Idea: Costanza Gori
Revisioni: Matteo Pasquini
Supervisione: Tommaso Capitanucci
- I Libri Vaganti -
« Agli eroi moderni.
Senza presente, senza futuro e senza patria.
Con la volontà, l’impegno e un sogno. »
- Pico
« Si rispecchia nel gran Libro sublime
la mente faticata dalle pagine,
il cuore devastato dall'indagine
sente la voce delle cose prime »
- Guido Gozzano
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- Il PuzzleBook di eXcalibooks -
Capitolo I – Martino ....................................................................................... 4
Capitolo II – Modesto ..................................................................................... 8
Capitolo III – Penelope .................................................................................. 11
Capitolo IV – Swami ..................................................................................... 13
Capitolo V – Bobo ......................................................................................... 16
Capitolo VI – Nadia....................................................................................... 18
Capitolo VII – 37 ........................................................................................... 23
Capitolo VIII - Davide .................................................................................... 26
Capitolo IX - Anna......................................................................................... 29
Capitolo X -Renée ......................................................................................... 32
Ringraziamenti ............................................................................................. 35
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- I Libri Vaganti -
di Costanza Gori
«Dlin-Dlon!!… Frrrr… Si avvertono… frrrrr… grrrrr… i signori viaggiatori che il treno regionale… frrrr… delle
ore 14:07 per Fossombroso arriverà con 90 minuti di ritardo… frrrrr… causa guasto impianto elettrico…
frrrrr… Ci scusiamo per il disagio!»
-No! Di nuovo! Anche oggi farò tardi, e chi lo sente il babbo?!
Martino si avvia sconsolato verso la sala d’attesa, dove si abbandona esausto su una panchina verde sudicia
e scrostata, scaricando a terra lo zaino pesante e ricolmo di libri. A Fossombroso − 5.000 anime, tra i boschi
dell’Appenino Pistoiese − le scuole superiori non ci sono, non le hanno mai fatte perché a nessuno
interesserebbe un fico secco. Dopo le scuole medie, sempre che tu le finisca, vai alla Scuola per Parrucchieri
RiccioCapriccio, se sei una femmina, o a imparare il mestiere nella grande falegnameria di Palumbo
Giovanni, se sei un maschio. Permanenti e trucioli, di questo ci si occupa a Fossombroso. E per nessuno è
mai stato un problema.
Tanto ha fatto e tanto ha detto, il piccolo Martino Ferri, che i suoi genitori hanno acconsentito a mandarlo
in città per studiare, dopo la Terza Media. A patto che nel pomeriggio aiuti in bottega il padre, che quando
lo vede arrancare su per la salita che dalla stazione del treno porta alla Ferri Ferramenta, in piazza, non
manca mai di scuotere borbottando la grossa testa pelata:
- A leggere troppo finisce che ci diventi scemo, Martì! E gobbo, pure!Piccino e rachitico come sei sotto
quella montagna di libri!
A Martino non importa se tutti lo prendono in giro. Non gliene importa dei chiodi e dei bulloni che vende il
babbo: gli vuole bene, al negozio, perché lo sa che senza soldi non si mangia, e non si può quindi nemmeno
andare a scuola. E vuole bene anche a suo padre, perché ha brontolato tanto, ma alla fine gli ha dato il
permesso di farle, queste maledette superiori! Vuole bene alla mamma, che di lavoro fa «la smaltatrice in
casa per signore» – come dice lei – e che tutte le mattine si alza all’alba insieme a lui per preparargli il
caffèlatte.
Vuole bene a tutti, anche a Fossombroso, perché ci è nato e ci è cresciuto, e da piccolo si è sbucciato le
ginocchia scavalcandone i muretti e le recinzioni, durante quelle interminabili battute di nascondino che
ancora sorride a ripensarci. Però da grande vuole fare il veterinario, e per fare il veterinario bisogna
studiare. Bisogna andare a scuola, andarci spesso e bene.
È per questo che la sveglia di Martino suona tutte le mattine alle 5:30, tre ore prima della campanella del
Liceo Classico Giosuè Carducci. Giusto in tempo per fare colazione e scappare a prendere il treno
scalcagnato che sbuffando lo porta giù in città, dove lo attendono un autobus arancione ancora più
scalcagnato e, finalmente, un banco freddo e scarabocchiato del Carducci.
La sala di attesa è gremita di persone: pendolari stanchi e stressati che si guardano attorno inebetiti e
accaldati. Martino ha fame, si è dimenticato la merenda a casa uscendo di corsa la mattina, e lo stomaco gli
gorgoglia rumoroso. Potrebbe mettersi avanti con i compiti e cominciare quella maledetta versione di
greco…ma non ha voglia. Si scruta intorno: che fare?
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- Il PuzzleBook di eXcalibooks Poi lo vede. Abbandonato in un angolo, la copertina rossa che si fa spazio impertinente tra un mucchio di
giornali ingialliti lasciati lì da chissàchi e chissàquando. È un libro! Sì, dev’essere proprio un libro..
Accanto al cumulo di quotidiani da cui spunta lo scintillante angolino rosso, seduta sull’estremità striminzita
di una panchina verde, sudicia e scrostata come quella di Martino, una giovane e magrissima donna se ne
sta imbronciata ad armeggiare con specchietto, rossetto, matite e pennellini.
Martino le si avvicina titubante, trascinandosi dietro lo zaino – che già una volta gli è capitato di lasciarlo un
attimo incustodito e glielo hanno fregato.
- Mi scusi, è suo quel libro?
Silenzio.
- Signorina, mi scusi se la disturbo… mi stavo chiedendo…
Non considerato.
Martino indugia, per poi toccare timidamente, con la punta delle dita, la spalla ossuta della ragazza:
- Signorina, mi scusi…
- Ehi! Ma che fai?! Giù le mani!
- No… mi scusi… volevo solo… cioè… io mi chiedevo…
La giovane, che è molto meno carina di quanto sembrasse da lontano – ecco a cosa serviva il trucco – con
gli occhi piccoli cerchiati da occhiaie scure e la pelle del viso un po’ giallognola, si alza di scatto e se ne va
indispettita bofonchiando, i tacchi alti che ticchettano maleducati sull’impiantito rovinato della sala
d’attesa, tra i resti di mille chewingum biascicati e poi sputacchiati. Con i libri, evidentemente, non ha
niente a che fare.
Martino scosta i vecchi giornali e prende in mano quello che, ora che lo vede da vicino, è un libro piuttosto
malconcio, usurato, anche un po’ sottolineato – si accorge sfogliandolo. Lo annusa, e si rende conto che
odora di quello stesso profumo buono di carta vecchia che sentiva sempre da piccolo in casa della nonna.
Che avrà fatto pure la sarta tutta la vita, ma era una lettrice accanita, con una cultura che avrebbe fatto
arrossire diversi laureati. E quando era piccolo, e la mamma lavorava nella fabbrica di conserve giù in città,
se lo teneva con sé tutti i pomeriggi, e lo ascoltava leggere ad alta voce Le avventure di Pinocchio e
Ventimila leghe sotto i mari mentre rammendava i calzini o cuciva gli orli alle sottane.
- Guarda che lo puoi prendere il libro, se t’interessa!
Martino si gira di scatto. Per terra, dietro le macchinette scassate delle merendine, infilato sotto una
copertona di lana logora e scolorita, un omone con la barba lunga se ne sta educatamente seduto a leggere
il giornale del giorno prima. Martino sa chi è, lo vede sempre lì nei dintorni della stazione: sul suo conto,
qualcuno a Pistoia dice che un tempo fosse un professore di musica; altri si dicono sicuri di averlo visto fare
avanti e indietro dal manicomio tutta la vita. È un invasato, niente di più!
Ha la faccia simpatica, la bocca enorme e gli occhi scurissimi. Non chiede mai l’elemosina, semmai si dà da
fare con il Mastrolindo e di tanto in tanto ripulisce il sottopassaggio, accettando qualche spicciolo in
cambio. Non l’ha mai visto bere un bicchiere né fumare una sigaretta: legge sempre, piuttosto. Vecchi
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- I Libri Vaganti giornali ingialliti, riviste sgualcite abbandonate sulle panchine della stazione, qualche libro. Anche cataloghi
pubblicitari.
- Prego…? – fa Martino timidamente.
- Aprilo e leggi. È un Libro Vagante!
- Un che…?
- Un Libro Vagante, un libro libero. Non ha padroni, solo lettori. È tuo, è mio, avrebbe potuto essere anche
della ragazzina bionda, se avesse voluto o se non fosse stata troppo impegnata a guardarsi allo specchio.
Il ragazzo è divertito da questa conversazione un po’ sopra le righe, sta ad ascoltare.
- Mi piace il termine “Vagante”. Mi viene in mente la fantasia. Hai presente una cosa selvaggia per natura?
Qualcosa che va fatta volare, non la si può catturare.
Martino apre il volume. C’è scritto anche dentro: “Libro Vagante”.
- L’ha lasciato qui una decina di giorni fa una giovane mamma. Una mamma in divenire, in realtà. Aveva
ancora il pancione. Pensavo se ne fosse dimenticata, l’ho rincorsa per restituirglielo. Mi ha spiegato che era
mio il libro, se lo volevo. E che comunque di certo non era più suo. L’aveva finito aspettando il treno delle
16.30 per Firenze, andava a farsi un’ecografia. E adesso era giusto che altri ne potessero godere… Le parole
non si ingabbiano! – Continua – Ed è pure un bel libro! L’ho letto in una notte, io! Proprio qui, appoggiato a
questa macchinetta scassata. Aspetti il regionale per la montagna, tu?
- Sì, abito a Fossombroso io…
- Che bel posto; ci venivo a cercare funghi da piccolo!
- Anch’io vado sempre a cercare funghi col babbo… la mamma fa le tagliatelle fatte in casa e poi ce le
condisce…è una cuoca provetta, quando cucina lei mangio perfino i cavoletti di Bruxelles! Una volta può
venire a pranzo da noi, se le fa piacere… quando facciamo le tagliatelle, intendo, non i cavoletti…
- Ti ringrazio ragazzo, ci farò un pensierino…ora prendi quel libro, però, che è tuo. E tienine di conto. Perché
oggi è tuo, ma domani sarà di un altro. Un po’ come la terra, no? Come la musica…
- Sì signore, lo farò…
- Bravo!
- La aspetto a pranzo allora, quando la mamma fa le tagliatelle!
- Sicuro!
Martino indietreggia titubante con il libro in mano. Gli sembra quasi di rubare, ma c’è scritto perfino
dentro, che il libro è di tutti, e che chi lo trova può farlo suo per il tempo che gli servirà per leggerlo, e che
l’importante è poi riconsegnarlo alla libertà, al compiersi beffardo del destino. Lo lasci dal dottore in sala
d’aspetto e magari quello ti va a finire a Timbuktu, nella valigia di uno scienziato che dal dottore ci era
andato per farsi il vaccino contro la malaria. Oppure va a finire che se lo legge l’infermiera al banco
dell’accettazione, fra un paziente e l’altro, e poi se lo dimentica al bar di fronte all’ambulatorio, una mattina
mentre fa colazione prima di entrare a lavoro.
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- Il PuzzleBook di eXcalibooks È una trama appassionante, quella raccontata dal libro rosso, che rapisce il piccolo e rachitico Martino fin
dalle prime pagine. A malapena, un’ora e mezza più tardi, si accorge della voce gracchiante e metallica che
annuncia la partenza del suo trenino per le montagne. Corre a perdifiato per non perderlo, e riesce a
saltarci su per un pelo. Nemmeno cerca un posto a sedere, rimane lì in piedi nel mezzanino, e per le due
ore di viaggio successive, legge, legge e ancora legge.
Il treno sbuca sbuffando dall’ultima galleria prima di Fossombroso mentre Martino finisce di leggere
l’ultima pagina.
Fa appena in tempo a scrivere il suo nome sul retro della copertina, lì sotto a quelli degli altri padroni
provvisori. Martino. La giovane mamma si chiama Stella. Prima di lei, una calligrafia tremolante e un nome
d’altri tempi, fanno pensare a un signore anziano, un nonno forse: Settimio. E tanti altri ancora, prima di lui.
Lo appoggia delicatamente sul sedile di una carrozza e scende di corsa, appena in tempo prima che le porte
si richiudano.
- Sei libero, ora. Buona fortuna.
Il regionale 7654 riaccompagnerà a casa qualche altro pendolare e un paio di altri liceali di montagna, per
poi fare dietro-front e rientrare per l’ora di cena a Pistoia.
Trotterellando ansimante, sotto il peso dello zaino di piombo, Martino si avvia per la salita che porta alla
Ferri Ferramenta.
- A leggere troppo finisce che ci diventi scemo, Martì!! E gobbo, pure!Piccino e rachitico come sei sotto
quella montagna di libri!! – Urla un vocione dal piazzale del paese. E Martino è contento, perché è a casa.
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- I Libri Vaganti -
di Loriana Carlacchiani
«Speriamo di trovare un posto libero per sedermi…» Non era più tanto giovane Modesto, aveva da poco
superato gli ottanta e si era ritrovato più volte a pensare che gli ultimi anni, quelli dopo i 75, pesavano di
più sulle spalle, tanto da costringerlo a piegarsi un po’ in avanti… No, non è gobba si ripeteva, è il peso della
vita! Era una comodità avere la stazione a pochi passi da casa sua, così poteva andare a trovare la sua
Marisa ogni giorno.
Avevano passato tanti anni separati. L’aveva notata una sera tanti anni fa, alla festa del paese, lei era
ancora una ragazzina ed aveva i capelli lunghi, sciolti, con i boccoli. Le altre ragazze della sua età non
avevano i boccoli, anzi qualcuna, quelle venute dalla campagna specialmente, avevano i capelli ispidi…
Marisa apparteneva ad una buona famiglia, i genitori erano nobili… non erano più ricchissimi come lo erano
stati i nonni forse, ma lo erano abbastanza da permettersi di non lavorare e mantenere le due figlie
femmine in un collegio dove avevano imparato a ricamare, a cantare, a scrivere bene….
«Prende anche lezioni di pianoforte!» gli disse Antonio, il suo amico, che lo vedeva guardare incantato
quella ragazzina che la domenica passeggiava avanti ed indietro per il viale insieme alla sorella. Doveva
conoscerla, parlarle almeno una volta… l’occasione capitò quando Marisa venne nella bottega del padre di
Modesto, il ciabattino del paese, insieme alla domestica di casa.
Era anche il suo lavoro quello del ciabattino, non aveva avuto altra scelta in fondo… anzi stava diventando
più abile del padre nelle riparazioni…
Quante paia di scarpe aveva risuolato… erano pochissimi quelli che potevano permettersi scarpe nuove.
Però Marisa e la sua famiglia potevano: voleva un paio di scarpette in vernice nera, disse a suo padre.
Aveva un piede piccolo, molto più piccolo di quello che ci si sarebbe potuto aspettare vista la sua altezza. Il
padre disse di prenderle la misura esatta del piede e Modesto quasi morì, quando lei appoggiò il piede sulla
sua gamba per permettergli di farlo.
Non avevano il materiale in bottega e la consegna non sarebbe stata velocissima, ma Marisa disse con
grazia che non le importava, avrebbe aspettato. Poi sorrise. Modesto restò incantato da quel sorriso, era
come se avesse superato la barriera degli occhi e gli si fosse stampato direttamente nel cervello.
Tornò più volte in bottega la sua Marisa, con la scusa delle scarpe, anche quando il padre non era presente
e cominciarono a parlare… C’era una specie di magia tra loro. Le labbra emettevano suoni, ma i loro occhi
mandavano bagliori di luce pura, l’uno per l’altra. Ancor prima che le scarpette di vernice nera fossero
terminate, Modesto si rese conto che voleva Marisa con tutto sé stesso, per la vita.
Soffriva quando non poteva vederla, molto più di quanto avesse mai sofferto in vita sua, il dolore non era
neanche paragonabile a quella volta che si era dato malauguratamente una martellata su un dito. Era una
sofferenza dell’anima. La sua. Ed era sicuro che anche per Marisa fosse la stessa cosa.
Ma come poteva sperare di avere il consenso di fidanzarsi con lei… I genitori si sarebbero opposti, ne era
sicuro.
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- Il PuzzleBook di eXcalibooks Un giorno provò a parlarne con suo padre, e lo vide scuotere la testa, poi molto tristemente, senza
guardarlo negli occhi, gli disse….«Non volare troppo alto, cadendo ti faresti molto male, Modesto…».
Era un tipo di poche parole suo padre. Ma quanto aveva ragione…
I genitori di Marisa si accorsero della loro storia ed in tutta fretta la rispedirono al collegio, evitandole di
tornare a casa anche per le vacanze di Natale o di Pasqua… Non riuscirono quasi a salutarsi e Modesto restò
in una specie di torpore per molto tempo, non voleva pensare di averla persa.
L’estate successiva Marisa tornò, ma in paese si sparse presto la notizia che si era fidanzata con un
ragioniere, di buona famiglia, con un buon lavoro.
Non provò neanche dolore Modesto a questa notizia, continuò ancora a restare nel suo torpore ormai
abituale che lo proteggeva da tutto.
Passarono gli anni, tanti anni… Modesto si sposò con un’altra ragazza, povera come lui, Emma. Marisa era
già sposata e mamma di una bambina.
Tutto bene quindi, se solo non fosse stato per quell’angolino del cuore di Modesto che non voleva lasciar
andare l’immagine della ragazzina coi boccoli…
Ora era rimasto solo, Emma era volata in cielo da qualche anno, i suoi figli erano grandi e lui ogni giorno
prendeva il treno per andare a trovare la “sua” Marisa.
Voleva un posto vicino al finestrino, ce n’era uno, ma sopra un sedile era appoggiato un libro dalla
copertina rossa. Quasi come se qualcuno lo avesse lasciato lì per tenere occupato il posto.
Si sedette lo stesso Modesto, pensando «pazienza, mi toccherà dividere il sedile con qualcuno…».
Arrivò quasi a destinazione, ma nessuno venne a reclamare posto e libro. «Strano», pensò Modesto….e gli
venne l’irresistibile tentazione di darci un’occhiata.
Era stato usato parecchio pensò, è stato un libro fortunato, non come quelli comprati solo per far bella
mostra nelle mensole o negli scaffali e mai aperti, tenuti lì belli nuovi solo a prender polvere.
Lo aprì e lesse che era un Libro Vagante. Non sapeva esistessero “libri vaganti”, sarà una cosa dei giovani
pensò…
Poi cominciò a leggere le prime pagine e se ne innamorò…..quando fu il momento di scendere, senza
pensarci due volte lo portò con sé. «Voglio leggerlo a Marisa» pensò e lo infilò nel sacchetto di carta,
insieme ai cioccolatini che aveva comprato per lei.
Ogni giorno, quando andava a trovarla, le portava sempre qualcosa…dei cioccolatini oppure un fiore.
Arrivò e la trovò seduta nella sua poltrona vicino alla finestra. Le baciò la guancia come ogni giorno e le
raccontò del libro trovato in treno, poi le prese la mano e cominciò a leggerlo ad alta voce … per lei. Per il
suo grande amore di sempre. Quasi gli dispiaceva quando doveva lasciare andare la sua mano per girare
pagina.
Era rimasta sola anche lei e questi pomeriggi passati insieme erano diventati una piacevole abitudine per
entrambi.
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- I Libri Vaganti Così, giorno dopo giorno, lessero insieme tutto il libro dalla copertina rossa… Modesto non era sicuro che
Marisa avesse seguito tutta la storia. A volte capitava che si appisolasse, dolcemente, al suono della sua
voce, con la piccola mano stretta in quella più grande e ruvida di lui.
Anche quel giorno, Modesto aveva portato con sé il libro, ormai era diventata una consuetudine, quasi gli
faceva compagnia nel viaggio… Aveva scelto di portare una rosa a Marisa, le sarebbe piaciuta, ne era sicuro.
Una rosa rossa, di quelle con il gambo lungo. La commessa del fioraio aveva tolto le spine e legato al gambo
un vezzoso nastro bianco a cuoricini rossi, sorridendo.
Sorrideva anche Modesto, quando suonò il campanello, era tranquillo e forse anche un po’ felice.
Fu la figlia di Marisa ad aprirgli la porta, con gli occhi gonfi, rossi . La sua Marisa se ne era andata quella
notte.
«Non ha sofferto», gli disse: era morta nel sonno.
Ma lui, Modesto, lui sì che stava soffrendo… «Perché Signore, perché…» si chiese… ma se lo chiese soltanto
una volta. Sapeva che nessuno avrebbe risposto alla sua domanda.
Si allontanò e camminò fino al parco, un po’ più piegato in avanti. Aveva aggiunto un gran peso da portare
sulle spalle, un peso che in quel momento gli sembrava insostenibile.
Si sedette su una panchina. Non voleva pensare. Guardava fisso davanti a sé senza in realtà vedere nulla.
Resto lì molto tempo, poi si alzò. Aveva ancora in mano la rosa rossa con il nastro a cuoricini. La appoggiò
sulla panchina e fece per andarsene… Poi ad un tratto si ricordò del libro dalla copertina rossa che aveva in
tasca…….era diventato pesantissimo tutto d’un tratto, quasi avesse il potere di sbilanciarlo mentre
camminava.
Si ricordò che quello era un libro vagante e sorrise: non poteva fermare il destino di quel libro.
Prese la penna che teneva nel taschino e nell’ultima pagina, sotto a tutti gli altri nomi, scrisse “Modesto e
Marisa”. Lo appoggiò sulla panchina, vicino alla rosa rossa e se ne andò. Senza voltarsi.
10
- Il PuzzleBook di eXcalibooks -
di Marisa Mucilli
«…Oggi mi sento stanca… un po’ debole..speriamo non mi stia arrivando l’influenza», pensò Penelope
mentre si concedeva la sua corsetta quotidiana tra panchine, vialetti fatti di sassolini, tanti alberi e giochi
per bambini.
Ci tiene a rimanere in forma Penelope. Suo padre da giovane era stato un calciatore di serie A, ma oltre che
con il calcio, era fissatissimo con lo sport in tutte le sue forme, ne aveva praticati di diversi e quando
Penelope era piccola l’aveva iscritta a ginnastica artistica, pallavolo, e calcio femminile. Voleva iscriverla
anche in piscina, ma la moglie si era opposta rivendicando che la loro piccola non poteva fare mille cose,
mille sport, che era stanca, che aveva bisogno di trovare il tempo anche e soprattutto per giocare.
Infatti di tempo per giocare Penelope ne aveva avuto sempre davvero poco. La scuola alla mattina, a casa
per il pranzo di corsa, e via in palestra tutto il pomeriggio. I compiti li faceva la sera la piccola Penelope, e
spesso e volentieri si addormentava sui libri, tanto era stanca, sfinita.
Nonostante ciò, visto che a lei bastava davvero poco per apprendere ed imparare, anche a scuola, oltre che
negli sport che praticava, riportava sempre ottimi risultati. E nonostante la sua vita piena di impegni, già
dalle scuole elementari, Penelope era una bambina serena, felice.
Erano fieri di lei i suoi genitori. La sua mamma ringraziava il cielo ogni giorno per aver avuto una bambina
così bella e brava, se la guardava e le si riempiva il cuore di gioia. Suo padre non l’avrebbe mai ammesso o
fatto capire, tanto era orgoglioso, ma dentro di sé era profondamente contento della sua piccola che, senza
batter ciglio, lo gratificava con tante soddisfazioni.
Adesso Penelope è una donna bellissima di 30 anni. Laureata in Psicologia, a pieni voti, lavora in uno studio
associato, vive da sola, ha un fidanzato, un operaio di 33 anni conosciuto ad una di quelle feste con amici e
con “amici di amici”, e l’unico sport che si concede è la sua corsetta quotidiana. Nel corso del tempo ha
abbandonato ginnastica artistica, pallavolo e calcio femminile, non perché non fosse brava, anzi…
semplicemente perché ha iniziato a poter scegliere da sola a quali cose dare la priorità, che poi nel suo caso
sono state l’università ed una vita sociale ricca e gratificante, quasi a recuperare, in maniera sana e
genuina, quel tempo perduto durante la sua infanzia.
«Oggi sono una sfaticata», pensò, e i suoi occhi si poggiarono bramosi su una della panchine di uno dei
vialetti fatto di sassolini. «Ma sì, non crolla il mondo se oggi non mi alleno! Però non ho voglia di tornare
subito a casa… mi siedo un po’ qui, mi riposo e intanto penso a cosa comprare al supermercato… ci passo
dopo.»
Era una di quelle giornate belle e luminose, che ti mettono di buon umore. Il verde smeraldo degli abeti
risaltava, il sole non si faceva desiderare e scaldava l’animo, oltre che il corpo. Penelope poteva vedere, da
dove si era seduta, alcuni bambini che giocavano con un pallone allegramente, persone che passeggiavano,
altri ragazzi che si allenavano, un uomo con il suo cane scodinzolante e una coppia di anziani, mano nella
mano, che amoreggiavano talmente tanto da farle quasi invidia.
«Hai capito i nonnini!!», pensò. «Speriamo che anche io e Gabriele a quell’età saremo ancora così
innamorati!», e sorrise immaginandosi la scena.
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- I Libri Vaganti Il suo silenzioso sorriso fu interrotto da uno strano rumore proveniente dal suo stomaco…
«Che fame! Allora… compro le zucchine per stasera e un po’ di prosciutto, sì, mi va il prosciutto. Poi il
tonno, le mele, le arance… le arance, me le compro e mi faccio una bella spremuta domattina. Proviamo a
contrastare i primi sintomi dell’influenza. Poi non devo dimenticarmi di prendere il detersivo per i piatti, è
finito…».
Mentre era intenta a cercare di ricordare se le serviva qualcos’altro, i suoi pensieri furono interrotti di
nuovo dal pallone dei bambini, che le rotolò davanti… fece per raccoglierlo e quando si abbassò vide sotto
alla panchina, appoggiato tra alcune margheritine, un libro. Restituì il pallone calciandolo, e si chinò di
nuovo. Penelope era anche una ragazza curiosa, tanto. Prese il libro senza pensarci troppo, lo guardò bene
e lo aprì.
«Ma di chi sarà? Forse l’ha dimenticato qualcuno che è venuto a leggerlo qui al parco. Cavoli, devono averlo
letto più e più volte, o comunque è passato tra le mani di tante persone per quanto è consumato… adesso
che ci sono gli do una sbirciatina, se torna chi l’ha dimenticato glielo restituisco!»
Penelope si scostò i lunghi capelli ormai sciolti, con la sua tipica grazia, unì le ginocchia e iniziò la sua non
programmata lettura.
Pagina dopo pagina, non riusciva a staccarsi da quel libro, era letteralmente catturata dalla storia di quel
libro vagante, immersa nel mondo dell’ immaginazione, assorta nelle riflessioni che le stava provocando…
dimenticò totalmente la fame e tutto il resto.
Penelope lo lesse tutto quel libro. Lei era una di quelle persone che non lasciano mai le cose iniziate a metà,
non esisteva nel suo vocabolario il : «Lo faccio dopo».
Lo lesse tutto d’un fiato, interrotta solo una volta da una telefonata del suo Gabriele, e visto che si stava
facendo tardi, Penelope addirittura si incamminò sul viottolo, in direzione supermercato, col libro in mano,
pur di finirlo.
Arrivò all’ultima pagina e pensò che quello era davvero un bellissimo libro, che probabilmente era destino
che non se la sentisse di allenarsi quel giorno, che non avesse voglia di tornare subito a casa, che si sedesse
su quella panchina, che quel pallone la facesse chinare per trovare quel libro tra i ciuffetti di margherite.
Era una fatalista Penelope… per lei nulla accadeva per caso.
Intanto era arrivata al supermercato. Era davanti all’entrata quando stava leggendo i nomi di chi, prima di
lei, avevano avuto la fortuna di arricchirsi con quel libro apparentemente sfortunato e dimenticato.
Cercò una penna nel marsupio, scrisse il suo nome, diede un’ultima occhiata e pensò: «Mai sentito nessuno
che si chiami Modesto, chissà chi è… fatto sta che ha avuto tra le sue mani questo libro prima di me!».
Si guardò intorno ed appoggiò il libro, quasi a malincuore, sul muretto con le aiuole che costeggiava tutto il
supermercato.
«Speriamo lo trovi chi ha la giusta sensibilità per leggerlo!» Pensò… e si diresse verso le porte automatiche
del supermercato imponendosi ormai di pensare alle zucchine, le arance ed il detersivo per i piatti.
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- Il PuzzleBook di eXcalibooks -
di Hayley Ann
«Attento a dove metti i piedi!» Urlò Swami al tizio che le aveva involontariamente fatto lo sgambetto. Si
accasciò sul muretto accanto al supermercato e sospirò scocciata. Era stata una pessima giornata.
Quella mattina aveva perso l’ennesimo posto di lavoro, sempre per lo stesso stupido motivo.
Era da quando aveva sedici anni che la gente le lanciava occhiatacce. Aveva deciso di rasarsi metà dei
capelli, lasciandoli da un parte corti e dall’altra raccolti in trecce con elastici colorati. Aveva le braccia piene
di tatuaggi, e le considerava delle tele da dipingere nei momenti più importanti della sua vita. E i piercing,
beh… Quelli erano errori di gioventù. Si era pentita di essersi bucata anche il naso. A volte, quando si
guardava allo specchio e vedeva quell’anello penzolarle fra le narici, si sentiva un toro da corrida.
Ma alla fine era sempre il suo corpo, e aveva diritto di farci quello che voleva, sbagliato o giusto che fosse.
Pensava che l’aspetto non avrebbe dovuto influenzare le sue possibilità di ottenere un lavoro, soprattutto
nel ventunesimo secolo.
A volte malediceva di essere nata in quell’epoca. Si domandava come sarebbe stato nascere negli anni
settanta, nel pieno della subcultura punk, e magari negli Stati Uniti. Si sarebbe sentita al posto giusto.
E anche se sognare una vita del genere le corrodeva il cuore, a volte si permetteva di farlo. Chiudeva gli
occhi e immaginava il mondo nel quale avrebbe voluto vivere. E così fece in quel momento.
Inalò il profumo dei fiori nelle aiuole accanto a lei e sorrise. Le belle di notte erano i suoi fiori preferiti,
perché si schiudevano solo con il giungere della sera. Erano piante notturne, insomma; creature della notte
esattamente come lei. Si rese conto che era la prima volta che sorrideva in tutta la giornata e si sentì
sollevata e demoralizzata allo stesso tempo.
Raccolse un fiore e se lo infilò tra i capelli.
Quando tornò a sedersi notò un oggetto sul muretto con la coda dell’occhio. Si voltò completamente e capì
che era un libro. Un libro piuttosto sciupato, a dirla tutta. Consumato.
La quarta di copertina era scollata per metà, la pagine ingiallite e danneggiate; sembrava esser stato
divorato da un cane e poi sputato. O forse era stato divorato da una moltitudine di avidi lettori.
Swami allungò la mano esitante, quasi preoccupata che il libro potesse addentarla. Non era mai stata una
grande lettrice, solitamente abbandonava i libri dopo poche pagine. Ma quel testo abbandonato la
incuriosiva.
Passò l’indice e il medio sul dorso del volume sbrindellato e poi lo afferrò.
Sfogliò le pagine impolverate per vedere se c’erano delle immagini stampate, ma trovò solo un mucchio di
parole. A volte Swami credeva di poter riuscire a leggere un libro in pochissimi secondi facendo scorrere
velocemente le pagine davanti agli occhi, ma non aveva mai funzionato. O forse lo faceva nel modo
sbagliato.
Chiuse il volume e lo ripose nella sua borsa. Non si era resa conto che fosse così tardi.
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- I Libri Vaganti Iniziò ad incamminarsi verso casa procedendo a passo spedito e con lo sguardo basso.
Alzando un attimo la testa notò una bancarella di libri usati a lato del viale. Una vecchia signora che
lavorava a maglia vi era seduta accanto, immersa in un intreccio di lane e gomitoli.
Swami si avvicinò al banco incuriosita, leggendo qualche titolo a caso e osservando le copertine.
«Posso aiutarla, signorina?» La signora aveva una voce roca, probabilmente era da qualche ora che non
parlava. A Swami un po’ dispiaceva che la donna avesse concluso pochi affari quel pomeriggio.
«Mhh… Non proprio. Sarebbe interessata ad un libro? L’ho trovato su un muretto qualche minuto fa e non
saprei che cosa farmene.»
La vecchia allungò una mano tremante, Swami estrasse il Libro Vagante dalla borsa e glielo porse.
«E cosa vorrebbe in cambio?» La donna tossì e poi osservò la ragazza con gli occhi umidi.
«Nulla, in realtà. Davvero. Mi dispiacerebbe lasciarlo da qualche altra parte, quindi potrebbe anche
tenerselo senza problema.»
«Come si chiama?»
Swami aggrottò la fronte. «Il libro?»
La vecchia signora sorrise. «No, lei, signorina.»
«Swami.»
«Come?»
La ragazza alzò gli occhi al cielo. Nessuno capiva mai il suo nome, e nessuno riusciva mai a scriverlo
correttamente. Anche la sua migliore amica, dopo anni che la conosceva, scriveva ancora “Suomi” o
“Svomi”.
«Swami. S-W-A…»
«Oh, Swami! Ho capito. Conosco quel nome, sono solo un po’ sorda.»
«Sul serio?» La ragazza alzò un sopracciglio scettica.
«Significa “amore”. Ti si addice, sembri una ragazza con un cuore grande. Grazie per il libro. Se vuoi puoi
prenderne un altro in cambio.»
Swami scosse la testa. «Non amo leggere, ma la ringrazio.»
La donna strizzò gli occhi per un attimo e poi li riaprì. «È soddisfatta della sua vita, quindi?»
La ragazza rimase sorpresa dalla domanda. La guardò con la bocca semiaperta ed esitò a rispondere, poi
abbassò la testa e sospirò. «Non proprio.»
La signora guardò Swami con un’espressione di dolcezza mista a dispiacere. «Ecco, ogni libro è una vita
nuova. È la vita di qualcun altro, in un tempo diverso e in un luogo diverso. E lei, signorina Swami, può
permettersi di vivere ognuna di queste vite e distrarsi per un po’ dalla sua, e si sta privando di tutto ciò
perché si è convinta che non fa per lei. Io un’occasione la darei, a questi libri. Che ne dice?»
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- Il PuzzleBook di eXcalibooks La ragazza alzò la testa e fissò la donna dritto negli occhi. Erano così limpidi e sinceri che avrebbe creduto a
qualsiasi cosa fosse uscita dalla sua bocca nei successivi dieci minuti.
Forse in fondo aveva ragione. Swami aveva sempre avuto il vizio di giudicare le cose in modo sbagliato.
Come la prima volta che aveva assaggiato il gelato al pistacchio e lo aveva definito disgustoso, per poi
diventare, pochi mesi dopo, il suo gusto preferito.
«Mmh… Le dispiace se…? Avrei cambiato idea. Posso prendere un libro in cambio?»
La vecchia signora le rivolse un sorriso a trentadue denti. O forse a trentun denti. Ventinove.
«Prendine anche due!»
Swami osservò con gli occhi che le brillavano la copertina di quel libro che aveva adocchiato fin da quando
aveva posato lo sguardo sulla bancarella. Afferrò il volume e sorrise alla signora.
«Grazie, davvero. Adesso devo veramente andare. Tornerò presto, però. Sì, tornerò la settimana prossima.
A presto!»
La donna le rivolse un cenno con la mano. Swami si incamminò tenendo il libro che aveva scelto stretto al
petto. Si sentiva il cuore e la mente più leggeri, e per la prima volta da quella mattina era veramente felice.
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- I Libri Vaganti -
di Rambaldo Melandri
«Mind the gap… Mind the gap…»
Era arrivato a Londra da appena un mese e già non ne poteva più della petulanza con cui l’altoparlante della
Tube, la metro londinese, ricordava di stare attenti allo spazio tra la banchina e la pedana di ingresso nelle
carrozze. Per fortuna ogni tanto, quando riusciva a mettere da parte abbastanza soldi, si comprava il
pacchetto da cinquanta batterie e poteva rifornire il vecchio walkman a cui forse teneva più che a se stesso.
A quel punto l’altoparlante poteva gracchiare quanto voleva.
Aveva sempre la testa tra le nuvole, a casa erano in molti a considerarlo strano. Fumava il minimo
indispensabile, quando capitava, quando la tristezza lo assaliva. Con poco tabacco, per evitare la
dipendenza. Questo, pensava, era un buon modo di smettere, si poteva permettere solo un vizio e la scelta
quasi non si poneva: le batterie avevano la priorità, la musica aveva la priorità.
Oggi è il giorno del primo colloquio di lavoro serio. Nel negozio dove lavorava part-time da due settimane,
gli avevano chiesto solo se era in regola con i documenti “yes” e se parlava un buon inglese “yes”: dalle 9
del mattino fino alle 2 del pomeriggio.
La paga finiva quasi tutta nell’affitto e nel cibo, se così lo si poteva chiamare, ma per iniziare non c’era da
lamentarsi troppo. Aveva visto ragazzi rimpatriare sconsolati dopo un mese perché non avevano trovato
l’occasione giusta e i soldi erano finiti prima del previsto. È difficile rendersi conto di quanto sia cara la
capitale inglese, fino a che non si ha a che fare con il primo supermarket di periferia… Dove i prezzi sono più
che doppi, rispetto a quelli dell’Italia centrale.
Le cose iniziavano ad ingranare, ma con tutto il rispetto per le parti di ricambio per lavatrici e per le docili
vecchiette inglesi che aveva come clienti, a lui piacevano più arte e letteratura.
Qualche giorno prima era stato al British Museum, forse per la quarta volta: è un bel posto per passare il
tempo quando non hai soldi. Sul banco delle informazioni del mastodontico ingresso spiccava il cartello
“Help Wanted”, con sotto un raccoglitore pieno di moduli in bianco.
Letto l’annuncio, aveva preso, riempito e consegnato un modulo, nell’arco di dieci minuti. La possibilità di
un posto come guardiano di giorno alla biblioteca del British, era una manna scesa dal cielo.
«…Mind the gap!»
«E basht c’shta lagn!!!» Era un po’ nervosetto.
«Abruzzese?»
«Sì. Teramano.» Girandosi per vedere con chi stesse parlando si ritrovò a pochi centimetri dal naso una
ragazza alta quasi quanto lui. Occhi marroni e luminosi da fare… da fare… Non riusciva letteralmente più a
pensare, era rimasto di sasso.
«Ah scusami, sono di Salerno io, beh quasi… Piacere, Caterina.»
«Piacere!» Che mani morbide…
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- Il PuzzleBook di eXcalibooks «Piacere?…»
«Gianni. Bobo per gli amici. Ormai il mio vero nome lo usano soltanto i miei.» Fu dura trovare il fiato per far
uscire fuori l’ultima parte della frase.
«Perché Bobo?» Orso com’era, fosse stato un altro l’interlocutore, lo avrebbe già mandato a fare un giro,
ma quella voce, quegli occhi. Aveva la sensazione che se gli avesse chiesto il portafogli, glielo avrebbe dato
senza batter ciglio.
«Bobo era il cane dei vicini, un grosso e buonissimo Rottweiler, con un vocione che ti faceva mettere
immediatamente sull’attenti al primo woff!» Rispose pensando all’enorme cane. Solo per un attimo. Poi la
mente si riperse su di lei.
«Ahahah, che carino! In effetti sembri un po’ cagnolone anche tu… un po’ triste però. Senti, ora devo
scendere al volo, ti lascio questo, me lo ha regalato la signora di una bancarella, in Italia. Dentro c’è scritto
come usarlo. Ci vediamo!» Detto ciò, gli mise in mano un libro e scomparve nella calca di pendolari.
Chi non avesse mai goduto della presenza di una statua di sale all’interno di una carrozza della metro,
adesso se ne poteva deliziare. Passarono dai tre ai cinque minuti prima che riuscisse a sentire di nuovo il
proprio battito cardiaco e riacquistasse sensibilità a braccia e gambe. La testa invece si riattivò giusto in
tempo per non fargli saltare la fermata, mandando ai maiali il colloquio con un bell’ingresso in ritardo.
Si ritrovava adesso alla fermata di Holborn della Piccadilly Line. Ben vestito, uno zaino in spalla, un libro in
mano e un sorrisone che sarebbe durato per molto. Ancora un po’ rigido, ma leggero, di buon umore. Chi lo
conosceva bene avrebbe detto che il suo andar per pensieri aveva finalmente prodotto qualcosa di buono.
Così era. Cotto al punto giusto, si incamminò nella solita pioggerellina nord-europea. Ormai nulla poteva
cancellagli dalla mente quegli occhi.
«Mi dispiace cari… oggi non ce n’è per nessuno!» Disse tra sé e sé suonando il campanello degli uffici del
British Museum.
-----------------------Niente più pezzi incrostati da mandare in officina o bancali di serpentine da collocare nei giusti scaffali.
Aveva dato le dimissioni dal “Limestone Hell” quando era arrivato il tesserino della British Museum’s
Library. Un giorno intero a dormire e adesso era bello fresco per iniziare il turno. Sarebbe arrivato con
un’ora di anticipo, e avrebbe avuto tutto il tempo per mettersi la divisa e fare conoscenza coi nuovi
colleghi.
Avrebbe anche portato con sé anche il libro che gli aveva dato Caterina, occhi, e lo avrebbe poggiato sul
banco informazioni per gli italiani. Così che qualcun altro potesse leggerlo. Con la bella rosa essiccata, il
segnalibro, che spuntava un po’ fuori. Lo aveva firmato con Bobo, accanto ad un soprannome che forse
soltanto lui riusciva decifrare. Lui leggeva a chiare lettere Caterina.
«Stranamente oggi c’è il sole. La migliore pubblicità.» Pensò. «Così gli inglesi ogni tanto possono
comprendere come ci sentiamo noi per molti giorni all’anno. Speriamo che il prossimo anno a Pineto ne
arrivino tanti. Mamma e Papà non se la passano bene con l’albergo…»
Era ora di andare. Chiuse la porta con le cuffie sulle orecchie. Nessun “Mind the gap” lo avrebbe disturbato.
E anche se i The Clash si erano ormai sciolti, le batterie erano nuove di pacca. London calling…
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- I Libri Vaganti -
di Maria Teresa Falsone
L’istinto di sopravvivenza è la speranza.
Nadia. 22 anni, il viso da orientale, due grandi occhi neri , seri e un po’ spaesati, cammina per le strade di
quella che da un anno è diventata la sua seconda casa: Londra.
È una ragazza piena di contraddizioni Nadia, vive per l’amore ma non lo vuole. È dolce ma sfuggevole,
intraprendente ma con quel fare che ti ricorda il coraggio di una bimba cresciuta, ma non abbastanza da
sapersi difendere. Vuole passare per una di quelle ragazze superficiali, che prende la vita con leggerezza, e
invece si sofferma troppo spesso in pensieri profondi, come quest’ultimo che gli è apparso alla mente come
nuovo, un giorno. Come il fiore di un albero che il giorno prima era gemma e poi sboccia all’improvviso.
Da dove deriva l’istinto di sopravvivenza? Cos’è che fa andare avanti l’uomo, che lo aiuta a svegliarsi ogni
mattina e ogni volta vivere un giorno nuovo anche quando tutto ormai non hai senso? Forse è quello che fa
andare avanti anche lei, in questi giorni che sono tutti uguali, una rassegna di visi e situazioni già masticate
troppe volte, dal sapore ormai perso.
La speranza.
«Scusi!»
Per sbaglio urta con la valigia addosso a un passante. Ancora non si è resa conto di non trovarsi più in Italia
e sorride per quella parola che gli è sfuggita, che è sua ma che ormai è straniera.
«Exusez-moi, mademoiselle! Savez-vous ou se trouve la gare?»
Un uomo francese con un paio di baffi molto originali, l’uomo che ha urtato, chiede informazioni e lei cerca,
per come può, di conciliare le due lingue, non sapendo bene quale usare.
«Ehm… Aspetti perché sono arrivata adesso dall’Italia! Si ok… Tanto non mi capisce vero?»
Ride. Il francese non capisce se lo sta prendendo in giro o gli sta dicendo qualcosa di utile.
«The station is… You have to take the first street on the left… do you understand?» Il francese la guarda un
po’ incuriosito dalla vivace gestualità della ragazza. La fissa come un vecchio gufo potrebbe fissare un
passerotto.
«Non ha capito, vero?” Si guarda intorno sfiduciata e , luce nelle tenebre, vede un banco informazioni per
italiani, proprio li vicino. «Aspetti! Wait!… Ehm… Attend!»
Pochi passi e arriva al banco.
«Scusi…» La ragazza dietro il banco alza lo sguardo dal pc
«Dica…» La guarda, ora attenta.
«Quell’uomo vorrebbe informazioni, è francese e non credo capisca l’inglese…»
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- Il PuzzleBook di eXcalibooks «Tranquilla ci penso io… monsieur! Venez ici!»
Il corpulento uomo si avvicina, con l’aria di catapultarsi più che camminare.
«Grazie!» Nadia si gira e fa per andarsene..
«Aspetta! ti è cascato questo!» La ragazza le porge un rosso libro consunto. Nadia lo prende. Se lo gira tra
le mani. «Ma non è mio…» Pensa. Ma qualcosa attira la sua attenzione. Quella serie di nomi italiani scritti
dietro, le ricorda le foto di scuola fatte a fine anno, che tutti i compagni si firmavano a vicenda, insieme a
dediche e battute. E questo la fa sentire ancora una volta a casa.
«Ah, grazie…» Con un accenno di sorriso, più verso se stessa che verso l’Interlocutrice, mette il libro nella
borsa e se ne va.
Nadia in metropolitana, si diverte sempre ad osservare tutti i tizi che abitano intorno a lei per quei 15
minuti che la separano da dove abita. Non si ricorda di aver visto mai le stesse persone.
Poi si ricorda del libro. Lo tira fuori dalla borsa, lo apre. “Libro vagante”.
«Un po’ come me.” pensa Nadia. “Ecco perché tutti quei nomi sul retro…»
Per quella volta smette di studiare gli abitanti della metro e si tuffa in quel libriccino che le somiglia.
-----------------------«Tu che ne pensi Mary? Non è questo, l’istinto di sopravvivenza? Non è la speranza che ci fa andare
avanti?»
Il giorno prima della sua ripartenza per Londra, Nadia non può che scambiare i suoi pensieri con quella che
per lei è la sua amica più saggia.
Le dice questa frase come una rivelazione, e l’amica le sorride un po’ stupita della sua improvvisa indole di
saggezza. Il tema del pomeriggio era stato ben diverso e molto meno impegnativo, e la divertiva vedere
quel suo lato così contrastante con l’altro civettuolo, quasi senza pudore, di Nadia. Ma le voleva bene
anche per questo. Nadia era come una farfalla che non voleva uscire dalla crisalide e preferiva vivere nel
suo guscio, forse per non vivere quel suo unico giorno di vita.
«Non saprei, Nadia. Può darsi…»
«Visto come sono saggia?» Con un sorriso stampato in faccia, Nadia aspetta la risposta dell’amica.
«Sì, sei saggia…»
È l’ora di separarsi, il papà di Nadia la aspetta nella macchina dietro a quella dove sono loro.
«Allora ci vediamo quando torno, tra un mese!»
«Ok tesoro, stammi bene!»
Si salutano così, senza troppe smancerie. Non piacciono a nessuna delle due.
Nadia esce dalla macchina e corre in quella del padre.
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- I Libri Vaganti L’amica rimane nella sua, pensando, un po’ preoccupata, alla vita dell’altra, un po’ troppo disordinata, e
sperando che un giorno nasca in Nadia un nuovo pensiero saggio, che le faccia ritrovare finalmente la sua
casa.
Nadia alza gli occhi dal libro. È arrivata la sua fermata. Non ha ancora finito di leggerlo e si dispiace, perché
per una volta, lei non è una che legge molti libri, la trama l’aveva colpita. Rimette il libro nella sua borsa. Si
alza e si avvicina alla porta automatica.
Scende. Segue la scia di persone che si imboccano verso l’uscita.
All’inizio aveva odiato il modo in cui tutti a Londra andavano di fretta. Gli sembravano tanti soldatini che
andavano chissà dove. Poi si era abituata. Erano così gli inglesi, poco propensi alle relazioni… Ma d’altronde
ogni paese è diverso dall’altro. Lei preferiva di gran lunga il carattere caloroso e colorato dei suoi
compaesani.
«Meglio pizza e spaghetti!» Pensava Nadia. Percorre il vialetto ed estrae le chiavi dalla borsa.
Apre la porta di quella che li è casa sua, e insieme a lei di altri cinque ragazzi.
A quell’ora non c’è nessuno, sono tutti a lavorare, chi da Starbucks, chi da Caffè Nero, chi in qualche grande
magazzino: è questa l’offerta che va della maggiore per i ragazzi italiani venuti per fare curriculum, per
imparare la lingua…
Sente un tramestio in cucina, entra e trova lui.
«Ma ciao!» Nadia e la sua voce squillante.
Lui si gira, chino sullo sportello del pentolame. Non si era accorto che qualcuno era arrivato.
«Ei Nadia! Bentornata.» Si avvicina e le da un bacio sulla fronte.
Simone.
Si chiede spesso chi sia Simone per la sua vita. Se lo chiede spesso e altrettanto spesso non arriva a una
risposta precisa. È una delle sue sicurezze in quella terra e nella sua vita, che di sicurezze manca.
È un tipo libero, Simone.
«Te lo dico subito, io non mi fidanzerò mai!» questo è l’avvertimento che le ha dato non appena è iniziato
qualcosa fra loro. Si sono conosciuti appena lei è arrivata a Londra. A quel tempo lavoravano nello stesso
bar, davanti la stazione. Lui cercava un alloggio e lei gli aveva offerto per qualche tempo di dividere la
camera. Solidarietà tra concittadini.
Un tempo che dopo più di un anno non era ancora terminato.
Per cui non stanno insieme nel vero senso del termine. Non c’è nessuna promessa scritta o implicita tra loro
due. C’è solo la concretezza di trovarsi ogni giorno vicini e l’attenzione di non afferrarsi mai così tanto da
permettere che un distacco provochi una ferita troppo grave. Sono entrambi pieni di tagli. Bastano quelli.
Anche Simone in fondo è un pezzetto di casa, non così solido, ma comunque capace di ripararla un po’ dalle
piccole tempeste quotidiane.
La guarda con quegli occhi azzurri che conosce bene e che un giorno avevano attirato la sua attenzione.
20
- Il PuzzleBook di eXcalibooks Lei gli sorride con un sorriso dei suoi, come una bambina scoperta a rubare lecca-lecca.
«Vado a disfare la valigia… Sennò non lo faccio più!»
Trascina la valigia fino alla camera e la solleva su una sedia. Si guarda intorno, non è cambiato niente: il
solito disordine, i disegni di Simone sparsi sul suo letto, la solita crepa sul soffitto… Si chiede per quanto
quella sarà casa sua. Si chiede anche perché è lì, e si risponde che è più semplice rispetto che stare a casa
sua in Italia, con quella famiglia matta che si ritrova, e che qualcosa cambierà.
«Lo spirito di sopravvivenza è la speranza.»
«Magari la valigia la disfo più tardi.»
Il pensiero le ritorna a quel libro. Lo riprende dalla borsa e continua ad osservarlo. «Chissà da quanto
tempo gira questo libro.» E si chiede anche quanti paesi abbia visto, quante persone lo avessero sfogliato…
Quante case avesse avuto.
Si butta sul letto e continua la lettura.
Dopo un’oretta lo ha terminato. Simone è anche entrato sgranando gli occhi alla vista di lei con un libro in
mano.
Non appena terminato, continua a girarselo tra le mani. Poi prende una matita di Simone e trascrive il suo
nome.
Nadia.
È quasi sera, fa caldo. Decide di aprire la finestra per far entrare un po’ d’aria. Usa il libro per fermare la
finestra e impedire che si richiuda.
Simone si sta facendo una doccia, lei si siede sul divano e accende la tv su un programma italiano e come
succede spesso in questi casi, si addormenta.
-----------------------«Nadia mi sei mancataaaaa!»
La sveglia l’urlo della sua amica che è venuta a trovarla, sapendo che quel giorno sarebbe tornata. Emma.
Un altro piccolo pezzo della sua vita a Londra.
Quella sera mangiano insieme e si raccontano il breve periodo che hanno passato lontane. Si salutano
presto: l’indomani la sveglia le avrebbe alzate all’alba.
«Ci vediamo domani eh! Mi raccomando fai la brava!»
«Ma se devo dormire!»
«Non si sa mai con te Nadia…»
«Anche tu fai la brava! Notte!!»
Chiude la porta.
Va in camera sua. Simone dorme già. La finestra è chiusa.
21
- I Libri Vaganti «Dov’è il libro?»
Non lo trova più. Apre la finestra e guarda giù. Niente. Sta al primo piano quindi lo vedrebbe.
«Simone… Simone… Simone!» Lo scuote piano.
«Che c’è… sto dormendo!» Biascica…
«Hai preso tu il libro dalla finestra?»
«Quale libro…?»
«Quello che fermava la finestra!»
«Non c’era nessun libro… La finestra era chiusa…»
«Sarà caduto in strada…» Pensa Nadia.
Quella situazione dava al libro un che di magia.
D’altronde quel libro le somigliava. Non aveva radici. O forse aveva tante radici diverse. Ma comunque non
poteva stare, per sua natura, in un solito posto per più tempo.
Un libro vagante è un libro senza casa. O un libro con tante case.
Come lei.
22
- Il PuzzleBook di eXcalibooks -
di Cinzia Cossu
Impostare una vita sulla carriera gli era sempre sembrato come andare in autostrada. Tutto dritto,
illuminato e segnalato. Fai questo, otterrai questo. Lineare. Entra nella tale azienda, muoviti bene e dopo
qualche anno sarai capo ufficio, direttore di settore, responsabile di questo o quel prodotto. Noioso.
Era nato con la vocazione del creativo fallito. Gli piacevano arte, musica e letteratura, ma non era mai
riuscito a mettere assieme più di qualche accordo con la chitarra folk lasciatagli dal padre e qualche
racconto breve che iniziava sempre male e finiva peggio. Col disegno? Lasciamo perdere, che è meglio. Al
massimo poteva prendere una tela e dargli qualche sentito colpo di trincetto, ma l’idea gliel’avevano già
soffiata.
Andava con calma verso la cinquantina, non aveva fretta. Non aveva fretta neanche quando si era sposato,
era arrivato con il suo solito ritardo di dieci minuti e un sorriso scanzonato. Nel mezzo alle occhiatacce di
tutti i presenti, sindaco incluso, c’era il sorriso divertito della sua quasi moglie, che lo accolse con un “E io
che ti credevo già all’aeroporto!…”. Un’oretta più tardi aveva al dito un pezzo di metallo che non avrebbe
tolto mai più.
Quella calma se la portava dietro da tutta la vita. Iniziava piano. Poco mattiniero, aveva odiato qualsiasi
sveglia con cui avesse avuto a che fare. Dopo la morte era sicuro di avere un posto riservato per l’eternità
nel girone dei ritardatari fraudolenti, dove i condannati venivano costretti al risveglio forzato, pochi istanti
dopo essersi addormentati.
Delle sveglie però non se ne poteva fare a meno. Erano un male necessario se non si voleva essere esclusi
dal “mondo degli affari”, come chiamavano scherzosamente la sua attività i suoi amici. Lo sapevano tutti
che lui, con la finanza aveva poco a che spartire, salvo qualche soldo nei fondi di investimento. Era però
tutto gestito da altri. Meno ne capiva, meglio stava. Si limitava a controllare che gli investimenti non
fossero fatti su aziende che giocavano a fare la guerra.
Alla veneranda età di 37 anni – età in cui la lista dei lavori che puoi andare a fare, si è già assottigliata
drammaticamente da almeno un lustro – lui si era trovato un’idea, l’aveva sviluppata con i risparmi che
aveva e con l’aiuto delle brave persone conosciute durante il suo girovagare da eterno lavoratore a breve
scadenza. Si era messo in affari, evitando il mondo degli affari. Creando in pochi anni una piccola fortuna
che aveva fatto rinascere, con l’indotto, una parte dell’industria della sua città. Semidistrutta anni prima
dagli amanti delle poltrone, sindacati non all’altezza e da industriali vergognosamente ingordi.
Tornava da un incontro poco fruttuoso avuto con Sir Wildman, un famoso affarista inglese che lo aveva
invitato nella sua mega-tenuta nella campagna di Cambridge, qualche decina di chilometri a nord di Londra.
L’invito recitava, in perfetto italiano, la volontà di offrire mezzi e risorse per una fruttuosa collaborazione
tra il colosso inglese e la sua azienda. Nulla di fatto. La proposta effettiva, più che una collaborazione,
proponeva un’imponente apporto di capitali previa obbligatoria quotazione in borsa. Ben vengano gli
investimenti, ma crescendo troppo in fretta (maledetta fretta) era convinto che l’idea che aveva dato
finalmente un senso alla propria creatività e, cosa molto più importante, lavoro a quasi 400 persone, si
potesse trasformare in una bolla.
23
- I Libri Vaganti Educatamente aveva rifiutato, e grato di quel modo tutto inglese di accettare un rifiuto, aveva approfittato
di qualche giorno di calma per fare una visitina a Londra. Erano passati quasi venti anni da quando, armato
di una carta stradale economica, dal suo alberghetto vicino allo stadio di Wembley, si era fatto a piedi tutta
Abbey Road, prima di poter contemplare le strisce pedonali più famose al mondo.
Oggi era il giorno del rientro in Italia. Nel giro di due ore avrebbe dovuto raggiungere l’aeroporto, ma
continuava ad essere attratto da tutte le cianfrusaglie di quel mercatino. Era finito a Brick Lane, per quel
fanatismo dell’usato che già troppe volte, negli ultimi anni, lo aveva costretto a comperare un nuovo
bagaglio per portarsi a casa la mole di libri, vinili e cd, introvabili. Una volta, in Irlanda si era fatto
addirittura impacchettare due bellissimi bodhrán, i tipici tamburelli, da Mr Bodhrán in persona! Sua moglie
si era rassegnata a fare da curatrice a quelle collezioni un po’ disparate. “Quando me la porti la matrice
incisa da Danny Boodman T.D. Lemon Novecento?” Gli disse una volta scherzando. La leggenda del pianista
sull’oceano era il suo film preferito.
Aveva già riempito due borse con vari cimeli, quando si rese conto di non aver niente da leggere per il
viaggio. Poteva prendere una rivista o un libro prima del volo, ma c’era anche il taxi di mezzo. Odiava stare
con le mani in mano, a meno di non essere in totale relax, appollaiato sul bracciolo destro del suo amato
divano. Gli serviva qualcosa subito. Un libro magari. L’ultimo lo aveva finito tre sere prima, nell’enorme
stanza per gli ospiti di Sir Wildman. Ovviamente lo aveva anche dimenticato sul quel comodino che
sembrava più una piazza d’armi. Pace. Aveva involontariamente esportato dell’ottima letteratura italiana.
Solo allora si rese conto che stava tenendo in mano un volume con una copertina rossa. Quegli spigoli
ormai tutti arrotondati, quei piccoli graffi e quelle pagine ingiallite e lievemente ondulate dall’umidità,
erano un richiamo irresistibile per il suo subconscio. Squadrò quell’inaspettato oggetto ben bene, lo aprì e
con sorpresa vide che era un testo italiano. Alzò la testa e lesse “Everything for 1£”, tutto a una sterlina.
Chiuse il libro, lo pagò e lo mise dentro una delle borse.
C’era qualcosa che lo aveva appena distratto dalle bancarelle e che non riusciva a togliersi dalla testa.
Continuava a guardare la borsa con il libro, stava morendo di curiosità. Chiamò un taxi, che arrivò nel giro di
pochi minuti. Indicò all’autista di accompagnarlo all’aeroporto e per tutto il viaggio, invece del suo solito
fare da bracco da portabagagli – gli piaceva tantissimo guardare il mondo dai finestrini – si abbandonò
completamente alla lettura. Arrivò a destinazione in un baleno. Nello stesso baleno in cui era arrivato a
circa un terzo del libro. Del Libro Vagante, come recitava quel buffo adesivo sotto al titolo.
Il volo era quasi in orario, giusto dieci minuti di ritardo. Telefonò a casa.
«Aspetta che indovino… sarai in ritardo!»
«Dieci minuti amore. Come sempre»
«I bimbi ti aspettano.»
«Ho portato loro qualcosa.»
«Portagli il tuo sedere sul divano. Chiedono di te ogni quarto d’ora, si danno anche il cambio per i turni…»
«Sarò a casa prima di cena, diglielo.»
«Va bene, ti aspettiamo cervellone!»
Se l’avesse ordinata su misura, non sarebbe riuscito a pensare a qualcosa di più perfetto.
24
- Il PuzzleBook di eXcalibooks Caricò i bagagli. Uno dei vantaggi quando hai il volo di prima classe è quello di godere di una politica
alquanto flessibile per i bagagli. Non fu un problema quindi trovare una soluzione per le compere selvagge
e sereno poté continuare a dedicarsi alla lettura nelle paure del tran-tran aeroportuale.
Lo risvegliò un atterraggio un po’ brusco. Si era addormentato, in pace col mondo, poco dopo aver finito di
leggere quel piccolo regalo del destino. Ci avrebbe tirato fuori un paio di idee interessanti per la sua
impresa, amava allenare i suoi collaboratori con argomenti sempre nuovi.
Stiracchiandosi per tutto il tragitto tra l’aereo e il taxi pensò alla storia che ci poteva essere dietro il libro
dalla copertina rossa. L’ultima pagina era piena di firme dei precedenti possessori. Chiese una penna al
tassista e firmò dove trovò posto. “Che calligrafia schifosa…” Ringraziò la cortesia e si infilò nell’auto.
Passò gli ultimi minuti del suo viaggio in compagnia di un simpaticissimo autista dall’accento dell’est. Era
arrivato in Italia quattro anni prima e l’anno scorso era riuscito a far venire la famiglia. Sua moglie non
aveva trovato ancora un impiego fisso, ma si dava da fare. Erano ancora giovani, non c’era da preoccuparsi.
A casa. Finalmente. Poco prima di uscire dal taxi venne attraversato da un lampo. Prese il Libro Vagante e lo
appoggiò nell’ombra del sedile, dove sarebbe rimasto invisibile fino all’indomani.
Come era arrivato, se ne andò. Improvvisamente era arrivato ed improvvisamente se ne era andato. Ancora
una volta, nello spazio di qualche ora la vita aveva preso una nuova ed inaspettata piega. Ripensò a quando
conobbe sua moglie, alla nascita dei suoi bimbi, ad un goal magicamente fatto alla squadra prima in
classifica e alla sua idea di quando era un trentasettenne semi-squattrinato. Tutto tornava, tutto aveva un
senso.
“Ma che cavolo…” Aveva di nuovo scordato le chiavi di casa.
25
- I Libri Vaganti -
di Giovanni Traverso
«Ahahaha… ciao compagno tassista!».
«La scusi, ha bevuto… ecco a lei». Davide porse dieci euro al tassista, abbassando lo sguardo per la
vergogna. «Grazie e buonanotte».
«No problem», rispose lui sorridendo. Dall’accento sembrava il tenente Danko della polizia di Mosca. Era
divertente, ma che bisogno c’era di sfottere?
Guardò la ragazza con costernazione. Al primo appuntamento era stata molto carina e aveva deciso di
rivederla, ma si sa… al primo appuntamento non incontriamo quasi mai delle persone, incontriamo dei
rappresentanti.
Dopo la seconda serata passata assieme, aveva deciso che non ce ne sarebbe stata una terza. Carina e
simpatica, aveva esagerato col bere, trasformandosi in una bimbaminchia qualunque. L’alcol, nel suo
piccolo, funziona come i soldi e il potere. Non ti trasforma, rivela la tua personalità.
«Andiamo, ti accompagno a casa». Si era rotto di farle da balia. Voleva concludere quella triste sera e
andarsene per i fatti propri. «Ma che hai lì?». La ragazza, con quel poco equilibrio che le rimaneva, stava
prendendo a calci qualcosa di rosso.
«Boh?... e che ne so…». Rise forte.
Davide, tenendola ferma con un braccio, raccolse quella cosa. Un libro piuttosto consumato. Scosse la
polvere, tolse i segni degli stivaletti e se lo mise nel cappotto. La prese sotto il braccio e con un discreto
sforzo le fece aprire il portone, salire tre rampe di scale, aprire la porta e accomodare sul primo divano
disponibile. Lei aveva preso a toccarlo e accarezzarlo dovunque. Sulla soglia di casa lo aveva abbracciato e
baciato sul collo e sulla bocca. Che schifo la vodka al limone. Sul divano si era divincolato. Non aveva
bisogno di questo. Salutò educatamente e se ne andò senza girarsi.
I tre chilometri che servivano per rientrare a casa, avrebbero avuto bisogno di una mezz’ora di passeggiata.
Erano ancora le dieci e mezza di sera e aveva tutto il tempo del mondo: il giorno dopo aveva il turno di
notte. – Fare il discontinuo al comando provinciale dei pompieri lo aiutava a far quadrare meglio i conti. –
Poi, tornato a casa si sarebbe dovuto sorbire il fratellone e i suoi discorsi sui mille modi di approfittarsi di
sfruttare una situazione simile a quella che aveva vissuto quella sera.
Non era stanco e decise di prendere un percorso alternativo. Due o tre stradine a caso e poi si sarebbe
ritrovato sicuramente in un posto che conosceva. Davide e suo fratello Diego si erano trasferiti a Genova da
Novi Ligure da più o meno di sei mesi, ma ancora non conosceva tutto.
Scelse la stradina più buia. I lampioni avevano smesso di funzionare e qualcosa gli diceva che la colpa
doveva essere di quella buca transennata all’angolo. Lavori in corso, fatti ad avanza tempo da una squadra
di operai che doveva avere appaltato l’appalto dell’appalto di qualche concorso pubblico.
Era stretta e corta la viuzza, la luce di rimbalzo dalla strada principale le donava un qualcosa di “vissuto” e
vecchio. Incontro a lui, venti metri più avanti, una coppia di ragazzi mano nella mano ridevano spensierati.
26
- Il PuzzleBook di eXcalibooks Li vide svoltare improvvisamente, e sparire tra due strette mura. Gli venne in mente che potevano abitare
là, quindi non stette a farsi molte domande, ma lo stesso volle guardare il punto dove si erano andati ad
infilare.
Fu meravigliato quando vide l’insegna del pub, in fondo a una stradina che non avrebbe permesso il
passaggio di due persone, una accanto all’altra. Gli ricordava il Toone di Bruxelles, il nascostissimo locale
dove, oltre alle ottime birre e l’ottima cucina, ci si poteva godere anche uno splendido e particolarissimo
teatro di marionette che rappresentava le più famose opere di Shakespeare. Per un modico prezzo, si era
goduto l’Otello in scala uno a otto.
In pochi attimi era già dentro. Senza riflettere. L’istinto gli diceva che dopo una serata del genere gli
sarebbe servita una birra prima di rincasare. Musica bassa, come piaceva a lui e Guinness alla spina… Non
sarebbe stata la stessa cosa che a Dublino, ma si sarebbe accontentato.
«Una pinta di Guinness, grazie». Disse al barbuto barista che vestiva una maglietta nera con su disegnata
una cravatta bianca.
Mentre aspettava la seconda spillatura domandò il prezzo.
«Cinque euro, ma niente pagamenti anticipati qua da noi.» Rispose sorridente lui.
Prese la sua birra e fece per mettersi a sedere sul divanetto del piccolo tavolo all’angolo, a debita distanza
da tutto, quando qualcosa gli premette contro la coscia sinistra. Era il libro rosso. Il malconcio libro rosso.
Aveva qualche pagina strappata, probabilmente per colpa di un calcio di troppo, ma la rilegatura stava
ancora assieme. Un po’ di manutenzione e sarebbe tornato leggibile.
Si alzò in direzione del bancone, aspettò che l’amico dalla cravatta stampata finisse di servire due Kilkenny
e un gin tonic, e chiese se avesse del nastro adesivo trasparente.
«Sì che ce l’ho, mi basta che me lo riporti».
«Certo, solo dieci minuti, tranquillo».
«A che ti serve?».
«Ho trovato un libro un po’ rotto in strada, lo voglio riparare». Si giustificò.
«Povero mondo. Chi butta via un libro è capace di qualunque reato. Tieni», disse porgendogli un piccolo
rotolo di nastro.
«Non so se è stato gettato via, forse era stato appoggiato da qualche parte ed è finito in mezzo ai piedi di…
in mezzo ai miei piedi». Non servivano altre spiegazioni.
«Perché appoggiato da qualche parte? Non capisco». Il barista era perplesso.
«Dentro c’è scritto che il libro non è di nessuno, e dopo che si è finito di leggerlo bisogna lasciarlo in un
luogo dove possa essere ritrovato dal prossimo lettore. Si chiama Libro…».
«Vagante?», finì l’altro.
«Sì».
27
- I Libri Vaganti «Ne ho letto uno una volta, raccontava la storia fantastica del Pirata Roberts. Ha la copertina nera per
caso?».
«No, è rossa, mi dispiace».
«Peccato… mi sarebbe piaciuto rivederlo, giusto per sapere quante persone l’hanno letto da quando ce
l’avevo io».
«Scusa, ma come fai a saperlo?».
«Facile. Ogni persona che legge il libro, poi lo firma nell’ultima pagina. Non ci sono le firme sul tuo?».
«Non ho controllato».
«Controlla. La mia fu la sedicesima firma sul Pirata Roberts».
«Ok, d’accordo. Vado, riparo, vedo se ci sono firme… e forse do anche una rapida scorsa alle pagine». Stava
diventando curioso.
Tornò al tavolo e per prima cosa controllò le firme. Una, due, tre,… trentuno! «Peccato che i libri non
abbiano una scatola nera come gli aerei», pensò.
A forza di pezzetti di nastro adesivo rimise assieme tutte le pagine. Adesso il libretto, il Libro Vagante, aveva
tutta un’altra aria. Fiero del lavoro di carrozzeria ben riuscito, Davide si mise comodo e aprì al primo
capitolo.
«Ragazzo, non ti vorrei mandare via, ma sono le due passate… tra poco chiudo». Sempre sorridente sotto il
barbone, il barista aveva preso posto su una sedia poco distante. Osservava Davide, che tranquillo rispose
«Ancora un quarto d’ora, ho quasi finito». Come se non avesse dato molto peso alla richiesta implicita.
Senza dire una parola l’amico barbuto tirò fuori un libro a sua volta e si mise pacifico a leggere.
«Finito e firmato!» L’annuncio di Davide risuonò, con il click della penna che aveva con sé, nel locale vuoto.
«Ti ho aspettato. Adesso mi aspetti un minuto». Rispose secco l’altro.
Infatti, dopo poco tempo, chiudendo pacificamente il libro, disse: «Ok, possiamo andare».
Si avviarono verso l’uscita insieme. «Adesso dovrò trovare un buon posto dove lasciarlo…» Pensò a voce
alta il giovane.
«Se vuoi ho una piccola mensola per i libri. È proprio dietro la porta. Sono tutti libri liberi, che ognuno
prende e riporta o prende punto e basta». Propose il barista. «Lascialo lì se vuoi».
Detto fatto, il Libro Vagante venne appoggiato con gli altri. Le luci vennero spente, la serranda elettrica
abbassata e chiusa. Si salutarono i due, sicuri che si sarebbero rivisti.
Il giovane si avviò verso casa senza fretta. Alzando gli occhi al cielo, Davide vide la luce di qualche stella che
riusciva ad arrivare fino a lui, nonostante il chiarore della città. «Che serata strana», disse tra sé e sé.
28
- Il PuzzleBook di eXcalibooks -
di Ornella Testa
A guardare quel foglio bianco le stava venendo una gran tristezza mista a frustrazione. L’ultimo libro non
era andato neanche male male, ma l’editoria per ragazzi, come noto, non fa vendere grandi numeri. Erano
passati tre mesi da allora, e il saldo del conto in banca in mattinata le aveva timidamente fatto notare che
doveva darsi da fare e consegnare qualcosa all’editore. O preferiva tornare a casa dai suoi?
NO! , pensò. Anna, 33 anni e un carattere molto indipendente e orgoglioso, non sarebbe tornata dai suoi.
Voleva bene a tutti e due, ma se la voleva cavare da sola. Riprese coraggio.
Stava per chiudere il programma di videoscrittura del portatile per passare all’aggiornamento del
curriculum vitae quando il vecchio si avvicinò.
«Tutto bene Annina?», domandò lui.
«Sì sì. Perché?», rispose accigliata.
«Perché mi hai fatto venire un colpo. A quest’ora non c’è mai un’anima, puoi fare quasi quello che vuoi.
Tranne cercare di procurare un infarto al tuo vecchio!». Lo sguardo di lui tradiva un certo divertimento per
quella bonaria strigliata.
«Scusa papà, mi girano… credo di avere il blocco dello scrittore». Diventò rossa rossa. Adesso non si
rendeva neanche più conto se pensava o diceva (urlava) qualcosa. «Come si invecchia male…», si disse,
guardando il padre che tornava fischiettando dietro al bancone del pub che aveva aperto dopo una vita
passata al porto, quando lei frequentava l’università.
«Lo sai che faccio quando ho la testa vuota?», chiese il papà da lontano.
«Sentiamo… cosa fai ogni santo giorno?», rispose caustica Anna.
«La simpatia devi averla presa da mamma, ne sono sicuro». Il loro punzecchiarsi di continuo aveva logorato
il fegato alla povera madre.
«Andiamo! Scherzavo…», propose un veloce armistizio. «Che fai, quando hai la testa vuota?». Pronunciò la
domanda lentamente, come se fosse stata una nonna intenta a raccontare l’inizio di una fiaba ai nipotini.
«Leggo un bel libro! Così la testa si riempie», annunciò il vecchio, ignorando il tono della figlia.
Anna aveva finito di leggere l’ultimo libro la settimana precedente. Glielo aveva consigliato un’amica, ma
era rimasta delusa dalla scelta. Troppi luoghi comuni per i suoi gusti.
«C’è qualcosa nello scaffale?», chiese alzandosi dalla sedia per scrocchiarsi la schiena indolenzita dalle due
ore di fatiche informatiche.
«C’è qualcosa, guarda cosa ti potrebbe interessare. Prezzi modici».
«Ho paura di averla presa da te la simpatia», rispose per le rime.
29
- I Libri Vaganti Si avvicinò al piccolo scaffale dei libri che il locale offriva agli avventori. Si potevano prendere liberamente
senza pagare niente. Riportarli era facoltativo, ma, non si sa come fosse possibile, c’erano sempre una
ventina di titoli. Neanche poi tanto brutti o sconosciuti. Dei “buoni” libri, in fin dei conti.
Il suo occhio capitò su un libro malconcio dalla copertina rossa. Tra gli altri spiccava come il cappotto della
bimba di Schindler’s List. “Oddio che paragone!”, pensò, togliendosi l’immagine dalla testa. Prese il libro
rosso allungandosi sulle punte dei piedi. Uno scaffale montato male non avrebbe fermato l’alzatrice titolare
della squadra di pallavolo delle superiori.
«Prendo questo», annunciò sventolando il testo davanti a sé in direzione del papà.
«Ah quello… l’ha portato un ragazzo nel fine settimana. Un bel ragazzo anche, se passa ancora te lo faccio
conoscere», propose fiero.
«Manco morta! L’ultima volta che mi hai presentato qualcuno ancora me lo ricordo. Non ho mai fatto tante
figure di merda in così poco tempo…», disse acida. Indispettita, prese in fretta tutte le sue cose e si avviò
verso l’uscita. Aveva bisogno di starsene da sola un momento.
«Saluta la mamma, domani la chiamo. Ciao pa’». Baciò il suo vecchio su una guancia e si concesse nel
caratteristico medio-piccolo abbraccio di famiglia, imbucò la porta e si ritrovò nel caróggio che portava
verso Piazza Ferrari. Era pomeriggio e di una giornata con un timido sole marzolino, la temperatura ideale
per farsi due passi senza la rottura del caldo. Arrivata alla Piazza, sarebbe scesa al Porto Antico in pochi
minuti.
Senza le ululanti scolaresche che si alternavano perpetue davanti all’Acquario, il Porto Antico era pacifico.
Le coppiette qua e là che si tenevano per mano o che si lasciavano andare in qualcosa di più, non davano
fastidio. Di turisti nel mezzo della settimana e in quella stagione non se ne vedevano molti, era una fortuna
per Anna.
Passata l’agitazione per le parole sottintese dal padre, venne ipnotizzata per qualche minuto dal lento
oscillare delle cime di un piccolo veliero ormeggiato a un centinaio di metri da lei. I genitori si augurano il
meglio per i figli e hanno l’aspettativa di vederli presto accompagnati, ma Anna non aveva avuto molta
fortuna nelle relazioni. Da due mesi usciva abbastanza regolarmente con un bell’uomo di un anno più
giovane, conosciuto nella squadra di pallavolo amatoriale che frequentava dalla fine dell’università. Ma non
voleva ancora dirlo ai suoi, era già stata tradita dall’impazienza. Questa volta non ci dovevano essere spinte
o accelerazioni forzate. Tutto avrebbe seguito uno sviluppo, per così dire, naturale.
«Un gabbiano non fa mare, un gabbiano fa discarica…», disse a voce bassa guardando i famelici pennuti,
mentre distendeva le gambe seduta su una delle panchine del Porto. Tirò fuori il libro che aveva preso al
pub. Un piccolo libro con la copertina consumata tenuta assieme dal nastro adesivo, le pagine ingiallite e
scricchiolanti.
«Libro Vagante?», si domandò leggendo la scritta all’interno. «Che roba è?».
«Ah ecco!», si rispose trovando le firme in fondo, dopo una rapida sfogliata. «Alla faccia…». Le contò. «Devi
essere interessante».
Si accorse che il sole era già calato da tempo quando per leggere le ultime pagine ricorse alla luce del
cellulare. Il Comune aveva deciso che per camminare e sbaciucchiarsi non era necessario accendere le luci
del Porto Antico troppo presto. «Hanno ragione a darci degli spilorci», disse divertita dal pensiero ironico.
30
- Il PuzzleBook di eXcalibooks Aveva finito il libro senza quasi accorgersene, tanto era scorrevole e… bello! Si concesse una bella dose di
stiracchiamenti misti per riavviare schiena, braccia e gambe e si mise in piedi.
La pressione bassa le regalò uno dei soliti spegnimenti temporanei della vista. Giusto qualche secondo di
buio dovuto all’alzarsi troppo repentinamente. Quando riapparve la vista, arrivò anche la sua storia.
Limpida, dall’inizio alla fine l’immaginazione le stava proiettando un film nella testa. Doveva scriverla
subito!
Guardò la borsa del portatile. La batteria era andata e funzionava soltanto con l’alimentatore, ma aveva un
taccuino. Lo prese e cercò una penna o una matita. Niente penna e la matita era nuova. Niente appuntalapis… «Belin!».
Doveva tornare a casa immediatamente. Rimise insieme le cose e si diresse verso la fermata dell’autobus.
Ecco l’autobus! Corse a perdifiato lanciandosi nella porta scorrevole appena in tempo. La terza fermata
l’avrebbe lasciata proprio dietro casa sua. Si ripassò mentalmente la storia tante di quelle volte che non se
la sarebbe più scordata, ma doveva lo stesso metterla per iscritto.
Il bus era quasi arrivato. Allora si ricordò del libro, che tolse dalla borsa. Non poteva firmarlo. «Pace…». Lo
guardò ancora, poi lo appoggiò sul sedile. «Grazie pa’». Ecco la fermata.
Non potendo aspettare che il vecchio portatile si prendesse i suoi dieci minuti per accendersi ed essere in
comodo per la videoscrittura, sì armò di carta e penna.
La mattina la trovò addormentata sul tavolo, accanto alla bozza del suo primo romanzo.
31
- I Libri Vaganti -
di Andrea Castrucci
Salve a tutti! Mi chiamo Renée Farida, ho 29 anni e sono algerina, ma da qualche anno vivo a Genova, dove,
più per necessità che per scelta, faccio l'autista di autobus. Bisogna pur sopravvivere!
Oggi è il mio ultimo giorno di lavoro, ho deciso infatti che da domani proverò a dare un taglio netto alla mia
vita, ultimamente piuttosto monotona, e impiegherò tutte le mie forze per sfondare in quel mondo che da
sempre mi affascina e mi attira con forza e curiosità, quello della scrittura. Eh sì, direte voi, questa è
un'altra povera sprovveduta venuta in Italia con grandi sogni e belle speranze, ma con ben poco di concreto
in mano. Vi chiedo però di aspettare a giudicarmi dato che se proprio a voi, cari lettori, sto dedicando
queste poche righe e una parte del mio tempo è forse per il fatto che qualcosa di interessante da dire credo
di averla.
Scrivo da sempre. Da bambina ho imparato a scarabocchiare prima ancora che i miei coetanei si rendessero
conto di essere venuti al mondo e ora che sono cresciutella non ho perso l'interesse per quest'arte, per
questa disciplina che insegna a fare i conti con il mondo, con gli altri e le loro avventure. Carta e penna sono
da sempre le mie fedeli compagne di viaggio. Ma la verità è che questo è un segreto mai rivelato perché
non ho ancora avuto il coraggio di buttarmi, di prendere la rincorsa e saltare... forse per l'educazione che
ho ricevuto, forse perché sono sempre stata abituata a vivere coi piedi ben piantati a terra o forse per il
semplice fatto che le cose a volte prescindono da noi stessi e finora era così che doveva andare.
Quando non sono sul bus e le mie mani non sono impegnate a reggere il volante, scrivo. Quando torno da
fare la spesa e un pensiero mi si affaccia alla mente, lascio cadere le buste ancora piene e mi getto sul
foglio, penna alla mano. Non appena ho un momento libero, scrivo. Ho cassetti pieni zeppi di carte scritte
che ho depositato e ho lasciato lì a prendere polvere e insicurezze. Scrivere mi aiuta a vedere le cose più da
vicino, a dare corpo ai miei pensieri e alle mie sensazioni. Scrivere è sempre stata la mia via di scampo,
l'unico modo per parlare e sfogarmi con qualcuno – o meglio qualcosa – che mi permettesse di essere me
stessa, aprirmi senza riserve e esorcizzare quei mali e quelle cattive abitudini che ci trasciniamo dietro da
tempo immemore senza avere mai la forza o la voglia di lasciarli andare.
Scrivere è la mia vita, fa parte della mia natura... pensate allora a quanto sia stato difficile mantenere una
maschera per tutto questo tempo, fingere di essere qualcun altro, nascondersi dietro costumi e tradizioni.
Ho cambiato città, perfino paese, perché ho bisogno di una possibilità e oggi qualcosa mi dice che le cose
stanno per cambiare.
Come ogni benedetta sera, dopo che l'ultimo dei miei passeggeri abituali è sceso, riporto l'autobus al
deposito e prima di salutarlo e augurargli la buona notte mi dedico a renderlo presentabile per il giorno
dopo spogliandolo da tutto ciò che i viaggiatori distratti mi lasciano in “regalo”. Di solito c'è l'imbarazzo
della scelta: chi si dimentica sciarpe e cappelli, chi perde carte di credito o documenti vari, fino ad arrivare
ai miei preferiti, quelli che lasciano le cose più strane, orologi, bambole, salviette struccanti, giornali e chi
più ne ha più ne metta. Stasera per fortuna poca roba: una lattina vuota, una busta del Mc Donald's
maleodorante e... cosa più unica che rara, un libro. Incastrato nello spazio tra il finestrino e un sedile, fa
capolino quella che sembra una comunissima copertina rossa e che a un occhiata più attenta appare logora
e stropicciata, macchiata e piuttosto vecchia. “Non gli darei un soldo”, penso tra me, “di sicuro lo ha
lasciato di proposito qualcuno che voleva sbarazzarsene”. Lo sottraggo a quel singolare nascondiglio e inizio
32
- Il PuzzleBook di eXcalibooks ad approfondire la conoscenza. Accarezzo la copertina, lo apro, annuso le pagine più che ingiallite e sento il
solito brivido di emozione che mi scende lungo la schiena quando passo il dorso della mano sulla carta
stampata. Anche se malridotto e sicuramente poco attraente esso rappresenta per me una specie di
simbolo, di totem, un talismano intriso di potere magico. Quello che ho tra le mani è senza dubbio un segno
del destino, un segnale che non posso non cogliere, una di quelle coincidenze che generano allo stesso
tempo meraviglia e inquietudine, una sensazione che Freud avrebbe definito “perturbante”. Un libro dalla
copertina rossa semi scollata e con le pagine che quasi si sbriciolano a sfogliarle è capitato nel mio autobus
proprio il giorno in cui decido di chiudere un capitolo della mia vita e sfoggiare uno slancio di coraggio per
dedicarmi alla mia passione.
A quel punto è troppo tardi per tornare indietro. Un'intima complicità si è già instaurata tra noi, la scrittrice
mancata e il libro: ci scrutiamo l'un l'altro con profondità e sospetto, vogliamo saperne di più, vogliamo
raccontarci le nostre storie, il quando, il dove, il perché, cosa ci ha portato entrambi fino al punto in cui
siamo adesso. Decido allora di rimandare il confronto a un luogo più adatto, a un'atmosfera più casalinga
che di certo aiuterà entrambi a lasciarsi andare. Metto il libro in borsa e do l'estremo saluto al mezzo che è
stato il mio cicerone per tutto questo tempo, pronta adesso a dedicare la mia attenzione a quell'affare che
più inaspettatamente non poteva piombarmi tra capo e collo. Mi affretto a piedi verso casa, quasi corro,
tanta è la voglia di mettermi comoda a leggere, a esplorare quel nuovo mondo che oggi qualcuno ha voluto
così gentilmente condividere con me.
Salgo le scale due a due, entro in casa e nemmeno mi tolgo l'impermeabile che sono già sulla poltrona,
davanti alla finestra che si affaccia su una strada illuminata dalla luce arancione dei lampioni. Fuori l’aria
trasuda umidità e in cielo si preannuncia un temporale. Prendo dalla borsa l'oggetto del mio desiderio e lo
apro... una strana etichetta...
È un Libro Vagante! Un libro senza fissa dimora, rappresentante di una cultura itinerante. È la prima volta
che ne vedo uno e la cosa mi incuriosisce moltissimo. Sul retro le firme di coloro che lo hanno già avuto tra
le mani. Molti nomi, altrettante storie. La pioggia inizia a cadere, fitta fitta, e solo il rumore del suo battito
contro il vetro della finestra mi desta da quello che è già diventato il mio fantasticare: una strana
sensazione si impadronisce di me e orienta la mia attenzione non tanto sul contenuto del testo, quanto su
quelle firme dietro alla copertina. Allora Inizio a immaginare storie e vicende di persone comuni, di giovani
e vecchi, donne e uomini che in qualche modo e in qualche luogo, con la loro personalità e la loro
esperienza, hanno avuto a che fare con quello stesso testo, il testo che questa sera ha scelto me. “Ma
perché proprio me?”
Inutile arrovellarsi il cervello cercando di trovare una ragione per qualcosa che non sembra affatto
spiegabile. Ma la risposta arriva presto, ed è in assoluto la più semplice. Io, Renée, l'autista di autobus
algerino-genovese, avevo solo bisogno di un incentivo, di una piccola luce che mi indicasse la strada da
seguire. Adesso ho capito davvero ciò che voglio e devo fare! Un bisogno impellente si fa strada in me e da
me esce in un sussulto come quando si torna a respirare dopo essersi privati dell'aria per alcuni istanti.
“Sarò una scrittrice di Libri Vaganti!”
Completamente coinvolta dalla situazione mi lancio a prendere carta e penna e in quella sera malinconica,
mentre la pioggia batte alle finestre, inizio a consumare l'inchiostro... scrivo, scrivo, scrivo... scrivo la storia
di quel libro con la copertina rossa e malconcia e le pagine strappate, la storia che lo ha condotto alla mia
porta. Vedo nella testa le vicende di tutti quelli che hanno lasciato la loro impronta su di esso, una traccia
che riesco a sviluppare con inaspettata facilità.
33
- I Libri Vaganti Immagino le peripezie di un giovane studente, Martino, che scova il libro tra le riviste della sala d’aspetto di
una stazione. Vedo con chiarezza la commovente storia di Modesto, innamorato della sua Marisa fin
dall’adolescenza. O ancora descrivo le vicende di Penelope, Swami, Bobo e così via, di tutti coloro che
hanno lasciato il loro contributo e il loro nome, passandosi il testo di mano in mano senza conoscersi
affatto. Nella mia mente appare tutto chiarissimo. Fino ad arrivare alla cara Anna, salita sul mio autobus per
il rotto della cuffia e che, anche se non è riuscita a lasciare la sua firma, ringrazio in maniera particolare
perché senza la sua scelta adesso non sarei qui a scrivere queste pagine.
L’espressione “il tempo vola” non potrebbe essere più azzeccata in questo momento. Sono passate diverse
ore e nemmeno me ne sono accorta. Ho finito il mio primo vero lavoro con in sottofondo il ticchettio della
pioggia che continua a cadere leggera, calma, rilassante. Non potrei chiedere di meglio! È ora di andare a
dormire. Penso che domani porterò le pagine a rilegare, probabilmente con una semplice copertina rossa e
anche se la grammatica forse non sarà perfetta – ma non è questo che importa – lascerò libera la mia
creazione affinché non sia la sola a goderne. È giusto che il mondo conosca questa storia. È giusto che la
cultura sia libera e che tutti possano avervi accesso. Depositerò il libro nella sala d’aspetto di una piccola
stazione, dove chissà, magari un giovane di nome Martino, o chiunque altro, potrà trovarlo e iniziare la sua
avventura mentre aspetta il treno per tornare a casa in ritardo di 90 minuti.
Con queste poche righe concludo la mia opera e rivolgo un ringraziamento a voi, cari lettori, che avete
avuto la pazienza di arrivare fino alla fine, ma in particolar modo ringrazio il libro con la copertina rossa
semi scollata e le pagine più che ingiallite, perché è stato il regalo più bello che potessi mai ricevere.
Buon viaggio!
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- Il PuzzleBook di eXcalibooks -
Grazie a tutti i partecipanti: sia a chi ha avuto il proprio lavoro pubblicato, sia a chi non l’ha avuto. Grazie
alle teste dure che hanno mandato anche più di un racconto, grazie alla loro splendida testardaggine.
Grazie a chi a dimostrato impegno, a chi ci ha provato. Senza provare è impossibile riuscire.
Grazie a tutti quelli che hanno letto o che leggeranno questa piccola raccolta di racconti. Ci auguriamo che
tra queste poche pagine ci possa essere anche solo una riga in grado di farli sognare, sperare, desiderare.
Anche soltanto per un secondo.
Grazie ai ragazzi e ragazze, uomini e donne, che cercano di diventare brave persone.
Grazie ai libri.
- Lo staff di eXcalibooks
Libreria on-line: www.excalibooks.com
Blog: www.excalibooks.com/blog
Recensioni: www.libri-da-leggere.com
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