Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Numero 136 21 Gennaio 2014 99 Pagine Novità MV Agusta Dragster 800. Le foto e il video ufficiale della novità varesina Periodico elettronico di informazione motociclistica Nico Cereghini Un motociclista congelato. L’ho incontrato per caso in alta montagna Scarica l’APP del Magazine Speciale Dakar Marc Coma vince la sua quarta Dakar. Cronaca, storia e interviste | confronto 650 | Suzuki V-Strom vs Bandit S da Pag. 2 a Pag. 25 All’Interno NEWS: Yamaha MT-07 svelato il prezzo | M. Clarke I ciclomotori italiani a quattro tempi, seconda parte MOTOGP: Le nuove Yamaha M1 | SBK: Bimota e Alstare in SBK Evo | SUPERCROSS: Sorprendente Chad Reed Suzuki V-Strom, Bandit S Prova comparativa Affari di famiglia Due interessanti 650 filosoficamente differenti, ma con destinazioni d’uso molto vicine. La bicilindrica V-Strom da 8.590 euro si confronta con la cugina Bandit S a quattro cilindri da 7.050 euro. L’ABS? E’ di serie su entrambe di Maurizio Tanca 2 3 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Prove trattasi della V-Strom (più precisamente DL650 V-Strom), erede della corpulenta progenitrice del 2004 (a sua volta praticamente gemella della possente 1000 lanciata due anni prima), e della più recente versione della Bandit S semicarenata, presentata a fine 2011. Un’ottima e apprezzatissima V2 tuttofare con già una discreta storia alle spalle, insomma, e una versatile quadricilindrica sport-touring di lunga discendenza, che ancora oggi ci sembra una concreta alternativa, specialmente nel caso che il suddetto interlocutore sia uno dei tanti che esibiscono perle di saggezza tipo «mah, non so, la V-Strom è da “enduro”, io voglio una moto “da strada” (sigh!!!)…. Vien da sé che la domanda del vicino di casa ci ha dato ovviamente l’idea di mettere a confronto queste due sorelline Suzuki. Caratteri diversi, prezzi pure Le due moto in questione, tecnicamente parlando, non sono state propriamente rivoluzionate rispetto alle versioni precedenti, soprattutto la Bandit S. Anche se effettivamente il V2 Suzuki internamente è stato sostanziosamente A chi fa il nostro invidiabile lavoro capitano spesso richieste di consigli, più o meno particolari, in merito all’eventuale acquisto di una moto. Per esempio, un mio vicino di casa, ex motociclista e padre di famiglia, ma con un figlio ormai maggiorenne, mi ha coinvolto nel suo desiderio di comprarsi una buona moto di media cilindrata, ma non molto impegnativa da usare, perché «è un da un po’ che non vado in moto e naturalmente mi sento abbastanza arrugginito, sai, l’ho venduta anni fa, quando è nato mio figlio, la moglie non veniva più in giro con me, però adesso il ragazzo è grandicello, e allora mi piacerebbe tornare in sella, bla,bla, bla…». Però il signore in questione non vuole assolutamente uno scooter, ma 4 una moto vera, che vada bene un po’ per tutto: casa-lavoro, gita di fine settimana, e perché no, magari una vacanza con la mogliettina (rinsavita), o con qualche amico dei vecchi tempi. Non solo: l’ultima moto che il nostro eroe aveva avuto era una Suzuki, e lui è rimasto molto affezionato a quel marchio. E naturalmente non vuole spendere un capitale. E se c’è l’ABS è ancora meglio (ma va?...). «Quindi? Cosa mi consigli, tu che le moto le conosci tutte?». La più classica delle domande, così come lo è l’eterna tiritera dell’ex biker che ritorna all’ovile. E la risposta, del resto, non è così difficile: il listino Suzuki comprende giusto un paio di modelli che possano fare al caso suo, entrambi più o meno recentemente rivisitati, entrambi con motori da 650 cc di proverbiale affidabilità, ed entrambi con l’ABS di serie: 5 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica Prove Media “rinfrescato”, infatti, a livello di ciclistica l’attuale V-Strom – che continua a vantare l’esclusività del suo telaio in alluminio nella categoria on-off tra 650 e 800 cc - ha solo l’interasse maggiorato di 20 mm, il piano sella a 835 mm da terra anziché 820, l’escursione della ruota posteriore aumentata di 9 mm, e un ABS alleggerito dell’ultima generazione, ma sempre non disinseribile. E ha pure un serbatoio un po’ meno capiente. Quanto al peso, siamo a 214 kg dichiarati in ordine di marcia (sarebbero poco meno di 200, senza benzina) contro i 195,5 a secco - che col pieno diventano circa 212 - dichiarati per la precedente V-Strom 650/A (con ABS: il che suona abbastanza strano, visto che l’ultima versione dovrebbe essere più leggera della precedente di 6 ben 6 kg, secondo quanto dichiarato al momento del lancio…. L’attuale Bandit S, invece, praticamente cambia solo a livello di estetica - ovvero carrozzeria, dispositivi di illuminazione, retrovisori e silenziatore - mentre tutto il resto è invariato, o quasi. Il “quasi” riguarda soprattutto l’ABS, che qui è di serie, mentre per le precedenti versioni del modello 650 era disponibile su richiesta, il che è capitato molto raramente, in Italia. L’unica differenza tecnica rispetto al recente passato riguarda quindi l’impianto frenante anteriore, dove la Bandit S ora monta dischi da 290 anziché 310 mm. Due Suzuki, queste, che tra l’altro non differiscono enormemente a livello di prestazioni ed economia di esercizio. Mentre quel che potrebbe influenzare l’eventuale scelta, semmai, 7 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine (questa volta abbastanza differente da quello della nuova 1000), l’ha dunque resa molto più snella ed equilibrata nelle masse, sacrificando però anche un paio di litri di benzina, visto che la capacità del serbatoio – in metallo ma “pannellato” lateralmente in plastica - è diminuita da 22 a 20 litri. In effetti, la moto attuale ufficialmente pesa 6 chili meno della precedente, almeno secondo la scheda tecnica ufficiale. Le finiture generali sono di buon livello, la sella - disponibile anche più alta o più bassa di 2 cm (lo standard è di 83,5 cm) – è elegante e ben fatta, col logo “V-Strom” in bella mostra sulla seduta, ed è asportabile (la serratura e sulla sinistra del porta- targa): sotto alloggia la batteria e un discreto portaoggetti rettangolare per i documenti, gli attrezzi, ed eventualmente un blocca disco. Un appunto invece andrebbe fatto alla cartuccia Prove esterna del filtro dell’olio, completamente esposta vicino al collettore di scarico anteriore: direi che il puntale paramotore disponibile tra gli accessori cade proprio a fagiolo. Inoltre manca il cavalletto centrale, anch’esso opzionale. Anche il cruscotto è completamente nuovo, come leggerete nel paragrafo ad esso dedicato. Bello anche il musetto, coi fari entrambi funzionanti sia con le luci anabbaglianti che con le abbaglianti. Da notare anche che l’antifurto immobilizer, con chiave codificata, è montato di serie. Passando alle regolazioni disponibili, le leve di freno e frizione sono regolabili nella distanza dalle manopole per mezzo delle classiche rotelline numerate; la forcella gode di 5 posizioni di precarico delle molle, e il mono posteriore è anch’esso regolabile in precarico, tramite la comoda manopola esterna, ma anche nell’idraulica in estensione. è la differenza di prezzo fra di esse: 7.050 della Bandit S e 8.950 euro per la V-Strom, che tuttavia dal primo gennaio al 31 marzo 2014 usufruirà di una nuova campagna promozionale, che spieghiamo più avanti. Quanto ai colori disponibili, per la V-Strom si può scegliere tra bianco, grigio scuro e rosso, mentre la Bandit è solo bianca. Estetica e finiture ½ V-Strom Se la base tecnica dell’attuale V-Strom 650 a prima vista sembrerebbe rimasta immutata, il precedente styling squadrato tipicamente tedesco, trasferito pari pari dalla primogenita VStrom 1000 (che in effetti venne realizzata con la collaborazione della forte filiale tedesca Suzuki Deutchsland capitanata da Bert Poensgen: del resto “Strom” è un vocabolo tedesco che tra i suoi tanti significati include “energia”) alla più apprezzata 650 del 2004, ora appare piacevolmente smussato e molto ben armonizzato con il nuovo scarico. Il dolce stil novo della V-Strom 8 9 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Da sottolineare anche che il disegno del parafango anteriore è volto a facilitare il flusso d’aria verso il radiatore, ai cui lati troviamo due inedite prese d’aria, che hanno il compito di rompere le turbolenze che si formano dietro al plexiglas stesso. Quest’ultimo, la cui sommità è arretrata di 30 mm rispetto al vecchio modello, è sempre posizionabile su tre altezze: basta svitare 4 viti e riposizionarlo più in alto di 24 mm arretrandolo nel contempo di 8, oppure abbassarlo, e contemporaneamente avanzarlo 18. ½ Bandit S La Bandit S appartiene a una categoria – quella delle moto semicarenate, col motore in bella vista - che personalmente apprezzo molto, ma che in Italia ha fatto sempre storcere il naso: o nuda, o tutta carenata, insomma, niente vie di mezzo per la maggior parte dei biker nostrani. Quella delle quadricilindriche Suzuki Bandit è una famiglia molto longeva, direi storica, nata nell’89 con le 10 Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica GSF250 (l’unica raffreddata a liquido, mai arrivata in Italia) e 400, cui seguirono le varie 600, 650 e 1200, raffreddate ad aria e olio, che negli anni novanta erano letteralmente adorate all’estero, ma anche da noi godettero di una lusinghiera diffusione. E nel 2007 arrivarono gli attuali modelli coi nuovi motori da 656 e 1.250 cc raffreddati a liquido e alimentati a iniezione. Tutte le Bandit “over 400” sono state sempre disponibili sia in versione nuda che con la semicarenatura (le “S”, appunto). Due anni fa, Suzuki ha deciso di importare l’ultima versione di questa sua storica media cilindrata, che in effetti era già stata presentata all’EICMA milanese del 2009 come model year 2010, ma che in Italia non si era vista: un modello sottoposto ad un discreto ma ben riuscito lifting, e che ancora oggi, secondo noi, può rappresentare una buona scelta per chi ami le moto più classiche e di buona sostanza. Linee più arrotondate e armoniche, dunque, donano alla Bandit S un ulteriore tocco di stile: in particolare la nuova semicarena, che monta anche un faro a parabola multi riflettente ridisegnato, a nostro avviso è molto più elegante della precedente. Anche se due “frecce” anteriori ben integrate alla parte bassa del cupolino, anziché sporgenti, avrebbero certamente giovato al nuovo look del musetto. Peccato, però, che le norme anti-inquinamento abbiano praticamente trasferito anche sulla Bandit 650 il “tubone” di scarico della sorellona 1250, sempre in acciaio inox, ma decisamente imponente. È senz’altro apprezzabile, anche qui, il pulsante dell’hazard sul blocchetto elettrico sinistro del manubrio, e ancor più lo è l’idea di ricavare due portaoggetti con sportellini a scatto ai lati del cruscotto: il sinistro alloggia la presa a 12 Volt, di dimensioni standard. Naturalmente la Bandit S conserva la possibilità di regolare la posizione del manubrio (10 mm in avanzamento), il precarico delle molle anteriori e posteriore, l’idraulica del monoammortizzatore stesso, le distanze delle leve dalle manopole e l’altezza della sella (a 790 oppure 810 mm). Sella che qui è asportabile (la serratura è sul codino, a sinistra), e sotto troviamo la batteria e un piccolo spazio sufficiente per gli attrezzi, i documenti e poco più. Rinnovata anche qui la strumentazione di bordo, come spiegato più dettagliatamente di seguito. Da notare la presenza sia della stampella laterale che del cavalletto centrale, non agevolissimo da usare. Strumentazione V-Strom Il cruscotto è completamente diverso da quello della versione originaria, composto da tachimetro e contagiri analogici ai lati di un display digitale. La nuova strumentazione è del genere più compatto e asimmetrico – tendenza molto in voga attualmente - ma tuttavia ancor più completa: di analogico ha solo il contagiri, affiancato a destra da un display LCD rettangolare (gestibile dal manubrio con l’indice sinistro) che indica la velocità, il livello carburante a barrette con annessa spia della riserva, il contachilometri to- Prove tale e doppio parziale, l’ora e la temperatura del liquido refrigerante. Le novità sono il termometro ambientale, l’indicatore della marcia inserita (funzione che Suzuki fu la prima ad introdurre, già nei primi anni 70, sulle tricilindriche GT380, 550 a due tempi) e i due indicatori di consumo medio, uno per ogni “trip”. Da notare che è possibile anche regolare la luminosità dello sfondo, su 6 livelli di intensità. Altra novità è la spia luminosa dell’indicatore di gelo (si accende sotto i 3 e si spegne sopra i 5 °C), inglobata nel contagiri assieme alla spia rossa di allarme surriscaldamento del motore. Sopra al tutto figurano le spie luminose delle “frecce”, del folle, della riserva e dell’abbagliante. Quanto alla precisione del tachimetro, i 50 km/h effettivi corrispondono a 55 indicati; i 90 a 98 ed i 130 a 142. Bandit S Anche la Bandit S ha ricevuto una nuova strumentazione della generazione “compatta ma (abbastanza) completa”. Anche se meno prodigo di informazioni rispetto a quello similare della V-Strom, dunque, l’attuale cruscotto è decisamente più moderno del precedente, che era sempre costituito dal contagiri analogico, ma abbinato ad un display LCD rettangolare inserito nell’involucro circolare di un tachimetro a lancetta. Le informazioni fornite dall’attuale display comprendono il tachimetro, il contachilometri totale e parziale, l’ora, la marcia inserita, l’indicatore di livello carburante con spia lampeggiante della riserva . Il contagiri invece ospita le classiche spie luminose di folle, batteria, temperatura motore, pressione olio, luci ed ABS. Il tachimetro della Bandit indica i medesimo scarti di quello della V-Strom. Ergonomia e comfort V-Strom La V-Strom è una valida moto per lunghi trasferimenti, e non poteva essere altrimenti, visto che è nata per coccolare i suoi ospiti anche durante lunghi viaggi e vacanze in configurazione “in 11 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Bandit S La postura, in sella alla Bandit, favorisce senz’altro all’origine i piloti più bassi - la sella di serie, sistemata nella posizione più bassa, è a soli 790 mm da terra, e al massimo è a 810, e quindi si siede almeno 250 mm più in basso rispetto alla V-Strom - però con le pedane abbastanza più arretrate e vicine al piano di seduta: a parità di statura, insomma, sulla Bandit si guida con le gambe più angolate rispetto alla V-Strom, e col busto un po’ più in avanti, assumendo una posizione che facilita maggiormente la guida più aggressiva tra le curve in rapida sequenza. Per quanto mi riguarda, pur considerando il fatto che il manubrio è regolabile, ne sceglierei uno leggermente più “aperto” alle estremità. Quanto a protezione dall’aria, trovo che la semicarena e il plexiglas della “S” siano sufficientemente protettivi per viaggiare decentemente, con l’aria che scivola sopra le spalle e la testa che solo a velocità off limits spingerà i più alti a reclinarsi un po’ ferie mi porto tutto quello che posso, moglie compresa”, o, più semplicemente, “a pieno carico”. Forse alla lunga per qualcuno risulterà leggermente meno confortevole della vecchia, più che altro per il fatto che la zona di raccordo tra sella e serbatoio è più rastremata rispetto a prima: ma anche per questo fatto risulta più ospitale per le gambe, e più agevole per i meno alti nel poggiare i piedi a terra. Basta dare un’occhiata allo schema ergonomico per rendersi conto che in realtà la postura cambia leggermente solo per questo. Quanto al riparo aerodinamico, con il parabrezza in posizione standard un pilota alto 1,76 può tranquillamente viaggiare in posizione naturale almeno a velocità autostradali codice, con una buona protezione generale, e con le spalle e il casco lambiti dall’aria, ma senza generare fastidiosi scuotimenti del capo. La postura in sella 12 Prove in avanti. Naturalmente è comunque disponibile anche un plexiglas maggiorato. Anche il passeggero è seduto differentemente sulla Bandit, rispetto alla V-Strom: la sua porzione di sella è un po’ più stretta, ma l’imbottitura è sufficiente, solo che le sue pedane qui sono più alte e arretrate, e le ginocchia probabilmente invocheranno tappe più brevi, per potersi sgranchire un po’. Anche l’appiglio posteriore qui è più sacrificato, quindi il passeggero, nelle lunghe trasferte, presumibilmente sentirà la mancanza di un bauletto al quale appoggiarsi. Anche qui come vibrazioni siamo messi bene: sono poche e finissime, si infittiscono solo ai regimi più elevati, oltre i 7.000 giri, concentrandosi più che altro sulle manopole e, transitoriamente, sui fianchi del serbatoio in decelerazione. Quanto al comfort delle sospensioni, anche qui siamo messi bene: la taratura di base è decisamente ben calibrata, tutt’altro che flaccida e davvero notevole su pavé e sconnesso. è comoda, anche per le gambe, sia per chi guida che per il passeggero: quest’ultimo, in mancanza di bauletto, in caso di andatura brillante può servirsi delle comode maniglie posteriori in resina. Da notare che la distanza tra pedane e piano sella è praticamente la medesima per pilota e passeggero, il quale però gode di pedane più avanzate, quindi sta più comodo. Il tutto senza soffrire di vibrazioni noiose, perlomeno finché il contagiri non punta verso i 7.500/8.000, corrispondenti a velocità superiori ai 150 orari effettivi. Soddisfacente anche il comfort generale delle sospensioni, che reggono decisamente bene l’impatto anche sul famigerato pavé e sull’asfalto in disordine, e non creano problemi degni di nota quando ci si vuole divertire a spingere sul misto, a patto ovviamente di guidare in modo pulito e senza acrobazie in sella. 13 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine per tutta la gamma Suzuki (cross esclusi, naturalmente), e naturalmente variabile da modello a modello. L’opzione comprende 4 tagliandi e altre agevolazioni: il tutto è chiaramente spiegato nel sito ufficiale della Casa. Come già anticipato, va tuttavia considerato che l’acquirente di una V-Strom 650 usufruirà di una interessante promozione che durerà fino al 31 marzo prossimo. In pratica, il prezzo di listino comprenderà il cosiddetto “ kit outdoor”, oppure verrà scontato di 900 euro ( IVA inclusa), scendendo quindi a 7.690 euro. Il kit outdoor comprende il puntale sotto al motore, il cavalletto centrale, i paramani, il cupolino Touring con deflettore regolabile, un bauletto da 42 litri completo di kit di fissaggio e il relativo poggia schiena. Grazie alla suddetta promozione, la nostra valutazione sul prezzo (3 punti e mezzo) sale quindi a 4 punti. Accessori V-Strom Quanto agli accessori, naturalmente Suzuki fa mancare poco o nulla ad uno dei suoi modelli prediletti. A partire da quanto serve per viaggiare. E qui troviamo due allestimenti: il kit Urban comprende il plexiglas Touring dotato di spoiler superiore regolabile, i paramani, il cavalletto centrale e il puntale inferiore; mentre il kit Traveller aggiunger le manopole termiche, il bauletto in plastica con relativo supporto, le barre paramotore e la presa 12 Volt. Inoltre sono disponibili le moto valige in alluminio con apertura superiore, la sinistra da 45 e la destra (lato scarico) da 37 litri, e il relativo top case da 38 l; ma esistono anche le motovaligie in plastica da 30 e 40 l, e relativo top case da 42 l. Per tutti i contenitori citati sono previste le comode borse morbide interne. Ma l’affollato catalogo accessori comprende anche varie borse morbide da serbatoio e da sella (superiori e laterali), barre paramotore, plexiglas 14 Prove Bandit S La Bandit S costa 7.050 euro franco concessionario, quindi 1.600 euro meno della cugina dalle gambe lunghe. E per l’eventuale “Pacchetto di manutenzione” ce ne vogliono altri 719,48. Per completezza d’informazione, ricordiamo che Suzuki ha in listino anche altre due versioni di questa moto, che però non portano il nome Bandit: si tratta delle GSX650F (7.190 euro) ed FT (7.590 euro), completamente carenate ma prive di Abs. Motori V-Strom L’ottimo V2 bialbero a 8 valvole da 645 cc dell’attuale V-Strom (che poi è il medesimo della Gladius, ed è disponibile anche in versione depotenziata a 25 kW) mantiene gli stessi valori di alesaggio e corsa del predecessore (81x62,6 touring con spoiler regolabile, paramani, manopole termiche regolabili. ½ Bandit S Anche per questa Bandit sono disponibili portapacchi e bauletto, le moto valigie da 35 litri ciascuna - e le apposite borse morbide interne asportabili - con relativi attacchi (visibili sulla moto da noi provata), e un paio di borse da serbatoio con attacchi magnetici. Troviamo inoltre un set di carrozzeria – composto da fianchi laterali e puntale inferiore – che trasforma la semicarena in carena totale, e un plexiglas Touring con deflettore regolabile. Prezzi ½ V-Strom La DL650 V-Strom come già detto, costa 8.590 euro. Che potrebbero aumentare di qualche centinaio (in questo caso 764,81) acquistando il “Pacchetto di manutenzione”, peraltro previsto 15 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito mm), l’alimentazione a iniezione elettronica con due corpi farfallati da 39 mm, ciascuno con doppia valvola a farfalla (SDTV) per ottimizzare flussi, efficienza di combustione e, di conseguenza, l’erogazione a tutti i regimi. Ovviamente presente anche l’accensione con due candele per cilindro, introdotta nel 2007 con l’avvento dell’Euro-3. Tuttavia è stato sostanziosamente “rinfrescato” con nuovi pistoni, segmenti e bielle, che lavorano in cilindri trattati con materiale antiattrito al carburo di silicio, camere di combustione più compatte e valvole maggiorate e differentemente inclinate, azionate da molle singole anziché doppie. Ma sono stati ridisegnati anche i profili delle camme e lo stesso albero motore, e introdotte le nuove candele all’iridio, che migliorano la combustione e, di conseguenza, l’erogazione a tutti i regimi. Modificati anche il meccanismo di rilascio della frizione e il leveraggio della leva del cambio, per renderli ancora più dolci e fluidi. Invariati, invece, tutti i rapporti di trasmissione, finale compresa. Per questo motore Suzuki dichiara 69 cv (50,5 kW) all’albero a 8.800 giri – cioè 2 cv più del predecessore e 3 meno della Gladius - e un valore di coppia massima di 6,1 kgm (60 Nm) a 6.400 giri. La potenza massima alla ruota da noi rilevata al banco prova è stata di 64,6 cv (47,5 kW) a 8.750 giri, con una coppia massima di 5,94 kgm (58,2 Nm) a 6.500 giri. Bandit S Il “4 in linea” raffreddato a liquido da 656 cc (65,5 x 48,7 le misure di alesaggio e corsa) della Bandit S risale dunque al 2007. Si tratta di un propulsore - anzi, due, visto che anche l’omonima sorella maggiore fu maggiorata da 1.157 a 1.255 cc - allora inedito, naturalmente bialbero a 16 valvole, con cilindri anche qui trattati al carburo di silicio, e l’iniezione a doppio corpo con 4 valvole a farfalla. Qui la frizione è a comando idraulico anziché a cavo, mentre il cambio a 6 marce, al pari delle trasmissioni primaria e finale, sono immutati rispetto al modello precedente. Per questo motore il costruttore dichiara 85 cv (62,5 kW) a 16 Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica Prove 10.500 giri, ed una coppia massima di 6,3 kgm (61,5 Nm) a 8.900 giri all’albero. I valori da noi rilevati alla ruota sono stati rispettivamente di 75,6 cv (55,6 kW) a 10.000 giri, con una coppia massima di 5,9 kgm (57,7 Nm): un valore di picco praticamente identico a quello della bicilindrica, ma posizionato a 8.000 giri anziché 6.500. Prestazioni ½ V-Strom Circa 65 cv effettivi alla ruota consentono alla V-Strom di superare tranquillamente i 185 orari (186,5 da noi rilevati, a 9.000 giri – 199 indicati), con pilota in posizione eretta. Bandit S Rispetto alla cugina V-Strom, la Bandit S gode di quella decina di cavalli in più che, assieme naturalmente all’aerodinamica più favorevole, le consentono di superare facilmente i 210 orari: nella fattispecie siamo sui 213 km/h effettivi, sempre con pilota seduto normalmente. Consumi V-Strom Quanto ai consumi, per il parsimonioso V2 Suzuki abbiamo rilevato una percorrenza media di 19 km/l in città, 18 in autostrada a 130 orari effettivi costanti, e di 23,5 km/l lungo il nostro abituale percorso extraurbano di riferimento. Il consumo medio globale della nostra prova si è dunque attestato sulla media dei 20 km/litro, il che consentirebbe un’autonomia media di circa 310 km prima che l’indicatore di livello benzina scenda fino a quando l’ultima tacca diventa intermittente: qui inizia la riserva, che ammonta a 4,5 litri. Percorsi altri 40 km circa – e di conseguenza consumati altri 2 litri – sparisce anche la tacca residua e si accende la spia luminosa, che indica gli ultimi 2,5 litri di “benza” a disposizione. ½ Bandit S Il motore Bandit è più potente e gira un po’ più alto, non è quindi una sorpresa che a parità di andatura consumi un po’ di più. La nostra media è stata di 18 km/l, che col serbatoio da 19 litri presuppone un’autonomia media di circa 240 km, prima di entrare in riserva (ben 5,5 litri): a questo punto l’indicatore anche qui scende ad una tacca lampeggiante, mentre la classica spia luminosa fissa subentra quando nel serbatoio sono rimasti 1,5 litri. I singoli consumi medi da noi rilevati sono stati di 18 km/l in città, 21 in extraurbano e 17 in autostrada, a 130 km/h effettivi. Comportamento in città ½ V-Strom La V-Strom “piccola” (la si può chiamare nuovamente così, ora che la 1000 è tornata in listino), in città è decisamente “friendly”, grazie anche ai suoi comandi tutti morbidi: non è troppo alta, ora è anche più stretta tra le cosce, l’abbinamento peso/baricentro non è impegnativo, l’angolo di sterzata idem…Ergo, nel traffico ci si destreggia piuttosto bene, sul dannato pavé non si soffre grazie a sospensioni piacevolmente efficaci, e il motore è a sua volta molto confidenziale anche con chi sia alle prime armi, o quantomeno non abbia mai usato un bicilindrico: minimi strappetti sotto i 2.000 giri, e una dolcezza di erogazione da riferimento assoluto per un V2. Bandit S Aanche la Bandit, però, se la cava bene nel traffico metropolitano, facilitata dal suo baricentro basso che aiuta molto a farla sembrare ben più leggera di quanto sia, anche se – almeno ai primi approcci - nelle manovre lente lo sterzo accusa un po’ di pesantezza e tendenza a chiudere. Un “4 cilindri” non stracarico di coppia, ma dolce 17 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica eventualmente, potranno ovviamente optare per il senz’altro più efficace plexiglas Touring con deflettore superiore regolabile, del quale beneficerà anche chi siede dietro. Anche il “4 cilindri” in linea non tortura certo con vibrazioni insostenibili: perlomeno chi guida, che avvertirà qualcosa sulle pedane in rilascio, ma nulla di seriamente noioso. Il passeggero, invece, qualche vibrazione sulle pedane l’accuserà, ma non ad andatura “street legal”. La Bandit è sensibilmente più veloce della sorella più polivalente, ma quanto a stabilità anche lei non mostra il fianco a critiche su quei bei curvoni a tre corsie da oltre 200 orari tipici di alcune autostrade (tedesche, naturalmente). Comportamento nel misto come un babà, aiuta senz’altro a muoversi con la tranquillità necessaria negli orari di punta, specie sul bagnato. Peccato solo che in condizioni limite, come possono essere le lunghe code o gli ingorghi dell’ora di punta, quindi a velocità bassissime, il cambio si indurisca abbastanza. Promuoviamo senz’altro anche le sospensioni, più che oneste e soprattutto tarate il giusto per non andare “a pacco” sullo sconnesso. casco e alle spalle, e le gambe non tendono ad aprirsi, a maggior ragione viaggiando a velocità codice. Di vibrazioni se ne sentono davvero pochissime, anche perché si manifestano oltre i 7.000 giri, mentre a 130 km/h reali il contagiri si attesta sui 6.300… Quanto a stabilità, non ci sarebbero problemi nemmeno sui curvoni a tutto gas, figuriamoci ad andature codice. Comportamento in autostrada Bandit S Anche in sella alla Bandit S, tutto sommato, la vita non è faticosissima sui lunghi tratti autostradali. Ferme restando le pedane altine del passeggero (che se basso/a di statura ovviamente ci baderà meno), la semicarena originale offre una buona protezione ai piloti di media altezza, che avvertiranno i flussi d’aria lambire testa e spalle, senza arrivare al limite del fastidio. I più alti, V-strom Viaggiare con questa moto in autostrada è un piacere. La protezione aerodinamica in effetti è un po’ inferiore rispetto al modello precedente, ma quel poco d’aria che si percepisce, una volta personalizzata la posizione del plexiglas, a mio avviso è più che tollerabile: per quel che mi riguarda, i flussi d’aria infatti vagano attorno al 18 V-Strom La piacevolezza di guida della V-Strom 650 è ben nota da anni. Questa versione non fa che confermarla, semmai migliorandola ulteriormente, non fosse altro che per la maggior snellezza di assetto percepita dal pilota. Il motore naturalmente è prim’attore in un contesto generale decisamente felice: è il miglior bicilindrico della categoria (a maggior ragione ora che la Transalp esce di produzione, non sappiamo se temporaneamente o meno), ed è capace di riprendere dolcemente da 1.500 giri senza far capricci anche in sesta, per poi prodigarsi in un buon allungo che spinge facilmente la moto oltre i 180 orari effettivi . Ed è davvero delizioso goderselo tenendolo più o meno tra i 3.000 e i 6.500/7.000 giri, in particolare su un bel percorso misto, medio o veloce che sia, grazie ovviamente anche a una ciclistica molto ben bilanciata e correggibile con discreta facilità e senza particolare fatica, prese le misure al minimo di inerzia della ruota anteriore da 19” nei cambiamenti rapidi di inclinazione. Si guida divertendosi con naturalezza, insomma, godendosi un buon cambio e una frizione morbida, e potendo contare su gomme più che oneste come le Bridgestone Trail Wing, il cui profilo piuttosto “svelto”- in particolare davanti - richiede però Prove qualche chilometro prima di creare la necessaria confidenza. Molto tranquillizzante anche l’ impianto frenante, potente e modulabile il giusto e dotato di un ABS dall’intervento molto ben calibrato in ogni situazione, perfino sullo sterrato duro. Inutile dire che la V-Strom consente ovviamente di approcciare anche percorsi sterrati un po’ più impegnativi di una semplice strada bianca, certamente con maggior tranquillità rispetto alla Bandit. Anche perché, ovviamente, qui sullo sterrato si può comodamente guidare anche in piedi. Bandit S La Banditella mantiene inalterate le sue caratteristiche di guida, compresa la leggera tendenza dell’avantreno a “chiudere” nelle manovre lente in città e nei tornanti stretti, che un manubrio un po’ più largo e aperto probabilmente renderebbe quasi trascurabile. Poca roba, comunque, visto che globalmente la moto è molto piacevole da usare, grazie alla sua buona maneggevolezza che consente di guidare brillantemente ad onta del peso non certo irrisorio, a maggior ragione per una media cilindrata come questa. Fatto sta che la Bandit S risulta bilanciata più che dignitosamente: sul misto ci si diverte, insomma, specialmente con una guida pulita e rotonda, in modo da non arrivare a mettere alla corda sospensioni ben tarate si, ma certamente non per far fronte a strapazzi peraltro inutili. Fuori dal traffico e dalla città, la Bandit S sfoggia anche la dolcezza del suo “4 cilindri”, capace di marciare tranquillamente in sesta a gas, per poi riprendere senza strappi. Un bel motorino, certamente non irresistibile ai bassissimi regimi, ma comunque sensibilmente più “pieno” di un analogo 600; e comunque più divertente da usare ai medi, e con un piacevole allungo agli alti quando serve: la sua curva di erogazione, del resto, è praticamente una linea retta da 1.500 giri in su fino a 10.0000 circa, quando la cuspide inizia ad arrotondarsi e a calare, interrompendosi bruscamente a circa 12.000, tagliata dal limitatore. Osservando il 19 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica Le V-Strom secondo Matteo, proprietario di una vecchia 650 Quando si nomina la Suzuki V-Strom si cita di un modello di assoluto successo, in particolare in Italia, dove dal momento del lancio, avvenuto ormai nel lontano 2003, ne sono state vendute più di 18.000 unità. La Suzuki V-Strom 650 era e rimane una moto assolutamente versatile, che bada di più alla concretezza che ai vezzi di tipo esclusivamente estetico e che può contare su un raffinato telaio in alluminio, ma soprattutto su un bicilindrico a V di 90° capace di regalare tanto divertimento e consumi particolarmente contenuti. Quale occasione migliore di questa, quindi, per mettere a confronto la “vecchia” e la nuova V-Strom ABS, per ”toccare con mano” come e dove quest’ultima è cambiata? grafico comparativo dei due motori Suzuki rilevato al banco prova, si nota che anche il V2 di pari cilindrata è perfettamente lineare, ma chiaramente le due curve si discostano a circa 7.500 giri, col taglio di limitatore più o meno a 10.000 per bicilindrico. La guida piacevole della Bandit deriva anche da una frizione (idraulica) piuttosto morbida e da un cambio che fuori dal traffico è efficace e preciso. Buoni anche i freni, dal comando un po’ “gommoso” ma dotati di potenza e modulabilità soddisfacenti, seppur a fronte di un discreto sforzo da applicare sulla leva. Bene anche l’ABS, specie davanti, mentre dietro il suo intervento, come spesso accade, dietro è un po’ troppo presente. 20 Quanto alle gomme, le “veterane” Bridgestone BT-020 di serie sono più che oneste anche viaggiando molto allegramente; e sono anche particolarmente a loro agio sul bagnato, quindi si può andar tranquilli anche sulla classica bella strada di montagna tutta curve. Tipo la ben nota provinciale che da Voghera, nel Pavese, porta al Passo del Penice per scendere a Bobbio, nel Piacentino, lungo la quale ci siamo divertiti molto con le due Suzuki. Anzi, tre: infatti c’era anche la V-Strom 650 2010 del nostro Matteo Valenti, che ha scattato le foto del nostro servizio, e che di seguito ci racconta le sue impressioni sulle differenze con il modello dell’ultima generazione. Estetica: è molto cambiata (in meglio) Non è un mistero che il tallone d’Achille del modello di prima generazione fosse l’estetica, considerata spesso troppo poco curata, specialmente in particolari importanti come il terminale di scarico. I designer giapponesi si sono messi quindi al lavoro per donare all’attuale versione della VStrom un look più accattivante, ma soprattutto più filante e slanciato e devo dire che a mio parere hanno centrato l’obiettivo. Il nuovo modello appare più riuscito nello stile rispetto al passato, più proporzionato e ben bilanciato in tutte le sue componenti. Solo alcune finiture mi sono sembrate un po’ approssimative, in particolare per quanto riguarda le plastiche scure. Il modello attuale può anche vantare una strumentazione molto più completa rispetto a prima, visto che integra anche un computer di bordo (che segnala tra le altre cose anche temperatura esterna e consumi medi), ma anche una sella molto meglio rifinita. Occorre però precisare che, almeno per i piloti “oversize”, la nuova sella potrebbe risultare meno confortevole di quella davvero ampia del modello di prima generazione. Prove Protezione aerodinamica ed autonomia: la prima V-Strom è imbattibile Il design più slanciato e filante della nuova VStrom è stato ottenuto diminuendo le quote dimensionali del cupolino ma soprattutto del serbatoio. Se l’estetica da un lato ne guadagna in maniera indiscutibile, dall’altro questa scelta si ripercuote inevitabilmente sulla protezione aerodinamica, vero fiore all’occhiello del modello di prima generazione. Premettendo che sono alto 1,72, ho quindi trovato che l’attuale V-Strom offre meno riparo al pilota alle alte velocità, senza comunque mai risultare veramente fastidiosa. Ma anche l’autonomia è logicamente inferiore visto che i serbatoio è meno capiente, oltre che meno protettivo per le gambe. Telaio, sospensioni e ciclistica: ancora più divertimento Il telaio in alluminio a doppio trave, così come una ciclistica praticamente perfetta, rimangono dunque due capisaldi di questo modello. Le cui dimensioni complessivamente più compatte però assicurano una guidabilità e una maneggevolezza davvero migliorate rispetto a prima, specialmente nei percorsi misti e stretti, ricchi di curve, e in città, nonostante il peso sia un po’ cresciuto. L’attuale V-Strom si rivela quindi ancora più agile e divertente rispetto al passato, perfetta sia per chi sta muovendo i primi passi nel mondo della moto, ma anche per tutti coloro che cercano un mezzo con cui fare tanta strada senza affaticarsi, magari in coppia carichi di valige e bagagli. Le sue sospensioni rimangono capaci di assorbire con grande efficacia qualsiasi sconnessione della strada, anche le buche più micidiali tipiche delle nostre città. A mio avviso però la forcella è ancora un po’ troppo morbida (piccolo difetto della prima versione). Frenata: ABS irrinunciabile Guidare la “vecchia” V-Strom nella versione 21 22 23 Suzuki V-Strom Suzuki GSF 650 Bandit S ABS 24 Motore: squadra che vince non si cambia (o quasi) La più recente versione del bicilindrico Suzuki è una versione aggiornata in alcune delle sue componenti di quello che montava il modello di prima generazione. Del resto si trattava di un motore molto ben riuscito, affidabile, efficiente, silenzioso e soprattutto capace di erogare una buona coppia, quel magico ingrediente necessario per garantire un piacevole spunto in accelerazione e tanto divertimento. In conclusione: quale scelgo? La vecchia V-Strom è una moto che rimane ancora oggi molto valida e che per di più viene offerta sul mercato (nuova o usata) a prezzi molto invitanti. Rimane però un mezzo per certi aspetti “di vecchia concezione”, a causa principalmente di un’estetica datata e di dimensioni forse un po’ ingombranti e più impegnative per alcuni. Il modello attuale invece migliora sotto diversi punti di vista, a partire dal look, senza dubbio più gradevole, ma anche in termini di guidabilità grazie ad un corpo molto più snello e ad un motore perfezionato, che lo rendono ancora più agile e divertente che in passato. (Matteo Valenti) Prove Caschi: Caberg Duke Hivizion e Arai Axces Giacche: Rev’it Legacy GTX e Dainese Guanti: Rev’It e Dainese Jeans tecnici: Spidi e Dainese Stivali: XPD H2Out Master e X-Raider Suzuki V-Strom € 8.590 Tempi: 4 Cilindri: 2 Cilindrata: 645 cc Disposizione cilindri: 90° V-Twin Raffreddamento: a liquido Avviamento: E Potenza: 69 cv (50.5 kW) / 8800 giri Coppia: 60 Nm / 6400 giri Marce: 6 Freni: DD-D Misure freni: 310-260 mm Misure cerchi (ant./post.): 19’’ / 17’’ Normativa antinquinamento: Euro 3 Peso: 214 kg Lunghezza: 2290 mm Larghezza: 835 mm Altezza sella: 835 mm Capacità serbatoio: 20 l Segmento: Enduro Stradale SCHEDA TECNICA Suzuki V-Strom senza ABS e poi montare in sella alla nuova, che invece ne è dotata di serie, fa capire quanto sia fondamentale questo dispositivo sulle moto. Sulla nuova V-Strom non occorre prestare attenzione a modulare la frenata, quando si preme con forza la leva del freno non si avverte mai il timore di incappare in una scivolata o in un momento di pericolo. L’Abs trasmette fin da subito un senso di sicurezza, ma diremmo addirittura di “spensieratezza” in frenata, ovviamente sconosciuto alla vecchia V-Strom standard. L’unico appunto, a questo proposito, riguarda l’impossibilità di disinserire l’Abs, operazione che risulterebbe utile nel caso in cui si desideri affrontare percorsi non asfaltati. Una scelta che conferma ancora una volta la vocazione principalmente stradale della V-Strom. ABBIGLIAMENTO Suzuki GSF 650 Bandit S ABS Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica SCHEDA TECNICA Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito GSF 650 Bandit S ABS € 7.050 Tempi: 4 Cilindri: 4 Cilindrata: 656 cc Disposizione cilindri: in linea Raffreddamento: a liquido Avviamento: E Potenza: 62.5 kW / 10500 giri Coppia: 6.27 kgm (61.5 Nm) / 8900 giri Marce: 6 Freni: DD-D Misure freni: 290-240 mm Misure cerchi (ant./post.): 17’’ / 17’’ Normativa antinquinamento: Euro 3 Peso: 218 kg Lunghezza: 2130 mm Larghezza: 780 mm Altezza sella: 790 mm Capacità serbatoio: 20 l Segmento: Naked 25 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito MV Agusta Dragster in arrivo! Nei giorni scorsi vi abbiamo mostrato le prime immagini di due particolari della futura MV Dragster. Ecco il video teaser ufficiale che lascia vedere molto di più della novità varesina. La 800 a tre cilindri sarà presentata a breve 26 Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica News P ochi giorni fa abbiamo pubblicato la prima immagine della nuova MV Dragster, la 800 nella quale si mescolano la caratteristiche della celebre Brutale e della recente Rivale. La Dragster riprende la base tecnica della Rivale, ma si differenzia da questa per la linea più bassa e accucciata. Il frontale sarà probabilmente simile a quello della Brutale, mentre il posteriore ricorderà maggiormente la Rivale. Il portatarga è fissato sul forcellone, nuovo è il muso che riceve un parafango dedicato. Dietro compare l’enorme pneumatico da 200 mm di larghezza. Il puntale è ristilizzato rispetto a quello della Rivale e cambiano anche gli specchietti retrovisori, che saranno di tipo tradizionale sulla Dragster. Il prezzo ovviamente non è stato comunicato, ma crediamo sarà inferiore ai 13.500 euro. Due le colorazioni previste, ABS e controllo di trazione di serie. A presto per altre informazioni su questa novità che dovrebbe essere presentata a breve. 27 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito 28 Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine 29 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Yamaha svela il prezzo della MT-07 e porta un lettore a Lanzarote La nuova MT-07 sarà disponibile presso i Concessionari Yamaha a partire dal prezzo di 5.690 euro f.c. e invita i lettori a Lanzarote per la prova L a nuova MT-07 sarà disponibile presso tutti i Concessionari Ufficiali Yamaha dalla fine di febbraio 2014 a partire dall’incredibile prezzo di soli 5.690 euro f.c. per le sue colorazioni Matt Grey, Competition White e Racing Red e di 5.790 f.c. per le due colorazioni Deep Armor (con profili ruote bianchi) e Race Blu (con cerchi e telaio in tinta). Come da tradizione in casa Yamaha il prezzo di lancio include il 3° anno di garanzia, mentre 30 Scarica l’APP del Magazine della nuova MT-07, e volare a Lanzarote (Spagna) dal 7 al 9 febbraio 2014, splendida isola vulcanica dell’arcipelago delle Isole Canarie e sede prescelta da Yamaha per il debutto assoluto della nuova bicilindrica, a testare la grande novità tre diapason in anteprima mondiale. Un’imperdibile occasione per vivere l’emozione di calarsi nei panni di un vero tester professionista in compagnia dello staff tecnico degli ingegneri, dei progettisti e dei responsabili prodotto che hanno dato vita all’intero progetto MT-07. Il candidato, una volta linkatosi a condividiiltuolatooscuro. yamaha-motor.it tramite il proprio profilo Facebook, alla domanda di iscrizione dovrà inviare un breve racconto di massimo 150 caratteri che illustri le motivazioni che lo rendono il motociclista perfetto per rappresentare il lato oscuro News del Giappone e diventare l’ambasciatore italiano della nuova sorprendente Yamaha MT-07! Una giuria tecnica composta da membri di Yamaha Motor Italia premierà successivamente la candidatura più creativa ed originale e proveniente da un profilo molto attivo sui social media, ossia con una folta cerchia di amici pronti a ricondividere la sua grande esperienza. Yamaha, infatti, al rientro di quest’imperdibile avventura, consegnerà al fortunato prescelto un ricco book di video e fotografie realizzati durante l’evento da poter condividere sui social media. Il regolamento completo e le condizioni di partecipazioni di “Diventa ambasciatore Yamaha MT07” sono disponibili al sito web l’ABS sarà disponibile su tutte le colorazioni con un sovraprezzo di sole 500 €. Tester Yamaha a Lanzarote Grazie all’iniziativa “Diventa ambasciatore Yamaha MT-07”, raggiungibile dalla pagina Facebook ufficiale di Yamaha Motor Italia da oggi sino alle 23.59 di domenica 26 gennaio 2014, chiunque potrà inviare la propria candidatura per aspirare di diventare l’ambasciatore italiano 31 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica Media C on tutta probabilità è stato il crescente successo dei Motom a dare un contributo fondamentale alla affermazione dei ciclomotori e a mostrare a vari costruttori la strada dei quattro tempi di piccola cilindrata, parchi nei consumi e in grado di offrire un eccellente servizio per chilometri e chilometri, prima di richiedere attenzioni al di fuori della normale manutenzione periodica. E inoltre, esenti da problemi come l’imbrattamento della candela e le difficoltà di accensione che non di rado affliggevano i loro cugini a due tempi. Una casa milanese che per diverso tempo ha prodotto ciclomotori di ottima fattura, è stata la SIM (società italiana motori), fondata da alcuni ex-dipendenti della Motom. Questa azienda ha presentato nel 1955 un interessante cinquantino, commercializzato col Pagine di storia marchio Pegaso, con motore che veniva costruito nel capoluogo lombardo e parte ciclistica, di disegno moderno e razionale, realizzata dalla consociata OMP, in provincia di Parma. Tra le caratteristiche tecniche vanno segnalati il cilindro in lega di alluminio con canna riportata in ghisa e la distribuzione con valvole parallele e albero a camme, piazzato nella parte sinistra del basamento, che azionava le aste per mezzo di due bilancieri a dito. Alla versione base, per la quale venivano dichiarati 1,7 cavalli a 5000 giri/min, sul finire del 1956 è stata affiancata anche una variante sportiva, da 2,5 CV a 6000 giri/min. Il cambio era a tre marce, la trasmissione primaria a ingranaggi e la frizione a secco. Il circuito di lubrificazione, del consueto tipo a carter umido, era dotato di una pompa a pistoncino. Le sospensioni erano allo stato dell’arte, con una forcella Pegaso 1955 I ciclomotori Pegaso sono scomparsi dalla scena poco prima della metà degli anni Sessanta Massimo Clarke I ciclomotori italiani a quattro tempi / seconda parte Per i monocilindrici di 50 cm3 il boom è iniziato negli anni Cinquanta, quando queste piccole moto hanno soppiantato le ben più spartane biciclette a motore. Tra di loro spiccavano anche diverse realizzazioni a quattro tempi 32 33 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Pagine di storia aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb Ciclomotore BM 50 4T Somaschini 48 in BM I ciclomotori BM a quattro tempi sono rimasti in listino per alcuni anni, ma non hanno avuto una diffusione considerevole Il motore a quattro tempi era costruito dalla Somaschini di Trescore Balneario, in provincia di Bergamo telescopica abbinata a un forcellone oscillante con due gruppi molla-ammortizzatore. Nel 1957 il motore ha subito una leggera rivisitazione. Tra le modifiche che rendevano immediatamente riconoscibile questa seconda serie vanno segnalate la scomparsa delle nervature verticali nella parte anteriore del basamento e l’adozione di un tubetto esterno, posto sul lato sinistro, che portava l’olio in pressione alla testa. I ciclomotori Pegaso sono scomparsi dalla scena poco prima della metà degli anni Sessanta. Nel dopoguerra Bologna, come Milano, è rapidamente diventata uno degli epicentri del motociclismo a livello non solo nazionale ma addirittura mondiale. 34 Le aziende che operavano nel settore erano numerose e in possesso di una eccellente tecnologia. Tra quelle di minori dimensioni, ma non per questo meno vitali delle altre, c’era la BM, sigla costituita dalle iniziali del fondatore e titolare (Bonvicini Marino). L’attività era iniziata con la produzione di un numero ridotto di motoleggere munite di motori costruiti da altre aziende, tra le quali spiccava la tedesca Jlo, con i suoi ottimi due tempi. Nel 1952-53 la casa aveva messo in listino anche un paio di modelli azionati dagli eccellenti monocilindrici NSU di 98 e di 125 cm3. Verso la fine del 1954 la BM ha presentato una semplice ed economica bicimotore di 48 cm3, dalla quale l’anno successivo ha ricavato tre ciclomotori di buona fattura denominati rispettivamente Signora, Sport e Supersport. Il motore a quattro tempi era costruito dalla Somaschini di Trescore Balneario, in provincia di Bergamo. Questa azienda era da tempo attiva nel campo delle lavorazioni di precisione e dell’ingranaggeria e per la validità dei suoi prodotti aveva saputo crearsi una ottima fama anche nel settore motociclistico, assumendo ben presto dimensioni considerevoli e iniziando anche a fabbricare motori sciolti. Quello che azionava i ciclomotori BM era il monocilindrico denominato Ultra, con cilindro in ghisa, distribuzione ad aste e bilancieri e lubrificazione forzata con pompa a ingranaggi. Il cambio era a tre marce. Di questo motore sono state realizzate versioni con potenze comprese tra 1,8 e 2,4 cavalli. Le ultime sono state dotate di cilindro in lega di alluminio con canna in ghisa. I ciclomotori BM a quattro tempi sono rimasti in listino per alcuni anni, ma non hanno avuto una diffusione considerevole, anche per via del loro prezzo, notevolmente più alto dei modelli a due tempi dello stesso costruttore, che hanno invece avuto un discreto successo commerciale, nonostante le modeste dimensioni dell’azienda e la rete di vendita tutt’altro che estesa e capillare. La BM ha continuato la sua attività con buoni 35 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Pagine di storia aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb Parillino Sport 4T Motore Parillino 4T L’ingresso nel settore dei ciclomotori è avvenuto alla fine del 1954 con la presentazione del Parillino I Parillini a quattro tempi sono rimasti in produzione fino al termine degli anni Cinquanta risultati per tutti gli anni Sessanta e Settanta, producendo degli apprezzati cinquantini con motori Minarelli e Franco Morini a due tempi. In seguito questa casa è entrata in crisi e ha ridotto la sua presenza nel settore motociclistico fino a scomparire dalla scena al termine degli anni Ottanta. La Somaschini ha cessato da tempo la fabbricazione dei motori sciolti, per concentrarsi sulla produzione di ingranaggeria di elevata qualità, settore nel quale continua a essere una importante realtà industriale. Negli anni Cinquanta la Parilla è stata una delle case motociclistiche italiane di maggiore importanza. Nata nel 1946 dalla passione di Giovanni Parrilla, era entrata 36 in scena producendo numeri limitati di raffinate 250 con distribuzione monoalbero destinate alle competizioni e a impiego stradale sportivo. Data le grandi possibilità commerciali offerte dal mercato delle motoleggere e forte dell’ottima fama che già il suo marchio aveva saputo conquistarsi, Parrilla decise ben presto di realizzare una semplice ma robusta e versatile 98 a due tempi. Questo modello, entrato in produzione nel 1950, è diventato subito un best seller e ha consentito alla Parilla di crescere a livello sia di dimensioni che di importanza con estrema rapidità. Dopo altri eccellenti modelli a due tempi di 125 cm3, la casa ha realizzato un autentico capolavoro con la 175 a camma rialzata, messa in listino nel 1953 e costruita fino ai primi anni Sessanta in una notevole varietà di versioni. L’ingresso nel settore dei ciclomotori è avvenuto alla fine del 1954 con la presentazione del Parillino, proposto ben presto in versioni turistica e sportiva, azionate entrambe da un monocilindrico a due tempi. L’anno successivo hanno fatto la loro comparsa i ciclomotori a quattro tempi, prodotti essi pure in due varianti. L’architettura dei loro motori era analoga a quella dei 2T, con il cilindro fortemente inclinato in avanti, tanto da avere una disposizione non lontana da quella orizzontale. La distribuzione era ad aste e bilancieri, con due alberi a camme nel basamento, la trasmissione primaria era a catena, sul lato sinistro, e il cambio a tre marce, del tipo a espansione di sfere. Il cilindro era in ghisa. Il telaio era a singolo tubo superiore di rilevante diametro e opportunamente conformato, con motore fissato a sbalzo inferiormente. I Parillini a quattro tempi sono rimasti in produzione fino al termine degli anni Cinquanta. Nel 1961 il controllo della Parilla è stato assunto dalla SIL (Società Industriale Lombarda). L’azienda ha cessato definitivamente la sua attività nel 1966. 37 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica di Mattighofen nel segmento dei motard stradali, seguendo una strada già aperta ante litteram da Gilera con la sua Nordwest. La Duke ebbe un buon successo, contribuendo in maniera significativa all’esplosione della moda delle motard che prese piede nella seconda metà degli anni 90. Quella qui in vendita fa parte della prima serie di Duke in versione dotata di avviamento elettrico e sospensioni WP tanto all’avantreno che al retrotreno. Il motore è stato revisionato e dotato di pistone ad alte prestazioni, il carburatore sostituito con un’unità maggiorata Dellorto che respira attraverso un filtro aria Twinair lavabile. Lo scarico è un Remus omologato (codici ed omologazione riportata a libretto), i rapporti sono stati accorciati attraverso la sostituzione di corona e pignone. L’impianto frenante ora conta su dischi freno e pastiglie racing Carbone Lorraine SBK. Le sovrastrutture sono completamente in grafica Red Bull. Ma non è il modello né la preparazione a rendere unica questa moto, dicevamo, bensì il suo blasone. Il primo proprietario è infatti stato Trampas Parker, due volte Campione del Le Belle di Moto.it La KTM Duke di Trampas Parker! Annunci speciali mondo motocross (in 125 nel 1989 e 250 nel 1991) nonché Campione italiano 125 e 500 nel 1988. Parker, statunitense portato in Italia proprio da KTM, prese la licenza tricolore e fece parte della nostra squadra al Cross delle Nazioni; successivamente tentò la scalata all’unico iride che gli mancava, quello della 500, in sella alla 360 2T KTM con cui venne sconfitto all’ultima prova da Joel Smets. Successivamente Trampas Parker ha corso nella Supermoto, sia a livello mondiale che italiano e addirittura regionale (corse diverse prove nel regionale Emilia-Romagna, con grande emozione dei partecipanti) per poi rientrare in patria a metà anni 2000. La Duke è in vendita fra i nostri annunci senza indicazioni di quotazione e con trattative riservate. La precedente proprietà di Parker (certificata dal libretto di circolazione) contribuisce ad aumentare il valore del mezzo, preparazione di buon livello a parte, ma non aspettatevi cifre astronomiche: la cifra richiesta non si distanzia più di tanto da quella normale del mezzo - indicativamente, attorno ai 2.000 euro. Media di Edoardo Licciardello | Una KTM Duke del 1998 appartenuta all’americano (naturalizzato italiano) due volte Campione del mondo di motocross a cavallo fra anni 80 e 90 C ontinuiamo con la nostra rubrica Le Belle di Moto.it dedicata alle due ruote da sogno in vendita fra i nostri annunci. Moto rare o da gara, magari appartenuti a piloti famosi o VIP del mondo delle due ruote o meno: l’usato, settore sempre più rilevante nel mercato della moto, conferma 38 come la passione arda ancora nonostante la crisi. Stavolta vi presentiamo una KTM Duke 620 AE WP del 1998, un mezzo che non rientra nei canoni delle nostre “belle” per una particolare natura di unicità del modello, bensì per il blasone di questo specifico esemplare. Ma andiamo con ordine: la Duke è stata l’esordio della Casa 39 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine News 100 secondi su Moto.it Le naked estreme al posto delle super sport Di recente abbiamo provato l’ultima Aprilia Tuono, la BMW S 1000 R e la KTM Super Duke, tre naked estreme dedicate agli appassionati delle super sportive. Ecco il nostro pensiero sul tema, ma voi diteci che cosa ne pensate L e moto super sportive hanno conosciuto anni migliori di quelli recenti. Non certo in termini di contenuti, mai così avanzati come adesso grazie allo sviluppo dell’elettronica di controllo oltre che alle prestazioni, quanto in termini di vendita. Il mercato delle iper sport è crollato e i motivi di questo declino sono molteplici. Alcuni costruttori hanno reagito eliminando le carenature e montando un manubrio rialzato per giocare la carta delle novità stilistica e della migliore fruibilità stradale. 40 E’ il caso di Aprilia, fra le prime con la Tuono, (qui trovate la prova dell’ultima versione V4) e recentemente di BMW con la S 1000 R e KTM con la 1290 Super Duke R. Secondo i nostri Francesco Paolillo e Maurizio Gissi l’idea è interessante ma non priva di limiti. E il vostro punto di vista sull’argomento qual è? Secondo la vostra esperienza e la vostra opinione è meglio la super sport tradizionale o la naked estrema? Aggiungi il tuo commento 41 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Media Scarica l’APP del Magazine News USA, qui mica ti rubano la moto aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa di Pietro Ambrosioni | Lucchettoni, catene e sirene non vanno di moda negli States. Qui nessuno ruba le moto o i caschi dai bauletti. Tranne a New Orleans... bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb U na delle cose che da subito mi ha più colpito degli USA è il fatto di non dover temere eccessivamente che qualcuno ti possa rubare la moto. Ho girato gli States in lungo e in largo e sinceramente, dopo le paranoie dei primi anni, non ho mai davvero avuto problemi o dubbi. Ricordo che le prime volte che mi fermavo per strada a dormire cercavo sempre un motel che avesse un parcheggio al coperto o almeno recintato (cosa virtualmente impossibile, ho presto imparato) e le prime due o tre notti, con una BMW datami in uso dall’importatore americano, addirittura ho fatto fatica ad addormentarmi. Pensavo che ogni rumore fosse assolutamente ed inequivocabilmente segno che qualcuno stesse tagliando il catenone antifurto per portarmi via la “mia” K1200GT. Col passare dei mesi e degli anni ho imparato che, salvo rarissime occasioni - e solo per sentito dire - qui non tocca niente nessuno. È chiaro che non mollerei una Electra Glide Limited Edition parcheggiata di notte nel Southside di Chicago o Downtown St. Louis, per esempio, ma è altrettanto vero che in mille e una occasioni ho visto gente lasciare giacca e casco (!) appesi al manubrio per tutta la notte, ritrovandoli regolarmente al mattino. Mi viene quasi da accostare la moto a quella che era la figura del cavallo nel Vecchio West. Un mezzo di trasposto talmente personale ed indispensabile che i ladri venivano presi ed immediatamente impiccati! Che ci sia ancora qualche traccia di quella mentalità? Abbastanza da scoraggiare i malintenzionati? Qualche “horror story” l’ho sentita raccontare, ovviamente. Un tizio ad un raduno mi ha 42 detto che negli Anni ‘90 gli hanno rubato una Gold Wing puntandogli una pistola alla testa mentre era fermo ad un semaforo fuori New York City. Altri hanno lamentato diversi furti di giubbotti e caschi nelle ultime due o tre edizioni della Bike Week di Daytona... Nel 2012 ho avuto una piccola esitazione in Louisiana, lo ammetto. Il mio amico Sandro aveva noleggiato ad Atlanta una Harley Road King e il ragazzo del noleggio (un tedesco, caso vuole) si era raccomandato in mille modi di non lasciare la moto incustodita se mai fossimo andati a New Orleans... Oops! Per cui, arrivati nella capitale del Jazz, abbiamo deciso di cercare un hotel con parcheggio privato e security 24 ore su 24: abbiamo pagato un bel botto di soldi in più solo per avere la ragionevole certezza di ritrovare la moto il mattino dopo, ma almeno abbiamo dormito in pace e con la coscienza a posto. A parte questo episodio, però, devo dire che non ho mai avuto problemi o dubbi, e ho sempre lasciato le mie moto chiuse solo col bloccasterzo. Ormai anche io lascio casco e guanti appesi al manubrio quando mi fermo a fare benzina in autostrada, roba da fantascienza. Una situazione ben diversa rispetto all’Italia, vero? Mi ricordo che nel 1996 sono andato da Milano a Palermo e ritorno con una vecchia e arrugginita Moto Guzzi V50 Monza del 1981: in quel viaggio mi rubarono due volte la benzina e a Palermo il proprietario dell’alberghetto in centro, appassionatissimo di moto, ogni notte si preoccupava che tirassi la moto dentro al portone e fino al sottoscala, per evitare sorprese la mattina dopo. In Francia poi la situazione ricordo era persino peggio. A Marsiglia un anno mi hanno rubato un casco che avevo attaccato al lucchetto antifurto, quello che si fissa al doppio anello del cinturino. Beh, qualcuno ha tagliato (!!!) il cinturino e si è portato via il mio casaccio da due lire, ma ci credete? Per farne cosa, senza poterlo allacciare? Tornando negli USA, la mancanza di furti ha logicamente tagliato le gambe a tutte le aziende che in Europa fanno fatturati faraonici grazie a lucchetti, catene e sistemi antifurto. Non faccio nomi, ma ho parlato direttamente alle fiere di settore con responsabili commerciali dei produttori principali e tutti mi hanno confermato che il valore globale degli USA non è nemmeno paragonabile ai fatturati di nazioni come la Svizzera o l’Austria. 43 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica I Racconti di Moto.it “Extragrip” di Antonio Privitera | Il giorno in cui smisi di illudermi che ci fosse ancora una pur minima speranza di salvezza per questo Paese e per i motociclisti di ogni razza, ero a duemila metri sotto il livello del mare... I l giorno in cui smisi di illudermi che ci fosse ancora una pur minima speranza di salvezza per questo Paese e per i motociclisti di ogni razza, ero a duemila metri sotto il livello del mare: lavorare in miniera era diventato l’unico modo di trovare motivazione di vita in un mondo infame, ma sapevo benissimo a cosa sarei andato incontro firmando quel contratto: mesi di isolamento due chilometri sottoterra, dove la chimica non segue le stesse regole della superficie e l’aria arriva spinta in grandi tubi trascinando la puzza di topo, di fogna e di vecchio. Il protocollo di lavoro e sopravvivenza in miniera prevede che nei primi sei mesi non si torni mai in superficie rimanendo a scavare in gruppi di otto durante turni di sei ore alle quali seguono sei ore 44 di riposo, poi quattro ore di connessione al rivitalizzatore e poi d’accapo. Il giorno così diventa di sedici ore e un mese solare contiene così quarantuno giorni lavorativi: l’estrazione della cenighite è una corsa contro il tempo: il preziosissimo metallo non appena fatto affiorare rimane allo stato solido per poche ore e solo alle pressioni e temperature presenti nelle profondità delle miniere, dopodichè sublima diventando un isotopo molto instabile dell’azoto. La scoperta della cenighite fu il classico colpo di fortuna di un principiante: Gaspare, un gommista di Salerno, gonfiando con azoto gli pneumatici dello scooter di un suo cliente – il muscoloso Gianbattista - capì subito che qualcosa di strano doveva essere accaduto se di colpo la gomma Scarica l’APP del Magazine era diventata tiepida e una volta montata garantiva un grip fenomenale, come una calamita. Il suo cliente gli lasciò dieci euro di mancia ma Gaspare non fece in tempo a spenderli perché il pneumatico anteriore dello scooter esplose di notte nel garage facendo più danni di un candelotto di dinamite e Gianbattista lo andò a cercare per togliersi lo sfizio di mangiare carne umana. Gaspare lo calmò offrendogli l’allettante prospettiva di fare analizzare l’aria contenuta nella gomma superstite e capire in che modo eventualmente sfruttare la cosa per farci dei soldi, tanto più i dieci euro che Gianbattista gli aveva generosamente donato erano falsi. Il giorno successivo portarono la gomma posteriore dello scooter, trattandola con più delicatezza di un “pallone di maradona” acceso la notte del 31, ad un laboratorio di ricerca all’università di Napoli dove una cugina di Gaspare lavorava nel servizio di ristorazione: non era molto ma in quanto ad amicizie in ambito scientifico quella era l’unica carta che potevano giocare. Marisa, a sua volta, li presentò al Prof. Rissati che per prima cosa li prese per scemi, poi per pazzi quando comprese che tra quel cerchio da ’16 e quel pneumatico scalinato c’era roba potenzialmente esplosiva e infine per due idioti qualunque allorché le due facce di bronzo gli spiegarono che volevano tirarci su dei soldi da quella specie di scoperta. Rissati era un uomo di scienza e gli sarebbe dispiaciuto rinunciare a prendere scientificamente a calci quei due cialtroni che lo avevano scambiato per l’oracolo di lascia o raddoppia ponendogli domande come “cosa c’è qui dentro, dottò??”, indicando la gomma tra le mani luride, oppure “ma si possono fare dei soldi con una scoperta scientifica o si diventa solo famosi come Corona, lo conosce lei Corona? Bello uaglione, no?”; l’unica soluzione per il Professore era quindi avvalersi del metodo sperimentale e indagare sul contenuto di aria trattenuto in quella ruota tiepida e poi togliersi il piacere di sbertucciare i due bifolchi. Sorprendentemente, un’analisi su- La lettura perficiale fu sufficiente per sospettare di essere in presenza di tracce di qualcosa mai osservato in precedenza e qualche settimana di approfondimento fece gridare alla scoperta sensazionale di un nuovo elemento chimico sconosciuto in precedenza, la cui corretta collocazione sulla tavola periodica degli elementi fu successivamente oggetto di infuocati dibattiti da parte della comunità scientifica mondiale. Rissati chiamò “cenighite” il nuovo elemento e scoprì che era impossibile trovarlo allo stato solido se non alle condizioni presenti alle estreme profondità terrestri, al di fuori delle quali diventava un gas simile all’azoto ma con la peculiarità di trasmettere al polimero con quale entrava in contatto qualità di resistenza, aderenza ed elasticità formidabili, con il solo effetto collaterale di poter causare lo scoppio del contenitore all’interno del quale veniva immessa se la pressione superava 1,8 bar. Il Professore pubblicò i suoi studi scientifici sulle riviste più prestigiose del mondo e abbandonò ogni altra ricerca in corso per dedicarsi esclusivamente allo sfruttamento economico della cenighite, dalla quale ricavò fama e denaro quando ottenne e vendette il brevetto per l’uso del nuovo metallo ad una multinazionale della chimica. Gaspare e Gianbattista lo chiamarono più per avere la loro parte ma quest’ultimo si face sempre negare fino a quando, infine, sparì dalla circolazione senza avvisare e senza lasciare tracce. Inutili sedici puntate di “chi l’ha visto”, appelli radiofonici, fiaccolate, implorazioni televisive della figlia e un appello accorato di un eminente uomo di chiesa che sapeva ballare il tango. Sparì pure Marisa. Il caso della cenighite divenne di portata mondiale ma fu di breve durata, appena un inverno e una primavera. In estate, infatti, si scoprì come il troppo instabile gas della cenighite fosse incline alla deflagrazione ed in ogni caso efficace solo per un’oretta, poi diventava comunissimo azoto e ogni effetto di extragrip spariva. Dopo i primi portentosi utilizzi nelle competizioni motociclistiche, con abbassamento dei tempi sul giro di un buon 30%, fu messo al bando da 45 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito tutti i regolamenti in seguito ai numerosi scoppi di pneumatici che decimarono le griglie di partenza delle gare più titolate e, per scoraggiare i furbi, l’utilizzo (ma non il possesso) della cenighite fu reso illegale in tutto il mondo e consentito solo agli Stati per scopi militari. Alla fine della fiera, in pochi mesi, della miracolosa cenighite ne scomparve lo scopritore e ne fu vietato l’utilizzo a tutti, se non agli eserciti. Che beffa. Fiorì un mercato nero, c’era da aspettarselo. La stessa industria monopolista che procedeva all’estrazione del gas vendeva una parte del prodotto ad associazioni paramilitari le quali, incredibile a dirsi, lo rivendevano a loro volta su internet a motociclisti danarosi e talmente folli da rischiare la galera o la vita per un giro in moto con l’extragrip. A quel punto, lavorare in miniera all’estrazione della cenighite divenne un’attività molto remunerativa ma soggetta a regole quasi da caserma a causa della sua pericolosità e dei rischi per la salute, ciononostante chiamò a raccolta tutti coloro senza più niente da perdere e consapevoli che a lavorare a due chilometri sottoterra l’aspettativa di vita si riduce drasticamente. Io sono uno di quelli. Non siamo molti, forse una trentina: io conosco solo quelli del mio gruppo di lavoro. Il mio racconto potrebbe finire qui, e forse ho già detto troppo. Sono alla dodicesima settimana e mi aspetta ancora un lungo periodo di lavoro prima di poter risalire in superficie ed essere pagato. Per inciso, la paga è in natura: cenighite da rivendere allo Stato o da farne ciò che si vuole a proprio rischio. Ma la cenighite è una droga, più ne hai più vuoi averne e costa, costa tanto e se qualcuno ci rimette le penne per lo scoppio di una gomma pensi che sia un prezzo equo quando a trecento all’ora senti l’anteriore affondare nell’asfalto in piega. Qui sotto siamo tutti così: drogati e assuefatti. Motociclisti affamati di velocità ed emozioni strazianti come affrontare il curvone di Phillip Island in sesta piena inclinati fino a strisciare il casco, 46 Periodico elettronico di informazione motociclistica oppure alla ricerca della trazione che la ceneghite regala ai tasselli sul fango e sulla sabbia fino a farti spingere ad allungare i rapporti per toccare i duecento sullo sporco e sentirti in grado di violare le leggi della fisica per ridere forte sotto il casco con gli occhi allucinati per poi tornare al mercato nero a comprare cenighite, mettendo in conto di spendere quanto tre anni di lavoro di un comune impiegato: io ci ho sperperato il mio ingentissimo patrimonio ed ora sono qui, a lavorare in miniera per guadagnarmi ancora un po’ di cenighite, come tutti. Giovedì ho conosciuto Gaspare e Gianbattista, assunti come ispettori dalla compagnia di estrazioni, vengono ogni tanto in miniera ad accertarsi che il rivitalizzatore, le pompe per l’aria ed i martelli ad ultrasuoni siano ok; si dice abbiano depositato presso tre notai diversi, col mandato di diffonderle alla stampa nel caso dovese loro accadere qualcosa, le prove segrete di come la cenighite fosse riuscita ad intrufolarsi per la prima volta nelle gomme dello scooter di Gianbattista, dando l’avvio a questo business lucroso e torbido. Gaspare mi ha riconosciuto, si è avvicinato e mi ha chiesto se ero proprio io. Ecco, io di una cosa sono ancora sicuro: di essere ancora me stesso. - Gesù… pure tu.– ha esclamato, stringendo gli occhi per vederci meglio. - L’emozione è una droga – tentai di giustificarmi – non ne hai mai abbastanza. - Quanto ti manca per uscire? - Ho fatto dodici settimane… - Nessuno è mai arrivato a sei mesi… lo sapevi? - Allora è vero? - Purtroppo… hanno tutti rinunciato prima. Ma tu sei un fuoriclasse; sono sicuro che uscirai fuori di qui con la tua pepita di cenighite. - Hai riconosciuto anche gli altri? Ce la faranno? – la mia voce era tremula. - Da quando lavoro qui, ho visto passare molti piloti, motociclisti comuni e anche dei campioni… ma mai tutti insieme come questa volta… vi hanno inguaiato per bene: prima vi hanno fatto Scarica l’APP del Magazine provare la cenighite e poi ve l’hanno tolta. Siete come dei tossici, affamati delle emozioni da extragrip e disposti a lavorare praticamente gratis per sei mesi pur di riprovare le stesse sensazioni… siete marci dentro… non avete speranza. In nome della vostra passione vi state bruciando la vita. Glielo dico sempre a mio figlio che è pure fan tuo… i motociclisti sono pazzi. Era abbastanza. Drogato. Dipendente. Marcio. Tossico. Schiavo. Ma pazzo no. Né io né gli altri motociclisti. Ci fu la rivolta. Tutti e otto legammo mani e piedi Gaspare e Gianbattista e li minacciammo di morte per ultrasuoni se non ci avessero rivelato come avevano ottenuto per la prima volta la cenighite. Loro due si misero a ridere e ci dissero che non saremmo mai riusciti ad ottenerla, ci mancava la materia prima. Il primo colpo di ultrasuoni colpì Gianbattista al ginocchio e glielo spappolò, il secondo era in partenza per la testa di Gaspare: - Innanzitutto serve uno sciopero della nettezza urbana di almeno un paio di mesi, anche quattro o cinque… la spazzatura deve essere sia di casa News che di ristorante, meglio ancora se ci metti quella che producono i camion dei panini- disse quasi sottovoce Gaspare. - Ehhh???- dissi io in preda all’esaltazione da Spartaco. - Poi prendi un paio di metri cubi di questa monnezza bella stagionata all’aperto e al sole, la porti dentro una baracca e ci devi dare fuoco e aspettare che il fumo diventi bello caldo… - Gaspare se dici ancora cazzate di frullo il cervello con gli ultrasuoni! - …aspetta, sto dicendo la verità- gridò con gli occhi fuori dalle orbite mentre Gianbattista urlava il suo dolore. - …quando il fumo è bello caldo e denso prendi la bombola vuota, la colleghi al compressore e inizi ad comprimere il fumo nella bombola… poi con la stessa aria ci gonfi le gomme e puoi partire tranquillo… Guardai i miei colleghi, tutti stranieri: spagnoli, inglesi, americani. L’unica riflessione a venirmi in mente fu che certe scoperte le possiamo fare solo in Italia. Per fortuna. 47 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Nico Cereghini Un motociclista congelato L’ho incontrato per caso in alta montagna, isolato nella neve e abbandonato da tutti. Adesso deve attendere primavera e la riapertura della strada, ma non sono così sicuro che vorrà rientrare… Media C iao a tutti! Saliva con la sua Honda sulla strada a pedaggio del passo Stalle, in fondo alla Valle di Anterselva verso il confine con l’Austria. Una strada che d’inverno diventa una pista per slittini; tanto stretta che due macchine appaiate non ci stanno e d’estate c’è il semaforo a dare il via libera per chi parte dal basso e chi scende dall’alto. Un quarto d’ora di luce verde, un quarto d’ora di luce rossa, 400 metri di dislivello e sei 48 Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica chilometri di tornanti in senso unico alternato. Lui andava su tutto solo a metà novembre; si è fermato a fare pipì, è venuta giù improvvisamente una nevicata eccezionale, la Goldwing si rifiutava di ripartire, la strada l’hanno chiusa e tanti saluti, è rimasto ibernato a duemila metri. A me è capitato di incrociarlo mentre salivo con le ciàspole domenica scorsa. Gelido e incavolato. «Freddo è freddo, da bestia –si è sfogato- però mi ci devo abituare perché la moto non la mollo. Il vero motociclista non perde mai di vista la sua compagna di viaggio, dovresti saperlo. Anche se sta sotto due metri di neve». Ho cercato di consolarlo, due mesi in solitudine saranno stati lunghi da passare, e però per il disgelo dovrà aspettare aprile o maggio…. «Me ne frego- mi interrompeho raggiunto uno stato di completo distacco, di freddezza rispetto alle cose. E poi sono sicuro che quando riapriranno la strada e riuscirò a far ripartire la moto scoprirò di non aver perso niente. Perché io sarò anche al freddo, ma in pianura siete più congelati di me!». Il motociclista è un po’ rigido, la postura è quella di chi si sta sistemando dopo il bisognino, però con la discussione si scalda in un attimo. «Bisogna fare le riforme, ci vuole la legge elettorale, il peso del cuneo fiscale penalizza l’occupazione, l’articolo 18 non si tocca…. Scommettiamo che le chiacchiere sono sempre quelle e niente è cambiato dalla scorsa estate? Abbasseremo i costi della politica, aboliremo le province, lotta dura all’evasione senza se e senza ma. Passano gli anni, ne avevo sedici e la Gilera KK 125, e già sentivo parlare dell’urgenza delle riforme!». Sì, va bene, concordo io, hai tutte le ragioni; però a noi motociclisti resta la possibilità di fare ogni tanto qualche chiacchiera più originale… «Motociclisti per modo di dire: io sono appiedato, tu giri con le racchette da neve e molti non hanno i soldi per la benzina. Scommettiamo che le autostrade sono rincarate ancora? E poi quali chiacchiere: Stoner che faceva volare la Ducati, Valentino che vinceva con la gomma speciale, Melandri che si squaglia sul più bello. Ti sembrano argomenti così interessanti?». Come si fa a replicare ad una logica così impeccabile? Batto in ritirata e mi riprometto di monitorare la situazione sulla rete: come riapriranno la strada del passo Stalle, salirò con un avviatore, una tanica di benzina e il thermos del tè bollente. Ma voi che dite, il motociclista avrà intenzione di rientrare? Editoriale Motociclisti per modo di dire: io sono appiedato, tu giri con le racchette da neve e molti non hanno i soldi per la benzina 49 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine MotoGP Silvano Galbusera “Rossi può ancora vincere” di Giovanni Zamagni | Il nuovo capotecnico di Valentino crede fermamente nel suo pilota: “Dobbiamo fargli ritrovare fiducia: solo così si può tornare a vincere. Però Marquez non sarà facile da battere” S Stupito. «Ancora non ho ben capito perché sono stato scelto da Valentino Rossi». Ma determinato. «Lavorerò giorno e notte per preparare per Valentino una moto che gli dia nuovamente fiducia». Silvano Galbusera, 57 anni il prossimo 3 luglio, è il classico uomo da box, uno di quelli che non si danno pace finché non riescono ad accontentare il proprio pilota. E’ proprio questo, probabilmente, uno dei motivi che ha spinto Rossi a sostituire Jeremy Burgess con il tecnico italiano: per provare a battere – o quantomeno, stare più vicino – a “quei tre là” è necessaria massima dedizione, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Proprio le caratteristiche di Galbusera, mentre, forse, l’australiano, dopo tanti anni, non aveva più la stessa devozione di prima. 50 Silvano, ripercorriamo brevemente la tua carriera. «Ho iniziato nel 1979 nel motocross: facevo il meccanico alla Gilera. Ho lavorato con Rinaldi, Maddi, poi ai rally e alla ParigiDakar, fino a quando, nel 1992, sono entrato nel motomondiale come tecnico Gilera nella squadra esterna che schierava in 250 Paolo Casoli e Alessandro Gramigni. Nel 1994 sono stato chiamato da Giacomo Agostini alla Cagiva 500 con John Kocinski e nel 1995 Davide Brivio mi ha voluto in Yamaha per il progetto SBK. Ho ricoperto un po’ tutti i ruoli, fino a diventare il coordinatore tecnico. Poi, nel 2012 ho seguito Marco Melandri in BMW, dove sono rimasto fino al 2013». Una curiosità: avresti potuto andare in Aprilia con Melandri? 51 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito «Ne stavamo discutendo, ma la situazione non era chiara per la posizione di Dall’Igna (poi passato alla Ducati, NDA). Per questo ho preso tempo, anche perché avevo anche altre offerte». Compresa quella di Valentino? «Quella è arrivata più tardi, totalmente inaspettata. Durante la triplice trasferta di ottobre del motomondiale (Malesia, Australia, Giappone NDA) sono stato contatto da Valentino, che mi ha detto se potevo aspettare prima di decidere qualsiasi cosa, perché avrebbe voluto parlarmi. Poi, prima dell’ultima gara di Valencia ci siamo accordati». 52 Periodico elettronico di informazione motociclistica Come ti conosceva? «Io e Valentino avevamo fatto due test insieme nel 2010, con la SBK, quando lui stava recuperando dopo l’infortunio del Mugello. Nel primo, a Misano, avevamo lavorato per un paio d’ore, mentre nel secondo, a Brno, tutta la giornata o quasi». Che impressione ti aveva fatto? «Quella di un pilota di altissimo livello, come non avevo mai trovato nella mia carriera fino a quel momento: il suo approccio alla SBK era stato incredibile. Era informato su tutto, sapeva ogni tempo realizzato con quella moto su quel circuito: non era lì per fare semplicemente 4 Scarica l’APP del Magazine MotoGP giri per verificare le sue condizioni fisiche, ma voleva sapere e capire esattamente cosa stava facendo. Insomma, un professionista di altissimo livello. Un po’ come Michael Schumacher». Cosa c’entra Schumacher? «Ho avuto la fortuna di lavorare anche con Schumacher, mi sembra nel 2009, quando lui provò la Yamaha SBK: il suo approccio era stato simile a quello di Rossi. Non mi sarei mai aspettato tanta competenza sulle moto da un pilota di F.1: alla fine dei test, parlammo addirittura di sospensioni e regolazioni, con grande cognizione di causa. Mi aveva stupito, così Sono fermamente convinto che Rossi sia ancora competitivo 53 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica MotoGP aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb come, poi rimasi piacevolmente sorpreso da Rossi: pensavo che avesse poca considerazione della SBK, invece prese tutto con la massima serietà. Del resto, non si diventa nove volte campione del mondo per caso». Ma perché Rossi ha scelto te per il dopo Burgess? «Sinceramente non lo so! Sicuramente gli sarà piaciuto il mio modo di lavorare in quei due test e probabilmente ha capito che anche in SBK c’è tanta elettronica, anche se allora 54 eravamo ancora all’inizio dello sviluppo». Hai seguito il mondiale 2013, ti sei reso conto di quali potessero essere le difficoltà di Valentino? «Non più di tanto, ero molto impegnato con la SBK. Ho iniziato a studiare un po’ di dati, ma non è facile dall’esterno capire cosa sia successo. E, purtroppo, anche il test di Valencia è stato troppo corto e – soprattutto – già tutto pianificato dai giapponesi in funzione dello sviluppo della moto 2014, per rendersi bene conto della situazione. Anch’io non conoscevo la M1 e dopo i giorni di lavoro precedenti per preparare il GP non è che puoi fare più di tanto. Effettivamente il livello è altissimo, con 3-4 piloti davvero stellari». Cosa ti aspetti da Valentino? «Che voglia ripartire con ancora più stimoli per vedere se è ancora in grado di competere con i primi». Per te lo è? «Sì». Beh, non potresti dire diversamente… «Sono fermamente convinto che Rossi sia ancora competitivo. Sinceramente, nel 2013, mi aspettavo che nella seconda parte della stagione riuscisse a stare più costantemente con i primi, invece ha più battagliato con Bautista e con il secondo gruppo. Bisogna fare un salto di 2-3 decimi al giro, sperando che Marquez e Lorenzo non facciano un ulteriore passo in avanti: Marc, sulla carta, può solo migliorarsi, mentre Jorge sembrerebbe già al massimo. Valentino quest’anno non si è mai sentito completamente a suo agio sulla moto: questo ti impedisce di dare quel qualcosa in più per fare la differenza». In una intervista a Moto.it (leggila qui), Ramon Forcada, capo tecnico di Lorenzo, ha detto che per Valentino è un po’ più difficile adattarsi, perché la M1 è stata sviluppata per Jorge; sei d’accordo? «Sicuramente è così: nei due anni in cui Valentino è stato in Ducati, il pilota di punta era Lorenzo e la Yamaha ha naturalmente seguito le sue indicazioni. Faccio un esempio: se per lo stile di Jorge è meglio avere più peso sul posteriore, i tecnici si adattano e Valentino ha dovuto lavorare di conseguenza. Se sei un ragazzino come Marquez, ti viene più facile cambiare guida, ma un plurititolato, con tanta esperienza alle spalle, fa più fatica. Rossi ci era riuscito molto bene nel 2004: si era subito adattato alla Yamaha, realizzando una grande impresa. Anche Lorenzo, nel 2008, si era subito adattato alla M1, realizzata seguendo le 55 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica indicazioni di Rossi. Per Valentino adesso è più difficile cambiare certi automatismi: tutto ti deve venire naturale, se aspetti di “sentire” la moto perdi decimi. Credo sia stata questa la differenza tra lui e gli altri». può fare una grande differenza. Credo che a Valentino sia mancata un po’ di fiducia, aveva dei dubbi e non si sentiva sicuro a spingere, anche se è difficile specificare esattamente il motivo». Senti una grande responsabilità? «Io arrivo da una categoria inferiore e mi ritrovo a sostituire Burgess, che per tutti noi è una sorta di punto di riferimento, con un pilota di altissimo livello: è normale sentire un po’ di responsabilità. Per provare a migliorare la situazione attuale sarò aiutato dal gruppo, da Matteo (Flamigni, il telemetrico, NDA), che lavora con Rossi dal 2004 e da tutti i giapponesi della Yamaha: spero che questo aiuti a velocizzare il processo di integrazione tra me e il pilota. Non avendo mai lavorato in MotoGP, non so quanto tempo ci vorrà per trovare la messa a punto ideale, per sfruttare al meglio l’elettronica e le gomme, che negli ultimi anni sono state sviluppate per esaltare maggiormente le caratteristiche di altri piloti. Insomma, è una categoria difficilissima, dove un piccolo cambiamento Vai a sostituire un’icona come Burgess in un gruppo che ha sempre lavorato con lui; non temi di trovare un ambiente un po’ ostile dentro al box? «Sinceramente all’inizio ero un po’ spaventato, adesso molto meno: sono tutti professionisti legati a Valentino e vogliono fare il massimo per il loro pilota. Certamente c’è stato uno shock, ma noi “latini” l’avremmo presa peggio, loro sono più staccati. Tra l’altro, il lunedì dopo il GP ho incontrato in hotel Burgess: è stato un grande, mi ha tranquillizzato, era sincero ed è stato un signore». 56 Cosa ha “pagato” secondo te? «Non lo so. Forse dopo tanti anni, ti viene automatico lavorare in un certo modo, fare piccoli passi e non stravolgimenti: Valentino si aspettava un certo feeling, che nel 2013 non c’è stato. Ci può stare dopo tanto Scarica l’APP del Magazine MotoGP tempo che qualcosa non funzioni, ma sinceramente non so di più». I tre test invernali sono sufficienti per entrare perfettamente in sintonia con il pilota? «Purtroppo non credo bastino per amalgamarsi, anche perché uno, quello in Australia, è specifico per le gomme e ne rimangono quindi solo due per la messa a punto. Non sarà facilissimo, ma certamente ci proveremo in tutti i modi». Rossi può vincere ancora? «Le gare sicuramente, il campionato sarà più difficile. Come del resto anche per Lorenzo e Pedrosa, perché Marquez ha alzato moltissimo l’asticella: la storia insegna che un giovane difficilmente peggiora nella stagione successiva. Speriamo che abbia già fatto tutto nel 2013… Degli altri, Lorenzo è quello che sembra avere più possibilità di batterlo, ma mi aspetto che Valentino si possa inserire costantemente nella lotta: insieme alla squadra bisogna ridargli il feeling per fare nuovamente la differenza». 57 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica MotoGP MotoGP Tutti i test pre-stagionali 2014 In attesa della prima gara del Mondiale MotoGp sul circuito di Losail, in Qatar dal il 23 Marzo 2014, i piloti del Team Repsol Honda, Ducati e Yamaha Factory Racing scenderanno in pista a Febbraio sul circuito di Sepang per i primi test del 2014 N on c’è stata alcuna attività da parte della MotoGP, in pista, a seguito del primo test ufficiale pre-stagione a Valencia, subito dopo la gara finale del 2013. Sepang ospiterà, per tre giorni all’inizio di febbraio, i Team della MotoGP per un nuovo test entro la fine di questo mese, prima che le squadre si muovono in Qatar per finalizzare la preparazione del primo Gran Premio della stagione. I piloti del Team Repsol Honda, Ducati e Yamaha Factory Racing si sposteranno a Phillip Island per un test di pneumatici di tre giorni, al fine di superare le difficoltà incontrate lo scorso anno a causa del nuovo asfalto. I sei piloti di queste squadre non parteciperanno alla prova che si terrà in Qatar prima del Gran Premio. In Qatar ci saranno tutti gli altri piloti, che continueranno con lo sviluppo di nuovi prototipi compresi nella categoria Open. Per quanto riguarda la Moto2 e Moto3 , ci sarà un piano test intenso. Entrambe le categorie condivideranno il circuito di Valencia dal 10 al 13 febbraio, e proveranno a Jerez in due occasioni, dal 18 al 20 febbraio e dall’11 al 13 marzo. Nel frattempo, team come Caterham continueranno con il lavoro di sviluppo prima del debutto previsto in Moto2 (con Johann Zarco e Josh Herrin), mentre in Moto3 si attende il debutto della nuova Honda insieme a quello di Husqvarna. 58 Test pre-stagionali 2014 MotoGP 4-6 Feb: Sepang, Malesia 26-28 Feb: Sepang, Malesia 3-5 Mar: Phillip Island, Australia (Test pneumatici) * Mar: Losail, Qatar *Solo piloti ufficiali di team di fabbrica Moto2 - Moto3 11-13 Feb: Valencia, Spagna 18-20 Feb: Jerez, Spagna 11-13 Mar: Jerez, Spagna 59 ECCO la nuova Yamaha M1 DA Motogp Lorenzo e Rossi, in occasione della presentazione a Jakarta, sono saliti in sella per la prima volta alle moto che guideranno in questa stagione. Non ancora svelati gli sponsor 60 61 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica MotoGP Media L a nuova Yamaha M1 è stata svelata a Jakarta, Indonesia. Lorenzo e Rossi sono saliti in sella per la prima volta alle moto che guideranno in questa stagione. «Ecco la mia compagna per il 2014» ha scitto Lorenzo su Twitter. Le voci che si rincorrevano sul main sponsor per ora sono state smentite e né Fiat, né Adias hanno messo il loro marchio sulle carene delle Yamaha. Come però conferma Lin Jarvis, managing director Yamaha Racing, ci saranno nuovi sponsor che oggi non sono stati mostrati. Jorge Lorenzo «E’ sempre bello venire in un Paese soleggiato con gente allegra, in particolare in Indonesia , un Paese che impazzisce per la MotoGP . Sia Vale io 62 abbiamo molti fan qui. Tutti ci riconoscono per strada e ci danno un sacco di affetto. Ogni anno il mercato asiatico diventa sempre più importante, quindi le nostre visite qui aumentano. Questa volta abbiamo deciso di fare anche il lancio qui davanti a migliaia di persone Yamaha. Mi piace molto la nuova moto, è molto elegante con più bianco. Ma non è solo una questione di colore, io scoprirò cosa c’è dentro la moto a Sepang! Le mie aspettative per questa stagione sono molto alte. Questo inverno ho avuto un’operazione per levare le piastre di metallo dalla spalla quindi sono un po’ più leggero, ma sono anche un po’ più grasso dopo Natale! Mi sto allenando duramente per perdere qualche chilo e cercherò di iniziare la stagione così come l’anno scorso e salire subito sul podio. Questo sarà importante 63 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb MotoGP un miglior benvenuto in Indonesia . Non riesco a ricordare alcuna presentazione Yamaha fatta al di fuori dell’Europa, quindi l’evento di oggi è speciale per diversi motivi . Yamaha ha deliberatamente deciso di offrire ai rivenditori indonesiani la possibilità di ospitare l’inaugurazione della M1 2014 durante il loro grande incontro annuale qui a Jakarta, e questo è un altro segno della crescente importanza del mercato asiatico per il business globale . Spero davvero di poter correre di nuovo qui, molto presto, prima che sia troppo tardi! Abbiamo presentato la nuova livrea per il 2014, è molto bella, molto elegante e ha più bianco rispetto allo scorso anno . E’ ancora molto stile Yamaha Factory e mi piace un sacco . Le aspettative per la prossima stagione sono molto alte. Il mio obiettivo è cercare di fare meglio dell’anno scorso, essere più competitivo e lottare per il podio ogni fine settimana. Sono sicuro che la nostra moto sarà di nuovo molto competitiva. Era già molto buona l’anno scorso e tecnici Yamaha sono stati in grado di svilupparla ulteriormente tutta la stagione, quindi mi aspetto molto dalla mia nuova M1 e sono sicuro che migliorerà ancora nel corso della stagione dell’anno». Lin Jarvis, Managing Director per ottenere punti e guadagnare la fiducia per il proseguo della stagione. I nostri avversari sono duri da sconfiggere, ma penso che se abbiamo migliorato in alcune aree, allora abbiamo buone possibilità di vincere nuovamente il titolo. Devo chiarire che non c’è niente di vero nelle voci di un contratto con un altro fornitore e vorrei iniziare le trattative il più presto possibile per il mio futuro con Yamaha. Il mio sogno è di andare in pensione dopo una carriera in Yamaha. Se la nostra moto sarà ancora meglio di quella di quest’anno, allora sarà tutto più facile!». 64 Valentino Rossi «E ‘ sempre bello venire in Indonesia . Gli indonesiani sono i migliori tifosi del mondo, con un sacco di passione per la MotoGP e il Team Yamaha Factory, anche se non hanno le corse nel loro Paese. Yamaha Indonesia gioca un ruolo importante in business globale Yamaha e spero veramente che la presenza di Jorge e la mia diano un ulteriore impulso alla loro attività locale. Questa mattina ho avuto il piacere e l’onore di trascorrere del tempo con il signor Joko Widodo , Governatore di Jakarta , e non avrei potuto prevedere «Sono molto felice di aver potuto partecipare allla convention annuale di Yamaha Motor Indonesia con il nostro Presidente Mr. Yanagi, Jorge, Vale, e il signor Tsuji per dare ai concessionari indonesiani un’anteprima esclusiva dei nostri nuovi colori per la stagione 2014. Il mercato indonesiano è il più grande al mondo e la MotoGP è molto popolare qui, quindi spero davvero che potremo venire qui a correre in futuro . Vorrei ringraziare i nostri ospiti per l’accoglienza che abbiamo ricevuto e per il loro prezioso sostegno al nostro progetto MotoGP. Ora attendiamo con impazienza il primo test di Sepang tra poco più di due settimane». 65 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica Superbike aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb Bimota e Alstare in SBK Evo? di Carlo Baldi | Alstare e Bimota annunciano di voler partecipare al mondiale SBK Evo. Un “dream team” composto da Badovini e Iddon che però potrebbe restare solo un sogno, in quanto manca l’omologazione della BB3 da parte della FIM 66 D opo un comunicato emesso sabato che annunciava l’accordo quinquennale tra il prestigioso team belga Alstare e l’italiana Bimota, un secondo press release diramato ieri, ha comunicato l’intenzione di entrambi a partecipare al prossimo mondiale Superbike nella categoria Evo, con una BB3 portata in pista dai piloti Ayrton Badovini e Christian Iddon. Bimota dopo molte peripezie, è ora nelle mani di Marco Chiancianesi e Daniele Longoni, imprenditori ticinesi impegnati anche nel settore immobiliare, che stanno lavorando per riportare in auge l’azienda sorta a Rimini nel 1973. Il marchio Bimota altro non è che l’unione delle prime due lettere dei cognomi dei suoi fondatori : Bianchi, Morri ed il ben noto Massimo Tamburini, padre tra le altre dell’icona Ducati 916. Un marchio con un passato glorioso, fatto di moto che per anni hanno rappresentato il sogno di generazioni di motociclisti. Moto prestigiose e bellissime, costituite da motori Ducati o giapponesi, su telai appositamente studiati e realizzati dai geniali tecnici dell’azienda romagnola. Un mix esplosivo che si fece valere anche 67 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine nasconde la volontà di puntare al titolo mondiale. Il condizionale però è d’obbligo in quanto la BB3 non è stata prodotta e venduta nelle quantità minime richieste dai regolamenti, per ottenere l’omologazione per correre nel mondiale Superbike. Ne deriva che l’iscrizione del team Alstare Bimota alla Superbike Evo è condizionata dalla decisione della Federazione Motociclistica Internazionale, che dovrebbe rilasciare l’omologazione in deroga agli attuali regolamenti. Ricordiamo che per potersi iscrivere al mondiale delle derivate dalla serie bisogna produrre 2.000 moto stradali in due anni. Il regolamento prevede che si debbano inizialmente produrre 125 moto che la FIM dovrebbe ispezionare prima dell’inizio del campionato. Successivamente devono essere prodotte altre 500 moto entro il 30 giugno dell’anno in corso e 1.000 entro la fine dell’anno. Per le altre 1.000 c’è tempo sino al termine dell’anno successivo. L’attuale Bimota non ci sembra in grado di rispettare queste regole, ma ovviamente speriamo di sbagliarci e di vedere al via Badovini e Iddon già nelle gare di Phillip Island, che il 23 Febbraio daranno inizio alla stagione 2014. A sfavore del team Alstare Bimota gioca inoltre il fatto che quest’anno la griglia in pista, dove lanciò piloti come Davide Tardozzi (che nel 1988 a Donington si aggiudicò la prima gara in assoluto del mondiale Superbike) ed il funambolico quanto sfortunato Giancarlo Falappa. Per Bimota il canto del cigno avvenne nel 2000, quando il talento tutto genio e sregolatezza di Anthony Gobert la portò alla vittoria a Phillip Island, in un’indimenticabile gara disputata sotto la pioggia. Ora l’alleanza italo-belga punta a rilanciare l’azienda di Rimini sia sui mercati mondiali che in pista. Francesco Battà dispone di una propria agenzia di comunicazione adatta a gestire le strategie di marketing e comunicazione di Bimota, anche con ricerche di mercato e con l’organizzazione di campagne pubblicitarie ed eventi promozionali. Il comunicato di sabato 11 Gennaio 68 Superbike della Superbike vedrà al via 24 piloti (tra Evo e SBK) ai quali si aggiungeranno spesso alcune wild card. Non esiste quindi la necessità di aggirare i regolamenti o di creare pericolosi precedenti per rimpinguare una griglia con pochi piloti. Ma allora perché Alstare ha diramato il secondo comunicato annunciando la propria partecipazione al mondiale (pur ammettendo solo nelle note a fondo pagina che la stessa è vincolata dall’autorizzazione della FIM)? Come abbiamo scritto in precedenza, il team Alstare ha una grande esperienza anche nel campo della comunicazione e quindi sa che la notizia del ritorno in pista di Bimota in Superbike avrebbe amplificato ulteriormente la nascita del nuovo sodalizio italo-belga. Con il secondo comunicato Alstare e Bimota (anche se ad onor del vero entrambi i comunicati sono stati emessi dal team belga e non dalla casa italiana) hanno ufficializzato la loro intenzione di tornare alle competizioni, dando quindi ancora più enfasi e valore al loro accordo. Se poi questo non avverrà sarà solo a causa dei regolamenti e della FMI. Bimota sempre più vicina all’omologazione Per leggere la notizia clicca qui. sanciva un accordo di ben cinque anni e parlava della creazione del Reparto Corse Bimota presso la sede Alstare in Belgio. Un reparto corse nato per la preparazione di pezzi speciali, per supportare i team che utilizzeranno in pista le moto della casa italiana, per funzionare da reparto di R&D per i nuovi modelli e che svilupperà le due moto racing già in produzione: la Moto2 e la BB3. Il secondo comunicato diramato ieri, annuncia invece che Bimota ed Alstare parteciperanno al prossimo campionato mondiale Superbike nella categoria Evo, proprio con la BB3, dotata di telaio in traliccio e motorizzata BMW, che dovrebbe essere portata in pista da Ayrton Badovini e Christian Iddon. Il comunicato parla in toni trionfalistici di “dream team” e lo stesso Badovini non 69 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Supercross, Anaheim II Sorprendente Reed di Massimo Zanzani | La gara che ha ufficializzato il quarantennale del Supercross Usa ha riportato alla ribalta l’australiano che non vinceva della 2012; secondo Roczen passato in testa al campionato. A Seely la I tweet del pubblico che sul megaschermo in diretta davano vincente James Stewart davanti di un soffio a Ryan Villopoto, sono stati smentiti dalla sorprendente affermazione dell’affamato Chad Reed che da troppo tempo si sentiva a digiuno di vittorie. Scelta la Kawasaki per quella che si avvia ad essere ad una delle sue ultime stagioni della sua lunga carriera dopo un anno amaro in sella alla Honda, il 22enne australiano di Kurri Kurri due volte campione Supercross ha centrato il gradino più alto del podio con una grintosa condotta di gara in cui ha sfruttato gli 70 Scarica l’APP del Magazine Motocross mantenermi in scia dei miei avversari senza prendere troppi rischi, poi loro hanno sbagliato e alla fine anche Stewart ha ceduto. E’ stata una bella soddisfazione perché era da due anni che aspettavo questo momento, venuto oltretutto in una pista orribile. Detesto i circuiti che ci propongono in questi anni, dove non si fa altro che viaggiare sempre in seconda o terza con la manetta spalancata. Una volta le piste erano più tecniche, dovevi essere assolutamente preciso e si faceva di più la differenza, ora si gira in 50 secondi contro il minuto e 10 di una decina di anni fa e non è la perché le moto sono migliori. errori dei suoi avversari diventando il terzo protagonista del campionato che aveva già visto nei due appuntamenti precedenti altrettanti vincitori. «Una modifica al sistema di partenza e il fatto di crederci di più oggi mi hanno fatto fare la differenza– ha spiegato Reed, proprietario della squadra con cui corre – con la CRF che avevo lo scorso anno era più difficile partire mentre quest’anno è un altro pianeta e il risultato si è subito visto. I primi giri sono stati difficili, il fondo era scivoloso e c’era molto traffico. Ho cercato di fare la mia gara cercando un buon ritmo per 71 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito La volta scorsa qui a Anaheim mentre facevo il giro a piedi con l’ex campione degli anni ’80 Mark Barnett ora specializzato nella realizzazione di tracciati SX mi diceva che la pista era un inferno e gli ho risposto che è quello che ci propinano ad ogni weekend. Purtroppo così non è divertente, io sono più per le piste impegnative, oggi poi era anche troppo asciutta e quindi la presenza dei sassi ha fatto sentire ancora di più il loro effetto negativo. Al 16° giro quando ero dietro a Bubba il mio meccanico mi ha esposto le info e ho capito che ce l’avrei potuta fare, mi sono concentrato bene per passarlo pulito, le traiettorie mi sono venute più facilmente tanto che a due giri dalla fine ho segnato il miglior tempo dalla gara e a quel punto non è stato in grado di fermarmi. E’ stata proprio una bella gara che mi ha ricordato le tante battaglie che abbiamo fatto assieme gli anni scorsi». Dopo aver vinto la prima manche che lo ha portato direttamente in finale, Stewart ha mancato ancora una volta l’appello dovendosi accontentare del posto d’onore che aveva 72 Periodico elettronico di informazione motociclistica conquistato alla partenza e che aveva migliorato al sesto passaggio quando ha approfittato della caduta di Ryan Dungey per portarsi al comando perso poi al terzultimo giro dopo un intenso gomito a gomito con Reed. «Sono contendo e arrabbiato allo stesso tempo – ha commentato l’ufficiale Suzuki – perché non ce l’ho fatta neanche questa volta. Non sono stato bene tutta la settimana, ma non voglio avere scuse, solo che non ero in forma come le altre volte e Chad è stato un pò più bravo di me. Io ho fatto un po’ di errori, specie nelle curve, e così sono finito ancora un secondo che almeno mi da un altro bel po’ di punti». Terza piazza per Ken Roczen, che ha mandato alle stelle lo staff KTM capitanato da Roger De Coster, ma era presente anche il responsabile dell’attività sportiva Pit Beirer, per essere ritornato al vertice della classe regina. L’ex iridato tedesco ha mandato in porto un’altra solida prestazione, che conferma il suo fantastico debutto stagionale alla guida delle molto più potenti e impegnative 450 dove stanno Scarica l’APP del Magazine incidendo positivamente la sua disciplina, il talento tra l’altro tagliato su misura per il sistema americano, la sua maturità psicologica e il recente passaggio di testimone del ruolo di preparatore atletico dal padre, che lo aveva sempre seguito da quando ha mosso i primi passi in sella alla minicross, all’affermato Al Baker. «Non mi ero allenato molto per questa gara – è stato il commento dell’ufficiale KTM campione in carica 250 Costa Ovest – perché non sono stato tanto bene, quindi ho cercato di risparmiarmi un po’ in quanto la pressione e il ritmo erano molto forti e non volevo sbagliare anche perché il campionato è così ancora lungo e tenere una quattroemmezzo per venti giri non è affatto uno scherzo. Il mio obbiettivo non è vincere la gara a tutti i costi, ma essere regolare e puntare continuamente al podio, così anche se oggi non ho corso completamente come avrei voluto sono soddisfatto ugualmente perché sono tornato in testa al campionato. Con Villopoto abbiamo avuto un bello scontro anche se è rimasto sempre nei limiti della correttezza, Motocross lui ha avuto la meglio ma poi ha esagerato e ne ha pagato le conseguenze». Il quarto posto è andato a Justin Brayton, che per i quarant’anni del campionato ha corso con una Yamaha giallo replica di quelle vendute negli Usa fino agli anni ’80, confermatosi ancora tra i migliori in pista, seguito da Ryan Villopoto e Dungey entrambi usciti di scena dalle prime posizioni a causa di cadute. 250 Costa Ovest La terza puntata della 250 Costa Ovest ha invece visto prevalere Cole Seely il quale dopo essersi aggiudicato due posti d’onore dietro al leader Jason Anderson questa volta si è messo alle spalle il velocissimo pilota della KTM Rockstar Energy il quale, dopo aver tagliato il traguardo al posto d’onore, è stato indietreggiato in quarta posizione per non aver rispettato le bandiere bianche mentre era in rimonta dalla quinta piazza. Secondo è quindi finito al pilota Yamaha Cooper Webb che ha preceduto Malcom Stewart, fratello del più famoso James. 73 Dakar 2014 Marc Coma fa poker Quarto successo personale dello spagnolo dopo 13 tappe, 9.000 chilometri e due settimane di corsa di Piero Batini 74 75 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Dakar aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb V alparaiso, 18 Gennaio. La tredicesima e ultima tappa consegna gli scettri ai vincitori della Dakar 2014. Meno di 160 chilometri di speciale su piste sinuose e guidate hanno sigillato il risultato di un’edizione caratterizzata, immancabilmente, da grandi gesti sportivi e da straordinari colpi di scena. Mai come quest’anno, da quando si corre in Sud America, il podio finale è stato così agognato e Valparaiso, che per i più è rimasta sconsolatamente un miraggio, è allo stesso tempo mèta e liberazione. Argentina, Boliva e Cile sono stati il teatro impietoso di un’edizione durissima, a tratti al limite dell’impossibile. Anche e proprio per questo la Dakar di quest’anno è l’avvincente album di ricordi indelebili, che raccoglie le immagini dell’incredibile “viaggio” di tutti quelli che hanno partecipato alla sesta edizione 76 sudamericana della maratona-avventura per definizione. Il podio di Valparaiso è spagnolo. Vincono due Piloti catalani, Marc Coma tra le moto e Joan “Nani” Roma tra le auto. I due piloti sono nati in due paesi vicini della provincia di Barcellona, e non a caso sono cresciuti nello stesso ambiente agonistico animato dalla straordinaria passione e competenza di un nostro grande amico. Quando nel 2004 Roma vinceva la prima Dakar in moto, la sua squadra aveva già designato Marc Coma a succedergli a capo di un progetto rivelatosi ancora una volta vincente. Marc Coma, KTM 450 Factory Rally Marc Coma ha vinto la Dakar 2014, portando a quattro il numero dei successi personali che si aggiungono alle vittorie del 2006, 2009 e 2011. 77 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Dakar aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb Lo spagnolo aveva dovuto rinunciare all’edizione del 2013, a poche settimane dal via e a causa di un infortunio patito a ottobre, in Marocco. Si può immaginare il senso di frustrazione, il logorio del raddoppio dell’attesa, e le incognite incontrate lungo il cammino verso questa vittoria che, per il catalano, ha un significato senza dubbio straordinario, equiparabile all’impresa che nel 2006 ha aperto la serie di successi dello straordinario fuoriclasse catalano. Forse proprio per questo, Marc è partito dedicando i primi giorni di gara al riepilogo delle sue eccezionali doti e alla verifica dell’impatto tattico dell’enorme bagaglio di esperienza delle sue dieci Dakar precedenti. Coma è poi passato in testa dal quinto giorno, una delle tappe chiave di questa edizione della Dakar, aggiudicandosi la prima delle tre Speciali portate 78 a corredo del suo capolavoro. Nelle restanti otto giornate di gara Coma ha quindi portato al massimo dell’efficienza e del rendimento una classe collaudata e incredibilmente efficace, declinandola con un vantaggio che ha raggiunto la stupefacente consistenza, totalmente insolita per una Dakar “moderna”, di ben due ore e mezza. Il “segreto” che sintetizza il ventaglio di qualità del trentasettenne pilota di Avià, Barcellona, è in una grande tecnica di guida, nell’indubbia intelligenza tattica e nella formidabile “tenuta” psicologica. Coma ancora una volta non ha commesso un solo errore di rilievo, e ha lasciato agli altri il compito di avventurarsi nei rischi che la Dakar immancabilmente nasconde tra le pieghe della sua avventura. Per KTM si tratta del tredicesimo successo consecutivo della formidabile serie record inaugurata nel 2001, anno in cui Fabrizio Meoni ottenne la prima vittoria, personale e della Casa austriaca. Il secondo posto dell’edizione 2014 è appannaggio di Jordi Viladoms (KTM) e il terzo di Olivier Pain (Yamaha). Paolo Ceci è 19° assoluto e, finalmente possiamo dirlo tirando un bel sospiro di sollievo, al traguardo c’è anche Luca Viglio. La Speciale finale premia inizialmente Cyril Despres, che vince davanti allo sfortunato Barreda e a Pain, ma che non riesce a scalzare quest’ultimo dal podio finale di Valparaiso. In un secondo tempo, però, Despres è penalizzato di cinque minuti per un eccesso di velocità e scende al quinto posto. L’ultima Tappa è quindi assegnata a Joan Barreda, che posta a 5 il numero dei successi personali di una Dakar chiusa al 7° posto. Guarda tutte le classifiche Tutte le tappe della dakar 2014 Per rivivere giorno dopo giorno tutte le tappe della Dakar 2014 vi consigliamo di andare alla nostra sezione dedicata al rally più emozionante che ci sia. Per viverlo attraverso le parole del nostro Piero Batini. Clicca qui 79 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Dakar Marc Coma “Una vittoria speciale” di Piero Batini | La versione di Marc Coma, senza ancora il tempo di sedimentare le sensazioni, ma proprio per questo con le emozioni che pulsano più forte V Valparaiso, 18 Gennaio. Una vittoria perfetta, bellissima. Una di quelle che racchiudono un colossale carico di impegno, di attesa, di tensioni che si sommano, di risposte a domande poste molto tempo prima e quesiti che emergono giorno dopo giorno. Un capolavoro di bravura. Marc Coma è un Campione straordinario, una persona che riesce a esprimere un insieme di caratteristiche che sono squisitamente sportive e umane allo stesso tempo, e che confluiscono in un risultato globale che va immancabilmente al di là del puro gesto agonistico. Nella sua gara, in tutte le sue gare, c’è lo spessore di un confronto che le sue doti portano su un livello ancora superiore. Dalle situazioni più difficili e intense Marc riesce a distillare il senso migliore dell’esperienza sportiva, e proprio per questo le sue vittorie riescono a dare agli eventi che vince una superiore qualità. 80 «È andato tutto bene. Tu lo sai, è stata una gara durissima ma sì, ce l’abbiamo fatta, questa è la cosa più importante. Da quando siamo in Sud America con la Dakar, questa è stata l’edizione più difficile. Questo è sicuro». Come l’hai vissuta, soprattutto all’inizio, dopo due anni? «Non ho fatto in tempo a pensarci. Sapevamo già che la prima parte di questa Dakar sarebbe stata dura. In più, è così, i giovani che partono a manetta, tutti motivati, Marche diverse, e la gara un po’ particolare, soprattutto i primi giorni. Con tanta montagna, molta guida, molto pilotaggio, non era proprio quella gara nel deserto dove siamo abituati a correre e dove ti senti comodo, a tuo agio. Allora, la prima settimana abbiamo cercato di correre con la massima tranquillità, sapendo che ci aspettava una gara lunghissima, e che bisognava Profilo di Marc Coma Marc Coma vince il suo primo titolo di campione spagnolo enduro junior 175 cm³ nel 1995. Nel 2002 debutta nel Rally Dakar arrivando 6º in classifica generale; ci riprova negli anni successivi arrivando 2º nel 2005 e vincendo la gara l’anno successivo. Replica nel 2009 quando il Rally si corre per la prima volta in Sudamerica, sempre a bordo di una KTM. Marc Coma ha vinto quattro Rally Dakar, segnatamente nel 2006, nel 2009, nel 2011 e nel 2014, e cinque Sardegna Rally Race. 81 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito assolutamente evitare di partire a fuoco, ma cercare di stare un po’ più calmi». E finalmente nel deserto, come ti sei sentito? «Dopo meglio. Ogni giorno meglio fino a che non è arrivato il giorno che mi sono ammalato. In Bolivia. Mi è venuta la febbre, e ho perso la voce. Sono stato tre giorni in quelle condizioni. Già la Dakar è difficile, ma in quelle condizioni lo è ancora di più. Quando sei davanti ti senti addosso una pressione particolare, ti viene la paura di commettere degli errori. Senti 82 Periodico elettronico di informazione motociclistica come se la testa non ti lavorasse troppo bene, e cerchi di stare il più concentrato possibile per non sbagliare. Sono stato così per tre giorni, cercando la massima concentrazione, quasi come un monaco, in una specie di clausura. Tre giorni che quando finiva la tappa me ne stavo chiuso nel camper, cercando di prendere per me tutto il tempo che potevo per recuperare. Così, perché mi sono detto, sennò qui non arriviamo alla fine». Anche questa Dakar ha dimostrato che partire a testa Scarica l’APP del Magazine Sport bassa, all’attacco, non serve a niente. Bisogna sempre pensare un po’ più avanti, ai tredici giorni che ti aspettano… «Sì, ma sai, alla fine ognuno fa la gara che pensa che sia migliore per lui, ognuno fa la sua gara. Per noi questo discorso era chiarissimo. Era chiaro che era così, che bisognava guardare sempre avanti, guardare con la testa». Dopo due anni, è una vittoria che ha un sapore particolare? «Sì, sicuro, perché se guardo a un anno fa, mi vedo a casa con un braccio che praticamente 83 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Quando avete deciso di cambiare il motore, non eri un po’ in ansia? «No. Io pensavo che saremmo arrivati fino alla fine con lo stesso motore. Ma quando sono andato in testa di cinquanta minuti, il Team ha deciso che si poteva cambiare, che avevamo un buon margine di sicurezza, e lo abbiamo fatto. Abbiamo gestito anche quest’aspetto della gara, credo, molto bene». non… andava, che non potevo guidare una moto. Tornare qua, allo stesso livello di prima, e vincere, sì, fa diventare la vittoria… tanto… tanto speciale». E la moto ha dimostrato, anche quella, le sue qualità… «La moto. Il discorso che abbiamo fatto noi, con tutto il Team, era chiaro anche quello. Sappiamo che l’affidabilità è il punto chiave. Magari non abbiamo lavorato molto con le prestazioni, con la tecnologia, non tanto su quelle cose misteriose. Alla fine, non sto qui a dire se servono o no, ma quello che serve alla Dakar è una moto che non si rompe e che va». 84 Sei contento di essere tornato a correre con Jordi Viladoms? «Sì, con Jordi abbiamo fatto proprio un bel lavoro. Quando abbiamo perso Kurt è stato un colpo durissimo, perché Kurt era uno speciale, non solo un Pilota, era uno della famiglia, uno che aveva grande carisma, che ti faceva sentire dentro. Ma si deve cercare sempre qualcosa di positivo. Ed è Jordi, che arriva e torniamo a lavorare insieme. Mi ha aiutato più di quanto si sia visto o di quanto la gente può pensare. Quando ero malato, era la tappa marathon, è lui che ha fatto la meccanica alla mia moto, ed una persona che ti porta un po’ di calma, che sa aggiungere sempre qualcosa di buono». Quale è stata la tappa più difficile? «Alla fine, la quinta. Quella di Chilecito, dove però ho potuto fare la differenza e andare in testa. Penso che la più difficile sia stata in ogni caso quella». Vogliamo dire qualcosa di Barreda? «Il ritmo che può tenere lui, qui non ce l’ha nessuno. Quando andava a manetta faceva paura. Ti prende nove, dieci minuti. Per me è stato il rivale fino a un giorno dalla fine. Fino a Copiapò lui era il Pilota che era lì». Dakar Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica È giusta una Dakar così dura, o è troppo? «Io credo che sia stata la più dura del Sud America. Penso che la Dakar debba essere dura, ma anche che trovare il limite a priori non sia una cosa facile. Per gli organizzatori è un compito molto difficile. Per le moto è stata davvero difficile. Per le macchine molte tappe erano diverse, e questo ha significato che in quei giorni per noi è stato davvero un inferno. Va bene andare sul tecnico, è un bene per la sicurezza, ma per contro, fisicamente è un impegno enorme». E la Bolivia? «La Bolivia è stata molto bella. Il problema della Bolivia è che stai sempre sopra ai tremila metri, e non c’è l’aria. Erano i giorni che ero malato, e ho fatto fatica». L’entusiasmo in Bolivia, e negli altri Paesi? «Sono tutti molto appassionati. Quest’anno abbiamo scoperto l’entusiasmo boliviano, e ogni anno che visitiamo un nuovo Paese, l’aspettativa è molto alta». Insomma? «Penso che sia stata una vittoria davvero molto speciale. Contro la Honda, contro Cyril con la Yamaha, con l’incidente di Kurt prima. Per me non è solo il quarto successo, è una vittoria a parte, molto importante». Già, Cyril, alla fine correvate quasi insieme. «Abbiamo un ritmo simile, e quando sono arrivate le tappe di deserto partiva lui dietro a me, o io dietro a lui, così alla fine è facile che si viaggi insieme. effettivamente siamo andati avanti insieme!». Sei contento della vittoria di Nani? «Sì, veramente sì. Mi dispiace un po’ che con tutto quel trambusto degli ordini di scuderia qualcuno ha voluto togliergli del merito. Questo non mi è piaciuto tanto. Nani ha fatto una bellissima gara, e non ha commesso errori». A adesso? Già programmi? «No, no riposo, non abbiamo fatto programmi e intendo stare un po’ rilassato. Spero di fare ancora una stagione “normale”, lavorare con la moto, il Campionato del Mondo, andare a correre in Sardegna…». Penso che sia stata una vittoria davvero molto speciale. Contro la Honda, contro Cyril con la Yamaha, con l’incidente di Kurt prima 85 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Scarica l’APP del Magazine Periodico elettronico di informazione motociclistica 1 996. È il 14 gennaio, il piccolo aereo dei giornalisti in volo verso Dakar trasporta anche Matilde Tomagnini. È arrivata da poco, rappresenta un marchio di quelli che, allora… ancora si poteva. Scende dall’aereo, prende un taxi e sparisce. Più tardi, sulla spiaggia che porta al Lago Rosa, prima della partenza dell’ultima frazione della Granada-Dakar, sulla carenatura della Yamaha di Edi Orioli compare un adesivo con quel marchio. Edi Orioli, il più grande Pilota di Rally italiano di tutti i tempi, taglia l’ultimo traguardo e vince la sua quarta Dakar. È solo uno degli aneddoti della strepitosa carriera “dakariana” di Orioli, come lo stratagemma utilizzato a Tessalit nel 1988 per vincere la sua prima Dakar, quando si nascose dietro a una piccola duna per lasciar andare gli avversari sulla pista sbagliata, o come l’analogo, micidiale scherzo di Agadez del 1990, quando Edi simulò addirittura un guasto per rimanere indietro e poi lanciarsi da solo nell’attraversamento del Ténéré, guadagnare oltre un’ora sugli avversari dispersi, e arrivare primo a Dakar. Cenni biografici La Storia, 14 gennaio 1996 Edi Orioli vince ancora! di Piero Batini | Il 14 gennaio 1996 Edi Orioli vince per la quarta volta la Dakar conquistando un posto tra i grandi di questa gara. Ecco le tappe fondamentali della sua storia senza dimenticare anche il contorno delle auto 86 Edi Orioli è nato il 5 dicembre 1962 a Udine, e nel1978 ha avuto in regalo dal padre una Gori 50cc per la promozione di terza media. È stato tra i migliori Piloti di Enduro italiani, e nel 1981 Campione del Mondo. E lo è ancora, Campione del Mondo alla Sei Giorni, quando cambia tutto e decide di prendere un’altra strada, avvicinandosi direttamente alla regina delle maratone africane. Alla Dakar Edi Orioli arriva così, nel novembre del 1985 con una telefonata di Massimo Ormeni, che per l’edizione 1986 ha preparato tre Honda monocilindriche e che gli propone di guidarne una. Orioli ci pensa pochissimo, rinuncia al contratto dell’enduro con Puch e si unisce alla Squadra di cui fanno già parte Andrea Balestrieri ed Alessandro “Ciro” De Petri. È l’edizione in cui muore Thierry Sabine e vincono Metge e Lemoine con la Porsche, “Ciro” De Petri si aggiudica cinque tappe, Franco Picco quattro, e Cyril Neveu ottiene la Dakar quarta vittoria. Edi Orioli vince la tappa dell’Assekrem in Algeria ed è sesto assoluto al termine del Rally. L’anno successivo, il 1987, la 9a edizione della Parigi-Algeri-Dakar vive sul duello emozionante tra Auriol e Neveu. Auriol, con la Cagiva, domina la gara ma è costretto al ritiro dal drammatico incidente in cui si procura la frattura delle due gambe ad un passo dalla vittoria, e Neveu ottiene la quinta vittoria con la Honda NXR bicilindrica. Edi Orioli, che corre ancora con la Honda monocilindrica, ormai obsoleta di fronte ai nuovi “mostri” del deserto, chiude al secondo posto assoluto, senza alcun successo di tappa ma rivelando, senza commettere un solo errore e sfruttando al massimo le tappe più guidate e difficili, le sue straordinarie doti di regolarità e di intelligenza tattica. La storia del più grande “dakariano” italiano Ed ecco le tappe fondamentali della carriera dakariana del nostro più grande motociclista, un Campione fuori dal comune per bravura e intelligenza, e una persona dalle qualità rarissime ed eccezionali, sempre anteposte a qualsiasi strategia agonistica. Proprio per questo Edi è il più grande. 1988. La Dakar del decennale, 12.874 km dal 1° al 22 gennaio e 603 iscritti. È ricordata anche per il “giallo” di Bamako, quando la Peugeot 405 di Vatanen sparisce dal bivacco e viene ritrovata soltanto al mattino successivo. Vatanen, che riesce a prendere il via e conclude all’ottavo posto, viene poi squalificato, e vince Juha Kankkunen con l’altra Peugeot. Epico duello tra Edi Orioli e Franco Picco, che si conclude solo nel finale del Rally. Dopo il successo di Giacomo Vismara e Giulio Minnelli nella gara dei camion del 1986, Orioli, che ha acquisito il diritto di guidare la NXR e che è passato in testa a Tessalit superando Picco, è il primo italiano a vincere la Dakar tra le moto. 1990. Iscritti in calo, la Parigi-Tripoli-Dakar si arena tra le dune di Gadhames con la disfatta delle Mitsubishi e le Peugeot che salgono ai 87 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Dakar aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb primi tre posti. Vatanen è primo tra le auto con la Peugeot 405 GR, e Orioli tra le moto con una nuova Cagiva. Peterhansel è messo fuori corsa nel Ténéré, Neveu squalificato, Lalay cade, le Cagiva di Edi Orioli e di Alessandro “Ciro” De Petri imperversano nelle tappe desertiche e prendono il volo. Orioli passa in testa a Ghat e consolida definitivamente il suo vantaggio con la tappa di Agadez che ha attraversato tutto il Ténéré. Per il friulano è il secondo successo, dopo quello con la Honda nel 1988, ed è anche la prima vittoria della Cagiva dopo sei partecipazioni. Tra i camion vince il Perlini di Villa, Delfino e Vinante. 1994. Dopo l’edizione dei minimi storici di partecipazione, Gilbert Sabine cede TSO, e quindi la Dakar, al gruppo Amaury Sport Organisation. La direzione della Parigi-Dakar-Parigi è affidata 88 a Jean-Claude Morellet, “Fenouil”. La 16esima edizione è totalmente rinnovata e fortemente caratterizzata dall’estro di “Fenouil”. Andata e ritorno, da Parigi a Dakar, epilogo a Euro Disney. Nella tappa tra Atar e Nouadhibou si sfiora la catastrofe tra le dune dell’Erg. Passano solo le Mitsubishi, ma la tappa viene neutralizzata al km 246 “salvando” le Citroen. Al termine di un’edizione tempestata dalle polemiche, alle vittorie di Lartigue con la Citroen e dell’equipaggio Loprais, Stachura e Kalina con il Tatra, si affianca il terzo successo di Edi Orioli, ottenuto con una Cagiva ancora preparata da Roberto Azzalin, ma questa volta strettamente derivata dalla serie. 1996. 295 equipaggi per la 18ma edizione che parte da Granada il 30 dicembre, ma la crisi della Dakar non è ancora superata. Dietro a Citroën, Mitsubishi, Yamaha e KTM resiste solo la passione dei piloti privati, autentici salvatori dell’evento in declino. Le Citroën vanno in testa alla corsa in Marocco, e batteranno le Mitsubishi con Lartigue al terzo successo. Avvincente, invece, la battaglia tra le KTM di Jordi Arcarons e Heinz Kinigadner, la Yamaha di Peterhansel in testa in Marocco, poi i colpi di scena. Kinigadner rompe il motore e Peterhansel perde due ore e mezza per un rifornimento di benzina sporca. Al comando passa Edi Orioli con una Yamaha dell’importatore italiano. Il friulano può amministrare fino al Lago Rosa, dove vince per la quarta volta insieme a Lartigue, che si è sbarazzato di Vatanen, e all’equipaggio Moskovskikh-Kouzmine con il camion Kamaz. 89 La Dakar 2014 raccontata per immagini Riviviamo i momenti più intensi ed emozionanti della Dakar 2014 con le foto più belle scattate durante le due settimane di gara tra Argentina, Bolivia e Cile Foto di Gigi Soldano 90 91 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito 92 Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Sport 93 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Sport Media 94 95 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito 96 Periodico elettronico di informazione motociclistica Scarica l’APP del Magazine Sport 97 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Dakar Scarica l’APP del Magazine Editore: CRM S.r.l., Via Melzo 9 - 20129 Milano P. 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