Atti del
1° Forum della Solidarietà lucchese nel Mondo
A Lucca dal 24 al 27 aprile 2003 abbiamo ascoltato testimonianze uniche al mondo, dai
protagonisti della solidarietà internazionale.
Nella nostra città sono convenuti personaggi come Rosalina Tuyuc, Presidentessa di
Conavigua, il Coordinamento Nazionale delle Vedove Guatemalteche, Rodrigo Rivas, economista
cileno ex deputato nel governo Allende, scampato alla morte fortunosamente e riparato in
Italia dopo il golpe dei “colonnelli” del 1973 costato la vita allo stesso Allende, Don Luciano
Mendes, Vescovo di Mariana (Brasile), una figura leader dell’Episcopato brasiliano e testimone
di prima linea al Foro Sociale Mondiale di Porto Alegre del 2003.
Abbiamo ascoltato le esperienze e le parole di Fratel Arturo Paoli, nominato “Giusto
tra le nazioni” dallo Stato di Israele nel 1999 per aver aiutato e salvato alcuni ebrei nel 1944
all’epoca delle persecuzioni naziste. Fratel Arturo Paoli, che vive e lavora in Brasile, è il vero
emblema della solidarietà lucchese nel mondo. Abbiamo potuto ascoltare molti altri
personaggi, dei quali troverete gli interventi in questi atti.
Sono le esperienze che abbiamo incontrato e conosciuto in questi anni nel mondo e che
abbiamo ritenuto fossero un punto di riferimento per un mondo non violento, di giustizia e di
pace, in quei giorni drammatici, che videro l’inizio della guerra all’Iraq.
Il 1° Forum della solidarietà lucchese nel mondo è stato un momento
particolarmente significativo per la Provincia di Lucca, per le associazioni che hanno
collaborato e per i partner stranieri invitati, per questo motivo l’amministrazione
provinciale ha pubblicato gli atti e sta lavorando al secondo Forum della solidarietà
lucchese nel Mondo che si terrà a fine aprile 2005.
Andrea Tagliasacchi
Presidente della Provincia di Lucca
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1° FORUM DELLA SOLIDARIETA’ LUCCHESE NEL MONDO
Programma
Prima giornata - 24 aprile
Inaugurazione del Forum
Moderatore dei lavori:
Rossana Sebastiani
Dirigente del Servizio P.I. Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca
Saluti di benvenuto
Andrea Tagliasacchi
Presidente della Provincia di Lucca
Massimo Toschi
Consigliere per la Pace, la cooperazione ed i Diritti Umani del Presidente della Regione Toscana
Claudio Martini
Maria Eletta Martini
Presidente del Centro Nazionale per il Volontariato
Aldo Zanchetta
Coordinatore della Scuola per la Pace della Provincia di Lucca
Relazione “magistrale”
Don Luciano Mendes
Vescovo di Mariana (Brasile), già Presidente
della Conferenza Episcopale del Brasile
“Globalizzare la solidarietà”
Presentazione del video-intervista a Fratel Arturo Paoli
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Seconda giornata - 25 aprile
Moderatore dei lavori:
Aldo Zanchetta
Coordinatore della Scuola per la Pace della Provincia di Lucca
Presentazione delle associazioni lucchesi
partecipanti e dei loro partner
Rodrigo Rivas
“L’America Latina oggi: problemi, speranze e prospettive”
Padre Gino Barsella
“L’Africa di fronte al XXI° secolo”
Massimo Toschi
“Europa e Mediterraneo: quale cooperazione?”
Dibattito con i relatori
Tavoli di lavoro su America Latina, Africa, Europa e Mediterraneo
I tavoli sono destinati ad analizzare i problemi specifici delle realtà ove i nostri partner operano e
definire le priorità per la cooperazione in atto con organizzazioni lucchesi.
Ai tavoli partecipano i partner stranieri presenti e le
corrispondenti realtà lucchesi.
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Terza giornata - 26 aprile
Moderatore dei lavori:
Rossana Sebastiani
Dirigente del Servizio P.I. Politiche Sociali e Sport della Provincia di Lucca
Relazioni sui lavori dei tavoli
Dibattito
Testimonianze dei partner stranieri presenti
…
Moderatore dei lavori:
Patrizio Petrucci
Assessore al Volontariato della Provincia di Lucca
Prosecuzione delle testimonianze dei partner stranieri presenti
Saluto del Vescovo di Lucca
Mons. Bruno Tommasi
Relazioni “magistrali”
Claudio Martini
Presidente della Regione Toscana
“La Cooperazione allo Sviluppo della Regione Toscana”
Gilles Nicolas
Direttore del Contro Teologico di Algeri
“Solidarietà nel tempo della crisi”
Arturo Paoli
Fratello del Vangelo
“La cultura del dono e del gratuito e la globalizzazione”
Rosalina Tuyuc
Presidente di CONAVIGUA
Associazione delle vedove di guerra del Guatemala
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“La cooperazione allo sviluppo vista dalla periferia del mondo:
il caso del Guatemala”
Giulio Marcon
Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà
“La cooperazione allo sviluppo: la difficile riforma dell’aiuto umanitario”
…
Andrea Tagliasacchi
Presidente della Provincia di Lucca
Lettura della Dichiarazione del
1° Forum della Solidarietà lucchese nel Mondo
Conclusioni
Quarta giornata - 27 aprile
“Un mondo di mondi diversi”
Giornata di festa e di incontro con la cittadinanza con banchetti illustrativi delle attività associative,
musiche e proiezioni.
Banchetti di associazioni e scuole con documentazione
delle attività di cooperazione.
Proiezione continua di video e diapositive, esposizioni fotografiche ed altre attività di
comunicazione.
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Prima giornata: 24 aprile
SALUTI DI APERTURA
Andrea Tagliasacchi
Presidente della Provincia di Lucca
Ringrazio i rappresentanti delle associazioni e quelle personalità che sono qui oggi per portarci la
loro esperienza e la loro cultura. Da quando abbiamo iniziato il percorso che ha portato alla costituzione
della Scuola per la Pace, abbiamo imparato molto, conoscendo culture e situazioni diverse in tutto il mondo
e toccando l’inadeguatezza delle istituzioni nell’affrontare determinate tematiche.
Ho sempre pensato che le esperienze di solidarietà concreta che le associazioni di volontariato
portano avanti in tutto il mondo avessero bisogno di visibilità al fine di creare più consapevolezza e
conoscenza sul nostro territorio; ci siamo quindi resi conto che era necessario mettere in comunicazione le
diverse esperienze.
Negli ultimi anni è emerso un giudizio sulla globalizzazione che possiamo definire politico: si è andato
affermando sempre di più un tipo di globalizzazione che ha portato all’esclusione ed alla concentrazione
delle ricchezze nelle mani di pochi, ma contemporaneamente ha preso sempre più forza un vasto e
variegato movimento di contestazione a questa idea di globalizzazione.
Il significato del Forum è quello di dare voce, di dare spazio a quella parte di mondo possibile che c’è già, a
quella parte di mondo che pratica già un’altra globalizzazione.
Queste realtà ci insegnano l’importanza e la forza della solidarietà, della mitezza, della determinazione,
dell’interiorità e dell’esperienza vissuta: tutto questo non può non portare un segno ed un messaggio di
speranza a tutti noi.
Le istituzioni non devono certo avere la pretesa di inglobare queste esperienze, ma devono impegnarsi
affinché venga costruita una rete che permetta il rafforzarsi di un progetto, nato e noto da tempo, di aiuti e di
cooperazione.
Sono quindi molto emozionato, senza retorica, nel vedere queste sale piene di ragazzi e ragazze che
portano le loro esperienze di vita e di solidarietà concreta.
L’altro significato di questa iniziativa è la forza della nonviolenza; sono dell’idea che questo
messaggio, in un contesto mondiale come quello attuale, dominato dalla guerra e dalla violenza, non possa
che essere accolto con entusiasmo e con grande speranza.
Durante queste giornate parleranno personalità provenienti dall’Africa, dall’America Latina, dall’area
mediterranea, dalle regioni balcaniche e dal Medio Oriente, terra quest’ultima dove si gioca la vera partita del
dialogo tra culture e religioni diverse.
Mi auguro che questo possa essere il primo incontro di una lunga serie, mi auguro che anche gli enti
locali possano essere un punto di riferimento per le associazioni della nostra zona.
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Massimo Toschi
Consigliere per la Pace, la Cooperazione ed i Diritti Umani del
Presidente della Regione Toscana Claudio Martini
Prima di iniziare questo brevissimo saluto, vorrei leggere una lettera che mi è arrivata ieri mattina:
“Caro Professor Massimo, sono accanto a lei nella celebrazione del 1° Forum della Solidarietà lucchese nel
mondo. Il mio saluto rispettoso e grato ai testimoni, a cominciare dal mio fratello Arturo Paoli. Con affetto,
Francesco Loris Capovilla”, che come saprete era il Segretario di Papa Giovanni XXIII. Ho voluto leggervi
questa lettera, perché sono dell’idea che oggi, 40 anni dopo, l’Enciclica di Giovanni XXIII Pacem in Terris
acquisti un significato particolare, soprattutto pensando all’attuale contesto mondiale.
Porto poi il saluto del Presidente della Regione Toscana, Claudio Martini che oggi è impegnato a Bruxelles,
ma che sarà presente al Forum nei prossimi giorni.
Sono grato al Presidente Tagliasacchi per la scelta strategica che ha compiuto, investendo risorse, forze ed
energie sulla pace e sulla solidarietà. Su alcuni giornali locali si è ironizzato su questa iniziativa, affermando
che il Forum rappresenta un costo inutile per la società lucchese e per la Provincia. In realtà investire su una
cultura di pace e di solidarietà non significa sprecare ma significa puntare sul futuro.
Vorrei inoltre sottolineare il legame tra questo Forum e ciò che sta accadendo nel mondo, perché la
pace non si costruisce, come ha detto il Presidente Tagliasacchi, con le bombe e con la guerra, ma
attraverso partenariati di solidarietà, di amicizia, di incontro e di dialogo. Sono infatti questi i veri anticorpi
contro ogni guerra ed ogni fondamentalismo. La pace è la questione principale del secolo che è appena
iniziato: siamo di fronte a scelte tragiche che possono produrre un meccanismo perverso di guerra infinita;
siamo quindi chiamati a costruire nuovi rapporti ed una nuova sensibilità.
Il titolo di questo Forum Un mondo di mondi diversi può dare adito ad una lettura parziale ed
“esclusiva”, una lettura, certamente strumentale, che intende costruire un mondo che contiene realtà diverse
ma non comunicanti tra loro. La direzione da seguire è, ovviamente, quella di costruire mondi tra loro
interdipendenti e comunicanti: questa è la lettura vera e autentica di questo titolo, un titolo che contiene in
nuce sentimenti di dialogo e di incontro, sentimenti che in questi anni Lucca ha dimostrato di sentire e
trasmettere. Ciò che avviene in questi giorni a Lucca è quindi un fatto molto importante, come un seme che
produrrà i suoi frutti nel futuro.
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Maria Eletta Martini
Presidente del Centro Nazionale per il Volontariato (CNV)
Porto i saluti del Centro Nazionale per il Volontariato, che conta oltre 500 associazioni sparse in tutta
Italia.
Penso che queste ed altre iniziative servano a collegare l’opera dei volontari che lavorano in Italia con coloro
che operano in altre zone del mondo meno fortunate.
Il CNV non è un’associazione, ma è una rete che vuole fornire servizi alle associazioni, aiutandole a
crescere sia qualitativamente che quantitativamente, cercando di far sì che possano adempiere in maniera
organica e non superficiale ai loro compiti.
L’esperienza ci ha insegnato che c’è bisogno di una profonda comprensione dei problemi del mondo
e della loro complessità. Tra le associazioni che hanno promosso il Forum, ce ne sono molte che già hanno
rapporti con il Terzo e Quarto Mondo e che rappresentano la parte più avanzata e più aperta
dell’associazionismo. E’ infatti necessario che le associazioni tutte non vivano chiuse nei loro problemi
quotidiani, bisogna che si immergano nei problemi del mondo, perché i problemi degli altri devono diventare i
nostri problemi.
Sarebbe necessario indagare sulla cooperazione, bisognerebbe fare sì che la cooperazione non fosse
unilaterale, ma rappresentasse una “concertazione” tra le realtà locali beneficiarie dei vari progetti.
Discutiamo di tutto questo proprio durante un periodo funestato da guerre e da violenze, e non sappiamo se
e quando le guerre, ufficialmente dichiarate al fine di esportare la democrazia, finiranno.
Oggi non possiamo limitarci a chiedere la pace, ma bisogna essere capaci di costruirla giorno dopo
giorno, lottando contro le ingiustizie ovunque si trovano; per far tutto ciò bisogna uscire dal privato, anche
quando questo combacia con uno scenario nazionale o europeo. E’ positivo, a questo proposito, che a
questa iniziativa abbiano aderito le istituzioni, che devono assumersi le loro responsabilità, ma soprattutto le
scuole. La loro adesione è particolarmente importante e significativa, perché il mondo da cambiare è quello
in cui i ragazzi vivranno domani.
Al Forum sono presenti testimoni che provengono da molte parti del mondo, ed io penso che i giovani
accettino come maestri solo le persone che sono testimoni di altre vite, di altre esperienze.
Auguro quindi cordialmente buon lavoro a tutti: penso che dobbiamo aver fiducia nei giovani, penso che in
essi sia presente quella forza dinamica che può veramente cambiare il mondo.
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Aldo Zanchetta
Coordinatore della Scuola per la Pace della Provincia di Lucca
“Significato e obiettivi del Forum”
Prima di riflettere sul significato del Forum, voglio ringraziare il Presidente Tagliasacchi per averlo
voluto e reso possibile, ma anche per averne rispettato le dinamiche preparatorie, affidando l'autonoma
definizione dei contenuti e degli obiettivi alla Scuola della Pace ed alle realtà del volontariato. Abbiamo
lavorato liberamente, il che non sempre avviene.
Voglio inoltre ringraziare tutto il personale che ha collaborato alla realizzazione del Forum: in particolare la
dottoressa Rossana Sebastiani e tutto il suo staff.
Voglio ringraziare anche le oltre venti realtà di volontariato internazionale di Lucca, della Valle del Serchio e
della Versilia che hanno collaborato al Forum; il loro lavoro è stato essenziale.
Sono inoltre grato ai rappresentanti esteri convenuti a Lucca. Tra questi molti hanno esistenze difficili,
funestate spesso da guerre e da violenze.
Ringrazio anche tutti i presenti e le Autorità che sono qui oggi, saluto i Sindaci dei Comuni della provincia,
ricordando loro che esiste una legge sulla cooperazione decentrata che consente di dedicare una piccola
porzione del bilancio comunale ad azioni di solidarietà internazionale. Sarei molto soddisfatto se la Provincia
di Lucca ed i Sindaci prendessero in considerazione questa opportunità.
Ringrazio infine quei lucchesi che vivono ed operano all’estero svolgendo giorno per giorno azioni concrete
di solidarietà e di volontariato internazionale.
Abbiamo definito questo forum “Forum della Solidarietà lucchese nel mondo”. Solidarietà è una
parola impegnativa ma anche ambigua, che può rivestire motivazioni diverse, non tutte compatibili tra loro,
alcune delle quali addirittura non più accettabili dalla nostra coscienza. Semplice generosità, umanitarismo,
beneficenza oppure consapevolezza di una solidarietà tra tutti gli esseri umani? Faccio mia un’affermazione
forte che spesso mi ricordano gli Indigeni Maya del Chiapas “Nessuno salva nessuno, o ci salviamo tutti
assieme o sprofondiamo tutti assieme”: questo è il senso della solidarietà, uno sforzo comune di tutti gli
uomini per fare di questa terra un mondo più vivibile.
Solidarietà significa per tutti noi scambio orizzontale e simmetrico fra persone e realtà sociali diverse tra loro,
al quale tutti contribuiscono con le proprie specificità in un reciproco arricchimento che rispetti le diverse
identità di ciascuno nel comune impegno.
Mi auguro che la parola solidarietà venga rivisitata criticamente in questi giorni, e riempita di contenuti
adeguati alla realtà del mondo di oggi e ai suoi rapidi cambiamenti.
E’ necessario che, oltre alla parola solidarietà, altre parole chiave del nostro vocabolario vengano
rivisitate e riempite di contenuti concreti ed inequivocabili: pace, sviluppo e globalizzazione assumono ad
esempio significati diversi a seconda di chi le pronuncia, alimentando miti interessati e pericolosi
fraintendimenti.
Globalizzazione. Si parla di “villaggio globale” con molta retorica, mistificando questa espressione.
La si spaccia come un’effettiva e splendida opportunità per tutti gli abitanti del pianeta, ma effettiva non è, e
di fatto viviamo il consolidamento di un apartheid globale in cui una piccola minoranza, sempre più esigua, si
appropria della quasi totalità delle ricchezze prodotte e delle risorse disponibili. Questa è la globalizzazione
reale che viviamo. Rivas, Barsella e Toschi ci aiuteranno a discutere di globalizzazione e dei suoi effetti in
varie parti del mondo, con l’analisi di tre macrorealtà: l’America Latina, l’Africa ed il Mediterraneo.
Sviluppo. Un’altra parola mitizzata, della quale non capiamo bene il significato e per la quale siamo
alla ricerca continua di nuove aggettivazioni per poterla giustificare: sviluppo umano, durevole, compatibile,
alternativo ed altro, non dando però un significato concreto a questi aggettivi. Gilbert Rist ha scritto uno
splendido libro su questa ambiguità: “Lo sviluppo: storia di una credenza occidentale”, un’opera sulla quale
meditare, insieme alle molte di Latouche e di altri. Dobbiamo fare chiarezza su questa parola, perché
rischiamo di perpetuare equivoci e contraddizioni nella nostra pratica della solidarietà. Abbiamo legato
indissolubilmente la parola sviluppo alle parole pace e giustizia. Spesso diciamo che non c’è pace senza
sviluppo, non c’è giustizia senza sviluppo. Ma di quale sviluppo stiamo parlando? Della formula della
cooperazione allo sviluppo, accantonata ormai dagli stati ricchi e dalle grandi istituzioni internazionali che
non finanziano più programmi di aiuto allo sviluppo? Oggi la formula della cooperazione allo sviluppo è stata
sostituita dalla formula intervento umanitario, e sempre più spesso dall’espressione emergenza umanitaria.
Queste formule denotano la sempre più frequente necessità di fare fronte a catastrofi sociali ed ambientali
frutto di un modello economico iniquo. Recentemente si è addirittura arrivati a teorizzare il capitalismo
compassionevole, fortemente sostenuto dal Presidente degli Stati Uniti Bush.
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Pace. Quale pace? Già Ivan Illich negli anni ’80, nel mirabile testo “Le paci dei popoli”, denunciava
con forza le ambiguità presenti nella declamazione astratta della parola pace e nel suo connubio con la
parola sviluppo, letto in un significato eminentemente economico e secondo un modello di pensiero unico
incapace di riflettere la ricchezza ed il diritto alla diversità.
Noi che ci occupiamo di cooperazione internazionale, siamo disposti ad essere trasformati in
“pompieri” e “crocerossine” che devono intervenire sempre più in situazioni di emergenza? Siamo disposti a
tappare le falle del sistema, senza più costruire alternative? Spesso i partner del sud ci contestano questo
ruolo, e noi vogliamo parlare di questo durante il Forum. Questo è un tema di drammatica attualità. Siamo
disposti ad accettare di collaborare ad interventi umanitari, come in Iraq, pensati per riparare i danni di
guerre definite giuste, e di farlo sotto la tutela di coloro che sono stati gli aggressori? Spero che durante il
Forum venga discusso questo problema e che venga presa una posizione chiara, forte e consapevole. Su
questo punto ci aiuterà l’intervento di Giulio Marcon, Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà, che
terrà l’ultima relazione.
Il momento centrale del Forum è però rappresentato dai tre tavoli di lavoro con i partner stranieri, quando
loro saranno chiamati a parlare, e noi ad ascoltare con umiltà, ristabilendo così un dialogo molto spesso
inesistente. Questo è lo scopo ed il senso del 1° Forum della Solidarietà lucchese nel Mondo, un momento
privilegiato del nostro camminare interrogandosi fra persone diverse ed uguali, diverse per riferimenti
culturali e spirituali, uguali per dignità e responsabilità.
Concludo il mio intervento con una frase di Ivan Illich, che mi sembra particolarmente significativa:
“…io credo che dei limiti allo sviluppo economico, proposti da un movimento di base, siano la principale
condizione perché la gente possa ritrovare la propria pace…”
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RELAZIONE “MAGISTRALE”
Don Luciano Mendes
Vescovo di Mariana (Brasile),
già Presidente della Conferenza Episcopale del Brasile
“Globalizzare la solidarietà”
Inizio il mio intervento salutando e ringraziando gli amici e le persone che sono qui e che mi hanno
permesso di essere presente all’apertura del Forum.
Globalizzazione è una parola magica, che viene adoperata in senso negativo e positivo. Oggi questa
parola ha perso di significato, perché non riusciamo più a capire cosa è globalizzato e cosa dobbiamo
globalizzare. La globalizzazione economica ha avuto ed ha effetti positivi, come lo sviluppo della tecnologia,
della produzione e della comunicazione.
Dall’altra parte sappiamo che l’ideologia di mercato che la guida, provoca conseguenze negative quasi
insuperabili. Questa ideologia inverte i valori, dando maggior peso alla parte economica della dimensione
umana, come il profitto ed il mercato, lasciando in secondo piano il valore della persona: in molte parti del
mondo è infatti aumentato il fenomeno dell’esclusione sociale
Oggi stiamo assistendo anche ad una globalizzazione culturale e comunicativa, che ha fatto sì, ad
esempio, che quasi tutto il mondo seguisse, grazie ai mass media, questa guerra in Iraq. Lo sviluppo della
comunicazione, oltre ad avere in diversi casi aspetti positivi, ha provocato la scomparsa di molte culture
regionali, sovrastate dalla cultura dominante.
La globalizzazione culturale ha quindi due facce: da una parte può far conoscere al mondo i valori di una
cultura, dall’altra può portare ad una omogeneizzazione indistinta delle culture e delle tradizioni. Noi siamo i
figli di questa cultura globale. La mobilità umana che caratterizza il nostro mondo era impensabile sino a un
decennio fa: mi ha molto impressionato, ad esempio, sapere che in una città piccola come Lucca è presente
una comunità dello Sri Lanka di circa 300 persone. Tutto questo provoca un rimescolamento ed un
arricchimento culturale reciproco.
Oggi qui parliamo di solidarietà, di una globalizzazione della solidarietà che, oltre a portare un
messaggio di speranza, può correggere gli aspetti negativi della globalizzazione attuale.
Solidarietà significa capacità di vivere insieme, di aiutarci a vicenda, ma il suo scopo non può non essere
quello di ridurre le disuguaglianze sociali. Il termine solidarietà inoltre deve significare orizzontalità, ecco che
la globalizzazione caratterizzata invece dalla verticalità, che esalta l’esclusione, entra inevitabilmente in
conflitto con la pratica solidale. Voglio sottolineare il fatto che non dobbiamo intendere il termine solidarietà
solamente in senso individuale, ma anche collettivo: esistono gruppi, enti o addirittura intere comunità che si
impegnano per promuovere solidarietà.
La solidarietà è una ricerca di fraternità che ha lo scopo di ridurre gli squilibri sociali ed economici attraverso
una reciprocità di aiuti e di servizi.
Ma non è sufficiente condividere il pane, è necessario amare il prossimo; la parola solidarietà deve essere
illuminata dalle testimonianza delle persone che donano la loro vita al prossimo, che lo amano; questo fa
pensare alla luce del Vangelo che ci fa comprendere il punto centrale della solidarietà: la dignità umana che
possiedono tutte le persone, una dignità illuminata dalla luce e dall’amore di Dio.
Non è quindi sufficiente donare il pane, non può bastare la solidarietà intesa solamente in senso materiale:
se le persone dividono tra loro il pane ma non comunicano e non dialogano, non possiamo dire di avere
raggiunto il nostro scopo. Ecco che torna quindi al centro il tema dell’amore verso il prossimo, una sorta di
solidarietà del cuore. Bisogna, attraverso la solidarietà, unire il tessuto sociale che oggi è lacerato da guerre
e da violenze, un tessuto formato non da mondi diversi e comunicanti, ma da mondi separati e
reciprocamente ostili.
La luce del Vangelo fa entrare nella profondità del cuore umano l’ideale dell’avvicinamento tra le
persone, l’ideale che permette la riconciliazione ed il perdono. Come sarebbe possibile ricostruire il tessuto
sociale dell’Iraq, della Palestina, del Rwanda o della ex Jugoslavia senza la riconciliazione ed il perdono?
Come è possibile rimuovere l’odio che si è sedimentato nel corso degli anni? Come è possibile, in una frase,
avvicinare i cuori delle persone?
Dobbiamo arrivare a capire la dignità della persona umana alla luce del perdono di Dio, che ci ha insegnato
a fare pace con i nemici. Ma come fare? Questa è la sfida odierna dell’umanità, una grande sfida che ci fa
capire l’inadeguatezza della solidarietà intesa solamente in senso materiale e “sviluppista”.
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Una civiltà che ha un fondamento cristiano è chiamata adesso a presentarsi attivamente nella società,
avendo la coscienza che non è più sufficiente sfamare il mondo, ma è necessario riconciliare i popoli.
Come arrivare umanamente ad un perdono? Tutti sogniamo un mondo diverso, un mondo di pace. Ma la
pace non può fare a meno del perdono. Una solidarietà che riesce a superare steccati religiosi, ideologici e
culturali, convertendo il cuore al perdono, può veramente avvicinarsi al prossimo, al suo cuore, alla sua
cultura.
La sfida non è oggi solamente quella di un cuore buono che porta il pane e le medicine, la sfida non
è solamente quella di arricchire materialmente, ma di avvicinare i popoli.
Non è quindi sufficiente dividere le ricchezze, ma bisogna cambiare il modo di vivere. I vescovi del Brasile,
quando si sono radunati per ricordare i 50 anni della fondazione della loro Conferenza Episcopale, hanno
deciso di cambiare se stessi, di creare un movimento nazionale per sradicare la miseria e la fame. Oggi il
nuovo Presidente brasiliano Lula, ha scelto come priorità nazionale proprio quella dello sradicamento della
povertà, ma per far questo è necessario andare alle radici del problema, ovvero all’ineguale distribuzione
della ricchezza, all’ingiustizia sociale.
Oggi il Brasile è caratterizzato da una grande ingiustizia nella società, da molti poveri che vivono nelle
favelas e pochi ricchi che possiedono larghe parti del territorio brasiliano. Non è possibile sradicare la
povertà attraverso “operazioni chirurgiche” mirate, perché se non estirpiamo il virus che ha generato il male,
non riusciremo mai a sconfiggere l’ingiustizia. Il virus è rappresentato dall’idea che per essere felici sia
necessario essere ricchi ed accumulare ricchezze.
La solidarietà senza cuore, non può correre il rischio di far sì che i poveri di oggi divengano i ricchi escludenti
di domani, ma per raggiungere questo scopo è necessario, come ho già ricordato prima, solidarizzare con il
cuore del prossimo, comunicando con lui, facendo capire che la vita non è bella solamente se si è molto
ricchi.
Nella globalizzazione è necessario “indagare” in profondità nel sistema della convivenza umana, il
problema è sapere qual è l’ideale di vita umana, quale società vogliamo. Se noi non cambiamo la nostra
mente, possiamo sbagliare l’azione solidale, perché le nostre azioni riflettono la nostra mentalità ed il nostro
modo di pensare.
Dobbiamo creare una società che sappia vivere in maniera semplice, ma attenzione, non vorrei che
pensaste che semplice significhi povera e miserabile, perché non è così. Vita semplice significa vivere senza
l’assillo dell’accumulazione continua, senza il pensiero fisso della ricchezza; non è facile per noi, figli degli
imperi coloniali, questa sorta di conversione interna.
Dobbiamo creare gesti di solidarietà che abbiano dentro di loro valori che non riproducano una società
sbagliata, fotocopia della nostra.
Mi ricordo ancora il G8 di Genova, quando il Presidente della Repubblica Italiana Ciampi, promosse
e sottopose agli altri capi di Stato un documento molto interessante che conteneva cinque priorità da
seguire:
1. Guardare all’Africa come priorità di solidarietà umana, essendo questa un’area che ha sofferto e soffre
molto.
2. Saper convivere e valorizzare un mondo come quello attuale, caratterizzato da una grande mobilità
umana.
3. Combattere la segregazione razziale e religiosa.
4. Offrire alla gioventù un ideale nuovo di vita.
5. Creare un fondo destinato all’aiuto delle nazioni povere.
Ho ringraziato personalmente il Presidente Ciampi per aver avuto il coraggio di presentare questa
lista di richieste volte alla costruzione di un mondo nuovo. Purtroppo il G8 non ha le ha accolte, essendo per
definizione un consesso escludente.
Tornando a parlare del Brasile, il Presidente Lula ha varato un programma, come già ricordato, con il
fine di sradicare la fame e la povertà. Ma il Brasile necessita anche di alfabetizzazione, ha bisogno di avere
opportunità di ingresso nel mercato di lavoro, necessita della tutela del diritto alla salute ed all’alimentazione.
Nel nostro paese è difficile anche riuscire a preparare il cibo, basti pensare che un allacciamento alla rete
nazionale del gas costa 1/4 del salario minimo! E’ quindi necessario progettare politiche pubbliche che
abbiano come priorità la persona umana.
Penso che la Toscana e Lucca rappresentino luoghi che hanno da sempre fatto della solidarietà un
punto irrinunciabile delle loro politiche; dobbiamo quindi dire grazie al Forum per aver dato l’opportunità di
esprimerci e per aver dato una speranza di cambiamento. Il libretto che mi è stato dato contiene la
presentazione delle associazioni lucchesi e dei progetti di solidarietà concreti che esse portano avanti, ecco
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già un mondo possibile che è attivo nel presente. In Brasile, a Rio Branco come in Amazzonia, sono presenti
moltissimi missionari laici e religiosi italiani, persone che portano una testimonianza concreta di solidarietà e
di amore per l’umanità.
Oggi abbiamo le forze per costruire una società differente, questo pensiero ci fornisce l’energia per lavorare
nel quotidiano, avendo sempre presente una possibilità di cambiamento.
Termino il mio intervento, ringraziando nuovamente Lucca, per la sua presenza in vari territori del
Brasile; nella mia Diocesi, il lucchese Alfredo Bandoni porta avanti un progetto denominato Vita Nuova,
aiutando le ragazze del luogo a non finire nella rete della prostituzione. E’ stata creata anche
un’associazione, l’Associazione Teresiana Missionaria, che è riuscita a mettere le radici sul territorio.
Abbiamo avuto anche l’aiuto dell’ambasciatore italiano, Vincenzo Petroni e la visita personale di vari gruppi
di amici lucchesi. Il Presidente Tagliasacchi, il Sindaco di Lucca Fazzi ed il Presidente della Regione
Toscana Martini si sono interessati a vari progetti, ma soprattutto ci hanno fatto sentire la loro vicinanza
umana.
Dobbiamo recuperare, non solo il rispetto, ma anche l’amore per l’altro, è necessario veramente
globalizzare la solidarietà che anche attraverso questo Forum può arrivare a più persone, può far sì che le
persone si aprano al Mondo, può creare vincoli stretti tra mondi diversi ma uniti.
Per costruire una nuova società è necessario avere la forza di non semplificare la realtà, di capire la
complessità della situazione attuale; bisogna educarsi ed educare alla condivisione, al superamento
dell’individualismo, riscoprendo la gioia della gratuità. L’ultimo punto è molto importante, in quanto la nostra
società oggi tende a chiudersi in se stessa in maniera egoistica. E’ inoltre necessario educarsi al perdono,
perché senza il perdono è impossibile evitare il crollo dell’umanità: chi studia la geopolitica inizia a parlare di
una possibile terza guerra mondiale, una cosa terribile che condurrebbe alla fine dell’umanità.
Concludo parafrasando il titolo di questo Forum: il Mondo è formato da molti mondi diversi, mondi
che tra loro devono comunicare. Il Mondo è stato creato perché la persona umana venisse amata e
rispettata, questa è la missione che ci sta davanti.
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Seconda giornata: 25 aprile
PRESENTAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI PROMOTRICI DEL FORUM
E DEI LORO PARTNER STRANIERI
ALERR S.r.l. – Agenzia Lucchese Energia Recupero Risorse
Lo scopo della nostra agenzia è quello di sviluppare e diffondere le forme di energia rinnovabili
(solare, eolico, idroelettrico).
Nel settembre 2002 ALERR ha compiuto una missione di lavoro in Marocco, incontrando diverse università,
centri di ricerca e ONG operanti nel settore delle energie rinnovabili. Ci siamo preoccupati di quale potesse
essere il ruolo di ALERR in una realtà come quella marocchina, dove molti paesi e villaggi sono sprovvisti di
energia e di acqua potabile. Da questa riflessione è nato il progetto di utilizzare pannelli fotovoltaici per
azionare pompe che pescano e depurano l’acqua, distribuendola poi ai villaggi.
Un primo progetto, cofinanziato dalla Provincia di Lucca e dalla Regione Toscana, partirà dal maggio
2004 e permetterà di portare l’acqua ad un villaggio rurale situato a 40 km da Marrakech.
Qui al Forum sono presenti il Direttore e la segretaria di Direzione dell’Associazione Tichka, una ONG che
opera nelle Province di Ouarzazate e Zagora. Questa ONG già da molti anni opera nel settore sanitario e si
occupa dei grossi problemi di analfabetizzazione che affliggono la stragrande maggioranza delle popolazioni
rurali.
Bisogna pensare che la mancanza dell’acqua potabile non solo provoca malattie gastrointestinali
che colpiscono soprattutto bambini nei primi anni di vita (46 bambini su 1000 muoiono prima di arrivare ai 5
anni), ma ha anche implicazioni culturali e sociale, perché i bambini sono incaricati di prendere l’acqua per le
famiglie; non è possibile quindi per loro andare a scuola.
Mohamed Aandam (Marocco)
partner di ALERR
Faccio parte dell’Associazione Tichka di Ouarzazate, provincia a sud del Marocco. La nostra
associazione lavora nel campo degli aiuti umanitari: la sua principale attività è quella di collaborare per il
miglioramento delle condizioni di vita della popolazione.
Concretamente abbiamo attivato molti progetti per rendere possibile l’accesso all’acqua potabile, oggi
negata a larghi strati della popolazione. Stiamo intervenendo anche nel campo dell’istruzione e dell’energia
elettrica.
Amici del Perù
La nostra associazione è nata da circa 10 anni per aiutare Maurizio Caneva, missionario laico in
Perù. Sono due i progetti avviati in questo paese: la creazione di due mense che forniscono
quotidianamente cibo a 400 bambini, un intervento quindi, di carattere assistenziale. Da circa un anno è
inoltre nato un progetto agro-alimentare che ha il fine di rilanciare l’agricoltura della zona in cui operiamo.
L’associazione inoltre è attiva anche in Italia, attraverso la promozione di iniziative volte a far conoscere e
sensibilizzare la popolazione locale sui problemi di questo paese sudamericano.
Gli Amici del Perù hanno invitato al Forum Roberto Romero Arce, giornalista e membro del Consiglio
Regionale della Regione del Cuzco (Perù). Roberto inoltre collabora con la Commissione per la Difesa dei
Diritti Umani.
Roberto Romero Arce (Perù)
partner dell’Associazione Amici del Perù
La mia esperienza è quella di un giornalista che si è battuto e si batte per la difesa dei diritti umani.
Mi sono occupato di casi molto importanti come quello della sparizione di un professore e di nove studenti,
assassinati, torturati e poi bruciati da un gruppo paramilitare, crimine per il quale è accusato l’ex Presidente
del Perù, Fujimori, che oggi risiede in Giappone, sotto falso nome. In questi dieci anni abbiamo conosciuto
direttamente il lavoro dell’associazione Amici del Perù, con la quale abbiamo svolto molte ricerche sul
territorio, occupandoci di portare aiuto ai bambini, alle donne, alla popolazione che vive in condizioni di
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estrema povertà in luoghi che si trovano tra i 3500 e i 4000 metri sul livello del mare. Spero che non
mancheranno momenti per discutere più a lungo, ma mi sembra già importante il fatto di poter essere
presente al Forum della Solidarietà lucchese nel Mondo.
Eloisio Queiroz Pena (Brasile)
partner dell’Associazione Teresiana Missionaria (A.Te.Mis)
Mi chiamo Eloisio Queiroz Pena, sono brasiliano. Insieme ad Alfredo Bandoni faccio parte
dell’Associazione Missionaria Teresiana A.Te.Mis. - Brasile, che è partner di A.Te.Mis - Lucca, svolgiamo il
nostro lavoro nella regione di Mariana, Stato di Minas Gerais.
E’ una regione ricca di miniere, di attività minerarie, con molta popolazione e anche tanta povertà. Ci
sono molte carenze: carenze affettive, carenza di risorse materiali, nonostante la ricchezza mineraria della
regione. A.Te.Mis ha operato soprattutto in Mariana, ma, attraverso la cooperazione di persone della
comunità di Lucca, abbiamo potuto assistere sei centri che fanno parte della Arcidiocesi di Mariana, una
Arcidiocesi piuttosto grande che comprende 129 Comunità, tutte nelle stesse condizioni di povertà e di
bisogno. Abbiamo promosso adozioni a distanza Lucca - Mariana per aiutare questi bambini e le loro
famiglie, famiglie numerose che vivono in situazione difficili, poiché ci sono bambini e soprattutto bambine e
adolescenti a rischio di essere avviate alla prostituzione o di essere vittime di violenze sessuali.
Per affrontare questa difficile situazione abbiamo apprestato il progetto “Vita Nuova” che intende prendersi
cura delle adolescenti che vivono questa situazione.
Associazione Berretti Bianchi
L’associazione Berretti Bianchi è una piccola e giovane realtà nata nel 1999. L’associazione ha lo
scopo di lottare, per quanto possibile, contro il crimine della guerra. I Berretti Bianchi non finanziano progetti
né inviano aiuti umanitari, ma sono attivi nel campo dell’interposizione popolare e nonviolenta tra le parti in
conflitto.
L’associazione è nata grazie alle esperienze che diverse persone avevano fatto in diverse parti del
mondo, come in Kossovo, in Bosnia, in Iraq ed in varie parti dell’Africa. Successivamente è nata la necessità
di condividere queste esperienze. Ecco come è nata la nostra associazione.
Dall’estate del 2002 i Berretti Bianchi stanno lavorando in maniera particolare in Palestina, nei territori
occupati, cercando di fare interposizione popolare tra i civili palestinesi e l’esercito israeliano. E’ molto
difficile che persone che vivono nei territori occupati possano espatriare, abbiamo quindi invitato Hidaia
Husseini, responsabile di un orfanotrofio di Gerusalemme Est.
L’azione dell’interposizione popolare e nonviolenta trae origine dalla filosofia della diplomazia
popolare, dalla volontà che le persone prendano in mano i destini della propria esistenza, anche sporcandosi
le mani. Concludo il mio intervento ricordando Rachel Corry, una ragazza statunitense che è stata uccisa il
16 marzo scorso dall’esercito israeliano nei territori occupati, mentre faceva interposizione popolare e
nonviolenta.
Hidaia Husseini (Palestina)
partner dell’Associazione Berretti Bianchi
Vorrei iniziare parlandovi della mia scuola che si chiama Dartifell el arabi, che vuol dire “una casa
per i bambini”. Questo luogo è nato dopo la guerra nel 1948 con l’arrivo di 55 bambini, che erano stati
abbandonati a se stessi dopo il massacro di Dersim, bambini che erano stati trovati per la strada e di cui il
più piccolo aveva un anno, il più grande circa dieci. Presi con me questi bambini e li portai a casa mia. Poco
dopo cominciai a pensare di mettere su una scuola per quei bambini: in quella stessa scuola molti di loro
sono cresciuti. Ora abbiamo 1200 studenti, di cui la maggior parte sono orfani: 300 dormono lì e diamo loro
cibo ed istruzione. Siamo soddisfatti nel constatare che molti dei nostri bambini ora sono in tutto il mondo e
hanno ricevuto una buona istruzione. Abbiamo rapporti di amicizia con molti paesi europei ed uno di questi è
l’Italia, che ci affianca in molti progetti, come quello dei “camping per la pace”: i nostri bambini sono stati
spesso in Italia, a Bologna e Firenze, e spero che si continui questa collaborazione che apprezziamo così
tanto.
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Centro Sviluppo Umano
Il Centro Sviluppo Umano è una piccola associazione di Viareggio che da circa 11 anni sostiene
progetti di cooperazione con vari paesi del Terzo Mondo (Benin, Costa d’Avorio, Burkina Faso).
Da cinque anni l’associazione si è concentrata soprattutto sul Burkina Faso, e particolarmente sulla provincia
di Namentenga, la più povera di questo paese.
Sono stati portati avanti progetti di alfabetizzazione, di sviluppo agricolo, commerciale e artigianale
(con un fondo di rotazione crediti), è stata realizzata una stazione solare di pompaggio. Il Comune di
Viareggio, la Regione Toscana e la Conferenza Episcopale Italiana hanno cofinanziato diversi dei nostri
progetti.
I nostri partner sono Abbè Johanny Koanda, parroco di Tougouri, la parte più povera della Provincia di
Namentenga e il Prof. Stanislas Ouedraogo, coordinatore del progetto che ha portato alla realizzazione della
stazione solare di pompaggio.
Purtroppo è stato negato il visto ad un altro partner che non è riuscito ad arrivare a Lucca.
Abbè Johanny Koanda (Burkina Faso)
partner del Centro Sviluppo Umano
Ringraziamo i promotori del 1° Forum della Solidarietà lucchese nel Mondo per averci permesso di
intervenire.
Sono il curato di Tougouri, che fa parte della Provincia di Namentenga, una delle più arretrate del Burkina
Faso. La nostra azione si situa nell’area di intervento dell’OCADES (Organizzazione Cattolica per lo
Sviluppo Solidarietà). La Chiesa della Burkina Faso e della Nigeria sta organizzando, attraverso l’OCADES,
azioni di sviluppo e di solidarietà.
Per quanto riguarda la nostra Provincia, l’attività dell’OCADES si concentra soprattutto sul versante
dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione (la percentuale di analfabeti è molto alta). La nostra azione
quindi ha come priorità quella dell’educazione dei giovani e dei bambini. Ad ora circa 2500 persone hanno
seguito i corsi di alfabetizzazione.
Sono dell’idea che lo sviluppo di un popolo non può prescindere dall’alfabetizzazione. Per questo
motivo l’azione descritta è particolarmente determinante per il futuro del Burkina Faso.
Comitati di solidarietà con il Popolo Saharawi
“Kalama” - Lucca, “Khaima” - Valle del Serchio, “Frig” - Versilia
Il Popolo Saharawi vive sul territorio del Sahara Occidentale e del deserto algerino in seguito
all’invasione del territorio da parte del Marocco e della Mauritania, avvenuta nel 1975. Dopo un primo
periodo di resistenza per liberare il territorio (fino al 1991), è intervenuta l’ONU che ha imposto il cessate il
fuoco ed ha indetto un referendum per l’autodeterminazione del Popolo Saharawi. Ad oggi questo
referendum, a causa dell’opposizione del Marocco, non c’è ancora stato, nonostante varie Risoluzioni delle
Nazioni Unite.
I tre comitati della Provincia di Lucca si occupano prevalentemente di aiuti umanitari (alimentari,
medicinali, ecc.), della promozione di gemellaggi tra enti locali e tendopoli Saharawi e dell’organizzazione di
viaggi nelle tendopoli algerine dei Saharawi. Voglio sottolineare che dal 1975 ad oggi, circa 500 Saharawi
sono scomparsi nelle prigioni marocchine.
Uno dei progetti sui quali siamo impegnati in questo momento è quello della scuola “12 ottobre” che il nostro
partner ora ci illustrerà.
Khandoud Hamdi (Saharawi)
partner dei Comitati di solidarietà al Popolo Saharawi
Lucca, Valle del Serchio, Versilia
Ringrazio la Toscana che da 20 anni è fortemente impegnata per la solidarietà con il Popolo
Saharawi. I tre comitati della Provincia, insieme alla Regione Toscana, hanno “adottato” una scuola dove
studiano circa 3000 ragazzi. Questa scuola fu creata nel 1978, ma è potuta vivere grazie a questi aiuti.
Il progetto è nato nel 2001, ed è costato 71.000 euro; la prima fase terminerà nel dicembre 2003,
successivamente si passerà alla seconda fase che riguarderà soprattutto la formazione del corpo docente.
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E’ inoltre molto importante lo scambio culturale che la Provincia di Lucca sostiene con il nostro popolo. Tutte
le estati infatti molti bambini saharawi vengono a Lucca ed in tutta la Toscana.
Equinozio - Associazione Nuova Solidarietà
Equinozio è un’associazione che si occupa di commercio equo e solidale e di economia alternativa.
Il Progetto Mariposa, di cui Carmen Morales Ponce, la nostra partner peruviana, è una delle responsabili, si
occupa di importazione di artigianato prodotto da ragazzi e ragazze detenuti in vari carceri peruviani con
l’accusa di appartenere al MRTA (Movimiento Revolucionario Tupac Amaru). Molto spesso queste persone
sono incarcerate senza processi o con accuse costruite ad arte.
Carmen è la sorella di uno dei detenuti e fa parte di un’associazione di familiari che li appoggia da un punto
di vista legale ed umanitario.
Carmen Morales Ponce (Perù)
partner di Equinozio - Associazione Nuova Solidarietà
Sono la sorella di un prigioniero politico, Fernando Morales, che si trova attualmente in un carcere
del Perù. I prigionieri politici nel nostro paese sono per la maggior parte giovani e non sono altro che il
risultato dei venti anni di violenza ed ingiustizia che si sono avuti in Perù. Poiché i governi ingiusti ci hanno
dato solo fame e miseria, alcuni gruppi si sono armati e sollevati.
Tra i gruppi armati ribelli ricordiamo Sendero Luminoso e il movimento rivoluzionario Tupac Amaru.
Sendero Luminoso riuscì a riunire molte comunità di contadini, ma non ottenne altro che una dura e cruenta
repressione: scomparvero molte persone e la Commissione della Verità e della Riconciliazione (un
organismo nato per accertare le violazioni dei diritti umani avvenute in Perù nel ventennio fujimorista) è
giunto ad affermare che ben 7613 scomparvero in tutto il paese.
Questa realtà così triste sta portando sofferenza a molte famiglie, perché sono stati incarcerati tanti
innocenti. Tutti coloro che sono in carcere sono condannati a pene molto severe. In Perù esistono molte
prigioni di massima sicurezza: su 84 prigioni, 12 sono di massima sicurezza, nel senso che le celle sono
camere di due metri per due e le condizioni di vita dei prigionieri, che hanno un’alimentazione carente, sono
inumane, visto che si spende meno di un dollaro a persona per il loro sostentamento giornaliero.
Questa vita è terribile non solo per i prigionieri, ma anche per i familiari. Quello che cerchiamo con il
progetto “Mariposa” è un appoggio solidale dell’Italia per poter alleviare la situazione terribile dei prigionieri
politici peruviani attraverso un maggior valore dato al lavoro nelle prigioni, lavoro molto importante perché
oltre ad aiutare a sopportare psicologicamente la situazione terribile in cui queste persone si trovano, li aiuta
a sentirsi ancora vivi.
Diocesi di Lucca - Ufficio Missionario Diocesano
L’Ufficio Missionario Diocesano si occupa dell’animazione missionaria e di vari progetti di
cooperazione in diversi paesi del sud del mondo.
Oggi ci sono molti missionari lucchesi, circa cento, che operano in varie parti del mondo. I paesi dove si
concentrano il maggior numero di progetti di cooperazione sono il Perù, il Rwanda ed il Brasile.
In Perù, come già ricordato dagli Amici del Perù, opera Francesco Caneva, in Rwanda operano un
prete e tre volontari lucchesi, in Brasile operano alcune persone, quattro preti ed un volontario.
Il nostro partner, Don Dion Mbonimpa, opera nella Parrocchia di Nyarurema (Rwanda), fondata dalla Diocesi
di Lucca nel 1986, la seconda partner, Francisca Marinehiro, lavora a Rio Branco e rappresenta una sintesi
del lavoro dei lucchesi in questa zona del Brasile.
Don Dion Mbonimpa (Rwanda)
partner della Diocesi di Lucca - Ufficio Missionario Diocesano
Come ben saprete il Rwanda è uscito da non molti anni da una guerra cruenta. La cooperazione sta
cercando di aiutare la popolazione rwandese a ricostruire i lacerati rapporti sociali ed a promuovere, insieme
alle comunità locali, progetti di sviluppo. Le principali attività riguardano la promozione dell’agricoltura, del
piccolo commercio e dell’artigianato. I progetti sono accompagnati da una solidarietà concreta che, grazie
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alla Diocesi di Lucca, sta aumentando di anno in anno. I progetti di cooperazione cercano di debellare
l’analfabetizzazione, la povertà, l’ingiustizia, le malattie. E’ stata costruita una scuola che fornisce una
preparazione tecnica, molto importante per i nostri giovani.
Speriamo che tale collaborazione possa continuare, perché il nostro popolo ha bisogno della vostra
solidarietà.
Francisca Marinehiro (Brasile)
partner della Diocesi di Lucca - Ufficio Missionario Diocesano
Salve, sono Francisca Marinehiro. Vengo dall’Acre, una regione del Brasile.
Sto vivendo tre momenti molto importanti della mia vita, momenti che ho aspettato per trent’anni: per prima
cosa, poiché anch’io convivo con quelle realtà, con quei problemi di cui avete parlato in questa sede e che
riguardano vari paesi, sento l’importanza di partecipare a questo momento di solidarietà internazionale.
Attualmente ci arriva un sostegno molto forte anche localmente dal governo dello Stato (ora governa
il Partito dei Lavoratori - PT) e dal governo del Brasile.
In secondo luogo sono felice, poiché ho l’opportunità di denunciare le ingiustizie che stiamo vivendo nel
Consiglio Comunale di Rio Branco, di cui faccio parte come consigliera.
In terzo luogo spero di poter festeggiare e celebrare tutto ciò nella mia Chiesa, nelle comunità in cui celebro,
convivo e condivido questi problemi.
Per questo vi ho parlato di tre momenti importanti della mia vita: denunciare, condividere e
cooperare con la solidarietà internazionale e celebrare nella mia Chiesa la mia fede insieme a tutta la
comunità.
Vi ringrazio per il vostro sostegno.
Gemellaggi di Solidarietà con i Paesi del Terzo Mondo
Molti volontari operano in Africa ed America Latina, il nostro ruolo è quello di mettere in contatto le
zone dove operano questi volontari con gruppi e famiglie della lucchesia, al fine di promuovere adozioni a
distanza ed opere di sviluppo.
Con i gruppi e le famiglie si instaura quindi una corrispondenza diretta. Attualmente i gemellaggi attivi sono
circa 1150. Il nostro partner è Padre Vittorio Antutu, missionario francescano che ha dedicato tutta la sua
esistenza ad uno dei popoli più poveri dell’Eritrea; il nostro progetto in questa zona ha lo scopo di fornire
aiuti a 250 bambini, permettendo loro di studiare.
Padre Vittorio Antutu (Eritrea)
partner di Gemellaggi di Solidarietà con i Paesi del Terzo Mondo
Il gemellaggio con l’Eritrea è iniziato nel 1993, dopo l’indipendenza dall’Etiopia ottenuta nel 1991. In
quel periodo nacquero i primi progetti di sviluppo. Mani Tese aveva iniziato la costruzione di un acquedotto,
e ci venne comunicato che era possibile iniziare anche un rapporto di scambio con alcune realtà lucchesi.
Conobbi quindi i Gemellaggi di Solidarietà che aiutarono molto le popolazioni locali, che provenivano da un
periodo di guerra devastante.
La situazione era difficile, molte famiglie erano funestate da lutti e da miseria, e gli scambi di solidarietà
ebbero effetti positivi, sia morali che materiali.
Purtroppo nel 2000 l’Etiopia invase l’Eritrea, occupando la nostra zona per circa 25 giorni. Tutte le opere
costruite grazie alla solidarietà internazionale vennero distrutte e l’opera di solidarietà dovette fare un grande
sforzo per la ricostruzione.
Gruppo Missionario Parrocchia dell’Arancio
Il nostro gruppo da diversi anni appoggia i progetti di Fratel Francesco D’Aiuto, un missionario
comboniano che opera a Vitoria, città situata nel sud-est brasiliano. Nel 1987 a Sierra, vicino a Vitoria, è nato
il Centro di difesa dei Diritti Umani, che svolge un ruolo essenziale nella difesa dei diritti della persona
umana, dal 2000 invece sono nate una serie di cooperative allo scopo di creare una nuova coscienza nel
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campo del mercato del lavoro. Le partner che abbiamo invitato sono Marta Falqueto e Rosa Maria
Nascimento Miranda, due donne attive nel Centro di difesa dei Diritti Umani.
Marta Falqueto (Brasile)
partner del Gruppo Missionario Parrocchia dell’Arancio
Buongiorno, io lavoro nel Centro di Difesa dei Diritti Umani di Serra (CDDH-Serra), sono inoltre
coordinatrice dello Stato di Serra per quanto riguarda i Diritti Umani e consigliera nazionale.
Serra è un municipio cresciuto molto in fretta a causa dell’espropriazione della terra e della
concentrazione delle industrie nella regione metropolitana della Grande Vitoria; perché vi possiate fare
un’idea, vi dirò che nel 1970 eravamo 37.000 abitanti, oggi siamo 350.000, una crescita disordinata che
genera quotidianamente molte situazioni di violenza. Oggi a Serra muoiono per omicidio 122 persone ogni
centomila abitanti e il 60% delle vittime di questi crimini sono giovani tra i 12 e i 35 anni.
Rosa Maria Nascimento Miranda (Brasile)
partner del Gruppo Missionario Parrocchia dell’Arancio
Faccio anch’io parte del Centro di Difesa dei Diritti Umani di Serra; il nostro Centro di Difesa. Il
nostro centro opera in diversi ambiti: combatte la violenza della polizia che è molto forte nello Stato, si
impegna contro la corruzione governativa, poiché molti governanti e deputati, sono coinvolti nella corruzione
(vi è coinvolto perfino il potere giudiziario). Combattiamo inoltre contro la criminalità organizzata, contro
l’impunità; lavoriamo anche nella formazione delle persone, formando leadership popolari, incentiviamo
studenti bisognosi e neri perché possano entrare nell’università, le cui porte sono per loro chiuse.
Attualmente stiamo sviluppando un tipo di lavoro per noi nuovo, la “generazione di reddito”, poichè grande è
il numero di disoccupati che lavorano nell’organizzazione delle cooperative di economia solidale.
Questo è sommariamente il ritratto del Centro di Difesa.
Mani Tese – Gruppo di Lucca
I nostri ospiti sono Gabriela Soriano Segoviano (invitata insieme alla Provincia di Lucca),
coordinatrice di un Centro di Ricerca Politico Economica (CIEPAC) del Chiapas, e Salvador Reyes,
responsabile internazionale di Enlace Civil, un’associazione che si occupa di mettere in contatto Municipi
Autonomi, comunità indigene e solidarietà internazionale.
Gabriela Soriano Segoviano (Chiapas - Messico)
partner della Provincia di Lucca e di Mani Tese - Gruppo di Lucca
Lavoro in un centro di ricerca, il CIEPAC, dove ci occupiamo di investigare la situazione economica,
politica e sociale dello stato, ma anche quella internazionale, con lo scopo di facilitare l'azione comunitaria.
Collaboriamo con diversi settori in Chiapas, in particolare con le comunità indigene che vivono in situazioni di
ingiustizia, di minaccia, e che vedono violati i loro diritti. Il nostro lavoro consiste nell’accompagnare questo
processo di cambiamento, di resistenza delle comunità perché si creino proposte alternative per una vita più
giusta e dignitosa. Abbiamo un insieme di altri progetti tutti in relazione fra loro e abbiamo materiale tradotto
in differenti lingue indigene e materiale informativo sull’azione comunitaria.
Salvador Reyes (Chiapas-Messico)
partner di Mani Tese - Gruppo di Lucca
Di fronte al rifiuto del governo messicano di riconoscere i diritti delle popolazioni indigene, non solo
del Chiapas, ma di tutto il Messico, le comunità indigene hanno deciso di opporre resistenza, una resistenza
costruttiva volta ad approfondire e portare avanti il processo di autonomia. Le comunità zapatiste in Chiapas,
per esempio, si sono organizzate in municipi autonomi, hanno preso la decisione di risolvere, secondo le loro
possibilità, la problematica dell’istruzione, della salute, del commercio, della vita della comunità. Si è creata
una ONG, che io rappresento, che non ha un progetto proprio, il cui unico scopo è essere utile ai progetti dei
municipi autonomi del Chiapas.
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Associazione NutriPa
Il progetto NutriPa è nato circa 10 anni fa, subito dopo il genocidio che sconvolse il Rwanda. Il fine
del progetto è quello di limitare la mortalità infantile, molto alta in questo paese.
Paola Pellegrinetti, infermiera versiliese, e Nadine Donnet, universitaria francese, hanno fondato un centro
nutrizionale a Butare, organizzando un progetto di prevenzione della malnutrizione che ha riguardato una
popolazione di circa 100.000 persone. Inizialmente il progetto è stato finanziato dal Governo francese,
mentre attualmente riesce a sopravvivere grazie a donazioni private ed a contributi straordinari di enti
pubblici, come la Provincia di Lucca. L’associazione NutriPa Italia è nata 7 anni fa a Torino e da circa un
anno a Lucca.
Immaculèe Mukarwego, la nostra partner, è la responsabile attuale del centro nutrizionale di Butare,
da quando Paola e Nadine sono rientrate in Europa.
Immaculèe Mukarwego (Rwanda)
partner dell’Associazione NutriPa
NutriPa è un progetto intensivo contro la malnutrizione cronica, un problema che colpisce il 48% di
bambini del nostro paese. Il progetto è rivolto a tutti i bambini che hanno gravi problemi di malnutrizione e
comprende anche “terapie psicologiche” consistenti in giochi creativi.
Grazie al programma nutrizionale, i bambini possono ritrovare un equilibrio fisico e psichico ed alle madri è
insegnato come cercare di nutrire i bambini. Esistono anche programmi preventivi di educazione nutrizionale
che tentano di affrontare i problemi prima che esplodano in tutta la loro drammaticità.
Esiste anche una equipe mobile, formata da un agronomo e da un assistente sociale, che si sposta di
villaggio in villaggio per incontrare i pazienti a domicilio.
Negli ultimi anni c’è stato un miglioramento delle condizioni dei bambini da noi curati.
Progetto Boa Esperança
Il nostro gruppo è nato a Lucca per sostenere l’opera di Fratel Arturo Paoli. Le partner invitate al
Forum sono Idalina Barbosa, Presidente di AFA, una delle associazioni con le quali lavora Arturo Paoli, e
Tony Lopez. Idalina in precedenza ha svolto un grosso lavoro di carattere sociale in una favela di San Paolo.
Idalina Barbosa (Brasile)
partner di Progetto Boa Esperança
Sono Idalina, sono brasiliana, lavoro in A.F.A (Associazione Fraternità Alleanza), una associazione
fondata da Arturo Paoli. Lavorare con una persona come Arturo Paoli, che ha un grande sogno, un grande
ideale, è per me una sfida avvincente. Noi lavoriamo in alcune favele di Foz de Iguaçu, una città turistica
dello stato del Paranà, che ha il più alto numero di favele di tutte le città brasiliane. Lavoriamo nella zona di
Porto Meira, un sobborgo della città che conta circa 30.000 abitanti. La maggioranza di questi abitanti sono
contadini senza istruzione, che si sono inurbati a Foz e sono disoccupati. La nostra associazione cerca
quindi di lavorare in modo da rispondere alle necessità locali.
Abbiamo vari progetti che riguardano i bambini e le donne, perché nel luogo in cui viviamo la
maggioranza delle donne è sola, donne abbandonate dal marito, dal compagno, che hanno un gran numero
di figli: ci sono fenomeni di analfabetismo, prostituzione infantile, problemi di traffico di droga, a causa dei
quali tanti adolescenti e giovani tra i 12 e i 25 anni sono stati assassinati.
La nostra intenzione è quella di non fare esclusivamente un lavoro. Il nostro è sì un lavoro di promozione,
ma è anche un qualcosa che mira a cogliere e a sviluppare gli aspetti più importanti delle relazioni
interpersonali: amicizia, accoglienza. Dobbiamo tenere sempre le porte aperte.
Intervento di Tony Lopez (Brasile)
partner di Progetto Boa Esperança
Noi gestiamo un poliambulatorio, dove visitiamo e curiamo le persone che muoiono nelle favelas, ma
anche persone che vengono dal Paraguay o dall'Argentina che non hanno possibilità di farsi curare nei loro
paesi. Molta gente presenta problemi di salute dovuti spesso alla poca igiene, alla mancanza di acqua e di
nutrizione. Uno dei nostri scopi è quello di tentare una simbiosi tra la medicina che è offerta alla gente dai
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medici, e la fitoterapia, che è un dato culturale fondamentale per le popolazioni di questa parte del Brasile
che non hanno strutture, ma grandi conoscenze e ricchezze naturali.
Associazione Amici della Missione di Novaliches
Alla periferia di tante grandi città del Terzo Mondo si riuniscono grandi masse di diseredati che
cercano di sfuggire alla miseria delle campagne. Quando arrivano nelle città queste persone costruiscono
baracche, prive di qualunque servizio.
Novaliches è una di queste baraccopoli, sorta nell’immediata periferia di Manila, la capitale delle
Filippine. In questa baraccopoli è stato creato dai Frati Francescani, un ambulatorio, dove opera Suor
Ornella Ciccone, un medico lucchese. Ornella ha bisogno di aiuto, perché ogni giorno si presentano da lei
centinaia di bambini che hanno bisogno di essere curati. La nostra associazione è sorta per garantire un
minimo di aiuto a questa nostra concittadina.
Gruppo bambini di Chernobyl – Parrocchia di San Concordio
Nonostante siano passati quasi 20 anni dall’incidente nucleare di Chernobyl, ancora oggi sono
moltissimi i bisogni ed i problemi che affliggono le popolazioni colpite dalle radiazioni nucleari.
La nostra associazione è nata 11 anni fa, ospitando ragazzi di famiglie di Chernobyl nella nostra città. Ma
abbiamo visto che questo non era sufficiente, perché in molti casi erano ospitati sempre gli stessi ragazzi. Il
gruppo ha quindi deciso di ospitare bambini di orfanotrofi che si trovano senza famiglie.
Attualmente ospitiamo 30 ragazzi, ma non è facile trovare i fondi materiali per continuare questa opera.
Il Rigagnolo – AIFO
Il Rigagnolo, come dice il nome, è un piccolo ruscello, una realtà locale nata nel 1970 e confederata
con l’AIFO (riconosciuta dall’OMS), Associazione Italiana Amici di Raul Follereau. Follereau è un poeta,
scrittore e giornalista francese, una persona che, con molte sue intuizioni sui cambiamenti sociali del nostro
tempo, si è dimostrato per certi versi un vero e proprio profeta. Decine di associazioni del mondo si ispirano
a lui.
L’associazione opera prevalentemente nel campo dei bisogni socio-sanitari e si muove soprattutto
su tre filoni: la lotta alla lebbra (interventi sanitari di base), la riabilitazione (contesto di sviluppo comunitario)
e l’attenzione all’infanzia per soddisfare i bisogni di base dei bambini.
In quest’ottica, gli interventi promossi da AIFO sono impostati in modo da rispettare la persona nella sua
globalità, tenendo conto del contesto storico, sociale e culturale del territorio. Per migliorare l’impatto degli
interventi, AIFO promuove azioni con le realtà locali (governi, missionari, ONG locali).
A livello locale il Rigagnolo promuove incontri con i testimoni del sud del mondo nelle scuole e nelle
parrocchie. Il nostro gruppo inoltre promuove campagne di sensibilizzazione e di raccolta di medicinali per i
bambini; siamo attivi anche sul versante della collaborazione con gli enti locali.
Concludo l’intervento con una frase molto significativa di Follereau: “Si tratta di prendere coscienza e
di non accettare più, consapevoli che la civiltà non è né il numero, né la forza, né il denaro. La civiltà è il
desiderio paziente, appassionato, ostinato, che vi siano sulla terra meno ingiustizie, meno dolori, meno
sventure”.
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RELAZIONI SULLE TRE AREE GEOGRAFICHE PRESENTI AL FORUM:
AMERICA LATINA, AFRICA, EUROPA E MEDITERRANEO
Rodrigo Rivas *
“L’America Latina oggi - problemi, speranze e prospettive”
La prima questione che occorre affrontare oggi per parlare di quest’area regionale è quella del
terrorismo, della violenza e della guerra.
Per quanto riguarda la violenza, le statistiche internazionali affermano che non esiste una vera e propria
violenza politica, ma assistiamo invece all’esplosione di violenze e guerre che hanno un'origine sociale. La
guerra sociale si deve alla congiunzione di due fattori: un sistema mondiale che ha conosciuto un livello di
crescita incredibile negli ultimi 100 anni ed un altrettanto incredibile aumento della massa di poveri a livello
mondiale. Come sapete, viviamo in un mondo dove il 18% della popolazione mondiale consuma l’82% delle
risorse. La congiunzione tra questi due fenomeni crea quindi una situazione caratterizzata da violenza intesa
in senso sociale.
Quando ero giovane, in Cile, le persone che portavano con sé armi erano normalmente militanti
della lotta armata che si proponeva la trasformazione della società. Personalmente non condividevo e non
condivido questo modo di agire, ma constato che le persone che giravano armate allora avevano l’idea che
quello fosse l’unico modo per trasformare la società. Oggi invece chi ha un’arma vuole risolvere una
questione privata, la sua questione. Negli ultimi anni nella sola città di Rio de Janeiro sono deceduti il
quadruplo di bambini rispetto a quelli morti nei territori palestinesi: la violenza diffusa nella società porta ad
un tentativo di risolvere i problemi unicamente mediante l’arricchimento individuale. D’altronde la nostra
società addita come vincitore, colui che si arricchisce.
L’America Latina ha vissuto un ventennio di dittature militari o di governi autoritari (come in Messico);
ed è venuta fuori da questa situazione solamente alla fine degli anni ’80. Durante quel ventennio i militari
avevano cercato di inibire la possibilità di trasformazione della società e lo avevano fatto attraverso
l’eliminazione fisica dei protagonisti del cambiamento (come in Argentina o in Guatemala). I militari inoltre
tentarono, in alcuni casi con successo, di trasformare la società; questo tentativo mostra alcuni elementi
molto interessanti, che vale la pena analizzare: lo Stato fu trasformato in un’entità che svolgeva
essenzialmente una funzione repressiva, uno stato perennemente in guerra contro le proprie popolazioni,
uno Stato che spendeva moltissimo nell’acquisto di armi utilizzate per la repressione. E’ interessante notare
che, per militarizzare il paese, lo Stato era costretto a tagliare le spese sanitarie ed educative. L’ex
Presidente brasiliano Cardoso, che ha chiuso il suo mandato il 31 dicembre 2002, in otto anni ha ridotto le
spese destinate alla sanità ed all’istruzione del 50%, duplicando la spesa per armamenti (e si noti che nel
cosiddetto Primo Mondo, Cardoso era considerato come uno dei leader della terza via allo sviluppo).
Nel nord dell’Argentina invece, le scuole hanno deciso di rimanere aperte anche nei giorni festivi, perché
questo era l’unico mondo per dare ai bambini un pasto anche di domenica. E’ incredibile che in un paese
come l’Argentina, che 80 anni fa era secondo al mondo per il reddito pro capite, oggi avvenga questo.
Il ritorno dei governi civili pone comunque alla popolazione due ovvie questioni: il recupero dei diritti
politici e dei diritti sociali.
•
Recupero dei diritti politici - In Cile, durante il Governo militare (1973-1990), il coprifuoco durò per 17
anni e la legge stabiliva che per organizzare un incontro di più di due persone era necessaria
l’autorizzazione del capo militare della Provincia, perché, senza autorizzazione, si veniva accusati di
adunata sediziosa. Dopo il 1990 (caduta del regime di Pinochet), la popolazione si preoccupò del
recupero dei diritti politici, intesi non soltanto come libertà di voto, ma anche come impegno politico
attivo.
Il recupero di questi diritti può dirsi sostanzialmente riuscito, anche se permangono sacche di
repressione in vari paesi e l’esempio fornitoci dai detenuti politici peruviani mi sembra esplicativo a
questo proposito.
•
Questione sociale - Il passaggio dai governi civili ai doveva significare più scuole, più salari, più cibo.
Questa seconda questione invece ha addirittura registrato un arretramento rispetto a quando erano
presenti i governi militari. Oggi la situazione è peggiorata. Questo grande continente poco popolato,
nonostante sia caratterizzato da grandi ricchezze, è da sempre una riserva di caccia dei paesi ricchi,
primi fra tutti gli Stati Uniti, il cui scopo è il puro e semplice saccheggio.
23
Che cosa possiede il continente sudamericano? Possiede materie prime, manodopera, tecnologia,
risorse di base di tipo biologico.
Oggi le materie prime del Terzo Mondo hanno, dal punto di vista reale, un costo di estrazione più basso
rispetto a quello che avevano negli anni ’30. In questa parte del mondo (quella dove siamo noi ora, ossia
quella ricca), il valore di ciò che è prodotto cresce del 2% annuo. In America Latina avviene il processo
opposto per quanto riguarda il valore delle materie prime: quindi chi vuole sopravvivere lavorando sulle
materie prime deve produrre molto più di prima per avere gli stessi soldi. Ad esempio il Cile oggi ha triplicato,
rispetto al 1980, la produzione di rame, ma ne ricava tanto quanto ne ricavava due decenni fa.
Per quanto riguarda la manodopera latinoamericana, posso citare alcuni dati: in Messico, nei Caraibi
e nel Centro America gli stipendi sono più bassi rispetto al 1950. Bisogna dire che i poveri producono
ricchezza, perché lavorano quasi gratuitamente, perché grazie al loro sfruttamento il celebre PIL (Prodotto
Interno Lordo) aumenta. Dove va questa ricchezza prodotta?
Facciamo una premessa: l’Europa dei primi anni ’50, distrutta dalla guerra, fu rimessa in piedi dal Piano
Marshall, che costò 13 miliardi di dollari dell’epoca (corrispondenti a circa 60 miliardi di dollari attuali).
Dal 1982 l’America Latina ha un disavanzo verso l’estero di circa 55/60 miliardi di dollari annui: il Sudamerica
ha quindi sostenuto un Piano Marshall annuale diretto per l’85% verso gli Stati Uniti e l’Europa Occidentale.
Parliamo ora del debito estero che tende a moltiplicarsi, da diversi anni, a causa dell’aumento degli
interessi. Il debito estero del Terzo Mondo sarebbe già stato pagato, ma, a causa degli interessi, si è
triplicato. Il debito ha un interesse annuo del 18-20%; con un tasso del genere in Italia si va in carcere per
usura. Questo fa parte del saccheggio cui prima accennavo. I meccanismi internazionali fanno sì che i
capitali dei paesi poveri escano continuamente, è così possibile “giocare” sulla speculazione finanziaria.
L’Argentina, tra il 2001 ed il 2002 ha visto un calo repentino delle esportazioni, perché non aveva soldi per
acquistare. Questo ha provocato un calo dell’occupazione, ma tale aspetto non è importante per il sistema;
quello che è importante è rappresentato dal conseguente calo dei consumi. Quando questo avviene (calo
della produzione e dei consumi), iniziano ad avanzare fondi monetari: ecco che l’Argentina ha iniziato
nuovamente a pagare il debito estero.
Per quanto riguarda le novità che in futuro riguarderanno l’America Latina, è possibile enunciarne
tre: il Plan Puebla-Panama, l’Accordo ALCA, il Plan Colombia.
Il Plan Puebla-Panama è un piano che riguarda il territorio che va dal sud del Messico sino al
Sudamerica, un territorio che rappresenta il corridoio tra i ricchi degli Stati Uniti e l’America Latina. Il Plan
Puebla-Panama prevede la costruzione di grandi poli aziendali ed industriali nel sud del Messico, grandi vie
di comunicazione, oleodotti e gasdotti verso il sud del Panama. Tra le altre cose è previsto lo sfruttamento
del territorio attraverso la coltivazione intensiva di OGM (ricordiamo che il territorio in questione è
caratterizzato da una grande biodiversità). Quest’ultima parte è finanziata addirittura dalla cooperazione
internazionale statunitense che a sua volta riceve finanziamenti dalle aziende farmaceutiche nordamericane.
Il Ministro messicano per la Riforma Agraria ha affermato che le fabbriche da indotto che dovranno rifornire i
cantieri saranno costruite nella zona meridionale del Messico, perché lì la manodopera ha costi inferiori
rispetto a quella della parte settentrionale del paese centroamericano. Gli oleodotti prima citati dovrebbero
arrivare, come detto, a sud del Panama, proprio di fronte a Maracaibo, la terra del petrolio venezuelano. Il
tutto verrebbe incorporato in un grande sistema di oleodotti e gasdotti rivolti verso gli USA. Il Plan PueblaPanama è quindi un grande piano di controllo della Mesoamerica (centro e nord America) che si apre verso il
Sud. Tutto questo si realizza attraverso la totale libertà di commercio. E’ necessario, a questo proposito,
ricordare che il PIL degli Stati Uniti è l’83% di quello di tutte le Americhe. Possiamo quindi capire che
l’integrazione tra nani ed un gigante significa inglobare i piccoli, significa impiantare fabbriche dove la
manodopera è quasi gratuiita, ed esportare verso gli USA non dovendo più pagare dazi doganali. Chi trae
guadagno da questo? L’economia messicana, da quando è attivo un sistema di libero scambio sta
crescendo, ma sta aumentando anche la quota di messicani che vivono sotto la soglia di povertà assoluta.
Il Progetto MERCOSUR è invece un progetto sudamericano che cerca di creare un’unità economica
tra paesi latinoamericani (soprattutto Brasile e Argentina), al fine di negoziare con gli Stati Uniti in un
rapporto meno svantaggioso. Se il Progetto MERCOSUR non andrà in porto, l’America Latina si avvierà
verso l’ALCA, progetto che consegnerebbe tutte le ricchezze sudamericane agli Stati Uniti.
Il Plan Colombia rappresenta il controllo statunitense della regione sudamericana attraverso la
militarizzazione del territorio; tutto ciò è giustificato dall’esigenza di controllare la Colombia, che
effettivamente produce l’80% della cocaina del mondo. In realtà l’intenzione nemmeno troppo velata, è
quella di controllare militarmente un’area nevralgica. Ricordo che il Presidente della Colombia ha
recentemente chiesto che gli USA attaccassero il suo paese, similmente all’Iraq.
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In questo contesto ci sono molte realtà che si muovono. I governi democratici hanno aggravato la
situazione economica, e stanno comparendo nuovamente forme di governi autoritari. Questo è il problema
dell’Argentina, dell’Ecuador e della Colombia. Ci sono poi altre realtà in movimento: il Venezuela, ad
esempio, dove è in atto, con Chavez, un processo di trasformazione socialdemocratica. Questo paese ha
esportato negli ultimi anni petrolio per un valore complessivo di 350.000 miliardi, ma la metà della
popolazione vive sotto la soglia della povertà! Chavez ha posto il problema di una riforma radicale per
ridistribuire le ricchezze. Il Venezuela non vuole entrare nel Plan Colombia, vuole il buon funzionamento
dell’OPEC, vuole dare a Cuba petrolio semigratuito. Questi atti politici possono essere qualificati come indice
di grande autonomia.
E’ stato creato in Venezuela un gruppo forte di opposizione a Chavez costituito dall’Opus Dei, dai proprietari
delle grandi aziende e dall’alta borghesia. Sicuramente, se l’opinione pubblica mondiale non farà pressioni
per difendere il Venezuela, Chavez e le possibilità di riforma verranno spazzate via.
Parliamo ora del Brasile. Nixon negli anni ‘70 affermava che il Sudamerica sarebbe stato trainato dal
Brasile; effettivamente questo paese ha un peso determinante sul continente latinoamericano: è la nona
economia al mondo, il secondo paese agricolo a livello mondiale, ha un mercato interno molto ampio. Il
Brasile è però il paese più ingiusto nel mondo, dove la povertà è più eclatante ed evidente e dove si registra
un’incredibile differenza fra il reddito dei poveri e quello dei ricchi. Le prime due misure del neopresidente
Lula sono state il Piano “Fame zero” e la sospensione dell’acquisto di otto aerei caccia F 16, al fine di
destinare i soldi che sarebbero stati spesi nell’acquisto degli otto velivoli militari, a fini sociali. Lula dimentica
però che per l’acquisto di questi otto caccia fu concesso dagli organismi internazionali al Brasile un prestito
vincolato. Quindi il Governo ha deciso solamente di non acquistare gli aerei, ma quei soldi non ci sono più,
non possono essere spesi diversamente.
Il Brasile paga ogni settimana circa un miliardo di euro sugli interessi del debito estero. Se moltiplichiamo
quel miliardo di euro per 56 settimane, capiamo che in questo momento il Brasile è un “paese fittizio”, non ha
fondi per progettare e sostenere nessun progetto di sviluppo.
L’America Latina ha subito un processo di trasformazione che le ha permesso di essere inserita
nell’economia globale, ma questo ha provocato diversi problemi e non ha portato nessun effetto positivo.
Potremmo essere alle porte di un periodo caratterizzato da governi autoritari, ma potremmo essere vicini
anche ad un ciclo che potrebbe portare alla costituzione di una società civile sudamericana capace di
incidere sulla realtà politica ed economica.
L’America Latina ha bisogno di aiuti, come tutti. Ma non ha bisogno solo di aiuti concreti, ma anche di
solidarietà intesa come vicinanza sociale e politica.
Il Sudamerica ha sempre rappresentato uno “specchio deformato” di ciò che sarebbe avvenuto nel mondo
ricco. Credo che anche questa volta i paesi sudamericani stiano anticipando quello che avverrà nel mondo
nei prossimi anni.
La solidarietà non è solamente un rapporto con l’altro che ne ha bisogno, ma è anche avere un
rapporto che permetta un arricchimento reciproco. Oltre all’aspetto che possiamo definire “etico” la
solidarietà è importante anche dal punto di vista materiale, perché se il costo del lavoro nei paesi poveri
continua a diminuire, molto presto le nostre fabbriche si trasferiranno in quei luoghi ed anche noi
conosceremo fortemente il problema della crisi e della disoccupazione. La solidarietà è utile anche a noi ed è
fondamentale per l’equilibrio del mondo intero.
* Rodrigo Rivas, economista di origine cilena, è stato dirigente di Unidad Popular all’epoca del Governo
Allende. Esule in Italia dal 1974, è stato Direttore dei CESPI, di Radio Popolare e del giornale di Mani Tese.
Ha collaborato per diversi anni con la cooperazione italiana ed ha tenuto corsi nelle Università di Milano e
Pavia. Autore di vari libri su temi di politica ed economia internazionale, attualmente lavora per la Regione
Umbria come consulente per le politiche sociali. E’ collaboratore della Scuola per la Pace della Provincia di
Lucca.
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Padre Gino Barsella *
“L’Africa di fronte al XXI secolo”
L’Africa è un continente che al suo interno contiene molte Afriche, molti territori, popolazioni e culture
profondamente diverse tra loro.
L’Africa conta 800 milioni di persone con una vita media di circa 50 anni. Nel continente africano si parlano
circa 2000 lingue. Dal nostro punto di vista questo continente è stato da sempre collocato nella linea
dell’insignificanza storica e dell’inconsistenza culturale. I mass media solitamente ci presentano l’Africa del
caos, l’Africa che muore.
Questo continente continua ad essere da noi frainteso, nonostante sia attraversato da guerre e conflitti. Tutti
questi problemi sono sì causati dall’inadeguatezza della classe politica africana, ma non possiamo non
inserirli nel contesto internazionale e storico mondiale.
Noi occidentali dobbiamo renderci conto che l’Africa non coincide con gli stereotipi che ci vengono
presentati, abbiamo quindi un deficit di conoscenza da colmare, un deficit storico. Ripensare alla storia
dell’Africa significa fare i conti con la schiavitù e con 500 anni di colonialismo; il nostro benessere affonda le
radici proprio nella dominazione del sud del mondo che si è perpetuata per mezzo millennio. Tutto questo
non può non avere conseguenze sull’oggi, perché anche la globalizzazione attuale è caratterizzata da alcuni
meccanismi che ci permettono di continuare a sfruttare le risorse africane: il debito e le guerre.
Il debito. Nonostante l’impegno giubilare, il debito non è stato cancellato, perché ci consente un
controllo politico ed economico del continente. Per renderci conto della mole di denaro che il debito ci
permette di ottenere dal sud del mondo, basta pensare che per ogni dollaro di aiuti che dal nord va al sud, ci
sono tre dollari di debito che tornano verso nord. Dobbiamo capire che la solidarietà senza la cancellazione
del debito non risolve nessun problema, è solo ipocrisia.
Le guerre. Il continente africano è dilaniato da diverse guerre che non a caso sono localizzate in
paesi ricchi di risorse: in Sudan (ricco di petrolio), in Sierra Leone (dove sono presenti giacimenti di
diamanti), in Congo (ricco di oro), etc. Tutte queste guerre sono manovrate ad arte dalle grandi potenze
mondiali, che si stanno contendendo le risorse africane.
Non dobbiamo dimenticare che oggi il “peso” del continente africano nell’agenda mondiale è
insignificante, oggi nessuno crede ad una vera rinascita dell’Africa anche alla luce del fallimento di tutti i piani
di sviluppo preposti da Fondo Monetario Internazionale (FMI) e Banca Mondiale (BM); questo aspetto deve
farci riflettere sull’inadeguatezza dei progetti sviluppisti imposti dall’alto.
Ma in Africa si sta fortunatamente muovendo qualcosa: nel luglio 2001 è iniziato il processo per la
creazione dell’Unione Africana, sta quindi nascendo un’idea di unione graduale e questo non può che essere
salutato come un evento positivo. Nello stesso mese cinque capi di stato africani (rappresentanti della
neonata Unione Africana) furono invitati al G8 di Genova, dove non chiesero aiuti, ma presentarono un piano
di sviluppo (il NEPAT) nato in Africa e per l’Africa. La risposta del G8 fu il silenzio, anzi, la riunione degli otto
grandi sfruttò a fini di immagine la presenza dei leader africani. Tutti questi sono segnali di una ritrovata
vocazione autonoma dell’Africa.
Una importante conseguenza del colonialismo è rappresentata dalla frattura tra i leader politici
africani e la base. I leader politici formati dai colonialisti avevano la funzione di opprimere il popolo per
favorire la madrepatria, questa vecchia classe dirigente è quella che ha subito maggiormente la frattura con
la base: pensiamo a Mubutu che per 30 anni ha permesso all’ex madrepatria, la Francia, di sfruttare le
risorse dello Zaire. Ancora oggi ci sono diversi leader africani che pensano troppo al potere personale. C'è
stato un periodo in cui i leader africani affermavano e consolidavano il loro potere con la forza militare,
legittimandosi quindi attraverso le armi (la cosiddetta legittimità combattente). I territori così governati
formavano una sorta di dorsale che partiva dall’Etiopia e dall’Eritrea ed arrivava in Rwanda, Burundi e
Congo. Questa tendenza era ben vista da Bill Clinton, il quale non chiedeva il rispetto dei diritti umani; l’unica
richiesta era quella di approntare politiche iperliberiste in ossequio ai dettami del FMI e della BM.
Non dobbiamo dimenticare che l’Africa ha le potenzialità per una effettiva rinascita. Cito, a questo
proposito, il sociologo e teologo Jean Marc Ela il quale sostiene che “l’Africa non rifiuta lo sviluppo, però
vuole una cosa diversa dalla crescita di una cultura di morte, di una modernità alienante che distrugge i
valori fondamentali della tradizione africana. In un mondo che non ha più significati, l’Africa ricorda che
possono esistere altri modi di rapportarsi con il mondo”.
Quali sono i valori africani di cui parla Ela?
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La capacità di resistenza. L’africano crede nella vita ed è capace di resistere ad ogni difficoltà pur di
vivere. Basta pensare alla resistenza degli schiavi.
La ricchezza dell’etnicità. L’etnicità è solidarietà, il fattore etnico e la solidarietà tribale non sono
solamente elementi negativi, ma rappresentano una ricchezza culturale che può essere il motore della
democratizzazione africana.
La vitalità dell’economia informale. Se l’Africa ha resistito e resiste è grazie alla capacità di vivere
informalmente la propria economia.
Oggi l’Africa sta cambiando dal punto di vista politico: pensiamo al Sudafrica, all’Algeria e ad altri
paesi del nord. Anche la Nigeria, paese dilaniato dalle precedenti dittature militari e dalle multinazionali del
petrolio, ha intrapreso un cammino democratico molto significativo.
Sta nascendo oggi una società civile africana (basta pensare al Congo) dove, in un periodo di guerra, la
società civile è riuscita a far funzionare i servizi ed a far nascere un sentimento di riconciliazione e dialogo.
Anche in Sudan sta avvenendo lo stesso tipo di processo. In Madagascar il regime ha perso le elezioni, ma
con un colpo di stato voleva tornare al potere. E’ stato solo grazie alla mobilitazione della società civile se la
vita democratica di questo paese è potuta continuare. In Kenya i lavoratori delle piantagioni della Del Monte
hanno lottato per un lavoro migliore e più dignitoso, con risultati positivi. Tutti questi segni non sono presenti
in Africa da oggi, ma da molto tempo e sono segnali che fanno sperare in una possibile rinascita. Riguardo
alla società civile africana, voglio aggiungere che nel gennaio 2003 si è tenuto il 2° Forum Sociale Africano, il
cui compito è, usando le parole del suo segretario Benabdalla, quello di “permettere alla società civile di
organizzarsi come contropotere per poter contare nei luoghi dove si elaborano le regole imposte all’Africa”.
Oggi il Forum Sociale Africano ha una posizione critica verso l’Unione Africana e nei confronti del Piano di
sviluppo africano (il NEPAT), affermando che questo progetto ha caratteristiche ancora marcatamente
liberiste.
La società civile africana ci sfida sul campo del debito, affermando che esso non andrebbe calcolato
su 30 anni di storia, bensì su 500 anni: ecco che il vero debitore sarebbe il nord del mondo. Il risarcimento
per 500 anni di colonialismo è inderogabile; questo non lo sostiene solo la società civile africana, ma era
affermato 30 anni fa anche da Paolo VI nell’Enciclica Populorum Progressio: “se non restituiamo ciò che
abbiamo rubato, la collera dei poveri sarà terribile”. La parola risarcimento, in questo contesto, non va intesa
solamente in senso finanziario, ma va interpretata all’interno di un contesto più ampio, che comprenda anche
la cooperazione internazionale.
L’Unione Africana sta prendendo posizione su molte importanti questioni: ha chiesto ad esempio a Camerun,
Angola e Guinea, i tre paesi africani presenti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, di far sentire il loro peso in
seno a questa organizzazione. Tutti sappiamo quanto Stati Uniti e Francia abbiano fatto pressione su questi
paesi pur di averli dalla loro parte, pur di ottenere un sì o un no riguardo alla guerra all’Iraq. Il Sudafrica ha
mantenuto una posizione molto forte rispetto alla guerra all’Iraq, basta pensare che Nelson Mandela ha
definito Bush “un presidente privo di lungimiranza e ragionevolezza, che sta compiendo l’errore più grande
della sua vita”. Non sono mancate anche in questo continente molte manifestazioni contro la guerra.
Quali saranno le conseguenze della guerra all’Iraq sull’Africa? E’ chiaro che vivremo un periodo di
instabilità del quadro mondiale che sarà difficilmente governabile con gli strumenti del diritto, e questo
riguarderà anche l'Africa che sarà sempre più militarizzata. Dall'altra parte la pressione del fondamentalismo
islamico sarà sempre più forte. La guerra preventiva inoltre rischia di riguardare in futuro anche tre paesi
africani: la Somalia, il Sudan e la Libia. I costi di questa guerra graveranno sui budget degli aiuti: l’Africa,
quindi, vedrà sicuramente diminuire le quote per lo sviluppo a lei precedentemente destinate.
Un altro aspetto da analizzare è il neoafricanismo del Presidente francese Chirac, che rappresenta
una reazione agli Stati Uniti. Il neoafricanismo francese, che è un impasto di autoritarismo e paternalismo,
un’antitesi della politica, è molto pericoloso per l’Africa, perché reagendo all’offensiva statunitense, rischia di
relegare il continente africano a campo di battaglia in un contesto “neobipolarista”. Sarà sempre più difficile
quindi parlare di temi come la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la cittadinanza e lo sviluppo sostenibile.
Su questa linea di tendenza stanno riprendendo vigore i leader della già citata legittimità combattente che
non permetteranno alle crisi africane di essere poste all’attenzione della Comunità internazionale. Chi di voi
ad esempio ha sentito parlare del colpo di stato nella Repubblica Centroafricana? In questo paese l’ex
Presidente vive esiliato in Camerun ed il potere è detenuto da un ufficiale; dietro tutto questo c’è il petrolio.
Analizziamo ora il rapporto dell’Europa con l’Africa. Credo fortemente che l’Europa debba stringere
rapporti stretti con l’Africa, il nostro “dirimpettaio” sul Mediterraneo. Questo comporta tre tipi di sfide:
•
Sfida geopolitica. La guerra americana in Iraq indica una volontà di dominio e di controllo delle risorse
che permetta al “non negoziabile” standard di vita americano di continuare. Questa volontà si intreccia
con due pericoli che provengono dall’est: il fondamentalismo islamico e la Cina. Questi sono i pericoli
27
•
•
che gli Stati Uniti attualmente vedono. In questo contesto Europa ed Africa possono rappresentare un
fattore riequilibrante della situazione internazionale.
Sfida socioeconomica. Questa sfida implica il problema del debito. Non è sufficiente però cancellare il
debito, ma è necessario costruire una cooperazione basata su rapporti paritari. In Italia abbiamo una
legge unica al mondo: la legge 209 che impone la cancellazione del 100% del debito in un certo numero
di anni. Questa legge funziona e permetterà la cancellazione di 6 miliardi di euro di debito. E’ già stato
interamente cancellato il debito del Mozambico (524 milioni di dollari): i governi italiano e del Mozambico
e le rispettive società civili stanno lavorando assieme per far sì che il risparmio derivante dalla
cancellazione del debito sia impiegato in piani trasparenti di lotta alla povertà. E’ importante affiancare
alla cancellazione del debito la cooperazione: era necessario, nel caso del Mozambico, evitare che quei
524 milioni di dollari non fossero investiti in armi.
Sfida politico-culturale. E’ necessario riscoprire il dialogo, vedere negli altri una ricchezza e non un
problema. Credo che se riusciamo a costruire intorno al Mediterraneo un’area di dialogo, democrazia e
sviluppo, sarà possibile avviare un processo di democratizzazione globale, un processo che porti verso
un ordine mondiale che abbia come fulcro non gli Stati Uniti, ma le Nazioni Unite.
Concludo citando le parole di un poeta e musicista africano, Francis Bebey, che così apriva uno
speciale della rivista Nigrizia: “Io credo nell’Africa, e perché non dovrei crederci? Non sarà tutto quello che è
capitato negli ultimi 40 anni a farmi cambiare idea. La storia dell’Africa deve essere vista nella Storia su
tempi ben più lunghi della nostra vita umana. E’ così allora che gli africani daranno il loro apporto al resto del
mondo, porteranno delle qualità che gli altri forse non hanno: la fede in un avvenire, quando forse gli altri
uomini non credono più nell’avvenire, una maniera di guarire le malattie che si conosce solo in piena foresta
tra i Pigmei, porteranno forse semplicemente il ridere, perché la vita è bella, ecco porteranno sicuramente la
vita, perché gli africani credono in una vita che non finisce. Ed è questa fede che ci aiuta a sopravvivere
dopo secoli di servitù e vicissitudini. Gli africani possono portare al mondo la vita, perché sono vivi”.
* Padre Gino Barsella, Comboniano, è stato per molti anni missionario in Africa ed ha diretto per diverso
tempo la rivista rivista Nigrizia. Attualmente è coordinatore nazionale della campagna Sdebitarsi.
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Massimo Toschi *
“Europa e Mediterraneo: quale cooperazione?”
Innanzitutto mi sembra importante indicare il motivo per cui il Mediterraneo rappresenta oggi il luogo
dove si gioca una partita determinante per la pace nel mondo. L’attenzione al Mediterraneo non sorprende
certamente noi toscani, perché già negli anni ‘50 un celebre “toscano d’adozione”, Giorgio La Pira, aveva
posto la nostra regione al centro del dialogo tra est e ovest, tra nord e sud, un dialogo tra quelle che
venivano denominate “religioni abramitiche”, ovvero Islam, Ebraismo e Cristianesimo. La Pira aveva visto
lontano, perché oggi ci troviamo di fronte ai grandi problemi che aveva indicato 50 anni fa. L’Europa costruirà
il suo futuro solo se sarà capace di intrattenere nuovi e diversi rapporti con la riva sud del Mediterraneo.
La riva sud del nostro mare è attraversata attualmente da grandi questioni, ma noi questa sera ne
analizzeremo tre: la questione israelo-palestinese, la questione Saharawi ed il problema del rapporto tra
Cristianesimo e Islam e, più in generale, tra le grandi religioni monoteiste.
Questione israelo-palestinese. La nostra regione ha moltissimi progetti di cooperazione con la
Palestina, basta pensare che il 44% della cooperazione italiana in Palestina proviene dalla Toscana. La
cooperazione della nostra regione tocca diverse questioni, dalla sanità alla cultura. Il problema che ci
dobbiamo porre è se questa cooperazione sia riuscita o meno a creare rapporti significativamente diversi tra
Israele e Palestina. Bisogna discutere su questo punto al fine di progettare la cooperazione futura.
Tutto ciò si inserisce in un contesto dinamico: il Governo Abu Mazen si è appena insediato, si è preso atto
del fallimento della seconda Intifadah ed il cosiddetto “quartetto” sta cercando di mettere in moto un
processo di pace.
In questo contesto, a cosa serve la nostra cooperazione? Abbiamo lavorato molto in termini cooperativi, e
questo era assolutamente necessario, ma la nostra opera è stata carente dal punto di vista politico, come se
le due sfere non fossero legate. Proprio perché la Toscana ha “conquistato” l’amicizia e la stima dei
palestinesi, si doveva agire in maniera più incisiva sul piano politico, dire con più forza, proprio perché non
siamo neutrali, che è necessario chiudere con il terrorismo e con l’Intifadah armata. Su questo punto ci
siamo rivelati troppo accondiscendenti.
Questione Saharawi. Non siamo stati capaci, anche su questo fronte, di svolgere un ruolo politico,
limitandoci ad una pura e semplice, seppur fondamentale, opera di cooperazione. La politica è necessaria
per disegnare, o quantomeno immaginare, un futuro per il Popolo Saharawi. La cooperazione, se vuole
essere leale e coraggiosa, deve avere la capacità di operare sul piano politico. In vista della creazione, nel
2010, di una zona di libero scambio interregionale tra i paesi del Maghreb, la questione del Popolo Saharawi
non può certo rimanere sospesa o ai margini.
Questione del dialogo tra culture e religioni. Oggi si pone fortemente il problema del dialogo tra le
culture. Quando mi recai nel 1998 con il Presidente Tagliasacchi in Algeria, scoprimmo una società ricca,
variegata ed articolata, trovammo un mondo musulmano che combatteva una battaglia culturale anche per
noi. Se infatti in Algeria fosse passato l’islamismo radicale, il futuro del dialogo nell’area mediterraneo
sarebbe stato segnato.
Credo che la guerra in Iraq abbia alimentato l’islamismo più radicale nei paesi che si affacciano sulla riva sud
del Mediterraneo, e quando oggi sentiamo gli Sciiti che gridano “Né con Bush né con Saddam ma con
l’Islam”, significa che il dialogo non avanza.
Ovviamente questa non è la sola questione, ma costruire luoghi di incontro e di scambio tra le grandi
religioni monoteiste rappresenta una necessità vitale per Israele, per l’Islam e per noi.
Pensiamo al dibattito democrazia-Islam, non è possibile semplificare la realtà pensando che i nostri modelli
di convivenza possano essere esportati anche in paesi con storia e cultura completamente diverse
dall’Occidente.
Queste sono le tre questioni che, dal nostro punto di vista, riguardano il rapporto EuropaMediterraneo. E’ necessario lavorare su questi temi, temi che si intrecciano inevitabilmente con la pace e la
guerra; è evidente che se c’è pace sulle rive del Mediterraneo c’è pace in tutto il mondo. Il Mediterraneo è
infatti una zona unica e speciale che racchiude in sé tutti i grandi problemi che attraversano la storia.
Concludo citando un piccolo episodio a mio avviso significativo. Quando sono stato in una provincia
sperduta ed isolata del Burkina Faso, vicino al deserto del Niger, ho visitato una scuola e sono rimasto
positivamente sconvolto, perché in un’aula c’era una cartina geografica dell’Europa e più specificatamente
dell’Unione Europea: ho pensato che se anche in una zona sperduta del Burkina Faso conoscono l’Unione
Europea, ci potrà essere un futuro per l’Africa e per il Vecchio Continente.
29
* Massimo Toschi attualmente ricopre l’incarico di Consigliere per la Pace, la Cooperazione ed i Diritti
Umani del Presidente della Regione Toscana Claudio Martini
30
Terza giornata: 26 aprile
RELAZIONI DEI TAVOLI DI LAVORO SULLE TRE AREE GEOGRAFICHE TRATTARE AL FORUM
Tavolo di lavoro sull’America Latina
Presentazione della relazione
Parla a nome del tavolo Roberto Sensi
All’interno del nostro tavolo erano rappresentati moltissimi paesi, sia dell’America Centrale che
dell’America Latina (Messico, Bolivia, Guatemala, Brasile, Perù). Sono quindi emerse molte differenze, ma
anche svariati punti di convergenza, soprattutto riguardo alla filosofia della solidarietà. Francisca Marinehiro
(Brasile) afferma che la solidarietà deve essere interscambio, deve essere, usando una metafora, come una
porta aperta con passaggio bidirezionale.
Realizzando progetti di solidarietà infatti rischiamo di imporre il nostro pensiero di sviluppo non rispettando le
culture locali alle quali effettivamente è destinata la solidarietà.
Concludendo questa premessa, siamo giunti alla conclusione che la solidarietà debba essere
considerata come interscambio, opportunità, rispetto profondo della cultura altrui e lotta comune.
Documento finale del tavolo
Il tavolo di lavoro sull’America Latina, riunito come sottocommissione del 1° Forum della Solidarietà lucchese
nel mondo, dopo un’ampia esposizione da parte dei partner stranieri presenti, ha raggiunto le seguenti
risoluzioni:
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Concepire la solidarietà come uno strumento di reciprocità tra i popoli del mondo.
Evidenziare e rispettare la diversità delle culture esistenti nel mondo globalizzato.
Stabilire strategie congiunte di sviluppo basate sulla formazione delle persone per favorire la loro
autonomia.
Essere elementi attivi della denuncia delle violazioni dei diritti umani e accompagnare le vittime in queste
denunce, così come favorire la conoscenza dei diritti che una persona ha come essere umano.
Predisporre programmi di educazione e formazione delle bambine e dei bambini, così come delle e degli
adolescenti, che sono le prime vittime delle ingiustizie e al tempo stesso protagoniste/i di un
cambiamento futuro.
Riconoscere e rispettare la proprietà intellettuale dei popoli indigeni in tutti i campi (come quello della
medicina, dell’antropologia, dell’agricoltura, etc.) e denunciare qualsiasi forma di appropriazione,
qualunque sia la sua origine.
Appoggiare i programmi a lungo periodo.
Rafforzare e appoggiare le leadership che crescono nel dolore, nell’esperienza di lotta e nella tradizione
popolare.
Stabilire vincoli concreti tra le realtà di cooperazione per trasformare entrambe.
Predisporre progetti congiunti puntuali, che rispondano alla domanda di queste popolazioni, che siano
parte di un processo più ampio e contemplino come obiettivo il generare processi.
“Che questo forum di lavoro non solo serva per parlare delle sofferenze umane, bensì per unificare le
speranze” (Rosalina Tuyuc – Guatemala)
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Tavolo di lavoro sull’Africa
Presentazione della relazione
Parla a nome del tavolo Costanza Pera
Il nostro gruppo di lavoro era formato da circa 30 persone, con partner provenienti dal Rwanda, dal
Burkina Faso, dall’Eritrea e dal Sahara Occidentale (Saharawi).
Dalla discussione sono emerse molte sollecitazioni che sono state divise in tre punti:
1. Necessità di mutare la mentalità della cooperazione.
2. Maggior impegno culturale
3. Maggior impegno politico.
Il gruppo era costituito da una trentina di persone con partner provenienti dai seguenti paesi:
Rwanda (Diocesi di Lucca, Nutripa), Burkina Faso (Centro sviluppo umano di Viareggio), Saharawi (Comitati
di solidarietà al Popolo Saharawi), Eritrea (Gemellaggi di Solidarietà con i paesi del terzo mondo)
Documento finale del tavolo
Dalla discussione sono emersi le seguenti riflessioni:
1. Cambiare mentalità
-
Ascolto e conoscenza reciproca.
Pazienza e rispetto dei tempi dell’altro per arrivare ad una comprensione profonda.
Umiltà nell’incontro, non pretendere di avere tutte le risposte.
Incontrare le persone nel posto in cui vivono, “educazione ambulante”, adattata alle persone ed alla
situazione contingente.
Lavorare insieme, mettere in rete le diverse risorse e sostenere le organizzazioni locali (capitalizzare
le esperienze). I progetti camminano con le popolazioni locali.
Condivisione e contrattazione degli obiettivi, valutazione continua e reciproca.
Coinvolgimento delle donne.
2. Maggiore impegno culturale
-
Maggiore conoscenza che porti ad una cooperazione non limitata alla realizzazione di progetti, ma
che investa anche la dimensione culturale, favorendo un incontro e uno scambio tra comunità.
Questo permette di comprendersi reciprocamente.
Prendere coscienza di una diversità di pensiero. Noi occidentali abbiamo un pensiero di tipo
“cartesiano”, lineare, gli africani un pensiero “a spirale” (pazienza/tempo).
La solidarietà non è con i governi, passa attraverso l’accettazione integrale dell’identità dell’altro
(sono africano, arabo, musulmano).
Investire in cultura. Viene chiesto ai partner di puntare ed investire maggiormente sull’educazione e
sulla cultura (oggi purtroppo sono in corso processi di privatizzazione di scuole, università e centri
culturali).
Un cambiamento culturale è chiesto anche ai gruppi lucchesi, perché solo da una trasformazione culturale
può nascere un diverso atteggiamento nella cooperazione, ma anche nell’accoglienza degli immigrati.
3. Impegno politico
-
-
Richiamo all’Europa. C’è sempre stata una complementarietà tra Europa ed Africa, non solo
economica, ma anche politica e culturale. Occorre consolidare il rapporto con l’Europa per ottenere
quello che l’Africa ha sempre chiesto: indipendenza e dignità. Impegno a partire dai problemi più
concreti come quello dei visti e dei permessi di soggiorno.
La priorità in Africa è la pace (miseria, malattia ed ignoranza hanno nelle guerre la loro radice).
L’Europa deve avere il coraggio di far rispettare il diritto all’autodeterminazione dell’Africa, deve
riconoscere dignità al processo di democratizzazione già in corso in alcuni paesi africani, anche se
sono democrazie non coincidenti perfettamente con la nostra cultura.
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-
Coerenza delle azioni di cooperazione con le azioni politiche (cancellazione del debito, commercio di
armi). Limitarsi alla sola cancellazione del debito senza una collaborazione reciproca che si occupi di
come investire i soldi derivanti dalla cancellazione del debito, equivale a dire “bene, ora puoi morire
tranquillamente”.
Un ringraziamento non formale alla Provincia di Lucca perché di ha offerto la possibilità di incontrarci.
Questo va nella direzione di uno scambio e di una conoscenza reciproca.
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Tavolo di lavoro sul Mediterraneo
Presentazione della relazione
Parla a nome del tavolo Claudio Orsi
Il nostro tavolo ha affrontato tre questioni: il problema delle guerre passate e presenti sul bacino del
Mediterraneo, la questione dei progetti di cooperazione e la realtà dell’immigrazione, che a nostro avviso,
non è stata discussa abbastanza in questo Forum.
Dai lavori del nostro tavolo è emersa la volontà di dire no a qualsiasi forma di guerra. La
testimonianza della partner croata Ondina Skracic ci conferma che alla fine della guerra rimane in tutta la
popolazione incertezza e preoccupazione. Non sappiamo se sia giusto chiedere alla cooperazione più
politica, ma siamo convinti che la politica debba sostenere maggiormente la cooperazione e non ostacolarla
come è accaduto in Palestina, dove l’occupazione dei territori ha cancellato ogni sforzo fatto dalla
cooperazione per riaprire il dialogo. Siamo dell’idea che il sostegno alla cooperazione non possa essere fatto
dai paesi che hanno combattuto la guerra: non è possibile che prima si bombardi e poi si pretenda di dirigere
politiche di ricostruzione e cooperazione.
La presenza dei Caschi Blu dell’ONU tra il Marocco e l’Algeria mette l’accento sulla questione
Saharawi che è stata definita dal rappresentante Saharawi Fatima Mahfud “l’ultima delle colonie europee in
territorio africano”.
Per quanto riguarda la questione dei migranti, torno a dire che questo tema non è stato abbastanza
discusso in questo Forum.
Documento finale del tavolo
I partecipanti al tavolo di lavoro “Europa-Mediterraneo” esprimono la volontà di dire NO ad ogni
forma di guerra, anche se la fine della guerra non significa di per sé affermazione di una pace vera. La
testimonianza della signora croata Ondina Skracic ci dice che alla fine di una guerra, aldilà dell’apparente
“normalità” recuperata, rimane una grande incertezza e preoccupazione per il futuro del lavoro,
dell’assistenza, dello stato sociale, dei rapporti interpersonali.
Non sappiamo se sia giusto e corretto chiedere alla cooperazione di fare più politica. Sicuramente ci
sentiamo di chiedere alla politica, ai governi, alle istituzioni, di sostenere e sviluppare la cooperazione tra i
popoli e non di ostacolarla o addirittura di distruggerla come è accaduto in Palestina. Le occupazioni dei
territorio arabi da parte dell’esercito israeliano e le continue uccisioni, anche di bambini palestinesi, hanno
cancellato ogni sforzo fatto dalla cooperazione per tenere aperto il dialogo e costruire un futuro di pace. A
questo proposito si ritiene di fondamentale importanza incentivare gli scambi culturali, i gemellaggi, le
collaborazioni tra scuole, associazioni, circoli, ecc. di ogni paese, al fine di promuovere la conoscenza
reciproca e l’apprezzamento delle diversità interculturali a sostegno della diffusione e affermazione di una
cultura di pace.
La presenza di Caschi Blu dell’ONU nel Sahara occidentale mette l’accento su una realtà ancora
poco conosciuta e discussa, che è quella del popolo Saharawi.
Il Forum della Solidarietà lucchese nel mondo ha raggiungo il grande risultato di mettere a confronto e far
dialogare i rappresentanti di culture e sensibilità diverse tra loro.
I partecipanti al Tavolo di lavoro concordano sulla necessità di impedire il ricorso ad ogni forma di
intervento armato e affermano il diritto all’autodeterminazione di ogni popolo. In questo contesto
sottolineiamo la centralità della questione mediorientale per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese.
Su questo terreno c’è ancora molto da fare ma crediamo che il miglior contributo sia quello di sostenere
progetti di cooperazione comune in tutta l’area del Mediterraneo.
Per questo i partecipanti al tavolo di lavoro lanciano una proposta per la promozione e l’attivazione di
un progetto che abbiamo pensato di chiamare “Il sole sul Mediterraneo”. Un progetto che vuol dare risposte
e soluzioni concrete alla mancanza di energia elettrica e acqua che accomuna moltissime realtà territoriali. È
giusto ricordare che milioni di persone non hanno l’accesso all’acqua potabile e l’unica fonte di energia di cui
dispongono è la legna da ardere. Questo avviene mentre il 20% della popolazione mondiale consuma il 70%
dell’energia prodotta prevalentemente utilizzando fonti di origine fossile (petroli, metano, carbone),
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responsabili delle emissioni di gas climalteranti e del cosiddetto effetto serra. Un processo di alterazione del
clima che esaspera i processi di desertificazione dei paesi del Sud del Mediterraneo, ma che comincia ad
interessare anche il sud dei Paesi europei, Italia compresa.
Il bisogno di acqua potabile, di acqua desalinizzata, di acqua per l’agricoltura, di acqua per il bestiame,
accomuna tutti i paesi rappresentati nel Tavolo.
Per questo chiediamo al Presidente della Provincia di farsi carico di una iniziativa nei confronti del
Presidente dell’ATO N°1 perché aderisca all’accordo promosso dalla Regione Toscana e sottoscritto da
CISPEL, ANCI e Gestori della Rete idrica, con cui si destina un centesimo di euro per ogni metro cubo di
acqua consumata in Toscana al sostegno di progetti di cooperazione internazionale.
I partecipanti ai lavori del Tavolo sottolineano la necessità di dare voce e ruolo anche alla promozione dei
progetti di cooperazione con le associazioni degli immigrati presenti ed attive nella Provincia di Lucca.
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PRESENTAZIONE DEI PARTNER STRANIERI PRESENTI
Presentazione dei lavori a cura di Patrizio Petrucci
Assessore al Volontariato della Provincia di Lucca
Il tema del volontariato è una delle priorità della Provincia di Lucca, è stato infatti creato un Forum
che riunisce tutte le associazioni di volontariato presenti sul territorio provinciale.
Il fine di questa iniziativa è quella di far dialogare il mondo del volontariato con quello delle istituzioni, in
un’ottica di parità e non di subalternità.
Il volontariato sta crescendo ma sta perdendo di politicità, perché è sempre più stretto dalle istituzioni ed è
sempre più legato ai meccanismi dell’economia. E’ quindi necessario riflettere tutti insieme, istituzioni e
volontariato, perchè la logica dei valori, dei diritti e della giustizia sociale deve rimanere un punto fermo. Se il
volontariato si specializza troppo, rischia di perdere la propria identità e la propria autonomia.
La parola democrazia deve essere costruita giorno dopo giorno mediante un dialogo paritario tra istituzioni e
società civile, di cui il volontariato è una delle migliori espressioni.
La solidarietà è infatti fondamentale per concepire e pensare una società diversa.
Roberto Romero Arce (Perù)
Assessore della segreteria della Presidenza della Regione (Perù)
Partner dell’Associazione Amici del Perù
Vengo dal Perù e vi porto il saluto del Presidente della Regione del Cuzco, Carlos Sanchez. Sono
uno dei membri del Consiglio Regionale di una delle venticinque regioni in cui è organizzato il Perù. Il Cuzco
è stato nel XV° secolo capitale di una civiltà, il cosiddetto impero degli Incas, importante per estensione e
per le conquiste culturali, che comprendeva l’odierna Colombia, il Cile e l’Argentina, cioè quasi tutta
l’America del Sud.
Ieri, nella commissione per la discussione sull’America Latina, abbiamo affrontato il tema di quei
diritti culturali dei popoli che ci auguriamo si rafforzino in virtù del diritto che ha ciascun popolo di essere
rispettato nelle sue tradizioni. I popoli della Bolivia, del Perù e della Colombia hanno subito un’aggressione
culturale ed economica a partire dal cosiddetto Plan Colombia, “grazie” al quale abbiamo assistito, tra l’altro,
alla sparizione di alcune piante.
Un punto sul quale sento di dover dire qualcosa è l’ingiusta campagna per sradicare un prodotto
tradizionale come la pianta di coca, pianta sacra per gli Incas, ingiusta proprio perché l’uso che se ne fa nei
nostri paesi è legale. Nel Perù il tema della coltivazione delle piante di coca è scottante: ci sono varie zone in
cui viene coltivata, soprattutto la zona centrale. E’ vero, in alcune zone la coca viene coltivata
fondamentalmente per il narco traffico, non lo si può negare. Ma ci sono zone dove l’uso è legale, la zona
del Cuzco per esempio, cioè la zona dell’est andino del Perù. I contadini e gli abitanti di quelle zone
masticano e gustano le foglie di coca: questo tipo di consumo non porta alterazioni nell’organismo ed è,
oltretutto, una tradizione che dura da centinaia o migliaia di anni. Masticare la foglia di coca produce
un’inibizione del desiderio di alimentarsi, inibisce la fame e fornisce proteine che altrimenti non sarebbero
presenti nell’alimentazione povera di queste popolazioni. I contadini la utilizzano anche per reggere il ritmo di
lavoro molto duro nei campi (dalle cinque di mattina alle otto di sera). Si tratta, inoltre, di aver rispetto delle
culture, perché la coca è usata anche durante le cerimonie tradizionali: viene offerta a chi non si conosce e
si usa per propiziare la madre terra se ci sono problemi legati al clima. Questa cultura fa parte della visione
del cosmo del mondo andino che la chiesa cattolica non ha potuto eliminare. Questa tradizione di ingraziarsi
la madre terra, ripeto, è strettamente legata al consumo della foglia di coca. I produttori di questa zona in cui
si fa uso legale di coca, rispettano scrupolosamente la destinazione della pianta per uso cerimoniale.
L’errore è che si tende a confondere la produzione con il commercio di coca illegale, il narcotraffico, con
quello che è legale.
Noi chiediamo che non si dia a noi la colpa del fatto che gli USA hanno un consumo così elevato di
coca, anche perché non dipende certamente dalle nostre popolazioni il fatto che il narcotraffico riesca a
superare facilmente. Le statistiche ci informano che ogni cittadino americano consuma in media un grammo
di cloridrato di cocaina, tonnellate che entrano con il benestare della polizia, con la complicità dei funzionari.
Nella regione del Cuzco, dalla quale io provengo, si produce coca ma, lo ripeto, per uso legale e per uso
tradizionale in cerimonie. Quello che chiediamo e che si rispetti il diritto alla coltivazione della coca con la
protezione del comitato sindacale dei contadini.
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Grazie per la grande possibilità che ci avete dato di partecipare al Forum della Solidarietà lucchese
nel Mondo, che ha come sottotitolo “Un Mondo di mondi diversi” (talvolta purtroppo contrapposti). Il tema di
cui abbiano parlato è la coltivazione della pianta di coca che per alcuni è droga, per noi in Cuzco e in altre
regioni del Perù è cultura e tradizione, è una forma di relazionarsi con la natura.
Quello che voglio fare è portarvi oggi una testimonianza: circa 25 anni fa ebbi un invito a venire in Italia.
L’invito arrivava da parte di un funzionario dell’impresa italiana Olivetti che ha stabilimenti in tutto il mondo. In
Perù avevamo organizzato il primo sindacato di lavoratori che la Olivetti avesse fuori dall’Italia ed io fui eletto
come organizzatore di questo sindacato, come segretario generale. I capi della Olivetti mi volevano far
rinunciare all’incarico da dirigente con la concessione di quattro visti. Io lo rifiutai ed ora, dopo venticinque
anni, ho la possibilità di venire in Italia a parlare con voi; se avessi accettato questa opportunità ora non
avrei l’autorità morale per parlare di democrazia e di rispetto dei diritti umani.
Il risultato di questo rifiuto fu la persecuzione ed il carcere: erano i tempi della dittatura militare ed a partire
da quel momento iniziarono i miei rapporti con gli oppressi e i prigionieri politici, una relazione molto intensa
per la difesa dei diritti umani.
Nel Cuzco noi siamo contrari a molte delle decisioni del presidente Toledo, come la guerra in Iraq.
Abbiamo protestato, abbiamo rifiutato l’intervento, perché riteniamo che con questo pretesto la “grande
polizia” del mondo può far valere il proprio diritto ad insediarsi in qualsiasi paese (sia esso la Siria, Cuba, il
Perù o la Bolivia) nel caso che si dichiari, per esempio, che la droga è un’arma di distruzione di massa.
Rifiutiamo per il Cuzco ogni tipo di intervento, difendiamo i diritti umani e stiamo dalla parte della pace.
L’esperienza dell’associazione degli Amici del Perù è molto importante, e vogliamo continuare ad
appoggiarla, visto che cercano di occuparsi della zona più povera dove l’analfabetismo arriva al 60% e la
mortalità infantile raggiunge livelli incredibili così come la dispersione scolastica. Dobbiamo continuare ad
andare avanti.
Vogliamo rimanere in relazione con la Provincia di Lucca e con la Regione Toscana e vogliamo
invitare tutti a visitare il Cuzco. Come diceva uno degli intellettuali più rinomati del Perù, dobbiamo lottare per
il pane, la bellezza e l’arte. Ma bisogna lottare anche per un Perù ed un mondo nuovo. Credo anche nel
ruolo importante dei volontari che portano la loro allegria, il loro entusiasmo: ho visto futuri medici, architetti,
infermieri e una serie di lavoratori e studenti che si sono recati in Perù a dare una mano nella convinzione e
nella speranza che ci possa essere un mondo più giusto per tutti.
Mohamed Aandam (Marocco),
Direttore dell’Associazione Tichka - partner di ALERR
Rappresento, insieme a Saadia Zaoui, l’ONG Tichka, operante nel sud del Marocco.
Tichka è un’associazione non governativa, in cui opera personale locale, impegnato sia nei progetti che
nell’amministrazione. Il suo scopo è quello di concorrere al miglioramento delle condizioni di vita della
popolazione locale e di soddisfare i bisogni delle persone. La nostra associazione opera nelle province di
Ouarzazate e Zagora, due province rurali molto diversificate sia paesaggisticamente che culturalmente.
Tichka opera nei settori dell’acqua potabile, della sanità, dell’istruzione, della promozione dei diritti delle
donne, dell’agricoltura, del turismo e dello sviluppo delle zone rurale.
Le maggiori realizzazioni sono state effettuate nel settore dell’acqua potabile: esistono in questo campo
progetti che coinvolgono diversi villaggi per un totale di 23.000 abitanti. Questo progetto è portato avanti
anche grazie ai finanziamenti della Commissione Europea. Stiamo costruendo pozzi dotati di pompe idriche
e riserve di acqua. La capacità di questo serbatoio di acqua varia a seconda del numero degli utenti.
Stiamo inoltre lavorando, in accordo con le popolazioni locali, ad un progetto di distribuzione dell’acqua;
grazie a questi progetti ogni famiglia ha acqua corrente in casa. L’energia che serve per pompare l’acqua dai
pozzi alle riserve è solare (questo è stato possibile grazie alla cooperazione con la Regione Toscana, la
Provincia di Lucca e la ALERR). Il generatore pompa l’acqua direttamente verso il serbatoio.
Abbiamo a disposizione molto personale tecnico, che oltre ad occuparsi dell’istallazione e della
manutenzione delle pompe, promuove corsi di formazione rivolti alla popolazione locale. La potabilità
dell’acqua è periodicamente controllata.
Per quanto riguarda il settore sanitario, cerchiamo di sensibilizzare la popolazione sulle prevenzione delle
malattie, informando riguardo a questioni inerenti l’igiene, le infezioni trasmissibili per via sessuale, la
nutrizione, ecc. La lotta contro le infezioni sessualmente trasmissibili occupa una grande parte del nostro
lavoro.
Per quanto riguarda la formazione femminile, la nostra associazione è impegnata in attività a favore
delle donne (formazione professionale, assistenza psicologica, informazione, ecc.) che sono impegnate in un
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centro polifunzionale, luogo nel quale si svolgono le più svariate attività: formazione delle animatrici locali
che sono impegnate in ogni villaggio, alfabetizzazione rivolta alle donne ed ai bambini, formazione
professionale.
Oltre a queste attività, la nostra associazione è attiva anche sul fronte dell’istruzione: costruiamo e
recuperiamo scuole, distribuiamo agli alunni materiale destinato ad uso scolastico. Siamo dell’idea che sia
estremamente importante intervenire sul versante dell’istruzione.
Siamo inoltre impegnati ad estendere la corrente elettrica anche ai villaggi rurali. Attraverso la
centrale solare siamo riusciti a portare la luce nelle case e sulle strade (luci pubbliche).
Per quanto riguarda l’agricoltura, formiamo gli agricoltori ed una equipe insegna loro determinate tecniche.
Siamo infine impegnati a promuovere un turismo compatibile con il nostro ambiente, la nostra cultura, la
nostra società.
Non mi rimane che invitarvi in Marocco a rendervi conto dei nostri grandi passi in avanti e ad ammirare le
nostre stupende bellezze naturali.
Eloisio Queiroz Pena (Brasile)
referente del progetto “Vida Nova” - partner di A.Te.Mis.
Presenterò un progetto portato avanti da A.Te.Mis. - Brasile (Associazione Teresiana Missionaria),
un’entità recente, nata nel 2002 grazie ad A.Te.Mis. - Lucca.
A.Te.Mis.-Brasile opera nella Diocesi di Mariana, che ricopre un ampio territorio (23.000 Km quadrati
e 1.200.000 abitanti) e conta 79 municipi. A.Te.Mis. inizia questo progetto con sei centri di attività, il
principale localizzato in Antonio Pereira. Questo centro si trova in un’area mineraria ricca di oro, ferro e
manganese. In queste miniere lavorano persone provenienti da diverse aree del Brasile con conseguenti
sconvolgimenti sociali tra la popolazione che ci vive. Principalmente questo problema riguarda i bambini,
molto numerosi, che non hanno una struttura familiare adeguata: anzi, spesso è la famiglia stessa che tende
a sfruttare i bambini con un conseguente degrado morale che tutti noi possiamo immaginare. I bambini, e
soprattutto le bambine, si riversano nelle strade e sono soggetti a violenze sessuali ed all’ingresso nel
mondo della droga.
Alla luce di questa situazione l’obiettivo di A.Te.Mis. è riscattare questi adolescenti dalla situazione di
rischio in cui si trovano. Questi bambini hanno diritto ad un riscatto ed è necessario fornire loro affetto e aiuto
materiale.
L’obiettivo principale del progetto, che si chiama Vida Nova, è proprio quello di tirare fuori gli adolescenti da
queste situazioni attraverso la fornitura di servizi (sanità, istruzione, cibo) e facendo sentire loro il nostro
affetto. E’ necessario che anche i bambini possano avere una vita da bambini, bisogna far sì che non
divengano adulti a 15 anni.
Per aiutare questo progetto A.Te.Mis.-Lucca promuove adozioni a distanza, e ad oggi questo metodo si è
dimostrato molto proficuo.
Il progetto è stato strutturato per aiutare 500 bambine, ma nel giro di un anno contiamo di assisterne 1500.
Stanislas Ouedraogo (Burkina Faso)
Coordinatore del Progetto Burkinabe – partner del Centro Sviluppo Umano
Buongiorno a tutti. Sono il Prof. Stanislas Ouedraogo, coordinatore del Centro Umanitario di
Sviluppo. Questa sera vi parlerò di un’associazione di Boulsa, il capoluogo della Provincia di Namentenga, in
Burkina Faso. In questa città ha luogo la cooperazione decentrata italiana.
Abbiamo creato tre grandi associazioni che raggruppano una miriade di piccoli gruppi/associazioni locali.
L’associazione Nasongdo ad esempio raggruppa 59 organizzazioni.
Grazie all’aiuto della cooperazione italiana sono stati approvati diversi progetti riguardanti la ricerca e la
distribuzione delle risorse idriche. Siamo inoltre impegnanti in un piano di microcredito, rivolto alle donne.
Altra attività importante dell’associazione Nasongdo riguarda l’assistenza tecnico-economica ai piccoli
artigiani.
Oltre ai progetti citati, una buona parte dell’attività di Nasongdo è rivolta all’agricoltura, all’allargamento del
perimetro irrigabile, alla coltura di molti tipi di legumi.
La nostra associazione sta concentrando molti dei suoi progetti, che hanno un bacino d’utenza di circa 1500
bambini, sull’alfabetizzazione. Il bisogno e la domanda di alfabetizzazione è estremamente pressante: la
popolazione ha compreso l’importanza di saper leggere e scrivere per costruire un futuro migliore.
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Anche sul versante dell’educazione sanitaria siamo molto attivi. Nasongdo ha potuto usufruire, in
questo campo, della collaborazione di un organizzazione africana specializzata in materia.
Abbè Johanny Koanda (Burkina Faso)
Parroco di Touguri – partner del Centro Sviluppo Umano
Sono il Parroco di Touguri, un villaggio che si trova nella Provincia di Boulsa, il luogo dove opera
l’associazione Nasongdo. Boulsa conta 148.000 abitanti che non possono usufruire di servizi sanitari
efficienti: c’è una grande scarsità di medicinali, mancano materiali sanitari e gli ospedali sono male
equipaggiati.
La zona di Tuoguri è una la più povere del Burkina Faso, che occupa il 149° posto nella classifica
mondiale dei paesi sviluppati. Nella zona dove opero, la percentuale di bambini che vanno a scuola è molto
bassa ed il fenomeno dell’emigrazione verso altre regioni del Burkina Faso o verso altri paesi è molto
consistente. Questo ovviamente priva la regione delle forze e delle energie migliori.
Altri grossi problemi sono quelli riguardanti la malnutrizione e l’analfabetismo. Di quest’ultimo problema si
occupa il Centro Sviluppo Umano di Viareggio.
L’attività di Nasongdo si concentra anche sulla formazione professionale rivolta al mondo dell’artigianato:
questo permette ai giovani di trovare lavoro e di non abbandonare la propria terra.
Concludo ringraziando la Regione Toscana e la Provincia di Lucca, da sempre impegnati sul fronte
della cooperazione internazionale.
Ondina Skracic (Croazia)
Responsabile della Casa delle Donne Ariadna di Rijeka
partner del Comitato Lucchese Aiuti Ex Jugoslavia
La nostra situazione non è così drammatica come quelle descritte in precedenza, ma nella nostra
Casa delle Donne ci sono profughe anziane che non potranno più far ritorno nelle loro case in Bosnia.
Abbiamo iniziato la nostra opera nel 1993, quando molte donne arrivavano a Rijeka, drammatizzate e
stordite dalla guerra; l’unica maniera per cercare di unirle e dar loro fiducia, era quella di farle lavorare al
telaio, di tenerle con la mente occupata.
La nostra associazione è stata visitata da diversi gruppi di volontari italiani, molti di loro hanno
conosciuto la situazione balcanica proprio all’Ariadna. Sino al 1995 portavamo aiuti ai campi profughi che
erano nei dintorni di Fiume. La Casa delle donne Ariadna non ha alcun sostegno da parte degli enti locali;
siamo del parere che la nostra presenza sia ancora importante in Croazia.
Concludo ringraziando, a questo proposito, gli amici di Lucca che si sono rivelati, grazie ai loro aiuti,
determinanti affinché potessimo continuare le nostre attività.
Khandoud Hamdi
rappresentate della cooperazione per i campi di rifugiati saharawi
partner dei Comitati di solidarietà al Popolo Saharawi
Lucca-Valle del Serchio-Versilia
Ringrazio la Toscana e Lucca che si sono sempre mostrati molto attenti alle sorti del Popolo
Saharawi.
Il progetto adottato dalla Regione Toscana, dalla Provincia di Lucca e dai comitati di solidarietà
riguarda la scuola “12 ottobre”. Questa scuola ospita circa 3.000 bambini e si trova nel deserto meridionale
algerino, dove da tre anni si sono insediati campi di rifugiati saharawi che contano 200.000 persone. Nella
nostra situazione, concentrare 3.000 bambini in un luogo è veramente un problema, ad iniziare dalle
questioni igienico-sanitarie dovute alla mancanza di acqua (non ci dimentichiamo che i campi profughi sono
in pieno deserto).
La Regione Toscana ha adottato questa scuola, fondata nel 1978, ed ha permesso il compimento di
opere di ristrutturazione, di aiuti agli insegnanti. La prima parte del progetto ha riguardato la fornitura di
servizi igienico-sanitari, la seconda fase si è concentrata sulla ristrutturazione delle aule e dei dormitori e
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sulla fornitura di materiale didattico. La terza fase riguarderà la formazione professionale attraverso la
promozione di alcuni stage per il corpo insegnante.
Questa scuola ha permesso alle famiglie di vivere meglio dal punto di vista economico, perché molti bambini
adesso vivono nella scuola (fanno ritorno a casa in occasione delle vacanze) e non gravano sui magri bilanci
familiari. L’età dei bambini varia da 9 a 13 anni.
La Regione Toscana, per il solo completamento della prima fase, ha speso 71.000 euro.
Carmen Morales Ponce (Perù)
coordinatrice del Progetto Mariposa
partner dell’Associazione Nuova Solidarietà Equinozio
Mi piacerebbe iniziare parlandovi della necessità che tutta l’umanità sia solidale verso tutte quelle
persone che soffrono la persecuzione e l’incarceramento ingiusto e la cui dignità umana viene calpestata.
Noi familiari dei detenuti politici peruviani, che soffriamo per questo, chiediamo il rispetto per la
dignità umana, perché nelle carceri del Perù non si rispettano gli individui. I governi non sanno governare, si
dimenticano del popolo e governano solo nell’interesse dei più potenti. La solidarietà è proprio per questo
necessaria. Credo che la solidarietà non sia soltanto generosità, ma anche libertà che può raggiungere chi si
trova al di là delle sbarre di una prigione.
Negli ultimi venti anni, nel nostro paese, abbiamo sofferto così tanta violenza che sentiamo forte più
che mai il bisogno che la dignità umana sia considerata. Il governo non ascoltava le nostre necessità e così,
a partire dal 1980 iniziarono a formarsi gruppi che pensavano di poter cambiare la società con le armi: fu
l’inizio dello spargimento di sangue nel nostro paese. I giovani soprattutto si facevano portatori di questa
ideologia che illudeva di poter cambiare il mondo con la violenza. Non solo i giovani, ma anche i bambini e le
donne sentivano la necessità di dire basta. Mi sento di affermare che, tutta la violenza che c’è stata nel
nostro paese non può in nessun modo giustificare altra violenza ed uccisioni. Se i governanti non governano
bene, che possiamo fare? La solidarietà che dimostriamo fra di noi, credo che sia rappresenti un’alternativa
molto importante per tutti coloro che soffrono.
In Perù ci sono molte carceri dove si vive una vita disumana. Vi voglio raccontare un episodio: tempo
fa una donna e fu catturata e violentata da una organizzazione della polizia, fu violentata in maniera così
barbara che rischiò di morire. In seguito questa donna fu accusata di essere una terrorista, venne quindi
incarcerata e condannata a cinque anni di prigione. Lei era una madre di famiglia, che aveva figli e marito.
Ancora oggi sono in vigore le leggi sulla carcerazione promulgate durante il governo di Fujimori e,
nonostante ora ci sia un governo eletto dal popolo, quello di Toledo, non possiamo sperare di veder uscire
dalle prigioni coloro che hanno subito questa repressione. Quello che chiediamo è, in sostanza, il rispetto
della dignità umana e che questi prigionieri politici, che stanno in carcere ingiustamente, possano
quantomeno essere al centro dell’attenzione della comunità.
Il progetto Mariposa ha l’obiettivo di riscattare i prigionieri dalla discriminazione, dal sentirsi tanto
umiliati nella loro dignità di esseri umani. Non è giusto, per esempio, che quando un prigioniero riceve la
visita dei suoi familiari debba stare dietro delle barriere, per cui è necessario urlare per potersi capire. Noi
familiari abbiamo un grande bisogno che la società ci comprenda, perché crediamo che come familiari
possiamo fare molto per recuperare la dignità dei nostri cari e la nostra: ci troviamo ad essere discriminati
per il fatto di avere parenti prigionieri politici.
La Commissione della Verità formatasi in Perù ha questo obiettivo: far luce su quello che è avvenuto
in venti anni nel nostro paese, per curare queste ferite e poter risarcire le famiglie. A luglio di quest’ anno si
avrà un bilancio di tutto il lavoro svolto sinora di investigazione sulle uccisioni: sono stati riesumati cadaveri
dai diversi luoghi dove sono avvenute le uccisioni, sono stati chiamati testimoni perché si possa finalmente
sapere la verità.
Il progetto Mariposa presuppone il riconoscimento del lavoro dei prigionieri politici. Un prigioniero ha
diritto di lavorare, diritto che all’inizio veniva negato. Non potevano né lavorare né studiare, ma solo stare
nella loro cella di due metri per due. Dopo molte richieste siamo riusciti ad ottenere uno spazio per il lavoro,
che di solito è il corridoio contiguo alle celle, con poca ventilazione ed illuminazione, ma è già una conquista.
Quello che colpisce è l’enorme immaginazione e creatività che emerge da questi lavori: abbiamo molti lavori
letterari, manufatti artigianali. Attraverso queste opere ci stanno insegnando il grande valore che ha la
libertà. Il progetto Mariposa vuole aiutare questi uomini e donne a scaricare tutta la carica psicoemozionale
che portano dentro.
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Hidaia Husseini (Palestina)
responsabile di un orfanotrofio femminile di Gerusalemme Est
partner dell’Associazione Berretti Bianchi
Sono molto felice di essere qui tra di voi, di conoscere nuove persone e nuove realtà, e per un attimo
non pensare soltanto ai drammi della causa palestinese. Sicuramente la maggior parte di voi conosce le
problematiche della Palestina; spero che iniziative come queste possano unire i due popoli per condurli su
una strada di pace.
La generazione futura, i bambini, rappresentano l’asse portante della società, i portatori della cultura
ed il futuro di qualsiasi nazione. Noi palestinesi vogliamo dare un futuro ai nostri figli, desideriamo avere una
casa, uno Stato, il diritto all’autodeterminazione.
La persona che sta traducendo le mie parole si chiama Rula Jebreal che ha vissuto a Dartiffel,
l’orfanotrofio di cui sono responsabile. Oggi Rula vive in Italia, è sposata e fa la giornalista per LA7,
scrivendo inoltre articoli su Il Messaggero.
Rula Jebreal
Sono arrivata a Dartiffel all’età di tre anni, dopo la morte dei miei genitori. Ho trovato un posto dove
sentivo affetto e dialogo. Mi hanno fornito tutti gli strumenti per conoscere la vita ed il mondo.
Dartiffel è nata nel 1948, dopo la prima occupazione israeliana, da un’iniziativa di una donna, Hindel
Husseini che ha raccolto sulla strada 50 bambini orfani, che avevano perso i genitori. Oggi Dartiffel è una
scuola, una istituzione che funge anche da college. Dartiffel è sempre stata una realtà aperta verso iniziative
di pace: i bambini che vivono in questa struttura hanno spesso partecipato a campi di pace insieme a
coetanei israeliani, al fine di promuovere una cultura di pace e dialogo. Oggi le ragazze che hanno
frequentato questa scuola insieme a me sono riuscite ad affrontare la vita, ad aiutare altri. La ricchezza di
questo luogo è quella di immettere nella società persone disposte al dialogo ed a diventare, a loro volta,
portatori di pace, di solidarietà e di dialogo.
La stessa Hidaia Husseini era un’orfana che arrivata a Dartiffel, è diventata, a sua volta, la responsabile di
un orfanotrofio, è diventata uno strumento di pace e di solidarietà in un vero e proprio circolo virtuoso!
Don Dion Mbonimpa (Rwanda)
Parroco di Nyarurema
partner della Diocesi di Lucca-Ufficio Missionario Diocesano
Vi ringrazio a nome della Parrocchia di Nyarurema. La nostra parrocchia ha conosciuto i primi
progetti di solidarietà nel 1982 ed ha patito duramente la guerra civile rwandese (1990-1994). Durante la sua
vita, Nyarurema ha conosciuto la solidarietà della Regione Toscana, della Provincia di Lucca e della Diocesi
di Lucca. La solidarietà non ha riguardato solo gli aspetti materiali, ma anche quelli morali. Il principale
campo d’intervento ha riguardato la lotta contro la malnutrizione e l’analfabetismo. Quest’ultimo obiettivo è
stato raggiunto attraverso programmi di scolarizzazione che si sono concretizzati nella costruzione di una
scuola, e nell’acquisto di materiale scolastico destinato agli alunni. Grazie ai programmi di cooperazione
sono state costruite case e servizi, visto che la Parrocchia di Nyarurema è uscita sconvolta, come molte
realtà rwandesi, dal genocidio del 1994. Alla fine del genocidio molti profughi che si erano rifugiati in Uganda
raggiunsero infatti le nostre zone.
Altri progetti molto importanti per lo sviluppo della nostra zona si sono concentrati sulla concessione
di microcredito; questo ha permesso un certo sviluppo locale, molte persone hanno potuto aprire un’attività
grazie ai crediti concessi.
Molto significativo è, inoltre, il progetto riguardante la promozione femminile, che si esplica in programmi di
scolarizzazione rivolti alle bambine e con l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro.
Per quanto riguarda gli aspetti sanitari, ultimamente abbiamo registrato qualche caso di malaria ma la
minaccia più diffusa è quella dell’AIDS, una vera e propria piaga. E’ stata allestita una casa di accoglienza
per i malati che in molti casi sono abbandonati dalle famiglie. Molto importante è poi l’attività di prevenzione,
sensibilizzazione ed informazione per evitare di contrarre il virus dell’HIV.
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Per quanto riguarda l’educazione alla pace, attraverso la Commissione Pace e Giustizia, abbiamo
iniziato, assieme alla popolazione locale, un corso di sensibilizzazione e formazione sulla nonviolenza attiva.
Queste esperienze sono molto importanti se pensiamo che il nostro paese ha attraversato 10 anni fa un
periodo caratterizzato da un vero e proprio genocidio.
La nostra attività insegna la mediazione, la nonviolenza attiva, il dialogo interreligioso, interculturale ed
interetnico.
La Commissione Pace e Giustizia che prima ho citato, promuove inoltre ricerche dedicate ai temi della pace
e della cooperazione. Questa commissione è in stretto rapporto con alcune organizzazioni di base che sono
un insostituibile aiuto per il nostro lavoro.
Francisca Marinehiro (Brasile)
partner della Diocesi di Lucca – Ufficio Missionario Diocesano
Ho alle mie spalle venti anni di lotte, di speranze e di agonia del mio popolo. Desidero dire che
Lucca rappresenta una realtà molto importante per l’esperienza che stiamo facendo in Brasile, nella regione
dell’Acre. La vostra coscienza e sensibilità ci ha aiutato ad avanzare nella lotta, perché la nostra
associazione è maturata, sviluppando una dimensione più comunitaria, anche grazie agli interventi
dell’Ufficio Missionario. Tutto questo ci ha permesso di partire da un’esperienza ecclesiale per arrivare ad
una dimensione di impegno politico. Oggi, dopo aver sofferto molto, vivo un momento di gioia per
l’evoluzione della nostra comunità, perché la coscienza del nostro popolo è cresciuta. Questa crescita è
stata possibile grazie al sostegno della Chiesa, che ha permesso il coinvolgimento di molte altre persone e
comunità.
Il cambiamento era già iniziato quattro anni fa con il governo locale dell’Acre, ma oggi grazie al
neopresidente Lula, la trasformazione della società può veramente accelerare anche nella nostra zona. Lula
non ci vuole “donare soltanto il pesce”, ma vuole “insegnarci a pescarlo”; dobbiamo quindi aiutare questo
capo di governo perché possa centrare gli obiettivi per i quali è stato eletto dal popolo brasiliano, che ripone
grandi speranze in lui.
La solidarietà è innanzitutto uno scambio, che deve rappresentare un dare ed un ricevere, non può essere a
“senso unico”.
Padre Vittorio Antutu (Eritrea)
partner dell’Associazione Gemellaggi di solidarietà
con i Paesi del Terzo Mondo
L’Eritrea, paese del Corno d’Africa che confina con Etiopia, Sudan, Gibuti e Somalia, ha raggiunto
l’indipendenza nel 1991, in quanto prima era annessa all’Etiopia. Provengo da una zona poverissima del
paese, una zona che ha conosciuto per 30 anni (1961-1991) guerre e combattimenti per l’indipendenza. Nel
1998 l’Etiopia ci ha attaccato nuovamente e nel 2000 ha occupato parte del paese eritreo: si è ritirata dopo
20 giorni. Questa guerra è stata causata da motivi geopolitici ed economici riguardanti la volontà degli etiopi
di avere uno sbocco importante sul Mar Rosso.
Ci sono molte organizzazioni italiane, americane, inglesi e tedesche che lavorano in Eritrea,
soprattutto dopo il 1991. La guerra del 1998-2000 ha lasciato profonde ferite in vaste zone del nostro paese,
ferite provocate da bombardamenti e dalle scorribande dei soldati etiopi. Purtroppo molte associazioni che
avevano iniziato una collaborazione con noi, hanno lasciato il paese dopo queste violenze. Oggi stiamo
portando avanti vari progetti di cooperazione riguardanti l’agricoltura (è necessario insegnare alle
popolazioni a coltivare) che è favorita dal fatto che in Eritrea scorrono fiumi che portano acqua tutto l’anno.
Abbiamo un’azienda agricola che promuove cooperative che possano, come detto, insegnare quantomeno i
rudimenti dell’agricoltura.
Non vogliamo chiedere la carità, ma diventare autonomi ed autosufficienti.
Il grosso problema dell’Eritrea è rappresentato oggi dal fenomeno degli orfani che hanno perso i genitori
durante la guerra d’indipendenza del 1991; molti di loro sono stati affidati ad associazioni facenti capo alla
Chiesa Cattolica.
L’adozione a distanza, sostenuta da Gemellaggi di solidarietà, è molto importante per il nostro
popolo; ringrazio inoltre il Forum della Solidarietà per avermi invitato e permesso di farvi conoscere i
problemi del popolo eritreo.
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Rosa Maria Nascimento Miranda (Brasile)
partner del Gruppo Missionario Parrocchia dell’Arancio
Faccio parte del Centro Difesa dei Diritti Umani di Serra (Stato dello Spirito Santo), un’entità senza
fini di lucro ed apartitica.
Già nel 1990 sono stata a Lucca per parlare delle attività del centro e della realtà del nostro popolo e
del nostro lavoro. Avevo la speranza di tornare qui per portare nuove notizie alla gente di questa città. Il
nostro sogno si è realizzato, ma la solidarietà non dipende solo dal Centro di Difesa e dalla città di Lucca,
ma anche dalle politiche che vengono approntate a livello nazionale e mondiale.
Noi non dimentichiamo mai, nella nostra opera, il Capitolo X del Vangelo di Giovanni che dice “sono
venuto a portare la vita in abbondanza”: per questo abbiamo coraggio e speranza e non abbiamo paura
della morte. Dal 1990 il Centro di Difesa dei Diritti Umani ha svolto diverse attività: corsi di formazione,
partecipazione al movimento nazionale dei Diritti Umani, collaborazione e scambi con altre organizzazioni,
formazione di leader a livello popolare, aiuto per la creazione del Sindacato dei Lavoratori, solidarietà ad
associazioni di familiari vittime delle violenze, promozione di centri di difesa in altri municipi. Abbiamo inoltre
elaborato materiali destinati alle scuole e seguito alunni che presentavano particolari problemi. Il Centro di
Difesa ha poi promosso un forum formato da varie associazioni al fine di combattere nello Stato di Spirito
Santo la violenza e l’impunità. A causa della forte disoccupazione, il Centro ha lavorato molto con i lavoratori
e con i disoccupati, per promuovere, attraverso la costituzione di cooperative (ittiche, maglierie riservate alle
donne, etc.), una cultura di solidarietà. Oggi inoltre stiamo promuovendo un lavoro di riciclaggio della
spazzatura.
Tutte queste attività dipendono dal Centro, che lavora incessantemente sul territorio, ma anche dalla
Diocesi di Lucca e dalla Parrocchia dell’Arancio che ci hanno aiutato in maniera determinante. Vogliamo
ringraziare la Provincia di Lucca per l’organizzazione del Forum, perché qui stiamo organizzando la
“globalizzazione dell’amore”, perché crediamo nella vita per combattere i progetti di morte.
Termino con una frase a me cara di un poeta brasiliano: “Fare la vita, fare la gente, fare quello che
verrà. Noi possiamo molto, noi possiamo di più. Andiamo avanti per vedere quello che accadrà”.
Salvador Reyes (Chiapas - Messico)
partner di Mani Tese Gruppo di Lucca
Vorrei leggervi una lettera arrivata ieri dal Chiapas. Prima di iniziare vorrei, però, fare brevemente
una considerazione che può sembrare ovvia, ma è necessaria. Perché la comunità indigena del Chiapas ha
posto resistenza? Perché c’è un conflitto con il governo federale messicano che si è rifiutato di riconoscere i
loro diritti, la loro esistenza come popolo indigeno. Ecco, allora, la lotta da parte di questo popolo i cui diritti
non sono riconosciuti ancora oggi. Come risposta alla situazione questa comunità indigena decide di portare
avanti un processo di autodeterminazione e di autonomia.
Passo ora a leggervi la lettera, arrivata ieri dal Chiapas,di cui vi parlavo.
“Ai nostri fratelli e sorelle della Provincia di Lucca, alle autorità e agli organizzatori del Forum, a Mani Tese e
alla Scuola per la Pace, portiamo i saluti a nome degli uomini, delle donne e dei bambini delle comunità dei
nostri 7 municipi autonomi: ricevete il nostro saluto dal Chiapas.
Apprezziamo il vostro riconoscimento della nostra forma di organizzazione di governo ed apprezziamo
anche l’appoggio economico al nostro popolo. Ci state aiutando non soltanto a realizzare il nostro sogno, ma
anche a continuare nella lotta per la costruzione della nostra autonomia, che portiamo avanti con fede,
amore e speranza. L’appoggio economico di Lucca e di Mani Tese è parte del nostro sogno, è una realtà
che aiuta la nostra gente e anche altri fratelli. Continuiamo ad organizzarci e a lottare perché crediamo nella
solidarietà, nella fratellanza, in tutti i valori che abbiano come fine la costruzione di un mondo migliore.
Crediamo nella solidarietà che rispetta le differenze, le culture e la dignità perché ha le sue radici in un
desiderio di condividere con gli altri. C’è un valore che ci unisce, ed è l’onestà dell’agire.
Fratelli e sorelle, continuiamo a costruire la pace giusta, continuiamo a costruire un mondo migliore che tutti
meritiamo, continuiamo a pensare, ma anche ad agire. E se ci incontriamo con la morte, che sia la
benvenuta, perché abbiamo dato vita a qualcosa che non morirà mai. E se pensiamo che sia così, ciascuno,
grande o piccolo che sia, è venuto al mondo non per morire, ma per vivere eternamente. La nostra lotta è
per quei valori che aiutano tutti ad essere migliori. Dobbiamo lottare con tutto l’amore per la vita: c’è bisogno
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della nostra saggezza ed intelligenza per contrastare la povertà e l’ingiustizia. Abbiamo diritto a vivere, alla
solidarietà, alla fratellanza.
Dal Chiapas messicano viva la solidarietà, viva la fratellanza, viva l’autonomia, viva la pace giusta per
l’umanità intera.”
Nadine Donnet (Francia)
fondatrice di un centro nutrizionale a Butare (Rwanda)
e dell’ dell’Associazione NutriPa
La nostra associazione è impegnata nel sostentamento di un centro nutrizionale. Lottare contro la
malnutrizione è fondamentale in un paese come il Rwanda, dove questa piaga colpisce molti bambini e non
solo.
Sentiamo spesso parlare di Diritti Umani da parte dei mass media, e in Rwanda uno dei diritti che più spesso
è violato è quello di poter condurre un’esistenza dignitosa. Troppi bambini muoiono di fame in questo paese
africano, e noi operiamo affinché ciò non avvenga.
Tutte le nazioni, non solo quelle più povere, dovrebbero impegnarsi per arrivare a costruire un nuovo
ordine mondiale che metta come primo obiettivo quello della lotta alla povertà: l’indigenza, la questione
demografica, le libertà, le emergenze ambientali non riguardano infatti solamente una parte del mondo, ma
tutto il pianeta.
In Rwanda le emergenze legate alla malnutrizione sono estremamente gravi: basti pensare che ben
il 48% dei bambini sono malnutriti. Mi chiedo come possiamo parlare di diritti dell’uomo in senso astratto e di
libertà, quando il problema principale è quello dell’estrema scarsità di cibo.
Ovviamente la malnutrizione pone molti altri problemi: un bambino malnutrito non può frequentare la scuola,
non può studiare, perché la concentrazione mentale richiede una buona salute fisica. Il bambino quindi
diventa apatico, con problemi psichici, in una parola estraneo alla società.
Ecco che arriviamo ad un’ignoranza diffusa, a una generazione apatica e con grandi problemi fisici:
per questi motivi la malnutrizione priva un paese come il Rwanda del proprio futuro.
Le persone malnutrite rappresentano una massa silenziosa, ma potenzialmente esplosiva. La lotta contro
questa piaga è quindi utile non solo per i paesi poveri come il Rwanda, ma anche per noi del nord del
mondo. E’ necessario ridurre le differenze tra queste due parti del mondo.
Immaculèe Mukarwego (Rwanda)
partner dell’Associazione NutriPa
Il progetto NutriPa, come già accennato da Nadine Donnet, è un programma che lotta contro la
malnutrizione.
Il progetto si divide in più programmi: uno curativo, rivolto ai bambini colpiti da gravi forme di malnutrizione. I
bambini arrivano con le proprie madri. La cura in questo caso, non è solo fisica, ma anche psicologica. I
bambini sono sottoposti a “terapie psicologiche” consistenti in giochi creativi. Esiste poi un programma
prettamente concentrato sulla cura fisica della malnutrizione.
Le attività del Centro nutrizionale sono integrate con il reparto di pediatria dell’ospedale universitario di
Butare.
Come già detto, la piaga della malnutrizione infantile è molto diffusa nel nostro paese: ne sono colpiti il 48%
dei bambini rwandesi.
Oltre al programma curativo, stiamo sviluppando anche un programma preventivo: promuoviamo corsi di
educazione nutrizionale e sanitaria.
Un’altra iniziativa molto positiva è la nascita dell’associazione delle madri, i cui bambini sono riusciti
a superare il problema della malnutrizione.
Esiste anche una equipe mobile, formata da un agronomo e da un’assistente sociale, che si sposta di
villaggio in villaggio per incontrare i pazienti a domicilio. La figura dell’agronomo, apparentemente estranea
al nostro progetto, è invece determinante, in quanto permette alla popolazione di imparare a coltivare i frutti
e le verdure necessarie per una buona alimentazione. Questo aspetto è fondamentale, soprattutto se
pensiamo che la maggior parte delle famiglie colpite dalla malnutrizione non ha terra da coltivare.
Abbiamo raggiunto dei buoni risultati. Siamo riusciti ad educare le madri nell’alimentazione dei figli, molti
bambini sono stati curati con successo e grazie al centro si sono stretti nuovi rapporti sociali.
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Tony Lopez (Brasile)
partner del Progetto Boa Esperança
Vorrei cominciare col ringraziare la Provincia di Lucca per l’appoggio non solo economico, ma anche
umano. Ci tengo a ricordare che il lavoro che si è fatto in occasione di questo Forum, non è solo frutto delle
riflessioni di coloro che hanno partecipato, ma è possibile anche grazie a coloro che abitano i nostri paesi
dell’America Latina.
Il mio lavoro di medico è molto duro: è una vergogna che al giorno d’oggi ci siano persone che
muoiono di malattie, di cui si conosce la diagnosi e la cura, solo perché non ci sono strutture sanitaria
mondiali capaci di affrontare queste epidemie. Importante è, in questo senso, la fitoterapia, la conoscenza di
questo tipo di medicina.
Uno dei progetti che portiamo avanti riguarda la nutrizione: nelle favelas abbiamo bambini denutriti di
tutte le età. Il programma combina la terapia chimica e fisica con quella affettiva. Per sei mesi curiamo
bambini con problemi fisici e mentali e si lavora insieme alla madre, con la premessa che il programma deve
continuare anche dopo, senza interrompersi. Le madri devono capire che noi non siamo “un’alternativa
materna”, siamo soltanto medici che offrono un aiuto concreto in un momento di difficoltà. La madre
partecipa attivamente alla preparazione del cibo alternativo. C’è un grande coinvolgimento delle persone
della favela, persone molto intelligenti e capaci che stanno facendo uno sforzo per migliorare le loro
condizioni.
George Changaray (Bolivia)
partner del Progetto Teko Guarani
Comincio col presentarmi: mi chiamo Gorge ed appartengo al popolo indigeno Guaranì. Come
popolo indigeno non abbiamo diritto alla salute perché il ministero si occupa soltanto di politica e noi come
indigeni siamo sempre stati emarginati.
Mi ricordo bene che, quando avevo quattordici anni, per la prima volta entrai in un ospedale e
davanti a me c’era una donna che aveva camminato ore a piedi ore ed ore per raggiungere l’ospedale.
L’infermiera le chiese in spagnolo da dove veniva, ma la donna non capiva lo spagnolo e così l’infermiera
non avvisò il medico che c’era una paziente. C’era molto lavoro da fare.
Il nostro progetto iniziò con la formazione di promotori di salute nella comunità. Cominciammo un
lavoro che abbiamo portato avanti grazie all’aiuto di padre Tarcisio Ciabatti. E’ nato un sistema di salute
comunitaria e ci occupiamo, tra l’altro, di malnutrizione e di igiene. La salute è un diritto per tutti, per i ricchi e
per i poveri. Siamo stanchi dell’indifferenza del governo, vogliamo un programma di salute che rispetti le
nostre culture ed i nostri diritti.
Anche la scuola sta facendo sparire la nostra cultura perché ai bambini si impone di parlare in
spagnolo, esiste inoltre il pregiudizio che i nostri bambini siano meno intelligenti degli altri solo perché sono
indigeni. Non è così, sono gli insegnanti che non si rendono conto della situazione di un bambino Guaranì
che arriva scalzo a scuola, magari dopo molto cammino.
Come popolo Guaranì siamo presenti in Bolivia, in parte dell’Argentina e del Paraguay. Stiamo
aiutando giovani Guarnì del Paraguay a venire a scuola da noi, molti dei quali avevano studiato solo tre o
quattro anni perché non avevano la possibilità di proseguire negli studi. La nostra scuola sta formando
infermieri, tecnici di laboratorio chimico, nutrizionisti e promotori della salute, figure necessarie per
professionalizzarci e poter andare a lavorare con i nostri stessi fratelli.
A nome di tutti i giovani della nostra scuola voglio ringraziarvi e chiedervi di continuare nel vostro
impegno solidale.
Gabriela Soriano Segoviano (Chiapas – Messico)
partner di Mani Tese-Gruppo di Lucca
e della Provincia di Lucca
Ho gradito questo invito perché rappresenta un’opportunità per conoscere molte altre realtà e perché
possiamo far conoscere il nostro lavoro in Chiapas. Parlerò, nello specifico, di un progetto che include tutti gli
altri progetti ai quali lavoriamo.
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Siamo impegnati principalmente con la popolazione indigena. Il lavoro consiste nell’informazione e
nella formazione di gruppi indigeni; è un lavoro davvero importante perché la realtà che si vive nei gruppi
indigeni è difficile. Questo progetto consiste nell’informare e discutere con le popolazioni indigene di temi
economici, politici e sociali: in molti casi non si conosce la realtà esterna alla comunità indigena. Si parla di
progetti di autonomia o di progetti governativi di cui quella gente non è a conoscenza. E’ necessario creare
una coscienza politica ed economica in quelle popolazioni perché si possano generare proposte che partano
dal basso per migliorare le condizioni di vita.
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Saluto di Mons. Bruno Tommasi
Arcivescovo della Diocesi di Lucca
Ho accolto con gioia l’invito a portare il mio saluto ai partecipanti del 1° Forum della Solidarietà
lucchese nel mondo. Il mio saluto raccoglie l’interesse della Chiesa di Lucca per questa manifestazione che
si inserisce in un percorso di attenzione alla storia e alle storie del tempo in cui viviamo, alla storia e alle
storie del tempo che ci ha preceduto.
Mi ha particolarmente colpito il titolo del Forum “Un mondo di mondi diversi”: effettivamente siamo di
fronte ad un grande bivio che è anche una grande opportunità: o scopriamo e accogliamo la diversità come
una ricchezza che rinsalda le radici dell’unica Umanità o ci troveremo a vivere in un mondo grigio e
monotono dove la distinzione tra le persone ed i popoli genera solo separazione e diffidenza.
Con una certa approssimazione mi sento di dire che la solidarietà è la disponibilità a riconoscere
l’altro, anche colui che sembra estraneo e non prossimo, riconoscerlo come un altro che mi riguarda. Così
intesa, la solidarietà esprime un volto particolare della carità e dell’amore, quel volto che la carità assume
quando è vissuta nel quadro di un rapporto di interdipendenza e di relazione tra gli uomini. In questo quadro,
dai miei comportamenti dipende la condizione dell’altro, e da quelli dell’altro dipende la mia condizione. Così
vista, la solidarietà può trasformare l’interdipendenza meramente materiale in prossimità umana e ci rende
capaci di trasformare i bisogni che abbiamo in un farsi prossimo gli uni per gli altri, ritrovando così una
rinnovata fraternità.
Non posso non ricordare come il linguaggio della solidarietà espresso da Gesù è stato quello
dell’amore, del coinvolgimento pieno e totale della sua vicenda con quella di tutti gli uomini, fino al dono della
sua vita, perché tutti avessero la vita. Questa lezione è stata ben compresa dalla comunità dei discepoli,
che, seppur con fatica ed errori, ha cercato di renderla visibile nella storia. Riflettendo ancora sulla
solidarietà, comprendiamo che non è sufficiente fare beneficenza e filantropia.
Giovanni Paolo II ha trattato i temi della solidarietà e della pace; nel messaggio per la XX Giornata
Mondiale per la Pace del primo gennaio 1987, dal profetico titolo Sviluppo e solidarietà: due chiavi per la
Pace. Egli affermava: “Il tema di questo messaggio trae ispirazione da quella profonda verità sull’uomo
secondo la quale noi siamo una sola famiglia umana per il semplice fatto di essere nati in questo mondo. Noi
partecipiamo alla stessa eredità e abbiamo la stessa origine di ogni altro essere umano. Questa unicità si
esprime in tutte le ricchezze e diversità della famiglia umana, in differenti razze, culture e storie. Noi siamo
chiamati a riconoscere la radicale solidarietà della famiglia umana come condizione fondamentale del nostro
vivere insieme su questa terra”. Il Papa prosegue ricordando il messaggio per la Pace dell’anno precedente,
nel quale affermava: “L’unità della famiglia umana ha ripercussioni realissime nella nostra vita e nel nostro
impegno in favore della pace. Questo significa che noi ci impegniamo per una nuova solidarietà: la
solidarietà della famiglia umana, una nuova forma di relazione, la solidarietà sociale di tutti. Riconoscere la
solidarietà sociale della famiglia umana comporta la responsabilità di edificare su ciò che ci rende una sola
cosa; questo significa promuovere effettivamente e senza eccezioni, le eguali dignità di tutti come esseri
umani dotati di certi fondamentali ed inalienabili diritti. Ciò tocca tutti gli aspetti della nostra vita individuale
come pure della nostra vita in famiglia, nella comunità in cui viviamo e nel mondo. Una volta che
comprendiamo veramente di essere fratelli e sorelle in una comune Umanità, allora possiamo modellare i
nostri atteggiamenti nei confronti della vita, della luce e della solidarietà. Ciò è vero in modo speciale per
tutto quanto è in relazione con il progetto universale di Pace”.
La Chiesa di Lucca è impegnata sulla strada della solidarietà: voglio a questo proposito, ricordare
tutti i missionari lucchesi che in questo momento sono in varie parti del mondo a portare amore e speranza.
Un ringraziamento sincero alla Provincia di Lucca, alla Scuola per la Pace ed a tutti coloro che
hanno reso possibile questa iniziativa.
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RELAZIONI MAGISTRALI
Claudio Martini
Presidente della Regione Toscana
“La cooperazione allo sviluppo della Regione Toscana”
Questa sera descriverò il modello toscano di cooperazione internazionale, che rappresenta una delle
esperienze sulla quale stiamo investendo in maniera più decisa.
La cooperazione internazionale è uno strumento prezioso per poter svolgere un ruolo incisivo
all’interno della globalizzazione che oramai ci riguarda tutti. La cooperazione, intesa come cooperazione
decentrata, cioè svolta da soggetti locali (Istituzioni o associazioni), fa parte del tradizionale approccio
solidale e cosmopolita della nostra regione: in quasi tutte le parti del mondo infatti, la Toscana, intesa come
istituzione e mondo associativo, è presente.
Uno dei primi problemi che ci siamo trovati ad affrontare è stato quello di dare alle nostre attività una sorta di
“scala di priorità, di compiere un’opera di razionalizzazione della cooperazione.
Ci siamo quindi posti il problema di creare un coordinamento tra gli interventi, attraverso la valorizzazione
della capacità di proposta e di iniziativa politica di tutti i soggetti interessati (enti locali, associazioni, ONG ed
addirittura singoli cittadini).
Abbiamo creato momenti di incontro tra le varie realtà operanti; questo ha permesso che rappresentanti di
diversi enti ed associazioni si sedessero intorno ad un tavolo per parlare e discutere. Dopo questo primo
passaggio, i tavoli di lavoro sono stati suddivisi a seconda della zona geografica di intervento (Balcani,
Palestina, Saharawi, Brasile, etc.). In questo modo è stato possibile avere luoghi di convergenza dove le
diverse esperienze e professionalità potessero incontrarsi e determinare una salto di qualità nella
cooperazione. Questa linea di lavoro sta dando buoni risultati dal punto di vista dell’ideazione e della
realizzazione dei progetti.
L’altro importante risultato conseguito è stato quello di sensibilizzare maggiormente la società civile
toscana intorno a questi temi, perché è necessario evitare, sul terreno della cooperazione, qualsiasi delega e
deriva burocratica. Noi sosteniamo che intorno a questi temi ci debba essere una diffusa sensibilità sociale e
culturale, perché senza questo sentimento di adesione e di partecipazione, anche il lavoro delle istituzioni
non sarebbe rappresentativo della volontà di partecipare della gente. Tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002,
in occasione dell’inizio della guerra in Afghanistan, abbiamo compreso che era possibile dare un segno
diverso alla nostra riflessione su questa guerra, sostenendo l’attività degli ospedali di Emergency. Sarebbe
stato possibile compiere questo atto in due modi: attraverso uno stanziamento cospicuo da parte delle
istituzioni oppure attraverso una grande campagna popolare che raccogliesse fondi. Abbiamo scelto questa
seconda via, ed i risultati sono stati ottimi, visto che la risposta popolare è stata al di sopra di ogni
aspettativa.
Ho accennato prima alla necessità di darsi delle priorità, alla necessità di selezionare aree dove
intervenire; solo attraverso la concentrazione degli interventi è possibile ottenere risultati maggiori.
Ovviamente non è facile scegliere; abbiamo cercato di partire dapprima dalle aree limitrofe alla Toscana,
ovvero l’area balcanica, l’area mediorientale e la riva sud del Mediterraneo (Maghreb, Saharawi).
Altre aree di attenzione, legate a particolari legami storici e culturali nati sul nostro territorio, sono l’Africa
nera (dal Senegal all’Eritrea), dalla quale provengono profondi flussi migratori verso il nostro territorio,
determinate aree dell’America Latina (con particolare riferimento all’Argentina ed al Brasile). Vi sono poi
particolari situazioni dove esistono esperienze che da molti anni vengono portate avanti, ad esempio in
Guatemala, in Nicaragua, in India.
La cooperazione toscana ha aspetti umanitari e di sostegno democratico e politico alle varie realtà.
Attraverso questi progetti di cooperazione, vogliamo innanzitutto sollecitare protagonismo e partecipazione
da parte dei cittadini, delle associazioni, delle personalità e delle istituzioni che troviamo sul luogo. Questo
aspetto è fondamentale, perché il nostro concetto di cooperazione non è solamente quello di inviare aiuti e di
realizzare strutture; assieme a questi interventi deve nascere un’abitudine all’autogoverno, un’abitudine ad
essere protagonisti della propria realtà.
Faccio un esempio. Abbiamo sviluppato un progetto nei Balcani, che punta a far crescere l’economia locale
nel rispetto dell’ambiente, mettendo assieme amministratori di tutti i paesi dell’area (dalla Bosnia alla Serbia
Montenegro, dalla Croazia alla Slovenia) che prima non avevano rapporti tra loro, perché erano
predominanti sentimenti di odio etnico e religioso. Grazie al progetto che abbiamo realizzato, questi popoli
hanno iniziato a dialogare tra loro ed i vari amministratori si sono assunti le responsabilità politiche.
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La specializzazione della Toscana si concentra sulle questioni relative allo sviluppo locale, alla
nascita ed alla promozione di forze economiche sul territorio, affrontando temi relativi alla formazione
professionale, alla tutela dell’ambiente, alla nascita di piccole imprese ed alla promozione di attività turistiche
e culturali ecologicamente compatibili. Svolgiamo inoltre attività di consulenza per la gestione di servizi
pubblici (acqua, sanità, trasporti, etc.).
Il nostro intervento dovrà avere nel futuro un forte contenuto culturale ed una forte vocazione al
rafforzamento della pace e della democrazia. Questo è un tema molto sentito, vi sono infatti numerosi regimi
illiberali nel mondo che calpestano la dignità umana e non rispettano di Diritti fondamentali dell’Uomo.
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Arturo Paoli
Piccolo Fratello del Vangelo
“La cultura del dono e del gratuito e la globalizzazione”
Diceva Hegel che la storia dell’uomo è storia di libertà, il che significa che tutte le generazioni umane
si trovano ad affrontare uno scoglio costituito dalle forze che sono contro la libertà. L’azione fondamentale
dell’uomo sulla terra è quella della liberazione, che rappresenta il tema umano di ogni tempo e di ogni
generazione. Qual è oggi la nostra liberazione? Quale liberazione deve conseguire la generazione
presente? Deve liberarsi dal mercato, che rappresenta un idolo, un nemico del mondo attuale. Questo è un
nemico molto pericoloso, perché è subdolo, non è ben visibile; non è molto facile questo compito in quanto
oggi tutto l’Occidente è dentro questo meccanismo e si è rifugiato sotto l’ala protettiva degli Stati Uniti, che
hanno in mano la gestione del mercato.
Quali sono i mezzi che abbiamo a disposizione per liberarci da questo ”idolo”? E’ necessario, innanzitutto, un
cambiamento culturale. Come possiamo identificare questo cambiamento? Intanto bisogna sottolineare che
questo mutamento è e sarà molto lento e graduale ed arriverà con molte sofferenze; la sua anima è da
ricercare nella filosofia, perché essa è la luce che si proietta sulla cultura e che ci mostra il suo orientamento
futuro.
I filosofi “stanno mettendo i piedi sulla terra”, stanno cioè passando da una filosofia metafisica ad una forma
di pensiero che mette le radici nella vita di tutti i giorni: a questo proposito un libro molto interessante che vi
consiglio vivamente è “Stare al mondo” di Salvatore Natoli, testo in cui si dice che oggi l’orientamento del
pensiero va verso “lo stare al mondo”, che significa accorgerci dei danni che noi stiamo provocando al
mondo ed all’umanità.
La caratteristica della globalizzazione è quella di non tenere conto dei danni umani che si
producono, perché se la globalizzazione fosse caratterizzata dalla pietà e dalla misericordia, perderebbe
tutta la sua forza e sarebbe colpita al cuore. La principale peculiarità della globalizzazione è il non mettere in
conto il costo umano dell’andamento politico, economico e sociale in atto.
Levinas afferma che un cambiamento nella nostra cultura avverrà quando apparirà il volto del fratello sul
quale sarà scritto “non mi ucciderai”. Oggi i cultori della filosofia, abituati a ragionare per concetti e non per
valori terreni ed umani, si scandalizzeranno, ma una svolta della nostra cultura avverrà semplicemente,
quando questo volto sfigurato del fratello riuscirà ad interpellarci ed a cambiare totalmente la nostra vita: il
giorno in cui questo succederà, il mondo potrà veramente cambiare. Non sappiamo quando questo avverrà,
ma io penso che quando ci troveremo dinanzi “i rottami” prodotti dalla globalizzazione, sarà possibile vedere
tra quelle rovine il volto del fratello danneggiato dal nostro modo di pensare e dal nostro stile di vita.
Ho ultimamente scritto un articolo dove affermavo che il politico più moderno del mondo è il
Presidente brasiliano Lula che, durante la prima riunione del Consiglio dei Ministri, ha deciso di annullare
l’acquisto di otto caccia militari e di stanziare quei soldi per combattere il problema della fame. Sono convinto
che Lula sia il politico più attuale e moderno, certo con questo non voglio affermare che riuscirà sicuramente
nella sua opera.
Molti filosofi si stanno orientando sempre di più verso una filosofia più “terrena”: la filosofia dell’altro,
la filosofia della responsabilità dell’uomo, la nuova antropologia nata dalla fine di quella cartesiana (penso
dunque sono). Oggi nessuno avrebbe il coraggio di costituire un’antropologia fondata su questa massima,
perché l’uomo è comunicazione, interazione, alterità, responsabilità.
Qui ritroviamo il Vangelo fuori dalle sue tematizzazioni, perché ad un certo punto il Vangelo è stato
eccessivamente teologizzato: ci siamo dimenticati che Gesù dichiarò che la sua opera era liberazione, Gesù
stesso dice “Sono venuto per liberare i prigionieri, i ciechi, quelli che non hanno vita”.
Abbiamo sostituito “liberazione” con “salvezza”, che è una parola meno forte, più neutra, della quale tutti
abbiamo bisogno. E’ possibile ritrovare il vero Gesù che si è lasciato interpellare da tutti i volti che ha
incontrato, un Gesù che ha svolto il suo programma di liberazione non teoricamente ma concretamente.
Quando Gesù si è accorto che i volti erano senza vita, che i volti dei potenti erano senza vita, ha gridato e
protestato ed ha avuto il coraggio di scagliarsi contro i potenti, mettendosi dalla parte degli oppressi e non
dagli oppressori.
Il grande tema della liberazione va affrontato quindi concretamente, bisogna mettersi, ciascuno di noi, nella
condizione di liberare e liberarci. Questo tema sta entrando nella filosofia, perché i filosofi si stanno
accorgendo, come afferma il sociologo Bauman, che il dramma mondiale è iniziato quando i politici hanno
pensato di realizzare i grandi schemi filosofici di Hegel e di Spencer.
Credo che oggi siamo di fronte ad una svolta molto positiva, perché ci sono delle grandi forze che ci fanno
sperare. Sono stato, e lo sono ancora oggi, una sorta di “fanatico” della liberazione.
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Io provo terrore verso la morte, la violenza e l’oppressione. Questo mio sentimento si è radicato in
me quando, da bambino, vidi nella nostra città una scena cruenta e quindi indimenticabile: Piazza San
Michele intrisa di sangue. Qualche anno fa un ricercatore locale, il Dott. Luca Ricci, cercando negli archivi,
ha ricostruito questo episodio, un episodio di lotta tra fascisti ed antifascisti. Ma questa visione mi ha donato
anche la passione per la libertà, libertas, come sui simboli all’esterno delle porte delle nostre magnifiche
mura.
A Lucca una volta c’era la domenica della libertà, e mia madre dava a questa giornata un valore particolare,
e mi portava in San Martino, di fronte ad una statua del Giambologna, un Cristo che resuscita; sotto questa
opera c’è scritto al Cristo che ci ha liberato. Nel quartiere della Fratta troviamo invece una bella statua della
Madonna, sotto la quale c’è scritto Tu che sei veramente libera, conservaci liberi, una frase stupenda che mi
porto dentro da 80 anni.
51
Gilles Nicolas
Direttore del Centro Teologico di Algeri
“Solidarietà nel tempo della crisi”
Vengo dall’Algeria dove vivo da circa 40 anni. Nel nostro paese temevamo e temiamo la guerra
all’Iraq e le gravi conseguenze che potrà avere nei rapporti internazionali e soprattutto nelle società dei paesi
arabi come l’Algeria.
I vescovi in Algeria sono quattro ed insieme al Presidente della Chiesa Protestante algerina, un
metodista americano, sono stati unanimi nell’esprimere la loro opposizione alla guerra. La guerra rischia di
distruggere il lungo lavoro della pace, un lavoro che cerca di sostituire la fiducia alla diffidenza, a rinnovare le
relazioni tra occidente e mondo arabo, tra Cristiani e Musulmani. Purtroppo la guerra c’è stata, ma quando è
scoppiata, l’unica ambasciata a Baghdad che non ha chiuso è stata quella del Vaticano. Per quale motivo?
Questa presenza era altamente significativa e simbolica, l’unica ragione di rimanere aperti era quella di
testimoniare solidarietà ad un popolo provato e distrutto.
Sono stato invitato per parlare di solidarietà in tempo di crisi, ma in Algeria possiamo dire che c’è
una crisi quasi continua. Questo paese ha raggiunto l’indipendenza nel 1972 dopo 7 anni di guerra, quando
cristiani e non hanno sperimentato una solidarietà molto intensa. L’Arcivescovo di Algeri, mons. Duval è
stato spesso incompreso anche da molti dei suoi preti che lo accusavano di essere un traditore della
Francia, perché protestava contro le torture perpetuate dall’esercito francese. In realtà se mons. Duval ed i
cristiani che hanno avuto lo stesso atteggiamento, se non avessero mantenuto la loro indipendenza di
giudizio per difendere la giustizia, l’abisso apertosi tra le due comunità sarebbe stato ancora più grande. Per
semplificare, si tende ad identificare arabo e musulmano, francese e cristiano; questa classificazione in
categorie è una catastrofe; ne abbiamo molto sofferto, perché identificando Cristianesimo ed Occidente si
marginalizzano i cristiani arabi del Medio Oriente, della Siria, dell’Egitto, dell’Iraq, del Libano, etc. facendo
sempre di più il gioco degli estremisti del mondo arabo che non smettono di ripetere che la lingua araba è la
lingua del Corano.
Quante volte ho sentito predicare sul tema delle Crociate nella moschea vicina: l’occidente era
sempre stato presentato come un’entità che aveva l’intenzione di estirpare l’Islam dall’Algeria. Questo
ritornello, molto presente nei ragionamenti del LFM (partito unico in Algeria dal 1972 al 1988) non ha
impedito alla piccola comunità cristiana di scegliere la via della solidarietà con il popolo algerino. Per questo
alcuni hanno domandato ed ottenuto la nazionalità algerina, come diversi vescovi e monsignori.
Bisogna ricordare che dopo la firma, nel 1972, degli Accordi di Evian, che misero fine a 7 anni di guerra,
l’Algeria si trasformò, a causa dell’estremismo islamico, in una società a religione unica. Molti europei e
diversi cristiani di origine algerina furono cacciati.
Nel giugno 1976 assistemmo alla nazionalizzazione delle scuole private, in particolare delle scuole
che dipendevano dalla Chiesa. Si voleva arrivare alla religione unica, partito unico, lingua unica, etc.
Decidere di rimanere in quei difficili anni, significava fare la scelta della solidarietà con un popolo, significava
sperare nel futuro e sperare che il nazionalismo non sarebbe rimasto a lungo l’unica forza della società.
L’Algeria era culturalmente troppo legata alla Francia per poter essere chiusa in un “arabismo
islamico”. Mons. Duval, nominato Vescovo da Paolo VI, amava definirsi “Vescovo di tutti gli algerini”,
compresi quindi i Musulmani. Molti Cristiani lo dileggiavano per questo suo atteggiamento, chiamandolo
“Mohamed Duval”, ma lui non si è mai schierato da una parte escludendo l’altra. Secondo Duval la Chiesa
non ha un fine in se stessa, perché la sua sola ragione d’essere è quella di servire il popolo presso il quale è
stata assegnata.
Il 5 ottobre 1988 scoppiarono violente sommosse. Le ingiustizie presenti nella società algerina, una forte crisi
economica dovuta ad un forte calo del costo del petrolio ed altri fattori furono le cause scatenanti della
rivolta. Il popolo si ribellò e l’Esercito sparò più volte sulla folla. Il Presidente ne trasse le dovute
conseguenze politiche e si dimise, terminò così il sistema del partito unico e della stampa unica.
Dal 1994 al 1997 l’Algeria ha vissuto una sorta di guerra civile religiosa, che è costata la vita a 19 religiosi e
religiose, ovvero al 10% dei membri della Chiesa algerina.
Ho creduto di dovervi presentare sommariamente questo pezzo di storia algerina, perché questo
lungo periodo ha messo a dura prova la nostra volontà di restare in questo paese. Coloro che ci
incoraggiavano a rimanere erano prima di tutto i nostri amici algerini; posso tuttavia ricordare che il Vescovo
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Ausiliare di Algeri, era stato assassinato nel 1976 e che altri preti erano stati assassinati a metà degli anni
’80.
Nel 1991 gli estremisti islamici del FIS (Fronte Islamico di Salvezza), tramite elezioni, si impadronirono della
maggioranza delle municipalità. Le successive elezioni legislative dettero al primo turno un risultato simile, a
questo punto intervenne l’esercito che annullò le elezioni. Il nuovo Presidente, Mohamed Boudiaf (dirigente
storico della guerra d’indipendenza rifugiato in Marocco da più di 20 anni) fu assassinato; iniziò quindi un
periodo caratterizzato da violenze ed uccisioni, perché gli estremisti islamici erano convinti di essere stati
spogliati della loro vittoria elettorale.
Nel novembre 1993 il GIA (Gruppo Islamico Armato) minacciò tutti gli ebrei ed i cristiani presenti in Algeria,
molte ambasciate furono chiuse o trasferite a Tunisi. Nel maggio 1994 un frate ed una suora furono
assassinati, in agosto e dicembre furono uccisi altri sei religiosi. Globalmente furono assassinati 19 religiosi
e religiose, tra i quali 7 monaci che furono rapiti, tenuti prigionieri per due mesi ed infine uccisi. Alcuni di loro
curavano gli indigenti gratuitamente. Molti altri religiosi scamparono solo casualmente all’assassinio.
Faccio parte del Consiglio vescovile, e posso dire che molte volte, precedentemente al primo
assassinio ad opera del GIA, ci siamo posti il problema del comportamento che avremmo dovuto tenere in
caso di uccisioni di religiosi; a questo proposito voglio sottolineare che nessuno è rimasto in Algeria per
ubbidire ad un superiore, chi è rimasto lo ha fatto per libera scelta.
Meno di un mese fa si sono riuniti a Roma rappresentanti delle congregazioni religiose i cui membri sono
stati uccisi in Algeria. L’oggetto della riunione è stata la questione dell’opportunità dell’apertura di una causa
comune dei religiosi uccisi. Chi è contrario afferma che sarebbe indecente voler distinguere 19 religiosi uccisi
dalle 100.000 vittime provocate dalla guerra civile. Gli altri sostengono che la peculiarità di queste 19 vittime
è il martirio, e sottolineando questo aspetto è possibile evidenziare il valore della testimonianza resa
dall’intera comunità cristiana in Algeria. E’ vero che questi martiri non sono stati uccisi per l’odio nei confronti
della religione cristiana, e che bisogna evitare ad ogni costo che la loro morte venga imputata senza mezzi
termini all’Islam, ma è doveroso sottolineare che essi hanno accettato, in totale libertà, i rischi derivanti dalla
loro permanenza in Algeria, e li hanno accettati per solidarizzare con un popolo provato dalla guerra e dalla
violenza come quello algerino. Il prezzo di questa solidarietà non è stato pagato invano, perché i rapporti tra
la comunità cristiana e quella algerina sono migliorati e si sono approfonditi, non sono più difficili come in
passato. Inoltre i crimini commessi dagli estremisti hanno fatto riflettere gli algerini: il dibattito interno infatti
non verte più solamente sui rapporti tra Islam ed Occidente, ma anche sui rapporti interni al mondo islamico.
Sono sempre più numerosi coloro che dimostrano aperture nei confronti delle altre culture e religioni,
questo proprio perché tanti cristiani sono stati vicini a loro nei momenti più difficili. L’Islam conquistatore ed
anticristiano è in netto regresso a beneficio di un Islam più aperto e culturalmente evoluto.
Sono molti i segnali che confermano la distensione tra musulmani e cristiani in Algeria: lo scorso anno ad
esempio, durante un convegno sulla figura di Sant’Agostino, gli algerini lo hanno rivendicato come uno dei
personaggi principali della cultura del loro paese; un libro che tratta il tema dei Cristiani in Algeria durante i
primi secoli dell’era cristiana è stato pubblicato da un editore algerino ed oggi si trova, ad un prezzo
accessibile, nelle librerie di Algeri. Questi segnali sarebbero stati impensabili soltanto 10 anni fa.
Rivolgo un caloroso ringraziamento al Presidente della Provincia di Lucca Andrea Tagliasacchi, che
è venuto ad Algeri in un momento abbastanza critico per il nostro paese, ringrazio inoltre Massimo Toschi, la
cui azione ha permesso di mettere in opera concretamente la solidarietà con la regione di Medea, grazie ad
un importante progetto in partenariato con l’ospedale locale.
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Rosalina Tuyuc *
Presidente di CONAVIGUA
“La cooperazione allo sviluppo vista dalla periferia del mondo:
il caso del Guatemala”
Buonasera, innanzitutto desidero ringraziarvi per avermi invitato a questo forum, un incontro che
esalta “un mondo di mondi diversi”. Sono qui per dare la mia testimonianza e condividere con tutti voi la
nostra esperienza di donne capaci di sopravvivere al genocidio, alla povertà ed all’esclusione sociale.
Le donne indigene guatemalteche, organizzate nella nostra associazione CONAVIGUA, sono il frutto di una
cultura millenaria, caratterizzata da una lingua, una religione, un’identità ed una struttura sociale (basata sul
comunitarismo) tramadandataci dai nostri avi. La nostra cultura si caratterizza inoltre per un’attenzione
particolare alla cultura orale, alla medicina tradizionale, sempre nel rispetto della scienza e della sapienza
umana.
Noi popoli indigeni del Guatemala rappresentiamo più dell’80% della popolazione, ma la maggioranza di noi
non partecipa ai processi decisionali del paese.
CONAVIGUA è un’organizzazione costituita principalmente da donne indigene analfabete, donne
che hanno sofferto molto, donne che hanno sopportato lutti, assassinii e distruzioni della propria casa o della
propria terra. Indubbiamente tutto questo dolore ci ha insegnato a resistere e a mantenere intatta la nostra
speranza. Questa speranza oggi ci anima a cercare i nostri cari negli oltre 600 cimiteri clandestini che
l’esercito ha disseminato nelle varie comunità.
Per comprendere la dimensione del genocidio guatemalteco è sufficiente dire che oggi nel nostro paese ci
sono circa 70.000 vedove. Le vittime di questo genocidio sono circa 200.000 e nonostante siano passati 22
anni da quel triste periodo, i colpevoli sono ancora tutti liberi ed anzi, la nostra democrazia li aiuta a
diventare Deputati, Sindaci, membri del Governo o direttori di varie istituzioni.
Non comprendiamo come la democrazie possa espletarsi solo nell’atto del voto e funzioni solo per alcune
persone o gruppi sociali e non per altri.
Io sono una delle donne sopravvissute al genocidio. Mio padre fu sequestrato nel luglio del 1982
mentre mio marito scomparve nel 1985; ancora oggi, a 20 anni di distanza, non siamo riusciti a localizzare i
loro corpi. Questa è stata la ragione che mi ha animato ad unire le mie forze con quelle delle altre vedove
che hanno sofferto come me ed insieme a me. Tutte noi abbiamo fondato CONAVIGUA, contribuito a
rompere il silenzio, il terrore e la morte. Noi donne vedove del Guatemala siamo una delle “cicatrici” della
guerra e nei primi anni della nostra lotta decidemmo di salvare i nostri figli e tutti i giovani dal servizio
militare.
Come già detto, abbiamo ricercato i familiari nei tanti cimiteri clandestini, un’opera molto difficile se si tiene
conto che il genocidio e la repressione hanno prodotto circa 45.000 desaparecidos ed altrettanti assassinii.
Noi conosciamo i nostri diritti, ma conosciamo anche i rischi a cui andiamo incontro, nonostante l’accordo di
pace e riconciliazione che è stato firmato nel nostro paese: oggi infatti esiste ancora una sorta di violenza
organizzata che si esplica in uccisioni ed intimidazioni.
Vogliamo portare di fronte a tribunali nazionali ed internazionali denunce e materiale contro i responsabili
politici e materiali del genocidio, contro coloro che hanno ucciso dirigenti dell’opposizione, che hanno fatto
violenza sessuale su bambine e donne anziane, che hanno sequestrato e torturato. Crediamo che i
responsabili di tutto questo orrore debbano essere ricercati e processati, perché il genocidio di 200.000
persone non può rimanere senza giustizia.
Ma perché avvenne tutto questo? Quella patria non riconosceva la nostra esistenza, non riconosceva la
multiculturalità; gli indigeni erano visti come un ostacolo allo sviluppo, un ostacolo da debellare a tutti i costi
e ad ogni prezzo.
Oggi credo fermamente che sia possibile costruire un mondo diverso, un mondo che rispetti la
diversità culturale, le abitudini e le culture di ogni popolo. E’ quindi necessario praticare una sorta di
solidarietà di scambio, perché penso che tutti noi siamo concordi sul fatto che viviamo in un mondo
disuguale, dove tanti non hanno cibo, dove pochi paesi ricchi detengono la quasi totalità dei beni prodotti
mentre molti paesi poveri hanno forti debiti. Questo è il momento di costruire un mondo diverso e solidale!
Desidero affermare che anche la solidarietà deve tradursi in fatti concreti: dare, ricevere, condividere,
convivere, cooperare, essere complementari. Questi aspetti ci aiutano a capire che la solidarietà deve
basarsi sul principio del mutuo rispetto di valori etici, morali e culturali e deve avere il fine della giustizia e
dell’uguaglianza. Non bisogna limitarci, con la solidarietà, ad aiutare i poveri, ma è necessario accorgerci
che essi hanno molta ricchezza umana da dare.
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Sulla base di queste considerazioni, penso che sia necessario sottolineare alcune linee guida che la
cooperazione internazionale dovrebbe seguire:
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•
Appoggiare progetti di cooperazione di lunga durata, assicurandogli una certa autonomia finanziaria e
politica. Questo non esclude che in determinati contesti sia necessario approntare progetti mirati e di
breve durata.
Necessità della presenza di fiducia nelle capacità amministrative, esecutive ed organizzative di coloro
che seguono i progetti.
Aiutare a migliorare la capacità autogestionale di tecnici e dirigenti indigeni.
Valorizzare l’apporto delle comunità locali destinatarie dei progetti. Le comunità infatti possiedono molte
conoscenze (artistiche, mediche, meteorologiche, agricole) che possono interagire positivamente al fine
di una riuscita ottimale del progetto di cooperazione.
Aiutare progetti di sviluppo realizzati in base alle indicazioni delle comunità locali e delle donne.
Appoggiare progetti destinati a combattere la violazione dei Diritti Umani, specialmente contro donne e
comunità indigene.
Appoggiare le associazioni ed i gruppi che ricercano giustizia, come nel nostro caso. E’ necessario
appoggiare le domande delle nostre comunità affinché siano ricercati e processati i responsabili di
crimini di guerra; in questo modo è possibile sconfiggere l’impunità che non permette di giungere ad una
vera riconciliazione.
Tradurre la cooperazione e la solidarietà in appoggi politici verso funzionari pubblici (Deputati, Sindaci).
Dico questo perché in Guatemala in molto casi una semplice lettera di un Sindaco o di un Deputato ha
aiutato a salvare molte vite umane.
Necessità alleggerire i progetti da una burocrazia che appesantisce gli interventi e non fa comprendere
che in molti casi noi indigeni prendiamo le nostre decisioni attraverso il metodo del consenso.
Necessità di appoggiare, attraverso la cooperazione, le lotte di liberazione di tutti i popoli. L’esperienza
dello sterminio e dell’esclusione ha fatto sì che noi popoli indigeni costruissimo da soli i nostro destino.
Noi crediamo anche che l’autodeterminazione debba essere un diritto universale riconosciuto.
Concludo ringraziando il gruppo Mani Tese di Firenze e la Regione Toscana per tutto l’appoggio che
hanno dato alla nostra organizzazione. Senza questo sostegno (umano, politico e finanziario) il nostro lavoro
sarebbe stato molto più difficile. La cooperazione toscana ha reso possibile la formazione politica e culturale
di diverse donne, ha fatto sì che nuove leadership femminili si affacciassero sulla scena sociale, politica e
culturale del Guatemala.
Ringrazio inoltre il 1° Forum della Solidarietà lucchese nel Mondo, che mi ha permesso di conoscere tante
realtà diverse.
Torno in Guatemala con la speranza che la solidarietà e la cooperazione rappresentino un pilastro per una
democrazia globale che permetta la costruzione di un mondo pluriculturale, dove ogni comunità abbia lo
stesso diritto di cittadinanza dell’altra. Solo con l’impegno nostro e vostro sarà possibile che questo sogno
divenga realtà.
Vi ringrazio ancora.
* Rosalina Tuyuc rappresenta una delle voci più forti, sincere e drammatiche dei popoli indigeni
dell’America Latina. E’ infatti Presidente di CONAVIGUA, associazione delle vedove di guerra del
Guatemala, paese funestato da un genocidio “dimenticato” durato per oltre 20 anni. Rosalina ha perso
durante il genocidio suo marito e suo padre.
55
Giulio Marcon
Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS)
“La cooperazione allo sviluppo: la difficile riforma dell’aiuto umanitario”
Penso che il metodo di lavoro seguito in questo Forum sia molto positivo, perché la presenza di
rappresentanti di ONG ed associazioni, ma soprattutto di persone provenienti dai paesi con i quali
cooperiamo, ci aiuta a comprendere veramente il significato e le pecche della solidarietà internazionale.
Tutto ciò è importante per riflettere in maniera più organica sulla cooperazione internazionale, perché
possiamo confrontarci con altre esperienze ed altre storie.
La cooperazione allo sviluppo, soprattutto a partire dagli anni ‘60, ha vissuto grandi fortune dal punto
di vista degli investimenti destinati a questo settore dalle politiche pubbliche e dal punto di vista della nascita
di diversi movimenti ed associazioni impegnate in questo settore. L’idea forte nata in quel periodo era che il
problema dello sviluppo di determinate parti del modo andasse affrontato con il metodo della cooperazione,
della giustizia e della solidarietà e non con quello della competizione. Questo percorso si è interrotto negli
anni ’80, quando una serie di eventi e di politiche hanno portato alla crisi della cooperazione allo sviluppo.
Un evento specifico che ha limitato la cooperazione è stato il problema del debito, che a partire degli anni ’80
ha strangolato le economie dei paesi poveri.
L’avvento delle politiche neoliberiste ha poi indebolito in maniera sostanziale gli interventi di cooperazione;
man mano che queste politiche crescono, vengono meno i fondi precedentemente destinati alla
cooperazione.
Questa riflessione è molto importante, anche in rapporto al modo in cui si devono porre i nostri
progetti di cooperazione nei confronti delle politiche neoliberiste che sono l’oggetto della contestazione
globale.
La politiche neoliberiste hanno posto i paesi meno sviluppati di fronte a scelte più o meno obbligate e molto
semplici: apertura totale dei mercati, privatizzazioni dei beni pubblici, riduzione del welfare, politiche dei
prezzi che rispettassero le dinamiche economiche messe in atto dagli organismi internazionali. Tutto ciò,
invece di produrre speranza, ha provocato una vera e propria catastrofe umanitaria, economica, politica ed
ambientale in diverse aree del Terzo Mondo. In pochi anni i poveri assoluti (coloro che vivono con meno di
un dollaro al giorno) sono passati da 300 milioni a un miliardo e 200 milioni, molte economie sono state
portate al collasso e vivono in costante emergenza.
E’ interessante e paradossale sottolineare che i “profeti” del neoliberismo, nel momento in cui predicavano ai
paesi del Terzo Mondo di abbattere le protezioni alle loro economie, erano impegnati a mantenere ben salde
le protezioni alle economie sviluppate, che hanno evitato l’arrivo di prodotti dei paesi in via di sviluppo sui
nostri mercati. Questi “profeti” hanno inoltre inventato la singolare teoria economica dello “sgocciolamento”
(trickle down), una “brillante” concetto in quale afferma che, attraverso le politiche neoliberiste
(privatizzazioni, piani di aggiustamento strutturale, aperture dei mercati, etc.), sarà possibile produrre così
tanta ricchezza che essa trasborderà (sgocciolerà) verso i paesi che stanno alla base della piramide
economica mondiale. Tale aberrante teoria la dice lunga sulla filosofia che guida queste politiche.
Possiamo dunque, arrivare ad una prima conclusione: rilanciare le politiche di cooperazione allo sviluppo
significa fronteggiare in modo determinato le strategie neoliberiste. Non è possibile investire nello sviluppo
senza contrastare le attuali politiche, perché la cooperazione allo sviluppo, affinché sia veramente incisiva,
ha bisogno di una seppur minima protezione delle economie deboli, di un rilancio degli investimenti pubblici,
di investimenti sul capitale umano.
Il secondo elemento sul quale riflettere riguarda la coerenza della cooperazione allo sviluppo: se
essa non contrasta le politiche monetarie ed economiche neoliberiste, è destinata al fallimento, ad avere un
ruolo di semplice testimonianza. Faccio qualche esempio: possiamo fare molti progetti di sviluppo del settore
agroalimentare in Africa, ma se contemporaneamente spendiamo il doppio di quanto investiamo in questi
piani nell’erogazione di sussidi alla nostra agricoltura per proteggerla dalla concorrenza dei prodotti di quei
paesi, possiamo capire che siamo di fronte ad una contraddizione che mina l’efficacia e la coerenza delle
politiche di cooperazione. Possiamo fare progetti di cooperazione sanitaria con paesi africani per la lotta
all’AIDS, ma se nello stesso tempo difendiamo i brevetti ai farmaci essenziali che rendono impossibile
questa lotta, tutto ciò rende nulla la cooperazione.
La coerenza è quindi un fattore importante e riguarda tanti aspetti: è necessaria la protezione delle
economie deboli, serve la cancellazione totale del debito, è vitale la destinazione dello 0,7% del PIL alla
cooperazione allo sviluppo, è necessario sostenere lo sviluppo locale e capire che il governo globale è il
futuro. Ovviamente Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione Mondiale del
Commercio non difendono gli interessi del governo globale dell’economia, ma delle politiche neoliberiste
approntate dai paesi più ricchi e dalle multinazionali. Bisogna rimettere in discussione in modo radicale
56
queste istituzioni, chiedendo non solo che abbiano regole diverse, ma indirizzi e capacità di intervento
diverse.
Passo alla seconda parte del mio intervento, parlando degli aiuti umanitari e della loro difficile
riforma. Mentre la cooperazione internazionale entrava in crisi, aumentavano i fondi destinati agli aiuti
umanitari; negli anni ’90 sono nate nuove ONG specializzate, nuove figure, nuovi tecnici. Sicuramente
questo è dovuto al fatto che le emergenze sono aumentate (pensiamo alle guerre), ma questo ragionamento
può spiegare solo parzialmente questa esplosione, perché in realtà le emergenze ci sono sempre state.
Un’altra spiegazione di questo fenomeno risiede nel ruolo dei mass media, che, facendo conoscere le
emergenze, hanno facilitato prese di coscienza e mobilitazioni dell’opinione pubblica.
Ma queste spiegazioni non sono ancora sufficienti a giustificare l’esplosione del fenomeno degli aiuti
umanitari. La realtà è che l’aiuto umanitario è stato in questi anni uno strumento politico e militare, una sorta
di “prolungamento umanitario” della guerra” (in Afghanistan ed in Iraq i B52 lanciavano
contemporaneamente pacchi umanitari e bombe, che erano dello stesso colore). L’aiuto umanitario ha inoltre
una grande spendibilità mediatica e politica: nell’anno successivo alla guerra in Kossovo, l’Unione Europea
ha speso per la ricostruzione di questa regione una cifra pari a quella spesa per la cooperazione con l’intero
continente africano! Tutto questo testimonia che l’aiuto umanitario può essere utilizzato di fronte all’opinione
pubblica per far passare e per rendere più “umane” strategie geopolitiche ed economiche disumanizzanti. E’
sufficiente, a questo proposito, guardare a ciò che sta avvenendo in Iraq in questo momento: agli
angloamericani è assegnato il compito della ricostruzione (ovvero affari e business), agli europei ed all’ONU,
che non si sono allineati, la beneficenza, la carità e l’assistenza. L’intervento europeo dovrebbe durare circa
10 anni, la presenza militare statunitense sarà continua nel tempo; tutto questo costerà moltissimo.
L’aiuto umanitario ha anche altri limiti sui quali dobbiamo riflettere. La sua peculiarità è quella del
”mordi e fuggi”; gli aiuti cioè sono presenti solo fino al momento in cui c’è una telecamera accesa sul posto,
sono validi fino al momento in cui possono legittimare scelte politiche e militari. Successivamente, quando
l’aiuto non viene più erogato, lascia dietro di sé soltanto macerie e speranze tradite. L’aiuto umanitario
rischia inoltre di avere un impatto disumanizzante: man mano che esso si professionalizza rischia cioè di
disumanizzare il soggetto che si aiuta, di renderlo mera esistenza biologica, di trasformarlo in soggetto
passivo, come sostenuto anche da Ivan Illich.
E’ possibile una riforma? Dapprima sarebbe necessario prevenire l’aiuto umanitario, attraverso la
mobilitazione contro le guerre e per lo sviluppo.
E’ poi necessaria l’autonomia e l’indipendenza dell’aiuto umanitario. Nel mondo degli aiuti circolano molti
soldi, e parecchie ONG si sono appiattite di fronte a questa dinamica, promuovendo progetti di sviluppo a
seconda dei fondi che vengono erogati dai vari apparati statali e internazionali. Questa tendenza fa sì che gli
interventi delle ONG non siano dettati da reali emergenze umanitarie, quanto dalla possibilità di ottenere
finanziamenti. In questo modo la loro autonomia viene limitata, perché esse diventano sempre più dipendenti
da quei governi responsabili di guerre e di interventi che sono la causa delle emergenze.
E’ necessario infine costruire l’intervento umanitario dal basso. Spesso gli interventi umanitari provengono
dall’alto ed arrivano dalle sedi dei governi. Bisogna fare una scelta opposta, radicarsi nei territori per
conoscerli e rispettarli. A questo proposito voglio citare la filosofia indigena che ci ha esposto Rosalina
Tuyuc: serve un approccio che permetta ai soggetti beneficiari della cooperazione di esprimere il loro
protagonismo.
Concludendo, è necessario capire che la nostra attività di cooperazione non può mai essere
disgiunta dall’impegno più generale della lotta per la giustizia, la pace e, citando Arturo Paoli, la liberazione.
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CONCLUSIONI
Andrea Tagliasacchi
Presidente della Provincia di Lucca
Penso che il 1° Forum della Solidarietà lucchese nel mondo abbia rappresentato un’esperienza
molto positiva per noi, per le associazioni che lo hanno organizzato fattivamente e per i partner stranieri
presenti. Certo, bisogna evitare che questo patrimonio vada perso, è necessario dare continuità a questa
iniziativa.
Non posso non ringraziare Aldo Zanchetta per il lavoro svolto, la dott.ssa Sebastiani per la
competenza e la passione con cui ha contribuito ad organizzare il Forum e tutti coloro che hanno lavorato
per questo progetto, poiché è solo grazie ad un grande gioco di squadra se questa manifestazione è riuscita.
Inizialmente ci eravamo prefissati degli obbiettivi che potessero essere tangibili: uno di questi era
rappresentato dal tentativo di superare, attraverso il Forum, i confini del nostro territorio, stabilendo contatti
con altre realtà. Questo è un punto fondamentale a mio avviso, perché in un mondo globalizzato come
quello attuale non è pensabile che possano esserci comunità chiuse verso l’esterno.
Noi, senza retorica, ci siamo emozionati quando abbiamo visto i rappresentanti delle associazioni, i
partner stranieri e i tanti ragazzi e ragazze presenti, entrare in queste sale, che per Lucca hanno da sempre
avuto un alto valore simbolico, hanno rappresentato il potere. Vedere questi giovani appropriarsi di queste
stanze, e raccontarci le loro mille esperienze ci ha emozionato, come ci ha emozionato ascoltare le
testimonianze di lucchesi come Arturo Paoli.
Questo Forum termina caricandoci di una grande responsabilità, è un grande stimolo a continuare
questo lavoro, a mettere insieme il contributo che è venuto dalle associazioni, a cercare di rafforzare i
progetti concreti di solidarietà.
Noi ci assumiamo l’impegno di riproporre questo forum nel 2005. Sarà un punto di riferimento per fare una
valutazione di quello che saremo capaci di fare nei prossimi due anni.
Concludo, ricordando la tragica situazione irakena, e penso che il nostro Forum non possa esimersi dal
rilanciare un impegno umanitario nei confronti di questo paese martoriato, oramai da decenni, da guerra e
violenza.
58
Dichiarazione finale del
1° Forum della Solidarietà lucchese nel mondo
Il 1° Forum della Solidarietà lucchese nel mondo ha visto riunite a Lucca nei giorni 24-26
aprile 2003, 23 organizzazioni lucchesi di volontariato internazionale insieme ai loro
partner di oltre 15 paesi del mondo.
Al termine dei lavori i partecipanti intendono affermare:
1. La necessità di un cambiamento culturale e di mentalità che significa:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Ascolto e conoscenza reciproca.
Pazienza e rispetto dei tempi necessari a ciascuno per arrivare ad una mutua
comprensione profonda.
Umiltà nell’incontro: nessuno possiede risposte per tutto.
Andare incontro alle persone nel loro ambiente e nella loro realtà.
Lavorare insieme, mettere in rete le diverse risorse e sostenere le organizzazioni
locali (capitalizzare le esperienze), favorendo la comunicazione diretta tra
organizzazioni.
Particolare attenzione ai progetti realizzati dalle donne e con le donne.
Stabilire vincoli concreti tra le varie realtà di cooperazione per una trasformazione
reciproca.
Predisporre con chiarezza progetti costruiti congiuntamente, che rispondano alle
esigenze delle popolazioni, che siano coerenti con un processo più ampio di
trasformazione, che siano accompagnati da un monitoraggio e una valutazione
congiunti.
Privilegiare programmi che garantiscano uno sviluppo umano integrale e durevole
di cui le popolazioni possano farsi carico autonomamente, rafforzando le leadership
che crescono nel dolore, nella esperienza di lotta e nel radicamento popolare, come
ad esempio sta avvenendo all’interno dei popoli indigeni del mondo.
Concepire la solidarietà come esercizio di arricchimento e crescita reciproca per le
parti.
Riconoscere e rispettare la diversità delle culture esistenti nel mondo globalizzato
come una reale ricchezza di tutti; prendere coscienza della diversità delle forme di
pensiero nell’accoglienza delle identità e della pari dignità dell’altro.
Investire maggiormente nella cultura sia nei progetti nel sud del mondo che nel nord
del mondo.
Privilegiare programmi di alfabetizzazione, educazione e formazione delle bambine
e dei bambini, così come delle e degli adolescenti che sono le prime vittime delle
ingiustizie ma al tempo stesso protagoniste/i di un cambiamento che già vediamo
iniziato.
2. La necessità di un impegno politico. Questo significa:
•
•
Essere elementi attivi nella denuncia delle violazioni dei diritti umani in tutta la loro
estensione e rendere protagoniste le vittime in queste denunce, così come favorire
l’autoformazione sui diritti inalienabili di ogni essere umano.
Riconoscere e rispettare la proprietà intellettuale dei popoli in tutti i campi (come
quello della medicina, dell’antropologia, dell’agricoltura, ecc.) e denunciare qualsiasi
forma di appropriazione qualunque sia la sua origine.
59
Per l’Europa, avere il coraggio di far rispettare il diritto all’autodeterminazione dei
popoli, riconoscendo il processo di democratizzazione in corso in alcuni paesi, nel
rispetto della loro originalità.
• Impegno nei confronti:
o dei rapporti commerciali più equi tra nord e sud.
o della soluzione del problema del debito e in particolare della cancellazione totale
per i paesi più poveri.
o del ripristino di una politica di aiuto pubblico allo sviluppo arrivato ormai in Italia
all’0,1% del PIL a fronte dell’impegno assunto a Copenaghen nel 1995 dello
0,7%.
o di promozione della cooperazione decentrata. Applicazione della Legge sulla
cooperazione decentrata da parte delle istituzioni locali (Regioni, Province,
Comuni).
•
Questa di cui parliamo è la Cooperazione tra i popoli e non tra i Governi. L’azione dei
Governi non deve ostacolare o peggio ancora distruggere le attività della cooperazione.
Il 1° Forum della Solidarietà lucchese nel mondo afferma il suo rifiuto della guerra in tutte
le sue forme e il suo impegno a favore della pace, condizione essenziale per la crescita e
lo sviluppo equilibrato dell’umanità.
Il Forum ribadisce il proprio impegno non solo nelle relazioni con i popoli nei loro paesi di
origine, ma anche con le popolazioni costrette ad immigrare nei nostri paesi.
Il Forum ringrazia la Provincia di Lucca e la Scuola per la Pace per aver reso possibile
questo libero incontro e chiede:
•
•
•
Che la Provincia faccia proprie le linee guida emerse dal Forum stesso.
Che siano messe in rete aperta quanto prima le organizzazioni qui presenti.
Che il prossimo Forum si apra con una verifica e un confronto aperto su quanto
realizzato nel frattempo.
Facciamo nostro l’auspicio di Rosalina Tuyuc del Guatemala: “Che questo Forum di lavoro
non solo serva per parlare delle sofferenze umane bensì per unificare le speranze.”
60
Associazioni partecipanti
e partner stranieri presenti al Forum
ALERR S.r.l. – Agenzia Lucchese Energia Recupero Risorse
Via dell’Isola, 22
55010 Lunata (Lucca)
Tel. 0583 962853 – Fax 0583 436270
Email: [email protected] - sito web: www.alerr.it
Mohamed Aandam, Saadia Zaoui (Marocco), rispettivamente Direttore e segretaria di Direzione
dell’Associazione Tichka, una ONG che opera nelle Province di Ouarzazate e Zagora. Questa ONG già da
molti anni opera nel settore sanitario e si occupa dei grossi problemi di analfabetizzazione che affliggono la
stragrande maggioranza delle popolazioni rurali.
Amici del Perù – Capannori
Viale Europa, 92
Lammari (Lucca)
Tel. e fax 0583 962284 – 297435
Email: [email protected] - sito web: www.amicidelperu.net
Roberto Romero Arce (Regione del Cuzco - Perù), giornalista, membro del Consiglio Regionale della
Regione del Cuzco (Perù) e collaboratore della Commissione per la difesa dei Diritti Umani.
A.Te.Mis. – Associazione Teresiana Missionaria Lucca
C/o Studio Ing. Alessandro Lucchesi
Via della Polveriera, 9
55100 – Lucca
Tel. 0583 491410 – Email: [email protected]
Eloisio Queiroz Pena (Stato di Minas Gerais - Brasile), referente di A.Te.Mis. Brasile, associazione
impegnata nella difesa delle comunità più deboli dello stato brasiliano di Minas Gerais, caratterizzato dalla
presenza di fasce sociali particolarmente povere.
Associazione Berretti Bianchi – Versilia
Via F.Carrara, 209
55042 – Forte dei Marmi (Lucca)
Tel. 0584 756758 – Fax 0584 735682 – cell. 335 7660623
Email: [email protected] - sito web: www.peacelink.it/users/berrettibianchi
Hidaia Husseini (Palestina), Responsabile di un orfanotrofio femminile a Gerusalemme Est.
61
Centro Sviluppo Umano – Viareggio
Via Garibaldi, 155 - Viareggio (Lucca)
Responsabile: Silvano Orlandi
Via Fratti, 22 – Viareggio
Tel. 0584 32276 – Email: [email protected]
Abbè Johanny Koanda (Tougouri - Burkina Faso), parroco di Tougouri, la parte più povera della Provincia
di Namentenga.
Stanislas Ouedraogo (Burkina Faso), coordinatore del progetto che ha portato alla realizzazione di una
stazione solare di pompaggio.
CLAEJ - Comitato Lucchese Aiuti ex Jugoslavia
Piazza San Pietro Somaldi, 10
55100 – Lucca
Responsabile: Ivetta Favilla – Email: [email protected]
Ondina Skracic (Rijeka - Croazia), Responsabile della Casa delle donne Ariadna di Rijeka, associazione
non governativa nata nel 1993 al fine di aiutare le donne a superare i traumi fisici e morali derivanti dalla
guerra.
Gruppi di solidarietà al Popolo Saharawi Lucca – Versilia – Valle del Serchio
Lucca – Associazione “Kalama”
Referente: Veronica Micheletti – Email: [email protected]
Valle del Serchio – Comitato “Khaima”
Via Roma, 7 – 55032 Castelnuovo Garfagnana (LU)
Tel e fax 0583 62732
Referente: Maurizio Cavani
Email: [email protected], [email protected] - Sito web: digilander.libero.it/khaima
Versilia – Associazione “Frig”
Referente: Simona Canova . Email: [email protected]
Fatima Mahfud, Responsabile delle donne Saharawi.
Khandoud Hamdi, Responsabile del progetto “Scuola 12 ottobre”, finanziato, oltre che dalla Provincia di
Lucca, anche dalla Regione Toscana. Oggi questa scuola permette a circa 3000 ragazzi Saharawi di
studiare.
Equinozio Associazione Nuova Solidarietà – Lucca
Via Elisa, 28
55100 – Lucca
Tel. e fax 0583 954957 – Email: [email protected]
Carmen Morales Ponce (Perù), Responsabile del Progetto Mariposa, che si occupa di esportazione di
artigianato prodotto da ragazzi e ragazze detenuti in vari carceri peruviani con l’accusa di appartenere al
MRTA (Movimiento Revolucionario Tupac Amaru). Molto spesso queste persone sono incarcerate senza
processi o con accuse costruite ad arte. Carmen è la sorella di uno dei detenuti e fa parte di un’associazione
di familiari che li appoggia da un punto
di vista legale ed umanitario.
62
Diocesi di Lucca – Ufficio Missionario Diocesano
C/o Curia Arcivescovile – Ufficio Diocesano per la Pastorale Missionaria
Via Arcivescovato, 45
55100 – Lucca
Tel. 0583 430946 - Fax 0583 430930 – Email: [email protected]
Don Dion Mbonimpa (Nyarurema - Rwanda), parroco che opera nella Parrocchia di Nyarurema, fondata
dalla Diocesi di Lucca nel 1986. Don Dion Mbonimpa è dal 1995 animatore della nonviolenza attiva prima in
Congo nei campi profughi rwandesi e successivamente in Rwanda. E’ stato Direttore della Caritas
Diocesana e responsabile di diversi progetti di sviluppo e di monitoraggio dei Diritti Umani.
Francisca Marinehiro (Rio Branco - Brasile), tra le fondatrici delle Comunità di base e del Partito dei
Lavoratori (PT), partecipa attivamente a gruppi giovanili ed alla vita parrocchiale e diocesana. E’ inoltre tra le
fondatrici del Centro di Difesa dei Diritti Umani della Diocesi di Rio Branco e
del Movimento delle Associazioni di quartiere.
Gemellaggi di solidarietà con i paesi del Terzo Mondo - Lucca
C/o Ufficio Cooperazione Missionaria Diocesi di Lucca
Responsabile: Alberto Sebastiani
Email: [email protected] - Tel. 0583 581077
Padre Vittorio Antutu (Eritrea), Missionario francescano, nativo di Barentu Bimbilnà, zona situata nel
bassopiano occidentale eritreo, al confine col Sudan. Antutu ha studiato in Italia e Inghilterra ed ha sempre
difeso il suo popolo, anche durante la recente guerra con l’Etiopia.
Gruppo Missionario Parrocchia dell’Arancio – Lucca
C/o Parrocchia dell’Arancio
Via di Tiglio, Arancio (Lucca)
Tel. 0583 91657
Marta Falqueto (Serra - Brasile) è tra le fondatrici del Centro di Difesa dei Diritti Umani di Serra (CDDH).
Oggi è segretaria esecutiva del CDDH, militante del Partito dei Lavoratori e membro del Consiglio Nazionale
dei Diritti Umani, ente che mantiene stretti contatti con associazioni internazionali
come Amnesty International.
Rosa Maria Nascimento Miranda (Serra - Brasile) è l’attuale presidente del CDDH. E’ una militante del
Partito dei Lavoratori e membro del Centro Ecumenico di studi biblici, che organizza corsi di lettura popolare
della Bibbia.
Mani Tese Gruppo di Lucca
Via Cavalletti, 378 – 55100 S.Anna - Lucca
Tel. 0583 53824 - Sito web: www.manitese.it - Email: [email protected]
Salvador Reyes (Chiapas - Messico), responsabile internazionale di Enlace Civil, un’associazione che si
occupa di mettere in contatto Municipi Autonomi, comunità indigene e solidarietà internazionale. Il principio
fondamentale di Enlace Civil è il rispetto delle decisioni delle comunità indigene, dei loro usi e delle loro
forme di organizzazione.
Gabriela Soriano Segoviano (Chiapas – Messico),
invitata in collaborazione con la Provincia di Lucca.
Coordinatrice di un centro di ricerca politico economica (CIEPAC) del Chiapas. Questo centro, nato a San
Cristobal de Las Casas nel 1998, svolge un lavoro in sostegno delle Comunità indigene del Chiapas
impartendo corsi di formazione e analisi della realtà locale, del Messico e della globalizzazione.
63
Associazione NutriPa - Lucca
Via delle Tagliate, 651 – 55100 San Marco (Lucca)
Tel. 0583 330186 – Email: [email protected], [email protected] - sito web: www.nutripa.it
Immaculèe Mukarwego (Butare - Rwanda), Responsabile di un centro nutrizionale NutriPa a Butare, nato
nel 1993 al fine di fronteggiare la malnutrizione infantile.Il centro fu fondato da un’infermiera versiliese, Paola
Pellegrinetti e da Nadine Donnet, universitaria francese. Oggi il centro è in grado di accogliere 50 bambini ed
organizza progetti di prevenzione della malnutrizione.
Progetto Boa Esperança – Lucca
Responsabile: Mario Lombardi – Email: [email protected] - Tel. 0583 56599
Idalina Barbosa (Foz do Iguaçu, Paranà - Brasile), Presidente di AFA (Associazione Fraternità Alleanza),
organismo principale delle Comunità brasiliane di Fratel Arturo Paoli, ha svolto per 8 anni un lavoro sociale
in una favela di San Paolo, per 6 anni ha lavorato in cooperative di pescatori e contadini.
Tony Lopez (Spagna), nata in Extremadura, vive da molti anni in Brasile. E’ medico specialista in medicina
tropicale ed è una grande conoscitrice di tematiche relative alla tossicodipendenza ed all’AIDS.
E’attivamente impegnata in programmi di cooperazione sanitaria in Brasile.
Progetto Teko Guarani – Lucca e Viareggio
Jorge Changaray (Bolivia)
Amani Nyayo
C/o Parrocchia di Toringo
Via della Chiesa, Toringo (Lucca)
Email: [email protected]; sito web: amani.interfree.it
Amici della Missione di Novaliches
C/o Curia Arcivescovile – Ufficio Diocesano per la Pastorale Missionaria
Via Arcivescovato, 45 – 55100 Lucca
Responsabile: Lucio Ciccone – Email: [email protected]
ARCI N.A. – Comitato territoriale di Lucca
Via S.Gemma Galgani, 46 – 55100 Lucca
Tel. e fax 0583 490004 – Email: [email protected] - sito web: www.arci.it
Ce.I.S. – Gruppo Giovani e Comunità
Via S.Giustina, 59 – 55100 Lucca
Tel. 0583 587113 – Email: [email protected]
64
CNV – Centro Nazionale per il Volontariato
Via Catalani, 158 – 55100 S.Anna Lucca
Tel. 0583 419500 – Fax 0583 419501
Email: [email protected] - www.centrovolontariato.it
Associazione Ghassan Kanafani
C/o ARCI Lucca – Via Santa Gemma Galgani, 46 – 55100 Lucca
Referente: Mariella Di Stefano - Tel. 3397395873
Email: [email protected]
Comitato Pace e Cooperazione del Comune di Viareggio
C/o Comune di Viareggio, Piazza Nieri e Paolini
Viareggio (Lucca)
Ufficio Affari Generali – Tel. 0584 966733 - Fax 0584 966822
Responsabile del Comitato: Assessorato alla Cultura del Comune di Viareggio
Emergency – Gruppo territoriale di Lucca
Email: [email protected]
Sito web nazionale: www.emergency.it
Il Rigagnolo – AIFO
C/o Anna Diara e Roberto Giorgetti
Via Fillungo 18/A – 55060 Guamo (Lucca)
Tel. 0583 947935 – Email: [email protected]
Lega Internazionale per i Diritti e la Liberazione dei Popoli
Referente per la Toscana: Magda Tomei
Via Arezzo, 2 – 55049 Viareggio (Lucca)
Tel. e Fax 0584 980355 – Email: [email protected]
Ridere per vivere – Toscana
Associazione Nazionale per la ricerca
e l’applicazione della risata in funzione terapeutica
Via Provinciale Lucchese, 230 - Ponte all’Abate – Collodi (Pistoia)
Tel. 328 8789511 – 328 6746437
Email: [email protected]
siti web: www.riderepervivere.it - www.romacivica.net/riderepervivere
65
Unicef – Comitato Provinciale di Lucca
Via S.Micheletto, 3 – 55100 Lucca
Tel. e fax 0583 467791 – Email: [email protected]
Azienda USL N°2 - Lucca
Via per S.Alessio
Monte San Quirico – 55100 Lucca
Sito web: www.usl2.toscana.it
Azienda USL N°12 - Versilia
Via Aurelia, 335 – Lido di Camaiore (Lucca)
Comitato Ilio Micheloni – Capannori
Via del Popolo, 12 - 55012 Capannori (Lucca)
Tel. 0583 962169
Parrocchia di San Concordio – Gruppo bambini di Chernobyl
66
Scuole che hanno partecipato al Forum:
Istituto Comprensivo Barga, Istituto Comprensivo Camaiore I
Istituto Comprensivo Massarosa I
Istituto Superiore Artistico “A.Passaglia” – Lucca
Istituto Superiore d’Istruzione – Barga
Istituto Professionale di Stato per i Servizi Sociali “M.Civitali” – Lucca
Liceo Scientifico Statale “A.Vallisneri” – Lucca
Scuola Media Statale “L.Da Vinci-Chelini” – Lucca
Scuola Media Statale “L.Nottolini” Lammari-Camigliano
Scuola Elementare di Valdottavo
67
Indice
Presentazione
Pag. 1
Programma
Pag. 2
Saluto di apertura di Andrea Tagliasacchi
Presidente della Provincia di Lucca
Pag. 7
Massimo Toschi
Consigliere per la Pace, la Cooperazione ed i Diritti Umani del Presidente
della Regione Toscana Claudio Martini
Pag. 8
Maria Eletta Martini
Presidente Centro Nazionale per il Volontariato
Pag. 9
Aldo Zanchetta
Coordinatore Scuola per la Pace della Provincia di Lucca
“Significato e obiettivi del Forum”
Pag. 10
Relazione “magistrale”
Don Luciano Mendes
Vescovo di Mariana (Brasile), già Presidente della Conferenza
Episcopale del Brasile
“Globalizzare la solidarietà”
Pag. 12
Presentazione delle associazioni promotrici del Forum e dei loro partner
stranieri
Pag. 15
Relazioni sulle tre aree geografiche presenti al Forum: America Latina,
Africa, Europa e Mediterraneo.
o
Rodrigo Rivas
“L’America Latina oggi, problemi, speranze, prospettive
o
Padre Gino Barsella
“L’Africa di fronte al XXI° secolo
o
Pag. 23
Pag. 26
Massimo Toschi
“Europa e Mediterraneo: quale cooperazione?”
Pag. 29
Relazione dei tavoli di lavoro sulle tre aree geografiche trattate al Forum
o
o
o
Tavolo di lavoro sull’America Latina
Espone la relazione Roberto Sensi
Pag. 31
Tavolo di lavoro sull’Africa
Espone la relazione Costanza Pera
Pag. 32
Tavolo di lavoro sul Mediterraneo
Espone la relazione Claudio Orsi
Pag. 34
Presentazione dei partner stranieri presenti
Pag. 36
Saluto di Mons. Bruno Tommasi, Arcivescovo della Diocesi di Lucca
Pag. 47
68
Relazioni “magistrali”
o
Claudio Martini, Presidente della Regione Toscana
“La cooperazione allo sviluppo della Regione Toscana”
o
Arturo Paoli, Piccolo Fratello del Vangelo
“La cultura del dono e del gratuito e la globalizzazione”
o
Pag. 52
Rosalina Tuyuc, Presidente di CONAVIGUA
“La cooperazione allo sviluppo vista dalla periferia del mondo:
il caso del Guatemala”
o
Pag. 50
Gilles Nicolas, Direttore del Centro Teologico di Algeri
“Solidarietà nel tempo della crisi”
o
Pag. 48
Pag. 54
Giulio Marcon, Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà
“La cooperazione allo sviluppo: la difficile riforma dell’aiuto
umanitario”
Pag. 56
Conclusioni di Andrea Tagliasacchi, Presidente della Provincia di Lucca
Pag. 58
Dichiarazione Finale del 1° Forum della Solidarietà lucchese nel Mondo
Pag. 59
Elenco associazioni partecipanti e partner presenti al Forum
Pag. 61
Elenco scuole che hanno partecipato al Forum
Pag. 67
Indice
Pag. 68
69
PER INFORMAZIONI:
Dipartimento Cultura e Politiche Sociali della Provincia di Lucca
Servizio Politiche Sociali e Sport
Tel. 0583 417490 – Fax 0583 417334
Email: [email protected] - [email protected]
Scuola per la Pace della Provincia di Lucca
Centro di documentazione interculturale
“Ivan Illich”
Via Santa Giustina, 21 – Lucca
Tel. 0583 433451 – 433452 – Fax 0583 433450
Email: [email protected]
Sito web: www.provincia.lucca.it/scuolapace
Vi informiamo che presso il Centro di documentazione interculturale
“Ivan Illich” è disponibile il VHS del
1° Forum della Solidarietà lucchese nel Mondo
70
Scarica

Atti del 1° Forum della Solidarietà lucchese nel Mondo