enmigrinta Opponiamoci alle leggi razziste! luglio 2012 ENMIGRINTA SOLIDARIZZA CON I LAVORATORI DELLA MEMC DI SINIGO Pagina 1: Notizie: ucraino sirchia la vita per difendere il guadagno del suo titolare Pagina 2: Personaggi: Cina: Xu Beihong Pagina 2: Cultura: Albania: La montagna delle spose morte: di Gentiana Minga Pagina 7: Fiabe popolari: Sinti: Ruk e Tikno Devel Pagina 7: Arte: Portogallo: gli azulejos Pagina 8: Auguri a: le feste nazionali dei nostri nuovi cittadini Pagina 8: Parole dal mondo: il bengali Pagina 8: Chi dice cosa? Quali afermazioni appartengono a quale religione? Pagina 9: Statistiche: Burkina Faso Pagina 9: Pinocchio a Sarajevo: di Arian Leka Pagina 11: Sport: Giappone: il soft tennis Pagina 11: Strumenti musicali: Cina: Guzheng Pagina 12: Citazioni: Martin Niemoeller Pagina 12: Cucina: Giappone: Tempura di gamberi Pagina 13: Gastronomia: Senegal Pagina 14: Enologia: i vini del Libano Pagina 14: Soluzioni a “Chi dice cosa” Notizie → Ucraino rischia la vita per difendere il guadagno del suo titolare Il dipendente di un distributore di benzina, il 25 enne ucraino Pawlo Lomakin, e il suo connazionale Vitali Korteyk, 35 anni, rischiano la vita tentando di bloccare due rapinatori italiani armati. Il 20 aprile, verso le ore 17, due italiani sono arrivati al distributore di benzina sull’Appia in località Tor Tre Ponti a Latina, entrambi armati e con il volto coperto. Dopo aver minacciato il titolare e gli presenti con armi in pugno, si sono fatti consegnare 2000 euro. Tutto ciò non ha lasciato i due ucraini inattivi, un dipendente e l’altro amico dell’ultimo. Anche se non proprietari del distributore, e l’aggressività visibile dei due aggressori mano armati, al momento della fuga hanno tentato di bloccarli, aferrando prima uno dei rapinatori e poi lanciando una sedia e un estintore verso di loro. Visto la loro reazione, i malviventi hanno esploso cinque colpi di pistola colpendo all’addome il dipendente, e il suo conoscente ucraino alla gamba sinistra. Grazie alla loro resistenza la polizia ha intralciato poco dopo i due malviventi. L’ucraino Pawlo Lomakin è grave, ma dopo essere sottoposto a un intervento chirurgico, non rischia la vita. Personaggi → Cina → Xu Beihong Xu Beihong (Yixing, 1895 – 1953) è stato un artista cinese. Conosciuto soprattutto per i suoi shuimohua di cavalli e uccelli, dipinti a inchiostro cinese, e menzionato come uno dei primi artisti cinesi ad articolare il bisogno delle espressioni artistiche in modo da rifettere una nuova Cina moderna all'inizio del XX secolo, è considerato come uno dei primi a creare dipinti a olio monumentale con temi epici cinesi un'esibizione della sua alta competenza in una tecnica essenziale dell'arte occidentale. Xu Beihong era un maestro di oli e di inchiostro cinese. La maggior parte delle sue opere, tuttavia, erano in stile cinese tradizionale. Nei suoi sforzi per creare una nuova forma d'arte nazionale, unì la tradizione del pennello cinese con le sue tecniche ad inchiostro con la prospettiva e i metodi di composizione occidentali. Egli operò una valida integrazione tra la pennellata solida e sfrontata con la precisa defnizione della forma. Come insegnante d’arte sostenne la subordinazione della tecnica alla concezione artistica sottolineando l'importanza delle esperienze dell'artista durante la vita. Di tutti i pittori dell'epoca moderna, si può tranquillamente dire che Xu Beihong è l’unico pittore maggiormente responsabile per la direzione intrapresa nel mondo dell'arte moderna cinese. Le politiche innescate da Xu, all'inizio dell'era comunista continuano a controllare non solo la politica ufciale del governo verso le arti, ma a dirigere la direzione generale adottata nei vari collegi artistici e nelle università di tutta la Cina. Xu spinse costantemente i confni delle arti visive con le nuove tecniche e l’estetica prettamente internazionali nel tentativo di reinventare l'arte cinese. In realtà, la sua infuenza si estese oltre la Cina nei primi anni del ventesimo secolo. Molti artisti pionieri di Singapore come Hsi Chen Wen, Lee Man Fong e Chen Chong Swee videro in lui un mentore e un meritevole alla pari, condividendo il suo sostegno per osservare da vicino la natura e iniettare il realismo nella pittura cinese. Link: Una galleria di opere al Chine Online Museum Cultura → Albania → La montagna delle spose morte → di Gentiana Minga In una di quelle parti verdeggianti e fresche d'estate , grigie di autunno, montuose e piene di valli, laghi e fiumi del nord’Albania, dicono esista una montagna chiamata: “La montagna delle spose morte”. La legenda narra che un nefasto giorno, una domenica, due carovane nuziali s’imbatterono in una stretta gola. Siccome la tradizione vietava categoricamente la sospensione delle carovane nuziali, nessuno accettò lasciare libera la strada all'altro. Se le carovane non avessero continuato senza interrompere il cammino, sarebbero avvenute, secondo le superstizioni, tragedie inimmaginabili. Quel giorno, resisi conto della situazione, in un fulmine , i cavalieri scesero dai cavalli, muniti di fucili fino ai denti, e spararono ferocemente uno contro l'altro fino a che furono tutti morti. In uno scenario efferato, con l'odore della morte e gli echi della montagna, in un silenzio funebre, si racconta che scesero dalle carrozze, vestite di bianco e con un fucile in mano, le due spose, le ultime anime viventi della montagna, convinte oramai della terribile fine che le aspettava. Moriranno sparando contemporaneamente una verso l’altra. Questo è quello che narra la leggenda, ma in verità, i vecchi del nord raccontano che esistano sia La Montagna delle spose morte, sia nelle viscere di quella terra, i resti delle povere spose mai diventate mogli... Nelle zone montanare dell’Albania, i matrimoni erano un elemento potente, epico e tribale. La tribù, che da secoli non fosse stata disonorata in guerra e in pace, maritava più facilmente le femmine della casa. Era frequente che i matrimoni si combinassero mentre “la promessa sposa” dovesse ancora venire al mondo o, al massimo, fosse dentro la culla. Due erano gli elementi caratterizzanti l’inizio di un possibile matrimonio albanese.”Shkuesi” cioè il mediatore, o letteralmente in albanese chi, o coloro che vanno, e “ il fuoco”. “Shkuesit” è una persona (a volte due) scelta dalla famiglia del ragazzo con lo scopo di dar inizio a un possibile matrimonio. Lo ”Shkuesit” doveva essere intelligente, saggio e buon conoscitore delle tradizioni. Inizialmente, i mediatori, si recano in visita alla famiglia della candidata al matrimonio, bussano alla porta e mentre, come lo vuole la tradizione, vengono fatti accomodare dal padrone di casa vicino al caminetto, uno di loro, dopo due o tre scambi di rituali saluti, prende la molla e mescola lentamente in cerchi la brace. Appena compiuto il movimento, il padrone di casa capisce le intenzioni degli ospiti. Questo gioco con il fuoco trasmette il messaggio: ”Abbiamo intenzione di chiedere in sposa tua fglia”. Dopodiché si parla a lungo, piano e chiaro, decidendo il giorno nel quale il padre darà una risposta definitiva. Fino agli inizi dello XIX-esimo secolo, nelle zone lontane, sia nord che a sud, gli sposi non si conoscevano. Gli inviti ai matrimoni non esistevano, e i partecipanti erano avvisati tramite un “lajmes”, un messaggero. Il numero degli invitati non poteva essere minore di 100, e comunemente oltrepassava i 300, segno questo di un’appartenenza a una tribù allargata, e motivo di grande orgoglio. Altri elementi essenziale erano i cavalli e i fucili. Il giorno del matrimonio i parenti dello sposo, in carovana e armati, prelevavano la sposa: la stessa veniva portata, su una cavalcatura, dono della famiglia d'origine, coperta dalla testa ai piedi con una stofa pesante, chiamata “duvak” . Sui i cavalli veniva trasportata anche la “Paja”, la dote della sposa. La dote è un rituale: le madri albanesi cominciano, a preparare la dote per la fglia appena viene al mondo. Tuttora, preparare la dote alla fglia, è motivo di grande orgoglio. La dote di una sposa nella confezione di coperte e lenzuola, asciugamani e centrini, fazzoletti e calze, intimo e altro, spesso ricamati con fli d’oro. Tanti esempi di dote, oggi si conservano nei musei storici nazionali, come elementi di celebrità folclorica. Nel nord albanese, era uso di mettere tra le lenzuola bianche e ricamate , una pallottola. Questa rappresentava la concessione, da parte del padre della sposa al genero, della libertà di decidere sulla vita o la morte della fglia, se quest’ultima non avesse rispettato le usanze e disonorato il marito. Questa usanza venne contrastata sistematicamente dal regime comunista fno alla sua quasi scomparsa. Le Lacrime. Le lacrime sono tutt'ora un altro elemento del matrimonio albanese. La sposa deve piangere mentre passa la soglia della sua casa natale per “l’ultima volta”. In tempi passati, veniva mal giudicata la sposa che non provasse a versare almeno un paio di lacrime mentre abbandonava “ la vecchia vita”. Le tradizioni della montagna albanese nutrono un grande ammirazione per le tragedie, fno al suicidio. Mentre la carovana degli sposi si avvicina alla casa dello sposo, e la ragazza, coperta di velo, ha pianto, (o ha fnto di piangere lungo tutto il viaggio), la parentela dello sposo, scendendo, ancora una volta spara rafche di fucile per avvisare l’arrivo sano e salvo della sposa. Dopo di che iniziano canti e danze. Un giovane ragazzo si prende cura della preparazione del cibo, della sistemazione degli ospiti, della scelta dei vini, e soprattutto della “raki”, la cugina della grappa. Senza “raki” non si può fare la “dollia”, un' altra tradizione albanese. La “dollia” sarebbe una sorta di brindisi, ma svolto secondo procedure complesse, dove i partecipanti sorseggiando misure prestabilite di “raki” e devono portare il gioco al termine, possibilmente sani e salvi. Infrangere le regole della “dollia”,può metter a repentaglio lo stesso matrimonio. Mentre i partecipanti bevono e mangiano, la sposa aspetta lo sposo nella stanza da letto. Per entrambi, quella è la prima notte in tutti i sensi. Nella maggioranza dei matrimoni questo era un appuntamento al buio. Secondo l’usanza, lo sposo, dopo aver bevuto un po’, giusto per guadagnare un pizzico di coraggio, entra nella camera , spalancando la porta “forzato” da cugini e amici. Dopodiché la porta si chiude, i due rimangono silenziosi. Lui la vede per la prima volta, altrettanto lei. Sotto la luce foca di una lucerna, lui si avvia timido verso l’ignoto, lei si alza in piedi, pur sempre velata fno al petto, aspettando che sia lui alzi “il sipario”. L’attimo in qui lui sta alzando il velo sarà l’attimo in cui le fantasie notturne si materializzeranno, o decadranno in modo precipitoso. Qualunque sia l’esito della rivelazione, i due sono costretti a tenerne il peso, fnché morte non li separi. In certe zone, addirittura la sposa dorme la prima notte da sola, con un piccolo bambino maschio, che porterebbe fortuna alla coppia. Tutto questo riguarda i matrimoni con un grande rilievo autoctono - folcloristico, una particolarità delle zone montanare albanesi. Ma io vorrei descrivere un matrimonio tipico cittadino. Per fare tutto ciò cercherò di coinvolgere la tipicità di oltre una ventina di matrimoni, ai quali sono stata invitata personalmente. In linea generale in tutti i matrimoni nostrani elementi come la dote, il bambino piccolo, le lacrime della sposa, canti e danze nuziali sono comunque presenti. Mai pero ho avuto l'occasione di vedere la sposa su un cavallo bianco, o una carovana con fucili puntati verso il cielo. Ho visto, al posto del cavallo, una macchina abbellita e decorata a meraviglia, e al posto delle carovane, un fume di gente del quartiere dietro la macchina, che canta e danza battendo le mani. I bambini che lanciano caramelle e riso, e qualcuno, il più svelto che si avventa contro il fnestrino per vedere la sposa. La nostra più grande curiosità da piccoli era proprio questo: vedere la sposa. Per noi la sposa diventava una fatina, anche se un paio di giorni prima era la nostra vicina più antipatica! Nei matrimoni cittadini, gli sposi non devono vedersi per una settimana prima della festa, in modo che abbiano desiderio uno per l'altro. La festa comincia già il mercoledì: le porte della casa si aprono letteralmente per accogliere, con dolci e musica, gli amici della coppia fno a tarda sera. Giovedì la dote della sposa viene prelevata dai parenti dello sposo, mentre le donne di casa preparano il pane nuziale. E' un rituale che deve essere eseguito dalla parentela femminile dello sposo, che cantando e ballando preparano la pasta di pane ai ceci. Questo viene lasciato a lievitare tutto il giorno del giovedì, per cucinarlo venerdì, ai fni di usarlo la domenica. Il venerdì mattina, mentre le donne dello sposo cucinano il pane, anche la sposa manda qualcuno dei suoi con un regalo simbolico per lo sposo, una zucca e un’anfora riempita di vino. Il venerdì e il sabato saranno i giorni della sposa: di venerdì accoglie le sue amiche per festeggiare “l'ultimo giorno da nubile”, e il sabato festeggia con la famiglia la sua vita nuova. Quel sabato sarà un giorno per divertirsi con tutto il quartiere, giacché di solito si svolge nel cortile più grande e bello del quartiere. Non manca mai l’orchestra che accompagna le danze e i canti dei festeggianti. Sono immancabili anche i coinquilini che guardano dai balconi e fnestre, e nella maggiore parte dei casi scendono giù anche se non invitati, giusto per vedere da vicino, per gustare qualche piatto. I cibi vengono preparati sempre in abbondanza, e nella nostra psicologia di vita “se c'è per uno, ce n'è anche per due... e cosi via!”. Verso mezzanotte, nel bel mezzo della festa, tra canti e balli, arrivano i consuoceri della sposa, rigorosamente senza sposo. Rimangono poco, e vanno via appena conclusa, come lo vuole la tradizione, la danza dei consuoceri, un segno quest'ultimo di rispetto verso i parenti della sposa. Poi vanno via, in modo appariscente e gioioso. Domenica mattina, lo sposo deve andare a prendere la moglie. Di domenica comincia la festa dello sposo. Alle undici appare davanti alla porta della sua sposa, naturalmente in costume, mentre lei lo sta aspettando, vestita di bianco. In certi casi lui non può oltrepassare la soglia della porta se non rovescia una piccola pentola riempita di acqua, messa davanti alla porta. In altre città lui entra normalmente e mentre saluta tutti i famigliari della moglie, il fratello della sposa, invece di dargli la mano per salutarlo, gli da un piccolo schiafo sul viso. Questo, come segno di ricatto verso un eventuale maltrattamento fatto ai danni della sorella. Nelle famiglie allegre, con un genero disinvolto, gli schiaf vengono da tutte le parti... Al contrario, a un genero particolarmente serio e permaloso...lo schiafo gli arriverà come una carezza sulla guancia sinistra... Poiché la sposa si prepara a lasciare la casa dei suoi, il tratto della strada che lei attraversa dalla porta e fno alla macchina, viene bagnato da grappa. In sostanza si butta la grappa sopra la terra, dove deve passare la copia degli sposi novelli, e questo secondo le credenze, sconfggerebbe il malocchio. Ha la stessoa origine, anche la tradizione secondo la quale la sposa, prima di entrare nella macchina, lancia un uovo dietro le spalle. Mentre la macchina si avvicina alla casa del marito, fuori della porta sta aspettando la suocera,con il pezzo di pane ai ceci,e una piccola ciotola di vetro riempita di miele. La nuora tiene il pane in una mano, mentre con l'altra deve inflare il dito dentro il miele e toccare con questo la porta della casa. In altre usanze usanze, la suocera aspetta con un “llokum” in mano. La metà la morde lei, l'altra metà la nuora. Questo sottintende secondo i nostri studiosi, ad un patto obbligatorio tra le due donne, di passare la vita insieme, e possibilmente, in allegria...”Llokum” è un dolce tipico di tutte le nostre feste, ed in particolare nei giorni di matrimonio. E' un dolce delizioso, di lontane origini orientali, fatto di una pasta morbida, trasparente, color ambra, elastica e mescolata con pezzi grossi di noci, nocciole e mandorle. Viene servito tagliato in pezzi di tre centimetri(circa), spolverati con zucchero a velo. Completando il rituale, la sposa entra e si accomoda al suo posto (già prefssato).E’ lì che le depongono in grembo un piccolo bambino. Ecco che spunta anche qui “il piccolo bambino”. Nella città di Tirana, il bambino appariva nella stanza da letto,mentre la sposa veniva accompagnata a vedere la camera. Appena entra, trova questo “piccolo omino” sopra il letto. Si siede vicino e lei gli ordina di toglierle una scarpetta. Non esiste bambino da noi, che non sa cosa si trova dentro la scarpetta ! Lì di nascosto troverà una monetina d'oro. Adesso che ci penso,l a scelta del fortunato, era un motivo di grande litigate tra i famigliari dello sposo. Tutti bambini volevano essere tra le braccia della sposa o sopra il letto E visto che doveva essere maschio, la tristezza più grande di noi bambine era che mai abbiamo avuto possibilità di essere le fortunate. In certe usanze, non era il bambino che toglieva la scarpetta alla sposa, ma lo sposo,per poi riempirla di monetine d'oro. In quei tempi tutti gli auguravano una mogliettina con piede da bambina... Ricordo che tutti i bambini assistevamo all'apertura della dote della sposa, una meraviglia di ornamenti e ricami, tra i quali erano sempre inflate due caramelle e due gemme di garofani. Canti e balli nuziali I canti nuziali albanesi sono canti tradizionali, tramandati dall’antichità, parte della storia millenaria, ma anche di appartenenza regionale. Di solito i canti che accompagnano la festa cominciando dal mercoledì, fn l'ultimo giorno della festa, la domenica. Vale lo stesso anche per le danze , una parte indispensabile dello scenario nuziale albanese. Anche se ultimamente, con l'apertura dell’Albania verso l'Europa, certi rituali sono europeizzati, pare che la musica tradizionale,con i suoi canti e balli, non rischi minimamente l'assimilazione, cosa che si evidenzia anche nei matrimoni misti,e oltre i confni nazionali. I balli si svolgono secondo le tradizioni della regione, con regole predefnite, dove un gruppo di appartenenza sanguigna lo segue e lo guida con un signifcato preciso. L'altro gruppo, che appartenga all'una o all'altra famiglia , segue la danza seduto, per poi scambiare le parti. Ci sono sicuramente anche momenti durante la festa in cui tutti gli invitati ballano tra di loro con grande gioia e semplicità. La danza dello scapolo La danza dello scapolo è una danza sinfonica , dove lo sposo entra nel ballo circondato dagli amici che seguono il ritmo secondo movimenti circolari, veloci e lenti allo stesso momento. Mentre ballano, scherzano e scambiano battute tra loro, che mirano alla fne “triste” della vita da scapolo del loro amico. Nella parte fnale del ballo, si compie quella che è la fnalità della danza, cioè “L'incendio del fazzoletto della vita da scapolo”. Letteralmente, in uno dei momenti fnali della danza (e questo avviene quando i danzatori maschi non ce la fanno più a tirare avanti coi passi!), lo sposo tira fuori dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto, per l'appunto, il fazzoletto dello scapolo. Mentre uno degli amici tramite un accendino lo infamma, lo sposo deve tenerlo in mano , danzare e giocherellare,f ino a che quest'ultimo diventa cenere. La danza degli sposi è un ballo molto particolare. Di solito, quando arriva il momento di compiere questo ballo, si libera tutto lo spazio , tutti gli invitati si siedono a guardare gli sposi, magari di tanto in tanto ad accompagnarli battendo le mani, per poi raggiungerli in un secondo momento, quello della chiusura. Questo ballo è un momento magico per l'intensità con la quale i giovani vanno uno verso l'altro, i movimenti del corpo, il linguaggio delle mani e degli sguardi. In certe zone, al centro dello spazio si mette un tavolo. La sposa deve ballare sopra e lo sposo la segue da sotto girandole intorno.(Un modo di ballare questo ,devo precisare, odiato dalle mie amiche spose con un peso sostanzioso). Questo fnche si sentono esausti , stanchi,e desiderosi di riposo. L’indomani della festa L’indomani della festa segna l'ultima parte del rituale nuziale. In certe zone, la novella nuora si alza alle cinque del mattino per preparare il cafè ai suoceri. Dopodiché , lei e la suocera vanno verso la cucina per preparare quello che si chiama il “byrek” della sposa. Il byrek è un piatto molto apprezzato dalle famiglie albanesi: si trova in tutte le regioni balcaniche cosa che fa pensare che fosse portato dai turchi nei tempi dell’Impero Ottomano. La preparazione di questo piatto segna simbolicamente “un punto” in più a favore della nuora,che prova a essere anche una brava cuoca. Perciò,il primo giorno, la suocera e lei preparano per pranzo “byrek”, che viene servito agli ospiti, come il “byrek” della sposa. Ai giorni nostri, questo rituale è una messa in scena, poiché è la suocera che fa tutto, e la nuora fnge di preparare la sfoglia. Un altro rituale interessante da ricordare, è quello secondo il quale,appena svegliata, la giovane nuora si fa accompagnare dalle cognate , ad attingere l'acqua della fonte di famiglia, o del quartiere. Mentre arrivano, la nuora deve prendere l’acqua di una bacinella, e versarla tutta per terra, per poi riempirla di nuovo. Questo per compiere il rito del “patto della sposa(membro nuovo della famiglia e della comunità) con le fate della casa e le fate della fonte. Nello svolgimento di tutto ciò si mormora:” la prima acqua va alle fate,la seconda alla sposa” I tempi sono cambiati in Albania, e con essi anche i matrimoni. Certi “ornamenti” purtroppo sono “modernizzati” . Il ristorante elegante e costoso ha sostituito il grande e generoso cortile dove tutto il quartiere festeggiava; il massimo di cento ospiti scelti con grande attenzione e cura, sostituito dai 300 -400 ospiti invitati tramite inviti scritti ,e quelli comunicati in modi del tutto originale. Fortunatamente però, ancora nei nostri festeggiamenti nuziali non mancano mai né il rituale della dote, né quello della suocera che aspetta con miele davanti alla porta, né il piccolo bambino “porta bebè” che spunta dappertutto. C'è un altro particolare da aggiungere alla fne di questo scritto. Quello che succede oggigiorno, quando due carovane nuziali si scontrano in una stretta valle della montagna. Mi raccontavano che da quel giorno nefasto,le due eventuali malcapitate carovane, si fermano, scendono dai cavalli, e s’incontrano amichevolmente. Scambiano le sigarette, fumano e parlano un bel po’ di tutto e di più. Se si trovano vicino a un fume, si danno insieme una rinfrescata. Alla fne si salutano e salgono sui rispettivi cavalli per proseguire nelle direzioni opposte . Mentre le due carovane si sforano, dalle piccole fnestrine oscurate delle carrozzine nuziali, spuntano fuori due fazzoletti bianchi. Stanno così, fuori per aria, fnche non si vede più neanche l'ultimo cavallo. Sono i fazzoletti delle due spose, che in ricordo delle spose morte augurano l’una all’altra pace, fortuna, e amore. Fiabe popolari → Sinti → Ruk e Tikno Devel In un piccolo paesello sperduto tra le montagne del Tirolo viveva una povera madre con i suoi fglioletti in una misera e gelida carovana. I tre fratellini si chiamavano Ruk, il più grandicello di sette anni, Tana, di cinque e la piccola Patrin di tre. Il loro babbo, poveretto era stildo. La mamma, ammalata, non poteva alzarsi dal misero giaciglio; Ruk aiutava la mamma, assisteva le sorelline come poteva, raccoglieva la legna, accendeva il fuoco, prendeva l'acqua. Quando la fame era più forte ed acuta, Ruk andava manghél, bussando alle porte con le manine gelate dal freddo. Chiedeva un po' di latte per la mamma, per le sorelline; ma spesso lo scacciavano, dicendogli: "Vattene piccolo vagabondo! Va' via! Non abbiamo nulla per gente come te". Afamato Ruk tornava piangendo alla carovana. La mamma allora lo stringeva al cuore e gli sussurrava: - Mro tikno Ruk ... non piangere... abbi fede. Gesù bambino ci aiuterà. - Mamma, perchè mi chiamano vagabondo? - Non farci caso, cuoricino mio! Un vero sinto non fa mai caso a quello che dicono i gagé... - Mamma, se avessi una chitarra! Andrei a suonare e così non mi chiamerebbero più vagabondo. Non ti pare? - Ma sì, tikno Ruk... ora però fai la nanna! Quella notte Ruk sognò che giocava con Gesù Bambino. - Dimmi, tikno Ruk - disse Gesù - la vorresti una chitarra? - Oh, sì, tikno Devel. - Allora vieni con me! Lo prese per mano e via di corsa attraverso un prato, proprio come due piccoli amici. - Ora, mro tikno Ruk, vedrai che chitarra ti costruisco. Sai, non per nulla sono falegname. Gesù Bambino si mise dietro al banco ed in men che non si dica fabbricò una bellissima chitarra. Al mattino Ruk si svegliò felice come una pasqua, aprì gli occhi e... indovinate che cosa vide al suo fanco? La chitarra che Gesù bambino gli aveva fatta nel sogno. Nessuno seppe mai da dove fosse venuta qualle chitarra ma una cosa, bambini, è sicura: Gesù Bambino esaudì tutti i suoi desideri. La mamma guarì in breve tempo, il babbo ritornò e nel cuore di Ruk e dei suoi fratellini riforì la gioia. E quando tornò la primavera ripresero a girare felici e contenti... Arte → Portogallo → gli azulejos L'azulejo (pronuncia: portoghese asulèsciu; spagnolo asuleho) è un tipico ornamento dell'architettura portoghese e spagnola consistente in una piastrella di ceramica non molto spessa e con una superfcie smaltata e decorata. Tradizionalmente ha forma quadrata e misura circa 12 cm di lato, anche se in molte decorazioni ha forme diferenti. L' azulejo non è sempre stato come lo conosciamo oggi, di forma quadrata. Esso è il successore degli alicatados spagnoli, che furono portati nella Penisola iberica, dagl'invasori arabi. A partire dal secolo XIII, nel levante spagnolo, particolarmente a Valencia, così come nel sud, a Siviglia e Granada, i vasai, sotto l'infuenza musulmana, producevano lastre di argilla liscia smaltata e colorata, ritagliate con pinze (alicates). Questo spiega il termine alicatado, dallo stile delle composizioni, generalmente per pavimenti ma anche, qualche volta, per superfci parietali. Link: Una galleria di magnifci azulejos Auguri a → Le feste nazionali dei nostri nuovi cittadini Gli auguri ai nostri nuovi amici delle comunità di: 3 luglio: Bielorussia (Festa nazionale) 5 luglio: Algeria (Festa dell'Indipendenza) 5 luglio: Capo Verde (Giorno dell'indipendenza) 13 luglio: Montenegro (Giorno dell'indipendenza del 1878) 20 luglio: Colombia (Indipendenza dalla Spagna) 22 luglio: Polonia (Anniversario della liberazione dopo la II Guerra Mondiale) 23 luglio: Egitto (Festa nazionale) 26 luglio: Cuba (Anniversario dell'assalto alla caserma Moncada) 28 luglio: Perù (Festa dell'indipendenza dalla Spagna) Parole dal mondo → bengali Il bengali (o bengalese, la lingua del Bangladesh) è una lingua indoeuropea, della famiglia delle indoiraniane, che si è evoluto dal sanscrito (del quale ne mantiene l'aspetto dei caratteri), dal pali e dalle lingue pracrite. La sua comunità è molto forente nella nostra provincia, pertanto vediamone alcuni vocaboli. Buongiorno: suprabhata Benvenuto: sbagata Grazie: Dhan'yabada Arrivederci: Bidaya Chi dice cosa? Quali afermazioni appartengono a quale religione? Proponiamo al lettore un piccolo test, per poter saggiare la propria opinione e le proprie convinzioni sulle religioni proprie ed altrui. Vi invitiamo ad abbinare a ciascuna delle seguenti afermazioni, contenuta in un testo sacro, la relativa religione. Nell’ultima pagina troverete i corretti abbinamenti. Per le afermazioni che contengono il nome della divinità o altri riferimenti troppo defnibili, questi sono stati omessi o modifcati, per non rendere ovvia la soluzione (per esempio al posto di Allah, scriveremo Dio, o per apostoli, scriveremo seguaci ecc.) 1.- Tutte le creature sono fglie di Dio. 2.- Non fare agli altri ciò che ti dispiacerebbe fosse fatto a te. 3.- Non uccidere. 4.- L'amore non fa male alcuno al prossimo. L'amore, quindi, è l'adempimento della legge. Le soluzioni a pagina 14 Statistiche: Burkina Faso In Burkina Faso, nel 2010: La vita media di un uomo: 52 anni Mortalità infantile <5 anni : 16,6 % Mortalità materna: 560** Analfabetismo: 0,4 % Medici per ogni 1000 abitanti: 0,06 Posti letto per ogni 1000 ab.: 0,9 Calorie ab/giorno: 2670 Accesso acqua potabile: 76 Bambini sottopeso: 22,7% Auto per 1000 abitanti: 6,9 In Italia, stesso periodo: Vita media di un uomo: 78 anni Mortalità infantile <5 anni: 0,4 % Mortalità materna: 3** Analfabetismo 1,6 % Medici per ogni 1000 abitanti: 4,24 Posti letto per ogni 1000 ab.: 3,7 Calorie ab/giorno: 3660 Accesso acqua potabile: 100* Bambini sottopeso: nessun dato Auto per 1000 abitanti: 601 *per l’accesso all’acqua potabile, mancando il dato italiano, è stato preso come riferimento il dato relativo alla Francia ** numero di donne morte ogni 100.000 nati vivi Fonte: “Istituto Geografco De Agostini” 2012 Pinocchio a Sarajevo → di Arian Leka “Arian Leka è uno degli scrittori e poeti contemporanei più celebri, dopo la caduta del regime dittatoriale dell’Albania, oltre che musicista ed editore, saggista e traduttore. Nato a Durazzo (Albania) nel 1966 studia fauto al Liceo “Jan Kukuzeli” di Durazzo, prosegue i suoi studi presso la Facoltà di Lettere e Filologia dell’Università di Tirana, dove si laurea nel 1992 in lingua e letteratura albanese. Parte della sua produzione letteraria è stata pubblicata in lingua tedesca, italiana, croata, rumena, inglese e giapponese. Fino ad ora conta oltre 15 libri pubblicati, tra poesie e romanzi, raccolte di leggende dal mondo e libri per bambini. E’ stato onorato per il suo spiccato talento con molti premi letterari in Albania e all' estero. E’ il fondatore del Festival Internazionale di Poesia e Letteratura, ” Poeteka”, promosso per la prima volta nel 2005, festival che raduna ogni anno poeti nazionali e internazionali. Ora vive a Tirana, dove lavora come decano presso l’Università di Belle Arti, sezione Drammaturgia, critica teatrale, scenografca, e storie delle civiltà, oltre al lavoro come editore e capo redattore della rivista letteraria “Poeteka”. Il pezzo su Sarajevo è stato pubblicato nel giornale “Gazeta Shqiptare”. E’ probabile, (stavo pensando mentre segnavo la fne di questi ricordi sulla carta), che Pinocchio, che come sappiamo è nato in Italia, aabbia passato nei Balcani alcuni momenti della sua infanzia. Soprattutto quelli descritti nel XVIII-, esimo capitolo, lì dove Pinocchio si rivede con la Volpe e il Gatto, e parte per seminare le quattro monetine d’oro nel Campo delle Meraviglie. Sperava che piantandole, le monete potessero aumentare, e lui sarebbe diventato un ragazzo ricco, un bravo ragazzo, un vero ragazzo... Con questo paradosso epico nella mente vanno l'uno verso l’altro i Balcanici di oggi. Basta un po’ di conoscenza, anche superfciale, per l’altro, due o tre nomi, un paio di canzoni, qualche piatto comune, una sorta di curiosità snobbante verso i fatti e gli avvenimenti ereditati dalla cultura, dalla storia e dal vivere insieme, che tutto si completa come nel sogno di Pinocchio. Queste righe sono frammenti del diario tenuto nel giugno del 2011 dallo scrittore, quando, tramite la borsa Europian Writers and Translatores in Resistence, rimase per un mese a Sarajevo! E'cosi che senti dire spesso nelle canzoni che i paesani cantano con tanta passione alla città: “ Sarajevo grade moj”; “Sarajevo ljubavi moj”. Non mi sentii solo quando arrivai. Quattro punti di orientamento bastarono per sentirmi come a casa. Nelle terre di questa città nacquero le fgure più spiccate della nostra storia, dal traduttore Robert Shvartz, al famoso attore albanese Bekim Fehmiu, conosciuto soprattutto nel ruolo dell’Odissea. Dalla prima notte ricorderò il fume: Miljacka, che percorre e divide Sarajevo in due parti. Direi che il verbo “divide” non è quello giusto per un fume che percorre una città. Questo poiché, appena usciti dal Bašèaršija, dove insieme con i miei cari amici Hana Stojiæ e Saša Gavriæ, fnimmo il ritto del battesimo di benvenuto nella città, ci apparse davanti, un ponte di pietre bianche. Latinski Most- conosciuta per via dell’Arciduca ausro-ungarico, Franz Ferdinand, l’uccisione del quale su questo ponte , divise il mondo in alleati e nemici. Difcile capire i simboli di questa città, dove tutto quello creato per dividere, in realtà unisce. Il fume Miljacka scorre tranquillo e senza rumore sotto i quattro archi del ponte. Sembra che non sia un fume, ma semplicemente un animaletto addomesticato, al quale la padrona, una signora dalle mani invisibili scaraventò sul collo dieci ponti in forma di colletti fatti di pietre e ferro. Combinato cosi la porta in giro ogni sera, quando la città è meno umanizzata. Il buonumore di Sarajevo non è semplicemente una provocazione della risata, ma segno di dignità, una ”proflassi” , un gemello della medicina popolare, che gli abitanti ti ofrono nei saluti tra le strade, nelle piccole osterie dove si cucinano piatti della tradizione orientale, nei nomi dei bar e ristoranti; fno ai discorsi d’inaugurazioni promozionali, come ho avuto l’occasione di vedere di persona, all’apertura del nuovo cinema” Kriterion”. L’ironia, da come ho percepito, non è merce per gli autoctoni. Si usa tranquillamente nel “export”, come merce venduta ai turisti, in forma di T-Shirt, addosso a questi ultimi mentre passeggiano pacifcamente, con scritte del tipo “ Rakija correcting people”, per citarne una … Il casuale non tenta di diventare intenzionale nei vicoli di Sarajevo.E’ semplicemente li. La strada dell’appartamento dove abitai per un mese,”Konak”, sembrava una strada eclettica a prima vista. Saliva tra gli alberi aromatici di tiglio e tra le ombre di tanti alberi a me sconosciuti, per unire in un punto, tre oggetti che non potranno mai essere insieme in modo del tutto naturale. Due di loro sono sacre. La terza no. La prima è “Careva d.amija”, la Moschea Re, regalo del Sultano Mehmet II e ultimata per ordine del Suleimano Il Magnifco, una delle più antiche costruite in Bosnia, bellissima, pacifca, con atrii interni, e fori cadenti, iscrizioni, ornamenti e fontane, un minareto triangolare , con sepolcri antichi dove riposano i più devoti della fede. Un orologio aiuta i credenti di controllare i tempi dei rituali, e in un piccolo angolo potresti assaporare un cafè tipico orientale “ bosanska kafa”. La seconda, è la cattedrale francescana, con cupole, croci e campane, dentro la quale si trovano opere d’arte in mosaico e legno scolpito, temi religiosi in stilistica moderna. La terza è la fabbrica di birra, sulle pareti della quale, in una calligrafa quasi gotica è scritta “ Sarajevska pivara”. Stranamente anche lei, con l’architettura quasi religiosa, cupole stilizzate, balconi, simboli del bicchiere, con i cancelli, le fnestre alte, la pubblicità girevole e una torre dell’orologio illuminato di notte. Anch'essa in qualche modo, un tempio dove si adunano gli adoratori di Dioniso. A Sarajevo non devi trovare una mappa o una guida turistica. La città è cosi intima che deve essere scoperto da sola. Ma se te ne regalano una, la sfogli, o fai fnta di dimenticarla da qualche parte. E’ un libretto dove ti segnano i posti da visitare, i ristoranti e i bar dove puoi divertirti. Ma la devi lasciar perdere, proprio perche è turistica, cioè non intima, ma pubblica, non fatta per te, come ti ofrono molte cose in questa città. A Sarajevo si dice che chi viene, non lo fa per prendere o dare, ma per entrare in relazione con l’anima che questa città ti regala gratis, di nascosto o alla luce del sole, nelle piccole piazze chiuse e tra le strade. Questo mondo multiculturale, che si sveglia presto e va a dormire tardi, conserva qualcosa di meglio che le liturgie delle guide turistiche che cominciano con le domande: “ Where to stay?” “ What to visit?”. A Sarajevo viene quasi sempre la voglia di ricordarsi del verbo “ Torni!”. Sorseggiando l’acqua “del non oblio”, che scorre dai due beccucci di ottone ammorbidito, dai tocchi sporgenti, dalle pareti interni della moschea di Gazi Husrev Begut: è come prenotare un biglietto di ritorno. Il contrario delle acque del mitologico del fume Lethe, che istiga i non ricordi e i non ritorni, suscita la dimenticanza. Forse questo è il signifcato nel consiglio di bere l’acqua nella moschea di Gazi Husrev Beut. Ritornare in questo posto sacro signifca ritornare nella memoria. Bere acqua da li signifca non dimenticare maidi tornare in Sarajevo. Alla fne, per conformare un po’ quello che vi ho raccontato, dato che è cominciato con Pinocchio, deve fnire con Pinocchio. Perciò ,d evo riprodurre un parte del dialogo nel XVIII- esimo capitolo del libro: “ E le quattro monete d’oro dove le hai messe?”,chiede la Fatina a Pinocchio.” Le ho perse”,risponde lui. “Ma dove le hai perse?”domando.”Nella foresta qui vicino” rispose ancora il burattino. ”Se le hai perse nella foresta qui vicino, le cercheremo e le troveremo. Perche tutto quello che si perde nella foresta vicino a te, si trova!” dice la Fatina. Il testo viene pubblicato su autorizzazione dell'autore (Arian Leka) © copyright Arian Leka 2012. Traduzione di Gentiana Minga Giochi → Giappone → Soft tennis Il soft tennis è uno sport simile al tennis e di origine giapponese (infatti è anche conosciuto come tennis giapponese), tuttavia la sua federazione sportiva internazionale, la International Soft Tennis Federation, ha sede nella Corea del Sud. La diferenza principale tra il soft tennis e il tennis normale sta nella pallina, infatti nel soft tennis deve essere di gomma morbida invece che di materiale duro. Altra diferenza, sempre riguardo al materiale di gioco, è nel manico della racchetta che è più lungo di circa il 50% rispetto a quello di racchetta da tennis tradizionale, la sua lunghezza è infatti più simile a quella di una racchetta da pallacorda. Le regole ed i punteggi sono i medesimi del tennis. La prima edizione dei campionati mondiali di soft tennis ebbe luogo nel 1975 alle Hawaii Link: Il sito della Federazione Internazionale Una partita di soft tennis Strumenti musicali → Cina → Guzheng Il guzheng, scritto anche gu zheng o gu-zheng (in cinese 古 箏|古箏, traslitterazione in pinyin gǔzhēng), chiamato anche semplicemente zheng, è uno strumento musicale tradizionale cinese. Lo strumento fa parte della famiglia delle cetre ed è dotato di 21 corde e veniva originariamente utilizzato dalle orchestre che suonavano alla corte imperiale cinese, mentre risale solo al XIX secolo il suo uso solistico. Si suona con l'utilizzo di un plettro con la mano destra, con il quale si pizzicano le corde, mentre la sinistra viene utilizzata per premere le corde stesse ed ottenere note di diverso timbro ed altezza. Link: Una stupenda esibizione di guzheng Scrittori → Ucraina → Tetyana Gordiyenko Tetyana Gordiyenko è arrivata dall’Ucraina in Italia nel 2003. Laureata in Lingue e Letterature straniere a Torino, vive in una splendida valle alpina, dove divide il suo tempo tra il lavoro di traduttrice letteraria, la passione per la scrittura e il suo ruolo di mamma. Gordiyenko è autrice del libro "I cavalieri di Re Lev e altre fabe dall'Ucraina" – una raccolta di favole popolari ucraine, scritte in lingua originale con traduzione a fronte; racconta di valorosi fabbri e misteriosi cavalieri dall'armatura d'oro che appaiono nel pieno della notte, giovani contadini e fori rari dai poteri magici e anche "classiche" mogli chiacchierone e furbissime volpi. Questi e tanti altri protagonisti afondano le loro radici nelle antiche tradizioni ucraine. La lettura permette a tutti i bambini, fgli degli immigrati ucraini o di italiani, di conoscere la letteratura popolare di questo afascinante Paese. La scrittrice ha partecipato anche al VI Concorso letterario nazionale Lingua Madre, aggiudicandosi il Premio Speciale Slow Food con il racconto chiamato "Tutto sul cafè". “Prende spunto – dice - da un vecchio libretto che ho portato con me da casa dei miei. Si tratta di una brossura che racconta ‘tutto sul cafè’, la bevanda che accompagna me, come molti altri, nella vita”. Citazioni → Martin Niemoeller "Prima vennero per i comunisti e io non alzai la voce perché non ero un comunista. Poi vennero per i socialdemocratici e io non alzai la voce perché non ero un socialdemocratico. Poi vennero per i sindacalisti e io non alzai la voce perché non ero un sindacalista. Poi vennero per gli ebrei e io non alzai la voce perché non ero un ebreo. Poi vennero per me e allora non era rimasto nessuno ad alzare la voce per me." Cucina → Giappone → Tempura di gamberi Proponiamo questo mese una ricetta giapponese. Tutti conoscono l'ottimo sushi (amato da moltissimi itaiani) ma molti sono i piatti meno noti. Qualcuno conoscerà il tempura, ma crediamo che non siano in molti ad aver provato a cimentarsi a farlo. Bene, vi proponiamo una facile ricetta e vi invitiamo a provarci. Fateci sapere come vi è riuscit. Prendete i gamberi, togliete la testa, sgusciateli lasciando la coda. Incidete i gamberi lungo la schiena e rimuovete il flo nero. Partendo dalla testa verso la coda schiacciate delicatamente la polpa, vedrete che così facendo il gambero si allungherà. Riponete i gamberi così preparati in un contenitre che dovrete ricoprire con della pellicola trasparente. Preparate la pastella per la tempura miscelando la farina con tanta acqua e ghiaccio quanto basti per ottenere una pastella piuttosto liquida. Passate velocemente i gamberi nella pastella afnchè ne vengano completamente ricoperti. Quindi prendetene uno per la coda e muovetelo avanti e indietro nell'olio bollente 3-4 volte prima di lasciarlo, questo vi permetterà di mantenere i gamberi belli dritti. Una volta fritti tutti i gamberi, impiattate e servite con della salsa per tempura. Gastronomia → il Senegal La cucina senegalese è considerata fra le migliori di tutta l’Africa. Gli ingredienti base di ogni piatto sono il pollo o il pesce, accompagnati da riso e verdure. Ogni regione utilizza spezie particolari e spesso uniche. Tradizionalmente i pasti vengono accompagnati da tè alla menta. Viene servito anche il vino di palma che, essendo una bevanda fermentata, va bevuto con una certa moderazione. Il toufam è una bevanda a base di yogurt e acqua tiepida. Il cafè è simile a quello turco con l’aggiunta di pepe o cardamomo. Tra le virtù fondamentali del popolo senegalese la “teranga” è sicuramente la più famosa. Teranga è una parola che si può sommariamente tradurre come ospitalità ma che in realtà esprime molto di più: accoglienza, attenzione, rispetto, gentilezza, allegria e il piacere di ricevere un ospite nella propria casa. Lo straniero accolto in casa è coccolato e vezzeggiato, gli sono concessi diritti straordinari, per lui vengono cucinati i piatti migliori, con gli ingredienti più pregiati. I pasti sono momenti molto importanti di condivisione, raforzano la coesione del gruppo e la solidarietà. Agli ospiti, soprattutto se stranieri, sono riservati i piatti migliori, ben guarniti con verdure colorate e insaporiti con i pesci e la carne più pregiati. In realtà l'alimentazione quotidiana di molti Senegalesi, soprattutto nelle zone rurali e nei quartieri più poveri delle città è meno ricca e varia di quanto non possa sembrare a prima vista. In alcune famiglie non è sempre possibile servire due pasti al giorno e quindi ci si concentra su quello di mezzogiorno, magari sostituendo il pregiato cof del ceebu jén con pesci meno costosi come gli yaboy e limitando moltissimo l'uso delle verdure oppure, lontano dal mare, preparando piatti semplici a base di miglio e tapioca (fecola di manioca). La sera ci si arrangia come si può. Per le famiglie più fortunate, invece, la giornata è scandita da tre pasti: COLAZIONE Le bevande più difuse sono l'infuso di duté, il latte in polvere e il cafè solubile, alcuni bambini aggiungono al latte il Sénécao (cacao in polvere di produzione senegalese). Qualcuno beve cafè Touba, insaporito con jarr (una spezia aromatica e leggermente pepata) e pochissimi consumano latte a lunga conservazione. Per colazione si mangia soprattutto pane (la tipica baguette francese ormai difusa in quasi tutto il Senegal) accompagnato da tonno, formaggio, maionese (nella versione tradizionale o in quella, bianchissima, fatta dai Peul con latte e senza uova) e cioccolato. I più afamati si concedono anche un panino con il gruviera, il saucisson di manzo o la frittata e da qualche anno esistono anche marmellate di produzione senegalese. In molte case, comunque, a colazione si riscaldano i resti della cena del giorno precedente. PRANZO Il pranzo è il pasto più sostanzioso e per molti Senegalesi, soprattutto per i wolof che abitano le coste, equivale a ceebu jén con l'unica variante del colore (bianco o rosso). Il riso utilizzato dai Senegalesi è spesso importato dall'Asia, anche perché quello di produzione locale non copre il fabbisogno nazionale; fu introdotto nel paese dai coloni francesi alla fne del 1800 e proveniva dai loro possedimenti in Indocina (l'imposizione della monocoltura dell'arachide aveva sottratto la terra per l'agricoltura di sussistenza). Il riso brisé, quello i cui grani appaiono molto piccoli perché non interi, è quello più apprezzato perché più adatto alla preparazione del ceebu jén. CENA Per cena vengono serviti piatti più leggeri e più vari: insalate accostate a carne, pollo o pesce, frir, bulett (polpettine di pesce) da mangiare con il pane, risi chiamati bagnati (ceebu toy, ad esempio il daxinn, lo mbaxall o il cosiddetto ceebu tatu naar), cucinati in modo simile al risotto italiano, cuscus o pasta (spaghetti o piccoli maccheroni) accompagnati da carne e sugo di cipolle, la supp e infne il tradizionale cérè, cuscus senegalese a base di miglio che può essere consumato con una salsa a base di carne e verdure o servire da base per la preparazione di dolci. DOLCI I dolci non vengono quasi mai gustati a fne pasto: possono sostituire la cena o la colazione, ad esempio il lax durante i battesimi e la mattina della Korité o lo ngallax il giorno di Pasqua, oppure essere serviti durante periodi particolari (molto apprezzato il caakry nelle notti del mese di Ramadan). Enologia → i vini del Libano Nel 1857 i gesuiti fondarono le cantine di Ksara nel Libano che, ancora oggi, sono le più grandi del Mediterraneo orientale. Nel Libano sul versante orientale del Monte Barouk, sulla valle della Bekaa e a fanco dei colpi di cannone, c’è un vigneto di 130ha quasi tutto a Cabernet e Cinsault da cui si produce un vino superlativo, aromatico e serbevole per decenni: è Chateau Musar di Serge Hochar. Sempre in Libano Chateau Kefraya produce vini da bere giovani. Soluzioni a “Chi dice cosa? Quali afermazioni appartengono a quale religione?” 1.- Tutte le creature sono fglie di Dio*. (Islam – Hadit di Baihaqi) *Nota: nel testo “Allah” 2.- Non fare agli altri ciò che ti dispiacerebbe fosse fatto a te. (Induismo – Mahabharata Parva 113:8) 3.- Non uccidere. (Ebraismo – Libro dell'Esodo 20:13) 4.- L'amore non fa male alcuno al prossimo. L'amore, quindi, è l'adempimento della legge. (Cristianesimo – Lettera ai Romani 13:10)