Pierantonio Marone L'identità perduta Romanzo 1 Romanzo “L’IDENTITA’ PERDUTA” Nella trascrizione del romanzo, l’autore si è impegnato ha voler esporre re i lati deboli e nascosti dei vari personaggi. Nelle loro anime confuse, dove i sentimenti ancestrali si confondono a ritroso. Coinvolti inaspettatamente in una scabrosa vicenda. Nel trovarsi inseriti in una spirale malavitosa. Dove la morte è sempre in agguato e la sopravvivenza è difficile. Tutto e appeso ad un logoro e sottile filo, che si può rompere da un momento all’altro. Il giovane Mauro Rossi, è alla ricerca della sua vera identità. Perduta nel giallo che compone l'ingarbugliato mosaico della vicenda. Capitatagli addosso, a suo parere senza motivo. A trascorso quei momenti drammatici, attimo per attimo col fiato sospeso. Lottando più che aspramente per tentare di salvarsi la vita. In una frenetica ricerca di una via d’uscita, per sé e i suoi compagni di sventura. Intrappolati loro malgrado in quella diabolica congiura. Ma altrettanto desiderosi di vivere ancora un poco. Portandoli impensatamente a sfogarsi nell’erotismo più sfrenato nell’attesa della morte che li attende spietata dietro l’angolo di casa. I fatti e personaggi, oltre ai luoghi descritti nel romanzo, sono puramente casuali. Muggia 1999 La letture di questo romanzo etero omosex è consigliato ad un pubblico maggiorenne L'autore del romanzo si scusa per il linguaggio talvolta un po' scurrile. 2 Personaggi: Mauro Rossi studente nato 6\9\71 Padova Andrea Prandi rilegatore nato 6\6\74 Cosenza Stefano Nardelli poliziotto nato 16\5\72 Catanzaro Concetta Prospero affittacamere di Arcavacata Serena Rottai ex ragazza e amica del Prandi Pietro Rottai avvocato di Cosenza Elena Curry Rottai titolare di una tipografia a Cosenza Carmine Loderzo spacciatore e tossicomane Sandro Narduzzi tenente di polizia Adriano Rizzi Commissario di polizia Giancarlo Gorelli Capo Questore di Cosenza Francesco Rossi Magistrato della Corte Suprema a Roma Franco Rossi fratellastro di Mauro Enrica Cotta Rossi madre di Mauro Alberto Calindri Procuratore di Cosenza Mario Lodetti Giudice di Cosenza Dario Guzzelli Magistrato del CSM di Roma Carla Guarini futura sposa Giovanni Guarini Ministro Beni Culturali Belletti - Tardito appuntati di polizia Antonino Trani macellaio di Reggio Calabria Sandrino Trani figlio legittimo Carmela Turi Trani moglie del macellaio Rosalba Prandretti maitres di Messina Francesco Baro boss di Catania Carmine Buretta Mister Boston padrino e boss di Palermo Carmine Rocco - Turiddu Rosi killer siciliani Luigi Baro - Giacomo Folpi - Carmelo Sunito killer malavitosi napoletani Giovanni Doi - Alvaro Monetti killer malavitosi calabresi Anselmo Mitani - Gaetano Cossi orafi palermitani Krossu Tenente della motonave greca Elpida “Speranza” Ados Capitano dei traghetto “Calipso” Akhilleos Kirkis contrabbandiere e nostromo del “Zeus” Elena ragazza greca bramosa di successo Elka - Frida gemelle svedesi ragazze molto gioviali Spiros scultore, geniale artista e falsario di Ziros Alexanders Stavoskopulis Capitano e proprietario del “Zeus”, goletta Nikos Dromos dottor di bordo del “Zeus” Ahmed Thibnm studente e marinaio dello “Zeus” Maurices Ros marinaio studente in giurisprudenza dello “Zeus” 3 identità perduta 4 Prologo Nell’aria aleggiava un caldo opprimente. Era impossibile trovare un angolo fresco e ventilato per trascorrere poche ore in santa pace. Era ciò che stava pensando il giovane, disteso sul sedile reclinato della propria auto. Stava borbottando tra sé incavolato per quella improvvisata sistemazione. La poltrona dell’auto ad uso sportivo, era abbastanza dura per la sua forma anatomica, e alquanto scomoda per poter riposare almeno un poco. In aggiunta, l’afa diventava sempre più soffocante e irrespirabile. Il sudore gli colava ormai copiosamente da ogni parte del suo corpo; rendendolo sempre più nervoso e irascibile. Nel disperato tentativo di dormire e dimenticare tutto. Sì, proprio tutto. Tutto di ciò che gli era capitato addosso in quei giorni, divenuti per lui neri e sfigati. Pertanto, senza pensarci due volte, decise di mettersi in viaggio. Per non dire esattamente una insensata fuga. E impensatamente si era fermato proprio lì, in quell’area di servizio sull’autostrada A3 al Sud d’Italia. Perché in fondo a tutto era troppo stanco e incavolato per proseguire ancora e dileguarsi in quella sua folle corsa, verso la presumibile libertà immaginaria. Pertanto, in quel dormiveglia fatto soltanto d'irritazione e contraddizioni, cercava almeno in parte di riordinare i fatti succedutogli. A un certo punto il giovane gli sembrò che aumentasse quella nausea che aveva addosso, provocata dal forte odore dei fiori di tiglio. Era abbastanza penetrante quel effluvio emanato dalle piante lì attorno. Poi inglobata a quella atmosfera torrida e tesa, da aumentare quel suo nervosismo e affanno, da trovarsi pronto per vomitare fuori anche l’anima. Ma ahimè, il suo stomaco era vuoto, per non ave avuto il tempo e la voglia di metterci dentro qualcosa. Capendo che non era l’ideale come posto per rilassarsi e dormire. Mentre sbuffava e imprecava tra i denti scontento più che mai di tutto e del posto. D’altronde a quel punto gli seccava dover proseguire e cercare un altro luogo più decente e più fresco per riposare. Aveva persino pensato di uscire dall’autostrada e trovarsi qualche motel con un comodo letto, ma quell’idea l’aveva già scartata prima di pensarla. In fondo a tutto non sapeva nemmeno lui cosa veramente intendeva fare in quell’assurdo e scombinato viaggio, intrapreso così d’impeto. Per non dire spinto da una forte e pressante arrabbiatura antecedente. Alla fine, cercò di superare quella avversità e repulsione, riprendendo a ripercorrere mentalmente i suoi vacui progetti per l’avvenire. Quella spudorata fuga, per risolvere i 5 suoi problemi famigliari, in fondo a tutto non gli sembrava una cosa ben congegnata. Anzi, era più precisamente una vigliaccheria belle e buona. Forse, per paura di affrontare la vera realtà che gli si prospettava davanti a tutto. L’aveva obbligato a riprendere in mano quella sua vecchia idea di evadere e fuggire. Quel dubbio rimasto in sé, contrastava e si opponeva in parte, nell’aver forse commesso una grossa sciocchezza. Ma alla fine, detto e fatto, aveva preso la sua decisione d'andarsene da casa per sempre. Sapendo per certo che non avrebbe mai più fatto ritorno sui suoi passi, era più che mai deciso nel buttare il passato oltre le spalle. D’altronde, lo sapeva più che bene, ch’era sempre stato un po’ la pecora nera della famiglia Rossi. Pertanto, avrebbe evitato in avvenire di dare altre rogne e seccature. Oltre alle grame figure ai famigliari, speranzosi di un suo rinsavimento. Lui era sempre stato un po’ deriso e accantonato da tutti, nessun escluso. Messo in minoranza a proporre e pretendere qualcosa. Alla peggio, avrebbe dovuto accettare qualsiasi decisione che gli veniva imposta dai suoi famigliari. Se voleva avere un minimo di sostegno finanziario al momento. Altrimenti sparire per sempre senza rimpianto. Perciò, visto dopotutto che non poteva contrastare con l’autorità di un padre padrone, nonché giudice di alto prestigio, aveva deciso d'andarsene via. Piuttosto che accettare intrallazzi machiavellici, in un fidanzamento prima e un matrimonio senza amore dopo. Basato soltanto su ipocriti interessi altrui. Alla fin fine, era soltanto a beneficio delle varie famiglie interessate. Per giunta lui, era già reo di vari scandali rosa, in un comportamento disdicevole al suo rango e a discapito del buon nome della famiglia Rossi. Mettendoli al centro dei pettegolezzi mondani dell’alta società romana. E da quel lato erano più che veritiera la sua colpa, era un po’ avvezzo ai piaceri libertini, dopo aver raggiunto i diciotto anni. E ora a ventiquattro anni, non si sentiva ancora pronto per certi passi che gli avrebbero condizionato la vita e precludere ogni libertà per il futuro. Certamente, avrebbe in seguito potuto sdoppiare la sua vita con diversivi ineccepibili. Magari usando il danaro cospicuo dei futuri suoceri per placare i suoi bollenti istinti di ribellione, se ancora ne rimaneva traccia. Ma lui, non se la sentiva d'escogitare meschine messinscene, per fare buon viso alla cattiva o buona sorte. Lui voleva la sua libertà e in assoluto la sincerità su ogni trattativa. Per lui, oltretutto, era sempre stato del parere di trovare lui la persona giusta per amare e sposare, la donna designata dal destino. Ma per il momento, nel suo subconscio v’era un secco, no! A quella proposta che diveniva quasi un obbligò. Pertanto preferiva 6 pronunciare con orgoglio quel rifiuto, che accettare a testa bassa la rituale sottomissione, del: “Sì papà! O era più giusto dire, si padrone!” E in quella fuga così precipitosa, fatta per evitare discussioni e ripensamenti, oltretutto capendo che stava per esplodere per l’incazzatura che aveva in corpo. Aveva preso l’auto, ancora calda dal viaggio appena giunto da Padova e inforcato la prima strada che gli era capitata a tiro, senza saper bene quale meta prendere di preciso. Oltre nel voler far perdere le proprie tracce. Cercando un luogo per poter meditare e calmare la sua rabbia. D’altronde a quel punto, l’importante era allontanarsi il più lontano possibile da Roma e dai suoi famigliari, che di famigliarità v'era ben poco. Lui, essendo nato mezzo bastardo e per sbaglio, e non per volontà di Dio. Pertanto si sentiva già in parte umiliato e abbandonato a sé stesso. Scaturito fuori proprio per caso e quale fosse il suo vero padre non l’aveva mai saputo. A quel punto non gliene importava più niente di appurare delle verità sconvenienti per molti. Da piccolo aveva imparato ad amare quel padre che gli aveva dato un nome e un misero affetto. Ma lo redarguiva sovente e per nulla, mentre lui, insisteva smisuratamente a cercare l'affetto che non trovava. Auspicava sempre in un cambiamento in avvenire. Sperava anche nel bene e affetto di una madre che viveva nell’indifferenza più totale. Rimproverandolo continuamente di essere soltanto fastidioso e rompiscatole e non bravo e ubbidiente come il fratellastro maggiore. Mai una volta avesse ricevuto un bacio una carezza, all’infuori della balia. Certo non poteva dire che lo maltrattavano, ma l’affetto che lui cercava da loro non l’aveva mai avuto a profusione. E tutte quelle piccole o grandi controversie a suo danno, l’avevano tremendamente fatto incavolare, da divenire per dispetto a tutti, una piccola peste famigliare. Poi la vera storia della sua esistenza, glie l’aveva svelata e sbattuta in faccia il fratellastro maggiore di quattro anni. Figlio della prima moglie del noto magistrato romano Giuseppe Rossi. E la causa fu, una disputa tra ragazzini per l’uso di un’altalena nel giardino di casa. Suo fratellastro che a quel tempo aveva undici anni e lui sette, gli aveva rinfacciato con disprezzo e cattiveria la verità: < Tu, sei solo un bastardo! Tua madre, la mia matrigna... In un soave ricevimento tra nobili e altolocati finanzieri. Quand’era in vacanza sola, alle Bermuda. Si è fatta sbattere da qualcuno. Qualche puttaniere... Ed è rimasta in cinta. A quel tempo era già sposata con mio padre. Ma non si è accorta subito per abortire. Pertanto mio padre s’è incazzato tanto con voi due. Avere tra i piedi un piccolo bastardo. > 7 < Non è vero! > ricordando che aveva risposto deluso e mortificato per quella verità ripugnante, mentre l’altro beffardo continuava a dire: < E’ la verità! L’ho sentito dire da mio padre, che urlava contro tua madre, mentre discutevano in camera loro. Solo tre anni fa' l'aveva scoperto mio padre. Da un documento che mostrava alla signora... E tua madre gli aveva risposto ch’era stato soltanto uno sbaglio. Perché aveva bevuto un po’ troppo e si sentiva sola in quel momento... Poverina! Ma, ha promesso che non sarebbe più successo e avrebbe lasciato tutto il suo patrimonio a papà. Purché lui la perdoni e vi tenga qui in famiglia, per non farlo sapere in giro che sei figlio di un altro. Capito? Perciò, tu non puoi pretendere nulla. Hai capito! Piccolo bastardo? Io sono e sarò l’unico erede dei Rossi... > Rammentandosi che gli aveva allungato con forza una sonora pedata nel sedere, da buttarlo giù dall’altalena, facendogli altre sì male. Mentre ripensava stranamente a quel fatto ormai lontano. Da sentirsi nuovamente incavolato da quella antecedente rivelazione. Ricordando che a quel tempo si era lasciato andare in lacrime. Mentre continuava a domandare al perfido fratellastro, il perché quel padre li teneva in casa se non li sopportava? E quel coglione rispose con un ghigno sadico: < Per il semplice fatto che il danaro è di tua madre. Ma a papà gli serve quel danaro per certi affari. Pertanto, lei ci tiene ad essere la signora Rossi... La nostra famiglia è conosciuta e rispettata da tutti qui a Roma. E per andare d’accordo con mio padre a imparato anche tua madre, a lasciare che papà diriga ogni cosa, anche la tua vita... Capito? E sinceramente anche a tua madre, non è che gli vai tanto a genio. Tu sei soltanto un rompiballe e la tua presenza e i tuoi capricci fanno arrabbiare tanto papà. Ma presto ti metterà in un collegio lontano da Roma. L’ho sentito dire proprio l’altro giorno. Pertanto devi solo far silenzio e accontentarti di quello che mio padre deciderà per te. Capito, piccolo bastardo? E se fiati con qualcuno di queste cose che ti ho appena detto, ti ammazzo di botte. Bastardo! > Ancora ora in quel momento di ripensamenti, a rivedere quei fatti, si sentiva abbastanza umiliato. Oltretutto capiva che a quel tempo quella verità gli suonava così sorda, ma al tempo stesso intuita, più che sentita dentro al suo cuore. Effettivamente era già da molto tempo che dubitava di quel restio amore da parte di sua madre nei suoi confronto, la trovava cosi frivola e volubile, oltre ai drink che ingurgitava di nascosto. Ed ora capiva ch’era stato travisato dal bere della madre. Ma testardo supponeva fosse quello il vero motivo per quel mancato affetto. Effettivamente doveva ammetterlo non vi era mai stato un briciolo di amore nel cuore di sua 8 madre. Poi, alla fin fine, anche quel caro fratellastro gli faceva tanta rabbia, ma al tempo stesso una pena. Era il preferito della casa, per non dire che faceva veramente il leccapiedi, sia con la madre che con il padre. E per ciò, lui per ripicca continuava a contrastare ogni cosa, mettendosi contro tutto e tutti. E così a otto anni si trovo spedito in un distinto collegio a Padova per essere rinsavito. Mentre ripensava, che in parte fu felice per quella lontananza da casa. Dandogli l’opportunità di farsi degli amici, che a suo avviso, certi, si rivelarono più sinceri e affettuosi. Ma con il passare del tempo, si era stufato di sottomettersi e mendicare quei tre soldi che gli passava il genitore. E forse era proprio per quello, che quel poco danaro che riceveva lo sperperava con le signore del posto, ch’era ben gradita la sua presenza e prestanza. E tutta quella ribellione, era solamente una forma di ripicca e null’altro, scaturita nel suo subconscio. E perciò, dopo aver appreso al suo rientro a Roma, di certe idee del padre di sistemarlo secondo i canoni della famiglia Rossi, si ribellò decisamente. Così alla fine lui, aveva optato per la sua libertà. Supponendo ch’era la via migliore da prendere in quel momento, evitando ogni guerra e controversia a suo discapito. E in fondo a tutto, era ormai stufo di contrastare su ogni cosa, pertanto pensò con un certo sollievo, ch’era il modo migliore quel che stava facendo. Sparire dalla circolazione. E solo in quel momento si ricordò, che avrebbe dovuto tornare a Padova per prendere le sue cose e forse proseguire gli studi alla Facoltà di Legge. Ma certamente costretto a continuare ancora e assoggettarsi alle regole per il bene e la tranquillità di tutti. Oltre per il collegio e i docenti, che veniva considerato il suo comportamento abbastanza scandaloso e disdicevole. Pertanto a quel punto, aveva ormai preso la sua decisione di tagliare tutti i ponti, porgendosi una misera spiegazione a sua difesa: “Senza casa, senza eredità e pochi soldi in tasca e senza una moglie che non amo. Oltretutto uggiosamente petulante e senz’altro mi avrebbe in avvenire rinfacciato continuamente il danaro di suo padre che si sarebbe portata in dote. Pertanto e al momento voglio essere libero. E gli studi li proseguirò senz’altro altrove, il mondo è così vasto. Visto poi, che i miei famigliari preferiscono investirmi come una cambiale a lunga scadenza. Senza badare alle mie più che plausibili idee e prospettive valide per il mio futuro. Pertanto, a questo punto che vadano a farsi benedire tutti quanti. Sono per tutti un gran bastardo e resterò tale... Ma chi se ne frega! Sarò libero come il vento.” espose tra se annichilito. 9 Restò un bel po’ a rimuginare il tutto, mentre avrebbe voluto dormire un poco. Dopo la notte precedente passata in bianco, con mille pensieri e miseri rimorsi sulla coscienza. Gli rodevano buona parte dell’anima sulla sua decisione un po’ avventata. Sinceramente non era mai stato votato per l’avventura. Pensando, che in fondo aveva sopportato per ventiquattro anni la sua famiglia e poteva anche accettare quella rompiscatole di fidanzata acquisitagli, ma era più forte di lui l’avversione. Si girò varie volte sul sedile dell’auto ormai fradicio del suo sudore, mentre poco lontano, il forte parlottare di un gruppo di viaggiatori aumentò la sua irritazione. Tutto quel baccano proveniva da un gruppo di persone poco distanti, dall’aspetto un po’ mal certo e indistinto. Destavano più di qualche sospetto nell’ascoltare i frammezzati discorsi, così scurrili nel ridere a squarciagola. Erano poco convincenti? Poco prima nel recarsi all’autogrill, il giovane Rossi era passato accanto a loro e aveva avuto la percezione di qualcosa di poco chiaro, mentre quelli confabulavano tra loro sornionamente. Da impensierirlo ai quesiti che si poneva tra sé, e al perché quei sospettosi tipi erano lì quella notte? Lui si sentiva stranamente a disagio nel passagli accanto, da percepire una tale riluttanza per quegli strani individui che discutevano animosamente alle tre di notte. In quel turpiloquio così sboccato e volgare, gli dava veramente da pensare strane cose: “Chissà perché mai, mi preoccupò tanto per loro?” Mugugnò tra sé e sé pensieroso, ma alquanto scosso e agitato, sebbene nessuno aveva fatto caso al suo passaggio nel viale alberato. Poi il giovane cercò di non darci troppo peso e di dormire almeno un poco, evitando di pensare oltre e ai suoi pensieri contrastanti tra loro, in quella notte così lunga e afosa da far passare. 10 Antefatto Intanto, poco lontano i quattro uomini in questione, abbastanza ebbri dall’alcol, bighellonavano accanto ad un’auto scura di grossa cilindrata. Mentre si stavano scolando l’ennesima bottiglia di birra. Veniva condivisa tra imprecavano e insulti senza mezzi termini a voce alta. Il tutto era indirizzato contro un loro compare che attendevano impazienti il suo arrivo. Almeno un suo segnale convenzionale attraverso il loro cellulare. Varie volte erano stati tentati di richiamare il tizio, ma avevano ricevuto l’ordine di evitare contatti, oltre a non recarsi all’autogrill lì accanto per prudenza. Pertanto fino a quel momento non v'era stato nessuna chiamata e la snervante attesa di sapere qualcosa di concreto diventava pressante. Obbligandoli ad aspettare nell’incertezza, senza saper bene il da farsi e per di più attendere proprio lì in quell'accaldata piazzola d'emergenza, ch’era diventata veramente estenuante l’attesa. Aumentando i loro umori rissosi al massimo, da aspettarsi da un momento all’altro una buona scazzottata tra loro o con qualcuno che capiti a tiro. Due ore prima i quattro individui sospetti, avevano percorso a rilento l’autostrada versi il sud, per fermarsi proprio lì in quel posto per aspettare l’arrivo di una bianca Mercedes targata Palermo. L’auto viaggiava nel loro stesso senso di marcia e avrebbe dovuto fermarsi proprio in quel posto. Questo era l’ordine ricevuto e eseguito alla perfezione sino a poco prima. L’ordine era di far pedinare l’auto segnalata, poi nella sosta obbligata nell’area di servizio di Campagna ovest, a pochi chilometri da Eboli, sarebbe iniziata l’operazione: “Recupero merce avariata”. Le direttive espresse dai loro capi: persone rispettabili e insospettabili, situati molto in alto e non disposte ad esporsi in prima persona per irrilevanti missioni del genere. Avevano perentoriamente spiegato al capo, che sull’auto in questione, proveniente da Napoli, su cui viaggiava tre distinte persone. E in quel caso gli incaricati al trasporto erano degli insospettabili commercianti di pietre preziose palermitani. Viaggiavano con il benestare di altolocati personaggi, dirigenti, ufficiali corrotti. Il tutto veniva unto per bene, con cospicue e sontuose mance ai vari punti chiave per una giusta approvazione alla causa. In quel modo l’organizzazione siciliana si espandeva silenziosamente ovunque, senza intoppi. Perciò, gli assalitori avrebbero trovato nell’auto palermitana, delle valigie piene di cocaina pura, pronta per essere tagliata e smerciata. E a quel punto, il compito 11 assegnato ai quattro individui, era d'eliminare il personale viaggiante e sequestrare la merce, tanto richiesta sul mercato. Ma purtroppo, nei pressi di Salerno era sorto un piccolo intoppo all’auto palermitana, aveva avuto delle noie al motore prima del previsto. Da dare a pensare a uno sbaglio dovuto nell’inserimento del timer: predisposto per interrompere la marcia dell’auto al momento giusto. Antecedentemente inserito di nascosto dalla talpa che si era infiltrata da tempo nella banda rivale come autista fidato. Portando un disguido nel loro piano iniziale. Inoltre, quell’operazione aveva uno scopo ben preciso, far valere e affermare le proprie operazioni di controllo e direzione su qualsiasi cosa passi per le zone indicate e contrassegnate a suo tempo delle varie faide in gioco. Avevano pagato profumatamente l’autista doppiogiochista, perché proprio nell’area di Campagna ovest quell’auto si sarebbe dovuto fermare, entrando così nella loro giurisdizione e controllo del territorio mafioso della faida calabrese. Da innescare una piccola guerra fredda tra ndrangheta calabrese e la mafia siciliana. Una lotta continua di reciproche rappresaglie con il sorriso sulle labbra. Il tutto per arrivare alla predominanza dei vari territori con inimmaginabili guadagni. Ma altrettanto sporchi di sangue umano acquistato a poco prezzo. Ad un certo punto il telefonino appoggiato sul covano dell’auto incominciò a squillare, il tipo che sedeva sul parafango s'allungò e lo prese con uno sbuffo, imprecando ad alta voce: < Accidenti, era ora! > mentre s’allontanava un poco dal baccano infernale che facevano i compagni ormai sbronzi. Quel trillo li aveva bloccati per un momento, mentre lo stavano fissando inebetiti a bocca aperta a boccheggiare come dei pesci fuori dall’acqua. Dopo aver parlato il tizio corpulento ritornava tra loro, dicendo, mentre deponeva il cellulare nel taschino della camicia sbottonata e madida di sudore: < Dovremo aspettare qui. C’è stato un intoppo e l’auto si è incagliata molto prima... Sono proprio delle teste di cazzo! > imprecò con voce grossa: < Cribbio! Non sanno neanche preparare una rapina come si deve e inoltre... Pazienza se poi ci scappa il morto... > scoppiando a ridere. Uno tipo, alto e smilzo, ribatteva a denti stretti: < Capo, cos’hai detto? Non resteremo qui per davvero, tutta la notte. In questo cesso di fogna? > < Così soffocante. Spero proprio di no? > sbottò di rimando un altro. < Già! E’ proprio quello che dovremo fare nelle prossime ore. Purtroppo dovremo stare qui tranquilli e aspettare quello stronzo del segugio. Arriverà prima dei palermitani e porterà gli strumenti musicali. > 12 < Che stronzate! E noi qui, con il pericolo che giunga la polizia a controllarci i documenti e chiederci cosa facciamo? > < I nostri documenti sono a posto. > asserì il tipo seduto nell’auto, mentre alzava la bottiglia di birra a brindare, ma inciampando nello sportello aperto dell’auto, rovesciandosi addosso una buona parte del contenuto, proprio sulla folta barba. < Merda! > imprecò. Mentre il più anziano del gruppo tentava di trovare un’altra bottiglia di birra nel baule dell’auto, frugando fra valige e borse. Ma nella sua imbranata mente sobria di birra, aveva appoggiato la mano sopra l’interruttore della luce, rimanendo al buio. Essendo poi un po’ corto di vista, imprecò contro quel disguido ma non capì ch’era la sua mano appoggiata a creargli confusione. Infine, mise dentro la testa finché non riuscì nel suo intento, ma nel rialzarsi urtò la testa contro il cofano facendolo imprecare: < Por.. porca puttana! Questa carriola d'auto, che s’accende la luce quando gli pare. > L’auto l’avevano ritirata il giorno prima da un box privato a Roma. Era un’Alfa Romeo 164 blu scura e i loro proprietari, erano lontani da casa per un lungo week end, e non s’accorgeranno di nulla di quel furto sino al loro rientro. E guarda caso il proprietario dell’auto aveva una piccola industria metallurgica in Germania. Proprio da dove venivano quei quattro e i loro documenti lo confermavano: Dussendolf. Operai italiani che lavorano all’estero come muratori, meccanici, e per caso uno di loro faceva l’autista santuario dell’industriale romano. Ed era anche amico intimo, intimo, dell’autista che guidava sempre quell’auto, ora a spasso per il mondo per non dire a letto con il galante padrone romano. Pertanto erano tranquilli, avendo fatto in vari incontri amorosi a Dussendolf, un doppione di chiavi, sia per l’auto che per il cancello della villa e l’antifurto con relativo codice, così tutto doveva procedere nel modo più assoluto e sicuro. L’anziano controllò il contenuto della bottiglia alla luce del lampione e mormorò con la lingua ingarbugliata. < Ragazzi! V'avviso che siamo ridotti male a birra, questa è l’ultima. > poi s'abbassò e frugò ancora tra le valigie, alla fine trovò quello che cercava, un panino con del salame e formaggio che sbavava da ogni parte per il forte caldo di quel giorno. Alla fine sbatte rumorosamente la bocca per sciogliere la lingua impastata dall’alcol nel chiedere: < Ma, dimmi un po’ Carmelo. Veramente, dobbiamo aspettare qui, quei tre stronzi siculi? > E l’altro borbottando, spiegò: < Già, hai più che ragione Giacomo. Vogliamo prenderci la nostra parte, allora dobbiamo restare qui. Anche se c’è qualcuno che non capisce proprio un cavolo di sequestri e rapine. Porca 13 puttana! > sbraitò quello. Mentre un altro diceva: < Io, sinceramente devo dire, che l’hanno preparata proprio con il culo... questa operazione del... Cazzo! > ribatte Luigi, più che mai convinto degli intoppi a ripetizione, oltretutto era anch’egli infastidito per quel caldo soffocante che imperversava sul posto. Infine riprendendo a dire mentre si asciugava la fronte, ed espose la sua calda opinione: < E noi qui a grattarci la pancia per loro. Accidenti, a tutti quanti, ‘sti fessi imbranati! > Altrettanto Giacomo continuava a inveire epiteti ai dirigenti di quell’impresa mal riuscita. Mentre alzava in alto la bottiglia, facendo uscire buona parte del contenuto poi, riprese a dire: < E pensare che quel testa di cazzo di Monetti e compagni, pretende che noi l’aspettiamo qui, come dei fessi. Lui verrà a darci nuove direttive, oltre a portarci l’artiglieria pesante... Ma vada a farsi fottere, quel rompiscatole! > Seguito nella tiritera da Giovanni, che seduto sul cofano dell’auto se la stava ridendo a crepapelle, poi s’intromise a dire a sua volta: < Poi quell’altro stronzo di Curri, ha detto: “Meno male che l’autista è riuscito a riparare il guasto senza farsi notare e ripristinare il time per le prossime ore”. E lui il segugio, rimarrà ai calcagni dei palermitani. Ci avviserà con il cellulare, appena quelli ripartiranno da Salerno e si avvicineranno da questa parte. Capirete che sforzo dovrà fare, con il dito sui pulsanti del cellulare. Ma che stronzate del cavolo! Vanno a tirare fuori. Cazzo! Cose dell’altro mondo! E noi qui ad aspettare che ci prenda la pula, prima ancora d’incominciare. Vorrei proprio sapere chi è quello stronzo che ha ideato questo piano perfetto? > < Sai cosa ti dico Luigi! Alla fine di tutta questa storia, noi saremo nella merda fino al collo e loro si godranno anche la nostra parte di soldi. Quei figli di puttana! Ce la stanno ficcando in culo senza vaselina. Ed è più che certo... Te lo dico io. Porca puttana! > Mentre Carmelo che sembra il capo, cercava di calmarli dicendo ancora ai compagni: < Be’, sì! In parte hai ragione anche tu, ma credimi bisogna anche capire che può capitare talvolta dei disguidi... > < Ma che disguidi del cavolo! E’ che qualcuno a Reggio ragiona con il culo, invece della testa. Cosa servono tutte queste cianciane? Bastava solamente che dicessero a noi cosa prendere e tutto si sarebbe svolto velocemente e per il meglio. Vero? Vi ricordate quella rapina dell’altro anno alla banca di Friburgo? E’ stato un successo e senza tante storie e danni. Invece qui, telefonate inutili e facili da intercettare, sposta i punti d’incontro, aspetta che passa la polizia e facciamo passare il tempo a 14 menarci l’uccello, in attesa di finire al fresco tutti quanti... Questo sarà il finale di tutto. Credetemi ragazzi. In galera finiremo! Che goduria, sarà una pacchia! E tutto questo è perché? Non sappiamo dire di no a dei compaesani di merda. Veramente! Credetemi... > < Dai, non fare l’uccello del malaugurio! > lo redarguì Carmelo pensieroso e Luigi di rincalzo: < Quell’avvocato di merda non ha capito proprio nulla. Non sa organizzare una semplice operazioni. Al posto del cervello, ha una testa di minchione, ma bella e grossa! Crede che basti soffiare sotto il naso la roba ai nostri concorrenti e che subito tutti calino le brache s’inchinano a culo aperto. Balle! Rottai ha detto che quelli devono pagare un pedaggio... Mi sa invece, che qui c’è sotto dell’altro? Credetemi! I fessi siamo noi che gli mettiamo la pappa in bocca e poi saremo noi che finiremo tutti dirittamente nella brace. E se tutto va bene, in galera. Tra poche ore saremo tutti al fresco... State pur certi! > < Già, hai più che ragione. Non avevo pensato a tutte queste menate del cavolo. Quel Rottai è nient’altro che un lurido tirapiedi. Lui pensa che Mister Boston, se la fa sotto dalla paura e gli verserà la sua parte. Minchionate! Quello non è il tipo che si fa prendere per i fondelli, state pur certi... E non si è scomodato dal venire dall’America per niente. > Mentre Giovanni interveniva dicendo la sua idea, espressa tra un rutto e un altro: < Io dico, che appena abbiamo fatto la nostra parte di lavoro. Insomma il colpo e consegneremo la merce a quell’avvocato del cavolo. Ci prendiamo i nostri soldi alla svelta e ci eclissiamo via come il vento. Prima che quelli di Mister Boston, ci rompano loro i fondelli a noi... Chiara l’idea, ragazzi! > < Calma ragazzi! > riprese Carmelo per acquietare gli animi. Ma subito Giacomo, ormai su di giri per l’eccessiva birra ingoiata avidamente. Prospettava qualcosa, con un sorrisetto furbesco sul suo viso rugoso e inebetito: < Be’, ragazzi! Tanto per cambiare discorso, ma egualmente restare nell’argomento culinario... Avete visto passare di qui, quella checca che sculettava così bene poco prima? > < Quello, chi? > sbotta Luigi il più giovane del gruppo, il biondino sempre arrapato e amico intimo dell’autista dell’Alfa blu romana. < Ma, sì! Quello che è passato prima e si era diretto al bar dell’autogrill. Adesso è fermo laggiù sul suo bel GT rosso al buio in attesa di compagnia. L’ho visto appena prima, mentre mi facevo una lunga pisciata. Quello fa senz’altro finta di dormire. Secondo me, quello aspetta qualcosa di più sostantivo, Mi sono spiegato ragazzi! > 15 < Ah, quello! Quel cullatone? Con tanti servizi extra si è fatto la grana facile. Ah, bello, bello! Questi froci! > < Sì, hai ragione. Magari è uno che va in giro a far marchette con quel culetto così stretto e senz’altro con il lavoro si è comperato quel bel GT rosso. > prospettò lo strafottente Luigi, mentre si passava la lingua sulle labbra secche, in attesa del dopo. < Be’, visto che ‘sta diventando una nottata del cavolo... voi non ci crederete, > espone Giovanni alzando a fatica il culo dall’auto e ruttando con ostentazioni. < Dite quello che volete, io adesso mi scoperei chiunque lo voglia prendere. Anche quella tua zia, quella baldracca sfondata... > facendo incazzare Giacomo, nel rinnovare la sua parentela paterna abbastanza traviata, per non dire altro. < Be’, io offro cinquecentomila e una cena a quelli che se lo scopano per bene quella checca. Laggiù al buio... > propose a sua volta Carmelo, pensando che forse era il modo migliore per acquietare gli animi in ebollizione e ottenere poi, una più devota partecipazione alla missione incompiuta. Poi dopotutto, alle quattro di notte, con la birra ormai finita e gli animi in subbuglio, era certamente la cosa migliore da farsi. Una bella scopata. Senz’altro sarà contento e soddisfatto per essersi fatto dei veri stalloni, sempre arrapati e pronti. Soltanto bisognerà, nell’eventualità, non farsi riconoscere dal tizio in questione. Ma per loro quella era una semplice questione di routine, non lasciare mai traccia visibili dopo il loro veloce passaggio. < Ah, che ridere! > continuava Giacomo in farsetto, mentre si strofinava le mani con soddisfazione, < E’ meglio far vedere i fatti. Che blaterare al vento? > rispondeva Luigi, mentre si massaggiava la fava in calore. E quasi unanime risposero in coro: < Be’, vediamo un po'? Tu incomincia e poi vedremo chi pagherà la cena? > mentre tutti quanti si rimettevano a ridere a crepapelle, aiutati dall’euforia di quella geniale trovata. Poi sogghignando sotto i baffi decisero unanime sul da farsi e furtivamente in silenzio, si avviarono verso il punto più buio del viale alberato. Il giovane si svegliò di soprassalto nel sentire la portiera dell’auto aprirsi di colpo. Ma subito redarguito da una voce perentoria, mentre una pistola gli veniva puntata contro il viso. < Esci senza tante storie bello! > gli ordinò uno del gruppetto mentre un’altra voce gli imponeva di slacciarsi i pantaloni e girarsi verso l’auto e 16 appoggiare le mani sul cofano motore. Il giovane intuì confusamente la loro idea sconcia. Incominciò a protestare energicamente, nel dibattersi con forza, per svincolarsi dalla loro stretta, mentre questi lo teneva bloccato con forza contro l’auto, tagliandogli i calzoni con un coltello. Il dolore che provò al primo sadico tentativo di penetrazione, fece urlare di disperazione e rabbia il malcapitato giovane. < Tappagli quella bocca... accidenti! Altrimenti lo si sente fino a Trapani. > urlò Giacomo. Mentre Luigi se la rideva a crepapelle e senza troppi ripensamenti gli assestava con il calcio della pistola una poderosa botta sulla testa da tramortirlo. Il giovane si accasciò bocconi sul cofano motore senza più reagire. Suscitando l’ira degli altri arrapati bestioni. < Mannaggia! Non c’è più gusto a questo modo se uno non si agita. Così e a questo modo è come sbattere una vecchia piattolosa baldracca sfondata. Accidenti! > < Dai muoviti! Non farla tanto lunga. Ora ch’è tranquillo e ben lubrificato, sarà una pacchia. > incalzò Giovanni sull'agitato. Ad un certo punto del loro divertimento a turno, uno di loro mormorò sottovoce ai compagni nel pieno dei lavori: < Sbrigatevi ragazzi! Sta venendo un auto da questa parte e non vorrei che sia la pula quella? > Ma era soltanto l’auto del compare, venuto a portare l’artiglieria. E si associò con gioia, al divertimento gratuito e ben lubrificato. Ma il tutto fu nuovamente disturbato da altre luci di auto in arrivo. Perciò si sistemarono velocemente alla meglio e scaraventarono la cavia nell’auto, con altri pugni e calci, evitando di sparare per evitare di attirare l'attenzione e chiudendo poi la portiera dell’auto con un calcio. Mentre Giovanni imprecando, ordinava ai compagni di muoversi: < Dai, presto! Sistemalo Luigi, evitiamo sorprese dopo... > ma due altri fari si profilavano tra le siepi, da far desistere la loro impresa e farli allontanare rapidamente dal luogo del divertimento. D'altronde, qualcuno pensò, ch’era difficile essere riconosciuti, il posto era abbastanza buio e poi quelle forti botte in testa e sul corpo gli avrà senz’altro rotto qualcosa e magari domani lo troveranno belle che morto, stecchito. Pertanto e velocemente raggiunsero la propria auto, decidendo ch’era meglio proseguire e uscire al primo casello e rientrare nell’altro senso, per poi riprendere il percorso iniziale da un altro casello più a monte, ed evitare malaugurate sorprese prima della loro operazione di recupero in ritardo. 17 Capitolo Primo Stava guidando con annoiata indifferenza nel tenue bagliore del crepuscolo. Poi d’improvviso, il giovane dai capelli di un colore castano chiaro e dagli occhi colore indaco, che risaltavano tremendamente sul viso imbronciato, imprecò ad alta voce: < Porca puttana!! > mentre si fermava nella piazzola di emergenza a lato dell’autostrada. Quelle continue lacune mentali lo stavano preoccupando seriamente, dopo quegli avvenimenti così angosciosi ed inaspettati della notte appena passata, che gli danzavano vorticosamente nella testa avvolti in un denso velo di nebbia. Chi lui fosse, da dove venisse, i connotati del suo passato, non esistevano più. Tutto era svanito nel nulla. Era così perso e svuotato, depredato nei suoi affetti più intimi, da sentirsi nudo e svilito come un verme. E ogni qualvolta cercava di scavare nel profondo della sua memoria, un tremendo panico si impadroniva di lui. Quell’immenso vuoto che sentiva dentro era incolmabile e più si sforzava di vincerlo più montava la paura. Sapeva di essere stato vittima di un’aggressione, la contusione sanguinante al capo e a un braccio, dove il violaceo dell’ecchimosi si stava evidenziando per bene e poi, il dolore bruciante che gli lacerava i glutei era un’atroce realtà. Ma la vera sofferenza era che, mentre le ore e i minuti sfilavano nella testa inesorabilmente vuota, il dubbio di non recuperare la memoria diveniva certezza. E questo era veramente grave per il giovane trovarsi smemorato. I suoi ricordi arrivavano fino al mattino di quel giorno, quando si era trovato alle prime luci dell’alba, raggomitolato sul sedile dell’auto ferma in una piazzola alberata nei pressi di un'area servizio dell’autostrada. Era intontito, confuso e sconvolto, indolenzito e coperto di lividi e per di più mezzo nudo. Non senza ripugnanza aveva costatato che il suo corpo, dai glutei alle cosce era inconfutabilmente imbrattato di sangue e sperma rappreso il cui acre e inconfondibile odore aveva impregnato l’abitacolo. Alzati gli occhi dal suo corpo pesto aveva incrociato lo sguardo di un’arzilla vecchietta dalla faccia bigotta che lo squadrava curiosa, con un’espressione di mal celato e aggressivo interesse. Il giovane aveva tremato al solo pensiero delle intenzioni, che quella lasciva donnetta che manifestava nei suoi confronti. Ancora stordito si era affrettato, con gesti 18 incerti, a celare a quello sguardo indiscreto i propri attributi maschili che rilassati e contusi apparivano ben poco virili. Poi finalmente, aveva trovato la forza di considerare la paradossale realtà che stava vivendi; per lui non esisteva un passato, solo un tetro presente intriso di domande senza risposte. Si guardò attorno a meditare un buon momento su quel presente così irreale e fasullo. Capendo, che proprio lui, un uomo abbia subito una tale umiliazione da farlo rabbrividire dalla vergogna. Non poteva crederci ma lo doveva ammettere a sé stesso per quella meschina e inconfutabile verità che gli era capitata addosso. Mentre una rabbia interiore cresceva in lui da rodergli fortemente l’anima sconvolta. Poi quasi con riluttanza cercò di voler accantonare e dimenticare tutto e al più presto. Nel voler rimettersi in ordine, in quella sua paranoica e vergognosa vicenda. Mentre si spremeva continuamente le meningi per capire il perché gli era capitato quel fatto così assurdo e inumano. Ma nulla da fare, il vuoto dentro alla sua testa era più che assoluto e ormai tangibilmente vero. Oltre al tremendo dolore al capo, che gli doleva di più nel tentativo di sfiorarlo con la mano. Aveva i capelli intrisi di sangue. Alla fine, quasi un po’ restio cercò di farsi coraggio, si guardò attorno a sé più che mai spaesato, mentre un’auto passò al suo fianco e lui istintivamente si abbassò per la vergogna a mostrarsi a quel modo. E in quella posizione assunta gli permise di scoprire sotto il sedile dell’auto un portafoglio. Lo prese in mano guardandolo con distaccata indifferenza, poi deciso l’aprì. Dentro vi era una piccola mazzetta di biglietti da grosso taglio e documenti d’identità. D’improvviso scatto qualcosa dentro di sé, nel capire che non era stato una rapina, se vi era ancora quel danaro. Mentre a fior di labbra borbottava: < Allora non erano rapinatori quelli? > ripensando all’istante sul perché aveva detto quelli? Poi, accantono anche quella domanda senza risposta e si mise a controllare quei documenti che lo incuriosivano in quella sua premura di sapere qualcosa di più e presto. Fu sorpreso ancora una volta, nello scoprire che sui documenti d’identità e sulla patente di guida spiccava il suo volto, messo a confronto con lo specchietto di cortesia, scoprendo l’evidenza in quel paragone. Oltre a constatare la brutta lacerazione che aveva tra i capelli intrisi di sangue. In realtà si sentiva estraneo a quel ruolo da protagonista. Ma altre sì, come un semplice spettatore che osserva e analizzi un fatto accaduto ad altri. Comunque andassero le cose, null’altro di nuovo usciva fuori dalla sua testa vuota. Mentre il giovane si sforzava a leggere ad alta voce quelle 19 poche righe su quei documenti; nella speranza che l’aiutino a districarsi da quella nebbia che l’avvolgeva inesorabilmente. Quantunque si sforzasse e cercasse nel profondo della sua memoria un piccolo appiglio di quei connotati scritti. Non usciva fuori proprio nulla, si sentiva sempre di più spaventato e sconvolto. Mentre ogni suo tentativo risultava più che vano, da non riuscire ad andare oltre quel momento del suo passato. Forse pensò, ch’era già da diverso tempo che si trovava smemorato. Poi, quel colpo ricevuto al capo, che gli doleva fortemente, era arrivato a ingarbugliare ancora di più la situazione. Oltretutto stava diventando di per se stessa una vera ossessione scombinata. Si stava masturbando con forza le meningi, mentre si rigirava tra le mani nervose, quei documenti che lo identificavano chiaramente come: Mauro Rossi, nato a Venezia il 6/9/71, professione studente, abitante a Padova in via Abano n° 9, Altezza 1,90, capelli castano chiari, occhi azzurri, segni particolari n n. Mentre dentro di sé si rispondeva da solo sarcastico: “Segni particolari... lividi ovunque e un bel culo rotto...” Al contempo esplodendo a voce alta, più che mai indignato: < No, no! > mentre gli occhi si erano velati di lacrime e nel fondo della sua anima si sentiva veramente perduto. Fortemente arrabbiato e umiliato. Sapeva come si chiamava, ma per il resto era completamente al buio. Mentre stava ripensando a quel poco, che aveva acquisito in quel momento. Perciò, pensò di dover andare subito alla polizia per denunciare quell’abuso subito. Ma al tempo stesso si frenò da solo. Avrebbero creduto al suo racconto? Il tutto era molto problematico per non dire assurdo. La gravità c’era ed era evidente. Ma come avrebbe spiegato il fatto, che non si ricordava niente sull’accaduto? Aveva una bella ferita in testa, alla spalla e dei lividi ovunque e un forte dolore al capo in continuazione. Oltreché in quell’altra parte così vergognosa da dire e mostrare a un medico, per confermare la sua violenza subita. < Oh, no, no! E’ impossibile! > urlò disperato. “Mi sono trovato stordito e violentato da più persone?... Erano più di uno, senz’altro... Ma da chi?”. Se non si ricordava proprio nulla. All’infuori di quella sua veritiera realtà ingrata e confermata dal dolore lancinante. Ma chi mai, gli avrebbe creduto e poi quali conseguenze sarebbero sorte in seguito? Quello era l’altro dilemma che si andava profilando nella sua mente confusa e vuota. Ormai il guaio era fatto e pertanto, alla fine optò per lasciar perdere la denuncia. D’altronde, più nessuno gli avrebbe ridato la sua verginità perduta. E l’affronto subito, rimarrà ormai impresso profondamente nella sua mente, come un marchio indelebile. < Perlamiseria! Dove sono finito! > imprecò nuovamente più 20 con sé stesso, che contro l’ignoto aggressore. Le fitte erano laceranti sulla ferita che aveva tra i capelli, ma per lui quel dolore era quasi irrilevante al confronto, all’onta di sottomissione subita. Oltretutto attraverso la sua codarda smemoratezza. Si sentire ancora di più fortemente avvilito, per non aver saputo reagire a quella violenza gratuita. Faticò a rimettersi un po’ in ordine. Per fortuna che aveva trovato nel bagagliaio dell’auto una valigia con indumenti di ricambio, almeno una parvenza esternamente più decente. Rovistando all’interno, nella grossa tasca trovò i documenti dell'auto, il suo passaporto, che confermavano il suo possesso, ma nessuno altro indizio. Nella voluminosa sacca di tela blu, vi era l'occorrente per il tennis. Mentre ripensava al tutto, formulò fra grossi dubbi, che forse stava andando in vacanza, con quella auto sportiva. Ma non sapeva e si ricordava di possedere sino a quel momento. “Chissà dove stavo andando? Ero poi solo, o avevo qualcuno in auto?” sbottò tra sé compassionevolmente avvilito. Così, dopo varie soste e ripensamenti, il tempo era volato via velocemente assieme ai suoi pensieri più che bui. Perciò senza saperlo continuava a rilento a percorrere l’autostrada in quel senso, senza chiedersi il perché continuava in quella direzione. Forse, era fortemente l’idea che se l’aveva imboccata prima di quel fattaccio, vi era senz’altro e vi sarà una valida spiegazione più avanti? “Dov’ero mai diretto da questa parte, verso l’estremo sud d’Italia?” Si stava domandando in continuazione, mentre controllava le varie indicazioni stradali per ricordare qualcosa. Fra quelle continue lacune e soste per riposare e a pensare confusamente, mentre annaspava nel buio più completo. La sua memoria si rifiutava di scavare fra i ricordi oltre quel dramma. Ed era più che mai cosciente di aver subito un vero shock da trauma. Pertanto il giovane si lasciava avvolgere senza reagire. Ormai non le contava più quelle brevi soste, per quante erano diventate, si sentiva cosi svogliato e strano. Desiderava fermarsi e dormire per dimenticare tutto. Ma gli era impossibile. Il suo subconscio andava alla riversa. Ogni volta che tentava di addormentarsi, subito e di scatto reagiva. Da farlo sobbalzare sul sedile dell'auto, nel trovarsi grondante di sudore e spaventato a morte. Tremante e con una tremenda angoscia in gola. Le uniche fermate che il suo testardo subconscio sembrava non gradire, era nel trovarsi tra la folla. Coi brividi ancora addosso, ripensava all’unica sosta fatta autogrill e gli bastò a desistere dal riprovare. Quella fermata, 21 dovuta peraltro per dissetarsi dalla forte arsura che aveva e scaricare nelle toelette il fetore che aveva in corpo. Era come un’infernale purga, doveva ad ogni costo liberarsene. Forse era la reazione del suo subconscio, che pretendeva una via di uscita al trauma subito. Ma il tutto contrastava con la riluttanza che provava il giovane, quando incrociava lo sguardi delle persone. Gli sembravano interessate al suo caso, o forse era lui che supponeva la sua malconcia presenza con lividi abbastanza visibili, da attirare l’attenzione. Lasciandosi prendere da un affanno imprecisato, al fianco di persone al bancone del bar. Capendo che doveva vincere in qualche modo quella sua fobia, ma al momento gli era tutto difficile. Troppo. Così, si propose che si sarebbe affrettava a ingoiare bibite e caffè per destarsi da quel torpore di sonnolenza e arsura. Il tutto intersecato in un miscuglio di incubi e affanni. Per poi sgusciare via rapidamente. Quasi fosse un povero appestato. Perciò le uniche sue voglie erano quelle di rannicchiarsi su sé stesso e dimenticare veramente tutto. Al momento era veramente impossibile poterle realizzare. 22 Capitolo Secondo Poi, senza immaginarselo, vi fu qualcosa che fece scaturire in lui una rabbia repressa. Si trovò avvolto da una paura angosciante, da metterlo su sospettose difensive, più che giuste. Il fatto era avvenuto in quell’autogrill di: “Lauria Galdo”. E quello che vide e ascoltò lo sconvolse talmente tanto, senza capire veramente bene il significato. Dove i contorni scuri erano più che chiari. Mentre il giovane con riluttanza, non voleva ancora intendere. Erano talmente tangibili, che faticava a doverlo ammettere. Effettivamente reali e veritiere le visioni. Senz’altro, il suo subconscio si rifiutava di accettare la verità esposta. Immaginando sempre, che fosse il contrario di ogni sua aspettativa. Era circa l’una pomeridiana quando si era fermato controvoglia per dissetarsi. Al bar prese un caffè doppio e ordinò un bicchiere d’acqua, poi mentre consumava un altro abbondante caffè, fu attratto dal vociare di quattro uomini alla sua destra, che discutevano animosamente tra loro. Si stavano scolando diverse birre dal numero di bottiglie che vi erano poste sul banco davanti a loro. E a quel punto, quasi senza motivo, in quei suoni così articolati di quel vociare sgraziato, si sentì bloccare il respiro in gola dallo stupore e sorpresa. Anche di paura, da provocagli un forte tremore incontenibile per tutto il corpo. Quei quattro uomini poco distanti, avevano l’aspetto un po’ sospettoso, dall’abbigliamento così per dire, discreto, ma dai modi abbastanza volgari e strafottenti. Mentre stavano contrastando tra loro animosamente, indifferenti dagli sguardi commiserevoli dei forestieri e del personale del bar. Tutti osservavano con una certa riluttanza silenziosa. Facendo con quel loro turpiloquio allontanare da loro di qualche metro i viaggiatori che si avvicinavano al banco per ordinare qualcosa. E fu solamente quando uno di loro si voltò e lo fissò stupito, alquante incuriosito nel rivedere il giovane. Mauro s’irrigidì tremendamente all’istante, in quell’incrociarsi di sguardi problematici. Con difficoltà e sforzo, tentò di sbirciare e scrutare l'avventore. Mauro constatò, ch’era il più giovane del gruppo; sulla ventina, biondiccio, dal viso angelico. Mentre il biondo l’osservava sorpreso, con modi un po’ ambigui e un sorriso ironico, sulle labbra sottili. Dando una gomitata al compagno più vicino, per richiamare la sua attenzione. Quando costui si girò a sua volta, Mauro era a testa bassa, 23 mentre fissava la tazzina del caffè e fu colpito da un sordo malessere. Corpulento e villoso, dal viso grasso e flaccido, aveva due occhi porcini e il suo sguardo era indagatore e cattivo. Quanto alla voce era così rauca che gli risuonava nella sua testa come un sordo martello, frammista alle altre che si amplificavano mille volte più forti. In quei suoni di voci mal celate e grinzose, si erano voltati tutti quanti a fissarlo, sogghignando con ironia, aspettando una reazione del giovane coperto di ecchimosi. Mauro a quel punto avrebbe voluto sprofondare, sparire via di colpo. Mentre si domandava il perché di quella sua reazione così istintiva e restrittiva. Si, sapeva per certo la verità a quel suo comportamento difensivo e vile. Guardando furtivamente il gruppo e sbirciò anche gli altri due compari, che ridevano sguaiatamente. Uno era alto e magro, capelli neri e con un paio di piccoli baffetti. E manco farlo apposta riproducevano perfettamente l’impronta dispotica da mafioso. Mentre l’altro aveva una folta barba che spiccava tremendamente sul suo faccione, da lasciare soltanto due piccole fessure per gli occhi scuri e bui. Si erano voltati per bene tutti quanti a rimirarlo, come se fosse una bestia rara, in quegli sguardi che mostravano interrogativi o forse, pensavano che era scaturito fuori dall’oltretomba. Dal modo di osservarlo fra lo stupore e l’insolenza. Mauro si sentì travolto dalla vergogna, vedendo oltre lo specchio di fronte tra le bottiglie, altri sguardi rivolti nella sua direzione, attirati in quell’attimo di silenzio dei quattro ciacoloni. Cercò in malo modo di mascherare il suo modo di fare. Forse lasciava trapelare qualcosa di diverso, oltre al viso tumefatto che non poteva nascondere ai presenti. Alla fine, quelli si misero a ridere fragorosamente, mentre il biondino diceva ad alta voce, in un accento marcatamente calabrese: < Però! Sé rimesso presto ‘sto fetoso! > Indicandolo abbastanza vistosamente, come un oggetto da scherno. Mentre il più vicino gli rispondeva con noncuranza: < Ma lascialo perdere! Non vedi che è soltanto un culo rotto! > Poi, quasi di colpo, s’interruppe quel turpiloquio e si allontanarono velocemente tutte quattro. mentre lo guardavano di traverso, salutandolo con gesti poco simpatici. Come per dire a presto, ti faremo un mazzo. E solo dopo Mauro capì il perché di quella loro fuga precipitosa, erano entrati dall’altro lato del locale, quattro carabinieri in servizio di vigilanza sull’autostrada. Mauro aveva ormai capito più che chiaramente, che erano stati quei bastardi a fagli quel bel lavoretto al suo fondo schiena. E più che capire l’aveva sentito dentro di sé, in un brivido di panico e terrore che gli 24 aveva precluso ogni movimento. Era rimasto lì fermo bloccato con il gelo nelle vene per un buon momento, mentre il rumore tutto attorno si era assopito, ovattato in quel malore. Poi la voce del barista lo richiamò alla realtà: < Signore sta bene! Non deve farci caso a quei tipi, qui ne capitano tutti i giorni di spostati e sbruffoni... vuole ancora un bicchiere d’acqua? > < ...Sì, grazie! > non riuscendo a dire altro per la vergogna. Fu tentato in quel momento di rivolgersi ai carabinieri, gridando e indicando quelli fuori che salivano sulla loro auto blu. “Sono loro che mi hanno stuprato, ridotto a questo modo...” Capendo che sarebbe stato così ridicolo. Soltanto un oggetto di scherno e deriso da chiunque era presente. Poi alla fin fine, sbottò tra sé: “No, non riuscirò a dirlo proprio a nessuno.” Dopo quel primo impatto col nemico. D’altronde, come poteva testimoniare e affermare quello che diceva e alla fine l’avrebbero creduto? O sarebbe rimasto soltanto uno squilibrato che accusava degli innocenti, se nemmeno lui si ricordava bene l’accaduto. Almeno i contorni dei loro visi truci? Assomigliavano forse a quelli? Questo non poteva affermarlo, mentre dentro di sé una vocina gli diceva: ”Sono loro”. Ma, se fosse soltanto una sua ridicola reazione alle loro volgari maniere? C’era forse un’altra spiegazione a confermare tutta quella sua supposizione come reazione? Così, dopo un buon momento di incertezza tra dolore e rabbia, Mauro tirò un profondo respiro ed espello il tutto con provata sottomissione. Se ne andò via mogio, mogio, mentre mugugnava con il suo subconscio restio a ridagli la chiarezza dei fatti. Sapeva ormai più che bene, che era soltanto un fatto psicologico. Dove una parte di lui si rifiutava energicamente a far emergere quei fatti così drammatici che gli avevano sconvolta la vita. Comunque gli seccava veramente tanto dover ammettere la sua resa incondizionata, di fronte a quel dramma subito così passivamente. < Sono stati loro, quei bastardi! > sbottò con rabbia ad alta voce. Mentre dentro di lui vi era una gran voglia di piangere che gli scoppiava fuori dal petto. Contemporaneamente batteva i pugni sul tetto della propria auto parcheggiata sotto un splendido sole estivo. Rimase lì, un bel po’ fermo a guardare con vacua indifferenza il paesaggio che lo circondava. Dove i colori erano un po’ sbiaditi dall’afa che aleggiava attorno. Il sudore gli scendeva dalla fronte, da offuscagli la vista, ma a quel punto non gli importava più nulla. Si sentiva distrutto dentro e fuori. Infine salì in auto e riprese quel suo calvario percorso. La destinazione gli era ancora ignota? Mentre si domandava continuamente, perché aveva preso quell’autostrada A/3, se lui veniva da ben altra regione, il Veneto. Così era scritto 25 chiaramente sui suoi documenti che aveva trovato nell’auto, come risultava dal libretto di circolazione? Erano veritieri. Però, senza un barlume di idea, uno spiraglio d’indicazione diversa. Lui doveva praticare dello sport, visto che vi era una borsa con racchette, palle e indumenti per il tennis. Frugando tra quei pochi documenti, notò una cosa molto strana. Una piccola agenda quasi vuota. Nemmeno un numero telefonico. Niente? Neppure una foto di una ragazza nel portafoglio. O lui non aveva una ragazza? Nemmeno, l'indirizzo di parenti, amici, niente. Proprio niente. “Strano?” borbottò tra sé arrabbiato. Erano delle piccole cose lo facevano imbestialire ancora di più e farlo imprecare ad alta voce con parole più che mai sconce: < Porca puttana! ‘Sto diventando pazzo, o lo sono già a questo punto? > Ma, allo stesso tempo capiva che non serviva a nulla imprecare al vento, aumentava soltanto di più quel mal di testa che lo perseguitava tremendamente dal mattino. Dopo che si era ripreso da quello stordimento capitatogli. Senz’altro, dopo la colluttazione con i suoi aggressori. Quella constatazione era più che visibile e chiara, dal modo che si era trovato con i vestiti strappati di dosso. Persino sul sedile dell’auto recava i segni di lotta. Perciò, la botta che aveva ricevuto in testa e sul corpo, doveva essere stata più che forte. Si sentiva tutto rintronato e dolorante. Mentre le ammaccature e i lividi assumevano un colore più accentuato e la sua sopportazione era ormai al limite della resistenza. Avendo persino deciso di farla finita una volta per tutte. Pensando che bastava proseguire decisamente dritto in una qualsiasi curva e tutto sarebbe finito in un baleno. Volando fuori nel vuoto oltre il viadotto più alto. Ma al tempo stesso era testardo. Prima voleva sapere e capire il perché e cosa era nascosta sotto quella sua smemoratezza vigliacca. Almeno sapere in che modo era successo tutto quel casino cadutogli addosso: < Perdio! > urlò, mentre veniva sopraffatto dal rumore assordante di un autobus, lo stava superando in corsa. Poi, per un buon momento si era acquietato, cercando di non pensare più a nulla. Proseguiva nella sua andatura più che mai tranquilla, un po’ ovattata, quasi avvolta in un sogno irreale. O forse, era l’auto che aveva più senno del conducente, perché, procedeva dritta per conto proprio, seguendo la linea bianca dipinta sull’asfalto rovente dal caldo estivo. Sembrava tutt’uno, talmente da tanto era precisa, senza sgarrare di un centimetro. Poi di colpo un’imprecazione usci dalla bocca del giovane, da far sbandare l’auto fuori dai tratteggi. Capendo all’istante, che la tregua era finita. < Porca puttana! Ma perché non ricordo più nulla? 26 Nemmeno chi sono io! Non mi riconosco più... Ma avrò una famiglia... Dei parenti? Forse anche una ragazza? > mentre si guardava nello specchietto retrovisivo, a domandarsi a sé stesso una spiegazione plausibile, qualcosa che potesse almeno capire e accettare. Ma così, in quel vuoto incolmabile, era pazzesco immaginare e pensare. Mentre continuava a parlare a voce alta: < Ci sarà pure una spiegazione a tutto questo? > Forse ripensando bene, avrebbe dovuto tornare a Padova e ricominciare tutto da capo per capire e scoprire veramente qualcosa? Infine si ritrovò a rimuginare ancora sulla violenza subita, cercando però questa volta, di essere più coerente ai fatti, giudicandoli dall’esterno: “Forse quelli, li conoscevo? Magari avevo avuto dei rapporti di lavoro e magari per qualche inghippo si è arrivati a tanto... No! Non può essere così. Forse, sono io che adesco i viaggiatori sull’autostrada, facendo il marchettaro, e questa volta ho trovato chi mi a sistemato per le feste. Questo è una ragionamento più valido. E poi tutti quei soldi che ho nel portafoglio? Sono il frutto del lavoro svolto, nelle rispettive piazzole di sosta...” ma al contempo, ebbe una forte reazione di sdegno, imprecando contro sé stesso: < Oh, Perlamiseria! No, non può essere? > mentre il terrore stava prendendo il sopravvento. Nel pensare di essere veramente un’altra persona. Di avere una doppia personalità? Uno che va in giro a prostituirsi per le strade. < Ma sarà veramente così? > Si domandava continuamente esterrefatto. “Che abbia veramente certe tendenze così strane. O in fondo non sono così strane, per chi le sente dentro a suo agio?”. Lui si stava domandando se in quel preciso momento e senza pensare a quella violenza subita, gli piacessero di più le donne o gli uomini. E si accorse che non sapeva rispondere a quella domanda. Oltretutto, la paura di svegliarsi e capire drasticamente che era un altro e non quello che pensava nel suo subconscio, lo terrorizzava tremendamente. “Adescare gli uomini... neanche per sogno!” sbottò tra sé disgustato. Ma quella sua smemoratezza lo preoccupava tremendamente, per il semplice fatto che voleva sapere la verità e null’altro. Qualunque fosse stata, la preferiva a quella sordità vuota che gli frullava in testa. Quella mezza verità gli sembrava veramente paradossale, mentre riprovava a rimettere assieme quell’imprecisata storia. Insomma ripensò ad un’altra alternativa, supponendo che magari quelli l’avevano sorpreso nel sonno. Lui era lì, in quella piazzola per ben altre ragioni. Magari riposava e quelli l’avevano obbligato a prostituirsi a loro. Ma a un suo rifiuto, l’avevano per bene bastonato. Infine, dopo quel tremendo colpo ricevuto in testa: E track! 27 Si trovò sistemato a dovere. Così, uno dopo l’altro se lo passarono per bene e alla fine, forse, interrotti da qualche auto di passaggio. Lasciandolo dentro all’auto mezzo tramortito e via loro felici e contenti come pasque. < Accidenti! > esplose alla fine con rabbia. < Forse è questa la verità... Forse? > Più avanti, dopo un ennesimo tentativo nel rimuginare con sé stesso, esplose a dire ad alta voce, più che mai convinto: < Sì, è andata senz’altro cosi... Non può essere diversamente, è successo proprio così. Merda! Merda! > mentre si convinceva sempre più in quella nuova scusante escogitata. Ma contemporaneamente il suo cervello continuava ad arzigogolarsi fra mille idee vuote e balorde. Cercando un passato che non voleva uscire fuori. Per Mauro era come voler ingoiare un rospo ancora vivi, sentiva una tremenda repulsione. Al contempo voleva poter arrivare alla verità. Scoprire chi era veramente e magari alla fine la realtà risulterà peggiore. Comunque fosse, la preferiva a quell’amnesia persistente. Capendo più che bene che la sua lacuna era senz’altro dovuta alla caparbietà del suo subconscio, che non voleva ammettere quel dramma subito, avvolgendo il tutto in un enigma così paradossalmente circolare. Per l’ennesima volta, dopo pochi chilometri aveva cercato di fermarsi ancora, si sentiva troppo stanco e la testa oltre che il corpo gli dolevano tremendamente in ogni parte. Aveva aspettato con ansia di trovare uno spiazzo. Ma tutto invano. In quel tratto, non vi erano piazzole e lui era così sfinito, stremato dalle circostanze avverse. Così al primo svincolo, girò e uscì al casello di: “Tarsia”, poi inforcò una strada laterale di terra battuta che si inoltrava tra i monti calabresi e al primo slargo si fermò deciso, buttandosi di traverso sul sedile. Si appisolo in quella sua allucinante marcia di grovigli e quesiti irrisolti. Pensando ancora, che forse aveva veramente bisogno di un dottore per diagnosticare tutti quei danni. Si girò diverse volte sul sedile e infine gli sembrò di trovare il posto giusto. Mentre testardo, riuscì ancora una volta a domandarsi se era una sua abitudine dormire raggomitolato su sé stesso. Poi, alla fine si addormento più che mai avvilito e stremato. Fu svegliato dal latrato di un cane poco lontano, fra i dolori sparsi per tutto il corpo, sempre più accentuati. 28 Capitolo Terzo Era rimasto lì, più di un’ora a meditare sui cocci rotti e a pensare incessantemente a vuoto. Non sapeva nemmeno lui in quel momento, per cosa s'arrabbiava continuamente e perché s’intoppava così facilmente con un pensiero ad un altro contemporaneamente, se non sapeva per cosa. Alla fine gli restava solamente se imprecare avanti, o escogitare qualcos’altro di più corretto e tralasciare i quesiti al dopo e al domani. Forse avrebbe risolto meglio la sua intricata questione. Finalmente un piccolo barlume di luce si fece strada dentro di sé e si ricordò d'essersi fermato perché era rimasto a secco. Senza benzina. Con tutte quelle fermate a vuoto si era dimenticato di far rifornimento all’auto e ora doveva andare in cerca di una pompa di benzina. Se voleva andarsene da quella brughiera, dove s’era infilato con decisione molte ore prima. E soltanto in quel momento capì l'incasinamento fatto. Mentre si guardava attorno con un’altra cognizione della vita. Capiva di trovarsi in aperta campagna, con una ovattata coltre di nebbia bassa a fior di terra, da rendere a quel posto un’immagine quasi spettrale. Ebbe un brivido di terrore, al ricordo della notte precedente e si guardò parecchie volte attorno, ad osservare quel buio intrigante. Poi si scrollò con decisione le spalle e usci dall’auto. La frescura notturna l’avvolse con un brivido più forte, aiutandolo a rinfrescarsi le idee. Quella brezza notturna in arrivo lo risvegliò da quel torpore, sentendosi leggermente meglio a sminuire quel forte mal di capo. Si fermò ad osservare l’ambiente circostante e capì d'aver sbagliato veramente direzione, Quando prese quella strada di campagna, immaginò d'arrivare su di un’arteria più importante. Invece quella strada di terra battuta, s’inoltrava sempre di più nella campagna tra le gole dei monti calabresi, che s’innalzavano bui ad un paio di chilometri più avanti. Erano luoghi sconosciuti dall’aspetto impervio, così solitari nel vederli, in special modo a quell’ora della notte. Osservava il profilo di quei monti scuri e silenziosi, con le valli strette e cupe, così disadorne, in quella notte senza luna, che ammantava di nero tutta la zona circostante. 29 Mauro, si portò dietro all’auto, aprì il cofano e frugò tra i bagagli, trovò ciò che aveva visto al mattino, una piccola tanica per la benzina. E in parte si sentì già soddisfatto. Quella era una buona cosa per la sua memoria e fin lì c’era arrivato. Infine, s'avviò tranquillamente per la strada ritornando verso il punto di partenza e con la speranza di trovare un distributore aperto a quell’ora. Magari, qualcuno da poter chiedere delle indicazioni, mentre si guardava l’orologio e scuoteva il capo. Erano quasi le ventitré di notte e tutto si faceva più difficile. Ma al momento non intendeva preoccuparsene troppo sul da farsi, ci avrebbe pensato dopo, più avanti. Quello era il proponimento che si era imposto di fare in quella strampalata situazione capitata suo malgrado. La brezza notturna lo stava risvegliando per bene e l’aiutava a rinfrancarsi un poco e ad essere più coerente, per non dire fluido con quelle poche idee che gli frullavano ancora in testa. Riuscendo ad accantonare per un momento quelle balorde. Era quello che ci voleva, pensò, dopo una giornataccia così nera e travagliata. Dove, gli era difficile dissipare quella persecuzione che arzigogolavano nella mente. Almeno accantonarle. A un certo punto nel suo scarpinare per la sterrata strada campagnola, gli sembrò tutto così differente, da com’era prima e in parte sentirsi un po’ sollevato. Cercando di prendere la vita così come gli veniva data, senza voler pretendere l’impossibile e con la speranza che il domani sia diverso. Forse, un giorno un po’ migliore. Non è che in fondo pretendeva molto. Poi tutto ad un tratto, vi fu qualcosa che lo richiamò decisamente alla realtà del momento. Una sensazione strana, ma sentita, s'impadronì di lui, che si trovò a tremare senza motivo. Ma di un motivo c’era e il suo subconscio lo percepiva. Era la presenza di un’auto che si avvicinava a forte andatura, zigzagava per la tortuosità della strada sterrata, illuminando coi fari a tratti la campagna attorno. Mauro s'era arrestato di colpo accusando un malessere che progrediva man mano che l’auto si avvicinava. Mentre un sudore freddo gli colava per la schiena, scossa da improvvisi tremiti. Quella strana intromissione notturna non gli aspirava nulla di buono. Eppure, avrebbe potuto chiedergli un po’ di benzina a quei scalmanati notturni. Ma chissà perché, lui sentiva che non doveva fidarsi. Supponendo che forse gli poteva capitare un altro brutto incontro, come la notte precedente, nel prendersi un’altra buona rata di botte. ‘Sta di fatto che non se la sentiva di star lì, ad aspettare l’imprevisto. Perciò, decise 30 ch’era meglio lasciar passare quell’auto senza farsi vedere. E in quell’attimo successivo, prima che i fari dell’auto lo potevano illuminare per intero, saltò nel fossato laterale e s'accucciò contro la scarpata per non farsi vedere. Mentre dentro di lui una vocina gli suggeriva al suo subconscio: “Non farti vedere, potresti trovare qualcuno che ti vuole rompere qualcos’altro, oltreché quella parte ormai rotta e dolorante.” Il fossato era poco profondo, ma in compenso era asciutto e gli sembrava una protezione discreta, alle sue strane fantasie difensive. L’auto arrivò di filata alzando un polverone di terra, poi all’improvviso s'arrestò proprio sopra di lui. Mauro maledì quel momento. Pensando, che senz’altro l’avevano visto da lontano, mentre tratteneva persino il respiro, e imprecava a denti stretti contro il mondo intero: <Porca puttana! Mancava solamente questa nuova stronzata! Che scalogna! Accidenti! Sono proprio sfigato? > mentre digrignava i denti per la rabbia che aveva in corpo, considerando l’eventuale impatto in arrivo. “E mi sa, che qui si metterà male questa volta, mi romperanno veramente le ossa questi nuovi tizi del cavolo!” Ma, allo stesso tempo, pensava ch’era abbastanza buio per averlo visto, prima che la luce dei fari l'inquadravano. Comunque decise di aspettare gli eventi in silenzio, borbottando mentalmente tra sé e sé: “E che Dio, me la mandi buona almeno una volta. Al massimo se sarò scoperto e se quello o quelli sono intenzionati a sapere il perché di questo salto. Gli risponderò, d'aver avuto un bisogno corporale. Nient’altro.” Ma allo stesso tempo si domandava il perché di tutte quelle sue scusanti; o forse, era la paura che montava dentro di sé e aveva preso il sopravvento su ogni cosa, tutto. Lui era trepidante e alquanto confuso in quell’attesa all’impatto. Rannicchiato nel fossato, avvolto nella polvere dell’auto appena fermata così improvvisamente. Poi d’improvviso, sentì chiaramente un forte brusio di voci concise. Lo spegnimento del motore gli permise d'origliare meglio. Il vociare era molto verboso, da trapelare una forte arrabbiatura di una parte dei contendenti. Permettendo a Mauro, di pensare che la sua cognizione del tempo fosse esatta e quelli non si erano fermati per lui. E allora, per cosa? Si domandò sconcertato, capendo che vi era qualcos’altro che faceva urlare quel gruppo nell’auto. Poi d’improvviso si aprirono le portiere e molti piedi sbucarono fuori dall’altro lato dell’auto, mentre le urla crescevano a dismisura da sembrare tutti quanti ubriachi. Mauro tentò di alzarsi un poco per osservare meglio e capire tutto quel baccano che 31 facevano in quel dialetto strettamente calabrese. Da non capirci molto o niente. Soltanto delle parole frammezzate e sconce riusciva a captare. Urla sovrapposte ai discorsi verbalmente incavolati tra loro. Mauro vedeva quell’andirivieni di piedi in fermento che talvolta s’intoppavano tra loro. In fine il gruppo di scalmanati si trasferirono di fronte all’auto, illuminati dalle luci di posizione. Anche l’autista era sceso di fretta dalla macchina e si precipitò per raggiungere i compagni nel pieno della discussione. Ma, nella premura l’uomo, scivolò sull’erba della scarpata, bagnata dalla rugiada. Proprio sopra la testa di Mauro e a sua volta si appiattì ancora di più contro il bordo del fossato. L’autista si dovette afferrare allo sportello per sorreggersi ed evitare di cadere. Ma nel tentativo di restare in equilibrio, gli scivolo fuori da sotto la giacca una pistola che cadde sull’erba accanto al viso del giovane spaventato. Istintivamente Mauro l’afferrò al volo e in quel preciso istante capì molte cose. L’autista non si era accorto di nulla nella fretta di raggiungere gli altri, mentre dava una leggera spinta allo sportello dell’auto per chiudersi, ma lo sportello si riaprì di nuovo, illuminando Mauro con la piccola luce di cortesia. Mauro, temendo di essere visto si rannicchiò ancora di più su sé stesso. Mentre i suoi occhi erano rimasti per un attimo a fissare increduli quell’aggeggio di morte, che stringeva tra le dita ancora tremanti. Erano senz’altro dei mafiosi scalmanati, pensò velocemente tra sé. E non di certo gente raccomandabile, se vanno in giro armati e urlano con accanimento tra loro. Perciò la situazione diventava sempre più critica anche per Mauro. In quella sua posizione improvvisata e scomoda, nell’impossibilità di potersi muovere. Mentre la sua attenzione si era concentrata verso il gruppo di fronte all’auto che sbraitavano rumorosamente tra loro. Gli sembrò che frammisto al loro vociare vi fosse qualcuno che implorava. Una specie di lamento, quasi un flebile pianto. Mauro, riuscì a captare quel debole richiamo e un cupo presentimento risvegliò la sua attenzione. Per vedere meglio cosa stava veramente succedendo, tra quella masnada di minacciosi ubriaconi, Mauro dovette per forza alzarsi un poco dal suo nascondiglio provvisorio. Mauro non si era ancora reso ben conto di quello che stava succedendo. Lui pensava sino a un momento prima che si trattasse di una disputa tra amici, disputa per qualche donna da salvare l’onore. Dal modo così sboccato da insultare qualcuno in mezzo a loro. Poi, finalmente udì più distintamente qualcuno che gridava più forte, mentre gli altri rimanevano per un momento ad ascoltare: < Stronzo! > apostrofò il 32 grassone. < Credevi di fare il furbo, vero? > mentre un altro a sostegno, si intrometteva nel dire a sua volta con disprezzo: < Hai cercato di seguirci, bastardo! Sei un piedipiatti vero? Un poliziotto marcio. Figlio di puttana! > e un terzo più in disparte diceva ridacchiando: < Ma noi adesso ti spacciamo il culo, bel furbetto! > Effettivamente era proprio quello che avevano in mente quei quattro o cinque individui, per nulla raccomandabili. E questo lo doveva ammettere Mauro, per la sua intuizione di poc’anzi a nascondersi, Ma forse per poco, stava pensando con amarezza. Poi, nel sentire più chiaramente quelle parole, Mauro ebbe un fremito per tutto il corpo, oltretutto quelle voci, si proprio quelle! Gli stavano entrando nel cervello come una doccia gelata e infernale. Assomigliavano tremendamente a quelle voci che aveva già sentito altrove: “Ma dove?” pensò alacremente. Erano delle voci inconfutabili per lui, e all’istante Mauro, capì dove le aveva già sentite. Erano le stesse di quello stesso giorno. Sentite sull’autostrada, e forse anche della notte precedente, in quel banchetto fatto con il suo deretano. Mentre si domandava sorpreso, se veramente era una fortuita coincidenza quell’incontro. “Oppure, una maledetta scalogna?” constatò con un amaro rimpianto. Mentre la disputa si faceva più agguerrita, Mauro sentiva il sangue salirgli alla testa per la rabbia. Scoppiata d'impeto in quella somiglianza di voci. Si fece coraggio e si alzò in piedi nel fossato per vedere meglio ciò che s’immaginava. La sua testa era all’altezza del vetro dello sportello e poteva vedere tutti quanti la davanti. Avendo presupposto che nella disputa nessuno avrebbe notato la sua presenza dietro l’auto e poi, avevano ben altro a cui pensare quelli in quel momento. Forse Mauro, avrebbe potuto approfittare della situazione di confusione e fuggire attraverso il fossato, ma era un rischi grande e poco fattibile. Il fossato terminava a una decina di metri da lui, perciò rinunciò a tale tentativo. Invece si concentrò sulla situazione lì, di fronte che stava prendendo una brutta piega. Capì all’istante, che quella messinscena era solamente l’inizio di un dramma da incubo, vero e proprio. Poi, nel vedere di persona quelle presenze poco raccomandabili e dai loro volti alterati che esprimevano una perversione più che spietata. Mauro si stupì ancora di più sulla veridicità dei fatti, da procuragli un forte colpo di dolore e sgomento, constatando che il suo udito non l’aveva tradito poco prima. Sì, li aveva riconosciuti tutti quanti. Erano proprio quelli incontrati all’autogrill quel giorno. < Sì, sono proprio loro, quei bastardi, figli di puttana! > sbottò a fior di labbra. Mauro era 33 rimasto lì, a guardare più che mai sconvolto, da faticare a deglutire la saliva in gola. Rimanendo soltanto l’amara e atroce verità in bocca. < Sono proprio loro, quei bastardi!> prosegui incavolato. < Brutti porci! Figli di cagne rognose! > blaterò sottovoce da non riuscire a star zitti. Erano quelli dalla faccia da maffiosi, che l’avevano deriso e senz’altro aggredito e malmenato, per non dire inchiappettato per bene, l’altra notte . Quella supposizione era ormai più che sicura. <Bastardi!! > ringhiò nuovamente tra i denti, Mentre sentiva salirgli dentro di sé un’infinita collera. Era assalito da brividi convulsi per tutto il corpo dall’eccitazione. I suoi nervi erano talmente tesi come corda di violino, in procinto di strapparsi per la forte tensione di adrenalina sottoposta al momento. Stava quasi per uscire e urlare in faccia a tutti la sua rabbia e il suo sdegno. Ma il buon senso prevalse e aspettò ancora, frenando l'impeto nell'escogitare qualcosa? Ormai era carico di folle ira, così difficoltosa da dominare. I disputanti erano ammassati al centro della strada a pochi metri dall’auto, La tenue luce dei fari proiettava attorno al luogo delle false e macabre ombre, di cattivi presagi in arrivo, in quella scena notturna per nulla rassicurante. Poi. uno di loro si sposto di lato e Mauro poté vedere in viso l’accusatore. Era il grassone peloso e proprio in quell’istante estraeva una pistola infilata nella cintura dei calzoni, alzandola in alto con prepotenza, mentre imprecava contro lo sconosciuto trattenuto dagli altri gaglioffi. A un certo punto anche il biondino autista si spostò di fianco, appoggiandosi al cofano motore dell’auto, da lasciargli la completa visuale. E finalmente Mauro, riuscì a vedere bene in viso la vittima designata. Mentre un terrore cieco s’impossessò del suo corpo, al solo pensiero di dover assistere a un rito veramente macabro e inumano. L’uccisione di quell’uomo inerme e spaventato a morte. L’uomo si trovava quasi al centro del gruppo, dall’apparenza giovane, forse della sua stessa età. Così sembrava a Mauro a prima vista, Ma, in quella confusione di pensieri e idee improponibili, era difficile poterlo identificare meglio. Aveva i capelli e occhi scuri con un grosso cerotto sulla bocca che gli impediva di urlare. Aveva lo sguardo terrorizzato e gli occhi sembravano uscirgli dalle orbite per la paura. Mauro captava dei deboli gemiti, dal prigioniero, rantoli di preghiera al terrore sovrastante. E per Mauro fu una pena immensa a pensare al dopo e al peggio per lo sventurato giovane. Tra le grinfie di quei porci bastardi mafiosi. Mauro, si 34 trovò a tremare di rabbia e sgomento, Domandandosi perché mai lo volevano morto. Ma al contempo cercava di valutare la situazione e se gli era possibile escogitare un diversivo al caso. Non poteva star lì fermo, a vedere uccidere una persona così, a sangue freddo. Con cinica cattiveria inumana. Come dimostravano di essere quei miserabili cani affamati, che ringhiavano a morte. D’altronde dalla sua posizione Mauro, non poteva stimare ogni evenienza. Avendo quell’autista deficiente che continuava a saltare da un posto all’altro dalla gioia, aspettando impaziente l’inizio della festa. Da impedirgli la visuale della situazione. Poi, finalmente il capo pareva pronto a por fine a quella sventurata vittima, che si stava dibattendo dalle braccia forti che lo trattenevano. Il biondino autista, si era avvicinato al gruppo e se la rideva di gusto, come un povero deficiente. Mauro ne approfittò in quel momento di confusione per agire. Sapendo più che bene che sarebbe diventato presto un testimone scomodo e senz’altro avrebbe raggiunto molto preso il malcapitato giovane, nel mondo dei trapassati. Quella era una constatazione inderogabile e senza riserva. Mentre l’aguzzino si dilungava nel suo discorso sadico, per assaporare meglio la sua vendetta e vedere il panico aumentare spasmodicamente negli occhi del malcapitato giovane. Nel fagli scoppiare il cuore per la paura. E così, mentre il killer se la rideva per quella sua masochista maniera, a far patire le pene dell’inferno prima del previsto, Mauro escogitava velocemente come doveva agire. Mentre ascoltava il killer cosa diceva al giovane prigioniero. Esponeva con arrogante spavalderia, mentre l’ingiuriava a più non posso: < Tu credevi di fare il furbo e seguirci con la tua auto. Poi, magari, andare alla polizia a spifferare tutto, vero? Sei stato uno stronzo! Be’, hai sbagliato i conti con noi. Pezzo di merda! Come abbiamo fatto fuori i corrieri della droga e prendere le loro valigie... Così ora facciamo fuori anche te, per averci rotto le palle. Chiaro! Così ora lo sai. Meglio dire lo sapevi. Tutti devono pagare il pedaggio per passare da queste parti. Noi non perdoniamo a nessuno e specialmente a chi cerca di farci fessi... Povero stronzo! > E fu, tutto chiaro anche per Mauro. Aveva già intuito un istante prima la situazione e in quei secondi successivi, prima che giunga alla fine di quel sadico discorso. Mauro capì più che bene, la sporca situazione in cui si trovava suo malgrado e perciò, incondizionatamente valeva anche per sé quella condanna. Non vi sarebbe stata una via di scampo. La fine era più che vicina. Pertanto prima che quel babbeo di ciccione terminasse la sua 35 arringa, lui doveva intervenire a ogni costo. Anche di morire se era il suo destino e non come un cane in quel fossato. E poi visto che la provvidenza gli aveva fornito lo strumento di contestazione. Tanto voleva farne buon uso, almeno poteva dire, che prima di morire ci aveva provato a vendere cara la propria pelle. Oltretutto aveva già deciso diverse ore prima di porre fine alle sue pene, e in quel momento poteva realizzarle. Tanto più e senz’altro si portava a presso qualcuno dei suoi assalitori. A quella idea così barbara, gli dava una certa soddisfazione. Mentre pensava, di non aver mai sparato un solo colpo in vita sua e gli faceva un po’ di rabbia la sua imbranatura nell’uso di un’arma e dover lasciane poi qualcuno ancora vivo. Perché a quel punto, avrebbe voluto portarseli tutti quanti a presso. “Occhio per occhio, dente per dente”, bofonchiò tra i denti stretti. Sperava soltanto, che in quella ravvicinata distanza, riuscisse fare un buon centro. E forse quella notte era l’ora giusta anche per morire. Ma per il momento aveva ben altro a cui pensare. Persi in quegli attimi di incertezza a meditare. Perciò, non poteva permettere quell’esecuzione criminale. Ormai sapeva più che bene che quelli non erano esseri umani, ma immondezza che bisognava spazzare via a ogni costo. Certamente non per quello che gli avevano fatto, ma per quello che stavano per commettere. Così, senza tante storie, sbottò tra sé incavolato: “Io o loro? Meglio loro a questo punto.” Brontolò ancora adirato. E tutta quella prosopopea si svolgeva nella sua testa in quelle frazioni di secondi. Ma purtroppo volavano via velocemente e a quel punto erano già stati troppi i minuti persi, nel perdersi a pensare la via migliore da prendere. Mauro, tirò il caricatore e allungò la mano e puntò la pistola Berretta al nemico. Mentre sperava che la sicura fosse nella posizione giusta e la pallottola già in canna. Altrimenti, tutto sarebbe andato a puttane. Egualmente sperava nella buona sorte e quasi con spirito allegro, pensò rapidamente ancora: ”Questa sarà la mia notte fortunata signori, non c’è verso che possa sbagliare... Cavolo! in che casino sono finito...” Sbottò Mauro tutto teso. Sapeva che la sua mossa doveva essere rapida, decisa e micidiale. Come nei film di azione che si vedeva talvolta alla televisione. Così calcolò in un secondo la sua intromissione e sorpresa per il nemico. Sperando di beccarli e spaventarli al primo colpo, nel farli desistere nel commettere quell’assassinio. Mauro era più che deciso, ma al tempo stesso timoroso. Capendo ch’era un passo decisivo e mai più avrebbe potuto poi, tornare indietro. D’altronde lui aveva già voltato le spalle al passato, 36 perciò poco importava l’avvenire in quel momento. Ora doveva risolvere quella questione troppo urgente, per non dire estrema. Mauro era lì, dietro lo sportello aperto dell'auto, aveva le gambe divaricate per sentirsi più saldo sui piedi nel fossato. Poi, con decisione allungò la mano verso l’interruttore dei fari e lì accese di botto. La luce dardeggiò e accecò i convenuti, sbilanciandoli in quell’imprevista mossa. Ma da chi? Proprio, mentre il grassone stava per fare fuoco sul malcapitato giovane. Momentaneamente era stato abbandonato dai suoi secondini, aveva le mani legate dietro la schiena con del filo di ferro. E per la gran paura che aveva addosso, il malcapitato prigioniero tentava di muoversi e fuggire. Mentre indietreggiava continuamente, rovinando poi, giù nel fossato alle sue spalle. In quel vano e disperato tentativo di fuggire. Rotolò e annaspò sulla sponda opposta del fossato, puntando i talloni delle scarpe nel terreno. Mentre il grassone se la rideva per quella meschina fuga senza scampo. Poi quelle luci di soprassalto confusero il killer e il colpo partì senza mira, colpendo egualmente il giovane, ormai bocconi nel fossato. In contemporanea all’accensione dei fari dell'auto, Mauro aveva urlato ai contendenti, stringendo saldamente la pistola con tutte due le mani e puntata su di loro: < Armi a terra! Le mani bene in vista. Bastardi! > A quel richiamo all’ordine, quelli si girarono di colpo stupiti e confusi, nel domandarsi mentalmente chi mai si era nascosto dietro l’auto e abbaiava nel buio a quel modo? 37 Capitolo Quarto Poi, tutto si svolse in una successione di reazioni così rapide e decise, da ogni parte. Negli attimi e secondi successivi, che avrebbero preceduto la fine dello scontro, iniziato malamente. Sembrava di vedere uno dei tanti film malavitosi, sugli schermi dei cinematografi. Dove si percepisce solamente il susseguirsi degli spari e i fischi delle pallottole, che sfrecciano nell’aria in continuazione. Colpi decisi e secchi, che echeggiavano nella notte e il frastuono era assordante. Mentre le pallottole fischiavano da ogni parte. Le urla e le imprecazioni non mancavano a completare il quadro di una guerra notturna fra rivali. Si vedeva soltanto il guizzare delle lunghe fiammate, che uscivano da ogni arma adoperata, nel buio di quella notte risvegliata. Sembrava fatta apposta per pareggiare i conti. Uscivano lampi tuonanti da ogni pistola usata con rabbia e determinazione dei malavitosi, a contrastare lo stupore di non vedere il loro presumibile assalitore. Poi tutto si assopì. Mentre in lontananza si spegneva l’ultimo eco degli spari, assieme al latrato di un cane randagio spaventato dal frastuono inaspettato. Si stavano assopendo nel nulla anche gli ultimi lamenti e imprecazioni, dei moribondi rimasti a terra nella polvere umida di rugiada. Poi, tutto ritornò maledettamente silenzioso e tombale, in quel luogo impervio e ostile. Forse dimenticato anche da Dio, dove la morte aveva colpito senza nessuna remissione. Mauro era rimasto saldamente in piedi, con le braccia ancora tese e la pistola ormai scarica e fumante. Aveva il cuore che gli batteva a dismisura per la forte tensione al dramma. Poi istintivamente si passò la mano sul petto, era sicuro di aver qualche buco da qualche parte, nel suo corpo scosso da tremiti. Ma si dovette ricredere e constatò ch’era riuscito a evitare quella sfilza di proiettili che gli fischiavano attorno da ogni parte, sembravano un branco di calabroni inferociti che si avventano sull’incauto ficcanaso. Nelle sue orecchie gli rintronavano ancora i botti secchi delle pallottole che andavano a conficcarsi nella carrozzeria dell’auto a pochi centimetri dalla sua testa dolorante. Era tutto tremante dalla testa ai piedi 38 in uno spasmo di paura e rabbia. In fine si trovò a vomitare anche l’anima a terra, mentre un sudore gelido lo avvolgeva con forza. Aumentando i forti brividi e sussulti incontrollabili che aveva in corpo. Poi dopo il primo impatto di conato, Mauro si passò il dorso della mano sulla bocca per pulirsi le sbavature rimaste, nel trovarsi con la bocca acida e amara. Ci volle un buon momento per adattarsi a quella circostanza funerea. Constatando che più nessuno fiatava lì attorno o si muoveva. Perciò, doveva dedurre che avevano avuto la peggio in quella battaglia voluta da loro. < Cose da non credersi. Perlamiseria! > borbottò stupito. < Che casino ho combinato! > mormorò tra sé con dura amarezza, incredulo di quello che aveva fatto. Lui che non aveva mai sparato un colpo in vita sua, aveva avuto un tale culo e una mira così precisa da sistemarli tutti quanti. < Impossibile, ma vero? Accidenti! > biascicò ancora incredulo. Infine Mauro, si fece coraggio e uscì dal suo avamposto, avanzando con circospezione verso i primi cadaveri riversi sulla strada. La luce di un solo faro rimasto nella sparatoria illuminava la scena più che mai macabra. La tensione e la rabbia era ancora più che mai saldamente abbarbicata in Mauro, mentre teneva ancora in mano e ben stretta l’arma ormai scarica. Senza rendersene ben conto della gravità di quel suo gesto. E per la prima volta, stava vedendo con preoccupante disappunto, cosa poteva fare quel giocattolo che stringeva nella mano ormai sudata. Lì, a terra in un mare di sangue, giacevano inerti e sgraziati i quattro corpi dei killer, erano così per dire, tutti morti stecchiti. Più nessuno si muoveva o si lamentava, la morte lì aveva raccolti in grembo tutti assieme. Tutto era veramente finito, pensò Mauro un po’ titubante e restio a capacitarsi. Poi si avvicinò al primo a cui aveva sparato, era l’autista che si era girato di scatto mettendo la mano sotto il giubbotto, forse per cercare la pistola e scagliarsi su di lui con un grande stupore. Era riverso bocconi sul cofano dell’auto in una larga macchia di sangue. Mauro con prudenza, tastò il polso, ma ormai era veramente trapassato, mentre si guardava sospettoso attorno. L’aveva proprio colpito in pieno petto. Si girò e constatò che anche i due a terra al centro della strada, avevano avuto la peggio, uno l’aveva preso in fronte e l’altro al cuore. Mentre si ricordava che il primo non aveva avuto il tempo di sparare e l’altro aveva fatto fuoco diverse volte in direzione dell’auto con una pistola a tamburo. Sembrava un cannone dal rumore e la sua fiammata che usciva dalla canna, nella sua 39 direzione. Mauro notò, che la teneva ancora stretta in mano. Invece il grassone peloso che gli sembrava fosse il capo della banda, aveva sparato anch’egli molte volte con la sua pistola automatica, mancando per fortuna il bersaglio e Mauro faticò molto ad atterrarlo, scaricando tutto il rimanente del suo caricatore. Era anch’egli riverso nel fossato a pochi metri dal giovane imbavagliato, con due colpi in petto e uno al capo. Ma con sorpresa Mauro costatò, che anche da morto gli era rimasta sul viso quell’espressione cinica e malvagia, per non dire incazzata. Lui era veramente l’artefice di quel massacro commento mentalmente tra sé: “da non crederci”. Nel ripensare di chi fosse la mano che l’aveva guidato ad essere così cinico e spietato oltreché preciso nella mira. Mentre si ripeteva a fior di labbra quasi a discolpa: < Io o loro? A questo punto meglio loro... Che le loro anime dannate, riposino in pace. > si ritrovò a dire inconsciamente. Al contempo incominciava a capire che una parte della sua smemoratezza se ne stava andando via, perché gli sembrava di rammentare dei piccoli particolari che prima non c’erano. Deducendo tra sé, che in quel momento di forte tensione per salvarsi la pelle, gli aveva provocato un tremendo e nuovo shock, così agghiacciante e terrificante. Dove l’adrenalina era salita vertiginosamente ai sette celi e di averlo scosso per bene in quella specie di euforia scaturita nella sua rabbia. Poi, abbandonò quei pensieri retorici. Comprendendo al momento che aveva altri quesiti più roventi da risolvere, per non dire trapassati da pensare. Mentre continuava a guardarsi attorno un po’ attonito e con ancora un gran rumore assordante nelle orecchie. Infine provò a dirsi a voce alta, non riuscendo a sentire la sua voce dal troppo frastuoni che gli rimbombavano ancore le orecchie dagli spari: < Innanzi tutto dovrei avvisare subito la polizia e spiegare ogni cosa successa e... > ma, si era fermato di colpo nel parlare da solo, mentre tirava un lungo respiro per calmare un poco quell’affanno e agitazione che aveva addosso. E a quel punto sbottò trasalendo: < Oh, mio Dio! > ricordandosi del prigioniero che l’aveva visto cadere nel fossato. Mauro si precipitò al suo fianco, con un certo sgomento in petto e nel cuore. Il giovane giaceva bocconi nel fossato, con una grossa macchia di sangue nella schiena, diffusa per bene sulla camicia rigata. Mauro era veramente dispiaciuto di non essere stato tanto veloce, e nell’aver permesso a quel mafioso di ammazzarlo come un cane. 40 < Perdio, no! > esplose senza ritegno, imprecando di più contro sé stesso: < Porca puttana! E’ stato tutto invano?... Non ho fatto in tempo! Mi sono perso troppo in ripensamenti inutili, Puttanaeva! Ho lasciato che stroncassero questa giovane vita. Non doveva succedere! Solo perché, non mi sentivo pronto a sparare... Cazzo! Questa non ci voleva proprio... Accidenti! > mentre scagliava con rabbia la pistola lontano e si metteva in ginocchio accanto al giovane con le lacrime agli occhi. Cercando le parole adatte per scusarsi. Era veramente dispiaciuto a costatare quella grama fine capitata. Ma all’improvviso sentì un debole lamento provenire dal giovane riverso bocconi nel fossato, da richiamare in sé Mauro. Subito si preoccupò a liberargli le mani dal filo di ferro e girarlo lentamente. Poi controllò la ferita e scoprì ch’era stato colpito alla spalla e il sangue usciva abbondantemente riversandosi sulla schiena. Marco si prodigò a pulire la ferita con la camicia fatta a pezzi e strappò il nastro adesivo dalla bocca del giovane e lo sistemò sopra alla pezza, per bloccare in parte l’emorragia dei fori di entrata e uscita del proiettile. Poi fasciò alla meglio la spalla con il resto della camicia strappata. Mentre il malcapitato giovane si lamentava debolmente, poi alla fine, aprì gli occhi e fissò con terrore Mauro la di fronte. Al tempo stesso l’incauto e stremato giovane tentava di sottrarsi per la paura. Subito Mauro lo rassicurò mormorando: < Non temere amico. E’ tutto finito ormai... > Mentre l’altro lo guardava sempre più stupito e confuso oltre alla paura e al dolore per la ferita; aveva le lacrime agli occhi ancora pieni di terrore. 41 < Sì amico, sei ancora vivo! > continuò Mauro. < Ma purtroppo loro no. Più nessuno ti farà del male, stai tranquillo! Ora sei al sicuro. > lo rassicurò Mauro, e mentre parlava aveva l’impressione di recitare frasi sentite altrove, ma chissà dove? Come fossero scritte apposta per qualche copione di una sceneggiata mal recitata. In quei dialoghi usati in certi film d’azione di poca spesa. Poi, accantonò quelle ridicole idee, domandarsi cosa doveva fare veramente a quel punto. “Innanzi a tutto portare subito il ferito da un dottore. Questa è la prima cosa da fare e poi andare alla polizia a raccontare ogni cosa”. Ma contemporaneamente Mauro si arrestava, avendo avuto un momento di ripensamento a quella sua prospettiva per il futuro. Mentre si spremeva energicamente le meningi a capire la via migliore sul da farsi. Come avrebbe dovuto regolarsi all’occorrenza? Si domandò tra sé, per la prima volta a mente più chiara: “Già, questo è il guaio!” sbottò sull’imprecisato dubbio, mentre si preoccupava delle condizioni del ferito. Mauro gli alzò una ciocca di capelli e gli pulì il viso sporco di terra e sangue, poi l’appoggiò con delicatezza contro l’argine. Infine, gli espose la sua diagnosi, con un mezzo sorriso: < Be’, speriamo che non hai altri buchi nel corpo, amico... A prima vista non sembra. > L’altro riuscì solamente a fare una piccola smorfia di dolore, poi reclinò il capo e perse nuovamente i sensi. In quella parvenza di calma, sovrapposta dalle esigenze celeri che Mauro s’imponeva di fare al momento. Mentre continuava a confabulare con la sua corta memoria, pensando a quello che andava incontro nelle prossime ore. E perciò doveva fare in fretta a decidere quale via prendere. Immaginando più che bene, come funzionano le leggi italiane. Pertanto, stava capendo che era finito senza volerlo, in un bel ginepraio. Si sarebbe inguaiato fino al collo. Se per caso la sua storia incominciava a non collimava con altri fatti sconosciuti a lui. Ma che per vie traverse l’avevano coinvolto a quei quattro criminali. E dai discorsi frastagliati, che aveva sentito dire poco prima dal capo ciccione. Vi erano implicati altri morti da qualche parte. E il giovane ferito, di certo aveva visto e sentito già troppo, per non dire tanto, da doverlo far fuori. Ma al momento Mauro, non poteva interrogarlo per sapere qualcos’altro? Mentre si domandava e imprecava confusamente tra sé a voce alta. < Accidenti che casino! > Perciò, tutto incominciava a diventare difficile da interpretare liberamente. Sapendo per certo che si fa molto presto a travisare verbali e trovare testimoni fasulli. Poi, qualcuno per un pugno di banconote sarebbero disposti a vendersi anche la propria madre, figurarsi degli estranei. E dato 42 che la questione al momento era molto complessa e quelli parlavano di droga e di tangenti da pagare? V’era il caso che oltre alla polizia, che s’interesserà dopo ai fatti. C’era il pericolo che altri si intromettano per riavere la propria droga e far pagare le conseguenze dei danni ricevuti a chicchessia e si trovava per caso coinvolto. Sapendo per certo che la mafia non perdonava certe prodezze. Special modo a uno come lui, di aver rotto le uova del loro paniere. “Più esplicitamente, le palle!” Esplose tra sé incavolato. < Poi con questa memoria del cazzo, che mi trovo! > A quel punto Mauro, doveva escogitare qualcos’altro per uscirne indenne da quell’assurda storia. Dopotutto quella droga valeva milioni e a nessuno piacerà perdere un così cospicuo guadagno. Pensando che gli interessati si daranno molto presto da fare, per arrivare a riprendersi il malloppo prima di tutti quanti, anche dalla polizia. Mauro incominciò a meditare velocemente, costatando che doveva andarsene via al più presto da quel posto e portare il giovane da un medico prima che muoia dissanguato. Sebbene lui, avesse fatto un buon lavoro e per il momento la ferita non sanguinava più, ma egualmente non poteva abbandonarlo a quel modo. Poi. di colpo ripensò a quella maledetta droga. Gli era sorto un dubbio di certezza, parlando tra sé a voce alta: < Forse è nascosta nell’auto? > Mentre decideva all’istante di guardare se c’era, e lasciò per un momento il giovane dov’era, precipitandosi a controllare l’auto dei mafiosi, abbastanza crivellata di colpi. In quella paura incongruente, Mauro si sentiva già braccato, prima ancora che inizi per davvero la caccia all’uomo. Doveva fra presto, ma al tempo stesso doveva ricordarsi di cancellare ogni traccia e le sue impronte rimaste sulla pistola, anche sull’auto. Mentre tentava velocemente di escogitare un suo piano di evacuazione indenne. Mauro aprì la portiera e trovò sul cruscotto un paio di guanti che s’infilò e poi raccolse uno straccio tra i sedili e incominciò a pulire ogni sua traccia. Ricordandosi dove aveva messo le sue mani e dita, per evitare di lasciare ulteriori impronte ai prossimi rilievi, che farà senz’altro la polizia al ritrovamento dell’auto. Poi raccolse con riluttanza la pistola che aveva usato con ardire e si sforzò a strofinarla per bene, mentre gli tremavano le mani al toccarla di nuovo. Infine la depose sul sedile dell’auto. Poi, passò a controllare il bagagliaio dell’auto e vi trovò tra le varie borse, indumenti, avanzi di cibo e bottiglie vuote di birra, una tanica piena di benzina. Sul momento non ci fece caso, ma subito dopo, ebbe un brivido a pensare a cosa poteva servire quella benzina ai quattro: “Uccidere il testimone e poi dargli fuoco”. Quella era 43 la tecnica usata da molti mafiosi killer, per non lasciare tracce visibili al caso. Pertanto, erano stati fortunati tutte due, lui e il giovane ferito, altrimenti ora erano belle che arrostiti. Poi, tralasciò quelle brutte congiunture e perquisì a fondo la vettura. Trovò una valigia nera e sotto il tappeto al posto della ruota di scorta trovò una borsa di tela nera. Prima di aprirla restò un attimo a pensare se il suo intuito era veritiero. Non aveva mai visto fino a quel momento e per sua fortuna della droga in quantità madornale. Mentre si domandava, come poteva essere sicuro di quel che pensava se non si ricordava niente del suo passato, ma tralasciò quelle irrisorie questioni. Al momento aveva altri e più scottanti pensieri tra le mani e con la probabilità che la sua vita da quel momento, aveva i giorni contati. Ed era la pura verità. Con la mafia alle calcagna, non si poteva o si potrà contattare una pace in futuro. Comunque al momento voleva vederla quella droga che tutti vanno pazzi per averla e poi decidere dove buttarla, magari bruciarla. Così non rimaneva più per nessuno e alla scientifica rimarrà soltanto della cenere d’analizzare. Infine, con decisione Mauro aprì la sacca, ma rimase stupito, dentro vi era un mucchio di soldi. Una cinquantina di mazzette da cinquecento e centomila lire, infilate dentro alla rinfusa. Supponendo che quel danaro poteva servire per pagare il lavoro dei killer. A quel punto Mauro, si dedico all’altra valigia e tentò di aprirla ma era chiusa a chiave. Prese un cacciavite lì, nel baule e forzò la serratura, facendola scattare e di colpo il coperchio si alzo di botto, lasciando Mauro ancora più sorpreso per la seconda volta. I suoi occhi faticavano a vedere chiaramente, alla debole luce del bagagliaio ch’era strappata e pendeva al fondo del vano bagagliaio. In quella valigia così ricolma c’era una diversa sorpresa. Non era piena di droga, come si aspettava convinto. Ma questa volta colma di tanti dollari americani. C’erano un’infinità di mazzette verdi già usate, che straripavano dall’ampia valigia nera. A quel punto Mauro, confusamente pensò più rapidamente. Come doveva comportarsi in quella circostanza inaspettata; lasciare tutto com’era e fuggire via il più lontano possibile? Portandosi solamente dietro il giovane ferito e poi avvisare la polizia e aspettare le conseguenze. Ma nel frattempo poteva arrivare lì, qualcuno e avrebbe visto tutto quel ben di Dio... Perciò, cosa avrebbe fatto quello? Si sarebbe preso la grana e arrivederci a tutti quanti. Mentre lui veniva accusato di quattro omicidi e la sparizione della refurtiva. E con un pensiero un po’ cattivo, poteva capitare che anche sotto custodia, vi era il pericolo che quelli della mala gli avrebbero fatto egualmente la pelle. Solo 44 per dargli una punizione nell’avere intralciato i loro piani e accoppato i bravi compagni lavoratori. E da notare che in simili grossi affari, c’era la probabilità dell’implicazione di più persone e magari anche nell’ambiente giudiziario. Con i soldi, si può ottenere tutto a volte. Perciò, tutto si complicava a meraviglia, pensò Mauro preoccupato. Poi oltretutto, lui che si trovava a corto di memoria, diventava sempre più difficile spiegare chi era e cosa faceva lì in quel posto? E l’altra notte sull’autostrada e poi guarda caso proprio lì, a sparare ai quattro delinquenti, era difficile credergli? Potevano dubitare che lui era complice di altri e il sospetto diventava sempre più positivo. < Porca la miseria! > sbottò adirato. Si sentiva già un nodo scorsoio intorno alla sua gola. Perciò Mauro, in quel frullare d’idee in testa, capì che la soluzione migliore per il momento era di filarsela alla svelta da quel posto e portarsi la valigia e la sacca a presso. Forse poteva servigli a barattare la sua vita, sebbene ne dubitava molto. Ma ormai aveva deciso. Se restava non sarebbe diventato senz’altro vecchio, ma concime per quella terra arida e secca. Quello era più che sicuro che capiti al più presto. Si affrettò a raccogliere ogni cosa che poteva inguaiarlo e pensò che quella tanica di benzina poteva servire alla sua macchina a un chilometro più avanti a secco. Scaricò tanica e valige e sacca a terra, poi mise in moto l’Alfa 164 che stentò a partire, avendo ricevuto vari colpi di pistola nel motore. Infine si mise in moto zoppicando e la spostò deviandola su di una strettoia laterale, facendola scivolare nel prato antistante. Spense il motore e pulì meticolosamente ogni traccia delle sue impronte. Sperando di ricordare bene ogni cosa che aveva toccato. Poi ritornò sulla strada e si portò accanto al giovane. Si era un po’ ripreso dallo sfinimento e gli disse sottovoce: < Senti amico, hai pazienza ancora un po’ e aspettarmi qui che vado a prendere la mia auto, qua vicino. Poi ti porterò subito da un dottore, capito... > E l’altro acconsentì muovendo il capo con fatica, si vedeva ch’era troppo sfinito per reagire. Mauro si alzò e con decisione prese quei cadaveri sulla strada e li spostò di lato, non voleva poi mentre ripassava con la sua auto scavalcarli come immondizia. Ormai erano morti e a quel punto bisognava rispettarli almeno un poco. Alla fine si guardò attorno, dicendosi: “E’ veramente un posto da lupi, non c’è nessuno in giro. Tanto di guadagnato o forse e la provvidenza che sta pensando un poco anche a noi, poveri mortali.” Con decisione si prese la piccola tanica di benzina, oltre alla sua vuota e s’incamminò deciso verso la sua auto poco distante. 45 Capitolo Quinto Mauro sistemò la benzina nella sua macchina adoperando un cartone per imbuto. Alla fine messa le taniche nel suo bagagliaio Mauro provò ad avviare il motore, l’auto stentò a partire, ma alla fine si mise in moto con un gran sollievo. Con decisione Mauro girò l’auto e si avviò per andare a recuperare il ferito lasciato nel fossato. Mauro faticò nel prenderlo in braccio, ma alla fine riuscì a metterlo nella sua auto. Era talmente pesante il ferito, che si trovò a borbottare tra le labbra: < Però, accidenti come pesi amico... > pensando al momento gli era impossibile fare altrimenti, o forse era più probabile la sua debolezza, tra digiuni e botte ricevute. Era infiacchito nei movimenti, mentre lui desiderava fossero molto sbrigativi. Dopo aver sistemato il ferito con una fasciatura d’emergenza legata al collo del giovane, da evitare movimenti bruschi del braccio. E prima di partire l’obbligò a bere un po’ di acqua, appoggiandogli la bottiglia sulla bocca del giovane ferito, sapendo più che bene che l’arsura era presente dopo una forte emorragia subita. Poi raccolse la valigia e la sacca buttandola deciso nel suo bagagliaio e infine s’incammino a luci spente per evitare a quel punto di essere visto da lontano. Oltre tutto, gli sembrava così strano, di non aver incontrato ancora nessuno, attirati dagli spari notturni e amplificati nella valle. Poi e forse era veramente una sfacciata fortuna, o culo, per essere più precisi, che ci fosse qualcuno che li aiuti, comunque andassero le cose, per una buona riuscita finale. Ormai erano in ballo e dovevano ballare per bene, se volevano salvarsi a quel punto la pellaccia. La luna quella notte era un po’ tardona, si era alzata in quel momento e faceva capolino oltre il profilo dei monti, illuminando il paesaggio tutt’intorno in modo abbastanza spettrale. Mauro pensava, che tra poco spunterà l’alba e tutto sarebbe cambiato radicalmente in quel posto da lupi, divenuto per sua mano un cimitero mortale. 46 Più avanti passando su di un vecchio ponte, Mauro si fermò di botto, gli era sorto un atroce dubbio. Guardò il compagno al suo fianco e gli sembrò che riposasse tra deboli lamenti per i sobbalzi della strada. Mauro scese deciso dall’auto e si portò dietro alla vettura e aprì il bagagliaio. Gli era venuta una strana idea, più che idea, era una sua assurda supposizione. Un dubbio nato all’improvviso, su quelle circostanze accorse, pensando tra sé, più che mai convinto: “Se per caso qualcuno, non fidandosi di nessuno, avesse sistemato un rivelatore nella valigia? Verrei individuato molto presto. Con queste nuove tecnologie elettroniche...” < Accidenti! In che casino sono finito. > Borbottò a denti stretti, mentre frugava e controllava l’esterno della valigia con i guanti ancora addosso ma, non trovò nulla di sospetto. Comunque preferì travasare egualmente il contenuto, nella sua capiente e grossa borsa da tennis con doppio fondo. Si sarebbe sentito più sicuro. Così fece più in fretta che poteva, sapendo che il tempo era prezioso per allontanarsi il più lontano possibile da quella zona. Dopo aver chiuso la cerniera lampo del doppio fondo e sistemò sopra al danaro la sua attrezzatura da tennis, da non insospettire chiunque per caso l’aprisse. Poi ricontrollando il fondo della valigia e trovò un piccolo medaglione, sembrava d’oro. Era di un certo spessore, e Mauro dedusse, che non era certo lì per caso, ma fatto apposta per invogliare chiunque a prenderlo e così trasmettere magari il suo messaggio. Perciò lo lasciò dov’era e riempì la valigia con la sacca e dei sassi, poi la scagliò con tutta la forza che aveva, il più lontano possibile, nel torrente che scorreva sotto di lui. La vide scomparire tra i flutto nell’acqua rapidamente. Poi, vi gettò anche le due taniche vuote adoperate per la benzina e i guanti. A quel punto doveva eliminare il più possibile prove e segni di impronte varie al caso. Ritornò all’auto, mentre il giovane si era ripreso un poco e si lamentava per il forte dolore alla spalla. Mentre lui, si scusava per quella sosta affrettata: < Scusami amico. Ma mi scappava di far acqua. > Mentre l’altro timidamente protestava nel dire: < Io, ‘sto veramente male! Mi sento morire… dal dolore!... > < Abbi fede amico e vedrai il paradiso tra poco. Perché l’inferno è appena passato. Ora devi solo farti coraggio. > mentre innestava la marcia del suo GT rosso. E l’altro che sembrava un cane bastonato e tremante di paura, riuscì solamente a rispondere, balbettando: < Già! E’ senz’altro meglio... Peggio di andato all’inferno senza ritorno. Accidenti! Mi ero già visto morto... Ma tu sei della polizia? E in quanti eravate? A fermare quei criminali assassini... > mentre osservava Mauro intento alla guida. 47 Mauro lo rimirò di sfuggita e poi rispose: < Guarda, che ero solo laggiù a fronteggiare quei quattro. Forse è stata la fortuna che m’ha aiutato, ma ‘sta di fatto che li ho beccati in pieno. Sì, proprio tutti. > < Tu da solo, li hai fatti fuori tutti quanti? Carramba! Che svelto di mano sei amico... Accidenti! > < Già, a chi lo dici! Comunque, sarà meglio non riprovarci. Per il momento, mi è bastato quello che ho fatto. Accidenti che casino ho combinato! Amico mio... > imprecò arrabbiato Mauro. < Allora? Tu mi hai salvato la vita... Grazie di cuore amico! Ti sarò per sempre riconoscente. > < Lascia perdere! Tu al mio posto, avresti fatto lo stesso. Perciò non tormentarti amico. Ora dobbiamo pensare a trovare un dottore per la tua spalla. Come ti senti, adesso? > < Mi fa un male boia! Ho paura, che perderò il braccio. > mentre si sforzava a parlare. < Non me lo sento più attaccato. Comunque vada, amico... Grazie, grazie ancora! > Mauro non rispose, restò un momento ancora a spremersi le meningi per risolvere quell'accumularsi di quesiti sempre più intricati. Da divenire nell’avvenire più che mortali. Mentre cercava di avere un’andatura tranquilla, per evitare di insospettire qualcuno o la polizia appostata da qualche parte sulla statale, che aveva appena imboccato. Poi, oltretutto con una macchina così vistosa e targata PD, veniva subito all’occhio. Ma, doveva dire che fino a quel momento, è stata una vera fortuna a non imbattersi in qualcuno, ne tanto più la polizia. Era tutto così, molto strano. C’era senz’altro qualcuno da qualche parte che li proteggeva e aiutava. Pensò tra sé, mentre confabulava mentalmente per tirarsi fuori da quel inghippo appena entrato. Si andava man mano ammassando, sempre più l’uno sull’altro i quesiti. Doveva ad ogni costo eclissarsi il più rapidamente possibile. Ma il guaio è che vi era quel giovane ferito, pensava Mauro preoccupato. Era talmente distratto, nell'affrontare una curva troppo stretta, che l’amico ferito gli scivolò addosso. Per fortuna il foro del proiettile, era nell’altra spalla del giovane. Pensò Mauro dispiaciuto nell'immaginare di essere al suo posto: “Nel trauma e sfinimento subito, dove il dolore prevale e il corpo stenta ed è difficoltoso reagire. Uno si lascia andare alla deriva.” Mentre l’altro, avvolto nel dolore e trauma, vi appoggiò anche il capo sulla spalla del conducente. Quasi in cerca di conforto e rifugio. In quell’affettuosa posizione, con la testa reclinata a contatto del collo del conducente, Mauro captò un’eclatante piacere nel sentire il calore 48 di un essere umano vivi e palpitante, dopo la scampata morte. Il giovane gli confermava una tenera e umana solidarietà. Mauro si stava crogiolando in quella aleggiante comunanza e si stupì, per la subdola supposizione che si era proposta dentro di sé in quel momento. Aveva spudoratamente pensato, che se fosse stato sedotto e violentato da quel bel giovane, ch’era lì al suo fianco. Forse gli sarebbe stato meno ingrata e amara la faccenda. “Almeno lui ha un certo fascino e non puzza di rancido, come quelli là...” a quella affermazione espressa, Mauro si bloccò di botto, sapendo che a quel punto incominciava a ricordare dell’altro. Qualcos’altro di quella brutta faccenda che incominciava a trapelare dalla sua memoria sconquassata. Di colpo fu preso dal panico. Mauro, si trovò sudato e tremante, nel rivivere gli avvenimenti antecedente. Poi, all’improvviso si trovò ad un crocevia e fu distolto a pensare quale direzione prendere e girare da che parte? < Vai a destra! > gli suggerì l’amico, con una voce un po’ rauca e tremante. Da sorprenderlo quanto mai. Per l’agitazione e la confusione in corpo, quasi andò a sbattere contro lo spartitraffico laterale. Riuscendo a malapena ad evitare il peggio. Infine tirò un lungo sospiro. Era troppo confuso nei suoi pensieri, oltre al gran mal di capo e il continuo rintronamento nelle orecchie dei colpi di pistola. Alla fine e a stento riuscì a rispondere al passeggero: < Va bene, va bene, ho capito! > Era ormai troppo teso e sconvolto, che ancora non si rendeva ben conto di tutto quello ch’era successo. Intuendo ch’era riuscito a far passare molte ore senza un segno d’isterismo o abbattimento. Poi si fece coraggio e sbuffò, mentre osservò il compagno che si reggeva il braccio ferito dai sobbalzi della strada. Alla fine cercò di dire qualcosa per dargli un po’ di sostegno e coraggio: < Dai! Fatti forza amico... il peggio è passato. > Mentre l’altro deglutiva a fatica la saliva nel raschiarsi la gola e rispondeva: < Già, altro che coraggio! Non so nemmeno chi sei?.. Ma grazie di tutto! Mi hai salvato la vita... Amico! > Mauro restò un attimo ad osservarlo, come se fosse la prima volta che lo vedeva e poi rispose con un leggero sorriso: < Okay, okay! Ma guarda bene, che lo fatto anche per me, stanne pur certo. Quelli là, avrebbero sistemato prima te. Poi anche me per bene... Capisci adesso? > < Già! Capisco. Non troppo ma capisco di essere stato un fesso, > rispose il giovane ferito pensieroso, poi riprese a dire con difficoltà, la ferita gli impediva d’essere sciolto: < E io, che credevo di fare l’eroe... > 49 mentre guardava il conducente attento alla guida. < Be’, insomma. Ieri, mentre andavo sull’autostrada con la mia macchina, una delle prime Fiat Uno. Lì vidi quei tizi. Erano dall’altro lato del vallone. Insomma... Sai, in una di quelle grandi curve, leggermente in discesa. Quelle che ci sono sull’autostrada? Bé, li ho visto da lontano quelli, mentre sparavano ad altri tizi... Quegli altri erano su di una bianca Mercedes bloccata contro lo spartitraffico. E alla fine ho visto che prendevano qualcosa dal baule dall’auto bianca. Per poi, filarsela via sgommando con la loro Alfa blu. A quel punto, io era quasi giunto sul posto e visto quei morti sull’auto abbandonata. Mi misi a seguirli a perdifiato. Ma li stavo perdendo di vista, per la loro forte velocità. Perciò decisi di uscire al primo casello e avvisare la polizia dell’accaduto. Purtroppo il mio cellulare aveva le batterie scariche. Ma come arrivai presso la biglietteria, loro mi avevano preceduto nel pensiero. Erano là ad aspettarmi a cinquanta metri dal casello. Avendo senz’altro capito che li stavo seguendo, oltre ad averli visti sparare a quei tizi della Mercedes bianca. Così, decisi all’improvviso di svignarmela, capendo del pericolo ch’era lì in agguato. Pigiai sull’acceleratore e sfondai la sbarra di arresto e fuggii via di volata. Per non dire precipitosamente e loro si misero subito alle mie calcagne sparandomi contro... > il giovane ferito, si fermò, per riprendere fiato: < Sembravano una muta di cani mastini, da tanto accanimento. Ed è stato a quel punto che capii che per me non c’era più scampo. Spero solamente che il casellante abbia preso la mia targa denunciando la mia fuga precipitosa. Seguito dall’altra auto in attesa del mio arrivo. Sono riuscito a fare solamente pochi chilometri di strada. Quelli mi avevano già raggiunto. Senz'altro da un dei tanti colpi sparati devono aver colpito una gomma della mia auto... perché incominciò improvvisamente a sbandare. E a quel punto, ho perso il controllo dell’auto. Mentre quelli mi speronavano con forza e mi buttarono decisamente fuori strada... La mia macchina, nell’urto contro i grossi massi della scarpata o qualcos’altro... Insomma, a prese fuoco. Per fortuna, sono stato sbalzato fuori dall’auto, mentre rotolava giù per la scarpata in fiamme. Io ero ancora stordito e confuso nel botto, che non mi ero nemmeno accorto che quelli mi avevano già prelevato senza tante storie. Nel frattempo si erano fermare delle auto per portarmi soccorso. L’unica cosa che sentii dire da loro, alle persone accorse: “E’ tutto a posto, ci pensiamo noi a portarlo all’ospedale.” E quelli avevano creduto e approvato... Poi, più tardi mi hanno portato là, dove m’hai trovato e il resto lo sai già... Cazzo! E’ stato veramente terribile quel momento... Tutto, per 50 cercare di fare il mio dovere di cittadino onesto... Ma che stronzo sono stato! > sbottò. < A quel punto, avevo ormai capito che non avrei più visto sorgere il sole... Era finita per me, lo sapevo! E tutto si annebbiò nella mia mente, quando ricevetti quel colpo sparatomi da quel manzo impazzito... Ecco, ora capisci come è andata la faccenda... Ma che fesso sono stato! E se non era per te, ora ero belle che stecchito in quel fossato... > la voce gli si era spezzata a metà dall’emozione e sgomento, mentre l’amico continuava a proseguire per lui il racconto: < E magari dopo, anche arrosto saresti finito amico mio... > Solo dopo un momento di ripensamento si riprese a chiedere stupito all’amico: < Ma perché arrosto? Ah, sì, già! Prima, quasi finivo arrosto nella mia macchina... Se non si apriva lo sportello, nel volo giù per la scarpata, sarei finito veramente arrosto... Accidenti! > < Ma non là, > lo contraddì Mauro. < Volevo dire laggiù, quando volevano farti fuori. Dopo averti sparato addosso, ti avrebbero fatto allo spiedo per bene. Così cancellavano ogni traccia di chi fosse quel cadavere abbrustolito tra i monti calabresi. > < Come? > esplose stupefatto a quella affermazione. < Tu vorresti dirmi che prima mi avrebbero ammazzato e poi dato fuoco per cancellare ogni traccia... Cribbio! Allora sono stato fortunato due volte. Ma... dimmi un po’. Tu, come fai a sapere tutte queste cose? > < Be’, è più che semplice. Nella loro auto c’era una tanica di benzina. Comprendi a cosa poteva servire, dato il loro curriculum? > < Però, accidenti! Ma tu, cosa ci facevi in quel posto? > gli domandò il giovane più che mai incuriosito da tutte quelle risposte pronte. < E’ stato il destino o la fatalità ma... Non avrei mai immaginato di rincontrarli in quel posto e per la terza volta in poche ore, quei... Be’, lasciamo perdere... > mentre si passava la mano sul viso per asciugarlo, era imperlato di sudore, pensando che non faceva caldo per sudare a quel modo. E l’altro ancora più che mai incuriosito e pensieroso sul fatto. Aspettava che continuasse avanti a spiegare, quella affermazione appena accennata dal giovane autista, non ché salvatore. < Perché, hai detto per la terza volta? Tu allora, li conoscevi? Quei miserabili assassini! > chiese dubbioso e curioso. Mauro a quella affermata richiesta, si domandava se a quel punto doveva dire tutta la verità. Anche quella parte più scabrosa per lui, che in quel momento la considerava irrilevante al suo gesto da giustiziere. Poi, decise che poteva dirlo a quel compagno di sventura, gli aspirava un’aperta 51 fiducia. Alla fine rispose alla sua domanda: < Be’, forse tu non ci crederai. Ma quelli là... Insomma, quei quattro che volevano farti fuori... beh, è successo... Accidenti! > Mauro faticava a parlare, si sentiva in parte un po’ vergognoso a esporre quella verità nascosta. Tirò un profondo respiro e riprese deciso a spiegare: < Devi sapere, che l’altra notte quelli. Sì, senz’altro quelli, non c’è dubbio che mi sbagli. Insomma, mi hanno aggredito senza motivo, in un’area di servizio sull’autostrada. Sono stato maledettamente picchiato e per completare l’opera mi hanno violentato per bene... Tutti quanti... Ne sono più che certo! > L’altro era rimasto a bocca aperta con un’espressione stupita sul viso, fissandolo, senza poter parlare. Era sbalordito, poi balbettò qualcosa a fior di labbra: < Cosa ti hanno fatto? > < Sì, hai capito benissimo! Quelli mi hanno inchiappettato per bene e malmenato di santa ragione. Ma a mio parere, di ragioni non c’erano. Purtroppo poi, mi hanno lasciato tramortito. Avevo ricevuto per ultimo un forte colpo al capo. > alzando la mano a mostrare la ferita al capo. < Di conseguenza, mi sono trovato al mio risveglio smemorato. Senz’altro, il trauma che è seguito per i colpi che ho ricevuto sulla testa e sul corpo. Che fatico a ricordare tutt'ora il mio passato. Proprio nulla, ricordo. Ma quella aggressione è stato soltanto l’assaggio, alla mia sopportazione. La seconda volta che maledettamente li ho incontrati è stato più avanti, in un altro autogrill sull’autostrada. Solo, che... Io ero talmente scosso e sconvolto... Sinceramente avevo paura e vergogna di tutti e di tutto. Poi, quella loro odiosa strafottenza al bar. Quella, presa per il culo nei miei confronti, fui sopraffatto dalla paura. Ero più che persuaso che erano stati loro a farmi quel bel lavoretto al mio fondo schiena. Certo avrei potuto andare alla polizia e denunciarli. Ma cosa avrei potuto dire di preciso, che ancora adesso fatico a ricordare tutto. E come avrei fatto la denuncia? Solo e ipoteticamente contro ignoti. Dopotutto e il perché è difficile da spiegare, se il mio subconscio si rifiuta di rammentare l’accaduto. Oltre al mio passato sparito nella nebbia... > sbottò sull'imprecisata rabbia. < Capisci adesso, com’è presumibilmente andata la questione. Da un lato, io sono più che convinto del loro volgare gesto. Ma dall’altra è tutta una confusione tremenda. Frammista al dolore e paura. Poi questo mio comportamento di merda, mi fa incazzare tremendamente. Però, ho capito una cosa, mentre cerco di scavare più a fondo nel mio subconscio. Lui come uno stronzo, si racchiude in sé stesso. Dovendo così, immaginare di essere stato usato da loro come un oggetto di divertimento e null’altro. Ed 52 è forse per questo che sinceramente non provo un gran rimorso per averli fatti fuori. Oltre al fatto che volevano effettivamente ucciderti e forse anche io dopo. Beh, ora lo sai... E se voi, ora puoi anche ridere. Mi hanno inchiappettato per bene! Sono un fottuto culo rotto... > L’altro lo fissò ancora più stupito, poi con voce commossa rispose: < Mi dispiace! Sono veramente stupito. Roba da non credere! Certo che da tipi come quelli c’è d’aspettarsi di tutto. A questo punto quelli non meritavano altro che morire a quel modo e al nostro posto. In fondo, poi, non hanno sofferto molto, per il mestiere da killer che facevano... Porca puttana! Che casino è saltato fuori, da tutta questa storia di merda! > Poi, per evitare altri commenti su quel fatto, il giovane ferito cercò di sviare la questione e riprese a dire: < Volevo solamente dirti ancora, grazie amico! Ed è stata una vera fortuna la tua presenza, che eri là, in quel momento di disgrazia per me... grazie, grazie tante! > ringraziò commosso. < Amico! Lascia perdere i convenevoli. Abbiamo altro di più importante e preoccupante da pensare, adesso? > rispose seriamente Mauro, sapendo più che bene che a quel punto non poteva abbandonare quel giovane al suo destino. Depositarlo da un dottore e squagliarsela come il vento, non era giusto. Lasciare l’altro a sguazzare nella merda. Oltretutto, con tutto quel ben di Dio, in quella sacca da tennis nel bagagliaio. Certo che a quel punto della questione, avrebbe potuto eclissarsi in qualche sperduto posto del globo terreste e dimenticare anche quel momento. Assieme ai suoi svaniti ricordi del passato, oltre di un’infanzia grama. “Perché sto’ pensando a un’infanzia grama? Forse vi è qualcosa di me che è meglio non sapere e scoprire? Accidenti!” sbottò tra i suoi pensieri confusi. Pensando che non se l’era sentita di fare e lasciare quel giovane a fare la morte del topo. Perché e oltretutto in un modo o in un altro l’avrebbero trovato e preso anch’egli, nell’impossibilità di fuggire via. Pertanto gli avrebbero fatto egualmente la pelle a sua volta. Mauro dava per scontato, che quel giovane lì al suo fianco era ormai legato a lui più che saldamente. Perciò a quel punto doveva escogitare qualcos’altro per evitare una morte accidentale e prematura per tutte due. Pensò saggiamente ancora Mauro, aggrottando la fronte. Quella sentita premonizione veritiera gli servirà più che mai in avvenire. Perciò e sarà senz’altro dura dover dormire con un occhio aperto e vigile all’occorrenza. Ma ormai erano in ballo e dovevano continuare anche controvoglia. Mauro si concentro sul discorso che voleva esporre all’amico, infine propose il suo questionario d’idee: < Ora, ascoltami bene. Se noi andiamo 53 alla polizia e raccontiamo la nostra lunga storia. In parte si risolverà la questione. Ci verrà concesso il presupposto di autodifesa e finiremo su tutti i giornali per aver sventato una grosso giro di trafficanti. Giusto!? Ma appena si saranno spente le prime luci della ribalta... noi due, mi segui? Ci capiterà qualcosa? Senz’altro da un lato, saremo prima o dopo, bersaglio di pallottole da sconosciuti. E di domande dall’altra parte? Da parte della polizia, e tra le quali vi saranno quelle domande che non avranno risposta. In special modo le mie? Con la memoria corta che mi trovo addosso. Purtroppo non vado oltre all’incidente accorso. Mi sono spiegato? > < Sì, certo! Ma capiranno certamente, che ti hanno malmenato e stuprato. Poi la mia versione sarà eguale alla tua... Tu hai sparato per legittima difesa, oltre che salvare la mia vita... > espose serio il ferito. < Certo, certo! Ma se per caso controllando i miei documenti, salterà fuori che io bazzico tra la malavita? E magari sono veramente un killer di professione, e si è per caso scordato tutto. Mentre la polizia penserà senz’altro al contrario. Che io faccio apposta lo smemorato? Capisci com’è semplice cambiare facilmente ogni versione... Comprendi amico, che casino verrebbe fuori? > espose Mauro pensoso e preoccupato. < Io non credo, che tu sia un killer professionista. Non hai la faccia d’assassino come quelli... > ribatté convinto l’altro. < Tu forse non ricordi e non hai visto. Ma, io lì ho beccati tutti quanti in pieno. Altroché professionista! Mi classificheranno quelli della polizia. Credimi! Però, in me c’è una piccola supposizione contraddittoria ai fatti. E mi fa credere e supporre, di non aver mai sparato un solo colpo di pistola prima d’ora? Capisci, il guaio di non ricordarmi più nulla. Ma chi può dirlo, che non sia il contrario, se non ricordo un bel niente? Nemmeno chi sono i miei genitori e se ho una famiglia, una ragazza?... Certo, potrei scoprirlo indagando attraverso i miei documenti che mi trovo addosso. Ma se per caso sono veramente uno spostato? Figurati, che vado in giro senza un semplice numero telefonico. Come un vero killer. Non devo aver amici? > mentre gli sfuggiva un’imprecazione: < Puttanata! Forse è meglio non saperlo per il bene di tutti? > Poi, battendo più che mai incavolato, il pugno chiuso sul volante. < E’ un rischio! A questo punto, non possiamo permettercelo entrambi. Perché devi capire, che oltre la polizia e la magistratura a voler da noi informazioni più che dettagliate. Vi saranno anche altri, che vorranno sapere qualcos’altro. E magari cercheranno di eliminarci per avergli rotto le palle. Per giunta a due faide in contrasto fra loro. Da quel poco che ho capito dal grasso mafioso, quello che voleva 54 ammazzarti. Perciò, a questo punto avremo pochi giorni da vivere, credimi... Anche se per caso, ed è difficile, che ci mettano sotto protezione e con un altro nome. In un posto nuovo da vivere in segreto. Alla fine, verremmo scovati lo stesso e sistemati a dovere da buoni rompiballe che siamo. Lo sai più che bene che la mala o la mafia a spie dappertutto e ben pagate. Perciò, presto o tardi... bang, bang! Sistemati a dovere... Accidenti! In che casino siamo finiti. Cavolo! Solo cavolate sto dicendo!> < Già! Siamo veramente in un bel guaio. Per giunta, io con questa fottuta ferita alla spalla. Mi fa un male boia... Accidenti! Allora, cosa consigli di fare? > domandò sottomesso, l’amico demoralizzato. < Forse, un’ora fa c’era, per me. Se fossi un gran bastardo menefreghista. L’unico sistema al momento era capitato già prima? > < Ma quale? > gli chiese l’altro incuriosito. < Si! Sarebbe stato semplicissimo per me. Prima di tutto lasciarti dov’eri... Al massimo portarti da un dottore senza farmi riconoscere. Sistemarti da qualche parte e sperare che qualcuno ti prelevi mezzo morto. E io, cinicamente parlando, sparire. Eclissarmi come il vento e lasciare te, a farti rosolare per bene sulla brace dalla legge. A spremerti di domande inutili e quand'anche compromettenti per te. Intanto io, forse mi salverei la pelle a tue spese. E senz’altro tu, prima o dopo, saresti finito tra le mani giuste. Quella dei contendenti, che ti avrebbero spremuto le palle e fatto sputare fuori anche le budella, prima di eliminarti... > espose sadicamente Mauro, mentre guardava di sbieco l’amico ammiccante, su quella sua meschina idea. Poi riprese, per confortarlo almeno un poco: < Ma tutto questo in verità, non mi è mai passato per la mente. Né tanto più farlo adesso. Mi sono spiegato amico... Sarò un gran bastardo smemorato, ma non fino a questo punto... Chiaro! > rispose sull'incavolato. Il giovane non sembrava tanto d’accordo e immaginava che Mauro ingrandisse oltremodo la situazione. Infine rispose un po’ scettico su quella spiegazione dell’altro: < Ma non ti sembra di esagerare, forse non sarà poi così drammatica, come la pensi tu. Magari la polizia farà in modo di tenerci fuori e nascosti. Capirà che le nostre vite sono in pericolo e bloccherà in parte gli articoli dei giornali, che saranno senz’altro scottanti e pronti a rivelare i veri collaboratori di giustizia. Io penso che andrà in questo modo. Senz’altro... > si fermò, l’espressione dell’altro lo colpì. < Ah, supponi che vada così! Perché, tu speri che la giustizia tenga conto delle tue più che giustificate paure e ti lasci in disparte, senza comprometterti troppo... Scordatelo ragazzo! Anzi avranno qualcosa da 55 appendere all’amo e senz’altro qualche pesce andrà ad abboccare. Poi se ci scappa il morto, peccato. In fondo eri già destinato a morire in un modo o in un altro. Quando qualcuno rompe le palle e in special modo in questo caso, è destinato a sparire. Io mi sto’ convincendo sempre di più, che se non hai cura te stesso della tua pelle, non ti devi fidare degli altri. Ricordalo amico. Questa è più che un’opinione. E' la verità! > espresse più che convinto Mauro. Mentre l’altro si grattava il capo pensieroso, poi, alla fine provò a chiedere: < Ma, perché? Pensi veramente di aver pestato le palle a qualcuno? Poi quelli parlavano di droga e noi non l’abbiamo, vero? Insomma, perché dovrebbero prendersela con noi, che non centriamo nulla. Solo per il semplice fatto che tu li hai ammazzati tutti... e quando troveranno loro e la macchina, troveranno anche la droga... > < Questo è vero. Ma se la droga sparisce prima che la trovino. Cosa succederà? Vi sono troppi se, in tutta ‘sta storia? Perché, ti sembra poco aver rotto le palle a qualcuno? E poi, chi mi assicura che in quella banda non vi sia qualcun'altra persona, che stava o sta’ facendo il doppio gioco tra le due bande in conflitto? Certo il mio intervento è stato un fuori gioco imprevisto. Senz’altro saranno in molti ad essere incazzati a morte. Perciò amico, devi capire che siamo veramente in un bel casino. Poi, con quattro cadaveri sulle mie spalle. > Mauro fece una breve pausa, poi domandò al compagno ferito: < A questo punto della nostra discussione, non ci siamo nemmeno presentati. Mauro Rossi, per capirci meglio. > L’altro, con un mezzo sorriso sul volto tumefatto e un piccolo movimento della mano, rispose: < Andrea Prandi... piacere Mauro! > < Felicissimo, in altre circostanze. Comunque, altrettanto adesso e di essere ancora vivi. > rispose con un leggero sorriso Mauro. < Be’, visto come va 'sta storia, sarà bene che andiamo a casa mia e poi decideremo sul da farsi. Non possiamo stare troppo in giro, oltre che chiamare un dottore. Abito alla periferia di Cosenza. A una ventina di chilometri da qui. Una piccola casetta con il giardino e l’orticello... > < Uhm! pensi che sia prudente? Senz’altro la polizia avrà già trovato la tua auto bruciata nell’incidente e dal numeri di telaio, risaliranno a te in un baleno. E poi, c’è sempre quell’uccellaccio del malaugurio, che mi tormenta nella testa e mi dice che magari nella polizia, vi sia infiltrata qualche talpa mafiosa? Che intercetta le varie comunicazioni delle forze dell’ordine. Per poi segnalare a chi di dovere, sulle varie indagini e spostamenti della polizia o carabinieri? Capisci la mia diffidenza alla legge. Non so perché ma, non mi fido. Accidenti a me! Ma che stronzo 56 sono! Uno stronzo di merda! Che casino ho combinato! > sbottò. < Ma tu, li pensi proprio tutte, accidenti! Mi sembri Perry Mason? > < Si vede che sono del mestiere. Magari, un famigerato killer. > espose Mauro serio. < Un killer che sa tutto di tutti ed è pronto a vendere l’anima anche al diavolo, per salvarsi la vita dall’inferno che c’è qui sulla terra. Con questa memoria del cazzo! Mi fa imbestialire! > < Dai, Mauro non scherzare! Tu non sei quello che pensi ed esponi, altrimenti non mi avresti di sicuro salvato. > lo redarguì Andrea. < Con questa memoria bloccata che mi trovo... Porca puttana! > Mauro urlò più che mai incavolato, mentre si passava la mano tra i capelli arruffati, poi riprese a dire cercando di essere un po’ più calmo: < Scusami se m’incavolo da solo. Ma mi fa una tale rabbia a non ricordare il mio passato. Be’, lasciamo perdere e pensiamo al presente, dato che si farà senz’altro più scottante nei giorni seguenti. Perciò, ritornando alla polizia e ad un eventuale interrogatorio, mi capisci, cosa voglio dire? D’altronde chi può confermare, che anche tu non sei complice di una delle banda in questione? Tu certamente non sai, se sul posto dell’agguato sull’autostrada c’erano altre persone che tenevano d’occhio la situazione? E per caso ti hanno visto che seguivi l’Alfa nella fuga dopo la rapina? E magari, sanno esattamente ogni mossa che dovevano fare quelli, i rapinatori? Solo che la tua entrata in scena a scombussolato le loro previsioni? E nel secondo inseguimento contro di te, hanno perso le tracce al momento? Comprendi l’eventuale inghippo? Sono solo delle mie supposizioni, ma molto vicine alla realtà di oggigiorno. Vero? E di questi tempi ci si può aspettare di tutto. Perciò amico, pensaci bene a cosa vuoi fare, perché sinceramente siamo nella merda fino al collo. Scusa l’espressione volgare, ma non trovo altre parole più adatte al momento, per esprimere questa faccenda incasinata da matti. Per non dire da morire... > < Sì, è vero! E’ troppo e tutto complicato. Non ho pensato a tutte queste congetture? > rispose Andrea, mentre si beveva quella poca acqua rimasta nella bottiglia. L’arsura era presente nel suo corpo martoriato dalle botte e dalla ferita alla spalla. Poi riprese a dire: < Hai più che ragione, e non sono cose nuove. Te li mostrano sovente alla televisione in certi casi polizieschi. Perciò, bisognerà decidere subito se vogliamo salvarci la pelle. Comunque, per la mia auto, abbiamo un piccolo vantaggio. Anche se dal colpo ricevuto contro i massi e l’incendio dopo e ha distrutto la targa in plastica. Ma se per caso trovassero il numero di telaio. Purtroppo era già irriconoscibile prima, essendo stata manipolata la marcatura, figuriamoci 57 adesso. Perché quando la comprai, da un lurido venditore di auto usate, non mi accorsi che i numeri erano stati contraffatti. Era un’auto rubata. E un fesso come me la comperata a scatola chiusa. Capisci adesso l’inghippo Mauro. E se sarei andato a denunciare quella truffa ci sarei andato di mezzo anch’io. Oltre a rimetterci i soldi dell’auto. Perciò restai zitto, sperando di potermene sbarazzare al più presto, e il momento è venuto ma, non so’ se veramente è quello giusto?.. > si dovette arrestare per un forte sobbalzo, che lo fece sbiancare dal dolore e brontolare a denti stretti dal male. < Ohi! Che male... Accidenti a me! > Mentre Mauro, stava al contempo rimuginando dentro di sé tutte quell’informazione che s’accavallavano l’una sull’altra, e alla fine rispose in parte a quei quesiti: < Già, ma non hai pensato al casellante? Quello può aver preso nota della tua targa e averla già segnalata alla polizia e allora sei fregato, egualmente? In ogni modo e al momento siamo a corto d'informazione più dettagliate. Perciò, dovremo aspettare la stampa cosa dirà dei fatti accaduti ieri. Certo che non sarà la verità quello che scriveranno. Senz’altro a favore di una delle due parti: La legge da un lato e la mafia dall’altra. Ma servirà a valutare la situazione a nostro vantaggio. Se, se, ci sarà un vantaggio, ma né dubito. Oltretutto, se troveranno e confermeranno che l’auto bruciata è tua. Poi, con i numeri contraffatti perché è rubata? Tu, hai già perso altri punti a tuo favore. La tua onestà verrà messa in discussione dal primo giudice che ti capiterà di fronte. E volendo aggiungere qualcos’altro, ti troverai messo male. Anzi, siamo messi molto male! Perché a questo punto dovremo risolvere i nostri problemi altrove. E dico nostri, perché ormai siamo legati l’uno all’altro da un segreto mortale. Questo è più che certo, amico mio! > Mentre l’altro approvava muovendo soltanto il capo. Poi per un buon momento, si era creato un gran silenzio interrogativo nell’auto. Procedevano tranquilli, sulla statale verso Cosenza. Avevano incrociato poche vetture a quell’ora del mattino. Mentre l’alba era già da un pezzo spuntata, rischiarando il paesaggio di un vermiglio striato. Poi, Andrea provò a dire ancora qualcosa, mentre la sua bocca si contraeva in una smorfia di sofferenza: < Hai perfettamente ragione Mauro... Ma, per favore dovresti accostare un momento, appena puoi... > E subito di rimando, in un tono dal fare scherzoso, per rompere quell’atmosfera fin troppo tesa, Mauro gli chiese: < Ti scappa? > E l’altro mentre abbozzava un vago sorriso, gli rispose: < No! Be’, insomma, anche per quello. Anche se, in verità, me la sono già fatta 58 addosso prima la pipì. Quando quelli volevano sistemarmi per le feste... E’ solamente per assestarci un poco i vestiti. Non possiamo arrivare a casa conciati in questo modo. Con in spalle un maglione e quel poco che rimane della camicia tutta strappata. Oltre ai lividi più che visibili. > < Già, cosa diranno i tuoi? > espresse Mauro pensieroso, sapendo di aver trascurato altri particolari importanti. Sarebbero più avanti, entrati in quel giro vizioso senza una via d’uscita, per nessuno. “Accidenti! Non ci voleva adesso anche dei parenti?” Mugugnò tra sé e sé Mauro, preoccupato più che mai dell'andamento preso. < No, non ti preoccupare! Vivo solo. E’ soltanto per i cari vicini di casa, hanno l’abitudine di sbirciare dietro le persiane socchiuse. Perciò vedendomi rientrare con un’altra macchina e in compagnia di un forestiero e per giunta in disordine. Incominceranno a domandarsi cosa mai mi sarà capitato? E io, non voglio dar loro un appiglio per pensare. Così, cercheremo di dare il meno possibile nell’occhio. > < Sì, hai ragione Andrea. Tanto più, se per caso la polizia stradale ci fermi per dei normali controlli. Dal modo che ci presentiamo, siamo ben fregati e non abbiamo pronta una scusa plausibile. Speriamo solamente che questa nostra sfacciata fortuna, continui ancora un poco. Non credi? > mentre dentro di sé Mauro, ne dubitava fortemente, capendo che s’andava sempre più a incasinarsi quella benedetta loro storia. < Sì, è vero... ah, guarda là! Dai fermati la dietro a quella casa cantoniera, c’è uno spiazzo e saremo più riparati da sguardi indiscreti e faremo il più presto possibile. > Si erano cambiati e sistemati alla meglio, con dei panni puliti presi dalla borsa di Mauro, da sembrare abbastanza presentabili visti da lontano, soltanto all’apparenza un po’ stanchi per il lungo viaggio intrapreso. 59 Capitolo Sesto Poi, di colpo Mauro mentre aiutava Andrea a sistemarsi in macchina gli chiese di botto: < Ma tu, hai ancora addosso i tuoi documenti? > Andrea l’osservò un po’ sorpreso per quella reazione motivata. Poi ripensando, rispose con un blando sorriso sulle labbra un po’ tumefatte. Mentre con fatica si chinava per frugare nel collo alto della scarpa da ginnastica. < Ecco qui! Meno male, ce l’ho ancora. > mostrando un piccolo portafoglio di stoffa ricamata. Mentre sbuffava da sembrare un mantice per officina. < L’avevo sistemato nella scarpa, quando ho capito che quelli mi stavano inseguendo e sparando contro. Non so bene il perché, ma l’ho fatto, così d’istinto. Forse non volevo che sapessero chi ero e l’ho fatto appena in tempo. Perché nella confusione quelli mi erano già addosso, scaraventandomi nel burrone e la macchia a preso subito fuoco. Per Dio! Che paura ho avuto. E così, dopo esser stato sequestrato, quelli mi perquisirono per bene e non trovando nulla incominciarono riempirmi di pugni nello stomaco. Pensavano che fossi un poliziotto e mi chiesero i documenti e io, subito di botto, dissi ch’erano nella giacca sulla mia auto ormai bruciata. E per calmarli dissi che mi chiamavo Anselmo Troiso di Reggio Calabria, e mi sembrò che accettassero la mia credibilità per il momento. Ma al tempo stesso mi arrivo un pugno dritto in faccia e per un po’ persi la cognizione del tempo... > mentre si portava la mano sul livido sotto l’occhio e al tempo stesso, chiedeva all’amico che l’osservava incuriosito: < Mauro, prova un po’ a sentire se veramente sono caldo. Ho la febbre? Mi sento bollire e ho dei brividi di freddo addosso. Accidenti! > Mauro appoggiò la mano sulla fronte e borbottò a voce alta: < Cazzo! Ma hai veramente la temperatura alta! Sei così bollente. Qui, bisogna trovare subito un medico? Ma che sappia tenere la bocca chiusa al momento? Comunque non possiamo fare altrimenti adesso, bisogna fermare l’infezione che si sta diffondendo rapidamente! > < Fai, attenzione Mauro! > l’avvertì Andrea indifferente a quello che l’altro gli consigliava in quel momento. < Devi girare in quella strada a sinistra. Più avanti passeremo davanti ad un giornalaio, è sempre mattiniero quello. Così sapremo già, di che male moriremo, giusto! > < Già, tu ci scherzi sopra. Ma devi capire che con quella ferita che si sta infettando non c’è da scherzare troppo! Comprendi? > mentre 60 l’osservava con severità, Mauro incominciava a capire che quel giovane gli era simpatico e in fondo era contento di averne preso cura. Poi tralasciò quei pensieri paterni e riprese a dire con determinazione: < Ora ascoltami bene Andrea. Tu conosci un dottore che può vedere la tua ferita, senza destare troppi sospetti? > Andrea restò un momento a pensare, poi rispose: < No, non conosco... Ah, forse sì! C’è la mia ex ragazza. E' un medico internista all’ospedale infantile, qui a Cosenza. E di lei ci si più fidare. Sebbene sono più di due anni che non ci vediamo, io sono sempre a Firenze per lavoro. Lei ora si è sposata con un mio amico. Beh, insomma, purtroppo è stato per lui che ci siamo lasciati. Ma penso che si presterà ad aiutarmi? > < Ma sei veramente sicuro e puoi fidarti? Purtroppo sai, che è in ballo la nostra vita. E solo con questa idea fissa forse, riusciremo a scamparla. Certo, che alla fin fine, sarebbe bene non immischiare altra gente. Potrebbe essere pericoloso anche per loro. Non per essere polemico e pessimista, ma dopo quello che è successo questa notte, penso che dovremo riflettere molto bene. Prima di prendere una decisione più che affrettata e avventata al caso? > sbottò Mauro corrucciando la fronte. < Già! > sbuffò perplesso Andrea, mentre rimuginava un’altra soluzione. Poi la provò esporre al compagno: < Bene, allora ascoltami. Per prima cosa, faremo così: A casa mia, tu mi controllerai la ferita, visto che finora a tenuto bene la tua fasciatura e poi decideremo se veramente occorre un dottore. Okay! > < M’ha?! Hai almeno a casa del disinfettante, insomma qualcosa per le prime emergenze? Non c'è da scherzare! > < Certamente! Qualcosa ci deve essere ancora... Dovrei avere delle fiale di antibiotici. Me li aveva prescritto un dottore a Firenze per un’infezione intestinale avuta tre mesi fa. E l’antitetanica, l’avevo appena fatta ai primi dell’anno, dovendo fare un viaggio in Africa. Ma poi è andato tutto a monte. E come vedi dovrei essere a posto come primo soccorso... Ma dimmi un po’ Mauro, com’è... insomma, la mia ferita? > < Be’, hai avuto un gran culo! La pallottola a trapassato soltanto il muscolo deltoide, sotto cute, roba da poco. Soltanto che l’infezione potrebbe propagarsi in fretta e perciò è meglio sbrigarci a trovare un medico... credimi. Ci vuole un esperto in materia. > < Okay, okay! Appena l’avrai controllata, decideremo cosa fare. Va bene? D’accordo così! Nonché, mio prode salvatore? > 61 Mauro approvò frettolosamente: < Okay, d’accordo! Ma, lasciamo perdere i convenevoli. Non mi sembra proprio il caso di trascurare la tua infezione così blandamente... > mentre pensava che non era per niente convinto, di quella situazione più che ingarbugliata. Avrebbe voluto ribattere ancora, ma non se la sentiva di contrastare con quel giovane ferito sia nel corpo che nell’anima. Perciò tralasciò quei pensieri funesti e pigiò un poco sull’acceleratore. Poi provò a dire: < In ogni modo, vedo che incominci a pensare... Per il tuo datore di lavoro... o vivi di rendita? > < Magari fosse vero! Faccio un lavoro santuario da un amico libraio a Firenze. Almeno prendo qualcosa per le spese vive e l’affitto. E proprio in questo periodo vi è un po’ di calma e così ho preso un po’ di ferie. Quando vi sarà bisogno, mi telefonerà per avvisarmi. Ecco sistemato anche il problema lavoro. Per fortuna che in banca ho messo un po’ di soldi da parte e così non ho problemi con le mie spese vive. Ha, ecco, rallenta! Sull’altro lato della strada, all’angolo troverai il giornalaio... > Mauro frenò e scese deciso a prendersi diversi quotidiani, poi mentre tornava all’auto, passò di volata a sirene spiegate una pattuglia della stradale. Mauro si era fermato accanto al marciapiede con il fiato sospeso, mentre guardava l’auto che spariva velocemente oltre la curva, facendo fischiare le gomme sull’asfalto lucido. Andrea dall’altro lato della strada, era rimasto bloccato dalla paura, poi si calmò e osservò Mauro attraversare la strada, mentre leggeva i titolo dei quotidiani. Dall’espressione del suo viso corrucciato, trasmetteva soltanto inquietudine. Mentre Andrea deduceva, che quei titoli non erano per nulla rassicuranti. Comunque andassero le cose, pensò, che doveva esserne grato a quel giovane uomo dallo sguardo dolce e comprensivo, di una semplicità da non trascurare. Appena Mauro fu accanto all’auto, gli chiese con apprensione: < Cosa dicono? Parlano già di noi? > < Guarda che titoli cubitali! > proruppe Mauro a denti stretti. < Allora la stampa si sta sguazzando dentro sulle prime notizie. > < Stanno spulciando per bene la situazione. > mentre gli porgeva i quotidiani da leggere e saliva a sua volta in auto. Andrea a fatica spiegò un foglio del giornale con la mano libera e incominciò freneticamente a leggere, mentre l’altro riprendeva la marcia. < Dunque! Senti un po’ cosa dice questo titolo: Un grave atto di pirateria si è svolto ieri pomeriggio, sull’autostrada A3. Sul tratto fra Castrovillari e Spezzano, nei pressi “Le Vigne”. Si è risolto con l’uccisione di ben tre persone. Erano passate da poco le sedici, quando 62 un’auto di grossa cilindrata una Mercedes bianca targata Palermo, è stata speronata e bloccata da un’altra vettura, un’Alfa Romeo 164 di colore scuro e dalla quale sono scesi diverse persone armate e hanno ammazzato tutti gli occupanti. Erano orafi palermitani che viaggiavano con un carico di preziosi di svariati milioni, diretti verso la Sicilia... Ma senti un po’! Cosa vanno a dire questi giornalisti, stanno raccontano palle... Quelli trasportavano droga! L’ho sentito dire chiaramente da quelli... > espresse con stupore Andrea, mentre scuoteva la testa, capendo che l’amico al suo fianco aveva ragione di diffidare di chiunque. < No, non sono loro a dire delle palle. Dietro a tutto c’è sempre qualcuno che esprime una blanda idea, proposta da chissà chi? Sai quelle piccole soffiate. Telefonate tra colleghi di lavoro, amici. E' così semplice. Specialmente se si vuole sviare un’indagine o arrivare a un altro scopo ben prefisso. Comprendi la sottigliezza tra le righe? > < Già! Hai perfettamente ragione Mauro. Chi brancola nel buio siamo noi e forse la polizia, per ora. Ma non per molto. > < Lo sai bene anche tu. Se si vuole sviare altrove le ricerche, basta fare delle piccole telefonate anonime, o avvisare un amico e il gioco è fatto. Magari poi vengono smentite, ma per il momento il suo effetto è senz’altro riuscito. Puoi starne certo Andrea. La mafia ha già sguinzagliato ovunque le sue spie. Per il semplice fatto che non vuole rimetterci dei milioni e farsi prendere per il culo. E per i morti non gliene frega un bel niente, c’è in giro un sacco di gente pronta a tutto. E per poche lire sono pronti a rimpiazzare quelli che ho steso laggiù, in quel posto di merda e poteva diventare oltretutto, anche la nostra tomba. > < Pensi, che sia così? Certo che sta diventando un bel casino? E noi che siamo le vittime, non possiamo neanche protestare. Altrimenti ci sarà qualche pallottola vagante che ci chiuderà il becco. Accidenti! Ma lasciamo perdere e andiamo avanti. Vediamo cos'altro c'è su quest’altro giornale. Comunque ascolta cosa dice qui l’articolo in grassetto: Vi sono altri testimoni un po’ discordanti, che asseriscono di aver visto un’altra vettura inseguire quella dei malviventi sulla provinciale che costeggia l’autostrada. Ma al contempo c'è chi conferma il contrario, nel carosello di auto. Accidenti ci siamo? Ma procediamo per ordine, ascolta: Ancora non è stata ritrovata l’auto usata per la rapina, Ma dall'indizi segnalati dalla polizia, risulta essere un’auto rubata a Roma: un’Alfa 164 blu scura. Insomma proprio quella. Poi dice ancora: Dopo aver speronato la Mercedes bianca palermitana e averla bloccata, i quattro o cinque 63 malviventi armati, ecc. Continua dicendo: Le vittime risultano essere i signori Gaetano Cossi e Anselmo Mitano, titolari di una ben nota ditta orafa palermitana. Sono stati crivellati di colpi assieme all’autista e guardia del corpo, un certo Sergio Bocchin, di Palermo... Dall’auto sono state trafugate due valige di preziosi. Così ha riferito alla polizia, la segretaria dei due orafi palermitani, in lacrime... E più sotto, dice ancora: Poi la stessa Alfa blu è stata vista presso il casello di Spezzano assieme ad un’altra auto. Una Fiat Uno di colore scuro, Adesso parlano della mia auto. Accidenti! Sembra che l’autista di questa, abbia sparato al casellante e poi fuggito assieme all’alfa blu. Ma in una curva è volata fuori dalla strada e si è incendiata. Dai rilievi della scientifica sul posto, la vettura risulta aver ricevuto dei colpi di arma da fuoco, ma del passeggero nessuna traccia, Ma guarda un po’, come fanno a sapere che ero solo in macchina? Comunque, vediamo più avanti, > mugugnò Andrea e riprese a leggere: sembra proprio, essere un componente della banda, con il compito “da palo”. Purtroppo della Fiat Uno la scientifica non a potuto rilevare il numero di telaio, essendo quella parte la più danneggiata e la targa era del tipo in plastica, distrutta dalle fiamme, ma si presume anch’essa rubata... Be’, che ne dici Mauro, di questa piccola fortuna sulla sorte della mia auto. Per un po’ possiamo star tranquilli... Però, accidenti! Avevi proprio ragione tu. Sanno ch’ero solo e ora sono già accusato di aver fatto fuori il casellante. Allora quello non ha potuto prendere il numero della mia targa, se l’hanno fatto fuori? > < Ma, io, non griderei ancora vittoria. Forse ha scritto il tuo numeri da qualche parte prima di morire, speriamo di no? Comunque sappiamo già qualcosa in più e dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza. Qualcun'altra persona, era però sul posto e ti ha visto e magari ha il tuo numero di targa? Questo è più certo, che incerto. Tra non molto ci troveranno con due fori in testa e track! Tutto è belle che sistemato a dovere. Credimi... Amico, siamo nella merda! > < Effettivamente hai ragione, come hanno saputo per bene far precisare cosa conteneva le valigie, che hanno preso quei killer. Anzi, la valigia io l’ho vista prenderla e metterla nel baule dell’Alfa. Altro che brillanti! Quelli parlavano di droga. Cocaina pura. > < Certo, anche i ragazzini capiscono questi sotterfugi, d’altronde dobbiamo aspettarci di tutto. Perché le varie faide non smetteranno d’indagare e scoprire chi ha fatto il doppiò gioco e soprattutto dov’è finita la droga e in quale mani? > mentre Mauro arrossiva dentro di sé per quella 64 grossa bugia. Ma per il momento non voleva creare altri problemi a quel giovane invalido. Poi, sentiva dentro un certo sgomento, che non sapeva ben definire? Intuiva altri guai in arrivo perciò, era diventato restio a confidarsi completamente. Pensando che c’era ancora tempo per spifferare tutto su quel malloppo, sistemato nel baule dell’auto alle loro spalle. D’altronde, era meglio così, in caso di un arresto Andrea non ne sapeva proprio nulla. Così restava soltanto la sua parola a discolpa dell’amico. Poi, effettivamente Andrea era troppo teso e saper di quella fortuna o sfortuna, poteva montagli la testa e commettere qualche imprudenza. Poi Mauro, fu distolto dai lamenti di Andrea e smise di pensare e spremersi le meningi per il momento. < Sai, ‘sto veramente male! Mi viene voglia di vomitare. > espresse Andrea pallidi in viso. < Forse è l’effetto ritardato di questo dramma capitato, che mi fa star male. E’ come guardare un film e non essere l’interprete. Invece è la realtà nuda e cruda. Amico mio... accidenti che paura! E che casino ho combinato! > < Non devi abbatterti, proprio ora che la vita ti ha riservato ancora altro tempo, prima di depositare le tue spoglie tra i trapassati. In verità, anch’io ho vomitato l’anima in quel fossato accanto all’auto... Perciò, cercheremo in futuro di goderci la vita il meglio possibile. > < Già, è sacrosanto vero. Diventeremo più astuti e furbi in avvenire. Saremo la coppia più scavezzacollo che ci sia. Giusto! Io cercherò di portarmi a letto tutte le più belle donne e scoparmele tutte quante. Questo sì! Sarà quello che faremo in futuro, amico. Accidenti! > < Certo, certo! Però... anche mezzo moribondo, sei un volpino ragazzo! > mentre lo fissava con interesse, Mauro pensava che in fondo ha tutto, quel giovane aveva tutte le ragioni di questo mondo per divertirsi. Era bello, alto, magari un po’ ombroso in viso, ma di animo aperto e sincero e quel mezzo sorriso che esponeva era qualcosa di eclatante per un uomo della sua età. E si trovò nuovamente a pensare e dubitare delle sue facoltà mentali, che incominciava a sentire qualcosa di diverso per quel giovane moro. Qualcosa che andava oltre e aveva paura di recepire nel suo intimo, avvisaglie di nuove concezioni d’idee errate. E si trovò a sudare abbondantemente per quella paura interiore. Poi, tralasciò quella retorica prosopopea e riprese a dire: < Sai Andrea. Fra i miei documenti ho trovato che in banca possiedo un bel po’ di grana, soldi. Così potremo andarcene per il mondo a spassarsela senza pensieri. D’altronde del passato non mi ricordo più niente e allora. Divertiamoci, diamoci dentro! > < Ma, come mai, ti ricordi dei soldi e non dei tuoi parenti? O scusa! 65 Non dovevo aprire la bocca a sproposito... > < No, no, hai più che ragione. Ma ho trovato un mio libretto d’assegni e l’importo ammonta a parecchio. Ecco tutto qui, perché mi ricordo. Forse sono i soldi dei miei servizi come killer, chi lo sa? > mentre sorrideva tra sé, per quella trovata del killer. D’altronde era stato troppo bravo a sparare e forse quella supposizione calzava a dovere? Mentre l’altro dispiaciuto, ribatteva le sue scuse all’amico, era veramente mortificato. < Scusami ma, non volevo veramente offenderti. Comunque io non ci credo. I tuoi occhi non mentono, e non hai lo sguardo freddo e determinante. Tu non sei un vero killer, ci scommetto le palle! > < Non scherzare con i tuoi gioielli. Potresti perderli veramente e sarebbe un vero guaio, non poter scopare con piacere in avvenire. > < Be’, tanto per cambiare discorso. Tu mi conosci appena e già vuoi dividere il tuo danaro per divertirci. Perché mi proponi questo? Mai nessuno in vita mia si e permesso di prestarmi un centone. E tu vorresti spendere il tuo danaro con me? Non è giusto... > < Perché non è giusto? Ormai anche volendo siamo legati entrambi da un vincolo mortale e solo essendo uniti ci salveremo la pelle. Perciò quello che è mio è anche tuo. Chiaro! > < Non troppo, ma vedremo poi, più avanti, amico. Sai una cosa Mauro?! Se avessimo con noi quella valigia e se veramente fosse piena di preziosi o droga, adesso potevamo... > < Fare nulla! Ecco cosa si può fare con tutti quei se, se? Non ricordi quel grassone con la barba che stava per spararti, cosa disse? > Mentre Andrea muoveva la testa in segno negativo e si vedeva ancora, in quel momento ch’era spaventato a morte dallo sbiancare del suo viso. Poi, con titubanza rispose: < Be’, veramente non ricordo nulla di quel momento. Vedevo solamente la canna di quella pistola puntata contro. Cristo! Me la sono fatta addosso dalla paura... credimi... > < Be’, io sì, invece! Ho sentito quello che ti sbraitava contro con cattiveria. C’era dentro della droga, che loro l’avevano rubata ad altri per questioni di tangenti, per dei passaggi e pedaggi obbligatori da pagare. E tu vorresti che diventiamo anche noi venditori di morte per farci la grana facile, rispondi? > espose serio Mauro. < Sì, hai ragione. Quanti compagni o visto finire male per quella porcheria. Era solo per dire, d’altronde l’avevano già scaricata prima, > confermò Andrea. < Quando si sono fermati per telefonare a qualcuno. Perché il telefonino che avevano loro, si era rotto nella colluttazione della 66 battaglia. Così dicevano tra loro, mentre io ero prigioniero e incuneato sul pavimento dell’auto, schiacciato sotto i loro piedi. Quei figli di cani! Mi pestavano con cattiveria... Pace alle loro anime. E poi, quando il capo uscì dall’auto per telefonare, uno era sceso ed aveva aperto il cofano dell’auto, l’ho sentito frugare dentro e prendere dall’auto qualcosa di pesante, dal modo che imprecava quello, poi si allontanò. Mentre un altro sopra di me stava dicendo all’autista: “Appena sistemata la merce, ci divideremo le nostre parti e via sulla Costa Azzurra come nababbi”. Ma fu interrotto dall’arrivo del capo e dell’altro, quello smilzo... > < Cosa hai detto? Come. Hanno telefonato a qualcuno? > lo fermò Mauro. < Allora, potrebbero aver letto la tua targa e trasmetterla a chi di dovere, per sapere chi sei veramente tu? Capisci che potrebbero averlo fatto. L’unica speranza che non gliene fregava niente di te, dato che aveva già pensato di farti fuori. E magari l’avrebbero fatto accanto alla tua macchina se non arrivava della gente. Capisci amico? Si fa sempre più complicata la questione. Perla miseria! Che inguaiata del cavolo! > sbottò deciso Mauro, nell’apprendere quella nuova congettura. < Già! A questo punto dobbiamo veramente stare attenti. E’ meglio essere poveri ma vivi. Sai, che mi fa venire la pelle d’oca a ripensare a tutto quello che c’è successo in queste poche ore. Hai proprio ragione Mauro, stiamo per affogare nella merda. > < Be’, allora tieni duro e agguantati alla cima... > < Magari se fosse così facile per risalire la china. > 67 Capitolo Settimo La rustica palazzina era situata ad angolo sulla via principale che porta al centro della frazione. Il cancello d’entrata era ubicato lateralmente nella viuzza in terra battuta e terminava poi in aperta campagna. Con fatica Andrea aveva aperto il cancello e aveva indicato a Mauro di parcheggiare l’auto sotto il porticato in fondo al giardino di casa. Mauro appena sceso dall’auto si guardò attorno a rimirare il posto con circospezione. La casa era disposta su due piani con la scala esterna per salire al piano superiore; Notò che su ogni gradino della scala vi erano vasi di gerani in fiore, dando un tocco di allegria all’edificio dipinto di bianco e le imposte di un verde scuro. Ad un certo punto Mauro fu distolto dal suono delle campane della parrocchia a un paio di chilometri di distanza e stavano rintoccando le ore sette del mattino. Mauro capì che le ore stavano volando via velocemente. Perciò si apprestò a prendere la propria roba dal bagagliaio dell’auto. Andrea si era risistemato sulle spalle, la leggera giacca di lana di Mauro, per coprire alla meglio la voluminosa fasciatura. Tenendola accostata con la mano libera, assieme i vari quotidiani. Richiuso il cancello d’ingresso e bussò sui vetri della finestra della padrona di casa per salutarla. Come sua abitudine fare. < Vado di sopra ad accompagnare il mio amico. Tra un momento sarò da lei, mamma Concettina. > l’avvertì velocemente Andrea con un sorriso malfermo. Poi invitò Mauro a seguirlo di sopra. Mentre gli mostrava l’ubicazione del suo appartamentino. < Io abito qua sopra, e sotto abita la padrona di casa. > gli stava spiegando Andrea sottovoce mentre salivano le scale. < E’ lei, che mi tiene l’appartamento in ordine, è così coccola e buona. Oltretutto vive sola e con una misera pensione. Così, con l’affitto che gli passo oltre le spese varie, si aiuta a tirare avanti. E sinceramente, devo dire che mi vuole un bene dell’anima. Come, un figlio. > espose sorridendo. Poi appena entrati in casa, mormorò piano a Mauro: < Mettiti pure comodo. Intanto io, scendo un momento e vado a salutare mamma Concettina. Altrimenti, può darsi che ce la troviamo qui da un momento all’altro. Sai, ormai è da tre anni che lo abituata a ciacolare un poco al mio rientro da Firenze. Ti sembro, a posto? > chiese all’amico preoccupato e Mauro accennò di sì col capo. < Sai, lei si alza sempre presto al mattino. Senz’altro si domanderà chi e mai quel giovane che mi accompagna e per giunta con un’altra macchina e non 68 la mia? E appena andrà a far spesa. i vicini gli chiederanno subito, chi sei tu e cosa fai? Poi con quell’auto rossa targata Padova. Capisci. Da queste parti, tutti vedono e sentono ogni cosa. Sono sospettosi. Ma avendo paura della ndranghete, nessuno fiata apertamente. > < Certo, ma cosa gli dirai di preciso? > chiese Mauro incuriosito e preoccupato per la leggerezza del giovane. Mentre l’altro si sistemava meglio la giacca rispose tranquillamente: < Ho avuto un incidente con la mia auto a Firenze e lo lasciata per le riparazioni. Chiaro! E tu sei un mio amico. Un editore del Veneto e socio del mio datore di lavoro. Mi hai accompagnato a casa con la tua macchia sportiva. Visto che io, ho una piccola slogatura al braccio. Esatto! Così sarà soddisfatta e non chiederà più nulla. Poi, se proprio vuol sapere altro. Gli dirò che tu a Padova hai chiuso la legatoria per ferie. E sei venuto qui a farle in santa pace con me. Che ne dici, ti va l’idea delle ferie qui a Arcavacata? > < Ha, si chiama così questo posto... Arcavacata, però?! Ok! Vai, ma fai presto, che controlleremo poi la tua ferita. > < Sai una cosa Mauro. > riprese a dire Andrea, mentre stava per aprire la porta e si era girato. < Per me è come una madre. Forse, perché non ne ho mai avuta una vera. Mamma Concettina, mi sta riempiendo di affetto e amore, colmando quel gran vuoto che mi portavo dentro da tanto tempo. Comprendi questa mia riconoscenza... > espresse il tutto senza aspettare una risposta, mentre usciva di casa deciso. Mauro si rallegrò in cuor suo, per quell’affiatamento e amore ch’era sorto tra i due. Poi si distrasse ad osservare il piccolo appartamento del giovane, curiosando nelle varie stanze. Scoprendo che Andrea aveva un simpatico salotto, con un comodo divano letto, di fronte il televisore e un piccolo impianto hi-fi. Nella parete di fronte all’entrata, vi era una grande finestra che si apriva sulla viuzza laterale. Coperta da una tenda bianca ricamata a mano e di lato contro la parete verso la cucina, una piacevole libreria moderna. Sul piccolo tavolino vi erano vari libri e riviste accatastate e sparse un po’ ovunque. Mauro pensò, che senz’altro la signora Concettina non toccava nulla in quel piccolo disordine del giovane. Per il resto, l’ordine era presente in ogni angolo. Le parete erano ricoperte da una simpatica tappezzeria colore pastello. Dall’altra parte vi era la piccola cucina in legno chiaro, dal colore eguale nelle quattro pareti in perlinato. Mauro si accorse che c’era lo stretto necessario per l’emergenza, ma si vedeva ch’era poco usata. Dall’altra parte dello stretto corridoio c’era il bagno doccia e al suo fianco la camera da letto, con un ampio armadio antico, una 69 poltroncina e un ampio letto dalle spalliere in ottone, ed era sistemato contro la parete del bagno e di fronte la finestra, ch’era coperta da un grande tendone color panna. Mauro spostò leggermente il tendone e scoprì che la finestra si apriva e guardava sulla strada principale, del piccolo borgo di Arcavacata. Mauro, usò il bagno con soddisfazione era giorni ormai che desiderava un piccolo momento d’intimità personale. Invece della toelette nelle stazioni di servizio quasi sempre sporche. Poi, ripresosi un poco, si recò dall’altro lato in camera e si sedette sulla poltroncina con un giornale in mano, Ma s’addormento di botto per la grande stanchezza e sfinimento. Erano le otto, quando Andrea ritornò di sopra con del caffè bollente e trovò Mauro di traverso sulla poltrona, che russava profondamente sfinito. Avrebbe voluto lasciarlo dormire ma, dovendo continuare quella loro commedia. Si sforzò alzando la voce, per farsi sentire anche dalla cara signora di sotto. < Mamma Concettina, ti manda i suoi saluti e ci offre il suo caffè, Più tardi dopo aver riposato un poco andremo a farle visita. D’accordo Mauro! > Mauro si era svegliato di botto a quelle parole a volume alto, capendo e cercando a sua volta di stare al gioco. Purtroppo assonnato rispose con difficoltà alla domanda mal recepita: < Ringrazia la signora da parte mia e sarò felice di far dopo la sua conoscenza. > poi a voce più bassa brontolò. < Hai perso un sacco di tempo. Be’, prendiamo questo benedetto caffè. In verità lo desideravo molto, > dirigendosi in cucina, per sorseggiare quel bramato nettare caldo. Poi, dopo un buon momento di rinsavimento, Mauro chiese ad Andrea. < Dai, prendi l’occorrente per le medicazioni ragazzo. Hai veramente una faccia cadaverica, che proprio non mi piace affatto. > < A chi lo dici. Sono sfinito e se non facciamo presto io svengo prima. Anche Mamma Concettina, sé ne accorta subito... > si era fermato di parlare per cercare di svestirsi. Ma a quel punto accorreva l’aiuto dell’amico se voleva risolvere i suoi problemi. Mauro l’aiutò a togliersi la giacca e quel che restava della camicia. La precaria medicazione si era insanguinata. Mentre Andrea, riprendeva con fatica a parlare e a riferire la conversazione avuta con la signora Concettina. < Sai una cosa. Mamma Concettina, appena ci ha visti arrivare nel cortile si è spaventata a morte. Vedendomi senza macchina e con la spalla rigida e poi, la mia faccia così tirata e l’occhio pesto. Perciò, ho dovuto faticare per rassicurarla che era 70 lieve il danno. Le ho detto che avevo preso uno forte scossone nel tamponamento, ed ero ancora un po’ intontito. E mi è sembrata che l’abbia bevuta bene la storia dell’incidente. Sinceramente, mi secca molto prenderla in giro. Lo so che è impossibile spiegare i fatti come stanno veramente. Ma non è giusto questo mio comportamento scorretto nei suoi confronti. Non se lo merita affatto... > < Sì, certo! Ma ora siediti e stai fermo! > gli ordino Mauro. < Ti faro un po’ male. > spiegò all’amico dolorante, mentre osservava il petto del giovane sotto la canottiera, pieno di ecchimosi. < Ti hanno sistemato per le feste. Sei coperto abbastanza bene per tutto il corpo di lividi e graffi. > < Be’, anche i tuoi non sono di meno. Li ho visti quando ci siamo rimessi un po’ in ordine, laggiù, dietro la casa cantoniera. > < Già! Possiamo provare a contarli chi ne ha di più. In verità, anch’io mi sento tutto rotto! Non vedo l’ora di andare a letto e poter dormire per una settimana intera. Comunque, ora e meglio fare subito quella puntura che dicevi di avere in casa. Almeno e spero, tenterà di fermare l’infezione. In ogni modo, mi sembra che la febbre sia diminuita un po’, sei meno caldo. Penso sia meglio che ti lavi prima, sei sudicio e potresti infettare di più la ferita. Visto che il nastro adesivo tiene ben chiuso i fori. Si potrà girarci attorno con l’acqua, per pulire via lo sporco. Ti pare? > < Sì, hai ragione. Aiutami per favore a togliermi di dosso i vestiti, mi sento sporco fin dentro all’anima. Uhm, che male! > sbottò sotto voce. < Figurati anch’io, come mi sento dentro. Sono riuscito a scaricare dell’altro fetore che m’avevano riempito quelli... E in verità, con grande dolore frammisto al sangue raggrumato. Forse hanno usato qualche bastone per ferirmi all’interno. Accidenti! Che brutta cosa non ricordarsi niente? Speriamo di non avermi preso qualche malattia di questi tempi. Accidenti a loro! > sbottò, con un tremore addosso. Andrea percepì a sua volta quel conflitto di lotte impari all’interno di quell’amico smemorato, che faticava tremendamente ad accantonare quell’aggressione subita. Mauro si stupì da solo per quella confidenza così particolareggiata con il giovane amico, che mai prima d’ora, si sarebbe permesso con chiunque di ventilare o accennare su certe cose così intime e sporche. < Certo è un bel guaio, speriamo bene! > rispose appena dopo Andrea un po’ preoccupato, mentre gli appoggiava la mano sulla spalla a confortare l’amico. Poi per distrarre l’attenzione propose: < Dai su spogliamoci e facciamo questa benedetta doccia. Ci laverà via la sporcizia del mondo. Aiutami per favore! > 71 Mauro cercava di far molto piano nel togliere quella canottiera strappata di Andrea. Lo trovava interessante con la barba un po’ lunga e quel cerotto sulla spalla, da conferirgli un’aria spavalda. Quasi fosse un marine appena rientrato dal fronte. Sebbene era la prima volta che Mauro eseguiva tale operazione, ne rimase colpito e in verità gli piacque farlo. Vi erano tante cose nuove da imparare in quella forzata unione, in una prossima convivenza per la sopravvivenza. In parte lo turbava, ma anche l’attraeva. Ma allo stesso istante, si spaventò di quelle sue nuove turbative. Scoppiate così per caso e venivano così di botto a confondere la già precaria sua situazione mentale. Pensando con sgomento, se lui per caso nel passato era un diverso, un omosessuale? Poi, scacciò con forza quelle balzane idee, che decisamente non dovevano riguardarlo di persona. Poi senza indugio, si alzò deciso e accompagnò l’amico in bagno, aiutandolo a entrare nella doccia. Mentre Andrea goffamente protestava, guardando Mauro impacciato. < Be’, ora che faccio? > facendo gesti strani con la mano libera. E di rimando Mauro rispose deciso, ma al tempo stesso più che mai confuso: < Aspetta! > borbottò e si spogliò velocemente, in quella confusa e vergognosa idea nella sua mente. Aveva buttato a terra i suoi vestiti e si era ficcato nudo come un verme, dentro alla piccola doccia. Andrea lo stava guardando con ammirazione, da confonderlo ancora di più in quel rossore sprigionato dal suo viso. 72 Infine, Mauro fece scorrere l’acqua fresca sulle loro pelli piene di ecchimosi e a godere di quella frescura per entrambi. Sperando al tempo stesso, che plachi oltretutto quei suoi bollori di calura. Passò delicatamente la mano sulla pelle dell’altro e gli strofinò con la spugna l’epidermide ambrata. Evitò di toccare la ferita che tracimava ancora un po’ di sangue. L’amico non si lamentava e sopportava bene quel dolore lancinante, che traspirava solamente dal suo viso contratto. Mauro lo strofinò per bene da ogni parte, evitando di soffermassi troppo a lungo sulle parti più intime del giovane, ma al contempo si sentiva turbato e eccitato. Mentre Andrea beatamente si stava crogiolando in quel servizio fatto al completo dall’amico, senza minimamente darsi da fare con la mano libera e sana. Mauro dal canto suo, si masturbava la mente sulle sue nuove turbative, scoppiate così all’improvviso e senza un vero perché di quel fatto intuitivo. Capendo al tempo stesso che non era giusto quel suo comportamento. Si sentiva così confuso, per quella improvvisa profusione d’interesse per l’altro, in quel contatto dall’apparenza scostante. In quell’accostamento così banale ma, fin troppo sentita l’attrazione fisica. Più probabile, platonica. Mentre le loro epidermidi a contatto si toccavano e si sfregavano continuamente in quello spazio così ristretto, creando inspiegabili e imprevedibili sensazioni, mai provate prima dall’ora. Mauro era talmente disorientato e confuso. Ma al tempo stesso gli venivano certe idee paradossalmente eccitanti, d'inconcepibile emozioni al quanto strane e contorte. E in quel medesimo istante, percepì con terrore che anche Andrea captasse i suoi pensieri e turbamenti. In quel frangente di supposizioni strane, che gli trasmettesse ingenuamente le sue emozioni e impressioni in quel momento divenuto audace. Mentre Andrea, con un piccolo sorriso e superando il forte dolore che gli procurava la spalla gli espose quasi serio: < Sai, è molto difficile a dirsi, ma mi eccitano abbastanza le tue mani sulla mia pelle. > < Cosa vai pensando, è senz’altro il dolore ti da alla testa? > espose Mauro arrossendo, per le sue immaginarie visioni sconce di poc’anzi. < Sentirmi strofinare la schiena da una mano forte e per giunta maschile. Non avrei mai supposto prima d’ora, questo pizzicore di piacere così stranamente eccitante. A prescindere dei fatti accorsi, che nel giro di poche ore, mi hanno portato dal finire prima arrosto e poi ammazzato. Infine, esser salvato da un caro amico. E guarda casa, ora mi sta lavando per bene anche il culo. Cosa voglio di più, da questo mondo ingrato? > 73 mentre faceva scorrere la mano sul petto di Mauro divenuto un po’ tremante. Mentre l’altro con falsa decisione gli rispondeva, tossendo per l’impacciata situazione, mentre la sua voce sciorinava malferma: < Non ci sono problemi, giovanotto! Se è la mia mano che ti turba, puoi dirlo chiaramente? O forse preferisci così... magari è più eccitante? > dandogli una leggera sculacciata a mano larga, sul bel sedere sodo e nudo dell’amico. Che protestò decisamente: < Non eravamo d’accordo così! E poi, io, mica ci stavo provando... > mentre gli sfuggiva un debole sorriso. < Certo che se saresti una bella pollastra, allora sì! Non penserei certamente alla mia spalla in questo momento. Ti scoperei all'istante. > < Vuoi che ti dica veramente, cosa ho pensato di te, questa mattina in macchina? > sbottò deciso Mauro, ma al tempo stesso si bloccò sorpreso per le sue stesse parole, uscite fuori così all’improvviso. < Cosa hai pensato? E cosa centra, con quello che ho immaginato? S’intende senza malizia. > rispose l’altro sorridendo forzatamente ancora. Mauro lo stava fissando con determinazione, poi riprese. < Non so il perché ti sto’ dicendo questo. Ma di te mi fido ciecamente e anche quel pudore che potrebbe insorgere con chiunque, con te non lo provo. Perciò ti posso dire liberamente, quello che ho pensato questa mattina. Mentre tu eri assopito al mio fianco in auto... E sei scivolato contro la mia spalla. > < Be’, allora? Vai avanti, su parla! > lo spronò Andrea incuriosito. Mentre Mauro aggrottava le sopracciglia titubante, poi abbassò il capo e infine si confidò: < Ho presupposto che... E’ una cosa strana. Al tempo stesso mi fa incavolare tremendamente. Insomma per farla breve. Ho immaginato che se eri tu a possedermi e non quelli là... Tu non puzzi di rancido e di schifosa birra... Ah, scusami queste mie stronzate! ‘Sto impazzendo. Accidenti! Forse era meglio che non parlavo, esponendo così scioccamente i miei pensieri balordi... Accidenti! > e si fermò sopraffatto dalla vergogna, mentre gli occhi si erano fatti rossi sotto l’acqua che lambiva i propri corpi. Andrea lo stava osservando con stimato affetto e poteva leggere nelle sue irridi azzurrognole, una profonda pena. Comprendendo quale dramma interiore era in conflitto con sé stesso e prontamente cercò d’incoraggiarlo alla meglio: < Ti comprendo Mauro. Ma se posso esprimere la mia opinione senza offesa. E’ semplicemente una tua reazione a voler ad ogni costo scacciare quel brutto momento. Certamente con la mia presenza in questa nostra acquisita amicizia, ti porta ad immaginare, che possa essere la soluzione migliore. Da poter sovrapporre a quella realtà meschina e 74 fetente. E’ il tuo subconscio che si rifiuta, non vuol saperne di quel fatto. Ti ha sconvolto la vita. Devi solo lasciare che scorra con il tempo nel dimenticatoio e ogni male pian piano sciamerà via. Credimi amico... > consigliò Andrea in quella circostanza e si trovò ad abbracciare quel caro compagno avvilito. Mentre Mauro in quel contatto così stretto e bruciante cercava disperatamente di distogliere il suo pensiero da quelle perverse immagini che gli danzavano davanti agli occhi. Ma al contempo e saggiamente capiva che la cosa più importante in quel momento, era ben altra. Prendersi cura del suo paziente e ripristinare la medicazione al più presto. Infine dopo un prolungato e affannoso sospiro, Mauro disse con fare sottomesso: < Scusami ancora Andrea. Hai più che ragione, vorrei tanto dimenticare e ricordare invece il mio passato, qualunque esso sia. E poi almeno potrei eventualmente giudicarmi da solo. Nel distinguere obbiettivamente qual è il bene e il male nel mio passato buio. Perché, al momento non so bene cosa rappresento io, in questo mondo infame e fetente. Sinceramente è molto dura arrampicarsi sugli specchi a mani nude. Tu mi puoi capire amico... > Poi si diede una scrollata di testa e aiutò Andrea a uscire dalla doccia, facendolo sedere sul water. Mentre lui terminava di sciacquarsi via il sapone da dosso e al contempo Andrea commentava: < Già, come ti capisco amico mio. > Mauro uscì subito e si preoccupò di asciugare Andrea e poi sé stesso frettolosamente. Tentando di deviare quell’atmosfera tesa, in qualcosa di più spiritoso. Chiedendo all’amico, mentre terminava di asciugarsi i capelli: < Abita qui in città, la tua ragazza? > Andrea per in attimo si trovò confuso poi, mentre osservava l’altro stranamente pensieroso, gli rispose sorridendo: < No! Non qui, ma a Firenze. Anzi per la precisione, abita a Fiesole. Perché? > < Scusami, la domanda idiota... > sbottò Mauro. < Figurati! Comunque è ancora una semplice amicizia... forse più avanti. Chissà? > rispose sereno l’altro. < Scusami ancora. Ma immaginavo che abitasse qui vicino, chissà perché? > mentre si passava la mano tra i corti capelli castano chiaro, poi riprese a dire: < Invece io con questa memoria del cazzo, non so veramente se ho per caso da qualche parte, una donna che m’aspetta. Magari in qualche parte del Veneto, così indicano i miei documenti. Accidenti! Nemmeno un numero di telefono. Anche se continuo a spremermi le meningi, non viene fuori proprio niente. Dovrò decidermi a tornare a Padova. Forse? Perla miseria! Ah... sarà meglio parlare d’altro. Invece di 75 star qui a lagnarmi come un bambino viziato che gli hanno appena rotto il giocattolo. Dai, amico! Vieni che controlliamo questa benedetta ferita. E' molto più importante delle mie stronzate che vado blaterando. > < Okay! Andiamo di là Mauro, e non t’arrabbiare. Lo sai che non serve a nulla, piangere sul latte versato. > Andrea si era messo seduto e Mauro diligentemente incominciò a pulire con del disinfettante la ferita, mentre toglieva il grosso cerotto sui fori. Facendo mugugnare Andrea dal dolore. Mentre il sangue ricominciava a fluire fuori. Mauro, esamino per bene da ogni parte dei due fori, ristagnati dal sangue coagulato. Poi Mauro, li pulì entrambi per bene. Andrea faceva ogni sforzo per non gridare dal dolore. Aveva la fronte imperlata di sudore e soltanto di tanto in tanto gli sfuggiva dei deboli lamenti a denti stretti per evitare di farsi sentire dalla signora Concettina al piano di sotto. < Ti prego Mauro fai presto! > borbottò tra i denti. < Non ce la faccio più a resistere... Tra poco, mi metto a urlare dal dolore... > < So, che ti faccio male e ti capisco più che bene. Ma devi resistere, ‘sto per finire e poi ti farò una bella fasciatura. Parola d’artista... > < Artista su o giù, il male c’è l’ho egualmente io. Muoviti e basta! > < Da dan! Ecco fatto! Ora porgi le chiappe e ti infilerò dentro tutto l’ago. Così mi vendico per bene, scaricandoti addosso la mia rabbia. > < E per cosa? Se possibile saperlo, > chiese Andrea, mentre si metteva comodo e pronto a ricevere l'ago nei glutei. La siringa era ormai pronta in mano di Mauro e come ultima richiesta bisbigliò: < Fai piano... Per favore? Detesto le punture. > < Lo faccio solamente per farti venire ancora un pochino di paura e così, alzerà il tasso di adrenalina nel tuo corpo martoriato. > < Ah, grazie tante!... Hai! Ma noi due... non eravamo d’accordo di fare diversamente, senza dolore? > < Certo, certo! Ma ora beccati questo trattamento, amico. Lo sai che sono un sadico killer di professione. > < Accidenti! Ma sei proprio fissato con ‘sto killer del cavolo! > sbottò Andrea dolorante. Alla fine del pronto intervento, si erano distesi nudi sul letto esausti. Andrea si lamentava per il dolore alla spalla, aveva preso inoltre delle pastiglie contro i dolori in generale. Con la speranza di poter dormire almeno un poco ma, la grande spossatezza, oltre la paura e tutto il resto era troppa, che faticava a prendere sonno in tutti i modi. 76 Mauro era rimasto a fissare il soffitto rischiarato dalle fessure delle persiane chiuse, che lasciavano trapelare la luce del sole ormai alto. Quelle strisce di luce venivano interrotte dall’ombra delle auto che passavano sulla strada sottostante, ma contrastavano con il loro senso di marcia, andavano alla riversa. Poi, finalmente il sonno e la stanchezza si fecero sentire di più e senza accorgersene s’assopirono, l’uno accanto all’altro stremati dai troppi avvenimenti in simultanea. Mauro si svegliò con dei forti crampi allo stomaco, alzò il capo e guardò l’ora digitale sul comodino, erano già le diciassette pomeridiane. A quel punto incominciò a capire che non avrebbe più dormito la fame era insiste. Pensò di andare in cucina, sperando di trovare qualcosa da mettere sotto i denti, mentre avrebbe aspettato che anche Andrea si svegli. Nel frattempo gli appoggiò la mano sulla fronte per captare la temperatura e gli sembrò contenuta, su bassi livelli. Constatando l'effetto dei medicinali. Infine Mauro, si alzò dal letto. Si sentiva tutto indolenzito ma al contempo felice di essere ancora vivo. Poi, si recò in bagno evitando di far troppo rumore, si lavò i denti e si sciacquò la bocca parecchie volte e si tracannò un bel bicchiere d’acqua fresca. Tornò nell’atrio e si prese la sacca da tennis e andò in cucina posandola sul tavolo, per verificare il contenuto. Tolse da sopra l’occorrente per il tennis, e infine aprì la cerniera e controllò la refurtiva. In un primo momento non era ancora troppo convinto in quel frastornato dramma. Soltanto il frutto di una sua brutta fantasia, scoppiata dal trauma subito. Alla vista di tutti quei biglietti verde, accusò un capogiro. Poi, si ricordò della fame e dei crampi che aveva. Perciò si mise a frugare nella credenza per trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Ma purtroppo non c’era niente. Trovò solamente un pacchetto di cracker, che si sgranò in un baleno. Mentre rimuginava una soluzione più che pratica per tutte quelle banconote che aveva sottratto ai killer malavitosi. Senz’altro, erano e sono soldi sporchi, riciclati altrove, avendo sbarazzato la droga da un’altra parte, per portarsi a casa il malloppo pulito. Senza passare tramite le usuali banche amiche e magari, messe sotto controllo dalla polizia sempre in agguato. Ma sta di fatto, che al momento erano lì, su quel piccolo tavolo da cucina, aspettando l’idea migliore per essere divisa e poi, sparire via il più lontano possibile. 77 Capitolo Ottavo A quel punto non mancavano i mezzi con quel ben di Dio a portata di mano. Mauro prese in mano una mazzetta di dollari americani e ne contò il numero di banconote, erano cento e tutte da cinquecento pezzi l’una. Grossomodo, dal numero abbondante riposte nella borsa da tennis; calcolò approssimativamente che l’ammontare si sarebbe aggirato in diversi miliardi, oltre a una trentina e più di mazzette da centomila lire italiane. A Mauro gli scappò un debole fischio di gioia, dicendo tra sé sottovoce: < Caro Andrea, con questi ci divertiremo un sacco, ma molto lontano da qui. S’intende. > Poi, dopo il primo impatto, rimise tutto a posto, all’infuori di una mazzetta di lire italiane, che l’infilo nella tasca della sua giacca appesa nell’atrio. In fine ritorno a letto, visto che non vi era più nulla da mangiare in quella cucina linda, ma spoglia di ogni sostentamento. Andrea russava leggermente tra piccoli lamenti di dolore. Mauro si sistemò accanto delicatamente per evitare che l’altro si svegli, mentre l’osservava preoccupato. Perché di tanto in tanto aveva dei piccoli sobbalzi di tensione e spavento. Il shock subito, l'aveva traumatizzato fortemente. Comunque sembrava soddisfacente la sua reazione. Pensò tra sé Mauro, vedendolo più tranquillo dopo l’impatto, vissuto faccia a faccia con la morte. Mauro a quel punto, si concesse senza vergogna, il lusso di rimirare per bene l’amico che riposava. Ne approfittò per guardarlo nei minimi particolari. Si soffermò su quelle piccole rughe, increspature di quel bel viso moro che esponeva una virilità soavemente mostrata. Che celava sotterfugi sessuali e fors’anche qualche intima perversione sul torace possente ma non aggressivo. Al contempo Mauro rammentava il suo sorrisi, il sorriso di un Andrea sfuggito all’abbraccio della morte. Divenuto ammiccante e furbesco, aveva le fattezze orientaleggianti e la disinvolta cupezza da bel tenebroso, con delle spalle massicce e scolpite a nudo. E ora disteso lì accanto, che dormiva abbastanza tranquillo in quel caldo letto, da sembrare al tempo stesso fragile ma così, violenta la sua presenza giovanile. Mauro si stupì da solo per tutte quelle congetture che si stava ponendo, mentre osservava con prodigalità il dormiente. Pensando, che mai prima d’ora aveva adocchiato, guardato così tanto un uomo. Mentre in lui in quel momento, era scoppiata una nuova curiosità eclatante da scoprire e memorizzare. Ma al tempo stesso, tremò all’idea di scoprirsi un 78 altro, con interessi così particolari che andavano a scovare quei minimi dettagli insignificanti, che stavano diventavano interessanti. La trovava paradossalmente inammissibile, quella sua strana esplosione euforica, da preoccuparlo. Comprendendo più che chiaramente lo sbaglio che stava facendo, da farlo trasalire ancor di più nell’imbarazzo. Oltre a quelle idee così balorde, fatte di espressione e ammirazione per un bel maschio li accanto e questo non lo poteva negare nemmeno a sé stesso. Sì, Andrea era veramente bello e procace. Poi Andrea si mosse, mettendosi su di fianco, rivolto verso l’amico sveglio; mentre si lamentava nel sonno per il dolore, assopito dalla forte stanchezza e da sembrare un povero fanciullo spaventato a morte, in cerca di un rifugio tra quelle coltri bianche. Mauro istintivamente gli accarezzò il viso e si trovava ormai a pochi centimetri dal suo. Per Mauro quel gesto sfuggitogli, fu così inaspettato e spontaneo, ma al tempo stesso fu troppo sorpreso e s’irrigidì stupito del suo stesso comportamento. Temeva e aveva paura del peggio, intuendo quel subbuglio così strano dentro di sé. Perché, al momento non voleva creare turbamenti, con pensieri inequivocabili di ogni sorta al compagno. Sapendo più che bene Mauro, che in quella situazione galeotta si stava crogiolando così bene. Oltre che, di cose mai supposte prima d’ora, da sembrargli paradossalmente assurde. Ma che sfrontatamente uscivano dal suo io, e si riversavano così sfacciatamente preponderanti, a quell’evento sconvolgente e sfizioso appena nato nel suo subconscio. Mauro restò un bel momento a fissare l’altro che riposava, dove percepiva l’alitare del suo respiro così caldo e vicino. Si sentiva stregato da quel volto ambrato e da rimanere così bloccato a fissarlo. Sentiva il bisogno d’allontanarsi da quel corpo caldo ed eccitante, spostarsi lontano oltre i confini dell’irreale. Dove la tentazione di fuggire era tanta, ma qualcosa lo tratteneva lì, inchiodato al suo posto senza battere ciglia. Mauro si accorse, che persino il suo respiro era trattenuto e divenuto irregolare, percependo l’aumentare dei battiti del suo cuore in quel subbuglio di strane idee più che mai conturbanti. Poi, d’improvviso decise senza indugi di assaporare quelle labbra così invitanti, come un frutto maturo da raccogliere nel periodo migliore. E in quel momento di così grande tensione, azzardò a pensare, che a quel punto non importava proprio più niente se aveva di fronte un aitante giovane, invece di una lussuriosa donna supina, in attesa dell’amore appagante. 79 Capitolo Nono Mauro s’allungò furtivamente, percorrendo quella minima distanza con un’infinità di tempo e gli sembrava eterna la destinazione. Confusamente, s’accorgeva che non raggiungeva mai decisamente alla fine di quel breve percorso. Anzi, gli sembrava di procedere al contrario, talmente l’istinto di sottrarsi era presente. La lentezza dei movimenti, veniva bloccata da quell’idea alquanto subdola, balorda, ma intrigante. Infine giunse a sfiorare impercettibilmente quelle labbra carnose e vellutate con le sue. Mauro s’appoggiò con delicatezza sulle labbra e le baciò delicatamente, assaporando quel frutto proibito ma, altrettanto divino. Poi, fattosi più audace, incomincio a percorrere dolcemente con la lingua il labbro inferiore dell’altro, percependo un’estasi di lussuriosa tenerezza, mai provata prima d’allora. Nel capire, che in quel momento così superlativo, lui stava rubando, scippando senza violenza, qualcosa all’altro che non avrebbe mai concesso apertamente. Quel dolce furto, creava in lui, una componente così esilarante e improponibile. E a quel punto non si stupì più di nulla, ormai sapeva fin troppo bene. Quel dramma capitatogli aveva veramente sconvolto la sua vita, convinto di appartenere ad un’altra razza. Ma al contempo Mauro capiva che non gli dispiaceva affatto. Quantunque sapeva nettamente, che la pensava ancora diversamente e in quegli attimi successivi, fatti di congetture e d’estasi, l'impressionò talmente. Poi, fu distratto dai mugolii di soddisfazione di Andrea. Percepì lo schiudersi della bocca invitante dell’amico. Da confonderlo tanto. Tremendamente. Ma, inevitabilmente portò a incontrare le proprie lingue in un tocco fugace e significativo. Quell’impatto fu per Mauro disastroso e si spaventò talmente. che s’allontanò così rapidamente dall’amico. Sgusciando via come un’anguilla avvolto nella vergogna e la paura di essere scoperto dal compagno da un momento all’altro. Mauro capì, il grosso sbaglio che aveva commesso e si vergognò di sé stesso. Coprendosi il volto con le mani, sapendo di aver osato tanto, troppo. Mentre il suo volto corrucciato, veniva rigato dalle lacrime scaturite per la rabbia e la vergogna provata. 80 Altrettanto Andrea nel sonno, si stava passando la lingua sulle labbra umide, a voler gustare il sapore di un cibo immaginario, mugolò e sospirò leggermente ancora. Era difficile distinguere se era per il dolore o di sollievo. Poi Andrea, si girò dall’altro lato e di colpo si svegliò, imprecando ad alta voce: < Hai!..! Accidenti! Alla mia spalla. > e si rimise supino. Mentre Mauro si girò di nuovo a osservare l’accaduto chiedendogli preoccupato: < Ti sei girato sulla spalla ferita, vero? > Mauro aveva camuffato un poco la sua voce, per coprire l’imbarazzo appena avuto. Mentre l’altro gli rispondeva con una tonalità un po’ rauco: < Già! Proprio da quella parte dovevo girarmi e mentre stavo facendo proprio un bel sogno. Ho sciupato tutto, peccato! > poi, s’alzò un poco e guardò l’ora e protestò nuovamente incavolato: < Dio! Sono già le sei e venti del pomeriggio... Accidenti! Come passa veloce il tempo. > < Cosa, stavi dicendo prima d’incavolarti? Stavi sognando qualcosa di bello? > gli chiese Mauro con fare curioso, per nascondere la sua tensione di poc'anzi. < Sì, stavo facendo un bel sogno e track! Vado a girarmi... Insomma, per l’esattezza stavo facendo l’amore con un bel pezzo di passera bionda. Figurati, era la fine del mondo... Una ragazza bionda color del grano. > < Be’, abbi fede e ritroverai nel prossimo sogno la tua passera. > rispose Mauro più rinfrancato, nell’apprendere che l’amico non aveva sentito e intuito nulla poco prima. Mentre Andrea gli rispondeva: < Ah, certamente! Ormai l’ho persa e chissà quando ritornerà nei miei sogni? Però, stavo scopando alla grande... Guarda come sono ridotto male... Dover sognare!> < Già vedo, vedo... > rispose Mauro guardandolo in viso. Mentre l’altro facendo finta di nulla e proseguiva a mugugnare: < Ma sai che non ci vedo più dalla fame che ho dentro. > continuò Andrea. < Tu, no? > < A chi lo dici, ti ho preso un pacchetto di cracker dalla credenza. Mi si spaccava lo stomaco dal dolore. > mentre evitava di abbassare gli occhi sul corpo dell’amico ancora eccitato. < Quel pacchetto? Ma quello, avrà cent’anni... mi serviva per far star buono il cane di una mia amica, qualvolta mi veniva a trovare e tu... Questa poi... cracker rancidi! > < Beh’, non erano poi male per la fame che tengo. Comunque, tu come ti senti? Hai voglia di andare fuori a cena, visto che il pranzo è saltato? > gli chiese Mauro con fare gioviale. Mentre l’altro lo stava rimirando sconcertato, essendo poi ancora un po’ 81 addormentato. Infine rispose con fare di sottomissione: < Sì, non sarebbe male idea. Ma devi sapere che la mia gentile padrona di casa, nonché mamma Concettina. Ha preparato già il pranzo per noi, appena ci saremmo alzati. E mi dispiace di non averti informato questa mattina. Senz’altro è di sotto che aspetta di sentire i nostri passi per preparare il tutto, ormai per la cena. Visto che abbiamo dormito tutte due come ghiri. E sinceramente se non fosse per la fame dormirei avanti... > < Sì, certamente anche io. Ma ora? Non mi sembra il caso di disturbare. > rispose Mauro confuso, ma pur sempre sulle difensive. < Macché disturbo! Lei è contentissima di avere noi come suoi ospiti. Poi, alla fin fine, non ha mai nessuno per casa e ti assicuro che è molto brava a preparare dei succulenti piatti. Vedrai! Te lo posso assicurare. E poi in fondo non possiamo deluderla, lei ci tiene così tanto. Oltretutto la colpa è mia, l’ho viziata. > confermò Andrea sornionamente. < Ecco, perché hai la credenza vuota. > constatò sorridendo Mauro. < Tu vai sempre di sotto a mangiare, vero? > lo rimproverò. < Be’, sì. Quando sono qui è lei che mi prepara sempre il pranzo, questo è vero... > confermò l’altro. < Ma, non è giusto che spenda tutti quei tre soldi che ha per farti trovare il pranzo pronto. Anche se sei il suo coccolo, d'inquilino modello. Non è corretto da parte tua. E poi portare anche l’amico a pranzo, non mi sembra veramente il caso. > < Su questo hai ragione, Io gli devo ancora l’affitto dell’altro mese e in questo momento non ho molti spiccioli a disposizione. Vorrà dire che le farò un assegno abbondante così contribuirò alle spese. Oltretutto qualche volta mi fa fare qualche telefonata, pertanto non è bello approfittarne della sua benevolenza e disponibilità. > < Ok, ok! Ho capito, non si può rifiutare. Be’, allora, dai, vestiamoci... Sai Andrea, che ho veramente una tale fame dentro. > < Figurati io quanta. > e scoppiò a ridere di gusto. Mauro rimase sorpreso e gli chiese curioso di quell’euforia: < Ma, perché ridi cosi di gusto, è forse la fame che ti da alla testa? > < No, no. E’ solamente che mi è venuta alla mente un fatto quand’ero militare e di aver tanta fame addosso... > < Be’, e con questo. Cosa centra con la nostra fame adesso? > rispose Mauro sconcertato ma incuriosito. < E’ semplicemente, che quand’ero negli alpini, insomma l’altr’anno in una caserma sul Col di Tenda in Piemonte. Un commilitone di nome 82 Aldo Riboni, aveva sempre addosso una fame boia. E un giorno che il colonnello del battaglione venne in visita al nostro distaccamento, chiese se qualcuno avesse qualcosa da chiedere. E Riboni, con fare convincente chiese: “Se non gli davano da mangiare di più, si sarebbe mangiato l’alpino del reparto più piccolo”. A quel punto il colonnello scoppiò a ridere e diede subito ordine di dar da mangiare a sazietà all’alpino Riboni. Lui non adoperava un piatto normale, ma una zuppiera colma di pasta. > < Be’, almeno quello, in emergenza aveva della carne giovane a portata di mano. In mancanza d’altro. Dai su, allora! Andiamo a riempire la nostra pancia, bell'alpino... > commentò Mauro, cercando al momento di essere più coerente con la vita. Mentre al tempo stesso preoccupato, pensando a come comportarsi con la signora di sotto e se lei per caso sapesse già qualcosa dei venti burrascosi che si stavano abbattendo su quella zona inglobata alla malavita? Poi tralasciò tutti quei quesiti ed entrò in casa seguendo Andrea. Fu una gradita sorpresa per Mauro, l'incontro con la signora Concettina Prospero. Trovandola così gentile e disponibile da imbarazzarlo, a contrastare con le sue idee impostate prima di conoscerla, intuendo subito che l’invito a cena era veramente spontaneo e sincero. Una donnetta minuta, dal carattere molto schietta e deciso. Da non essere paragonata alle dicerie in generale, sul comportamento chiuso delle donne del meridione. Un po’ schive per non dire sospettose coi forestieri. Pertanto il loro incontro andò ben oltre alle solite smancerie di prammatica. La signora Concettina sprizzava gioia da ogni parte. Era felicissima di avere degli ospiti nella sua modesta casa e per di più giovanotti che portavano una ventata di giovinezza, nella sua ormai appartata e solitaria vita casalinga. 83 Capitolo Decimo La cena era squisita e prelibata, la signora Concettina aveva superato sé stessa, con le varietà di pietanze preparate. Servendo gli ospito con estremo riguardo da vera padrona di casa. Senza metterli in soggezione e i discorsi erano molto aperti, senza invadenza da ambo le parti, quasi fosse un normale evento d’incontri strettamente famigliare. < Ne prenda ancora Mauro! > spronò la signora un po’ emozionata per quella nuova presenza nella sua casa. Oltretutto uno che veniva dal nord d’Italia e per la signora Prospero, non le sembrava una cosa che capiti tutti i giorni. < Le piace il mio stufato d’agnello? Ma se preferisce l’anitra in salmì, può prenderne ancora. Anche tu Andrea, se ti va prendi pure. Insomma non fate dei complimenti ragazzi, mi raccomando! > < Grazie tante Signora Concettina, ne prenderò ancora un poco d’anitra è troppa buona. Anzi è tutto buono quello che ha preparato e in special modo quella sua pasta “scivareddi”, era buonissima! Le faccio i miei complimenti signora. E’ veramente tutto buono, di una squisitezza unica. Sinceramente, non ricordo di aver mangiato altrove così bene. > decantò Mauro con un sincero enfasi. Mentre la signora tutta euforica ringraziava il simpatico giovane: < Ohm, ma è troppo buono Mauro! > < Lei pecca di modestia, Signora... > rispose lui con un sorriso. < La ringrazio, ma ho fatto soltanto una piccola cosuccia paesana, niente di più. Sinceramente è da molto tempo che non preparo diverse varietà di cibi. Ormai cucino soltanto qualcosa per me, ad eccezione di quei due o tre giorni, quando Andrea torna da Firenze. > < Sai una cosa Mauro, > s’intromise Andrea nell’esporre le sue lodi. < Mamma Concettina è veramente un angelo, perché intuisce sempre il mio pensiero e mi fa trovare sempre pronta ogni cosa che mi piace. Mi vizia troppo, questo è vero. Ma le voglio un gran bene! > espresse sincero. < Gli preparo solamente cose che gli possono far soltanto bene. Poi è solo per pochi giorni e ci si fa un po’ compagnia. Per il resto dell’anno m’arrangio con poco e questa sera mi sembra di ritornare ai vecchi tempi. Quando c’era quella povera anima di mio marito e il dottore Buzzi che veniva qui a cena e allora si, che si passava le serate discorrendo in allegria. Che Dio li abbia in gloria tutte due! > rievocò la donna, rivolgendo lo sguardo al cielo a ridestare altri ricordi ormai trapassati, 84 mentre s’alzava dalla tavola per andare in cucina. Andrea intanto continuava a spiegare sottovoce all’amico: < Mauro, devi sapere che Mamma Concettina, è per me più di una madre e di questo gliene sono più che grato. Veramente! > Mentre dalla cucina, la signora Concettina lo riprendeva: < Dai, su figliolo, > ma, al contempo e con una certa commozione rispondeva al complimento ricevuto: < Se continui così, finirò per piangere. > E di rimando Andrea, con fare bonario ribatteva: < Non ci sono problemi mamma Concettina. Ecco qua un bel vassoio porta frutta, penso che basti a contenere tutte le sue lacrime per questa sera? > < Dico, solamente, > Mentre tornava dalla cucina con il cesto della frutta e uno sguardo fustigatore. < Che tu giovinastro, stai facendo troppo il furbastro. Già, mio caro giovanotto! Vorrei proprio vedere, come ti tratta quella tua nuova ragazza a Firenze? > < Non deve preoccuparsi mamma Concettina, > rispose Andrea mentre si alzava da tavola e si avvicinava alla donna. < Non la tradirò mai. Lei sarà sempre la donna del mio cuore! > prendendola sotto braccio e girando con ella mentre urlava. < Dio santo! Ma tu sei matto ragazzo. Fermati! Possiamo cadere entrambi. Santo cielo! Cosa devo vedere e provare adesso che sono vecchia. > borbottò più che mai felice. < Purtroppo devo mollare la presa, la spalla mi fa un po’ male. > < Benedetto figliolo devi stare attento con quella slogatura. > Mauro li stava osservando con ammirazione e si complimentava con loro, per quel bel rapporto che si era restaurato fra padrona e inquilino. Poi, il telefono squillò e ruppe quella gaia atmosfera. Istintivamente si guardarono tutti quanti in viso e l’ora che segnava il pendolo a muro, mentre la signora si recava nell’andito a rispondere. Tornò quasi subito e rivoltasi ad Andrea, disse con un sorriso un po’ furbesco: < Andrea ti vogliono al telefono, > e più sottovoce con fare intrigoso continuò: < E’ Serena, la figlia dell’avvocato Rottai, che ti vuole parlare. Ma tu, gli hai telefonato, avvisandola che arrivavi questa sera? > Andrea pensieroso, scrollava il capo in segno negativo, poi si decise ad andare nell’ingresso a rispondere. Mauro aveva percepito in quello scampanellare del telefono un attimo di panico. Poi, mentre rimuginava nella sua balorda mente, dove aveva già sentito quel nome. Non gli era per nulla nuovo. Ma fu distratto dalla signora Concettina, le si era seduta 85 accanto e bisbigliò qualcosa al giovane: < Quella Serena ‘sta facendo il filo ad Andrea, ha continuato tutto il giorno a telefonarmi per sapere quando rientrava da Firenze. Non è per niente furba quella. Prima sé lasciata scappare l’occasione. Ed ora vuole riprenderselo, ma lui mi sembra che non le vada più tanto adesso... Ah, questi giovani oggigiorno, fanno presto a cambiare idea e ragazza... Non li capisco proprio? > Mauro fu abbastanza sorpreso di quelle nuove congetture appena sfornate, e chiese alla signora Concettina abbastanza euforica per quella serata. < Come! Era la sua ragazza? > domandò, proseguendo: < E si chiama Rottai e il padre è forse avvocato? > pensava ad alta voce Mauro, talmente era preso a ricordare quel nome, che gli sfuggiva la provenienza. < Ma, perché, lei lo conosce quell’avvocato? > le chiese incuriosita. Mentre Mauro, stava ancora spremendosi le meningi per scovare una risposta, infine rispose: < Non so bene ma, quel nome non mi è nuovo. Adesso non ricordo bene, comunque? > mentre si massaggiava le tempie sperando di riuscirci. E la signora con fare da cospiratrice proseguiva nel dire: < Quell’avvocato, Pietro Rottai è un furbastro. Sa, sono quelli che hanno le mani in pasta dappertutto. Possiede persino una tipografia. La dirige la moglie, una certa, Elena Curini da Bitonto. Una che si dà un sacco di arie. E pensi Mauro, hanno solo quella figlia Serena, un po’ troppo viziata. Ma è pur sempre un buon partito, di questi tempi. Soltanto che Andrea non sembra tenerci molto, da quando si sono lasciati per stupidaggini, roba da ragazzi. E adesso lui sembra indeciso. E’ troppo buono e non ha malizia, specialmente con le ragazza, tipo quella... > mentre faceva segno con il capo la ragazza al telefono. < Io dissi ad 86 Andrea, ch’era un affare oggigiorno. Discretamente bella, ricca e... insomma, mi sembrava che poteva sistemarsi. Ma lui, mi avevo risposto: “La minestra riscaldata non è più la stessa”. Be’, in fondo ha forse ragione. Soltanto ora, è così strano...? E' da stamattina che continua a telefonare per vederlo. Tutto di colpo e dopo mesi questo interessamento. Non sarà rimasta in cinta e cerca un merlo da incastrare? Speriamo di no? Ormai sono più di sei mesi che non si frequentano, per quello che so io, > confidò lei sottovoce. < poi in fondo Andrea, finora mi a sempre confidato tutto e ci credo. Sono proprio curiosa di sapere cosa vuole quella Serena alle nove di sera? > espresse dubbiosa la signora. < Forse avrà avuto una ventata di nostalgia. Sa come sono i giovani, cambiano idea sovente. > espose Mauro insospettito. < Sarà, ma non sono convinta. Certo che qui Andrea si sarebbe sistemato in quella famiglia. Un buon lavoro in una tipografia e un conto in banca cospicuo, invece di correre fino a Firenze per rilegare dei libri. Cosa ne pensa Mauro? Insomma per farla breve, diamoci del tu, e mi sembra più appropriato al caso. Poi, sei cosi giovane. Che m’illudo in questo momento, di avere in casa due figli miei. > mentre arrossiva un poco per quella immaginaria e felice soluzione. < Grazie per la sincera famigliarità, mamma Concettina. Va bene! Ma per tornare sull’argomento del lavoro di Andrea, secondo me, i lavori sono alla pari, ma se si parla di danaro e nell’aspettare l’eredità dai suoceri e un’altra cosa. Soltanto che bisognerebbe almeno che le due persone interessate si vogliano bene e allora tutto si può accettare. Ma credo che Andrea, sia un tipo restio a farsi mantenere dai suoceri e allora subentrano altri fattori, l’indipendenza. E al momento mi sa che non ne abbia proprio voglia di legarsi seriamente. D’altronde sarà lui a decidere non la ragazza. Mi creda, mamma Concettina. > < Già, forse hai ragione Mauro. > mentre tentava di ascoltare cosa diceva Andrea dall’altro lato della porta, infine prospettò: < Sai una cosa Mauro. Io sono convinta e scommetto, che Serena gli dirà che sta per diventare padre? > sbottò sardonica ma decisa nella sua idea. < Lei pensa davvero che è in cinta? > domandava Mauro pensieroso. < La mia paura è che Andrea è troppo buono e sarebbe capace di accettare anche questa mia supposizione... Comunque aspettiamo a giudicare il prossimo, visto che dal nome la fa sembrare molto, Serena. > la signora si era momentaneamente arresa all’evidenza ma, non troppo sbagliata, e al contempo sorrideva all’idea del nome appropriato. 87 < Io penso che non serva voler forzare la mano. Comprende mamma Concettina. Anche se così fosse, Andrea non è il tipo di accettare compromessi per far felice gli altri. > Mauro rimuginava, pensando che lui effettivamente non conosceva molto bene Andrea, per poter dire ed esprimere obbiettivamente la sua opinione, aveva già azzardato tanto. < Su questo hai perfettamente ragione Mauro. Io per esempio, con il mio povero marito, Dario, > mentre alzava di nuovo gli occhi al cielo in segno di riverenza. < L’ho perduto otto anni fa, in un incidente sul lavoro, non troppo chiaro l'accaduto. Mi hanno liquidata con tre miseri soldi. Dato che non potevo permettermi un buon avvocato. Poi oltretutto ero talmente sconvolta, da non capire niente. E quei tre soldi sono andati per risistemare questa casa, che non mi è rimasto più niente. E' stata molto dura dover tirare avanti da sola, senza nessuno vicino da piangere sulla sua spalla. Noi ci volevamo molto bene e la sua perdita è ancora molto presente. Che mi sembra appena ieri, che mi è mancato così di colpo. Che dolore perdere una persona molto cara. Non si dimentica più. > espresse laconica. Mauro la stava osservando con ammirazione, nel comprendere quanta sofferenza provava ancora dentro di sé quella tenace donna. Porgendo la sua partecipazione a quell’evento antecedente, dicendole con affetto: < Mi dispiace veramente! Ma ha dei figli, mamma Concettina? > lei era rimasta muta a fissarlo, e lui continuò a chiederle: < Abitano lontano da lei, sposati con famiglia? > provò a chiedere. Lei, l’osservò sorpresa, per quella domanda ormai scordata nel tempo, infine rispose con fare mesto: < No, purtroppo! Non ne ho avuti. Eppure abbiamo provato, ma si vede che non era destino avere dei figli nostri e magari vedere poi, crescere dei nipotini. Peccato! Almeno, adesso c’è Andrea che mi da l’illusione di avere un figlio tutto mio. E da notare che al principio non ne volevo sapere di aver qualche estraneo per casa. Se non era per l’insistenza del dottore Buzzi che mi spronava a prendermi un inquilino in casa. Raccontandomi che stava curando un ragazzo appena tornato da militare. Si era preso una bella bronchite e aveva dei problemi con la famiglia. Al momento viveva in un buco umido e malsano in centro di Cosenza. Dicendomi che era la soluzione migliore per entrambi. Andrea aveva bisogno di un po’ di sole e tranquillità e io qualcuno da curare e accudire per distrarmi dai miei pensieri tristi per la perdita di mio marito. Insistette così tanto il dottore, che alla fine dovetti cedere. D’altronde non potevo rifiutare ad un amico come il dottore Buzzi, che mi era stato vicino nei momenti peggiori. Comunque, gli dissi che avrei provato, solo per un 88 breve periodo di tempo ma, mi dovetti ricredere subito. Andrea si rivelò la persona più buona e coccola che avessi conosciuto e mi ha fatto capire che si può avere ancora uno scopo nella vita e sono altrettanto grata a Andrea per l’affetto che mi porge. E sinceramente devo dire che è stata la cosa più bella dopo mio marito ad avere in casa. Dovetti scusarmi con il dottore per la mia cocciutaggine e ringraziarlo veramente tanto. Ho, scusa! Per la mia divagazione. Stavo dicendo prima di mio marito, ci siamo conosciuti in una balera alla festa del patrono. Eravamo giovanissimi entrambi e ci siamo fidanzati e sposati subito senza una lira. Dario aveva un misero lavoro in una fonderia qui vicino. Ma soprattutto ci volevamo bene. Peccato che i figli non sono venuti. Comunque, volevo dire che non c’importava di essere poveri ma, felici. Ecco perché non voglio dare troppi consigli a altri. Scusami ancora. Io quando incomincio a parlare non la smetto più, d’altronde sono sempre sola e con i vicini parlo il meno possibile, sono troppo pettegoli quelli... Beh, per cambiare argomento, preparo del caffè Mauro? > propose con decisione la donna. < Sì, grazie! Mi manca veramente, quella leccornia. > In quel momento, anche Andrea aveva terminato la lunga chiacchierata al telefono e ritornò da loro. La signora non aspettò un secondo e gli chiese: < Cosa vole... > ma si fermò e riformulò la domanda. < Vuoi che preparo anche per te del caffè, Andrea? > < No, grazie! Anzi, dovrei assentarmi un poco, Serena deve parlarmi di una certa questione... > mentre osservava i visi di Mauro e la signora che si scambiavano occhiate di stupore e curiosità. Andrea, un po’ confuso tentò di spiegare: < Sinceramente, non sé spiegata bene per telefono, ma pare che il suo nuovo ragazzo faccia delle storie, insomma rompe. Fa certe insinuazioni e quanto sembra mi riguardano. Altro non so di preciso, che cavolo sia successo. Comunque, farò in un baleno a districare ‘sta storia. Tra poco Serena passerà a prendermi con la sua macchina. > spiegò vagamente il giovane agitato e nervoso. < Proprio non lo vuoi, una tazzina bella bollente? > l’invogliò la signora Prospero con quel suo fare un po’ intrigoso, senza commentare. < Be’, forse sarà meglio che prenda questo caffè mamma Concettina, ne avrò certamente bisogno per tenermi sveglio. > < Va bene... Ma la spalla come va, ti fa ancora male? Altrimenti può aspettare quella Serena. Ma tu le hai telefonato che arrivavi oggi? > < No, mamma. Per niente! Comunque, è meglio che sistemi subito la questione e sinceramente mi sembra abbastanza strana, mah!... > 89 < Grazie tesoro per la mamma, ti voglio molto bene anche io. Ma non strafare e abbi cura di te stesso, d’accordo! > < Sì, mamma e grazie ancora per tutto! Be’, questo benedetto caffè, allora? > mentre schioccava un sonoro bacio sulla guancia della donna, che si scioglieva in un brodo di giuggiole per la gioia. Mentre lei, lo redarguiva sornionamente: < Va bene ragazzo mio. Tu va pure a districare le tue rogne, mentre noi continueremo a chiacchierare tranquillamente. Poi, in fondo sono in buona compagnia e alla fine cosa voglio di più della vita. > Mentre Mauro proseguiva a dire a sua volta: < Non ti preoccupare, perché se ci scappa la voglia, possiamo andare a quel nuovo Nightclub. Vero mamma Concettina? > espose Mauro sorridendo. < Come no! Subito. Al Club-lavello, mi sembra il migliore? > confermò la signora sorridendo. Andrea che in quel momento stava pensando ad altro, non aveva seguito le loro battute spiritose e chiese: < Ma, dove? Hanno aperto un nuovo locale qua vicino, mamma Concettina ? > Mentre Mauro se la rideva sotto i baffi, la signora rispose seria: < O sì, certamente, è stato appena aperto di là! > mentre indicava con il dito indice la cucina. < Lava, sciacqua e asciuga. Che musica! Se vuoi provare? Ma perdi l’occasione di uscire ragazzo mio. > < Oh, che fessacchiotto sono! > mentre si beveva d’un fiato il caffè e riprese a dire con fare burbero. < Ah, è così? Prendetemi pure in giro voi due. Be’, ho capito che sono di troppo, vado via... > La signora Concettina, mentre portava le stoviglie in cucina, se la stava ridendo ancora di gusto. Mauro nel frattempo si era alzato dalla sedia e s’avvicinò a Andrea, dicendogli sottovoce: < Ti serve qualcosa? > < No, non mi occorre nulla, E’ soltanto che questa rottura di uscire con la mia ex non era preventivata. Ti spiegherò poi. Spero solamente di sbrigarmela in fretta Accidenti! > poi rivoltosi alla signora che stava tornando dalla cucina le domandò: < Signora Concettina. > < Come figliolo. Prima mi chiami mamma e ora torni a darmi della signora? > lo rimprovera lei corrucciando la fronte. < Scusa mamma, è che sono un po’ stanco e questa storia di Serena mi a rotto un poco. Ecco è tutto qui! Volevo solamente dire, ancora grazie per tutto e domani faremo i conti, d’accordo? > < Certo, certo! Ma ora vai che Serena è già arrivata. Mi raccomando non fare tardi e fai attenzione al tuo braccio, ciao! > < Arrivederci! > rispose confusamente Andrea, uscendo dalla porta. 90 Capitolo Undicesimo Mauro stava aiutando la signora Concettina a sbarazzare la tavola e portare in cucina ogni cosa rimasta, mentre lei gli proponeva: < Mauro se sei stanco puoi andare a dormire, mentre io termino di lavare questi tre piatti. Andrea ti ha preparato il divano letto? > < Sì, è tutto pronto di sopra, ma non sono affatto stanco, posso benissimo aiutarla ad asciugare le stoviglie e in due si farà prima. > gli propose lui consenziente. < Bene, visto l’insistenza, puoi invece prepara un altro caffè? Il barattolo è la sopra alla credenza e al fianco c’è lo zucchero. E io farò in un attimo. Così dopo mentre ci prendiamo il caffè in santa pace, mi racconterai qualcosa, com'è Padova. Sai, diversi anni fa avremmo dovuto andarci in pullman con mio marito, in una gita organizzata dalla parrocchia. Purtroppo Dario dovette andare al lavoro e così, Sant’Antonio non l’ho potuto vedere da vicino. > spiegò Concettina rammaricata. < Be’, fa’ sempre in tempo ad andare con qualche comitiva o in quei viaggi che organizzano gite. > prospettò Mauro nel convincere la signora. < Sì, certo! Ma, non sarà come una volta, andare assieme a mio marito sarebbe stato tutto diverso. Mah, pazienza..! > < Beh, sì, certamente! Questo è vero, ma può farlo come se fosse un viaggio di pellegrinaggio al Santo, visto che ci tiene tanto. Ormai oggigiorno lo fanno quasi tutti da turista e non per devozione. > < Non so perché, ma mi sarebbe piaciuto andarci, e adesso non posso permettermelo. Per fortuna che una volta, l’hanno fatto vedere alla tivù e così almeno ho avuto il piacere di vedere la basilica. Tu per caso abiti da quelle parti, insomma nelle vicinanze del Santo? > < Be’, non proprio vicino, dieci minuti a piedi. C’è sempre un sacco di gente che visita la basilica. Comunque oggigiorno con la televisione si può visitare molti paesi e apprendere molte cose. Perché di persona non si potrebbe mai fare, avendo pur a disposizione un sacco di soldi. > espresse Mauro convinto della sua teoria, oltre a sviare il discorso ad altro. < Hai perfettamente ragione Mauro, seduti a casa propria si può visitare tutto il mondo. Bene, io ho terminato con i piatti e il caffè è quasi pronto, perciò, possiamo sederci un momento ancora e bere in santa pace quest’ultima tazzina tonificante. E pensare che il dottore me l’ha proibita, 91 al massimo una tazzina al giorno. Ah, benedetto dottore Buzzi! > esclamò. Perciò, dopo quel buon caffè, ripresero a dialogare con più foga di prima, senza badare che le ore passavano velocemente, chiacchierando su ogni cosa che passava per la mente; sul tempo, le stagioni che non erano più quelle, e così via discorrendo. Sino ai luoghi dove lui era nato e dei suoi parenti e amici. Mauro faticò molta a deviare il discorso con sotterfugi ben congeniali senza intaccare la perspicacia mente della signora, giostrando abilmente con false risposte. Poi senza volerlo e per fortuna, il discorso ripiombò ancora sulla vita di Andrea, pupillo della signora Prospero. Seduti, attorno al piccolo tavolo della cucina che parlavano a bassa voce come se stessero cospirando contro invisibili ascoltatori. Mentre la signora incominciava a sciorinare fuori un sacco di cose antecedenti, riguardanti la vita di Andrea e di quella parte del paese sconosciuta a Mauro. < Adesso ti svelerò un segreto Mauro. Questa è la prima volta che racconto a qualcuno certe cose. Ma, mi raccomando! Che Andrea non lo venga mai a sapere, potrebbe arrabbiarsi tanto. Sai, nel suo passato ha già avuto una vita abbastanza grama, ‘sto benedetto figliolo! > Mauro accennò con un movimento del capo, poi rispose: < Non ci sono problemi da parte mia. Peraltro, lei non è tenuta a spiegare a me certe cose così confidenziali e private. > espose. < Ma di te posso fidarmi, lo sento dentro al cuore che sei un giovane a posto e mantieni la parola data. > rispose lei più che convinta. < Troppo buona! E’ solamente che ci conosciamo soltanto da poche ore, capisce... > insistette lui restio, poi oltretutto era preoccupato per 92 Andrea, che non gli capiti qualcos'altro, oltre a sfuggirgli dalla bocca qualcosa sull’accaduto. Essendo troppo buono, ma al tempo stesso forse troppo ingenuo, come aveva esposto poco prima la signora. Poi tralasciò quei pensieri ingarbugliati e si mise ad ascoltare la storia che la signora ostinatamente voleva raccontare. < Sì Mauro, capisco il tuo restio. Non temere. > confermò lei più che convinta: < Comunque tornando al discorso di prima: Andrea è un ragazzo buono e si fa subito abbindolare dalla prima persona che lo coccola un po’ di più. Questa è la verità. Quello che gli è mancato veramente è l’affetto di una madre e di un padre. Lui personalmente non ha mai conosciuto in via diretta. Insomma per la cronaca, lui è figlio di NN, capisci Mauro com’è la situazione di Andrea per il passato... > espletò lei con fare severo. < Già, comprendo. Almeno ora, a lei che l’adora veramente e senz’altro lei avrà già capito, che siete fatti l’una per l’altro. > < Oh, sì! E’ veramente un caro ragazzo, come se fosse del mio stesso sangue, dal bene che gli voglio. Ma, per tornare sull’argomento di prima, stavo dicendo, che lui, Andrea ne ha sofferto molto e ne soffre ancora di questa mancanza. Devi sapere Mauro, che oltretutto nella scalogna del destino, Andrea è stato adottato da quel genitore... Insomma, da un certo Antonino Trani, grossista di carni a Reggio Calabria. Come copertura s’intende ma, sotto, sotto, dev’essere imparentato con ndrangheta quello, > mentre lo diceva si era avvicinata di più al giovane e si guardava attorno sospettosa. < Io, sono più che convinta. Quel Trani, l’abbia adottato solo per sentirsi sollevata la coscienza con il padreterno. Ma al contempo, anche perché gli serviva della manodopera gratis nella sua azienda. Risparmiando di pagare altri dipendenti e poter dimostrare alle tasse, che era un poveraccio di lavoratore onesto. Adottando dei figli provenienti da un orfanotrofio. Così mi era stato riferito. Ma, io non ci credo all’onestà di quel galantuomo! C’era e c’è ancora troppa acqua torbida che gira attorno a quella famiglia Trani. Comprendi Mauro. Ma, andiamo per ordine. Quando aveva deciso di adottare il ragazzo, Andrea aveva già tredici anni; accettando di malavoglia quella famiglia imposta dal tribunale. Ma fu così categorico e testardo di pretendere di tenersi il proprio nome imposto dall’istituto al momento dell’abbandono. E allo stesso tempo, la moglie di quel Trani, una certa Carmela Turi, aveva espresso che era felice di quella soluzione chiesta dal ragazzo. Poi oltretutto se non voleva andare con loro era dispiaciuta ma, non offesa e avrebbe preso al suo posto un altro ragazzo meno pretenzioso. Ma dato l’insistenza del Trani, avendo qui a 93 Cosenza un giro di conoscenze altolocate, era riuscito egualmente nel suo intento. Così, il tribunale dei minori concesse in affidamento temporaneo Andrea Prandi alla famiglia Trani. Riuscendo a spuntarla con la moglie e avere in parte quel ragazzo, sì proprio quello voleva lui, perché era il frutto di una sua relazione segreta con una nobildonna messinese; si fa per dire? Ma la furba moglie aveva egualmente saputo e smascherato il marito da quell’inghippo antecedente, ricattandolo, e al tempo stesso, accettando in parte quel bastardo in famiglia. Ma il tutto andava a discapito per Andrea, senza un avvenire sicuro e condizionato a essere un misero garzone. > < Però, che vita movimentata a già avuto Andrea da ragazzo. Ma lei, come sa tutto questo? Insomma questi retroscena… > < Eh, ragazzo! Ho anch’io le mie fonti! Stai pur certo che sono vere. Comunque, dicevo prima. Ah, sì! Dunque, per essere più chiari, Andrea è figlio di quell’Antonino Trani e di una certa Rosalba Prandretti di Messina, che gestiva a quei tempi; circa dieci anni prima della nascita di Andrea, una casa d’appuntamento a Catania. E quella era anche la convivente di un vecchio boss mafioso del posto, un certo Santacata ma, allo stesso tempo amante di quel Trani di Reggio. Capito l’intreccio amoroso. > espose con fare cospiratorio Concetta. Facendo trasalire Mauro < Accidenti che minestrone! > provò a commentare. Mentre la donna proseguiva a ruota libera: < In quel periodo la Prandretti, non aveva avuto precauzioni con l’amante giovane, e così era rimasta in cinta di Andrea. Soltanto si era accorta troppo tardi per abortire e gli era difficile accollarlo al boss catanese, troppo vecchio per fare dei figli. Così, venne qui a Cosenza con la scusa che doveva curarsi dei calcoli al fegato. Partorì a casa di un vecchio amico in segreto; per non dire che ai tempi addietro erano stati amanti a loro volta. Lei giovane e ambiziosa ragazzina, con l’avvocato Pietro Rottai... > < Come? > chiese Mauro sorpreso. < Quel... proprio quello! Il padre di Serena? Acciderba! Che intreccio della miseria! > < Sì, quello! L’avvocato Pietro Rottai. Che a sua volta s’interessò per fare tutte le cose in segreto e alla svelta. Così affidarono Andrea all’istituto per trovatelli. Consegnato il neonato da sconosciuti e dicendo di averlo trovato per strada. Sai da queste parti si usa ancora lasciare il fardello alla provvidenza, capisci com’è andata la faccenda. > < Veramente è successo tutto questo a Andrea, però? Ma, quella Rosalba Prandretti che tipo di madre era? Una senza coscienza, che guardava soltanto al lusso e l’interesse per gli affari... Almeno, era una 94 bella donna? Dalle fattezze di Andrea, si direbbe di sì... > < Mia cognata mi disse che era una vera signora, alta e slanciata, dai capelli e occhi neri, sì era bella. Anche il padre di Andrea è un bell’uomo, quello lo visto un paio di volte. Era venuto qui per parlare con Andrea, ma lui non c’era e non voleva per nulla parlargli, quando gli ho riferito della sua venuta a cercarlo. > < Comunque, > espresse Mauro incuriosito. < Se non sono indiscreto chi le ha svelato tutte queste cose, così segrete e intime... sua cognata? Mi scusi la mia curiosità a questo punto... > < Be’, hai ragione! Ormai ti ho detto quasi tutto e posso dire anche il resto. > mentre un risolino era apparso sulle sue labbra scarne, infine riprese a spiegare: < La direttrice dell’istituto per trovatelli, qui a Cosenza era mia cognata a quei tempi. Vedova anche lei, in pensione da molti anni. E fu proprio per caso, che un giorno c’incontrammo in città, assieme ad Andrea. Lui mi aveva portato con la macchina per delle compere, e quando s’incontrarono e si videro loro due, mia cognata e Andrea, avvertii una specie di repulsione da parte di Andrea, verso mia cognata. Ci fu uno scambio freddo di saluti e lui si eclissò rapidamente, con una scusa banale e improvvisa. Comunque, io rimasi in compagnia di mia cognata, dato che ci vediamo così poco, soltanto qualche telefonata breve per le solite ciacole da povere vecchie. Perciò, nel discorrere sedute appartate in un caffè del centro, lei ad un certo punto mi chiese chi era Andrea? Io gli spiegai, che era un mio inquilino mandatomi dal dottor Buzzi. E tutte quelle domande erano soltanto perché gli sembrava di conoscerlo e io a mia volta gli dissi che non andava d’accordo con la famiglia a Reggio ed era venuto qui a Cosenza a studiare. Perciò, subito lei mi chiese come si chiamava di cognome e quando gli dissi Prandi, lei rimase allibita. Insomma per farla breve, lei mi raccontò tutta la storia. Si era avvicinata a me dicendomi sottovoce: “Concettina, quel ragazzo è roba che scotta, fai attenzione!”. E poi, incominciò a raccontarmi tutto, vita e miracoli di quella Rosalba la madre. Poi, dopo la morte del suo boss catanese, era diventata la mantenuta di un’altro boss Palermitano un certo mister Boston. Comunque e penso, che anche Andrea sappia qualcosa, perché appena è venuto a Cosenza e si era rivolto all’istituto per sapere chi era la madre. Ma gli era stato riferito di non saperlo, perché nell’averlo trovato un cittadino per strada e portato all’istituto. Ma per farla breve Mauro, anche mia cognato a saputa tutta questa storia, soltanto molto tempo dopo. Tutto era successo, perché dei mafiosi volevano sistemare sottomano dei 95 ragazzi all’istituto, ma era successo un putiferio e incominciarono delle discussioni animose tra loro. Oltreché a sputtanarsi a vicenda e alla fine spifferarono ogni cosa, anche sulla vita degli altri. Dato che uno dei due, il più anziano, era l’autista privato dell’avvocato Rottai. Perciò capirai che storia lunga è uscita da quelle bocce ruffiane, che per soldi venderebbero anche l’anima al diavolo. E suppongo che tutta questa storia è stato captato da quell’intelligente boss palermitano, mister Boston. Lo chiamano così perché è arrivato dall’America a dirigere la mafia siciliana. E quello, avendo senz’altro capito qualcosa, voleva sapere i retroscena della bella Rosalba Prandretti sua convivente. Perciò ha fatto fare delle indagini segrete. Forse per avere qualcuno da ricattare a suo tempo. Dicono che è un tipo previdente e furbo quello. E fu così che mia cognata riuscì a comporre quel mosaico di sporca mafia locale. Forse sperava di poterne ricavare qualcosa dai giornali. Ma, mi sa che non ha avuto il coraggio, ed è rimasta una poverella anche lei come me, che vive della sua discreta pensione... > Concettina si era fermata un momento, per bere il poco caffè rimasto, mentre Mauro si stava strofinando con la mano, la barba ormai lunga da due giorni, a meditare su tutta quella nuova storia. Infine lui le espose la sua opinione: < Sa’, che è veramente una storia molto complicata ed estroversa. > ma al contempo, incominciavano ad aumentare dentro di sé quelle avvisaglie di paure e sensi di apprensione. Mentre gli frullavano continuamente strane idee in testa. Tra quei nomi che non gli erano affatto nuovi. Al tempo stresso s’incavolava di più, per non sapersi districare da quell’intricato mosaico. Immaginando che qualcosa in tutto quel casino, centrava con la sua storia, appena avviata malamente. Mentre la signora gli rispondeva: < Be’, sì! E’ veramente complicata la storia, comunque, capisci ora in che razza di parentela è messo Andrea. Eh! Penso che la matrigna gli abbia spifferato qualcosa al ragazzo, per farlo scappare via. Lei ha un altro figlio, più giovane di Andrea e senz’altro vuole che il patrimonio sia tutto per quello, questo è poco ma sicuro. D’altronde io non mi sono mai permessa; da quando ho saputa questa storia, nel chiedere a Andrea qualcosa al riguardo. Nemmeno lui non mi a mai chiesto qualcosa di mia cognata, pur sapendo e ricordando che era la direttrice del collegio a Cosenza. > < Però!... > sbottò Mauro, mentre gli sfuggiva uno sbadiglio. E subito la signora si era girata per vedere l’ora dall’orologio appeso al muro e sbottò anch’essa sorpresa di aver fatto dardi: < Oh, mio Dio! E’ già l’una di notte. Su, su, giovanotto è meglio andare a letto! Chissà che ora farà 96 quel girovago di Andrea? > mentre si alzava dalla sedia un po’ indolenzita. Mauro si alzò a sua volta mentre le rispondeva: < Ha perfettamente ragione mamma Concettina, non credevo nemmeno io che il tempo volasse via così velocemente. Comunque la devo ringraziare di tutto cuore... Una cena stupenda! > commentò con sincerità. < Ma non stare neanche a parlarne, ragazzo mio. > sbottò nuovamente la signora con un gioviale sorriso, mentre lui continuava a dirle: < No, veramente! Lei si è prodigata fin troppo, per due rompiscatole come noi. E’ stata veramente una giornata così intensa di avvenimenti che meta bastava. Ah, dimenticavo? > mentre si prendeva dalla tasca la mazzetta da centomila lire, che aveva messo in una busta e la porgeva alla donna, dicendole: < Io e Andrea, abbiamo deciso di darle qualche spicciolo per le prime spese. D’altronde Andrea le deve un paio di mesi d’affitto e perciò, intanto prenda questi e poi si vedrà per il saldo di tutto. Oltretutto se ci farà un sevizio così succulento, andrà a finire che non ci muoveremo più da qui. Mi creda mamma Concettina. > Mentre lei confusa e un po’ seccata per quella presenza in danaro; ma al contempo era veramente a corto nei fondi di cassa e giungevano proprio a proposito quei soldi. Altrimenti domani come avrebbe potuto far la spesa, senza lasciare i conti in sospeso dal droghiere e quella era una cosa che non era per nulla abituata. Perciò, a rilento accettò quella manna dal cielo. Rispondendo al giovane con un lieve sorriso: < Va bene Mauro, accetto, così non vi farò sentire a disagio, ma non era il caso, veramente! > < Non si preoccupi! Anzi ha perfettamente ragione, non ci troveremo a disagio. Anzi felicemente a casa nostra. Poi due che dormiranno sino a tardi, cosa vogliamo di più dalla vita, così beata... > < Be’, questo lo puoi dire forte ragazzo, che siete a casa vostra. E al diavolo il lei! Tu mi sei veramente simpatico, e già ti considero un altro mio caro figlio appena acquisito. Che gioia mi date ragazzi... Be’, via, è ora di andare a nanna Mauro, buona notte ragazzo! > < Buona notte... mamma! > e senza pensarci su un attimo, Mauro gli schioccò un caldo bacio sulla guancia della donna, che era rimasta stupefatta da tanta effusione. Infine, più che commossa, rispose, mentre le sfuggivano piccole lacrime sul viso: < Grazie Mauro! Tu e Andrea mi fate veramente tanto felice. Grazie ancora! > 97 Mentre Mauro saliva le scale esterne, la signora stava guardando nella busta e gli venne un colpo, per quell’enorme quantità di biglietti da centomila. Subito corse fuori e chiamò il giovane, che stava per entrare in casa: < Mauro! Puoi venire giù un momento per favore? > e poi sottovoce riprese, mentre Mauro era già accanto a lei. < Ti sei sbagliato ragazzo? Qui mi hai messo un sacco di soldi, sono troppi per... la spesa? > < Non si preoccupi. Vede mamma, io avevo prelevato del danaro per un certo affare, ma è andato a monte, e mi secca portare in giro certe somme. Col pericolo di qualche scippo e dato che Andrea deve avere ancora il suo stipendio dal mio socio di Firenze. Lui è l’amministratore. E così, visto che Andrea gli deve del danaro per l’affitto e altre cose. Poi, ora ci sono qui anch’io sulle spalle e pertanto andare in albergo, spenderei di più e non sarei servito cosi bene e in tranquillità. Perciò quel danari in più lo scali dall’affitto anticipato e il problema è risolto. D’accordo mamma? > < Ragazzo mio, io non ho ben capito questa storia dell’anticipo? Da quando un qua si paga anni di anticipo, me lo spieghi tu Mauro? > < Mamma, è semplicissimo! Noi vogliamo che lei possa avere dei soldi a sua disposizione e se non vuole tenerli ha casa, li può portare alla posta o in banca, come crede meglio. Ecco è tutto qui. Non deve preoccuparsi i miei parenti ne hanno fin troppo di danaro, e io un amico so’ come trattarlo alla pari. E lei non può immaginare la felicità che mi a dato la sua disponibilità di una vera mamma... > si era fermato un attimo. Poi riprese a dire: < Questo per me è molto importante... un giorno le spiegherò il perché. Per adesso grazie mamma e ancora buona notte! > Concettina Prospero era rimasta sconcertata da quelle parole, ma capiva che venivano dal cuore di quel giovane e aveva anche lui molti problemi sulle spalle. L’aveva capito subito appena si erano conosciuti ma, non poteva invadere la sua privacy a chiedere, soltanto aspettare che si sciolga da solo. Infine rispose: < Notte figliolo! > rimanendo a guardare Mauro salire le scale e poi scollò la testa e si ritirò in casa stringendo tra le mani quella busta ricolma di benessere. 98 Capitolo Dodicesimo Mauro mentre si svestiva, stava ripensando a quei fatti accorsi in quella calda serata e si trovò sorpreso a pensare se per caso anche lui aveva da qualche parte una madre così. Poi di colpo imprecò tra le labbra, sapendo fin troppo bene di quella sua prolungata lacuna. Poi tanto più che non era riuscito a estrapolare fuori proprio nulla. Nemmeno dopo quel secondo trauma nell’assassinare spietatamente quei quattro killer. Insomma era più giusto pensare, giustiziare. E ancora ebbe un altra preoccupazione viva. Non avevano sentito e visto la televisione, su quei fatti accorsi e nemmeno la signora non ne aveva parlato; si vede che era intenta a cucinare per loro due e la felicità di avere ospiti a casa, aveva tralasciato i notiziari televisivi. “Senz’altro è andata così”. Si disse da solo un po’ apprensivo per quel lungo silenzio sui fatti e pertanto pensava di convincere Andrea di andarsene via in vacanza in qualche posto sperduto. Imprecando tra sé, per non aver avuto prima quell’idea. < Accidenti, perché non ho pensato prima? Appena torna a casa vedrò di convincerlo ad andarcene via di corsa. > mentre l’affanno l’assaliva, poi si distese nudo sul letto e cercò di pensare ancora ad altre soluzioni migliori, ma si addormentò di botto. Nella notte vi fu uno strano rumore che destò Mauro dal sonno. Aprì gli occhi, ma non poté distinguere nulla, era buio pesto; infine, sentì qualcuno mugugnare nella camera. Mauro stava quasi per dire qualcosa ma, si trattenne, capendo che era Andrea che trafficava da solo al buio. A quel punto Mauro si svegliò completamente e restò lì, in silenzio a sentire quelle piccole imprecazioni fatte a denti stretti dall’altro. Intuendo che vi era qualcos’altro che non andava per il verso giusto, oltre la ferita del giovane amico. D’altronde, quel parlottare spiaccicato gli dava a Mauro l’impressione che Andrea l’avesse con qualcuno in particolare, più che con sé stesso. Alla fine Andrea, visto che non ci riusciva a svestirsi, dovette per forza decidersi ad accendere la luce. Ma non volendo svegliare l’amico, pensò di accendere la piccola abatjour e solo dopo, se fosse proprio necessario chiedere l’aiuto all’amico. Stava togliendo la mano dall’interruttore del abatjour sul comodino a lato del letto, quando la mirabolante luce irradiò di colpo tutta la camera. Creando fantasiose figure colorate emanate del 99 paralume cinese, che proiettava strani disegni sul corpo nudo di Mauro. Andrea rimase lì, un buon momento a osservare quelle strane ombre sull’amico che dormiva beatamente disteso sul letto. Ma fu a sua volta colpito da quella giovane presenza. Si stupì da solo, perché mai stava guardando con tanto interesse quel corpo maschile. Si trovò spodestato nelle sue idee, nel non capire quel improvviso interesse a osservare per bene il corpo nudo dell’amico. Ma quantunque ammettesse esplicitamente che non era corretto il suo comportamento. Restò lì a fissarlo incuriosito. Guardando ogni piccolo particolare, in ogni angolo più remoto e nascosto. Esplorando con curiosità, quasi morbosa, quel corpo che l’amico esponeva così innocentemente. Mentre l’altro, in quel finto sonno, si masturbava la mente a capire perché mai l’amico l’osservava così insistentemente. Da rimanere in parte quasi contento di quello sguardo caldo e curioso addosso, ma al contempo confuso e preoccupato. Quando gli occhi di Andrea si erano poi soffermati un buon momento a guardare quel giovane compagno era veramente interessante per una donna. Se si fosse poi trovata lì, in quel momento invitante e sublime, sarebbe successo il finimondo. E senza immaginarselo Andrea sbottò piano, una frase a fior di labbra, sicuro più che mai che il compagno dorma profondamente e non possa sentire la sua opinione: < Però amico… sebbene ammaccato, sei veramente figo! Per non dire interessante per una femmina che ti ammiri in questo momento. > Mentre Mauro nella confusione più totale, stringeva di più gli occhi per la paura di essere scoperto che sbirciava e origliava le lodi spropositate. Andrea imperterrito continuava nella sua decantazione alla bellezza maschile: < Non credevo che avessi un fisico così invidiabile. Insomma, ben proporzionato in ogni parte... > e si arrestò di colpo meravigliato delle sue stesse parole e del suo sguardo. Poi, trasse un lungo sospiro deciso. Distolse lo sguardo da quel corpo supino, ma troppo preponderante. S’allontanò e si sedette sulla poltroncina, cercò di togliersi le scarpe e le calze con una mano sola; d’altronde la spalla gli doleva fortemente, neutralizzandogli il braccio ferito. Infine con fatica era riuscito a levarsi anche i calzoni e gli slip assieme, e fin lì era arrivato. Ma quando cerco di togliersi il maglioncino aderente a quel punto si arenò, dovendo arrendersi all’evidenza dei fatti. Il dolore era insuperabile da non riuscire ad alzare e muovere di un centimetro il braccio ferito. Così gli restava solamente svegliare Mauro e farsi aiutare, non avrebbe 100 voluto, ma quel maglioncino un po’ stretto gli dava l’impressione che aumentasse il suo dolore, l’infastidiva troppo, per non dire tanto. Oltretutto, quel leggero maglioncino di lana in casa lo faceva sudare tremendamente e lui ormai, era abituato a dormire sempre nudo; nudo come l’amico lì accanto che russava impercettibilmente così bene. Alla fine si fece coraggio e si avvicinò al giovane, e allungò la mano sfiorando il petto dell’altro per destarlo. E fu in quel istante che percepì in quel contatto una elettrizzante vibrazione, che lo colpì stranamente. Da farlo trasalire e pensare a certe idee strambe. Cose inspiegabilmente fantasiose che si stavano formando dentro di sé, avvolte da idee sconce e improponibili per un uomo. Ma egualmente gli venivano alla mente così preponderanti, da eccitarlo allo stesso tempo. Pensando che erano soltanto forme astratte, dovute a quella sua momentanea padronanza nell’approfondire la sua visione sul corpo dell’amico dormiente. E stranamente in quel contatto si immaginava già, morbose situazioni. Poi, sbottò tra sé, una esclamazione quasi veritiera: “Ecco perché l’hanno violentato quelli! Con una pelle così morbida e vellutata, hanno subito pensato di fottersi una giovane verginella... e trovando anch’egli vergine, che cuccagna! Avranno detto...” Ma di colpo, scacciò quei sciocchi pensieri e scrollò più fortemente l’amico. Mauro a sua volta mugolò nel sonno e in fine aprì gli occhi con fare fastidioso per la luce accanto. Con finta sorpresa, mentre sfoderava un candido sorriso, Mauro borbottò: < Ciao! Come stai, e la tua spalla? > mentre pensava se riusciva bene la sceneggiata del dormiente. Dandosi contemporaneamente dello stupido per aver avuto quell’idea così balorda e sinceramente gli seccava. Allo stesso tempo si beava, mentre ripensare ad un momento prima, nel rivedere Andrea che trafficava cercando di svestirsi. Lui fu sul punto di scoppiare a ridere, dal modo così buffo e imbranato che esponeva l’amico, nell’aggrovigliare il suo corpo, per aiutare quell’unica mano libera. E in fine, quando rimase con addosso soltanto il maglioncino, era veramente eccitante quella mezza nudità. Mostrava quei glutei ben marcati dalla pelle ambrata; erano veramente da guardare e far invidia ai mostri sacri del cinema hollywoodiano. Ma tutto cambiò e svanì via, scosso dalla voce di Andrea che rispondeva sornionamente alla sua domanda. < Beh, non va troppo bene la mia spalla. E il perché t’ho svegliato è che non riesco a togliermi questo maglioncino della miseria da dosso. E’ stretto. Se mi aiuti, per favore... forse in due 101 riusciremo a farcela. La spalla mi fa un male boia! > < Cosa mi dai in cambio? > sbottò malignamente Mauro. < S'eri una donna lo sapresti subito. Posso solamente cantarti la ninna nanna, ma non di certo a quest’ora, all’una e mezza di notte. > < Come, solo l’una e mezza! Ma, è appena mezz’ora che ho lasciato la signora Concettina? Mi sembrava di aver fatto una lunga dormita. Però com’è strana la vita, ti sembra una cosa e invece è un’altra. > < Fino a quest’ora, avete chiacchierato voi due? Però! > e riprese a domandare: < Per caso Mauro, non gli avrai raccontato del nostro casino? Spero proprio di no!? > borbottò Andrea, più che mai preoccupato. < No, stai tranquillo! E meno male che la televisione era spenta, altrimenti chissà cosa sarebbe saltato fuori. Ah, proposito, tu hai sentito in giro altre novità? Senz’altro e magari scottanti? > < No, nemmeno io, oltre alle solite di questa mattina. Ma d’altronde, puoi immaginare come mormora la gente sul caso. Per piacere, allora mi aiuteresti a togliere ‘sto coso da addosso? > Mauro saltò giù dal letto e s’avvicinò all’amico. < Dai, alza leggermente il braccio e faremo in un minuto... Ecco... a posto amico! Fermo ancora un momento? Fai vedere la ferita! Ci sono le bende un po’ umide di sangue. Direi che possiamo rifare la fasciatura e l’altra puntura contro l’infezione, di già che siamo svegli. Così potrai dormire un poco di più. Okay! > < Spiacente ma non posso. Devo andare in banca a prendere un po’ di grana per pagare la signora di sotto. Ai visto quanta roba ha preparato per cena e sinceramente non ha molti soldi. E per giunta io sono arretrato nell’affitto, così, come vedi devo alzarmi presto e... > ma viene interrotto energicamente. < Ma, vuoi fermarti un momento e lasciarmi spiegare? > protestò Mauro.< Non occorre nulla per adesso. Ho già provveduto io a tutto, e per un po’ la signora non gli occorrerà altri soldi. Comprendi! > < Come? Tu gli hai dato dei soldi, al mio posto? Ma, se... noi non ne abbiamo parlato e poi... > ribatté Andrea cocciuto. < Ssst! Aspetta un momento, per favore! Lasciami finire il discorso Andrea. Io le ho dato dei soldi che avevo in più nel portafoglio e perciò non t’affannare è tutto a posto... Già, dimenticavo, la signora mi ha detto che si pranza all’una. Ti va bene? > < Come mi va bene? Non mi va per niente bene, così. Non è giusto... Tu non puoi sostituirti a me. Non è giusto! > < Come non è giusto? Dai, cerca di vedere anche tu la questione da un altro lato, quella della salvezza della nostre vite. Hai già dimenticato 102 della scorsa notte che stavi per tiraci le cuoia. > < Altro che dimenticato. Mi vengono i brividi freddi solo a ripensare all’accaduto, accidenti a me! Che cretino sono stato. > < Capisci Andrea la situazione? Poi, oltre al fatto, è che noi due dobbiamo andarcene di qui. Almeno per un poco, evitando di imbatterci in qualcosa di più grande di noi. Sarebbe la nostra fine. Comprendi che è pericoloso? E meno male che non ci vuole un dottore per te, altrimenti... > < Già, su questo hai ragione. E’ meglio così, con le voci che circolano in giro, al riguardo della nostra lunga storia? > espose alla fine Andrea con fare sottomesso e preoccupato. < Perché? Allora tu hai scoperto altre novità sul caso nostro? Vero!> chiese Mauro pensieroso, per non dire agitato, mentre Andrea si metteva seduto e l’altro incominciava a sfasciare la ferita. < Certo! Ma, non volevo preoccuparti a questa ora di notte, domani te l’avrei detto... > < Detto cosa? Dai su, parla? Non perdere tempo. E’ inutile menare il cane per l’aia, aspettando il domani... > sbottò Mauro, serio e impaziente. < Questa sera Serena, mi ha mostrato un’edizione straordinaria del giornale regionale. E guarda caso, ci sono già io in bella mostra. > mentre si allungava e prendeva un foglio di giornale che aveva messo sul mobile poco prima. < Ecco guarda, sta’ a sentire cosa dice quest’articolo a mio riguardo. Io mi sono preso la pagina per ricordo: Il signor Andrea Prandi è stato medicato l’altro giorno all’ospedale di Viareggio, per una ferita alla spalla da una freccia. Il malcapitato signor Prandi passeggiava nei giardini sul lungomare, quando è stato raggiunto da un dardo di una freccia, scagliata da uno sconosciuto. Per fortuna che la ferita è lieve e guarirà un pochi giorni. Medicato e rimandato a casa, dopo le rituali deposizioni e denuncia contro ignoti. Del presunto Robin Hood non vi sono tracce, mentre la polizia indaga ancora: ecc. ecc. Hai capito, amico, la fatalità? C'è un tale che ha il mio stesso nome e abita a Viareggio quanto pare. Pertanto, a Serena e altre persone che conosco lo lasciato credere, che mi avevano infilzato per sbaglio. Poi d’altronde la mia spalla rigida non è passata inosservata. Così, ho leggermente condito la storia, per essere più veritiera. Non si sa mai? Spiegando ch’ero proprio sfigato quella settimana, a Firenze mi avevano tamponato l'auto e a Viareggio infilzato come un’oca marina. Tu pensi che la mia ferita può passare per un foro da freccia? > mentre ributtava il giornale sul mobile. < Sì, se la guardano da lontano? > commentò poco convinto Mauro. 103 < Comunque è già una buona cosa, avere un mezzo alibi per il foro nella spalla. Magari domani si sarà chiusa un po’ di più e allora tutto è a posto. Io penso che se per puro caso la polizia ti domanderebbe delle spiegazioni e trovando poi sul giornale la conferma del fatto e guarda caso tu lavorare a Firenze e in una gita a Viareggio... Insomma, non te la nega nessuno che ti sia capitato quell’incidente. Ma sì... stai tranquillo! Penso che su quel particolare non indagheranno a fondo. E’ irrilevante. > lo consolò Mauro mentre terminava il suo operato, e poi, prese la siringa con una mano e il cotone imbevuto di alcol nell’altra, gli ordinò: < Amico mio, è ora di girare le chiappe! > mentre a Mauro gli sfuggiva via un risolino sardonico, per quella sadica manovra a scapito dell’altro. < Ti prego! > bofonchiò l’altro preoccupato. < Fai piano e non come l’altra puntura fatta prima. Mi sembravi un macellaio che cerca di d’infilzare il coltello in un pezzo di manzo, dall’altra parte del tavolo. > < Hai sbagliato amico, qui c’è un puledro, non un manzo... vai! > dandogli una leggera pacca sul sedere nudo, mentre Andrea mugugnava. < Già fatto? Però. Ma sai, che mi fa’ egualmente male... Senz’altro, sarà il liquido della fiala che è troppo forte. Accidenti a tutto! > < Ma, perché ti agiti tanto, dovresti esserne contento. Sei già finito in prima pagina, di questo passo diventerai celebre. > < Sinceramente era un trafiletto nella quarta pagina. > precisò Andrea mentre si massaggia il deretano indolenzito dal forte liquido. < Comunque, se non sono troppo indiscreto e curioso, com’è andata quella storia da definire con Serena. E’ tutto chiaro adesso? > gli domandò l’altro mentre si recava in bagno a lavarsi, seguito da Andrea come un cagnolino che rincorre il padrone. < Figurati, anzi, mi fa piacere che me lo chiedi, visto che siamo amici... > mentre osservava l’altro che scaricava la vescica nel water, riprendendo a dire. < E non ho nulla di privato da tenere nascosto. Tant’è vero che Serena a voluto farmi un grande discorso; già iniziato prima per telefono. Ma per la verità, devo dire che tutta questa storia, mi sembra un po’ stramba. Insomma, la trovo così ridicola quella sua insistenza. Mi è sembrata di più ‘sta storia, una squallida sceneggiata mal recitata, capisci Mauro? > < Sì, sì, capisco! Insomma non troppo per capirsi. Ma, in fondo sono affari tuoi e a me non riguardano, più di tanto. > < Già, hai ragione. Sono affari miei. Ma comunque, a te posso dirlo. Anzi lo voglio dire, altrimenti con chi potrei lamentarmi. Sai che ho paura? Una fottuta paura! Incomincio solo ora a rendermene conto di quello che 104 abbiamo appena passato assieme. Porca puttana! > inveì Andrea con sgomento. Si vedeva che la sua tensione stava per sfaldarsi, lasciandosi andare in imprecazioni convulse. Mentre l’altro, lo redarguiva a farsi coraggio: < Dai, su! Non alzare la voce, potresti farti sentire dalla signora di sotto e non è gusto che stia in pensiero per te. Visto che ti vuole un bene dell’anima. Sarà meglio evitare che senta e capisca che non va bene qualcosa. E non lasciati trascinare dagli avvenimenti, ormai quello che è fatto è fatto. E purtroppo lo sai più che bene anche tu, che bisogna reagire a nostro vantaggio se dobbiamo sopravvivere. Ecco perché, sarà meglio cambiare aria, andando magari all’estero. Capisci? > mentre Mauro si avviavano verso la camera seguito dall’altro preoccupato. < Hai perfettamente ragione Mauro, ma talvolta mi lascio prendere la mano dalle incazzature vecchie e nuove. > poi mugugnando si mise a letto al fianco di Mauro. Mentre quest’ultimo gli rispondeva: < Sì, capisco tutto ma, urlando non approdi a nulla. Se proprio vuoi toglierti quei mattoni che hai sullo stomaco, puoi sfogarti a parlare con me. Sono tutt’orecchi. > gli prospettò Mauro, visto l’altro tutto teso e nervoso, mentre spegneva la luce. Poi, pensando, che forse al buio l’amico si sarebbe sentiva più libero nel parlare e aspettò che si decida a tirare fuori il rospo dalla gola. Dopo un buon momento, Andrea tirò un lungo respiro e incominciò nel dire sottovoce: < Sai, Mauro, > mentre al buio cercava la mano del compagno stringendola tra la sua, un po' sudata dalla tensione. Mauro pensò, che in quel contatto Andrea stava cercando un po' di coraggio e solidarietà, fors'anche quell’affetto mancato e trovato finalmente in quella amicizia appena acquisita. Poi in fine, incominciò a raccontare un po’ riluttante: < La cosa più comica di tutta questa faccenda è capitata proprio questa sera. Pensa un po’, che Serena supponeva che io fossi ancora tanto innamorato di lei. Era così preoccupata a farmi sapere che lei ama un altro uomo, e non sapeva come dirmelo. Figurati io, cosa m’importava e m'importa di lei. Se proprio m’interessava, me la sarei già fatta da un pezzo. Comunque chiarito quel punto, lei ha voluto che spiegassi all’altro la mia posizione, affermando che tra noi non c'è stato mai nulla. E io, a quel punto mi sono incavolato veramente! E allora lei sé messa a piangere, pregandomi di farla contenta, per salvare il suo amore. L’amore per quel... testa di cavolo! Insomma quel Carmine, il suo nuovo uomo. Uno peggio di così non poteva trovare, ‘sta benedetta donna. Beh! Lasciamo perdere, sono cavoli, per non dire altro, suoi! > sbottò abbastanza incavolato. 105 < Ben, tutto qui, quella lunga chiacchierata fatta prima al telefono e poi per strada? > mugugnò Mauro deluso. Andrea, cercò di scrutare il viso dell’amico accanto ma, il buio glie lo impediva. Poi riprese a parlare, mentre si schiariva la voce rauca: < Be’, insomma è soltanto un po’ sfilacciata la faccenda. Comprendi? Lei voleva che io spieghi all’altro, che non c’era mai stato nulla tra noi. Perciò arrivammo ad un accordo. Ma il fatto è che lui, Carmine, a suo tempo mi aveva aggredito verbalmente, dicendomi che la lasciavo troppa sola e così c’erano altri uomini che la frequentavano assiduamente e... Insomma! Dicendomi inoltre che non era una ragazza seria. E questo avveniva otto mesi fa, e io per il rispetto verso Serena, lo presi a pugni per bene. Perciò, adesso mi seccava dover parlare con quel figlio di buona donna. Sapendo che gli avrei rotto il muso un’altra volta. Ma l’insistenza di Serena e per evitare scenate; oltretutto nella nostra nuova situazione cercai di assecondarla e farla finita in fretta. Poi, alla fin fine, con il male alla spalla non è che avessi molta voglia di discutere. Oltretutto Serena non aveva mai saputo di quella baruffa tra noi due e così decisi di assecondarla. E non potevo nemmeno digli a quello stronzo di Carmine, davanti a Serena, ch’era veramente un testa di minchione! > < Vedo che vai di bene in peggio! > commentò Mauro pensieroso, sentendo aumentare dentro di sé quell’ansia di apprensione e pericolo, che non riusciva bene a focalizzare, mentre aspettava di sentire il resto. Intuendo che non era finita per niente quella storia appena iniziata. < Sai, in quel momento, > riprese Andrea, < ho avuto un pensiero cattivo, di non averne approfittato anch’io di lei. Ma forse è meglio così, non avrò dei rimorsi se mi sono perso un po’ di scopate. Pazienza... > < Ma, che bravo Sant’Andrea! Mah, veramente! Insomma, non hai mai fatto proprio niente? > < Be’, sì, questo è vero! Sono stato un fesso, ma non me la sentivo di approfittarne. Forse il perché, non era la ragazza giusta. Fatta apposta per me, su misura... > rispose con un po’ di baldanza. < Misura d’uccello? Però, a vederti non sembra, sei ben fornito... oh, forse non ti tira più l'arnese? > < Cosa vorresti dire? L’arnese funziona e come! Se eri una donna l’avresti già provato più che bene... > ma si arrestò di colpo, poi, mortificato per le parole sfuggitogli di bocca, riprese a dire. < Scusami! Non volevo intaccare la tua già penosa storia. Perdonami amico, mi dispiace! > Mentre gli serrava più forte la mano nella sua, abbastanza 106 sudata dalla tensione. E Mauro con voce roca, rispondeva: < Non devi preoccuparti e scusarti, lo sai molto bene, che sono un culo rotto! Ma non divagare, prosegui. > l’incitò a continuare, d’altronde era inevitabile prima o dopo, si sarebbe arrivati a quelle frasi e la colpa era soltanto sua, che aveva voluto far del sarcasmo, pertanto aveva avuto la risposta giusta e meritata. Si commentò da solo Mauro. Mentre Andrea, con un sospiro di disapprovazione al suo comportamento, riprendeva: < Ok, ok amico, sorvoliamo le cazzate! Stavo dicendo prima... Insomma! Se non ho fatto nulla con Serena… Non è che non mi tira più l'uccello. E' che, mi sarei semplicemente sentito dopo più amareggiato. E questa è sempre stata una mia intuizione... per essere schietti e dire qualcosa che non dovrei dire, ma a questo punto... Insomma! Serena potrebbe essere mia sorella... Capisci adesso il perché! > < E se io, ti dicessi il contrario, mi crederesti Andrea? > sbottò Mauro d’impulso. Mentre Andrea a quelle parole era rimasto muto e stupito, pensando di colpo, che senz’altro mamma Concettina, aveva raccontato di lui e di quella cognata, la direttrice dell’istituto dei trovatelli. Senz’altro lei, la cognata, sapeva chi era e chi erano i suoi? “Accidenti”! Esclamò tra sé incavolato. Poi, si decise a chiedere a Mauro. < Concettina ti ha parlato di sua cognata, la direttrice dell’istituto per orfani. Vero? > esprimendo quella frase con una tonalità piuttosto dura e accusatrice. < Sì, è vero! E quell’avvocato di merda non è tuo padre, questo è più che sicuro. Comunque, ho già sentito da qualche parte quel nome, Rottai ma, non mi viene in mente per il momento, dove? Accidenti! Con questa memoria del cavolo che mi trovo addosso, mi manda in bestia. Ma da quello che ho sentito, neanche il tuo vero padre è tanto meglio, compresa tua madre. Scusami la freddezza, ma è la verità. Se ti amavano veramente non ti avrebbero abbandonato per strada, come un miserabile cane! Messo poi, per compassione in un orfanotrofio.> Mauro era esploso così energicamente, quasi fosse lui la vittima di tutto. < Dunque lei, Concettina sapeva tutto e non mi ha mai detto nulla... perché? Perché, non me la detto? > esplose seccato. < Per il semplice fatto, che eri tu, a doverti confidare con lei, e forse lei dopo ti avrebbe spiegato ogni cosa. Ma tu eri restio, specialmente dopo che avete incontrato sua cognata, ti sei chiuso nel tuo guscio. E lei, cosa doveva dirti? Poi, fu solamente in quel momento ch’era venuta al corrente della tua storia. Cosa doveva fare? Buttartela in faccia! Come una merda. No! Lei ti vuole troppo bene e a tenuto tutto per sé. Capisci com’è andata 107 la faccenda, e non devi farle una colpa. E’ stato per puro caso, che mi ha confidato la tua storia, pregandomi di tacere. E guarda io, come un gran coglione, per non dire fesso, la spiattello subito. Che testa di cazzo sono. Accidenti! Scusami amico! > era veramente mortificato Mauro, ma allo stesso tempo pensava che forse era venuto il momento che Andrea sapesse la verità che tanto bramava. Forse fin troppo amara, ma era la realtà del momento. Purtroppo, tardiva, ma vera. < No, non c'è nulla da scusarsi Mauro. Anzi, sono io che devo prendermi a schiaffi. Hai ragione, riguardo hai miei, non mi meritano. E vadano al diavolo tutti quanti... > sbottò deciso. Poi, dopo un lungo momento di assoluto silenzio, mentre Andrea si muoveva nel letto nervosamente, provò a chiedere ancora: Ma tu, ora sai chi sono i miei genitori? Scusami la curiosità, ma ho frugato dappertutto in questi anni per sapere qualcosa. E pensare che bastava chiedere alla persona più cara che ho vicino. E in verità, mi ha fatto più lei da madre in poco tempo, che tutti quanti messi assieme. > costatando quella verità sacrosanta. < Tuo padre lai già conosciuto, > gli espose Mauro. < Anzi, ai vissuto con lui un po’ di tempo. > usando una tonalità volutamente calma, per evitare che l’altro scoppi in escandescenza, sapendo purtroppo bene la storia e l’eventuale reazione dell’amico defraudato. < Come! Quello? > sbottò sull’adirato. < Quel figlio di puttana di Trani! Che mi faceva sgobbare dalla mattina a sera, e alla fine della giornata mi diceva solamente: “Bravo figliolo ma, potresti fare qualcosa in più, dacci dentro! ”. Per non parlare di lei, non lo mai potuta sopportare quell’arcigna di sua moglie, che stravedeva per quel figlio deficiente e vendicativo. Per caso non è lei mia madre, spero proprio di no? > domandò preoccupato Andrea. < No, non è lei. Ma, un’altra della stessa pasta, però. Bella sì, ma arida e vuota nell’anima. Se ti ha lasciato subito appena dopo averti partorito. Abbandonato in quell’istituto, e non certo perché gli mancava il pane per sfamarti. Perciò, hai ragione vadano all’inferno! > Mauro si era alzato a sedere sul letto mentre si stringeva le ginocchia al petto, avvolto da una cupa rabbia per l’amico Andrea. < Okay! Grazie amico, per avermelo detto. E scusami per la mia buriana di prima. Incomincio finalmente a capire che l’affetto migliore viene sempre da chi non conosci. Devo ringraziare mamma Concettina e te, mio caro e ineguagliabile amico, non ché salvatore. > < E, ridagli! Ti prego lasciamo perdere i convenevoli e finisci una 108 buona volta la tua graziosa telenovella. Mi incuriosisce tanto, e sono stufo d’immaginare il finale che è senz’altro a sorpresa. Vero? > < Be’, sì, questo è vero! Comunque, ritornando a quello stronzo di Carmine: Io avevo detto a Serena che gli avrei telefonato domani per farla contenta. Sebbene avrei fatto la parte del cretino ma, pazienza. Ma lei a quel punto m’implorò di andare con lei al bar dove bazzica Carmine, e sistemare subito la questione. Alla fine dopo una bella litigata in macchina, accettai. Perché incominciavo ad aver le palle piene di quella menata sdolcinata, che mi stava propinando controvoglia... > Andrea si era fermato ancora un momento sospirando, mentre tirava su con il naso. E Mauro lo spronò a continuare dicendogli: < Be’, allora, com’è finita? > < Okay! Va bene, va bene! Adesso riprendo... Ho perso il filo, tra i ripensamenti su quei ipocriti genitori. > < Già, l’immaginavo che ci avresti filato sopra. Credimi, non ne vale la pena. Non sono degni di te. > < D’accordo, ok! Insomma, dicevo, quel Carmine si presentò al bar, con un modo abbastanza strafottente, che persino gli avventori del bar si voltarono a guardare il nostro gruppetto in fermento. Se non era per la mia spalla dolorante gli avrei mollato un sinistro in pieno viso da gorilla deficiente. Comunque, in breve gli dissi deciso senza curarmi dei presenti e di come entrambi avrebbero recepito la mia risposta. “Carmine, ti devo dire con sincerità che tra me e lei, non c'è mai stato nulla e mi pare che un tempo ne avevamo già discusso e più che chiaramente sulla sua serietà, ricordi?” E lui, restò zitto, arrossendo come un pomodoro, mentre abbassava il capo e rispondeva a monosillabe. “Certo, certo!” Mentre Serena cercava di raccapezzarsi sulle mie parole, e temendo un altro inghippo cercai di essere più mite e non dire quello che avevo dentro, dicendo solamente: “Sai Carmine hai scelto la ragazza migliore e mi congratulo con voi.” Poi, li pregai di portarmi a casa che ero stanco, così vennero tute due ad accompagnarmi fino qui sotto. Soltanto una cosa mi a sorpreso un poco, che Serena mi ha pregato di tenergli la sua sacca con i suoi libri di scuola, che sarebbe passata di qui domani in giornata per una spiegazione. Un consiglio? Riguardante un particolare esame aziendale che stava facendo. Pensandoci bene, chissà quale ditta fa degli esami e assunzioni ai primi di luglio, non ti sembra strano? > 109 < Perché proprio da te, deve farsi spiegare il sistema commerciale. Non può chiederlo al padre? Quello è intrufolato da ogni parte in questa città. > commentò Mauro, dubbioso su quella ridicola messinscena. Mentre Andrea confermava quella stravaganza: < Mah, si vede che non vuole ricorrere al padre e preferisce chiederlo a me. In ogni modo, è l’ultimo favore, poi basta! Vada pure a spasso con Carmine, quello bazzica con la malavita locale... Be’, ora lasciamo perdere e dormiamoci sopra, domani ci penseremo a risolvere questi piccoli quesiti del cavolo?. Buona notte, Mauro! > e tentò di girarsi su di un fianco, ma ci ripensò un attimo, se era la posizione giusta per la sua spalla dolorante. < Notte, Andrea! > rispose Mauro corrucciando la fronte, aveva un certo malessere addosso, che l’opprimeva tremendamente ma, al contempo non voleva farlo capire all’amico incavolato. Poi, mentre aspettavano di addormentarsi i loro pensieri parevano identici. Tutte due, stavano pensando quante notti e giorni potranno vivere ancora liberamente. Prima che qualcun li scopra e li sistemi, chiudendogli la bocca e gli occhi per sempre? A quel punto pensò Mauro, sarà veramente il casi di godersi la vita a più non posso e in qualsiasi modo, fintanto che in gola c’è un piccolo respiro. 110 Capitolo Tredicesimo Pareva procedere tutto per bene a quella ora della notte, Mauro faticava ad addormentarsi, aveva cercato disperatamente di non pensare più a nulla, proprio a niente e quasi c’era riuscito nell’intento. Quando sul più bello, la voce del compagno lo riportò al punto di partenza. < Mauro, sei ancora sveglio? > gli domandò sommessamente Andrea. < Sì, perché? > rispose mentre si girava dalla sua parte a scrutarlo nel soffuso buio. L’altro con voce sorniona gli domandò di botto: < Perché l’hai fatto questo pomeriggio? > Quella frase lo riportò di colpo ben sveglio, per quella domanda che gli poneva così cruda e nuda l’altro. < Cosa!? > rispose a fiato mozzo, dopo un’interminabile silenzio. Sapendo già, più che bene a cosa si riferiva e intendeva dire l’altro con quella domanda pertinente. Mentre dentro di lui si sentiva perdutamente perso e svuotato di ogni risorsa, per la figura meschina che stava facendo. Quella domanda, così a bruciapelo, imposta dall’amico, gli aveva di colpo fatto raggelare il sangue nelle vene. Mentre un forte tremito lo stava assalendo e si sentì di colpo avvampare il viso per la gran vergogna scoppiata di botto. Mentre Andrea nell’indifferenza più assoluta continuava a parlare pacatamente: < Oggi pomeriggio, tu mi hai baciato con trasporto. E non dirmi che non è vero, perché l’ho captato più che bene il tuo messaggio. > si era girato verso l’amico e gli aveva appoggiato la mano sul suo petto sudato e tremante. Mauro era rimasto fermo e muto, scosso solamente da fremiti d’oppressione e sgomento, sapendo di esser stato scoperto così meschinamente. Mentre l’altro percepiva quei sussulti di tensione e panico che l’amico non sapeva regredire. Andrea afferrò la sua mano e la strinse forte, per dargli un po’ d’aiuto, capendo di aver colpito profondamente l’anima, per non dire nel cuore dell’amico. Mauro deglutì la saliva parecchie volte, infine cercò di rispondere a quella scabrosa domanda lanciatagli contro: < L’ho fatto solamente per convincere me stesso, che tu non eri come quelli... o più precisamente per capire se io fossi un altro, insomma... Cazzo! Magari io sono, uno che va in giro a... accidenti! Volevo capire, se un uomo può essere, interess... > ma gli mancò la forza di proseguire e cercò di sottrarsi, girandosi dall’altro lato. Obbligando Andrea ad afferrarlo per un braccio e girarlo verso di sé, 111 mentre proseguiva lui il discorso: < Volevi dire forse, se un uomo può essere interessante e piacere ad un altro uomo? E’ questo che intendevi dire? > ma, visto che l’altro non rispondeva, lui continuò a dire: < Sì, è vero! Anche tu sei interessante e la tua presenza è piacevole. E per essere sincero, come sei stato tu ieri mattina. Quantomeno mi conoscevi appena e mi hai esposto apertamente il tuo pensiero senza vergogna, ricordi? Mi hai detto che avresti preferito che fossi stato io a violentarti al posto di quelli là... > fece una breve pausa e poi, riprese con più foga, sbilanciando l’altro precariamente in bilico da mille dubbi e un’inconfutabile vergogna. < Be’, vuoi sapere un cosa? Anch’io ho pensato la stessa cosa un momento fa. Appena ho sfiorato il tuo petto, per svegliarti. Sì, per un attimo ti ho desiderato, > mentre pensava di esagerare un poco, ma si era lasciato prendere la mano dall’euforia. Per aiutare l’amico ad uscire fuori da quel incubo dov’era piombato dentro e non riusciva a cavarsela da solo. Continuando poi a dire: < E sinceramente ti avrei... Insomma! Per parlar chiaro. Sì, ti avrei scopato! Volgarmente parlando. Ora ti è chiara l’idea? Be’, ora sai, cosa ho pensato di te... E tu, cosa rispondi invece? > pensando al contempo, se lui avesse fatto veramente l’amore con Mauro, forse l’altro avrebbe superato quel dramma e gli sarebbe ritornata la memoria. A quella idea, poteva anche essere una scusante per tutte due, ma effettivamente Andrea non era troppo convinto sulla riuscita. Altre sì, vi era quell'altro fatto più tangibile che lì accumulava in un’unica e solida attrazione affettiva. Quella obbligata solidarietà per la vita. Da divenire per Andrea, qual cosa che non poteva negare, nemmeno a sé stesso. Perché, aveva trovato nell’amico qualcosa di diverso dai solito amici che frequentava. Quel giovane per Andrea era diventato più di un caro fratello, oltre avergli salvato la vita, mettendo a repentaglio la sua. Sapeva benissimo che Mauro poteva fuggire via e lasciarlo al suo destino fatale. Eppure questo, per lui l’aveva fatto e quel atto di solidarietà non lo potrà mai dimenticare. “Però è stato veramente bravo con la pistola e che mira!” mugugnò tra sé. Mentre aspettava che l’altro si decida a dire qualcosa, in quella irriflessiva disputa di pensieri un po’ strambi per entrambi. Alla fine Mauro, si raschiò la gola, deglutì la saliva, poi scartò ogni indugio e rispose con voce un po’ tremante, all’amico in attesa. < Tu, faresti veramente l’amore con un uomo? Con me! Lo faresti? > Andrea, in un primo momento restò un po’ sbilanciato ma, subito si riprese da quella assurda proposta e scoperta. Mentre stava valutando 112 quella probabilità; dapprima remota e ora presente. Nel dire a sé stesso che quella idea gli era già balenata per la testa molto prima, per essere coerente con le sue fantasie. In verità con un bel uomo così, non gli dispiacerebbe affatto apprendere un’altra parte nascosta del suo subconscio. In fondo lui, era un tipo aperto e poteva essere un’esperienza positiva, oppure negativa. Ma tutta la faccenda lo poteva appurare soltanto dopo. Poi cosa importava il dopo, sapendo che la loro vita poteva essere molto breve in avvenire. Erano legati ad un filo sottile e si poteva spezzare da un momento all’altro. Alla fin fine, c’erano tanti fattori complicati e nascosti. Vi era tutta una serie di circostanze strane, che alimentavano quella atmosfera carica di tensione. Ma al tempo stesso, una sottile eccitazione traspirava in quella notte, così piena di magia e mistero. Insomma, vi erano tutte quelle cose che per forza o per caso, avevano accidentalmente contribuito a quella unione più che fraterna. Oltre tutto, Andrea stava costatando che il profumo maschio dell’amico lì accanto, lo inebriava e l’avvolgeva in dismisura. Riscontrando che in quell’odore muschiato non trovava nessuna repulsione pur essendo maschile. E in quell’afrodisiaco effluvio del compagno lo recepiva con interesse, sentendosi ammaliato in quel momento così incasinato. Poi decise senza indugio di rispondere al compagno in attesa: < Io, veramente, non l’ho mai fatto con nessuno. Ma penso, che con te e in special modo adesso, lo farei! Tu hai qualcosa di maliardo e magico che mi ha colpito e m’incuriosisce tanto, per non dire tremendamente. Io sono disposto a provare, d’altronde, siamo adulti e vaccinati e penso proprio che non ci scandalizzeremmo più di tanto. Poi quel bacio di oggi, mi ha sconvolto parecchio per non dire tanto. E’ la verità! Perciò, vorrei riprendere quel dialogo muto ma sublime, da dove siamo rimasti a mezz’aria oggi... Ma, tu, sei ancora d’accordo a voler provare Mauro? > mentre faceva scorrere la mano sul petto caldo dell’altro. Che reagì prontamente, quasi fosse una bravata da ragazzini, dicendo con voce tremante dall’emozione e in una confusione assoluta di idee: < Certo, proviamo! Forse servirà a lavare l’onta che ancora ho dentro di me e mi perseguita inesorabilmente. E magari, potremmo pensare d’essere due innamorati, che danno sfogo hai loro istinti primitivi e selvaggi. Senza pensare alle bigotte discriminazioni sull’appartenenza dei sessi e le sue pratiche perverse. Sì, soltanto sesso e nient’altro! > Ci fu un momento di pausa ma, subito Mauro riprese a dire con serietà: < E’ tutta una menzogna ciò che ho detto. In verità, ho desiderato fare l’amore con te 113 Andrea. Forse per poter mettere ad ogni costo nella mia mente e anche nel mio cuore, la tua sana presenza inestinguibile, messa al posto di quegli altri che mi hanno sodomizzato con cattiveria. Insomma, per cancellare dalla mia memoria quel brutto momento, che la mia mente si rifiuta di accettare e bloccarmi il passato nel vuoto assoluto. > Simultaneamente si trovarono stretti tra loro in un abbraccio pieno di tenera passione, poi le loro labbra si unirono con voluttà e desiderio e mai prima d’ora avevano recepito tanto ardore, che si stava sprigionando con furore dai loro corpi nudi a contatto. Mentre il bacio si faceva sempre più irruente, alla fine Andrea tra un sospiro e un altro provò a dire sorridendo: < In verità non lo so proprio il perché e sinceramente a questo punto non me ne importa un bel niente. No, non è vero... Lo pensato di fare e basta! In verità incomincia a piacermi. Oltre tutto vi è qualcosa di straordinario nella tua persona, che mi affascina molto, tremendamente tanto! Forse, perché è la prima volta che faccio l’amore con un uomo e tutte queste tue componenti virili e nuove mi hanno ribaltato ogni mia previsione discriminatoria a discernere fra il sacro e il profano. Ma insomma! Perché cercare delle scuse fasulle, è andata così e devo dirti con sincerità che mi piace continuare a baciarti. < In verità, anch'io non avrei mai supposto di capire e apprezzare così profondamente l’amore tra due persone dello stesso sesso. Ma ora mi devo ricredere, sebbene non ricordo nulla del mio passato e mi sembra, anzi è più un’intuizione sentita, che dei ricordi precisi ormai svaniti via. Ma sinceramente, finora, non ho mai provato qualcosa di simile, devi 114 credermi amore. Mi sto’ innamorando di te Andrea e non mi vergogno a dirlo apertamente. > Espose seriamente Mauro. Forse sarà l’ultima volta che ci ameremo, perché il domani potrà serbarci chissà cos’altro. Ma per ora non fermarti, continua amore! Non deludermi e stringimi fortemente a te. Lo desidero sentirti accanto, prima che.... > < Ma perché non riesci a stare zitto un momento, dicendo stronzate sulla morte! Sai che l’amore può avere molti umori e mutamenti nell’amplesso... > Brontolò bonariamente Andrea. < Già, scusami! Ma, era solamente per confondere e affievolire il dolore che sto’ provando. Che trasuda nel piacere. Era quasi l’alba e si udiva di già il canto degli uccelli, mentre ancora correvano i baci e le carezze sui loro corpi sudati, alla ricerca di quell’oblio anelante e così insaziabile. E ogni volta sembrava più bello e maggiore di prima e ogni cosa cessò di esistere, solo il loro amore che si concepiva molteplicemente, quasi come un rito pagano a ridare l’onore perso in battaglia, ma ora lì, ritrovato tra le loro forti braccia. 115 Capitolo Quattordicesimo < Sono già le tredici pomeridiane!? > Esclamò Mauro rivolto a Andrea che faticava a svegliarsi, quando sentirono bussare alla porta ripetutamente. Andrea accese la luce e guardò l’orologio sul comodino, erano solamente le otto e trenta del mattino: < Accidenti! > sbotto confuso e incavolato. Mentre Mauro stava rimuginando tra sé, nel ripensare quanto tempo era trascorso, constatando che avevano dormito più o meno tre ore. Perciò non era sicuramente la signora Concettina che veniva a rompere a quella ora del mattino? < Ma cos’è successo? > chiese nuovamente Andrea preoccupato. Mentre si ripetevano dall’esterno i battiti alla porta insistentemente, da farli saltare giù dal letto precipitosamente, sperando di non supporre a quello che stavano pensando veramente di grave? Poi dato l’insistenza dei pugni sulla porta, era senz’altro nulla di gratificanti per loro due che dormivano alla grande. Mauro fu il primo a infilarsi i calzoni velocemente, mentre imprecava sottovoce contro molte o poche avversità successe all’insaputa di loro due. < Siamo in un bel guaio Andrea! > espose Mauro all’amico, mentre i pensieri si accavallavano rapidamente assieme. Erano così confusi e assonnati, mentre cercavano i propri vestiti sparpagliati ovunque per la casa. Andrea con fatica si era infilato gli slip e i calzoni, ma per la maglietta era un’altro problema irrisolto al momento. Invece Mauro si era sistemato alla meglio e stava ponderando più alacremente ogni possibile evenienza. Supponendo, che se 116 per caso la polizia avesse già trovato i cadaveri dei quattro nel fossato e per vie traverse erano già arrivati sino a loro, allora sarebbe stato un bel guaio? Impossibile, ma purtroppo pareva vero. Oltretutto lui era un killer assassino e quella era una cosa da non dimenticare e che gli faceva rivivere l’accaduto con apprensione. In quel preciso momento gli procurò un brivido gelido per tutto il corpo. Poi si sforzò a riflettere ancora un attimo, mentre mugugnava su quella sua negligenza provata, ma non ci riusciva a scovare proprio nulla, che lo aiutasse a reagire in quella confusione mattutina. < Per la miseria! Siamo fottuti più che bene! > imprecò. < Aprite, polizia! > urlarono dal di fuori. Quel persistere di colpi sulla porta di casa e a quel ordine perentorio, richiamò Mauro alla realtà più che concreta, mentre urlava per farsi sentire dall’esterno: < Sì, sì! Va bene!... Veniamo, solo un momento! > imprecando poi, a bassa voce al compagno: < Puttana Eva! Siamo fregati più che bene Andrea! Questa è la polizia..? Come hanno fatto, a trovarci così in fretta? > espose, Mauro digrignando a denti stretti, più che mai incavolato. < Lo pensi veramente? Dai aiutami a infilare questa maglia, non voglio far vedere la ferita... > mugugnò confuso Andrea. Mauro non rispose, ma aiutò l’altro a sistemarsi, poi andò deciso ad aprire la porta. Mentre si preparava un’espressione confacente al caso e nell’aver ragione a supporre la sua pessima idea di poco prima. Ebbe quasi un colpo, nel costatare che aveva capito più che bene chi bussava. Si trovò di fronte due poliziotti in divisa e al fianco la signora Concettina spaventata a morte, che non sapeva cosa dire o fare al momento. Travisava nel suo sguardo supplichevole, molti interrogativi esposti verso Mauro, per quella invadenza incontenibile delle forze dell’ordine. Comunque, Mauro seppe magistralmente ponderare a quel primo impatto così improvviso, e si mostrò agli agenti insonnolito e tranquillo, senza preoccupazioni. L’ufficiale che le era di fronte si presentò deciso, dicendogli con severità: < Tenente Narduzzi e sergente Nardelli, lei è il signor Andrea Prandi? > Domandò con autorità mal celata e nascosta sotto una superficiale cortesia mostrata. Mauro rispose a sua volta, sbadigliando: < No. Il signor Prandi è ancora a letto, se vogliono aspettare un momento vado a chiamarlo. E se non chiedo troppo, cosa desiderano dal signor Prandi, lor Signori? > scrutando i presenti dai visi seri e indagatori. Mentre porgeva un sorriso alla povera signora Concettina, raggomitolata in un angolo del pianerottolo a ridosso della ringhiera, così attonita e ammutolita per quella intromissione 117 mattutina. Al tempo stesso in quel frangente di secondi che sfilavano velocemente, Mauro pensava alacremente dove Andrea avrebbe sbagliato. Perché, e senz’altro quelli erano già riusciti ad identificare la sua auto e solo per quel motivo potevano essere lì a cercarlo a quella ora del mattino? Mentre il tenente dallo sguardo un po’ infido e schivo, gli chiedeva con fare sollecito: < Possiamo entrare. Lei, è... Non ho capito il suo nome? > Sbottò quello, con fare autoritario, mentre tentava di superare Mauro, che a sua volta si era girato di proposito verso la signora le stava chiedendo con fare gentile, ma serio: < Signora Prospero, le hanno mostrato qualche documento questi signori? > mentre Mauro fissava il tenente con uno sguardo da rimprovero e gli bloccava indifferentemente l’ingresso, aspettando un cenno della donna che confermava la sua domanda. < No! Non mi hanno dato niente... Non capisco... Cosa vogliono? > < Molto male, tenente Narduzzi! > provò a dire Mauro risentito da tanta strafottenza, e stava per rispondere malamente, ma si trattenne, solo perché non sapeva ancora bene il motivo di quella presenza mattutina. Infine rispose con una velatura di sarcasmo: < Comunque, per il mio nome, lei ancora non me la chiesto. Sono Mauro Rossi, > mentre estraeva il portafoglio dalla tasca posteriore dei calzoni e porgeva la patente al sergente e riprendeva a dire: < Sono amico del signor Prandi e attualmente sono suo ospite qui per qualche giorni. Le può bastare? > < Sì, certamente, per ora può bastare. > rispose seccato il tenente Narduzzi. < Bene, ora m’accompagnerebbe dentro, dal signor Prandi? > < Non c’è bisogno, eccomi qua! > rispose Andrea alle spalle di Mauro, mentre si sistemava la cintura dei calzoni e riprendeva a chiedere: < Cosa vuole la polizia da me, a questa ora del mattino? > guardando un po’ confuso i poliziotti, mentre si sfregava gli occhi per il sonno perso e aspettando che l’ufficiale si spieghi meglio. < La pregherei di seguirci in questura, signor Prandi, per degli accertamenti. > rispose serio, mentre cercava con falsa cortesia di prendere Andrea per un braccio. < Un momento! Accertamenti di che? Si può spiegare meglio tenente! > gli chiese sorpreso Andrea, mentre si ritraeva di qualche centimetro. Al tempo stesso, dentro di lui si andavano ad ammassarsi un sacco di domande, senza risposta. < Spiacente signor Prandi, ma sarà dovere del questore Gorelli rispondere alla sua domanda. La prego, ci segua. Sarà una semplice formalità, stia pur certo. > espose con un falso sorriso. 118 < Insomma! Se devo seguirla dovrò almeno sapere il perché e per cosa? Diammine tenente, penso che una piccola delucidazione la possa dare. Almeno ditemi cosa ho fatto di grave? Per essere portato di peso in questura… > protestò Andrea. Nel frattempo Mauro, si rimetteva in tasca i suoi documenti guardati velocemente dal sergente. Mauro era rimasto per tutto il tempo zitto e ascoltava i presenti, poi visto l’andazzo che aveva preso la situazione e quella reticenza espressa dell’ufficiale, si stufò e s’intromise deciso, rivolgendosi al tenente con un tono secco: < Tenente Narduzzi, se lei è nell’impossibilità di esporre un documento di comparizione o un mandato con esposto ben in chiaro le richieste della questura di Cosenza per una convocazione, oltre ad aver già dimenticato l’autorizzazione per l’intromissione in casa della signora Prospero. Mi spiace ma non può obbligare il signor Prandi a seguirla. Giusto? > Il tenente Narduzzi si sentì per un attimo spiazzato ma, si riprese e rispondeva questa volta con una tonalità più morbida, porgendo una scusa al caso: < Giustissimo, signor Rossi, ma non devono arrabbiarsi, noi abbiamo avuto l’ordine di venire a prendere il signor Andrea Prandi e portarlo in questura per accertamenti. Tutto qui! Capisce, è nostro dovere eseguire gli ordini. > mentre guardava il sergente Nardelli a sostegno, ma quello, fermo e impassibile nella sua divisa blu da buon poliziotto ligio al proprio dovere, non s’intromise minimamente. < Certo che la capisco, > rispose Mauro serissimo. < Ma non a questo modo, senza saper il perché e per come? Chiaro! Comunque per evitare ulteriori complicazioni al caso, sia per lei e far perdere del tempo a noi. Io direi che lei può chiamare via radio la centrale e farci parlare con il questore, così lui dirà al signor Prandi il motivo di questa urgente convocazione. Poi allora in signor Prandi verrà con lei in questura senza problemi. E mi creda è il massimo che possiamo fare per collaborare. Oltretutto per pianificare la vostra momentanea e abusiva invasione in casa d’altri. Penso di essermi spiegato chiaramente. D’accordo? > Il tenente si era trovato a corto di azioni giuridiche per affrontare quel giovane ben informato, poi effettivamente era rimasto un po’ sconcertato da quella reazione più che giustificata. Pensando che quel forestiero poteva essere un giovane avvocato ben informato sugli iter e cavilli burocratici, dal modo che trattava la questione. Perciò alla fine, il tenente cercò di assecondare la domanda, evitando ulteriori ritardi al caso e approvando la loro richiesta, che alla fin fine, non era poi sbagliata per chi sa le regole. 119 Infine il tenente, rivoltosi al subalterno al suo fianco ordinò di procedere: < Nardelli, vai alla macchina e chiama via radio il questore e digli di chiamarci al telefono della signora Prospero. Ecco il numero... Noi aspettiamo la sua chiamata. > poi si era rivolto ai presenti con un piccolo ghigno di accomodamento. < Spero che vada bene adesso? Aspetteremo che ci chiami il questore Gorelli. Almeno così, spiegherà lui la questione al signor Prandi, > mentre controllava l’ora al suo polso. < A quest’ora è già in ufficio. > spiegò controvoglia ai presenti. Mauro aveva momentaneamente posticipato la questione e si era rivolto alla signora Concettina abbastanza smunta e raggomitolata nell’angolino del pianerottolo, in attesa di una chiarificazione; perché fino a quel momento non aveva capito proprio nulla in tutta quella forsennata invasione. < Signora Concettina non le spiace se andiamo di sotto in casa sua ad aspettare la telefonata del questore? > Lei annuì con il movimento del capo, era troppo sconvolta per parlare. Mentre scendeva le scale si asciugava il sudore dalla fronte, seguita dai presenti in una processione scomposta e muta. Mauro si stava arzigogolando il cervello a pensare: “Perché mai Narduzzi aveva già memorizzato il numero telefonico della signora Prospero? Certo non era un caso fortuito...” Quando il telefono squillò la signora pregò il tenente di rispondere, ma la chiamata non era del questore, era il centralino della questura che pregava di attendere ancora un momento, infine dopo quell’attesa snervante rispose finalmente il questore Gorelli, che ascoltò il tenente e poi a sua volta passò la cornetta al Prandi che rispose risentito: < Buongiorno! Sono Andrea Prandi. Dica, l’ascolto? > Andrea prestò attenzione alle parole del questore dall’altro capo del filo, rispondendo affermativamente a tratti, mentre si corrucciava la fronte: < Sì, sì, capisco!... Se è così dottore, lei è stato chiarissimo... Va bene, vengo subito. Stia tranquillo, sarò muto come un pesce... > aveva risposto Andrea, ragrizzando la fronte, mentre riponeva la cornetta sul suo supporto, poi si era rivolto al tenente in attesa: < Okay, possiamo andare tenente! > mentre guardava le signora e Mauro in ansia per una semplice spiegazione. < Non preoccupatevi, vi spiegherò dopo. > espose serio. Mauro voleva chiedergli qualcos’altro ma, capì e restò muto, mentre la signora Concettina si era un po’ ripresa e prese un giubbotto di Andrea appeso all’attaccapanni e glielo sistemò sulle spalle, dandogli un bacio in fronte e dicendogli un po’ preoccupata. < Mi raccomando figliolo... > < Stia tranquilla mamma Concettina, va tutto bene. A dopo! > 120 Capitolo Quindicesimo Appena la portiera dell’auto della polizia si richiuse e la macchia partì, seguita da un’altra volante diretti verso la città. Mamma Concettina rientrò in casa velocemente piangendo, era sopraffatta dal dolore. Mauro la seguì costernato, mentre mille pensieri cupi aleggiavano all’orizzonte, nel capire che la resa dei conti era più vicina di quel che lui aveva previsto. E quella convocazione di Andrea in questura non era per nulla chiara. La cosa più plausibile per il momento, era la decifrazione dei numeri sul telaio della vettura di Andrea, solo quello poteva essere il movente al momento? Ameno ché, pensò Mauro, che qualcuno avesse visto Andrea prima, nell’inseguimento ai banditi e aveva preso la sua targa? Poi Mauro, si ricordò che Andrea aveva detto che quelli avevano fatto una telefonata. Ma, a chi? Ecco i quesiti da risolvere rapidamente. “Rapido, rapido! Ma come? Accidenti!” biascicò tra sé incavolato. Oltretutto con quella memoria del cavolo che si trovava e che s’infrangeva continuamente contro l’ignoto, ogni qualvolta che cercava di scavare nel suo passato, gli era molto difficile edificare qualcosa. Poi alla fine gli sembrava d’intravedere un piccolo barlume di false idee, ma fu interrotto dalle supposizioni della signora. Era tutta preoccupata per Andrea, mentre stava mugugnando quasi da sola: < Sarà senz’altro una questione che riguarda i suoi genitori adottivi. Perché ho sentito dire dal bottegaio questa mattina, che c’è stata una sparatoria tra bande della ‘ndrangheta e camorra. E quel Trani è uno che è dentro fino al collo? > spiegò lei, tutta corrucciata e più che mai convinta. < Chissà cosa gli chiederanno a quel figliolo. Oh, Mauro che disastro! Erano tutti fuori a guardare, alla vista della polizia ferma qui davanti. Molti sbirciavano dietro le persiane socchiuse? I cari paesani, per non dire altro... Adesso avranno da spettegolare per un mese. 121 E senz’altro domani quando andrò a far la spesa, chissà cos’altro mi chiederanno queste tre comari pettegole... Già questa mattina, quando sono andata a prendere il pane, il latte e i giornali. Figurati, erano già ad aspettarmi dal droghiere e mi hanno subdolamente tempestata di domande: “Chi sei, da dove vieni e cosa fai qui con Andrea”... Insomma! Ho dovuto raccontare qualcosa, che sei il suo datore di lavoro e sei venuto qui qualche giorno e nient’altro. Solo per acquietare un poco quelle loro lingue lunghe. Figurati adesso che hanno visto la polizia portare via Andrea. Dio ci liberi da loro! Vergine Santa! Questa cosa non ci voleva? > sbottò più che mai amareggiata, oltre che incavolata fortemente. Mauro faticò abbastanza per calmarla un poco, dicendole con fare bonario: < Ha fatto più che bene mamma Concettina. In fondo ha detto la verità. Certo che adesso, Dio solo sa’ cosa tireranno fuori e penseranno senz’altro un sacco di cose sbagliate. Magari diranno che ha fatto male ad affittare la casa a dei ragazzi incoscienti e via discorrendo. Ma vedrà tutto andrà a posto appena Andrea torna a casa. E dopo lei deciderà cosa vorrà raccontare a quelle quattro befane la fuori, in attesa di altre notizie di prima mano. Perla miseria! ‘sta gente, che non ha niente altro da fare!? > sbottò a sua volta Mauro. < Si, hai proprio ragione Mauro, sono proprio quattro befane bigotte! Comunque, ci penseremo dopo alle ciacole della gente ignorante. Adesso c’è dell’altro più importante da vedere e come andrà a finire ‘sta storia... > si era messa le mani sul volto, poi tirò un profondo respiro e chiese al giovane per reagire a quell’ansia: < Preparo del caffè, figliolo? > < Ho, sì, grazie! Mi occorre proprio del caffè per ragionare meglio. Vedrà, mamma Concettina, appena avranno fatto quei loro accertamenti lo riporteranno qui subito. > mentre dentro di lui, sapeva che mentiva ed era ben altro il motivo di quell’improvvisa convocazione mattutina. < Macché accertamenti del cavolo! Allora l’avrebbero fatto qui e non portarselo via come un criminale, quel benedetto figliolo. Mancava soltanto le manette ai polsi, per completare l'opera... Oh Maria Vergine! > borbottò nuovamente la signora Concettina sdegnata, mentre sistemava nervosamente le tazzine del caffè e la zuccheriera sul tavolo della piccola cucina. < E pensare, che finora nella sua vita Andrea e non ha mai avuto nulla di buono. Poi, quello che non capisco io e l’avevo già spiegato al tenente, che insisteva tanto sull’orario. Andrea era rincasato all’una e venti questa notte. Io avevo guardato l’ora un momento prima, dato che devo prendere le pillole per la pressione ogni sei ore e quando ho sentito l’auto 122 di Serena fermarsi qua sotto. Stavo tornando a letto e avevo già spento la luce, così ho visto bene dalla finestra della camera chi erano. Andrea era sceso dall’auto con una borsa e Serena con un altra persona in macchina è andata via di volata. Ecco, capisci la mia preoccupazione quando è fuori alla sera quel benedetto figliolo. Poi sentii che Andrea saliva le scale fischiettando e mi coricai più sollevata, pensando che la spalla andava senz’altro meglio. E questa mattina ecco il patatrac! Dio che scalogna ha quel figliolo addosso e adesso non capisco cosa sia successo? > La signora si fermò a mezz’aria con la caffettiera in mano a pensare. < Per caso, non riguarda l’incidente che ha avuto con l’auto a Firenze e abbia ferito qualcuno? Tu, ne sai qualcosa Mauro? > mentre gli versava il caffè. Mauro, si portò la tazzina alla bocca ma, non si fermò per sentire se scottava. Mentre pensava, se almeno avesse il tempo d’inventare cosa rispondere a quella domanda più che giusta. Aveva troppe cose per la testa che non si era accorto che il caffè era bollente, finché non se lo sentì che scottava in gola, rimanendo un momento sconvolto e subito la signora Concettina intuì il guaio e gli diede in mano il bicchiere d’acqua che aveva messo prima sul vassoio, da acquietare il bruciore che Mauro aveva in gola. < Devi prestare attenzione! Dai bevi un po’ d’acqua figliolo! Vedrai che ti passa subito il bruciore. Sei troppo precipitoso ragazzo mio! > < Ha ragione, accidenti alla mia premura! > borbottò a bocca larga per far respirare la gola accaldata, facendosi vento con la mano. Poi Mauro si prese un altro buon sorso d’acqua, per affievolire la scottatura. Mentre la sua mente era rimasta a pensare sorpreso, colpito dal modo così perspicace della signora Concettina; una vecchietta così arzilla e per nulla stupida da non capire certe cose. Perciò, ripensò Mauro, che in futuro avrebbe valutato diversamente quella semplice donna, prima di aprire bocca. Depose il bicchiere e infine rispose. < Sì, non ha torto mamma, ha fare tutte queste congetture più che giuste. Andrea non centra nulla con l’incidente avuto a Firenze. La peggio l’avuto soltanto Andrea che si è slogato la spalla andando a sbattere contro un muro e sfasciando mezza macchina. La sua... Sarà qualcos’altro! Comunque staremo a vedere. Ma senz’altro sarà nulla. Forse alla polizia vogliono delle informazioni su persone che conosceva Andrea? > espose alla fine Mauro, mentre si versava altro caffè dalla grossa caffettiera, ne aveva veramente bisogno e la prima tazzina non l’aveva nemmeno gustata per la premura e il troppo 123 calore ingoiato. < Sai, figliolo. Io penso invece, che non ci sarà per caso, qualcosa con quella Serena? > mentre sorseggiava il suo caffè, era pensierosa e seria. < Forse e magari suo padre, quel bellimbusto dell’avvocato Rottai, che si sia intromesso e l’abbia denunciato per averla messa in cinta? Sai questa idea di una ragazza in cinta e che tenta di bidonare un amico, non mi garba troppo. Credimi. Posso sbagliarmi, mah!? > commentò più che convinta. Mauro gli scappò quasi da ridere per quell’idea non per nulla strana, ma lui sapeva ormai la vera storia e alla fine rispose: < No, stia pure tranquilla. Serena non è in cinta. Ha solamente un altro ragazzo e ha voluto che Andrea ieri sera, dicesse all’altro che tra loro due, non c’è mai stato nulla di tenero. Tutto qui in quel discorrere al telefono di ieri sera e poi al bar a Cosenza. Capisce ora mamma, com’è andata la serata d’Andrea. Questa notte al suo rientro mi ha raccontato tutto, ed è felice che la questione si è risolta a quel modo, senza strascichi e piagnistei. > < Ecco, perché Andrea era tornato accompagnato da Serene e un altro giovane. Ma sì! Andrea è ancora giovane e si troverà un giorno o l’altro la ragazza giusta. Comunque speriamo che non sia nulla di grave adesso. Perché, aver a che fare con la legge c’è sempre d’avere delle rogne. Poco ma sicuro? Parole del mio povero marito. > < Già, questo è vero. Ha più che ragione e bisogna sempre affilare le unghie con loro. > rispose Mauro in sovrappensiero. < E tu, hai fatto bene a parlare in quel modo deciso a quei due poliziotti, soltanto perché hanno una divisa addosso e hanno la legge dalla loro parte. Pensano sempre che tutti siano ignoranti e colpevoli, e talvolta purtroppo basta la loro presenza che tutti si spaventano e stanno zitti e subiscono assurde umiliazioni. Invece tu hai fatto capire senza urtarli che volevi che siano rispettate le nostre ragioni e basta. Hai fatto proprio bene Mauro. Acciderba ragazzo mio! > Mauro sorrise a quell’idea “le nostre ragioni” lui aveva capito che ormai faceva parte della famiglia e mentre sorseggiava altro caffè, pensò se lui avesse una famiglia da qualche parte? Ma visto che si trovava sempre alle solite lacune mentali, tralasciò ad approfondire la sua ricerca. Poi si alzò e si appoggiò allo stipite della porta, si massaggiò il collo, si sentiva ancora in trance dopo quella nottata da mille e una notte. Ma subito accantonò quei pensieri audaci, ma al contempo dolci, oscurati ora da quell’ultimo avvenimento per nulla rassicurante. Mentre Mauro ripensava che doveva al più presto escogitare o inventare qualcos’altro; perché 124 immaginava, per non dire che intuiva il pericolo molto vicino e che al più presto sarebbero venuto a interrogare anche lui. Era solo una sua supposizione, ma collimava con tutte quelle piccole questioni che lo circondavano inesorabilmente. Quella sensazione si faceva sempre più forte in lui, pensando che doveva concentrarsi e fare subito il punto della situazione. Poi senza volerlo l’occhio cadde sul giornale messo sul mobile dalla signora e chiese, mentre cercava di scoprire la data. < E’ nuovo, di questa mattina, mamma Concettina? > rivolgendosi alla signora che trafficava nervosamente attorno ai fornelli. < Certo! l’avevo appena appoggiato lì, quando sono piombati qua di volata quelli là. Pensavo che quando vi sareste alzati vi faceva piacere saper qualcosa sulle ultime notizie. Io personalmente leggo poco e guardo il meno possibile la cronaca alla televisione, c’è già troppa cattiveria in giro senza doversela sorbire anche alla tivù. Poi basta che vado dal bottegaio che sa tutto, come al riguardo di quel massacro sull’autostrada l’altro giorno. Dio, non c’è più religione, s’ammazzano tra di loro come cani. C’è proprio d’aver paura uscire di casa oggigiorno. > < Già è vero! > Mauro riuscì a dire solamente quella breve frase, Perché capiva che anche lui, gli aveva posto l’altra faccia della medaglia e per giunta sporca di sangue. Mentre si commiserava così vigliaccamente, sapendo di non avere il coraggio di dirlo apertamente. Poi si fece coraggio e incominciò a spulciare la cronaca nera e trovò scritto a caratteri cubitali lo “scoop” che la stampa riproponeva a piena pagina. E riguardava ancora la rapina e il massacro sull’autostrada; con l’uccisione di varie persone e presunte implicazioni di altre, in quel mistero che si andava infittendo sempre più, allargandosi a macchia d’olio. Mauro si mise seduto accanto al tavolo controllando per bene ogni riga, mentre la signora incominciava a spignattare per calmare quell’ansia che aveva addosso. Mauro incominciò a far scorrere lo sguardo sui fatti più salienti riguardanti quegli omicidi, trascurando quelle cose irrilevanti a suo avviso. Mentre la stampa si sguazzava a meraviglia, con assurde ipotetiche prospettive e le prossime catture dei presunti delinquenti, quasi individuati dalla legge. Così leggendo tra quelle righe, scoprì che era sorto una specie di enigma sui quei fatti orripilanti. E in parte fu contento Mauro di non essere distolto dalle lamentele più che giuste della signora Prospero. Così poteva addentrarsi e concentrarsi sulla lettura e capire la situazione per nulla chiara, anzi troppa torbida al caso. Mauro stava scoprendo molte cose su quel quotidiano regionale, che portavano stampato a caratteri abbastanza 125 evidenziati testuali parole: “Ieri pomeriggio un pastore di Macellara ha trovato quattro cadaveri in un fossato e un’auto abbandonata in un prato, foracchiata da diversi proiettili, a una quindicina di chilometri dall’autostrada A3, nei paraggi della piccola stazione ferroviaria di Tarsia. Si tratta proprio della stessa auto, l’Alfa blu 164 targata Roma... ecc. e che risulta essere stata rubata una settimana prima nel garage di una villa romana e il proprietario: un noto industriale europeo si trova tuttora in vacanza all’estero. Pertanto nessuno del personale della villa si era accorto della sparizione dell’auto. Dai rilievi che la scientifica a effettuato, è risultato ch’è la stessa auto adoperata per la rapina e il massacro dei due orafi palermitani e il loro l’autista, il giorno prima sull’autostrada A3, nei pressi: “Le Vigne”. Ed era poi la stessa auto, vista ancora all’inseguimento di una Fiat Uno di colore scuro sulla statale 19, e quest’ultima è poi finita in una scarpata sul fiume Esaro, incendiandosi. Ma al tempo stesso, permettendo agli inseguitori di prelevare il conducente ferito dall’auto in fiamme e dileguarsi, così è stato riferito da testimoni. Purtroppo dai resti dell’auto bruciata non si è potuti risalile al proprietario, i numeri del telaio sono irriconoscibili. A questo punto la storia s’infittisce sempre più, perché i cadaveri dei quattro uomini accanto all’Alfa Romeo 164, sono senz’altro gli stessi che guidavano la vettura in questione. Ma a loro volta sono stati eliminati da un’altra banda di criminali che li hanno aggrediti e uccisi. Si presume che il conducente della Fiat Uno sia un complice della banda rivale che si è salvato dal massacro, e abbia ucciso lui il casellante per non essere riconosciuto. Sul posto è intervenuta la magistratura e un nugolo di investigatori, coordinati dal sostituto procuratore Alberto Calindi uno dei magistrati del “pool” che indaga sulla mafia calabrese e ha messo subito in azione la squadra speciale per rilevare ogni piccolo dettaglio che possa servire alle indagini in corso. Nei due fossati laterali della strada di campagna sono state trovate varie impronte e una buona quantità di bossoli di vario tipo delle armi usate e ritrovate nel fossato accanto ai morti. Ma da un punto ben preciso vi sono una quindicina di bossolo 9x21, sembra che qualcuno abbia scaricato un intero caricatore contro gli altri contendenti, ancora non si ha bene la dinamica del fuoco, che si presume incrociato, avendo ante tempo spostato i cadaveri dal luogo dell’impatto. Dalle indiscrezioni pervenute, pare che l’arma principale del massacro sia una pistola Beretta 9x21, trovava nella macchina e dalle impronte digitali, sembra 126 provenga da uno dei cadaveri? La perizia stabilirà se la tesi degli investigatori è esatta, oltre a rilevare diverse impronte di pneumatici. Dai documenti in possesso dei cadaveri, risultano essere i seguenti: Luigi Baro, ventiduenne da Catania; Giacomo Folpi, trentenne da Reggio Calabria già noto alla polizia; Carmelo Sunito, trentottenne da Palermo e Giovanni Doi, quarantanove anni incensurato da Reggio Calabria. Tutta l’operazione è sotto il più stretto riserbo della magistratura, ma tutto fa pensare a un regolamento di conti fra bande rivali dei clan calabresi e la mafia siciliana”. Mauro attentamente, cercava tra le righe qualcos’altro che potrebbe coinvolgerli ancora di più di quel che finora sembra oscura visione. Certo che ripensandoci bene, lui, in parte li aveva beffati tutti quanti le parti in conflitto, compresa la polizia. Per poi, prendendosi la refurtiva consistente. Ma quella borsa di soldi poteva servire come lasciapassare, per poter forse barattare le loro vite? Perché a quel punto Andrea, stando ai giornali, era un po’ più complice dei malviventi e appena la polizia riuscirà a svelare e identificare la sua auto, per lui sarebbe la fine. Complice o no, sarà presto messo sotto torchio. E trovato Andrea troveranno anche lui e il gioco sarà fatto. Perciò, Mauro doveva veramente estrapolare da quella sua testa balorda qualcosa di geniale per sopravvivere nelle ore successive. Almeno potersi mettere sull’avviso a prevenire qualsiasi mossa. Pensò, persino di andare alla polizia e dire tutto, incominciava a sentirsi stufo di quella commedia che stava interpretando per sé e per altri. Ma gli avrebbero creduto? Era impossibile. Pensò amaramente. Molte altre colpe sarebbero cadute sulla sua testa, oltre quelle di aver ammazzato per legittima difesa quei quattro. Ma capiva che sarebbe stato tutto inutile, sarebbe servito soltanto per accelerare la propria morte, quello era la verità al momento. Anche se quella notte era passato da spettatore a protagonista e ancor di più, sarebbe stato coinvolto per la sua rapidità e precisione nel colpire il nemico e abbatterlo. Proprio come Carson Kid, il più veloce pistolero del West. Poi Mauro tralasciò quella solita retorica e si dedico ad una plausibile via di uscita al caso se fosse interrogato. E cosa avrebbe detto di preciso, che lui era uno studente in giurisprudenza a Padova? “Ma certo è senz’altro così, studio legge!” sbottò stupito di quella nuova apertura della sua memoria. Poi cercò di essere calmo, sperando che uscisse fuori qualcos’altro, da poter scoprire alla fin fine la verità. 127 Capitolo Sedicesimo Infine decise che aveva bisogno di riflettere e concentrarsi, perciò disse alla signora indaffarata: < Mamma Concettina, io vado un momento di sopra a farmi una doccia e la barba almeno mi sveglierò un poco. Dopo tutto ‘sto trambusto capitato... > < Ma certo, fai pure con comodo. Intanto io ‘sto preparando il pranzo, così appena arriva Andrea pranzeremo tutte tre in santa pace. > Mauro stava per dire qualcos’altro, ma si trattenne e si recò di sopra, mentre mugugnava sulle scale, incavolato a più non posso. Mauro si era spogliato nudo e pronto per farsi una bella doccia tonificante, oltre la lunga barba che si portava da giorni addosso. Ma al tempo stesso, aveva bisogno di raccogliersi e riflettere su quel susseguirsi di avvenimenti non troppo chiari e l’unico posto per concentrarsi era sotto la doccia e questa era una cosa che s’immaginava da sempre. Capendo che qualcos'altro si stava ricordando del suo passato e si stupì ancora per aver scoperto un’altro piccolo pezzo mancante del puzzle della sua vita e fu in parte soddisfatto. Ma poi, qualcosa gli fece cambiare idea. Mentre stava per entrare in bagno notò appeso all’attaccapanni nel corridoio a fianco alla sua giacca, una piccola sacca rossa. Mauro tentò di rammentare che non c’era il giorno prima, pensando, chi l’aveva appesa? Poi si ricordò subito di quello che gli aveva raccontato la notte precedente Andrea al rientro dall’incontro con Serena. < Ecco! > sbottò stupito, pensando a quelle parole espresse: “Lui aveva parlava dei libri di Serena che gli aveva consegnato da tenere e che sarebbe venuta oggi stesso a riprenderli, oltre a delle spiegazioni su come fare certi esami, domande e altro... insomma qualcosa del genere”. Confabulò Mauro tra sé e sé pensieroso. Ma allo stesso tempo si era un po’ incuriosito per la stranezza di quella donna. Oltretutto Mauro non conoscendola di persona non poteva valutare le sue stramberie, ma dal breve resoconto avuto da Andrea incominciava a farsene un’idea più che precisa sulla ragazza: “Come? Voleva ad ogni costo che spiegava al fidanzato geloso il loro innocente rapporto e poi, così di botto, decide che verrà qui da sola per farsi spiegare o fors’anche, in parole più semplici, farsi sbattere dall’amico lasciato?” Mauro formulò sadicamente quel pensiero, mentre rimuginava il tutto, poi di colpo scoppiò a dire a voce alta: < Porca puttana! Non sarà per caso una trappola per Andrea quella sacca? > mentre mille idee gli balenavano già in testa 128 velocemente. Mauro aveva afferrato con rabbia la sacca dall’attaccapanni e la svuotò con decisione sul pavimento, sapendo che in parte quel gesto di curiosità era un po’ dovuto alla gelosia, per qualcosa che aveva lui appena acquisito in quella notte di follia. Poi scacciò quelle idee balorde e si concentrò di più su un’altro argomento più plausibile e verosimile che gli frullava in testa, mentre osservava il contenuto di quella sacca rossa. Dentro vi trovò un maglioncino azzurro e dei quaderni di scuola con vari appunti irrilevanti, di scienze politica e di economia e commercio, scarabocchi di matematica e algebra, insomma i soliti pasticci di studenti svogliati. Mauro stava per rimettere dentro tutto, quando vide sul fondo della sacca qualcosa che attirò la sua attenzione. C’erano tre bustine: sacchettini di polvere bianca. A quella vista Mauro, gli venne un colpo per la sorpresa, ma soprattutto le conseguenze che sarebbero scaturite fuori, se veniva trovata lì dalla polizia, in casa di Andrea. E quella sacca incominciava ad assumere le risposte di ogni sua vana supposizione. D'improvviso, un’angoscia soffocante gli stava attanagliando la gola. Capendo, che senz’altro e tra poco sarebbero arrivati a far una bella perquisizione in casa e incastrare per bene Andrea, oltre l’amico dai risvolti oscuri. E a quel punto, sarebbero stati in balia dei contendenti, che senz’altro volevano recuperare la refurtiva. E pertanto qualcuno sapeva che Andrea era stato presente ai fatti, ma non potevano denunciarlo apertamente alla polizia. Perché avrebbero dovuto svelare qualche piccolo segreto. Con la possibilità di perdere nuovamente il malloppo per la terza volta, o la prima se erano quegli altri a volerla recuperare. Stava diventato un bel dilemma per Mauro smemorato. Senz’altro c’era qualcuno dietro le file che coordinava le varie mosse e magari, c’era qualcun'altra persona nell'ambito della polizia che lavorava trasversalmente per trovare la refurtiva senza farsi scoprire. Una talpa belle e buona all’interno della giustizia. Pertanto un po’ di polverina bianca faceva al caso loro e poi, quando uno era dietro tra le sbarre, anche solo per accertamenti. Non si sa mai cosa gli poteva capitare? Magari un incidente, dopo che aveva spifferato ciò che volevano sapere dall’arrestato. < Porca, porca puttana!! Accidenti, che inguaiata! > sbottò nuovamente Mauro incazzato a morte e sorpreso delle sue stesse parole. < Siamo nella merda!! Belle che fregati tutte due, cazzo!! > apostrofò a voce alta, più che mai sconfitto e amareggiato. < Quelli sanno già tutto, o quasi? > si arrestò e rimuginare tra sé incavolato nero, capendo che ormai il gioco era aperto. Perciò con decisione Mauro, si mise a ripassava velocemente tutti i fatti accaduti in 129 quelle poche ore. Pensando sempre più alacremente a cosa centrava quella Serena: “Perché mai quelle continue telefonate, alla ricerca di Andrea? E quella insistenza di vederlo, forse per farlo rapire e fagli sputare dove aveva sistemato il malloppo... no? Darebbe troppo nell’occhio. E’ meglio farlo arrestare per spaccio di droga e così al fresco qualcuno potrà rinfrescagli la memoria e magari dopo, trovarlo impiccato nella cella per la vergogna del suo gesto di spacciatore e tutto sarà risolto velocemente a norma di legge. Certo che ci vuole la complicità della polizia, ma con i soldi si ottiene sempre tutto. Accidenti a questi bastardi criminali”. commentò tra s’è Mauro, più che preoccupato. Sapendo che la sua supposizione filava a meraviglia. Perciò a quel punto lui doveva cambiare le regole del gioco per restare ancora vivo un’altro poco. Restò solo un attimo a pensare e poi decisamente prese le tre bustine e le infilò con le mani direttamente nel water rompendole e far scorrere poi l’acqua. Infine controllò ancora bene nella sacca se non vi fosse qualcos’altro di compromettente. Ma trovò soltanto un paio di penne a sfera e uno strano rossetto, l’annusò, ma aveva uno strano odore dolciastro, mentre pensava, che magari era un tipo di rossetto soporiferi alla droga, che ci si lecca sulle labbra con infinita goduria per l’interessata. E perciò, gettò anche quello nel sciacquone infilandolo per bene con la mano nello scarico evitando che rimanga sul fondo e possa al caso essere recuperato. Poi ripose la sacca con il resto del contenuto al suo posto, dopo avergli spruzzato sopra un po’ di dopobarba, per confondere un po’ le idee e alla fine sembrava quasi soddisfatto del risultato. Ma poi Mauro, si ricordò dei soldi nella sua sacca messa dietro al divano in salotto e subito s’ingegnò a trovare una soluzione. < Accidenti, che casino! Ma quando finirà tutto? > imprecando abbondantemente, nello spremersi le meningi a pensare dove poteva nascondere la refurtiva al momento e velocemente? Visto che in quel momento così critico non potevano più allontanarsi dal posto. Ormai era più che sicuro che sarebbero arrivati molto presto a perquisire tutta la casa. Era una cosa che sentiva sotto la pelle come un dannato prurito. Così facendo, Mauro cercava di affrettarsi a trovare un nascondiglio. Poi, mentre discuteva con il suo subconscio imbranato e incazzato, dava un piccolo pugno contro la parete divisoria con la cucina. E di colpo capì e osservò con interesse la tramezza ricavata tra il salotto e la cucina. Dalla parte del salotto era tappezzata completamento come tutta la camera da sembrare una vera parete di mattoni e alla sommità contro il soffitto aveva un profilato di legno che percorreva le quattro pareti, da rendere invisibile 130 la congiunzione. Invece dalla parte della cucina era completamente rivestita sino al soffitto da perlinato di legno chiaro, che rivestiva eguale tutte le quattro pareti della piccola cucina. Mauro calcolò che poteva essere l’unica soluzione fattibile al momento, perché all’interno vi era senz’altro un’intercapedine vuota e poteva riporvi il danaro trovato. Mentre batteva nuovamente con le nocche della mano per sentire il vuoto sottostante. E detto fatto si mise al lavoro, spostò il tavolo e con un coltello da cucina svitò le viti che teneva il battiscopa della parete. Poi svitò le viti che si trovavano sotto e che fissavano le strisce di perlinato sino al soffitto e staccandole di poco per poi, spostandole di fianco permettendo di vedere all’interno. E tutto quel lavoro lo stava facendo nel più assoluto silenzio, per evitare che la signora di sotto senta qualche rumore strano provenire dall’alto; lei doveva rimanere all’oscuro di tutto, pensò Mauro m’adito di sudore. Guardò nell’apertura e trovò che c’era uno spazio lungo una ventina di centimetri tra un montante e un’altro e la profondità era di dieci centimetri tra le due pareti del salotto e la cucina. < Perfetto!... > esclamò sogghignando, mentre correva a prendere la borsa e poi, incominciò a sistemare velocemente tutta le refurtiva, accatastandola metodicamente in due scomparti fino a una buona altezza, costatando poi, che valeva veramente una montagna di soldi quella parete. 131 Capitolo Diciassettesimo Alla fine dopo una buona un’ora di lavoro era riuscito a rimettere tutto a posto alla perfezione, lavando persino con della varechina, tutto il pavimento della cucina e del corridoio, per cancellare eventuali traccia e odore di droga e altro. Poi abbastanza soddisfatto del suo lavoro, nudo, sporco e sudato, decise di farsi quella benedetta doccia. E proprio mentre si stava recando in doccia, sentì fermarsi sotto casa due auto, a quel punto non volle neanche guardare dalla finestra, era più che sicuro che erano della polizia e che veniva a perquisire la casa. E questa volta Mauro, avrebbe scommesso le palle, che avevano persino un bel mandato. Mauro era ancora sotto la doccia quando sentì dei rumori nella casa, ma non uscì da sotto l’acqua, anzi si mise a canticchiare un motivo alla moda. E appena dopo sentì la voce di una persona accanto alla tenda della doccia che diceva: < Scusi signor Rossi! Dovrebbe uscire da sotto la doccia per favore. Siamo della polizia. > Mauro tranquillamente chiuse l’acqua e aprì completamente la tenda e fece finta di stupirsi per quella presenza inaspettata. Era il giovane sergente Nardelli; dallo sguardo gioviale ed espressivo sul volto moro. Lo stava osservando furbescamente per bene dalla testa ai piedi, forse meravigliato da quella presenza virile di Mauro. Mentre quest’ultimo tranquillamente gli chiedeva un po’ sorpreso: < Bene sergente Nardelli già di ritorno, è finito presto l’interrogatorio del signor Prandi? > osservandolo attentamente, mentre l’altro in po’ imbarazzato per quella sua presenza nuda, abbastanza intrigante; obbligando il sergente ad abbassare gli occhi, mentre rispondeva: < Mi spiace signor Rossi doverla disturbare... > si era fermato un attimo leggermente confuso. Mentre rialzava subito il capo per evitare quell’impacciata situazione da sembrare uno voyeur incallito, a rimirare proprio quella parte messa in bella mostra dal giovane villeggiante tutto bagnato. Da confonderlo abbastanza, ma al tempo stesso permettere al sergente di sbirciare di sotterfugio l’altro tutto grondante d’acqua. Mauro, in tutto quell’insieme di supposte controversie, fece finta di nulla, poi educatamente chiese al militare: < Per favore sergente, mi può passare quell’asciugamano dietro di lei. > Magistralmente Mauro usciva dalla doccia scivolando apposta sulle mattonelle lucide del bagno e stava 132 quasi per cadere a terra, se non interveniva prontamente il poliziotto a sorreggerlo per la vita. Nardelli era rimasto per un attimo un po’ boccheggiante in quell’abbraccio stretto e i viso finiti a contatto, che gli procurò una certa confusione imbarazzante. < Grazie! Nardelli, se non c'era lei ha sorreggermi, sarei finito a terra come un povero salame. > rispose Mauro con un largo sorriso. Mentre l’altro, ripresosi velocemente dall'imbarazzo, dava l’asciugamano al giovane e proseguiva a parlare indifferente all’accaduto: < Sono spiacente, ma abbiamo l’ordine di... Insomma, dobbiamo perquisire la casa. > riprendendo fiato, mentre incominciava a sudare e a bagnare il collo della camicia, oltre quella parte già bagnata dal contatto con il giovane nudo per sorreggerlo. E continuò a dire Nardelli: < Comunque Signore, ora abbiamo con noi il mandato. E sappiamo più che bene che è una seccatura sia per voi che per noi. Purtroppo, dobbiamo fare il nostro dovere, mi dispiace veramente, signor Rossi! Mi creda. > Sembrava sincera la sua esposizione dei fatti. Al tempo stesso, Mauro stava pensando che il poliziotto era così, per dire, simpatico e gentile, al contrario del tenente Narduzzi arcigno e strafottente. Nardelli era un giovane all’incirca della sua età, dalla pelle un po’ scura come gli occhi e i capelli ricci e neri, da buon meridionale. Poi Mauro scartò quelle divagazioni di pensieri corroboranti e rispose con una tonalità seriosa al caso: < A questo punto, non ho nulla da obbiettare, sergente Nardelli. Comunque, la padrona di casa abita di sotto, avete già chiesto e mostrato i documenti per la perquisizione degli stabili? > mentre si era tolto l’asciugamano e si recava nella camera da letto, per prendersi dei vestiti da indossare. Seguito dal sergente un po’ disorientato, se doveva essere autoritario oppure lasciare che le cose andassero a posto da sole. Mentre Nardelli, ripensando agli ordini del tenente che gli aveva ordinato di salire di sopra e portare giù di volata quel rompiballe dell’amico del Prandi. Ma lui, si limitò a seguirlo e controllare a vista il suo operato, mentre lo rimirava per bene in ogni parte, forse in parte gli faceva un po’ invidia sia come struttura del corpo ben modellato, oltre al carattere deciso, ma al tempo stesso gli era simpatico, per aver dato del filo da torcere al tenente. Mentre l’altro si vestiva lentamente in silenzio, lui l’osservava di nascosto attraverso lo specchio dell’armadio. E Mauro notava ogni mossa e sguardo del sergente ma, fece finta di nulla, anzi gli scappò un debole sorriso. Poi tralasciò quei pensieri futili e s’infilò deciso uno slippino bianco e dei calzini puliti, si mise un paio di calzoni jeans, mentre infilava un piede nel 133 mocassino, s’infilò una t-shirt blu addosso; che contrastava sulla sua pelle chiara e i suoi occhi dal color indaco, da accentuare quella capigliatura quasi bionda. Poi mise l’altro piede nell’altra scarpa e infine rivolgendo lo sguardo al militare, restò un attimo ha guardare pensieroso. Nardelli era accaldato e sudato; a quel punto non sapeva bene se era per il caldo estivo o per la divisa che l’infastidiva addosso, oppure era qualcos’altro che l'aveva maggiormente accalorato? In quel frangente di tempo Mauro l'avvisava: < Sergente io sono pronto. Ora può chiamare i suoi aiutanti per controllare l’appartamento. > E proprio in quell’istante arrivò il tenente Narduzzi precipitosamente di sopra, mentre stavano per aprire la porta di casa. Poi alla vista dei due che stavano per uscire, lui con fare da super ispettore porgeva a Mauro il documento redatto dalla magistratura per quella investigazione. < Ecco signor Rossi la richiesta per una perquisizione dell’appartamento del signor Andrea Prandi, firmata dal giudice Mario Lodetti e controfirmata dal procuratore Alberto Calindi, che coordina le indagini in corso. > Mauro sbirciò rapidamente il mandato e l’appoggio sulla mensola della cucina e uscì sul ballatoio senza rispondere. Era bastata quella sua sbirciata a mandare l’altro in bestia, che incominciò a sbraitare verso i subalterni che stavano salendo le scale, spronandoli a muoversi più in fretta, mentre il tenente era già sparito all’interno e incominciava freneticamente una accurata e meticolosa perquisizione. Dimostrando più che mai un troppo accanimento al servizio e al dovere. Mauro restò un attimo sul pianerottolo e si guardò attorno e vide altri agenti nel cortile che controllavano ogni angolo, poi notò accanto alla sua auto un agente con un cane antidroga che lo spronava a fiutare ogni angolo. Un altro agente stava controllato i suoi documenti nell’auto, prendendone appunti e dai movimenti di testa tra agenti confermavano un nulla di fatto al momento. Mauro scese le scale e andò in casa dalla signora Concettina, e questa volta la trovò più che mai sconvolta. Appena lei lo vide entrare in casa, le corse in contro mettendosi tra le sue braccia in lacrime. < Oh, Mauro che disgrazia! Ma perché stanno facendo tutto questo? > cadendo nello sconforto, mentre Mauro faticava a ridagli fiducia, cercando di calmarla nel dire: < Mamma Concettina, non si preoccupi, noi sappiamo di aver la coscienza a posto e lasciamo pure che la legge prosegua il suo corso, > Mauro non s’interruppe nemmeno quando piombò dentro casa il tenente Narduzzi. Lui continuò indifferente a esporre le sue dimostranze voltando 134 le spalle al tenente e proseguendo a dire alla signora affranta. < Mi ascolti bene signora Prospero. lasci pure che facciano il loro mandato, e quando i lor Signori avranno controllato per bene tutto e non avranno trovato nulla di quello che stanno cercando e presumano dovrebbe trovarsi qui. A questo punto a noi non importa, cosa sia e cosa dovrebbe esserci. Ma c’importa invece molto il dopo. Con questa loro meschina perquisizione, hanno volutamente infangare il buon nome di una rispettabile Signora. Pertanto, dopo prenderemo le nostre dovute riserve per cautelare la sua privacy. E qualcuno ne risponderà di persona tale affronto. Glielo garantisco Signora Prospero, stia pur certa! La magistratura dovrà rendercene conto. E sono più che certo di uno sbaglio, > mentre Mauro si era volutamente girato e fissava con determinazione Narduzzi, che si era fermato ad ascoltare l’arringa del giovane Rossi, nonché rompiballe. < Senz’altro si tratterà, > riprese Mauro. < di un abbaglio. Certo, dovuto a forti pressioni o subdole supposizioni di qualche anonimato, che cerca di far carriera a discapito di chi gli capita sotto tiro. Sono più che sicuro che il movente si trova altrove. Comunque, sapremo difenderci da subdoli intrallazzi. > < Ma lei, signor Rossi, > lo interruppe Narduzzi. < Da chi ha saputo queste presunte manipolazioni? > sbottò quello con fare indagatore. < Ma, è semplicissimo! E’ la normale prassi che viene usata quando un caso è irrisolvibile al momento e pertanto viene inscenata subdoli diversivi, ricavati da semplici telefonate anonime. O invenzioni astrali di un funzionario molto scaltro. Comprende tenente? Fregandosene altamente di chi capita sotto tiro, pur di far contenta la stampa a suo guadagno. Oggigiorno, basta che uno indichi a dito puntato: “quello”, e il gioco è fatto. E se vuole saper di più, anche io l’ho appreso, seguendo vari casi nei tribunali di Milano, Padova e Venezia, insomma, studio giurisprudenza e vuole che non sappia tutte queste piccole intrallazzature. > mentre Mauro si stupiva da solo per aver scoperto un altro momento della sua vita antecedente, ma tralasciò e continuò a dire: < So perfettamente che voi eseguite il vostro dovere e iter burocratico. Ma purtroppo dimenticate volentieri il lato umano della questione, e non pensate minimamente come può influenzare l’opinione pubblica un fatto, esposto così maldestramente alla luce del sole. Vero tenente? Comunque, avete trovato almeno qualcosa di compromettente e a noi finora sconosciuta la vera ragione di questa invasione, oltreché non scritto sul mandato a specificare la domanda? > E subito il tenente, con un mezzo sorriso di soddisfazione, mostrava la sacca che teneva nascosta dietro e comunicava a Mauro: < Lei, ne sa 135 qualcosa di questa sacca rossa? > alzando in alto un sacchetto di nailon contenente la sacca rossa di Serena. Mentre si toglieva i guanti in lattice. < Veramente l’ho vista anch’io, appesa all’attaccapanni di sopra. E prendendo la mia giacca e caduta a terra e una parte del contenuto è fuoriuscita, così ho scoperto che era di un’amica del signor Prandi. Serena Rottai. Perciò tenente, lo chieda a Prandi, perché è qui la sua sacca? > < Va bene, va bene! Chiederemo al signor Prandi delle spiegazione e chiarificazioni plausibili. > mugugnò sorpreso. < A proposito tenente, dov’è il signor Prandi? > chiese Mauro fingendosi sorpreso per non averlo ancora visto, mentre si guardava attorno alla ricerca dell'amico non presente. Narduzzi, un po' seccato rispondeva deciso: < Al riguardo del signor Prandi, l’interrogatorio non è terminato. > < Come non è finito? E con quali accuse viene trattenuto in questura. Mi può per favore, spiegare tenente? > domandò sorpreso. Narduzzi si grattò la testa pensieroso, poi disse senza tante storie, avvicinandosi al giovane, mentre abbassava la voce: < Senta signor Rossi, noi sappiamo che lei frequenta l’università di Padova e precisamente la facoltà di Giurisprudenza, con ottimi voti per non dire il primo in assoluto. Insomma sarà un valido giurista in avvenire, nonché un brillante avvocato. E per di più suo padre un alto magistrato della corte suprema di Roma. Ma purtroppo, in questo momento c’è un’accusa di omicidio che pesa sulla testa del signor Prandi... comprende? > formulò sarcastico. < Oh, Dio Santo! > esplose stupita la signora Prospero. < Ma non può essere vero? Lui, non centra, sono più che sicura. > continuò lei più che mai sconvolta a quell'affermazione. < Ma certamente, Ha ragione Mamma Concettina. > rispose Mauro, cercando e valutando la situazione da quel punto che lui non aveva ancora considerato. E chi mai avrebbe ammazzato Andrea? Per finire in trappola a quel modo. Mentre il tenente un po’ altezzoso continuava a esporre: < E perciò è stato trattenuto in questura. Per ora solo in stato di fermo, fino a nuovi sviluppi dell’inchiesta. Mi sono spiegato. Ecco, perché questa nostra invasione e perquisizione della casa. Perciò, la prego si astenga al di fuori della questione signor Rossi, è meglio per lei e la sua carriera? Intanto noi cerchiamo di risolvere al più presto la questione. Sperando che il signor Prandi abbia delle buone ragioni e prove da esporre per la sua innocenza. > 136 < Ma, se la mia domanda non incide sulle indagini in corso, si può sapere chi avrebbe ucciso di preciso il signor Prandi? > domandò Mauro con un’espressione cortese, per evitare ulteriore astio con il tenente cazzoso. Mentre quest’ultimo spazientito gli rispondeva: < Questa notte hanno ammazzato con cinque colpi di pistola un giovane tossicomane e guarda caso era stato visto per l’ultima volta all’una di notte, assieme al signor Prandi e la sua ragazza e con una sacca rossa, questa, chiaro? > mentre faceva dondolare in mano quel sacchetto di nailon. < Chiarissimo, tenente! > rispose Mauro serio, per poi riprendere a dire ancora. < Comunque le posso confermare che la ragazza in questione, la signorina Serena Rottai, è fidanzata con un altro ragazzo, un certo Carmine, e non con Andrea Prandi. E questo è soltanto un’informazione confidenziale, forse a lei tenente può servire? > < Be’, allora perché questa sacca e questi quaderni di scuola della signorina sono qui a casa del signor Prandi, me lo può spiegare lei? > < Per il semplice fatto, che proprio ieri sera la ragazza e il Prandi si erano visti e pertanto li avrà consegnati al Prandi questa notte all’una e mezza, dopo aver lasciato la ragazza e il suo fidanzato qui sotto casa. Poi mi sembra che la signora Prospero questa mattina le abbia già detto a che ore era rientrato il Prandi. E cosa a visto dalla finestra della sua camera. > < Sì, ricordo! Comunque, adesso porteremo via la sacca e faremo rilevare le impronte su ogni cosa dentro e fuori da questa sacca così si saprà quante mani l’hanno maneggiata. > espose abbastanza incavolato. < Be’, penso che troverà anche le mie tenente. > disse Mauro mentre mostrava le mani e riprendeva a dire: < Ho sfogliato quei quaderni e ho trovato soltanto molte discordanze, appunti irrilevanti e inesistenti rispetto ai vari programmi mai seguiti e per una studentessa di quel tipo e si più definire fallita già in partenza. Non gli serviranno per nulla lezioni al caso. Se quello è il motivo per aver dato la sacca al Prandi. > < Vedo che lei è molto attento signor Rossi e segue meticolosamente ogni cosa. Ma bravo! Farà senz’altro carriera, ma non in questo caso... > < Se dovrò diventare un giorno giudice è meglio che incominci da adesso a controllare e diffidare di chiunque per esprimere un’equità sovrana. Comunque, per tornare al nostro problema se vorranno le mie impronte, io sarò ben felice di aiutare la giustizia. > mentre sperava che su quell’Alfa blu non vi siano rimaste delle sue impronte, altrimenti incomincerà un’altra storia di prossimi defunti. E ripensando bene alle impronte, si ricordò che non aveva pulito la sua macchia da eventuali 137 impronte di quei quattro aggressori, perché e senz’altro la sua auto sarà coperta di sudice manate. Ma per sua fortuna, la polizia non ha avuto sentore di rilevare qualcosa, oltre che farla fiutare dai cani dell’eventuale esistenza di droga. Poi la voce del tenente interruppe i suoi pensieri. < Va bene signor Rossi. Se vuole seguirci al commissariato, faremo presto. > Mauro mentre salutava la signora e le dava speranza, incominciava a dubitare della fortuna che li aveva assistiti fino a quel momento. Sperando solamente che la polizia non abbiano sufficienti prove, in special modo su quella sacca. Perché vi era qualcosa che non quadrava al riguardo e quando lui aveva detto di aver toccato anch’egli la sacca, il tenente ebbe un’impercettibile sussulto di disappunto e Mauro gli parve di sentire addosso un brivido di contrazione fredda e gelida. Mentre l’auto della polizia correva verso la questura, Mauro stava vagliando freneticamente ogni congettura intrinseca in quel maledetto inghippo. Una qualsiasi scappatoia possibile per districare la matassa aggrovigliata. Asserendo a sé stesso che quella giornata era veramente nata fin troppo sfigata. Comunque, aveva già appurato qualcos’altro in più; aveva un padre magistrato. Mentre si domandava tra sé: “Chissà che volto avrà questo mio padre magistrato?”. Perché in quel momento non riusciva ad immaginare minimamente il suo viso. 138 Capitolo Diciottesimo Mauro constatò che aveva passata più di un’ora girando per i vari uffici, da quando era arrivato alla questura di Cosenza, per far rilevare le sue impronte come testimone. Sapendo per certo che ne sarebbero trascorse molto di più, prima che la faccenda si schiarisse almeno un poco e sperando almeno un po’ a loro favore. Era persino riuscito a discorrere con un maresciallo un po’ troppo chiacchierone che gli aveva confidato un po’ di notizie irrilevanti, ma sempre utili sui vari funzionari di quel dicastero. In fine l’accompagnarono con poche spiegazioni nella stanza n°17, nell'ufficio del commissario di turno, ed 'erano ormai le dodici passate. Il commissario Rizzi, un funzionario sulla cinquantina, dall’apparenza modesta, alto e smilzo, con pochi capelli in testa. Era trincerato dietro una grande scrivania e stava rovistando tra le scartoffie che aveva davanti sul tavolo, cercando dei documenti che al momento sembrava non trovare. Senza alzare minimamente il capo, si rivolgeva all’appuntato seduto alla scrivania nell’altra stanza attigua: < Tardito, ne sai qualcosa della pratica 1024, che non trovo qui? Dovrei controllare un particolare. E tu per favore puoi controllare più scrupolosamente la 2345. Ci sono dei particolari che mi sembrano interessanti e inavvertitamente mi sono sfuggiti via. > < Commissario. Non li ho viste quelle due pratiche? > rispose l’altro, senza scomodarsi troppo. Dava l'impressione, di uno che gli pesi il sedere. < Acciderba! Soltanto ora, mi sono balzate di colpo nella mente. Erano dei documenti che dovevano essere qui, accatastati sul mio tavolo da una settimana... ricordo bene... > brontolò con frenesia. Effettivamente quella scrivania, traboccava da ogni parte di scartoffie e cartelle, mal riposte. Da farlo imprecare nuovamente tra i denti stretti e sparò: < Accidenti! Dove saranno finiti quei maledetti fogli? > C’erano veramente cartelle dappertutto, più o meno ricolme e taluna contenevano delle scartoffie persino ingiallite dal tempo. Senz’altro giravano da una parte all’altra dei vari uffici senza una fine. Ed era quello che Mauro, stava deducendo da quel primo sguardo nella stanza n°17. Un po’ disadorna, con la scrivania al centro e un altro tavolo contro la parete di sinistra con una macchina da scrivere sopra. Era anch’esso stracolmo di fogli di carta e pacchi e sulla sedia accanto vi era messa sopra in mal modo una giacca. E nell’altra parete di lato un armadio di ferro grigio chiuso a 139 chiave, dove il dondolio del portachiavi inserito nella toppa, denunciava ch’era stato appena richiuso di botto. E alle spalle del commissario intento al proprio rompicapo, un’ampia finestra aperta sui tetti della città, da dove giungeva sino a loro il vociare della gente, frammisto al pulsante rumore di vita quotidiana. Mauro e il militare che l’accompagnava, s’erano fermarono al centro della stanza per un momento. Poi la voce dell’appuntato al suo fianco, annunciava al commissario Rizzi la sua presenza. < Commissario, scusi, c’è il signore che aspettava. > Finalmente il commissario alzò la testa e guardò con aria greve il giovane. Mauro restò un po’ stupito da quei due occhioni grigi dell’uomo di fronte, che assomigliava stranamente a un povero gufo spennacchiato. Infine, quest’ultimo disse mentre indicava con un cenno della mano la sedia di fronte: < Buongiorno! S’accomodi, sarò subito da lei... > poi prese una busta gialla e la consegnò all’appuntato al fianco di Mauro. < Belletti, consegni questa al capitano Micheluzzi al secondo piano, grazie! > infine mentre l’appuntato si richiudeva la porta alle spalle, il commissario si era rivolto a Mauro e riprese a dire con fare gioviale: < Signor, Rossi, vero? > < Sì, Mauro Rossi, commissario Rizzi, esatto? > leggendo il nome sulla targhetta, che era sistemata su una pila di fascicoli sopra al tavolo. < Sì, esatto, > mentre si alzava e allungava la mano. < Adriano Rizzi, piacere... > e si strinsero la mano frettolosamente, poi il commissario riprese a parlare velocemente, mentre si grattava la testa, quasi pelata, per non dire tutta. < Senta, signor Rossi, è meglio che tralasciamo i convenevoli e veniamo subito al nocciolo della questione, > mentre prendeva in mano dei fogli dattiloscritti. < Dunque, uhm!... Vediamo... lei, è nato...a... uhm!.. Domiciliato a Padova e frequenta l’università da quattro anni, si... Si è iscritto nella facoltà di giurisprudenza, scienze politiche, economia e commercio, filosofia, lettere, scienze delle comunicazioni e lingue... uhm, pero! Tutti con eccellenti profitti... Insomma, vedo che lei è al di sopra di molto della media. Forse, spera di superare suo padre? Uhm!... quanto sembra. > Ma venne subito interrotto da Mauro un po’ seccato, che si intrometteva e continuava lui, per sveltire quella tiritera dell'altro: < Sì, mio padre è un noto magistrato ecc. ecc. Ma veniamo al sodo e al riguardo di questa brutta storia del signor Prandi commissario, la prego? Se non le dispiace questa mia insistenza e intromissione al caso, s’intende. > buttò quell’ultima frase di ammorbidimento per evitare di farsi troppi nemici. Perché dietro alle sue spalle erano già tanti in quel 140 momento. Sebbene ancora non li conosceva tutti quanti. Mentre si riguardava le dita rimaste un po’ annerite dal tampone ai prelievi. < Bene, bene, uhm... si, già! > confermò il commissario Rizzi, che sembrano non far caso ai formalismi, mentre prendeva in mano dei telefax appena ricevuti. < Vedo che c’intendiamo subito io e lei signor Rossi. Comunque, mi hanno riferito che le sue impronte sono già in laboratorio e presto sapremo quasi tutto. Sa’ una cosa. Abbiamo un piccolo ma efficiente laboratorio di ricerche qui, e ci da buone soddisfazioni, mi creda. D’altronde, lei come amico del Prandi, uhm, vero? Così mi hanno riferito che è ospite del signor Prandi nel suo appartamento, sito in località Arcavacata. Ma esattamente dove vi siete conosciuti, mi sembra che abbia detto al tenente Narduzzi, a Firenze se non sbaglio? > mentre gli offriva un sardonico sorriso, buttato lì alla meglio. < No, non sbaglia, ha perfettamente ragione. Sono socio piazzista del suo datore di lavoro, lui, il signor Prandi, li rilega i libri e io a Padova li vendo agli studenti e conoscenti. Abbiamo una società d’affari, che serve per pagarci gli studi, visto che i libri e le tasse d’iscrizione sono troppo alte per le tasche di chiunque e con quello che i genitori ci passano, basta solo per mangiare e pagare l’affitto di casa. > < Più che giusto, se fossero tutti così i giovani che si danno da fare... uhm! Bene, bene, proseguiamo. Perciò dicevamo… eravate appena giunti ieri, qui a Cosenza, esatto? E soltanto ieri sera il signor Prandi è uscito con la fidanzata. La signorina Serena Rottai, rincasando all’una e venti, esatto anche tutto questo... giusto? > < Perfettamente commissario. Se permette e posso esprimermi in una parola, > mentre il commissario, gli faceva cenno con la mano di proseguire a parlare. < Dicevo, l’unica cosa un po’ strana che ho notato io: Come mai quella Serena, che io personalmente non conosco, abbia dato i suoi appunti di studio al Prandi? Dopo che l’aveva pregato di confessare al fidanzato geloso, che tra loro due non c’era mai stato nulla di tenero. Mi capisce, commissario? > Mauro buttò quella frase così cospiratoria a stuzzicare l’interesse del commissario incuriosito. < Uhm, uhm! > fece l’altro, poi riprese: < Ma veramente, non mi sembra di afferrare bene la storia del Prandi, che ieri sera al caffè si è arrabbiato con l’amico geloso. Questo è riportato da testimoni oculari. > < Forse, non mi sono spiegato bene commissario. Era l’altro il fidanzato geloso. Il Prandi mi ha riferito che era contento che tutto fosse finito tra loro. Comunque non vedo ancora il nesso, ammettendo che 141 ancora non so’ bene, chi sia la vittima che si supponga uccisa dal Prandi. Così mi è stato riferito dal Tenente Narduzzi... E per quale motivo? > formulò quella domanda un po’ evasiva, aspettando la spiegazione dell’altro che lo stava scrutando silenzioso. Alla fine il commissario rispose: < Ma penso che il nome a poca importanza per lei che viene dal nord. Comunque, il motivo è presupposto alla gelosia e la vittima era un certo Carmine Loderzo, tossicomane e già schedato per piccole cose. Era stato trovato a suo tempo in possesso di diverse bustine di droga e appunto era amico del Prandi e di Serena Rottai. E con questo ennesimo assassinio, la nostra regione sta’ assumendo l’appellativo di regione a rischio mafioso e non è per nulla simpatico sentirlo ripetere in continuazione. Oltretutto con le due sparatorie dell’altro giorno e le varie uccisioni di ben otto persone in pochi giorni. Accidenti! Non si può negare che siamo veramente al centro di un bersaglio. Uhm, non le pare! > gli espose con enfasi il commissario Rizzi. Mentre Mauro cercava di valutare quelle nuove e piccole notizie, aspettando che il commissario si decidesse a spiegare chiaramente la questione. Invece di girarci attorno continuamente, forse aspettando che lui incappi in un’affermazione errata. Sapendo più che bene che loro avevano in mano la deposizione di Andrea e perciò volevano confrontarla con la sua. E pertanto lui doveva stare molto attento a non uscire troppo dalla norma, non sapendo cos’altro abbia detto Andrea a sua discolpa. Lui avrebbe voluto chiedere di vedere l’amico, ma questo significava che non si fidava delle legge, e perciò doveva attendere un altro momento. D’altronde il commissario non aveva ancora menzionato di prendere un legale per il Prandi, perciò era ancora sul dubbio la sua colpevolezza. Sebbene il tenente Narduzzi era più che convinto che Andrea avesse ucciso l’altro per gelosia. Poi alla fine di quella veloce riflessione, Mauro rispose al commissario dicendo: < Sì, l’ho letto proprio questa mattina sui giornali di quei fatti accaduti, così orripilanti. Ma tornando ai problemi del Prandi. Dunque, l’assassinato era quel Loderzo che è stato visto in compagnia del Prandi e la ragazza. Giusto. Allora, era lui, il ragazzo di Serena Rottai da quel che capisco? > < Ma, non è Andrea Prandi il ragazzo di Serena Rottai? > sbottò Rizzi incuriosito, dicendo ancora: < Così ha confermato e riferito il padre della ragazza, l'avvocato Pietro Rottai. Ha detto che quel Prandi è il ragazzo di sua figlia e intendeva prendere le sue difese. Ma per il momento aveva da guardare la figlia, troppo scioccata da questi avvenimenti e pertanto lascerà che subentri qualcun'altra a prendere la difesa del Prandi 142 quando occorrerà. S'intende! Rottai è molto noto in questa città e non di certo si può dubitare della sua parola... Uhm! Ma lei è sicuro di quel che dice, signor Rossi? > mentre il commissario lo fissava stranamente incuriosito e capendo che il giovane era molto sveglio e riflessivo. < Ma, perché non lo chiedete al Prandi stesso e alla ragazza la risposta. Io posso solo riferire quello che il Prandi mi ha detto ieri sera appena rincasato: che sono già otto mesi che si sono lasciati e poi da precisare e questo è confidenziale, mi creda? > capendo Mauro, che doveva accattivarsi Rizzi se voleva estrapolare qualche notizia in più, sui fatti, perciò buttò quella frase, sapendo che avrebbe avuto a suo tempo effetto. < Detta tra noi. Tra loro due... insomma, non hanno mai scopato! Mi ha capito commissario, erano soltanto amici e nient’altro. > < Be’, uhm! Mi fa piacere che tra di noi s’intenda velocemente. Comunque era quello che speravo mi dicesse signor Rossi, a proposito d’improntare un’equa testimonianza. > Mauro restò un momento a pensare e poi incominciò a dire a sua volta: < Commissario, se mi permette dato la sua sincera disponibilità, nonché reciproca. Vorrei esprimere un mio parere su questa storia; una teoria avventata. Forse anche sbagliata, ma personalmente vado pazzo per gli enigmi e forse a lei potrebbe servire un’idea in più al momento. > < Ho saputa da suo padre che lei è una testa matta, e su certe questioni cavillose se la cava egregiamente bene, nel districarsi da indagini complicate. Lei ne sa’ una più del diavolo! > < Be’, insomma, non dia retta a mio padre, lui esagera sempre per vantarsi della sua stirpe. > < Ma guardi, che certe notizie le ho sapute proprio stamattina dal presidente del CSM mio carissimo amico e nonché di suo padre... > < Ha, il dottor... > si era fermato a pensare Mauro, ma quel nome non veniva fuori, oltre a non ricordarselo per niente. Confabulando allo stesso tempo con sé stesso, che quel commissario non perdeva tempo a chiedere informazioni in giro ovunque e su chiunque. < Dottor Guzzelli, non si ricorda è un vostro carissimo amico di famiglia. > sbottò cordiale Rizzi. < Ha. sì, sì! Il dottor Guzzelli, quel simpaticone d’uomo. > continuò Mauro sudando sette camicie per quella sua memoria del cavolo che non l’aiutava affatto. Poi deciso riprese a dire: < Senta commissario, io penso che, in tutta questa storia non chiara, ci sia qualcuno che intenda incastrare il signor Prandi. Per quale motivo, ancora non lo so esattamente. Ma 143 sappiamo ambedue, che essendo stato adottato nella sua giovinezza da un presunto mafioso? E fors’anche può essere suo padre. Chi mi dice, che non serva per ricattare qualcun altro. Un pesce più grande? Ma tutto questo lei lo sa già, non è vero? > scrutando il commissario Mauro, notò un piccolo cipiglio negli occhi dell’uomo, mentre emetteva quel gutturale “uhm!” abituale dell’altro e Mauro dedusse che aveva azzeccato in quella sua incauta esposizione, buttata di proposito e sperando di non sbagliare. Ma, furono interrotti dal bussare e l’aprirsi della porta dell’ufficio, e l’intrusione della testa dell’appuntato Belletti che si rivolgeva al commissario con sollecitudine: < Mi scusino? Commissario può venire fuori un momento, occorre la sua presenza. > il commissario uscì dalla stanza 17, scusandosi con Mauro per il contrattempo. Mauro guardando l'orologio, constatò che era già trascorsa una buona mezz’ora, dall'uscita del commissario da quella stanza 17. Il giovane fremeva nervoso in quella attesa, piena di buchi e dubbi Pensando e ripensando se il commissario era un tipo superstizioso, oppure indifferente se restava tranquillamente in quell’ufficio con quel numero sulla porta. Poi all'improvviso si ricordò di un fatto accaduto a Padova, un libraio molto superstizioso del venerdì e del n°17, capitò che dovendo partire si scordò ch'era venerdì 17 e sull'autostrada in un tamponamento a catena lui tamponò un auto con il n° 17 iniziale sulla targa ed erano proprio le ore 17 pomeridiane e per finire poi all'ospedale con il letto n°17, da farlo fuggire via con una paura nefasta addosso. Poi Mauro tralasciò sorridendo quel fatto e quelle supposizioni nefaste per nessuno. Contento di aver scoperto un altro tassello della sua stramba memoria e incominciò ad alzarsi dalla sedia e bighellonare un po’ per sgranchirsi le gambe. Sbirciando di tanto in tanto l’appuntato seduto nell’altra stanza, preso dal lavoro al computer. Mauro, tentava di non mostrare il suo nervosismi e si portò accanto alla finestra a guardare il panorama da sopra i tetti delle case di fronte. Le trovò stracolme di antenne televisive tra comignoli sgangherati. Era rimasto lì fermo, a guardare indifferente quella città di provincia situata al meridione, avvolta nella sua calma pomeridiana. Mauro si trovò freddamente assente, fra i suoi mille pensieri che correvano irrisolti. Anzi sempre di più ingarbugliati, d’aspettarsi il peggio da un momento all’altro. Incominciava ad averne abbastanza, di quella finta calma addosso. 144 Capitolo Diciannovesimo Poi, finalmente il commissario Rizzi rientrò nell’ufficio con un largo sorriso, accompagnato dal questore Gorelli e il tenente Narduzzi, che salutò Mauro con un semplice cenno della testa. Mentre il commissario disse al giovane impaziente: < Sa una cosa, signor Rossi. Ah, dimenticavo, lei conosce il capo questore Gorelli? > mentre quest’ultimo gli porgeva la mano. < Signor Rossi, piacere! Mi pare... > Mauro prontamente rispose al saluto dicendo a sua volta senza troppa enfasi: < Si, ci siamo già visti di sfuggita, da basso mentre aspettavo. Comunque piacere dottore. > < Ah, sì! Ora ricordo. > esclamò il questore Gorelli, mentre il commissario riprendeva a dire rivolto al giovane: < Come le dicevo prima, la perizia necroscopica sul cadavere del fu Loderzo, ha rilevato che la morte risale alle ore tre e quindici del mattino. Poi, dal rilevamento delle impronte digitali sui quaderni, risultano le impronte della giovane Serena Rottai e quelle del defunto Loderzo e le sue signor Rossi. Invece quelle del signor Prandi erano solamente all’esterno della sacca e sulla cordicella di chiusura. Perciò vuole dire che lui la presa e appesa all’attaccapanni e nient’altro. Invece lei come a dichiarato a sfogliato i quaderni, come pure il fu Loderzo e la Rottai. > Rizzi fece una breve pausa e riprese a parlare più conciso. < Uhm, dicevo, ah, sì! Hanno però rilevato, che la sacca a contenuto a suo tempo anche della droga di vario tipo, e questo fa supporre che il fu Loderzo o qualcun'altra persona usava la ragazza e la sua sacca per trasportare o smerciare la merce. Questo è la mia prima supposizione e con la sua deposizione oltre quella della signora Prospero, si può confermare che il Prandi era già rientrato a casa prima della morte del Loderzo. > fece un’altra pausa e con un sorrisetto maledettamente furbesco il commissario riprese a dire: < Adesso viene il bello, signor Rossi! > E prontamente Mauro s’intromise dicendo a sua volta con un forzato mezzo sorriso sulle labbra: < Commissario Rizzi, potrei azzardare un’altra mia ipotesi? > domandò mentre guardava i presenti incuriositi. < Saprete già, che a me piacciono tremendamente questi test. A scuole e nelle aule d’un tribunale dove vado sovente ad assistere le udienze. Ne vado pazzo nel riuscire a formularli almeno mentalmente prima degli altri, s’intende... > Mauro buttò quella sua idea abbastanza avventata, sperando di far colpo sui presenti, abbastanza incuriositi. 145 < Ha, sì! Abbiamo visto dai suoi documenti pervenuti via fax, che lei è tra i primo dell’università di Padova. > formulò il questore Gorelli con un debole sorriso d’accomodamento. A quel punto Mauro, incominciava a esporre la sua tesi: < Io penso per prima cosa, che la signorina Serena Rottai abbia confermato e confessato di essersi compromessa in un complotto contro il signor Prandi, per incastrarlo. Motivo che l’ha indotta a farlo è per droga, più che per soldi? E per secondo, le rivalità tra le bande siciliane e quelle calabresi, e il Prandi doveva essere l’esca per catturare o ricattare il padre adottivo. E questa operazione è in parte riuscita, perché a qualcuno gli occorreva della droga? E se nella sacca c’era traccia di varie droghe, vuol dire che la signorina Rottai ne fa’ uso e gli occorre periodicamente e chi se non il fu Loderzo a rifornirla previo pagamento? Perciò si è fatta corrompere. Non ci sono alternative a mio avviso. > mentre osservava i visi costernati dei presenti. < E fin qui ci siamo arrivati. Certamente che in tutta questa storia non ci doveva scappare il morto. Ma si vede che l’operazione non è del tutto chiara e probabilmente il fu Loderzo, avrebbe chiesto una cifra superiore ai patti e cosi è stato eliminato. Sapendo per certo che i morti non possono parlano, ne tanto più testimoniare. Poi in fondo c’era sempre a chi si poteva affibbiata la colpa? Ho forse sbagliato in qualcosa signori, o sono arrivato vicino? > chiese Mauro alla fine della sua breve arringa, mentre gli altri tre erano ammutoliti e pensierosi al tempo stesso. Poi il questore Gorelli disse rivolto a Rizzi: < Ecco cosa ci mancava a noi la famiglia Trani! Ci occorrerà qualche prova in più, per incastrarli tutti quanti. > prospettò convinto. Mentre Rizzi commentava: < Già, uhm! Il signor Rossi ci ha rivelato la pedina mancante e per il resto è sulla buona strada. > elargì con magnanimità il commissario Rizzi, all’indirizzo di Mauro. Mentre Gorelli riprendeva a dire a sua volta con fare serio: < Comunque a questo punto, non avendo tutti gli elementi a disposizione, io suggerirei di dare la notizia alla stampa. Girano qua attorno come avvoltoi sulla preda. Pertanto far trapelare la voce che liberiamo il Prandi per non aver commesso il fatto. Ma rimarrà sotto protezione a domiciliari in attesa di nuovi sviluppi al caso. Cosa ne pensate? > espose convinto Gorelli. E subito Mauro s’intromise dicendo a sua volta: < Loro vorrebbero che il signor Prandi faccia da esca. Per non dire da bersaglio, vero? Perché è più che evidente che qualcuno a questo punto tenterà e dovrà farlo cantare. Prima per sapere cosa vi ha raccontato o spifferato, per rimanere sotto protezione. Scegliendo la parola più confacente al caso, e poi fagli la pelle 146 per pareggiare i conti tra le bande rivali. Esatto signori? > < Be’, in parte è così! Ma sarà protetto e senz’altro scopriremo di sicuro chi vorrà adesso farlo fuori e in che girone sono le fazioni calabresi con quelle siciliane. Capisce signor Rossi e a questo punto possiamo informarlo su presunte indagini, > mentre Gorelli guardava Rizzi per un’approvazione e riprendeva a dire. < D’altronde è già da tempo che ci stiamo dietro per sviscerare le varie bande malavitose, ma sanno sempre un attimo prima di noi, quando ci muoviamo e pertanto penso che sia il caso di provare con questa nuova esca. Visto che i siciliani hanno voluto dare un avviso ai calabresi cercando d’incastrare il figlio, di uno di loro. E questi altri hanno tentato di soffiare sotto il naso dei preziosi o altro, apparentemente di proprietà di mafiosi siciliani. E il tutto sotto false spoglie, s’intende? > Espose Gorelli tranquillamente. Mauro capì, che la polizia sapeva che quel Trani era veramente il padre di Andrea e chissà cos’altro sapevano di preciso. Ma al momento la sua paura era ben altra, perché Mauro incominciava a supporre, anzi ormai era più che sicuro, che nella questura c’era una talpa ben piazzata nei punti più strategici. Forse di rilievo e vegliava continuamente su ogni mossa della polizia, sapendo sempre tutto, di tutti e in anticipo. A quel punto Mauro incominciò a sfogliare mentalmente, il candidato in quella questura che poteva essersi sistemato in una posizione chiave e al tempo stesso essere insospettabile. Oppure veniva dal di fuori ed avere all’interno un complice sicuro. Pensò seriamente Mauro, esponendo meccanicamente su tutto quello che sapeva, oltre ai funzionari che aveva appena sentito nominare e perciò dedusse tra sé, spulciandoli sistematicamente tutti, per quel poco che sapeva. Il procuratore Alberto Calindi? Lui era siciliano con una vasta parentela, così gli aveva spiegato il maresciallo ciacolone di poco prima. E magari la sua giurisdizione sconfinava nell’illegalità e poteva essere un potenziale movente. Oppure il giudice Mario Lodetti napoletano, che aveva fatto una accanita battaglia contro la camorra napoletana, ed era stato silurato per aver mirato troppo in alto e ora, sconfinato in una cittadina di provincia con minori possibilità di progredire. Magari lasciarsi incantare da miraggi illegali a ripagare la sua delusione di onesto tutore della legge. Poi, vi era anche il tenente Narduzzi, un po’ egocentrico ma, vispo, oltretutto gli era antipatico per la sua strafottenza, ma non per questo poteva essere la talpa, non aveva accesso a molte porte quello, sebbene si dava da fare a più non posso. E in fine veniva il questore Gorelli che presidiava un posto di rilievo e aveva accesso a tutto, perciò 147 poteva anche darsi che qualche bustarella ben ricolma poteva smuovere anche le persone più restie e oneste in un campo cosi vasto e pieno d’intrallazzi oltre la droga. E infine c’era il commissario Adriano Rizzi, che gestiva una buona fetta di personale e sulla sua scrivania passavano ogni pratica dei cittadino della regione, ma tutto era ancora nel dubbio più assoluto. Oltretutto quei personaggi erano soltanto delle persone che Mauro conosceva al momento e chissà quante altre c’erano dietro le quinte che manovravano i vari scenari. Coinvolti si fa per dire momentaneamente ma, che gestivano quella faccenda con scrupolosa serietà. Purtroppo alla fine di tutta quella ruminazione fatta dentro di sé, Mauro capì che per il momento non portava proprio a nulla e allora provò a esporre ancora quesiti ai presenti: < Comunque signori, le faide in gioco sono troppo argute ed è quello che vorreste proporre al signor Prandi di collaborare. pertanto è una cosa che dovrete esplicitare chiaramente con lui. Sperando che accetti di collaborare con la giustizia e far da bersaglio? > espose serio. < Ma certamente! Sarà una cosa tra noi. Nessun altro saprà cosa intendiamo fare, per l’opinione pubblica il signor Prandi resterà sotto protezione per precauzione. Essendo l’assassinato un trafficante di droga e amico, pertanto ad evitare ritorsioni contro il giovane, null’altro. Perciò, lei Narduzzi, provvederà per la sicurezza del Prandi, d’accordo? > espletò. < Non si preoccupi Commissario, metterò una guardia del corpo con loro giorno e notte con telefono cellulare sempre attivo. Un giovane della loro età, da sembrare un’altro studente in pensione dalla signora Prospero. E ci saranno macchie civetta che perlustreranno la zona continuamente a ore sfalsate, da essere sempre pronti ad intervenire in ogni caso. Come le sembra l’idea? > espose Narduzzi gioioso della sua rapida inventiva. < Benissimo tenente! > esplose Gorelli euforico. < Lei risolva questo caso e avrà una giusta promozione, ma nel frattempo non tralasci gli altri casi. Altrimenti, possiamo alleggerirlo e passarli al maggiore Gambassi, è appena ritornato dalla licenza matrimoniale, quello. > < A proposito, > chiese Rizzi a Narduzzi. < Ha, parlato con il magistrato Calindi, per i cadaveri di quei quattro, dell’Alfa? E se è terminata la perizia necroscopica sui loro corpi? Appena avremo i verbali, possiamo consegnare tra un paio di giorni i corpi ai parenti, che li reclamano. Tutti sono addolorati e sorpresi adesso. > < No! Stavo appunto andando. Comunque l’avviserò appena so qualcosa commissario. > rispose affabilmente Narduzzi. Mauro tra le quinte aveva assistito a un trio abbastanza in sincronismo. 148 Tuttavia, vi era qualcosa che non gli suonava bene all’orecchio, ma al momento non riusciva a decifrare la nota che poteva stonare. Infine esplicò una domanda. < Tenente, allora rimarrà lei con noi a guardarci le spalle? D’altronde lei, a un aspetto così giovanile... > gli espose con falso enfasi. < Purtroppo non posso io, ma metterò un valido giovane che sa’ tenere la bocca chiusa e fare il suo dovere. Il sergente Nardelli il mio aiutante, le va bene signor Rossi? > espose con serietà. < Perfetto da parte mia. Ora però, bisognerà sentire il signor Prandi come la pensa sulla questione? > < Tenteremo di convincerlo per il bene di tutti. > prospettò Gorelli. < Certamente! > confermo serio Rizzi, < Narduzzi prenderà ogni precauzione, stia tranquillo signor Rossi, è un buon ufficiale. > Infine dopo varie discussioni fino a tarda sera, tutto sembrava predisposto al meglio. Era stato accordato con la signora Prospero di menzionare in paese e in particolare nei negozi di alimentari di Arcavacata, delle piccole mezze frasi sull’andamento di quell’inchiesta. Parole ammezzate e involontariamente sfuggite dalla sua buona fede, a spiegare quei piccoli inconvenienti accaduto al suo inquilino. Con vaghe spiegazioni blande, di supposizioni un po’ frammentarie, da lasciare un po’ tutti i curiosi soddisfatti e pronti a spettegolare. E meno che non si dica, la donna era stata bersagliata di domande su quei fatti che la cronaca dava ampio spazio. Ma che la gente ascoltava sempre più con interesse, se la storia veniva riportata da una parte più che mai interessata, per non dire a contatto. Cose da non credersi, ma vere. Così, come d’accordo, la signora Prospero incominciò a piagnucolare e a raccontare fregnacce alle comari avide di notizie; e si compiacque da sola per la parte che le era stata data da svolgere, sapendo che ora stava aiutando la giustizia a scoprire i veri colpevoli. Comunque, dopo le varie ciacole, aveva fatto sapere che sarebbe andata a stare un poco di giorni da sua cognata, perché era ancora scossa da quegli avvenimenti. Poi tanto più che adesso aveva un altro inquilino che gli faceva aumentare la sua quota di pensione e in futuro si potrà permettere anche di viaggiare un po’ per l’Italia, essendo un vecchio desiderio che tutti nel vicinato lo sapevano. E tutti quanti la sollecitarono, incitandola per bene. Che faceva bene ad andare un po’ in giro per il mondo, ora che avrebbe preso qualche lira in più, da aggiungere alla misera pensione. E in tutta quella bufera di storie in parte inventate, si sperava che qualcuno della mala locale abboccasse all’amo. 149 Capitolo Ventesimo Da quando Mauro, aveva messo piede la prima volta in quella casa ad Arcavacata, erano passati ormai quattro giorni. E quel giorno sotto un sole torrido e pieno d’afa, arrivò strombazzando il giovane studente sulla sua rossa moto e si fermò accanto all’auto della polizia, gridando che gli esami per un lavoro d’architetto erano andati più che bene. Era nient’altro che il sergente Nardelli in borghese: casco rosso, t-shirt bianca piena di scritte, giubbotto e calzoni jeans, stivaletti neri e un zaino blu in spalla, a cavalcioni di una splendente moto rossa giapponese. Veniva sotto falsa copertura a dare il cambio ai colleghi in divisa che custodivano la casa con i suoi occupanti. Il sergente Nardelli sarebbe rimasto lì assieme al signor Prandi e l’amico Rossi, come tre nuovi inquilini in quella casetta tranquilla di periferia. Quella messinscena fatta in strada dal giovane poliziotto, che salutava i militari con parole un po’ grossolane e gioviali; in uso tra i giovani d’oggigiorno, era un semplice compromesso. Come un buon attore, mentre diceva ad alta voce: < Come, andate già via? E chi farà la guardia alla mia moto nuova? E questo castello chi lo cura? Accidenti! Avrei dovuto ascoltare mia madre di non portarmi la moto dietro e di usare invece l’autobus. Ma non ci pensate ragazzi alla mia moto? Come farò ad agganciare le ragazza del posto, senza moto, se me la rubano prima. Me lo spiegate voi ragazzi? > brontolò sardonicamente. 150 Mentre quelli di rimando gli rispondevano a voce alta: < Quante storie! Ma da chi avete paura? Era soltanto una precauzione. Ma tutto il pericolo è rientrato. Potete state tranquilli. Noi abbiamo altro lavoro da fare, arrivederci! > mentre mettevano in moto e facevano stridere le gomme sull’asfalto rovente e via a sirene spiegate, e Nardelli che gli gridava dietro. < Vaffanculo! Sono solo capaci di far suonare la sirena quelli. > mentre adocchiava le varie finestre delle case di fronte a un centinaio di metri da lui. Erano tutti dietro le persiane a sbirciare e sentire quello che succedeva fuori, e per strada non c’era un’anima viva, nemmeno un cane. Scuotendo il capo Nardelli, spinse la moto oltre l’angolo della casa e entrò nel cortile di casa, parcheggiando la moto accanto all’auto di Mauro, poi chiuse il cancello, salì le scale. Mentre si guardava attorno a constatare quella prigione da custodire, che a suo parere faceva acqua da ogni parte. Commentando tra sé, quella situazione alquanto disastrosa: “Dunque, vediamo un po’ com’è la situazione qui attorno? Da quel lato c’è quel muretto basso che da sulla campagna, e basta solo un salto e sono dentro. Poi da quell’altra parte c’è quel capannone del rottamaio a ridosso ed è un altro pericolo. Accidenti, che schifo di fortezza! Ma staremo ben a vedere?” Infine bussò alla porta di casa e una voce dall’interno gli rispose avanti. Mentre si apriva la porta, si trovò d’improvviso davanti Mauro, era in calzoncini corti, scalzo e a petto nudo, che lo salutava maliziosamente sorridendo: < Ciao! > e lui rispose un po’ confuso: < Buona sera, come sta, posso entrare signor Rossi! > < Dai, su! Entra Nardelli e lascia stare i convenevoli. > e continuò a chiedergli: < Mah, insomma, si può sapere com'è, il tuo nome? Visto che dovrai bivaccare in questa gabbia di matti, con noi. Sarà bene che ci diamo del tu fin da adesso, non ti pare? > E Nardelli con un grande sorriso sulle labbra rispose: < Okay! Meno male! Comunque, io sono Stefano per gli amici. Ma solo per quelli, anche se sono sempre in servizio, ventiquattrore su ventiquattro e non riesco mai a frequentarli sul serio. > espose mogio. < Ah, come ti capisco amico! Be’, non stare lì impalato, dai su entra e mettiti comodo, perché qui il tempo sarà assai lungo da far passare. Andrea ‘sta ancora dormendo, era veramente sfinito in questi giorni piantonato prima in questura, e ora qui sotto stretta sorveglianza. Che sfiga gli è capitata addosso, accidenti? > espose gioviale Mauro. E Stefano che non sapeva cosa rispondere in quel momento, cambiò discorso dicendo: < Be’ ti è piaciuta la mia prova di recitazione in strada, 151 fatta prima? > espose sardonico. < Sì, ti ho visto dalla finestra e ho visto anche la gente che sbirciava da dietro le persiane e ascoltava la tua commedia. Io penso che hai avuto un gran successo. Peccato che mancavano gli applausi finali. > mentre batteva le mani a congratularsi con il giovane pieno di spirito. < Be’, almeno il commissario Rizzi sarà contento, figurati mi ha fatto una testa. Un sacco di raccomandazioni. > spiegò Stefano. < Pensi che più di uno avrà bevuto la storia dei nuovi studenti arrivati in comunità. > < Certamente e ora dovremo soltanto aspettare che qualcuno si faccia vivo e io, penso molto presto. > rispose a sua volta Mauro pensieroso. < Vorrà dire che starò all’erta. > rispose Nardelli, mentre batteva sullo zainetto: < Ho qui dentro la mia pistola d’ordinanza, spero che non serva. Poi dalla questura manderanno circa ogni ora un’auto civetta a perlustrare la zona. > Nardelli spiegava a Mauro la dislocazione e i modi del programma di protezione messo in atto. < Comunque, > riprendeva a dire: < Tutta la messinscena della protezione al signor Prandi è finita. La notizia è stata sparsa anche dentro la questura, per poter dare il tempo ad un’eventuale talpa che lo venga a sapere e si decidano a reagire. Cosi mi ha spiegato il commissario Rizzi. Per conto mio lui è un uomo di fiducia, te lo posso garantire, ci si può fidare. > spiegò convinto. < Bene, staremo a vedere come andrà a finire. Io personalmente non ci conto troppo. > rispose Mauro aggrottando le sopracciglia. < Be’, sì! In un certo senso, hai ragione Mauro, ma sai, troppe cose sono trapelate di recente fuori dai nostri uffici: indagini segrete, che la stampa sapeva già prima di noi interessati. Io personalmente avevo riferito al tenente Narduzzi qualcosa che avevo sentito dire al di fuori del nostro ambiente, cose che non potevano essere di dominio pubblico, eppure erano uscite fuori. E quello stronzo di... scusami per lo stronzo, ma è la verità. Il tenente Narduzzi, talvolta ragiona come un deficiente, per non dire con il culo. In fin dei conti, avevo espresso un mio dubbio su qualcuno dei colleghi che fanno piccoli affari con... insomma, mi capisci. Intrallazzi, roba del genere, comprendi Mauro? E quello è andato a interrogare tutti, facendo soltanto un gran casino e nient’altro. E alla fine mi sono preso una difilata dal questore Gorelli per aver presupposto stronzate non vere. Così io, l’ho preso in culo, per aver cercato di fare il mio dovere e mi sono giocato l’avanzamento. Capisci com’è andata la questione. Ed è per questo che tra noi due non c’è troppa simpatia. E ora per recuperare la graduatoria 152 dovrei fare il leccapiedi al tenente... Altra stronzata, più che trovata. Accidenti! > sbottò incavolato. Ma fu interrotto dall’arrivo di Andrea, sbucato nel corridoio in silenzio. Assonnato e quasi nudo, se non era per l’asciugamano che teneva sopra la spalla ferita a penzoloni davanti, mentre diceva ai due: < Ciao! > aveva la voce roca, un po’ impastata dal sonno poi, riprese a dire mentre camminava rasente al muro, pronto ad appoggiarsi per la stanchezza e il sonno: < Ah, meno male che hanno assegnato a te, questo incarico di merda. Oh, scusa! Ma non per offenderti, è solamente che almeno tu, hai la nostra età e senz’altro potremo discorrere molto meglio e più liberamente tra noi giovani. Visto che dovremo convivere qua dentro assieme... chiusi come topi in gabbia. Accidenti! Cosa mi è venuto alla mente di uscire l’altra sera con Serena e il suo... ah! Lasciamo perdere. > brontolò. Mentre Stefano gli rispondeva cordialmente. < Certo, certo! > era ancora sorpreso per quella libertà che regnava in quella casa, pensando alla diversità e l’atmosfera di casa sua, all’interno con la famiglia. Al massimo poteva restare con la sola canottiera addosso e proprio quando si moriva dal caldo. Guai se suo padre fosse stato lì, in quel momento a vedere un uomo nudo per casa: “mamma mia!” Poi scacciò quei pensieri retorici e riprese a dire un po’ euforico: < Certo che mi piace far da guardia del corpo a dei giovani. E poi, s’eravate delle ragazze, tanto di guadagnato, wauh! Ragazzi, che goduria! > tirando fuori quel suo sorriso così infantile ma, abbastanza conturbante. < Ah, bene, bene! > contestò Mauro con fare gioviale. < Adesso vorresti scambiarci per delle pollastrelle, vero? Però, furbo il ragazzo! > diagnosticò l'idea dell'altro ridendo. < Vorrebbe farsi la bocca buona mentre lavora. Però non è male l’idea? > si aggregò Andrea mentre sbadigliava con energia. E Mauro di rimando riprese a dire: < Ma certamente tutti vorrebbero farsi un pezzo di “mona” nostrana. > < Che roba è? Cosa hai detto Mauro? > chiese Andrea più che mai confuso, d’altronde era ancora tra le braccia di Morfeo. Mentre Mauro esponeva il significato ai presenti: < Nel veneto si chiama: “mona”, la passera decantata da ogni poeta sporcaccione, ma pur sempre la parte più ricercata in una donna. > spiegò con fare canzonatorio. Mentre Stefano diceva a sua volta. < Se continuo di questo passo, mi sa’ proprio che ‘sto perdendo anche il gusto di scopare una vera donna. Sono più di tre settimane che vado in bianco, accidenti al lavoro! Per non dare a me la 153 colpa. E questo è più che vero, sono sfigato! > < Be’, ho capito. State già parlando di grasso a quest’ora. Beh’, che schifo! > sbottò Andrea. < Comunque, adesso io vado a farmi una bella doccia... > disse entrando barcollando nel bagno di fronte. Mentre Mauro invitava Stefano in salotto, chiedendogli: < Stefano, non ti dispiace se qui si gira per casa nudi? Il padrone di casa s’è abituato cosi bene, che non smette il vizio. > mentre indicava Andrea in bagno. < Personalmente mi sento anche io a mio agio, per te fa lo stesso? > < Ma senz’altro! Figurati che è meno penoso anche per me e poi, essere qui assieme e dover usare l’etichetta con tanto di dialettica, farfallino e guanti, mi sembra troppo. > rispose Stefano sorridendo. < Be’, per stare al gioco. Non staresti male, nudo con il farfallino al collo. > prospettò Mauro ridendo. < Non ho mai pensato a una così bella idea, a presentarmi nudo davanti ad una donna? Che figata ragazzi! > esplodendo in una gaia risata. Poi Mauro riprese a dire con fare più confacente: < Ora parlando di cose serie. Per te va bene spaghetti con aglio e olio per cena, e di secondo avremo, fritto misto di pesce, con insalata variegata, e del vino bianco fresco? Guarda che qui si cena alle otto, mi raccomando, puntuali e senza smoking. I ritardatari laveranno i piatti... d’accordo amico! > < Stai pur certo sarò il primo. Ho una fame addosso che mi mangerei uno squalo intero. Ma, se non sono indiscreto chi è il cuoco qui? > chiese Stefano con fare dubbioso, mentre si guardava attorno. < Ma tu, naturalmente ragazzo! Perché, pensavi diversamente. Per cosa ti abbiamo assunto? No, stai tranquillo, qualcuno ci penserà a spignattare. Anzi sarà Andrea a cucinare, è lui il prigioniero e perciò muova lui le chiappe per tutti noi. Non ti pare Stefano? > E proprio in quel momento la voce di Andrea si faceva sentire dal bagno, mentre lo chiamava: < Mauro per favore puoi venire un momento ad aiutarmi? > miagolò. E Mauro rivoltosi a Stefano borbottò: < Si sente depresso e a bisogno che gli dia una passata alla schiena, lo viziato troppo. Io personalmente gli darei qualcos’altro per tirargli su il morale. Si fa per dire, capisci. > mentre si avviava sorridendo verso il bagno e continuò a dire: < Se non si scherza un po’, qui non si arriva più alla fine della giornata, ci si fa la muffa, che barba! > e sparì oltre la porta del bagno. Mentre Stefano stava scrollando la testa in segno affermativo, approvando quel ragionamento; già lui aveva supposto che sarebbe stato barboso far passare le ore giocando a carte e 154 guardare la televisione o ancora di più, mettersi a leggere qualche libro o giornale, in attesa che capiti qualcosa ed essere pronto a menare le mani. Nel frattempo in bagno, Mauro stava terminando la fasciatura della spalla di Andrea, che borbottava e si lamentava. < Cosa te ne pare del mio foro nella spalla, sarà presto guarito? > < Ma, penso proprio di sì. Però, hai avuto un bel culo. > < Già, questo è vero. Figurati se m’avessero visitato in questura per bene e avessero visto i fori, apriti cielo! > esclamò Andrea mentre fissava Mauro dritto negli occhi. < Ma tu, non avresti detto che ti hanno infilzato a Viareggio? Sei sul giornale. dove dice che c’è un tale che porta il tuo stesso nome e che sé fatto infilzare la spalla da una freccia a Viareggio? Pressappoco nella stessa giornata del tiro a segno... e allora? > espose saggiamente Mauro. < Si, è quello che averi detto anche io alla polizia, se chiesto il perché di quella ferita e dove era successo. Capisci non ero troppo sicuro che mi avrebbero creduto? Comunque è meglio così, altrimenti non sapremmo dove mettere tutte queste rogne. Sai Mauro, ho una fottuta paura addosso, che salti fuori anche quell’altra storia. Quei morti. Accidenti! Li vedo continuamente in sogno. > brontolò sfiduciato. < Già, a chi lo dici, che talvolta bisogna per forza dover sorridere. Quando dentro di noi abbiamo una gran voglia di piangere. Capisci Andrea, come siamo finiti in basso e il peggio deve ancora venire. Pensa se ti avessero fatto il DNA del tuo sangue e l’avrebbero confrontato con quello trovato nell’erba e sull’Alfa 164, comprendi fin dove sarebbe arrivata la polizia? Ma non è per loro, ma per gli altri che stanno cercando noi e con quella telefonata che ha fatto il grassone barbuto. Qualcuno sa di sicuro chi siamo e dove abitiamo. Comprendi amico, questo è il vero pericolo a portata di pistola? > < Lo pensi veramente, che sanno chi siamo. Perciò, verranno qui per ammazzarci? > mugugnò impaurito. < Già, suppongo di sì! > confermò rassegnato. < E non basterà di certo la difesa di Stefano a fermare quella masnada di assassini. Comunque lo sapremo presto... be’, voltati che facciamo la puntura. > lo spronò a muoversi. E appena dopo la puntura di antibiotico e il solito “hai!” Andrea propose e pretese: < D’accordo! Per favore, ora dammi un bacio, ho bisogno di un po’ di sostentamento per rinfrancarmi. Mi sento veramente male dalla paura, ritardata. > Alla fine di quel prolungato bacio, Andrea riprese a dire, tra una smorfia 155 e un’altra per il dolore alla spalla: < A proposito, sai un’altra cosa Mauro. Mi ero dimenticato di dirtelo prima... > si era fermato per infilarsi su i calzoncini corti. Mentre l’altro impaziente lo spronava a continuare: < Be’, Allora? Dai muoviti, che dobbiamo andare di là! Altrimenti Nardelli potrebbe pensare a chissà cosa, stiamo facendo qui in bagno, un sacco di tempo, non è affatto bello... > < Oh, ma che bella questa! Ci diamo alla santificazione adesso? > sbottò Andrea sorpreso e continuando a dire: < Perché quell’altra notte abbiamo forse, detto le preghiere per San Maurizio e Sant’Andrea, vero? > esprimendosi con sarcasmo, mentre l’altro un po’ umiliato, rispondeva sottovoce: < Scusami! Ma non essere cattivo. > < Be’, sorvoliamo, è meglio. Comunque, volevo dirti che avevo parlato con Serena. L’ho incontrata nei corridoi della questura, dopo che l’avevano interrogata per bene. Era accompagnata dal padre e dal questore Gorelli e una guardia. E guarda caso è la prima volta che ho incontrato il padre di Serena. Quel Rottai, a tutta la faccia da vero mafioso, quello secondo me, non si è fatto i soldi con il suo sudore. Credimi. Chissà quanta povera gente a spennato per bene. > espresse Andrea più che convinto. < Be’, insomma, vuoi finire di raccontare cos’è successo. Allora? > < Be’, mentre il padre di Serena stava discorrendo con il questore Gorelli, io che ero accompagnato da un agente ho chiesto al questore se potevo dire due parole a Serena e questo mi ha concesso due minuti e in un angolo del corridoio, con una guardia per parte abbiamo scambiato poche parole. Insomma, in poche parole, lei mi ha detto ch’è stata costretta a raggirarmi e si scusava per l’accaduto, ma aveva bisogno di cocaina, stava male e per averla a poco prezzo si era lasciata ricattata e a collaborare con la mafia. Ma lei non sapeva chi fossero quelli, che gli avevano precisato che io dovevo andare in galera per un po’, perché qualcuno non è stato ai patti. Perciò era una punizione giusta a mio riguardo. Capisci, e lei si è lasciata infinocchiare. Almeno poteva chiedere un parere a suo padre, visto che quello a le mani in pasta dappertutto? > < Già, perché tu pensi che quell’avvocato del cavolo, per non dire altro, fosse consapevole che la figlia si droghi. No? > < Sì, hai ragione! I genitori sono sempre gli ultimi a sapere certe cose. Comunque, mentre io, gli dicevo che mi dispiaceva per il suo ragazzo ammazzato a quel modo. Rimasi male, vedendo lei che rimaneva indifferente all’accaduto. E sai, cosa mi colpì di più in lei. Cosa da non credere! Non le faceva molto effetto quella notizia, anzi era preoccupata a 156 pensare a chi dovrà rivolgersi adesso per rifornirsi di droga. Capisci come si è ridotta male, infangata fino al collo. Poverina! In che mondo di merda viviamo. Accidenti! Comunque, adesso lei è in libertà vigilata fino al processo. E’ accusata di complicità. Ora suo padre cercherà e fare l’impossibile. Ha difeso un sacco di mafiosi e criminale quello... > < Aspetta un momento? Massi! Ecco dove avevo già sentito quel nome... > sbottò decisamente contento Mauro. < Ma, cosa vai dicendo, e quale nome? > chiese Andrea confuso. < Ma, certo, certo! Era il nome di quell’avvocato, Rottai, che stavano parlando quei criminale all’autogrill, quel giorno! Oh quella notte? Si parlavano di lui, che aveva organizzato con il culo una certa operazione. Era il nome di chi aveva diretto l’operazione era proprio Rottai. Accidenti! Capisci ora Andrea, come si sta complicando la questione. Quel culo rotto di Rottai, sa senz’altro che sappiamo qualcosa. Perciò, dovremo stare all’erta e vedrai che molto presto si faranno sentire prima o dopo in qualche modo. E allora saremo fregati, questo è più che certo! Comunque, per ora non stiamo più a pensarci, ne parleremo dopo, evitiamo di farci sentire da Stefano. > mentre Mauro si avviava alla porta. < Stefano chi? Ah, Nardelli. Si chiama Stefano. Okay! > e fermava per un braccio Mauro, dicendogli ancora sottovoce: < Ascolta ancora un momento. Cos’è questa storia di un accordo con il commissario Rizzi e il questore Gorelli. E di che patto parlavate voi tre, mentre io non so nulla? Mi hanno solamente detto che tu sei d’accordo e approvi. E poi, la droga c’era nella sacca di Serena? > gli chiese Andrea preoccupato ma, al tempo stesso curioso, mentre fissava Mauro che sgranava un ghigno di rimprovero: < Che culi rotti! Non te l’hanno detto e chiesto, vero? Non ha importanza a questo punto. Certo, c’era la droga dentro la sacca. E meno male che ho avuto sentore di curiosare dentro, altrimenti ora eri veramente al fresco, poco ma sicuro. Il tenente Narduzzi ti avrebbe incastrato per bene. Sai, lui era convinto che tu l’hai fatto fuori per gelosia quel Carmine Loderzo. Perciò, ti avrebbero messo dentro con gioia. E ci sarebbe stato subito qualcuno in carcere che avrebbe voluto farti delle domande, per sapere da te qualcosa? E in cella, sai che lo spazio è molto ridotto e non si può scappare, pertanto... Capisci cosa voglio dire? Sapere da te quello che non sai, ma che loro pensano che tu lo sappia e non lo vuoi dire, chiaro! > gli espose Mauro seriamente deciso. < Proprio per niente? Non ci capisco un’acca di tutto quello che hai detto. Vorresti farmi credere che mi volevano al fresco solo per farmi 157 parlare e dire che cosa? Dire che mi volevano morto per averli seguiti fin là sull’autostrada? Accidenti, Mauro! Ma cos’è questo, un terzo grado? > < No, per niente! Ma il peggio deve ancora venire. Ma per ora basta, è meglio andare di là, ne parleremo più tardi. > < E quando? Se abbiamo il custode tra i piedi? > sbottò Andrea, mentre Mauro con uno sbuffo riprendeva a dire: < Non ti preoccupare lui dormirà in salotto e noi avremo tutto il tempo che vogliamo a letto e potremo parlare tranquillamente tutta la notte. Okay! > . Ma cos’è che avete confabulato voi tre in questura? E non tenermi sulle spine troppo a lungo? Ti prego....> lo supplicò. < No, è solamente quello che vorrebbero sapere anche loro: Gorelli e Rizzi, ma che maledettamente tu, non sai e non glielo puoi dire. Ma contrariamente tutti la pensano diversamente. Perciò, ora incominci a capire, che per noi ci sono poche speranze di riuscire a sfuggirli? Ed è dura dover pensare che presto finiremo tutte due ammazzati, ti basta così! Andiamo di là adesso. > Mauro usci dal bagno quasi con rabbia, seguito da Andrea tutto spaventato e confuso, mentre confabulava tra sé avvilito e pensieroso, cercando una valida soluzione. Sapeva che Mauro aveva ragione, almeno lui avrebbe potuto andare via e salvarsi, ma era rimasto fedele e si sarebbe sacrificato per un amico. “Non so’ se avrei avuto lo stesso coraggio, lui è d’ammirare”. sbottò tra sé e sé mogio mogio. Poi la voce di Mauro più allegra, dalla cucina lo richiamò alla realtà. < Be’, allora, Andrea ti decidi a venire qui a cucinare? Noi abbiamo fame! > Mentre Andrea si metteva confusamente a protestare. < Cosa, io in cucina? Ma se non so’ fare proprio niente! > brontolò vivamente, mentre entrava in cucina. < Questo è un ricatto, bello e buono, non è giusto! Voi due, volete dissanguarmi, io non ci sto!... > E a quelle parole Mauro s’intenerì rispondendo, mentre Andrea si sedeva sul bordo del tavolo in cucina. < Be’, ho capito, mi tocca! > confermò Mauro. < Vorrà dire che a voi lascerò pentole e piatti da lavare, d’accordo belli e sfaticati. > < Okay, okay! T’aiutiamo a preparare la tavola... > suggerì Andrea, e veniva aiutato da Stefano chiedendo a sua volta: < Certo, certo! Dove sono le posate i piatti? > < Dai... scherzavo! > sbottò Mauro. < Non ci pensate, per ora sparite in salotto, vi chiamerò io appena è tutto pronto. Intesi ragazzi? Su,via. Sciò, sciò! > spingendoli fuori dalla cucina. 158 Capitolo Ventunesimo Erano le nove passate quando i tre giovani si misero a tavola e il buon profumo che si alzava dai piatti ricolmi li faceva sbavare dalla voglia di mangiare. Stefano si era presentato in cucina con la sua pistola a tracolla nella fondina, sopra la t-shirt bagnata dal sudore. A quella vista Andrea esclamò con un sorriso ammiccante: < Stefano Kid! La puoi togliere quel cannone dalla spalla, qui nessuno bara al nostro tavolo. Il casinò è chiuso questa sera. > Anche Mauro che stava trafficando tra i fornelli gli scappò da ridere, commentando: < Dai, bel cow-boy, non fare il duro stasera. E togliti quella maglietta che è tutta marcia di sudore. Non aver riguardo, sei tra amici. Noi ti consideriamo tale. > espose con un largo sorriso. Stefano li osservò entrambi e sorrise, poi mentre si toglieva la fondina e la sistemava sulla spalliera della sedia, rispose con una certa serietà: < Ma, non vorrei che al caso servisse...> mentre si toglieva la maglietta fradicia e la depose anch’essa sulla spalliera della sedia e riprendeva a dire: < Non mi piace essere preso alla sprovvista e non per fare il John Wayne di Cosenza, ma per fare bene il mio dovere. > Mauro lo motteggiò, mentre sbirciava Andrea che guardava meravigliato il fisico abbronzato del giovane, dicendo sardonicamente: < Ma, questo l’abbiamo capito più che bene, sergente Nardelli! > < Be’, ho capito ragazzi, vi sto’ sui coglioni, vero? > sedendosi con un sorriso sornione e incominciò con decisione ad assaggiare la prima forchettata di spaghetti. 159 < Non farci caso Stefano, quando incomincerai a capirlo sarà sempre tardi! > gli spiegò Andrea serioso. < Guarda chi parla, adesso? L’inviato del “Times”. > protestò Mauro annichilito, mentre Stefano sempre più arguito rispose, per sviare a entrambi le risposte: < Ragazzi permettete, posso dire una cosa anch’io? > Mentre gli altri due si erano fermati a guardarlo. < E’ veramente squisita la pasta, poi con la fame che tengo. Buon appetito! > augurò Stefano, mentre si rimpinzava la bocca con una forchettata piena di pasta, lasciando gli altri alquanto stupiti, per poi scoppiare a ridere assieme. Così, mentre cenavano allegramente, discorrevano su vari argomenti, scherzando un po’ su tutto. Poi ad un certo punto Stefano incuriosito chiese a Andrea: < Cosa hai fatto alla spalla, amico? > Andrea un po’ confuso, gli rispondeva mentre guardava Mauro in cerca di aiuto: < Be’, se ti dico com’è successo veramente non ci crederesti... > < Ma, posso indovinare, ti hanno sparato contro? Scherzo! dai, continua pure... sempre se lo vuoi dire, s’intende. > Andrea, stava sudando da matti, alla fine si fece coraggio e continuò a raccontare quella fiaba: < Mi hanno infilzato con una freccia nei giardini a Viareggio e purtroppo non si sa chi sia il bravo Robin hood. Non l’hai letto sui giornali? Quello che si è fatto prendere per un’oca selvatica. Be’, sono io. Guarda un po’ che sfiga ho in questi giorni! > < Ha, sì! Adesso ricordo, lo stavano dicendo dei colleghi, ridendo. E io pensavo ch’era la solita palla inventata per far notizia. Sei tu!? Però, guarda com’è piccolo il mondo... > mentre se la rideva di gusto. < Già, è proprio vero. > confermò Mauro sorridendo a Andrea, che aveva superato la prova più che bene. Dopo cena erano passati in salotto ricordandosi solo al momento della partita di calcio alla televisione e le loro preoccupazioni in quel momento erano svanite via. La partita notturna che si disputava amichevolmente quella sera in TV, era Inter-lazio e una buona parte della nazione era inchiodata davanti alla TV. Tutta la loro attenzione era concentrata sulla palla che correva da una parte all’altra del teleschermo, avvolgendoli completamente, da non capire più nulla di quello che c’era attorno. Mauro da parte sua quello spettacolo al momento gli era indifferente, lui aveva altri pensieri che gravavano sulla sua coscienza di assassino. Poi se veramente doveva esprimere un suo parere su quale antagonismo sportivo 160 lui preferiva fare era il windsurf. Era lo sport in primo in assoluto, poi venivano gli altri. Forse, perché lui quello sport l’aveva sempre praticato. E di colpo si fermò di pensare a quelle differenze, capendo che stava scoprendo un’altra parte nascosta. Oltre che avere un padre magistrato e che non si era nemmeno degnato di venirlo a vedere di persona. Se non era per le telefonate del commissario Rizzi, che gli chiedeva informazioni sul figlio, lui non l’avrebbe saputo nemmeno se esisteva quel ramo di parentela. Ma tralasciò per il momento quel particolare e si spostò accanto alla finestra, poi si concentrò sul windsurf cercando di rammentare quand’è stata l’ultima volta che l’aveva praticato? Ma un dubbio l’aveva assalito, pensando se veramente lo sapeva fare? Ma si dovette arrendere davanti all’omertà del suo subconscio, purtroppo irremovibile e stronzo. Ed era stata esattamente la stessa cosa con suo padre al telefono al mattino. Quando alzò la cornetta e rispose, il padre incominciò a parlare a ruota libera, più che mai arrabbiato. Da parte sua Mauro, si trovò destabilizzato, nel pensare che stava parlando al telefono con un estraneo e non uno di famiglia. In special modo dal tono aspro dell’altro, abbastanza freddo e distaccato. A stento Mauro faticava a immaginare un viso e un portamento, qualcosa da renderlo più famigliare e umano. Ma, niente da fare, non riusciva a vedere una sembianza, almeno un poco. “Accidenti!” sbottò tra se. Forse in fondo a tutto Mauro, tentava illusoriamente di averlo lì di persona. Almeno per un momento e potergli chiedere un suo aiuto, o fors’anche niente. Soltanto la sua presenza di padre sarebbe bastato ad appagarlo almeno un poco. Ma niente affatto. Il noto magistrato romano, non ci pensava nemmeno di muovere il culo da Roma, per correre a vedere il figlio implicato in un omicidio. Per un magistrato della sua portata, bastava fare un po’ di telefonate e tutto si sarebbe risolto per il meglio. Era quello che pensava Mauro più che sorpreso in quel momento. Costatando in quel dialogo muto da parte sua con suo padre, aveva subito soltanto una lunga telefonata inquisitoria e Mauro faticò molto per districarsi da quelle domande trasversali, che gli poneva con autorità suo padre. Ma lui, sinceramente non era in grado di rispondere e gli era molto difficile spiegarsi al momento. Poi oltretutto, in quella situazione che si trovava suo malgrado. E per giunta al telefono, senz’altro era stato messo sotto controllo. Mentre suo padre, il noto magistrato romano, Francesco Rossi segretario del CSM, lo spronava a rispondere a quelle domande concise, ma alquanto dure e pungenti al momento. < Ma insomma Mauro! Cosa mai ti è capitato? Ti stai comportando in modo alquanto bizzarro e 161 scervellato, per non dire altro! E poi, cos’è tutta questa amicizia di basso... insomma questo Prandi, ma chi è? E da quando lo conosci? Insomma! Mi vuoi spiegare e rispondere? > Mauro a sentire quelle insinuazioni, non riusciva proprio ad aprire bocca e a rispondere a quelle accuse doloranti e infondate. Si stava arrabbiando troppo, in quell’inaspettato comportamento di un padre padrone. Mentre quello continuava a tartassarlo di domande inutili, forse erano più che giuste: < Hai abbandonato gli studi a quanto pare e soprattutto ci hai fatto fare una figuraccia con il tuo futuro suocero. Ed è meglio tralasciare il resto per il momento, ad evitare che trascenda in epiteti impronunziabili per telefono, verso un figlio così ingrato e scervellato! Ma capisci! Stai compromettendo la tua carriera e soprattutto il nostro buon nome. Per non parlare della mia reputazione in procura, comportandoti in questo modo? E io, controvoglia ho dovuto faticare per appianare la questione con la questura di Cosenza. Lo sai più che bene anche tu, che ha me non piacciono i favoritismi. Anche se sei il mio secondo genito, in verità fino ad ora, mi hai soltanto dato dei grattacapi, per non dire dispiaceri. Pertanto non sono più disposto a continuare a sopportarti, chiaro! Comunque questa volta ho fatto un’altro strappo alla regola e ho faticato e pregato il capo questore Gorelli e il commissario Rizzi a convincerli che tu non centri in quella faccenda di quel Prandi lì. E per fortuna che non hanno trovato nulla da eccepire nei tuoi riguardi, facendomi un gran favore a tenere lontano il nostro nome dalla stampa. E da come ho visto sui quotidiani ho appreso che hanno fatto l’impossibile. Ringraziali da parte mia, mi raccomando. Comunque vedi un po’ di districarti da certa gente, perché questa malsana questione ti può nuocere e compromettere il tuo avvenire. Oltre il nostro. Poi, e soprattutto, vorrei proprio sapere il perché ci hai piantato in asso a quel modo? E proprio il giorno prima del tuo fidanzamento, già accordato con Carla? Questa poi!? Sinceramente noi ci vergogniamo per la tua condotta. Sapevo, ma non immaginavo che diventavi un’irresponsabile fino a questo punto. Da portarti a infangare il nostro buon nome. Perdiana, Mauro! > sbottò adirato più che mai il padre, padrone. Mauro era così attonito ad ascoltare quelle manifestazioni sdegnose, che in tutta quella storia si condensava a salvare il buon nome della famiglia Rossi. “Puttanaeva, che cazzate sta dicendo!” sbottò tra sé e sé Mauro, impotente e senza il coraggio di parlare e ribattere. Era troppo disorientato e avvilito nell’apprendere la freddezza di un padre così egoista, che davanti a tutto metteva la carriera e il buon nome della famiglia. Pertanto 162 alla fine Mauro si limitò ad ascoltarlo nell’indifferenza più assoluta. Avrebbe voluto mandarlo a quel paese, ma si trattenne a stento. Mentre il nobile magistrato, imperterrito nella sua crociata, continuava a esporre le sue dimostranze, per quell’offesa ricevuta da un figlio ingrato: < E pensare poi, nell’abbandonare così malamente quella povera figliola e proprio in quel modo. Lasciata piangere per giorni per la figura fatta davanti a parenti e amici. Questa non te la perdono Mauro! Per fortuna che Franco, ha avuto più buon senso di te, usando l’accortezza di salvare il salvabile alla festa del tuo fidanzamento. Raccontando un sacco di storie ai presenti, per evitare maggior pettegolezzi e danno al padre di Carla, come Ministro Dei Beni Culturali. Spiegando che non potevi essere presente al suo fidanzamento con Carla. Salvando in estremi la faccenda, prendendo il tuo posto da buon fratello maggiore. Consolando la povera Carla da un simile affronto ricevuto da te, mascalzone! Sei una vergogna! Hai perso veramente un’occasione d’oro, oltre l’eredità che si aggira sui venti miliardi. Perché mai? Sapevi più che bene che il Padre di Carla, avrebbe lasciato tutto alla figlia e poi oltretutto, come Ministro Dei Beni Culturali, ha voce in capitolo su eventuali tuoi sviluppi in futuro. E io personalmente mi secca dover dire fregnacce per te, che di punto in bianco decidi di sparire via, come un meschino ricercato o peggio ancora... > Mentre Mauro pensava che era purtroppo vero, quello che stava dicendo quel padre sui ricercati. Ma non riusciva a parlare, si era bloccato nell’apatia più assoluta. “Che stronzate va dicendo!” Esplose tra se. Mentre l’altro insisteva a rimproverarlo: < E per di più a me tocca inventare storie e scuse con chiunque, dicendo che stavi attorno ad un importante esame, inviato dall’università di Padova in Sicilia. Riguardante un caso cavilloso nella procura di Palermo, in veste come giudice civile a discutere in seduta chiusa, fino al verdetto finale e pertanto non potevi comunicare con l’esterno tutto questo tempo. E tutto questo, per un buon esito delle tua laurea, pensa un po’ cosa ho fatto per te, ingrato! Perciò è ora che ti sbrighi, chiedendo al questore Gorelli la tua estromissione dei fatti e torni subito qui a Roma e vedremo di sistemarti a qualche altro buon partito di una buona e sostantiva famiglia romana. Perché ormai, Carla l’hai persa per sempre e devi ringraziare tuo fratello che ha saputo salvare il salvabile e prendere il tuo posto. E meno male che Carla a accettato di buon grado la richiesta di tuo fratello. Capisci, tutta questa storia è veramente seccante per tutti... Perdiana! > Mauro da parte sua faticava tremendamente a sviare mentalmente la sua posizione attuale. Poi a quel punto, dopo quelle 163 chiarificazioni più che chiara, anzi limpida del padre, non aveva nemmeno osato fiatare. Era rimasti al telefono ad ascoltare quel padre che urlava sottovoce ma con determinata freddezza. Mentre Mauro cercava di ricordarlo almeno fisicamente. In quella sua smemoratezza non trovava e incominciava a capire che stava diventando talmente assurda quella storia. Ma purtroppo era vera. Pensando come poteva spiegare, dire così a botta fresca, quello che aveva dentro nell’anima, a quell’uomo dall’altro capo del filo. Che non aveva un briciolo di comprensione e commiserazione. E dopo tutto quello che aveva sentito dire poco prima e per la prima volta da quell’uomo, non era proprio il caso. E visto poi, che non si ricordava niente di tutto quel casino che avrebbe combinato lui a Roma. Come poteva spiegare e dire a cuore aperto: Papà, sono stato violentato e malmenato per strada e adesso non ricordo più nulla? “Cribbio!” sbottò tra i denti. Come poteva diglielo in quel momento così, alquanto paradossale e ridicolo, ma in fondo reale. Quella schifosa verità poteva anche traumatizzarlo, sapere che il figlio di un noto magistrato romano, si era fatto inchiappettare per bene da quattro sconosciuti e per giunta malviventi, appartenenti al clan della mafia. E per completare l’opera, alla fine lui, suo figlio, li aveva anche ammazzati tutti e quattro come cani e abbandonati là tra i campi della Calabria. E tutto questo sembrava paradossalmente improponibile a un magistrato di quella portata ma, purtroppo era ormai successo. Perciò a quel punto Mauro doveva essere cauto ed evasivo al momento. Mentre cercava di collegare quelle novità apprese da quel padre padrone, senza una fisionomia confacente. Di un’immaginabile magistrato che sinceramente a lui, a quel punto gli era alquanto indifferente. Da intuire e capire che in quel suo passato era alquanto devastante e spropositato da fagli quasi paura da spiegare, in quella recensione telefonica così difficile e oppressiva. Mauro sentiva dentro di sé una forma di repulsione e timore a dialogare con uno sconosciuto che diceva di essere suo padre. Per lui gli era al quanto difficile d’accettare e comprendere quell’affetto che non c’era. Poi, capì che al momento aveva altre cose più importanti da pensare. La sua sopravvivenza sulla morte incombente, che lo preoccupavano veramente tanto. Perciò, alla fine cercò di essere evasivo, ascoltando quella verità di cose inimmaginabili per lui in quel momento difficile da apprendeva sulla sua vita antecedente. Oltre le raccomandazioni e i rimproveri che il padre gli stava esponendo con durezza. E visto che il figlio non rispondeva a ogni sua domanda autoritaria, il signor Rossi stizzito esplose con severità: 164 < Perdiana! Ma tu, mi stai ascoltando? Figurati, che persino tua madre è arrabbiatissima con te. Anzi, non voleva nemmeno che ti telefonassi, per quello che hai combinato. E lo sai più che bene com’è fatta lei, si è offesa per quello che gli hai procurato. Gli hai fatto fare una figura di... > A quel punto Mauro esplose, dicendo a sua volta con freddezza: < Sì, so perfettamente! Una figura di merda! Vero? > mentre al tempo stesso si biasimava di essere stato troppo duro e proseguì a dire con una tonalità più confacente al caso: < Comunque, scusami con la mamma, mi dispiace. Mi farò sentire al più presto e vi spiegherò più avanti, arrivederci! > e interruppe la comunicazione. Si era rotto veramente le palle di quelle lagnanze spropositate. Forse più che giuste ma, lui in quel momento non le sopportava proprio, pensando che era meglio così, altrimenti sarebbe uscito di senno. Esploso! E dicendo poi, cose che si sarebbe pentito dopo. Forse? Era troppo saturo di quell’infinità di cose che gli frullavano in testa e s’accavallavano l’una sull’altra in continuazione. Emotivamente si sentiva sconvolto, sebbene se non riusciva ancora a far collimare le sue visioni del passato e in particolare con quella sua famiglia. Esposta da quel padre autoritario che gli era così estraneo e che faticava a crederci. Poi, quel fatto, che lui, non ricordava nemmeno il volto di sua madre, questo era troppo da credersi vera nella sua smemoratezza e per di più così demoralizzante, che in quella parte il suo subconscio si rifiutava a identificare la sua stirpe altolocata. “Cose da non credere!” si domandava continuamente tra sé, capendo che ormai era diventato un’altra persona e solo in quel suo nome era la congiunzione in quella parentela. E in fondo Mauro, pensava che alla fin fine, era meglio così, e quell’agiata famiglia si scordasse presto e per sempre, di quel figlio menomato e per giunta un killer assassino. Sì, era quello che desiderava in quel momento, ma al tempo stesso era dispiaciuto di quel dialogo così freddo e ufficioso, avuto con quel padre che sentiva di non avere dentro di sé e soltanto sui documenti si ritrovava quel legame figliare. Poi, pensando a quella sua fuga da quella fidanzata, quella Carla che lui non rammentava minimamente e senz’altro c’era stato un motivo ben valido per fuggire lontano. Impossibile che non avesse una minima visione di quella donna altolocata, strano, molto strano? Pensò Mauro disorientato. Ma di più in quello che l’aveva disorientato e sconvolto nel suo io. Il comportamento di sua madre, che elargiva in quell’occasione la sua unica preoccupazione era quella di aver subito una sfacciata figuraccia, di fronte ad alte personalità della capitale... “Senz’altro, conoscenze del cavolo! Soltanto buoni a 165 ridere alle spalle degli altri” Sbotto furioso tra sé Mauro. Ma soprattutto era la rabbia per il comportamento di una madre, che non si preoccupava minimamente di sapere, come, e il perché quel suo gesto? Se stava bene o male nel cercare un dialogo appropriato. Se amava veramente i suoi figli come una vera madre, sarebbe corsa da lui, disposta a combattere per salvare un figlio errante. Ecco? Era quello che Mauro avrebbe voluto ascoltare da un padre e una madre vera. Invece quelle parole l’avevano sconvolto nel profondo dell’anima e del suo cuore. Nell’apprendere che sua madre non l’aveva attaccato a sé, neanche per i tacchi delle scarpe. Capendo ancora che sua madre aveva messo al primo posta la sua reputazione e quella della famiglia e non l’esistenza di un figlio finito in qualche modo malamente. E a malapena capì che la sua fuga, era forse dovuta proprio per quella mancanza di affetto e amore. E quella supposizione, ora, diventava un altro dubbio che l’avrebbe assillato per molto tempo. Ma a quel punto era veramente giusto dagli un taglio netto con il passato e se doveva morire, non aveva rimorsi di nessun genere sulla coscienza. E alla fine capì, che il suo io testardo, non voleva riaprire la memoria sul passato. Non sapendo se era una buona cosa o cattiva, come prospettiva per l’avvenire, e se ce ne fosse stata l’opportunità di scoprirla. Poi, visto che incominciava ad innervosirsi ancora di più, cercò di posporre tutte quelle domande che l’assillavano e aveva già accantonato prima. Poi, il borbottio del tuono in lontananza, lo distolse da quei pensieri retorici e petulanti. Abbastanza per fargli venire un gran mal di testa, com’era sovente avere in quei giorni più che mai sfigati. Mauro era lì, appoggiato contro il davanzale della finestra per assuefarsi la frescura che non c’era in quell’aria greve, che regnava costante per tutto il giorno e ora ormai notte, era ancora di più maggiore. Osservava con interesse il saettare dei lampi in lontananza nella notte, a presagire l’arrivo di un bel temporale, con la speranza che venga un acquazzone a smorzare quell’afa così opprimente e irrespirabile, per non dire insopportabile a quel punto. Mauro restò ancora un poco a scrutare l’orizzonte dalla finestra spalancata, per far passare il più possibile l’aria che non c’era. Nemmeno una piccola bava di vento esisteva al momento, tutto era calmo e pieno di calore umido. Gli altri due erano talmente intenti al finale della partita, che in quella foga verso la vittoria, si erano persino scordati del caldo che incombeva e imperterriti continuavano a sudare copiosamente, come due fontanelle stantie ma costanti. Mentre le bibite ghiacciate si esaurivano velocemente. Frattanto Mauro senza volerlo, si ritrovò a riprovare ancora 166 una volta a ricomporre quell’intrico e complicato mosaico alquanto misterioso. E in tutti quei quesiti che si poneva, vi era sempre qualcosa che non quadrava. Era diventato come un abile artigiano che dopo anni di lavoro non riusciva più a far collimare per bene le sue ultime parti creative, lasciandolo perplesso e confuso su quell’intarsio appropriato. Soltanto che non sapeva e immaginava che qualcuno avesse sostituito dei pezzi importanti al suo mosaico preferito, per farlo impazzire dalla rabbia. Pensando, chi mai poteva aver architettato quel piano per mandare Andrea in prigione? Forse aveva ragione il questore Gorelli di pensare che magari era qualcuno che voleva ricattare quell’Antonino Trani, che era in fase di espansione e il suo racket stava rompendo i coglioni a molta gente nel meridione. Comunque Mauro era ormai persuaso che centrava qualcosa anche quel Rottai. Quell'avvocato del cavolo a voler senz’altro trovare la refurtiva per conto suo. Ma soltanto e presumibilmente erano in pochi a sapere che in quelle valigie c’era la grana vera e non droga. Rimuginò Mauro più che mai avvilito, per non arrivare a capo di qualcosa e pertanto, al momento doveva soltanto stare all’erta e diffidare di chiunque. A quell’affermazione mentale, subito Mauro si voltò e osservò attentamente il poliziotto Stefano, Era intento a guardare la partita e all’istante Mauro capì, che non era lui, l’infiltrato, mentre mormorava a fior di labbra: < Non è lui, l’avrei capito subito quando qualcuno a qualcosa da nascondere e ha del negativo addosso. No! Non è lui. Stefano non ha niente a che vedere con questa storia, è solamente una piccola pedina che può essere sacrificata facilmente, quando non serve più la si butta via. Questo è il guaio! > Ma nello stesso istante Mauro captò uno strano segnale sotto la sua pelle, qualcosa d’indefinito ma sentito. Vi era qualcosa che lo preoccupava tremendamente mentre fissava attonito il giovane poliziotto. Sentiva quasi visivamente che gli sarebbe successo qualcosa di grave a quel ragazzone così gioviale. E in quella intuizione premonitrice ebbe un brivido per tutto il corpo; era una sensazione di paura e sgomento in quella percezione scaturita così dal nulla. Dove in quella mal celata cognizione forse e anche esagerata da tutte quelle forti emozioni subite. Mauro cercò di scacciare via quelle idee balorde d’addosso. Poi alla infine per cambiare pensiero, si rivolse ai compagni dicendo: < Ragazzi, io vado a farmi una doccia, qui si crepa dal caldo. In attesa che arrivi il temporale. Poi andrò dritto a letto. Ormai è già la mezza... Buonanotte a tutti! > < Notte, notte! > risposero in coro i due, senza staccare gli occhi un attimo dal teleschermo. 167 Capitolo ventiduesimo Mauro stava per mettersi a letto avvolto dai suoi funesti pensieri, quando l’urlo di sconfitta si era alzato unanime dall’altro lato in salotto e capì che qualcuno dei contendenti aveva perso. Mentre Andrea stava commentando animosamente con Stefano. < Peccato! Proprio per un punto, avete perso la partita. < Già, che scalogna! Se quella testa di cazzo non sbagliava quel rigore, adesso... accidenti! Ma ci rifaremo… > sbottò Stefano annichilito, mentre l’altro alzandosi gli diceva: < Be’, visto che sei rimasto fregato dal terzino... era dalla parte dei vincitori. Peccato! Be', io vado per primo a farmi una doccia sono fradicio di sudore, poi andrò a letto. Ciao! > < Se non ti spiace io resto ancora un poco, vedrò i punteggi finali e poi farò anch’io una bella doccia gelata per rianimarmi, aspettando che arrivi questo benedetto temporale che continua a borbottare e non fa nulla di buono, per rinfrescare un poco l’aria... Notte Andrea! > Andrea si era fatto una sciacquata veloce, poi ancora tutto grondante d’acqua ritornò in salotto e guardò Stefano seduto a cavalcioni della sedia che aspettava gli ultimi resoconti e lo motteggiò sornionamente, dicendo con fare scherzoso: < Be’, ancora lì, aspetti la rivincita?... Notte amico! > L’altro si girò e se lo vide davanti tutto nudo e grondante d’acqua, da farlo rimanere a bocca aperta, alla fine rispose: < Ah, sì, aspettavo la rivincita. Ma cosa mi fai dire! E io che ci casco come un pero maturo. Be’, buona notte! > mentre lo rimirava per bene, poi di colpo si riprese e sbottò chiedendogli: < Ma per caso, non andrai a letto così bagnato, spero? > < Già, è proprio quello che voglio fare! Stai a vedere... > mentre gli scappava da ridere. E Stefano sconcertato gli rispondeva: < Ma dai, non farai sul serio? Potresti prenderti una scarpata in testa... Be’, vai pure, se sentirò degli urli, vorrà dire che l’operazione pelle bagnata è riuscita. > < Puoi contarci, sento già il caldo contatto assieme all’urlo di Mauro. Ah, che goduria! Notte amico! > E solo dopo un istante Stefano senti chiaramente Mauro borbottare dall’altra parte. < Ma cosa ti ha preso! Hai bagnato tutte le lenzuola. Ha, sei il solito rompiballe! Ma pur sempre un amorevole amico. Dai mettiti a dormire Andrea e non t’agitare come al solito... notte! > < Io!? Ma se non fiato nemmeno per farti riposare in santa pace. 168 Uhm, che brontolone sei... notte Mauro! > bofonchiò Andrea. E tutto si fece silenzio nella casa. Stefano aveva già spento il televisore preparato il letto e si stava spogliando, mentre ripensava a quegli amici così giocherelloni, che lo stupivano continuamente per quella libertà così sincera e spontanea che avevano addosso. Nemmeno nel suo corso da poliziotto non aveva mai provato e capitato dei fatti così procaci da turbarlo alquanto. Forse era soltanto un po’ d’invidia che provava nei confronti di quei nuovi compagni di sventura, che liberamente girare nudi per casa. In fondo gli piaceva quel loro modo di prendere la vita. Infine con provata malizia si tolse i calzoni, slip e con una soddisfazione rimasta nascosta, ma che in parte ne gioiva in quella libertà ritrovata. In quel preciso momento si sentiva così bene. Poi, andò a farsi quella benedetta doccia, tanto bramata e rilassante. Stefano restò abbastanza tempo sotto l’acqua e non sarebbe più uscita da tanto piacere che gli procurava quel liquido tonificante, che gli lambiva il corpo con la sua frescura, quasi fosse l’abbraccio di un’amante possessiva. E in quel momento Stefano, avrebbe voluto avere lì accanto una ragazza, per placare la sua grande voglia d’amare. Quella voglia ch’era repressa da molti giorni, per non dire settimane in quel periodo. E’ stato troppo impegnato con il lavoro, che si era persino scordato che due giorni prima aveva un appuntamento con una ragazza conosciuta in discoteca. E solo in quel momento gli era ritornato alla mente quella sua dimenticanza, imprecando più volte con sé stesso: < Porca puttana! Che testa di cazzo sono stato, accidenti! Almeno potevo telefonare, scusarmi... > grugni tra i denti, mentre sbuffava amareggiato, e cercava di reagire con una scusante diversa, dicendosi da solo a bassa voce: < Oltretutto non avrei potuto proprio andarci con quel testa di minchione di Narduzzi che mi rompe sempre i coglioni! Poi in fondo e fors’anche non avrei neanche scopato... Ma chi se ne frega! No, il fregato sono io, questa è la pura verità... Be’, lasciamo perdere che è meglio... che stupido! > disse tutto annichilito a mezza voce. Perché quella smemoratezza l’aveva fatto terribilmente incazzare con se stesso, pensando che erano cose che non avrebbe dovuto scordarsene, invece, patatrac! E adesso, come un povero somaro si era trovato solo e per giunta smemorato di quell’invito che lui stesso aveva proposto alla ragazza in questione. Trovandosi a quel punto con la bocca più che mai amara. Alla fine uscì dalla doccia più incavolato che mai e si asciugò malamente, ormai aveva perso in quell’appuntamento sprecato, tutto il suo buonumore. Poi ancora avvolto nei suoi grevi pensieri, si avviò 169 scalzo nel corridoio, mugugnando su quella sua vita sentimentale più che mai sfigata. “Accidenti, accidenti!” sbottò tra sé. Stefano stava per superare la camera da letto dei due amici, quando dalla porta spalancata per la calura, un fulmine illuminò per un attimo tutta la camera e i due ragazzi a letto. A quella vista Stefano sì bloccò e rimase lì impalato, più che mai sorpreso e stupito a guardare come un povero deficiente inebetito, per quello che gli sembrava di aver visto. Mentre si domandava più che mai sorpreso per quel fatto così nuovo: “No! Non può essere vero?” Ma purtroppo era proprio così, un secondo lampo scoprì quello che già aveva intuito in quella fuggente comparizione. Ma al tempo stesso non ci credeva hai suoi occhi, mentre in lui era sorta una specie di subdola curiosità più che mai sorda, da fagli sbarrare di più gli occhi e a scrutare nel buio di quell’alcova. Aspettando con impazienza un altro lampo, che non lo fece attendere in quella notte carica di elettricità e tensione. Il chiarore fu breve ma, bastò a rischiarare per intero i due a letto, teneramente abbracciati in un’affettuosa calma, quasi a voler far durare più a lungo quella loro deplorevole unione. Stefano era rimasto inconsapevolmente bloccato lì, a guardare sbigottito e sconvolto. Si era appoggiato alla parete di fronte in una specie di trance mentale, che lo bloccava in quel punto incapace di reagire e andarsene via. Era stata troppo forte la sorpresa, che ancora stentava a crederci, mentre 170 dentro di sé, una voce gli diceva: “Non sono affari che ti riguardano, e ognuno a casa propria può fare ciò che vuole e fare all’amore con chi vuole.” Mentre farneticava tra sé e sé vergognosamente, capendo che stava comportandosi in modo assai strano e non corretto. Stefano pensava che non avrebbe mai supposto e immaginato che quei due stessero facendo l’amore così apertamente. “Sì, insomma quello che stanno facendo senza pudore.” Ma, alle stesso momento e l’istante successivo Stefano si sentiva compresso e eccitato, per quella vista che gli offrivano quei due amici ignari della sua presenza. Era per lui una cosa tutta nuova e inaspettata, ma al contempo vecchia come il mondo, e lo stava sconvolgendo talmente tanto. Si trovò letteralmente disorientato e confuso, incominciava a sudore copiosamente per tutto il corpo. Non riusciva a distogliere lo sguardo d’addosso a quei corpi nudi e belli, abbracciati tra loro con amore e tremendamente febbricitanti. Erano pieni di vitalità e la cui fame sonnecchiava sotto la loro calda epidermide, pronti a scatenarsi in quella notte che li avvolgeva nell’oblio dell’amore. Stefano si domandava continuamente tra sé, più che mai confuso e sconvolto da quel fatto così inaspettato e inimmaginabile poche ore prima. Mentre capiva che non era giusto che restasse lì a guardare, quella mirabile visione indecorosa. Ma allo stesso tempo quell’immagine d’amore l’ammagliava così tanto da sconvolgerlo tremendamente. Sapeva che doveva andarsene via per i fatti suoi, ma quali erano i suoi impegni o fatti in quel momento? Che sinceramente aveva anche lui un tremendo bisogno d’amare e d’amore, da sentirsi scoppiare dentro al petto per il gran desiderio represso. Ma per un sacco di fattori negativi per lui, gli era rimasto sempre molto poco o niente. E dover ricorrere ad espedienti manuali, era una cosa che non l’attirava per niente e per poi trovarsi alla fine con la bocca vuota e più amara di prima. Eppure, da notare, che alla fin fine non era un giovane inesperto e fasullo e non proprio da buttare. E molte ragazze gli avevano fatto capire più che bene, che aveva un fascino devastante. Ma era diventato un caso così strano, che ultimamente gli capitava purtroppo e molto sovente di rimanere troppo tempo a digiuno, con dentro di sé una gran voglia di vivere e amare. Forse il tutto, era aiutato dal buio della notte e si sentiva quasi al sicuro nel suo angolo a scrutare gli amanti in calore. Partecipe nella fantasia di quell’amore che si stava concependo tra quelle coltri bianche nella camera di fronte a lui. In quel momento, Stefano capì che non trovava affatto ripugnante quella loro 171 unione, fors’anche dovuta alla simpatia che aveva ormai acquisito in quelle poche ore di convivenza con quei compagni e si meravigliò per quelle sue congetture difensive. E il tutto era dovuto forse, al fatto che lui personalmente non aveva mai avuto pregiudizi sul comportamento altrui. Perciò non gliene importava proprio niente. Mentre imperterrito non riusciva ad allontanarsi da quel posto divenuto infernale. Lui era rimasto lì, bloccato senza respiro, trattenuto a stento dall’emozione eccitante. Sembrava stregato, a fissare costantemente quella componente erotizzante, che gli veniva mostrata così liberamente, da sentirsi avvolto e eccitato sempre di più. Nell’ombra del corridoio Stefano, fu colto da tremori e spasimi irrefrenabili, si sentiva perduto e amareggiato con sé stesso, ma non voleva allontanarsi da quella inebriante vista che l’inchiodava al suo posto da misero guardone. “Accidenti! Vorrei anch'io avere tra le braccia qualcuno da amare baciare.” espose Stefano senza pudore, ma al tempo stesso arrabbiato per il suo comportamento abbastanza sconveniente.. Mentre nella camera Mauro era rimasto fermo per un momento ad ascoltare l'opinione di Andrea e alla fine borbottò scherzosamente a sua volta. Capendo che quella situazione di stasi, in attesa della morte imminente, li stava facendo impazzire entrambi. Ma allo stesso tempo, cercavano di pensare e fare le cose più impensate che gli capitavano per la testa. Forse per placare quella paura che incombeva costantemente su di loro e fors’anche sfogarsi in quella voglia di godere all’inverosimile in qualsiasi maniera prima della fine totale. Infine Mauro commentò: < Già a questo siamo arrivati? Hai abbandonato le donne per me e abbiamo fatto all’amore soltanto una volta e poi ricordo benissimo che tu mi hai detto: “Ti amo!” E ora di già, mi dici che ami quel bel ragazzo moro, che sta dormendo beatamente in salotto? Però, fai presto a cambiare bandiera. Almeno, devo dire che hai dei buoni gusti... Be’, sincerità, per sincerità, ti devo dire che anche io, sebbene volendoti tanto bene, farei altrettanto l’amore con lui adesso. E alla fine vedremmo chi è il migliore di noi tre in battaglia? > espletò il suo discorso con un bacio finale e appassionato. Andrea si era messo seduto a osservare l’amico con un’espressione stupita, ma gioviale e tra un lampo e un altro, guardava il viso maschio di Mauro, mentre gli sfuggiva un sommesso grido di euforica gioia. Poi alla fine gli domandò curioso: < Ma, veramente, tu lo faresti qui con me, insomma 172 l’amore anche con lui. In tre? > espose. < Ma certamente! E sai il perché?... Perché qui in questo momento, sia tu che io, non lo faremmo per tradirci a vicenda, ma solamente per aumentare la felicità di un compagno solo e abbandonato di là, in circostanze non voluta da lui, ma imposte dal suo mestiere di angelo custode e ligio ai propri doveri. Sacrificandosi per il paese e i suoi cittadini in conflitto come noi. Poi, anche per il fatto che siamo sempre stati sinceri tra noi due, in questo rapporto nato così per strane congetture inspiegabili, e senza volerlo e saperlo ci sentiamo fedeli tra noi apertamente... > < Ma, aspetta un momento Mauro. > lo pregò Andrea. < Tu, vorresti farmi capire che noi; sempre supponendo che l’altra persona ci stia e succeda quello che immaginiamo? Tu vorresti dire che non sciuperemmo il nostro rapporto, ma al tempo stesso faremmo felice un altra persona? > < Sì, perché, abbiamo recepito una reciproca fiducia tra di noi due. Perciò vedi, che senza volerlo e involontariamente stavamo pensando la stessa cosa, di fare l’amore con lui, in tre. > < Immagina se fosse qui adesso, > provò a dire Andrea. < Deve essere divino! > espletò ancora Andrea sorridendo, mentre sentiva aumentare l’eccitazione di Mauro accanto, per le parole appena esposte tra baci e carezze. < Be’, sì, su questo hai ragione! Ma alla fin fine, bisognerà vedere se l’altra persona ha gli stessi nostri desideri e idee anticonformiste e asociali... Vero? Perciò, a questo punto, siamo arrivati al finale della nostra bella storia d'amore a luci rosse. > < Già, questo è più che vero. E’ troppo figo, per non dire etero. Meno male che Stefano dorme di grosso e non ha sentito nulla di questi nostri concetti sconci di ammucchiate perverse. Accidenti! Guarda un po’ in che cose strane e improponibili stiamo tirando in ballo. Non avrei mai supposto di arrivare a tanto... m'ha! Comunque, tralasciando le avventure, io in questo momento ti desidero tutto per me amore... > commento Mauro accaldato e Andrea rispondeva:< Anch’io ti voglio tanto bene e ti desidero, amore. > mentre gli si stringeva contro in un abbraccio pieno di passione. 173 Capitolo Ventitreesimo Ma, a un certo punto, sentirono un rumore sordo e un fruscio nel corridoio e di colpo capirono cos’era stato. Si guardarono in viso sorpresi, fra quegli abbagli di luce accecante che eseguivano i lampi ripetutamente, nell’approssimarsi al loro sbocco finale. I fenomeni temporaleschi si facevano più intensi e persistenti. Mentre fuori incominciava a cadere i primi goccioloni d’acqua. Istintivamente Mauro e Andrea si alzarono dal letto e in simultanea si recarono in salotto e trovarono Stefano accanto alla finestra spalancata che fissava disperatamente il vuoto infinito all’esterno, dove i fulmini illuminavano lo spazio aperto della campagna. Mentre rivoli di lacrime gli solcavano il viso stravolto e muto. Stefano era scosso da fremiti irrefrenabili, da far veramente paura e pensare al peggio, visto sotto quella falsa luce di quei lampi abbacinanti e improvvisi. Per Mauro e Andrea nell’essenziale momento capirsi al volo e subito tentarono un approccio con il giovane sconvolto da quel dramma interiore. Mentre la loro intesa era spontanea e intuitiva, come se i loro cervelli fossero in sincronismo e riuscivano a tradurre i loro pensieri di sincera amicizia. Si erano avvicinati a Stefano scosso da tremori incoercibili per la rabbia di essersi fatto scoprire a quel modo. Farsi cogliere a curiosare e a godere della loro intimità, quello era veramente grave e umiliante per il suo decoro da militare e se ne rammaricava molto. Ma a quel punto non serviva pentirsi, si sentiva un animale braccato e sconfitto. Alla fine esplose in un pianto dirotto. Mauro gli passò il braccio attorno alla vita senza pronunciare una parola. Dopo un momento Stefano si girò e abbracciò fortemente i due amici che lo stavano baciando sul viso bagnato dalle lacrime e grondante di sudore. Poi Stefano esplose quasi urlando, sbottò ai due compagni al suo fianco: < Perdonatemi ragazzi, io... volevo rubare un poco del vostro amore. Mi sentivo mancare e scoppiavo nella solitudine, nell’impossibilità di amare anche io un poco. Perdonatemi se ho osato tanto... > Mentre Mauro tentava di dire qualcosa e alla fine ci riuscì: < Ti prego Stefano, non giudicarci dei malvagi pervertiti omosessuali, che pensano solamente a godere fregandosene dei sentimenti altrui. Quantunque, quello che abbiamo detto di là, su di te prima, è la verità! Ma con ciò non è detto che tu la debba esaudire apertamente i nostri pensieri e desideri. Sia ben chiaro! Tu, comprendi il nostro dramma Stefano. Vero? > 174 Mentre da parte sua Stefano, era sempre più scosso da convulsioni e singhiozzi di tensione e rabbia, più con sé stesso che con gli altri, alla fine riuscì ad affermare di aver capito muovendo soltanto il capo. Mentre Mauro cercava di esporre la sua opinione senza false ambiguità, dicendogli pacatamente: < Sì, è vero! Noi siamo amanti... Ma tutto questo è stato, ed è incominciato giorni addietro, per frapporre qualcosa di vero e tangibile al sudiciume che mi avevano messo addosso... Insomma, per farla breve. Io sono stato violentato, sodomizzato per bene, da... da quattro individui libidinosi. Oltre che aver ricevuto un sacco di botte da farmi perdere la memoria sul mio passato... > Mauro faceva molta fatica a ripercorrere quei momenti drammatici, ma capiva che doveva farlo; oltretutto se ci riusciva era anche per il bene suo, a superare quella dura prova. Anche Andrea confermò quel fatto, dicendo a sua volta: < Io l’ho visto com’era sconvolto e amareggiato della vita per quell’umiliazione subita, ma al tempo stesso tenace a volersi togliere d’addosso quel lezzo infame. > Mentre Mauro riprendeva a dire: < Sì, è vero. E devo ringraziare lui, > rivoltosi ad Andrea con un sorriso, poi riprese: < E lui sta cercando con il suo amore di cancellare dal mio corpo e dalla mia anima, ciò che mi hanno lasciato dentro quei maiali. D’altronde, è inutile che cerchi una scusante per ciò che abbiamo fatto e detto prima. Forse è soltanto una nostra forma di egoismo, nel voler arraffare il più possibile, affetto e amore, tutto questo è soltanto un diversivo. Perché, sappiamo più che bene entrambi che forse molto presto dovremo morire e allora volevamo godere ancora un poco della vita. Forse è un modo sbagliato ma, al tempo stesso abbiamo per caso scoperto l’amore. Capisci ora, il perché di tutto questa sporca storia? Ecco, ora sai tutto Stefano. E adesso, se vuoi puoi prenderci anche a calci in faccia, se questa nostra omosessualità nata così per caso e in circostanze così avverse, ti potrebbe infastidire e sconvolgere tanto. > Per un lungo momento erano rimasti in silenzio, aspettando che il giovane poliziotto dica qualcosa, almeno che li mandi al diavolo entrambi. Poi, alla fine Stefano con voce roca e tremante dall'emozione rispose ai compagni in attesa. < Sinceramente, faccio molta fatica a capire. > borbottò Stefano tra le labbra, assai confuso. < Ma cosa importa con chi fai l’amore se lo fai veramente con il cuore e con l’anima. E ciò che ho visto prima, era amore vero e non fasullo. Prendetemi con voi, l’ho desidero tanto in questo momento, ragazzi. Desidero il vostro amore! Desidero essere baciato tutto, come dicevate prima e di baciare a mia volta voi, vi prego, fatelo? > 175 E negli attimi successivi si trovarono tutte tre stretti e avvinghiati in un’unica cosa sola, mentre nell’aria si formò un grande silenzio premonitore di grandi eventi. Si sentiva soltanto dei respiri anelanti, ma di più erano accentuati i battiti dei loro cuori in un grande subbuglio, che si trasmettevano in quel contatto di corpi sudati e eccitati. Così appiccicosi e mescolati tra loro in un nuovo e sconcertante piacere. Poi, un fulmine che si abbatté a pochi metri dalla casa, seguito in contemporanea dal grande botto secco dello scoppio, li fece serrare più strettamente tra loro, in quel attimo di paura abbagliante. A quel punto non servirono scusanti in parole, ma soltanto seguire la via che indicava i loro cuori. E senza nemmeno saperlo si trovarono distesi su quel letto dei desideri auspicati, sudati e spogliati di ogni cosa o pensiero remoto, dove solo il loro reciproco amore si stava concependo. Mentre si stavano rimirando a vicenda con bramosia e voluttà, sembravano dei dell’olimpo nel fulgore della loro bellezza e la loro epidermide levigate dal sudore brillavano sfolgorante alla luce di quei lampi impetuosi e contendenti tra loro. Il vento s’insinuò turbinando nella casa e fuori incominciò a diluviare. Mauro fu il primo ad uscire da quel torpore di lussuria e bofonchiò qualcosa ai compagni. < Restate pure tranquilli, io vado a chiudere le imposte. > e si alzò deciso, mentre una smania di dolcezza l’invase accarezzando i compagni. Poi lì guardò ancora un attimo mentre s’allontanava da loro e si rese conto di essere felice in quel momento così magico. Loro due si erano avvicinati e si baciavano dolcemente con trasporto. Mauro in quel momento capì che quelle effusioni non l’infastidivano affatto, anzi ne gioiva per loro, perché sapeva più che bene che si trovava ancora platonicamente tra loro. Mauro stava fissando l’imposta della finestra nella camera che sbatteva, quando qualcosa attirò il suo sguardo e richiamò la sua attenzione. Vide la piccola luce di un accendino che brillò nell’interno di un’auto oltre la strada, infilata un una stradina di campagna tra due filari a siepe di Acacie. E in quel momento pensò che forse era una coppia d’innamorati che si era appartata a pomiciare. Poi improvvisamente un fulmine illuminò la vettura, e Mauro gli sembrò di notare che all’interno dell’auto scura vi era più di una persona, sebbene lo scrosciare dell’acqua era intenso e forte. Perciò, provò a farsi delle stereoscopiche congetture, era impossibile? Non potevano essere due amanti, o quella sera tutti facevano all’amore in tre, come loro, appena prima. Era veramente paradossale? Ma al tempo stesso 176 pensò anche alla sorveglianza della polizia che di nascosto vegliava su di loro. Comunque, si ricredette di quella supposizione, immaginando che la polizia italiana non adoperi vetture di lusso, per fare degli appostamento come in quel caso e gli scappò di dire a voce alta: < Mi sembra impossibile! > sbottò inavvertitamente. Mentre alle sue spalle la voce di Andrea gli domandava. < Cos’è impossibile Mauro? > Mauro per evitare spaventi inutili al momento, rispose deciso: < Mi sembra impossibile, che faccia ancora così tanto caldo. > e chiudeva la finestra, mentre dentro di sé, incominciava a sentire dei brividi gelati che percorrevano il corpo. Mentre stava accentuando quella sua sensazione di pericolo, mettendolo sulle difensive. Per un momento gli sembrava che era passato molto tempo, da quando aveva subito quella violenza e aveva ucciso quei criminali, ma ora di colpo tutto riaffioravano velocemente a galla, capendo che ormai si apprestavano a pareggiare i conti. Poi cercò di pensare a altro, perché non voleva in quel momento di per se romantico, fosse guastato da un’altra disgrazia e sapendo più che bene, che quel bel sogno d’amore appena concepito, non si sarebbe mai più ripetuto in futuro. Perciò non intendeva sciuparlo. Ma al tempo stesso sentiva crescere in lui quell’orgasmo d’apprensione che lo metteva a disagio e essere guardingo contro tutto. Ormai sapeva, che fin quando avrebbe seguito il suo istinto a fiutare il pericolo in tempo, forse si sarebbe salvato e con lui anche Andrea, questo era ormai scontato. Mauro a quel punto pensò ch'era meglio lasciare da parte il divertimento e pensare più seriamente al presente e all’avvenire se voleva campare un po’ più a lungo. Così, usci dalla camera e si avviò nel salotto per controllare quell’altra finestra e a sistemarla con i chiavistelli. Alla fine voleva quasi dire a Stefano che c’era qualcosa di sospetto la fuori, ma tornando in camera, trovo che i due amici erano intenti in un dolce approccio fatto di baci e carezze, che non volle sciupare quel momento. Con qualcosa che magari era soltanto un’avvisaglia di un buco nell’acqua. Pertanto, disse solamente ai due compagni. < Ragazzi, io vado un momento di sotto in casa della signora, a vedere se è tutto chiuso, altrimenti con l’acqua che viene giù adesso si allagherà la casa. > E velocemente uscì, nudo com’era e si buttò sotto quell’acquazzone che lo investì furiosamente. 177 Capitolo Ventiquattresimo Mauro fu obbligato ad afferrarsi alla ringhiera per non scivolare sui gradini a piedi nudi, mentre l’acqua gelida gli sferzava la pelle, facendogli scuotere di dosso ogni pigrizia rintanata. Scivolò giù per le scale silenzioso e deciso, cercando di riordinare per bene le idee in testa. Mentre il vento e l'acqua lo scuotevano con violenza da fermare quasi il respiro, oltre che annebbiandogli la vista. Mentre tentava di ripararsi gli occhi con le mani e alla fine giunse accanto alla porta di ferro. Stava per aprirla per guardare fuori se quell’auto era ancora al suo posto. Quando sentì fra lo scrosciare d’acqua, il rumore di un’auto che s’avvicinava alla casa a fari spenti. Mauro ebbe un momento di panico a non saper bene cosa fare, poi aspettò un attimo ancora e ascoltando i rumori all’esterno. Ma gli era difficile capire in mezzo a quel diluvio universale. Senti sbattere la chiusura di due portiere d’auto e a quel punto capì, che qualcuno sarebbe venuto a bussare molto presto. Mauro velocemente s’infilò nel sottoscala e al tempo stesso fu contento che aveva dei fori sotto i gradini, così poteva vedere chi entrava dalla porta di ferro che dava in strada; ammettendo che sarebbero entrati da quel lato con le chiavi per aprirla. E proprio in quel momento senti girare la chiave nella serratura rumorosa e aprirsi di colpo la porta cigolante. Due ombre entrarono nel cortile, proprio mentre un fulmine illuminò i due nel vano della porta. Mauro fu sorpreso ma, allo stesso tempo ebbe un momento di sollievo vedendo il tenente Narduzzi richiudere la porta. Rammentando che solo la polizia poteva avere avuto le chiavi dalla signora Prospero. Il tenente era accompagnato da un uomo alto e corpulento con un cappellaccio in capo che lo riparava dall’acqua. Mauro osservando quest’ultimo che non conosceva per niente e ebbe un perplesso dubbio. Lì vide entrare e portarsi contro il muro per ripararsi un poco dal temporale. Erano tutte due in borghese e Mauro stava quasi per uscire e chiedere se avevano visto quell’auto appostata nella stradina di campagna. Ma la voce sommessa e decisa del tenente, lo fece fermare bruscamente ad ascoltare ciò che diceva all’altro, quatto, quatto, da insospettirlo alquanto. < Tu rimani qui. Occhi aperti e non farti scappare nessuno, intesi! > < Non ti preoccupare! Tu fai solo presto, sai che verranno a prenderci la merce tra un’ora. E io non voglio finire in fondo al mare con una pietra al collo, se qualcuno sbaglia ancora e non consegniamo la merce al posto 178 giusto. Hai capito bel tenente! > mormorò quell’altro con voce baritonale. < Stai tranquillo! Io salgo e mi farò dire da quei bastardi la sopra dov’è nascosta la valigia? Sono sicuro che è nascosta bene, qui da qualche parte. > Borbottò Narduzzi mentre saliva rapidamente le scale. Mauro maledì la sua scempiaggine, a non aver capito prima in quella sua repulsione per quel bastardo di Narduzzi. Era lui la talpa ricercata? M’ha, a quel punto cosa poteva fare? Aspettare che ammazzi a sangue freddo quei due di sopra, che in fondo non sapevano proprio niente, oppure tentare il tutto per tutto? Mentre si agitava come una belva in gabbia a cercare una soluzione che in quell’attimo non gli veniva per niente fuori. Mauro era ancora sotto shock di quelle frasi appena sentite ma, non voleva per nessun motivo restare lì e aspettare che Narduzzi lì ammazzi come cani. E pensò che forse avrebbe avuto un poco di tempo in più a disposizione per agire, mentre Narduzzi aspettava che Andrea si decida a parlare, indicando dov’era nascosta la refurtiva. Soltanto che lui al momento non poteva intervenire con quel gorilla appoggiato al muro e sistemato sui primi gradini della scala e con un cannone in mano pronto a sparargli contro, se solo si muoveva. Poi un lampo illuminò quel sottoscala e Mauro vide di sfuggita un badile appoggiato al muro. Fu così veloce e deciso che non capì nemmeno lui com’era successo. Afferrare quell’arnese e uscire di scatto, vibrandolo con forza sulla fronte dell’altro, ed è stato tutt’uno l'impatto. Mentre l’energumeno, aveva ancora lo sguardo rivolta verso l’alto, a guardare la porta dov’era entrato in quell’attimo il tenente Narduzzi. Ebbe solo il tempo di sbarrare gli occhi e poi si udì uno scricchiolio di ossa rotte, mentre quello cadeva a muso sotto nel cortile, rimanendo mezzo sepolto da un buon venti centimetri di acqua piovana. Soltanto che nell’impatto piroettò su sé stesso e l’arma che teneva in mano gli volò lontano e sparì al centro del cortile pieno d’acqua. Mauro capì subito che gli era impossibile recuperare quell’arma velocemente. Allora pensò di correre sopra e poter arrivare in cucina prima che il tenente s’accorga di qualcosa, e recuperare la pistola di ordinanza di Stefano lasciata appesa alla sedia. Corse su velocemente, con la paura nel cuore di arrivare troppo tardi, per salvare quei compagni di sventura. Fece tre gradini alla volta e due volte scivolo con i piedi scalzi sul granito bagnato, mentre imprecava furiosamente tra sé, infine arrivò alla porta rimasta socchiusa e sperando che in quel momento non ci fosse un lampo da illuminarlo per bene. Riuscì ad entrare silenzioso nel corridoio, in quel momento buio pesto e cercò di mettere a fuoco la sua vista, perché oltre al 179 buio aveva tutta l’acqua che gli colava dalla testa annebbiandogli la visuale. Poi, con circospezione si portò rapidamente verso la cucina, evitando di scivolare sulle mattonelle che lui bagnava gocciolando in abbondanza. Mentre era attento ad afferrare ogni piccolo rumore, sentì chiaramente fra i tuoni e lampi due, Pluf! Pluf! Spari attutiti dal silenziatore provenire dal salotto. Mauro imprecò tra i denti e cerco di raggiungere la cucina, prima che Narduzzi esca dal salotto. Ma al tempo stesso Mauro sperava che al buio, quello avesse sparato a delle ombre sul divano vuoto e non veramente a qualcuno. Riuscì a trovare la sedia dov’era appesa la fondina, prese di volata la pistola di Stefano, mentre sentiva delle imprecazioni provenire probabilmente ora dalla camera da letto e lui, ritornò rapidamente in corridoio rasentando il muro e accanto alla camera si appostò meditando in fretta. Mentre imprecava tra sé e sé, per avere ancora una volta un’arma in mano, e essere costretto ad usarla nuovamente. Tra un lampo e un’altro Mauro riuscì a vedere dal riflesso sul vetro della porta l’interno della camera. E ciò che vide e sentì non gli piacque affatto. Il tenente era entrato e si era messo con le spalle alla finestra per non essere abbagliato dai fulmini nel tenere tutto sotto controllo anche la porta, mentre apostrofava sgarbatamente contro i due sorpresi nudi e abbracciati a letto: < M’ha, guarda un po’, ‘sti fetosi culattoni! > sbraitò Narduzzi beffardo. < Allora di là era quel culo rotto del Rossi che ho sistemato per sempre... Be ‘ poche storie dov’è la merce signor Prandi? > stava domandando Narduzzi ai due spaventati a morte, mentre loro tentavano di coprirsi un poco con il lenzuolo. Ma al tempo stesso anche il tenente era sorpreso e incazzato per aver già sbagliato a supporre. Mentre Stefano tentava di chiedergli delle spiegazioni: < Ma, tenente! Cosa fa’ e perché ci punta addosso quella pistola? Cosa vuole da noi? > < Tu fai silenzio, sei già morto! > e sparò un colpo, colpendo la mano 180 del sergente, che urlò dal dolore: < Che bastardo figlio di puttana! Allora siete voi la talpa che si cercava in questura... Ohi! > Mentre il tenente lo ignorava e continuava a impartire ordini ad Andrea, urlando con rabbia: < Questi sporchi culattoni!... Be’, poche storie, dov’è nascosta la valigia? Parla! Ho vuoi che oltre la mano gli faccio saltare le cervella al tuo amante? beh’, che schifo ‘sti froci! E pensare che prima di là, quando ho sparato supponevo ch’eri tu Nardelli del cazzo! Mi sei sempre stato sui coglioni! E invece ho fatto secco quell'avvocatuzzo di merda! Quel Rossi era soltanto uno stronzo sbruffone. Lui e i suoi cavilli giuridici... Be’, ci vogliamo sbrigare a parlare stronzetto! Dove hai nascosto la merce, parla? Cullatone di merda! > mentre agitava la pistola con nervosismo e aveva gli occhi rossi di collera. Andrea, era rimasto muto e spaventato sino a quel momento, poi spronato dal tenente rispose dicendo confusamente: < Ma di che merce e valigia parla... io non ne so niente? > A quel punto Mauro capì che era soltanto questione di secondi e poi quando Narduzzi avrebbe capito che lui non sapeva proprio niente, e per la rabbia di essere stato bidonato una seconda volta, li avrebbe fatti fuori egualmente. Perciò Mauro, pur avendo di fronte Narduzzi che impugnava una pistola pronto a far fuoco, decise di tentare e si presentò dentro la camera, accendendo la luce di colpo. Mentre teneva la pistola dietro la schiena e rispondeva con finta calma al tenente, rimasto abbagliato dalla luce e stupito di vederselo ancora vivo davanti e per giunta nudo, oltre ad essere tutto inzuppato d’acqua, da sconcertarlo per un attimo a pensare come mai? Mentre Mauro con finta calma gli confermava: < Perché, tenente non lo chiede a me, dov’è finita la refurtiva? E’ quella vero, che cerca per i suoi amici mafiosi siciliani? Oh, magari bidonarli un’altra volta per consegnarla a quel Rottai di merda, suo complice? > Vi fu un attimo d’esitazione, poi un urlo di rabbia uscì dalla gola del tenente che cercò di spostare la mira dai due a Mauro per avere la meglio e obbligare anche quello a parlare. Ma si accorse troppo tardi che anche Mauro era armato e allora premette il grilletto, ma purtroppo un secondo dopo che Mauro gli aveva sparato un colpo decisamente in fronte con tanta determinazione e cinismo. La pallottola sparata dell’arma del tenente si era conficcata nel legno della porta, a trenta centimetri dal giovane Rossi. Al contempo il tenente senza emanare un grido cadeva bocconi sul pavimento e la sua pistola scivolava via, finendo sotto il letto. Tutto si svolse in una 181 frazione di secondo, frammisto al frastuono che incombeva fuori da far tremare anche i muri, fra tuoni e saette, sembrava veramente giunta la fine del mondo. Stefano tutto spaventato e smunto in viso, si stringeva la mano sanguinante, la pallottola gli aveva lacerato la carne sotto il mignolo sinistro; per fortuna senza toccare le ossa, mentre si stava ancora domandando il perché: < Ma cosa gli ha preso quello...? Io ho lasciato la mia pistola in cucina... Ohi, oh! Che male! > si lamentava il giovane poliziotto in quella confusione di paura e terrore di aver visto la morte davanti agli occhi. < Ma proprio lui? Cazzo! Cosa ci sta’ capitando? > farneticando in continuazione senza fermarsi un attimo. Mauro, si riprese subito da quel dramma, pensando anche al dopo e che senz’altro c’era qualcun'altra persona sull’auto e perciò doveva sbrigarsi a controllare. Perché se avrebbero sentito qualcosa, sarebbe stato poi, difficile sfuggire alle grinfie della mafia. Ma comunque la guerra era iniziata e bisognava ormai continuare la battaglia, in quella partita disputata per la sopravvivenza. Perciò con determinazione prese in mano le redini della situazione, dicendo ai due spaventati a morte e dovette quasi urlare per farsi ascoltare: < Dai, Andrea! Vai di la in bagno a prendere delle bende per fasciare la sua mano, ma non accendere la luce, intesi! Dopo vi spiegherò tutto, ma ora state buoni e zitti, capito! > Mentre accendeva l’abatjour e spegneva la luce in alto. < C’è di sotto ancora qualcuno che ci aspetta per farci fuori. Perciò, fate quello che vi dico e nient’altro, intesi! > sbottò deciso. Mentre Andrea andava di là senza fiatare e Stefano asseriva con il capo, rincretinito da quel dramma appena vissuto. Mauro si era abbassato a recuperare la pistola del tenente, quella aveva il silenziatore e gli poteva servire meglio, mentre controllava il caricatore s’era pieno e si sentiva abbastanza preoccupato per quel suo sangue freddo, ad agire così, con distacco e determinazione. Poi tralasciò quei pensieri inutili in quel momento e si dedicò ai due amici sconvolti tremendamente. < Stefano, ti prego stai calmo. Appena Andrea ti avrà fasciato la mano vestitevi, senza far rumore, capito? Io scendo da basso e speriamo che abbia ancora un po’ di culo, per non dire fortuna... > mentre Mauro spariva nel corridoio rapidamente. Poi mentre infilava la porta d’uscita, sentì solamente l’ultima frase di Stefano che spronava Andrea: < Dai fai presto per favore... mi sto’ dissanguando tutto! > piagnucolò spaventato. 182 Mauro nel frattempo era scivolato giù per le scale come un avvoltoio, ormai troppo carico di rabbia e disgusto di sé stesso. A quel punto non gli importava più niente, anche di morire pur di farla finita una buona volta per tutte. Pensando ancora, se era veramente giusto quello che aveva fatto e stava per fare in quel momento, ammazzare la gente? Gli sembrava di rivivere in uno di quei film gialli alla Hitchcoct dove lui, nolente o no, era l’interprete principale. Ma era arrivato alla porta di ferro e tutti quei pensieri svanirono via, rimanendo soltanto da fare il suo dovere da buon cittadino. “Ma era poi vero?” si domandò restio. Poi scacciò dalla mente quella prosopopea teatrale e si concentrò sul da farsi. Aprì lentamente la porta e sbirciò fuori. L’auto era stata parcheggiata a ridosso il muro della casa già girata e pronta per partire, avvolta dall’acqua che scrosciava giù a più non posso. All’interno Mauro intravide una persona che si stava fumando una sigaretta tranquillamente. Mauro pensò che con quel temporale e con i vetri chiusi non aveva sentito proprio niente e senz’altro, quello era più che sicuro del lavoro fatto dai suoi complici. Mauro a carponi si avvicino cauto all’auto per non essere visto dal guidatore della vettura. Poi, afferrò la maniglia della portiera e la spalancò di colpo, prendendo alla sprovvista l’autista che si stupì facendogli cadere la sigaretta dalla bocca. Mentre Mauro gli puntava la pistola alla tempia, dicendogli con una tonalità decisa, per non dire arrabbiata: < Non fare una mossa o sei morto! > e quello desistette nell’abbassarsi e prendere senz’altro un’arma sotto il sedile. Poi Mauro, con determinazione domandò: < Non fare il furbo, amico! E rispondi chiaramente e alla svelta. Chi è che vi manda? > mentre gli pressava la pistola alla tempia. L’altro tentava di girarsi verso di lui, mostrando un ghigno strafottente a dimostrare che non era per nulla spaventato. Forse già abituato a certe cose nel suo mestiere da killer. Poi visto questo tutto nudo e bagnato, con la sola pistola in mano, gli scappò quasi da ridere, in un ghigno sadico e malvagio. Avendolo al tempo stesso riconosciuto e in fine, motteggiò Mauro: < Ma tu cosa centri e cosa fai in questo posto? Poi, vai sempre in giro nudo, per farti rompere ancora un’altra volta il culo. Già rotto da noi sull’autostrada? Peccato che ho dovuto smettere sul più bello per l’arrivo della pula... Però che spasso incularti stronzetto... > ma non finì la frase, perché Mauro ebbe un impeto di rabbia, e gli mollò un tremendo colpo in faccia con il calcio della pistola, facendolo urlare e sanguinare, mentre lo minacciava: < Questo è solo l’anticipo per aver banchettato con il mio culo, chiaro! E se ti può schiarire le idee a non fare il fesso con me. Devo 183 farti presente che i tuoi quattro compagni di banchetto, lì ho ammazzati io. E se non parli li seguirai al più presto, mi sono spiegato? > ma al contempo si obbligò a calmarsi, prima voleva qualche informazione in più. Mentre capiva e si rammaricava, venendo a sapere che in quella serata balorda erano in cinque a divertirsi col suo sedere. Poi decisamente gli riproponeva la domanda, sorvolando per il momento la spiritosa battuta dell’altro povero deficiente ignorante. < Ora muoviti a parlare. Se ti stanno a cuore i tuoi gioielli tra le gambe? Che ne dici, se te li spappolo e poi, te li faccio ingoiare? Rispondi! Chi vi ha mandato qui? > E l’altro alla fine più che mai convinto, rispose: < Anche se te lo dico, non ti servirà a nulla. Ti troveranno ovunque e allora non ti spaccheranno soltanto il culo, ma del tuo corpo si faranno un bel tappeto per la stalla... > < Tu non ti preoccupare del dopo, e di chi cercherà di spaccarmi il culo ancora! Ora prova a sputare dei nomi, sai che non ho molto tempo da dedicare a te. Se non vuoi ingoiare le tue palle, chiaro? > Dopo un attimo di esitazione, quello riprese a dire: < E’ mister Boston a voler la sua merce e tu c’è la darai bastardo! Te e il tuo avvocato di merda, quel Rottai... > mentre sputava sangue dalla bocca e continuò a dire: < E non ti servirà a nulla scappare ti ammazzeranno come un cane! > < Vedi, io gli darei la merce. Ma chi mi assicura che poi voi, non mi darete la caccia? E dimmi un po’ cosa centra Narduzzi in questa storia... lasciami indovinare è uno che tiene i piedi in due staffe, vero? Mentre gli pressava la pistola sul viso, a convincerlo di quella presenza metallica. Infine quello disse, mentre lo rimirava per bene, Mauro sotto l’acqua che veniva giù a più non posso: < Perché, tu l’hai già sistemato per le feste quel lecca culo di merda, vero? Però sei svelto di mano e ci hai levati uno stronzo di torno, ci faceva soltanto comodo perché era dentro la questura. Ma faceva troppo bene il doppio gioco... Be’ che ne dici, vuoi venire con noi “gli intoccabili” qui pagano bene e un tipo svelto di mano come te, fa molto comodo a mister Boston... > mentre cercava di essere più pratico e consenziente. Poi aveva notato che Mauro si era un attimo distratto a pensare e con l’acqua sugli occhi, quello cercò di prendere la pistola sotto il sedile e quasi c’era riuscito ad averla in mano, ma Mauro fu più veloce. Partire un colpo solo e quello si accasciò sul sedile, mentre un rivolo di sangue gli usciva dalla tempia sinistra forata dal proiettile. 184 Mauro richiuse lo sportello e come un automa ripercorse il percorso in senso inverso, entrò in camera e trovò Stefano seduto sul letto mezzo vestito, con la sua pistola nella mano sana e pronto a far fuoco dalla tensione e shock che aveva addosso. Mentre Andrea seppur spaventato era un po’ più sveglio e loquace, e terminava di fasciargli la mano ferita e gli parlava per confortandolo un poco. < Non ti preoccupare, vedrai che andrà tutto a posto, il commissario capirà la situazione e... > < Proprio un bel niente capirà! > sbottò Mauro. < Lui è dentro fino al collo! Per favore Stefano abbassa quel cannone, sei troppo scosso e potrebbe scapparti un colpo. Comunque, vi spiego velocemente il perché lui è fregato. Per il semplice fatto che in questura Narduzzi, avrà senz’altro sistemato per bene tutte le cose, per incastrarlo a dovere... > mentre indicava con la mano il giovane ferito. < Stefano risulterà sicuramente la talpa, che estrapolava fuori le notizie riservate dalla questura. E tu Andrea eri quello che seguivi quelli sull’autostrada e poi hai fregato la loro merce come complice di altri. E quel figlio di puttana di Rottai, senz’altro sa tutto di noi e avrà predisposto un suo piano in caso di guai diversi. Perciò a questo punto siamo un po’ tutti inguaiati. Nella merda! E poi ora c’è anche il fatto che proprio con la sua pistola, io ho sistemato quel testa di cazzo! > indicando il cadavere del tenente. < Perciò, dalla perizia balistica, risulterà che tu lai fatto fuori, perché sei stato scoperto dal tenente. Tu eri in combutta con la mafia siciliana. Sei la Talpa. Chiaro ragazzi! > < Chiaro un bel niente? Io non ci capisco proprio niente, > sbottò Stefano sempre più stupito. E continuò: < Ma, tu Mauro allora cosa centri in tutti questo casino, che sinceramente non riesco a capire un accidenti, oltre le stronzate, che mi aveva riempito la testa Narduzzi? > mentre lo indicava la a terra con ribrezzo, tentando di non vederlo. < Caro Stefano, > lo sollecitò Mauro. < Io sono il cattivo di tutta la faccenda. Sono quello che ha sistemato quei quattro dell’Alfa 164, e Rottai questo l’avrà supposto, scoprendo che i suoi uomini sono stati ammazzati tutti... > e vedendo che Stefano sgranava gli occhi, si spiegò meglio. < Io ho ammazzato quei quattro killer, mentre quelli stavano per giustiziare lui, Andrea, il testimone scomodo... > e Andrea approvava con il capo e si stava sbiancando in viso al solo pensiero. Poi Mauro cercò di spiegare e riassumere velocemente tutta la questione. < Comprendete ora ragazzi, come siamo inguaiati per bene tutte tre. E ora abbiamo anche questi tre cadaveri da far sparire al più presto? > < Come, tre cadaveri? > chiesero quasi in coro Stefano e Andrea. 185 < Già, tre! Con il tenente c’erano altri due mafiosi e purtroppo li ho sistemare a dovere... E ora bisogna escogitare un piano velocemente, se vogliamo salvarci la pelle? E non scherzo, ragazzi! Dobbiamo alzare le chiappe e alla svelta, senza lasciare traccia a chiunque. > < Ma se spieghiamo per bene tutta la storia al commissario Rizzi, quello capirà e ci aiuterà in qualche modo? > contestò Stefano confuso e tutto tremante. < Capite, bisognerà fare in questo modo, fidarsi della giustizia. Narduzzi a tradito il corpo di polizia... > < Sì, ti capisco Stefano. Il tuo ragionamento fila. Ma Narduzzi ti ha incastrato, poco ma sicuro. E devi anche pensare che quelli della mafia siciliana e precisamente quel mister Boston, non la pensano a questo modo. E oltre a voler la loro merce vogliono vederci morti per avergli rotto le palle e ammazzato i suoi killer. E lo sapete più che bene che chiunque per un pugno di soldi ci farebbero secchi con piacere, mi sono spiegato! Quelli non mollano anche se ci troveremmo sotto la protezione della polizia. Sperando che ci credano prima? > Mentre Mauro si stava vestendo continuava a parlare. < Comunque vada a finire la questione, ragazzi noi ci lasceremo la penne, così si vuol dire. E se voi avete fiducia in me, io avrei una piccola soluzione per salvarci la pelle? Ma comporterà un enorme sacrificio da parte nostra. Se siete disposti ad accettare le conseguenze, si potrà fare. Altrimenti a questo punto so’ per certo che saremo vittime delle circostanze. E non per fare l’uccello del malaugurio, ma è la realtà incombente. A questo punto sta’ a voi decidere, io non discuterò e fiaterò la vostra proposta, qualunque essa sia. > Vi fu un momento di esitazione e poi sia Andrea che Stefano si guardarono in viso e risposero convinti: < Okay, siamo con te! Che vada a finire come vuole. Tentiamo la sorte, se vogliamo vivere ancora un po’. > < Va bene ragazzi! Ma ora sbrighiamoci e vestitevi alla svelta e aiutatemi a trasportare Narduzzi, assieme ai suoi due complici e poi me la sbrigo io a portarli lontano, perché, da quel che ho sentito questi avevano un appuntamento con altri sicari per consegnare la merce. > < M’ha, a proposito, > sbottò Andrea chiedendo. < Di che valigia stava parlando quello? > indicando Narduzzi con una certa repulsione. < Quella valigia, piena di droga... > spiegò Mauro mentre frugava nelle tasche del tenente morto e recuperò un caricatore di proiettili e una busta contenente dei fogli scritti a macchina. E al momento se li mise in tasca pensando di leggerli più tardi. E continuò a dire ai due che aspettavano una risposta. < La valigia c’era, ma non la droga, dentro vi era 186 soltanto dollari sonanti, capito! E con quelli ci potremo pagare una lunga vacanza all’estero, d’accordo fin qui, ragazzi!? > mentre quelli inebetiti da quella sorpresa muovevano la testa confusamente. Mauro si caricò sulle spalle Narduzzi e si avviò all’auto, seguito da Andrea. < Dai, apri la portiera dietro... > chiese all’amico tutto spaventato. Mauro sistemò il tenente e si fece aiutare a spostare quello al volante e ritornarono a prendere l’altro in cortile. Andrea reggeva l’uomo per i piedi, mentre vomitava di lato anche l’anima e Mauro con decisione cinica lo spronava a reagire. < Guarda che per me non è un gioco. Anche se l’ho dovuto fare ancora per salvarci la pelle a entrambi, mi ascolti? So che è aberrante questo modo, ma se vogliamo vivere ancora un poco, dobbiamo lottare avanti. E per sopravvivere dobbiamo stringere i denti e continuare. Ti capisco più che bene… Ahh! Merda, merda!.. Che casino è saltato fuori! > < Sì, hai più ragione Mauro, ma è più forte di me... > rispose a fatica Andrea inzuppato d’acqua fino al collo. Prima di andarsene Mauro aveva dato istruzioni più che precise ai due amici, ch’erano più che mai sconvolti. < Io porterò lontano questi cadaveri e torno subito. Mentre voi state calmi e tranquilli e non usate o rispondete al telefono in nessun caso e non accendete la luce. Tutti devono pensare che stiamo dormendo. E meno male che questo temporale è capitato di proposito, Okay, allora io vado! Mi raccomando. Calma! > Loro acconsentirono muovendo solamente il capo. Poi Stefano disse preoccupato, mentre Mauro stava mettendo in moto l’auto. < Mauro, non sarebbe meglio che veniamo anche noi? Potremmo aiutarti! > < No, è troppo rischioso! Poi potrei imbattermi con la polizia o quei mafiosi che vogliono romperci il culo... E a questo punto io l’ho già rotto. Dai non temete, andrà tutto bene! Tuttalpiù se m'imbatto nella polizia o carabinieri sono io l’unico responsabile, d’accordo? Ah, dimenticavo, invece dovreste cercare la pistola dell’altro mafioso al centro del cortile. Non dobbiamo lasciare delle traccia che potrebbero comprometterci oltre. Anzi, cercate di lavare via quel sangue sparso per terra in casa. Ok! Io vado... > e si avviò il più silenziosamente possibile a fari spenti. 187 Capitolo Venticinquesimo Mauro stava guidando con un paio di guanti casalinghi, per evitare di aumentare le impronte su quell’auto mafiosa, mentre stava mugugnando tra sé nel cercare di pianificare le sue idee. Pensando se avesse predisposto al meglio ogni cosa. Poi sperava che la fortuna rimanga ancora un po’ rivolta verso di loro, ne avevano veramente bisogno tutti quanti. Ad un certo punto notò dei fari d’auto dietro di sé, incominciando a preoccuparsi. Li aveva dietro da un buon cinque minuti, ma non tentavano di avvicinarsi troppo e quel fatto lo insospettiva parecchio. Arrivato ad un bivio, Mauro sterzò deciso e s’infilò dentro a una strada di campagna oltre il ponte di un torrente che costeggiava la statale. A un centinaio di metri si fermò sulla sinistra, spense tutto e scese dall’auto sotto quel diluvio d’acqua, mentre trascinava al posto di guida l’autista morto. Poi, scivolò giù per la scarpata e lato della strada e si trovò nel fossato con più di mezzo metro d’acqua piovana dentro. Tentò di ritornare verso il ponte appena superato, camminando a fatica in quella fanghiglia che correva anch’essa verso il torrente più avanti. Aggrappandosi agli sterpi Mauro riuscì a non farsi trascinare dalla corrente che s’immetteva nel torrente in piena. Poi s’infilò sotto l’arcata del ponte, fradicio di acqua e fango, mentre l’auto che lo seguiva, aveva già svoltato anch’essa sopra di lui e si era fermata proprio dietro alla Mercedes nera. Mauro aveva fatto appena in tempo ad abbandonarla un momento prima. Il suo intuito non mentiva. Per fortuna Mauro, trovò un cornicione largo mezzo metro, che percorreva sotto l’arcata del ponte e camminava a livello dell’acqua turbolente del torrente in piena; provocato da quel temporale che ancora imperversava e non la smetteva di piovere a dirotto. Mauro percorse velocemente quel passaggio e si trovò dall’altro lato della strada di campagna e di corsa faticando nel fango del prato, ritornò in dietro, arrivando presumibilmente all’altezza dei veicoli fermi. Risalì sulla scarpata opposta di un paio di metri, si appiattì e osservò i movimenti dei nuovi venuto. Due persone armate di mitragliette erano già scese da una Mercedes bianca, mentre il terzo era rimasto al volante dell’auto. Dopo un momento di controlli a distanza, quei due senza avvicinarsi troppo all’altra auto, incominciarono ad aprire il fuoco sull’auto davanti a loro. E dopo aver scaricato un buon numero di pallottole verso l’interno dell’auto, cessarono di sparare. 188 Tutt’intorno era ritornato il silenzio, all’infuori del tuono e delle saette in cielo. Poi finalmente quelli si decisero di avvicinarsi all’auto tutta crivellati dai loro colpi e dopo aver aperto gli sportelli e anche il baule dell’auto nera, capirono di non aver trovato quello che cercavano, dal modo che si erano incazzati a morte inveendo contro il tenente morto. A quel punto Mauro aveva compreso che i nuovi killer dovevano prendersi la merce ma non i trasportatori. Ma era altrettanto vero che quelli in quel momento capivano che la refurtiva era ancora in mano agli altri e tutto sarebbe ricominciato da capo. Con la caccia all’intruso più che mai aperta. Dedusse rapidamente Mauro. Ormai incominciava a capire quale gioco si giocava e a quel punto lui doveva giocare la sua ultima carta che gli era balenata in mente in quel momento. Mentre si appostava meglio di fronte ai suoi contendenti. Si alzo dietro un albero di cespugli d’acacia, che gli sferzavano il viso dal forte vento e acqua. Notò tra quei lampi che saettavano in cielo, che il tizio in auto stava per comporre dei numeri sul cellulare che teneva alto in mano e a quel punto Mauro non esitò a sparargli con la pistola del tenente munita di silenziatore. Prendendo in pieno l’autista e il cellulare assieme, ma il rumore dei vetri rotti dell’auto attirò i compagni che incominciarono a sparare da ogni parte, non sapendo bene di dove provenivano gli spari. Mauro si spostò e prese di nuovo la mira e sparò deciso due colpi consecutivi e colpì il più vicino fermo tra le due auto, che s’accascio come un cencio a terra. Mentre l’altro si era riparato dietro la Mercedes nera e incominciò a sparare verso Mauro. Avendo senz’altro seguito la debole fiammata che usciva dalla pistola con il silenziatore. Mauro si era già spostato, aspettando il momento migliore. Purtroppo il buio e l’auto davanti, non riusciva a individuare il terzo killer siciliano. Mentre quello stava cambiando il caricatore e un lampo illuminò la sua testa oltre il cofano dell’auto, Mauro premette il grilletto tre volte rapidamente e l’altro lanciò un piccolo gemito e poi tacque. Mauro resto un buon momento in ascolto a eventuali altri rumori sospetti, ma sembrava ormai tutto finito, oltre il borbottio del temporale che persisteva ancora. In fine costatò che aveva combinato un altro bel casino. Ma quello che lo stupiva di più, che aveva fatto tutto con determinata freddezza. Senza cercare un’altra scusante plausibile al suo comportamento glaciale. Borbottando a denti stretti: < Meglio loro a questo punto. Se poi dovrò fare l’ergastolano, almeno non sarà per un morto, ma per molti. Accidenti a me! Che figlio di puttana sono diventato. Perdio! Non mi riconosco più da tanto cinismo che ho addosso!? > urlò di rabbia. 189 Mentre dentro di sé, aveva veramente paura di quella sua fredda e cinica determinazione. Ma al tempo stesso pensava che era soltanto per salvarsi la pelle. Comunque, non era giusto che fosse lui a fare il giustiziere a quei killer di professione. Poi tralasciò quei suoi mugugni e pensò a riordinare il suo piano di fuga che in quel momento diveniva ancor più audace, oltre che cinico e spietato nuovamente. Salì sulla strada e si avvicinò cautamente ai cadaveri dei mafiosi e velocemente li controllò e visto ch’erano morti con un bel colpo in testa per ciascuno si tranquillizzò. Si stupì di non sentire sgomento per il suo operato, ma capì d’essere diventato un killer spietato. Stava diventando veramente pericoloso quel gioco. Poi prese quei corpi e con decisione lì caricò nel baule della Mercedes bianca e buttò le armi raccolte dentro all’auto nera, ormai tutta traforata dai proiettili, compreso i suoi occupanti doppiamente morti. Poi mise in mano al brigadiere la sua pistola e infine mise in moto la Mercedes nera e innestò la marcia uscendo di scatto dall’auto. Scivolò giù per la scarpata bloccandosi nel fossato laterale. Rimanendo in parte nascosta dalla visuale. Poi Mauro, salì sull’altra auto, retrocedendo deciso fino alla statale per ritornare verso l’abitazione con il suo carico mortale. Mentre ripensava a tutto quel casino, che in parte lui era l’artefice e il boia, era veramente bestiale quello che stava facendo. Sebbene la solita retorica inscenata per scolparsi da quei crimini eseguiti con fredda logica da manuale. Lui non era un agente segreto e non aveva la licenza di uccidere liberamente, ma a quanto sembra stava diventando una cosa normale. Andando avanti di quel passo avrebbe battuto tutti record mondiali. Poi di colpo esplose con rabbia: < Perdio! Dove sono finito, così spietatamente in basso... Porca puttana!> imprecò disperato. Mauro arrivò sotto casa ch’erano le tre e venti del mattino e grandinava a più non posso, accostò la vettura alla casa e salì le scale di corsa. Andrea era la sulla porta, ad aspettarlo in apprensione: < Cosa ti è capitato Mauro? Oh, dio! Hai un’altra macchina adesso? > Mauro gli fece cenno d’entrare in casa, trovò Stefano seduto in cucina 190 con la mano ferita infilata nella camicia che mugugnava contro tutto, oltre che per il dolore. E sul tavolo c’erano due pistole, la sua e quella recuperata nel cortile. E appena lo vide si precipitò a chiedere: < Be’, allora Mauro, com’è andata? Cos’è successo ancora? > Mauro li guardò per bene e poi disse con fare serio: < Adesso dobbiamo cancellare per bene le nostre tracce. In fretta! > < Che altro c’è adesso? > mugugnò Andrea confuso. < Perché abbiamo altre complicazioni. Ma… forse sarà la nostra maggior salvezza. > espose Mauro deciso. < Ma come? > chiese Stefano preoccupato. Mentre Andrea si guardava attorno e diceva con sospetto. < Qui la mafia ci farà fuori tutti! Senza riguardo per nessuno, adesso... Accidenti, che casino! > < Be’, può anche darsi! Ma se mi ascoltate bene, cosa dobbiamo fare adesso? Riusciremo a farcela di sicuro. > prospettò Mauro. Mentre Stefano diceva preoccupato: < Speriamo bene! Andrea mi ha spiegato tutta la storia, mentre tu eri via. Ora capisco perché Narduzzi ci teneva tanto a questo caso, lui era dentro fino al collo. Quel figlio di puttana! Ecco perché seguiva tutto e... > Ma Mauro lo fermò dicendo a sua volta ai compagni: < Ormai non si può più tornare in dietro. Io, poi ho fatto un’altra scia di cadaveri da far raddrizzare i capelli, persino al miglior santo in paradiso. Pertanto giù di sotto ho altri tre cadaveri che mi sono imbattuto per strada. Insomma mi stavano seguendo e alla fine hanno sparato all’auto pensando di far secchi gli occupanti, gli uomini dell’avvocato Rottai, Narduzzi e compagni. E poi recuperarsi la famosa valigia, ma quando hanno scoperto che non c’era? Hanno tentato di telefonare e allora ho dovuto intervenire rapidamente, per evitare che avvisassero qualcuno che la merce non l’avevano recuperata e noi eravamo ancora vivi. Chiaro?! Avete capito, com’è la situazione ora, ragazzi… > mentre si stava asciugando la fronte e tirò un profondo respiro. Andrea a sua volta gli chiedeva: < Ma tu ai detto che nella valigia era piena di dollari, ma dov’è adesso? Tutti la cercano. Ma non l’hanno trovata da nessuna parte? > commento più che mai confuso. < E’ qui a casa tua! > esclamò Mauro tranquillamente. < Anzi, bisognerà recuperarla, dai prendi un coltello o un cacciavite... Stefano prenderesti quella sacca blu in salotto dietro al divano, ma sempre al buio, mi raccomando. Qui hai una torcia Andrea? Dai, prendila... > < Ma dimmi un po’, > gli chiese Andrea, mentre Mauro incominciava a svitare il battiscopa e le perlinate. < Lì, dietro? Ma quando li hai 191 sistemati qua dentro? Tu sapevi dei soldi e non m’hai detto nulla? > protestò Andrea, ancora stupito, mentre osservava il lavoro di Mauro assieme a Stefano che teneva in mano la torcia a far luce, e l’altro gli rispondeva: < Se l’avresti saputo, senz’altro ti saresti comportato male in questura e magari avresti detto qualcosa da insospettirli maggiormente. A parte che Narduzzi già sapeva la tua targa e con quella era risalito a te e ha escogitato quell’arresto per droga. Ma soltanto che non prevedeva la mia mossa di far sparire la droga nella sacca di Serena e nascondere qui dentro la refurtiva, che lui ed altri credevano ancora fosse droga, chiaro? > < Già, è veramente un bel casino. Pensare che l’abbiamo perquisita a fondo... > sbottò Stefano, mentre apriva il sottofondo della sacca da tennis, seguendo le istruzioni di Mauro e alla fine quando incominciarono a vedere tutto quel ben di dio, tirarono un gran respiro di stupore e un po’ di gioia per entrambi. < Madonna mia, quanta grana! > sbottò Andrea. Mentre sistemavano per bene la refurtiva e Mauro rimetteva a posto le traverse di legno, spiegando ai compagni: < E adesso ragazzi viene la parte più macabra di tutta questa storia? Eh, già!.. Perla miseria! > < Be’, cos’altro c’è? Dobbiamo solamente svignarcela e tutto è a posto. D’altronde non s’è visto nemmeno passare una macchia della polizia qua sotto questa notte. > rispose Andrea. < Magari, se tutto sarebbe così facile. E poi, sai benissimo che Narduzzi avrà fatto in modo di tenere lontano qualsiasi pattuglia, magari facendo credere che era lui a controllare la zona. Ecco è semplicissimo, quando si comanda. Ma devi sempre ricordare che non dobbiamo preoccuparci tanto di fuggire, ma di non lasciare traccia. Chiaro! Perciò dovremo portare su quei tre cadaveri che ho preso con me e metterli qui al nostro posto. Da far credere che siamo noi morti. Ammazzati e poi bruciati qua dentro per cancellare completamente la nostra fuga. > < Come, tu vorresti dar fuoco alla casa di mamma Concettina... No? Non si può fare! > rispose Andrea terrorizzato all’idea di un incendio in quella casa che amava come la sua. < Ascolta bene Andrea, lo so che è dura per te, ma è l’unica soluzione. Perché quelli della mafia sapranno subito che noi siamo morti. Uccisi e bruciati dal tenente e quelli che avevano inviato per prendere la roba dal tenente sono spariti nel nulla. Così cercheranno soltanto quelli e non noi. Giusto! E dato che quei tre sono all’incirca della nostra età, e sono morti ammazzati dalla pistola del tenente, li sistemeremo qui al nostro posto e a uno di loro con a tracolla la tua fondina e in mano la pistola nel tentativo di 192 difesa. Metteremo i nostri orologi ai polsi e la tua catenina al collo di qualcuno più assomigliante e il tutto dovrebbe funzionare. Mi pare che non servano le impronte dentarie a dei cadaveri bruciati. Sapendo già a chi appartengono i corpi e sarà difficile stabilire veramente chi erano prima. Soltanto tre maschi giovani e con tre fori in testa, uccisi nel sonno... d’accordo? > spronò Mauro. < Accidenti! Diamoci da fare. Il tempo vola e speriamo che nessuno abbia notato qualcosa. Questo è l’essenziale, per una buona riuscita. Forse il padreterno ci vuole ancora aiutare con questo temporale, che continua a scaricare giù acqua a più non posso. > Infine un po’ mogi, mogi, decisero di proseguire in quel macabro delitto perfetto. Mentre Andrea mugugnava un poco, per quell’incendio riparatore e Mauro gli spiego brevemente, mentre sistemavano con riluttanza quei cadaveri ai propri posti. < Non devi temere per la signora Prospero e la distruzione della casa. Con lei avevo già prospettato una fuga in questo modo, ma senza tanti cadaveri al nostro posto. E lei fu d’accordo su tutto. Oltretutto non sarebbe più rimasta qui in questo posto senza di te e con dei vicini stronzi soltanto buoni a criticare. Perciò io gli avevo messo in banca sul suo conto un buon gruzzolo, inviato da una caro cugino defunto in America e lei era l’unica erede. Perciò con quella somma si potrà prendere un’altra casa ovunque. E le piccole cose più care, che possedeva del povero marito, li aveva portate con se prima. Comprendi Andrea! > < Però, sei forse un veggente tu, che precedi sempre ogni mossa? Va bene, allora diamoci dentro, accidenti! Che casino! > Avevano faticato a sistemare ogni cosa al proprio posto, e mettendo addosso ai morti pochi indumenti e portandosi via in una sacca i vestiti dei defunti. In fine Mauro prese del cherosene per il riscaldamento dalla cantina e lo sparse per bene in ogni angolo della casa, per evitare che giungano i pompieri e possano salvare ancora qualcosa di compromettente. Quando alla fine Mauro accese un fiammiferi, erano le quattro e trentacinque del mattino e il temporale stava per passare, resto un momento a riflettere. Poi con rammarico lo buttò a terra e subito le fiamme si propagarono rapidamente nell’interno dell’appartamento, poi scese giù di sotto e fece lo stesso in casa della signora Prospero, per aumentare la forza distruttiva dell’incendio. 193 Capitolo Ventiseiesimo Mentre si allontanavano rapidamente dalla casa sotto l’acqua, Mauro notò da una casa poco distante qualcuno alla finestra e scrutava quel loro spostamento veloce e tra poco, quello vedendo le fiamme alzarsi dalla casa di fronte, avrebbe dato l’allarme. Per spiegare poi agli agenti, di aver visto una grossa macchina bianca fuggire via di volata. Erano arrivati alla fine del rettilineo, che s’intravedeva alle loro spalle il fumo denso e nero alzarsi dalla casa in fiamme. E a quel punto sarebbe scoppiato l’allarme. Mauro accelerò e la vettura si allontanò velocemente, mentre gli altri due continuavano a guardare in dietro, a quella casa in fiamme e man mano che s’allontanavano il rosso delle fiamme si alzava alto in cielo. Poi, sopraggiunse una curva e tutto scomparve assieme al loro passato. Rimasero per molto tempo in silenzio, nessuno parlava in quella loro complicità di vandali e piromani. Ma capivano che era inevitabile a quel punto continuare. Ed era ciò che stavano ripensando dentro di loro. Poi fu ancora Mauro a scuotere i compagni da quel torpore di fatue colpe e palesare a loro una debole scusante: < Ragazzi, su con gli animi. Purtroppo per non morire davvero, abbiamo creato un gran casino della madonna. Ma è anche vero che siamo ancora vivi e questo è l’essenziale per continuare a combattere e sopravvivere. Puttanaeva! > esplose a voce alta. < Già, tu fai presto a dire, > protesto Andrea. < Perché non ti ricordi nulla del tuo passato. Ma noi che avevamo accanto qualcuno che ci amava e ora tutto va in fumo. Accidenti a quell’inseguimento che ho voluto fare sull’autostrada… Ecco il guadagno che mi sono preso. Dover fuggire via come un appestato! Un... delinquente omicida... > < Puoi dirlo tranquillamente, > sbottò Mauro, continuando. < Fuggire come dei criminali in compagnia di un folle killer, che a spedito sotto terra 194 già dieci persone. E’ veramente follia pensare ch’è vero tutto questo. Perdio! Che gran bastardo sono! > urlò Mauro per la rabbia. Stefano cercò di calmare quella scoppiata ira, dicendo ai presenti: < Ragazzi, dobbiamo calmarci e essere uniti nella lotta ed è inutile recriminare sul latte versato. Lo sappiamo più che bene, che dispiace aver appiccato il fuoco alla casa di quella povera signora Prospero. Ma se lei era d’accordo ad affrontare certi sacrifici, aiutando noi a sparire nel nulla. Ringraziamola del suo silenzio. > Mentre Mauro con fatica, si riprendeva dall’incazzatura con sé stesso e commentava su quel fatto: < E’ tremendamente tutto complicato... Vedi Andrea, la signora Concettina quando gli ho accennato quest’idea folle, lei ha accettato subito e non voleva nemmeno un soldo. Dicendomi che aveva in parte qualcosa che gli bastava per i suoi prossimi anni. Ma io ho insistito perché noi ci saremmo sentiti più tranquilli e meno debitori nei suoi riguardi. Visto l’impossibilità d’incontrarsi in futuro e alla fine accettò quella transizione. Perciò come vedi Andrea, lei non è una donna sprovveduta e più che mai convinta della sua scelta. E mi aveva anche detto, che con la mafia da queste parti non si scherza e preferiva saperci vivi lontani, che dover venire al cimitero a portarci dei fiori sulle nostre vere tombe. Comunque più tardi cercherò di telefonarle, spacciandomi per uno dell’assicurazione. Eravamo già d’accordo sul come e dirò poche cose che lei capirà subito che siamo veramente ancora vivi. Solo quello le basterà sapere. > espose Mauro tranquillo. < Ma, veramente intendi telefonarle? Non sarà pericoloso? > chiedeva Andrea preoccupato. < No, come d’accordo nel segnale convenuto. Lei capirà. Okay! Ora l’ultima preoccupazione e di sbarazzarsi di quest’auto. Perché quelli di Mister Boston la cercheranno con i suoi occupanti oltre la polizia. Chiaro ragazzi. Be’, ora su con gli animi e speriamo di non trovare posti di blocco dalla polizia o carabinieri a sciuparci le feste un’altra volta e sarebbe troppo in poche ore consecutive. Accidenti!> commentò Mauro con ironia. 195 Capitolo Ventisettesimo E’ stato veramente un venerdì mattina, da thrilling di prima mano. Stava pensando Mauro mentre guidava tranquillo, per non dare dei sospetti ad altri automobilisti. Stavano percorrendo la statale che portava a Reggio Calabria, e il temporale si era spostato verso nord, lasciando dietro di sé una debole pioggerella finale. Poi a San Lucido avevano preso la statale n°18 seguendo la costiera verso il sud. Il traffico era scarso, dovuto senz’altro al maltempo e loro procedevano abbastanza bene e l’auto oltretutto aveva il pieno di benzina. Cosi non avrebbero dovuto fare delle soste in quel percorso di per sé già lungo, ma tranquillo senza passare attraverso i vari caselli autostradali e senz’altro, più controllati dalla polizia, che presto si sarebbe messa allerta. Ad un certo punto Stefano un po’ preoccupato e taciturno disse ai compagni: < Io suggerirei di arrivare fin dopo la località Favanizza, in un tratto dove la statale costeggia il mare e fra due gallerie, prima del paese di Scilla. C’è un posto che fa al caso nostro in una piccola insenatura, con una piazzola di sosta. Li potremo buttare l’auto in mare ed è molto profondo e riparato. Il problema è arrivare fin la senza intoppi o dei posti di blocco. E questo mi preoccupa molto. Oltre che fingermi morto sono anche un disertore adesso. Se vengo preso dai miei colleghi. Puttanaeva! Che figura di merda faccio. > espletò sardonico. < Certo è vero. Ma diversamente saresti già morto e infangato il tuo onore con quel servizio che ti ha preparato Narduzzi. Giusto! Ecco guarda qui, > consegnandogli un foglio di carta che teneva in tasca Mauro, tutto stropicciato e bagnato. < L’aveva in tasca Narduzzi e l’avrebbe senz’altro lasciato sul tuo cadavere. Così al ritrovamento di noi tre morti avrebbero trovato nella tua tasca questo foglio, che ti fa complice della banda palermitana. E invece così capiranno che era lui la talpa e complice... Be’, forse da morto diventerai un eroe. > < Che figlio di puttana era! > esplose Stefano. < Voleva incastrarmi per bene! > dopo averlo letto lo stracciò dalla rabbia quel pezzo di carta, dicendo: < Certamente con questo in tasca sarei passato veramente per una talpa infiltrata. Che miserabile puttana! > mentre allargava la mano e i pezzettini volavano via dal finestrino dell’auto senza vetro. Mentre Mauro tentava di alzare un po’ il morale dei compagni esortandoli: < Coraggio il 196 peggio è passato! Intanto andiamo avanti e poi si vedrà. Se il posto è adatto per fare un tuffo, il resto lo faremo a piedi, siamo giovani e forti. > Mauro aveva buttò quella frase sciocca per alleviare un po’ le loro pene dell’inferno, che regnavano in quel momento nei loro animi in subbuglio. I chilometri passavano a rilento mentre il cielo era ancora plumbeo e carico di nuvoloni grigi e bassi, a formare quasi una leggera nebbia su tutto il litorale calabro. Il traffico incominciava ad aumentare man mano che le ore passavano e loro avevano una gran voglia di caffè, ma cercavano di evitare di far notare la loro presenza in qualsiasi bar; tre giovani con quell’auto, una Mercedes bianca. Sarebbe cascato subito nell’occhio a chiunque, pertanto desistettero, proseguendo con il loro piano. Arrivare al più presto possibile a Reggio e a imbarcarsi con poche formalità sulla prima nave per l’isola di Malta. Quello era il loro primo passo da fare e poi che il cielo gliela mandi buona, ma veramente. Erano le sette quando giunsero al punto X predestinato. Si fermarono sulla piazzola indicata da Stefano ed era veramente l’ideale quel posto riparato da due grossi pini marini, in quella piccola conca naturale sovrastata dalla parete rocciosa della montagna, era quasi nascosta dalla vista a chi passava velocemente sulla strada in curva. La piazzola era separata con il precipizio sottostante da una siepe di rosmarino e cespugli d’alloro, che odorava tutto il posto di spezie aromatiche e il luogo era veramente solitario. Scesero frettolosamente dall’auto per guardarsi rapidamente attorno sospettosi. Notarono la tranquillità del posto e oltretutto riparato da sguardi indiscreti con quel tempo bilioso sopra di loro. Considerarono ch’era l’ideale per il loro scopo, avvolto in quella bruma umida che incombeva su tutta la costa calabrese. Senza troppi indugi presero dall’auto le loro due borse e giubbotti, poi Mauro spostò l’auto in posizione giusta innesto la leva del cambio automatico e aspettò con il piede sul freno e prese in mano la pietra che gli passava Andrea, poi appena gli dettero il via lui appoggio la pietra sull’acceleratore e saltò giù dall’auto mollando il freno e l’auto incominciò a muoversi rapidamente, sfondando e reclinando la siepe di rosmarino senza fatica e uscendo nel vuoto con un ruggito del motore, che si attenuò appena il sasso si sposto dall’acceleratore e silenziosamente volo verso il mare sottostante. 197 Ci fu un solo tonfo, un po’ sordo e subito si inabissò rapidamente in quel profondo mare blu cupo, per svanire silenziosamente vero il fondo. Loro erano rimasti lì a fissare quel volo in silenzio, poi senza fiatare si misero a camminare speditamente verso la cittadina poco distante, mentre un treno passava fischiando sopra di loro. Dopo un paio di chilometri arrivarono alla prima fermata d’autobus e proprio in quel momento stava giungendo il pullman da Vibo Valentia a Reggio Calabria, così lo presero al volo in quella loro sfacciata fortuna. L’autobus era carico di lavoratori insonnoliti da destare meno sospetti la loro mattiniera presenza. Erano le undici del mattino quando stavano uscendo dal supermarket dopo aver acquistato: pinne e maschere, calzoncini da bagno, tre giubbotti di tela, dei calzoni e asciugamani, oltre spazzolino da denti e relativo dentifricio, sciampo e un’altra sacca per Stefano con racchette da tennis e un paio di occhiali scuri alla moda per ciascuno. Insomma un po’ di tutto, da sembrare dei bravi ragazzi che vanno a fare un po’ di sport di fine settimana sull’isola di Malta. Mauro aveva già acquistato i biglietti del traghetto per Malta con partenza alle dodici precise dal porto. 198 Capitolo Ventottesimo Mentre stavano per andare a prendersi qualcosa da mangiare, nel passare davanti ad un negozio di elettrodomestici si videro entrambi in televisione. Erano le loro foto che stava trasmettendo il servizio televisivo regionale, su quel fatto orripilante appena successo quella notte a Cosenza, li ammutolì di colpo. Mentre si guardavano attorno con sospetto, ma le poche persone ferme a guardare era prese da quell’evento che osservavano sbigottiti quelle scene mute che la vetrina esponeva, ma erano abbastanza significative. E per fortuna con addosso quei occhiali e la barba un po’ lunga, permetteva di mascherare discretamente i loro visi segnati da quelle avversità accorse. Sembravano veramente tre studenti sempliciotti e trasandati come la maggior parte dei giovani, in giro per la città a fare acquisti. Si soffermarono un momento per captare cosa diceva lo speaker, ma era impossibile attraverso il vetro della vetrina. Vedevano solamente i resti di una casa bruciata messa a soqquadro da una sfilza di pompieri e molte macchine della polizia. Poliziotti che tenevano lontani i curiosi. Mentre mostravano dei piccoli dettagli del posto e ancora i volti delle vittime estrapolate dai documenti della polizia. E infine, quella televisione locale era riuscita a far intravedere i corpi carbonizzati delle vittime, orrendamente mutilati dal fuoco distruttivo. Poi giunsero altre persone a curiosare e inorridite da quella disgrazia e a quel punto loro decisero di allontanarsi e di recarsi direttamente al porto, per passare la dogana in fretta mostrando i loro documenti d’identità, con la speranza che alla dogana non abbiano visto quel comunicato televisivo delle ore undici e trenta locale a ricordare di quei volti e nomi apparsi alla TV come morti bruciati in quella notte macabra a Cosenza. Il traghetto si stava staccando dal molo e in poco tempo aveva guadagnato il mare. E fu allora che i tre giovani tirarono un lungo sospiro di sollievo. < Bene ragazzi, fino qua siamo arrivati senza intoppi e siamo ancora vivi. > bisbigliò Mauro avvicinandosi ai compagni a ridosso del parapetto che osservavano la costa allontanarsi da loro, e solo Stefano gli rispose con fare serio e abbacchiato: < Chissà se un giorno potrò rivedere i miei famigliari? Non so ancora se la scelta è stata poi quella giusta? > 199 < Già. E’ difficile a dirsi, forse un giorno ritorneremo a casa... > mormorò a sua volta Andrea con un nodo che gli opprimeva in gola. Mentre la costa si allontanava e presto sarebbe sparita dalla loro vista. Mauro per rompere quella atmosfera abbastanza tesa, li avvisò del loro turno per il pranzo: < Dai ragazzi andiamo, si va a pranzo. Sono riuscito a farci assegnare al primo turno. > < Finalmente si mangia! Mi sento male dalla fame. > esclamò Stefano mentre si passava la mano sullo stomaco vuoto da molte ore. < Hai veramente ragione. Muoio anche io dalla fame! > sbottò Andrea. Sulla nave maltese la cucina era tipicamente mediterranea, discreta e abbondante, ma per loro in quel momento non contava la qualità, ma la quantità dalla fame che avevano addosso. Oltretutto dopo quella stressante maratona per la sopravvivenza, aveva veramente logorato i nervi. Perciò a quel punto, mentre si sentivano un momento più tranquilli stavano già acquistando un aspetto più normale e rilassante. A tavola, mentre stavano mangiando, Mauro espose ai compagni i presumibili piani da effettuare nei prossimi giorni. < Io proporrei di fermarci qualche giorno alla Valletta per riposare e poi prendere qualche mezzo migliore e spostarsi in qualche località più lontana senza dar troppo nell’occhio e aspettare eventi migliori. Voi che ne pensate ragazzi? > Si guardavano in viso tra di loro e infine risposero unanime: < Per noi va benissimo! > ma subito Stefano con una strizzatine d’occhio cambiava tonalità della voce, accennando allo sport subacqueo nell’isola. Si erano avvicinati al tavolo attiguo due coppie di connazionali, che senz’altro dal loro modo di comportarsi si vedeva che andavano veramente in vacanza. Mentre Stefano diceva a voce più alta: < Sapete ragazzi che sull’isola di Gozo si potrà fare delle magnifiche immersioni? > E Andrea di rimando rispondeva: < Be’, io spero di divertirmi tanto. E poi ragazzi, dite quel che volete, ma senza le nostre ragazze tra i piedi, che spasso. Avremo tutte le maltesi a disposizione. Guardate un po’, tre fusti come noi. Faremo strage di donne, credetemi! > < Eh, dai! Non farla giù grossa. Cala, cala! > rispose Mauro euforico per l’occasione. < Se poi lo viene a sapere la tua Francesca, saranno cavoli amari dopo... > mentre lanciava occhiate furtive attorno. < Tu sei soltanto invidioso, vero? Poi, lo sai che occhio non vede, cuor non duole. Ah, quante storie fate ragazzi! Intanto pensiamo a divertirci e al resto ci penseremo dopo, d’accordo? > Mentre adocchiavano 200 i vicini che se la ridevano sotto i baffi, ascoltando le battute di quei tre giovinastri in giro per il mondo a divertirsi. Poi tutte tre decisero di passare il resto del pomeriggio a prendersi il sole in coperta, ormai sgusciato fuori da quelle ultime nuvole estive rimaste sulla costa italiana. Erano le sette di sera e il sole all’orizzonte stava volgendo al tramonto, quando decisero di andare al bar per prendersi qualcosa prima di sbarcare a Malta, l’arrivo all’isola e l’attracco al porto era previsto tra due ore circa. Si stavano gustando una bibita quando la televisione di bordo veniva trasmesso il telegiornale italiano, anche loro come gli altri passeggeri per la maggioranza italiani si girarono a guardare le ultime notizie dal continente. Dopo le solite questioni politiche nazionali e estere, un piccolo inserto di scabrosi fatti orripilanti successi la notte precedente. Mostrando in una veloce carrellata quei fatti così clamorosi annerenti alla mafia calabrese. Mentre lo speaker annunciava: “Questa notte i vigili del fuoco sono stati avvisati da una telefonata anonima, che in località Arcavacata alla periferia di Cosenza, una casa andava a fuoco. Intervenuti i vigili del fuoco a spegnere l’incendio della casa, che risultava poi di origine dolosa e all’interno hanno trovato i cadaveri carbonizzati di tre persone: Si tratta di due studenti e un poliziotto, quest’ultimo era stato assegnato come guardia del corpo di uno dei giovani, testimone di attentati da parte della ndrangheta calabrese. La notizia ci è pervenuta dagli ufficiali inquirenti al caso. Dalle prime indagini, sembra che i tre sia stati giustiziati prima che appiccassero il fuoco alla casa, eliminando eventuali tracce e il tutto fa sembrare a una resa dei conti tra bande calabresi e siciliane, che in questi giorni hanno insanguinato la regione calabrese. Un vicino di casa ha notato quella notte, l’aggirarsi nei paraggi di una grossa macchina nera e prima che scoppiasse l’incendio. Hanno visto qualcuno che fuggiva via veloce dalla casa in questione a bordo di una Mercedes bianca, ma dato la lontananza non ha potuto rilevare la targa, nell’imperversare del temporale. I cadaveri carbonizzati risultano essere quelli del giovane ventunenne Andrea Prandi da Cosenza, affittuario nella casa distrutta dall’incendio e l’amico padovano, in quei giorni suo ospite, si tratta dello studente Mauro Rossi di ventiquattr’anni figlio del noto magistrato romano Giuseppe Rossi, membro del CSM. Entrambi sono periti nell‘incendio e il terzo cadavere era quello del sergente di polizia investigativa Stefano Nardelli di ventitreenne da Catanzaro, assegnato dalla procura di Cosenza come guardia del corpo al giovane Prandi. 201 Essendo quest’ultimo un testimone chiave di un’assassinio perpetrato dalla mafia. Il Nardelli aveva ancora in mano la pistola d’ordinanza, nel tentativo di fare il proprio dovere. Sono stati freddati con un colpo per uno alla tempia, da una calibro 22. Il giovane poliziotto Stefano Nardelli era un ottimo elemento d’infiltrazione che collaborava con la DIGOS, sul caso del massacro sull’autostrada A3, avvenuto pochi giorni fa’, che costò nella rapina la vita di due orafi palermitani e l’uccisione del loro autista. Stavano anche indagando su quell’Alfa 164 usata per quella rapina e ritrovata il giorno dopo tutta traforata da proiettili, con accanto quattro cadaveri. Gli stessi killer dell’assalto agli orafi palermitani. Si è trattato di una vera e propria lotta tra bande rivali. Le indagini sono al vaglio della magistratura di Cosenza. Purtroppo dai resti carbonizzati e irriconoscibile dei tre corpi sono stati identificati dai parenti, tramite i pochi oggetti di metallo che avevano addosso e li compiangono i famigliari accorsi sul posto. E queste che vi mostriamo sono le immagini dei tre giovani deceduti... Dobbiamo segnalare un altro fatto di cronaca nera appena pervenuta in redazione. La notizia è forse da collegare all’altro fatto accaduto. A una decina di chilometri dell’incendio della casa è stata trovata un’auto. Sembra sia stata buttata in una scarpata da una strada di campagna e si tratta di una Mercedes nera, anch’essa traforata da vari proiettili e all’interno c’erano ben tre cadaveri anch’essi armati e crivellati da diversi colpi, che ancora non si conosce l’identità dei cadaveri. Tutto è sotto il più stretto riserbo della magistratura di Cosenza che indaga in ogni direzione. Ma a questo punto, noi cittadini, cosa dobbiamo pensare, che soltanto in pochi giorni sono morti per violenza ben tredici persone, è un fatto che ci fa pensare veramente tanto? Appena avremo altre notizie vi terremo informati.” E appena il servizio terminò, tutti quanti giù a commentare in un brusio di voci eccitate e sbigottite da quegli eventi scabrosi. Parlavano di quel massacro così orripilante e si stava espandendo a macchia d’olio sul continente. Mentre i tre giovani erano colpiti da quelle scene strazianti dei loro parenti in lacrime, e Mauro tentò di deviare il discorso dicendo a sua volta. < Però, la magistratura come sa’ aggiustare le cose a secondo come tira il vento al momento? > mormorando piano ai compagni ad evitando di entrare sull’argomento parenti. Erano rimasti bloccati davanti al televisore e per fortuna che si trovavano in disparte nella parte più buia del bar salone. Stefano aveva gli occhi rossi e un magone dentro, per il dolore che stava recando ai suoi famigliari in quel momento. Avendoli intravisti sulla scena 202 del massacro in lacrime. Anche la signora Concettina era presente, ma almeno lei era stata messa al corrente con una strana telefonata da parte di Mauro, in un laconico saluto, e al tempo stesso confermò, che lei si sarebbe presa cura di avvisare in un secondo momento i famigliari di Stefano, con una buona notizia. Sono vivi ma rimarranno lontano per un po’, ad evitare ritorsioni ai parenti stessi. Poi tutte tre uscirono e andarono sul ponte di prua e a quel punto Stefano esplose in una imprecazione più che amara: < Perdio! Non ci voleva questo fatto. Forse era meglio che andavamo dal commissario Rizzi a spiegare la questione? Sono un bastardo disertore che ha paura di morire... Perdio! > mentre si metteva seduto su una panca, aveva piegato la testa sulle mani, e si era messo a piangere in silenzio. < E tu pensi che saresti riuscito ad aprire la bocca? > tentò di spiegare Mauro all’amico infranto: < Non saresti riuscito a mettere un piede in questura e raccontare tutto? Ti avrebbero fatto secco molto prima. Narduzzi e quell’avvocato di merda, quel Rottai. Avranno senz’altro altri tirapiedi in questura e alla prima mossa sbagliata avrebbero avvisato chi di dovere. Soltanto per non complicare la situazione già critica per loro. Ti avrebbero eliminato all’istante. Poco ma sicuro, credimi! Senz’altro quel Rottai, oltre tutto la farà in barba a tutti quanti. Se non ci penserà Mister Boston e spedirlo all’altro mondo. > suppose Mauro più che convinto, avendo sentore dei modi sbrigativi di certa gente. < Quel Mister Boston non è il tipo che perdona a Rottai, tutto questo casino provocato, per fregagli la merce e fargli pagare il pedaggio. Rottai e compagni non la passeranno liscia. Tra non molto, leggeremo che Rottai è aumentato di peso. L’hanno impiombato a dovere. > Andrea a sua volta tentava di spiegare qualcosa anch’egli: < Ma, forse Stefano ha ragione, magari? Sì, va bene che abbiamo il danaro da spendere a nostro piacere. Ma abbiamo anche chiuso con il nostro passato in Italia. E' molto dura da accettare questa condizione estrema. Per giunta obbligata. Credetemi! Ragazzi è dura…> mugugno. < Sì, comprendo il vostro risentimento, che alla fine è anche il mio. > rispose Mauro irritato. < Ma dovete capire che quelli dalla mafia non perdonano e abbiamo le prove più che evidenti. Persino quel disgraziato di Narduzzi a cercato di farci secchi ieri notte! E poi, quei altri non importava se era un loro associato. Avevano capito che incominciava a fare il doppio gioco, troppo bene. Perciò avevano già predisposto la sua fine, dopo. > 203 < Be’, sì, hai ragione. Se non era per te eravamo già ben distesi e stecchiti, per non dire anche arrosto forse... ah basta! Abbiamo preso la nostra decisione e perciò, andiamo avanti allora! > espletò Stefano nel comprendere quella verità sorda. < Il problema, non è soltanto il fatto di affidarci alla giustizia e essere protetti? Dopotutto questo gran casino ch’è saltato fuori in questi giorni, non so se salveremmo egualmente le nostre teste. E fin qui potrebbe essere già scontata la nostra morte. Ma quello che sarebbe più grave, che ci vadano di mezzo i famigliari. Perché, per vendetta la mafia si potrebbero riversare sui parenti più stretti ricattandoli al nostro posto, per farci uscire dal nascondiglio che la polizia ci fornirebbe. Mi sono spiegato? > cercando di essere più esplicito e conciso, poi Mauro continuò a dire: < Capite ragazzi la mia preoccupazione? Sarebbe ingiusto far patire degli innocenti al nostro posto. Anch’io ho pensato molto in questi giorni prima di decidere a cosa fare. Ma visto che ogni volta che cercavo di essere più umano e consenziente, ho dovuto uccidere ancora e ancora. Perdio! Forse voi non potete immaginare cosa si prova ad essere veramente un killer, Un fottuto criminale, così determinato e spietato! E per giunta non avendo mai sparato in vita mia un sol colpo d’arma da fuoco e questo particolare lo intuisco più che bene. Ho avuto una mira infallibile, di una precisione inaudita, che mi sono spaventato veramente tanto di questa mia determinante aggressività e mi fa una gran rabbia e spavento allo stesso tempo. Persino nel guardarmi allo specchio non mi riconosco più da solo, oltre la dimenticanza insistente del mio ingarbugliato passato? Capite ora, cosa ho dentro che mi ‘sta rodendo l’anima! Sono diventato peggio di loro. Un assassino incallito e spietato... ah, basta per favore! Non ne parliamo più...! > urlò, l’amarezza e la delusione si impadronì di lui. E s’allontano dai compagni sconvolto, camminando a rilento sul ponte della nave, mentre le lacrime gli solcavano il viso, senza pensare a oltre. Era avvolto dalla brezza marina della notte in arrivo, senza averne però alcun beneficio di sollievo. Poi fu raggiunto dai compagni e camminarono su e giù una buona mezzora in silenzio e infine Andrea sbottò dicendogli: < Sì, hai ragione Mauro, noi egoisticamente abbiamo pensato quella che sembrava la soluzione migliore e forse a quest’ora le persone care a noi avrebbero pianto egualmente la nostra morte e tutto sarebbe eguale di adesso. Soltanto che non saremmo qui in questo momento, su questa nave aspettando di trovare quel paradiso terrestre. Invece ci saremmo trovati tra i defunti nell’aldilà com’era stato predisposto dalla mafia. Ma vedi, è 204 molto dura dover accettare così di punto in bianco certe decisioni radicali, che sconvolgono la nostra vita così tanto e per sempre... Accidenti! > < Comunque, > s’intromise Mauro dopo un lungo sospiro, spiegando ai compagni. < La signora Concettina, appena possibile e senza sospettare nessuno avviserà anche i tuoi famigliari Stefano. Ti sapranno vivo, ma lontano dal pericolo di morte. Speriamo che i tuoi sapranno tenere la bocca chiusa con chiunque, ne va anche della loro vita. Questo lo capisci, vero? > < Hai più che ragione Mauro. Scusami! Io penso che terranno tutto per sé. Comunque questa tua proposta fatta alla cognizione della signora Prospero è più che lodevole. Grazie amico! > mormorò il giovane. < Certo che dalla sera alla mattina ti trovi la vita sconvolta e poi dover fingersi morto per salvarsi la pelle. Questa è sfiga più che buona. perDio! Cosa bisogna fare. > protestò Stefano con amarezza. < Essi, caro Stefano. Sfigati e obbligati all’avventura. Accidenti! > costatò Andrea, mentre osservava la mano gonfia di Stefano coperta con un semplice cerotto grande, per non dare troppo nell’occhio. < Ti fa molto male Stefano? Anch’io la spalla oggi mi duole da matti... > E l’altro pensieroso rispose con un’aria superficiale: < Ma, sai sono talmente scosso da tutti questi avvenimenti, che mi sono scordato della mano ferita, e in verità mi fa molto male. Accidenti! > E Mauro cercò ancora di dare un aiuto morale, dicendo a sua volta ai compagni di sventura: < Appena sbarcheremo e andremo in un albergo confacente controllerò le vostre ferite... > si fermò di parlare e il suo viso si incupì, mentre gli altri due lo fissavano interrogativamente preoccupati. Poi Mauro disse con una voce più imperativa da mettere loro due sull’attenti a pensare cosa sarebbe nato in quel momento? < Ragazzi. C’è un piccolo, oppure grande particolare che ho trascurato? > < Cosa? > Chiesero unanime Andrea e Stefano, erano stupiti e incuriositi dal suo brusco cambiamento, mentre Mauro proseguiva borbottando: < Ho dimenticato, che in tutta Malta, ricevono i programmi italiani e quando daremo i nostri passaporti sia alla dogana e in albergo, vi sarà senz’altro qualcuno che a visto per bene i nostri visi e nomi alla televisione e allora sarà dura da spiegare la coincidenza di parentela. Capite qual è il prossimo guaio, ragazzi? > < Già, a questo non avevamo pensato... > confermò Andrea. < Innanzitutto, dovremo passare la dogana e se possibile accodandoci a quella comitiva di ragazzi e ragazze. Forse, mescolati in mezzo a loro passeremo più facilmente inosservati. E nel compilare i modelli per il 205 soggiorno dovremo segnare lo stesso albergo e poi consegnare il talloncino frammisto a quelli del gruppo. > < Certo, certo! faremo senz’altro così. > rispose Stefano per tutti. < Ma pensi veramente che possiamo farcela a passare inosservati? > chiese Andrea preoccupato. Mentre Mauro prendeva dalla tasca del giubbino i loro passaporti e infine rispose con fare un po’ dubbioso: < Be’, bisognerà essere un po’ credenti e sperare sempre nei miracoli, non vi pare amici? Questo è l’essenziale per continuare a questo punto a vivere ancora qualche giorno in più, ragazzi. Bisogna saper tener duro! > Purtroppo alla fine, tutto il loro piano escogitato per bene cambiò radicalmente. Sul molo dove avrebbe attraccato il traghetto maltese, vi era ormeggiato una motonave greca dal carico promiscuo, pronta a partire per la Grecia. Così mentre la nave si stava avvicinando alla banchina, Mauro aveva estrapolato da un marinaio qualche informazione su quella nave che faceva due volte al mese la spola tra Tunisi, Malta, Creta, Rodi e Atene. 206 Capitolo Ventinovesimo A quel punto Mauro gli balenò l’idea di trasbordare direttamente su quella nave, se fosse stato possibile. < Ragazzi, voi aspettatemi sul molo, io cercherò di scendere per primo e andrò a parlare con qualcuno di quella nave e con una buona mancia in dollari, vedrò di ottenere un passaggio. D’accordo! > Prese dalla sacca una mazzetta di dollari e se la ficcò nella tasca del giubbotto, poi consegnò la sacca a Andrea e si avviò per lo sbarco. Appena sceso andò dall’ufficiale greco alla passerella della nave di nome “Elpida”. E pensò che tradotto in italiano “Speranza”, era un nome confacente per loro. Salutò l’ufficiale, che rispose con un cordiale: < Calispéra! > E subito Mauro in quel greco che sapeva discretamente si fece capire molto bene, spiegando che erano degli studenti in vacanza e avrebbero preferito fare la settimana di vacanze a Creta piuttosto che lì a Malta. Ma purtroppo dall’Italia le prenotazioni erano tutte esaurite per quella settimana. Comunque, se sulla loro nave c’era ancora un buco libero, pagando anche un supplemento avrebbero preferito. Mentre gli metteva cento dollari nel taschino per il disturbo di chiedere al comandante e quello volò di corsa a parlare al comandante. Meno che non si dica, gli trovarono subito una cabina comoda per quattro persone. E un quarto d’ora dopo, li fecero salire a bordo più che mai contenti di avere passeggeri che pagano senza protestare. Oltre che a completare il carico e riempire una delle tante cabine rimaste vuote. Così con un po’ di dollari sistemarono la faccenda. Mentre consegnavano i loro passaporti all’ufficiale addetto, Mauro si premuro di offrire un obolo per il suo disturbo, e quello in un batter d’occhio la fece sparire via in un baleno, regalando a loro un meraviglioso sorriso di contentezza. E prontamente, li faceva accompagnare da un giovane inserviente sempre sorridente, alla loro cabina assegnata. Il sorriso di questo ultimo, si accentuò ancora di più quando si trovò anch’egli in mano cento dollari. Si era persino prosternato, il giovane inserviente per ringraziarli, mentre maliziosamente indicava il numero della cabina, “6”, ma al fianco scritto a mano da un bontempone un bel nove. E si trovarono a ridere tutti quanti per quella insinuazione maliarda. 207 Appena furono soli si svestirono e si buttarono a turno sotto la doccia. Poi Mauro prese dalla sua sacca del disinfettante e bende e si mise a sistemare al meglio la mano di Stefano. La pallottola gli aveva per fortuna pizzicato solamente mezzo centimetro di polpa sotto il mignolo, lasciandogli un bel incavo nella mano ormai gonfia. Mauro la disinfettò per bene, mentre l’altro si mordeva le labbra per non urlare dal bruciore, poi la fasciò con cura. E infine, controllò la spalla di Andrea e trovò che andava molto bene la sua ferita, cambiò la fasciatura e fissata con grossi cerotti, poi alla fine disse ai due: < Be’, ora a nanna ragazzi e per domani ci penseremo cosa fare al meglio, okay! > Mentre Stefano rispondeva: < Sono stanco morto, andrò su uno dei lettino e voi potrete mettervi nel letto matrimoniale che è grande e sembra più comodo per voi due... d’accordo. > < Cosa? > sbottò Andrea e proseguì a dire: < D’accordo un bel niente. Staremo comodi tutte tre assieme, io non voglio stare solo in questo momento. Ho bisogno di voi due accanto, mi sentirei più al sicuro e poi oltretutto, ci scalderemo a vicenda. D’accordo ragazzi? > < Ok, ok! > risposero mentre si buttavano nudi com’erano sul grande letto, e soltanto un momento dopo russavano tutte tre più che bene, in una dolce sinfonia pastorale, alquanto discordante. Erano le dieci passate quando si svegliarono, e in parte si sentivano discretamente meglio. All’infuori della mano di Stefano ch’era ancora gonfia e gli doleva abbastanza, e Mauro decise che a quel punto era meglio che si rivolgeva alla farmacia della nave, per acquistare degli antibiotici. Ma subito Stefano lo fermò dicendo: < Aspetta Mauro, è meglio di no? Potrebbero insospettirsi e il medico di bordo, capirebbe subito che questa è una ferita da arma da fuoco. Questo è più che certo, non credi? > < Stai tranquillo, > gli rispose Mauro. < Non dirò al medico che è per te. Ma gli farò vedere questo bel graffio che ho sotto al mio braccio, vedi... Ecco, è bel rosso e un po’ gonfio, e dirò che me lo sono fatto sulla scaletta del ponte superiore ieri sera. E vorrei degli antibiotici per non sciupare le nostre vacanze. Chiaro! > Mentre Andrea preoccupato gli chiese: < Ma perché non l’hai detto subito ieri sera? Hai sistemato le nostre ferite e la tua non l’hai controllata... Veramente è successo ieri sera, sulle scaletta della nave? > < Non ricordo! mi sembra l’altra notte, quando mi sono buttato a capofitto nella scarpata per evitare i tre mafiosi e i loro spari. Avrò urtato qualcosa che mi ha graffiato. Un ramo di acacia spezzato. Beh, almeno 208 questa la posso far vedere e farmi prescrivere qualcosa, per evitare l’infezione. D’accordo? > Accanto alla farmacia vi era l’ambulatorio medico e subito il dottore della nave, controllò l’abbondante graffiatura di Mauro e ligio alle sue mansioni di medico gli fece una rapida medicazione e gli prescrisse una scatola di antibiotici intramuscolari e una la fece subito. Rimanendo d’accordo che all’indomani sarebbe ritornato per fare una seconda fiale e per evitare dispersioni del prodotto aperto e già pagato, consegno la confezione al paziente. E con quelle quattro fiale rimaste Mauro avrebbe risolto il suo problema. Effettivamente Stefano prima di sera si sentiva già meglio, con la mano meno gonfia e la temperatura era tornata normale. Avevano cercato in tutta la giornata di passare inosservati tra i passeggeri evitanti i punti più chiassosi e affollati, chiedendo con laute mance di pranzare e cenare in camera e al tempo stesso riposare per bene. Mauro nel frattempo era riuscito a cambiare un po’ di dollari in dracme greche per piccoli acquisti: Calzoni magliette e sigarette per Stefano, una bottiglia di wischy per disinfettante, cioccolata per Andrea e una bottiglia di vino greco per ubriacarsi, quella era la sua intenzione in quel momento. Erano stati avvisati che sarebbero giunti a Iràklion la città principale dell’isola di Creta, all’indomani verso le cinque pomeridiane e al momento potevano veramente stare tranquilli, sapendo che per ora erano al sicuro. Poi più avanti avrebbero pensato quale era la via migliore da prendere per 209 sopravvivere. Perciò a quel punto potevano veramente dormire fino a tardi, ripristinando le loro ossa doloranti e contuse. Mettendosi in forma prima dello sbarco ad essere più rilassati e magari se possibile divertirsi un poco sull’isola di Creta. Quella era la loro prima aspirazione. Avevano fatto una bella doccia e dopo la rituale puntura si erano sistemati a letto con un caldo abbraccio, cercando di addormentandosi in fretta. La stanchezza dei giorni passati si era fatta sentire, ma più che fisicamente la spossatezza, era moralmente che si sentivano abbacchiati e distrutti da quegli eventi appena lasciati alle loro spalle, fortemente presenti. Stretto tra le loro braccia forti, da sentirsi ormai in paradiso. Alla fine visto che non riuscivano a dormire, si misero supini uno accanto all’altro, cercando di riposare le proprie spoglie doloranti, chi per la spalla, chi la mano, ma anche e chi aveva le costole doloranti. Infine Mauro espresse ai compagni, mentre Stefano si stava accendendo una sigaretta desiderata in quel momento: < Grazie amici! > < Be’, a questo punto, > intervenne Stefano nel dire qualcosa anche lui al momento: < Vorrei anch’io essere smemorato e dimenticare tutto del mio passato, forse potrei godere meglio il futuro... > < A questo punto, io direi invece, perché non ci facciamo sopra una bella dormita? > espose Andrea sorridendo a entrambi, mentre dava un bacio ad ognuno. Poi senza accorgersene si trovarono stretti tra loro a baciarsi con amore e tutto successe così all'improvviso ma pienamente convinti di quello che facevano per placare l'ansia e la paura al momento appena lasciata in disparte, ma che covava sotto, sotto e tutto si svolse nei migliori dei modi senza prevalere e accettare quella loro strana unione con diletto. Poi la calma prevalse e gli animi si acquietarono finalmente assieme, addormentandosi rapidamente avvinghiati tra le loro mani forti. 210 Capitolo Trentesimo Erano le dieci passate, quando qualcuno bussò alla porta della cabina, ma loro erano talmente presi dal sonno che non sentirono nulla e si erano dimenticati di mettere il cartellino fuori “Non disturbare”. Neanche quando la porta si aprì e entrò il cameriere di quel settore per le pulizie e la richiuse sbattendola abbastanza forte. Era il giovane col sorriso sulle labbra che li aveva accompagnati al loro arrivo. Ma quando si trovo quei tre corpi nudi e aggrovigliati tra loro che dormivano beatamente, per un momento il suo sorriso si era perso in un’interrogativa domanda più che mai comprensibile? L’inserviente aveva capito subito cosa avevano fatto quei tre italiani quella notte. Un’orgia belle e buona, aveva dedotto con un po’ di fantasia il giovane inserviente stava guardando con ammirazione quei bellissimi corpi sudati e lucidi dal riflesso del sole che filtrava oltre l’oblò, che andava e veniva seguendo le oscillazioni del rullio garbato della nave, quasi come una carezza luminosa che partiva dai piedi e saliva verso la testa e poi ritornava ancora verso l’estremità con un’altra passata lenta e leggera, sulle loro pelli accaldate e rilassate a riposare. E fu sorpreso ancora di più il giovane inserviente, quando Mauro aprì gli occhi e lo vide lì in piedi con ancora gli occhi sbarrati dallo stupore a fissarli e prontamente Mauro si scusò: < Scusa la nostra maniera di dormire, ma siamo sempre abituati a dormire nudi. > mentre il giovane si riprese e farfuglio qualcosa in segno di scusa e la sua mortificazione era ben visibile, dicendo: < Lipùme Chìrìos! Mi scusi Signore! Ma non pensavo che dormivate ancora e fuori non c’era il cartellino e io... > ma non riusciva a proseguire il discorso, era tutto imbarazzato e arrossato in viso. Era stato colto a guardare com’erano nudi e scomposti a letto. Aveva la voce un po’ alterata e tremante l’inserviente. Aveva destato dal sonno anche gli altri due passeggeri, ancora assonnati e confusi mentre non capivano bene chi stava parlando nella loro cabina in quel momento con Mauro. Stefano sonnolente borbottava ai compagni di letto: < Accidenti ragazzi, che notte! > e di rimando Mauro rispondeva, avendo intuito che il giovane greco aveva capito a cosa si riferiva quell’esclamazione di Stefano. Mauro aveva visto fremere il giovane inserviente confuso, oltre che aumentare il rossore sul suo giovanile e imberbe viso. Perciò propose a Stefano: < Be’, visto che la mano, ti fa 211 male così tanto, vuoi forse farti visitare dell’ufficiale qui, di marina? > indicandolo con la mano il giovane. < Lui ha senz’altro un po' di detersivo o candeggina che allevierà il dolore!. Vero? > Si era rivolto al giovane inserviente, dai cappelli ricci e neri con due occhioni grossi e scuri, che brillavano confusi, sopra il rossore del suo viso, ma con addosso una grande agitazione e confusione, da quei discorsi che capiva più che bene. Perché sulla nave c’era un’ufficiale italiano, che gli insegnava a parlare la propria lingua. Il giovane greco deglutì la saliva, non sapendo bene cosa fare o dire in quel momento. Mentre Andrea si era alzato a sedere e infine accorgendosi della sua presenza, incominciò a capire quei discorsi mattinieri dei compagni e infine rispose con enfasi al riguardi: < Però, che bel pezzo di giovane uomo ci hanno inviato dell’Olimpo greco di prima mattina, hai portato la colazione? > chiese sorridendo. E finalmente quello un po’ timidamente rispose ai passeggeri di quella cabina n° 6: < Paracalò, Prego, scusate ancora Signori... Io non immaginavo, entrando per le pulizie della vostra cabina, di causare uno scompiglio nella vostra intimità... Ma se desiderate la colazione vado a prenderla subito in cucina! Efcharistos, volentieri. > < Be’, visto che comprendi bene l’italiano, > gli rispose Stefano sorridendo: < Cosa aspetti? Dai porta pure un sacco di roba da mangiare, ho una fame addosso che mi mangerei anche il cuoco. > E fu assai veloce il giovane a ritornare con un grande vassoio colmo di brioche e caffè bollente. Purtroppo l’inserviente greco doveva fare ancora un sacco di lavoro su quella nave da mezza crociera. E quando ritornò trovò che avevano divorato tutto. Perciò il giovane greco era uscito pienamente soddisfatto per le dracme che stringeva in mano a confermare il servizio ristoro eseguito a dovere. Mentre Mauro esprimeva la loro unanime idea: < Comunque vada a finire ragazzi, ci siamo divertiti a sazietà. Pur sapendo più che bene che sopra ogni cosa, abbiamo sempre nel fianco quella spina mortale. Sperando che si possa tirare avanti il più a lungo possibile. Sperò! Ma, fin ché c’è vita c’è speranza. Questo è l’essenziale. > sbottò sull'euforico. < Una cosa ho compreso, > aggiunge Andrea stringendosi a loro, con affetto. < Ci sentiamo ormai come fratelli e ci vogliamo molto bene, ed è per questo che ci unisce in un’unica cosa. Grazie amici miei! > < Già! Come diceva quel detto? Uno per tutti e tutti per uno. > espletò Stefano, mentre baciava con affetto i compagni, rafforzando quell’assurda unione tridimensionale, nel rinvigorire i loro animi sconvolti 212 dagli eventi funesti. Nel lottare contro le tante patologie storte, colme di paure e di ansie e desideri repressi, ma con una voglia d’amare ed essere amati, fino all’ultimo respiro. Quasi a voler affrettarsi in quella ridda di premure e smanie, prima che qualcosa venga a smorzare con un colpo di pistola le loro assurde bramosie sconce. Mauro aveva partecipato con finta goliardia a quel festino notturno, capendo che era un modo come un altro per dissipare e nascondere la paure della morte incombente. Non voleva sminuire quella ridda d'erotismo smisurato e si lasciava coinvolgere senza protestare, lui sapeva che quei due giovani erano entrati nel suo cuore così fortemente da fargli paura di perderli molto presto. Era il presagio ch'era sorto in quei giorni di traviata unione. Poi tralasciò quei quesiti che sovente faceva, oltre ai sogni scabrosi che lo assalivano nella notte e forse per quello che accettava ogni loro desiderio anche strambo, pur di averli sempre vicini al suo fianco. La motonave “Elpida” attraccò nel porto di Iráklion a Creta alle diciassette e trenta quasi in orario. La giornata era stupendamente bella, con un caldo sole africano che riscaldava le lamiere della nave. Mentre l’aria veniva rinfrescata da una leggera brezza che percorreva la costa rocciosa dell’isola di Creta. Un’isola un po’ aspra, dai lineamenti grandiosi, con splendidi paesaggi di mare e nude montagne, le colline cariche di uliveti e piccole piante verdi sparse qua e la, fra agglomerati di case bianche. Pertanto, guardandola dalla nave sembrava veramente l’isola dei loro sogni. < E’ veramente bella! > esclamò Andrea affascinato del posto e Stefano proseguiva a esprimere quasi una richiesta: < Speriamo che ci sia di divertirsi qui? >. Nell’approssimarsi all’arrivo a Creta, i tre giovani avevano faticato per trovare via radio una camera in qualche albergo dell’isola, data l’alta stagione era molto difficile trovarne una. Ma alla fine, tramite conoscenze il comandante aveva trovato e prenotato per loro una suite per una settimana, al Grant Hotel “Xenia” sul lungomare di Candia. Quando uscirono dalla stazione marittima il taxi dell’hotel era lì ad attenderli puntuale. L’autista in uniforme, era un signore simpatico di mezza età, ma con una tale vivacità e brio addosso. Li stupì alquanto, nel sentirlo parlare in quel linguaggio spiccicatamene cretese, che elargiva consigli anticipatamente ai tre turisti, cose ancora non richieste, ma pur 213 sempre cose buone a sapersi per l’avvenire. < Hanno scelto bene il posto Signori! Qui, troveranno le migliori ragazze discendenti da antiche origini minoiche, esuberanti, allegre, ospitali, ma sopratutto disposte verso il turista a far trascorrere le giornate meravigliosamente bene sotto questo sole cretese. Credetemi pallicàris, giovanotti. Farete le migliori vacanze. > espresse con marcata euforia. E Mauro si trovò pronto a discorrere, pensando al tempo stesso, dove aveva appreso quel comprensibile linguaggio greco; all’università? < Be’, vorrà dire che le sapremo dire alla nostra partenza da Iràklion, se sono stati propizi gli dei dell’olimpo verso gli stranieri. > < Vedo che il Signore conosce bene la nostra lingua e pertanto non sarà difficile comunicare più profondamente con il gentil sesso del posto. Comunque, per qualsiasi informazione e aiuto, mi possono trovare al bar dell’hotel. Chiedete di Miros il sofèr, sarò a vostra disposizione. > < Okay, può contarci! > rispose Mauro, mentre gli altri due lo fissavano curiosi, a voler sapere cosa diavolo avevano borbottato quei due tra loro. Ma erano ormai giunti all’albergo e la domanda finì per essere rinviata a più tardi, mentre Mauro elargiva al taxista una buona mancia. La suite era bella e spaziosa, aveva un grande terrazzo che dava sul lungomare Makaríou e si perdeva sul mare aperto di fronte a loro e più a lato in lontananza si vedeva la piccola isola rocciosa di Dia. Lo spettacolo che si presentava ai loro occhi era superbo e dava l’immagine di un mare diverso in quella immensità mescolata di verde, azzurro e un blu profondo, sotto l’increspatura bianca delle onde. Tutto sembrava veramente di appartenere ad un altro mondo, qualcosa di mistico e antico traspirava in quel posto. Persino nell’aria s’annusava, quasi a percepire l’odore del vicino continente africano. Il Lift: il ragazzo dell’ascensore era entrato dopo di loro, serio e impeccabile nella sua divisa rosso scura, bordata da un’esuberanza di fronzoli dorati, era lì che aspettava. Aveva deposto a terra il loro ristretto bagaglio e lì stava osservando un po’ imbarazzato. Stefano lo guardò a sua volta e non sapendo cosa dire si era rivolto a Mauro, chiedendogli una spiegazione: < Mauro com’è... insomma, che parola magica occorre per dire al ragazzo, che può andarsene via, senza usare gesti strani? > < Quante dracme hai in tasca? > gli chiese Mauro con un risolino sulle labbra. < Ma, veramente ho circa cento dracme... > rispose confuso, mentre 214 Mauro lo sollecitava, dicendo: < Beh, cosa aspetto a dagliele e vedrai che lui toglierà subito il disturbo. > E con mille ringraziamenti il ragazzo se ne andò velocemente contento. Nel frattempo Andrea si era tolto la camicia e si era messo su uno sdraio sul terrazzo a godersi il sole, che incominciava a volgere al tramonto e l’irradiava per tutto il corpo di un colore arancione e Mauro osservandolo esplose a dire rivolto a Stefano, distratto a guardare sotto di loro il traffico serale. Scorreva fluido, ma altrettanto rumoroso, sul grande lungomare di Candia. < E’ bastato solo un momento. E track! Andrea è diventato tutto rosso come un peperone... Guarda un po’? > E di rimando Stefano: < Bisognerà metterlo in frigorifero per raffreddarlo a questo punto!? > e gli scappò una fragorosa risata. < Be’, che avete da ridere tanto? > protestò Andrea che incominciava a crogiolarsi di quel posto accogliente. < Insomma, che avete tanto da rompere ragazzi? > mentre si alzava dallo sdraio corrucciato in volto. < Nulla, è soltanto che hai un bel colorito, sembri pel di carota. > rispose Stefano con fare sornione. Mentre Andrea borbottando ai due e riprese a dire: < Ho capito siete gelosi del mio fisico, questa è la verità. Bene, sapete cosa vi dico adesso? Io vado a farmi una bella doccia fresca e poi andrei un poco per strada in cerca di una discoteca o una sala da ballo. Insomma ci sarà qualche buco? Ho una voglia matta di sgranchirmi un po’ le gambe. Voi no? > < Urca! > sbottò Stefano con allegria. < Che voglia di ballare ho anch’io addosso. E’ un sacco di tempo che non mi scateno. Dai ragazzi muoviamoci a fare una nottata di baldoria... e chissà cos’altro. Urrà!! > Mauro era ancora sulle difensive, dopo quei giorni di tensione e sgomento appena superate, che ancora non era di umore giusto, per darsi da fare in quel senso. Ma non poteva deludere quei compagni che avevano diritto di svagarsi un poco, dopo aver dovuto abbandonare tutto e tutti così precipitosamente e perciò rispose con un sorriso convincente: < Be’, cosa aspettiamo, diamoci da fare. Okay, ragazzi! > mentre rimuginava ancora qualcosa e il suo viso lo rifletteva, che Andrea gli chiese: < Be’, che c’è ancora, che ti preoccupa Mauro, qui siamo al sicuro, no? > < Beh! Volevo soltanto dire, che dovremo evitare di dar troppo nell’occhio in questi primi giorni e poi decideremo, se tutto sarà calmo... mi capite vero, ragazzi? Dobbiamo stare sempre allerta, non si sa mai... > < Certo, certo, ok! Faremo soltanto un giro per vedere cosa offre questo posto. > risposero quasi all’unisono, mentre si svestivano buttando i 215 vestiti da ogni parte. E persino sotto la doccia spaziosa si misero a giocare come dei ragazzini, spruzzando acqua da ogni parte. Mauro stava partecipando con finta apparenza giuliva, ma la sua mente era altrove. Chissà perché, gli stava frullando in testa un cattivo presagio di un’imminente olocausto. Quel presentimento gli era sorto appena aveva toccato piede su quell’isola così mitica e satura di avvenimenti già da millenni. Poi scaccio quei cattivi presagi e cercò di essere alla pari dei compagni, così euforici dopo tanto dolore e travaglio. E a quel punto non lo voleva far pesare quella sua fobia repressa. Poi, di quella sua cognizione era più che cosciente a non voler coinvolgere i presenti più di tanto. Erano le dieci di sera quando lasciarono il ristorante del Grant Hotel “Xenia”, e s’inoltrarono nella piccola e ridente metropoli di Iràklion, si erano messi addosso dei vestiti freschi: calzoni ti tela lunghi e chiari, con sandali appropriati, mentre le magliette erano a mezza manica, dal blu di Mauro e bianche degli amici che facevano risaltare i loro petti muscolosi. Era l’ultimo acquisto appena fatto sulla motonave greca e se li stavano sfoggiando, oltre aversi fatto un piccolo guardaroba da viaggio. In quelle strette vie la musica e le urla dei turisti, villeggianti e cittadini di Candia si mescolavano assieme in un’assordante melodia d’altri tempi. Si ammassavano e si moltiplicavano enormemente, creando una vera fiera a festa. Le vie e i vicoli erano assiepati di gente che passeggiava tranquillamente nella frescura della notte mediterranea. Camminando tra i negozi ancora aperti per invogliare i turisti tardoni, ed erano molto abbondanti in quel periodo privilegiato di alta stagione. Il portiere dell’hotel, alla loro richiesta di un posto per divertirsi, lì aveva indirizzati ad una megagalattica discoteca poco distante da loro. Quando apparve alla loro vista sulla cima di una ripida salita, lì stupì un poco. Nel suo complesso a forma di nave era grandiosa l’imponenza, stracarica di passeggeri che ogni qualvolta che si aprivano le grandi porte, usciva fuori un denso fumo di sigarette, che veniva sospinto dal vento verso il cielo, da sembrare dei grandi fumaioli di un transatlantico in piena navigazione. L’interno brulicava di gente, conteneva senz’altro più di tremila persone, stipate così bene, da sembrare tante sardine da inscatolare e pronte per l’affumicatura. 216 Capitolo Trentunesimo A quella vista traboccante di giovani, Stefano gli era sfuggito un urlo d’approvazione: < Iah-ooh!! Qui si balla!... > < E chissà cos’altro! > sbottò Andrea euforico, mentre Mauro torceva il naso, pensando che in quel posto si poteva fare solamente una buona sauna, con tutta quella ressa di giovani e meno giovani. Poi con foga da pionieri si erano buttati anche loro nella mischia, mescolandosi a quella moltitudine di persone urlanti che brulicavano da ogni parte. Buona parte ebbri da quella musica che rimbombava nei timpani dei partecipanti in euforica gioia, in quella voglia di scatenarsi a perdifiato e scaricare i nervi. La musica era inebriante, da stravolgere le fisionomie. Volti sudati e affannati e gli occhi sbarrati, un po’ allucinati. Forse anche aiutati da quelle pasticche da sballo che bazzicano sottomano e vanno così tanto di moda. In quella immensa sala si vedevano seni ondeggianti e agitati che sussultavano in continuazione. Fra braccia muscolose grondanti di sudore e il tutto coperto dal fragore assordante dalla musica, accompagnate dalle molteplici luci psichedeliche. Tutto era all’insegna del progresso più sfrenato, dove il ritmo era così avvolgente che i giovani partecipanti si trovavano a spartirsi il posto a gomitate tra loro. Stefano da buon poliziotto aveva adocchiato e abbordato come un falco due meravigliose figliole nordiche, erano veramente la fine del mondo. A stento Stefano, riuscì alla fine a farsi capire e a portarle dov’era Andrea in un giro di ricognizione, spiegando a quest’ultimo: < Senti amico. Ho recuperato queste due stangone bionde. E mi pare se non sono cieco, è più che evidente, sono gemelle e... non si separano mai. Capisci? > Andrea era rimasto a bocca aperta e affermava col capo. Mentre Stefano proseguiva: < Non so da che parte vengono dal nord? Forse svedesi. Perciò figurati, quanta voglia di maschi latini hanno? Soltanto e mi sembra che non capiscono né il greco e nemmeno l’italiano. Parlano un poco l’inglese. E tu, so che ti arrangi con quella lingua, così ho pensato che ci si può discutere con loro sul da farsi. Che ne dici? C’è solo un particolare e lo puoi vedere da te. E’ molto difficile distinguerle l’una dell’altra? Per me fa lo stesso. Non ho problemi. Tu cosa ne pensi, ti va di farmi compagnia con una delle gemelle gocce d’acqua? > commentò Stefano. < Io dico, che meglio di così non poteva capitarci d’incontrare. Se a 217 loro sta bene! Per me non m’importa chi sia quella delle due, chiaro. Poi se sanno l’inglese ci capiremo al volo e in verità a letto vanno bene tutte le lingue, purché lunghe e vogliose. > mentre si facevano reciprocamente le presentazioni, e dalle loro occhiate allusive, sembrava ch’erano i ben accetti a far da cavaliere alle carine bionde svedesi. Andrea era rimasto colpito e affascinato da quei due pezzi da novanta, bionde e carine, con un sorriso che sembrava stampato perennemente sulle loro vogliose labbra. Mentre i due lupacciotti aspettava un loro assenso benevolo, che risposero con identica voce: < Okay, okay, Boy friend! > < Bene, allora diamoci dentro! > E si buttarono tra la mischia a ballare un rock scatenato, mentre si stringevano tra le braccia ognuno la sua bionda. Le bionde vichinghe, dagli atteggiamenti procaci e dal modo che si passavano la lingua sulle labbra, in quei gesti infantili, ma assai produttivi a eccitare l’accompagnatore del momento. Mauro dal canto sua in quella bolgia si trovò a ballare di fronte ad una enigmatica ragazza dal viso ambrato. Aveva due bellissimi occhioni neri che prorompevano in uno sguardo affascinante, con una lunga capigliatura nera fin sulle spalle nude e più sotto una camicetta di pizzo bianca, molto scollata sul seno abbondante. Portava una corta gonna nera, mettendo in mostra due affusolate gambe perfette, da definirsi sorprendente tutto l’insieme. Mauro era rimasto colpito dalla bellezza della ragazza e ad un certo punto si stupì a supporre platonicamente. Assomigliava a una dea moderna, mandata in quel posto dagli dei dell’olimpo per divertirsi e far soffrire di desideri reconditi i presenti, e crogiolarsi vanitosa alle spalle dei tanti ammiratori che la corteggiavano assiduamente. 218 Era stupendamente bella, altera, ma altrettanto dolce, così sembrava al giovane in contemplazione. Mentre lei di tanto in tanto buttava un sorriso qua e là e qualche parola, in quel greco locale molto stretto e un po’ difficile da capire. Poi Mauro si fece coraggio e cercò un aggancio, con poche parole greche ma molto significative per la ragazza e subito tra i due incominciò una piacevole conversazione, fra salti e spintoni. Mauro aveva intuito che la ragazza aveva voglia di dialogare da quel che notava, era senz’altro lì sola, o al massimo con delle amiche. Perché era così strano che una così bella ragazza affascinante, non abbia il suo boy friend tra i piedi. “Magari il suo ragazzo sarà in qualche angolo della discoteca che l’attende?” Commentò tra sé Mauro, mentre pensava ancora che avrebbe egualmente continuato a parlare con lei, gli piaceva quella ragazza cretese. A un certo punto le domandò: < Scusami, ma sei sola? > butto quella domanda un po’ sciocca, in quella frase abbastanza frivola. Mentre lei lo fissava incuriosita, poi rispose: < No, sono con un’amica, Perché? > gli chiese lei un po’ sulle difensive. Mentre Mauro cercava di non invadere la sua privacy. Lui, voleva soltanto essere cortese e dialogare un altro poco. Poi, rispose: < Sei troppo carina! Perciò, mi sembra strano che tu non abbia un ragazzo che ti corteggi e ti faccia da guardia del corpo, in mezzo a tanti predatori che ti ronzano qua attorno. Ecco, tutto qui! > espose Mauro con un largo sorriso, la sua semplice opinione. Lei lo fissò con determinazione, ma al tempo stessa era incuriosita da quella domanda. Mentre si muoveva sinuosa al ritmo di quella musica sfrenata. Mettendo in evidenza il suo prosperoso seno, che ondeggiava paurosamente. Costringendo Mauro a guardare altrove per evitare l’imbarazzo di quell’eccitamento, che gli proponeva la ragazza in quel momento. Infine, lei rispose con semplicità: < Non dubitare, ce l’ho un ragazzo, e sinceramente lo devo ammettere, è anche bello. Ma purtroppo questa sera aveva del lavoro da sbrigare e così sono venuta a ballare con un’amica. Ma, in questo momento è sparita da qualche parte con il suo ragazzo. Perciò, eccomi qua sola, sola, al momento... > mentre sorrideva maliziosamente al giovane straniero. < Ma lui, non è geloso a lasciarti sola? Io lo sarei! Avere tra le mani una così graziosa e bella ragazza... > Ma veniva interrotto dalla giovane che gli chiedeva decisamente: < Ma tu per caso, > sbottò lei seriosa. < Non ci stai provando a farmi la corte, vero? > Mauro gli sorrise e rispose con fare serio: < Non mi permetterei mai con la ragazza di un’altro e in special modo, ad uno che lavora, non sarebbe 219 onesto da parte mia. Comunque, tanto per cambiare argomento, non gradiresti una bibita ghiacciata? Qua dentro si crepa dal caldo! > gli propose, mentre lei dopo averlo guardato per bene rispondeva con un caldo sorriso: < Ma certo, offro io! > propose lei con una gioiosa risata. E Mauro di rimando ribatteva: < La proposta è stata mia. Pertanto dovrai aspettare il tuo turno, che sarà senz’altro dopo. Okay! > poi aggiunse porgendogli la mano: < Io mi chiamo Mauro, Mauro Rossi, e tu? > < Elena. > rispose lei, mentre le loro mani si stringevano con calda simpatia e la ragazza metteva in mostra una meravigliosa fila di denti bianchi. E Mauro di rimando chiedeva ancora con fare furbesco: < Per caso, tu non fai parte della mitologia greca. Sei forse, quella Elena? Sai cosa intendo dire… Quella che fu messa in discussione per molti anni, ai tempi di quel capitano che ci lasciò il tallone. Quell’Achille, ricordi? > Elena di nuovo scoppiò a ridere ma di gusto, infine rispose a fatica trattenendo quella ilarità scoppiata per quella frase d’altri tempi. < Be’, sì! In verità, il mio lui, si chiama effettivamente Akhilleos... Come vedi sarà forse un lontano parente, ma ti assicuro è identico anche nell’aspetto e per di più molto geloso e combattivo. > espose compiaciuta al confronto, nel trovarsi entrambi a ridere nuovamente. Poi, mentre erano seduti al tavolino prenotato della ragazza e la sua amica, sopra la balconata che circondava la grande sala. Da lassù si dominava tutto sotto di loro, mentre osservavano quella marea tumultuosa in gran fermento. Dopo aver ordinato delle bibite di acqua ghiacciata mescolata a Ouzo, si rimisero a chiacchierare animosamente come due vecchi amici, sulle cose più svariate della vita e le differenze fra le varie nazionalità e via discorrendo. Ad un certo punto della loro ben avviata amicizia, era giunta accanto a loro, l’amica di Elena con il suo ragazzo un po’ alticcio da molti drink bevuti. Oltretutto il giovane cretese faticava a reggersi in piedi, oltreché a dialogare e visto che alla fine era soltanto un farfugliare di parole inutili. A quel punto, l’amica di Elena molto sveglia, si trascinò via il suo ragazzo, salutandoli velocemente e sparendo nuovamente tra la ressa di quei giovani in fermento, oltretutto super agitati. 220 Capitolo Trentaduesimo Mentre loro due incuranti dal frastuono continuavano a dialogare tra loro tranquillamente. Improvvisamente si trovarono accanto Stefano e Andrea in compagnia dalle due bionde vichinghe. Mauro fu colpito da quella identicità delle giovani, e per un attimo pensò di vederci doppio. Due visi angelici e con meravigliosi occhi azzurri e i loro corti capelli di un biondo platino e manco a dirlo indossavano identici e attillati vestiti, di un bianco smagliante. Il tutto faceva risaltare tremendamente le loro procaci forme anatomiche. E tutte quattro si dimostravano molto euforici in quel momento di reciproca conquista, mentre Andrea si era rivolto a Mauro dicendo: < Ehi! Amico. Scusa se disturbiamo... > ma si era fermato e si stupì della bellezza di Elena, che gli sorrideva maliarda da turbarlo. Poi s’era ravveduto da quella vista da mozzafiato e riprese a dire quasi con affanno: < Capisci Mauro, noi, insomma io e Stefano, vorremmo andare con loro. A dimenticavo, loro sono Elka e Frida, gemelle da non dirsi... > Mentre s’intrecciavano frettolosamente le mani. E Mauro subito fece le presentazioni di entrambi. < Lei è Elena e loro sono Andrea e Stefano e le gemelle Elka e Frida. > mentre scrutava compiaciuto le due turiste nordiche e stringeva a sua volta le loro mani. Stefano intanto stava dicendo, mentre scrutava la mora Elena seduta accanto a Mauro. < Sai, Mauro ci hanno invitato nella loro pensione e certamente faremo tardi... > poi, dopo una breve pausa riflessiva aggiunse. < Molto, molto tardi? > < Ma certamente ragazzi, divertitevi! Siamo qui per questo a Creta, vero? > rispose Mauro con un largo sorriso, mentre faceva l’occhiolino d’intesa a Elena, che a sua volta rideva tranquillamente di quella appropriata combinazione latino nordica. 221 Abbracciati per i fianchi, il quartetto se la squagliavano velocemente con un frettoloso saluto giubilante. < Ciao, ciao, a presto! > Mauro avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, ma quelli erano già spariti, mentre Elena che aveva intuito più che bene quel ballottaggio di prosperose avventure tra i giovani turisti, espose sorridendo a Mauro un suo commento: < Be’, vedo che i tuoi amici non hanno perso tempo nel darsi da fare per divertirsi. Poi in fondo sono due belle coppie, molto bene appaiate anche in altezza. L’unico problema l’imbarazzo nel dividersi la compagna giusta... difficile da distinguere, l’una dall’altra, ti pare? > Mauro stava per rispondere qualcosa al riguardo, quando lei tutta eccitata si mise a indicare qualcosa, fra quella marea di gente al centro della sala sotto di loro. < Guarda Mauro, eccolo è laggiù! Lo vedi? > indicando tra i giovani che ballavano, un giovane alto e moro, con dei cappelli neri, abbastanza lunghi e arricciati, che si guardava in giro preoccupato. Poi lei, lo chiamo a gran voce: < Akhilleos!! > e lui appena la vide, arrivò su da loro in un lampo. Mauro stava osservando con interesse quell’alta figura d’uomo, indicato poco prima da Elena, che avanzava con decisione verso di loro. E vedendo l’espressione dal viso corrucciato dell’altro, sembrava veramente teso e preoccupato quel giovane cretese. Con quella folta chioma nera che ondeggiava mentre s’avvicinava a lunghi passi, dava da pensare che avesse molta premura. E quando fu accanto a loro si pianto di fronte a Mauro con decisione e lo guardò dritto negli occhi con serietà preoccupante. Quasi a dimostrare ch’era pronto ad una sfida. Mauro era rimasto senza fiato, non aveva mai sentito su di sé uno sguardo altrettanto serio e profondo. Era come se quegli occhi scuri e penetranti fossero arrivati fino al centro della sua anima. E si stupì ancora di più da solo di trovarsi ed essere cosi calmo, nell’indifferenza più totale e senza reagire a quella sfacciata strafottenza che vedeva stampato sul volto squadrato del giovane cretese. Aveva le mascelle contratte per l’ira che dimostrava apertamente di aver in corpo. Mauro a quel punto fu turbato, ma non per quello che poteva pensare il presunto avversario, ma altresì per la sua idea sbocciata improvvisamente fuori dal suo subconscio. Il suo primo impulso perverso era stato quello di portarselo a letto quel bellissimo e arrogante giovane, ne sarebbe valso veramente la pena. Era folle quel pensiero affiorato così d’impulso, ma era veramente bello e intrigante quel rude giovane maliardo. Mauro si rimproverò, pensando che era l’uomo di quella giovane greca, e pertanto 222 era meglio scordare e accantonare quella evasione improvvisata. Elena che conosceva la caparbietà del suo uomo e sapendo più che bene quali erano le sue reazioni in quel genere d’incontri, intervenne rapidamente per placare gli animi. Poi, dopotutto era soltanto un dolce bambinone il suo uomo e lei sapeva come giostrarselo a dovere, spiegando al suo tenebroso uomo dall’aria più che mai rissosa a quella presenza di Mauro: < Lui è un amico, Mauro Rossi. E’ un avvocato italiano. > gli spiegò in quel dialetto greco locale e decisamente poi rivoltosi a Mauro lo presentò: < Ecco, questo è il mio ragazzo, Akhilleos Kirkis. > mentre i due si guardavano un po’ in cagnesco. Mauro allungò deciso la mano, dicendo all’agguerrito innamorato: < Piacere di fare la tua conoscenza! > Mentre l’altro un po’ titubante, allungò in fine la sua mano ruvida e callosa, stringendo con troppa energia quella dell’altro a dimostrare la sua priorità sulla ragazza. In quella stretta fatta con molta riluttanza, il giovane greco rispondeva a denti stretti, dicendo con semplice freddezza a quel presunto rivale: < Calispéra! > mentre si prendeva una sedia per sedersi accanto a Elena senza tanto complimenti al caso. Mauro lo ricambiò con un largo sorriso, pensando dentro di sé che quell’arrogante greco si stava sbagliando di grosso, lui in quel momento aveva altro per la testa e poi era già innamorato di ben altre persone, che si stavano già scordando dei loro intimi momenti e involontariamente gli sfuggì dentro di sé una semplice parola di rimpianto: “Peccato!” Poi tralasciò quei caldi pensieri antecedenti e tentò di riproporre qualcos’altro, 223 al giovane ombroso seduto di lato, che lo fronteggiava con ostentazione e diffidenza. < Venite spesso qui, a ballare? > Mauro aveva parlato apposta in italiano, per evitare che quel prode guerriero supponesse dell’amicizia troppo intimità con la sua ragazza, mentre indicava con la mano il locale. E dopo un attimo di riflessione avevano un poco intuito il significato, mentre Elena aveva risposto affermativamente. < Sì, abbastanza! > ma al tempo stesso lei pensava, “Perché mai aveva parlato in italiano e non in greco che sa spiegarsi e arrangiarsi benissimo?” Mentre Akhilleos stava ancora squadravano l’altro con circospezione e diffidenza, scoppiata in quel frangente di supposizioni dei presenti, che si andava formando velocemente in testa ad ognuno. Mauro in quell’attesa che qualcuno di loro parli, stava osservando con interesse quella specie di selvaggio preistorico dall’aria un po’ bellicosa. E a quel punto Mauro doveva dedurre e dar ragione a Elena, che in fondo era veramente un bel fusto il suo ragazzo; supponendo all’incirca della sua età. Abbronzato e muscoloso ma senza eccedere nelle forme da super olimpionico. Poi tralasciò quei commenti fuori posto e cercò di essere più esplicito verso il giovane ribelle, dicendogli decisamente ma sempre in italiano evitando che Elena capisse troppo quel dialogo tra uomini, fatto per lo più di sguardi belligeranti in un presumibile conflitto a due, se ci fosse stato: < Amico non t’arrabbiare... Io non sono qui per rubarti la tua donna... Devi credermi. Anche se non comprendi l’italiano, so che mi capisci egualmente... Mi sono spiegato? > mentre teneva puntato gli occhi addosso al giovane cretese, senza ostilità ma una pacatezza controllata. Akhilleos s’incupì maggiormente e strinse un po’ gli occhi a voler memorizzare quelle parole sconosciute e infine parve d’intuire la risposta attraverso i loro sguardi duri, ma espressivi e sinceri. Poi dimostrò di disinteressarsi a quell’italiano rompiscatole e rivoltosi alla ragazza gli chiese in greco, sapendo ormai che quell’italiano non capiva un gran ché, per non dire un accidenti del loro dialetto: < Be’, dove l’hai pescato questo pezzo di, bamboccio legale? Ah’, lasciamo perdere! Comunque, mi devi scusare Elena, ma avevo un lavoro da fare? > e vedendo il viso della donna incupirsi, Akhilleos si spiegò meglio: < Sì, ho portato qui da Mirtos sulla mia Rolls Royce un carico di bionde. Roba per il contrabbando locale e ho preso un bel po’ di dracme... > Ma Elena lo fermò appoggiando la mano sul suo braccio, dicendogli tranquillamente a sua volta: < Guarda che dovresti far più attenzione quando parli. Perché lui, Mauro, oltre che essere un avvocato italiano capisce anche il greco. > 224 Akhilleos restò un momento in silenzio, un po’ confuso, ma si riprese subito e guardando dritto negli occhi a Mauro, ed espose ciò che pensava senza tanti complimenti e con determinazione redarguì l’altro: < Penso che tu non sei qui per rompere... diciamo, le uova nel paniere, vero, dìchigòros, avvocato, giusto? > e sbottò un leggero sogghigno. Mauro abbozzò un largo sorriso, pensando al modo controverso di esporre con decisione le sue idee. Quel mezzo bucaniere gli piaceva, forse troppo, ma non volle andare oltre e addentrarsi in particolare troppo profondi e immaginari. Poi, alla fine rispose al giovane selvaggio, ma questa volta in greco: < Amico, > sbottò Mauro con un’ingannevole sorriso sulle labbra. < Io ho già abbastanza fastidi addosso, per non dire guai da risolvere, senza andare a cercarne altri. M’hai compreso? > mentre gli balenava di colpo un’idea, che quel bel giovane moro dalla chioma fulva e nera, gli poteva forse servire in qualche modo. Essergli magari di aiuto in quelle circostanze scabrose che si trovavano lui e i suoi amici in quel momento. Mentre quelli, in quel medesimo momento erano a spasso tranquillamente con le svedesi, se non di già a letto a scopare. Era stata una cosa così improvvisa, sentita dentro, nel profondo dell’anima, e Mauro era sicuro che poteva fidarsi di quell’uomo dai sentimenti forti ma leali, il suo intuito non mentiva. Così Mauro decise di punto in bianco di parlare ai due amici appena acquisiti. Erano rimasti a guardarlo incuriositi, per la sua espressione preoccupata: < Senti un po’ Akhilleos. Io avrei un piccolo problema da risolvere e forse tu potresti aiutarmi? > mentre lo fissava dritto negli occhi scuri in attesa. E altrettanto il giovane greco lo stava studiando e inquadrando per bene in quella sua mal certa curiosità, quasi avesse già colto il significato della richiesta e deciso gli sussurrò, con un vago tono d’intesa: < Di che genere di aiuto... hai bisogno avvocato? > aveva usato una tonalità più concisa ma dall’espressione amica. Mentre Mauro fissava e cercava la sua risoluzione, prima su Elena e poi Akhilleos e alla fine tentò di spiegarsi: < A questo punto, devo fidarmi di qualcuno e penso siate voi quelle persone. Anche se ci conosciamo appena, la vostra fiducia è più che riposta in me. E per farla breve... Dovete sapere, che in Italia sono stato testimone involontario di un omicidio della mafia e così ho dovuto scappare per non essere ammazzato. Capite questa mia situazione? > buttò quell’inventiva travisata, per dare un senso alla sua richiesta, senza addentrarsi troppo nei dettagli. Già di per sé complicata. < Veramente!? > sbottò Elena sorpresa. < Ma sei così tranquillo. Non hai paura che ti trovino quelli? > 225 < Se vi dicessi la verità, senz’altro non ci credereste. Si ho paura, ma di più per i miei amici che mi hanno aiutato a fuggire e ora anche loro sono bersagliati dalla ndrangheta calabrese e la mafia siciliana. V’immaginate tutto questo sconvolgimento nella nostra vita. Ecco perché siamo capitati qui a Creta e proprio per caso. Avendo trovato l’unica nave che transitava da Malta di notte e l’abbiamo presa al volo. Ma io presumo che attraverso i nostri documenti ci possano rintracciare ed è per questo che volevo sapere da te Akhilleos, se per caso conoscevi qualcuno? S’intende pagando bene. Poter avere dei nuovi documenti d’identità? Insomma, dei documenti falsi per cambiare identità per sempre. Capisci il mio... il nostro guaio? > Akhilleos con un lieve cipiglio e cenno del capo, annuì. < Ma tutti quanti dovrebbero cambiare l’identità? > chiese a sua volta Elena con circospezione. E Mauro calmissimo rispose: < Certamente, perché hanno cercato di nascondermi in casa loro, ma purtroppo siamo stati individuati e per poco non ci ammazzavano tutti. La mafia non perdona a chi interferisce nei suoi sporchi affari, perciò ci perseguitano a morte. Pertanto se tu avessi delle conoscenze... > mentre guardava in viso il giovane greco pensieroso. Mauro aspettava una risposta affermativa, sapendo che quella idea era la soluzione migliore per far perdere le tracce definitivamente. Capendo, che senz’altro la mafia ora starà cercando quei tre giovani killer fuggiti con il malloppo, mentre si commentava tra sé e sé, Mauro poco convinto: “Non si sa mai, un po’ di pace in più non farebbe poi male a nessuno, di questi tempi?” Akhilleos, dopo una breve pausa, chiese a sua volta: < Ma non potevate rivolgervi alla polizia italiana? Farvi aiutare da loro... farvi proteggere? > Mauro gli sfuggì un piccolo sogghigno e rispose: < Non era possibile... Be’, sì in un certo senso avremmo avuto la protezione della polizia, ma la mafia si sarebbe vendicato contro i nostri parenti, ricattandoci. E’ per questo che abbiamo preferito lasciare per sempre l’Italia e vivere all’estero. Ma io ho paura che girando con i nostri veri documenti ci si possa incappare in qualcuno di loro... Comprendete? > < Già, hai ragione! E’ meglio non provarci. > approvò Akhilleos mentre si strofinava con la mano la barba un po’ lunga sul suo viso ambrato. Poi di colpo butto indietro oltre le spalle i lunghi capelli che gli cadevano un po’ sul viso e si alzò dicendo: < Aspettate qui un momento, vado a fare una telefonata. > e se ne andò di filata con quella caratteristica falcata agile. Mentre Elena rassicurava Mauro. < Devi stare tranquillo, quando Akhilleos prende un’iniziativa lo porta sempre a termine. In verità 226 lo devo ammettere, lui è un uomo di parola. > < Sì, questo lo capito appena l’ho visto. Io stranamente percepisco sempre chi ha l’animo buono, al di fuori dell’esteriorità burbera. Invece di altri per non dire molti, che ti circondano di moine ma sono ambiguamente ipocriti. Comunque mi compiaccio con voi due, siete una bellissima e affiatata coppia. Spero che sarete tanto felici assieme in futuro. > < Ma, lo spero bene anche io. > rispose Elena tranquillamente. Akhilleos tornò quasi subito con un mezzo sorriso sulle labbra carnose, e appena seduto si avvicino ai due e disse sotto voce. < Sei fortunato amico. C’è uno che può fare qualcosa per il tuo caso, ma vuole mille dollari in anticipo e il resto da stabilire dopo? > mentre osservava Mauro e aspettava una conferma, che decisamente Mauro approvava muovendo il capo: < Okay! Non c’è problema. > rispose, mentre aspettava di avere altre spiegazioni al riguardo di quell’operazione da farsi sottobanco. < Il tizio abita a pochi chilometri da Ziros, sulla punta estrema orientale dell’isola. > spiegò Akhilleos mentre si guardava attorno con circospezione. < Lui è un tipo fidato. Su questo puoi stare tranquillo. > < Okay! Ma dove lo posso incontrare e quando? > chiese Mauro con sollecitudine e un po’ di euforia. < Domani, anzi oggi alle dieci, > guardando l’orologio al polso di Mauro, < Lui sarebbe libero da impegni... > mentre parlava Akhilleos guardava Elena e stava pensando come fare, poi ebbe un’idea, dicendo a Elena: < Non potresti portarlo tu con la tua moto? Oltretutto non dareste tanto nell’occhio, andando in giro in cerca di souvenir particolari. In ogni modo Elena ti spiegherò dopo la strada. > e rivolto di nuovo a Mauro gli diede delle piccole delucidazioni al caso: < Devi sapere che Spiros, così si chiama o si fa chiamare così? Per l’esattezza non so bene se è quello il suo vero nome... Comunque non c’interessa. Lui è un tipo molto speciale e previdente su certi lavori artigianali e deve sempre di persona giudicare se deve accettare oppure no. Credimi, amico, comunque quando lo conoscerai capirai meglio che tipo è Spiros. Strano ma sincero. > Mentre Elena chiedeva a Mauro: < In che albergo vi siete sistemati? > < Al “Xenia”. L’unico che aveva camere libere. > rispose Mauro. < Però, vi trattate bene! > espresse Akhilleos sorridendo, poi riprese a dire: < Bene, allora Elena, passi da lui alle nove a prenderlo e io sarò ad aspettarvi in piazza a Sitia alle dieci e trenta. D’accordo? > < Okay, d’accordo! > mentre Mauro estraeva cento dollari dalla tasca dei calzoni e l’infilava nella tasca della camicia mezza sbottonata di 227 Akhilleos. < Questo è un anticipo per il disturbo. > espresse Mauro. Ma subito Akhilleos reagiva decisamente. < No! Mi spiace ma non voglio nulla, questo è un favore da amico. Non posso accettare! > restituendo decisamente il danaro a Mauro che insisteva energicamente a voler dare: < Dai, non offenderti! Non che ne abbia molti, ma non mi mancano per il momento. Poi oltretutto, ti stai dando da fare per me e i miei compagni e sinceramente non saprei a chi altri rivolgermi. Ti prego accetta e poi domani, insomma oggi darò a Elena il dovuto per tutto il disturbo, anche per il suo trasporto in moto. Ok! > Mentre Elena dava una gomitata al giovane restio, e rispondendo lei più che mai decisa: < Okay Mauro, serviranno per farmi la mia dote, vero Akhilleos? > rivolgendosi al suo ragazzo con un sguardo conturbante, da confonderlo tremendamente. Si vedeva più che bene che lui era innamorato e ammagliato da quella stupenda fanciulla e si lasciava trascinare e guidare senza reagire minimamente. Perciò alla fine, rispose semplicemente a Mauro: < Ok, ok! va bene, facciamole la dote e grazie ancora. > e metteva in mano a Elena la banconota, che prontamente la faceva sparire nella sua borsetta. Poi con decisione Akhilleos salutò Mauro con una stretta di mano ben diversa di poco prima, esprimendo una leale solidarietà in quel gesto: < Allora ci vediamo, d’accordo Mauro? > rispose con un caldo sorriso, mentre si alzava dalle sedie, nel dargli una pacca sulla spalla a confermare la serietà e la sicurezza di quel lavoro. Elenca a sua volta porgeva la mano a Mauro, salutandolo calorosamente: < Bene, allora, sarò da te alle nove precise. Ciao! > confermò lei sorridendo. < Okay! Tra poche ore, all’entrata dell’albergo, d’accordo? > rispose Mauro più che soddisfatto per l’inaspettata riuscita. Poi mentre osservava Akhilleos ed Elena che si allontanavano a braccetto sorridenti, Mauro 228 rimare lì, in contemplazione a fissarli soddisfatto. “ Sono veramente una bella coppia.” Commentò con una piccola e imprecisata punta d’invidia. Mauro dopo un buon momento di rimuginazione, si era avviato a sua volta verso l’uscita e appena fuori da quella bolgia tirò un grande respiro di sollievo. Scappando via da quella fabbrica di fumo che gli soffocava il respiro. Oltre al baccano infernale emesso a tutto volume, da provocargli un effetto contrario ad una normale situazione di euforia. Quel frastuono esagerato gli aveva messo i nervi tremendamente a pezzi. Comprendendo che il tutto era provocato da ben altro, ma che al momento non sapeva bene cosa fosse, o forse non voleva ammetterlo di saperlo più che bene quale era il problema reale. Dovendo poi alla fine ammettere ch’era semplicemente geloso con il prossimo e arrabbiato con sé stesso, di quell’assurda situazione in cui si trovava in quel momento. Cercando di portare la sua attenzione verso altre questioni, pensando e incolpando quell'incubi che subiva ormai quotidianamente, dopo quella famosa notte. Per Mauro erano ormai diventate una cosa così abituale, ma per fortuna che la compagnia e l’esuberanza dei compagni di sventura, facesse sì che si smorzasse un poco quella stressante situazione che incombeva tremendamente sul suo capo. Senza però darlo a vedere agli amici, già abbastanza in apprensione per sé stessi. Sapendo più che bene che tutto quel travagliato aggrovigliamento di avvenimenti era soltanto e dovuto a quell’amore per la vita. Da divenire abbastanza morboso in quella mischia triangolare, sapendo altre sì bene, che non poteva durare a lungo quella fiaba d’oltre sponda. Pertanto da un giorno all’altro poteva finire tutto di colpo, ma dentro di sé Mauro non pensava che sarebbe finito cosi presto e all’improvviso. Sperava, che quell’amore e rispetto reciproco, nato con i suoi compagni durasse ancora. Almeno un altro poco. “Pazienza, pazienza!” sbottò sull’incavolato. Immaginando che passata quella paura, tutto sarebbe oltretutto cambiato con l’aiuto di quella piccola fortuna che custodiva la sua sacca, essendo poi il migliore afrodisiaco per far dirottare qualsiasi idea. E pertanto, si diceva tra sé e sé che non doveva aver nessun rancore verso i compagni di sventura, se tutto quell’eufuismo stava scemando nel dimenticatoio. Ormai capiva ch’era giunto il momento della fatidica separazione. Intuendo più che bene che in quella prima avvisaglia di follie notturne era il preludio di un proseguimento costante e imminente. Lui, lo sentiva dentro di sé quell’apprensione accentuata di sgomento. E in fondo, era più che giusto pensò: “In fondo a tutto è meglio prima, che aspettare il dopo”, bofonchiò tra sé più che mai abbacchiato. 229 Poi senza accorgersene, era giunto davanti al Grant Hotel e per un attimo si girò a guardare quella moltitudine di gente che passeggiava a quell’ora di notte. Mauro ebbe un vacuo sorriso di commiserazione con sé stesso, pensando a quante persone avrebbero voluto possedere quella fortuna che aveva riposto nella sua borsa da tennis e avrebbero fatto follie quella notte. In quanto a lui non importava molto, era soltanto un mezzo come un’altro per sopravvivere in quel momento. E tutto quel suo rimuginare d’idee strambe, era solamente e perché, in quel momento si sentiva così solo e avvilito, per non dire deluso della vita. Pensando a ciò che gli dava tanto fastidio in quel momento: di essere rimasto alle prese con la sua scadente memoria. Sebbene in parte riacquistata ma, alquanto deludente. E a quel punto avrebbe voluto che la sua memoria si ampliasse su quelle non tanto brillanti prospettive che si delineavano all’orizzonte. “Pazienza, pazienza, ragazzo!” sbottò ancora dentro di sé incavolato più che mai, sapendo che era l’unica maniera per commiserarsi nel ripetere continuamente le stesse cose e farsi venire un gran mal di testa. La voce del portiere lo distolse da quelle vacue rimuginazioni, riportandolo alla realtà del momento, con un saluto. < Kalinikta Kùpios! > Augurandogli la buonanotte, e a sua volta Mauro rispose per rispetto in quella sua svogliatezza: < Kalinikta! > sparendo oltre la porta d’ingresso. 230 Capitolo Trentatreesimo Mentre si stava spogliando, Mauro si ricordò di recuperare i vari documenti e le foto istantanee fatte nella macchine a gettoni al Super Market di Reggio Calabria, prima dell’imbarco e un bel po’ di danaro necessario per quell’operazione di cambiamento radicale delle loro vite. Sistemato ogni cosa nella tasca del giubbino jeans, e il tutto gli avrebbe servito tra poche ore. Alla fine si spogliò e si recò in bagno a farsi una bella doccia tonificante, sapendo ormai che quella soluzione era l’unica cosa che gli riusciva più che bene, aiutandolo a rilassarsi e alleggerire i suoi pensieri alquanto turbinosi. Alla fine visto che il sonno era ormai andato a farsi benedire, pensò bene di mettersi sul terrazzo a godersi quella notte in santa pace e aspettando l’alba ormai vicina. Mauro si era sistemato su di uno sdraio nell’attesa che passino quelle poche ore e giunga il mattino. E poi alle nove passerà Elena, a prenderlo con la sua moto. Così si era accordato, ripensò distratto. Era li disteso e distrattamente osservava le stelle, che si aprivano in un ampio scenario celeste sopra di lui. Mauro in quel momento, si lasciò rapire dalla fantasia; quasi a voler contare quelle miriadi di miliardi di stelle cosparse in cielo. Tutti quei puntini luminosi, così scintillanti in quell’infinito spazio convulso dell’universo, lo stava tremendamente affascinando. Si trovò a ritornare indietro nel tempo e si rammentò che aveva desiderato molte volte soffermarsi a scrutare il firmamento ma non aveva mai trovato il tempo per farlo. E ora ch’era lì a guardare, se lo voleva godeva tutto per sé in un sol momento quella stupenda visione. Mentre scrutava con impegno il cielo in cerca della sua buona stella. Ma subito Mauro si dovette ricredere, capendo che lui, un miserabile assassino non poteva pretendere di averne una; dopotutto non sé la meritava veramente. Ma in fondo a tutto si sentiva così solo in quel momento e avrebbe voluto anche lui avere lì accanto qualcuno d’amare e essere amato. Intuendo più che chiaramente, che in futuro sarebbe stato un mezzo calvario per un tipo come lui, così introverso e soprattutto un maniaco omicida. E si vergognò tremendamente da solo, per quella verità venuta a galla più che veritiera. Era così miseramente impotente a reagire e accettare le sue colpe, che si trovò a piangere convulsamente. 231 Alla fine Mauro si lasciò andare e s’assopì a quel modo con un forte peso sullo stomaco e un gran mal di testa. Ma nel sonno che seguì fu scosso e agitato, cercando disperatamente di reagire e svegliarsi. Si sentiva inseguito dai fantasmi del suo passato, avvolti da amare e ingiuste gelosie. Vedeva scorrere dinanzi a sé impotente, i volti sconvolti e insanguinati delle sue vittime che aveva trucidato cinicamente, e dove il sangue scorreva a flotti. Da divenire un grande fiume irruente e rosso dal sangue che traboccava convulso da quei cadaveri viventi. Lui, tentava disperatamente di fuggire e guadare la riva. Ma si sentiva bloccato e capiva che stava per annegare tra quelle acque torbide. Mentre il sogno si faceva sempre più irruente, nel vedersi inseguito un’infinità di persone armate e grondanti di sangue e lui disperatamente faticava a correre. Quei fantasmi gli sparavano contro con grande soddisfazione espressa dai loro ghigni sgraziati. Mentre osservava con terrore il suo corpo tutto traforato dai proiettili. Era pieno di buchi e il sangue usciva copioso. Lui disperatamente tentava di otturare quei fori con le mani insanguinate, ma tutto era inutile e alla fine non approdando più a nulla, si lasciava travolgere dal terrore. E a quel punto del suo macabro sogno, si svegliava di soprassalto stremato, avvolto nella paura più cupa. Purtroppo, quell'insano sogno si ripeteva ormai costantemente eguale ogni notte. Mauro si trovò, che tremava come una foglia al vento, cosparso di una sudorazione fredda, a quel punto si avvolse meglio l’accappatoio addosso, ma non se ne andò a letto. Era rimasto lì a ripensare a quelle sue turbative mentali, che gli stavano piano piano, condizionando e rendendo la vita impossibile, portandolo presto alla pazzia. Quella soluzione era la più credibile. Stava impazzendo. Poi, Mauro si guardò attorno, rendendosi perfettamente conto ch’era lì tutto solo e nudo come un verme. Nel capire ancora una volta, dove aveva sbagliato e a cosa gli serviva quella sua smania d’amore perverso verso i suoi compagni di sventura. Era solamente un appiglio per non dare il tempo al suo subconscio di pensare oltre e avere qualcuno accanto per placare e mascherare la sua errante paura di quei sogni notturni, che lo perseguitavano ormai continuamente. 232 Capitolo trentaquattresimo Mauro era ancora in bagno quando squillò il telefono in camera. Uscì dalla doccia grondante d’acqua e si reco dall’altra parte, alzò la cornetta e l’addetto alla reception l’avvisò che vi era una certa signorina Elena che l’attendeva da basso. Lui ringraziò e velocemente terminò di asciugarsi e vestirsi, si era messo di volata un paio di jeans, t-shirt bianca, mocassini e giubbotto, infine ricontrollò se aveva preso tutto. Poi scrisse due righe per avvisare i due nottambuli, che lui restava fuori una buona parte della giornata e si avviò celere all’ascensore. Elena l’attendeva nella hall del Grant Hotel, aveva addosso dei jeans chiari, stivaletti neri e camicetta a fiori molto aperta sul davanti da permettere una buona vista sul suo seno perfetto e sul suo viso ambrato aveva un paio di occhiali scuri, abbinati alla sua folta capigliatura corvina annodata dietro alla nuca a coda di cavallo. Mauro constatò ch’era perfetta in tutto, aveva l’aspetto da sbarazzina e il tutto le donava tremendamente tanto, per non dire molto e conturbante. E quando lei lo vide uscire dall’ascensore le corse incontro e l’abbracciò furbescamente con calore, dandogli un leggero baco sulla guancia. < Finalmente caro! > proruppe lei a voce piuttosto alta, in quell’euforia che dimostrava. Mentre Mauro in un primo momento rimase un po’ confuso, ma subito si riprese a quel dolce abbraccio di primo mattino, oltre che al parlottare nascosto della ragazza che gli diceva piano nell’orecchio: < Stringimi per favore e fai finta di nulla, c’è un poliziotto dell’Hotel in borghese, che mi ‘sta da un bel po’ appiccicato addosso e ora ci osserva continuamente. Caro! > esplose ancora con una tonalità più alta del dovuto. < Ti sei svegliato finalmente! Sai che dovevamo già essere al mare a questa ora... Be’, sei pronto adesso? Andiamo allora! > < Scusami amore! > rispose Mauro in quel greco espresso in una tonalità anglosassone, mentre la baciava nuovamente sul viso. < Mi dispiace per il ritardo! Mi sono addormentato pensandoti. Sai, dopo la bella serata trascorsa assieme, è stato un onore farti da cavaliere.. > < Va bene, ma ora andiamo, è tardi! > l’incitò la ragazza mentre osservava che il loro dolce colloquio non era passato inosservato dai pochi 233 presenti nella hall dell’Hotel a quell’ora. E tutti quanti si stavano gustando la fresca bellezza di quella spigliata ragazza, che se ne stava andando via in compagnia di quel fortunato giovane cliente del Grant Hotel “Xenia”, e lasciando tutti a bocca aperta, per non dire vuota dall’invidia. Accanto alla moto della ragazza, Mauro espresse con serietà un semplice: < Grazie Elena! > Mentre lei gli passava il casco sorridendo, poi rispose: < Dai monta su, che andiamo! > lo incitò con celerità. Mauro s’infilò il casco e salì dietro a Elena, mentre le sussurrava ancora all’orecchio: < Non so come avrei fatto senza di te, sei una ragazza sveglia e tremendamente affascinante... > Ma lei aveva già accelerato e la moto schizzò via come il vento, mentre lui tentava di parlare ancora, ma fu costretto a gridare oltre il casco di lei per farsi sentire: < Quando incontreremo Akhilleos? > < Tra poco! > rispose lei quasi urlando. < Ci aspetta a Sitía, a un centinaio di chilometri da qui. Ma ora tieniti bene, perché si vola! > e aumentò l’andatura già abbastanza veloce in quel momento. Mauro in quel frangente di cose nuove, si sentiva veramente bene e avrebbe voluto che quella ragazza che stringeva per la vita, fosse la sua donna. A quel pensiero, cercò di immaginarsi e ricordare quell’altra, la ragazza romana che aveva piantato in asso. Carla? Ricordando il severo rimprovero e la vaga spiegazione del suo gesto incosciente, dette da quel padre che non sentiva per niente suo. Ma ancora in quel momento non riusciva a ricordare visivamente quella Carla, che avrebbe dovuto sposare. “Incredibile?” Commentò tra sé costernato. Purtroppo non si rammentava proprio nulla, nemmeno una parvenza di fisionomia, nulla? Cercando di sforzarsi a voler almeno avere una piccola visione di quella donna lasciata 234 a Roma, anche solo per il gusto di dirsi poi, che non aveva fatto male a piantarla. Ma tutto inutile, non riusciva a metterla a fuoco. Mentre si spremeva le meningi, Mauro gli sembrava d’intravedere soltanto un’ombra, una cosa sbiadita d’altri tempi. Poi visto che non approdava a nulla si disarmò da solo, nel capire che non doveva insistere ancora. Altrimenti poteva capitagli di rovinare quella bella giornata iniziata abbastanza bene, stretto al caldo corpo di quella Dea dell’Olimpo greco, che zigzagava sulla strada come una vera centauro spericolata. Al porticciolo di Áyios Nikólaos si fermarono un momento per prendersi una bibita, mentre Mauro tentava di acquietare la corsa irruente della ragazza: < Ma tu, corri sempre così decisa? > < Ma, guarda che non ‘sto correndo, vado di fretta. Tu hai paura forse? > mentre rimontavano in sella, e lui le rispondeva con un semplice ma stantio sorriso: < No, no! E’ soltanto una mia curiosità... > Ma lei aveva già innestato la marcia e via un’altra volta di volata. Alla fine giunsero nella piccola cittadina di Sitia e in piazza trovarono parcheggiato il camioncino sgangherato di Akhilleos. Elena entrò decisa in un cancello aperto. Poi, mentre stava parcheggiando la sua moto nel cortile di una trattoria a lato della piazza. Akhilleos stava uscendo proprio in quel momento dal locale avvicinandosi a Mauro dicendo con fare burlone: < Siete in ritardo ragazzi! > < Scusa la colpa è mia. Ho fatto aspettare Elena in albergo. > mentre osservava il giovane greco, intento a seguire le mosse della sua ragazza che sistemava la propria moto. Poi l’altro, riprese a dire a Mauro: < Sai una cosa amico. Io non smetterei mai di guardare la mia donna, mi fa girare la testa ogni volta che la vedo... > mentre la sua voce esprimeva una tale gioia piena d’emozione. E riprendendo a dire con enfasi: < Perché ogni volta che me la vedo davanti mi manda in tilt il cervello. Mi piace tanto e mi fa impazzire, credimi amico! > Mauro era stupefatto nello scoprire nuove cose di quel burbero bucaniere, dall’apparenza così diversa dalla notte prima che sembrava volesse spellarlo vivo avendolo visto assieme alla sua ragazza in discoteca. E ora qui, così modesto ma franco nell’esprimersi. Probabilmente, pensò Mauro, che quel giovane doveva avere un cuore grande come il mondo, oltreché pieno di saggezza. Mentre pensava ancora, che era soltanto la seconda volta che si vedevano eppure si era restaurato un rapporto così umano e profondo tra loro due. E di questo Mauro gli era molto grato, comprendendo che di questi tempi è molto difficile trovare ancora simili 235 personaggi e si compiacque ancora di più con lui: < Sei veramente fortunato amico! > esclamo con sincerità. < Hai la più bella e dolce ragazza e in verità ti invidio tanto. Comunque sono felice per voi due. > Mentre Elena si stava avvicinando a loro e li stava osservando un po’ dubbiosa, infine li apostrofò entrambi: < Be’, che c’è di tanto strano in me? Mi state guardando come se fossi una bestia rara! > protestò lei vivamente. E quasi in contemporanea risposero loro due decisi. < Niente, niente! > Subito Akhilleos riprese a dire alla ragazza con una voce un po’ emozionata: < Su, andiamo tesoro! Sali... > mentre se la stringeva a sé con passione. < Dai, salite sulla mia Rolls... > e scoppiarono a ridere per il lontano paragone fra le due vetture quasi d’epoca. Appena superata la località di Ziros, Mauro chiese: < Manca ancora molto per arrivare dal Signor Spiros? > < Tra due chilometri. > spiegò Akhilleos. < E’ dietro quel crinale laggiù. Tra un momento vedrai la casa dell’amico Spiros. E’ situata su un piccolo pianoro a strapiombo sul mare e dalla casa si domina tutto il mare aperto sul Mediterraneo. E’ un bellissimo posto! Spiros lo chiama il suo monastero. La leggenda dice che avrebbe dovuto sorgere un convento sopra al tempio, ma il Dio Giove non lo permise e fece crollare quasi tutto nel mare. Un terremoto, e quel che rimane è stato fin dai tempi addietro sistemata a semplice dimora per eremiti. > < Già, ha qualcosa di misterioso il posto. > approvò Elena, mentre si 236 guardavano in giro curiosa. E infatti appena svoltarono dietro il monte, apparve il piccolo spiazzo antistante e s’intravedeva oltre il grosso platano, la sagoma della piccola casetta bianca con le persiane e le porte dipinte di un blu chiaro, era a ridosso di una roccia a strapiombo sul mare libico, che brillava al sole sopra di loro dritto allo zenit. Akhilleos fermò rumorosamente il suo scassato camioncino nello spiazzo antistante alla casa, alzando un gran polverone. Sfidando il tutto, scesero dal mezzo e portandosi rapidamente sotto il pergolato di una vite moscato dal tronco grosso e secolare. Mentre il vento spazzava via l’ultimo granello di polvere e ridando al posto la pace e la solitudine abituale. Loro si misero a curiosare attorno, mentre seguivano Akhilleos verso la casa. Mauro si stava gustando quel posto così solitario, ammirando la sua ubicazione centenaria, mentre tutt’intorno non si vedeva anima viva; da sembrare che in quel punto il tempo si fosse fermato da parecchio tempo. Mauro era affascinato da tanta bellezza abbandonata, ammirava un’infinità di sculture dall’aspetto molto antico sistemate tra piccoli viali di alloro e rosmarino. E gli sembrava di trovarsi in uno di quei tanti musei greci abbandonati al proprio destino. Poi, in quel posto così silenzioso e pieno d’antichità gli pareva che aleggiasse attorno anche un pizzico di mistero. Quel posto era solamente una piccola e vecchia impresa artigianale imitazioni archeologiche, ma di discreta fattura nella creatività dell’estro dell’artista. Dove la scelta del prodotto era abbastanza vasta: dai capitelli decorati, ai cavalli di ogni grandezza e forma, ai mezzi busti dei vari personaggi della storia e della mitologia greca. Sistemati su mezze colonne artefatte, d’origine: dorico, ionico e corinzio, di greci, minoici e macedoni. In quel miscuglio di doppioni, più o meno belli e goffi, esposti in 237 quell’antichità ben ricostruita, a valorizzare la mano dell’artista e a confondere il turista affrettato e avido di scoprire cose nuove e strane, ma soprattutto a buon prezzo e là in mezzo a quella groviglio di stranezze, poteva trovare ciò che gli confaceva. Anche fra quelle grandi statue di condottieri in grandezza naturale, esposti così bene: da Alessandro Magno nudo con la spada e lo scudo in mano a Minosse pronto per la battaglia e poi ancora, da Oreste, Agamennone, Zeus con le saette in mano e ancora: Minerva, a Perseo con in mano la testa di Medusa, Eracle, Apollo nei vari abbigliamenti dell’epoca e in fine Achille nudo, colpito al tallone dal dardo fatale. Tutto era così esposto più che bene, a invogliare il turista a comprare. Mauro si soffermò un attimo a osservare quell’ultima statua per bene, era a ridosso della casa in un bel marmo bianco levigato e si stupì per la forte rassomiglianza con l’amico Akhilleos e notò che anche Elena ci stava pensando sopra, ma poi si allontanò tranquillamente senza dire niente. 238 Mauro si accorse che Akhilleos era alquanto imbarazzato di quella perfetta rassomiglianza e per una frazione di secondo i loro sguardi s’incrociarono e Mauro capì all’istante che Akhilleos aveva fatto da modello per quell’opera, ch’era veramente la più bella e perfetta. Poi, senz’altro l’astuzia dell’artista, l’aveva messa apposta in quel posto per invogliare i turista a guardarla più che bene. E Mauro se ne compiacque nuovamente, pensando se veramente era proprio identica in tutto e per tutto, in quell’abbondanza sostantiva che mostrava il marmo ben levigato. Poi, capì che non doveva commentare e tralasciò quei pensieri cattivi, e seguì i due amici. A quel punto Akhilleos ripresosi da quell’inghippo dimenticato più di un anno fa; ma rievocato in quel momento d’imbarazzante situazione da sentirsi più nudo del suo doppione marmoreo esposto in bella mostra, che lo ritraeva dolorante nel tentativo di strapparsi la freccia dal tallone. Alla fine Akhilleos tento di deviare l’inghippo e spiegò ai compagni: < E’ tutta opera di Spiros. E’ un piccolo artista, un Michelangelo cretese... > facendo segno con il braccio a cerchio per indicare tutto il posto. < Ora seguitemi, l’entrata e di sotto. > indicando una stretta scala, mentre Mauro gli rispondeva: < Hai perfettamente ragione è un mago della perfezione. Peccato che i migliori artisti siano sempre sottovalutati. > < Già! > rispose Akhilleos sorridendo tra sé, mentre stava scendendo la scala scavata nella roccia a ridosso della casa e conduceva da basso in uno specie di locale cantica tutto fare. Infine in silenzio, attraversarono una bassa porta dipinta di azzurro, con una scritta sopra: “Monastiri”. Appena entrati nella penombra dell’ambiente, Mauro comprese che quel locale era adibito a negozio, da com’erano sistemati tutta quella quantità di suppellettili che vi era dentro, messi su vecchi scaffali a ridosso delle pareti. Vi erano vasi di ceramica e terracotta di ogni forma e grandezza. Piccoli monili, anelli, bracciali, orecchini e collane, in quel miscuglio di souvenir per ogni gusto e tasca. Dove dei e dee dell’olimpo troneggiavano sui vari scaffali più alti. In quell’ambiente mistificatore di epoche, fra vecchia polvere e l’odore di creta fresca che si mescolava al silenzio mitologico. Veniva interrotto da un raggio di sole che entrava dalla piccola finestra socchiusa dalle imposte, che s’affacciava sul mare Mediterraneo sottostante e tracciava nella polvere che aleggiava in quella grande stanza, una divisione netta. Sembrava un’invisibile spada conficcata a terra. Mauro rimase ancora una volta stupito, quasi se stesse percependo 239 nell’aria una mistica cognizione del tempo passato, dove l’aria che respirava sapeva di vecchio e stantio. E s’immaginava nella sua mente l’epoca di quel prode Achille morente. Ma un attimo dopo fu scosso da una sinistro presagio, avendo appoggiato una mano sul ripiano a lato nel locale, da farlo rabbrividire in un quel sentore di una freddezza mortale che percepiva più che bene. Faticò, cercando di scacciare via quei pensieri dall’aspetto auspicante e funesto, sorti così all’improvviso. Dal niente. Infine passarono oltre una logora e sporca tenda e dall’altro lato entrarono direttamente nell’antro del creatore, le fucine del Dio Giove. Così era scritto in cirillico sulla parete di fronte a loro. Il signor Spiros era seduto su di uno sgabello attorno a un antico girello, mentre stava pedalando per far girare il tavolino rotondo e con le mani bagnate le faceva scorrere attorno all’argilla fresca per improntare la forma voluta all’anfora di turno. Senz’altro era il suo centesimo vaso, che stava per terminare di modellare, constatò Mauro incuriosito. Stupendosi di trovarsi a confronto con il mitico artista, un vecchio dai folti cappelli grigi e la barba bianca e due vispi occhi neri sempre guardinghi. E quando loro entrarono l’anziano uomo si fermò un istante e li salutò con un cenno del capo e la mano che saliva alla fronte e poi l'allontanava in quel saluto arabico e a fior di labbra una semplice parola: < Kalimèra. > Loro risposero al saluto e Akhilleos cordialmente gli stringeva la mano piena di creta: < Khèrete! Salve! > Poi, rivoltosi ai compagni Akhilleos spiegò: < Questo è il signor Spiros... > < Felicissimo!> rispose Mauro. E l’uomo di fronte rispose con un semplice: < Khèro! Piacere! > mentre riprendeva il suo lavoro e loro si guardavano attorno aspettando pazienti. Poi il vecchio Spiros lasciò a metà la sua opera con uno sguardo di soddisfazione, mentre si puliva le mani con uno straccio e si alzò dallo sgabello. Era alto e magro, con il viso un po’ incavato ma, dal portamento dignitoso in quel lungo barracano azzurro che indossava. Infine allungò la mano a Elena e a Mauro salutandoli con una stretta decisa e poderosa. Poi, iniziò a parlare con Akhilleos in uno stretto dialetto locale. Dopo un buon momento di contrasti verbali Akhilleos si era rivolto a Mauro, riassumendo brevemente quel loro dialogo fatto in dialetto: < Ora che ti ha visto, il signor Spiros è d’accordo per aiutarti. Sai lui è un tipo istintivo e non fa nulla se non è convinto di persona. Comprendi Mauro? Bene, ora spiega a lui cosa ti serve di preciso per i vostri documenti da rifare. > 240 Mauro estrasse dalla tasca del giubbino i tre passaporti e un foglio di carta, mentre osservava il vecchio dall’età indefinita. E gli mostrò i documenti, dicendo: < Si possono sostituire con dei passaporti greci? > Mentre l’altro li controllava velocemente, poi rispose: < Certamente, tutto si può fare! > mentre scrutava Mauro con quegli occhi da falco predatore. < Soltanto, > riprese Mauro. < C’è un piccolo problema, > espresse con disappunto. < I miei compagni non sanno nemmeno una parola di greco e sarebbe un guaio se qualcuno gli domandasse qualcosa, specialmente la polizia o alla dogana... vero? > < Be’, penso che potremmo fare un’altra copia del passaporto italiano, modificato. > propose Spiros mentre si strofinava con garbo la lunga barba bianca. < Cambiando il nome e l’indirizzo e lasciando il loro numero di matricola, se non sono ricercati dall’Interpol? E mi sembra da quello che mi ha spiegato Akhilleos del vostro caso. Pertanto, possono passare inosservati, fino al rinnovo del passaporto e prima di quel tempo potranno chiedere la cittadinanza del posto dove andranno a vivere. > < Già, penso che così possa andare. Comunque io le ho portato dei dati e indirizzi diversi, così non avrà da tribolare. Invece per il mio documento, desidero farlo greco... Ecco qui la lista delle modifiche. Vede io ho pensato di chiamarmi in avvenire: Maurices Ros, nato ad Atene il 6/4/71, in odòs Sàrri 10, professione university. Esatto? Invece per i miei compagni, uno sarà Andrea Prandini nato a Milano il 6/6/74, viale Monza 18, studente. E l’altro, Stefano Patelli nato a Napoli il 18/5/72 corso Vittorio Emanuele 103, studente. Okay! Va bene signor Spiros, le occorre qualche altro dato o può bastare? > Il vecchio lo guardò un momento in viso e poi rispose: < Va bene così! Vedrò di prepararli per... diciamo, domani sera, qui alle nove. D’accordo? > Mentre Mauro tirava fuori dalla tasca del giubbino una mazzetta di banconote da cento dollari e gli contò il dovuto. Ma subito Spiros lo fermò proponendo: < Soltanto la metà adesso, domani il resto. > < Io mi fido di lei signor Spiros e perciò non ho paura a darle tutto il suo dovuto adesso. > e terminò di contare i verdi biglietti che Spiros li fece sparire in un baleno senza protestare, ma con un vivo sorriso. E Mauro lo ringraziava nuovamente mentre gli stringeva la mano: < Grazie signor Spiros, ora mi sento più tranquillo in avvenire. > Spiros aveva preso da un armadio una piccola statuetta in bronzo raffigurante il prode Achille, era una copia esatta di quella esposta all’esterno e la porse ad Elena dicendole: < Questa signorina è per 241 giustificare la vostra visita al monastero di Spiros. Non si trova da nessun’altra parte, porta la mia firma e sigillo, > e con un sorrisetto di soddisfazione, osservava Akhilleos in viso, stava nuovamente arrossendo nell’imbarazzo, poi proseguì a dire ai convenuti. < A domani, Calimèra! > Erano accanto al camioncino per salirci sopra, quando stava giungendo dalla polverosa strada un taxi con dei turisti a bordo e appena scesero dal mezzo due coppie di attempate signore e rispettivi mariti, incominciarono a gesticolare e a salutare i presenti: < Hallo, hallo, good bye! > A loro volta contraccambiarono alzando le braccia e salutandoli in risposta, mentre Akhilleos commentava: < Ecco, è arrivata l’America e Spiros sarà felice di appioppagli una delle sue belle patacche antiche, appena ritrovata da un’immaginaria tomba poco lontano, con tanto di sigillo per la dogana. > Poi, mentre stavano partendo Mauro commentò: < Be’, è veramente un bel posto questo Monastero di Spiros. > mentre osservava Elena che guardava la piccola statuina di Achille che teneva in mano e le chiese di proposito: < Non ti sembra Elena, che assomigli molto a lui? > indicando Akhilleos che cercava di estraniarsi dal discorso dicendo a sua volta distratto: < Cosa? A parlavate di quella statuetta? Be’, basta avere i capelli lunghi e tutti si assomigliano, esatto? > mentre stava fissando negli occhi Mauro e lo stava fulminando con uno sguardo decisamente duro. Mentre Elena diceva in risposta tranquillamente: < Magari se Akhilleos fosse così bello. Lui è soltanto un rude pescatore buono e bravo, questo sì... > e tirò un lungo sospiro che lasciò gli altri due sorpresi e stupiti. Poi per fortuna erano giunti a Ziros e Mauro propose ai compagni di viaggio di fermarsia pranzare: < Sentite,visto che sono già le due passate e la fame si fa sentire, perché non ci fermiamo in qualche posto che sapete voi e io vi offrirò volentieri il pranzo, oltre alle spese pattuite prima, d’accordo? > mentre si frugava nelle tasche. < Sì, dai Akhilleos, fermati da qualche parte, ho una fame! > protestò Elena a sua volta, mentre Akhilleos era un po’ annichilito. Senz’altro dovuto alla risposta sciocca detta da Elena, al riguardo del confronto con la statuina del prode Achille, non immaginava proprio, che lui aveva posato per fare da modello, anche a Mauro era rimasto un po’ male. Mauro nel frattempo aveva ripiegato a metà un bel po’ di dollari e si allungo oltre Elena e l’infilava nel taschino della camicia di Akhilleos, dicendogli. < Questo è un semplice acconto di riconoscenza, amico. > < Ci basta quello di ieri sera. Al massimo il pranzo! > 242 Mentre Mauro rispondeva bloccandogli deciso la mano sulla tasca: < Dai, possono e serviranno per le vostre prossime nozze. Vero Elena che vi serviranno quel giorno? > < Be’, sì! Non abbiamo fissato ancora la data ma sarà presto. > mentre dava una gomitata nel fianco del suo ragazzo alla guida, che a sua volta ribatteva riluttante: < Be’, sinceramente io, la sposerei anche domani, ma lei non vuole, deve pensarci su, per adesso. > commento il tutto, con una venatura di delusione nella voce. Ma subito Elena con destrezza ribatteva decisa: < Ma dai caro! Non essere precipitoso, abbiamo tutta la vita davanti. Ma prima di tutto bisogna vedere per il lavoro e io ad Atene sai che non posso mollare di colpo il mio impiego, oltretutto guadagno bene, capisci vero? > < Già, capisco fin troppo bene... > rispose Akhilleos poi di colpo, cambiò discorso divenendo più imperativo: < Guardate! Ci fermeremo là, da “Kapnistò” si mangia bene. > espresse il tutto con un vago sorriso. < Vorrebbe dire affumicato in italiano. Be’, purché si riempia la pancia, poi tutto va bene... > commentò Mauro seguendo il cambiamento del giovane cretese. Divenuto suscettibile e un tantinello incavolato, sul matrimonio che naufragava ogni qualvolta ne parlava alla sua donna. A Mauro dispiaceva quella impercettibile contrarietà fra i due, e non si immaginava che la ragazza avesse delle contrarietà così evidenti. O forse non era ancora esploso quel grande amore da parte sua, che all’apparenza sembrava palese. 243 Capitolo trentacinquesimo Quando Elena scaricò Mauro davanti all’Hotel, erano già le cinque pomeridiane e prima di lasciarlo le riconfermò l’accordo per il giorno dopo: < Allora Mauro, siamo intesi? > chiese Elena mentre agganciava alla moto il casco che aveva prestato a Mauro. < Domani pomeriggio, sarò qui attorno alle diciannove... due ore è più che sufficiente. Fatti trovare pronto qua fuori. D’accordo! Ciao Mauro, a domani! > < Okay! > rispose Mauro mentre le dava un leggero bacio sulla guancia. < Mi raccomando non correre, vai piano! > ma lei aveva già accelerato e lui restò a guardarla mentre s’infilava nel traffico più che mai decisa e sparì rapidamente dalla sua vista. Mauro era un poco preoccupato da quel suo modo di andare in moto e si grattò la testa, mentre corrugava la fronte pensieroso. Poi, con un gesto della mano a scacciare i brutti pensieri e sbottò a fior di labbra: < Ah, le donne!? > ed entrò nell’albergo salendo direttamente in camera. Mauro, trovò Andrea e Stefano a letto che dormivano beatamente, allietati da un leggero russare disarmonico da entrambi. Senz’altro erano da poche ore rincasati, dal modo che avevano buttato i vestiti da ogni parte, sfatti da una lunga notte lussureggiante. Mauro lì guardò per bene e borbottò tra le labbra: < Però, ci danno dentro per bene questi due. Forse è meglio così. Sanno prendere la vita come viene. Beati loro... > mentre si svestiva e andava sotto la doccia per rinfrescarsi e rilassarsi un poco, oltre tutto era l’unico modo per raccogliere le sue idee e calmare le altre. Insomma quelle che ancora gli rimanevano in giro da qualche parte. E sotto quella frescura che gli scorreva sulla pelle nuda, si sentiva veramente bene, mentre confermava mentalmente ch’era proprio quello che ci voleva in quel momento. Sapendo più che bene cos’era quella sua apprensione scaturita in quell’ambigua situazione. Ma al contempo non voleva ammetterlo apertamente, nemmeno con sé stesso. E poi, quel modo di comportarsi dei compagni gli seccava veramente tanto. D’altronde lo capiva più che bene il problema. Certamente non aspettava a lui giudicare il comportamento altrui. Pertanto, dopo quelle dichiarazioni e proposte di un’assoluta fraternità e solidarietà tra loro, lui sperava che almeno durasse ancora un poco e non credeva che fosse già tutto dimenticato fino a quel punto. Oltretutto non doveva di certo aspettarsi che restassero dei santi per 244 riconoscenza a una promessa fatta così goliardicamente pochi giorni prima e perciò, ora o più avanti, non farebbe di certo la differenza la separazione. Soltanto per il semplice fatto di aver fatto un po’ di baldoria erotica assieme, non voleva dire proprio niente. Perciò Mauro, doveva accettare la situazione quale fosse. Ma sinceramente gli bruciava tremendamente dentro, avendo riposto nel suo cuore una parte di quella famiglia che stava per nascere e formarsi. Mentre dall’altra parte, quella verità così nuda e cruda doveva acquisirla con il sorriso sulle labbra amare, sapendo ch’era la pura e semplice realtà del momento. E senz’altro da parte loro si stavano facendo delle spassose ammucchiate a quattro. “Più ne ha, più ne metta”. Sbottò tra sé amareggiato. Poi le sue riflessioni furono interrotte dall’arrivo nella doccia di Stefano che gli domandò con fare burlone: < Be’, allora? Dove sei sparito, volpone? > mentre si strusciava scherzosamente contro e Mauro stava quasi per imprecare, ma si trattenne a stento e decise che non ne valeva la pena discutere. Alla fine Mauro, rispose con la prima idea che gli passava semplicemente per la mente: < Be’, penso proprio che è una domanda che dovreste rivolgervela da soli, vero ragazzi? > E Stefano un po’ incupito abbassò la testa sotto l’acqua, poi con riluttanza rispose: < Be’, sì, hai veramente ragione, siamo noi che ce la siamo squagliata... ma sai, quelle due gemelle sono la fine del mondo...> E Mauro per evitare l’aggravarsi di quel piccolo attrito, cambiò argomento dicendo all’altro intento a strofinarsi per bene la pelle sotto l’acqua. < Io, ho trovato chi ci sistemerà i nostri documenti e così si potrà andare in qualche posto più lontano e sicuro. > mentre si versava sulla mano un po’ di bagno schiuma. E l’altro rispose: < Ma, per me va bene anche qui. Quando si ha dei soldi da spendere, in qualsiasi parte è buono per starci e divertirsi tanto. Esatto? > gli domandò Stefano curioso di sentire la sua risposta. Che in fondo sapeva più che bene quello che Mauro stava facendo ed era veramente per il bene di tutti loro. < Ah, certamente, non vi sono dubbi e... > rispose Mauro, ma fu interrotto da Andrea che s’intrufolò in mezzo a loro, tutto assonnato. Mentre borbottava qualcosa tra i denti, ma con il rumore dell’acqua e i gargarismi che faceva era impossibile capire un accidente. Mauro si sentì così a disagio e trovo una scusa all’istante per uscire, dicendo con fare di uno che ha dimenticato qualcosa: < Accidenti che palle! Mi spiace ragazzi, ma ho un altro impegno e devo proprio andare via. Vi spiegherò più tardi. > ma fu fermato da Andrea che l’aveva preso 245 per un braccio cercando di trattenerlo ancora un poco. < Dai aspetta! Non ti vediamo più... sei sempre in giro a zonzo? > E Mauro sull’incazzato rispose deciso: < Ah! Questa è bella? Io sono sempre in giro, e voi cosa state facendo? No, dico io! Le dame di compagnia alle gemelle svedesi per caso? > e uscì dalla doccia dicendo ancora, ma con più moderazione questa volta: < Ci vediamo a cena ragazzi e vi spiegherò il nuovo piano. D’accordo, ciao a dopo! > Mentre gli altri due si guardavano in viso e si davano un’alzata di spalle. Mauro aveva fatto una lunga camminata lungo la passeggiata a mare, per scaricare i nervi, capendo che la colpa era soltanto sua, a non voler intendere che tutto era cambiato. Anche il mondo cambia continuamente, pensava tra sé; e allora doveva accettare la situazione come si era ingarbugliata più che mai, invece di brontolare con sé stesso e molto sovente in quei giorni. Alla fine si era fermato in un caratteristico caffè sul lungo mare di Candia. Si era seduto ad un tavolino appartato proprio a ridosso del parapetto sul mare e restò per un bel po’ ad osservare il sciabordare delle onde contro la struttura del terrazzo sotto di sé, cercando di non pensare a niente. Mentre si stava gustando una buona tazza di caffè greco, insomma alla turca, lasciando depositare i fondi del caffè nella tazzina, per poi scoprire in quei disegni i presagi del destino. Erano le nove passate quando arrivò nel ristorante dell’hotel e trovò i suoi compagni che l’attendevano al loro tavolo un po’ impazienti e si vedeva che morivano dalla voglia di sapere qualcosa. E appena lui si avvicinò, Stefano esplose: < Be’, dicci com’è andata? > Anche Andrea si associò chiedendo: < Sì, dai racconta! Cosa hai fatto? > mentre si passava la lingua sulle labbra tumide. Mauro, fece uno sforzo e cercò di dimostrare una certa baldanza, elargendo a beneficio di tutti un radioso sorriso, captato con interesse dai compagni e infine rispose alla loro domanda un po’ sull’evasivo: < Sì, è stato veramente molto efficace! Anzi, tonificante l’esperienza... > E i due incuriositi di più, lo spronarono ancora chiedendo dell’altro. < E allora, dai, insomma, racconta Mauro? Be’, ti sei fatto almeno una poderosa scopata, ne valeva la pena... vero? > < Be’, allora con chi eri? Dai, di qualcosa? > incalzò Andrea più che mai stuzzicato da quelle prossime rivelazioni. < Con Elena. Questo è ovvio. Ah, già! Voi non la conoscete, è 246 cretese. > esclamò con enfasi per accentuare quella particolarità del luogo. Mentre loro due avevano sbarrato gli occhi e infine Stefano sbottò dicendo: < Non sarà per caso quella stupenda mora, ch’era con te in discoteca l’altra sera? E’ lei vero? > mentre gli lanciava un mezzo sorriso di conferma intuitiva e Andrea esprimeva il loro parere: < Be’, siamo veramente contenti per te. Perché, sai... insomma, quasi ci sentivamo in colpa nell’averti lasciato un po’ in disparte. Ma capirai, con quelle due sventole svedesi! Sai sono due vichinghe da mozzafiato. > < Sì, me ne sono accorto. > rispose semplicemente Mauro. < L’altra sera in discoteca eravate due coppie ben appaiate, ma ditemi un po’? Non per essere curioso, gli avete messo un bollino colorato per distinguerle l’una dall’altra? Sono troppo eguali... > < Non ce né bisogno, abbiamo creato un quartetto formidabile. > rispose Stefano con un’aria euforica. < Ci siamo molto affiatati e capirai senz’altro come va sempre a finire certe situazioni familiari, così intrigate. A loro piace fare di tutto, oltre a vedere noi due nel far l’amore. Abbiamo scoperto di essere bisex. Be’, sai com’è? D’altra parte anche stasera abbiamo un appuntamento con loro. Ci trovano simpatici e sempre disponibili per non dire tosti. E visto che sono così carine e disponibili specialmente a letto. Sanno fare delle operazioni linguistiche speciali, capirai! Con loro non si può fare una sveltina. Ed è per questo che ti aspettavamo prima per parlare un poco, ma ora siamo già in ritardo. Non ti dispiace vero, se ti lasciamo solo? > espresse Stefano con seduzione, mentre cercava un aiuto da Andrea. Mauro più che deciso, rispondeva subito senza stupirsi troppo, per non dimostrare la sua disapprovazione agli eventi. < Ma che bravi porcelloni ‘sti ragazzi sempre in tiro! Spero che il letto regga bene l’ammucchiata? > e visto l’andazzo che aveva preso le rivelazioni dei compagni a voler esporre le proprie prodezze, lui continuò a dire con fare semi serio: < Bene, sono contento per voi, poi d’altronde anche io ho un impegno questa sera. E di questo passo c’incontreremo di certo da qualche parte. Su dai... andate via. Non fatele aspettare! > Si vedeva più che bene ch’erano un po’ sulle spine. E quelle due stangone nordiche erano riuscite ad abbindolare tutte due per bene. Che ormai Andrea e Stefano, si stavano già scordando abbastanza in fretta dei pensieri e fastidi addosso, per non dire dei parenti e le preoccupazioni lasciate alle spalle in Italia. Essendo veramente in ritardo, i due compari si erano alzati dal tavolo salutandolo velocemente, per eclissarsi rapidamente oltre la porta della 247 sala da pranzo. Mauro notò, che si erano messi in ordine per bene i due latinlover, con un’abbondante quantità di profumo che si diffondevano in ogni loro movimento attorno in quella premura esagerata. Mauro era rimasto lì seduto a mugugnare sulle proprie patologie storte, poi chiamò il cameriere e si fece portare una bottiglia di vino bianco e con quella tra le mani andò dritto su in camera. Si era disteso nudo sullo sdraio nel terrazzo per assaporare la frescura della notte e incominciò a scolarsi la bottiglia di vino con una certa rabbia, senza capire proprio nulla sul sapore di quel vino locale, per lui erano tutti eguali i gusti. Poi oltretutto, non era abituato agli alcolici e pertanto gli era ancora di più indifferenti il suo gusto sul palato, ma allo stesso tempo gli stava alleviando i pensieri e incominciava a confondergli le idee. Capendo ch’era un modo come un altro per far passare le ore in solitudine. Poi più avanti, cercò fra le stella quella che più gli confaceva e la indicò con il braccio teso dicendo sottovoce: < Be’, sei in ritardo bellezza, stavo per andarmene a letto. Ci vediamo un’altra sera carissima... > e cercò di alzarsi dallo sdraio ma si trovò nell’impossibilità di farlo, le gambe non lo reggevano più e la testa gli girava vorticosamente. A quel punto, pensò di rimanere dov’era, oltretutto in quel momento gli era talmente tutto indifferente dove si trovava. Mentre sul viso gli era apparso un sorriso scialbo e vuoto, poi senza comprendere il perché si lasciò andare in un pianto dirotto a non riuscire a trattenersi dal blaterale parole sconnesse, fin quando il sonno e l’effetto del vino non l’avvolse per bene. Il sole era già alto in cielo e scottava, quando fu svegliato dalla voce di Andrea. < Ehi! Mauro, ma cosa fai qui a dormire sul terrazzo? E meno male che sei qui all’ombra del palazzo, altrimenti a quest’ora eri ormai super cotto, già, più che bene dal sole arroventato di oggi. > Mauro tentò di aprire gli occhi, ma il riverbero della luce era troppo forte e fu costretto a coprirsi gli occhi con la mano. E soltanto dopo un buon momento quando incominciò a capire qualcosa di quello che aveva fatto la sera prima, sbottò sull’incazzato: < Porca puttana! Com’è tardi, ma che ore sono? > chiese al compagno in piedi sopra di lui che lo stava fissando pensieroso. < Sono quasi le due. E noi, eravamo giù ad aspettarti a pranzo. > Mauro si era alzato a fatica dallo sdraio, aveva la testa talmente pesante e una forte arsura in bocca che gli faceva stravedere ogni cosa doppia, mentre borbottava ancora: < Accidenti, com’è tardi! Avevo per l’una di 248 oggi un appuntamento... Accidenti! > esplose, e si avviò a fatica verso la doccia, si fece una sciacquata veloce e via a vestirsi di volata, mentre Stefano un po’ preoccupato gli chiedeva: < Ti serve qualcosa? > < No, grazie! > mentre si prendeva il giubbotto e si avviava alla porta, dicendo ai compagni che lo stavano seguendo impensieriti. < Ci vediamo a cena ragazzi. Ciao! > e sparì oltre la porta. Mentre gli altri due si domandavano, cosa stava combinando con quei loro documenti. Da trovarsi tutto preso a quel modo? Mauro appena uscito dall’albergo chiamò un taxi e si fece portare a Festos, con l’idea di visitare le antichità dell’isola e anche per allontanarsi dai compagni, mentre aspettava di trovarsi più tardi con Elena per andare a ritirare i loro documenti. Purtroppo in quel momento non riusciva ad apprezzare la loro compagnia e per quello aveva preferito andarsene via. Mauro era lì, tra quelle rovine millenarie di Festos, dove il tempo sembrava essersi fermato, e lui, finalmente si sentiva un po’ più appagato nel riuscire a placare in qualche modo i suoi pensieri oscuri. S’incuriosì di quel posto, ammirando con un certo interesse gli appartamenti reali, in quei grandi propilei che formavano il salone a colonne e che conducevano al mégaron della regina, dai bellissimi pavimenti alabastrini. E così, mentre camminava in quei viali lastricati e consumati dal tempo, oltre che dai passi dei viandanti che l’avevano preceduto, si lasciò rapire dalla fantasia. Ma al contempo si sentiva così avvilito con sé stesso, per il suo modo di comportarsi, sapendo più che bene che non era giusto. D'altronde, se fosse rimasto in albergo si sarebbe incavolato di più e avrebbe creato dei problemi ai compagni e questo non voleva che succeda veramente, in fondo gli voleva troppo bene. E per evitare ogni questione, aveva scelto la via più facile, quella di allontanarsi e starsene poche ore da solo, a meditare sulle sue opinioni storte, per non dire colpe. 249 Infine si trovò seduto su di un’ampia gradinata di un vecchio teatro minoico e per molto tempo restò lì, in un assente silenzio da ogni cosa che lo circondava. Con la mente vuota dalla realtà quotidiana, in una specie di trance a rivivere le molteplici vite di quei millenni passati, trascorsi in quel posto e racchiudeva ancora in sé del mistero. E tutto quel trambusto, mentre Mauro osservava il grandioso paesaggio attorno, da sopra quella collina che dominava la fertile pianura della Mesarás, dove folate d’aria secca africana giungeva sino a lui. A smorzare la calura di quel sole cocente pomeridiano. E alla fine, l’unica cosa ch’era riuscito a esprimere a fior di labbra, con fare di uno che ha subito una ennesima scoglionata giornaliera: < Uhm, che palle! > Poi, quando Mauro si era un po’ ravveduto dei suoi mugugni e guardò l’ora, si ricordò dell’appuntamento con la ragazza e di colpo si trovò a imprecare tra sé un’altra volta: “Sono una gran testa di cazzo! Da dimenticarmi delle cose più importanti. Accidenti!” mentre si affrettava a lasciare quel bel posto leggendario ai posteri e trovare un taxi libero. Quando Mauro smontò dal taxi davanti all’hotel scorse la grossa moto di Elena parcheggiata e si arrabbiò guardando l’ora, mentre pagava la sua corsa al baffuto tassista. Poi, a fior di labbra Mauro imprecò nuovamente tra sé: < Porca puttana! Sono già le diciannove e trenta. E io come un fesso in giro a zonzo. Ah, lasciamo perdere! > protestò, ed entrò velocemente nella hall dell’albergo. Finalmente, scorse Elena seduta in un angolo con Andrea e Stefano, che discorrevano. E fu Stefano a vederlo per primo dicendo agli altri: < Eccolo, è arrivato, finalmente! > indicandolo. Mentre Andrea si girava e gli chiedeva: < Ma, dove sei stato finora? E lei, > mentre indicava Elena al suo fianco. < E più di mezz’ora, che è qui che ti aspetta? > Mauro con un forzato sorriso rispose direttamente a Elena: < Scusami Elena! Ma avevo un altro impegno prima e ho fatto tardi. Mi spiace! Be’, ora possiamo anche andare... la strada è lunga? > mentre guardava i compagni incuriositi dicendo a loro. < Penso che faremo tardi, comunque voi ci sarete questa notte in albergo? > E fu Andrea a rispondere per tutte due: < Penso di sì, perché le svedesi devono fare un’escursione subacquea ai ruderi sott’acqua a Ágria Gramvoúsa, domani mattina molto presto, allo spuntare del sole. Dicono 250 che é meraviglioso il riflesso a pelo d’acqua. E perciò devono essere già sul posto per vederlo e andranno con le altre colleghe d’ufficio, tutte qui a Candia in vacanza. Pertanto noi saremo liberi per un giorno, così potremo riposare un poco... > mentre gli sfuggiva un risolino più che complice. Elena che non riusciva a star zitta e aveva capito quasi tutto quel loro discorso, disse a Mauro con fare gioviale: < Però, Queste svedesi non li mollano un momento? Hanno trovato ciò che immaginavano. > E Mauro approvavano quella verità. Poi sorridendo, mentre traduceva l’opinione di Elena e loro due. E Stefano rispondeva per entrambi: < Be’, sai com’è? In vacanza si cerca di divertirsi in qualche modo e loro due... Elka e Frida, sono una vera bomba, in tutti i sensi. Credetemi! > e si mise a ridere sornionamente a camuffare ogni sbilanciamento. Mauro aveva nel frattempo preso sotto braccio Elena dicendole, mentre guardava i compagni di sott’occhio: < Dai! Vieni Elena, andiamocene via, altrimenti questi due hanno tante storie da raccontare e noi abbiamo già perso troppo tempo prezioso. > < Purtroppo anche noi abbiamo fretta. > rispose Andrea, mentre si alzavano dalle sedie e uscirono tutti assieme dall’albergo. < Ciao, a questa notte! > sbottò Mauro mentre seguiva Elena alla moto e aveva girato la testa per vederli ancora. Ma erano già spariti con solerzia dietro l’angolo, inoltrandosi nei vicoli di Iràklion. Dovevano essere in ritardi per l’appuntamento con le svedesi, immaginò Mauro. Poi, mentre Elena stava per partire, era arrivata dietro a loro, una nera vettura Citroen. Si era fermata decisamente a pochi centimetri dalla moto, ed erano scesi di volata due uomini. Con urgenza andarono dritti verso l’ingresso dell’albergo. Mauro lì aveva osservati di sbieco, quel loro modo sospettoso. Poi, deciso s’infilò il casco e salì dietro alla ragazza, mah all’improvviso si sentì addosso un’irrequietezza strana. Pensando che era già tutto il giorno che si sentiva una tale agitazione, da attribuirla alla fame, per non aver messo nulla nello stomaco quel giorno, all’infuori di vari caffè presi. Ma forse e anche per quella sua assurda e platonica fase d’innamoramento per i compagni di sventura. Poi tralasciò quei cattivi presagi e si strinse alla donna, che aveva assunto un’andatura un po’ troppo spericolata per il suo gusto di voler vivere ancora ad ogni costo. 251 Capitolo Trentaseiesimo Erano quasi le nove quando si fermarono nella piazzetta a Sitia e si guardarono in torno in cerca di Akhilleos e del suo camioncino, ma non c’era nemmeno l’ombra. Elena si guardò l’ora al polso e brontolò a voce alta: < Mi rimprovera sempre che sono io in ritardo. E lui? Però è strano, è sempre puntuale? Forse è già da Spiros ad aspettarci? > provò a dire. < Pensi che ci abbia preceduto? > le chiese Mauro dubbioso. Mentre lei supponeva ancora. < Forse avrà avuto un contrattempo sul lavoro? Possiamo aspettare ancora un momento e poi andremo direttamente dal signor Spiros. Tu cosa dici Mauro? > propose lei dubbiosa. < Be’, per me va benissimo! come ti sembra meglio fare. Sai se il signor Spiros abita laggiù? > le domandò Mauro titubante e dubbioso su quei piccoli inghippi insorti. < A me sembra di sì. > rispose lei, mentre guardava l’ora e proseguì a dire più che convinta: < Sai Mauro sarà meglio che andiamo avanti... Ormai, siamo già arrivati in ritardo e può anche darsi che Akhilleos sia effettivamente già là, non vedendoci arrivare prima. Okay! > < Hai ragione Elena, sono le ventuno e trenta passate. Sì, andiamo! > rispose serio, ma al tempo stesso preoccupato da quell’ansia che aveva addosso e aumentava gradualmente. Avevano ripresero il cammino e in meno di mezz’ora erano arrivati sul posto. Lo trovarono deserto e tutto buio, all’infuori del chiarore della luna che irradiava una luce un po’ spettrale e slavata attorno al monastero di Spiros. Elena aveva fermava la moto e si guardava in giro in cerca del camioncino di Akhilleos, ma purtroppo non c’era nemmeno lì. Vi regnava soltanto un assoluto silenzio inquietante e quella supposizione la sentiva anche Mauro. Sussurrò sottovoce cercando di essere meno realista e più coerente all’evidenza dei fatti: < Be’, sinceramente, di notte non è affatto rassicurante come posto. Brrr!! Che paura... > tentò con una battuta un po’ loquace d’infatuare quell’atmosfera tetra. < Già. hai più che ragione! Ma a questo tuo modo di esporre i fatti, mi fai venire i brividi. > Borbottò lei, mentre si accostava di più al giovane, cercando di farsi coraggio a vicenda, e Mauro se la stringeva contro e le proponeva sottovoce: < Non temere e non badiamo alle 252 leggende orripilanti di draghi dalle fauci infuocate e da streghe cattive, oltre a Dei che hanno abitato da sovrani quest’isola da almeno quattro secoli. Vieni! Andiamo da basso, mi sembra che vi sia una luce accesa nello scantinato. Speriamo che almeno Spiros sia in casa? > La porta era socchiusa, la spinsero e questa cigolò aspramente nell’aprirsi, infine un po’ titubanti entrarono nel famoso antro del dio creatore e lo trovarono in fondo alla stanza intento a sistemare dei vasi, il signor Spiros, e al loro ingresso si girò tranquillamente dicendo in quel suo accento arabizzato: < Avevo paura che non venivate più ragazzi! > espresse Spiros mentre si avvicinava a loro e poi con un cenno del capo, li conduceva nell’altra camera superando il negozio-ufficio. Mentre Elena chiedeva all’uomo che li precedeva: < Abbiamo fatto tardi per aspettare Akhilleos e pensavamo che fosse già qui, ma a quanto sembra non c'è? > espresse con disappunto Elena. < Qui, non si è fatto vivo... Comunque i documenti sono pronti. > brontolò, mentre li tirava fuori da un vaso sopra ad uno scaffale e li mostrava a Mauro, abbassando la luce a carrucola, dal soffitto basso della stanza e spiegava: < Ecco, ci sono tutte e tre i passaporti vecchi e nuovi e con le modifiche che mi ha chiesto. > Mauro li controllò frettolosamente, sapeva che doveva fidarsi del lavoro meticoloso del vecchio Spiros, mentre lo ringraziava: < Okay, grazie tante signor Spiros! E’ un lavoro perfetto. > e se li infilava nella tasca del giubbotto che teneva in mano. Mentre il signor Spiros stava per dire qualcosa, ma di colpo si azzittì alzando la mano e sbottò a dire sottovoce ai presenti: < Ssst! Sta, arrivando qualcuno la fuori? > espose stringendo gli occhi e corrugando la fronte. E Mauro capì all’istante cos’era quella sua grande apprensione che lo perseguitava quella sera, dandosi del cretino per non averci fatto caso, mentre chiedeva preoccupato: < Chi può essere? > Mentre Elena, esponeva tranquillamente: < E’ senz’altro Akhilleos... > < No! Non è lui? Lo conosco più che bene il suo scassato camioncino, questa è una vettura che sta arrivando veloce dal suo rumore in folle e non mi piace per niente a quest’ora di notte. > commentò Spiros preoccupato. < Su presto entrate lì dentro! > indicando una porta semi nascosta dagli scaffali alle loro spalle. Mentre Mauro gli chiedeva sottovoce. < Ha un’altra uscita? > < No! > rispose Spiros, mentre si prendeva una vecchia pistola a tamburo da un cassetto e controllava se era carica. A quel punto Mauro ebbe una contrazione a rivivere mentalmente e rapidamente le varie sue 253 esperienze drammatiche con le armi da fuoco e d’impeto disse all’uomo, mentre spingeva dentro al ripostiglio Elena che ancora non capiva la gravità della situazione e dandole in mano il suo giubbotto. < Elena entra lì e aspetta in silenzio! > poi rivoltosi a Spiros espose deciso la sua idea: < E lei mi dia quell’arma! Io sarò dall’altra parte e lei aspetterà qui a fare il suo lavoro tranquillo sotto la luce. Okay! Io sarò nascosto, così vedremo chi arriverà dentro... D’accordo? > Il signor Spiros ebbe un attimo d’esitazione, poi approvò quel piano di Mauro e si sedette sul suo girello facendo finta di terminare il suo lavoro. Mauro si era precipitato nell’altra stanza e aveva spento la debole luce e osservò Spiros oltre la tenda logora e gli sembrò soddisfacente e credibile, quella tranquilla presenza dell’uomo. Poi, si spostò e attese, ma non passò molto tempo che senti dei leggeri passi sui gradini e il lieve cigolio della porta che si apriva piano, mentre lui si era sistemato dietro a degli scaffali e poteva tenere d’occhio tutto l’ambiente. Infine attraverso il piccolo spiraglio di luce che proveniva dall’altra camera, poté vedere chi entrava. Erano due uomini vestiti di scuro; giacca e cravatta, muniti di pistole con il silenziatore sulla canna. Mauro capì tutto e li riconobbe all’istante, erano i due arrivati di corsa all’albergo. A quel punto s’arrabbiò con sé stesso, rammaricandosi tremendamente, che in tutta quella loro fuga e quei morti lasciati alle spalle, non era servito a nulla. Tutto inutile. Capendo più che bene cosa volevano quei due, dal loro modo di comportarsi in quel momento. Stavano avanzando verso la tenda silenziosi, mentre coordinavano le loro mosse a gesti, pronti a far fuori chiunque. A quel punto Mauro, decise d’intervenire rapidamente; non voleva che qualcuno si facesse male per colpa sua e perciò con decisione, ordinò ai due in italiano ben chiaro: < Volete mettere giù le armi e alzare per bene in alto le mani, signori? > e capì all'istante che aveva colto nel segno. 254 Quelli capivano più che bene l’italiano. Uno era quasi pronto per fare ciò che gli chiedeva Mauro, mentre l’altro si era girato di scatto e aveva fatto fuoco, spronando con parolacce sconce l’amico imbranato a seguire il suo esempio. < Minchione, testa di cazzo! Spara a iddu! Spara! > Mauro prevenuto da una simile mossa e si era buttato di lato mentre sparava a sua volta decisamente verso le sagome ben delineate dalla luce proveniente dalla camera di lato. Poi dopo i vari Pluf! Pluf! Da un lato e i Bang! Bang! Dall’altro lato, vi fu un silenzio glaciale nel locale. Mauro fu invaso da un dolore lancinante sotto la clavicola fra il petto e la spalla e capì d’essere stato colpito seriamente, mentre mugugnava tra sé dal dolore e la rabbia: < Dai, dai, e alla fine ti sei fatto beccare come un fesso!... Ohi!.. Che male! > gridò a denti stretti per il dolore ch’era tanto e gli mancava persino il fiato per respirare mentre sentiva mancagli sempre più le forze. Poi la luce si era accesa ed era comparso il vecchio Spiros con un tubo di ferro in mano, mentre alle sue spalle era comparsa Elena tutta sbiadita da quella paura appena vissuta, mentre osservavano inorridita a terra i due uomini caduti l’uno sull’altro, uno aveva ancora la pistola in mano. Erano immobili senza lamentarsi, erano veramente morti stecchiti. < Per Giove! > imprecò il vecchio scombussolato, mentre cercava Mauro tra li scaffali. Mauro si era appoggiato ad un ripiano e faticava a respirare. Mentre con la mano tentava di fermare, tamponando l'emorragia che sgorgava dal foro della pallottola nel suo corpo. Poi un altro rumore proveniente dall’esterno, li fece sobbalzare ancora e Mauro faticò ad alzare la grossa pistola per arrestare il prossimo intruso. Era pronto a far fuoco: quando in quella grande confusione sentirono delle imprecazioni, era la voce di Akhilleos che si era precipitato dentro al seminterrato, stravolto dalla paura di essere giunto in ritardo. A quel punto Mauro lasciò cadere l’arma a terra e si accasciò bocconi sul pavimento. Akhilleos agitato e confuso borbottava: < Elena come stai? Sei ferita? > e se la strinse al petto. Lei era tutta tremante di paura, ma subito si riprese e rispose indicando Mauro: < No, io non ho nulla! Mauro sembra sia stato colpito... Che paura! > sbottò, mentre seguiva gli altri accanto al giovane ferito che si lamentava, ma più precisamente brontolava sommessamente di aver creato un bel po’ di casino a tutti quanti. < Accidenti! Questa proprio non ci voleva, adesso... > sbotto a fatica Mauro. Elena si preoccupava dicendo agitata: < Presto! Ha bisogno di un dottore? 255 Bisognerà portarlo subito all’ospedale! > era tutta sconvolta, pronta per una crisi di nervi, mentre Spiros interveniva decisamente: < Non si può chiamare nessuno! Altrimenti finiremo tutti quanti al fresco se non... ah, storie! Adesso prendo delle bende per fasciare la ferita e poi vedremo cosa fare? > e decisamente andava dall’altra parte di sopra. Nell’incoscienza anche Mauro protestava: < No, vi prego, non chiamate nessuno. Me la caverò è solo un graffio... Hai! > sforzandosi a parlare per sminuire il danno provocato, mentre la vista gli si annebbiava. Con decisione Akhilleos gli controllava la ferita, aprendogli la camicia a constatare il danno: < Altro che niente, questo è un bel buco e dentro ci sarà ancora la pallottola, > mentre metteva la mano dietro e notò che il buco d’uscita non c’era. < Sì, è ancora dentro, perciò ci vuole un dottore che sappia lavorare e tenere la bocca chiusa. Al tempo stesso cercare di sistemare il danno fatto dalla pallottola. > Akhilleos Cercò di sollevarlo da permettere a Spiros di fasciarlo meglio e fermare l’emorragia che sgorgava abbondante dalla ferita aperta. Mauro imprecava con difficoltà per la rabbia: < Accidenti! Mi spiace ragazzi di avervi coinvolto in tutto questo. Ma a questo punto se non volete aver altre rogne bisognerà far sparire al più presto quei due fessi siciliani... > < Ma come fai a dire ch’erano siciliani, li conoscevi forse? > sbottò Akhilleos e continuando a dire. < Comunque, ne parleremo dopo, perché anche io ho da raccontare un sacco di cose su quei due... Ma ora stai fermo e lascia che Spiros ti faccia una bella fasciatura e poi decideremo come e cosa fare per salvarti la pelle amico. > < Lui rimarrà qui, > disse Spiros deciso. < E tu Achilleos andrai subito al porto a Nikólaos. Troverai ormeggiato un goletta a tre alberi di nome “Zeus” e chiederai del comandante. Il capitano Stavoskopulis e a lui dirai che ti mando io. Pregandolo di mandare assieme a te il suo medico di bordo per un’emergenza. Lui capirà e vedrai che ci farà questo favore. Ora vai! Qui ci pensiamo noi, vero Elena? > le chiese Spiros e lei ch’era ancora tutta scossa da quel trauma e da quei morti. Rispose titubante: < Sì, sì, certo! Tu vai, io resto qui ad aiutare... > farfugliò sconnessa. Mentre Spiros borbottava imprecazioni in arabo: < Lo sapevo che un giorno o l’altro sarebbe successo qualcosa di grave, per Giove! > poi si prese tranquillamente il ferito in braccio e lo portò di sopra attraverso una scala interna, seguito da Elena alquanto agitata. Akhilleos era già sparito con il suo rombante camioncino. Spiros depositò Mauro su un lettino e poi 256 prese dell’acqua e una tazza consegnandola a Elena. < Dagli da bere avrà senz’altro una forte arsura con il sangue che ha perso. Io vado di sotto e metterò un po’ d’ordine. Se occorre qualcosa chiamami, d’accordo? > E lei annuì muovendo il capo affermativamente, era ancora troppo scossa per parlare o protestare. Era mezzanotte passata quando Akhilleos arrivò con il suo camioncino rombante e portò con sé il signor Nikos Dromos, il medico di bordo. Era un giovane medico sulla quarantina, un tipo di poche parole con una folta barba scura ben curata e due occhi grigi molto espressivi; indossava un giaccone blu da marinaio, che si era tolto subito da dosso, rimanendo con una maglietta a mezze maniche e si mise decisamente subito al lavoro. Spiros aveva già preparato dell’acqua bollente e della tela pulita, mettendo il ferito su di un tavolo coperto da un lenzuolo bianco. Il lavoro d’estrazione del proiettile e la dovuta saturazione ci volle un po’ di tempo. Alla fine tutto andò per il meglio e Mauro sotto una buona dose di sedativi e antibiotici era rimasto nel mondo dei sogni. Mentre Elena era rimasta in disparte ancora stordita e un po’ nauseata da tutta quella storia dai risvolti oscuri e capitata in mezzo senza poter capire nulla o poco. Spiros gli aveva dato da bere un buon goccio di brandy per rianimarla un poco, da renderla alla fine più che mai euforica. Spiros e gli altri, fecero un piccolo piano di emergenza e decisero che a quel punto Elena sarebbe rimasta lì sino al mattino, era ormai troppo tardi per ritornare in città tutta sola e in quello stato d’agitazione; il dottore le aveva già dato prima un tranquillante per acquietarla un poco e lei si era messa sulla piccola sdraio appisolandosi quasi subito. Akhilleos ne 257 approfittò per riaccompagnare il dottore sulla nave e Spiros l’avrebbe seguito con la macchia presa a noleggio dai due siculi e l’avrebbe poi depositata in qualche località frequentata da turisti e parcheggiata per bene. Di modo che, quando sarebbe stata ritrovata dalla polizia non sarebbero venuti a capo di nulla. Poi alla fine di tutto quel trambusto, il signor Spiros avrebbe provveduto a ritornare in dietro sul camioncino di Akhilleos e in due avrebbero provveduto a riordinare ogni cosa. E tutto fu fatto nel più stretto giro di tempo, prima che sopraggiunga l’alba. Mentre i corpi dei due killer siciliani erano già finiti in un profondo antro introvabile sulla scogliera, che sprofondava nel mare a ingrassare gli abbondanti pesci barracuda che gironzolavano da quelle parti. 258 Capitolo Trentasettesimo Quando Mauro si riprese da quel trauma subito, avere tutto il corpo dolorante e faticava a muoversi. Cercò di spalancare gli occhi, ma in quel posto dove si trovava era buio, deducendo che erano passate soltanto poche ore da quel fatto increscioso. E si trovò ad imprecare mentalmente con sé stesso, perché era troppo arrabbiato e seccato, per ciò che era capitato. Pensando che non doveva succedere in casa di amici, ma purtroppo, non l’aveva potuto evitare. E capiva che quella sua apprensione che aveva avuto addosso per tutto il giorno, era più che veritiera e in futuro se voleva vivere più a lungo, doveva stare sempre all’erta e ascoltare le sue supposizioni e ansie. Oltre a stare alla larga da tutti, in special modo dai guai. Poi dopo quelle assurde riflessioni si guardò attorno e cercò di scrutare nel buio e di capire dove si trovava veramente. Non l’aveva mai vista prima quella stanza e sì stupì Mauro a pensare dov’era capitato; mentre tentava di alzarsi, ma il dolore alla spalla lo fermo di colpo, obbligandosi a riabbassare il capo sul cuscino spossato per la debolezza che sentiva in tutto il corpo, mentre gli sfuggiva un debole lamento. Poi la porta si aprì e un raggio di luce filtrò assieme a Spiros con una scodella in mano: < Ah, bene! Ti sei svegliato finalmente! Be’, come ti senti giovanotto? > gli chiese l’uomo, avvicinandosi al paziente. Spiros era alto come una montagna e Mauro faticava molto a vederlo in viso, in quella camera semi buia, dove la luce proveniva soltanto dall’altra camera dov’era arrivato l'uomo. Infine Mauro tentò di parlare, provando con fatica a schiarirsi la gola: < M’ah, di preciso non lo so... > rispose con voce rauca, aveva qualcosa in gola che l’infastidiva e faticava tremendamente a parlare. < Mi sento così malandato. Sono tutto rotto e... Accidenti a me! > Mentre il vecchio Spiros lo ammoniva: < Non c’è bisogno che ti sforzi, resta calmo. Hai dormito parecchio. Ormai il peggio è passato. Dai, ora manda giù un po’ di brodo caldo. > e l’aiuto ad alzare un poco il capo, e Mauro provò a sorseggiare quel nettare tiepido, che l’avrebbe rinvigorito un poco; era ciò che formulò in quel momento tra sé e sé, fra mille idee strambe che gli frullavano continuamente in testa. Poi, si fermò preoccupato e sbottò a chiedere: < Come, ho dormito parecchio? Allora, sono già passate molte ore? Accidenti! > protestò. Spiros rispose a confermare quella supposizione: < Non ti preoccupare, 259 tra poco arriverà qui Akhilleos e porterà le medicine che il dottore ti ha prescritto. > Ma subito interrotto nuovamente da Mauro abbastanza spaventato, che gli domandava sorpreso: < Come, un dottore? Non avrete chiamato per davvero un medico? Ohm, mio Dio! > < Stai calmo, embros, avanti, bevi ancora. Non temere il medico è un mio filos, amico e nessuno sa dove ti trovi adesso. Comprendi giovanotto? Non temere, tutto si sistemerà... vedrai! > < Ma come? Accidenti! Si certo, capisco... Ma, comprende signor Spiros. Io sono preoccupato che non succeda nulla di male a voi tutti. Oltreché vi siete presi cura dei miei problemi... comprende tutto questo..! > < Non temere, i tuoi amici sono stati avvisata da Elena e non si muoveranno per venire a vederti. Ci penserà Elena a informarli sulla tua salute... D’accordo? > mentre Spiros si girava di scatto e stava ascoltando qualcosa, per poi andava alla finestra dell’altra stanza a vedere chi stava arrivando in quel momento lì da loro, ma era proprio Akhilleos, con il suo rombante camioncino che stava scendendo dalla collina in folle, alzando una nuvola di polvere. La notte era rischiarato da una meravigliosa luna che si librava alta e luccicava in cielo sopra di loro. E appena dopo Akhilleos era già piombato dentro casa, e con fare corrucciato si mise a confabulare con Spiros nell’altra stanza in quello stretto dialetto locale. Mauro faticava a captare qualche parola, in quella sua cognizione di cattivi presagi che si profilavano neri e cupi all’orizzonte. Poi Akhilleos, seguito da Spiros apparve sulla soglia della stanza con un caldo sorriso sulle labbra. < Ehi, amico! Come va’ la tua spalla? > sbottò il giovane cretese salutandolo con un gesto amichevole della mano, mentre si avvicinava al ferito. < Poteva andare meglio, > rispose con fatica Mauro. < Se stavo più attento a non farmi sparare addosso... sarebbe tutt’altra cosa? M’ah, pazienza! L’importante che non sia successo nulla a voi. Questo innanzi a tutto è importante per me... > si era fermato un attimo a respirare. Poi riprese a chiedere al giovane cretese: < Akhilleos, mi potresti spiegare un po’ la faccenda? Mi sembra di aver perso il conto? > sbottò nell’impazienza Mauro. Il suo istinto di sopravvivenza gli stava dicendo che nell’aria c’era qualcosa che non quadrava per bene. Pertanto voleva sapere quali pesci pigliare per sbrogliare quell’intricata matassa. E dove s’era infilato suo malgrado, con tutte quelle precauzioni prese in quella settimana antecedente e che alla fine non erano servite proprio a niente. Akhilleos s’era seduto sul letto, mentre Spiros era andato a preparare del 260 caffè per l’amico e quest’ultimo si mise a spiegare la situazione a Mauro. < Vuoi sapere com’è andata a finire la questione su quei due siciliani, piombati qui l’altra sera? > stava dicendo. < Quei due che hai fatto fuori l’altra notte... > ma fu interrotto da Mauro che gli chiedeva un po’ confuso: < Come! l’altra... notte? Ho dormito tutto questo tempo, insomma, rimbambito dalla ferita... Oh, no! Accidenti! Non posso star qui fermo ad aspettare il peggio. Devo pensare ai miei amici, senz’altro saranno in pericolo? Per favore... ti prego! Dimmi almeno che ore sono adesso? > < Sono le nove di sera e non ti agitare. > rispose Spiros entrando con in mano un vassoio e sopra tre tazzine di caffè bollente. < Proprio così, hai dormito una notte e un giorno intero. > proseguì l’uomo dal portamento arabesco in quel suo barracano bianco bordato da greche azzurre. < Be’, infondo anche i medicinali hanno fatto il loro effetto. > aggiunse Akhilleos, mentre si versava nella tazza il caffè e proseguiva il suo racconto: < Comunque, non devi preoccuparti dei tuoi amici, loro non corrono pericolo in questo momento. E ascoltami ciò che volevo dirti prima. Perché anche io ho qualcosa d’aggiungere su quei due siciliani. Che le loro anime riposino in pace. Perdio! Che paura mi sono preso quando dall’esterno o sentito sparare quel cannone di Spiros, temendo il peggio. Invece tu li hai stesi tutte due con pochi colpi, però, sei forte amico! > rispose Akhilleos sorridendo in quel momento dopo la passata paura dell’altra notte. Akhilleos non sembrava preoccupato in quel momento a ripensare all’accaduto; gli sembrava ancora di vedere un bel film giallo alla televisione senza sottotitoli ma in prima persona e oltretutto era stato in parte partecipe. Focalizzò tra sé e sé eccitato. < Già, hai perfettamente ragione Akhilleos. Li ha beccati con decisa 261 determinazione al primo colpo. > sbottò Spiros mentre si stiracchiava la barba bianca e continuava a dire. < Per Giove, che mira figliolo! Centrati tutte due in pieno. > aveva espresso con meraviglia la sua viva impressione sull’accaduto. < E poi dopotutto quelli erano venuti con l’intenzione di spedirci tutti quanti al creatore, nessuno escluso. > Mentre Mauro espletava con rammarico: < E pensare che io odio le armi. Guardate cosa mi tocca fare... Sono diventato un fottuto criminale! Peggio di loro... Solamente per salvarmi la pellaccia devo continuamente uccidere. Sinceramente sono veramente stufo di farlo, credetemi amici. Accidenti a me! > si biasimò convinto più che mai di quel che diceva. Mentre Akhilleos lo redarguiva per calmarlo un poco, dicendo a sua volta: < In certe occasioni non si può scegliere, bisogna accettare la sfida. Anche se tale gesto può significare la perdita d’identità morale, ma interiormente si è coscienti delle proprie azioni giustificative e nient’altro. Poi, meno male! Sei così deciso e con una buona mira. Altrimenti eri già tra i morti a quest’ora. Stai facendo un’opera buona per il tuo paese eliminando la feccia che inquina e corrompe l’umanità più debole. > espresse convinto Akhilleos con fare da intenditore. < Già, questa è buona! Sinceramente sono stufo di fare lo “007 senza licenza d’uccidere”... E... sapete immaginarvi quanti ne ho già ammazzati per sopravvivere io e i miei compagni..? > < Tre, con questi due, da quel che ho capito dal racconto fattomi da Elena? > disse Akhilleos. < Magari! > ribatté Mauro. < D’altronde non è il numero che conta per farti sentire un killer di professione. Per non dire un sadico criminale che mi vergogno di me stesso e sono nauseato di tutto questo casino che ho creato con le mie mani... Puttana Eva! > < Beh, allora!? > chiese Spiros curioso di sapere. < Dai rispondi e tira fuori il rospo? > lo spronò a proseguire il racconto. Mauro restò un momento a fissarli e poi controvoglia rispose: < Se vi dico che ne ho già ammazzati dodici con questi due qui, cosa pensate di me a questo punto, che racconto frottole per vantarmi? > < Dodici!! > pronunciò sorpreso Akhilleos, seguito da Spiros affascinato. Poi Akhilleos riprendendo fiato continuò a indagare, dicendo con fare un po’ canzonatorio: < Allora tu non ce la racconti giusta, tu sei un’agente secreto, ingaggiato dalla CIA, senz’altro? > < No, niente di tutto questo! > esclamò Mauro. < Sono soltanto un 262 povero smemorato studente in giurisprudenza che per caso si è imbattuto in un tentato omicidio e precisamente di Andrea il mio compagno di sventura. Io ho tentato di salvarlo dalle loro grinfie e mi è andata bene, nient’altro. Soltanto che le circostanze avverse si sono accavallate una sull’altra. Purtroppo precipitosamente. E cosi per salvarci la pelle abbiamo incominciato a fuggire inseguiti da ben due mafie, quella calabrese e quella siciliana. Che purtroppo nostro malgrado gli abbiamo rotto i loro piani di espansione con il loro racket della droga. E perciò eccoci arrivati fino qui e non è di certo finita. Ora più che mai, avendo ripreso la nostra tracce. Capite amici, cosa ho dovuto fare per salvare la mia pelle e quella dei miei amici, coinvolti malgrado le loro buone intenzioni di rimanervi fuori da tutto questo. > Mauro si era accasciato sfinito e demoralizzato dalle sue stesse parole da vecchio criminale incallito. Mentre Akhilleos gli passava la tazzina del caffè e l’aiutava a sorreggere il capo per poter bere. Intanto Akhilleos tentava di riportare il discorso su altre prospettive alquanto confuse che s’intravedevano approssimarsi all’orizzonte. Perciò alla fine, riprese a dire: < Be’, per tralasciare i vecchi ricordi di guerra e cambiare discorso ritornando su cose più importanti. Ma al contempo sono sempre su quest’argomento fetente. E per farla breve dicevo prima... > riprese a dire Akhilleos. < Io l’altra sera non ero riuscito ad arrivare all’appuntamento con voi prima. Il tutto per seguire quei due siciliani? Perché nel pomeriggio al porto mi era capitato un fatto strano? Io ero intento a caricare delle casse sul mio camioncino da portare ai magazzini generali, quando mi cadde l’occhio su quei due individui. Capisci Mauro, a chi mi riferisco? Quei due dall’aspetto poco raccomandabili, ch’erano arrivati a bordi di quella Citroen nera, noleggiata in città, > mentre guardava Spiros per coordinare le loro idee e quello muoveva il capo affermativamente. < Pertanto quei due giù al porto, si erano diretti agli uffici spedizioni. E chissà perché, ma qualcosa mi diceva che mi dovevo interessare a loro. Così lì ho seguiti incuriosito dal loro modo di fare, un po’ diffidente. Forse era il loro modo di guardarsi sempre attorno sospettosi, che mi aveva incuriosito. Insomma ‘sta di fatto che con una scusa sono entrato nell’ufficio e ho potuto sentire cosa chiedevano all’impiegato allo sportello. In breve erano venuti a chiedere informazioni: Se per caso avrebbe visto tre giovani italiani sbarcare dalla motonave “Elpida”, proveniente da Malta. A quel punto, mi era venuto un sospetto e ho raddrizzato le orecchie per captare meglio ciò che dicevano. Mentre loro, visto la titubanza dell’impiegato gli passarono delle banconote sotto 263 lo sportello. Spiegando con fare mesto, di essere dei vostri parenti e tentavano di rintracciarvi. Per avvisarvi della morte di un vostro caro congiunto. E alla fine l’impiegato si lasciò convincere, sciogliendo la lingua, come il burro messo al sole, dal luccicare dal danaro che aveva fatto sparire velocemente in tasca. Informandoli come e quando e l’albergo da voi prenotato, al “Grant Hotel Xenia”. Hai capito, com’è successo. Così hanno saputo quello che volevano sapere subito e velocemente da quello stronzo d’impiegato? > < Perla miseria! Questo fatto nuovo, non ci voleva proprio. > sbottò Mauro preoccupato. Mentre continuava a chiedere con insistenza: < Ma erano soltanto in due quelli? > chiese dubbioso. Mentre Akhilleos corrugava la fronte a pensare e in fine spiegò: < A me è sembrato che fossero soli. E ti dirò di più, appena dopo aver saputo dov’eravate alloggiati, si erano diretti al centralino telefonico lì accanto e avevano fatto una lunga telefonata. Penso in Italia, dal tempo ch’era trascorso prima che rispondessero dall’altra parte. E a quel punto io mi trovavo in difficoltà per avvisarvi. Ormai erano le diciannove e trenta, perciò presi una decisione di scaricare velocemente le casse a terra e seguire i due siciliani. Che non tardarono poi a portarsi al vostro albergo e quando loro sono arrivati, i vostri compagni avevano già svoltato l’angolo. Mentre tu e Elena stavate per partire. Perciò in quel momento vi siete incontrati di sfuggita. Si vede che non ti conoscevano perché si erano diretti alla reception chiedendo senz’altro di voi tre italiani e qualcuno vi aveva indicato che eravate all’uscita. Perciò loro corsero subito fuori, ma voi stavate già partendo con la moto e così loro si misero subito a seguirvi a distanza di sicurezza. > spiegò l'inghippo. < Eh, pensare che io, li avevo guardati per un attimo prima di partire con Elena, > spiegò Mauro. < Accusando un malessere a quella vista che mi turbava, ma dato che pensavo che le mie sensazioni erano di ben altra specie, non ci feci troppo caso, capisci Akhilleos... > commentò Mauro corrucciando la fronte. < Capisco più che bene. Per gli dei dell’olimpo! > sbottò Akhilleos e riprendendo a dire: < Com’è tutto così complicato e io ho faticato per star dietro a loro con il mio macinino. Perciò a Sitia loro si erano fermati poco lontano e vi guardavano cosa facevate lì fermi per aspettarmi. E senz’altro avranno pensato che aspettavate gli altri due e così vi avrebbero preso tutti quanti in un sol colpo. Perciò io, a quel punto dovetti stare più indietro. Non potendo far nulla per avvisarvi senza essere visto. Nemmeno 264 precedervi qui, la strada è solo quella. E così sono arrivato qui appena ho capito, che non potevano sentire e vedermi arrivare dietro di loro. Scendendo in folle giù per la discesa a motore e fari spenti. Ma a quel punto avevo veramente paura di non poter far nulla per voi ed essere in ritardo. Ero veramente incazzato con me stesso, per non aver escogitato un piano diversivo. Ho avuto una tremenda paura quando ho sentito i colpi della rivoltella sua? > indicando Spiros al fianco in ascolto. < Accidenti! Ecco, ora sai tutto Mauro, di quell’altra sera. > Ma subito Spiros interveniva dicendo: < Ma non gli hai detto cosa avevano addosso, insomma i loro documenti. Forse lui li conosce quei due di nome? > mentre andava nell’altra camera e ritornava con un sacchetto di stoffa e tirava fuori dei passaporti. Poi Spiros si era messo sotto la debole luce a leggere a voce alta: < Be’, ascoltate forse non è la pronuncia giusta, ma io ci provo: Carmine Rocco trentacinque anni da Palermo, ecc. ecc. E Turiddu Rosi trentanove anni da Catania, eccetera ecc. E senz’altro dai nomi e dai posti da dove vengono sono della mafia siciliana e vi danno la caccia e a quanto pare questi sono soltanto l’avanguardia, vero? > < Già, ha più che ragione signor Spiros. Vogliono vederci morti e senz’altro arriveranno degli altri per darci la caccia. Perciò dovremo evacuare al più presto da Creta. > espose seriamente Mauro. Mentre Akhilleos proponeva a sua volta: < Be’, per incominciare facciamo questa benedetta puntura e poi decideremo per il resto. Anzi, io propongo che tu venga per il momento a casa mia. Visto che in questi paraggi, qualcuno può aver visto per caso quei due con la macchina, mentre venivano da queste parti. Io l’altra sera sinceramente non avevo tempo di guardare chi c’era in giro a quell’ora. Ero troppo preoccupato per quello che poteva capitare qui dentro... > < Ma’, della macchina e dei due che fine hanno fatto, se non sono troppo curioso? > chiese Mauro. Mentre Spiros decisamente rispondeva per primo: < Non ti devi preoccupare è tutto sistemato per sempre e senza traccia. E per la macchina, quando la troveranno è soltanto messa per bene, parcheggiata in una zona turistica, senza i passeggeri s’intende. Comunque è meglio fare come dice Akhilleos, perché vederlo venire qui troppo spesso darebbe troppo nell’occhio. Perciò è meglio che andiate via questa sera stessa, dopo averti fatto l’iniezione ordinata dal dottore Dromos. D’accordo ragazzi! > espose seriamente Spiros. < Sì, ha ragione, se mi aiutate ad alzarmi, potremo lasciare il monastero fin ch’è buio. > propose Mauro più che mai preoccupato. 265 Capitolo Trentottesimo Era l’una passata quando arrivarono nella piccola casetta di campagna di Akhilleos ai piedi del monte Ida. Mentre la luna faceva capolino dalla sua sommità dov’era un tempo il centro dell’Olimpo. Mauro era sfinito e si era appeso al braccio robusto di Akhilleos per entrare in casa. Si sentiva veramente tutto rotto e appena Akhilleos lo aiutò ad adagiarsi sul suo letto lui si contrasse su di sé dal dolore. Mentre l’amico si prodigava per aiutarlo a svestirsi e coricarlo sotto le coperte. Mauro era scosso da tremiti e quel trambusto gli aveva fatto aumentare la febbre. Akhilleos l’aveva costatata mettendogli la mano sulla fronte, da preoccuparlo e farlo imprecare tra i denti: < Per gli Dei! Hai la temperatura alta, bisognerà che domani mattina cerchi di parlare con il dottore Dromos, sulla nave “Zeus”. Io non so’ cos’altro darti da prendere, oltre quello che ti ha già prescritto il dottore? Accidenti! > espresse il giovane greco preoccupato. < Non devi preoccuparti! Sarà, per questa sfaticata appena fatta. Vedrai, domani starò meglio... stai tranquillo amico. > mugugno Mauro, con molta fatica per non preoccuparlo ancora di più. S’era sforzato di essere il più tranquillo possibile, ma effettivamente si sentiva male e aveva dei brividi di freddo che lo facevano sussultare tremendamente. Poi per fortuna sentì il corpo caldo di Akhilleos accanto al suo e s’acchetò un po’, quella vicinanza gli dava un po’ di benessere, mentre l’altro gli diceva: < Scusa, ma non ho altri letti, > gli sussurrò all’orecchio, mentre se lo stringeva un poco a se. < Dovrai accontentarti di stare un po’ 266 stretti in questo piccolo letto sfondato, fin dai tempi dei miei avi. Questa casa a più di cento anni. > ribatté Akhilleos mentre tentava di scaldarlo. < Non importa amico. Anzi è meglio così, sento il tuo calore vicino e mi stai scaldando per bene. Ho un tale freddo addosso che non riesco a frenarmi dal tremare. In verità... mi sento veramente sfinito. Scusami Akhilleos, per tutto il trambusto che ti creo... > < Dai non farla lunga! Poi a cosa servono gli amici se non si prestano nel momento del bisogno. Però! Come stai tremando ragazzo, spero che il mio calore ti può bastare per calmarti. Comunque ora proviamo a dormire almeno qualche ora. Forse si calmerà la tua febbre? Io tra poche ore dovrò alzarmi, ho un bel po’ di lavoro giù al porto. E veramente sono anch’io abbastanza stressato oggi, per non dire stanco. Kaliniktà! > < Notte e grazie per tutto amico mio! > rispose Mauro mentre si stringeva a lui più vicino e si trovò a piangere silenziosamente tra sé, in quell’arrabbiatura incondizionata. Oltretutto quel ragazzo greco era l’unico appiglio rimastogli, per quello che gli sembrava di capire in quel momento così difficile. Restò parecchio tempo sveglio Mauro ad ascoltare il respiro regolare di Akhilleos che riposava, poi alla fine con l’aiuto dei medicinali si addormentò anch’egli profondamente. Quando Mauro si sveglio era molto tardi e il sole era già alto in cielo, rischiarando la piccola stanza dell’amico, con poche cose dentro: un letto, un armadio abbastanza vecchio e un comodino, che separava il letto dalla finestra, e si apriva verso il monte Ida in un meraviglioso panorama estivo. Poi di colpo Mauro capì che Akhilleos era già andato al lavoro e a quel punto, si rammaricò per non essersi svegliato prima, almeno per salutarlo. Era il minimo che poteva fare per ringraziarlo da tutto quel tribolare e pericolo che gli aveva procurato con la sua presenza in quell’isola di pace. In fine dopo tutti quei mugugni cercò di alzarsi, ma dovette rinunciare non era in grado di poterlo fare, si sentiva ancora così debole che rinunciò a fare ogni sforzo inutile. Si guardò attorno e trovò sul comodino al suo fianco un cestino di vimini, coperto da un tovagliolo e una bottiglia di acqua. Faticò un bel po’ prima di potersi sistemare e usare la mano e il braccio buono. Alla fine riuscì a prendersi la bottiglia e bere un buon sorso d’acqua, poi alzò il tovagliolo e sotto vi trovò sei panini imbottiti di salame e formaggio che emanavano un profumino appetitoso. Mauro provò a morsicare un pezzo di panino e dopo il primo boccone incominciò a gustare quella provvista che Akhilleos gli aveva procurato con del pane 267 raffermo per sobbarcare la giornata fino a sera, in solitudine. Dopo il terzo panino, Mauro si lasciò andare soddisfatto di avere finalmente qualcosa nello stomaco. Ma dopo un prolungato momento di riposo, decise che doveva per forza alzarsi dal letto. Aveva veramente bisogno di andare in bagno e chissà mai, dov’era ubicato in quella casa campestre. Si sforzò e con tenacia alla fine ci riuscì ad alzarsi. Akhilleos gli aveva lasciato un paio di zoccoli ai piedi del letto. Mauro si trovò tutto barcollante sulle gambe, muovendosi a stento come un vecchio ubriaco, appena uscito dall'osteria. Tra le varie imprecazioni che formulava a denti stretti, cercò d’indovinare dov’era sistemato quel benedetto cesso. Era fuori in giardino a ridosso della casa; bello e arieggiato con vista sulla campagna. Infine Mauro, prima di rientrare sbirciò il paesaggio tutt'attorno, a prevenire e allontanare ogni paura. Si sentiva braccato. Poi con decisione, ritornò a letto e quasi subito si riaddormentò stremato dalla provata fatica. Era già sera tardi quando sentì lago entrargli nel gluteo sinistro e si svegliò di botto, ma senza muoversi e lamentarsi per il pizzicore che gli procurava il liquido, per entrare nella sua tenera carne. Mentre la voce di Akhilleos risuonava alle sue spalle: < Mi dispiace, dormivi così bene. Ma il dottore mi ha pregato di non saltare l’orario della terapia e perciò ne ho approfittato della tua posizione giusta per bucarti le chiappe... ti ho fatto male amico? Non è che sia molto esperto. D’altronde ci si fa la mano... > < No per niente. Poi da te mi farei fare qualsiasi cosa... sei un vero amico. Grazie ancora! > mormorò sottovoce. < Eh! Dai, dai, piantala di rompere con quel grazie! Lo farei con chiunque se occorre. In fondo poi, mi sei simpatico, sebbene la prima volta che ti ho visto assieme a Elena ti avrei spaccato volentieri la faccia. Temevo che stavi facendole la corte e a quell’idea mi girano subito le palle! Scusami. Ma sono maledettamente geloso. Sebbene Elena è una persona un po’ estroversa e sinceramente, non sa’ bene nemmeno lei cosa 268 vuole dalla vita. Vedi Mauro, io la sposerei subito, ma so per certo che lei non vorrà mai adattarsi a vivere qui con un povero pescatore senza una barca, per non dire, senza soldi. Soltanto un rude manovale giù al porto, che sobbarca il lunario facendo ogni lavoro che capita. S’intende, oltre che navigare con qualcuno che gli occorre una mano. Perciò, temo che sarà molto difficile che la nostra situazione vada in porto. D’altronde, io, sono innamorato e sono speranzoso. Mah! Mentre lei, ne approfitta della mia devozione e talvolta mi tiene a una certa distanza. E il tutto, mi fa molta rabbia. Purtroppo, spero sempre che un giorno si convinca che anch’io possa valere qualcosa per lei... Ma lasciamo perdere le mie rogne! Tu hai mangiato quei panini che ti ho messi nel cestino? > mentre alzava il tovagliolo e lo trovò vuoto. < Be’, almeno non potrai dire che ti ho lasciato a secco. D’altronde, devi scusarmi ma in casa non avevo altro e il pane era certamente un po’ duro. > si scusò il giovane allargando le braccia. < Tutt’altro, era buonissimo! Quando si ha fame, è tutto buono... grazie mille Akhilleos! > < Guarda, che se non la smetti di ringraziarmi ti sistemo fuori in giardino, sotto quel grosso fico d’India e aspetterai che maturino i loro frutti per mangiarli. Dai, resta buono ancora un poco, mentre io vado in cucina a preparare qualcosa di caldo, d’accordo? > e s’allontanò deciso seguito dallo sguardo affascinato di Mauro, che commentava dentro di sé: pensando che sotto quella pelle ambrata di quel burbero uomo, c’era un cuore veramente d’oro. Rammaricandosi, perché mai Elena lo trattasse a quel modo e non l’apprezzi per quello che vale veramente. “Peccato!” Akhilleos dopo la rituale fasciatura che gli aveva insegnato il dottore Dromos, l’aiutò ad alzarsi dal letto e l’accompagnò in cucina, che odorava di buono. Quando si misero a tavola, il padrone di casa lo servì di una meravigliosa spaghettata al pomodoro, Mauro si sentiva felice accanto a quel giovane, mentre pensava che non aveva mai provato una tale simpatia per nessuno a quel modo. Nemmeno verso Andrea e Stefano, che senz’altro se la stavano godendo a più non posso assieme alle gemelle svedesi, “ben per loro”, si trovò a dire dentro di sé angustiato. Ma lì, in quel momento si sentiva abbastanza felice. < Be’, non parli? Forse non sono di tuo gusto gli spaghetti? Certo che questi non sono di produzione italiana. > Akhilleos era un po’ emozionato non sapendo bene cosa mangiavano di solito gli avvocati a tavola e attese con il forchettone in mano, una risposta, magari di apprezzamento, da parte di quell’invalido paziente seduto lì, di fronte. 269 < Ti prego amico, non farmi dire... > mentre Mauro si metteva in bocca una forchettata di pasta e alla fine commentava mostrando una contrazione al viso, mentre l’altro era un po’ sconcertato del risultato. Poi Mauro riprese a dire: < Qui è tutto superlatif monsieur chef, a commentare. Sei formidabile! Ma non aspettarti che ti ringrazio ancora. M'hai proibito. Perdonami, ma non voglio burlarmi di te. Tu mi sei molto caro e non so’ proprio come avrei fatto senza di te... > Mauro si fermò, mentre osservava l'altro, poi riprese a dire: < Be’ ora che fai lì ancora in piedi e con il braccio a mezz’aria, tu non mangi? > < Ma, veramente stavo pensando a cosa vuol dire quella parola straniera: “Superlatif”, scusami ma non capisco il significato, insomma, qualcosa di superiore, vero? Ma messa assieme a quel monsieur... be’, che confusione. D’altronde mi è sembrata francese la frase detta, se non vado errato? > provò a dire Akhilleos. < Vedi amico, la scuola l’ho frequentata molto poco, invece per lavorare tanto e sinceramente ora capisco bene, che mi sarebbe servita dell’istruzione in più. Pazienza! Se si nasce poveri cosa si può fare, altro? > brontolò il giovane mentre appoggiava il forchettone. < Be’, questo è anche vero, da un lato. D'altronde non si può avere tutto. Comunque, ora siediti a mangiare e ti spiegherò cosa volevo esprimere con quelle parole francesi. Nient’altro che farti un complimento come cuoco. Hai creato qualcosa d’ineguagliabile con questa spaghettata al pomodoro, che in verità, oltre il profumo è veramente una delizia per il palato. > mentre l’assaggiava con gusto. < Dai mangia che ne hai veramente bisogno dopo una dura giornata di lavoro. Sei bravissimo amico mio, anche come cuoco. Bravo! E quasi, quasi, ti assumerei... > < Eh, dai! E’ roba da niente. Guarda che ce né ancora nella pentola. > mentre Akhilleos s’imboccava grosse forchettate di spaghetti, si vedeva che aveva una fame da lupo. Anche Mauro si diede da fare con la sua abbondante porzione, accompagnato da un vinello bianco locale che scendeva giù nello stomaco come un rosolio. Mentre discorrevano su ogni cosa e alla fine Mauro disse all’amico con fare preoccupato: < Akhilleos, dovrei pregarti di un favore, domani non potresti avvisare Elena che vada dai miei due amici e dica loro di prendere la mia sacca da tennis e venire qui con te. Dovrei spiegare loro qualcosa, oltreché consegnare i loro passaporti nuovi e i vecchi, per gli ultimi spostamenti locali. Senza aspettare che succeda il peggio. Comprendi? > < Ma certamente! Posso farlo... Temi il peggio, vero? > < Purtroppo e sappiamo molto bene, che non passerà molto tempo che 270 arriveranno senz’altro altri killer a cercarci per farci fuori. E perciò, io vorrei consigliare i miei compagni di prendere nuove precauzioni al caso e magari cambiare aria. Tu potresti portarli qui senza destare sospetti in giro? Mi faresti un gran favore. > mentre terminava di intingere con il pane fresco, che aveva portato a casa Akhilleos, nel raccogliere le ultime parti rimaste del sugo al pomodoro. < Ma certo! > rispose Akhilleos. < Domani in giornata passerò da Elena e vedremo come metterci d’accordo per condurli qua in sordina. Magari appena dopo il tramonto. Okay!? > mentre si alzava dal tavolo e incominciava a sparecchiare i piatti e la pentola della pasta ormai vuota. < Puoi portare anche Elena qui con loro, non ti dispiace? > < Perché dovrebbe spiacermi. Speriamo che lei voglia venire qui. Non è mai venuta qui a casa mia, forse temeva che la violenti. Scherzo! Però, e sinceramente è un po’ restia nel fare l’amore con me talvolta. Scusami se mi confido con te, ma sei cosi fraterno per me, che sinceramente mi piacerebbe averti come fratello minore, io ho venticinque anni, uno in più di te... > esponendolo con baldanza quel vantaggio, mentre Mauro commentava su quel fatto: < Be’ in verità, per quel che ricordo io, in Italia ho un fratellastro maggiore... > fermandosi un momento a pensare su quella nuova cognizione dei ricordi, poi scacciò quell’insignificante differenza, capendo che ormai era divenuta irrilevante. Mentre Akhilleos commentava sorpreso: < Come, in Italia, hai un fratello? > Mauro riprendeva a spiegare: < Si. Comunque, è una storia un po’ lunga e complicata, che alla fine ne so ben poco anch’io. D’altronde dalla descrizione che mi ha fatto mio padre per telefono, suppongo sia più che una frana questo fratello, sebbene non me ne ricorda per niente e a questo punto non m’importa proprio. Non so perché ma non sento niente per loro, è veramente strano? Invece io ne sarei orgoglioso d’averti per fratello. Sei così formidabile e tenace, ma altrettanto tenero... > < Cala, cala amico, e non stare arruffianarti ancora, non ho dolcetti da offrirti per ripagarti delle belle parole. > espose sorridendo Akhilleos < Posso esprimere una mia idea, > mentre osservava l’altro che scuoteva il capo, poi approvò a malavoglia aspettando che Mauro dica la sua ennesima eresia nei suoi confronti. < Tu assomigli molto a quell’altro... > < Chi, quell’altro? > gli chiese incuriosito Akhilleos, stringendo gli occhi a ricordare, qualcosa che non veniva fuori. < Quello con il colore della tua pelle ambrata e i tuoi lunghi capelli 271 neri. Quello descritto dalla mitologia di queste terre? Achille. > < Dai, non esagerare amico. Pensavo chi mai potessi assomigliare e guarda un po’ cosa stai tirando fuori adesso. > rispose un po’ confuso Akhilleos, ma al contempo sorrideva compiaciuto all’idea. < Poi, oltretutto ne hai la prova in quella meravigliosa scultura fatta da Spiros... > gli espose Mauro con fare serio. < Sei stato il suo modello, vero? > mentre lo fissava con determinazione, sapendo già qual era la risposta, mentre l’altro un po’ titubante rispondeva: < Be’, sì! Hai ragione, ho posato per Spiros. Lui continuava a dirmi che ero proprio l’impersonificazione d’Achille, e mi sono lasciato travolgere da quella metafora e ora tutte le volte che vado laggiù e mi rivedo in quell’immagine scolpita nel marmo. Mi vergogno di aver posato a quel modo, così nudo e... lasciamo perdere per adesso. > poi, per cambiare discorso Akhilleos propose: < Sai invece cosa dobbiamo fare adesso? Andare a dormire. Scusami, ma sono veramente stanco! > mentre sistemava le ultime cose nella cucina. E Mauro seguendo il suo consiglio rispondeva: < Ma certamente fratello maggiore, andiamo in quel nostro piccolo baccello. > < Tu hai ancora freddo? > gli chiese Akhilleos. < Non ti spiace se teniamo soltanto il lenzuolo sopra? > < Come vuoi fratello, oggi mi sento in forma. Ahi! Non troppo ma, comunque abbastanza meglio. Tu avevi caldo ieri notte, vero? > mentre Mauro, si attaccava al suo braccio per recarsi in camera e l'aiutava a sedersi sul letto, lo stava rimirando per bene. < Sì, veramente. Mi sono fatto una sudata che nemmeno ai bagni turchi, non l’avrei mai fatta, così terapeutica. > rispose Akhilleos con un largo sorriso, mentre se lo stringeva al suo fianco con delicatezza. < Mi dispiace, mentre io stavo molto bene vicino a te. Credimi... > confermò Mauro sorridendo maliziosamente. < Come, non ti sei accorto più tardi che ti ho levato la maglia e le mutande, erano macere di sudore? > < No, veramente? Ecco perché mi sono trovato nudo stamattina. Non ho sentito nulla fino a questa mattina quando mi sono svegliato e tu non c’eri più, eri già andato via e mi è dispiaciuto non averti almeno salutato. Senz’altro avranno fatto effetto le medicine che m’hai dato. Sono a base di sonnifero per calmarmi dal dolore e a farmi sprofondare nel sonno inconsciamente. > protestò. < Già. è per quello che straparlavi nel sonno e io credevo che mi ascoltassi mentre ti toglievo la maglia e le mutande bagnate e t’asciugavo 272 un poco, tu stavi farneticando cose strane, un po’ strampalate.. Be’, dai, girati. > mentre aiutava Mauro a levarsi l’accappatoio da dosso, che gli aveva dato poco prima e infine a coricarlo a letto, poi si denudò a sua volta e s’infilò sotto quel leggero lenzuolo, dicendo piano all’amico al suo fianco: < Buona notte Mauro! > < Notte Akhilleos!... > poi dopo un prolungato momento Mauro gli chiedeva ancora: < Ma cosa volevi dire prima al riguardo di ieri notte, mentre dicevo strafalcioni nel sonno? > < Oh, nulla di speciale. Eri arrabbiato con qualcuno, insomma borbottavi. Dai ora dormi... Kaliniktà! > e s’era girato dall’altro lato. Mentre Mauro, dopo un attimo di riflessione rispondeva a sua volta al compagno: < Kalinktà adelfòs! > e rimase lì a pensare su quel quesito appena accennato dall’amico. Forse aveva avuto i suoi soliti e abituali incubi e Akhilleos a interpretato altrimenti quei fatti? O nell’incoscienza Mauro avesse accennato all’intreccio amoroso con i compagni? A quell’ambiguo pensiero Mauro si contrasse a pensare che Akhilleos avesse captato quel suo angustiato dispiacere per la lontananza dei suoi amici. Dovute dalle circostanze capitate, in quel luogo di villeggiatura. Mauro sì rammaricò di essersi tradito con quell’uomo al suo fianco, esponendo una verità per nulla accettabile dai ben pensanti eterosessuali. Da sentirsi avvampare il viso dal rossore. Mauro era veramente dispiaciuto se per caso quella sua supposizione era la verità accaduta. Cercando al tempo stesso di non pensare oltre, altrimenti si sarebbe vergognato ancora di più di fronte a ciò che poneva miseramente davanti all’amico sul suo conto. Avrebbe preferito essere lui a esporre la verità, invece di far blaterale il suo subconscio. Ma ormai il danno era fatto e perciò doveva accettare il giudizio storto che si era fatto l’amico sul suo conto. Poi alla fine Mauro s’addormentò profondamente con quel dubbio che gli pesava addosso. Poi nel bel mezzo della notte Mauro, si era svegliato e rimase supino per un bel po’ a fissare il soffitto rischiarato dalla luna che entrava dalla finestra spalancata per l’arsura. A un certo punto senti muoversi nel letto Akhilleos, girandosi verso di lui e appoggiando la sua gamba contro la sua, a quel contatto caldo Mauro ebbe un leggero sussulto di tensione e piacere. E solo in quel momento pensò spudoratamente di voler far l’amore con quel meraviglioso condottiero d’altri tempi, che dormiva beatamente al suo fianco nudo e procace. 273 Capitolo Trentanovesimo Il lenzuolo era ormai sparito da qualche parte a terra e Mauro rimase colpito da tanta bellezza che sprigionava quel corpo così ben levigato, coperto da un leggero strato di sudore. Emanando in quella piccola stanza il profumo di maschio, nel pieno vigore della sua giovinezza. Constatò Mauro, nel dover ammettere che quell’afrodisiaco effluvio era così eclatante e l’affascinava tremendamente. Oltre alla complicità della luna che rischiarava in parte quel corpo supino, da far restare Mauro parecchio tempo a contemplare e scrutare ogni singola parte di quel maschio latino. Al contempo Mauro, ne gioiva in parte, pensando alla fortuna che aveva in mano Elena, ha possedere una simile rarità un po’ selvaggia. Immaginando che loro due assieme, formavano una coppia perfetta e da quell’unione sarebbero sorti dei graziosi pargoletti. Degni di buoni auspici, da parte di quei Dei dell’Olimpo, che soggiornavano un tempo lì accanto, sopra al monte Ida. Poi si stupì ancora di più Mauro, per quel suo modo di masturbarsi la mente e osservare con troppo interesse quel giovane lì accanto, che russava impercettibilmente. Mentre faticava a togliere gli occhi d’addosso a quel fisico ambrato e possente, con una voglia matta di allungare la mano e accarezzare quell’epidermide vellutata. E in quella sua debolezza umana, o peggio ancora sfrontatezza, si trovò a pensare di far del sesso con quel giovane cretese, arrossendo tremendamente a quell’idea spudorata, che gli era sorta all’improvviso e spontanea. A quel punto Mauro girò il capo dall’altro lato, togliendo ai suoi occhi quella deliziosa vista, cercando di 274 placare quelle sue strane voglie scoppiate così dal nulla. Capendo più che bene, quale dramma si stava concependo dentro al suo petto e all’istante si ripromise che in futuro mai più avrebbe fatto all’amore con qualcuno, in special modo con un uomo. Ormai Mauro, aveva capito più che bene che in quei giorni trascorsi assieme ai suoi compagni di sventura, avevano esagerato troppo e perciò si ripromise con fermezza tra s'è: “D’ora in avanti cercherò di condurre una vita più casta. Basta con le orgie e le sodomizzazioni in giochi perversi, aspettando che la morte venga a prenderci. Ciò che ho provato mi è bastato per capire il mio sbaglio e cambiare il corso della vita. Adesso basta!” E tentò di girarsi a pancia sotto e mettersi a dormire per non pensare ad altro, cercando di scollarsi di dosso quelle baggianate idee. Ma quella mossa decisa gli procurò un forte dolore alla spalla e ai muscoli del petto, costringendolo a digrignare i denti ad evitare d’urlare per il male. Contemporaneamente sentì Akhilleos muoversi e girarsi vero di lui, in quello stretto letto e accostandosi contro con affetto materno. Involontariamente la sua gamba scivolò questa volta sopra la sua, in un abbraccio di muscoli sudati e possenti. Mauro percepì in quella stretta un brivido percorrergli lungo tutta la schiena, mentre il sudore incominciava a colargli copiosamente per tutto il suo corpo ormai eccitato. Un tremore elettrizzante gli veniva trasmesso dal corpo invitante di Akhilleos al suo, in quel contatto di epidermidi accaldate. Mauro sentì distintamente mugolare il giovane nel sonno, mentre inconsciamente con il braccio l’avvolse con dolcezza a se. Poi, l’altro si serrò sempre di più marcatamente al suo corpo tremante di paura e gioia per quel platonico amplesso. Mauro si trovò sconvolto da inspiegabili sensazioni assai devastanti. Da temere nella sfrontatezza esposta, dei suoi pensieri sconci di desideri repressi. Ma, così vivi e palpitanti nel suo essere primordiale. La paura l'aveva aggredito temendo che i suoi tremori, vengono captato da Akhilleos ignaro. E solo allora Mauro, scoprì quanto era grande la sua debole forza, nel reagire e contrastare contro quella presenza così genuina, ma assai preponderante. Era così caldo e spontaneo quel contatto del compagno, che l’aggrediva in profondità del suo io. Vi era qualcosa d’inconfutabile e magico in quella vicinanza, da farlo impazzire di desiderio. E senza saperlo si trovò a piangere di quella sua deplorevole debolezza ai desideri della carne in fermento, oltre a quel disordine che teneva dentro di sé nel suo cuore infranto. Mentre le silenziose lacrime lasciavano le sue guance arrossate dalla vergogna e si depositavano sul cuscino, Mauro imprecò dentro di sé, a non riuscire a frenare quei sussulti 275 interni e smisurati, quei piccoli tremori di rabbia e di sconforto che l’avvolgeva tanto. Erano impulsi così spaiati, frammisti al desiderio così impellente, di voler aggrapparsi quasi con rabbia a quell’uomo lì, alle sue spalle che senz’altro sognava momenti belli ed erotici, dai gemiti emessi a fior di labbra. Ma al tempo stesso in quel sogno motivato dell’altro, l’aggressione era all’unisono. Alla fine Mauro chiuse gli occhi molto fortemente e pregò che non succeda nulla e che il giovane così irruente e focoso si giri dall’altro lato e calmi i suoi bollenti spiriti, con qualcos’altro che può lenire nel sonno e diminuire le sue voglie. Così, tutto ad un tratto era svanito quel filo sottile di speranza che non succeda mai nulla tra loro. Quella spada di Damocle, precariamente in bilico era caduta sul suo capo senza ritegno. Capendo che ancora una volta si era lasciato abbindolare dalla bellezza del bel tenebroso Akhilleos, che aveva avuto il sopravvento sui suoi deboli sentimenti. Mauro si rammaricò con sé stesso, costatando d’essere diventato soltanto un oggetto di piacere per gli avventori che incontrava sul suo cammino. Ma soprattutto Mauro, capiva amaramente che forse quell’aggressione era lo scotto che doveva pagare per riabilitarsi. E alla fine, con umile rassegnazione Mauro decise di accondiscendere senza contestare più nulla a quell’irruenza di Akhilleos, in quell’abuso di potere incondizionatamente scontato. poi, l’irruenza si avvampò nell’ardore divenendo più dolce, mentre i baci si fecero più teneri sul collo dell’amante, attorno all’orecchio e in fine gli sussurrò qualcosa di sorprendente: < Tu, ieri notte, nel delirio della febbre chiedevi l’amore dei tuoi compagni e io ho capito in quel momento che ne soffrivi per le loro scappatelle con le svedesi. E questa notte mi hai istigato con il tuo corpo caldo così tremendamente appiccicato al mio, che mi sono eccitato al massimo. A questo punto, mi sono preso la briga di placare il tuo desiderio ma anche il mio,< Mi dispiace veramente di aver agito con troppa e brutale irruenza. Lo devo ammettere ero in conflitto con me stesso. In verità e ti confesso, è da varie settimane che vado in bianco con Elena per svariati motivi, suoi. E questo tuo atteggiamento maliardo, mi sono lasciato travolgere. > espose dispiaciuto. < Poi ero ormai più che convinto che tu desideravi avermi dentro di te, con una grande voglia, letta nei tuoi occhi in questi giorni. Sì, è vero! Ti ho violentato. Accidenti! Ora me ne rammarico veramente tanto, mi dispiace! Scusami tanto Mauro... Perdonami! Sono un imbecille, non... Accidenti! > sbottò dispiaciuto. Mauro faticò a rispondere in quel momento per lui sublime, oltre alla spalla che gli doleva fortemente e tentava di superare tutti quei dolori 276 messi assieme. Ma volle egualmente essere sincero con quell’amico desideroso d’amore, ed ora pentito. < Grazie, per la sincerità Akhilleos. In parte anche io l’ho voluto. Sinceramente non avrei ma immaginato di approfittare del tuo magnifico dono e mi dispiace che nel delirio mi sia tradito. E tu abbia interpretato male il mio bisogno d’affetto e amore. Si voglio bene ai miei compagni, per non dire che in un certo senso li ho anche amati. Ma purtroppo la vita continua e mi sarei dovuto rassegnare già prima. Sapendo che un giorno li avrei persi. Ma quel pensiero mi creava un grande dolore nel mio cuore e ho rinviato al dopo. Comunque e per essere completamente sincero con te, anch’io ti ho desiderato fin dal primo momento che ti ho visto in discoteca, ricordi? In quel tuo modo guerresco di comportarti nei miei confronti, ed eri pronto per aggredirmi. Mi hai eccitato tremendamente, costringendomi a confondere stranamente le mie idee nei tuoi confronti. E poi, quando ti ho visto raffigurato da Spiros in quella meravigliosa e sublime statua. Nel prode Achille... Mi sono innamorato platonicamente e perdutamente della tua immagine, levigata nel marmo, così espressiva e viva. Pensando, che essa mi sarebbe servita in futuro a placare la mia sete d’amore e di avere qualcosa a cui venerare e sognare. Immaginare platonicamente di poter essere stretto come amante fra le tue braccia forti... E’ la verità. Fin da quel primo momento mi hai stregato. Mentre le loro bocche si univano in un’innocente bacio significativo. Era un po’ difficile da parte di Akhilleos, accettare quel approccio un po’ primordiale in quel bacio, dove l’imbranatura era più che naturale. Per poi, sfociare in un irruente e focoso bacio pieno di passione e amore, da troppo tempo represso. Ma questa volta fu un amore dolce e profondo, quando Akhilleos si unì al compagno. Poi, finalmente si acquietarono un po’ gli animi in subbuglio e dopo un lungo respiro di soddisfazione, Akhilleos provò a parlare sottovoce, esponendo quasi con seduzione il suo pensiero all’amato compagno che stringeva con amore al suo corpo. < Mauro posso svelarti un mio angustio segreto? Una cosa che non ho mai esposto nemmeno a Elena. > mentre non smetteva di baciarlo in ogni angolo del suo viso con desiderio. Come un giovane fanciullo che ha appena scoperto la cosa più bella del mondo. E Mauro divenuto un po’ curioso, lo spronò a proseguire: < Be’, cos’hai di tanto segreto da confidarmi e fermare questo momento così magico per tutte due? Puoi procedere egualmente mentre parli... io ti desidero più che mai, all’inverosimile. > lo pregò. < Sai una cosa? Tu sei la prima persona che non ha fatto nessuna 277 obiezione al mio grosso e lungo arnese. Che fin dai tempi lontani m’ha fatto sentire a disagio e sempre in colpa per averlo troppo grande e lungo. Persino con Elena è sempre stato un dramma ogni qualvolta si concedeva a me. Lei, lo faceva con difficoltà, pretendendo da me di non forzare troppo. In fondo capivo anch’io, che il piacere in quella costrizione era limitato. Mi stavo abituando a godere in quel modo, a metà. Soltanto ora ho capito la differenza e quanto sia grande il poter godere per intero. Tu per la prima volta, mi hai permesso di assaporare il piacere al massimo. E forse è stato appunto quella mia costrizione e ribellione a infierire su di te la mia predominanza e prepotenza. Perciò, devo dirti, grazie amico! Per la prima volta sono felice di aver fatto l’amore per intero con un uomo. Un vero uomo innamorato. > sbottò euforico. < Non devi ringraziare nessuno, perché se non lo desideravo anch’io avrei potuto allontanarti da me. Comunque se vuoi sapere veramente la verità? Anche io ho sentito il dolore, tremendamente forte e in verità è stato un male! Ma sapevo altre sì bene, che il mio dolore non era nulla a confronto del piacere che mi donavi che è più grande e appagante. E l’ho desiderato fortemente, tanto e più di ogni altra cosa. Perciò non perdere tempo a discorrere amico, perché il domani potrà essere per me l’ultima volta. Perciò, grazie amico mio! Desidero fortemente tanto i tuoi baci. > < Ti prego, non dire eresie funeste. > lo rimproverò Akhilleos, mentre gli accarezzava il petto ricoperto da una imberbe e invisibile peluria bionda. < Tu hai qualcosa dentro di te che ti fa onore. L’amore per il prossimo e l’hai appena dimostrato sopportando con tenacia la mia focosa irruenza. Perciò, anch’io, te ne sono grato. Molto... > ma non poté finire, perché Mauro l’aveva aggredito con le sue labbra in un bacio prolungato al massimo dei loro affannosi respiri. E alla fine quando si ripresero Achilleos gli chiese corrugando la fronte: < Perché prima ti sei riferito a me con: “amico mio” invece di chiamarmi, non so, per esempio: Amore? Non ti sembra, che sarebbe più corretto... > < Perché, questo bel gioco ch’è scoppiato così come un temporale estivo, sparirà all’arrivo del bel tempo e il sereno. E quando tu ti sposerai con Elena, di tutto questo rimarrà soltanto un dolce ricordo nascosto infondo al tuo cuore. Ed anche per me sarà eguale il pensiero di un caro amico lontano, che ha saputo donare la felicità in una notte così indimenticabile. Ti prego, rimaniamo soltanto dei buoni amici, per me sarebbe più facile ricordare queste ore felici, senza patire. > < Tu mi stai confondendo le idee. Io non riesco a seguire il tuo 278 concetto di amicizia. Quando appena un minuto fa’ hai tracimato d’amore per me. Non è giusto ciò che dici. E’ tutta fasulla questa tua farsa? > < Molte cose non sono giuste a questo mondo, ma talvolta bisogna saperle accettare così come sono. Pertanto restiamo buoni amici in nome di questo nostro piccolo segreto, che io custodirò gelosamente nel mio cuore. Tu mi hai reso felice e partecipe dei tuoi sentimenti e mi hai fatto capire quanto può essere importante una vera amicizia. Fa che non si sciupi e sbiadisca con il passare del tempo. Per me è molto importante e te ne sarò grato per l’eternità amico mio. Forse un giorno quando ci rincontreremo in un mondo migliore e forse tu sarai già nonno… Allora e solo allora ti racconterò tutta la mia scialba storia. Ora, vedi l’alba sta per spuntare e tu non hai riposato un momento questa notte per colpa mia e tra poche ore dovrai andare al tuo lavoro. Perciò, ora gli ordini li do io! Cerca di dormire almeno un poco e penserò io a svegliarti alle sette, d’accordo amico mio. > Akhilleos era rimasto colpito da tanta determinazione di quel caro compagno d’amore che gli aveva donato tutto sé stesso e a quel punto non sapeva più cosa dire o ribattere a quel quesito che gli poneva così drasticamente. Poi si fece coraggio e tentò di parlare: < Mauro, non so bene come ringraziarti per ciò che mi hai offerto a cuore aperto e sinceramente devo dirti che ti voglio molto bene. Tu per me ora sei molto di più che un amico e... > Ma fu fermato dalla mano di Mauro che si era appoggiata sulla sua bocca, mentre gli sussurrava piano: < Ssst! Non andare oltre. Fermati e accetta questo nostro meraviglioso segreto. Sarà una dolce fiamma che arderà per noi in eterno. Grazie amico! > e lo baciò con intenso trasporto. Poi l’obbligò a distendersi e riposare almeno un poco. < Dormi adesso, avremo altri momenti per discutere. D’accordo? > mentre l’altro annuiva come un bambino felice, per tutte quelle attenzioni che mai nessuno sino a quel momento aveva avuto verso di lui. Erano piccole cose insignificanti, ma molto importanti per Akhilleos in quel momento e senza accorgersene si era già addormentato con un’espressione felice sul suo viso ambrato e rilassato. Erano quasi le sette, quando Mauro svegliò bruscamente Akhilleos. L’altro assonnato e confuso gli bloccava la mano appoggiata ancora sul suo petto, mentre si metteva seduto contro la spagliare del letto a fissare un po’ intontito l’espressione alquanto preoccupata dell’italiano al suo fianco. Chiedendogli alla fine: < Stai male Mauro? Cos’è successo alla spalla? > Mauro un po’ titubante rispondeva con apprensione: < Ho avuto un 279 brutto presentimento e sono sicuro che si avvererà se non riusciamo a precedere questa mia sensazione di sgomento più che veritiera. Mi ha preso così all’improvviso, che mi sono svegliato di soprassalto. E a questo punto so per certo che il mio sesto senso non mi tradisce e non vorrei star qui senza far nulla. Aspettando il peggio che arrivi addosso. Comprendi? > < Bene, dai, non farmi stare in pena? Spiegati meglio. Cosa ti sta succedendo? > sbottò Akhilleos anch’egli in apprensione a quel punto. < Visto che di là hai il telefono, lo puoi usare? > gli chiedeva Mauro sempre più preoccupato. E Akhilleos ancora insonnolito non riusciva a capire bene quella premura dell’altro, rispondendo: < Certo che funziona, sebbene mai nessuno mi chiama, compresa Elena. Ma mi vuoi spiegare cosa ti ha preso adesso e cosa centra il telefono? > brontolò. < Sento che dovremo anticipare quella riunione con i miei amici. Sperando che non sia già troppo tardi? Accidenti! Che dolore mi ha preso nel petto. Sai, ho veramente paura? Puoi per favore chiamare il “Grant Hotel Xenia” e farti passare la camera 103... > Akhilleos era ancora troppo confuso, ma non voleva contrastare con l’amico, perciò si alzò andando in cucina, seguito a fatica da Mauro e chiamò l’albergo e solo dopo un attimo d’attesa arrivo la comunicazione che la passò a Mauro in apprensione. < Pronto, Andrea! Sì, sono io. Sì, si! Sto bene... Ascolta un momento per favore. C’è lì con te anche Stefano... bene. Allora ascoltatemi bene tutte due. Preparatevi e prendete le nostre tre sacche da tennis... Sì, con dentro tutto, capito? Okay! E diciamo... > mentre guardava Akhilleos e indicava fra due ore e quello acconsentì. Poi riprese a parlare con Andrea: < Allora fatevi trovare tra due ore da questo momento, diciamo a cinquecento metri dall’albergo in quel vecchio caffè sul lungomare, si chiama “Olimpo” e lì arriverà Elena e il suo ragazzo a prendervi. D’accordo ragazzi, state attenti siamo... voi mi capite vero? A presto! > e depose la cornetta sul suo supporto, mentre Akhilleos lo guardava pensieroso. Poi Mauro, si rivolgeva all’amico confuso e gli chiedeva: < Ti prego! Perdonami Akhilleos, ma è una mia supposizione troppo veritiera. Concedimi ancora questo giorno del tuo tempo. Saprò ricompensarti in denaro della tua giornata persa sul lavoro. > < Io lo faccio più che volentieri ma non per danaro, ma per un amico che gli occorre il mio aiuto. D’accordo!? > sbottò Akhilleos un po’ sull’irritato. Poi prosegui a chiedere: < Pensi veramente che siano già giunti dalla Sicilia altri killer, per farvi fuori? > provò a dire pensieroso. < Già, è proprio di questo che ho paura, e le ore sono volate via 280 troppo in fretta mentre oziavo nell’attesa. E non me lo perdonerei mai se le mie sensazioni si avverassero e qualcuno ci lasci la pelle. Capisci Akhilleos il mio dramma? Scusami, di tutto questo... Accidenti! > < Certo, certo! Lascia perdere le scuse. Ora mi vesto e vado subito via. Passerò prima da Elena a prenderla e poi dai tuoi compagni. Okay! > Mauro si era appisolato nell’attesa che giungano i compagni; dopo aver faticato un mondo per infilarsi le mutande e i calzoni, lasciando il petto nudo ricoperto dalla grande fasciatura che gli bloccavano la spalle e una buona parte del petto, più che mai dolorante. Mentre gli veniva quasi da ridere in quella sua sfaticata nel ripensare a quell’altra notte ad Arcavacata. Quando Andrea faticò per togliersi i vestiti e alla fine era ricorso al suo aiuto. < Già era stata una indimenticabile sensazione. Però, ah! > borbottò tutto solo, mentre pensava che in quel momento c’era l’eguale problema, poi tralasciò quei vecchi dilemmi di fatue sensazioni e si distese con fatica sul letto in attesa del loro arrivo, addormentandosi profondamente stremato. 281 Capitolo Quarantesimo Mauro fu svegliato da uno strano rumore e si spaventò un poco, poi capì ch’era solamente la chiave che girava nella toppa della vecchia serratura. Era Akhilleos che entrava in casa accompagnato dagli amici e da Elena un po’ imbronciata per quella sgroppata di prima mattina, a venire fin lì tra le montagne. Ma alla fine, a malincuore aveva accettato, più per curiosità che altro. Pensando a cosa la poteva interessare in quel posto sperduto tra i monti. Mentre si guardava attorno, capendo che non le piaceva affatto. Appena i giovani si videro, fu un momento di gioia fra pacche sulle spalle e abbracci calorosi, con domande a vicenda. < Be’, come sta’ il nostro ingegnoso avvocato. Ti fa male la ferita? > gli chiese Andrea preoccupato, mentre Stefano che se lo stringeva affettuosamente al petto, commentava a sua volta: < Sentivamo la tua mancanza Mauro. > mentre lo baciava con affetto sulla guancia, e subito di rimando con fare scherzoso Mauro rispondeva: < Non mi state a dire! Vi siete già stancati di quelle due bionde svedesi? Non ci credo... > provò a supporre. Mentre loro due si adocchiavano furbescamente a vicenda e alla fine, Stefano rispondeva con una vago sornione sorriso sulle labbra: < Be’, sai come vanno certe cose... Insomma, stiamo bene assieme e sinceramente siamo due coppie ben affiatate, specialmente a letto devi credermi amico. Ci stanno facendo impazzire. Be’, capirai? > mentre fissava negli occhi il compagno ferito. Mauro. riuscì a non lasciar trapelare nessuna emozione, anzi tentò a fatica di scherzarci sopra, dicendo: < Bene, sono contento per voi ragazzi! Almeno qualcuno in famiglia si diverte e bene quanto pare... > per riprendere subito dire, con un’altra tonalità più seria e preoccupante al caso: < Ma ora veniamo al dunque ragazzi e perché vi ho fatto venire qui? Purtroppo le cose sono precipitate tremendamente e sento che sta per succedere qualcos’altro di brutto. Dopo questa nuova presenza della mafia siciliana, in perlustrazione qui a Creta... > < Sì è vero! Ci aveva raccontato Elena di quello che ti è capitato e poi... Be’, meno male! Ti sei salvato. > aveva risposto Andrea dispiaciuto, mentre Mauro riprendeva a spiegare a sua volta: < Ecco perché vi ho fatto venire qui per discutere sul da farsi, ormai la questione si fa sempre più scottante per noi, pertanto sarà meglio dividerci in piccoli gruppi, visto che quelli stanno cercando ancora tre italiani fuggiti con il malloppo, chiaro? E 282 perciò, innanzi tutto, dividere la nostra piccola fortuna e questa volta comprenderanno anche loro due... > mentre li indicava con un piccolo gesto. < Loro, che hanno contribuito alla nostra sopravvivenza e questo è più che certo. Perciò ora conteremo il danaro dividendolo in quattro parti, una per ciascuno di noi e una parte per loro due, > indicando Elena e Akhilleos che si tenevano un po’ in disparte e ascoltavano attentamente, cercando di capire quello che diceva Mauro in italiano. < Va bene! Siete d’accordo ragazzi, fatto in questo modo? > chiese Mauro serio. Mentre tutte due rispondevano con il capo affermativamente. < Certo, certo. Quello che deciderai di fare, andrà bene anche per noi. > rispose alla fine per tutte due Andrea, mentre apriva la sacca ed estraeva fuori tutto quel ben di Dio, mettendola sulla tavola della cucina. A quella vista Elena si era avvicinata con gli occhi fuori dalle orbite per lo stupore e la meraviglia, di vedere tutto assieme una tale quantità di dollari. Immaginando che in vita sua, li aveva soltanto viste al cinema tanti dollari così ben impacchettati. Fu altrettanto una sorpresa anche per Akhilleos che osservava affascinato quegli sguardi dei presenti, in special modo quelli della sua ragazza che si stava mordendo le labbra da sola e continuava a passarsi la lingua su di essa, per quella meraviglia che gli faceva luccicare gli occhi. Akhilleos in quella situazione visiva era rimasto abbastanza male, nel capire all’istante, come quel mucchio di soldi sul tavolo, potevano far cambiare così rapidamente l’umore e le idee alla gente. Pensando al contempo, se tutto quello che sapeva di quei giovani stranieri, era la pura verità? Oppure, dietro quelle loro maschere giulive, si celava un’altra faccia? Ma a quel punto non gliene importava più niente, si era schifato di tutto e sperava in cuor suo che finisca tutto e subito, al più presto. 283 Mauro si era seduto in un angolo vicino al tavolo e lasciò fare a Stefano il lavoro di ammucchiare e dividere in quattro mucchietti quelle mazzette verdastre che avevano già creato un sacco di morti. Mentre continuava a spiegare le varie fasi di quella loro operazione: < Io ho pensato che appena andrete via di qui con la vostra quota, avviserete in albergo che dovete partire subito per l’Italia, avendo avuto notizie della perdita di un caro congiunto. Salderete il conto e poi con i vecchi passaporti prenderete la prima nave per Atene. Appena giunti ad Atene distruggerete i vecchi passaporti e adopererete quelli nuovi e sparite da qualche parte... Può andare questa mia idea? > chiese mentre li guardava in viso uno per uno, aspettando un loro commento o disappunto. < Va, benissimo. > rispose Andrea, mentre si spremeva la memoria e subito riprese a dire, rivolgendosi a Stefano intento al suo lavoro: < Be’, cosa diresti se andassimo via con le svedesi? Insomma loro partono oggi pomeriggio proprio per Atene e poi non so dove andranno in quali altri posti. Non sarebbe una brutta idea, star con loro ancora un poco? > < Già, hai quasi ragione? Erano così tristi a lasciarci qui da soli. > commentava Stefano. < E volevano ad ogni costo il nostro indirizzo. Ma, purtroppo? > Corrucciando la fronte al ricordo di quelle due sventole da mozzafiato, mentre riprendeva a dire al compagno di giochi: < Già, ma sarà difficile trovare dei posti a bordo della “Calipso”, sarà stracarico di gente. Certo che Elka e Frida sarebbero più che contente di averci con loro a bordo ancora un poco? E forse anche più avanti, assieme... > < Be’, se è per trovare un posto a bordo, penso che non ci sono problemi. > intervenne Akhilleos avendo intuito dal nome della nave cosa volevano fare quei due. Proponendo a sua volta: < Io conosco il capitano e un piacere me lo può fare senz’altro e magari senza farvi incontrare con la dogana portuale... capite vero? > < Benissimo! Questa è più che una buona soluzione, > confermò Mauro. < Però dovete fare in modo che all’albergo capiscano che voi prendiate l’aereo per l’Italia, eventualmente qualcuno chiedesse di voi nei prossimi giorni. Così, da sviare via e ritardare per un po’ i vostri veri spostamenti. Questo è l’essenziale? Se si vuole salvare la pelle, ragazzi! > < Ma perché, tu non vieni via con noi? > chiese Stefano a Mauro. Mentre lui rispondeva ai compagni, spiegando la sua situazione, oltre la ferita che lo immobilizzava ancora per un poco: < A parte che mi è difficile muovermi liberamente e poi quelli che sono appena giunti dalla Sicilia per 284 cercarci... Cercavano tre giovani italiani in vacanza. Capite adesso, il perché è meglio dividerci in vari gruppi. Chiaro? E io appena potrò muovermi meglio, vedrò di andare da qualche parte e potremo poi incontrarci in qualche punto della terra più calmo. Vi pare? > propose Mauro e riprendeva a dire; < Basta mettersi d’accordo ragazzi? Ma penso che anche tu Elena debba lasciare l’isola? > consigliò Mauro. < Ti hanno vista in troppi al mio fianco per Iràklion e diventerebbe pericoloso per te restare qui quando verranno altri in cerca di noi tre... comprendi? > < Già, è quello che stavo pensando anche io, > commentò Akhilleos un po’ preoccupato per la sua donna, tutta presa a fissare quei dollari. Mentre lei, non era per niente preoccupata in quel momento. Era così presa da quel danaro che veniva per bene sistemato sul tavolo e fremeva a quella luccicante vista, che talvolta li sfiorava con la mano a sentire lo spessore delle mazzette. Senz’altro, i suoi pensieri in quel momento erano diventati un po’ ingordi, dal suo modo di comportarsi e la dimostrava più che chiaramente. Da dar a pensare che era già arrivata a contare mentalmente, quanto gli veniva in tasca della sua parte di divisione con o senza Akhilleos? Mentre Elena si era un po’ estraniata, sopraffatta da quel luccicare di dollari. Alla fine si era ravveduta, rispondendo decisa, con fare interessato: < Be’ forse avete ragione. Vedrò di andarmene anch’io oggi. Se tu mi trovi un posto a bordo della “Calipso”. > mentre guardava sornionamente Akhilleos, come una giovane cerbiatta innamorata e con fare da cospiratrice, aspettava che lui le risponda al suo aiuto. < Ma certamente! > rispose serio con le mascelle contratte: < Vedrò di convincere il capitano. Senz’altro troverà un posto per tutti, vedrai che ce la farai a partire con loro. E’ più sicuro! Devi lasciare l’isola. > < Grazie tesoro! > rispose lei tutta intenerita, mentre gli donava un caldo bacio sulla guancia. Poi fu subito attirata dalla voce di Stefano che diceva: < Bene, sono tutte a posto. A quanto ammonta? > rivolgendosi a Mauro che aveva preso nota. Poi aspettò di sentire la cifra, che non tardò a giungere alle orecchie di tutti in attesa. < Sono esattamente la bellezza di: $. 5.950.000.00, dollari americani, che divisi per quattro fanno ben tondi: $. 1.487.500.00, a testa. > spiegò Mauro tranquillamente. Mentre dentro di lui si sentiva fin troppo saturo di quei maledetti soldi, che avevano già causato un sacco di guai a tutti, oltre ai morti che lui aveva disseminato. Ma anche e in una certo senso la salvezza. Poi fu distolto dai quei torbidi pensieri, dalla richiesta di Andrea. < Be’, ma in lire italiane quanto farebbe per intenderci meglio? > mentre si leccava le labbra con gusto. 285 < Be’, vediamo un po’, > riprese Mauro. < Ecco, fanno esattamente la bellezza di oltre due miliardi e mezzo, in lire italiane s’intende, a secondo del cambio ufficiale. Comunque penso che ti possano bastare per un po’ di tempo... Vero Andrea? > < Urka! Altroché, se mi bastano. Sarà una pacchia ragazzi! > E subito Elena sbottò decisa, mentre si guardava attorno in cerca di sostegno alla sua brillante idea, pronta per essere partorita: < Invece io farò…> e s’era rivolta a Akhilleos proponendogli la sua decisione presa al momento: < Akhilleos siamo ricchi! E con la mia parte di $. 743.750.00, dollari mi metterò su una boutique o un grande atelier in Atene. E’ sempre stato il mio sogno e finalmente la potrò realizzare adesso. Si ragazzi partiamo subito, ora posso fare quello che voglio! > esclamò euforica. Akhilleos era rimasto quasi pietrificato, dall’eufemismo esagerato di Elena. Si era messa subito a spartire la sua quota da quella di Akhilleos, ch’era rimasto in disparte a fissarla più che mai sorpreso in quel radicale cambiamento e comportamento strano. A quel punto lui si girò e andò nel ripostiglio a prendere una bottiglia di vino e dei bicchieri dall’armadio. Si avvicino al tavolo ricolmo di soldi e vi depose i bicchieri al centro dei quattro mucchi, dicendo svogliatamente, con un falso sorriso sulle labbra. Mentre vuotava velocemente nei bicchieri il vino: < Hai miracoli che produce il denaro. Salute amici! > e fu il primo a prendersi il suo bicchiere e scolare d’un fiato il contenuto e poi allontanarsi fingendosi indaffarato. Mauro lo stava guardando con una fitta al cuore. Capendo che quel rude ragazzo stava soffrendo le pene dell’inferno, per quel modo cosi da voltagabbana impersonato da Elena. Di punto in bianco era cambiata completamente, mettendo in mostra la vera Elena avida. Mauro la fissava stupito nel vederla così intenta a sistemarsi la sua parte nella sua ampia borsa. Anche gli altri due, si stavano mettendo via la propria parte nelle rispettive sacche, lasciando sul tavolo soltanto la parte di Mauro e il gruzzoletto di Akhilleos, affaccendato in altre cose più importanti in quel momento. Per non dire incavolato con il mondo intero. E alla fine fu ancora Elena a parlare ai presenti indaffarati: < Be’, penso che possiamo andare, se vogliamo prendere quella nave? Spero che tu, > rivoltasi a Akhilleos. < Tu possa proprio trovarmi un posto a bordo, vero? Be’, allora andiamo ragazzi! Io devo fare ancora i bagagli e riconsegnare la moto? > sbottò frenetica. < Stai tranquilla non la perderai quella benedetta nave... > rispose Akhilleos asciutto, aveva la mascella contratta, mentre continuava a dire. < D’altronde cara, non devi essere troppo euforica. Hai già pensato 286 a cosa dire con i tuoi o ad altra gente, la provenienza di questa fortuna? Non di certo, potrai dire che hai vinto la lotteria? Non è così alta la posta qui in Grecia, mi sono spiegato? > gli suggerì Akhilleos serio. Ma lei, era così pronta a rispondere che gli espose decisa: < Ricordi quel mio zio d’America? Quello che è appena morto? Be’, mi a lasciato la sua eredità. Ecco belle che sistemato tutto. Vedi caro come sono furba io... > < Già, lo vedo? > mentre si avviava alla porta seguito da Elena. Gli altri due si erano avvicinati a Mauro per salutarlo. < Bene, mi raccomando! Guarisci presto... > augurò Stefano abbracciandolo. Poi fu la volta di Andrea. Si strinsero amorevolmente, mentre Mauro faceva a loro delle raccomandazioni: < Allora ragazzo, mi raccomando abbi cura di te. D’accordo? Ora andate e fate attenzione ragazzi! Occhi aperti... > < Certo, ma anche tu riguardati e stai attento, amico. A presto! > < Bene, dove ci incontriamo? > gli chiedeva Stefano un po’ emozionato, per quella affrettata separazione. < Be’, ci possiamo incontrare il primo dell’anno. Alle ore dodici, davanti alla cattedrale di Ibiza, alle Baleari, d’accordo ragazzi? > propose Mauro pur di dir qualcosa, con un grosso magone dentro al cuore. Sapendo più che bene che quel saluto era l’ultimo. Se lo sentiva dentro, come una premonizione, che non si sarebbero più rivisti. Forse era meglio così. Sarebbe stato troppo gravoso e doloroso rimanere al loro fianco e sbavare per il loro affetto ormai sparito altrove. < Be’, allora a tutti buona fortuna. Fra sei mesi a Ibiza, d’accordo? > sbottò Mauro, mentre gli si erano inumiditi gli occhi e restò un bel po’ sulla porta a vedere il camioncino di Akhilleos allontanarsi da casa, mentre le braccia dei compagni lo salutavano dal finestrino. Poi scomparve dalla sua viste e allora Mauro rientro chiudendosi la porta alle spalle e scoppiò a piangere senza saper bene il motivo, o non lo voleva ammettere che quello che pensava era più che veritiero. Ammettere l’indifferenza dell’umanità nel mondo. Alla fine Mauro si buttò sul letto, per lasciarsi travolgere dalla rabbia e a quel punto avrebbe voluto urlare, ma si trattenne a stento. Esausto di quel forte peso che gli opprimeva nel petto, oltre al dolore alla spalla messa troppo in movimento, si prese un paio di pastiglie dal cassetto del comodino e alla fine tra imprecisati dolori, si addormento stremato. 287 Capitolo Quarantunesimo Era ormai buio quando Akhilleos tornò e appena entrato in casa sbottò sull’imprecisato una battuta scialba: < Eccomi, arrivato finalmente! > Mauro dal canto suo, era stato tutto quel tempo impaziente nell’attesa, per sapere se tutto era filato liscio giù al porto. Ma osservando l’amico che aveva un’aria imbronciata e dimessa si preoccupò un poco, riuscendo a farfugliare solamente una semplice domanda: < Com’è andata poi? > Mentre l’altro con vago enfasi incominciò a raccontare quella partenza degli amici, senza metterci troppo entusiasmo: < Sai, che è stata un po’ dura lasciarsi a questo modo. Io sono rimasto fino alla partenza del traghetto e finalmente alle otto di sera, è partito. Il capitano Ados aveva un po’ arricciato il naso per la mia richiesta. Ma alla fine dopo tanti e importanti favori che gli avevo fatto, ha accettato ed è riuscito a sistemare ogni cosa per bene. Senza far notificare la loro presenza a bordo, così saranno al sicuro fino allo sbarco. Nessuno li ha visti salire, perché il capitano li ha fatti salire assieme al personale di bordo come camerieri e tutto è filato liscio. > espose Akhilleos mesto. < Sei stato veramente bravo a far sì che nessuno li abbia visti imbarcarsi sul traghetto. > Mauro buttò quell’elogio all’amico un po’ apprensivo, cercando di sviscerare la pena che lo rodeva dentro. Mentre Akhilleos riprendeva a dire: < Ma anche loro hanno fatto la loro parte e persino in albergo. Così mi ha spiegato Andrea, che alla reception, mentre pagavano il conto dell’albergo, Stefano aveva chiesto al direttore se poteva chiamare l’aeroporto per prenotare un volo urgente e quando l’impiegato gli passò la comunicazione, Stefano velocemente con un movimenti di destrezza e confusione, aveva interrotto la comunicazione, mentre continuava egualmente a parlare, chiedendo dei posti per il primo aereo per Roma con urgenza. Dando il tempo all’addetto dell’albergo di capire che avrebbero preso l’aereo delle dodici e trenta e tu, eri già partito per Roma la sera prima. Almeno così, quando qualcuno andrà a chiedere di quei tre turisti italiani li avrebbero spediti all’aeroporto e magari con un po’ di fortuna a quello di Roma. Comunque Mauro, avresti dovuto vedere le svedesi com’erano felici di averli accanto quei due stalloni, quando hanno saputo che andavano via con loro. Comunque, si vedeva più che bene che si sono presi una bella cotta per le bionde svedesi. Quei due... Eh, 288 sì! Figurati, che quando li ho viste quelle due gemelle sono rimasto di stucco. Da non credersi, sono come due gocce d’acqua, identiche. Non so come faranno per non sbagliare chi è quella giusta delle due, insomma, sarebbe difficile capire, con chi scopare? > < Non ti preoccupare. Fanno il lavoro di gruppo loro e questo te lo posso assicurare che sono più che mai affiatati. D'altronde le gemelle, mi sembra siano un po’ lesbiche e pertanto non si lascerebbero mai, ma fortuna vuole che hanno trovato Andrea e Stefano che non disdegnano nulla nel far l’amore di gruppo. Perciò non ce pericolo che si sfaldi qualcosa tra loro. E’ una simbiosi unica al mondo essere bisex. Comunque, da quello che mi racconti Akhilleos, erano contenti tutte quattro. Be’, almeno loro si faranno buona compagnia in avvenire. Spero solamente che non si facciano trovare dalla mafia e che siano veramente felici in futuro. D’altronde penso che non gli manchi proprio nulla, sono giovani, belli e hanno dei soldi da spendere e due formidabili vichinghe affiatate per divertirsi. Cosa vogliono di più dalla vita? > prospettò maliziosamente Mauro con una punta d’invidia per la perdita subita. < Solamente stare attenti a non farsi scoprire e nient’altro. > sbottò Akhilleos. mentre Mauro riprendeva a dire: < Perché in parte è stata un po’ colpa mia, se li ho coinvolti in questa assurda storia, obbligandoli a seguirmi per sfuggire a una morte sicura e abbandonare tutto alle spalle oltre i loro cari famigliari. Poi, oltretutto Stefano, in un certo senso è una specie di disertore da vivo, ed eroe da morto. Era la nostra guardia del corpo inviato della polizia. Insomma ti dico, ho combinato un gran casino, veramente grande! Puttana Eva! Che schifo mi faccio... > < Beh, allora, dai racconta? Incomincio ad esserne curioso. E per essere sincero, quando questa mattina ho visto tutto quel danaro sul tavolo… al primo momento, ho pensato che avevate fatto una rapina in qualche banca da qualche parte del continente e quelli che vi cercavano erano dei poliziotti. Ma poi, mi sono subito ricreduto, ripensando a quei due a casa di Spiros. Capendo che principalmente tu non eri il tipo di raccontare frottole e fare simili cose. Poi ho visto come hai sparato preciso e a segno. Comunque, sono convinto che tu non sei un criminale, chissà perché, ma la penso ancora così, come il primo giorno che ci siamo visti. > espose seriamente la sua opinione Akhilleos, senza un battito di ciglia. Mentre Mauro lo stava ascoltando con interesse e capendo che quell’uomo lì di fronte gli prestava la massima fiducia. In fine a sua volta rispose, dicendo con tranquillità: < Grazie, per la fiducia che riponi in me e 289 te ne sono grato. Sinceramente non mi è mai piaciuto raccontare frottole e in special modo ad una cara persona come te. Pertanto se hai un momento di tempo ti racconterò brevemente la mia scialba storia. Per non dire una parte della mia vita, fin dove la mia imbranata memoria si addentra e il mio restio subconsci la lascia andare ha scoprire il mio nascosto passato. Ormai lasciato per sempre alle spalle. Questo è più che sicuro. > < Qualcosa sulla memoria mi avevi già accennato. Ma ti prego prosegui, mi farebbe piacere sapere una buona volta per tutte la verità. Solo la verità, su tutta questa oscura e tortuosa, vostra storia? > commentò Akhilleos apprensivo e in aspettativa. < Ok! Vieni a sederti qui sul letto e ti racconterò questa assurda favola... > e senza tentennamenti Mauro incominciò a spiattellare ogni particolare e cosa di quegli avvenimenti dai risvolti più che gialli e scuri. < Vedi, tutto è incominciato sull’autostrada della Calabria in Italia. Sono stato aggredito e violentato da cinque uomini mafiosi, senza un motivo ben preciso, o forse era soltanto per divertirsi un poco con il mio corpo. E alla fine nel ripagarmi con un sacco di botte e poi trovarmi oltretutto smemorato. Ma, il destino vuole, nel rincontrarli mentre stavano per uccidere Andrea. Lui, li aveva scoperti e seguiti dopo una loro rapina e uccisione di altri mafiosi rapinati. Componenti di un’altra banda mafiosa siciliana. E io a quel punto dovevo decidere cosa fare, se fuggire ho aiutarlo? E non so bene il perché, ma mi sono trovato in mano un’arma e ho avuto fortuna per non dire culo. Li ho uccisi tutti e quattro all’ultimo minuto, salvando la vita ad Andrea ferito. Capisci adesso Akhilleos com’è successo all’inizio? Poi, senza volerlo ho trovato quei maledetti dollari. In un primo momento ho pensato di barattarli con le nostre vite. Ma tutto fu travolto da molti inghippi, persino in questura c'erano delle talpe che volevano quella refurtiva e perciò è incominciato il nostro calvario nella fuga. > Mauro raccontò ogni sua mossa eseguita a far perdere le loro tracce. < Oltretutto, abbiamo avuto una fortuna sfacciata fin ora. Ma anche fatta da grosse umiliazioni subite. > Spiegando, che usò l’astuzia con volontà determinante e perspicacia, per salvarsi. Formulando un racconto di chiare impressioni e pregiudizi espressi nei suoi pensieri. In quei momenti così drammatici e pieni di sgomento per tutti. Stava diventando un racconto fatto di tormentate ore di paura e d’angoscia. Ma con amore e abnegazione aveva combattuto quei sentimenti così dolorosi che hanno inciso la sua vita per il resto dei suoi giorni. Ma tutto in quel dramma l’aveva vissuto cercando di proteggere i suoi compagni di sventura. Lui 290 anche volendo non sarebbe riuscire ha essere indifferente e lasciare gli altri al proprio destino. Ad arrivare al punto di essere disposto a sacrificare la sua vita per agli altri. < Certo ch’è stata molto dura la realtà, > continuando ad esporrete e spiegare: < Non potevo fregarmene e sparire via nel nulla. Sebbene in un primo momento era fattibile, con quel danaro tra le mani. Non potevo cinicamente farlo. Avrei avuto un rimorsi per tutta la vita. Comprendi Akhilleos? > stava spiegando all’amico il suo sgomento, i suoi timori, le paure e quando il conflitto si fece più arduo e i contendenti volevano ad ogni costo le loro teste. Lui non lo fece, lotto con tutte le sue forze per salvare la sua vita e quella degli altri. E in parte, dopo tutto quel travagliato dramma, quei dollari era servito per far felice qualcuno, non tutti, ma comunque era già qualcosa. Alla fine quando stava per concludere di raccontare la sua odissea da killer, terminò dicendo: < Come vedi, in tutta questa assurda storia, io purtroppo non ho riacquistato la mia memoria e in fondo ho perso molte cose importanti. La cotta che ho preso per i miei compagni. Essi, in quella paura di finire uccisi da un momento all’altro ci siamo buttati sull’erotismo più sfrenato, amandoci a vicenda senza reticenza. Ecco perché ora mi era difficile separarmi da loro. Li ho amati veramente tanto. > espose a malincuore. < Però? In fondo hai avuto molta fortuna Mauro. Con dodici morti sulle spalle… Accidenti! > espresse Akhilleos pensieroso ma altrettanto stupito nell’aver appreso i particolari di quel dramma nel dramma. Senza però addentrarsi in quell’ultima parte del racconto, facendo finta di non aver appreso. < Sembra una storia che si vede soltanto al cinema, se non avessi partecipato anch’io in qualche modo. E meno male che sai sparare bene, altrimenti? Roba da non crederci! E io come un fesso ho di nuovo abusato di te, mi dispiace... Si mi dispiace tanto, amico. Perdonami! > < Dai, non ricominciamo! In fondo anch’io l’ho voluto. E per il 291 resto, hai veramente ragione tu. Roba da non credersi, eppure è capitata. Ma pazienza, cercherò di scordare tutto quel marciume che mi sento ancora addosso. > mentre Mauro si schifava stringendo gli occhi. Poi dopo un breve silenzio Mauro riprese a dire mentre cercava di mettersi alle spalle quella brutta storia: < Scusami Akhilleos, se con questa mia storia ti ho interrotto prima, mentre mi stavi raccontando sulla partenza dei ragazzi. Beh! dai, allora? Continua, racconta bene com’è andata, insomma giù al porto? Mi farebbe piacere sapere ogni cosa? > < Ma, sai come vanno queste cose. Con i saluto e via discorrendo. Io non sono fatto per i piagnistei… Erano tutti la a sbaciucchiarsi felici. > si vedeva che Akhilleos era un po’ restio a parlare, perché cambiò la risposta in domanda, chiedendo a Mauro: < Senz’altro di mancheranno i tuoi amici adesso, vero? Forse più avanti vi vedrete e tutto tornerà eguale a prima. > < Certo che mi mancheranno i miei compagni. Mi ero abituato così bene a loro. Sentirò veramente la loro lontananza. D’altronde a rimanere assieme sarebbe stata una pena per entrambi. Poi con il pericolo che succeda a loro qualcosa, non me lo sarei perdonato. In fondo gli ho voluto molto bene, mah! E’ andata a finire così... > < Già, ho visto! Ha, dimenticavo, Stefano mi ha pregato di dirti che sarai sempre nel suo cuore. A modo suo ti ha amato e anche Andrea e stato sul punto di dirmi qualcosa. Ma si è limitato a stringermi la mano forte e pregandomi di un favore, dicendomi con un magone: ”Salutamelo tanto e abbi ne cura in questi giorni, fin che rimarrà a casa tua”. Aveva gli occhi lucidi. Ha suo modo ti a voluto bene. Be’, in fondo hai ragione tu, tutto passa... Certo, in fondo è meglio così. Perché se fossero rimasti qui sarebbero finiti in un bel guaio prima o dopo. Questo è più che sicuro Mauro, credimi! > mentre si accendeva una sigaretta. E Mauro per sviare via da quell’atmosfera che si era fatta triste tergiversò per riconvertire l’argomento tralasciato a metà. Visto che quella introduzione non aveva avuto troppo successo. Mentre tentava e spronava l’altro a parlare della ragazza, chiedendogli alla fine direttamente: < E con Elena com’è andata poi, é partita anche lei, spero. Giusto? > Akhilleos era abbastanza restio, poi alla fine riprese a raccontare e a fare il resoconto di quell’ultima giornata che ha fatto scoprire l’altra faccia dell’umanità ingrata. Mentre indugiava un buon momento a fissava la sigaretta che aveva tra le dita, poi rispose: < Certo, lei era l’unica che non si era commossa tanto e senz’altro non ha sofferto la nostra separazione. Anzi fremeva perché la nave non partiva subito. Comunque, m’ha detto 292 che appena sarà giunta ad Atene mi telefonerà subito. Staremo a vedere, ma non ci credo troppo? Era troppo presa con quei maledetti soldi. Sì quei dannati dollari! > indicandoli con disprezzo, ancora di la sul tavolo, dov’erano rimaste le loro rimanenti parti della divisione. < Gli hanno fatto perdere la testa... Sai una cosa Mauro? > mentre spegneva il mozzicone nel portacenere e riprendeva a dire con sarcasmo: < Una cosa che mi ha colpito in lei e mi ha lasciato senza parole. Sì, come un povero deficiente? E’ stata quando eravamo nella sua pensione per prendersi i bagagli, io per così dire... Insomma, mi sembrava quasi un dovere, dover far l’amore con lei in quel momento di separazione così precipitosa. Insomma anche io la desideravo e poi sarebbe passato molto tempo prima che ci saremmo rivisti. Ma lei era talmente euforica per la fortuna che le è piovuta dal cielo. E mi pregò di non insistere, dicendo che avremmo avuto molto tempo in futuro a nostra disposizione e in quel momento non aveva tempo per simili espressioni da bassa plebe. Capisci! Bassa plebe? Lei l’aristocratica. E’… è tutto così assurdo? E alla fine, tutto si risolse con un semplice bacio fraterno e basta. Per gli Dei dell’Olimpo! > urlò e dopo un buon momento di silenzio riprese e sbottò sull’incavolato: < Per Giove! Valle a capire le donne? O forse siamo noi uomini che non vogliamo intendere, la verità. Questa è la realtà del momento! > sbottò adirato. Poi con foga riprese a dire: < Solo ora incomincio a capire di aver sbagliato proprio tutto. Per gli Dei dell’Olimpo! > alzandosi adirato dal letto e con nervosismo, camminando per la piccola camera come un leone in gabbia. Mauro tentò di esporre qualcosa, per smorzare l’arrabbiatura del compagno, dicendogli: < Ma dai, non essere così pessimista, solo perché ti sei perso una scopata. Vedrai che appena sarà ad Atene ti telefonerà e ti dirà che gli manchi tanto e aspetterà che tu la raggiunga a casa sua. > < Davvero!? Perché tu, ci credi ancora ai miracoli?... Io no! > rispose serio Akhilleos, mentre si recava nello sgabuzzino a prendere una bottiglia di vino. Poi tornò e propose all’amico in attesa a letto: < Aspetta che arrivo amico. Ci ubriachiamo sopra, con questa bottiglia un po’ particolare. La tenevo in serbo per un’eventuale momento buono. E mi sembra questa l’occasione. E’ più che speciale. “Vino degli Dei”. Cavolate! Cavolate del cazzo! Quello che ‘sto dicendo... Credimi amico... > mentre batteva la bottiglia sul tavolo con forza. Mauro era rimasto abbastanza confuso e alla fine gli rispondeva a sua volta dalla camera: < Dai, non fare così! Non serve arrabbiarsi. Dagli un po’ di tempo e vedrai che tornerà a cercarti. > 293 tentò di dire Mauro per calmarlo e sminuire quel fatto più che evidente. < Tu lo pensi veramente? Io no! Caro Mauro, ti sbagli e di grosso! E d’altronde anche io, l’ho capito soltanto oggi... Per Elena, io ero soltanto un presentabile accompagnatore per le vacanze. Qualcosa da mostrare alle amiche. Ma in verità io le importavo ben poco, o forse era il mio grosso uccello che le interessava di più, in un certo senso. Magari per vantarsi di averlo ma non adoperarlo. Ma certamente non disposta a sposarsi con me. E la dimostrato qui, questa mattina appena ha capito che gli avresti dato una fetta di questa maledetta fortuna e tutto è cambiato di colpo in lei. Non ho forse ragione? Io sono soltanto un stupido zoticone. Un marinaio senza barca... Senza niente da offrirle. Anzi uno stronzo innamorato! Ecco cosa sono. Per Giove! > sbottò adirato più che mai. Mauro era rimasto in silenzio, mentre capiva che era la pura verità. Lei non avrebbe mai più sposato un rude marinaio appiedato o un semplice portuale, era ben visibile e chiaro quel fatto. Ormai aveva una posizione in mano e poteva gestire la sua vita diversamente. Anche se quel benedetto ragazzo cretese, aveva l’uccello più bello dell’isola. Pazienza, lei l’avrebbe senz’altro rimpiazzato con un’altro di dimensioni più ridotte, ma di una posizione sociale più alta. Anche se al momento Akhilleos aveva anche lui la sua buona dote da spendere. E certamente queste cose non li poteva dire all’amico lì, di fronte in apprensione. Ammettendo che anche Akhilleos si sarebbe rifatto con la sua parte di dollari. Ma per Elena, restava sempre il rozzo marinaio delle vacanza e nient’altro. Alla fine Mauro rispose con un semplice scusante: < Be’, in parte hai ragione Akhilleos. E’ tutto così strano. Quei dollari, l’avevo dato perché potevate farvi un futuro assieme e non dividerlo così di colpo. Senza un piccolo consulto tra voi due? Pensavo veramente, che avreste fatto col danaro un bel matrimonio. > < Ma guarda bene... Ha me non interessa quel danaro! > sbottò. < E non lo voglio minimamente quel dannato danaro, e... accidenti! > esplose Akhilleos incazzato nero. < Beh, certamente. Sé montata la testa da sola e ha agito d’impulso. Ma vedrai che alla fine non sarà così drammatica la cosa, aspetta almeno un po’ per giudicare. Dagli almeno il tempo di calmare quella sua euforia e vedrai. Tornerà! Perché avrà capito il suo sbaglio. Con quelle somme riunite assieme, avrete più possibilità d’impiantare un’attività redditizia per entrambi. > prospettò Mauro non troppo convinto, di ciò che esponeva. Akhilleos non rispose e per tagliare di netto quel discorso del cavolo, cambiò il tutto in domanda, chiedendo a Mauro: < Be’, perché non hai 294 ancora messo via quei maledetti dollari dal tavolo? > A quel punto Mauro, gli scappò un sorriso sarcastico, rispondendo poi con fare un po’ cinico, da far voltare Akhilleos a guardarlo più che mai stupito: < Pensi veramente che valga così tanto interesse quel danaro? Che ho dovuto uccidere un sacco di gente per potermi salvare e fuggire via. Con la speranza che potesse dare almeno la felicità in cambio a ciò che si è perso alle spalle? Poi in fondo cosa mi è rimasto da poter comperare, sapendo che ciò che avrei voluto, non lo posso comperare a nessun prezzo. Perciò vedi, che in fondo non è valsa la pena sacrificarsi tanto. Avrei dovuto lasciarlo dov’era. In fondo sono soltanto soldi sporchi oltre il sangue che gli ho versato sopra io. Pertanto vedi cosa mi rimane addosso, soltanto indifferenza. Perché ho capito soltanto ora che non si può comperare la felicità. Mi è rimasto in mano soltanto un pugno di mosche, per non dire niente di niente. E’ questo il guaio. > borbottò scontento. Akhilleos lo fissò interrogativamente nel profondo degli occhi e sbottò sull’incazzato: < Questo non lo puoi dire in generale! Perché a questo punto io cosa sono per te. Rispondimi? Forse un bel niente? > mentre si recava nell’altra stanza sbattendo la porta più che mai incavolato. E Mauro a quelle parole si vergognò per quella sua forma di egoismi e rancore che aveva verso i suoi compagni. Li aveva abbastanza amati, per non dire molto. Includendo in quel contesto anche quell’uomo che non centrava niente e se ne dispiacque per quel lapsus di parole. Infine cercò di spiegare a quel giovane di avere sbagliato ancora un’altra volta. Nell’aver per un momento accantonato quel suo affetto così caro. Poi, dopo quell’attimo di marcata riflessione, alla fine si alzò e seguì l’altro nell’altra camera e gli rispose: < Scusami Akhilleos. Non volevo offenderti e non l’avevo con te, credimi. Tu per me, sei l’amico più caro che abbia trovato e te ne sono grato. Ci tengo veramente molto alla tua amicizia. Dio che stronzo sono! > mentre si dava dell’imbecille da solo. Capendo di averlo ferito nel 295 profondo del cuore e si rammaricò molto. Akhilleos stizzito si era recato nel ripostiglio e dall’altra stanza gli rispondeva con una tonalità abbastanza dura: < Perché, tu forse ne dubiti della mia sincera amicizia? > E ritornò indietro, inarcò le sopracciglia con un gesto di sfida, mentre mandava i lunghi capelli neri oltre le spalle. Poi si fermò a fissava Mauro con aggressiva determinazione. Mauro non tentennò e rispose deciso a quel sarcasmo dell’amico, espresso con più che giusta ragione. < Io non ho mai dubitato un solo attimo dei tuoi sentimenti nei miei confronti, è soltanto che in questo momento io ero incazzato con i miei compagni. Ecco, è questa la verità! E ancora di più capisco che non è giusto e corretto il mio comportamento di poc’anzi. Ammetto di aver sbagliato tutto. Tu questo lo puoi capire e fors’anche sei disposto a perdonarmi? Scusami ancora amico mio... Io ti voglio bene! Molto bene! > precisò convinto. Akhilleos si era avvicinato senza parlare, poi se lo prese tra le braccia stringendolo a sé con tanta forza da fagli male. Mauro non fiatò, nemmeno un piccolo gemito gli scappò per il dolore che gli procurava l’altro, ma al contempo gradì quella stretta così determinante e sincera. Comprendendo che ognuno in quel momento aveva i propri drammi da dissipare e sfogare con qualcuno e quelle avvisaglie erano arrivate al momento culminante. Poi Mauro si fece forza e gli sussurrò a fatica nell’orecchio: < Grazie amico per tutto ciò che stai facendo, e ti voglio un bene dell’anima! Ma allenta un po’ la stretta, mi blocchi il respiro... Mi sento mancare... > < Scusami, non volevo farti male! > si premurò Akhilleos dispiaciuto per la stretta: < Anche io, ti voglio tanto bene, credimi! E non centra nulla con tutta questa storia, fagocitata... > mentre gli schioccava un sonoro bacio sulla guancia e poi sulla calda bocca del compagno. In fine Akhilleos sbottò, dicendo con una tonalità più allegra: < Io ho una 296 fame tremenda. Mi mangerei te per colazione. Adesso preparo qualcosa da mettere sotto i denti, cosa ne dici? > poi di colpo si batte la mano sulla fronte esplodendo mortificato: < Oh, per gli Dei!.. Ma tu oggi non hai mangiato nulla vero? > mentre si girava e apriva la credenza ch’era vuota. E Mauro rispondeva tranquillamente: < Caffè, caffè e sette biscotti, ecco ciò che ho trovato in casa tua. Ma mi è bastato vederti tornare a casa per scordare tutta la fame che avevo dentro. Veramente, credimi amico la tua presenza mi basta e avanza. > mentre se ne andava in camera seguito da Akhilleos, che gli brontolava dietro. < Ma, a chi la vorresti raccontare queste palle? Vorrei vederti se ti metto davanti la mia foto e un piatto di arrosto, chi sceglieresti fra le due cose? > propose serio. < Ma senz’altro l’arrosto, questo è scontato. Ma comunque, prova invece a metterti davanti nudo e al fianco un piatto d’arrosto e aspetta di vedere cosa prenderò io? > provò a insinuare Mauro sorridendo. < Be’, allora cosa prenderesti? > lo spronò Akhilleos incuriosito da quella nuova divagazione per rompere quei piccoli intoppi. < Spogliati e lo saprai... > rispose Mauro sorridendo maliziosamente. < O capito! Aspetta un altro momento. Per oggi mi è già bastata una incazzatura che metà avanza. Bene, dai, su! Andiamo in cucina a preparare veramente qualcosa. Mentre vado fuori a prendere la legna e la borsa della spesa. > e con decisione Akhilleos si avviava fuori, a spaccare un po' di legna e prendere poi la roba sul camioncino. Mentre Mauro confermava il suo malessere per la fame: < In verità anch’io ho molta fame. Dai, vengo ad aiutarti, faremo prima? > < No grazie! Resta pure lì, io farò in un momento. > sbottò. < Posso preparare la tavola almeno? > propose Mauro. < Okay, ma non stancarti, altrimenti dopo avrò doppio lavoro per 297 rimetterti in sesto. > rispose ridendo Akhilleos. < Be’, se la pensi così, allora me ne starò buono. Voglio che tu rimanga in forma per dopo cena? > espose sornionamente Mauro. < Tu mi stai provocando, vero? Ma guarda che io intendevo proprio in quel senso, di star buono amico. > espresse Akhilleos serio. < Ma, dai! Io scherzavo prima. > bofonchio Mauro felice, mentre si appoggiava contro la schiena di Akhilleos. E prontamente l'altro rispondeva: < Di questo passo, mi sa che non mangeremo più niente. > Poi, mentre cenavano di buon gusto incominciarono a discorrere su quelle loro incomprese patologie e in fine Mauro espose: < Perciò come vedi, a questo punto sul passaporto sono e sarò soltanto un semplice giovane studente greco disoccupato. Be’, forse potrei impiantare una scuola di windsurf e passare il resto dei giorni a correre libero sulle onde del mare. Magari riprendere gli studi e terminare la mia laurea in legge. Comunque, appena starò meglio toglierò il disturbo. Ti ho coinvolto abbastanza. Tu hai già fatto tanto e troppo per me, in questi giorni. > < Io non mi sento estraneo ai fatti e sono coinvolto quanto te. Ma se tu te ne vuoi andare via. Sei libero di farlo e non sarò io a trattenerti. Chiaro? Soltanto per ora dovrai prima guarire meglio e poi deciderai. D’accordo? > rispose Akhilleos con determinata fermezza. < Certo, certo! Ma non t’arrabbiare, ti prego... Accidenti! Sbaglio sempre a parlare... > commentò Mauro dispiaciuto più che mai. < Questo è più che vero! Ma lasciamo perdere e sarà meglio andare a dormire, è abbastanza tardi e io sono stanco. > espresse Akhilleos. < Sì, hai ragione. Anche io sono stressato più che stanco e una buona dormita farà bene a tutte due. > espresse Mauro. < Già, questo è più che certo. Appena ti sarai rimesso ti porterò a visitare l’isola. Promesso! > l’assicurò Akhilleos con un caldo sorriso a riprova. 298 Capitolo Quarantaduesimo Fu per entrambi una notte abbastanza tormentata, era un continuo rotolarsi per il letto, e alla fine dovettero alzarsi con una scusa inesistente, mentre Akhilleos brontolava a denti stretti: < Sarà stato quell’ultimo caffè che ho preso a farmi sentire così agitato nel perdere il sonno, non ne posso più. Vado fuori in giardino, forse un po’ d’aria fresca mi farà bene. Per gli dei dell’olimpo! > sbottò incavolato. Mauro aveva approvato l’operato dell’altro, muovendo soltanto il capo, ma dopo un po’ si dovette alzare a sua volta, era troppo nervoso per restare lontano dall’amico in apprensione. Quando lo raggiunse lo trovò seduto sul muretto che divideva la piccola corte con l’orto, e fumava nervosamente. Appena fu davanti a lui gli chiese con una certa serietà servile: < Il signore Kirkis desidera forse del caffè freddo? > A quel punto Akhilleos non riuscì a essere serio e scoppiò a ridere sornionamente e infine rispose a mezza voce: < Sei tremendo! D’accordo, prendiamo questo benedetto caffè freddo. Ormai, le ore sono volate via... > Mauro era tornato in cucina e trovò la grossa caffettiera appoggiata sulla stufa economica di terracotta, ne verso lentamente una parte di caffè in due tazze. Poi, con impegno prese una tazza e la portò all’amico abbastanza abbacchiato, mentre provava a dire qualcosa di spiritoso per rompere un poco quell’atmosfera abbastanza tesa: < Be’, appena ti vedranno arrivare al lavoro i tuoi compagni ti chiederanno subito dove hai passato la notte, con la faccia così tirata e gli occhi un po’ gonfi? > < Per la cronaca, > rispose stizzito Akhilleos. < i miei compagni di lavoro non si permettono nessuna confidenza con me. Io non rompo i coglioni a loro e nemmeno desidero che lo facciano a me, capito? > < Certo, okay! > mentre rientrava in cucina a prendersi la sua tazza 299 di caffè, poi riprese a dire: < Io non volevo farti incavolare nuovamente. Che stupido sono! Sbaglio sempre a parlare... Be’, poi con quella tua parte di dollari ti puoi mettere in proprio come lavoro o magari prenderti una bella barca tutta tua... > aspettando cosa avrebbe risposto, prospettò Mauro all’amico che lo stava fissando disinteressato ma indispettito. Infine Akhilleos non resistette più e sbottò dicendo a sua volta con fare serio a Mauro: < Perché tu pensi che basta che io vada domani al lavoro e dica ai colleghi: “Ragazzi ho vinto la lotteria e vi saluto vado alle Bermuda!” Vero? Sarebbe tutto così facile con tutti quei soldi tuoi. Giusto! >marcando con sarcasmo, mentre trangugiava il suo caffè con rabbia. Mauro stava per ribattere, ma tralasciò e rispose bonariamente: < Be’, non sarebbe male, le isole Bermuda fanno parte di quei piccoli paradisi del mondo e tu non staresti male laggiù. Poi con il tuo fisico faresti affari d’oro, credimi! Ma tanto per la cronaca e non lo voglio più ripetere, ciò che era sul tavolo prima e tu l’hai messo tutto nella mia sacca. Ora è per metà tuo, chiaro! E ti prego, non incominciamo a discutere che proprio non è l’ora ne il momento! D’altronde non devi incolpare me perché la tua futura vita sentimentale è stata spezzata. Tu ti prendi la tua parte e io la mia. Mi sono spiegato! Siamo d’accordo? > aveva risposto abbastanza sull’incazzato Mauro. Akhilleos era rimasto un po’ sorpreso da quella reazione sentita di Mauro e capiva che effettivamente non sarebbe servito a nessuno doversela prendere continuamente tra loro due. Perciò tentò di controllare la sua buriana, e dopo un attimo di pausa riflessiva, rispose con voce più calma: < Scusami! Stiamo sbagliando proprio tutto... Perciò sarà meglio andare a dormire e domani riusciremo a discorrere meglio. Grazie per il caffè. > e si avviò verso casa, mentre Mauro tentò un altro approccio di persuasione, dicendo sottovoce: < Be’, ora te ne vai tutto solo alle Bermuda, e io, cosa faccio? > < Accidenti! Sei proprio tremendo! Ma ti voglio egualmente bene. Dai amore, andiamo a letto che è tardi! > bofonchiò sorridendo. < D’accordo amico mio. Ma badaben che questa volta dovrai dormire accelerando se vorrai recuperare le ore perse in ciacole notturne e inutili. > < Vorrà dire che schiaccerò il piede sull’acceleratore, a tavoletta. Dai, salta nel letto e aggancia le cinture, si parte! > Mentre si abbracciavano stretti e alla fine scoppiarono a ridere entrambi di gusto. Ma qualcosa era successo, perché si trovarono a baciarsi con passione e soltanto dopo un momento, Akhilleos disse all’amico: < Sarà meglio dormire. Potrebbero venire delle brutte idee a questo punto. Notte 300 Maurice e sogni doro... > < Buona notte Akhilleos, che la notte ti porti un buon consiglio. > mentre si metteva supino e stringeva la mano dell’altro che lo ricambiava con affetto e forza. Akhilleos era già uscito da un pezzo quando Mauro si svegliò e si arrabbiò con sé stesso per non averlo sentito andar via. Mentre lui si sentiva così strano, stava poco bene quel mattino e pensò che forse era dovuto al trambusto del giorno prima. Oltretutto si erano dimenticati di fare la puntura e prendersi le varie pastiglie di sulfamidici. Pertanto Mauro si trovò con la spalla rigida e gli arrecava dolore, con una fitta anche al petto da fargli mancare il respiro. Capendo che quella sua ferita non andava per nulla bene. Alla fine si sforzò e si alzò dal letto con una pigrizia addosso veramente inconsueta. Era così stanco e alla fine capì cos’era: aveva la febbre abbastanza alta dai brividi di freddo e la fronte che scottava. A quel punto si sforzò per arrivare fino in cucina e frugò nell’armadio per trovare le fiale di antibiotici, ma non trovandole, pensò ch’erano ormai finite, pertanto doveva aspettare Akhilleos con la speranza che si ricordi di comperarle. Comunque nel frugare nei cassetti trovò delle pastiglie antidolorifico in generale e ne prese diverse. Poi a fatica ritornò a letto mettendosi sopra la coperta di lana. Era avvolto da tremori di freddo che non riusciva a frenare in nessun modo. Trascorsero molte ore prima di assopirsi in un sonno avvolto dai soliti e sconvolgenti incubi. Più tardi fu svegliato dalle forti imprecazioni di Akhilleos, che lo rimproverava: < Per Giove! Tu stai bruciando dalla febbre. Accidenti, Mauro! Avevi il numero telefonico dell’agenzia e potevi chiamarmi subito. Ora vado sulla nave a parlare con il dottore Dromos e magari portarlo qui di persona per fargli vedere questa febbre oltre alla tua ferita, per sapere come va’... Che a mio parere, molto male? > Mentre Mauro a fatica tentò di dissuaderlo dicendogli: < Ti prego, non è il caso. Sarà soltanto una cosa passeggera. Invece abbiamo ancora in casa quelle punture di antibiotici? E se ci sono, potresti farne una subito... ci siamo scordati di farla ieri, ricordi? > precisò tra un brivido e un'altro. < Già, accidenti alla mia memoria del ... Ma mi sembra che ce ne sia ancora due fiale, ora vado a controllare e poi la facciamo subito. Comunque, andrò egualmente ad Áyios Nikólaos a parlare con il dottore Dromos, d’accordo! Non mi piace questa tua ricaduta, oltre la febbre? > mentre si recava in cucina a controllare i medicinali. < Ok, ok! > rispose Mauro tremante. < L’avrei fatta da solo se solamente avessi trovato dove la tenevi nascoste quelle fiale... > 301 < Sono riposte in questo contenitore giallo per alimenti, che io non ho mai adoperato. Mi spiace di non avertela fatta già ieri... accidenti! > borbottava ancora Akhilleos, dall’altra parte in cucina mentre trafficava coi medicinali. < Questa mia dimenticanza proprio non ci voleva... > < Dai su, non t’arrabbiare. Vedrai che mi passera presto. > gli rispose Mauro balbettando dai brividi per la febbre, mentre aspettava Akhilleos che arrivi con l’occorrente per la puntura. Poi, Akhilleos arrivò e senza perdere tempo, scostò la coperta e il lenzuolo e gli abbassò i boxer e con decisione strofinò per bene la parte da infilzare e track, < Fatto! > E dopo il solito: “Ahi!” di Mauro, Akhilleos rispondeva: < Io non ho sentito nulla. Dai, stai fermo che ti controllo la spalla? > Sfasciò deciso e controllò per bene la ferita, la lavò come gli aveva insegnato il dottore, mentre spiegava all’amico: < Ecco perché hai la febbre, la tua ferita si è infiammata, ho tolto un sacco di pus. Ora è pulita e disinfettata per bene. Speriamo che la temperatura si abbassi, altrimenti non c’è altro sistema, dovremo per forza andare in ospedale? > < All’ospedale? No, non si può... No! > sbottò Mauro preoccupato. Mentre akhilleos terminava di fasciarlo per bene senza rispondere all’interrogativo dell’altro. Passò la fasciatura sulla spalla e attorno al petto, dimostrando la padronanza del suo operato in un modo deciso. In realtà era molto delicato Akhilleos e in cuore suo era molto felice di essere utile all’amico ferito. Mentre Mauro brontolava a quella sua decisione di portarlo in ospedale, dicendogli decisamente e nuovamente, per non aver avuto risposta dall’amico infermiere: < Non stare nemmeno a dirlo per scherzo! > sbottò, e riprese a dire per sviare via il discorso da quella proposta impensabile: < Non sarebbe meglio che intanto prepari qualcosa di caldo per cena? Io ho un po’ fame! > mentiva spudoratamente, ma era forse l’unico sistema per fargli cambiare idea, sapendo che era troppo testardo quello stallone dalla fluttuante chioma nera. < Accidenti! Come al solito tu non hai mangiato nulla, vero? > apostrofò nuovamente Akhilleos arrabbiato con sé stesso. < Si, è vero! Poco per non dire niente. Oltretutto la febbre che avevo mi dava la nausea. Sai, capita sovente, come le donne in cinta... ho forse lo sono? > confidò sorridendo quella possibile supposizione. Mentre Akhilleos aggrottava la fronte pensieroso, dicendogli: < Ecco perché bisogna andare all'ospedale? Ma di maternità a quanto sembra... vero? > scoppiando a ridere entrambi. 302 Capitolo Quarantatreesimo Più tardi, dopo che avevano mangiato della minestrina un po’ saporita ma calda, seguito da un secondo piatto di spezzatini con patate, si sentivano già meglio. Akhilleos aveva acquistato tutta quella roba già belle e pronta in una trattoria gestita da amici, oltre alla spesa di vari prodotti che aveva fatto al magazzino del porto, per un rifornimento abbondante della sua cambusa semivuota. Per non dire vuota. Akhilleos propose a Mauro di mangiarsi un po’ di frutta fresca: < Dai mangiane un poco, ti farà bene, hanno vitamine e sostituirà il dessert. > < Ok! Ma guarda che la frutta fa bene anche a te, vuoi che ti spelo questa bella mela? > si offrì Mauro. < Ma, a quel modo le vitamine se ne vanno assieme alla pelle. No, grazie! la sgranocchi così, mi piace di più. > rispose contento per quelle piccole premure che riceveva dall'amico. In fine Akhilleos, dopo averlo accompagnato a letto, con i rituali rimproveri e rimboccato le coperte per stare più al caldo, incominciò a spiegare all’amico ancora tremante: < Sai, una cosa Mauro? Avevi ragione tu, sul fatto di stare all’erta. C’è un tale fermento di gente nuova giù in città. E dai discorsi di molte persone che trafficano in certi ambienti, si va dicendo, che sono arrivati con un aereo privato un sacco di personalità dall’Italia, che si spacciano per industriali. Ma in realtà, sono in cerca di cinque persone scomparse qui sull’isola. Capisci Mauro? Sono arrivati qui per cercarvi. Hanno sguinzagliato un sacco di persone da ogni parte dell’isola. E in verità hai avuto buon fiuto a mandare via per tempo i ragazzi. Altrimenti adesso c’è la probabilità che ci scappi il morto. E sai un’altra cosa? Sono alloggiati al tuo albergo, il “Xenia”. Figurati il personale dell’albergo come canterà bene, davanti a buone e abbondanti mance elargite per scovarvi a ogni costo? > < C’era d’aspettarsela? Speriamo solamente che non riescono a rintracciare i ragazzi? Questo è l’importante. Ma la polizia greca non dice nulla? Sa almeno che sono mafiosi o li ritiene dei tranquilli turisti pieni di grana, che se la spassano in vacanza? > ipotizzò Mauro. < Ma senz’altro sapranno qualcosa, d’altronde se non c’è un mandato internazionale e al momento loro non hanno violato i regolamenti e le nostre leggi. Perciò nessuno può far nulla. Li terranno senz’altro d’occhio 303 e nient’altro, comprendi! E dalle varie voci che circolano in giro, sembra che ci sia anche un’importante boss, tra il gruppo che hanno prenotato un intero piano del Gran Hotel “Xenia”. Capisci! Bisognerà stare all’erta nei prossimi giorni, amico... > espose più che serio Akhilleos. < Accidenti! Non riuscirò mai a togliermeli di dosso, quelli? > sbottò sfiduciato Mauro, poi riprendendo a dire: < A questo punto mi converrà cambiare aria. Evitando di coinvolgerti ancor di più in tutta questa sporca faccenda. Dovrò prendere una decisione al caso. > Espresse Mauro, mentre Akhilleos si era rabbuiato e sbottò chiedendo a sua volta: < Cosa vorresti dire, dovrò? Mi sembra che eravamo già accordati sul da farsi e più che chiaramente? > sbottò Akhilleos serio. Mauro tentò di parlare, ma Akhilleos lo fermò dicendo: < La vuoi piantare con queste stronzate del cavolo! Siamo nei guai? Bene! E allora? Lotteremo! Arriverà prima o dopo anche per noi un momento di calma e tranquillità, non credi? Pertanto ora cercheremo di organizzarci meglio e far lavorare il cervello invece del culo. Con le solite stronzate del cavolo che continuamente tiri fuori... Chiaro? > formulo Akhilleos, più che mai arrabbiato, per non dire incazzato. Mauro avrebbe voluto contrastare, ma poi, capì che tutto sarebbe stato inutile. E poi, effettivamente dove sarebbe andato conciato in quel modo? Pertanto alla fine rispose risentito: < Scusami! Hai ragione tu. Cosa posso fare conciato in questo modo, da povero invalido per non dire altro. Okay! Farò quello che mi dirai di fare, d’accordo Akhilleos? > < Adesso incominciamo a ragionare. Non lo capisci che sei mezzo morto e pertanto dove vorresti andare a farti beccare subito al primo colpo? Ma lo sai che sei un bel testardo! > sbottò Akhilleos mentre si stava spogliando e Mauro restò un momento al ammirare quel sedere nudo che usciva dai pantaloni dell’amico incavolato. < Dai, spostati un poco e fammi posto a letto. Ora innanzi tutto, dobbiamo preoccuparci che la febbre ti passi, altrimenti? Ah! E’ meglio non parlare adesso, accidenti! Mi stai facendo arrabbiare, testone! > < Certo, certo! Comunque, aspetteremo e poi si vedrà, vero? > ribatté Mauro e Akhilleos rispose senza contrastare oltre: < Sì, certamente! > mentre Mauro si metteva più sotto le coperte e Akhilleos non voleva in quel momento affrontare un’altra discussione a vuoto e continuò con una tonalità più calma: < Be’, penso che per oggi abbiamo già parlato anche troppo. E se ti fai ancora un pochino in là, potrò anch’io distendermi al tuo fianco. Ho capito ti secca lasciare il posto caldo. Comunque ti puoi tenere 304 la coperta, io starò benissimo senza nulla addosso, con ‘sto caldo! > Mauro si spostò trascinandosi le coperte e si girò sul fianco da aver la spalla dolorante in alto, mentre Akhilleos entrò nudo nel letto insinuandosi con delicatezza contro la sua schiena divisa dal lenzuolo e coperta, portandogli la sicurezza e il calore voluto dall’altro. Mentre lo prendeva per la vita e gli diceva piano: < Kalinìkta! > Mauro a quella vicinanza esultò di piacere nel sentirlo accanto e si meravigliò ancora una volta di sé stesso. Capendo ch’era difficile capire se quei brividi erano ancora per la febbre o era qualcos’altro, che gli stava facendo quei brutti scherzi di concupiscenza; ma al contempo ne gioiva di averlo accanto quel prode Dio greco. Poi era già tutto il giorno che lo desiderava vicino e in quella casa ogni cosa glielo ricordava e ora lì accanto. Quella calda presenza, lo stava riempiendo di piacere in quell’abbraccio, Mauro ne esultava. Infine la voce di Akhilleos lo distolse da quei dolci pensieri. < Ma tu stai tremando ancora e sei ancora bollente per la febbre. Ho sbagliato ad ascoltarti, avrei dovuto andare a chiamare il dottore Dromos? > imprecò. Il primo impulso di Mauro, era stato quello di digli che era ben altro in quel momento che gli faceva salire la febbre, ma poi optò per non turbare l’amico cretese e in fine rispose con fare allegro: < Vedrai, passerà presto e domani mattina non avrò più nulla, parola mia... Ora proviamo a dormire. Buona notte Akhilleos! > provò a dire nel tentativo di distrarlo. < Ok! E’ senz’altro meglio. Altrimenti m’arrabbio... ciao Mauro! > rispose tra le prime avvisaglie di sonno e appena un momento dopo già russava placidamente alle sue spalle. Era veramente stanco. Mauro restò molto tempo sveglio, ad ascoltare il respiro dell’altro che si faceva sempre più regolare e tranquillo e alla fine s’addormentò anch’egli felice in quell’avvinghiato abbraccio. 305 Capitolo Quarantaquattresimo Finalmente, dopo una decina di giorni dall’incidente Mauro, si sentiva sufficientemente meglio. La febbre era del tutto sparita, aiutata dagli antibiotici prescritti dal dottore Dromos, che forniva ad Akhilleos di nascosto, in una taverna del porto a Nikòlaos, incontrandosi per caso, senza dare troppo nell’occhio. Purtroppo la mafia era in giro a ispezionare tutta l’isola e a quel punto, era meglio evitare assidui incontri da far insospettire qualcuno. Perché alla fin fine, per un po’ di dracme, chiunque era disposto a tradire o vendere semplicemente del fumo. D’altronde, bisognava in qualche modo fare qualcosa per calmare la febbre o andare direttamente in ospedale. Per fortuna la situazione prese una discreta piega e tutto sembrava andare per il meglio al momento. Pertanto ora a Mauro gli occorreva ben altro per rimettersi in sesto. Era così fiacco e ridotto male dalla debolezza e in più in quello sfilamento psicologico che si era imposto tutto da solo, era veramente disfatto. Oltretutto quei giorni sembravano eterni per arrivare alla guarigione e muoversi più che mai liberamente. Mentre dentro di lui tutto fremeva nel voler accelerare quella sua lunga convalescenza, dovuta dalle circostanze avverse. Pertanto passava il tempo a oziare in quella piccola prigione campestre, diventata la sua dolce alcova da fuggitivo ferito. Trascorrendo le ore di sole nel piccolo cortile, dove la frescura gli era fornita all’ombra del grosso fico d’india, traboccante di fiori e frutti spinosi. E in quell’irrequietezza che aveva addosso, cercava di calmarla in qualche modo, nel farsi scurire la pelle dal forte sole che filtrava tra le grosse foglie del fico d’india. Quel giorno Akhilleos tornò molto prima a casa e lo trovò che dormiva su un vecchio materassino di gomma, nella parte più nascosta del suo rinsecchito giardino. Era talmente addormentato che non si era nemmeno accorto che una lucertola gli stava percorrendo curiosa il suo petto asciutto, fra quella esigua peluria biondiccia che esponeva sul corpo un po’ emaciato. Era mirabile quella visione che gli proponeva quell’amico italiano, in quell’innocente sistemazione a prendersi il sole e per giunta in compagnia di una simpatica lucertola per nulla spaventata dal ritmare regolare del suo petto abbrustolito dal sole. Akhilleos restò un buon momento lì fermo ad osservare entrambi, mentre 306 la lucertola muoveva continuamente la testa da una parte all’altra, poi sentendosi spiata si spostò velocemente da un’altra parte. Akhilleos si stupì dalla gioia che provava nel vedere il progredire dell’amico verso la guarigione, mentre osservava con provata ammirazione quel corpo che emanava ancora un’irresistibile fascino, in quella nudità mostrata con un’innocente bellezza, esposta così per caso, dopo tante traversie accorse. Erano ormai trascorsi molti giorni dell’inserimento fortuito del giovane ricercato e nascosto nella sua casa. Il corpo di Mauro mostrava la sua prolungata debolezza, in quell’ingannevole apparenza scarna mostrata dal falso chiaroscuro del posto e dava l’impressione assai più grave. Akhilleos si trovo a dirsi tra sé, mentre ammirava e curiosava con un’inspiegabile insistenza l’amico dormiente: “Quanto mi piaci Mauro e quanto ti desidero, veramente. Non so perché, ma mi sto innamorando di te.. è un vero peccato che tu non lo vuoi capire che tutto è finito con i tuoi compagni di sventura...” mentre scrollava la testa a pensare che un giorno quel giovane avvocato se ne sarebbe andato per la sua strada. Pertanto Akhilleos, non voleva coinvolgere più di tanto i suoi sentimenti in qualcosa da ricordare poi amaramente. Com’era già capitato a Mauro, in quel legame scoordinato. E perciò, era meglio accantonare tutto e accettare quella semplice amicizia, che l’amico continuava a confermare. Ma in fondo a tutto, doveva ammettere che gli piaceva quel giovane, perché era diverso da altri amici che aveva e conosceva, oltretutto per lavoro. Mauro aveva qualcosa di maliardo addosso e Akhilleos, si trovò a ripensare che anche sul lavoro il suo pensiero era sempre rivolto verso casa, a pensare cosa stesse facendo l’amico in quel momento nella sua casa tutto solo? Ed era stato tentato varie volte di voler telefonare per dialogare un poco con lui, ma poi aveva sempre desistito a esprimere quelle sciocche dimostranze 307 ma sentite. Mai aveva provato, immaginato quella che stava percependo in quel momento per Mauro, una forte simpatia e affetto per non pensare oltre. Ma al contempo quella presenza nuda lì davanti lo stava confondendo troppo, anzi, tremendamente, per non dire che l’aveva eccitato tanto e si trovò a toccarsi il petto istintivamente, mentre chiudeva gli occhi a immaginare che siano le mani dell’altro ad accarezzarlo con desiderio. Poi con fatica scacciò quelle idee balorde e si rimproverò da solo: “Sarà perché ho un gran desiderio di fare l’amore, o perché Elena mi ha piantato in asso come un povero fesso. D’altronde è più che vero, non si è fatta più sentire da quel giorno della partenza. Perciò è tutto scontato mi ha piantato e basta. Ma sinceramente ho un’impellente desiderio d’amare e di essere amato anch’io, accidenti! Calma Akhilleos, calma”. Si trovò a dire, brontolando dentro di s’è, quasi con rabbia. Poi accantonò tutte quelle ruminazioni inutili, sul fatto di essere stato piantato in asso dalla ragazza. Mentre cercava di essere più coerente ai fatti e svegliare l’amico per evitare una sua affrettata eccitazione a quella esuberante presenza. Quella vista era troppo intrigante e invitante al tempo stesso. Akhilleos si accucciò al suo fianco e lo sfiorò nel punto dov’era passata la lucertola poco prima, ed ora era poco più in parte sul bacino, ma all’ombra della sua mano era fuggita via precipitosamente. Poi, a quel leggero contatto Akhilleos gli sfuggì un lungo sospiro di sgomento e soddisfazione inimmaginabile. Mentre chiudeva gli occhi per assaporare meglio quella sensazione gradevole, nel sfiorare il corpo vellutato dell’amico dormiente. Poi visto che non si svegliava, ma in compenso lui si eccitava sempre di più e maggiormente. Lo scosse più forte, dicendogli con voce roca, un po’ canzonatoria: < Be’! Come va’ dormiglione? > continuando a scuoterlo dolcemente. < Non resterai qui tutto il pomeriggio, in questo sconveniente modo, spero? > mentre gli sfuggiva un risolino furbesco. Mauro si destò di colpo, spaventato. Al tempo stesso Akhilleos, cercava di calmare la paura dell’amico improvvisa, dicendogli con decisione: < Ehi! Calma ragazzo! Sono io, non t’agitare tanto! Sono rientrato prima. Sei sveglio? > Mauro più che mai confuso in quella sonnolenza, si copriva la sua virile nudità con l’asciugamano, arrossendo dalla vergogna. Dubitando d’essere stato scoperto sui sogni alquanto sconci che stava facendo. Perciò, alla fine rispose confusamente con un mezzo sorriso sulle labbra: < Scusami, ma dormivo così profondamente e non immaginavo che tu tornassi così 308 presto... Mi hai spaventato un poco... > confessò. < Già, sono tornato prima, per stare un po’ con te. Ti va’ l’idea? > < Certo che mi va’! Be’, almeno potrai stenderti un poco, qui con me. Su, dai, spogliati! Prima che il sole se ne va via. > < Vorresti che mi spoglio qui adesso? Così nudo come un verme e tu ti stai coprendo per la vergogna in mia presenza. Pensi veramente che sia il caso? Sai che ha me, il sole mi fa strani effetti e potrebbe essere pericolosa l’esposizione troppo prolungata. > provò a dire sogghignando Akhilleos. < Dai, non farti pregare. Poi, per essere sincero, prima non ti avevo riconosciuto subito e mi sono trovato imbarazzato, capisci vero? > < Ha, certo che capisco. E vedo che sei ancora in tiraggio sotto l’asciugamano, esatto? > lo stuzzicò. < Be’, non è che mi vergogno, è semplicemente che abbiamo restaurato un buon rapporto di una sincera amicizia e non voglio sciuparla con una semplice azione dovuta al sole cocente. > rispose mortificato. < Be’, adesso cos’è questa storia del sole cocente? Guarda, come sei messo! > sbottò Akhilleos, aggrottando le sopracciglia mentre alzava l’asciugamano e sbirciava sotto, sorridendo. < Non ti sfugge nulla. Okay, d’accordo! E' soltanto colpa... Insomma, stavo facendo un bel sogno e sai com’è, capita... mi capisci vero? Sognavo di... beh, lasciamo perdere... > espletò Mauro confuso. < No, no! Dai, continua? Io sono tutt’orecchi a sentire certe cose... O hai forse vergogna a dirlo al tuo migliore amico. Cosa stava sognando il tuo subconscio, vero? Be’, questo a me lo puoi dire? > mentre con la mano la faceva scorrere sulla pelle chiara dell’amico, da strapparli muti fremiti di desideri repressi. Mentre Mauro gioiva di quel contatto, ma al tempo stesso si sentiva un po’ imbarazzato a dover esporre il suo sogno di poc’anzi. Poi, visto l’insistenza nello sguardo intenso dell’altro, decise, dandosi una scrollata di testa: < Va bene! Se proprio lo vuoi sapere, stavo sognando e... facevo all’amore, con te. > mentre si passava la lingua sulle labbra tumide a trasmettere al giovane ormai eccitato, inimmaginabili e lussuriose sensazioni sfrenate, del suo lascivo e sconcio sogno. < Cosa? > sbottò Akhilleos con fare inorridito, mentre si alzava in piedi. < Tu, stavi facendo l’amore con me, qui in giardino sotto questo grosso fico? non è possibile! E io non ne so niente!? > espletò con stupore, mentre si toglieva velocemente la maglietta bianca scagliandola contro Mauro, rimanendo a petto nudo di fronte all’amico, che lo rimirava dal 309 basso in alto. Poi a sua volta Mauro, con calma sfacciata, traendo un lungo respiro si alzò senza parlare. Mentre l’altro, era ormai tutto scosso ed eccitato al massimo del desiderio. Mauro si avvicinò all’amico fissandolo intensamente e incominciò ad accarezzargli dolcemente il petto. Mentre lo stava aggirando evitando le braccia dell’altro che tentavano di afferrarlo. Infine, si fermò alle sue spalle e incominciò a far scorrere le mani sull’ambrata epidermide dell’amico ormai tremante e ansioso, mentre il cuore di quest’ultimo era ormai sconvolto e in subbuglio. Poi, Mauro sebbene il dolore alla spalla gli impediva la scioltezza, Mauro insinuò le mani sui calzoni dell’amico e con scaltra lentezza slacciò la cintura, lasciando scivolare a terra i jeans ormai liberi da ogni legame, dicendogli all'orecchio: < Ora puoi prendere il sole e abbrustolirti anche le chiappe. > In un attimo Akhilleos si trovò completamente nudo fra le braccia dell’altro. Sentiva il caldo corpo a contatto della sua schiena, mentre le mani di Mauro incominciavano ad accarezzare delicatamente il suo petto villoso, da strappare gemiti di gioia e piacere. A quel punto Akhilleos si stava eccitando tremendamente. Mauro si destreggiò per svincolarsi dalle forti mani che tentavano di fermarlo, lui con sapiente devozione, mentre gli baciava il collo e gli bisbigliava nell’orecchio dolci 310 parole da farlo mugolare di piacere e per l’altro fu la fine. Akhilleos non seppe resistere ed esplose con un grido di gioia, ma anche di disappunto per aver affrettato così rapidamente quel piacere incontinente, Poi Akhilleos, tentò di reagire a quell’estasiante piacere e gli bisbiglio a sua volta nell’orecchio: < Avevi paura che ti violentassi, che ti sei prodigato e hai tentato di farmi calmare il bollore che avevo dentro. Ma di calore ne ho ancora così tanto in corpo, da esplodere per la lunga astinenza voluta? > confermò. < No, non è per niente vero! > protestò subito Mauro. < Poi, so per certo, che tu non mi avresti più violentato un’altra volta. Anche se avevo la febbre e deliravo, era già scontato che avrei accettato. Anch’io ho desiderato il tuo amore. Chiaro? Sebbene è stato tremendo il dolore ma bellissimo il piacere dopo. Ma non è detto che debba succedere ancora. Per il semplice fatto, che appena sarà passata la buriana e l’euforismo, Elena tornerà da te e tutto tornerà come prima. Anzi, meglio di prima. Esatto? Oltretutto siete la coppia più bella dell’isola e... > < Per favore piantala di dire stronzate! > sbottò adirato Akhilleos, mentre si alzava i calzoni e sbottò a dire ancora con una tonalità più che mai dura: < Perché, accidenti! Tu, credi ancora alle favole? > gli chiese fissandolo intensamente, e riprendendo a dire: < Io, è da giorni che ho capito che è tutto finito e non ho più avuto un rapporto sincero con nessun’altra donna. All’infuori di quella notte che ho abusato di te. E mi rammarico ancora... Sì, mi dispiace! Perciò, mi sono spiegato più che chiaramente! Ho devo continuare a inveire contro tutti, per non dire al mondo intero? Sono stufo di brancicare nel buio con le mie erotiche fantasie... Ah! Per gli Dei! Finiamola una buona volta... > < Be’, sì, ti capisco! E in fondo hai ragione. Ma vedrai, che dopo... > Non poté finire di parlare Mauro, perché l’altro si stava arrabbiando seriamente, rispondendogli con durezza: < Ma cosa dopo? Per gli Dei! Che le ho telefonato, si può dire ogni giorno e lei non aveva tempo per dialogare almeno due minuti con me. Almeno poche parole. Era troppo presa nel suo lavoro? Accidenti a lei e a quei maledetti dollari! > < Ma, questo particolare non l’ho sapevo? Tu non mi hai mai detto nulla, che telefonavi a Elena? > gli domandò Mauro sorpreso. < Be’, ora lo sai! Pertanto ti prego, non torniamo più su questo argomento del cavolo, chiaro? Mi sono rotto le palle abbastanza!... > 311 < Mi, dispiace! devi credermi. Non avrei mai pensato che tutto fosse finito in questo modo... > cercò di essere convincente questa volta Mauro. < Già.! Ma purtroppo è così ormai. Lei pensa solamente a quei maledetti dollari da gestire al meglio e di me non gli passa nemmeno per la testa. Porcaputtana!! Scusa l’espressione scurrile, ma è così, capisci? Figurati che ogni volta che chiamavo rispondeva sempre qualcun’altra al telefono. Dicendomi che ero troppo presa dai suoi impegni e che mi avrebbe richiamato poi. Tu, hai sentito suonare il telefono qualche volta qui, all’infuori di me? No! Altrimenti e senz’altro me l’avresti detto? Giusto! > espleto con rammarico Akhilleos. Mentre Mauro non sapeva cosa dire e pensare, in fine rispose, confermando quella supposizione dell’altro: < In verità non ha telefonato proprio nessuno, all’infuori di te nel segnale convenzionale. > rimanendo un buon momento ad osservarlo pensieroso, poi provò a ridire all’amico arrabbiato: < Akhilleos non ti secca se tralasciamo un po’ da parte tutte ‘ste storie e pensiamo ad andare in casa a cenare... > mentre gli alzava il braccio e guardava l’orologio al polso dell’amico. < Sono già le venti e in verità io ho un po’ di appetito, tu no? > borbottò sull’imprecisato. < Accidenti! Mi dimentico sempre di aver un ospite che ha fame? D'altronde, sono abituato da anni a farmi un panino in trattoria e perciò, a casa ci mangio così poco... niente! > spiegò Akhilleos all’amico affamato. < Ma io non volevo dire che tu debba preparare la cena. Questa volta ho fatto io qualcosa? > spiegò Mauro con un sorriso furbesco. < Tu hai cucinato? Ma se sei ancora così... debole. > borbottò Akhilleos confuso, ma felice per l’altro. < Be’, ci ho provato. Aspetta e giudicherai dopo quale ti piace di più, l’arsenico o la cicuta? A te la scelta...> < Ha, bene! Siamo già hai veleni. Che gli Dei ci salvino da simili chef... > mentre lo prendeva sotto braccio per avviarsi verso casa e sbottò di nuovo, guardando Mauro dalla testa ai piedi. < Però, non ho mai avuto questo piacere di aver visto in altre parti, un cuoco tutto nudo. > < Abbi fede e dammi il tempo di vestirmi. O mi preferisci con il solo asciugamano addosso? > provò a dire Mauro sorridendo. < Sinceramente ti preferisco nudo, ma al momento non riuscirei a mangiare con te davanti così appetitoso. Mi sono spiegato amico. > < Okay, okay! Più che chiaramente. Ora mi sistemo meglio e poi si mangia, amico. > confermò, mentre s’allungava e gli dava un leggero bacio sulla bocca invitante, da lasciarlo stupito, ma contento. 312 Capitolo Quarantacinquesimo Stavano terminando di cenare quando Akhilleos si rivolse all’amico improvvisatosi cuoco, con un’espressione abbastanza seria: < Sei stato veramente ineccepibile, sì! Sei magnifico come cuoco e a questo punto se vuoi, ti posso assumere come chef e darti un lavoro fisso qui in questa taverna di campagna. Tu cosa ne pensi, ti va l’idea del cuoco privato? > mentre Akhilleos si alzava e incominciava a sparecchiare la tavola, aspettando che l’altro risponda qualcosa, a quella piccola parodia inscenata al momento. Mentre Mauro, aggrottando le sopracciglia, bofonchiava se poteva accettare quella proposta: < Be’, vediamo un po’ cosa posso guadagnarci sopra? > prospettò Mauro seriamente, mentre a sua volta si alzava da tavola, mettendo via il cestino del pane e prospettava e valutava a voce alta: < Ammettendo di lavorare un anno, più il vitto e alloggio, magari qualche viaggio all’estero... Sì, si potrebbe fare! Mi andrebbe bene, sì! Ma, uhm? > mugugnava, mentre si portava accanto al lavello per lavare quei due piatti della loro cena. < No, lascia, laverò io questi due piatti. > protestò Akhilleos, mentre continuava a chiedere all’amico in silenzio: < Be’, allora, cosa volevi dire con quel ma? Ti andrebbe, insomma, si potrebbe fare? > < Ma certamente! Innanzi tutto, per primo un viaggio all’estero io e te soli, d’accordo? > mentre scoppiava a ridere e Akhilleos sul momento non aveva afferrato l’idea del viaggio, “soli”, ma subito si era ravveduto e anch’egli scoppiò a ridere, ma di gusto. Poi ritornando serio riprese a commentare: < Però c’è ne voluta, prima che ti decidessi a condividere la nostra vita. Ora sono contento. Sai, non so veramente cosa avrei fatto con quei soldi, che mi avresti voluto dare per forza? Senz’altro non sarei in grado di spenderli bene, dopo tutta questa storia che mi ha un po’ amareggiato l’avvenire. Mi sarei fatto abbindolare dalla prima donna che avrei incontrato per strada, o avrei buttato tutto il danaro nel primo casinò che avrei trovato davanti. E alla fine bello che pulito sarei tornato qui a zappare la terra più arrabbiato di prima. Perciò, penso che sia tu a gestire il danaro, sarà senz’altro meglio per entrambi. > < Be’, però, non hai molta fantasia amico? Mi pare che ti stai perdendo in un bicchiere d’acqua. Poi non credo che li avresti buttati così al vento. Con quei soldi della tua parte ti puoi comperare molte cose, che ti 313 farebbero abbastanza felice... > commentò. < Ad esempio, prova a dire, cosa? > lo spronò Akhilleos a parlare, mentre aggrottava la fronte e con le mani si riassestava i lunghi capelli neri, legandoli con un elastico; pensando al tempo stesso, che quello che avrebbe voluto comperare non era in vendita. Ma alla fine aspettò che l’altro formuli la sua alquanto sospettosa proposta. < Ci sono molte cose, ad esempio: una bella barca, o un piccolo motel, o ancora di più un grazioso albergo in qualche angolo di questa meravigliosa isola, dove troveresti un sacco di donne che di correrebbero dietro, oltre che per i soldi, ma soprattutto perché sei un bel fusto e anche per qualcos’altro da offrire... Dico bene? > < Sì, perché ce l’ho lungo e grosso, oltre che sempre in tiro e poi quando l’hanno fra le mani si spaventano. Com’è capitato altre volte e mi rispondono:“Quello, no!” Se proprio lo vuoi sapere, anche Elena a sempre declinato ogni mia richiesta nel far l'amore. Solo una delle prime volte, visto che l'interessavo molto, si sforzò e la faccenda a funzionato in parte e per il resto dei nostri incontri si risolveva alla fine controvoglia con qualcosa di manuale. Mentre io,ero talmente innamorato che mi sembrava di aver trovato il paradiso, anche a quel modo, dopo tante astinenze per la mia grossa protuberanza, del cavolo! Ah, stronzate!. Ma perché non lo vuoi capire che a me non mi frega un accidente di niente avere dei soldi da spendere. Se alla fine non ho vicino la persona che mi sta facendo impazzire. A cosa servono? Niente! Lo sai più che bene, che mi sto innamorando di te. E non perché tu sei riuscito dove altri hanno fallito. Il sesso non centra un cazzo! Tu, proprio tu, comprendi almeno questo che dico? > gli spiattellò con decisione Akhilleos, fissandolo dritto negli occhi con tanta determinazione. Mauro per un momento si trovò confusamente disorientato, mentre tutto gli girava attorno tremendamente. Era felice, ma allo stesso tempo spaventato da tanto ardore espresso così con il cuore in mano. Esposto da quell’uomo che era lì di fronte a sé. Così violento, forte e tenace, ma soprattutto dolce. Poi alla fine, dopo aver deglutito parecchie volte la saliva che non c’era, si decise a parlare e a rispondere a quella tangibile espressione di affetto e amore. < Veramente! Tu mi ami così tanto e sei disposto a sacrificare la tua vita per me? Un incallito killer che ha i giorni contati per non dire le ore. Inseguito da quella masnada di mastini che girano arrabbiati per tutta l’isola? > sbottò tutto in un fiato. < Ma come la fai lunga! Sono tutte palle, quello che stai dicendo. 314 Poi, sarebbe ora che la smettessi di pensare male di te stesso. Non sei quello che credi o che vuoi far credere di essere. Se hai dovuto uccidere e per giunta molte persone, non devi farti una colpa. In te non è rimasto nulla della cattiveria o la mania omicida, io sono più che sicuro di quello che affermo. Anzi sei rimasto coerente alle tue ideologie e di aver fatto tutto questo casino, solo per la sopravvivenza e nient’altro. Ecco, cos’è che mi piace in te! Perché tu non sei egoista, opportunista, scaltro, ma soprattutto daresti la vita per gli amici. Tant’era vero che hai ucciso per salvarli e salvarti, questo è vero. Ma hai anche diviso tutto con loro e alla fine hanno scordato le cose più belle della vita. La vita stessa che gli hai restituito senza chiedere nulla in cambio, soltanto un po’ d’affetto. Mentre loro, hanno scordato molto rapidamente l’amore per qualcuno che si è sacrificato anche per loro... Non ho ragione forse? Ho ti secca tanto questa verità davanti agli occhi? Ma se devi rispondere, sii sincero almeno per questa volta. Ti prego? > gli domando seriamente Akhilleos. < Sì, è vero! Hai più che ragione, ma... > mentre afferrava la mano dell’amante e l’osservava quasi fosse una reliquia, poi proseguiva a dire con una gradazione minore nella sua voce, quasi di rimpianto: < Non aspetta a me giudicare il prossimo. Io ho cercato attraverso gli altri anche la mia rinascita e forse ho travisato un po’ tutto. Ma penso che mi è servito da lezione a capire me stesso e tutto questo, tu lo puoi capire, vero? > < Certamente che ti capisco e come! > rispose Akhilleos, mentre l’altro si masturbava le mani continuamente. Poi, dopo quella breve pausa, Mauro si era girato emotivamente confuso a osservare la luna oltre la finestra spalancata. La voce gli si era spezzata in gola, strinse le labbra quasi incapace di parlare. Poi si girò e con forza continuò a dire: < Non posso mentire a te la verità! E’ più forte di me! Perché fino dal primo momento che ti ho visto in mezzo a quella marea di giovani in fermento, in quella grande discoteca, ho capito che saresti stato l’uomo per me. Ho avuto una grande sensazione futuribile, ma anche un grande turbamento in quel momento. Ma che svanì all’improvviso quando Elena ti chiamò dall’alto, dicendomi con enfasi: “guarda Mauro, quello è il mio ragazzo.” E da quel momento non volli più provare a indagare nel mio subconscio, in quell’impalpabile consapevolezza che stavo ancora sbagliando. Ora capisci il perché di tutto questo mio tormentato mondo, che mi trovo sempre ad innamorarmi delle persone sbagliate, accidenti a me? Mentre le circostanze hanno cambiato il corso della nostre vite e hanno deformato la reale situazione, da confondermi tanto. Portandoci in questo momento a 315 cercare il conforto e la solidarietà tra noi due… > ma non poté proseguire, perché l’altro lo incalzava a rispondere su ciò che desiderava sapere da lui, che tentennava confusamente. < Ma perché non la pianti una buona volta di girare sempre attorno alla solita menata del cavolo! > sbottò Akhilleos, essendo stufo di sentirlo tergiversare, con decisione seria sbottò a rimproverarlo e scuoterlo, dicendogli: < Andando a tirare fuori un sacco di stronzate inutili. Ma la vuoi capire una buona volta, che andando avanti di questo passo diventerai veramente pazzo! Questo lo vuoi capire? Io desidero solamente stare con te e solo con te ho imparato ad amarti veramente. E non pensare che tutta questa mia manifestazione è dovuta soltanto per l’interesse di possedere il tuo corpo per il mio diletto sfogo, in mancanza di un’altra maniera per sfogarmi meglio. Mi sono spiegato? E a questo punto non so più in che modo dirtelo, quanto ti amo! Hai proprio una testa dura!? > mentre l’afferrava per un braccio e lo scuoteva energicamente e in fine l'obbligava a rispondere: < Ora, per favore rispondi seriamente alla mia domanda? Dai, dillo ch’è vero? Io l’ho so, che anche tu mi ami! Per favore sii sincero, almeno questa volta? > urlò nella disperazione. Mauro era sempre di più sconcertato da quella verità inimmaginabile. Deglutì parecchie volte la saliva e infine con le labbra un po’ tremanti specificò senza più esitare: < Sì, ti amo! E’ la verità... Mi sono innamorato perdutamente di te! Non posso negarlo. E tu mi vorresti così come sono... veramente? > esclamò confuso, ma gli era difficile proseguire, gli si era formato un grosso nodo in gola che gli precludeva ogni parola, mentre i suoi occhi si erano inumiditi per la felicità ritrovata. Akhilleos si era avvicinato a Mauro e con la sua grossa e ruvida mano, gli alzò il viso e lo fissò profondamente negli occhi color indaco, leggendo in essi l’amore che lui bramava così tanto. Poi alla fine rispose con voce ferma e sicura a quel compagni degno di una vita, mormorandogli parole dolci espresse dal profondo del suo cuore: < Sì, amore, ti amo! Più di ogni altra cosa e ti voglio al mio fianco. E tutto questo lo capito soltanto in questi giorni di travaglio e convivenza con te. Prima d’ora non avrei mai minimamente supposto che mi sarei innamorato così follemente di un uomo? Invece è successo e il resto non conta più nulla. Ho capito che con te sarò felice, perché tu m’hai donato il tuo cuore, la tua anima e il tuo corpo senza riserve. E per me è stata la cosa più bella del mondo e la desidero conservare senza doverla perdere ancora, perché, sono sicuro che assieme saremo veramente felici ovunque andremo. E guarda che non è retorica la mia proposta, ma amore! > mentre se lo stringeva al petto con 316 grande motivata passione, era anch’egli tutto emozionato e estremamente impacciato a fare dei discorsi così lunghi e seri. Mauro per un attimo chiuse gli occhi e assaporò quella stupenda storia, poi di fronte a tanto impeto, alla fine rispose un po’ titubante: < In verità è che ho tanta paura che un giorno finisca tutto così nel nulla, come il passare di un vento impetuoso. Ed è per questo che sono restio ad accettare qualsiasi tipo di compromesso, perché le vecchie scottature mi dolgono ancora. Capisci Akhilleos quale è la mia paura al momento? So bene che non è giusto ipotecare il futuro. Sarebbe più giusto prendere il presente e godere la vita più intensamente. Come avevo già tentato di fare assieme ai miei amici, ma tutto è finito troppo rapidamente e mi sento ancora male. E in verità io non ci riesco a capacitarmi una volta per tutte...> Mentre Akhilleos imperterrito nelle sue idee, ma al contempo fiero dell’opinione espressa poc’anzi gli rispondeva con decisione: < Sì, capisco più che bene tutto questo. Ma non per questo tu debba giudicare tutti quanti alla stessa stregua? Io penso di non essere eguale agli altri, sono diverso per carattere. Come vedi, io potrei essere quella famosa mosca bianca, non credi, o ti è difficile pensare? > provò a riproporrere la sua volontà. Poi alla fine Mauro con semplicità, rispose: < Io non ho più parole per dirti veramente quanto ti amo e te ne sono grato per la felicità che mi arrechi in questo momento d’inimmaginabile gioia. > Mauro era più che mai provato da tanto amore concesso, mentre si stringevano con ardore tra loro. Poi le loro labbra si unirono dolcemente e l’amore vero straripò oltre i confini dei loro desideri e pensieri aggrovigliati. Erano lì in piedi, stretti tra le loro braccia in un’unica cosa, sia nel corpo che nell’anima, che si guardavano negli occhi con tenerezza. Ormai avevano capito che quell’amore era pronto per superare qualsiasi barriera. 317 Poi la felicità che traboccava dai loro cuori assetati d’amore e furono travolti nell’impeto dei desideri e dalla gioia di essersi ritrovati come due anime gemelle in un’unica cosa. Akhilleos fremeva ai baci dell’amante, impressi con impeto sulla sua bocca assetata d’amore; Akhilleos con urgenza lo stava spogliando dei pochi vestiti rimasti addosso al suo amante. Mauro rimase per un buon momento ad osservarlo in un silenzio contemplativo, dove il chiarore della luna che entrava dalla finestra spalancata andava dritta sul letto a illuminare quell’alcova dei desideri, facendo brillare ogni pelo cosparso di sudore di quel semidio sceso per lui dall’Olimpo. Mauro si sentiva rapito e i suoi occhi si erano accesi di desiderio, mentre pensava con gioia, che di fronte a lui c’era la reincarnazione perfetta del prode Achille, capitano e guerriero, vissuto nella leggendaria mitologia greca. Altero, dolce, possente, smagliante e incredibilmente bello. Akhilleos coi i suoi folti e lunghi capelli neri, cosparsi di sudore, erano così lucenti al riflesso di quella luna così maliarda. Mentre Mauro tentava di far durare più a lungo quella sua fantastica storia tra il passato e il presente, per paura che sopraggiunga troppo in fretta il dardo nemici a colpire ancora una volta quel punto vulnerabile del prode guerriero, il famoso: “tallone d’Achille”, e a troncare quella superba vita nel fulgore dei suoi anni migliori. mentre osservava il viso eccitato di quel Dio cretese. Tutto si consumò nel migliore dei modi e fors’anche con l’auspicio benevolo degli Dei residenti da millenni in quel posto. Mai come quella notte Mauro aveva donato con amore e grande gioia il suo corpo all’amante cretese. Aveva compreso più che chiaramente quale posizione importante avrebbe occupato il suo amore nel cuore del compagno. E alla fine rimasero soltanto i baci e le carezze a placare la loro gioia nel voler continuare ancora oltre l’impossibile, in quella notte dai mille desideri incontenibili. 318 Capitolo Quarantaseiesimo Si svegliarono quel mattino che il sole era già alto e la giornata prometteva bene per due ch’erano rimasti a letto fino a tardi e avevano fatto l’amore per quasi tutta la notte. Mauro si alzò per primo e andò in cucina a preparare del caffè, mentre Akhilleos l’aveva seguito appena dopo, ed era uscito in cortile a farsi una tonificante doccia. L’aveva realizzata con un grande bidone sistemato sul muro di cinta e un lungo tubo di gomma con alla base un rubinetto e attaccato un rudimentale imbuto per innaffiare le piante. Akhilleos era felice di possedere una così semplice ma efficace doccia campestre. Mauro dopo aver tolto la caffettiera dal fuoco, uscì a sua volta e si buttò deciso sotto la tiepida acqua assieme a Akhilleos che l’invitava a giocare con spruzzi d’acqua, mentre Mauro brontolava all’amico per quella irrorazione abbondante di acqua addosso: < No, ti prego, non sulla ferita per favore! > brontolò ridendo. < Non importa dovremo rifare la medicazione dopo. D’altronde il dottore mi aveva consigliato di tenere sempre pulita la tua ferita. > < Certo, ma non con spruzzi d’acqua... > contestò Mauro. < Okay! Dai, girati che t’insapono per bene. Mah, dopo lo dovrai fare a me lo stesso trattamento, altrimenti non ti porterò a visitare le grotte di Ideo qua vicino. > mentre lo baciava felice. < Be’, questo non è giusto! Tu mi vuoi ricattare, vero? Dai girati che ti strofino a dovere. > protestò Mauro entusiasta. < Ah! Che goduria mai provata prima... > esclamò Akhilleos giulivo. Purtroppo il bidone si vuotò in fretta e i giochi d’acqua terminarono malvolentieri, avrebbero dovuto aspettare parecchie ore, perché il bidone si riempisse di nuovo. La ingegnosa e lunga tubatura di due chilometri, fatta da Akhilleos alla sorgente tra le fenditure del monte Ida, aveva risolto il problema dell’acqua potabile per la casa, oltreché l'acqua in esubero che fuoriusciva dal bidone andava a innaffiare l'orto. Così, dopo essersi asciugati alla meglio, si sedettero sui gradino di casa a dialogare, mentre si gustarono quel caffè ormai diventato tiepido. A un certo punto Mauro gli prospettò una sua impressione: < Sai una cosa Akhilleos, era da diversi giorni, che non mi sentivo così bene. Sono felice di averti incontrato. > espletò la sua opinione con sincera onestà, 319 continuando a dire: < Essere liberi di ogni avversione anche dalle mie pressanti apprensioni e mai come ora non me le sento addosso. Mi sento veramente libero. Poi questo incantato posto un po’ preistorico e romantico, dove la pace e la tranquillità è presente e ti fa sentire ai confini del mondo. E l’essenziale per vivere felici assieme alla tua preponderante e inconfutabile presenza. Mi aiuta a superare tutte le avversità e te ne sono infinitamente grato, amore mio! > mentre appoggiava il capo contro la spalla dell’amico ch’era in raccolto ascolto del suo discorso, e in fine Akhilleos dopo aver deposto a terra la tazzina, risponde con una certa serietà: < Ti ringrazio per la tua stima e affetto che provi per me e sono talmente contento in questo momento, che di più non potrei esserlo. In verità per quello che ricordo io, non sono mai stato tanto soddisfatto della mia vita passata. Insomma, nella posizione sociale e morale oltre che sentimentale, l’accettavo e basta, capisci? Invece ora è tutt’altra cosa. Mai come in questo momento mi sento appagato. Incomincio a capire qual è la differenza. Sono veramente felice qui al tuo fianco. Ma non confondere tutto questo con il sesso, quello è una componente secondaria a completare l’amore che percepiamo dentro di noi l’uno per l’altro. Spero di essermi spiegato! Forse non troppo chiaro, in qualche modo. > espresse Akhilleos a cuore aperto. < Certo, certo! Come ti capisco e ho compreso perfettamente la tua opinione. > rispose Mauro pienamente soddisfatto di quel cauto e provato ragionamento dell’altro. Mentre Akhilleos stava pensando che in quei giorni accanto a quell’uomo lui aveva acquisito un sacco di nozioni nuove, cose che non avrebbe mai supposto prima d’allora e dove apprezzava ogni giorno di più quella sua compagnia. Oltretutto Mauro non gli ha mai fatto pesare la sua scarsa cultura; mentre gli sfuggiva un gioioso sorriso da incuriosire Mauro, che lo stavo osservando in quella sua espressione un po’ maliarda, da indurlo a chiedergli: < Perché sorridi di nascosto? > mentre con la mano gli sollevava i lunghi capelli neri. < E’ forse un tuo segreto? Ho posso entrare e saperlo anch’io? > < Se ti dicessi che sorridevo pensando al nostro rapporto turbolente di questa notte, tu ci crederesti? > mentre si stava legando con un elastico i lunghi capelli neri dietro la nuca e al contempo rimirava incuriosito l’espressione aggrottata del compagno. Che restò un buon momento a pensarci sopra, poi con decisione sbottò: < No, è senz’altro qualcos’altro che stavi rimuginando sornionamente in testa. Stavi pensando che assieme 320 formiamo una bella coppia da galera, esatto? > < Be’, quasi, insomma siamo veramente una bella accoppiata. Ma dimmi un po’ sei almeno riuscito a ricordare qualcos’altro del tuo passato? O è tutto ancora nel dimenticatoio? > chiese incuriosito. Mauro restò un momento a fissarlo dritto negli occhi pensieroso e infine rispose: < Ma, veramente a questo punto preferisco non ricordare più nulla del mio passato. Invece vorrei in futuro ricordarmi nettamente ogni minuto e secondi di quest'incantevole momento trascorso accanto a te. Ecco cosa vorrei ricordare costantemente questo nostro amore così pulito e onesto. > espose Mauro con sincerità sgorgata dal suo cuore. < Senz’altro, hai ragione! Cosa importa del passato, è il presente e il futuro che conta adesso. Il nostro futuro. > < Già, l’ho sempre pensato che quando si ama veramente ha tutto un’altro sapore la vita. > commentò Mauro serio. Poi la loro tranquillità fu interrotta dallo squillo del telefono e subito Akhilleos brontolando, espresse la sua convinzione, dicendo: < Vuoi scommettere, sarà senz'altro Elena che mi cerca? > avviandosi in casa per rispondere. Mauro lo stava rimirando con interesse mentre Akhilleos entrava in casa e gli scappò un sorriso nel vedere quei glutei nudi e sodi che sculettavano in quel passo deciso del giovane. Poi Mauro decise di starsene lì ancora un po’ a crogiolarsi al sole già alto in cielo, senza pensare a qualcosa o qualcuno che avrebbe potuto guastare le feste in quel momento. Poi, Akhilleos tornò appena dopo dicendo: < Indovina un po’, chi era al telefono? > < Be’, allora? Suppongo che è Elena, che si scusava di tutto questo tempo ch’è passato, senza sentirti? > provò a dire. < Sbagliato! No, era Spiros, che mi chiedeva se tutto va bene. Io l’ho sempre tenuto informato di ogni cosa… Ma, c’è una novità? > mentre guardava Mauro e quello lo sollecitava con la mano a parlare. < La novità è che Spiros mi ha fatto una proposta da parte di quel suo amico il capitano dello “Zeus”, il signor Alexanders Stavoskopulis. Mi ha chiesto se vorrei sostituire il suo nostromo che si è ritirato a riposo per aiutare i suoi figli che gestiscono un albergo sull’isola di Andros. Capisci è una occasione d’oro. Almeno si potrà viaggiare e vedere molti paesi con quell’anziano capitano, un po’ strambo. Ma stracarico di miliardi e che ha voglia di viaggiare ancora per il mondo. Capisci è una vera fortuna Mauro, poi se vedessi la nave è una meraviglia! > espresse il tutto Akhilleos spruzzando 321 gioia da ogni poro della sua pelle, nel parlare di quel veliero ormeggiato nel porto di Nicòlaos. Mauro deglutì la saliva velocemente e tentò con ogni mezzo a non mostrare la sua delusione a quella palese situazione accorsa. Capendo che purtroppo non poteva impedire a quel meraviglioso uomo di scegliere la sua strada. Sapendo più che bene che l’amore per il mare scorreva nel sangue di Akhilleos ed era giusto che seguisse il suo istinto. Alla fine espresse le sue congratulazioni alla nuova proposta che aveva avuto quel caro compagno. < Sono veramente contento per te, finalmente incomincia a cambiare in meglio la tua vita. Se ti hanno proposto un posto di comando vuol dire che sanno che sei più che all’altezza del compito. Io sono molto orgoglioso di te. Auguri Akhilleos! > mentre gli porgeva la mano e l’altro tutto emozionato l’afferrò stringendola con forza, mentre i suoi occhi sprigionavano felicità da ogni parte, attirandolo a sé e baciandolo felice. < Grazie amore mio! Tu mi stai portando fortuna. Per gli Dei dell’Olimpo! > mentre gioiva dalla voglia di urlare. < Wauh! > Quella telefonata l’aveva veramente sconvolto, ma di gioia. Akhilleos non stava più nella pelle. Quella sensazione era più che visibile e Mauro da un lato era veramente felice per quell’uomo, ma dall’altro sapeva che tra poco quell’illusione di un amore perdurante sarebbe finito presto. E tutto questo non doveva farlo pesare sulle spalle dell’altro, non si meritava di farlo sentire in colpa. Ormai il dado era tratto e perciò bisognava prendere la questione con una buona dose di saggezza. Infine Mauro con fare scherzoso, tentò un amichevole approccio: < Bene, ora che stai per diventare nostromo di un tre alberi, pagherai almeno una bevuta alla tua nomina, vero? > sbottò con una leggera pacca sulla spalla. < Ma certamente amico, ci sbronzeremo per festeggiare. Ma prima dovrò andare giù al porta a Nikòlaos per discutere con il capitano sulla mia assunzione e compenso. S’intende. Poi questo lavoro sarebbe anche un’occasione per andarmene via da questa isola e se un giorno tornassi con qualche soldo in più. Potrò sempre dire che l’armatore del tre alberi mi ha beneficiato di una cospicua rendita. Tu che ne pensi? > < Che se la racconterai a questo modo, senz’altro tutti penseranno che ti sei venduto il culo, per farti una rendita considerevole. Poco ma sicuro, amico? > gli confidò Mauro sornionamente. < Ho, Dio! Pensi veramente, che tutti penserebbero subito che ho lavorato bene col culo... Ah, no! Per amore sì! Ma non per soldi... > < Ai commenti ci penserai più avanti, ora sarà meglio che vai a 322 parlare con il comandante Akhilleos. Così ti togli subito quel pensiero e saprai già adesso quale sarà il tuo operato a bordo. Tu non stai più nella pelle dalla contentezza... Dai, muoviti e fammi sapere poi com’è andata,d’accordo? > lo spronò con decisione Mauro, capendo ch’era un po’ titubante e senz’altro pensava a come lasciare l’amico solo? “Ma quella era un’altra cosa da sistemare più avanti”. Mugugno tra sé Mauro: “Ora Akhilleos dovrà decidere da solo e alla svelta”, pensò ancora Mauro per l’altro, mentre s’infilava addosso un paio di calzoncini corti e consegnava un paio di bermuda all’amico fin troppo in agitazione. Al tempo stesso Akhilleos tentava di riuscire a pensare ai suoi doveri mentre spiegava al compagno in contemplazione: < Comunque prima che vada via dovremo rifare la medicazione alla tua ferita e così potrò spiegare al dottore come procede la guarigione, d’accordo? > e si avvicinò deciso a Mauro prendendolo per mano nel condurlo dentro casa. Mentre Mauro gli consigliava: < Sai amico, dovresti rasarti e metterti una camicia pulita, sarà di buon effetto al comandante... Sono tutte lavate e stirate. > < Tu, l’hai fatto? Hai stirato le mie camice!> espletò sorpreso, pensando a come, l’altro si stava prendendo cura di lui. Mai nessuno l’aveva fatto prima? < Grazie amore! Va bene... obbedisco! > rispose Akhilleos euforico e confuso. Poi iniziò a togliere il grosso cerotto sulla ferita, senza riuscire ad aprire la bocca. Era troppo emozionato Akhilleos. Alla fine sistemò la nuova fasciatura, mentre Mauro incominciò ad accarezzarlo sui fianchi e infilò le mani tra le bermuda del compagno in agitazione. A quel punto Akhilleos socchiuse gli occhi e si trovò già tutto tremante dall’eccitazione. Mauro con le sue mani sui glutei dell’amico bloccava la sua presa, ormai troppo agitata. In fine, dopo lunghi sforzi di costrizione Akhilleos sbottò più che mai deciso a fermarlo: < Ti prego Mauro, smettila! Se no, qui si ricomincia da capo. Lo sai più che bene che mi fanno impazzire le tue mani e i tuoi baci sul mio corpo. Stanno diventando per me, un’insaziabile droga senza sosta. > E Mauro sornionamente rispondeva a fior di labbra: < Perché, pensi che ci faccia male a esagerare? Per me fa’ l’effetto contrario, è un tonificante. Credimi amore! > mentre dentro di sé sapeva che stava giocando con il fuoco, ma non riusciva a starne lontano, dicendosi tra sé e sé: “ Approfitta di questi momenti di felicità e non andare a cercare l’impossibile. Lascia che il mondo vada come vuole, goditi questi attimi e non chiedere nient’altro al tuo prossimo”. Poi, quel punto tutto cambiò di colpo radicalmente tra loro. Fu un amore consumato senza fretta, in perfetta 323 armonia con il carattere stesso di quell’isola millenaria. Si svestirono a vicenda lentamente di quel poco che avevano addosso, assaporando la vista di ogni centimetro di pelle che si denudava con lentezza e man mano si scambiavano baci e carezze all’infinito. Riscoprendo i propri segreti e le proprie patologie come se fosse la prima volta. Mentre i baci si moltiplicavano in dismisura sulla loro epidermide tremante dal piacere che il compagno sapeva dare con amore. Si trovarono distesi nudi sul piccolo letto a rimirarsi con desiderio e passione. E mai prima d’allora avevano provato una così grande consapevolezza e senso chiaro sul concetto amore a due. Nella purezza del loro amore che si andava consumando con infinita lentezza, a dimostrare il piacere di assaporare ogni centimetro dei loro caldi corpi assetati d’amore. Tutto si stava svolgendo nel più sacro silenzio, quasi fosse un rito magico che lì racchiudeva in un involucro surreale, pieno di un immenso piacere. Poi la calma lì avvolse nel trovarsi rilassati e felici. Ma ahimè il dovere prevalse e Akhilleos sorrise al compagno borbottando: < Mi spiace ma devo proprio andare. Vorrà dire che riprenderemo più tardi questo bel dialogo appena concluso in parte, d’accordo amore? > < Certo, certo! Rimango qui ad aspettarti, senza fiatare amore mio. > < Dai non esagerare, prendi pure fiato! Anzi, ricaricati per dopo? > propose Akhilleos, mentre gli dava una leggera pacca sul sedere del compagno e saltava giù dal letto per prepararsi e andare ad ascoltare quell’allettante proposta di lavoro. 324 Capitolo Quarantasettesimo La giornata era splendida e Mauro pensò di fare due passi attorno alla casa, nell’approfittarne un poco per svagarsi e sgranchire un po’ le gambe. Inoltre, non gli avrebbe fatto certamente male muoversi un poco e tralasciare per un momento al pensare e meditare sulle sue patologie storte. D'altronde, non avendo mai visto passare nessuno da quelle parti, Mauro si sentiva abbastanza tranquillo da sgusciare fuori qualche ora, in attesa che ritorni a casa Akhilleos con delle buone notizie. Poi, con la prossima partenza di Akhilleos per quel nuovo lavoro come nostromo, sarebbero cambiate molte cose in avvenire. Certamente anche per lui ci sarà un radicale cambiamento e dovrà al più presto trovarsi un altro posto per rifugiarsi in quell’isola, prima di poter partire per chissà dove. Pensò tra sé, Mauro annichilito e preoccupato. Avrebbe potuto affittare quella stessa casa, ma come fare per avere e reperire le prime cose necessarie, senza destare dei sospetti? Purtroppo Mauro capiva che al momento non potrà lasciare così facilmente l’isola? Senz’altro sarà sotto l’assiduo controllo da parte della mafia. Dislocata ormai in ogni parte dell’isola per stanarli fuori. Controllando ogni buco e imbarco: in ogni aeroporto e stazioni marittime, oltre che nei piccoli centri con navi da diporto. Quello era il guaio pensò Mauro, mentre stava rimuginando il tutto. Provò a supporre e sperare che Akhilleos lo sistemi da qualche altra parte, con tanta gente che conosce in quell’isola. E magari, più avanti, potrà sgusciare via da quell’isola e approdare in un’altra parte, un buco nascosto in qualche parte del mondo. Quello era il suo pensiero fisso, mentre continuava ad arzigogolarsi le meningi, senza voler pensare all’altro problema che gli stava più a cuore. La perdita di quel giovane amante, era al momento la questione più grave per Mauro. Ma purtroppo, era evidente la loro prossima separazione e quell’idea lo rattristava molto, per non dire tanto. Perciò a quel punto aveva un altro rospo da ingoiare, senza doverlo dimostrare apertamente all’amico, quello era l’essenziale e doveroso. Mentre mugugnava tra sé Mauro, non ci fece caso che si era allontanato dalla casa e quando si fermò e guardò alle spalle, notò che la casa di Akhilleos era soltanto una minuscola casa bianca, in mezzo al verde della campagna. Situata tra grossi agglomerati di fico d’india e acacie sparpagliate tra le rocce carsiche alle pendici del monte Ida. Era tutto così lussureggiante di verde e giallo il 325 paesaggio, da farlo fermare a guardarsi intorno e a godersi un momento di quello spettacolo esposto dalla natura, su quell’estrema isola mediterranea. Mauro si stupì da solo, pensando che in tutti quei giorni di permanenza su quell’isola, non si era mai permesso il lusso di gustarne almeno un poco di quella bellezza. Si era altrettanto meravigliato per quella sua scarpinata su quel sentiero ghiaioso, che gradualmente saliva verso la base del monte Ida. D’altronde Mauro, era stato troppi giorni a letto con la febbre alta per la ferita riportata, e per fortuna, la sua guarigione al momento sembrava procedere abbastanza alacremente. Anche il braccio incominciava a muoverlo discretamente bene e a quel punto aveva solo bisogno di un’assidua ginnastica, per riabilitare sia l’arto che il corpo intorpidito e affiochito dalla malattia. Così un po’ di moto gli avrebbe fatto soltanto bene, si consigliò da solo a mo’ di scusante. Pertanto a quel punto del percorsi oltretutto sentendosi bene, Mauro riprese ad arrampicarsi ancora un poco su quello stretto sentiero fatto soltanto per capre e muli. Man mano che saliva il panorama diveniva sempre più bello e affascinante, fra quelle scarse macchie di verde e rocce carsiche; da risultare stupendo quel miscuglio di colori che la natura gli proponeva. Mauro restò ad osservare incuriosito quella montagna tanto discussa dalla mitologia greca, come residenza degli Dei dell’Olimpo. La trovava un po’ brulla e spoglia sulla sua sommità celeste, pensando che quei poveri Dei non avevano un po’ di verde per stare all’ombra. Amenoché, stando sempre ritirati nelle grotte a meditare sulle cattiverie umane, già fin dai tempi antichi. Forse per quello, venivano sempre raffigurati un po' tutti evanescenti e sbiancati, rintanati nell’ombra delle grotte a impallidire. A quell’idea un po’ stramba, Mauro gli scappò da ridere, pensando al fatto che gli venivano così sovente e bene, inventare nuove variegate idee su qualsivoglia. Immaginandosi di trovarsi di persona a quei tempo antichi, descritti dalla mitologia greca e magari lui, sarebbe riuscito a parare quel dardo mortale, che aveva colpito quel prode Achille? Poi Mauro, tralasciò quelle fantasie e riprese la salita, visto che non sentiva ancora la stanchezza addosso. Salì fino a raggiungere un piccolo pianoro da dove poteva vedere una buona parte di quell’isola e a intravedere il mare in lontananza. Si era messo seduto su di un masso e restò un bel po’ a respirare a pieni polmoni quell’aria fine. Anche per calmare quella sgroppata nella salita e per crogiolarsi di quel posto con bella vista sulle sue valli sottostanti. Dove il ripido pendio dei canaloni che scendevano dal monte Ida, si diradavano verso la scoscesa piana che intravedeva lontana, tra vasti pendii adibiti a uliveti e ortaggi. Ove l’opera 326 dell’uomo aveva in parte modificato e sfruttato fin dai tempi antichi, quel terreno abbastanza aspro e roccioso dell’isola di Creta. Mauro non s’accorse che il tempo era volato via così rapidamente e quando si era ravveduto capì ch’era un po’ tardi e pertanto doveva ritornare all’ovile, altrimenti avrebbe ricevuto una severa strigliata dal suo padrone di casa, per quella scappatella senza la sua approvazione. E perciò, pian piano, si mise in cammino verso casa. Ma a un certo punto, mentre si guardava in giro e cercava di vedere in lontananza la casa di Akhilleos, sperduta tra le rocce e il verde selvatico un po’ rupestre, vi fu qualcosa che attirò la sua attenzione. Stava seguendo con gli occhi la striscia rossiccia della strada campestre che proveniva dal piccolo villaggio di Anoyia, situato sulla montagna opposta e rifletteva il bianco candore delle casa al sole che si avviava al tramonto. E proprio in quel momento, Mauro notò un discreto polverone, che si alzava dalla strada in terra battuta. Usciva dal piccolo paese e proseguiva verso le grotte di Ideo, un luogo turistico. Akhilleos gli aveva promesso di portarlo un giorno a vedere quei cunicoli. Mauro si stava distraendo a connettere certe situazioni futuribili e non certo ammezzate al momento di una inspiegabile premonizione. Poi, a un certo punto, si ricordò che su quella strada vi era anche la piccola deviazione che conduceva e finiva dopo tre chilometri dritta alla casa di Akhilleos. E Mauro in quel medesimo momento captò un inspiegabile segnale di pericolo, quasi avesse un’intuizione di qualcosa di sgradevole, che non riusciva a far quadrare nella sua mente. In quell’improvvisa tensione che si era formata dentro di sé, Mauro si 327 concentrò su quel puntino in lontananza, seguendo e precedendo quel polverone sollevato da due vetture che procedevano a forte andatura. Mauro cercò di guardare oltre agli anfratti e boschetti di acacia e arrivò con l’occhio sino alla casa di Akhilleos e proprio in quel momento scoprì e scorse Akhilleos che scendeva dal suo scassato camioncino ed entrava in casa. Subito Mauro, ritornò a guardare le due auto molto più in dietro e proprio in quel momento li vide mentre stavano svoltando sulla mulattiera, che conduceva alla casa di Akhilleos. A quella brusca svolta delle due auto, insospettì paurosamente Mauro, causandogli un forte malessere. Mauro ebbe un colpo al cuore. Sentì nascere dentro di sé una tale apprensione e sgomento, a presagire qualcosa di veramente grave? Il panico lo stava assalendo a tal punto, di non sapere più cosa fare, a quel punto. E di colpo gli fu tutto più che chiaro, anzi più nero che mai. Avrebbe voluto poter urlare e avvisare Akhilleos di quella sospettosa visita alle sue spalle, ma come fare? Si era già buttato giù dal monte a rotta di collo, per giungere prima degli altri alla casa. Mentre imprecava e pensava maledettamente, che ancora una volta erano riusciti a scovarlo nel suo nuovo nascondiglio, da farlo imprecare a voce alta: < Perdio, nooh!! No, non ci voleva quest'altra battaglia! > purtroppo con la paura dentro al cuore, sia già persa prima di iniziare. < No! > l’urlo di rabbia si levo sordo tra le rocce che lo fiancheggiavano e gli coprivano la vista della casa. Mentre la sua corsa a perdifiato proseguiva senza sosta, a un certo punto veniva colpito al fianco da una fitta pungente, da fagli mancare il respiro. Ma egualmente Mauro non mollava l’andatura. Il percorsi era tortuoso e lungo, inciampando parecchie volte tra i sassi e i rovi che gli sferzavano il viso, mentre mille imprecazioni uscivano dalla sua bocca secca. Pensando al tempo stesso, di aver fatto male ad allontanarsi troppo e a quel punto, come poteva avvisare Akhilleos di quel pericolo, che stava incombendo sul suo capo? Sapendo più che bene in quella sua veritiera supposizione, non aveva nulla di buono quell’apparizione così improvvisa? Era più che sicuro ch’era una minaccia incombente, che stava per abbattersi su quell’ignaro compagno. < No!! > Poi nell’avvallamento più piano tra gli arbusti e le rocce non poté vedere più niente, gli coprivano completamente la vista della casa e pertanto lui correva alla ceca, non sapendo cos’avrebbe trovato al suo arrivo a casa? L’unica speranza era di giungere prima di tutti, ma sapeva già per certo, che non era possibile quella sua supposizione, la sua locazione era ancora troppa distante. Comunque Mauro sperava egualmente di riuscire a cambiare la situazione delle cose. E quando giunse in prossimità della casa 328 rallentò un momento, sentiva che gli stava per scoppiare il cuore, oltretutto gli mancava il respiro e aveva il fiatone grosso. Sembrare una vecchia locomotiva asmatica, dal rumore che faceva con la bocca spalancata, per l’eccessivo sforzo subito in quella sfrenata corsa. Mentre si stringeva con la mano il fianco per il forte dolore che aveva. Soprattutto arrabbiato, perché capiva di essere giunto in ritardo, avendo intravisto una vettura fermarsi dietro l’angolo della casa. Mauro si fermò un momento dietro un grosso fico d’india e si appoggiò ad un masso, si sentiva scoppiare, ma di più per la rabbia. Restò un attimo a scrutare la situazione vicino all’abitazione, mentre tirava il fiato e si mordeva la lingua da solo. Smadonnando a più non posso, inveendo parolacce sconce e digrignando i denti incavolato a morte: “Porca puttana! Questa proprio non ci voleva! Perdio che scalogna!” E proprio in quel momento, vide giungere l’altra vettura e si fermò dietro quell’altra appena fermata. Scesero tre persone che sparirono dietro l’angolo della casa, sapendo per certo che sarebbero entrati decisamente in casa e avrebbero sorpreso Akhilleos. Senz’altro, non si immaginerà di trovarsi preso in una trappola senza via di scampo. Mauro, in quella sua premura stava zigzagando da un albero e un masso, mentre procedeva alacremente verso la casa. Pensando a cosa stessero chiedendo a Akhilleos, senza pensare alle cose sgradevoli che potevano fare al giovane compagno? Ma al solo pensiero che gli avessero fatto del male, il sangue gli ribolliva in testa, da farlo incavolare terribilmente tanto. < Puttana! Cosa faccio adesso? > esplose adirato. Poi, senza essere visto e con il cuore in gola, Mauro era giunto silenziosamente accanto alla casa, intanto cercava di calmare il suo sbuffare ad evitare di farsi sentire. Poi incominciò ad aggirarla, finché giunse all’altro angolo della casa a pochi metri dell’entrata. Sbirciò con circospezione oltre il muro d’angolo e trovò ciò che pensava. C’era uno dei gorilla dallo stampo mafioso ben marcato, ch’era rimasto fuori di guardia alla porta d’entrata e stava fumando una sigaretta tranquillamente all'ombra della casa. Mauro cercò di escogitare rapidamente qualcosa per distrarre la guardia di custodia all’ingresso e silenziosamente raccolse un grosso sasso e lo scaglio in alto, con un ampio cerchio oltre la guardia. Il sasso cadde con un discreto rumore accanto all’angolo opposto della casa, da insospettire il grosso bisonte sulla porta. L’uomo si girò e buttò la cicca a terra. Stava per andare a controllare la provenienza del rumore, ma riuscì a fare soltanto pochi passi. Mauro fu così agile e veloce come una Lince di 329 montagna, d’aggredirlo alle spalle silenziosamente con una grossa pietra. Mauro lo colpì fortemente al capo e quello stramazzò a terra come un sacco di patate, senza un minimo lamento. Mauro lo frugò rapidamente, sperando che non sia un poliziotto greco, e trovò il suo passaporto. Non si era sbagliato era italiano e guarda caso di Palermo, a quel punto Mauro capì di aver fatto centro. Poi tralasciò il tutto e s’impossessò dell’arma che il killer aveva a tracolla sotto la giacca, era una pistola Berretta italiana. Guardò per un attimo l’uomo a terra e poi, via di corsa verso l’altra parte della casa, ricordandosi che aveva lasciato aperto la finestra della camera da letto scavalcando il piccolo muretto di cinta. Mentre era a ridosso della finestra aperta, sentì distintamente un forte parlottare provenire dalla cucina e a quel punto tentò di sbirciare dentro alla stanza. Ma subito si dovette riabbassare per l’entrata nella stanza di uno dei componenti della banda, e si mise a guardare se vi era qualcuno nascosto, alla fine dopo aver controllato anche sotto il letto, si era avvicinato alla finestra per ispezionare anche fuori. Ma la voce baritonale di qualcuno nell’interno, l’aveva richiamato dall’altro lato. Mauro a quel punto non rinunciò al suo piano e s’infilò deciso dentro la finestra e si appiatti contro il muro. Sapendo che non sarebbe stata più controllata quella stanza e pertanto si sentiva al momento sicuro. Mentre cercava di origliare e sbirciare oltre la porta lasciata socchiusa e a capire cosa succedeva nell’altra stanza, in cucina. Purtroppo Mauro, non riusciva a vedere nulla, aveva troppo poco spazio. Comunque, captò il parlottare sgraziato dei presenti con rituali imprecazioni scurrili a non finire. C’erano voci che parlavano in italiano e altre in greco, che facevano delle domande ben precise a qualcuno. Senz’altro quel qualcuno era Akhilleos, sebbene Mauro non aveva ancora sentito la sua voce che rispondeva a quei insulti precisi, mentre un’altra voce in italiano diceva: < Be’, allora, ti vuoi decide a dirci dove si sono nascosti quei tre fetosi italiani? Non ti conviene fare lo stronzo con noi. Avrai già capito che noi, non stiamo qui a perdere tempo e a scherzare? > E il tutto veniva tradotto in greco. Poi con sollievo Mauro sentì distintamente la voce di Akhilleos che rispondeva con risolutezza ai presenti: < Io non so un bel niente! E non so di chi state parlando e cercando... > ma non poté continuare a parlare, perché a quel punto Mauro senti un rumore sordo, come un pugno arrivato ha segno. Il coperto dal trambusto e parlottare che c’era dall’altro lato in cucina, in quelle voci sovrapposte e confuse. Per Mauro in quell'attesa era una tremenda pena, in 330 quell'intervallo a studiare come poteva intervenire? Fremeva e scalpitava come un puledro pronto alla partenza. Avrebbe voluto entrare di botto e dire a quei mafiosi: “Ecco sono qua! Prendetemi e lasciate stare quell’uomo. Lui non centra nulla, sono io quello che cercate. Figli di puttana!”. Ma si trattenne per il momento a evitare che la sua irruente entrata potesse provocare del male all’amico preso in ostaggio. Mentre ascoltava le invettive d’impazienza dei contendenti che insistevano a voler far parlare Akhilleos ad ogni costo, chiedendogli ancora: < Senti bello! Falla finita di fare il furbo e sputa fuori tutto? Altrimenti sai cosa ti può capitare se non parli? Lui ha detto che la tua ragazza era con loro. Perciò è inutile che cerchi di nasconderli? Hai capito? Stronzo! > E si sentì chiaramente un altro forte pugno cadere sul viso di Akhilleos. Mentre Mauro si era accucciato a terra, ed era riuscito nel trambusto ad aprire silenziosamente la porta della camera e vedere quasi per intero dentro la cucina. Cera sulla sua sinistra un uomo accanto alla porta d’ingresso, seduto su una sedia e sembrava un distinto signore di mezza età, con un paio di occhiali scuri e un grosso sigaro puzzolente in bocca. Mauro a quella vista pensò rapidamente, quasi fosse una sua intuizione veritiera, quello era veramente quel famoso boss palermitano? “Mister Boston! Che si è scomodato di persona a venire da Palermo per vedere in viso chi gli ha fregato il suo cospicuo malloppo. Accidenti si vede che é incazzato di brutto!” sbottò tra sé Mauro a quell’evidenza dei fatti, mentre girava lo sguardo agli altri componenti della banda. E scorse un’altro, un tipo alto e magro con un viso da beccamorto ch’era in piedi con una pistola in mano, accanto ad un uomo piccolo e calvo, un po’ spaventato per la situazione e a quella vista Mauro, si ricordò subito chi fosse mai quello; era nient’altro che l’impiegato dell’ufficio viaggi giù al porto di Iràklion. E di botto Mauro sbottò tra sé un’ennesima imprecazione: “Che stronzo è mai quello, e non sa che tra poco non vedrà più la luce del sole, con questi avvoltoi senz’anima in giro! Puttanaeva!” L’impiegato li aveva anche visti in discoteca assieme a Elena. E guarda caso aveva proprio inciampato nel loro tavolo cadendo in ginocchio davanti a loro un po’ brillo. “Porcaputtana! Che testa di cazzo!” Sbottò nuovamente Mauro incavolato nero. “E senz’altro ora, per un po’ di soldi non si è fatto pregare a cantare come un fringuello, ma ancora per poco respirerà. Stronzo!”, pensò compassionevolmente Mauro. “Ma, che stronzo!” borbottò avanti. Poi si sforzò e apri lentamente ancora un pochino la porta e a quel punto poté vedere anche Akhilleos legato per bene mani e piedi, su di una sedia con 331 varie contusioni ed ecchimosi sul viso, dai pugni dell’energumeno che lo sovrastava. Lo stava ancora pestando a sangue per farlo parlare, oltre per il proprio gusto di farlo. Mauro era sul punto di balzare dentro, ormai era troppo scosso per rimanere fermo ad aspettare ancora. Mentre al tempo stesso, pensava ch’era veramente stufo di fare il killer e uccidere continuamente per sopravvivere, ma a quel punto nolente o no, doveva andare avanti, senza ripensamenti. Soltanto per salvare quell’amico che non centrava niente. Poi qualcosa accadde in quel momento e cambiò per un momento i suoi piani. L’impiegato che fino a quel momento era rimasto a guardare abbastanza spaventato, si fece coraggio e s’intromise dicendo al boss seduto tranquillamente sulla sedia: < Bene, signor Boston, visto che avete trovato la persona che cercavate io a questo punto posso andare via. Se mi può pagare quello che avevamo accordato? Avrei del lavoro da sbrigare giù all’ufficio, mi capisce vero? > lanciando un debole sorriso. < Ma certamente amico! > rispose quello con quella sua grossa voce da baritono, mentre s’era tolto il sigaro di bocca. < Carmelo perché non gli dai il suo avere ‘s tu picciriddu fetuso... > E quello imperterrito fermo al suo fianco, senza una grinza si girò e 332 sparò deciso due colpi al petto dell’impiegato, che sbarrò gli occhi stupito retrocedendo per la spinta dei colpi ricevuti nel petto e si afflosciò a terra come uno straccio, senza avere il tempo di emettere un piccolo grido. Mauro a quel punto ne approfittò di quella minima distrazione dei presenti ed entrò deciso nella cucina con la pistola puntando e urlò ai presenti in italiano: < Fermi! Non muovetevi!... > ma non poté finire di parlare, perché il tizio smilzo si era girato rapidamente e aveva aperto il fuoco in simultanea a Mauro che l’aveva preceduto di un solo secondo, ed era bastato per colpirlo in piena petto con due colpi consecutivi, facendolo retrocedere di un passo dalla spinta delle pallottole che si conficcava nella carne. Mentre il primo colpo dell’altro si era conficcato nel muro sopra la testa di Mauro e il secondo colpo ormai senza mira, aveva colpito allo stomaco il grassone boss sulla sedia. Che a sua volta stava tentato di estrarre l’arma dalla tasca e avrebbe fatto fuoco su Mauro, ma si stupì dello sbaglio del suo uomo. Gli cadde l’arma di mano, appoggiandosi al mobile e il sigaro gli scivolava via dalla bocca, da dove fuoriusciva dei rivoli rossi di sangue. Mauro gli aveva dato uno sguardo di sfuggita e aveva rivolto la sua attenzione all’energumeno che aveva aggirato velocemente Akhilleos, legato sulla sedia e gli stringeva il collo con il braccio, mentre urlava in greco a Mauro: < Metti giù la pistola, ho gli stacco la testa di colpo. Hai capito, bastardo poliziotto? > Mentre il boss con un ultimo sforzo e un filo di voce, incitava l’energumeno a reagire con decisione: < Am...mazzali ‘s ti fetusi...! > e si afflosciò a terra. Mauro si trovò all’istante tra l’incudine e il martello, non sapendo bene cosa fare, ma sapeva che un suo gesto sbagliato voleva dire far ammazzare Akhilleos. D’altronde, anche se lasciava l’arma, non avrebbe tetto che si sarebbero salvati, anzi sarebbero stati subito ammazzati tutte due. Perciò a malincuore cercava un’altra via d’uscita, evitando altro spargimento di sangue e soprattutto non voleva rischiare la vita dell’amico innocente? Perciò, alla fine con sottomissione abbassò lentamente l’arma al suo fianco a dimostrare la resa incondizionata. Mentre Akhilleos sottoposto a quella stretta mortale urlava a fatica a Mauro: < Non ascoltarlo Mauro! > Mentre l’energumeno gli stringeva sempre più il collo contro il suo grosso petto, aspettando che l’altro lasci cadere l’arma a terra. Ma nell’attimo successivo, Mauro girò velocemente l’arma nel suo polso verso l’alto e fece fuoco con una tale rapidità inaudita, mentre fissava con determinazione Akhilleos, che a sua volta sconvolto e terrorizzato chiuse gli occhi istintivamente in contemporanea allo scatto di Mauro e della 333 vampata di fuoco dalla pistola che stringeva saldamente in mano. Il colpo fu secco, risuonando nella cucina con fragore, mentre il grassone colpito in piena fronte si afflosciava a terra trascinando con sé anche il povero Akhilleos legato per bene alla sedia. In quell’attimo che aveva preceduto lo sparo Akhilleos ebbe in quella frazione di secondo un dubbio, ma poi capì all’istante che Mauro non gli avrebbe mai fatto del male e tutto lo stava rimuginando appena dopo ch’era lì a terra legato alla sedia e non poteva muoversi, avendo sopra di lui quell’energumeno morto. E nel momento successivo, appena dopo la caduta Akhilleos aprì gli occhi, giusto in tempo per urlare a Mauro del pericolo che stava incombendo drasticamente alle sue spalle: < Attento Mauro! Alle tue spalle! > E in parte fu utile quell’avviso, la sua prontezza d’animo, permise a Mauro di girarsi di scatto e si scansò quel poco ch’era riuscito a fare, evitando di prendersi una coltellata nella schiena, mentre a sua volta faceva rapidamente fuoco, sull’ultimo componente della banda, che aveva poco prima messo fuori uso con una pietrata in testa. Quello era rinvenuto ed aveva fatto lo stesso percorso di Mauro entrando a sua volta dalla finestra e stava tentando di sorprendere Mauro alle spalle e c’era quasi riuscito, se non fosse stato per l’urlo di Akhilleos. Il killer era scivolato a terra con un piccolo grido di rabbia che si bloccò sulle sue labbra con gli occhi sbarrati. Comunque Mauro, non aveva potuto, evitare di prendersi quella pugnalata nella coscia, e nel trambusto della lotta Mauro aveva perso l’equilibrio ed era caduto a terra sbattendo seriamente la spalla ferita e con il coltello a serramanico conficcato nel polpaccio. Tutto si era svolto così velocemente, e per un buon momento Mauro non poté muoversi, era più che mai stordito dal dolore in ogni parte del suo 334 corpo, mentre malediva e imprecava più per la rabbia che per il dolore addosso: < Puttana! Non ne posso più! Accidenti! Sono proprio stufo… Akhilleos, tu come stai? Accidenti a loro, che stronzata! > Mentre dall’altro lato della stanza Akhilleos lo supplicava a reagire ancora: < Si sto bene! Dove ti ha beccato quel figlio di puttana? Dai, ti prego! Aiutami Mauro, a slegarmi se vuoi che ti aiuto. Altrimenti morirai dissanguato e io qui legato come un salame, non potrò far nulla. Sforzati Mauro, resisti! Per tutti gli Dei! Coraggio!..Devi farcela Mauro! > imprecò decisamente Akhilleos, mentre nella sua mente ringraziava la velocità nello sparare dell’amico, altrimenti a quell’ora erano tutte due belle che stecchiti. E al contempo continuava a incitarlo ad alzarsi da terra: < Dai, Mauro, devi farcela! Alzati! Per gli Dei dell’Olimpo!! > capendo che doveva aizzarlo a spronarsi, per evitare che si lasciasse andare nel torpore del male presente. Mauro dopo un buon momento di infiacchimento, scrollò il capo e tentò di alzarsi, ormai la gamba destra era fuori uso e con il sangue che usciva abbastanza bene, e il braccio sinistro era diventato inattivo dal forte dolore e bloccato al momento. E a quel punto capì ch’era un po’ difficile fare qualcosa in quello stato, poi s’impegnò a reagire e invece di faticare a voler alzarsi, preferì strisciare sul pavimento aiutandosi con la gamba buona e il braccio destro sano, cosi avrebbe fatto prima a raggiungere Akhilleos e slegarlo in qualche modo. Era l’unico sistema per non morire a quel modo, come un animale braccato e ferito. Finalmente dopo tanti sforzi Mauro, era riuscito a fatica ad arrivare accanto all’amico e riuscì a togliere e liberare quei nodi dai polsi dell’amico, che a sua volta si scaricò d’addosso il grosso pachiderma ormai morto e si slegò le gambe e in fine si alzò, aiutando poi Mauro ad alzarsi e metterlo seduto su di una sedia. Ma al tempo stesso scattò un improvviso impulso, così simultaneo e si abbracciarono con affetto. Mentre Akhilleos borbottava più che commosso: < Grazie amor mio, ti devo la vita! > Ma non poté continuare, Mauro aveva posto le labbra sulle sue, suggellando quel patto di grande affetto e amore. Poi fu ancora Mauro a dover dire in risposta all’amico dal viso tumefatto e contuso: < Okay! Tuttavia ora ti prego, non ringraziare nessuno per adesso. Qui abbiamo un sacco di rogne grosse da sistemare se vogliamo uscirne fuori. Mi capisci Akhilleos? > mentre si guardava quel lungo coltello a serramanico conficcato tutto nella sua coscia che tracimava sangue. Nel frattempo Akhillleos cercava di riordinare le idee 335 confuse. Prese in dispensa delle bende e disinfettante per fasciargli la gamba, dopo aver tagliato e fatto una apertura nel gambale e rispondeva all'amico ferito: < Be’, ora cosa possiamo fare con questo macello qua dentro? Dobbiamo chiamare la polizia? Già questo è il guaio, chi ci crederà poi, che non centriamo niente? nessuno. Porcacciaeva, che casino è venuto fuori! > sbottò tutto agitato. < Già. puoi dirlo forte amico. Siamo nuovamente in un bel guaio? Ahi! > urlò Mauro mentre Akhilleos senza tante storie aveva estratto il coltello dal polpaccio e subito gli versava sopra della tintura di jodio da farlo urlare ancora di più. Mauro stava sudando tremendamente aggrappato a Akhilleos, capendo che tra poco gli avrebbe mancato i sensi, perciò disse all’amico preoccupato: < Ti prego... fai presto e fammi subito quella puntura... quei antibiotici... e l'altra antidolorifico. Comprendi?...Adesso non posso e non devo svenire... Mi capisci? Abbiamo molto da fare ancora... Ahi!! Che male, accidenti! Non ci voleva quest’altra rogna... > mentre Akhilleos gli tagliava completamente il calzone per avere la gamba libera da fasciare meglio e gli proponeva a sua volta: < Telefonerò al dottore Dromos, almeno… > ma la mano di Mauro lo fermò nel dire con fatica: < No ti prego! Non coinvolgiamo nessun’altra persona... più tardi decideremo il da farsi, d’accordo? Ora sistema alla meglio la mia gamba e fasciala ben stretta... Invece vediamo un po’ assieme cosa possiamo fare per salvarci il culo da tutto questo casino che ho nuovamente combinato... Accidenti! Merda, merda! Siamo nella merda fino al collo!? > Poi dopo aver fasciato per bene la gamba dell’amico e avergli fatto la puntura direttamente nella coscia per prevenzione, Akhilleos versò dell’acqua per Mauro e per lui un buon bicchiere di grappa, per rianimarsi un poco da quella tremenda scossa ricevuta, oltre che il vedere quel campo di battaglia nella sua casa. Mentre cercava di riordinare le proprie idee, ma non ci riusciva in quel momento e alla fine si era rivolta a Mauro che si stava un po’ riprendendo. < Mauro cosa dobbiamo fare adesso? > mentre con la mano indicava tutti quei corpi a terra. Mauro, tentava di riprendere un po’ di fiato, sapendo che il suo stato era più che mai deplorevole, mentre aspettava premuroso che la puntura inizi il suo effetto a calmagli un poco, il grande dolore che aveva per tutto il corpo, alla fine a fatica rispose: < Sai, sono veramente stanco di fare il killer di professione, penso che dovrai chiamare la polizia e vedrò di farla finita una buona volta. Ma non temere, io mi assumerò tutte le colpe e tu dirai che ti ho ricattato e 336 costretto a tenermi nascosto qui... Loro sono tutti morti pertanto non possono parlare e contestare qualcosa al caso... Io sono il cattivo... > < Aspetta, aspetta un momento! Cosa vorresti fare? Vuoi arrenderti, proprio ora che stiamo per andarcene via! Tu vorresti mollare tutto? Ma tu sei pazzo! Io non posso lasciartelo fare... Mi comprendi? > sbottò Akhilleos incavolato. Mentre Mauro, non aveva ben capito quello che l’altro gli aveva detto e glielo chiese ancora: < Cosa volevi dire prima con quella frase: Stiamo per andarcene via? Certo che andiamo via, tu sulla tua nave in salvo e io in galera per aver rotto le palle al mondo intero e in questo modo eviterò di coinvolgerti di più. Mi comprendi vero? E tutto sarà risolto una volta per tutte... Sono stufo, si proprio stufo! > Ma subito fu fermato da Akhilleos più che mai infuriato, mentre stizzito rispondeva deciso: < Ma tu, stai scherzando, vero? Altrimenti sarebbe il minimo prenderti a pedate nel culo per le cretinate che stai dicendo adesso. Ma non capisci che hai lottato fino a un momento fa’ e ora ti vuoi piegare e rinunciare alla tua libertà? Se poi, non vuoi venire con me sulla nave, pazienza. Sei libero di farlo. Ma non buttare via la tua giovane vita a questo modo. Sì, lo sappiamo più che bene che il mondo è perverso e malvagio e sei stato coinvolto in qualcosa, ch’era più grande di te. Avrai anche tu i tuoi difetti, ma con questo non puoi ritornare indietro, ridando la vita a tutti quei che hai steso per bene. Comunque, non è detto che debba continuare in questo modo. Bisognerà soltanto rivedere un po’ tutto in avvenire. Io penso e sono più che convinto, che potremmo in futuro essere felici assieme. Tu non credi nell’amore? > gli domandò deciso Akhilleos, mentre lo fissava intensamente e riproponeva: < Io ti amo veramente! Ora più che mai e vorrei tanto che tu non cambi idea... Vieni via con me?... Basta che tu mi dica cosa debbo fare e io lo farò senza esitare. Ti prego, pensaci su un momento prima di decidere della tua libertà? > Mauro era rimasto colpito da tanto amore e affetto che quel benedetto uomo gli offriva con il cuore e alla fine rispose un po’ a fatica: < Akhilleos io ti ringrazio dell’amore che mi serbi, ma non posso farti partecipe dei miei delitti, prima o dopo dovrò scontarli. E non voglio per nessun motivi coinvolgerti ancora di più, credimi, io... > ma non poté finire, perché l’altro l’aveva aggredito quasi urlando, dicendogli con rabbia: < Ma la vuoi piantare di commiserarti una buona volta! Io ho già parlato con il capitano della nave e tu verrai a bordo con me. Altrimenti nessuno partirà da qui. Chiaro? Comunque vada a finire questa storia io resterò con te. E adesso tu che sai pensare meglio, decidi cosa devo fare di questi corpi, ma 337 alla svelta? Ormai sta diventando buio e... portarli lontano da qui è impossibile, perciò dovremo sistemarli da qualche parte, questo è ovvio. Allora? > lo spronò Akhilleos con un buon risultato. Mauro si riprese e incominciò a dire all’amico: < Ok, d’accordo!... Sì, forse hai ragione e il casino è troppo grande. Senti un po’ Akhilleos, se li carichiamo tutti sulle loro auto e li portiamo a quelle grotte che dovevamo visitare in santa pace? Invece dell’escursione si è rivelata ben diversa adesso... Comunque, io penso che se sistemiamo i corpi in modo che sembrino si siano scannati tra loro in una discussione di... insomma? Se la vedrà poi la polizia dopo... Tu cosa ne pensi, di questa idea balorda? > provò ad esporrete. < Ma penso che possa andare bene. D’altronde se fino ad ora la polizia non è giunta fino qua, vorrà dire che questi erano riusciti a far perdere le loro tracce ai vari pedinamenti. In fondo erano più che visibili a tutti e perciò sarà stato più facile per loro eludere la sorveglianza e liberamente venire qui per poterci ammazzarci tutti senza tanti problemi. Senz’altro, erano più che sicuri di non essere seguiti. Mi sono spiegato? > espresse Akhilleos pensieroso, quasi convinto di ciò che diceva. Tutta quella storia l’aveva tremendamente sconvolto, ma al tempo stesso era più che mai testardo a voler portare a termine quella sua idea di convivenza e unione in nome dell’amore. Soprattutto nell’amore onesto e sincero, scritto a lettere maiuscole e solo per loro. < Sì, certo. Ma senz’altro nel paese di Anòyia li avranno visti passare e avranno pensato che si recavano alle grotte per visitarle? Ma a questa ora qualcuno si chiederà come mai non sono ancora tornati in dietro? Pertanto dovremo far trovare le auto parcheggiate laggiù e fare in modo di un omicidio reciproco. Non sarà troppo credibile, ma bisogna allontanare da qui le ricerche. Quanto distano da qui le grotte? > chiese Mauro all’amico, mentre quello stava controllando i vari documenti dei morti con dei guanti di gomma da cucina, per evitare altre impronte e capire qualcosa in più chi fossero quelli, mentre rispondeva: < Sono a una decina di chilometri... Ecco, guarda un po’ qui! > mostrando a Mauro il portafoglio del boss siciliano. < Guarda, è senz’altro quello che comandava tutta la baracca? > < Fai vedere, deve essere lui senz’altro? Apri il portafoglio e guarda all’interno per favore.> gli chiese Mauro, mentre mugugnava per il dolore. < E qui, cosa ancora! > mentre frugava nelle tasche e tirò fuori un passaporto. < Ha un passaporto, statunitense.... e si chiamava Buretta Carmine era nato a Palermo cinquanta anni fa e ha vissuto molti anni in America, a Chicago dalla data del rilascio. > 338 < Okay, siamo tranquilli è proprio lui. Comunque, ci saranno altri scagnozzi in giro per l'isola, oltre che qualcuno in albergo. Controlla cos’altro ha dentro al portafoglio prima di rimettere tutto a posto... magari ci sono documenti che indicano la nostra posizione? Non si sa mai? > Mentre Akhilleos sfogliava le varie carte di credito e biglietti da visita, poi trovò una mazzetta di dollari. < No, non c’è nulla di particolare, all’infuori di questi dollari. Ce li teniamo per i danno arrecati alla casa, giusto! A lui bastano le carte di credito per la polizia. Va bene ora li porto fuori e li metto nell’auto. L’altra macchina è quella dell’impiegato dell’agenzia portuale. Che stronzo è stato! > sbottò Akhilleos, indicandolo a terra stecchito. < Ecco spiegata la loro presenza qui. Lui sapeva dove abitavo. > mentre con un po’ di riluttanza si caricava sulle spalle il primo cadavere e lo portava via. Fuori era quasi buio ormai. Dopo aver sistemato tutti i cadaveri nelle rispettive auto, con insistenza Mauro cercò di spiegare la sua partecipazione per evitare altra perdita di tempo. < Senti Akhilleos, io cercherò di guidare l’auto del boss, mi sembra che abbia il cambio automatico è mi sarà facile con una gamba sola buona, così in due faremo prima. Questo è l’essenziale. > espose Mauro. < Ma come farai con quella ferita nella coscia? Resta qui, io andrò da solo e tornerò subito in bicicletta e magari dopo se vi saranno delle difficoltà maggiori potrai venire. Tu hai bisogno di un dottore, potrebbe insorgere una bella infezione conciato a quel modo... > mentre capiva che era inutile contrastare, Mauro aveva ormai deciso. < Ti prego Akhilleos, è per il nostro bene fare in fretta e in un viaggio sistemeremo ogni cosa. Poi con la bicicletta ti lascerò pedalare e portarmi a casa, d’accordo? > Mentre l’altro scuoteva la testa ma non provò a contestare ancora. Mauro a quel punto si mise alla guida dell’automatica con a bordo il boss e i due scagnozzi e Akhilleos si era messo davanti con la macchina dell’impiegato con a bordo gli altri due morti e la bicicletta infilata nel portabagagli e via senza troppo chiasso a luci spente, seguito da Mauro. La luna ormai alta in cielo, era luminosa quella notte, proprio quello che serviva per illuminare il percorso. 339 Capitolo Quarantanovesimo Poi finalmente alle due di notte erano riusciti ad arrivare fino alle grotte senza intoppi. Trovato il posto più appropriato per la loro diavoleria, cercarono di sistemare ogni cosa un po’ alla rinfusa come da copione immaginato da Mauro, così al momento del ritrovamento sarebbero sorti molti dubbi al caso. Mentre Mauro impartiva gli ordini e Akhilleos eseguiva a pennello, quasi fosse diventato un gioco di scacchiera. Fece sistemare la vettura dell’impiegato un una certa posizione e di traverso quella del boss, poi sistemarono il boss riverso sul sedile posteriore dell’auto e una guardie del corpo all’esterno con la propria pistola Beretta ancora in mano e l’altro accanto all’auto dell’impiegato a terra dopo aver sparato con la Smith & Wesson a quello al volante. Insomma, all’impiegato e a quell’altro che parlava greco che aveva fatto sudare sette camice a Akhilleos per l’eccessivo peso, era senz’altro un mafioso locale e l’aveva messo accanto all’auto dell’impiegato, con in mano la pistola Walther p 88 del boss a dimostrare di aver difeso qualcuno e sé stesso. Akhilleos borbottava continuamente incitandolo a muoversi: < Be’, allora gli hai trovato la posizione per farli morire in santa pace? Dai muoviti, prima che giunga qualcuno e allora siamo belle che fritti tutte due! > < Okay, ancora un momento? > mentre Mauro sudava copiosamente per il dolore e faticava tremendamente a muoversi, dovendo trascinarsi dietro la gamba ferita, sapendo che non poteva mollare proprio in quel momento, altrimenti sarebbe andato a finire tutto a puttane il loro piano. Alla fine Mauro pregò Akhilleos di sparare dei colpi: < Senti, prendi quell’arma e spara a quell’altro... > ma non servì che proseguisse il suo ragionamento, Akhilleos ansimando, rispondeva energicamente all’amico: < Senti un po’. Io ti ho fatto tutto quello che mi hai detto, d’accordo... Ma ora non chiedermi di sparare a quei morti. Chiaro? Non posso, anche volendo farlo... Non ci riuscirei…> < Non ci sono problemi, sono io il killer... Ok! Purtroppo devo farlo per complicare un po’ le ricerche. Non penserai che la polizia greca sia così tonta da non capire ch’è tutta una farsa, questo casino? > mentre si avviava a fatica, sistemando meglio i guanti da cucina e si avvicinò al primo morto. Prese la sua mano ormai rigida e sparò vari colpi in direzione dell’altra auto. Poi passò dall’altra parte e con l’arma dello smilzo, sparò 340 contro l’auto e l’impiegato e infine ritorno verso l’auto del boss e sparo altri colpi all’interno dell’auto addosso al povero boss, morto due volte. Poi rimise la pistola al suo posto e prese l’arma dell’altro e sparò un po’ dappertutto nei vetri delle due macchine e in fine guardando quel campo di battaglia gli sembrava quasi veritiera tutta quella ridicola messinscena. Infine, aiutato da Akhilleos s’incamminarono per la strada. Mauro stentava tremendamente con una gamba sola a camminare, ormai quella ferita glie l’aveva resa inservibile, oltre per il male e lo sfinimento che avanzava. Il sangue aveva inzuppato la grossa fasciatura, ma sapeva che doveva resistere almeno ancora un poco. Sorretto da Akhilleos ancora sconvolto da quella nuova prova del loro sadismo, bisbigliava: < Mi pare che abbiamo creato un gran casino e nient’altro. Speriamo che la polizia non vada tanto per il sottile, altrimenti chissà cos’altro salterà fuori. Bene, ora possiamo andare via finché siamo soli e la fortuna è ancora dalla nostra parte. Che duri ancora in un paio d’ore, altrimenti... > < Certo, ma più di così non si poteva confondere le tracce, credimi! > < Io non ci capisco più nulla adesso. Però devo dire che abbiamo avuto un bel culo finora. Non s’è visto nessuno da queste parti, speriamo bene? > mentre piano, piano s’incamminavano tra l’erba e i grossi sassi, evitando di lasciare delle loro tracce visibili. D'altronde, di giorno c’era sempre un buon viavai di gente e pertanto di impronte c’erano in abbondanza. Più avanti Akhilleos, raccolse la bicicletta che aveva scaricato prima dall’auto. Quella bici vecchiotta la teneva nel ripostiglio di casa, vi caricò sulla canna Mauro e si mise a pedalare sulla sconnessa strada sterrata. 341 Per fortuna il percorso era buona parte in discesa. Dopo un bel po’ di chilometri a pedalare, decisero di fermarsi a riprendere fiato. Mauro era stremato e incominciava a non reggersi più e si era un po’ afflosciato sulle braccia del compagno. Akhilleos a quel punto gli consigliò di aspettarlo lì, che sarebbe tornato a prenderlo con il suo camioncino. < Dai Mauro, sei sfinito. Resta qui nascosto, mentre io farò una bella pedalata fino a casa e tornerò a prenderti con il mio camioncino. Okay! > mentre lo sistemava contro un albero, Mauro era talmente stremato che faticava ad aprire la bocca per parlare, muovendo solamente il capo per approvare quella proposta suggerita. Quando Akhilleos tornò a riprenderlo erano ormai le quattro e trenta del mattino e il cielo si stava rischiarando, Mauro era svenuto ai piedi dell’albero. Akhilleos era molto preoccupato per la vita del suo compagno. Con decisione lo sollevò delicatamente e lo depose nel cassone del camioncino. Lo avvolse con vecchie coperte, per tenerlo un poco al caldo e coperto dall’umidità della notte e poi, via di volata verso casa. L’alba era ormai spuntata e Akhilleos era stremato per quel superlavoro che stava terminando di fare. Aveva quasi sistemato e lavato tutto in casa, rimettendo ogni cosa al suo posto per far sparire ogni traccia delittuosa. Ma al momento l’unica preoccupazione per Akhilleos era la salute di Mauro. Nelle ultime ore aveva fatto un tracollo strepitoso e allarmante. Al momento l’aveva messo a letto dopo avergli fatto un’altra puntura, ma ad un certo punto era svenuto di nuovo e lui avrebbe voluto potarlo subito dal dottore Dromos. Ma prima doveva riordinare per bene ogni cosa ad evitare che per caso, mentre erano sulla nave, qualcuno entri lì dentro casa a curiosare e trovi qualche indizio o qualcosa di sospetto. Oltretutto erano a pochi chilometri da dove avevano sistemato il loro misfatto e poi la strada era unica che passava dal paese e conduceva alle grotte e a metà strada c’era il bivio per casa sua. Pertanto usando la tattica di Mauro, Akhilleos si era fatto una certa cultura a non lasciare eventuali tracce rintracciabili. Akhilleos aveva già telefonato a Spiros per avvisarlo di trovarsi al porto che gli avrebbe spiegato poi al riguardo della sua partenza e Spiros aveva afferrato subito il muto problema. 342 Capitolo Quarantanovesimo Finalmente dopo gli ultimi ritocchi con occhi critici, Akhilleos decise che potevano partire e si recò in camera a prendere Mauro, che si era ripreso un momento da quello sfinimento, ma non lo lasciò tentare nel muoversi da solo, se lo prese in braccio avvolto dalla coperta e lo portò fuori. Lo depositò ancora nel cassone del camioncino essendo il posto più sicuro e comodo. Disteso su quel materiale d’imballo e coperto dalle coperte ad evitare che nel attraversare i vari centri abitati avrebbe destato sospetti con quella faccia cadaverica che si trovava Mauro. Oltretutto Akhilleos l’avevano sempre visto da solo sul suo scassato camioncino e sarebbe passato più che mai inosservato anche quel normale mattino. Poi mentre sistemava il ferito e lo confortava dicendogli: < Qui sarai più al sicuro e visto che incontro sempre un sacco di gente che conosco, perciò, solo mi è più facile far pensare alla mia solita giornata di lavoro e cercherò di coprire i miei lividi con i capelli. D’accordo? Stai tranquillo faremo presto. > e lo coprì in modo da essere nascosto ma da poter respirare. Poi mise in moto e fece un doppio giro nel suo piazzale per cancellare eventuali tracce dei pneumatici della altre vetture. Aveva legato dietro al suo camioncino un grosso ramo spezzato di quercia che scopava la strada fino alla fine della sua strada sterrata. Poi al bivio e dopo aver imboccato l’altra strada, s’era fermato e aveva slegato il grosso ramo, buttandolo in una scarpata laterale abbastanza profonda; da evitare che al momento del ritrovamento dei corpi nel massacro, la polizia non avrebbe notato quelle strane impronte di pneumatici che giravano nella sua strada. Infine riprese il cammino tranquillamente alla stessa ora di sempre e nel passare dal paese di Anoyia, lo fece in modo sereno, con Mauro nascosto sotto le coperte nel cassone assieme ad altre cianfrusaglie; mentre lui salutava i compaesani che si recavano a loro volta al lavoro. E per evitare malintesi, dovuti poi alla sua lunga assenza che avrebbe coinciso e guarda caso con quel massacro lì vicino, incominciò a urlare agli amici che incontrava: < Uhei! Vi saluto! Vado per un po’ di tempo a navigare, hanno bisogno di un marinaio e pagano bene! Perciò, ci vedremo a settembre, is ighian! salute! > sapendo più che bene che tra poche ore tutto il paese sapeva che il solitario Kirkis s’imbarcava su qualche nave. Mentre c’era già qualcuno che gli gridava dietro: < Sei il solito culo rotto, ma fortunato Kirkis! Buon viaggio! A presto amico! > 343 Erano le sei e un quarto quando Akhilleos fermò il suo camioncino all’attracco della goletta “Zeus” . Il signor Spiros e il capitano della nave, il signor Stavoskopulis, erano sul molo ad attenderli. Spiros era un po’ preoccupato da quella strana telefonata ricevuta nel cuore della notte e ora lì, aspettavano ansiosi di sapere qualcosa di preciso direttamente da loro. Il comandante era un ometto sulla sessantina, arzillo e vispo con due occhietti grigi che scrutavano quei due che si avvicinavano in condizioni pietose. Uno era zoppicante con una grossa fasciatura sulla gamba senza gambale ai calzoni, sorretto dall’altro che aveva il viso un po’ scorticato e duro dalle avversità accorse in quella notte e tutto non prometteva nulla di buono. Mentre il capitano pensava dentro di sé, che si stava inguaiando in un grosso impiccio a voler aiutare quel rude marinaio di Kirkis. Ma a quel punto era meglio saper di preciso cos’era capitato a quei due per valutare nuovamente la sua offerta a consegnare in mano la sua nave a un uomo che ne fosse veramente all’altezza. Spiros vedendoli arrivare in quel mal modo e intuendo la situazione capitatagli, era corso loro incontro per aiutare Akhilleos a trasportare Mauro ormai sfinito. Si erano fermati accanto al capitano dall’evidente compostezza del suo viso a dimostrare di essere preparato a eventuali sorprese. Akhilleos con il fiatone grosso per la sfaticata tardò un attimo a parlare, poi si schiarì la gola ed espose deciso al capitano, che attendeva impassibile una spiegazione plausibile alla questione in atto. < Mi scusi comandante, ma dato le circostanze avverse e da me già accennate ieri, purtroppo ora è successo l’inevitabile. E ieri sera s’è aggravata ancora di più la questione, con la presenza della mafia a casa nostra e il mio amico è rimasto ferito abbastanza seriamente in un conflitto a fuoco. Ma ora è tutto sotto controllo senza la minima ripercussione sulla sua persona signor Stavoskopulis. Soltanto se rimaniamo qui dovremo spiegare alla polizia queste sue ferite. Comunque se lei è ancora d’accordo a prenderci a bordo io gliene sarò grato. Altrimenti vedrò diversamente come potrò aiutare il mio amici a guarire e a nascondersi altrove. Perciò, se lei non intende rischiare di assumerci. Mi dispiace ma dovrò rinunciare anch’io alla sua allettante proposta. Ma mi creda, non posso lasciarlo solo e con il pericolo che l’ammazzino per davvero... > aveva parlato tutto d’un fiato, mentre il capitano era rimasto fermo senza battere ciglio, poi alla fine rispose con voce pacata e ferma che non ammetteva altre discussioni o ripensamenti in merito: < Giovanotto, lei mi sta mettendo alle strette. Ma da quello che mi ha spiegato già ieri, io non intendo sapere altro. Lei mi ha dato la sua 344 parola d’onore che mi servirà fedelmente e pertanto le credo a ciò che ha appena detto. Bene allora saliamo a bordo e facciamo vedere questo marinaio dal dottore di bordo. Su non perdiamo tempo, la marea è buona per salpare oggi. > mentre si rivolgeva a Spiros e allungava la mano dicendo con affetto: < Amico, tu m’hai dato una gatta da pelare, spero solamente che ne valga la pena. Farò di lui un buon ufficiale ne ha la stoffa. Grazie di tutto amico anche per la bellissima statua di Achille che ho riposto nella mia cabina. Tu sei sempre stato un gran volpone! Dai sali a bordo a bere un goccio prima che partiamo. > mentre si metteva a ridere assieme al Spiros e infilavano la passerella per salire sulla nave. Akhilleos era già salito a bordo, portando Mauro nell’infermeria di bordo, poi appena l’ebbe consegnato e spiegato al dottore Dromos cos’era successo e cosa gli aveva già somministrato, era uscito per salutare e parlare un momento con Spiros. A sua volta si era recato nell’ampia cabina del comandante, arredata nella sobrietà di un tempo ormai passato da vecchio lupo di mare e quando Akhilleos bussò ed entrò dentro con un certo contegno da subalterno, restò stupito di vedere in un angolo ben fissata al pavimento la famosa statua di Achille e si trovo ad arrossire tremendamente e fu subito interrogato dal capitano che si mise a parlare per rompere quella situazione imbarazzante per il suo nostromo, dicendogli sornionamente serio: < Come vede giovanotto, così avrò qualcuno a cui potrò contestare ogni cosa, senza che possa ribattere e contraddire la mia opinione. Non trova Nostromo, ch’è una idea geniale questo dono da parte del signor Spiros? > mentre quest’ultimo se la rideva sotto la sua lunga barba bianca e Akhilleos più che mai imbarazzato e rosso in viso come un pomodoro, per non dire confuso da non sapere cosa rispondere al momento. Poi si fece coraggio e finalmente rispose mettendosi sull’attenti: < Ha perfettamente ragione Signore. Comandante, mi permette una osservazione? > Mentre quello acconsentiva con il capo. < Io approvo il bel gesto del signor Spiros, ma verità, in avvenire mi sentirò, come un verme esposto a quel modo, > mentre indicava la statua di marmo bianco ben levigata e lucida. Riprendendo a dire: < Alla mercede del personale di bordo, ogni qualvolta entreranno qua dentro. Lei mi comprende vero, Comandante? > < Perché ragazzo mio? > gli chiedeva il capitano maliziosamente sorridendo. < Ti vergogni per l’anatomia di quel prode guerriero, forse non è identica al cento per cento? Quando una cosa è bella non c’è nulla di male a mostrarla per essere ammirata e io la trovo stupenda come opera 345 prima di Spiros. Forse un giorno la donerò al museo di New York che il mondo intero possa ammirarla per la sua purezza e creatività dall’artista, che ha saputo dare al marmo anche un’anima e tu ne devi andare fiero per essere stato prescelto come modello, giusto? Comunque ne parleremo più tardi. Ora se non ti spiace darci dei ragguagli al vostro caso, a quanto pare la faccenda scotta, almeno anche il signor Spiros saprà come comportarsi all’occorrenza. D’accordo signor Kirkis? > < Certo Signore! Ha perfettamente ragione. Comunque, finora la situazione è sotto controllo, io ho cercato di sistemare ogni cosa da allontanare da noi ogni sospetto. Ma se posso dilungarmi un poco, sarà meglio che spieghi tutto dal principio, così potranno capire meglio la situazione del mio compagno e ora anche la mia... > Mentre il comandante gli faceva segno di sedersi: < S’accomodi Kirkis e racconti pure tranquillamente tutto, saremo ben felici di potervi aiutare entrambi in qualche modo. > E alla fine Akhilleos dopo aver raccontato per filo e per segno tutta quell’odissea del suo compagno, il giovane nostromo concluse dicendo ai presenti: < Come vedano, io spero di aver agito per il bene di quell’amico che mi preoccupa. E se permette signor Comandante vorrei aggiungere senza vergogna una cosa che mi sta a cuore e che non vorrei fosse fraintesa. Pertanto, preferisco essere esplicito ed esporla io in prima persona. Noi siamo amanti. E se ha lei non le sta bene questa nostra unione, noi toglieremo il disturbo con i più sentiti ringraziamenti. Mi scusi per la franchezza, ma non vorrei che in seguito saltassero fuori delle divergenze al caso, ed è mia abitudine essere franco con chi mi attribuisce la fiducia e un comando. Mi scusi ancora la mia franchezza, Signore! Qualunque cosa lei decida in merito, io le sarò sempre molto riconoscente, ringraziandola in anticipo. > esplicitò Akhilleos serio. Dopo un piccolo momento di riflessione e concentrazione il comandante senza un minimo cipiglio gli rispose con franchezza: < Vedo che lei signor Kirkis va per le spicce e ammiro la sua lealtà e sincerità al caso. Comunque le devo far presente ch’era una cosa che la supponevamo già, dato la sua insistenza di ieri a prendere a bordo il giovane. > mentre guardava l’amico Spiros sorridente. < Ma devo dire, che ha me personalmente non interessa la vita privata di ogni membro di questo equipaggio, al di fuori dei propri servigi. Si intente. Esigo solamente che ognuno faccia il proprio dovere e abbia rispetto della vita altrui. E se lo 346 assunta è per la buona esposizione che mi ha fatto qui il signor Spiros. Che ha di lei, la massima fiducia e la lealtà da parte sua. Pertanto ci siamo spiegati per bene ogni cosa! Ora signor Kirkis prenda il comando della nave ufficialmente; tanto per non perdere le vecchie abitudini. Appena dopo che saremo radunati assieme con tutto il personale di bordo nel quadrato e faremo le presentazioni di rito ufficiale, d’accordo? > < Certo Signore! Mi concede un momento per dire due parole al signor Spiros? > chiese con deferenza. < Certamente, vi lasco soli, vado a controllare la preparazione per la manovra di partenza. > mentre si allontanava chiudendosi alle spalle la porta della cabina. < Spiros, mi dispiace di tutto questo casino che ti ho creato e scusami ancora se mi sono rivelato un omosessuale in queste circostanze, ma è stata una cosa così inaspettata e naturale. Io non l’avrei mai supposto. Per il passato vedevo soltanto le passere, invece ecco che di colpo mi sono innamorato perdutamente di quel giovane. Credimi, non ho vergogna a dirlo, ma la mia vita è cambiata con lui. Cambiata però in meglio. Sono felice sebbene ci siano state molte e inaspettate controversie. Spero solamente che Mauro, anzi ora Maurices possa guarire in fretta e che sia finita una buona volta la sua odissea. Mi comprendi amico? > < Certo che ti capisco amico mio e ammiro in te la tua tenacia e l’amore che hai acquisito da quel giovane sfortunato, ma che ora so che sarete felice assieme e ne sono contento anche io. Auguri ragazzi! > < Grazie Spiros! Grazie di tutto! Ti lascio la mia auto e ecco le chiavi di casa controlla che sia tutto a posto e fanne quello che vuoi, puoi affittarla a quei tuoi parenti libici che cercavano alloggio, vero? > mentre l’accompagnava all’auto e si prendeva la sacca con il danaro dentro e dando una mazzetta di dollari a Spiros, che al principio tentò di rifiutare, ma poi accettò, dicendo: < Be’, li prendo per sistemare un poco la tua casa e renderla più presentabile per quei parenti arabi, che sono dei nobili al loro paese e pertanto, tu mi capisci, vero? Grazie Akhilleos! Guarda che aspetto vostre notizie. > mentre saliva sull’auto e gli gridava dietro sporgendosi dal finestrino: < Ah, dimenticavo? Auguri e figli maschi! > e se la rideva di gusto. < Ti voglio bene mio prode guerriero. Ciao! > < Ciao amico mio! Ti inviterò a nozze, d’accordo! > e scoppiarono a ridere assieme. E mentre Spiors si allontanava dalla banchina un vecchio pescatore che si era avvicinato a Akhilleos, gli chiedeva curioso: < Come, ti sposi Akhilleos? Finalmente eh! Ma bravo lupachiotto solitario. Sono 347 contento. Ma e la sposa, dove la tieni nascosta? > < Caro Amos, la mia sposa è bionda e svedese, e stiamo partendo per andarla a prendere. Ci vedremo al ritorno a settembre. Antio! Addio! > e montava deciso sulla passerella della nave. 348 Capitolo Cinquantesimo Erano le nove e trenta del 4 luglio 99, quando la goletta salpò l’ancora dal porto di Ayios Nikòlaos, sotto il comando del nuovo nostromo che aveva impartito gli ordini al timoniere di mantenere la rotta per l’isola di Santorino. Poi dopo essersi consultato con il comandante Akhilleos era tornato in infermeria a vedere Mauro come stava sotto le cure del dottor Dromos assistito dal suo fidato aiutante. < Come sta’ dottore? > gli chiese preoccupato. < Be’, per ora va tutto bene, gli ho messo un paio di punto alla coscia. pertanto ora è soltanto sfinito e avrebbe avuto bisogno di una trasfusione di sangue ne ha perso molto e dalla prima ferita non si era del tutto ripreso. Soltanto che qui a bordo non c’è nessuno con quel gruppo di sangue 0 RH positivo, lo si dovrebbe richiedere... > ma subito fermato da Akhilleos che gli confermava: < Io, mi sembra di avere quel gruppo se vuole provare dottore, sarei disposto a cederne tranquillamente quanto serva. > mentre il dottore si prendeva un laccio emostatico e una siringa, e Akhilleos si avvolgeva su la manica della camicia. Dromos fece il prelievo dicendo al Giovane nostromo: < Appena avrò rilevato la compatibilità ti avviserò, d’accordo? Comunque dovremo poi disinfettare quelle tue ecchimosi sul viso. Anzi, Ahmed pensaci tu a rimettere un poco in ordine il viso del nostro nuovo capo. > < Certo... okay! Ha ragione dottore... Va bene, facciamo una cosa veloce a sistemare le mie contusioni. Devo mettermi in ordine un poco, per incontrare l’equipaggio e prendere le consegne ufficialmente. Altrimenti che figura faccio… sembro un cane bastonato. > < Appunto! Almeno la prima volta, un buon aspetto darà una buona impressione a tutto l’equipaggio. Ti pare amico? > < Sì, ha ragione dottore, ok! Comunque, grazie ancora dottore, per tutto il disturbo che rechiamo io e il mio compagno. > < Senti, per gli amici io sono Nikos, e lui Ahmed. Piacere Akhilleos e ben venuto a bordo! > mentre si stringevano la mano con stima e simpatia.< Piacere e grazie ancora Nikos! Anche a te, grazie Ahmed! > < Felicissimo di aiutarla Capo! > rispose sorridendo l’aiutante arabo. Poi, Akhilleos dopo quella sistemazione veloce, lasciava l’infermeria recandosi nella propria cabina assegnata per rimettersi un poco in ordine, 349 dovendosi presentare come nuovo ufficiale a tutto il personale di bordo. Mauro era stato sistemato nella cabina condivisa dal nostromo Kirkis. Al mattino del terzo giorno di navigazione, fu svegliato da un’imprecisata voce un po’ preoccupata. In quel dormiveglia dove si era adagiato il giovane ferito, cullato dal rollio della nave in movimento. Mauro faticò ha distinguere quella voce insistente, che dava una certa celerità alla cosa. Da impensierire alquanto Mauro, in cosa consisteva quel trambusto, essendo ancora sotto l’effetto dei farmaci che lo stavano stabilizzando abbastanza bene. Oltretutto pensava, che aveva poi beneficiato molto della trasfusione di sangue donato dall’amato Akhilleos. Nel ripensare a quel gesto d’amore l’aveva tremendamente inorgoglito tanto. < Monsieur Ross, si svegli! Presto? > insisté la voce. Mauro aprì gli occhi a stento, non capendo bene cosa stava succedendo e con chi stavano parlavano. Poi, si ricordò che Ross era lui e infine aprendo gli occhi vide accanto a sé l’aiutante del dottore, lo studente in medicina; era nientemeno che il giovane Ahmed Thibnn che lo sovrastava in piedi accanto alla sua brandina, sollecitandolo a svegliarsi: < Il capitano mi manda e dire che dovete star qui in silenzio e far finta di dormire. Mi ha capito monsieur Ross? > espose serio il giovane. A quel punto Mauro che effettivamente non aveva capito un’acca, domandò più che mai confuso: < Ma scusami amico! Cosa stavo facendo finora. Prima che tu mi svegliavi? Giusto! > < Sì, Maurices. Hai ragione, dormivi. Ma dato che si sta’ avvicinando 350 una nave della Guardia Costiera e hanno chiesto via radio di fermarci. Perciò il comandante teme che venendo a bordo per controllare tutto, oltre al personale di bordo. Capisci? Pertanto il marinaio Maurices Ross deve rimanere nella sua cabina. Fingendo di dormire per evitare che si interroghi e si scopra che è ferito e il tutto non è segnato sul libro di bordo, come dovrebbe succedere. Hai capito adesso? > < Certo, Ahmed, è così che ti chiami, vero? > < Sì, monsieaur Ross. Mi chiamo Ahmed. Sono nato in Giordania e sono qui per imparare a navigare, oltre la medicina e... > Mauro alzò la mano e lo fermò dicendogli: < Ti prego, mi sono appena svegliato. Lasciami riprendere fiato e poi discorreremo meglio. Poi innanzi tutto, dimmi un po’, tu? Un marinaio che ha appena finito il suo turno di guardia non può essere svegliato con un: “Signore”, ma è più giusto darci del tu, tra colleghi di lavoro, non ti pare Ahmed? > < Per me va benissimo. Non vorrei che il comandante non approvi queste amicizie con un avvocato come sei tu Ross. Questo è ciò che sappiamo di te qui a bordo. > < Macché, tutte storie! Be’, se proprio vuoi essere più tranquillo, lo potremo fare quando saremo soli. E in pubblici faremo le persone serie. Ti va l’idea amico? > < Certo, certo! Ma ora è meglio che tu obbedisca. Come ha ordinato il comandante. Dice che è per il tuo bene. Ouì Maurices! Ma ora, se permetti? Io penso e immagino, che se qualcuno viene a bordo e sul diario c’è scritto che hai appena terminato il suo turno notturno di lavoro, non ci sono problemi, ma se ti vedono conciato a questo modo, cosa possono pensare? Perciò bisogna inventare qualcosa per distrarre l’eventuale controllo se ci fosse. Mi sono spiegato amico? > < Be’, cosa hai pensato di poter escogitare, Ahmed? > gli chiese a quel punto Mauro incuriosito. < Ma è semplicissimo lasca fare ad un povero beduino e vedrai se non ho ragione. > mentre apriva dei cassetti dall’armadio a parete e prendeva una maglietta blu di Akhilleos, con stampigliato sulla schiena della maglietta il nome della nave “Zeus”, e mostrandola a Mauro nel spiegare: < Dai cerca di alzarti un poco e io ti toglierò da dosso quella giacca da pigiama e indosserai invece questa maglietta del personale di bordo, vedi, eguale alla mia… Ecco fatto. Ora si che assomigli ad un vero marinaio e non si nota la leggera fasciatura alla tua spalla. > < Be’, sì! Fin qui va tutto bene. Ma per la gamba ferita come farò per 351 nasconderla? Certo starò sotto le coperte, ma se mi svegliano e vogliono interrogarmi, dovrò scendere da qui e vedranno subito che zoppico? > espose Mauro un po’ preoccupato a non dare altri fastidi a bordo, oltre a quello che stava già recando con quella sua immobilità provocata dalla ferita alla gamba. Mentre Ahmed furbescamente diceva all’amico: < Be’, come avvocato ti facevo più furbo. Ascoltami. Tu non farai semplicemente nulla. Anzi, adesso alza il culo un poco e io ti toglierò le mutande... Stai buono e ascolta un amico... Acciderba che bell’affare amico! > provò a dire Ahmed, sorridendo riferendosi all'attributo di Mauro uscito allo scoperto nel rimanere senza mutande. Mentre l’altro nella finta indifferenza alle parole del giovane, tentava di protestare ma, senza riuscire a cambiare l’idea del giordano che esponeva la sua tesi: < Quando saliranno a bordo e visiteranno tutta la nave e se per caso vogliono vedere proprio tutto? Allora tu, farai finta di dormire e quando qualcuno verrà qua dentro a vedere, tu ti farai trovare che dormi beatamente. Capito? > < Ma capito cosa, che devo dormire? > sbottò Mauro. < Insomma! Tu fai finta di dormire, però con una parte del tuo bel culetto rimarrà fuori dal lenzuolo, che ti coprirà soltanto la gamba ferita e l’altra sarà esposta alla vista del controllo assieme al tuo culetto un po’ provocante. E vedrai che a quel punto nessuno ti sveglierà. Stai tranquillo, quest’idea è a prova di bomba. Basta saper mettere il dessert sul piatto giusto e al momento giusto, se piace lo si prende e si assaggia, altrimenti lo si lascia in parte. Al massimo lo si guarda con interesse e basta, mi sono spiegato Maurices? > espose con un formidabile sorriso di soddisfazione. < Sì, certamente. Fin troppo chiaro. Si vede e non si vede e certamente non sveglieranno uno ch’è stanco e riposa e per puro caso con 352 il culo all’aria nella propria cabina. Giusto? Sei un genio Ahmed! Staremo a vedere se funzionerà. Comunque speriamo che non vengano qui? > < Vedrai, fidati di me! Poi effettivamente ora che ti guardo bene hai veramente un bel culo marinaio. > sbottò ridendo. < Ma guarda che è permesso solo sbirciare, non pensare che... > < Non ti preoccupare, ognuno ha il suo da guardare e... be’, lasciamo perdere. Ora c’è altro da fare. > si premurò di dire il giovane Ahmed. < No ti prego, prosegui. Vai avanti e non lasciare le cose a metà. > < Senti Mourices, che rimanga il tutto tra noi. > mentre l’altro approvava con un gesto del capo. < Forse mi posso sbagliare e se sbaglio ti chiedo scusa fin da adesso. Ma mi è parso che il Nostromo Kirkis è troppo preso nei tuoi riguardi. O effettivamente è innamorato di te? Dal modo che si prende cura e ti guarda in modo un po' particolare... sbaglio? > < Se ti dicessi di sì, tu ci credi? > provò a dire Mauro serio. < Allora, siete amanti? Anche tu lo ami, vero? > < Sì, Ahmed! Siamo amanti. Ma ti prego e dammi la tua parola che non divulgherai questo nostro amore. Io, gli ho già procurato un sacco di guai e per amore lui a già sfidato tutti. Avrebbe perso anche questo posto, se io non l’avessi seguito. Solo che ferito in questo modo sono solo d’impaccio e mi dispiace procurare tutto questo casino a tutti voi. Tu mi comprendi amico, vero? > < Come no! Sono veramente felice per voi. Poi non devi preoccuparti, perché anche io mi sono innamorato del dottore Dromos e sono ricambiato con amore. Ma certamente il tutto è racchiuso nella nostra cabina e nulla è trapelato fuori fino adesso. Perciò come vedi siamo un paio di coppie da sposare se fosse possibile. Ma ahimè, a questo mondo non è ancora permesso mostrarsi in pubblico mano nella mano, noi siamo dalla parte sbagliata per taluni. Be’, purtroppo adesso devo andare. Ah, come sono contento per voi. Ti saluto amico! > < Ciao, a presto! Ma non in infermeria s’intende. > rispose Mauro. E fu veramente utile quella sceneggiata, perché all’arrivo della Guardia Costiera, la marina militare greca aveva chiesti il permesso di salire a bordo, che fu accordato dal comandante. Appena salito a bordo l’ufficiale presentò le sue credenziali al comandante, spiegando la ragione di quella visita predisposta dalla Capitaneria di Porto del dipartimento delle isole Cicladi, a verificare tutte le navi che incrociavano al largo dell’isola di Santorino. 353 < Ci dispiace importunarla comandante. Ma ci è stato imposto di controllare ogni nave che incrociamo. Dato gli intensi traffici di contrabbandieri e pertanto dovremo perquisire anche la sua nave come da prassi. Spero che lei lo permetta. Signore? > espresse seriamente l’ufficiale al comando. < Non ci sono problemi qui a bordo tenente. Nostromo, vuole accompagnare la Nostra marina a verificare di persona ogni cosa... > < Si, Signore! > rispose prontamente Akhilleos all’ordine di accompagnare l’ufficiale a controllare una parte della nave, mentre altri due marinai della capitaneria greca, venivano accompagnati da un marinaio dello “Zeus” per controllare le stive e la sala motori di riserva. E quando Akhilleos aprì ignaro la propria cabina, nominando il marinaio che corrispondeva l’assegnazione di quella cabina condivisa con il nostromo, si trovarono entrambi in difficoltà nell’entrare. Fu una sorpresa per entrambi nel trovarsi davanti un bel sedere nudo, esposto con grazia e magari con un po’ di malizia, da lasciare l’ufficiale un po’ perplesso e sconcertato alla presenza di quel culetto abbronzato. Nonché dall’atteggiamento del proprietario ch’era così rilassato a dormire ma abbastanza provocante. A quel punto Akhilleos s’intromise subito scusandosi con l’ufficiale greco: < Scusi tenente, ma il marinaio Ross a da poco smontato il suo servizio di guardia, come a potuto notare sul libro di bordo e pertanto lui... comprende, è sempre un po’ libertino nel dormire. Vuole che lo svegli? > mentre tentava di avvicinarsi, ma subito la mano dell’ufficiale lo fermava dicendo sottovoce: < No, la prego nostromo lo lasci pure che dorma, ne ha diritto. Beata la gioventù! > mormorò piano, mentre con più interesse il tenente lo scrutava in ogni parte, traendo dei piccoli sospiri confusi e dimenticando per un momento la sua missione. Quel sedere l’aveva per un momento turbato. E a quel punto Mauro russando leggermente si era girato dalla loro parte tenendo sempre attorcigliato il lenzuolo attorno alla gamba ferita, ma portando a mostrare qualcos’altro. Akhilleos a quel punto gli scappò quasi da ridere per la sfacciata sorpresa. Mentre l’ufficiale si sentiva imbarazzato e confuso nei suoi movimenti di controllo, aprendo armadietti e cassetti cosi senza vederci nulla, talmente era preso a sbirciare quella preda a riposo. Mentre Mauro tentava a sua volta di sbirciare attraverso le palpebre socchiuse e vedere l’agitazione più che comprensibile del giovane ufficiale greco e lo doveva ammettere che era veramente affascinante nella sua divisa bianca. Mentre la voce soffusa dell’ufficiale con dovuta cortesia chiedeva al 354 nostromo: < Posso? Non le spiace se apro... > aprendo e chiudendo in contemporanea e ogni suo movimento vi era un’assoluta confusione. Poi l’ufficiale si fece più coraggio e si avvicinò alla brandina di Mauro e si allungò sopra per poter controllare meglio sul ripiano a lato del letto e per un attimo si soffermò più del dovuto, a inalare e rimirare quel corpo supino che russava impercettibilmente e che mostrava il suo attributo non troppo a riposo, messo così ben in vista da confondere più che mai le idee. Mentre Akhilleos fingeva di non vedere guardando fuori dalla cabina; oltretutto gli veniva proprio da ridere e al tempo stesso poter lasciare l’ufficiale che si sazi per un momento la vista. Ormai era plausibile quella sua recondita voglia. Poi alla fine l’ufficiale si spostò e raccolse furtivamente lo slippino del giovane finito in un angolo del letto, per controllare cosa fosse mai, mentre lo guardava velocemente nell’indifferenza, per rimetterlo poi al suo posto con un gesto smarrito. Poi vistosi eccitato si girò e commentò la sua visita al nostromo fermo sulla porta: < Bene, nostromo possiamo andare qui è tutto a posto. > mentre l’ufficiale si avviava all’uscita, Akhilleos era entrato e con destrezza raccoglieva lo slippino di Mauro, mettendolo velocemente nella tasca dei calzoni, poi uscì a sua volta richiudendo la porta, per poi seguire l’ufficiale che l’attendeva. Mentre dentro di sé Akhilleos sorrideva, pensando che tutti più o meno avevano le proprie turbative di aspirazioni nascoste. Poi dopo altre perlustrazioni dall’esito negativo, si recarono dal capitano nella sua cabina a bere un sorso di Uzo offerto dal comandante, che commentava la sua fiducia nella marina militare. Al termine del dialogo amichevole e aver salutato il capitano Stavoskopulis, l’ufficiale greco seguì il nostromo e prima di salire in coperta Akhilleos si affiancò all’ufficiale dicendogli sottovoce: < Tenente, un piccolo souvenir da parte dell’equipaggio dello “Zeus”. > e gli mostro nel pugno stretto della mano lo slippino bianco e velocemente prima che l’altro potesse dire qualcosa, glielo metteva deciso nella tasca dei calzoni attillat dell’ufficiale. Mentre l’ufficiale greco arrossiva confuso e dopo quel primo impatto di smarrimento, rispondeva al sorriso di Akhilleos, dicendo a sua volta con serietà: < Grazie nostromo. Sarà più che gradito il suo gesto. La invidio veramente tanto. A scelto bene la sua calda preda per le notti umide. Complimenti e arrivederci! > mentre gli porgeva la mano in una stretta forte e decisa da entrambi a dimostrare una sincera simpatia reciproca. 355 Capitolo Cinquantunesimo Quando più tardi Akhilleos ritornò nella propria cabina, trovò Mauro addormentato e restò un bel po’ ad osservare l’amico che dormiva fra quelle coltri bianche attorcigliate dove quel provocante sedere era rimasto ancora in esposizione. Mentre il nostromo pensava se veramente era giunto il momento tanto atteso per riposare serenamente in santa pace. Perché, quel benedetto uomo ch’era lì e dormiva, aveva già fin troppo sofferto le ingiustizie del mondo e pertanto era proprio ora che fosse lasciato in pace. Non avrebbe più in avvenire dovuto fuggire e uccidere per sopravvivere. D’ora in avanti avrebbe vegliato lui sulla sua vita. Poi Akhilleos aprì la porta e se ne stava andando via, quando l’amico si destò e lo chiamò, fermando l’altro con la mano sulla maniglia: < Akhilleos, pensi veramente che abbiamo finito di fuggire via? Io sono stufo di continuare a nascondermi, vorrei tanto godere un po’ in santa pace l’amore che ho per te. Pensi che sarà possibile? > < Certamente Amore! Certamente, è già iniziato il nostro tempo. Non vedi, sono qui e ti sto dicendo che ti amo immensamente! > mentre rientrava e si abbassava sopra di lui baciandolo con seduzione, da strappare brividi di gioia per entrambi. Ma subito Mauro riprese a dire preoccupato: < Io sono veramente stanco di scappare, credimi amore... > < Sì, lo so. Io penso che è tutto finito ormai, e il passato è alle nostre spalle. Spero solamente che ti adatterai e ti piacerà essere un buon marinaio, girare il mondo al mio fianco. Poi alla fin fine, sei un’altra persona, sei un marinaio greco su di una bella goletta in crociera, che te ne pare amico mio? Anzi Amore mio.> < Per me va tutto bene, pur di essere al tuo fianco e spero solamente di non farci scoprire dagli altri marinai, sarebbe un vero peccato se scoprissero che siamo due amanti felici. > < Non ci sono problemi di sorta. Il comandante è informato della nostra unione e non a fatto una grinza. Io mi sono prevenuto ad informarlo subito appena siamo saliti a bordo la prima volta... Se mi voleva a bordo doveva ospitare anche te, il mio amante. Chiaro! > < Tu hai avuto il coraggio di diglielo... accidenti! Allora mi ami veramente tanto, per aver contrastato e con il pericolo di perdere e rinunciare a questo lavoro che tu desideravi tanto. Hai rischiato molto 356 forte! E l’hai fatto soltanto per me. > < Certo che ho rischiato, ma sapevo di vincere. Il capitano è un uomo di senno e ha compreso la mia lealtà e sincerità nell’esporre i nostri fatti. E perciò ha tratto le sue conclusioni, accettando. Poi in fondo non c’è nulla di male se dormiamo assieme e facciamo l’amore nella nostra cabina. Mai mescolare il piacere con il dovere è un vecchio detto, ma sempre buono da tenere presente, marinaio... > < Accidenti! Ancora non riesco a capacitarmi. Ma senti un po’, allora perché mi hai fregato le mie mutande di nascosto oggi? Immagino e senz’altro per donarle al bell’ufficiale della Guardia Costiera, più che mai arrapato, vero? > insinuò Mauro più che convinto. < Già, proprio così! Perché volevo in qualche modo che fosse felice anche lui del nostro amore. Ho capito che era una piccola tangente che dovevo versare per averti solo per me. Ed essere felici di amarci senza più recondite paure. Scordando il passato e pensando solo al nostro futuro. Penso di non pretendere molto? > espose Akhilleos serio. < Ti amo veramente tanto o mio prode guerriero, nonché nostromo Akhilleos Kirkis! > < Anch’io ti amo tanto, troppo, marinaio Maurices Ross. Si tanto! > Era notte fonda quando Akhilleos entrò nella propria cabina, dopo che aveva finito il suo giro di perlustrazione della nave ed era soddisfatto, tutto era in ordine. Ormai erano giorni che navigavano tranquillamente nel mare Mediterraneo con tutte le vele aperte, il vento era un po’ scarso in quei giorni. Akhilleos si era soffermato un po’ di tempo nella cabina del capitano, discorrendo amichevolmente sui vari problemi annerenti al viaggio intrapreso e oltretutto sulle ultime notizie diramate dalla radio e la televisione di bordo. Parlavano sui fatti orripilanti accaduto giorni addietro sull’isola di Creta. Ma fino a quel momento non vi era nessuna notizia che poteva dar da pensare ad un coinvolgimento del nostromo e del marinaio Ross. La televisione forniva ampio dettaglio sui fatti, spiegando l’accaduto diramato dalla polizia dell’isola. Una disputa tra bande rivali, giunte dall’estero a prendere possesso dei punti strategici per lo smistamento della droga e altro. E alla fine in quei giorni di indagini vi fu una vasta retata della polizia con l’arresto di complici mafiosi locali e altri bloccati nella fuga, già segnalati dall’Interpol. Akhilleos si sentiva un po’ stanco ma soddisfatto del suo operato e quella notte vi fu qualcosa di diverso, dopo tutti quei giorni d’inferno appena 357 trascorsi in apprensione, ora che la calma sembrava presente. Perciò, appena si era denudato, e si avvicinò al lettino di Mauro che dormiva profondamente, s’abbassò a sfiorargli la bocca con un candido bacio, ma fu aggredito dal rianimarsi del compagno, che l’avvolse tra le sue braccia e senza immaginarselo si trovarono uniti in un amplesso d’amore incolmabile e sfrenato. I baci e le carezze non si contavano più da tanta felicità e amore e tutto si svolse nell’assoluta certezza che l’indomani sarebbe stato più bello e migliore. Come l’amore che li avvolgeva tenacemente in quella notte d’oblio Tutto quello che stava accadendo era sublime e inimmaginabile un momento prima. Capendo più che bene Akhilleos che si era innamorato follemente del suo amante da arrivare a far cose impensabili, ma erano soltanto azioni spinte dal cuore e tutto procedeva nella tranquillità di quella loro accogliente alcova. Poi, alla fine stremati e stanchi, ma pienamente soddisfatti si guardarono in viso per contemplarsi a vicenda, bisbigliando: < Ti amo tanto, immensamente! > provò a dire Mauro, mentre Akhilleos lo azzittiva con un tenero bacio sulle labbra, rispondendo appena dopo: < Anch’io, tanto! > mentre premeva nuovamente la sua bocca su quella calde e invitante del compagno. Erano piccoli dialoghi, interrotti solamente dai leggeri baci che si concedevano ancora e ancora. .Alla fine si lasciarono avvolgere dal sonno stretti tra le loro forti braccia, infinitamente felici. 358 Epilogo Sei mesi dopo, il primo giorno dell’anno, nella plaza de la Catedral a Ibiza, due marinai greci erano lì fermi e aspettavano, mentre alle loro spalle dal campanile dalla cattedrale, le campane stavano rintoccando le ore dodici. L’accordo stipulato verbalmente mesi prima da Mauro e Akhilleos con i compagni spariti via con le gemelle svedesi, era quello di ritrovarsi, ma purtroppo non si vedevano ancora. Loro erano lì, nella piazza che aspettavano ansiosi quegli amici, ma fino a quel momento niente. Ormai era da più di mezz’ora ch’erano lì seduti sui gradini della scalinata in attesa dell’arrivo dei superstiti al massacro, con la speranza nel cuore d’incontrarsi ancora una volta tutti assieme, quello era stato il loro accordo. L’attesa era snervante, mentre Mauro e Akhilleos si guardavano continuamente attorno per scovare tra la folla il viso di quei cari compagni di sventura e ora forse d’avventura. Mentre le ore scorrevano via velocemente e dal campanile rintoccavano ormai le tredici e trenta pomeridiane. Infine, dopo un prolungato sospiro di rassegnazione, Mauro provò a dire con fare mesto, all’amico seduto al suo fianco che si stava godendo il panorama dalla baia e osservava il loro vascello ancorato al largo. < Sai, Akhilleos, speravo proprio che sarebbero arrivati. Almeno per salutarci ancora una volta. Pazienza. Spero solamente che non abbiano mai avuto rogne e possano essere felici ovunque essi siano... > biascicò mal rassegnato Mauro. < Amore, non tutti sono come noi, che amiamo e rispettiamo il prossimo. Magari ‘sto esagerando! Magari loro, hanno già messo su famiglia e con dei pargoletti... perciò è sempre difficile potersi muovere liberamente. Ti sembra? > < Già! Ma è impossibile, non sono trascorsi ancora nove mesi. Spero solamente che siano felici. E se il loro destino e tra le braccia di quelle due sventolone svedesi, nonché gemelle, ben per loro... > mentre si alzava e urlava al vento. < Auguri a tutti! > e poi più piano rivolto al compagno, mentre la gente attorno lo ringraziavano sorridendo per quel gesto gentile di primo dell’anno. < A te amico mio ancora una volta, Buon Anno! > < Buon Anno anche a te... e per sempre uniti. Come questi mesi 359 passati assieme con infinito amore per entrambi. > < Alla nostra felicità Nostromo. > < Solo nostra amore mio! Be’, sarà meglio avviarsi a bordo, ci aspetta un succulento pasto di primo dell’anno. E Ahmed si è impegnato ad aiutare il cuoco. Staremo a vedere cosa hanno combinato. Purtroppo il comandante è invitato qui sull’isola a pranzo dal nostro console. Sai sono dei buoni amici e senz’altro rimarrà fino a tardi. > < Be’, posso svelarti un segreto. Ma che rimanga qui tra noi, ti prego? Non dovrei dirlo a nessuno. E dato il nostro bel rapporto senza nessun segreto da nascondere, penso... > mentre Akhilleos l’incitava a sbottonarsi e continuare. < Be’ e allora? Dai parla, racconta quello che non so, ho dovrei sapere come nostromo? Penso che ti riferisci a qualcosa che riguardi il nostro vascello, vero? > < Forse era meglio che non accennavo a niente. Insomma, volevo dire prima rammentando il nostro bel rapporto d’amore e convivenza, che ci sono altri che aspirano e hanno le nostre stesse idee e opinioni. Due persone innamorate come noi a bordo. > < Ma tu intendi parlare di Nikos e Ahmed? Ma lo sanno tutti a bordo del loro felice rapporto, come pure del nostro. Ma il bello di quell’equipaggio, che ognuno pensa hai propri cavoli. La sopra. > indicando il veliero con la mano Akhilleos, continuava a spiegare al compagno costernato di quelle rivelazioni esposte così tranquillamente senza dar troppo peso. < Dicevo prima, che la sopra c’è una buona parte di uomini che piace andare con donne e appena si sbarca da qualche parte si danno da fare. Ma non hanno nessuna intenzione di mettere su famiglia e durante il viaggio si masturba di tanto in tanto aspettando il prossimo sbarco. E invece altri come noi, e il dottore e l’aiutante, preferiamo amarci tra noi. E il capitano che ha avuto una vita abbastanza avventurosa in gioventù sa capire e tollerare ogni esigenza del proprio personale, purché tutti seriamente si rispettano reciprocamente. > < Già, capisco molte cose ora, e devo dire che a bordo ho sempre incontrato la massima solidarietà e comprensione da chiunque. Anzi si prestano fraternamente a insegnarmi, persino a fare un semplice nodo, se sbagliavo, senza prendermi in giro se non ci riuscivo al primo approccio. Questo lo notato più che bene. > espose Mauro sorpreso. < Vedi Mauro, quando tu fai partecipe dei tuoi problemi i compagni di lavoro, la solidarietà diventa unanime. E questo è quello che capita sulla nostra nave, siamo una grande e allargata famiglia. > 360 < Okay, ho capito! In verità devo dire che mi era già parso di trovarmi in una grande famiglia... > poi mentre si guardava l’orologio al polso, constatò il mancato incontro: < Visto che Andrea e Stefano non sono venuti all’appuntamento e meglio rientrare a bordo. > < Peccato! Speriamo che se la passino bene quei due? > Poi mentre si avviavano giù per il grande scalone e svoltato l’angolo dietro un vecchio muraglione di fortificazione, Akhilleo afferrò decisamente Mauro e se lo porto contro il proprio petto baciandolo con trasporto. < Dio quanto ti amo! > sussurrò sulla sua bocca. < Non puoi immaginare quanto anche io ti amo... amore! > fine 361 Stampato con Canon PIXMA ip6000D Stampato disegni Canon PIXMA ip4850 Pierantonio Marone Muggia Ts 34015 tel: 040274356 - 3683090752 http://erosmenkhotep.altervista.org/ Fatti, luoghi e personaggi, sono puramente casuali la lettura del Romanzo Omosex è consigliata ad un pubblico adulto e maggiorenne 362