54 — carta canta libri Tre recensioni I di Giuseppina La Face Bianconi SAT (Società degli Alpinisti Tridentini) ha tenuto concerti nel mondo intero, riscuotendo vasti consensi di pubblico e l’attenzione dei musicisti e della critica. Massimo Mila e Luigi Dallapiccola ne parlavano in toni ammirati; per il SAT scrissero armonizzazioni anche Arturo Benedetti Michelangeli, Giorgio Federico Ghedini, Andrea Mascagni, Bruno Bettinelli. Si segna come data di fondazione il 25 maggio 1926, giorno in cui tredici giovani, nel Castello del Buonconsiglio di Trento, cantarono «ad orecchio» una serie di canti popolari. Un’altra data da ricordare è il 1959, quando il coro SAT cantò a Stoccolma «La Montanara» mentre Salvatore Quasimodo riceveva il premio Nobel dal re di Svezia. Nascita e sviluppo del Coro sono legati al nome dei fratelli Pedrotti, in particolare Enrico e Silvio: quest’ultimo tenne un imponente archivio di canti e carteggi, de- carta canta / libri l coro della cisivo per ricostruire la storia del coro. A quest’impresa si è dedicato ora Piero De Martini, architetto e designer di professione, musicologo per passione, nel suo bel libro Il Conservatorio delle Alpi pubblicato da Bruno Mondadori. In esso traccia l’attività del coro e il ritratto delle personalità che al SAT hanno legato la propria esistenza – Luigi Pigarelli, Antonio ed Enrico Pedrotti, Renato Dionisi –, offre un saggio di Massimo Mila e interventi dei critici musicali Giampaolo Minardi e Angelo Foletto: lettura avvincente, dove il dato storico non va disgiunto da un’affettuosa partecipazione emotiva. Al volume, arricchito da una cronologia, è allegato un cd; a tal proposito va detto che De Martini ha riversato in 23 cd l’intero materiale sonoro dell’Archivio, lavoro meritorio ai fini della conservazione di un patrimonio musicale fiorito sul crinale tra tradizione orale e musica d’arte. Il Centro Studi Giacomo Puccini pubblica il brogliaccio del libretto di Tosca, recentemente acquisito dalla Cassa di Risparmio di Lucca, la quale ne ha favorito la splendida edizione per i tipi di Leo S. Olschki, in due tomi: facsimile e trascrizione diplomatica. È come se il lettore tenesse in mano il «copione» in cartoncino color carta zucchero che passò sullo scrittoio di Giulio Ricordi, Giu- seppe Giacosa, Luigi Illica e Giacomo Puccini indaffarati a ridurre per le scene operistiche il dramma di Sardou. Il testo di base, di Giacosa e Illica, sta sulla pagina di destra; su quella di sinistra i librettisti e il musicista hanno via via proposto aggiunte, varianti, migliorie; Puccini, in particolare, vi ha annotato embrioni di motivi musicali in molti casi confluiti nella partitura (compare per esteso l’abbozzo di «E lucevan le stelle»). La tormentata stesura si può comodamente decifrare tenendo a lato la trascrizione, che riproduce anche i minimi particolari fisici dell’originale – i colori degli inchiostri e delle matite, le pecette incollate sopra la pagina, i fogli pieghevoli aggiunti – e fornisce un commento puntuale: vediamo letteralmente come il dramma musicale prende forma. Nell’introduzione la curatrice Gabriella Biagi Ravenni, docente nell’Università di Pisa, direttore della Fondazione Puccini e presidente del Centro Studi, fa dialogare lo scartafaccio lucchese con tutti gli altri documenti superstiti del lavoro su Tosca. Tra gli ultimi titoli dell’Epos di Palermo figura un’ottima monografia del musicologo cremonese Daniele Filippi su Tomás Luis de Victoria. Nato ad Ávila intorno al 1548, attivo a Roma come maestro di cappella e sacerdote negli anni 1565-1585 circa, infine cappellano nel convento madrileno delle clarisse francescane (Las Descalzas), dove morì nel 1611, il grande polifonista spagnolo segnò, col Palestrina e con Orlando di Lasso, l’apogeo della polifonia «classica» a fine Cinquecento. Non è un genere, questo, che oggi «tira»: tanto più meritorio appare dunque l’impegno profuso nel vaglio delle scarse testimonianze biografiche e nella presentazione analitica di una produzione sorvegliatissima, connotata da un rigore formale ferreo e da una pervasiva spiritualità. Complimenti anche all’editore, cui non manca il coraggio delle sfide difficili. ◼ Piero De Martini, Il Conservatorio delle Alpi. Il Coro della SAT: storia, documenti, testimonianze, Milano, Bruno Mondadori / Milano-Torino, Pearson Italia, 2009, xi-242 pp. con un CD audio, isbn 978-88-615-9364-0, 38,00 euro Victorien Sardou, Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, Tosca, musica di Giacomo Puccini, I: Facsimile della copia di lavoro del libretto (Fondazione Cassa di Risparmio, Lucca); II: Copia di lavoro del libretto, a cura di G. Biagi Ravenni, Firenze, Leo S. Olschki, 2009 («Centro Studi Giacomo Puccini – Testi e Documenti», 2), 138 + xli-139 pp., isbn 978-88-222-5862-5, 120,00 euro Daniele V. Filippi, Tomás Luis de Victoria, Palermo, L’Epos, 2008, 223 pp. con 12 tav. f.t., isbn 978-88-8302-362-0, 28,30 euro carta canta — 55 libri D neutro come Momenti Dora Minai inserisce alcune rarefatte perle poetiche, intervallandole a immagini pittoriche astratte in cui lei stessa indaga la materia con sezioni dall’aspetto misterico e inquietante. Il piccolo libro di poesie edito da Supernova sembra un racconto in versi che riassume in termini essenziali e mai compiaciuti il flusso ondivago di un’esistenza, spesso invocando per le spirali del ricordo un silenzio che ne lasci intatta la scia, come per esempio in Presso il mare («Non più parole, non più confronti,/Non più dialoghi remissivi di colpe mai compiute»), oppure in L’ineffabile («Le parole ci confondono/ Si fanno beffe di noi»). Il più delle volte l’universo dei sentimenti è rappresentato attraverso la formula del dialogo con l’amato, evocato direttamente attraverso un costante utilizzo del pronome tu, che emerge anche quando il soggetto sembra appa rente mente altro, come si legge nell’ambigua Comunanza («Ti ricordi quando bambina guarivo/ Con la saliva le ferite del tuo tronc o/Q u a n do fra le lacrime/Confidavo i miei tormenti/E t u, con la scusa del vento,/Accarezzavi i miei capel l i ./Ti ricordi quando io, unica all’ascolto/Piangevo con te le tue foglie morte»). Se alle volte si percepiscono echi lontani della lirica monodica arcaica («Al tuo divino banchetto vorrei essere chiamata/Con le tue gazzelle fuggenti, i cavalli bizzarri/Con i tuoi greggi mansueti e i giganti inginocchiati/All’altare della Madre», Cielo), altre una Venezia solo apparentemente accogliente dà luogo a isolate crudeltà quotidiane, espresse con abilità mediante tratti stilizzati («Nella calma dell’acqua/Dove lo sguardo si rilassa/Un gabbiano/Poi due infierirono/ Sull’inerme colombo/Fino alla morte/Così lui volò/Nel cielo sconosciuto/Piccola preda portata/Al covo/Del rapace», Venezia). Tra squarci della memoria e audaci enjambement una vita si dipana in trenDora Minai, Momenti, totto magnifiche Supernova, Venezia 2007, tessere. (l.m.) ◼ 60 pp., euro 8 entro un titolo piuttosto Venezia come un set C di Manuela Pivato ’è Julia Roberts che fa jogging a San Vio e Donald Sutherland che fa il Casanova. C’è Woody Allen che gira e rigira la stessa scena tra le calli e Florinda Bolkan che soffre d’amore alle Zattere. C’è Tazio che langue sulla battigia del Des Bains e la gondola di Moonraker che attraversa Piazza San Marco come una scheggia. C’è tutta Venezia in centinaia di film, dal muto a oggi, che compongono Set in Venice, il nuovo volume di Electa curato da Ludovica Damiani (con un’introduzione di Paolo Mereghetti e un saggio di Carlo Montanaro) che racconta con testi e immagini la storia cinematografica della città. È una cavalcata di fotografie, aneddoti, citazioni lunga un secolo tra le pellicole più memorabili girate a Venezia, set naturale di drammi, amori, avventure, gialli, commedie. Ma è soprattutto una carrellata di ricordi di registi, attori, direttori della fotografia, scenografi, costumisti che hanno lavorato in laguna. Come ad esempio Woody Allen, che racconta di Tutti dicono I Love you. «Mi dissero che per girare a Venezia avrei impiegato sei volte il tempo previsto perché bisogna continuare a salire e scendere dal motoscafo – spiega il regista newyorkese –. Invece, proprio per questo motivo, ci mettemmo sei volte di meno. Non c’era traffico e raggiungevi la location successiva in sessanta secondi rispetto ai sessanta minuti che impieghi a New York». Il mito di Venezia vive e rivive sempre, anche quando campi e palazzi vengono ricostruiti in un teatro di Cinecittà, come per il Casanova di Federico Fellini che scelse Donald Sutherland per «la sua faccia cancellata, vaga, acquatica, che fa venire in mente Venezia». E poi naturalmente c’è Tinto Brass in tutte le tinte, soprattutto quelle forti. «Di ogni film che giro, cerco di ambientarne anche solo una piccola parte a Venezia – dice il regista veneziano». Ottanta i film presentati nel volume e illustrati fotograficamente grazie a un’accurata ricerca iconografica compiuta attraverso archivi nazionali e internazionali, cineteche, case di produzione, collezioni private e archivi di fotografi professionisti. Moltissime le curiosità, come ad esempio quella che riguarda Anonimo Veneziano che, con la sua atmosfera grigia e invernale, fu invece girato in piena estate mentre la gondola – anzi la «Bondola» – di Moonraker fu costruita in quattro esemplari che potevano raggiungere i cento chilometri all’ora, non uno di meno. ◼ carta canta / libri I «Momenti» di Dora Minai 56 — carta canta dischi In cd un «Concerto italiano» per Händel La voce di Lorenzo Regazzo anche in Fenice a febbraio D Agrippina di H ändel al Teatro Malibran, Lorenzo Regazzo ritorna alla Fenice in febbraio col Barbiere di Siviglia di Rossini nel ruolo di Basilio, che aveva già cantato a Venezia nelle passate produzioni dirette da Claudio Scimone e Marcello Viotti. Finito l’anno «händeliano» merita di essere ricordato il suo ultimo disco: si tratta di Concerto Italiano (Naive), lavoro dedicato ad arie tratte da Opere e Cantate di Händel, dirette da Rinaldo Alessandrini, in cui Regazzo riafferma la propria nobiltà di stile, la precisione nell’emissione vocale e l’acuta definizione dei caratteri teatrali, che lo impongono senza dubbio come uno dei migliori interpreti per la musica del Settecento e del primo Ottocento. «Ho debuttato nel ’92 col Turco in Italia di Rossini, vincendo il concorso “Toti dal Monte” – racconta Regazzo – e dal 1994 canto regolarmente al Rossini Opera Festival. Insieme a Mozart, Rossini rimane il mio caposaldo, per me l’ultimo dei barocchi, dove vivere il canto come bellezza. Amo opo carta canta / dischi di Mirko Schipilliti molto il ruolo di Basilio, anche se non lo eseguo spesso, forse perché fino a poco tempo fa veniva affidato a bassi profondi, vuoi anche perché la prima versione dell’aria della calunnia era in do, mentre ora si canta la successiva versione in re, per la quale serve un basso-baritono». Quanto conta invece saper affrontare Mozart? Mozart è una vetta, apparentemente semplice sulla pagina. Non si basa sull’acuto in senso ottocentesco, è una musica che si può facilmente espletare in senso teatrale. Si mette a fuoco la tecnica ma si è anche cantanti-attori. Mozart è anche un crocevia per cantare altro e richiede una forte capacità di controllo. In Mozart c’è tutto. Com’è stata l’esperienza col direttore Renee Jacobs? Le registrazioni di Nozze di Figaro e Don Giovanni, nelle parti di Figaro e Leporello, sono molto particolari. Jacobs riesce a portarti a una grande libertà, c’è molto teatro, e viene ricreato proprio il teatro che forse Mozart cercava. Ci sono repertori più adatti per avviare una carriera? Potrebbe essere rischioso per i giovani di 22-25 anni presentarsi subito con Verdi. Quando li ascolto rimango perplesso. La voce inizia a formarsi più tardi. Ci vuole un tipo di maturazione fisica, dai 20 ai 35 anni, per raggiungere la piena maturità verso i 35-40 anni. Poi serve la capacità di riproporre il proprio repertorio con crescita e maturazione, serve un’evoluzione. Mozart è una bella palestra per ogni voce, soprattutto per i più giovani. È un bene o un male essere catapultati all’improvviso su un palcoscenico importante? Credo che il grande successo non significhi molto per un debutto. Nel caso non andasse bene, cadrebbe un grande inizio di carriera, che dovrebbe invece essere graduale. Diversamente, quando c’è già una carriera avviata, non ci sono problemi se una tappa del percorso non va bene. I giovani ci sono sempre, il ricambio c’è. E in provincia la possibilità di debutto esiste ancora. È importante conoscere bene il repertorio Barocco? Ho acquistato fama di cantante «barocco», anche se è un repertorio che frequento solo dal 2000. Siroe di Händel diretto da Marcon in quell’anno è stata infatti una delle produzioni che ho amato di più, un momento magico della mia carriera. Un tempo si pensava erroneamente che nel Barocco si potesse cantare meno bene o che fosse terreno per voci precarie. Ora stiamo ritornando all’idea del virtuosismo di secoli fa, e per la musica barocca troviamo grandi virtuosi con voci cristalline. Per la voce la musica barocca è sempre un balsamo. ◼ A sinistra: George Frideric Handel nel 1733, ritratto da Balthasar Denner. carta canta — 57 dischi – libri L di Giovanni Greto a casa editrice veneziana inizia con questo age- vole manuale la collaborazione con la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, un’istituzione milanese privata non profit, che si prefigge di salvaguardare e rilanciare i mestieri d’arte, una realtà più che mai vitale e ricca di potenzialità per il futuro. L’Autore traccia un percorso dal Medioevo ai giorni nostri, indagando sulla figura poco conosciuta dell’artefice degli strumenti musicali, lo «strumentaio», la cui abilità tecnica è sempre passata in secondo piano, travolta dal fascino del musicista-esecutore di gran fama. La scelta di non esaminare i periodi più antichi, premette Meucci, deriva dal fatto che solo a partire dal tardo Medioevo le fonti ci consentono di ricomporre, pur se in maniera ancora lacunosa, l’ambiente e le modalità di costruzione, in particolare per quanto riguarda organi e campane. Il libro, riccamente illustrato, si legge tutto d’un fiato, alla maniera di un appassionante romanzo storico, grazie a un’esposizione chiara, una prosa non prolissa e al tentativo, riuscito, di far capire anche al lettore non particolarmente esperto, invenzioni e termini tecnici, essenziali nell’evoluzione costruttiva. In ognuno dei cinque capitoli nei quali è suddiviso il volume – il Medioevo, il Rinascimento, l’epoca Barocca, Illuminismo e Romanticismo, il Novecento – troviamo annotate tutte le innovazioni che rivoluzioneranno la vita di uno strumento. È il caso dell’archetto, che nel Medioevo irrompe sulla scena degli strumenti a corda, proveniente, pare, dall’Asia centrale, dove venivano prodotti e utilizzati eccellenti archi da caccia. L’idea potrebbe esser nata, strofinandone uno sulle corde degli strumenti a pizzico di allora – pensiamo alla lira –, traendone un nuovo tipo di suono. Per concludere, al pianoforte, lo strumento che ha subito le maggiori trasformazioni, inventato da Bartolomeo Cristofori (1655-1732) alle soglie del ‘700, è dedicata un’appendice, nella quale è riportato un breve estratto da The Piano. A History di Cyril Ehrlich, dove si descrive l’impresa innovatrice di fondamentale importanza deRenato Meucci, Strumentaio. gli Steinweg/SteinIl costruttore di strumenti musicali way, la celebre ditta nella tradizione occidentale, Marsilio, fondata nel 1853. ◼ Venezia 2008, 392 pp., euro 29 La «Celebration» di Sheila Jordan e Cameron Brown I fa riferimento alla celebrazione del settantaseiesimo compleanno di Sheila Jordan (è nata a Detroit il 18 novembre 1928), avvenuta in un doppio concerto al Triad di New York, nell’Upper West Side di Manhattan il 17 e 18 novembre 2004. Quello che sorprende innnanzitutto, a un primo ascolto, è la freschezza di una voce ancora giovane, nonostante l’avanzata età anagrafica. In secondo luogo, la godibilità e la poesia di una formazione ridotta all’osso, ma che non fa rimpiangere l’assenza di alcuno strumento, neppure i canonici pianoforte e batteria, con i quali di solito una cantante affronta il palcoscenico. «Tutti mi dicevano se ero pazl titolo del cd Sheila Jordan za, negli anni cinquanta, quando per la prima volta mi esibii in duo con Charlie Mingus nel 1955», scrive la Jordan nelle note di copertina. Eppure, senza gli accordi di un pianista e senza un batterista che funga da metronomo, i musicisti esprimono la propria ricchezza interiore e artistica, risultano più creativi, rischiano un esperimento certamente molto impegnativo e ne escono vincitori. Il merito va equamente spartito con Cameron Brown: un contrabbasso dal timbro corposo, che trasuda swing a ogni poro e asseconda, attentissimo, le variazioni della Jordan, quasi i due fossero un’identità unica, inscindibile. Altro pregio è che nessuno dei due si esprime con frasi fatte, né indugia in gigionismi, magari per strappare l’applauso. Nel repertorio, accanto a un paio di brani originali sia di Brown che della Jordan, trovano spazio tre medley eccezionali. La prima, dedicata a Miles Davis, inserisce «Freddie Freeloader» all’interno di «All Blues». La seconda è un omaggio alla maestria ritmica di Fred Astaire e Ginger Rogers, mentre l’ultima ricorda forse il maggiore protagonista del Be Bop, Charlie Parker e si conclude con un’esemplare esposizione – scat incluso – di «Scrapple from the apple». Felice e guSheila Jordan + Cameron Brown: stoso, infine, l’interCelebration. Live at the Triad play con la Clayton (HighNote Records) nella celebre «Birk’s Sheila Jordan, voce; Works» d i DizCameron Brown, contrabbasso; Jay Clayton, voce in «Birk’s Works». zy Gillespie. (g.g.) ◼ carta canta / dischi – libri Lo «strumentaio» attraverso i secoli