Mauro Picone e i primi progetti per un calcolatore italiano Andrea Celli, Maurizio Mattaliano Istituto per le Applicazioni del Calcolo “Mauro Picone”-CNR Il tema principale di questo intervento sono i molteplici tentativi di Mauro Picone per dotare l’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo di strumenti di calcolo sempre più avanzati. In particolare saranno esaminate le vicende legate ai primissimi tentativi di costruire un calcolatore elettronico in Italia, all’acquisto del Ferranti Mark 1* (FINAC) e le interazioni tra l’INAC e l’Università di Pisa per lo sviluppo della CEP. Alla fine, si accennerà alla storia poco nota del CINAC (Calcolatore dell’INAC), che venne progettato in collaborazione tra INAC ed Olivetti e che doveva costituire il prototipo della nuova serie Elea-9004. Nei primi anni dell’elettronica vi era una certa contrapposizione tra buy o make, ossia se fosse meglio acquistare o costruire in proprio un calcolatore. Picone, benché alla fine dovette fare un acquisto, fu sempre un convinto assertore del make. Il suo progetto più promettente si arenerà nel 1952, ad un passo dal successo, per difficoltà che potremmo considerare legate al vezzo della politica italiana di risolvere i problemi e le contrapposizioni impantanando tutto, invece di operare una scelta. Questo, per contrasto, mette in risalto la costruttiva coesione delle amministrazioni pisane e della comunità dei fisici italiani nel supportare il progetto CEP. Le informazioni provengono, con alcune integrazioni, dai documenti raccolti da Picone nel suo archivio e in gran parte già pubblicati nei lavori di A. Guerraggio, M. Mattaliano e P. Nastasi [1-3]. Le poche parti inedite riguardano soprattutto la collaborazione prestata alla CEP e lo sviluppo del progetto CINACElea 9004. Benché incuria, allagamenti e traslochi abbiano gravemente danneggiato il contenuto dell’archivio, questo costituisce una vera miniera per la storia dell’Informatica e della Matematica applicata nel ’900 e, anche in questa occasione, ci permette di mettere in luce nuovi dettagli e, in particolare, è la provenienza di tutta la corrispondenza di Picone citata in questo articolo. Gli inizi: calcolatrici meccaniche e strumenti analogici Il titolo “La lunga marcia di Mauro Picone” di [3] fa già pensare ad una storia piuttosto complessa. In realtà è ancora più lunga, come riassunto nell’appendice dello stesso libro [4]. L’inizio è abbastanza noto. Picone scopre l’importanza del calcolo numerico e delle applicazioni della Matematica durante la grande guerra, quando viene incaricato di studiare 3 Mauro Picone e i primi progetti per un calcolatore italiano i problemi balistici legati all’utilizzo delle artiglierie in montagna e di calcolare le relative tavole di tiro. Lavoro che svolge con grande successo. Nel 1927 a Napoli, grazie alla particolare struttura della Facoltà di Scienze e ad un finanziamento del Banco di Napoli, trova le condizioni adatte per costituire il primo embrione di un Istituto per le Applicazioni del Calcolo. In quegli anni si adopera anche perché venga attivato presso la Scuola di Ingegneria di Pisa il primo corso di Calcolo Numerico presso una università italiana. Il corso verrà poi affidato a Gino Cassinis (1885-1964) [5]. Infine, nel 1932, Picone viene chiamato all’Università di Roma e l’IAC trasferito al CNR, di cui diventa il primo istituto. Questo portò l’INAC a divenire una struttura “di eccellenza”, non solo a livello nazionale (come indicato dall’aggettivo aggiunto al nome) ma conosciuta, apprezzata ed imitata in tutto il mondo per le sue caratteristiche, uniche per l’epoca. Gli strumenti di calcolo a disposizione dell’Istituto erano il top del momento, ma le prestazioni non erano certo eccezionali, soprattutto se valutate con il metro attuale. Si trattava essenzialmente di calcolatrici manuali tipo Odhner, prodotte dalla Brunsviga, a cui verranno aggiunte, verso il 1935, delle calcolatrici elettriche Marchant “Silent speed”. La risoluzione di un sistema lineare1 10x10 richiedeva una settimana di lavoro da parte di due “calcolatori” indipendenti che confrontavano sistematicamente i propri risultati intermedi per prevenire errori accidentali di calcolo. Già nella seconda metà degli anni ’30 si cercano 1 soluzioni per aumentare la velocità e la risposta sembrava poter venire solo dagli strumenti analogici. Vengono presi in considerazione diversi strumenti ma gli esperimenti vengono troncati dalla guerra e dal fatto che per le esigenze dell’istituto la precisione da essi raggiunta era non solo inadeguata ma, soprattutto, non certificabile. L’IAC si proponeva infatti di fornire ai committenti non solo dei risultati numerici ma anche una stima accurata della loro attendibilità. A questo scopo un approccio “digitale” basato su algoritmi di cui fosse nota una stima della velocità di convergenza era difficilmente sostituibile. Quindi, allora come oggi, la strada maestra era data da un serio studio matematico del modello e dell’algoritmo risolutivo, seguito da calcoli “digitali”, in cui sia noto ad ogni passo il numero di cifre utilizzate. Tra gli strumenti analogici esaminati, ricordiamo innanzitutto quello ideato dal talassografo Francesco Vercelli e realizzato dalla Filotecnica Salmoiraghi. Se non altro perché è uno dei pezzi più rari custoditi presso il Museo del Calcolo di Pisa. Vercelli realizzò un analizzatore periodale che, a differenza dei normali analizzatori armonici, era in grado di analizzare anche grafici non necessariamente periodici. Negli anni ’30 propose ripetutamente all’INAC, senza ottenere molto ascolto, l’uso della sua macchina come strumento per risolvere numericamente delle equazioni differenziali. Un maggiore interesse venne rivolto agli strumenti per la soluzione di sistemi lineari, in quanto si inserivano più naturalmente nelle procedure di calcolo seguite in istituto. Nel 1934 Picone incontra Ercole Bottani (18971978), professore di Elettrotecnica al Politecnico [6, 7]. Bottani gli prospettò la possibilità «di risolvere i sistemi lineari di equazioni per via elettrica». Ne seguì un lungo scambio di lettere, nelle quali venivano delineati due possibili Il problema della risoluzione dei sistemi di equazioni lineari servirà spesso come riferimento poiché è tuttora centrale nell’analisi numerica. Molti problemi vengono infatti ricondotti in questa forma tramite approssimazioni. Benché si tratti di un problema teoricamente banale, la sua risoluzione numerica richiede lunghi calcoli e può essere estremamente insidiosa sotto l’aspetto della propagazione degli errori. 4 La CEP prima della CEP cio. Il Direttore della Società avrebbe anzi consigliato il Poggi di rivolgersi al C.N.R. per ottenere un sussidio per tale costruzione» [8]. Picone seguì attentamente questo progetto, fino a chiedere a Lamberto Cesari di recarsi a Pisa per seguirne direttamente lo sviluppo. Solo nel febbraio del 1940, Cesari fornì un parere favorevole alla costruzione di un prototipo metallico. Della macchina restano solo due foto del prototipo in legno, realizzato utilizzando stecche di arcolaio e il brevetto. Anche Cesari progettò uno strumento simile, probabile evoluzione di quello del Poggi, ma, nonostante gli inviti di Picone, non ne depositò il brevetto. Un ultimo grande progetto, giustificato anche dalle esigenze militari del momento, è quello legato al brevetto registrato da Alessandro Boni, responsabile della sezione balistica dell’Inac, per una “Macchina calcolatrice con procedimento numerico-meccanico atta ad integrare sistemi di equazioni differenziali, in particolare nell’ambito della balistica”2. Lo stesso Boni ricorderà che la macchina conteneva alcune idee come il «comando automatico mediante segnali in codice di telescrivente perforati sopra un nastro di carta avvolto a spira chiusa» e un «magazzino di numeri a registrazione magnetica» che se non sono così originali come vorrebbe l’autore, rappresentavano tuttavia grossi elementi di novità per l’epoca. Per la costruzione della macchina vennero presi contatti con l’Olivetti, con la Meccanoelettrica e, ovviamente, con l’esercito. Però non si giunse mai all’effettiva costruzione, neppure di un prototipo [9]. Anche dopo la guerra vennero valutati diversi progetti analogici ma, ormai, l’attenzione era rivolta all’elettronica digitale. progetti, entrambi basati sull’utilizzo di correnti continue. Tra l’altro, Picone sottopose a Bottani, come test, un sistema di nove equazioni in nove incognite che era stato chiesto di risolvere all’IAC. Forse è lo stesso sistema che poi Bottani darà a Dadda per le sue prime prove su un calcolatore elettronico in America. La collaborazione ebbe una brusca interruzione quando Picone venne a sapere (1934) che in Inghilterra era stata messa in commercio la “macchina Mallock”, capace di risolvere automaticamente i sistemi di 10 equazioni utilizzando correnti alternate. D’altra parte, Bottani si era reso conto che il suo approccio poteva essere valido solo per sistemi lineari simmetrici e definiti positivi. Anche la pista Mallock si arenerà molto presto. Picone incaricò Mario Salvadori (19071997), che si trovava a Londra, di prendere diretta visione del nuovo strumento e di testarlo. I primi esperimenti di Salvadori ebbero buon esito, sollevando grandi aspettative. Però, successivi e più stringenti test spingeranno Picone a chiedere senza successo a Bottani di riprendere le sue ricerche scrivendogli che «abbiamo anche potuto sperimentare il metodo Mallock. Ebbene, i risultati degli esperimenti non potevano essere più disastrosi per il metodo stesso e pertanto io considero ancora aperta la questione», anche perché nuovi metodi numerici permettono di superare le limitazioni del suo approccio. Nel gennaio 1937, Picone viene a sapere che, il fisico pisano Lorenzo Poggi «ha ideato due tipi di macchine per la risoluzione dei sistemi di equazioni lineari e delle equazioni algebriche. [… per la seconda] sono in corso trattative per la costruzione presso le officine Galileo di Firenze, che intende eventualmente metterla in commer- 2 5 Brevetti IT-385130 del 10-09-1940 e US2824694 del 25-02-1958. Mauro Picone e i primi progetti per un calcolatore italiano I primi passi verso gli elaboratori elettronici Fuori dall’Italia, soprattutto nei paesi anglosassoni, la guerra porta allo sviluppo di una nuova categoria di strumenti di calcolo: le grandi macchine digitali programmabili. Sviluppo di cui gli scienziati italiani sono quasi completamente all’oscuro. Nel giugno del 1944 gli Alleati entrano in Roma, pochi mesi dopo Picone legge sul giornale dell’esercito e americano un articolo che descrive l’Automatic Sequence Controlled Calculator (Harward Mark I) di Aiken [10]. Articolo che si è conservato, ritagliato e annotato, tra le sue carte. Se vogliamo dare una data iniziale ai tentativi di Picone per portare in Italia un grande calcolatore e, più in generale, alla presa di contatto tra la ricerca italiana ed i nuovi strumenti di calcolo, quella del giorno in cui l’articolo venne pubblicato (24 agosto 1944) è una seria candidata. In effetti, l’Harward Mark I è ancora un calcolatore a relais, una versione moderna della macchina di Babbage, per molti versi simile agli esperimenti del tedesco Zuse, però contiene molte interessanti novità architetturali e, soprattutto, dà a Picone il segnale che ci si sta muovendo verso una nuova filosofia per il calcolo scientifico. Gli abilissimi calcolatori (umani) dell’IAC, capaci di prestazioni incredibili con le loro calcolatrici meccaniche, dovranno presto lasciare il passo a grandi macchine programmabili. Il materiale rinvenuto nell’Archivio storico dell’IAC, permette di ricostruire, seppure tramite frammenti sparsi, un quadro abbastanza completo dei primi passi compiuti dall’Istituto in questa direzione. Finita la guerra, Picone intreccia una serie di contatti con ricercatori di tutti i paesi interessati ai nuovi calcolatori o già coinvolti nel loro sviluppo. In questo era facilitato dal grande prestigio acquisito dall’INAC e dalla fitta rete di rapporti preesistenti. In Europa, fu particolarmente intensa la collaborazione con la Francia, tanto che meriterebbe uno studio specifico. In questa occasione si può solo rinviare ai documenti riportati in [2, 3] e ricordare come, già nel settembre 1946, vi è uno scambio di lettere con Louis Couffignal (1902-1966), considerato il fondatore dell’Informatica francese, in cui si discute l’intenzione francese di costruire «une machine universelle du genre des machines que les américains appellent “Grosse machines à calculer”». La collaborazione si consolidò con una serie di visite incrociate. Ricercatori italiani furono anche chiamati come consulenti per progetti francesi. Questi contatti furono particolarmente intensi in occasione dell’importante convegno “Les machines à calculer et la pensée humaine”, tenutosi a Parigi nel 1950. ed ebbero una fondamentale importanza nelle discussioni che portarono alla scelta dell’INAC come sede del Centro Internazionale di Calcolo (C.I.C.) dell’UNESCO. Discussioni che ebbero appunto luogo a Parigi [11]. La pista americana si rivela da subito la più consistente, anche se all’inizio è frenata dalle difficoltà post-belliche. Basti ricordare che, quando il biofisico italo-argentino Leonida Marinelli cerca di ottenere l’autorizzazione per inviare dei collaboratori dell’INAC a visitare i centri di calcolo americani, «The answers have been disappointing. Inasmouch as both machines are under the War Department no request can be made under informal channels»3. Anche un’analoga richiesta formulata ad Aiken non ha esito perché il Mark I è «under contract to the Navy Department». Nel 1948, Picone espone ad Hans Lewy (1904-1988), conosciuto a Roma, quando lavorava con Tullio Levi-Civita, il suo punto di 3 6 Marinelli: lettera a Picone, New York, 4 settembre 1947. La CEP prima della CEP vista: «Un grande aumento della potenza calcolatrice [dell’Istituto] sarebbe a tutto vantaggio della più rapida e più completa risoluzione dei molti problemi allo studio». Se il Governo americano ci aiutasse a procurarci un computer, «compirebbe un atto collegato, nel modo più intimo, con il programma che si propone di assolvere il piano Marshall. L’obiezione secondo la quale un Istituto scientifico italiano non può essere munito di una macchina elettronica se non quando di queste macchine vi sia tale dovizia negli Stati Uniti d’America […], può essere rimossa dalla considerazione che l’Italia chiede di posse- dere soltanto una di quelle macchine di fronte alle dieci» già presenti negli USA. La situazione incomincia a sbloccarsi verso il 1950, col mutare del clima politico-militare. L’Italia non è più un ex-nemico, né un paese a “rischio comunista”. Inoltre, prende sempre più piede la candidatura dell’INAC come la sede del Centro di Calcolo Internazionale dell’UNESCO. Non ci si soffermerà su questa vicenda, ampiamente trattata in [2], se non per osservare come la sua positiva conclusione, nel 1951, rendeva urgente dotare INAC e C.I.C. di mezzi di calcolo all’avanguardia. Fig. 1. Prospetto delle risorse necessarie alla costruzione di un calcolatore simile all’Harward Mark IV, probabilmente redatto da Michele Canepa. 7 Mauro Picone e i primi progetti per un calcolatore italiano Fig. 2. Washington, National Bureau of Standards (marzo 1952). Enzo Aparo, Ida Rhodes e Dino Dainelli. vostri più importanti Istituti di Analisi numerica con i seguenti obiettivi: 1) conoscere i grandi progressi realizzati in U.S.A. nella costruzione di grandi calcolatori elettronici […]. 2) Avviare contatti con qualcuna delle migliori ditte per trattare la costruzione o il noleggio di uno di tali calcolatori. […]». Il proposito costruttivo si rafforzerà negli anni, fino a diventare l’unico obiettivo da raggiungere, a costo di frenare le prospettive di un rapido acquisto. L’occasione per un primo contatto fisico con le nuove tecnologie americane è data, nel 1950, dal Congresso della International Mathematical Union (IMU), a Cambridge, che consentirà a Picone e a suoi collaboratori di recarsi in America e di visitare alcuni centri di calcolo elettronico. Già dai contatti preliminari, appare una nuova prospettiva, quella di costruire un proprio calcolatore. In una lettera a Derrick H. Lehmer, che aveva lavorato sull’Eniac, Picone scrive: «Ho intenzione di visitare i 8 La CEP prima della CEP Il primo progetto di costruire un calcolatore in Italia È impossibile riportare qui l’elenco dettagliato di tutte le missioni americane e di tutti i contatti presi a livello tecnico e politico. Ci si soffermerà solo sull’iniziativa legata al nome di Michele Canepa, che costituisce il primo concreto tentativo di costruire un calcolatore in Italia. Canepa era un ingegnere dell’Olivetti, uno dei pochi con competenze elettroniche4. Come racconta egli stesso: «All’inizio della primavera del 1950, il Professor Picone, direttore dell’Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo dell’Università di Roma, si rivolse all’ing. Adriano Olivetti con la proposta di creare una iniziativa congiunta per costruire un calcolatore elettronico italiano. Per l’Istituto di Picone il bisogno di un calcolatore elettronico era diventato urgente. La sua principale linea di lavoro consisteva nell’ottenere contratti per calcoli sofisticati […] Dal momento che sul mercato non c’era disponibilità di calcolatori elettronici, bisognava costruirne uno. Adriano accettò la proposta e si formò, sotto la direzione di Picone, un gruppo misto OlivettiUniversità di Roma, composto da un matematico, un fisico e un ingegnere. Il Prof. Fichera, un allievo di Picone, fu scelto come matematico; il Prof. Quercia, un allievo del Prof. Amaldi dell’Università di Roma, fu scelto come fisico; io fui l’ingegnere. Fu previsto che il gruppo dei quattro facesse un viaggio negli Stati Uniti per visitare tutte le Università americane che possedevano calcolatori, al fine di sceglierne una dove Quercia ed io rimanessimo da uno a due anni per imparare a costruire i calcolatori»5. Quercia non potrà partire perché, essendo iscritto al Partito Socialista, non ottenne il visto. Gli altri si ferma4 5 rono in negli Stati Uniti circa un mese e, oltre a partecipare al congresso IMU, visitarono come programmato vari istituti matematici e centri di calcolo. Canepa, poi, si trattenne al Computation Laboratory per collaborare con successo al progetto del Mark IV6. Come testimonia lo stesso Aiken: «The great progress which Dr. Canepa is making on his parts of the design of Mark IV convinces us that we are in the future to have long and constructive cooperation with you and your associates in Rome». Picone risponde che il nostro Governo ha intenzione di finanziare, col supporto dell’Olivetti, la costruzione di un calcolatore simile al Mark IV e richiede l’aiuto di Aiken. «In the meantime, it is planned that collaborators of our Institute get experience, first, of the methods for programming and applying Mark IV, and, secondly, of the construction and maintenance of it. For the first of these purposes, I have in mind to send Dr. Enzo Aparo and Dr. Dino Dainelli, two of our best workers, to your Institute for a stay of about one year, beginning, say, with 1st November, 1951. For the second, I would avail myself of the advice of Ing. Michele Canepa, assisted by Ing. Giulio Rodinò. The latter should attend permanently the action of the machine». Aparo, Fichera, Dainelli e Rodinò ebbero effettivamente la possibilità di maturare esperienze sui nuovi calcolatori. Siamo ormai alla fine del 1951 e si è sbloccata la vicenda UNESCO. Canepa coglie l’occasione per scrivere a Picone e fare il punto della situazione: «È mio assoluto desiderio mettere a Sua disposizione tutta la mia opera perché possa essere portata a termine la costruzione della progettata Macchina Calcolatrice per l’Istituto di Calcolo. I Olivetti produceva soprattutto macchine per scrivere. La sua prima, mediocre, addizionatrice uscì nel 1940. Dal 1946 Natale Capellaro firmò delle macchine molto valide, tra cui la prima calcolatrice Olivetti, la Divisumma-14 del 1947. Comunicazione privata del 15 novembre 2004 riportata in [1]. 6 9 Come osserva Canepa nella citata comunicazione, Mark IV non fu una «macchina di von Neumann», in quanto dati e programmi erano separati. Tuttavia, era superiore a molte macchine coeve in quanto a ingegneria elettronica. Mauro Picone e i primi progetti per un calcolatore italiano Fig. 3. Howard H. Aiken a Roma (giugno 1952). A sinistra, si riconoscono: Gaetano Fichera, Wolf Gross e Aldo Ghizzetti. A destra: Mauro Picone, Howard H. Aiken e Enrico Bompiani. 18 mesi trascorsi negli Stati Uniti d’America con il solo scopo di studiare il problema, mi permettono ora di vedere in modo chiaro quale strada deve essere seguita verso la realizzazione della ricordata Macchina. […] Come Lei sa però, ogni mia attività è completamente subordinata a qualsiasi decisione che la Direzione di Ivrea desideri prendere; a tale riguardo, […] Nella seconda metà di gennaio sarò certamente a Roma per riferirLe a voce con maggiori dettagli sul progetto della detta Macchina per l’Istituto di Calcolo» (lettera del 30 dicembre 1951). Canepa rientra ad Ivrea e viene inviato a Roma per incontrarsi con Adriano Olivetti e partecipare ad una riunione che racconta così: «Insieme con Adriano partecipai a una riunione all’Università di Roma con Picone e Amaldi. Mentre andavamo alla riunione su una macchi- na guidata da un autista, Adriano definì il suo comportamento riguardo al finanziamento del progetto, dicendomi di non voler andare al di là del 50% del suo costo e di non voler lasciarsi trascinare dall’Università a una partecipazione più larga. Le cose si svolsero però ancora peggio del temuto. Nel corso della riunione, Picone e Amaldi confessarono seccamente che per il momento non avevano fondi disponibili per il progetto e provarono a convincere Adriano di assumersi l’onere dell’intero costo. Ricordo l’espressione di infelicità di Adriano quando comprese la situazione e il suo signorile comportamento di fronte alla novità. Non comunicò alcuna decisione, ma nella macchina che ci riportava al suo ufficio mi disse chiaramente che considerava del tutto chiusa la faccenda. Così non ci fu alcun progetto comune con l’Università di Roma»7. 7 10 Comunicazione privata del 15 novembre 2004. La CEP prima della CEP Gli ultimi tentativi di costruzione Fallito il tentativo di costruire in Italia una macchina simile al Mark IV, ne verranno avviati altri. Ne ricordiamo solo due che tentarono ancora di coinvolgere Olivetti e che, nonostante alcune buone premesse, non decollarono ma vennero bloccati definitivamente dall’acquisto della FINAC. Il primo con il National Bureau of Standards, orchestrato tramite Mario Salvatori, un ex consulente dell’INAC fuggito negli USA prima della guerra. Questi, in una lettera del 26/10/53, scrive a Picone, delineando chiaramente la strategia da seguire. Occorre coinvolgere urgentemente il FOA [Foreign Operation Administration] che deve considerare il progetto di importanza industriale per l’Italia e incaricare il NBS del progetto. «Ora l’unica ditta conosciuta e stimata (enormemente) dal FOA è la Olivetti. È quindi indispensabile che tu ottenga la cooperazione della Olivetti, non di carattere finanziario, ma di carattere scientifico-tecnico. […] è bene tu sappia che senza questa collaborazione io ritengo che il progetto non si realizzerà mai. Alexander vi è tanto amico da star già provando a fare il progetto senza FOA e senza quindi l’Olivetti; […] ma questa strada è lunga, incertissima e piena di difficoltà burocratiche. Quindi devi ottenere la garanzia della collaborazione Olivetti. Le massime difficoltà incontrate nel costruire la macchina, si incontrano nella parte scrivente e non nella parte puramente elettronica. L’unica ditta in Italia che sa fare le telescriventi necessarie è la Olivetti. Occorre quindi la sua collaborazione tecnica. […]». rapporto inviato da Picone nel luglio 1952 al Presidente del CNR: «La S.V. ha voluto dare avviamento alla creazione di un Centro Elettronico per il Calcolo, nella sede del C.N.R., chiamando a collaborarvi la Ditta Olivetti, […]. In seguito a ciò il Comitato per la Fisica e la Matematica ha chiesto e ottenuto lo stanziamento di £. 2.000.000 (duemilioni) per le primissime spese […]. Con tale somma ho provveduto a far venire dall’Inghilterra l’ing. Norbert Kitz, specialista nella costruzione di apparecchi elettronici da calcolo, assegnandogli due assistenti, […]. La Ditta Olivetti ha inviato a collaborare con l’ing. Kitz, l’ing. Luciano Zannini ed è disposta ad inviare, [ altro personale …]. Si può dire, dunque, così formato un primo gruppo di persone del progettato Centro Elettronico per il Calcolo, il quale sarà, in seguito, designato con la sigla C.E.C. Gli ingegneri Kitz e Zannini hanno già a fondo studiato le successive fasi che dovrà avere la costituzione del C.E.C. per pervenire alla costruzione di una grande macchina calcolatrice elettronica, tra le più perfezionate, nonché alla formazione di un personale bene addestrato alla manutenzione ed al proseguimento di progressi della macchina stessa. […] Ciò premesso parmi che si possa affermare la grande opportunità per lo sviluppo, non soltanto delle possibilità di calcolo di questo Istituto ma anche nell’interesse del progresso industriale del Paese, della realizzazione del progettato C.E.C. È vero che in tal modo questo Istituto perverrà al possesso di una macchina calcolatrice elettronica dopo almeno quattro anni, mentre che il puro e semplice acquisto di tale macchina gliene darebbe immediatamente il possesso, ma così l’Italia non perverrebbe all’acquisto di persone competenti nell’elettronica da calcolo, ciò che la priverebbe di un’attività, in seno ad essa, scientifica e tecnica, della più alta importanza e la metterebbe sempre, nel campo delle applicazioni elettroniche, alle dipendenze dall’estero. Io propongo quindi che si addivenga, al Un secondo tentativo molto interessante fu la costituzione all’interno del CNR di un Centro Elettronico per il Calcolo (CEC). Questa iniziativa, benché all’inizio coinvolga Olivetti, si muove lungo linee diverse dal “progetto Canepa”. L’avvio è ben sintetizzato dal 11 Mauro Picone e i primi progetti per un calcolatore italiano più presto, all’adozione delle proposte presentate dagli ingegneri Kitz e Zannini, stanziando i mezzi finanziari indicati, necessari alla realizzazione del C.E.C.». Alla successiva riunione del Comitato per la Fisica e la Matematica del CNR Picone presentò «un programma per la costruzione della Calcolatrice elettronica che implica una spesa di 300 milioni da erogare in più anni». Per il primo anno l’assegnazione richiesta è di 60 milioni. La lunga discussione si chiude con la decisione di affidare a Picone e Amaldi il compito di contattare, verificandone la disponibilità, degli esperti atti a assumere la direzione del Cec. Sembra così che questo Centro possa cominciare a costituirsi presso l’INAC e viene costituita una commissione per la progettazione e la costruzione del calcolatore. Però, tra i collaboratori troviamo solo il nome di Kitz, non quello di Zannini. Il che segna la definitiva uscita dell’Olivetti dai progetti di Picone, sostituita dalla Microlambda, un’azienda attiva nel settore dei radar. Quando, successivamente, si tenterà di coinvolgere l’azienda di Ivrea nel progetto NBS sopra ricordato, Salvadori dovrà annotare «So purtroppo che fra l’Istituto e l’Olivetti ci sono stati degli screzi, ma spero si tratti di roba da nulla». I problemi economici Un punto fondamentale nel fallimento di tutti questi tentativi di costruire un calcolatore in Italia è quello economico. Era così difficile trovare i fondi? Si trattava di cifre ingenti, dell’ordine delle centinaia di milioni dell’epoca e, secondo gli indici ISTAT, cento milioni del 1953 equivalgono a circa 1.600.000 euro attuali. Però, bisogna notare che Picone non era un signor nessuno. Egli vantava ampi crediti e aveva dimostrato di saper produrre consistenti utili. La situazione è ben delineata in un articolo del 1953 [12] in cui si evidenzia che «Prima della guerra, l’INAC era giunto a versare annualmente nelle casse dello Stato […] un utile pari a circa un quarto di miliardo d’oggi, ricavato dalle consulenze per ditte private […]. Questa cifra è proprio quella che occorrerebbe ora per l’acquisto di una sola delle macchine elettroniche, con cui nei Paesi più progrediti si è pervenuti a superare enormemente il rendimento delle calcolatrici meccaniche tuttora usate nel nostro Istituto». La storia dei finanziamenti è tutt’altro che semplice e molto italiana. Vi si intrecciano situazioni potenzialmente positive ma che si paralizzano a vicenda. Cerchiamo di sintetizzarle anche a scapito della completezza. Innanzitutto c’è il fronte UNESCO. Il suo Direttore Generale, Jaime Torres Bodet, scrive in un rapporto riservato del 1951 di aver previsto degli appositi fondi per l’acquisto del calcolatore. Già prima dell’annuncio ufficiale, alcune ditte si muovono per proporre la vendita di un loro calcolatore. In particolare l’Univac (Universal Automatic Computer), la divisione elettronica della Remington Rand Inc., che produceva uno dei primi calcolatori commerciali. La trattativa con Remington Italia venne effettivamente intavolata8. Però, Picone impose condizioni che la ditta americana non accettò, se non a patto di aumentare enormemente il prezzo. Il problema di fondo sembra essere che Picone aveva due grosse remore nei confronti di questa soluzione. Da un lato voleva che l’INAC avesse il controllo del calcolatore, dall’altro voleva che il calcolatore fosse costruito in Italia. Sul primo punto, in diverse occasioni, Picone si era lamentato della gestione troppo burocratica dell’UNE8 12 Si veda il “Promemoria per il rappresentante in Italia della casa Remington di Philadelphia (USA)” del 26 maggio 1952. La CEP prima della CEP SCO. Poi, in una riunione del Comtato Matematica-Fisica, egli prende le distanze dal C.I.C., facendo verbalizzare una sua dichiarazione che definisce un «assurdo che stride insopportabilmente» il fatto che dei due impegni, quello del CNR di dotare l’INAC di un calcolatore e quello del Governo italiano di ospitare il C.I.C., si voglia dare la precedenza al secondo, «recando così certamente danno proprio a quell’istituzione italiana che ha meritato al nostro paese l’onore dell’assegnazione di quel Centro». La forte determinazione di Picone a voler costruire il proprio calcolatore influenzerà negativamente l’assegnazione di fondi anche da parte del Governo italiano, tramite il CNR. Come si è ricordato all’inizio, in quegli anni era molto aperto il dibattito tra costruttori e compratori. Tra i primi possiamo annoverare stabilmente Picone, Amaldi e De Finetti. Ma anche il partito dei compratori era forte e po- teva contare in prima linea su Gino Cassinis che poi, coerentemente, farà acquistare un calcolatore al Politecnico di Milano. Tuttavia, Picone riteneva che l’ostacolo maggiore fosse dato da Gustavo Colonnetti (1886-1968), presidente del CNR, tanto da scrivere a Francesco Giordani: «Io non credo di poter rimanere in supina attesa dei provvedimenti che stalinianamente vorrà prendere il Colonnetti, nei riguardi dell’attività di questo Istituto, facendoli dipendere dal suo estro e dalle più svariate situazioni sue particolari, lontanissime dal progresso della scienza ed in particolare delle funzioni del CNR». In definitiva, l’equilibrio tra i due schieramenti, porta ad una situazione di stallo che blocca qualsiasi iniziativa. Tipica è la deliberazione del Comitato CNR in cui, «udita la relazione del Prof. Picone» sulla necessità e urgenza di dotare l’INAC «di una potente macchina elettronica aritmetica», «considerati i propositi di Fig. 4. Inaugurazione della FINAC (Roma, 14 dicembre 1955). Paolo Ercoli, in camice bianco, mostra la FINAC a Gronchi e Picone. Si possono riconoscere diversi ricercatori, tra cui Böhm e forse De Giorgi, e uomini politici. 13 Mauro Picone e i primi progetti per un calcolatore italiano addivenire a tale dotazione, più volte espressi dal Presidente del C.N.R.» e «visto il disegno di legge n. 2466 A» che prevede il «rammodernamento delle attrezzature di calcolo per gli Enti e gli Istituti scientifici», il Comitato fa voti «affinché la Presidenza del C.N.R. richieda l’assegnazione di £ 300.000.000 da dedicare all’acquisto o alla costruzione di una macchina elettronica da dare in dotazione all’Inac». La FINAC (Ferranti Mark 1*) La situazione viene improvvisamente sbloccata lontano da Roma, a Manchester. C. Bonfanti [13] ha ritrovato una corrispondenza tra Vivian Browden (un dirigente della Ferranti) e Lord Halsbury (un esponente dell’agenzia governativa per il commercio estero) in cui si riassumono i vani tentativi fatti per vendere un calcolatore all’UNESCO. Finché, all’improvviso, si presentano alla Ferranti due italiani (A. Suglia e C. Daroda della Compagnia Generale di Elettronica) che affermano di disporre di circa 250.000 sterline, provenienti in gran parte dal Piano Marshall, per acquistare un grande calcolatore di cui non specificano la destinazione. Browden aggiunge che Kitz «mi ha fatto presente che le trattative di questo genere vengono condotte in Italia in una maniera piuttosto inconsueta, ispirata in larga misura a ciò che si potrebbe definire come “trattative personali piuttosto delicate”». Nella risposta a Suglia, Browden fa comparire per la prima volta il nome di Picone, accennando che, «come mi si disse», certe caratteristiche del Mark 1* «sono di interesse del Prof. Picone». Da qui parte una lunghissima serie di contatti, trattative, visite reciproche e test sempre più accurati che sono ampiamente documentati in [3]. Va notato che Picone fece anche un tentativo per convincere Ferranti a costruire il calcolatore in Italia, ma ottenne solo che l’impianto di raffreddamento fosse “made in Italy”. La macchina destinata all’INAC, denominata FINAC, fu la quarta del modello Mark 1*, un significativo perfezionamento del primo calcolatore Ferranti. La calcolatrice giunse a Roma a fine gennaio del 1955 e venne inaugurata il 14 dicembre alla presenza del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Però, a dispetto dei lunghi sforzi di Picone, la FINAC fu solo il secondo calcolatore installato in Italia, come gli fa gentilmente notare Luigi Amerio (suo discepolo e professore al Politecnico di Milano) nella lettera di congratulazioni inviatagli per l’occasione: «Come Le avrà detto Ghizzetti, che l’ha vista, Cassinis ha procurato per il Politecnico di Milano una calcolatrice elettronica C.R.C. (inferiore alla vostra Ferranti, ma sempre notevolissima)». A titolo di curiosità va citato un ultimo episodio che rallentò l’installazione della FINAC. Questa, pesante oltre due tonnellate, inizialmente doveva essere installata al piano terra. All’ultimo momento il CNR decise collocarla al IV piano, vicino agli altri locali occupati dall’INAC. Ci vollero mesi di lavoro per rinforzare i pavimenti. Vale, infine, la pena di spendere due parole sulla storia della Ferranti. Questa venne fondata nel 1882 da Sebastiano Ziani de Ferranti, di padre friulano e madre inglese. Sfruttando i propri brevetti, lui e i suoi eredi portarono la ditta ad affermarsi prima nel settore dei grandi impianti elettrici e poi in quello degli elettrodomestici. Durante la seconda guerra mondiale si iniziò la produzione di componenti elettroniche per l’esercito. Nel dopoguerra un accordo con l’Università di Manchester (vicinissima ai suoi stabilimenti di Moston) per- 14 La CEP prima della CEP Fig. 5. Console della FINAC: Illustrazione tratta dal libretto distribuito in occasione dell’inaugurazione (Roma, 14 dicembre 1955). mise lo sfruttamento industriale dei progetti sviluppati da Kilburn, Turing e Williams. Si giunse così alla produzione del Ferranti Mark 1, il primo calcolatore completamente elettronico messo in commercio. Successivamente la ditta resto molto attiva nel settore dei compu- ter, ma si dedicò sempre più anche all’avionica e alla produzione militare. Finché, nel 1989, una sua consociata americana restò implicata in una vicenda di traffico illegale d’armi. Questo portò, nel 1993, al fallimento della Ferranti. I rapporti tra INAC e CEP È quasi inutile ricordare qui che il progetto CEP nasce nell’agosto del 1954 da un suggerimento di Enrico Fermi. Questi focalizza subito che non sussistono problemi di coesistenza con l’INAC perché «L’esperienza dimostra che la possibilità di eseguire con estrema speditezza e precisione calcoli elaborati crea ben presto una sì grande domanda di tali servizi che una macchina sola viene presto saturata». Viceversa, la posizione di Picone è soggetta ad una profonda evoluzione. La notizia dell’iniziativa pisana giunge a Roma mentre Picone è in Brasile e non ha la possibilità di discuterne direttamente con nessun pisano. Forse a causa di malintesi, forse a causa delle troppe disillusioni subite nel decennio precedente e del timore che sorgano nuovi ostacoli all’acquisto del FINAC, la prima reazione (trasmessa tramite Ghizzetti) è decisamente dura: «Deploro l’iniziativa Pisana della costruzione di una macchina calcolatrice elettronica. Con essa si viene a creare un doppione con quella dell’Istituto e l’Italia non è oggi in grado di dar lavoro a due veloci macchine elettroniche. Io mi opporrò 15 Mauro Picone e i primi progetti per un calcolatore italiano Fig. 6. Inaugurazione della FINAC: articolo apparso sulla rivista Scienza e Vita, n. 84, p. 15, gennaio 1956. con tutte le mie forze allo sperpero di denaro che si farebbe con la riuscita dell’iniziativa Pisana». Però viene lasciata una porta aperta al dialogo e nella stessa lettera si propone un incontro a Pisa, che avrà effettivamente luogo a fine novembre. È molto diplomatica la pronta risposta di Gilberto Bernardini (11/11/1954) il quale passa in rassegna molte installazioni americane, tutte sovraccariche di lavoro, e riporta l’osservazione di molti scienziati che «in pochi anni il livello scientifico in un paese sarà più o meno misurato dal numero di calcolatrici elettroniche che esso avrà in uso». A fine dicembre, Picone risponde a Bernardini e i toni si sono decisamente addolciti, pur restando delle perplessità. Accennando agli incontri avuti con Conversi, Faedo, Bordoni e con dei fisici romani, Picone rileva che in alcuni ha trovato «scetticismo per quell’impresa, che è certamente difficile, ed in altri entusiasmo e fede nella riuscita degli sforzi che si accingono a dare per la realizzazione di quel progetto. Effettivamente, quando in un primo tempo, io pensavo di costruire in Italia la macchina elettronica, per questo Istituto, dovetti convincermi, […], che l’industria italiana non era preparata per quell’impresa. Può essere però che ora la nostra industria abbia progredito e sia nella possibilità di fare quello che non poteva or è un anno e mezzo.» Comunque resta preoccupato dal fatto che la FINAC potrebbe svolgere in tre giorni il lavoro tradizionalmente compiuto dall’Istituto in un mese. «Sarebbe certamente assai antieconomico se durante gli altri ventisette giorni la macchina dovesse stare ferma», venendo a mancare le richieste da parte dei fisici, che utilizzerebbero la CEP. «Aggiungi poi una circostanza di cui sono 16 La CEP prima della CEP venuto a conoscenza soltanto ieri. Al politecnico di Milano è in via d’installazione una macchina calcolatrice elettronica di una certa potenza, di un modello che mi è tuttora ignoto e che, mi dicono, ha sostenuto brillantemente alcune prove di collaudo. Dunque, da zero si salterebbe, in Italia, istantaneamente a tre macchine calcolatrici elettroniche. Che cosa avverrà della loro utilizzazione?» Le posizioni espresse nel prosieguo della lettera sono, nonostante le perplessità, ormai aperte non solo ad una “pacifica coesistenza”, ma anche a possibili collaborazioni. Forse Picone incomincia a vedere nella CEP la realizzazione del suo sogno di un calcolatore tutto italiano, anche se portato avanti da altri. Sembra, comunque, opportuno fare un po’ di tara al verbale della riunione pisana (13-14/1/1955) sul progetto CEP, quando « I Proff. Faedo e Conversi ricordano, a questo proposito, i termini entusiastici in cui il Prof. Mauro Picone si espresse in una conversazione privata che ebbe con loro a Pisa il 20 novembre u.s.». Nella successiva riunione pisana del 20 gennaio viene posto il problema della “codi- ficazione”, ossia di dotare la macchina di un compilatore. Il gruppo impegnato su questo obiettivo «dovrebbe contenere un maggior numero di matematici […] la sua entità dipenderà anche dalla misura in cui potrà essere sviluppata la auspicata collaborazione con l’Istituto diretto dal Prof M. Picone. Parte del delicato lavoro di “codificazione” potrebbe infatti passare passare, con il consenso del Prof. Picone, attraverso l’INAC». Questa collaborazione fu effettivamente sviluppata, però è difficile quantificarla per mancanza di documentazione. Nella biblioteca è presente un manuale dal titolo “Uso del Simulatore CEP: Supplemento B al n. 12 del Notiziario FINAC”. Purtroppo il n. 12 del Notiziario è introvabile. Questo notiziario non era una pubblicazione a stampa, ma una raccolta interna di appunti e notizie. Inoltre, come regola generale, all’INAC si costituiva una cartella per ogni lavoro effettuato. Ma anche questa è andata perduta. A questo punto non si può capire chi abbia effettivamente lavorato al progetto, per quanto tempo e se effettivamente il simulatore sia stato utilizzato e come. Fig. 7. Tre pubblicità Ferranti. La prima (1923) mostra la produzione tradizionale della ditta. Nella seconda, i nuovi computer vengono presentati al grande pubblico che conosce Ferranti per le sue stufe elettriche. Nella terza, il Mark 1* (identico alla FINAC) e il Pegasus vengono esposti ad un salone aeronautico. 17 Mauro Picone e i primi progetti per un calcolatore italiano La CINAC e il progetto Elea 9004 Per completare il quadro dei primi progetti per realizzare grandi calcolatori in Italia dobbiamo arrivare alla fine del 1961. Ormai la FINAC incomincia ad essere obsoleta, esistono già la CEP e l’ELEA-9003, Adriano Olivetti è morto, Picone (per sopraggiunti limiti d’età) ha lasciato a Ghizzetti la Direzione dell’Istituto, ma ne è rimasto Presidente. Il 21 giugno del 1961 avviene un incontro tra Picone e Mario Tchou, il geniale progettista dell’Olivetti. Questi ne riferisce subito alla Direzione Generale di Ivrea e il 24 giugno può inviare una risposta ufficiale al nuovo Direttore dell’INAC. Vi si legge che l’Istituto aveva offerto «la collaborazione di alcuni suoi elementi alla progettazione di un nuovo calcolatore» molto più potente del Ferranti. «Poiché questo calcolatore rientra nei nostri piani di progettazione», il lavoro potrà essere svolto a Borgolombardo con la partecipazione di due persone dell’INAC, «competenti una nel campo tecnico e l’altra nel campo matematico». Poi, l’INAC si accorderà per l’eventuale acquisto o noleggio della macchina. «La Direzione Generale ha accettato queste proposte ed è lieta della futura collaborazione». «Per poter iniziare a più presto questa collaborazione, mi permetto di suggerirLe la designazione del […] Prof. Ercoli per la parte tecnica e del Prof. Dainelli per la parte matematica», nomi che peraltro erano già stati concordati con Picone. Parte così un progetto che verrà chiamato di volta in volta CINAC (Calcolatore dell’INAC) o Elea 9004. L’attività inizia subito, ma è bruscamente frenata dall’improvvisa morte di Tchou, avvenuta il 9 novembre, probabilmente mentre si recava ad Ivrea per discutere del progetto con la direzione aziendale9. 9 Passate le prime incertezze, il progetto riparte lentamente sotto la guida di Giorgio Sacerdoti che, dopo essersi formato all’INAC, era passato all’Olivetti, assumendo posizioni sempre più importanti, fino a sostituire Tchou dopo la sua morte. Bisogna quindi attendere la fine del 1962, per trovare una sua lettera a Ghizzetti in cui si chiede di inviare Ercoli e Dainelli «per poter continuare la serie dei colloqui già avvenuti nel passato. Dal momento che lo studio di progettazione è ovviamente sempre più avanzato […] sarebbe opportuno che la visita durasse più di un giorno». Il 26 luglio 1963, Ghizzetti scrive a Sacerdoti chiedendo notizie dell’Elea 9004 e indicazioni sulle condizioni economiche che l’Olivetti intende proporre. Il 3 settembre, Sacerdoti risponde facendo il punto della situazione: «Elea 9004: - La costruzione della macchina procede sulla base del progetto studiato in collaborazione […] - La realizzazione materiale del prototipo è iniziata presso di noi ma si potrebbe discutere, se ciò fosse di interesse per l’INAC, se farla continuare presso l’Istituto stesso, come all’inizio della collaborazione si era pensato». L’anno successivo (15 marzo) viene aggiornato il testo dell’accordo CNR-Olivetti in cui è significativo il testo del’Art. 12: «Alla I.C.O. [Ing. C. Olivetti] è riservato il diritto di includere nella propria lista di prodotti, e quindi produrre e vendere, il calcolatore dell’INAC, che verrà presentato come un calcolatore della serie Elea». Il successivo 10 aprile, il consiglio direttivo dell’INAC lo approva. Nella discussione, Ghizzetti ricorda che venne realizzata anche una «simulazione della macchina Elea sulla Finac, quando la prima era in progettazione». Sul progetto, come è noto, si abbatté un’ulteriore tegola: la cessione alla General Electric del settore elettronico Olivetti. Comunque i lavori continuarono e l’hardware http://matematica.unibocconi.it/articoli/50-anni-dalla-scomparsa-di-mario-tchou 18 La CEP prima della CEP della macchina venne completato e consegnato. Però, per effetto di tutte le vicissitudini intercorse, la Olivetti-General Electric non fu in grado di produrre i compilatori. Oltre ad un assembler, come linguaggio di programmazione in grado di sfruttare appieno le caratteristiche innovative della macchina, era stato previsto il PALGO, un derivato dell’ALGOL. Questa mancanza venne superata aggiungendo al CINAC una console di simulazione della vecchia FINAC. Questo accorgimento forniva l’apprezzabile possibilità di riutilizzare le librerie di programmi già realizzate in istituto ma penalizzava pesantemente le prestazioni della macchina. Per indicare l’eccezionalità della macchina, primo (e unico) esemplare semi-prototipale di una futura serie, venne indicata come appartenente ad un modello Elea 9104. Il CINAC venne collaudato nel febbraio 1963. Poco tempo dopo la FINAC venne smantellata e attualmente se ne conservano solo piccolissime parti accessorie. In questo, il CINAC ha avuto maggiore fortuna. Dopo essere stato progressivamente dismesso alla fine degli anni ’60, venne collocato integro in un magazzino del CNR. Infine, quando la Fondazione Galileo costituì il Museo degli Strumenti di Calcolo, esso venne trasferito a Pisa, dove è tuttora esposto. Con la dismissione del CINAC venne anche chiusa la sezione CEC dell’Istituto ed ebbero definitivamente termine i progetti avviati da Picone per la costruzione di un calcolatore. Bibliografia [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] A. Guerraggio, M. Mattaliano, P. Nastasi, “Alla fine fu FINAC”, Sapere, a. 71, n. 2 (1037), pp. 42-55, 2005. A. Guerraggio, M. Mattaliano, P. Nastasi, L’IAC e l’affaire Unesco: i documenti, P.RI. ST.EM/Storia, nn. 21-22, Università Bocconi, 2008. A. Guerraggio, M. Mattaliano, P. Nastasi, La lunga marcia di Mauro Picone (18851977), Quaderni P.RI.ST.EM, n. 15, Università Bocconi, 2010. A. Celli, “Il calcolo prima del FINAC”, appendice a [3], pp. 370-378. M. 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