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LICEO STATALE SCIENTIFICO, CLASSICO, LINGUISTICO GALILEO GALILEI LEGNANO
Anno V - N° 2
Dicembre 2015
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Anno V
N° 2
Dicembre 2015
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IN QUESTO NUMERO
AUTOSTIMA DI PRIMA MATTINA
UN MODO DIVERSO DI FARE SCUOLA
LA LEGGE DI MURPHY PER LO STUDENTE DILIGENTE
FINITO IL LICEO ...E POI?
BUONE FESTE! E UN PIZZICO DI TRADIZIONE...
L’INFLUENZA DEL FOLKLORE GIAPPONESE NELLA CULTURA DI MASSA
IL CINEMA A SCUOLA
DILEMMA DEL PRIGIONIERO/2
GTIMES: UNA COPERTINA TUTTA BIANCA
COORDINAMENTO
REDAZIONALE
Antonella
Polimeno Camastra
PROGETTO GRAFICO
E IMPAGINAZIONE
Federico Chinello
IN REDAZIONE
Marco Bagatella,
Federico Chinello,
Lorenzo Fortunato,
Michela Grasso,
Andrea Meddi
Clara Morelli,
Beatrice Mugnaini,
Antonella Polimeno
Camastra,
Emanuela Re Cecconi,
Annalisa Toia
N° 2
Dicembre 2015
PER COMUNICARE
CON LA REDAZIONE:
[email protected]
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VITA D’ISTITUTO
Autostima di prima mattina
Superare l’imbarazzo iniziale per ampliare i propri orizzonti
O
gni anno la scuola offre
agli studenti l’opportunità di partecipare alle assemblee d’istituto: come relatori
o semplicemente come attivi
spettatori. Queste giornate
sono molto importanti: nelle
varie assemblee si ha infatti la possibilitá di parlare di
differenti argomenti; ognuno
molto importante ed attuale. Si può, perciò, scegliere
a quali assistere e con il dialogo apprendere cose nuove
o semplicemente scambiare
le proprie opinioni. Ho assistito per tre anni con grande
entusiasmo a differenti esposizioni ed ora, al quarto anno
di liceo, in compagnia di due
mie compagne ho deciso di
cimentarmi in prima persona
come relatrice di un’assemblea. Il tema che abbiamo
scelto è stato quello dell’autostima, dato che nella delicata fase che è l’adolescenza,
è piuttosto difficile trovare un
ragazzo che sia sicuro di sé e
abbia fiducia nelle proprie capacitá. Il primo giorno è stato
quello più critico, dato che
per tutte e tre é stata in assoluto la prima assemblea, ma
superato l’iniziale imbarazzo,
le prime, timide opinioni si
sono fatte sentire. Il secondo
ed il terzo giorno è andata decisamente meglio, grazie ad
una maggiore scioltezza da
parte delle relatrici, gli indispensabili interventi dei rappresentanti d’istituto e l’interesse mostrato dai ragazzi.
Nonostante la posizione un
po’ svantaggiata, il pubblico
si é mostrato in gran parte
numeroso ed anche nei mo-
menti con meno affluenza si
è rivelato sempre partecipe.
Quest’esperienza si è dimostrata un traguardo importante: fino a qualche mese fa
non avrei mai creduto che sarei riuscita a parlare davanti
a un pubblico così numeroso,
e mai avrei immaginato che
alla fine mi sarebbe persino
piaciuto. In questi giorni ho
imparato molto: oltre a superare la mia timidezza, ho ampliato i miei orizzonti; dai dibattiti sono emerse cose che
mai avrei pensato, molte delle
quali si sono rilevate poi fonte di riflessione. Purtroppo,
ho potuto anche notare alcune delle conseguenze della
nostra societá: la mancanza
di individualitá, di personalità, e di curiositá. Talvolta,
anche se è difficile ammetterlo, ci si ritrova parte di un
gregge ed il proprio pensiero diventa, così, omologato
a quello degli altri. Si pensa
di essere alternativi, quando
invece, si è parte integrante
della massa. Fortunatamente,
molte persone mi hanno colpita: persone curiose, vivaci,
con una spiccata sensibilità e
aperte al dibattito. È proprio
a loro che devo la realizzazione dell’assemblea e spero
che da quest’ultima i ragazzi,
come me, abbiano imparato
qualcosa. Non so se rifarò in
futuro un’esperienza simile,
ma la consiglio vivamente a
tutti, soprattutto ai più timidi
ed insicuri: per esprimere il
proprio pensiero, ma soprattutto per imparare a superare
quegli ostacoli che spesso ci
limitano.
N° 2
Dicembre 2015
di
BEATRICE MUGNAINI
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VITA D’ISTITUTO
INCONTRI / TRE GIORNATE DEDICATE AL DIALOGO, AL CONFRONTO, ...PER CREARE COESIONE
Un modo diverso di fare scuola
Il 16, 17 e 18 novembre si sono svolte le assemblee all’interno del nostro Istituto
di
ANTONELLA
POLIMENO CAMASTRA
C
ome ogni anno diversi
studenti si sono attivati per organizzare dibattiti
su argomenti di vario tipo:
dall’attualità, al mondo della psicologia umana, fino ad
arrivare al rapporto tra storico e contemporaneo.
Tre giorni di stacco dalla
quotidiana routine scolastica, ma anche tre giornate
ricche di spunti e opportunità per cercare dialoghi,
condividere opinioni e dissentire su fatti: socializzare,
creare coesione e sviluppare
un pensiero critico in modo
alternativo ai classici banchi
di scuola.
Anche io ho organizzato
un’assemblea, la prima che
organizzo in quattro anni
di Liceo, e scrivendo queste
parole, al termine di tre lunghe giornate di lavoro, mi
vengono in mente tutti momenti passati insieme a voi e
beh, ne è valsa la pena.
Ciò che mi
ha lasciato
quest’esperienza sono sì i
dialoghi, le riflessioni e i
dibattiti passati, ma sono
soprattutto le emozioni di
aver visto questi stessi dibattiti avvenire tra ragazzi che
magari nemmeno si conoscevano prima, che si erano
incontrati qualche volta nel
corridoio di scuola, che sì e
no si abbozzavano un saluto,
che si sono trovati a discutere e a scambiarsi opinioni,
a trovarsi d’accordo o a litigare, cercare compromessi,
magari non trovandoli; l’im-
magine dei rappresentanti
che si sono preoccupati di
ogni cosa, che ci sono stati
vicini; i ragazzi della sicurezza che ci hanno aiutati
a sistemare al termine delle
assemblee; i ragazzi e le ragazze che ci hanno ringraziati per i momenti di riflessione che abbiamo offerto,
quelli che sono stati 4 ore a
sentire l’assemblea e quelli
che sono tornati il giorno
dopo a salutarci mentre andavano in palestra o durante
l’intervallo.
Certo che la scuola sono le
lezioni, le ore passate in
classe, le verifiche e le interrogazioni, ma, in fondo, la
scuola è anche questo: dialogo, collaborazione e amicizia.
Non avrei potuto pensare
di lasciarvi solo con la mia
testimonianza, così ecco qui
cosa mi hanno raccontato
altri ragazzi e ragazze:
Mattia
Caon
Rappresentante
di Istituto
Queste assemblee sono state
il perfetto riassunto di come
io e i miei colleghi abbiamo
intenzione di lavorare. Personalmente sono convinto
che i relatori abbiano inteso perfettamente quello che
chiedevamo, portando serietá, impegno e dialogo nelle loro assemblee, riuscendo
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addirittura a far divertire gli
studenti che vi partecipavano.
Questo è il vero scopo delle assemblee di istituto ed
è il vero motivo per cui la
scuola ci lascia la bellissima
opportunitá di organizzarle. Abbiamo notato che le
uscite anticipate sono state
notevolmente ridotte e che
quindi c’è stata una buona
partecipazione da parte di
tutti. Spero e mi auguro che
sia stata un’esperienza formativa ed edificante per tutti gli studenti cosi come lo è
stata per me e i miei colleghi
rappresentanti.
Comunque non ci fermeremo qua: stiamo lavorando
fin da ora per proporvi nuovamente assemblee interessanti e coinvolgenti.
Luca
Ruocco
5^F
Quando sono entrato a scuola lunedì ho pensato: “le solite assemblee”; una nutrita
pila di libretti sulla scrivania della segretaria (tra cui
quello del sottoscritto), la
prima ora impegnata in una
verifica di Storia dell’Arte
dalle inquietanti somiglianze con le domande che mi
aspettano in terza prova e
poi dritto nella calca per
recuperare la giustifica che
mi avrebbe permesso, dopo
aver assistito a qualche as-
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semblea, di filare a casa alle
11, probabilmente diretto
sul divano. Diversamente da
quanto mi aspettassi, non è
andata così…
Tutto è iniziato con un appello dal tasso di attenzione
degno dei migliori dibattiti
tra candidati alla rappresentanza d’istituto (ovvero
prossimo allo zero) e così,
inizialmente, sembrava andare come previsto dai miei
piani.
Nella prima assemblea alla
quale ho partecipato, però,
il lancio di biscotti-premio
per ogni intervento degli interlocutori stava assumendo
i preoccupanti contorni di
un bombardamento a base di gocciole e misteriosi
pseudoabbracci Valsoia e
così, verso le 10, un po’ per
cambiare e un po’ per salvaguardare la mia incolumità,
ho deciso di cambiare assemblea (sempre pronto a
sgattaiolare via all’intervallo).
Con mia enorme sorpresa
sono finto in un’assemblea
che mi ha colpito: con pochi
temi, non troppo approfonditamente presentati, ma
dalla grande importanza e
dai numerosi spunti di dibattito, molti spettatori sono stati portati ad esprimere
la propria opinione e, quelli
che non lo facevano, a seguire con attenzione e interesse.
Il mio piano comunque non
cambiava: alle 11 dritto dalla Signora Laura a consegnare la giustificazione.
Questo però, come dicevo,
non è successo: le relatrici
dell’assemblea, con metodi
che quasi sfociavano nell’illegalità (“ricatto”, sequestro
di libretto e “minacce di vario tipo”) , mi hanno convinto a rimanere fino alla fine
della giornata. E, a dir la
verità, non mi è per niente
dispiaciuto.
Giovanni
Rossoni
Relatore di “SOGNI:
un viaggio nell’onirico”
Avevo sempre pensato che le
assemblee fossero dei semplici incontri a tema tenuti
da ragazzi interessati ad un
determinato argomento, ma
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VITA D’ISTITUTO
quest’anno, giunto al mio
quarto anno, ne ho conosciuto il lato più vero e profondo: un’assemblea di istituto è uno dei migliori modi
per conoscere le persone e
le loro opinioni, dialogare e
discutere con loro.
Il confronto tra studenti è
importante, così ogni parola che i relatori mettono a
disposizione degli studenti serve a questi ultimi ad
ampliare i loro orizzonti, a
scontrarsi con nuove idee e
modi di pensare, a dar vita
a dibattiti e cogliere l’importanza di conoscere il pensiero altrui.
Nei tre giorni di assemblea
mi sono trovato di fronte a
un grandissimo numero di
voi studenti, facce più o meno attente e interessate a ciò
di cui volevo parlarvi, che
mi hanno fatto capire che
l’assemblea non è uno dei
tanti modi per perdere alcuni giorni di scuola, ma è la
possibilità che ci viene data
per riunirci, discutere e apprendere, favorendo connessioni tra studenti di classi,
età e indirizzi completamente differenti.
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RIFLESSIONI
SFACCIATAGGINE / LA SCUOLA È UNO SPACCATO DELLA NOSTRA SOCIETÀ
La legge di Murphy
per lo studente diligente
“L’importante non è studiare, ma essere furbi”. Così molti studenti affrontano il loro percorso formativo
di
BEATRICE MUGNAINI
C
ome afferma la legge di
Murphy, quando una
persona è convinta che una
cosa non possa accadere essa inevitabilmente accade.
La legge sostiene inoltre che
questo possa portare ad una
distorsione della reale probabilità, poiché si tende a pensare che essa sia assai più elevata di quella che si credeva in
partenza. Ecco, può capitare
che una cosa del genere accada una volta, ma mi risulta
inconcepibile che mi sia capitata per ben tre volte. Possiamo definirla la sfiga dello studente, quella che ti porta ad
essere interrogato nonostante
non lo si ritenga possibile, o
semplicemente quella che
porta il docente a chiederti
esattamente l’unica cosa che
non sai. Se dovessi considerare anche quest’ultima cosa, le
volte in cui sono stata vittima
di questa legge si moltiplicherebbero a dismisura. Ma non
è solo questo, alla sfortuna si
aggiunge anche l’ostinazione
dell’insegnante, che talvolta
insiste su concetti non molto chiari, facendo arrestare
per qualche attimo i battiti
del tuo cuore e spingendoti
a pensare che le ore passate a studiare si siano rivelate, improvvisamente, nulle.
“L’importante non è studiare,
ma essere furbi”. Questa definizione sentita recentemente
ha fatto sì che la mia rabbia
crescesse ed è proprio questa
che mi ha spinto a scrivere
questo pensiero. La scuola
è uno spaccato della nostra
società, dove sono i furbi ad
avere la meglio, e dove l’intelligenza non é considerata al
pari della furbizia stessa. Non
sono importanti i concetti, la
grandezza d’animo, bensì la
convinzione che parole dette
in un certo modo riescono a
creare. La sfacciataggine è un
altro fattore essenziale: coloro che ne dispongono in grande quantità avranno la strada
spianata ovunque vadano,
non importa se poi si potrebbero rivelare persone vuote e
talvolta stupide.
I voti sono la cosa che assume maggiore importanza
a scuola, e certe volte nelle
nostre vite. Noi stessi siamo
dei voti, vittime di una scuola il cui intento si distanzia
enormemente
dall’intento
che dovrebbe essere quello
primario della scuola: la cultura, il sapere che arricchisce
e stimola, la continua ricerca,
la curiosità. Tutto ciò passa in
secondo piano quando si mette di mezzo un voto.
Gli insegnanti sostengono che
si debba studiare solamente
per il piacere di farlo: la cultura arricchisce, ci permette di
trovare delle risposte agli interrogativi che ci poniamo. È
sorprendente constatare che
teorie formulate centinaia di
anni fa possano dimostrarsi
sempre attuali, ed è meravi-
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La
sfacciataggine
è un altro
fattore
essenziale:
coloro che ne
dispongono
in grande
quantità
avranno
la strada
spianata
glioso comprendere come il
pensiero sia relativo, e che
perció risulta importante non
restare intrappolati nella propria caverna ed accettare le
opinioni altrui.
GalileiTimes
Questo, peró, viene annullato
nel momento in cui un docente, ripetutamente, ti demoralizza. All’inizio, forse, la cosa
può essere vista come uno
stimolo: un pungolo ad impe-
gnarsi di più. Però, alla lunga,
dopo che ogni sforzo risulta
vano, anche la persona più
determinata si stufa, ed anche
una materia amata perderà il
suo fascino. L’iniziale intento
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RIFLESSIONI
della conoscenza per se stessi
potrebbe svanire, e perdendo
la passione e la curiositá, lo
studio rimarrebbe finalizzato
semplicemente al raggiungimento di un voto.
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L’INTERVISTA
Finito il liceo
...e poi?
La testimonianza di Edorado Novembre e Luca Forlani
di
ANTONELLA
POLIMENO CAMASTRA
I
l Liceo è come un microcosmo nel quale ci muoviamo per cinque anni, dove
ci rechiamo ogni mattina e
passiamo gran parte del nostro tempo, dove conosciamo nuove persone, creiamo
rapporti, studiamo e, mentre
studiamo, impariamo a crescere e ad affrontare la vita.
Quante volte, forse troppe,
abbiamo pensato “Ma non
finirà mai”?
Eppure un giorno ci sveglieremo, passeremo davanti al
Liceo e quei lunghi cinque
anni, che un tempo sembravano infiniti, saranno solo un
ricordo.
Per quanto spesso se ne parli,
per una liceale è difficile immaginare come sarà la vita
dopo il Liceo e dunque, per
rispondere al grande interrogativo, ho deciso di lasciare
la parola a due ragazzi che
hanno da poco iniziato l’Università, ma che fino a qualche
mese fa erano con noi ogni
mattina nell’atrio di scuola
ad aspettare il suono della
campanella.
Ecco la testimonianza di
Edoardo Novembre e Luca
Forlani, che ora rispettivamente studiano Ingegneria
Aerospaziale al Politecnico di
Milano e Matematica all’Università Statale di Milano:
C’è qualcosa in particolare
che ti ha lasciato il Galilei e
che non dimenticherai?
L: Ci sarebbero tantissime
cose da dire sul Liceo, però
la più importante è l’amicizia
che mi ha lasciato.
Sono stato in classe per cinque anni con i miei compagni
e il rapporto che si è creato
non è quello che si può creare un’estate al mare, ma è
più profondo: ci si conosce, si
impara a convivere, a volte si
litiga, si creano rapporti solidi
e altri che sono “fragili come
il cristallo”. Anche i Professori
sono stati importanti, soprat-
mo insieme come prima, il
Liceo ha creato e rinforzato
la nostra amicizia. A scuola
eravamo sempre insieme, era
naturale. Uno dei primi giorni
in Università mi è capitato di
mangiare da solo nella pausa
delle lezioni e in quel momento ho davvero sentito la mancanza della spontanea quotidianità liceale, che prima mi
sembrava quasi scontata.
Credo se lo chiedano in molti, qual è, secondo voi, l’anno
più difficile del Liceo?
“Anche i Professori
sono stati importanti,
soprattutto
quelli che hanno saputo
spronarmi”
tutto quelli che hanno saputo
spronarmi: certo spesso erano loro quelli più severi, ma
sapevano darci una seconda
possibilità per impegnarci e
riuscire al meglio, avevano
fiducia in noi e questo è importante.
Cosa ti manca del Liceo?
E: I cinque anni del Liceo sono una parte della nostra vita,
si cambia, si conoscono tante persone e, alla fine, manca
un po’ tutto. I miei compagni
li vedo ancora spesso, uscia-
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L: Il quinto anno è il più
difficile, ma anche il più bello. In realtà dipende tutto da
come lo si vive, se si inizia a
settembre ad essere in ansia
per la maturità ci si perdono
momenti fantastici, ma se lo
si affronta bene è l’anno migliore.
E: Forse la più grande difficoltà è stata passare dalle medie
al Liceo, un grande stacco,
ma poi ci si abitua a tutte le
novità e ai cambiamenti.
Se poteste tornare indietro
rifareste il Galilei?
GalileiTimes
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L’INTERVISTA
“Scegliere l’Università è difficile, ci
sono tante cose da valutare a partire da
quello che ti piace fare, guardando un
po’ anche alle prospettive lavorative”
E: Sì, rifarei il Liceo ed in
particolare il Galilei. Certo è
una scuola impegnativa, ma
bisogna saper imparare a trovare il punto d’incontro tra
studio e divertimento, dare il
giusto peso alle cose. Studiare
è importante, ma non bisogna
necessariamente sacrificare
sport e amicizie per riuscirci.
Ho imparato molte cose in
questi cinque anni.
L: Il Liceo è stata un’esperienza di vita, la rifarei assolutamente. Ci sono stati momenti
in cui lo studio mi scoraggiava, ma pian piano ho imparato
come studiare e come affrontare la scuola. L’importante
non è quanto si studia, ma come si studia, è questo che fa la
differenza ed è ciò che il Liceo
mi ha insegnato.
Non posso non chiedervelo: la matura fa paura?
L: Diciamo “la matura non fa
paura”, ma un po’ di paura la
fa. Ciò che di cui ero particolarmente preoccupato era la
prima prova, ero terrorizzato
dall’andare fuori tema. A posteriori suggerisco di studiare molto per la terza prova, è
quella più difficile.
E: Per gli scritti non ero molto
preoccupato, per gli orali invece sì, parecchio. L’importante
è fare la tesina su un argomento che piace ed essere pronti a
rispondere alle domande dei
commissari senza lasciarsi
prendere dall’emozione.
“Tra Liceo
e università
cambia
tutto,
l’ambiente
è molto
più grande,
non senti
più di
appartenere
ad una
piccola
realtà”
Com’è il cambio di vita nel
passaggio da Liceo a Università?
L&E: Tra Liceo e università
cambia tutto, l’ambiente è
molto più grande, non senti più di appartenere ad una
piccola realtà, ma ti ritrovi
in un mondo completamente
nuovo.
L’atteggiamento dei professori cambia, tu sei uno fra tanti
e se studi, bene, se non studi
nessuno si ferma per te. Fra
poco avremo i primi parziali,
è un po’ come essere sempre
sotto maturità, bisogna abituarsi ai ritmi più veloci e
restare al passo con le lezioni. È difficile all’inizio, ma ci
sono passati tutti.
Certo la scelta del percorso
universitario è difficile per
tutti, avete qualche consiglio da dare ai ragazzi?
E: Scegliere l’Università è difficile, ci sono tante cose da
valutare a partire da quello
che ti piace fare, guardando
un po’ anche alle prospettive
lavorative per il futuro. È una
scelta importate, per questo
consiglio di pensarci bene prima di decidere.
L: Scegliete per passione, poi
per il lavoro si vedrà, in cinque anni cambiano tante cose.
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CULTURA
NATALE / SIMBOLI E USANZE
Buone feste!
E un pizzico di tradizione…
Una tradizione che ha le sue radici nel 274 d.C.
di
ANNALISA TOIA
Q
uando si parla di Natale
tutti noi pensiamo alla
Lapponia, alla neve e ovviamente a Babbo Natale, ma
in realtà questa festa è molto
antica e secondo la tradizione simboleggiava la chiusura
di un ciclo stagionale e l’apertura di uno nuovo.
La festa appartiene all’anno
liturgico cristiano, in cui si
ricorda la nascita di Gesù
Cristo, che nella Cristianità
occidentale cade il 25 dicembre, mentre nella Cristianità
orientale viene celebrato il 6
gennaio.
Il Natale non viene introdotto
subito come festa Cristiana,
ma bisogna aspettare l’arrivo
del Quarto secolo nell’Impero Romano, e più tardi anche
nelle zone dell’Oriente.
La festa cristiana si intreccia con la tradizione
popolare. Prima del Natale Cristiano c’era la
festa del Fuoco e del
Sole, perchè in questo
periodo c’è il solstizio
d’inverno,
cioè
il giorno più
corto dell’anno. Nell’antica
Roma si festeggiavano i Saturnali in onore di Saturno,
Dio dell’agricoltura ed era
un periodo di pace, si scambiavano i doni, e si facevano
sontuosi banchetti.
Nel 274 d.C. l’imperatore
Aureliano decise che il 25
dicembre si dovesse festeggiare il Sole. E’ da queste origini che risale la tradizione
del ceppo natalizio che nelle
case doveva bruciare per 12
giorni consecutivi e doveva essere preferibilmente di
quercia, un legno propiziatorio, e da come bruciava si
presagiva come era l’anno
futuro. Il ceppo natalizio nei
nostri giorni si è trasformato nelle luci e nelle candele
che addobbano case, alberi,
e strade.
Oggi tutti noi festeggiamo il
Natale con simboli e usanze
sia di origine pagana che cristiana:
nelle case viene allestito un
presepe, specialmente nel
sud Italia e un’albero, di tradizione più nordica. Il natale
è anticipato dalla vigilia che
dovrebbe essere una giornata
di digiuno e di veglia in cui ci
si prepara ai festeggiamenti
delle feste.
I festeggiamenti continuano
con l’ultimo dell’anno, e poi
a Capodanno, primo giorno
dell’anno che anticamente
era una festa periodica di
rinnovamento che veniva
celebrata in tutte le civiltà
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attraverso rituali che simbolicamente chiudono un ciclo
annuale e inaugurano quello
successivo.
E infine arriva l’Epifania, una
delle principali feste cristiane la cui celebrazione cade il
6 gennaio. Nata nella regione
orientale per commemorare
il battesimo di Gesù, fu presto introdotta in occidente
dove assunse contenuti religiosi diversi, come il ricordo
dell’offerta dei doni dei Magi
nella grotta di Betlemme, che
poi ha determinato il nascere
della figura della Befana distributrice di doni.
I magi, secondo la tradizione, guidati dalla stella cometa, arrivarono dall’Oriente
per rendere omaggio a Gesù
appena nato a Betlemme, donandogli oro, incenso e mirra. Successivamente vengono
indicati come tre re con i nomi di Melchiorre, Gaspare e
Baldassarre.
Questa festa fa terminare
questo ciclo di festeggiamenti: il giorno dopo si iniziano a
spegnere le luci, a disfare gli
addobbi.
Oggi la tradizione vuole che
nelle nostre case venga addobbato un albero, che secondo la leggenda nasce molto tempo fa in un villaggio di
campagna, quando la vigilia
di Natale, un ragazzino si
recò nel bosco alla ricerca
di un ceppo si quercia da
bruciare nel camino, come
GalileiTimes
voleva la tradizione. Si attardò più del previsto e, venuto
il buio, non seppe ritrovare
la strada per tornare a casa.
Per giunta cominciò a cadere
una fitta neve.
Il ragazzo si sentì assalire
dall’angoscia e pensò a come,
nei mesi precedenti, aveva
atteso quel Natale, che forse
non avrebbe potuto festeggiare.
Nel bosco, ormai spoglio di
foglie, vide un albero ancora
verdeggiante e si riparò dalla neve sotto di esso: era un
abete. Il piccolo cominciò a
sentirsi stanco quindi si addormentò raggomitolandosi
ai piedi del tronco. L’albero,
intenerito, abbassò i suoi rami fino a far toccare loro il
suolo in modo da proteggere dalla neve e dal freddo il
bambino.
La mattina il bimbo si svegliò, sentì in lontananza le
voci degli abitanti del villaggio che si erano messi alla
sua ricerca e, uscito dal suo
riparo, poté riabbracciare i
suoi compaesani. Solo allora
tutti si accorsero del meraviglioso spettacolo che si pre-
sentava davanti ai loro occhi:
la neve caduta nella notte,
posandosi sui rami frondosi, aveva formato dei festoni,
delle decorazioni e dei cristalli che, alla luce del sole
dell’alba, sembravano luci
sfavillanti, di uno splendore
incomparabile.
In ricordo di quel fatto, l’abete venne adottato a simbolo
del Natale e da allora in tutte
le case viene addobbato ed
illuminato, quasi per riprodurre lo spettacolo che gli
abitanti del piccolo villaggio
videro in quel lontano giorno. Da quello stesso giorno
gli abeti nelle foreste hanno
mantenuto, inoltre, la caratteristica di avere i rami pendenti verso terra.
Per quanto riguarda invece la
tradizione culinaria, il Panettone è sicuramente uno dei
dolci più famosi e apprezzati,
soprattutto nel nord Italia.i
narrano diverse leggende del
panettone tradizionale cioè
quello fatto con burro, uvetta
e cedro candito. Nel tempo
sono state realizzate anche
tante varianti con vari tipi
di creme, liquori, coperture
11
CULTURA
di cioccolata e decorazioni
varie. Una delle leggende più
accreditate sul panettone milanese narra che questo dolce
natalizio nasca durante uno
sfarzoso pranzo di Natale offerto dal Conte Sforza quando il suo cuoco si accorge che
il forno gli aveva bruciato il
dolce. L’aiutante del cuoco,
Toni, vedendo il cuoco disperato e non sapendo cosa fare, gli propose di presentare
il dolce da lui preparato con
gli avanzi. Si trattava di una
specie di pane dolce fatto con
burro, frutta candita e pasta.
I commensali, con grande
stupore del cuoco, del suo
garzone e del padrone di casa rimangono favorevolmente impressionati ed alzano
un coro d’entusiasmo ricco
di complimenti.
Il cuoco imbarazzato, ammette che il merito era tutto del suo aiutante e del suo
“Pan di Toni” come era stato
battezzato il nome del dolce
realizzato dal suo aiutante.
Indipendentemente
dalle
leggende il panettone, come
suggerisce il nome stesso,
non è altro che un pane arricchito con altri ingredienti
molto semplici ma che messi
insieme hanno dato vita ad
uno dei dolci più famosi al
mondo.
Quindi, dopo che abbiamo
scoperto l’origine di alcune
tradizioni natalizie... Buone
feste a tutti!
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CULTURA
SOCIETÀ / MODA, MODE E MODI
L’influenza del folklore giapponese
nella cultura di massa
Miti e superstizioni tra film, libri, videogiochi e fumetti
di
LORENZO FORTUNATO
Q
uella giapponese è una
cultura che vanta un
vasto panorama di miti e superstizioni, fatto che porta il
folklore a influenzare la cultura moderna, tra film, libri,
videogiochi e fumetti.
Nella mitologia nipponica
gli Yokai sono spiriti benevoli o malevoli che possono
avere forma di oggetti, umani o animali, dalle proprietà
magiche. Uno tra i più popolari è Kitsune, una creatura
dalle sembianze di volpe con
poteri associati al fuoco,
simbolo di buon auspicio la
cui saggezza è stabilita dal
numero di code che possiede. La serie manga Naruto
ad esempio trae ispirazione
da questo mito, in quanto
il protagonista viene posseduto da Kurama, un demone dall’aspetto di volpe
dalle nove code. Secondo
il mito quando una Kitsune possiede 9 code, cioè il
massimo che può possedere,
raggiunge la forza massima,
diventando di colore dorato,
così avviene per Kurama. In
ambito videoludico il personaggio Fox McCloud, una
volpe antropomorfa della
serie Starfox della Nintendo,
prende ispirazione da kitsune, così come il videogioco
Okami della Capcom, dove
la protagonista è una volpe
con poteri legati al fuoco.
N° 2
Dicembre 2015
Uno dei costumi utilizzati
nella serie di Super Mario,
la tuta “tanooki” ottenibile
tramite una foglia, prende
ispirazione dalla creatura Tanuki, uno Yokai dalle
sembianze miste di un cane
e di un procione, che secondo il mito truffava i mercanti pagando tramite foglie
nascoste sotto banconote. I
Tanuki vengono raffigurati
con i genitali giganti nella
xilografia giapponese, c’è da
domandarsi che aspetto Mario avrebbe avuto se questo
dettaglio inquietante non
fosse stato rimosso.
Per quanto riguarda gli spiriti maligni si può parlare
delle Onryo, un tipo di fan-
GalileiTimes
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CULTURA
Quello giapponese è un
folklore che offre una
vasta gamma di creature,
spiriti e superstizioni
ligione nativo del Giappone
secondo la quale ogni oggetto o persona è posseduto
da uno spirito e quindi va
rispettato e onorato, portando questa religione a enfatizzare la bellezza della natura. E’ affascinante quindi
vedere la nascita di questo
ampio pantheon di spiriti
come la giustificazione per
amare la vita e per ciò che ci
circonda.
tasma giapponese prevalentemente donna vestita di
bianco, che in vita è stata
uccisa in modo brutale e la
cui anima torna in vita piena di rabbia e alla ricerca di
vendetta, uccidendo chiunque incontri. Gli Onryo sono
al centro dei film The Ring e
The Grudge, remake americani di film horror giapponesi, dove delle anime in
pena tornano in vita per uccidere coloro che incappano
in loro.
Molto consistente è la presenza e riferimenti a Yokai
e a creature mitologiche
nipponiche nei film del regista d’animazione giapponese Hayao Miyazaki. Ad
esempio nel film Princess
Mononoke sono presenti i
Kodama, spiriti degli alberi,
protettori dei boschi e simbolo di prosperità. Alcuni
Yokai furono appositamente
ideati dal regista per i film Il
mio vicino Totoro e e altri.
Quello giapponese è un
folklore che offre una vasta
gamma di creature, spiriti e
superstizioni che nonostante l’avvento del nuovo millennio non si sono ancora
estinte, portandolo a espandersi nell’ambito dei film,
libri, fumetti e videogiochi,
per farsi conoscere in tutto
il mondo. La mitologia nipponica è viva anche grazie
anche allo Shintoismo, re-
N° 2
Dicembre 2015
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SPETTACOLI
Il cinema a scuola
Le proiezioni del primo trimestre
di
ANDREA MEDDI
D
a diversi anni il Cineforum del Liceo G.Galilei
di Legnano si impegna ad
analizzare e a commentare
svariati lungometraggi al fine
di offrire agli spettatori più
di un punto di vista.
Parlare di Cinema non significa solamente parlare di
tematiche ma, alle volte,pre-
Allen suggeriscono all’istante
analogie con la tematica scelta, “Quarto Potere” di Orson
Welles rappresenta il punto
di arrivo di un percorso finalizzato all’acquisizione di una
visione cinematografica ben
più ampia e approfondita.
L’illusione non è solo quella
che ci viene mostrata attraverso il Cinema,ma è il mezzo cinematografico stesso
che ha una realtà a se stante
e che a sua volta mente ed inganna lo spettatore. Un certo
Martin Scorsese dice che la
telecamera mente 24 volte al
secondo. Ciò che viene proiettato è filtrato dalle lenti
di un obiettivo,dal linguaggio estetico e dalle caratteristiche del regista. In questa
scindere da esse per contestualizzare il periodo, lo stile,
le influnze e l’uso del linguaggio cinematografico del film
in questione.
Il modulo portante del primo
trimestre è stato quella dell’illusione: se da un lato opere
come “The Prestige” di Nolan
e “Magic in the Moonlight” di
N° 2
Dicembre 2015
modo la prima opera di Welles,anche se tratta dell’ascesa
e del declino di un magnate
del giornalismo (senza alcun
accenno da parte del regista
ad apparenti eventi soprannaturali come gli altri due
film) tratta comunque e soprattutto di illusione poichè
è la macchina da presa che
sceglie di ingannarci influendo sulla “realtà” che essa rappresentata.
In sostanza, l’analisi ed il
commento di un film al Cineforum della scuola è un momento molto formativo perchè consente allo spettatore
di appropriarsi di conoscenze e capacità che ben pochi
professori possono insegnarvi. Se avete la passione per il
Cinema o semplicemente siete interessati ad approfondire un’arte molto peculiare,fate un salto in Aula Magna!
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SPILLI
Dilemma del prigioniero / 2
Alla base della teoria dei giochi c’è l’assioma della razionalità.
Ma la scelta “razionale” è sempre la migliore?
E
ccoci qui, confessare o
non confessare? Cosa
dunque decidono di fare i
nostri prigionieri?
Facciamo un passo indietro:
il dilemma proposto è un
esempio usato nella teoria
dei giochi di gioco non cooperativo, cioè le decisioni dei
singoli vengono prese sulla
base di ragionamenti individuali in assenza di alleanze
vincolanti. Non c’è spazio per
la cooperazione perché gli
interessi sono contrastanti
anche se ciò non significa necessariamente che una delle
parti deve perdere per forza.
Alla base della teoria dei
giochi troviamo l’“assioma
di razionalità” che risolve il
dilemma. Esso afferma che:
nessun giocatore sceglierebbe mai una strategia se ne
ha a disposizione un’altra
che gli permette di ottenere
risultati migliori, qualunque
sia il comportamento dell’avversario.
In questo caso:
ALDO
NON CONFESSA
CONFESSA
CONFESSA
BALDO
di
CLARA MORELLI
NON CONFESSA
5
5
7
0
0
7
1
1
Ciascuno dei due vuole ridurre al minimo il
tempo trascorso in prigione qualunque sia la
scelta dell’altro.
ALDO ragiona razionalmente così:
Supponiamo che Baldo confessi. Allora ho
7 anni se non confesso e 5 anni se confesso.
Quindi in questo caso mi conviene confessare.
Supponiamo che Baldo non confessi. Allora ho
1 anno se non confesso e 0 anni se confesso.
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Dicembre 2015
Quindi in questo caso mi conviene di nuovo
confessare.
Anche BALDO è razionale, perciò fa lo stesso
ragionamento di Aldo. In conclusione entrambi confessano, coinvolgendo il complice e si
beccano 5 anni di carcere.
Ecco dove ci porta l’assioma di razionalità. Siete ancora dell’idea che la scelta “razionale” sia
sempre la migliore?
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CAMBIAMO PUNTO DI VISTA
GTimes: una copertina
tutta bianca
di
ANTONELLA
POLIMENO CAMASTRA
C
ara lettrice, caro lettore,
questa edizione del GTimes, come avrai notato, ha
una copertina tutta bianca.
In verità abbiamo pensato a
mille parole, a mille immagini
per esprimere il nostro cordoglio, i nostri sentimenti verso
ciò che è accaduto nella vicina Parigi, sul Sinai, a Beirut
e verso ciò che sta accadendo
oggi in Occidente e in Medio
Oriente, terra di conflitti, di
spargimenti di lacrime, sangue e dolore.
Non abbiamo trovato una sola immagine o una sola parola
che potesse descrivere i nostri
sentimenti e così abbiamo
pensato di lasciare uno spazio
bianco, segno di incapacità
di trovare un senso, una sola
motivazione che possa portare
l’uomo a compiere tali gesti,
che possa portare l’umanità
verso un tale baratro.
Il bianco però è la combinazione di tutti i colori ed è
anche per questo l’abbiamo
scelto, perché potesse essere
un segno di speranza verso un
futuro più colorato, dove tutti i colori stiano insieme per
completarsi l’uno con l’altro.
Buona lettura.
“Il bianco
però
è la combinazione
di tutti i colori”
N° 2
Dicembre 2015
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2 - Liceo Scientifico-Classico-Linguistico `Galileo Galilei`