Appello, con sentenza del 24 gennaio 2011, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannò l’appellato alla corresponsione
di maggiori somme in favore della S. e rigettò la domanda di manleva nei
confronti della Italiana Assicurazioni S.p.A.
L’avv. R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Resistono con controricorsi la S. e la società Italiana Assicurazioni S.p.A.
Il R. e l’Italiana Assicurazioni S.p.A. hanno anche presentato memoria.
DIRITTO. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1917 c.c. e omessa motivazione sull’appello incidentale proposto dalla Italiana Assicurazioni S.p.A. nella parte in cui è stata contestata la responsabilità professionale del convenuto (art. 360 c.p.c.,
comma 1, nn. 3 e 5).
Il motivo non è fondato.
In materia di procedimento civile, si ha garanzia propria quando la domanda principale e quella di garanzia hanno lo stesso titolo, o quando si ve-
In tema di liceità della clausola claims made nel contratto di assicurazione della responsabilità civile; Trib. Roma 5 maggio 2007, Cortese c. De Paola, inedita; nello stesso senso Trib. Genova 8 aprile 2008, in www.dejure.it; Trib. Roma 5 gennaio 2007, Fallimento Immobiliare S. Cesareo c. Ricchiuto, inedita; Trib. Roma 1° marzo 2006, Giorgi c. Sterpetti, inedita; Trib. Roma 12 gennaio 2006, Natili c. Barbetti, inedita; Trib. Bologna 2 ottobre 2002, Rossetto c. Checchi, inedita; ha ritenuto inefficace la clausola claim’s made anche Trib. Novara 8 marzo 2011, in www.dejure.it, ma con motivazione
troppo stringata per poterne cogliere la reale ratio decidendi; in dottrina la tesi della nullità è stata condivisa da CARASSALE, La nullità della clausola claims made nel contratto
di assicurazione della responsabilità civile, in Danno e resp., 2009, 105, e da MIELE, La
clausola “claims made” nei contratti di assicurazione delle amministrazioni pubbliche:
gestione del rischio e controllo di gestione, in PQM, 2006, fasc. 2-3, III, 144).
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Giurisprudenza
rifica una connessione obiettiva tra i titoli delle due domande, o quando sia
unico il fatto generatore della responsabilità prospettata con l’azione principale e con quella di regresso.
Si ha, invece, garanzia impropria quando il convenuto tende a riversare sul terzo le conseguenze del proprio inadempimento o, comunque, della
lite in cui è coinvolto, in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la
domanda principale (Cass. 29 luglio 2009, n. 17688; Cass., ord., 24 gennaio 2007, n. 1515; Cass. 30 settembre 2005, n. 19208).
Ora, nel caso in esame, è evidente che il titolo delle domande proposte
sia diverso.
La prima, quella di risarcimento dei danni proposta dalla S. nei confronti del R., attiene alla responsabilità professionale del legale, mentre quella in base alla quale quest’ultimo ha convenuto in giudizio la sua compagnia di assicurazione è fondata sul contratto di assicurazione.
Peraltro, a questa conclusione, che comporterebbe l’infondatezza del
motivo, se ne deve anteporre un’altra di per sé logicamente pregiudiziale.
L’Italiana Assicurazioni infatti – che ha proposto appello incidentale in ordine alla contestata operatività della garanzia assicurativa – non ha contestato
l’accertamento della responsabilità effettuato dal primo giudice chiedendo, nelle conclusioni rassegnate nel giudizio di appello, “confermare parzialmente la
sentenza del Tribunale di Crotone nella parte in cui afferma la responsabilità
dell’Avv. R. e lo condanna al risarcimento dei danni a favore di S.M.”.
Ora, l’appello incidentale sul punto della responsabilità proposto dal R.,
è stato dichiarato inammissibile, perché tardivo, dalla Corte di merito; ed
una tale statuizione non è stata oggetto di impugnazione da parte dell’attuale ricorrente.
Ne deriva che si è formato il giudicato sul rapporto principale e sulla
responsabilità, riconosciuta, del professionista; ragion per cui è ininfluente
– pur avendo visto ricorrere un’ipotesi di garanzia impropria – discutere
della natura della garanzia.
Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione rivolta alla decisione di primo grado in merito al criterio
di valutazione del danno risarcibile (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge e insufficiente e contraddittoria motivazione nella valutazione del danno risarcibile (art. 360
c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
I due motivi, per l’evidente connessione delle censure con gli stessi proposte, sono esaminati congiuntamente.
Essi non sono fondati.
L’inadempimento dell’odierno ricorrente – come riconosciuto correttamente dalla sentenza impugnata – riguarda, non solo l’estinzione della pro-
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cedura esecutiva promossa, ma anche la perdita del diritto riconosciuto dalla sentenza – per la sua prescrizione – e quindi l’actio iudicati.
Con accurata motivazione, la Corte di merito ha sottolineato che “il diritto della S., accertato con una sentenza passata in giudicato, qualora non
fosse stato soddisfatto completamente nell’esecuzione dichiarata estinta,
avrebbe comunque continuato ad esistere per il residuo. Infatti, l‘eventuale esecuzione non completamente satisfattiva costituisce, a sua volta, un’ipotesi di estinzione parziale del diritto stesso, che, per la parte restante, continua così ad esistere fino al pagamento integrale, qualora non si estingua
per altre cause. Nel caso di specie, la condotta del professionista ha determinato la totale estinzione del diritto della S.; e il danno che ne deriva come conseguenza immediata e diretta corrisponde ad una somma pari all’entità del credito estinto. Ciò che si è estinto è il diritto riconosciuto dalla sentenza e la conseguente actio judicati”.
E, su tale base, ha provveduto alla liquidazione.
Trattasi di motivazione ineccepibile.
Non sussiste alcun vizio motivazionale.
Piuttosto, con la censura proposta, il ricorrente auspica una diversa – e
non consentita – valutazione e liquidazione del danno in questa sede.
Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge ed errata determinazione degli interessi e della rivalutazione monetaria in contrasto con il
costante orientamento della Suprema Corte [art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,
art. 361 bis c.p.c. (rectius art. 360 bis c.p.c.)].
Il motivo non è fondato.
A seguito dell’intervenuta prescrizione del diritto, produttivo in tale momento, di un danno risarcibile, il credito di valuta della S. nei confronti dei
F. si è estinto ed, al suo posto, è intervenuto il diritto al risarcimento del
danno nei confronti dell’avv. R.; debito questo di valore (v. anche Cass. 3
agosto 2010, n. 18028; Cass. 3 marzo 2009, n. 5054); Cass. 10 marzo 2006,
n. 5234).
Corretta, quindi, la liquidazione di interessi e rivalutazione della somma, come effettuata dalla Corte di merito.
Con il quinto motivo si denuncia violazione di legge ed insufficiente e
contraddittoria motivazione nella parte in cui è stato escluso l’obbligo di
manleva della Compagnia Italiana di Assicurazioni S.p.A. (art. 360 c.p.c.,
comma 1, nn. 3 e 5).
Il ricorrente sottolinea che la polizza assicurativa dell’Italiana Assicurazioni prevedeva un regime di operatività c.d. claim’s made, in forza della quale ha rilevanza la data della richiesta risarcitoria indipendentemente
dalla data dell’errore o della negligenza.
Il motivo non è fondato.
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Giurisprudenza
Sono principî affermati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione
in tema di contratto di assicurazione della responsabilità civile con clausola cosiddetto a richiesta fatta (claim’s made) – puntualmente riportati nella
sentenza impugnata – i seguenti.
Tale contratto non rientra nella fattispecie tipica prevista dall’art. 1917
c.c., ma costituisce un contratto atipico, generalmente lecito ex art. 1322
c.c., poiché, del suindicato art. 1917, l’art. 1932 c.c. prevede l’inderogabilità – se non in senso più favorevole all’assicurato – del terzo e del quarto
comma, ma non anche del primo, in base al quale l’assicuratore assume
l’obbligo di tenere indenne l’assicurato di quanto questi deve pagare ad un
terzo in conseguenza di tutti i fatti (o sinistri) accaduti durante il tempo dell’assicurazione, di cui il medesimo deve rispondere civilmente, per i quali
la connessa richiesta di risarcimento del danno, da parte del danneggiato,
sia fatta in un momento anche successivo al tempo di efficacia del contratto, e non solo nel periodo di efficacia cronologica del medesimo. Ciò che
si desume da un’interpretazione sistematica che tenga conto anche del tenore degli artt. 1917, 1913 e 1914 c.c., i quali individuano l’insorgenza della responsabilità civile nel fatto accaduto.
Né, al riguardo, assume rilievo l’art. 2952 c.c., relativo alla richiesta di
risarcimento fatta dal danneggiato all’assicurato o alla circostanza che sia
stata promossa l’azione, trattandosi di norma con differente oggetto e diversa ratio, volta solamente a stabilire la decorrenza del termine di prescrizione dei diritti dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore.
Infine, spetta al giudice di merito accertare, caso per caso, se la clausola “a richiesta fatta”, riducendo l’ambito oggettivo della responsabilità dell’assicuratore, fissato dall’art. 1917 c.c., configuri una clausola vessatoria
ai sensi dell’art. 1341 c.c. (così Cass. 15 marzo 2005, n. 5624).
Questi principî, però, relativi al regime di operatività della clausola c.d.
claim’s made inserita nella polizza assicurativa, non rilevano, nel caso in
esame, per le seguenti ragioni.
Tale clausola contrattuale (art. 4 delle condizioni generali di polizza) –
come ha correttamente rilevato la Corte di merito – attiene ad un profilo diverso da quello per il quale è stata eccepita l’inoperatività della polizza e
relativo, quest’ultimo, alle clausole contenute negli artt. 3 e 11 che pongono a carico dell’assicurato l’obbligo di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio al momento
della sottoscrizione della polizza assicurativa.
Queste clausole (artt. 3 e 11) sono state ritenute, dal giudice del merito, compatibili con quella c.d. “a richiesta fatta” (pag. 17 della sentenza), ma l’inoperatività della garanzia è stata affermata per la violazione proprio di dette clausole, e non sulla base di una non corretta valutazione di quella claim’s made.
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Ciò che conduce a ritenere ininfluenti le censure, sotto questo profilo,
avanzate dal ricorrente.
Peraltro, la Corte di merito ha chiaramente affermato le ragioni per le
quali, nello specifico, ha ritenuto l’inoperatività della polizza assicurativa
e ne ha dato ampia e precisa motivazione.
Ha, infatti, affermato al riguardo che la polizza assicurativa stipulata
dall’avv. R. decorreva dal 1° giugno 1995 mentre i fatti e le circostanze che
hanno cagionato un danno all’appellante si collocano temporaneamente alla data nella quale è stato stipulato il contratto. La procedura esecutiva promossa dalla S. era già stata dichiarata estinta il 27 settembre 1992 e risulta
in atti che la S. aveva richiesto più volte all’assicurato avv. R. informazioni su tale procedura....; risulta, in particolare, che, nella nota 28 febbraio
1994, la S. scriveva “Spero che nel frattempo il credito di cui sopra non sia
caduto in prescrizione”.
Concludendo “Ciò prova che lo stipulante Avv. R. quando sottoscrisse
la polizza con l’Italiana Assicurazioni e, cioè in data 1° giugno 1995, era
ben conscio che i danni per cui oggi si discute si erano già verificati e che,
con notevole probabilità, sarebbe stato chiamato a risponderne”.
Si tratta di accurata motivazione, totalmente condivisibile.
Non senza evidenziare, ulteriormente, che in tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell’assicurato è causa di annullamento negoziale
quando si verifichino cumulativamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore.
E il giudizio sulla rilevanza delle dichiarazioni inesatte o sulla reticenza del contraente, implicando un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto se non sia sorretto da una motivazione logica, coerente e completa (v. anche Cass. 30 novembre 2011, n. 25582);
motivazione, invece, per le ragioni già dette, corretta e puntuale.
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna delle resistenti, sono poste a carico del ricorrente. (Omissis).
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III – 3 aprile 2013, n. 8090 – Pres. Petti, Est. Scrima, P.M. Golia (conf.)
– D.D. ed altro (avv. Taglialatela) c. Sara Assicurazioni S.p.A. ed altro
(avv. Alessi).
(Sentenza impugnata: App. Napoli 10 maggio 2006)
Ass. obbligatoria autoveicoli – Ambito di applicazione – Sinistro verificatosi in area privata – Apertura dell’area ad un numero indeterminato di persone – Accertamento relativo – Giudice di merito – Devoluzione – Insindacabilità in sede di legittimità – Fattispecie relativa a sinistro verificatosi in una rampa di accesso ad un garage.
Ai sensi degli artt. 1 e 18 della l. 24 dicembre 1969, n. 990 (applicabile ratione temporis) l’azione diretta, spettante al danneggiato da un sinistro stradale nei confronti dell’assicuratore del responsabile, è ammessa
anche per i sinistri cagionati da veicoli posti in circolazione su area (da
equiparare alla strada di uso pubblico) che, ancorché di proprietà privata, sia aperta ad un numero indeterminato di persone ed alla quale sia data la possibilità, giuridicamente lecita, di accesso da parte di soggetti diversi dai titolari dei diritti su di essa, non venendo meno l’indeterminatezza dei soggetti che hanno detta possibilità pur quando essi appartengano
tutti ad una o più categorie specifiche e quando l’accesso avvenga per peculiari finalità ed in particolari condizioni. Costituisce oggetto di apprezzamento di fatto – come tale devoluto al giudice di merito e sindacabile in
sede di legittimità solo per vizio di motivazione – l’accertamento della concreta accessibilità dell’area al pubblico, come sopra intesa. (Nella specie,
è stata ritenuta correttamente motivata la decisione con cui il giudice di
merito, in relazione ad un sinistro verificatosi nella rampa di accesso ad
un garage, ha ritenuto la stessa – indipendentemente dalla natura pubblica o privata dell’area al cui interno essa risultava collocata – un luogo in
cui la circolazione non è consentita ad un numero indeterminato di persone, bensì limitata a coloro che debbono compiervi la manovra di ingresso
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Dalla Corte di Cassazione
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o di uscita e che, in quanto titolari del diritto di ricoverarvi il veicolo, costituiscono un numero determinato di persone, venendo in considerazione
uti singuli e non uti cives) (1).
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – Nel mese di aprile 1998 D.D.E. e
L.P.A., in proprio e quali esercenti la potestà parentale sulla figlia minore
M., convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di S. Maria C.V., D.R.M.,
conducente e proprietario dell’autovettura Fiat Tempra tg (Omissis), e la
Sara Assicurazioni S.p.A., compagnia assicuratrice r.c.a. del predetto veicolo, per sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni subìti dal-
(1) Il problema dei limiti in cui la disciplina dell’assicurazione r.c.a. sia applicabile nel caso di sinistri avvenuti su aree private è chiaro in teoria, ma tremendamente
complicato nella pratica.
È chiaro in teoria, perché la giurisprudenza non dubita che la disciplina dell’assicurazione obbligatoria r.c.a. sia applicabile anche nel caso di sinistri avvenuti su aree
private, a condizione che queste fossero accessibili ad un numero indeterminato di persone. Tuttavia quando si tratta di applicare questo principio alle singole fattispecie concrete sorgono una marea di incertezze: sarà o no “aperta a un numero indiscriminato
di persone” l’area cortilizia di un condominio? e l’area di un cantiere cui possono accedere solo i lavoratori? ed un parcheggio a pagamento? Con la sentenza qui in rassegna la S.C. esclude che un garage condominiale possa avere la qualità di “area equiparata a quelle pubbliche”.
Il principio era già stato affermato, tra i giudici di merito, da Giudice di pace Tortona 7 luglio 2007, in Giudice di pace, 2008, 241, con nota di Febbraro, il quale ha
escluso l’applicabilità della disciplina dell’assicurazione obbligatoria nel caso di incendio sprigionatosi da un’autovettura oggetto di tentato furto all’interno del seminterrato di un condominio; nonché da Trib. Nocera Inferiore 5 agosto 1998, in Arch. circolaz., 1999, 136, il quale ha escluso l’operatività della garanzia assicurativa nel caso
di un sinistro verificatosi nel cortile interno di un condominio.
Solo un anno fa, tuttavia, era stata inclusa nella categoria delle “aree equiparate a
quelle pubbliche”, ai fini dell’applicabilità delle norme sull’assicurazione obbligatoria
r.c.a., l’area di un cantiere cui potevano accedere solo operai e fornitori dell’impresa,
sul presupposto che nel giudizio di merito non si fosse dimostrata l’esistenza di un controllo all’ingresso (Cass. 11 giugno 2012, n. 9441, in questa Rivista, 2012, II, 560,
ed ivi la nota di ulteriori riferimenti).
Vale la pena ricordare che, secondo Cass. civ., Sez. III, 27 maggio 2005, n. 11276,
in questa Rivista, 2005, II, 2, Mass. n. 28, l’applicabilità delle norme sull’assicurazione r.c.a. ricorre anche quando un veicolo in circolazione su una strada pubblica, per
qualsiasi motivo, sbandi invadendo un’area privata, ed ivi cagioni un danno; non ricorre, invece, quando il veicolo abbia percorso la strada pubblica prima dell’evento
dannoso, mentre tutta la dinamica del sinistro si sviluppi solo dopo l’ingresso nell’area privata.
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Giurisprudenza
la minore investita dalla predetta auto in data (Omissis), quando aveva due
anni e mezzo, in (Omissis), in un luogo, a dire degli attori, accessibile a tutti, stante la presenza di esercizi commerciali.
Si costituiva in giudizio la società convenuta eccependo che non sussisteva ipotesi di azione diretta nei confronti dell’assicuratore, trattandosi di
un danno verificatosi in un luogo privato e rappresentando che la minore,
al momento dell’investimento, era priva di sorveglianza.
Il Tribunale adito, con sentenza del 29 novembre 2002, rigettava la domanda nei confronti di entrambi i convenuti, sul rilievo che l’azione diretta nei confronti della società assicuratrice era preclusa dal fatto che il dedotto sinistro non si era verificato su un’area pubblica soggetta ad uso pubblico, trattandosi di rampa di accesso a garage situato in un parco privato,
e che, in relazione alla domanda risarcitoria proposta nei confronti del D.R.,
non vi era prova del fatto costitutivo; condannava gli attori alle spese.
D.D.E. e L.P.A., in proprio e nella qualità, proponevano appello assumendo che l’area ove la minore era stata investita era equiparabile ad area
pubblica, in considerazione della presenza nei pressi dei garages di esercizi
commerciali; sostenevano la fondatezza della domanda in base agli elementi probatori acquisiti, insistevano per l’ammissione del giuramento suppletorio e del giuramento decisorio e chiedevano una nuova CTU per accertare gli
ulteriori pregiudizi subìti dalla minore dopo il giudizio di primo grado.
Si costituiva la sola compagnia assicuratrice resistendo al gravame.
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 10 maggio 2006, rigettava l’appello e compensava tra le parti le spese del doppio grado.
Avverso la sentenza di secondo grado D.D.E. e L.P.A., in proprio e nella predetta qualità, hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Ha resistito con controricorso la Sara Assicurazioni S.p.A.
D.R.M. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
DIRITTO. – 1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366
bis c.p.c. – inserito nel codice di rito dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art.
6, ed abrogato dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) – in
considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (10
maggio 2006).
2. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione ed erronea applicazione della l. n. 990 del 1969, dei principî fatti propri da norme comunitarie e in particolare dalla direttiva 16 maggio 2000, n. 26, recepita nello Stato italiano con d.lgs. 30 giugno 2003, n. 190, e degli artt. 112, 115 e
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116 c.p.c., nonché omessa, contraddittoria e/o insufficiente motivazione. In
particolare i ricorrenti si dolgono che la Corte d’Appello abbia ritenuto di
dover distinguere ancora tra le ipotesi in cui è possibile e quelle in cui non
è possibile l’esercizio dell’azione diretta nei confronti della società assicuratrice per i danni da sinistro stradale, ritenendo i ricorrenti tali restrizioni
ormai anacronistiche, alla luce della normativa di cui al d.lgs. n. 190 del
2003, che ha recepito la direttiva 2000/26/CE del 16 maggio 2000.
Pur a voler ritenere la normativa sull’assicurazione obbligatoria applicabile ai soli casi di circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate, per queste ultime intendendosi “tutte le aree, di proprietà
pubblica o privata, aperte alla circolazione del pubblico”, assumono i ricorrenti che l’esistenza di esercizi commerciali all’interno dell’area privata del (Omissis) in cui si è verificato il sinistro di cui si discute in causa sarebbe determinante per equiparare detta area alla strada ad uso pubblico e
per ritenere ammissibile l’azione diretta al risarcimento dei danni nei confronti della compagnia assicurativa. Avrebbero, pertanto, errato i Giudici
del merito – ad avviso dei ricorrenti – nel ritenere che il punto in cui si sarebbe verificato il sinistro (discesa dei garages) non costituisce area pubblica o a questa equiparata, discriminando all’interno del detto parco tra zona e zona, senza peraltro motivare sul punto e senza avvalersi neppure dei
poteri d’ufficio procedendo ad ispezione dei luoghi ovvero ad una CTU.
2.1. Rileva la Corte che, pur a voler ritenere ammissibili i quesiti articolati in tema di azione diretta, connotati da non particolare specificità, comunque meglio precisati a p. 15 del ricorso, il motivo, in relazione a tale
profilo, è infondato. Ed invero, la normativa invocata dai ricorrenti (d.lgs.
n. 190 del 2003, che ha recepito la direttiva 2000/26/CE del 16 maggio 2000)
è successiva al sinistro di cui si discute in causa, che risale al (Omissis), e,
pertanto, non è applicabile al caso di specie.
A tanto deve aggiungersi che, se è vero che l’azione diretta spettante al
danneggiato da un sinistro stradale, ai sensi della l. n. 990 del 1969, artt. 1
e 18, nei confronti dell’assicuratore del responsabile è ammessa anche per
i sinistri cagionati da veicoli posti in circolazione su area (da equiparare alla strada di uso pubblico), che, ancorché di proprietà privata, sia aperta a un
numero indeterminato di persone ed alla quale sia data la possibilità, giuridicamente lecita, di accesso da parte di soggetti diversi dai titolari dei diritti su di essa, non venendo meno l’indeterminatezza dei soggetti che hanno detta possibilità pur quando essi appartengano tutti ad una o più categorie specifiche e quando l’accesso avvenga per peculiari finalità e in particolari condizioni; tuttavia, costituisce oggetto di apprezzamento di fatto,
come tale devoluto al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità
solo per vizio di motivazione, l’accertamento in ordine alla concreta ac-
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Giurisprudenza
cessibilità dell’area al pubblico, come sopra intesa (Cass. 27 ottobre 2010,
n. 20911; v. pure, soprattutto in motivazione, Cass. 29 aprile 2005, n. 9003).
Nella specie la Corte di merito ha ritenuto che pacificamente il sinistro si è
verificato nella discesa dei garages e ha precisato che la rampa di accesso
ad un garage rappresenta, indipendentemente dalla natura pubblica o privata dell’area, un luogo in cui la circolazione non è consentita ad un numero indeterminato di persone (ovvero da parte del pubblico) sebbene a coloro che devono compiere la manovra d’ingresso o di uscita dal garage e
che – come titolari del diritto di ricoverarvi il veicolo – costituiscono un numero determinato di persone e vengono in considerazione uti singuli e non
uti cives. Hanno poi aggiunto i Giudici del merito che in tale quadro le circostanze addotte dagli appellanti, attuali ricorrenti, che nel (Omissis) in cui
erano allocati i garages vi fossero pure dei negozi (il che comunque non legittimava gli eventuali clienti ad impegnare le rampe di accesso dei garages) e che il D.R. non risiedesse nel parco, non risultavano risolutive, potendo il medesimo avere un titolo (anche non proprietario) di accedere al
garage e, quindi, ad immettersi sulla rampa di accesso ed hanno evidenziato la difformità tra la situazione dei luoghi di cui alle fotografie, che mostrano locali box situati a livello stradale e l’atto di citazione ove si parla di
“discesa nei garages”, che presuppone un’allocazione a livello sottostante.
La sentenza impugnata muove da un corretto principio di diritto (Cass.
sent. n. 9003/2005; n. 9496/2000; n. 4603/2000; n. 1321/1998; n. 1062/1996)
e si fonda su motivato accertamento di fatto.
2.2. Va a tal punto evidenziato che le doglianze sollevate dai ricorrenti in relazione ai vizi motivazionali sul punto non sono corredate da idonea
formulazione del quesito. Nella giurisprudenza di questa Corte è stato, infatti, precisato che, secondo l’art. 366 bis c.p.c., anche nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria,
ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione
la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la relativa censura deve
contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in
sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità
(Cass., Sez. Un., 1° ottobre 2007, n. 20603).
In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al
quale la motivazione si assuma omessa, insufficiente o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e
riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenere rispettato
il requisito concernente il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,
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allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non
di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito dell’art. 366 bis c.p.c., che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria o
insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la
motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione (Cass.,
Sez. Un., 18 luglio 2007, n. 16002; Cass. 27 ottobre 2011, n. 22453; v. pure Cass. 18 novembre 2011, n. 24255).
2.3. Sono peraltro inammissibili i quesiti articolati dai ricorrenti in tema di accertamento tecnico e ispezione e riportati di seguito:
«dica l’Ecc.ma Corte “se è vero che i Giudici di merito devono dimostrare con adeguata e logica motivazione, la superfluità di un accertamento tecnico od un’ispezione, circa la ricostruzione della dinamica di un fatto o di un sinistro, tanto più laddove si discostano dagli elementi acquisiti
agli atti” e “se è vero che in tema di consulenza tecnica di ufficio, il giudice può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati
o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i
fatti stessi (consulente percipiente), e in tal caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che
la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche».
Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., infatti, il quesito inerente ad una censura in
diritto – dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter
comprendere, dalla sua sola lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del
motivo (Cass. 7 marzo 2012, n. 3530).
3. Con il secondo motivo, lamentando violazione ed erronea applicazione
dell’art. 2054 c.c., i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in
cui i Giudici della Corte di merito hanno affermato che il richiamo della presunzione di colpa stabilito dall’art. 2054 c.c. a carico del conducente del veicolo non è elemento significativo giacché postula anche essa la circolazione
del veicolo su strada pubblica o strada privata soggetta ad uso pubblico cosicché la prescrizione non si applica ove il danno si è prodotto in area privata.
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Giurisprudenza
Assumono i ricorrenti che, in assenza di un qualsiasi riferimento all’ambito spaziale, non si comprende per quale motivo la norma in parola
non possa essere applicata anche ai sinistri avvenuti in aree private in cui
difetta il requisito della destinazione alla pubblica circolazione e ribadiscono che, comunque, l’area in cui si è verificato l’evento dannoso sarebbe da considerare “aperta al pubblico, aperta alla circolazione di persone
non determinabili, come tale soggetta anche alla disciplina di cui all’art.
2054 c.c.”.
3.1. In relazione alla questione sollevata con il motivo all’esame, questa Corte, richiamando quanto già osservato al par. 2.1. in relazione all’area in cui è avvenuto il sinistro, ritiene la censura infondata, in quanto la
Corte di merito ha fatto corretta applicazione di principî affermati da questa Corte in precedenti, sia pur risalenti nel tempo (Cass. 26 luglio 1977, n.
7015; Cass. 2 luglio 1977, n. 2885, v. pure, a contrario, Cass., ord., 23 luglio 2009, n. 17279) che, tuttavia, conservano tuttora la loro validità e vanno perciò ribaditi.
4. Con il terzo motivo di gravame, intitolato “Violazione ed erronea applicazione del principio di non contestazione e della rilevanza della contumacia: violazione ed erronea applicazione del principio dell’onere della prova e delle norme relative all’istruzione della causa violazione ed erronea applicazione dell’art. 232 c.p.c.”, i ricorrenti lamentano che i giudici della Corte di merito, nell’esaminare la domanda risarcitoria avanzata nei confronti
del D.R., abbiano confermato la sentenza di primo grado affermando che
non poteva applicarsi il principio di non contestazione, operante solo in caso di costituzione in giudizio del predetto, che non poteva dedursi alcun elemento dall’assenza del convenuto all’udienza fissata per l’interrogatorio formale dello stesso e che nessun elemento di prova poteva dedursi dalla CTU
che aveva riconosciuto il nesso eziologico tra le lesioni riportate dalla minore e il sinistro, in quanto, per i predetti Giudici, tale nesso provava “il fatto storico in cui si identificava il cosiddetto danno-evento”.
I ricorrenti assumono di aver evidenziato in sede di appello non già la
non contestazione del D.R. contumace bensì “la non contestazione, o meglio il riconoscimento del fatto storico da parte del soggetto costituito – ossia la Sara Assicurazioni S.p.A. – da valutare unitamente alla contumacia
dell’altro soggetto convenuto in giudizio e alle altre prove raccolte”. Sostengono che la mancata prestazione da parte del D.R. dell’interrogatorio
formale, “alla luce del complessivo materiale probatorio comunque acquisito e delle circostanze di fatto pacifiche, attesa l’assenza di testi oculari,
oltre alla madre della piccola M., parte in causa, acquista una certa valenza probatoria”. Lamentano che, a tale ultimo riguardo, la motivazione del-
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la sentenza impugnata sarebbe insufficiente e contraddittoria e che la Corte di merito non avrebbe fornito alcuna motivazione a sostegno della ritenuta irrilevanza degli accertamenti eseguiti dal CTU e della non condivisione delle conclusioni dello stesso ausiliare, né avrebbe valutato la richiesta degli attuali ricorrenti di conferire un nuovo incarico ad altro ausiliare. Deducono che i Giudici di secondo grado, senza fornire idonea motivazione, anzi contraddicendosi, avrebbero ritenuto che dalla CTU e dagli
accertamenti eseguiti da valutare unitamente alla documentazione sanitaria acquisita non emergessero elementi probatori a sostegno delle pretese
risarcitorie.
4.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
4.2. Il motivo è inammissibile in relazione alle censure attinenti a pretesi vizi motivazionali, difettando al riguardo il necessario momento di sintesi (c.d. quesito di fatto) e al riguardo si rinvia a quanto già osservato al
par. 2.2.
4.3. In relazione alle ulteriori censure sollevate dai ricorrenti con il motivo all’esame, si rileva che, nel giudizio ordinario, la contumacia del convenuto non assume alcun significato probatorio in favore dell’attore, in quanto non equivale a manifestazione di volontà favorevole alla pretesa della
controparte e lascia del tutto inalterato il substrato di contrapposizione su
cui si articola il contraddittorio (Cass. 11 luglio 2003, n. 10948; Cass. 12
luglio 2006, n. 15777; Cass. 2 marzo 1996, n. 1648).
Una diversa valenza della contumacia era stata riconosciuta, invece, nel
solo rito societario, prima che sul punto intervenisse la Corte Costituzionale con la sentenza n. 340 del 12 ottobre 2007, dal d.lgs. n. 5 del 2003, art.
13, ormai abrogato, a decorrere dal 4 luglio 2009, dalla l. 18 giugno 2009,
n. 69, art. 54, comma 5. La giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, ritiene
che la stessa contumacia possa concorrere, insieme con altri elementi, a formare il convincimento del giudice (desumendo tale principio dall’art. 116
c.p.c., comma 2) (v. Cass. 29 marzo 2007, n. 7739; Cass. 14 ottobre 2010,
n. 21251).
Nel caso di specie, i giudici di appello hanno motivatamente escluso
che la contumacia del D.R. potesse dispensare l’altra parte dall’onere probatorio e ritenuto di non poter comunque dedurre altri elementi utili a suffragare la tesi attorea dalle ulteriori risultanze istruttorie analiticamente considerate dalla Corte di merito né potendo applicarsi nel caso all’esame la
presunzione di cui all’art. 2054 c.c., come evidenziato dalla stessa Corte di
merito in base a precedenti di questa Corte, e a tale ultimo riguardo si rinvia a quanto già osservato a al par. 3.1.
Va inoltre posto in rilievo che il giudice di merito non è tenuto, anche
a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza
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Giurisprudenza
d’ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri istituzionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto, potendo la nuova consulenza essere ritenuta superflua anche per implicito (Cass. 24 settembre 2009, n. 20227).
5. Con il quarto motivo, lamentando violazione ed erronea applicazione dell’art. 240 c.p.c. e art. 2736 c.c., nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione sull’ammissibilità del giuramento suppletorio, i ricorrenti censurano la decisione dei Giudici di secondo grado per aver questi ultimi ritenuto corretto l’operato del Tribunale, secondo cui non sussisteva il presupposto della semiplena probatio.
6. Con il quinto motivo, lamentando violazione ed erronea applicazione dell’art. 233 c.p.c. e segg. e dell’art. 2739 c.c., i ricorrenti censurano la
sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile il giuramento decisorio ai sensi dell’art. 2739 c.c., in quanto vertente “su circostanze di fatto che rendono la formula del giuramento tale da porre il D.R.
nell’alternativa tra il giurare il falso ovvero riconoscere di aver tenuto un
comportamento illecito (investimento della minore)”.
7. I motivi, che possono essere trattati unitariamente, sono entrambi
infondati. Ed infatti, come affermato dal Corte d’Appello in relazione al
giuramento decisorio – ma il medesimo principio vale anche per il giuramento suppletorio (in relazione al quale la Corte di merito ha escluso, come rilevato già dal primo giudice, la sussistenza del presupposto della semiplena probatio, e tanto correttamente, alla luce di quanto già evidenziato, sì che in tal senso va integrata la motivazione – questa Corte ha affermato il principio, che va qui ribadito, secondo cui “il divieto di deferire il giuramento su fatti illeciti, posto dall’art. 2739 c.c., trovando il suo
fondamento nell’opportunità di non obbligare il giurante a confessarsi autore di un atto per lui potenzialmente produttivo anche di responsabilità
civile, si riferisce sia al giuramento decisorio che a quello suppletorio, e
non è limitato agli atti contrastanti con norme imperative, di ordine pubblico o di buon costume, o comunque turpi o riprovevoli secondo la coscienza collettiva, ma si estende a qualunque ipotesi di illiceità; esso, peraltro, riguarda le sole circostanze specificamente capitolate, trovando applicazione soltanto quando oggetto del giuramento sia un comportamento illecito del giurante, ovvero un comportamento illecito della controparte che possa desumersi automaticamente da quello del giurante, e non
anche quando si tratti di un fatto materiale in sé neutro, perché non attributivo di comportamento illecito a nessuna delle parti, la cui responsabi-
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lità va invece desunta da altri fatti per via di inferenze e correlazioni”
(Cass. 4 giugno 2006, n. 12866).
8. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. (Omissis).
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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III – 3 aprile 2013, n. 8115 – Pres. Berruti, Est. Ambrosio, P.M. Basile (conf.) – Le Assicurazioni di Roma (avv. Tortorella) c. B. (avv. Lambardi di San Miniato).
(Sentenza impugnata: App. Roma 2 dicembre 2008)
Ass. obbligatoria autoveicoli – Azione diretta – Terzi chiamati in causa – Osservanza dell’onere ex art. 22 della l. n. 990 del 1969 – Obbligatorietà – Limiti.
L’art. 22 della l. 24 dicembre 1969, n. 990 (applicabile ratione temporis, ed abrogata dall’art. 354 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209), per il
quale l’azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei
veicoli a motore può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta
giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto il risarcimento del danno all’assicuratore del danneggiante, non trova applicazione nell’ipotesi
in cui uno dei danneggianti, convenuto in giudizio per l’integrale risarcimento, proceda alla chiamata in garanzia impropria contro altro danneggiante per sentirlo dichiarare corresponsabile dei danni lamentati dall’attore, ai fini della ripartizione interna dell’obbligazione solidale, stabilita
dall’art. 2055 c.c.(1).
La Corte ecc. (Omissis). FATTO. – In data (Omissis) un grave incidente
stradale nel corso del quale la Fiat 127 tg (Omissis), condotta dal proprie-
(1) La massima è conforme all’orientamento largamente prevalente: nello stesso
senso, si vedano Cass. civ., Sez. III, 29 ottobre 1998, n. 10804, in Danno e resp., 1999,
192; Cass. civ., 13 ottobre 1986, n. 5996, in questa Rivista, 1987, II, 2, 52; Cass. civ.,
7 gennaio 1981, n. 121, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1981, 581; Giudice di pace Roma 30 marzo 1998, ivi, 1999, 1066 (con riferimento però all’azione di regresso promossa ex art. 1299 c.c. dall’assicuratore del responsabile nei confronti dell’assicuratore del coobbligato solidale).
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Dalla Corte di Cassazione
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tario P.F. (a bordo della quale viaggiava come trasportato R.F.) venne in
collisione, in rapida successione, nella semicarreggiata opposta a quella di
sua pertinenza, con la Renault Espace tg (Omissis) di proprietà di Po.Pa.
(che viaggiava come trasportato), condotta da Po.Ro., nonché con la Fiat
Uno di proprietà di A.G. (che viaggiava come trasportato), condotta da A.M.
A seguito del sinistro si verificò la morte di A.G., deceduto durante il
trasporto in ospedale, mentre riportavano lesioni personali P.F., R.F., Pa. e
Po.R., nonché A.M.
Nel giudizio promosso innanzi al Tribunale di Roma da Pa. e Po.Ro.
nei confronti di P.F. e della GEAS Assicurazioni S.p.A. (di seguito anche
brevemente GEAS), che assicurava per la r.c.a. la Fiat 127, i convenuti chiamavano in causa B.L., che nell’occasione guidava l’autobus n. 1206 (che
viaggiava nella medesima direzione di marcia della Fiat 127), l’A.CO.TRA.L.
(poi CO.TRA.L.) e Le Assicurazioni di Roma – Mutua Assicuratrice Comunale Romana (già Ascoroma), rispettivamente proprietaria e compagnia
assicuratrice dell’autobus, assumendo che la responsabilità del sinistro doveva attribuirsi al B. per aver intrapreso una manovra di sorpasso, proprio
mentre la Fiat 127 del P. stava, a sua volta, sorpassando l’autobus, costringendola quindi a spostarsi sulla semicarreggiata opposta.
Chiedevano, quindi, di essere manlevati da ogni responsabilità; il P. proponeva anche domanda di risarcimento danni in proprio.
Questa causa era, quindi, riunita ad altra promossa innanzi al medesimo Tribunale di Roma da S.A., in proprio e quale legale rappresentante del
figlio minore A.A., da A.E. e da A.M. nei confronti dei medesimi convenuti per il risarcimento danni subìti a seguito della morte di A.G. (rispettivo marito e padre) e da A.M. anche personalmente; tutti gli attori estendevano le loro domande nei confronti del B., dell’A.CO.TRA.L. e de Le Assicurazioni di Roma; interveniva nelle cause riunite R.F., chiedendo a tutte le parti convenute il risarcimento dei danni fisici subìti; la GEAS dichiarava di avere risarcito integralmente i signori Po.; venivano espletate
CTU medico-legali ed acquisiti gli atti del procedimento penale concluso
con sentenza ex art. 444 c.p.p. nei confronti del B. e di P.F.
Tuttavia se il convenuto che chiami in causa un terzo, indicandolo come corresponsabile, non ha l’onere di assolvere la formalità di cui previa richiesta scritta di risarcimento (ex art. 145 cod. ass.), tale onere ce l’ha per contro il danneggiato-attore,
ove intenda estendere la domanda nei confronti del terzo chiamato (Cass. civ., Sez. III,
21 maggio 2004, n. 9700, in questa Rivista, 2005, II, 2, 21).
In senso contrario alla decisione qui in rassegna si registra l’isolata decisione di
Trib. Monza 14 maggio 1982, in questa Rivista, 1983, II, 2, 40.
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Giurisprudenza
Con sentenza n. 10087 dell’8 marzo 2002 il Tribunale di Roma, decidendo sulle cause riunite, dichiarava il B. e il P. responsabili dell’incidente, in ragione rispettivamente dell’80% e del 20% e li condannava, in solido con i proprietari e assicuratori dei rispettivi veicoli, al risarcimento dei
danni, in ragione dell’indicato concorso di colpa, in favore delle altre parti
e, precisamente, in favore dei signori S.-A. e di R.F. al pagamento delle seguenti somme (rivalutate all’epoca della sentenza e da maggiorare degli interessi legali successivi): lire 327.200.000 in favore di S.A., lire 377.130.000
in favore di A.A., lire 140.000.000 in favore di A.E., lire 159.304.000 in favore di A.M. (e i soli B., CO.TRA.L. e Le Assicurazioni di Roma) al pagamento di lire 4.176.000 in favore di P.F.; condannava, quindi, il P. e la
GEAS a pagare lire 10.905.000 in favore di Po.Ro. e lire 27.434.800 in favore di Po.Pa.; condannava, infine, B., CO.TRA.L. e Le Assicurazioni di
Roma a tenere indenne il P. e la GEAS in misura corrispondente al concorso di colpa del B., dalle conseguenza della soccombenza patita nei confronti dei signori Po.
La decisione era gravata da impugnazione con distinti atti di appello del
R. e degli eredi di A.G., che lamentavano il mancato riconoscimento del lucro cessante; nei giudizi riuniti di appello resistevano il B., Le Assicurazioni di Roma e il CO.TRA.L., proponendo appello incidentale; si costituiva la Commercial Union Insurance S.p.A.(già GEAS) che, a sua volta,
proponeva appello incidentale; il giudizio era interrotto per il sopravvenuto decesso di P.F. e riassunto nei confronti delle eredi P.A.M. e P.A. (quest’ultima rimasta contumace); si costituiva, infine, la Commercial Union
Italia S.p.A., in cui era stata incorporata per fusione la Commercial Union
Insurance S.p.A.
Con sentenza n. 5019 del 2 dicembre 2008 la Corte d’Appello di Roma, ritenute infondate le eccezioni preliminari sollevate e confermata la determinazione percentuale del concorso di colpa del B. e del P. (lasciando,
altresì, ferma, per difetto di impugnazione sul punto, la ripartizione dell’obbligazione risarcitoria nei confronti dei danneggiati in ragione delle indicate percentuali), in parziale riforma: 1) riconosceva agli appellanti principali le ulteriori somme ad essi spettanti a titolo di lucro cessante e, quindi, condannava gli appellati P.F. (e per esso le eredi in ragione delle rispettive quote ereditarie), la Commercial Union Italia S.p.A., B.L. e il CO.TRA.L.
al pagamento in favore dei danneggiati di ulteriori somme rispetto a quelle già erogate nelle more (e precisamente: euro 146.907,20 in favore di S.A.,
euro 168.907,20 in favore di A.A., euro 62.702,56 in favore di A.E., euro
37.167,98 in favore di A.M. ed euro 289.768,70 in favore di R.F.) oltre interessi legali successivi alla sentenza; 2) determinava il limite dell’esposizione debitoria de Le Assicurazioni di Roma nei rapporti con il CO.TRA.L.
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e il B. e, quindi, condannava Le Assicurazioni di Roma, in solido con il
CO.TRA.L. e con il B., a pagare nei limiti dell’80% le medesime somme
in favore di E. e M. A. e sino a concorrenza di euro 90.664,31 in favore di
S.A. e di euro 66.179,31 in favore di A.A. (tenuto conto del massimale rivalutato), oltre interessi successivi alla sentenza; 3) condannava il B., il
CO.TRA.L. e Le Assicurazioni di Roma a restituire alla Commercial Union
Italia S.p.A. la somma di euro 14.047,63 da quest’ultima erogata ai signori Po., oltre interessi legali successivi; 4) condannava le appellate eredi di
P.F., la Commercial Union Italia S.p.A., il B. e il CO.TRA.L. a pagare nei
limiti delle percentuali già indicate dal Tribunale le spese del grado in favore degli appellanti A.-S. e del R.; spese compensate negli altri rapporti.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la soc. Le
Assicurazioni di Roma, svolgendo sette motivi.
Ha resistito la AVIVA Italia S.p.A.(già Commercial Union Italia S.p.A.,
originariamente GEAS), depositando controricorso e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato ad unico motivo.
Il CO.TRA.L. e B.L. hanno resistito, depositando distinti controricorsi
avverso, rispettivamente, il ricorso principale e quello incidentale.
Hanno altresì depositato controricorso per resistere al ricorso principale S.A., nonché E., M. e A.A.
Anche R.F. ha resistito con controricorso.
Le Assicurazioni di Roma hanno depositato controricorso avverso il ricorso incidentale di AVIVA Italia S.p.A.
Nessuna attività difensiva è stata svolta dalle eredi P. e dai signori Po.
Sono state depositate memorie da parte della ricorrente incidentale AVIVA Italia, degli A.-S. e della comune difesa del CO.TRA.L. e di B.L.
All’udienza collegiale del 25 ottobre 2012 il Collegio – considerato che
non risultava agli atti l’avviso di ricevimento del ricorso principale a Pe.As.
e vista anche la richiesta di rinnovazione della notificazione del ricorso incidentale di AVIVA Italia – concedeva termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti della predetta.
Infine all’udienza del 25 febbraio 2013 la causa è stata assegnata in decisione.
DIRITTO. – 1. Preliminarmente va dato atto dell’avvenuta riunione ex art.
335 c.p.c. dei ricorsi proposti in via principale e incidentale avverso la stessa decisione.
Gli stessi ricorsi – avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009)
– sono soggetti, in forza del combinato disposto di cui al d.lgs. 2 febbraio
2006, n. 40, art. 27, comma 2, e della l. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, alla
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Giurisprudenza
disciplina di cui all’art. 360 c.p.c. e segg. come risultanti per effetto del cit.
d.lgs. n. 40 del 2006.
1.1. Prima di procedere all’esame dei ricorsi va sgombrato il campo dalla preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso principale, formulata dalla comune difesa del CO.TRA.L. e del B. sotto diversi profili e, segnatamente, in considerazione dell’apparente indicazione nella relata di notifica del ricorso al B. della data della consegna del plico in quella del 15
gennaio 8010 (anziché 15 gennaio 2010), dell’individuazione della persona del consegnatario nella persona del portiere F. L. (anziché F.R.), nonché
dell’avvenuta ricezione della raccomandata da parte del difensore in data
18 gennaio 2010, oltre la scadenza del termine di impugnazione, intervenuta il 15 gennaio 2010.
1.2. Le eccezioni sono tutte manifestamente infondate, attesa la solare evidenza della materialità degli errori denunciati e considerato, altresì, che la notificazione mediante consegna dell’atto al portiere ai sensi dell’art. 139 c.p.c.,
comma 3, si perfeziona con l’atto della consegna e alla data di essa e non già
con la successiva ricezione della raccomandata, pure prevista dalla norma.
A tacere del fatto che risulta ormai presente nell’ordinamento processuale civile, fra le norme generali sulle notificazioni degli atti, il principio
secondo il quale – relativamente alla funzione che sul piano processuale,
cioè come atto della sequenza del processo, la notificazione è destinata a
svolgere per il notificante – il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il medesimo deve distinguersi da quello in cui essa si
perfeziona per il destinatario; sicché ai fini della tempestività dell’impugnazione era sufficiente la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario entro
la data di scadenza del termine per il ricorso per cassazione.
2. I primi tre motivi del ricorso principale ineriscono alla parte della decisione impugnata in cui la Corte d’Appello, per un verso, ha rilevato l’intervenuto abbandono dell’eccezione di improponibilità l. n. 990 del 1969,
ex art. 22 formulata da Le Assicurazioni di Roma nei confronti del R., delle eredi P. e dei signori S.-A., in quanto non più coltivata nei confronti di
costoro nella comparsa conclusionale; per altro verso, ha dichiarato infondata la stessa eccezione nell’ambito del rapporto processuale con la GEAS
(ora AVIVA Italia) – e, cioè, con riferimento alla domanda di garanzia impropria formulata dalla GEAS nei confronti dell’odierna ricorrente per i
danni subìti dai signori Po. – per la considerazione che l’onere di preventiva lettera A.R. di cui alla l. n. 990 del 1969, art. 22, non sussiste nei confronti del convenuto che chiami in causa un terzo sul presupposto dell’esclusiva o anche concorrente responsabilità nel sinistro ai fini del riparto interno dell’obbligazione solidale.
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2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 167, 190, 333, 343 e 352 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il motivo è corredato dal seguente quesito di diritto:
Se la omessa riproposizione nella comparsa conclusionale di una domanda
e/o di un’eccezione e, nel caso specifico dell’eccezione di improponibilità
l. n. 990 del 1969, ex art. 22, formulata nei confronti di alcune parti nel corso del giudizio, implichi una presunzione di abbandono della istanza non
riproposta, o se, piuttosto, attesa la funzione meramente illustrativa, dalla
comparsa conclusionale non possono essere tratti elementi di volontà di rinuncia o abbandono per la semplice mancata riproduzione delle conclusioni già precisate in giudizio.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ai fini della chiara indicazione ex art. 366 bis c.p.c. parte ricorrente precisa che la statuizione della Corte d’Appello, secondo cui l’eccezione di improponibilità l. n. 990 del 1969,
ex art. 22, formulata da Le Assicurazioni di Roma sia stata limitata al rapporto processuale esistente con la Commercial Union Italia S.p.A. e non più
coltivata nei confronti delle altre parti (in relazione al contenuto della comparsa conclusionale), risulta apoditticamente affermata e, quindi, priva di qualsivoglia adeguata motivazione, non trovando riscontro alcuno nell’atteggiamento processuale adottato dall’odierna ricorrente, con specifico riferimento al contenuto delle conclusioni riportate in atti nelle quali la dedotta eccezione è estesa a tutte le parti.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2054 e 2055 c.c., nonché della l. n. 990 del 1969,
art. 22, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: se la condizione di proponibilità prevista dalla l.
24 dicembre 1969, n. 990, art. 22 (ratione temporis applicabile), non ponendo alcuna distinzione in ordine al soggetto contro il quale l’azione è proposta e mirando a favorire il soddisfacimento stragiudiziale delle istanze risarcitoria a fini deflattivi delle controversie, va osservata anche nei confronti dei terzi chiamati in causa dal convenuto, senza che tale onere possa
ritenersi soddisfatto per effetto della chiamata.
3. Nessuno dei suddetti motivi coglie nel segno.
3.1. Relativamente ai primi due motivi – intesi a denunciare, sotto il
duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, l’insufficienza del riferimento alla comparsa conclusionale per inferirne l’abbandono dell’eccezione nei confronti delle controparti diverse dalla GEAS
– va innanzitutto osservato che spetta, in via esclusiva, al giudice di me-
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Giurisprudenza
rito il compito d’interpretare gli atti processuali di parte, e quindi d’individuarne il significato e il contenuto giuridico, come pure di valutare il
grado di significatività e di concludenza del comportamento delle parti,
risultando circoscritto il sindacato della Cassazione ai soli eventuali vizi
di motivazione. Tuttavia qualora la censura relativa alla motivazione denunzi un vizio procedurale in cui sia incorso il giudice di merito (una sorta di error in procedendo indiretto, o di secondo grado), ciò consente alla Suprema Corte l’esame degli atti del giudizio di merito, al limitato fine di verificare che l’errore procedurale in cui sia eventualmente incorso
il giudice di merito si sia tradotto in un vizio di motivazione (cfr. Cass.
19 maggio 2004, n. 9471).
Ciò posto e considerato che nella richiamata comparsa conclusionale si
legge testualmente che è stata dedotta in sede di conclusioni definitive e in
sede di conclusionale del giudizio di 1° grado, l’improponibilità della chiamata a garanzia spiegata dalla GEAS nei nostri confronti, il Collegio ritiene dirimente la considerazione che la ritenuta presunzione di abbandono
non poggia su un dato “neutro”, quale sarebbe stato il mero fatto dell’omessa riproposizione dell’eccezione, cui allude il “quesito” ex art. 366
bis c.p.c., bensì su un dato testuale certo, quale la precisa individuazione
dell’oggetto dell’eccezione e la sua riconduzione alla sola posizione della
GEAS, nella sostanza, richiedendosi alla Corte d’Appello di esaminare l’eccezione unicamente nei riguardi della GEAS. In altri termini, proprio avuto riguardo al carattere “illustrativo” della comparsa conclusionale e al contenuto della stessa, come sopra riprodotto, non vi era ragione per non ritenere abbandonata l’eccezione di improponibilità nei confronti delle parti diverse dalla GEAS (né la ricorrente offre indicazioni di segno contrario).
3.2. Non appare superfluo aggiungere che la censura è anche inammissibile relativamente alla posizione dei signori A.-S. e del R., per non avere
parte ricorrente impugnato altra parte della decisione, dalla quale risulta,
implicitamente, ma inequivocamente, che la Corte d’Appello ha accertato,
sia pure ad altri fini, l’avvenuto inoltro da parte dei predetti danneggiati della preventiva lettera A.R. E ciò in quanto il riconoscimento della mala gestio (impropria) dell’odierna ricorrente, con conseguente rivalutazione del
massimale di polizza, muove proprio dal rilievo dell’avvenuto decorso del
tempus deliberandi dopo che i predetti danneggiati avevano inviato la prescritta lettera A.R. (rispettivamente gli A.-S. nel giugno 1991 e il R. nel novembre 1990).
3.2. Anche il terzo motivo – a prescindere dall’astrattezza del quesito
che lo correda, siccome privo di qualsivoglia riferimento all’oggetto della
domanda, nella specie, proposta nei confronti del terzo chiamato – non merita accoglimento.
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Al riguardo il Collegio – riconoscendo continuità al principio espresso
da Cass. 13 ottobre 1986, n. 5996, richiamata nella decisione impugnata –
osserva che la disciplina di cui alla l. n. 990 del 1969, art. 22 (qui applicabile ratione temporis) non trova applicazione nell’ipotesi in cui uno dei danneggianti, convenuto in giudizio per l’integrale risarcimento, esperisca, come nel caso all’esame, chiamata in garanzia impropria contro altro danneggiante per sentirlo dichiarare corresponsabile dei danni lamentati dall’attore, ai fini della ripartizione interna dell’obbligazione solidale stabilita
dall’art. 2055 c.c.
A tale conclusione si perviene in considerazione della diversità, sotto il
profilo soggettivo e oggettivo, tra l’azione del danneggiante per il risarcimento del danno esperita dal danneggiato, cui ha riguardo l’art. 22 cit. e
l’azione di garanzia (impropria) proposta dal danneggiante ai fini della ripartizione della concreta responsabilità. In particolare la possibilità che l’attore, danneggiato in un sinistro stradale, estenda la domanda di risarcimento
nei confronti dei terzi co-danneggianti chiamati nel processo dal convenuto non smentisce la differenziazione ontologica delle singole pretese – di
risarcimento e di garanzia impropria – tanto è vero che solo quella estensione, mutando il titolo giuridico del coinvolgimento di quei terzi nel processo, dev’essere preceduta dall’osservanza, nei riguardi dei loro assicuratori, dell’onere di cui all’art. 22 sopra citato.
4. Il quarto e il quinto motivo di ricorso principale riguardano la parte
della decisione impugnata che ha confermato la sentenza di primo grado in
punto di ripartizione proporzionale di responsabilità tra il conducente dell’autobus e il P., in ragione, rispettivamente, dell’80% e del 20%. In particolare la Corte d’Appello – premesso che l’intervenuto patteggiamento della pena da parte del B. e del P. implicava un riconoscimento di colpevolezza da parte di costoro e precisato, altresì, che le relative compagnie di assicurazione non avevano offerto elementi idonei a superare la presunzione di
responsabilità in sede civile – ha affermato che, correttamente, il primo giudice aveva addebitato la prevalente responsabilità del sinistro all’autista del
pullman, avuto riguardo sia alla disattenzione prestata alla guida (consistita nel mancato apprezzamento della presenza della Fiat 127 del P.), sia alla mancata agevolazione, se non addirittura all’impedimento, dell’altrui manovra di sorpasso, per effetto dell’improvviso spostamento a sinistra; mentre al P. ha addebitato, più che l’eccessiva velocità (che pure aveva inciso
sull’aggravamento delle conseguenze dell’impatto frontale con il primo veicolo antagonista), l’imprudente manovra di sorpasso in prossimità di una
curva che limitava le possibilità di avvistamento di veicoli provenienti dall’opposta direzione.
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Giurisprudenza
4.1. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Il c.d. quesito di fatto che conclude il motivo recita così: l’ammissione di colpevolezza in conseguenza
della pena patteggiata è stata presupposta ed assunta in sede civile dalla Corte d’Appello di Roma senza operare alcuna valutazione in merito agli specifici profili di colpevolezza dei due imputati e al diverso atteggiarsi delle
rispettive posizioni e conclusioni processuali in sede penale, non affidando, quindi, alcun rilievo alla pena patteggiata. Ciò rende inidonea, insufficiente e, comunque, contraddittoria la motivazione addotta a sostegno della decisione di ripartire concorsualmente la responsabilità in misura prevalente (80%) a carico del conducente del pullman (B.).
4.2. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Il c.d. quesito di fatto che conclude il motivo recita così: la incompleta, erronea e contraddittoria analisi delle risultanze istruttorie e specialmente la esclusiva rilevanza affidata alle dichiarazioni rese da un solo teste (A.) ha portato la Corte d’Appello a ritenere lo spostamento laterale del pullman quale causa quasi esclusiva del sinistro, che, al contrario, ove tutti gli elementi istruttori fossero stati presi in
considerazione e pur non contraddittoriamente riscontrati tra loro, avuto riguardo alle dichiarazioni del teste Al. e della velocità (circa 90 Km/h) assunta dalla Fiat 127, doveva essere individuata nella condotta del P. non
adeguata alle circostanze di fatto e dei luoghi.
4.3. I suddetti motivi si intrecciano con l’unico motivo di ricorso incidentale, nel senso che anche la AVIVA Italia chiede la cassazione della decisione impugnata in punto di determinazione delle responsabilità del sinistro. In particolare con l’unico motivo la ricorrente incidentale denuncia
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riguardo al punto della decisione in cui è stata confermata la responsabilità
del P. (già assicurato GEAS), in ragione del 20%.
A parere della ricorrente incidentale la Corte d’Appello ha erroneamente
ritenuto che la manovra di sorpasso intrapresa dal P. fosse vietata, in quanto non si è avveduta dell’oggettivo rilievo emergente dal rapporto dei C.C.
secondo cui si trattava di strada a quattro corsie, due per ogni senso di marcia; inoltre la curva esistente nel tratto di strada percorso dal P. era sinistrorsa (e non destrorsa) e, quindi, a visuale solo parzialmente limitata.
5. Anche i suddetti motivi, proposti hinc et inde, non meritano accoglimento.
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5.1. Va innanzitutto rilevata l’inammissibilità del motivo di ricorso incidentale, dal momento che non si conclude e nemmeno contiene la chiara
indicazione richiesta dall’art. 366 bis c.p.c. in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, la quale, secondo i canoni elaborati da questa Corte
deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, nella quale (e comunque anche nella quale) si indichi non solo il fatto controverso riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione, ma anche – se non soprattutto – quali siano le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione (cfr. Sez. Unite 1° ottobre 2007, n.
20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002; Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).
Va aggiunto che il motivo stesso – oltre a contenere censure in fatto che
non sono suscettibili di rilievo in questa sede – postula, tra l’altro, più che
un errore di valutazione, un errore di percezione delle emergenze del rapporto, che, al di là della qualificazione come vizio motivazionale, integra un
vizio revocatorio, denunciabile, sussistendone i presupposti, innanzi allo stesso giudice che vi è incorso a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 4, con conseguente
inammissibilità del ricorso per cassazione anche per questo verso.
5.2. I motivi di ricorso principale (sub 4.1. e 4.2.), pur formalmente, corredati dai “momento di sintesi”, non colgono alcuna incongruenza o carenza logica, rilevante agli effetti dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Valga considerare che la ricostruzione di un incidente stradale, come
l’accertamento delle condotte dei veicoli coinvolti e la colpa (o meno) del
comportamento dei soggetti coinvolti, costituiscono compito riservato al
giudice del merito il cui apprezzamento, se informato ad esatti principî giuridici ed esente da vizi logici e motivazionali, si sottrae al sindacato di legittimità; e ciò vale anche per quanto riguarda il punto se il conducente di
uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c. Invero il controllo di legittimità sulla motivazione delle sentenze riguarda unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) il profilo
della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte, in base all’individuazione, esclusivamente riservata al giudice di merito, delle fonti del
proprio convincimento, attraverso la valutazione delle prove, il controllo
della loro attendibilità e concludenza, nonché la scelta di quelle idonee a
sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori,
di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda (cfr., per tutte, Cass., Sez. Un., 11 giugno
1998, n. 5802).
Si rammenta, altresì, che la sentenza penale di applicazione della pena
su richiesta delle parti, ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p., essendo solo
equiparata ad una pronuncia di condanna, a norma dell’art. 445 bis c.p.p.,
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Giurisprudenza
non ha, nel giudizio civile, l’efficacia di una sentenza di condanna; con la
conseguenza che il giudice civile, in presenza – come nel caso in esame –
di patteggiamento, deve decidere accertando i fatti illeciti e le relative responsabilità autonomamente, valutando, unitamente alle altre risultanze, anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (cfr. Cass.
7 novembre 2011, n. 23025).
5.1. Ciò premesso in via di principio, si osserva che – mentre non rileva l’entità della pena “patteggiata” dal B. e dal P., non essendo lecito inferirne alcuna ripartizione di colpa ai fini civili – risulta corretto il modus procedendi della Corte d’Appello che, pur considerato il riconoscimento di responsabilità, ha (ri)valutato autonomamente tutto il materiale istruttorio,
sottoponendo a vaglio critico sia le risultanze degli atti dell’indagine preliminare svolta dai C.C. nell’immediatezza del fatto, sia le prove testimoniali
assunte in sede civile e pervenendo, quindi, alle conclusioni sopra riportate, attraverso argomentazioni complete e appaganti, improntate a retti criteri logici e giuridici, nonché frutto di un’indagine accurata delle risultanze processuali.
Il giudice di appello ha dato conto delle proprie valutazioni circa i riportati accertamenti in fatto, esponendo adeguatamente le ragioni del suo
convincimento anche in ordine alla preferenza accordata alla versione di
uno dei testimoni (per avere lo stesso assistito all’intera manovra). Alle dette valutazioni la ricorrente principale, surrettiziamente denunciando il vizio motivazionale, contrappone le proprie; ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è
consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel
giudizio di cassazione.
6. Gli ultimi due motivi di ricorso principale (erroneamente individuati entrambi con il numero romano VI) riguardano la parte della decisione in
cui la Corte d’Appello ravvisata la c.d. mala gestio impropria della Mutua
Assicuratrice – ha evidenziato, da un lato, che il totale delle somme riconosciute ai signori S.-A. (oltre che al B. e al P.) e poste a carico della detta
società “devalutate” alla scadenza del sessantesimo giorno dalla messa in
mora non superava l’importo del massimale c.d. catastrofale e, dall’altro,
che con riferimento ad ognuno dei signori S.-A. (impropriamente definiti
nella sentenza di primo grado “eredi A.”, dal momento che gli stessi avevano agito iure proprio per i danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alla morte del congiunto e A.M. anche per il risarcimento dei danni
patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alle lesioni subìte) andava applicato il massimale di polizza previsto per ogni persona infortunata di lire
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Dalla Corte di Cassazione
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300.000.000 rivalutato dal sessantesimo giorno dalla messa in mora a quello del pagamento, salvo rimanendo il limite complessivo di lire 2.500.000.000
per sinistro (oltre interessi e maggior danno) rappresentato dal massimale
catastrofale.
6.1. Con il sesto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1368, 1369, 1371,
1882 e 1917 c.c., nonché della l. n. 990 del 1969, artt. 9 e 21 in relazione
all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: se, in tema di assicurazione della responsabilità civile, l’indagine diretta a stabilire se, per persona danneggiata, in relazione alla quale la polizza fissa un determinato massimale, debba intendersi solo quella direttamente coinvolta nel sinistro, ovvero ogni persona che per effetto del sinistro subisca un danno (nella specie superstiti della vittima del sinistro) così che il massimale stesso resti riferito a ciascuna delle pretese di detti
soggetti, autonomamente considerata, debba essere condotta in base alla ricostruzione della comune volontà dei contraenti secondo le ordinarie regole dell’ermeneutica, anche quando si verta in tema di assicurazione obbligatoria per la circolazione dei veicoli, tenuto conto che, nella disciplina introdotta dalla l. 24 dicembre 1969, n. 990, l’autonomia privata trova limiti
circa i minimi di garanzia, ma non anche per quanto riguarda una maggiore estensione della garanzia stessa, sotto il profilo oggettivo, soggettivo o
causale.
6.2. Con il settimo motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente
o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Il c.d. quesito di fatto che chiude il motivo recita così: l’applicazione del massimale di polizza in favore
degli eredi dell’infortunato A.G., immediatamente deceduto in conseguenza delle lesioni riportate in occasione del sinistro, si fonda nella sentenza
impugnata sull’erronea, non motivata e, comunque, contraddittoria equiparazione del termine “persona infortunata”, per la quale la polizza individua il massimale applicabile, con il termine “persona danneggiata”, con la
conseguente errata interpretazione e ricostruzione da parte della Corte di
appello della volontà contrattuale delle parti stipulanti la polizza.
7. Anche i suddetti motivi non meritano accoglimento.
Invero la decisione impugnata è in linea con il principio, affermato dalle Sez. Unite (sentenza 1° luglio 2009, n. 15376) e ribadito dalla successiva giurisprudenza (cfr. Cass. 4 settembre 2012, n. 14818; Cass. 28 settembre 2010, n. 20350) in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e di natanti, relativamente ad un fatto antecedente al 1° maggio 1993, secondo cui per
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Giurisprudenza
“persona danneggiata”, ai sensi della l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 21,
devono intendersi non solo la vittima diretta dell’incidente, ma anche i prossimi congiunti o gli aventi causa della stessa, così che i conseguenti danni
non devono necessariamente essere soddisfatti tutti nell’ambito del massimale previsto per ogni singola persona; il limite del risarcimento è invece,
distintamente per ciascun danno, quello previsto per ogni persona danneggiata, fermo nel complesso il massimale per singolo sinistro (c.d. massimale
catastrofale).
7.1. Merita aggiungere che – dovendo riconoscersi alla locuzione “persona danneggiata”, di cui all’art. 21 cit. e alla tabella ivi richiamata, un significato ampio, in linea con la progressiva espansione nell’evoluzione giurisprudenziale della platea dei soggetti danneggiati – è inaccettabile una tesi ermeneutica restrittiva della polizza in oggetto, che, distinguendo la “persona infortunata” da quella “danneggiata”, riconduca il massimale individuale alle sole vittime dirette del sinistro. Una siffatta interpretazione del
contratto si porrebbe in contrasto con la funzione economico-sociale dell’assicurazione, urtando con la previsione della stessa l. n. 990, art. 9 e violerebbe anche il fondamentale canone di buona fede, prescindendo dalla
funzione negoziale del contratto che mira a porre l’assicurato in condizioni di far fronte a tutte le possibili obbligazioni conseguenti dalla r.c.a.
8. In conclusione il ricorso principale va rigettato, mentre quello incidentale va dichiarato inammissibile.
Avuto riguardo all’esito del giudizio di legittimità, la ricorrente principale e quella incidentale vanno condannate in solido al pagamento in favore di ognuna delle altre parti delle spese processuali liquidate come in dispositivo.
La reciproca soccombenza impone, invece, la compensazione delle stesse parti nei rapporti tra ricorrente principale e incidentale. (Omissis).
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Massimario
A CURA DI
MARCO ROSSETTI
Magistrato addetto all’Ufficio Massimario della Corte Suprema di Cassazione
3. – Ass. obbligatoria autoveicoli – Danneggiamento causato da incendio di autovettura in sosta – Evento prodotto dalla circolazione stradale – Configurabilità – Condizioni – Fattispecie.
Ai fini dell’applicabilità delle norme sull’assicurazione obbligatoria della r.c.a., la sosta può essere equiparata alla circolazione solo se il sinistro sia
eziologicamente ricollegabile ad essa e non ad una causa autonoma – ivi compreso il fortuito – di per sé sufficiente a determinarlo. (Nel caso di specie, è
stata esclusa la possibilità di applicare la citata disciplina in quanto l’evento
dannoso, conseguente alla propagazione dell’incendio di un’autocisterna, pur
trovando occasione nella sosta del mezzo presso l’abitazione di un privato per
rifornire il suo serbatoio di gas GPL, è risultato essere determinato dall’indebita fuoriuscita di gas dalla parte superiore del serbatoio dell’autocisterna
e dal maldestro tentativo del conducente di porvi riparo) (1).
(1) Conforme è il decisum di Cass. civ., Sez. III, 18 aprile 2000, n. 5032, in Arch.
circolaz., 2001, 390, secondo cui il danneggiamento di un immobile a causa dell’incendio di un’auto parcheggiata in prossimità, fatta eccezione per l’ipotesi che venga individuato un particolare e specifico nesso eziologico tra un determinato avvenimento
della circolazione stradale e l’incendio, non può considerarsi un evento prodotto da detta circolazione stradale. Anche Cass. civ., Sez. III, 31 marzo 2008, n. 8305, in questa
Rivista, 2008, II, 2, Mass. n. 22, ha ritenuto che debba considerarsi in “circolazione”,
ai fini dell’applicabilità delle suddette norme, anche il veicolo fermo sulla pubblica via
per operazioni di carico o scarico della merce (in quel caso vennero ritenuti applicabili gli istituti dell’assicurazione obbligatoria r.c.a. al danno patito da un operaio che, durante lo scarico di mattoni da un camion, aveva riportato lo schiacciamento di una mano in conseguenza dell’abbassamento del cassone di carico del mezzo).
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Giurisprudenza
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Cass. (Sez. III) – 5 marzo 2013, n. 5398 – Pres. Berruti, Est. Cirillo, P.M.
Velardi (conf.) – M. (avv. Crisci ed altro) c. Firs Assicurazioni S.p.A.
in l.c.a. ed altri (avv. Mazzeo).
(Sentenza impugnata: App. Napoli 19 dicembre 2008)
4. – Ass. contro gli infortuni mortali – Ripartizione dell’onere di prova.
Nel contratto di assicurazione, l’avverarsi del rischio come descritto nella polizza è il fatto costitutivo del diritto dell’assicurato all’indennizzo, mentre
la sussistenza di una circostanza di fatto idonea a sussumere il rischio tra quelli esclusi dalla polizza è fatto impeditivo di quel diritto. Ne consegue che, ove
un’assicurazione contro gli infortuni mortali preveda che il diritto all’indennizzo spetti nel caso di morte causata da sinistro stradale, mentre resti escluso se sia conseguenza di condizioni fisiche anormali della vittima, è onere dei
beneficiari provare il nesso di causa tra sinistro e morte, mentre l’assicuratore avrà l’onere di provare la preesistenza di condizioni fisiche anormali (2).
L’esatto opposto aveva invece ritenuto Cass. civ., Sez. III, 9 giugno 1997, n. 5146,
in Giust. civ., 1997, II, 2754, secondo cui le operazioni di carico e scarico di carburante effettuate da un automezzo nell’area di un impianto di distribuzione di carburante
costituiscono attività non riconducibili alla circolazione stradale, onde in ipotesi di danni provocati dall’automezzo nel corso e a causa di tali operazioni (durante le quali, nella specie, si era sviluppato un incendio) non operano le norme sull’assicurazione obbligatoria r.c.a.
(2) È pacifico che, nella controversia tra assicurato ed assicuratore per il pagamento
dell’indennizzo, l’attore ha l’onere di provare che si sia avverato un rischio esattamente coincidente con quello descritto nel contratto. Spetterà, invece, all’assicuratore, il
quale neghi che il fatto verificatosi rientri tra quelli per il quale il contratto prevedeva
la copertura, dimostrare l’esistenza delle circostanze di fatto che escludono il diritto all’indennizzo (ex multis, Cass. 16 marzo 2012, n. 4234, inedita; Cass. civ., Sez. III, 20
marzo 2006, n. 6108, in Foro it. Rep., 2006, Assicurazione (contratto), n. 169; Cass.
civ., Sez. III, 29 novembre 2004, n. 22386, ivi, 2004, Assicurazione (contratto), n. 109).
In controtendenza rispetto a questo orientamento prevalente sembra essersi posta Cass.
civ., Sez. III, 27 luglio 2001, n. 10290, in Dir. econ. assic., 2001, 1137, secondo la quale le clausole di un contratto di assicurazione contro il furto subordinanti la garanzia assicurativa all’adozione di speciali dispositivi di sicurezza o all’osservanza di oneri diversi, non realizzano una limitazione della responsabilità dell’assicuratore, ma individuano e delimitano l’oggetto del contratto e il rischio dell’assicuratore stesso. L’adozione di tali misure, pertanto, si configura come elemento costitutivo del diritto all’indennizzo, con la conseguenza che è onere dell’assicurato fornire la relativa prova.
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Massimario
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Cass. (Sez. III) – 14 marzo 2013, n. 6548 – Pres. Petti, Est. Amendola, P.M.
Corasaniti (conf.) – Alleanza Assicurazioni S.p.A. (avv. De Dominicis
ed altro) c. G. ed altro (avv. Stratta).
(Sentenza impugnata: App. Torino 16 gennaio 2007)
5. – Prescrizione – Assicurazione della responsabilità civile – Decorrenza del termine – Richiesta stragiudiziale di risarcimento in forma specifica – Idoneità.
Nell’assicurazione della responsabilità civile la prescrizione del diritto dell’assicurato all’indennizzo inizia a decorrere dal giorno in cui il terzo danneggiato gli ha chiesto il risarcimento, a nulla rilevando che sia stato richiesto un risarcimento per equivalente ovvero in forma specifica (3).
Cass. (Sez. III) – 13 marzo 2013, n. 6296 – Pres. Petti, Est. Ambrosio, P.M.
Corasaniti (conf.) – Paggi Srl (avv. La Spina ed altro) c. Fondiaria-Sai
S.p.A. (av. La Russa).
(Sentenza impugnata: App. Perugia 5 novembre 2009)
(3) Non constano precedenti in terminis, tuttavia il principio di cui alla massima
costituisce una applicazione non revocabile in dubbio dell’art. 2952, comma 3, c.c., secondo il quale nell’assicurazione della responsabilità civile il termine di prescrizione
del diritto all’indennizzo decorre dal giorno in cui il terzo ha richiesto il risarcimento
all’assicurato o ha promosso contro di questo l’azione. E poiché l’art. 2058 c.c. equipara il risarcimento in forma specifica a quello per equivalente (in tal senso, ex multis,
Cass. civ., Sez. III, 2 luglio 2010, n. 15726, in Foro it. Rep., 2010, Danni civili, n. 250;
Cass. civ., Sez. II, 16 gennaio 2007, n. 866, in Giust. civ., 2008, I, 1255), l’espressione “risarcimento” che compare nell’art. 2952 cit. non può che riferirsi tanto all’una,
quanto all’altra forma.
Sulla decorrenza del termine di prescrizione del diritto all’indennizzo nell’assicurazione di responsabilità civile si vedano Cass. civ., Sez. III, 13 luglio 2011, n. 15376,
in questa Rivista, 2011, II, 739; Cass. civ., Sez. III, 9 maggio 2001, n. 6426, in Foro it.
Rep., 2001, Prescrizione e decadenza, n. 27, e Cass. civ., Sez. III, 26 aprile 1999, n.
4156, in questa Rivista, 1999, II, 2, Mass. n. 43, tutte nel senso che la suddetta prescrizione decorre dalla data in cui l’assicurato riceve dal terzo danneggiato la richiesta
stragiudiziale o giudiziale di risarcimento, e che essa rimane sospesa dopo la comunicazione dell’assicurato all’assicuratore della richiesta del terzo danneggiato o della proposizione da parte dello stesso dell’azione in giudizio, fino a quando il credito del danneggiato non sia divenuto liquido ed esigibile, oppure non si sia prescritto.
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Giurisprudenza
6. – Ass. contro il rischio del ritiro del libretto di navigazione – Rischio assicurato – Contenuto – Patologia di gravità tale da comportare il ritiro del libretto – Rilevanza – Preesistenza rispetto alla stipulazione del contratto – Copertura assicurativa – Limiti –
Fattispecie.
In tema di assicurazione contro il rischio del ritiro del libretto di
navigazione per inidoneità alla navigazione, poiché causa del ritiro del
libretto non è qualsiasi malattia, ma solo quella di gravità tale da impedire la navigazione, la preesistenza di uno stato patologico, rispetto
alla stipula del contratto di assicurazione, non può, di per sé, portare
alla negazione della copertura assicurativa, conseguendo tale negazione solo alla preesistenza di una malattia che abbia raggiunto (già prima dell’imbarco) una gravità tale da escludere ogni capacità residua
di lavoro del marittimo. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la
sentenza impugnata, la quale aveva ritenuto che il carcinoma papillare della tiroide, da cui era affetto il lavoratore marittimo, avesse raggiunto solo durante il periodo di imbarco una gravità tale da determinare il ritiro del libretto, con conseguente operatività della copertura
assicurativa) (4).
(4) Principio consolidato: nello stesso senso, Cass. civ., Sez. Lav., 12 aprile 2010,
n. 8652, in Dir. mar., 2011, 491, con nota di Durante; Cass. civ., Sez. Lav., 2 marzo
2007, n. 4937, in Foro it. Rep., 2007, Assicurazione (contratto), n. 199; Cass. civ., Sez.
Lav., 22 dicembre 2006, n. 27458, ivi, 2007, Assicurazione (contratto), n. 128.
Ancora più “benevola” per l’assicurato fu la decisione di Trib. Genova 18 luglio
1997, in Dir. mar., 1999, 1213, con nota di Golda, secondo cui nell’assicurazione del
rischio di sopravvenuta inidoneità alla navigazione l’evento assicurato consiste nel ritiro del libretto di navigazione, con la conseguenza che sarebbe irrilevante che le condizioni di salute dell’interessato fossero già tali da comportare la sua inabilità al lavoro al momento della stipulazione del contratto. Affermazione, quest’ultima, difficilmente condivisibile, ove si rifletta che anche nell’assicurazione contro il rischio di inidoneità alla navigazione il rischio stesso deve preesistere alla stipula del contratto, pena la nullità di quest’ultimo. Pertanto, se è consentito alle parti convenire la copertura
assicurativa di aggravamenti di malattie preesistenti che, irrilevanti al momento della
stipula del contratto, possono aggravarsi e comportare la sopravvenuta inidoneità al lavoro, non è certo loro consentito assicurare contro il rischio di inabilità al lavoro un lavoratore marittimo che, al momento della stipula, sia già portatore di una malattia incompatibile con l’esercizio dell’attività lavorativa, a nulla rilevando che per qualsiasi
causa questi sia ancora in possesso del libretto di navigazione (Cass. civ., Sez. Lav., 22
dicembre 2006, n. 27458, cit.).
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Massimario
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Cass. (Sez. Lav.) – 21 marzo 2013, n. 7151 – Pres. Roselli, Est. Marotta,
P.M. Romano (conf.) – Helvetia Compagnia Svizzera Assicurazioni SA
(avv. Dongo ed altro) c. Tirrenia di Navigazione S.p.A. ed altri.
(Sentenza impugnata: App. Napoli 19 marzo 2008)
7. – Danno – Patrimoniale – Danno derivante da incidente stradale –
Cosiddetto fermo tecnico – Liquidazione equitativa – Ammissibilità – Condizioni – Necessità che la durata del fermo non sia particolarmente breve.
Il risarcimento del danno da fermo tecnico del veicolo non è dovuto
quando la durata della riparazione sia stata particolarmente breve, tale da
rendere irrilevante l’entità della spesa per tassa di circolazione, per premio di assicurazione e per deprezzamento di valore del veicolo ai quali si
fa abitualmente riferimento per giustificare la liquidazione equitativa di tale tipo di danno (5).
Cass. (Sez. 3) – 19 aprile 2013, n. 9626 – Pres. Finocchiaro, Est. D’Amico, P.M. Gambardella (diff.) – S. (avv. Santagati ed altro) c. FondiariaSai - Divisione Polaris Ass. ed altro.
(Sentenza impugnata: Trib. Gela 8 marzo 2007)
(5) Sulla nozione e sui criteri di liquidazione del danno c.d. “da fermo tecnico” si
veda Cass. civ., Sez. III, 9 novembre 2006, n. 23916, in questa Rivista, 2007, II, 2, 369,
secondo cui è possibile la liquidazione equitativa del danno in esame “anche in assenza di prova specifica in ordine al medesimo, rilevando a tal fine la sola circostanza che
il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato”. L’autoveicolo è, difatti, anche durante la sosta
forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, ed è altresì soggetto a un naturale deprezzamento di valore. Come si vide nella nota redazionale alla sentenza appena citata, già all’epoca di essa esistevano contrasti in giurisprudenza circa la configurabilità di un danno da “fermo tecnico” in re ipsa: la sentenza qui in rassegna sembra ora alimentare tali contrasti, mitigando l’ampia portata della sentenza del 2006. Mentre quest’ultima, infatti, accordava
il risarcimento alla sola condizione che si dimostrasse la sosta forzosa del veicolo, la
sentenza più recente esige che tale sosta abbia avuto una durata apprezzabile (che andrà valutata caso per caso dal giudice di merito).
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Dalle Corti di merito
I
TRIBUNALE DI AREZZO
14 febbraio 2013 – G.U. dr. Sestini – YYY e ZZZ c. USL 8 di Arezzo.
Responsabilità medica – Riforma Balduzzi – Art. 3, comma 1, l. 189/2012
– Richiamo all’art. 2043 c.c. – Portata innovativa del “diritto vivente” – Esclusione – Responsabilità contrattuale del sanitario e
della struttura.
In materia di responsabilità medica, il richiamo all’art. 2043 c.c. operato dall’art. 3, comma 1, della legge 189/2012, di conversione del d.l. 158/2012
(c.d. riforma Balduzzi) ha la sola funzione di chiarire che l’esclusione della
responsabilità penale prevista dal primo periodo nei casi di colpa lieve non
fa venire meno l’obbligo del sanitario di risarcire il danno, ferma restando
la possibilità per l’interprete di inquadrare tale responsabilità civilistica nell’alveo della responsabilità da inadempimento (1).
II
TRIBUNALE DI TORINO
Sez. IV – 14 febbraio 2013 – G.U. dr. Scovazzo – G.I. e M.I. (avv. Catalano, Marino) c. Azienda Ospedaliera (avv. Fossati) ed E.A. (avv. Guerrera, Fiore).
(1) V. nota (1-3) a pag. seguente.
Assicurazioni – n. 2-2013
Dalle Corti di merito
341
Responsabilità medica – Riforma Balduzzi – Art. 3, comma 1, l. 189/2012
– Richiamo all’art. 2043 c.c. – Portata innovativa del “diritto vivente” – Responsabilità aquiliana del sanitario e della struttura.
In materia di responsabilità medica, il richiamo all’art. 2043 c.c. operato dall’art. 3, comma 1, della legge 189/2012, di conversione del d.l.
158/2012 (c.d. riforma Balduzzi) ha inteso innovare il diritto vivente, sancendo che il medico e la struttura sanitaria, ove non agiscano quali controparti contrattuali, rispondono dei danni che cagionano ai pazienti a titolo di responsabilità aquiliana, e non secondo lo schema della responsabilità contrattuale “da contatto sociale” (2).
III
TRIBUNALE DI VARESE
Sez. I – 26 novembre 2012 – G.U. dr. Buffone – R. c. Istituto e G.
Responsabilità medica – Riforma Balduzzi – Art. 3, comma 1, l. 189/2012
– Richiamo all’art. 2043 c.c. – Portata innovativa del “diritto vivente” – Responsabilità aquiliana del sanitario e della struttura –
Contratto tra medico e paziente – Responsabilità da inadempimento.
In materia di responsabilità medica, il richiamo all’art. 2043 c.c. operato dall’art. 3, comma 1, della legge 189/2012, di conversione del d.l.
(1-3) Le tre sentenze in epigrafe costituiscono le prime prese di posizione della giurisprudenza di merito sul controverso disposto dell’art. 3, comma
1, del d.l. n. 158 del 13 settembre 2012, così come convertito con l. 8 novembre
2012, n. 189 (c.d. legge Balduzzi), il quale, in conformità all’ispirazione che
muove l’intera riforma, ovvero il sostegno del comparto medico e il contenimento delle spese pubbliche (sotto forma in questo caso di oneri assicurativi),
ha previsto quanto segue: “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In
tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene
debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
Assicurazioni – n. 2-2013
342
Giurisprudenza
158/2012 (c.d. riforma Balduzzi) significa che, nei casi in precedenza ricondotti al modello della responsabilità da c.d. “contatto”, il medico risponde dei danni che cagiona ai pazienti a titolo di responsabilità aquiliana, ferma restando l’applicazione della disciplina della responsabilità da
inadempimento laddove sia stato stipulato un contratto tra medico e paziente (o struttura) (3).
I
Il Tribunale ecc. (Omissis). FATTO e DIRITTO. – (Omissis). Premesso che:
– gli attori, in proprio e quali genitori esercenti la potestà sul figlio XXX,
convenivano in giudizio l’Azienda USL 8 di Arezzo per sentirla condannare al risarcimento dei danni subìti dal minore a seguito alla perdita del testicolo sinistro (conseguita a tardiva diagnosi di torsione del funicolo) e di
quelli sofferti dai genitori per il comprensibile” ingiusto patimento”;
– deducevano in particolare che:
–– alle ore 4,42 del 18 febbraio 2007, la YYY, ricoverata presso la U.O.
di Ostetricia-Ginecologia dell’Ospedale di Arezzo, aveva dato alla luce il
figlio XXX;
–– alle ore 19,40 dello stesso giorno era stato eseguito un esame obiettivo del bambino dal quale era emerso: “genitali: emiscroto sx duro di colorito bluastro, aumentato di dimensioni”;
–– era stata richiesta una consulenza urologica che aveva diagnosticato un “quadro di scroto acuto” ed aveva consigliato il ricovero in centro specializzato per eventuale asportazione chirurgica;
– – il bambino era stato trasferito all’Ospedale Meyer di Firenze (con
partenza da Arezzo alle ore 20,30 e destinazione alle ore 22,10) ove, alle ore
23,59, era iniziato l’intervento chirurgico di asportazione del testicolo sx;
Il regime della responsabilità sanitaria in ambito penale risulta così incisivamente riformato, nella misura in cui la novella introduce una vera e
propria esimente per i casi di colpa lieve. Il profilo in questione valica i confini della presente disamina: ci si limita pertanto a segnalare i diversi dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla previsione normativa con riguardo ai principî desumibili dagli artt. 3, 24, 25, 27, 28, 32, 33 e 111 Cost.,
dubbi che si sono di recente concretizzati in un’ordinanza di rimessione
degli atti alla Corte Costituzionale (v. ord. Trib. Milano, Sez. X pen., 21
marzo 2013, in Danno e resp., 2013, 370. In materia di rilevanza di “linee
Assicurazioni – n. 2-2013
Dalle Corti di merito
343
– – successivamente, in data 4 luglio 2007, “il bambino era stato sottoposto ad ulteriore intervento chirurgico di fissazione del testicolo dx”;
– assumevano che era “del tutto evidente … un forte ritardo di diagnosi
della torsione del testicolo” che aveva “comportato la irreversibile necrosi
dello stesso con conseguente necessità di asporto”, quantificavano nella misura del 10% i postumi permanenti riportati dal bambino e quantificavano
in complessivi euro 69.700,00 il risarcimento dovuto al minore e in euro
10.000,00 quello dovuto a ciascun genitore a fronte del patimento sofferto;
– costituendosi in giudizio, la USL 8 contestava la pretesa assumendo
che “anche una maggiore tempestività nell’effettuazione dell’intervento non
avrebbe conseguito il risultato di recuperare l’integrità anatomo-funzionale del testicolo”, in quanto “qualsiasi intervento diretto ad evitare la necrosi è ritenuto inutile dalla maggior parte degli autori”; (Omissis).
Deve valutarsi, a questo punto, se il recente intervento normativo compiuto col c.d. decreto Balduzzi e con la legge di conversione n. 189/2012
comporti una modifica dei criteri di accertamento della responsabilità medica, finora consolidati nel senso dell’applicazione delle regole concernenti la responsabilità contrattuale. È noto, infatti, che il riferimento all’art.
2043 c.c. contenuto nell’art. 3, comma 1, della citata l. n. 189/2012 ha indotto a dubitare della possibilità di continuare ad applicare in modo generalizzato i criteri di accertamento della responsabilità contrattuale, fino a far
ritenere che “il Legislatore sembra (consapevolmente e non per dimenticanza) suggerire l’adesione al modello di responsabilità civile medica come disegnato anteriormente al 1999, in cui, come noto, in assenza di contratto, il paziente poteva richiedere il danno iatrogeno esercitando l’azione
aquiliana” (Trib. Varese, n. 1406 del 26 novembre 2012).
La disposizione in questione recita: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente
guida” e “protocolli” nella valutazione della responsabilità per colpa medica
in ambito penale, si veda, da ultimo, Cass. pen., Sez. IV, 19 settembre 2012,
n. 35922, in Corr. giur., 2013, 479, con commento di Cajazzo e Marzano).
Il diverso grado di intensità della colpa non spiega invece conseguenze sul versante della responsabilità civile (quantomeno sotto il profilo dell’an) nella misura in cui, si legge, resta “comunque fermo l’obbligo di cui
all’articolo 2043 del codice civile”. Se ne trae la conseguenza che, ove sussistano gli elementi costitutivi dell’illecito civile, il sanitario sarà tenuto al
risarcimento del danno.
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Giurisprudenza
per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art.
2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del danno,
tiene debitamente conto della condotta di cui al primo comma”.
La norma che qui interessa è quella del secondo periodo, che dev’essere però interpretata in stretta correlazione con quella del periodo precedente, alla quale espressamente si collega in virtù dell’incipit “in tali casi”.
Tenuto conto che il primo periodo prevede l’esclusione della responsabilità penale (per colpa lieve) in favore dei sanitari che si attengano alle linee guida e alle buone pratiche accreditate (introducendo quella che – secondo i primi commenti – parrebbe integrare un’esimente speciale), la norma del secondo periodo ha la funzione di chiarire che l’esclusione della responsabilità penale non fa venir meno l’obbligo di risarcire il danno (in ciò
sostanziandosi “l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.”); il terzo periodo precisa, poi, che nella “determinazione del risarcimento” deve tenersi debitamente conto della condotta conforme alle linee guida e alle buone pratiche
(condotta rilevante, più propriamente, nell’accertamento dell’obbligo di risarcimento, mentre l’espressione “determinazione del risarcimento” rimanda
piuttosto alla quantificazione dello stesso, ossia ad un momento che presuppone la già avvenuta affermazione della responsabilità, al quale è dunque estranea ogni ulteriore valutazione della condotta del sanitario).
Atteso che il richiamo all’art. 2043 c.c. è limitato all’individuazione di
un obbligo (“obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile”, che equivale a
dire “obbligo di risarcimento del danno”), senza alcuna indicazione in merito ai criteri da applicare nell’accertamento della responsabilità risarcitoria (se non che deve tenersi “debitamente conto” del rispetto delle linee gui-
La riforma legislativa pare tuttavia dimenticare la circostanza, per nulla irrilevante, che da anni la responsabilità medica è pacificamente inquadrata nell’alveo della responsabilità da inadempimento, ravvisandosi in capo ai soggetti interessati una vera e propria obbligazione, che troverebbe la
sua fonte in un contratto (quale ad esempio quello atipico di “spedalità”,
per quanto attiene al rapporto tra paziente e struttura sanitaria ospitante: cfr.,
tra le tante sentenze, Cass. 26 gennaio 2006, n. 1698 e Cass. 21 luglio 2003,
n. 11316) ovvero, in mancanza, in un mero “contatto sociale” (il che accade di norma nei rapporti tra pazienti e sanitari pubblici dipendenti: sul punto ci si limita a richiamare il leading case Cass. 22 gennaio 1999, n. 589,
salutato in dottrina come l’approdo del “contatto sociale” in Cassazione,
che ha sancito la responsabilità contrattuale da contatto del medico ospedaliero. E si veda poi Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577).
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da e delle buone pratiche), non sussistono ragioni per ritenere che la novella
legislativa incida direttamente sull’attuale costruzione della responsabilità
medica (“diritto vivente”) e che imponga un revirement giurisprudenziale
nel senso del ritorno ad un’impostazione aquiliana, con le consequenziali
ricadute in punto di riparto degli oneri probatori e di durata del termine di
prescrizione.
Va considerato, al riguardo, che, per quanto l’art. 2043 c.c. costituisca
la norma cardine della responsabilità risarcitoria da fatto illecito, la concreta disciplina della responsabilità aquiliana è contenuta altrove (segnatamente negli artt. 2697 e 2947 c.c., in ordine alla distribuzione degli oneri
probatori e al termine di prescrizione, e negli artt. 2055 ss. c.c., in ordine
alla solidarietà passiva e alle modalità risarcitorie), così come la responsabilità contrattuale trova la sua disciplina non solo nell’art. 1218 c.c., ma anche negli artt. 2946 (prescrizione decennale) e 1223 ss. c.c. (quanto alla selezione e quantificazione dei danni risarcibili); non può dunque affermarsi
che richiamare un obbligo equivalga a richiamare un’intera disciplina e deve quindi concludersi che il riferimento all’art. 2043 c.c. (si badi: non alla
disciplina dell’illecito extracontrattuale, ma esclusivamente all’obbligo “di
cui all’art. 2043 del codice civile”) sia del tutto neutro rispetto alle regole
applicabili e consenta di continuare ad utilizzare i criteri propri della responsabilità contrattuale.
Va ulteriormente considerato che, se fosse vero che il richiamo all’art.
2043 impone l’adozione di un modello extracontrattuale, si dovrebbe pervenire, a rigore, alla conseguenza – inaccettabile – di doverlo applicare anche alle ipotesi pacificamente contrattuali (quali sono quelle ex artt. 2330
ss.), dal momento che il primo periodo dell’art. 3, comma 1, considera tutte le possibili ipotesi di condotte sanitarie idonee ad integrare reato (che
possono verificarsi indifferentemente sia nell’ambito di un rapporto propriamente contrattuale, quale quello fra il paziente e il medico libero professionista, che in un rapporto da contatto sociale) e il secondo periodo richiama tutte le ipotesi di cui al primo periodo (“in tali casi”), senza operare alcuna distinzione fra ambito contrattuale proprio ed assimilato; non sarebbe dunque consentita la limitazione (affermata per certa da Trib. Varese cit.) del ripristino del modello aquiliano per le sole ipotesi di responsabilità
L’omissione di qualsiasi riferimento alla responsabilità ex art. 1218 c.c.
può essere ed è stata variamente letta dagli interpreti, sì da potersi a buon
titolo discorrere dell’esistenza di un vero e proprio contrasto giurisprudenziale, ben evidente alla luce delle tre sentenze in epigrafe.
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Giurisprudenza
da contatto. Deve, allora, pervenirsi alla ragionevole conclusione che, conformemente al suo tenore letterale, alla collocazione sistematica e alla ratio certa dell’intervento normativo (da individuarsi nella parziale depenalizzazione dell’illecito sanitario), la norma del secondo periodo non ha inteso operare alcuna scelta circa il regime di accertamento della responsabilità civile, ma ha voluto soltanto far salvo (“resta comunque fermo”) il risarcimento del danno anche in caso di applicazione dell’esimente penale,
lasciando l’interprete libero di individuare il modello da seguire in ambito
risarcitorio civile.
In conclusione: l’art. 3, comma 1, l. n. 189/2012 non impone alcun ripensamento dell’attuale inquadramento contrattuale della responsabilità sanitaria (che non sarebbe neppure funzionale ad una politica di abbattimento dei risarcimenti giacché la responsabilità solidale della struttura nel cui
ambito operano i sanitari che verrebbero riassoggettati al regime aquiliano
conserverebbe comunque natura contrattuale, in virtù del contratto di ‘spedalità’ o ‘assistenza sanitaria’ che viene tacitamente concluso con l’accettazione del paziente), ma si limita (nel primo periodo) a determinare
un’esimente in ambito penale (i cui contorni risultano ancora tutti da definire), a fare salvo (nel secondo periodo) l’obbligo risarcitorio e a sottolineare (nel terzo periodo) la rilevanza delle linee guida e delle buone pratiche nel concreto accertamento della responsabilità (con portata sostanzialmente ricognitiva degli attuali orientamenti giurisprudenziali).
Ritenuto, pertanto, che anche nel caso in esame (concernente un’ipotesi di responsabilità della USL 8 per il pregiudizio che si assume conseguito a condotta colposa dei sanitari dell’ospedale) debbano applicarsi i criteri propri della responsabilità contrattuale (cfr. Cass., Sez. Un., n. 577/2008
Netta è la posizione assunta dal Tribunale di Arezzo nella pronuncia sopra riportata, per la quale la novella, nel limitarsi a richiamare l’obbligo risarcitorio sancito dall’art. 2043 c.c. anche nelle fattispecie in cui la responsabilità penale è esclusa, non intenderebbe – né sarebbe in grado di –
imporre un ripensamento dell’attuale inquadramento contrattuale della responsabilità medica. Richiamare un obbligo, si sostiene, non vale a richiamare un’intera disciplina e a renderla applicabile in via esclusiva, né a precludere all’interprete di individuare il corretto modello di riferimento della responsabilità dell’autore del danno. Per completezza, vale la pena ricordare come su questa linea si sia già schierata, per quanto in maniera estremamente succinta e obiter, la Corte di Cassazione, con la sentenza 19 febbraio
2013, n. 4030.
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secondo cui l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto – o il contatto sociale – e l’insorgenza o l’aggravamento
della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore l’onere di dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur
esistendo, non è stato eziologicamente rilevante), si osserva:
– non sono emerse ragioni per disattendere le conclusioni del C.T.U.,
il cui elaborato risulta fondato su una disamina completa degli elementi
disponibili ed esente da vizi logici o metodologici;
– risulta, dunque, condivisibile – in primo luogo – la conclusione di collocare la torsione del testicolo in periodo perinatale, ossia al momento del
parto o nelle prime ore di vita del neonato;
– parimenti condivisibile appare l’addebito (l’unico) del mancato controllo delle condizioni del neonato per circa 15 ore: la convenuta – che ne
era onerata – non ha provato che nell’intervallo registrato in cartella clinica siano stati effettuati altri controlli né ha offerto giustificazioni plausibili circa l’insussistenza di ragioni che giustificassero un controllo più ravvicinato;
– risulta corretto anche il giudizio di adeguatezza dell’operato dei sanitari a partire dal momento in cui venne riscontrata la tumefazione bluastra dello scroto, e cioè la scelta di far effettuare con immediatezza una visita specialistica urologica e, subito dopo, di indirizzare con urgenza il neonato verso un centro di alta specializzazione (sicuramente più adeguato ad
affrontare il caso, tenuto conto della delicatezza della patologia insorta in
un neonato nel primo giorno di vita), raggiungibile in poco più di un’ora
dall’ospedale di Arezzo;
Sul versante diametralmente opposto si pone invece la contemporanea
pronuncia del Tribunale di Torino, per la quale la previsione normativa contenuta nell’art. 3, comma 1, secondo periodo, della legge Balduzzi avrebbe
l’esito di sconfessare il “diritto vivente” in materia di responsabilità medica, “gettare alle ortiche” la teoretica del contatto sociale e imporre la riconducibilità della responsabilità del medico ai canoni – e al regime – dell’illecito aquiliano. Addirittura, sembrerebbe sostenersi che quanto riferito
vale sia per il medico sia per la struttura, “non essendo ipotizzabile un diverso regime di responsabilità” tra i medesimi. L’opinione riferita propende in ultima analisi per l’idoneità della legge in questione a “cambiare il diritto vivente”, in un’ottica di “contenimento degli oneri risarcitori della sanità pubblica”.
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Giurisprudenza
– accertata pertanto l’esistenza di un ritardo colposo nella diagnosi (che,
verosimilmente, avrebbe potuto essere anticipata di alcune ore se il bambino fosse stato sottoposto prima al controllo), deve escludersi tuttavia che
tale ritardo abbia impedito di salvare il testicolo, causandone la necrosi e la
necessità di asportazione;
– sulla base dei dati statistici illustrati dal C.T.U., è emerso, infatti, che
le possibilità di salvare il testicolo in caso di torsione che interessi un neonato sono minime (ossia intorno al 5%, atteso che la percentuale del 33%
riferita da uno studio condotto su tre soli casi non ha significato statistico)
anche in caso di diagnosi tempestiva;
– apparendo, dunque, di gran lunga “più probabile che non” l’ininfluenza
del ritardo diagnostico, non appare possibile stabilire un nesso causale apprezzabile fra tale ritardo e la necrosi del testicolo (tanto più che anche in
caso di diagnosi più precoce l’esplorazione chirurgica avrebbe dovuto comunque essere differita per l’evidenziata necessità di trasferire il neonato
in un centro di alta specializzazione);
– esclusa pertanto la sussistenza del nesso causale fra la condotta omissiva dei sanitari e il pregiudizio sofferto dal neonato, devono rigettarsi entrambe le domande;
– le ragioni della decisione (segnatamente, l’accertata sussistenza di un
profilo di colpa e la non palese infondatezza originaria della domanda) giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite, ferme restando le
spese di C.T.U. a carico degli attori. (Omissis).
Sulla stessa linea di quest’ultimo indirizzo di pensiero, pur con qualche peculiarità, si pone la sentenza del Tribunale di Varese: essa, invero,
esordisce ammettendo che il legislatore può prendere posizione su questioni interpretative non soltanto con lo strumento delle leggi d’interpretazione autentica, bensì anche con “norme che, seppur in modo indiretto
e implicito, siano espressione dell’aderire (o non) ad un determinato approccio ermeneutico”. Tanto chiarito, segue l’affermazione secondo cui
il legislatore, in questa specifica circostanza, sembrerebbe avere consapevolmente inteso ripudiare l’attuale orientamento giurisprudenziale, e
tornare al modello di responsabilità civile medica fondato sull’illecito
aquiliano. Sennonché la sentenza, nel suo sviluppo, introduce un argomento che a ben vedere, se approfondito, è in grado di scardinare le fondamenta dell’indirizzo sposato.
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II
Il Tribunale ecc. (Omissis). FATTO. – (Omissis). I signori G.I. e M.I. citavano in giudizio i soggetti in epigrafe indicati, esponendo:
– che in data 27 dicembre 2007 il loro padre F.I. si presentava al P.S.
delle Molinette di Torino, veniva descritto come dipendente in alcune funzioni di 1o e 2o livello e restava ricoverato fino al 17 gennaio 2008;
– che durante il ricovero, in data 29 dicembre 2007, egli incappava in
quella che veniva descritta nella “denuncia infortuni ai pazienti” come una
perdita di equilibrio mentre si trovava ai servizi igienici;
– che il paziente aveva ripetutamente lamentato, anche chiamando i Carabinieri, la scarsa attenzione del personale infermieristico;
– che il paziente veniva dimesso come paziente non deambulante;
– che in data successiva, il 27 gennaio 2008, il paziente faceva nuovamente ingresso alle Molinette, dove veniva inviato al reparto di Medicina
3, veniva rilevato il precedente episodio di caduta e venivano prescritte le
sbarre al letto, a fini preventivi;
– che il 29 gennaio 2008, dopo una somministrazione di Lexotan, il paziente chiedeva di essere accompagnato in bagno, e ivi veniva accompagnato da una infermiera, E.A., che reputava possibile la manovra nonostante
l’ordine di non deambulazione;
– che il paziente, in bagno, cadeva al suolo, fratturandosi un femore;
– che dopo 6 giorni di sofferenza veniva operato per ridurre la frattura,
ma le sue condizioni peggioravano e sopravveniva la morte.
Gli eredi, sottolineando le carenze di assistenza in cui incappò il de
cuius, e mettendo le dette carenze in relazione causale con la caduta e la
morte di quest’ultimo, chiedevano il risarcimento dei danni subìti, iure proprio e iure ereditario, esponendo la responsabilità contrattuale dei soggetti convenuti.
Si costituiva l’Azienda Ospedaliera convenuta, esponendo:
– che gli attori dovevano provare il nesso di causa tra il decesso del congiunto e le condotte ascritte, anche considerando la pesante anamnesi del
sig. F.I.;
Invero, il giudice di Varese si trova costretto, nel caso di specie, a rilevare l’esistenza di un vero e proprio rapporto negoziale fondato su un contratto di prestazione d’opera intervenuto tra il paziente e il medico, al quale il primo si era rivolto e affidato per un intervento di chirurgia estetica,
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Giurisprudenza
– che nessun addebito di responsabilità colposa poteva essere ascritto
al personale delle Molinette come risultava dal provvedimento di archiviazione del procedimento penale a suo tempo aperto in relazione all’occorso;
– che non era individuabile un danno iure ereditario, e che gli attori non
allegavano circostanze atte a valorizzare il danno iure proprio.
Si costituiva la sig.a E.A., esponendo:
– di avere accompagnato in bagno il paziente, che lo aveva chiesto, sorreggendolo fino a farlo sedere sul gabinetto;
– di aver per qualche istante voltato le spalle al paziente, ma che inopinatamente il paziente si alzava da solo e cadeva al suolo;
– che al paziente non era stato prescritto il divieto assoluto di deambulazione, ma solo di deambulazione autonoma, la quale non era stata concessa.
Le convenute concludevano, in conformità con le difese assunte, per
l’assoluzione. Dopo uno scambio di memorie, l’escussione di diversi testi,
e l’espletamento di C.T.U. medico-legale, la causa, precisate le conclusioni, giungeva a conclusione.
DIRITTO. L’indagine penale non ha evidenziato aspetti di colpa addebitabile alle convenute, nel senso che il GIP, archiviando il procedimento penale aperto contro ignoti, sulla scorta del deposito dei testi (dal quale si trae
che il paziente non venne lasciato solo in bagno) e del fatto che al paziente non fosse stato precluso dai sanitari di alzarsi dal letto, esclude aspetti di
condotta penalmente rilevante.
La presente causa muove da un diverso punto di vista: come noto, infatti (e significativamente non contestato dalle parti convenute) la responsabilità della struttura sanitaria pubblica a fronte di un danno subìto dal paziente è qualificata in termini contrattuali dalla più recente giurisprudenza
di legittimità (per tutte, cfr. Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577). La
fonte purtroppo di effetti collaterali pregiudizievoli imputabili a scarsa diligenza del sanitario; di fronte a tale circostanza, il giudice non ha potuto
fare altro che ravvisare una responsabilità da inadempimento dell’obbligazione di fonte contrattuale. Si è trovato cioè costretto ad affermare in maniera esplicita che l’intervento “innovativo” sul piano del diritto vivente
operato dal decreto Balduzzi riguarderebbe esclusivamente i casi di contatto sociale, non quelli in cui è ravvisabile un contratto. Così facendo, giunge a una soluzione “ibrida” che lascia perplessi, e che pare contraddire le
premesse da cui muove, per le ragioni che si vedranno a breve.
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Dalle Corti di merito
351
giurisprudenza, sulla scorta del contatto tra struttura sanitaria e paziente,
dunque individua la stipula di un contratto (per l’appunto, da “contatto sociale”) tra il paziente e la struttura. Notevoli appaiono le conseguenze in
campo probatorio: il paziente (o, in questo caso, i suoi eredi) che agisce per
far valere la responsabilità della struttura deve provare il titolo contrattuale e allegare l’inadempimento (sia pure l’inadempimento qualificato, per
usare l’espressione della pronunzia dall’arresto a Sez. Un. citato) della controparte, debitore contrattuale; la quale, per andare esente da responsabilità, dovrà provare che l’inadempimento non vi è stato, ovvero che è dipeso
da impossibilità derivante da causa non imputabile (cfr. art. 1218 c.c.). Gli
attori danno la prova del titolo (l’ingresso in ospedale di loro padre) e allegano un difetto di cura e sorveglianza da parte del personale infermieristico in generale e della sig. A. in particolare.
Per vero la detta impostazione giurisprudenziale ha subito una profonda rivisitazione da parte di un recente dettato positivo. Il legislatore, convertendo in legge il d.l. 10 novembre 2012, n. 263, ha dettato, infatti, una
norma in tema di responsabilità medica che smentisce l’elaborazione giurisprudenziale suddetta.
Nell’ambito delle diverse azioni condotte dal governo tecnico che ha
retto il Paese nel 2012 è ricompreso il d.l.13 settembre 2012, n. 158, il
quale, prendendo le mosse dalla “contrazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio Sanitario Nazionale a seguito delle manovre di contenimento della spesa pubblica” (così recita la premessa del decreto), ha
inteso, tra l’altro, adottare misure inerenti alla responsabilità medica.
Sotto questo punto di vista la decisione torinese suona più netta, laddove puntualizza – ancorché nel caso di specie non ne sussistesse una vera
necessità – che il regime imposto dalla novella vale in ogni caso, sia per il
medico sia per la struttura, ripudiando così l’elaborazione teorica pluridecennale in materia di contratto atipico di spedalità. Sennonché, anche in
quest’occasione non si è voluto – comprensibilmente – arrivare all’estrema
conseguenza di ritenere comunque e in ogni caso fuori gioco la prospettiva della responsabilità da inadempimento nei rapporti medico-paziente: si
legge testualmente nella pronuncia torinese che “se, infatti, resta fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. anche nei casi in cui il medico non risponde
penalmente, questo significa che il medico, ove non agisca quale controparte contrattuale, come nel caso in cui sia il pubblico dipendente, sarà tenuto al risarcimento del danno ai sensi della detta norma: e non, come ritenuto dalla Corte di Cassazione, ai sensi della generale norma che scolpisce
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Giurisprudenza
L’art. 3 del d.l. recita: “Fermo restando il disposto dell’art. 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività di esercente
le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’art. 1176 del codice civile, tiene conto dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale”.
Si tratta(va) di una norma di capitale importanza per la pratica, perché,
per la prima volta, sanciva la positivizzazione di quello che è stato il punto di arrivo di una lunga esperienza solo giurisprudenziale, che vede il suo
punto di arrivo nella citata sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 577 dell’11 gennaio 2008.
Tale arresto, come accennato, qualificava in senso contrattuale la responsabilità della struttura sanitaria pubblica e del medico pubblico dipendente, valorizzando il “contatto” del paziente con la struttura pubblica in
termini genetici di un contratto tra la struttura medesima e il paziente. La
figura del contatto/contratto nasce per vero in seno alla dogmatica tedesca,
sotto la spinta della necessità di ampliare la sfera della responsabilità risarcitoria. In Germania, infatti, come è noto, manca una clausola generale della responsabilità aquiliana, presente invece nel sistema italiano grazie all’art. 2043 c.c., optando il sistema tedesco per la individuazione di singole
fattispecie di responsabilità extracontrattuale, a fianco della responsabilità
contrattuale.
È chiaro dunque come in un sistema come quello tedesco, dominato dalla generale responsabilità risarcitoria contrattuale da un lato, e dalla frammentazione in singole fattispecie della responsabilità da atto illecito dall’altro, la dottrina sia stata spinta ad attrarre nell’ambito del contratto ipotesi che contrattuali non sono, ma che, non rientrando neppure in una fattispecie tipizzata di illecito aquiliano, rimarrebbero in quanto tali prive di tutela civilistica.
la responsabilità del debitore contrattuale, l’art. 1218 c.c.”. Ecco che dall’inciso in corsivo riemerge il punto debole dell’indirizzo di pensiero seguito in queste decisioni, e ravvisabile nell’eventualità in cui esista un vero e proprio rapporto contrattuale: si sostiene cioè che la riforma Balduzzi
avrebbe voluto escludere una responsabilità da inadempimento nelle sole
ipotesi che la giurisprudenza qualificava alla stregua del contatto sociale,
ferma restando l’applicabilità dell’art. 1218 c.c. se tra paziente e medico è
stato stipulato un contratto (ma allora, per inciso, perché ciò non dovrebbe
accadere anche nei rapporti tra struttura e paziente?).
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Dalle Corti di merito
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La norma in commento dava per scontato che la responsabilità “dell’esercente le professioni sanitarie” (senza porre dei distinguo tra il libero
professionista e il medico dipendente pubblico) fosse scandita dalla norma
dettata per il contratto dall’art. 2236 c.c., con ciò positivizzando la nozione di stipula di “contratto per contatto” elaborata (come detto non originalmente, ma mediando assunti dottrinari germanici) dalla Suprema Corte, che
in tal modo ha avuto modo di superare la risalente, ed un tempo assolutamente dominante, opinione che disegnava nei termini di cui all’art. 2043
c.c. la responsabilità risarcitoria del medico pubblico dipendente.
La legge di conversione del decreto, però, lungi dal confermare tale assunto, lo modifica profondamente. L’art. 3 della l. 8 novembre 2012, n. 189,
infatti, riformula l’art. 3 del decreto legge nel seguente modo: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica
non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo
l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella
determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della
condotta di cui al primo periodo”.
Se la norma del decreto scolpiva la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria pubblica, e dei medici pubblici dipendenti, quella della legge
di conversione opta per la soluzione opposta. Scompare, infatti, ogni riferimento esplicito alla qualificazione in termini contrattuali della responsabilità del medico pubblico dipendente, con ciò rigettando l’assunto della
Suprema Corte nel novero delle mere opinioni giurisprudenziali, autorevoli ma sempre passibili di superamenti e revirements; emerge una norma di
caratura penalistica; campeggia un riferimento all’art. 2043 c.c. L’incipit
della norma esclude la rilevanza penale della condotta del medico qualifi-
La tesi non convince, per la ragione che il modello della responsabilità
“contrattuale” discende non certo in via esclusiva dalla violazione dei patti contrattuali, bensì, come noto, dall’inadempimento di un’obbligazione,
quale ne sia la causa generatrice. Il problema, allora, non sta tanto nella scelta del titolo della responsabilità e dei criteri di accertamento della medesima, ma si risolve, più a monte, nell’esatta individuazione delle fonti delle
obbligazioni, ovvero, in altre parole, nella questione se il c.d. contatto sociale abbia legittima cittadinanza nel nostro ordinamento e sia riconducibile alla clausola aperta di chiusura dell’art. 1173 c.c. Affermare che la
riforma Balduzzi ha escluso questo esito, rivedendo il diritto vivente, significherebbe riconoscergli l’idoneità a incidere sui fondamenti del diritto
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Giurisprudenza
cata dalla colpa lieve, ove il sanitario si attenga “a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”. “In tali casi”, prosegue la norma “resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c.”.
Il legislatore espressamente quindi afferma che nei casi di irrilevanza
penale della condotta del medico egli comunque risponde ai sensi dell’art.
2043 c.c. Ma il fatto che “resti fermo” l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. non
può che significare che tale obbligo sia dato per scontato nei casi penalmente rilevanti, ove la condotta del medico sia qualificabile nei termini della colpa “non lieve” e del dolo; dunque, che l’art. 2043 c.c. sia la norma che
disegna i criteri per la individuazione della responsabilità del medico pubblico dipendente e della struttura pubblica nella quale questi opera (a tali
soggetti, operatori del Servizio Sanitario Nazionale, è dedicata la novella
in esame, non essendo – è da notare – ipotizzabile un diverso regime di responsabilità tra il medico e la struttura). La legge di conversione, quindi, ribaltando la norma del decreto legge che faceva una chiara scelta in tema di
responsabilità risarcitoria del medico pubblico dipendente, pare riferire quest’ultima ai criteri della responsabilità aquiliana, con ciò sconfessando la
correttezza dell’assunto giurisprudenziale sopra citato. Se, infatti, “resta fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.” anche nei casi in cui il medico non risponde penalmente, questo significa che il medico, ove non agisca quale
controparte contrattuale, come nel caso in cui sia pubblico dipendente, sarà tenuto al risarcimento del danno ai sensi della detta norma: e non, come
ritenuto dalla Corte di Cassazione, ai sensi della generale norma che scolpisce la responsabilità del debitore contrattuale, l’art. 1218 c.c.
L’art. 3 della l. n. 189 del 2012, quindi, cambia il “diritto vivente”, operando una scelta di campo del tutto chiara (anche se opposta a quella del
decreto legge), e congruente con la finalità di contenimento degli oneri risarcitori della sanità pubblica. Se “resta fermo l’obbligo di cui all’art. 2043
c.c.” in tutti i casi in cui il medico (ed è da intendere, come ricordato, anche la struttura sanitaria nella quale egli opera) sia chiamato a rispondere
del suo operato, che questo sia penalmente rilevante o meno, significa che
la responsabilità del medico è extracontrattuale. Questo getta alle ortiche
delle obbligazioni, statuendo l’esclusione del c.d. contatto sociale dal novero delle fonti dei rapporti creditori. Ora, che una legge di conversione di
un decreto legge, peraltro con una formula che, conviene ribadirlo, si limita a dire “fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile”, possa
incidere in maniera così penetrante sui principî basilari del diritto delle obbligazioni, è quantomeno discutibile.
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l’utilizzabilità in concreto della teorica del contatto sociale, e porta la lite
all’interno della responsabilità aquiliana, con conseguente spostamento dell’onere probatorio tutto a carico della parte attrice.
Quest’ultima non ha fornito la prova della colpa delle parti convenute;
come è agevole rilevare analizzando il materiale probatorio agli atti, per verificare (per scrupolo e completezza di motivazione, vista la novità dello
sconfessamento per via positiva della giurisprudenza che affermava il contratto per contatto) se da tali acquisizioni è d’uopo trarre, o meno, la prova
della assenza di inadempimento, ovvero dell’inadempimento causato da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile; ovviamente, l’assenza di prova di un inadempimento, ovvero la prova dell’esatto
adempimento fornisce a contrario anche quella della correttezza della loro
condotta, e quindi della assenza di un atto illecito. (Omissis).
Vi è dunque piena prova agli atti che la improvvisa decisione di F.I. di
alzarsi dal water, malgrado le raccomandazioni a non muoversi da parte di
un’infermiera che si girò, senza allontanarsi da lui, rappresenta una circostanza imprevedibile che integra una impossibilità ad adempiere alla prestazione assistenziale, non imputabile né alla infermiera, né alla struttura;
in un contesto che non registra alcun elemento dal quale trarre la prova di
una condotta colposa dei convenuti.
La domanda attorea deve quindi essere respinta.
Le spese seguono la soccombenza. (Omissis).
Non è questa la sede per un approfondimento teorico sull’istituto di origine germanica del contatto sociale, basti soltanto dire che il suo impiego è
oramai principio acquisito nel nostro panorama giuridico – quanto meno a
livello di diritto applicato – in diversi settori dell’ordinamento. Questa constatazione non è di per sé ovviamente prova inconfutabile della sua legittimità, e il dibattito sul punto è aperto: i detrattori prospettano argomenti contrari alla sua utilità e conformità al nostro ordinamento, sia in generale sia,
più frequentemente, con riferimento a singole ipotesi particolari (per esempio, in materia di responsabilità contrattuale). Il dibattito, tuttavia, attiene alle fonti delle obbligazioni e, vale la pena ribadirlo, alla possibilità di inquadrare tale “relazione qualificata e affidante tra due soggetti” nell’alveo degli atti “idonei” a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. Ove ciò venga ammesso, il “contatto sociale” andrà coerentemente trattato alla stessa stregua
del contratto, quanto meno sotto il profilo della idoneità a fondare un’imputazione a titolo di responsabilità da inadempimento. L’obbligazione non può
avere diverso regime, sotto il punto di vista delle conseguenze in caso
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Giurisprudenza
III
Il Tribunale ecc. (Omissis). FATTO. – (Omissis). In data 11 giugno 2007,
la R. veniva sottoposta ad intervento chirurgico presso l’Istituto (....) (d’ora in avanti: Fondazione); intervento che veniva eseguito dal dr. G. per porre rimedio ad un dismorfismo nasale diagnosticato sulla persona della paziente (patologia bisognosa di correzione chirurgica). Successivamente all’operazione, l’attrice accusava sintomi che la costringevano a rivolgersi
nuovamente a struttura sanitaria dove veniva diagnosticata una tubarite con
deviazione del setto nasale, giusta la quale veniva eseguita una tac massiccio facciale che evidenziava effettivamente una “marcata deviazione”, in
uno con altri rilievi negativi per la salute, bisognosi di trattamento terapeutico. In conseguenza degli esiti riscontrati sulla sua persona, la paziente prospettava l’inadempimento dei sanitari intervenuti, avendo riportato postumi permanenti pari al 5%, in conseguenza dell’operazione eseguita [che lo
specialista (Omissis) – incaricato dalla stessa attrice – qualificava in termini di “rinoplastica”: v. doc. 6]. Presentava la citazione introduttiva del giudizio richiedendo l’accertamento della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale dei convenuti, con conseguente condanna degli stessi alla somma risarcitoria di euro 12.344,81 (danno biologico, danno morale, danno
patrimoniale pari ad euro 3.851,81 per spese sostenute).
L’udienza di prima comparizione veniva tenuta in data 24 aprile 2009
e, rilevata la nullità della citazione, ne veniva disposta la rinnovazione (attesa la intervenuta violazione dell’art. 163 bis c.p.c.). All’udienza del 9 di-
di inadempimento, a seconda della fonte che l’ha prodotta. Se davvero si
volesse giungere a un esito così dirompente, occorrerebbe un intervento legislativo che, incidendo sull’art. 1173 c.c., escluda che il contatto sociale
possa costituire, in Italia, fonte di obbligazioni.
Il fatto che la normativa qui in esame si sia espressa nel senso che resta “fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.” a carico del sanitario, a prescindere dalla circostanza che siano o meno integrati gli estremi di una fattispecie penale, può essere letto come una svista, come un tentativo abbozzato, come un richiamo generico e maldestro, o ancora, come un’affermazione neutra, che collocata nel sistema generale delle obbligazioni non è in
grado di produrre conseguenze di rilievo. Essa si limita a tenere salvo l’obbligo di risarcire il danno, ferma restando la possibilità per l’interprete di
qualificarne la natura. Anche sotto un diverso punto di vista il richiamo all’art. 2043 c.c. è infelice e privo di portata innovativa, ovvero quello del
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cembre 2009, instaurato il contraddittorio, le parti richiedevano i termini ex
art. 183, comma 6, c.p.c. che venivano concessi dal giudice con ordinanza
emessa in pari data. Il dott. G. si costituiva, nelle more, in Cancelleria, in
data 19 novembre 2009 confermando che, in data 11 giugno 2007, l’attrice
era stata sottoposta ad intervento correttivo di dismorfismo nasale, presso
la Fondazione, per mano dello stesso G. in sala operatoria. Contestava l’addebito di responsabilità valorizzando, in particolar modo, la natura dell’intervento, di tipo estetico e non funzionale. La Fondazione si costituiva in
data 12 novembre 2009 ed eccepiva che l’intervento era stato concordato
dalla paziente direttamente con il dr. G. in piena autonomia ed al di fuori
della clinica la quale, infatti, era stata scelta dal professionista medico e non
dall’attrice. Riferiva pure che non sussisteva alcun rapporto tra la clinica e
il medico che, infatti, aveva anche scelto i collaboratori che lo avevano assistito nell’intervento. Valorizzava, a sostegno della propria estraneità ai
fatti, il fatto che la paziente aveva pagato direttamente al medico il suo onorario. (Omissis).
È, dunque, provato che R. si rivolse direttamente al dr. G. per eseguire
un intervento di correzione chirurgica di dismorfismo nasale; il dr. G. eseguì l’operazione chirurgica presso la clinica Fondazione (...) da egli scelta, come luogo deputato ad ospitare l’intervento, mediante scelta dei collaboratori e con compenso corrisposto direttamente allo stesso da parte
della paziente.
Sullo sfondo fattuale così ricostruito, occorre fare chiarezza attorno al concreto intervento eseguito al fine di verificare la sussistenza o meno di un danno iatrogeno che possa essere attribuito, a titolo di responsabilità, al dr. G. In
questa indagine, è sicuramente utile e necessario attingere al bacino della perizia in atti, la quale si lascia apprezzare per la oggettività delle operazioni eseguite, la cura nella disamina dei documenti di lite e la coerenza degli snodi seguiti dall’ausiliario: ogni critica all’elaborato va dunque decisamente disattesa, traducendosi le doglianze in un tentativo di sostituire alla valutazione oggettiva del perito quella soggettiva della parte, secundum eventum litis.
In primo luogo, come lo stesso specialista incaricato dalla parte attrice riferisce (v. doc. 6), il CTU accerta che si trattò di un intervento di tipo estetico e non funzionale. Secondo il perito “l’intervento chirurgico di rinoplasti-
quantum risarcitorio: va infatti in radice escluso che esso possa circoscrivere il danno risarcibile al solo danno patrimoniale, avendo omesso un pari rinvio all’art. 2059 c.c. L’affermazione è talmente ovvia da non richiedere particolari argomentazioni.
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Giurisprudenza
ca, giustamente indicato per la situazione della paziente, fu eseguito (...) con
scopi solo ed esclusivamente legati all’aspetto estetico del volto e non al ripristino della funzionalità nasale, da quanto risulta nella cartella clinica”.
In secondo luogo, il CTU conduce una indagine diretta a verificare la
presenza di disturbi negativi sulla persona della paziente riconducibili causalmente all’intervento eseguito sulla stessa. Ebbene, in questa verifica, il
consulente afferma che “non è la deviazione del setto nasale diagnosticata
(...) da considerarsi causalmente riferibile all’intervento dell’11 giugno 2007,
bensì la sinechia turbino-settale dx in esiti di incisione trans-cartilaginea,
frenulotomia e asportazione di piccola porzione di sottosettocartilagineo a
determinare la stenosi della regione valvolare anteriore destra. La deviazione del setto nasale, come risulta dalla tac del massiccio facciale, attraverso una corretta valutazione dei rapporti cefalometrici, risulta essere preesistente all’intervento chirurgico. La formazione della sinechia turbino-settale ha peggiorato una situazione di difficoltà respiratoria nasale già presente, anche se in piccola parte, prima dell’intervento chirurgico”. La conclusione dell’ausiliario è dunque che “è da considerarsi effetto collaterale
di correzione chirurgica del dismorfismo nasale la sinechia turbino–settale
dx. condizionante una stenosi nasale monolaterale”.
In terza disamina, la consulente verifica la presenza di profili di responsabilità in capo al medico. Secondo il perito “è vero che il dr. G., nel
consenso informato, cita la sinechie (formazioni di adesioni mucose fra le
varie strutture nasali) quali complicanze nasali, ma quando c’è stato il sanguinamento nasale post-intervento chirurgico che ha comportato il posizionamento della fionda e la sua successiva sostituzione nelle ore serali, il
dr. G. ha agito con imprudenza nel rimuovere il tampone nasale anteriore
A chiusura di questa breve disamina dei precedenti di merito, conviene ancora osservare come, di fatto, il divario interpretativo non abbia avuto ripercussioni concrete ai fini della decisione. In astratto, è evidente che
l’adesione all’una o all’altra tesi sia molto rilevante sotto diversi profili: termini prescrizionali, onere probatorio attinente all’elemento soggettivo e al
nesso causale, danno risarcibile. In concreto, la scelta fatta nelle sentenze
sopra riportate non è risultata mai determinante. Nel caso torinese, lo svolgimento dei fatti ha escluso ogni profilo di colpa, sia sotto il profilo dell’illecito aquiliano che sotto il profilo dell’inadempimento a obblighi contrattuali, a carico del personale sanitario: a prescindere dal riparto dell’onere probatorio, è emersa in modo chiaro l’assenza di qualsiasi condotta
colposa del convenuto. Parimenti, nel caso risolto dal Tribunale di Arezzo,
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bilaterale dopo 24 ore dall’intervento chirurgico. In letteratura si riporta che
in caso di sanguinamento nasale, si consiglia di mantenere il tampone nasale almeno 48 ore e di effettuare una visita specialistica otorino per individuare il punto emorragico nasale e l’eventuale presenza di fibrina (tessuto precicatriziale) nelle fosse nasali determinanti la formazione delle sinechie turbino-settali”.
I rilievi sopra esposti consentono di potere arricchire il dato tecnico-fattuale, dei principî di diritto applicabili così da ottenere un supporto motivazionale che conduca alla conclusione da assumere.
1) L’intervento eseguito ha natura estetica.
La finalità dell’intervento chirurgico non modifica le garanzie che competono al paziente posto che anche l’intervento sanitario finalizzato al miglioramento della condizione estetica della persona si colloca nell’ambito
dell’ars medica (v. Cass. civ. 25 novembre 1994, n. 10014). Vi è, anzi, al
contrario, un inspessimento della corteccia della tutela, posto che, invero,
nel caso di chirurgia estetica, l’informazione da fornire deve essere assai
più penetrante ed assai più completa (specie con riferimento ai rischi dell’operazione) di quella fornita in occasione di interventi terapeutici (Cass.
civ., 8 agosto 1985, n. 4394, in Foro it., 1986, I, 121). Ad ogni modo, nel
caso di specie, oggetto del giudizio non è il diritto al conseguimento del risultato utile oggetto del contratto (in positivo, il miglioramento della condizione estetica), bensì il diritto alla salute, quale bene che, in occasione
dell’intervento, non deve essere compromesso (in negativo, l’assenza di effetti negativi sullo stato di benessere psico-fisico). In altri termini, in esecuzione dell’operazione medica finalizzata al miglioramento dell’aspetto,
il medico non deve arrecare danni all’apparato funzionale del paziente. Ebbene, sotto il primo aspetto (omesso raggiungimento del risultato estetico)
non si ravvisa effettivamente responsabilità del medico posto che la deviazione del setto nasale costituiva elemento preesistente all’atto sanitario e
dallo stesso non causato. E, però, invece, sotto il secondo aspetto, è ben possibile rintracciare un comportamento del medico meritevole di rimprovero:
nonostante l’agevolazione probatoria derivante dall’applicazione del regime della responsabilità contrattuale, la domanda risarcitoria è rigettata per
la mancanza di un nesso causale tra la condotta del sanitario e il danno alla persona lamentato. La decisione di Varese, infine, come si è visto, pur
aderendo alla tesi della portata innovativa della novella, giunge a ravvisare l’esistenza di un contratto, e applica dunque lo schema della responsabilità da inadempimento.
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Giurisprudenza
raggiungendo il risultato estetico negoziato, il sanitario non doveva arrecare danno alla persona del paziente (quanto, invece, avvenuto). Il punto è,
allora, se possa sussistere comunque responsabilità del chirurgo estetico
che, pur eseguendo a regola d’arte l’intervento, provochi sulla persona del
paziente un effetto collaterale fonte di pregiudizio. In coerenza con gli studi della Dottrina, è ormai pacifico che anche da un intervento eseguito a regola d’arte possano discendere risultati insoddisfacenti, in particolare, in
ragione dell’omessa adozione, da parte del medico, di specifiche cautele
che le condiciones rebus sic stantibus imponevano. Da qui, il secondo profilo di rilevanza.
2) L’intervento medico – pur correttamente eseguito quanto al risultato da raggiungere in ordine al miglioramento estetico – ha causato sulla persona della paziente un effetto indesiderato, di tipo collaterale: una sinechia
turbino settale. È opportuno ricordare che la presenza di particolari inadempienze tecniche può anche emergere in sede di Ctu e ben costituire oggetto del processo, se filtrata dal contraddittorio (v., ad es., in materia di vizi scoperti dal CTU: Cass. civ., Sez. II, 10 maggio 2012, n. 7179, Pres. Oddo, Rel. Proto). Va, comunque, rilevato come, nel suo libello introduttivo,
la paziente non abbia denunciato solo la specifica inadempienza relativa al
setto nasale (non fondata) bensì anche, sotto un profilo più generale, l’imperizia dell’intervento quanto all’adozione di procedure chirurgiche corrette, efficaci e risolutive (v. pag. 8, citazione). Orbene, nel caso di specie,
il consulente ha accertato che, in conseguenza dell’intervento, la paziente
ha accusato una sinechia settale quale effetto causalmente ricollegabile all’intervento: effetto sgradevole, indesiderato e di indubbia valenza negativa per la salute dell’attrice. Effetto riconducibile all’intervento non solo sul
versante oggettivo (rapporto eziologico) ma anche soggettivo (colpa). Da
qui, il terzo profilo di rilevanza.
Sarà interessante valutare l’atteggiamento della giurisprudenza di fronte a casi in cui effettivamente l’adesione all’una o all’altra tesi incida sull’esito della decisione, come potrebbe accadere laddove la domanda giunga
decorso il termine prescrizionale quinquennale (ma non quello decennale) o
non sia possibile raggiungere la prova dell’elemento soggettivo del sanitario (e contestualmente non sia evidente l’assenza di ogni profilo di colpa).
Gli obiettivi del contenimento dei costi a carico della sanità pubblica e del
contrasto alla medicina difensiva vanno infatti di pari passo con un ridimensionamento delle opportunità di ristoro pecuniario a scapito delle vittime della malpractice medica. E di ciò i giudicanti sono ben consapevoli.
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3) Il dr. G. ha agito con imprudenza avendo rimosso il tampone nasale
dopo 24 ore, invece che dopo 48 ore, come consigliato in letteratura. Giova rilevare che, nel caso di specie, non può essere applicata, in favore del
medico, la disposizione di cui all’art. 2236 c.c.: si tratta, infatti, di disposizione applicabile ai soli casi di colpa per imperizia e non a quelli di colpa
per imprudenza o negligenza (v. Cass., Sez. III, 18 novembre 1997, n. 11440;
Cass. civ., Sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297, in Danno e resp., 2005, 26).
Se, come nel caso di specie, la colpa è consistita in una mancanza di prudenza, l’esame deve essere particolarmente rigoroso, perché la tutela della
salute, che viene affidata al medico, impone a questi l’esercizio della massima attenzione (v. Cass. civ. 11 luglio 1980, in Riv. pen., 1981, 283). Il
medico risponde, dunque, anche in caso di colpa lieve. Ebbene, nell’ipotesi qui sub iudice, il medico è risultato essere in colpa (indifferente se lieve
o grave) per l’avere omesso, per imprudenza, di mantenere il tampone per
48 ore, in luogo di 24, essendosi dunque discostato dal parametro standard
secondo la letteratura di riferimento. In altri termini, può sostenersi che se
il medico avesse rispettato la regola di prudenza applicabile, è probabile che
la sinechia non si sarebbe verificata, peraltro con un elevato grado di certezza. Ad ogni modo, giova ricordare che la Corte regolatrice ha, di recente, avuto modo di rimeditare funditus il problema della causalità civile, per
affermare, prima con la sentenza 21619/2007 della III Sezione, poi con la
pronuncia 581/2008 delle Sezioni Unite, che la regola probatoria in subiecta materia non può essere considerata quella dell’alto grado di probabilità logica e di credenza razionale, bensì quella del “più probabile che non”
(v. Cass. civ., Sez. III, sentenza n. 23676 del 15 settembre 2008). Il nesso
di causalità, dunque, in ambito civilistico, consiste nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio,
ispirato alla regola della normalità causale, del “più probabile che non”
Per completezza, merita ancora da ultimo menzionare gli ulteriori profili
innovativi sul versante della responsabilità civile del medico portati dalla normativa qui in esame: il terzo comma dell’art. 3, in particolare, opera un rinvio
alle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 d.lgs. 209/2005 (codice delle assicurazioni private) ai fini della liquidazione del danno biologico conseguente all’attività dell’esercente la professione sanitaria. La norma, sulla quale le sentenze sopra riportate non intervengono, pone questioni molto delicate, al punto da giustificare svariati dubbi di legittimità costituzionale, sotto il profilo della violazione del diritto alla salute (art. 32 e 117, comma 3, Cost.) e della sua
azionabilità in giudizio (art. 24 Cost.), nonché della disparità di trattamento tra
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Giurisprudenza
(Cass. civ., Sez. III, 16 gennaio 2009, n. 975). Criterio soddisfatto nel caso
di specie posto che è il CTU ad affermare (invero senza dubbi) la sussistenza del rapporto eziologico tra la imprudenza del medico e la sinechia
turbino settale (v. perizia, pag. 7).
I punti di conclusione sin qui rassegnati, consentono di ritenere affermata la responsabilità del dr. G., avendo questi omesso di adottare specifici comportamenti – espressione di prudenza esigibile – così causando alla
paziente una sinechia settale, ovvero un effetto collaterale indesiderato che
poteva essere evitato.
A questo punto, occorre chiarire il titolo della responsabilità del medico posto che, peraltro, tale titolo è anche oggetto di discussione negli atti
difensivi delle parti. Giova ricordare che secondo il “diritto vivente” in materia di responsabilità sanitaria, la responsabilità del medico ha natura negoziale, sussistendo un rapporto contrattuale, quand’anche fondato sul solo contatto sociale (Cass. civ., Sez. III, 24 maggio 2006, n. 12362). La contrattualizzazione della responsabilità medica ha delle ricadute dirette sul riparto degli oneri probatori: essa, infatti, rende operativa la clausola generale di cui all’art. 1218 c.c., come interpretata dalle Sezioni Unite n. 13533
del 2001 e dunque “il paziente che agisce in giudizio deve provare il contratto e allegare l’inadempimento del sanitario restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento” (v. SS.UU. 577/2008). Tuttavia, si deve rilevare come, sullo sfondo dei principi così illustrati, si collochi in tempi recentissimi l’art. 3, comma 1, del d.l. 13 settembre 2012, n.
158. Nella versione originaria, la norma prevedeva che “fermo restando il
disposto dell’articolo 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa
lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi
dell’articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale”. Il decreto-legge
codificava dunque i principî affermati dalla giurisprudenza (v. relazione illustrativa) e non incideva, sulla questione qui in esame, se non sotto il versante della valutazione del rispetto o meno delle buone prassi/linee guida.
La legge 189/2012, di conversione in legge del d.l. 158/2012, ha modifica-
operatori appartenenti a diversi settori professionali (non sembra errato discorrere a tal fine di una vera e propria lex specialis a favore dei medici del
servizio pubblico sanitario) e infine del rispetto dei limiti di cui all’art. 77
Cost. A monte, lascia perplessi la scelta operata dal legislatore d’urgenza,
che rinvia a una disciplina scritta per i sinistri stradali ancora incompiuta a
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to in modo integrale la disposizione sopra illustrata. Il nuovo art. 3, comma
1 (Responsabilità professionale dell’esercente le professioni sanitarie) prevede che “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della
propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il
giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”. La norma, con la
dichiarata finalità di intervenire contro il dilagante fenomeno della c.d. medicina difensiva, introduce una sorta di “esimente” speciale nella responsabilità penale medica, circoscrivendola alle sole ipotesi di colpa grave e
dolo. Per il caso della colpa lieve, tuttavia, dichiara la persistenza della responsabilità civile del medico; e, però, così facendo, individua quale grimaldello normativo non già l’art. 1218 c.c., bensì l’art. 2043 c.c. Sussiste
un vivace dibattito circa la corretta interpretazione della previsione di nuovo conio. Secondo una certa lettura, la previsione si concilierebbe con l’intento di scongiurare i rischi legati alla c.d. medicina difensiva e, pertanto,
restaurerebbe il regime di responsabilità civile anteriore al revirement del
1999: in altri termini, il Legislatore consapevole avrebbe indicato agli interpreti la preferenza del Parlamento per l’orientamento giurisprudenziale
che predica(va) l’applicazione dell’art. 2043 c.c. e non anche lo schema del
c.d. contratto sociale qualificato. Secondo altra lettura, il riferimento all’art.
2043 c.c. costituirebbe semplicemente una svista del Legislatore, inidonea
a mutare il senso della giurisprudenza costante in tema di applicabilità dello statuto della responsabilità contrattuale.
distanza di più di 6 anni dalla sua entrata in vigore, oggetto di severe critiche da parte di interpreti e operatori, e sulla quale sono pendenti procedimenti dinnanzi alla Consulta e alla Corte di Giustizia europea per accertarne la legittimità costituzionale e la conformità ai principi comunitari (cfr.
l’ordinanza del Tribunale di Tivoli 20 giugno 2012, in questa Rivista, 2012,
II, 728, con mia nota redazionale, che rinvia alla Corte UE, ai sensi dell’art.
267 TFUE, la questione pregiudiziale sulla corretta interpretazione delle direttive 72/166/CEE, 84/5/CEE, 90/232/CEE e 2009/103/CE in materia di
assicurazione obbligatoria r.c. auto, con riguardo alla norma di cui all’art.139
cod. ass., affinché si dica se sia consentito alla legislazione interna di uno
Stato membro di prevedere – attraverso la quantificazione obbligatoria ex
lege dei soli danni derivanti da sinistri stradali – una limitazione di fatto,
sotto il profilo della quantificazione, della responsabilità per danni non patrimoniali posti a carico dei soggetti, le imprese assicuratrici, obbligati ai
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Giurisprudenza
La Suprema Corte di Cassazione, in diverse occasioni, ha ammesso che
il Legislatore può, di fatto anche in via implicita, intervenire con sue norme
di nuova introduzione per avallare una determinata interpretazione di uno
specifico grimaldello normativo. Ad esempio, è quanto avvenuto in tempi
recenti, allorché la Suprema Corte ha intravisto nell’adozione del d.P.R. n.
37 del 2009 e del d.P.R. n. 191 del 2009 “la volontà del Legislatore di prendere posizione sulla questione interpretativa dell’art. 2059 c.c.” in tema di
danno c.d. morale [v. Cass. civ., Sez. III, 20 novembre 2012, n. 20292 (Pres.
Petti, Rel. Travaglino) in cui la Corte di Cassazione reputa che i d.P.R. sopra citati abbiano “inequivocamente resa manifesta la volontà del legislatore” di discostarsi dai principî enunciati dalle SS.UU. del 2008, in tema di
“presunta” somatizzazione del danno morale in seno al danno biologico].
Deve, allora, ammettersi che il Legislatore può prendere posizione su questioni interpretative non solo mediante leggi di interpretazione autentica ma
anche con norme che, seppur in modo indiretto o implicito, siano espressione dell’aderire (o non) ad un determinato approccio ermeneutico.
Giunti a questa conclusione, nel caso di specie, la struttura della disposizione legislativa, a ben vedere, sembra abbastanza logica, almeno nel suo
sviluppo discorsivo: in sede penale, la responsabilità sanitaria è esclusa per
colpa lieve (se rispettate le linee guida/buone prassi); in sede civile, invece, anche in caso di colpa lieve, è ammessa l’azione ex art. 2043 c.c. Così
facendo, il Legislatore sembra (consapevolmente e non per dimenticanza)
suggerire l’adesione al modello di responsabilità civile medica come disegnato anteriormente al 1999, in cui, come noto, in assenza di contratto, il
paziente poteva richiedere il danno iatrogeno esercitando l’azione aquiliana. È evidente che l’adesione ad un modulo siffatto contribuisce a realizzare la finalità perseguita dal Legislatore (contrasto alla medicina difensi-
sensi delle medesime direttive a garantire l’assicurazione obbligatoria per
i danni da circolazione dei veicoli. Cfr. inoltre le ordinanze di rimessione
alla Corte Costituzionale, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 32 e 76 Cost.,
del Giudice di Pace di Torino del 21 ottobre 2011, del Tribunale di Tivoli
del 21 marzo 2012 e del Tribunale di Brindisi, Sez. dist. Ostuni, del 3 aprile 2012, tutte in Danno e resp., 2012, rispettivamente a p. 439, 997 e 1002,
con note di Ponzanelli). Per un approfondimento in dottrina, con speciale
riguardo al tema del diritto all’integrale riparazione del danno, cfr. PONZANELLI, L’applicazione degli articoli 138 e 139 codice delle assicurazioni alla responsabilità medica: problemi e prospettive, in Nuova giur. civ., 2013,
II, 145 ss.
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va) in quanto viene alleggerito l’onere probatorio del medico e viene fatto
gravare sul paziente anche l’onere (non richiesto dall’art. 1218 c.c.) di offrire dimostrazione giudiziale dell’elemento soggettivo di imputazione della responsabilità. L’adesione al modello di responsabilità ex art. 2043 c.c.
ha, anche, come effetto, quello di ridurre i tempi di prescrizione: non più
10 anni, bensì 5. Potendosi, in astratto, ritenere, dunque, che l’art. 3 in esame rappresenti la scelta verso un modello di responsabilità diverso da quello sposato dalla giurisprudenza prevalente, occorre allora interrogarsi circa
la proponibilità di una scelta interpretativa del genere, soprattutto in punto
di compatibilità costituzionale: la risposta, collocando l’interprete negli anni anteriori al 1999, sembrerebbe scontata, in quanto, nel vigore dell’orientamento pretorio che proponeva come modello di azione l’art. 2043 c.c.,
non si era dubitato della costituzionalità di una impostazione del genere.
Così rintracciate le conseguenze che la l. 189/2012 ha sul sistema della
responsabilità sanitaria, nel caso di specie, però, non trova applicazione l’art.
2043 c.c. È opportuno chiarire, infatti, che, anche seguendo questo percorso
di ragionamento, ovviamente la previsione di nuovo conio riguarda solo le
ipotesi di responsabilità per c.d. “contatto” e cioè le ipotesi (al confine tra contratto e torto) in cui manchi un rapporto contrattuale diretto tra paziente danneggiato e sanitario oppure un rapporto contrattuale atipico di spedalità. Nel
caso in esame, il dr. G. e la parte attrice si erano, invece, accordati per l’intervento ed avevano, cioè, stipulato uno specifico rapporto negoziale: scatta
allora, in via esclusiva, la previsione di cui all’art. 1218 c.c. e, nel caso di specie, conduce a dover ritenere acquisita al giudizio la prova della responsabilità del convenuto dr. G., sulla base dei rilievi già ampiamente svolti.
Deve, invece, essere esclusa la responsabilità della Fondazione. Nel caso in esame, la struttura medica non ha stipulato alcun rapporto con la parte attrice (nemmeno per comportamento concludente) posto che, diversamente dallo schema contrattuale classico, il paziente non si è rivolto al nosocomio che ha indicato il medico, ma si è rivolto al medico che ha scelto
una struttura in cui eseguire l’intervento. La Fondazione, dunque, ha rappresentato solo il luogo in cui l’inadempimento del sanitario si è consumato, senza nemmeno partecipare al suddetto illecito contrattuale, non aven-
Degno di un’ultima marginale notazione è l’ultimo periodo del primo
comma dell’art. 3, ai sensi del quale “il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui
al primo periodo”, ovvero del rispetto da parte del sanitario delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica: in tal modo, l’intensità della colpa dell’autore del danno finisce con l’incidere sul quantum
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Giurisprudenza
do nemmeno fornito i collaboratori del professionista. Inoltre l’equipaggiamento della clinica non ha concorso in alcun modo al danno e nemmeno lo ha aggravato o accelerato. In genere, la responsabilità della struttura
sanitaria è rintracciata, ex art. 1228 c.c., per il fatto dei suoi medici; ma nel
caso di specie, difetta il rapporto tra medico e struttura che abilita l’applicazione della norma de qua, e nemmeno è applicabile l’art. 2049 c.c., proprio perché la relazione tra i soggetti è invertita: è il dr. G. ad essersi avvalso della struttura e non il contrario.
Il solo dr. G. va condannato al danno iatrogeno causato alla paziente,
oltre al danno patrimoniale.
Sulla scorta della CTU, i postumi accertati, da mettere in relazione alla complicanza (sinechia turbino-settale dx) che poteva essere evitata da
un’attenta valutazione post-chirurgica, mediante visita specialistica otorino per valutazione del sanguinamento nasale occorso dopo l’intervento di
rinoplastica, configurano una riduzione dell’integrità psico-fisica (danno
biologico) nella misura del 3%. Per la valutazione dell’inabilità temporanea, in assenza di sufficiente credibile riscontro probatorio, si conviene con
il consulente nel non riconoscere alcun giorno a tale titolo. La l. 8 novembre 2012, n. 189 stabilisce all’art. 3 che il danno biologico conseguente all’attività dell’esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209. Trattasi però di norma entrata in vigore (11 novembre 2012 ex art. 16 l. 189/12)
dopo che l’odierna causa è stata trattenuta in decisione (6 luglio 2012). Si
reputa dunque di dovere dare continuità all’indirizzo di giurisprudenza, vigente prima della modifica normativa, il quale predica l’applicazione delle
tabelle di liquidazione del danno biologico, elaborate dal Tribunale di Milano, anche per le c.d. micropermanenti, per tutti i casi di danno ex art. 2059
c.c. che consegua da un fatto illecito diverso dal sinistro stradale (Cass. civ.,
Sez. III, sentenza 19 luglio 2012, n. 12464, Pres. Segreto, Rel. Lanzillo).
Le tabelle del Tribunale di Milano risultano essere, in ragione della loro
“vocazione nazionale” – in quanto statisticamente le maggiormente testate
– le più idonee ad essere assunte quale criterio generale di valutazione che,
della responsabilità, divenendo un criterio per la liquidazione del pregiudizio patito. Sembrerebbe così insinuarsi una sfumatura “sanzionatoria”
e “punitiva” in materia di responsabilità medica, che tuttavia rischia anch’essa di risolversi in una grave compromissione di valori primari dell’ordinamento, laddove sia interpretata quale possibilità di ridimensionamento
della riparazione del torto in presenza di una colpa “lieve” del sanitario.
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Dalle Corti di merito
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con l’apporto dei necessari ed opportuni correttivi ai fini della c.d. personalizzazione del ristoro, consenta di pervenire alla relativa determinazione
in termini maggiormente congrui, sia sul piano dell’effettività del ristoro
del pregiudizio che di quello della relativa perequazione – nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti – sul territorio nazionale (Cass.
civ., Sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402 – Pres. Preden, Rel. Scarano; Cass.
civ., Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408 – Pres. Preden, Rel. Amatucci; Cass.
civ., Sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2228 – Pres. Trifone, Rel. Scarano). Trattasi di indirizzo giurisprudenziale seguito da questo Ufficio giudiziario (v.,
già, Trib. Varese, Sez. I Civ., sentenza 26 agosto 2011).
La paziente, al momento dell’illecito, aveva 28 anni e, dunque, a titolo
di danno biologico, deve essere riconosciuto un danno pari ad euro 4.013,00
che si considera adeguato e congruo rispetto al caso di specie, tenuto conto, cioè, dell’esigenza di personalizzazione. Costituendo l’obbligazione di
risarcimento del danno un’obbligazione di valore sottratta al principio nominalistico, la rivalutazione monetaria è dovuta a prescindere dalla prova
della svalutazione monetaria da parte dell’investitore danneggiato ed è quantificabile dal giudice, anche d’ufficio, tenendo conto della svalutazione sopravvenuta fino alla data della liquidazione. È altresì risarcibile il nocumento finanziario (lucro cessante) subìto a causa del ritardato conseguimento della somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno, con la
tecnica degli interessi computati non sulla somma originaria né su quella
rivalutata al momento della liquidazione, ma sulla somma originaria rivalutata anno per anno ovvero sulla somma rivalutata in base ad un indice medio. La somma, devalutata alla data del sinistro e rivalutata con interessi all’attualità, è di euro 4.471,83.
Per quanto riguarda gli esborsi in rapporto di causalità con l’intervento per cui è causa, gli stessi ammontano – secondo il CTU – a 150,00 euro
(visita del prof. ). La somma all’attualità è di euro 188,00. Il danno totale è
di euro 4.659,83. (Omissis).
Per un approfondimento, si rinvia alle considerazioni di V. CARBONE,
La responsabilità del medico pubblico dopo la legge Balduzzi, in Danno e
resp., 2013, 378.
ILARIA RIVA
Ricercatore di Diritto Privato
Dipartimento di Giurisprudenza
Università degli Studi di Torino
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AIDA - ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE
DI DIRITTO DELLE ASSICURAZIONI
ATTIVITÀ INTERNAZIONALE
A Lisbona la riunione del Consiglio internazionale di Presidenza dell’AIDA
Nell’ambito del XIII Congresso del CILA, svoltosi a Lisbona nei giorni 7 - 10 maggio 2013, si è tenuta la riunione del Consiglio internazionale
di Presidenza dell’AIDA.
Nell’occasione si sono riuniti anche i seguenti Gruppi di lavoro: Accumulation of Claims and Subrogation, Civil Liability Insurance, Climate
Change, Consumer Protection and Dispute Resolution, Distribution of Insurance Products, Marine Insurance, Motor Insurance, New Technologies,
Prevention & Insurance, Personal Insurance and Pensions, Reinsurance,
State Supervision of Insurance.
A Parigi conferenza AIDA Europe e FERMA
AIDA Europe e FERMA (Federation of European Risk Management Associations) hanno organizzato a Parigi, il 3 giugno 2013, una conferenza per approfondire alcune questioni in materia di Commercial Insurance Law.
Nel corso dei lavori, con il motto “when theory meets practice”, risk
managers, docenti universitari, avvocati ed esperti del settore si sono
confrontati in quattro panels dedicati ai seguenti temi: Co-Insurance:
Who owes what, when and to whom?; Embargo Regulation: The
discordant music of European and national public orders; Serial Claims:
When fiction trumps reality; D&O Insurance: Phantasms on forbidden
guarantees.
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Osservatorio
ATTIVITÀ NAZIONALE
Costituzione della Sezione Lazio
L’8 maggio 2013 è stata costituita a Roma la Sezione Lazio dell’AIDA,
con sede presso il CESDA – Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma.
Il Consiglio direttivo risulta così composto: prof. avv. Agostino Gambino, Presidente onorario; prof. avv. Giovanna Volpe Putzolu, Presidente;
prof. avv. Marco Maugeri, Vice Presidente; prof. avv. Claudio Russo, Consigliere; prof. avv. Valeria Falce, Consigliere; prof. avv. Sveva Bernardini, Consigliere; prof. avv. Emanuele Bilotti, Consigliere; avv. Consuelo
Carlevale, Consigliere.
Sezione Calabria
La Sezione Calabria, in collaborazione con l’Ordine degli Avvocati di
Crotone, ha organizzato a Crotone il 7 giugno 2013 un convegno sul tema
La tutela del consumatore nel mercato delle assicurazioni.
Le relazioni sono state svolte: dal prof. Pierpaolo Marano, Presidente
della Sezione organizzatrice, che ha parlato su Le pratiche commerciali
scorrette nel mercato assicurativo; dal dott. Angelo Borselli, Ricercatore
nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha trattato Le clausole abusive e vessatorie nei contratti assicurativi.
Sezione Veneto – Trentino Alto Adige
Nelle polizze di r.c. del mercato italiano è costante la presenza del c.d.
“patto di gestione della lite”, attraverso il quale l’assicuratore si riserva, sino a quando ne ha interesse, la gestione sia giudiziale che stragiudiziale della vertenza che lo vede intervenire a sostegno dell’assicurato. Da tale clausola scaturiscono alcune problematiche anche di carattere pratico.
Nell’intento di approfondire i vari aspetti del fenomeno, la Sezione Veneto – Trentino Alto Adige, con il patrocinio del locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, organizzerà a Padova, il 18 luglio 2013, un convegno
sul tema La clausola di gestione della lite nelle polizze assicurative. Obblighi e diritti dell’assicuratore e dell’assicurato.
In programma, dopo l’introduzione a cura del prof. Gianluca Romagnoli, Presidente della Sezione organizzatrice, gli interventi dell’avv. Lo-
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Osservatorio
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renzo Locatelli, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Padova; del dott.
Pierfrancesco Colaianni, Direttore R.C. Diversi e Rami Elementari di Generali Business Solutions; del dott. Roberto Simone, Magistrato del Tribunale di Venezia.
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