Anno XVI - Numero 1 - 23 gennaio 2010 L’Intervista Parlano il regista Franco Zeffirelli ed il direttore Asher Fisch A Pag. 2 La Storia dell’Opera Per Verdi un divertimento di fine carriera A Pag. 6 Il racconto di un testimone Come componeva e come provava Verdi A Pag. 8 Analisi dell’opera Falstaff, un capolavoro nuovo ed antico A Pag. 11 Un inganno per Verdi La curiosa storia di fotografie famose A Pag. 15 FALSTAFF d i G i u s e p p e Ve r d i Falstaff 2 F Il Stagione 2010 al Teatro Costanzi Parlano il regista Franco Zeffirelli ed il direttore Asher Fisch «Un Falstaff che ricalca quello mitico del Met» ranco Zeffirelli bissa se stesso. Dopo aver chiuso la stagione 2009 con la fastosa Traviata, apre questa nuova con un altro titolo verdiano, il Falstaff , con il quale dalla prima esperienza del 1956 si è cimentato già 9 volte. «E’ questa un’opera che mi ha detto tutto e subito», dice il Maestro fiorentino. «Ogni volta ho cercato di approfondire aspetti particolari per sottolineare tutti i dettagli, ma poi tutte le mie esperienze di ricerca finivano fatalmente per riportarmi all’idea originale, quasi non ci fosse altro da dire». Questo allestimento è, dunque, improntato su quello del 1956 rimodellando gli stessi bozzetti ed utilizzando addirittura qualche costume di allora. «In questo allestimento, però, c’è molto del mio Falstaff che nel 1964 chiuse il vecchio Teatro Metropolitan di New York, prima dell’apertura del nuovo al Lincon Center. Al Met mi chiamarono dopo aver visto la fragranza, i sapori shakespeariani del mio film Romeo e Giulietta. Quell’occasione fu anche il debutto del grande Leonard Berstein nell’opera lirica. L’ultima produzione del vecchio Met doveva essere indimenticabile erealmente lo fu. Di quella esperienza ricordo lo screzio che ci fu con Lenny, quando a fronte dei 10 minuti necessari per il cambio scena finale, dove avevo ricreato un magnifico bosco sulle sugge- stioni di quello che avevo visto al tramonto a Windsor, Bernstein mi disse che tutto quel tempo avrebbe interrotto la continuità della narrazione. Io insistetti ed inserii quella sce- Franco Zeffirelli na magnifica e poderosa, ma alla fine, lo ammetto, ebbe ragione lui». «Dal Falstaff trarrei una morale – conclude il Maestro – Che il mondo è una burla ed è meglio prenderlo con i contorni di uno scherzo. C’è poi un altro punto di lettura: Falstaff è un vecchio pazzo che, con la complicità del vino, rinnova dentro di se questo continuo germogliare di desideri della carne giovane. Anche Verdi era così nella vita e da anziano continuava a dare i pizzicotti sul fondoschiena delle donne di casa». A Roma dopo 20 anni All’opera di Roma il Falstaff di Verdi torna dopo vent’anni di assenza. L’ultima volta era andato in scena, per sette rappresenta- ~ ~ La Copertina ~ ~ Adolf Hohenstein - Bozzetto per un manifesto di Falstaff, realizzato in occasione prima rappresentazione - Milano 1893. Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak Easyshare V705 Visitate il nostro sito internet www.giornalegrandieventi.it dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale zioni, dal 2 dicembre 1989 con Juan Pons protagonista allora come oggi. In precedenza sul palcoscenico del Costanzi era stato 23 volte, da quel 15 aprile 1893 quando andò in scena (appena due mesi e sei giorni dopo la prima assoluta di Milano) per 6 recite con lo stesso “teem”, direttore, scene ed interpreti, del debutto al Teatro alla Scala. Ed infatti, proprio per affrontare la tournée che toccò diversi teatri italiani, lo scenografo Adolf Hohenstein per il debutto scaligero realizzò delle scene più piccole rispetto alla larghezza effettiva del palcoscenico, contornandole in quella occasione con una cornice, ma rendendole in questo modo adattabili a tutti i teatri. Questa volta sarà una rara occasione per assistere, in una breve parentesi temporale, alla interpretazione di quattro grandissimi baritoni come il 74enne Renato Bruson (che proprio qui al Costanzi nel 2007 durante una recita di Traviata festeggiò i 50 anni di teatro), il 64enne Juan Pons, il 69enne Ruggero Raimondi ed il più giovane Alberto Mastromarino, ciascuno molto diverso nel ruolo del protagonista. Come Alice nel primo cast tornerà, dopo essere stata protagonista dell’ultima Traviata, Myrtò Papatanasiu al posto di Daniela Dessì, la quale decise di rinunciare anche a questo appuntamento dopo non essere stata voluta da Zeffirelli - lei troppo florida - per incarnare Violetta consunta dalla tisi sempre nella Traviata dello scorso dicembre. A dirigere sarà il maestro Asher Fisch. «Mi affascina quest’opera meravigliosa, tanto perfetta ma così diversa dalle precedenti. Verdi fu molto preciso negli appunti scritti a margine della partitura e pertanto cercherò di essere estremamente fedele alle sue idee. Questo titolo poi si conclude, come si sa, con la famosa frase “Tutto il mondo è burla” ed è in fondo quello che noi facciamo come artisti: visto che fuori è tutto un grande palcoscenico, noi non facciamo altro che mostrare la realtà per quello che è realmente». Andrea Marini Giornale dei Grandi Eventi 16 - 23 Marzo Direttore Interpreti MEFISTOFELE di Arrigo Boito Renato Palumbo Orlin Anastassov, Francesco Palmieri, Stuart Neill, Amarilli Nizza, Teresa Romano, Anda-Louise Bogza, Letizia Del Magro, Amedeo Moretti 1 - 11 Aprile Direttore Interpreti TOSCA di Giacomo Puccini Fabrizio Maria Carminati Svetla Vassileva, Anda-Louise Bogza, Nadia Vezzù, Francesco Grollo, Carlo Guelfi, Alberto Mastromarino, Franco Giovine 18 - 28 Maggio Direttore Interpreti MADAMA BUTTERFLY di Giacomo Puccini Daniel Oren Xiu Wei Sun, Raffaella Angeletti, Marco Berti, Pier Luigi Dilengite Mario Bolognesi, Francesca Franci, Armando Gabba, Carlo Striuli, Angelo Nardinocchi 17 - 24 giugno MANON di Jules Massenet Alain Guingal Direttore Interpreti Annick Massis, Sylwia Krzysiek, Massimo Giordano, Paolo Battaglia, Alfredo Zanazzo Stagione Estiva alle Terme di Caracalla 15 luglio - 5 agosto AIDA di Giuseppe Verdi Daniel Oren Direttore Interpreti Daniela Dessì, Giovanna Casolla, Fabio Armiliato Direttore di Giuseppe Verdi Steven Mercurio 28 luglio - 8 agosto RIGOLETTO 1 - 6 ottobre Direttore Interpreti ROBERTO DEVEREUX di Gaetano Donizetti Bruno Bartoletti Gian Luca Terranova, Carmela Remigio, Alberto Gazale, Sonia Ganassi 4 - 11 novembre Direttore Interpreti ADRIANA LECOUVREUR di Francesco Cilea Maurizio Arena Martina Serafin /Giovanna Casolla, Marcello Giordani, Katia Lytting /Agnes Zwierko, Alessandro Guerzoni ~~ La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 23 - 31 gennaio 2010 FALSTAFF Commedia lirica in tre atti Libretto di Arrigo Boito dalla commedia Le allegre comari di Windsor e dai drammi Enrico IV ed Enrico V di William Shakespeare Musica di Giuseppe Verdi Asher Fisch / Andriy Yurkevich (27, 30) Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala - 9 febbraio 1893 Maestro concertatore e Direttore Maestro del Coro Regia e scene Costumi Coreografia Disegno Luci Andrea Giorgi Franco Zeffirelli Maurizio Millenotti Carla Fracci Agostino Angelini Personaggi / Interpreti Sir John Falstaff (Bar) Ford (Bar) Fenton (T) Dott. Cajus (T) Bardolfo (T) Pistola (B) Mrs. Alice Ford (S) Nannetta (S) Mrs. Quickly (Ms) Mrs. Meg Page (Ms) Renato Bruson (23, 26, 29) / Juan Pons (24) / Alberto Mastromarino (27, 30) / Ruggero Raimondi (28, 31) Carlos Álvarez (23, 26) / Luca Salsi (24, 28, 30, 31) / Pierluigi Dilengite (27, 29) Taylor Stayton / Leonardo Caimi (31) Mario Bolognesi Patrizio Saudelli Carlo Di Cristoforo Myrtò Papatanasiu (23, 26, 30) / Serena Farnocchia (24, 28, 31 / Mina Yamazaki (27, 29) Laura Giordano (23, 26, 28, 30) / Gladys Rossi (27, 29, 31) / Serena Gamberoni (24) Elisabetta Fiorillo (23, 26, 28, 30, 31) / Rossana Rinaldi (24, 27, 29) Francesca Franci ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA con la partecipazione degli Allievi della Scuola di Ballo diretta da Paola Jorio Nuovo Allestimento S Il Falstaff Giornale dei Grandi Eventi i apre con un’opera completamente diversa dal tipico repertorio verdiano la Stagione 2010 del Teatro dell’Opera di Roma, l’ultima a ricalcare, come da un decennio a questa parte, un andamento legato all’anno solare. E’, infatti, questa l’unica opera “buffa” del compositore di Busseto, una libertà, quasi un capriccio, che egli si volle concedere alla veneranda età di 80 anni, contando su un mirabile libretto di Arrigo Boito. Libretto mutuato per il personaggio dalle Le allegre comari di Windsor e per le ambientazioni dall’Enrico IV e dall’Enrico V, tutte di William Shakespeare, aggiungendoci però un qualcosa di italiano, di medioevale, dettato dall’ amore del librettista per il Dolce Stil Novo. Questo nuovo allestimento porta la firma di Franco Zeffirelli (di nuovo a lavoro dopo la sua Traviata del mese scor- so), alla sua nona regia del Falstaff - la prima fu nel 1954 che per i costumi si è avvalso di un suo storico collaboratore Maurizio Millenotti, già candidato all’Oscar per due film del Maestro (Otello ed Amleto). Sarà una rara occasione per assistere, a pochi giorni di distanza, alla interpretazione - per ciascuno molto diversa - di quattro grandissimi baritoni come Bruson, Pons, Mastromarino e Raimondi nel ruolo del protagonista. In Italia, infatti, non è usuale alternare in un solo titolo ed in una parentesi temporale così breve tante stelle di prim’ordine. Come Alice nel primo cast tornerà Myrtò Papatanasiu al posto della Dessì la quale decise di rinunciare dopo non essere stata voluta da Zeffirelli - lei troppo florida - per incarnare Violetta consunta dalla tisi nella Traviata dello scorso dicembre. 3 Le Repliche Domenica 24 gennaio, h. 16.30 Martedì 26 gennaio, h. 20.30 Mercoledì 27 gennaio, h. 17.00 Giovedì, 28 gennaio, h. 20.30 Venerdì, 29 gennaio, h. 20.30 Sabato, 30 gennaio, h. 18.00 Domenica 31 Gennaio, h. 16.30 Quattro Falstaff d’eccezione per l’apertura della Stagione La vicenda si svolge a Windsor, in Inghilterra, all’inizio del XV secolo, durante il regno di Enrico IV. ATTO I - Nell’Osteria della Giarrettiera - Il dot- sentatosi all’appuntamento galante, dà inizio al corteggiamento. Ma nell’abitazione irrompe Ford, con Fenton, Cajus, Bardolfo e Pistola che cominciano a perquisire tutte le stanze. Nessun nascondiglio viene tralasciato, neppure la cesta del bucato. L’impudente cavaliere riesce prima a nascondersi dietro un paravento, e quindi con l’aiuto delle donne, ad entrare a fatica nella cesta di panni sporchi già perquisita. Intanto dietro il paravento vanno Nannetta e Fenton. Così, mentre Ford scopre la figlia Nannetta, già promessa in sposa a Cajus, intenta ad amoreggiare con Fenton, le donne fanno rovesciare nel fossato la cesta con dentro Falstaff. In questo modo, tra l’ilarità generale, è facile per loro spiegare agli uomini la burla. La Trama tor Cajus si scaglia adirato contro il vecchio e corpulento Sir Jhon Falstaff ed i suoi domestici, Pistola e Bardolfo, accusandoli di averlo fatto ubriacare per derubarlo. Ma Falstaff, imperturbabile, lo manda via. Poi, rivolgendosi a due servi, illustra un piano per sottrarre denari a due ricchi gentiluomini di Windsor, corteggiando le loro mogli. Per questo gli ordina di recapitare due identiche lettere d’amore ad Alice Ford e Meg Page. Ma i domestici si rifiutano in nome dell’onore e Falstaff li licenzia, affidando il compito al paggio Robin. Nel giardino di casa Ford s’incontrano la padrona di casa Alice, la figlia Nannetta, Meg, moglie di Page e l’attempata ma spiritosa Quickly. Conversando, Alice e Meg leggono le lettere ricevute e si accorgono dello stesso testo. Così, mentre le donne si allontanano indignate meditando vendetta, giungono Cajus e Fenton (il primo pretendente ufficiale di Nannetta ed il secondo amante corrisposto della ragazza) insieme a Bardolfo e Pistola che intendono vendicarsi del licenziamento svelando a Ford le intenzioni di Falstaff: sedurgli le mogli per spillargli denaro. I due gruppi, ciascuno per proprio conto, organizzano una burla vendicativa per punire Falstaff. Le donne, intanto, mentre si danno appuntamento per l’indomani, ripetono in maniera caricaturale una frase ampollosa della lettera di Falstaff. ATTO II - Bardolfo e Pistola tornano all’osteria fingendosi pentiti, al fine di appoggiare lo scherzo di Ford. Sopraggiunge Quickly, portando il messaggio di Alice: la gentildonna lo potrà incontrare fra le due e le tre del pomeriggio. Ma mentre Quickly si allontana e Falstaff, rimasto solo, inneggia alle proprie doti di seduttore, si presenta un certo Signor Fontana, che è in realtà Ford travestito. L’uomo, offrendo un sacchetto di monete, lo prega di conquistare Alice, cosicché una volta persa la sua incorruttibilità, la donna si conceda anche a lui. Falstaff, accetta e, pavoneggiandosi, confida che Alice lo ha già invitato a casa per quello stesso giorno. Ford sconcertato ed in preda alla gelosia, decide di sorprendere gli adulteri. Falstaff, pre- ATTO III - Ma un’altra trappola attende Falstaff, ordita insieme dalle allegre comari e dagli uomini. Mentre il cavaliere all’osteria si sta riprendendo dal tuffo nel Tamigi con un buon bicchiere di vino caldo, giunge Quickly con un secondo invito da parte di Alice, che allo scoccare della mezzanotte lo attenderà, vestito da cacciatore nero, nel parco di Windsor, sotto la quercia di Herne dove si narra s’incontrino creature fantastiche. Tutti gli abitanti di Windsor, informati della burla, si travestono da folletti e spiriti. Ford intende approfittare della confusione per far sposare la figlia Nannetta e la indica al pedante Cajus come mascherata da regina delle fate. Ma il progetto viene udito da Quickly che subito riferisce il piano del padre alla giovane. Falstaff, giunto all’appuntamento travestito da cacciatore con delle enormi corna sulla testa, comincia a dichiararsi ad Alice. Ma i giochi di seduzione sono interrotti da diavoli, elfi e folletti, che si scagliano sull’ardente seduttore, bastonandolo ed invitandolo a pentirsi. Nella confusione le donne mettono il velo da sposa a Bardolfo che viene raggiunto da Cajus. Due matrimoni vengono celebrati, con Ford che benedice le coppie. Ma quando cadono i veli il padre scopre con amarezza di aver unito Nannetta con Fenton, mentre Cajus ha preso in moglie Bardolfo, travestito da regina delle fate. «Tutto nel mondo è burla. L’uom é nato burlone», canta il coro, dettando la morale della storia. a cura Lucia Cuffaro ama in cifre Popolazione equivalente servita: 3.169.000 Area servita dalla raccolta: kmq 1.285 Km lineari di strade servite: 3.370 Totale rifiuti raccolti: Raccolta differenziata: t/anno 1.760.732 t/anno 343.493 Automezzi: 2.342 Sedi: 77 Isole Ecologiche e Centri di Raccolta: 13 Stabilimenti e impianti: 10 L’ambiente in buone mani. www.amaroma.itwww.amaroma.itwww.amaroma.itwww.amaroma.it Il Giornale dei Grandi Eventi I Falstaff Carlos Alvarez, Luca Salsi e Pier Luigi Dilengite Ford, marito geloso l personaggio di Ford verrà interpretato dai baritoni Carlos Avarez (23726), Luca Salsi (24/28/30/31) e Pier Luigi Dilengite (27/29). Carlos Alvarez di origine spagnola, ha debuttato al Teatro de la Zarzuela nel 1990 ne La del Manojo de Rosas. Canta nei più famosi teatri del mondo come la Staatsoper di Vienna, al Liceu di Barcellona dove è in cartellone da undici stagioni consecutive, al Met di New York, al Festival di Salisburgo, al Covent Garden di Londra e al Metropolitan di New York. Vincitore di numerosi premi, è stato onorato anche del titolo di “Kommersänger” alla Staatsoper di Vienna. Luca Salsi nato a San Secondo Parmense, ha debuttato giova- Carlos Alvarez nissimo nel 1997 presso il Teatro Comunale di Bologna, nella Scala di seta di Rossini. Vincitore del primo premio al concorso “Gian Battista Viotti” di Vercelli, calca i maggiori palcoscenici del mondo. Ha inaugurato la stagione 2008/09 interpretando Il Corsaro al Festival Verdi di Parma, La bohème al Carlo Felice di Genova, Pagliacci al Maggio Musicale Fiorentino e al Lirico di Cagliari ed Ernani a Piacenza. Pier Luigi Dilengite è stato ospite nei maggiori teatri italiani e stranieri, come il San Carlo di Napoli, il Comunale di Bologna, il Bellini di Catania, l’Argentina di Roma, il Verdi di Pisa, l’Opera di Francoforte, l’Opera di Lipsia, l’Opera di Stoccarda, l’Opera di Budapest, l’Opera di Sofia e l’opera di Den Aag. Scelto personalmente dal M° Pavarotti ha partecipato alla Bohème da lui diretta e messa in scena al Teatro della Fortuna di Fano. All’Opera di Roma ha cantato in Pagliacci con la regia di Zeffirelli nel 2009. Myrtò Papatanasiu, Serena Farnocchia e Mina Yamamzaki M L’avvenente Alice Ford yrtò Papatanasiu (23/26/30), Serena Farnocchia (24/28/31) e Mina Yamazaki (27/29) sono i soprano che daranno voce ad Alice Ford. Myrtò Papatanasiu, di nazionalità greca, si è diplomata in canto al Conservatorio di Salonicco. Ha debuttato giovanissima all’Opera di Salonicco con Il Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi. Ha interpretato molte volte il ruolo di Carolina ne Il matrimonio segreto di Cimarosa all’Opéra di Montecarlo, al Regio di Torino e all’Opéra Comique di Parigi. Torna all’Opera di Roma dopo aver interpretato Violetta ne La Traviata lo scorso dicembre. Serena Farnocchia nata a Pietrasanta, nel corso della sua carriera ha vinto numerosi concorsi in tutt’Europa, come il prestigioso “Luciano Pavarotti” di Philadelphia. Ha debuttato alla Scala interpretando il ruolo di Donna Anna nel Don Giovanni diretta da Muti. Torna all’Opera di Roma nel ruolo di Myrtò Papatanasiu 5 Renato Bruson, Juan Pons, Alberto Mastromarino e Ruggero Raimondi I Il corpulento Falstaff l protagonista dell’opera avrà la voce dei baritoni Renato Bruson (23/26/29), Juan Pons (24), Alberto Mastromarino (27/30) e Ruggero Raimondi (28/31). Renato Bruson nato a Granze in provincia di Padova nel 1936, dopo gli studi al Conservatorio di Padova nel 1957 debutta al Teatro dell’Opera di Roma con I Puritani (Bellini). Inizia così una prestigiosa carriera che lo porta ad esibirsi nei maggiori teatri del mondo. Nel 1969 fa il suo debutto internazionale al Metropolitan di New York in una produzione di Lucia di lammermoor). Nel 1978 debutta alla Staatsoper di Vienna in Macbeth (Shakespeare). Nel ha cantato a Roma in Traviata festeggiando il proprio mezzo secolo di palcoscenico. Nel 2008 è tornato all’Opera di Roma con Tosca. Considerato uno dei più importanti baritoni dei nostri tempi, ha ricevuto il titolo di “Kammersänger” della Staatsoper di Vienna. Juan Pons nato a Menorca (Spagna) nel 1946, con il trionfale debutto internazionale nel 1980 al Teatro alla Scala proprio in Falstaff per la regia di Giorgio Strehler, si è rivelato uno dei più importanti baritoni della scena mondiale. Vanta collabora- Renato Bruson zioni con i più importanti direttori d’orchestra (Lorin Maazel, James Levine, Giuseppe Sinopoli, Riccardo Muti, Zubin Mehta). Più volte protagonista nelle inaugurazioni delle stagioni al Metropolitan di New York, è presente nel cartellone di quel Teatro da 15 anni.. Torna all’Opera di Roma dopo aver interpretato Falstaff nell’ultima rappresentazione di vent’anni fa. Da ricordare il suo Scarpia nella serata-evento della Tosca del centenario il 14 gennaio 2000 con Luciano Pavarotti, la rivelazione Ines Salazar diretti da Placido Domingo e la regia della forma semiscenica firmata da Zeffirelli. Alberto Mastromarino baritono, ha debuttato nel ruolo di Amonasro in Aida presso il Teatro Eliseo di Roma nel 1987. Torna al Teatro dell’Opera di Roma con Falstaff, dopo aver interpretato con successo Tosca, Pagliacci e il ruolo di Gianciotto nella Francesca da Rimini di Zandonai. La sua voce è apprezzata a livello internazionale. Calca, infatti, palcoscenici come quelli del Los Angeles Opera, Staatsoper di Vienna, Deustche Oper di Berlino, Teatro Liceu di Barcellona. Tra gli impegni recenti si registra il debutto nell’ Amica di Mascagni al Teatro dell’Opera di Roma. Ruggero Raimondi, basso-baritono, è nato a Bologna nel 1941.Iniziò i suoi studi presso il Conservatorio Verdi di Milano per poi completare il percorso a Roma. La prima grande occasione gli venne data dall’Opera di Roma che lo chiamò per la produzione de I Vespri Siciliani. Nel 1968 debuttò alla Scala come Timur in Turandot a cui seguirono Metropolitan (Ernani, 1970), Covent Garden (Simon Boccanegra, 1972). Ha inciso diversi film-opera. Alice, dopo aver interpretato già Mimì nella Bohème. Mina Yamazaki, soprano giapponese naturalizzata in Italia. E’ considerata tra le migliori interpreti del momento nel ruolo di Cio cio San in Butterfly, sia per caratteristiche vocali che per intensità e sensibilità interpretative. Ha interpretato: La Bohème e Die Zauberflöte al Teatro dell’Opera di Roma, Turandot al Teatro Lirico di Cagliari e al Festival Pucciniano di Torre del Lago, Madama Butterly al Festival Pucciniano di Torre del Lago, alle Terme di Caracalla, all’Opera di Roma ed a Salisburgo. Pagina a cura di Marina Proietti – Foto Corrado M. Falsini 6 «D Falstaff Il Giornale dei Grandi Eventi La storia dell’opera Per Verdi un divertimento di fine carriera desidero scrivere un’opera opo avere, comica, e sono cincompositore quant’anni che conosco Le inesorabile, allegre comari di Windammazzato tanti eroi e tansor» (a Gino Monaldi, te eroine, ho il diritto, giun3.12.1890). Ma solo Arrito all’estremo della mia cargo Boito riuscì a scioglieriera, di ridere un re tutti i suoi dubbi, afpochino!». Ridere. Falstaff frontando il testo shakeha appunto questa inaspeariano come «non si spettata peculiarità: dipoteva far meglio» e prevertire, con un umorisentandogli «una commesmo arguto, spennellato dia lirica che non somiglia sulla partitura dalla pria nessun’altra». Ma siamo ma all’ultima nota. Si precisi: il Sir John Falstaff tratta, dunque, di comoperistico è un personagmedia: fulmine a ciel segio prototipo, da chronireno per chi pensava con cle play, che vive indipenOtello di avere assistito dentemente dalla comal traguardo operistico media d’origine (anzi di Verdi, mai più immacommedia e tragedie, viginandone le straboccansto che compare anche in ti doti umoristiche. E Enrico IV ed Enrico V), in questo valga sia per chi cui risulta in verità assai mal accolse la novità sesbiadito. Fu il genio di nile, sia per chi invece la Boito a dargli lo spessore esaltò, comprendendo necessario, rifacendosi che l’ultima fatica del proprio al suo valore Maestro di Busseto avesimbolico e creando così va una veste diversa, geun “tipo” con precise caniale, non solo nuova ratteristiche. ma innovativa, per tema Le prime notizie sulla efe per linguaggio compofettiva composizione sitivo. dell’opera ci vengono La Prima della Scala, il 9 dal carteggio fittissimo febbraio 1893, fu un avtra librettista e composivenimento nazionale: tore, da cui emergono un trionfo – nonostante anche gli sbalzi d’umore alcune perplessità - con dell’anziano musicista, venti minuti di applauora rapito dall’entusiasi, due bis, sette chiamate finali a Verdi. Una parte del pubblico, entusiasta, seguì la carrozza del musicista fino all’Hotel Milan dove alloggiava. Ma facciamo un passo indietro. Come arriva Verdi, padre del tragico in musica, all’idea di un’opera che definiremmo a tutti gli effetti “buffa”? Di grande aiuto è certo la corrispondenza che Verdi intrattenne con amici e conoscenti. «Che cosa posso dire? Sono quarant’anni che Verdi ed il baritono Victor Maurel smo, ora preda del più nero sconforto («Il pancione? [Falstaff] Vi sono dei giorni che non si muove, dorme ed è di cattivo umore; altre volte grida, corre salta, fa il diavolo a quattro…»). Il 6 luglio del 1889 – a due anni dalla rappresentazione di Otello - abbiamo il primo ufficiale assenso del maestro: «Amen; e così sia! Facciamo adunque Falstaff!». La stesura del libretto fu più lunga e complessa del previsto, ma proseguì quasi senza sosta, tra missive e incontri dei due artisti, tra S. Agata, Genova e Milano. Tante le frustrazioni, prima fra tutte la consapevolezza di alcuni difetti insiti nel genere proprio della commedia «Quando il nodo sta per sciogliersi l’interesse diminuisce sempre più perché il suo fine è lieto», o la difficoltà per Boito di confrontarsi con il monumento shakespeariano «Nei primi giorni ero disperato. Schizzare i tipi con pochi segni, mover l’intrigo, estrarre tutto il sugo di quella melarancia shakespeariana senza che nel piccolo bicchiere guizzino i semi inutili […] è difficile, difficile, difficile ma bisogna che sembri facile, facile, facile». Boito terminò la fase preparatoria nell’agosto 1889 e passa subito alla stesura del libretto. Il primo atto venne consegnato all’inizio di settembre, il II all’inizio di novembre, il III, di più faticosa gestazione, all’inizio di marzo 1980. Verdi cominciò la composizione a metà agosto 1889, con lo schizzo della fuga finale e, lavo- rando intensamente, già il 17 marzo 1890 terminò il I atto. Poi si concesse una lunga vacanza scrivendo a Boito «Il Pancione è sulla strada che conduce alla pazzia…». Ad ottobre il compositore si rimise a lavoro con progressi minimi fino al marzo 1892, poi il lavoro ripre- Scena Falstaff e comare (stampa) se e l’opera fu to. Meg sarebbe stata terminata nell’estate del Virginia Guerrini, «e mi 1892. dispiace che la parte non sia Già molto prima che l’opiù importante»; Ford, Anpera venisse ultimata, era tonio Pini-Corsi, «un vigocominciata la “caccia” roso baritono con un’incliagli interpreti adatti. Per nazione per la commedia»; il ruolo da protagonista Giovanni Paroli nella parnon ci furono dubbi: Victe del dottor Cajus; Paolo tor Maurel sarebbe stato Pelagalli Rossetti e VittoFalstaff, nonostante le rio Arimondi rispettivaesagerate sue pretese mente in quella di Bareconomiche iniziali, riendolfo e di Pistola. Sul potrate per altro dopo un dio - a colmare la grave paio di “fulmini” da Busperdita di Franco Faccio, seto. Per la parte disopraggiunta nel 1890 Quickly «ci vuole canto e Edoardo Mascheroni, azione e molta disinvoltura «un gran lavoratore, un scenica» e l’interprete uomo coscienzioso senza ideale fu trovata in Giusimpatie e, meglio ancora, seppina Pasqua, artista senza antipatie». dotata ed intelligente. Dopo la “prima”, Falstaff Stesse qualità servivano andò in scena ad aprile al per Alice, che in più «deCarlo Felice di Genova, ve avere il diavolo addosso. con i complessi artistici E’ lei che mena la polenta» ed orchestrali della Scala e che fu faticosamente e presente l’autore. Semindividuata in Emma pre ad aprile, dal 15, per Zilli; per Nannetta era 6 rappresentazioni, fu al necessaria una donna Costanzi di Roma con «giovanissima e che canti Edoardo Mascheroni e le benissimo, brillantissima scene ed i costumi semin scena», caratteristiche pre di Adolf Hohentein, trovate in Adelina Stehil quale nello stesso teatro le: scelta particolarmente 7 anni dopo firmerà quelfelice, essendo anche la li della prima rappresenfidanzata di Edoardo tazione della Tosca di Garbin, che avrebbe imPuccini, quindi a Venezia personato Fenton. A dire e Trieste, poi a Vienna e la verità, Garbin non Berlino. L’anno dopo fu convinceva Verdi per la allestito all’Opera-Comisua poca esperienza, la que di Parigi, nella tradusua indolenza e per «quel zione francese preparata maledetto difetto di aprire da Boito in collaboraziole ultime vocali della parone con Paul Solanges. la», ma la fortunata coinSempre tra le entusiasticidenza di avere due che ovazioni e le critiche amanti veri sul palco più efferate. avrebbe senza dubbio Barbara Catellani sortito un positivo effet- Il Falstaff Giornale dei Grandi Eventi F 7 Analisi musicale Modernità del Falstaff alstaff rappresenta un unicum nel contesto teatrale verdiano. Non solo perché è una commedia, ma perché è una commedia nuova, originale, nella quale la tradizione nostrana dell’opera comica influisce solo marginalmente. Ci sono elementi tratti dal passato: si veda l’apertura, chiaramente mozartiana, con un litigio che si sta già svolgendo al levarsi del sipario; ma si pensi, anche, al gioco della gelosia, ai travestimenti e ai finti matrimoni. Un vero e proprio apparato tratto dal settecentesco teatro comico. Ciò che conferisce totale novità all’estremo capolavoro verdiano è lo spirito che lo anima, l’atteggiamento del musicista che sembra guardare il tutto da una postazione defilata. Un gioco intellettuale, si direbbe, in cui il compositore ottantenne trovò il rinnovato gusto di confrontarsi con il pubblico, con il sorriso disincantato di chi, abituato per oltre cinquant’anni a scrivere per gli altri, oramai desiderava essenzialmente comporre per se stesso: «Io - confessò a Ricordi il 1° gennaio 1891 - mi sono messo a scrivere Falstaff semplicemente per passare il tempo, senza idee preconcette, senza progetti [...]». chances di sfogo. Scrisse, ad esempio, divertenti madrigalismi. Si pensi al monologo sull’onore recitato da Falstaff nel primo atto («L’onore. Ladri!»): la leggerezza dell’orchestra sulla frase «Che c’è in questa parola? C’è dell’aria che vola», uno scorrere via, leggero («l’auretta gentile» ognuno con due scene separate. Numerosi i concertati, elaborati secondo lo spirito antico della molteplicità di piani di conversazione, ma con esiti originalissimi per l’interna struttura. Ad esempio nel primo atto (scena II) si crea una situazione di estremo interesse musicale per Le novità del Falstaff Il più rilevante tratto di originalità del Falstaff sta nella scrittura vocale che, almeno apparentemente, rinuncia ad ogni melodismo. Scompaiono, quasi del tutto, le cosiddette forme chiuse su cui si era fondata, fino ad allora, l’opera italiana. Verdi concepì un declamato continuo, rispettoso della parola, estremamente duttile nel piegarsi ad ogni esigenza drammaturgica. Minuscole cellule si fanno “arie” di incredibile brevità («Quando ero paggio» o «Va’ vecchio John»), il duetto amoroso fra Fenton e Nannetta è continuamente accennato, ma sempre rimandato («Bocca baciata non perde ventura»), quasi a voler ritardare o addirittura evitare quella nota “patetica” che un vero momento amoroso comporterebbe. Incisi melodici sparsi qua e là nelle voci trovano piena rispondenza in un’orchestra mai prima di allora così leggera eppure così ricca di soluzioni timbriche. Verdi inventò a getto continuo, quasi nella consapevolezza di non aver più, dopo Falstaff, altre comicità con il povero Falstaff chiuso nella cesta e gettato nel canale. Falstaff è personaggio di indubbia simpatia. Si crede un Don Giovanni, ma, in realtà, è un povero diavolo, un ladro di polli che vive di espedienti. Per metterlo al proprio posto è sufficiente qualche bastonata e un bel po’ di paura. E così avviene nell’ultimo atto. Le finte fate che circondano Falstaff attirato da un falso convegno amoroso, creano l’atmosfera fantastica nella quale si può riscontrare una parodia del Macbeth, il primo incontro di Verdi con Shakespeare. In un crescendo di interventi, di formule e di punizioni si arriva all’epilogo dello scherzo, quando ingannatori e ingannati finiscono per confondersi e se il buon Falstaff è costretto ad ammettere le proprie colpe, Ford deve benedire suo malgrado le inaspettate ma inevitabili nozze della figlia. Finale scontato, insomma. Ma non musicalmente, perché Verdi si “permette” una fuga buffa (che è poi il primo pezzo composto di quest’opera), vivace, irresistibile per l’immancabile morale che, tuttavia, non esalta virtù, né condanna vizi ma realisticamente fotografa il comportamento umano. «Tutto nel mondo è burla», attacca Falstaff, “risorto” dal suo inferno, subito seguito da Fenton, Quickly, Alice e poi da tutti gli altri. Il congedo Manifesto Falstaff di Adolf Hohentein della calunnia rossiniana). E, oltre alla straordinaria descrizione del potere benefico del vino (si veda a parte, n.d.r.) si pensi alla maestosità sonora cui il musicista affida, nel primo atto, l’eroica frase di Falstaff «Quest’è il mio regno. Lo ingrandirò». Dove il regno altro non è che il suo pancione! La ricchezza di concertati Ironia, dunque, ravvisabile anche in varie citazioni: il «Povera donna» di Quickly (atto II scena I)rimanda all’autocommiserazione di Violetta (Traviata, atto I). Falstaff si articola in tre atti, la contrapposizione fra due gruppi “parlanti”, il concertato femminile e quello maschile: ognuno canta a canone, anche se il tema subisce qualche variazione nelle diverse intonazioni. Nella parte conclusiva, infine, quando rientrano in scena le donne si può trovare un riferimento ai Maestri Cantori wagneriani: in entrambi i casi ci sono due gruppi contrapposti che cantano su due tempi differenti (in Verdi le donne in 6/8, gli uomini in 4/4) e in entrambi i casi una voce si leva sulla massa, quasi isolata (là Walther, qui Fenton). Altra scena di confusione, poi nel finale del secondo atto, momento culminante di Il 9 febbraio 1893, con la rappresentazione scaligera del Falstaff calò il sipario sull’avventura teatrale di Verdi che dava l’addio alle scene confermando la propria devozione per la tradizione (nel Falstaff si ritrovano Cimarosa, Mozart, Rossini), ma anche con la consapevolezza di essersi magnificamente proiettato in avanti. Dopo il suo “Pancione” il teatro comico non sarebbe più stato lo stesso. E sono significative le parole annotate sulla partitura che nel settembre 1892 Verdi inviò a Ricordi, parafrasando Boito: «Tutto è finito/ Va, va vecchio John./ Cammina per la tua vita/ Finché tu puoi./ Divertente tipo di briccone/ Eternamente vero sotto/ Maschera diversa in ogni/ tempo, in ogni luogo./ Va, va/ Cammina, cammina./ Addio». Roberto Iovino 8 Falstaff Il Giornale dei Grandi Eventi Il racconto di un testimone diretto Come scriveva e come provava Gi L’editore Giulio Ricordi (1840 – 1912), figlio di Tito e nipote del fondatore della Casa Giovanni, diplomatico “gestore” dei rapporti con Verdi, proprio in occasione della composizione del Falstaff (1893) mise su carta le sue osservazioni, la propria testimonianza diretta su come il maggiore compositore della Casa editrice, ormai ai livelli massimi della fama, aveva sempre operato nella stesura e nella preparazione delle 28 opere teatrali composte. In considerazione del grande valore testimoniale, proponiamo questo testo, con qualche taglio nelle parti meno significative al fine di renderlo più agile ed adeguarlo allo spazio del giornale. E saminando e confrontando una delle prime partiture autografe, per esempio del Lombardi, del Macbeth, con altre più recenti, come Aida, Otello e finalmente colla partitura autografa del Falstaff, non si scorge alterazione alcuna nella scrittura: la stessa sicurezza di mano, la medesima chiarezza di note! Le partiture autografe di Giuseppe Verdi sono ammirabili per esattezza: la foga dello scrivere non produce nel maestro né confusioni, né incertezze. Si vede palesemente che l’opera sgorga spontanea tutta in un blocco e che in pari tempo sgorga bell’e plasmata in ogni linea, in ogni parte, in ogni dettaglio. Quindi l’orchestra non è un sussidio alle voci, non è cornice, non è quadro: non si scorge nell’istrumentatore, che ha di fronte il pezzo composto, l’affannosa o la sottile ricerca degli effetti orchestrali, ma questi nascono spontanei unitamente alla melodia, al pezzo: dal che la perfetta fusione del canto cogli strumenti, della scena coll’orchestra: dal che l’omogeneità completa dei vari coefficienti che concorrono a fondersi nel prodotto finale. Pochissimi sono gli abbozzi che Verdi traccia nel periodo della composizione: sono semplici memorie, indicazioni di spunti musicali e nulla più. E’ con la lettura del libretto, che Verdi concepisce l’opera: con la declamazione dei versi che il compositore idea le prime linee generali del proprio lavoro. Declamando, studia le inflessioni della voce, i vari colori che assumono le parole nei sentimenti d’ira, di pietà, d’amore. Ve- dasi la scena del sonnambulismo di lady Macbeth: perfetta è la fusione della voce coi timbri orchestrali. Quando Verdi declamava tale trovare gli interpreti migliori o più adatti. La facilità colla quale Verdi concepisce e scrive un’opera è addirittura fenomenale: il periodo di Verdi assiste alle prove Falstaff in un acquerello Adolf Hohenstein scena, vedeva certamente innanzi a sé la pallida figura della donna fatale, strisciante come fantasma, cogli occhi sbarrati, immoti. E poi il recitativo di Rigoletto: Pari siamo! .. io la lingua, egli ha il pugnale e la precedente scena con Sparafucile, non sono forse due veri capolavori di declamazione musicale? Il pezzo, nella forma sua più complessa, esiste, l’ascoltatore ne afferra facilmente la linea generale ed il dettaglio, perché perfetta è la fusione tra il valore drammatico della parola e l’espressione musicale della nota. Con questo modo di creazione, Verdi procede sicuro, va dritto al suo scopo e quando l’opera è composta ed interamente istrumentata, l’autore ne intuisce di già l’effetto. Pochissimi i pentimenti, le modificazioni di forma o di fattura. Il Maestro, poi, sa già dove creazione più intenso si trova fra l’anno 1849 ed il 1855, poiché in questo frattempo compose: Luisa Miller, Stiffelio, Rigoletto, Trovatore, Traviata, I Vespri Siciliani. Il Falstaff Pel suo Falstaff ha preso pochissimi appunti che occupano solo due pagine: poi scrisse addirittura tutte le parti vocali sulla carta da partitura con una sicurezza che eccita la più alta meraviglia e che prova la facilità del concepire intero il lavoro vocale ed istrumentale. portata dalla campagna di Sant’Agata a Cremona e consegnata all’editore Giovanni Ricordi per cavarne le parti necessarie all’esecuzione. Che più? … ecco alcuni dati esatti e forse conosciuti per la prima volta. Nel 1853 (in realtà 1852, n.d.r.) Verdi aveva preso l’impegno di scrivere due opere: una per il Teatro Apollo di Roma, l’altra per la Fenice di Venezia. La composizione dei libretti aveva richiesto molto tempo: si era in autunno avanzato ed il Maestro non aveva ancora scritto una nota: lo tormentava inoltre un rauma al braccio destro, che sperava dovesse andarsene da un giorno all’altro; ma il rauma persisteva e … niente musica! Precisamente il 1° novembre 1852 Verdi comincia ad ideare e comporre Il Trovatore – il 29 dello stesso mese l’opera non solo è composta, ma è anche interamente istrumentata: il 30 la partitura è Le partiture verdiane sono esattissime e nitide: la chiarezza di concepimento che il Maestro ha nel comporre, la si ritrova anche nel periodo delle prove, le quali sono già da lui prestabilite, si svolgono perfettamente secondo il programma ideato e l’opera è pronta per l’andata in scena all’epoca designata lungo tempo innanzi. Non è vero che Verdi sia burbero e di severità eccessiva, come comunemente si crede: anzi è precisamente il contrario. Di una esattezza militare, si reca al teatro per l’ora fissata; pretende però, e con molta ragione, che tutti gli artisti siano esatti come è lui, e quindi non vuole alcuna perdita di tempo. Appena entrato nella sala delle prove e salutati i presenti, subito comincia lo studio: Verdi è paziente assai, sa fino a quale punto giungono i mezzi vocali e l’intelligenza d’ogni singolo artista e sa trarne il maggior frutto possibile. Chiede innanzi tutto una chiara, esatta pronuncia, perché dice, è necessario che il pubblico capisca e si interessi a ciò che vogliono esprimere i personaggi: in un verso segna quella data parola che deve richiamare l’attenzione degli ascoltatori, non solo, ma persino talvolta la sillaba che deve pronunciarsi più marcatamente. Non vuole che si alteri la frase od il ritmo con inutili corone e rallentandi: cura ogni battuta, ogni nota: per ottenere una dizione elegan- Le prove Il Falstaff Giornale dei Grandi Eventi S 9 Il nome dell’osteria dove è ambientata la vicenda iuseppe Verdi te fa ripetere una battuta 10, 20, 30 volte e lo stesso fa per l’esatta pronuncia di una vocale, non poche volte alterata dai così detti famosi metodi di canto! Quando la parte musicale è perfettamente saputa, Verdi comincia a dar colore ai vari personaggi: indica a ciascuno qual è il tipo che vuole si rappresenti e quindi quale dev’essere l’espressione vocale e della fisionomia. Tutti gli artisti stanno attorno al pianoforte, seguono attentamente le indicazioni del maestro e cercano di interpretarle, mentr’esso accenna a mezza voce le inflessioni del canto. E’ questo il vero punto di partenza della così detta messa in scena: le parti che servono allo studio sono poco a poco, quasi iscientemente, abbandonate sul pianoforte: l’artista se ne allontana, «comincia a vestire», come dice il Maestro, l’abito del personaggio e declamando o cantando indica con vigoria come deve interpretarsi. Dalla sala delle prove si passa poi sul palcoscenico: alle voci si uniscono gli istrumenti e nulla sfugge a Verdi. La cura minuziosa che egli ha posto nell’istruzione dei cantanti, già fu da lui usata per le scene e pei costumi, che esamina, studia in ogni dettaglio: egli è il vero creatore dell’opera sua, egli vi imprime la sua possente vitalità e così in un tempo relativamente brevissimo in confronto al minuzioso studi di tutti i dettagli, il nuovo lavoro è pronto per affrontare la battaglia artistica della prima rappresentazione. Verdi ha compiuto nell’ottobre scorso 79 anni; epperò è ormai entrato nell’80° anno, conservando intatta una fantasia giovanile, una memoria ferrea, un vigore addirittura miracoloso. Vuolsi una prova dell’attività di Verdi?… Basterà dire quale fu il suo lavoro durante le prove del Falstaff: dalle 9 alle 10? di mattina revisione della partitura, delle parti, delle riduzioni; dalle 12? alle 4 ? pom. prova in teatro; molte volte dalle 5 alle 6 prova parziale con qualche artista nel salotto dell’Hotel Milan; dalle 8 ? alle 11? pom. altra prova in teatro! E dopo questo programma di attività personale, che più resta a dire? Non è naturale conseguenza il concludere con questo saluto: A rivederci presto, o giovane Maestro ? Giulio Ricordi Quella giarrettiera simbolo d’Inghilterra furono tramandati oralmente, finché Enriir John Falstaff beve e conta i propri co VIII li modificò, riformandoli nel 1522. pochi soldi nell’Osteria della GiarretL’insegna dell’Ordine, di cui è Gran Maetiera. Un nome, quello del locale, che stro il Re, fu la Giarretda secoli accompagna tiera, alla quale vencome simbolo la monero successivamente narchia inglese e la aggiunti il collare stessa Gran Bretagna. (composto di 26 piccoGiarrettiera è, infatti, le giarrettiere azzurre il nome del prestigiocon il motto in oro, disissimo Ordine suprevise alternativamente mo di quella Casa da rose rosse e bianReale, che viene conche), il medaglione di cesso solo a personagS. Giorgio sospeso ad gi d’altissimo prestiuna fascia azzurro gio e – per non inflascuro (che, al contrario zionarlo - solo a Re degli altri ordini, viene d’altri Stati, ma non a portata dalla spalla siPresidenti della Renistra al fianco destro) pubblica, destinati e la placca. La Giarretquesti a rimanere in tiera è di velluto azcarica per un mandato zurro e viene portata a tempo. Esso è il più alla gamba sinistra daantico di quelli tuttora gli uomini ed al bracesistenti, precedendo cio dalle dame. nella data di fondaI Cavalieri si riuniscozione di 12 anni il sa- Umberto I, re d'Italia, in abito dell’ordine no in Capitolo nel cabaudo Ordine della stello di Windsor una volta l’anno il 23 Santissima Annunziata (1362) e di 79 quelaprile, festa di S. Giorgio, patrono di Inlo del Toson d’Oro (1429) della Casa Impeghilterra e dell’Ordine. riale d’Austria e di quella Reale spagnola. Non mancò, durante la prima guerra mondiale, un episodio destinato ad attrarre la Galeotta fu la giarrettiera pubblica attenzione su vari illustri Cavalieri della Giarrettiera. Fin dagli inizi delle Molto si è fantasticato sull’origine dell’Orostilità era stata notata l’inopportunità che, dine della Giarrettiera. Una tradizione vuosecondo la legge dell’Ordine, gli Imperatole che la sera del 9 gennaio 1350 durante un ri Francesco Giuseppe e Guglielmo II, il ballo a Corte, l’avvenente Contessa di SaliKronprinz, il Re del Württemberg ed altri sbury, amante del Re, perse una giarrettieprincipi tedeschi, insigniti di tale alta dira che Edoardo III si affrettò a raccogliere gnità equestre, continuassero a tenere i lorestituendola alla Contessa, chiedendo l’oro stendardi araldici nella Cappella di nore di cingergliela alla gamba. I cortigiani Windsor, ove quotidianamente i sacerdoti non risparmiarono un malizioso sorriso ed invocavano la divina protezione per tutti i il Re pronunciò ad alta voce la frase rimasta membri dell’Ordine, unendo così nella prefamosa: «Honny soit qui mal y pense!», che ghiera anche i condottieri degli eserciti avdivenne il motto dell’Ordine. Una differenversi. Il Re d’Inghilterra, dopo te versione afferma invece che la la vibrata protesta di un noto protagonista fosse la Regina Filipgiornalista che minacciò di repa d’ Hainault, consorte di Edoarcarsi con altri cittadini nella do III, la quale, offesa dal sorriso Cappella di Windsor per toglieirriguardoso dei cortigiani, rivolre con la forza i gonfaloni e dose loro la famosa frase. po il gesto del Kaiser GuglielAltri, sostengono che l’Ordine mo che ripudiò pubblicamente prese il nome di Giarrettiera pertutte le onorificenze inglesi ché Edoardo III nella battaglia di tranne la più alta, intervenne Crécy, il 25 agosto 1346, iniziò come Capo Supremo dell’Ordil’assalto sventolando un legaccio ne, ordinando di radiare dalfermato sulla punta di una lancia, l’albo dei Cavalieri della Giardando come parola d’ordine la da fascia dell'Or- rettiera gli Imperatori di Gerparola “garter”, che significa giar- Pendente dine della Giarrettiera mania e d’Austria, il Re del rettiera. Non manca, infine, chi Württemberg, il Lamgravio d’Assia, il sostiene che Edoardo, istituendo l’Ordine, Principe Enrico di Prussia, i Duchi di Sasvolle dimostrare che non aspirava a domisonia, Coburgo-Gotha e Cumberland. L’enare la Francia e perciò aveva deciso, apnergica deliberazione del Re placò i malupunto, di dare all’insegna il colore azzurro, mori ma accrebbe di colpo, nel libro che a simile a quello del campo dello scudo dei Windsor è affidato al Decano dell’Ordine, Borbone, stabilendo il motto in francese l’elenco dei Cavalieri radiati, che fino ad alperché fosse comprensibile agli avversari. lora comprendeva un solo nome, quello Qualunque sia la versione veritiera, l’Ordidel Duca di Buckingham, privato della dine venne istituito da Re Edoardo III in onostinzione nell’età tudoriana per aver infanre di Dio, di Maria e dei Santi Edoardo e gato il proprio nome. Giorgio e poi riconosciuto ed approvato da Papa Clemente VI. Gli statuti inizialmente Andrea Marini 10 Falstaff Il Giornale dei Grandi Eventi L’impronta del Falstaff sul teatro del compositore tedesco N Verdi e Richard Strauss: la maschera e la fuga dal tempo vina arte – la musica, per asce come una trovare in questo l’invitacreazione solitamento per nuova ispirazioria e magnifica il ne e creazione - …» In Falstaff di Verdi, tanto queste parole c’è qualpiù sorprendente quancosa di più della palese to più lontana da ogni captatio benevolentiae del riferimento alla tradigiovane compositore, ai zione comica italiana, suoi primi passi in camstaccata da qualsiasi anpo teatrale, nei confrontecedente storico, opera ti del più anziano ed senile e nello stesso temesperto maestro. Poco po incredibilmente mointeressa se Verdi abbia derna, capace di rivelareffettivamente letto e si esemplare nei futuri valutato la partitura di sviluppi del teatro muGuntram, cosa peraltro sicale europeo. Quando improbabile, consideil giovane Richard rando che egli non conoStrauss ha l’opportunità sceva il tedesco, e quindi ascoltarla a Weimar, di non avrebbe potuto l’8 aprile del 1894, non esprimere un giudizio può trattenersi dall’esulla musica prescinsprimere tutta la prodendo dalla comprenpria incondizionata amsione della vicenda narmirazione nei confronti rata. La sua lettera di ridel suo autore, superansposta è infatti abbado in un istante i pregiustanza vaga in proposidizi fino ad allora nutrito, ma l’apprezzamento ti nei confronti della di un astro nascente rimusica operistica italiaguardo alla sua ultima na. La lettera indirizzata fatica deve averlo coa Verdi, vergata in un munque lusingato. italiano faticoso ed apLa ricerca di vie nuove prossimativo, è esemMa cosa spinge realplare dell’improvviso mente Strauss a scrivere mutamento di prospettiva. «Illustrissimo signore! Assaissimo conoscente da propria esperienza sicome molestono dedicazioni, oso pertanto la preghiera, V.S. il vero maëstro del dramma lirico italiano voglia benignamente accettare in segno d’omaggio ed ammirazione un esemplare di Guntram come mia prima prova di questo genere. Non trovando parole per esprimere la grande impressione, che mi fece la straordinaria bellezza di Falstaff e non potendo altrimenti significarle la Giuseppe Verdi mia gratitudine per questo irrefrenabile atquesta ricreazione dell’intestato di stima, quale è teletto, pregho la V.S. di la peculiarità che tanto voler almeno accettare lo lo attrae nella musica di spartito. Sarei felice se mi Falstaff? In primo luogo si presentasse una volta non dobbiamo dimentil’occasione di aver un colcare che egli, all’epoca loquio con V.S. sopra la di- della scena. Di questi indi Guntram, è ancora alla ricerca di una propria segnamenti Strauss farà individualità in campo tesoro (si pensi ad Intermezzo, o a Capriccio) e, operistico, considerantenendo costantemente do il peso immenso e presente l’ideale mozardifficilmente eludibile dell’eredità wagneriana. L’intera carriera di Strauss è caratterizzata dal tentativo di sfuggire l’influsso prepotente del suo geniale predecessore, la cui ombra lo segue minacciandolo costantemente. Nel Falverdiano staff egli intuisce allora una nuova via, la possibilità di intraprendere un cammino autonomo in ambito teatrale. Forse solo nella sua ultima opera il compositore di Busseto raggiunge veramente l’i- Richard Strauss deale shakespeatiano, li tradurrà in una riano, quell’ineguagliata poetica estremamente capacità di far convivere ermetica, sempre in biliil comico ed il co fra significati contratragico, renstanti. E’ proprio in quedendo la vita sta dicotomia fra realtà umana in tutta ed apparenza che Falla sua pienezza staff segna in maniera (in realtà la indelebile il teatro contaminaziostraussiano. I personagne fra gioco e gi che agiscono nell’odramma inizia pera sembrano infatti con il Ballo in Maschera, per specchio dell’animo del proseguire nelprotagonista, quasi vila Forza del Desioni scaturite dai suoi stino, le cui scedesideri e dalle sue paune “buffe” re. Il bosco incantato nel sembrano, coquale si svolge la mamunque, ancoscherata conclusiva è la ra tentativi metafora più approprianon perfettata per descrivere una mente compiurealtà nebbiosa, difficilti). Ne consemente decifrabile, e non gue che anche è un caso che le poetiche lo stile non è della finzione e della più univoco, metamorfosi costituima risulta coranno la cifra più autenstantemente solcato da tica dell’ispirazione una punta di sarcasmo e straussiana. E’ dunque di ironia. Le idee musinell’ambiguità che risiecali nascono dalla parode la modernità di Falstaff, la sua importanza la, ed il “canto di conin un’epoca che in breve versazione” si impadroavrebbe assistito ai più nisce quasi interamente rapidi e radicali stravolgimenti. Le frequenti incursioni nel campo della commedia da parte di Strauss rappresentano esse stesse l’adozione di un travestimento, la necessità di mettere in gioco un meccanismo per sopravvivere al dramma che sconvolge l’Europa nei primi decenni del Novecento, eludendo l’irrazionalità della storia e la condanna della temporalità. E’ proprio il senso dell’inevitabile trascorrere del tempo che accomuna il lamento della Marescialla allo specchio nel Rosenkavalier alla rievocazione della giovinezza (“Quand’ero paggio”) in Falstaff, anche se all’inconsolabile tristezza della prima fa riscontro l’arguzia apparentemente spensierata del secondo. Se Strauss, almeno nella seconda parte della sua carriera, cerca una utopica negazione della temporalità, l’anziano Verdi, ormai consapevole che Falstaff sarà la sua ultima fatica, può guardare al mondo con sguardo distaccato e partecipe al tempo stesso. Egli, da una prospettiva totalmente laica, non ha alcuna speranza trascendente, scrive solamente per sé stesso, e dunque prova gusto nel nascondersi in una vicenda dai significati sfuggenti, operando una riflessione amara ma serena sui destini dell’uomo, scrivendo una parola definitiva sulla sua straordinaria esperienza artistica. Riccardo Cenci Il Falstaff Giornale dei Grandi Eventi 11 Un opera equilibrata, frutto della saggezza e dell’esperienza dell’autore Falstaff, capolavoro nuovo ed antico F Il finale della prima scena del primo atto in un disegno di G. Amato alstaff giunge alla conclusione della parabola creativa verdiana. Ma non è semplice comprendere il rapporto di questa composizione - e di questo spettacolo - con tutta la produzione precedente del Maestro di Busseto; come mai un’opera comica («e non un’opera buffa», come tenne a precisare Giuseppina Strapponi in una sua lettera) dopo tante vicende quasi tute a conclusione tragica? E in realtà il linguaggio musicale di questa partitura è profondamente diverso da quello di tutte le opere precedenti; esso procede per brevi incisi, volutamente indipendenti l’uno dall’altro; è quello che Massimo Mila ha icasticamente definito come lo stile dell’ “aforisma musicale” – uno stile che caratterizza tutta la produzione dell’ultimo Verdi – lo si ritrova nei Pezzi sacri, estrema fatica compositiva del Maestro. E tuttavia vi sono connessioni altrettanto importanti, non solo con tutta la precedente produzione verdiana, ma anche con la tradizione musicale europea. In quest’opera quello che era tradizione italiana – le belle “arie”, i cori, i pezzi d’assieme – viene per così dire riassorbito in una concezione creativa più ampia, che si rifà non più a modelli vocali, bensì ad esempi strumentali. I personaggi femminili - le quattro allegre comari di Windsor -, come quelli maschili quando cantano insieme, si atteggiano come un quartetto per archi: Alice e Nannetta - come Fenton e Bardolfo - sono i due violini; Meg - come Ford - è la viola, e Quickly - come Pistola è il violoncello. In questa prospettiva stilistica si muovono le voci - e si atteggiano i personaggi durante tutta la seconda scena del primo atto, nel giardino della casa di Ford; e così si comportano anche nel momento più complesso dell’azione, la scena del secondo atto che si conclude con il rovesciamento del protagonista dal balcone nel Tamigi. E ancora: l’opera che si conclude con una monumentale fuga cui partecipano tutti i personaggi si era aperta con una scena la cui articolazione si rifà ad un’altra struttura tipicamente strumentale, quella della forma-sonata. In questo senso Falstaff diventa una sintesi stilistica del linguaggio musicale a livello europeo – cosa del tutto incompresa dai critici e dagli osservatori contemporanei al vecchio Maestro. Come dobbiamo inter- pretare sul piano della drammaturgia questo mutamento stilistico? Come dobbiamo ‘leggere’ e capire, all’inizio del XXI secolo, questa vicenda e quest’ opera? In tutto il suo precedente teatro Verdi aveva interpretato con implacabile attenzione la fisionomia e gli atteggiamenti degli esseri umani; ne dà ora una lettura altrettanto implacabile, ma in chiave decisamente ironica; a partire dalla tronfia vanagloria del panciuto protagonista, attraverso la violenta e immotivata gelosia di Ford fino allo scanzonato prendere in giro di tutti gli altri personaggi da parte delle quattro comari; né manca l’attenzione benevola alla leggerezza giovanile nei brevi – ma importanti – episodi ‘amorosi’ tra Nannetta e Fenton: L’opera si muove quindi in un continuo variegare di situazioni sceniche, ed è da qui che nasce l’esigenza dello stile dell’ ”aforisma musicale”. Ma la conclusione, sublimata attraverso la forma della fuga, è ben la stessa con la quale si concludevano le opere precedenti: «Tutto nel mondo è burla» ne è l’amara, pessimistica constatazione; ma è la stessa pessimistica conclusione cui erano giunti Rigoletto («Ah, la maledizione!») e Simon Boccanegra («Tutto finisce, o figlia») e tutte le altre storie che Verdi ci aveva nel tempo raccontato. Solo che qui il pessimismo è attenuato dall’olimpico distacco che è consentito a chi ha raggiunto nell’estrema maturità l’equilibrio della perfetta saggezza. Pierluigi Petrobelli Professore emerito di Storia della Musica Università La Sapienza, Roma Falstaff 12 N Il Giornale dei Grandi Eventi Il musicista ed il librettista delle ultime due opere Verdi e Boito: storia di una travagliata amicizia el 1861 l’allora diciannovenne Arrigo Boito (1842 – 1818), scrittore e compositore, e l’amico musicista Franco Faccio (1840 – 1891) che fu poi il primo concertatore dell’Otello di Verdi, ottennero dal Ministero della Pubblica Istruzione una borsa di studio di 2000 lire a testa per andare a Parigi. Nella capitale francese i due giovani musicisti frequentarono assiduamente i teatri e l’ambiente intellettuale. E lì, Boito incontrò per la prima volta Giuseppe Verdi, il quale, di ritorno da San Pietroburgo, aveva ricevuto l’incarico di comporre una marcia per l’Esposizione Universale di Londra dell’anno successivo. Verdi, restio a composizioni di circostanza, dopo aver saputo che anche Auber stava scrivendo una Marcia, optò per un Inno del cui testo incaricò proprio il giovane Boito. Nacque così l’Inno delle Nazioni e fu quella la prima occasione di collaborazione fra i due artisti. Un incontro felice, tanto che Verdi scrisse poi al giovane letterato: «Mentre vi ringrazio del bel lavoro fattomi, mi permetto di offrirvi, come attestato di stima, questo modesto orologio. Aggraditelo di cuore, come io di cuore ve l’offro». vissuti nel capoluogo lombardo. Fra questi, appunto, Boito che ne fu tra i principali esponenti. Gli Scapigliati animarono un vivace dibattito che coinvolse il mondo letterario e quello musicale, in un’accesa critica all’arretramento della nostra cultura rispetto a quella europea. Una critica che non risparmiò alcuno, neppure Verdi. E fu proprio Boito a usare parole forti. Nell’ode All’Arte Italiana, improvvisata per festeggiare Faccio, Boito affermava: «Forse già nacque/ chi sovra l’altare/Rizzerà l’arte, verecondo e puro,/ Su quell’altar bruttato come un muro/Di lupanare». Versi che non fecero certo piacere a Verdi. E altrove, nel denunciare la totale dipendenza della musica italiana dall’opera, Boito dettava la ricetta per la reazione: «L’opera in musica del presente per aver vita e gloria e per toccare gli alti destini che le sono segnati deve giungere a parer nostro: la completa obliterazione della formula; la creazione della forma; l’attuazione del più vasto sviluppo tonale e ritmico possibile oggi; la suprema incarnazione del dramma». In realtà Boito parlava in generale, non faceva riferimenti precisi a Verdi, per il quale provava Lo scontro a distanza L’amicizia fra Verdi e Boito ricevette però una brusca interruzione. Proprio nel 1862, infatti, con la pubblicazione del romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio di Cletto Arrighi prendeva avvio il movimento della Scapigliatura che si sarebbe protratto più o meno fino al 1890. Movimento culturale anche piemontese e genovese, la “Scapigliatura” fu un fenomeno essenzialmente milanese, alimentato da un gruppo di intellettuali nati o comunque Arrigo Boito e Giuseppe Verdi Arrigo Boito profonda stima. Ma Verdi si sentiva sotto tiro e, non a caso, pochi anni dopo, terminate le fatiche per Aida si mise a riposo, alternando soggiorni a Genova a periodi più faticosi nei suoi poderi di Sant’Agata. Intanto Boito aveva vissuto l’esperienza tragica dei fischi che nel 1868 avevano accolto alla Scala la prima edizione del suo Mefistofele. Poi, nel 1875 la rivincita a Bologna con la nuova e definitiva revisione ap- plaudita e celebrata. Ma lo stesso Boito era ben consapevole che il teatro italiano non aveva ancora trovato l’erede di Verdi e che il Bussetano era comunque l’unico in grado di rilanciare l’opera nostrana in concorrenza con l’esperienza wagneriana e con quella francese. Un’amicizia ritrovata Ricordi e Boito, dunque si allearono e convinsero Verdi a rivedere am- piamente il contestato Simon Boccanegra di Piave. Fu una sorta di prova per la coppia Verdi-Boito: e il successo spianò la strada ai due estremi gioielli verdiani, Otello (1887) e Falstaff (1893). Boito divenne, dagli anni Ottanta, grande amico di Verdi. Il carteggio fra i due fu fittissimo, frequenti le visite a Genova e a Sant’Agata. E il più giovane artista ha anche lasciato una serie di appunti e ricordi sul collega più anziano. Vi si legge, tra l’altro una curiosa analisi dei suoi gusti culinari: «Ama i pranzi prolissi e le opere concise. Cucina poderosa dei vecchi tempi. Gli piace anche la moderna, ma quando è all’hotel è finissimo assaporitore. Ma a casa sua vuole le grandi fette di bue condite colla mostarda di Cremona, i funghi in aceto, la salsa verde. Quasi tutta la sua vita mangia a desinare un mezzo uovo sodo dopo l’arrosto. Il suo desinare in casa è composto di antipasti, d’una minestra per solito sostanziosa (risotto, pasta asciutta, ravioli in brodo), d’un piatto di carne lessa, d’una di frittura abbondante, d’un arrosto, d’un dolce, formaggio, dessert vari. Un’ora dopo il desinar, fabbrica lui stesso il caffè>. Alla morte di Verdi, il 27 gennaio 1901, Boito rimase sconvolto. Scrisse all’amico Bellaigue: «Mio caro amico, ho perduto nella vita persone idolatrate, il dolore è sopravvissuto alla rassegnazione, ma non mi sono mai sorpreso in un sentimento di odio contro la morte e di disprezzo contro questa potenza misteriosa, cieca, stupida, trionfante e vile. Era necessaria la morte di questo nonagenario per risvegliare in me questa impressione. La odiava anche lui, perché egli era la più potente espressione di vita che si potesse immaginare; la odiava come la pigrizia, l’enigma e il dubbio». Roberto Iovino Il Falstaff Giornale dei Grandi Eventi 13 S I ricordi della vita allegra e disordinata a Stratford on Avon I I teatri di Londra all’epoca di Shakespeare Falstaff quasi un autobiografia del giovane Shakespeare ir John Falstaff, il più burlesco dei personaggi creati dall’immaginazione di Shakespeare, è il carattere che maggiormente raccoglie nell’intimo le impressioni giovanili del drammaturgo, legati alla allegra e disordinata esistenza dei suoi primi anni trascorsi nella natia Stratford on Avon. «Tutto il mondo è teatro», si legge sullo stendardo collocato all’entrata del Globe Theatre, il teatro di Shakespeare; il mondo Stratford e quello della vicina Bedford, con le sue malfamate locande frequentate da ladrucoli, truffatori e ubriaconi, rappresentano lo scenario ideale per ambientare la vita del corpulento Falstaff, emblema di un approccio alla vita dissoluto ed epicureo, come quello del giovane Shakespeare, che amava li cimentarsi in gare a tazze di birra con i bevitori locali.. La cittadina di Stratford upon Avon, nella contea del Warwickshire, gode della fama lasciategli in eredità dal poeta. Da secoli è invasa in ogni periodo dell’anno da una moltitudine di turisti e curiosi. Nel “Libro degli schizzi”, pubblicato tra il 1819 e il 1820, Washington Irving racconta della sua visita Stratford, a cominciare dalla casa in Henley Stree do- ve nacque Shakespeare, descrivendola così: «E’ una casetta di legno sbiancata e di meschina apparenza, dalle stanze squallide, le cui parete sono tutte coperte di nomi e di iscrizioni in ogni lingua, lasciatevi dai viaggiatori d’ogni nazione, d’ogni classe, d’ogni grado, La casa natale di Shakespeare a Stratford on Avon incominciando dal va cacciando di frodo un cervo principe e scendendo fino al contanel parco di sir Thomas Lucy, dino…». sceriffo della contea di Warwick. Altre allusioni alla vita burraArrestato da questi, fu condanscosa del giovane Shakespeare a nato a pubblico biasimo. ShakeStatford on Avon si ritrovano speare si vendicò dell’offesa con anche nelle Allegre comari di l’arma della penna: nelle Allegre Windsor. comari di Windsor, lo scudiere e Nel testo Shakespeare. Sulle tracce giudice di pace Roberto Shallow, di una leggenda di Samuel canzonato per l’inutile cura che Schoenbaum, si racconta di coegli si dava nel custodire la sua me il drammaturgo dovette abselvaggina e la moglie, è proprio bandonare la propria casa e tralo sceriffo Lucy. sferirsi a Londra, perché fu colto L. C. in fragranza di reato, mentre sta- Quel Globe Theatre, capostipite nato sul fango del Tamigi l fiorire della drammaturgia inglese inizia ancor prima della costruzione di sedi espressamente adibite alle rappresentazioni teatrali. Nel 1558, anno che segna l’inizio del prolifico regno di Elisabetta I, non esisteva alcun teatro stabile a Londra. Compagnie di girovaghi commedianti – gli strolling players - si esibivano all’interno di malfamate locande, dove era possibile assistere alle messe in scena dalle finestre o dalle balconate interne, che fungevano da loggioni. L’edificazione del primo teatro si deve a James Burbage, attore della compagnia protetta dal conte di Leicester, che intravide nella costruzione di una struttura stabile per le rappresentazioni teatrali una possibile fonte di denaro. Preso in affitto un terreno a Shoreditch, nella periferia londinese, vi costruì nel 1577 il primo teatro inglese, che fu chiamato semplicemente: The Theatre. Ne seguirono presto molti altri, tutti di legno ed edificati sul modello delle corti di locanda. Nel 1599, dopo l’annullamento del contratto di affitto del terreno, The Theatre venne ricostruito nel Bankside, su un terreno melmoso sulle rive del Tamigi; nasceva così il celebre Globe Theatre, dove lo stesso torno ad una platea aperta al centro, che conservava il nome di corte. In questo spazio scoperto, soggetto quindi al sole e alle intemperie, gli spettatori potevano assistere alla messa in scena stipati in piedi. Le pagare uno scellino, normalmente eleganti gentiluomini. Essi così si trovavano al riparo dalla pioggia e se pagavano un altro scellino potevano avere anche uno sgabello. Il palcoscenico era protetto da un tetto Il castello di Windsor dove fu rappresentata la commedia Le allegre comari di Windsor Shakespeare calcò più volte la scena come attore. In quei tempi a Londra esistevano sette teatri, che oggi assomiglierebbero più a luride stamberghe che a luoghi di intrattenimento. In genere questi teatri venivano edificati secondo una pianta poligonale, per ottenere un effetto circolare at- rappresentazioni teatrali affascinavano tutte le classi. Vi partecipavano nobili e principi, popolani e contadini, donne e bambini, grazie ad un biglietto che era alla portata di tutti. Il pubblico della platea scoperta era esposto alle intemperie. Sulla scena stavano gli spettatori capaci di ed era rialzato di circa un metro e mezzo dal terreno. Ai tempi del teatro elisabettiano ancora non veniva utilizzato il sipario, ne’altri effetti scenici. La mancanza di allestimenti scenografici era ovviata dalla bravura degli attori, che con le sole capacità mimiche e verbali riuscivano a creare con maestria mondi invisibili e luoghi fantastici. Il pubblico in platea partecipava attivamente e rumorosamente alla rappresentazione. Non era inusuale, infatti, che si scatenassero risse tra gli spettatori divisi a favore o contro un personaggio, o che fossero lanciati sul palco oggetti di ogni specie e generi alimentari che il pubblico usava consumare durante le rappresentazioni. Shakespeare, già molto popolare al pubblico dell’epoca, ebbe anche l’onore di veder rappresentate le sue opere davanti al nobile pubblico del castello di Windsor. Secondo la tradizione, la regina Elisabetta in persona ordinò al drammaturgo la composizione, entro quattordici giorni, di una commedia, dove fosse protagonista il farsesco sir John Falstaff, che tanto l’aveva divertita nell’Enrico IV. Shakespeare scrisse così le Allegre comari di Windsor, in cui i vizi di Falstaff venivano messi in burla ed infine smascherati. L. C. Falstaff 14 «T Il Giornale dei Grandi Eventi Il nettare degli dei nell’opera L’apoteosi del buon vino averniere, un bicchier di vin caldo». Falstaff, inizio atto III, esterno dell’Osteria della Giarrettiera. Falstaff è seduto su una panca. Stremato e infradiciato, fa la sua ordinazione al taverniere con un filo di voce. Di vin caldo ha indubbiamente bisogno. Alla fine dell’atto precedente, attirato con un tranello ad un finto appuntamento galante, l’impenitente rubacuori, a dispetto della non più verde età (ha 80 anni come il suo autore, Verdi) era finito in una cesta dei panni e con quella gettato nel Tamigi: «che se non galleggiava certo affogavo». E, aggiunge: «Brutta morte, l’acqua mi gonfia», su un crescendo orchestrale che richiama alla tecnica dei madrigalismi cinquecenteschi. La disavventura, al di là dello scampato pericolo, sembra lasciare il segno in Falstaff che improvvisamente si sente vecchio, solo in un mondo che declina. «Non c’è più virtù» constata sconsolato e canta autocommiserandosi con lo slancio di un autentico eroe romantico: «Va, vecchio John, va, va, per la tua via, cammina finché tu muoia. Allor scomparirà la vera virilità Dulcamara ed il suo Elisir dal mondo». Finalmente gli viene servito il bicchiere di vino, annunciato da un’orchestra nuovamente vivace e frizzante. Falstaff cambia umore: «Versiamo un po’ di vino nell’acqua del Tamigi», dice allegramente. E poi, sorseggiando con calma, dopo essersi sbottonato il panciotto, fermo al sole, si lascia andare ad una delle più belle esaltazioni delle virtù terapeutiche del vino: «Il buon vino sperde le tetre fole dello sconforto, accende l’occhio e il pensier, dal labbro sale al cervel e qui risveglia il picciol fabbro dei trilli (e l’orchestra si anima trillando nei fiati). Un negro grillo che vibra entro l’uom brillo. Trilla ogni fibra in cor, l’allegro etere al trillo guizza e il giocondo globo squilibra una demenza trillante! E il trillo invade il mondo!». Non sempre simbolo di riconciliazione La riconciliazione con l’umanità è siglata da Falstaff con un semplice boccale di vino, sicuro espediente per guardare intorno a sé con occhi più benevoli ed animo sereno. Il termine “brindisi” ha origini probabilmente tedesche. I lanzichenecchi alzando il bicchiere esclamavano “bring dir’s”, “lo offro a te”. Un’offerta amichevole, dunque, non sempre, tuttavia, accettata con altrettanta bonomia. È il caso della celebre scena di Cavalleria rusticana (1890). Alfio ha saputo da Santuzza che sua moglie Lola se la intende con Turiddu, il vinaio. Dopo la funzione pasquale, i paesani sono riuniti nella piazza su cui si af- Falstaff in un quadro di Eduard von Grützner (1896) faccia l’osteria di nebri a voluttà». La risposta di mamma Lucia e Turiddu offre Violetta, sulla stessa melodia, è da bere a tutti. Il canto è appaun’esortazione a godere l’atrentemente gioioso: «Viva il vitimo fuggente: «Tra voi, saprò dino spumeggiante/ nel bicchiere videre il tempo mio giocondo;/ tutscintillante /come il riso dell’ato è follia nel mondo/ ciò che non è mante/ mite infonde il giubilo/ Vipiacer». va il vino che è sincero/ che ci alAnche nel 2° atto di Carmen, lieta ogni pensiero/ e che affoga l’ul’entrata di Escamillo è salutata mor nero/ nell’ebbrezza tenera». con una richiesta di brindisi. La sincerità del vino contrasta Sarà poi Carmen a mettere il con l’inganno dei due amanti e bicchiere nelle mani del torero. la festa è bruscamente interrotta Tutti bevono, scambiano strette dal gesto di Alfio che rifiuta il di mano con il toreador che subicchiere: «Grazie, ma il vostro bito dopo approccerà la bella e vino io non l’accetto: diverrebbe caliente sigaraia. veleno entro il mio petto». Nel primo atto dell’ Elisir d’AÈ il segnale della tragedia. Mamore Donizetti fa una splendida scagni cambia toni, l’orchestra apoteosi del vino spacciato per si incupisce. Turiddu comprenelisir. E raccomanda:« La bottide di essere stato smascherato: glia un po’ si scuote, poi si stappoche parole, l’appuntamento pa ma, bada ben che il vapor dietro l’orto. C’è solo il tempo non se ne vada, poi al labbro per un saluto alla madre e di lì l’avvicini, e lo bevi a centellini, a poco si sentirà l’urlo: «Hanno e l’effetto sorprendente non è ammazzato compare Turiddu». tardi a conseguir!». Poi alla doBrindisi, dunque, foriero di manda di Nemorino «E il saposventure. In un altro caso, invere?», Dulcamara risponde «Ecce, è portatore di amore e di cellente! (sottovoce) E’ Borpassioni tenere, anche se destideaux, non (ridendo) Elisir!». nate a sfociare ancora in dramIn una pur rapida carrellata su ma. libagioni non poteva mancare il Se è vero che la musica di Verpersonaggio più sfrenato, indi è colma di lambrusco fino alcontenibile e amorale della stol’orlo, è anche vero che la pasria del teatro, Don Giovanni. sione amorosa fra Violetta e AlNel primo atto dell’opera mofredo scoppia in Traviata grazie zartiana (1787), il leggendario ad un morbido e frizzante rubacuori, irrompe in scena per champagne. Nel famoso brindiaggredire lo spettatore con un si del primo atto, Alfredo alzancanto di violenta e baldanzosa do la coppa (i calici si dicono vitalità: «Fin ch’han dal vin/ calispirati alle rotonde forme del da la testa/ una gran festa/ fa seno della Pompadour, forma preparar». assai più allettante di quella Vino, danza, amore. La trinità usata per il “flûte”) canta su perfetta per Don Giovanni e per una melodia aperta, fluente, soil suo sfortunato, ma simpatico stenuta da un ritmo di valzer: emulo, Falstaff. «Libiam ne’ lieti calici/ che la belRoberto Iovino lezza infiora/ e la fuggevol ora/ s’i- Il Falstaff Giornale dei Grandi Eventi 15 La curiosa storia delle foto scattate al termine della composizione del Falstaff V Verdi fotografato con l’inganno erdi non amava le pose di alcun genere, nemmeno quelle brevi del fotografo ed i suoi ritratti, Arrigo Boito e Giuseppe Verdi fatti direttamente dal vero, tenuto conto della sua lunga e gloriosa carriera artistica, non sono molti. Arrigo Boito, Giulio Ricordi e altri suoi intimi, gli manifestarono nell’estate 1892, durante un breve soggiorno a Milano, il desiderio di avere una sua nuova fotografia, tanto più che essa sarebbe stata quasi indispensabile ad un ottimo artista piemontese, il Chessa, che s’era proposto di prender parte al concorso bandito dal Ministero dell’Istruzione, per un ritratto ad acquaforte del grande Maestro. «Io non ho alcuna contrarietà a farmi fotografare – disse Verdi, con la sua naturale bonarietà – ma che volete cari miei? non so star fermo... non so posare .... Sul serio, sarebbe un supplizio per me ..». «E noi, maestro, le faremo il ritratto senza sottoporlo a questo supplizio ... disse Ricordi – Ella sarà fotografato di sorpresa ... senza accorgersi ... Mi faccia l’onore, intanto, di fare colazione domani con me ...». Verdi fece colazione il giorno dopo con Giulio Ricordi, Arrigo Boito, e con l’ing. Tito, figlio del commendator Giulio. La casa di Giulio Ricordi era in via Borgonuovo ed affacciava sopra il giardino Perego, un giardino antico, estesissimo, uno dei più bei giardini di Milano. Dietro ai verdi cespugli, dietro alle pile dei vasi, Ricordi fece disporre alcune macchine fotografiche istantanee, mascherate, nascoste «come Giulio Ricordi presenta il pittore Chessa le bocche di fuoco dietro le trincee …». Ogni pezzo aveva il suo uomo, il suo fotografo, con ordini precisi. La colazione passò allegramente. Verdi era di buon umore, di tutta la gaiezza che aveva infuso nella sua ultima creatura artistica. Si parlò molto di Falstaff, non si parlò ovviamente di fotografia. «Il caffè lo si potrebbe prendere in giardino, non le pare maestro?», disse Giulio Ricordi con la maggiore serietà. «Sicuro, in giardino« soggiunse Verdi, con un leggero sorriso che voleva significare «Ci siamo!». Discesero, così, in giardino. Giulio Ricordi era andato avanti e con un rapido giro dello sguardo aveva dato l’attenti... Il Maestro che scendeva, come sua abitudine, con le mani dietro la schiena ed il cappello a falde larghe, si fermò un momento sul cancello d’uscita: «Bricconi!» stava dicendo al giovane Tito.. quando il primo “colpo” partì... anche se egli non se ne accorse. Giunse allora dal giardino il pittore Chessa. Giulio Ricordi chiese al Maestro il permesso di presentarglielo. Verdi s’intrattenne qualche minu- Verdi davanti al telo predisposto per il ritratto to con il giovane artista, mostrandosi molto lieto di conoscerlo e, col suo fare paterno e cordiale, gli espresse parole di incoraggiamento. Un sorriso spuntò ad un tratto sulle labbra di Giulio Ricordi. Egli s’era accorto del secondo “colpo”..., mentre il Maestro, attento alle parole di Chessa, non aveva notato alcunché. Intanto in giardino era sceso anche Boito, il librettista delle ultime due fatiche e del riadattamento del Simon Boccanegra. Verdi si unì così al suo fido collaboratore e proseguì il cammino. «Bricconi! - esclamò Verdi ad un tratto – ecco il tranello!» ed a Boito indicò col capo una macchina fotografica notata dietro una siepe. La terza fotografia fu fatta an- cor di soppiatto e riunì in un’unica immagine musicista e poeta di Falstaff. «Via, via - disse ironicamente Verdi, sempre del suo migliore umore – poiché si vuole il mio supplizio, montiamo pure il palco... Lo capisco, è qui ...» e si sedette su una seggiola, in fianco alla quale era un bianco drappo, perchè la faccia del Maestro si staccasse nettamente dallo sfondo. «Via, non fatemi soffrir troppo...». «Ma s’è già fatto tutto!», disse soddisfatto Giulio Ricordi. Infatti, due obbiettivi fotografici erano stati spianati verso quel punto e mentre uno prendeva tutta la brigata, l’altro s’era impadronito del profilo sereno ed energico della testa del Maestro. Questa la storia delle fotografie di questa pagina, tra le quali quella del profilo da cui fu tratta l’acquaforte di Verdi che procurò a Chessa la vittoria nel concorso governativo. Fr. Pi. Il primo scatto: Verdi giunge in giardino ACEA PER ROMA A partire dal 1 gennaio 2010 sono stati ampliati alcuni servizi telefonici dedicati ai clienti. Per semplificare e rendere più agevole il contatto tra i cittadini e le società del Gruppo, Acea ha istituito una serie di nuovi numeri verdi per l’elettricità e l’acqua. Si ricorda che è possibile effettuare operazioni commerciali anche attraverso i siti Internet www.aceaelectrabel.it per il settore Elettrico e www.aceaato2.it per il settore idrico. Inoltre, i servizi dedicati alla clientela sono svolti presso gli sportelli di piazzale Ostiense, 2 e di via Rutilio Namaziano, 24 (Ostia) dalle ore 08.00 alle 16.00 dal lunedì al giovedì e dalle 08.00 alle 13.00 il venerdì. 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