Appunti
di lavoro
Interventi, articoli ed interviste
del consigliere regionale Alberto Magnolfi
2005- 2006
Consiglio Regionale
Toscana
Gruppo Consiliare
H
o pensato di documentare, con questi “appunti
di lavoro”, alcuni degli aspetti più significativi dell’impegno
politico ed istituzionale che, insieme ai colleghi del gruppo
di Forza Italia, ho potuto sviluppare nel primo scorcio di
questa legislatura regionale.
Quella che qui si presenta è soltanto una traccia,
tra le tante possibili, dei temi e delle proposte concrete, con
le quali Forza Italia ha dato voce e speranza, in Consiglio
Regionale, ad una Toscana alternativa a quella ingessata
ed inaridita dall’egemonia della sinistra. Sono i contorni di
un confronto politico che travalica la cronaca e si proietta
negli scenari complessi dei prossimi mesi.
Documentare ciò che in questi mesi si è cercato di
rappresentare e di proporre è il modo migliore per rilanciare,
con più determinazione e convinzione, il nostro impegno
per la sfida democratica alla maggioranza che governa la
Toscana.
Consiglio Regionale
Toscana
Negli interventi che qui sono raccolti trovano
particolare spazio i riferimenti alla situazione del distretto
tessile pratese. Non si tratta di un omaggio di maniera alla
mia Città, ma di una doverosa attenzione a quello che oggi
è il punto di più acuta crisi nei processi di trasformazione
che interessano la nostra regione.
Gruppo Consiliare
Alberto Magnolfi
v. pres. commissione attività produttive
Foto: Stefano Bellanca
[email protected]
Layout: Daniele Palitta
[email protected]
Dicembre 2006
Consiglio Regionale della Toscana
Via Cavour, 2
50129 Firenze
Tel. : 055 - 238 7510 / 7670
Fax : 055 - 238 7509
a.magnolfi@consiglio.regione.toscana.it
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Seduta speciale del Consiglio Regionale
sull’economia toscana.
Intervento del 27 ottobre 2005
“Signor Presidente, Colleghi, come primo atto politico della legislatura abbiamo chiesto che si
accendesse tutta l‘attenzione che si poteva accendere sui temi dell‘economia toscana, quasi per certificare
una sia pur tardiva presa d‘atto di problemi e di difficoltà che impongono il coraggio di riflessioni nuove e
l‘adozione di scelte conseguenti. Troppo grande ci sembrava e ci sembra il divario fra l‘acutezza del quadro
problematico, evidenziato da tempo da tutti gli indicatori economici, e il tono di compiaciuto continuismo
ricavabile dai documenti ufficiali e dalle posizioni espresse dalla maggioranza e dal governo regionale. Per
molto tempo è sembrato che la sede per gli interrogativi più consapevoli e più preoccupati sui nuovi scenari
macroeconomici e sui loro riflessi nella realtà regionale fosse soltanto quella dei convegni di studio, o delle
sporadiche prese di posizione di singole componenti della società toscana. Ben poco di quel dibattito si
rifletteva nelle sintesi politiche e negli atti di programmazione e di governo. Se oggi si rilegge la premessa
del ”Nuovo Patto per uno sviluppo qualificato e maggiori e migliori lavori in Toscana ”, del 2004, si resta
perplessi nel non trovarvi traccia delle novità che pure già da tempo avevano sconvolto i tradizionali rapporti
e gli scenari dei mercati internazionali, con inevitabili e pesanti riflessi sull‘apparato produttivo ed economico
della Toscana. Mentre questo era chiamato a fronteggiare sfide completamente nuove, su un terreno in gran
parte inesplorato, ci si attardava ancora a celebrare la pretesa capacità della Toscana di fare affidamento
sulle proprie forze e di garantire l‘accrescimento dei livelli di sviluppo economico-sociali, grazie al semplice
effetto salvifico che questa maggioranza attribuisce al metodo della concertazione tra Regione, autonomie
locali e parti sociali, quasi che questo fosse un valore assoluto a prescindere dai risultati. Su questa stessa
linea il presidente Martini si spingeva a tessere le lodi della “crescita lenta”, come peculiare arricchimento
qualitativo del panorama economico, sociale e culturale della nostra regione, e ciò mentre i dati attestavano
la realtà di una stagnazione economica avviata a sfociare in un ciclo recessivo, destinato a sollevare nei
toscani considerazioni e preoccupazioni di ben altro tenore.
Eppure le attuali difficoltà erano tutte facilmente prevedibili già molti anni fa, sino da quando apparve
inevitabile l‘impatto di natura strutturale che sull‘economia toscana avrebbero avuto i nuovi fattori causali
esterni, che stavano radicalmente cambiando lo scenario europeo e quello dei mercati internazionali: la
creazione dell‘area valutaria comune, che ha reso impossibile le tradizionali forme di svalutazione competitiva
verso gli altri paesi europei; l‘andamento del dollaro nei confronti dell‘euro; l‘esplodere sui mercati internazionali
di paesi come la Cina e l‘India, destinati ad aggredire soprattutto lo spazio vitale del manifatturiero. Tutto ciò
insidiosamente aggravato, per noi, dalla consolidata attitudine dell‘Unione Europea a creare un penetrante
sistema di vincoli al proprio interno, senza trovare la via di tutelarsi efficacemente nei confronti di condotte
inaccettabili ed illegittime dei Paesi terzi.
L‘impatto di questi fattori era fatalmente destinato ad enfatizzare le antiche debolezze strutturali del
sistema economico-produttivo regionale: la microdimensione delle aziende, la loro scarsa capitalizzazione
e la vocazione all‘export del settore manifattutiero con particolare presenza nell‘area del dollaro; i limiti e i
ritardi della cultura d‘impresa rispetto alle sfide della riorganizzazione del commercio internazionale e della
innovazione in genere; la debolezza del sistema bancario locale; le diseconomie legate alle gravi carenze
del territorio quanto a dotazione di infrastrutture e di servizi essenziali; l‘incidenza negativa e frenante della
pesantezza burocratica, che opprime tutte le relazioni tra il mondo delle imprese e quello delle istituzioni
pubbliche, locali e regionali; i meccanismi della programmazione regionale, che spesso dilatano i processi
della cosiddetta concertazione, senza conseguire reale partecipazione e controllo degli attori sociali sugli
atti del governo regionale; il moltiplicarsi di leggi regionali disorganiche e di un intreccio inestricabile di
aziende, comitati, osservatori, società a capitale pubblico ed agenzie, che disegnano un quadro di pesante
invadenza della politica nell‘economia, di confusione di ruoli, di lesione delle regole di trasparenza e libera
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concorrenza sul mercato. Dal combinato disposto di tutti questi fattori traggono origine gli indicatori economici
che abbiamo di fronte, i quali convergono nel disegnare, con riferimento al primo semestre di quest‘anno,
una nuova e più accentuata involuzione del ciclo economico in Toscana, con risultati peggiori rispetto a quelli
conseguiti nel 2004 e con un quadro assai più critico rispetto alla media nazionale. Tutto ciò va inserito, per
una lettura adeguata dei dati in termini di proiezione a medio termine, nella considerazione da riservare
alle modificazioni della struttura demografica della Regione. Le dinamiche in atto mostrano un aumento
di popolazione con uno sbilanciamento verso le classi di età più avanzata, un consistente incremento del
numero dei nuclei familiari, con crescente incidenza di quelli unipersonali. L‘insieme di questi dati e di queste
tendenze e gli scenari prevedibili a medio termine sono stati lucidamente analizzati dall‘IRPET in una recente
pubblicazione che merita di essere consegnata alla riflessione di tutti. Certo è che il panorama che abbiamo
dinanzi non giustifica, ma vorrei dire non consente più, di essere affrontato con la compiaciuta sufficienza
di chi crede di avere scoperto una volta per sempre le ricette valide per tutte le stagioni. Né si può addurre
oggi l‘irrilevanza, o una presunta rilevanza marginale, delle risposte che possono essere date da parte delle
istituzioni regionali.
A nessuno sfugge, ovviamente, ed anzi è implicito in quello che sono venuto dicendo, il ruolo decisivo
di accadimenti, scenari, iniziative e provvedimenti che chiamano in giuoco gli attori preposti a muoversi in
quella dimensione globale nella quale maturano gran parte dei presupposti decisivi dei processi economici.
Su quel versante si sono concentrati positivamente molti sforzi del governo nazionale, della politica, delle
rappresentanze economiche: se in questa sede non entriamo nel merito, è solo per ovvi limiti di competenza,
non certo perchè ci sfugga l‘assoluta centralità del lavoro da proseguire innanzitutto a livello europeo. Così
come non può essere sottaciuta l‘importanza che hanno avuto taluni provvedimenti del governo nazionale,
come quelli sull‘estensione della cassa integrazione straordinaria, per consentire, in taluni dei nostri distretti,
di mantenere entro limiti accettabili le tensioni ed il costo sociale della crisi. Il compito che ci siamo dati con la
richiesta di questa seduta straordinaria del Consiglio Regionale è quello di aprire una fase di lavoro di ampio
respiro, e prevedibilmente di non breve periodo, sui temi della crisi economica in Toscana. Siamo convinti che
le risorse umane, culturali, economiche e sociali della nostra regione consentano di affrontare con ragionevole
fiducia le sfide che abbiamo di fronte, purchè non siano ignorati i segnali che reclamano la necessità di una
profonda svolta nelle politiche regionali e locali. La complessità della situazione non suggerisce la possibilità
di una, e neppure di alcune misure, di per sé in grado di riportarci sulla via dello sviluppo. Solo il convergere
di una grande pluralità di misure, di iniziative, di provedimenti, da parte di tutti i protagonisti pubblici e privati,
potrà sostenere con efficacia il decollo di un nuovo modello di sviluppo toscano, capace di adeguare il nostro
tessuto economico alle esigenze della competizione globale e di salvaguardare l‘equilibrio tra livelli di reddito,
tenuta sociale e qualità della vita. Questa consapevolezza, pur variamente espressa, appare oggi come un
patrimonio largamente presente ai diversi livelli della società toscana; questo è in definitiva il punto di sintesi
del buon lavoro che la 3° commissione ha svolto in preparazione di questo appuntamento, con un approccio
serio e costruttivo, di cui mi piace dare atto al presidente ed ai colleghi di tutti i gruppi.
Il nuovo PRS 2006-2010 può e deve essere lo strumento che realizza una profonda svolta nelle linee
programmatiche della Regione in materia di attività economiche e produttive. Semplificare, sburocratizzare
e spoliticizzare il sistema: questo è a nostro avviso il perno della svolta necessaria e possibile. Ciò implica
tante cose da fare e tante decisioni da assumere, nel segno di una coerente applicazione dei principi di
sussidiarietà anche orizzontale. Significa innanzitutto ridefinire il ruolo della politica rispetto ai processi
economici, superando ogni forma di impropria e improduttiva invasione di ambiti che occorre restituire alla
libera iniziativa di impresa. Significa poi alleggerire e snellire il peso della burocrazia, razionalizzare le norme,
rendere meno dispersive e rituali le fasi di confronto con le rappresentanze della società, più certi i tempi
di disbrigo degli adempimenti, più sintetici, leggibili e comprensibili gli atti della programmazione regionale.
Significa decidersi a mettere mano ad una vasta opera di riordino della selva di tavoli, sigle, comitati, protocolli,
osservatori, aziende ecc., che spesso rendono inestricabile e incontrollabile l‘attività degli organi e degli uffici
regionali. Più in generale occorre riconoscere che una concertazione imperniata soltanto sulla declinazione
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di obiettivi generali equivale alla presentazione di generiche credenziali ed ha poco a che vedere con la
conclamata partecipazione alle scelte ed agli atti di governo. E così si può dire del monitoraggio relativo agli
effetti delle leggi e degli atti regionali, che nelle forme in cui viene espletato ha un carattere declamatorio, del
tutto inidoneo a fornire elementi di effettiva verifica dell‘impatto che il singolo provvedimento ha determinato
nel vivo della sua applicazione. Su tutto questo sollecitiamo un‘operazione – verità, che lasci cadere l‘abusato
compiacimento di stile, per guardare alla realtà delle cose. Non si può candidare al rinnovamento del modello
economico toscano chi non sia disposto a lasciarsi alle spalle almeno un po‘ di luoghi comuni, per rinnovare
il proprio stile e la propria cultura di governo. Chiediamo segnali concreti alla Giunta e li indichiamo con la
nostra mozione nella forma di indirizzi per il prossimo PRSE. Sbaglierebbe chi pensasse che questi sono
elementi di contorno. Se le consultazioni hanno un peso e non vengono fatte per sbrigare un dovere, si dovrà
pur riconoscere che proprio su questi aspetti della liberalizzazione, sburocratizzazione e semplificazione
del sistema si registrano le aspettative più insistenti ed univoche da parte del mondo delle imprese. Siamo
convinti che i tempi siano maturi e le circostanze impongano delle risposte.
Il secondo filone in cui si articolano le nostre riflessioni e le concrete proposte che abbiamo
formalizzato agli atti del Consiglio riguarda la definizione di una coerente politica industriale che, ad oggi, la
Toscana non ha. Non è una politica industriale la distribuzione di incentivi a pioggia, elargiti senza rigorosa
selezione dei progetti e senza verificare che agli stessi corrisponda la creazione di nuove iniziative o di nuove
opportunità di accesso per le piccole imprese nel contesto del mercato globale. Nelle attuali circostanze
occorre che il nuovo PRSE ridefinisca gli indirizzi, gli orientamenti e le priorità in tema di incentivi alle
imprese, con attenzione privilegiata, da un lato, alla ricerca ed all‘innovazione competitiva e, dall‘altro, agli
obiettivi di comune interesse, con riguardo al rafforzamento ed allo sviluppo dei sistemi territoriali e delle reti
infrastrutturali. Ma occorre precisare che anche il sostegno alla ricerca ed all‘innovazione ha senso, rispetto
alle finalità che ci interessano, solo se i relativi risultati vengono davvero trasferiti sul territorio e verso le
imprese, in modo da attivare concrete opportunità di sviluppo della competitività delle imprese e quindi
una crescita quantitativa e qualitativa dell‘occupazione. In concreto ciò implica una importante strategia di
razionalizzazione e riqualificazione dei numerosissimi centri di trasferimento tecnologico presenti sul territorio,
che spesso appaiono afflitti dai limiti di logiche particolaristiche e localistiche. L‘altro perno della politica
industriale della Regione non può non essere costituito da una strategia di rilancio e di apertura verso nuove
esperienze, dei distretti produttivi e dei sistemi economici locali, nei quali risiede la forza tradizionale, ma
anche la maggiore risorsa futura, per lo sviluppo della Toscana. Qui più che altrove si sta pagando il prezzo
dei ritardi, delle sottovalutazioni della crisi che stava arrivando, dell‘immobilismo impotente delle istituzioni
regionali e locali e di una endemica e tradizionale difficoltà di quei contesti ad aprirsi e ad interagire al di fuori
dell‘ambito di tradizionale insediamento. Qui più che altrove la Toscana si giuoca la chiave che caratterizzerà
il suo futuro. La proposta di legge finanziaria dello Stato apre con decisione prospettive nuove ed importanti
che occorre perseguire con grande determinazione. Finalmente i distretti produttivi cessano di essere oggetto
da convegni e si apprestano a divenire soggetti di diritto, protagonisti di strategie industriali e destinatari di
benefici legislativi, nella loro qualità di libere aggregazioni di imprese. Questo è il primo snodo al quale
attendiamo le politiche della maggioranza e della Giunta. Occorre che la Toscana imbocchi con decisione
questa strada, andando incontro alle aspettative che il provvedimento nazionale ha aperto nel mondo delle
imprese. Per la peculiare importanza che il tema riveste nella nostra regione e per il patrimonio di esperienze
e di cultura che possiamo vantare nel settore, sarebbe naturale che ci proponessimo, come sistema toscano,
l‘obiettivo di contribuire in modo attivo, nei confronti dei livelli nazionali, alla non semplice elaborazione
delle norme attuative, nello spirito di estendere al massimo le potenzialità della nuova configurazione
giuridica dei distretti come piattaforme produttive formate dalla libera aggregazione di imprese. Sarebbe,
tra l‘altro, un modo più produttivo di intendere le relazioni tra i livelli istituzionali, rifuggendo una volta tanto
dalla stucchevole prassi propagandistica, che vede la Toscana in perenne e pregiudiziale conflitto con il
governo centrale. Le indicazioni della legge finanziaria delineano un quadro di grande interesse per le future
”Piattaforme Produttive”, ma le prime riflessioni segnalano ulteriori possibili sviluppi, come quello tendente
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ad accreditare il distretto quale unico committente per la erogazione dei servizi pubblici, nell‘interesse di tutte
le aziende aderenti, con prevedibili e consistenti economie di gestione per ciascuna di esse. All‘interno di
questa problematica, ma con urgenza speciale, si pone la situazione di taluni distretti, come quelli dei settori
tessile, calzaturiero, orafo, lapideo, che gli indicatori mostrano particolarmente toccati dalla recessione. Per
questi distretti sollecitiamo alla Giunta un‘iniziativa immediata, all‘altezza della gravità dei problemi.
La proposta che formuliamo prevede che questi distretti in crisi siano candidati dalla Regione nei
confronti del Governo nazionale quali sede di sperimentazione delle nuove disposizioni normative, attraverso
il varo di altrettanti progetti pilota, da perfezionarsi nelle forme previste dalla legge 15/05 per l‘esercizio
consensuale del potere amministrativo. L‘obiettivo sostanziale di tali progetti dovrebbe essere costituito da
una qualificazione infrastrutturale e di servizi delle aree interessate, quale presupposto inderogabile di ogni
ipotesi di rilancio, di diversificazione e di apertura del distretto a nuove iniziative e a nuove interrelazioni con
un più vasto contesto territoriale e produttivo.
Un terzo filone di prioritario intervento riguarda la trasformazione, riqualificazione e ridefinizione
della natura giuridica, delle funzioni e dell‘effettivo ruolo da assegnare a quegli strumenti fondamentali per
il rilancio del sistema economico toscano che sono, anzi dovrebbero essere, Fidi Toscana ed Apet-Toscana
Promozione. Fidi Toscana è attualmente in una indeterminata posizione a mezza via tra i limiti del circoscritto
ambito della propria originaria competenza e l‘aspirazione ad un ruolo più pregnante, che nella sostanza
ancora non può e non riesce a svolgere. Riteniamo che sia indispensabile prendere con decisione la via di
una più marcata qualificazione di questo organismo, per farne strumento attivo di una complessiva opera di
riorganizzazione del sistema delle garanzie verso le imprese, anche attraverso la ridefinizione dei rapporti
con i Confidi. Questo non può che essere il primo passo; occorrerà porre sul tavolo con tutta evidenza la
possibiltà, che converrà attentamente valutare nelle sue implicazioni, di una evoluzione definitiva dell‘istituto
nei termini di una vera e propria banca di garanzia, particolarmente preposta ad agevolare le strategie di
internazionalizzazione delle piccole imprese. Quanto ad Apet-Toscana Promozione, sono note le valutazioni
fortemente critiche che abbiamo anche recentemente formulato circa l‘attuale realtà di questo ente. Tali critiche
derivano dalla consapevolezza del ruolo eccezionalmente vitale che le funzioni assegnate ad Apet dovrebbero
avere, se fossero effettivamente espletate con efficienza, competenza, trasparenza. Siamo ben lontani da
tutto ciò e in questo caso più che mai l‘immobilismo della Giunta appare imbarazzante. Sollecitiamo, quindi,
con molta forza la rapida presentazione di una proposta di radicale riorganizzazione dell‘ente, a cominciare
dalla trasformazione della sua natura giuridica da agenzia dipendente a società pubblico-privata. Ciò che
serve è una compagine vitale,dotata di approccio e di cultura manageriale,per rilanciare in modo credibile la
missione dell‘ente, che è quella di creare una rete con il mondo delle imprese e con i diversi enti pubblici, per
coordinare tutti i processi legati alla promozione e alla internazionalizzazione delle imprese. Occorre mettere
fine in questo campo al desolante spettacolo di iniziative velleitarie e onerose, promosse dai più vari soggetti
con spreco enorme di risorse pubbliche ed effetti di ritorno inconsistenti. La sovrapposizione di iniziative
indebolisce il messaggio promozionale e crea effetti di disorientamento, se non di vera e propria disaffezione,
tra i destinatari di quelle campagne. Non si può continuare a tollerare queste distorsioni, quasi fossero un
prezzo da pagare alle velleitarie ambizioni di protagonismo dei più disparati soggetti nei quattro angoli della
Toscana. Le riflessioni appena svolte richiamano la necessità di un breve cenno alle specifiche problematiche
del turismo. Sembra incredibile come, in un‘epoca in cui l‘invocazione a “fare sistema” è divenuta quasi il filo
conduttore-talora di maniera- di ogni ragionamento di natura economica, questa basilare esigenza continui
a rimanere del tutto trascurata nelle politiche e nelle attenzioni dedicate al settore del turismo in Toscana.
Qui si registra un ritardo ed un vuoto di iniziative che non ha giustificazioni plausibili. Ormai dovrebbe essere
chiaro che neppure nel settore turistico si può avere la presunzione di campare di rendita. Occorreranno, e
promuoveremo, approfondimenti specifici, che l‘importanza strategica di questo comparto giustifica ed esige.
Fin d‘ora sollecitiamo la Giunta a definire programmi di intervento atti alla incentivazione dei flussi turistici,
agevolando i presupposti e le condizioni di un sistema integrato tra le molteplici realtà toscane, in modo da
diversificare e valorizzare l‘offerta, inserendo nel circuito anche località periferiche, spesso non meno ricche
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di importanti attrattive turistiche.
Un altro tema che riteniamo strategico per l‘apertura di una nuova fase nello sviluppo economico della
Toscana è quello della formazione ed in particolare della concreta sperimentazione di programmi di alternanza
scuola-lavoro. Chiediamo alla Giunta fatti e provvedimenti concreti per contribuire a rimuovere gli ostacoli e
le difficoltà:occorrono misure di incentivazione e di sostegno a programmi finalizzati a realizzare l‘alternanza,
a favore di tutti quei soggetti che si mostrino disponibili ad agevolare lo sviluppo di tali esperienze. Occorre
uno stretto rapporto con le autorità scolastiche della Toscana ed un‘opera di sensibilizzazione nei confronti
degli istituti di ricerca, del mondo del volontariato, del terzo settore ed in generale delle categorie economiche
e delle singole aziende. Bisogna innanzitutto crederci e lavorarci con paziente determinazione: su questo
attendiamo la Giunta alla prova dei fatti. In via generale, si impone comunque la necessità di superare le attuali
strettoie rappresentate dal carattere rigido e burocratico del sistema della formazione e dell‘accreditamento,
promuovendo una generale semplificazione del settore. In tale ottica sembra indispensabile procedere ad una
verifica dell‘attuale meccanismo dei bandi pubblici per la realizzazione degli interventi formativi, la cui cadenza
annuale impedisce, in molti casi, di dare tempestiva risposta all‘effettivo fabbisogno da parte delle imprese,
nel momento in cui si verifica. Un‘esigenza di coordinamento si pone anche con riguardo all‘individuazione
dei fabbisogni formativi e dell‘orientamento: anche qui si registra una prassi negativa segnata da iniziative
episodiche e velleitarie, non assistite da sufficiente sinergia tra tutti i soggetti interessati.
Tra i ritardi che pesano negativamente nell‘attuale fase economica della regione c‘è quello legato
alla presentazione al Consiglio del Piano energetico regionale. Ogni più ferma sollecitazione al riguardo può
apparire rituale, ma risponde ad esigenze largamente sentite. Vogliamo sperare che ci sia data al più presto
l‘opportunità di discutere nella sede formale le scelte e le proposte contenute nel Piano. Le consultazioni
hanno confermato la necessità di garantire particolare attenzione e di prevedere adeguate misure a sostegno
dello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. Non conosciamo le ragioni del ritardo nella presentazione
del Piano al Consiglio. Certo è che questa situazione di incertezza deve essere superata e gli eventuali
elementi di contraddizione che attardano le decisioni della Giunta debbono a questo punto divenire oggetto
di verifica nella sede consiliare.
Nel momento in cui ci interroghiamo sul presente e sul futuro dell‘economia toscana, non possiamo
non reclamare con forza l‘apertura di un‘approfondita riflessione sul vasto campo dei servizi pubblici
locali. Esso costituisce oggi, nella nostra regione, la frontiera più esposta nella quale occorre intervenire
per riaffermare, non solo a parole, il principio di sussidiarietà orizzontale e verticale. La nettezza di tali
principi è costantemente violata, laddove la politica si trova di fatto direttamente impegnata a gestire ciò che
dovrebbe essere affidato alle competenze dei tecnici e dei manager. Ciò finisce per mortificare quel ruolo
di programmazione e di controllo che dovrebbe qualificare la presenza del pubblico in questa materia. Urge
una legge di riordino che armonizzi la disciplina delle public utilities con quella comunitaria e nazionale. Nel
corso di questo dibattito la CDL presenta la propria proposta, ispirata ai principi ed alle finalità che ricordavo.
La maggioranza e la Giunta sono chiamati a non eludere un tema di valenza strategica; la situazione in atto
nel settore può offrire alla maggioranza la sensazione di una rendita di posizione politica da non intaccare.
Ma in realtà le distorsioni e le contraddizioni sono tali che non potranno essere per molto tempo governate
ed anche tra i cittadini crescono gli interrogativi sugli strani esiti di tante conclamate privatizzazioni, che non
hanno liberalizzato alcunchè, hanno reso la politica molto più padrona di prima, hanno favorito sprechi e
diseconomie di gestione e, soprattutto, non hanno arrecato alcun beneficio all‘utenza.
Concludo questo esame, che sintetizza le organiche proposte della nostra mozione, ritornando
all‘inizio della mia riflessione. Occorre inquadrare tutti i dati economici nell‘ambito delle modificazioni in atto
nella struttura demografica della regione. Da questa considerazione traggono fondamento le preoccupazioni
circa gli elementi di nuova fragilità che, in un contesto economico come quello attuale e previsto, rendono
tutt‘altro che scontato, ma anzi problematico, il mantenimento dei consolidati equilibri economico-sociali della
Toscana. Noi riteniamo che occorra porre mano a politiche di sostegno sociale finalizzate al nucleo familiare
e in primo luogo a rimuovere gli ostacoli di carattere abitativo, lavorativo, economico, che ostacolano la
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formazione delle nuove famiglie. Più in generale occorrerà puntare all‘attuazione di un sistema integrato di
interventi e di servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale, nello spirito delle norme costituzionali e nel
rispetto delle disposizioni dello Statuto e della legge regionale n. 41/05.
Signor Presidente, Colleghi, abbiamo inteso questa seduta del Consiglio come l‘avvio di un percorso.
E, dico subito, un percorso di fatti, di iniziative legislative, di atti; non di parole. Noi vi lanciamo una sfida
impegnativa: prendere l‘occasione della crisi economica per ripensare profondamente molti aspetti del modo
di governare, di legiferare, di amministrare questa regione. Riconsiderare anche le modalità con cui ci si
rapporta, e la Giunta si rapporta, alla società toscana: quanto vi sia di valido da rafforzare nelle pratiche della
concertazione e quanto, invece (a nostro avviso molto), vi sia di rituale, defatigante e privo di reali contenuti.
Non siamo così sprovveduti da chiedervi un‘abiura, né abbiamo alcun titolo per farlo. L‘evidenza della crisi,
però, impone a tutti il necessario coraggio di rimettere qualcosa in discussione e di spingersi, con decisione,
nel campo aperto dei giudizi e delle scelte non scontate. Semplificare, sburocratizzare, spoliticizzare: per noi
questo è un programma di legislatura, la premessa e la sintesi dei nostri programmi e dei nostri obiettivi. E‘
anche il contenuto della sfida che vi rivolgiamo; una sfida che avanziamo nei termini più costruttivi, come non
può non fare una forza politica che, sia pure dai banchi dell‘opposizione, non dimentica di essere grande forza
popolare, portatrice di una solida cultura di governo. Proprio per questo, la sfida non esclude la disponibilità
a ricercare, sul terreno delle risposte da dare alla crisi economica, momenti importanti di lavoro comune. La
mozione che presentiamo è il segno concreto di un metodo al quale intendiamo ispirarci: l‘asprezza dell‘analisi
critica apre la strada all‘indicazione di obiettivi ed alla prefigurazione di atti, provvedimenti, risposte. E questa
traccia di lavoro verrà puntualmente approfondita, circostanziata, articolata nelle forme dovute, con il lavoro
che svilupperemo nei prossimi mesi. Valuteremo con attenzione le vostre risposte, a cominciare da quelle
contenute nel bilancio preventivo di prossimo esame, nel quale ci attendiamo di vedere confermate nei
fatti le attenzioni prioritarie che oggi si assicura di voler riservare ai problemi dell‘economia. Riteniamo che
ciò non potrà avere riscontro concreto, se non con una manovra che intervenga sulla ristrutturazione della
spesa storica in coerenza con gli obiettivi del DPEF 2006. E‘ quanto ci chiede, e ne siamo convinti, la società
toscana, alla quale ci auguriamo possa venire da questo dibattito consiliare, dalle nostre proposte, ma anche
dall‘insieme dei propositi politici che qui verranno espressi, ragioni di incoraggiamento e di fiducia rispetto
ai problemi e alle incertezze di una fase di declino economico, che occorre contrastare e superare per
riprendere con slancio la via dello sviluppo.“
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“L’arroganza della sinistra frena l’economia“
Intervento su
“Il Giornale della Toscana“ del 5 novembre 2005
È il caso di tornare a mente fredda sullo svolgimento e sulla conclusione della sessione straordinaria
dedicata dal Consiglio Regionale ai problemi della situazione economica della Toscana. Il bilancio ufficiale
suggerisce che dopo mesi di preparazione ed un’intera giornata di interventi, la grande montagna partorì il
topolino. Solo così si può giudicare lo striminzito documento approvato dalla maggioranza, buono per tutte
le stagioni e talmente anonimo da apparire figlio di nessuno. Non occorreva consultare mezza Toscana,
per mettere insieme quei pochi generici auspici che sono il succo della inconcludente risoluzione della
maggioranza.
Detto questo nella maniera più chiara, sarebbe tuttavia sbagliato archiviare la vicenda con il timbro
del nulla di fatto. È vero il contrario: il bilancio politico è ricco di spunti e di indicazioni su cui siamo chiamati
a riflettere con molta attenzione. Il primo punto fermo sta nella certificazione, acquisita sul campo, della
coesistenza all’interno della maggioranza di sinistra di due linee (almeno), che si fronteggiano anche sui temi
economici della Regione, senza riuscire a comporsi in una sintesi di governo. C’è chi parla ancora di padroni
e di sfruttati con il linguaggio dei primi anni ’50 e c’è chi, timidamente, mostra di capire che non è semplice
eludere il confronto con l’ampio ventaglio di concrete proposte sviluppate nella mozione della Casa delle
Libertà. Il risultato di questa acrobazia impossibile è nell’imbarazzante rinuncia della maggioranza a dire
qualcosa che abbia un senso compiuto rispetto ai temi veri del dibattito: una maggioranza in fuga dal confronto,
preoccupata solo di rattoppare le sue contraddizioni e di non perdere i contatti con rifondazione comunista.
Anche a costo di deludere le attese delle forza economiche e sociali e di smentire lo stesso Martini e la sua
ventilata disponibilità ad approfondire il discorso in commissione. Nel suo intervento, il Presidente della Giunta
aveva illustrato l’obiettivo di una Toscana da collocare stabilmente nei posti medio-alti di un’ideale classifica
tra le grandi regioni d’Europa. Vorremmo tanto sbagliarci, ma con questa compagnia e con queste remore
politiche ed ideologiche, sconosciute alle aree guida d’Europa, il ruolo della Toscana verso l’eccellenza ha il
piombo nelle ali (…). La seconda indicazione che si può trarre dal dibattito consiliare sull’economia riguarda
direttamente l’impegno di Forza Italia e dell’intera Casa delle Libertà. L’atteggiamento della maggioranza
è apparso irritante sino ai limiti della provocazione politica, tanto è stato evidente il tentativo di ignorare le
nostre proposte, fingendo quasi di non averle lette. A chi ci chiede spesso che cos’è l’arroganza della sinistra
che spesso lamentiamo, possiamo dire di averne avuta in questa vicenda una dimostrazione di prima qualità.
Qualcuno forse pensa di spingerci, in questo modo, sul binario morto di una vuota contrapposizione tra
schieramenti, povera di contenuti, che certo sarebbe meno insidiosa per i sonni tranquilli della maggioranza.
Sarà importante deludere queste aspettative e rilanciare in maniera pressante una sfida politica alta, capace
di trasmettere alla società toscana una concreta alternativa di proposte. “Semplificare, sburocratizzare e
spoliticizzare il sistema” è molto più di uno slogan nel quale abbiamo sintetizzato la portata politica della
nostra mozione. Esso può diventare il filo conduttore di una globale alternativa culturale e politica della quale
mai come oggi la Toscana ha bisogno.
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Seduta del Consiglio Regionale sul
bilancio di previsione per l’anno finanziario 2006
e bilancio pluriennale 2006/2008
Intervento del 21 dicembre 2005
“Signor Presidente, c’è una certa area di scontata ritualità in questo dibattito che lo stesso relatore di
maggioranza ieri ha definito come inevitabilmente noioso. Io credo che un dibattito sul bilancio non dovrebbe
essere noioso, dovrebbe invece essere un momento molto importante di confronto, di confronto impegnativo.
Io credo che la situazione creatasi dipenda in buona parte dal fatto che ci sono stati consegnati dei numeri
senza una chiara chiave di lettura politica, ci sono stati consegnati dei numeri sostanzialmente privi di
un’anima, privi di un’indicazione, e questa è una cosa che noi stiamo ripetendo da molto tempo, perché è
da tempo, da quando ci siamo insediati, che in qualche modo stiamo aspettando Godot. Il nostro Godot che
cos’è? È l’indicazione di una volontà riformatrice, di una cultura riformista che la Giunta vuole rappresentare
ma che tardiamo a vedere misurarsi in concreto nella diversa realtà di oggi che la Toscana presenta.
Non farò se non un riferimento fugace all’IRPET fin troppo citato, ma certamente giustamente citato
per la serietà e l’importanza delle analisi. L’Istituto presenta il ritratto di una società toscana ripiegata su se
stessa con dei punti di pericolosa stanchezza, che ha bisogno di essere rianimata da scelte politiche capaci
di prendere in mano la situazione e di intervenire in maniera innovativa indicando e tracciando dei nuovi
traguardi. Noi all’inizio ci siamo sentiti dire, quando il Presidente della Giunta presentò il suo programma,
che era opportuno aspettare il DPEF. Questo poi era soltanto uno strumento di programma ma mancavano
gli agganci finanziari, ora con il bilancio giustamente ci viene fatto capire che bisognerà aspettare il piano
regionale di sviluppo il quale però nel frattempo, colpevolmente io credo, è slittato a data da destinarsi. Tutto
questo crea un disagio, crea un vuoto, crea questa sensazione di esercizio rituale ed in parte inutile che è
difficile in questo momento contrastare.
Io non farò un lungo intervento, voglio però provare a dire pochi punti concreti sui quali a mio avviso,
a nostro avviso sarebbe necessario, per dare un segno di cambiamento e di sensibilità e di collegamento
con la realtà di oggi, che la Giunta potesse misurarsi.Questi punti potrebbero essere quelli su cui mettere
alla prova concretamente questa capacità e questa volontà riformatrice, questa cultura riformista che la
Giunta ritiene di avere, per vedere se c’è la volontà e la possibilità politica di renderla effettiva. Intanto è
stata qui richiamata da altri la necessità di una profonda revisione della spesa storica, questo credo sia un
fatto imprescindibile. Non ci si può riferire alla Toscana di oggi quale ci viene rappresentata continuando a
mandare in avanti stancamente le priorità, le scelte che furono fatte in un contesto completamente diverso,
e questo chiama in causa un’attenzione prioritaria da dedicare ad una strategia che riporti sotto controllo la
spesa relativa al sistema sanitario. Perché se questo non verrà fatto, presto questa regione potrà occuparsi
soltanto di sanità, questo lo sappiamo tutti, è una consapevolezza diffusa, ma non mi pare che si sia tradotta
in riflessioni e in indicazioni politiche nuove. Bisogna però farlo se si vuole rendere concreta la possibilità di
aprire una nuova fase politica e di governo in Toscana.
Il secondo punto, il secondo filone concerne ciò di cui abbiamo parlato recentemente nel dibattito
sull’economia, quello che noi abbiamo chiamato il grande obiettivo della semplificazione e della liberalizzazione
del sistema. Nessuno ha detto di no alle nostre idee, sento anzi che vengono riprese, e questo certamente
ci può anche confortare. Però poi vedo in concreto che il vicepresidente della Giunta, condividendo l’ipotesi
della liberalizzazione del sistema, insedia un osservatorio sulla liberalizzazione. La Giunta continua perciò ad
osservare, laddove mi sembra che tutti abbiamo già osservato abbastanza. Forse occorrerebbe cominciare a
dire concretamente che cosa si vuole fare, ed occorrerebbe dirlo all’interno delle istituzioni regionali piuttosto
che continuare a creare organismi di dubbia natura istituzionale al di fuori delle istituzioni stesse.
Occorre poi guardare in maniera diversa da quello che viene fatto normalmente ai problemi dell’università
prima di allineare il Gonfalone della Regione dietro studenti che spesso seguono pedissequamente dei
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maestri che non sempre sono buoni maestri quando cercano di tutelare soltanto i propri interessi costituiti.
Forse bisogna anche qui cercare di affiancare i processi della formazione, avere un rapporto diverso con le
aziende, favorire i rapporti tra le università e il mondo delle imprese Tutte cose che sono state già dette da
noi in precedenza. Non bisogna guardare con ostilità a certe riforme che sono state importanti per il Paese.
Quella riforma Moratti e la legge Biagi ad esempio, che invece in Toscana continuano a trovare ostilità e
ritardi. Poi ci sono i problemi della famiglia. Qui c’è una ritualità di citazioni a cui non seguono atti, non
seguono scelte, non ci sono provvedimenti. I problemi della famiglia, se si considerano anche quelli che sono
i dati demografici e le proiezioni demografiche, sono una grande priorità in Toscana e richiedono politiche
nuove, di cui non si trova però assolutamente traccia.
In merito ai problemi dello sviluppo economico abbiamo parlato a lungo. Non posso però non citare
un capitolo specifico, un paragrafo importante per la Toscana: quello dei distretti. La Regione Toscana deve
prendere un’iniziativa politica; qui non si tratta di impegnare il bilancio, noi stiamo parlando infatti anche di
un bilancio politico, di iniziative, di volontà, e qui la Regione Toscana non può rimanere inerte. Altre regioni
si stanno muovendo per candidarsi a svolgere un ruolo decisivo nella scrittura delle norme attuative della
nuova configurazione dei distretti prevista dalla legge finanziaria dello Stato e ad essere protagonisti della
fase sperimentale che presto si aprirà.
Chiudo con un’ultima annotazione. Condividendo in linea di principio una formulazione che ho sentito
ripetere più volte al Presidente della Giunta regionale, bisogna intervenire sulla rendita di posizione, in
Toscana e altrove. Però bisogna anche dire che forse non basta fare riferimento ai sacri testi per capire che
cosa è oggi la rendita di posizione in Toscana. Per intervenire sulla rendita di posizione bisogna interrogarsi
su che cos’è il sistema delle aziende partecipate, quale mondo vi si muove attorno, cosa succede dal punto
di vista di certi subappalti nei riflessi con il mondo delle professioni. Ci sono rendite di posizioni tradizionali
che vanno combattute, ci sono rendite di posizioni nuove e non meno insidiose che vanno contrastate e
corrette. Io ho fatto in merito alcuni appunti di lavoro. Certo possono essere integrati o visti in altro modo, io
però penso che questi siano capitoli reali sui quali una Giunta di cultura riformista non può non impegnarsi
seriamente e non può non lasciare un segno preciso e importante. Noi riteniamo che se a questi problemi
o ad altri come questi il Presidente della Giunta e la Giunta stessa dedicassero un’attenzione almeno pari
alla metà di quella che dedicano all’attività internazionale della Regione, per rubare a quanto pare il ruolo a
Kofi Annan, credo che su questi punti faremmo dei passi avanti molto importanti e forse su quei passi avanti
potremmo spesso avere anche noi posizioni in qualche modo convergenti.”
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Seduta del Consiglio Regionale del 1. febbraio 2006
Replica alla risposta dell´assessore sulla Interrogazione
relativa al libretto “Prato China Guide”
pubblicato dalla Regione
“Ringrazio l’assessore per la risposta piena di numeri, peraltro non richiesti, e di molte parole difficili.
Francamente, quando mi capitò tra le mani questo volumetto, una specie di ircocervo della comunicazione, la
mia prima impressione fu che si trattasse di un equivoco, perché può capitare a chi ha molte responsabilità e
molte cose da fare di scrivere una cosa per fare un favore a qualcuno senza aver ben valutato ciò che scrive.
Una colpa lieve, tutto sommato.
Sento però dire che stamani l’assessore Zoppi partecipa ad un’importante iniziativa culturale
proprio a Prato, in cui tra l’altro i promotori di questa pubblicazione riceveranno un premio o comunque un
riconoscimento per il particolare valore culturale che alla loro attività, e quindi anche a questa pubblicazione,
viene attribuito.
Questo francamente ci lascia abbastanza interdetti, perché il valore culturale dell’iniziativa è inesistente,
il significato politico è quanto meno ambiguo. Sarebbe importante fare una riflessione culturale sul fenomeno
dell’immigrazione in una realtà come quella di Prato, e andrebbe fatta in maniera serena.
Però non serve, credo, presentare la comunità cinese di Prato come se vivesse in una elegante galleria
commerciale, o come se le varie via Pistoiese e via Filzi fossero diventate via Margutta o via Tornabuoni. Lì,
in realtà, si vive una situazione difficile, spesso ai limiti del tollerabile, sia per i cittadini di origine cinese, sia
per il contesto difficile che nell’insieme si è determinato. Non è quindi questo il modo né serio né utile per
parlare di queste cose. Tutto ciò rimane un fatto assolutamente incomprensibile.
Riusciamo però ad avere la chiave di lettura se, spingendoci al di là delle inserzioni pubblicitarie di
alcuni negozi cinesi - perchè di questo si tratta - si leggono i testi di accompagnamento, che non c‘entrano
assolutamente niente con la finalità dichiarata del libretto e che sono una specie di cassa di risonanza di
alcuni luoghi comuni della cultura no global.
Niente di male, forse, però certamente è tutta un‘altra cosa, una cosa che non c’entra niente, né con
la cultura di Prato, né con il problema dell’immigrazione a Prato. C’entra forse con la volontà di spendere
questa piccola somma, sono comunque 10mila euro, per stampare settecento copie di una guida che non
serve a nessuno. Si tratta forse di un modo per dare un contributo, diciamolo pure, a questo gruppo giovanile,
che sarà anche così significativo, ma del quale, io vengo da Prato, devo confessare non mi sono mai accorto
e di cui non ho mai avuto notizie.
Quindi un‘azione della Giunta tutt’altro che convincente. Prato ha bisogno di attenzioni culturali, ma
cose serie. Rimane certo il fatto che una città in forte crisi di identità in questo momento, anche e soprattutto
perché chiamata ad assorbire e a convivere con un fenomeno immigratorio imponente dal punto di vista
quantitativo, necessita di una riflessione culturale vera. Essa però va fatta in altro modo, va fatta con un altro
linguaggio, va fatta non in termini propagandistici, va fatta con più serietà. Certamente non è questo il caso
e la risposta dell’assessore non può che lasciarci del tutto insoddisfatti.“
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“Economia, le colpe di Martini“
Intervento su
“Il Giornale della Toscana“ del 28 Febbraio 2006
Una bella signora imbellettata che si sta placidamente rassegnando alla pensione. Così definiva
la nostra Regione uno degli analisti chiamati dal presidente Martini qualche settimana fa al capezzale
dell‘ economia toscana. È un concetto identico a quello che da tempo anche noi andiamo ripetendo, con
immagini forse non altrettanto efficaci. I dati economici che si susseguono, anche i più recenti, confermano
ed aggravano questa diagnosi, disegnando il quadro impietoso di un sistema economico toscano neppure
sfiorato dai segnali di ripresa oramai evidenti sul piano nazionale. Ma più ancora dei numeri, un senso
sgradevole di rassegnazione al declino nasce dalla mancanza di una forte risposta della politica regionale e
locale. È come se le ambizioni di Martini e della sua Giunta, così sproporzionate quando si tratta di inseguire
lo scontro permanente col governo nazionale, o di cavalcare improbabili palcoscenici di politica estera, non
avessero invece niente da dire proprio sui temi caldi dell‘ economia, sui quali si gioca il presente e il futuro
della Toscana.
Certo è che i tempi della politica, dettati dalla Giunta e dalla maggioranza, sono incompatibili
con le esigenze dell‘economia. Anzi, le irridono. Sembra che quei tempi, quelle ritualità, quelle cadenze,
appartengano ad un altro mondo, quello in cui si ritiene normale rinviare di parecchi mesi la discussione del
nuovo Piano regionale di Sviluppo, per non accavallare questioni spinose in tempi di campagna elettorale.
E così gli unici segnali di presenza che la Regione riesce a dare sulle questioni economiche riguardano
le situazioni, purtroppo sempre più numerose, di crisi aziendali aperte e conclamate. Si tratta di un‘
attenzione indispensabile, ma essa serve solo a tamponare le falle più dolorose, dopo che queste si sono
drammaticamente spalancate. Il passo lento, che fino a ieri Martini presentava come una qualità pregevole
del sistema economico toscano, è oggi il simbolo dell‘approccio burocratico e rituale della maggioranza di
sinistra agli scenari inediti preoccupanti che la crisi economica disegna perla Toscana. Quando il gruppo di
Forza Italia ha sollecitato il rispetto degli impegni politici che la Giunta regionale aveva preso a conclusione
del consiglio straordinario sull‘ economia, ci siamo sentiti rispondere in aula con la lettura di un compassato
calendario di incontri.
Non sono i tavoli e gli incontri quelli che mancano nella nostra realtà, ma il coraggio di poche idee
e la capacità di realizzarle. Se non si inverte la rotta recessiva dell‘economia toscana, non basteranno i riti
della concertazione a salvaguardare la tenuta sociale del sistema. E non ci si venga a dire, come ha fatto
Martini, che le concrete capacità della Regione di incidere negli scenari economici sarebbero pressoché
inesistenti. Nessuno chiede alla Regione poteri taumaturgici sulle grandi questioni del mercato globale o sui
limiti e le contraddizioni del ruolo dell‘Europa. D‘altra parte, non siamo stati noi a coltivare nel tempo l‘ideale
di un‘economia rigidamente pianificata, controllata e diretta dal potere politico. Qui, per fortuna, si tratta di
ben altro.
Si tratta di rinnovare profondamente la cultura di governo, e di varare tante piccole e grandi misure
conseguenti, con l‘unico obiettivo di rimuovere gli ostacoli che è possibile rimuovere e di creare le condizioni
più favorevoli, perché la cultura del lavoro e la voglia di impresa, che in Toscana non possono essere svaniti,
tornino a dispiegarsi al meglio delle loro potenzialità. Si tratta di intervenire rapidamente per contrastare le
tendenze che affiorano anche nella nostra società a ricercare sempre di più la piccola sicurezza di posizioni
protette, magari dalla politica, piuttosto che la sfida della ricerca e della costruzione del nuovo, con il rischio e
la fatica che ogni processo di trasformazione e di crescita comporta. Si tratta di puntare sulla formazione dei
giovani, sulla qualità dell‘innovazione e della ricerca, sulla valorizzazione del nostro inestimabile patrimonio
culturale, su una sburocratizzazione del sistema, che offra al cittadino ed all‘impresa il volto amico ed
alleato delle istituzioni, e non l‘ottusità che scoraggia e allontana. Si tratta di spazzare via le ambiguità e
l‘indecisionismo, che sono la cifra più evidente del governo toscano e la causa di un‘arretratezza insopportabile
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sul piano delle infrastrutture e della mobilità. L‘elenco potrebbe continuare molto a lungo. Alcune delle azioni
positive a cui pensiamo costano quasi soltanto la volontà politica di realizzarle. Altre presuppongono che si
liberino risorse, che occorre liberare se 1a Regione vuole dare ai temi della crisi economica la priorità che
essi debbono avere. Abbiamo già posto in termini molto espliciti il problema di una consistente rivisitazione
della spesa storica all‘interno del bilancio regionale. La riteniamo una strada obbligata, che comporterà scelte
non facili ed anche impopolari. Ma la Giunta regionale pensa alle elezioni e preferisce non parlarne. Intanto i
mesi passano, le risposte non arrivano, le incognite aumentano. In questo modo la politica regionale, anziché
stimolare la ripresa economica, sta diventando una parte non secondaria del problema.
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Seduta del Consiglio Regionale sul documento preliminare al
Piano Regionale di Sviluppo 2006-2010
Intervento del 19 aprile 2006
“Grazie signor presidente. Io non ho molte cose in comune con il consigliere Ghelli, però forse ne
ho due: la stima che si deve a una persona seria e onesta ed una certa difficoltà a credere ai miracoli. I
miracoli, specialmente in politica, significano sempre e soltanto ambiguità. Quindi è bene che non avvenga
nessun miracolo come certamente non avviene stamani in questa aula, perché se così non fosse dovremmo
lamentare un lato di ambiguità intollerabile. Noi crediamo che in effetti ci sia qualcosa che vada denunciato
con forza dal punto di vista politico in quello che abbiamo letto e che abbiamo visto svilupparsi nel dibattito
di questa mattina. C’è un documento presentato dalla Giunta in cui ci sono delle analisi nuove, almeno nello
stile; uno stilnovo dolce-amaro perché sono analisi che si fanno soprattutto carico delle difficoltà esistenti oggi
in Toscana. Sono analisi largamente riconducibili agli studi dell’Irpet e, come tali, difficilmente ignorabili da
chiunque. Non credo che possiamo entusiasmarci più di tanto rispetto ad analisi che non possono che essere
un patrimonio largamente comune della cultura, della politica e della società Toscana in generale. Credo che
in fondo non sia nemmeno la cosa più interessante stare a vedere chi l’abbia detto prima, qualcuno ne ha
parlato negli anni ’90, qualcuno ha cominciato a parlarne ancora prima, ma questo serve solo a ciascuno di
noi a ricordare che gli anni sono passati.
Il fatto è che qui quello che serve, presidente Martini, non è la novità nel linguaggio, non sono le
concessioni stilistiche o formali, quello che serve è che la svolta che il documento preannuncia sia una svolta
coerente e chiara rispetto agli obiettivi e la direzione di marcia che si popone. E’ qui che individuiamo un
tasso evidente di ambiguità in quello che sta succedendo e di cui stiamo discutendo, perché il documento,
non ci è sfuggito questo, strizza qua e là l’occhio a certe nostre impostazioni, a certe nostre riflessioni,
riprende quasi per intero taluni passaggi e taluni paragrafi di certi nostri documenti, adotta un linguaggio
kennediano che ricorda in un certo senso il Censis. Certamente un linguaggio che in certi passi suona bene
alle nostre orecchie perché moderno, liberaleggiante, sottolinea il ruolo della società, l’attenzione che si
deve avere al cambiamento, parla di discontinuità, parla di svolta, di preoccupazione, della necessità di un
rapporto diverso con la società. Poi però, siccome non siamo a un convegno sociologico, ma stiamo a dettare
le linee di governo per la Toscana, non possiamo fare finta di non vedere che attorno a questo linguaggio,
su questo documento, su questa impostazione sta maturando, questo sì che è un miracolo, un accordo
con Rifondazione Comunista. Questa è la notizia di stamani, non sarà ancora il lieto evento, non saremo
ancora al battesimo, ma certo è che se si facesse un test di gravidanza, questo stamani darebbe un risultato
sicuramente positivo.
Questo è un fatto che noi sottolineiamo come un elemento di scarsa trasparenza. Viene presentata
una piattaforma che sollecita l’attenzione di questi banchi del nostro schieramento, che ne mutua alcune
movenze, ne mutua il linguaggio, ne raccoglie alcune preoccupazioni, per poi in realtà varare una soluzione
politica che ci allontana, che inevitabilmente ci allontana nel nome della serietà che ci deve essere. Nessuno
come noi, nessuno come chi vi parla è consapevole che il futuro dell’Italia e della Toscana non può non essere
nelle mani di entrambi gli schieramenti che si sono così duramente e spesso artificiosamente contrapposti.
Questo non può non avvenire che nella serietà dei presupposti e degli obiettivi. Non ci può essere una
maionese che poi finisce per impazzire, in cui ognuno può trovare quello che vuole perché si parla un po’ di
tutto e del contrario di tutto, salvo che poi alla fine il risultato è un risultato che ha il segno di una operazione
politica rispetto alla quale dobbiamo chiederci se renderà la Giunta più sensibile alle esigenze della libertà
di impresa, della centralità della persona, della necessità di far fare alla politica un certo passo indietro, di
una programmazione meno rigida, meno vincolata, meno vincolistica. Oppure avverrà il contrario? Questo
è il dato politico: si parte da una premessa ma la ricetta che ci si appresta a scrivere è una ricetta che va,
secondo noi, in una direzione assolutamente opposta.
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Io confesso che ascoltando la relazione e alcuni passaggi del dibattito mi sono ricordato di un
simpaticissimo siparietto, di uno scambio di battute che ci fu in uno dei tanti commenti post elettorali, quando il
giovane pimpante segretario dei radicali italiani diceva con forza che bisognava mettere mano in maniera più
efficace ed efficiente a una rivoluzione liberale. Giustamente gli fu risposto, mi pare dal direttore del giornale
di Rifondazione Comunista, che se il problema era di fare una rivoluzione liberale, tanto valeva lasciare al
governo Berlusconi. Ecco, ora non vorrei che il presidente Martini ci presentasse un documento con delle
aperture di tipo liberale ma poi si proponesse di realizzarle insieme a Rifondazione Comunista. Presidente,
se lei riuscisse a fare questo, il miracolo lo festeggeremo tutti insieme, saremo di fronte veramente a un fatto
che va al di là di ciò che obiettivamente si può pensare e prevedere.
Al di là di queste considerazioni critiche, che sono molte ferme, diamo il nostro atteggiamento
costruttivo e, a quanto mi pare, siamo gli unici gruppi che interpretano quello che è il significato istituzionale
di questa seduta, la quale non è una discussione sul PRS, come hanno detto quasi tutti gli interventi, per il
semplice fatto che il PRS non c’è per il momento. Questa è una sede in cui il Consiglio dovrebbe dettare degli
indirizzi da portare alla concertazione dalla quale far scaturire poi il documento finale del PRS da sottoporre
alla approvazione del Consiglio e, quindi, noi non ci limitiamo alla schermaglia politica ma presentiamo un
documento sintetico che parte da questa considerazione.
Noi crediamo che una programmazione moderna debba essere essenzialmente una programmazione
per obiettivi. A nostro avviso in Toscana questo ancora non è realizzato, la programmazione è ancora fortemente
settoriale e questo non consente, non agevola il rinnovamento. Questo agevola invece il consolidarsi di
califfati nei quali ciascuno è padrone di una fetta di ciò che deve essere amministrato e inevitabilmente è
portato ad amministrarlo nel perpetuarsi di abitudini, di consuetudini e sulla base anche di quelli che sono i
consolidati equilibri di potere. Il primo punto del nostro documento è nel senso di promuovere questa critica
di metodo, che è una critica importante. Poi noi indichiamo come indirizzo tre macro obiettivi, che dovrebbero
qualificare la svolta di cui si è parlato. Sono obiettivi che hanno un segno preciso, un segno e una ispirazione
di tipo liberale, sono gli obiettivi che puntano al rilancio della competitività della Toscana, concetto nel quale
noi mettiamo trasversalmente tutte le politiche che tendono a rimuovere gli ostacoli, che impediscono questo
rilancio perché l’economia non dipende, lo sappiamo bene, dal governo regionale e dipende molto poco
dal governo nazionale, ma dipende molto dal governo regionale e nazionale la possibilità di rimuovere gli
ostacoli, le difficoltà, le ristrettezze.
Quindi il punto primo: la competitività. Secondo punto: politiche che pongano concretamente la
centralità della persona, attraverso gli interventi nel settore della cultura, dell’istruzione e della formazione
intesa anche come fattore di sviluppo economico oltre che come fattore fondamentale di sviluppo umane
civile e sociale. Come terzo punto poniamo quello di una riconsiderazione delle politiche del welfare, perché
si tratta di passare anche in Toscana alla costruzione di responsabilità in cui diventi veramente determinante
il protagonismo di mille attori sociali che in stretta relazione con le istituzioni pubbliche esprimano la loro
coscienza civile, la loro creatività per concorrere a forme di garanzia e di copertura ampia di tutte le fasce di
bisogno e di necessità presenti all’interno della nostra società.
Non è che non siamo disponibili al confronto. Se il confronto e il dialogo o la contrapposizione si
svolge nella serietà dei presupposti politici certamente ci saremo. Però è bene che la Giunta si renda conto
e consideri che, una volta che avrà sistemato tutti i propri equilibri politici, ove voglia aprire un confronto vero
con l’altra voce della Toscana, che qui è comunque da noi rappresentata, dovrà fare i conti con questa nostra
impostazione che è profondamente diversa nei suoi presupposti, nella sua ispirazione e nella sua finalità.
Noi confidiamo che ciò possa avvenire, certo nella netta e contrapposta posizione politica all’interno di
questo Consiglio. Confidiamo nonostante qualche perplessità, perché non dimentichiamo, signor Presidente
della Giunta, che in occasione del dibattito sulla economia lei prese degli impegni anche con noi in questa
sede, tra l’altro quello di intervenire anche direttamente ai lavori dedicando un po’ della sua attenzione ai
lavori della terza commissione per mettere con i piedi per terra un po’ di quel materiale che attraverso il
dibattito era stato messo a fuoco talvolta anche in maniera convergente.
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Niente di tutto ciò è avvenuto. Ciò che è avvenuto sono state soltanto occasioni di incontro riservate
ai soliti noti, ai soliti addetti, certo tutti legittimati e tutti ampiamente rappresentativi, ma spesso l’impressione
che abbiamo avuto è che quello che la Giunta cerca è più che altro un confronto all’interno di una sorta di
“consiglio della corona” piuttosto che un confronto vero con chi può portare anche punti di vista e posizioni
profondamente diversi.”
Segue la dichiarazione di voto:
“Qui abbiamo parlato, avete parlato, soprattutto di innovazione, di apertura, di svolta, di attenzione
alla società. Il Presidente della Giunta si è spinto a dire che questa sera si apre una fase nuova della politica
regionale; io credo invece che abbiate scoperto qualcosa che era già stato scoperto qualche decina di
anni fa. Avete scoperto le convergenze parallele con minaccia di dissolvenza, perché questo insieme di
documenti che sono confusamente arrivati sui nostri banchi nelle ultimissime battute, senza darci la possibilità
di un vero esame, dicono appunto questo, che qui si è celebrato il rito della politica, rito perfettamente
legittimo, per carità, che può scandalizzare tutti, ma non chi vi parla. Basta saperlo. Quello che è stato fatto
è stato un esercizio politico all’interno della maggioranza attuale e di quella futura già dichiarata e facilmente
riconoscibile, rispetto al quale rito le parole dette, i presupposti spesi, le attenzioni ventilate nei confronti
della minoranza hanno il significato che hanno, cioè quello semplicemente di imbellettare necessità diverse,
che sono quelle di avviare un chiarimento non facile e anche un regolamento di conti nella ricerca di nuovi
equilibri e di nuovi assetti all’interno dello schieramento complessivo di sinistra.
L’appuntamento con il confronto con la società toscana rimandiamolo quindi ad una occasione più
seria e più vera, in cui magari la maggioranza avrà trovato la sua definizione e sarà più interessata ad entrare
nel merito dei problemi. Per oggi registriamo che Rifondazione Comunista è stata folgorata e non si capisce
bene quale sia stata la genesi all’interno di questa Regione; fino a prima della campagna elettorale ricordiamo
bene gli interventi che abbiamo sentito, ricordiamo bene i giudizi che sono stati espressi, ricordiamo bene la
nettezza e la durezza con le quali Rifondazione Comunista distingueva le proprie posizioni. Si può certamente
cambiare idea, ma non si può pretendere di avere l’applauso e che, addirittura, passi sotto silenzio quella
operazione politica che noi avevamo denunciato fin dal primo giorno in cui ci siamo insediati in questa aula.
La sinistra ha spregiudicatamente utilizzato i meccanismi elettorali, dal punto di vista formale in maniera
ineccepibile, per fare il pieno dei seggi che poi naturalmente utilizza oggi con un fidanzamento dichiarato.
Abbiamo capito che i “promessi sposi” avranno la pazienza di aspettare non più di due o tre mesi, poi si
potrà, giustamente celebrare questo evento. Risponde questo alla esigenza di avere maggiore attenzione,
maggiore modernità per la società toscana? Secondo noi no, secondo noi va in direzione opposta, secondo
noi i presupposti da cui Martini stamani è partito sono traditi, sostanzialmente, dalla risposta politica che qui
viene data.
La nostra posizione, ovviamente, è quella di votare a favore del documento della Casa delle Libertà,
votando contro a tutti gli altri documenti.”
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“Sapore di beffa“
Intervento su
“Il Giornale della Toscana“ del 14 giugno 2006
Con il nuovo PRS la Giunta Martini confessa di essere in fuga dal proprio passato, ma non dice in quale
direzione sta andando. O meglio, quello che dice è così contraddittorio rispetto alle premesse che sembra di
assistere ad una fuga in avanti destinata a portarci indietro. Se il governo regionale fa della discontinuità la
parola d’ordine del documento più importante dell’intera legislatura, dovremmo essere autorizzati a ritenere
che finalmente anche a sinistra si sia deciso di cambiare radicalmente le politiche che stanno portando
al collasso il modello toscano. Si potrebbe pensare che la classe dirigente, così navigata ed avvezza alle
piacevoli asperità del potere, abbia deciso di non adagiarsi più sulla pura contemplazione e manipolazione
del consenso, che indubbiamente in Toscana continua a premiarla. Si potrebbe ipotizzare l’avvio di una
riflessione vera sulla crisi strutturale del modello economico toscano, sulle prospettive di problematico
mantenimento dei livelli di sviluppo raggiunti, sulla perdita d’identità, e quindi di ruolo e di sicurezze pubbliche
private, che affligge interi distretti produttivi, sulla fuga di tanti cervelli, sull’avvilimento di molti centri storici,
sui potentati politici che monopolizzano i servizi pubblici locali a scapito della concorrenza, della trasparenza
e quindi degli interessi dei consumatori. Ci si potrebbe spingere ad immaginare che finalmente questa classe
di governo regionale abbia deciso di assumersi le sue responsabilità per trarre fuori, prima possibile, la
nostra regione da una situazione che la umilia in termini di diritto alla mobilità delle persone e delle cose ed
in generale ad un suo rapporto, oggi del tutto schizofrenico, con la modernità. Se negassimo che qualche
timida riflessione autocritica faccia qua e là capolino nelle pletoriche e ripetitive analisi che accompagnano il
nuovo PRS, diremmo soltanto una parte del vero. Ma il problema serio è che da quel preannuncio di analisi
non sbocci alcuna politica cui possa riconoscersi il sigillo di qualche novità nel segno di un vero cambiamento
di marcia. È come se Martini volesse spiegare con dei segnali di fumo che tra quanto sarebbe necessario
fare e quello che concretamente si farà c’è di mezzo il mare della politica. E questo mare spinge la navicella
della maggioranza in direzione opposta a quello che certe riflessioni farebbero pensare. La stella polare
non è l’interesse della Toscana ad una politica che corregga in senso liberale le strutture del passato (e del
presente).
Ben altro è l’obiettivo all’orizzonte: il canto delle sirene che guida la navigazione di Martini conduce
al porto di rifondazione comunista, dove propositi liberaleggianti saranno trattati come dannosi pruriti da
scacciare. Questo è il quadro politico al cui perfezionamento si dedicano le energie migliori del centrosinistra.
Ed in questo quadro il termine “discontinuità” di cui il PRS fa perfino abuso, cessa di essere alle nostre orecchie
un invito ad ascoltare, come possibile premessa in un confronto con la maggioranza, almeno su alcuni
contenuti. Esso acquista, invece, uno sgradevole sapore di beffa, acuita dal ricordo di come i meccanismi
elettorali sottrassero seggi all’unica vera opposizione, quella della CdL, per assegnarli all’opposizione di sua
Maestà, rappresentata da rifondazione. Tutto questo non appartiene ad una polemica politica esterna al PRS.
Nei contenuti del documento di programmazione queste contraddizioni si leggono in trasparenza. Inalterata
resta la struttura fondamentale del documento, che - per dirla alla buona – la butta continuamente in politica,
ma non delinea la intelaiatura di una programmazione strutturata per chiari ed impegnativi obiettivi. Questa
sarebbe la vera svolta, che la Regione ancora una volta disattende: rinunciare alla pretesa di abbracciare
ed occupare l’intero scibile che si muove in tutti gli angoli della società toscana; individuare, invece, pochi
obiettivi qualificanti dell’azione del governo regionale, attorno ai quali chiamare ad operare con finalità
comuni i diversi assessorati. E poi ampliare al massimo i confini entro i quali sia sollecitata ad esprimersi la
creatività ed il protagonismo di una vasta gamma di soggettività private, in stretto rapporto con l’azione delle
istituzioni.
Di questa piccola, ma essenziale “rivoluzione copernicana” nel nuovo PRS non c’è traccia. Vengono solo
sbandierate alcune fumose novità. Abbiamo salutato qualche mese fa con interesse la nuova prospettiva che
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la Finanziaria del Governo Berlusconi delineava per i distretti produttivi, indicandoli come libere aggregazioni
d’imprese, perno di sistemi produttivi incardinati in una specifica dimensione territoriale. In Toscana i distretti
sono stati i punti di forza dello sviluppo, così come oggi sono il punto di più acuta preoccupazione. Il PRS
abbraccia una nuova idea: se i distretti produttivi sono in crisi, cambiamo prospettiva, facciamo finta che
all’improvviso le realtà dei sistemi economici territoriali non siano così peculiari e specifiche come tutta la
storia della Toscana dimostra. Nasce così la nuova parola d’ordine, che è quella del “distretto integrato
regionale”, con la quale dovremo abituarci a familiarizzare, senza pretendere che qualcuno ci spieghi in
concreto quali implicazioni comporta. Possiamo convenire che quando si è in difficoltà è più facile cambiare
formula espositiva, piuttosto che cercare la risposta a problemi non facili. Ma escludiamo che questo tipo
di trovate, buone per la fortuna di certi centri studi, rappresentino la ricetta del cambiamento che serve alla
Toscana.
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Seduta del Consiglio Regionale
sull‘esame congiunto del Piano Regionale di Sviluppo (PRS)
e del Documento di Programmazione
Economica e Finanziaria 2007 (DPEF)
Intervento del 18 luglio 2006
“Grazie presidente. Si, in effetti io ho l’incarico di svolgere la relazione di Minoranza. La mia relazione
ha un approccio diverso da quella che abbiamo ascoltato, non solo per i giudizi e le conclusioni a cui perverrò,
ma anche soprattutto perché a differenza del relatore di Maggiornaza, io cercherò non solo di tenere conto
dei numeri e dei fatti, ma anche di esprimere delle valutazioni di insieme su questo Piano Regionale di
Sviluppo. Il PRS parte da premesse interessanti, parte anche da delle premesse nuove, di cui non abbiamo
voluto sottacere l‘importanza. Viene abbandonata una visione rituale e trionfalistica che veniva puntualmente
riproposta nelle precedenti discussioni, e si presenta una visione molto più problematica della regione
Toscana, perché finalmente si prende atto di una verità, ormai consacrata dai numeri, dai dati economici
e dagli studi, di un modello toscano in crisi, di una Toscana su cui si allungano ombre preoccupanti per il
futuro.
Noi riteniamo che questa premessa, questo approccio, questo taglio, che la Giunta ha dato al
Programma Regionale di Sviluppo, sia essenzialmente figlio dei dati economici e dell‘analisi dell‘Irpet, che
nella loro lucidità e nella loro anche inequivocabilità hanno costretto tutti a cambiare registro e tono. Certo,
possiamo dire che è un figlio concepito senza grande convinzione, perché subito dopo le premesse, subito
dopo l‘analisi, quando si va concretamente a vedere le scelte, le indicazioni, ci si accorge che resta molto
poco, anzi non resta quasi niente di quei propositi di rinnovamento, di discontinuità, di svolta politica di cui
si parla ripetutamente in astratto, anche occhieggiando ad aperture di tipo liberaleggiante, che poi nelle
conclusioni concrete non vengono, se non in piccola parte, mantenute.
Si, perchè se ci si pone degli obiettivi così ambiziosi come quelli della discontinuità, che vuol dire
farsi carico coraggiosamente di una serie di cose che vanno cambiate, non ci si può poi accontentare di un
cambiamento che sia frutto di qualche imbellettamento di superficie. Bisogna invece valutare questa svolta
seriamente attraverso dei parametri, delle chiavi di lettura molto impegnative. La discontinuità del PRS, a
nostro avviso, si potrebbe misurare, si dovrebbe misurare, su alcuni punti fondamentali: su una diversa
capacità di selezionare rigorosamente gli obiettivi, su percorsi intesi come “incubatori di risposte“, piuttosto
che sulla vecchia pretesa di avere e di dare tutte le risposte. Si dovrebbe misurare - questa discontinuità - su
una capacità di recuperare, liberare ed impegnare risorse, quindi sostanzialmente sulla misura di una diversa
capacità realizzativa, una diversa capacità di coinvolgere il complesso dei soggetti pubblici e privati rispetto
agli obiettivi che il PRS dovrebbe indicare; e quindi in definitiva, sulla perfetta realizzazione dei criteri di
sussidiarietà orizzontale e verticale, ed infine sulla capacità e la volontà politica di realizzare concretamente
le riforme, magari a costo zero, che possono essere fatte oggi e che non hanno affatto bisogno di essere
inserite in futuri o futuribili progetti integrati. Mi riferisco a tutte le misure atte alla sburocratizzazione, alla
semplificazione, ad un diverso approccio culturale e politico al quadro di governo. Insomma, la svolta politica
dovrebbe concretizzarsi in un PRS che noi immaginiamo come una sintesi di obiettivi, che la Regione indica a
se stessa, alle proprie azioni, alle proprie scelte, ma anche al complesso delle istituzioni ed al complesso dei
soggetti privati. Obiettivi che in un PRS correttamente strutturato dovrebbero già incrociarsi con gli strumenti,
con le risorse e con i soggetti protagonisti del perseguimento di questi obiettivi.
Il PRS che noi discutiamo non ha, a nostro avviso, queste caratteristiche. Certo, l’analisi accenna in
questa direzione, ma poi troviamo ancora, in gran parte, un manifesto di intenzioni, troviamo ancora quello
che abbiamo denunciato anche in altre occasioni. La Minoranza ha più volte denunciato la tendenza della
Giunta a fare di questi grandi strumenti di programmazione una sorta di vaso di Pandora per tutti i convegni
possibili dei prossimi anni, invece di un rigoroso e sobrio strumento di governo. Avviene infatti che quella
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spinta a cambiare, a modernizzare l‘approccio, a cambiare linguaggio, ad alleggerire gli strumenti, che si
ritrova nella parte analitica, viene di fatto sconfessata da quelle che sono le conclusioni che se ne traggono.
Si tratta di un risultato deludente, che pure parte da una impostazione che ha visto anche il nostro reale
interesse.
La Giunta tende a vedere l‘insieme, dimenticando di mettere a fuoco i dettagli ed i particolari, che
invece sono quelli che contano, perché se vi siete ispirati all’Irpet, non vi dovrebbero essere sfuggiti alcuni
studi recentissimi che hanno dimostrato come sia illusorio parlare ancora della Toscana nella sua globalità,
come di una regione aperta ed avanzata in termini di export, aperta sul mercato internazionale. Dovreste
aver colto, disaggregando i dati, che questo negli anni scorsi è stato in parte vero, soltanto grazie alla
spinta particolare che è avvenuta in determinati e circoscritti territori, all’interno di una realtà toscana che
nel suo insieme non ha mai avuto e non ha nemmeno oggi queste caratteristiche. Ecco allora la necessità,
secondo noi, di mettere a fuoco le aree problema che esistono in Toscana, nelle loro diverse, distinte e
spesso estremamente lontane, contraddittorie peculiarità. Ecco la necessità di interrogarsi in particolare,
all‘interno di certi flussi che riguardano il futuro, sul fenomeno immigratorio, che sarà determinante per capire
la Toscana dei prossimi anni. In alcune zone della Toscana ci sono il 15-20% di immigrati, e si prevede, in
un’ottica di 15-20 anni, un traguardo addirittura del 40-50%. Ma se di queste cose non se ne parla nemmeno
a livello di analisi come possiamo preparare le risposte?
E se non si spende una parola per la crisi strutturale del settore moda, che obiettivamente è stato
uno degli elementi trainanti, per la sua diffusione, le sue ricadute, le sue capacità di trainare ulteriori settori,
com’è che si può focalizzare questo all‘interno di quel concetto che è stato lanciato con ampio margine di
incomprensione, che è il cosiddetto nuovo distretto unico ed integrato? Concetto che è una banalità, se
con esso si vuol dire che esiste la necessità di mettere in circolo tutto ciò che si può mettere in rete, oppure
è una contraddizione insanabile, se con esso si vuol affermare che le specificità e le peculiarità debbano
essere ridotte ad un’unica unità. Da tutto questo nasce, in realtà, un po‘ il contrario di quello che farebbero
pensare le impostazioni iniziali del PRS. Più che un’apertura, io vedo azioni che potrebbero favorire un
neo-centralismo regionale, che potrebbero aumentare il potere e il ruolo della burocrazia regionale, che
potrebbero allontanare la società civile dall’essere protagonista dei processi e degli obiettivi che vengono
disegnati.
Di tutto questo ne è prova il DPEF, rispetto al quale, in base al sommario esame che c’è stato
in commissione consiliare, nessuno è in grado di spiegarci il realismo delle cifre, delle previsioni, perché
alcune voci siano state, rispetto al quadro generale del PRS, recuperate ed altre no e con che criterio si è
parcellizzata una previsione di spesa invece di un’altra. Voglio dire che c‘è la sensazione di qualcosa che
assomiglia molto ad una ipotesi di lavoro tutta da verificare.
La nostra intenzione è quindi quella di contrapporre, a questo tipo d‘impostazione, un diverso approccio
che riesca ad essere coerente rispetto all‘analisi che voi stessi avete fatto. Una impostazione che assuma
come presupposto delle scelte tutti i dati cardine della problematica toscana. Io credo che l‘approccio più
esaustivo per poter avere una ricaduta a 360 gradi, possa essere quello che ruota intorno all‘obiettivo del pieno
recupero della competitività del sistema toscano. Poiché è intorno a questo tema che si gioca la condizione
del lavoro, si gioca l’impegno della formazione, si gioca il rapporto tra l‘università e l’imprenditoria, si gioca il
problema del rapporto con la burocrazia, si gioca un ammodernamento complessivo della Toscana, si gioca
una sfida a non chiudersi nel provincialismo, nell‘autosufficienza, nel compiacimento per un patrimonio che
certo è grande e tale resta, fortunatamente, ma che è tutti giorni più insidiato e meno sicuro del proprio futuro.
Noi, questa sfida, cercheremo di metterla con i piedi per terra, presentando pubblicamente nei prossimi giorni
una proposta di legge, prima di altre che potranno seguire, vertente su questo insieme di problemi, per
cercare di dare risposte ai problemi medesimi, ma anche per rendere concreto quello che secondo noi può
essere un modo diverso di intervenire con lo strumento legislativo, per promuovere la semplificazione delle
procedure e la sburocratizzazione del sistema.
La nostra considerazione conclusiva è quella di dire che probabilmente, se qualche spiraglio si è aperto
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in un‘analisi diversa che è stata fatta, questo spiraglio non coglie frutti in questa circostanza, perché l’analisi
iniziale viene sostanzialmente smentita dalla ristrettezza del quadro politico che siete obbligati a perseguire,
quello di allargare la maggioranza rincorrendo posizioni politiche estreme, che sono insanabilmente in contrasto
con le premesse e con l‘analisi da cui siete partiti. Questo è un quadro asfittico. Il fatto di perseguire una
coalizione politica che è in contrasto con le vostre stesse premesse determina una contraddizione insanabile
nella vostra proposta politica. Ecco perché certe buone intenzioni, che probabilmente c‘erano nelle premesse
di questo PRS, sono state sostanzialmente tradite e si sono completamente arenate nel peso ingombrante
di quei vincoli politici che rendono asfittico e negativo quello che voi ci avevate prospettato e promesso come
un momento di svolta politica e di governo. Questa svolta, purtroppo, non c’è.”
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Introduzione alla proposta di legge regionale n. 115
“Strumenti di competitività per le imprese
e per il territorio della Regione Toscana”
Primo firmatario cons. Alberto Magnolfi
19 luglio 2006
La Toscana, anche a causa di alcune caratteristiche particolari del proprio modello economico, sta
risentendo in maniera particolarmente pesante gli effetti negativi dei drastici cambiamenti avvenuti nello
scenario economico mondiale. Ciò si è tradotto negli ultimi anni in una forte perdita di competitività del
sistema produttivo toscano, segnato da una crisi di natura strutturale in molti dei suoi tradizionali punti
di forza. Sino dall‘inizio della nuova legislatura regionale, Forza Italia ha posto questi temi al centro della
propria iniziativa, promuovendo un consiglio straordinario sull’economia, dal quale ha lanciato gli obiettivi
della semplificazione, sburocratizzazione e spoliticizzazione del sistema, come presupposti di una strategia
di sostegno alla ripresa della economia toscana.
Il nuovo Programma Regionale di Sviluppo (PRS), presentato dalla Giunta regionale nello scorso
Luglio, pur ammettendo per la prima volta la debolezza e la crisi del modello economico toscano e delle
politiche rivolte al suo sostegno, non contiene nella sostanza alcuna chiara indicazione di discontinuità
nella politica economica della Regione, eludendo le attese di una significativa svolta nell‘approccio a queste
fondamentali tematiche. Da questa constatazione nasce l‘iniziativa assunta dal gruppo consiliare di Forza Italia
con la presentazione della proposta di legge sugli strumenti di competitività per le imprese e per il territorio
della Toscana, della quale è primo firmatario il consigliere regionale Alberto Magnolfi. La proposta di legge
è molto innovativa rispetto alle tradizionali posizioni dei governi regionali della Toscana, sia nella ispirazione
generale che nei contenuti specifici, quale coerente espressione di una cultura liberale e modernamente
riformatrice nei rapporti tra istituzioni, sistema delle imprese e mondo del lavoro. Essa persegue lo scopo di
fornire alla Toscana le basi per una politica economica ed industriale all’altezza dei tempi e della complessità
dei problemi che la globalizzazione porta con sé.
Con i primi tre articoli la proposta delinea con precisione gli obiettivi, l‘ambito di intervento, gli
strumenti attuativi ed i percorsi istituzionali della politica industriale della Regione. Il proposito è quello di
costruire una sorta di “scatola di montaggio”, una ossatura fondamentale, grazie alla quale sia possibile
programmare e realizzare una molteplicità di azioni, finanziarie e non, in una molteplicità di campi d’azione,
nei quali la Regione potrà intervenire, attraverso la destinazione annuale dei fondi necessari, a sostegno
della competitività del sistema produttivo toscano. Tali scelte dovranno trovare nel DPEF la sede naturale
di verifica e di definizione, sulla base di ben precise ed organiche valutazioni di priorità, superando la logica
dei contributi a pioggia o di programmi disorganici e non sufficientemente calibrati. La maggiore novità della
proposta di legge è rappresentata dai cosiddetti “distretti funzionali”. Traendo spunto dalla impostazione
indicata nell’ultima legge finanziaria del governo Berlusconi, si prevede, per la prima volta a livello nazionale,
che la Regione possa riconoscere, entro l‘ambito territoriale dei tradizionali distretti produttivi, la costituzione
di associazioni temporanee tra almeno dieci imprese - i distretti funzionali appunto - che si mettono insieme
solo per specifiche e ben determinate finalità. In concreto le imprese potranno associarsi per presentare
assieme progetti sui temi dell’innovazione, per usufruire di agevolazioni regionali, nazionali o comunitarie,
per avvalersi di procedure burocratiche facilitate, per stipulare apposite convenzioni con istituti di credito o
per promuovere azioni a sostegno della filiera produttiva. Oltre a ciò, i cosiddetti distretti funzionali potranno
essere destinatari di specifiche misure ed iniziative che la Regione potrà promuovere nei loro confronti.
Potranno così ad esempio essere costituiti appositi fondi di investimento per sostenere lo sviluppo delle
imprese in questione od essere avviate procedure che accertino l’accesso ad agevolazioni ed incentivi
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tributari anche a livello nazionale.
Si tratta di una impostazione radicalmente nuova che tende a favorire e promuovere processi di crescita
collaborativa tra le imprese, in vista di una serie di finalità legate all’innovazione, alla internazionalizzazione,
alla organizzazione, alla logistica, alla condivisione delle conoscenze ed alla valorizzazione delle risorse
umane. L‘impostazione è ispirata ad un sano realismo e quindi non si prendono in esame i processi di vera e
propria fusione tra aziende, trattandosi di un ambito che non compete alla politica dirigere e condizionare.
La proposta di legge introduce anche importanti novità nella direzione dello snellimento delle
procedure burocratiche e della semplificazione dei rapporti amministrativi. Questo tema è centrale rispetto
alle prospettive di effettiva ripresa delle capacità di competere sui mercati interno e internazionale da parte
del sistema toscano. In tale ottica, la proposta di legge estende e rende operativo al massimo il principio
della autocertificazione, prevedendo al contempo un sistema dei controlli certi e stringenti. La “denuncia di
inizio attività” potrà così trovare applicazione non solo per l’avvio propriamente detto di una nuova attività
economica, ma anche per tutte le fasi dell’attività dell’impresa, nonché per l’installazione, l’attivazione,
l’esercizio e la sicurezza di impianti e l’agibilità degli edifici di lavoro. Ciò potrà concretamente essere agevolato
dalla introduzione di una modulistica standardizzata ed uguale per tutte le amministrazioni interessate alla
definizione di un unico procedimento, in modo da creare sufficienti presupposti di certezza a beneficio di tutti
gli operatori. Non meno essenziale sarà il previsto rafforzamento degli strumenti e dei raccordi informatici tra
le imprese e la pubblica amministrazione.
Anche l’istituto dello Sportello Unico viene rivisitato dalla proposta di legge in un‘ottica di deciso
superamento delle difficoltà operative che spesso questa esperienza ha riscontrato nella sua concreta
attuazione. La proposta prevede che lo Sportello Unico diventi il soggetto attraverso il quale passino, con
una tempistica assai veloce e con la introduzione del silenzio-assenso, tutti i procedimenti amministrativi
inerenti le attività economiche. Ciò porta ad un considerevole allargamento delle tipologie di attività e ad una
notevole riduzione dei termini oggi previsti da questo istituto, anche attraverso una precisa modulazione del
ruolo da riservare alla conferenza dei servizi.
Negli intendimenti del gruppo consiliare di Forza Italia l‘articolato attualmente in discussione dovrà
essere integrato con altre norme in materia di lavoro e di formazione professionale nonché sul tema del
riutilizzo e della riconversione delle aree produttive dismesse. Queste ulteriori disposizioni si trovano già in
fase di studio e saranno formalizzate quanto prima. L‘obiettivo politico più generale è quello di dar vita ad
una sorta di Testo unico delle norme in vario modo collegate al tema della competitività, quale contributo
qualificante di Forza Italia al dibattito ed alla soluzione dei problemi che affliggono il sistema economico e
produttivo della nostra regione.
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Seduta del Consiglio Regionale sulla Risoluzione
collegata all‘informativa della Giunta Regionale
sul documento preliminare relativo al bilancio regionale
per l‘esercizio finanziario 2007
Intervento del 19 settembre 2006
“Grazie, Presidente. Per esprimere brevemente il voto contrario di Forza Italia a tutti i documenti
presentati, per confermare che per quanto ci riguarda non abbiamo presentato un documento di indirizzi
proprio perché era nostra intenzione che uscisse da questo confronto soprattutto un indirizzo, un indirizzo
forte, serio, e cioè che la Toscana, intesa come economia, come sistema sociale, come realtà nel suo
complesso non può più permettersi di reggere un sistema politico istituzionale come quello che è stato nei
decenni costruito. E questo non perché lo diciamo noi o perché qualcuno l’ha detto da prima e qualcuno un po’
più timidamente sta cominciando a dirlo adesso. Semplicemente perché è nelle cose, perché è innanzitutto
nei dati economici di una Regione che da tempo non ha più il vento nelle vele, un’economia che è in fase di
regressione, e che quindi è chiamata a confrontarsi più duramente, in maniera più seria anche, con i conti
pubblici che non tornano.
Ecco perché credo nessuno debba qui fare la parte di Biancaneve e meravigliarsi se si arriva a questa
discussione magari con una enfasi eccessiva. Non potete essere voi a meravigliarvi di questo, perché noi
ricordiamo bene come ogni inizio di autunno, ogni fine di estate, quando si parlava negli anni scorsi della
finanziaria, veniva rafforzato e rappresentato il mito di un paese straccione, come la quarta settimana in cui le
mamme non avevano il latte da dare ai bambini. E poi con la stessa disinvoltura, caduto il governo Berlusconi,
l‘Italia è stata rappresentata come un paese nel quale dai rubinetti di casa sgorga oggi non solo il latte ma
anche lo champagne. Così come non vi potete meravigliare se da parte delle forze economiche e sociali
vi viene rimproverata una mancata preventiva consultazione. Io sono convinto che il metodo formalmente
sia corretto: è giusto dare una informativa al Consiglio Regionale, ma siete stati voi a mitizzare in maniera
acritica il concetto della concertazione fino a farlo diventare un fatto a priori, un fatto al di fuori, al di sopra
delle istituzioni.
Ora anche questo meccanismo vi sta scoppiando in mano, perché quando le cose diventano più
difficili, ognuno, naturalmente, tira la coperta dalla propria parte. Così avviene con l’invarianza fiscale che
avevate forse con troppa leggerezza promesso, ma che non riuscite a mantenere, perché indubbiamente
le difficoltà che sono di fronte al sistema delle istituzioni pubbliche in Toscana sono tali, che vi apprestate
a mettere le mani a strumenti fiscali assai pesanti ed iniqui per governare la complessità. Noi crediamo
che l’elemento mancante della proposta di oggi sia l’indicazione di un investimento vero sullo sviluppo. Noi
crediamo che queste pezze e queste toppe, che faticosamente cercate oggi di imporre, serviranno soltanto
a tappare le prime voragini, che si aggraveranno con il taglio dei trasferimenti alle Regioni ed agli enti locali.
Il che vi obbligherà ad applicare anche l’addizionale IRPEF, il che vi obbligherà poi probabilmente a ricorrere
anche alle tasse di scopo, il che, in definitiva, rischia di aprire una voragine di aggravamento fiscale, che era
proprio la cosa di cui si parlava, come si ricorderà, nella recente campagna elettorale. Allora il vero problema
è quello di ripensare completamente il modello toscano.
Occorre una strategia di ritiro della presenza della politica dalla vita della società e dalle istituzioni.
La politica non può continuare a pensare di occuparsi di tutto, di occupare tutti gli spazi, nè chi governa
le istituzioni può pensare di rispondere ai bisogni della società solo quando e fin quando ci sono quattrini
da spendere. Bisogna riuscire ad esprimere una azione di governo anche semplicemente con la capacità
di indirizzo, con la capacità di suscitare le energie, di dare gli obiettivi. Insomma sono cose che abbiamo
detto tante volte, ma credo che ormai sia davvero l‘ora di cambiare in Toscana e a livello nazionale, perché
altrimenti i conti non tornano, e nessuno può più permettersi di ignorare il problema. Certo, questo significa
anche un atteggiamento più serio e più rigoroso della politica, significa, credo, ridurre seriamente certi costi
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della politica che la società considera ormai improponibili, senza però che questo debba significare, e lo
voglio sottolineare, ridurre il costo necessario per la democrazia, che è un concetto completamente diverso.
Le spese che servono alla democrazia sono spese che dobbiamo difendere. Le spese che attengono alla
degenerazione della politica, sono spese che vanno ripensate, riviste e tagliate.”
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“Prato si è imbarbarita. È ora di dirlo a gran voce.”
Intervista al consigliere regionale Alberto Magnolfi
su “La Nazione di Prato“ del 21 settembre 2006
Prato come Samarcanda?
“La città sta rischiando di non avere futuro e non ha il coraggio di dirselo. O meglio: lo dice la gente per la
strada, sia chi vota centrodestra sia chi vota centrosinistra, ma nelle sedi ufficiali magari si discute di tanti
problemi, ma non del Problema. Non si affronta il quadro generale.”
E lei come lo vede il quadro generale?
“Vedo un atteggiamento “politicamente corretto” che rischia di strangolarci, mentre si dovrebbero chiamare i
problemi per quello che sono: la città rischia di morire.”
Un presagio terribile…
“Ma possibile. E non parlo di una morte economica, parlo della perdita della coscienza di sé, della perdita
di identità. Se le cose non cambieranno, Prato rischia davvero di diventare una periferia anonima, piena di
tensioni sociali e con un crollo verticale della qualità della vita.”
Il dibattito sull’immigrazione però si sta infiammando.
“Fortunatamente parti della città iniziano a dire che questo è il Problema, non più una questione di ordinaria
amministrazione. Penso ai sindacati, alle associazioni di categoria.”
Anche il sindaco ha scritto al ministro dell’Interno Amato: a Prato gli immigrati sono troppi.
“È vero, quello che fino a poco tempo fa nessuno aveva il coraggio di dire, inizia ad essere detto. Le persone
più responsabili e con la testa sulle spalle ne hanno preso coscienza ma certe parole tardive non bastano
finchè resta il ricatto degli equilibri politici.”
La sinistra più radicale…
“Che continua ad affrontare la questione in modo ideologico, a mio parere assolutamente lontano dalla realtà
e dalla sensibilità della gente.”
Anche dal Vescovo è arrivato un forte richiamo all’identità.
“Giustissimo e molto importante, ma devo dire anche che, pur con le migliori intenzioni, certe organizzazioni
cattoliche hanno avuto fin qui un atteggiamento fin troppo unilaterale, che non ha aiutato ad affrontare il
problema nella maniera giusta…”
Ma lei cosa propone?
“Non ho ricette in tasca, dico però che la prima cosa da fare è cambiare approccio, prendere atto dell’emergenza
e dichiarare l’eccezionalità della situazione. Noi di Forza Italia siamo pronti a dare il nostro contributo.”
Quale?
“La rinuncia ad ogni strumentalizzazione politica. Non rinvangheremo le responsabilità anche politiche di
questa situazione, che pur sono evidenti. Sarebbe importante creare un fronte di mobilitazione civica per
una strategia per la città, che rivendichi il diritto al proprio futuro. Dobbiamo avere il coraggio di dire le cose
come stanno. Che ci sono zone di Prato in cui si deve camminare turandosi il naso e tappandosi le orecchie,
che accadono fatti di sangue tutte le notti, che ci sono giri di soldi che fanno impressione. Che la città si sta
imbarbarendo, che si è già imbarbarita. Parliamone insieme, senza polemiche, pensando al bene di Prato.”
Quindi suggerisce una sorta di “tavolo” bipartisan per la città?
“Ce ne sono tanti, credo ne serva soprattutto uno per salvarla. È il momento di mobilitare le coscienze.”
E per molti anche di farsi un esame di coscienza…
“Non c’è dubbio. Tanti in città sono stati sordi e ciechi, hanno approfittato dell’immigrazione e soprattutto dei
cinesi per fare i propri interessi. Hanno dimostrato un egoismo insopportabile, tipico di chi sa che se la barca
affonda tanto ci sono i soldi per farsi la villa a Fiesole o a Forte dei Marmi. Quando dico che la città ha perso
di identità, penso anche a questo: all’incapacità di troppi di volerle bene. Alla sciatteria degli atteggiamenti,
alle regole che non si rispettano, a cominciare da quelle elementari del decoro urbano.”
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Cosa fare allora?
“L’ho detto anche in passato e lo ribadisco oggi: per Prato serve un progetto speciale, perché l’immigrazione
è il Problema ed è una emergenza nazionale, per affrontare la quale servono strumenti e risorse adeguate.
In Italia non ci sono altre città di medie dimensioni investite da un fenomeno migratorio che in pochi anni ha
portato gli stranieri al 20% della popolazione, una quota che potrebbe crescere ulteriormente nel brevissimo
periodo. Se questa non è una situazione eccezionale, mi chiedo cosa si dovrebbe aspettare…”
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“Manovra di stampo comunista”
Intervento su
“Il Giornale della Toscana” del 29 ottobre 2006
Il balletto di cifre, di annunci, di smentite, di toppe e rammendi che il governo Prodi ci propina con
quotidiano accanimento sui temi della Finanziaria rende chiaro a tutti che più ci mettono le mani, più la
trama si lacera ed il disastro si allarga. La manovra prodiana non è emendabile, perché la sua cifra politica
è quella di una rozzezza antistorica, incompatibile con il governo di una moderna democrazia industriale.
L’ex – boiardo delle industrie di Stato in liquidazione, proclamato statista grazie ai complessi di colpa ed
alle debolezze della sinistra italiana, ha pensato di costruire il suo capolavoro con un calcolo da politicante
senza idee e senza principi. Tutti lo aspettavano alle prese con i veti ed i diktat della sinistra alternativa, per
la quale le regole del mercato, la compatibilità del sistema, gli stessi valori comuni al nostro mondo, non sono
altro che vincoli fastidiosi da rimuovere. Ebbene, il Professore ha fatto della sinistra alternativa l’azionista di
riferimento della propria squinternata coalizione ed ha assunto quelle posizioni come bussola della propria
manovra di bilancio e delle scelte qualificanti ad essa collegate. D’altra parte – deve aver pensato il furbo
Prodi – quando perfino il mitico fattore C, a cui egli deve parte non piccola delle sue fortune, si preannuncia
inadeguato al compito, bisogna pur lavorare di scaltrezza. E così, gettate nel cestino le promesse di un
approccio da sinistra riformista di stampo europeo, il Nostro ha pensato di stipulare una polizza quinquennale
sulla durata del suo Governo, dando via libera alle idee, e spesso ai cascami ideologici ed alle manie di
bandiera, di quella sinistra che non ha interesse a governare il sistema, se non per destabilizzarlo e sostituirlo
con uno rispondente ai modelli di un comunismo più o meno rifondato. Sta tutta qui, comunque la si metta, la
genesi di una Finanziaria che altrimenti sarebbe incomprensibile.
La prima assurdità sta proprio nella dimensione spropositata della manovra che si è voluto a tutti i
costi infliggere al paese. L’ottimo lavoro del Governo Berlusconi aveva posto le premesse per non strangolare
la ripresa economica in atto: il gettito fiscale da qualche tempo dà soltanto delle buone sorprese e questi
dati indicavano la via di una manovra finanziaria estremamente leggera, da collegarsi senza soluzione di
continuità all’avvio di un processo riformatore capace di aggredire le fonti strutturali (e storiche) del debito
pubblico italiano. Sarebbe bastato un po’ di buona fede in più da parte del Governo e meno cecità ideologica.
Invece la prima esigenza è stata quella di dire falsamente che Berlusconi aveva lasciato il Paese in brache di
tela, che i nuovi padroni avevano le idee chiare e che bisognava cambiare strada e cominciare a far piangere
un bel po’ di gente. Non certo i veri ricchi, che non saranno nemmeno scalfiti da qualche fastidio, ma l’insieme
del tessuto economico italiano bloccato sulla via della ripresa e con esso, direttamente o indirettamente, la
generalità dei cittadini, a cominciare dai giovani, dai meno protetti, dalle famiglie, dai lavoratori autonomi e
dalle piccole imprese.
È singolare che Prodi lamenti un deficit di informazione: via via che i contenuti saranno più noti e che
si squadernerà sotto gli occhi di tutti il combinato disposto tra i diversi livelli di inasprimento fiscale (e sarà
grande sulla gente comune il peso dei balzelli e delle tariffe locali), si riproporrà con più forza la domanda
che deve essere centrale nel dibattito: ne valeva la pena? Qualche decimale recuperato sul disavanzo dei
conti dello Stato – ammesso che ciò avvenga – ha ben poco significato se nasce esclusivamente da una
stangata fiscale che reprime l’economia e lascia inalterati i fattori strutturali della spesa. Di questo, secondo
Fassino e Rutelli, si dovrebbe parlare nella mitica fase due del Governo. Ma questa fase due non ci sarà,
sia perché non è detto che il Governo superi indenne l’esame del Senato, sia perché i veri padroni della
coalizione di centrosinistra hanno già detto a Prodi che può scordarsi fin d’ora di affrontare temi come quelli
della riforma delle pensioni e del pubblico impiego. Questo significa galleggiare sui problemi del Paese, con
l’unica capacità di distruggere quanto era stato faticosamente realizzato, senza avere alcuna visione capace
di motivare la società e di darle obiettivi e speranza.
Nell’ottica toscana è particolarmente sconfortante l’abbandono di ogni attenzione per i distretti
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economici e, allo stesso tempo, la spinta negativa alla crescita che il sistema delle imprese inevitabilmente
trae dalla sconsiderata scelta sul Tfr. Che ne è di tutte le lagnanze, care alla sinistra, sul nanismo delle nostre
imprese, se poi bastano 50 addetti perché un’impresa si veda sottrarre ingenti risorse finanziarie dirottate
forzosamente all’Inps? E che dire delle continue litanie sulla priorità – sacrosanta – del sostegno da dare
alla ricerca e sul rapporto tra università, ricerca e mondo della produzione? Dai nostri atenei giungono solo
mugugni, e non ce ne meravigliamo, visto che questa volta non si può dare la colpa a Berlusconi. Ma la verità
verrà a galla ed essa dice tristemente che questa Finanziaria rischia di far chiudere quel poco di buono che
c’è nel settore strategico della ricerca e della innovazione. Solo esempi di una lista che potrebbe diventare
molto lunga. Cambiare strada è un imperativo senza alternative e bisogna farlo presto. Prima che su questo
tema, come su tanti altri, arrivino da sinistra tardive lacrime di coccodrillo.
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Seduta del Consiglio Regionale sulle
nuove tasse regionali
Intervento del 31 ottobre 2006
“Grazie presidente. Noi portiamo in questo dibattito una posizione che non è rituale, a differenza di
quanto qualche collega ha voluto dire. Il nostro non è un atto dovuto ma è espressione di un sentimento molto
forte di preoccupazione, di disagio, una presa di distanza estremamente netta dal provvedimento in discussione
e dalla politica di cui questo provvedimento è espressione. Noi rappresenteremo questo disagio, questa
ferma opposizione, questa proposta in questo dibattito, certamente nella scrupolosa aderenza alle norme
regolamentari che disciplinano i nostri lavori, ma anche con tutta l’ampiezza e con la voluta sottolineatura che
daremo alle nostre posizioni, proprio per accompagnarle con questo significato politico, che ha una valenza
di carattere molto più generale rispetto allo stesso provvedimento che qui è in discussione.
Sì, perché la Giunta Toscana ha aperto la strada, che poi è stata massicciamente seguita dalla
Finanziaria del Governo nazionale, ad un’indicazione politica profondamente sbagliata, senza prospettive,
dannosa per il paese. Si rimandano ad una fase due, che non verrà, quelle scelte che dovrebbero già essere
operanti, cioè quelle di una serie di interventi, sia in Regione che a livello nazionale, che mettano mano ai
problemi strutturali della spesa, che diano fiato ad uno sviluppo e ad una ripresa che si stava manifestando.
Si sceglie, senza nessuna necessità, una strada di rigore fiscale del tutto punitiva, senza necessità, perché in
fondo bastava leggere i segni di ripresa della nostra economia e bastava leggere i dati confortanti delle entrate
tributarie, che danno sicuramente dei segni tangibili superiori a quelle che erano le attese e le aspettative di
tutti gli ambienti, degli studiosi, dello stesso Governo. Quindi c’erano e ci sarebbero stati i presupposti per un
approccio completamente diverso, che cercasse di cogliere e di rafforzare i segni della ripresa, manovrando
con la massima delicatezza la leva fiscale e ponendo ben altra attenzione ai problemi del risanamento dei
conti pubblici e ad un rilancio di politiche di vere riforme. Questo non è stato fatto in Toscana e a noi, devo
dire la verità, dice ben poco che i vertici di alcune associazioni sindacali si dichiarino soddisfatti dopo essere
state invitate al tavolo di concertazione, solo perché in quel balletto rituale alla fine si è potuto dire che alcuni
provvedimenti, che erano stati precedentemente annunciati e che avrebbero direttamente toccato taluni strati
della società toscana, sono stati diversamente orientati.
In realtà la piccola e media impresa in Toscana e in Italia è investita pesantemente dalla manovra
finanziaria del Governo, così come lo sono i cittadini toscani, a cominciare da quelli più deboli e meno protetti,
dal combinato disposto delle molte finanziarie che si stanno loro scaricando addosso, quella dello Stato,
quella della Regione, nonché i vari balzelli che i Comuni si apprestano ad adottare su larga scala. Quindi
quella che si sta delineando, in realtà, è una politica che ancora guarda alla leva fiscale come ad un modo
sommario per fare giustizia, mentre invece la leva fiscale deve essere certamente impugnata in maniera
giusta ed equa, ma senza mai perdere di vista le leggi che regolano il complesso della nostra vita economica
e sociale, perché alla fine bisogna pur sempre tornare ad una domanda di fondo rispetto ai sacrifici che si
chiedono o si impongono: ne vale la pena? Qual è il risultato che si cerca concretamente di perseguire?
Un risanamento strutturale dei conti pubblici con queste misure? Si mette davvero in moto la politica di
tipo riformista? Si cominciano ad individuare concretamente delle riforme che modifichino l’assetto della
nostra società, il rapporto tra le istituzioni e i ceti trainanti del nostro modello economico e sociale, o non si
riconferma invece una presenza soffocante della politica, l’incapacità a sburocratizzare, non si riconferma
l’impossibilità di trovare un punto di sintesi tra visioni contrapposte dello sviluppo economico e sociale del
paese, che sono presenti e sono costrette a convivere all’interno di questa maggioranza? Questa politica che
viene varata a livello nazionale e che la Giunta Martini anticipa e qui riconferma, è in definitiva una sconfitta
di quelle posizioni riformiste che certo sono presenti all’interno della maggioranza di quest’aula, ma che non
sono in grado di farsi sentire davvero, perché di fronte al richiamo degli equilibri politici da mantenere e che in
Toscana addirittura debbono essere in parte ricostruiti nell’insieme dello schieramento di sinistra, è evidente
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che diventano sempre predominanti le parole d’ordine e spesso, diciamo pure, le manie ideologiche che
ancora albergano in larga parte dello schieramento della nostra sinistra.
Quindi la nostra posizione di oggi riconferma giudizi e preoccupazioni già espresse, e volutamente dà
a tutto questo una forte sottolineatura perché vogliamo che il messaggio che qui lanciamo non resti chiuso
in uno scambio di parole d‘ordine all’interno, come talora avviene in questi lavori. È invece necessario che
questo segnale arrivi alla società toscana e noi cercheremo di farlo arrivare con tutte le modalità che la vita
democratica e lo spazio istituzionale ci consentono, a cominciare dall’enfatizzazione di questo dibattito, nel
quale tutti i componenti del gruppo consiliare di Forza Italia porteranno il loro punto di vista e il loro contributo
perché prenda corpo in quest’aula, e ci auguriamo che si sviluppi poi nell’intero nostro territorio regionale,
una forte consapevolezza: su questi temi non si può scherzare, non si può essere sensibili ai gridi di lamento
delle varie componenti sociali solo quando si può scaricare tutto ciò in maniera spesso strumentale ed
esasperata contro un governo che non viene ritenuto amico, mentre poi si mette facilmente la mordacchia al
grido di dolore dei sindaci, degli amministratori locali, della piccola impresa, dei commercianti, degli artigiani,
se si tratta di far prevalere le ragioni di un’alleanza politica. Per questo noi siamo a riconfermare, al di là
della valenza assolutamente negativa del provvedimento in sé che ci viene presentato, un giudizio ancor più
preoccupato perché questo provvedimento nella sua limitatezza, per quanto riguarda le ricadute numeriche
e quantitative, è la spia e il segnale di una politica radicalmente sbagliata alla quale altrettanto radicalmente
intendiamo opporci.”
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“Identità, immigrazione, cittadinanza, modelli produttivi nella Toscana che cambia”
Intervento alla conferenza programmatica provinciale di Prato dell‘11 novembre 2006.
“Grazie a tutti, grazie agli ospiti per essere presenti oggi a questo appuntamento. Non è qui presente
ma ci raggiungerà presto il coordinatore regionale on. Verdini, a cui devo fare un forte ringraziamento per
aver voluto questo tipo di conferenza programmatica. Si tratta infatti di una indicazione di lavoro molto
impegnativa per il nostro movimento. Essa tende a promuovere un nostro radicamento più forte e più efficace
sul territorio. Ciò non avviene attraverso l’astrazione di un discorso puramente organizzativo, bensì attraverso
l’approfondimento dei problemi che in un dato territorio vengono sentiti come quelli più emergenti.
Oggi si ha diritto di proporsi alla gente e di chiedere di essere ascoltati, solo se si mostra la volontà,
la capacità e l’umiltà di ascoltare a nostra volta ciò che la gente e la comunità esprime e se si è in grado
di lavorare seriamente per cercare di dare le risposte che servono alla gente. Non dobbiamo proporre
evidentemente soltanto slogan a carattere generale. Il nostro lavoro, lo diceva ieri l’on. Verdini, deve essere
meno improntato a quella autoreferenzialità tipica della politica, che spesso porta chi si occupa della politica
stessa a parlare molto di sé e dei suoi problemi, di questioni interne che restano però difficilmente percepibili
alla gente.
Ovviamente vanno riaffermati, all’interno dei partiti, i criteri guida e la necessaria linearità delle condotte.
Noi che siamo il partito della legalità all’esterno, vogliamo esserlo anche all’interno per ciò che riguarda i
comportamenti e le condotte di ciascuno degli iscritti e dei militanti. Dobbiamo però sempre ricordare che
l’orizzonte politico comincia dove finisce la sala in cui ci riuniamo. Questo perchè l’orizzonte politico è quello
di una società a cui oggi, più di sempre, abbiamo tante cose da dire. Ed oggi più di sempre, forse, abbiamo
la sensazione di trovare ascolto, di trovare rispetto, di trovare da molte parti anche ripensamento rispetto
alle polemiche, alle questioni ed ai dibattiti recenti. Molti infatti si stanno accorgendo che questo centrosinistra è in realtà costruito su un asse, che vede da un lato la debolezza di un Presidente del Consiglio
che nessuno riconosce veramente come un leader; è la debolezza di un leader che debole si è voluto ed
in quanto debole è stato scelto. Dall’altro lato dell’asse troviamo invece la sinistra più estrema, la quale
certamente non è portatrice nel nostro paese di una solida e fondata cultura di governo. Questo asse si sta
dimostrando particolarmente penalizzante per le prospettive del paese. La gente lo avverte, il clima politico
è completamente cambiato dalle ultime elezioni.
Dobbiamo pertanto partire da questa considerazione per arrivare al cuore del discorso che vogliamo
fare stamani. È giusto che una serie di conferenze programmatiche che hanno lo scopo di parlare del partito
attraverso i vari problemi locali e regionali parta da Prato. Questa nostra città, che è stata per decenni la
capitale delle speranze della Toscana, dello sviluppo economico e della capacità d’iniziativa, è oggi, ed è
inutile nasconderlo, la capitale del disagio, della preoccupazione e per certi versi dello sconcerto di larga parte
dell’opinione pubblica. È una capitale assai ammaccata, che esprime soprattutto malessere e preoccupazione
anche se ha, e noi lo sappiamo bene, eccezionali doti morali, di cultura del lavoro, di capacità di ripresa, che
nonostante tutto sono un terreno su cui poter costruire. Questo malessere investe l’economia e la sicurezza
pubblica, o perlomeno la percezione che della sicurezza pubblica e privata hanno i cittadini. Questo malessere
investe pesantemente l’assetto urbanistico di intere zone del territorio ed investe in definitiva la percezione di
sé e del proprio futuro che tutta la comunità pratese ha in generale.
Io non voglio dire che tutto ciò dipenda soltanto dai fattori legati all’immigrazione. Sarebbe però
sciocco e falso nascondere che tutto ciò ha molto a che fare con quanto è successo negli ultimi 15 – 20
anni con i processi di immigrazione, ma soprattutto con il modo assolutamente negativo e per molti versi
privo di senso e di responsabilità con cui sono stati lungamente gestiti gli immigrati. Ormai leggiamo, e
questo tutto sommato ci fa piacere, che quasi più nessuno spende molte parole per difendere senza “se”
e senza “ma” il modello buonista che ha ispirato tutte le politiche locali e regionali in merito a questi temi.
Le eccezioni comunque permangono: ne è un esempio il sottosegretario Lucidi che, durante la sua visita a
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Prato, dimostrando lucidità molto scarsa, ha dato l’impressione di venire a fare l’esame di maturità ai pratesi,
piuttosto che rassicurarli sulla capacità del governo nazionale, regionale e locale di cambiare il proprio modo
di affrontare i problemi fondamentali dell’immigrazione.
Bisogna rimediare agli errori che si sono determinati in 15 – 20 anni di errate politiche. Bisogna
considerare che il degrado è cominciato quando si è iniziato a chiudere gli occhi di fronte a tante piccole e
meno piccole violazioni ai principi di legge, alle nostre abitudini, agli standard del vivere civile. Quando si
è fatto finta di non vedere i tanti comportamenti anti-sociali, anche piccoli: l’abitudine di salire sull’autobus
con la pretesa di non pagare il biglietto, l’abitudine di poter lavorare a tutte le ore del giorno e della notte,
fregandosene dei vicini di casa. Piccole cose certo, ma attraverso queste piccole cose nascono le cose
più grandi. Nasce la normalità del lavoro a nero, nasce il lavoro clandestino, nascono ingenti capitali che
transitano nascostamente non si sa attraverso quali passaggi per andare chissà dove. Nasce in definitiva
un distretto clandestino che strangola la nostra economia nel momento stesso in cui questa è chiamata suoi
mercati internazionali a competere con la globalizzazione.
La problematica non riguarda certo tutti gli immigrati. Non a caso abbiamo chiamato oggi a testimoniare
anche lavoratori immigrati seri che si sono integrati con il lavoro, la serietà, la moralità del loro comportamento.
La problematica riguarda però una larga fetta di immigrati, i quali hanno portato agli abusi, al lavoro in nero,
allo schiavismo, al traffico di valuta. Essi hanno portato al rischio di avere dei ghetti nel cuore della Toscana
civile. In questo modo nascono allora inevitabilmente anche le reazioni dure, di chiusura totale, di una parte
dell’opinione pubblica. Reazioni che noi non condividiamo, perché non è nostra la cultura e l’impostazione di
chiudersi in un fortilizio assediato.
Non pensiamo che possano essere proponibili comportamenti antistorici che negano un fatto storico
e come tale inevitabile. La questione va gestita con intelligenza e non è certamente da rifiutare. Essa va
gestita con serietà, non con la vacuità della retorica che in questi anni è stata spesa a fiumi, mentre dietro le
belle parole e le buone intenzioni c’era magari chi lucrava anche pesantemente sul disagio e sul disastro di
tante vite che erano venute a cercare qui da noi condizioni e prospettive migliori. Occorrono allora politiche
completamente diverse rispetto a quelle che la maggioranza di sinistra continua a mettere in campo. Non
serve una proposta sulla cittadinanza come quella che viene avanzata dal governo a livello nazionale, che
degrada la cittadinanza ad un mero timbro che viene messo su un documento, senza rendersi conto se chi
lo riceve ha veramente scelto e vuole, desidera, si riconosce nei valori di un paese. La cittadinanza non può
che essere il coronamento di un processo voluto, cercato, meritato dalla persona. Non un timbro messo da
un burocrate senza nessuna altra valutazione. Queste proposte quindi non servono e sono negative. Così
come non serve ed è negativo che la Regione Toscana pretenda di farsi una bandiera politica di una legge
regionale incostituzionale, con la quale si propone di dare il voto amministrativo agli immigrati. Queste sono
leggi bandiera che non servono a niente perché poi verranno dichiarate incostituzionali e pertanto annullate.
Servono invece a dare un messaggio ambiguo: quello di un paese nel quale tutto sommato le leggi si fanno,
ma poi si interpretano, si possono aggirare. Ed è un messaggio che ha dei costi e degli impatti veramente
negativi che tutti noi paghiamo e che stiamo pesantemente pagando. E non serve che la Regione Toscana
dilapidi centinai di migliaia di euro per tenere in piedi il cosiddetto assessorato alla pace ed al perdono
che in questi 15 mesi dalla sua istituzione ha dilapidato enormi capitali per consentire ad un professore di
buona volontà di viaggiare nei quattro angoli del mondo a fare propaganda politica senza che in questo
modo si sia aperto né un pozzo d’acqua né dato una pagnotta di pane a chi non l’aveva e nel frattempo, per
mantenere queste costruzioni politiche, vengono aumentate le tasse ai cittadini toscani. Io credo che questa
conferenza potrebbe già portare ad una conclusione operativa importante se prendessimo la decisione di
riaprire formalmente questa problematica. Sarebbe infatti desiderabile prendere un’iniziativa, anche di legge
se necessario, per chiedere, come fatto simbolico nel momento in cui la Regione aumenta le tasse ai cittadini
toscani, l’eliminazione dell’assessorato al perdono ed alla pace.
Il nostro non è il muro dei “no”. Noi dobbiamo portare proposte, lo dobbiamo fare a livello nazionale, e
già lo stiamo facendo autorevolmente. Il Presidente Pera, che più di ogni altro si è dato da fare con riferimento
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al problema dell’immigrazione, si è impegnato molto per portare la politica ad un livello alto, capace di parlare
dei grandi problemi. Dobbiamo avere il coraggio di portare proposte forti anche a livello locale, e tutto questo
va fatto partendo da un dato molto semplice: è la rivendicazione con orgoglio e fermezza della nostra identità,
che certo non può rimanere un fatto immutabile, attraverso l‘inevitabile incontro con le altre culture. Ma sui
valori caratterizzanti di fondo non si può transigere, perché soltanto chi è sicuro e fiero di ciò che è stato e
vuole rimanere è pronto a dialogare ed interagire con gli altri. A Prato il partito sta facendo un buon lavoro,
è un partito in movimento, un’organizzazione piccola certamente dal punto di vista numerico, ma con idee
chiare e precise. Occorre continuare su questa strada.
Noi qui sappiamo bene di essere in una situazione politica da sempre di estrema difficoltà. Credo che
problemi come quello dell’immigrazione, problemi come quello della crisi economica, problemi come quello
dell’impatto della finanziaria, stiano facendo riflettere molte persone. Persone che fino ad ora hanno dato
spesso e volentieri un voto di abitudine o di tradizione. Ma sono sempre più quelli che vogliono cominciare,
anche a livello locale, a ragionare, a scegliere in base a ciò che le singole forze politiche davvero propongono.
Allora io credo, riecheggiando formule della mia giovinezza, che forse anche a Prato Forza Italia dovrebbe
trovare il coraggio di porsi un traguardo impossibile, di lavorare per un traguardo impossibile. Poichè soltanto
lavorando per un traguardo impossibile, si possono raggiungere risultati importanti. Su questi temi, su quelli
di cui stiamo parlando oggi, il monolitismo culturale della sinistra è destinato a sgretolarsi sotto il peso delle
proprie contraddizioni e della spinta che proviene dalla società. Io credo che da questi lavori, dal contributo
delle testimonianze che sentiremo di artigiani, di imprenditori, di uomini di Chiesa, di intellettuali, di figure
importanti della città, naturalmente ognuno portando liberamente la propria visione, possa uscire un segnale
di speranza e di ripresa. Ma occorre lanciare anche un grande appello alla società civile di questa città che
deve impegnarsi di più, deve avere il coraggio di rubare qualche tempo prezioso al lavoro nelle fabbriche e
negli uffici, che sono il luogo dove i pratesi hanno dato e danno il meglio della loro identità. Ora è anche il
momento di riflettere sul futuro, di mettere a punto proposte importanti e di proporsi un traguardo impossibile.
Credo che con i lavori di questi giorni Forza Italia a Prato abbia cominciato a farlo e lo faremo con grande
impegno anche in futuro.
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INDICE
Seduta speciale del Consiglio Regionale sull’economia toscana.
Intervento del 27 ottobre 2005.
pag. 3
“L’arroganza della sinistra frena l’economia“.
Intervento su “Il Giornale della Toscana“ del 5 novembre 2005.
pag. 9
Seduta del Consiglio Regionale sul bilancio di previsione per l’anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale 2006/2008.
Intervento del 21 dicembre 2005.
pag. 10
Seduta del Consiglio Regionale del 1. febbraio 2006.
Replica alla risposta dell´assessore sulla Interrogazione relativa al libretto “Prato China Guide” pubblicato dalla Regione.
pag. 12
“Economia, le colpe di Martini“.
Intervento su “Il Giornale della Toscana“ del 28 Febbraio 2006.
pag. 13
Seduta del Consiglio Regionale sul documento preliminare al Piano Regionale di Sviluppo 2006-2010.
Intervento del 19 aprile 2006.
pag. 15
“Sapore di beffa“.
Intervento su “Il Giornale della Toscana“ del 14 giugno 2006.
pag. 18
Seduta del Consiglio Regionale sull‘esame congiunto del Piano Regionale di Sviluppo (PRS) e del Documento di
Programmazione Economica e Finanziaria 2007 (DPEF).
Relazione della Minoranza del 18 luglio 2006.
pag. 20
Introduzione alla proposta di legge regionale n. 115, “Strumenti di competitività per le imprese e per il territorio della
Regione Toscana”. Primo firmatario cons. Alberto Magnolfi.
19 luglio 2006
pag. 23
Seduta del Consiglio Regionale sulla Risoluzione collegata all‘informativa della Giunta regionale sul documento
preliminare relativo al bilancio regionale per l‘esercizio finanziario 2007.
Intervento del 19 settembre 2006.
pag. 25
“Prato si è imbarbarita. È ora di dirlo a gran voce”.
Intervista al consigliere regionale Alberto Magnolfi su “La Nazione di Prato“ del 21 settembre 2006.
pag. 27
“Manovra di stampo comunista”.
Intervento su “Il Giornale della Toscana” del 29 ottobre 2006.
pag. 29
Seduta del Consiglio Regionale sulle nuove tasse regionali.
Intervento del 31 ottobre 2006.
pag. 31
“Identità, immigrazione, cittadinanza, modelli produttivi nella Toscana che cambia”.
Intervento alla conferenza programmatica provinciale di Prato dell‘11 novembre 2006.
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pag. 33
Roma, 2 dicembre 2006
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