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CICLOTURISMO
#centrostudi
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TAG: bicicletta | Touring Club Italiano | Parchi cicloturistici | Bici Alto Adige |
Jonas | Trentino | Bicigrill | Vento
Di CENTRO STUDI TCI, HUGO GÖTSCH, LUCA MAGRIN, TINO MANTARRO, MARCELLO PALLAORO e PAOLO PILERI
IN VIAGGIO SULLE DUE RUOTE
TINO MANTARRO, giornalista del mensile Touring
Che questi siano gli anni della bicicletta
lo dicono i numeri. Per la prima volta dalla
fine della Seconda guerra mondiale in Italia si sono vendute più biciclette che automobili. Segno di un’inversione di tendenza dovuta certo alla crisi economica,
ma anche all’aumentata consapevolezza da
parte dell’opinione pubblica dell’utilità e
della sostenibilità delle due ruote.
ma anche bello. Così i modelli a scatto fisso, le selle di design che da sole costano
quanto un’onesta due ruote, i piccoli artigiani che confezionano mezzi degni di una
sfilata, l’abbigliamento tecnico ma anche
elegante fanno parte di una nouvelle vague
che racconta di un settore produttivo sicuramente di nicchia ma in salute. “Ci sono
tante tribù e lo stesso ciclista può trasversalmente fare parte ora dell’una, ora
dell’altra. Ci sono i ciclisti da passeggio,
quelli che usano il mezzo soltanto la domenica, gli sportivi, gli amatori, i feticisti
che la tengono come se fosse un quadro e
si guardano bene dall’usarla, i filosofi della
decrescita, i pieghevolisti e alcuni insistenti rompiscatole che sostengono l’impossibilità di andare semplicemente da una parte all’altra pedalando: bisogna aderire a un
manifesto, devi avere una determinata bici, comportarti così, vestirti così. Altrimenti non sei un vero ciclista urbano” aggiunge Fiorillo.
Ecologica, pratica, economica, utile per
mantenere la forma fisica la bicicletta è
l’oggetto del momento. “La bici ha perso
l’alone di vecchiume e povertà che aveva
negli anni Novanta. Non è più considerata
il mezzo sfigato degli sfigati. Tornano a
prenderla i ragazzi delle città e non solo le
signore di una certa età dei paesi della
Pianura padana dove non è mai tramontata” racconta Alberto Fiorillo, autore di No
Bici, un libretto provocatorio e intelligente
sulle tribù della bicicletta. Un ritorno al
passato che ha dei risvolti di moda. Per cui
in questi ultimi anni la bicicletta è diventata anche un oggetto di tendenza, qualcosa
da mostrare oltre che da usare, comodo
Perché si sia arrivati a tutto questo è
una questione più complessa di quel che i
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numeri da soli riescano a mostrare. Di certo in questi anni qualcosa è cambiato, sia
nel sentire comune di chi pedala e lo ha
sempre fatto, sia nella visione di buona
parte degli amministratori. La bicicletta è
entrata a far parte del discorso pubblico.
Mentre il ciclismo sportivo, travolto anno
dopo anno da un turbine di scandali legati
al doping e incapace di darsi una nuova
faccia pulita, declina nell’interesse delle
persone, cresce la passione dei pedalatori
senza alcuna velleità agonistica, quelli che
considerano le due ruote una valida alternativa ai mezzi di trasporto tradizionali e
un ottimo diversivo per il proprio tempo
libero.
la filosofia di utilizzo del territorio convertendolo alle due ruote.
Un investimento di cui si potrebbe giovare il settore turistico. Promuovendo e
diffondendo la cultura del turismo in bici
in molte zone d’Italia si potrebbe allungare
la stagione ben al di là dei mesi estivi, inserendo in nuovi percorsi a misura di ciclista tanti piccoli tesori periferici rispetto
alle rotte più battute. Lo certifica anche la
ricerca commissionata dalla rete Eurovelo
al Centro per il Trasporto e il Turismo sostenibile dell’Università di Breda, in Olanda. “I cicloturisti percorrono rotte lontane
dai circuiti del turismo di massa e dunque
supportano concretamente le economie
locali, soprattutto nelle zone rurali, contribuendo in maniera determinante a destagionalizzare gli arrivi e sfruttando in modo
bilanciato le risorse esistenti”. Un investimento di sicuro ritorno, visto la crescita di
interesse – e dunque di pubblico potenziale – da parte dei tour operator italiani che
si dedicano al prodotto “cicloturismo”.
Parallelamente a questa crescita di interesse sono aumentate anche le iniziative
pubbliche a favore della mobilità su due
ruote. Anche se a macchia di leopardo,
senza una regia precisa e senza una strategia complessiva, è innegabile che nel nostro Paese si siano moltiplicate le occasioni a livello locale per sviluppare un sempre
maggiore utilizzo della bicicletta sia come
mezzo di trasporto quotidiano alternativo
a quelli a motore, sia come protagonista di
una vacanza diversa, lenta, a misura di paesaggio. Certo, siamo ancora in grave ritardo rispetto ai Paesi nordici, Germania e
Olanda su tutti, dove da oltre vent’anni si è
investito sulla mobilità, turistica e non, a
due ruote. Basta un dato per capire il ritardo strutturale: in Germania ci sono circa 75mila chilometri di ciclabili extraurbane, in Italia siamo a quota 4mila. E raramente si tratta di lunghi tratti consecutivi: con la solita eccezione dell’Alto Adige
e del Trentino, si tratta perlopiù di brevi
tratti non collegati tra loro. Mozziconi di
qualche decina di chilometri che, se va bene, finiscono nel nulla, altrimenti su una
strada statale. Anche se il punto non è tanto costruire nuove costose ciclabili, ma utilizzare la viabilità a bassa intensità esistente e renderla sicura per i ciclisti. Infrastrutture come VENTO (il progetto di una
ciclabile da Torino a Venezia lungo il Po)
costerebbero quanto due chilometri di autostrada, ma contribuirebbero a cambiare
Del resto in Europa, dove si è investito
con serietà da tempo, i volumi sono cresciuti in maniera esponenziale: è il caso
della ciclabile più famosa d’Europa, la Passau-Wien, percorsa ogni anno da 200mila
persone che vi trascorrono almeno due
giorni e che da sola rappresenta l’80% del
flusso turistico della regione. Ma anche
della Parenzana, la ciclabile costruita sulla
parte croata della vecchia ferrovia TriesteParenzo, in Istria. Settanta chilometri di
percorso (su 123 totali) risistemati a partire dal 2002 con l’intento dichiarato di
destagionalizzare il turismo nella regione
(troppo legato ai due mesi estivi). E la ciclabile istriana potrebbe essere un ottimo
esempio di quello cui si dovrebbe tendere
per il prossimo futuro, così come disegnato da Eurovelo: una rete di percorsi transnazionali che attraversino tutto l’Europa.
E le ferrovie potrebbero essere una risorsa
da sfruttare per lo sviluppo di una rete di
ciclabili di lunga percorrenza da utilizzare
a scopi turistici. Negli Stati Uniti la prima
green way ricavata da sedimi ferroviari di2
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smessi è datata 1965 (l’Elroy-Sparta trail,
in Wisconsin). In Italia si è iniziato solo
negli anni 90.
raggio ha una ricaduta reale sul turismo
nelle zone interessate. Soprattutto se gli
investimenti sono coordinati a livello superiore e non lasciati alla buona volontà
delle singole amministrazioni territoriali.
E, nonostante migliaia di chilometri di
ferrovie non più in esercizio, i percorsi ciclabili nati su tracciati dismessi sono solo
42, per un totale di 640 chilometri (il 9%
del totale). Ancora pochi, nonostante gli
sforzi di associazioni come Comodo, che
cercano di fare una positiva azione di lobbying affinché il riutilizzo a scopi cicloturistici delle ferrovie dismesse diventi una
politica di Stato e non un’iniziativa estemporanea di amministrazioni sensibili. Replicando così anche da noi quello è avvenuto in Spagna. Nel 1993 la Fundación de
los Ferrocarriles Españoles realizzò un inventario delle strutture in disuso che rivelò come nel Paese esistessero 7.600 chilometri di linee non in servizio. Il Ministero
delle Opere pubbliche, in collaborazione
con la Renfe e le amministrazioni locali,
decise allora di convertirle in percorsi che
“promuovessero una nuova cultura del
tempo libero e dello sport”. In meno di
vent’anni sono stati realizzati oltre 2mila
chilometri di ciclabili, le Vias Verdes, cercando di integrarli con tutti gli altri itinerari non automobilistici, come i Cammini
di Santiago, e le linee ferroviarie. Il modello spagnolo cerca anche di recuperare le
infrastrutture di contorno, come caselli e
stazioni, trasformandole in ostelli, officine
e punti informazione, in modo da migliorare l’esperienza turistica del ciclista,
permettendogli di conoscere il territorio
che attraversa più in profondità. Dati complessivi non ce ne sono ma nei fine settimana gli alberghi lungo le ciclabili fanno
registrare il tutto esaurito, mentre negli
altri giorni della settimana la media di occupazione è del 60%.
Dove, invece, si iniziano a intravedere
alcuni risultati è nella diffusione dei sistemi di bike sharing. Lanciati per la prima
volta in Italia nel 2000 (a Ravenna, su progetto dell’ingegner Fulvio Tura, che aveva
elaborato un sistema a chiavetta metallica,
il cui limite maggiore era l’obbligo di restituire il mezzo nel medesimo stallo dove lo
si era prelevato) hanno conosciuto
un’evoluzione e una diffusione veloce soprattutto in questi ultimi tre anni. Se di
certo non serve a risolvere il problema del
traffico nei centri urbani, aiuta a migliorare il problema del last mile, l’ultimo tratto
di strada tra la fermata dei mezzi pubblici
più vicini (o il parcheggio) e il luogo dove
si è diretti. Un’offerta di trasporto pubblico
complementare che andrebbe integrata
con una maggior sensibilità delle amministrazioni comunali con la mobilità su due
ruote e che potrebbe avere anche una ricaduta turistica, come per esempio accade
a Parigi. Introdotto nel 2007, il sistema Vélib’ è disponibile anche ai turisti, purché
abbiano a disposizione una carta di credito
con microchip. Con 1,70 euro al giorno (8
euro per una settimana) possono girare in
lungo e in largo la ville lumière, approfittando delle 20mila biciclette ripartite su
1.208 stazioni, di cui 238 nella prima periferia. Un vero successo, come testimoniano i 110mila utenti giornalieri del sistema.
Qualcosa di simile, anche se in piccolo, è
stato replicato anche a Milano, dove i dati
del bike sharing cittadino sono in continua
crescita. Certo i numeri non sono quelli di
Parigi, ma è il segnale, incoraggiante, che
qualcosa si muove.
L’esperienza spagnola, ma anche quella
austriaca e istriana, dimostrano che investire in mobilità ciclistica su medio e lungo
E non è solo una moda effimera.
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IL TOURING RISALE IN SELLA
CENTRO STUDI TCI
Il 2011 è stato un anno importante per
il Touring Club Italiano perché ha segnato
un nuovo e fattivo impegno verso un tema,
la bicicletta, che ha un valore altamente
simbolico nelle origini dell’associazione:
con la carovana cicloturistica MilanoRoma (svoltasi dal 10 al 15 giugno 2011),
rievocazione della storica manifestazione
organizzata nel 1895 da Luigi Vittorio Bertarelli, uno dei fondatori del Tci e suo primo presidente, il sodalizio è di fatto nuovamente “tornato in sella”. La storia del
Touring Club Italiano, infatti, è legata a filo
doppio alla bicicletta – “velocipede”, era il
nome al tempo – come ricorda anche la
ruota che fa da sfondo al logo dell’associazione e la sua prima denominazione che,
fino al 1900, era “Touring Club Ciclistico
Italiano”.
per ottenere città più sicure per chi pedala,
come atto di solidarietà per la collega investita da un camion a Londra mentre si
recava in ufficio. Proprio da questa iniziativa è nata in Italia #salvaiciclisti, un movimento popolare spontaneo che chiede
alla politica interventi mirati per aumentare la sicurezza dei ciclisti sulle strade italiane. È recente, inoltre, la notizia che nel
nostro Paese la vendita di biciclette (1,7
milioni nel 2011) ha superato, seppur di
poco, quella delle automobili: si tratta di
un sorpasso storico e che non si registrava
dal Dopoguerra. Hanno avuto grande successo, infine, gli “Stati generali della bicicletta e della mobilità nuova” organizzati a
Reggio Emilia il 5 e 6 ottobre scorsi, che
sono stati un’occasione per dibattere su
idee, progetti e buone pratiche.
In questi ultimi anni il tema ha riscosso
un crescente interesse nell’opinione pubblica contribuendo a modificare le abitudini e le scelte di mobilità, per esempio,
nei tragitti casa-lavoro e casa-scuola: ciò
sicuramente è stato influenzato anche dal
progressivo affermarsi, soprattutto nelle
aree metropolitane del nostro Paese – sulla scia di tendenze già in atto da tempo
all’estero – di comportamenti più attenti
non solo all’ambiente ma anche al benessere psicofisico. L’uso della bicicletta è diventato, quindi, un’espressione efficace,
nonché di moda, di un nuovo lifestyle urbano. Non a caso proprio nelle grandi città
si sta diffondendo in questi anni il servizio
di bike sharing, adottato – tra le altre – a
Barcellona, Bruxelles, Londra e Parigi e in
Italia a Bari, Genova, Milano e Torino e in
più di un centinaio di altri comuni di diversa dimensione.
Questo rinato interesse, però, non si limita alla mobilità: si sta, infatti, sempre
più estendendo ad altri ambiti, come quello delle vacanze, complice, probabilmente,
l’attuale situazione di crisi economica e
l’incremento del costo del carburante. Ciò
fa il paio con l’attenzione riservata a un turismo lento, rispettoso dell’ambiente e a
contatto con la natura cui gli operatori turistici – in Italia con qualche difficoltà –
stanno rispondendo con offerte di viaggio
specifiche.
NASCONO I PARCHI CICLOTURISTICI
Queste premesse spiegano, dunque,
l’ambizione da parte del Touring Club Italiano di tornare a essere il principale referente nazionale in tema di cicloturismo attraverso la costituzione di prodotti innovativi, di elevata qualità e “certificati”. Il
progetto che Touring sta portando avanti
in questi mesi prende il nome di “Parchi
cicloturistici”: una rete di percorsi di eccellenza – su infrastrutture dedicate o promiscue ma a bassa densità di traffico – ideati
Del resto i segnali di interesse per le
due ruote sono evidenti, anche considerando quanto sta succedendo in questi
mesi: ha suscitato clamore la campagna
“Cities fit for cycling” proposta dal Times
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per scoprire in bicicletta l’inestimabile patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale italiano.
temente non valido da un punto di vista
prettamente statistico perché del tutto casuale e non rappresentativo della realtà
del nostro Paese – è tuttavia interessante
per comprendere alcune tendenze. Di seguito riportiamo i principali risultati.
Il Parco cicloturistico è pensato per essere uno strumento di promozione del territorio, per quello che insiste ed esiste nelle sue immediate vicinanze prevedendo,
come punto essenziale del progetto, un coinvolgimento proattivo delle realtà economiche già presenti localmente: l’idea è
quella di realizzare una serie di percorsi
concentrici e interconnessi tra loro – non
dunque una “autostrada ciclabile” isolata
dal contesto – che consentano di fermarsi
in un territorio e di scoprirlo.
Utilizzo della bicicletta. La stragrande
maggioranza dei rispondenti ha dichiarato
di utilizzare la bicicletta almeno una volta
alla settimana (83%). Analizzando i dati
per classi di età1, seppur le variazioni tra i
diversi cluster non siano molto accentuate,
è interessante notare come la fascia degli
over 60 sia la più “dedita” al frequente utilizzo della bicicletta (84,7%), probabilmente per la maggior disponibilità di tempo libero.
In prospettiva il progetto Touring prevede una serie di Parchi cicloturistici, diffusi in tutta Italia, che, con interventi infrastrutturali minimi, consentiranno di
mettere a sistema i percorsi esistenti; esempio efficace per far capire che la filosofia alla base è la convinzione che non sia
necessario costruire necessariamente
nuove piste ciclabili per attrarre turisti ma
sia sufficiente utilizzare le strade a basso
tenore di traffico e tutte le possibili sedi
ciclabili già esistenti. Lo scorso 30 settembre il Touring ha presentato ufficialmente
il suo progetto con il varo “ideale” (perché
ancora non infrastrutturato e privo, al
momento, dei servizi che dovrebbe avere a
regime) del Parco cicloturistico dei Navigli
che interessa 46 comuni delle province di
Milano, Pavia e Novara.
Le vacanze su due ruote. Abbiamo
chiesto ai nostri intervistati se avessero
mai fatto una vacanza in bicicletta (utilizzandola come mezzo principale di trasporto): il 43% ha risposto affermativamente e
il 57% negativamente. Approfondendo la
relazione esistente tra uso quotidiano della bicicletta e utilizzo per finalità turistiche, abbiamo riscontrato un dato interessante: tra chi usa spesso la bicicletta, la
percentuale di coloro che hanno fatto almeno una vacanza sulle due ruote si attesta al 46,5% mentre solamente un quarto
degli intervistati che non si dichiara un ciclista abituale ha praticato almeno una
volta il cicloturismo. Lo spaccato tra le differenti classi di età dà risultati eterogenei
dimostrando una maggior propensione al
viaggio in bici da parte degli over 60
(45,1%) contro il 31,8% dei più giovani
(fino a trent’anni).
LE TENDENZE DEL CICLOTURISMO
In un contesto in pieno fermento sul
tema della bicicletta, il Centro Studi del Tci
ha voluto, inoltre, effettuare un approfondimento sui comportamenti degli italiani
realizzando un’indagine on line per conoscere esigenze e aspettative dei cicloturisti. Il questionario, compilato da oltre
1.000 persone, è stato somministrato tramite social network (Facebook e Twitter),
banner e newsletter nel periodo compreso
tra fine luglio e i primi giorni di settembre
2012. Il campione così definito – eviden-
Italia o estero? Innanzitutto è importante sottolineare come il 36% dei rispondenti abbia effettuato una vacanza sia in
Italia sia all’estero: chi ha scelto solamente
l’Italia rappresenta il 34,2% contro il
29,8% delle persone che, invece, hanno
preferito l’estero. Questi dati mostrano
Alcune delle risposte al questionario sono state analizzate scomponendo il campione dei rispondenti in
quattro distinte classi: fino a trent’anni; 31-45; 46-60
e oltre i sessant’anni.
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come, nonostante le carenze infrastrutturali e di offerta, il cicloturista italiano riesca comunque a viaggiare nel suo Paese.
vandosi da soli, vorrebbero conoscere invece compagni con cui vivere questa esperienza.
Viaggi in bici e intermediazione. I risultati mostrano che solo il 15% dei viaggi
fatti sono intermediati rispetto alla stragrande maggioranza di vacanze organizzate in forma autonoma. Estremamente interessante è, invece, l’analisi effettuata distinguendo le risposte di chi ha viaggiato
in Italia e di chi si è recato all’estero: se per
le vacanze oltreconfine l’incidenza
dell’intermediazione sale al 30%, per quelle domestiche crolla al 3%. Tra le principali motivazioni vi è la bassa presenza di operatori specializzati che offrono pacchetti
per itinerari nazionali anche a causa delle
difficoltà spesso riscontrate nel riservare
posti letto per una sola notte: la maggior
parte dei viaggi in bicicletta è, infatti, itinerante.
C’è grande interesse per il cicloturismo. Abbiamo chiesto agli intervistati, anche a chi non ha mai effettuato vacanze in
bici, se fossero interessati a praticare cicloturismo in Italia su un percorso certificato dal Touring Club Italiano e ben il 92%
si è dichiarato favorevole, indicando anche
in quale area del Paese preferirebbe farlo.
Il risultato? Una mappa estremamente eterogenea che, in alcuni casi, ricalca i paesaggi più noti dell’Italia centrale e, in altri,
rimanda a zone meno battute.
Le difficoltà organizzative. Tra chi
non ha mai fatto una vacanza in bicicletta
emergono motivazioni differenti che hanno impedito la partenza: alcune sono “generiche” e valgono per qualsiasi tipologia
di viaggio (es. mancanza di tempo, problemi di lavoro ecc.) mentre altre sono più
legate alle specificità del cicloturismo e
hanno evidenziato difficoltà organizzative
e percezione di scarsa sicurezza o pericolo
nel mettersi su strada sulle due ruote. Altri
spunti di riflessione interessanti, soprattutto per gli addetti ai lavori, vengono da
alcuni target come le famiglie, che esprimono perplessità a viaggiare con bambini
piccoli per l’esigenza di effettuare percorsi
semplici e con servizi di vario genere facilmente raggiungibili, e coloro che, tro-
I servizi irrinunciabili per il cicloturista. È estremamente interessante notare
come alcune opinioni cambino tra chi ha
già effettuato almeno una vacanza in bici e
chi non l’ha mai fatto. Se entrambe le categorie reputano molto importanti la cartografia e la segnaletica, minor rilevanza
viene riservata a strutture ricettive con
servizi dedicati, assistenza meccanica e
trasporto bagagli da chi ha già fatto una
vacanza in bici rispetto a chi non l’ha mai
fatta. Si potrebbe dedurre, forse, che fare
una vacanza in bicicletta è più facile e meno impegnativo di quanto si possa immaginare, soprattutto se si è supportati da
una buona segnaletica accompagnata da
un’adeguata cartografia.
Durata della vacanza in bicicletta. Le
risposte indicano come durata ideale della
vacanza in bicicletta un periodo che va dal
weekend lungo alla settimana con una
percorrenza giornaliera auspicata compresa tra i 40 e i 60 km.
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L’ESPERIENZA DI “BICI ALTO ADIGE”
HUGO GÖTSCH, presidente di Bici Alto Adige e Rentandgo e coordinatore del Corso di laurea in Management del turismo, dello sport e degli eventi presso la Libera Università di Bolzano
Il cicloturismo in Alto Adige inizia a svilupparsi negli anni 90 e va di pari passo
con la costruzione di piste ciclabili
sull’intero territorio provinciale. Fino agli
anni 80, infatti, esistevano solo brevi tratti
a Bolzano e Merano; risale al 1986 la prima proposta di collegamento delle singole
ciclabili. Nel 1990 ha luogo il primo censimento della rete presente in Alto Adige e il
governo provinciale commissiona uno
studio di fattibilità sulle ciclabili che collegano tutto il territorio. Con la L.P. 24/1991
si stabiliscono poi le linee guida per la costruzione di piste.
sta fino a Malles, da dove si estendono oltre 100 km di pista ciclabile in lieve discesa fino a Bolzano (l’antica Via Claudia Augusta). Come offerta aggiuntiva alla nuova
ferrovia vengono aperti sei punti di noleggio bici lungo la tratta del treno ed è introdotta la “EventCard”, un biglietto giornaliero combinato per l’utilizzo del treno in
Val Venosta e una bicicletta a noleggio. Nel
primo anno le biciclette messe a disposizione sono state 1.200, gestite dall’azienda
Stricker.
LA BIKEMOBIL CARD
Durante gli anni 90 si inizia a registrare
parallelamente un aumento del cicloturismo soprattutto in Val Pusteria, sulla tratta San Candido-Lienz, dove il ritorno poteva essere effettuato in treno. Nel tempo è
continuata la costruzione delle ciclabili in
tutta la provincia: oggi ci sono oltre 600
km di piste nelle valli altoatesine, quasi
completamente collega te tra loro e in continuo ampliamento, attrezzate con aree di
sosta e zone ristoro. Lungo le ciclabili si
trovano 23 punti di noleggio bicicletta della rete “Bici Alto Adige”, un gruppo di operatori costituitosi in associazione il 30 novembre del 2011. Il tutto è nato dall’evoluzione naturale di un progetto-pilota partito dalla Val Venosta da un’idea del compianto sciatore e ingegnoso imprenditore
Erwin Stricker: quando, il 5 maggio 2005,
venne avviata la nuova ferrovia della Val
Venosta – una linea dismessa dalle Ferrovie dello Stato nel 1990 e acquisita dalla
Provincia della Bolzano – è iniziata una
nuova era anche per il cicloturismo.
Negli anni successivi il numero di punti
noleggio aderenti all’iniziativa è aumentato. Nella stagione estiva del 2009 sono state vendute 31.000 EventCard, circostanza
che ha spinto il Dipartimento provinciale
alla mobilità, incalzato da Erwin Stricker, a
“tastare il terreno” per preparare un ampliamento del progetto fino a includere
tutto il territorio. Nel 2011 viene così introdotta la “Bikemobil Card”, valida per
l’utilizzo combinato di bici a noleggio e
mezzi pubblici (treni, funivie, autobus) in
tutto la provincia e disponibile per uno, tre
o sette giorni consecutivi. Nello stesso anno i noleggiatori hanno deciso di costituire
l’associazione “Bici Alto Adige” che si propone di fare dell’Alto Adige una “terra delle biciclette per tutti”.
Tra gli obiettivi ci sono la garanzia di
standard di qualità omogenei grazie a tariffe uguali su tutto il territorio e criteri di
servizio analoghi. A fronte di circa 3,5 milioni di presenze turistiche estive in Alto
Adige, si auspica che nel 2016 il 20% degli
ospiti compia almeno un tour in bici abbinato all’uso di un mezzo pubblico. Per promuovere le due ruote, l’associazione propone progetti di sensibilizzazione presso
le scuole e la popolazione in collaborazio-
Il treno si rivela da subito un elemento
di attrazione per i residenti e per gli ospiti:
innovativo e a pianale ribassato per facilitare l’accesso anche alle biciclette, viene
da subito apprezzato dai cicloturisti, che
risalgono in treno la tratta della Val Veno7
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ne con la Fiab (Federazione italiana amici
della bicicletta) e iniziative per abbinare
l’uso della bicicletta anche per gustare le
specialità altoatesine. Nel 2012 i punti noleggio aderenti – dal Brennero a Caldaro,
dalla Val Pusteria al passo Resia fino alla
Val Müstair in Svizzera – sono 23, quasi
sempre situati nelle stazioni ferroviarie o
nei loro pressi. Tutto questo si inserisce
nel quadro di un impegno portato avanti
da anni dall’assessore alla mobilità Thomas Widmann per migliorare l’offerta di
servizi pubblici, intensificando le corse di
treni e bus, migliorando i mezzi quanto a
confort e impatto ambientale, offrendo un
servizio di minibus (i “citybus”) che entrano anche nei piccoli centri per garantire la
mobilità anche a livello locale e di paese,
concertando gli orari di autobus e treni in
modo da garantire un timing ottimale dei
vari mezzi e favorendo la ristrutturazione
o la realizzazione ex novo di funivie per il
trasporto pubblico, di grande interesse anche per coloro che si spostano senza auto
nel tempo libero, con o senza bici.
pacità dovuti alla grande affluenza di ciclisti con mezzo al seguito. Un ulteriore
fattore di successo sta sicuramente
nell’ampia gamma di utenti potenziali attratti da questo sistema: il turista di oggi
vuole avere la possibilità di immergersi
nella natura, spostarsi in modo ecologico,
fare sport e poter scegliere tra una vasta
gamma di attività del tempo libero; ecco
perché sin da subito si è cercato di elaborare un’offerta adatta a ogni fascia d’età e
gruppo di interesse. I punti di noleggio offrono vari modelli, dalle bici tradizionali
per adulti e bambini alle mountain bike fino a comprendere le bici elettriche, con la
possibilità di rifornirsi di batterie “fresche” presso ognuno dei soggetti aderenti
all’associazione. Si tratta quindi di un servizio di cui può usufruire ogni tipo di visitatore, dai più giovani agli anziani, dai più
sportivi a chi ama il viaggio “lento” o vuole
semplicemente rilassarsi.
I PROSSIMI PASSI
Se negli ultimi due anni l’impegno è stato rivolto all’introduzione e all’estensione
locale dell’offerta treno&bici, il prossimo
passo sarà sicuramente l’integrazione del
sistema nelle regioni di confine. L’ acquisto
di ulteriori nuovi treni da parte della Provincia, previsto il prossimo anno, permetterà ad esempio di ampliare l’offerta fino a
Innsbruck e Lienz. Le nuove biciclette a
pedalata assistita aprono prospettive ancora diverse: in futuro, e senza grandi
sforzi, ognuno potrà pensare di partecipare a dei tour guidati che portano dall’Alto
Adige a Venezia, ad esempio, e permettono
di conoscere il territorio da un punto di vista completamente nuovo e rilassante. Lo
sviluppo di nuovi tipi di offerta nel cicloturismo rimane uno dei nostri obiettivi e, del
resto, ci stiamo già lavorando da tempo.
FATTORI DI SUCCESSO
Il successo del sistema bici&treno altoatesino è dovuto anche al fatto che il principio di funzionamento è quello del bike
sharing: le biciclette possono essere restituite in un punto di noleggio qualsiasi che
non deve corrispondere a quello di prelevamento. C’è poi sempre personale qualificato che si occupa anche del lavaggio e della manutenzione delle bici e dà consigli e
informazioni di vario tipo ai clienti. Il
prezzo vantaggioso del biglietto combinato, che comprende i mezzi pubblici, è un
incentivo in più ma, soprattutto, il vantaggio sta nel fatto che le bici noleggiate non
devono più essere caricate sul treno per il
ritorno. Non di rado, infatti, i convogli nella bella stagione raggiungono i limiti di ca-
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JONAS, UNA STORIA LUNGA TRENT’ANNI
LUCA MAGRIN, fondatore di Jonas
Jonas nasce nel 1988: l’idea di partenza
prende spunto da altre esperienze sviluppatesi in Europa alla fine degli anni 80
nell’ambito del turismo associativo, con la
volontà di promuovere forme alternative
di viaggio tra i giovani, favorendo scambi
culturali in ambito europeo. I primi tre
scambi culturali sono stati organizzati a
Monaco di Baviera, Guimar/Tenerife e Debrecen in Ungheria assieme ai “Naturfreunde”, un’associazione ambientalista
presente in tutti i Paesi d’Europa. Negli
anni successivi, dopo aver approfondito
contatti ed esperienze con associazioni cicloturistiche danesi, Jonas intraprende la
strada delle vacanze in bicicletta come
nuova forma di turismo a basso impatto
ambientale, con l’intento di introdurre anche nel mercato italiano un turismo a mobilità dolce. Il prodotto offerto non è quello tipicamente inteso come cicloturismo, e
cioè il ciclista o il gruppo di ciclisti con la
bici attrezzata di borsoni che percorre
centinaia di chilometri itineranti in giro
per l’Europa. Piuttosto, si tratta di una
nuova scommessa: far sì che il cicloturismo diventi un’esperienza per tutti, e non
riservata a un’élite di ciclisti allenati, facendo scoprire al turista italiano l’idea di
mobilità a basso impatto ambientale già
ampiamente diffusa in altri Paesi europei.
Una forma diversa di vivere e visitare città
e capitali utilizzando le piste ciclabili, che
da decenni esistono nei Paesi del Nord Europa, e che invece latitano ancora oggi in
Italia.
detto, infatti, il turismo in bicicletta era fino a qualche anno fa praticato da ciclisti
abbastanza allenati, che intendevano la loro vacanza come un itinerario lungo strade
a basso traffico, per tour complessivi anche di qualche centinaio di chilometri da
percorrere totalmente in sella o, al massimo, per alcuni tratti, montando la bici in
treno. Normalmente questo tipo di turista,
sia in gruppo sia da solo, è più portato ad
autogestirsi sin dall’ideazione stessa della
vacanza e, salvo pochi casi, non è interessato a tour preorganizzati, proprio perché
la concezione di vacanza in sé è intesa come totalmente libera. Negli ultimi anni, invece, al cicloturismo si affaccia anche il
pubblico che di norma usa la bicicletta
principalmente per i propri spostamenti
urbani o, magari, per qualche breve gita la
domenica nel corso dell’anno.
IL TARGET DELLE FAMIGLIE
Molte richieste vengono da famiglie con
figli anche piccoli, grazie alla diffusione di
carrellini e supporti per il trasporto dei
bambini, mezzi che stanno prendendo piede in Italia. Questo tipo di utenza preferisce quindi avere maggiori servizi, percorsi
già stabiliti e sicuri, biciclette a disposizione senza dover portare la propria, trasferimento dei bagagli in caso di vacanza itinerante, accompagnatori esperti dei luoghi
visitati e, magari, anche un gruppo numeroso con cui condividere l’esperienza e
stringere nuove amicizie. La richiesta è
quella di vivere la propria vacanza in modo diverso dal solito villaggio turistico, uscendo dal cliché spiaggia-ombrellone, per
trovare un modo più attivo e vario di
spendere il proprio periodo di ferie.
COME È CAMBIATO IL CICLOTURISMO
Negli ultimi anni il cicloturismo è in costante crescita, e soprattutto nell’ultimissimo periodo si registra un forte interesse.
Questo comporta anche una netta modifica
del profilo del cicloturista, o meglio del turista che vuole utilizzare la bicicletta per la
sua mobilità soprattutto in vacanza. Come
Il cicloturismo può avere una stagionalità più ampia rispetto alle ferie tradizionali, sia perché molti preferiscono percorrere le strade in primavera, in tarda estate o
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CICLOTURISMO
nel primo autunno sia per motivi legati al
clima sia per il traffico meno intenso in
questi periodi. È chiaro, però, che, soprattutto per il turista italiano, la concentrazione è massima nei periodi tradizionali di
luglio e agosto, mentre all’estero è più facile che il periodo prescelto sia primavera o
autunno.
mappatura dei percorsi ciclabili e la relativa tabellazione dedicata, ma non sembra,
fino a oggi, che il cicloturismo rappresenti
una priorità per gli amministratori locali
per i quali pare, invece, strategica la moltiplicazione delle rotatorie.
I SERVIZI A DISPOSIZIONE
Qualcosa si è mosso, dal punto di vista
della ricettività alberghiera, con la diffusione dei bike hotel o grazie al progetto
“Albergabici” promosso dalla Fiab: si tratta
di strutture con spazi dedicati alla custodia della bici, piccole officine o attrezzature per la manutenzione e la riparazione,
materiale informativo dedicato al cicloturismo nella zona, menù dedicati e appositamente studiati per chi viaggia in bicicletta. Il loro punto di forza è la disponibilità
ad accogliere il turista per uno o, al massimo, due pernottamenti anche in alta stagione. È proprio su quest’ultimo punto che
operatori come Jonas incontrano maggior
resistenza da parte delle strutture, che
vorrebbero invece le prenotazioni classiche di almeno una settimana. Ed è proprio
per questo che l’incidenza del costo dei
pernottamenti lievita nell’organizzazione
di una vacanza itinerante. Al contrario, invece, è in forte aumento la domanda di vacanze brevi, e soprattutto con prenotazioni all’ultimo o ultimissimo momento: gli
alberghi prenotati di anno in anno per il
mese di agosto appartengono a un modello
di turismo che non esiste più da tempo.
GLI ITALIANI SCELGONO L’ESTERO
Le mete prescelte dai turisti italiani che
si rivolgono a Jonas sono principalmente
all’estero: Austria, Germania, Francia, Olanda, Danimarca, Svezia, Irlanda, dove sicuramente la cultura della mobilità in bicicletta è diffusissima e abbondano strutture
ricettive dedicate al cicloturismo e ovviamente le piste ciclabili. Sono centinaia i
chilometri percorribili in strade riservate
alle biciclette, quasi mai condivise con
strade per le auto, che corrono parallele
alle arterie principali o che attraversano
zone non raggiungibili con l’auto.
I LIMITI DELL’ITALIA
Questo paradiso per le biciclette è difficile da trovare in Italia, salvo qualche eccellenza come Trentino, Alto Adige, Emilia
Romagna e perle isolate in altre regioni,
soprattutto del Nord, come Veneto e Lombardia. Il resto d’Italia lamenta un forte carenza di piste ciclabili, che spesso sono
presenti a tratti di qualche chilometro per
poi interrompersi nel nulla o inserirsi in
statali ad alta densità di traffico. In Italia
Jonas cerca, in assenza di una rete completa di ciclabili, di rendere organico e armonico un percorso utilizzando strade secondarie a basso traffico, ma non si tratta di
strade con segnaletica dedicata alle biciclette come accade all’estero, per cui il cicloturista non esperto senza accompagnatore rischia di trovarsi fuori percorso e,
comunque, senza itinerari sicuri su cui pedalare.
UNO SGUARDO ALL’ESTERO
Gli operatori specializzati che si dedicano al cicloturismo nel panorama italiano
non sono molti, soprattutto quelli che si
propongono a livello nazionale: probabilmente perché continua a essere considerato un prodotto di nicchia e non di massa e
anche per la complessità organizzativa che
comporta la costruzione di un pacchetto
cicloturistico.
Negli ultimi anni molte Regioni stanno
cercando di promuovere progetti per la
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CICLOTURISMO
L’interesse dei grandi marchi del turismo è pressoché nullo, salvo qualche sporadico tentativo, fatto in passato, che però
non ha avuto grande successo. Molte piccole realtà locali provano a offrire pacchetti e convenzioni, ma si tratta soprattutto di
realtà che insistono su un territorio limitato e che propongono al cicloturista pacchetti relativi solo alla propria zona.
loro presenza in Italia è ancora limitata e
circoscritta ad aree definite. Se dovesse
davvero svilupparsi da noi una rete di servizi e infrastrutture dedicate al cicloturismo, sarà compito degli operatori italiani
attualmente esistenti attrezzarsi per tempo per non perdere l’occasione di espandere la propria quota di mercato, offrendo
pacchetti che sappiano valorizzare le ricchezze culturali, paesaggistiche ed enogastronomiche italiane, rigorosamente dalla
sella di una bicicletta.
Diversa la realtà estera: in Austria,
Germania e, in generale, nei Paesi nordici
esistono operatori in grado di muovere
molte migliaia di cicloturisti ogni anno. La
IN TRENTINO LA BICI AIUTA L’ECONOMIA
MARCELLO PALLAORO, direttore Ufficio Piste ciclopedonali, Provincia Autonoma di Trento
La Provincia Autonoma di Trento ha
cominciato a occuparsi di percorsi ciclabili
e ciclopedonali nel 1988, attivando dapprima l’Agenzia del Lavoro e, poi, il Servizio Ripristino e Valorizzazione ambientale,
allo scopo di dotare il territorio di una rete
ciclopedonale a carattere essenzialmente
extraurbano2. Il coinvolgimento dell’Agenzia del Lavoro è stato uno degli elementi
più originali e qualificanti dell’intero progetto, poiché fin dall’inizio si è deciso che
tutte le opere di finitura e la manutenzione
ordinaria fossero realizzate da cooperative
che impiegavano lavoratori espulsi dal ciclo produttivo. Disoccupati (quasi cento
persone, uomini over 50 e donne over 45)
in cerca di un’occupazione, che sarebbero
stati comunque a carico della comunità e
che, lavorando sulle piste ciclabili, svolgevano un servizio utile all’economia e al
territorio.
provenienti dai Paesi del Centro e del Nord
Europa, già buoni conoscitori del Trentino,
hanno scoperto la rete ciclopedonale e
hanno cominciato a frequentarla contribuendo ad affermare in modo forte che il
Trentino è terra di cicloturismo. Questo
fenomeno è stato favorito anche dalla sopravvenuta coscienza che la bicicletta è
un’opportunità per sperimentare se stessi,
per imparare a vivere meglio il proprio
corpo, per attivare una relazione con
l’ambiente e per strutturare uno stile di vita sano e attivo attraverso il piacere del
movimento.
La bicicletta contribuisce a cambiare la
percezione della mobilità alla quale siamo
abituati che ci porta a identificare la segnaletica con i luoghi. La rete è attualmente in continuo sviluppo e miglioramento e
consente di percorrere il territorio trentino nel rispetto dell’ambiente. Conoscere
un territorio pedalando dà molti valori aggiunti e supera i luoghi comuni della vacanza di massa, quella che troppo spesso
crea una barriera fra il territorio e la sua
cultura, collocando chi la sceglie in un contesto artificiale. I pedalatori non sono solo
persone che usano la bici come un mezzo
per praticare un’attività sportiva, ma sono
GENESI DI UN FENOMENO
Le piste ciclabili sono diventate un prodotto interessante quando i flussi turistici
Legge Provinciale n. 49 del 25 novembre 1988, “Disciplina dei percorsi ciclabili e ciclopedonali di interesse provinciale”.
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CICLOTURISMO
sempre più anche “viaggiatori in bicicletta”. Una categoria ampia, che comprende
giovani e anziani in gruppo, giovani coppie, famiglie, gruppi sportivi e così via.
Tutti accomunati dal semplice desiderio di
esplorare e che scelgono viaggi parzialmente organizzati per poter sfruttare al
massimo le risorse dei territori, sia in termini di ospitalità sia di offerta culturale ed
enogastronomica.
I Bicigrill possono costituire un’integrazione del reddito per le attività agricole,
fatte di campi e coltivazioni, ma anche di
persone e tradizioni da comunicare anche
per far conoscere i prodotti e i sapori del
mondo contadino che, in questo modo,
possono conquistare il popolo della vacanza attiva e del tempo libero. La virtuosa
evoluzione di questo processo vuole riconciliare i pedalatori con i contadini, che
possono diffondere e accrescere la cultura
e l’informazione sul lavoro dei campi e sulla loro necessità di utilizzare le piste ciclabili e i terreni confinanti per effettuare le
lavorazioni agricole, sensibilizzando i ciclisti e trasformando in risorse le criticità
che talvolta insorgono tra i due mondi.
I BICIGRILL
Poiché il cicloturismo è fortemente
condizionato dalla qualità dei servizi offerti, si sono voluti individuare i possibili miglioramenti per presentare un’offerta
competitiva e di ottimo livello, legata al
territorio, all’ambiente e alla qualità generale della vita, mettendo a disposizione
degli operatori economici e degli addetti ai
lavori un ulteriore strumento per rafforzare il binomio salute-natura, già patrimonio
del Trentino. I Bicigrill sono disciplinati da
uno specifico regolamento provinciale e
con il marchio registrato alla Camera di
Commercio, sono situati in punti strategici
dei vari percorsi ciclopedonali, hanno lo
scopo di ristorare, creando tra l’altro una
vetrina di prodotti tipici trentini, fornire
assistenza e informare. Il primo Bicigrill
del Trentino è stato realizzato nel 1991 a
Nomi, lungo la ciclabile della Valle
dell’Adige,
materializzando
un’idea
dell’arch. Pier Dal Ri, che allora dirigeva il
Servizio Ripristino. Il movimento dei pedalatori (contiamo oltre 2 milioni di passaggi
all’anno sulle nostre piste) ha stimolato
nuove iniziative imprenditoriali per costruire altri Bicigrill, realizzati in cofinanziamento con enti e privati che ne curano
la gestione e, oggi, sono attivi i Bicigrill di
Nomi, Levico Terme, Tezze di Grigno, Vigo
Rendena, Pellizzano e Condino. Il mondo
imprenditoriale ha colto l’opportunità offerta al territorio dal popolo dei pedalatori, che chiede servizi di accoglienza, e si sta
attivando per avviare diverse iniziative.
STATO DELL’ARTE E PROGETTI FUTURI
L’amministrazione provinciale di Trento ha aggiornato il proprio strumento legislativo nel 20103 proseguendo nella promozione della mobilità e della viabilità ciclistica, con l’intento di: favorire l’intermodalità e la migliore fruizione del territorio,
garantire lo sviluppo in sicurezza dell’uso
della bicicletta in ambito urbano ed extraurbano, migliorare la salute e la qualità
della vita dei cittadini, le condizioni
dell’ambiente e la riqualificazione degli
spazi urbani, contribuire al decongestionamento del traffico veicolare e alla
riduzione dei consumi energetici nonché
dei livelli di inquinamento atmosferico e
acustico.
Quanto realizzato fino a ora, investendo
circa 140 milioni di euro, dei quali circa un
terzo per la manutenzione ordinaria e
straordinaria, ha messo a disposizione dei
pedalatori un’efficiente e ben tenuta rete
di circa 430 km di percorsi realizzati lungo
i principali fondovalle. Sono rimasti incompiuti i tratti più costosi, che permetterebbero la totale interconnessione delle
valli con l’asta dell’Adige, il collegamento
da Trento verso la Valsugana per raggiungere il Veneto, da Trento attraverso la val3
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Legge Provinciale 11 giugno 2010, n. 12.
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CICLOTURISMO
le dei Laghi per raggiungere il Lago di
Garda e Tione, da Mezzolombardo verso la
Valle di Sole attraversando la Valle di Non,
il collegamento della Valle del Primiero
con il Veneto, dell’alta Val di Non con l’Alto
Adige e della Val di Sole con la Lombardia,
ma che richiedono importanti opere quali
ponti, gallerie o il consolidamento di grandi versanti rocciosi. L’attuale congiuntura
economica, però, ha costretto l’amministrazione provinciale a rivedere il programma degli investimenti per la realizzazione di percorsi ciclopedonali con valenza
solo turistica, riducendo l’ammontare degli stanziamenti che sono indirizzati a infrastrutture che possano coniugare il trasporto attivo e la mobilità alternativa
all’uso dell’automobile privata.
contribuisce alla qualità della vita e alla riduzione delle spesa sanitaria pubblica.
IL FATTURATO DEL CICLOTURISMO
Il milione e quattrocentomila persone
che hanno utilizzato i nostri percorsi nel
2009 (ne abbiamo contati 2,2 milioni nel
2011) sono stati studiati dall’Osservatorio
del Turismo Trentino attraverso 1.400
questionari raccolti dagli intervistatori su
quattro percorsi: Valle dell’Adige, Valsugana, Val di Sole e Garda (cfr. Report n. 34,
agosto 2010). Sono state considerate solamente le ricadute generate dai cicloturisti e dai turisti ciclisti (attivi) escludendo
quelle dei turisti per i quali la bici rappresenta un prodotto complementare. Il 98%
delle ricadute economiche dirette è da imputare ai turisti ciclisti mentre i cicloturisti
hanno un ruolo ancora marginale. Il turista
ciclista, che ha dichiarato di spendere mediamente ogni giorno circa 70 euro e di
rimanere in zona mediamente nove notti,
ha speso in Valsugana circa 7 milioni di
euro mentre la vacanza attiva sul Garda,
che ha attirato circa 110.000 turisti ciclisti,
ha prodotto una ricaduta economica di circa 77 milioni di euro. Il Trentino si sta attrezzando per mettere in rete tutte le informazioni utili alla costruzione di viaggi e
vacanze in bicicletta, percorsi interattivi,
noleggiatori e assistenza tecnica, alloggi,
pacchetti strutturati, orari dei trasporti
pubblici e per comunicare il prodotto
costruito ai potenziali clienti italiani e
stranieri.
Molti di questi interventi non sono
compatibili con le risorse economiche che
l’amministrazione provinciale può investire nel settore e, pertanto, sarà necessario
ricercare finanziamenti europei e alleanze
transnazionali per sviluppare e promuovere la rete dei percorsi ciclopedonali.
Stiamo lavorando a un progetto per individuare una rete di anelli ciclopedonali in
cooperazione fra gli operatori economici o
istituzionali nelle regioni Arge Alp4, finalizzata a disporre di alcuni circuiti strutturati, in grado di attrarre il turista ciclista e
il cicloturista, che possa soggiornare in esercizi convenzionati, trovando sul territorio i servizi e i mezzi adeguati. Stiamo studiando anche la materializzazione di uno
strumento di partecipazione pubblica per
il coinvolgimento dei pedalatori più fedeli
in una sorta di project financing, che concorre alla crescita e al mantenimento della
rete ciclopedonale quale infrastruttura che
Ne fanno parte dieci Länder, Province, Regioni e
Cantoni di Austria, Germania, Italia e Svizzera. I
membri sono Baviera (Germania), Salisburgo, Tirolo,
Vorarlberg (Austria), Lombardia, Trentino, Alto Adige (Italia) e Cantoni di San Gallo, Ticino e dei Grigioni (Svizzera). L’obiettivo che Arge Alp vuole raggiungere con la collaborazione transfrontaliera è trattare problemi e esigenze comuni delle regioni
nell’ambito ecologico, culturale, sociale ed economico,
promuovere i contatti tra le nazioni e i loro cittadini e
fornire un contributo all’integrazione europea.
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CICLOTURISMO
VENTO, LA CICLOVIA TRA VENEZIA E TORINO
PAOLO PILERI, professore di Pianificazione territoriale e ambientale, Politecnico di Milano
C’è chi vede la mobilità ciclabile come
una fissa di sparuti gruppi amatoriali. C’è
chi la vede come un’esigenza, al più, per
rispondere a qualche piccolo problema di
mobilità urbana. C’è chi la vede come esclusiva forma di sport. Sono diverse le interpretazioni non corrette date all’uso della bicicletta nel nostro Paese. Il più delle
volte si tratta di visioni intrappolate in circuiti ristretti, in pensieri corti. Forse, pur
se inconsciamente, sostenute dalla convinzione che in un Paese dove si è investito
per sessant’anni sulla mobilità motorizzata, anche come forma di riscatto sociale ed
espressione della libertà individuale, non
si possa abbracciare l’idea della bicicletta
come opzione di mobilità al pari delle altre
o, addirittura, migliore. Non si capisce perché oggi si dovrebbero immaginare le ciclovie o le piste ciclabili come infrastrutture da inserire nei piani infrastrutturali regionali o – che pretesa! – in quello nazionale. Ma come è possibile? D’altronde sentiamo ripetere che le autostrade favoriscono le economie, le piattaforme logistiche sono indispensabili nodi di una rete di
scambio commerciale. Persino i porti turistici, di fatto utili a una minoranza ricca e
realizzati spesso morsicando le scogliere e
le spiagge, sono vitali per l’economia. La
bicicletta no. La bicicletta è uno svago, un
vezzo, un divertissement, non certo il mezzo cui riferirsi per disegnare le nostre città, i cui spazi pubblici sono predati dalle
auto.
gliorare la qualità della vita e generare uno
sviluppo sano e per tutti, divenendo persino motore di economie locali, come lo è il
cicloturismo, di cui VENTO è una possibile
opera di supporto.
L’IDEA PROGETTUALE
VENTO (www.progetto.vento.polimi.it),
il progetto di ciclovia da VENezia a Torino
lungo il fiume Po, passando per Milano ed
Expo 2015, è un’idea visionaria ma concreta per realizzare 679 km di ciclabile, la più
lunga in Italia e una delle più lunghe in Europa, ideale per il cicloturismo, ma anche
utile per gli spostamenti di piccolo raggio.
VENTO è un progetto concreto perché è
davvero fattibile essendoci tutte le condizioni per un’impresa di questo tipo: un
territorio pianeggiante, un paesaggio vario
e straordinario da attraversare, cento e più
città e borghi accoglienti e bellissimi, opere d’arte e monumenti in ogni dove, migliaia di aziende agricole pronte a ospitare
i cicloturisti e offrire i migliori prodotti
della nostra agricoltura, centinaia di osterie, trattorie e piccoli alberghi pronti a dare alloggio e vitto a molti turisti. Mancano
solo i visitatori e l’occasione per portarceli.
VENTO è quell’occasione. Un progetto
di ciclabile in cui 102 km esistono già e
non bisogna spenderci nulla; altri 284 km
esistono di fatto perché coincidono con gli
argini maestri del grande fiume, ma sono
inopportunamente vietati all’uso da regolamenti antiquati e ciechi davanti alle prospettive di sviluppo che avanzano (per
questi tratti occorrono pochi denari, un
milione di euro, per eliminare sbarre,
transenne in cemento, panettoni o macigni); altri 148 km andrebbero realizzati
con interventi leggeri e piccole ricuciture
tra ciclopiste esistenti (qui occorre investire 18 milioni di euro); infine, 145 km ri-
Pessimismo o realtà? Semplicemente un
pensiero che sconta il “grave ritardo per
la ciclabilità”, come ricordato recentemete anche dal Quirinale (1 ottobre 2012,
ADNkronos), che chiede di dotare velocemente il Paese delle infrastrutture ciclabili necessarie per instillare comportamenti responsabili e a basso impatto. La
ciclabilità, infatti, è un potente mezzo che
può cambiare la cultura della mobilità, mi14
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CICLOTURISMO
chiedono di essere realizzati anche con interventi “pesanti” come gli attraversamenti ciclabili dei ponti o interi tratti ex novo
(qui si spenderebbero 61 milioni di euro).
Tutto questo porta a una spesa di realizzazione di 80 milioni circa. Poco.
COSA FRENA VENTO?
VENTO è una provocazione per la cultura italiana. Ancor più oggi, disabituata a
vedere nella cura del paesaggio e in questa
risorsa così unica in Italia una fonte intelligente di lavoro ed economia per tanti e
non per pochi; poco capace di sviluppare
vere occasioni di crescita economica diffusa e non centralizzata nelle mani di pochi;
distratta dal turbinio di un modello di crescita globalizzato e incapace di dare valore
culturale (ancor prima che economico) alle nostre peculiarità locali, ai possibili mestieri che il paesaggio e la natura susciterebbero nell’imprenditoria italiana da
sempre legata al genius loci; cristallizzata
in un modello di governo del territorio dove vige l’autonomia amministrativa come
prassi indiscutibile, con la conseguenza di
enfatizzare la frammentazione civica fino
al parossismo, di moltiplicare le spese e di
inibire anche le più nobili spinte alla cooperazione e alla collaborazione tra Comuni
confinanti e tra amministrazioni regionali.
Poco se si pensa che stiamo attraversando quattro regioni che hanno bilanci da
decine di miliardi di euro all’anno. Poco
perché il tempo di realizzazione stimato è
di tre anni e, quindi, si tratterebbe di un
investimento di 7 milioni di euro all’anno
per ogni Regione (ma anche meno se intervenisse lo Stato) e sappiamo bene che si
tratta di spiccioli. Poco, soprattutto, se capiamo quanto è capace di generare
un’opera di questo tipo.
COSA SUCCEDE IN EUROPA
Qui sta il nodo cruciale della proposta
VENTO. In Europa, dove infrastrutture di
questo tipo si sono realizzate a partire dagli anni 70 in un crescendo che oggi compone una rete ciclabile straordinaria (nella
sola Germania sono 40.000 i chilometri ciclabili tra urbani, periurbani e lunghi tratti), le ciclovie sono vere e proprie fonti di
redditività locale. La ciclovia ViennaPassau, 320 km, produce un indotto di
quasi 72 milioni di euro all’anno. Gli oltre
200 km delle ciclabili trentine si stima
producano un indotto di più di 80 milioni/anno. La lunga ciclabile sul fiume Elba
addirittura oltre 90 milioni di euro
all’anno. Ricavi non per alcuni, ma per tutti
coloro che hanno un’attività o che ne sviluppano una funzionale al cicloturismo.
Ricavi che arrivano dall’utilizzo di un’infrastruttura green e a impatto zero. Ricavi
che sarebbero sicuramente superiori in Italia rispetto ad altri Paesi grazie al nostro
paesaggio, alle nostre bellezze artistiche,
alla nostra enogastronomia, alla nostra accoglienza e al nostro eccellente clima che
prolunga la stagionalità della bicicletta ben
oltre i periodi consentiti a nord delle Alpi.
LA NOVITÀ DEL PROGETTO
VENTO è, invece, un progetto che vola
sopra i confini di Comuni e Regioni per
proporre un modello di sviluppo, ancor
prima di una ciclovia, che ha bisogno di
sciogliersi dai lacci e dai lacciuoli propri di
quella burocrazia politica che ha raccorciato gli sguardi del progetto e limitato la scala degli interventi. VENTO è un’iniziativa
che ha la pretesa di cambiare paradigma,
di immaginare un nuovo e unico soggetto
che concepirà, realizzerà e gestirà la ciclovia seguendo un unico progetto e riproponendo le medesime soluzioni lungo il tracciato, abbattendo così i costi.
L’idea nata in Politecnico di Milano (anche questo è un elemento di novità) è, per
ora, fatta da un solo tracciato, in parte sovrapposto a Bicitalia, in quanto occorre
concentrarsi su una dorsale forte (peraltro
anche voluta dall’Europa attraverso Eurovelo 7) per poi ampliarla e connetterla ad
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CICLOTURISMO
altre occasioni. Questo non significa eludere le esigenze locali né non condividerle,
ma solo evitare di rimanerne rigidamente
imbrigliati rinunciando a orizzonti più
lunghi. Si tratta di opere grandi che non
possono costare tanto perché bisogna seguire modelli spartitori desueti, che ci
schiacciano verso forme realizzative suddivise in mille microappalti, condotti da
mille soggetti diversi. Il costo stimato per
VENTO è di 80 milioni di euro se si adotta
un nuovo modello di realizzazione delle
opere pubbliche e se si capisce cos’è la ciclabilità per i nostri territori, al fine di far
seguire una gestione e una comunicazione
dell’opera capace di tenere insieme il tutto
e non frantumarlo in altrettanti mille soggetti gestori, tutti orientati a perseguire
una qualche loro utilità locale.
VENTO è questo. Un grande progetto,
fattibile, concreto, a impatto zero, low cost,
per tutti, capace di catturare quote di turismo estero che oggi non sono in Italia. Ma
VENTO richiede di mettere da parte la
grammatica e il lessico usati fino a oggi per
scegliere un nuovo linguaggio e una nuova
cultura con cui affacciarci al futuro. Lo
hanno capito oltre 2.300 cittadini che hanno deciso di aderire all’idea di VENTO,
come lo ha capito l’Autorità di Bacino del
fiume Po, alcuni Comuni e alcune associazioni tra cui il Touring Club Italiano.
D’altronde una via sicura per portare l’Italia nel futuro non può che essere condivisa
con il nostro paesaggio e il rispetto che gli
dobbiamo come Paese e come cittadini.
Quel paesaggio è il bene comune più grande che abbiamo e che ci può salvare.
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