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Martedì, 2 febbr
Sipario
Patrizia Milani Pagine 2 - 3 / LA RECENSIONE Orson Welles’ Roast/
La professione della signora Warren Pagine 4 - 5 / TEATRALIA Pagina 6 / ANTEPRIMA I raccomandati Pagina 7 /
CARNET PALCOSCENICO Il cartellone del mese Pagina 8
UN CAFFÈ CON...
2 palcoscenico
UN CAFFÈ CON...
Patrizia Milani
Martedì, 2 febbraio 2010
Patrizia Milani
atrizia Milani ha oltre trent’anni di carriera artistica alle spalle. Ha frequentato il repertorio classico da Euripide a
Shakespeare, da Beaumarchais a Goldoni; si è
misurata con testi di Ibsen e Strindberg, Shaw
e Pirandello; ha lasciato il suo segno in spettacoli di maestri del ‘900 come Brecht, Beckett o
Dürrenmatt. Ha fornito prova di non comune
versatilità affrontando anche il teatro comico,
da Feydeau a Dario Fo e soprattutto ha profuso intelligenza e sensibilità come interprete di
testi di confine: “Anni di piombo” di Margarethe von Trotta, “Libertà a Brema” di Rainer
Werner Fassbinder, “L’Arialda” di Giovanni
Testori e “La brigata dei cacciatori” di Thomas
Bernhard, per citarne alcuni. Patrizia Milani è
lombarda di nascita, diplomatasi alla milane-
P
se Accademia dei Filodrammatici, inizia la sua
carriera al fianco di grandi nomi come Lilla
Brignone e Olga Villi. Avviata al palcoscenico
da Bosetti, Guicciardini e Carriglio, nel 1988 si
è trasferita a Bolzano dove ha promosso con il
direttore dello Stabile, Marco Bernardi - di cui
è diventata la compagna - un sodalizio artistico decisivo per il consolidamento del teatro altoatesino. Ama cimentarsi in testi di autori contemporanei, tra cui “Gassosa” di Roberto Cavosi e “Musica a richiesta” del tedesco Franz
Xaver Kroetz per la regia di Cristina Pezzoli.
È al momento probabilmente la miglior interprete goldoniana. In questo periodo è in tournèe con “La professione della Signora Warren”
di George Bernard Shaw prodotto dallo Stabile
di Bolzano.
di Rossana Poletti
solo centomila abitanti, di cui
65mila sono italiani, le proporCosa vuol dire fare teatro a zioni si invertono sul territorio
Bolzano dove l’italiano è lin- della provincia dove invece gli
gua minoritaria?
italiani sono molti di meno rispetHa una funzione importante to ai tedeschi) il teatro abbia una
fare teatro in questi posti, per- grande importanza storica. Queché la comunità italiana si ri- sto avviene perché la comunità si
conosce in noi, in quello che riconosce nel teatro e lo sostiene
proponiamo, si riconosce nel attivamente.
teatro che è anche punto di agTeatro
gregazione per la comunità stessa. Il Teatro Stabile di Bolzano
per crescere
ha una lunga e solida tradizione
Da ciò si evince quindi che,
proprio per questo motivo, altrimenti non si spiegherebbe come nonostante le nuove tecnologie
in una città piccola (Bolzano ha tentino di scalzare cinema e in
Il pubblico è diffidente sui testi
contemporanei perché
non sempre sono capolavori,
ma fra tante cosa qualcosa
di interessante si trova.
È giusto dare la possibilità
di andare in scena
particolare teatro, quest’ultimo
resta fondamentale sul territorio per la crescita culturale delle genti.
Questo lo vediamo anche durante le tournée quando andiamo
a recitare in città che hanno la tradizione di un teatro stabile, rispetto alle altre città in cui questa tradizione non c’è. La differenza è
enorme, il pubblico là dove è stato abituato è più consapevole, più
interessato e curioso, capace di recepire quello che gli si dà. Altrove
il pubblico è più distratto, meno
preparato. Qui a Trieste poi (ndr
Patrizia Milani è al momento dell’intervista in scena alla Contrada di Trieste con “La professione
della signora Warren”) il pubblico
è particolarmente preparato e tutti noi teatranti siamo felici quando possiamo cimentarci con queste platee.
Se adesso
sono qui...
Recentemente è scomparso
Giulio Bosetti, un personaggio che ha avuto un ruolo im-
Fare teatro dove l’italiano
è lingua minoritaria è importante:
la comunità italiana si riconosce
in noi, in quello che proponiamo,
si riconosce nel teatro che è anche
punto di aggregazione
per la comunità stessa
portante nella sua vita teatrale. Lei aveva lasciato le scene
e Bosetti…
Mi ha ripescato, mi ha costretto a tornare in teatro. Ho debuttato con il grande Orazio Costa,
avevo fatto in seguito altre cose
importanti, poi per motivi miei
personali avevo deciso di lasciare, di laurearmi e smettere con il
teatro. Ero molto combattuta, ma
la mia vita privata mi chiamava.
In precedenza, a 22 anni, avevo
fatto con Giulio una figliastra nei
sei personaggi pirandelliani. Credo di essere stata la più giovane
figliastra del teatro italiano, perché Giulio, lo devo dire, ha avuto
sempre il merito di andare a cercare giovani di talento, cosa che ha
fatto per tutta la vita, anche negli
ultimi anni. Ha sempre provato
giovani attori e attrici, sostenendoli quando riteneva avessero le
giuste qualità. Smisi con il teatro
proprio dopo questa prova, e rimasi ferma per circa un anno e
mezzo. Bosetti intanto aveva fatto
un Pigmalione con Nada Malanima, l’anno dopo lei non fu più disponibile e così ricevetti una sua
telefonata: “non mi puoi abbandonare adesso, devi venire a sostituire la Nada nel Pigmalione”.
Alle sfide
ho risposto
Poi è arrivato il Teatro di Bolzano nella sua vita e con questo titoli molto impegnativi: “La professione della signora Warren” quest’anno, l’anno scorso “Il Gabbiano” di Cechov, poi Fassbinder…
Poi Strindberg e tanti altri.
Devo dire che ho avuto una grande possibilità di esprimermi. Se ad
un attore vengono dati ruoli impegnativi vuol dire che li può sostenere. Un’azienda non sarebbe tanto sciocca da esporsi senza risultati. Credo di aver fatto abbastanza
bene quello che mi è stato chiesto.
Ho lavorato con serietà ed entusiasmo, con passione e i risultati sono
venuti, i premi sono arrivati, le critiche sono state positive. Mi sento
abbastanza amata e quindi spero di
poter fare ancora qualcosa.
Opportunità
al «nuovo»
Per tanto cosa c’è nel futuro?
Nel futuro prossimo c’è un
testo contemporaneo, perché mi
piace fare testi di autori nuovi.
C’è un testo scritto da Maurizio
Donadoni, un nostro collega at-
Giulio Bosetti mi ha ripescato
e mi ha costretto a tornare in teatro.
Per motivi personali avevo deciso di
lasciare: la vita privata mi chiamava.
Un giorno ricevetti la sua telefonata:
“Non mi puoi abbandonare adesso”
ed ho capito che questo era proprio
il mio mestiere
Da allora ho capito che questo era
proprio il mio mestiere.
Andava controcorrente quindi Bosetti; generalmente gli attori, ma non solo, temono tutto ciò
che di nuovo avanza?
Credo che sia una questione
di intelligenza riuscire a capire
che ogni epoca ha le sue bellezze. Arrivati ad una certa età non
si possono più ricoprire certi ruoli
e quindi è meglio trovare giovani
bravi che li facciano. Il gruppo è
più forte se cresce con elementi di
qualità. Dentro di noi ognuno dice
“accidenti come l’avrei fatto bene
io quando avevo i suoi anni”, poi
però l’intelligenza ci fa affrontare quello che l’età ci consente. La
qualità di un attore è anche quella di fare personaggi consoni a lui.
Per anni abbiamo visto spettacoli
con della gente che faceva da cinquant’anni personaggi che ne dovevano avere trenta. Oggi non è
più quel momento lì. La televisione e il cinema ci hanno abituato a
sposare in modo diverso un volto
ad un personaggio, altre scelte sarebbero proprio improponibili.
tore. È a due personaggi e si intitola “Precarie età”, ha un doppio
senso di età precarie, degli anni
che cambiano la vita, ma anche di
precarietà inteso come condizione
sociale. È una riflessione semiseria sulla crisi di due donne (io e
Maria Paiato) che a cinquant’anni perdono lavoro e marito, storia che però fortunatamente finisce bene.
Si mettono in scena pochi testi
contemporanei in Italia, perché?
Devo dire che il Teatro Stabile
di Bolzano è uno dei pochi teatri
che ne fa molti. Tutti gli anni propone un testo di un autore nuovo,
quest’anno c’è in produzione “La
malattia della famiglia M” di Fausto Paravidino, scoperto proprio
dallo Stabile di Bolzano, autore
molto osannato e celebrato, rappresentato in Germania, Francia e
Inghilterra. Poi c’è appunto “Precarie età” di Maurizio Donadoni e
quindi su tre produzioni due sono
novità. Noi ci crediamo molto, ma
il pubblico è ancora un po’ diffidente. Comprensibilmente perché non sempre i testi contem-
palcoscenico 3
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poranei sono capolavori. Però fra
tante cose qualcosa d’interessante
si trova e non bisogna smettere di
rappresentarli perché parlano del
nostro presente, della nostra quotidianità. È giusto dar loro la possibilità di andare in scena.
Interessi:
il passato è oggi
E veniamo a questa famosa
signora Warren, testo scritto più
di cento anni fa da George Bernard Shaw. Oggi la sua “professione” non fa più grande scalpore, viviamo in tempi di escort
e veline. Per i suoi contemporanei però non fu così indolore. Voi
lo mettete in scena con costumi
anni ’50, più vicini alla nostra
epoca.
E lei dice forse fa meno scandalo. Nel 1893, anno in cui fu
scritto, una donna che faceva la
maitresse, tenutaria di casini in
giro per l’Europa, e che era diventata addirittura una manager,
una miliardaria e che però voleva
educare la figlia secondo i costumi della buona società, tenendola
all’oscuro di questa sua professione per rientrare nel perbenismo
vittoriano, era veramente un tema
di grande scandalo, tant’è che prima di essere allestito sono passati
quaranta anni nel Regno Unito. È
stato rappresentato prima in Italia,
prima negli Stati Uniti che in Inghilterra, dove andò in scena nei
teatri pubblici appena nel 1940.
Era stato scritto nel 1893 e pubblicato nel 1898. La scelta di ambientarlo negli anni ’50 da parte del regista Bernardi è nata dal
fatto che lui voleva rendere meno
forte il contrasto tra madre e figlia
e mettere invece il segno sul fatto
che tra etica e finanza i rapporti
non sono nel tempo cambiati.
Sono gli stessi nel 1893, nel
1950 e al giorno d’oggi.
Non è stato possibile collocare la storia in epoca
più recente perché
i bordelli furono
chiusi proprio
in quegli anni
e quindi il
pretesto
scelto in
quel-
l’epoca sta ancora in piedi, dopo
non avrebbe avuto senso, sarebbe
stato poco credibile perché le case
chiuse in Italia non ci sono più.
L’aspetto della professione è il più
caduco, non valeva molto la pena
indugiarci sopra, se non ai fini del
racconto; mentre il rapporto tra finanza ed etica o tra finanza e politica sono ancora così stretti e così
concussi, tanto da considerare che
questo aspetto ci riguardi ancora
da vicino.
Un lungo sodalizio il suo con
Carlo Simoni, protagonista assieme a lei in questo e in tanti
altri spettacoli dello stabile bolzanino.
Con Carlo iniziò la nostra collaborazione in una “Locandiera”
del 1993, il nostro rapporto in
scena funziona molto, non c’è
neanche più bisogno di parlarci, ci si capisce al volo,
c’è un’intesa assoluta assieme al regista Marco Bernardi che ci ha messi assieme.
L’intento dello Stabile è quello di avere uno zoccolo duro di
persone con cui portare avanti
i progetti. Questo crea chiaramente una forza, una sinergia di
intelligenze e di professionalità.
E poi avete assieme a voi due
giovani molto bravi.
Si, Massimo Nicolini e Gaia
Insenga. Il
regista ha
fatto tantissimi
provini
per trovarli. Erano con noi già nel
“Gabbiano” di Cechov. E saranno
nei prossimi allestimenti quando
serviranno ruoli giovani.
E quindi avete anche voi
esercitato la vostra buona azione di sostegno per i nuovi
arrivati.
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palcoscenico
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RECE
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La professione della signora Warren
I soldi sopra la dignità
T
eatro Stabile La Contrada.
Trieste. Candida, Cesare e
Cleopatra, La professione
della signora Warren sono alcuni dei titoli più famosi delle opere che George Bernard Shaw lasciò ai posteri. Qualcuno ricorderà che il drammaturgo irlandese,
che all’inizio della sua carriera
aveva prediletto la scrittura di
romanzi, aderì al movimento socialista dopo aver letto Karl Marx
nel 1884. Ma è un altro aspetto della sua vita privata che probabilmente resta sconosciuto ai
più: scelse di diventare vegetariano per motivi etici e questo in età
avanzata gli procurò non pochi
disagi fisici per una prolungata e
pesante carenza di vitamina B12,
presente esclusivamente nei prodotti di origine animale. Fu critico letterario e musicale per molte
riviste, polemizzò con le convenzioni del teatro inglese. Ma ebbe
modo anche di solidarizzare con
alcune folli idee di Hitler, in particolare la necessità dello sterminio di persone inutili alla società come i pigri e gli invalidi, per
questo nel 1934 si appellò ai chimici di tutto il mondo richiedendo
l’invenzione di un gas pietoso, in
grado di uccidere senza far soffrire. A metà degli anni Trenta, a seguito di un viaggio in Unione Sovietica, in cui conobbe personalmente Stalin, divenne un fervente
sostenitore della Russia stalinista.
Non si può certo dire che non fosse un personaggio controcorrente
e lo testimonia il suo famosissimo
testo, in cui con molto sarcasmo
chiama in causa la professione
più antica del mondo, quella appunto della signora Warren.
Si pensi alla società di fine
‘800, le donne portano ancora gli
abiti lunghi e la cuffietta, si gira
in carrozza, la luce è data dalle
candele, l’industria cresce grazie
al lavoro di una valanga di diseredati, tra cui donne e bambini
avviati a lavori duri e assassini.
Ma l’etica è rigida per chi sta al
di qua della “barricata”, il perbenismo dilaga tanto quanto le malattie nei ceti più bassi. Si pensi
quindi che boomerang possa essere stato in questo contesto un lavoro teatrale in cui una donna si
arricchisce smisuratamente con i
proventi della prostituzione, di cui
tutti sanno ma nessuno parla, che
intreccia relazioni finanziarie con
“rispettabili e aristocratici cittadini” e che per di più vorrebbe una
vita altrettanto ricca e aristocratica per la figlia tenuta all’oscuro
del mestiere della madre. Scritto
all’incirca nel 1893, non fu messo in scena nei teatri pubblici inglesi prima del 1940. La società
inglese dell’epoca non intendeva
mettere in mostra i propri panni sporchi. Ma come ebbe a dire
proprio la signora Warren alla
figlia Vivie, si scandalizzava per
i proventi di un mestiere tanto
noto quanto fiorente, anche nelle classi abbienti, ma non eccepiva sul fatto che il ricavato delle
imprese, che andava nelle tasche
dei ricchi borghesi ed aristocratici, costasse la vita di tante persone, trattate come animali, ridotte sostanzialmente in schiavitù.
La signora Warren si vanta delle
condizioni di vita delle sue prostitute, sono coloro che la rendono
ricca, vanno trattate bene e a loro
volta remunerate: non dimentica
che anche lei è passata per quella
esperienza. La storia ha un lieto
fine: l’istruita figlia della signo-
ra Warren prenderà la sua strada,
rifiutando con forza e decisione i
progetti della madre e le avance,
economicamente e socialmente allettanti dell’amico di lei, sir
George Crofts.
Il regista Marco Bernardi,
che guida la compagnia del teatro Stabile di Bolzano, ambienta
la storia negli anni ’50, attraverso una scena (di Gisbert Jaekel)
che rispecchia la modernità di
quel dopoguerra. Il giardino della casa attrezzato per prendere
il sole, gli interni sobri, l’ufficio
della giovane con linee improntate all’efficienza più che all’immagine. Anche i costumi (di Roberto
Banci) ricordano quell’epoca. Il
tutto risulta molto gradevole. La
recitazione di tutto il cast è ottima. Patrizia Milani nei panni della signora Warren, Carlo Simoni
è sir Crofts, la giovane Gaia Insenga nel ruolo di Vivie. Completano il cast Riccardo Zini, Andrea
Castelli e Massimo Nicolini. Eppure allo spettacolo manca qualcosa, un guizzo, un po’ di brio,
per poterlo definire perfetto.
Poscaro
Orson Welles’ Roast
La superbia secondo me
P
oliteama Rossetti. Trieste. Che cosa sia
un roast, ce lo spiega subito in apertura
Giuseppe Battiston, attore e regista dello
spettacolo “Orson Welles’ Roast”, in scena nel
piccolo salotto della sala Bartoli. Nei paesi anglosassoni – dice - il “roast” (che letteralmente
vuol dire “arrosto”) è una forma di spettacolo,
concepito come un “elogio al contrario”: una
serata in cui una celebrità viene “raccontata”
sul palcoscenico da amici, nemici e colleghi,
attraverso aneddoti, storie vere e non vere, panegirici feroci… Un evento, insomma, che può
prevedere momenti di humour molto spassosi,
ma anche parentesi piuttosto “insultanti” e passi
di dura critica: i personaggi pubblici però se li
autoinfliggono volentieri – armati di pazienza e
ironia – certi che per tradizione “essere arrostiti” in questo modo, rappresenti un onore riservato a pochi.
Chi è Giuseppe Battiston? È attore friulano
dal fisico veramente imponente, non molto dissimile dall’immagine che abbiamo nella memoria del grandissimo e trasgressivo attore americano. Diplomatosi alla scuola “Paolo Grassi”
di Milano, ha debuttato a teatro nel 1989 raccogliendo in pochi anni risultati e premi molto
ambiti, dall’Ubu al Moret d’Aur; ma maggiormente ricordato per le sue presenze cinematografiche: lo spiritoso investigatore di “Pane e tulipani”, le notevoli interpretazioni in “Chiedimi
se sono felice” di Aldo, Giovanni e Giacomo,
“Agata e la tempesta” di Soldini, “La tigre e la
neve” di Benigni, “La bestia nel cuore” della
Comencini, e nel recente “Si può fare” di Giulio
Manfredonia. Per fare il verso a Orson Welles,
forse per rendere l’approccio più comico, Batti-
ston sfodera un improbabile accento inglese nel
quale si mangia, assieme ad un puzzolentissimo sigaro, metà delle parole dette. Noi vogliamo credere che l’intento sia voluto, che faccia
parte della messa in scena, per rendere più realistico, ma anche più colorito, se ce ne fosse bisogno, il personaggio. Orson Welles racconta
passi salienti e meno della sua carriera artistica.
Tutti ricordano il suo film “Quarto potere”, che
risulterà una pietra miliare nella storia del cinema, ma pochi sanno che ebbe il suo contratto a
Hollywood per girare quel film proprio grazie
a un’altra sua grande impresa: la trasmissione
alla radio del 30 ottobre 1938 attraverso la quale, annunciando l’arrivo dei marziani sulla terra,
scatenò il panico tra gli ascoltatori americani.
Fu subito licenziato dall’emittente radiofonica.
Orson Welles è uomo pieno di sé, di una
superbia leggendaria. Racconta beffardo del
suo Macbeth con 200 attori in scena e con cinque isolati di coda per arrivare al botteghino; a
quel tempo aveva solo ventuno anni. E ancora della sua tecnica innovativa utilizzando lunghissimi piani in sequenza, di cui si appropriò
successivamente Hitchcock, spacciandola per
un’idea sua. O di quando nel 1946 era alla ricerca di 55mila dollari per pagare i costumi di
un altro suo film, Il giro del mondo in ottanta giorni, che strappò con un mezzo inganno al
produttore Harry Cohn, boss della casa produttrice Columbia, e con il quale riuscì a fare poi
“La signora di Shangai”. In questo film recitò
nel ruolo del protagonista, accanto alla moglie
Rita Hayworth, da cui aveva appena divorziato.
Un uomo tanto geniale quanto impossibile che,
come ebbe a dire, fece tutto quello che poteva
per rovinare la sua immagine.
Come definire uno spettacolo di tal guisa?
Simpatico. Anche se sinceramente resta un po’
oscura la motivazione del suo autore Michele
De Vita Conti di scrivere un testo simile, e della
Fondazione Teatro Piemonte Europa di metterlo in scena. Ci siamo forse persi qualche celebrazione? (rp)
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6 palcoscenico
San Carlo, antico e nuovo
Martedì, 2 febbraio 2010
TEATRALIA
San Carlo, antico e nuovo
NAPOLI – Il San Carlo ha riaperto le porte. Antico e nuovo
di zecca. Il più antico teatro d’opera d’Europa e patrimonio dell’umanità. E per l’evento ha proposta la sontuosa prima della mozartiana “La clemenza di Tito” diretta da Luca Ronconi e, per l’orchestra, da Jeffrey Tate.
“Rinasce il San Carlo, è un nuovo San Carlo. Il teatro più bello d’Europa.” Gli interventi di riassetto hanno richiesto due anni
e 65 milioni di euro. Giustificati i tempi e l’esborso: il San Carlo
è tornato grande e bello come una volta; in più, ora è più moderno
e più competitivo. Grandi interventi hanno interessato il mantenimento dell’acustica, che a detta di grandi maestri quali Riccardo
Muti, Salvatore Abbado e Roberto de Simone, da sempre ha fatto
il teatro importante anche dal punto di vista della resa acustica.
La prova dei fatti, subito, con “La clemenza di Tito” di Wolfgang Amadeus Mozart da un libretto di Pietro Metastasio. L’opera
ebbe grande fortuna nel Settecento e anche successivamente. Comunque, alla moglie di Leopoldo II, Maria Luisa di Borbone, al
suo debutto non piacque per niente, tanto che la definì “una porcheria tedesca in lingua italiana”.
Ma forse la Borbone ce l’aveva solo con Caterino Mazzolà,
che più che rinfrescare il vecchio libretto di Metastasio l’aveva
letteralmente stravolto. “La clemenza di Tito” andata in scena è
l’ultima composizione di Mozart, musicata su libretto di Caterino
Mazzolà, a sua volta basato su un melodramma del 1734 di Pietro Metastasio.
La prima rappresentazione si tenne al Teatro degli Stati di Praga il 6 settembre 1791 in occasione dei festeggiamenti per l’incoronazione di Leopoldo II a re di Boemia.
palcoscenico 7
Martedì, 2 febbraio 2010
I raccomandati
ANTEPRIMA
I raccomandati
Ospedale generale
Teatro “Ivan de Zajc”, Fiume
Hristo Bojčev sul palcoscenico del teatro fiumano. Il drammaturgo bulgaro ha all’attivo il maggior numero di premi e riconoscimenti andati a drammaturghi dell’area est europea ed
è sicuramente quello con il maggior numero delle messinscena.
Storica, ormai, la sua candidatura alle Presidenziali in Bulgaria, per fare “teatro politico con un pubblico di 8 milioni di elettori”: ammette, “a furia di stupidaggini ho guadagnato 200mila
voti”.
“Ospedale generale” è una metafora del mondo che vive ai
margini delle sfere d’interesse mondiali; quello che è successo
alla maggior parte dei Paesi ex comunisti, insomma, che vedono l’unica salvezza nell’integrazione europea, nell’entrata nella NATO; nell’Occidente, che se non viene bisogna andargli incontro. Perché? Perché in Occidente tutto è (migliore) vita. Si
ride a denti stretti, in “Ospedale generale”, e ci si chiede, alla
luce di quanto ci piove addosso, “siamo tutti pazienti costretti a
vivere in un ospedale generale?”
In effetti, è difficile dire quali siano se non le sofferenze almeno le diagnosi di questi pazienti, difficile dire chi è sano e chi
è malato, chi è medico e chi paziente. Nonostante tutto, un filo
di speranza, per questi antieroi d’oggi, c’è: sono convinti che
vincerà la vita. Per dirla con Bojčev, “l’illusione š quanto di più
grande un uomo possieda: lo aiuta a sopportare la vita fino in
fondo.”
Un giardino di aranci fatto in casa
Teatro “Orazio Bobbio”, Trieste “Un giardino di aranci fatto in casa” è un classico della commedia americana contemporanea scritto da Neil
Simon, che affronta in questa pièce uno spinoso
e delicato tema familiare e sociale: la paternità distratta o assente. Michael Hut (D’Angelo), un famoso sceneggiatore di Hollywood in crisi, divorziato da 18 anni ha una compagna, Hilary (con la
quale divide saltuariamente la sua casa) che tenta,
con amore ma inutilmente, di spronarlo per farlo
ritornare alla brillantezza di un tempo. Neanche
Ted, il suo migliore amico, un vicino di casa invadente e con evidenti problemi di identità sessuale
(e forse segretamente innamorato di lui), riesce a
smuoverlo dalla pigrizia creativa nella quale Michael si crogiola. All’improvviso arriva nella sua
vita Jenny, sua figlia, che non vedeva da (lunghi)
18 anni. La ragazza vuole fortissimamente due
cose: fare l’attrice e soprattutto riconquistare il
rapporto con il padre. Diciotto anni sono tanti,
la vita li ha cambiati entrambi. Jenny lo mette di
fronte alle sue responsabilità di padre, pian piano si insinua nella sua vita con la naturalezza e
l’entusiasmo di una ragazzina; gli ridipinge casa,
gliela rimette in ordine e, dopo i primi momenti di
smarrimento e di fastidio per quello tsunami inaspettato, il padre comincia ad essere affascinato
dalla gioiosa vitalità della figlia, fino ad esserne
del tutto conquistato.
A poco a poco abbandona la sua pigrizia esistenziale e attraverso divertenti e infuocati scontri verbali con la figlia e con l’onnipresente amico
Ted riaffiorano ricordi, episodi, responsabilità di
un passato che fino ad allora aveva ostinatamente
cercato di cancellare.
Una commedia, quindi, che affronta il tema attualissimo dei rapporti padri-figli con sentimento,
ironia e soprattutto grande divertimento.
Il Dio della carneficina
Politeama Rossetti, Trieste
Un poker d’assi per la piece di
Yasmina Reza: Anna Bonaiuto,
Silvio Orlando, Michela Cescon e Alessio Boni. Firma la
regia di questo testo forte, contemporaneo, cinico e vero, Robberto Andò.
“Il Dio della carneficina” è
in scena contemporaneamente in diversi teatri europei dal
2006. Tratta, con crudezza e
acume, il quotidiano: Véronique e Michel Houillé (Bonaiuto
e Orlando), genitori del piccolo
Bruno, ricevono in casa Annette
e Alain Reille (Cescon e Boni),
La barca delle bambole
Teatro cittadino. Capodistria Cenerentola, Biancaneve, Cappuccetto Rosso, Pollicina... sono storie che vanno bene finchè si
è bambine: sulla strada della maturazione, questi ingenui personaggi femminili subiscono una metamorfosi lenta ma deleteria. Ed allora non bisogna stupire se le donne nascono Biancaneve ma finiscono col diventare Streghe Cattive. Non sempre
per libera scelta: il pulito e inamidato abitino di Biancaneve
(ma può benissimo qualche altra eroina delle fiabe) si stropiccia, si sporca, si macchia. Complici brutti incontri fatti lungo la
strada, socrciatoie prese o sulle quali si viene spinte.
Milena Marković non propone una “variazione sul tema” di
sempreverdi fiabe, propone una fiaba tutta sua; anzi nemmeno
una fiaba, perchš ormai il genere se l’è mangiato il pupo, pardon, il tempo. Non c’è posto per principi, principesse, draghi
da vincere e vinti per salvare la bella. Questo della Marković è
il dramma esistenziale al femminile, crudo, a volte volgare, ma
terribilmente realistico.
genitori di Ferdinand, che ha
colpito al viso il loro figlio in
una lite di strada. Le due coppie hanno deciso di incontrarsi
per regolare la disputa nel segno della civiltà e del buon senso adulto. All’inizio, dunque,
ben disposti e concilianti, tentano di approcciarsi con propositi
di tolleranza e comprensione reciproca che, però, poco a poco
svaniranno del tutto.
“Ne ‘Il Dio della carneficina’
– scrive Andò – c’è una specie
di furibondo humour sarcastico, ma anche l’abilità cesellatrice di un dialogo in bilico tra
commedia e tragedia, ricreato
ascoltando il potere micidiale e
terribile della parola media (…
). Un piccolo trattato morale di
teoria della cultura, che sembra
voler rispondere – con l’ambiguità tipica del teatro – alla seguente domanda: Le buone intenzioni ci salveranno? La Reza
non sembra avere dubbi: No!”.
La Reza, con sottile umorismo e
un’architettura di battute e colpi
di scena, evidenzia il sottofondo barbarico, nichilista, incapace di condividere un minimo
progetto comune che spesso ci
appartiene.
8 palcoscenico
Martedì, 2 febbraio 2010
CARNET PALCOSCENICO rubriche a cura di Carla Rotta
TEATRO Il cartellone del mese
IN CROAZIA
Teatro Nazionale Ivan de Zajc - Fiume
IN ITALIA
Teatro lirico Giuseppe Verdi - Trieste
18, 19, 23 e 25 febbraio ore
20,30; 20 e 21 febbraio ore 16; 27
febbraio ore 17
Romeo et Juliette di Charles
Gounod. Regia Damiano Michieletto.
Interpreti: Silvia Dalla Benetta,
Manuela Bisceglie, Antonino Sira-
gusa, Jean-François Borras, Elena
Belfiore, Alessia Nadin, Massimiliano Gagliardo, Giovanni Battista Parodi, Alessandro Svab, Hans
Ever Mogollón, Chiara Fracasso,
Dax Velenich, Massimo Marsi, Armando Badia, Giuliano Pelizon,
Nicolò Ceriani, Manrico Signorini
Politeama Rossetti - Trieste
2 febbraio ore 19,30
Amy’s view / Differenti opinioni di David Hare. Regia Neva
Rošić. Interpreti Elvia Nacinovich, Elena Brumini, Mirko Soldano, Bruno Nacinovich, Alida
Delcaro, Teodor Tiani
2 e 4 febbraio ore 19,30
La Traviata di Giuseppe Verdi. Regia Janusz Kica. Interpreti Margareta Klobučar, Olga
Kaminska, Olga Šober, Kristina Kolar, Anđelka Rušin, Vanja
Zelčić, Sergej Kiselev Vitomir
Marof, Robert Kolar, Marko
Fortunato, Saša Matovina, Dario Bercich, Siniša Štork, Martin Marić, Darko Matijašević,
Siniša Oreščanin
5, 6, 9, 10 e 11 febbraio ore 19,30 Zajc Off
Ospedale generale di Hristo Bojčev. Regia Matjaž Latin. Interpreti Damir Orlić, Zdenko Botić, Dražen Mikulić, Alex Đaković,
Jasmin Mekić, Jelena Lopatić, Zrinka Kolak-Fabijan, Andreja
Blagojević, Predrag Sikimić, Luka Lenac, Matija Vadlja, Emanuel
Kovačić
19, 20, 22, 23, 24, 25, 26 e 27 febbraio ore 19,30
Lisistrata di Aristofane. Regia Róbert Alföldi
Ciclo:Prosa
3, 5, e 6 febbraio ore 20,30;
4 e 7 febbraio ore 16
L’impresario delle Smirne
di Carlo Goldoni. Regia Luca
De Fusco. Interpreti Eros Pagni,
Gaia Aprea, Anita Bartolucci,
Alberto Fasoli, Piergiorgio Fasolo, Max Malatesta, Giovanna
Mangiù, Alvia Reale, Paolo Serra, Enzo Turrin
9, 11, 12 e 13 febbraio ore
20,30; 10 e 14 febbraio ore 16
Il Dio della carneficina di
Yasmina Reza. Regia Roberto
Andò. Interpreti Anna Bonaiuto,
Alessio Boni, Michela Cescon,
Silvio Orlando
24, 26 e 27 febbraio ore
20,30; 25 e 28 febbraio ore 16
Romeo e Giulietta di W.
Shakespeare. Regia Ferdinando
Bruni. Interpreti Nicola Russo,
Federica Castellini, Ida Marinelli, Luca Toracca, Edoardo Ribatto, Alberto Mancioppi, Alessandra Antinori, Fabiano Fantini,
Alessandro Rugnone, Andrea
Fugaro, Nicola Stravalaci, Tommaso Amadio, Jacopo Fracasso
Ciclo:Altri percorsi
2 febbraio ore 20,30
E pensare che c’era il pensiero di Giorgio Gaber e Sandro
Leporini. Interprete Maddalena
Crippa
2, 3, 4, 5, e 6 febbraio ore 21;
7 febbraio ore 17
Un giorno in arancione di
Gianni Gori. Interpreti Mario
Valdemarin, Anna Maria Castelli - voce, Simone Guiducci - chitarra acustica, Marco Cremaschini -tastiere
15, 16, 17, 18, 19, 20, 23, 24,
25, 26 e 27 febbraio ore 21; 20,
21 e 28 febbraio ore 17
Ultimo giorno di Dario Tomasello. Regia Antonio Calenda.
Interpreti Maurizio Marchetti,
Maria Serrao, Angelo Campolo
22 febbraio ore 20,30
Le fiamme e la ragione di
Corrado Augias. Regia Ruggero
Cara. Interpreti Corrado Augias
e C-Project
Ciclo:Musical e grandi eventi
17, 18 e 19 febbraio ore 20,30;
18, 20 e 21 febbraio ore 16
Aggiungi un posto a tavola
di Garinei & Giovannini, scritta con Jaja Fiastri. Regia Pietro
Garinei e Sandro Giovannini.
Interpreti Gianluca Guidi, Enzo
Garinei
Silvia Delfino, Marco Simeoli, Valentina Cenni, Titta Graziano, Andrea Carli. La voce di lassù è di Renato Turi
Ciclo: Fuori abbonamento
23 febbraio ore 21
Nightbook tour di e con Ludovico Einaudi
La Contrada - Trieste
5, 6, 11, 12 e 13 febbraio ore 20,30; 7, 9 e 14
febbraio ore 16,30
Un giardino di aranci fatto in casa di Neil Simon. Regia Patrick Rossi Gastaldi. Interpreti Gianfranco D’Angelo, Ivana Monti, Mario Scaletta
19, 20, 24, 25, 26 e 27 febbraio ore 20,30; 21,
22 e 28 febbraio ore 16,30
Sillabari di Paolo Polo. Tratto da Goffredo Parise. Regia Paolo Poli. Interpreti Paolo Poli, Luca
Altavilla, Alberto Gamberini, Alfonso De Filippis,
Giovanni Siniscalco
IN SLOVENIA
Teatro cittadino - Capodistria
Teatro cittadino - Pola
7 febbraio ore 20
Tosca di G. Puccini. Regia Jurij Souček. Solisti Milena Morača, Jure Kušar, Robert
Vrčon, Andrej Debevec, Zdravko
Perger, Ivan Arnšek
6 febbraio ore 20
Za Europu spremni/ Pronti per l’Europa di e con Arijana Čulina
17 e 18 febbraio ore 20
Barčica za punčke di Milena Marković. Regia Aleksandar Popovski. Interpreti Barbara
9 e 10 febbraio ore 9,30 e
11
Krava Ružica / La mucca
Ružica di Andri Beleyer. Regia Ivica Šimić. Interpreti Nera
Stipičević, Ana Majhenić
14 febbraio ore 20
Istrieirland con Tamara
Obrovac
27 e 28 febbraio ore 20
Salomè da Oscar Wilde. Regia Damir Zlatar Frey
10 febbraio ore 20
Duohtar pod mus / Medigo
per forza di Iztok Mlakar (tratto
da Moliere). Regia Vito Taufer.
Interpreti Iztok Mlakar, Urška
Bradaškja, Gregor Zorc, Boris Cavazza, Lara Komar, Teja
Glažar, Gorazd Žilavec
Cerar, Iva Babić, Katja Levstik,
Igor Samobor, Matevž Müller,
Klemen Slakonja, Tina Vrbnjak,
Valter Dragan
Anno VI / n. 48 del 2 febbraio 2010
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
Edizione: PALCOSCENICO
Redattore esecutivo: Carla Rotta / Impaginazione: Annamaria Picco
Collaboratori: Rossana Poletti Foto: Dražen Šokčević
La pubblicazione del presente supplemento, sostenuta dall’Unione Italiana di Fiume / Capodistria e dall’Università Popolare
di Trieste, viene supportata dal Governo italiano all’interno del progetto EDITPIÙ in esecuzione della Convenzione
MAE-UPT N° 1868 del 22 dicembre 8, Contratto 248a del 18/10/2006 con Novazione oggettiva del 7 luglio 2009
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2.2.2010 - EDIT Edizioni italiane