Madonna in trono
con il Bambino
11
e i santi
a Senigallia
137
La Madonna in trono
con il Bambino e i santi a Senigallia
A Senigallia (Ancona) presso la chiesa di Santa Maria delle Gra1
zie , è conservata una tavola (cm 180x227) dipinta da Pietro Perugino
molto simile a quella custodita a Santa Maria Nuova di Fano, entrambe
eseguite a poca distanza di tempo l’una dall’altra.
––––––––––––––––––––––––––––––
Santa Maria delle Grazie in Senigallia. Il convento e la chiesa sorgono su un ameno colle,
ammantato di verde, dal quale si può ammirare l’incantevole panorama della città. Nel passato il
complesso monumentale veniva chiamato Santa Maria delle Grazie del Pignetto per i numerosi pini
che lo circondavano. Si tratta, secondo il Ridolfi, di una selva verdeggiante e piena di bellezza di circa
40 ettari di verde boschivo.
• Il convento riveste una particolare importanza per la storia legata alle vicende dei Della Rovere.
Iniziò la costruzione Giovanni della Rovere, Prefetto di Roma, signore di Senigallia e nipote di Sisto IV.
Nel 1491 egli fece edificare il convento per adempiere un voto emesso come segno di riconoscenza per
grazia ricevuta (cf SIENA LUDOVICO, Storia della città di Senigaglia, ristampa del 1746, Sala Bolognese (BO) 1977, pp. 159-161; vedere anche Aa.Vv., Un Pontificato ed una Città - Sisto IV 1471-1484, a
cura di Massimo Miglio, Francesca Niutta, Diego Quaglioni e Concetta Ranieri, Città del Vaticano 1986).
• Interessanti anche le frasi latine estrapolate dall’Historiarum Seraphicæ Religionis: Chiesa e convento
sono stati edificati ad mille passus ab eadem Urbe… extra mœnia - in suburbiis, sulle rovine di un’antica abbadia benedettina (olim fuit abbatia ordinis Sancti Benedicti). La chiesa era molto frequentata
dalla popolazione (ad quam esse frequens populi concursus). Nel 1491 venne fatta costruire su disegno dell’architetto Braciis Urbinatis suo tempore clarissimi architecti (RIDOLFI PIETRO, Historiarum Seraphicæ Religionis, ms, pp. 143-144). I lavori, interrotti nel 1502 in seguito alla morte del
duca, furono successivamente ripresi dagli eredi che decisero per una costruzione di dimensioni ridotte,
sebbene il duca avesse stabilito nel suo testamento che la chiesa doveva essere tanto magna et ornata
quanto ne fusse un’altra in Italia per Chiesa di Frati dell’Osservanza (Frate Grazia [f. 321]riportato da
POLVERARI ALBERTO, Senigallia nella storia - Evo moderno, Senigallia 1985, pp. 44-45).
• Nel 1596 il convento dall’Osservanza passò alla Riforma per volontà di Francesco Maria II, ultimo duca
di Urbino, il cui dominio si estendeva sino a Senigallia.
• Lodovico Siena nel 1746 descrive così il luogo: Lungi poco più d’un miglio dalla città giace la Chiesa
col Convento de’ Padri Minori Osservanti Riformati, l’una, e l’altro ben degno porto della eccelsa Pietà,
e singolar Munificenza di Giovanni della Rovere, Signore di Sinigaglia (SIENA LODOVICO, Storia
della Città di Sinigaglia consacrata alla Santità di Nostro Signore Benedetto XIV, Pontefice Ottimo
Massimo, Sinigaglia 1746, p. 203).
• Orazio Civalli nel 1796 lo conferma: Poco lontano da Senigallia, v’è un luogo bellissimo de’ Padri Osservanti, il cui nome è Santa Maria delle Grazie. Fu fondato per voto da Giovanni Della Rovere Nipote
di papa Sisto IV e padre di Francesco Maria Duca d’Urbino l’anno 1491 (CIVALLI ORAZIO, Visita
Triennale di fra Orazio Civalli maceratese dell’Ordine de’ Minori Conventuali, Ministro Provinciale
della Marca Anconitana, Fermo 1795, p. 122).
• Luca Wadding (1588-1657) annota che nell’anno 1491 Apud Senogalliæ Urbem ad litus Adriaticum in Piceno duo cœnobia Fratres hoc anno receperunt; Observantes unum a Sancta Maria de
Gratiis noncupatum in media silva, lapide uno ab urbe, a Ioanne Ruvereo Sixti IV nepote Romæ
Præfecto, Senogalliæ Domino, Sorano Duce, propter obtentam cœlitus prolem integre conditum 4
1
138
139
Alessandro Baviera in un suo articolo su Senigallia così descrive
il convento dell’Osservanza:
Per noi, a Senigallia, così scarsa di opere insigni dei secoli passati, la Chiesa e il
Convento delle Grazie (così lì si chiama, con un sottinteso non privo… di grazia)
costituiscono uno dei più interessanti e pregevoli monumenti, sì per le ragioni storiche che lo fecero nascere, come per le vere bellezze che maestri della pietra e del
pennello vi adunarono, a gloria di Dio e a magnificenza del Principe2.
Santa Maria delle Grazie di Senigallia e Santa Maria Nuova di
Fano (entrambe dell’Osservanza francescana) conservano dunque due
opere molto simili dipinte dal Perugino.
E Roberto Cobianchi parlando di queste tavole afferma che
(si tratta di) una vicenda che rivela anche caratteri del tutto singolari, è quella relativa
alle tre pale realizzate da Pietro Perugino per le chiese osservanti di Fano e Senigallia.
Due dipinti pressoché identici raffiguranti la “Madonna in trono con il Bambino e
i santi”, eseguiti in tempi vicinissimi fra loro per gli altari maggiori e una “Annunciazione” per una cappella del patronato privato nella chiesa fanese3.
P. Alessio d’Arquata, frate minore della riforma francescana, nel
1893 riferisce sulla pala di Senigallia:
Vi è in venerazione un’eccellente tavola del Perugino rappresentante la B. Vergine in
trono che tiene seduto sulle sue ginocchia il Bambino, con parecchi santi all’intorno.
Questo quadro stette sull’altare maggiore che in origine fu costruito chiuso all’antica, fin verso il 1840.
Per ridurre questo all’uso romano il quadro fu trasferito in fondo al coro in alto,
ove or vedesi.
Prima di metterlo al nuovo posto fu fatto ritoccare (da che alcuni punti di pittura
aveva molto sofferto ed era pressoché disfatta) da mano maestra, fatta venire da
Roma appositamente. L’operazione stimata molto azzardosa, riuscì benissimo4.
Matteo Bachiocca nella sua relazione alla fine del restauro terminato nel 2014 dimostra ampiamente, attraverso documentazione foto––––––––––––––––––––––––––––––
(WADDINGO HIBERNO LUCA, Annales Minorum, XIV [1472-1491], Firenze 1933).
• Chiesa e convento furono soppressi da Napoleone Bonaparte nel 1810. I nuovi padroni distrussero la
selva. La chiesa fu costituita parrocchia nel 1850 da papa Pio IX.
• Nel 1866 ci fu una nuova soppressione, questa volta da parte del Governo sabaudo con il conseguente incameramento da parte del Demanio.
2
BAVIERA ALESSANDRO, Intorno alla Chiesa e Convento di S. M. delle Grazie, in “Bollettino della
Società degli Amici dell’Arte e della Cultura in Senigaglia”, Senigallia 1924, p. 2. Il principe è Giovanni
della Rovere.
3
COBIANCHI ROBERTO, Lo temperato uso dele cose - La committenza dell’Osservanza francescana
nell’Italia del Rinascimento, Spoleto 2013, p. 102.
4
ALESSIO D’ARQUATA, Cronaca della Riformata Provincia de’ Minori della Marca, Cingoli 1893, p. 133.
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grafica, che Alessio D’Arquata aveva pienamente ragione riguardo allo
stato di conservazione del dipinto alla fine dell’Ottocento5.
La posizione attuale della pala non è quella originaria.
In un primo tempo era esposta sopra l’altare maggiore ma probabilmente, per un intervento della Diocesi, venne trasferita in fondo al
coro, dove i frati erano soliti celebrare la liturgia delle ore canoniche6.
Alessio d’Arquata parla all’uso romano, secondo il quale sull’altare maggiore poteva essere esposto solo il Crocifisso, affinché il fedele rivolgesse la sua attenzione esclusivamente al mistero eucaristico consacrato
attraverso il sacrificio della croce.
Il frate fa presente anche la condizione precaria della tavola dipinta, perché in alcuni punti di pittura essa aveva molto sofferto ed era pressoché disfatta; prosegue dichiarando che alcune parti della pala d’altare
non erano più godibili.
Era, quindi, necessario che una mano maestra ricostruisse ciò
che era scomparso.
Fu chiamato da Roma un restauratore.
Si deve supporre che il quadro fosse molto malandato se l’intervento di restauro, pur stimato molto azzardoso, riuscì, a dire dello storico, benissimo.
Non ci è possibile purtroppo conoscere quali parti furono ricostruite perché manca una qualsiasi documentazione al riguardo.
P. Alessio non indica il periodo in cui è avvenuto questo intervento,
ma è verosimile pensare che il restauro di cui parla il frate si riferisca a
quello del 1892/93.
È bene ricordare che parecchi furono gli interventi sulla tavola,
alcuni proprio maldestri: il primo nel 1816, il secondo nel 1842, il terzo
nel 1855 e l’ultimo nel 1892.
Nella Nuova Rivista Misena del 1892 leggo:
Nel celebre convento, detto Santa Maria delle Grazie, esiste una grande tavola di
Pietro Perugino, simile a quella che si vede a Fano.
––––––––––––––––––––––––––––––
Cf BACHIOCCA MATTEO, Il restauro - tecniche, indagini e intervento, in “La Grazia e la Luce - La pala di
Senigallia del Perugino - armonia e discordanze nella pittura marchigiana di fine Quattrocento”, Ostra Vetere
2014, pp. 61- 89.
6
Camesasca parla del 1700 (cf Tutta la Pittura del Perugino, a cura di Ettore Camesasca, Milano 1959, p. 70).
5
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Anni fa gli intonachi di essa erano cadenti, e si provvide d’urgenza all’apposizione
di veli per impedire la caduta. Ora il Ministero della Pubblica Istruzione ha ordinata la definitiva riparazione del dipinto al riparatore Sig. Luigi Bartolucci, ed è
quindi sperabile di rivedere fra qualche tempo sull’altare maggiore della chiesa la
preziosa tavola in buone condizioni7.
Lo stesso restauratore, Luigi Bartolucci, conferma che
il dipinto è molto deperito essendosi l’imprimitura a gesso screpolata e distaccata in
molti punti che può ritenersi per una metà.
E’ necessarissimo ripararlo subito attaccando tutte le parti sollevate e spianandole8.
*
*
*
A questo punto penso sia giusto chiedersi:
• La committenza è di Senigallia?
• In che periodo la pala è stata dipinta?
• Dove è stata dipinta?
• Che rapporto ha con quella di Fano?
Pio Emilio Vecchioni, in un suo studio, dichiara di aver attinto al
lume di nuovi documenti.
Egli sostiene che la tavola fu dipinta nel 1490, prima di quella di
Santa Maria Nuova e che sia di provenienza romana, e ne dà le motivazioni:
Qualunque possa essere l’origine della tavola, è certo che questa per il suo punto di
luce e per tutto un insieme armonico di proporzioni e di colore coll’ambiente sembrerebbe, come per molti capolavori, che fosse stata dall’artista concepita e condotta
––––––––––––––––––––––––––––––
***, Quadri del Perugino e Pier della Francesca in S. Maria delle Grazie presso Senigallia, in “Nuova
Rivista Misena”, 10 (1892) 159. Le velature… si tratta di tecniche che venivano eseguite affinché i
frammenti di vernice che tendevano a staccarsi dalla tela venissero bloccati: il restauratore passava
sul dipinto una o due mani di trasparente, in genere olio di lino crudo o anche cotto. Questo si infiltrava fra le fessure della vernice, prodotte dalla mala conservazione, impedendone la caduta perché
l’olio di lino fungeva da collante. Parlando poi del restauro di Piero della Francesca, sempre conservato a Senigallia, Luigi Bartolucci parla di semplice velatura all’acquarello.
Diversa tecnica si usava con gli strappi: si rattoppava la tela dal retro, poi si attaccavano sulla parte
lesa varie garze o veli per portare il rattoppo allo stesso piano della parte danneggiata, quindi si dipingeva sopra il pezzo mancante di modo che il restauro era pressoché invisibile.
8
Il brano sopra citato è presente in un foglio sciolto titolato: Preventivo per le riparazioni dei dipinti
in tavola del Perugino e di Piero della Francesca esistenti presso Senigallia, atto sottoscritto da Luigi
Bartolucci in data 12 ottobre 1892 e non protocollato, ma con firma per copia conforme di un funzionario ministeriale. Il documento è conservato nell’Archivio di Stato in Ancona (ASAN), Archivio
della Soprintendenza ai Monumenti delle Marche - sez tutela, bu 84, fasc 8, subfasc 2.
7
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a termine nel luogo ove si trova.
È alta, quasi incassata nel muro in tutto il suo notevole spessore di dieci centimetri,
è a circa quattro metri dal pavimento9.
Pur apprezzando le riflessioni di Pio Emilio mi sembra che ci siano
troppi… mi sembra…, si possa assegnare…, si può benissimo supporre…
Purtroppo con i mi sembra e col si può supporre non si scrive la
storia dell’arte.
La sua affermazione è discutibile: Vecchioni scrive nel 1924 e riporta una motivazione di carattere estetico, relativa alla luce e al colore,
per dimostrare che il Perugino dipinse la tavola nel luogo dove attualmente si trova (la tavola del Perugino è stata dall’artista concepita e
condotta a termine nel luogo ove si trova).
Ma già P. Alessio d’Arquata nel 1893 (cioè ben 28 anni prima)
dichiarava che per ridurre questo all’uso romano il quadro fu trasferito
in fondo al coro in alto: prelevato dall’altare maggiore fu incastonato nel
luogo dove attualmente si trova; quindi la pala non gode più della luce
che si rifletteva su di essa quando si trovava precedente collocazione.
Possiamo far nostra l’affermazione di Livia Carloni che il quadro è
collocato troppo in alto, senza alcun riguardo per la costruzione prospettica10 . Quindi, non soltanto la pala d’altare non è nella posizione iniziale,
ma l’attuale collocazione - quella prima di essere prelevata per il restauro - non è soddisfacente né godibile in pienezza, poiché il punto di
fuga, pur rimanendo invariato, risulta poi distorto a causa della nuova
errata posizione.
Ricordo che nel 1490 la chiesa e il convento di Santa Maria delle
Grazie di Senigallia non erano ancora stati edificati.
L’argomentazione di Pio Emilio non ha alcun valore probativo.
*
*
*
––––––––––––––––––––––––––––––
Cf VECCHIONI PIO EMILIO, Il tradizionale concetto storico-artistico della chiesa e convento di S.
Maria delle Grazie, Pesaro 1924, pp. 32-33.
10
CARLONI LIVIA, Presenze Rinascimentali nella Senigallia Roveresca - La tavola del Perugino
nella Chiesa delle Grazie e l’Architetto fiorentino Baccio Pontelli. in “Città di Senigallia”, Senigal9
lia 1994, p. 17.
143
È vero. Le due opere sono molto simili, a prima vista uguali (vedere
la pagina seguente), ci sono però delle diversità:
• Nella tavola di Santa Maria delle Grazie al posto della Maddalena è
stato inserito l’apostolo Giacomo il maggiore11 .
• Il bambino Gesù a Senigallia ha in mano una rosa bianca.
In genere la rosa bianca è presente nella simbologia mariana come
emblema della verginità: ancor oggi Maria viene invocata col titolo di
Rosa mistica, ma Pio Emilio sostiene, che la rosa bianca grande, aperta e bene in vista, era un chiaro riferimento alla nobile famiglia Riario
e che Pietro Riario, il cardinale di San Sisto, sfoggiava in mille modi,
nella sua munificenza, questo motivo di decorazione; e i Riario sono un
ramo collaterale della Rovere12.
Non so quanto sia attendibile questa affermazione.
• Nella pala di Fano non ci sono le chiavi ferrigne che legano tra loro i
pilastri dando stabilità all’edificio. Purtroppo l’ingabbiamento rende un
po’ pesante la struttura architettonica, ma offre un sottolineato linguaggio prospettico.
• Nel vaso ai piedi della Vergine si possono ammirare garofani azzurri
e rossi, nella pala di Fano il vaso è vuoto13.
• Infine, per quanto riguarda il panorama della tavola dipinta di Senigallia, credo che il Perugino intenda indicare come la città sia dolcemente
lambita dall’Adriatico, mentre la vista si perde all’infinito orizzonte.
Quella di Fano, invece, presenta un contesto diverso: si può godere di
una suggestiva visione di masse digradanti, leggermente boschive che
fanno percepire il profumo della vegetazione e la dolcezza e l’armonia
––––––––––––––––––––––––––––––
Cè un po’ di confusione sulla presenza del personaggio alla destra e in primo piano: molti sostengono che sia san
Giacomo apostolo, altri san Giovanni evangelista e Alberto Polverari, in Senigallia nella storia, parla addirittura
di S. Giacomo della Marca (p. 44).
12
VECCHIONI PIO EMILIO, Il tradizionale concetto storico…, p. 40.
Il card. Pietro Riario (1445-1474), nipote di Sisto IV, fu eletto vescovo di Treviso e nel 1471 venne nominato
cardinale di San Sisto. Come cardinale di Santa Romana Chiesa e stretto parente del papa, ebbe molta influenza in
Vaticano. Nel 1474 venne nominato legato pontificio.
13
Ibidem. Nell’inventario conventuale di Santa Maria delle Grazie di Senigallia ho trovato un riferimento alla pala
d’altare: Un quadro in tavola, ove è dipinta la Vergine Maria su scanno seduta con in braccio il suo Pargoletto divino, con ai lati S. Francesco, S. Giovanni Battista, S. Pietro, S. Giacomo Maggiore e altre figure, opera originale
di Pietro Perugino (Senigallia, ms, in Arch.BFF, fal 372-404, bu 388).
11
144
Due tavole a confronto
S. Maria Maddalena (Fano) e S. Giacomo apostolo (Senigallia).
La somiglianza è impressionante. La struttura somatica sembra la stessa,
così l’inclinazione del volto (anche se quello di S. Giacomo è leggermente
rotondeggiante) e molto simile è la posizione delle braccia e delle mani; i
vestiti indossati dai due personaggi hanno la stessa configurazione, persino
nei particolari; anche la posizione della luce e delle ombre è la stessa, ma soprattutto il collo della tunica, a taglio quadro di S. Giacomo, che il Perugino
usa solo per le donne e in questo caso anche per l’apostolo. Tutto fa presupporre che i cartoni usati siano gli proprio gli stessi.
145
delle forme di dolci colline ma, in lontananza, si potrebbe vedere, accennato, il Lago Trasimeno, tanto caro al pittore e da lui amato e goduto.
*
*
*
Angelo Mencucci, rifacendosi a Pio Emilio Vecchioni, riferisce che
la pala d’altare non è stata ordinata dai Della Rovere perché in quel periodo di tempo i signori di Senigallia si trovavano in serie difficoltà economiche; pertanto egli suppone che la tavola del Perugino sia stata commissionata e dipinta a Roma e poi donata dal papa Giulio II ai parenti di
Senigallia14.
Il Camesasca sostiene invece che il dipinto è stato commissionato
dalla nobile famiglia Peruzzi15, come conferma anche Claudia Caldari
nel volume La Grazia e la Luce, perché nella tavola dipinta campeggia
lo stemma dei Peruzzi con due teste di moro di profilo su fondo rosso
separate da una sbarra obliqua16.
––––––––––––––––––––––––––––––
MENCUCCI ANGELO, Senigallia, Storia, fede e Arte, Fano 1994, p. 895.
Cf Tutta la Pittura del Perugino, a cura di Ettore Camesasca, Milano 1959, p. 70.
16
Cf CALDARI CLAUDIA, “Quasi un’emulsione poetica sui manichini ancheggianti del Perugino” - La Pala
di Senigallia tra ricostruzione storica e restauro, in “La Grazia e La Luce”… pp. 25-26.
14
15
146
È l’emblema di Giovanni Della Rovere (1457-1501), nipote di Sisto
IV (1471-1484), Signore di Senigallia e di Mondavio, Duca di Sora
e Prefetto di Roma.
Il matrimonio con Giovanna di Montefeltro, figlia di Federico duca
di Urbino, portò in eredità al figlio Francesco Maria (1490-1538) il
ducato di Urbino.
Come signore di Senigallia, seppe conquistarsi l’affetto dei cittadini.
Frate Grazia di Francia, guardiano a Santa Maria delle Grazie, scrisse
di lui: Era Benigno nel dare audienza, humano nelle risposte, misericordioso nella Iustitia, et in pacificare li huomini l’uno con l’altro maestro.
Volle essere sepolto a Santa Maria delle Grazie rivestito del saio francescano.
147
Il documento sopra riportato fa parte del De Origine Seraphicæ religionis franciscanæ, di Francesco Gonzaga, Ministro generale dei Frati minori, datato 16031. Si tratta, quindi, di un documento ufficiale dell’Ordine
minoritico.
Nel rescritto abbiamo conferma che il convento è stato edificato nel
1491 (anno Dominicæ Incarnationis 1491) per interessamento di Giovanni Della Rovere, nipote di Sisto IV e che nel nuovo complesso furono
accolti i Frati dell’Osservanza francescana.
La chiesa fu dedicata e consacrata a Santa Maria delle Grazie (sanctissimæ Dei Genitricis Mariæ de Gratiis sacravit).
Giovanni Della Rovere, sentendosi ormai vicino alla morte chiese, prima
di essere sepolto, di venire rivestito del saio francescano (moriens in
habitu Franciscano sepeliri voluit).
Nel documento, sopra citato, si accenna, dopo 112 anni dalla fondazione,
che il santuario era continuamente frequentato da numerosi fedeli, soprattutto nel periodo pasquale.
Si annota, infine, che nel convento vivevano 20 frati dell’Osservanza
francescana.
––––––––––––––––––––––––––
1
GONZAGA FRANCESCO, De Origine Seraphicæ religionis franciscanæ, Venezia 1603, p. 236.
148
Convento Santa Maria delle Grazie - Chiostro Maggiore.
È questo un angolo di paradiso, di quiete, di preghiera.
L’architetto Baccio Pintelli da Urbino e il capomastro Sabbatino da Fabriano hanno saputo realizzare attraverso archi a pieno
centro arditi e ariosi, una perfetta armonia di forme e di spazi.
In primo piano è incastonato, all’interno del chiostro, il pozzo, un
vero gioiello.
Nella foto si vede un frate che prega, forse un’istantanea, forse
una posa; comunque lo spazio che lo avvolge indica un luogo di
preghiera, di solitudine, di contemplazione.
L’intervento laico delle soppressioni di Napoleone del 1810 e delle leggi sabaude hanno distrutto questo anelito di spiritualità.
149
Nella pagina seguente, viene proposta la pianta della città di Senigallia restaurata da Sigismondo Malatesta (Sigismundus Malatesta Pandulphi Fil. Civitatem hanc restauravit anno MCCCCL).
In pratica Sigismondo la ricostruì restringendone il perimetro e
fortificandola.
La città è ben disegnata, circondata da mura possenti e fortificate, e
divisa nella parte superiore dal fiume Misa; a destra domina la rocca.
Il territorio cittadino è trapuntato da chiese monumentali e palazzi
signorili disposti in maniera geometrica.
Tre sono le porte di accesso alla città: Porta Ancona, posta all’inizio
della città, la più importante; Porta Clementina, posizionata all’estrema destra quasi a lambire il fiume e Porta Crocifissa di fronte alla
precedente.
L’immagine della pianta è stata ripresa da un manoscritto, copia
di un volume della fine del sec. XVI dal titolo Cronache di Senigallia di Pietro Ridolfi1; considero questo documento molto importante, databile fine Settecento primi Ottocento.
È redatto in latino, consta di 288 pagine a cui si aggiungono XCI
tavole descrittive della città e delle chiese della Diocesi, illustrate
in modo sfumato.
Nel convento, sin dall’inizio, furono accolti venti frati dell’Osservanza francescana.
Ivi è anche conservata una tonaca del beato Giacomo della Marca, dono di Sisto IV2.
In questo documento si afferma anche che il convento di Santa
Maria delle Grazie è stato ristrutturato sulle rovine di un monastero benedettino: olim fuit abbatia ordinis sancti Benedicti.
–––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Pietro Ridolfi da Tossignano, Cronache di Senigallia, ms, copia dell’originale della fine
del Cinquecento conservato nella Biblioteca Francescana e Picena di Falconara Marittima.
Pietro Ridolfi, nato a Tossignano (BO), frate minore conventuale, teologo, venne eletto guardiano del convento di San Francesco a Bologna, poi venne consacrato vescovo di Verona e, in fine nel 1591, vescovo
di Senigallia.
2
Ludovico Siena afferma che: si diede al cadavere (di Giovanni della Rovere) onorevole sepoltura con
indosso la tonica del Beato Giacopo della Marca, donatogli già da Sisto IV, suo zio, conforme ordinato
avea prima di morire (SIENA LUDOVICO, Storia della città di Senigaglia, ristampa del 1746, Sala
Bolognese (BO) 1977, p. 162).
1
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151
11
Il manoscritto sopra riportato, riferito a Santa Maria delle Grazie di
Senigallia, ci informa che la chiesa è sorta su una vecchia abbadia
(fuit abbatia) dell’Ordine di san Benedetto (Ordinis Sancti Benedicti). Nella zona, comoda da raggiungere, si organizzavano mercati
che richiamavano numerose persone (ubi multi conveniebant)1.
In un altro manoscritto dal titolo Senigallia, sempre conservato
nell’Archivio della Biblioteca Francescana e Picena di Falconara Marittima, si legge:
Sebbene la Chiesa non sia di quella maestà che in mente disegnata l’avea il
Duca Giovanni chiamati a tale effetto i più distinti Architetti d’Italia, che
la volea sull’idea del tempio di S. Bernardino presso la città di Siena, pure
è Chiesa di sufficiente grandezza e disegno2.
––––––––––––––––––––––––––––––––
1
2
Pietro Ridolfi da Tossignano, Cronache…, p. 143.
Senigallia, ms. in Arch.BFF, fal 372.404, bu 388.
152
12
Immagine schematizzata del convento e della chiesa Santa Maria delle Grazie
di Senigallia.
Si notano intorno all’edificio un solido muro che lo circonda e lo protegge, il
bosco che con il suo verde abbraccia il convento e l’agile campanile che svetta
vigile a protezione dei frati,
––––––––––––––––––––––––––––––––
1
Pietro Ridolfi da Tossignano, Cronache…, p. 143.
153
Lo stemma della pala dipinta di Senigallia
Lo stemma presente nella pala d’altare di Senigallia si trova incastonato nella predella su cui è appoggiato un vaso dalle ampie dimensioni e dalla bella forma, sottostante all’immagine della
Vergine Maria seduta in trono.
L’emblema presenta due volti di moro con alla testa una fascia
(sembra bianca) annodata dietro la nuca. I due mori sono separati
da una banda obliqua. Tutto è su fondo rosso.
Lo stemma è certamente indicativo della famiglia benefattrice che
ha coperto le spese per la realizzazione della tavola dipinta.
Ma a chi appartiene questo stemma?
Nel volume La Grazia e la Luce, uscito nel mese di giugno del 2014,
Claudia Caldari attribuisce alla famiglia Peruzzi lo stemma col
fondo rosso portando a dimostrazione tracce della lettera “p” rinvenute nella pala con l’elaborazione fotografica digitale durante
il restauro, da lei seguito e afferma: 4
154
Posta nell’antipendio del trono su cui è assisa la Vergine, l’insegna araldica, la cui
veridicità è confermata dall’attuale restauro (grazie all’uso di luce radente ed elaborazioni fotografiche digitali) si è persino ratificata la presenza di tracce di due lettere
- intenzionalmente abrase dipinte in minuscolo romano, bordate in nero e rifinite in
oro ai lati dell’emblema di cui una soltanto sicuramente decifrabile, un “p” (Peruzzi)
a destra che permette di escludere la committenza roveresca della tavola, tradizionalmente ipotizzata per la sua conservazione in un complesso conventuale eretto dalla
famiglia ducale, come voto alla Vergine e a san Francesco…1.
La Caldari prosegue:
L’esaustiva relazione sul restauro condotto da Riccardo De Bacci nel 1933 informa
inoltre sul monogramma “GI” rinvenuto sotto le ripuliture, sullo scalino del trono
accanto allo stemma “a sinistra di chi guarda”, monogramma non più leggibile ma in
parte intuibile, per la sola lettera “G” dalle minime tracce dipinte residue, che lascia
tuttavia congetturare il nome di Giovanni Peruzzi, esecutore testamentario del fratello
Pietro e probabile committente della pala ora alle Grazie2.
È da notare anche che nella Biblioteca Federiciana di Fano nel Manoscritto Bertozzi del 1705 è descritto un emblema molto simile a quello
della pala d’altare di Senigallia, ad eccezione del campo che è azzurro; difatti il manoscritto afferma che lo stemma è della famiglia
Peruzzi all’interno del quale sono dipinte due teste di moro separate da una fascia di oro in campo azzurro, mentre nella tavola di
Senigallia il campo è rosso.
Inoltre nel documento, riportato nella pagina 154, è presente un significativo riferimento anche ai frati Minori Osservanti.
Livia Carloni ricorda che nel 1400 un giovane della Famiglia Peruzzi di Fano scelse di vivere l’esperienza dell’Osservanza3.
Quindi si tratta di benefattori che amavano, sostenevano e impreziosivano le chiese dei frati.
Infine è da tener presente che, in alcuni casi, le diverse nobili famiglie, appartenenti all’unico ceppo originario, pur mantenendo la
stessa simbologia, per diversificarsi, cambiavano solo il colore del
fondo base.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
1
CALDARI CLAUDIA, “Quasi un’emulsione poetica…, in “La Grazia e La Luce”…, pp. 25-26.
EADEM, 33-34.
3
CARLONI LIVIA, La tavola del Perugino nella Chiesa delle Grazie e l’architetto …, p. 18.
2
155
La scritta documenta l’autenticità che l’emblema sopra esposto appartiene alla famiglia Peruzzi.
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Due pale d’altare molto simili tra loro
Perché Pietro Vannucci ha dipinto per Senigallia una tavola tanto
simile a quella di Fano?
Sembra abbastanza strano, ma è possibile che questo accada anche ad un grande pittore come il Perugino.
Al riguardo Cobianchi sostiene:
Non sappiamo per quale ragione il Perugino abbia ripetuto così fedelmente la sua
composizione, un fatto tutto sommato singolare anche per un pittore propenso a
riutilizzare formule e modelli ormai collaudatissimi nella propria bottega, ma
sempre con varianti più sostanziali.
Viene da chiedersi quindi se egli non sia stato messo davanti ad una precisa
richiesta forse avanzata dagli Osservanti stessi al seguito del successo del dipinto di Fano.
Questa rimane, a nostro avviso, l’ipotesi più probabile - nonostante i caratteri di
eccezionalità di tutta la vicenda vadano sottolineati -, poiché i termini di confronto più stringenti sono proprio quelli sopra osservati relativi alle versioni realizzate
dallo Spagna e da Jacopo siculo della pala del Ghirlandaio, con la differenza che
a Senigallia è lo stesso artista a riprendere fedelmente il proprio modello, con
risultati di sostanziale mimesi17.
Cobianchi sostiene due ipotesi abbastanza verosimili:
• la pala di Fano può essere stata realizzata prima di quella di Senigallia:
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che questa tavola preceda quella di Fano, tuttavia
i dati stilistici sembrano proprio indicare che si tratta di un lavoro leggermente più
maturo, da collocare allo scadere del secolo.
È poi molto probabile che grazie alla commissione di questo dipinto si sia creato un
rapporto di domesticità tra Giovanna da Montefeltro e Perugino, rapporto ben noto
alla marchesa di Mantova Isabella d’Este, che si rivolse con una missiva del 22 settembre 1500 proprio alla Feltria perché la aiutasse ad assicurarsi i servigi del pittore18.
––––––––––––––––––––––––––––––
COBIANCHI ROBERTO, Lo temperato uso dele cose…, pp. 103-104.
Ibidem. Il Cobianchi cita il testo della lettera: Parlando altre volte cum V. S. de alcuni quadri de
pittura che vanno nel studio nostro, fra quali desideravamo averne uno de mane del Perusino, la S. V.
se offerse de indurlo ad servirne per essere suo domestico: per il che desiderose metter fine a l’opera sua:
pregamo la S. V. che la voglia fare la pratica col dicto Perusino, et contentandosi de servirne poterà
aviso cum declararmi el loco dove se ritrova, aciò che possiamo mandargli la tela, secondo el loco dove
l’haverà ad essere posta. La V. S. ne farà chosa offerendone a simili et maggiori beneplaciti suoi sempre
parat. me, quæ optime valeat […] Mantuæ, XXII septem, MD’ (CANUTI, II, p. 208, doc. 305).
La risposta di Giovanna da Montefeltro è datata 2 ottobre: Ill.ma et EXceLLma Doma, etc. Soror
Major honoranda. Ho receputo una de V. Ex. De 22 del passato circa li quadri che voria far pinger
dal Perusino. Et per satisfar a quella, come è mio desiderio, ho mandato a procurar che la sia servita,
benché quello homo è difficile ad indurlo. Havuta la risposta della volontà sua, subito ne adviso V. Ex.,
a la quale sempre me racomando et offero […] (Ibidem, II, p. 208).
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• Possono essere stati gli stessi frati a sollecitare il Perugino a realizzare una ripetizione della tavola dipinta di Fano, dopo aver visto la grande
accoglienza della pala di Santa Maria Nuova.
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Le ipotesi possono essere numerosissime ed è bene proporle,
ma attendono una conferma.
Ricordo che la pala di Senigallia manca della cimasa e della predella.
Infine in un’interessante nota, proposta dall’Inventario degli oggetti conservati nella chiesa, si afferma:
Il dipinto è su tavola. Dal Municipio, dopo il terremoto del 1930, fu asportato e
fatto ripulire, restituito alla chiesa nel settembre 193719.
È bene tener presente che già nel 1893, secondo la testimonianza di Alessio d’Arquata, la tavola dipinta era molto danneggiata, quindi
molto facilmente il terremoto del 1937 ha ulteriormente danneggiato
l’opera del Perugino.
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Fausta Gualdi presenta un ventaglio di conclusioni a cui sono pervenuti alcuni storici dell’arte:
Fu lo storico Siena (1746) a ricordare per la prima volta l’opera; successivamente
G. B. Cavalcaselle (Crowe, Cavalcaselle 1866,1882, 1929 osservò che ripeteva la
composizione del medesimo artista alla pala della chiesa di Santa Maria Nuova a
Fano con la sostituzione al posto della Maddalena fanese di un san Giacomo Maggiore e che la tavola era stata dipinta dal Perugino nella città di Perugia, dopo due
anni Giulio Cantalamessa (1884) fu della stessa opinione.
––––––––––––––––––––––––––––––
Inventario degli oggetti esistenti nella Chiesa e convento di “Santa Maria delle Grazie” in Senigallia,
in Arch.BFF, fal 350-364, bu 356.
In un manoscritto del Settecento leggiamo: … Ha un quadro in tavola ove sta dipinta la Vergine in
scanno seduta con in braccio il suo pargoletto divino, con ai lati S. Francesco, S. Giovanni Battista, S.
Piero, S. Giacomo Maggiore ed altre figure, opera originale di Pietro Perugino (Senigallia, ms, Arc.
BFF, fal 372-404, bu 388.
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G. C. Williamson (1900) notò di nuovo come fosse una replica dell’opera fanese,
mentre A. Venturi (1913) ritenne la tavola eseguita anteriormente a quella di Fano,
considerandola in quanto alla resa di quella eseguita con probabilità nel periodo nel
quale l’artista nel 1489 era documentato a Fano.
Il Bombe (1914) datò l’opera 1498 e anche lo Gnoli (1923) ritenne l’opera eseguita
in Roma per committenza di Giovanni della Rovere; il Canuti (1931) ritenne invece l’opera eseguita o a Senigallia o a Fano.
Van Marle (1933) la giudicò migliore dell’opera di Fano.
Camesasca (1959; Castellaneta (1969) pensò ad una lunga partecipazione di aiuti.
Gualdi (1983) ritiene giusta la posizione di Canuti e cioè che la tavola fu dipinta
sul posto e così pure Scarpellini (1984)20.
Luigi Serra ha una sua teoria:
Del Perugino si hanno due opere tipiche in Santa Maria Nuova di Fano, un’Annunciazione firmata e datata 1488 e un’ancona anch’essa firmata e con la data
1497, affine ma non replica nella parte mediana, come ha ritenuto A. Venturi, della
tavola in Santa Maria delle Grazie21
Le opinioni sono molte e contrapposte.
Gli storici dell’arte cercano di interpretare, di leggere l’opera secondo la propria sensibilità, la cultura artistica, l’attrazione visiva e la conoscenza della storia, ma le loro conclusioni, alcune volte e non vorrei
dire spesso, sono discordanti, contraddittorie e non facilmente giustificabili, un pochino affrettate. Almeno in questo caso.
La descrizione espressa da Fausta Gualdi è significativa e illuminante.
Infine Livia Carloni, storica dell’arte di Senigallia sostiene, in un
suo studio dal titolo: La tavola del Perugino nella Chiesa delle Grazie e
l’Architetto fiorentino Baccio Pontelli, che il dipinto delle Grazie deve essere stato lì trasportato non prima della metà del ’500 a giudicare dalla
testimonianza inedita di Vito Procaccini Ricci22.
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*
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20
GUALDI FAUSTA, Senigallia, pp. 280-281.
21
SERRA LUIGI, L’Arte nelle Marche…, p. 359.
CARLONI LIVIA, La tavola del Perugino nella Chiesa delle Grazie…, p. 18.
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Credo che sia opportuno proporre un interrogativo: perché l’attento ed informatissimo frate Grazia di Francia, che soggiornò e resse come
guardiano, per decenni, i santuario di Santa Maria delle Grazie, non fa
alcun accenno alla pala d’altare di Pietro Perugino?23
All’interrogativo si possono dare due risposte:
• Al tempo di frate Grazia di Francia non era presente una pala dipinta del
Perugino perché non viene affatto nominata, né presentata: come potrebbe un superiore di circa venti frati dimenticare il gioiello della sua chiesa?
• Il frate ha creduto bene non nominare la tavola dipinta del Perugino,
come pure gli altri quadri presenti all’interno della chiesa, perché il suo
elenco riguardava solo gli oggetti di uso liturgico o devozionale presenti
all’interno della sacrestia.
La Carloni ricorda che non si parla del Perugino neppure nella raccolta del Montanari, Archivio Vescovile di Senigallia, dove c’è un inventario del 1581 della sacrestia delle Grazie24.
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Vedere l’appendice n. 2.
Cf CARLONI LIVIA, La Tavola del Perugino…, p. 19n.
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Appendice 1a
Sopra e nella pagina seguente, si riporta uno stralcio del manoscritto conservato nella Biblioteca Fancescana e Picena di Falconara Marittima.
Il documento parla, in occasioni diverse, anche della Chiesa di
Santa Maria delle Grazie dell’Osservanza francescana e conferma che
il complesso conventuale venne edificato nel 1491.
La chiesa è definita magificum templum disegnato dell’architetto
urbinate Baccio Pontelli.
Si sottolinea che in questa chiesa è conservata un’immagine
della Vergine Maria molto venerata dal popolo cristiano (imaginem
ibi positam confluunt undique populi ex vicinis pagis).
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Appendice 2a
La “Cronachetta” di Frate Grazia di Francia1
Nella pagina seguente viene esposta la prima pagina della Cronachetta di Frate Grazia di Francia che per lungo tempo visse presso il convento
di Santa Maria delle Grazie di Senigallia1.
Nella prima pagina, quasi a frontespizio, leggo: Questo libretto l’ò
scripto io feate grazia de francia essendo guardiano de Sancta Maria de Gratia de
senegalia nel 1522.
In fondo alla pagina leggo la datazione: 1492.
La Cronachetta inizia con l’emblema del nome di Gesù (“Yesus”)
sormontato da una piccola croce, tanto caro a Bernardino da Siena e a
tutta l’Osservanza; si prosegue con una “M” (iniziale di Maria, la madre
di Gesù) e, in fine, con “FRA” al quale viene sovrapposta la conclusione
“cus”(Fra[ncis]cus). Sono questi i nomi di coloro in cui il cronista ha posto
la sua fiducia e ai quali ha chiesto protezione.
Quindi prosegue con le parole:
In Dei nomine. Amen. In quisto quinterno poneremo tucte le cose singulare apartenente a quisto loco nostro de Santa maria de le gratie de
Senegalia.
Primo. Quanto tempo è che fu pigliato quisto loco et come se chiamava
questa chiesia de nanze che li frati ce venesseno a stare et chi lo edificò et
quanto è che mori la bona memoria del signore Johan prefecto lo quale fece
fare quisto loco.
Item le singule elemosine che da lo Ill.mo signore duca da poy la morte del
––––––––––––––––––––––––––––––
1
Frate Grazia di Francia, Cronachetta del convento Santa Maria delle Grazie di Senigallia (cf
ms. del 500 - Archivio Biblioteca Francescana e Picena di Falconara Marittima).
Fra Grazia Gallo o di Francia, scrittore poco conosciuto era guardiano del convento di Senigallia nel 1515,
1516 e 1522, come egli stesso attesta in una sua Cronachetta (GATTUCCI ADRIANO, I “Sermones Domenicales” di San Giacomo della Marca, in “Picenum Seraphicum”, 15 (1979-80) 138-139.
Di questo frate siamo a conoscenza che si trovava a Parigi nel 1489, che era sceso nelle Marche nel
1494 e nel 1505 venne ordinato sacerdote. Probabilmente venne a Senigallia quando già i lavori
della costruzione del convento erano iniziati e rimase nelle Marche sino al 1533 (cf Ibidem).
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Signore prefecto suo patre tanto per officii quanto etiam per altre neccessità de li frati.
Item poneremo tucte le singule cose de la sacristia como sonno paramenti,
calici et simile cose.
Item tucti li libri apartenenti a la libraria.
Item tucte le lassete et relicti pagati et non pagati che io ho possuto trovare in piu libri de notari como descriveremo e qui2.
(Vedere pag. precedente).
*
*
*
La seconda pagina della Cronachetta pone l’indice di quello che
Frate Grazia di Francia esporrà e cioè:
• Questo loco de Sancta Maria de le gratie fu pigliato nel 1491. Il complesso
conventuale accolse, in quella data, i frati dell’Osservanza;
• Frate Grazia accenna al nome precedente della chiesa: Santa Maria del
Pignotto, poi allargata e proposta come Santa Maria delle Grazie;
• indica il nome di chi edificò il convento e quanto è che mori: Giovanni della
Rovere prefetto di Roma, duca di Sora, Signore di Senigallia, nipote di Sisto
IV. Dietro un voto emesso per ottenere un erede maschio, fece edificare il
convento per l’Osservanza francescana; morì nel 1501 e fu sepolto nella
chiesa di Santa Maria delle Grazie;
• le singule elemosine che da lo Ill.mo signore duca da poy la morte del Signore
prefecto suo patre tanto per officii quanto etiam per altre neccessità de li frati: frate
Grazia di Francia enumera tutti i legati stipulati tra i frati e Francesco Maria
della Rovere in suffragio del padre Giovanni;
• tucte le singule cose de la sacristia como sonno paramenti, calici et simile cose:
si tratta dell’inventario del convento dove vengono enumerate ben 83 voci
di oggetti, quadri, e suppellettili conservate in chiesa e in sacrestia e tucti li
libri apartenenti a la libraria;
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• tucte le lassete et relicti pagati et non pagati che io ho possuto trovare in piu libri
de notari.
*
*
*
Frate Grazia di Francia scrisse anche una biografia di Giovanni della
Rovere, signore di Senigallia dal 1474 al 1501, evidenziando la straordinaria spiritualità e generosità del duca2.
12
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Appartengono alla Cronachetta, scritta da frate Grazia di Francia, solo i primi 24 fogli. Poi, altri
proseguirono sino al 1862. Nella pagina, incollata in copertina, notiamo tre dichiarazioni del 1600
sottoscritte dai guardiani del convento di Santa Maria delle Grazie.
2
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Conclusione del capitolo
13
Mi è sembrato giusto mettere in parallelo la pala d’altare di Fano
con quella di Santa Maria delle Grazie di Senigallia.
Si tratta dello stesso artista.
Il Perugino, o forse i suoi discepoli e collaboratori si sono certamente serviti degli stessi cartoni apportando opportuni ritochi e modificando parti non rilevanti del tessuto compositivo.
È stato sostituito l’apostolo S. Giacomo al posto di S. Maria Maddalena e sono state disegnate le chiavi ferrigne a sicurezza dei pilastri
e delle volte del loggiato.
Nella tavola dipinta di Santa Maria delle Grazie è stato riportato
l’emblema della famiglia Peruzzi, benefattrice dei frati dell’Osservanza, le rose ad ornamento del vaso e il mare al posto di un paesaggio
collinare.
La mia convinzione è che il quadro di Senigallia sia postumo a
quello di Fano; e non solo perché Frate Grazia di Francia non accenna
affatto alla presenza del gioiello del Perugino.
Un’ultima annotazione: mentre la tavola di Fano conserva tutta
la sua integrità, quella di Senigallia è particolarmente rovinata forse a
causa delle intemperie, dei terremoti o di altri eventi e ha richiesto l’intervento del restauratore attraverso selezione cromatica ad acquarello
per rircostruire le parti mancanti.
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Madonna in trono con il Bambino e i santi a Senigallia