Ministero della Pubblica Istruzione
Scuola Primaria di Boschi Sant’Anna
1861-2011: W L’ITALIA!
BOSCHI SANT’ANNA SI RACCONTA…
Progetto didattico per il 150° Anniversario dell’Unità Nazionale
Dell‟UNITÀ d‟ITALIA
Le origini di Boschi Sant’Anna
Indice
L‟occasione dei 150 anni d‟unità nazionale
Prefazione
Origini
Alcune note di rilevanza storica
Territorio e caratteristiche
Dominazioni storiche
Famiglia Donà delle Rose
Costruzione chiesa e campanile
Palazzo Rosso
Dentro la storia di Boschi Sant‟Anna: il gemellaggio
Edifici scolastici
La scuola di ieri e la scuola di oggi
Feste e tradizioni
Giochi di un tempo
Aspetti di vita: ieri e oggi (Scuola, Lavoro, Mondo agricolo e artigianale, Giochi e Svaghi,
Alimentazione, Mezzi di trasporto)
Calamità, carestie ed emigrazioni
Furto della Madonna
Stemma del Comune
Evoluzione demografica nel corso degli anni
Alcuni personaggi di Boschi: intervista al Sindaco Passarini Vincenzino e all‟insegnante Trentin
Giovanna
Uno sguardo al presente :
oggi, 17 marzo 2011, festeggiamo così!
Contributo delle nuove generazioni alla patria:
discorso di Papa Giovanni Paolo II ai giovani
Conclusione
L’occasione dei 150 anni d’unità nazionale
L‟Istituto comprensivo di Minerbe, in considerazione che la celebrazione del 150° anniversario
dell‟Unità d‟Italia rappresenta un‟importante opportunità in quanto occasione per sottolineare
l‟insostituibile ruolo che la scuola ha svolto e continua a svolgere come “collante culturale” del
nostro Paese, ha ritenuto doveroso ed importante dedicare a questa ricorrenza grande attenzione
prevedendo particolari percorsi ed attività didattiche in modo da realizzare un reale coinvolgimento
degli studenti e della comunità oltre che del territorio.
Proprio le scuole, infatti, dopo il 1861, hanno contribuito attivamente all‟effettiva unificazione
dell‟Italia, innanzitutto attraverso la difficile e capillare opera di alfabetizzazione e di diffusione
della lingua italiana.
La scuola è dunque uno dei protagonisti dell‟anniversario e deve quindi promuovere iniziative che
trasmettano agli studenti la consapevolezza del percorso unitario di questo nostro Paese, delle sfide
che ha saputo vincere e di quelle che sarà chiamato ad affrontare in futuro.
In tutto questo i docenti sono maestri; sanno infatti come coinvolgere i ragazzi e mettere a punto
progetti per assicurare alla scuola il ruolo che le compete di diritto: quello di istituzione guida nella
diffusione, nella difesa, nella riaffermazione dei principi e dei valori e dell‟identità italiana.
Motivazioni
Il presente lavoro, elaborato dai docenti e dagli studenti delle varie classi della scuola primaria di
Boschi Sant‟Anna, rappresenta pertanto la sintesi finale delle varie iniziative previste dall‟Istituto
per la celebrazione della ricorrenza dei 150 anni d‟unità nazionale.
A tal fine occorre infatti precisare che l‟occasione dei 150 anni dell‟unità nazionale è importante
non solo per evocare eventi lontani ma anche per riflettere sui cambiamenti che da allora sono
intervenuti. Ci possono essere infatti due modi per ricordare il raggiungimento dell‟unità: il primo
essenzialmente celebrativo, consiste nel rievocare gli eventi attraverso i quali le aspirazioni dei
patrioti conseguirono il risultato atteso; l‟altro nel chiedersi quali processi l‟unità conseguita abbia
favorito e come le condizioni civili, culturali, economiche siano cambiate nel tempo da allora
intercorso. Non che i due punti di vista si escludano l‟un l‟altro, ma certo sarebbe riduttivo quello
centrato solo sulla celebrazione di eventi lontani senza cogliere l‟occasione per riflettere sugli
aspetti di vita di allora e di oggi, su quali e quanti cambiamenti siano intervenuti.
Chi consideri le caratteristiche attuali della popolazione italiana e le ponga a confronto con quelle
che i documenti d‟epoca indicavano come correnti negli anni attorno all‟unità, non può infatti non
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prendere atto che i cambiamenti intervenuti hanno mutato sostanzialmente il profilo sociale,
culturale e fisico degli italiani.
Certo non tutto si deve alla scuola; o meglio non tutto si deve solo alla scuola ma è certo che quanto
oggi appare positivamente trasformato non avrebbe potuto esserlo senza la scuola. La scuola ha
proseguito e perfezionato il disegno unitario del Risorgimento conferendo significato di
cittadinanza all‟uso della lingua e all‟acquisizione della cultura tramandata dalla tradizione.
Un compito centrale della formazione e dell‟educazione diventa, di conseguenza, quello di
apprendere e far apprendere i modi in cui poter vivere in mezzo alle tensioni e alle difficoltà
generate dalle diversità, dentro la singola persona e fra le persone, senza cadere nell‟errore
semplificatorio della ricerca di una sola e unica identità.
Il profilo odierno degli italiani è quello che le politiche seguite in centocinquant’anni di storia
unitaria hanno prodotto.
Del resto il raggiungimento dell’unità nazionale di per sé non risolveva alcuna delle difficoltà che
segnavano la vita quotidiana delle gran parte della popolazione di quel tempo. Semmai disporre di
più ampi riferimenti faceva apparire ancor più gravi i limiti nello sviluppo delle diverse aree del
paese.
In quel contesto risultò evidente che lo sviluppo dell’istruzione avrebbe rappresentato una
condizione centrale per la crescita sociale ed economica del Paese per cui si può dire che nella
trasformazione dell’Italia un ruolo decisamente importate lo ha avuto il sistema scolastico italiano
avviato con l’unità.
Per diffondere l’istruzione elementare furono chiamati ad insegnare maestri improvvisati, la cui
unica competenza spesso era limitata ad una certa familiarità con l’alfabeto. Ma quei maestri
improvvisati erano consapevoli del beneficio che dal loro impegno sarebbe derivato agli allievi.
La scuola sarebbe stata alla base del diffondersi di un nuovo sentire, nel quale il superamento di
una condizione secolare di ignoranza appariva strettamente associato all’affermazione di un’idea
di progresso. Vere anche se troppo spesso ignorate protagoniste del passaggio dall’unità raggiunta
in termini politici ad una unità che fosse riconoscibile per la comunanza dei riferimenti culturali
furono le maestre. Avremo un ricordo ben povero del secolo e mezzo trascorso dal
raggiungimento dell’unità nazionale se non fosse riconosciuto il ruolo determinante assunto da
generazioni di maestre che, a volte mal trattate e mal pagate, non hanno lesinato le loro energie per
diffondere l’istruzione, promuovendo nel contempo nuovi e più razionali stili di comportamento.
Alla crescita della scuola corrispose il diffondersi, nelle diverse classi sociali, della conoscenza
della lingua italiana, prima limitata a poche aree del paese o agli strati favoriti della popolazione
che avevano ricevuto almeno alcuni rudimenti di istruzione.
Fu così ben presto evidente che le scuole sarebbero state uno strumento essenziale di crescita non
solo per ciò che riguardava la diffusione dell’alfabeto, ma anche per modificare le pratiche della
vita quotidiana.
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PREFAZIONE
Le celebrazioni del 150° anniversario dell‟Unità d‟Italia, promosse su tutto il territorio nazionale,
sono un‟importante opportunità educativa. La ricorrenza che abbiamo la fortuna di vivere
rappresenta una data storica rilevante per la comunità di Boschi Sant‟Anna, che deve essere colta
nei suoi molteplici significati soprattutto dalle giovani generazioni.
Le iniziative promosse hanno trasmesso agli alunni la consapevolezza del percorso unitario del
nostro Paese, delle sfide che ha saputo vincere e di quelle che sarà chiamato ad affrontare in futuro.
Le insegnanti li hanno coinvolti nell‟elaborazione delle idee, nella diffusione, nella difesa e nella
riaffermazione dei principi e dei valori dell‟Unità d‟Italia.
Tutto il lavoro del progetto didattico è stato raccolto in questo libretto che vuole essere
testimonianza di un‟esperienza unica nel suo genere e di grande spessore storico qual è
l‟anniversario dei 150 anni della nostra bella nazione !!
La scuola primaria di Boschi Sant’Anna
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Le origini
POSIZIONE E ORIGINI
Al margine sud-orientale della Provincia di Verona, nel breve tratto in cui essa confina con quella di
Padova, esisteva fino a qualche secolo fa un bosco conosciuto come “bosco di Porto” o, secondo
locuzioni latineggianti contenute in documenti tardo-medioevali “nemus Porti” o “nemus magnum
Porti” situato ad est di Porto, toponimo del centro di Legnago posto a sinistra dell‟Adige. Verso la
fine del 1400 il bosco si estendeva su una superficie di quindici chilometri quadrati circa e
comprendeva tutto il territorio che oggi forma il Comune di Boschi Sant‟Anna, che da questa
caratteristica ha preso il nome, ed era riserva di legna per la Repubblica Veneziana.
A testimonianza di ciò, oltre al nome del paese, rimangono quelli della località Boschi San Marco, e
di alcune località circostanti, come Oni, Ronco, che prendono il nome da varietà di piante.
UN COMPLICATO PERIODO STORICO
Il bosco di Porto seguì le vicende di questa località che, a sua volta, fu legata fin dai primordi al
toponimo di Legnago, anche se i suoi abitanti promossero e sostennero ripetutamente l‟autonomia
amministrativa fino a che pervennero alla costituzione di una sola comunità, accordo sanzionato dal
Senato Veneto il 12 dicembre 1582.
E‟, pertanto, verosimilmente supporre che il bosco abbia seguito le vicende di Porto sin dal dominio
longobardo (anno 568).
Il Regno Longobardo cadde, infatti, a seguito della conquista di Verona e di Pavia, avvenute
rispettivamente nel 773 e 774, e l‟instaurazione del Regno dei Franchi, da parte di Carlo Magno,
mentre nella zona più bassa era in corso il consolidamento dei terreni riemersi dopo la già citata
“rotta della Cucca” fatta risalire, come si disse, al 589, ma le cui disastrose conseguenze furono
rimarginate nell‟arco di secoli, in altre parole, fintanto che le acque dell‟Adige non ebbero un nuovo
corso.
Dopo l‟anno 1100 la giurisdizione di Legnago Porto fu assegnata al Vescovo di Verona: il 17
maggio 1145 Papa Eugenio III emanò la bolla “Piae postulatio voluntatis” nella quale confermava
al Vescovo veronese i suoi possessi e giurisdizioni su Porto e Legnago già concessi dagli imperatori
romani, mentre, con atto 3 novembre 1184, l‟Imperatore Federico Barbarossa concedeva ad
Ogniben, Vescovo di Verona, Porto e Legnago ordinando che in dette località non si costruissero
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fortezze di muro, di pietra, non si facesse mercato, non si ponessero consoli o potestà senza il volere
del vescovo medesimo al quale, ed ai suoi successori, concedeva in tutte le corti suddette ogni
giurisdizione e comando di banno, fodro, toloneo, ripatico, erbatico, selve, boschi, cacce,
campagne, acque correnti, alberghi e tutto ciò che spettasse alla dignità regale.
Nel 1217 Norandino, Vescovo di Verona, cedette i suoi diritti alla comunità stessa in cambio della
somma di quindicimila lire veronesi e del diritto di decima sui beni rinunciati, il cui ricavato
sarebbe stato destinato all‟acquisto di terre, ed altro.
Nel 1377 il bosco fu concesso da Antonio I e Bartolomeo II della Scala, figli illegittimi di
Cansignorio e Signori di Verona, alla famiglia Dal Verme. Poi con decreto 2 agosto 1387, fu
dichiarato feudo imperiale di Venceslao IV, eletto Re di Boemia e di Germania, alla morte del padre
Carlo IV, senza mai conseguire l‟investitura da parte dell‟Imperatore.
Dopo una breve appartenenza al Ducato dei Visconti (1390 – 1404), Brunoro ed Antonio II della
Scala, successi al loro padre Guglielmo, assunsero il potere per appena un mese, durante il quale,
con atto 27 aprile 1404, concessero nuovi privilegi ai legnaghesi, fra i quali figurava quello di usare
gratuitamente il legname tagliato nel bosco per riparare il ponte.
Tramontate l‟influenza viscontea e l‟effimera riapparizione degli Scaligeri, un tentativo di
riaffermazione effettuato dai Carraresi, guidati da Francesco III, che però fu sconfitto dai Veneziani,
il 24 giugno 1405, Verona si arrese alle truppe di Venezia, tre mesi più tardi, il 9 settembre 1405,
Legnago seguirà la stessa sorte.
NAPOLEONE E IL REGNO D'ITALIA
Nel 1806, con la pace di Presburgo, Boschi Sant'Anna entrò a far parte del Regno d'Italia
Napoleonico e due anni dopo, il comune perse la propria autonomia, venendo aggregato a Legnago,
già sotto il dominio francese dopo il trattato di Campoformio.
Solo nel 1815 con il Congresso di Vienna, Boschi Sant'Anna riottenne la propria autonomia.
Nel 1928, per ragioni amministrative venne unito al comune di Bevilacqua formando il nuovo
comune di Bevilacqua-Boschi, soppresso nel 1948 e ridiviso nei due vecchi originari comuni.
PASSATO E PRESENTE: VIA BOSCHETTO O BOSCO
All‟ingresso del paese la località “Boschetto” era considerata un piccolo centro. Negli anni ‟50 si
contavano circa una cinquantina di persone. Vi erano famiglie numerose con tanti figli. Si viveva
andando a lavorare nei campi, c‟era tanta miseria, i soldi erano pochi ma c‟era tanta buona volontà e
tutti si aiutavano.
Molti lavoravano al “Palazzo Rosso” una piccola
industria del tabacco: tutto veniva fatto a mano
dalla semina alla raccolta all‟essicazione.
Vi lavoravano uomini, donne e anche giovani.
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In questo piccolo “Bosco” vi erano famiglie di piccoli artigiani:
il barbiere Passarin Toni che faceva barba e capelli, c‟era il sarto Verdolin che insieme alla moglie
confezionavano abiti, il “biciclettaio” Sergio Tombola che aveva un gran lavoro perché una volta
c‟erano poche automobili e si andava in bicicletta, c‟erano poi due calzolai, i Feriani, che mettevano
tacchi, suole e aggiustavano scarpe, c‟era anche una ostetrica (levatrice) la signora Bianca, che era
la cicogna di quei tempi.
C’era la trattoria, salumeria
generi alimentari,
tabaccheria
del signor Morello Lodovico
molto nota e rinomata nel
nel 1937.
e
aperta
In questa foto si vede il
titolare Morello Lodovico,
attorniato dai suoi clienti,
mentre “batte il baccalà”
che poi veniva messo a
bagno e in seguito cotto.
Questo era il pasto dei
poveri.
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Attualmente c’è un bar e tabaccheria
gestito da Agnora Camillo e dalla
moglie Gemma, rilevato nel 1964.
Territorio
Una delle caratteristiche del territorio di Boschi Sant‟Anna è il terreno sabbioso misto a ghiaietta ,
testimonianza di un evento catastrofico avvenuto nel sedicesimo giorno delle calende di novembre
dell‟anno 589 noto come “ La rotta della Cucca”.
Una vera e propria alluvione di proporzioni disastrose “ che da Noè in poi credesi non esservi stato
l‟uguale”. Il nuovo corso del letto dell‟Adige trasformò il territorio e ne ridefinì i confini. Dopo lo
sconvolgimento provocato dall‟Adige, la ripresa della vita organizzata in centri abitati avviene nella
zona gradualmente: Marega risulterebbe citata già nell‟803, Porto di Legnago nel 935…
Queste località sono poste in una vasta zona più bassa nella quale le acque di uno dei rami
dell‟Adige ristagnarono, sviluppandosi spontaneamente un bosco di origine acquitrinosa. In tale
contesto si inserisce il bosco di Porto che, a cavallo del fatidico anno 1000, sta coprendo con alberi
ed arbusti la terra per lungo tempo occupata dalle acque dell‟Adige.
In epoca romana per il territorio di Boschi, allora già parzialmente bonificato, passava una strada
romana, la via Vicinalis, che collegava le attuali Ostiglia ed Este, come testimoniano alcuni reperti
ritrovati nel territorio.
Ai fenomeni di natura alluvionale che sconvolsero l‟assetto dato dai Romani al territorio del quale
ci occupiamo, si accompagnarono invasioni ed avvenimenti tali da rendere incerti i confini delle
terre appartenenti ai comitati di Verona, Vicenza e Monselice.
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Domini
Alla fine del trecento una serie di guerre in terraferma che videro la Serenissima repubblica
prevalere sulle signorie locali, sbaragliando i Carraresi di Padova, gli Scaligeri di Verona, il
Patriarca filo-imperiale di Aquileia e persino i potenti Visconti di Milano.
Con la sottomissione a Venezia dei Veronesi, resa solenne da una fastosa cerimonia svoltasi in
Piazza San Marco il 12 luglio 1405, alla quale fece seguito la dedizione dei Legnaghesi avvenuta il
24 settembre 1405, il territorio sul quale si era sviluppato il bosco, entrava a far parte dei
possedimenti veneziani e vi rimaneva fino alla caduta della Repubblica nel 1797, tranne una
parentesi verificatasi durante la guerra di Cambrai.
E' in questo periodo che già si estinguerà il bosco, a causa proprio della guerra di Cambrai, per i
gravi danni prodotti dagli eserciti contrapposti e dalle impellenti necessità finanziarie che
costrinsero la Repubblica a lottizzarlo e a venderlo a dei patrizi che, in tempi successivi, lo
ridussero a terreno coltivabile.
Famiglia Donà delle Rose
All‟inizio del 1700, l‟intero paese di Boschi Sant‟Anna costituisce un latifondo dei Signori Nobili
Veneziani, i Donà. I Donà delle Rose abbandonarono le proprie origini e le tradizioni marinare a
favore della nascente agricoltura. I conti Donà avevano quel che si dice il “ Timor di Dio”: l
‟abitazione era dotata di regolare cappella gentilizia. La cappella dei Donà da privata diventa di
accesso pubblico, ma i Donà rifiutano di sostenere le spese di manutenzione perché non è più di
loro dominio. A causa di atti vandalici tutti i documenti degli archivi municipali furono distrutti e
si ricomincia a parlare del comune di Boschi Sant‟Anna solo dopo il Congresso di Vienna
(1815).
VILLA DONÀ DELLE ROSE
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Elegante edificio di tre piani situato a fianco della chiesa parrocchiale e del municipio, con una
facciata con un doppio ordine di loggia ed un timpano centrale, sul quale è presente lo stemma
gentilizio della famiglia veneziana dei Donà. Un tempo davanti all'ingresso erano deposte due
colonne che sorreggevano altrettante statue raffiguranti guerrieri.
Alla villa è stato tolto lo spazio antistante (per la creazione della piazza di Boschi Sant'Anna nel
1984).
Costruzione chiesa e campanile
Don Luigi Castellani nel 1852 convoca una riunione dei capi famiglia per ampliare la vecchia
chiesa: ma due ostacoli impediscono la realizzazione di tale ampliamento. Nel pomeriggio, però,
durante un furioso temporale un fulmine toglie uno degli ostacoli, abbattendosi sul precedente
campanile e recando danno anche alla chiesa. Il campanile pericolante per ordine della giunta
comunale viene abbattuto e tra il 1858 e 1864 ne viene costruito uno nuovo alto 35 metri, che viene
inaugurato il 12 febbraio 1865. Il 20 luglio 1880 il vicario vescovo Crosatti, dà facoltà al signor
Rinaldi, che finanzia l‟opera, di aprire una finestra della chiesa presso l‟altare maggiore.
Nel 1885 iniziano i lavori partendo dalla costruzione della vecchia chiesa, già cappella gentilizia
C.ti Donà.
Il lavoro rimane incompiuto fino al 1888, per la morte del valido sostenitore, il signor N. Rinaldi,
deceduto il 20 aprile 1886.
Dopo una rovinosa grandinata che distrugge il tetto subito ripristinato e il ricorso dell‟Ufficiale
sanitario per la mancanza del pavimento, fatto costruire nel 1892 dall‟amministrazione comunale,
nel 1894 viene sostituito il vecchio castello campanario di legno con uno di ferro con l‟aggiunta
della quinta campana. Il 19 marzo 1896, fa il suo solenne ingresso DON ANDREA PERAZZANI,
la sua fama non smentisce le voci che lo hanno preceduto e immediatamente fa costruire l‟Oratorio.
Grazie al suo entusiasmo, riesce a completare tutti i lavori interni ed sterni alla chiesa. Nella nuova
chiesa, in cui è stata incorporata la vecchia, si può notare sui marmi laterali dell‟altare maggiore lo
scolpito del Blasone dei CONTI DONÀ. La chiesa di Sant‟Anna oggi esistente è di stile neo
classico con un portale d‟ingresso centrale di proporzionate dimensioni con stipiti e architrave in
pietra e un sovrastante timpano sostenuto da due mensole e costruita su due ordini.
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CHIESA PARROCCHIALE DI SANT'ANNA
L'attuale chiesa parrocchiale di Sant'Anna risale al 1885, anno in cui inizia la costruzione in
sostituzione di un altro edificio religioso preesistente, la cappella privata dei conti Dona' delle Rose.
Realizzata in stile neoclassico, la facciata, di altezza massima 17 metri per una larghezza di 15,20, è
composta da due ordini. La parte bassa è divisa in tre campi separate da paraste contrapposte tra
loro che sorreggono un capitello. Nella parte centrale è presente il portale arricchito di stipiti e
architrave in pietra e sopra di esso vi è un timpano sorretto da due mensole. Nella parte alta, il
secondo ordine, compaiono pochi elementi. A decorarla compare una cornice a semicerchio avente
lo spazio interno pieno, affiancato a destra e a sinistra da due nicchie scavate nella facciata, tutto
sovrastato da un elegante trabeazione.
Nella nuova chiesa parrocchiale, essendo stata costruita incorporando la vecchia, si può ancor oggi
notare sui marmi laterali dell‟Altar Maggiore lo scolpito del Blasone dei Conti Donà. E' conservata
un‟artistica “croce astile” in argento del secolo XVII. Di fronte, sono raffigurati il Crocefisso e i
quattro evangelisti, sul retro il Cristo, la Madonna, S. Giustina e S. Nicolò di Bari.
All'interno è conservata pure una pittura di fattura pregevole con reminescenze Dorigny, del
Pasqualotto; un‟immagine ad olio su tela centinata, esemplata sulla “ crocifissione “ di Guido Reni
in S. Lorenzo in Lucina, donata da Mons. Giovanni Battista Peloso. Al centro è raffigurato il Cristo
con bianco perizoma, a destra, la Maddalena in bianco lilla e giallo chiaro che abbraccia la croce,
mentre la Vergine seduta ai piedi della croce è assistita da Giovanni, sullo sfondo della tela, un‟altra
pia donna in piedi, nell‟atto di aprire le braccia. Fondo oscuro sopra un tramonto rossastro
all‟orizzonte. Anche il campanile ha sostituito quello precedente, caduto per causa di un fulmine nel
1852 e alto 25 metri. I lavori per la realizzazione della nuova torre campanaria durarono dal 1858 al
1864 e alla fine dell'opera risultò essere alto 35 metri la cella campanaria riuscì a contenere 4
campane (5 nel 1894).
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CHIESA PARROCCHIALE DI SAN MARCO
Anche la chiesa di San Marco Evangelista sostituì una preesistente cappella, con lavori di
ampliamento che iniziarono nel 1892. Solo nel 1969 fu realizzata l'attuale facciata, formata da due
ordini sovrastati da un timpano che sorregge due statue (dedicate a San Marco e a Santa Giustina).
Sopra il portale è appeso un bassorilievo raffigurante il Leone di San Marco simbolo della
Serenissima Repubblica di Venezia. Un altro bassorilievo è presente nel secondo ordine e
rappresenta Il ritorno del figliol prodigo. All'interno troviamo la classica pala dell‟altar maggiore
giudicata della Scuola Veneta. Ha dipinto un busto con le mani giunte rivolto verso l‟immagine di
S. Marco e che rappresentava il Signor Nicolò Bernardo Garzoni, Vicario all'epoca della confermata
Giurisdizione, 1647.
La torre campanaria risale al XV secolo anche se ha subito numerose modifiche, l'ultima nel corso
del 2008 quando fu riposizionata la cuspide caduta qualche anno prima.
Piazza San Marco nel 1956
In questa foto si vede la piazza di Boschi San Marco con un gruppo di adulti e bambini. Si intravede
la chiesa, il campanile, uno scorcio del palazzo ora di proprietà della famiglia Rossin di Minerbe.
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Il negozio di generi alimentari
con la vetrina dove sono esposti i prodotti
Altra veduta della piazza con la
pompa dell‟acqua e, dove sono
sedute le signore, la macina del
mulino che negli anni novanta il
parroco fece mettere in chiesa
come altare.
CHIESA PARROCCHIALE DI SANTA GIUSTINA ( ONI )
La chiesetta di S. Giustina, esistita presso la strada omonima alla Cortazza, è da ritenersi eretta dai
Padovani, successi agli Scaligeri dopo la battaglia di Castagnaro avvenuta l‟anno 1387.
A memoria del Curato don Luigi Soave, precisamente a metà del muro di ponente, della chiesa,
un'allegorica figura, di celebre pittore, ignorantemente raschiata e distrutta dai muratori, indicava la
data dell'erezione del territorio a feudo imperiale (anno 1387). L‟attuale chiesa di S. Giustina nella
contrada Oni, è stata qui eretta nell‟anno 1920 dal M. R. Don Andrea Perazzani parroco di Boschi
S. Anna, dopo la demolizione della sopra citata chiesetta.
Oni in passato facente parte del territorio della parrocchia di Boschi S. Anna, nel 1922 avvenne il
passaggio alla parrocchia di S. Marco dei Boschi.
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Il palazzo Rosso
All‟ingresso del paese, in località Boschetto, il Palazzo Rosso domina la campagna: fu la seconda
abitazione dei conti Donà dalle Rose.
Una costruzione del XVIII secolo. Fino a qualche anno fa nella chiesetta interna , il 16 agosto era
festeggiato S. ROCCO.
Nella notte di mercoledì 28 aprile 1993 dei ladri sono entrati forzando il cancelletto e portando via
la statua di gesso di S. Rocco.
Vi è un‟ampia corte quadrangolare con “ Colombaia” circondata da costruzioni che servivano al
ricovero degli animali e a riparare gli attrezzi agricoli.
Poi i nuovi proprietari Dalla Francesca usarono la corte per l‟essicazione e la lavorazione del
tabacco.
Gli eredi vendettero la proprietà ora in stato d‟abbandono.
PALAZZO ROSSO E CHIESA DI SAN NICOLA
Imponente edificio situato all'entrata del paese provenendo da Legnago, attualmente in condizioni
fatiscenti, risale al XVIII secolo e costituiva nel passato la seconda abitazione dei conti Dona' delle
Rose. La struttura è formata dal palazzo nobiliare, dalla piccola chiesetta dedicata a San Nicola e da
altre costruzioni.
La casa patronale rispecchia la struttura dell'antica casa veneta, con al piano terra da un ampio
salone con le stanze disposte lateralmente, così come il primo piano, il cosiddetto "nobiliare". La
corte adiacente al palazzo è molto ampia e di forma quadrangolare, circondata da costruzioni che
servivano da ricovero per animali e attrezzi, su cui spicca l'imponente torre colombaia.
La cappella si trova invece tra la casa padronale ed un altro edificio, è molto sobria e presenta un
timpano triangolare e una vetrata a volta, mentre il piccolo portale d'accesso è sovrastato da un altro
piccolo timpano. All'interno è presente un altare e sopre di questo, è impressa l'immagine del Padre
Eterno mentre pronuncia le parole compaia la terra!, che alludono al disboscamento di questi
luoghi; fino al 1933 all'interno dell'edificio sacro era presente una statua raffigurante San Rocco che
veniva festeggiato il 16 agosto per una scampata pestilenza di qualche secolo fa.
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DENTRO LA STORIA DI BOSCHI SANT’ANNA: IL GEMELLAGGIO
Dal 6 Maggio 2008, un evento di rilevante importanza segna la storia dei primi 150 dell‟Italia e in
particolare di Boschi Sant‟Anna: il GEMELLAGGIO.
Il comune di Boschi Sant'Anna è gemellato con Choni Repubblica di Georgia
Noi sindaci,
liberamente eletti dai nostri cittadini, nel pieno rispetto degli ordinamenti e delle legislazioni vigenti
nei rispettivi Paesi, nonché degli obblighi internazionali e di quelli che derivano dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione Europea; certi di rispondere alle profonde aspirazioni e alle reali necessità delle
popolazioni con le quali abbiamo relazioni quotidiane e di cui dobbiamo essere responsabilmente
interpreti, in questo giorno prendiamo solenne impegno di suscitare e mantenere relazioni
permanenti non solo tra le nostre amministrazioni, ma anche e soprattutto tra le nostre rispettive
popolazioni, al fin di assicurare una migliore comprensione reciproca, una cooperazione efficace, e
quindi un vicendevole aiuto nell'affrontare i problemi amministrativi, economici, sociali e culturali,
sviluppando la solidarietà e la partecipazione di tutti coloro che vivono e operano nelle nostre
comunità di congiungere i nostri sforzi per raggiungere nella piena misura dei nostri mezzi il
successo di questa collaborazione.
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La Georgia (georgiano საქართველოს რესპუბლიკა, Sakartvelo Respublika), è uno stato
transcaucasico, ad est del Mar Nero, situato sulla linea di demarcazione che separa l'Europa
dall'Asia. Già repubblica dell'Unione Sovietica, confina a nord con la Russia, a sud con la Turchia e
l'Armenia, a est con l'Azerbaigian e a ovest col Mar Nero. Ha una popolazione di 4.989.000 abitanti
con capitale Tbilisi. È una repubblica democratica semipresidenziale, con il Presidente della
Repubblica come capo di stato e il Primo Ministro come capo del governo.
Dal punto di vista storico-culturale la Georgia è considerato il paese europeo più controverso e lo è
anche da un punto di vista geografico. Considerando la depressione del Kuma-Manych come
confine tra Europa ed Asia, tutto il territorio della Georgia ricadrebbe infatti nel continente asiatico,
mentre nel caso si ponga tale confine lungo lo spartiacque caucasico oppure sulla linea dei fiumi
Kura e Rioni, allora parte del territorio georgiano ricadrebbe anche in Europa.
Situata nel Caucaso meridionale, bagnata ad ovest dal Mar Nero lungo una costa di 310 km, ha un
territorio prevalentemente montuoso, dominato dalla catena del Caucaso.
La gamma di paesaggi della Georgia occidentale va dalle foreste basse e paludose a quelle pluviali
temperate fino alle nevi e ai ghiacciai eterni, mentre la parte orientale del paese contiene anche un
piccolo segmento di piano semiarido caratteristico dell'Asia centrale. Le foreste coprono il 40% del
territorio della Georgia mentre le zone alpine e subalpine contano per il 10%.
Buona parte dell'habitat naturale delle zone basse della Georgia occidentale è scomparso negli
ultimi cento anni, per via dello sviluppo agricolo
I georgiani (inclusi mingreli, svani, laz e agiari) sono attorno all'83,8% dell'attuale popolazione
della Georgia che conta 4.661.473 individui (luglio 2006). I principali gruppi etnici includono azeri,
che sono il 6,5% della popolazione, armeni - 5,7%, russi - 1.5%, abcasi, e osseti. Anche altri
numerosi piccoli gruppi etnici vivono nel paese inclusi assiri, ceceni, cinesi, ebrei georgiani, greci,
kabardi, curdi, tatari, turchi e ucraini. In particolare, la comunità ebraica georgiana è una delle più
vecchie del mondo.
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Edifici scolastici
In via Olmo nell‟anno 1905 si dà il via alla costruzione del fabbricato scolastico e alla sede
municipale, in via Caseggiato.
Per DON ANDREA PERAZZANI il punto centrale del suo ministero parrocchiale era la famiglia,
in particolare le loro piccole creature. Infatti, senza tanti ripensamenti, scelse l‟antica stalla per
l‟istituzione di un asilo infantile parrocchiale.
Assegnò alle due prime maestre d‟asilo: le nipoti, Lisetta e Gemma Perazzani, il compito di
cominciare la realtà del sogno che era stata l‟iniziativa del novello parroco. Questa fu la sede storica
dell‟asilo di Sant‟Anna, che dopo varie vicissitudini fu collocata nella sede attuale. Al
pensionamento delle due anziane maestre ( Maria Verdolin subentrata a Gemma Perazzani), si
impose la necessità di assumere nuove insegnanti. A questo punto la parrocchia non poteva più
sostenere le nuove spese. Il parroco chiese ed ottenne dall‟amministrazione comunale di assumersi
la parte più notevole delle spese. Dal 1983, l‟asilo divenne comunale e nel 1986 divenne ente
statale.
CENNI STORICI SULLA SCUOLA PRIMARIA DI BOSCHI SANT’ANNA
La costruzione e l‟apertura dell‟edificio scolastico risale al 1905. La scuola era il primo passo della
ritrovata democrazia, più che un risveglio culturale del mondo contadino.
L‟obbligo di andare a scuola (inizialmente fino alla terza, poi fino alla quarta elementare quindi
dopo il 1936 la necessità imposta dalla legge di acquisire il “certificato di quinta”), non aveva
cancellato e neppure scalfito la “contadinità”, quel particolare legame alla terra che alimentava
“l‟altra cultura” tramandata oralmente da una generazione all‟altra.
L‟edificio scolastico era un fabbricato ad un solo piano, comprendente tre sole aule ed alcuni
gabinetti di decenza che serviva il Capoluogo e la frazione di San Marco.
Dal 1953 al 1970 c‟era anche l‟edificio scolastico nella frazione di Oni.
Questo fino al 1958 quando da una relazione tecnico-illustrativa, il Comune chiede un contributo
statale per la costruzione di due piccoli edifici scolastici per il Capoluogo e la frazione di San
Marco.
La scuola era sotto la Direzione Didattica di Villabartolomea.
Nella relazione si sottolinea il fatto che l‟edificio scolastico “….va dimostrandosi sempre più
insufficiente alle aumentate necessità della popolazione scolastica che ad esso attualmente deve far
capo”.
Inoltre “…. si tenga presente che l‟attuale fabbricato deve servire all‟istruzione di circa 150 alunni
delle cinque classi elementari, con la necessità quindi di dover ricorrere a turni d‟insegnamento che
si protraggono per alcune classi, nelle ore pomeridiane, con conseguente grave disagio per
insegnanti ed alunni”.
16
STATISTICA del 01/10/1958
Dopo alcune valutazioni da parte degli organi competenti e dai contributi ottenuti, nel 1960 il
Comune di Boschi Sant‟Anna decide di sistemare e ampliare l‟edificio scolastico della frazione di
San Marco con il ricavo di quattro aule al posto delle tre attuali, mediante il ridimensionamento
delle stesse, e l‟ampliamento dell‟edificio stesso con il ricavo di ulteriori due aule mediante la
costruzione di un corpo di fabbrica sul lato destro.
Mentre vengono eseguiti i lavori, per le attività scolastiche vengono utilizzati alcuni locali adiacenti
la canonica di San Marco.
Nel giro di poco tempo vengono eseguiti i lavori e la scuola riprende la sua normale attività.
E‟ in questi anni che viene intitolata a “Cesare Battisti”, patriota trentino che durante la prima
guerra mondiale si arruolò volontario nell‟esercito italiano. Catturato dagli austriaci, fu condannato
a morte per alto tradimento.
Durante tutti questi anni sono stati eseguiti regolari lavori di manutenzione per renderla sempre più
conforme alle norme di sicurezza.
17
LA SCUOLA DI IERI
Un tempo, il capoluogo e la frazione potevano contare su due asili distinti che in seguito, per
esigenze gestionali e la carenza di iscritti, vennero unificati nell‟attuale scuola materna di via Olmo.
In questa foto, scattata nel 1936, nelle prime file c‟è un gruppo di bambini dell‟asilo di San Marco
ospitato all‟epoca accanto alla canonica, alle loro spalle ci sono gli studenti delle elementari mentre
sulla destra è ritratto il parroco del tempo, don Angelo Fasoli.
In questa foto il “Maestro Nalin Pietro detto Scatta” con un gruppo di alunni di Oni.
Si racconta che questo maestro non si separava mai dalla sua bicicletta: tre giri di pedale e poi si
fermava; altri tre scatti in avanti in sella alla sua vecchia Bianchi e poi riprendeva fiato. Che si
recasse da insegnare ad Oni, dove ha educato intere generazioni di studenti, o che facesse tappa al
bar dell‟Angelina Brama in piazza San Marco, Pietro Nalin rimaneva fedele a quel rituale. Sempre a
fianco dell‟inseparabile cane Rodi e fasciato nei caratteristici gambali che tradivano un‟inossidabile
fede fascista.
18
LA SCUOLA AL TEMPO DEI NONNI
1924-1950
Quando i nostri nonni erano bambini, andavano a scuola a piedi anche se l‟edificio era molto
distante dalla loro casa. Molti, per non rovinare le scarpe, le tenevano in mano e se le infilavano
prima di entrare dal cancello. D'inverno, chi arrivava prima degli altri, accendeva la stufa. A turno, i
nostri nonni portavano i pezzi della legna per riscaldarsi. Le classi erano numerose: di soli maschi,
di sole femmine oppure miste. Le maestre o i maestri erano severissimi, sempre con il righello sulle
mani. Per punizione gli insegnanti facevano inginocchiare i bambini cattivi dietro la lavagna con i
chicchi di granoturco sotto le ginocchia. Tutte le mattine la maestra faceva l'ispezione di pulizia agli
alunni: osservava le unghie, le orecchie, il collo...e, se sporchi, erano guai!!! I maestri di una volta
erano molto severi, spesso usavano maniere brusche. Gli allievi dovevano portare rispetto e
rivolgersi usando la forma di cortesia "Lei". Prima di iniziare la lezione si recitava la preghiera
guardando il Crocifisso che si trovava sempre in alto, dietro la cattedra. Quando entrava il Direttore
o l'insegnante, tutti gli alunni si alzavano in piedi e dicevano: “Buongiorno!”. I nostri nonni
avevano poche cose nella cartella fatta di pezza o di cartone: un quaderno, un libro, un astuccio di
legno con la matita, la gomma, il cannello con il pennino e una boccetta d'inchiostro. A scuola
c'erano lezioni di calligrafia.
.
19
I banchi erano robusti, di legno, a due posti, con il sedile e il piano di appoggio tutto di un pezzo. Il
piano di appoggio era inclinato per favorire una corretta posizione della colonna vertebrale. La
scuola durava fino alle ore 13, poi si tornava a casa, sempre a piedi naturalmente. Nel pomeriggio si
dovevano eseguire i compiti per il giorno seguente, ma prima si aiutavano i genitori nei lavori
della campagna, in casa e si guardavano i fratelli più piccoli......Spesse volte ci si riduceva a fare i
compiti a notte, alla fioca luce del lume a petrolio e bisognava stare molto attenti a non far cadere le
macchie d'inchiostro sul quaderno! Le uscite si facevano rarissimamente: l'unica gita era la
passeggiata scolastica di fine anno. Il maestro era un personaggio importante per la gente del paese.
20
LA SCUOLA PRIMARIA DI BOSCHI SANT’ANNA… OGGI
L‟edificio che ospita la scuola primaria del Comune di Boschi Sant‟Anna si trova nella frazione di
San Marco. La sua costruzione risale al 1905, ma negli anni 60 è stata ristrutturata e ampliata. Nello
stesso periodo è stata intitolata a Cesare Battisti, patriota trentino che, durante la Prima Guerra
Mondiale, si arruolò volontario nell‟esercito italiano; catturato dagli Austriaci, fu condannato a
morte per alto tradimento. Da segnalare anche l‟esistenza di una piccola scuola nella frazione di Oni
dal 1953 al 1970.
Attualmente ospita 5 classi per un totale di 67 alunni così distribuiti:
CLASSE
1
2
3
4
5
N° ALUNNI
14
15
11
16
11
Gli alunni stranieri sono 4, ovvero circa il 6%.
Nella scuola operano 12 docenti di cui 1 insegnante specialista di inglese, 2 insegnante di religione
cattolica e 2 insegnante di sostegno.
L‟utenza risulta essere così caratterizzata:
 per quanto riguarda l‟età anagrafica dei genitori, circa il 92% dei padri e il 98% delle madri
hanno un‟età compresa tra i 31 e i 50 anni, più precisamente:
Età anagrafica delle madri
Età anagrafica dei padri
70,00%
60,00%
50,00%
40,00%
30,00%
20,00%
10,00%
0,00%
70.00%
60.00%
50.00%
40.00%
30.00%
20.00%
10.00%
0.00%
da 20 a da 31 a da 41 a da 51 a
30 anni 40 anni 50 anni 60 anni
da 20 a da 31 a da 41 a da 51 a
30 anni 40 anni 50 anni 60 anni
 circa il 9% dei genitori degli alunni sono nati all‟estero (il 6% circa in Marocco);
 all‟interno dei nuclei familiari troviamo un unico figlio nel 27% dei casi, due figli nel 52%,
più di due figli nel 21% delle famiglie;
 per quanto riguarda l‟occupazione lavorativa dei genitori si segnala la seguente distribuzione:
21
PROFESSIONI DEI PADRI
Operaio
17,19%
Artigiano
12,50%
Agricoltore
10,94%
Impiegato
9,37%
Autotrasportatore
4,69%
Imprenditore
4,69%
Muratore
4,69%
Altro (collaboratore
35,93%
scol., magazziniere…)
PROFESSIONI DELLE MADRI
Casalinga
37,88%
Operaia
19,70%
Impiegata
10,60%
Artigiana
7,58%
Collaboratore scol.
4,54%
Altro (commessa,
19,70%
infermiera…)
 infine la scolarità vede i genitori degli alunni così distribuiti in base al titolo di studio
conseguito:
TITOLO DI STUDIO DEI PADRI
Licenza media
53,12%
Diploma
15,63%
Laurea
7,81%
Qualifica professionale
6,25%
Altro (perito,
4,82%
ragioneria…)
17,19%
TITOLO DI STUDIO DELLE MADRI
Licenza media
39,40%
Diploma
25,76%
Segretaria d’azienda
7,58%
Ragioneria
4,54%
Qualifica professionale
4,54%
Altro (operatore ass.le,
18,18%
addetto servizi alber…)
ANDAMENTO DEMOGRAFICO
anno
scolastico
1924/25
1925/26
1926/27
1927/28
1928/29
1929/30
1930/31
1931/32
1932/33
1933/34
1934/35
1935/36
1936/37
1937/38
1938/39
1939/40
1940/41
1941/42
1942/43
1943/44
1944/45
Boschi S.
Anna
n. cl.
n.
al.
Oni
n. cl.
Totale
n.
al.
n.
cl.
n.
al.
2P
2P
2P
2P
70
65
65
71
2
2
2
2
70
65
65
71
1
60
1
60
1
2
2
2
3P
3P
4P
3
24
94
102
86
137
128
155
116
1
2
2
2
3
3
4
4
24
94
102
86
137
128
155
149
1P
33
22
1945/46
1946/47
1947/48
1948/49
1949/50
1950/51
1951/52
1952/53
1953/54
1954/55
1955/56
1956/57
1957/58
1958/59
1959/60
1960/61
1961/62
1962/63
1963/64
1964/65
1965/66
1966/67
1967/68
1968/69
anno
scolastico
1969/70
1970/71
1971/72
1972/73
1973/74
1974/75
1975/76
1976/77
1977/78
1978/79
1979/80
1980/81
1981/82
1982/83
1983/84
1984/85
1985/86
1986/87
1987/88
1988/89
1989/90
1990/91
4P
4
6
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
186
166
210
192
179
182
159
139
126
120
110
119
117
114
123
120
116
118
131
119
120
118
122
119
Boschi
Sant’Anna
n. cl.
n.
al.
5
112
5
119
5
108
5
106
5
101
5
97
5
104
5
92
5
82
5
84
5
87
5
81
5
83
5
84
6
97
6
95
6
88
7
82
7
76
7
74
6
60
6
63
1P
1P
1P
1P
1P
1P
1P
1P
41
42
43
42
35
29
23
19
1P
1P
17
11
Oni
n. cl.
5
5
7
6
6
6
6
6
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
6
6
n.
al.
23
227
208
253
234
214
211
182
158
126
120
110
119
117
114
123
120
116
118
131
119
120
118
139
130
Totale
n.
cl.
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
5
6
6
6
7
7
7
6
6
n.
al.
112
119
108
106
101
97
104
92
82
84
87
81
83
84
97
95
88
82
76
74
60
63
1991/92
1992/93
1993/94
1994/95
1995/96
1996/97
1997/98
1998/99
1999/00
2000/01
2001/02
2002/03
2003/04
2004/05
2005/06
2006/07
2007/08
2008/09
2009/10
Note:
6
6
5
5
5
5
5
5
4
4
4
4
4
5
5
5
5
5
5
60
67
62
86
81
77
81
76
59
55
52
50
44
61
60
60
59
60
63
6
6
5
5
5
5
5
5
4
4
4
4
4
5
5
5
5
5
5
P
60
67
62
86
81
77
81
76
59
55
52
50
44
61
60
60
59
60
63
indica la presenza di pluriclasse;
i dati riportati sono stati desunti dai documenti (registri di classe e rilevazioni statistiche)
presenti in archivio
Dall‟analisi dei dati riportati emergono alcune osservazioni:
 la rilevazione che anche negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, la quasi totalità
dei ragazzi ha frequentato la scuola;
 un incremento della popolazione scolastica negli anni „50/‟60;
 la continua diminuzione del numero delle classi e degli alunni a partire dagli anni „80;
 una variazione delle scuole aggregate e dipendenti dalla Direzione Didattica di Minerbe.
Passando ad esaminare il primo punto, si rileva che nonostante siano andati perduti alcuni registri di
classe, si può tranquillamente affermare che la quasi totalità dei ragazzi dei comuni dell‟Istituto
Comprensivo frequenta la scuola con esiti positivi sul piano dell‟alfabetizzazione.
Negli anni della Guerra si nota un calo della frequenza scolastica. Ciò è dovuto sicuramente
alla situazione di disagio del periodo, oltre al fatto che manca una parte dei documenti.
Nel dopoguerra, la ripresa sociale si rispecchia anche nell‟incremento della popolazione
scolastica: si vede infatti, tra gli anni „50 e „70, un incremento demografico, conseguenza
dell‟aumento della natalità e della ripresa economica.
Negli anni più recenti, a partire dall‟anno 80, con il nuovo stile di vita orientato a
raggiungere sempre un maggior benessere, inizia a verificarsi un calo demografico degli alunni e, di
conseguenza, di numero delle classi abbastanza significativo che ha portato a chiudere le scuole
delle frazioni dei vari comuni, fino ad arrivare all‟attuale situazione.
Quale riscontro trasversale comune a tutte le scuole dell‟Istituto analizzate, si nota che
nell‟anno scolastico 1925/26, quando le condizioni di vita non erano, per la maggioranza della
popolazione, così agiate da poter permettersi di mandare tutti i figli a scuola e, come spesso hanno
raccontato i nonni, a volte i ragazzi non potevano frequentare la scuola “… perché dovevo andare in
campagna a raccogliere … le mele … l‟uva o a zappare…”, mentre le ragazze dovevano rimanere a
casa “per accudire i fratelli più piccoli”, gli alunni iscritti erano 302 mentre nel 2009/10 sono
appena 186. A questo punto non si può non notare, inoltre, che mentre i 186 alunni rappresentano il
100% dei ragazzi in età scolastica che frequentano la scuola, i 302 dell‟anno 25/26 probabilmente
non rappresentano tale totalità.
24
Attualmente, il servizio scolastico erogato dall‟Istituto Comprensivo di Minerbe interessa cinque
comuni: Bevilacqua, Bonavigo, Boschi S. Anna, Minerbe e Roverchiara.
La scuola elementare di Minerbe, a partire dall‟anno scolastico 1959/60, diventa sede autonoma e
non più dipendente dalla Direzione Didattica di Legnago e della nuova Direzione fanno parte tutte
le scuole elementari dei comuni sopra descritti. A partire dall‟anno scolastico 1964/65 e fino
all‟anno 1994/95, però, le scuole elementari di Roverchiara, Roverchiaretta e Beazzane non faranno
più parte della Direzione di Minerbe, mentre si ha la presenza della scuola di Angiari dal 1978/80 al
1993/94. Dall‟anno scolastico 1999/2000 la Direzione Didattica diventa Istituto Comprensivo di
Minerbe, costituito da due scuole dell‟Infanzia statali (Bevilacqua e Boschi Sant‟Anna), cinque
scuole primarie (Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant‟Anna, Roverchiara e Minerbe) e due scuole
secondarie di primo grado (Roverchiara e Minerbe).
MAESTRI DELLE SCUOLE DEL COMUNE DI BOSCHI SANT’ANNA
Plesso di Boschi Sant’Anna
Gli insegnanti
Pizzocoli Adele
Tobaldini Amabile
Pepoli Maria
Sandrini Maria
Giunta Annunciata
Muratori Anna
Frisoni Angelo
Bozzola Giulio
Cantiero Siderata
Grigolo Bruna
Schiavo Argia
Mutto Ruggero
Cassandrini Fausta
Pesenato Dal Maso Matilde
Moroni Sessa Valeria
Soave Maria
Pepoli Edda
Bettini Clarice Maria
Salgarello Bianca
Pericoli Redami Rachele
Gianello Dina
Bolognese Michele Maria
Marini Claudia
Zordan Giovanna
Landi Silvana
Moro Gianni
Di Girolamo Maria Pia
Piona Edda
Formigaro Bietresato Giovanna
Simonato Egle
Marchi Silvana
Perini Sganzerla Edda
Gli anni in cui insegnano
Il 1928/29; il 1931/32; dal 1937/38 al 1948/49
Il 1929/30
Il 1930/31
Il 1933/34; il 1937/38; il 1938/39; dal 1940/41 al 1947/48
Dal 1939/40 al 1949/50
Il 1942/43
Il 1945/46; il 1947/48
Il 1946/47; il 1949/50
Dal 1947/48 al 1955/56
Il 1947/48
Il 1948/49
Il 1948/49
Il 1949/50
Dal 1949/50 al 1952/53
Dal 1950/51 al 1958/59
Il 1950/51
Il 1950/51
Il 1951/52
Dal 1951/52 al 1957/58
Il 1952/53
Dal 1953/54 al 1954/55
Il 1953/54
Il 1954/55
Dal 1955/56 al 1959/60
Il 1955/56
Il 1956/57; dal 1958/59 al 1959/60
Il 1957/58
Il 1957/58
Il 1958/59
Dal 1958/59 al 1959/60
Il 1959/60
Il 1959/60
25
Plesso di Oni
Gli insegnanti
Donini Giacomina
Da Re Rino
Nalin Pietro
Saoncella Delfina
Polo Mirka
Gli anni in cui insegnano
Il 1943/44
Il 1945/46
Dal 1946/47 al 1952/53
Dal 1957/58 al 1958/59
Il 1959/60
Il prospetto permette di conoscere i nomi degli insegnanti che hanno preso servizio nelle scuole
elementari dei vari comuni dell‟Istituto Comprensivo. Sono stati presi in esame i registri di classe
depositati in archivio: gli anni scolastici esaminati sono quelli compresi tra il 1925/26 e il 1959/60.
La documentazione risulta incompleta: di alcuni anni scolastici mancano infatti una parte dei
registri delle varie scuole, ma nonostante ciò emerge un quadro significativo della situazione.
Il primo dato che risulta evidente è che mentre per la scuola del capoluogo si registra la presenza di
una certa stabilità dei docenti, nelle frazioni si rileva un passaggio continuo di insegnanti.
Un altro dato degno di nota risulta essere la presenza della componente maschile fra i docenti; i vari
registri presi in esame portano a rilevare già dagli anni 20 il cosiddetto fenomeno della
“femminilizzazione dell‟insegnamento”. Basti considerare che nell‟anno scolastico in corso, su un
totale di 62 insegnanti di scuola primaria, i docenti maschi sono 3.
Il rapporto tra scuola e donna è stato, ed è, da sempre, intenso e complesso, fatto di retorica ("la
donna e la sua missione", "nella maestra c'é sempre un po‟ della mamma", come si legge nel
Dizionario di Pedagogia della Credaro) e, a volte di incomprensioni.
Al momento in cui il neonato Regno d‟Italia prese in carico il problema dell‟istruzione, i governi
realizzarono subito (Santoni Rugio,“Orientamenti didattici, ecc", La Nuova Italia, 1981) che
affidare l‟insegnamento alle donne sarebbe stato un affare:
- la donna offriva maggiori garanzie in politica (in genere non se ne occupava, anche perché esclusa
dal voto);
- provenendo da famiglie indigenti era adusa a lavorare duro in famiglia e nei campi;
- non era facile preda dell‟alcoo1ismo;
- non aveva smanie carrieristiche; e soprattutto costava meno degl‟insegnanti maschi (non per
niente i direttori degli orfanotrofi e dei ricoveri per le fanciulle povere furono incoraggiati a far
studiare le loro ospiti e avviarle all‟insegnamento.
Le donne non si fecero attendere. In una società che proibiva loro di uscire di casa per lavorare; che
l‟allevava per il matrimonio e per dare figli al padre contadino e soldati alla Patria, che le negava il
voto e spesso anche la minima alfabetizzazione, si vide aperte le porte della scuola come insegnante
e, ovviamente, prima ancora come scolara. Infatti, bastavano appena sette anni, quattro/cinque di
elementari e tre di scuola normale e, a poco più (o meno) di I5 anni, si poteva insegnare.
Nel 1867 insegnavano nelle scuole elementari comunali (le uniche pubbliche) maestre anche di 14
anni.
La prospettiva dell‟insegnamento ebbe, dunque, un ruolo determinante nella liberazione della donna
dalla chiusura familiare e dalla dipendenza economica.
La donna però diventò la colonna portante della scuola della Nuova Italia per molto poco e per di
più pagata meno dei maestri maschi .
Nonostante tutto, 1‟espansione dell‟elemento femminile aveva raggiunto in breve anche la scuola
secondaria, come sin dal 1902 aveva annotato il pedagogista Vittore Ravà in uno dei suoi Rapporti
al Ministero: su 26 mila alunne delle scuole secondarie circa 1500 puntavano con quasi certezza
all‟insegnamento secondario.
Dovette giungere la sanguinosa I Guerra mondiale perché per via surrettizia, si cominciasse a
rendere giustizia alle donne: per la mancanza di maestri, chiamati al fronte, si dovettero moltiplicare
le classi miste e le maestre furono ammesse ad insegnare prima in queste e poi addirittura nelle
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classi maschili, assorbendone il trattamento economico corrispondente, prima fissato per i soli
maschi.
Il ruolo della maestra, in Italia, fu, ancora, dopo l‟Unità e per molti anni, quello dell‟educatrice e
dell‟operatrice sociale. Alla scuola pubblica, infatti, andavano quasi totalmente le fanciulle delle
famiglie che avevano appena superato la soglia della povertà e di quelle appartenenti al ceto bassocommerciale e basso-impiegatizio.
Le altre fanciulle erano affidate all‟insegnamento nei collegi.
A lungo fu vietata alle donne la carriera direttiva nelle scuole secondarie e quella ispettiva nelle
scuole elementari
La riforma Gentile (1923-24) inoltre non prevede per la donna l‟insegnamento della Filosofia e
della Storia e dell‟Economia politica, considerate discipline "virili".
Da quel momento le donne saranno escluse di fatto dalla presidenza nelle scuole secondarie,
consuetudine che sarà consolidata per legge nel 1928
I divieti posto dal fascismo alle donne furono tolti solo nel 1945 quando il Paese esce finalmente
dagli incubi e prende avvio una nuova scuola.
Le donne in cattedra sono ora il 96% nelle elementari, l‟82% nella scuola media e il 64 % nelle
secondarie superiori.
I REGISTRI
Negli anni ‟20 sono presenti diversi modelli di registri ma tutti riportano i seguenti elementi base:
 il registro è allo stesso tempo Registro (atto ufficiale) e Giornale della classe per cui riporta
anche il programma ed il lavoro svolto dall‟insegnante.
Come Registro contiene le notizie statistiche:
 sugli alunni: nome, cognome, data e luogo di nascita, paternità e maternità,
condizione della famiglia dove di solito si metteva il lavoro paterno e indicazioni se
gli alunni fossero stati vaccinati;
 sui giorni di scuola: inizio/termine delle lezioni, numero dei giorni di lezione per
mese, chiusure straordinarie;
 sugli esiti dell‟anno scolastico: n. alunni obbligati, n. alunni iscritti, n. alunni
ripetenti, n. frequentanti, risultati degli esami e degli scrutini in base ai quali ogni
singolo alunno esaminato veniva approvato o non approvato. Il voto veniva espresso
con le “qualifiche” lodevole, buono, sufficiente, insufficiente.
Come Giornale riporta:
 il programma didattico da svolgersi nell‟anno scolastico;
 lo svolgimento del programma didattico di ogni mese.
In fondo al registro vi è inoltre una parte per la Relazione finale dell‟insegnante che contiene molti
dati interessanti:
 notizie relative al docente: nome, cognome, paternità, maternità, luogo e data di
nascita proprie e del coniuge, la professione del coniuge, la data del matrimonio, il
nome e la data di nascita dei figli, l‟indicazione del diploma conseguito, la data e il
luogo di conseguimento, gli anni di servizio, la data della nomina, lo stipendio;
 notizie relative alla scuola: tipologia riscaldamento, igiene e pulizia, numero banchi,
materiali presenti e oggetti mancanti,…;
 notizie relative alla frequenza da cui, per lo più, emerge che fu regolare durante il
periodo invernale mentre con la buona stagione parecchi disertano la scuola per non
pagare i libri: i genitori vengono chiamati, pagano l‟ammenda ma nonostante ciò non
si ottiene una frequenza regolare;
 opera educativa svolta: gli insegnanti in questo spazio sottolineano soprattutto di
cercare di educare l‟animo dei fanciulli con sentimenti patriottici, religiosi e morali
in collaborazione con la famiglia:
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«Procurerò in ogni modo che la mia classe abbia tenacemente a preparare i futuri
cittadini al compimento del dovere, a sentire con tutta la forza dell‟anima d‟essere
italiani, a saper compiere utili sacrifici per sé e per la comunità, a possedere
insomma la vera coscienza nazionale. Così avrò assolto uno dei primi sacri doveri
che la Patria rinnovellata attende da me» (Ins.te Borge Margherita, Roverchiara,
classe V, a.s. 1927/28);
 l‟elenco dei libri di testo utilizzati;
 l‟assistenza scolastica con le istituzioni esistenti nel Comune e il numero degli alunni
sussidiati.
GLI ALUNNI
Per ogni alunno il registro riporta un riquadro con le sue generalità, le qualifiche (lodevole, buono,
sufficiente, insufficiente) raggiunte per ogni materia e per ciascuno dei tre trimestri in cui è
suddiviso l‟anno scolastico e l‟esito finale (approvato o non approvato).
Si può inoltre ricavare la condizione del padre (lavoro) e se l‟alunno sia assistito dal Patronato
Scolastico o goda di altre forme di assistenza.
Per ogni alunno, inoltre, vi è un riquadro con le osservazioni dell‟insegnante: “gode poca salute”;
“vivace e mancante di buona volontà”;” buono, diligente e volenteroso”; “negligente e non adatto
alla classe”; “svogliato”; “carattere chiuso”; “non si applica e non si può forzare, causa la
complessione tanto gracile”; …
Frequenti le seguenti annotazioni:
 “abbandonò la scuola e andò in campagna”; “i genitori furono richiamati dalla maestra e
dalle autorità locali; pagarono un‟ammenda e tennero il figlio a casa per utilizzarlo nel
lavoro”
 “disertò la scuola per non pagare i libri”; “i genitori preferirono pagare un‟ammenda alla
tassa scolastica di £ 42”
 “disertò la scuola per non pagare i libri”; “portò un acconto di £ 20 e, forse stanco della
continua insistenza dell‟insegnante per avere il saldo, rimase a casa. Il denaro fu versato al
Patronato Scolastico”
 “disertò la scuola perché di aiuto alla famiglia”
 “quasi sempre assente per bisogni di famiglia”
Da registro dell‟ins.te Borge Margherita, docente della classe V di Roverchiara, nell‟anno scolastico
1927/28 , si ricava che nel mese di aprile «in cui fervono i lavori della campagna, si notano assenze
più del solito»; nel mese di giugno «causa il lavoro dei bachi da seta, molte le assenze che si notano
nonostante i richiami».
«17 marzo: consegnato al Presidente del Patronato Scolastico £ 218 per la quota dei libri.
Molti però devono ancora versare il denaro; speriamo che il lavoro dei bachi possa compensare le
fatiche del povero contadino, e così avrò anch‟io ciò che mi hanno promesso per il versamento del
materiale scolastico» (Ins.te Ferretti Amelia, Roverchiara, classe III, a.s. 1930/31).
«28, 29, 30 febbraio 1928: freddo eccezionale (16 gradi sotto zero). La frequenza è scarsa.
Fuori è molto freddo ma anche la classe è fredda. I ragazzi sono rabbiosi per il freddo: vorrebbero
stare sempre accanto alla stufa, ma non è possibile accontentarli tutti. Le finestre e la porta hanno
grandi fessure; per quanto si riscaldi la stufa non si riesce ad avere una temperatura sufficiente per
questi poveri piccoli, male vestiti. Essi riescono a stento ad impugnare la penna» (Ins.te Casadei
Elisa, Roverchiara, classe II, a.s. 1928/29).
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ALTRI ASPETTI RICAVABILI DAI REGISTRI
Inizio/termine delle lezioni
Nel 1927 la scuola ha inizio il 21 settembre e termina il 30 giugno. I giorni di lezione in tutto sono
185. Sono invece 186 nell‟a.s. 1925/26; si aggirano intorno a questo numero anche gli anni
successivi.
Le classi sono maschili, femminili o miste di ordine inferiore e superiore, del corso integrativo o VI
isolata.
Materie
Le materie, negli anni ‟20, sono Religione, Insegnamenti artistici (canto, disegno, lettura espressiva
e recitazione), Lingua italiana, Aritmetica, Geografia, Storia, Scienze e igiene, Scienze fisiche e
naturali, Occupazioni intellettuali educative (letture e racconti del maestro agli scolari e giochi
d‟intelligenza), Ginnastica.
Il giovedì non si va a scuola e da un prospetto orario della classe III “riordinata mista” di Marega, si
ricava che nell‟a.s. 1929/30 le lezioni hanno inizio alle ore nove e terminano a mezzogiorno.
Nell‟a.s. 1930/31 si ricava, invece, che le lezioni si svolgono con orario di quattro ore e dieci
minuti.
Negli anni ‟20 le pagelle si dovevano acquistare versando i soldi al Patronato Scolastico all‟atto
dell‟iscrizione o nei primi giorni di scuola. Se la famiglia non poteva provvedervi per indigenza
interveniva il Patronato stesso; a volte, però, poteva succedere che qualche alunno venisse mandato
a casa perché inadempiente. Senza l‟acquisto della pagella da parte della famiglia e la sua
presentazione alla scuola, non si potevano infatti attestare gli esiti.
Molti alunni sono spesso costretti ad essere «lasciati in ozio» dagli insegnanti: senza pennini non
possono scrivere, senza libri, leggere.
Sempre negli anni ‟20, i registri permettono di rilevare alcune particolari ricorrenze: la Festa del
Fiore, la Festa del Pane, le Commemorazioni storiche, Saggi ginnici premiati dall‟Opera Nazionale
Balilla. Diffuse anche le recite “Pro dote Scuola” con incasso a favore della stessa; festa “Pro dote
scuola” ripetute due volte nell‟a.s. 1927/28 per destinare l‟offerta alla Colonia di Enego. Tale festa
veniva preparata con impegno e dedizione. Nel registro dell‟ins.te Borge Margherita della classe V
di Roverchiara dell‟a.s. 1927/28, si riscontra infatti quanto segue: «14 giugno: fervono con vero
entusiasmo i preparativi per la festa pro-scuola. La rappresentazione si svolgerà in teatro domenica
sera. Speriamo che tutto proceda bene e che l‟incasso possa essere soddisfacente»
«18 giugno: i piccoli artisti si sono disimpegnati in modo ammirabile meritando applausi. Il
pubblico non era troppo numeroso e quindi l‟incasso non è stato soddisfacente come si sperava».
Nel registro dell‟Ins.te Italo Campagnari della classe IV di Bonavigo, sempre nell‟anno scolastico
1927/28, si ha invece anche il resoconto della festa:
«17 maggio 1928: ha luogo la recita Pro-dote con il ricavo di £ 307,40.
20 maggio 1928: ha luogo la seconda recita Pro-dote con il ricavo di £ 264,90. Totale ricavo delle
due feste £ 571,30, una differenza in più dell‟anno scorso di £ 70 circa.
24 maggio 1928: invio al Regio Provveditore agli Studi a mezzo del Regio Direttore di Cologna
Veneta di £ 215 pro Colonia Alpina di Enego».
Gli anni del dopo-guerra risultano particolarmente difficili. Il ripristino di adeguate condizioni è
lento e condizionato da altre priorità, come si evince dal registro dell‟ins.te Ambrosi Calearo Olga,
classe III, a.s. 1945/46: «Il materiale didattico è in condizione deplorevole; a causa della guerra
mancano perfino le cose essenziali come vetri, cattedra, carte geografiche, acqua,.. i banchi sono
vecchissimi e sgangherati. Le mie proposte si limitano ad avere il materiale strettamente necessario.
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Occorrono: banchi, l‟acqua per la pulizia dei gabinetti altrimenti sempre indecenti, carte
geografiche e vetri».
«7 gennaio 1957: l‟autorità comunale ci aveva assicurato che dopo la vacanze saremmo entrate nel
nuovo edificio scolastico ed invece dobbiamo pazientare ancora un po‟ di giorni.
16 gennaio 1957: finalmente abbiamo fatto l‟ingresso nelle nuove aule. Ci sembra di essere in
Paradiso!» (Ins.te Brigato Maria, Orti, classe I, a.s. 1956/57).
Negli anni successivi al ‟50 la scuola italiana è interessata da Nuovi Programmi che danno spazio
all‟Attivismo, alle Scienze e al metodo sperimentale e nelle classi non è infrequente registrare, in
chiave didattica, l‟allevamento dei bachi (Ins.te Moro Gianni, Boschi S. Anna, classe V, a.s.
1956/57).
LA FUNZIONE DELLA SCUOLA
La formazione degli allievi all‟impegno personale, al rispetto e alla salvaguardia dei valori
dell‟unità nazionale è trasversale e comune a tutti gli insegnanti. L‟enfatizzarlo e il metterlo in
risalto nei registri di classe dipende poi dal carattere e dalla sensibilità dei singoli maestri.
Si può però dire che esso emerge con più evidenza attorno agli anni 20. È infatti possibile
riscontrare vere e proprie intenzionalità educative espresse con molta forza ed evidenza.
«La nuova scuola deve vivere la nuova vita nazionale che pulsa intorno a noi, con noi, di noi, che ci
spinge a salire, a perfezionarci attraverso sacrifici continui, perché non c‟è perfezione senza
rinunce, non c‟è vittoria senza lotta.
La nostra scuola deve avere innanzitutto e soprattutto per mira l‟educazione nazionale, la
formazione della coscienza nazionale. Dobbiamo fare in modo che il nostro insegnamento pulsi
tutto sulla vita nazionale, che lo scolaro si renda conto di quanto sente e vede succedere intorno a
lui e impari ad amare lo studio, il lavoro, i campi, le officine, il suolo della Patria, i propri
monti,…» (Ins.te Borge Margherita, Roverchiara, classe V, a.s. 1927/28).
«Più si studiano e si mettono in pratica i nuovi programmi e più ci si accorge che sono stati adattati
ai tempi. Oramai, anche i bambini si sono accorti che il mondo è grande e vogliono conoscerlo,
vogliono continuamente apprendere cose nuove e le poche nozioncine imparate e ricordate magari
per tutta la vita non bastano più; bisogna seminare molto nella scuola elementare, l‟età e lo spirito di
osservazione faranno poi germogliare il buon seme. Certo è però che il lavoro del maestro è
diventato più difficile perché l‟insegnamento oggi è basato sul ragionamento e la riflessione e i
nostri ragazzi sono nemici dell‟uno e dell‟altro.
Se la scuola li abituerà a ragionare e a riflettere potrà dire d‟aver raggiunto il suo scopo che è quello
di preparare la gioventù a risolvere i difficili problemi della vita. Sarebbe necessario però che tutti
frequentassero la scuola fino al quattordicesimo anno di età perché è proprio dagli undici ai
quattordici anni che il fanciullo si forma e sa poi scegliere la sua via» (Ins.te Soave Angiolina
Marconcini, Roverchiara, classe III, a.s. 1958/59).
IL RICONOSCIMENTO DEL SACRIFICIO PER LA PATRIA
Anche lo sviluppo del sentimento patriottico negli alunni in tutti gli anni considerati viene a
rappresentare per gli insegnanti una finalità molto importante da perseguire sia attraverso lo studio
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degli avvenimenti che con le Commemorazioni storiche e l‟insegnamento dei Canti patriottici
(Giovinezza, Il Piave,…).
«Commemorazione del 24 maggio 1915: data sacra che ha segnato una nuova vita per la Patria
nostra. Ritornò sui campi di battaglia il tricolore. Si riaccesero le speranze della vittoria: Trento e
Trieste trepidarono nell‟attesa di abbracciare i fratelli e di vedere compiuto il loro sogno di essere
uniti alla Madre Patria; il sogno fu compiuto. Ricorderò ai fanciulli che tutto questo costò alla Patria
gravi sacrifici e che non dobbiamo mai dimenticare coloro che fecero nell‟ultima guerra
dell‟indipendenza l‟Italia veramente una e grande che ha ritrovato la strada maestra della sua nuova
ascensione» (Ins.te Borge Margherita, Roverchiara, classe V, a.s. 1927/28).
«28 ottobre 1927: ricorre il VI anniversario della marcia su Roma; ricordo agli alunni questa storica
data e leggo ad essi alcuni punti della vita di S. E. Mussolini» (Ins.te Campagnari Italo, Bonavigo,
classe IV, a.s. 1927/28).
«In occasione del 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma, è vacanza. Io ricorderò agli alunni
la grande importanza storica e politica della Rivoluzione Fascista, che ha rinnovato l‟Italia
moralmente, economicamente e politicamente secondo le direttive segnate da S. E. il capo del
Governo e Duce del Fascismo. Richiamerò alla memoria degli alunni le benemerenze del Fascismo
nella vita italiana, saranno spiegati ad essi gli alti vantaggi che il Regime ha prodotto nella Nazione,
la quale è riuscita ad imporre ed a farsi temere e rispettare all‟interno e all‟esterno, e procede con
fede salda, verso i raggiungimenti dei nuovi destini, forte e gloriosa, sotto la guida illuminata del
Duce e secondo la volontà precisa e sicura di S. M. il Re» (Ins.te Ferretti Amelia, Roverchiara,
classe III, a.s. 1930/31).
«4 novembre: ricordo agli alunni la vittoria di Vittorio Veneto. Un pensiero ai nostri caduti per la
santa causa: questi eroi non si accontentarono di fare sbandieramenti o parate ma fecero alla Patria
il dono più sublime sacrificando la vita loro.
Da essi noi dobbiamo imparare l‟obbedienza e la completa dedizione di noi stessi alla Patria (Il
milite ignoto come simbolo dell‟eroismo italiano)» (Ins.te Campagnari Italo, Bonavigo, classe IV,
a.s. 1927/28).
«20 aprile: si commemora la Festa del Natale di Roma.
21 aprile: Festa dei Balilla con divisa, molto desiderata, vestita anche dagli alunni più poveri. »
(Ins.te Ferretti Amelia, Roverchiara, classe III, a.s. 1930/31).
IL REGISTRO COME SPECCHIO DEI FATTI E DEGLI AVVENIMENTI POLITICOSOCIALI DEL TEMPO
«Primo giorno di scuola: 24 settembre 1930
Questa mattina ha avuto luogo la cerimonia dell‟anno scolastico. Alle ore 8 si formò il corteo nel
cortile del Palazzo Comunale formato dai Balilla e Piccole Italiane con tutte le Insegnanti. Seguiva
il Comitato: Podestà, Segretario Comunale, Ufficiale Sanitario, Presidente del Patronato Scolastico.
Si sfilò alla chiesa dove il Don Brunelli pronunciò brevi ma sentite parole e impartì la benedizione a
tutti i presenti. Terminata la cerimonia, i bambini si recarono nelle loro classi, dove ogni insegnante
spiegò il significato della festa. Io poi, ai miei Balilla alle mie Piccole Italiane rivolsi la parola,
incoraggiandoli a buoni e saldi propositi di studio».
«7 gennaio 1931: ho parlato della vacanza di domani per il compleanno della nostra Regina».
«11 febbraio 1931: ricorrenza della Conciliazione tra la Chiesa e lo stato. Questa data con vivissima
gioia viene ricordata a tutti i ragazzi, che per volere del Re, del Papa, del Capo del Fascismo,
avvenne la Conciliazione».
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«28 aprile 1931: in tutta Italia il 3 maggio si celebrerà la quinta festa del libro e verrà messa in
evidenza l‟alta importanza del libro per la diffusione della cultura e per l‟avvenire della nazione».
«11 novembre ricorre il genetliaco di S.M. il Re d‟Italia Vittorio Emanuele III».
«14 gennaio 1928: una rappresentanza delle scuole di Bonavigo condotta dal maestro Campagnari
partecipa con la bandiera ai funerali del decurione Bernardi Giuseppe, comandante la M.V.N. di
Legnago».
«19 febbraio 1928: la scolaresca di Bonavigo partecipa col corpo insegnante alla Messa d‟apertura
delle Quarant‟ore» (Ins.te Ferretti Amelia, Roverchiara, classe III, a.s. 1930-31).
«2 marzo 1928: commemoro agli scolari la figura del Maresciallo d?Italia Armando Diaz, Duca
della Vittoria, morto l‟altra sera, 29 febbraio , alle ore 20 a Roma».
«12 aprile 1928: a Milano avviene un attentato alla vita del Re Vittorio Emanuele III per mezzo di
una bomba nascosta dentro un lampione. Sua Maestà il Re, ne esce illeso».
«12 giugno 1928: tutto il corpo insegnante con una rappresentanza della scuola partecipa ai funerali
del maestro Dario Corradi di Marega morto a soli 37 anni.
I miei scolari, accompagnati all‟armonio dallo scrivente, cantano la Messa, e quindi al cimitero
l‟elogio del defunto» (Ins.te Campagnari Italo, Bonavigo, classe IV, a.s. 1927-28).
«24 ottobre 1930: auguste nozze tra la Principessa Giovanna di Savoia e il re Boris di Bulgaria; ho
cercato di mettere in luce le doti buone degli augusti sposi, ed ho chiuso la lezione mandando un
evviva alla Bulgaria e all‟Italia informandoli che il 25 sarà giorno di vacanza per tali nozze».
«14 aprile 1931: in seguito alla Circolare del Regio Signor Direttore con oggetto il Censimento
della popolazione del Regno, ho dettato le seguenti frasi “Il 21 aprile avrà luogo il Censimento della
popolazione. Persuadetevi che le notizie richieste dalle schede che vi invieranno hanno lo scopo di
far conoscere la condizione di ciascun Comune, per poter provvedere i reali bisogni della
popolazione. Siate certi che non sarete colpiti da nessuna noia o tassa» (Ins.te Ferretti Amelia,
Roverchiara, classe III, a.s. 1930-31).
IL REGISTRO COME CRONACA DI FATTI PERSONALI
Oltre che specchio degli avvenimenti e dei fatti del tempo a volte il registro diventa anche lo
strumento in cui annotare fatti personali.
Un esempio di ciò lo fornisce il maestro Italo Campagnari nel registro della classe quarta di
Bonavigo nell‟a.s. 1927-‟28 che fornisce una cronaca degli avvenimenti che lo riguardano.
«7 novembre 1927: Il R. Direttore Contri m‟invita al suo ufficio per comunicarmi che vi è a carico
mio una grave accusa fatta dal Podestà Pellegrini di Bonavigo di essere “antifascista e migliolista”.
16 novembre 1927: Per incarico del R. Provveditore agli studi il R. Ispettore scolastico Potito
d‟Angelo, della circoscrizione di Legnago, fa un‟inchiesta sul mio conto. L‟accusa è originata da
questo fatto: Il 31 ottobre il messo comunale aveva ordinato villanamente alla maestra Sig.
Turrisendo di esporre la bandiera. Il messo visto che il suo ordine per essere eseguito doveva venire
da me, si recava invece dal Podestà a riferire che il corpo insegnante si rifiutava di esporla. Questi
allora inviava una lettera che veniva consegnata, ad arte, alla maestra supplente Murari: questa a sua
volta restituiva la lettera al messo comunale perché la portasse direttamente a me, ma invece la
portava al Podestà. Un‟altra spedizione e un nuovo rifiuto, per cui allora il Podestà scriveva alla R.
Prefettura accusando il Corpo insegnante di insubordinazione all‟autorità podestarile ed in specie il
maestro Campagnari di essere un antifascista ed un migliolista. Da ciò l‟inchiesta.
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18 novembre 1927: E‟ da tre giorni che il R. Ispettore continua l‟inchiesta. Vengo a sapere dalle
accuse che mi si fanno, che il Podestà Pellegrini ha messo questa condizione: se io non vengo
allontanato da Bonavigo egli si dimetterà da Podestà. So positivamente che l‟inchiesta è a mio
favore per cui io resto, e il Podestà dovrebbe cavallerescamente mantenere la parola. Per questa
accusa viene a fare un‟inchiesta il Tenente dei R.R.C.C. di Legnago Di Piazza.
30 novembre 1927: Vengo interrogato nuovamente dal Tenente dei R.R.C.C. di Legnago Sig. Di
Piazza per un‟altra accusa fatta dal Podestà di sobillare la popolazione contro l‟autorità podestarile,
di aver dato del ladro all‟ex-segretario Rodini e di sparlare del segretario politico Scolari Leonello.
Le cose invece risultano così: 1. la popolazione è in fermento, e a mio favore, perché il Podestà mi
vuole allontanare da Bonavigo a qualunque costo. 2. L‟ex-segretario Rodini ha del rancore verso di
me perché per alcune illegalità commesse nell‟amministrazione del Caseificio, io mi sono dimesso
da sindaco. 3. La popolazione critica poi acerbamente il provvedimento del segretario politico
Scolari di aver dichiarati dimissionari da membri del direttorio locale i sigg. Poli Gaetano e Ziviani
Mario perché rei di aver detto la verità, durante la mia inchiesta, sulla situazione di Bonavigo e
quindi implicitamente vengono a dar ragione a me.
5 dicembre 1927: Il R. Ispettore mi comunica che il R. Provveditore agli studi non prende alcun
provvedimento a carico mio perché io ho completamente ragione.
14 dicembre 1927: Per quella famosa lettera si fa una terza inchiesta dal Vice Prefetto Cav. Romano
assistito dall‟avv. Donella di Legnago.
14 giugno 1928: Alle ore 14.29 mi muore il figlio quartogenito Renzo di mesi 14 per broncopolmonite in seguito al morbillo.
19 giugno 1928: Alle ore 18 hanno luogo i funerali del mio Renzo, con la partecipazione dell‟Asilo
infantile, del corpo insegnante di Bonavigo e Roverchiara e delle rispettive scolaresche con la
bandiera. Addio Renzo! Tu, angelico messaggero di pace, che passasti qual breve meteora, vivesti
solo per il paradiso. Di lassù prega per i tuoi genitori.
30 giugno 1928: Col 30 giugno si chiude l‟anno scolastico 1927-‟28 pieno di battaglie, di ansie e di
dolori. Italo Campagnari Maestro».
Nonostante questo anno scolastico particolarmente difficile, i registri successivi di Bonavigo
confermano, la sua presenza anche negli anni seguenti.
LA SCUOLA COME CONTESTO PRIVILEGIATO PER LA DIFFUSIONE DI
PRATICHE IGIENICHE E SANITARIE
«Raccomando agli alunni di avere la massima cura del corpo e detto loro alcune norme essenziali di
igiene» (Ins.te Campagnari Italo, Bonavigo, classe IV, a.s. 1927/28).
«28 marzo 1931: prendo visione della circolare n. 127 di prot. Oggetto: Campagna Nazionale per il
Francobollo Antitubercolare.
Il R. Provveditore agli Studi, Umberto Reuda, ci comunica che il giorno 5 aprile, Pasqua di
Resurrezione, e cioè col giorno stesso in cui in tutta Italia la giornata del Fiore della Doppia Croce,
avrà inizio anche la Campagna per il Francobollo Antitubercolare. Da parte mia farò una intensa
propaganda a favore della battaglia antitubercolare, e dagli scolari farò compilare dei diari.
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Schema: ogni anno 60.000 italiani muoiono di tubercolosi. Quale enorme perdita di energie umane,
e quale ingente ricchezza distrutta per la Nazione! Calcolando a 50.000 £ l‟equivalente economico
medio di ogni vita umana, l‟Italia perde ogni anno l‟imponente capitale di 5 miliardi di lire!
Ora, la tubercolosi non è un nemico invincibile. Combattendola con armi adeguate, la tubercolosi si
vince. Fino a ieri il tubercoloso era considerato come un individuo inesorabilmente condannato a
morire, e quindi da abbandonare al suo triste destino: come un individuo estremamente pericoloso e
quindi da evitare. La scienza moderna ha quindi dimostrato che la tubercolosi è la più curabile tra le
malattie croniche, come è la più evitabile tra le malattie infettive. La scienza moderna ci insegna
che il tubercoloso può e deve essere curato: se curato in tempo, con tenacia e con fede, il
tubercoloso guarisce. Il tubercoloso deve essere, con ogni necessaria azione, fraternamente assistito.
La scienza moderna ha trovato che la tubercolosi non è ereditaria. Non si nasce, si diventa
tubercolosi. I figli dei tubercolosi diventano facilmente tubercolosi soltanto perché vivono in un
ambiente infetto. Bisogna vigilare assiduamente il bambino: questa è la norma ormai dominante nel
campo della lotta antitubercolare.
Il bambino che nasce in un ambiente infetto da tubercolosi, deve essere isolato.
Il bambino che ha fame, deve essere nutrito.
Il bambino ammalato, deve essere curato.
Il bimbo sviato e corrotto deve essere moralmente assistito e bonificato.
È dimostrato che nessuna medicina può prevenire la tubercolosi, se l‟individuo non si trova in istato
di resistenza. Tale resistenza si acquista con una vita semplice, sana, aliena da eccessi, il più
possibile a contatto con la natura. Il sudiciume, la polvere, l‟alcool, la soverchia fatica, sono gli
alleati fedeli della tubercolosi. Lo sputo ne è il veicolo più frequente e più veloce. Non sputare mai
a terra! È necessario ricorrere al medico ai primissimi segni del male anche se lievi: febbre seratuia,
sudori notturni, tosse, ecc.
Il Governo fascista ha adottato un complesso di provvedimenti contro la tubercolosi, che pongono
l‟Italia in primissima linea, tra i paesi battuti dal flagello: Assicurazione di Stato, Sanatori,
Preventorii, Dispensari, Istituti Scientifici di ricerca e di sperimentazione, Enti di propaganda,
incoraggiamenti di ogni genere ad ogni seria iniziativa privata.
Ripetiamo: 60.000 italiani muoiono ogni anno di tubercolosi. È necessario perciò che si realizzi la
collaborazione di tutto il popolo, che si stringa la santa alleanza di ogni ceto, classe, categoria, la
fusione di ogni diverso interesse in questo che è il supremo degli interessi nazionali:
arginare e vincere la tubercolosi.
Ogni italiano abbia sempre presenti le parole del Duce, che dettano i doveri di tutti:
“Lo spirito pubblico, che comprende l‟estrema importanza e la vastità del problema, segue con
interesse e con fiducia l‟opera del Governo fascista che ha posto la lotta contro la tubercolosi fra gli
obiettivi fondamentali della sua attività!
Occorre che scienziati, legislatori, filantropi costituiscano una specie di fronte unico per condurre a
vittoriosa fine la grande battaglia”» (Ins.te Ferretti Amelia, Roverchiara, classe III, a.s. 1930/31).
Nell‟a.s. 1958/59, il 13 aprile, l‟ins.te della classe IV di Marega, Gasparini Marini Claudia, annota
che la Direzione Didattica di Villa Bartolomea ha messo a disposizione dei bambini delle
elementari «cinque litri di olio di merluzzo» e di avere cominciato a darlo a tutti.
Tutto questo rende evidente che le scuole, dopo l‟unità nazionale, furono subito considerate uno
strumento essenziale di crescita non solo per ciò che riguardava la diffusione dell‟alfabeto, ma
anche per modificare le pratiche della vita quotidiana.
Ben presto tuttavia si manifestò il conflitto che avrebbe a lungo caratterizzato lo sviluppo
dell‟educazione scolastica in Italia fra quanti sostenevano che la popolazione destinata a svolgere
attività subalterne e ripetitive non avesse bisogno di istruzione e i sostenitori della sua necessità non
solo a fini produttivi ma anche della vita sociale e politica. Al liberismo economico che dominava
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lo scenario politico nello stato unitario lasciando che bambini e ragazzi fossero avviati
precocemente al lavoro e dovessero le conseguenze della fatica fisica e della permanenza
prolungata in ambienti malsani, si andava opponendo la consapevolezza che attraverso le scuole si
sarebbe potuta ottenere una migliore qualità delle condizioni di esistenza. Anche se con lentezza fu
questa consapevolezza che finì con l‟affermarsi. A scuola i bambini impararono non solo a leggere,
a scrivere e far di conto, ma ad aver cura del proprio corpo, a osservare alcune importanti norme
igieniche, a eseguire esercizi fisici. Le scuole, soprattutto al livello primario, non si limitarono ad
incoraggiare comportamenti che avrebbero avuto ricadute positive nel seguito della vita, ma
assumevano funzioni diagnostiche che sarebbe stato molto improbabile fossero svolte da altri: ai
maestri si chiedeva di verificare i progressi nella dentizione, la crescita della statura, l‟eventuale
apparire di malformazioni nella struttura ossea, di ghiandole linfatiche, di lunette sulle unghie, ecc.
ecc. Sulle cattedre comparvero le bottiglie di olio di fegato di merluzzo, che ebbero sullo sviluppo
di più generazioni un ruolo altrettanto positivo dell‟istruzione.
Chi consideri le caratteristiche attuali della popolazione italiana e le ponga a confronto con quelle
che i documenti d‟epoca indicavano come correnti negli anni attorno all‟unità, non può che
prendere atto che i cambiamenti intervenuti hanno mutato sostanzialmente il profilo sociale,
culturale e fisico degli italiani.
Certo non tutto si deve alla scuola; o meglio non tutto si deve solo alla scuola, ma è certo che
quanto oggi appare positivamente trasformato non avrebbe potuto esserlo senza la scuola. La scuola
ha proseguito e perfezionato il disegno unitario del Risorgimento conferendo significato di
cittadinanza all‟uso della lingua e all‟acquisizione della cultura tramandata dalla tradizione.
UNO SGUARDO PARTICOLARE ALLE CELEBRAZIONI
DEL PRIMO CENTENARIO DELL’UNITÀ D’ITALIA
I dati a disposizione portano ad affermare che alla ricorrenza sicuramente è stata data attenzione;
non tutti gli insegnanti però ricordano di riportare nel registro le attività svolte. Quando lo fanno gli
aspetti che maggiormente mettono in luce sono i seguenti:
«26 marzo: per celebrare l‟Unità d‟Italia ci siamo improvvisati giardinieri. In collaborazione con gli
alunni delle classi superiori, abbiamo tracciato un‟aiuola che ha la forma della nostra Patria. Il
nostro bravo bidello penserà a riempirla di fiori, ma i bambini come formichette operose, hanno
aiutato tutti a portare pietre per segnarne i confini ed ora controllano minuziosamente ogni giorno,
la crescita dell‟erba seminata al posto del mare» (Ins.te Stojicovic Fiorini Vanda, Beazzane, classe
I/II, a.s. 1960/61).
«26 marzo: oggi, nel nostro Paese, è stato solennemente celebrato il centenario dell‟Unità d‟Italia.
Alle celebrazioni hanno preso parte anche tutte le scolaresche. La sfilata delle bandiere della varie
associazioni combattentistiche, il gonfalone del Comune, la Messa, il discorso al monumento dei
Caduti hanno veramente colpito i miei alunni che sono stati prodighi di domande.
La festa si è chiusa poi alle nostre scuole ove alla presenza della autorità locali ha avuto luogo la
cerimonia dell‟intitolazione della nostra scuola elementare che da oggi in avanti sarà dedicata alla
memoria del sottotenente carrista Pietro Bruno. Per la circostanza ci eravamo preparati con poesie e
canti di carattere patriottico e l‟aula era pavesata con festoni, fiocchi e bandierine tricolori» (Ins.te
Mariotto Vangelista Maria, Roverchiara, classe II maschile, a.s. 1960/61).
«Il giorno 27, per celebrare il centenario dell‟Unità d‟Italia, abbiamo esposto la bandiera e quindi ci
siamo recati al monumento dei caduti. Il Signor Sindaco ha spiegato alle varie classi il significato
della breve e suggestiva cerimonia» (Ins.te Maimeri Anna, Bonavigo, classe II, a.s. 1960/61).
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«L‟insegnante di quinta spiega ai bambini di tutte le classi riunite il significato della festa del
centenario dell‟Unità d‟Italia. Davanti alla bandiera esposta al balcone vengono recitate poesie del
Risorgimento a canti alla Patria» (Ins.te Corradi Fedora, Bevilacqua, classe III, a.s. 1960/61).
«27 marzo: oggi in tutte le città e in tutti i centri d‟Italia si commemora il primo centenario
dell‟Unità d‟Italia. Anche noi abbiamo cercato di festeggiare questa solenne ricorrenza nel modo
migliore. Dopo aver parlato e rievocato nel modo più semplice gli avvenimenti storici e i
protagonisti più fulgidi che portarono alla unificazione della nostra Patria, ci siamo riuniti nel
cortile, davanti alla Lapide dei Caduti, per la cerimonia.
I bambini di quinta hanno recitato alcune poesie e drammatizzazioni; poi tutti abbiamo cantato
canzoni patriottiche mentre il tricolore sventolava dal balcone della scuola» (Ins.te Bellinato
Regina, Bonavigo, classe III, a.s. 1960/61).
«27 marzo: domani tutti gli edifici saranno imbandierati e in ogni città si svolgeranno molteplici
manifestazioni per festeggiare il Centenario dell‟unità d‟Italia. Parlo agli alunni delle principali
figure che hanno caratterizzato il Risorgimento e si va insieme alla ricerca di notizie rievocanti
episodi locali. Il passaggio di G. Garibaldi ecc…
Questa mattina ho condotto gli alunni davanti all‟apparecchio televisivo per assistere alle diverse
cerimonie che si sono svolte a Roma» (Ins.te Perpoli Maria Luisa, Bevilacqua, classe IV, a.s.
1960/61).
«27 marzo: abbiamo celebrato, per quanto è stato possibile fare con i piccoli della mia classe, il
centenario dell‟Unità d‟Italia. Ci siamo costruiti delle bandierine tricolori e una l‟abbiamo appesa
alla mensola sopra cui c‟è la statua della Madonna, appena sotto il Crocefisso: quello è il posto del
simbolo della Patria» (Ins.te Parrini Anna Maria, Pilastro, classi I – II – III, a.s. 1960/61).
«27 marzo: alle ore 17,00 si è svolta, nel teatro Parrocchiale, la commemorazione dell‟Unità
d‟Italia. Hanno partecipato alla manifestazione le autorità, gli alunni e diversi cittadini Minerbesi.
Il Signor Direttore ha saputo trovare accenti idonei a ridestare negli animi sentimenti di amor Patria
e di riconoscenza per coloro che si sono sacrificati per la causa italiana» (Ins.te Pelà Gabriella,
Pilastro, classe II, a.s. 1960/61).
«La storia è stata ripresa a pieno ritmo non curando affatto l‟ordine del testo. Benché ancora in
classe IV ho svolto molta storia relativa al risorgimento. Ho parlato a lungo del risorgimento perché
ricorre il centenario dell‟Unità d‟Italia ma lo farei in una quarta anche se non ci fosse una così
importante esigenza che lo esigesse» (Ins.te Eminente Guerrino, Minerbe, classe IV, a.s. 1960/61).
«27 marzo: nella nostra scuola si sta per ricordare il Primo Centenario dell‟Unità d‟Italia. Ultimi
ritocchi. Piccola prova generale nell‟atrio prima di affrontare il palcoscenico. Anche la seconda
cerimonia che tiene il posto e l‟ora dedicati alla lezione settimanale di Religione, viene diretta dal
Reverendo Signor Curato nella Cappellina dell‟Istituto. Lettura e recita a cori alternati di una parte
del Salmo ventuno. Offerta delle palmette dorate che verranno benedette dopodomani. Impegno
settimanale, compostezza, raccoglimento, attenzione da parte dei ragazzi.
Oggi pomeriggio celebrazione ufficiale del Primo Centenario dell‟Unità d‟Italia. Cerimonia breve
ma sentita e ben riuscita. Discorso ufficiale del Signor Direttore, vibrante e accolto con fervore.
Recitazioni e canti degli alunni. Renzo Montresor se la cava bene. Incespica ma prosegue con
disinvoltura. Il microfono, dice lui, è suo amico. Ci lasciamo, dopo aver partecipato, scolaresche e
maestri alla S. Messa di chiusura delle Santissime Quarantore, con tutti gli auguri più belli per la S.
Pasqua. Le palmette benedette sono consegnate in tutte le classi, distribuite ai ragazzi, spedite come
augurio. Buona Pasqua a tutti e tanta serenità» (Ins.te Greselini Maria Pia, Minerbe, classe V, a.s.
1960/61).
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«25 marzo: ho portato i bambini alla televisione per assistere alla solenne celebrazione del
centenario dell‟unità d‟Italia in parlamento. L‟imponenza dello spettacolo e il ricordo dei nostri
martiri ha commosso insegnanti e alunni» (Ins.te Zardin Liana, Boschi S. Anna, classe V, a.s.
1960/61).
Feste e tradizioni
Per coinvolgere le persone alla vita della chiesa, la comunità versare una quota annuale.
Erano molto incrementate le confraternite e le compagnie sacre.
Per le figlie di Maria era onorevole indossare un abito bianco durante le varie processioni; per i
confratelli di San Luigi , invece, una stola che partiva dalla spalla sinistra e, attraverso il busto,
finiva sul fianco destro; era di vari colori e terminava con vari ornamenti.nel paese erano due le
occasioni più solenni per manifestare tale devozione: le SACRE QUARANTORE e il CORPUS
DOMINI.
Una festa sacra e laica allo stesso tempo tuttora in uso e la FIERA DI S. ANNA, che si svolge in
luglio in occasione della ricorrenza religiosa dedicata a Sant‟Anna e San Gioacchino.
Da non dimenticare la festa di San Marco nell‟omonima frazione del Comune e che si ricorda il 25
aprile, dove fino a qualche anno fa venivano consacrati alla Comunione e alla Cresima i tanti
bambini del paese.
IL CARNEVALE
Se in capoluogo aveva nell‟antica sagra e fiera di Sant‟Anna la sua manifestazione per eccellenza,
San Marco non era, quindi, da meno.
E questo grazie proprio a quella festa in costume che, tra febbraio e marzo, attirava in paese
migliaia di persone da tutto il circondario.
I promotori della rassegna mascherata non immaginavano di certo che, nel giro di qualche anno,
un‟iniziativa avviata per gioco diventasse uno dei carnevali più rinomati della zona.
Tutto è iniziato per caso a cavallo degli anni 1948/49 da un gruppo di giovani del posto che con una
botte installata in una carriola dedicarono quel carro a “Bacco”.
Per diversi mesi all‟anno a San Marco si lavorava in attesa dell‟ultimo giorno di carnevale e della
sfilata.
Se il tragico incidente in cui nel 1957 morì un bambino non ne avesse decretato la chiusura, a
quest‟ora la fama del carnevale di Boschi San Marco avrebbe sicuramente valicato i confini
regionali.
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Per un decennio, infatti, la frazione è stata una sorta di piccola Viareggio, dove l‟allestimento e la
sfilata dei carri allegorici rappresentavano un momento di grande partecipazione popolare.
Le foto rappresentano due momenti del rinomato carnevale con i carri e personaggi in costume.
SAGRA E FIERA DI BOSCHI SANT'ANNA
Nel passato le feste avevano maggiore importanza, erano un vero e proprio evento sociale, tanto che
si usava confezionare un vestito nuovo per l‟occasione. La patrona del paese “Sant‟Anna” si
festeggia ancor oggi il 26 luglio, una tradizione popolare che si ripete da più di trecento anni, per
continuare con la domenica, il lunedì e il martedì successivi il giorno della santa patrona. Nel nuovo
Calendario Liturgico, da alcuni anni ormai, al nome di Sant‟Anna è stato aggiunto il nome di San
Gioacchino, una volta festeggiati separatamente, adesso invece la memoria liturgica riunisce di
nuovo la Santa Coppia dei genitori di Maria.
Anticamente di primo mattino, i festeggiamenti religiosi iniziavano con la messa solenne seguita
poi dalla processione, in testa la croce e i candelieri portati dai chierichetti, seguivano le donne, i
vari gruppi religiosi capeggiati ognuno dal proprio stendardo che li rappresentava, quindi quattro
persone alternandosi con altre quattro su una portantina finemente lavorata laccata di bianco con
finiture dorate, era portata l‟Immagine lignea della Madonna, portato da altre quattro persone, che
alternativamente si avvicendavano nel lungo tragitto, seguiva il trono, anche questo era riccamente
intagliato e completamente dorato, su cui era seduta l‟Immagine di Sant‟Anna nell‟atteggiamento,
dal libro aperto, d‟insegnare le sacre scritture a Maria Bambina. Il corteo era seguito dalle torce, il
celebrante che portava le reliquie di Sant‟Anna, gli uomini ed infine l‟immancabile banda musicale,
molto spesso quella di Castagnaro. Il corteo percorreva la via principale del paese, dalla chiesa al
Palazzo Rosso e ritorno. Per l‟occasione si facevano paramenti, si raccoglieva l‟edera nella
campagna da mettere alle porte, si facevano fiori di carta e bandierine da porre lungo il percorso per
onorare il passaggio della Santa.
La stessa sagra, anticamente, con i suoi diversi momenti celebrativi, è un teatro che scopre l‟arcaica
drammaturgia dei riti agrari, accanto all‟invenzione del canto, la gara con giochi di piazza
(cuccagna, corsa con le carriole, con i sacchi, ecc.); uno spettacolo creato con la spontaneità della
gente, la presenza dei banchetti, le luci multicolori e i fuochi artificiali.
Ancor oggi le funzioni religiose, per l‟antica devozione a Sant‟Anna, sono frequentate anche da
persone dei paesi vicini e la chiesa per questi giorni sembra diventare un santuario. Al lunedì ci
sono SS. Messe ad ogni ora per tutta la mattinata, il martedì, come da antica tradizione, la
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benedizione ai bambini, non solo della parrocchia ma anche delle vicine comunità.
I tradizionali festeggiamenti nel centro del paese sono stati adeguati alle normative dei giorni nostri
e gestiti dal Comitato Festeggiamenti di Boschi Sant‟Anna che, con la collaborazione di un folto
gruppo di persone volonterose, tra cui bravissimi giovani camerieri gestiscono uno stand
gastronomico, invidiato persino dalle Pro Loco e le Associazioni dei Comuni vicini. Le giornate
della sagra sono ricche di manifestazioni culturali sportive con serate d‟intrattenimento. Il lunedì, la
“Fiera di Sant‟Anna”, e presso lo stand gastronomico è possibile degustare le specialità tipiche
locali. Il martedì, come da antica tradizione ha mezzanotte, terminano i festeggiamenti con un
favoloso e sempre più attraente spettacolo pirotecnico.
Giochi d’un tempo
Ai tempi dei nostri nonni il gioco era frutto della creatività e i giocattoli erano fabbricati con
materiali semplici come il legno, il vetro, lo spago. I bambini si ritrovavano nel cortile sotto casa,
dopo la scuola, per inventarsi ogni giorno un gioco diverso, grazie alla fantasia, anche se gli
strumenti per giocare erano sempre gli stessi. Un giorno dei nonni sono venuti a trovarci per
raccontarci la loro infanzia.
Ci hanno detto che una volta, visto che i soldi erano pochi, i ragazzini si costruivano i giochi da soli.
Ce ne hanno illustrati alcuni, mentre altri li hanno costruiti proprio sotto i nostri occhi.
Anche nei giochi, come nella vita, c'era una grande differenza tra maschi e femmine; infatti di solito
i maschi giocavano tra di loro, mentre le femmine venivano messe in disparte. I giochi erano pensati
soprattutto dai e per i maschi.
LA TROTTOLA
La trottola è sicuramente uno dei più noti e affascinanti giochi
di un tempo. Attorno alla trottola viene avvolta, in modo da
formare una spirale che va dalla punta ( in metallo) alla parte
più alta e larga, una corda che permette, nell'atto del lancio, di
far ruotare la trottola. Ci sono tanti tipi di giochi, uno dei tanti e anche il più divertente, consiste: minimo due giocatori pronti a rischiare la propria trottola; - si effettua il primo lancio insieme e la
prima trottola che si ferma, resta sotto (rimane a terra); - l'altro dovrà cercare di colpire la trottola
rimasta a terra sia nel lancio che dopo, fino a quando la sua non termina di ruotare; - quando questa
si ferma, rimane lei "sotto" e l'altro concorrente va all'attacco; - il gioco a volte dura tantissimo, e
tutto sta nella bravura dei concorrenti, nella punta della trottola e nel legno di cui è fatta; l'obiettivo è distruggere la trottola dell'avversario, il vincitore terrà con se la punta della trottola
persa e come potete ben capire chi più ne colleziona "trofei di guerra", ed è più temuto.
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S-CIANCO
Lo s-cianco è un antico gioco popolare italiano che risale al XV secolo. Si utilizzano due pezzi di
legno, generalmente ricavati dai manici di una scopa, uno di circa 15 cm in lunghezza con le
estremità appuntite, l'altro lungo circa mezzo metro: si traccia a terra un cerchio e, da una certa
distanza, si cerca di lanciare il pezzo di legno piccolo nel cerchio stesso. La tecnica consiste nel
colpire con il pezzo lungo il pezzo piccolo su un'estremità per farlo saltare (questo il motivo delle
estremità appuntite), quindi, prima che ricada al suolo, colpirlo nuovamente per lanciarlo nel
cerchio. Una variante del gioco consiste nel lanciare il pezzo piccolo quanto più lontano possibile.
IL NASCONDINO
Il nascondino è un tradizionale gioco da bambini; lo si gioca in genere all'aperto, in gruppi
numerosi. Un giocatore, scelto in genere a caso, deve appoggiare la testa con gli occhi chiusi ad un
muro in un punto scelto come "tana" o "toppa" e contare ad alta voce. Mentre lui conta, gli altri
giocatori trovano dei luoghi adatti per nascondersi. Quando la conta è terminata, il giocatore che ha
contato deve trovare gli altri. Non appena individua uno dei compagni, deve correre alla "tana" e
dichiarare ad alta voce il nome della persona che ha visto, la quale viene squalificata. Al successivo
turno di gioco, in genere, conterà il primo giocatore a essere catturato. Se un giocatore riesce a
raggiungere la tana senza essere individuato oppure, essendo stato individuato, raggiunge
comunque la tana prima del giocatore che contava, può dichiarare "tana!", sfuggendo in questo
modo alla cattura. Se a raggiungere la tana è l'ultimo giocatore rimasto in gioco, può anche
dichiarare "tana libera tutti". In questo caso, i giocatori precedentemente catturati sono liberati e il
giocatore che è stato sotto dovrà contare anche nel turno di gioco successivo.
MORTI E BOTTONI
Morti e bottoni è un gioco che consiste nel mettere in equilibrio su di un mattone sistemato in
verticale alcuni bottoni: chi, con una pietra, riesce a colpire il mattone e quindi a far cadere i
bottoni, guadagna il turno. I punti vengono tenuti tenendo conto del numero di bottoni conquistati.
Vince, ovviamente, chi avrà in pugno il maggior numero di bottoni.
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LA FIONDA
Uno dei giochi maschili per eccellenza era la fionda con la quale i ragazzi ingaggiavano "selvaggi"
combattimenti. Per costruirla ci si deve procurare un ramo a forcella e alle due estremità si deve
legare una camera d'aria che ha la funzione di un elastico dove verrà messo il sasso da lanciare.
Eccone la costruzione in dettaglio:
1. Prendere un ramo biforcuto.
2. Scortecciare il ramo.
3. Prendere una camera d'aria e tagliarla in tre strisce, una lunga quanto l'apertura del ramo e le altre
due corte a forma di cerchio.
4. Legare la striscia lunga alle due estremità e bloccarla con i due cerchietti elastici ricavati dal
copertone. A questo punto la fionda è terminata.
Come si utilizza: si prende la fionda e, al centro della striscia lunga, si posiziona un sasso. Si tende
la camera d'aria con il sasso e si molla. In questo modo il sasso viene lanciato nella direzione in cui
è rivolta la fionda. Si prende il bastone e lo si mette nel solco dove prima c'era la camera d'aria e si
spinge in avanti il cerchione. Chi riesce ad arrivare più lontano ha vinto!
LA RUOTA E IL BASTONE
Questo gioco ha bisogno di un vecchio cerchione di bicicletta, di un bastone, di tanta
concentrazione e senso dell'equilibrio.
Scopo del gioco è quello di spingere con un bastone il cerchione tenendolo in piedi. Si prende il
bastone e lo si mette nel solco dove prima c'era la camera d'aria e si spinge in avanti il cerchione.
Chi riesce ad arrivare più lontano ha vinto !
LA CARAMPANA
Il gioco consiste nel segnare per terra o con un bastone o con un gessetto delle linee: bisogna creare
un grande riquadro dove segnare dieci numeri anche se, in alcuni casi, se ne possono fare otto.A
questo punto ognuno si deve munire di un sasso piatto che viene lanciato sul primo quadrato. Ad
ogni lancio si salta su una gamba sola prendendo il sasso senza perdere l‟equilibrio, senza mettere
giù l‟altro piede o toccare le linee altrimenti si deve ritornare al punto di partenza. Si saltano tutte le
caselle sino ad uscire, poi si lancia il sasso sulla seconda casella e così via. Una variante: si può
praticare questo gioco anche spingendo con il piede il sasso, ma è più difficile del precedente.
Infatti se il sasso si fermava su una delle linee, la ragazza/bambina veniva fermata per un turno. Il
gioco per le più brave si fa anche a occhi chiusi o bendate senza toccare con il piede le righe. Si può
giocare solo all'aperto sia su una superficie sterrata che su di una asfaltata. Era un gioco prediletto
dalle ragazze.
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Economia
Sul territorio, nettamente dedito all'agricoltura, sorgono circa una trentina di aziende agricole che
coltivano soprattutto mele e pere (il comune sorge infatti nella zona tipica di produzione della
mela), oltre che a mais, barbabietole ed ad altri ortaggi. In alcune aziende è stata introdotta la
coltivazione del tabacco. Gli altri settori dell'economia santannese sono composti da piccole
aziende dedite soprattutto alla lavorazione metalmeccanica, oppure legate all'edilizia ed alla
carpenteria. Tra il capoluogo e la frazione Boschi San Marco sorge una piccola zona industriale.
Il comune di Boschi Sant'Anna fa inoltre parte dell'unione
comunale denominata "Unione comunale Dall'Adige al
Fratta". L'unione è composta da cinque comuni:
Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant'Anna, Minerbe e
Terrazzo.
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Un tempo… in campagna
Raccontano i nonni…
Ricordo ancora gli aromi del sottotetto di casa dove, insieme alle cataste
di legna, veniva conservata la frutta fatta seccare al sole: l'uva, i fichi, le pesche, le noci... Al piano
di sotto c'era la cucina della nonna. I vecchi mattoni del pavimento sapevano d'antico. Il grande
camino accoglieva d'inverno grappoli di bambini che cercavano di riscaldarsi e il fuoco esprimeva
gli odori di ciò che si andava cucinando.
Quando la mamma faceva il bucato nel tino, la cucina esalava di cenere e liscivia.
Al piano rialzato c'era la camera da letto: le lenzuola pulite profumavano di lavanda e di bucato.
Sul‟aia i bambini saltavano sopra il fieno senza preoccuparsi affatto dei piedi sporchi. Vicino
c'erano il porcile e il pollaio e pareva che anche le uova, appena fatte, calde calde, sapessero di
piume.
Nella stalla la zia teneva i cavalli e i cani da caccia. Anche lì ci aspettavano nella penombra,
insieme agli occhi dolci e miti dei cavalli, l'abbaiare dei cani e le fascine di saggina, una fragranza
particolare mista di formaggio, prosciutto, olio, mosto di vino. Nei pressi, la zia aveva anche un
campicello ricco di ortaggi, i cui profumi si facevano intensi appena venivano a maturazione.
Quando poi macellava il maiale o i conigli, un odore acre si spargeva nell'aria. Gli ossi del maiale,
insieme alla liscivia, erano messi a bollire nel paiolo nero sul camino per fare il sapone. Si può
davvero dire che gli odori erano i veri protagonisti della nostra vita. Quando lo zio andava a caccia
e prendeva lepri o fagiani, la zia cucinava un ragù meraviglioso che riempiva del suo profumo tutta
la strada. La sfornata del pane per la settimana, poi, era una festa; noi bambini l‟aspettavamo con
ansia. E le mele cotogne al forno: che profumo!
Attorno al lavatoio si sentiva l'odore misto dell'acqua sporca e dei panni puliti stesi al sole.
In paese il negozio del pizzicagnolo sapeva di aringhe, di pere, di salumi, di tutto un po'; quello del
barbiere aveva l'odore tipico del profumo dozzinale e della schiuma saponata; quello del negozio di
biciclette sapeva di copertoni e di grasso; in quello del fabbro regnava l'odore del metallo fuso,
perchè la fornace era sempre accesa a disposizione dei contadini che si fermavano per far ferrare i
cavalli e per le donne che venivano a far limare i coltelli.
Il calzolaio aveva una bottega che profumava soprattutto di cuoio incerato. Egli metteva i ferretti
alle punte e ai tacchi delle scarpe delle poche persone che le avevano... e vendeva invece molti
zoccoli di legno. Il negozio del falegname, artigiano-artista, sapeva di trucioli; era davvero bravo a
fare intarsi con il legno dai vari colori.
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La vita d’un tempo
I nonni di Boschi…
LA FAMIGLIA
Le famiglie erano numerose, povere, ma unite. Comandava il capofamiglia (il più anziano) e tutti
dovevano sottostare ai suoi ordini. Il gruppo era affiatato e ci si aiutava più di adesso. Regnavano
solidarietà, cordialità e ospitalità.
L’ALIMENTAZIONE
L‟alimentazione era scarsa e non veniva molto variata. Si vendevano le uova e le galline per
comprare il pesce e la farina. Il pane si faceva in casa e veniva cotto sotto la cenere. Si mangiava
molta polenta, anche a colazione. Patate e fagioli erano le verdure presenti sulle tavole dei nostri
nonni. C‟era poca carne (in prevalenza animali da cortile) e quando si uccideva il maiale si faceva
una grande festa. Con il latte si producevano burro, panna e formaggi. Il vino era presente in ogni
casa.
LA CASA
Le case erano grandi, malandate e situate in aperta campagna. All‟interno non c‟erano piastrelle, ma
mattoni rossi o assi di legno. Ci si lavava dentro una grande bacinella (il brento), perché i bagni non
esistevano. Il gabinetto, una buca scavata nel terreno, si trovava nel cortile e veniva usato da più
famiglie. D‟inverno le abitazioni erano freddissime e si riscaldava una sola stanza. Per illuminare si
usava la lucerna a petrolio. Mancano le comodità.
L’ABBIGLIAMENTO
Non c‟era nessuna moda. Si confezionavano in casa scarpe di stoffa e vestiti. Le scarpe potevano
essere anche di legno (come gli zoccoli) e, una volta consumate, diventavano legna per il camino. Si
seminava la canapa che serviva per la tela di camicie e lenzuola.
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I LAVORI DOMESTICI
Il bucato si faceva con le “liscive” (cenere sciolta nell‟acqua bollente) e poi si sciacquavano i panni
nei fossi. Per stirare si riempiva il ferro di braci oppure lo si riscaldava sulla stufa.
IL LAVORO NEI CAMPI
Si viveva di agricoltura e lavorare nei campi era duro e faticoso. Gli uomini partivano presto alla
mattina ed erano necessarie anche ore di carretto per spostarsi nelle terre più lontane. Non vi erano
gli attrezzi e i macchinari di adesso e gli animali avevano un ruolo importante nel lavoro in
campagna.
ALLA SERA
D‟inverno ci si riscaldava attorno ad un grande focolare o alla stufa a legna. Oppure si andava nella
stalla a fare il “filò” e si trascorreva la serata in compagnia, cantando e raccontando com‟era
trascorsa la giornata. Gli anziani narravano storie ai più giovani.
IL MATRIMONIO
I preparativi dei matrimoni di una volta erano davvero ridotti all‟osso, però non mancava niente: dai
confetti agli orchestrali. La sposa, insieme alla mamma e alle altre donne della famiglia, viveva
molto intensamente il tempo precedente il fatidico giorno dedicandosi in modo particolare alla
“biancheria”. Il corredo era infatti la cosa alla quale più si teneva e si aveva cura di lasciarlo un po‟
fuori dalla cassapanca dove, insieme alle “palline” di naftalina, era stato rinchiuso per anni. Una
volta sistemato, lo si metteva esposto per una settimana prima del matrimonio in modo che tutti
potessero ammirarlo. Il corredo per la sposa (ma anche a volte per lo sposo) era in realtà un arte e
una “storia” che iniziava da bambina. I genitori di una femmina non pensavano altro che a
prepararlo per quando si sarebbe dovuta sposare! Si provvedeva a “ricamare” asciugamani e
lenzuola a mano nella propria famiglia. Molto spesso i genitori degli sposi, specie tra gli strati più
poveri che non avevano case o beni di altro genere da scambiarsi, si riunivano per scambiarsi
“note”, trascritte su semplici foglietti, con l‟elenco della dote. Gli abiti di allora non erano molto
diversi da quelli di oggi: vestito bianco per la sposa (a volte color ocra), completo scuro o grigio per
lo sposo. Andava di moda, specie tra i contadini e pastori, anche il meno nobile marrone. La
cravatta, spesso non proprio intonata, era corta. L‟abito della sposa, seppur meno appariscente di
quelli di oggi, era molto ben fatto: di organza o seta. Spessissimo, specie tra i meno abbienti, ma
anche tra i più ricchi, aveva il grande valore di essere stato fatto a mano dalla sposa stessa, dalla
mamma oppure dalla nonna. Alcuni di questi abiti hanno acquistato oggi un valore grandissimo,
perché interamente personalizzati, cuciti e ricamati a mano. Le bomboniere venivano create in casa
lavorando “di ferri e uncinetti” per creare piccoli contenitori coloratissimi dalle forme più varie.
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Tuttavia, non sempre c‟era l‟usanza delle bomboniere. Talvolta, al termine della cerimonia. gli
sposi passavano tra gli invitati con il vassoio “buono” di famiglia sul quale venivano messi i
confetti e con un cucchiaio ne dispensavano un certo numero.
Il fotografo, fornito della famosa macchinetta “a fuoco”, immortalava i momenti più belli. Il primo
e più commovente (l‟altro sarebbe stato quello in chiesa durante la celebrazione religiosa) era la
foto che si faceva in casa intorno al tavolo della stanza “buona”, che si apriva solo in rare
occasioni. La sequenza fotografica aveva una gerarchia ben precisa: prima lo sposo o la sposa da
sola, poi quella con la o le nonne, dopo con i genitori, infine anche con fratelli e sorelle. Dopo le
foto accedevano alla casa i vicini e quanti non avrebbero partecipato alla cerimonia, ai quali
venivano offerti dolci (paste secche, biscotti fatti in casa) e liquori, sempre casalinghi, che facevano
bella mostra di sé sul tavolo insieme ai regali ricevuti dagli spose e al corredo esposto. Solitamente
gli sposi sarebbero rimasti ad abitare nella casa materna o paterna. Infine il padre prendeva la sposa
sotto il braccio e si formava un vero e proprio corteo che, a piedi, si incamminava verso la chiesa.
Durante il tragitto, proprio come una processione, al corteo nuziale si aggiungevano altre persone
mentre dai lati della strada si applaudiva al passaggio degli sposi e si lanciavano confetti e
l‟immancabile riso. Si festeggiava poi con un buon risotto sull‟aia; torta e spumante chiudevano i
festeggiamenti. Non mancava mai la musica. Fisarmonica, chitarra o mandolino e tamburello
allietavano sino al pomeriggio gli invitati.
Matrimonio d‟epoca
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Famiglie d‟un tempo
Bimbi di allora
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Calamità, carestie ed emigrazioni
Negli anni 1817 – 18 ci fu la grande carestia causata dalla fame: il numero degli emigranti di Boschi
Sant‟Anna per il Brasile sorpassò i quattrocento. Scoperto però che “ l‟America” non era il paradiso
di cui si diceva , questi poveri schiavi avevano deciso di stringere i denti e di impegnarsi
strenuamente pur di raggranellare la cifra sufficiente per il viaggio di ritorno e per comperarsi la
casa nel paese natio. L‟emigrazione, sino a pochissimo tempo fa, fu una costante dalle nostre parti.
Nel ventennio fascista, Mussolini, che mascherava la grande crisi italiana di questo periodo, per
offuscare il tutto, invitava i patrioti a non allontanarsi dal Paese, ma di spostarsi solamente nel Lazio
per combattere l‟acquitrino a colpi di zappa e carriola. Altri preferivano il Piemonte o la Svizzera,
non dimenticando mai di ritornare a casa propria nel Basso Veronese.
Il furto della Madonna
LA MADONNA DELLE GRAZIE
VENERATA DA CINQUE SECOLI
Da oltre cinque secoli la pala raffigurante la
Madonna delle Grazie custodita nella chiesa
di San Marco è oggetto di una radicata
devozione non solo in paese ma anche in
tutta la Bassa veronese e padovana.
Un legame fortissimo che si protrae sin dalla
fine del „400 allorchè la famosissima
immagine della Vergine col Bambino,
commissionata al pittore Veronese Liberale
Dalla Biava detto Il Miniatore, venne posta
nell‟oratorio preesistente all‟attuale
parrocchiale come patrona e protettrice del
territorio.
La venerazione per la Madonna dello “spigolotto” - così lo chiamavano gli abitanti del posto che in
passato le donavano mazzetti di spighe per
ringraziarla del raccolto – si è poi rafforzata nel tempo di fronte alle alterne vicende di cui è stata
protagonista la preziosa effigie.
Infatti la notte del 15 gennaio 1973, “una notte da lupi” ricorda il parroco don Francesco, di vento e
acqua, alcuni ladri dopo aver inutilmente tentato di forzare la porta del campanile, sono entrati in
chiesa asportando due tele ed una tavola di piccole dimensioni raffigurante la “Vergine con il
Bambino” attribuita al Liberale da Verona, uno dei più abili allievi di Stefano da Zevio.
Una delle due tele raffigurava tre santi, con al centro San Giuseppe ed ai due lati San Gaetano e San
Valentino, l‟altra tela, raffigurante un altro santo, la trovarono, poche ore dopo il furto, dentro la
macchina che i ladri avevano usato per fare il colpo e che era andata a finire fuori strada per via di
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una curva pericolosa. In chiesa era rimasta solo la cornice. Quel buco vuoto, don Francesco non
riusciva proprio a mandarlo giù.
In chiesa la domenica, e in tutte le altre occasioni, si continuava a pregare per il ritorno della
Madonna. E‟ stato addirittura modificato un canto che si ripeteva in tutte le messe con l‟invocazione
“torna fra noi o Madre di Dio”.
Don Francesco attendeva fiducioso.
La sera del 23 settembre 1978, alla televisione appare la nostra bell‟Immagine ritrovata in Spagna.
Fu un tripudio di gioia.
Il 15 ottobre 1978 davanti
alla chiesa di Porto di Legnago
tre Colonnelli in alta uniforme
consegnarono il quadro
al parroco don Francesco.
Poi si formò un lungo corteo di macchine e si arrivò a San marco accolti dagli spari dei mortaretti e
dal suono della musica.
La festa del ritorno si concluse con la Santa Messa solenne presieduta dal Vescovo Mons. Giuseppe
Carraro, già sul posto ad accoglierli.
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EVOLUZIONE DEMOGRAFICA NEL CORSO DEGLI ANNI
POPOLAZIONE RESIDENTE ANNO 2011
1.419 (MASCHI 694, FEMMINE 725)
DISTRIBUZIONE PER ETÀ
DATI STATISTICI SU BOSCHI SANT'ANNA
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ANNO 2011
Etimologia
del nome Boschi Sant’Anna
L'origine del nome di questo comune risale a qualche secolo fa, cioè quando i veneziani si recavano
in questo territorio per sottrarre tronchi e legna da portare nella Repubblica Veneziana. Si sa con
certezza, che in questa zona nell'antichità, era presente un enorme bosco che dominava il territorio
tra Legnago e Montagnana circa. A Venezia servivano grandi tronchi da conficcare nei terreni della
laguna sui quali costruire edifici. Uno dei luoghi preferiti nei quali trovare l'occorrente, era questo,
grazie anche alla vicinanza del fiume Adige che con il suo corso conduceva nel Basso veneziano.
Intitolarono due centri esistenti nella zona, Boschi Sant'Anna e Boschi San Marco, a due figure
religiose molto importanti per la città lagunare (Sant'Anna e San Marco Evangelista).
STEMMA
Gonfalone comunale
Il simbolo del paese è uno scudo di colore argento con al centro una fascia orizzontale di color
azzurro e nella parte superiore una stella, sempre di colore azzurro, collocata al centro delle due
lettere puntate S ed A. Infine, nella parte inferiore, è rappresentato un albero sradicato. Lo scudo è
sormontato dalla tipica corona di comune e decorato con due fronde verdi, una d'alloro con bacche
d'oro e una di quercia con ghiande d'oro.
Nello stemma sono presenti gli elementi topografici e storici della comunità.
La fascia azzurra infatti rappresenta il corso del fiume Adige, in quanto Boschi Sant'Anna un tempo
era attraversata da un ramo del fiume; l'albero rappresenta la folta vegetazione che ricopriva la
zona, che ha dato origine al nome Bosco; la stella a sei punte rappresenta i centri che formavano il
comune (Sant‟ Anna, San Marco, Oni, Belfiore, Faro e Sabbioni); mentre le lettere S. e A. indicano
la sigla di Sant'Anna.
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Sindaci di Boschi Sant'Anna
SINDACI
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1817-1824 Dep. Pol. Castellani
1824-1839 Dep. Pol. Vanti
1839-1866 Dep. Pol. Rinaldi Niccolò
1866-1866 Sindaco Rinaldi Niccolò
1866-1898 Sindaco Rinaldi Luigi
1898-1903 Sindaco Mestrello Arcadio
1903-1912 Sindaco Rinaldi Ilario
1912-1914 Sindaco Prina Virgilio
1914-1921 Sindaco Filippin Cav. Giovanni
1921-1925 Sindaco Prina Virgilio
1925-1927 Podestà Spighi Don Panfilo
1927-1928 Podestà Spiazzi Gaetano
Dal marzo 1928 al gennaio 1948 il comune di Boschi Sant'Anna viene unito a quello di Bevilacqua,
assumendo la denominazione di Bevilacqua-Boschi.
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gen.-ago. 1948 Comm. Prefett. Rinaldi Dott. Nicola
1948-1950 Sindaco Rinaldi Dott. Nicola
1950-1952 Sindaco Spiazzi Alfonso
1952-1956 Sindaco Panato Alessandro
1956-1960 Sindaco Permunian Dott. Gino
1960-1962 Sindaco Maestrello Aristide
1962-1964 Sindaco Balbo Luigi
1964-1975 Sindaco Faustini Cirillo
1975-1985 Sindaco Tobaldini Renzo
1985-1999 Sindaco Roman Roberto
1999-2009 Sindaco Guglielmo Marco
2009-.... Sindaco Vincenzino Passarin
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INTERVISTA AL SINDACO PASSARIN VINCENZINO
1. Dati biografici Vincenzino Passarin, nato il 25/04/1945 anagraficamente a Bevilacqua, ma
precisamente in via Belfiore al n° 16 di Boschi Sant‟Anna. Sì, perché all‟epoca il nostro
comune era stato unito a quello di Bevilacqua creando così Bevilacqua-Boschi.
2. Studi e professione Mi ritengo, per l‟epoca in cui sono nato, una persona molto fortunata,
perché le risorse economiche scarseggiavano, ma io ho avuto la possibilità, con tanti
sacrifici, di poter frequentare le scuole elementari e successivamente continuare fino alla 3^
avviamento professionale precisamente all‟Istituto professionale ad avviamento
commerciale. La mamma, nata nel 1924, aveva frequentato le scuole elementari fino alla 4^ e
il papà, nato nel 1921, fino alla 2^. Il papà faceva l‟agricoltore e successivamente il
muratore; io mi ritengo una persona privilegiata in quanto a quel tempo non era così
importante la cultura ma il lavoro. Con tanta volontà ho potuto studiare e nello stesso tempo
lavorare in campagna durante il periodo delle vacanze. Ho sempre cercato comunque,
durante gli anni, di ampliare le mie conoscenze. Infatti, successivamente ho frequentato
prima un corso di disegno professionale e poi uno di informatica. Ho iniziato a lavorare come
garzone in una bottega e poi come operaio in officina dove sono rimasto per 41 anni, gli
ultimi dei quali come capofficina.
3. Ha rimpianti, avrebbe voluto studiare o fare qualcos‟altro nella vita? Non ho rimpianti, ma
adesso vedo che avrei potuto studiare non per arrivare più in alto professionalmente, ma per
sapere e quindi mi sono sempre dato da fare per apprendere il più possibile anche attraverso
la lettura a cui tuttora dedico tanto tempo. Non rimpiango nemmeno la severità
nell‟educazione di allora sia a scuola che a casa, perché mi ha aiutato molto a crescere e ad
essere la persona che sono oggi.
4. Il suo rapporto con Boschi Sant‟Anna: da semplice cittadino e a persona impegnata
nell‟amministrazione del comune. I rapporti con i cittadini come sindaco sono ottimi, ma
come cittadino con i miei concittadini devo dire che rimpiango i tempi in cui la domenica
tutta la via si ritrovava per trascorrere una giornata insieme; adesso sì e no che ci si saluta
con il vicino di casa. Mancano quindi i rapporti tra le persone, il dialogo e l‟onestà.
5. Si sente più italiano, più veneto o più Santannese. Quando si dice “sono italiano”, si dice
tutto e quindi veneto e santannese, basti pensare che la nostra Sagra, quest‟anno, è alla 305 a
edizione e ha visto nascere l‟Unità d‟Italia e anche di più.
6. La sua idea sui 150 anni dell‟Unità d‟Italia: utile celebrarla? I festeggiamenti sono stati più
che utili. Per me è stata l‟opportunità, e lo spero anche per i giovani se così l‟hanno vissuta,
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di poter ripassare quella parte di storia che a volte a scuola non si approfondisce o che nel
corso degli anni si dimentica.
7. La sua idea sui ragazzi, sui giovani d‟oggi. Premetto innanzitutto che mi ritengo un
sostenitore dei giovani perché sono il futuro del nostro paese, ma purtroppo al giorno d‟oggi
alla maggior parte manca la volontà e la forza di affrontare gli impegni. Quando celebro un
matrimonio civile cerco sempre di incentivarli a ricercare i valori che c‟erano una volta nelle
famiglie, ma non per un ritorno al passato o per nostalgia, ma perché oggi questi valori
mancano nelle coppie e non si dà più alcun spessore al nuovo nucleo familiare che si sta
creando e lo spunto, anche per i giovani, viene innanzitutto dalla famiglia.
8. Perché ha intrapreso la carriera di sindaco? Ero già attivo nell‟amministrazione del comune
e, quando mi è stato proposto, ho accettato di candidarmi sindaco perché attirato
dall‟intraprendere una nuova esperienza; poi la nomina vera e propria è stata inaspettata. Gli
obiettivi non sono solo i miei, ma quelli di tutta la mia squadra (consiglieri); ci sono tante
cose da fare e questo periodo di crisi che stiamo attraversando è decisamente il peggiore per
fare il sindaco. Tutti gli obiettivi che riusciamo a raggiungere sono delle vere e proprie
conquiste e danno tanta soddisfazione, come per esempio l‟ampliamento della scuola
dell‟infanzia, che è stato per me un grande successo perché raggiunto anche grazie alla
volontà dei cittadini che ci hanno concesso il terreno per poter costruire. Quindi ritengo di
dire che gli obiettivi si possono conseguire sia con il nostro impegno che con la volontà di
tutti i cittadini.
9. Su quali aspetti deve maggiormente impegnarsi un sindaco per promuovere la comunità?
Non ci sono aspetti precisi, si va per tentativi, si promuovono tante iniziative ma talvolta con
scarsa partecipazione da parte dei cittadini.
10. L‟azione del sindaco è frutto di una squadra o può esprimere una “mission” personale? É
decisamente un lavoro di squadra.
11. Si poteva governare meglio un tempo o adesso? Era più facile un tempo perché non c‟era la
rigidità delle normative che ci sono adesso. Si parla continuamente di semplificare la parte
burocratica, ma non è vero. Adesso vogliono informatizzare tutto, ma non si pensa agli
anziani e al disagio che ne comporta loro.
12. Evoluzione e cambiamenti nell‟ambito industriale ed artigianale. Il suo rapporto da sindaco
quale è stato? Essendo neoeletto non ho avuto la possibilità, come sindaco, di poter
partecipare allo sviluppo industriale ed artigianale del paese. Posso dire, da spettatore, che in
passato si è lavorato poco sulla viabilità che è la base di partenza per favorire lo sviluppo
industriale. Come sindaco, adesso sto puntando proprio su questo. Ora però non è facile
perché, anche creando le infrastrutture, con la crisi non ci sono aziende che investono e
diventa anche per noi difficile proseguire su questa strada.
13. Per quanto riguarda la scuola, cosa rappresenta per l‟Amministrazione? Si ricorda perché
sono state intitolate così sia la scuola dell‟infanzia che la scuola primaria? La scuola per un
paese rappresenta una risorsa, il punto di partenza, l‟investimento per il nostro futuro, non
quindi una spesa ma un impegno a cui non dobbiamo sottrarci. Onestamente non ricordo
perché la scuola primaria sia stata intitolata a “Cesare Battisti”, l‟infanzia invece è stata
chiamata “Don A. Perazzani” in sua memoria in qualità di fondatore del primo asilo nel
1905.
14. Un messaggio ai giovani d‟oggi. Il messaggio per i giovani è di studiare e tanto, non per
maggior guadagno, ma per avere una mentalità flessibile che insegni loro ad adattarsi alle
situazioni anche lavorative.
15. Sulla base della sua esperienza, cosa è più importante: scuola, lavoro, democrazia,
cittadinanza attiva, impegno nel sociale, nel volontariato, nell‟associazionismo, senso
religioso, conoscenza e senso storico della realtà locale... Tutte queste cose, se applicate,
fanno di un paese un paese migliore, nessuna esclude l‟altra e, con la volontà di tutte le
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persone, si possono tutte mettere in pratica. Rimango dell‟idea, però, che per far crescere un
paese bisogna puntare sulla scuola.
16. Quale messaggio si sentirebbe di dare ai giovani che intendessero prendere su se stessi il
testimone e assumere responsabilità politico-amministrative? Per poter intraprendere la
carriera amministrativa bisogna saper farsi carico di enormi responsabilità e quindi i giovani
devono trovare la forza, la volontà e il coraggio per affrontarle. Auspico soprattutto che le
generazioni future puntino più sulla sincerità e ad un ritorno ai valori che attualmente
mancano.
17. Perché un libro sulla storia di Boschi ? L‟idea di scrivere un libro sulla storia del nostro paese
è partita inizialmente da Don Mariano, nostro parroco dal 2000 al 2001. Sua l‟idea di creare
il Consiglio affari economici della parrocchia, prima non esisteva, di cui io facevo parte fino
alla nomina a sindaco, e come membro del consiglio mi chiese se potevo occuparmi di
sistemare l‟archivio parrocchiale. Rimasi stupito dalla quantità di documenti che ne
emersero, molti dei quali sono datati prima del 1700. Don Mariano, visto che c‟era del
materiale su cui poter lavorare, decise di abbandonare gli studi all‟università per poter
scrivere il libro, ma non riuscì a mantenere l‟impegno assunto perché rimase da noi troppo
poco. Così decisi io di portare a termine il suo lavoro. Terminarlo e vederlo distribuito alle
famiglie è stato anche questo uno degli obiettivi raggiunti che mi ha dato tanta soddisfazione
e qui ho messo tutto il mio impegno. Non a caso, come si può vedere, è un libro molto
semplice, talvolta anche, nella prima edizione, con qualche errore.
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INTERVISTA ALL’INSEGNANTE TRENTIN GIOVANNA
1. Dati biografici Trentin Giovanna, nata il 19/03/1925 a Treviso.
2. Studi e professione Ho frequentato la Scuola magistrale per insegnante elementare. Dal 1955
al… insegnante presso la scuola elementare di Boschi Sant‟Anna. Ho dedicato la mia vita
all‟insegnamento.
3. Ha rimpianti, avrebbe voluto studiare o fare qualcos‟altro nella vita? Ho finito la scuola
“sotto le bombe”. Allora, con la guerra, era già tanto! Sono riuscita a raggiungere il mio
ideale: essere insegnante. L‟unico rimpianto forse è stato quello di aver mollato la scuola di
pittura che avevo creato, avrei dovuto tener duro!
4. A tal proposito, mi parli degli impegni extrascolastici nella comunità. Ho fondato la
biblioteca comunale, non ricordo esattamente in quale anno. Mi era stato chiesto dall‟allora
consigliere Gardinale di occuparmi dell‟elenco dei libri e quindi di creare la biblioteca da
zero. Il comune, a quei tempi, stanziava una cifra pro-capite e ne risultava un contributo al
mese di tremilioni di lire. E in più, per chi ne faceva richiesta, c‟era la possibilità di usufruire
di un contributo regionale. Inizialmente, comunque, a volte mancavano le matite, ora invece
si è raggiunto un discreto risultato. La biblioteca ha ora anche un nome dato attraverso il
concorso con le scuole nell‟anno dedicato a Collodi. Con il parroco Don Mastella, invece,
sono riuscita a metter su una piccola scuola di pittura. Veniva da Porto di Legnago
un‟insegnante allieva della pittrice Nelda. Ho organizzato anche delle mostre, una delle quali,
la più bella, presso il palazzo Rinaldi. La scuola è durata tre anni.
5. Si sente più italiana, più veneta o più Santannese. Mi sento veneta, perché comprendo tutti i
luoghi dove ho vissuto e ho bei ricordi: Erbezzo per otto anni, Treviso dove sono nata e
Sant‟Anna dove abito tutt‟oggi.
6. La sua idea sui 150 anni dell‟Unità d‟Italia: utile celebrarla? Secondo lei, cosa caratterizza
maggiormente l‟italianità, l‟essere italiani…? Ecco appunto, proprio a questo dobbiamo
pensare! Siamo Italiani ed è stato essenziale festeggiare per risvegliare in noi lo spirito
d‟italianità, per risentirci Italiani, perché oggi ci sentiamo poco Italiani. Quello che ci
distingue come Italiani è la spontaneità, l‟entusiasmo, l‟amore per il bello, l‟amore per l‟arte
che abbiamo nel nostro DNA. Sono contenta anche di come il nostro comune ha festeggiato
con l‟illuminazione della facciata del municipio e le bandiere ben in vista, anche se qualcuno
non l‟ha esposta.
7. La sua idea sui ragazzi, sui giovani d‟oggi. Non c‟è una domanda di riserva? La gioventù
oggi è viziata e rovinata dal progresso. Chi non si lascia influenzare ma sfrutta il progresso
come conoscenza, non per farne errori, si sente diverso. Capisci quello che voglio dire?
8. Com‟è cambiata la scuola in questi ultimi anni, da quando insegnava ai giorni d‟oggi? Ho
avuto modo di vedere il programma che viene svolto nelle scuole adesso e devo dire che si
imparava di più una volta, si arrivava alle medie più preparati. Oggi si studiano poco i nostri
poeti e si è abbassato il grado di cultura. Quando c‟era l‟insegnante unica, si creava
maggiormente un legame stretto con lei. Per me erano tutti figli miei. E loro mi volevano
bene. Ora sembra che agli alunni non importi più niente dell‟insegnante.
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9. Quanto è importante la scuola per un paese? Non è solo importante, è indispensabile, per
fare un paragone, quanto un ospedale. Dove non c‟è la scuola non c‟è niente.
10. Si ricorda perché la nostra scuola elementare è stata intitolata Cesare Battisti? Non c‟è stato
allora un motivo preciso, abbiamo solo scelto il nome che ci sembrava più adatto a differenza
dell‟infanzia a cui è stato dato quello del suo fondatore.
11. Quale messaggio si sentirebbe di dare ai giovani? Amare lo studio, avere interesse per tutto
ciò che è nuovo, cercare sempre di migliorarsi, non essere mai soddisfatti di quello che si è
raggiunto, frequentare luoghi di cultura come la biblioteca… LEGGERE, LEGGERE,
LEGGERE TANTO PERCHÉ LEGGENDO S‟IMPARA E SI CONOSCE.
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Oggi 17 marzo 2011 festeggiamo così!
Poesia
“Una scuola grande come il mondo”
C‟è una scuola grande come il mondo.
Ci insegnano maestri, professori,
avvocati, muratori,
televisori, giornali,
cartelli stradali,
il sole, i temporali, le stelle.
Ci sono lezioni facili
E lezioni difficili,
brutte, belle e così così.
Ci si impara a parlare, a giocare,
a dormire, a svegliarsi,
a voler bene e perfino
ad arrabbiarsi.
Ci sono esami tutti i momenti,
ma non ci sono ripetenti:
nessuno può fermarsi a dieci anni,
a quindici, a venti,
e riposare un pochino.
Di imparare non si finisce mai,
e quel che non si sa
è sempre più importante
di quel che si sa già.
Questa scuola è il mondo intero
quanto è grosso:
apri gli occhi e anche tu sarai promosso.
G. Rodari
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Poesia
“ La scuola”
Chi mai l‟ha costruita, un po‟ appartata
dall‟altre case, come una chiesuola,
e poi che l‟ebbe tutta intonacata
le ha scritto in fronte la parola SCUOLA?
E chi le ha messo al collo per monile
una campana senza campanile?
Chi disegnò per lei quei due giardini
con pochi fiori e giovani alberelli?
Non per un bimbo, ma per quanti sono
nel mondo, suona quella campanella:
e la scuola ti sembra così bella,
e quell‟aiuola un fiorente dono
perché col giardiniere e il muratore
vi mise, ogni dì, mano anche l‟amore.
R. Pezzani
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Poesia dialettale
“ Scole”
Scole d‟altri tempi
Scole bolse e rapolà
I muri dal tempo scriti
L‟è on „becedario
Oncora de sienza parla e sapienza
D‟on lezare e d‟on scrivare
Che dal cor mai se cancela
E chi passa varda
Drento se menzona
Le longhe giornade … de quando
Essar zovani massa pesava
E quanto oncò inveze sbrusia
Essar grandi deventà … o magari
Anca veci malcunà
Da ciacole stofegà … e poco sane
Care scole pi non canta
Al diretor che riva
_ Batiam! Batiam le mani!
_ Ariva el diretor!
Che pi no „l riva el diretor
Anca lu finio
In te na grupia de carta
Poche speranze al mondo vanza
Se sparisse careze picinine
E zughi de butini
E farfale spaurie scapa
Da fiori de catrame
E in tel prà de matonele cresse gramegna
E ramenoti in te l‟erba
Pi no consola i zenoci sbrojà
Le papine de la mama
Par le braghete sverdegà
Na canta! Scoltemo!
_ Giro! Girotondo!
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_ Casca el mondo!
_ Casca la tera!
_ Tuti zo par tera.
Dal silenzio d‟albari in pena
Via rodola
Fora dal tempo rodola
Che na marmora pare
Massa trista ghe l‟onbria
De foje brustolà
E nissun se dà le man
On tasere stranio…
_ E i butini indove ei finii?
Drento i bidoni!
Da l‟orco magnà!
Colorio pi no „l se cata!
-E i sogni in scarsela?Da on buso sbrissià prima d‟essar ciapà!
Ma parchè anca le scole more?
El mondo perde le raise bone!
Parchè?... ma parchè?
Na nebia me risponde ontiza
Le scole intabara
Albari… canti … fiori… maestre …
Butini… zughi … farfale … tuto cuercià
Insieme a le memorie
De sto mondo picinin
E la morte pi vizin… pi forte supia
Par le scole… par noantri supia.
S. Polo
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CANZONE “VIVA LA MAMMA” DI EDOARDO BENNATO
C'è folla tutte le sere
nei cinema di Bagnoli
un sogno che è in bianco e nero
tra poco sarà a colori
l'estate che passa in fretta
l'estate che torna ancora
e i giochi messi da parte
per una chitarra nuova
Viva la mamma
Affezionata a quella gonna un po' lunga
Così elegantemente anni cinquanta
Sempre così sincera
Viva la mamma
Viva le donne con i piedi per terra
Le sorridenti miss del dopoguerra
Le spettinate come lei
Angeli ballano il rock, ora
Tu non sei un sogno, sei vera
Viva la mamma perché se ti parlo di lei
Non sei gelosa
Viva la mamma
Affezionata a quella gonna un po' lunga
Indaffarata sempre, sempre convinta
A volte un po' severa
Viva la mamma
Viva la favola degli anni cinquanta
Così lontana eppure così moderna
E così magica
Angeli ballano il rock, ora
Non è un juke box, è un'orchestra, vera
Viva la mamma perché se ti parlo di lei
Non sei gelosa
Bang, bang, la sveglia che suona
Bang, bang, devi andare a scuola
Bang, bang, soltanto un momento
Per sognare ancora
Ooo ooo ooo
Viva la mamma
Affezionata a quella gonna un po' lunga
Così elegantemente anni cinquanta
Sempre così sincera
Viva la mamma
Viva le regole e le buone maniere
Quelle che non ho mai saputo imparare
Forse per colpa del rock
Forse per colpa del rock, rock
Forse per colpa del...
Forse per colpa del rock
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CANZONE “MAMMA” (1940) BENIAMINO GIGLI
La canzone “Mamma” di Beniamino Gigli è un inno alla persona più importante della nostra vita, come dire,
la mamma è sempre la mamma! A qualsiasi età resta il nostro faro e la nostra guida, ci aiuta quando
abbiamo un problema e gioisce dei nostri successi.
Mamma, son tanto felice
perché ritorno da te.
La mia canzone ti dice
ch’è il più bel sogno per me!
Mamma son tanto felice…
Viver lontano perché?
Mamma, solo per te la mia canzone vola,
mamma, sarai con me, tu non sarai più sola!
Quanto ti voglio bene!
Queste parole d’amore che ti sospira il mio cuore
forse non s’usano più,
mamma!,
ma la canzone mia più bella sei tu!
Sei tu la vita
e per la vita non ti lascio mai più!
Sento la mano tua stanca:
cerca i miei riccioli d’or.
Sento, e la voce ti manca,
la ninna nanna d’allor.
Oggi la testa tua bianca
io voglio stringere al cuor.
Mamma, solo per te la mia canzone vola,
mamma, sarai con me, tu non sarai più sola!
Quanto ti voglio bene!
Queste parole d’amore che ti sospira il mio cuore
forse non s’usano più,
mamma!,
ma la canzone mia più bella sei tu!
Sei tu la vita
e per la vita non ti lascio mai più!
Mamma… mai più!
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L’ALTRA METÀ DELL’UNITÀ: LE DONNE DEL RISORGIMENTO
Le donne hanno partecipano attivamente, anche combattendo, al
Risorgimento nazionale, tuttavia sono state in molti casi escluse dalla
memoria ufficiale. Le istituzioni infatti non le hanno sufficientemente
ricompensate per il contributo reso alla nascita dello Stato italiano.
Nel primo Ottocento le donne furono presenti in una prodigiosa varietà
di atteggiamenti e di scelte coraggiose e innovatrici. Si distinsero in un
gruppo numeroso, di diverse estrazioni sociali, e si dimostrarono
volitive, determinate, con idee e progetti da realizzare, impegnate
direttamente nelle cospirazioni e nelle lotte vere e proprie, anche se in
genere con funzioni di organizzatrici o di infermiere, passate poi, dopo l'Unificazione, a ruoli di
impegno sociale a beneficio delle donne e dell'infanzia, per il riscatto sociale delle classi disagiate,
per l'organizzazione e la promozione dell'educazione.
Tuttavia, ancora oggi, gli studi sul Risorgimento – certamente non numerosi - stentano a
riconoscere l‟importanza reale del loro operato. Ma basta pensare ai salotti intellettuali e all‟opera
concreta di diffusione delle idee risorgimentali, accoglienza degli esuli, infermieria, fondazione di
scuole e istituti professionali, asili per gli orfani, studio di problemi sociali e del lavoro, a cui
presero parte Cristina Trivulzio, Nina Schiaffino Giustiniani, Clara Maffei, Teresa Casati
Confalonieri, Teresa Agazzini, Amalia Cobianchi, Camilla Fé, Maria Gambarana Frecavalli,
Olimpia Rossi Savio, Bianca De Simoni Rebizzo, Clelia Piermarini, Bianca Milesi, Giuditta
Sidoli, Enrichetta Di Lorenzo, Giulia Calame, Giulia di Barolo, Ernesta Bisi, Jessie White
Mario, Margaret Fuller Ossoli, Costanza d'Azeglio, Anna Maria Mozzoni, Elena Casati
Sacchi, Luisa Solera Mantegazza, Emilia Peruzzi, Antonietta De Pace, Maria Gozzadini,
Clara Carrara Maffei, Adelaide Bono Cairoli, Adelaide Bono Cairoli o al combattimento vero
e proprio di Cristina Trivulzio, Tonina Masanello in Marinello, Colomba Antonietta Porzi,
Giuditta Tavagni Arquati, Teresa Durazzo Doria, Anita Ribeiro Garibaldi, per capire che esse
consegnano alla storia e al futuro dell‟Italia un patrimonio di valori morali e civili che
accompagnerà il faticoso percorso dell‟Unità.
Sono solo alcuni dei tanti nomi di donne italiane
che collaborarono accanto agli uomini del Risorgimento,
determinate a costruire un paese in cui riconoscersi e
trovare espressione. Personalità diverse le une dalle
altre, coraggiose al pari degli uomini, devote ai loro
mariti e figli ma soprattutto all'ideale.
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Anita Garibaldi
Maria Gozzadini
Clara Carrara Maffei
Lucia Irianni
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CANZONE “TRE COLORI” DI FRANCESCO TRICARICO
Mezza luna cilentana
Nebbia padana
Soldatini non ne abbiamo più
Tutti pronti sull’attenti
Partoni i fanti
Colorati con le giacche blu
Quelli nella nebbia hanno una bandiera verde
Ricorda che la nostra tre colori ha
La battaglia è già iniziata
Buona giornata
Cannoncini con le bocche in su
Partiremo noi da dietro
Con l’aiuto di San Pietro
Il destino poi ci guiderà
Quelli sul confine hanno una bandiera rossa
Ricorda che la nostra tre colori ha
Quelli nella nebbia hanno una bandiera verde
Ricorda che la nostra tre colori ha
Soldatini di frontiera
Mille mamme aspettano
Cercate di non farvi fucilar
Questa storia è stata scritta
E già studiata
Pensavate di doverla ripassar?
Quelli in cima al monte hanno una bandiera bianca
Ricorda che la nostra tre colori ha
Verde la speranza rosso il sangue di frontiera
Neve bianconeve i cuori abbraccerà
Tre colori come i fiori
Non son per caso
Ta tata tata tata tata
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INNO NAZIONALE DELLA REPUBBLICA ITALIANA DAL 1947
SCRITTO DA GOFFREDO MAMELI NEL 1847
Fratelli d'Italia,
l'Italia s'è desta;
dell'elmo di Scipio
s'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma;
ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Dall'Alpe a Sicilia,
dovunque è Legnano;
ogn'uom di Ferruccio
ha il core e la mano;
i bimbi d'Italia
si chiaman Balilla;
il suon d'ogni squilla
i Vespri suonò.
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Noi siamo da secoli
calpesti, derisi,
perché non siam popolo,
perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
bandiera, una speme:
di fonderci insieme
già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Il sangue d'Italia
e il sangue Polacco
bevé col Cosacco, ma il cor le bruciò.
Uniamoci, amiamoci;
l'unione e l'amore
rivelano ai popoli
le vie del Signore.
Giuriamo far libero
il suolo natio:
uniti, per Dio,
chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Son giunchi che piegano
le spade vendute;
già l'aquila d'Austria
le penne ha perdute.
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CANZONE “MONEY MONEY MONEY” DEGLI ABBA
I work all night, I work all day
to pay the bills I have to pay
ain't it sad
and still there never seems to be
a single penny left for me
that's too bad
in my dreams I have a plan
if I got me a wealthy man
I wouldn't have to work at all
I'd fool around and have a ball
Money, money, money
must be funny
in the rich man's world
money, money, money
always sunny
in the rich man's world
aha, aha
all the things I could do
if I had a little money
it's a rich man's world
it's a rich man's world
A man like that is hard to find
but I can't get him off my mind
ain't it sad
and if he happens to be free
I bet he wouldn't fancy me
that's too bad
so I must leave, I'll have to go
to Las Vegas or Monaco
and win a fortune in a game
my life will never be the same
Money, money, money
must be funny
in the rich man's world
money, money, money
always sunny
in the rich man's world
aha, aha
all the things I could do
if I had a little money
it's a rich man's world
Money, money, money
must be funny…
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CANZONE
“MILLE LIRE AL MESE”
DI GILBERTO MAZZI
La canzone, molto nota, presenta un motivetto a
tempo di fox-trot con tocchi di swing ed è stata
scritta da Carlo Innocenzi e Alessandro Sopranzi
nel 1938. Il testo richiama il frequente desiderio di
realizzarsi economicamente, mille lire negli anni
Trenta rappresentavano una discreta cifra, uno
stipendio più che abbondante.
Che disperazione,
che delusione
dover campar
sempre in disdetta,
sempre in bolletta.
Ho sognato ancora,
stanotte amore,
l’eredità
d’un zio lontano,
americano.
Ma se un posticino
domani cara
io troverò,
di gemme d’oro
ti coprirò.
Ma se questo sogno
non si avverasse,
come farò.
Il ritornello
ricanterò.
Se potessi avere
mille lire al mese,
senza esagerare,
sarei certo di trovare
tutta la felicità.
Se potessi avere
mille lire al mese,
senza esagerare,
sarei certo di trovare
tutta la felicità.
Un modesto impiego,
io non ho pretese,
voglio lavorare
per poter al fin trovare
tutta la tranquillità.
Un modesto impiego,
io non ho pretese,
voglio lavorare
per poter al fin trovare
tutta la tranquillità.
Una casettina
in periferia,
una mogliettina
giovane e carina,
tale e quale come te.
Una casettina
in periferia,
una mogliettina
giovane e carina,
tale e quale come te.
Se potessi avere
mille lire al mese,
farei tante spese,
comprerei fra tante cose
le più belle che vuoi tu.
Se potessi avere
mille lire al mese,
farei tante spese,
comprerei fra tante cose
le più belle che vuoi tu.
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STORIA DELLA BANCONOTA DA 1.000 LIRE
Lire 1.000 del 1930. Decreto di fabbricazione D.M. 15 aprile 1935. (da I biglietti della Banca
d‟Italia, Istituto Poligrafico e Zecca di Stato)
Nel 1937, al massimo della campagna demografica, il regime fascista offriva un assegno nuziale di
1.000 lire agli impiegati che si sposavano entro i trent‟anni (per gli operai era di 700 lire ma
dovevano coniugarsi entro 25 anni di età). L‟assegno nuziale era corredato da un prestito, non
inferiore a 1.000 lire né superiore alle 3.000, che era elargito a quanti guadagnavano meno di
12.000 lire l‟anno. La stragrande maggioranza degli italiani prendeva meno di 1.000 lire al mese.
Alle madri riconosciute prolifiche (con almeno 7 figli) erano consegnate 5.000 lire e una polizza di
assicurazione di 1.000 lire. Un‟utilitaria, la Fiat Topolino (fig. 2), prodotta nel 1936 costava 8.900
lire, ma già nel 1932, al salone dell‟automobile di Milano, era stata presentata la Fiat Balilla 508
(fig. 3) come la prima macchina destinata al popolo, costava da 9.900 a 10.800 lire. Nello stesso
anno dell‟uscita della Topolino la Lancia presentò l‟Aprilia, la prima auto aerodinamica di lusso, a
23.500 lire. Con questo bolide si toccavano i 125-130 km all‟ora. Ma gli impiegati e, con il maggior
benessere degli anni 1934-1937, anche gli operai specializzati usavano la bicicletta: la Volsit
(sottomarca della Legnano) costava, nel 1938, 200 lire. Per dire, con buona approssimazione,
quanto valevano le mille lire del 1938, è sufficiente utilizzare le tabelle di rivalutazione monetaria
elaborate dall‟Istituto Centrale di Statistica facendo riferimento all‟indice dei prezzi al consumo, per
tutti gli anni dal 1861 ad oggi. Mille lire del 1938 corrispondevano a CIRCA 860 EURO di oggi.
Probabilmente il taglio da 1.000 lire (in circolazione dal 1897 fino all‟introduzione dell‟euro) è
quello che, più di ogni altro, ha caratterizzato la storia e le emissioni del XX secolo in Italia.
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UNO SGUARDO AL FUTURO…
PAPA GIOVANNI PAOLO II PARLA
AI GIOVANI
Fin dall'inizio del mio servizio come Successore di
Pietro ho guardato a voi, giovani, con attenzione e
affetto, perché sono convinto che la giovinezza non è
semplicemente un tempo di passaggio tra
l'adolescenza e l'età adulta, bensì un'epoca della vita
che Dio concede come dono e come compito ad ogni
persona. Un tempo durante il quale ricercare, come il
giovane del Vangelo (cfr Mt 16, 20), la risposta agli
interrogativi fondamentali e scoprire non solo il
senso dell'esistenza, ma anche un progetto concreto
per costruirla. Dalle scelte che voi, carissimi ragazzi
e ragazze, farete in questi anni dipenderà il vostro avvenire personale, professionale e sociale: la giovinezza è il
tempo in cui si mettono le fondamenta; un'occasione da non perdere, perché non tornerà più!
2. In questo momento particolare della vostra vita, il Papa è lieto di esservi vicino per ascoltare con rispetto le
vostre ansie e sollecitudini, le vostre attese e speranze. Egli è qui con voi per comunicarvi la certezza che è Cristo,
la verità che è Cristo, l'amore che è Cristo. La Chiesa vi guarda con grande attenzione, perché intravede in voi il
proprio futuro e in voi ripone la propria speranza.
Immagino che vi chiediate che cosa vuole dirvi il Papa questa sera, prima della sua partenza. Ecco: io vorrei
affidarvi due messaggi, due "parole" pronunciate da Colui che è la Parola stessa del Padre, con l'augurio che le
sappiate custodire come un tesoro per tutta la vostra esistenza (cfr Mt 6,21).
La prima parola è quel "Venite e vedrete", detto da Gesù ai due discepoli che gli avevano chiesto dove abitava (cfr
Gv 1, 38-39). E' un invito che sostiene e motiva da secoli il cammino della Chiesa. Lo ripeto oggi a voi, cari
amici. Avvicinatevi a Gesù e cercate di "vedere" ciò che Egli è in grado di offrirvi. Non abbiate paura di varcare la
soglia della sua casa, di parlare con Lui faccia a faccia, come ci s'intrattiene con un amico (cfr Es 33,11). Non
abbiate paura della "vita nuova" che Egli vi offre. Nelle vostre parrocchie, nei vostri gruppi e movimenti, ponetevi
alla scuola del Maestro per fare della vostra vita un risposta alla "vocazione" che Egli da sempre, con pensiero di
amore, ha progettato per voi.
E' vero: Gesù è un amico esigente, che indica mete alte e chiede di uscire da se stessi per andargli incontro: "Chi
perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà" (Mc 8,35). Questa proposta può apparire difficile e
in alcuni casi può anche fare paura. Ma - vi domando - è meglio rassegnarsi ad una vita senza ideali, ad una
società segnata da sperequazioni, prepotenze ed egoismi, o piuttosto cercare generosamente la verità, il bene, la
giustizia, lavorando per un mondo che rispecchi la bellezza di Dio, anche a costo di dover affrontare le prove che
questo comporta?
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3. Abbattete le barriere della superficialità e della paura! Conversate con Gesù nella preghiera e nell'ascolto della
sua Parola. Gustate la gioia della riconciliazione nel sacramento della Penitenza. Ricevete il suo Corpo e il suo
Sangue nell'Eucaristia, per saperLo poi accogliere e servire nei fratelli. Non cedete alle lusinghe e alle facili
illusioni del mondo, che si trasformano assai spesso in tragiche delusioni.
E' nei momenti difficili, nei momenti della prova - lo sapete - che si misura la qualità delle scelte. Non esistono
scorciatoie verso la felicità e la luce! Solo da Gesù si possono ricevere risposte che non illudono né deludono!
Camminate dunque con senso del dovere e del sacrificio lungo le strade della conversione, della maturazione
interiore, dell'impegno professionale, del volontariato, del dialogo, del rispetto per tutti, senza arrendervi di fronte
alle difficoltà o agli insuccessi, ben sapendo che la vostra forza è nel Signore, il quale guida con amore i vostri
passi (cfr Ne 8, 10).
4. La seconda parola che vi voglio lasciare questa sera è la stessa indirizzata ai giovani del mondo intero, che si
preparano a celebrare fra due mesi la loro Giornata Mondiale a Toronto, in Canada: "Voi siete il sale della terra;
voi siete la luce del mondo" (cfr Mt 5, 13-14).
Nella Scrittura il sale è simbolo dell'alleanza tra l'uomo e Dio (cfr Lv 2,13). Ricevendo il Battesimo, il cristiano
diventa partecipe di questo patto che dura per sempre. Il sale è poi segno di ospitalità: "Abbiate sale in voi stessi,
dice Gesù, e siate in pace gli uni con gli altri" (Mc 9, 50). Essere sale della terra significa essere operatore di pace
e testimone di amore. Il sale serve inoltre alla conservazione degli alimenti, a cui dona sapore, e diventa simbolo
di perseveranza e di immortalità: essere sale della terra significa essere portatore di una promessa di eternità.
Ancora: al sale è riconosciuto un potere curativo (cfr 2 Re 2, 20-22), che ne fa immagine della purificazione
interiore e della conversione del cuore. Gesù stesso evoca il sale della sofferenza purificatrice e redentrice (cfr Mc
9, 49): il cristiano è sulla terra testimone della salvezza ottenuta mediante la Croce.
5. Altrettanto ricco è il simbolismo della luce: la lampada illumina, riscalda, rallegra. "Lampada per i miei passi è
la tua parola, luce sul mio cammino", afferma nella preghiera la fede della Chiesa (Sal 119, 105). Gesù, Parola del
Padre, è la luce interiore che scaccia la tenebra del peccato; è il fuoco che allontana ogni freddezza; è la fiamma
che rallegra l'esistenza; è lo splendore della verità che, brillando davanti a noi, ci precede sulla strada. Chi lo
segue, non cammina nelle tenebre, ma ha la luce della vita. Così, il discepolo di Gesù deve essere discepolo della
luce (cfr Gv 8, 12; 3, 20-21).
"Voi siete il sale della terra; voi siete la luce del mondo". Mai sono state dette all'uomo parole allo stesso tempo
così semplici e così grandi! Certo, solo Cristo può essere definito pienamente sale della terra e luce del mondo,
perché Lui solo può dare sapore, vigore e perennità alla nostra vita che, senza di Lui, sarebbe insipida, fragile e
peritura. Lui solo è capace di illuminarci, riscaldarci, rallegrarci.
Ma è Lui che, volendo farvi partecipi della sua stessa missione, rivolge oggi a voi senza mezzi termini queste
parole di fuoco: "Voi siete il sale della terra; voi siete la luce del mondo". Nel mistero dell'Incarnazione e della
Redenzione, Cristo si unisce ad ogni cristiano e pone la luce della Vita e il sale della Saggezza nel più profondo
del suo cuore, trasmettendo a chi lo accoglie il potere di diventare figlio di Dio (cfr Gv 1, 12) e il dovere di
testimoniare questa presenza intima e questa luce nascosta.
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Accettate dunque con umile coraggio la proposta che Dio vi rivolge. Nella sua onnipotenza e tenerezza, Egli vi
chiama ad essere santi. Sarebbe da stolti gloriarsi di una simile chiamata, ma sarebbe da irresponsabili rifiutarla.
Equivarrebbe a sottoscrivere il proprio fallimento esistenziale. Léon Bloy, uno scrittore cattolico francese del
Novecento, ha scritto: "Non c'è che una sola tristezza, quella di non essere dei santi" (La femme pauvre, II, 27).
6. Ricordate, giovani amici: voi siete chiamati ad essere sale della terra e luce del mondo! Gesù non vi domanda
semplicemente di dire o di fare qualcosa; Gesù vi domanda di essere sale e luce! E non per un giorno soltanto, ma
per tutta una vita. E' un impegno che Egli vi ripropone ogni mattina e in ogni ambiente. Dovete essere sale e luce
con le persone della vostra famiglia e con i vostri amici; dovete esserlo con gli altri giovani - ortodossi, ebrei e
musulmani - con i quali entrate quotidianamente in contatto nei luoghi di studio, di lavoro e di svago. Dipende
anche da voi l'edificazione di una società in cui ogni persona possa trovare il proprio posto e vedere riconosciuta e
accettata la sua dignità e la sua libertà. Offrite il vostro contributo perché la Bulgaria sia ogni giorno di più una
terra di accoglienza, di prosperità e di pace.
Ciascuno è responsabile delle proprie scelte. Non vi è nulla di scontato, voi lo sapete. Gesù stesso ipotizza
l'eventuale infedeltà: "Se il sale perdesse il sapore - dice -, con che cosa lo si potrà render salato?" (Mt 5, 13). Non
dimenticate mai, cari giovani, che quando una pasta non lievita, la colpa non è della pasta, ma del lievito. Quando
una casa rimane al buio, significa che la lucerna si è spenta. Perciò, "risplenda la vostra luce davanti agli uomini,
perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).
7.Alcuni vivono il presente come il tutto della vita.
È possibile costruire fin d‟ora un tessuto di rapporti autentici tra la gente, amando e promuovendo la vita,
operando costantemente affinché ogni persona sia riconosciuta e accolta con amore, sostenuta nella crescita e
tutelata nei diritti.
La vita pone tanti interrogativi, ma ve n‟è uno soprattutto a cui occorre dare una risposta: che senso ha vivere?
Alcuni si abbandonano passivamente alla realtà quasi fosse un sogno destinato a svanire, piuttosto che adoperarsi
perché i valori e i grandi ideali diventino sempre più realtà.
Non accontentatevi di esperienze banali, non date credito a chi ve le propone.
Abbiate fiducia nella vita.
Affrontate con coraggio ogni difficoltà e fate dell‟esistenza un dono senza riserve.
C‟è bisogno della vostra attiva partecipazione con lo stile e la vivacità tipici della vostra età.
È questa una straordinaria avventura, che non possiamo però condurre a termine da soli.
Siate missionari di speranza.
É nel seguire Gesù che la vostra giovinezza rivelerà tutta la ricchezza delle sue potenzialità ed acquisterà pienezza
di significato. E' nel seguire Gesù che scoprirete la bellezza di una vita vissuta come dono gratuito, motivato
unicamente dall'amore. E' nel seguire Gesù che sperimenterete fin d'ora qualcosa di quella gioia che sarà vostra
senza fine nell'eternità.
Tutti vi stringo in un abbraccio e con affetto vi benedico!
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A CONCLUSIONE…
“ Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri
sogni”.
(Eleanor Roosevelt)
"Il coraggio di immaginare alternative è la nostra più grande risorsa,
capace di aggiungere colore e suspence a tutta la nostra vita."
(Daniel J. Boorstin)
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SE GUARDI INDIETRO
POTRESTI RICORDARE QUALCOSA
CHE NON TORNERÀ PIÙ.
SE GUARDI AVANTI
POTRESTI PENSARE A QUALCOSA
CHE NON ARRIVERÀ MAI.
CHIUDI GLI OCCHI E RIAPRILI
SOLO QUANDO AVRAI LA FORZA
DI TORNARE INDIETRO SENZA PIANGERE
E GUARDARE AVANTI SORRIDENDO.
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150 anni Unità d`Italia Boschi Sant`Anna