I t i n e r a r i Testo e foto di Bruno Manunza La città La città sorge nella piana che si affaccia sul golfo omonimo; oltre ad essere il capoluogo di provincia, Oristano vanta una giovane vocazione turistico balneare, notevoli specialità enogastronomiche ed una importante produzione vinicola. Basti per tutti il nome della Vernaccia: il vino DOC caratteristico della zona. Il cuore della città comprende la piazza Roma, con la bella torre di San Cristoforo detta anche Porta Manna o anche torre Mariano II, dal nome del giudice di Arborea Mariano II, padre di Eleonora di Arborea. Egli la fece costruire nel 1291 insieme al sistema murario di difesa. Da qui seguendo la via Dritta, oggi chiamata Corso Umberto (la passeggiata degli Oristanesi) si raggiunge piazza Eleonora d’Arborea, chiamata una volta piazza di Città, con al centro il Monumento alla giudicessa. Sulla piazza si affaccia il Palazzo del Municipio. Poco distante si trovano la chiesa di San Francesco, la cattedrale della Beata Vergine Assunta e il Seminario Arcivescovile dell’Immacolata. Piazza Eleonora di Arborea L’Antiquarium Arborense. ORISTANO E DINTORNI Fenicotteri rosa (Phoenicopterus ruber), nello stagno di Sale e Porcu L a città di Oristano occupa una posto d’onore nella storia sarda. Divenuta importante attorno al 1000, quando le autorità politiche e religiose di Tharros si trasferirono qui alla ricerca di lidi più tranquilli e sicuri, il centro divenne sede e capitale del Giudicato di Arborea. La statua del suo Giudice più famoso Eleonora, che si battè ostinatamente contro gli aragonesi per l’autonomia della Sardegna, occupa la piazza centrale della città. L’occupazione aragonese, seguita alla sconfitta nella battaglia di Sanluri, fece scivolare l’economia e lo sviluppo della zona in una profonda depressione durata fino ai primi anni del ‘900 quando la bonifica di Terralba e Arborea dal 1919, e quella del Tirso dal 1931, determinarono lo sviluppo di ampie aree agricole, cui si sono affiancate attività industriali e di produzione ittica. Eleonora Barche di pescatori ormeggiate nel piccolo porticciolo di Marceddì 58 Eleonora di Arborea è stato uno dei principali personaggi femminili della storia d’Italia. Nata nel 1347 ad Oristano da Timbora de Roccaberti e Mariano IV, giudice di Arborea, il cui dominio si estendeva su un terzo della Sardegna fino a Sassari, Eleonora visse in un periodo di continue ribellioni. Sposò il genovese Brancaleone Doria, assicurando in questo modo la pace con la Repubblica di Genova e un alleanza contro il dominio degli Aragona. Morto il padre nella grande pestilenza del 1376 ed uccisi dagli aragonesi il fratello Ugone III con l’unica figlia Benedetta, Eleonora assunse la podestà del giudicato in nome del figlio minorenne divenendo la giudicessa. Ella combattè due lunghe guerre contro gli aragonesi, fino a quando nel 1404 morì prematuramente di peste. In sostanza la morte le risparmiò l’onta della sconfitta, quando nel 1409, con la battaglia di Sanluri, il giudicato d’Arborea e la Sardegna intera iniziò la sua caduta fino alla fine dell’indipendenza. È conosciuta come grande legislatrice: perfezionò il codice di leggi civili e penali noto come la Carta de Logu. La Carta, scritta in logudorese, trattava il diritto penale, i reati e le pene relative; l’ordinamento amministrativo dei giudicati e dei villaggi; i più importanti diritti ed obblighi civili delle popolazioni. Il grande valore attribuito al suo lavoro fece si che il codice venne esteso durante il dominio aragonese, spagnolo e piemontese a quasi tutta la Sardegna e restò in vigore fino al 1827. Viene considerata come una delle opere giuridiche più importanti del medioevo. Dalla via Dritta, da una piccola traversa, si raggiunge la piazzetta Corrias dove, nello storico palazzo Parpaglia, si trova l’Antiquarium Arborense, il grande museo archeologico sorto nel 1938 con l’acquisizione della collezione da parte dell’avvocato Efisio Pischedda. È dislocato in tre sale: la prima ospita reperti preistorici e nuragici, materiale di origine fenicio-punica e ceramiche etrusche, greche e romane; nella seconda sono presenti tre importanti retabli, elaborate pale d’altare provenienti da diverse chiese oristanesi; la terza sala è interamente dedicata al periodo dei giudicati. Le coste e gli stagni: un ambiente ricchissimo Uscendo da Oristano, sulla provinciale 1, si passa davanti al santuario della Madonna del Rimedio; la strada attraversa il Sinis e raggiunge Cabras, arrivando fino a Torregrande, il porto turistico di Oristano. Cabras costituisce il punto di partenza per un itinerario ecologico all’interno della penisola del Sinis, situata a nord di Oristano fino alle pendici del Montiferru. Il Sinis è uno scrigno verde che contiene un vasto campionario di ambienti ed ecosistemi, con zone umide di grandissimo valore; tra queste annoveriamo le lagune di Mistras, e Cabras, gli stagni di Mar’e Pauli, Paili e’ Sali, Sale e’ Porcu. In queste aree acquatiche, ricche di canneti e vegetazione palustre, nidificano un gran numero di uccelli come aironi e garzette mentre svernano colonie numerosissime di fenicotteri rosa. A Cabras le attività principali sono l’agricoltura e la pesca. Nella zona ci sono oltre duemila ettari di peschiera che riforniscono molti mercati della Sardegna. Ricco di zone umide è anche il tratto di costa a sud di Oristano, dove si trovano gli stagni di Santa Giusta, S’Ena Arrubia e Marceddì. Quest’ultimo è, dopo quello di Cabras, il più vasto della Sardegna: è rinomato per le arselle e per la pregiata produzione ittica. Poco più a sud dello stagno di Marceddì si trova la Costa Verde, un tratto di litorale molto caratteristico per le enormi dune sabbiose dell’entroterra. Dune a Torre dei Corsari, a pochi chilometri da Oristano. Uno dei luoghi più caratteristici della Sardegna Informazioni sul Museo Archeologico Antiquarium Arborense. Indirizzo: palazzo Parpaglia, piazza Corrias. Orari di apertura: (inverno) 9-14 e 15-20 Il martedì 9-14 15-23 (estate) 16-20 la domenica Ingresso: 3 intero 1.50 ridotto 1 per le scuole 59 C U L T U R A E S T O R I A N ei primi decenni del 1300, i catalani iniziarono la conquista del Regno di Sardegna, del quale erano stati infeudati da Papa Bonifacio VIII. L’occupazione dei territori controllati dai pisani fu abbastanza semplice, dato che fu sostenuta anche dagli altri regni sardi, i quali mantennero la loro indipendenza, ma dovettero sottoporsi in condizione di vassallaggio verso i catalani. Lo status di sottoposti non era vissuto con serenità dai regni isolani, che erano stati per secoli dei reami sovrani e perfetti, ricchi ed in forte espansione, prima della macchinazione politica dell’ambiguo Bonifacio VIII. L’unico capace di sostenere la rivolta contro i catalani fu Mariano IV, Re del Giudicato d’Arborea. Iniziò così una lunga guerra tra quest’ultimo e Pietro IV d’Aragona, che fu sconfitto in più riprese e costretto, con l’armistizio del novembre 1354, a riconoscere l’indipendenza del Regno d’Arborea, oltre a promettere di non intraprendere nessuna azione vendicativa contro i sardi che avevano sostenuto Mariano IV. I cittadini della roccaforte algherese furono risparmiati dalle ritorsioni di Pietro IV, ma dovettero abbandonare il borgo, per essere sostituiti con cittadini catalani fedeli, provenienti principalmente da Tarragona. Da quel lontano novembre la cittadina iniziò ad assumere un carattere prettamente catalano, lontano dai canoni del resto dell’isola, anche quando tutta la Sardegna cadde sotto il dominio spagnolo. Alghero era catalana non solo giuridicamente, ma nelle architetture, nella lingua, nelle tradizioni, nel cuore, tanto da meritare il nomignolo di “Barcellonetta”. Nel 1412 i cittadini ebbero un importante ruolo nella resistenza contro gli attacchi di Guglielmo III, il Visconte di Narbona; da questo avvenimento nacque la famosa usanza di bruciare un fantoccio con le sembianze di soldato francese e di cantare una famosa canzone popolare, inno alla sconfitta di Guglielmo e dei sassaresi traditori che lo avevano aiutato. ALGHERO c LA ATALANA Testo e foto di Gian Luca Dedola I lavori della Cattedrale furono iniziati nel ‘500, LE MURA DEL POPOLO ma per essere conclusi La posizione strategica di Alghero, che permetteva di resistere a qualsiasi assedio, fu il motivo per il quale furono innalzate le imponenti fortificazioni. Inoltre, nel 1500 la città era lo scalo più importante dell’isola, nonché centro di commercio dei numerosi prodotti provenienti dalle campagne circostanti. In conseguenza al suo ruolo, divenuto sempre più di primo piano, si costruì la Cattedrale e la chiesa di San Francesco, mentre nel 1503 si fregiava del titolo ufficiale di Città Reale. Nelle cronache di quegli anni si evidenzia la vivacità dei commerci, la lussureggiante agiatezza delle classi più abbienti; ogni giorno in città si riversavano persone da tutto il circondario e la Piazza Civica era il centro attorno al quale ruotava questo vortice di benessere. Gli algheresi e gli altri isolani s’incontravano durante il giorno, ma la notte “i sardi” dovevano abbandonare il centro, oppure rischiare di passare la notte in carcere. Alcune testimonianze narrano che si rischiasse di essere scaraventati giù dalle mura, se ci si tratteneva in città dopo la chiusura dei cancelli, sebbene queste estreme misure furono realmente attuate nei periodi di guerra. In quegli anni si consolidò la divisione tra algheresi e sardi, almeno concettualmente, che fino a pochi decenni fa dava la convinzione, a molti abitanti del borgo, di non appartenere al resto dell’isola. In realtà, seppure si mantenesse il dialetto e forse i costumi, le epidemie di peste del ‘300 e del ‘600, oltre a quella più recente di colera (‘800), avevano falcidiato gran parte dell’originaria popolazione di catalani, che venne lentamente rimpiazzata dagli abitanti del circondario. dovettero aspettare l’arrivo dei Savoia. La messa in algherese, che viene recitata in determinate occasione, è un attimo realmente coinvolgente, non solo per i cittadini, ma per chiunque vi partecipi. Negli ultimi anni il campanile è stato aperto al pubblico, divenendo il più bel punto panoramico sull’intera città. I CATALANI DI OGGI Mentre assaggio un delizioso liquore all’arancio, Doloretta Caneglias, catalana certificata, mi racconta com’era Alghero a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, ancora abitata dalle famiglie nobili spagnole, anche se la ricchezza di molte di queste risiedeva solo nel titolo e nella loro dignità, senza possedere però nemmeno i soldi per comperare il pane. Dall’altra c’erano anche persone come Donna Renata, Donna Antioga, Donna Olimpia, così benestanti che alcune di loro dovevano mettere i soldi nel balcone a cambiare aria, almeno ogni tanto, per evitare che ammuffissero. Alghero aveva seguito la decadenza dell’Impero Spagnolo, già dagli inizi del 1700, eppure la lingua e l’identità algherese resisteva, le persone che venivano da fuori dovevano imparare il dialetto per integrarsi; i “sardi” introdussero alcuni termini, ma non cambiarono la lingua ufficiale. Agli inizi degli anni ’60, del secolo appena trascorso, anche la storica resistenza della lingua iniziò a vacillare, venne inaugurata la mondovisione e la cultura del Rock 'n' roll invase il mondo, venivano diffuse immagini di un lontano benessere, le persone sentivano il bisogno di seguire uno stile, nascevano i “trend”, le mode globali; inoltre la scuola italiana premeva per la difesa della lingua ufficiale della neonata Repubblica. “Quando ero all’asilo, mi racconta Francesco Ballone, la suora aveva richiamato mia madre perché mi aveva sentito parlare in algherese, come se avessi commesso un’azione gravissima”. In effetti la parlata locale si era conservata soprattutto tra le persone con una scarsa istruzione scolastica e il suo uso, di conseguenza, significava mancanza di cultura; ovviamente non era il caso di Francesco e di tante altre persone come lui, attaccate a quella lingua musicale dei nonni che riempiva le vie del Centro Storico. L’ignoranza era molto più evidente in chi sosteneva quelle tesi di censura, attualmente ribaltate dalla corsa, a livello planetario, alla con61 C U L T U R A La Torre dell’Esperò Reial è la più grande del sistema di fortificazione innalzato durante il governo iberico. Viene comunemente chiamata Torre di Sulis, in memoria del famoso burocrate fedele ai Savoia. E S T O R I A servazione delle lingue minori. L’algherese deriva direttamente dal catalano, una lingua romanza riconosciuta; attualmente tra gli studiosi della lingua si dibatte, con la divisione in diverse correnti di pensiero, l’opportunità di insegnare un dialetto più vicino alla lingua madre, oppure di preservare l’algherese nella sua naturale evoluzione correntemente parlata. Don Nughes, un sacerdote annoverabile trai massimi esperti di Algherese, nella sua Escola de Alguerés “Pasqual Canu”, da oltre vent’anni insegna il suo dialetto a chiunque voglia impararlo, residente o meno in città. “L’algherese sembrava una lingua destinata a scomparire, mi spiega, ma proprio negli ultimi anni si è avuta una riscoperta di questo lato dell’identità cittadina”. Don Nughes mi trasmette chiaramente il suo senso d’intendere “essere algherese”, che non è così strettamente legato all’origine catalana: “Gli algheresi erano tutti quelli che venivano ad abitare in città, che si dovevano integrare in una realtà nella quale si parlava solo questo dialetto. Con l’espandersi di Alghero le cose cambiarono, arrivavano sempre più forestieri che riuscivano a sopravvivere in comunità, senza dover per forza abbandonare il loro dialetto, la necessità d’integrarsi veniva meno”. Il discorso si conclude con una considerazione sulla conservazione della lingua: “Se devo decidere tra conservare la mia lingua o introdurne una nuova, seppure sia la lingua madre, preferisco la prima ipotesi, legata alla mia storia ed alla mia cultura”. Insomma, non si tratta solo di etichetta. Francesco mi fa notare come molti catalani vengano a visitare Alghero convinti che tutti i cittadini parlino la loro lingua, rimanendo delusi nel costatare che, nonostante tutti li capiscano, la stragrande maggioranza non è in grado di affrontare una conversazione. Sembra che queste situazioni siano state create dalle false attese pubblicizzate dall’industria del folklore, esaltando la singolare caratteristica del borgo, ma ovviando la concreta descrizione della realtà linguistica locale. “È come andare a Hong Kong ed aspettarsi che tutti parlino un inglese perfetto”. Con questa simpatica battuta, un brillante barista del borgo riassume il suo pensiero su queste aspettative, e continua “Io ci ho fatto scalo mentre andavo in Thailandia e con quella convinzione, per poco non perdo la coincidenza, cercavo l’imbarco Twenty (venti) e mica lo sapevo che quelli lo pronunciavano Zuenzy. In questo Bar vengono molti ragazzi catalani, entrano ed inizia a parlare a tutta birra, e prima che tu li abbia inquadrati o ti sia abituato a quella sorta di algherese accelerato, ti chiedono se parli inglese, ti sembra normale”? recita il rosario in italiano, alcuni, tanti, moltissimi rispondono in catalano. Ormai è quasi inesistente la convinzione che un cittadino di Alghero non sia sardo, alcuni giovani studenti ai quali ho rivolto questa domanda mi hanno guardato come se fossi un po’ picchiatello. Forse la cultura di questo popolo è destinata a sparire, oppure a mutare in qualcos’altro di poco conforme all’originale; ci sono persone che ritengono ci sia una strumentalizzazione dei loro costumi, tante altre che non si preoccupano nemmeno di queste discussioni: vogliamo chiamarli catalani? Probabilmente è utile solo a noi, per cercare di inquadrare un popolo ideale, disperso nelle vie della nuova città, cresciuta velocemente sulla spinta del turismo balneare; ma quando le campane della Cattedrale suonano per la messa, quando il mercato apre ancor prima del sorgere del sole, quando le tiepide serate primaverili rinfrescano il lungomare, gli algheresi lasciano le loro case ed in gesti senza tempo, perpetuano con naturalezza la loro identità. La banchina nella foto è una delle più vecchie di Alghero, insieme a quelle che costeggiano i bastioni ed un tempo, erano riservate quasi esclusivamente ai pescherecci. Attualmente il porto di Alghero è uno degli scali turistici più grandi dell’isola. Nella pagina accanto: Il mercatino del mercoledì fa rivivere antiche scene popolari, quando i mercanti di tutto il circondario si riversavano in città per la vendita dei loro prodotti. La chiesa di San L’IDENTITA’ RITROVATA Attualmente si sta facendo molto per conservare e divulgare le tradizioni del borgo catalano, non solo linguistiche o culinarie, visto l’antica tradizione gastronomica di Alghero, ma anche sociali e religiose, sebbene quest’ultime fossero ben consolidate nelle coscienze dei cittadini. La Settimana Santa Algherese è uno degli esempi più eclatanti delle tradizioni tramandate dai catalani, ogni anno sono centinaia i fedeli che si accodano con le fiaccole alla lunga processione, mentre sono migliaia quelli che la osservano lungo il suo percorso. Quando il corteo si snoda tra la folla raccolta ai lati delle strade, è un attimo d’intensa religiosità e riflessione e mentre il prete 62 Francesco, con il campanile leggermente più Doloretta e Don Nughes. Don Nughes, grazie alla basso di quello della sua scuola di algherese ed alla rivista dell’Alguer, Cattedrale, è stata da oltre vent’anni cerca di diffondere la coscienza costruita nella metà di un’identità algherese, storica, linguistica e popo- del XIV secolo. Può lare. Per la conservazione del dialetto, la sua spe- essere considerata la ranza risiede negli ambienti familiari; quindi che Cattedrale affettiva persone come Doloretta Caneglias, algherese DOC, degli abitanti del cen- parli ai suoi nipoti nella stessa lingua che ha impa- tro storico. rato dai genitori. “Il bilinguismo è accettato per l’inglese, il francese e le altre parlate estere, spiega il prelato, eppure raramente il nostro dialetto viene così ben accolto”. 63 BLU SARDEGNA Case & Vacanze Bu d o ni - Po r t o Ot t io lu - S a n T e o do r o “DIAMO CASA CASA ALLE ALLE TUE VACANZE 'ISOLA” SULL'ISOLA” CASE & VACANZE • LOCAZIONI ESTIVE • SERVIZI TURISTICI I n uno dei tratti più belli della costa nord Orientale, a 35 km da Olbia e dalla Costa Smeralda, l'agenzia Blu Sardegna svolge una qualificata attività di gestione ed intermediazione per l'affitto di case per le vacanze. 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È festa antichissima “ignorandosene il principio” che per alcuni studiosi risale al momento in cui i primi fedeli, attirati dalla fama del Santo, cominciarono a visitare il luogo in cui egli morì e dove in seguito fu ritrovato il suo corpo. La testimonianza più antica della celebrazione della festa si trova in una disposizione del 29 settembre 1520 emanata dall’arcivescovo di Cagliari, dove si ordina che: ”Tutti coloro che andranno a S.Antioco in Aprile come in Agosto, a celebrare gli uffici divini, partecipino alle distribuzioni come si trovassero in sede...”. Secondo la tradizione, Antioco nacque attorno al 95 – 96 d.C. in Mauritania, allora annessa all’Impero di Roma. Governatore di questa regione pare fosse lo stesso padre di Antioco, di cui non si conosce il nome, ma che di certo era di religione pagana, al contrario della moglie Rosa e dell’altro fratello Platano. Padre Tommaso Napoli nel suo libretto “Vita, Invenzione e Miracoli del glorioso Martire S.Antioco detto volgarmente Sulcitano” pubblicato a Cagliari nella Reale Stamperia nel 1784 descrive riccamente le opere del Santo: “Piamente e cristianamente educato il nostro Antioco applicossi dopo i primi studi a quello della medicina, che gli servì di mezzo opportuno per facilitargli la conversione d’un gran numero d’infedeli…Sparsasi perciò ben presto la fama del disinteresse, della carità, e dei prodigi del cristiano medico, era incredibile il concorso di ogni genere di persone che a lui ricorrevano per sollievo, e costretto vedeasi chiamato da più parti a scorrere or in questa or in quella contrada, qual fatica però egli con piacere addossatasi”. L’Imperatore Adriano, che si trovava verso l’anno di Cristo 126 in quelle regioni d’Africa, fece comparire Antioco al suo cospetto e lo accusò, nella sua qualità di medico e scienziato, di aver prestato il suo nome ad una setta nemica dell’impero, di aver negato il culto degli dei per adorare un uomo crocifisso. Decide di mandare il santo in esilio: “onde fatto tosto il rescritto, ed intimatoglielo, fu Antioco consegnato ad un cavaliere, o capitano chiamato Ciriaco, affinché al luogo il menasse del suo destino. Imbarcati sopra una nave, dopo sofferte alcune furiose tempeste calmate colle orazioni del santo, approdarono alle spiagge dell’isola di Sulcis, e trovatala deserta, ivi lo lasciarono in abbandono”. La leggenda vuole che qui, raccolto in preghiera nella sua grotta, Antioco muore mentre attende di venir prelevato dalle guardie romane che dovevano condurlo a Karales. Subito dopo la sua morte, che la tradizione fissa attorno all’anno 127, la fama delle sue opere si sparse nel Sulcis e poi in tutta la Sardegna. Nel luogo del ”martirio“ del santo moro sulcitano (si tratta di un ipogeo punico monocellulare che fa parte di un complesso catacombale di notevolissime dimensioni ancora in gran parte inesplorato), sorse il primo nucleo di una delle cattedrali più antiche della Sardegna, il cui primo impianto, unito al cimitero catacombale, risale al V secolo. Una lapide, anche questa databile allo stesso periodo rinvenuta nel 1615 sulla tomba che si suppone quella del santo cristiano, attesta la storicità del personaggio. L’iscrizione è da ritenersi, verosimilmente, il documento più antico che riguarda Antioco; in questa è detto santo – BEATI SCI ANTHIOCI - e vescovo – PONTIFICIS XRI -. Le strutture originarie della chiesa sono tipiche dell’architettura bizantina. La cupola è l’elemento architettonico più importante e presenta come quella di S. Saturno di Cagliari, le scuffie agli angoli del quadrato su cui imposta, particolare costruttivo del IV-V secolo. Il 13 luglio 1102 la chiesa di S. Antioco in Sulcis, donata nel 1089 dal Giudice Costantino ai monaci Vittorini di Marsiglia, veniva riconsacrata dal vescovo Gregorio dopo alcune ristrutturazioni e modifiche. Nel 1124 un altro Giudice di Cagliari, Mariano Torchitorio, donava al Santo l’isola sulcitana che da quel momento prenderà il nome di Isola di Sant’Antioco. Importantissima, per il valore storico e letterario, è la donazione fatta l’11 giugno 1216 dalla Giudicessa Benedetta di Lacon Massa e da suo figlio Guglielmo, Giudice della Provincia di Cagliari, a favore del Vescovo di Sulcis Bandino e dei suoi successori. La donazione è redatta in un coltissimo volgare sardo (l’originale è conservata presso l’Archivio di Stato di Torino) e testimonia del ruolo non subalterno della lingua sarda nei confronti del latino cancelleresco fin dal XIII secolo. Ecco una breve parte iniziale del testo: “Ego Benedita de Lacono, Donna de Logu, cun fillu miu Doniguellu Guillelmu, pro uoluntade de Deus, Podestandu parte de Caralis, fazu custa carta pro beni quillat fatu a su Donnu miu Santu Antiogu de isola de Sulki: dau illoi a sa iscla de Finugu, e a iscla de Logos, e a Cortinas: a iscla Masonis: a iscla Maiori qui est inter aquas a Corru de ponti, qui sunt custas isclas da y su ponti inoghi in qui intrant ayntru de isola de Santu Antiogu, et sunt da in chi de sa Clesia de Santu Speradu, de ponti fini a sa terra firma. Custas isclas imoi dau cum omnia causa cantu si appartenint a pusti custas isclas quindi fazat su Donnu su Piscubu miu de Sulchis, Maystru Bandinu su qui li at a plaguiri a uoluntade sua, segundu faguit de sas ateras causas de su Piscobadu suu, qui sunt in balia sua: a issu, et a totus sos Piscobus cantu ant esseri pusti issu in su Piscobadu de Sulchis: bollant pasquiri cun pegulia issoru: bollant fayri imoi silua, o fayri chircas, o piascari, o fayri veruna atera causa, qui torrit a proi a Santu Antiogu, et a su Piscobadu de Sulchis”.....”. (”Io Benedetta di Laconi, Signora del Luogo, insieme a mio figlio Donnichellu Guglielmo, per volontà di Dio, governando la regione di Cagliari, faccio questo scritto per il bene che ha fatto al mio Signore, S.Antioco dell’isola di Sulcis: gli dono le terre di Finugu, le terre di Logos, e quelle di Cortinas; le terre di Masonis e quelle di Maiori che sono fra le acque a Corru de ponti. Queste terre vanno dal ponte in qua ed entrano dentro l’isola di Sant’Antioco, e vanno dalla chiesa di Santu Speradu, dal ponte fino alla terra ferma. Queste terre ora dono con le loro pertinenze e con tutto ciò contengono, perchè il Signor Vescovo mio di Sulcis, Maestro Bandino, ne faccia ciò che gli piacerà secondo la sua volontà, come fa per le altre cose del suo Vescovado che sono in suo possesso: le dono a lui e a tutti i vescovi che ci saranno dopo di lui nel Vescovado di Sulcis: che vi facciano pascolare il loro bestiame, che facciano legna, questue, peschino o facciano qualsiasi altra cosa che torni a vantaggio di S.Antioco e del Vescovado di Sulcis.“). Durante la processione dedicata al santo. Foto storica della Sagra di Sant’Antioco. ”Sa Festa Manna“ La festa principale era quella che cadeva il lunedì, quindici giorni dopo la Pasqua. Il Vidal ricorda la festa di novembre che ricorda la sua morte, la festa d’agosto in ricordo della Dedicazione della chiesa ed infine quella che si festeggia in quaresima e ricorda la seconda e ultima consacrazione della chiesa fatta da Pietro, vescovo sulcitano. Dal giovedì precedente, il Capitolo della Cattedrale di Iglesias cominciava a preparare per il lungo viaggio a Sulcis la grande e pesante statua di Sant’Antioco che durante l’anno stazionava nell’ap67 F E S T E Le zone archeologiche dell’isola di Sant’Antico e i famosi tophet. 68 E F O L K L O R E posita cappella in Cattedrale, il cui altare una bolla di Gregorio XIII del 1584 aveva reso “privilegiato”. Il simulacro, veniva rivestito con la toga rossa delle occasioni più celebri e collocato su un carro, trainato da un possente giogo di buoi, i migliori del Sulcis, parati a festa ed ornati di fiori e condotto fuori da Iglesias, accompagnato dai membri del Capitolo sino alla chiesa di San Sebastiano. I processionanti erano preceduti e seguiti dalla cavalleria, che li scortava fino al sepolcro del Santo, nell’isola di Sulcis. Dopo aver sostato a Barega, il cocchio giungeva la sera a Barbusi, dove si fermava fino all’alba. La notte, trascorsa a Barbusi illuminata da centinaia di fuochi, era caratterizzata da grandi cene, seguite da balli e da canti. La mattina seguente il corteo processionale si rimetteva in cammino e, attraverso Coederra e San Giovanni Suergiu, raggiungeva il ponte di Santa Caterina che immetteva nell’isola di Sant’Antioco. I festeggiamenti si protraevano per quattro giorni dal sabato a tutto il lunedì. È da ricordare la memorabile festa del 4 maggio 1615, che a detta dell’Esquirro superò per la sua importanza i confini della Sardegna, protraendosi per quattro giorni: “E benché ogni anno si celebri in maniera solenne e completa, il quattro di maggio dell’anno 1615, però, si festeggiò più solennemente che mai. Il 18 di marzo di quello stesso anno, infatti, fu ritrovato il Santo Corpo. L’Arcivescovo di Cagliari Mons. Desquivel fece preparare per il Papa Paolo V una relazione dettagliata sul ritrovamento del corpo di S.Antioco, conservata nell’Archivio Segreto del Vaticano; altra copia, accompagnata da un reliquiario d’argento che conteneva un osso della gamba del Santo, venne inviata al re di Spagna Filippo III e l’originale si trova ancora nella Biblioteca Nacional de Madrid. La notizia si divulgò rapidamente mentre come ogni anno per la festa del dopo Pasqua, si stava provvedendo a rimettere in sesto i ponti e le case dell’Isola. Già dal giovedì cominciarono a convergere verso Iglesias folle sempre più numerose di fedeli. Chi era a piedi e chi a cavallo; tutti allegramente devoti, trasportavano la statua del Santo e l’urna rivestita di velluto carminio dove era il corpo. Su un’altra portantina era trasportata la testa custodita in un reliquario d’argento finemente cesellato, con bassorilievi di angeli ed altri fregi “muy curiosos”, che aveva fatto fare a sue spese Don Francesco Desquivel. Il sabato giunsero a Sulcis e, tra festose scariche a salve di fucileria, entrarono nella chiesa con un tale fervore che pareva di essere in mezzo a un “giudizio universale”, tanta era l’affluenza di gente. Lo zelo e la devozione dell’immensa folla era tale che moltissimi seguivano le sante reliquie andando in ginocchio per la strada accidentata e invocando il Santo. Alla festa, intervennero moltissimi aristocratici ed un numero esorbitante di cavalieri della nobiltà cagliaritana, abbigliati di stupendi e ricchissimi costumi. Il lunedì, dopo i vespri, Frà Tommaso Pitzalis dell’Ordine dei Predicatori di Cagliari, tenne un infuocato e straordinario sermone su S.Antioco che mandò in visibilio i fedeli. Subito dopo, tra salve di fucileria, si formò una grandiosa processione che, partita dal piazzale antistante la chiesa, trasportava su una portantina la statua del Santo, su un’altra che seguiva erano, invece, la cassa con il corpo e l’urna con la testa. La folla era così incontenibile che chi non aveva trovato posto nella piazza gremiva il tetto della chiesa; mentre lungo il tragitto del corteo erano disseminati numerosi archibugieri che, al passaggio della statua del Santo, sparavano a salve, secondo un ordine prestabilito. La processione si concluse tra la musica delle trombe e dei tamburi. E con essa si concluse anche la festa, la più grande e magnifica di tutti i tempi, per il numero dei partecipanti (vi accorsero gran numero di forestieri, Castigliani, Aragonesi, Portoghesi, Italiani e Francesi) e per l’abbondanza di merci e di alimenti, messi a disposizione e offerti all’acquisto, nelle rivendite. Il concorso della gente fu enorme, e l’Esquirro tiene ad affermare con la sua puntigliosa precisione che il numero dei cavalli fu di 4125, che le “tracas” (i carri coperti) furono 3000, i carri scoperti 1000, i carrettieri 4000, i barcaioli 150, senza contare la gente intervenuta a piedi che raggiungeva all’incirca il numero di 3000. ”Fura Santus“ Verso la metà del 1800, con la fine delle invasioni barbaresche, si pensò che fosse giunto il momento di riportare a su monimentu, all’altare della catacomba, le reliquie del Santo. L’Amministrazione della città di Sant’Antioco inoltra al Capitolo e al Vescovo di Iglesias la richiesta per ottenere indietro le reliquie da Iglesias. Ne seguì una lunga e difficile controversia tra i due comuni, con la reciproca accusa di ”fura Santus“. Nel 1853, le autorità di Sant’Antioco predisposero un piano per riconquistare, con l’astuzia, le reliquie del Santo. Al momento della partenza, al grido di ”Su santu est su nostu e s’Arrelichia puru“, circondarono la statua del Santo nel punto dove sorgeva ”sa cruxi de is reliquias“. Scrive Alberto La Marmora, che era allora comandante militare della Sardegna nel suo Itinerario: Nel 1851, allorchè io avevo il comando militare dell’Isola gli abitanti di Sant’Antioco si opposero a che le reliquie del Santo ritornassero ad Iglesias. Fecero tumulto, per cui io mandai con tutta fretta il vapore con truppa e con il Giudice istruttore: ma se nella forma avevano torto, turbando l’ordine pubblico, nel fondo avevano ragione, perché nel 1615 allorchè furono trovate le reliquie si specificò che le medesime sarebbero traslocate in Iglesias per timore della profanazione dei Saraceni, fino a che Sant’Antioco resterebbe disabitato, ora poi questo villaggio è molto popolato e può garantire dagli insulti le reliquie e dall’altra parte, dopo la conquista d’Algeri, non vi è più da temere le invasioni barbaresche. Fu intentata una lite, ed al momento che io scrivo è stata decisa in favore dei popolani, di modo che le reliquie del Santo ora riposano colà, né si fa più quello splendido accompagnamento dal Capitolo e dal municipio di Iglesias. Nel 1852, dopo una definitiva sentenza emessa dal Tribunale di Genova sollecitata dal Vescovo Giovanni Battista Montixi, i resti del corpo del Santo venivano riaffidati alla città di Sant’Antioco, ed è qui che si tiene ogni anno, quindici giorni dopo la Pasqua, la festa di S.Antioco, ”Martyr Apostolicus et Patronus totius Regni Sardiniae“. Elenco delle chiese sarde dedicate a Sant’Antioco S.Antioco di Sant’Antioco (CA) S.Antioco di Bisarcio Ozieri (SS) S.Antioco di Mogoro (OR) S.Antioco di Atzara (NU) S.Platano e S.Antioco di Villaspeciosa (CA) S.Antioco di Muravera (CA) S.Antioco di Villamar (CA) S.Antioco di Sanluri (CA) S.Antioco di Villasor (CA) S.Antioco di Ulassai (NU) S.Antioco di Gavoi (NU) S.Antioco di Orgosolo (NU) S.Antioco di Scano Montiferro (OR) S.Antioco di Palmas Arborea (OR) Festa Festa Festa Festa a Bonaria di Cagliari a Girasole a Neoneli di Zeppara (OR) Simulacro a Dolianova Simulacro a Iglesias Veduta del paese di Sant’Antioco 69 F E S T E E F O L K L O R E L e origini della Cavalcata risalgono al 1899 quando Umberto I e Margherita di Savoia, giunti in città per una visita ufficiale, assistettero ad una sfilata di costumi tradizionali della Sardegna e ad un’esibizione di cavalieri. La festa da quella volta non fu più ripetuta e solo nel 1951, i soci del Rotary Club Sassari, in coincidenza di un convegno, organizzarono per gli iscritti provenienti da tutto il mondo una sfilata in costume, in qualche modo molto simile a quella originariamente offerta ai reali. Da allora è stata ripetuta tutti gli anni nel giorno dell’Ascensione fino a quando, a causa della soppressione di alcune festività infrasettimanali, è stata definitivamente fissata per la terza domenica di maggio (eccezionalmente spostata quest’anno al 2 giugno). La sfilata è imponente, grazie ai numerosi gruppi provenienti da ogni angolo della Sardegna che percorrono le vie della città in uno sfavillio di colori: i rossi della Barbagia, gli azzurri del Sulcis, i verdi del Campidano e i neri della Gallura. I costumi in genere sono molto vistosi, impreziositi da ricami e da gioielli di ispirazione ispano-moresca, spesso anche in contrasto con la povertà dei paesi di origine. Assai diversi uno dall’altro, per vari elementi caratteristici, i costumi hanno motivi ricorrenti: in quelli femminili il capo è coperto da un velo, una cuffia o uno scialle; le gonne sono lunghe e plissettate, il grembiule è ricamato. Più uniforme il costume maschile, con berretto o ”berritta“, corsetto, gonnellino e mastruca in orbace nero, che è un tessuto di lana non sgrassata e tessuto a mano. Tra le attrazioni di sicuro impatto vi sono i gioielli, meravigliosi manufatti orafi, nel passato indossati per ornare la sola veste festiva. Altri protagonisti sono i cavalieri, anch’essi in costume tradizionale, che nel corso della sfilata non rinunciano a mostrare la propria abilità. Il percorso può essere cambiato, solitamente ciò avviene a causa dei lavori stradali, ma, malgrado deviazioni obbligate, esso si snoda per le vie del centro concludendosi, in tarda mattinata, nell’immensa piazza d’Italia (un ettaro esatto). Essa viene comunemente definita il ”salotto“ di Sassari, sia per la sua bellezza sia per la sua centralissima collocazione. Nel pomeriggio, all’Ippodromo comunale, i cavalieri che hanno partecipato alla sfilata e, che per ragioni di sicurezza hanno dovuto rinunciare alle corse sfrenate, si affrontano in gare ippiche e si esibiscono in pariglie ed esercizi equestri. La sera fa da contorno alla manifestazione un’altra importante espressione del folclore sardo: la rassegna di danze e canti isolani. La Cavalcata è sentita dai sardi come un ”appuntamento di Primavera“, un incontro all’insegna della celebrazione dell’unità del popolo isolano. Nella pagina accanto: Cavalieri protagonisti di una sfrenata corsa alle pariglias. In questa pagina: Il vestito delle vedove di Ossi. Tipo di legatura del fazzoletto del nord Sardegna. Cavaliere di Bonorva. Testo e foto di Pasquale Capone CAVALCATA SARDA LA 71 c u l t u r a e s t o r i a Testo e foto di Enrico Olla PARCO ARCHEOLOGICO IL PRANU MUTTEDU DI Pochi passi più a nord dalla Tomba II, a breve distanza l’una dall’altra, si trovano la Tomba I e un’altra sepoltura megalitica del tipo a circolo, a completamento di quello che è il disegno ingegnosamente creato da chi un tempo faceva di quest’area un luogo di culto; se infatti riportassimo sulla carta le circonferenze che si otterrebbero legando tra di loro i menhir e i circoli megalitici, otterremmo una straordinaria stilizzazione del sole con i suoi raggi, che l’antico popolo di pastori locali adorava e rispettava. Il complesso megalitico rende bene l’idea di quello che l’uomo arcaico fosse in grado di creare, costruire e pensare, con a disposizione quei pochi materiali e conoscenze che aveva. Il grande ingegno di questi antichi uomini lo si può ammirare anche nell’altra parte del parco archeologico, più estesa e maggiormente sviluppata nella campagna dell’altopiano, dove è alta la concentrazione delle caratteristiche Domus de Janas, ”le case delle fate“. Si tratta di tombe scavate nella roccia arenaria, composte da uno o più ambienti, talvolta preceduti da un’anticella dove nelle camere funerarie, accanto agli inumati, erano deposti oggetti di corredo che accompagnavano il defunto nell’aldilà. Secondo la leggenda, le piccole tombe ipogeiche sarebbero le casine delle Janas, quelle fatine minuscole e bellissime, dotate di una voce deliziosa. Queste ”streghe“ scavavano da sole le loro abitazioni e avevano delle mammelle lunghissime che gettavano dietro le spalle per allattare i bambini che portavano dentro ceste legate alla schiena. Ma la seconda parte del parco presenta anche altre sepolture megalitiche a circolo come la Tomba III, la tomba V e la curiosa Tomba IV, caratterizzata e sovra- Domus de Janas nel parco di Pranu Muttedu, Goni La Tomba I, sepoltura megalitica del tipo a circolo di Pranu Muttedu I n territorio di Goni (CA), nella parte più settentrionale del Gerrei, tra alberi secolari di querce e roveri, sorge uno dei siti più suggestivi della Sardegna dove il tempo parco archeologico pare essersi fermato al IV millennio a.C. per portare sino a noi la testimonianza delle prime civiltà che l’abitarono. Lungo i tornanti che da S. Basilio conducono verso Goni (61 Km da Cagliari) si ha già la sensazione di trovarsi in una delle zone della Sardegna più selvaggia e silenziosa, quasi si avverte che si sta per giungere in un luogo magico, un tempo teatro di riti sacri e divinatori, in cui l’uomo adorava la natura e tutto ciò che questa potesse offrirgli per vivere. Una volta varcato il cancello dell’area archeologica, la prima sensazione è quella di trovarsi in una sughereta ben curata, coi sentieri delimitati e l’erba verdissima ai lati. Dopo i primi passi all’interno del parco, sulla destra appaiono una ventina di menhir la cui altezza varia da poco più di mezzo metro a tre metri, allineati lungo l’asse Est-Ovest con presumibili riferimenti astrali Gli scavi diretti da Enrico Atzeni negli anni e temporali, riconducibili al culto degli antenati. Proseguendo lungo il sentiero, sulla sinistra, a pochi metri dall’asse dei menhir, si apre un grande circolo ’80 hanno portato alla luce numerosissimi all’interno del quale, ai piedi di due grandi querce, si staglia la prima tomba (in realtà la seconda per ordine di manufatti di diversa tipologia e fattura, denominazione). La Tomba II costituiva il centro di tutta l’area sacra; scolpita in diversi blocchi di arenaria è forconservati al Museo Archeologico di mata da un padiglione d’ingresso, da un’anticella a forma semicircolare e dal nucleo tombale vero e proprio. Cagliari e appartenenti alla cultura che Del padiglione d’ingresso è visibile il portello interno sagomato a rincasso, manufatto finemente scolpito che prende il nome da San Michele Ozieri testimonia l’elevato grado di abilità raggiunto nella fabbricazione degli utensili e nella lavorazione della pietra da parte di quelle comunità stanziali di ”Cultura di Ozieri“, risalenti al neolitico recente (3200-2800 a.C.). Gli scavi diretti da Enrico Atzeni negli anni ’80 hanno portato alla luce numerosissimi manufatti di diversa tipologia e fattura, conservati al Museo Archeologico di Cagliari e appartenenti alla cultura che prende il nome da San Michele Ozieri, sito dove fu riconosciuta per la prima volta. Allineamento di menhir all’ingresso del 72 73 La Tomba II all’interno del grande circolo. stata da un trittico di menhir disposti evidentemente secondo un ordine familiare, che vede al centro il capoDomus de Janas nel parco di Pranu famiglia col menhir più alto, alla sua sinistra la donna, simboleggiata da un menhir leggermente più basso e Muttedu, Goni. tozzo e infine il piccolo rappresentato dal menhir più basso sulla destra. Tutta l’area del parco, che per la sua importanza archeologica viene visitato ogni anno da studiosi e turisti proUna Domus de Janas venienti da tutte le parti del mondo, gode di una rete di sentieri e di una segnaletica che rendono la ricerca all'interno del parco dei monumenti presenti molto facile e appassionante allo stesso tempo; le tombe e i menhir, infatti, sono spesarcheologico di Pranu so nascosti tra la vegetazione di macchia mediterranea e le querce secolari che spesso distano tra loro anche Muttedu. diverse centinaia di metri, rendendo la loro scoperta quasi una mini avventura alla Indiana Jones! Per quel che riguarda i servizi offerti al visitatore, all’interno del parco si trova l’unità introduttiva agli scavi, dotata di strumentazione multimediale in grado di orientare gli utenti alla visita dei monumenti sotto il profiall’interno delle camere funerarie, lo archeologico, storico e culturale. Inoltre, i visitatori che intendono approfondire la visita anche da un accanto agli inumati, erano deposti punto di vista naturalistico e paesaggistico (nei pressi del parco si possono visitare il grazioso centro abitaoggetti di corredo che accompagnavano to di Goni e le sponde del Lago Mulargia), possono fruire del servizio di ristorazione e gustare i prodotti il defunto nell’aldilà della cucina locale. La Tomba IV, La Triade. 75 A M B I E N T E Testo e foto di Pasquale Capone LE “NOSTRE ORCHIDEE SELVATICHE” C he sia grande o piccola, l’orchidea ha sempre un portamento altero. Nella pagina accanto: Orchidea provinciale Tutti conosciamo le orchidee esotiche, provenienti da lontanissimi angoli della (Orchis provincialis) terra, ma forse in pochi sanno che anche in Sardegna crescono generi e specie di Orchidacee che sono propri ed esclusivi del nostro territorio; esemplari che non Orchidea tridentata sono certamente né meno belli né meno singolari di quelli esotici. Le orchidee nostrane sono di forma e colori svariati, spesso molto belle anche se di piccole (Orchis tridentata) dimensioni. Il fatto che queste piante siano piuttosto rare e che diano luogo a numerosi ibridi, sono elementi che fanno della ricerca delle orchidee selvatiche una vera e propria “caccia” agli esemplari meno comuni. Le orchidee o Orchidacee sono piante altamente specializzate, Le orchidee in poche settimane escono dalla terra, hanno una struttura trimera, ma a causa di una più elevata specializ- mettono foglie e fiori e scompaiono; la vita delle zazione delle parti floreali, la simmetria è diventata bilaterale con parti aeree è molto breve un’asse verticale che rende la parte destra del fiore l’esatta immagine speculare della parte sinistra. Nelle orchidee, in realtà si ha un perfetto adattamento alla fecondazione da parte degli insetti. Questo adattamento è sottolineato in modo spettacolare dalla specializzazione di uno dei tre petali, differente dagli altri per dimensione, forma, colore e talvolta anche per struttura. Questo petalo, detto labello, costituisce un caratterechiave delle orchidee. Il labello serve per accogliere più efficacemente gli insetti impollinatori, e, per ottimizzare il risultato riproduttivo, si è in parte modificato rinforzandosi e girandosi di 180° verso il basso, dall’ovario fino al peduncolo floreale, al momento in cui il fiore sboccia. Le orchidee in poche settimane escono dalla terra, mettono foglie e fiori e scompaiono; la vita delle parti aeree è molto breve. Quando arriva la primavera (ma anche durante un inverno molto dolce) la piantina si ingrandisce, spunta il germoglio dal terreno e le foglie si sviluppano all’aperto. Frattanto, interrato, il tubercolo comincia a divenire più scuro e a svuotarsi del suo contenuto per nutrire le piante e permetterne il ciclo evolutivo. La pianta cresce, mentre sotto terra i due tubercoli hanno mantenuto le stesse dimensioni. La loro somiglianza coi testicoli (orchis, in greco), giustifica il nome di un genere intero. Una volta che i fiori sono stati fecondati, la pianta scolora rapidamente. Gli ovari si gonfiano e, aprendosi, lasciano sfuggire nugoli di minuscoli semi che il vento trasporta e diffonde ovunque. Come individuare per la prima volta un’orchidea nell’immensa profusione di forme vegetali? L’orchidea predilige sempre degli habitat con terreni poveri; mal sopporta i bruschi cambiamenti ed esige quindi un ambiente stabile ed equilibrato; come pianta erbacea ricerca in genere habitat aperti. Gli incolti sassosi, la macchia rada e diffusa, i pascoli magri e abbondanti, i pendii ghiaiosi e calcarei, le zone siccitose, i detriti di falde erbosi sono in gran lunga i siti più ricchi di orchidee. Gli ambienti più ombreggiati come la macchia fitta, le siepi, e i boschi radi possono sostenere le specie prative, ma queste sono di “passaggio” e man mano che l’ombra si 79 A M B I E N T E A destra: due immagini dell’Orchidea farfallarossa (Orchis papilionacea) In basso: Orchidea purpurea (Orchis purpurea) 80 addensa, le scaccia progressivamente costringendole a una sopravvivenza esclusivamente sotterranea e ad una inevitabile scomparsa. Malgrado la predilezione di ambienti rispetto ad altri, le orchidee si possono facilmente individuare sia lungo le coste che nei centri montani. Il periodo migliore per osservarle è tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. La loro presenza è comunque seriamente minacciata. I fattori che ne potrebbero determinare la definitiva estinzione sono diversi. Tra questi annoveriamo la distruzione dei loro habitat naturali; l’uso sconsiderato di erbicidi e tutti gli altri agenti chimici che colpiscono gli alleati del ciclo biologico e l’abbandono di diverse attività rurali tradizionali come il taglio dei prati, il pascolo estensivo, la transumanza e lo sfruttamento dei canneti che in passato hanno permesso la sopravvivenza di alcuni equilibri “semi-naturali” Altro nemico, non meno pericoloso, è l’uomo. Sebbene lo spirito ecologista sia maggiormente diffuso rispetto al passato, è ancora troppo comune l’abitudine, assai dannosa, di recidere i fiori e le radici di qualsiasi pianta risulti bella o profumata, senza minimamente pensare che in un gesto, apparentemente indolore, è racchiuso un atto violento contro la natura. La sopravvivenza delle orchidee dipende dall’educazione e dalla sensibilizzazione del pubblico, dei gitanti, dei turisti e dei visitatori dei luoghi naturali. Così all’escursionista come al botanico, principiante o esperto, consigliamo di scattare piuttosto delle foto, invece che dedicarsi ad allestire raccolte o alimentare gli erbari per puro interesse personale. I t i n e r a r i S ELLA DEL LA DIAVOLO Testo e foto di Enrico Olla A pochi passi dal centro di Cagliari esiste un luogo mitico e ricco di fascino. La zona, circa tre chilometri quadrati, di notevole interesse naturalistico e archeologico, racchiude un mix di verde, roccia e mare cristallino, un piccolo paradiso tra la città e la spiaggia del Poetto. La leggenda racconta che il Diavolo, attratto dal fascino e dalla bellezza del Golfo di Cagliari se ne impossessò; allora Dio mandò i suoi angeli prediletti, guidati dall’Arcangelo Michele, a scacciare Lucifero, ma quest’ultimo nella sua fuga precipitosa perse la sua sella che cadde in mare pietrificandosi. Da quel momento il promontorio fu chiamato Sella del Diavolo e il golfo, preso in custodia dagli angeli, fu appunto nominato Golfo degli Angeli. Ed effettivamente anche nella realtà, la forma che appare tuttora a chi guarda il promontorio dal Poetto o dai colli cagliaritani è proprio quella di un’enorme sella che si staglia sul mare. La Sella del Diavolo, come tutto il promontorio di S. Elia del quale fa parte, è costituita da rocce sedimentarie di la forma che appare tuttora a chi guarda età miocenica, quindi geologicamente piuttosto giovani. All’interno di questo tipo di rocce carsificabili si sono il promontorio dal Poetto o dai colli caglia- formate diverse piccole grotte, che sono state abitate dall’uomo sin dal VI millennio a.C. Questo vero e proprio ritani è proprio quella di un’enorme sella monumento naturale è facilmente raggiungibile dal centro cittadino in pochi minuti di automobile, percorrendo che si staglia sul mare il viale Poetto e immettendosi nel viale Calamosca sino a raggiungere l’omonima spiaggetta e albergo sul mare. Proprio dalla strada dietro l’albergo parte il sentiero tracciato che si snoda, salendo dolcemente, tra la macchia mediterranea e le specie floreali spontanee come il bellissimo Iris dal colore viola; a metà percorso troviamo vari punti panoramici a picco sul mare, nel versante ovest del promontorio; proseguendo invece sul tracciato principale e continuando a salire per quache decina di metri si giunge sul pianoro sommitale, in prossimità del punto più elevato del promontorio (135 m.s.l.m.). Qui esisteva nel periodo punico un luogo di culto, di cui non rimane più traccia, dedicato alla Dea Astarte mentre è tuttora visibile una cisterna romana dalla classica forma a sezione tronco-conica con un diametro di 5 metri; l’imboccatura è protetta da una grata metallica e a fianco ad essa è visibile il sistema di vasche e canalette costruito sulla roccia per far confluire l’acqua piovana. Poche decine di metri più a valle della cisterna romana, in direzione ovest è presente, nascosta dalla vegetazione, una cisterna punica, di forma allungata, dalle dimensioni notevoli: 27 metri di lunghezza per 4,5 metri di profondità. Al periodo romano risalirebbe il martirio di S.Elia, che sarebbe stato ucciso in questi luoghi, secondo la tradizione, durante le persecuzioni di Diocleziano; l’intero promontorio e la torre semidiroccata, presente sulla sua sommità, portano ancora oggi il nome del martire. Nell’XI secolo tutta l’area venne affidata ai monaci Vittorini che costruirono un vero e proprio monastero, di cui son visibili i resti, e si presero cura di saline, peschiere e aree coltivabili delle zone circostanti; la torre presente è da considerarsi, invece, come facente parte del sistema di difesa ed avvistamento creato dagli spagnoli nel XVI secolo; tuttavia sembrerebbe che già durante il periodo pisano fosse presente un’altra torre con funzione di segnalazione, detta “della Lanterna”, anch’essa semidiroccata, raggiungibile tramite una ripida discesa tra le rocce. In seguito, la medesima torre, venne denominata anche “torre del Pouhet”, cioè del pozzetto, poiché situata nei pressi della cisterna romana. L’intera zona sarebbe poi stata denominata “Pouhet”, da cui il nome di “Poetto”, attribuito alla grande spiaggia dei cagliaritani. Le torri costiere continuarono ad essere usate anche in epoca sabauda, sin quando un Regio Decreto del 1867 82 stabilì che non dovevano più essere considerate posti fortificati. Durante la seconda guerra mondiale vennero realizzati un fortino e altre costruzioni, tuttora ben visibili, per i quali, con ogni probabilità, vennero riutilizzate le pietre dei resti della chiesetta di S.Elia, della quale, purtroppo, oggi si può appena apprezzare il perimetro. Una volta giunti nel punto più alto del promontorio, si può godere verso ovest di un ampio panorama che dalla baia di Calamosca, con il suo faro, prosegue verso le alture dell’iglesiente che diradano sino a Capo di Pula, per poi volgere lo sguardo verso levante e verso nord e perderci nell’orizzonte infinito del mare a sud. A nord si può vedere la città di Cagliari che dai colli di S.Michele e Monte Urpinu culmina con la parte più alta nello storico scorcio di Castello con la sua Cattedrale, per poi scivolare gradatamente verso la marina e il trafficato porto. Spaziando più verso est è facile notare come il Capoluogo sia supportato da un hinterland vastissimo che va da Pirri sino ad arrivare alla litoranea per Villasimius ai piedi delle montagne del Sarrabus. Di queste si scorgono, soprattutto nelle giornate più limpide, le punte del Serpeddì e dei Sette Fratelli e tra esse il pianoro di Burcei. In mezzo si protrae verso il mare la parte finale del Campidano e si stende ad arco la lunghissima striscia di sabbia del Poetto, che racchiude dietro di sé le saline e il grande stagno di Molentargius, altro esempio miracoloso di paradiso ai piedi dei palazzi cittadini, popolato da svariate specie di uccelli, tra cui il maestoso ed elegante fenicottero rosa. Il suo volo coreografico è spesso visibile sopra il promontorio della Il promontorio della Sella del Diavolo con la guglia e la torre Il mare color smeraldo a piedi della Sella del Diavolo Cagliari vista dalla cima del promontorio della Sella del Diavolo Un bellissimo Iris, molto diffuso tra la macchia mediterranea Il fortino della seconda guerra mondiale e la torre spagnola 84 Sella. Ma per gli occhi di chi sale in cima a questa postazione privilegiata sul golfo di Cagliari, lo spettacolo forse più sorprendente è dato da ciò che è possibile vedere abbassando lo sguardo proprio ai piedi del costone orientale della Sella; da nord verso sud si ha una vista mozzafiato dapprima sul porticciolo di Marina Piccola e i primi tratti della spiaggia del Poetto, poi sulle falesie che si stagliano in un mare color smeraldo del quale, nelle giornate di calma piatta, si può scorgere il fondale ora sabbioso ora roccioso. Il costone a picco sul mare termina con delle spiaggette di sabbia bianca finissima, raggiungibili solo via mare, così come la grotta dei Colombi, nei pressi della fantastica insenatura di Cala Fighera; il nome della cavità, che probabilmente è il più grande antro naturale presente in città, trae origine dai colombi e dai piccioni che ancor oggi, in gran quantità, nidificano al suo interno. Essendo accessibile solo via mare, con l’ausilio di una piccola imbarcazione, la grotta era frequentata dai pescatori e dai cacciatori della zona. Ma com’ è noto, da una delle leggende cagliaritane, essa fin dal 1800 è stata evitata a lungo perché considerata il nascondiglio di uno spettro maligno chiamato Dais, un uomo che, secondo avvenimenti realmente accaduti e documentati dalla cronaca, venne assassinato misteriosamente da brutti personaggi che poi abbandonarono il corpo sanguinante all’ingresso della cavità. Come detto prima, tutto il promontorio di S.Elia e la Sella del Diavolo sono stati, dai tempi più remoti sino all’ultima guerra mondiale, postazioni strategiche militari, utili per l’avvistamento delle flotte che giungevano dal mare. F E S T E E F O L K L O R E Testo e foto di Simone Repetto LA FESTA DI SAN GIOVANNI ni, suggestivi, poetici. Lo scambio della “promessa” fra innamorati e l’elezione dei “Compari di San Giovanni Processione a mare. Battista”. Così, le coppie “allacciavano” le loro braccia destre, la donna passava tra le mani unite il rosario, Grande Cristo di simbolo di fede, mentre l’uomo, con la sinistra, deponeva un pizzico di grano, simbolo di fertilità, in seno alla Bogliasco. sua bella. Simile il rito dei compari, consumato fra i giovani che volevano rendere indissolubile l’amicizia che li univa. Ed insieme, si attendeva il sorgere del sole, magari di fronte ad un fuoco crepitante, affinché potesse San Pietro portato in sorgere una nuova e più lucente alba negli occhi di chi l’osservava. Cinque giorni dopo, il 29 giugno processione. Carloforte festeggia nuovamente, questa volta il suo patrono: San Pietro Apostolo. Anticamente, si aspettava questa data per compiere il primo tuffo nelle splendide acque, suggellando, di fatto l’apertura della stagione balneare. Ma il fervore cristiano della ricorrenza viene prima di tutto, a partire dai preliminari. Le vie dove passerà la processione, vengono addobbate a festa, tra bandierine e luminarie, così pure i traghetti e le la statua del santo viene portata a barche che prenderanno parte al corteo marino. Dopo la celebrazione liturgica, la statua del santo spalla dai pescatori, mentre suona viene portata a spalla dai pescatori, mentre suona la banda musicale e sfilano imponenti i “Cristi”, enorla banda musicale e sfilano impomi crocifissi trasportati a piedi dai fedeli di alcune arciconfraternite giunte dalla Provincia di Genova. Il nenti i “Cristi” corteo prosegue il suo incedere a mare, con la suggestiva processione di barche di ogni grandezza, tutte in fila dietro al peschereccio ospitante San Pietro, salutato anche dai traghetti con ripetuti fischi di tromba. La festa si conclude in bellezza al calar della notte, quando la rada portuale viene illuminata da un esilarante spettacolo pirotecnico di fuochi d’artificio, visibile a distanza. ANNUNCIA L’ESTATE ISOLANA C Statua di San Pietro 86 ome consuetudine, l’estate a Carloforte si apre con la festa di San Giovanni Battista, il 24 giugno. È un appuntamento atteso, che si rinnova da secoli, anche se il fervore di un tempo è quasi un ricordo. Ma all’imbrunire del giorno precedente, il tema ricorrente è sempre lo stesso: “Alla sera che si và per erba, che si fa compare e comare, Carolina, che ti pare? Qual’è il dolce che piace a tè?”. E via dicendo, cantando il resto dello stornello, accompagnati dal suono del “ferro” (la chitarra), del tamburello o della fisarmonica, mentre diventano protagonisti i legami personali, i costumi tradizionali e un’erba dagli odori intensissimi, tipici della macchia mediterranea. Si tratta della mentuccia o pulegio (Mentha pulegium), nota ai carlofortini come erba di San Giovanni, che proprio a giugno và in fioritura e sprigiona tutti i suoi effluvi, puntando dritto al cuore di chi li respira. Da qualche lustro, il Gruppo Folk locale organizza una serata a tema, radunando un corteo che, partendo dalla centralissima piazza Repubblica, raggiunge il piccolo anfiteatro di piazza Camogli, nella parte alta della cittadina. Qui, si dà il via a balli in costume tabarkino, canti tradizionali con il gruppo “Casciandra” e ad una commedia dialettale, nel mentre le ragazze dell’organizzazione distribuiscono mazzetti delle odorose erbe, ma anche canestrelli e un buon moscato. Questo è ciò che resta oggi dell’ancestrale rito, vecchio quanto la colonizzazione isolana e ricordato con nostalgia dagli anziani che lo vissero in gioventù, partendo dai profondi significati morali, mirati a consacrare gli amori e le amicizie, la fratellanza e la solidarietà reciproca, la fedeltà e l’affetto. Anche i luoghi del rito erano diversi. Dalle campagne, numerose comitive si radunavano al crepuscolo, vagando qua e là alla ricerca della magica erba, nel mentre si udivano stornelli di circostanza, semplici ma intensi, che preannunciavano momenti solen87 ITINERARI D I F R A N C E S C O M U N T O N I Arbatax, Rocce Rosse ITINERARIO IN KAJAK SULLA COSTA OGLIASTRINA TORRE DI BARISARDO-PORTO FRAILIS O gliastra, paese aspro e avvolgente, da ammirare in ogni suo piccolo dettaglio; luoghi sempre nuovi da scoprire, terra dalla eterogenea e variegata bellezza dove profumi, colori ed ospitalità hanno toni più vivaci che altrove. Quale luogo migliore per affrontare, ad esempio, una lunga passeggiata a piedi, in bicicletta, a cavallo o in arrampicata nelle varie e incontaminate vette? Oppure montare su un kajak, la mia passione, e navigare per mare alla scoperta della bellissima costa, ricca di spiagge, a tratti sabbiose a tratti frastagliate e di graziose calette? Questo mezzo mi ha dato e mi da molte soddisfazioni, mi ha fatto conoscere più intimamente il mare e tutto ciò che gli è connesso. Geograficamente devo dire di essere molto fortunato per avere a disposizione una dei litorali più belli di tutta l’Isola da cui poter proporvi una suggestiva e salutare escursione. Prendo visione di un buon bollettino meteo, avviso la Guardia Costiera di Arbatax della mia presenza in mare per il week end e una > Tempo di percorrenza: un week-end. > periodo consigliato: giugno ottobre > miglia marine: tredici (circa) 88 volta ottenuto l’Ok inizio la mia avventura. Ho deciso di pagaiare nel tratto di costa che parte dalla “Torre di Barisardo” fino alla spiaggia di Porto Frailis ad Arbatax (Tortolì) dove si passerà la notte nel campeggio Telis per poi ripartire il giorno dopo verso il luogo di partenza. Percorrendo la statale 125 detta “orientale sarda” giungiamo al paese di Barisardo dove, a circa 5 km dall’abitato, si snoda una strada che ci conduce fino alla marina; qui una fitta pineta incornicia le due belle spiagge divise a loro volta dalla stupenda Torre. Sono arrivato alla spiaggia prestissimo e nell’occasione ho potuto godere di una magnifica alba; il momento è magico. Faccio una buona colazione e al chiosco “Sa Tracca” acquisto un’abbondante scorta di panini e bevande e riparto. Supero la spiaggia e giungo presso le falesie scure di origine vulcanica: questo è il promontorio di “Punta su Mastixi”. La scogliera si estende tra la “Punta Niedda” e la zona di “Trastu” per circa 3 km con altezza tra i 25/30 Mt s.l.m. con conformazione a tratti selvaggia e a tratti desolata. Il promontorio è il risultato di colate laviche provenienti da un piccolo monte vulcanico dell’entroterra. Da qui a poco incontreremo l’incantevole spiaggia di “Cea” nota anche come spiaggia “Is Scoglius Arrubius” (scogli rossi). Qui si elevano dal mare, a circa 200 Mt dalla riva, due bellissimi faraglioni di porfido rosso alti circa 15 Mt. La tentazione di sostare per qualche minuto sulla spiaggia è forte ma decido di continuare; la curiosità di vedere cosa c’è più a nord è tanta. Fiancheggio moltissime cale e anfratti molto suggestivi fino alla spiaggia di “Musculeddu” presso il “Lido di Orrì”. Le acque trasparenti, la candida sabbia e i suoi graziosi scogli di granito grigio rallentano la mia pagaiata: ecco la spiaggia di “Orri”, ben organizzata nei periodi estivi; numerosi chioschi dislocati lungo la costa forniscono fresche bevande, ottimi panini e piccoli pranzi. A nord intravedo la torre saracena di San Gemiliano che raggiungerò dopo qualche miglio ancora. Decido quindi di fare una sosta. Un bagno mi dà la carica per ripartire verso Porto Frailis dove il grazioso campeggio Telis ci ospiterà per la notte. Ormeggiato il Kajak, ho tutto il tempo per godere della quiete della baia, resa ancor più suggestiva dal fascio di luce che dal faro militare di Capo Bellavista si staglia sul tratto di mare. Al mattino, dopo colazione, smonto la tenda, metto in acqua il kajak e mi preparo per il rientro; la strada è lunga ma vi sono luoghi ancora inesplorati da visitare e posti visti frettolosamente da rivedere. Malgrado le diverse miglia percorse garantisco che la fatica è stata ampiamente ripagata. I praticanti di kajak conoscono bene l’effetto positivo che un’escursione come questa può infondere sul fisico e sulla mente a chi invece il kajak non lo conosce per nulla spero di avere trasmesso un po’ della mia passione. Campeggio Telis tel. 0782/667140-667261 Numero Guardia Costiera di Arbatax tel. 0782/667878 Punto di ristoro Sa Tracca tel. 328/5816375-340/3256745 89 Gastronomia D I M A R I N A D E S S Ì B E R L I N G U E R il fascino della pasta: ospitalità bulteina da gustare “U 1 Legge 04-07-1967 N° 580 Gazzetta ufficiale n° 189 del 2907-1907 2 Molimentos: deriva da Molimentu log. mucchio di pietre; spesso siti dove si uccidevano le pecore. Recapiti agriturismo: Tel. 079. 795718 Cell. 340.2554364 340.02296890 3 Pellizzas: pelliccette o piccole pelli, forse per la consistenza della pasta simile alla pelle. 4 Ghisadu: riferimen- to all’intingolo, al tipo di cottura in umido. 90 na contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce, e aveva si un’oca a denajo e un papero per giunta. Et eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano gratuggiato, sopra la quale stavano genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e lavori e cuocerli in brodo di capponi e poi li gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva” Decameron VIII 3. E chi di noi leggendo questa celebre illusione del Boccaccio non ha avuto l’acquolina in bocca sognando per un attimo la concretizzazione di una montagna così gustosa ed appetitosa? L’immaginario collettivo segnato da secoli di carestie, indigenza e sottoalimentazione, ancora oggi nei nostri paesi dell’abbondanza e del consumo, spalanca occhi disincantati ma affascinati dinnanzi alla fantastica ma “succosa” descrizione del mitico paese di Bengodi. E proprio da questa “montagna” di pasta, vorrei partire con una semplice riflessione, e cioè, che mentre lo sviluppo del mercato cerca di piegare alle sue leggi la produzione ed il consumo alimentare dei popoli, la pasta rappresenta l’alimento ancora oggi onnipresente in tutte le classi sociali e che, pur prodotta a tonnellate, rimane il cibo per eccellenza che la fantasia e la creatività personale dei cuochi rielabora in mille variazioni e in mille piacevoli bontà gastronomiche, che non vengono mai a noia. In semplici combinazioni soddisfa i più poveri e in più complesse interpretazioni e straordinari abbinamenti, lusinga e coccola il palato raffinato dei più abbienti. Tanto importante è quindi la pasta, tanto importante il suo cammino che facendo riferimento a Prezzolini nel suo Maccheroni & C. del 1957, parla non solo di diffusione italiana ma mondiale, un mondo essenzialmente popolare e perciò molto vasto che copre anche la Cina, il Giappone, e la maggior parte del Sud Est asiatico. E tale è la sua importanza, che ne è stata data una vera e propria definizione legale “Per pasta alimentare si intende il risultato di una catena di operazioni tecniche (su scala domestica artigianale o industriale) applicata ad una miscela di farina di grano tenero o semola di grano duro con acqua o altra sostanza più o meno liquida e che permetta di ottenere un impasto che sarà quindi ritagliato in forme regolari che saranno cotte con calore umido. La serie delle operazioni tecniche comprende la miscela degli ingredienti, la lavorazione dell’impasto, la frammentazione dello stesso, il modellaggio, l’eventuale essiccazione e l’eventuale conservazione. La pasta così ottenuta viene sottoposta a cot1 tura in acqua bollente.” La storia della pasta è molto varia, in Italia viene consumata come piatto a se, mentre in molti altri paesi viene essenzialmente proposta come contorno, spesso con delle verdure e al pari di una di esse. Nei secoli XIII e XIV, la Sicilia ma soprattutto la Sardegna, polo chiave delle vie commerciale del Mediterraneo, considerate veri e propri granai, elaboravano moltissimi tipi di pasta, sia fresca che secca, che venivano acquistate da Genova, e poi esportate in tutto il Mediterraneo. I nomi di queste paste sono di ispirazione catalana; si legge di fideus, di maccarons o macharons e anche obra de pasta . Per quanto riguarda quest’ultima terminologia, pare anche, che in questo modo venissero individuate intere partite di merci che contenevano anche altri generi alimentari a base di cerali. Sempre in Sardegna, come anche in Sicilia e in Puglia, il ruolo delle donne nella confezione dei vari tipi di pasta è stato ed è molto importante: le abili mani femminili esperte sia nella tradizione della pasta secca di grano duro che in quella di pasta fresca di grano tenero, hanno creato originali e innumerevoli formati da quelli semplici a quelli imbottiti e rifiniti come merletti. Certo, la pasta fresca esercita un fascino indiscutibile, eseguita in aziende artigianali o “fatta in casa”, “fatta a mano”, con forme regolari a testimonianza dell’alta professionalità dell’esecutrice ma anche con una certa irregolarità a testimonianza dell’originalità del formato, sia che fosse steso e ritagliato, sia lavorato pezzo per pezzo con le dita o rollato sul tavolo o passato su una superficie rigata o bucato con un ferretto. Proprio sulla strada Ozieri-Pattada al VII km dal bivio Buddusò-Bultei, in località Sa Fraigada, l’agriturismo Molimentos 2, rappresenta una piacevolissima sorpresa. L’azienda sorge in una delle più suggestive località della Sardegna, circondata da lecci e castagni a pochi km da I Tassi e da Sa Fraigada e qui dalle abili mani di Pina, Margherita e Tonina, nascono le stupende Pellizzas3 dalla grossa forma ovaleggiante realizzate al momento e condite con un ottimo sugo di pecora e cinghiale. Sas pellizzas Ingredienti: 1 kg di farina sarda, 2 uova intere, sale fino, acqua, pecorino. La ricetta: Disporre la farina a fontana nella spianatoia, unire lentamente l’acqua leggermente intiepidita, versando a piccole dosi con la mano sinistra, mentre con la destra rapidamente si riunisce la restante farina intorno alla massa più morbida fino ad esaurimento dell’acqua e fino a che la farina risulti bene intrisa. Si procede allora, con entrambe le mani alla lavorazione vera e propria della pasta, pigiandola e estendendola fino a che diventa liscia e dura. È importantissimo dosare bene l’acqua perché la pasta non si ammorbidisca eccessivamente ma rimanga sostenuta. A fattura ultimata coprire l’impasto con un telo. Intanto si fa bollire l’acqua precedentemente salata, in un tegame largo e non troppo alto. Dalla pasta si staccano dei pezzetti che con le mani inumidite, schiacciandoli tra pollice ed indice in dischetti sottili e leggermente concavi, vengono buttati nell’acqua che bolle. Se la pasta è stata eseguita bene, la prima e l’ultima pellizza si cuociono contemporaneamente. Le pellizzas in otto dieci minuti, lisce e callose al punto giusto, sono pronte per essere scolate e condite. Sugo per sas pellizzas: Questo tipo di pasta nasceva come piatto semplice e povero e anche il condimento si basava su tipi di carne di cui si disponeva in casa, di conseguenza, cinghiale e pecora venivano uti4 lizzati per un tipo di ghisaddu molto gustoso. La ricetta: Soffriggere lentamente in olio d’oliva un trito di abbondante cipolla, sedano, carota e pezzetti di lardo non salato. Unire circa 400 gr di cinghiale e 400 di pecora tagliati a dadolata irregolare e privati del grasso. Dopo 15 minuti bagnare con un bicchiere di vino rosso (a Molimentos si usa quello della casa) che si lascia evaporare sollevando la fiamma;proseguire la cottura a fuoco lento e a tegame coperto, per circa un’ora. A questo punto si uniscono i pomodori tagliati a pezzi, preferibilmente freschi, sodi, senza semi. Si prosegue la cottura, sempre a fuoco lento, rimestando bene con un mestolo di legno per un’altra ora. Il formaggio usato per condire la pasta è un pecorino dolce, sempre della casa. Le proprietarie del locale ricordano un sugo essenzialmente estivo, eseguito con moltissime cipolle affettate sottili, pomodori a pezzi, olio d’oliva e pecorino mescolato a ricotta affumicata sempre grattata. 91 cultura e storia D I G I U L I A F O N N E S U UNA PASSEGGIATA PER IL CASTELLO CON IL NASO ALL’INSÙ ALLA SCOPERTA DELLE “NOBILI ORIGINI” DELLA CITTÀ DI CAGLIARI I l nostro itinerario si svolge nel quartiere storico di Castello, antica roccaforte della città, dove si stabilirono le più antiche e nobili famiglie. Un po’ di storia ci aiuterà a capire meglio come si viveva in questo bellissimo quartiere ai tempi di dame e cavalieri… Per diversi secoli, a partire dall’inizio del Quattrocento, il ceto nobiliare della Sardegna svolse un ruolo importante in campo politico e sociale. Questa posizione privilegiata è ancora oggi testimoniata da palazzi e da ville costruite in epoche diverse, abitazioni che non si distinguono però per sfarzo e lussi, ma spesso solo per il portale sormontato da uno stemma, lo scalone in marmo, le eleganti finestre e gli elaborati balconi in ferro battuto, i fregi e festoni che adornano i prospetti. Date le modeste condizioni economiche dell’isola, anche la nobiltà non godeva infatti di grandi ricchezze. All’inizio del sec. XIV il re d’Aragona Giacomo II creò il Regno di Sardegna, strappando l’isola all’egemonia di Pisa; venne quindi instaurato un sistema feudale, e i nobili spagnoli e i sardi che appoggiarono il re furono ricompensati con terreni e feudi. I pisani furono quindi costretti ad abbandonare il Castello e i nobili catalani, maiorchini, valenzani e aragonesi si stabilirono sulle strade principali che attraversano la roccaforte sede del viceré e dell’apparato politico e amministrativo - in tutta la sua lunghezza: la via dei Marinai (l’attuale via Canelles), la via dei Mercanti (via la Marmora), la via Comunale (via dei Genovesi) e la via dell’Elefante (via corte d’Appello). Le case pisane erano costituite da un piano terra in muratura con dei portici sui quali si aprivano le botteghe di commercianti e arti- Cagliari, Bastioni San Remy 92 giani, e da uno o due piani superiori, con ballatoi in legno, dove abitavano i padroni delle botteghe. Questi edifici furono distrutti dagli incendi, tuttavia la struttura urbanistica del Castello ricalca ancora oggi quella del periodo pisano. A Cagliari le testimonianze di architettura civile quattro - cinquecentesca sono rare: è possibile vedere esempi di finestre gotico catalane in alcuni palazzi della via La Marmora o della via dei Genovesi. Nel secolo XVI emergono alcuni gruppi familiari: gli Aymerich, i Brondo, gli Zapata; queste famiglie di uomini intraprendenti e abili nel commercio dispongono di denaro contante e concedono prestiti alla Corona. In breve tempo i nuovi nobili accrescono i loro titoli, raggiungono una posizione di rilievo e la manifestano esteriormente. Gli Aymerich sono gli unici a Cagliari ad avere una chiesa di famiglia, la Speranza, attigua alla Cattedrale, sulla cui facciata spicca il loro stemma. I Brondo ristrutturano la vecchia casa che si affaccia sulla piazzetta la Marmora e fanno arrivare da Genova un imponente portale di marmo sul quale pongono il loro stemma; edificano inoltre le chiese della Purissima e di Santa Croce, dove conservano le armi di famiglia. Gli Zapata, arricchitisi maneggiando il denaro della città, edificano in via dei Genovesi (di fronte al portico Vivaldi) un palazzo rinascimentale (unico esempio in città) e, nello stesso stile, costruiscono una villa nel proprio feudo di Barumini, ancora esistente. Non sono rimasti a Cagliari altri palazzi relativi a questo periodo degni di nota, nonostante in epoca spagnola la via dei Genovesi fosse chiamata “Calle de Los Palacios”. Nella prima metà del Settecento la Sardegna passò in mano ai Savoia. Dalle relazioni dei viceré e dei funzionari piemontesi emergono le modeste condizioni della nobiltà sarda e la semplicità delle loro abitazioni. I piemontesi sviluppano quindi un piano di “rifiorimento” della Sardegna, dando un nuovo impulso all’imprenditorialità delle famiglie nobili. Aumenta la disponibilità finanziaria che stimola l’attività edilizia. Gli ingegneri militari piemontesi progettano anche edifici religiosi e civili introducendo lo stile barocco piemon- tese. Risalgono a questo secolo il collegio gesuitico di Santa Croce, il palazzo dell’Università, il Seminario e la ristrutturazione dell’ingresso e dei saloni del Palazzo Reale. Rientra nel gusto dello stile rococò piemontese la ristrutturazione del palazzotto comunale e la costruzione del palazzo del marchese Vivaldi Pasqua, prospiciente la piazza Carlo Alberto e la Cattedrale. Più o meno allo stesso periodo appartengono altri palazzi caratterizzati al “piano nobile” da vistosi balconi in ferro battuto che poggiano su mensole curvilinee. Alla fine del secolo XVIII i Savoia, costretti dai francesi ad abbandonare Torino, si rifugiano per quindici anni a Cagliari, che accentua quindi il suo ruolo di capitale. Dopo l’abolizione del regime feudale del 1835 i nobili espropriati dai loro feudi ricevono forti compensi in denaro e possono ristrutturare le loro case fatiscenti e costruirne nuove. L’inizio di questa fase edilizia è rappresentato dal palazzo Boyl, costruito proprio all’ingresso del Castello, al lato del Bastione di Saint Remy, sulla preesistente torre del Leone, costruita dai pisani agli inizi del XIV sec.; il barocco piemontese è sostituito dallo stile neoclassico, le volute e le linee sinuose cedono il posto ai volumi massicci e squadrati. Nel periodo seguente l’intera città è interessata dal grande piano regolatore e dalle opere di ristrutturazione di Gaetano Cima. Lo stile neoclassico da lui seguito conferisce ai palazzi un carattere monumentale e aristocratico, le facciate sono impreziosite da imponenti balconi, finestre timpanate, festoni di fiori e frutta. Numerosi sono i palazzi in via La Marmora e in via dei Genovesi da lui costruiti o ristrutturati. Ai primi del Novecento il Castello inizia a perdere la sua funzione di centro amministrativo e burocratico. Il primo segno è dato dalla costruzione del nuovo palazzo comunale in via Roma. Nel lungomare, di fronte al porto, la borghesia mercantile costruisce i suoi palazzi, ma solo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale convinceranno i nobili a scendere a valle e abbandonare le loro roccaforti. Cagliari, la Torre dell’Elefante nel centro storico Cagliari, tramonto dall’alto dei Bastioni 93 MUSICA D I R A F F A E L L A M A N C A LA LAMA NELLA LUNA T utto il mondo festeggia i quattrocento anni del cavaliere della Mancia. Dalla prima pubblicazione del Don Chisciotte, nel marzo 1605, sono milioni i lettori che si sono lasciati sedurre dalle avventure di questo signorotto di paese ormai cinquantenne, che sceglie di abbandonare ”calzoni e pantofole di velluto“ per ”cercare di riparare ogni genere di torti“. Per ricordare Il cavaliere temerario anche nei duelli più improbabili (come quello con i mulini a vento), bastano le iniziative che si susseguono per tutto il 2005 in varie località del mondo. Anche la Sardegna celebra il cavaliere di Cervantes grazie allo spettacolo della coreografa Livia Lepri, che ha portato in scena il 17 marzo, al teatro Verdi di Sassari ”Don Chisciotte, lode alla follia“, con la compagnia Danza Estemporada. Si tratta del primo appuntamento di un lavoro che sarà ospitato nei più importanti centri dell’isola e che proseguirà il suo viaggio in tanti teatri d’Italia. Nel suo personalissimo Don Chisciotte, la coreografa si è avvalsa di una collaborazione speciale, quella di Gianluca Vassallo, che per l’occasione ha scritto e realizzato le musiche dell’intero spettacolo. Noto a chi dell’arte ha fatto il proprio mestiere, conosciuto da chi ha avuto il piacere di seguire le sue produzioni, è invece una sorta di ”oggetto misterioso“, per alcuni versi difficili da comprendere, per chi lo osserva da lontano. Gianluca Vassallo è prima di tutto un artista. Musica e arte non sono solo parte della sua vita, si ritrovano facilmente nel suo sguardo, nelle parole, nel suo viso. Attraverso quest’intervista Gianluca si è raccontato. Attraverso le sue risposte ho cercato 94 di spiegare chi è Gianluca Vassallo. Dal tuo accento intuisco che la Sardegna non è la tua terra madre, che le tue origini sono altre. Sei arrivato qua con la tua famiglia? Sono nato a Napoli nel 1974, ma mi sono trasferito ad Olbia nel 1985 con i miei genitori. Ormai mi sento come adottato da questa isola, che ha un fascino speciale. L’intervista si svolge nello studio di Gianluca, dove accanto a chitarre, tastiere e batterie noto anche computer e mixer vari. La gente ti conosce principalmente come organizzatore di eventi, produttore di altri artisti, ma tu sei nato sul palco. A cosa è dovuta la tua scelta di cambiare ruolo? Ho imparato a suonare il pianoforte a quattordici anni e a quindici la chitarra. Due anni più tardi ho iniziato a sperimentare tecniche di registrazione, applicando le tecniche informatiche alla musica. Quando ero ancora molto giovane un importante produttore romano mi propose un contratto discografico. In realtà non l’ho mai realizzato. L’approccio alla musica è sempre stato per me un’esperienza privata, non ho mai sopportato schemi e convenzioni, tanto meno l’idea di rinchiudere la mia arte in un prodotto confezionato e manipolato dalla regia di qualcun altro. Di qui la scelta, a soli venti anni, di dedicarmi alla produzione discografica e artistica. Dopo un breve excursus nelle Marche, dove ho gestito uno dei più importanti caffè letterari d’Italia, ho iniziato l’attività di produttore di eventi, inserendoli all’interno di un preciso quadro artistico. Il mio intento è sempre stato quello di dar voce agli artisti, di offrire loro uno spazio in cui esprimersi. Con “La Lama nella luna” sei ritornato al tuo primo amore: la musica. Mi incuriosisce il titolo del tuo nuovo cd, lo trovo molto poetico, anche se credo non riguardi direttamente il Don Chisciotte. La Lama nella luna è un verso della prima poesia che si trova all’interno del libretto che accompagna il cd. La suddivisione delle musiche del Don Chisciotte in brani è stata influenzata, in particolare, da una poesia presente in un work in progress: ”Quaderni libertari”, una raccolta di poesie iniziata nel 2001 e ancora inedita. Per il Chisciotte ho scelto quelle che più sentivo vicine al tema ”dell’amore sostenuto dalla follia“, inteso come esperienza umana e di relazione con ciò che ci circonda. Le tre poesie scelte per questo lavoro raccontano un modo folle di esprimere l’amore, trasmettono non solo concetti, ma sentimenti, emozioni. In che modo è riuscito a venire alla luce questo disco, da un punto di vista discografico? Grazie alla Mare Nostrum Editrice, che ha creduto nel mio lavoro e nelle sue potenzialità. Se le mie musiche avranno la possibilità di essere ascoltate anche al di là dello spettacolo, sarà grazie a questa dinamica casa editrice. Non potevo non notare una dedica speciale, quella per Santiago Fidel Pablo. È a mio figlio che dedico questo lavoro. Perché a lui sto cercando di insegnare come sia fondamentale non essere parte delle convenzioni, essere folli in qualche maniera, distanziandosi da ciò che è precostituito. Vorrei che lui, come me, possa godere di un grande senso di libertà, costantemente alla ricerca di una verità che sia solo la sua. Gianluca appare un Don Chisciotte dei nostri giorni. Così come il cavaliere innamorato e il suo fido scudiero Sancho Panza hanno trasformato il luminoso e profondo paesaggio mancego nel riflesso del mondo, così le sue musiche hanno dato valore alle avventure e disavventure di personaggi che da quattrocento anni appassionano lettori in tutto il mondo. Sottolineando però con il suo lavoro i deliri, le ambizioni e gli ideali che oggi come allora rendono inquieto l’animo. Uno spettacolo sicuramente da vedere, ma ancora di più da ascoltare. 95 IMMERSIONI D I S T E F A N O C E L L I N I UN COMPLEANNO NEL BLU 20 ANNI DEL CENTRO SUB TAVOLARA T Centro Sub Tavolara Via Molara 4, 07020 Porto San Paolo – SS tel/fax: 0789.40360 cell: 347.6254864 340.8392154 numero verde: 800199676 [email protected] www.centrosubtavolara.com 96 rattando d’attività subacquee, d’esplorazione degli ambienti marini, d’apprendimento dei primi rudimenti per immergersi in sicurezza, di scoperta di particolari caratteristiche relative ad una specifica area geografica, si parla anche di ecosistema, di vita acquatica da tutelare e preservare, conoscenze da sviluppare, opportunità che si hanno per interagire positivamente con quanto s’incontra in questo “strano” mondo acquatico. Si rafforza così l’idea, che effettuare del turismo subacqueo all’interno di un’Area Marina Protetta (AMP), rappresenti un valore aggiunto alla scelta della destinazione di vacanza. Proprio in conformità a questo modello, il Centro Sub Tavolara, così come per migliaia di subacquei, esperti e principianti che sono stati accolti negli ultimi 20 anni d’attività, si propone ai lettori di Mare Nostrum, come il partner ideale per immergersi in questa porzione di mare della Sardegna nord-orientale: l’AMP di Tavolara e Capo Coda Cavallo. Obiettivamente, tutto l’ambiente marino della Riserva di Tavolara rappresenta un riassunto ideale delle molte specie che popolano il mar Mediterraneo, ed in tutto questo, poichè l’attenzione generale si sta concentrando sul tema della protezione ambientale, oggi più che mai è indispensabile modificare alcune abitudini dell’uomo, talvolta poco rispettose dei delicati equilibri ambientali, affidandosi a strutture accreditate e riconosciute dagli Enti e dalle Istituzioni. Anche se a questo punto tutto sembra essere inquadrato e gestito secondo precise regole comportamentali, l’attività subacquea mantiene in maniera molto evidente, le motivazioni e le emozioni che, indipendentemente dal livello d’esperienza posseduta, ogni subac- queo ha in sè: quegli stimoli che lo spingono ad unirsi ad un gruppo magari appena conosciuto, indossare l’attrezzatura e tuffarsi in quello che il comandante Cousteau, agli albori delle esplorazioni sottomarine, battezzò come ”il mondo del silenzio“. Senza dubbio, uno di questi ambienti da scoprire è rappresentato bene dall’isola di Tavolara: per chi arriva in prossimità del golfo di Olbia e si affaccia al finestrino di un aereo o alla murata di un traghetto, quest’isola appare come un’imponente fortezza calcarea, incorniciata da un mare che cambia rapidamente colore secondo le profondità e della tipologia del fondale, con altre piccole isole a fare da sentinelle a quella che è una delle Aree Marine Protette più ampie in Italia. Il fascino di Tavolara trova ragione anche nella sua storia geologica, in un’epoca in cui i profili delle coste disegnavano una mappa del territorio ben diversa da quella che ci appare oggi. Le tracce di questi cambiamenti, navigando lungo la parete sud dell’isola, sono chiaramente identificabili osservando un antico ”solco di battente“, che indicava il livello del mare ad oltre 10 metri d’altezza; in immersione, si rimane affascinati dalle spiagge fossili e dalle inimmaginabili forme che ha assunto il granito di Molara e Molarotto, eroso e modellato in un’epoca in cui queste superfici erano esposte all’effetto degli agenti atmosferici: 80 milioni d’anni fa, il livello zero del mare si trovava a - 24 mt! Nei tanti siti conosciuti, (oltre 40), la cui caratteristica principale è che entro i primi 20 metri c’è praticamente tutto quello che si può immaginare di vedere durante una immersione, ogni subacqueo può trovare spunti di interesse: dalle pareti calcaree di Tavolara piene di anfratti, piccole grotte, tunnel e massi ciclopici franati fino a 40 metri di profondità e più, alla diversità dei paesaggi sommersi che s’incontrano immergendosi attorno alle altre isole, la cui composizione granitica ha creato suggestivi percorsi, e fino ai fondali sabbiosi di Capo di Coda Cavallo dove, adagiato sul fondale di 39 metri, giace il relitto della nave Oued Yquem, affondata nel 1941 da un sottomarino inglese. Abbiamo accennato ad un importante com- pleanno ed in effetti, in un settore sempre in evoluzione e che, negli ultimi anni, ha visto modificare tendenze, abitudini, conoscenze, aspettative ed esigenze sia da parte dell’utente subacqueo brevettato ma anche di chi, per la prima volta, si avvicina al mondo dell’immersione subacquea con autorespiratore, festeggiare i 20 anni di presenza in quest’attività, è fonte di particolare soddisfazione. Il Centro Sub Tavolara garantisce ai subacquei esperti, per la scelta degli itinerari subacquei più adatti al proprio livello di certificazione, i suggerimenti di comprovate guide che hanno effettuato migliaia d’immersioni nella zona. Ma anche i principianti o chi, per la prima volta, si avvicina al mondo dell’immersione, possono affidarsi all’esperienza d’Istruttori Subacquei con la capacità acquisita attraverso anni d’insegnamento: tutto questo non sarebbe tuttavia possibile senza una gran passione per il mare e per il lavoro che è svolto. Il piacere di accogliere gli amici, al diving o in barca, in un ”clima“ confortevole, piacevole e familiare, l’impegno costante rivolto alla sicurezza dei subacquei in immersione ma anche verso la tutela e la conservazione dello straordinario patrimonio naturalistico nel quale si ha la fortuna di operare ogni giorno; un impegno per il quale lo staff ha ricevuto importanti riconoscimenti come l’elezione a diving dell’anno nel 1995, ed il Premio AWARE PADI nel 2002 e nel 2003. La sede del diving, che ha iniziato la sua attività nel 1985, si trova a Porto San Paolo, a soli 12 km a sud d’Olbia nella costa nord-est della Sardegna, una località turistica in forte espansione, che si affaccia proprio nel cuore dell’Area Marina Protetta di Tavolara e Capo Coda Cavallo. È facilmente raggiungibile per chi arriva ad Olbia all’Aeroporto Internazionale Costa Smeralda, ma anche per chi sbarca dai numerosi traghetti alla Stazione Marittima dove attraccano le navi provenienti da Genova, Livorno, Piombino e Civitavecchia. A Porto San Paolo, si trovano tutti i servizi necessari per trascorrere una vacanza all’insegna del comfort, del relax e del divertimento; al piccolo molo d’imbarco, attraccano tutte le imbarcazioni che propongono servizi in mare, come le escursioni nel piccolo arcipelago di Tavolara, il trasferimento sull’unica spiaggia dell’Isola dove si trovano due ottimi ristoranti, le barche da pesca e quelle destinate all’attività d’immersione e snorkeling. Il periodo d’apertura è molto lungo e, normalmente, inizia con il primo week-end d’aprile, per concludersi agli inizi di novembre. È quindi possibile organizzare settimane blu e soggiorni brevi, sia nella formula hotel sia affittando appartamenti dotati d’ogni servizio; la collaborazione con le migliori strutture recettive del posto, ci consente di proporre alcune soluzioni di vacanze a condizioni davvero vantaggiose. Un sito web particolarmente curato, è a disposizione di tutti i lettori interessati a trovare ulteriori indicazioni sui siti d’immersione, sul diving e la sua organizzazione, sulle iniziative che sono stagionalmente prese, ma anche sulle tante combinazioni proposte per effettuare una piacevole vacanza all’insegna d’immersioni indimenticabili. 97 cultura e D I G storia I A N L U C A D E D O L A PRESENTAZIONE DELLA GUIDA SARDEGNA La guida della Sardegna della collana “VOI SIETE QUI”. L’autore presenta la guida e parla del lavoro che gli ha permesso di percorrere la Sardegna in lungo e in largo. 98 C osa serve per scrivere una guida sulla Sardegna? Bisogna conoscere la sua storia o l’attualità? L’ubicazione delle sue spiagge o quella dei suoi paesaggi incontaminati? Oppure tutte queste cose insieme? Ovviamente, l’ultima opzione parrebbe la più sensata… ma potevo esserne così sicuro? Troppo grande la sfida, troppo alto il rischio. Dovevo affrontare questa avventura con la coscienza del viaggiatore ignaro di ciò che l’attende, senza alcuna cartina che mi condizionasse a seguire simboli e segnali, determinato a non percorrere itinerari arcinoti, in un isola ancora tutta da scoprire. Confesso di essermi perso un numero smisurato di volte ed è per questo motivo che consiglio vivamente di girare con una guida in tasca, io ho avuto un anno intero per rimettermi sulla retta via, solitamente si hanno meno di quindici giorni. Insomma, mi sono perso io per tutti ma a nessuno mancherà lo stupore trovandosi davanti agli imponenti nuraghi, alle tombe dei giganti, alla perfezione architettonica dei pozzi sacri; nessuno rimarrà impassibile davanti alle acque cristalline, che si aprono dietro manti vegetativi spesso impenetrabili, oppure colorati e profumati come gli oleandri. Neppure uno riuscirà a trattenere esclamazioni di stupore davanti a tutte queste meraviglie, nemmeno se annunciate, descritte e viste in fotografia. La Sardegna è definita un microcontinente, un piccolo insieme di meravigliose diversità, che permette di passare dalla paludosa pianura di Oristano, popolata da un numero infinito di uccelli, alle aspre cime del Sulcis e dell’Iglesiente, attraverso i resti dell’antico retaggio minerario, per poi affacciarsi sul deserto: il più grande d’Europa. Il paesaggio continua nei resti di un antico sprofondamento della crosta terrestre, storico fulcro dell’isola, per inasprirsi nuovamente nella Barbagia, oggi dedita alla produzione di ottimi formaggi ed insuperabili vini. Quando i candidi calcari scompaiono, la Gallura rivela la spina dorsale dell’isola, fatta di rosseggiante granito affacciato sul mare più blu del Mediterraneo. La descrizione potrebbe continuare per giorni, richiedendo continui approfondimenti e delucidazioni, ma nessun riassunto potrebbe spiegare un lavoro che ha richiesto 365 giorni, 25.000 Km e 3 cambi di copertoni, 10.000 scatti fotografici, 2.500 depliant, 200 libri e 2.000 segnalibro adesivi; inoltre l’assaggio di 80 tipi di vino, 100 piatti tipici, un numero imprecisato di affettati, dolci, pane e formaggi. Lo ammetto, non sono certo dimagrito. Quando poi, ho dovuto scrivere su carta tutto questo, ho seguito il percorso reale delle mie peregrinazioni, cercando di raccontare la storia e l’evoluzione del paesaggio, parlando dei singoli e “singolari” centri sardi, delle loro incantevoli spiagge e dell’immacolato entroterra, rivelando le curiosità ed i segreti per non perdere la strada ed il tempo, così preziosi quando si hanno pochi giorni per scoprire un’isola vecchia di millenni. Il grande impegno, nel cercare di essere il più preciso possibile, rende questo lavoro appetibile sia per chi vuol comprendere la Sardegna, sia per chi vuole approfondire le proprie conoscenze, anche se bisogna ricordare che questo non è un testo scientifico, piuttosto un’elegante almanacco di date, dati, avvenimenti, luoghi e testimonianze. In tutto il lavoro c’è un apporto tale di aiuti da parte di sardi autoctoni e d’adozione, da non essere sicuro di potermi definire l’unico autore dell’opera, piuttosto uno scrivano al suo servizio. 99 A ll’interno della rubrica guida vacanze troverete i numeri utili per organizzare i vostri soggiorni in Sardegna. Tutte le informazioni e gli indirizzi delle attività turistiche dell’isola, complete e a portata di mano per programmare e scegliere dove trascorrere dei giorni indimenticabili. v a c a n z e Buona vacanza! (Nei prossimi numeri di Mare Nostrum inseriremo delle nuove categorie e completeremo gli elenchi degli indirizzi) Agriturismo Alberghi e residence bed&breakfast Campeggi e ostelli charter g u i d a diving Immobiliari e case noleggio auto e moto ristoranti e pizzerie shopping 101 g u i d a v a c a n z e l’isola di Sardegna S i n t r o d u z i o n e e per un attimo ci si discosta dalla figura geografica classica che relega la Sardegna su un lato defilato dell’Italia, se si prende invece in mano una cartina fisica dell’Europa (senza confini politici) e si riosserva l’isola, ci si accorge di come sorga nel bel mezzo del Mediterraneo, vicino all’Europa ed all’Africa, affacciata sull’Italia ma anche sulla Francia e sulla Spagna. A questo punto si può iniziare a capire l’isola, la sua geografia, la sua storia ed i suoi popoli, da sempre al centro delle vicende Europee. Oggi la Sardegna è famosa per le spiagge, l’ambiente incontaminato ed il buon cibo, la stessa situazione era valida per gli uomini primitivi, che nell’isola trovarono i materiali adatti per fabbricare armi, selvaggina a sufficienza per sfamarsi ed un luogo ideale per rifugiarsi, grazie alla presenza di grotte e ripari sotto roccia. Da allora la Sardegna non è mai stata abbandonata dall’uomo, che vi ha scavato le famose domus de janas (piccole necropoli nella roccia), innalzato centinaia di menhir e dolmen, costruito templi ed altari megalitici. I nuraghi sono solo le costruzioni più recenti della preistoria sarda, il culmine della società e non l’inizio della vita sull’isola, come volevano invece alcune superficiali analisi del passato. Baunei, Cala Goloritzè g u i d a v a c a n z e Di seguito su questo lembo di terra si sono succeduti i più grandi imperi mediterranei, come quello fenicio, quello punico e quello romano e dopo la breve parentesi vandala fu il turno di quello bizantino, fino al periodo di autogoverno conosciuto come la gloriosa età giudicale. A tutto questo viavai di conquistatori i sardi non assistettero passivamente, ma opposero una resistenza mai debellata, riparandosi dietro i bastioni delle impervie montagne. A riprova di questa resistenza c’è il toponimo Barbaria, affibbiato dai romani alle zone più impervie, chiamate come i regni esterni all’impero, con la piccola differenza che queste erano nel suo cuore. La Sardegna, su una superficie di 24.090 Km2, ha un solo lago naturale, tutti i maggiori fiumi hanno carattere torrentizio ed è battuta quasi costantemente dal maestrale, che palesa il suo impeto nei bizzarri alberi che fungono da bussola, nella loro crescita angolata verso sud-est. Per ovviare a questa situazione, nell’ultimo secolo si è dato il via a numerose opere di sbarramento dei principali corsi d’acqua, creando dei vasti laghi che hanno favorito la nascita di centri abitati e modificato l’economia. Seppure nell’isola ci siano delle brevi parentesi minerarie e industriali, i suoi capisaldi economici sono sempre stati l’agricoltura e la pastorizia. Da questi ne è derivato un prolifico settore artigianale, che solo ultimamente è stato scoperto dal mondo esterno, dando il via ad un’attivissima esportazione. Ma ovunque si vada nell’isola si respira che la nuova tendenza economica va tutta per il turismo ambientale, per la valorizzazione del territorio, delle tradizioni e dei prodotti locali, generati da quella Sardegna millenaria che un tempo veniva considerata come un grossolano residuo di un’era arcaica, mentre oggi è indiscutibilmente ritenuta lo scrigno di bellezze senza tempo. Superficie 24089 Kmq ca. isole comprese Popolazione 1.651.888 Corpo forestale 1678.65065 Guardia Costiera 167.090090 Soccorso Stradale 116 Soccorso Alpino 070.728163-0784.31070 Province Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano Coste: 1.850 Km Come Arrivare Linee Aeree Alitalia Aeroporto di Elmas (CA) Tel. 070.240079 Volare Airlines Aeroporto di Elmas (Ca) 070.2128263 Meridiana Olbia Aeroporto Costa Smeralda Tel. 079.52637 Cagliari Aeroporto di Elmas Tel. 070.240169 AirOne prenotazioni Tel. 848 848 880 Collegamenti Marittimi Tirrenia Olbia (SS) viale Isola Bianca Tel. 0789.24691 Cagliari (CA) via Campidano Tel. 070.654664 Porto Torres (SS) Stazione Marittima Tel. 079.514107 Linea i Golfi Partenze da Livorno e da Piombino per Olbia e Cagliari e viceversa Olbia Tel. 0789.21411 Sardegna Lines Cagliari Tel. 070.655359 Olbia Tel. 0789.27933 Grandi Navi Veloci- Grimaldi Tel. 010. 589331- 555091 Moby Lines Navarma Olbia Tel. 0789.52600 Sardinia Ferries Olbia Tel. 0789.25200 i n t r o d u z i o n e Informazioni Generali: E.S.I.T. Ente Sardo Industrie Turistiche Cagliari Tel. 070.60231 Enti Provinciali Turismo: Cagliari Tel. 070.651698 Sassari Tel. 079.299544 Nuoro Tel. 0784.30083 Oristano Tel. 0783.74191 Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo Alghero Tel. 079.974881 Arzachena Tel. 0789.81090 Cagliari Tel. 070.664195 La Maddalena Tel. 0789.736321 Olbia Tel. 0789.21453 Palau Tel. 0789.709570 Santa Teresa di Gallura Tel. 0789.754185 Sassari Tel. 079.233534 Unione Sarda Albergatori Cagliari Tel. 070.288370 I.S.O.L.A Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Artigianato Tel. 070.400707 Numeri Utili Carabinieri 112 Polizia 113 Vigili del fuoco 115 Arbatax AGRITURISMO ALBERGHI E RESIDENCE GAVOI ARZACHENA AGRITURISMO CANDELA Loc. Candela cell. 329/9660095- 338/1522418 www.agriturismocandela.it [email protected] AGRITURISMO RENA loc. Rena tel. 0789/82532 ALGHERO AGRITURISMO FUEGO loc. Conchedda, Lago di Gusana tel. 0784/52052 LUOGOSANTO AGRITURISMO B&B CONCASONI di Pirina Marta Caterina Loc. San Trano tel. 079/652363 cell. 333/9046747 BOSA AGRITURISMO COLUMBARGIA Loc. Tres Nuraghes tel. 0785/41224 cell. 328/9462239 – 338/1328243 PALAU AGRITURISMO LI ESPI Loc. Li Espi Strada Isola dei Gabbiani (Porto Pollo) tel./fax 0789/705032 cell. 348/6951023 www.agriturismocolumbargia.it www.liespi.it [email protected] BUDONI AGRITURISMO “SOS RIOS” Loc. Sos Rios tel. 0784/826072- 826132 cell. 330/752085 – 349/0828942 SANTA TERESA GALLURA AGRITURISMO LI NALBONI Loc. Li Nalboni tel. 0789/754001 cell.340/9767572 www.sosrios.it [email protected] L’AGRICOLA SALTARA Ristoro e Soggiorno CALA GONONE SARDINIA NATOUR Via F. Carrara, 22 tel. 070/3481458 cell. 347/4883985 www.sardinianatour.it [email protected] CALANGIANUS AZIENDA AGRICOLA FUNTANA ABBAS Turismo rurale Loc. San Leonardo str. Prov. Olbia-Tempio tel. 079/669000 ax 079/669455 [email protected] www.funtanaabbas.it tel. 0789/755597 cell. 339/1326713-329/5651206 fax 0789/755025 [email protected] www.agriturismosaltara.com SANTA TEODORO olumbargia è un luogo di soggiorno ideale per chi ama trovarsi in vicinanza del mare e, allo stesso tempo, immerso nel verde, con colori unici e profumi indimenticabili. C AZIENDA AGRITURISTICA Loc. Li Mori tel. 0784/851000 Cell. 348/8607678 TORPÈ ARBOREA www.hotelportoconte.com CENTRO VACANZE ALA’ BIRDI- Strada a Mare 24 ARBATAX tel. 0783/80500 fax 0783/801086 [email protected] ARBATASAR HOTEL Loc. Porto Frailis, 11 tel. fax 0782/651800 www.hotelalabirdi.it www.alabirdi.it www.arbatasar.it [email protected] ARZACHENA HOTEL LA PERLA Viale Europa, 15 tel. 0782/667800 ALBATROS CLUB HOTEL V.le Costa Smeralda, 28 fax-0782/667810 [email protected] tel. 0789/83333 fax 0789/840064 [email protected] HOTEL LA BITTA Loc. Porto Frailis tel. 0782/667080 www.albatrosclubhotel.com fax 0782/667228 [email protected] HOTEL AIRONE Strada per Baia Sardinia tel. 0789/933021 r.a. www.arbataxhotels.com fax 0789/933027 www.hotel-airone.com POSEIDONIA HOTEL Viale Europa, 3 tel. 0782/664068 [email protected] fax 0782/664485 www.hotelposeidonia.it [email protected] HOTEL CASA MIA V.le Costa Smeralda tel. 0789/82790 [email protected] fax 0789/83291 [email protected] www.hotelcasamia.it RESIDENCE BORGO DEGLI ULIVI Loc. Porto Frailis snc HOTEL CITTI V.le Costa Smeralda,197 tel. 0789/82662 fax 0789/81920 [email protected] www.hotelcitti.com HOTEL RISTORANTE GRAZIA DELEDDA da Nello e Tommaso www.borgodegliulivi.biz VILLA PEONIA residenze Turistiche Via Lugano, 5 Strada per Baia Sardinia tel. 0789/98990-98988 Loc. Portofrailis tel. 0782/622837/667137 fax 178.271432 BARISARDO HOTEL DOMUS DE JANAS Viale della Torre, 24 www.villapeonia.it [email protected] [email protected] www.predasrujas.it tel./fax 0784/829620 VILLANOVA MONTELEONE AGRITURISMO VESSUS S.S. 292 direzione Villanova Monteleone Km 1+850 tel. 079/9735018 cell. 337/308447 [email protected] www.vessus.it Piatti tipici, pernottamento, escursioni, trekking, equitazione. SARDINIA NATOUR a piccola agenzia di Incoming specializzata nell’organizzare viaggi tra natura e cultura. Vi offriamo il mare e la campagna negli angoli più suggestivi della Sardegna. L TRESNURAGHES-BOSA TEL 0785/41224 CELL. 338/1328243 - 328/9462239 WWW.AGRITURISMOCOLUMBARGIA.IT tel. 0782/667318 fax 0782/667621 [email protected] fax 079/942045 [email protected] tel. 0782/665018 fax 0782/664007 [email protected] AZIENDA PREDAS RUJAS Loc. Predas Rujas Agriturismo COLUMBARGIA VILLAGGIO SARACENO Località San Gemiliano HOTEL PORTO CONTE Loc. Porto Conte tel. 079/942035 Via Carrara, 22 - 09125 Cagliari Tel./Fax +39 070 3481458 Cell. +39 347 4883985 [email protected] www.sardinianatour.it tel. 0782/29361 fax 0782/28081 [email protected] www.domusdejanas.com Hotel la bitta HOTEL LA TORRE Località Torre di Barisardo tel. 0782/28030-1 envenuti nell’incantevole scenario della Baia di Porto Frailis. Qui, con un’accoglienza squisita fatta di preziose attenzioni vi ospiterà l’Hotel La Bitta. La gestione curata direttamente dai proprietari, Vi garantisce un soggiorno signorile, ricco di cordiale atmosfera che ricorderete a lungo. B fax 0789/29577 [email protected] www.hotelatorresardegna.it BOSA CORTE FIORITA ALBERGO DIFFUSO Via Lungo Temo De Gasperi, 45 tel. 0785/377058 fax 0785/372078 [email protected] www.albergo-diffuso.it HOTEL MANNU Viale Alghero tel. 0785/375306 fax 0785/375308 BUDONI HOTEL LU BARONI Loc. Porto Ottiolu tel./fax 0784/844633 cell. 329/2247643- 329/2247646 [email protected] CAGLIARI HOTEL REGINA MARGHERITA Viale Regina Margherita, 44 tel 070/670342 fax 070/668325 [email protected] www.hotelreginamargherita.com Hotel La Bitta Loc. Porto Frailis – 08041 Arbatax Tel 0782/667080 fax 0782/667228 www.arbataxhotels.com [email protected] NATIONAL DJ TEAM ANIMATION STAFF Via Mar Grande, 7 (Taranto) telefax 099/7722649 www.ndtanimation.com [email protected] L' Hotel Casa Mia si trova in una posizione ideale per le varie escursioni in tutto il nord Sardegna. Le camere, luminose e con vista panoramica, sono tutte dotate di bagno privato, phon, Tv a colori, impianto di climatizzazione, telefono diretto e tutti gli accessori di cortesia. Nel nostro ristorante è possibile gustare i tipici sapori di una delle isole più belle del Mediterraneo. Hotel Casa Mia Viale Costa Smeralda 07021 Arzachena (Sassari) Tel. +39 789 82790 - Fax +39 789 83291 E-mail : [email protected] 106 Situato ad Arzachena, nel cuore della Costa Smeralda, l'Hotel dista 25 km dal porto e dall'aeroporto di Olbia sulla strada che da Olbia conduce a Palau. 107 ALBERGHI E RESIDENCE Hotel rosa dei venti i trova in località Lu Bagnu, a 3 Km da Castelsardo, suggestiva città al centro del golfo dell'Asinara. Moderno complesso residenziale di recente costruzione, offre la soluzione residence ed hotel con un'ampia zona comune, sala Tv Satellitare, bar, ascensore, veranda esterna e garage coperto. S Loc. Lu Bagnu - 07030 Castelsardo (SS) - Tel/Fax +39 079/474255 www.hotelrosadeiventi.com [email protected] ALBERGHI E RESIDENCE ALBERGO MEDITERRANEO LA MADDALENA HOTEL MIRALONGA Strada Panoramica Via Don Vico, snc HOTEL RISTORANTE JANAS Marina di Tertenia (Loc. Sarrala) ituato a 30 metri dal mare, con accesso diretto in spiaggia, si trova a Santa Maria Navarrese, località turistica al centro della costa orientale sarda, in una delle zone più intatte e selvagge dell’isola. L’albergo dispone di 30 camere, tutte con bagno, telefono diretto, radio tv color, satellitare e aria condizionata. S tel. 0789/722563/64/65 fax 0789/722404 [email protected] www.miralonga.it LANUSEI VILLAGGIO TURISTICO OASI BOSCO SELENE inf. e prenotaz. 0789/483001 cell. 348/4043571-348/4043573 LUOGOSANTO HOTEL SAN TRANO Via Caprera tel. 079/6573026-36 fax 079/6573035 [email protected] www.hotelsantrano.com MONTI CASTELSARDO ALBERGO RESIDENZIALE SU PINU Via San Giovanni HOTEL RESIDENCE ROSA DEI VENTI Loc. Lu Bagnu tel. 0789/449058 fax 0789/449062 [email protected] tel./fax 079/474255 www.hotelrosadeiventi.com www.albergosupinu.it [email protected] NUORO DORGALI HOTEL SACCHI Ristorante Tipico - Bar - Escursioni - Trekking BUE MARINO HOTEL Via Vespucci, 8 Fronte Mare Cala Gonone Loc. Monte Ortobene tel. 0784/31200 fax 0784/34030 tel. 0784/920078 fax 0784/920069 cell. 347/7713099 www.hotelsacchi.it [email protected] www.hotelbuemarino.it ORGOSOLO I Via A. Vespucci, 8 – 08022 Cala Gonone - Dorgali (NU) Tel 0784 920078 Fax 0784 920069 Cell. 347.7713099 www.hotelbuemarino.it e.mail:[email protected] Via Lungomare - 08040 Santa Maria Navarrese (NU) - Tel. 0782/615380 Fax 615428 - E-mail [email protected] - www.albergomediterraneo.it SANTA MARIA NAVARRESE NUOVO HOTEL MURRU Via Razzoli, 34 ALBERGO MEDITERRANEO Via Lungomare, 1 tel./fax 0789/709483 [email protected] tel. 0782/615380 fax. 0782/615428 [email protected] HOTEL LE DUNE RISTORANTE PIZZERIA Loc. Porto Pollo www.albergomediterraneo.it fax 0789/704113 [email protected] www.hotelledune.it SANTA TERESA GALLURA tel. 0789/704013 HOTEL LA FUNTANA SRL Via Nazionale tel. 0789/741025 HOTEL PICCADA SRL Via degli Asfodeli, 6 tel. 0789/709344 0789/741163 [email protected] www.hotellafuntana.com 0789/709344 [email protected] www.hotelpiccada.com META HOTEL- TRAV. Via Nazionale tel. 0789/741109 PALAU HOTEL Loc. Monte Zebio tel. 0789/708468 cell. 347/3098520 [email protected] www.metahotel.it fax 0789/709817 www.palauhotel.it SASSARI GIRASOLE PORTO MANNU RESIDENCE HOTEL Loc. Capo D’Orso HOTEL SHER-DAN S.v. Rio d’Ottava SS 131 Km 218,900 HOTEL L’ULIVO Loc. 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Villasimius Km 36,2 tel. 070/792032 fax 070/7928029 cell. 349/5781014 [email protected] www.hotelleanfore.com tel. 0784/402437 fax 0784/401247 www.web.tiscalinet.it/saejana PALAU n posizione panoramica a pochi metri da Cala Gonone. 31 camere con bagno privato, 2 junior suites, ristorante panoramico, terrazza bar, solarium, servizio escursioni. tel. 0782/909005 fax 0782/909156 Possibilità di escursioni “via mare e montagna”. ALBERGO RIST.PIZZERIA SA ‘E JANA Via Catte, 2 hotel bue marino TERTENIA Hotel ristorante Sher-dan ituato in una tranquilla località a 5 minuti dal mare e a sette minuti dal porto di Porto Torres, la strategica posizione dell’Hotel permette di visitare in poco meno di mezz’ora i maggiori centri turistici del nord-ovest Sardegna, quali Alghero, Stintino e Castelsardo. Ideale punto di partenza per visitare il Parco dell’Asinara. S S.V. 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