DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww palcoscenico An no 0 VI • 201 o n. 48 • i a Martedì, 2 febbr Sipario Patrizia Milani Pagine 2 - 3 / LA RECENSIONE Orson Welles’ Roast/ La professione della signora Warren Pagine 4 - 5 / TEATRALIA Pagina 6 / ANTEPRIMA I raccomandati Pagina 7 / CARNET PALCOSCENICO Il cartellone del mese Pagina 8 UN CAFFÈ CON... 2 palcoscenico UN CAFFÈ CON... Patrizia Milani Martedì, 2 febbraio 2010 Patrizia Milani atrizia Milani ha oltre trent’anni di carriera artistica alle spalle. Ha frequentato il repertorio classico da Euripide a Shakespeare, da Beaumarchais a Goldoni; si è misurata con testi di Ibsen e Strindberg, Shaw e Pirandello; ha lasciato il suo segno in spettacoli di maestri del ‘900 come Brecht, Beckett o Dürrenmatt. Ha fornito prova di non comune versatilità affrontando anche il teatro comico, da Feydeau a Dario Fo e soprattutto ha profuso intelligenza e sensibilità come interprete di testi di confine: “Anni di piombo” di Margarethe von Trotta, “Libertà a Brema” di Rainer Werner Fassbinder, “L’Arialda” di Giovanni Testori e “La brigata dei cacciatori” di Thomas Bernhard, per citarne alcuni. Patrizia Milani è lombarda di nascita, diplomatasi alla milane- P se Accademia dei Filodrammatici, inizia la sua carriera al fianco di grandi nomi come Lilla Brignone e Olga Villi. Avviata al palcoscenico da Bosetti, Guicciardini e Carriglio, nel 1988 si è trasferita a Bolzano dove ha promosso con il direttore dello Stabile, Marco Bernardi - di cui è diventata la compagna - un sodalizio artistico decisivo per il consolidamento del teatro altoatesino. Ama cimentarsi in testi di autori contemporanei, tra cui “Gassosa” di Roberto Cavosi e “Musica a richiesta” del tedesco Franz Xaver Kroetz per la regia di Cristina Pezzoli. È al momento probabilmente la miglior interprete goldoniana. In questo periodo è in tournèe con “La professione della Signora Warren” di George Bernard Shaw prodotto dallo Stabile di Bolzano. di Rossana Poletti solo centomila abitanti, di cui 65mila sono italiani, le proporCosa vuol dire fare teatro a zioni si invertono sul territorio Bolzano dove l’italiano è lin- della provincia dove invece gli gua minoritaria? italiani sono molti di meno rispetHa una funzione importante to ai tedeschi) il teatro abbia una fare teatro in questi posti, per- grande importanza storica. Queché la comunità italiana si ri- sto avviene perché la comunità si conosce in noi, in quello che riconosce nel teatro e lo sostiene proponiamo, si riconosce nel attivamente. teatro che è anche punto di agTeatro gregazione per la comunità stessa. Il Teatro Stabile di Bolzano per crescere ha una lunga e solida tradizione Da ciò si evince quindi che, proprio per questo motivo, altrimenti non si spiegherebbe come nonostante le nuove tecnologie in una città piccola (Bolzano ha tentino di scalzare cinema e in Il pubblico è diffidente sui testi contemporanei perché non sempre sono capolavori, ma fra tante cosa qualcosa di interessante si trova. È giusto dare la possibilità di andare in scena particolare teatro, quest’ultimo resta fondamentale sul territorio per la crescita culturale delle genti. Questo lo vediamo anche durante le tournée quando andiamo a recitare in città che hanno la tradizione di un teatro stabile, rispetto alle altre città in cui questa tradizione non c’è. La differenza è enorme, il pubblico là dove è stato abituato è più consapevole, più interessato e curioso, capace di recepire quello che gli si dà. Altrove il pubblico è più distratto, meno preparato. Qui a Trieste poi (ndr Patrizia Milani è al momento dell’intervista in scena alla Contrada di Trieste con “La professione della signora Warren”) il pubblico è particolarmente preparato e tutti noi teatranti siamo felici quando possiamo cimentarci con queste platee. Se adesso sono qui... Recentemente è scomparso Giulio Bosetti, un personaggio che ha avuto un ruolo im- Fare teatro dove l’italiano è lingua minoritaria è importante: la comunità italiana si riconosce in noi, in quello che proponiamo, si riconosce nel teatro che è anche punto di aggregazione per la comunità stessa portante nella sua vita teatrale. Lei aveva lasciato le scene e Bosetti… Mi ha ripescato, mi ha costretto a tornare in teatro. Ho debuttato con il grande Orazio Costa, avevo fatto in seguito altre cose importanti, poi per motivi miei personali avevo deciso di lasciare, di laurearmi e smettere con il teatro. Ero molto combattuta, ma la mia vita privata mi chiamava. In precedenza, a 22 anni, avevo fatto con Giulio una figliastra nei sei personaggi pirandelliani. Credo di essere stata la più giovane figliastra del teatro italiano, perché Giulio, lo devo dire, ha avuto sempre il merito di andare a cercare giovani di talento, cosa che ha fatto per tutta la vita, anche negli ultimi anni. Ha sempre provato giovani attori e attrici, sostenendoli quando riteneva avessero le giuste qualità. Smisi con il teatro proprio dopo questa prova, e rimasi ferma per circa un anno e mezzo. Bosetti intanto aveva fatto un Pigmalione con Nada Malanima, l’anno dopo lei non fu più disponibile e così ricevetti una sua telefonata: “non mi puoi abbandonare adesso, devi venire a sostituire la Nada nel Pigmalione”. Alle sfide ho risposto Poi è arrivato il Teatro di Bolzano nella sua vita e con questo titoli molto impegnativi: “La professione della signora Warren” quest’anno, l’anno scorso “Il Gabbiano” di Cechov, poi Fassbinder… Poi Strindberg e tanti altri. Devo dire che ho avuto una grande possibilità di esprimermi. Se ad un attore vengono dati ruoli impegnativi vuol dire che li può sostenere. Un’azienda non sarebbe tanto sciocca da esporsi senza risultati. Credo di aver fatto abbastanza bene quello che mi è stato chiesto. Ho lavorato con serietà ed entusiasmo, con passione e i risultati sono venuti, i premi sono arrivati, le critiche sono state positive. Mi sento abbastanza amata e quindi spero di poter fare ancora qualcosa. Opportunità al «nuovo» Per tanto cosa c’è nel futuro? Nel futuro prossimo c’è un testo contemporaneo, perché mi piace fare testi di autori nuovi. C’è un testo scritto da Maurizio Donadoni, un nostro collega at- Giulio Bosetti mi ha ripescato e mi ha costretto a tornare in teatro. Per motivi personali avevo deciso di lasciare: la vita privata mi chiamava. Un giorno ricevetti la sua telefonata: “Non mi puoi abbandonare adesso” ed ho capito che questo era proprio il mio mestiere Da allora ho capito che questo era proprio il mio mestiere. Andava controcorrente quindi Bosetti; generalmente gli attori, ma non solo, temono tutto ciò che di nuovo avanza? Credo che sia una questione di intelligenza riuscire a capire che ogni epoca ha le sue bellezze. Arrivati ad una certa età non si possono più ricoprire certi ruoli e quindi è meglio trovare giovani bravi che li facciano. Il gruppo è più forte se cresce con elementi di qualità. Dentro di noi ognuno dice “accidenti come l’avrei fatto bene io quando avevo i suoi anni”, poi però l’intelligenza ci fa affrontare quello che l’età ci consente. La qualità di un attore è anche quella di fare personaggi consoni a lui. Per anni abbiamo visto spettacoli con della gente che faceva da cinquant’anni personaggi che ne dovevano avere trenta. Oggi non è più quel momento lì. La televisione e il cinema ci hanno abituato a sposare in modo diverso un volto ad un personaggio, altre scelte sarebbero proprio improponibili. tore. È a due personaggi e si intitola “Precarie età”, ha un doppio senso di età precarie, degli anni che cambiano la vita, ma anche di precarietà inteso come condizione sociale. È una riflessione semiseria sulla crisi di due donne (io e Maria Paiato) che a cinquant’anni perdono lavoro e marito, storia che però fortunatamente finisce bene. Si mettono in scena pochi testi contemporanei in Italia, perché? Devo dire che il Teatro Stabile di Bolzano è uno dei pochi teatri che ne fa molti. Tutti gli anni propone un testo di un autore nuovo, quest’anno c’è in produzione “La malattia della famiglia M” di Fausto Paravidino, scoperto proprio dallo Stabile di Bolzano, autore molto osannato e celebrato, rappresentato in Germania, Francia e Inghilterra. Poi c’è appunto “Precarie età” di Maurizio Donadoni e quindi su tre produzioni due sono novità. Noi ci crediamo molto, ma il pubblico è ancora un po’ diffidente. Comprensibilmente perché non sempre i testi contem- palcoscenico 3 Martedì, 2 febbraio 2010 poranei sono capolavori. Però fra tante cose qualcosa d’interessante si trova e non bisogna smettere di rappresentarli perché parlano del nostro presente, della nostra quotidianità. È giusto dar loro la possibilità di andare in scena. Interessi: il passato è oggi E veniamo a questa famosa signora Warren, testo scritto più di cento anni fa da George Bernard Shaw. Oggi la sua “professione” non fa più grande scalpore, viviamo in tempi di escort e veline. Per i suoi contemporanei però non fu così indolore. Voi lo mettete in scena con costumi anni ’50, più vicini alla nostra epoca. E lei dice forse fa meno scandalo. Nel 1893, anno in cui fu scritto, una donna che faceva la maitresse, tenutaria di casini in giro per l’Europa, e che era diventata addirittura una manager, una miliardaria e che però voleva educare la figlia secondo i costumi della buona società, tenendola all’oscuro di questa sua professione per rientrare nel perbenismo vittoriano, era veramente un tema di grande scandalo, tant’è che prima di essere allestito sono passati quaranta anni nel Regno Unito. È stato rappresentato prima in Italia, prima negli Stati Uniti che in Inghilterra, dove andò in scena nei teatri pubblici appena nel 1940. Era stato scritto nel 1893 e pubblicato nel 1898. La scelta di ambientarlo negli anni ’50 da parte del regista Bernardi è nata dal fatto che lui voleva rendere meno forte il contrasto tra madre e figlia e mettere invece il segno sul fatto che tra etica e finanza i rapporti non sono nel tempo cambiati. Sono gli stessi nel 1893, nel 1950 e al giorno d’oggi. Non è stato possibile collocare la storia in epoca più recente perché i bordelli furono chiusi proprio in quegli anni e quindi il pretesto scelto in quel- l’epoca sta ancora in piedi, dopo non avrebbe avuto senso, sarebbe stato poco credibile perché le case chiuse in Italia non ci sono più. L’aspetto della professione è il più caduco, non valeva molto la pena indugiarci sopra, se non ai fini del racconto; mentre il rapporto tra finanza ed etica o tra finanza e politica sono ancora così stretti e così concussi, tanto da considerare che questo aspetto ci riguardi ancora da vicino. Un lungo sodalizio il suo con Carlo Simoni, protagonista assieme a lei in questo e in tanti altri spettacoli dello stabile bolzanino. Con Carlo iniziò la nostra collaborazione in una “Locandiera” del 1993, il nostro rapporto in scena funziona molto, non c’è neanche più bisogno di parlarci, ci si capisce al volo, c’è un’intesa assoluta assieme al regista Marco Bernardi che ci ha messi assieme. L’intento dello Stabile è quello di avere uno zoccolo duro di persone con cui portare avanti i progetti. Questo crea chiaramente una forza, una sinergia di intelligenze e di professionalità. E poi avete assieme a voi due giovani molto bravi. Si, Massimo Nicolini e Gaia Insenga. Il regista ha fatto tantissimi provini per trovarli. Erano con noi già nel “Gabbiano” di Cechov. E saranno nei prossimi allestimenti quando serviranno ruoli giovani. E quindi avete anche voi esercitato la vostra buona azione di sostegno per i nuovi arrivati. 4 palcoscenico Martedì, 2 febbraio 2010 RECE ECEN CENS E ECEN Martedì, 2 febbraio 2010 La professione della signora Warren I soldi sopra la dignità T eatro Stabile La Contrada. Trieste. Candida, Cesare e Cleopatra, La professione della signora Warren sono alcuni dei titoli più famosi delle opere che George Bernard Shaw lasciò ai posteri. Qualcuno ricorderà che il drammaturgo irlandese, che all’inizio della sua carriera aveva prediletto la scrittura di romanzi, aderì al movimento socialista dopo aver letto Karl Marx nel 1884. Ma è un altro aspetto della sua vita privata che probabilmente resta sconosciuto ai più: scelse di diventare vegetariano per motivi etici e questo in età avanzata gli procurò non pochi disagi fisici per una prolungata e pesante carenza di vitamina B12, presente esclusivamente nei prodotti di origine animale. Fu critico letterario e musicale per molte riviste, polemizzò con le convenzioni del teatro inglese. Ma ebbe modo anche di solidarizzare con alcune folli idee di Hitler, in particolare la necessità dello sterminio di persone inutili alla società come i pigri e gli invalidi, per questo nel 1934 si appellò ai chimici di tutto il mondo richiedendo l’invenzione di un gas pietoso, in grado di uccidere senza far soffrire. A metà degli anni Trenta, a seguito di un viaggio in Unione Sovietica, in cui conobbe personalmente Stalin, divenne un fervente sostenitore della Russia stalinista. Non si può certo dire che non fosse un personaggio controcorrente e lo testimonia il suo famosissimo testo, in cui con molto sarcasmo chiama in causa la professione più antica del mondo, quella appunto della signora Warren. Si pensi alla società di fine ‘800, le donne portano ancora gli abiti lunghi e la cuffietta, si gira in carrozza, la luce è data dalle candele, l’industria cresce grazie al lavoro di una valanga di diseredati, tra cui donne e bambini avviati a lavori duri e assassini. Ma l’etica è rigida per chi sta al di qua della “barricata”, il perbenismo dilaga tanto quanto le malattie nei ceti più bassi. Si pensi quindi che boomerang possa essere stato in questo contesto un lavoro teatrale in cui una donna si arricchisce smisuratamente con i proventi della prostituzione, di cui tutti sanno ma nessuno parla, che intreccia relazioni finanziarie con “rispettabili e aristocratici cittadini” e che per di più vorrebbe una vita altrettanto ricca e aristocratica per la figlia tenuta all’oscuro del mestiere della madre. Scritto all’incirca nel 1893, non fu messo in scena nei teatri pubblici inglesi prima del 1940. La società inglese dell’epoca non intendeva mettere in mostra i propri panni sporchi. Ma come ebbe a dire proprio la signora Warren alla figlia Vivie, si scandalizzava per i proventi di un mestiere tanto noto quanto fiorente, anche nelle classi abbienti, ma non eccepiva sul fatto che il ricavato delle imprese, che andava nelle tasche dei ricchi borghesi ed aristocratici, costasse la vita di tante persone, trattate come animali, ridotte sostanzialmente in schiavitù. La signora Warren si vanta delle condizioni di vita delle sue prostitute, sono coloro che la rendono ricca, vanno trattate bene e a loro volta remunerate: non dimentica che anche lei è passata per quella esperienza. La storia ha un lieto fine: l’istruita figlia della signo- ra Warren prenderà la sua strada, rifiutando con forza e decisione i progetti della madre e le avance, economicamente e socialmente allettanti dell’amico di lei, sir George Crofts. Il regista Marco Bernardi, che guida la compagnia del teatro Stabile di Bolzano, ambienta la storia negli anni ’50, attraverso una scena (di Gisbert Jaekel) che rispecchia la modernità di quel dopoguerra. Il giardino della casa attrezzato per prendere il sole, gli interni sobri, l’ufficio della giovane con linee improntate all’efficienza più che all’immagine. Anche i costumi (di Roberto Banci) ricordano quell’epoca. Il tutto risulta molto gradevole. La recitazione di tutto il cast è ottima. Patrizia Milani nei panni della signora Warren, Carlo Simoni è sir Crofts, la giovane Gaia Insenga nel ruolo di Vivie. Completano il cast Riccardo Zini, Andrea Castelli e Massimo Nicolini. Eppure allo spettacolo manca qualcosa, un guizzo, un po’ di brio, per poterlo definire perfetto. Poscaro Orson Welles’ Roast La superbia secondo me P oliteama Rossetti. Trieste. Che cosa sia un roast, ce lo spiega subito in apertura Giuseppe Battiston, attore e regista dello spettacolo “Orson Welles’ Roast”, in scena nel piccolo salotto della sala Bartoli. Nei paesi anglosassoni – dice - il “roast” (che letteralmente vuol dire “arrosto”) è una forma di spettacolo, concepito come un “elogio al contrario”: una serata in cui una celebrità viene “raccontata” sul palcoscenico da amici, nemici e colleghi, attraverso aneddoti, storie vere e non vere, panegirici feroci… Un evento, insomma, che può prevedere momenti di humour molto spassosi, ma anche parentesi piuttosto “insultanti” e passi di dura critica: i personaggi pubblici però se li autoinfliggono volentieri – armati di pazienza e ironia – certi che per tradizione “essere arrostiti” in questo modo, rappresenti un onore riservato a pochi. Chi è Giuseppe Battiston? È attore friulano dal fisico veramente imponente, non molto dissimile dall’immagine che abbiamo nella memoria del grandissimo e trasgressivo attore americano. Diplomatosi alla scuola “Paolo Grassi” di Milano, ha debuttato a teatro nel 1989 raccogliendo in pochi anni risultati e premi molto ambiti, dall’Ubu al Moret d’Aur; ma maggiormente ricordato per le sue presenze cinematografiche: lo spiritoso investigatore di “Pane e tulipani”, le notevoli interpretazioni in “Chiedimi se sono felice” di Aldo, Giovanni e Giacomo, “Agata e la tempesta” di Soldini, “La tigre e la neve” di Benigni, “La bestia nel cuore” della Comencini, e nel recente “Si può fare” di Giulio Manfredonia. Per fare il verso a Orson Welles, forse per rendere l’approccio più comico, Batti- ston sfodera un improbabile accento inglese nel quale si mangia, assieme ad un puzzolentissimo sigaro, metà delle parole dette. Noi vogliamo credere che l’intento sia voluto, che faccia parte della messa in scena, per rendere più realistico, ma anche più colorito, se ce ne fosse bisogno, il personaggio. Orson Welles racconta passi salienti e meno della sua carriera artistica. Tutti ricordano il suo film “Quarto potere”, che risulterà una pietra miliare nella storia del cinema, ma pochi sanno che ebbe il suo contratto a Hollywood per girare quel film proprio grazie a un’altra sua grande impresa: la trasmissione alla radio del 30 ottobre 1938 attraverso la quale, annunciando l’arrivo dei marziani sulla terra, scatenò il panico tra gli ascoltatori americani. Fu subito licenziato dall’emittente radiofonica. Orson Welles è uomo pieno di sé, di una superbia leggendaria. Racconta beffardo del suo Macbeth con 200 attori in scena e con cinque isolati di coda per arrivare al botteghino; a quel tempo aveva solo ventuno anni. E ancora della sua tecnica innovativa utilizzando lunghissimi piani in sequenza, di cui si appropriò successivamente Hitchcock, spacciandola per un’idea sua. O di quando nel 1946 era alla ricerca di 55mila dollari per pagare i costumi di un altro suo film, Il giro del mondo in ottanta giorni, che strappò con un mezzo inganno al produttore Harry Cohn, boss della casa produttrice Columbia, e con il quale riuscì a fare poi “La signora di Shangai”. In questo film recitò nel ruolo del protagonista, accanto alla moglie Rita Hayworth, da cui aveva appena divorziato. Un uomo tanto geniale quanto impossibile che, come ebbe a dire, fece tutto quello che poteva per rovinare la sua immagine. Come definire uno spettacolo di tal guisa? Simpatico. Anche se sinceramente resta un po’ oscura la motivazione del suo autore Michele De Vita Conti di scrivere un testo simile, e della Fondazione Teatro Piemonte Europa di metterlo in scena. Ci siamo forse persi qualche celebrazione? (rp) 5 6 palcoscenico San Carlo, antico e nuovo Martedì, 2 febbraio 2010 TEATRALIA San Carlo, antico e nuovo NAPOLI – Il San Carlo ha riaperto le porte. Antico e nuovo di zecca. Il più antico teatro d’opera d’Europa e patrimonio dell’umanità. E per l’evento ha proposta la sontuosa prima della mozartiana “La clemenza di Tito” diretta da Luca Ronconi e, per l’orchestra, da Jeffrey Tate. “Rinasce il San Carlo, è un nuovo San Carlo. Il teatro più bello d’Europa.” Gli interventi di riassetto hanno richiesto due anni e 65 milioni di euro. Giustificati i tempi e l’esborso: il San Carlo è tornato grande e bello come una volta; in più, ora è più moderno e più competitivo. Grandi interventi hanno interessato il mantenimento dell’acustica, che a detta di grandi maestri quali Riccardo Muti, Salvatore Abbado e Roberto de Simone, da sempre ha fatto il teatro importante anche dal punto di vista della resa acustica. La prova dei fatti, subito, con “La clemenza di Tito” di Wolfgang Amadeus Mozart da un libretto di Pietro Metastasio. L’opera ebbe grande fortuna nel Settecento e anche successivamente. Comunque, alla moglie di Leopoldo II, Maria Luisa di Borbone, al suo debutto non piacque per niente, tanto che la definì “una porcheria tedesca in lingua italiana”. Ma forse la Borbone ce l’aveva solo con Caterino Mazzolà, che più che rinfrescare il vecchio libretto di Metastasio l’aveva letteralmente stravolto. “La clemenza di Tito” andata in scena è l’ultima composizione di Mozart, musicata su libretto di Caterino Mazzolà, a sua volta basato su un melodramma del 1734 di Pietro Metastasio. La prima rappresentazione si tenne al Teatro degli Stati di Praga il 6 settembre 1791 in occasione dei festeggiamenti per l’incoronazione di Leopoldo II a re di Boemia. palcoscenico 7 Martedì, 2 febbraio 2010 I raccomandati ANTEPRIMA I raccomandati Ospedale generale Teatro “Ivan de Zajc”, Fiume Hristo Bojčev sul palcoscenico del teatro fiumano. Il drammaturgo bulgaro ha all’attivo il maggior numero di premi e riconoscimenti andati a drammaturghi dell’area est europea ed è sicuramente quello con il maggior numero delle messinscena. Storica, ormai, la sua candidatura alle Presidenziali in Bulgaria, per fare “teatro politico con un pubblico di 8 milioni di elettori”: ammette, “a furia di stupidaggini ho guadagnato 200mila voti”. “Ospedale generale” è una metafora del mondo che vive ai margini delle sfere d’interesse mondiali; quello che è successo alla maggior parte dei Paesi ex comunisti, insomma, che vedono l’unica salvezza nell’integrazione europea, nell’entrata nella NATO; nell’Occidente, che se non viene bisogna andargli incontro. Perché? Perché in Occidente tutto è (migliore) vita. Si ride a denti stretti, in “Ospedale generale”, e ci si chiede, alla luce di quanto ci piove addosso, “siamo tutti pazienti costretti a vivere in un ospedale generale?” In effetti, è difficile dire quali siano se non le sofferenze almeno le diagnosi di questi pazienti, difficile dire chi è sano e chi è malato, chi è medico e chi paziente. Nonostante tutto, un filo di speranza, per questi antieroi d’oggi, c’è: sono convinti che vincerà la vita. Per dirla con Bojčev, “l’illusione š quanto di più grande un uomo possieda: lo aiuta a sopportare la vita fino in fondo.” Un giardino di aranci fatto in casa Teatro “Orazio Bobbio”, Trieste “Un giardino di aranci fatto in casa” è un classico della commedia americana contemporanea scritto da Neil Simon, che affronta in questa pièce uno spinoso e delicato tema familiare e sociale: la paternità distratta o assente. Michael Hut (D’Angelo), un famoso sceneggiatore di Hollywood in crisi, divorziato da 18 anni ha una compagna, Hilary (con la quale divide saltuariamente la sua casa) che tenta, con amore ma inutilmente, di spronarlo per farlo ritornare alla brillantezza di un tempo. Neanche Ted, il suo migliore amico, un vicino di casa invadente e con evidenti problemi di identità sessuale (e forse segretamente innamorato di lui), riesce a smuoverlo dalla pigrizia creativa nella quale Michael si crogiola. All’improvviso arriva nella sua vita Jenny, sua figlia, che non vedeva da (lunghi) 18 anni. La ragazza vuole fortissimamente due cose: fare l’attrice e soprattutto riconquistare il rapporto con il padre. Diciotto anni sono tanti, la vita li ha cambiati entrambi. Jenny lo mette di fronte alle sue responsabilità di padre, pian piano si insinua nella sua vita con la naturalezza e l’entusiasmo di una ragazzina; gli ridipinge casa, gliela rimette in ordine e, dopo i primi momenti di smarrimento e di fastidio per quello tsunami inaspettato, il padre comincia ad essere affascinato dalla gioiosa vitalità della figlia, fino ad esserne del tutto conquistato. A poco a poco abbandona la sua pigrizia esistenziale e attraverso divertenti e infuocati scontri verbali con la figlia e con l’onnipresente amico Ted riaffiorano ricordi, episodi, responsabilità di un passato che fino ad allora aveva ostinatamente cercato di cancellare. Una commedia, quindi, che affronta il tema attualissimo dei rapporti padri-figli con sentimento, ironia e soprattutto grande divertimento. Il Dio della carneficina Politeama Rossetti, Trieste Un poker d’assi per la piece di Yasmina Reza: Anna Bonaiuto, Silvio Orlando, Michela Cescon e Alessio Boni. Firma la regia di questo testo forte, contemporaneo, cinico e vero, Robberto Andò. “Il Dio della carneficina” è in scena contemporaneamente in diversi teatri europei dal 2006. Tratta, con crudezza e acume, il quotidiano: Véronique e Michel Houillé (Bonaiuto e Orlando), genitori del piccolo Bruno, ricevono in casa Annette e Alain Reille (Cescon e Boni), La barca delle bambole Teatro cittadino. Capodistria Cenerentola, Biancaneve, Cappuccetto Rosso, Pollicina... sono storie che vanno bene finchè si è bambine: sulla strada della maturazione, questi ingenui personaggi femminili subiscono una metamorfosi lenta ma deleteria. Ed allora non bisogna stupire se le donne nascono Biancaneve ma finiscono col diventare Streghe Cattive. Non sempre per libera scelta: il pulito e inamidato abitino di Biancaneve (ma può benissimo qualche altra eroina delle fiabe) si stropiccia, si sporca, si macchia. Complici brutti incontri fatti lungo la strada, socrciatoie prese o sulle quali si viene spinte. Milena Marković non propone una “variazione sul tema” di sempreverdi fiabe, propone una fiaba tutta sua; anzi nemmeno una fiaba, perchš ormai il genere se l’è mangiato il pupo, pardon, il tempo. Non c’è posto per principi, principesse, draghi da vincere e vinti per salvare la bella. Questo della Marković è il dramma esistenziale al femminile, crudo, a volte volgare, ma terribilmente realistico. genitori di Ferdinand, che ha colpito al viso il loro figlio in una lite di strada. Le due coppie hanno deciso di incontrarsi per regolare la disputa nel segno della civiltà e del buon senso adulto. All’inizio, dunque, ben disposti e concilianti, tentano di approcciarsi con propositi di tolleranza e comprensione reciproca che, però, poco a poco svaniranno del tutto. “Ne ‘Il Dio della carneficina’ – scrive Andò – c’è una specie di furibondo humour sarcastico, ma anche l’abilità cesellatrice di un dialogo in bilico tra commedia e tragedia, ricreato ascoltando il potere micidiale e terribile della parola media (… ). Un piccolo trattato morale di teoria della cultura, che sembra voler rispondere – con l’ambiguità tipica del teatro – alla seguente domanda: Le buone intenzioni ci salveranno? La Reza non sembra avere dubbi: No!”. La Reza, con sottile umorismo e un’architettura di battute e colpi di scena, evidenzia il sottofondo barbarico, nichilista, incapace di condividere un minimo progetto comune che spesso ci appartiene. 8 palcoscenico Martedì, 2 febbraio 2010 CARNET PALCOSCENICO rubriche a cura di Carla Rotta TEATRO Il cartellone del mese IN CROAZIA Teatro Nazionale Ivan de Zajc - Fiume IN ITALIA Teatro lirico Giuseppe Verdi - Trieste 18, 19, 23 e 25 febbraio ore 20,30; 20 e 21 febbraio ore 16; 27 febbraio ore 17 Romeo et Juliette di Charles Gounod. Regia Damiano Michieletto. Interpreti: Silvia Dalla Benetta, Manuela Bisceglie, Antonino Sira- gusa, Jean-François Borras, Elena Belfiore, Alessia Nadin, Massimiliano Gagliardo, Giovanni Battista Parodi, Alessandro Svab, Hans Ever Mogollón, Chiara Fracasso, Dax Velenich, Massimo Marsi, Armando Badia, Giuliano Pelizon, Nicolò Ceriani, Manrico Signorini Politeama Rossetti - Trieste 2 febbraio ore 19,30 Amy’s view / Differenti opinioni di David Hare. Regia Neva Rošić. Interpreti Elvia Nacinovich, Elena Brumini, Mirko Soldano, Bruno Nacinovich, Alida Delcaro, Teodor Tiani 2 e 4 febbraio ore 19,30 La Traviata di Giuseppe Verdi. Regia Janusz Kica. Interpreti Margareta Klobučar, Olga Kaminska, Olga Šober, Kristina Kolar, Anđelka Rušin, Vanja Zelčić, Sergej Kiselev Vitomir Marof, Robert Kolar, Marko Fortunato, Saša Matovina, Dario Bercich, Siniša Štork, Martin Marić, Darko Matijašević, Siniša Oreščanin 5, 6, 9, 10 e 11 febbraio ore 19,30 Zajc Off Ospedale generale di Hristo Bojčev. Regia Matjaž Latin. Interpreti Damir Orlić, Zdenko Botić, Dražen Mikulić, Alex Đaković, Jasmin Mekić, Jelena Lopatić, Zrinka Kolak-Fabijan, Andreja Blagojević, Predrag Sikimić, Luka Lenac, Matija Vadlja, Emanuel Kovačić 19, 20, 22, 23, 24, 25, 26 e 27 febbraio ore 19,30 Lisistrata di Aristofane. Regia Róbert Alföldi Ciclo:Prosa 3, 5, e 6 febbraio ore 20,30; 4 e 7 febbraio ore 16 L’impresario delle Smirne di Carlo Goldoni. Regia Luca De Fusco. Interpreti Eros Pagni, Gaia Aprea, Anita Bartolucci, Alberto Fasoli, Piergiorgio Fasolo, Max Malatesta, Giovanna Mangiù, Alvia Reale, Paolo Serra, Enzo Turrin 9, 11, 12 e 13 febbraio ore 20,30; 10 e 14 febbraio ore 16 Il Dio della carneficina di Yasmina Reza. Regia Roberto Andò. Interpreti Anna Bonaiuto, Alessio Boni, Michela Cescon, Silvio Orlando 24, 26 e 27 febbraio ore 20,30; 25 e 28 febbraio ore 16 Romeo e Giulietta di W. Shakespeare. Regia Ferdinando Bruni. Interpreti Nicola Russo, Federica Castellini, Ida Marinelli, Luca Toracca, Edoardo Ribatto, Alberto Mancioppi, Alessandra Antinori, Fabiano Fantini, Alessandro Rugnone, Andrea Fugaro, Nicola Stravalaci, Tommaso Amadio, Jacopo Fracasso Ciclo:Altri percorsi 2 febbraio ore 20,30 E pensare che c’era il pensiero di Giorgio Gaber e Sandro Leporini. Interprete Maddalena Crippa 2, 3, 4, 5, e 6 febbraio ore 21; 7 febbraio ore 17 Un giorno in arancione di Gianni Gori. Interpreti Mario Valdemarin, Anna Maria Castelli - voce, Simone Guiducci - chitarra acustica, Marco Cremaschini -tastiere 15, 16, 17, 18, 19, 20, 23, 24, 25, 26 e 27 febbraio ore 21; 20, 21 e 28 febbraio ore 17 Ultimo giorno di Dario Tomasello. Regia Antonio Calenda. Interpreti Maurizio Marchetti, Maria Serrao, Angelo Campolo 22 febbraio ore 20,30 Le fiamme e la ragione di Corrado Augias. Regia Ruggero Cara. Interpreti Corrado Augias e C-Project Ciclo:Musical e grandi eventi 17, 18 e 19 febbraio ore 20,30; 18, 20 e 21 febbraio ore 16 Aggiungi un posto a tavola di Garinei & Giovannini, scritta con Jaja Fiastri. Regia Pietro Garinei e Sandro Giovannini. Interpreti Gianluca Guidi, Enzo Garinei Silvia Delfino, Marco Simeoli, Valentina Cenni, Titta Graziano, Andrea Carli. La voce di lassù è di Renato Turi Ciclo: Fuori abbonamento 23 febbraio ore 21 Nightbook tour di e con Ludovico Einaudi La Contrada - Trieste 5, 6, 11, 12 e 13 febbraio ore 20,30; 7, 9 e 14 febbraio ore 16,30 Un giardino di aranci fatto in casa di Neil Simon. Regia Patrick Rossi Gastaldi. Interpreti Gianfranco D’Angelo, Ivana Monti, Mario Scaletta 19, 20, 24, 25, 26 e 27 febbraio ore 20,30; 21, 22 e 28 febbraio ore 16,30 Sillabari di Paolo Polo. Tratto da Goffredo Parise. Regia Paolo Poli. Interpreti Paolo Poli, Luca Altavilla, Alberto Gamberini, Alfonso De Filippis, Giovanni Siniscalco IN SLOVENIA Teatro cittadino - Capodistria Teatro cittadino - Pola 7 febbraio ore 20 Tosca di G. Puccini. Regia Jurij Souček. Solisti Milena Morača, Jure Kušar, Robert Vrčon, Andrej Debevec, Zdravko Perger, Ivan Arnšek 6 febbraio ore 20 Za Europu spremni/ Pronti per l’Europa di e con Arijana Čulina 17 e 18 febbraio ore 20 Barčica za punčke di Milena Marković. Regia Aleksandar Popovski. Interpreti Barbara 9 e 10 febbraio ore 9,30 e 11 Krava Ružica / La mucca Ružica di Andri Beleyer. Regia Ivica Šimić. Interpreti Nera Stipičević, Ana Majhenić 14 febbraio ore 20 Istrieirland con Tamara Obrovac 27 e 28 febbraio ore 20 Salomè da Oscar Wilde. Regia Damir Zlatar Frey 10 febbraio ore 20 Duohtar pod mus / Medigo per forza di Iztok Mlakar (tratto da Moliere). Regia Vito Taufer. Interpreti Iztok Mlakar, Urška Bradaškja, Gregor Zorc, Boris Cavazza, Lara Komar, Teja Glažar, Gorazd Žilavec Cerar, Iva Babić, Katja Levstik, Igor Samobor, Matevž Müller, Klemen Slakonja, Tina Vrbnjak, Valter Dragan Anno VI / n. 48 del 2 febbraio 2010 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat Edizione: PALCOSCENICO Redattore esecutivo: Carla Rotta / Impaginazione: Annamaria Picco Collaboratori: Rossana Poletti Foto: Dražen Šokčević La pubblicazione del presente supplemento, sostenuta dall’Unione Italiana di Fiume / Capodistria e dall’Università Popolare di Trieste, viene supportata dal Governo italiano all’interno del progetto EDITPIÙ in esecuzione della Convenzione MAE-UPT N° 1868 del 22 dicembre 8, Contratto 248a del 18/10/2006 con Novazione oggettiva del 7 luglio 2009