Ultima
Spes-a
by
Cyb & Malos
Casa Editrice Copyleft
Cose Einaudite
2
I Grandi Classici Quadrumani
***
Nella stessa collanana:
La faiga siberiana (2000)
Ascensoroppio per la papaverità (2002)
Ultimi giardini pensionatensili in totale Babilonia (2003)
Il fabbrisogno (2004)
Tutte opere quadrumani di:
Roberto Cyb Lacché & malos mannaja
In copertina: “EpiloGod”
di malos mannaja
Copyleft © 2012 Qualsiasi riproduzione anche parziale
a scopo di lucro è severamente vietata
Per contatti:
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1. L’effetto di una polvere sottile: ore 19.00 del primo
giorno
Esterno
Aria pesante e cielo plumbeo puntellato al suolo da lampeggianti
blu. Sciabolate di faretti, appena accesi, sbiancano la scena vagamente
spettrale trapanando le pupille della folla.
Tutt’intorno è teso cicaleccio pallido, quasi marmoreo, striato da
sirene lancinanti, stridori di freni, nonché di frenuli di spettatori
morbosi per una intrigata vicenda che sta sconvolgendo la vita di
un’intera comunità. Attimo per attimo l’ansia continua a crescere e
l’aria si è ormai fatta irrespirabile, complice anche la recente
concimazione dei campi limitrofi: qualcuno, addirittura, indossa già la
maschera antigas.
Sono più di quattro ore che non viene permesso a nessuno di
entrare o uscire dalla Zona Rossa in attesa del responso del
laboratorio scientifico provinciale. Poco fa una squadra del RIS è
entrata nel Grand Marché per i prelievi del caso e per stabilire un
contatto con clienti e personale del supermercato, comprensibilmente
sconvolti. Poi un’autocivetta a sirene spiegate è sfrecciata via a volo
radente in direzione del capoluogo con i campioni chiusi
ermeticamente in una valigetta a prova di catastrofe nucleare e scippo
zingaropartenopeo. Lo stabile, su disposizione del sostituto
procuratore aggiunto, il dottor Aldo Vere Minchino, è stato circondato
da un cordone di agenti in assetto da guerra con l’ordine di sparare a
vista verso chiunque tenti di uscire e potenti proiettori sono stati
prelevati dal campo di calcio del paese per illuminarne a giorno le
vetrate e gli ingressi. Il parcheggio attorno al supermercato è
irriconoscibile, brulicante com’è di strana gente tutta affaccendata:
inquietanti figuri in tuta bianca saltabeccano frenetici da un
mozzicone di sigaretta a un carrello e drappelli di operai completano
il montaggio di una gigantesca tenda da campo. Obbediscono ai
comandi sbrigativi di una donna avvenente, col culo a contrabbasso, a
sua volta scortata da un collaboratore costretto a sbracciarsi per
tradurre in ampi gesti i suoi urli di battaglia alle maestranze.
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I carabinieri, sotto lo sguardo solerte di Omar Esciallo, il
maresciallo della locale stazione, e del PM Minchino, che approva le
operazioni con autoritari scatti da epilettico, hanno creato uno
sbarramento legando assieme alcune transenne con lo scotch a righe
rosse e bianche: un collage a metà strada tra le esotiche staccionate di
un ranch texano e un nostrano cantiere di centro storico terremotato.
Hanno poi aggiunto degli abbeveratoi e hanno assicurato alle
transenne dei focosi cavalli di Frisia che, tesi come ad un Palio di
Siena, agitano le code infiocchettate, quasi negli abbeveratoi ci sia
acquaragia anziché pura acqua di fosso con inevitabili nitriti. Gli
agenti, raccolti attorno alla cucina da scampo, nel senso che Dio ci
scampi dal mangiare in un posto simile, sorvegliano una folla di
curiosi che aumenta d’ora in ora, richiamata dalla fame di novità e dal
profumo di panini caldi che si è propagato nell’aria rendendo più
gradevole la puzza della merda dei campi. Hanno subito preso
posizione, infatti, furgoni mobili che fungono da paninoteche,
paninoteche che fungono da furgoni mobili, e poi carri attrezzi, carri
funebri, carriole da sgombero, autoambulanze, volontari con cani per
ciechi, cani da valanga, un venditore di enciclopedie Treccani, cani da
compagnia e suocere dame di San Vincenzo con generi di prima
necessità. Sullo spiazzo si sono concentrati anche i furgoni delle
televisioni mentre i vari cronisti, chiedendo permesso come
extracomunitari in coda davanti alla questura fin dalle tre di notte, si
contendono le telecamere facendo il punto della situazione. Nel
contempo alcuni extracomunitari senza fissa dimora e permesso di
soggiorno sono alla febbrile telericerca di una telecamera - non
essendo molto padroni della lingua - dove presumono di poter
passare la notte.
Tele Rigiro, una rampante rete locale d’informazione, ha inviato
nella zona di crisi Lily Cavedano, giornalista avvenente e dal sorriso
felino, nota tra gli addetti ai lavori soprattutto per il piglio aggressivo
con cui è solita farsi spazio sgomitando davanti agli altri reporter. E’
presente pure Telemaco Mefaccio, corrispondente di Tele Patia, il
singolare canale dei mass media specificamente dedicato ai singoli
medium. Per quanto pochi possano captarlo, il segnale non è criptato
e trasmette infatti in chiaro-veggenza: l’inviato risalta nel gruppo per
l’antennina vibratile in testa che lo fa sembrare il cugino alla lontana
di quell’altro disgraziato che risponde al nome di Capitan Ventosa di
Mediasettete. E’ immerso nel bagno di folla anche un giovane
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corrispondente di Tele Nuotizie, il canale dei canali del delta, in chiara
soggezione essendo poco più d’un ragazzino: se ne sta muto come un
gambero di fiume, in elegante muta subacquea.
Presenzia parimenti invisibile, seppure per altri motivi, Lina
Picco, la mini reporter dell’Eco della Bassa, che si sbraccia saltellando
tra le caviglie dei cameraman, costretta alle leggi della fonica come il
compianto Papa Wojtyla durante l’Angelus.
- Ed ora, ed ora, ora… Gli ultimi, gli ultimi, timi… Aggiornamenti,
aggiornamenti, namenti, menti, ti…
Lily ghigna sprezzante vagliando l’inconsistenza professionale
degli inviati della concorrenza: la nana galvanica bonsai è costretta ad
inquadrature terra terra, Telemaco Mefaccio s’aggira vacuo in piena
trance ipnotizia e il ragazzino di Tele Nuoto, fin da sub-ito destinato a
sub-ire o, in sub-ordine, a ricoprire un ruolo sub-alterno, galleggia
sull’onda delle notizie siccome organico materiale inerte.
Grazie all’aderenza creata dalla minigonna, la reporter di Tele
Rigiro imposta allegramente le curve scosciando in sovrasterzo per le
telecamere. Regola poi con nonchalance l’inclinazione dell’aletettone e
libera la presa d’aria della camicetta col risultato di catalizzare
l’attenzione del pubblico. Ed eccola in pole position pronta a cogliere
l’attimo propizio per salire in cattedra e sfoderare la sua mirabile
parlantina: pronti, partenza, via!
- Dalla vostra Lily Cavedano: lì e lì ca vedano tutti la concitazione
che regna sovrana. La dinamica dell’accaduto è ancora incerta. Pare
che la telefonata di una donna agonizzante, tale Olga Binetto Lindo,
pervenuta ai NAS dall’interno del supermercato Grand Marché di San
Pirlottero della Credenza verso le ore 10 di questa mattina, abbia
prontamente attivato le forze dell’ordine che sono intervenute
d’urgenza cinque ore e mezza dopo. A seguito del rinvenimento di
una misteriosa polvere bianca tra gli scaffali, le for(s)e dell’ordine,
come potete vedere dal caos che regna sovrano, hanno creato un
cordone sanitario intorno alla struttura commerciale ed è stata
interdetta l’uscita sia al personale che ai clienti presenti nello stabile al
momento della contaminazione. Il dottor Aldo Vere Minchino,
sostituto procuratore aggiunto, ha poi aggiunto un ulteriore carico da
undici disponendo l’invio della polvere al laboratorio analisi
provinciale dei RIS per stabilire la natura venefica della sostanza testé
prelevata da una squadra specializzata. Siamo in attesa di stabilire un
contatto con lui nei prossimi collegamenti circa le iniziative più
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opportune che verranno prese già da questa sera. Le supposizioni
sulla composizione della polvere sono varie. Si va dal comune
bicarbonato alla magnesia bisurata e si ipotizza un atto intimidatorio
contro i proprietari del supermercato. Non si esclude, però, che possa
trattarsi anche di glutammato monosodico o, peggio, stereosodico, più
pericoloso, o anche di detersivo per vasetti da notte, di sbriciolamento
di pastura per la pesca delle carpe, fino ai temutissimi antrace e
amianto. Finora nessuna rivendicazione è pervenuta alle testate
giornalistiche o alla Questura: si indaga solamente su una telefonata
sospetta in cui una voce roca, dopo aver esordito con un fragoroso
“Etciùùùù…” ha proferito poche allusive parole “Salute che se ne va,
hihihi, ups, mi scusi, ho sbagliato numero” interrompendo
bruscamente la comunicazione. Si stanno controllando le celle
telefoniche, da Corticella a Centocelle fino alle Seycelles, e le parcelle,
le procelle, le celle della locale prigione e le celle frigorifere
tutt’intorno, ma senza esito, a parte un inizio di broncopolmonite per
il brigadiere dei Carabinieri Goffredo Masopporto, ricoverato poi per
accertamenti completi compresi quelli fiscali. Non è ancora dato
sapere con precisione il numero delle persone segregate all’interno del
supermercato. Le reazioni lì dentro sembrano scomposte: si vocifera
di clienti nascosti a capo fitto nei sacchi dei legumi secchi e di altri
clienti che stanno purtroppo subendo gli effetti degli stessi legumi,
probabile pasto di ieri sera. Siamo in attesa di iniziative della
Protezione Civile per stabilire almeno i nominativi degli sventurati in
fin di vita, in modo di tranquillizzare amici e congiunti. Vi
aggiorneremo nel prossimo collegamento. Un cordiale saluto da Lily
Cavedano.
La panterona stacca il collegamento con un ruggito, procede ad
un restyling del trucco con affilamento delle unghie alla mola
dell’arrotino del paese e lascia lo spazio agli altri.
E’ il turno dell’inviato di Tele Patia, annichilito fino al limite
dell’apatia dalla verve di Lily. Infatti ammutolisce come un pesce
siluro in trance e rotea le antenne dei baffi mentre titola laconico a otto
colonne in grassectoplasma: “Mistero al supermercato: polvere di fata
o di sniffata?”
Il sub di Tele Nuotizie va in onda direttamente in apnea con
sottotitoli di “glu, glu, glutammato, forse...”
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Lina Picco, le cui caviglie sono ormai pachidermiche nello sforzo
di saltellare per una maggiore visibilità, conclude per ‘L’eco della
Bassa’.
- Nessuna, nessuna, suna… Lettera, lettera, tera… Di minaccia, di
minaccia, ccia, cia… Agli inquirenti, quirenti, renti… O al Duo Deno,
Deno, Deno eno…”
Interno
Anche qui, come all’esterno, l’aria è irrespirabile, sebbene per
altre cause: in preda al panico due pensionati, Mino Mericordo e Loris
Cordo, hanno farcito i cavalli dei loro pantaloni, che purtroppo non
sono alla zuava, e lasciano fuoriuscire colate fumiganti di liquami
tossici. Arricciano i nasi rossi alcoolofili e s’interrogano l’un l’altro su
nebulosi perché e per come.
- Ci hanno rinchiuso da stamattina per colpa di quella polverina
sugli scaffali: ma si può? Che sarà mai? Sugli scaffali del supermercato
c’è ben di peggio: ieri una confezione di pisellini medi in attiva
fermentazione s’è tutta gonfiata e ha cercato di stuprare le farfalline
Barilla.
- Magari la polvere è solo polenta taragna, lievito di birra, oppure
coccoina…
- La coccoina non è in polvere, Mino. Non è come tua moglie
Clara nell’urna sul caminetto del salotto.
- Epperò lo stare qui dentro mi sta facendo venire bruciori al culo,
anche perché i fanghi corrodono la pelle, e la pelle di noi anziani è
diafana e delicata come quella dei bimbi.
- Approfitta, allora, del sottocosto per il sottopancia a tre scaffali
più in là: c’è la pasta di Fissa de soreta, la pasta all’uovo emolliente
per i pensionati, anche al ragù di cinghiale, come la potrebbe fare tua
sorella alla domenica.
Più oltre, dalla tribunetta dello spiazzo riservato alle offerte
speciali, un gruppo indefinito di clienti tutti tetri d’abito e d’umore,
assai marziali, intonano sommessamente canti gregoriani propiziatori
che creano un’atmosfera drammatica da tragedia greca. I cartelloni
dell’offerta del mese evidenziano a caratteri cubitali la nota marca di
lassativo ‘Lassa Perdere’, una purga ceca-stalinista per l’intestino
omonimo famosa per l’efficacia quasi istantanea: ne sanno qualcosa le
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due tazze del cesso del supermercato, una per gli uomini e una per le
donne, intasate da chi ha assaggiato subito la nuova formulazione del
prodotto, un goloso confetto rosa all’irresistibile aroma di
Cacasbucciolo vellutato al lime dei caraibi. Il coro intona lugubre
all’unisono baritonale grecortodosso.
- Ohi me lasso, che ne sarà di me? Ho preso il lassativo e qui
manca il bidet.
La signora Olga Binetto Lindo, la persona che ha telefonato in
mattinata alle forze dell’ordine, casalinga di famiglia nobile come
sottolineato dal doppio cognome, seppure ancora rantolante e distesa
sul pavimento, non perde occasione di interloquire e chissà come,
facendosi un baffo della fisica, si rivolge ai compagni di sventura
dall’alto in basso. In giorni di concimazione la puzza sotto il naso
s’accentua e la donna diventa così aristocratica che, quando cucina,
dai fornelli esce gas nobile: naturale che non sia per nulla contenta né
di condividere la forzata segregazione con quel branco di bifolchi né
di saltare anche oggi il suo canonico thè verde al bergamotto delle
cinque. Non le resta che pregare ad alta voce.
- San Bossino, so che mi salverai anche da questo attacco
terronistico!
L’atto di fede-ralismo commuove gli altri consumatori in
quarantena con l’eccezione di Olaf, il keniota, che risponde con aria di
rivalsa malvagia.
- Avrei pensato a lei come a una celta cristiano-bobomaronita e
invece è una celopurista degli ultimi giorni! Mi spieghi il suo percorso
di fede, se vuole, ché mi interessa assai..
La signora Olga squadra con sospetto quell’essere così forbito,
così scuro, abbronzato, come si suol dire di questi tempi, con i capelli
così biondi da sembrare ossigenati ed uno sguardo multicolor da
paura. Trabocca di delusione, di bei desideri repressi che esacerbano
l’animo come spilloni bucando bolle di sapone gonfie di speranze. Poi
si scioglie in empito mistico.
- Ero una sempliciotta, anni fa, un’animista caldea-rolica, una pia
donnina, una piadina, con squacquerone insipido di confusi buoni
sentimenti. Poi fui abbagliata dalla luce, mi prostrai davanti
all’Umbertotem e abbracciai il suo credo metodista, anzi, di più,
ditomedista. I bobomaroniti, per contro, sono troppo manichei,
soprattutto in questi giorni, tanto ingessati sulle loro posizioni
intransigenti da sembrare manichini. Viva sempre San Bossino,
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dunque, l’unico argine all’invasione dei calabrotteri, l’unico efficace
siero antiarabbico esaudito da inoculare a tante personcine sgradevoli
a cominciare da te, bel biondino nerofumo. Tè capì?
- Signora, a parte il suo desiderio di inocularmi, l’invocazione
potrebbe essere ingiusta o mal indirizzata. Potrebbero essere altri i
fomentatori di questa spiacevole situazione. Per esempio gli
anarcolettici insurrezionalisti, stufi della gazzarra indecente di ogni
notte del signor Dino, il padrone di questo tempio dedicato alla spesa.
Tutti sanno che ha promiscui convegni amorosi in auto e che, travolto
dai sensi, confonde spesso petti prominenti con il clacson e soprattutto
viceversa.
Arrossisce di lontano Dana Rospicciolo, l’imponente cassiera
seminascosta dalla decima delle sue tette che arrossiscono anch’esse
inturgidendosi, coperte a mala pena da un grembiulone reclamizzante
il latte in polvere Eri (e polvere ritornerai).
Marcello, il macellaio romano ‘nomen omen’ del reparto carni del
supermercato Grand Marché, riflette a voce alta.
- Alle due de notte nun è er massimo pe’ cchi s’ è ffatto dodici ore
a spalà mmerda nei campi er giorno prima.
- Saran mica rispuntati fuori i communisti?
E’ accorato e assume toni da Cassandra Paolo Uzzone, detto
P.Uzzone, altro dipendente del supermercato, noto menagramo,
intento a svuotare i bidoni della verdura marcita, sformata come
arcimboldiano aborto, che proprio non era più proponibile neanche in
sformato con besciamella.
Alla parola ‘communisti’ va in corto un bianco banco frigo e dal
coro dei lassitivati si leva alto, fiero e unanime il grido.
- Vadavielcù!! I communisti non esistono più neanche nella
mitologia sumera.
Loris Cordo, frattanto, è in piena crisi e trema come una foglia
d’albero d’un parkinson comunale con opportuna area cani e bambini
al guinzaglio.
- Sto male… Sto male... Sto male…
Mino, l’amico pensionato, cerca di confortarlo dando pacche
affettuose sulla schiena in senso antiorario per controbilanciare il
tremore. Dana Rospicciolo, la cassiera, dopo aver indossato le cuffie
sintonizzate su Radio Latte e Miele per sentire solo i successi degli
anni sessanta e non la puzza, mette generosamente a disposizione il
suo enorme seno come guanciale per sorreggere Loris. Lo culla
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bovinamente con lo sguardo mentre il vecchio ha spasmi inconsci da
mungitore automatico e cerca di artigliarle i rubinezzoli: che orrida
rappresentazione escrementizia postmoderna della Pietà!
Intorno a loro, con lentezza esasperante da mostruoso blob, si sta
allargando una pozzanghera paludosa, realisticamente così paludosa
che ci si potrebbe domandare sul perché manchino i tamerici salmastri
e il signore degli anelli. Marcello, il macellaio pragmatico, avrebbe
subito la risposta pronta: i tamerici sono bruciati per eccesso di urea
acida con sfrigolii di immenso dolore e il signore degli anelli è andato
all’antinfortunistica per dotarsi di mascherine antigas ed
equipaggiamenti per la pesca di Frodo.
I due anziani si stanno squagliando dall’interno in assoluta
indifferenza: quasi non se ne accorgono, o almeno fanno finta, con la
disinvoltura tipica del vecchio colitico che si guarda intorno
millantando che sia stato un colombo tubante o un tubo di
scappamento d’auto.
- Coraggio Loris, è solo un male di passaggio: un passaggio di
metropolitana sotto fondamenta sabbiocementate. Presto ripenseremo
a questi momenti e non ricorderemo nulla.
- E’ che sono senza le mie medicine!!! Devo avere la pressione
altissima…
Olga arriccia il naso e infierisce sull’anziano, sebbene con tono
signorile.
- Ecco perché lei continua a sfiatare dallo sfintere.
Loris continua a piagnucolare col volto trasfigurato in una smorfia
di dolore per lo sforzo sovrumano.
- Altro che sfff-iato: sto espellendo immani dittooonghi… E mò?
Emmò? Emmorroidi che urlano disappunto. Ahimè, come farò…
Come farò… Vieppiù, senza pastiglie per la prostata, mi gonfierò di
piscio fino a esplodere! Oddio, mi sgonfio e mi gonfio come una
zampogna.
P.Uzzone interloquisce entusiasta ed evoca una salva di ‘sgrat,
sgrat’ testicolari a 360 gradi. Nel dubbio di un insufficiente potere
scaramantico del gesto, i presenti toccano pure il metallo di una
piramide di scatolette di tonno Sbottonno, le innovative scatolette che
invece di aprirsi mediante la pericolosa e tagliente linguetta metallica,
hanno un’asola e un bottone: tonno Sbottonno, sbottona il gusto del
tonno in olio esausto raffinato! Sbottonno, il tonno chic, in giacca,
cravatta e pinne gialle!
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- Ho letto su un vecchio numero di Eva Cuate Tremila che gli
tsunami di piscio sono peggio delle piogge acide e quindi molto più
devastanti di quelli normali. E’ per questo che gli idranti delle polizie
sudamericane spesso utilizzano il piscio nel tentativo di disperdere le
folle di piscioperanti!
Le immagini della zampogna spisciacchiante prossima ad
esplodere e dello tsunami acidopaglierino sono talmente repellenti
che gli altri quarantenati vengono sbalzati via di qualche metro al solo
pensiero, eccetto Mino.
- Non temere amico mio, sono un ex-artificiere: ora ti disinnesco
io. Mi ricordo che a Cheren disattivai una spoletta Pistol n° 17 a
funzionamento ritardato. E so anche ricavare pratiche galosce dalle
buste di plastica della spesa!
Olga non si lascia sfuggire l’occasione di martellare.
- Pistol come il suo amico! Ritardato, intendo. Considerati i
problemi di pressione del suo compare, si potrebbe dire che siete un
bel western: due pistol per Sartano.
Marcello il macellaio cerca di rendersi utile.
- Io de vesciche ne capisco. Quelle de bbue e de maiale vanno
lavate bene e poi tenute a mollo ‘n giorno o ddue. Il cappone cotto in
vescica è la fine der monno.
Mino conferma.
- E’ vero! La mia povera Clara, che era una grande cuoca, sapeva
cucinarlo e veniva buonissimo. Lo vedi, Loris: non tutti i mali sono
per nuocere, alcuni sono per cuocere.
Loris arriccia le linee d’espressione del volto disegnando un punto
interrogativo, col punto coerentemente molto gonfio, e si domanda tra
sé e sé cosa bisognerebbe cuocere nella sua vescica, ma tace prudente,
e anche demente, mentre Marcello incalza.
- Il segreto è tutto ner fà ‘n’incisione sopra ‘a vescica e méttece un
cannello lungo ‘n palmo, che faccia da sfogo.
S’avvia deciso verso la macelleria e torna con un coltellaccio, uno
spiedo e un tubicino metallico. Non fa in tempo a mettersi al lavoro
che Loris s’è già pisciato sotto, sommessamente e senza zampilli,
diluendo il pozzo nero circostante in una sorta di burro mal
chiarificato nonché scaduto da tre anni.
I presenti saltellano come tarantolati per paura di bagnarsi e di
prendere infezioni, ché già basta la polvere bianca che ha generato
tutto questo casino.
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Dana con un saltellone dei suoi a seno libero, misurabili in 6.7
gradi della scala Richter, demolisce completamente la piramide di
frutta fosforescente della cooperativa agricola ucrainosanpirlotterese
di Fruttuoso Sfruttatoski, edificata con tanta pazienza da Paolo, e
infilza con un capezzolo un ananas forse troppo maturo. Don Deno,
testimone del crollo da lontano, pensa con compassione mista ad
imprenditorialità commerciale al riciclaggio della conseguente
marmellata in appositi graziosi vasetti da notte e già vede il lancio
pubblicitario: la Marmerdallata del Grand Marchè.
P.Uzzone stizzisce, indeciso se smadonnare per tutto il lavoro di
piramidaggio andato in fumo o per la contingenza attuale: opta per la
contingenza, bloccata per i prossimi due anni con pianti e stridor di
denti dei pensionati con dentiera.
- Eccheccazzo! Anche se ho l’olfatto temprato dai miasmi più
fetidi, le mie fosse nasali stanno avendo una crisi d’identità: sono
ormai convinte d’essere fosse biologiche!
Olga rincula, terrorizzata.
- Orrore! La sedimentazione di acque nere e grigie nelle braghe di
queste carcasse umane consentirà la fermentazione dei materiali
organici solubili ad opera dei batteri anaerobi contenuti nei liquami!
L’urlo di raccapriccio attira altri clienti in quarantena, raccolti
attorno alla figura mistica di Don Deno che puntella
precauzionalmente le piramidi di barattoli nella corsia dei cibi in
scatola. Il prete s’avvicina.
- Oh mio signore Iddio, altro che il tanfo di zolfo dell’inferno!
L’ultima fornitura di fagiolo cannellino “dente di morto” di Acerra
dev’essere in avanzato stato di putrefazione.
- Non è soltanto questo, padre. Il contributo maggiore si deve ai
due geronti incontinenti.
Olga ammicca in direzione di Mino e Loris che abbozzano un
sorriso verso il prete facendo ciao con la manina.
- Io e il mio amico Loris non abbiamo più l’età per reggere lo
stress e lo spavento.
Loris ratifica l’affermazione mollando un vento umido di
squacchera mentre un esile filo di bava gli cola giù dal labbro inferiore
e solca il turbamento. Don Deno gli impone tosto il crocefisso e
inscena un esorcismo.
- Vade retro, maligno, esci da questo corpo!
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- Aaargh! Per carità, padre!! Che resti dentro! E già fin troppo ciò
che è uscito!
Replicano in coro Olga, Uzzone e Marcello.
Alle spalle del prete fanno capolino due donne: una è la
professoressa del paese, Leda Vanodieci, laureata in lettere antiche,
predestinata fin da bambina a brillare negli studi; l’altra è una signora
anonima di mezz’età, Alba Moltosci, che tiene per mano il figlio, un
ragazzino paffutello al limite dell’obeso che tutti al paese chiamano
Ovo anche se il vero nome è Ivo. Il bimbo, ancora innocente, batte le
mani felice perché ha individuato nei presenti, e soprattutto nella
puzza di alcuni presenti, i nani da giardino che fanno tanta allegria
negli spot pubblicitari delle pasticche per lo spurgo delle fosse
biologiche, in onda poco opportunamente verso l’ora di cena: puzz,
puzz, che spuzz, aiut, fancul, maronn che tanf, puzz, puzz.
P.Uzzone, leggermente permaloso, chiede lumi.
- Ehi, dove diavolo eravate nascosti fino ad ora?
Don Deno alza gli occhi al cielo e compie con lo sguardo due
avvitamenti mistici per poi attetterrare morbido sui seni di Dana.
Leda s’incarica di dare le dovute spiegazioni.
- Stavamo recitando il rosario tutti insieme: abbiamo aperto delle
lattine di mais e usato i grani per segnare le corone.
Il coro greco degli altri clienti si genuflette sullo sfondo
segnandosi ripetutamente e intona ferale, con tenorino che recita
l’incipit.
- Ave Maria, ora più mais, ave Maria, ora più mais, eccetera,
eccetera…
La professoressa Vanodieci ammicca e piega a boomerang
l’angolo dell’occhio destro. Gli sguardi di tutti tornano indietro oltre
le spalle della donna, dove svetta dolomitica una montagna dorata di
chicchi di mais. P.Uzzone strabuzza gli occhi, stupito che don Deno
abbia potuto acconsentire a un tale spreco.
- Maccheccazz…
Il prete, tuttavia, non dà segni di vita, assopito com’è sopra i seni
di Dana. Marcello approfitta dell’occasione per sfottere l’ingegno di
Leda, additando un punto a metà strada tra la professoressa e la
montagna di mais.
- Anvedi che cima! Eh, eh… Ahò, nun la scala manco Maissner!
La donna non reagisce: si sente in colpa e mugola in silenzio al
pensiero di autoflagellazioni a venire. Difatti ammette.
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- Troppo mais. Per la figurazione allegorica delle Ave Maria, più
che il mais, avremmo potuto utilizzare delle olive nere.
E detto fatto, dispone con ordine una manciata di olive nere sulla
sommità della montagna formando una croce. Poi prega.
- Resta con noi, Signore, la sera: non lasciarci mais.
Marcello non riesce a trattenere un ulteriore moto di sarcasmo.
- Interessante, anche si nun è la Madonna Nera de Cestocollova. Si
vv’è utile, c’avrebbe ‘na colonna vertebbrale de vitello appena
disossata.
Loris, nel frattempo, ha un sussulto di lucidità, comunque
insufficiente a fargli recuperare un minimo di coscienza sulle
fenomenologie di causa ed effetto. Assume la classica aria offesa da
‘Lei non sa chi sono io’ e sbotta.
- Oddio, cos’è questo fetore?
Dana non fa in tempo a rimuginare “mamma mia, questo è uscito
di senno” che per una sorta di empatica somatizzazione un seno le
esce dalla scollatura ed entra nei sogni di don Deno. La donna sospira,
argina l’esondazione e prova a scherzaci su.
- Forse è il formaggio di malga Mortirolo, stagionato due anni in
casse di pino…
Olga richiama tutti all’ordine sardonica.
- Mio zio Pino in cassa da morto, eh! Che eufemismo chiamare
tutto questo semplicemente ‘fetore’. Bisogna trovare una soluzione: lei
cosa ne dice padre?
Don Deno apre un occhio.
- Ora che ci penso… Mio fratello Dino aveva acquistato uno stock
di pannoloni! Ci deve essere una promozione da qualche parte.
P.Uzzone e Marcello partono decisi alla ricerca e ritornano poco
dopo trionfanti con due pacchi di pannoloni.
- Che strana marca. Mai sentita. Mah: made in Pigalle - Paris –
France.
Marcello legge il nome della ditta e conferma.
- Già: “Pompannolon”. Dove diavolo li pescherà quer trafficone
de su’ fratello, ‘ste sottomarche?
Strappano la plastica dell’imballaggio, colore fucsia anonimo
senza contrassegni come per i vibratori o le attrezzature ‘enlarge your
penis’, e aprono il pannolone. Stupore generale: sulla metà anteriore
del tessuto filtrante interno è stampigliato il volto della famosa
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pornodiva Nella Sgualdri con le labbra rosso fuoco, a bocca aperta,
leggermente in rilievo, assolutamente morbistente.
E adesso a chi toccherà l’ingrato compito di accudire i due poveri
vecchi putrescenti? Tutti si volgono verso la professoressa Leda
Vanodieci, la cui solida formazione umanistica ben si sposa ad una
spiccata sensibilità d’animo, tanto che a San Pirlottero della Credenza
gira voce che sia la persona più caritatevole del mondo.
La donna abbassa pudica lo sguardo gonfio di cristiana pietà e
mormora tra i denti, quasi inintelligibile.
- Accidentaccio a questi due pezzi di merda che camminano.
Poi si illumina di un sorriso radioso da jena ridens con paresi e
s’accosta ai due residuati rimboccandosi le maniche.
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2. Prima divagazione. La quiete prima della tempesta e
ritratto di cassiera.
L’unico luogo di aggregazione della comunità agreste di San
Pirlottero della Credenza, a parte la golena del fiume più adatta per
appartarsi a pomiciare, è il supermercato o, per come viene chiamato
dalla comunità stessa, il Grande Marcio.
Il Grande Marcio è un basso fabbricato in cemento, isolato,
piuttosto ampio e quasi privo di vetrate, cresciuto come un neo
verrucoso nella piega dei seni tra le due morbide colline su cui sorge il
centro storico del paese. Attorno all’edificio è stato ricavato un
parcheggio così angusto che quando un cliente resta incastrato tra due
auto con le sacche della spesa dev’essere liberato col filo interdentale.
Al centro del parcheggio troneggia un’unica tettoia piena di carrelli
dotati di ruotine particolarmente strabiche: basti sapere che l’anno
precedente la buonanima della signora Cesira, puntando diritto verso
le porte del supermercato, imboccò invece l’autostrada, due chilometri
più a valle. Purtroppo contromano.
Il nomignolo del supermercato non deriva dal suo aspetto, ma
dalle alterne fortune dei suoi proprietari, i fratelli Deno: il minore
Dino, usuraio e puttaniere da gara regolamentare, e il maggiore
Danilo, prete alquanto suonato, detto Din Don Dan Deno. Nonostante
le diverse scelte di vita, i concittadini di San Pirlottero sono soliti
accomunarli nell’appellativo di Duo Deno, un po’ perché avevano
combattuto in gioventù una lunga lotta intestina per l’eredità del
padre e un po’ per la qualità infimerdacea delle merci nel loro
negozio.
I due fratelli vissero a lungo in Francia dove maturarono
esperienze imprenditoriali nell’ambito commerciale. Ritornati al
paesello natìo, decisero di aprire un supermercato che chiamarono
pomposamente in francese Le Grand Marché. I clienti, i sanpirlotteresi
creduloni, dopo discussioni accanite circa la freschezza delle verdure
in genere e dei latticini (le buone mozzarelle blu di una volta erano a
strisce viola e arancione oppure a pois verdi), avevano ribattezzato il
luogo come il Grande Marcio. Tuttavia continuavano a frequentarlo
per i loro approvvigionamenti, forse per abitudine o forse perché il
concorrente più vicino era a diciassette chilometri di distanza.
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Negli ultimi mesi i momenti di aggregazione hanno vissuto di alti
e bassi, soprattutto bassi verso la fine del mese, e i due fratelli hanno
cercato di rialzare interessi e curiosità con promozioni o speciali
offerte.
Epica, poco tempo fa, la settimana di lancio della mortadella Della
Morta, l’unica vera di maiala cresciuta, pasciuta e lavorata con
passione e a mano solamente con metodi naturali in un casino. Don
Deno aveva dedicato buona parte dell’omelia della messa domenicale
a pubblicizzare la promozione decantando con plateale campanilismo
il “rintocco celestiale delle papille gustative nell’ingoio del salume”. I
fedeli più smaliziati non avevano potuto fare a meno di sorridere.
Immaginavano il funerale del buon gusto, con le campane che
suonavano a “morta”, anche perché sotto la tonaca del prete intento a
pompare la promozione s’intuiva un certo rigor mortadellis. Quel
lunedì, al banco degli affettati, i villici ancora ridacchiavano nel
richiedere panini con la mortadella Della Morta e si toccavano anche
le balle, poi annusavano e assaggiavano. Sputazzavano qualche setola
o pelo, scarto di genuina lavorazione artigianale, e gorgheggiavano
ruttacchiando felici e anche ebbri di vino novello Mestruello in offerta
mensile ritardata ad arte di quattro giorni, con in omaggio
l’assorbente interno Attampax, utile per mantenere fragrante il vino
nella bottiglia stappata.
***
Dana Rospicciolo è la cassiera del Grand Marché.
Ha caratteristiche strettamente correlate tra loro: è una donna
sensibile e materna, compassionevole e di animo buono.
E ha un seno enorme che sfiora la decima misura, materno e
mammario anch’esso, per l’appunto.
Quattordicenne, già portatrice sana di una sesta abbondante,
Dana era complessata e usciva di casa raramente per paura dei frizzi e
dei lazzi, oltre che del resto, dei suoi coetanei che la seguivano in
codazzo schiumando libidine violenta. Trascorreva la maggior parte
del tempo in casa a leggere trattati di geologia sulla tettonica a zolle,
per non pensare, e a dormire.
Quando si accingeva a dormire, e lei dormiva spesso a pancia in
giù, sprimacciava il seno come quattro o cinque morbidi cuscini, e
cercava di sognare un affascinante principe azzurro. Si eccitava nel
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sonno e bucava spesso il materasso con sfregamenti scomposti dei due
capezzoli sviluppati coerentemente con quei meloni dei mammelloni.
Verso i vent’anni, passati a piangere sul suo latte versato per tutta
casa ad ogni movimento, fu notata alla festa del santo patrono del
paese, San Pirlottero della Credenza, dai due fratelli Deno che stavano
per aprire il loro supermercato.
Dino s’accese di incontenibile desiderio per la tetta sinistra e il
fratello prete, Don Danilo Deno, cercò invano di resistere alla
tentazione della carne riguardo alla tetta destra.
Dino, pur molto esperto di femmine nella vita, non aveva mai
visto nulla di zymil e accarezzava idee commercialmalsane di banchi
di latticini e provole dolci, e pure affumicate per ogni suo pacchetto di
senza filtro.
Don Deno, invece, si lasciò travolgere dalla gioiosa sensualità
della Genesi e dalle sue immagini relative a covoni di grano e grappoli
d’uva, ma fu tradito da un’erezione miracolourdesica con fumi
d’incenso e coro soprannaturale di strafatti da fumo e fu costretto a
scappare in canonica per fustigarsi in penitenza l’impenitente rubizzo.
Il destino, tuttavia, fa e disfa: Dana cercava un posto di lavoro e il
Duo Deno cercava una cassiera.
La provarono: lei cercava di battere i tasti della cassa districandosi
tra le sue tette e i due fratelli, uno a destra e l’altro a sinistra, la
pastrugnavano con incoraggiamenti e rivoli di bava come se
dovessero preparare la panna cotta. Dopo un breve periodo di
tettutoraggio, i fratelli Deno erano così entusiasti che la assunsero a
tempo indeterminato, ammammaliati da come la donna riuscisse a
fare scontrini senza colpo ferire, grazie ai suoi poderosi airbarg.
Dana, personcina intelligente, lasciò l’università e abbandonò i
suoi sogni di diventare architetta rassegnandosi alla realtà tangibile
che non si può andare contro natura: aveva le tette enormi e sapeva
che un bel davanzale piace agli uomini. Tanto valeva farsene una
ragione e accettare le 5 stelle dell’Euroncap per lo scontro frontale a 50
chilometri all’ora, davanti a Mercedes e Volvo.
Imparò dunque ad aprire la cassa con una capezzolata e a
strappare lo scontrino con un colpo d’anca circumnavigando di
slancio quello che pareva un puff sospeso in aria. Nel presente, con
cura da pasticcera, si fa spesso montare a neve dai due fratelli con
qualche gemito parzialmente scremato, e sono ormai alcuni anni che
lavora felicemente alla cassa del supermercato con la sola piccola
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angoscia del doversi muovere tra gli scaffali, ché più volte ha ribaltato
con le tette piramidi di yogurth, forse per empatia, o pile altissime di
scatole di biscotti al latte che, orfanelli, cercavano la loro mamma.
E’ inutile aggiungere che, nell’ambito della abituale misteriosa
approssimazione di origine delle merci in vendita al Grande Marcio, è
stato istituito un banco latte fresco Dana-col senza che la centrale della
cooperativa ne sia stata avvertita.
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3. Un passo indietro per fare la spesa: e salvo l’acquisto.
Ore 9.30 del primo giorno
La signora Olga Binetto Lindo infila i guanti in lattice, sfila un
carrello ed entra di sghimbescio nel supermercato. Un vecchio
pensionato alla ricerca dei pannoloni perduti, sopraffatto da spasmi
artrosici, perde il controllo del mezzo in piena curva e la sperona
all’altezza delle arachidi.
- Oh! Mi scusi signora. Non m’è riuscita la sbandata controllata.
- Razza d’arteriosclerotico! Altro che spesa! Alla sua età dovrebbe
girare solo col carrello deambulatore.
Mino incassa e nel contempo un po’ s’incassa.
Alla cassa Dana Rospicciolo si agita perché odia vedere la gente
litigare e si dimena ribaltando con una sisa l’intero tabernacolo delle
mentine e delle lamette da barba.
Il vecchio rivanga antiche glorie per difendersi.
- Cara signora, lei mi manca di rispetto. Io ho fatto la guerra, sa?
Ho combattuto in Africa. Le dicono niente Adua, Asmara o Massaua?
- Massì, massù, massà: Massaia! Mi dice qualcosa: mi ricorda che
ho mille cose da fare. Oggi ho pulito il bagno solo una volta! Non ho
mica tempo da perdere! Altro che guerre d’epoca: qui siamo in guerra
adesso!
- Non esageriamo. Però in effetti ieri sera una pubblicità diceva
che Marina ha dichiarato guerra al colesterolo o alla cellulite, non
ricordo bene.
- Macché cellulite! La Marina ha dichiarato guerra agli scafisti e
agli sbarchi clandestini, per fortuna.
Mino rimugina perplesso quindi chiosa sibilante, non ancora
abituato alla dentiera.
- Boh, vattelapesca su chi dichiara cosa. Un tenente di marina mio
amico gira in BMW eppure risulta nullatenente. Ormai siamo costretti
a fare dell’equilibrismo dialettico sul nulla. E senza rete!
Atterrita dall’accalorato sputacchiare dall’anziano a fuoco di
copertura sul concetto espresso, in piena fame d’aria, Olga esegue un
carpiato all’indietro sbalzando il proprio iPhone iCloud iGiene a
banda illimitata fuori dalla tasca destra. Subito lo soccorre con mani
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tremanti e gli pratica un massaggio cardiaco sul display retina
touchscreen. Sospiro di sollievo: pare ancora vivo, eppure…
- Aaah! Cazzarolla rollata. Manca il segnale, non c’è copertura,
non c’è tacca, nemmeno quella di lupo. Aarrgh siamo orfani nell’etere!
Che stia arrivando un terremoto? Una tempesta solare? Un attacco
alieno?
Continua a digitare invano mentre si sposta a balzelloni come
l’Olivia di Braccio di Ferro alla ricerca di uno spillo di tacco che latita
dappertutto all’interno del supermercato. Urla come un’invasata
esorcizzata con acqua santa all’acido solforico.
Altri clienti la imitano febbrili, pallidi e già in crisi d’astinenza da
T9: è tutto un picchiettare su tastiere che languono per poi defungere
in un ultimo lampo con musichetta finale. Il coro greco dei lassativati
va a nozze e intona un samsung samsung samsung sony de profundis,
ora pro nokia.
Dana conferma a tutti i presenti dalle dita atrofizzate.
- Da stamattina stranamente non c’è campo da nessuna parte qui:
è già grazia di Dio se abbiamo la linea fissa. Non funziona neanche il
collegamento a internet e qualcuno, detto inter nos, è in grave crisi di
astinenza per il fatto di non potersi collegare ogni minuto a
www.wiwalagnocca.orgasm. L’è propri una zona depressa, questa,
signora mia.
Il corifeo, ormai sempre più una banda trista di poveri disgraziati
aggrappati ai carrelli, intona, stavolta in chiave di basso.
- Come farete, come farete, qui non c’è rete: comunque il mondo è
bello, se riempi il tuo carrello. In alto i cuooor!
Olga recupera un minimo di lucidità, ovvero quanto le basta per
esternare nuovamente i suoi deliri.
- No, la rete c’è, ma è invisibile come altre cose. Sono pure
convinta che esista una rete internazionale dell’immigrazione
clandestina: a voler pescare nel torbido c’è davvero troppo pesce, che
puzza, e tanta carne al fuoco. Ormai siamo presi in mezzo: da un lato
gli sporchi negri, dall’altro lo sporco invisibile, appunto come la rete.
Mino è perplesso.
- Non capisco.
- Ohi, lo dicevo che è arteriosclerotico! Si sono alleati tutti per
fregarci, tipo l’invasione degli ultracorpi: come diavolo facciamo poi a
riconoscere eserciti di sporchi negri invisibili?
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Il vecchio non ha capito quasi niente, ma il tono adirato della
donna gli suggerisce che lo stia offendendo nuovamente.
- Cara signora, lei mi manca di rispetto. Io ho fatto la guerra, sa?
Ho combattuto in Africa. Le dicono niente Adua, Asmara o Massaua?
Olga squadra il vecchio sogghignando.
- Questa cosa del rispetto: ci ripetiamo? Cervello sempre
accampato a Massaua oppure ormai cervello massello, bello legnoso e
un poco tarlato? E…
S’incanta di colpo: un formicolio al cuore e il vago presentimento
che stia per arrivare il suo annuncio pubblicitario preferito. Si
protende in ascolto.
- Glin glòòòn: comprate Scor Soia, i gustosi germogli di soja della
fattoria Sole delle Alpi, annodati a mano uno per uno, per un sapore
davvero unico, che lega la lingua. Fai un nodo al fazzoletto e ricorda: Scor
Soia, un germoglio tira l’altro, e il cappio si stringe per un gusto davvero
impiccabile. In ogni confezione, in omaggio, un simpatico pupazzetto di
clandestino da appendere per il collo allo specchietto della tua auto!
Di punto interrogativo in bianco, il pensionato porge la mano ad
Olga.
- Buongiorno, signora. Qual buon vento? Permetta che mi
presenti: Mino Mericordo, pensionato con la minima.
- Intesa come minima lucidità mentale e minima voglia di
continuare a vivere? Oddio, certo che la vita dev’essere ben grama
quando si è così rincoglioniti.
- Non è la vita in sé che merita rispetto, ma la capacità di pensarlo,
ecco, quella sì.
- Sempre che ci si ricordi di pensare, caro il mio braghemolli.
- No, no, no, cara signora: è molto più importante ricordarsi di
dimenticare. La quiete interiore è data dalla mescolanza di buona
fantasia e cattiva memoria.
Olga squadra perplessa il pensionato. Mino prosegue con sguardo
a metà tra il rapito e lo stralunato.
- Non ho nulla contro la memoria, sia chiaro. Basta che non mi
ritorni in mente.
- Ossignur, ci mancava il cantauterrone Lucio Battisti, adesso!
Il corifeo dei clienti rimasti in piedi dopo l’assaggio del goloso
confetto lassativo Lassa Perdere, si organizza alla grande e mugola
con trasporto mistico un ‘Mi ritorni in mente, bella come mai, un
angelo caduto in volooo…’ con sezioni amalgamate di soprani, tenori,
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baritoni e basso. Paolo Uzzone li guarda trasognato: li sente simili,
tutti neri, austeri, vagamente sinistri.
- Beh, signora, sempre meglio di Cesare, no?
- Per la caritààà! Io prego San Bossino e lei mi cita Samba
Assassino: la si vergogni, cariatide.
Loris mette fine al siparietto lamentando un riacutizzarsi del
dolore all’anca destra.
- Fate un po’ di silenzio, per piacere, ché mi duole la protesi.
Mino osserva stupito l’amico pensionato.
- L’hai fatta, poi, la protesi, allora! Non mi avevi detto niente.
- No: mi avevano fissato l’intervento, ma sono andato al mercato e
mi è passato di mente.
- M-ma se hai appena detto che...
- Evvabbè, si vede che mi ero dimenticato di essermi dimenticato,
però il dolore della protesi lo sento lo stesso: come quello dell’arto
fantasma.
- Capisco.
P.Uzzone offre mezza bustina di antinfiammatorio riesumata
dalla campana dei farmaci scaduti. Secco il rifiuto di Loris, da smaltire
nell’idoneo bidone.
- Grazie, ma non c’è bisogno. Ora abbasso il volume
dell’Amplifon, così lo sento meno. Il dolore, intendo.
Tutto s’attutisce. Poco più oltre, due sacchetti di biscotti di
Cristina Davena, protesi nel vuoto in precario equilibrio senza
mobilità, precipitano oltre lo scaffale con tonfo puffoso rimbalzando
su pacchi enormi di ovatta mimetica per cavallo di pantalone di
tamarro da balera.
D’un tratto: bradabooom! Rombo di tuono all’orizzonte. La luce
fulvo-sbieca che preannuncia il temporale piove giù dai lucernai
sfumando di riverberi sinistri il balenare gelido dei neon. Il ronzio
metallico del banco frigo sfrigola facendosi un po’ più stridente.
Odore di cavolfiore elettrico bruciato.
- Glin glòòòn: si ricorda ai gentili consumatori che è iniziata l’offerta
di aceto Faceto, l’aceto di riso proveniente dai pregiati vitigni della
ridente valle del Serio. In omaggio, con ogni confezione, un ‘opusculu’
delle migliori barzellette del grande cabarettista rumeno Niko Malinko,
tradotte in polacco ameno!
All’ultimo messaggio di offerta speciale, un moto d’orgoglio
pervade una dimessa coppietta transilvanica con bimbo curioso che
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tutto tocca e distrugge, seminascosta col carrello in penombra tra lo
scatolame delle polveri per dentiere e i sanguinacci imbustati in
confezioni da tre litri.
- Oh, il grande Malinko, nostro compatriotu: lo conoscono anche
qui, cara Filomenosofia! Dovremmo essere fieri del nostro essere
rumaneschi.
- E’ davvero un mito, in effetti, caro il mio Dragon Ballu.
E ride di gusto con sguardo semplice e denti guasti nel vedere suo
marito aggrottare la fronte stupito come un cartone animato. Il bimbo
della coppia, invece, poco sorvegliato, smonta ad unghiate
sporchissime una confezione floreale da regalo di denti di leone e
succhia tutta l’avena dei biscotti ai cinque cereali. Dana,
capolineggiando dalle tette, lo scorge da lontano, ma lascia correre
con materna indulgenza: tanto sa che poi verranno venduti come
biscotti ai quattro cereali, ché al Gran Marché tutto si ricicla e nulla si
butta.
Due saette schiantano fulminee al suolo impiccandosi al
parafulmine del campanile di San Pirlottero. L’illuminazione elettrica
vacilla ed ombre raccapriccianti balzano fuori dai recessi più reconditi
degli scaffali: una zombietola putrefatta riemerge sanguinante dalla
sua vaschetta in polistirolo ottenendo un ruolo da comparsa nel film
“Il ritorno degli orti viventi nella valle dei morti”; Loris Cordo ha
addirittura l’impressione di veder uscire dal sepolcro del banco
latteria, coperta di muffa verde, la mummia di tutanCamembert.
Brieee: che impressione! In realtà è solo un gioco di luci che trasfigura
mitologicamente il vello del camoscio d’oro.
Prima che il buio s’impadronisca fatalmente della mente dei
clienti, la luce bianca dei neon del supermercato torna a flashare
agghiacciante dall’alto e stende di nuovo un manto di nitore asettico
sugli scaffali. Purtroppo lo sbalzo di tensione tira il collo al bianco
banco frigo che, dopo aver emesso tre acuti sibili di fusibili, s’accende
una sigaretta e inizia a fumare, muto e pensieroso come un senatore
responsabile appena deresponsabilizzato.
Il coro dei clienti solfeggia uno yodler disperato in chiave di fa
paura be-molle: ooohh…
Fuori piove a goccioloni.
- Glin glòòòòn: Marcello al banco frigo, con urgenza.
Il macellaio s’appropinqua a passo lento e strascicato pulendosi le
mani insanguinate sul grembiule color giallo brufolo maturo.
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- Ancora ‘sti cazzi de fusibbili. Come glielo devo da dì a Don
Deno!? ‘Sto frigo è pronto pe l’estrema unzione. M’anvedi quant’è
pallido! Je ce vorebbe ‘na bella fiorentina ar sangue. Ahr, ahr...
Dragon Ballu e signora, poco distanti, annuiscono esageratamente
con un sorriso carico d’acquolina e uno sguardo da Ezechiele Lupo
Mannaro: anche loro gradirebbero. Lino, il loro figliolo, defilato in
penombra, è troppo impegnato per sentire: sta stracciando le budella
dei cotechini per strizzarne il contenuto in bocca come un dentifricio.
Marcello apre lo sportellino fumante del frigo e armeggia con la
flebo rinvigorendolo con una pronta trasfusione di trasfusibili. Alle
sue spalle, la signora Binetto Lindo contempla i bicipiti vigorosi del
macellaio affaccendato nella riparazione.
- Com’è bravo lei, Marcello. Mi sa che sa proprio fare tutto.
- Come no. Je farei de tutto pure a lei, sora Olga.
Olga arrossisce, a mezza via tra il pruriginoso e l’irritato, in realtà
menopausico, poi spinge il suo carrello verso destra, andando dritta: il
temporaneon black out l’ha un po’ disorientata. Dov’era rimasta? Ah,
sì: le fette biscottate. S’avvia decisa verso lo scaffale.
- Glin glòòòòn: E’ morto il nonno? Una zia? Un cugino? Il
canarino? La moglie? Un figlio? Il marito? La suocera? Il cognato? La
speranza? Il cane? La bisnonna? Ogni occasione è buona per regalare al
caro estinto un trattamento nei centri estetici di qualità superiore delle
pompe funebri Abracadavere di Botu Lino. I nostri visagisti sono veri
maghi della tanatoprassi, capaci di resuscitare anche i morti. Pompe
funebri Abracadavere di Botu Lino, in via Di Decomposizione 47, a San
Pirlottero della Credenza.
Orroreee! In fondo alla corsia, sullo scaffale, si staglia monolitica
un’unica confezione superstite di fette biscottate Ibiscottin, la marca
preferita di Olga, l’esclusiva linea di prodotti padani da forno ai fiori
di ibisco, ricchi di vitamine e noti per aumentare le difese immunitarie
contro gli extracomunitari. La donna si guarda intorno ferina, pronta
ad azzannare qualsiasi incauto consumatore che cercasse di soffiarle la
confezione rimasta.
Ariorroreee!
Proprio sotto ai suoi occhi quel dannato keniota mutante di Olaf
sta per arraffare e depositare nel proprio carrello le sue amate fette
biscottate con quelle manacce nere nere. Non sia mai!
Quel coglionero forse non sa nemmeno leggere e confonde le fette
biscottate Ibiscottin con lo stinco al forno di ibis Cottin con karkadè,
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una di quelle specialità aborrevoli del corno d’Africa, nello scaffale
etnicorno d’africa, da cui lei si tiene assai distante.
Olga dimentica le sue ascendenze nobiliari, calza gli stivali delle
sette leghe e invoca sia il Bossino nostrano che il Bossone di Higgs. Poi
scatta più veloce della luce generando un BANG supersonico per
tagliare fuori il contendente, così che riesce a piantare per prima le
unghie laccate sulle fette biscottate. Il botto suddetto, nel casuale
coincidente silenzio dei presenti innocenti, associato alla pausa della
radio interna, rimbomba più del normale e attira sguardi da varie
direzioni, nel preciso istante in cui anche Olaf riesce a mettere le mani
sulla confezione.
- Molla l’osso, Kunta-Kinte! Le ho viste e prese prima io. E tu hai
sbagliato: il tuo ibis è più in là, cannibale!
- Eh, no, signora mia. Non strav’olga la realtà: ché non le tocchi
dire davvero che le ha prese: io adoro proprio le fette biscottate
all’ibisco. All’ibisco alle sue reazioni.
Agita in aria, minaccioso, un manrovescio a badile, pronto a
calarlo sulla donna. Olga dal canto suo non molla e tira a sé con
rinnovata energia la confezione contesa.
- Che figlio di keniota! Molla!
- Se insiste, va a finire che il keniota lo molla per davvero, ‘sto
sganassone!
E tira tu che tiro anch’io, la tensione cresce fino a lacerarsi con uno
stràppete!
La confezione di biscottate s’apre in due lanciando un alto sbuffo
di polvere bianca che si sperde nell’aria in piccoli fiocchi di neve tra i
fiocchi d’avena e i fiocchi di patate per il purè istantaneo: tutto un
fioccare da strano presepio.
Olga Binetto Lindo, da brava maniaca dell’ordine e della pulizia,
inorridisce all’immagine per lei blasfema e prorompe in un rantolo
nervoso di protesta.
- Aaarrrggghhh , è l’inizio della fine!
Interloquisce Marcello il macellaio, da dietro la sua vetrina
bancone drappeggiata di fegatini, trippe e girelli, con un discreto
girello di marroni per quelle urla disumane che spaventano la
clientela.
- Signò, che succede?
Olga è un fiume in piena.
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- Il disordine e la sporcizia stanno conquistando il mondo:
fuoriescono dal bagno, loro sede naturale, e invadono la terra padana
nell’indifferenza delle forze preposte all’ordine e alla disciplina.
Ognuno fa come gli pare. Siamo ostaggi in casa nostra. La colpa è
tutta dei negri! Dei negri e degli arabi: sono sporchi, portano malattie,
non hanno voglia di fare nulla. Oh, San Bossino! Ci stanno
distruggendo dall’interno. E questa polvere, adesso, cosa sarà?
Probabile che sia una loro droga o comunque qualche terribile arma
segreta mussulmana. Oddio! Oddiooo! Aiutooo! Chiamo subito i
Carabinieri. Sì sì sì! Aiutooo! Dov’è il telefono fisso? D-o-v-e è q-u-e-st-o c-a-z-z-o-b-u-b-b-o-l-o d-i t-e-l-e-f-o-n-o f-i-s-s-o p-e-r f-a-v-o-r-e-e-eh?
Olga è così sconvolta che regredisce nella scala evolutiva a
proscimmia fino a trovare quasi impossibile schiacciare col pollice
inopportunamente inopponibile il suo iPhone esanime. Svanisce così
anche la più tenue speranza di prendere la linea, per cui la donna
occhieggia intorno alla ricerca del telefono fisso del supermercato.
Bingo! Lo intravede seminascosto sotto le enormi tette della cassiera e
si fionda con insospettate energie ad abbrancarlo.
Dana invoca un minimo di attenzione, ma non fa in tempo a
metterla in guardia.
- Attetta!
Nella fretta, senza volerlo, Olga munge Dana. La Rospicciolo
muggisce di dolore schizzacchiando qua e là zampilli lattescenti. Il
macellaio, non avendo compreso bene cosa stia accadendo, lascia
nuovamente la sua postazione per verificare di persona e tentare di
ricomporre gli animi.
- E annamo signora: ecché sarà mai successo… Nun me sembra er
caso. Ma che d’è? Piove latte?
La Binetto riesce a comporre il numero ed esordisce senza
neanche un buongiorno.
- Aiuto! Carabinieri! Poliziaaa! Siamo sotto attacco chimicobatteriologico!
Poi s’accascia rantolante con la bava alla bocca. Olaf arretra,
preoccupato di avere le phisique du role del capro espiatorio.
- Non l’ho toccata, giuro.
Marcello fatica a raccapezzarsi nel pandemonio generale. Si
guarda attorno e cerca di individuare il motivo di tanta agitazione:
magari qualcuno ha scoperto che si rifornisce di rognoni presso le
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pompe funebri locali. E comunque, con tutto il bailamme messo su da
questa psicopatica bavosa, c’è il rischio concreto che i NAS vengano a
ficcare il NASo nel retrobottega del suo banco macelleria!
Subito si defila guardingo raggiungendo il magazzino, deciso a
far sparire le prove: solleva di peso sei carcasse di mele renette e le
getta in un pecorino di fossa comune. Poi camuffa l’avvenuta
sepoltura sotto uno strato di zucchero a velo e uno di acciughe
accuratamente decapitate per depistare i cani da ricerca. Quindi torna
in corsia per tentare di nuovo a calmare la cliente.
- A signò, lasci stare: è tutto sotto controllo.
- No! No, è la fine! Pronto? Pronto? Parla Binetto Lindo! Pronto?
Ho bisogno di parlare con urgenza con il Maresciallo Bepi. Presto!
Presto o sarà una strage!
La nobildonna non sa dell’avvicendamento al Comando della
locale Stazione dei Carabinieri tra il vecchio Maresciallo Bepi, suo
cugino di terzo grado, di Bassano del Grappa, e Omar Esciallo,
trasferito dalla locale stazione di Nola da pochissimi giorni,
marocchinapoletano di madre nativa di Mergellina, Lina Mergel, e di
padre di Marrakesh, Polisario Esciallo, un ex combattente
indipendentista marocchino dal nome italianizzato dopo anni di
permanenza in Campania. Si chiamava Polisario Insciallà, ma la
proverbiale socievolezza napoletana lo ha modellato in Polisario
Esciallo.
P.Uzzone e Olaf il keniota ne sono al corrente, invece, e si danno
di gomito ghignando e indicando lo scaffale dei datteri. Olaf strizza in
alternanza gli occhi bicromatici assumendo l’aspetto d’un semaforo
dadaista e disorienta i presenti.
Olga chioccia sempre più isterica.
- Pronto! Pronto? Bepi?
Dall’altra parte della linea una voce sconosciuta interloquisce con
inflessioni per Olga temute e poco comprese.
- Uèèè, calma, calma! Chippalla? Chi è all’apparecchie?
- Aiuto, aiuto, sono la signora Olga Binetto Lindo, dentro il
Grande Marcio. Non c’è il maresciallo Bepi?
- Uèèè, signò, il maresciallo Bepi è stato trasferito. Voi siete una
parente? Qui adesso ci song io, ‘o maresciallo Omar Esciallo. Ditemi
che succede, con calma.
- All’assedio, sono assediata, aiuto. Erano… Infette biscottate!
Erano infette biscottate!
31
- Calmatevi signò, nun se capisce gnente!
- Ossignur, ci mancava solo il carabiniere di Casamicciola: l’è
propri ‘n’epidemia. Senta… Ecco: sono la cugina del maresciallo Bepi,
stesso suo sangue bassanese, ci siamo capiti? Qui è fuoriuscita della
polvere strana dalle infette biscottate, le mie fette biscottate preferite
all’ibisco, quelle che intingo abitualmente nel thè verde al bergamotto
delle cinque dopo un prelavaggio nell’amuchina.
- Ma che sfaccimm’ state a dicere?
- Oh Madonnina delle nutrie, proteggici tu! Ma capisce l’italiano?
Siamo minacciati. Non bastano i negri, i rumeni trans e transilvani, gli
arabi, i carabinieri che non sanno parlare, i kommunisti e i plebei:
adesso abbiamo anche le polverine strane similequitaliche. Non ci
facciamo mancare nulla. Il Lazio ha la Polverini e pure noi dobbiamo
avere le polverine. O po(l)verina me! Rantolo e sbavo dall’orrore!
Detto e fatto: Olga s’accascia come una crescenza fuori dal frigo e
schiuma borborigmando frasi e luoghi comuni senza senso in ordine
sparso con sintassi carente.
Omar Esciallo, dall’altra parte, stravaccato sulla poltroncina in
finta finta pelle del suo ufficio, accarezza sogni di popolarità ed
eventuale annessa promozione sul campo per una corretta gestione
dell’emergenza. Già si immagina in feluca davanti al suo più illustre
concittadino al Quirinale per la medaglia al valore aggiunto.
- Passatemi gentilmente quaccun altro, signò.
Ma la linea è caduta. Nelle zone depresse succede spesso: qualche
linea cade, qualcun’altra si perde e così si fa la fine della cicciona in
terza fila nel coro greco dei clienti sulla tribunetta. La cicciona intona:
“Quando saremo fora, fora…” e il coro risponde similalpino “della
Valsuganaaa”.
Applausi a scena aperta da parte di tutti e inchino deferente del
coro con mano sul petto.
Il maresciallo, professionale, avverte immantinente il procuratore
aggiunto di turno, il dottor Aldo Vere Minchino, imbastisce le prime
operazioni bersagliando il suo appuntato Quagliarulo di ordini e
comandi spesso incoerenti e si precipita verso il piazzale del Grande
Marcio con la gazzella.
La sirena lacera l’aria e rompe pure le balle dei Sanpirlotteresi.
Qualcuno avvisa qualcun altro, a mo’ di catena di sant’Antonio, e
le voci si accavallano di gran galoppo fino a sfuggire a qualsiasi
controllo, giungendo alle orecchie di scaltri giornalisti.
32
Si inumidisce libidinosamente le labbra Lily Cavedano, la reporter
d’assalto di Tele Rigiro, mentre corre al suo pulmino con il
cameraman italoamericano Rip Rendo per dirigersi in tutta fretta a
San Pirlottero della Credenza.
S’illumina d’una strana aura Telemaco Mefaccio, l’inviato di Tele
Patia, che si teletrasporta sul posto con la mente e risparmia più che
col metano. Anche l’inviato di Tele Nuotizie segue la corrente, ma in
stile dorso per la dimenticanza, nella fretta, della maschera col
cannello. Lina Picco, dell’‘Eco della Bassa’, nel suo piccolo si organizza
per essere sul luogo, pur perdendo tempo nel dare direttive ai suoi
collaboratori, ché dalle sue parti l’eco è molto forte ed il suo
cameraman è pure sordastro.
- Sì, confermo, fermo, fermo… Di corsa al Grand Marché, che?
Che? Che?… Il paradiso dei buongustai, stai, stai, stai… Allora
partiamo o no? Mo no! Mo no!
E così nel piazzale si radunano i cosiddetti ‘addetti ai lavori’ e
mentre Omar Esciallo, tra i primi ad arrivare, dispone un cordone di
sicurezza intorno al Grande Marcio, accorrono curiosi, germogliano
venditori di panini, commercianti in souvenir, e si attendono quelli
della Protezione Civile per la messa cantata in sicurezza nonché quelli
della Scientifica con i loro bianchi scafandri per il prelievo della
polvere sospetta.
Il procuratore aggiunto Aldo Vere Minchino si aggiunge, per
l’appunto, al gruppo di gestione dell’emergenza, e confabula con il
maresciallo e l’ingegnere Enza Lemerg, della Protezione Civile.
Intercala precetti ed aforismi con scatti del capo che scuotono la sua
folta chioma da divo hollywoodiano, libera e bella grazie allo
shampoo Shampignòn, ricco d’aglio e prezzemolo, capace di far
risplendere i capelli alle trifolate di vento. Ha un aspetto triste, quasi
insensibile agli sguardi curiosi degli astanti, e sembra arrogante come
un onorevole pizzicato a ritirare una copia della Settimana
Enigmistica in abbonamento dalla cassetta delle lettere del suo
alloggio comperato a sua insaputa. Si torce nervosamente le mani
protette da guanti antiabbaglianti al cospetto dei giornalisti che lo
assediano e lo interrogano simultaneamente.
- Ha qualcosa da dichiarare, signor procuratore aggiunto?
L’uomo di legge sibila una delle sue famosissime sentenze con
aria grave e chioma leonina scossa.
- Qui gatta ci cova.
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Sospirano, inibiti ed ammirati, tutti gli astanti che lo conoscono di
persona e di fama, in unica esclamazione in coro.
- Minchia, Minchino, m’inchino! Anche se… Vuoi mettere la
chioma argentata di Caselli (non Caterina, n.d.r.)?
L’unica persona che non lo conosce, un paninaro di Frosinone
appena giunto con il suo furgoncino pieno di porchette e pagnotte
cotte a legna, esclama a sua volta.
- Me cojoni!
34
4. Seconda divagazione. L’origine di un odio e ritratto di
macellaio
Il rancore di Olga Binetto Lindo nei confronti di qualsiasi etnia
extrapadana ha radici profonde che culminarono qualche tempo fa a
seguito di una delusione cocente con l’arrivo in San Pirlottero della
Credenza di Olaf il keniota.
La nobildonna rimase prematuramente vedova di Mastro Lindo,
l’idrauliculturista del paese, perito sul lavoro affogando in una tazza
del cesso durante uno spurgo d’amarena: non aveva la cannuccia
antinfortunistica regolamentare. Fu una grave perdita per
l’idraulicultura della comunità e per la moglie regina del bon ton
improvvisamente sprofondata nel tombin. Fino ad allora Olga aveva
avuto soltanto qualche atteggiamento bonariamente paternalistico nei
confronti del popolo plebeo, senza distinzioni di pelle o cultura. Era
turbata da pensieri assillanti come la scelta del migliore deodorante
per il salotto (Salottod’oro, quello che andava per la maggiore, lo
considerava alquanto scarso) o della spugnetta più assorbente per il
lavello della cucina: il resto erano miserie umane da tollerare con
benevola pazienza.
Fino a quando non capitò in paese Olaf, appunto.
Il giovane fu inquadrato per la prima volta da Olga di spalle
mentre scaricava il bagaglio dalla corriera. La Binetto, in crisi di
astinenza vedovile, vide due spalle possenti innestate su un torace
atletico che confluiva in un vitino snello poggiante su due gambe
tornite come pilastri. Inquadrò una testa riccioluta biondissima e un
camminare elastico. Ebbe uno stranguglione ormonale prefigurando
cosa avrebbe potuto combinare con quel fotomodello appena arrivato,
neanche visto in faccia, già concupito per quel posteriore sodo e
sporgente da pizzicare come un mandolino.
Poi Olaf si girò e la Binetto ebbe un secondo stranguglione che
azzerò il primo prosciugando ogni tipo di umidità. Esplose la
delusione e divampò il rancore: per tutto il genere umano, soprattutto
per quello extrapadano, molto meno conosciuto e più foriero di cattive
sorprese.
35
Infatti Olaf nel girarsi s’appalesò per quello che fondamentalmente era, cioè un keniota, piuttosto scuro di carnagione, troppo per
Olga che non se lo aspettava.
Il giovane era arrivato in paese con la prospettiva di un qualche
lavoro precario in nero più nero della sua pelle, sempre più pratico
delle sue due lauree in filologia romanza e filosofia teologica col
massimo della lode.
Aveva lasciato a Malindi sua mamma e altri tre fratellini.
Era biondissimo e aveva un occhio ceruleo, quasi di ghiaccio, e
l’altro nero come la pece, molto penetrante.
Emigrò disperato. La sua cultura umanistica lo portava ad
identificarsi in Woland, il pittoresco diavolo, personaggio del
romanzo ‘Il Maestro e Margherita’ di Bulgakov, o almeno in un più
prosaico e popolaresco David Bowie, anche se un occhio del David era
violaciocca e non propriamente ceruleo. A Malindi, invece, gli
ignoranti del posto lo chiamavano Huskie, proprio per i suoi occhi, e
spesso neanche lo chiamavano: gli fischiavano e qualcuno lo
accarezzava in testa dietro le orecchie dandogli qualche grattatina
affettuosa tra riccioli d’oro e talvolta un biscottino. Il suo aspetto fisico
era il frutto di una antica relazione della sua mamma, Maman Ebbre,
per come la chiamavano a Malindi, allora cameriera in un village
resort (non quello di Bertoldaso) con un turista di Uppsala, tale Olaf,
giuggiolone albino curioso e socievole. Lo scandinavo, dopo quindici
giorni di godurioso Kaffelatten, per come definiva la sua relazione
copulereccia con la cameriera, si eclissò per sempre ritornando in
Svezia. Sua madre rimase incinta e volle coraggiosamente portare a
termine la sua gravidanza. Nacque per l’appunto Olaf, junior, nome
che maman Ebbre volle imporre a imperituro ricordo del suo breve
amore.
***
La vita di Marcello è un sogno italiotamericano denso di
esperienze che hanno forgiato l’uomo in un solido pragmatismo con
venature ottimistiche e adattabilità.
Marcello, fin da bambino, era morbosamente interessato alle
comunicazioni e alla telefonia. Si iscrisse alla sede romana di Scuola
Radio Elettra dove conobbe fugacemente il papà di Del Piero, già
allievo come poi suo figlio Alex, e cominciò a destreggiarsi tra circuiti
36
stampati e tastiere, tanto da essere soprannominato nel quartiere con
il nome di Marcellulare. E difatti non era raro vederlo circolare per le
vie intorno a casa sua con un carrello della spesa cigolante sotto il
peso di uno dei primi cellulari degli anni ottanta, un modello di
settantasei chili con antenna lunga due metri e mezzo con bandierina.
Fu quel carrello che lo rovinò.
Lo inzeppava senza pace di modelli sempre più nuovi e sofisticati
e pesanti trascinandoli da casa a scuola e viceversa per coscienziose
esercitazioni.
Una sera d’autunno, pioveva a dirotto, s’infognò in Infostrada e
cadde sull’asfalto scivoloso rompendosi tutte e due le ginokia.
Fu per lui un danno enorme: al debito formativo dovette
aggiungere il debito economico con la casa finlandese che reclamava
un congruo risarcimento e fu costretto ad emigrare per qualche tempo
in Spagna dove cercò di riciclarsi nella conduzione di un negozietto di
alimentari.
Sembrava che le cose potessero andare bene, ma un giorno gli
arrivò a bottega un ufficiale giudiziario con l’intimazione della
chiusura del negozio per mancato rispetto dei diritti d’autore oltre che
delle norme sanitarie. Aveva chiamato, sicuramente in buona fede, il
suo negozietto: ‘Marcelino pane y vino’, e Pablito Calvo s’era
incazzato appena un poco.
Marcello rientrò in fretta e furia a Roma e cercò di rimanere nel
campo alimentare, più propriamente nel settore carni (nel negozietto
spagnolo vendeva le orecchie di toro raccattate nelle plazas: la
violazione delle norme sanitarie verteva sul fatto che erano orecchie
sporche di cerume).
Bussò a diverse macellerie, ma si sentì rispondere sempre: ‘A regà,
qua nun c’è trippa pe ggatti’.
Marcello non era tipo da deprimersi.
Emigrò in nord Italia e casualmente, in un casino abusivo
autorizzato aumm aumm di provincia, conobbe i fratelli Deno, Dino
Deno, donnaiolo impenitente, e Don Danilo Deno, donnaiolo
penitente e talvolta flagellante nonché autoflagellante. Il prete era
bendisposto.
- Sai fare davvero il macellaio?
- Sì, padre. Vennevo ‘a carne in Spagna.
- Tratti qualsiasi tipo di carne? Suini, equini, bovini, nutrini, ovini,
scoiattolini, bambini?
37
- Nun so che ‘sso’ i nutrini, mica sò Rubbia, ma la carne è carne, è
sempre debbole, quello che nun strozza ingrassa e l’omo è cacciatore e
ha da puzzà!
Dino Deno intuì mignottempaticamente una colleganza e lo prese
in simpatia: questo giovane figlio di puttana gli sarebbe stato utile. E
spiegò.
- I nutrini sono le nutrie, qui intorno molto abbondanti in
prossimità dei canali. Le spacciamo per coniglio selvatico e anche per
cinghialetto d’allevamento a letto e a terra terra, come le galline
vecchie che però fanno buon brodo.
- Nessun probblema, signori Deno: provateme e diventeremo
amici
E Marcello da allora lavora al Grand Marché, il Grande Marcio.
Si occupa di quaglie e frattaglie, di culatelli e zamponi. Talvolta
rincorre con una mazza da baseball quarti di bue molto stagionati che
camminano da soli e non si pone troppe domande sulle provenienze
delle carni, anche in casi non rari di fosforescenza ucraina già comuni
anche per frutta e verdura. Inoltre si rende utile in altri servizietti
inerenti la manutenzione del supermercato come elettricista, idraulico,
muratore, gigolò per vecchie clienti, segnalatore di clienti bonazze ai
padroni, quelli che poi ha cominciato a chiamare presto anche lui col
nome di Duo Deno.
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5. Un altro passo indietro nel marasma generale. Ore 16,00
del primo giorno
Esterno
Grande concitazione nel parcheggio del supermercato: gli
specialisti della protezione civile stanno cercando di allestire il campo
base, ma prendono corpo gravi difficoltà. Felice Mentevivo, un tecnico
specializzato in carotaggi e aggiotaggi industriali, s’appalesa tutto
trafelato sbandierando una sorta di cavaturacciolo metallico lungo
dieci centimetri.
- Ingegnere, non c’è verso: come proviamo a piantare i picchetti
delle tende nell’asfalto, si piegano!
- Chiamo il mio ex-marito.
- Eh?
- Mi guardi il culo a contrabbasso: se è riuscito a piantare me, sarà
uno scherzo fargli piantare una manciata di picchetti.
- Uh?
Felice resta interdetto con lo sguardo della stessa vivacità
intellettiva d’un pesce persico in un bicchier d’acqua: pensa, surreale,
che forse i picchetti non hanno un carattere stronzo come i possessori
di un culo a contrabbasso. Enza Lemerg, l’ingegnere capo della
protezione civile testé giunto a San Pirlottero, tiene botta ancora
qualche attimo, poi esplode impaziente.
- Basta! Non è possibile andare avanti così! Come al solito devo
fare tutto io! Me ne vado.
E nel medesimo istante in cui volta le spalle e s’incammina
ancheggiando, pianta baracca e burattini.
Il comandante della caserma dei Carabinieri di San Pirlottero,
Omar Esciallo, impegnato a presidiare il parcheggio mentre
sbocconcella un trancio di pizza “‘bella Napoli, ma Marrakesh è
meglio”, resta interdetto col boccone in sospeso mozzarellinfilante che
s’impiglia nel baffetto carabinierico d’ordinanza.
- Uè, ingegnè, avete già fatto?
L’ingegner Lemerg replica orgogliosa.
- Merito di Pic-chetto Indolor, lo sponsor unico dei posti di
comando avanzati della Protezione Civile.
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Dopodiché entrambi s’incantano davanti al teatrino dei burattini,
dove un Pulcinella travestito da massaggiatrice brasiliana dà una bella
ripassata a Bertoldaso nell’esclusiva cornice di cartapesta del Salaria
Sport Village.
Il PM Aldo Vere Minchino, pur malinconico, s’inchina alla
brillantezza della performance e applaude, sempre guantato,
assentendo con ampi cenni del capo leonino, bello, ma non quanto il
capo argentato dell’inarrivabile procuratore Caselli (non Caterina,
n.d.r.). Proclama poi ai presenti in adorazione, squadrandoli dall’alto
in basso, una sua solita sentenza, più lapidaria d’una lapide.
- Sciercé la famme!
Una curiosa ammiratrice mormora.
- Minchia, Minchino sa le lingue. Peccato per quei capelli, bellini
sì, ma non ancora splendidi, troppo castani, poco brizzolati, poco
casellici.
Attimi fugaci di distrazione, rotti da rumori lontani di corteo che
s’appressa velocemente. Omar Esciallo si tasta frenetico alla ricerca
del walkie talkie e scruta a destra e sinistra in cerca del tuttofare
brigadiere Quagliarulo, quello che si prende quasi sempre una rima
sconcia, per dare ordini e confrontare pareri.
Il corteo è ormai prossimo al parcheggio: sono qualche decina di
persone molto combattive che marciano a passo inquieto con striscioni
e cartelli in adesione alla Prima Giornata Nazionale dell’Orgoglio
Ansioso. Nello specifico, il gruppo che sta per forzare il blocco del
Grand Marché si definisce ambientanaturalecosistemantagonista, si
riconosce nella sigla “NO TAVOR” e manifesta per una corretta
gestione psico-sociale di questo nuovo caso di cronaca. I dimostranti
approfittano dell’ampia copertura mediatica per fruire d’una
maggiore visibilità agitando vistosi portachiavi fosforescenti antistress
a forma di Recessione.
- Strizza! Strizza! E allonta-na la strizza! Strizza! Strizza! E allontana la strizza!
Lily Cavedano, sempre appostata, subodora lo scoop e abbranca
un giovane dagli occhi luccicanti di efedrina e dall’aria stanca che
sbandiera un cartello con la scritta: ‘Meno Tavor e più Tavoli di
Poker’.
- Che cosa pensate di fare?
- Vogliamo rovesciare il sistema, yaaawwwnnn (sbadiglione).
All’ultimo G8 il mio nome di battaglia era Ribaltavor!
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- E come pensate di fare?
- Similia similibus curantur!
- Eh?
- Curiamo la paura con la paura stessa. Sensibilizziamo l’opinione
pubblica circa la gestione di questo caso che, YAAAWWWNNN
(sbadiglione da competizione), sembra essere la prova provata
dell’anestesia che lo Stato pratica per mantenere l’ordine pubblico.
Basta vedere le tende da campo: hanno la veranda coi fiori finti e i
materassini da campeggio sono in poliuterino espanso per ottundere
reazioni scomposte. E inoltre, yaaawwwnnn, (sbadiglio contenuto con
il pugno chiuso davanti alla bocca), si vocifera di bromuro nelle
lasagne della cucina da campo e i tavolini da pic nic hanno le
tovagliette scozzesi rosse e blu. Gli altoparlanti diffondono un
sottofondo di musica fuorviante e politicamente scorretta: non si può
sentire tutto il santo giorno ‘Ma la notte no’ di Renzo Arbore!
- Basta così, grazie grazie, ché mi narcotizzi l’Auditel, bello. Ecco,
gentili telespettatori: passiamo subito alla diretta della vicenda.
Lily sposta con un poderoso colpo d’anca il manifestantavor, pur
mantenendo un sorriso che vuole essere simpatico, ma che è di fatto
licaonesco alla maniera dell’Eugenio di ‘Che formidabile bordello’, e
sgola un urlo da cantatrice calva all’indirizzo del cameraman.
Rip Rendo, il cameraman italoamericano dell’emittente, si
profonde in una panoramica e inquadra fortuitamente l’inviato di Tele
Patia che entra in trance dopo aver sorbito un caffè della cucina da
campo di protezione civile zuccherato con dose massiccia di
Addormen-Talofen e ha l’antennina sul capo un poco avvizzita. Poco
più in là, altrettanto soporoso, l’inviato di Tele Nuotizie, sempre in
muta, riesce nel numero di galleggiamento sul sacco a pelo d’acqua
sotto gli sguardi ammirati di tanti curiosi.
Lina Picco dell’Eco della Bassa, salita su una pila di scatoloni di
salsa, s’alsa sopra le teste dei presenti e dimena le anche, anch’ella
molto scossa, indicando il corteo e andando alla riscossa.
- Ecco i NO TAVOR, Tavor, avor avor… Speriamo che la
situazione, zione, zione… Non degeneri, generi, generi…
Omar Esciallo si sbraccia per evocare l’ordine.
- Quagliarù, cucù, Quagliarù…
Un manifestante completa il verso.
- Palooomaaa!
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Omar Esciallo squadra torvo il piccolo corteo e mormora qualcosa
di inintelligibile all’indirizzo dei manifestanti.
Lily Cavedano e l’ingegnere Lemerg, lì vicine, riescono solamente
a comprendere poche irate parole smozzicate: “Figliendrocc…
Algiazzirrr… Sfaccimm… Ngulaicammelliii…”, puro distillato misto
d’idiomaroccopartenopeo che trasuda da sotto i baffoni d’ordinanza
del comandante dei Carabinieri e ne certifica le origini
magrebinapoletane.
Dino Deno, il fratello laico, usuraio, di Don Deno, s’aggira
spiritato per il parcheggio: cerca di carpire informazioni sullo stato
delle indagini e controlla la validità dei voucher di sosta delle auto
senza darlo troppo a vedere. Si arrovella sui comportamenti suoi e del
fratello prete nella gestione degli ultimi affari del supermercato.
Soppesa azioni e reazioni, memorizza episodi, nomi, soprattutto soldi
prestati e ancora non restituiti, profitti, perdite (cicliche, al gioco, del
gas, dei capelli) ed ha un umore tetro. Medita piani organizzativi di
battaglia e anche di fuga, soprattutto in caso di perdite di gas. Trama
nuove vendite e vendette.
Ostenta, comunque, una serena indifferenza di facciata, quasi la
minaccia non lo riguardi e trova anche il tempo di occhieggiare le
curve sinuose dell’inviata Lily Cavedano e, soprattutto, dell’ingegnere
Enza Lemerg, accompagnandosi a cattivi pensieri su tette, transenne e
zone protette.
- Maresciallo buongiorno. Si sa qualcosa di nuovo?
- Tòppe sìcret!
- Che si tratti di un avvertimento della camorra cinese?
- Ué, Quagliarulo, move ‘o culo e piglia appunti. Che cosa ve lo fa
pensare?
- L’altro ieri più di un testimone ha visto due omini gialli nel
parcheggio gesticolare di sottecchi, protetti da un palo della luce.
- Quaccuno ha sentìte quaccheccosa?
- La sora Lena ha detto che farfugliavano “sas-so, cal-ta, fol-bi-ce”.
- Mmm… E’ chiaro ca’ si tratta d’un linguagge cifrate. Agile e
veloce, Quagliarazzo move o' mazzo e fai quacche ricerca.
- Sissignore.
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Interno
Preannunciati dal suono del ‘Tantum verde ergo’ – sponsor per
racimolare qualche finanziamento mediante la pubblicità - col coro a
sgolarsi per la solita messa in sicurezza cantata, gli addetti della
protezione civile fanno irruzione nel Gran Marché.
L’ingegnere Enza Lemerg, d’intesa complice con il procuratore
aggiunto Aldo Vere Minchino, dopo un roteare di contrabbasso alla
Ninì Tirabusciò, dà l’okay come l’uomo del monte e una squadra di
quattro mostri scafandrati bianchi entra nel supermercato saltellando
e spianando mitragliette laser con visori termici all’infrarosso. Paiono
astronauti sul suolo marziano e si muovono marziali, al ralenti,
accompagnati dal ritmico sbuffare dei boccagli per l’ossigeno.
Il corifeo dei clienti intona la marcia reale dell’Aida mentre una
corista, la vecchia più laida, si stacca a balzelloni dal nutrito gruppo
per visitare palmo a palmo i Paesi Bassi di un astronauta, trovando un
capitone al posto della sirenetta. Sul più bello, però, è costretta,
sempre più a balzelloni e gambe strette, a correre verso la toilette per
un richiamo perentorio peristaltico quasi peritonitico di ‘Lassa
perdere’.
Tutti fuggono e urlano isterici e nel reparto forno pure Lino,
diminutivo di Drakulino, scappato a mamma Filomenosofia, grida di
paura e spiana col culo tutte le merendine possibili in caduta libera,
spinto da Ovo, il figlio di Alba, anch’esso a guinzaglio lasco, che
vorrebbe infilzarlo con un forchettone di legno da cucina in frassino.
Nel corri corri generale, uno dei mostri scafandrati bianchi intima
l’alt.
- Fermi tutti! Polizia!
- Polizia? Non siamo la polizia, collega.
- Eh, però suonava bene.
- Verissimo... In effetti, l’intimare “fermi tutti, gruppo di agenti
campionatori scelti della protezione civile!” non ha la stessa presa.
- Chissà perché, poi…
- Boh. Comunque fermi tutti, pancia a terra, senza discutere.
Bevete all’istante l’antidoto che è in queste fiale e chi non beve con
noi, peste lo colga.
Il coro dei clienti si produce in un’apprezzata esecuzione.
- Beviam, beviam, beviaaamooo.
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P.Uzzone ha l’occhio sognante all’idea di un’epidemia di peste,
ma è tra i primi a trangugiare il siero rosso denso che dovrebbe
metterlo a riparo da chissà cosa.
Lino minaccia Ovo perché vuole anche la sua fiala e digrigna i
denti con un curioso rumore onomatopeico ‘Avis, avis, argh, argh’.
Dragon Ballu, il papà, d’intesa amorosa con la moglie
Filomenosofia, lo redarguisce in maniera brutale tirandogli in testa
una resta d’agli. Il piccolo grida di dolore con la nuca scottata, come
alla piastra: l’urlo agghiacciante e sepolcrale viene sentito fin da fuori
nel parcheggio dalla reporter Lina Picco che cerca di rimanere sul
pezzo e gli fa eco ululando a imitazione di un lupo mannaro.
Don Deno, il padrone di casa, alza verso le pallide truppe
scafandrate il suo piccolo crocefisso d’ordinanza e interviene.
- Vade retro! Che succede? Noi si ha forse il diritto di sapere:
ahinoi, siamo dunque in pericolo? Cosa ci fate bere?
- Si calmi, padre: è tutto sotto controllo ed è tutto per la vostra
sicurezza. Niente di speciale: si tratta solo di un antidoto generico,
essendo scaduto il brevetto, ma perfettamente bioequivalente.
- Equivalente a che?
- Equivalente e basta. Non mi crede?
- Ecco, veramente…
- Guardi, glielo mostro: Paolo, togliti il casco un attimo e
presentati al prete.
Uno dei mostri scafandrati bianchi si leva il copricapo e porge la
mano guantata a Don Deno.
- Piacere, Paolo Valente.
- Avendolo toccato con mano, spero che si sarà convinto, padre.
L’antidoto non solo è qui, ma è pure qui Valente.
- Capisco.
- Ora, come vede, un nostro addetto, quello che si sta pisciando
addosso, sta compiendo delle analisi preliminari ed effettuerà il
prelievo della polvere sospetta, già etichettata campione N-6661717bis, da inviare al comandate dei Ris.
TUMPF, TUMPF, TUMPF: tutti si immobilizzano. Risuona un
fragore di passi da orco che fa tremare tutti i flaconi di trementina
nello scaffale casalinghi e che paralizza sia le truppe scafandrate che i
presenti. Dana gelatinizza le tette in frullìo incontrollato sul bancomat
portatile della cassa. Olga paventa un’invasione di albanesi su tanti
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scafi dietro lo scaffale e deliquia in associazione a deliquiere con altri
presenti terrorizzati.
Dal reparto Bio emerge la sagoma imponente dell’Adele Gato, un
donnone semimitologico di un metro e novanta con fiera testa
camussica e due spalle swarzenegghiche da addetto alle presse. Il suo
nome è assai noto a San Pirlottero della Credenza, dove risiede tra una
rissa politica nazionale e l’altra, dopo che qualche mese fa fu chiamata
a dirimere una controversia tra proprietario e inquilini ad una
riunione di condominio per conto del SUNIA: la prima e l’ultima
mediazione sindacale richiesta dalla comunità dei Sanpirlotteresi.
L’Adele organizzò un corteo per le vie del paese con in testa il
proprietario della casa legato e fustigato con rami di salice e con canne
di bambù. Il poveretto aveva un cappello d’asino in testa e una
lavagna al collo con sopra scritto che era un bieco capitalista
decadente, e gli inquilini agitavano un libretto rosso, spiritati dalla
situazione nonché da due damigiane di grappa alla ruta offerte dalla
sindacalista. Omar Esciallo, appena trasferito da un’altra realtà
difficile come quella di Nola, dovette sforzarsi d’essere molto
diplomatico per far cessare la manifestazione, ché l’Adele Gato voleva
per prima cosa lapidare il proprietario e arringava gli inquilini a
raccogliere porfidi “Nellamisuraincui fanno più male, cazzo,
compagni, porcoddue”. Riuscì a dissuaderla prospettandole un
chiodo schiaccia chiodo, ovvero un nuovo problema politico
riguardante una famiglia di nutrie nel canale, multiproprietaria di
venti o trenta tane a discapito di qualche altra povera nutria proletaria
e denutrita, a rischio schiacciamento sulla provinciale da qualche Tir
perché senza fissa dimora. L’Adele Gato intervenne duramente come
un’ardimentosa vietcong e da quel momento i contadini intorno a San
Pirlottero hanno potuto tirare un sospiro di sollievo per il raccolto del
granturco e delle verze non più depredato come prima dai voraci
roditori. Vieppiù, è probabile che la lista di sinistra “Per San
Pirlottero contro le nutrie” vinca le prossime amministrative!
Pausa a effetto ante-litteram: prima di proferire verbo, la delegata
lascia che a parlare siano le ante dell’armadio formato dalle sue spalle.
Gonfia il torace e giganteggia in controluce trasformando il linguaggio
del corpo in arte Marxiale. Infine la donna, si fa per dire, bercia
all’indirizzo degli scafandrati senza alcuna gentilezza con voce roca
da un pacchetto di toscanelli al dì.
45
- Chiccazzosiete? Checcazzovoletenellamisuraincui? Non accetto
provocazioni, nemmeno se chi si tira giù le mutande ha quaranta
centimetri di bigolo.
Uno degli uomini in bianco, il più prestante, con fisico statuario
da icona partigiana sovietica, le risponde a tono.
- Ma chi sei tu!?
- Io sono l’Adele Gato, la delegato sindacale dei braccianti della
zona e sto facendo la spesa, in pausa tra una lotta dura e una lotta
senza paura. Sappi che in Confindustria, al solo sentirmi nominare,
tutti si segnano e si toccano le balle: ho fatto saltare già quattro tavoli
di trattativa e cinque molari ad un imprenditore della controparte.
- E noi siamo della protezione civile e siamo stati chiamati per un
prelievo.
- Un prelievo fiscale? L’ennesima mannaia che cala sulle teste dei
lavoratori più indifesi?
- No. Un prelievo sanitario: polverina strana.
- Quando si parla di sanità, la Polverini è davvero strana ed è una
delle peggiori nemiche dei pensionati e degli autisti, ma quelli senza
patente.
- Lo vedi che sei d’accordo, compagna?
- Compagno protezionista civile! Certo che siamo d’accordo,
allora! Come ti chiami?
- Rico Luzionario, e la penso come te, compagna Gato, per cui
collabora, ché nulla di male verrà fatto ad alcuno.
Rico saluta col pugnone bianco del guanto antitutto e Adele si
commuove con lo sguardo rivolto all’orizzonte rosso crepuscolare. La
poesia del momento è però profanata dalla presenza, al margine del
campo visivo, di uno scaffale pieno crema leninitiva per le mani
Obellaciao, confezione gran risparmio da 750 gramsci, della ditta Tura
Delproletariato. Sulla confezione, una bandiera rossa eritematosa
mezza sbiancata dall’applicazione del prodotto. Più sotto, lo slogan
pubblicitario: “Arrossamenti della pelle? ContraStalin con
Obellaciao!”
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6. Terza divagazione. Ritratti di profie e menagrami
Leda Vanodieci non nacque professoressa di tuttologia applicata:
lo divenne per sopravvivenza.
Figlia unica di un bracciante etilista e di una tosatrice di montoni
in catena di montaggio, fu sconvolta in tenera età da un dialogo che
ebbe modo di sentire durante una lite tra i suoi genitori e un tassista
lassista sulla strada provinciale, per un banale diritto di precedenza.
Il tassista aveva l’auto piena di gigantografie di donnine nude e al
vetro posteriore aveva messo un enorme fallo fosforescente con una
manina ciondolante che faceva le corna: più tassista lassista di così!
I genitori di Leda non fermarono il loro carretto con il fieno e tre
sette ottavi di montoni ad un incrocio con il segnale di stop. Il tassista
dovette inchiodare bruscamente per non investirli e si beccò il fallo su
una tempia: un fallo laterale doloroso che il culo di Edwige Fenech sul
parabrezza, vicino al bollo dell’assicurazione, non riuscì a lenire.
Leda, in cima al carro, vide il tassista scendere dall’auto
brandendo un cric come un fascio di saette, quasi fosse un dio
infuriato, il dio tassista. Costui cominciò ad inveire contro i due villici
con mala creanza e supponenza.
- Bastardi, che non siete altro, l’avete visto lo stop?
Il padre di Leda articolò pochi fonemi gutturali di scusa facendo
imbestialire vieppiù il tassista che li apostrofò in una maniera che
segnò per sempre Leda nella sua vita.
- Siete proprio due poveracci ignoranti con le pezze al culo.
Scommetto che per voi ‘Buonsanguenonmente’ è un avverbio, sempre
che sappiate cosa è un avverbio, teste di testata ribassata senza coppa
dell’olio!
I genitori di Leda chinarono il capo umiliati e tristi, anche perché
credevano che un avverbio fosse un avvertimento a non calpestare
l’erba delle aiole dei giardinetti, ma Leda fu pervasa da un furore di
rivalsa che da quel giorno la compresse su enciclopedie e ‘rari tomi
d’obliata sapienza’ alla ricerca di un sapere che potesse fungere da
scudo nelle avversità e nell’interagire con gli altri esseri umani.
Da allora frequentò solo personalità spiccate e gente di cultura
fino a che non si sposò con un accademico della Crusca.
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Il matrimonio purtroppo durò poco: c’era troppo nervosismo tra
loro, troppa emotilità intestinale nel loro ménage e la crusca,
controindicata dal saggio medico del paese, fu sostituita da un
divorzio e da damigiane di nuovi fermenti culturali lattici.
Leda Vanodieci si ritrovò dunque sola e le sue attenzioni verso i
poveri e i reietti, gli abbandonati e gli ignoranti, i vecchi e gli indifesi.
Fu un nobile sforzo che, però, cominciò impercettibilmente a logorarla
dall’interno instillando dubbi e una piccola ernia inguinale,
provocando impazienze e desideri confusi che ben poco avevano a
che fare con la carità.
Leda si chiuse in sé stessa gettandosi a testa bassa nella religione e
nel prodigarsi per il bene del prossimo. Trovò conforto nell’arte e
nella cultura e nel sentirsi a posto con la coscienza di fronte ai suoi
concittadini.
I sanpirlotteresi s’avvidero con rispetto del travaglio interiore
della loro professoressa, ma nessuna mano si tese, e Leda poco a poco
s’impigliò nell’inaridimento emotivo e nelle centinaia di coroncine di
rosari di tutte le dimensioni che teneva sparse per ogni dove.
***
Quando nacque Paolo Uzzone si verificarono fenomenologie
particolari fino a latitudini lontane assai.
Le vacche slovacche di Bratislava divennero cieche.
Tutta la Bassa, più vicino, cadde ancora di più in depressione e i
pony dei luna park locali intristirono in preda a pensierini equini
suicidi mediante un’ubriacatura di scialappa o una carica al galoppo a
testa bassa contro l’ottovolante.
San Pirlottero della Credenza fu l’epicentro di un lungo black out
elettrico proprio verso l’ora abituale della doccia. I sanpirlotteresi
tirarono le prime maledizioni di una lunga serie: tutti gli scaldabagni
elettrici defunsero in simultanea e l’acqua divenne ghiacciata.
Qualcuno si prese una brutta congiuntivite per il sapone negli occhi
mentre qualcun altro s’ammalò di polmonite. Due o tre del paese, gli
unici con lo scaldabagno a gas, fortunelli, rimasero intossicati da
esalazioni di monossido di carbonio e uno è tuttora scemo per quella
micidiale inalazione che ha costretto il cervello all’esilio in posti
lontani.
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Uno zio di Paolo, molto grasso, Bruno Uzzone, detto B.Uzzone,
saggio e serafico fattore di un paesino poco lontano, seduto come un
Buddah sotto la tettoia-patio della sua cascina, sentenziò, poco prima
del crollo della stessa che lo trasformò in macinato:
- E’ un segno!
Un altro zio emigrato alle falde del Vesuvio per lavoro, Zeno
Uzzone, detto dai locali ‘o Z.Uzzone per la sua idiosincrasia all’acqua,
percepì qualcosa di negativo a centinaia di chilometri di distanza ed
esclamò:
- E’ un segno!
Subito dopo fu centrato in pieno dal getto bollente di una nuova
solfatara altamente corrosiva che lo rese per sempre immacolato fino
alle ossa.
La nascita e la successiva vita di Paolo furono dunque segnate
negativamente fin da subito con il conio del nuovo soprannome che
non è poi tutto questo granché: P.Uzzone.
L’interazione con il genere umano, inoltre, fu caratterizzata da un
curioso rituale di sfregamenti di gonadi che, per le donne sole,
comportò qualche predica di rimbrotto morale da parte di Don Deno
alle funzioni religiose. E ben donde: le parrocchiane surrogavano
quegli sfregamenti con i genitali di altri che erano mariti di altre, padri
di famiglia, uomini probi e giusti, tutti in seguito afflitti da orchite.
Qualcuno malevolo disse poi che erano prediche di rancore e
invidia, ma questa è un’altra storia.
Paolo crebbe introverso, dunque, ed ebbe serie difficoltà ad
inserirsi nel mondo del lavoro.
Si propose come commesso e convinse una sua amica di scuola,
Vera, ad aprire un negozio di ottica che fallì quasi subito dalla
presentazione dell’insegna: Ottica di Vera Cecata.
Poi si propose come venditore porta a porta di giubbotti
antiproiettile contro le zanzare della zona, ma venne dissuaso quasi
subito da un plotone di elicotteroni mafiosi provenienti fin da
Comacchio che, in assenza di un accordo sulla stecca, perforarono a
scopo dimostrativo quattro contadini con pungiglioni traccianti che
ridicolizzarono le armature protettive.
Paolo si fece una pessima fama e iniziò a pensare seriamente di
emigrare altrove, anche per una sequela di lettere anonime piene di
minacce.
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Il caso invece lo fece imbattere in Dino Deno proprio mentre si
recava alla stazione ferroviaria per partire alla volta di altri lidi.
A Dino cadde di mano una pesante zucca congelata e dura come il
granito: la stava portando al supermercato per cercare di riciclarla
come mola da arrotino o piedistallo per ombrellone da giardino.
Paolo la raccolse e la restituì gentilmente a Dino, ma al contatto
delle sue mani la zucca divenne morbida e cremosa come uno
stracchino, al limite del marcio.
Dino rimase impressionato: quest’uomo avrebbe potuto essere
utile a riciclare gli ortaggi congelati comprati a un quarto della metà
del prezzo corrente dal suo grossista radioattivo siberiano di fiducia.
Inoltre sarebbe stato un ottimo collaboratore, efficace nella riscossione
di prestiti soltanto coll’imposizione delle mani, e forse avrebbe potuto
interessare anche suo fratello per pratiche esorciste.
Si toccò le balle senza farsi notare e sorrise: gli propose un lavoro
di addetto agli ortaggi e tuttofare al Grand Marché.
P.Uzzone accettò, sorpreso, ma anche entusiasta per non dover
lasciare il paesello natìo, complice anche il blocco della linea
ferroviaria per la caduta di un traliccio e la frana di un tratto della
strada provinciale. Da allora i migliori passati di verdura della zona
sono soltanto quelli in vendita al Grande Marcio, anche se qualcuno
dentro di sé pensa che siano passati remoti o anche trapassati da dita
lunghe e scheletriche che si illuminano al sole di strani sinistri
bagliori.
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7. Sera senza serotonina. Ore 20.30 del primo giorno
Esterno
E’ quasi buio conclamato. L’appuntato Quagliarulo s’aggira nel
parcheggio del supermercato tra le tante ombre artificiali cercando
testimonianze, indizi, tracce e impronte. Annusa lampioni, palpa
metri quadri d’asfalto, sonda cestini dei rifiuti e origlia pettegolezzi
tra la folla. Alla fine della caccia mette insieme una manciata di prove
molto promettenti: a) due lampioni sospetti, che invece di puzzare di
piscio di cane, profumano di crostata di lampioni; b) una manciata di
piume bianche; c) mezzo badile di letame; d) voci su una vecchia e un
tipo grasso e sornione mai visti prima in paese, sorpresi ad aggirarsi
nei pressi del supermercato il giorno prima del fattaccio. Quando
l’appuntato s’appresta ormai a fare rapporto al diretto superiore,
convinto d’avere identificato i colpevoli in Ciccio e Nonna Papera,
accade il colpo di scena.
Quagliarulo lancia un grido querulo e richiama l’attenzione delle
troupe televisive affamate di scoop e spettatori.
- Madonna santa! Guardate che orrore!
L’inviato di Tele Nuotizie si butta a pesce sul pezzo, ma giunto di
fronte allo spettacolo raccapricciante, resta prima a bocca aperta, poi
boccheggia a mo’ di cefalo fuor d’acqua.
Lily Cavedano giunge un attimo dopo e, adocchiato l’orrore,
chiama a gran voce il suo cameraman.
- AccorRendo! AccorRendo! Presto! Rip! Riprendi tutto!
- Eccomi. Ghhhh, oddio che schifooo!
Conati di vomito.
- Gentili spettatori, è con queste terribili immagini che il giallo di
San Pirlottero della Credenza s’infittisce di truculenti e inattesi
sviluppi. Come potete vedere, pochi secondi fa è stato rinvenuto dalle
forze dell’ordine il cad… Ehi! Ma ch…
- Indietro guagliò! Areto, areto, gente! Nun c’è nulla da vedere.
Quagliarenna, movi o’ culo e metti ‘na transenna. Ha visto, dottore,
che scempio?
Il sopraggiunto procuratore aggiunto Aldo Vere Minchino almeno
questa volta è contento delle sue tre paia di guanti e non ha ansie
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particolari all’idea di esplorazioni tattili. Contempla lo spettacolo,
malinconico, e prorompe in una delle sue epiche sentenze.
- Tupastulastucas!
Omar Esciallo è troppo furbo per dire ad alta voce quello che
pensa, ossia ‘sti cazz’.
Sopraggiungono anche Telemaco Mefaccio, l’inviato di Tele Patia,
e Lina Picco, dell’Eco della Bassa’.
- Che succede?
Mentre continua a cercare di forzare il cordone approntato in
fretta e furia dalle forze dell’ordine, Lily Cavedano ghigna e attacca
all’amo la prima panzana che le viene in mente, sussurrandola
all’orecchio dei due concorrenti.
- Non lo sapete? E’ stato rinvenuto nel parcheggio un milione di
euro in banconote di piccolo taglio.
- Davvero?
- Come no.
Lina Picco s’aggancia all’amo e anche Mefaccio abbocca, così che
entrambi i cronisti s’appartano per zufolare nell’etere la fola.
Omar Esciallo s’accuccia per esaminare il cadavere incastrato tra il
bordo del marciapiede che delimita il parcheggio e l’imboccatura
d’una fogna. Il fascio di una fotoelettrica lo illumina casualmente di
sbieco.
- Ca’ ne pensi, Quagliarù?
- Un rito satanico, maresciallo. Le due strisciate di sangue
formano una croce quasi perfetta.
I due sostano pensierosi. Studiano il ventre squartato della
pantegana e le due strisciate di sangue quasi perpendicolari che
lordano il selciato brillando alla luce violenta, finché una voce oltre le
transenne non interrompe le loro riflessioni.
- Maresciallo! Maresciallo, mi faccia passare! Che succede?
Il carabiniere alza lo sguardo e inquadra Dino Deno tutto
esagitato. Troppo esagitato. Si gratta il baffetto meditabondo e fa
cenno ai sottoposti di lasciarlo passare.
- Venite, venite, Deno: quando si parla di tope voi siete sempre in
prima fila eh? Mi dicono che non ve ne fate scappare una…
- Veramente, maresciallo, mi sento vittima e parte lessa: quella
pantegana che, se nota, è anche cotta e ancora fumante, la prendo
come un messaggio di minaccia nei miei confronti. La topa cotta e
tagliata a sfregio per una cotta nei miei confronti. Questo è un marito
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geloso e forse anche cuoco: la cottura pare proprio al dente per una
topa ardente.
- Sappiamo, sappiamo dei vostri trascorsi puttanierici, ma oggi,
stamattina, cosa avete fatto di belle?
- Marescià, ma dopo tutto questo casino di polveri sottili e tope
morte lei sospetta di me? Proprio di me?
- Sentite a me, Deno: c’è un maggiordomo? No. E allora
l’assassino è un altro. Non lasciate il paese senza permesso, e neanche
senza mutande con le vostre richieste esosissime d’interessi su prestiti.
E’ ‘cchiare ‘stu fatte?
Dino, sempre più convinto d’essere parte lessa, un merluzzo
caduto in trappola, fa il broncio e si chiude in pensieri d’invidia per
chi è all’interno del Grande Marcio e può usufruire almeno del limone
e della mayonnaise.
Poco distante gli inviati concorrenti della Lily, dopo avere
accertato la verità, meditano vendetta nei suoi confronti. Telemaco, al
limite del defecarsi addosso, sta sforzandosi paonazzo nel tentativo di
catapultarla a Pechino mediante telecinesi: ogni tanto gli sfugge una
trombetta dantesca che lo deconcentra. L’inviato di Tele Nuotizie
rovista nel pulmino della sua emittente alla ricerca della faccia
perduta nel resoconto della bufala e di una fiocina con cui centrare la
concorrente sotto le branchie. Lina Picco, penalizzata dalla mole che
non è proprio antonelliana, le indirizza un rosario di accidenti che
perdono d’efficacia rimbalzando qui e là in economia e sfinimento:
vafff ulo uloooo ulooo onzaaaa, onzaaaa.
Bimbi presenti nel piazzale equivocano su una qualche sorta di
rap e cominciano a dimenarsi sotto lo sguardo gelido di Enza Lemerg.
Il suo sottoposto Felice Mentevivo, invece tiene furtivamente il tempo
con il piede e soprattutto con la radio sintonizzata sull’ufficio
dell’Aeronautica Militare per le previsioni delle prossime ventiquattro
ore. Il PM Aldo Vere Minchino cerca di ravviarsi i capelli con le mani
guantate per fare il disinvolto e abbozza un’imitazione di Dean Martin
canticchiando “Tazzammore”, ma assume l’aria dello stregone delle
matite sotto tantra acido: fosse presente Caselli (non Caterina, n.d.r.),
si scompiscerebbe dalle risate.
La Lily, da vera professionista qual è, incurante delle maledizioni
dei concorrenti, ha in serbo un nuovo colpo. Ha intercettato la
mamma di Mino Mericordo, uno dei pensionati rinchiusi nel
supermercato. E la presenta con trionfalismo.
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- Gentili telespettatori, abbiamo qui alla nostra postazione la
mamma di un quarantenato. Considerata l’età veneranda, potremmo
considerarla novantenata e anche più. Ecco a voi la signora Anita
Rincoglio, simpatica vecchina di novanta e passa anni, la mamma di
Mino Mericordo, uno dei pensionati rinchiusi all’interno del Grand
Marchè. Signora come si sente?
La nonnina esordisce con voce tremula e muranofragile.
- Mi sento più un cassio, mi vedo più un cassio, mi capisco più un
cassio, così almeno mi dice sempre il mio bisbisnipotino Cassio. Che
cosa succede qui adesso?
- Ma come, Signora Anita, non lo sa? Suo figlio è quarantenato
insieme a molti altri dentro il supermercato.
- Ah, sììì: l’anniversario dell’antenato, nonno Mericordo…
Vagola con lo sguardo smarrito da pecorella cercando di catturare
immagini di vispe Terese d’infanzia, poi sbatte gli occhi come
un’allocca sotto la luce dei riflettori e si spollina la veletta con curiosi
scatti del collo.
Lily intuisce che dalla vecchia sclerotica non tirerà fuori nulla di
buono, in termini di ascolti, a meno che…
Dopo aver fatto cenno al suo cameraman di sospendere per
qualche attimo la registrazione, con un rapido guizzo degno di Romeo
Benetti, il grande mediano figliendrocchia dall’animo buono, Lily,
sfrutta furbescamente il fuori campo e puntella il gomito sul torace
dell’anziana. Grazie ad un leggero colpetto le sfonda una costa che
scrocchia con un curioso rumore di cristalleria infranta.
- Aaarrggghhh! Delinquèèènte, che cassio faiii? Ahiii! Ahiii! Ahiii!
Mi hai fatto male!
Nel rumore della calca le grida incartapecorite di Anita si perdono
come un vento all’aria aperta. La cronista conta spensierata fino a
trenta, poi finge improvviso interesse e premura per il malore della
vecchia.
- Cosa succede signora?
- Eccheccassio ne so. All’improvviso, senza motivo, un dolore
forte forte qui, sul petto. Ahiii! Ahiii!
- Rip! Riprendi a riprendere!
Anita piagnucola e si pigia le mani sul petto. Lily furoreggia con
un sorriso abbagliante da Tir nella nebbia.
- Gentili spettatori, questa è tv verità, è la tv del dolore! Osservate
il dolore, per l’appunto, di quest’anziana madre: non appena ha
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appreso la notizia che il suo giovane ed unico figlio settantottenne è
segregato in quarantena nel Grand Marchè, contaminato da chissà
quale letale e mortifera polvere bianca, è scoppiata in lacrime e rischia
di morire di crepacuore. Guardate come si tiene con ambo le mani il
cuore malato e l’apparecchietto acustico, straziata dal dolore che sente
troppo forte. Dove ha male, signora?
- Quiii… Ahi ahiii…
- Un dolore grande?
- Sììì. Ahiii... Peggio di un raffreddorone.
- Ecco, ci scusiamo, gentili telespettatori, per la crudezza di queste
immagini. Non è nostra intenzione speculare sulla sofferenza di chi
tanto duramente è stato colpito negli affetti, ma è giusto che chi sa
dica, e che pure i telespettatori più esigenti e bisognosi vedano e si
tocchino con mano, ovviamente senza esagerare per non diventare
ciechi. Dalla vostra Lily Cavedano tutti gli auguri di una buona serata.
La reporter gongola notando di sottecchi i colleghi verdi di bile
dall’invidia. La canuta vecchina, d’altra parte, senza sapere che cassio
psicomotorio fare, saluta tremula con la mano diafana il
bisbisnipotino Cassio in una smorfia di tensione che sembra
emiparesi, rivolta verso la telecamera, per poi ripiombare
nell’incoscienza spaziotemporale senza figli e bisnipoti.
E il pathos della cronaca scade e abbocca grandefratell’escamente.
Interno
Mino e Loris, grazie alla caritatevole professoressa Leda
Vanodieci che ora vomita in sanscrito dal disgusto nel bagnetto del
retro del supermercato, hanno di nuovo un aspetto decente anche se,
nella penombra del pannolone, sta verificandosi qualcosa di
indecente.
- Loris… Sento qualcosa di anomalo. Come se nel pannolone ci
fosse un corpo estraneo. Duro. Cosa potrebbe essere?
- Un trombo in un gavocciolo emorroidario? Mi ricordo che nel
trentatré ebbi un’emorroide così grossa che non entrava nel bidet. Per
guarire dovetti operarmi. Ora saranno trent’anni che non trombo.
- Oh, se ti capisco! Io ormai ho solo il flauto traverso…
Mino cambia posizione. E’ gradevole, cambiare posizione.
Dondola. Oscilla. Ondeggia. Soprattutto sfregola. S’inventa artificiere
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di se stesso: controlla il timer, collega il filo verde e quello rosso, cerca
il contatto con il fluff del pannolone tentando di ricordare le
coordinate della bocca di Nella Sgualdri, struscia e spinge finché
esplode. Data l’età, esplodere è un termine un po’ forte, ché è quasi a
salve, ma esplode: esplodicchia.
- Aahhh!
Don Deno sussulta. Orrore e raccapriccio: possibile che proprio
sotto i suoi occhi si stia consumando una siffatta orgia dei sensi? Ché
se un ragazzino si masturba fa peccato, ma se un anziano si masturba,
non solo fa peccato, fa pure sensi! A mali estremi, estremi rimedi:
afferra Mino per il colletto, prende dal banco frigo una confezione di
pisellini surgelati e li riversa nel pannolone.
Agghiacciante epilogo: pochi secondi e il membro redivivo del
vecchio è quasi perfettamente mimetizzato tra gli altri pisellini, grigio
cenere nel verde vivo.
Olaf intanto s’è rannicchiato in un angolo tra il banco frigo ed il
banchetto promozionale di Paccetta, la pancetta in gustosi cubetti
tagliati a mano con l’accetta, secondo l’antica ricetta umbra dei
boscaioli salumieri di C’ascia. S’è fatto pallido come un lappone albino
e trema scosso da brividi di freddo. Dana comincia a preoccuparsi: ha
due tette enormi, buone come cuscini, ma sono solamente due e non
sa più a chi darle. Vista l’espressione febbricitante dell’uomo, opta per
Olaf che si lamenta con le palpebre a mezz’asta.
- Mi… Mi sento male, quasi come a Malindi.
Leda Vanodieci s’improvvisa infermiera e gli tasta la fronte. Olaf
ha un sussulto e la ricaccia indietro: seppure lavata a fondo, la mano
della donna emana ancora un forte fetore di guananziano.
- Ma che modi! Volevo solo apprezzare il grado di calore della
cute al termotatto.
- Chi sei?
Marcello fissa prima Olaf, poi i due vecchi sclerotici, e quindi
nuovamente l’uomo di “colori”.
- Li mortanguerieri! ‘Sti du’ fiji de na mignotta so’ ccontagiosi!
Tutti arretrano preoccupati, compresa Dana che si trincera dietro
il bancone della sua cassa, ma lesta si fa avanti Leda, pronta a fornire
una spiegazione più scientifica.
- Dev’essere l’ipertermia, id est, la febbre, a causare siffatta scarsa
lucidità mentale fino a smarrirlo nel delirio.
P.Uzzone fa due più due e giunge alla terrificante conclusione.
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- Questa cosa mi puzza: così all’improvviso? Olaf è quello che ha
avuto il contatto più diretto con la polvere bianca. Non può che esserci
una relazione!
Silenzio ansiogeno e crollo lontano di barattoli di sottaceti
sottintesi sfigati. Tutte le mani convergono su gonadi od oggetti di
metallo in automatico e tutti gli sguardi convergono su Olaf che s’alza
beccheggiante e saluta il pubblico.
- Ciao. E’ questo il porto di Nantucket? Devo gettare l’ancora.
Vacilla, come se i flutti scuotessero il vascello, e nel mutismo
angosciato generale s’allontana farfugliando.
- Olaf Ebbre, Olaf Ebbre, Olaf Ebbre…
Olga Binetto Lindo lancia un lamento acuto e sviene sfiatando
rumorosamente dalle froge del naso. Nessuno dei presenti s’azzarda
più a toccarla: tutti restano pietrificati e sudano freddo senza riuscire a
proferire parola. Alla fine, Dana prende coraggio e chiede.
- Dite che è grave?
Leda, attingendo al suo sapere, s’incarica di rispondere.
- Potenzialmente gravissimo: in letteratura medica sono riportati
casi di svenimento in cui, quando il paziente dopo due giorni è
rinvenuto, era già morto da almeno ventiquattr’ore!
Tutti rabbrividiscono, agghiacciati. Potrebbero restare in posa
statuaria per l’eternità, non fosse che, d’un tratto, un carrello piomba
sul capannello dei clienti in quarantena. Dentro il carrello Olaf si
staglia a petto in fuori e a mo’ di gondoliere spinge avanti la sua barca
puntando sul terreno un manico di scopa.
- Dannata balena! Dannata balena bianca! T’ucciderò anche a
costo della mia stessa vita! Datemi un rampone!
Marcello capisce fischi per fiaschi e gli allunga uno zampone.
Il volto del keniota è cosparso di perline di sudore. Lo sguardo
vitreo scruta le profondità abissali alla ricerca del mostruoso cetaceo
eburneo.
- Ehi, voi, del porto: lanciatemi una gomena, così m’ormeggio.
Paolo gli lancia il robusto cordone per appendere i provoloni con
le badanti ai giardinetti e il capitano Olaf getta l’ancora buttando un
sacco da un chilo della sua pasta oltre il bordo del carrello. Quindi
barcolla il capo, reclinandolo di lato in tipica posa da ubriaco.
- Allora, marinai: vi piace la mia nave? Gran bel legno, eh? L’ho
chiamata col mio cognome: Ebbre, il battello Ebbre!
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Click! Come fosse scattato l’interruttore d’un automatismo, la
professoressa Vanodieci s’illumina d’immenso e schiaccia un
immaginario pulsantone da concorso a premi.
- Rimbaud! Rimbaud e il suo battello ebbro!
Marcello non sembra condividere l’improvviso entusiasmo.
- E me pareva, ammè, che se fosse rimbaudmbito puro lui.
La professoressa insiste.
- Quelle vissute dall’io navigatore potrebbero non essere solo
fantasie oniriche, abbagli deliranti d’un momento.
- Ah no?
- No. E’ più che altro eccitazione visionaria, slancio vitale
giovanile che sconvolge l’esistenza.
P.Uzzone addita Mino che ancora armeggia nel pannolone, e
chiosa.
- Gli estremi si toccano e il cerchio si chiude.
A tale sentenza del menagramo il cassetto della cassa si chiude di
scatto sulle sise di Dana che fa le corna all’indirizzo di Paolo e geme
come un capodoglio ferito al capo da un bidone tossico sfuggito da
petroliera liberiana. Leda li ignora e prosegue.
- Certo! Estro giovanile e demenza senile: il mondo si ravviva
grazie a una creativa palingenesi che sconquassa le ragionevoli
certezze del reale…
P.Uzzone canticchia tra sé e sé.
- Il cane si morde la coda, si morde la coda, il cane.
Il coro dei clienti lassativati, esausto per la tensione del momento,
nonché delle pareti intestinali, intona un composto controcanto alla
bulgara, triste e struggente. Segue una rappresentazione penitenziale
di Kirie Eleison Kriste Eleison intervallata da battipetti a tempo di rap
all’insegna di Agnellodidiochetogliipeccatidelmondo don don don
donaci la pace.
Poi d’incanto tutti ammutoliscono, anche il neon con il suo ronzio,
e le ombre della sera stramazzano al suolo; oltre la linea dell’orizzonte
disegnata dagli altissimi scaffali fiori delicati e mostri biblici sorgono e
svaniscono nel caos. Olaf continua a tremare, febbricitante, così che
Leda arraffa dagli scaffali un plaid Contemplaid, in pura lana acrilica.
Mino ha un sussulto.
- Ne avevamo uno uguale. Io e mia moglie Clara, intendo.
Leda lo punzecchia.
- Che era geologica era? Il plaidstocene?
58
Mino non se la prende e prosegue sognante.
- Ricordo quella notte come fosse ieri: il lungomare di Igea
Marina, le luci del porto, in lontananza… I faraglioni illuminati…
- Che faraglionate racconta?
- Contemplai le stelle, stretto nel suo abbraccio. Facemmo l’amore
sul plaid, distesi sulla sabbia: mi sentivo un vero plaidboy. Dopo un
po’ Clara mi disse “la mia vita è tutta un sogno, con te”.
Il vecchio ha gli occhi umidi di commozione. Una lacrima solca la
guancia destra scomparendo tra le rughe. Qualche minuto dopo,
terminato il corso sotterraneo, riemerge carsica sull’apice del mento.
Leda strappa la plastichina che avvolge il plaid. Mentre la getta via
scorge l’inserto pubblicitario stampigliato sopra “La mia vita è tutto
un sogno, Contemplaid!”. Sorride mesta e srotola la coperta nell’aria
con uno scatto brusco delle braccia.
Sul tessuto sono raffigurati i corpi di due anziani distesi, un uomo
e una donna, che si abbracciano sotto le stelle.
Marcello punzecchia il vecchio.
- Anvedi aoh! Devi chiede ar pleidde li diritti d’autore, o ce stai a
contà ‘n sacco de panzane.
- No! No! Dovete credermi. E’ tutto vero.
La professoressa bacchetta sulla dita il macellaio, dopodiché
scrive una nota sul diario. Marcello abbozza, anche se sibila tra i denti.
- Seee, ‘sto Mino… rato!
Poi Leda si preoccupa di consolare Mino, mossa a compassione
dall’assoluto smarrimento del vecchio: la memoria recente cancellata
dall’Alzheimer e i ricordi d’una vita irreparabilmente sovrascritti
dalla pubblicità. Che tristezza, che spleen! Lo coccola stringendolo a
sé come un bambino, facendogli posare il capo sopra il petto. Quando
però l’anziano inizia a strofinarle il pannolone sulla coscia, lo ricaccia
bruscamente indietro e lo scaraventa tra lo scaffale delle brioche al
ripieno d’incenso Inebrioche, e quello dei muffin verdi Ava Riati.
Frattanto Olaf è così pallido che se Olga potesse vederlo sarebbe
colta da un novello stranguglione ormonale al solo pensiero di poter
accarezzare le forme ben tornite di Olaf il bianco, famoso re del mare
vichingo, il capitan Olafindus. Leda lo aiuta a scendere sotto coperta
nel suo battello Ebbre e gli rimbocca addosso il plaid.
Sarebbe l’ora di chiusura. Dana dà un giro di chiave alla cassa,
dispensa amorevoli bacini della buonanotte ai consumatori in
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quarantena e spegne le luci del supermercato. Buio, penombra
frastagliata dalle lucine smorte delle uscite di sicurezza.
Tutti pensano che sarebbe bello se davvero riuscissero a dormire.
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8. Quarta divagazione. Che la forza dell’ordine sia con voi!
La carriera del dottor Aldo Vere Minchino fu segnata da piccoli
presagi e da frustrazioni che si perdevano fino all’infanzia, vissuta
senza troppe ansie, ma improntata all’educazione di sani e
imprescindibili principi.
Uno di questi principi, in particolare, lo segnerà per sempre:
l’igiene personale.
I genitori del piccolo Aldo lo controllavano assiduamente
ispezionando più volte al giorno le orecchie, il naso, le ginocchia sotto
i pantaloncini corti, e soprattutto le mani.
Il piccolo Minchino crebbe, dunque, nel mito delle mani pulite e,
avviatosi alla carriera di magistrato, fu un seguace del più celebrato
collega Di Pietro, senza essere altrettanto famoso, anche perché
sapeva usare perfettamente participi, anacoluti e congiuntivi, e non
era quindi spettacolare come il suo collega molisano, capace di
trasformare ogni intervista in uno spasso che neanche le Cirque du
Soleil con i suoi acrobati.
L’unico limite di Minchino, a livello di comunicazione, è sempre
stato soltanto il suo continuo citare massime, per lo più straniere,
senza conoscere, ahimè, le lingue: troppo poco davvero per assurgere
alla dialettica acrobatica dipietresca ma più che sufficiente a fronte
dell’ignoranza cosmica della maggioranza degli ascoltatori di
massime straniere.
Eppure il dottor Aldo Vere Minchino non solo si era davvero
votato anima e corpo alla causa di ‘mani pulite’ ma aveva, oltre tutto,
anche le “fisicduròl”, per come soleva dire di sé stesso, ovvero aveva
un aspetto da vero duro. In più era alto, bello, con una chioma che
agitava al vento con curiosi scatti del capo, epilettici a prima vista, in
realtà ansiogeni e anche vanesi, alla Caselli (non Caterina, n.d.r.), e
che ravvivava con mani curatissime, sempre protette da tre guanti che
toglieva solo durante le udienze per abbagliare la giuria popolare con
un colorito luminoso e diafano delle dita, le cui unghie lucidate a
specchio sembravano catarifrangenti. Proprio per il vezzo molto
teatrale di denudarsi le mani a metà di ogni udienza, acquistò una
certa popolarità: si sfilava i morbidi guanti neri in pelle di camoscio e
lasciava intravedere i guanti trasparenti usa e getta della Coop per
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prendere la frutta o gli ortaggi sopra un ulteriore paio di guanti in
lattice da ginecologo. Toglieva tutto, Aldo Vere Minchino, e scopriva
le sue mani pulite che lasciavano giuria, presenti e giornalisti senza
fiato. Poi attaccava con l’arringa infarcendola di congiuntivi
appropriati e sentenze tratte da proverbi o massime conosciute dalla
notte dei tempi: scendeva, allora, il suo “sexxappìl”, per come diceva
lui, e tutti rimpiangevano i bei tempi passati in cui Di Pietro
pontificava con i suoi “che c’azzecca”. Pertanto, il povero Aldo
concludeva sommessamente il suo intervento di fronte a una platea
semivuota, arrivando al capolinea con una delle sue solite massime a
scelta sui tempi che corrono: “dormienti bus leges, non so, currunt”,
oppure “otemporomores”, o ancora “onnisuachimalipanse”.
Così cadde in depressione, il procuratore Aldo Vere Minchino, e
più il curriculum del suo collega Di Pietro si dimostrava inarrivabile,
più precipitava nell’introspezione dell’incompreso.
Cercò allora di curare maggiormente la sua capigliatura per
raggiungere almeno le vette espressive del mitico procuratore Caselli
(non Caterina, n.d.r.), famoso, un tempo, per lo scalpo argenteo che lo
faceva assomigliare un po’ al vecchio saggio Mago Gandalf e un po’ a
Giosuè Carducci dopo un grande coccolone a seguito di scippo.
Ma invano.
Divenne sempre più malinconico, bello come Johnny Depp, anche
se per lui Depp significava soprattutto l’abbreviazione di Depresso.
Spese un mutuo in shampoo (da Bausciampo, quello all’aloe vera
per milanesi vanesi e sbruffoni a Sciusciàmpo, quello all’aloe
contraffatta spacciato a Napoli), in balsami luminosi come Piedigrotta,
in lozioni rigeneranti all’estratto di capelli e peli superflui, antiforfora,
antiterrorismo, antimafia. Poi si ipotecò la casa per una manicure
personale filippina e per l’acquisto di camionate di creme detergenti,
rassodanti, curative, lenitive. Trascorse le giornate sfregandosi
maniacalmente le mani in un crescendo di sfilare i guanti, rimettere i
guanti, lavarsi, rilavarsi, con acqua tiepida, calda, bollente,
freddissima, cupo in volto e incredulo circa il destino che gli impediva
di rinverdire le gesta e le gestualità della chioma al vento di Caselli
(non Caterina, n.d.r.) nonché di Di Pietro e delle sue mani pulite che
però, quasi per rivalsa, immaginava olezzanti di porchetta e
arrosticini.
Infine, decise di cambiare vita.
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Dopo aver giurato a se stesso che non avrebbe più sfilato i guanti
neanche per un attacco di scabbia o per farsi il bidet, si fece trasferire
ad una procura tranquilla e fuori del mondo: dimenticò le ingiustizie
della vita e concluse serenamente la sua carriera di magistrato senza
forfora. Salutati i suoi colleghi come un navigatore indicando loro la
località verso la quale era stato inviato con “Gughelmàps”, aveva
concluso lapidario snocciolando l’ennesima sentenza, stavolta latina:
“Licmanebimusoptime”.
***
La vita di Omar Esciallo di Napoli è sempre stata improntata al
realismo.
Fin da giovane scugnizzo, infatti, Omar ebbe il buon senso di
ritagliarsi il suo spazio, ridimensionandolo intelligentemente rispetto
ai suoi sogni di gloria.
Appena uscito dalla scuola con un diplomino ottenuto senza
infamia e senza lode, forte della sua passione per il bel canto e per una
discreta abilità nel suonare il tricchebballacche, cercò di seguire le
orme del suo compagno di banco Carmine Apicella, già provetto
chitarrista, persona molto socievole con un olfatto sviluppatissimo da
cane da tartufi circa l’individuare il vento favorevole per la sua
esistenza, e fondò con lui un duo musicale specializzato in melodie
partenopee.
Purtroppo per lui, Omar aveva già il suo baffo che si potrebbe
definire precarabinierico, indelebile come tatuato, di filo di ferro, nero
nero, non rasabile, che gli conferiva un’aria poco rassicurante. Ed era
figlio di un fuoriuscito marocchino indipendentista, un arabo,
Polisario Insciallà, poi italianizzato a Napoli come Esciallo, individuo
da prendere con le molle per i suoi trascorsi sovversivi. Divenne
difficile, dunque, introdursi negli stessi ambienti frequentati dal suo
compagno Carmine, sempre levigato, abbronzato alla lampada,
cortese e simpaticissimo. Inoltre era assai poco estetico entrare nei
salotti buoni con un tricchebballacche sotto il braccio. Il duo musicale
si sciolse, dunque, e Carmine Apicella cominciò a dare ripetizioni di
canto sommesso ad un ometto coi soprattacchi delle parti di Milano.
Omar cominciò a guardarsi intorno, sempre meno rassicurante con il
suo baffo nero che incuteva soggezione.
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Sbarcò il lunario esibendosi abusivamente come fosse un
parcheggiatore, col suo inseparabile tricchebballacche, nei ristoranti
sul lungomare di Napoli e conobbe un collega che suonava lo
scacciapensieri e l’ocarina, un tale di nome Quagliarulo, preso da tutti
gli osti per i fondelli con rime sconce, anche perché suonava come un
cane e infastidiva i clienti con cacofonie strazianti.
Nacque uno strano rapporto tra loro, di amicizia in sudditanza, di
Quagliarulo, meno istruito e più dimesso, e Omar Esciallo, più
arrogante e protettivo. Omar, che nel frattempo meditava di prodursi
in qualcosa di così esplosivo da rendergli fama e onori, accarezzò
l’idea di costituire un altro dinamico duo con il suo amico per
combattere la camorra nei vicoli di Forcella, magari in costume e
mascherina, imitando le gesta di Batman e Robin. Poi, all’idea di
vedere Quagliarulo in costume da Pulcinella col mantello svolazzante
ed egli stesso travestito da Vesuviomen, in tuta tutta colata di
pummarola e di lava fusa, fu scosso da un autocritico riso irrefrenabile
che lo piegò in due e lo fece riflettere con maggiore realismo e senso
delle proporzioni.
I due, anche perché non comprendevano mai molto bene le
barzellette, entrarono nei Carabinieri. Omar Esciallo, forte del suo
diplomino, imboccò la carriera di sottufficiale e divenne maresciallo
mentre Quagliarulo si fermò ad appuntato, unica promozione
ottenuta soltanto dopo aver promesso di appuntare ad un chiodo il
suo scacciapensieri che rompeva la balle a tutti in caserma.
I due diedero vita a un fortunato sodalizio, seppure in divise
diverse da quelle immaginate da Omar, e spiccarono il volo verso il
mantenimento dell’ordine pubblico a Nola (ahahah) per poi essere
trasferiti, per la loro stessa incolumità, a San Pirlottero della Credenza
dove si distinsero per il ruvido solido equilibrio e dove promossero
l’uso del tricchebballacche e dell’ocarina in qualche concertino
dopolavoristico di braccianti, ma senza troppa fortuna.
Il resto è storia dei nostri giorni.
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9. Sviluppi e avviluppi. Ore 22.00 del primo giorno.
Esterno
Per ingannare il tempo, l’appuntato Quagliarulo familiarizza con
Telemaco Mefaccio, l’inviato di Tele Patia. Hanno scoperto di
condividere un’insana passione per trasmissioni di disinformazione
pseudo-scientifica tipo Bojatager, programma noto per aver accertato
cause paranormali alla base della condotta politica del PD.
- Lei mi passi qualche informazione riservata, appuntato, e io
entro mezz’ora le porto qui la sensitiva.
- Fantastico! Vado a informare il maresciallo.
Quagliarulo s’allontana cinguettante come un cacciatore di
quaglie di frodo col richiamo acustico elettromagnetico nascosto nel
culo. Novello pifferaio magico, quando raggiunge il diretto superiore,
alle proprie spalle è incalzato da una composita fila indiana d’uccelli.
Nel vederlo arrivare, su inconscia imbeccata dei neuroni a specchio,
Omar Esciallo spranga d’istinto lo sfintere anale come una casa
d’appuntamento che non paga il pizzo. Non bastasse, si nasconde
pure dietro la sagoma di primattore del PM Aldo Vere Minchino che
sta citando Scespir e il suo “tubiornottubì” e finge di confabulare con
lui sul senso della vita con voce impostata con raccomandata e
ricevuta di ritorno.
Tuttavia l’appuntato ha puntato la preda e non si scoraggia punto.
- Marescia’! Marescia’! Grandi novità. Ho preso accordi per un
contatto con una sensitiva.
- Mmm… Quagliarù, ‘sta storia puzz’ e fregature lontano un
miglio. Spiegate meglio, ché de sensitive conosco solo Hatù.
- No, marescià, vi sbagliate: io non sono sensitivo.
- Hatù, non a tu. Macchesfaccimme ne vuo’ capì, Maronna ‘o
Carmine!
- Allora c’è questa sensitiva garantita che cercherà di entrare in
contatto telepatico con gli attentatori.
Mmm… Ca’ na’ pensate, dottore?
Minchino pare d’accordo e scuote fieramente il capo alzando il
pollicione tripliguantato in senso d’assenso.
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- Tazzorrait. Anche se nutro il ragionevole timore che poi potrei
passare da Minchino a minchione.
Quagliarulo, ammiccando verso il suo diretto superiore, cala il
jolly.
- Beh, durante la trance medianica, oltre alle informazioni sul
complotto terroristico, potremmo chiedere anche i numeri al lotto.
Bingo: da accanito giocatore, il maresciallo capitola.
- Uèèè! Iamme, Iamme, Quagliarù, nun ce ‘sta tiempo ‘a perdere!
Lily Cavedano vede rosso. Quel paranormale di Mefaccio la sta
fregando! Ora ci manca solo che la scavalchi pure quel subnormale di
Tele Nuoto e sarebbe la debacle più completa!
Serve un colpo a effetto, una trovata sensazionale, qualcosa di
particolarmente sconcio.
Scandaglia il parcheggio coi raggi XXX alla ricerca di un maniaco,
di un guardone o, in mancanza di meglio, di qualche vecchio attore di
film porno. Niente. Eppure stanno un po’ dappertutto, ultimamente,
in tv. Solo che così per strada è difficile riconoscerli “vestiti”. Mmm…
Ohi, porca paletta! Lily sussulta: poco più oltre una donna sta
schiantando la borsetta su un uomo che ha cercato di suggerle una
tetta. Più che uno scoop sembra una barzelletta, ma ricamandoci sopra
una bella narrazione emotiva da mercato rionale, potrebbe uscirne un
pezzo interessante. Così s’avvia di buon passo in direzione dell’uomo.
Nel frattempo Minchino, Quagliarulo e Omar Esciallo sono in febbrile
eccitazione per l’arrivo della medium. Telemaco Mefaccio riappare
magicamente all’altro capo del parcheggio scortato da un cubo di
carne. Avanza lentamente mentre la marea di gente s’apre come il
Mar Rosso al cospetto delle persone famose. E’ lei o non è lei? Certo
che è lei! Sarebbe mai possibile confondere i 120 chili baffuti per un
metro e cinquanta della sensitiva Iva Sensit di Tele Patia, nota a tutti
per il suo talk show politico “Ghosteria!” in cui tra una divinazione e
l’altra, vengono evocati lo spettro della recessione, lo spirito civico e
l’anima della sinistra morta e sepolta, nonché le ricette del risotto allo
champagne di D’Alema. La folla applaude. La veggente risponde
roteando il bianco degli occhi e sbava come un sanbernardo.
- Buongiorno dottore, buongiorno Omar Esciallo. Vi presento Iva
Sensit.
Minchino tace assorto alla ricerca della citazione acconcia perduta:
gli sovviene “Godsevtequin” ma ha il sospetto, giustamente, che non
c’entri una mazza, e continua, mortificato, nell’assortimento del
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tacere. Il maresciallo squadra la donna cosparsa di ammennicoli e
tatuaggi variopinti su ogni parte del corpo. Rosso, giallo, verde, blu,
bianco.
- Quagliarù, me sa che chiste è l’anello mancante tra l’homo
sàpien e ‘o cubbo de Rubbikke.
- Non la distragga maresciallo. Non vede che sta già divinando.
La veggente gorgheggia con voce baritonale.
- Uuu… Uuu… Uuu…
Telemaco s’incarica di tradurre e commenta il tutto in diretta.
- La sensitiva abbisogna di qualcosa che sia venuto in contatto con
i terroristi.
- Non abbiamo nulla.
- Uoo… Uoo… Uoo…
- Cheddice?
- Dice che le basterà il terreno che hanno calpestato. Guidateci
verso l’ingresso del supermercato.
Mefaccio è al settimo cielo. Scherma l’audio e fa l’occhiolino al
cameraman di Tele Patia che riprende la scena direttamente cogli
occhi sguerciandosi per il grandangolo.
- Sto godendo più di quando mefaccio una sega!
Per contro, Lily lo sta fissando con tale livore che se potesse gli
cavedanorebbe entrambi gli occhi!
- Ecco, maresciallo. Qui va bene.
- Uee… Uee… Uez… Z… Z…
- Attenzione, gentili telespettatori: la sensitiva ha captato
qualcosa!
Il brusio si placa. Tutto tace. Passano tre minuti buoni in cui tutti
restano con fiato sospeso. Qualcuno, paonazzo in volto, sviene.
La sensitiva si riscuote, scatta, prilla su se stessa e pinza a tenaglia
le spalle di Quagliarulo prima che l’appuntato possa muovere ciglio.
- Uii… Uii… Uii…
Mefaccio prosegue la concitata telecronaca dell’evento.
- Ecco, gentili telespettatori, il responso è positivo! La sensitiva ha
detto sì. Ora sentiremo cos’ha da dirci.
Quagliarulo impallidisce, anche perché la morsa delle mani della
donna è idraulica. La sensitiva lo punta negli occhi, con sguardo
ipnotico, dopodiché arringa la folla senza bisogno di un microfono,
fidando sulla propria voce da baritono.
- Plìc! Plìc! Plòc! Grsh… Volete i nomi degli attentatori, eh?
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L’appuntato s’incarica di rispondere a nome di tutti.
- Ecco, sì, veramente…
- Orbene, senti il mio fluido che ti permea. Lo senti come passa?
Quagliarulo annuisce e la medium prosegue.
- Ecco, allora se proprio volete ‘sti nomi, farò passare anche i
nomi, insieme al fluido!
- Oddio!
- Eccoli! Eccoli che entrano in te! Li senti? Entrano, entrano,
entranooo!! Sono entrati! Entrati! Or ora, in te ‘sti nomi stanno!
Esciallo è dibattuto tra l’incredulità di una siffatta scena
drammatica e l’umorismo di suoi pensieri maliziosi: spera per
Quagliarulo che i nomi che gli stanno entrando dentro siano quelli di
Ugo, Ivo, Luc, Ric, anziché quelli di Pierferdinando, Ermenegildo,
Frescobaldo e GioacchinoMaria, e spera anche che non gli facciano
troppo male. Poi rabbrividisce solidale al solo pensiero di
Nabucodonosor, che immagina anche come una supposta da prendere
dopo ogni pasto.
Tra la folla dei testimoni un personaggio effeminato bolognese,
terrorizzato quanto Omar Esciallo dalla scena che lascia presagire
soprannaturale dolore emorroidario cerca di mimetizzarsi come se
fosse circondato da naziskin inferociti. Rivolto a tutti e nessuno, ad
occhi bassi e cuore tremolante, biascica sommesso con la voce più
maschia possibile.
- Io non sono il busone di Higgs. No, non sono il busone di Higgs:
io sono solamente una particella di zio, zio Higgs, e non c’entro
niente. Lasciatemi stare. E’ vero, mi hanno beccato a Ginevra mentre
mi abbassavo la Cern-iera in un parco pubblico, ma passavo di lì per
caso: stavo facendo un picnHiggs! Stavolta vi giuro che state
sbagliando persona.
Il procuratore, per canto suo, soppesa l’eventualità di una
incriminazione della medium per molestie abusive del buso
dell’appuntato e unisce le mani guantate dietro la schiena a inconscia
protezione, giacché, oltre che delle mani, è un fautore convinto anche
del culo pulito, inteso anche come sgombro (non il pesce). Si volge
intorno ad abbracciare la scena e poi teatralmente declama:
“gnoziseautòn”. Nessuno capisce una fava, tutti lo guardano
interrogativamente, e il PM s’immalinconisce vieppiù. Filosofeggia
dentro di sé, nella sua procuraggiuntità, che il concetto di pulizia delle
mani, da solo, non può fronteggiare l’ignoranza abissale del genere
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umano, soprattutto con la sintesi ideale espressa dalla saggezza
popolare nel proverbiale detto: “una mano lava l’altra, tutte e due
lavano il viso, ma quale pulisce il culo?”.
Mefaccio si precipita a intervistare Quagliarulo.
- Spettacolare! Che incredibile colpo di scena! Tra poco sentiremo
dalla viva voce dell’appuntato Quagliarulo i nomi degli attentatori. Ci
dica, appuntato, ci dica…
- Non so…
- La sensitiva le ha passato i nomi! Orsù, ce li comunichi, prima
che il fluido fluisca, prima che evaporino dalla sua mente.
- Non s-so… Sorse per un attimo ho percepito qualcosa, ma
adesso n-non ricordo più.
- Incredibile colpo di scena, gentili telespettatori: l’appuntato non
s’è appuntato i nomi!
Quagliarulo è completamente disorientato. S’allontana scrutando
l’orizzonte con sguardo vacuo e ripete frasi sbocconcellate del tutto
prive di senso.
- Non mi sono appuntato… Non m-mi sono appuntato… Ma
allora… chi sono? Arriverò mai a stare coi brigadieri se non mi sono
appuntato oggi? Non credo. E ieri? E domani?
Omar Esciallo lo richiama all’ordine.
- Quagliarulo! Ca’ si sonnambulo? Almeno suogname i numeri ‘o
lotto!
Niente da fare. Quagliarulo gira in tondo e canticchia “ho fatto un
sogno, tanto tanto bello, ero in un castello sotto il cielo blu!” La
sensitiva se ne va indispettita, rimuginando e borbottando baritonale
sul perché e sul per come qualcosa non abbia funzionato: i conti non le
tornano.
- Strano, molto strano. Qualcosa non quaglia: ero sicura che….
Il maresciallo ironizza.
- Nun è quaccosa: è Quagliarulo cà nun quaglia. Accussì
ciabbiamo pure ‘na bella cinquina secca: quaglia 11, chiaroveggente
22, polvere 27, nomi 18 e sonnambulo 43, sulla ruota di Baritono.
Quagliacosa, portami ‘na gazzosa!
Telemaco Mefaccio è disperato. Lo scoop della divinazione si è
risolto con un flop. Scruta di sottecchi tra la folla, alla ricerca della
faccia di Lily Cavedano, immaginandola distorta in un ghigno
beffardo. Nulla di più errato: la rivale è seria e composta, tutta assorta
nell’intervistare un ometto spaurito di mezza età che, in mancanza di
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meglio, si succhia il pollice. Telemaco si avvicina e scopre che quel
demonio della Cavedano è riuscita a scovare tra la folla niente po’ po’
di meno che il marito di Dana Rospicciolo, la cassiera del Grand
Marchè, il signor Cino Latti.
Interno
Il corifeo dei lassativati, ormai piegato sui carrelli da un sonno
generato dal moltiplicarsi degli eventi, canticchia a mezza voce una
ninna nanna a vantaggio di tutta l’altra clientela del Grande Marcio e
soprattutto dei bambini.
Ovo, nel reparto ortaggi, s’è circondato di spicchi d’aglio e in
soprammercato anche di cipolle e ha fabbricato un grande crocefisso
con due mestoli da cucina. Cerca d’addormentarsi, seppure con un
occhio solo. Lino, poco distante, lo guarda come guarderebbe un
Parmacotto, con gli occhi a mezz’asta, tra le braccia di Filomenosofia
che a sua volta è avvolta da Dragon Ballu che nel sonno fa strani
rumori da cartone animato in rumeno.
La famigliola è defilata, un poco per diffidenza, un poco per
pigrizia, tra i rotoloni milleusi Capitomboli, i rotoloni di rame in
tessuto traforato Forame, e gli strofinacci per la cucina Frego, in puro
cotone fasullo per strofinare il rame, tanto per coprirsi alla bell’e
meglio.
I due pensionati si sono accovacciati quasi dentro il fornetto dei
polli allo spiedo, ancora tiepido, e già ronfano bofonchiando di
reumatismi e allappando le dentiere al profumo delle patate cotte nel
grasso del pollo.
I pochi svegli parlano a bassa voce da Bassa: cioè bassissima.
Dana confabula timorosa con l’Adele che fuma un cubano e
sembra Raul Castro da giovane dopo una sbarbata dal barbiere. La
punta incandescente del sigaro brilla rossastra nell’oscurità.
- Che ne sarà di noi?
- Non ne ho idea. Ma venderemo cara la pelle e non ci faremo
soggiogare da nessun tipo di speculazione .
- Mah, sarà… La Binetto oggi voleva inoculare Olaf, tu pensi che
ci vogliano speculare sopra. Io quasi quasi vado a prendere una
piastra di ghisa al reparto pentole, da mettermi sotto le mutande per
autodifesa passiva.
70
L’Adele ride amara e abbraccia cameratescamente la popputa
cassiera: la strizza con la sua forza da lavoratrice alle presse tanto che
lì intorno a loro sembra che sia scattato il dispositivo antincendio alla
schiuma di latte.
Olga dorme agitata e digrigna i denti in dialetto padano con la
testa reclinata sullo scaffale delle lenti a contatto, tra le lenti
giornaliere Opulenti, le esclusivissime lenti per clienti benestanti con
ricca dotazione di serie di spazzole tergicristallino, e le Lenticchie, le
lenti più economiche con la salvietta pulente in mazzolino, la cui
locandina recita testualmente “Guarda il primo prezzo a dieci
decimi”. Mormora con astio, agitando nel sonno un forchettone.
- Lampedusa e getta, Lampedusa e getta.
Olaf non può sentirla, in delirio febbrile senza sogni, nero nero.
Dopo un po’, però, dal nero emerge una seppia che riverisce e si
presenta porgendo dieci braccia.
- Salve, sono Giuseppia e vivo in un libro di fiabe per bambini.
- Ciao, sono Olaf. Anch’io vivo in un libro .
- Com’è che hai la faccia così nera?
- Sarà l’inchiostro. Oppure il buio.
- Sei arrabbiato?
- No, ma sono nero comunque. E non è un problema da poco visto
che qui, chi più chi meno, sono tutti razzisti.
- Perché non fai come me? Io il nero lo tengo nascosto dentro.
Vuoi che t’insegni? Non è difficile: guarda…
- Sei proprio brava. Io però non ci riesco.
Olaf ha gli occhi umidi. Cerca invano di trattenere le lacrime. La
seppia lo redarguisce.
- Beh, che fai adesso? Piangi? Seppiangi vuol dire che non sei
capace di tenere tutto dentro.
- Non è vero: la mia manifestazione di dolore era comunque
contenuta!
- Interessante, ma non mi suona bene quanto la morale.
- C’è una morale?
- C’è sempre la morale in un libro di fiabe per bambini.
- E quale sarebbe?
- Che come un uomo bianco può farne di tutti i colori, così un
uomo di colore può andare in bianco: l’importante è l’allegria con cui
si affronta la vita, il riso, per il colore, e il riso in bianco.
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Olaf sbuffa, poi gonfia il petto e scandaglia le increspature del
pelo dell’acqua, oltre il natante.
- Parole vuote. La mia missione, invece, è di vitale importanza per
il futuro della pura razza umana.
- E quale sarebbe?
- Uccidere la balena bianca con la mia fiocina inghirlandata,
cantando allegramente a squarciagola “tsamina mina eh eh
waka waka eh eh”.
- Inghirlandata? Waka waka?
- Certamente! Per dare una nota di colore al tutto.
- Perché non inizi dal buio uniforme di questa notte senza luna?
Non ti mette tristezza questo muro di tenebre?
- E come posso fare?
- Vieni qua.
Con i suoi dieci tentacoli la seppia Giuseppia lo solleva verso il
cielo buio. Olaf chiede lumi.
- Cosa devo fare adesso?
- Tendi avanti le mani e spingile prima in alto poi in basso
nell’aria. Ecco, proprio così: continua.
Et voilà: due mani di colore e tutto è come nuovo.
Olaf si rigira e sorride nel sonno: sogna di essere accettato, in
senso buono e non cruento bossinico, ed è più sereno, come sotto
effetto di un potente integratore sociale melatoninico.
Marcello sì è istallato nell’ufficio con Don Deno. Dorme e basta,
sempre pragmatico.
Don Deno invece è di fronte a lui, sveglio, e medita sull’accaduto,
sul fratello, su ciò che possono avere fatto per provocare tutto ‘sto
casino. Poi vagheggia, more solito, covoni e grappoli d’uva, e si
prefigge di andare in bagno per fustigarsi, ma desiste al solo pensiero
di quello che potrebbe trovare nelle toilette dopo l’offerta speciale del
‘Lassa perdere’.
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10. Quinta divagazione. Il Duo Deno.
Al di là delle loro scelte, uno a favore della vita laica e l’altro a
favore di quella confessionale, i fratelli Deno hanno sempre avuto
interessi molto simili, anche perché essenzialmente riconducibili a soli
due ambiti della vita umana: donne e soldi.
Tutto ebbe origine dal loro babbo, Daino Deno, e dai suoi
insegnamenti formativi.
Daino Deno era un affermato cacciatore di donnole e aveva fatto
una fortuna con le loro pelli. Una volta, ai due bimbi che lo
guardavano con occhi sgranati mentre conciava per le feste una
donnola pesantemente truccata e con le calze a rete, sul tavolone di
marmo della cucina, così disse.
- Ragazzi, ascoltatemi bene e non cadete nella trappola delle
donnole. Il proverbio “Chi dice donna dice danno!” non è inteso
come nocumento o svantaggio o contrattempo, ma come voce del
verbo ‘dare’. Avete capito, figlioli?
I ragazzi annuirono, incapaci di articolare suoni di senso
compiuto che potessero fronteggiare la stringente dialettica del padre.
Confortato, Daino Deno chiosò soddisfatto.
- Eh, non me ne sfugge una, figlioli: tutte quelle che agguanto me
la danno ed io non mi faccio certo sfuggire l’occasione di far loro
“pelo e contropelo”. Tant’è vero che il proverbio andrebbe aggiornato
in ‘Chi dice donna, dice Daino’.
I ragazzi comprendevano molto bene. Alla morte prematura di
papà Daino, strozzato nel bosco da una cinghialessa mentre spiava
una donnolona con un pellicciotto alla moda, Dino cominciò la sua
esperienza da subito con le prefiche nella stanza mortuaria e tanto
s’applicò che ottenne un forte sconto sulla loro tariffa. Gli sembrò di
vedere suo padre sorridere nel sonno eterno sul lettone e si sentì fiero
di sé stesso mentre una voce interiore urlava di gioia preventiva: viva
le prefiche, viva le prefiche, viva le prefiche!
Anche Donato cercò di mettere in pratica gli insegnamenti
paterni, sebbene fosse spesso attanagliato da dubbi e rimorsi che poi
aveva la necessità interiore di superare con dolorose penitenze. Così,
anch’egli accostò preventivamente il Puzio Scivola alle prefiche umide
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di pianto, ma nel contempo sentì il bisogno di familiarizzare con i
gatti: a nove code.
I due fratelli, detti anche Duo Deno, dopo una breve lotta intestina
per la spartizione dell’eredità di papà Daino, subito superata con
l’intelligenza di chi sa che ‘two gust is mej che uan’, ovvero che
l’unione fa la forza, emigrarono in Francia per fare fortuna.
Dino, già abituato fin da piccolo a rischiare, a sottomuro per le
figurine coi compagni di scuola e a sotto sotto con le vecchie bagasce
della provincia senza precauzioni, spese la sua parte di eredità per
circuire la ricchissima nonuagenaria Celestina Varicò, detta Cele, nota
eccentrica esibizionista e ninfomane delle notti brave di Parigi,
nonostante l’età non più verde brillante, ma verde marcia.
La impalmò con un matrimonio incivile che fece scalpore nella
Parigi bene e poco bene e si ritrovò vedovo dopo soli tre giorni, ricco
sfondato, anche se non abbastanza per mettere in pratica un suo
progetto covato da tempo.
La Varicò-Cele divaricò le cosce e coinvolse il neo marito in due
giorni infuocati all’insegna del fegato forte sfiancandone le vene
testicolari: Dino visse un’esperienza davvero unica come fosse un
gioco a mosca cieca, da bendato, per il disgusto e per non vedere la
dentiera di sua moglie nel bicchiere sul comodino. La Cele, alfine,
sebbene ancora insoddisfatta, lo lasciò tumefatto a riposare. Lo lasciò
poi definitivamente dopo una sfrenata cavalcata alla Lady Godiva in
un bosco, centrata da un ramo basso di bosso, a seguito di
complicazioni polmonari per una notte all’addiaccio, completamente
nuda prima dell’arrivo dei soccorsi. Cele era solita tentare chiunque e
amava farsi vedere nuda a cavallo dai villici e dai boscaioli che poi, a
sua insaputa, concimavano il sottobosco vomitando anche le budella.
Quella galoppata tre giorni dopo le nozze fu l’ultima e le fu fatale.
Donato Deno, invece, si rese conto di avere doti non comuni
nell’ascoltare, conscio dell’essere ricettacolo di ogni tipo di confidenza
da parte di amiche, amiche di amiche e anche amiche delle amiche
delle amiche.
Andò in crisi di identità circa il suo futuro. Che fare?
L’avvocato o lo psicanalista? Nooo: tanti soldi, certo, ma anche
tanta ansia da prestazione vincente. Per caritààà!
Il parrucchiere? Nooo: Donato era a manualità zero, eccetto che
per alcune pratiche intime dove eccelleva alla grande.
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Il prete, allora? Eh, forse sì: vita comoda, fare niente, dispensare
buoni consigli, magari con un tornaconto personale, eh eh, perché no?
E che tipo di prete? Prete rivoluzionario alla Camillo Torres?
- Ossignur: ho voglia di bella vita e fare un cazzo e poi me ne
vado in giro per il mondo a prendere mitragliate? Assurdo!
Prete operaio?
- Madicosiamomatti? Gli unici calli che le mie mani conoscono
sono i Mercalli e gli unici movimenti cui sono aduse sono quelli
ondulatori, sussultori e masturbatori.
Prete di strada?
- Mmm…. Questa non è da scartare: già, così carico le donne di
strada.
Prete riformista?
- Ecco! Eureka! Sì! Impegnato contro il celibato dei preti, a favore
della puttanasia dei preti, contro il pagamento dell’IMU, li murtacci
loro, predicatore e innovatore della religione, magari con qualche
comparsata in televisione, e relativi gettoni di presenza, offerte votive,
celebrazioni a tariffa, sì, sì, è la mia strada!
E Donato Deno prese i voti e divenne Don Deno.
Dino, nel frattempo, cercava di aumentare a dismisura il suo
capitale da investire nel sogno d’una vita: aprire un supermercato nel
suo paese natale e vivere di rendita pasturando le Pirlotteresi senza
troppi altri pensieri che non riscuotere prestiti a tasso d’usura. Era ciò
che da sempre gli riusciva meglio: prestava soldi a strozzo, ma non
bastava, anche perché la metà di quelli restituiti se la spendeva in orge
e orgettine sul modello di quelle di Milano.
Ebbe allora un’intuizione che poi si rivelò vincente: rivolgersi a
suo fratello prete.
Lo andò a trovare nella parrocchia di Saint Julien Le Pauvre e lì, in
sagrestia, sotto un monumentale affresco del seicento raffigurante
Santa Giuseppia venduta dai fratelli al mercato del pesce al grido di
‘Orate fratres’, un’opera davvero molto atipica del Pollaiolo, si creò un
sodalizio.
- Donato, a soldi come stai?
- Me la cavo abbastanza bene, Dino. Quando confesso, invece di
dare penitenze a base di ‘pater, ave e gloria’, faccio le multe e le faccio
conciliare subito, talvolta in natura, ahahah, ma anche in soldoni.
- Sono contento perché ho una propostina da farti…
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E gli espose il progetto del Grand Marché a San Pirlottero della
Credenza.
Don Deno s’illibidinì: pensò al ritorno a casa, alla parrocchia del
suo paesello, alle sue parrocchiane con le quali non avrebbe avuto
nessun problema di usi e costumi e soprattutto di lingua in tutti i
sensi.
- Niente male come idea, fratello. Dovrò aumentare le tariffe,
magari istituirne qualcuna di nuova circa l’uso delle candele votive,
però penso che tra qualche tempo si possa realizzare quello che speri e
che si possa ritornare a San Pirlottero.
- Allora qua la mano, Donato.
- Meglio di no: rimaniamo sulla parola data tra fratelli. Ho appena
imposto le mani su una parrocchiana penitente genuflessa e non ho
avuto il tempo di lavarmele.
Il sodalizio si formò, dunque, con i due fratelli uniti più che mai
dalle loro comuni passioni riguardo i soldi e le donne.
Il resto è attualità, da allora.
Dino ogni tanto è bersaglio di messaggi minacciosi da parte di
qualche debitore alle strette o di qualche marito cornuto: copertoni
tagliati, lettere anonime, piccioni sgozzati, la testa di una nutria nel
letto, e quant’altro. Don Deno è invece circondato da una fama
ambigua per dicerie di beghine circa aspersioni strane e convegni
movimentati dentro il confessionale, ed è fatto oggetto di lamentele
per onorari da mutuo in messe cantate, funebri, battesimi e prime
comunioni.
Il Duo Deno, comunque, è di fatto il potere di pancia e sotto la
cintura del paese.
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11. Iniziative sparse e una grande elezione di civiltà.
Ore 6.00 del secondo giorno.
Esterno
Aleggia sul piazzale antistante il Grande Marcio un persistente
odore di fritto e d’unto: le paninoteche hanno fatto affari d’oro fino a
notte fonda con curiosi a sciami come cavallette. E’ andato a ruba
soprattutto il panino “Quà-Quà” al Quartirolo Quarantenato con
porchetta del Duo Deno.
Ora c’è silenzio, rotto da isolati rutti e grugniti di volontari che
dormono sotto il tendone, al retrogusto di porchetta morta vivente che
disapprova la moda di certi panini.
Qualcuno, però, nonostante l’ora, è ben desto: lo si intuisce dalle
rotelline del cervello che cigolano impazzite sotto sforzo di idee
pirotecniche.
E’ Lily Cavedano, che sfrigola rigurgitando l’eco di patate fritte.
Riassume la situazione, visiva e mentale, e si coccola con lo
sguardo Cino Latti, il marito della cassiera Dana Rospicciolo, salvato
la sera prima dalle borsettate di una donna popputa di mezz’età.
Dorme come un pupo sopra un tavolo, in posizione fetale greca con il
pollice in bocca, imbacuccato in un sacco a pelo salvafreschezza. La
reporter progetta di svegliarlo all’alba per registrare un collegamento
da offrire ai telespettatori con il primo telegiornale delle otto, prima
della concorrenza che ancora dorme.
Telemaco Mefaccio, in effetti, si è teletrasportato fino a casa sua e
dorme a pelle di leone sul suo letto cercando di collegarsi in sonno con
la sua attrice porno preferita.
Il corrispondente di Tele Nuotizie dorme un tranquillo sonno di
piombo, senza andare a fondo anche perché fasciato da un variopinto
salvagente, e fa il morto a galla.
Lina Picco s’è riparata dentro uno scatolone di conserve
extracomunitarie precedentemente sfrattate dai vigili. Si agita nel
sonno e lo scatolone s’anima di vita propria: sembra parlare tra sé e sé
dell’ora tarda, col solito effetto eco. In realtà Lina sta biascicando
REMinescenze rancorose.
- Cavedano Bastarda, bastarda, tarda, tarda…
77
La Cavedano ghigna: pensa che chi dorme non piglia pesci, e lei
ha davanti a sé un merluzzone che abbocca ad un ciuccio.
Scuote Cino Latti brutalmente. Cino caglia di soprassalto.
- Allora signor Cino, vogliamo registrare un’intervista?
- YAAAWWWNNN… Ecco, un attimo: sono ancora filante e
squacquerello.
- Forza, forza, tomino: si svegli o la passo alla griglia.
- Sì, sì: eccomi. Mi dica.
- Rip! Forza con la telecamera! Inquadra il Latti Cino.
- Pronti.
- Buon giorno, telespettatori di Tele Rigiro. Ecco a voi la vostra
Lily Cavedano con uno scoop esclusivo. Lì e lì ca vedano tutti il
mortorio dopo una notte di pensieri e di veglia tra preghiere e
piadine, ma vedano tutti parimenti che qui abbiamo un premio oscar
come miglior attore non protagonista: il signor Cino Latti, il marito di
una persona quarantenata all’interno del Grand Marché, della signora
Dana Rospicciolo, la cassiera del supermercato. E’ preoccupato, signor
Cino?
Cino si scuote dal torpore. Si transenna il riporto a caciottella con
il dorso d’una mano e strizza gli occhi alla telecamera levandosi il
pollice dell’altra dalla bocca, un pollicione con sembianze capezzolari
da bollino rosso.
- Ho fiducia nelle istituzioni e desidero rivolgere un appello alla
mia signora: coraggio, cara, tieni duro. Qui fuori sto vegliando su di te
e ti penso ogni momento, da ieri sera davanti ad un tazzone di latte
prima di dormire, ad ora, davanti a questa piattata di panna cotta con
ciliegione sopra che mi ricorda te. Coraggio, cara, resisti e non
scadere: al limite mettiti in frigo.
Cino ha un moto di commozione, come una spremitura di gocce
di gorgonzola, e si frena da un pianto a dirotto ricacciandosi il
pollicione in bocca. Succhia nervosamente con un rumore di
ruminante scosso da tremiti che gli pastorizzano le spalle.
Lily Cavedano è raggiante: pathos, audience e soprattutto grande
pollice di gradimento.
- Vi aggiorneremo nei prossimi collegamenti, gentili telespettatori.
Per ora una buona giornata dalla vostra Lily Cavedano.
Poi, a camera spenta, si rivolge a Rip.
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- Registrato? Bene. Manda in onda col notiziario delle otto, dopo
la pubblicità della Riccotta Baiocchi, la ricca ricotta di Montone dei
Pasconi di Siena. Grazie signor Cino. Arrivederla.
Cino fermenta sopraffatto dall’emozione e dall’ansia, virando al
verde con la barba di due giorni che sembra un velo di muffa su un
Ansiago, il formaggio tenero agitato da fermenti interiori, ottimo su
una fetta di panico. Da lontano un agente dei NAS lo segue con un
binocolo, pronto a sequestrarlo da un momento all’altro.
Quagliarulo, invece, ha passato la notte insonne. Dopo lo shock
dell’incontro con la medium di Tele Patia, l’appuntato si è trovato ad
affrontare una sequenza inquietante di eventi anomali: la sim del
cellulare si è smagnetizzata, è stato costretto sul cesso da sette scariche
sataniche di diarrea ed ha captato nitidamente le trasmissioni di Radio
Maria mediante il fregio metallico del berretto della divisa. Forse per
lo stress, gli si è pure riacceso il dolore dell’ulcera duodenale e gli
occhi sono tutti iniettati di sangue, neanche avesse passato la notte
intera attaccato a You Porn. Sulle spalle, nei punti afferrati dalle mani
della sensitiva, sono comparsi due vistosi ematomi a forma di Sacro
Graal. Il russare continuo del suo diretto superiore, invece, pur
assumendo a tratti le tonalità d’un unicorno tibetano, parrebbe
riconducibile, più che a un fatto paranormale, alla paranza fritta della
sera prima.
- Signore aiutami! Qui finisce male…
Se solo potesse ricordare i nomi! Già, ‘sti maledetti nomi! Chissà:
magari Francesco? O forse Carlo? Maledizione! Porca vacca… Carlo?!
Fuori inizia ad albeggiare. L’appuntato s’alza dalla branda ed esce
dal tendone messo a disposizione dalla protezione civile. Mentre si
gratta con sguardo assonnato la barba di due giorni, rimugina sulla
strana sensazione che ci sia qualcosa, magari un indizio marginale a
portata di mano, che però ancora gli sfugge.
Esterno distante
L’alba chiara e fresca come l’aria lascia presagire una giornata di
sole RISplendente, ma non promette altrettanto bene per il Colonnello
Esa Guglielmo, detto Mino dai suoi colleghi ufficiali, comandante del
laboratorio provinciale dei RIS.
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Ha trascorso una notte tRIStanzuola con un rumore di RISacca nel
cervello, tra riflessioni sul nuovo caso di San Pirlottero della Credenza
e contorcimenti per una cena pesante. Ha avuto una riunione di quelle
tRISti, ieri sera: il raduno dei vecchi compagni di scuola. Cena
mediocre in un RIStorantino senza pretese e poi due chiacchiere e
RISate senza importanza, torneo di RISiko e interminabili partite a
bRIScola in assenza di argomenti interessanti. Pensa che lo abbia
fregato la cena: quel tRIS di antipasti con la pasta bRISè, poi quel
RISotto alla milanese con ossobuco del culo dell’oste, quell’aRISta
troppo unta, quella torta sbRISolona che gli usciva dalle orecchie.
Gli viene in mente per un attimo quello che diceva il suo
tRISavolo ARIStide molti anni prima.
Per vivere bene bisogna mangiare parchi.
Mino, allora carabiniere alle prime armi, aveva provato a seguire i
suoi consigli coscienziosamente con il parco comunale, ma era stato
malissimo fin dal primo morso ad una panchina verniciata di fresco e
aveva soprasseduto.
Ora ha solo voglia di un buon caffè RIStretto per svegliarsi e
RISollevarsi del tutto e stare alle calcagna dei suoi collaboratori per
RISolvere al più presto questo nuovo caso.
Entra nell’ufficio: salutano tutti sugli attenti, RISpettosi del grado,
in previsione di una RISsa per i soliti problemi interni RISaputi, mesti
come cRISantemi.
- Ragazzi, allora? RISultati? Ancora nulla?
- Siamo fermi, signor Colonnello, siamo in cRISi. Per RISparmiare
sul bilancio siamo sprovvisti di vetrini per il microscopio.
- CRISto santo, mi fate venire la RISipola! Eccheccazzo di RISposta
RISibile: vi RIScaldo il culo a calci! RISchiamo tutti di brutto qui!
RIScendete sulla terra! Io vi RISpedisco tutti in Sardegna ad ORIStano
a RISchiarare le miniere di carbone con le candele ficcate nel culo!
Andate subito a comprare i vetrini e fate subito queste cazzo di
analisi! Voglio al più presto una scansione euRIStica RISpetto a questa
polvere del cazzo! Non dimenticate che abbiamo l’opinione pubblica
addosso e una quarantina di cRIStiani in quarantena, paralizzati
dentro un supermercato come cRISalidi!
Poi si rivolge ad un piantone terrorizzato.
- TRIStano, muoviti o ti RISbatto al laboratorio distaccato di
PRIStina! Prendi un cartoncino bRIStol e una RISma di fogli, ché devo
redigere un verbale. RIScuotetevi, ragazzi: occorre un RIScatto!
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Il piantone fa RISuonare i tacchi, nitRISce un “sissignore” e parte
al galoppo.
Interno
Alle sei di mattina, l’Adele Gato è già tutto un fermento di
nicotina e crisi comiziali. Salita su un palchetto improvvisato,
composto da otto confezioni di acqua minerale Pio Vana, l’acqua
benedetta dal cielo che sgorga direttamente dalle grondaie d’alta
quota di Piove di Sacco, si schiarisce la voce e dà il la alla sua
orazione.
- Allora, compagni del Grand Marchè! Popolo tutto di
consumatori! Mi spendo per dirvi che è giunto il momento di dare
una svolta alla nostra permanenza in questo supermercato, di
prendere coscienza del nostro potere d’acquisto, marciando uniti
contro il sistema per lottare contro il liberismo capitalista, porcoddue!
Qualcuno apre solo un occhio, qualcun altro continua a ronfare: la
platea di ascoltatori, intorpidita dal sonno, non pare infiammarsi per
le parole della sindacalista.
Il corifeo dei clienti nella zona promozionale del lassativo “Lassa
perdere” si scuote con aria compenetrata tra i carrelli con il pugno
chiuso di una mano rivolto verso l’alto e due dita dell’altra mano a
turare il naso per effluvi notturni postlassativici loffi che hanno
ammorbato l’aria. Due o tre caporioni cercano d’organizzare un
lamento tragicomico al suono di “L’oriente è rosso e il cesso di là è
nero”.
L’Adele insiste.
- Compagni, allora, cazzo, porcoddue nellamisuraincui! E’ giunto
il momento di trasformare la nostra segregazione forzata all’interno
del Grand Marchè in occupazione selvaggia! Da questo preciso istante
stracciamo la tessera punti del supermercato e, costi quel che costi,
apriamo la costituente del cliente, sviluppando un nuovo movimento
politico!
Le fa eco, particolarmente rumoroso, solo il movimento intestinale
dei lassativati. Per il resto niente: sembrano tutti dell’UIL, Ultimi In
Lotta. Serve qualcosa che scuota la folla assopita. Adele cala l’asso
nella manica.
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- Terremo delle regolari elezioni politiche primarie e poi
chiunque, vincitore o vinto, potrà mettersi in tasca una manciata di
milioni di rimborsi elettorali in gettoni d’oro o in buoni acquisto al
reparto surgelati!
Bradabam!
E’ il terremoto. D’incanto tutti saltano giù dai giacigli
improvvisati e iniziano a raccogliere firme, a distribuire volantini e a
promettere voti di scambio con figurine dei calciatori e coppie
scambiste.
Entusiasmo nuovo s’accende nella zona di ‘Lassa perdere’ e il coro
intona con voce calda ‘Bandiera rossa’, ma adattando le parole di ‘Se
potessi avere un milione al mese’, con reiterato tiro di sciacquoni in
controtempo per i primi effetti colagoghi mattutini.
Mino e Loris, per evidenti affinità da quar’antenati, si trovano
subito d’accordo circa l’unire le forze per rifondare il partito dei
pensionati. Sulla scelta del nome, però, sorgono le prime controversie:
Loris preferirebbe PD, ovvero Pensionati Dimenticati, mentre Mino, in
ossequio ai suoi trascorsi da artificiere nel secondo conflitto mondiale,
vuole a tutti i costi che si chiamino PD, ovvero Pensionati
Dinamitardi. Dopo un po’, per fortuna, Loris dimentica di non essere
d’accordo con Mino e le due correnti interne al partito si ritrovano
compatte sotto il simbolo del PD2: Pensionati Dementi al quadrato.
Marcello e P.Uzzone, essendo entrambi dipendenti del Grand
Marché, decidono di presentarsi insieme. C’è grande incertezza, però,
sul nome da scegliere per il nascente movimento politico: a Marcello
piace molto PD, Prosciutto Disossato, mentre i favori di P.Uzzone
vanno invece a PD, Porto Disgrazia. Per ricomporre le divergenze,
P.Uzzone rimescola le tessere del puzzle e ottiene un fantasmagorico
PD, Porto Disossato.
Olga Binetto Lindo, che s’è svegliata febbricitante, non ha dubbi:
meglio non mescolarsi col resto della plebaglia infetta e maleodorante.
Fonda dunque un partito personale, il PD, Pulizie Domestiche.
Anche la famigliola rumena, non sentendosi rappresentata da
nessuna delle formazioni politiche testé inventate, decide di fondare
un suo partito, a conduzione patriarcale, e lo battezza PD, Partitu
Dragonballu.
Leda Vanodieci lamenta lo scarso retroterra culturale degli altri
raggruppamenti e fonda un movimento letterario che evangelizzi il
popolo circa l’importanza di una solida istruzione per avere successo
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nella vita. Decide di chiamarlo Poesia Dotta, PD. Anzi no, ci ripensa:
in omaggio al sommo poeta, opta per un nome diverso e
beneaugurante: Paradiso Dantesco, PD.
La cassiera e Don Deno sembrano inizialmente disinteressarsi
delle elezioni, tant’è che approfittano della confusione generale per
appartarsi a pomiciare dietro la promozione di profilatticini Dante
Ritar, le mozzarelline avvolte una ad una in comodi sacchetti al lattice
salvafreschezza, a scadenza prolungata. All’ultimo minuto, però, si
iscrivono anch’essi alla competizione con un loro movimento, fidando
sulla rispettiva popolarità: Dana vorrebbe chiamarlo Poppe
Debordanti, mentre il prete, sperando nell’infinita misericordia
divina, preferirebbe Per Donato. Alla fine, Don Deno scende a
compromessi e la scelta del nome cade su PD, Per Dana(ro).
L’Adele Gato è più che soddisfatta: sarà un trionfo! Si frega le
mani, blinda le liste ed allestisce un seggio elettorale, dando il via alle
consultazioni. Dà incarico a Marcello e P.Uzzone di andare a
raccogliere le cartine delle caramelle ‘Lassa Perdere’ per riciclarle
come schede elettorali. Marcello si organizza e si infila una maschera
antigas per lo spurgo dei tini dal mosto, in vendita al reparto articoli
indeterminativi da giardino. Paolo trattiene il fiato dopo avere inalato
due sbuffi di Attentiallapulmina dal pratico flacone con erogatore
spray, presidio medico-chirurgico, da usare in caso di frontale con
pulman turistico di linea.
Un attimo dopo sopraggiunge Alba Moltosci che chiede di
candidarsi anch’essa alle primarie, come candidata unica del suo
partito PD, Piattezza Disarmante. Adele non la calcola nemmeno
confondendola con l’alone fumoso del suo sigaro cubano. Alba
rilancia con una scelta alternativa, Perennemente Defilata, PD, senza
riuscire comunque ad attirare l’attenzione della delegata sindacale.
Mezz’ora dopo è tutto pronto. Marcello e P.Uzzone rinunciano
all’impresa, davvero mission impossible, di raccattare le carte dei
lassativi, ché molte sono state anche riusate al posto della costosissima
carta del circuito Maestronzo, e si decide quindi di ripiegare come
supporto cartaceo elettorale sui fazzolettini per il naso Criniti, morbidi
fazzolettini in puro pelo di renna australiana, per un’assorbenza
impareggiabile in caso di renniti allergiche. Pochi minuti e le
operazioni di voto si concludono così che, nella febbrile attesa
generale, ci si appresta allo spoglio. L’Adele Gato apre le urne,
procede a una rapida conta dei voti e proclama il vincitore.
83
- Miei cari compagni, cazzo, allora, nellamisuraincui, con viva e
vibrante soddisfazione passo a leggervi i risultati della prima
consultazione elettorale nella circoscrizione Grand Marchè. Come
ampiamente prevedibile, essendo PD il simbolo di tutti i candidati in
lizza, vince la tornata elettorale la Lista Civica Indipendente,
indipendentemente dal fatto che non si sia neanche presentata alle
elezioni.
Stupore! Malumore! Rivalsa!
Il coristi funerei recitano gravi, battendosi il petto e con i
pantaloni sempre più laschi.
- Aridatece i soldi. Non esistono più le mezze stagioni, Me lasso e
me tapino, cosa sarà del mio destino…
I candidati trombati lamentano brogli e supposte pastette e
chiedono a gran voce il riconteggio dei voti e delle supposte. Adele
Gato sospira e recupera i fazzolettini appallottolati in un cestino.
Qualche minuto dopo prende nuovamente la parola per annunciare le
novità.
- Compagni! E’ incredibile! In effetti c’è stato un errore nel
conteggio dei voti. A seguito del nuovo spoglio, vince la tornata
elettorale il Movimento Pendolare Indipendente, indipendentemente
dal fatto che non sia mai esistito.
Parte una salva di applausi e un boato d’eccitazione assieme alle
prime dichiarazioni a caldo, tutte improntate alla massima
collaborazione costruttiva con il movimento vincitore e al rispetto
della volontà popolare.
Solo Don Deno protesta nell’indifferenza generale.
- E’ impossibile: io ho preso i voti! Ne sono certo!
Una voce anonima e neutra nell’aria, proveniente da un punto
non focalizzato del Grande Marcio, proclama senza enfasi.
- Oscillerò armonicamente da destra a sinistra, passando per il
centro. Sarò il rappresentante di tutti i candidati, sarò per offrire la
massima attenzione a tutte le forze in campo, saremo tutti uniti, sarete
soddisfatti del mio operato, sarò per offrire un Disaronno a tutti.
Qualcuno si chiede se c’è qualche cliente che si chiama Saro.
Terminata la sbronza elettorale, i consumatori in quarantena
recuperano un minimo di lucidità, rincuorati dalla consapevolezza di
quanto il loro voto abbia significato per la gestione della cosa
pubblica: assolutamente nulla. Adele Gato, tuttavia, non si dà per
vinta ed inizia subito la raccolta di firme per quattro importanti
84
referendum al fine di abrogare la quarantena, la declassificazione
professionale, le aperture domenicali e l’ignoranza di ritorno.
Leda Vanodieci, metabolizzata la sconfitta del suo Paradiso
Dantesco, si rammenta del povero Olaf, ancora addormentato nel
carrello modello station wagon del Grand Marchè.
- Olaf?
Niente.
- Olaf? Olaf! Sveglia!
L’uomo s’erge vacillante dal ventre del carrello puntellandosi al
manico di scopa.
- Olafinisci di fare casino o t’arpiono con la mia fiocina, donna!
Tutto questo baccano mette in fuga i pesci.
Leda tasta la fronte di Olaf: avrà almeno quaranta di febbre.
- Però tu dormivi, e chi dorme non piglia pesci.
- Chi l’ha detto che dormivo? Avevo gli occhi chiusi, ma stavo
meditando. Non mi credi? Diglielo tu che è vero, Giuseppia!
Giuseppia? Dove diavolo sei andata?
- Uh?
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86
12. Sia fuori che dentro, c’è gran fermento.
Ore 9.00 del secondo giorno.
Esterno
Di primo mattino il piazzale brulica di vita e movimento. E’
l’attesa che la fa da padrona, ma di questi tempi cinici e bari tutto si
metabolizza in fretta e assume i contorni di una abominevole
normalità.
L’appuntato Quagliarulo, sempre incerto sui nomi che lo hanno
penetrato, zoppica vistosamente a gambe larghe a controllare
transenne e perimetri. Il suo superiore Omar Esciallo è seduto con una
flemma british-fuorigrottesca ad un tavolo da pic nic della protezione
civile. Inzuppa una ciambella in un tazzone di latte offerto dal signor
Cino che lo ha prelevato direttamente dalla cantina di casa sua, latte
della sua Grand Reserve De la Muglièr. Scruta pigramente oltre le
vetrate del Grande Marcio e borbotta.
- Uèh! Cà nun se vede ‘na cippe, apparte quacche lampe.
M’anfastidisce assaie ‘stu cantare periodico triste, e tutte ‘sti
ppreghiere che vanno a scommodà maronne e tutti i santi. Speriamme
che da ‘o RIS c’arRISponneno preste.
Il procuratore aggiunto Aldo Vere Minchino è appena
sopraggiunto dopo una notte cogitabonda in albergo trascorsa a
rastrellare il fondo del barile delle citazioni dotte durante un
interminabile shampoo al fosforo con omega 3. S’intrattiene con
l’ingegnere Enza Lemerg su tecnicismi bustarellai in materia di
appalti e si gratta da sopra i guanti le mani pruriginose che sono
vieppiù provocate dalle sinuosità della protezionista civile.
Lily Cavedano girella per Tele Rigiro qui e là con al seguito il fido
Rip Rendo. Ha notato anch’ella qualche movimento di ombre
all’interno del supermercato e vorrebbe disobbedire agli ordini
tassativi dell’ingegner Enza Lemerg circa l’isolamento. Decide di
assecondare la propria indole sempre agguerrita e medita un’alleanza
di comodo con il collega Telemaco Mefaccio di Tele Patia. Trova il suo
ectoplasma con l’antenna sul capo floscia seduto in posizione ‘fior di
latte’ vicino ad una pizzeria ambulante: rischiosissimo.
- Telemaco, mi senti?
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Una voce lontana esce dall’olografia.
- Cosa c’è Lily?
- Ti propongo un patto, se vuoi. Tu cerchi di penetrare lì dentro
con la forza del pensiero riferendomi la situazione. In cambio io ti
associo nella mia telecronaca di enorme indice di gradimento e ti cito
oltre a dividere i proventi della trasmissione. Che ne dici?
- Posso provare, ma non prometto nulla. Adesso cerco di rientrare
nell’aura, ché sto a casa a dormire, poi ne parliamo.
L’aura si gonfia in 3D come un palloncino o un sacchetto di pop
corn. Poi un ‘plop’ rompe l’incantesimo e Telemaco si materializza,
ancora insonnolito, con le cispe negli occhi e un alito da pantegana.
- Eccomi, Lily.
- Minchia se puzzi, Telè: ti saresti pure potuto fare una doccia e
lavarti i denti, cazzarola.
- Scusa, ma il tempo è denaro.
- Ho capito, ma tu non hai nemmeno il resto. Dai, provaci, così ti
togli di torno e respiro.
Rip inquadra con la telecamera Lily e poi Telemaco. La reporter
parte in quarta.
- Gentili telespettatori, in associazione con il collega di Tele Patia,
Telemaco Mefaccio, stiamo per aggirare legalmente i divieti della
Protezione Civile, introducendoci telepaticamente nel supermercato. Il
nostro cavallo di Troia sarà l’aura del collega Telemaco che, con la
forza del pensiero, cercherà di entrare nello stabile per toccare con
mano gli eventi e verificare come stanno i quarantenati. Ecco: soltanto
un attimo di concentrazione. Come potete vedere, Telemaco sta
richiamando a sé l’aura, che ancora non c’è, nonché tutte le energie
possibili per introdursi all’interno. Ecco…Ecco quella Troia di l’aura!
Tutti ammutoliscono nel piazzale. Omar Esciallo è rimasto con la
ciambella a mezz’aria e il baffo pendulo. Quagliarulo si gratta il culo
come prima, ma più distratto, e l’ingegnere Enza Lemerg con il suo
sottoposto Felice Mentevivo sorvegliano arcigni il dipanarsi degli
eventi, sospettosi. Minchino vorrebbe essere Pilato per lavarsene le
mani.
Telemaco sfoggia una possente erezione dell’antenna e pare
trasfigurarsi: diviene prima più luminoso, poi verdastro, poi ancora
virante al rossiccio per stabilizzarsi infine sul paonazzo drammatico.
Stringe gli occhi e i denti, piegato in due dallo sforzo tele-patico
mentre il volto si vena di tele-angectasie, che per i profani significa
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che ha i vasi capillari della faccia gonfi come vasi da notte pieni
davanti a un tele-visore. Sullo schermo della tele-camera appare una
corsia del supermercato. Lily grida eccitata.
- Ecco, gentili telespettatori di Tele Rigiro, come vedete abbiamo le
immagini dell’interno del supermercato.
Il collega in collegamento mentale la guarda male e la donna
rettifica, diluendo progressivamente la voce sino a rendersi inudibile.
- Sì, giusto, e anche gentili telespettatori di Tele OmeoPatia.
Poi riprende enfatica.
- Vediamo se è possibile individuare da quale corsia del supermercato provengono le teleriprese. Individuo una scritta, sì sì sì:
“Formaggi e Latticini!”.
Tendone, parcheggio e divani domestici sono tutti un fermento di
vivissima smania di sapere. Lily continua.
- Ora cercheremo di spostarci per individuare i sopravvissuti, o
comunque i corpi senza vita di chi, purtroppo, non ce l’ha fatta.
Zooma, Telemaco, zooma poi gira a destra, ma c…
L’immagine scade di qualità facendosi più scura. La giornalista
abbozza, cercando di cadere in piedi.
- Ecco gentili telespettatori, sinistre ombre si allungano sul Grand
Marchè…
Sempre più scura.
Lily copre il microfono e redarguisce il collega.
- Dai contrasto, più luce interiore! Più bioluminescenza o forse più
fosforescenza!
Niente da fare: come se il sole fosse oscurato da un’eclissi, prima
cala la notte, poi, lo schermo vira tutto al bianco latte e l’immagine
scompare. Telemaco, vieppiù teso nello sforzo di concentrarsi, con le
vene del collo ormai identiche a pneumatici di un Garelli Trial,
prorompe in uno scoreggione che esce liberatorio con un rumore
assordante di barrito di mandria d’elefanti. Il tendone trema
pericolosamente sotto la ventata che sradica il riporto a caciottella di
Cino Latti e crea all’istante magnifici colpi di sole all’avvenente Enza
Lemerg dal culo a contrabbasso.
Lily è incredula: l’indice di gradimento lo metterebbe nel culo di
Telemaco che ora ha un’aria beata e beota e si sta squagliando come
una crescenza su una seggiolina della protezione civile con l’antenna
sgocciolante. Canticchia sciroccato una famosa nenia di Nek, in
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pratica una neknia: “l’aura non c’è, è andata via, è andata a casa di
mia ziaaa…”.
Il collegamento televisivo si chiude senza una parola, molto
bruscamente, con Lily che mostra un cartello con su scritto a
pennarello ‘Le trasmissioni verranno riprese il più presto possibile’.
Lina Picco gioisce malevola e saltapicchiando di entusiasmo fa la
sua telecronaca.
- Guardate, date, date… Cos’è successo, cesso, cesso, cesso… Ora
ve lo ripeto, peto, peto peto… Guardate, date, date… Cos’è succ…
L’inviato di Tele Nuotizie, maligno come non mai, fa due o tre
piroette in muta, da nuoto sincronizzato, con un sorriso meccanico da
emiparesi stampato sul volto, e poi dà 4 meno meno con la paletta.
La folla degli astanti ride e lazza rumorosa, esclusi i più vicini a
Telemaco, che vomitano con violenza urlante.
In un cantuccio, assortamente assiso con sguardo assente su un
asse di legno, seppure assillato dall’assurdo enigma dei nomi, tutto
assorbito nei suoi ragionamenti, Quagliarulo, dopo la notte in bianco,
s’assopisce. Gli appare in sogno un’eco. Subito, la sua logica
stringente da appuntato gli impone di muovere un appunto
all’incoerenza della narrazione onirica così formulata.
- Che cavolo vuol dire “appare”? L’eco non si vede!
- Dipende. Se la parola è scritta maiuscola, eccome se si vede! E’
un uomo un poco obeso e tracagnotto.
Quagliarulo si guarda intorno nel vuoto imbottito dell’infinito
onirico.
- Chi ha parlato?
- Io. L’Eco.
- Eco nel senso del famoso scrittore?
- Macché scrittore! Io sono solo un caso letterario di Eco nomia.
Modesta-mente vendo: pensami come un bieco e famoso piazzista. In
proposito posso spendere due parole per aiutarti?
- Ecosa vuoi in cambio?
- Coronare il mio, di sogno: diventare ciEco, come Borges, nel
labirinto della sua biblioteca.
- Ci Eco? Ci sto.
Con un ferro arroventato che non sapeva di avere in mano,
Quagliarulo cava gli occhi all’informatore: d’incanto, il tutto assume i
connotati d’un interrogatorio sotto tortura.
- Aaahhh!
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- Allora, parla! Parla se non vuoi che ti rompa pure il naso e
spappoli il bel profilo greco del tuo volto.
- Sì, sì, confesso, tutto. Tutto! Ordunque, ora stai bene attento:
questo è l’indizio che reco meco.
Quagliarulo è teso in ascolto, immobile come un geco sul muro di
una casa in riva al mare nell’eco della risacca. L’informatore vuota il
sacco.
- “Age primum et septimum de quatuor”.
- Ehhh?
- E’ latino: ma non è questo il punto. Il punto è nel carattere.
Punto nel vivo, Quagliarulo schiaffeggia l’eco.
- Io ce l’ho il carattere: non sono mica un pendolino! Non credere
che perché l’Omaresciallo mi comanda come un servo, io sia uno
smidollato remissivo celestino!
- Carattere nel senso tipografico del termine, intendevo. Il primo
carattere è la q, il settimo è la r.
- E cosa c’entra questo con i nomi dei colpevoli?
- Ah, beh, io questo non lo so. Io conosco solo il nome della rosa.
Quagliarulo balza al collo dell’uomo.
- Ti stai prendendo gioco di me, eh?!
- Mondo boia, mi fai male! Eccheccadso, adso, adso, adso…
- E questo che vuol dire?
- Niente. Impreco meco e male parole reco teco, sbirro bieco.
L’appuntato colpisce in faccia il piccolo fiammiferaio di Minerva
con tale violenza che per lo slancio cade giù dall’asse su cui s’era
appisolato ben prima di sera.
Apre gli occhi. Quanto avrà dormito? Qualche minuto? Un’ora?
Ripercorre mentalmente l’assurda trama dell’incubo appena vissuto,
convinto com’è che i sogni possano contenere verità assolute e
profezie paranormali. Analizza passo passo ogni parola che riesce a
ricordare. Si alza e passeggia avanti e indietro, per come può, con il
suo persistente bruciore al culo, poi raccoglie da terra un pezzo di
mattone. Sull’asfalto nero, scrive con l’improvvisato gessetto rosa.
- Il nome della rosa, il nome della rosa… Che sia Rosa? Mmm…
Mi sembra troppo facile: ci arriverebbe anche Geronimo Stilton!
Si concentra sulle parole della sensitiva, rievocando il momento in
cui, dopo avergli imposto le mani sulle spalle, la medium aveva
“trasferito” in lui i nomi.
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- I nomi stanno in te. Ecco: i nomi stanno in te. No, non era
esattamente così. In te i nomi stanno…
Scrive anche le parole della sensitiva sull’asfalto. Forse voleva dire
“tre”, un numero tipo “primo” e “settimo” nel sogno: in tre ‘sti nomi
stanno. Ah… Ecco la frase precisa. “In te, ‘sti nomi stanno”.
La legge e la rilegge. Niente. Non c’è una cifra nelle parole della
medium. Sbuffa.
Quando sta per cancellare la scritta con la punta della scarpa, si
blocca. Pausa.
In lontananza, il rombo d’un trattore che arranca tra le zolle.
Lunga pausa.
Infine l’appuntato sbotta.
- Cazzo! Come ho fatto a non pensarci prima? In te, ‘sti nomi
stanno! Ma certo! In te, ’sti nomi stannoooo! Maresciallo Esciallo!
Maresciallo Escialloooo! Minchia: stavolta, eh, ho la promozione
assicurata. Dottor Minchinooo! Dottor Minchinooo!
Nell’eco del suo gridare esagitato, Quagliarulo s’invola alla ricerca
del suo diretto superiore e del magistrato per comunicare l’inattesa
rivelazione.
Interno
POMM!
Tra gli scaffali riecheggia d’improvviso un botto così forte che
pare una schioppettata. Mino si getta nell’immaginifica trincea tra la
parete esterna del supermercato e il bancale in promozione del Latte
Stato, il prezioso latte approvato e raccomandato dal Consiglio di
Stato, l’unico con l’attestato di idoneità al travaso in tazza.
- Crucchi dannati! Non mi avrete mai! Ratatatatata! Ratatatata!
Bum! Bum! Loris, coprimi! Ora provo ad avanzare! Coprimi!
Loris sospira: prende il plaid di Olaf che è sparito e lo stende sulle
spalle dell’anziano compare.
- Coraggio, Mino, cerca di calmarti, non è niente.
Poi legge e ricicla lo slogan pubblicitario del latte in offerta.
- “Non piangere sul latte versato: quel che è Stato, è Stato!”
Marcello sembra piuttosto in ansia.
- Ahò, lo stai addì te che nun è gnente: ar confronto, er bigghe
banghe era ‘n petardo.
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Mino lo guarda perplesso.
- Di che botto vai cianciando?
Il macellaio non si dà pena di rispondere: s’è già avviato di buon
passo nella direzione da cui è venuto il rumore. Anche Dana è
preoccupata.
- Che strano, così all’improvviso, questo rumore così di botto.
Don Deno si raccomanda alla Vergine Maria, Lena cita il sommo
poeta.
- “Non altrimenti l’anitra di botto, quando ‘l falcon s’appressa, giù
s’attuffa, ed ei ritorna su crucciato e rotto”…
Ed in effetti, Marcello fa subito ritorno, assai crucciato.
- Li mortacci stracci de la stracciatella! Er banco frigo dei latticini è
annato. Se dev’esse furminato cor temporale de jeri sera, visto che
ormai è a temperatura tropicana.
Don Deno aggiorna mentalmente il danno economico da
rendicontare all’assicurazione al netto di una marchetta con una
parrocchiana indigente e chiede ulteriori informazioni.
- Ci sono prodotti danneggiati? E cos’è stato, allora, il botto che s’è
sentito poco fa?
P.Uzzone cerca di sdrammatizzare, facendo della facile ironia
all’indirizzo del prete.
- Beh, anche se i fermenti lattici vivi sono morti, non tutto è
perduto. Magari ritornano, sotto forma di “zombifidus actiregularis”!
Olga trema con vigore e cerca di toccare le balle di Marcello per
esorcismo utile e dilettevole.
- Oh san Bossino! Co-cosa faremo ad-adesso? Saremo attaccati
da… Da fe-fermenti lattici vi-vi rulenti! Io sono già disidrata-ta… Ho
ta-tanta sete… Dell’acqua per fa-favore… O almeno una bi-bita…
Dragon Ballu dice la sua.
- Dragon stea din tei.
- Abbello, scordatelo: è da mmò chessò finiti sia er caffè che er tei!
- Numa numa iei! Numa numa iei! Dragon stea din tei.
- Ahò, dove vorresti annà?! Statte calmo, sinnò tte rumeno!
- Io vado dove vogliu!
- E allora vedi ‘npo d’annattene fora di ballu!
- Io non capiscu quandu parli.
- Ahò, prova a consulta’ l’enciclopedia Treccanini.
L’Adele Gato cerca di riprendere il controllo della situazione.
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- Allora, compagni, nellamisuraincui, restiamo uniti e compatti:
nessuno potrà mai metterci i piedi in testa! Indìco seduta stante
un’assemblea per valutare il da farsi e deliberare poi una mozione
sull’inquinamento acustico nell’ambito della politica padronale
sull’antinfortunistica a partire da qui fino ai capitalistici luna park
della Corea del Sud con un documento unitario di solidarietà di classe
ai compagni sudici coreani, sporchiddue, cazzo compagni.
Leda è la prima a chiedere la parola.
- Io però non ho ancora capito cos’è stato il botto.
Marcello guarda prima P.Uzzone, poi Don Deno, e infine Dana
che rabbrividisce con movimento bradisismico ansioso delle tette.
L’Adele Gato stizzisce.
- Allora, porca vacca, cos’è che ci state tenendo nascosto, eh?
Il macellaio, messo alle strette, vuota il sacco.
- Er botto: credo sia scoppiata ‘na confezione de ‘na lazzarella.
Mutismo dubbioso. Pausa. Poi un coro unanime chiede ulteriori
delucidazioni.
- Lazzarella?
E’ Dana che confessa il misfatto.
- Una mozzarella scaduta, di quelle che… “resuscitiamo”: le
rimettiamo nello scaffale dopo aver rinfrescato la data di scadenza.
Olga rimette e sviene di nuovo al pensiero delle sue mozzarelle in
carrozza preparate la sera prima, che andavano in carrozza
inspiegabilmente da sole, mentre l’Adele Gato assimila la rivelazione
con un certo sollievo misto a bellicoso profilo.
- Eccheccazzo, chessarà mai, adesso dobbiamo deliberare d’altro,
ma poi ci sarà il tempo di parlare con un ordine del giorno apposito
del trasformismo nemico della classe proletaria: vabbè, comunque
pensavo peggio, nellamisurainc…
Sckeeeek. Gnok! Skerekiiiign!! Crunch!
La rappresentante sindacale non riesce a completare la frase, ché
altri sinistri rumori si levano dalla corsia dei latticini. Leda domanda
ancora.
- E adesso? Cos’è stato questo?
- Sembrava come il suono di uno scaffale o di un bancale spostato.
- Sì, tipo qualcosa trascinato per terra.
- O spinto a forza!
- Eddaje, ‘nvece de sta a filosofà, perché n’annamo avvede?
- Io non ci vado.
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- Io neppure.
- Io neanche.
- Io men che meno.
Per qualche attimo tutti si guardano in cagnesco.
- Io, io, io! Vado io in avanscoperta!
E’ il solito Mino che, strisciando al passo del giaguaro claudicante,
già arranca verso la corsia dei latticini senza indennità d’accompagnamento. Gli altri quarantenati contemplano il suo ardimentoso
avanzare senza battere ciglio, felici di scaricare su di un altro
l’incombenza. Solo Loris cerca di trattenerlo.
- Non andare Mino! Sei troppo vecchio, hai l’artrosi.
Troppo tardi: l’ex-granatiere è ormai scomparso dietro l’angolo
lanciando alto il ben noto grido belluino di combattente beduino.
- Chi non risica, non artrosicaaaa!
Purtroppo, all’incrocio tra la corsia dei prodotti da forno e quella
della pasta, dimentica la meta del suo raid e si smarrisce immobile,
con il cervello gratinato.
Silenzio teso. Suspance interminabile, poi nuovamente…
Tonf! Bradabang! Struunfffiiik! Ciunk!
Marcello chiama a voce alta.
- A’ Mino!? Tutto bbene?
- Uh? Qualcuno mi chiama? Chi è? Cos’è stato quel rumore?
- A’ Mino-rato, avressi da diccelo te! Nun sei ancora arivato dai
latticini?
- Latticini? Ah, sì, ecco dove… Ora vado.
Il vecchio riprende a strisciare nella direzione da cui provengono i
rumori. Pausa. Poi un urlo disumano.
- Aaaaaah!!!
Mino riappare fulmineo preceduto da un grido agghiacciante:
supera il capannello dei quarantenati con guizzo da centometrista e si
rintana nuovamente nella sua trincea. I compagni di sventura si
guardano negli occhi, impallidendo. In breve s’accodano al vecchio e
si nascondono a loro volta dietro il bancale del Latte Stato.
Don Deno scuote Mino che fissa l’orizzonte con gli occhi sbarrati.
- Buon Dio! Cos’è che hai visto, figliolo?
- La… La Grande Berta… Bim bum bam… La Grande Berta…
- Ahò, questo è annato der tutto, mejo se…
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In fondo alla corsia s’ode un rumore di schiacciasassi. O, al limite,
di frana d’un costone roccioso. Lo scaffale prima s’inclina, poi si
ribalta e appare…
- Aaargh! La Blobzarellaaa!!!
Il coro unanime saluta l’avvento nel campo visivo dei
quarantenati d’un colossale globo semisferico color bianco latte di
almeno cinque metri di diametro.
- Signore Iddio perdonaci, perché molto abbiamo peccato!
- Mortacci sua! Semo finiti!
L’Adele Gato organizza in fretta e furia la resistenza.
- Compagni! Duri e puri, cerchiamo di scoraggiarla con la nostra
ferma opposizione!
Loris scoraggia molle nel pannolone. Adele prosegue.
- Non fatevela sotto, compagni! Blocchiamo i tentativi d’accordo
sottobanco, cazzo, altro che concertazione! Che si indìca uno sciopero
dimostrativo dei consumatori di branzino Br’AnziNo del Mare
d’Incertezze, senza preavviso, alla faccia del garante delle garanzie del
pesce fresco che fa acqua da tutte parti, porcoddue!
I coristi dei lassativati, a riparo delle transenne pubblicitarie,
capolinneggianti da torri merlate di casse di merlot, intonano marziali,
tutti con una mano a pugno chiuso e l’altra a prendere una bottiglia a
uso clava: “Compagni dai campi e dalle officine, prendete la falce e
portate il carrello, scendete giù in piazza e picchiate con quello,
scendete giù in piazza e affossate il sistema.”
Nessuno segue la combattività della delegata, tranne Mino, che
afferra una scatoletta di fagioli borlotti, stacca la spoletta, conta fino a
dieci e lancia la granata contro la blobzarella. Il mostro non fa una
piega continuando ad avanzare verso i consumatori atterriti.
E’ la fine?
No, visto che mancano ancora quasi cento pagine.
Difatti, tutto d’un tratto, spagaiante a destra e a manca col manico
di scopa Pippone, l’evoluzione della vecchia scopa Pippo, ma per le
persone alte che non hanno paura di diventare cieche, appare Olaf sul
suo carrello-battello Ebbre.
- Finalmente ti sei mostrato, mostro! Dannata balena! La tua fronte
implacabile avanza, ma io sono qui per riconsegnarti agli abissi!
La Blobzarella esita, poi riprende ad avanzare.
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- Sii maledetta: sebbene tu sia luce che prorompe dalle tenebre, io
sono tenebra che prorompe dalla luce! Io ti sfido, bianco sudario della
morte, anche dovessi perire insieme a te.
Olaf scaglia il carrello a tutta forza verso la balena bianca e mulina
nell’aria il suo rampone-zampone dalle unghie molto affilate, in
plastica posizione da surfcarrellista.
- Battello Ebbre, nave gloriosa fino alle morte, periremo insieme!
Riversatevi e cagliate, arditi flutti della mia vita trascorsa. Coronate il
mio maestoso sogno di colore! Giuseppia! Guardami Giuseppia!
Arrivo!
Dana e Leda piangono. Olaf è pronto per il gran finale.
- Io mi rivolgo a te, mostro, e dal cuore delle tenebre io ti trafiggo,
in nome dell’odio e dell’amore razziale! Io vomito su di te l’ultimo
respiro, mordo l’abisso da cui non c’è ritorno! Ecco: io ti trafiggo,
mostro, io ti trafiggo, dannata balenaaa!
Lo zampone affonda nel corpo molle della Blobzarella, come pure
il carrello, lanciato a tutta velocità, che s’incunea e scompare nel
morbido abbraccio bianco come un ripieno.
Silenzio.
Di Olaf e del suo battello Ebbre non resta traccia.
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13. Sesta divagazione. Ritratto extracomunitario
Se la vita in Romania è molto dura per privazioni, sacrifici e per il
pesante retaggio di un regime oppressivo e corrotto, in Transilvania,
sua estrema regione, anche il solo concetto di esistenza è quasi
insopportabile: la terra è avara fino quasi a essere inospitale, tanto che
manca il pitale nell’ospitale e chi è ricoverato, per i suoi bisogni, deve
portarsi appresso il barattolo dei cetrioloni sottaceto o il pappagallo
rubato al negozio ‘Tuttu per gli animalu e attrezzaturu ospitaliere’.
Dragon Ballu, giovane di belle speranze e nulla più, a parte gli
occhi per piangere e un bel viso da cugino di Heidi, cercò di emergere
volitivo dal piatto grigiore sociale della sua terra aspra.
Fece di tutto, ma con scarsi risultati circa la soddisfazione morale
e soprattutto economica, nonostante riuscisse a svolgere, nel
medesimo tempo, il doppio del lavoro di qualsiasi altro operaio.
Ogni tanto, preso dallo sconforto, si lamentava sbuffando.
- Ecché du Ballu!
Si cimentò finanche nelle attività di becchino e poi di beccaio, di
imbalsamatore di gufi e lupi in un paesino disperso in qualche gola
dei Carpazi. Prestò servizio come maggiordomo in manieri isolati,
presso ombrosi conti che lo guardavano con decadente libidine,
soprattutto quando era di spalle, e digrignavano i denti toccandosi il
pacco inestinto.
La ricerca del benessere e un certo suo fascino morboso lo
portarono a fare una serie di considerazioni morali che spostarono
elasticamente valori e scelte. L’importanza del denaro fece il resto.
Da riflessioni a iniziative, passando per tendenze latenti, il passo
fu breve: Dragon si vide un giorno allo specchio pesantemente
truccato, con vistose calze a rete e una parrucca bionda, e si approvò.
Cominciò a girare per Sibiu con il nome di battaglia di Constanza
Doilsederu e di fatto, a memoria di qualche anziano del posto, fu da
considerarsi il primo trans DOP - ovvero, a Devianza Ormonale
Protetta - della Transilvania.
La vita, però, come ognuno sa, riserva sempre sorprese.
Dragon alias Constanza, quasi sul punto di una definitiva
operazione chirurgica di ‘restiling’, nell’ambito del perfezionamento
della sua professione, conobbe un’insegnante precaria che
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arrotondava il suo magro stipendio statale con ripetizioni di uncinetto
ed economia domestica: Filomenosofia, una donna malinconica dagli
occhi cerulei e dai denti guasti, molto dolce e perennemente aureata
da un sentore di mele cotte e lavanda.
Le mele cotte, infatti, nell’indigenza in cui versava, erano il suo
principale sostentamento, preparate amorevolmente dalla sua amica
del cuore, la Vanda, sua segreta amante, avanti negli anni, con le mele
del culo, le chiappe, un poco cotte dall’età.
Dopo due o tre lezioni di cucito, tra Dragon e Filomenosofia,
durante un ripasso di punto a croce di santandrea da esorcismi,
parecchio difficoltoso, sbocciò qualcosa che estromise di colpo la
Vanda e le sue mele cotte di tutti e due i tipi, e fece andare di
sghimbescio la parrucca a Constanza che ridivenne Dragon.
La storia fece il giro del paese e poi della Romania e corse
sull’etere lontano lontano fino in Italia alle orecchie del segretario del
Partito Delibidinizzato Loffio, onorevole Amos Trusciarmi Contutti.
Costui gridò al miracolo, circa il recupero di due anime deviate, ma lo
fece inopportunamente durante un gay pride e rischiò seriamente la
lapidazione con vibratori di cemento armato; fu inoltre inondato di
minacce con lettere piene di ciocche di peli pubici.
L’onorevole non si lasciò intimorire, comunque, e telegrafò subito
alla coppia rumena per invitarla in Italia con la promessa di un
permesso di soggiorno in deroga, alla faccia dei colleghi legaioli. Il
programma prioritario del politico era di testimoniare la possibilità di
guarigione dalla maculattonite lesbicacuta esantematica, malattia del
secolo contro la quale è costantemente impegnato con promo e
interventi in trasmissioni sia televisive nazionali come Medicina 33 o
Domenica In(culo) sia regionali come Sghèi Praid su Tele Conomy
Nord-Est.
I due innamorati, che nel frattempo fornicavano regolarmente,
anche per recuperare il tempo perduto tra stanze d’albergo e mele
cotte, distinsero in quell’invito non tanto il dovere di ribadire le
teoriazzate teorie del moralista italiano, quanto la speranza di
migliorare il tenore di vita che in Transilvania era a livello di moffetta
dei boschi.
A proposito di moffette dei boschi: Dragon e Filomenosofia, per
sbarcare il lunario, ché lei era rimasta pure incinta, andavano nei
boschi per funghi porcini, da rivendere poi per il mercato italiano
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come funghi del cuneese, e a caccia di moffette da rivendere come
stagionate e pregiate mocette valdostane di camoscio.
Una mocetta, pardon, una moffetta, probabilmente afflitta da
rabbia silvestre per il dispiacere di non potere essere spacciata come il
famosissimo prosciutto di Praga, durante una passeggiata nel bosco
della coppia, addentò ad un polpaccio Filomenosofia causandole una
ferita che cicatrizzò in forma ambigua: tra il pipistrello di Batman e
quello del rhum dei peggiori bar di Caracas.
Poco prima di partire per l’Italia, ché l’onorevole Trusciarmi
Contutti pressava in erezione violenta all’idea del messaggio da
divulgare ai meeting di CL a Rimini, nacque Drakul, che fu
soprannominato prima Kulo, poi più graziosamente Lino. Era in
effetti piccolino, settimino, grigio per l’appunto come un settimino
verniciato molto male a stoppino, e strizzava gli occhi alla luce
piangendo di dolore mentre fumava dalle orecchie. Inoltre non
succhiava i capezzoli della mamma nell’allattamento: li masticava con
mugolii animaleschi.
Filomenosofia, con il suo sguardo ceruleo buono, i denti guasti, la
sua malinconia e la sua mastite ormai cronica, comprese che la
moffetta che l’aveva morsa nel bosco probabilmente l’aveva infettata,
ma non per questo perse la speranza di futuri cambiamenti in Italia.
Fece spallucce e addentò una gallina viva che starnazzò a morte tutto
il suo dolore per quei denti guasti irregolari da squalo che
procuravano un tormento soprannaturale di fresa, esaltato anche per
due capsule di stagno taglienti come rasoi.
Dragon Ballu, ormai con la mente in Italia, fantasticava di
diventare un imprenditore nel campo del rame e della ghisa e
studiava di giorno e di notte tutte le mappe delle centraline ferroviarie
del nord Italia oppure consultava Google Earth alla ricerca di grossi
tombini e di condomini con le grondaie rossastre che potevano fare al
caso suo.
Il resto è storia recente.
La famiglia rumena ‘redenta’ fu accolta calorosamente in Italia
dall’onorevole Trusciarmi, che cercò di baciare Dragon sulla bocca, e
venne ospitata in una casa d’accoglienza alle porte di Bologna.
Ma durò poco. Dopo quattro o cinque esibizioni in pubblico a
corroborare il manifesto della normalità familiare, dovettero far
perdere le loro tracce. Filomenosofia aveva sgozzato a morsi tutti i
polli e i conigli degli orti urbani di Bologna. Dragon aveva ricettato
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tutte le grondaie del quartiere, tanto che pioveva direttamente sui
volti silvani dei transilvani e sui pastrani dei pensionanti nostrani
dentro la casa di ormai pessima accoglienza. E Lino correva in lungo e
in largo cercando di mordere tutti nonostante la museruola che
mamma Filomenosofia gli aveva fatto indossare, chiusa con un
lucchetto d’argento.
Da poco tempo sono a San Pirlottero della Credenza per rifarsi
una verginità, possibilmente senza rideflorarla in un ghignante bagno
di sangue.
Dragon, però, studia con interesse i candelabri di rame massiccio
della chiesa del paese. Filomenosofia, invece, tiene un corso di cucina
rumanesca per preparare bene l’insalata di carne cruda all’AVIS (A’
VIstu Sièbbonu?). Lino frequenta la scuola con scarso profitto, legato
all’ultimo banco, circondato da serti d’aglio e con gli occhiali da sole
di Gucci Gucci sento odor di cristianucci. Nella sua aula il crocefisso
che viene esposto abitualmente dietro la cattedra è stato infisso su un
palo proprio davanti al banco del piccolo transilvano. La scolaresca,
capitanata dal maestro, invoca le varie Madonne del Rosario, dalla
Turris Eburnea alla Regina Apostolorum, ogni dieci minuti in coro
lugubre, e tutti si segnano in continuazione al grido di ‘In hoc signo
vinces, piccolo bastardo senzadio!’
A Sibiu un conte rimpiange occasioni perdute, ricordando con
commozione un ambiguo sedere di maggiordomo cartone animato, e
la Vanda è desolatamente sola e piange in continuazione mentre
mangia mele cotte seduta sulle sue mele ormai vizze. I soli contenti
sono i cacciatori di funghi e moffette dei boschi transilvani, che tirano
sospiri di sollievo per due pericolosi concorrenti in meno.
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14. Bombe, bomboloni e quant’altro. Ore 11,00 del
secondo giorno
Esterno
Quagliarulo starnazza tutto eccitato battendo le ali e il piazzale in
lungo e in largo, impaziente di rivelare al suo diretto superiore e al
dottor Minchino la soluzione dell’enigma.
- Maresciaallooo! Signor maresciallooo! Dottor Minchinooo!
Omar Esciallo, in assenza del procuratore, scappato in fretta e
furia a lavarsi compulsivamente le mani in albergo, inganna il tempo,
nonché alcuni addetti della protezione civile tenendo banco con il
gioco delle tre carte.
- Uè, guagliò! Stateve accuort ché la mano è cchiù veloce
ell’occhio.
Enza Lemèrg e Felice Mentevivo sono già stati alleggeriti d’una
bella manciata d’euro a testa.
- Maresciallo, ho come l’impressione che lei ci stia fregando.
- Macchè, macchè: siete voi ‘ngegnè, cà siete nu disastre à chistu
ggiuoco.
Felice s’attiva seduta stante.
- Disastro? Dove!? Ci allertiamo, pronti a intervenire?
Enza sospira e lo bacchetta.
- L’unica calamità, al momento, è dover fare affidamento su
tecnici specializzati dalla mente tanto viva.
Quagliarulo arriva di corsa e ribalta il banchetto del maresciallo,
iniziando subito a sfiatare la notizia bomba.
- Maresciahh… Ci sohh… Arhh!
- Uè, Quagliarazzo, eccheccazzo! Raccattame ‘o banchetto e frena
lo schiamazzo, cà nun se capisce nu cazzo.
L’appuntato continua a gesticolare e cerca di riprendere fiato.
Dopodiché riparte.
- Maresciallo: ci sono arrivato!
- Ue, lo vedo cà sì qua arrivato. E ‘mpara o’ italiano, Quagliarù.
- Ci sono arrivato, alla soluzione, intendo: “in te ‘sti nomi stanno”.
Ricorda le parole della sensitiva?
- M’aarricuorde.
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- Intestino! In te ‘sti no - mi stanno! Non capisce?
- Per la verità no, Quagliarù.
- Intestino! Duodeno: il Duo Deno!
- Mannaggia a bubbà! Me lo sentivo che quel Deno è nu
malandrine e anche nu poco figliendrocchia. Portamelo subito qua.
- Sissignore, maresciallo.
Poco dopo, Dino Deno viene scortato sotto il tendone principale
della protezione civile.
- Buongiorno, maresciallo.
- Buongiorno. Ch’avete à dicere, a vostra discolpa?
- Discolpa di che? Non c-capisco.
L’appuntato Quagliarulo dà man forte al superiore.
- Egregio signor Deno, abbiamo raccolto prove documentali
schiaccianti che dimostrano un suo chiaro coinvolgimento coi noti
fatti della polvere bianca rinvenuta presso il Grand Marché.
Il maresciallo, silenzioso, compie due giri attorno a Dino. Poi
l’afferra di scatto per il bavero con preziosi ricami dècor della giacca
sportiva Dolce e Gabbata.
- Confessate, Deno: siete voi che l’avete messa, la polvere?
Quagliarulo rabbrividisce notando il brusco cambio nel
linguaggio del superiore, da macchietta napoletana ad algido ispettore
Callaghan, privo della benché minima inflessione dialettale: per
esperienza sa che tale mutazione segna il momento in cui Omar sta
per picchiare duro. Dino, incapace di cogliere la trasfigurazione di
Omar in Omar-tello pneumatico, è ancora convinto di potersela cavare
facendo lo gnorri.
- Ma cosa andate cianciando, maresciallo! Adesso sarei io il
colpevole? Roba da chiodi!
Per tutta risposta, Omar gli assesta un colpo tra capo e collo e lo
pianta a sedere su una panca traballante mentre con fare intimidatorio
seguita a interrogarlo.
- Allora Deno: voi sapete bene che noi sappiamo, non è vero?
- Sapete cosa?
Il maresciallo compie altri due giri attorno al proprietario del
Grand Marchè, mimando uno sciacallaghan che annusa le sua preda
agonizzante prima di sferrare l’attacco finale, poi sibila come il
Gollum.
- Chiuuusssuuura…
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- Nessuno riuscirà mai a farci chiudere il Grand Marchè! Non è
vero!
Il maresciallo dà di gomito a Quagliarulo.
- Fa pure lo spiritoso, l’uomo, eh eh.
Appena Dino accenna ad accodarsi alla risata, Omar sbotta,
stromboliano, e cala un manrovescio sul pover’uomo.
- Macché chiudere e chiudere! Noi sappiamo “chi usura”! Chi è
che presta i soldi a usura: voi, Deno. Cos’avete da dire adesso?
L’espressione stralunata del proprietario del supermercato
tradisce tutto lo stupore di chi non sa più né il chi, né il come, né il
perché. Dov’è finito il maresciallo che conosceva, scialbo e pacchiano,
così facile da manovrare? Chi è l’uomo che ha di fronte? Farfuglia.
- Io… Ecco…
Omar gli pinza il naso tra indice e medio e stringe finché Deno
non comincia ad urlare, schernedolo.
- Guardate che vi affido alle cure del procuratore aggiunto, eh?
Lui vi ficca in gola l’intera mano triguantata arpeggiandovi le corde
vocali come uno scacciapensieri. Eh, state preparato arpeggio, Deno:
se non gli piacerà la musica proseguirà giù giù fino al duodeno per
poi strizzarvi le palle. Ogni volta che Minchino fa ‘sto giochino, resto
incantato: riesce a ritirare fuori la mano perfettamente pulita!
- Ghhhebbraaavo…
- Datemi retta, al suo confronto io sono un agnellino: lui vi smonta
pezzo per pezzo. Cantate, finché siete in tempo, cantate che vi passa.
Le grida richiamano i curiosi e Lily Cavedano cui non pare vero
d’essere sul pezzo.
- Gentili telespettatori di Tele Rigiro: notizia bomba al supermercato Grand Marchè di San Pirlottero della Credenza. Le forze
dell’ordine stanno torchiando come sospetto Dino Deno, il
proprietario dell’esercizio. Non è ancora dato sapere quale sia l’accusa
mossa all’indiziato, ma la vostra Lily Cavedano non mancherà di far
luce anche su questo mistero.
Lily simula un colpo di calore, si fa soccorrere e portare sotto il
tendone principale della protezione civile e supera così il cordone
predisposto dalle forze dell’ordine.
Omar Esciallo allerta l’appuntato.
- Quagliarù, io adesse prendo accordi con l’indagato e tu statte
accuorte ca la stampa nun metta becche su chille ch’ho da dicere al
mio amico accà. E’ cchiare? Cuntrolle chille smurfiuse!
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L’appuntato s’irrigidisce in un saluto e si sbraccia verso Lily che
spia da lontano, nel vano tentativo di allontanarla. Omar Esciallo
torna ad occuparsi di Deno.
- Allora bello, io vi prendo per il naso, ma voi no, chiaro? Quindi,
quando tra poco allenterò la morsa, mi aspetto tutta la verità e
nient’altro che la verità. Vi avverto che Minchino è andato a foderarsi
il guanto con la carta vetrata. Tra poco ritorna e saranno ruvide
schitarrate che neanche Jimi Hèndricse. Ok?
Deno fa cenno di sì col pollice rivolto in alto e accenna con un
mugolio “Hey Joe”. Il maresciallo restituisce la libertà alle sue narici:
la punta del naso è viola.
- E’ tutto vero, maresciallo. E’ vero che presto denaro, ma lo faccio
per spirito di carità. E comunque con questa cosa della polvere bianca
io non c’entro! Sono una vittima! Che senso ha? Mi sarei fatto un
attentato da solo?
- Mmm… Andiamo con ordine. A chi è che avete prestato soldi,
ultimamente?
- Beh, non ricordo… Dovrei controllare sulla lavagna appesa al
muro in salotto: io lo chiamo il muro del pianto, ihihih, il mio libro
nero.
- Non serve. Ti faccio nero io: vedrai che ti torna subito la
memoria.
- Ok, ok. Ho recentemente prestato soldi sia al comune che
all’ASL. Poi a Oscar Tavetrato, il falegname polacco di Via Varsa, al
pastore Tito Solepecore, a una coppia di vecchi pensionati affamati,
Orazio Natoilcibo e Rita De Nùt, a un immigrato francese, Pino
Transal, al noto camorrista pregiudicato cui tutti si raccomandano,
Alfio Denamignotta, all’imprenditrice Oliva Dapagare, a quel
gaudente scansafatiche di Eros Tanco, a Rita Rifio, la fiorista col
negozio accanto al cimitero, al massaggiatore Vito Nifico, al pugile
Rino Plastica per rifarsi il naso, all’impiegato dell’agenzia delle entrate
Loris Cuoto, al cantante Ugo Ladoro, al…
- Mmm, può bastare. Facciamo prima a consultare l’elenco
telefonico. Allora, Deno, ditemi chi potrebbe nutrire un particolare
rancore verso di voi.
- Beh, la giunta comunale e i dirigenti dell’ASL. Poi Oscar
Tavetrato, il falegname, il pastore Tito Solepecore, la coppia di vecchi
pensionati affamati, Orazio Natoilcibo e Rita Denut, l’immigrato
francese, Pino Transal, il noto camorrista pregiudicato cui tutti si
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raccomandano, Alfio Denamignotta, l’imprenditrice Oliva Dapagare,
quel gaudente scansafatiche di Eros Tanco, Rita Rifio, la fiorista, il
massaggiatore Vito Nifico, il pugile Rino Plastica che deve rifarsi il
naso, l’impiegato dell’agenzia delle entrate Loris Cuoto, il cantante
Ugo Ladoro, il…
- Mmm… La gente vi ama, Deno. Che tassi di interesse chiedete?
- Beh, dipende. Il fatto è che sono molto attaccato al denaro:
quando lo presto, soffro tantissimo al pensiero che dovrò separarmene
per un poco. Una sofferenza forse eccessiva.
Il maresciallo abbocca.
- Una sofferenza sicuramente eccessiva.
- Bravo! Quindi, come onesta e commisurata contropartita alla
mia eccessiva sofferenza, non posso che chiedere un tasso d’interesse
eccessivo.
Proprio in quel momento, Lily Cavedano salta giù dalla barella e
nel contempo il suo cameraman Rip Rendo le salta fuori dal taschino
della camicetta a fiori.
- Gentili telespettatori di Tele Rigiro, la vostra cronista d’assalto
Lily Cavedano è pronta per aggiornarvi sui più sordidi retroscena del
misterioso attentato al Grand Marchè di San Pirlottero della Credenza.
Le forze dell’ordine e Dino Deno vengono colti di sorpresa. La
reporter tiene in scacco tutti fidando sulla sua fluente parlantina.
- Pare dunque prendere corpo l’ipotesi che dietro al ritrovamento
della letale polvere bianca ci siano losche storie d’usura, traffico
d’organi e forse pedofilia. Come potete vedere, l’indiziato numero
uno, il noto proprietario del supermercato Dino Deno, è ora sotto
torchio da parte dei carabinieri.
Con un’agile piroetta, finge d’inciampare involontariamente in
modo goffo e impatta il volto di Dino col gomito destro, spaccandogli
il labbro.
- Ecco, gentili telespettatori: come potete vedere dal sangue che
scorre copioso, il volto tumefatto dell’indiziato porta i segni del duro
interrogatorio messo in atto dai carabinieri. Sentiamo dalla sua viva
voce cosa ha da dire a sua discolpa. Ha un alibi, signor Deno?
Dino farfuglia, stordito dal dolore per la gomitata infertagli con
nonchalance dalla donna.
- Io non ho messo nessuna polvere bianca… Ho solamente un
poco di forfora per il fegato affaticato… Qui siete tutti pazzi…
Lily, con la lilybidine stampata sul volto, incalza.
107
- Chissà, magari si tratta di un avvertimento, o forse sta cercando
di fare cassa truffando l’assicurazione?
- Ma cosa... Non c-capisco…
- E del traffico d’organi? Cos’ha da dire sul macellaio e su quelle
strane polpette senza permesso di soggiorno? E su suo fratello prete,
che voci attendibili indicano come l’eminenza grigia di un losco
traffico di materiale pedo-pornografico?
Omar Esciallo dà di gomito all’appuntato.
- Mmm… Quagliarunti, pigli’appunti.
Dino Dino, insultato negli affetti, reagisce con forza.
- Lasci stare mio fratello: non è affatto pedofilo! Ha un target
rigorosamente eterosessuale sopra i trenta, ché sono più esperte delle
dodicenni, anche perché lui non ha pazienza nell’insegnare, e le sue
parrocchiane hanno da molti anni cessato di frequentare il catechismo:
si figuri che qualcuna con marito prostatico è passata direttamente al
catetere. E inoltre le gustose africassee con carni selezionate del nostro
banco macelleria sono tutte a denominazione di origine controllata e
tutte di provenienza italiana: tenero armadillo di Taggia, gnu della
Ferrero di Alba, leonessa di Brescia, tutte prelibatezze da facocero al
forno.
Omar Esciallo prova a recuperare il controllo della situazione.
- Signurì, se si vulisse accummodà, qui c’ avessim ‘a ffaticà.
- Ed ecco gentili telespettatori, il nostro nume tutelare, colui da cui
dipende la nostra sicurezza, il maresciallo dei carabinieri Omar
Esciallo in tutto il suo marziale splendore. Osservate le nodose nocche
delle mani con cui probabilmente avrà colpito più volte il sospetto.
Notate lo sguardo indagatore capace di scannerizzare un vero
criminale con una semplice occhiata e i baffetti obliqui che occultano
le labbra rendendo l’espressione inclemente e indecifrabile.
- Signurì…
- Guardate con quanta vigorìa ora si gratta il naso valutando
nuove mirabolanti ipotesi investigative. Il suo naso da segugio ha
forse fiutato una nuova pista? Forse che il suo fidato aiutante
Quagliarulo non abbia digerito i fagioli? Ma osservate soprattutto la
mandibola quadrata al cubo, così maschia, così arrapante, in grado di
farne un ibrido tra il famoso investigatore Sherlock Holmes e il noto
sex symbol John Holmes. Ahhh! Fosse vivo, Lombroso, gli salterebbe
addosso!
- Quagliarù, buttamela fori.
108
- Sissignore.
Nel piazzale Telemaco Mefaccio non se la prende più di tanto per
lo scoop della collega, tutto assorbito nell’inaugurazione di un nuovo
canale affiliato a Tele Patia, studiato appositamente per un target
asiatico, per sfondare nell’emergente mercato cinese.
- Signori e signori, da oggi Tele Patia raddoppia! A reti unificate,
per la prima volta, con traduzione telepatica simultanea, iniziano in
questo momento le trasmissioni di Tele Cinesi.
Interno
L’aria nel Grande Marcio è elettrica: sta partendo la resistenza e si
susseguono sfrigolii di scosse con imprecazioni varie accompagnati da
coretti di “O bella ciao” provenienti dappertutto. Dietro lo scaffale del
reparto casalinghi inquieti, un nutrito gruppo di clienti sovrasta Mino
Mericordo, accucciato, che armeggia con bottigliette e altre disparate
cose. Poco lontano, prudente, il coro dei lassativati, compenetrato
sempre più nella tragedia messa in scena nel supermercato,
tambureggia esortazioni mistiche agli dei per un fausto esito della
vicenda. I coristi si percuotono a ritmo il petto con grattugie da
parmigiano usate a mò di cilicio penitenziale: la grattugia da grana
per esorcizzare le grane.
L’Adele Gato cerca di governare la situazione.
- Lasciatelo respirare, compagni, fategli aria.
Loris, il pensionato compagno di merende di Mino, travisa l’invito
e molla un’altra aria intestinale delle sue. Il cerchio degli astanti
magicamente s’allarga, verde per l’esalazione come un cerchio magico
padano.
- Allora, compagno Mino. Come intendi procedere per l’impervio
sentiero rivoluzionario che ci porterà ad un luminoso avvenire di
benessere ed eguaglianza proletaria per tutti i lavoratori sparsi
nell’intero globo terracqueo?
Marcello, come Curls di B.C., commenta caustico.
- Aoh! Nun era più semplice dije ‘Cazzo sta’ ‘a ‘ffa’?
Adele lo squadra con disprezzo mormorando tra i denti che
maciullano l’ennesima sigaretta.
- Sporco reazionario qualunquista.
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Mino suda come un cartone animato e incuriosisce il furtivo
Dragon Ballu che lo spia defilato mentre si riempie l’interno del
giubbotto di puntine da disegno di rame, paioli di rame, sottovasi da
giardino di rame e coperchi di rame. Fosse lì sugli scaffali,
imboscherebbe anche l’opera omnia di Franca Rame. Dragon lo sente
quasi come un collega d’anime in pena e gli rivolge un’occhiata
complice un po’ mesta del tipo “io e te sappiamo come andrà a finire,
ma ri-manga tra noi”. Mino prova a spiegare.
- Pant, pant, uff, gulp… Bisogna stare molto attenti : in sé i singoli
componenti che sto manipolando sono innocui, ma mescolati tutti
insieme formano una bomba pericolosa. Dunque, come potete vedere
qui abbiamo una bomboletta di insetticida al piretro, una scatola di
concime granulare per orto, tre supposte di glicerina, un bom…
- Perché proprio tre??
L’Adele Gato redarguisce P.Uzzone.
- Non distraetelo, compagni: porcoddue, è dannatamente
rischioso nellamisuraincui dobbiamo cogliere l’attimo.
- No signora Adele, il signor Paolo ha ragione a renderci partecipi
della sua legittima curiosità. Le supposte devono essere tre perché i
nitriti del piretro possano combinarsi in trinitroglicerina.
Nell’oooh generale d’ammirato stupore per le sue straordinarie
conoscenze di chimica, il vecchio riprende a delirare dal punto esatto
in cui non era rimasto.
- Ordunque, come dicevo, una bomba pericolosa. E come potete
vedere qui abbiamo due bombolette di insetticida al piretro, due
scatole di concime granulare per orto…
- Ecché dù scatole!
L’Adele implora.
- Marcello, per carità…
Fortunatamente l’interruzione è telegrafica e Mino riesce a
proseguire.
- …sei supposte di glicerina, un bombolone alla crema, frattaglie
in decomposizione e due panetti di lievito di birra.
Nessuno osa chiedere ulteriori spiegazioni.
- Bravo, compagno Mino, nellamisuraincui stai fieramente
lavorando, fiaccheremo il nemico e libereremo il nostro compagno
Olaf figlio della rivoluzione, cazzo porccoddue.
Marcello però non riesce a trattenersi dal punzecchiare il vecchio.
110
- A’ sor maè, tanto de cappello! Ma je calzerà ‘sta bbombetta ar
mozzarellone?
- Abbia fede, signor Marcello. Grazie alle frattaglie marce del suo
reparto di macelleria la bomba avrà effetti devastanti.
- E statte zitto, nonno! Ma cche mme voi rovinà?
Anche Dana Rospicciolo interviene per difendere il buon nome
della ditta.
- Non dica queste cose, signor Mino. I nostri prodotti sono tutti
validi e freschi.
Olga Binetto Lindo è rinvenuta da poco, inquieta e incazzatissima
per il precedente esorcistico tocco delle balle a Marcello senza
conseguenze reattive e per la scomparsa di Olaf che suscita in lei un
rapporto di odio-amore. Chiarisce acida.
- All’opposto, i vostri prodotti sono palesemente invalidi, come un
invalido dopo una guerra chimicobatteriologica. Non scherziamoci
tanto, cara sisona, ché prima o poi partirà qualche denuncia. Glielo
promette una fanatica del pulito.
Mino cerca di quietare gli animi con professionalità didascalica.
- In realtà le frattaglie marce vanno benissimo alla bisogna. Il
rognone pare animato di vita propria e la coratella sembra palpitare
mentre la trippa e il fegato passeggiano da soli dentro il banco frigo.
Ne verrà fuori una pericolosissima mina vagante.
- Ner senso che vaga, nonnè? Tu ‘mme stai a rovinà, lo ripeto, e
‘mme stai a frantumà puro li cojoni: quelli so cojoni de toro arivati da
solo ‘ddu ggiorni, te possino ammazzatte, pe’ ‘na cosa fresca che cc’è!
- Compagno Mino: non ascoltare sirene e tentazioni capitalistiche.
Procedi a passo spedito su per l’erta rivoluzionaria, ché presto
raggiungerai la piazza dove l’intera classe operaia attende per iniziare
a rovesciare le forze del male.
- …Ecco, pant, pant, uff, madonnina che caldo. Dovrebbe
funzionare. Chi la lancia? Io sono vecchio e ho il braccino lasco.
- Compagno Mino. Sono reduce da un campo d’addestramento e
sono in forma come una guardia Rossa. Ci penserò io.
L’Adele prende in mano un bottiglione mostruoso di rosatello
pugliese tagliato con di tutto un po’, pieno di frattaglie che si agitano
scomposte, e assume una posa plastica da discobolo per lancio di
bomba al plastico. Sembra appena uscita da un documentario di
‘Servire il Popolo’ o dalla copertina di un disco dei Matching Mole,
con lo sguardo carico di consapevolezza e odio e il braccio rigido
111
proteso indietro per lo slancio nel lancio della metaforica campagna
pubblicitaria della rivoluzione. Three, two, one, zero, ignition! Il
bottiglione disegna una parabola arcuata verso la Blobzarella gigante
che nel frattempo, da bianco latte, è diventata bluastra, come da
colorazione standard delle mozzarelle del nuovo millennio,
conferendo al corpo l’aspetto di un enorme balenottero sfiatante latte
dall’alto.
Ka-booooom!
L’esplosione squarcia l’aria con un bagliore sanguigno
accompagnata da una sorta di nitrito nitroglicerinico, o forse nitrato,
che prorompe dalle viscere del mostro. Brani di stracciatella si
diffondono ovunque e un’ampia voragine lascia intravedere corpi
inglobati che cercano di uscire.
“C’era una volta... – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non
era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che
d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco
e per riscaldare le stanze...”
Esce per primo Pinocchio che tira per un braccio suo padre,
Geppetto, spaesatissimi tutti e due.
- Babbino, babbino: che cazzo ci facciamo in questo libro?
- Non lo so, Pinocchio: magari è un tiro mancino del Gatto e della
Volpe, quelli che ci hanno infilato qui dentro in un calderone, o di
quella vecchia baldracca della Fata Turchina che da quando è andata
in menopausa è diventata dispettosa.
Poi appare Olaf, trasfigurato come Mosè dopo la discesa dal
monte Tabor: color bianco latte coi capelli lisci, bianchissimi anch’essi,
che fanno da cornice come una criniera leonina ad un viso ieratico e
severo. Il keniota spande un’aura mistica, circonfuso da una
illuminazione fosforescente, tipica delle mozzarelle più in voga, che
accentua il balenare di uno sguardo multicolor particolarmente
brillante. Olga, genuflessa, con un braccio a ripararsi dalla luce
innaturale di grazia santificante, nota con raccapriccio che, a seguito
dell’esplosione, il proprio braccio è invece diventato nero e si scruta
preoccupatissima nello specchietto del reparto pettini, pinzette e
prodotti di bellezza. Inorridisce: non è soltanto il braccio, è tutta nera
come un tizzo. Lo spostamento d’aria l’ha sbalzata contro lo scaffale
degli articoli da campeggio e gli si sono rovesciati addosso due sacchi
di carbonella per il barbecue! L’orrore è fugace, lenito dal fatto che
112
Olaf, ai suoi occhi, ora, è più appetibile di Marcello e più bello
dell’Umbertotem.
- Olaf, Olaaafff.
Gorgheggia come una cinciallegra.
Il keniota la guarda dall’alto in basso e le risponde astioso con un
osceno canto.
- Gira la ruoootaaa, gira la ruoootaaa. Cazzo vuoi, sporca negra?
Olga scoppia in lacrime e corre a “rifarsi il trucco” nel bagno delle
donne del supermercato. Purtroppo la toilette è ormai completamente
devastata dal bombardamento delle coriste di tragedia a causa dei
ripetuti assaggi del lassativo ‘Lassa Perdere’, tanto che alle pareti è
possibile ammirare affreschi variopinti di scuola cubista
neopicassiana: una Guernicacata chilometrica, e dove metti le mani
tocchi tutto con mano.
Così, in preda a conati di vomito, la donna non fa altro che
peggiorare il problema: l’abbronzatura ora, ahimè, emana pure un
pungente fetore! Il mondo di Olga Binetto Lindo va in frantumi e la
povera donna sviene per l’ennesima volta immaginando di tuffarsi in
un tazzone di thè al bergamotto e alla conegrina che tutto purifichi e
cancelli.
Attorno a Mino è tutto un tripudio di complimenti, felicitazioni e
pacche sulle spalle. Il vecchio sorride a tutti, un poco frastornato, e si
schermisce.
- Grazie, troppo gentili, grazie.
Adele lo spinge su un palchetto improvvisato, assemblato con due
scaffali divelti dall’esplosione.
- Compagni della Brigata Garibaldi! Grazie alla mia sindacabile
autorità, propongo di decorare il nostro prode granatiere con un
medaglione di manzo al valore, offerto dal banco macelleria del
Grand Marchè.
Marcello porge alla delegata il vassoio dei medaglioni e uno
spiedino per appuntare il tutto alla camicia di flanella del vecchio.
Sull’onda dell’entusiasmo, l’Adele Gato progetta nuove mirabolanti
azioni dimostrative.
- Porcoddue! Usciremo dal supermercato e organizzeremo una
escalation di rappresaglie dietro la linea Gotica!
Marcello capisce male, perplesso.
- Mortànguerieri! L’ho fenita ieri, ‘a cotica. Ade’ nunc’ho più
coticaaa! Nun se potemo annisconne dietro la coticaaa!
113
La platea, morbosa, lo ignora e chiede a gran voce che Mino dica
la sua.
- Di-scor-so! Di-scor-so! Di-scor-so!
- Amici, che emozione, grazie. Non immaginavo così tanto
entusiasmo da parte vostra: grazie di cuore per esservi ricordati del
mio compleanno!
- Ahò, aridaje: qui se rinco-mincia subito a sbracà.
Leda s’intromette, chiedendo maggiore rispetto per il vecchio.
- Marcello! Dovrebbe mostrare più rispetto! Come già disse
Sofocle “l’anzianità è simbolo di saggezza”.
- Seee! Mino, quanno discore, me pare ‘n saggio che cià ‘n passaggio… A vuoto!
Il vecchio non si scompone: dall’alto del suo palchetto scruta serio
la folla e sentenzia.
- La saggezza è ciò che rimane, dopo che abbiamo dimenticato
tutto.
Il corifeo, entusiasta, organizza un saggio di danza nonché un
saggio di canto popolare e, imbeccato dall’Adele Gato, intona a pieni
polmoni “Sciur paron da li belli braghi bianchi, fora li palanchi, fora li
palanchi…”
114
15. Settima divagazione. Ritratto sindacale
Il destino dell’Adele Gato parte da un errore ortografico e da un
fortissimo sentimento di rivalsa.
Il padre di Adele, quando nacque, fu registrato all’Anagrafe con il
nome di Romolo Gato.
L’impiegato addetto alla trascrizione, con la mente rivolta alla
sera prima, trascorsa in baccanali senza ritegno, non si avvide di un
foglio poggiato sopra il registro. La lettera ‘R’ di Romolo fu scritta su
quel foglio e sul registro delle nascite risultò in seguito registrato
Omolo Gato.
Quando si dice ‘nomen omen’!
Il bimbo crebbe con un ambiguo diminutivo, Omoletto, spesso
storpiato beffardamente in Omoaletto. Raggiunta l’adolescenza,
Omolo familiarizzò col mondo marchettaro maschile sulla passeggiata
alberata dietro la caserma del paese, per finirne però snobbato e
bollato come omolosessuale. Quindi s’afflosciò rassegnandosi di
nome, cognome e di fatto, ad una vita completamente piatta, senza
alcun guizzo, improntata all’abitudine, alla pecoronaggine, al soufflè
freddo, al simbolico vestito di tutti i giorni grigio e anonimo, da
omologato, per l’appunto.
Le anime gemelle, tuttavia, esistono per tutti, come santa Rita per
i casi disperati.
Omolo Gato, infatti, dopo un colpo di fulmine di 15 watt a basso
consumo, il suo massimo, si sposò con una donnina insignificante e
piatta, anche di seno: Giuseppina Datta, detta Ina.
La coppia vivacchiò con serenità noiosa che fu rotta solamente
dalla nascita di Adele.
La ragazzina, in età scolare, con le treccine, un’aria perbenista
anonima, un vestitino demodé e poca libertà di movimento e di
iniziative, sempre castrata dai genitori poco amanti delle novità, era
sistematicamente presa in giro da tutta la classe. La sua compagna di
banco, Dida Scalica, la rimbrottava in continuazione istruendola su
come ravvivare il look e un altro compagno, Ugo Lafalsa, si fingeva
suo amico per poi, come scoprì dolorosamente dopo, sparlarle dietro
con tutti gli altri in modo assai crudele. Un’altra compagna di classe,
Ada Mitica, nota per le sue disinibizioni, la prendeva in giro per il suo
115
petto piallato ereditario facendosi tastare da tutti le tettone prominenti
per un confronto e il bello della classe, il dongiovanni in erba pieno
d’erba Lutero Maggrada, era ovviamente fuori d’ogni portata,
inarrivabile e sprezzante.
Un giorno, all’improvviso, Adele sparì.
Andò su per le montagne a meditare in solitudine e a tracciare un
bilancio della sua vita piatta, come quella dei suoi genitori Omolo e
Ina e come i suoi acerbi seni.
Tra i monti, in una baita sperduta, conobbe casualmente Ponzio,
un montanaro ricco di personalità e politicamente preparato, che
insegnava pilates alle mucche della sua stalla e che la trovò simpatica
nonostante rassomigliasse troppo al rastrello per radunare la paglia.
La stalla era davvero piccola e le mucche erano piene di dolori per
una cattiva postura nello spazio angusto.
Ponzio, pilates e pazienza certosina, le aveva fatte rifiorire, anche
se la stalla appariva davvero stramba, con una mucca che poggiava
sulle corna in verticale, un’altra seduta a posizione yoga per yogurth,
e un’altra ancora adagiata sulla rastrelliera del fieno con gli
scaldamuscoli rosa fucsia sopra gli zoccoli, in posa da grande vacca
playmate.
L’Adele, fornicando con Ponzio su un piumone di damasco, si
contuse un tarso, ma ebbe una folgorante rivelazione e ritornò a casa
con idee ben precise di ribellione e rinnovamento.
Ci fu uno scontro generazionale in casa Gato. Papà Omolo Gato
era incapace di accettare le decisioni di Adele e mamma Ina Datta non
aveva istruzione, dialettica e carisma sufficienti per contrastare le
scelte della figliola. Capitolarono entrambi, da omologati pigri e
deboli, senza quel piglio in più per un’impennata d’orgoglio tesa a
riconquistare la figlia.
E Adele ritornò su alla malga di Ponzio.
Divenne un’altra. Ponzio, un uomo impegnato moralmente,
socialmente e politicamente, le insegnò tutto ciò che aveva imparato
su vecchi libri circa Carlo Marx, a lei completamente sconosciuto.
Apprese tutto con voracità, leggendo Lenin e Mao, entusiasmandosi per Engels, per poi ripiombare in una depressione rancorosa
confrontando quelle idee con la vita e i precetti educativi di papà
Omolo Gato che aveva sempre votato per L’Uomo Qualunque e per il
Partito della Pagnotta. Talvolta cadeva in depressione anche leggendo
saggi politici di un tale di nome Angeletti e di un altro che si
116
chiamava Bonanni. Poi, però, si risollevava con gli scritti di Bakunin e
canticchiava allegra e soprappensiero: “Ba, ba, baciami Bakunin sulla
bo, bo, bocca piccolina, dammi tan tan tanti baci in quantità,
tarattarattarattarattaraaa”.
Ponzio la iniziò anche ad una sana attività fisica all’insegna della
‘mens sana in corpore sano’ con duri addestramenti alle arti marziali e
alla sopravvivenza estrema.
Adele spaccò legna a quintali, corse a perdifiato per le valli con i
secchi pieni d’acqua del torrente gelato, dove si faceva il bagno in tuta
mimetica per non spaventare le trote, e imparò a governare la stalla e
a mungere. Cominciò con Ponzio per finire con Adriana, la mucca più
generosa della piccola stalla.
Ponzio, fine addestratore naturale di mucche ed esseri umani,
cominciò ad apprezzare Adele e accarezzò pensieri rivoluzionari su di
lei. Adele soffriva e imparava, sempre in tensione fisica e psichica, e
temprava corpo e spirito fino ai limiti di rottura. Ogni tanto cedeva e,
con i pugni chiusi levati al cielo come ad una manifestazione del Caro
Leader, chiamava disperatamente la sua mucca preferita per una sua
magra consolazione.
- Adrianaaa!
Ponzio le fece vedere tutti i films di Rambo per decine e decine di
volte, e anche i films di Swarzeneggher, promuovendo poi forum sul
confezionamento di molotov da bottiglie di ratafià ed estenuanti
dibattiti sull’efficacia del passo del leopardo rispetto al passo del
pensionato con la minima, in caso di guerriglia urbana. Aumentò
inoltre il carico di lavoro, al fine di tonificare vieppiù la sua
muscolatura, con pesistica, tanto che Adele ormai riusciva a sollevare
Adriana. Ponzio fu anche inflessibile circa una continua attività con la
sega nei boschi, quando non giravano le forestali o i cercatori di
funghi, e controllava sempre di persona l’intensità della prestazione.
Infine, ché anche la teoria ha la sua importanza, la indirizzò con
noncuranza verso poderosi verbali di riunioni sindacali per fare di lei
una battagliera sindacalista da fare impallidire la Camusso che
avrebbe fatto, al confronto, la figura della vispa Teresa.
Adele, soggiogata da Ponzio, entusiasta anche per via della
mungitura serale che non saltava mai, diventò un’altra donna anche
se calzava gli anfibi da commando invece delle Prada da 15 centimetri
di tacco a spillo.
Oddio! Dire ‘un’altra donna’ è un eufemismo!
117
La ragazzina esangue d’una volta era diventata, a forza di lavori
pesanti, di bere latte e mangiare braciole, un donnone pieno di
muscoli con un’irritabilità presa tutta da Trotski, una combattività
ispirata dal Che insieme alla sua voglia di fumare sigari. L’aspetto
fisico ricordava una delle sue eroine, Donna Kannonewskajia, la
campionessa olimpionica di lancio del lupo incazzato e della falce
insieme al martello ai Giochi Sportivi Siberiani, anche se aveva, ormai,
due tette da bagnino palestrato di Riccione per una dieta integrativa
di testosterone.
Un giorno Ponzio, durante la mungitura abituale serale, nel
cercare di riempire il secchio come Adriana, ebbe un coccolone tra le
braccia di Adele.
Le mormorò con un filo di voce e anche di bava, con la bocca
politicamente corretta paralizzata a sinistra.
- Il mio momento è giunto: si può dire che vado per come sono
venuto, compagna Adele. Smettila di stringermi il testimone, perché il
testimone che ti passo è soltanto simbolico. E’ ora che tu scenda a valle
e combatta per il trionfo definitivo del proletariato.
S’accasciò con un sorriso da rivoluzionario soddisfatto e con un
rigor mortis invidiabile ancorché mezzo secchio fosse stato già
riempito.
Adele, ormai una donna con due palle così e un pelo pubico che
arrivava allo stomaco, pianse virilmente, riabilitò le mucche
liberandole nel prato e scese a valle senza voltarsi mentre la malga
andava a fuoco in un incendio doloroso.
Le mucche ballarono il tip tap a quattro zampe dalla gioia per il
termine della segregazione. S’abbeverarono al trogolo perestroiko,
muggirono distanti a tempo di rap decadente e galopparono verso il
torrente per fare il bagno nude, ormai mucche borghesi senza la paura
d’essere infilate in un gulash siberiano.
Adele, invece, ritornò al paese e ripercorse le orme del Conte di
Montecristo.
A Dida Scalica causò un danno odontoiatrico di seimila euro circa
a forza di militanti sganassoni.
Ugo Lafalsa cercò ipocritamente di rabbonirla con parole dolci,
ma fu insuppostato senza anestesia con un colpo di lotta di classe
cambogiana con l’avambraccio in pratica di fisting: come un pesce
boccheggiante riuscì solo a mormorare due o tre volte con voce
118
chioccia da evirato ‘Pol Pot, Pol Pot’ schiumando bollicine di bava e
bile.
Lutero Maggrada, ancora piacente seppure ormai strafatto d’erba
e non solo, se la cavò con una mungitura coatta, secretata in una
cantina arredata come un sotterraneo della Lubjianka. Occhio per
occhio e dente per dente, dura lex sed lex, Adele aveva progettato di
umiliare senza pietà l’ex bello dello classe vendicando le umiliazioni
subite a scuola. Tuttavia, di fronte alla pochezza dell’uomo si
trattenne, seppure a stento, dal bollare con una sputazzata di
disprezzo il deludente risultato. Altro che dura lex: l’ex sex symbol si
rivelò un moscio ejaculatore precoce! Sorrise pietosa al pensiero che in
fondo anch’egli era un compagno… di classe e lo indirizzò da un
bravo psicanalista andrologo. Secondo notizie aggiornate, Lutero fu
costretto a un abbonamento per i tre anni successivi nel tentativo di
ritrovare il suo ego mascolino a pezzi nonché i suoi spermatozoi
latitanti.
Ada Mitica, sempre più disinibita, ormai in giro sempre senza slip
per sfruttare ogni occasione provocatoria, fu presa alla sprovvista e
sculacciata per un’ora e mezza: Adele le deturpò le chiappe in
maniera permanente come una sedia sfondata di paglia di Vienna,
usando una cinghia di cuoio da ufficiale sovietico con borchia a foggia
di stella rossa in ottone.
L’Adele Gato, dopo i giorni della vendetta, e poi dell’indifferenza,
rispetto ai genitori ormai morti di dolore nell’anonimato più
insignificante, si fece assumere da una fabbrichetta vicino al paese,
dove si conciavano per le feste le pelli da stivali a forza di cazzottoni, e
dopo poco tempo risultò una delle più produttive e grintose, anche se
una volta aveva centrato in pieno il sottopancia del direttore che
controllava la catena di montaggio trasformandogli le gonadi in due
tabacchiere.
Fu eletta all’unanimità rappresentante sindacale e, come la
Kannonewskajia, si schermì con un sorriso nero di nicotina e intonò
con le lacrime agli occhi ‘L’oriente è rosso con Mao Tse Dong, il naso è
rosso con il Tokai’.
119
120
16. Dentro e fuori: tutti ad indagare d’appalto intorno alle
ore 13.00, ché porta bene
Esterno distante
Il colonnello Esa sorbisce un caffè RIStretto nella stanza del suo
ufficio. E’ appena ritornato dalla mensa dei NAS che, insieme ai ROS,
condividono il grande palazzo dei CC. Ha mangiato controvoglia,
pensieroso e in cerca di RISposte: un poco di RISotto alla milanese, del
NASello RIScaldato al forno con patatine ROSolate al punto giusto
con ROSmarino, una fettina sottile come un’ostia di ROSbeaf. Eppure
non ha gustato appieno il pranzo e ora cerca RIScontri su quello che
intuisce a NASo, ROSo da un’emicrania acuta per tutti questi acronimi
che lo fanno sentire prigioniero di una NASsa, RISucchiato da dubbi
su ipotesi, dalle più banali alle più fantascientifiche.
Bussano.
RISponde in automatico da scuola accademica.
- Avanti, Marsch.
- I miei RISpetti, signor Colonnello. Abbiamo comperato i
vetrini dopo una colletta tra noi, ma… Ihihih, la vuole sapere? Non
abbiamo il detergente per i vetrini. L’analista giù in laboratorio, il
brigadiere Mirko Scopio, sostiene con velato umoRISsmo che pulirli
alitandoci sopra e poi stRISciarli sulla camicia non sia igienico e
rigoROSo al fine delle analisi.
- Eccheccazzo, ma deve sempre NAScere un problema: non
abbiamo proprio nulla? Mi RIServo di fare rapporto. Qualcuno
NASconde qualcosa. Sto ROSicando non poco. Facciamo così: anticipo
qualche spicciolo per il detergente, ma non andate a comprare la
brusca per strofinare i vetrini, capito? E siate retti: non fate la cresta in
ROSticceria, qui all’angolo ottuso! Comprate lo Scartavetro Paco,
quello della pubblicità, il detergente per i vetri di Vetralla, il più usato
ad Avetrana, per lucidare le lenti degli occhiali appannate di sudori e
pianti, e a Vietri sul mare, tanto che il mare si vergogna di
sbrilluccicare meno di una finestra. Chiederò poi il RISarcimento. Non
fatemi venire la ROSolia con queste minchiate. Tra due ore al
massimo, lei RISale dal laboratorio e mi riferisce gli esiti, d’accordo?
121
Si fruga in tasca e allunga una banconota al piantone che intanto
piange per il cazziatone tirando su col NASo come un agente della
narcotici.
- Non so se basteranno due ore, signor colonnello, sniff, sniff…
- Smettila di frignare, frignone! Non possiamo mica andare avanti
in eterno, stavolta c’è in ballo qualcosa di gROSso: ci sono una
quarantiNAS di persone chiuse in un supermercato, guardate a vista
con i mitra spianati perché non escano, e poi quelli che leggono ‘sta
roba vogliono sapere come finisce, quindi regolatevi: voglio la
RISoluzione infiocchettata in un pacchetto col NAStrino delle feste,
ok?
- Ma ci vorrà anche di più per completare lo studio bio-molecolare
ultramicROScopico.
- MadonNAS santa. Mi fate venì l’angina pectoRIS! E la cirROSi!
Un aneuRISma cerebrale! Una cRISi d’ansiaaah! O il tifo
ESAntematico!
- Al momento, l’accapielleccì è senza la colonna. Doveva arrivare
oggi, ma il fornitore ha telefonato che è in colonna sulla A14, per un
incidente.
Per scaricare la tensione, Esa si accende una sigaretta: ovviamente
è una Philip MorRIS. Tossisce come un vecchio catarROSo.
- Ohi, mi si è pure iNASprita la voce: stasera dovrò farmi un
gargaRISmo o un aeROSol. Comunque, voi tenetemi aggiornato.
Intanto ingannerò il tempo leggendo qualcosa.
Sul tavolo della scrivania, sopra a una RISma di fogli, lo attende
una copia del libro “Il silenzio degli innocenti”, di Thomas HarRIS.
Tuttavia, prima di mettersi a sfogliare il libro, Esa fa cadere un po’ di
cenere al centro del tavolo e la sparge con l’indice della mano destra
fino a comporre una sagoma quadrata, con un gambo.
- Perché disegna con la cenere sul tavolo, se posso permettermi,
signor colonnello?
- E’ un esorcismo, per scacciare i vampiri: me l’ha insegnato mia
nonna.
- Non crederà mica che possa funzionare!
- Invece funziona benissimo: vedi vampiri in giro?
122
Esterno
Quagliarulo sta facendo il punto della situazione: l’ipotesi della
setta satanica pare ormai la meno credibile, come pure non ha trovato
conferma l’ipotesi d’un atto terroristico compiuto da qualche gruppo
anarco-insurrezionalista. Pare invece promettente la pista del gesto
intimidatorio o della rappresaglia verso Dino Deno, il proprietario del
supermercato, che non solo ha confessato di prestare soldi a usura, ma
che gode di una trista fama di contrabbandiere ed ecotrafficante: la
classica economia sommersa… dagli scandali.
- Farei perquisire l’appartamento di Dino Deno, maresciallo, se lei
è d’accordo.
- Ne parlavo giuste giuste co’ Minchino. E’d’accorde pure isso. Fai
pure, Quagliarù. Ie m’appennico.
Poco più oltre c’è grande agitazione attorno alla postazione
mobile di Tele Rigiro: pare sia giunto alla redazione dell’emittente
televisiva un volantino di rivendicazione a firma di sedicenti Nuclei
ArmatiTrotzchistiGlobetrottersLiberalCapitalistiRivoluzionariQualun
quistiSalutistifiloPalestrinesiPalestratidel12ottobre1956maalleoreantel
ucanerivoluzionarie.
La data è oscura, nel senso che potrebbe essere anche la data di
nascita di un elemento fisico nucleare, e la sigla, mai apparsa fino ad
ora, sembra anche un codice fiscale di lituani o libelungi dal sapere di
chi possano essere.
Rip Prendo, per fare campo lungo sulla chilometrica firma del
volantino con la cinepresa, si sloga una spalla.
Il PM Aldo Vere Minchino è soprappensiero e nel ravviarsi i
capelli con i guanti cartavetrati s’annoda la chioma: mormora tra sé e
sé “tisis, tisis… Uot istis?”
Omar Esciallo gira e rigira il documento rivendicativo tra le mani
fino a che, sul retro, scorge un’impressionante iscrizione in
sovrimpressione su una bandiera rossa anni ‘60 con sopra una
banconota da quattrocento euro padani raffigurante un cerchio
magico col ritratto filigranato di Maga Magò. C’è scritto: “Compagni,
lottiamo insieme fino alla dittatura del modernariato”. Poi, ma deve
guardare con una lente d’ingrandimento d’ordinanza per indagini di
servizio, piccolissimo in ritagli di giornale del secolo XX, ritoccati al
Photoshop:
123
“Unitevi ai NATGLCRQSPP12R56ALR, paladini della vera cultura
antagonista: noi sosteniamo l’antistato, l’antitrust e gli antipasti alla
piemontese, propugniamo l’antimercato globale e i richiami obbligatori
per l’antitetanica, siamo antiborghesi, anticrittogamici, anticonformisti,
antifascisti, antitetici, antiquari e pure un poco antipatici! Diciamo basta
allo strapotere delle banche: che il potere politico passi alle bancarelle!
Rozzi consumatori privi di classe operaia del XXI secolo, non ve la
daremo vinta! Al massimo, ve la daremo vintage!”
Più sotto l’immagine in bianco e nero di un operaio della AlfaSud, con stampigliato sopra “FAC-SIMILE” e l’appuntamento per la
grande manifestazione rivoluzionaria di domenica.
“Il corteo di salariati, rivitalizzato dal nostro industrial design
mediante un’armonica concertazione di produzione e cultura postcomunista, marcerà nell’ottica di una riorganizzazione dei rapporti di
proprietà e di produzione della società capitalista, provocando una vera e
propria rivoluzione capace non solo di dare nuova dignità e
valorizzazione estetica alla classe operaia, ma anche di far sì che il
qualunquismo sia alla portata di tutti, nel più alto significato del termine.
Non mancate! I nuclei armati NATGLCRQSPP 12R56ALR terranno un
mercatino ogni primo giovedì del mese nell’ex-stabilimento FIAT
Mirafiori: vi aspettiamo! Non rinunciate all’eccezionale varietà tipologica
della nostra manifestazione!”
Il primo istinto di Omar Esciallo è quello di ridere, ma poi prevale
il senso pratico e il carabiniere annota data e orario dell’happening.
Dopodiché, recuperando un minimo di aplomb istituzionale, più
confacente alla situazione, il maresciallo s’arriccia il baffetto
carabinierico e assume un’aria battagliera e minacciosa guardandosi
intorno alla ricerca di qualche sospetto.
- Dottò, avete letto?
Minchino sorride con l’espressione di chi la sa lunga. Annuisce
facendo la faccia di cera e sentenzia.
- Ridendo di cere è vero, aumm aumm!
Il maresciallo sdilinquisce adorante.
- Tutte ‘i llingue conosce, dottò, e pure ‘o napuletane! V’aggia ‘a fa
nu’ trofeo!
Poi passa il volantino all’appuntato con modi repentinamente
sbrigativi.
124
- Quagliarù, hai da passà anche chiste ‘o Risse. Non fusse cà ci
fussero l’impronte diggitali di quaccuno.
Infine sfoga la sua frustrazione sulla povera Lily Cavedano.
- Ahhh signurì: ascoltatemi bbene. Se vi pesco ancora avant’ ‘a
faccia, ve sguinzaje i peggie aggenti d’a buoncostume che vi faranno
passare guai seri p’a minigonna a’ limiti dell’indecenza. Ci siamo
capiti? Ve lo dico con più immediatezza: portate ‘o culo fori d’o
perimetro, voi e chille strizzauallera d’o cameramenne, o saranno
carciofoni co’ i ‘ppunte taglienti. Chiare?
Lily accusa il colpo e una napoletana a coppe in un tressette
improvvisato con Rip dolorante, entrambi in attesa di eventi mentre
sbocconcellano due hot dog della paninoteca lì vicina.
Farfuglia scuse tirandosi giù la gonna fino al ginocchio, tanto che
si scopre dall’ombelico in giù fino a mezza coscia.
Quagliarulo strabuzza gli occhi nel vedere a ora di pranzo una
scena abituale dopo le due di notte su Telèccito a banda larghissima.
Stranguglia con il panino alla peperonata che gli va di traverso,
diventa rosso come un sovversivo e tossisce violentemente eruttando
a raggiera tutt’intorno mollicame e peperoni. Quindi quasi paonazzo,
crolla a terra.
Felice Mentevivo interviene istantaneamente con una squadra di
operai per transennare la zona all’interno della zona transennata: una
transtransennatura innaturale che imbarazza l’appuntato come un
lombrico senza terra, ma che passa quasi inosservata nel solito transtrans dell’emergenza travestita da normalità.
Enza Lemerg sbuffa e prende da parte il maresciallo.
- Caro maresciallo, non sono per nulla soddisfatta della gestione
dell’ordine pubblico all’interno del parcheggio: c’è un continuo viavai
di giornalisti e di ficcanaso, la folla non rispetta la zona rossa. Anche
la no-fly zone viene costantemente violata da piccioni, merli e
quant’altro. Il dottor Minchino mi ha detto che se ne lava le mani e che
lei è il solo responsabile.
- Faccio ammenda, dottoressa. Ammazzalo, Minchino, che mani
pulite che tiene, e che sfragnament’ ‘e uallera!
- E quella quaglia del suo appuntato Quagliarulo, non solo viene
costantemente uccellato dai curiosi, ma adesso mi crolla pure al suolo
in mezzo all’area C e mi costringe ad aprire un nuovo fronte operativo
togliendo forza ed energie a quello principale.
125
Il maresciallo subisce la veemente reprimenda dell’ingegnere
senza riuscire a replicare alcunché, così Enza prosegue.
- Allora mi ascolti bene, maresciallo, ché sono già d’accordo col
PM: ho fatto prelevare due torrette di avvistamento del WWF dall’oasi
faunistica di Lago Nia, lo specchio d’acqua ormai prosciugato da cui
sono scomparsi gli ultimi esemplari di Airone Stinto. Le farò collocare
sui due lati del parcheggio e lei mi fornirà due tiratori scelti che
presidieranno militarmente la zona.
- Uèèè, non è che stamm’ ascì d’o’ signo, signò? Ie nun tenghe
cecchini: in stazione ho solo l’appuntato Cecco Angiolieri, ‘nu tipe
pacifiche, ‘n angiolette, nu’ carattere poetiche, e il carabbiniere scelto
Cecco Latitina, nu’ sicule ‘nammurato ca’ nun sparerebbe manco a ‘na
mosca.
- Ho già ricevuto la teatrale benedizione del Consiglio dei
Ministrioni anche perché, come al solito, esibizionismo, barzellette e
prove di forza pagano, in termini di visibilità, mi spiego? E poi, le
ripeto, è d’accordo anche il dottor Minchino: lo vede laggiù con le
mani guantate gocciolanti di sapone liquido?
Il procuratore assente da lontano, assente sulla scena, immerso in
sue malinconiche riflessioni e nello scuotere il capo avallando il
cecchinaggio, lascia che il ciuffo cotonato dei capelli alla Caselli (non
Caterina, n.d.r.) cali a mo' di sipario davanti agli occhi.
E come tutti sanno: occhio non vede e cuore non duole. In effetti,
di tutta la situazione a Minchino non gliene può fregare di meno, a
parte cogliere al volo la ghiotta occasione di snocciolare una nuova
massima in latino circa i due cecchini col nome identico.
- Omonimi lupus!
D’intorno, dal pubblico presente si leva un Plauto unanime. Omar
Esciallo sospira sconsolato.
- Accà songo tutti impazzuti! Bah…
Interno
Passata la paura e la conseguente euforia dovuta alla distruzione
della blobzarella, i quarantenati fanno il punto della situazione. E’
giunta l’ora di nutrirsi, come sanno bene anche le nutrie nei canali,
travestite da massi erratici o intente a parlottare in lontrese stretto per
passare inosservate.
126
Poiché tutti vedono doppio dalla fame, optano allora per i due
punti della situazione: si catapultano alla caccia di qualcosa di ancora
commestibile tra gli scaffali e i banchi di gastronomia del Grand
Marchè.
Dragon Ballu e Filomenosofia, con il loro piccolo Lino, sono assai
delusi dopo aver cercato di mordere qualche canederlo senza coda e
ora sono in perlustrazione al banco macelleria, con la bava alla bocca
di fronte a fiorentine sanguinolente che, ombrose anche di colore,
sembrano voler rispondere ‘E ci si lasci in pace, maremma buhaiola,
he siamo huasi marce e s’ha il diritto di dehomporsi tranquille’.
I coristi lassativati, disidratati dopo gli assaggi promozionali,
s’attaccano istericamente a tutti i tipi di acque e sali minerali, fino ai
sali e tabacchi, e anche a qualcosa di astringente, come gli arancini di
riso o i limoni trafugati al reparto ferramenta, che utilizzano
direttamente come supposte per bloccare residui di pulsioni.
Altri cercano fornelletti, al reparto articoli da campeggio di così si
muore, per scaldare qualcosa, ma i più affamati divorano a morsi
qualche panino farcito all’inverosimile di pancetta non si sa di chi, o
zuppa pronta, direttamente dal pratico contenitore. E’ molto gradita la
‘Zuppa Ppà’, l’unica zuppa con effetti collaterali da fine festa di paese
con fuochi d’artificio, grazie alla sapiente mistura di ben dodici tipi di
legumi diversi. Con il tagliando d’acquisto si partecipa ad
un’estrazione di premi collegata con il gioco della Borlottomatica.
L’Adele Gato saccheggia il banco gastronomia e divora cazzuolate
di insalata russa. Alba Moltosci, a differenza del figlio Ovo onnivoro,
che tutto ingurgita come una betoniera, cerca dimessa una confezione
di Mine-strina Lugola, la minestrina pronta e insipida di dado con
formaggino, da ingollare bollente senza pensarci, la sua leccornia
abituale.
I dipendenti del supermercato, che ben conoscono quello che
vendono, razzolano solamente roba in scatola, ma dopo avere
attentamente esaminato le date di scadenza scartano il novanta per
cento di quello che trovano: lattine che sgattaiolano via dalla
vergogna, scatole che camminano a zig zag direttamente verso i
gabinetti, gallette parlanti, tubetti di latte condensato o mayonnaise
che ridono allo strizzo per il solletico. Don Deno, defilato, riflette,
prega e mangia in simultanea al reparto preparati per dolci. Si
strafoga d’ostie condite con ciliegie sotto spirito santo, tanto per
rimanere in esercizio. I pensionati, sempre positivi e battaglieri
127
nonostante tutto, dopo essersi procurati dei retini da pesca con
manico telescopico e impugnatura in kevlar antisdrucciolo al reparto
dedicato per retini da pesca con manico telescopico e impugnatura in
kevlar antisdrucciolo, cercano di prepararsi un’insalatina
pensionistica al volo, sforzandosi di catturare rapanelli riottosi
animati di vita propria e carote rotolanti sotto i banchi per nascondersi
insieme al resto delle verdure marce.
La sindacalista, tra una cazzuolata e l’altra, tenta di interpretare
gli umori e cavalcare il malcontento.
- Compagni, non siete forse stufi di subire questa detenzione
coatta? Nellamisuraincui, è giunto il momento di reagire, porcoddue!
Come dicevo prima, grazie allo spendersi del maggiore Mino,
usciremo dal supermercato e organizzeremo una mobilitazione
permanente per innalzare il livello di guardia di attenzione rispetto
alle provocazioni contro la classe operaia dietro la linea Gotica!
Entusiasmo tra le fila dei reclusi. I coristi, di cui alcuni ancora
proni con gli arancini e i grossi limoni, intonano ‘Vincerò’ seguito da
‘Con te partirò’ di Bocelli. Marcello brandisce due coltellacci e inizia
ad affilarli, sfregando minacciosamente le lame. P.Uzzone, già tutto
eccitato, afferra un mazzetto di asparagi e aspara ad altezza d’uomo,
poi con una cima di rapa si lega due ananas alla cintura. Loris gli
chiede in prestito un’altra cima di rapa e ci lega in fondo il pannolone
usato roteandolo a mo’ di bolas. La famiglia Dragonballu, dopo una
breve scampagnata alla sezione cancelleria, torna alla carica arrotando
i canini col temperino. Leda Vanodieci spara citazioni a raffica, tratte
dal De Bello Gallico, nonché da un libro di poesie di Tonino Guerra.
Alba Moltosci si fa ancora più invisibile, pronta a missioni in
incognito oltre le fila nemiche. Dana Rospicciolo butta il petto in fuori
a mo’ di rompighiaccio e s’apre una strada tra le macerie degli scaffali:
ad ogni impatto, vicino all’epicentro commerciale, si avverte una
piccola scossa tettellurica.
Mino è il più tonico del lotto: sembra ringiovanito di vent’anni ed
ha già preparato un nuovo potentissimo ordigno aggiungendo alla
solita miscela detonante anche latte ad alta digeribilità ormai cagliato.
Ne è uscita fuori una temibile bomba Accadì.
Restano esclusi dal commando Olaf e Olga, entrambi nuovamente
febbricitanti. Dopo aver creato il giusto spazio, la professoressa Leda
li ha fatti distendere su due scaffali diroccati dell’ipermercato per poi
accudirli e guarnirli amorevolmente tra le confezioni di sandwich da
128
narrazione Trame Zzini, soffici e lèggere fette di pane con sopra
stampati i grandi classici della letteratura. Accanto al ripiano il banner
pubblicitario recita: “Il tuo spuntino volta pagina: Trame Zzini”.
Resta fuori dal commando anche Don Deno che, a causa della
formazione ecclesiastica e della difficile digestione della quantità
esagerata di ostie, rifiuta a priori qualsiasi forma di violenza anche se,
per non dar l’impressione di peccare di integralismo, concede le
attenuanti generiche a quella carnale.
- Amici, perdonate il mio diniego, ma il signore mena i miei passi
in altra direzione, verso l’amore per il prossimo, verso la poesia dello
spirito…
Il prete si separa dal resto della truppa e si parcheggia di
sghimbescio presso la corsia degli alcolici, già pieno di vin santo, con
il fazzoletto in mano per tergersi un ulteriore assaggio di Lacrima
Christi. Apre ancora una bottiglia di bianco dell’Azienda Vinicola
Lindo e beve a collo finché non ha tirato il collo a tutto il nettare di
Bacco. Al termine della libagione, alquanto alticcio, rimugina tra sé.
- Che buono questo vino, ahhhh, proprio quello che mi ci voleva,
Lindo vino, eh… Dimmi, dimmi chi è stato a mettere la polvere?
Guarda dentro il buco della bottiglia vuota.
- Sei L’indo vino, no? Quindi orassù… Favella, attendo il tuo
vaticinare. La polvere bianca chi l’ha messa? Me lo vuoi dire chi l’ha
messa, eh? Idea! Hìc… Facciamo così: io ti dico messa e tu in cambio
mi dici chi l’ha messa, ok? Dai che risolvo il thriller di hìtc… Cock!
Poco più in là, l’Adele Gato fa ripetere il piano di battaglia
gesticolando come un vigile urbano cocainomane.
- Avanti, allora, porcoddue! A voce alta, tutti insieme, un passo
alla volta: Uno: alla porta antincendio s’incomincia; Due: Mino fa il
botto con la bomba; Tre: Loris dà via libera agitando il pannolone;
Quattro: avanziamo col diavolo in corpo; Cinque: sentinelle uccise;
Sei: balziamo fuori come belve; Sette: il maggiore e Blatislav entrano
dalla porta; Otto: Prendiamo…
Marcello frena.
- Il maggiore? Maddeché ahò? Di che Blatiché vai blaterando?
Leda conferma.
- E vero, signora Adele: Mino l’abbiamo fatto maggiore, e va bene,
ma non c’è nessun Blatislav tra noi.
- Poco male. Il fatto è che essendo tre Dragonballu più due
Moltosci più tre dipendenti più due pensionati più una professoressa
129
più io, nellamisuraincui, fa dodici precisi! La sporca dozzina, come nel
film!
P.Uzzone commenta, sarcastico.
- Ah, beh, allora i nazisti sono spacciati!
- Bando alle ciance, compagni! Ripetiamo ancora una volta il
piano tutti insieme ad alta voce e poi si parte.
P.Uzzone rincara la dose.
- Secondo me il piano andrebbe ripetuto piano e non a voce alta.
- Bando anche alla facile ironia, P.Uzzone. Avanti, compagni, il
tempo stringe: veloci a ripetere.
- Eh no, il piano va ripetuto lentamente, piano piano, non di fretta.
Senza dare ulteriori spiegazioni, l’Adele Gato assesta un preciso
calcio di punta al cavallo dei pantaloni dell’uomo. Uzzone nitrisce
acuto e trotterella fino a al banco frigo per cercare sollievo nel fresco
abbraccio di Gelato Perlato, il gelato con le preziose palline in glassa
iridescente: Gelato Perlato, gegusto al quadrato!
Pochi minuti dopo tutto è pronto. Il granatiere ha posizionato
l’esplosivo alla base della porta antincendio coprendolo con una o due
chilate di bomboloni alla crema e con un bomber imbottito in soffice
piumino d’oca per attutire l’onda d’urto della bomba verso l’interno
dello stabile. Loris, protetto dal metallo d’uno scaffale, lo assiste poco
discosto, facendo da palo e da vedetta.
Il resto della truppa, contenta di lasciare che siano i due geronti a
rischiare di saltare in aria, si è raccolta all’angolo opposto del
supermercato in rigorosa fila indiana alle spalle di Dana Rospicciolo e
forma una catena umana di sfondamento la cui testa d’ariete è
costituita dal seno della cassiera.
Tutti gli altri clienti, eccetto Don Deno, ormai in un mondo tutto
suo, Olga e Olaf, fuori combattimento, e due lassativati del coro da
tragedia greca che da lontano gemono accovacciati nei gabinetti per
coprire altro di indecente, trattengono il respiro in fremente attesa
dell’azione da commando della sporca dozzina.
Tre, due, uno, contatto!
Booommm!
L’esplosione è così violenta che la porta antincendio viene divelta
e Mino è frombolato all’indietro sparendo d’incanto alla vista degli
altri quarantenati. P.Uzzone chiede lumi al resto della truppa.
130
- Guardate! Non è assurdo? L’aria è piena di piumini che
volteggiano, eppure non c’è più Mino! Com’è possibile? E’ anche bella
la nuova tinteggiatura color crema del soffitto.
La scena è così surreale che anche Loris s’incanta a guardarla e
dimentica non solo cosa ci sia da guardare, ma anche cosa ci faccia
all’interno del supermercato e tra le righe di questa storia, nonché che
sarebbe compito suo dare il segnale di via libera.
Nella breccia aperta tra i due mondi, l’ esterno e l’ interno
vengono pericolosamente a contatto. L’insegna verde dell’uscita di
sicurezza, parzialmente staccata dall’esplosione, penzola appesa ai
cavi elettrici in corto circuito e sprizza scintille tutt’attorno come se
materia e antimateria stessero annichilendosi liberando lampi
d’energia.
Loris guarda fuori e inquadra il parcheggio battuto dal sole in
mezzo alla nevicata di piumini e zucchero a velo, chiosando che non
esistono più le mezze stagioni. In fondo al supermercato gli altri
quarantenati esitano, preoccupati che il mancato segnale del vecchio
implichi imminenti pericoli in agguato.
Questione di attimi: quelli che bastano a Felice Mentevivo per
balzare su una camionetta della protezione civile, residuato bellico
della gloriosa campagna d’Africa, e puntare diretto verso la falla nel
sistema di contenimento del terrore. Guida con una mano sola e con
l’altra imbraccia un vecchio moschetto a trombone: il governo ha
tagliato tutti i fondi possibili compresi quelli del caffè.
Qualche secondo prima di schiantarsi, l’uomo salta giù dalla
vettura, compiendo un derapage perfetto, abile manovra che porta il
mezzo ad incagliarsi giusto giusto nell’assenza della porta, a mo’ di
cubetto nel foro quadrato di un gioco per bambini. Poco dopo la voce
dell’ingegnere Lemerg, sparata da un megafono a tutto volume nel
piazzale del Grand Marché, rimbomba ovattata all’interno del
supermercato.
- Non avvicinatevi alla porta, ripeto, non avvicinatevi alla porta. Il
maresciallo Esciallo - riecheggia la voce - ha dato l’ordine di sparare a
vista su chiunque cerchi di evadere l’isolamento coatto per motivi
sanitari straordinari, straordinato dai buffoni ridotti della Presidenza
del Consiglio dei Ministrioni.
Con un secondo megafono il PM Minchino, tanto per far valere la
sua autorità frustrata, con voce stentorea alla Carmelo Bene, ché tutto
è bene quel che finisce bene, avverte.
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- Non avvicinatevi alla porta, ripeto, non avvicinatevi alla porta. Il
maresciallo Esciallo ha dato l’ordine di sparare a vista su chiunque
cerchi di evadere l’isolamento coatto per motivi sanitari straordinari,
straordinato dai buffoni ridotti della Presidenza del Consiglio dei
Ministrioni.
Poi, per distinguersi, farfuglia la sua solita sentenza lapidaria.
- Etinterdidesepencé, isforbiddentulin, vietato sporgersi.
Proprio in quel momento transita un’auto con megafono che
pubblicizza il film del cinema del paese.
- Per oggi, e solo per oggi, a grande richiesta: Non aprite quella
porta! Ripeto: Non aprite quella porta!
Enza Lemerg si sente presa per i fondelli, per di più in stereofonia,
e, estratta dal reggicalze una Derringer, spara all’impazzata contro
l’auto che sgomma via con il megafono che prosegue senza timori
reverenziali.
- Per domani: Fuga dal pianeta delle scimmie! Non mancate, ché
più gente entra e più scimmie si vedono!
All’interno i quarantenati precipitano nello sconforto più totale,
così che le tette di Dana s’afflosciano mosce fino all’altezza delle
ginocchia stillando panna cotta già scaduta. Marcello, per scaricare la
frustrazione, si trincera dietro al suo bancone e macina un quarto di
vitello a mani nude per un quarto d’ora. L’Adele Gato indice un
immediato sciopero generale per protestare contro i tagli al traguardo
quand’è ormai a pochi passi: passi pure il sacrificio degli esodati, ma
chi osa negarle i meritati successi è passibile di immediata castrazione.
Dal canto loro i lassativati frignano in silenzio sui cessi. Leda
contempla sconsolata il manipolo di anime meste e cita Dante.
- “D’anime nude vidi molte gregge/che piangean tutte assai
miseramente,/e parea posta lor diversa legge…”
L’unico a non subire il contraccolpo psicologico della disfatta è
Don Deno che, ubriaco fradicio, continua ad aggirarsi tra corsie e
scaffali immaginando d’essere un detective e richiamando alla
memoria le gesta dell’eroe di Chesterton, conosciuto nelle sue letture
giovanili.
- Chiamatemi padre Padre Brown. Eh, Padre Brown? Torniamo
allo scaffale incriminato, hic… Sunt leones. Polvere bianca, vediamo…
Hic… Devo essere come Padre Brown, devo pensare come… Hic
manebimus optime Brown…
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Avanza nella penombra del supermercato assumendo una forma
quasi protoplasmatica, priva di lineamenti definiti: chi lo incrociasse
in quel momento faticherebbe a distinguere Don Deno in quel volto
fattosi così pallido e paffuto da risultare insignificante. Passo dopo
passo si fa più basso, l’andatura scivola via anonima, come pure gli
abiti diventano talmente dimessi ed ordinari da renderlo invisibile.
In religioso silenzio contempla i prodotti del ripiano dove sono
state rinvenute le infette biscottate.
- Deduzione e introspezione, deduzione e introspezioneee…
Hic… Deduzione…
Il prete si concentra al punto che s’avverte provenire dall’interno
della scatola cranica un confuso ronzio d’ingranaggi. Annusa lo
scaffale.
- Mmm… Odore di anidride solforosa… Hic… Parrebbe sodio
metabisolfito, interessante. E’ il conservante usato per il… Hic… Per il
vino: uccide i microrganismi del mosto.
Pausa. Don Deno si fa scuro in volto.
- In effetti mio fratello ha prestato… Hic… Parecchi soldi a Pino
Tgrigio, il cantiniere di origini Uzbeke, rimasto senza l’uzbeko d’un
quattrino.
Nuova pausa. Padre Brown ha l’impressione di essere a un passo
dalla soluzione del mistero; difatti d’un tratto s’illumina ed esclama.
- Ma certo! Tutto quadra! Ecco la logica spiegazione! Hic… Mentre
faceva spesa, l’elfo Adelfo deve aver perso la povere magica da una
tasca bucata… Hic… Oppure è un attentato di Bin Laden.
Si ferma un attimo, perplesso.
- No, Bin Laden è morto… Hic… Ma anche Gesù era morto e poi,
oplà, è risorto… Mmm…. Hic… Probabilmente, allora, è tutta opera di
Zombin Laden.
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17. Paese mio che stai sulla collina (cit.). La noia.
Ore 17:30.
Esterno distante
La pendola RISuona con monocordi TIC e TAC in un RIStagno di
tempo da sopportare TACitamente con pazienza ancorché noia. Il
colonnello Esa Guglielmo detto Mino esamina NAScosti particolari di
una TAC riguardante un artriTICo precipitato da un atTICo dopo un
atTACco cardiaco per la paura delle transamiNASi troppo alte, una
delle tante analisi affidate al suo Dipartimento. Giocherella distratto
col quarto caffè RIStretto della giornata: ha gettato una briciola di
croissant nel liquido nero e adesso ne segue il moto ipnoTICo,
vagamente spiraloide, mentre fa ruotare appena la tazziNAS. Che
uggia! Che tedio! Che ROSicare inutile!
Prova a ingannare il tempo al computer giocando a tetRIS. Niente
da fare. Esamina il cellulare: una sola TACca per ricevere SMS o
telefonate su praTIChe ancora inevase, ma il telefonino TACe, senza
neanche un messaggino simpaTICo di TVB oppure TVTTB o anche
TVTTTTTB. Non c’è proprio niente da fare: possibile che la sua
giornata si sia ridotta ad una vacua attesa inopeROSa e senza scampo?
Si apre un succo di frutta all’anaNAS, si gratta l’inguine (senza
che l’eROS abbia in ciò la benché minima influenza) e inizia a
fantasTICare su quando finalmente, completate le analisi sul
campione N-666-1717bis, tutti penderanno dalle sue labbra foriere di
quasi-divine rivelazioni. Ahhh, allora sì che la sua persona
RISplenderà in tutta la sua marziale, telegenica nonché pleoNAStica
potenza…
Per ora, però, vorrebbe farsi una pera e passare oltre, fedele agli
esiti di recenti studi neuro-comportamentali che dimostrano come chi
necessita di livelli di gratificazione elevati sia particolarmente incline
alla noia. Così si alza e, cammina cammiNAS, arriva fino allo
specchio, dove riflette in senso sia stretto che lato, ravvivandosi i
capelli a spazzola con mano tremante, da narcisista in piena cRISi di
astinenza. Sul tavolo la tazzina continua a girare da sola.
Esa, tanto per fare qualcosa, getta via dei gusci di pisTACchio e
accende la radio. Poi recupera le carte.
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- Mirko Scopiooo! Mirko Scopiooo!! Ohi, non c’è mai quando
serve.
Dopo qualche secondo, il tecnico di laboratorio arriva trafelato.
- Dica, colonnello.
Esa gli mostra le carte e domanda brusco.
- CaNASta o bRIScola?
Esterno
Una radiolina proveniente da chissà dove diffonde una voce
nell’etere.
- …Autorizzato dalla redazione. Pertanto i servizi andranno in
onda in forma ridotta senza video e anche senza audio…
La voce si perde nell’aria pesante.
Il dottor Minchino sta provando a districare i guanti avvolti nella
carta vetrata dai suoi capelli che ora sembrano elettrificati. Mormora
sconsolato più volte: “perché io valgo…”, ma, seppure in italiano, la
sua esclamazione viene fraintesa dai presenti che pensano subito ad
un suo ginocchio.
Omar Esciallo sonnecchia nel tendone principale della protezione
civile. Appena percettibile, la sedia oscilla cullandolo con materna
premura. Poco più oltre, Quagliarulo, dopo l’ultima reprimenda
dell’ingegnere Lemerg, sentendosi inidoneo, s’è fatto il nido in un
telone plastificato verde arrotolato alla buona, acciambellandosi a
covare soporiferi deliri di rivalsa. Anche Enza Lemerg, contagiata
dall’epidemia di noia, sbadiglia vistosamente, mentre calcola la
portanza del terreno del parcheggio gravato dal vistoso aumento di
massa scrotale del personale e dei curiosi. Per creare maggiore spazio,
ordina di spostare due container in fondo al piazzale, ma essendo tutti
quanti oziosamente troppo impegnati a tediarsi, nessuno le dà retta.
Quando l’ingegnere sta ormai per sbottare contro l’inutilità della sua
funzione, i due container si prendono su e si trascinano fino al luogo
indicato dai pensieri della donna.
Mooolto strano.
Dino Deno, per guadagnare tempo, si presta a fare da contabile
inventariando il materiale messo sul campo dalla protezione civile. La
cosa parrebbe utile e inizialmente desta un certo interesse tra gli
addetti ai lavori, tuttavia nessuno sembra intenzionato a pagarlo. Un
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po’ per tale motivo, un po’ perché gli oggetti computati continuano a
spostarsi da soli a destra e a manca, rendendo il lavoro interminabile,
Deno rinuncia e passa a fare il conto degli sbadigli di tutti. Purtroppo,
però, anche stavolta nessuno dei malcapitati vuole saldare il conto e
l’usuraio si perde in un più astratto calcolo del numero di sbadigli che
mediamente si fanno nell’arco di una vita: giunge così alla
mirabolante cifra di duecentocinquantamila.
Felice Mentevivo è l’unico che mantiene minimi segnali vitali:
dopo aver piazzato due o tre nuove transenne, con mano d’opera
altamente specializzata sta smistando macerie e sradicandosi peli dal
naso. Poiché Omar Esciallo dorme come un sasso, prova a spostarlo
con il bobcat, ma il macchinario si rifiuta di partire per una noia al
motore.
Poco più oltre anche i reporter si sono apparentemente quietati.
Rip Rendo guarda nel vuoto con espressione inanimata, quasi
esangue, tanto che Lily, dopo averne saggiato per un po’ il respiro, nel
dubbio inizia a registrargli un coccodrillo. La giornalista sbadiglia con
regolarità ciclica tumultuosa senza assorbente e medita nuovi colpi
sensazionali per vivacizzare la situazione, ormai stallatica in stallo, a
titolo da terza pagina. Fantastica su rivelazioni assortite iperboliche:
Quagliarulo beccato a sodomizzare una gallina con un paletto da
campeggio rubato alla Protezione Civile. Un atto doppiamente
incivile: il furto del paletto e la ovosodomia! Oppure la nonna di
Omar Esciallo che perde i freni inibitori e s’attacca come una mignatta
al meccanico del paese per farseli registrare, mentre il nipote Omar
perlustra scarpe e paese a sirene spiegate alla ricerca della faccia
perduta. O anche l’ingegnere Lemerg che parla come oro colato e si
dichiara pericolante dal naso in conferenza stampa finendo per
esondare con un geyserstarnuto e travolgere il tendone e i vari furgoni
di paninoteche, coi sanpirlotteresi a margine della fantasia calamitosa
che esclamano all’unisono “Tsunaminchia, che disgrazia!”
La reporter alfine scivola in un torpido dormiveglia continuando
a digrignare beata i denti a vuoto.
Telemaco Mefaccio, grazie alle sue capacità telepatiche e ai nuovi
potenti ripetitori di Tele Cinesi, entra empaticamente in sintonia
medianica con il mortorio ed esibisce all’esterno una vitalità di poco
superiore a quella di un cadavere mummificato durante una seduta
spiritica. Il giornalista di Tele Nuotizie, poi, in perfetta coerenza con se
stesso, boccheggia spiaggiato su una branda sgraffignata dalle tende
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dormitorio con due mosche che gli ronzano intorno dandogli non
poca noia. In alto, nell’aria uggiosa, il sole splende più pallido del
solito e sembra ormai che il pomeriggio passi via nella passività più
generale accompagnato dal lieve volteggiare di mozziconi di sigaretta
e di insetti striscianti.
Eh?
Quando.
Una macchina della polizia municipale arriva sgommando.
Dall’auto scende l’agente Otto Polìzzi.
- Maresciallo? Omar Esciallo? Qualcuno ha visto il maresciallo?
- Uèèè, guagliò: chi scassa ‘a uallera adesso?
- E’ arrivata via fax un’ordinanza del Ministero dell’Ambiente,
firmata dal segretario facente funzione dottoressa Amalia Nimali, che
intima l’immediata chiusura del nuovo ripetitore di Tele Cinesi.
- Chemminchia dici, Otto.
Omar fatica a raccapezzarsi, con le palpebre a mezz’asta, in segno
di lutto per la prematura fine della pennichella, e gli occhi segnati da
venuzze rosse rosse.
- Guardi anche lei, maresciallo. Pare che ci sia questa nuova
emittente, Tele Cinesi, i cui ripetitori superano di centoventisettemila
volte i limiti di emissione elettromagnetica previsti per legge. Non
avete notato anche voi qualcosa di strano?
- Mmm… Nun me paresse.
Omar prende il foglio del fax dalle mani di Otto e cerca di
metterne a fuoco i caratteri un po’ sbiaditi. Non ha ancora finito di
leggere il messaggio che il foglio gli sfugge dalle mani, si ripiega su se
stesso diverse volte volteggiando e diventa un bell’aeroplanino di
carta.
Tutti restano incantati coi nasi all’insù: il velivolo decolla, compie
due giri della morte, scende in picchiata e poi scompare all’orizzonte.
Pausa.
Il maresciallo infrange la magia del momento e bercia con la
lingua ancora impastata di sonno.
- Quagliarù, pensaci tu.
- Sissignore, maresciallo.
L’appuntato sale sull’auto di ordinanza e si dirige verso la sede
legale di Tele Cinesi per far eseguire il blocco del ripetitore. Omar
torna sotto il tendone principale con l’intento di riprendere a pisolare,
ma le sedie si sono schierate in fila, l’una sottobracciolo all’altra, e in
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perfetta sincronia alzano ritmicamente una gamba alla volta. Il
personale della protezione civile batte le mani a ritmo e segna il ritmo
incalzante di un immaginifico can-can. Il maresciallo sbuffa optando
per una passeggiatina nel parcheggio, tanto per ingannare il tempo.
Quagliarulo fa ritorno quasi un’ora dopo e scorge il maresciallo
confuso tra un caos di folla urlante, travolto dai suoi istinti di
giocatore, felice come un bambino. Il maresciallo accarezza tagliandi
di puntate per una straordinaria corsa ippica e invoca San Gennaro
con giaculatorie propiziatorie partenopee e parte da messa nera. E’
accaduto che Dino Deno, al solito fiutando affari nelle contingenze, ha
organizzato un evento trasformando il parcheggio in un ippodromo e
subito si è raccolto un gran numero di curiosi e di scommettitori.
Quagliarulo balbetta scovolto.
- M-maresciallo! M-ma che fa? Tuppe tuppe Marescià….
Omar Esciallo è eccitato quanto un tossico.
- Quagliarù, punta anche tu! Minchino è djuto da ‘o parrucchiere
pe sistemasse ‘a chioma e poi deve cambiarsi i guanti che chille de
prima erano tutti consumati dalla carta vetrata. Se non ne
approfittiamo adesso, eh… Se non ora, quando?
La folla risponde con un urlo disumano.
- Adessooo!!!
Dino Deno ora è una dea Khalì in versione sanpirlotterese!
Raduna la folla battendo il ritmo su una vecchia grancassa, trilla come
un vecchio registratore di cassa e stacca scontrini a getto continuo: chi
vuole accedere all’area transennata deve pagare un biglietto
d’ingresso nonché sottoporsi a una perquisizione total body con tanto
di metal detector messo a disposizione dalla protezione civile.
Superfluo precisare che Dino, oltre che del contante, è assai contento
di indugiare più del dovuto su qualche bella gnocca, palpeggiandola
per soddisfare suoi vizietti consolidati. Dà di gomito a Quagliarulo e
commenta.
- Come saprà per esperienza, appuntato, le donne sono le più
pericolose: sotto la gonna nascondono l’arma letale.
Non bastasse ancora, Dino Deno coordina pure con occhiatacce
cifrate e sferzanti tre o quattro ragazzini assunti in nero al momento,
che s’aggirano tra la folla con gelati e sacchetti di noccioline del suo
magazzino. Allo stesso tempo svolge le funzioni di bagarino e di
totalizzatore per le puntate: sembra un tabaccaio nevrotico che stacca
cedole secche a mo’ di cambiali.
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Nell’anello estemporaneo del parcheggio transennato i cavalli di
Frisia galoppano compatti, le code e le criniere puntute srotolate al
vento, e sferragliano strepitanti sull’asfalto. Una voce stentorea fuori
campo descrive la corsa con malcelato entusiasmo superando le urla
di incitamento dei numerosi presenti.
- Giunti ai seicento metri conclusivi il cavallo di Frisia 6, Tetano,
scarta leggermente a sinistra mentre il 5, Rugginoso, esce con decisione e
avanza lungo lo steccato. Ma ecco il cavallo 3, Frisone, che rimonta: tre
lunghezze, due, una… E va a vincere d’una incollatura, proprio d’un filo
di ferro sul filo del traguardo, allungandosi a spirale larghissima!
Omar, deluso e uscito dal trance, accartoccia il foglietto della sua
puntata: aveva scommesso sul 2, Spinato, vincente e sul 4, Barricata,
piazzato.
Le transenne, dietro le quali è assiepata una folla entusiasta, sono,
per dirla in frase fatta, una splendida cornice per il ridente paesino
della nostra sghignazzante penisola, e anche per i cavalli di Frisia che
schiumano sudore e antitetaniche, domati a fatica dai carabinieri
stallieri dopo la corsa: uno “sciò” davvero fantastico che ricorda epici
fasti all’ippodromo di Saigon nei lontani anni sessanta. L’appuntato è
incredulo.
- M-ma che succede, maresciallo: scommesse clandestine? E’
uscito di transenno?
- Quagliarù, lascia stà a’ filippica e invece datte all’ippica.
- Ma noi dovremmo…
- M’ agge annujate. Accussì almeno se fa sera!
- Capisco. Comunque, ci sono grossi problemi per il ripetitore di
Tele Cinesi: non sono riuscito a far eseguire il blocco.
- Comm’aggi ‘a fà, cu’ ‘ttè, Quagliarù! A’ da pretenne rispetto!
- Non è quello, maresciallo. L’ho inseguito per venti minuti finché
non s’è inoltrato nel bosco: allora ho ripetutamente intimato al
ripetitore “fermo o sparo”, ma il fuggitivo m’ha fatto il segnale di
andare a quel paese e ha alzato le radiofrequenze digitali ad onde
medie con indice di gradimento medioalto e rigido.
- Beh, non sarà mica scomparso!
- E’ un ripetitore di nuova generazione, a basso impatto visivo:
tutto metallico, ma verde coi rami che pare un albero! Così, sfruttando
le sue capacità mimetiche, mi ha seminato nel bosco.
- E ‘mmò nascerà ‘na pianta ‘e carciofi! Mannaggia ‘a capa toja: tu
sì proprio nu quaquaraquà-gliarulo.
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Interno
Anche l’Adele Gato ascolta la radiolina che s’è accesa da sola e
continua a cambiare stazione a casaccio. Tutt’intorno l’atmosfera
langue e al reparto macelleria del Grande Marcio, in particolare,
langue al verde e in salmì. Tutti si squadrano con stanchezza, provati
dalla situazione, dalla costrizione, dall’attesa. I coristi lassativati
hanno esaurito il repertorio di musiche, invocazioni agli dei, lamenti e
geremiadi, e sprofondano in un sopore che purtroppo è molto lontano
dal buon sopore dei piatti pronti di Nonna Ninna Nanna, preparati
seguendo le antiche ricette delle nostre nonne appisolate e
rincoglionite sulle sedie a dondolo: il dindo a dondolo, per esempio,
grande specialità di Nonna Ninna Nanna! Un sopore irresistibile!
Olga Binetto Lindo, nel sonno agitato, s’incazza come una iena
per il mancato rituale del the verde al bergamotto e amuchina delle
ore 17,30. Olaf, sempre nel sonno, ride di gusto con perfidia per
l’inconveniente e tasta a tentoni nell’aria con la mano alla ricerca dello
zampone perduto per darle una zamponata dietro le branchie.
I due pensionati, Mino e Loris, fanno il chilo in giacca da camera
con nappe e pannoloni da pomeridiana, poltroni su poltrone, vietati ai
minori in lubrichi pensieri del tempo che fu, che li vedeva vigorosi ed
ormonentusiasti della vita dalla vita in giù.
Dana, con le tette ammosciate dall’inoperosità, debordanti sulla
cassa come un gigantesco soufflé sfatto, si avvia a passo stanco al
reparto articoli sportivi per cercare una pompa di bicicletta con cui
gonfiarsele. Invece di pastrugnare la sua cassiera stavolta Don Deno
ha ben altro a cui pensare: indaga e al contempo rimugina nuovi
concetti filosofici. S’aggira da uno scaffale all’altro borbottando frasi
senza senso, segnandosi platealmente con invocazioni a San Caino e
San Canino ogni qualvolta incrocia il piccolo Lino che, tuttavia,
sembra di scarso appetito. Il piccolo rumeno ha triturato salsicce
all’aglio e sanguinacci scaduti da oltre un anno e ora è verde come il
fegato di bovino in offerta della settimana.
Anche Ovo è inappetente: l’inerzia toglie energie a chiunque. Così
sbocconcella un cremino e butta via perfino lo stecchino di legno.
D’un tratto l’Adele sbotta.
141
- Che capitolo noioso! Dobbiamo combattere il capitolismo, invece
di imborghesirci, porcoddue! Facciamo uno sciopero della fame per
protestare gandhianamente riguardo le nostre condizioni di
prigionieri politici privati di ogni diritto.
Dragon Ballu e Filomenosofia ghignano amari.
- Vai avanti tu, ché ci viene da ridere! Siamo stati in scioperu della
fame per più di venti anni a casa nostra, o meglio senza scioperu, ma
con tanta fame! Adesso facciamo espropriu proletariu e attacchiamo a
strafogarci l’intero ripartu gastronomia dalla A di anguille affumicate
fino alla Z di zucchine ripiene: e non ci rompete i ballu, ché ci siamo
appena molati i denti al reparto faidate.
Marcello s’è appisolato sul guanciale del banco frigo: a togliere
capelli e forfora per affettarlo e rivenderlo ci penserà dopo.
P.Uzzone dormicchia con un occhio solo e intanto sorveglia il
decomporsi dei peperoni al reparto ortofrutta meditando un’offerta
speciale di crema di peperone per bruschette.
Alba Moltosci è semplicemente da qualche parte, anche se non si
sa bene dove, inavvertita come uno scippo sull’autobus.
Leda Vanodieci si concede una pausa culturale defatigante e
leggiucchia con pigro interesse riviste di gossip da parrucchiere:
“Scodella 2000”, il famoso settimanale di cucina, “Visto”, la rivista
degli extracomunitari che fanno domanda di permesso di soggiorno e
“ChicChiriChì”, il periodico che periodicamente ripete per almeno tre
volte di fila gli stessi pettegolezzi da pollaio sui VIP. Alla terza
rilettura della rivista il gallo canta e Leda decide di non rinnegarsi
ulteriormente, colta da un sussulto di lucidità che le impone di dare il
la ad una colta dissertazione.
- E’ incredibile! Questo è il secolo della noia! Eppure mai come in
questo periodo storico la vita ci offre tanti stimoli e comode occasioni
di divertimento a portata di mouse o comunque dietro l’angolo di
casa.
Marcello la bacchetta senza indugio.
- A proffia, ma checcazzo stai addì? Stimoli? Occasioni? Semo
rinchiusi qui da ‘na vita, altro che opportunità de divertisse.
- Ehm, sì però… In senso lato è innegabile che il secolo del
divertimento di massa è anche quello in cui siamo colpiti una vera e
propria pandemia di noia!
- Per me stai addì ‘na massa di stronzate.
Adele coglie la palla al balzo per perorare la causa.
142
- Rispetta il pensiero della tua compagna, Marcello: non ha tutti i
torti, porcoddue! La noia è un affare globale, nellamisuraincui, la
società di mercato ci programma fin da piccoli per annoiarci
proponendoci modelli di vita ipercinetici e spettacolari, all’insegna
dell’usa e getta in una perenne girandola di bisogni bisognosi e
spesso irraggiungibili.
Leda prende coraggio e insiste.
- Coloro che hanno interesse a venderci qualcosa hanno tutto di
guadagnato a farci temere la noia.
- Giusto compagna! E si adoperano affinché essa ci colga non
appena ci allontaniamo anche solo per un attimo dagli sbrilluccichii
degli scaffali e dal mondo dell’intrattenimento!
- Il tempo è denaro, quindi va speso sul mercato e non buttato via
in attività altamente improduttive come pensare, leggere o scrivere
più di centoquaranta caratteri.
Adele rincara in sindacabile sinergismo di potenziamento.
- Eh, presto anche gli “animatori commerciali” saranno superati e
per ottimizzare il management del tempo a nostra disposizione
saremo tutti obbligati ad avere un ingegnere gestionale
personalizzato. Compagni! Diciamo un secco no alla vendita al
minuto, nonché ai secondi fini!
Leda è partita per la tangente.
- Giusto: ora basta! Mezz’ora basta! Tre quarti d’ora basta! Gli
animali in libertà non si annoiano affatto; al contrario, in cattività si
annoiano moltissimo: ciò dimostra che anche noi siamo in gabbia!
- Giusto compagni! Ecco la nuda verità: non siamo prigionieri del
Grand Marché, ma del mercato globale!
- Usciamo dalla gabbia e liberiamo il nostro tempo! Tem-po libero!
Tem-po libero!
P.Uzzone dà di gomito a Marcello.
- Squilibrate a piede libero!
Leda non lo ascolta e passa oltre.
- Viva la noia! Nietzsche sosteneva che la noia è la bonaccia
dell’anima, momento propedeutico all’attività creativa. Bertrand
Russell scrisse che coloro che non sanno mettere a frutto la noia sono
persone meschine.
Adele pungola gli altri quarantenati assestando calci di punta
sugli stinchi.
143
- Compagni! Guardate cosa siete diventati: dei borghesucci piccoli
e meschini? Porcoddue, la noia non è per forza un’emozione negativa,
anzi… Potrebbe essere l’elemento principale di un percorso di
autocoscienza della classe operaia!
Marcello e P.Uzzone dissentono in coro.
- La noia a noialtri nun ce piace peggnente.
Mino si spreme invano le meningi per cercare di seguire il filo del
ragionamento col solo risultato di riempire il pannolone, ma vuol
comunque dare un contributo alla discussione. Così rivangando i suoi
vent’anni da ventennio, esclama.
- Noia chi molla! Si stava meglio quando si stava peggio!
Leda non sembra scoraggiarsi ed argomenta.
- La noia è un grimaldello, uno strumento prezioso per il nostro
cervello: a connotarla di implicazioni positive o negative è soltanto il
modo in cui la usiamo.
L’Adele Gato balza in piedi su uno scaffale.
- Imbracciamo la noia, compagni, e spariamo a zero sul sistema!
Lanciamo bombe a manoia contro la Confindustria!
P.Uzzone chiosa.
- Oddio: è andata in paranoia.
Con disappunto gracchiante la radiolina di Adele ricomincia a
cambiare stazione da sé e si sintonizza su di un surreale comunicato
sindacale che deve assolutamente essere letto in posizione composta –
ci si componga, dunque - e con aria assai grave e compenetrata di
responsabilità.
- Dopo un proficuo fermentare di idee il presente capitolo di questo
libro, già eversivo dal titolo ‘Ultima Spes-A’, che denota uno spirito
ribelle riguardo alla lemmatica, sta avendo una pausa di riflessione per la
stanchezza degli scriventi impegnati anche in altre vicende di vita vissuta
e per l’attesa del risultato delle analisi dellapolvere sospetta da parte dei
RIS.
Il comitato di Redazione, inoltre, giudica lo spessore dei personaggi
sempre meno consono all’alta trama dai ricchi contenuti politici, satirici,
melodici, caucasici, mefitici, poliedrici, molteplici, atavici, paralitici,
filatelici, sifilitici e quant’altro, anche perché, essendo entrata in vigore
l’IMU, l’ICI sarà forse buona solo per quattro amici al bar.
Chi scrive è stato autorizzato dal Comitato di Redazione a esprimere
la più totale assenza di concetti per rimarcare l’assoluto disaccordo del
144
Comitato stesso circa l’insieme degli ultimi provvedimenti governativi
che lo stanno snaturando in Vomitato, e per di più, senza secchio.
Pertanto la presente pagina sarà scritta senza video, senza audio,
senza sottotitoli, senza illustrazioni, senza parole sensate e senza idee in
un cazzeggio anarchico pregno di surreale ironia autocitazionista che è
obiettivamente una espressività di un ributtante da fare schifo, quasi
come gli ortaggi di P.Uzzone al Grande Marcio.
Tutti illividiscono nell’ascolto del comunicato pseudo(-)sindacale
e si guardano a punto interrogativo, filosoficamente consapevoli di
non avere una vita propria se non nelle perverse fantasie degli autori
del libro, sadici omuncoli che esercitano il potere deformando e
sodomizzando le parole.
Dana Rospicciolo li maledice al pensiero di una possibile quarta
semplice di seno e Adele medita una scomunica ufficiale in direzione
di partito per siffatto becero modo di irridere argomenti politicamente
rilevanti di lotta dura per la verdura.
A ruota seguono, più o meno insignificanti, le reazioni scomposte
di tutti gli altri topi intrappolati nell’u-topia narrativa, eccezion fatta
per Mino e Loris, i due pensionati che hanno dimenticato di esistere, e
per i dormienti che vivono il loro sogno come loro realtà.
All’improvviso, tutti insieme, plebiscitariamente disperati, urlano
disappunto e dolore da scoppio di aneurisma cerebrale, ché tanto
nulla più esiste e nulla più può fare male.
145
146
18. Ottava divagazione. Ritratti che potrebbero anche non
esistere. Eppure esistono.
Per alcune persone il destino è segnato fin dalla nascita. Alba
Moltosci è una di queste persone.
Nacque in un’alba dal tempo indefinibile, grigio e nebbioso, su un
anonimo treno di pendolari senza che la mamma, strizzata tra un
carpentiere, un’impiegata della Provincia e tre operai tornitori, se ne
accorgesse: una classica maternità fugace, senza dolori, senza pancia,
senza sapere la data del concepimento, senza conoscere il padre e
senza sapere la madre. Insomma si trattò dell’esatto contrario di uno
“stato interessante”: roba da restare senza parole!
Fu battezzata Alba a perenne ricordo di non si sa bene cosa,
giacché c’era.
In età scolare, timidissima, ebbe il suo da fare con la famiglia per
dimostrare che frequentava i corsi a dispetto dei professori che la
registravano sempre come assente.
La mamma, quando andava a parlare con loro circa il rendimento
della sua figliola, si sentiva invariabilmente rispondere.
- E’ abulica, impalpabile. Non si fa mai notare. Non un guizzo,
una risata, un’incazzatura, una reazione, una caccola spiaccicata sotto
il banco, nulla, nulla, nulla.
La ragazza, in effetti, sempre più timida, lombrosizzò lineamenti e
modi comportamentali: capelli piuttosto unti a spinacio spioventi su
fronte pedicellosa, colorito smunto da tartufo d’Alba con occhi
cerchiati, abitini dimessi in tinte neutre con taglie approssimative a
mezza strada tra Cosetta dei Miserabili e Cenerentola con gli scarponi
da trekking.
A San Pirlottero della Credenza Alba si mimetizzava
perfettamente con il muro di cinta della chiesa, con uno dei pioppi del
vialetto che portava alla stazione, con una qualche nutria dei fossati
vicini.
Il destino, tuttavia, sa essere capriccioso più di Lapo Elkann.
Alba, così come era, rappresentò per i suoi compagni di scuola il
banco di prova per un rituale di passaggio dalla adolescenza
all’ingresso nella comunità degli uomini.
147
Un allampanato brufoloso dell’ultimo anno, Bill O’Ritto, prossimo
al rimpatrio in Irlanda alla fine degli studi, accettò la sfida e le
scommesse dei suoi compagni.
Tampinò Alba per giorni e giorni fino a che, dietro il muretto del
cimitero del paese, la possedette nella posizione del carciofo sott’olio
tra sguardi di ammirazione, di schifo e conati di vomito di testimoni
nascosti dietro siepi di rovo.
La posizione a carciofo sott’olio è la posizione più consona per
tipe come Alba: la ragazza viene fatta sdraiare nell’erba e la sua
gonnellona hamish viene sollevata, a simulare l’aspetto di un carciofo,
per coprire tutto il corpo compreso soprattutto il volto, lasciando
scoperta solamente la zona erogena che in genere risulta anonima e
pressocché standard rispetto a quella di tutte le altre donne.
Brufolo Bill rimpatriò poco dopo con il biglietto pagato dalla
scommessa vinta e Alba, purtroppo per lei, rimase incinta.
Ebbe una reazione di rivalsa rispetto al piattume della sua vita
fino a quel momento. Decise di tenere il bambino e cominciò a
mangiare e a mangiare senza tregua per la salute del nascituro. Alla
nascita il piccolo Ivo pesava già undici chili, aveva i dentini da latte e
staccò a morsi una falange dell’ostetrica.
Mangiava fino all’impossibile, tanto che fu ribattezzato Ovo,
anche perché il suo aspetto diventò inconfondibile.
Alba, storia di giorni presenti, è una dimessa tuttofare nel paese:
colf, badante, ricamatrice, piastrellista, commessa, fonditore,
infermiera, spazzina, boscaiola, prestanome, scaricatrice, punching
ball per la palestra di arti marziali e quant’altro possa essere utile a
racimolare qualche soldo per mantenere se stessa, frugale e anonima,
e Ovo, sempre più aggressivo e bulimico, tenuto d’occhio da Omar
Esciallo dal giorno in cui addentò il bancone di truciolato del bar del
paese staccandone due o tre morsi per uno spuntino.
***
Ogni supermercato, dal Grand Marchè di San Pirlottero della
Credenza fino all’ipermercato della metropoli, ha in dotazione il suo
coro da pronto utilizzo per una tragedia (il rapimento o lo
smarrimento di un bambino poi ritrovato surgelato tra i gelati o in un
campo ROM), per una lamentela (che può concludersi con l’intervento
della Guardia di Finanza o la semplice lapidazione della cassiera), per
148
un inno alla gioia o un ringraziamento agli dei per una valida offerta
speciale sui fili interdentali e quali.
Il coro da supermercato si distingue in vari gruppuscoli con
precise caratteristiche.
- Il gruppo del Carrello Felice.
Gruppo facile da riconoscersi: i suoi componenti zoppicano
vistosamente per l’incapacità di afferrare al volo il carrello felice che il
commesso ausiliario Felice Carrello, noto sadico schedato in Questura,
si premura di porgere con violenza inaudita verso di loro, fuori degli
spot pubblicitari dove volteggia leggiadro come Nureyev. Qualcuno
ha una gruccia, un gesso monumentale o un ginocchio lampeggiante,
qualcun altro ha un vistoso parastinchi fosforescente, qualcun altro
ancora, molto basso, ha una spalla lussata o un casco antinfortunistico.
In genere la zona del carrello felice è disseminata di molari e di
incisivi messaggi invoglianti al consumo.
– Il gruppo dell’Assaggio.
E’ il gruppo i cui componenti intasano le toilettes dei
supermercati dopo avere piluccato con severa compenetrazione da
intenditori gli assaggi delle offerte speciali, nell’ordine di: Caffuca,
caffè alle fave dei fucaraibi, ParmiGiano bifronte, il grana a due facce,
quella astringente e quella lassativa, vari prodotti alla soja, dal gelato
in vassoio Vassoja allo scaraffone di olio di soja Bellammamma Soia,
girelli di bovino, di equino e di faggio stagionato per la quarta età
stagionata, fermenti lattici vivi, incazzatissimi, che mordono anche da
dentro l’esofago, raviolini e raviole oltre ad un’intera sezione di fiati
all’aglio, prodotti etnici, come gnocchi di lava fusa dell’Etna e polpette
cambogiane Pol-pot, e prodotti bio, quelli marci rigenerati dalle mani
fatate radioattive di P.Uzzone.
– Il gruppo Saila, che saila menta.
I componenti di questo gruppo sono i più invisi in tutti i
supermercati dell’orbe terracqueo. Producono file da ufficio di
collocamento alla cassa per rimostranze su qualsiasi tipologia di
prodotto, minacciano interventi dei NAS e della Finanza, alzano al
cielo guaiti senza ritegno circa il rincaro dei prezzi e poi, furtivamente,
escono dal supermercato senza aver comprato nulla, ma con il
cappotto lungo a forma di ferro da stiro sul davanti e di barbecue sulle
spalle con un prosciutto che fa capolino dal bavero. Sono antipolitici,
populisti, forcaioli, razzisti, ma soprattutto pensano agli affari loro
ingaggiando risse alle offerte speciali, barando sui punti qualità per
149
accaparrarsi l’indispensabile sbattitore di ovuli a 6 velocità, reperibile
indistintamente ai reparti funghi e articoli ginecologici, o la pratica
frusta manuale per creme, da pratiche sadomaso in cucina.
– Il gruppo Tattile.
E’ il gruppo di quelli che toccano tutto senza guanti. In genere
sono affetti da psoriasi, lebbra e/o micosi esagerate, tanto che le mani
si confondono nel reparto porcini e qualche incauto acquirente rischia
di fare lo spezzatino con la mano del signor Monche Rino anziché con
i finferli.
– Il gruppo del Bis.
I componenti di questo gruppo bivaccano per settimane nei pressi
del supermercato in attesa dell’offerta bis. Qualcuno non ha ancora
compreso che l’offerta consiste in un ristrettissimo campione di
prodotti costosissimi, a livello di mutuo ventennale, che vengono
dimezzati di prezzo ogni due acquistati. In genere sono offerte che
riguardano smerigliatrici semiprofessionali, damigiane di latte con
scadenza entro due ore, mortadelle senza conservanti in formato da
ottantasette chili, casette prefabbricate quadrifamiliari o sette nani da
giardino che, grazie all’offerta, diventano quattordici. Chi non è
abbastanza smaliziato finisce per riempirsi il carrello modello bisarca
di bis-tecche catarifrangenti di Chernobyl, e fino a qui è quasi
normale, per continuare con bis-onti, anche interi e talvolta vivi, bisturi, bis-acce, bis-ettrici, peperoni fritti unti e bis-unti, bis-avoli bistrattati del padrone del supermercato, bis-muto, bis-cotti Bisco, i
golosi biscotti bis-illabi, bis-betiche nonne che non vogliono essere
stivate nel carrello, bis-cazzieri che vogliono, però, il loro tornaconto,
calendari bis-estili, bottiglioni di bis-olfito con scritto a caratteri
piccolissimi a margine dell’etichetta ‘contiene anche vino’, e così via.
In questi casi la cassiera del supermercato è portata urgentemente
alla neuro dopo crisi isterica e il registratore di cassa, non
riconoscendo i codici, srotola il nastro che diventa automaticamente
trasportatore e aderisce subito allo sciopero delle bisarche.
150
19. Polvere eri e polvere ritornerai. Ore 19,00 del secondo
giorno
Esterno distante
TOC TOC.
Mirko Scopio s’affacCIA alla porta del Colonnello Esa che
esamina PRAtiche del PRA, una PRAssi delle tante nell’ambito delle
indagini del RIS, dopo un RISveglio agitato postpennichellico.
- E’permesso, signor Colonnello?
- Che notizie mi porti, Mirko, così a NASo?
- Uah, uah, uah: non ci crederebbe mai, signor Colonnello. Si ride
come matti, giù, all’AMB. PRAticamente di nulla. Che RISate, che
umoRISmo.
- Non fare il sarcasTICo e smettila di sgaNASciarti ché ho le balle
belle ROSse che TICchettano insieme ai TACchi in TACita intesa. Dai
parla, che poi andiamo al RIStorante a festeggiare.
- Guardi: sono stato assai PRAgmatico. Ho fatto tutte le ANAlisi
possibili: dalla VES in VEStaglia, alla GOT, alla GPT, alla CPK fino al
PSA. E poi gli ENA, gli ANA compresi i coluti, e i PCT, i PLT, gli
HCT, il MCV mentre il mio CELL mi squillava SMS in continuazione
della mia fidanzata che mi diceva TVB ETC ETC.
- Mi sta venendo mal di testa, Mirko: parli come un COD.FISC.
- E’ il linguaggio di oggi, SIG.COL. Qualcuno lo chiama T9, di
provenienza dei CELL. Comunque ho svolto il lavoro molto
scruPOLosamente, meglio di una ASL o di una ONLUS SANitaria o
dell’ARPA.
- Birmana?
- No, SIG.COL.: è NAZ.
- ‘STI CAZ, Mirko! Allora parla, prima che ci si perda tutti e due
nelle ABBR. e ci si confonda.
- Beh, SIG.COL., all’analisi mediante HPLC-MS, la polvere che mi
ha fatto pervenire, ovvero il campione N-666-1717bis è…
- E’?…
La voce di Scopio si fa inudibile, poco più d’un FBIsbiglio, mentre
col volto scuro e tenebROSo passa al superiore il FAX coi RISultati. Il
colonnello Esa reaGISce sbiancando vistosamente. Nel medesimo
151
istante, la solita tazziNAS di caffè, SIG.COLta al panico, si lanCIA nel
vuoto oltre il bordo della sCRIvania del colonnello. Lo schianto
rumoROSo della CEramica infranta, RISuona sinistro nella stanza.
- E me lo rifeRISci così su due piedi?
- Mi sono lasciato prendere la mano, SIG.COL.
Esa, leggermente ANSAnte, si NASciuga la fronte intRISa di
sudore.
- Ti rendi conto di cosa vuol dire?
- CheSSò cazzi acidi!
- MODera i franceSISMI, Mirko. Potrebbe trattarsi di una RIPresa
della logica straGISta: brigate ROSse, terroRISmo, sataNASsi.
- Come no! TabaGISmo, arterioscleROSi, esoteRISmi, pleoNASmi,
metaSTASI. Non escluderei neppure gli aliENI.
Esa ROSserva Scopio inCErto: che stia dicendo sul serio? Ohi,
parrebbe di sì.
- Mmm… Convengo che probabilmente c’è un reGISta occulto, ma
niente voli PINdarICI.
- Mah, qui se non facciamo qualcosa si pROSpetta una grave cRISi
internazionale, SIG.COL., e poi buongiorno e buoNASera.
- Beh, allora penso che sia giunta l’ora di andare a RAGguagliare
circa gli ultimi AVVenimenti sia l’antidopING che la stampa, nonché
a COMMunicare le misure che dovremo aDOTTare.
- Già, SIG.COL. Chiamo anche il GEOMetra? Per prendere le
misure, intendo.
- ABIle trovata. Manda pure un CABlogramma al MINistero. Io
mi recherò peRSOnalmente nell’area di cRISi per avvertire il PM
Minchino e la popolazione di San Pirlottero.
Ecco Lily Cavedano [*].
Esterno
Il colonnello Esa, partito da molto molto lontano, al termine di un
lungo viaggio, giunge finalmente nel capitoletto Esterno con un forte
mal di testa per la tensione, per la rivelazione da fare, e soprattutto
per le abbreviazioni che si moltiplicano sempre di più. Bofonchia.
- Speriamo che tutto finisca al più presto, ché questi due che
scrivono sono proprio pazzi da legare!
152
L’auto d’ordinanza, un fuoRIStrada gran tuRISmo della YaRIS, fa
il suo ingresso nell’area di crisi, sgommando a destra e a manca, e
travolge Recinto Erniario, il cavallo di Frisia favorito, già trionfatore
anni fa all’ippodromo del muro di Berlino. La settima corsa viene
bruscamente interrotta e Omar Esciallo smadonna stizzito.
- Maròòò! Pròpeto a’ Corsa Più! Pròpeto stavòlt c’avevo anduvinat
o’ pronostico!!
L’arrivo in sbandata controllata del colonnello richiama le troupe
televisive, ormai pre-agoniche per la costante assenza di notizie nelle
ultime ore. Lily Cavedano è la più veloce del lotto, nonché del totip,
tanto che per lo slancio finisce addirittura oltre il titolo del capitoletto,
come da asterisco che la evidenzia più sopra[*].
Esa, tuttavia, non si sconvolge: Esa-la un flebile ruttino e passa
avanti.
- Non rilascio dichiarazioni. Tra qualche minuto terrò una breve
conferenza in cui Esarò più che Esauriente, magari Esagerato ma di
certo Esaustivo. Non temete: Esaudirò ogni vostra richiesta.
I reporter pigolano in coro.
- Ci consenta almeno una riprEsa!!
- Restate in speranzosa attEsa: devo prima parlare con il
procuratore aggiunto.
La folla urla unanime con disgusto.
- Il PM è andato a cambiarsi i guanti e poi è andato da Jean
Claude, il parrucchiere dei divi e dei magistrati, e non si sa quando
potrà tornare. Se n’è lavato le mani! Ah! Maledizione! Ci fosse qui con
noi Di Pietro, o anche Caselli (non Caterina, n.d.r.), ci si divertirebbe
di più assai, ma che c’azzecca, uah, uah, uah!
Lily, Telemaco e l’inviato di Tele Nuoto sbuffano Esasperati. Lina
Picco è un minimo Esagitata e cerca di Esautorare i colleghi
sgomitando sulle loro caviglie con le braccine ossute.
Con l’aiuto di Quagliarulo e delle maestranze della protezione
civile viene allestito un palchetto al centro del piazzale: luci della
ribalta, fari, faretti, riflettori. Nulla è lasciato al caso affinché lo
spettacolo incontri il massimo consenso di pubblico. La tensione è
alta, la platea è scossa da brusii e singulti di panico mentre il cielo si
vela di grigi presagi e di cumulonembi. Un corvo, torvo simbolo di
sventura, volteggia sul Grand Marché con le ali conserte. Quando
ormai sembra averci preso gusto, si spiaccica al suolo a corpo di corvo
153
morto ché, nonostante il ripetitore di Tele Cinesi, la forza di gravità è
davvero una forza potente, altro che guerre stellari.
Tutto sembra essere pronto, ma un primo contrattempo ritarda lo
show: uno sciame di formiche volanti invade il parcheggio. Il pubblico
indispettito grida.
- Show! Show! Show!
Gli insetti, tuttavia, non se ne vanno: la recessione ha mandato
tutte le operaie in cassintegrazione lasciandole in mezzo alla strada.
Per risolvere la situazione viene invocato l’intervento di un tecnico, il
professor Caio Formi che si fa riprendere in elegante doppio petto
gessato da tutte le televisioni. Grazie alla ripresa e ai conseguenti
nuovi posti di lavoro, le operaie emigrano altrove. Poco dopo, non
appena Esa si accinge a salire sul palchetto, accade un secondo
contrattempo: il palchetto, passettin passettino, si sposta, andando a
incastrarsi tra il tendone principale della protezione civile e una
tettoia per carrelli. Quagliarulo sbianca, convinto che gli inconvenienti
abbiano un qualche significato paranormale e suggeriscano che questa
conferenza non s’ha da fare, benché il colonnello del RIS lo rassicuri.
- S’ha da fare, come auspicano i faretti. Eppoi non importa se non
sarò al centro del parcheggio: sarò comunque al centro…
Dell’attenzione!
E detto fatto, si aggiusta i capelli e inizia la sua ascEsa al palco che
s’ostina a gironzolare nel parcheggio. La surreale scenografia ricorda
quella del Bravo Presentatore Frassichiano di Indietro Tutta, col
codazzo del pubblico che segue il moto di deriva del colonnello sulla
sua tribuna semovente tra il flashare isterico degli addetti stampa.
Gomitate, sgambetti, toccatine, colpi bassi e mini-gonne non
regolamentari: nulla resta intentato per conquistare e mantenere la
prima fila. Non appena la folla inizia a pogare, palEsamente Esagitata,
Esa tutto Esaltato ringrazia e lancia baci verso la platea attendendo il
momento Esatto per dar voce alla paura.
Pian piano il vociare scomposto vira prima in brusio, quindi in un
salmodiante “ooooo” da pesce lesso a bocca aperta e il colonnello
intuisce che è giunta l’ora di condividere il pesante fardello della
conoscenza. Prende il microfono. Si schiarisce la voce:
- E… SA’, E… SA’: prova microfono… E… SA’, E… SA’…
Getta un’amorevole occhiata verso la marea di gente che s’accalca
sotto il palco. Infine declama a sorpreEsa.
- Quanta verità può sopportare un essere umano?
154
Brusio tra il pubblico. Cosa vorrà dire?
Prima che qualcuno possa darsi una risposta di senso incompiuto,
Esa riprende a parlare con volto Esangue e tirato, adeguato alla
particolare gravità del momento, nonché alla responsabilità di dover
comunicare al mondo la triste novella.
- Purtroppo l’irreparabile è accaduto e, a mano a mano che dai
nostri laboratori sono giunte le prime RISposte, ha preso corpo la
peggiore delle ipotesi. Abbiamo ripetuto più volte i test nella speranza
di un errore, ma sfortunatamente tutte le analisi effettuate, dal guanto
di paraffina allo stick urine del mio più valido ricercatore, Mirko
Scopio, hanno dato risposte univoche e concordi.
Brusio: c’è chi sviene, chi grida, chi piange. Dopo una sofferta
pausa a effetto il colonnello riprende.
- Fino all’ultimo ho sperato di non dovervi dare questa notizia, ma
anche l’ultima PCR, la polymerase chain reaction nanomolecolare, ha
confermato l’ipotesi più orribile.
Tra il pubblico qualcuno è colto da crisi epilettica, qualcun altro si
caga nelle braghe. D’un tratto il cielo si oscura e s’alza un forte vento.
Esa soppEsa un’ultima volta la vastità della rilevazione e prova a
circumnavigarla di parole.
- Signori e signori, purtroppo il campione N-666-1717bis,
prelevato all’interno del supermercato Grande Marcio di San
Pirlottero della Credenza, è…
- E’èè? - fa eco in coro la platea.
- Purtroppo il campione N-666-1717bis è…
- E’éé??? - la platea in coro fa eco.
- E’ polvere bianca!
Aaargh!
In un millesimo di secondo uno tsunami di panico s’abbatte sul
parcheggio. Gente che fugge! Gente che s’aggrappa al palco! Gente
trascinata via che parte per la tan gente! E’ p-polvere bianca! E’ ppolvere biancargh! Polvereee biancaaa! Sarà la pandemia! Arriverà il
terremoto! Oddio, le cavallette! Un asteoride! La fine del mondo! La
sconfitta degli agenti del pulito! L’anidride forforosa! Il buco di Yoko
Ono!
La campana della chiEsa s’attiva da sola e batte lugubri rintocchi a
morto. Poi ci ripensa e suona a distEsa.
Quagliarulo, mulinando le braccia a mo’ di pale di elicottero,
sorvola il parcheggio intimando alla folla di mantenere la calma e
155
spara due o tre colpi in aria. Sovreccitati dalla grande tensione, al
suono degli spari, i cecchini piazzati sulle torrette ai margini del
parcheggio iniziano anch’essi a far fuoco all’impazzata verso il Grand
Marché.
Omar Esciallo ribalta un tavolaccio della protezione civile per
proteggersi e inizia a sua volta a sparare alla cieca come nel più
sgangherato degli spaghetti-western. I cavalli di Frisia, imbizzarriti,
scalciano srotolandosi all’impazzata verso i campi che scambiano per
una prateria alla frontiera con il Messico.
- Uagliò! Sparate a ‘mperechicchio su chiunque se provasse a’ ascì
dal supermàrchete!! Corvò russ nun avraì o' mie scalpe!
Una vetrata del Grande Marcio va in frantumi, in terra si contano
almeno trenta feriti, alcuni in modo grave.
Il colonnello Esa è rimasto pietrificato: che la sua mirabile
dialettica sia stata fraintEsa? Esausto, lascia che sia il palchetto a
portarlo fuori da quel casino senza capo né coda. La sua auto ha le
gomme a terra, addentate dai cavalli, come il suo morale, ed è
inservibile: la sirena, ormai ad ESAurimento della batteria, geme a
singhiozzo e non incanterebbe neanche il nonno stupido di Ulisse.
Allora balza in sella a uno splendido cavallo di Frisia, un baio ruggine
asiatico di nome Tien An Men. Galoppa di gran carriera con lo scroto
in fiamme per il morso troppo aderente che favorisce un ardente bacio
tra cavallo di Frisia e cavallo dei pantaloni nella mancanza di una
sella. Cavalca e cavalca, dopo tre giorni e tre notti fa ritorno nel suo
mondo Esterno molto molto lontano.
Sulla porta del palazzo lo attende il suo fido aiutante, Mirko
Scopio.
- Allora, com’è andata SIG.COL?
- Minchia, Mirko: mancava Minchino, mancava Di Pietro, tutti con
le mani sporche, un grande bordello, un vero pandemonio. In fondo
non è davvero troppo tutto ‘sto casino per un poco di polvere
fuoriuscita da infette biscottate? Io ho recitato tutta la mia parte alla
perfezione, tenendo alta la suspense, eppure nessuno mi ha
applaudito, alla fine. Nessuno che mi abbia tributato i dovuti onori:
un atto di l’Esa maestà!
- Non se la prenda colonnello, tutta gente cerebrolEsa. Si trattava
evidentemente di classico pubblico da reality sciò: non la meritano.
156
- Forse avrei dovuto essere più nazional-popolare. O magari avrei
dovuto dare più risalto all’aggettivo? Ecco sì, come per bianco Natal,
forse avrei dovuto dire “è bianca polvere!”
- Mah, comunque è polvere e basta. Pura polvere di buona
qualità, alimento sano per l’acaro più esigente, elemento puro per
l’umano più allergico, la vera e unica pulvis indefinita che è miscuglio
di ciò che è stato, organico e inorganico, consunto dal tempo, tendente
al nulla in consistenza sempre più fine fino a diventare impalpabile
per poi disperdersi nella notte dei tempi da cui proviene.
- E io che mi sentivo un po’ coglione: signori, la polvere è polvere.
- Ahahah, SIG.COL.! E pensi se qualcuno dei giornalisti le avesse
risposto ‘E ‘sti cazzi so’cazzi’! Sarebbe stato anche peggio, no?
- Non so. A questo punto mi domando: che tutta ‘sta storia sia
soltanto una prEsa per i fondelli?
- O meglio, una spEsa per i fondelli.
Interno
L’atmosfera nel Grand Marché è sempre più irrespirabile:
l’impianto ad aria condizionata è fuori uso, per l’appunto in libertà
condizionata, e il caldo afoso accresce la fermentazione della materia
organica che langue dimenticata sia sugli scaffali che tra le corsie.
P.Uzzone è cogitabondo circa nuove teorie di riciclo e triciclo del decompost.
Mino e Loris, disidratati e soporosi, sono distesi a terra come
vecchi soprammobili impolverati. Leda li esorta da lontano, ché
nessuno ha più il coraggio di toccarne i corpi parzialmente scremati e
a brevissima conservazione.
- Camòn, boys! Vi prendo una tuta? Che ne direste di cambiarvi?
Avete gli abiti più sporchi di un cencio caduto in una latrina di
Calcutta.
Il tono è brusco, al limite dell’offensivo, tanto che Marcello e
P.Uzzone studiano perplessi la professoressa che senza la minima
pietà incalza i due anziani.
- Chi tace acconsente, ergo io adesso prendo due tute al reparto
articoli sportivi e voi vi cambiate. Sono stata chiara?
157
Un attimo dopo Leda ritorna e getta verso Mino e Loris due tute
Prosti, l’indumento sportivo per battere sul tempo ogni avversario,
anche se con la prostata sofferente. Pronti, ai Prosti, via!
- Forza, cambiatevi.
Dragon Ballu e famiglia languono anemici in un angolo in grave
crisi di astinenza: Lino, disperato, dopo avere sperimentato tutti i
prodotti con l’avena si è spostato al reparto articoli venatori e ciuccia
uno zufolo da richiamo per anatre slovene. Ormai è una mera
questione di sopravvivenza: mors tua vita mea, ed in effetti, l’idea
sarebbe proprio quella di dare un bel mors a qualcun altro dei
quarantenati. Dopo un’attenta selezione per puro caso i famelici
rumeni si accorgono che nel supermercato c’è una donna bene in
carne che non avevano mai notato prima, di nome Alba Moltosci.
Picchiettano leggermente i canini sugli scaffali si scambiano messaggi
in codice mors. Il piano di battaglia è presto fatto: senza dare
nell’occhio le balzeranno addosso tutti e tre insieme con un’agile
piroetta, urlando a squarciagola “orsùsucchiamu!”, il terrificante
grido di battaglia che il vecchio zio Corpodi Ballu, detto Scarpàzio
(proprietario di una fabbrica di scarpette da punta per danza classica
nei patrii Carpazi) lanciava nell’aere ogniqualvolta puntava un orsetto
lavatore della Foresta Nera. Tre, due, uno, ignition!
- Orsùsucchiamu!
Alba Moltosci non fa in tempo a dire “ahi” che si ritrova smunta e
bidimensionale quanto un succo in tetrapak svuotato e schiacciato. Il
resto della comunità nota la famigliola rumena impegnata in piroette,
affondi e girotondi, ma la presenza di Alba al centro della pantomima
passa del tutto inosservata, onde per cui il balletto viene interpretato
come semplice danza folcloristica dell’est e la poveretta non ha
scampo. Ovo, inconsapevole prematuro orfano, è sparito a capofitto
nel reparto surgelati e divora a morsi le ultime cernie che lo guardano
con occhio gelidamente accusatorio, crude e anche dentro la
confezione.
L’Adele Gato ha perso il suo proverbiale slancio e si è appartata a
leggere le memorie di Lenin, in omaggio col rossetto leninitivo
Bandieretto, l’unico che garantisce sicuri trionfi in amore, poiché,
come chiarisce il famoso jingle, “Bandieretto rossetto la trionferà!”
Anche Dana Rospicciolo s’è spenta, dopo essersi rimboccata i seni
a mò di sette, anzi tette, cuscini e adesso dorme beata il sonno dei
giusti col capo adagiato sulle sue stesse ghiandole mammarie.
158
Olga e Olaf, sempre febbricitanti, mostrano ancora minore vitalità,
distesi inebetiti in un cantuccio con lo sguardo vitreo, stranamente
avvinghiati come il famoso bi-biscotto Meringo, da un lato meringa e
dall’altro cacao, della premiata pasticceria Glioniti.
L’unico quarantenato in smaniosa attività è don Deno. Per
conseguire una qualche pace interiore ripete sottovoce il santissimo
rosario, ma giunto al “come era nel principio e ora e sempre” del
Gloria al Padre della quarta decina s’inceppa a mo’ di vinile rigato.
- Come era nel principio e ora e sempre… Come era nel principio
e ora e sempre… Come era nel principio e ora e sempre…
Si apparta alla ricerca di una maggiore sintonia spirituale con se
stesso e con il cosmo. Mentre ripete il suo mantra, gli riecheggiano in
mente le parole del vecchio priore al seminario, di origini messicane,
Padre Edoardo Filoso. Il ricordo è ancora nitidissimo: la fronte canuta
stempiata, le unghie curate, la targhetta sulla tonaca beige, un filino di
rimmel austero da funzione vespertina, P. Edo ‘Filino’ Filoso che gli
parlava, accarezzandolo: “Impara a contemplare il cosmo e la vita,
figliolo, in tutte le sue forme meravigliose. Trova il tuo cammino verso
l’Assoluto, nelle sue componenti trascendenti ed immanenti”.
Sull’immanenti, quasi fosse il giorno della santa Candelora con
l’esposizione del cero, la mano del priore palpeggiava decisa, per
meglio tonificare il concetto e saggiarne la pregnanza. “Iddio è
creatore e fonte di vita, la potenza e l’energia divina pervadono il
cosmo, penetrano ogni cosa, e il cosmo, di riflesso, gode trasudando
manifestamente tale potenza e vigore”. Sul manifestamente, la mano
del priore dava il via ai festeggiamenti sollevando il seminarista dalle
sue pene in un frenetico agitare d’aspersorio e P.Edo ‘Filino’ Filoso
diventava anche ‘Filante’.
Don Deno ricorda malinconicamente anche il suo collega
seminarista, Turi Bolo, un pallido efebico siculo, e la sua triste fine in
un sanatorio di provincia per i troppi strapazzi.
Un segno del destino!
Nel suo ramingo aggirarsi per il supermercato ripetendo litanie,
don Deno s’imbatte nella corsia di creme e make-up: sotto uno
striscione pubblicitario alto mezzo metro si staglia tronfia in tutta la
sua bellezza la nuova linea di prodotti costosi Cosmosi
“Specificamente pensati per la tua osmosi cosmica con la cosmesi!”
159
- Come era nel principio e ora e sempre… Come era nel principio
e oro in sempre… Come era il principio e oro in bocca… Come era il
mattino e l’oro in bocca…
Don Deno s’incanta di fronte alla mesmerizzante policromia della
trousse Primadonna a forma di Ruby Rubacuori in peluche, per
bambine che vogliono diventare donna prima del tempo, bruciando le
tappe nel mondo dello spettacolo. Poco più sotto la nota esplicativa:
ricche di svitamine e oligoelementi che favoriscono l’invecchiamento
della pelle.
- Il mattino e l’oro in bocca… Il mattino ha l’oro in bocca… Il
mattino ha l’oro in bocca…
Poco più oltre la promozione dell’altra linea di prodotti della linea
Cosmosi, con tanto di ulteriore striscione pubblicitario che sgola:
Primadonna e Poignocca, per donne che vogliono stare al passo coi
tempi, vere passeggiatrici, fottomodelle sempre agili e scattanti ai
blocchi di partenza della scalata al successo, pronte a darla via a
tamburo battente. Don Deno ammira incantato la trousse a forma di
Ford Escort, curata fin nei minimi dettagli: le ruote col battistrada a
rete e i tacchi alti, la carrozzeria rossa fiammante, la settima di
paraurti, gli interni sinuosi in morbido silicone, due air-bag da
schianto, il navigatore con la voce uterina di un’igienista dentale che
detta le coordinate da seguire con fede...
- Il mattino ha l’oro in bocca… Il mattino ha l’oro in bocca… Il
mattino ha l’oro in bocca…
Nel ripetere il suo mantra, dalla bocca del prete, più che l’oro
proverbiale, fluisce una sempre più abbondante salivazione: l’attacco
epilettico è dietro l’angolo. La bava, plic plic plic, cola un po’ in basso
e un po’ in alto, grazie all’influsso degli indomiti ripetitori di Tele
Cinesi.
Proprio in quel momento s’appalesa Dana Rospicciolo, svegliatasi
di soprassalto e preoccupata per l’assenza del prete che, solitamente
quando c’è e sta bene, orbita attorno alle enormi masse planetoidi dei
suoi seni. Come spiegare, dunque, tale latitanza dalle tette? Che stiano
capitando gravi fatti?
- Don Deno?! Oh, meno male, temevo che le fosse success… Oh!
Omioddiooo!
Dana vacilla e arretra, indicando qualcosa di stupefacente oltre le
spalle del prete. L’uomo sussulta, si guarda intorno e…
- O Signore Onnipotente!
160
La cassiera continua ad additare il miracolo e chiama a raccolta la
folla.
- Correte! Correte tutti! Miracolooo! La Primadonna piange! La
Primadonna piangeee!
Ed in effetti, dagli occhi del peluche di Ruby cola un liquido
viscoso incolore, facilmente assimilabile a lacrime di pianto o anche a
liquido seminale di premier. Don Deno fissa il soffitto, dove
campeggiano i neon del Grand Marché, e lancia un urlo belluino.
- Io… Io ho v-visto… La luceee!
Scosso da un fremito e fibrillante di bagliori immateriali, il prete
s’innalza leggiadro verso l’altissimo plafond girando dervisciamente
su se stesso. Agita le braccia come fossero angeliche alette e per
qualche minuto volteggia in mistico rapimento mentre benedice le
corsie, i prodotti e i consumatori con zampilli di saliva. Sul nudo
pavimento del supermercato i quarantenati si raccolgono prima
stupiti a naso all’insù, poi genuflessi ed adoranti al cospetto di tanta
soprannaturale manifestazione. La stessa Adele Gato, seppure atea
convinta, asseconda oscuri istinti primordiali e aderisce anch’ella alla
manifestazione.
La voce di Don Deno pigola pastorale sopra le teste dei suoi futuri
apostoli.
- Figlioliii… Figlioliii.
Leda si fa il segno della croce e tutta la famiglia Dragon Ballu
rantola e balza all’indietro soffiando come una fiera ferita.
- Figlioliii: niente fiere ferite, ben vengano invece le fiere mercato.
State inventariati e uniti: vi voglio tutti a posto lì. Aprite i vostri cuori
e il portafoglio alla summa teologica del solo comandamento uno e
scontrino, quello che recita: “br’ama il prossimo acquisto tuo come te
stesso”. Grande sarà la ricompensa per chi s’offrirà di recitare
l’oneroso ruolo di saltimbanca per il puro godimento dei Santi Padri
Economistici!
Il gregge pare placarsi e si consuma in speranzosa attesa del regno
dei grattacieli e vinci a venire. Perfino l’Adele Gato con un grugnito
approva il rinfocolarsi della lotteria di classe. Leda Vanodieci, da
sempre abituata ad essere la prima della classe, non può che farsi
subito avanti, per assecondare i suoi bisogni religiosi.
- Io! Don Deno, io sono pronta a farmi serva del Signore.
- Brava figliola, ma io non sono più Don Deno: io sono l’eletto dai
poteri forti, io sono la via, la verità e la botta di vita prima del tracollo
161
finale. Io sono la vostra unica ancora salvezza, colui che ancora una
volta vi psicodrammalierà! Io sono Salvo Lanima: io solo salvo
l’anima!
Leda china il capo, di fronte alla rivelazione, non osando neppure
rivolgere lo sguardo in direzione del corpo trasfigurato del prete.
Salvo Lanima discende su di lei e impugna un manico di Oròscopa,
l’unica scopa personalizzabile col segno zodiacale per spazzare via
ogni dubbio su ciò che ti aspetta nel prossimo futuro. Dopodiché,
ricalcando il cerimoniale d’investitura degli antichi templari, gli
impone la lancia sulla spalla sinistra.
- Tu sei la mia somma sacerdotessa, colei che ricondurrà importo
le pecorelle smarrite nel mare di offerte speciali ed allettanti della vita.
L’acqua del Giordano è superata: battezzeremo i fedeli con l’acquisto
del giorno!
Nel momento in cui la lancia si posa sulla spalla, Leda sente un
profitto al cuore e stormisce di beatitudine, colta, oltre che di sapere,
anche dall’orgasmo economistico ecosmico.
- La parola di Dio abbisogna di una maggiore penetrazione sul
mercato. Basta con la castità! Predicheremo la brama di possesso. Sulla
croce fateci una croce sopra: l’iconografia attuale è obsoleta. Dio sarà
raffigurato come uno scaffale triangolare pieno di ogni ben di Dio, con
l’occhio protetto da lente fottocromatica di occhiale di tendenza, con
alla destra cartelloni pubblicitari dalle soluzioni grafiche focose e alla
sinistra mille fallimenti turgidi a ricordarci che il momento della
priapocalisse è vicino.
- Fai di me ciò che vuoi: sarò lo scaffale del Signore.
- Ebbenesì, figlioli, in verità, in verità vi dico: il bene di consumo
trionferà sul male. Mettetevi in cerchio!
I quarantenati, sovreccitati dall’improvviso affrancamento dalla
noia e in preda a un delirio da conversione di massa, plaudono e
cantano osanna a squarciagola. L’unto dal Signore arringa sott’olio
santo i suoi adepti e sgocciola dall’alto il lubrificante sint’etico.
- Figlioli, rallegratevi alla lieta novella! Grazie alle trascendenti
virtù consumistiche di questo cerchio, nasce qui, ora, in questo preciso
istante un nuovo codice etico, la nostra ultima spes, la setta
Spesatanica!
Tra urla selvagge e gestualità frenetiche si scatena un sabba, come
in un affollatissimo sabbato pomeriggio d’Ipercoop, in ipercinesi da
cartoni animati, scatoloni inanimati e carrelli indemoniati.
162
Sugli scaffali i prodotti si prendono sottobraccio, soprattutto gli
appretti con il manico e gli attrezzi con impugnature ergonomiche cogito ergonomico sum - e danzano a ritmo indiavolato; al banco
macelleria le fettine si prendono sotto braciole. Addirittura alcune
confezioni di Punk Arrè, il pancarrè dalle innovative fette con design
a cresta, iniziano a pogare sotto il palco. Salvo Lanima è lanciatissimo.
- Il maligno attenta al nostro potere d’acquisto, ma noi non
arretreremo d’un passo! Gridatelo insieme, gridatelo tutti! La festa
non si fermerà! The showpping must go on! The showpping must go
on!
Gli adepti ripetono in coro, rapiti dalla portata della rilevazione.
- Bravi, figlioli. Evochiamo lo spirito di sacrificio per arrivare a
fine mese, evochiamo lo spettro della recessione, evochiamo pure i
bollini di vecchie raccolte punti, morti e sepolti in qualche cassetto.
Tutto fa d’oppio brodo! E ostentate sempre una grande religiosa
devozione: che chi vi guarda sappia subito che siete dei baciaPIL. I
tempi sono duri? PILuccate le briciole, acquistate maggiore
consapevolezza, specie se è in promozione 3x2, porgete l’altra
guancia, con mite dolcezza. Orsù cantiamo insieme! “Basta un poco di
zucchero e il PIL olè va su, il PIL olè va su, il PIL olè va su. Basta un
poco di zucchero…”
Salvo Lanima si mette in moto e levita a mezz’aria dando il la ad
un’allegra processione tra le corsie del supermercato. Ovo, con le
guance sporche di scaglie di cernia e con l’aspetto molto simile ad una
vera e propria grassa cernia, cerca di trattenerlo aggrappandosi alle
vesti trasfigurate.
- Padre… Ho scoperto per caso che la mia mamma è morta: è
accaduto mentre spazzolavo i succhi di frutta in cartone! L’ho
riconosciuta a malapena tra i succhi di mirtillo e gli ACE: accedenti!
Ha segni di denti dappertutto e sembra una carasau, povera mamma
mia!
- E chi sarebbe?
- Ecco, per la verità, non ci ho mai fatto caso: di mamma ce n’è una
sola, ma è bravo chi la sa riconoscere. La mia si mimetizzava sempre
molto bene.
Il prete lo squadra indispettito: non si interrompe una cerimonia
religiosa per futili problemi personali. Sbuffa. Si guarda intorno e
chiama a sé l’unica papabile madre adottiva.
- Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre.
163
Dopodiché libera le vesti, riprende a cantare e affida il piccolo alla
cure di Filomenosofia che sorride strana con un rigagnolo di bava che
cola tra i canini luccicanti. Ovo gelatinizza alla coque e prova ad
esorcizzare le attenzioni della mamma adottiva facendosi il segno
della croce, ma ha le dita intorpidite dalla troppa permanenza al
reparto surgelati. Ne esce quasi il mimare di ‘buon appetito, vuole
favorire?’ o anche un fanculo con medio rigido aperto sulle altre dita a
grappolo. Neo-mamma Filomenosofia ulula alla famigliola un invito a
cena – Carpazi diem - e si arricchisce per prima, alla spina, di
trigliceridi e colesterolo, buono e cattivo per non fare preferenze. Poco
dopo, di Ovo non rimane che un torsolo ingiallito di mela secca o
forse un guscio vuoto, ché la frittata è fatta.
Leda apre la strada, conto-rcendosi in ritmi tribali, e recita la
ABIbbia intercalando ogni tanto voCABoli in sanscrito. P.Uzzone
sparge fiori di zucca e segatura all’incedere dell’unto e Dana lancia dai
seni un tripudio di zampilli lattescenti che neanche i giardini di
Versailles o la reggia di Caserta. Mino segue arrancando, ma Loris
non sta più in piedi. Così Marcello fa un salto al suo banco macelleria,
prende un girello di vitello per sostenere il vecchio e poi lo spinge
avanti.
Gli unici che non s’accodano alla processione sono i lassativati,
senza energie, consumate nelle toilettes ormai invivibili. Salvo Lanima
invoca il giusto castigo divino.
- Leda! Mio angelo sterminatore, dai una lezione a questi empi
miscredenti, deprecabile esempio di lassismo lassativo! Li offriremo
come sacrifici umani richiesti dal deficit di bilancio, a stipenDio
piacendo.
Leda pensa al paradosso: i lassativati, vittime delle purghe
staliniste e del consumismo per ingordi assaggi promozionali,
immolati alla rivoluzione come nemici del consumo. Ne riparlerà, poi,
con Adele Gato, forse ad un seminario su Mao, magari citandolo (la
rivoluzione non è un pranzo di gala). Nello specifico, tuttavia,
obbedisce ai comandi di Salvo Lanima e impugna una pera spadona,
una delle poche ancora sode e buone facendo strage tra gli infedeli
mentre cita alcuni versi della Gerusalemme (li)oberata di Torchiato
Tasse.
- “Spronando adosso a gli altri ella si serra, e val la destra sua per
cento mani. Seguirla i suoi guerrier per quella strada che spianàr gli
urti, e che s’aprí la spada…”
164
Salvo Lanima si blocca: davanti a lui due corpi agonizzanti, Olga
ed Olaf, bianco e nero, incapaci di accodarsi alla processione. Il prete
impone loro le mani.
- Figlioli, per il potere conferitomi dalla comunità diocesana
romana, io vi dico: se credete, Dio ce sana! Dare credito fiduciario a
Dio non è solo un atto di fede, ma anche di fidejussione. Apritevi al
mutuo rispetto, concedetevi lo stesso tasso d’interesse, amatevi l’un
l’altro come due teneri finanziati che presto s’uniranno in matrimonio:
Olaf, bacia la tua spesa! Olga, bacia il tuo speso!
Miracolo! I due infermi guariscono seduta stante e pronti
suggellano la loro promessa di amore eterno baciandosi col rifrullo: in
parallelo al mescolarsi delle salive, a mo’ di vasi comunicanti, anche le
loro pelli si uniformano, generando due identiche tonalità di grigio.
Nel medesimo istante, presso gli ambienti di via Bellerio di
Milano, a molti fischiano le orecchie in sinistri presagi e una maledetta
aria sciroccale di integrazione, proveniente dall’Africa, va a cozzare
con l’aria gelida di integralismo legaiolo provocando un anticiclone
mestruale che blocca la fertilità di tutte le donne padane.
165
166
20. Col buio si fa chiaro. Ore 20:00 del secondo giorno.
Esterno
La folla radunata sul piazzale antistante il Grande Marcio è
disorientata, sia per la terrificante rivelazione comunicata dal
Colonnello Esa Mino circa la natura della polvere bianca, ovvero della
Bianca Polvere, sia per i rumori che provengono dall’interno del
supermercato: si odono urla belluine, canti sacri, lamenti d’agonia, e si
cerca d’indovinare che cosa stia accadendo.
Dino Deno, non appena ha finito di contare l’incasso delle corse
ippiche dei cavalli di Frisia, organizza su due piedi un punto
scommesse per puntare sull’origine dei rumori meditando di accettare
giocate anche sulla parola, con pagamento in natura da parte di
alcune sue viziose concittadine.
La rivolta dei latticini che sbranano gli acquirenti viene data 3 a 1.
Una grigliata di carne umana con l’utilizzo degli articoli per
cannibali in vendita al reparto campeggio viene data 5 a 1.
L’ipotesi che il fratello Don Deno stia approfittando di qualche
cliente con la scusa di una confessione o anche di una estrema unzione
viene data a 1,05 a 1, probabilissima e giocata solo da vecchie
pensionate con la minima che cercano un modo più originale per far
sparire la pensione, rispetto al solito rischio di vedersi dimezzato il
potere d’acquisto per l’aumento del costo della vita, già corrosa di suo
da altri agenti patogeni non esclusi quelli delle tasse.
Omar Esciallo è sul chi vive, professionale, e cerca di sapere.
Interroga Dino.
- Uè, Deno, ca’ na’ pensate vuje? Ca’ sta accadenne?
- Maresciallo, penso che mio fratello stia realizzando una sua
teoria meditata da tempo.
- Mmm… E chi ha tempo nun aspetti tempo, eh?
- Eh, marescià: il tempo è denaro.
- Ahh! Cumme Mattia, ‘o latitante. Vostro fratre fa aumm aumm
co ‘a camorra, eh?
- Non credo, marescià: lui gioca solo a morra con qualche cinese,
se si ricorda il capitolo quinto: lì ci giocavo io. Vizietto di famiglia.
- Ha vinto?
167
- Io cerco di vincere sempre: è l’imprenditoria.
- Ie vuliv’aprì ‘na lavanderia, ma ‘mme sa ca’ nun’ n’è ccosa.
- Eh, i panni sporchi si lavano in famiglia, marescià.
- Quagliarulooo!
- Comandi, maresciallo.
- Lavate ‘a rima co’ chille che ‘a copre, a mutanna, a casa toja!
Il simpatico siparietto s’interrompe per uno scoreggione che
risuona nel piazzale sopra tutto il brusio e spaventa i cavalli di Frisia
che nitriscono all’aria diventata improvvisamente limacciosa.
Telemaco Mefaccio sta tentando un collegamento telepatico con
l’interno, ma ha captato un corista lassativato agonizzante trafitto da
una pera spadona, ancora sotto effetto della purga stalinista ceca
“Lassa Perdere” in offerta speciale.
Lily Cavedano fa appena in tempo a spostarsi dalla corrente d’aria
che investe gli altri colleghi. L’inviato di Tele Nuotizie è in apnea e
quindi esce indenne dall’inconveniente.
La povera Lina Picco, invece, fa il pieno di metano in piena faccia
e crolla a terra inerte come un altro tipo di gas.
Telemaco, oltre che scoreggiato è scoraggiato: possibile che
nonostante il volano dei ripetitori di Tele Cinesi, oggi la qualità del
segnale faccia letteralmente cagare? Con le mutande segnate, prova e
riprova imperterrito e alla fine, seppure spernacchiante, l’audio arriva.
E’ una litania cantata, da vecchia fiera dell’est in tempi di default.
- E venne il Signore, con l’angelo della morte, col macellaio, che
uccise il toro, che bevve l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il
bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo,
che all’ipermercato mio padre comprò. Alla fieeera dell’est, per tre
euro, un fagiolino mio padre comprrrò…
I giornalisti si guardano l’un l’altro esterrefatti: che nel Grand
Marché i pazzi per gli acquisti siano impazziti del tutto? Lily chiede
delucidazioni al collega.
- Sei sicuro di non aver captato per errore qualche radio locale?
- Tutto è possibile: una volta ho captato pure la radiografia del
ginocchio destro di mia zia Rosy Osteopo.
- Bah…
- Senti, ascolta adesso! Stanno pregando!
- Unicredit in un solo Dio, Padre conto corrente, creditore del cielo
e della terra, di tutte le transazioni visibili ed invisibili…
- Ma che cazz…
168
Nel breve volgere d’un attimo il cielo si oscura e il timido buio
crepuscolare si fa fitta tenebra: nuvoloni carichi di pioggia avanzano
muovendosi a zig-zag finché, dopo un possente tuono rimbombante,
si scatena un violento acquazzone. Felice Mentevivo, bagnato fradicio,
confabula con l’ingegner Lemerg.
- Incredibile: le previsioni meteo davano tutto sole per quattro
giorni di fila.
- In una cassa devono esserci gli Sgombrelli, gli ombrelli a forma
di sgombro dei Dardanelli sponsorizzati dalla pescheria Omar Echiaro
di Sondrio. Distribuiscili immantinente!
- Sissignora! Ma, mi scusi: gli Sgombrelli non servivano per darli
sugli occipiti e sulla schiena di partecipanti assortiti a manifestazione
non autorizzata per svuotare una piazza?
- Una volta, caro Mentevivo, una volta. Adesso sono state adottate
le bombette puzzolenti all’odore di calci nelle palle e di cazzottone sui
denti e altri simpatici gadgets da inoculare a chi protesta: certe
inoculate nel groppone hanno fatto scuola!
- ‘Orco Diaz!
- Eh, esattamente. Forza, forza: distribuisci a destra e manga nella!
In meno di un minuto, il pubblico e le maestranze raccoltesi
attorno al Grand Marché possono sfoggiare il simpatico miniombrellino affusolato, con bocca a punta e due pinne dorsali, seguite
da cinque piccole pinne stabilizzatrici, ottime per mantenere in asse
l’ombrello in caso di folate di vento. Per quanto la livrea del tessuto
parapioggia sia assai elegante (grigio-bluastra a sfumare verso l’orlo
fino al bianco argenteo, con tigrature verticali nere), l’oggetto non
brilla per funzionalità e il maresciallo, seppure educatamente, lo fa
notare a Mentevivo.
- Pure sì soreta è na cap’ ‘e pezza, se d’int’ o culo ce 'mpizzo ‘sto
'mbrello… Apierte ce sta!
Gli addetti della protezione civile strabuzzano gli occhi, nel
dubbio di essere stati insultati. Quagliarulo si affretta a spiegare.
- Il maresciallo, con espressione colorita, voleva solo far notare che
la tesa di questi ombrelli è così piccola che è quasi come non averli.
Mentevivo si giustifica con alterigia.
- Inevitabile, visto che lo sgombro raggiunge solo eccezionalmente
una lunghezza di cinquanta centimetri. Comunque c’è poco da fare i
polemici: preferite ripararvi sotto a una bombetta puzzolente all’odore
di cazzottone sui denti e a un lacrimogeno della Madonnina che
169
piange? Due legnate a in-castro della falegnameria “Vi seghiamo la
fedina penale” in identi-kit di montaggio?
Quagliarulo sniffa nell’aria che non è aria e poi contrito risponde.
- Capisco. ’I ke azz…
Il piazzale del Grand Marché è un surreale branco iridescente di
pesce azzurro a mollo sotto il cielo nero. Lo spettacolo è così invitante
che l’inviato di Tele Nuoto guizza eccitato sopra gli ombrelli aperti e
dimena le gambe unite a mo’ di salmone. Dino Deno sogna un
produttivo processo di inscatolamento repentino e globale in qualche
stabilimento clandestino, per impilare una gigantesca piramide di
lattine nel suo supermercato, mentre già fantastica su un papabile
slogan promozionale: “Basta con la tristezza dei salmoni nei loculi e la
banalità del tonno tutt’intonno. E’ giunta l’ora di sgombridere alla
vita! Lo sgombro è pieno di vita, ah sì, eh sì, eh già!”
Lily Cavedano decide di realizzare il collegamento sotto lo
scroscio temporalesco: ai telespettatori piace vedere i cronisti messi in
croce.
- Gentili telespettatori e telespettatrici, dopo la terrificante
rivelazione del colonnello del RIS che ha dato forma concreta, un
nome e un cognome - Bianca Polvere - alle nostre più ancestrali paure,
ecco un nuovo sinistro presagio di sventura: si è scatenato sul Grand
Marché di San Pirlottero della Credenza un violento temporale. Come
nei sacri testi evangelici, allo spirare del Cristo, il cielo si oscurò e si
fece buio su tutta la terra, così qui nel parcheggio del supermercato
siamo tutti avvolti dalle tenebre, un nero immateriale che fa da
sinistro contraltare al bianco della polvere che ha contaminato gli
sventurati clienti del Grand Marché e, forse, le nostre menti. E’
probabile che nessuno di noi avrà più scampo di un uno scampo alle
tagliatelle di mare. Dall’interno del supermercato giungono
giaculatorie, canti, inni più o meno sacri, lamenti strazianti, risate
isteriche: chissà quali drammatiche e raccapriccianti conseguenze
avranno avuto sulla psiche dei clienti la segregazione e il contatto
ravvicinato con la letale Bianca Polvere. Non appena possibile vi
ragguaglieremo circa l’indirizzo e il numero di telefono di Bianca
Polvere per promuovere una vendetta sommaria collettiva con
lapidazione di gruppo o fucilazione mediante Vaporella a cento gradi:
al momento possiamo dire soltanto che ci stiamo mettendo in moto
per le ricerche, ma la polvere è dappertutto fuorché nell’elenco
telefonico e nelle pagine gialle. Stiamo setacciando i rave degli acari, le
170
pagine ingiallite di vecchi tomi nelle biblioteche e negli archivi, ma
finora troviamo solo topi. Abbiamo frugato negli armadi, ma abbiamo
trovato solo scheletri. In soffitta solo alieni e sull’Etna o negli arsenali
di mezzo mondo solamente polvere nera. Polveri noi! Ecco, ci arriva
proprio ora una comunicazione del Viminale: “anche se sarebbe più
che giustificato, non prendetevela con la Polverini.” Ripeto: non
prendetevela con la Polverini, anche se… Però, ma, chissà, quasi
quasi, prendi due e paghi una, boh, m’informo meglio, sarebbe
un’occasione, ma dai, vediamo, aspettate ancora un pochettino, non è
giustificabile, tuttavia… Comunque è ormai chiaro a tutti che per
ragioni igienico-sanitarie e di palinsesto, non verrà più consentito a
nessuno né di entrare né di uscire dalla zona rossa delimitata dalle
mura perimetrali dello stabile. Secondo le prime indiscrezioni giunte
dal Ministero, pare che sia allo studio un sarcofago di cemento armato
spesso almeno due metri, da edificarsi attorno alla struttura,
eventualmente sormontato da una cupola di contenimento realizzata
in una lega di kriptonite e stronzio anodizzato. Come tutti sanno, la
kriptonite kriptonifica la pelle di tutti meno che quella di Superman e
lo stronzio attira le mosche che, paralizzate, sono il cibo preferito degli
acari che trascurano così la polvere che sedimenta e se dimentica fino
a che tutto ritorna normale fra duecento milioni di anni, per cui siate
tranquilli e soprattutto pazienti.
Lily saluta senza agitarsi troppo per non alzare troppa polvere.
Telemaco, nel frattempo, spremutosi i neuroni per lo sforzo di
collegarsi telepaticamente con l’interno del supermercato, giace in un
angolo del piatto, l’espressione giallo-smunta da limone strizzato alla
fine di un pasto a base di pesce.
Piove a catinelle: il piazzale è ormai tutto una pozzanghera e Lina
Picco annaspa rischiando di annegare.
- Aiut… Blub… Non tocco…. Aiut… Blub…
Quagliarulo si lancia prontamente in suo soccorso e la trae in
salvo sul bordo di un marciapiede. Nella concitazione del salvataggio
i due finiscono stesi a terra, avvinghiati come due innamoratini su di
un prato fiorito. Il maresciallo richiama all’ordine l’appuntato.
- Quagliarulo, mordi ‘o frenulo.
L’unico che gode come un riccio di mare nel suo ambiente
naturale è l’inviato di Tele Nuoto che ha deciso di mandare in onda
uno speciale sulla riproduzione dei salmoni nei cimiteri di campagna
dopo l’orario delle visite quando anche il custode dorme.
171
D’un tratto, Omar Esciallo nota uno strano movimento
all’ingresso del Grand Marché e informa l’ingegner Lemerg che a sua
volta ordina l’accensione delle luci con mezz’ora d’anticipo sul
tramonto.
- Mentevivo, dai corrente ai riflettori. Forza, rifletti una buona
volta.
Zap! Zaap! Zaaap!
Il bagliore freddo delle alogene illumina a giorno il parcheggio.
Lemerg continua a berciare ordini a destra e a manca.
- Dalle torrette, massima allerta! Puntate un riflettore sull’ingresso
del Grand Marché! Rinforzate il cordone sanitario! Più transenne! Più
cavalli di Frisia! Più trincee! Dannazione: che fine ha fatto Minchino?
Quell’uomo se ne lava troppo le mani!
Al PM fischiano le orecchie, a duecento chilometri di distanza,
nell’atelier di Jean Claude, il parrucchiere dei divi e dei magistrati. In
realtà a fischiare sono le bestemmie in eufonico francese del suddetto
Jean Claude che ha sbagliato la concentrazione di tioglicolato di
ammonio nel lisciante per capelli del magistrato .
- Porco Tio! Porco Tio! Porco Tio!
Minchino, di conseguenza, ora è pelato come il ginocchio di Miss
Cappa da vomitare nella Riviera di Ponente 2006 e si osserva terreo
davanti allo specchio, senza parole, senza capelli, senza sentenze, un
uomo distrutto con le mani fasciate da nuovi guanti alla moda,
arancioni modello Guantamano, indossati per vanità senza sapere che
all’interno sono pieni di lana di vetro e lamette da barba: guanti da
pomeriggio di interrogatorio semplice.
Il PM lancia due ululati disumani riuscendo soltanto a
singhiozzare: “omaiggod”, con pensieri sospesi tra suicidarsi domani
con ingestione a manetta di sapone liquido della Manetta & Roberts e
sottoporsi oggi stesso ad un trapianto di mani con quelle curatissime
dell’incapace Jean Claude o della sua manicure.
Nella mente dell’uomo ormai è tutto un turbinio di mani in
manovra che pressano sul cervello in manipolazioni manichee da
cleptomani maniaci con manici di scopa.
Il magistrato serra la mandibola e impazzisce fantasticando su
una fuga in una comunità di mussulmani maremmani, o in Manitoba
tra gli indiani Manioca o, in ultima analisi, tra gli sciamani birmani
per dimenticare le sue manie. Jean Claude, che non vuole essere suo
manutengolo, è costretto a chiamare il 113 per salvare il manufatto
172
trasfigurato in manigoldo maneggione con la nuca nuda, pulita e
luccicante quanto le mani: una sorta di zio Fester spiritato, anzi
festerrefatto, di fronte al tristo calvario che gli è toccato così tra capo e
collo.
E dunque Aldo Vere Minchino, con una sua ultima citazione,
“Vietato parlare al manovratore”, esce di scena in manette come un
manichino senza importanza, catatonico, ma con le mani frenetiche
che, pur costrette dai ferri, smanettano nell’aria come quelle di un
giocatore di flipper.
Frattanto, a San Pirlottero, l’inconscio collettivo ancora troppo
legato alla memoria di Di Pietro per preoccuparsi dei drammi
esistenziali di Minchino, pecepisce che qualcosa di terribile sta per
accadere.
E infatti….
Interno
Salvo Lanima, sempre lievitando a mezz’aria, punta diritto verso
le porte del Grand Marché, seguito da una denutrita processione di
angeli sterminatori, apostoli, macellai e quarantenati variamente
assortiti. La radio interna del supermercato, detta radio Marchétte
anche per le ininterrotte marchette pubblicitarie, riprende d’incanto a
trasmettere a tutto volume marcette del ventennio accompagnando
l’incedere del corto corteo.
Punza rapunza punza-punza, punza rapunza punza-punza…
Con un sonoro cigolio di giubilo le porte d’ingresso si spalancano
da sole e Salvo Lanima guida i suoi fedeli fuori dall’isolamento
dell’ipermercato locale verso la conquista dell’ipermercato globale,
della città mercato, nonché del mondo. Subito il temporale si placa e la
pioggia cessa.
In una frazione di secondo nel parcheggio il panico è assoluto:
gente che corre, salta, grida e fugge, cercando riparo nelle tenebre
oltre lo spiazzo illuminato dai riflettori attorno al Grand Marché.
Omar Esciallo, con una pronuncia italiana notevole a tradire una
tensione nervosa altrettanto notevole, cerca di riprendere il controllo
della situazione.
- Fermi tutti, rientrate immantinente nel supermercato! L’ordine
resta quello di non fare uscire nessuno e non abbiamo ricevuto
173
ulteriori disposizioni dal ministero. Non esiteremo a sparare, se
necessario: dunque, vi intimo di tornare all’interno del Grand Marché.
Quagliarulo confabula con Mentevivo.
- Come diavolo avranno fatto ad aprire le porte? Erano bloccate
da catene di acciaio da otto millimetri e da una colata di cemento!?
Salvo Lanima continua ad avanzare.
- Figlioliii, vi porto la lieta novella! Convertitevi tutti alla nuova
religione! La Setta Spesatanica vi accoglierà a braccia aperte! Gettate
pistole e fucili ed armatevi di portafogli: il paradiso terrestre è qui, in
offerta speciale!
Gli apostoli scandiscono al cielo estatici “allelujah, allelujah!”
Quagliarulo pigola acuto.
- Fermiii! Fermi o apriamo il fuocoo!
Omar Esciallo esita, intimorito dalla processione che gli riporta
alla mente la sua infanzia e la festa di San Gennaro, santo patrono di
Napoli. Così è l’ingegner Lemerg a rompere gli indugi.
- Fuoco! Fuoco a volontà!
Dalle torrette partono raffiche di proiettili che fendono l’aria in
direzione dei quarantenati evasi.
- Maròòò, chist sparano davvero! Fusse ca’ fuss Capodanne!?
Omar Esciallo cerca rifugio sotto il tendone della protezione civile
mentre pallottole vaganti sibilano a destra e a manca. Quando i
caricatori sono ormai vuoti e il bombardamento si placa lo scenario
che appare agli occhi increduli dei presenti è del tutto assurdo: Salvo
Lanima, come un gruviera, continua a levitare a mezz’aria seguito dal
codazzo dei suoi adepti perfettamente indenni ancorché bucherellati.
Omar Esciallo è stupefatto:
- ‘Sti piezze ‘e Lerdammer: ma guarda tu che vitalità!
Felice Mentevivo, che spera di ripetere le gesta di cui al capitolo
tredici, balza su una ruspa cingolata e punta diritto verso gli evasi,
deciso a caricarli di peso sulla benna per poi ammonticchiarli oltre le
porte. Tuttavia, ad un cenno della mano del prete, la ruspa si
genuflette prostrando la benna a terra, immobile.
- Stupefacente! Egli parla alle benne: parlerà anche alle renne?
Parlerà agli uccelli e ai lupi? Soprattutto Lupi: lo capirà con
quell’espressione mozzarellifera?
- Basta ciance: ci sono dei feriti, c’è un ferito grave! E un morto!
- Un morto? Solo uno? Vabbè, dove? Rip, riprendi tutto!
- Ommadonnasanta!
174
- Aaahhh!
- Guardate qui!
- Altro morti: è una carneficina!
Voci concitate s’accavallano nel piazzale: le tragiche conseguenze
della folle sparatoria sul pubblico di curiosi sono sotto gli occhi di tutti
e i corpi senza vita di almeno tre spettatori giacciono a terra. Salvo
Lanima svolazza verso le vittime del conflitto a fuoco, impone le mani
al tris di cadaveri e li restituisce sani e salvi ai loro familiari in
conveniente confezione pacco famiglia 3 x 2 con tagliando per
concorso a premi che vede un palio di Siena in palio.
Mentevivo non si dà per vinto: ha trovato una rete da pesca e,
coadiuvato da altri cinque o sei addetti della protezione civile, la getta
sui quarantenati. Il lancio è perfetto.
- Evviva, ho preso il prete! Il prete è nella rete! Il prete è nella rete!
Sparate! Sparate adesso!
Salvo Lanima e i suoi discepoli vengono letteralmente sepolti vivi
da una pioggia di pallottole. Nel contempo, tutti i computer di tutto il
mondo vengono raggiunti dalle immagini in streaming degli eventi in
corso a San Pirlottero della Credenza. Omar Esciallo prova a far
sgomberare la folla.
- Jate venne tutti, tutt’ è furnute, nun c’è cchiù nulla da vedere!
- E’ finita! E’ finita!
- Siamo salvi!
- Siamo salviii!
Spontaneo e liberatorio, parte il lungo applauso della folla, come
ad un funerale di volontario per la pace in Afghanistan o di un
incaprettato dalla mafia che, bontà loro, non strangola le sue vittime.
Neanche un minuto e l’ovazione s’interrompe bruscamente: il
cumulo di bossoli e di proiettili si muove. Si muove! Urla di
raccapriccio tra il pubblico e nuovo fuggi fuggi generale. Quagliarulo
sbrocca.
- Non è possibile, n-non è possibile. Sembra il film ‘Superman 9:
sopravvivo a tutte le prove’.
Salvo Lanima e i suoi apostoli riemergono incolumi dal cumulo di
munizioni esplose.
- Figlioliii, non abbiate paura! Rinnegate i vizi capitali, con
l’eccezione della lussuria in cui è cosa buona e giusta pasturare,
specie se avete sottomano quella bona e giusta! Ebbene sì! Rinnegate i
vizi capitali: i capitali finanziari sono molto meglio! La loro natura
175
ultraterrena si auto-alimenta nello spazio virtuale e si affranca dalla
materialità del dover per forza produrre qualcosa di utile. “Rimetti a
noi i nostri debiti”, abbiamo sempre chiesto con le nostre preghiere,
ebbene in verità, in verità vi dico: intensifichiamo le nostre suppliche!
Imploriamo che il Signore continui a farci vivere al di sopra delle
nostre possibilità e che metta, metta, metta e rimetta sempre più
debiti sulle nostre teste! Preghiamo anche che non rimetta di stomaco
dallo schifo, ché non basterebbero tutti gli Sgombrelli di questo
mondo e di quell’altro. Supplichiamolo che sazi la nostra necessità
assoluta e metafisica di debito. E vi assicuro, figlioli, che a tempo
debito la terra sarà un immenso giardino dell’eden, un unico paradiso
fiscale! Pan-ama il paradiso fiscale come te stesso!
La platea è perplessa: le parole del prete sembrano possedere
l’arcano fascino del lucido delirio, degno pertanto del massimo credito
erogabile. Eppure il cambiamento da temibile nemico a guida
spirituale è troppo repentino anche per la logica umorale della folla.
- Figlioli, venite a me.
Salvo Lanima si libera completamente della rete e dei proiettili e
s’incammina in direzione della massa dei curiosi. Passo passo,
attraversa alcune pozzanghere che ancora stagnano nel piazzale.
Altissimo, tra il pubblico si leva il grido di un ignoto mitomane,
seguito a ruota dal vociare di tutti.
- Guardate! Cammina sulle acque! Cammina sulle acqueee!
- E’ vero! Guardate tutti!
- Cammina sulle acquee!
- Come Gesù! Oh Signore mioo!
- Miracolo! Miracolooo!
Di fronte a cotanta improvvisa manifestazione di chiara divinità la
folla si prostra in ginocchio seguita a ruota dalle maestranze della
protezione civile, da Quagliarulo e dal maresciallo Esciallo, che più
forte di tutti lancia al cielo estatici “maresciallelujah”! Salvo Lanima
s’aggira benedicente per il piazzale, accarezza bambini sulla testa,
cavalli di Frisia sulla coda, ai quali dà anche lo zuccherino senza
prendersi il tetano, nonché parrocchiane fradice e laiche laide un po’
dappertutto per dove riesce ad accarezzare. Abbraccia poi il fratello
che ha gli occhi umidi di commozione per gli ultimi introiti delle
scommesse e si fa rendicontare la sua parte d’incasso in un bisbigliare
all’orecchio.
Poi, soddisfatto per le belle notizie, esonda.
176
- Vi voglio bene, figlioli. E ricordate: quel che è bene di consumo è
deperibile, ma il bene della finanza è eterno e divino. E ciò che è bene
per Dio deve esserlo anche per la società dei fedeli. Sottomettetevi alla
divina autorità degli algoritmi matematici, alla loro divina astrazione
tautologica auto-validante! Unitevi al nuovo culto della setta
Spesatanica! Sconti per comitive e la possibilità di partecipare a
favolosi concorsi con in palio vacanze da sogno su una nave Costa: un
premio che costa assai. Un diamante è per sempre, nella vostra umile
vita padana e non, ma il debito può santificare anche i vostri
discendenti fino alla settima generazione: pensateci.
Il culto brucia incensi al vitello d’oro e la gente semplice pensa: va
selina dove ti porta il cuore. La fastidiosa sensazione di prenderlo in
culto dura la frazione d’un attimo, poi tutto è gioia, piacere e divino
appagamento.
Lily Cavedano non si è persa neanche quella frazione e
gorgheggia eccitatissima nel suo microfono.
- Lì, lì, cavedano tutti! Egli cammina sulle acque, Egli è il bene di
consumo che trionfa sul male di vivere!
Salvo Lanima prosegue.
- Grazie agli esuberi saremo tutti più esuberanti di gioia e saremo
tutti meno ammalati grazie alla riduzione dei posti letto negli
ospedali! La divina conoscenza dispensata a piene mani dai santi
padri economistici consentirà a tutti di vivere più spensieratamente
anche se la dispensa è vuota: avremo più tempo libero, più riposo e
meno duro lavoro. Il sapere deve discendere il linea retta da Dio,
diciamo basta alle rette scolastiche! Diamo un taglio a questo nichilista
bisogno d’istruzione che, primo tra tutti, scava voragini di debito
pubblico. Che il pubblico lasci in pace il debito e si sieda davanti alla
televisione!
P.Uzzone, da lontano, urla a squarciagola.
- Egli ha le scarpe impermeabili Grand Marché, importate
direttamente dal Laos, le più utilizzate nelle risaie locali.
Dalle fila degli apostoli, Leda ledà bordone in controcanto.
- Sì, “Egli si va, sentendosi laudare, benignamente d’umiltà
vestito, e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol
mostrare…”
Telemaco Mefaccio, abituato a ben più mirabolanti fenomeni
paranormali, non è ancora del tutto convinto, ma la vista dei
giganteschi seni di Dana Rospicciolo che fuoriescono dal reggiseno
177
nonché dall’inquadratura, rinnova lo stupore dei suoi occhi bambini:
nell’elegante architettura di getti prodotti dalle tette, prende
nuovamente forma e forza il suo grande sogno d’infanzia, quello di
fare il poppiere. Così si unisce alla processione degli apostoli e
impugna la mammella destra a mo’ di idrante, indirizzando sulla folla
il getto di acqua benetetta.
Anche Omar Esciallo torna bambino e rivive l’emozione della
celebrazione religiosa per San Gennaro a Napoli: estrae dal taschino
una valanga di fuochi d’artificio, tricche tracche e botte a muro e
invoca la Maradonna affinché gli faccia la grazia di farsi la Grazia, la
figlia bona dell’addetto all’archivio comunale, Dario Sché. Dopodiché
s’accoda anch’egli al corteo. Quagliarulo invece cerca di defilarsi. Il
maresciallo lo afferra per il colletto.
- Quagliarulo! Ecché tiene ‘o tricche-tracche d’in ‘to culo? Statte
‘nu poche accà!
Felice Mentevivo, si sente vivo e felice come non mai, seppure
completamente fuori di transenno.
- Chiamatemi Dementevivo! Sarò il pazzo di Dio, il novello san
Francesco D’allacrisi. Anzi no! Sarò il filosofo della riscossione: san
Tommaso D’Aequitalia!
Alla guida del suo caterpillar cingolato di servizio disservizi,
spiana la strada alla processione degli spesatanici e accumula tutte le
transenne in un’alta montagna al bordo del parcheggio, subito
battezzata Transinai. I cavalli di Frisia scattano bradi a brucare al
vento erbette, culi di villici e di nutrie, ebbri senza fabbri che li
costringano.
Salvo Lanima sale sul monte Transinai e in cima a tale luogo sacro
riceve, direttamente da Dio, le tavole con i dieci comandamenti.
Ridiscende solenne a passo lento e pesante, anche perché s’è scofanato
tre chili di braciole del banco di Marcello, arrostite con cura al roveto
ardente.
- Figlioliii! Ascoltate la voce dell’Altissimo, fedelmente trascrittasi
sul tablet della legge con splendido display Retina retroilluminato a
led e oltre 64 Gigabyte di memoria! Uno: Io sono il Potere d’acquisto
Assoluto, non avrai altro stipenDIO fuori di me, tranne quelli che puoi
guadagnare in nero. Due: non risparmiare lo stipenDIO invano. Tre:
ricordati di santificare le feste recandoti all’ipermercato più vicino.
Quattro: fai la spesa anche per tuo padre e per tua madre. Cinque: non
uccidere i promotori di offerte speciali. Sei: non commettere atti
178
impuri, tipo prestare il trapano al vicino invece di mandarlo a
comprarselo. Sette: non rubare se non sei più uguale degli altri. Otto:
non dire falsa testimonianza nel modello ISEE. Nove: non desiderare
la donna d’altri, compratela! Dieci: non desiderare la roba d’altri,
compratela!
La platea è in visibilio: canta, lancia monetine, sventola portafogli
mezzi vuoti e si straccia le vesti, restando estaticamente in mutande.
Salvo Lanima decide che è il momento di celebrare la prima santa
messa ai forni della novella religione, così guida la processione fuori
dal parcheggio, verso il vicino inceneritore di San Pirlottero della
Credenza.
- Figlioliii! Non ci serviranno chiese o campanili! I centri
commerciali saranno i nostri sbrilluccicanti centri di aggregazione! Le
ciminiere delle fabbriche e degli inceneritori saranno i nostri
campanili, i cui pennacchi d’incenso nero chiameranno a raccolta i
fedeli per festeggiare i nuovi acquisti e rendere grazie a Dio per la sua
sconfinanza bontà.
Dalla folla si levano alleluja in ordine sparso e un unanime plauso
d’approvazione. Gli adepti si genuflettono davanti all’inceneritore, chi
per mostrare umile riconoscenza, chi per chiari segni d’intossicazione.
- Nulla si ha senza sacrificio, figlioli, dunque è giunta l’ora che la
comunità tutta espii i suoi peccati mediante la celebrazione di quello
che sarà il nostro più alto sacramento: il martiriosclerotico!
Brusio in platea. Qualcuno, evidentemente confuso, si fa il segno
della croce. Salvo Lanima prosegue.
- Ebbene sì, figlioli. E’ giunto il momento di liberarci dalla zavorra
non redditizia costituita da vecchi sclerotici altamente improduttivi,
causa primigenia del grave deficit di bilancio che ci affligge. Il tessuto
della nostra società ipertecnologica ha sempre più bisogno d’energia e
le materie prime scarseggiano. Vieppiù, è giunto il momento di
benedire interventi strutturali sulle pensioni, tagli drastici che
risolvano in modo definitivo i dissesti finanziari dello stato. Per
questo la giusta risposta alle esigenze di rinnovamento della sobria
economia moderna non può prescindere dallo sviluppo di centrali a
biocarburanti, in cui si termovalorizzino gli anziani pensionati, più o
meno arteriosclerotici. Diamo ora inizio alla celebrazione del nuovo
sacramento.
Tra i fedeli qualche anziano sacramenta, ma il ragionamento non
fa una piega e il rito ha inizio. Loris s’incammina mesto verso la bocca
179
spalancata dell’inceneritore insieme ad un’altra decina di vecchi
pensionati. A metà strada non si ricorda più cosa sta facendo e
rendendosi conto che sta per tuffarsi nel braciere ardente del termovalorizzatore cerca di tornare indietro, ma la fila autoflagellante dei
martiriosclerotici che lo segue lo sospinge avanti fino a precipitarlo
nel forno.
Mino oppone resistenza.
- Lasciatemi! Sono un reduce di guerra! Sono stato decorato al
valore! Anche voi… Anche voi mi avevate fatto maggiore dopo la
blobzarella! Non voglio, non voglio!
E’ tutto inutile. Con un ghigno da macellaio, Marcello lo abbranca
e lo scorta verso l’inceneritore mentre dalla folla si levano canti festosi
e osanna assortiti. Anche Leda partecipa all’esecuzione del rituale e
pungola il vecchio col bastone della Oròscopa, prodigiosamente
elettrificatosi. Inevitabile finale: Mino, sfuggito ai forni crematori dei
nazisti, ora perisce in quelli dei finanzisti.
Salvo Lanima intona un gloria e tutti, rapiti dalla mistica voce,
commossi e invasati s’aggregano in coro ammirando l’orizzonte con
sguardi vacui luccicanti.
Gli ultimi anziani sfumano nel nulla corroso da anidride
solforosa, senza un lamento.
180
21. Ultima Divagazione. Epilogomorra.
Da “Dixit” di Rai Storia – puntata del 6 Giugno 2066 –
“Rinvenimento di uno scheletro di Homo Oeconomicus negli scavi
archeologici di San Pirlottero della Credenza: retrospettiva sul come e
sul coma delle inco-scienze economiche dalla statistica di inizio secolo
alle teorie mistiche dell’iperprofitto” di Ester Eorai.
Qualche mese dopo l’avvento della nuova religione San Pirlottero
della Credenza divenne l’ombelico del mondo.
La casualità di un episodio di cronaca - il ritrovamento di Bianca
Polvere nel supermercato locale denominato Grand Marché - innescò
reazioni a catena che culminarono nella nascita dell’attuale filosofia
economica imperante sull’intero pianeta. Bianca Polvere, per quanto si
può sapere oggi, scomparve in una clandestinità tuttora non svelata,
forse nel deserto del Gobi, a confondersi con la fine sabbia gialla, o in
qualche atollo polinesiano, mischiata al pulviscolo radioattivo di
Bikini.
Don Dino Deno, in seguito autoproclamatosi Salvo Lanima Primo,
il maggiore dei due fratelli Deno proprietari del Grand Marché, in
quarantena nel suo supermercato, sviluppò la religione che lustrò di
fama il suo paese e fondò la Setta Spesatanica che tuttora fa proseliti
in ogni nazione della terra. Il profitto, la spesa, il pareggio di sbilancio,
la preminenza dell’economia insostenibile sul tutto, cardini della
filosofia di Salvo Lanima, si diffusero per ogni dove, grazie alla
globalizzazione delle comunicazioni. San Pirlottero della Credenza
attirò l’attenzione di ogni nazione e assurse ad una fama
sorprendente, anche per l’iniziativa imprenditoriale dei suoi abitanti
che già avevano sperimentato direttamente gli insegnamenti dell’ ex
prete.
Venne edificata una cattedrale dedicata al pupazzo di peluche
della trousse Primadonna, gelosamente custodito in una teca di
cristallo, che con l’economistico miracolo della lacrimazione aveva
dato il là alla conversione di San Salvo Lanima. Il paesino divenne
meta di imprenditori, di ideologi, di personaggi in cerca di visibilità.
Non era raro incontrare nel centro storico il Gabibbo e Wanna Marchi,
appena uscita con la condizionale, seduti nel dehors del bar
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principale, che pontificavano su falsi medium e offerte speciali con
Giorgio Mastrota abbracciato ad un materasso. Poco più in là,
danzando in cerchio padano un’allegra presa in girotondo degli ideali
leghisti, gruppi di trotaioli s’intrattenevano con grossisti sudafricani
di diamanti. Una ventina di onorevoli in schieramento trasversale
perlustrarono i quartieri più esclusivi per individuare un prestigioso
appartamento con bella vista da farsi acquistare a loro insaputa.
Torme di m’assaggiatori asiatici frequentavano corsi di “malleabilità”
promossi con geniale iniziativa da P.Uzzone che, affrancatosi dal
Grand Marché, sfruttava le sue doti di menagramo e manipolatore per
rigenerare il rottamabile in quasi-nuovo: celebre l’esperimento della
mela marcia trasformata in succosa Melinda del Trentino con appena
due grammi di fard e l’imposizione delle mani.
Anche Dana Rospicciolo si mise in proprio: mercificò il suo corpo,
come la quasi totalità di tutte le donne del paese, e organizzò una rete
internazionale di servizi e servizietti prendendo la cosa di petto. Il
logo della sua impresa, una tetta sul tetto del mondo, è tuttora
conosciuto fino in Lettonia.
La professoressa Leda Vanodieci istituì una compagnia di servizi
e servizietti culturali, nel senso dello stesso lavoro di Dana, ma col
sottofondo della lettura di passi decameronici del Boccaccio o di
pagine di Miller, per consumatori edonisti più acculturati impegnati
in figurazioni paganeggianti da ville pompeiane.
L’Adele Gato, che si prostituì a sua volta, ma con coerenza
intellettuale, finì male: rimase vittima di pratiche sadomaso di
premier e smise di vivere, soffocata, in una dacia presso Novi Sibirsk.
I servizi segreti fecero scomparire il suo corpo coperto di lividi
assicurandolo ad una incudine e affondandolo nei pressi di un
paesino che si affacciava sul lago Baikal. Gli ottocentocinquanta
testimoni involontari dell’accadimento furono passati per le armi in
una non meno precisata località della taiga siberiana. Gli oltre
duemiladuecento abitanti della taiga nei pressi dell’esecuzione furono
deportati a Vladivostok dove vennero affogati nell’Oceano Pacifico.
Vladivostok, successivamente, fu cancellata da una bomba atomica
sganciata da un aereo difettoso che esplose in volo: un comunicato
ufficiale addossò la colpa della distruzione della città a un terremoto e
sollecitò una sottoscrizione di fondi per le vittime. Il caso di Adele
Gato, dunque, fu insabbiato molto discretamente.
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Tutti i giornalisti presenti all’evento economistico, da Lily
Cavedano fino a Lina Picco, transumarono naturalmente nel campo
meretricico vendendosi al migliore offerente circa panzane e
pettegolezzi grassocci riguardanti la vita privata di chiunque. Lily
divenne una maitresse di un bordello di lusso, il Panorama Espresso,
ed era solita presentare la sua merce ed accogliere facoltosi clienti al
grido di:
- Lì e lì, ca vedano, siori. La mafia tentacolare per pratiche
masturbatorie multiple, la recessione al cesso per pratiche coprofile, la
crisi per chi ama le anoressiche.
Telemaco Mefaccio si specializzò nel leggere la mente della
concorrenza e Lina Picco nello spiare la stessa concorrenza
intrufolandosi tra le sue caviglie.
Marcello, che trattava (male) carni più o meno tradizionali, scoprì
che poteva vendere anche carne di cristiano, soprattutto in paesi
sottosviluppati, e imbastì una rete clandestina con una dottoressa sua
complice, Anastasia Anestesia che, a fronte di mazzette, date anche
sulla testa di funzionari burocrati recalcitranti, sottraeva vecchi
destinati agli inceneritori e li trasformava in succulenti hamburger o
arrosticini molisani con certificato molimedico. In seguito il sodalizio
si disfece e Marcello proseguì la sua attività di trasformazione senza
Anestesia.
La famiglia Ballu diversificò l’attività commerciale specializzandosi in padelle e pentole di rame ricavate dalle ultime grondaie di
San Pirlottero, fuse presso l’inceneritore attivato dai pensionati del
paese con urla disumane. Commerciò anche sacche di plasma e
protesi dentarie e avviò un fiorente import-export in tutti i paesi del
mondo dove non è coltivato l’aglio.
Chi si avvicinava ai sessantacinque anni cercava di mimetizzarsi
con tinture di capelli, plastiche facciali, corsi di dizione stentorea
anche con la dentiera, ma le squadre istituite da Salvo Lanima
cercavano senza tregua e soprattutto senza pietà convocando i poveri
pizzicati per l’esamino di sopravvivenza. Lo gestiva il Colonnello Esa
Mino, fuoriuscito dal RIS, che domandava agli sventurati qualcosa a
bassissima voce in sigle iperinformatiche. In genere la sordità e la
mancanza di aggiornamenti culturali condannavano all’inceneritore i
convocati che supplicavano invano, anche perché spesso non
ricordavano bene cosa dovessero supplicare. Protestavano mutui
inutilmente e venivano avviati al forno dove continuavano a
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protestare a voce sempre più forte mano a mano che si strinavano i
pochi capelli residui.
San Pirlottero era tutto un fermento arioso e aggiotaggico,
amoroso e amorale. Le nutrie dei fossati si vendevano le cuginutrie
per colbacchi e doposci; Olaf, felicemente sposato con Olga Binetto
Lindo, vendeva ciondoli e accendini agli innumerevoli thè delle
cinque, fino a otto o nove al giorno sempre alle cinque, organizzati da
Olga che approfittava per promuovere di suo ettolitri di amuchina e
tonnellate di bergamotto a comode rate da pagare a babbo morto.
Fu una rincorsa a capofitto al realizzare per il profitto. Le brave
massaie scopavano, spazzavano e aspiravano in ogni angolo delle case
recuperando poi la polvere raccolta che era venduta in preziose
ampolline certificate Pirlottero DOC. Si cominciarono a vendere i nani
da giardino, l’acqua delle fontane, le zolle di terra, i grumi d’asfalto,
nonché l’aria d’annata gran riserva, imbottigliata all’origine
dell’incubo. Quando venne rimossa la teca di cristallo della
Primadonna e si decise di vendere ad uno ad uno i santissimi peli del
peluche piangente, fu chiaro a tutti che si era ormai giunti all’inizio
della fine.
Difatti, di lì a poco, toccò ai mattoni delle case, come souvenir
turistici, e poi ancora agli arredamenti del Grand Marché, alla
chiesetta di San Pirlottero, dai banchi ai confessionali, fino
all’oggettistica spicciola. La cassa del supermercato, dove avevano
riposato le immani tette di Dana Rospicciolo, fu battuta all’asta per
una cifra iperbolica superata solamente dal turibolo e dall’aspersorio
di Salvo Lanima che furono acquistati da un facoltoso magnate
sudcoreano. Inutile dire che Turi Bolo non fu molto entusiasta di
cambiare aria, anche perché abituato alla soppressata e schifiltoso
riguardo allo spezzatino di cane.
Tutto fu venduto e di San Pirlottero a poco a poco non rimasero
che poche macerie da cui di recente è stato estratto lo scheletro di un
Homo Oeconomicus, e un vecchio cavallo di Frisia triste a brucare il
piazzale vuoto del supermercato. Così i sanpirlotteresi emigrarono
per nuovi lidi ad evangelizzare il mondo come nuovi pescatori
d’uomini della Findus.
Il Duo Deno si ricostituì a Las Vegas, con una succursale a Bari
vecchia, spazzando via ogni concorrenza nel campo delle scommesse,
regolari e clandestine nell’ambito del mondo del calcio. I due fratelli,
forti anche della loro esperienza ad uso personale, diventarono anche i
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più famosi procacciatori sul mercato delle escort da premier e
conclusero prematuramente la loro folgorante carriera imprenditoriale
in un lussuoso sanatorio canadese dopo aver montato un numero
impressionante di canadesi.
Il nuovo verbo, nonostante la dipartita di Salvo Lanima, cui
furono edificati monumenti e mausolei in varie parti del mondo, si
diffuse a macchia d’olio e oggi è l’unica religione ufficiale riconosciuta
dagli stati industrializzati di tutto il mondo. Iscrizioni obsolete come
“La legge è uguale per tutti” sono state sostituite con nuove iscrizioni
come “Tutto ha un prezzo”.
Le mamme di oggi, rispetto a quelle di trent’anni fa, vendono i
propri figli anche al chilo e in molte famiglie prende sempre più piede
l’abitudine di frollare da vivo il nonno con una sana alimentazione per
rivenderlo poi a quarti, due o tre settimane prima della data di
incenerimento.
E’ proprio vero: tutto ha un prezzo, dalla verdura alla carne, viva
o morta che sia, e la teoria dell’iperprofitto sta generando la
sottopolitica dei saldi, così che gli ideali economistici possano
rimanere ancor più saldi. Hanno cominciato i saldatori facendo prezzi
stracciati nella ricostituzione di grondaie di rame. Adesso stanno
continuando i saldimbanchi nei loro spettacolini alle fiere. Si
prevedono contrazioni di consumo e conseguenti ulteriori saldi in
ogni campo: Dana Rospicciolo sta meditando di ricavare nove tettine
dalle sue due monumentali per abbassare i prezzi delle sue
prestazioni giocando sulla quantità.
Anche lo scheletro dell’Homo Oeconomicus pare che sarà
venduto a pezzi, moltiplicando per ben 206 volte - tante sono le ossa
del corpo umano - l’entità soprannaturale del profitto emergente: una
costa qui, una tibia là, una falangetta a prezzi da usa e getta, chissà.
Il sistema si sta arrotolando su se stesso, come quell’ultimo cavallo
di Frisia, malinconico e involontario monumento ai caduti sul piazzale
del paese morto di San Pirlottero della Credenza, sfuggito allo
smembramento in sfilacci e controfiletti spinati, soltanto poiché
troppo arrugginito e a rischio di tetano.
Tuttavia, prima o poi, in mancanza di meglio, è probabile non
solo che anch’esso venga messo in vendita, ma che siano battute
all’asta pure le singole spore di tetano depositatesi sul suo corpo in
banca.
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Indice
Capitolo 1. Ore 19.00 del primo giorno.
L’effetto di una polvere sottile.
Pagina 5
Capitolo 2. Prima divagazione.
La quiete prima della tempesta e ritratto di cassiera.
Pagina 19
Capitolo 3. Ore 9.30 del primo giorno.
Un passo indietro per fare la spesa: e salvo l’acquisto.
Pagina 23
Capitolo 4. Seconda divagazione.
L’origine di un odio e ritratto di macellaio.
Pagina 35
Capitolo 5. Ore 16,00 del primo giorno.
Un altro passo indietro nel marasma generale.
Pagina 39
Capitolo 6. Terza divagazione.
Ritratti di profie e menagramo.
Pagina 47
Capitolo 7. Ore 20.30 del primo giorno.
Sera senza serotonina.
Pagina 51
Capitolo 8. Quarta divagazione.
Che la forza dell’ordine sia con voi!
Pagina 61
Capitolo 9. Ore 22.00 del primo giorno.
Sviluppi e avviluppi.
Pagina 65
Capitolo 10. Quinta divagazione.
Il Duo Deno.
Pagina 73
Capitolo 11. Ore 6.00 del secondo giorno.
Iniziative sparse e una grande elezione di civiltà.
Pagina 77
Capitolo 12. Ore 9.00 del secondo giorno.
Sia fuori che dentro, c’è gran fermento.
Pagina 87
Capitolo 13. Sesta divagazione.
Ritratto extracomunitario.
Pagina 99
Capitolo 14. Ore 11,00 del secondo giorno.
Bombe, bomboloni e quant’altro.
Pagina 103
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Capitolo 15. Settima divagazione.
Ritratto sindacale.
Pagina 115
Capitolo 16. Ore 13.00 del secondo giorno.
Dentro e fuori: tutti ad indagare d’appalto.
Pagina 121
Capitolo 17. Ore 17:30 del secondo giorno.
Paese mio che stai sulla collina (cit.). La noia...
Pagina 135
Capitolo 18. Ottava divagazione.
Pagina 147
Ritratti che potrebbero anche non esistere. Eppure esistono.
Capitolo 19. Ore 19,00 del secondo giorno.
Polvere eri e polvere ritornerai.
Pagina 151
Capitolo 20. Ore 20,00 del secono giorno.
Col buio si fa chiaro.
Pagina 167
Capitolo 21. Ultima Divagazione.
Epilogomorra.
Pagina 181
Indice.
Pagina 187
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