Pierantonio Marone
L'identità perduta
Romanzo
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Romanzo
“L’IDENTITA’ PERDUTA”
Nella trascrizione del romanzo, l’autore si è impegnato ha voler esporre re i lati deboli e nascosti
dei vari personaggi. Nelle loro anime confuse, dove i sentimenti ancestrali si confondono a ritroso.
Coinvolti inaspettatamente in una scabrosa vicenda. Nel trovarsi inseriti in una spirale malavitosa.
Dove la morte è sempre in agguato e la sopravvivenza è difficile. Tutto e appeso ad un logoro e
sottile filo, che si può rompere da un momento all’altro.
Il giovane Mauro Rossi, è alla ricerca della sua vera identità. Perduta nel giallo che compone
l'ingarbugliato mosaico della vicenda. Capitatagli addosso, a suo parere senza motivo. A trascorso
quei momenti drammatici, attimo per attimo col fiato sospeso. Lottando più che aspramente per
tentare di salvarsi la vita. In una frenetica ricerca di una via d’uscita, per sé e i suoi compagni di
sventura. Intrappolati loro malgrado in quella diabolica congiura. Ma altrettanto desiderosi di vivere
ancora un poco. Portandoli impensatamente a sfogarsi nell’erotismo più sfrenato nell’attesa della
morte che li attende spietata dietro l’angolo di casa.
I fatti e personaggi, oltre ai luoghi descritti nel romanzo, sono puramente casuali.
Muggia 1999
La letture di questo romanzo etero omosex è consigliato
ad un pubblico maggiorenne
L'autore del romanzo si scusa per il linguaggio talvolta un po' scurrile.
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Personaggi:
Mauro Rossi
studente
nato 6\9\71 Padova
Andrea Prandi
rilegatore nato 6\6\74 Cosenza
Stefano Nardelli
poliziotto nato 16\5\72 Catanzaro
Concetta Prospero
affittacamere di Arcavacata
Serena Rottai
ex ragazza e amica del Prandi
Pietro Rottai
avvocato di Cosenza
Elena Curry Rottai
titolare di una tipografia a Cosenza
Carmine Loderzo
spacciatore e tossicomane
Sandro Narduzzi
tenente di polizia
Adriano Rizzi
Commissario di polizia
Giancarlo Gorelli
Capo Questore di Cosenza
Francesco Rossi
Magistrato della Corte Suprema a Roma
Franco Rossi
fratellastro di Mauro
Enrica Cotta Rossi
madre di Mauro
Alberto Calindri
Procuratore di Cosenza
Mario Lodetti
Giudice di Cosenza
Dario Guzzelli
Magistrato del CSM di Roma
Carla Guarini
futura sposa
Giovanni Guarini
Ministro Beni Culturali
Belletti - Tardito
appuntati di polizia
Antonino Trani
macellaio di Reggio Calabria
Sandrino Trani
figlio legittimo
Carmela Turi Trani
moglie del macellaio
Rosalba Prandretti
maitres di Messina
Francesco Baro
boss di Catania
Carmine Buretta
Mister Boston padrino e boss di Palermo
Carmine Rocco - Turiddu Rosi
killer siciliani
Luigi Baro - Giacomo Folpi - Carmelo Sunito
killer malavitosi napoletani
Giovanni Doi - Alvaro Monetti
killer malavitosi calabresi
Anselmo Mitani - Gaetano Cossi
orafi palermitani
Krossu
Tenente della motonave greca Elpida “Speranza”
Ados
Capitano dei traghetto “Calipso”
Akhilleos Kirkis
contrabbandiere e nostromo del “Zeus”
Elena
ragazza greca bramosa di successo
Elka - Frida
gemelle svedesi ragazze molto gioviali
Spiros
scultore, geniale artista e falsario di Ziros
Alexanders Stavoskopulis
Capitano e proprietario del “Zeus”, goletta
Nikos Dromos
dottor di bordo del “Zeus”
Ahmed Thibnm
studente e marinaio dello “Zeus”
Maurices Ros
marinaio studente in giurisprudenza dello “Zeus”
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identità perduta
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Prologo
Nell’aria aleggiava un caldo opprimente. Era impossibile trovare un
angolo fresco e ventilato per trascorrere poche ore in santa pace.
Era ciò che stava pensando il giovane, disteso sul sedile reclinato della
propria auto. Stava borbottando tra sé incavolato per quella improvvisata
sistemazione. La poltrona dell’auto ad uso sportivo, era abbastanza dura
per la sua forma anatomica, e alquanto scomoda per poter riposare almeno
un poco. In aggiunta, l’afa diventava sempre più soffocante e irrespirabile.
Il sudore gli colava ormai copiosamente da ogni parte del suo corpo;
rendendolo sempre più nervoso e irascibile. Nel disperato tentativo di
dormire e dimenticare tutto. Sì, proprio tutto. Tutto di ciò che gli era
capitato addosso in quei giorni, divenuti per lui neri e sfigati. Pertanto,
senza pensarci due volte, decise di mettersi in viaggio. Per non dire
esattamente una insensata fuga. E impensatamente si era fermato proprio
lì, in quell’area di servizio sull’autostrada A3 al Sud d’Italia. Perché in
fondo a tutto era troppo stanco e incavolato per proseguire ancora e
dileguarsi in quella sua folle corsa, verso la presumibile libertà
immaginaria. Pertanto, in quel dormiveglia fatto soltanto d'irritazione e
contraddizioni, cercava almeno in parte di riordinare i fatti succedutogli.
A un certo punto il giovane gli sembrò che aumentasse quella nausea che
aveva addosso, provocata dal forte odore dei fiori di tiglio. Era abbastanza
penetrante quel effluvio emanato dalle piante lì attorno. Poi inglobata a
quella atmosfera torrida e tesa, da aumentare quel suo nervosismo e
affanno, da trovarsi pronto per vomitare fuori anche l’anima. Ma ahimè, il
suo stomaco era vuoto, per non ave avuto il tempo e la voglia di metterci
dentro qualcosa. Capendo che non era l’ideale come posto per rilassarsi e
dormire. Mentre sbuffava e imprecava tra i denti scontento più che mai di
tutto e del posto. D’altronde a quel punto gli seccava dover proseguire e
cercare un altro luogo più decente e più fresco per riposare. Aveva persino
pensato di uscire dall’autostrada e trovarsi qualche motel con un comodo
letto, ma quell’idea l’aveva già scartata prima di pensarla. In fondo a tutto
non sapeva nemmeno lui cosa veramente intendeva fare in quell’assurdo e
scombinato viaggio, intrapreso così d’impeto. Per non dire spinto da una
forte e pressante arrabbiatura antecedente. Alla fine, cercò di superare
quella avversità e repulsione, riprendendo a ripercorrere mentalmente i
suoi vacui progetti per l’avvenire. Quella spudorata fuga, per risolvere i
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suoi problemi famigliari, in fondo a tutto non gli sembrava una cosa ben
congegnata. Anzi, era più precisamente una vigliaccheria belle e buona.
Forse, per paura di affrontare la vera realtà che gli si prospettava davanti a
tutto. L’aveva obbligato a riprendere in mano quella sua vecchia idea di
evadere e fuggire. Quel dubbio rimasto in sé, contrastava e si opponeva in
parte, nell’aver forse commesso una grossa sciocchezza. Ma alla fine, detto
e fatto, aveva preso la sua decisione d'andarsene da casa per sempre.
Sapendo per certo che non avrebbe mai più fatto ritorno sui suoi passi, era
più che mai deciso nel buttare il passato oltre le spalle. D’altronde, lo
sapeva più che bene, ch’era sempre stato un po’ la pecora nera della
famiglia Rossi. Pertanto, avrebbe evitato in avvenire di dare altre rogne e
seccature. Oltre alle grame figure ai famigliari, speranzosi di un suo
rinsavimento. Lui era sempre stato un po’ deriso e accantonato da tutti,
nessun escluso. Messo in minoranza a proporre e pretendere qualcosa. Alla
peggio, avrebbe dovuto accettare qualsiasi decisione che gli veniva
imposta dai suoi famigliari. Se voleva avere un minimo di sostegno
finanziario al momento. Altrimenti sparire per sempre senza rimpianto.
Perciò, visto dopotutto che non poteva contrastare con l’autorità di un
padre padrone, nonché giudice di alto prestigio, aveva deciso d'andarsene
via. Piuttosto che accettare intrallazzi machiavellici, in un fidanzamento
prima e un matrimonio senza amore dopo. Basato soltanto su ipocriti
interessi altrui. Alla fin fine, era soltanto a beneficio delle varie famiglie
interessate. Per giunta lui, era già reo di vari scandali rosa, in un
comportamento disdicevole al suo rango e a discapito del buon nome della
famiglia Rossi. Mettendoli al centro dei pettegolezzi mondani dell’alta
società romana. E da quel lato erano più che veritiera la sua colpa, era un
po’ avvezzo ai piaceri libertini, dopo aver raggiunto i diciotto anni. E ora a
ventiquattro anni, non si sentiva ancora pronto per certi passi che gli
avrebbero condizionato la vita e precludere ogni libertà per il futuro.
Certamente, avrebbe in seguito potuto sdoppiare la sua vita con diversivi
ineccepibili. Magari usando il danaro cospicuo dei futuri suoceri per
placare i suoi bollenti istinti di ribellione, se ancora ne rimaneva traccia.
Ma lui, non se la sentiva d'escogitare meschine messinscene, per fare buon
viso alla cattiva o buona sorte. Lui voleva la sua libertà e in assoluto la
sincerità su ogni trattativa. Per lui, oltretutto, era sempre stato del parere di
trovare lui la persona giusta per amare e sposare, la donna designata dal
destino. Ma per il momento, nel suo subconscio v’era un secco, no! A
quella proposta che diveniva quasi un obbligò. Pertanto preferiva
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pronunciare con orgoglio quel rifiuto, che accettare a testa bassa la rituale
sottomissione, del: “Sì papà! O era più giusto dire, si padrone!”
E in quella fuga così precipitosa, fatta per evitare discussioni e
ripensamenti, oltretutto capendo che stava per esplodere per l’incazzatura
che aveva in corpo. Aveva preso l’auto, ancora calda dal viaggio appena
giunto da Padova e inforcato la prima strada che gli era capitata a tiro,
senza saper bene quale meta prendere di preciso. Oltre nel voler far perdere
le proprie tracce. Cercando un luogo per poter meditare e calmare la sua
rabbia. D’altronde a quel punto, l’importante era allontanarsi il più lontano
possibile da Roma e dai suoi famigliari, che di famigliarità v'era ben poco.
Lui, essendo nato mezzo bastardo e per sbaglio, e non per volontà di Dio.
Pertanto si sentiva già in parte umiliato e abbandonato a sé stesso.
Scaturito fuori proprio per caso e quale fosse il suo vero padre non l’aveva
mai saputo. A quel punto non gliene importava più niente di appurare delle
verità sconvenienti per molti.
Da piccolo aveva imparato ad amare quel padre che gli aveva dato un
nome e un misero affetto. Ma lo redarguiva sovente e per nulla, mentre lui,
insisteva smisuratamente a cercare l'affetto che non trovava. Auspicava
sempre in un cambiamento in avvenire. Sperava anche nel bene e affetto di
una madre che viveva nell’indifferenza più totale. Rimproverandolo
continuamente di essere soltanto fastidioso e rompiscatole e non bravo e
ubbidiente come il fratellastro maggiore. Mai una volta avesse ricevuto un
bacio una carezza, all’infuori della balia. Certo non poteva dire che lo
maltrattavano, ma l’affetto che lui cercava da loro non l’aveva mai avuto a
profusione. E tutte quelle piccole o grandi controversie a suo danno,
l’avevano tremendamente fatto incavolare, da divenire per dispetto a tutti,
una piccola peste famigliare.
Poi la vera storia della sua esistenza, glie l’aveva svelata e sbattuta in
faccia il fratellastro maggiore di quattro anni. Figlio della prima moglie del
noto magistrato romano Giuseppe Rossi. E la causa fu, una disputa tra
ragazzini per l’uso di un’altalena nel giardino di casa. Suo fratellastro che a
quel tempo aveva undici anni e lui sette, gli aveva rinfacciato con
disprezzo e cattiveria la verità: < Tu, sei solo un bastardo! Tua madre, la
mia matrigna... In un soave ricevimento tra nobili e altolocati finanzieri.
Quand’era in vacanza sola, alle Bermuda. Si è fatta sbattere da qualcuno.
Qualche puttaniere... Ed è rimasta in cinta. A quel tempo era già sposata
con mio padre. Ma non si è accorta subito per abortire. Pertanto mio padre
s’è incazzato tanto con voi due. Avere tra i piedi un piccolo bastardo. >
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< Non è vero! > ricordando che aveva risposto deluso e mortificato
per quella verità ripugnante, mentre l’altro beffardo continuava a dire: < E’
la verità! L’ho sentito dire da mio padre, che urlava contro tua madre,
mentre discutevano in camera loro. Solo tre anni fa' l'aveva scoperto mio
padre. Da un documento che mostrava alla signora... E tua madre gli aveva
risposto ch’era stato soltanto uno sbaglio. Perché aveva bevuto un po’
troppo e si sentiva sola in quel momento... Poverina! Ma, ha promesso che
non sarebbe più successo e avrebbe lasciato tutto il suo patrimonio a papà.
Purché lui la perdoni e vi tenga qui in famiglia, per non farlo sapere in giro
che sei figlio di un altro. Capito? Perciò, tu non puoi pretendere nulla. Hai
capito! Piccolo bastardo? Io sono e sarò l’unico erede dei Rossi... >
Rammentandosi che gli aveva allungato con forza una sonora pedata nel
sedere, da buttarlo giù dall’altalena, facendogli altre sì male. Mentre
ripensava stranamente a quel fatto ormai lontano. Da sentirsi nuovamente
incavolato da quella antecedente rivelazione. Ricordando che a quel tempo
si era lasciato andare in lacrime. Mentre continuava a domandare al perfido
fratellastro, il perché quel padre li teneva in casa se non li sopportava? E
quel coglione rispose con un ghigno sadico: < Per il semplice fatto che il
danaro è di tua madre. Ma a papà gli serve quel danaro per certi affari.
Pertanto, lei ci tiene ad essere la signora Rossi... La nostra famiglia è
conosciuta e rispettata da tutti qui a Roma. E per andare d’accordo con mio
padre a imparato anche tua madre, a lasciare che papà diriga ogni cosa,
anche la tua vita... Capito? E sinceramente anche a tua madre, non è che gli
vai tanto a genio. Tu sei soltanto un rompiballe e la tua presenza e i tuoi
capricci fanno arrabbiare tanto papà. Ma presto ti metterà in un collegio
lontano da Roma. L’ho sentito dire proprio l’altro giorno. Pertanto devi
solo far silenzio e accontentarti di quello che mio padre deciderà per te.
Capito, piccolo bastardo? E se fiati con qualcuno di queste cose che ti ho
appena detto, ti ammazzo di botte. Bastardo! >
Ancora ora in quel momento di ripensamenti, a rivedere quei fatti, si
sentiva abbastanza umiliato. Oltretutto capiva che a quel tempo quella
verità gli suonava così sorda, ma al tempo stesso intuita, più che sentita
dentro al suo cuore. Effettivamente era già da molto tempo che dubitava di
quel restio amore da parte di sua madre nei suoi confronto, la trovava cosi
frivola e volubile, oltre ai drink che ingurgitava di nascosto. Ed ora capiva
ch’era stato travisato dal bere della madre. Ma testardo supponeva fosse
quello il vero motivo per quel mancato affetto. Effettivamente doveva
ammetterlo non vi era mai stato un briciolo di amore nel cuore di sua
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madre. Poi, alla fin fine, anche quel caro fratellastro gli faceva tanta rabbia,
ma al tempo stesso una pena. Era il preferito della casa, per non dire che
faceva veramente il leccapiedi, sia con la madre che con il padre. E per ciò,
lui per ripicca continuava a contrastare ogni cosa, mettendosi contro tutto e
tutti. E così a otto anni si trovo spedito in un distinto collegio a Padova per
essere rinsavito. Mentre ripensava, che in parte fu felice per quella
lontananza da casa. Dandogli l’opportunità di farsi degli amici, che a suo
avviso, certi, si rivelarono più sinceri e affettuosi.
Ma con il passare del tempo, si era stufato di sottomettersi e mendicare
quei tre soldi che gli passava il genitore. E forse era proprio per quello, che
quel poco danaro che riceveva lo sperperava con le signore del posto,
ch’era ben gradita la sua presenza e prestanza. E tutta quella ribellione, era
solamente una forma di ripicca e null’altro, scaturita nel suo subconscio. E
perciò, dopo aver appreso al suo rientro a Roma, di certe idee del padre di
sistemarlo secondo i canoni della famiglia Rossi, si ribellò decisamente.
Così alla fine lui, aveva optato per la sua libertà. Supponendo ch’era la via
migliore da prendere in quel momento, evitando ogni guerra e controversia
a suo discapito. E in fondo a tutto, era ormai stufo di contrastare su ogni
cosa, pertanto pensò con un certo sollievo, ch’era il modo migliore quel
che stava facendo. Sparire dalla circolazione.
E solo in quel momento si ricordò, che avrebbe dovuto tornare a Padova
per prendere le sue cose e forse proseguire gli studi alla Facoltà di Legge.
Ma certamente costretto a continuare ancora e assoggettarsi alle regole per
il bene e la tranquillità di tutti. Oltre per il collegio e i docenti, che veniva
considerato il suo comportamento abbastanza scandaloso e disdicevole.
Pertanto a quel punto, aveva ormai preso la sua decisione di tagliare tutti i
ponti, porgendosi una misera spiegazione a sua difesa: “Senza casa, senza
eredità e pochi soldi in tasca e senza una moglie che non amo. Oltretutto
uggiosamente petulante e senz’altro mi avrebbe in avvenire rinfacciato
continuamente il danaro di suo padre che si sarebbe portata in dote.
Pertanto e al momento voglio essere libero. E gli studi li proseguirò
senz’altro altrove, il mondo è così vasto. Visto poi, che i miei famigliari
preferiscono investirmi come una cambiale a lunga scadenza. Senza
badare alle mie più che plausibili idee e prospettive valide per il mio
futuro. Pertanto, a questo punto che vadano a farsi benedire tutti quanti.
Sono per tutti un gran bastardo e resterò tale... Ma chi se ne frega! Sarò
libero come il vento.” espose tra se annichilito.
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Restò un bel po’ a rimuginare il tutto, mentre avrebbe voluto dormire un
poco. Dopo la notte precedente passata in bianco, con mille pensieri e
miseri rimorsi sulla coscienza. Gli rodevano buona parte dell’anima sulla
sua decisione un po’ avventata. Sinceramente non era mai stato votato per
l’avventura. Pensando, che in fondo aveva sopportato per ventiquattro anni
la sua famiglia e poteva anche accettare quella rompiscatole di fidanzata
acquisitagli, ma era più forte di lui l’avversione.
Si girò varie volte sul sedile dell’auto ormai fradicio del suo sudore,
mentre poco lontano, il forte parlottare di un gruppo di viaggiatori aumentò
la sua irritazione. Tutto quel baccano proveniva da un gruppo di persone
poco distanti, dall’aspetto un po’ mal certo e indistinto. Destavano più di
qualche sospetto nell’ascoltare i frammezzati discorsi, così scurrili nel
ridere a squarciagola. Erano poco convincenti?
Poco prima nel recarsi all’autogrill, il giovane Rossi era passato accanto
a loro e aveva avuto la percezione di qualcosa di poco chiaro, mentre quelli
confabulavano tra loro sornionamente. Da impensierirlo ai quesiti che si
poneva tra sé, e al perché quei sospettosi tipi erano lì quella notte? Lui si
sentiva stranamente a disagio nel passagli accanto, da percepire una tale
riluttanza per quegli strani individui che discutevano animosamente alle tre
di notte. In quel turpiloquio così sboccato e volgare, gli dava veramente da
pensare strane cose: “Chissà perché mai, mi preoccupò tanto per loro?”
Mugugnò tra sé e sé pensieroso, ma alquanto scosso e agitato, sebbene
nessuno aveva fatto caso al suo passaggio nel viale alberato.
Poi il giovane cercò di non darci troppo peso e di dormire almeno un
poco, evitando di pensare oltre e ai suoi pensieri contrastanti tra loro, in
quella notte così lunga e afosa da far passare.
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Antefatto
Intanto, poco lontano i quattro uomini in questione, abbastanza ebbri
dall’alcol, bighellonavano accanto ad un’auto scura di grossa cilindrata.
Mentre si stavano scolando l’ennesima bottiglia di birra. Veniva condivisa
tra imprecavano e insulti senza mezzi termini a voce alta. Il tutto era
indirizzato contro un loro compare che attendevano impazienti il suo
arrivo. Almeno un suo segnale convenzionale attraverso il loro cellulare.
Varie volte erano stati tentati di richiamare il tizio, ma avevano ricevuto
l’ordine di evitare contatti, oltre a non recarsi all’autogrill lì accanto per
prudenza. Pertanto fino a quel momento non v'era stato nessuna chiamata e
la snervante attesa di sapere qualcosa di concreto diventava pressante.
Obbligandoli ad aspettare nell’incertezza, senza saper bene il da farsi e per
di più attendere proprio lì in quell'accaldata piazzola d'emergenza, ch’era
diventata veramente estenuante l’attesa. Aumentando i loro umori rissosi al
massimo, da aspettarsi da un momento all’altro una buona scazzottata tra
loro o con qualcuno che capiti a tiro.
Due ore prima i quattro individui sospetti, avevano percorso a rilento
l’autostrada versi il sud, per fermarsi proprio lì in quel posto per aspettare
l’arrivo di una bianca Mercedes targata Palermo. L’auto viaggiava nel loro
stesso senso di marcia e avrebbe dovuto fermarsi proprio in quel posto.
Questo era l’ordine ricevuto e eseguito alla perfezione sino a poco prima.
L’ordine era di far pedinare l’auto segnalata, poi nella sosta obbligata
nell’area di servizio di Campagna ovest, a pochi chilometri da Eboli,
sarebbe iniziata l’operazione: “Recupero merce avariata”. Le direttive
espresse dai loro capi: persone rispettabili e insospettabili, situati molto in
alto e non disposte ad esporsi in prima persona per irrilevanti missioni del
genere. Avevano perentoriamente spiegato al capo, che sull’auto in
questione, proveniente da Napoli, su cui viaggiava tre distinte persone. E
in quel caso gli incaricati al trasporto erano degli insospettabili
commercianti di pietre preziose palermitani. Viaggiavano con il benestare
di altolocati personaggi, dirigenti, ufficiali corrotti. Il tutto veniva unto per
bene, con cospicue e sontuose mance ai vari punti chiave per una giusta
approvazione alla causa. In quel modo l’organizzazione siciliana si
espandeva silenziosamente ovunque, senza intoppi. Perciò, gli assalitori
avrebbero trovato nell’auto palermitana, delle valigie piene di cocaina
pura, pronta per essere tagliata e smerciata. E a quel punto, il compito
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assegnato ai quattro individui, era d'eliminare il personale viaggiante e
sequestrare la merce, tanto richiesta sul mercato. Ma purtroppo, nei pressi
di Salerno era sorto un piccolo intoppo all’auto palermitana, aveva avuto
delle noie al motore prima del previsto. Da dare a pensare a uno sbaglio
dovuto nell’inserimento del timer: predisposto per interrompere la marcia
dell’auto al momento giusto. Antecedentemente inserito di nascosto dalla
talpa che si era infiltrata da tempo nella banda rivale come autista fidato.
Portando un disguido nel loro piano iniziale. Inoltre, quell’operazione
aveva uno scopo ben preciso, far valere e affermare le proprie operazioni
di controllo e direzione su qualsiasi cosa passi per le zone indicate e
contrassegnate a suo tempo delle varie faide in gioco. Avevano pagato
profumatamente l’autista doppiogiochista, perché proprio nell’area di
Campagna ovest quell’auto si sarebbe dovuto fermare, entrando così nella
loro giurisdizione e controllo del territorio mafioso della faida calabrese.
Da innescare una piccola guerra fredda tra ndrangheta calabrese e la mafia
siciliana. Una lotta continua di reciproche rappresaglie con il sorriso sulle
labbra. Il tutto per arrivare alla predominanza dei vari territori con
inimmaginabili guadagni. Ma altrettanto sporchi di sangue umano
acquistato a poco prezzo.
Ad un certo punto il telefonino appoggiato sul covano dell’auto
incominciò a squillare, il tipo che sedeva sul parafango s'allungò e lo prese
con uno sbuffo, imprecando ad alta voce: < Accidenti, era ora! > mentre
s’allontanava un poco dal baccano infernale che facevano i compagni
ormai sbronzi. Quel trillo li aveva bloccati per un momento, mentre lo
stavano fissando inebetiti a bocca aperta a boccheggiare come dei pesci
fuori dall’acqua.
Dopo aver parlato il tizio corpulento ritornava tra loro, dicendo, mentre
deponeva il cellulare nel taschino della camicia sbottonata e madida di
sudore: < Dovremo aspettare qui. C’è stato un intoppo e l’auto si è
incagliata molto prima... Sono proprio delle teste di cazzo! > imprecò con
voce grossa: < Cribbio! Non sanno neanche preparare una rapina come si
deve e inoltre... Pazienza se poi ci scappa il morto... > scoppiando a ridere.
Uno tipo, alto e smilzo, ribatteva a denti stretti: < Capo, cos’hai detto?
Non resteremo qui per davvero, tutta la notte. In questo cesso di fogna? >
< Così soffocante. Spero proprio di no? > sbottò di rimando un altro.
< Già! E’ proprio quello che dovremo fare nelle prossime ore.
Purtroppo dovremo stare qui tranquilli e aspettare quello stronzo del
segugio. Arriverà prima dei palermitani e porterà gli strumenti musicali. >
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< Che stronzate! E noi qui, con il pericolo che giunga la polizia a
controllarci i documenti e chiederci cosa facciamo? >
< I nostri documenti sono a posto. > asserì il tipo seduto nell’auto,
mentre alzava la bottiglia di birra a brindare, ma inciampando nello
sportello aperto dell’auto, rovesciandosi addosso una buona parte del
contenuto, proprio sulla folta barba. < Merda! > imprecò. Mentre il più
anziano del gruppo tentava di trovare un’altra bottiglia di birra nel baule
dell’auto, frugando fra valige e borse. Ma nella sua imbranata mente sobria
di birra, aveva appoggiato la mano sopra l’interruttore della luce,
rimanendo al buio. Essendo poi un po’ corto di vista, imprecò contro quel
disguido ma non capì ch’era la sua mano appoggiata a creargli confusione.
Infine, mise dentro la testa finché non riuscì nel suo intento, ma nel
rialzarsi urtò la testa contro il cofano facendolo imprecare: < Por.. porca
puttana! Questa carriola d'auto, che s’accende la luce quando gli pare. >
L’auto l’avevano ritirata il giorno prima da un box privato a Roma. Era
un’Alfa Romeo 164 blu scura e i loro proprietari, erano lontani da casa per
un lungo week end, e non s’accorgeranno di nulla di quel furto sino al loro
rientro. E guarda caso il proprietario dell’auto aveva una piccola industria
metallurgica in Germania. Proprio da dove venivano quei quattro e i loro
documenti lo confermavano: Dussendolf. Operai italiani che lavorano
all’estero come muratori, meccanici, e per caso uno di loro faceva l’autista
santuario dell’industriale romano. Ed era anche amico intimo, intimo,
dell’autista che guidava sempre quell’auto, ora a spasso per il mondo per
non dire a letto con il galante padrone romano. Pertanto erano tranquilli,
avendo fatto in vari incontri amorosi a Dussendolf, un doppione di chiavi,
sia per l’auto che per il cancello della villa e l’antifurto con relativo codice,
così tutto doveva procedere nel modo più assoluto e sicuro.
L’anziano controllò il contenuto della bottiglia alla luce del lampione e
mormorò con la lingua ingarbugliata. < Ragazzi! V'avviso che siamo
ridotti male a birra, questa è l’ultima. > poi s'abbassò e frugò ancora tra le
valigie, alla fine trovò quello che cercava, un panino con del salame e
formaggio che sbavava da ogni parte per il forte caldo di quel giorno. Alla
fine sbatte rumorosamente la bocca per sciogliere la lingua impastata
dall’alcol nel chiedere: < Ma, dimmi un po’ Carmelo. Veramente,
dobbiamo aspettare qui, quei tre stronzi siculi? >
E l’altro borbottando, spiegò: < Già, hai più che ragione Giacomo.
Vogliamo prenderci la nostra parte, allora dobbiamo restare qui. Anche se
c’è qualcuno che non capisce proprio un cavolo di sequestri e rapine. Porca
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puttana! > sbraitò quello. Mentre un altro diceva: < Io, sinceramente devo
dire, che l’hanno preparata proprio con il culo... questa operazione del...
Cazzo! > ribatte Luigi, più che mai convinto degli intoppi a ripetizione,
oltretutto era anch’egli infastidito per quel caldo soffocante che
imperversava sul posto. Infine riprendendo a dire mentre si asciugava la
fronte, ed espose la sua calda opinione: < E noi qui a grattarci la pancia per
loro. Accidenti, a tutti quanti, ‘sti fessi imbranati! >
Altrettanto Giacomo continuava a inveire epiteti ai dirigenti di
quell’impresa mal riuscita. Mentre alzava in alto la bottiglia, facendo
uscire buona parte del contenuto poi, riprese a dire: < E pensare che quel
testa di cazzo di Monetti e compagni, pretende che noi l’aspettiamo qui,
come dei fessi. Lui verrà a darci nuove direttive, oltre a portarci
l’artiglieria pesante... Ma vada a farsi fottere, quel rompiscatole! >
Seguito nella tiritera da Giovanni, che seduto sul cofano dell’auto se la
stava ridendo a crepapelle, poi s’intromise a dire a sua volta: < Poi
quell’altro stronzo di Curri, ha detto: “Meno male che l’autista è riuscito a
riparare il guasto senza farsi notare e ripristinare il time per le prossime
ore”. E lui il segugio, rimarrà ai calcagni dei palermitani. Ci avviserà con
il cellulare, appena quelli ripartiranno da Salerno e si avvicineranno da
questa parte. Capirete che sforzo dovrà fare, con il dito sui pulsanti del
cellulare. Ma che stronzate del cavolo! Vanno a tirare fuori. Cazzo! Cose
dell’altro mondo! E noi qui ad aspettare che ci prenda la pula, prima
ancora d’incominciare. Vorrei proprio sapere chi è quello stronzo che ha
ideato questo piano perfetto? >
< Sai cosa ti dico Luigi! Alla fine di tutta questa storia, noi saremo
nella merda fino al collo e loro si godranno anche la nostra parte di soldi.
Quei figli di puttana! Ce la stanno ficcando in culo senza vaselina. Ed è più
che certo... Te lo dico io. Porca puttana! >
Mentre Carmelo che sembra il capo, cercava di calmarli dicendo ancora
ai compagni: < Be’, sì! In parte hai ragione anche tu, ma credimi bisogna
anche capire che può capitare talvolta dei disguidi... >
< Ma che disguidi del cavolo! E’ che qualcuno a Reggio ragiona con
il culo, invece della testa. Cosa servono tutte queste cianciane? Bastava
solamente che dicessero a noi cosa prendere e tutto si sarebbe svolto
velocemente e per il meglio. Vero? Vi ricordate quella rapina dell’altro
anno alla banca di Friburgo? E’ stato un successo e senza tante storie e
danni. Invece qui, telefonate inutili e facili da intercettare, sposta i punti
d’incontro, aspetta che passa la polizia e facciamo passare il tempo a
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menarci l’uccello, in attesa di finire al fresco tutti quanti... Questo sarà il
finale di tutto. Credetemi ragazzi. In galera finiremo! Che goduria, sarà
una pacchia! E tutto questo è perché? Non sappiamo dire di no a dei
compaesani di merda. Veramente! Credetemi... >
< Dai, non fare l’uccello del malaugurio! > lo redarguì Carmelo
pensieroso e Luigi di rincalzo: < Quell’avvocato di merda non ha capito
proprio nulla. Non sa organizzare una semplice operazioni. Al posto del
cervello, ha una testa di minchione, ma bella e grossa! Crede che basti
soffiare sotto il naso la roba ai nostri concorrenti e che subito tutti calino le
brache s’inchinano a culo aperto. Balle! Rottai ha detto che quelli devono
pagare un pedaggio... Mi sa invece, che qui c’è sotto dell’altro? Credetemi!
I fessi siamo noi che gli mettiamo la pappa in bocca e poi saremo noi che
finiremo tutti dirittamente nella brace. E se tutto va bene, in galera. Tra
poche ore saremo tutti al fresco... State pur certi! >
< Già, hai più che ragione. Non avevo pensato a tutte queste menate
del cavolo. Quel Rottai è nient’altro che un lurido tirapiedi. Lui pensa che
Mister Boston, se la fa sotto dalla paura e gli verserà la sua parte.
Minchionate! Quello non è il tipo che si fa prendere per i fondelli, state pur
certi... E non si è scomodato dal venire dall’America per niente. >
Mentre Giovanni interveniva dicendo la sua idea, espressa tra un rutto e
un altro: < Io dico, che appena abbiamo fatto la nostra parte di lavoro.
Insomma il colpo e consegneremo la merce a quell’avvocato del cavolo. Ci
prendiamo i nostri soldi alla svelta e ci eclissiamo via come il vento. Prima
che quelli di Mister Boston, ci rompano loro i fondelli a noi... Chiara
l’idea, ragazzi! >
< Calma ragazzi! > riprese Carmelo per acquietare gli animi. Ma
subito Giacomo, ormai su di giri per l’eccessiva birra ingoiata avidamente.
Prospettava qualcosa, con un sorrisetto furbesco sul suo viso rugoso e
inebetito: < Be’, ragazzi! Tanto per cambiare discorso, ma egualmente
restare nell’argomento culinario... Avete visto passare di qui, quella checca
che sculettava così bene poco prima? >
< Quello, chi? > sbotta Luigi il più giovane del gruppo, il biondino
sempre arrapato e amico intimo dell’autista dell’Alfa blu romana.
< Ma, sì! Quello che è passato prima e si era diretto al bar
dell’autogrill. Adesso è fermo laggiù sul suo bel GT rosso al buio in attesa
di compagnia. L’ho visto appena prima, mentre mi facevo una lunga
pisciata. Quello fa senz’altro finta di dormire. Secondo me, quello aspetta
qualcosa di più sostantivo, Mi sono spiegato ragazzi! >
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< Ah, quello! Quel cullatone? Con tanti servizi extra si è fatto la
grana facile. Ah, bello, bello! Questi froci! >
< Sì, hai ragione. Magari è uno che va in giro a far marchette con
quel culetto così stretto e senz’altro con il lavoro si è comperato quel bel
GT rosso. > prospettò lo strafottente Luigi, mentre si passava la lingua
sulle labbra secche, in attesa del dopo.
< Be’, visto che ‘sta diventando una nottata del cavolo... voi non ci
crederete, > espone Giovanni alzando a fatica il culo dall’auto e ruttando
con ostentazioni. < Dite quello che volete, io adesso mi scoperei chiunque
lo voglia prendere. Anche quella tua zia, quella baldracca sfondata... >
facendo incazzare Giacomo, nel rinnovare la sua parentela paterna
abbastanza traviata, per non dire altro.
< Be’, io offro cinquecentomila e una cena a quelli che se lo scopano
per bene quella checca. Laggiù al buio... > propose a sua volta Carmelo,
pensando che forse era il modo migliore per acquietare gli animi in
ebollizione e ottenere poi, una più devota partecipazione alla missione
incompiuta. Poi dopotutto, alle quattro di notte, con la birra ormai finita e
gli animi in subbuglio, era certamente la cosa migliore da farsi. Una bella
scopata. Senz’altro sarà contento e soddisfatto per essersi fatto dei veri
stalloni, sempre arrapati e pronti. Soltanto bisognerà, nell’eventualità, non
farsi riconoscere dal tizio in questione. Ma per loro quella era una semplice
questione di routine, non lasciare mai traccia visibili dopo il loro veloce
passaggio.
< Ah, che ridere! > continuava Giacomo in farsetto, mentre si strofinava
le mani con soddisfazione,
< E’ meglio far vedere i fatti. Che blaterare al vento? > rispondeva
Luigi, mentre si massaggiava la fava in calore. E quasi unanime risposero
in coro: < Be’, vediamo un po'? Tu incomincia e poi vedremo chi pagherà
la cena? > mentre tutti quanti si rimettevano a ridere a crepapelle, aiutati
dall’euforia di quella geniale trovata.
Poi sogghignando sotto i baffi decisero unanime sul da farsi e furtivamente
in silenzio, si avviarono verso il punto più buio del viale alberato.
Il giovane si svegliò di soprassalto nel sentire la portiera dell’auto aprirsi
di colpo. Ma subito redarguito da una voce perentoria, mentre una pistola
gli veniva puntata contro il viso.
< Esci senza tante storie bello! > gli ordinò uno del gruppetto mentre
un’altra voce gli imponeva di slacciarsi i pantaloni e girarsi verso l’auto e
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appoggiare le mani sul cofano motore.
Il giovane intuì confusamente la loro idea sconcia. Incominciò a protestare
energicamente, nel dibattersi con forza, per svincolarsi dalla loro stretta,
mentre questi lo teneva bloccato con forza contro l’auto, tagliandogli i
calzoni con un coltello.
Il dolore che provò al primo sadico tentativo di penetrazione, fece urlare
di disperazione e rabbia il malcapitato giovane.
< Tappagli quella bocca... accidenti! Altrimenti lo si sente fino a
Trapani. > urlò Giacomo. Mentre Luigi se la rideva a crepapelle e senza
troppi ripensamenti gli assestava con il calcio della pistola una poderosa
botta sulla testa da tramortirlo.
Il giovane si accasciò bocconi sul cofano motore senza più reagire.
Suscitando l’ira degli altri arrapati bestioni. < Mannaggia! Non c’è più
gusto a questo modo se uno non si agita. Così e a questo modo è come
sbattere una vecchia piattolosa baldracca sfondata. Accidenti! >
< Dai muoviti! Non farla tanto lunga. Ora ch’è tranquillo e ben
lubrificato, sarà una pacchia. > incalzò Giovanni sull'agitato.
Ad un certo punto del loro divertimento a turno, uno di loro mormorò
sottovoce ai compagni nel pieno dei lavori: < Sbrigatevi ragazzi! Sta
venendo un auto da questa parte e non vorrei che sia la pula quella? >
Ma era soltanto l’auto del compare, venuto a portare l’artiglieria. E si
associò con gioia, al divertimento gratuito e ben lubrificato. Ma il tutto fu
nuovamente disturbato da altre luci di auto in arrivo. Perciò si sistemarono
velocemente alla meglio e scaraventarono la cavia nell’auto, con altri
pugni e calci, evitando di sparare per evitare di attirare l'attenzione e
chiudendo poi la portiera dell’auto con un calcio. Mentre Giovanni
imprecando, ordinava ai compagni di muoversi: < Dai, presto! Sistemalo
Luigi, evitiamo sorprese dopo... > ma due altri fari si profilavano tra le
siepi, da far desistere la loro impresa e farli allontanare rapidamente dal
luogo del divertimento. D'altronde, qualcuno pensò, ch’era difficile essere
riconosciuti, il posto era abbastanza buio e poi quelle forti botte in testa e
sul corpo gli avrà senz’altro rotto qualcosa e magari domani lo troveranno
belle che morto, stecchito. Pertanto e velocemente raggiunsero la propria
auto, decidendo ch’era meglio proseguire e uscire al primo casello e
rientrare nell’altro senso, per poi riprendere il percorso iniziale da un altro
casello più a monte, ed evitare malaugurate sorprese prima della loro
operazione di recupero in ritardo.
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Capitolo Primo
Stava guidando con annoiata indifferenza nel tenue bagliore del
crepuscolo. Poi d’improvviso, il giovane dai capelli di un colore castano
chiaro e dagli occhi colore indaco, che risaltavano tremendamente sul viso
imbronciato, imprecò ad alta voce: < Porca puttana!! > mentre si fermava
nella piazzola di emergenza a lato dell’autostrada.
Quelle continue lacune mentali lo stavano preoccupando seriamente,
dopo quegli avvenimenti così angosciosi ed inaspettati della notte appena
passata, che gli danzavano vorticosamente nella testa avvolti in un denso
velo di nebbia. Chi lui fosse, da dove venisse, i connotati del suo passato,
non esistevano più. Tutto era svanito nel nulla.
Era così perso e svuotato, depredato nei suoi affetti più intimi, da
sentirsi nudo e svilito come un verme. E ogni qualvolta cercava di scavare
nel profondo della sua memoria, un tremendo panico si impadroniva di lui.
Quell’immenso vuoto che sentiva dentro era incolmabile e più si sforzava
di vincerlo più montava la paura. Sapeva di essere stato vittima di
un’aggressione, la contusione sanguinante al capo e a un braccio, dove il
violaceo dell’ecchimosi si stava evidenziando per bene e poi, il dolore
bruciante che gli lacerava i glutei era un’atroce realtà. Ma la vera
sofferenza era che, mentre le ore e i minuti sfilavano nella testa
inesorabilmente vuota, il dubbio di non recuperare la memoria diveniva
certezza. E questo era veramente grave per il giovane trovarsi smemorato.
I suoi ricordi arrivavano fino al mattino di quel giorno, quando si era
trovato alle prime luci dell’alba, raggomitolato sul sedile dell’auto ferma in
una piazzola alberata nei pressi di un'area servizio dell’autostrada. Era
intontito, confuso e sconvolto, indolenzito e coperto di lividi e per di più
mezzo nudo. Non senza ripugnanza aveva costatato che il suo corpo, dai
glutei alle cosce era inconfutabilmente imbrattato di sangue e sperma
rappreso il cui acre e inconfondibile odore aveva impregnato l’abitacolo.
Alzati gli occhi dal suo corpo pesto aveva incrociato lo sguardo di
un’arzilla vecchietta dalla faccia bigotta che lo squadrava curiosa, con
un’espressione di mal celato e aggressivo interesse. Il giovane aveva
tremato al solo pensiero delle intenzioni, che quella lasciva donnetta che
manifestava nei suoi confronti. Ancora stordito si era affrettato, con gesti
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incerti, a celare a quello sguardo indiscreto i propri attributi maschili che
rilassati e contusi apparivano ben poco virili. Poi finalmente, aveva trovato
la forza di considerare la paradossale realtà che stava vivendi; per lui non
esisteva un passato, solo un tetro presente intriso di domande senza
risposte. Si guardò attorno a meditare un buon momento su quel presente
così irreale e fasullo. Capendo, che proprio lui, un uomo abbia subito una
tale umiliazione da farlo rabbrividire dalla vergogna.
Non poteva crederci ma lo doveva ammettere a sé stesso per quella
meschina e inconfutabile verità che gli era capitata addosso. Mentre una
rabbia interiore cresceva in lui da rodergli fortemente l’anima sconvolta.
Poi quasi con riluttanza cercò di voler accantonare e dimenticare tutto e al
più presto. Nel voler rimettersi in ordine, in quella sua paranoica e
vergognosa vicenda. Mentre si spremeva continuamente le meningi per
capire il perché gli era capitato quel fatto così assurdo e inumano. Ma nulla
da fare, il vuoto dentro alla sua testa era più che assoluto e ormai
tangibilmente vero. Oltre al tremendo dolore al capo, che gli doleva di più
nel tentativo di sfiorarlo con la mano. Aveva i capelli intrisi di sangue.
Alla fine, quasi un po’ restio cercò di farsi coraggio, si guardò attorno a
sé più che mai spaesato, mentre un’auto passò al suo fianco e lui
istintivamente si abbassò per la vergogna a mostrarsi a quel modo. E in
quella posizione assunta gli permise di scoprire sotto il sedile dell’auto un
portafoglio. Lo prese in mano guardandolo con distaccata indifferenza, poi
deciso l’aprì. Dentro vi era una piccola mazzetta di biglietti da grosso
taglio e documenti d’identità. D’improvviso scatto qualcosa dentro di sé,
nel capire che non era stato una rapina, se vi era ancora quel danaro.
Mentre a fior di labbra borbottava: < Allora non erano rapinatori quelli? >
ripensando all’istante sul perché aveva detto quelli? Poi, accantono anche
quella domanda senza risposta e si mise a controllare quei documenti che
lo incuriosivano in quella sua premura di sapere qualcosa di più e presto.
Fu sorpreso ancora una volta, nello scoprire che sui documenti d’identità e
sulla patente di guida spiccava il suo volto, messo a confronto con lo
specchietto di cortesia, scoprendo l’evidenza in quel paragone. Oltre a
constatare la brutta lacerazione che aveva tra i capelli intrisi di sangue. In
realtà si sentiva estraneo a quel ruolo da protagonista. Ma altre sì, come un
semplice spettatore che osserva e analizzi un fatto accaduto ad altri.
Comunque andassero le cose, null’altro di nuovo usciva fuori dalla sua
testa vuota. Mentre il giovane si sforzava a leggere ad alta voce quelle
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poche righe su quei documenti; nella speranza che l’aiutino a districarsi da
quella nebbia che l’avvolgeva inesorabilmente. Quantunque si sforzasse e
cercasse nel profondo della sua memoria un piccolo appiglio di quei
connotati scritti. Non usciva fuori proprio nulla, si sentiva sempre di più
spaventato e sconvolto. Mentre ogni suo tentativo risultava più che vano,
da non riuscire ad andare oltre quel momento del suo passato.
Forse pensò, ch’era già da diverso tempo che si trovava smemorato. Poi,
quel colpo ricevuto al capo, che gli doleva fortemente, era arrivato a
ingarbugliare ancora di più la situazione. Oltretutto stava diventando di per
se stessa una vera ossessione scombinata. Si stava masturbando con forza
le meningi, mentre si rigirava tra le mani nervose, quei documenti che lo
identificavano chiaramente come: Mauro Rossi, nato a Venezia il 6/9/71,
professione studente, abitante a Padova in via Abano n° 9, Altezza 1,90,
capelli castano chiari, occhi azzurri, segni particolari n n. Mentre dentro di
sé si rispondeva da solo sarcastico: “Segni particolari... lividi ovunque e
un bel culo rotto...” Al contempo esplodendo a voce alta, più che mai
indignato: < No, no! > mentre gli occhi si erano velati di lacrime e nel
fondo della sua anima si sentiva veramente perduto. Fortemente arrabbiato
e umiliato. Sapeva come si chiamava, ma per il resto era completamente al
buio. Mentre stava ripensando a quel poco, che aveva acquisito in quel
momento. Perciò, pensò di dover andare subito alla polizia per denunciare
quell’abuso subito. Ma al tempo stesso si frenò da solo. Avrebbero creduto
al suo racconto? Il tutto era molto problematico per non dire assurdo. La
gravità c’era ed era evidente. Ma come avrebbe spiegato il fatto, che non si
ricordava niente sull’accaduto? Aveva una bella ferita in testa, alla spalla e
dei lividi ovunque e un forte dolore al capo in continuazione. Oltreché in
quell’altra parte così vergognosa da dire e mostrare a un medico, per
confermare la sua violenza subita. < Oh, no, no! E’ impossibile! > urlò
disperato. “Mi sono trovato stordito e violentato da più persone?... Erano
più di uno, senz’altro... Ma da chi?”. Se non si ricordava proprio nulla.
All’infuori di quella sua veritiera realtà ingrata e confermata dal dolore
lancinante. Ma chi mai, gli avrebbe creduto e poi quali conseguenze
sarebbero sorte in seguito? Quello era l’altro dilemma che si andava
profilando nella sua mente confusa e vuota. Ormai il guaio era fatto e
pertanto, alla fine optò per lasciar perdere la denuncia. D’altronde, più
nessuno gli avrebbe ridato la sua verginità perduta. E l’affronto subito,
rimarrà ormai impresso profondamente nella sua mente, come un marchio
indelebile. < Perlamiseria! Dove sono finito! > imprecò nuovamente più
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con sé stesso, che contro l’ignoto aggressore. Le fitte erano laceranti sulla
ferita che aveva tra i capelli, ma per lui quel dolore era quasi irrilevante al
confronto, all’onta di sottomissione subita. Oltretutto attraverso la sua
codarda smemoratezza. Si sentire ancora di più fortemente avvilito, per
non aver saputo reagire a quella violenza gratuita.
Faticò a rimettersi un po’ in ordine. Per fortuna che aveva trovato nel
bagagliaio dell’auto una valigia con indumenti di ricambio, almeno una
parvenza esternamente più decente. Rovistando all’interno, nella grossa
tasca trovò i documenti dell'auto, il suo passaporto, che confermavano il
suo possesso, ma nessuno altro indizio. Nella voluminosa sacca di tela blu,
vi era l'occorrente per il tennis. Mentre ripensava al tutto, formulò fra
grossi dubbi, che forse stava andando in vacanza, con quella auto sportiva.
Ma non sapeva e si ricordava di possedere sino a quel momento. “Chissà
dove stavo andando? Ero poi solo, o avevo qualcuno in auto?” sbottò tra
sé compassionevolmente avvilito.
Così, dopo varie soste e ripensamenti, il tempo era volato via
velocemente assieme ai suoi pensieri più che bui. Perciò senza saperlo
continuava a rilento a percorrere l’autostrada in quel senso, senza chiedersi
il perché continuava in quella direzione. Forse, era fortemente l’idea che se
l’aveva imboccata prima di quel fattaccio, vi era senz’altro e vi sarà una
valida spiegazione più avanti? “Dov’ero mai diretto da questa parte, verso
l’estremo sud d’Italia?” Si stava domandando in continuazione, mentre
controllava le varie indicazioni stradali per ricordare qualcosa. Fra quelle
continue lacune e soste per riposare e a pensare confusamente, mentre
annaspava nel buio più completo. La sua memoria si rifiutava di scavare
fra i ricordi oltre quel dramma. Ed era più che mai cosciente di aver subito
un vero shock da trauma. Pertanto il giovane si lasciava avvolgere senza
reagire.
Ormai non le contava più quelle brevi soste, per quante erano diventate,
si sentiva cosi svogliato e strano. Desiderava fermarsi e dormire per
dimenticare tutto. Ma gli era impossibile. Il suo subconscio andava alla
riversa. Ogni volta che tentava di addormentarsi, subito e di scatto reagiva.
Da farlo sobbalzare sul sedile dell'auto, nel trovarsi grondante di sudore e
spaventato a morte. Tremante e con una tremenda angoscia in gola. Le
uniche fermate che il suo testardo subconscio sembrava non gradire, era
nel trovarsi tra la folla. Coi brividi ancora addosso, ripensava all’unica
sosta fatta autogrill e gli bastò a desistere dal riprovare. Quella fermata,
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dovuta peraltro per dissetarsi dalla forte arsura che aveva e scaricare nelle
toelette il fetore che aveva in corpo. Era come un’infernale purga, doveva
ad ogni costo liberarsene. Forse era la reazione del suo subconscio, che
pretendeva una via di uscita al trauma subito. Ma il tutto contrastava con la
riluttanza che provava il giovane, quando incrociava lo sguardi delle
persone. Gli sembravano interessate al suo caso, o forse era lui che
supponeva la sua malconcia presenza con lividi abbastanza visibili, da
attirare l’attenzione. Lasciandosi prendere da un affanno imprecisato, al
fianco di persone al bancone del bar. Capendo che doveva vincere in
qualche modo quella sua fobia, ma al momento gli era tutto difficile.
Troppo. Così, si propose che si sarebbe affrettava a ingoiare bibite e caffè
per destarsi da quel torpore di sonnolenza e arsura. Il tutto intersecato in un
miscuglio di incubi e affanni. Per poi sgusciare via rapidamente. Quasi
fosse un povero appestato. Perciò le uniche sue voglie erano quelle di
rannicchiarsi su sé stesso e dimenticare veramente tutto. Al momento era
veramente impossibile poterle realizzare.
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Capitolo Secondo
Poi, senza immaginarselo, vi fu qualcosa che fece scaturire in lui una
rabbia repressa. Si trovò avvolto da una paura angosciante, da metterlo su
sospettose difensive, più che giuste.
Il fatto era avvenuto in quell’autogrill di: “Lauria Galdo”. E quello che
vide e ascoltò lo sconvolse talmente tanto, senza capire veramente bene il
significato. Dove i contorni scuri erano più che chiari. Mentre il giovane
con riluttanza, non voleva ancora intendere. Erano talmente tangibili, che
faticava a doverlo ammettere. Effettivamente reali e veritiere le visioni.
Senz’altro, il suo subconscio si rifiutava di accettare la verità esposta.
Immaginando sempre, che fosse il contrario di ogni sua aspettativa.
Era circa l’una pomeridiana quando si era fermato controvoglia per
dissetarsi. Al bar prese un caffè doppio e ordinò un bicchiere d’acqua, poi
mentre consumava un altro abbondante caffè, fu attratto dal vociare di
quattro uomini alla sua destra, che discutevano animosamente tra loro. Si
stavano scolando diverse birre dal numero di bottiglie che vi erano poste
sul banco davanti a loro. E a quel punto, quasi senza motivo, in quei suoni
così articolati di quel vociare sgraziato, si sentì bloccare il respiro in gola
dallo stupore e sorpresa. Anche di paura, da provocagli un forte tremore
incontenibile per tutto il corpo.
Quei quattro uomini poco distanti, avevano l’aspetto un po’ sospettoso,
dall’abbigliamento così per dire, discreto, ma dai modi abbastanza volgari
e strafottenti. Mentre stavano contrastando tra loro animosamente,
indifferenti dagli sguardi commiserevoli dei forestieri e del personale del
bar. Tutti osservavano con una certa riluttanza silenziosa. Facendo con
quel loro turpiloquio allontanare da loro di qualche metro i viaggiatori che
si avvicinavano al banco per ordinare qualcosa. E fu solamente quando
uno di loro si voltò e lo fissò stupito, alquante incuriosito nel rivedere il
giovane. Mauro s’irrigidì tremendamente all’istante, in quell’incrociarsi di
sguardi problematici. Con difficoltà e sforzo, tentò di sbirciare e scrutare
l'avventore. Mauro constatò, ch’era il più giovane del gruppo; sulla
ventina, biondiccio, dal viso angelico. Mentre il biondo l’osservava
sorpreso, con modi un po’ ambigui e un sorriso ironico, sulle labbra sottili.
Dando una gomitata al compagno più vicino, per richiamare la sua
attenzione. Quando costui si girò a sua volta, Mauro era a testa bassa,
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mentre fissava la tazzina del caffè e fu colpito da un sordo malessere.
Corpulento e villoso, dal viso grasso e flaccido, aveva due occhi porcini e
il suo sguardo era indagatore e cattivo. Quanto alla voce era così rauca che
gli risuonava nella sua testa come un sordo martello, frammista alle altre
che si amplificavano mille volte più forti. In quei suoni di voci mal celate e
grinzose, si erano voltati tutti quanti a fissarlo, sogghignando con ironia,
aspettando una reazione del giovane coperto di ecchimosi. Mauro a quel
punto avrebbe voluto sprofondare, sparire via di colpo. Mentre si
domandava il perché di quella sua reazione così istintiva e restrittiva. Si,
sapeva per certo la verità a quel suo comportamento difensivo e vile.
Guardando furtivamente il gruppo e sbirciò anche gli altri due compari,
che ridevano sguaiatamente. Uno era alto e magro, capelli neri e con un
paio di piccoli baffetti. E manco farlo apposta riproducevano perfettamente
l’impronta dispotica da mafioso. Mentre l’altro aveva una folta barba che
spiccava tremendamente sul suo faccione, da lasciare soltanto due piccole
fessure per gli occhi scuri e bui.
Si erano voltati per bene tutti quanti a rimirarlo, come se fosse una bestia
rara, in quegli sguardi che mostravano interrogativi o forse, pensavano che
era scaturito fuori dall’oltretomba. Dal modo di osservarlo fra lo stupore e
l’insolenza. Mauro si sentì travolto dalla vergogna, vedendo oltre lo
specchio di fronte tra le bottiglie, altri sguardi rivolti nella sua direzione,
attirati in quell’attimo di silenzio dei quattro ciacoloni. Cercò in malo
modo di mascherare il suo modo di fare. Forse lasciava trapelare qualcosa
di diverso, oltre al viso tumefatto che non poteva nascondere ai presenti.
Alla fine, quelli si misero a ridere fragorosamente, mentre il biondino
diceva ad alta voce, in un accento marcatamente calabrese: < Però! Sé
rimesso presto ‘sto fetoso! > Indicandolo abbastanza vistosamente, come
un oggetto da scherno. Mentre il più vicino gli rispondeva con noncuranza:
< Ma lascialo perdere! Non vedi che è soltanto un culo rotto! > Poi, quasi
di colpo, s’interruppe quel turpiloquio e si allontanarono velocemente tutte
quattro. mentre lo guardavano di traverso, salutandolo con gesti poco
simpatici. Come per dire a presto, ti faremo un mazzo.
E solo dopo Mauro capì il perché di quella loro fuga precipitosa, erano
entrati dall’altro lato del locale, quattro carabinieri in servizio di vigilanza
sull’autostrada. Mauro aveva ormai capito più che chiaramente, che erano
stati quei bastardi a fagli quel bel lavoretto al suo fondo schiena. E più che
capire l’aveva sentito dentro di sé, in un brivido di panico e terrore che gli
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aveva precluso ogni movimento. Era rimasto lì fermo bloccato con il gelo
nelle vene per un buon momento, mentre il rumore tutto attorno si era
assopito, ovattato in quel malore. Poi la voce del barista lo richiamò alla
realtà: < Signore sta bene! Non deve farci caso a quei tipi, qui ne capitano
tutti i giorni di spostati e sbruffoni... vuole ancora un bicchiere d’acqua? >
< ...Sì, grazie! > non riuscendo a dire altro per la vergogna. Fu tentato
in quel momento di rivolgersi ai carabinieri, gridando e indicando quelli
fuori che salivano sulla loro auto blu. “Sono loro che mi hanno stuprato,
ridotto a questo modo...” Capendo che sarebbe stato così ridicolo. Soltanto
un oggetto di scherno e deriso da chiunque era presente. Poi alla fin fine,
sbottò tra sé: “No, non riuscirò a dirlo proprio a nessuno.” Dopo quel
primo impatto col nemico. D’altronde, come poteva testimoniare e
affermare quello che diceva e alla fine l’avrebbero creduto? O sarebbe
rimasto soltanto uno squilibrato che accusava degli innocenti, se nemmeno
lui si ricordava bene l’accaduto. Almeno i contorni dei loro visi truci?
Assomigliavano forse a quelli? Questo non poteva affermarlo, mentre
dentro di sé una vocina gli diceva: ”Sono loro”. Ma, se fosse soltanto una
sua ridicola reazione alle loro volgari maniere? C’era forse un’altra
spiegazione a confermare tutta quella sua supposizione come reazione?
Così, dopo un buon momento di incertezza tra dolore e rabbia, Mauro
tirò un profondo respiro ed espello il tutto con provata sottomissione. Se ne
andò via mogio, mogio, mentre mugugnava con il suo subconscio restio a
ridagli la chiarezza dei fatti. Sapeva ormai più che bene, che era soltanto
un fatto psicologico. Dove una parte di lui si rifiutava energicamente a far
emergere quei fatti così drammatici che gli avevano sconvolta la vita.
Comunque gli seccava veramente tanto dover ammettere la sua resa
incondizionata, di fronte a quel dramma subito così passivamente.
< Sono stati loro, quei bastardi! > sbottò con rabbia ad alta voce.
Mentre dentro di lui vi era una gran voglia di piangere che gli scoppiava
fuori dal petto. Contemporaneamente batteva i pugni sul tetto della propria
auto parcheggiata sotto un splendido sole estivo. Rimase lì, un bel po’
fermo a guardare con vacua indifferenza il paesaggio che lo circondava.
Dove i colori erano un po’ sbiaditi dall’afa che aleggiava attorno. Il sudore
gli scendeva dalla fronte, da offuscagli la vista, ma a quel punto non gli
importava più nulla. Si sentiva distrutto dentro e fuori. Infine salì in auto e
riprese quel suo calvario percorso. La destinazione gli era ancora ignota?
Mentre si domandava continuamente, perché aveva preso quell’autostrada
A/3, se lui veniva da ben altra regione, il Veneto. Così era scritto
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chiaramente sui suoi documenti che aveva trovato nell’auto, come risultava
dal libretto di circolazione? Erano veritieri. Però, senza un barlume di idea,
uno spiraglio d’indicazione diversa. Lui doveva praticare dello sport, visto
che vi era una borsa con racchette, palle e indumenti per il tennis.
Frugando tra quei pochi documenti, notò una cosa molto strana. Una
piccola agenda quasi vuota. Nemmeno un numero telefonico. Niente?
Neppure una foto di una ragazza nel portafoglio. O lui non aveva una
ragazza? Nemmeno, l'indirizzo di parenti, amici, niente. Proprio niente.
“Strano?” borbottò tra sé arrabbiato. Erano delle piccole cose lo facevano
imbestialire ancora di più e farlo imprecare ad alta voce con parole più che
mai sconce: < Porca puttana! ‘Sto diventando pazzo, o lo sono già a questo
punto? > Ma, allo stesso tempo capiva che non serviva a nulla imprecare al
vento, aumentava soltanto di più quel mal di testa che lo perseguitava
tremendamente dal mattino. Dopo che si era ripreso da quello stordimento
capitatogli. Senz’altro, dopo la colluttazione con i suoi aggressori.
Quella constatazione era più che visibile e chiara, dal modo che si era
trovato con i vestiti strappati di dosso. Persino sul sedile dell’auto recava i
segni di lotta. Perciò, la botta che aveva ricevuto in testa e sul corpo,
doveva essere stata più che forte. Si sentiva tutto rintronato e dolorante.
Mentre le ammaccature e i lividi assumevano un colore più accentuato e la
sua sopportazione era ormai al limite della resistenza. Avendo persino
deciso di farla finita una volta per tutte. Pensando che bastava proseguire
decisamente dritto in una qualsiasi curva e tutto sarebbe finito in un
baleno. Volando fuori nel vuoto oltre il viadotto più alto. Ma al tempo
stesso era testardo. Prima voleva sapere e capire il perché e cosa era
nascosta sotto quella sua smemoratezza vigliacca. Almeno sapere in che
modo era successo tutto quel casino cadutogli addosso: < Perdio! > urlò,
mentre veniva sopraffatto dal rumore assordante di un autobus, lo stava
superando in corsa. Poi, per un buon momento si era acquietato, cercando
di non pensare più a nulla. Proseguiva nella sua andatura più che mai
tranquilla, un po’ ovattata, quasi avvolta in un sogno irreale. O forse, era
l’auto che aveva più senno del conducente, perché, procedeva dritta per
conto proprio, seguendo la linea bianca dipinta sull’asfalto rovente dal
caldo estivo. Sembrava tutt’uno, talmente da tanto era precisa, senza
sgarrare di un centimetro. Poi di colpo un’imprecazione usci dalla bocca
del giovane, da far sbandare l’auto fuori dai tratteggi. Capendo all’istante,
che la tregua era finita. < Porca puttana! Ma perché non ricordo più nulla?
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Nemmeno chi sono io! Non mi riconosco più... Ma avrò una famiglia... Dei
parenti? Forse anche una ragazza? > mentre si guardava nello specchietto
retrovisivo, a domandarsi a sé stesso una spiegazione plausibile, qualcosa
che potesse almeno capire e accettare. Ma così, in quel vuoto incolmabile,
era pazzesco immaginare e pensare. Mentre continuava a parlare a voce
alta: < Ci sarà pure una spiegazione a tutto questo? > Forse ripensando
bene, avrebbe dovuto tornare a Padova e ricominciare tutto da capo per
capire e scoprire veramente qualcosa? Infine si ritrovò a rimuginare ancora
sulla violenza subita, cercando però questa volta, di essere più coerente ai
fatti, giudicandoli dall’esterno: “Forse quelli, li conoscevo? Magari avevo
avuto dei rapporti di lavoro e magari per qualche inghippo si è arrivati a
tanto... No! Non può essere così. Forse, sono io che adesco i viaggiatori
sull’autostrada, facendo il marchettaro, e questa volta ho trovato chi mi a
sistemato per le feste. Questo è una ragionamento più valido. E poi tutti
quei soldi che ho nel portafoglio? Sono il frutto del lavoro svolto, nelle
rispettive piazzole di sosta...” ma al contempo, ebbe una forte reazione di
sdegno, imprecando contro sé stesso: < Oh, Perlamiseria! No, non può
essere? > mentre il terrore stava prendendo il sopravvento. Nel pensare di
essere veramente un’altra persona. Di avere una doppia personalità? Uno
che va in giro a prostituirsi per le strade. < Ma sarà veramente così? > Si
domandava continuamente esterrefatto. “Che abbia veramente certe
tendenze così strane. O in fondo non sono così strane, per chi le sente
dentro a suo agio?”. Lui si stava domandando se in quel preciso momento
e senza pensare a quella violenza subita, gli piacessero di più le donne o gli
uomini. E si accorse che non sapeva rispondere a quella domanda.
Oltretutto, la paura di svegliarsi e capire drasticamente che era un altro e
non quello che pensava nel suo subconscio, lo terrorizzava tremendamente.
“Adescare gli uomini... neanche per sogno!” sbottò tra sé disgustato. Ma
quella sua smemoratezza lo preoccupava tremendamente, per il semplice
fatto che voleva sapere la verità e null’altro. Qualunque fosse stata, la
preferiva a quella sordità vuota che gli frullava in testa. Quella mezza
verità gli sembrava veramente paradossale, mentre riprovava a rimettere
assieme quell’imprecisata storia. Insomma ripensò ad un’altra alternativa,
supponendo che magari quelli l’avevano sorpreso nel sonno. Lui era lì, in
quella piazzola per ben altre ragioni. Magari riposava e quelli l’avevano
obbligato a prostituirsi a loro. Ma a un suo rifiuto, l’avevano per bene
bastonato. Infine, dopo quel tremendo colpo ricevuto in testa: E track!
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Si trovò sistemato a dovere. Così, uno dopo l’altro se lo passarono per bene
e alla fine, forse, interrotti da qualche auto di passaggio. Lasciandolo
dentro all’auto mezzo tramortito e via loro felici e contenti come pasque.
< Accidenti! > esplose alla fine con rabbia. < Forse è questa la verità...
Forse? > Più avanti, dopo un ennesimo tentativo nel rimuginare con sé
stesso, esplose a dire ad alta voce, più che mai convinto: < Sì, è andata
senz’altro cosi... Non può essere diversamente, è successo proprio così.
Merda! Merda! > mentre si convinceva sempre più in quella nuova
scusante escogitata. Ma contemporaneamente il suo cervello continuava ad
arzigogolarsi fra mille idee vuote e balorde. Cercando un passato che non
voleva uscire fuori. Per Mauro era come voler ingoiare un rospo ancora
vivi, sentiva una tremenda repulsione. Al contempo voleva poter arrivare
alla verità. Scoprire chi era veramente e magari alla fine la realtà risulterà
peggiore. Comunque fosse, la preferiva a quell’amnesia persistente.
Capendo più che bene che la sua lacuna era senz’altro dovuta alla
caparbietà del suo subconscio, che non voleva ammettere quel dramma
subito, avvolgendo il tutto in un enigma così paradossalmente circolare.
Per l’ennesima volta, dopo pochi chilometri aveva cercato di fermarsi
ancora, si sentiva troppo stanco e la testa oltre che il corpo gli dolevano
tremendamente in ogni parte. Aveva aspettato con ansia di trovare uno
spiazzo. Ma tutto invano. In quel tratto, non vi erano piazzole e lui era
così sfinito, stremato dalle circostanze avverse. Così al primo svincolo,
girò e uscì al casello di: “Tarsia”, poi inforcò una strada laterale di terra
battuta che si inoltrava tra i monti calabresi e al primo slargo si fermò
deciso, buttandosi di traverso sul sedile. Si appisolo in quella sua
allucinante marcia di grovigli e quesiti irrisolti. Pensando ancora, che forse
aveva veramente bisogno di un dottore per diagnosticare tutti quei danni.
Si girò diverse volte sul sedile e infine gli sembrò di trovare il posto giusto.
Mentre testardo, riuscì ancora una volta a domandarsi se era una sua
abitudine dormire raggomitolato su sé stesso. Poi, alla fine si addormento
più che mai avvilito e stremato. Fu svegliato dal latrato di un cane poco
lontano, fra i dolori sparsi per tutto il corpo, sempre più accentuati.
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Capitolo Terzo
Era rimasto lì, più di un’ora a meditare sui cocci rotti e a pensare
incessantemente a vuoto. Non sapeva nemmeno lui in quel momento, per
cosa s'arrabbiava continuamente e perché s’intoppava così facilmente con
un pensiero ad un altro contemporaneamente, se non sapeva per cosa. Alla
fine gli restava solamente se imprecare avanti, o escogitare qualcos’altro di
più corretto e tralasciare i quesiti al dopo e al domani. Forse avrebbe
risolto meglio la sua intricata questione.
Finalmente un piccolo barlume di luce si fece strada dentro di sé e si
ricordò d'essersi fermato perché era rimasto a secco. Senza benzina. Con
tutte quelle fermate a vuoto si era dimenticato di far rifornimento all’auto e
ora doveva andare in cerca di una pompa di benzina. Se voleva andarsene
da quella brughiera, dove s’era infilato con decisione molte ore prima. E
soltanto in quel momento capì l'incasinamento fatto. Mentre si guardava
attorno con un’altra cognizione della vita. Capiva di trovarsi in aperta
campagna, con una ovattata coltre di nebbia bassa a fior di terra, da rendere
a quel posto un’immagine quasi spettrale. Ebbe un brivido di terrore, al
ricordo della notte precedente e si guardò parecchie volte attorno, ad
osservare quel buio intrigante. Poi si scrollò con decisione le spalle e usci
dall’auto. La frescura notturna l’avvolse con un brivido più forte,
aiutandolo a rinfrescarsi le idee.
Quella brezza notturna in arrivo lo risvegliò da quel torpore, sentendosi
leggermente meglio a sminuire quel forte mal di capo. Si fermò ad
osservare l’ambiente circostante e capì d'aver sbagliato veramente
direzione, Quando prese quella strada di campagna, immaginò d'arrivare su
di un’arteria più importante. Invece quella strada di terra battuta,
s’inoltrava sempre di più nella campagna tra le gole dei monti calabresi,
che s’innalzavano bui ad un paio di chilometri più avanti. Erano luoghi
sconosciuti dall’aspetto impervio, così solitari nel vederli, in special modo
a quell’ora della notte. Osservava il profilo di quei monti scuri e silenziosi,
con le valli strette e cupe, così disadorne, in quella notte senza luna, che
ammantava di nero tutta la zona circostante.
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Mauro, si portò dietro all’auto, aprì il cofano e frugò tra i bagagli, trovò
ciò che aveva visto al mattino, una piccola tanica per la benzina. E in parte
si sentì già soddisfatto. Quella era una buona cosa per la sua memoria e fin
lì c’era arrivato. Infine, s'avviò tranquillamente per la strada ritornando
verso il punto di partenza e con la speranza di trovare un distributore
aperto a quell’ora. Magari, qualcuno da poter chiedere delle indicazioni,
mentre si guardava l’orologio e scuoteva il capo. Erano quasi le ventitré di
notte e tutto si faceva più difficile. Ma al momento non intendeva
preoccuparsene troppo sul da farsi, ci avrebbe pensato dopo, più avanti.
Quello era il proponimento che si era imposto di fare in quella strampalata
situazione capitata suo malgrado.
La brezza notturna lo stava risvegliando per bene e l’aiutava a rinfrancarsi
un poco e ad essere più coerente, per non dire fluido con quelle poche idee
che gli frullavano ancora in testa. Riuscendo ad accantonare per un
momento quelle balorde. Era quello che ci voleva, pensò, dopo una
giornataccia così nera e travagliata. Dove, gli era difficile dissipare quella
persecuzione che arzigogolavano nella mente. Almeno accantonarle. A un
certo punto nel suo scarpinare per la sterrata strada campagnola, gli sembrò
tutto così differente, da com’era prima e in parte sentirsi un po’ sollevato.
Cercando di prendere la vita così come gli veniva data, senza voler
pretendere l’impossibile e con la speranza che il domani sia diverso. Forse,
un giorno un po’ migliore. Non è che in fondo pretendeva molto.
Poi tutto ad un tratto, vi fu qualcosa che lo richiamò decisamente alla
realtà del momento. Una sensazione strana, ma sentita, s'impadronì di lui,
che si trovò a tremare senza motivo. Ma di un motivo c’era e il suo
subconscio lo percepiva. Era la presenza di un’auto che si avvicinava a
forte andatura, zigzagava per la tortuosità della strada sterrata, illuminando
coi fari a tratti la campagna attorno. Mauro s'era arrestato di colpo
accusando un malessere che progrediva man mano che l’auto si
avvicinava. Mentre un sudore freddo gli colava per la schiena, scossa da
improvvisi tremiti. Quella strana intromissione notturna non gli aspirava
nulla di buono. Eppure, avrebbe potuto chiedergli un po’ di benzina a quei
scalmanati notturni. Ma chissà perché, lui sentiva che non doveva fidarsi.
Supponendo che forse gli poteva capitare un altro brutto incontro, come la
notte precedente, nel prendersi un’altra buona rata di botte. ‘Sta di fatto
che non se la sentiva di star lì, ad aspettare l’imprevisto. Perciò, decise
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ch’era meglio lasciar passare quell’auto senza farsi vedere. E in
quell’attimo successivo, prima che i fari dell’auto lo potevano illuminare
per intero, saltò nel fossato laterale e s'accucciò contro la scarpata per non
farsi vedere. Mentre dentro di lui una vocina gli suggeriva al suo
subconscio: “Non farti vedere, potresti trovare qualcuno che ti vuole
rompere qualcos’altro, oltreché quella parte ormai rotta e dolorante.”
Il fossato era poco profondo, ma in compenso era asciutto e gli sembrava
una protezione discreta, alle sue strane fantasie difensive.
L’auto arrivò di filata alzando un polverone di terra, poi all’improvviso
s'arrestò proprio sopra di lui. Mauro maledì quel momento. Pensando, che
senz’altro l’avevano visto da lontano, mentre tratteneva persino il respiro,
e imprecava a denti stretti contro il mondo intero: <Porca puttana!
Mancava solamente questa nuova stronzata! Che scalogna! Accidenti!
Sono proprio sfigato? > mentre digrignava i denti per la rabbia che aveva
in corpo, considerando l’eventuale impatto in arrivo. “E mi sa, che qui si
metterà male questa volta, mi romperanno veramente le ossa questi nuovi
tizi del cavolo!” Ma, allo stesso tempo, pensava ch’era abbastanza buio
per averlo visto, prima che la luce dei fari l'inquadravano. Comunque
decise di aspettare gli eventi in silenzio, borbottando mentalmente tra sé e
sé: “E che Dio, me la mandi buona almeno una volta. Al massimo se sarò
scoperto e se quello o quelli sono intenzionati a sapere il perché di questo
salto. Gli risponderò, d'aver avuto un bisogno corporale. Nient’altro.”
Ma allo stesso tempo si domandava il perché di tutte quelle sue scusanti; o
forse, era la paura che montava dentro di sé e aveva preso il sopravvento su
ogni cosa, tutto.
Lui era trepidante e alquanto confuso in quell’attesa all’impatto.
Rannicchiato nel fossato, avvolto nella polvere dell’auto appena fermata
così improvvisamente. Poi d’improvviso, sentì chiaramente un forte brusio
di voci concise. Lo spegnimento del motore gli permise d'origliare meglio.
Il vociare era molto verboso, da trapelare una forte arrabbiatura di una
parte dei contendenti. Permettendo a Mauro, di pensare che la sua
cognizione del tempo fosse esatta e quelli non si erano fermati per lui. E
allora, per cosa? Si domandò sconcertato, capendo che vi era qualcos’altro
che faceva urlare quel gruppo nell’auto. Poi d’improvviso si aprirono le
portiere e molti piedi sbucarono fuori dall’altro lato dell’auto, mentre le
urla crescevano a dismisura da sembrare tutti quanti ubriachi. Mauro tentò
di alzarsi un poco per osservare meglio e capire tutto quel baccano che
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facevano in quel dialetto strettamente calabrese. Da non capirci molto o
niente. Soltanto delle parole frammezzate e sconce riusciva a captare. Urla
sovrapposte ai discorsi verbalmente incavolati tra loro. Mauro vedeva
quell’andirivieni di piedi in fermento che talvolta s’intoppavano tra loro.
In fine il gruppo di scalmanati si trasferirono di fronte all’auto, illuminati
dalle luci di posizione. Anche l’autista era sceso di fretta dalla macchina e
si precipitò per raggiungere i compagni nel pieno della discussione. Ma,
nella premura l’uomo, scivolò sull’erba della scarpata, bagnata dalla
rugiada. Proprio sopra la testa di Mauro e a sua volta si appiattì ancora di
più contro il bordo del fossato. L’autista si dovette afferrare allo sportello
per sorreggersi ed evitare di cadere. Ma nel tentativo di restare in
equilibrio, gli scivolo fuori da sotto la giacca una pistola che cadde
sull’erba accanto al viso del giovane spaventato. Istintivamente Mauro
l’afferrò al volo e in quel preciso istante capì molte cose. L’autista non si
era accorto di nulla nella fretta di raggiungere gli altri, mentre dava una
leggera spinta allo sportello dell’auto per chiudersi, ma lo sportello si riaprì
di nuovo, illuminando Mauro con la piccola luce di cortesia. Mauro,
temendo di essere visto si rannicchiò ancora di più su sé stesso. Mentre i
suoi occhi erano rimasti per un attimo a fissare increduli quell’aggeggio di
morte, che stringeva tra le dita ancora tremanti. Erano senz’altro dei
mafiosi scalmanati, pensò velocemente tra sé. E non di certo gente
raccomandabile, se vanno in giro armati e urlano con accanimento tra loro.
Perciò la situazione diventava sempre più critica anche per Mauro. In
quella sua posizione improvvisata e scomoda, nell’impossibilità di potersi
muovere. Mentre la sua attenzione si era concentrata verso il gruppo di
fronte all’auto che sbraitavano rumorosamente tra loro. Gli sembrò che
frammisto al loro vociare vi fosse qualcuno che implorava. Una specie di
lamento, quasi un flebile pianto. Mauro, riuscì a captare quel debole
richiamo e un cupo presentimento risvegliò la sua attenzione. Per vedere
meglio cosa stava veramente succedendo, tra quella masnada di minacciosi
ubriaconi,
Mauro dovette per forza alzarsi un poco dal suo nascondiglio
provvisorio. Mauro non si era ancora reso ben conto di quello che stava
succedendo. Lui pensava sino a un momento prima che si trattasse di una
disputa tra amici, disputa per qualche donna da salvare l’onore. Dal modo
così sboccato da insultare qualcuno in mezzo a loro. Poi, finalmente udì
più distintamente qualcuno che gridava più forte, mentre gli altri
rimanevano per un momento ad ascoltare: < Stronzo! > apostrofò il
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grassone. < Credevi di fare il furbo, vero? > mentre un altro a sostegno, si
intrometteva nel dire a sua volta con disprezzo: < Hai cercato di seguirci,
bastardo! Sei un piedipiatti vero? Un poliziotto marcio. Figlio di puttana! >
e un terzo più in disparte diceva ridacchiando: < Ma noi adesso ti
spacciamo il culo, bel furbetto! > Effettivamente era proprio quello che
avevano in mente quei quattro o cinque individui, per nulla
raccomandabili. E questo lo doveva ammettere Mauro, per la sua
intuizione di poc’anzi a nascondersi, Ma forse per poco, stava pensando
con amarezza.
Poi, nel sentire più chiaramente quelle parole, Mauro ebbe un fremito per
tutto il corpo, oltretutto quelle voci, si proprio quelle! Gli stavano entrando
nel cervello come una doccia gelata e infernale. Assomigliavano
tremendamente a quelle voci che aveva già sentito altrove: “Ma dove?”
pensò alacremente. Erano delle voci inconfutabili per lui, e all’istante
Mauro, capì dove le aveva già sentite. Erano le stesse di quello stesso
giorno. Sentite sull’autostrada, e forse anche della notte precedente, in quel
banchetto fatto con il suo deretano. Mentre si domandava sorpreso, se
veramente era una fortuita coincidenza quell’incontro. “Oppure, una
maledetta scalogna?” constatò con un amaro rimpianto.
Mentre la disputa si faceva più agguerrita, Mauro sentiva il sangue
salirgli alla testa per la rabbia. Scoppiata d'impeto in quella somiglianza di
voci. Si fece coraggio e si alzò in piedi nel fossato per vedere meglio ciò
che s’immaginava. La sua testa era all’altezza del vetro dello sportello e
poteva vedere tutti quanti la davanti. Avendo presupposto che nella disputa
nessuno avrebbe notato la sua presenza dietro l’auto e poi, avevano ben
altro a cui pensare quelli in quel momento. Forse Mauro, avrebbe potuto
approfittare della situazione di confusione e fuggire attraverso il fossato,
ma era un rischi grande e poco fattibile. Il fossato terminava a una decina
di metri da lui, perciò rinunciò a tale tentativo. Invece si concentrò sulla
situazione lì, di fronte che stava prendendo una brutta piega. Capì
all’istante, che quella messinscena era solamente l’inizio di un dramma da
incubo, vero e proprio. Poi, nel vedere di persona quelle presenze poco
raccomandabili e dai loro volti alterati che esprimevano una perversione
più che spietata. Mauro si stupì ancora di più sulla veridicità dei fatti, da
procuragli un forte colpo di dolore e sgomento, constatando che il suo
udito non l’aveva tradito poco prima. Sì, li aveva riconosciuti tutti quanti.
Erano proprio quelli incontrati all’autogrill quel giorno. < Sì, sono proprio
loro, quei bastardi, figli di puttana! > sbottò a fior di labbra. Mauro era
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rimasto lì, a guardare più che mai sconvolto, da faticare a deglutire la
saliva in gola. Rimanendo soltanto l’amara e atroce verità in bocca. < Sono
proprio loro, quei bastardi!> prosegui incavolato. < Brutti porci! Figli di
cagne rognose! > blaterò sottovoce da non riuscire a star zitti.
Erano quelli dalla faccia da maffiosi, che l’avevano deriso e senz’altro
aggredito e malmenato, per non dire inchiappettato per bene, l’altra notte
. Quella supposizione era ormai più che sicura. <Bastardi!! > ringhiò
nuovamente tra i denti, Mentre sentiva salirgli dentro di sé un’infinita
collera. Era assalito da brividi convulsi per tutto il corpo dall’eccitazione. I
suoi nervi erano talmente tesi come corda di violino, in procinto di
strapparsi per la forte tensione di adrenalina sottoposta al momento. Stava
quasi per uscire e urlare in faccia a tutti la sua rabbia e il suo sdegno. Ma il
buon senso prevalse e aspettò ancora, frenando l'impeto nell'escogitare
qualcosa? Ormai era carico di folle ira, così difficoltosa da dominare.
I disputanti erano ammassati al centro della strada a pochi metri
dall’auto, La tenue luce dei fari proiettava attorno al luogo delle false e
macabre ombre, di cattivi presagi in arrivo, in quella scena notturna per
nulla rassicurante. Poi. uno di loro si sposto di lato e Mauro poté vedere in
viso l’accusatore. Era il grassone peloso e proprio in quell’istante estraeva
una pistola infilata nella cintura dei calzoni, alzandola in alto con
prepotenza, mentre imprecava contro lo sconosciuto trattenuto dagli altri
gaglioffi. A un certo punto anche il biondino autista si spostò di fianco,
appoggiandosi al cofano motore dell’auto, da lasciargli la completa
visuale. E finalmente Mauro, riuscì a vedere bene in viso la vittima
designata. Mentre un terrore cieco s’impossessò del suo corpo, al solo
pensiero di dover assistere a un rito veramente macabro e inumano.
L’uccisione di quell’uomo inerme e spaventato a morte.
L’uomo si trovava quasi al centro del gruppo, dall’apparenza giovane,
forse della sua stessa età. Così sembrava a Mauro a prima vista, Ma, in
quella confusione di pensieri e idee improponibili, era difficile poterlo
identificare meglio. Aveva i capelli e occhi scuri con un grosso cerotto
sulla bocca che gli impediva di urlare. Aveva lo sguardo terrorizzato e gli
occhi sembravano uscirgli dalle orbite per la paura. Mauro captava dei
deboli gemiti, dal prigioniero, rantoli di preghiera al terrore sovrastante. E
per Mauro fu una pena immensa a pensare al dopo e al peggio per lo
sventurato giovane. Tra le grinfie di quei porci bastardi mafiosi. Mauro, si
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trovò a tremare di rabbia e sgomento, Domandandosi perché mai lo
volevano morto. Ma al contempo cercava di valutare la situazione e se gli
era possibile escogitare un diversivo al caso. Non poteva star lì fermo, a
vedere uccidere una persona così, a sangue freddo. Con cinica cattiveria
inumana. Come dimostravano di essere quei miserabili cani affamati, che
ringhiavano a morte. D’altronde dalla sua posizione Mauro, non poteva
stimare ogni evenienza. Avendo quell’autista deficiente che continuava a
saltare da un posto all’altro dalla gioia, aspettando impaziente l’inizio della
festa. Da impedirgli la visuale della situazione. Poi, finalmente il capo
pareva pronto a por fine a quella sventurata vittima, che si stava dibattendo
dalle braccia forti che lo trattenevano. Il biondino autista, si era avvicinato
al gruppo e se la rideva di gusto, come un povero deficiente. Mauro ne
approfittò in quel momento di confusione per agire. Sapendo più che bene
che sarebbe diventato presto un testimone scomodo e senz’altro avrebbe
raggiunto molto preso il malcapitato giovane, nel mondo dei trapassati.
Quella era una constatazione inderogabile e senza riserva.
Mentre l’aguzzino si dilungava nel suo discorso sadico, per assaporare
meglio la sua vendetta e vedere il panico aumentare spasmodicamente
negli occhi del malcapitato giovane. Nel fagli scoppiare il cuore per la
paura. E così, mentre il killer se la rideva per quella sua masochista
maniera, a far patire le pene dell’inferno prima del previsto, Mauro
escogitava velocemente come doveva agire. Mentre ascoltava il killer cosa
diceva al giovane prigioniero. Esponeva con arrogante spavalderia, mentre
l’ingiuriava a più non posso: < Tu credevi di fare il furbo e seguirci con la
tua auto. Poi, magari, andare alla polizia a spifferare tutto, vero? Sei stato
uno stronzo! Be’, hai sbagliato i conti con noi. Pezzo di merda! Come
abbiamo fatto fuori i corrieri della droga e prendere le loro valigie... Così
ora facciamo fuori anche te, per averci rotto le palle. Chiaro! Così ora lo
sai. Meglio dire lo sapevi. Tutti devono pagare il pedaggio per passare da
queste parti. Noi non perdoniamo a nessuno e specialmente a chi cerca di
farci fessi... Povero stronzo! >
E fu, tutto chiaro anche per Mauro. Aveva già intuito un istante prima la
situazione e in quei secondi successivi, prima che giunga alla fine di quel
sadico discorso. Mauro capì più che bene, la sporca situazione in cui si
trovava suo malgrado e perciò, incondizionatamente valeva anche per sé
quella condanna. Non vi sarebbe stata una via di scampo. La fine era più
che vicina. Pertanto prima che quel babbeo di ciccione terminasse la sua
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arringa, lui doveva intervenire a ogni costo. Anche di morire se era il suo
destino e non come un cane in quel fossato. E poi visto che la provvidenza
gli aveva fornito lo strumento di contestazione. Tanto voleva farne buon
uso, almeno poteva dire, che prima di morire ci aveva provato a vendere
cara la propria pelle. Oltretutto aveva già deciso diverse ore prima di porre
fine alle sue pene, e in quel momento poteva realizzarle. Tanto più e
senz’altro si portava a presso qualcuno dei suoi assalitori. A quella idea
così barbara, gli dava una certa soddisfazione. Mentre pensava, di non aver
mai sparato un solo colpo in vita sua e gli faceva un po’ di rabbia la sua
imbranatura nell’uso di un’arma e dover lasciane poi qualcuno ancora
vivo. Perché a quel punto, avrebbe voluto portarseli tutti quanti a presso.
“Occhio per occhio, dente per dente”, bofonchiò tra i denti stretti.
Sperava soltanto, che in quella ravvicinata distanza, riuscisse fare un buon
centro. E forse quella notte era l’ora giusta anche per morire. Ma per il
momento aveva ben altro a cui pensare. Persi in quegli attimi di incertezza
a meditare. Perciò, non poteva permettere quell’esecuzione criminale.
Ormai sapeva più che bene che quelli non erano esseri umani, ma
immondezza che bisognava spazzare via a ogni costo. Certamente non per
quello che gli avevano fatto, ma per quello che stavano per commettere.
Così, senza tante storie, sbottò tra sé incavolato: “Io o loro? Meglio loro
a questo punto.” Brontolò ancora adirato. E tutta quella prosopopea si
svolgeva nella sua testa in quelle frazioni di secondi. Ma purtroppo
volavano via velocemente e a quel punto erano già stati troppi i minuti
persi, nel perdersi a pensare la via migliore da prendere.
Mauro, tirò il caricatore e allungò la mano e puntò la pistola Berretta al
nemico. Mentre sperava che la sicura fosse nella posizione giusta e la
pallottola già in canna. Altrimenti, tutto sarebbe andato a puttane.
Egualmente sperava nella buona sorte e quasi con spirito allegro, pensò
rapidamente ancora: ”Questa sarà la mia notte fortunata signori, non c’è
verso che possa sbagliare... Cavolo! in che casino sono finito...” Sbottò
Mauro tutto teso. Sapeva che la sua mossa doveva essere rapida, decisa e
micidiale. Come nei film di azione che si vedeva talvolta alla televisione.
Così calcolò in un secondo la sua intromissione e sorpresa per il nemico.
Sperando di beccarli e spaventarli al primo colpo, nel farli desistere nel
commettere quell’assassinio. Mauro era più che deciso, ma al tempo stesso
timoroso. Capendo ch’era un passo decisivo e mai più avrebbe potuto poi,
tornare indietro. D’altronde lui aveva già voltato le spalle al passato,
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perciò poco importava l’avvenire in quel momento. Ora doveva risolvere
quella questione troppo urgente, per non dire estrema.
Mauro era lì, dietro lo sportello aperto dell'auto, aveva le gambe
divaricate per sentirsi più saldo sui piedi nel fossato. Poi, con decisione
allungò la mano verso l’interruttore dei fari e lì accese di botto. La luce
dardeggiò e accecò i convenuti, sbilanciandoli in quell’imprevista mossa.
Ma da chi? Proprio, mentre il grassone stava per fare fuoco sul malcapitato
giovane. Momentaneamente era stato abbandonato dai suoi secondini,
aveva le mani legate dietro la schiena con del filo di ferro. E per la gran
paura che aveva addosso, il malcapitato prigioniero tentava di muoversi e
fuggire. Mentre indietreggiava continuamente, rovinando poi, giù nel
fossato alle sue spalle. In quel vano e disperato tentativo di fuggire. Rotolò
e annaspò sulla sponda opposta del fossato, puntando i talloni delle scarpe
nel terreno. Mentre il grassone se la rideva per quella meschina fuga senza
scampo. Poi quelle luci di soprassalto confusero il killer e il colpo partì
senza mira, colpendo egualmente il giovane, ormai bocconi nel fossato.
In contemporanea all’accensione dei fari dell'auto, Mauro aveva urlato
ai contendenti, stringendo saldamente la pistola con tutte due le mani e
puntata su di loro: < Armi a terra! Le mani bene in vista. Bastardi! >
A quel richiamo all’ordine, quelli si girarono di colpo stupiti e confusi, nel
domandarsi mentalmente chi mai si era nascosto dietro l’auto e abbaiava
nel buio a quel modo?
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Capitolo Quarto
Poi, tutto si svolse in una successione di reazioni così rapide e decise, da
ogni parte. Negli attimi e secondi successivi, che avrebbero preceduto la
fine dello scontro, iniziato malamente.
Sembrava di vedere uno dei tanti film malavitosi, sugli schermi dei
cinematografi. Dove si percepisce solamente il susseguirsi degli spari e i
fischi delle pallottole, che sfrecciano nell’aria in continuazione. Colpi
decisi e secchi, che echeggiavano nella notte e il frastuono era assordante.
Mentre le pallottole fischiavano da ogni parte. Le urla e le imprecazioni
non mancavano a completare il quadro di una guerra notturna fra rivali. Si
vedeva soltanto il guizzare delle lunghe fiammate, che uscivano da ogni
arma adoperata, nel buio di quella notte risvegliata. Sembrava fatta apposta
per pareggiare i conti. Uscivano lampi tuonanti da ogni pistola usata con
rabbia e determinazione dei malavitosi, a contrastare lo stupore di non
vedere il loro presumibile assalitore.
Poi tutto si assopì. Mentre in lontananza si spegneva l’ultimo eco degli
spari, assieme al latrato di un cane randagio spaventato dal frastuono
inaspettato. Si stavano assopendo nel nulla anche gli ultimi lamenti e
imprecazioni, dei moribondi rimasti a terra nella polvere umida di rugiada.
Poi, tutto ritornò maledettamente silenzioso e tombale, in quel luogo
impervio e ostile. Forse dimenticato anche da Dio, dove la morte aveva
colpito senza nessuna remissione.
Mauro era rimasto saldamente in piedi, con le braccia ancora tese e la
pistola ormai scarica e fumante. Aveva il cuore che gli batteva a dismisura
per la forte tensione al dramma. Poi istintivamente si passò la mano sul
petto, era sicuro di aver qualche buco da qualche parte, nel suo corpo
scosso da tremiti. Ma si dovette ricredere e constatò ch’era riuscito a
evitare quella sfilza di proiettili che gli fischiavano attorno da ogni parte,
sembravano un branco di calabroni inferociti che si avventano sull’incauto
ficcanaso. Nelle sue orecchie gli rintronavano ancora i botti secchi delle
pallottole che andavano a conficcarsi nella carrozzeria dell’auto a pochi
centimetri dalla sua testa dolorante. Era tutto tremante dalla testa ai piedi
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in uno spasmo di paura e rabbia. In fine si trovò a vomitare anche l’anima
a terra, mentre un sudore gelido lo avvolgeva con forza. Aumentando i
forti brividi e sussulti incontrollabili che aveva in corpo. Poi dopo il primo
impatto di conato, Mauro si passò il dorso della mano sulla bocca per
pulirsi le sbavature rimaste, nel trovarsi con la bocca acida e amara. Ci
volle un buon momento per adattarsi a quella circostanza funerea.
Constatando che più nessuno fiatava lì attorno o si muoveva. Perciò,
doveva dedurre che avevano avuto la peggio in quella battaglia voluta da
loro. < Cose da non credersi. Perlamiseria! > borbottò stupito. < Che
casino ho combinato! > mormorò tra sé con dura amarezza, incredulo di
quello che aveva fatto. Lui che non aveva mai sparato un colpo in vita sua,
aveva avuto un tale culo e una mira così precisa da sistemarli tutti quanti.
< Impossibile, ma vero? Accidenti! > biascicò ancora incredulo.
Infine Mauro, si fece coraggio e uscì dal suo avamposto, avanzando con
circospezione verso i primi cadaveri riversi sulla strada. La luce di un solo
faro rimasto nella sparatoria illuminava la scena più che mai macabra. La
tensione e la rabbia era ancora più che mai saldamente abbarbicata in
Mauro, mentre teneva ancora in mano e ben stretta l’arma ormai scarica.
Senza rendersene ben conto della gravità di quel suo gesto. E per la prima
volta, stava vedendo con preoccupante disappunto, cosa poteva fare quel
giocattolo che stringeva nella mano ormai sudata.
Lì, a terra in un mare di sangue, giacevano inerti e sgraziati i quattro
corpi dei killer, erano così per dire, tutti morti stecchiti. Più nessuno si
muoveva o si lamentava, la morte lì aveva raccolti in grembo tutti assieme.
Tutto era veramente finito, pensò Mauro un po’ titubante e restio a
capacitarsi. Poi si avvicinò al primo a cui aveva sparato, era l’autista che si
era girato di scatto mettendo la mano sotto il giubbotto, forse per cercare la
pistola e scagliarsi su di lui con un grande stupore. Era riverso bocconi sul
cofano dell’auto in una larga macchia di sangue. Mauro con prudenza,
tastò il polso, ma ormai era veramente trapassato, mentre si guardava
sospettoso attorno. L’aveva proprio colpito in pieno petto. Si girò e
constatò che anche i due a terra al centro della strada, avevano avuto la
peggio, uno l’aveva preso in fronte e l’altro al cuore. Mentre si ricordava
che il primo non aveva avuto il tempo di sparare e l’altro aveva fatto fuoco
diverse volte in direzione dell’auto con una pistola a tamburo. Sembrava
un cannone dal rumore e la sua fiammata che usciva dalla canna, nella sua
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direzione. Mauro notò, che la teneva ancora stretta in mano. Invece il
grassone peloso che gli sembrava fosse il capo della banda, aveva sparato
anch’egli molte volte con la sua pistola automatica, mancando per fortuna
il bersaglio e Mauro faticò molto ad atterrarlo, scaricando tutto il
rimanente del suo caricatore. Era anch’egli riverso nel fossato a pochi
metri dal giovane imbavagliato, con due colpi in petto e uno al capo. Ma
con sorpresa Mauro costatò, che anche da morto gli era rimasta sul viso
quell’espressione cinica e malvagia, per non dire incazzata.
Lui era veramente l’artefice di quel massacro commento mentalmente
tra sé: “da non crederci”. Nel ripensare di chi fosse la mano che l’aveva
guidato ad essere così cinico e spietato oltreché preciso nella mira. Mentre
si ripeteva a fior di labbra quasi a discolpa: < Io o loro? A questo punto
meglio loro... Che le loro anime dannate, riposino in pace. > si ritrovò a
dire inconsciamente. Al contempo incominciava a capire che una parte
della sua smemoratezza se ne stava andando via, perché gli sembrava di
rammentare dei piccoli particolari che prima non c’erano. Deducendo tra
sé, che in quel momento di forte tensione per salvarsi la pelle, gli aveva
provocato un tremendo e nuovo shock, così agghiacciante e terrificante.
Dove l’adrenalina era salita vertiginosamente ai sette celi e di averlo
scosso per bene in quella specie di euforia scaturita nella sua rabbia.
Poi, abbandonò quei pensieri retorici. Comprendendo al momento che
aveva altri quesiti più roventi da risolvere, per non dire trapassati da
pensare. Mentre continuava a guardarsi attorno un po’ attonito e con
ancora un gran rumore assordante nelle orecchie. Infine provò a dirsi a
voce alta, non riuscendo a sentire la sua voce dal troppo frastuoni che gli
rimbombavano ancore le orecchie dagli spari: < Innanzi tutto dovrei
avvisare subito la polizia e spiegare ogni cosa successa e... > ma, si era
fermato di colpo nel parlare da solo, mentre tirava un lungo respiro per
calmare un poco quell’affanno e agitazione che aveva addosso. E a quel
punto sbottò trasalendo: < Oh, mio Dio! > ricordandosi del prigioniero che
l’aveva visto cadere nel fossato. Mauro si precipitò al suo fianco, con un
certo sgomento in petto e nel cuore.
Il giovane giaceva bocconi nel fossato, con una grossa macchia di
sangue nella schiena, diffusa per bene sulla camicia rigata. Mauro era
veramente dispiaciuto di non essere stato tanto veloce, e nell’aver
permesso a quel mafioso di ammazzarlo come un cane.
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< Perdio, no! > esplose senza ritegno, imprecando di più contro sé stesso:
< Porca puttana! E’ stato tutto invano?... Non ho fatto in tempo! Mi sono
perso troppo in ripensamenti inutili, Puttanaeva! Ho lasciato che
stroncassero questa giovane vita. Non doveva succedere! Solo perché, non
mi sentivo pronto a sparare... Cazzo! Questa non ci voleva proprio...
Accidenti! > mentre scagliava con rabbia la pistola lontano e si metteva in
ginocchio accanto al giovane con le lacrime agli occhi. Cercando le parole
adatte per scusarsi. Era veramente dispiaciuto a costatare quella grama fine
capitata. Ma all’improvviso sentì un debole lamento provenire dal giovane
riverso bocconi nel fossato, da richiamare in sé Mauro.
Subito si preoccupò a liberargli le mani dal filo di ferro e girarlo
lentamente. Poi controllò la ferita e scoprì ch’era stato colpito alla spalla e
il sangue usciva abbondantemente riversandosi sulla schiena. Marco si
prodigò a pulire la ferita con la camicia fatta a pezzi e strappò il nastro
adesivo dalla bocca del giovane e lo sistemò sopra alla pezza, per bloccare
in parte l’emorragia dei fori di entrata e uscita del proiettile. Poi fasciò alla
meglio la spalla con il resto della camicia strappata. Mentre il malcapitato
giovane si lamentava debolmente, poi alla fine, aprì gli occhi e fissò con
terrore Mauro la di fronte. Al tempo stesso l’incauto e stremato giovane
tentava di sottrarsi per la paura. Subito Mauro lo rassicurò mormorando: <
Non temere amico. E’ tutto finito ormai... > Mentre l’altro lo guardava
sempre più stupito e confuso oltre alla paura e al dolore per la ferita; aveva
le lacrime agli occhi ancora pieni di terrore.
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< Sì amico, sei ancora vivo! > continuò Mauro. < Ma purtroppo loro
no. Più nessuno ti farà del male, stai tranquillo! Ora sei al sicuro. > lo
rassicurò Mauro, e mentre parlava aveva l’impressione di recitare frasi
sentite altrove, ma chissà dove? Come fossero scritte apposta per qualche
copione di una sceneggiata mal recitata. In quei dialoghi usati in certi film
d’azione di poca spesa. Poi, accantonò quelle ridicole idee, domandarsi
cosa doveva fare veramente a quel punto. “Innanzi a tutto portare subito il
ferito da un dottore. Questa è la prima cosa da fare e poi andare alla
polizia a raccontare ogni cosa”. Ma contemporaneamente Mauro si
arrestava, avendo avuto un momento di ripensamento a quella sua
prospettiva per il futuro. Mentre si spremeva energicamente le meningi a
capire la via migliore sul da farsi. Come avrebbe dovuto regolarsi
all’occorrenza? Si domandò tra sé, per la prima volta a mente più chiara:
“Già, questo è il guaio!” sbottò sull’imprecisato dubbio, mentre si
preoccupava delle condizioni del ferito. Mauro gli alzò una ciocca di
capelli e gli pulì il viso sporco di terra e sangue, poi l’appoggiò con
delicatezza contro l’argine. Infine, gli espose la sua diagnosi, con un
mezzo sorriso: < Be’, speriamo che non hai altri buchi nel corpo, amico...
A prima vista non sembra. > L’altro riuscì solamente a fare una piccola
smorfia di dolore, poi reclinò il capo e perse nuovamente i sensi.
In quella parvenza di calma, sovrapposta dalle esigenze celeri che
Mauro s’imponeva di fare al momento. Mentre continuava a confabulare
con la sua corta memoria, pensando a quello che andava incontro nelle
prossime ore. E perciò doveva fare in fretta a decidere quale via prendere.
Immaginando più che bene, come funzionano le leggi italiane. Pertanto,
stava capendo che era finito senza volerlo, in un bel ginepraio. Si sarebbe
inguaiato fino al collo. Se per caso la sua storia incominciava a non
collimava con altri fatti sconosciuti a lui. Ma che per vie traverse
l’avevano coinvolto a quei quattro criminali. E dai discorsi frastagliati, che
aveva sentito dire poco prima dal capo ciccione. Vi erano implicati altri
morti da qualche parte. E il giovane ferito, di certo aveva visto e sentito già
troppo, per non dire tanto, da doverlo far fuori. Ma al momento Mauro,
non poteva interrogarlo per sapere qualcos’altro? Mentre si domandava e
imprecava confusamente tra sé a voce alta. < Accidenti che casino! >
Perciò, tutto incominciava a diventare difficile da interpretare liberamente.
Sapendo per certo che si fa molto presto a travisare verbali e trovare
testimoni fasulli. Poi, qualcuno per un pugno di banconote sarebbero
disposti a vendersi anche la propria madre, figurarsi degli estranei. E dato
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che la questione al momento era molto complessa e quelli parlavano di
droga e di tangenti da pagare? V’era il caso che oltre alla polizia, che
s’interesserà dopo ai fatti. C’era il pericolo che altri si intromettano per
riavere la propria droga e far pagare le conseguenze dei danni ricevuti a
chicchessia e si trovava per caso coinvolto. Sapendo per certo che la mafia
non perdonava certe prodezze. Special modo a uno come lui, di aver rotto
le uova del loro paniere. “Più esplicitamente, le palle!” Esplose tra sé
incavolato. < Poi con questa memoria del cazzo, che mi trovo! >
A quel punto Mauro, doveva escogitare qualcos’altro per uscirne
indenne da quell’assurda storia. Dopotutto quella droga valeva milioni e a
nessuno piacerà perdere un così cospicuo guadagno. Pensando che gli
interessati si daranno molto presto da fare, per arrivare a riprendersi il
malloppo prima di tutti quanti, anche dalla polizia.
Mauro incominciò a meditare velocemente, costatando che doveva
andarsene via al più presto da quel posto e portare il giovane da un medico
prima che muoia dissanguato. Sebbene lui, avesse fatto un buon lavoro e
per il momento la ferita non sanguinava più, ma egualmente non poteva
abbandonarlo a quel modo. Poi. di colpo ripensò a quella maledetta droga.
Gli era sorto un dubbio di certezza, parlando tra sé a voce alta: < Forse è
nascosta nell’auto? > Mentre decideva all’istante di guardare se c’era, e
lasciò per un momento il giovane dov’era, precipitandosi a controllare
l’auto dei mafiosi, abbastanza crivellata di colpi.
In quella paura incongruente, Mauro si sentiva già braccato, prima
ancora che inizi per davvero la caccia all’uomo. Doveva fra presto, ma al
tempo stesso doveva ricordarsi di cancellare ogni traccia e le sue impronte
rimaste sulla pistola, anche sull’auto. Mentre tentava velocemente di
escogitare un suo piano di evacuazione indenne. Mauro aprì la portiera e
trovò sul cruscotto un paio di guanti che s’infilò e poi raccolse uno straccio
tra i sedili e incominciò a pulire ogni sua traccia. Ricordandosi dove aveva
messo le sue mani e dita, per evitare di lasciare ulteriori impronte ai
prossimi rilievi, che farà senz’altro la polizia al ritrovamento dell’auto. Poi
raccolse con riluttanza la pistola che aveva usato con ardire e si sforzò a
strofinarla per bene, mentre gli tremavano le mani al toccarla di nuovo.
Infine la depose sul sedile dell’auto. Poi, passò a controllare il bagagliaio
dell’auto e vi trovò tra le varie borse, indumenti, avanzi di cibo e bottiglie
vuote di birra, una tanica piena di benzina. Sul momento non ci fece caso,
ma subito dopo, ebbe un brivido a pensare a cosa poteva servire quella
benzina ai quattro: “Uccidere il testimone e poi dargli fuoco”. Quella era
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la tecnica usata da molti mafiosi killer, per non lasciare tracce visibili al
caso. Pertanto, erano stati fortunati tutte due, lui e il giovane ferito,
altrimenti ora erano belle che arrostiti. Poi, tralasciò quelle brutte
congiunture e perquisì a fondo la vettura. Trovò una valigia nera e sotto il
tappeto al posto della ruota di scorta trovò una borsa di tela nera. Prima di
aprirla restò un attimo a pensare se il suo intuito era veritiero. Non aveva
mai visto fino a quel momento e per sua fortuna della droga in quantità
madornale. Mentre si domandava, come poteva essere sicuro di quel che
pensava se non si ricordava niente del suo passato, ma tralasciò quelle
irrisorie questioni. Al momento aveva altri e più scottanti pensieri tra le
mani e con la probabilità che la sua vita da quel momento, aveva i giorni
contati. Ed era la pura verità. Con la mafia alle calcagna, non si poteva o si
potrà contattare una pace in futuro. Comunque al momento voleva vederla
quella droga che tutti vanno pazzi per averla e poi decidere dove buttarla,
magari bruciarla. Così non rimaneva più per nessuno e alla scientifica
rimarrà soltanto della cenere d’analizzare.
Infine, con decisione Mauro aprì la sacca, ma rimase stupito, dentro vi
era un mucchio di soldi. Una cinquantina di mazzette da cinquecento e
centomila lire, infilate dentro alla rinfusa. Supponendo che quel danaro
poteva servire per pagare il lavoro dei killer. A quel punto Mauro, si dedico
all’altra valigia e tentò di aprirla ma era chiusa a chiave. Prese un
cacciavite lì, nel baule e forzò la serratura, facendola scattare e di colpo il
coperchio si alzo di botto, lasciando Mauro ancora più sorpreso per la
seconda volta. I suoi occhi faticavano a vedere chiaramente, alla debole
luce del bagagliaio ch’era strappata e pendeva al fondo del vano
bagagliaio. In quella valigia così ricolma c’era una diversa sorpresa. Non
era piena di droga, come si aspettava convinto. Ma questa volta colma di
tanti dollari americani. C’erano un’infinità di mazzette verdi già usate, che
straripavano dall’ampia valigia nera. A quel punto Mauro, confusamente
pensò più rapidamente. Come doveva comportarsi in quella circostanza
inaspettata; lasciare tutto com’era e fuggire via il più lontano possibile?
Portandosi solamente dietro il giovane ferito e poi avvisare la polizia e
aspettare le conseguenze. Ma nel frattempo poteva arrivare lì, qualcuno e
avrebbe visto tutto quel ben di Dio... Perciò, cosa avrebbe fatto quello? Si
sarebbe preso la grana e arrivederci a tutti quanti. Mentre lui veniva
accusato di quattro omicidi e la sparizione della refurtiva. E con un
pensiero un po’ cattivo, poteva capitare che anche sotto custodia, vi era il
pericolo che quelli della mala gli avrebbero fatto egualmente la pelle. Solo
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per dargli una punizione nell’avere intralciato i loro piani e accoppato i
bravi compagni lavoratori. E da notare che in simili grossi affari, c’era la
probabilità dell’implicazione di più persone e magari anche nell’ambiente
giudiziario. Con i soldi, si può ottenere tutto a volte. Perciò, tutto si
complicava a meraviglia, pensò Mauro preoccupato. Poi oltretutto, lui che
si trovava a corto di memoria, diventava sempre più difficile spiegare chi
era e cosa faceva lì in quel posto? E l’altra notte sull’autostrada e poi
guarda caso proprio lì, a sparare ai quattro delinquenti, era difficile
credergli? Potevano dubitare che lui era complice di altri e il sospetto
diventava sempre più positivo. < Porca la miseria! > sbottò adirato. Si
sentiva già un nodo scorsoio intorno alla sua gola. Perciò Mauro, in quel
frullare d’idee in testa, capì che la soluzione migliore per il momento era
di filarsela alla svelta da quel posto e portarsi la valigia e la sacca a presso.
Forse poteva servigli a barattare la sua vita, sebbene ne dubitava molto.
Ma ormai aveva deciso. Se restava non sarebbe diventato senz’altro
vecchio, ma concime per quella terra arida e secca. Quello era più che
sicuro che capiti al più presto. Si affrettò a raccogliere ogni cosa che
poteva inguaiarlo e pensò che quella tanica di benzina poteva servire alla
sua macchina a un chilometro più avanti a secco. Scaricò tanica e valige e
sacca a terra, poi mise in moto l’Alfa 164 che stentò a partire, avendo
ricevuto vari colpi di pistola nel motore. Infine si mise in moto zoppicando
e la spostò deviandola su di una strettoia laterale, facendola scivolare nel
prato antistante. Spense il motore e pulì meticolosamente ogni traccia delle
sue impronte. Sperando di ricordare bene ogni cosa che aveva toccato. Poi
ritornò sulla strada e si portò accanto al giovane. Si era un po’ ripreso dallo
sfinimento e gli disse sottovoce: < Senti amico, hai pazienza ancora un po’
e aspettarmi qui che vado a prendere la mia auto, qua vicino. Poi ti porterò
subito da un dottore, capito... > E l’altro acconsentì muovendo il capo con
fatica, si vedeva ch’era troppo sfinito per reagire. Mauro si alzò e con
decisione prese quei cadaveri sulla strada e li spostò di lato, non voleva poi
mentre ripassava con la sua auto scavalcarli come immondizia. Ormai
erano morti e a quel punto bisognava rispettarli almeno un poco. Alla fine
si guardò attorno, dicendosi: “E’ veramente un posto da lupi, non c’è
nessuno in giro. Tanto di guadagnato o forse e la provvidenza che sta
pensando un poco anche a noi, poveri mortali.” Con decisione si prese la
piccola tanica di benzina, oltre alla sua vuota e s’incamminò deciso verso
la sua auto poco distante.
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Capitolo Quinto
Mauro sistemò la benzina nella sua macchina adoperando un cartone per
imbuto. Alla fine messa le taniche nel suo bagagliaio Mauro provò ad
avviare il motore, l’auto stentò a partire, ma alla fine si mise in moto con
un gran sollievo. Con decisione Mauro girò l’auto e si avviò per andare a
recuperare il ferito lasciato nel fossato. Mauro faticò nel prenderlo in
braccio, ma alla fine riuscì a metterlo nella sua auto. Era talmente pesante
il ferito, che si trovò a borbottare tra le labbra: < Però, accidenti come pesi
amico... > pensando al momento gli era impossibile fare altrimenti, o forse
era più probabile la sua debolezza, tra digiuni e botte ricevute. Era
infiacchito nei movimenti, mentre lui desiderava fossero molto sbrigativi.
Dopo aver sistemato il ferito con una fasciatura d’emergenza legata al
collo del giovane, da evitare movimenti bruschi del braccio. E prima di
partire l’obbligò a bere un po’ di acqua, appoggiandogli la bottiglia sulla
bocca del giovane ferito, sapendo più che bene che l’arsura era presente
dopo una forte emorragia subita. Poi raccolse la valigia e la sacca
buttandola deciso nel suo bagagliaio e infine s’incammino a luci spente per
evitare a quel punto di essere visto da lontano. Oltre tutto, gli sembrava
così strano, di non aver incontrato ancora nessuno, attirati dagli spari
notturni e amplificati nella valle. Poi e forse era veramente una sfacciata
fortuna, o culo, per essere più precisi, che ci fosse qualcuno che li aiuti,
comunque andassero le cose, per una buona riuscita finale. Ormai erano in
ballo e dovevano ballare per bene, se volevano salvarsi a quel punto la
pellaccia.
La luna quella notte era un po’ tardona, si era alzata in quel momento e
faceva capolino oltre il profilo dei monti, illuminando il paesaggio
tutt’intorno in modo abbastanza spettrale. Mauro pensava, che tra poco
spunterà l’alba e tutto sarebbe cambiato radicalmente in quel posto da lupi,
divenuto per sua mano un cimitero mortale.
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Più avanti passando su di un vecchio ponte, Mauro si fermò di botto, gli
era sorto un atroce dubbio. Guardò il compagno al suo fianco e gli sembrò
che riposasse tra deboli lamenti per i sobbalzi della strada. Mauro scese
deciso dall’auto e si portò dietro alla vettura e aprì il bagagliaio. Gli era
venuta una strana idea, più che idea, era una sua assurda supposizione. Un
dubbio nato all’improvviso, su quelle circostanze accorse, pensando tra sé,
più che mai convinto: “Se per caso qualcuno, non fidandosi di nessuno,
avesse sistemato un rivelatore nella valigia? Verrei individuato molto
presto. Con queste nuove tecnologie elettroniche...” < Accidenti! In che
casino sono finito. > Borbottò a denti stretti, mentre frugava e controllava
l’esterno della valigia con i guanti ancora addosso ma, non trovò nulla di
sospetto. Comunque preferì travasare egualmente il contenuto, nella sua
capiente e grossa borsa da tennis con doppio fondo. Si sarebbe sentito più
sicuro. Così fece più in fretta che poteva, sapendo che il tempo era
prezioso per allontanarsi il più lontano possibile da quella zona. Dopo aver
chiuso la cerniera lampo del doppio fondo e sistemò sopra al danaro la sua
attrezzatura da tennis, da non insospettire chiunque per caso l’aprisse. Poi
ricontrollando il fondo della valigia e trovò un piccolo medaglione,
sembrava d’oro. Era di un certo spessore, e Mauro dedusse, che non era
certo lì per caso, ma fatto apposta per invogliare chiunque a prenderlo e
così trasmettere magari il suo messaggio. Perciò lo lasciò dov’era e riempì
la valigia con la sacca e dei sassi, poi la scagliò con tutta la forza che
aveva, il più lontano possibile, nel torrente che scorreva sotto di lui. La
vide scomparire tra i flutto nell’acqua rapidamente. Poi, vi gettò anche le
due taniche vuote adoperate per la benzina e i guanti. A quel punto doveva
eliminare il più possibile prove e segni di impronte varie al caso.
Ritornò all’auto, mentre il giovane si era ripreso un poco e si lamentava
per il forte dolore alla spalla. Mentre lui, si scusava per quella sosta
affrettata: < Scusami amico. Ma mi scappava di far acqua. >
Mentre l’altro timidamente protestava nel dire: < Io, ‘sto veramente
male! Mi sento morire… dal dolore!... >
< Abbi fede amico e vedrai il paradiso tra poco. Perché l’inferno è
appena passato. Ora devi solo farti coraggio. > mentre innestava la marcia
del suo GT rosso. E l’altro che sembrava un cane bastonato e tremante di
paura, riuscì solamente a rispondere, balbettando: < Già! E’ senz’altro
meglio... Peggio di andato all’inferno senza ritorno. Accidenti! Mi ero già
visto morto... Ma tu sei della polizia? E in quanti eravate? A fermare quei
criminali assassini... > mentre osservava Mauro intento alla guida.
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Mauro lo rimirò di sfuggita e poi rispose: < Guarda, che ero solo laggiù
a fronteggiare quei quattro. Forse è stata la fortuna che m’ha aiutato, ma
‘sta di fatto che li ho beccati in pieno. Sì, proprio tutti. >
< Tu da solo, li hai fatti fuori tutti quanti? Carramba! Che svelto di
mano sei amico... Accidenti! >
< Già, a chi lo dici! Comunque, sarà meglio non riprovarci. Per il
momento, mi è bastato quello che ho fatto. Accidenti che casino ho
combinato! Amico mio... > imprecò arrabbiato Mauro.
< Allora? Tu mi hai salvato la vita... Grazie di cuore amico! Ti sarò
per sempre riconoscente. >
< Lascia perdere! Tu al mio posto, avresti fatto lo stesso. Perciò non
tormentarti amico. Ora dobbiamo pensare a trovare un dottore per la tua
spalla. Come ti senti, adesso? >
< Mi fa un male boia! Ho paura, che perderò il braccio. > mentre si
sforzava a parlare. < Non me lo sento più attaccato. Comunque vada,
amico... Grazie, grazie ancora! >
Mauro non rispose, restò un momento ancora a spremersi le meningi per
risolvere quell'accumularsi di quesiti sempre più intricati. Da divenire
nell’avvenire più che mortali. Mentre cercava di avere un’andatura
tranquilla, per evitare di insospettire qualcuno o la polizia appostata da
qualche parte sulla statale, che aveva appena imboccato. Poi, oltretutto con
una macchina così vistosa e targata PD, veniva subito all’occhio. Ma,
doveva dire che fino a quel momento, è stata una vera fortuna a non
imbattersi in qualcuno, ne tanto più la polizia. Era tutto così, molto strano.
C’era senz’altro qualcuno da qualche parte che li proteggeva e aiutava.
Pensò tra sé, mentre confabulava mentalmente per tirarsi fuori da quel
inghippo appena entrato. Si andava man mano ammassando, sempre più
l’uno sull’altro i quesiti. Doveva ad ogni costo eclissarsi il più rapidamente
possibile. Ma il guaio è che vi era quel giovane ferito, pensava Mauro
preoccupato. Era talmente distratto, nell'affrontare una curva troppo stretta,
che l’amico ferito gli scivolò addosso. Per fortuna il foro del proiettile, era
nell’altra spalla del giovane. Pensò Mauro dispiaciuto nell'immaginare di
essere al suo posto: “Nel trauma e sfinimento subito, dove il dolore
prevale e il corpo stenta ed è difficoltoso reagire. Uno si lascia andare
alla deriva.” Mentre l’altro, avvolto nel dolore e trauma, vi appoggiò
anche il capo sulla spalla del conducente. Quasi in cerca di conforto e
rifugio. In quell’affettuosa posizione, con la testa reclinata a contatto del
collo del conducente, Mauro captò un’eclatante piacere nel sentire il calore
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di un essere umano vivi e palpitante, dopo la scampata morte. Il giovane
gli confermava una tenera e umana solidarietà. Mauro si stava crogiolando
in quella aleggiante comunanza e si stupì, per la subdola supposizione che
si era proposta dentro di sé in quel momento. Aveva spudoratamente
pensato, che se fosse stato sedotto e violentato da quel bel giovane, ch’era
lì al suo fianco. Forse gli sarebbe stato meno ingrata e amara la faccenda.
“Almeno lui ha un certo fascino e non puzza di rancido, come quelli là...”
a quella affermazione espressa, Mauro si bloccò di botto, sapendo che a
quel punto incominciava a ricordare dell’altro. Qualcos’altro di quella
brutta faccenda che incominciava a trapelare dalla sua memoria
sconquassata. Di colpo fu preso dal panico. Mauro, si trovò sudato e
tremante, nel rivivere gli avvenimenti antecedente. Poi, all’improvviso si
trovò ad un crocevia e fu distolto a pensare quale direzione prendere e
girare da che parte?
< Vai a destra! > gli suggerì l’amico, con una voce un po’ rauca e
tremante. Da sorprenderlo quanto mai. Per l’agitazione e la confusione in
corpo, quasi andò a sbattere contro lo spartitraffico laterale. Riuscendo a
malapena ad evitare il peggio. Infine tirò un lungo sospiro. Era troppo
confuso nei suoi pensieri, oltre al gran mal di capo e il continuo
rintronamento nelle orecchie dei colpi di pistola. Alla fine e a stento riuscì
a rispondere al passeggero: < Va bene, va bene, ho capito! > Era ormai
troppo teso e sconvolto, che ancora non si rendeva ben conto di tutto
quello ch’era successo. Intuendo ch’era riuscito a far passare molte ore
senza un segno d’isterismo o abbattimento. Poi si fece coraggio e sbuffò,
mentre osservò il compagno che si reggeva il braccio ferito dai sobbalzi
della strada. Alla fine cercò di dire qualcosa per dargli un po’ di sostegno e
coraggio: < Dai! Fatti forza amico... il peggio è passato. >
Mentre l’altro deglutiva a fatica la saliva nel raschiarsi la gola e
rispondeva: < Già, altro che coraggio! Non so nemmeno chi sei?.. Ma
grazie di tutto! Mi hai salvato la vita... Amico! > Mauro restò un attimo ad
osservarlo, come se fosse la prima volta che lo vedeva e poi rispose con un
leggero sorriso: < Okay, okay! Ma guarda bene, che lo fatto anche per me,
stanne pur certo. Quelli là, avrebbero sistemato prima te. Poi anche me per
bene... Capisci adesso? >
< Già! Capisco. Non troppo ma capisco di essere stato un fesso, >
rispose il giovane ferito pensieroso, poi riprese a dire con difficoltà, la
ferita gli impediva d’essere sciolto: < E io, che credevo di fare l’eroe... >
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mentre guardava il conducente attento alla guida. < Be’, insomma. Ieri,
mentre andavo sull’autostrada con la mia macchina, una delle prime Fiat
Uno. Lì vidi quei tizi. Erano dall’altro lato del vallone. Insomma... Sai, in
una di quelle grandi curve, leggermente in discesa. Quelle che ci sono
sull’autostrada? Bé, li ho visto da lontano quelli, mentre sparavano ad altri
tizi... Quegli altri erano su di una bianca Mercedes bloccata contro lo
spartitraffico. E alla fine ho visto che prendevano qualcosa dal baule
dall’auto bianca. Per poi, filarsela via sgommando con la loro Alfa blu. A
quel punto, io era quasi giunto sul posto e visto quei morti sull’auto
abbandonata. Mi misi a seguirli a perdifiato. Ma li stavo perdendo di vista,
per la loro forte velocità. Perciò decisi di uscire al primo casello e avvisare
la polizia dell’accaduto. Purtroppo il mio cellulare aveva le batterie
scariche. Ma come arrivai presso la biglietteria, loro mi avevano preceduto
nel pensiero. Erano là ad aspettarmi a cinquanta metri dal casello. Avendo
senz’altro capito che li stavo seguendo, oltre ad averli visti sparare a quei
tizi della Mercedes bianca. Così, decisi all’improvviso di svignarmela,
capendo del pericolo ch’era lì in agguato. Pigiai sull’acceleratore e sfondai
la sbarra di arresto e fuggii via di volata. Per non dire precipitosamente e
loro si misero subito alle mie calcagne sparandomi contro... > il giovane
ferito, si fermò, per riprendere fiato: < Sembravano una muta di cani
mastini, da tanto accanimento. Ed è stato a quel punto che capii che per me
non c’era più scampo. Spero solamente che il casellante abbia preso la mia
targa denunciando la mia fuga precipitosa. Seguito dall’altra auto in attesa
del mio arrivo. Sono riuscito a fare solamente pochi chilometri di strada.
Quelli mi avevano già raggiunto. Senz'altro da un dei tanti colpi sparati
devono aver colpito una gomma della mia auto... perché incominciò
improvvisamente a sbandare. E a quel punto, ho perso il controllo
dell’auto. Mentre quelli mi speronavano con forza e mi buttarono
decisamente fuori strada... La mia macchina, nell’urto contro i grossi massi
della scarpata o qualcos’altro... Insomma, a prese fuoco. Per fortuna, sono
stato sbalzato fuori dall’auto, mentre rotolava giù per la scarpata in
fiamme. Io ero ancora stordito e confuso nel botto, che non mi ero
nemmeno accorto che quelli mi avevano già prelevato senza tante storie.
Nel frattempo si erano fermare delle auto per portarmi soccorso. L’unica
cosa che sentii dire da loro, alle persone accorse: “E’ tutto a posto, ci
pensiamo noi a portarlo all’ospedale.” E quelli avevano creduto e
approvato... Poi, più tardi mi hanno portato là, dove m’hai trovato e il resto
lo sai già... Cazzo! E’ stato veramente terribile quel momento... Tutto, per
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cercare di fare il mio dovere di cittadino onesto... Ma che stronzo sono
stato! > sbottò. < A quel punto, avevo ormai capito che non avrei più visto
sorgere il sole... Era finita per me, lo sapevo! E tutto si annebbiò nella mia
mente, quando ricevetti quel colpo sparatomi da quel manzo impazzito...
Ecco, ora capisci come è andata la faccenda... Ma che fesso sono stato! E
se non era per te, ora ero belle che stecchito in quel fossato... > la voce gli
si era spezzata a metà dall’emozione e sgomento, mentre l’amico
continuava a proseguire per lui il racconto: < E magari dopo, anche arrosto
saresti finito amico mio... >
Solo dopo un momento di ripensamento si riprese a chiedere stupito
all’amico: < Ma perché arrosto? Ah, sì, già! Prima, quasi finivo arrosto
nella mia macchina... Se non si apriva lo sportello, nel volo giù per la
scarpata, sarei finito veramente arrosto... Accidenti! >
< Ma non là, > lo contraddì Mauro. < Volevo dire laggiù, quando
volevano farti fuori. Dopo averti sparato addosso, ti avrebbero fatto allo
spiedo per bene. Così cancellavano ogni traccia di chi fosse quel cadavere
abbrustolito tra i monti calabresi. >
< Come? > esplose stupefatto a quella affermazione. < Tu vorresti
dirmi che prima mi avrebbero ammazzato e poi dato fuoco per cancellare
ogni traccia... Cribbio! Allora sono stato fortunato due volte. Ma... dimmi
un po’. Tu, come fai a sapere tutte queste cose? >
< Be’, è più che semplice. Nella loro auto c’era una tanica di
benzina. Comprendi a cosa poteva servire, dato il loro curriculum? >
< Però, accidenti! Ma tu, cosa ci facevi in quel posto? > gli domandò
il giovane più che mai incuriosito da tutte quelle risposte pronte.
< E’ stato il destino o la fatalità ma... Non avrei mai immaginato di
rincontrarli in quel posto e per la terza volta in poche ore, quei... Be’,
lasciamo perdere... > mentre si passava la mano sul viso per asciugarlo, era
imperlato di sudore, pensando che non faceva caldo per sudare a quel
modo. E l’altro ancora più che mai incuriosito e pensieroso sul fatto.
Aspettava che continuasse avanti a spiegare, quella affermazione appena
accennata dal giovane autista, non ché salvatore.
< Perché, hai detto per la terza volta? Tu allora, li conoscevi? Quei
miserabili assassini! > chiese dubbioso e curioso.
Mauro a quella affermata richiesta, si domandava se a quel punto
doveva dire tutta la verità. Anche quella parte più scabrosa per lui, che in
quel momento la considerava irrilevante al suo gesto da giustiziere. Poi,
decise che poteva dirlo a quel compagno di sventura, gli aspirava un’aperta
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fiducia. Alla fine rispose alla sua domanda: < Be’, forse tu non ci crederai.
Ma quelli là... Insomma, quei quattro che volevano farti fuori... beh, è
successo... Accidenti! > Mauro faticava a parlare, si sentiva in parte un po’
vergognoso a esporre quella verità nascosta. Tirò un profondo respiro e
riprese deciso a spiegare: < Devi sapere, che l’altra notte quelli. Sì,
senz’altro quelli, non c’è dubbio che mi sbagli. Insomma, mi hanno
aggredito senza motivo, in un’area di servizio sull’autostrada. Sono stato
maledettamente picchiato e per completare l’opera mi hanno violentato per
bene... Tutti quanti... Ne sono più che certo! >
L’altro era rimasto a bocca aperta con un’espressione stupita sul viso,
fissandolo, senza poter parlare. Era sbalordito, poi balbettò qualcosa a fior
di labbra: < Cosa ti hanno fatto? >
< Sì, hai capito benissimo! Quelli mi hanno inchiappettato per bene e
malmenato di santa ragione. Ma a mio parere, di ragioni non c’erano.
Purtroppo poi, mi hanno lasciato tramortito. Avevo ricevuto per ultimo un
forte colpo al capo. > alzando la mano a mostrare la ferita al capo. < Di
conseguenza, mi sono trovato al mio risveglio smemorato. Senz’altro, il
trauma che è seguito per i colpi che ho ricevuto sulla testa e sul corpo. Che
fatico a ricordare tutt'ora il mio passato. Proprio nulla, ricordo. Ma quella
aggressione è stato soltanto l’assaggio, alla mia sopportazione. La seconda
volta che maledettamente li ho incontrati è stato più avanti, in un altro
autogrill sull’autostrada. Solo, che... Io ero talmente scosso e sconvolto...
Sinceramente avevo paura e vergogna di tutti e di tutto. Poi, quella loro
odiosa strafottenza al bar. Quella, presa per il culo nei miei confronti, fui
sopraffatto dalla paura. Ero più che persuaso che erano stati loro a farmi
quel bel lavoretto al mio fondo schiena. Certo avrei potuto andare alla
polizia e denunciarli. Ma cosa avrei potuto dire di preciso, che ancora
adesso fatico a ricordare tutto. E come avrei fatto la denuncia? Solo e
ipoteticamente contro ignoti. Dopotutto e il perché è difficile da spiegare,
se il mio subconscio si rifiuta di rammentare l’accaduto. Oltre al mio
passato sparito nella nebbia... > sbottò sull'imprecisata rabbia. < Capisci
adesso, com’è presumibilmente andata la questione. Da un lato, io sono
più che convinto del loro volgare gesto. Ma dall’altra è tutta una
confusione tremenda. Frammista al dolore e paura. Poi questo mio
comportamento di merda, mi fa incazzare tremendamente. Però, ho capito
una cosa, mentre cerco di scavare più a fondo nel mio subconscio. Lui
come uno stronzo, si racchiude in sé stesso. Dovendo così, immaginare di
essere stato usato da loro come un oggetto di divertimento e null’altro. Ed
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è forse per questo che sinceramente non provo un gran rimorso per averli
fatti fuori. Oltre al fatto che volevano effettivamente ucciderti e forse
anche io dopo. Beh, ora lo sai... E se voi, ora puoi anche ridere. Mi hanno
inchiappettato per bene! Sono un fottuto culo rotto... >
L’altro lo fissò ancora più stupito, poi con voce commossa rispose: < Mi
dispiace! Sono veramente stupito. Roba da non credere! Certo che da tipi
come quelli c’è d’aspettarsi di tutto. A questo punto quelli non meritavano
altro che morire a quel modo e al nostro posto. In fondo, poi, non hanno
sofferto molto, per il mestiere da killer che facevano... Porca puttana! Che
casino è saltato fuori, da tutta questa storia di merda! > Poi, per evitare
altri commenti su quel fatto, il giovane ferito cercò di sviare la questione e
riprese a dire: < Volevo solamente dirti ancora, grazie amico! Ed è stata
una vera fortuna la tua presenza, che eri là, in quel momento di disgrazia
per me... grazie, grazie tante! > ringraziò commosso.
< Amico! Lascia perdere i convenevoli. Abbiamo altro di più
importante e preoccupante da pensare, adesso? > rispose seriamente
Mauro, sapendo più che bene che a quel punto non poteva abbandonare
quel giovane al suo destino. Depositarlo da un dottore e squagliarsela
come il vento, non era giusto. Lasciare l’altro a sguazzare nella merda.
Oltretutto, con tutto quel ben di Dio, in quella sacca da tennis nel
bagagliaio. Certo che a quel punto della questione, avrebbe potuto
eclissarsi in qualche sperduto posto del globo terreste e dimenticare anche
quel momento. Assieme ai suoi svaniti ricordi del passato, oltre di
un’infanzia grama. “Perché sto’ pensando a un’infanzia grama? Forse vi è
qualcosa di me che è meglio non sapere e scoprire? Accidenti!” sbottò tra
i suoi pensieri confusi. Pensando che non se l’era sentita di fare e lasciare
quel giovane a fare la morte del topo. Perché e oltretutto in un modo o in
un altro l’avrebbero trovato e preso anch’egli, nell’impossibilità di fuggire
via. Pertanto gli avrebbero fatto egualmente la pelle a sua volta. Mauro
dava per scontato, che quel giovane lì al suo fianco era ormai legato a lui
più che saldamente. Perciò a quel punto doveva escogitare qualcos’altro
per evitare una morte accidentale e prematura per tutte due. Pensò
saggiamente ancora Mauro, aggrottando la fronte. Quella sentita
premonizione veritiera gli servirà più che mai in avvenire. Perciò e sarà
senz’altro dura dover dormire con un occhio aperto e vigile all’occorrenza.
Ma ormai erano in ballo e dovevano continuare anche controvoglia.
Mauro si concentro sul discorso che voleva esporre all’amico, infine
propose il suo questionario d’idee: < Ora, ascoltami bene. Se noi andiamo
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alla polizia e raccontiamo la nostra lunga storia. In parte si risolverà la
questione. Ci verrà concesso il presupposto di autodifesa e finiremo su tutti
i giornali per aver sventato una grosso giro di trafficanti. Giusto!? Ma
appena si saranno spente le prime luci della ribalta... noi due, mi segui? Ci
capiterà qualcosa? Senz’altro da un lato, saremo prima o dopo, bersaglio di
pallottole da sconosciuti. E di domande dall’altra parte? Da parte della
polizia, e tra le quali vi saranno quelle domande che non avranno risposta.
In special modo le mie? Con la memoria corta che mi trovo addosso.
Purtroppo non vado oltre all’incidente accorso. Mi sono spiegato? >
< Sì, certo! Ma capiranno certamente, che ti hanno malmenato e
stuprato. Poi la mia versione sarà eguale alla tua... Tu hai sparato per
legittima difesa, oltre che salvare la mia vita... > espose serio il ferito.
< Certo, certo! Ma se per caso controllando i miei documenti, salterà
fuori che io bazzico tra la malavita? E magari sono veramente un killer di
professione, e si è per caso scordato tutto. Mentre la polizia penserà
senz’altro al contrario. Che io faccio apposta lo smemorato? Capisci com’è
semplice cambiare facilmente ogni versione... Comprendi amico, che
casino verrebbe fuori? > espose Mauro pensoso e preoccupato.
< Io non credo, che tu sia un killer professionista. Non hai la faccia
d’assassino come quelli... > ribatté convinto l’altro.
< Tu forse non ricordi e non hai visto. Ma, io lì ho beccati tutti quanti
in pieno. Altroché professionista! Mi classificheranno quelli della polizia.
Credimi! Però, in me c’è una piccola supposizione contraddittoria ai fatti.
E mi fa credere e supporre, di non aver mai sparato un solo colpo di pistola
prima d’ora? Capisci, il guaio di non ricordarmi più nulla. Ma chi può
dirlo, che non sia il contrario, se non ricordo un bel niente? Nemmeno chi
sono i miei genitori e se ho una famiglia, una ragazza?... Certo, potrei
scoprirlo indagando attraverso i miei documenti che mi trovo addosso. Ma
se per caso sono veramente uno spostato? Figurati, che vado in giro senza
un semplice numero telefonico. Come un vero killer. Non devo aver
amici? > mentre gli sfuggiva un’imprecazione: < Puttanata! Forse è meglio
non saperlo per il bene di tutti? > Poi, battendo più che mai incavolato, il
pugno chiuso sul volante. < E’ un rischio! A questo punto, non possiamo
permettercelo entrambi. Perché devi capire, che oltre la polizia e la
magistratura a voler da noi informazioni più che dettagliate. Vi saranno
anche altri, che vorranno sapere qualcos’altro. E magari cercheranno di
eliminarci per avergli rotto le palle. Per giunta a due faide in contrasto fra
loro. Da quel poco che ho capito dal grasso mafioso, quello che voleva
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ammazzarti. Perciò, a questo punto avremo pochi giorni da vivere,
credimi... Anche se per caso, ed è difficile, che ci mettano sotto protezione
e con un altro nome. In un posto nuovo da vivere in segreto. Alla fine,
verremmo scovati lo stesso e sistemati a dovere da buoni rompiballe che
siamo. Lo sai più che bene che la mala o la mafia a spie dappertutto e ben
pagate. Perciò, presto o tardi... bang, bang! Sistemati a dovere... Accidenti!
In che casino siamo finiti. Cavolo! Solo cavolate sto dicendo!>
< Già! Siamo veramente in un bel guaio. Per giunta, io con questa
fottuta ferita alla spalla. Mi fa un male boia... Accidenti! Allora, cosa
consigli di fare? > domandò sottomesso, l’amico demoralizzato.
< Forse, un’ora fa c’era, per me. Se fossi un gran bastardo
menefreghista. L’unico sistema al momento era capitato già prima? >
< Ma quale? > gli chiese l’altro incuriosito.
< Si! Sarebbe stato semplicissimo per me. Prima di tutto lasciarti
dov’eri... Al massimo portarti da un dottore senza farmi riconoscere.
Sistemarti da qualche parte e sperare che qualcuno ti prelevi mezzo morto.
E io, cinicamente parlando, sparire. Eclissarmi come il vento e lasciare te,
a farti rosolare per bene sulla brace dalla legge. A spremerti di domande
inutili e quand'anche compromettenti per te. Intanto io, forse mi salverei la
pelle a tue spese. E senz’altro tu, prima o dopo, saresti finito tra le mani
giuste. Quella dei contendenti, che ti avrebbero spremuto le palle e fatto
sputare fuori anche le budella, prima di eliminarti... > espose sadicamente
Mauro, mentre guardava di sbieco l’amico ammiccante, su quella sua
meschina idea. Poi riprese, per confortarlo almeno un poco: < Ma tutto
questo in verità, non mi è mai passato per la mente. Né tanto più farlo
adesso. Mi sono spiegato amico... Sarò un gran bastardo smemorato, ma
non fino a questo punto... Chiaro! > rispose sull'incavolato.
Il giovane non sembrava tanto d’accordo e immaginava che Mauro
ingrandisse oltremodo la situazione. Infine rispose un po’ scettico su quella
spiegazione dell’altro: < Ma non ti sembra di esagerare, forse non sarà poi
così drammatica, come la pensi tu. Magari la polizia farà in modo di
tenerci fuori e nascosti. Capirà che le nostre vite sono in pericolo e
bloccherà in parte gli articoli dei giornali, che saranno senz’altro scottanti
e pronti a rivelare i veri collaboratori di giustizia. Io penso che andrà in
questo modo. Senz’altro... > si fermò, l’espressione dell’altro lo colpì.
< Ah, supponi che vada così! Perché, tu speri che la giustizia tenga
conto delle tue più che giustificate paure e ti lasci in disparte, senza
comprometterti troppo... Scordatelo ragazzo! Anzi avranno qualcosa da
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appendere all’amo e senz’altro qualche pesce andrà ad abboccare. Poi se ci
scappa il morto, peccato. In fondo eri già destinato a morire in un modo o
in un altro. Quando qualcuno rompe le palle e in special modo in questo
caso, è destinato a sparire. Io mi sto’ convincendo sempre di più, che se
non hai cura te stesso della tua pelle, non ti devi fidare degli altri.
Ricordalo amico. Questa è più che un’opinione. E' la verità! > espresse più
che convinto Mauro. Mentre l’altro si grattava il capo pensieroso, poi, alla
fine provò a chiedere: < Ma, perché? Pensi veramente di aver pestato le
palle a qualcuno? Poi quelli parlavano di droga e noi non l’abbiamo, vero?
Insomma, perché dovrebbero prendersela con noi, che non centriamo
nulla. Solo per il semplice fatto che tu li hai ammazzati tutti... e quando
troveranno loro e la macchina, troveranno anche la droga... >
< Questo è vero. Ma se la droga sparisce prima che la trovino. Cosa
succederà? Vi sono troppi se, in tutta ‘sta storia? Perché, ti sembra poco
aver rotto le palle a qualcuno? E poi, chi mi assicura che in quella banda
non vi sia qualcun'altra persona, che stava o sta’ facendo il doppio gioco
tra le due bande in conflitto? Certo il mio intervento è stato un fuori gioco
imprevisto. Senz’altro saranno in molti ad essere incazzati a morte. Perciò
amico, devi capire che siamo veramente in un bel casino. Poi, con quattro
cadaveri sulle mie spalle. > Mauro fece una breve pausa, poi domandò al
compagno ferito: < A questo punto della nostra discussione, non ci siamo
nemmeno presentati. Mauro Rossi, per capirci meglio. >
L’altro, con un mezzo sorriso sul volto tumefatto e un piccolo
movimento della mano, rispose: < Andrea Prandi... piacere Mauro! >
< Felicissimo, in altre circostanze. Comunque, altrettanto adesso e di
essere ancora vivi. > rispose con un leggero sorriso Mauro.
< Be’, visto come va 'sta storia, sarà bene che andiamo a casa mia e
poi decideremo sul da farsi. Non possiamo stare troppo in giro, oltre che
chiamare un dottore. Abito alla periferia di Cosenza. A una ventina di
chilometri da qui. Una piccola casetta con il giardino e l’orticello... >
< Uhm! pensi che sia prudente? Senz’altro la polizia avrà già trovato
la tua auto bruciata nell’incidente e dal numeri di telaio, risaliranno a te in
un baleno. E poi, c’è sempre quell’uccellaccio del malaugurio, che mi
tormenta nella testa e mi dice che magari nella polizia, vi sia infiltrata
qualche talpa mafiosa? Che intercetta le varie comunicazioni delle forze
dell’ordine. Per poi segnalare a chi di dovere, sulle varie indagini e
spostamenti della polizia o carabinieri? Capisci la mia diffidenza alla
legge. Non so perché ma, non mi fido. Accidenti a me! Ma che stronzo
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sono! Uno stronzo di merda! Che casino ho combinato! > sbottò.
< Ma tu, li pensi proprio tutte, accidenti! Mi sembri Perry Mason? >
< Si vede che sono del mestiere. Magari, un famigerato killer. >
espose Mauro serio. < Un killer che sa tutto di tutti ed è pronto a vendere
l’anima anche al diavolo, per salvarsi la vita dall’inferno che c’è qui sulla
terra. Con questa memoria del cazzo! Mi fa imbestialire! >
< Dai, Mauro non scherzare! Tu non sei quello che pensi ed esponi,
altrimenti non mi avresti di sicuro salvato. > lo redarguì Andrea.
< Con questa memoria bloccata che mi trovo... Porca puttana! >
Mauro urlò più che mai incavolato, mentre si passava la mano tra i capelli
arruffati, poi riprese a dire cercando di essere un po’ più calmo: < Scusami
se m’incavolo da solo. Ma mi fa una tale rabbia a non ricordare il mio
passato. Be’, lasciamo perdere e pensiamo al presente, dato che si farà
senz’altro più scottante nei giorni seguenti. Perciò, ritornando alla polizia e
ad un eventuale interrogatorio, mi capisci, cosa voglio dire? D’altronde chi
può confermare, che anche tu non sei complice di una delle banda in
questione? Tu certamente non sai, se sul posto dell’agguato sull’autostrada
c’erano altre persone che tenevano d’occhio la situazione? E per caso ti
hanno visto che seguivi l’Alfa nella fuga dopo la rapina? E magari, sanno
esattamente ogni mossa che dovevano fare quelli, i rapinatori? Solo che la
tua entrata in scena a scombussolato le loro previsioni? E nel secondo
inseguimento contro di te, hanno perso le tracce al momento? Comprendi
l’eventuale inghippo? Sono solo delle mie supposizioni, ma molto vicine
alla realtà di oggigiorno. Vero? E di questi tempi ci si può aspettare di
tutto. Perciò amico, pensaci bene a cosa vuoi fare, perché sinceramente
siamo nella merda fino al collo. Scusa l’espressione volgare, ma non trovo
altre parole più adatte al momento, per esprimere questa faccenda
incasinata da matti. Per non dire da morire... >
< Sì, è vero! E’ troppo e tutto complicato. Non ho pensato a tutte
queste congetture? > rispose Andrea, mentre si beveva quella poca acqua
rimasta nella bottiglia. L’arsura era presente nel suo corpo martoriato dalle
botte e dalla ferita alla spalla. Poi riprese a dire: < Hai più che ragione, e
non sono cose nuove. Te li mostrano sovente alla televisione in certi casi
polizieschi. Perciò, bisognerà decidere subito se vogliamo salvarci la pelle.
Comunque, per la mia auto, abbiamo un piccolo vantaggio. Anche se dal
colpo ricevuto contro i massi e l’incendio dopo e ha distrutto la targa in
plastica. Ma se per caso trovassero il numero di telaio. Purtroppo era già
irriconoscibile prima, essendo stata manipolata la marcatura, figuriamoci
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adesso. Perché quando la comprai, da un lurido venditore di auto usate,
non mi accorsi che i numeri erano stati contraffatti. Era un’auto rubata. E
un fesso come me la comperata a scatola chiusa. Capisci adesso l’inghippo
Mauro. E se sarei andato a denunciare quella truffa ci sarei andato di
mezzo anch’io. Oltre a rimetterci i soldi dell’auto. Perciò restai zitto,
sperando di potermene sbarazzare al più presto, e il momento è venuto ma,
non so’ se veramente è quello giusto?.. > si dovette arrestare per un forte
sobbalzo, che lo fece sbiancare dal dolore e brontolare a denti stretti dal
male. < Ohi! Che male... Accidenti a me! >
Mentre Mauro, stava al contempo rimuginando dentro di sé tutte
quell’informazione che s’accavallavano l’una sull’altra, e alla fine rispose
in parte a quei quesiti: < Già, ma non hai pensato al casellante? Quello
può aver preso nota della tua targa e averla già segnalata alla polizia e
allora sei fregato, egualmente? In ogni modo e al momento siamo a corto
d'informazione più dettagliate. Perciò, dovremo aspettare la stampa cosa
dirà dei fatti accaduti ieri. Certo che non sarà la verità quello che
scriveranno. Senz’altro a favore di una delle due parti: La legge da un lato
e la mafia dall’altra. Ma servirà a valutare la situazione a nostro vantaggio.
Se, se, ci sarà un vantaggio, ma né dubito. Oltretutto, se troveranno e
confermeranno che l’auto bruciata è tua. Poi, con i numeri contraffatti
perché è rubata? Tu, hai già perso altri punti a tuo favore. La tua onestà
verrà messa in discussione dal primo giudice che ti capiterà di fronte. E
volendo aggiungere qualcos’altro, ti troverai messo male. Anzi, siamo
messi molto male! Perché a questo punto dovremo risolvere i nostri
problemi altrove. E dico nostri, perché ormai siamo legati l’uno all’altro da
un segreto mortale. Questo è più che certo, amico mio! >
Mentre l’altro approvava muovendo soltanto il capo. Poi per un buon
momento, si era creato un gran silenzio interrogativo nell’auto.
Procedevano tranquilli, sulla statale verso Cosenza. Avevano incrociato
poche vetture a quell’ora del mattino. Mentre l’alba era già da un pezzo
spuntata, rischiarando il paesaggio di un vermiglio striato.
Poi, Andrea provò a dire ancora qualcosa, mentre la sua bocca si
contraeva in una smorfia di sofferenza: < Hai perfettamente ragione
Mauro... Ma, per favore dovresti accostare un momento, appena puoi... >
E subito di rimando, in un tono dal fare scherzoso, per rompere
quell’atmosfera fin troppo tesa, Mauro gli chiese: < Ti scappa? >
E l’altro mentre abbozzava un vago sorriso, gli rispose: < No! Be’,
insomma, anche per quello. Anche se, in verità, me la sono già fatta
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addosso prima la pipì. Quando quelli volevano sistemarmi per le feste... E’
solamente per assestarci un poco i vestiti. Non possiamo arrivare a casa
conciati in questo modo. Con in spalle un maglione e quel poco che rimane
della camicia tutta strappata. Oltre ai lividi più che visibili. >
< Già, cosa diranno i tuoi? > espresse Mauro pensieroso, sapendo di
aver trascurato altri particolari importanti. Sarebbero più avanti, entrati in
quel giro vizioso senza una via d’uscita, per nessuno. “Accidenti! Non ci
voleva adesso anche dei parenti?” Mugugnò tra sé e sé Mauro,
preoccupato più che mai dell'andamento preso.
< No, non ti preoccupare! Vivo solo. E’ soltanto per i cari vicini di
casa, hanno l’abitudine di sbirciare dietro le persiane socchiuse. Perciò
vedendomi rientrare con un’altra macchina e in compagnia di un forestiero
e per giunta in disordine. Incominceranno a domandarsi cosa mai mi sarà
capitato? E io, non voglio dar loro un appiglio per pensare. Così,
cercheremo di dare il meno possibile nell’occhio. >
< Sì, hai ragione Andrea. Tanto più, se per caso la polizia stradale ci
fermi per dei normali controlli. Dal modo che ci presentiamo, siamo ben
fregati e non abbiamo pronta una scusa plausibile. Speriamo solamente che
questa nostra sfacciata fortuna, continui ancora un poco. Non credi? >
mentre dentro di sé Mauro, ne dubitava fortemente, capendo che s’andava
sempre più a incasinarsi quella benedetta loro storia.
< Sì, è vero... ah, guarda là! Dai fermati la dietro a quella casa
cantoniera, c’è uno spiazzo e saremo più riparati da sguardi indiscreti e
faremo il più presto possibile. >
Si erano cambiati e sistemati alla meglio, con dei panni puliti presi dalla
borsa di Mauro, da sembrare abbastanza presentabili visti da lontano,
soltanto all’apparenza un po’ stanchi per il lungo viaggio intrapreso.
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Capitolo Sesto
Poi, di colpo Mauro mentre aiutava Andrea a sistemarsi in macchina gli
chiese di botto: < Ma tu, hai ancora addosso i tuoi documenti? >
Andrea l’osservò un po’ sorpreso per quella reazione motivata. Poi
ripensando, rispose con un blando sorriso sulle labbra un po’ tumefatte.
Mentre con fatica si chinava per frugare nel collo alto della scarpa da
ginnastica. < Ecco qui! Meno male, ce l’ho ancora. > mostrando un
piccolo portafoglio di stoffa ricamata. Mentre sbuffava da sembrare un
mantice per officina. < L’avevo sistemato nella scarpa, quando ho capito
che quelli mi stavano inseguendo e sparando contro. Non so bene il
perché, ma l’ho fatto, così d’istinto. Forse non volevo che sapessero chi
ero e l’ho fatto appena in tempo. Perché nella confusione quelli mi erano
già addosso, scaraventandomi nel burrone e la macchia a preso subito
fuoco. Per Dio! Che paura ho avuto. E così, dopo esser stato sequestrato,
quelli mi perquisirono per bene e non trovando nulla incominciarono
riempirmi di pugni nello stomaco. Pensavano che fossi un poliziotto e mi
chiesero i documenti e io, subito di botto, dissi ch’erano nella giacca sulla
mia auto ormai bruciata. E per calmarli dissi che mi chiamavo Anselmo
Troiso di Reggio Calabria, e mi sembrò che accettassero la mia credibilità
per il momento. Ma al tempo stesso mi arrivo un pugno dritto in faccia e
per un po’ persi la cognizione del tempo... > mentre si portava la mano sul
livido sotto l’occhio e al tempo stesso, chiedeva all’amico che l’osservava
incuriosito: < Mauro, prova un po’ a sentire se veramente sono caldo. Ho
la febbre? Mi sento bollire e ho dei brividi di freddo addosso. Accidenti! >
Mauro appoggiò la mano sulla fronte e borbottò a voce alta: < Cazzo!
Ma hai veramente la temperatura alta! Sei così bollente. Qui, bisogna
trovare subito un medico? Ma che sappia tenere la bocca chiusa al
momento? Comunque non possiamo fare altrimenti adesso, bisogna
fermare l’infezione che si sta diffondendo rapidamente! >
< Fai, attenzione Mauro! > l’avvertì Andrea indifferente a quello che
l’altro gli consigliava in quel momento. < Devi girare in quella strada a
sinistra. Più avanti passeremo davanti ad un giornalaio, è sempre
mattiniero quello. Così sapremo già, di che male moriremo, giusto! >
< Già, tu ci scherzi sopra. Ma devi capire che con quella ferita che si
sta infettando non c’è da scherzare troppo! Comprendi? > mentre
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l’osservava con severità, Mauro incominciava a capire che quel giovane
gli era simpatico e in fondo era contento di averne preso cura. Poi tralasciò
quei pensieri paterni e riprese a dire con determinazione: < Ora ascoltami
bene Andrea. Tu conosci un dottore che può vedere la tua ferita, senza
destare troppi sospetti? >
Andrea restò un momento a pensare, poi rispose: < No, non conosco...
Ah, forse sì! C’è la mia ex ragazza. E' un medico internista all’ospedale
infantile, qui a Cosenza. E di lei ci si più fidare. Sebbene sono più di due
anni che non ci vediamo, io sono sempre a Firenze per lavoro. Lei ora si è
sposata con un mio amico. Beh, insomma, purtroppo è stato per lui che ci
siamo lasciati. Ma penso che si presterà ad aiutarmi? >
< Ma sei veramente sicuro e puoi fidarti? Purtroppo sai, che è in
ballo la nostra vita. E solo con questa idea fissa forse, riusciremo a
scamparla. Certo, che alla fin fine, sarebbe bene non immischiare altra
gente. Potrebbe essere pericoloso anche per loro. Non per essere polemico
e pessimista, ma dopo quello che è successo questa notte, penso che
dovremo riflettere molto bene. Prima di prendere una decisione più che
affrettata e avventata al caso? > sbottò Mauro corrucciando la fronte.
< Già! > sbuffò perplesso Andrea, mentre rimuginava un’altra
soluzione. Poi la provò esporre al compagno: < Bene, allora ascoltami. Per
prima cosa, faremo così: A casa mia, tu mi controllerai la ferita, visto che
finora a tenuto bene la tua fasciatura e poi decideremo se veramente
occorre un dottore. Okay! >
< M’ha?! Hai almeno a casa del disinfettante, insomma qualcosa per
le prime emergenze? Non c'è da scherzare! >
< Certamente! Qualcosa ci deve essere ancora... Dovrei avere delle
fiale di antibiotici. Me li aveva prescritto un dottore a Firenze per
un’infezione intestinale avuta tre mesi fa. E l’antitetanica, l’avevo appena
fatta ai primi dell’anno, dovendo fare un viaggio in Africa. Ma poi è
andato tutto a monte. E come vedi dovrei essere a posto come primo
soccorso... Ma dimmi un po’ Mauro, com’è... insomma, la mia ferita? >
< Be’, hai avuto un gran culo! La pallottola a trapassato soltanto il
muscolo deltoide, sotto cute, roba da poco. Soltanto che l’infezione
potrebbe propagarsi in fretta e perciò è meglio sbrigarci a trovare un
medico... credimi. Ci vuole un esperto in materia. >
< Okay, okay! Appena l’avrai controllata, decideremo cosa fare. Va
bene? D’accordo così! Nonché, mio prode salvatore? >
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Mauro approvò frettolosamente: < Okay, d’accordo! Ma, lasciamo
perdere i convenevoli. Non mi sembra proprio il caso di trascurare la tua
infezione così blandamente... > mentre pensava che non era per niente
convinto, di quella situazione più che ingarbugliata. Avrebbe voluto
ribattere ancora, ma non se la sentiva di contrastare con quel giovane ferito
sia nel corpo che nell’anima. Perciò tralasciò quei pensieri funesti e pigiò
un poco sull’acceleratore. Poi provò a dire: < In ogni modo, vedo che
incominci a pensare... Per il tuo datore di lavoro... o vivi di rendita? >
< Magari fosse vero! Faccio un lavoro santuario da un amico libraio
a Firenze. Almeno prendo qualcosa per le spese vive e l’affitto. E proprio
in questo periodo vi è un po’ di calma e così ho preso un po’ di ferie.
Quando vi sarà bisogno, mi telefonerà per avvisarmi. Ecco sistemato anche
il problema lavoro. Per fortuna che in banca ho messo un po’ di soldi da
parte e così non ho problemi con le mie spese vive. Ha, ecco, rallenta!
Sull’altro lato della strada, all’angolo troverai il giornalaio... >
Mauro frenò e scese deciso a prendersi diversi quotidiani, poi mentre
tornava all’auto, passò di volata a sirene spiegate una pattuglia della
stradale. Mauro si era fermato accanto al marciapiede con il fiato sospeso,
mentre guardava l’auto che spariva velocemente oltre la curva, facendo
fischiare le gomme sull’asfalto lucido.
Andrea dall’altro lato della strada, era rimasto bloccato dalla paura, poi
si calmò e osservò Mauro attraversare la strada, mentre leggeva i titolo dei
quotidiani. Dall’espressione del suo viso corrucciato, trasmetteva soltanto
inquietudine. Mentre Andrea deduceva, che quei titoli non erano per nulla
rassicuranti. Comunque andassero le cose, pensò, che doveva esserne grato
a quel giovane uomo dallo sguardo dolce e comprensivo, di una semplicità
da non trascurare. Appena Mauro fu accanto all’auto, gli chiese con
apprensione: < Cosa dicono? Parlano già di noi? >
< Guarda che titoli cubitali! > proruppe Mauro a denti stretti.
< Allora la stampa si sta sguazzando dentro sulle prime notizie. >
< Stanno spulciando per bene la situazione. > mentre gli porgeva i
quotidiani da leggere e saliva a sua volta in auto.
Andrea a fatica spiegò un foglio del giornale con la mano libera e
incominciò freneticamente a leggere, mentre l’altro riprendeva la marcia.
< Dunque! Senti un po’ cosa dice questo titolo: Un grave atto di
pirateria si è svolto ieri pomeriggio, sull’autostrada A3. Sul tratto fra
Castrovillari e Spezzano, nei pressi “Le Vigne”. Si è risolto con
l’uccisione di ben tre persone. Erano passate da poco le sedici, quando
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un’auto di grossa cilindrata una Mercedes bianca targata Palermo, è
stata speronata e bloccata da un’altra vettura, un’Alfa Romeo 164 di
colore scuro e dalla quale sono scesi diverse persone armate e hanno
ammazzato tutti gli occupanti. Erano orafi palermitani che viaggiavano
con un carico di preziosi di svariati milioni, diretti verso la Sicilia... Ma
senti un po’! Cosa vanno a dire questi giornalisti, stanno raccontano
palle... Quelli trasportavano droga! L’ho sentito dire chiaramente da
quelli... > espresse con stupore Andrea, mentre scuoteva la testa, capendo
che l’amico al suo fianco aveva ragione di diffidare di chiunque.
< No, non sono loro a dire delle palle. Dietro a tutto c’è sempre
qualcuno che esprime una blanda idea, proposta da chissà chi? Sai quelle
piccole soffiate. Telefonate tra colleghi di lavoro, amici. E' così semplice.
Specialmente se si vuole sviare un’indagine o arrivare a un altro scopo ben
prefisso. Comprendi la sottigliezza tra le righe? >
< Già! Hai perfettamente ragione Mauro. Chi brancola nel buio
siamo noi e forse la polizia, per ora. Ma non per molto. >
< Lo sai bene anche tu. Se si vuole sviare altrove le ricerche, basta
fare delle piccole telefonate anonime, o avvisare un amico e il gioco è
fatto. Magari poi vengono smentite, ma per il momento il suo effetto è
senz’altro riuscito. Puoi starne certo Andrea. La mafia ha già sguinzagliato
ovunque le sue spie. Per il semplice fatto che non vuole rimetterci dei
milioni e farsi prendere per il culo. E per i morti non gliene frega un bel
niente, c’è in giro un sacco di gente pronta a tutto. E per poche lire sono
pronti a rimpiazzare quelli che ho steso laggiù, in quel posto di merda e
poteva diventare oltretutto, anche la nostra tomba. >
< Pensi, che sia così? Certo che sta diventando un bel casino? E noi
che siamo le vittime, non possiamo neanche protestare. Altrimenti ci sarà
qualche pallottola vagante che ci chiuderà il becco. Accidenti! Ma
lasciamo perdere e andiamo avanti. Vediamo cos'altro c'è su quest’altro
giornale. Comunque ascolta cosa dice qui l’articolo in grassetto: Vi sono
altri testimoni un po’ discordanti, che asseriscono di aver visto un’altra
vettura inseguire quella dei malviventi sulla provinciale che costeggia
l’autostrada. Ma al contempo c'è chi conferma il contrario, nel carosello
di auto. Accidenti ci siamo? Ma procediamo per ordine, ascolta: Ancora
non è stata ritrovata l’auto usata per la rapina, Ma dall'indizi segnalati
dalla polizia, risulta essere un’auto rubata a Roma: un’Alfa 164 blu
scura. Insomma proprio quella. Poi dice ancora: Dopo aver speronato la
Mercedes bianca palermitana e averla bloccata, i quattro o cinque
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malviventi armati, ecc. Continua dicendo: Le vittime risultano essere i
signori Gaetano Cossi e Anselmo Mitano, titolari di una ben nota ditta
orafa palermitana. Sono stati crivellati di colpi assieme all’autista e
guardia del corpo, un certo Sergio Bocchin, di Palermo... Dall’auto sono
state trafugate due valige di preziosi. Così ha riferito alla polizia, la
segretaria dei due orafi palermitani, in lacrime... E più sotto, dice ancora:
Poi la stessa Alfa blu è stata vista presso il casello di Spezzano assieme
ad un’altra auto. Una Fiat Uno di colore scuro, Adesso parlano della mia
auto. Accidenti! Sembra che l’autista di questa, abbia sparato al
casellante e poi fuggito assieme all’alfa blu. Ma in una curva è volata
fuori dalla strada e si è incendiata. Dai rilievi della scientifica sul posto,
la vettura risulta aver ricevuto dei colpi di arma da fuoco, ma del
passeggero nessuna traccia, Ma guarda un po’, come fanno a sapere che
ero solo in macchina? Comunque, vediamo più avanti, > mugugnò Andrea
e riprese a leggere: sembra proprio, essere un componente della banda,
con il compito “da palo”. Purtroppo della Fiat Uno la scientifica non a
potuto rilevare il numero di telaio, essendo quella parte la più
danneggiata e la targa era del tipo in plastica, distrutta dalle fiamme, ma
si presume anch’essa rubata... Be’, che ne dici Mauro, di questa piccola
fortuna sulla sorte della mia auto. Per un po’ possiamo star tranquilli...
Però, accidenti! Avevi proprio ragione tu. Sanno ch’ero solo e ora sono già
accusato di aver fatto fuori il casellante. Allora quello non ha potuto
prendere il numero della mia targa, se l’hanno fatto fuori? >
< Ma, io, non griderei ancora vittoria. Forse ha scritto il tuo numeri
da qualche parte prima di morire, speriamo di no? Comunque sappiamo
già qualcosa in più e dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza.
Qualcun'altra persona, era però sul posto e ti ha visto e magari ha il tuo
numero di targa? Questo è più certo, che incerto. Tra non molto ci
troveranno con due fori in testa e track! Tutto è belle che sistemato a
dovere. Credimi... Amico, siamo nella merda! >
< Effettivamente hai ragione, come hanno saputo per bene far
precisare cosa conteneva le valigie, che hanno preso quei killer. Anzi, la
valigia io l’ho vista prenderla e metterla nel baule dell’Alfa. Altro che
brillanti! Quelli parlavano di droga. Cocaina pura. >
< Certo, anche i ragazzini capiscono questi sotterfugi, d’altronde
dobbiamo aspettarci di tutto. Perché le varie faide non smetteranno
d’indagare e scoprire chi ha fatto il doppiò gioco e soprattutto dov’è finita
la droga e in quale mani? > mentre Mauro arrossiva dentro di sé per quella
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grossa bugia. Ma per il momento non voleva creare altri problemi a quel
giovane invalido. Poi, sentiva dentro un certo sgomento, che non sapeva
ben definire? Intuiva altri guai in arrivo perciò, era diventato restio a
confidarsi completamente. Pensando che c’era ancora tempo per spifferare
tutto su quel malloppo, sistemato nel baule dell’auto alle loro spalle.
D’altronde, era meglio così, in caso di un arresto Andrea non ne sapeva
proprio nulla. Così restava soltanto la sua parola a discolpa dell’amico.
Poi, effettivamente Andrea era troppo teso e saper di quella fortuna o
sfortuna, poteva montagli la testa e commettere qualche imprudenza. Poi
Mauro, fu distolto dai lamenti di Andrea e smise di pensare e spremersi le
meningi per il momento. < Sai, ‘sto veramente male! Mi viene voglia di
vomitare. > espresse Andrea pallidi in viso. < Forse è l’effetto ritardato di
questo dramma capitato, che mi fa star male. E’ come guardare un film e
non essere l’interprete. Invece è la realtà nuda e cruda. Amico mio...
accidenti che paura! E che casino ho combinato! >
< Non devi abbatterti, proprio ora che la vita ti ha riservato ancora
altro tempo, prima di depositare le tue spoglie tra i trapassati. In verità,
anch’io ho vomitato l’anima in quel fossato accanto all’auto... Perciò,
cercheremo in futuro di goderci la vita il meglio possibile. >
< Già, è sacrosanto vero. Diventeremo più astuti e furbi in avvenire.
Saremo la coppia più scavezzacollo che ci sia. Giusto! Io cercherò di
portarmi a letto tutte le più belle donne e scoparmele tutte quante. Questo
sì! Sarà quello che faremo in futuro, amico. Accidenti! >
< Certo, certo! Però... anche mezzo moribondo, sei un volpino
ragazzo! > mentre lo fissava con interesse, Mauro pensava che in fondo ha
tutto, quel giovane aveva tutte le ragioni di questo mondo per divertirsi.
Era bello, alto, magari un po’ ombroso in viso, ma di animo aperto e
sincero e quel mezzo sorriso che esponeva era qualcosa di eclatante per un
uomo della sua età. E si trovò nuovamente a pensare e dubitare delle sue
facoltà mentali, che incominciava a sentire qualcosa di diverso per quel
giovane moro. Qualcosa che andava oltre e aveva paura di recepire nel suo
intimo, avvisaglie di nuove concezioni d’idee errate. E si trovò a sudare
abbondantemente per quella paura interiore. Poi, tralasciò quella retorica
prosopopea e riprese a dire: < Sai Andrea. Fra i miei documenti ho trovato
che in banca possiedo un bel po’ di grana, soldi. Così potremo andarcene
per il mondo a spassarsela senza pensieri. D’altronde del passato non mi
ricordo più niente e allora. Divertiamoci, diamoci dentro! >
< Ma, come mai, ti ricordi dei soldi e non dei tuoi parenti? O scusa!
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Non dovevo aprire la bocca a sproposito... >
< No, no, hai più che ragione. Ma ho trovato un mio libretto
d’assegni e l’importo ammonta a parecchio. Ecco tutto qui, perché mi
ricordo. Forse sono i soldi dei miei servizi come killer, chi lo sa? > mentre
sorrideva tra sé, per quella trovata del killer. D’altronde era stato troppo
bravo a sparare e forse quella supposizione calzava a dovere?
Mentre l’altro dispiaciuto, ribatteva le sue scuse all’amico, era
veramente mortificato. < Scusami ma, non volevo veramente offenderti.
Comunque io non ci credo. I tuoi occhi non mentono, e non hai lo sguardo
freddo e determinante. Tu non sei un vero killer, ci scommetto le palle! >
< Non scherzare con i tuoi gioielli. Potresti perderli veramente e
sarebbe un vero guaio, non poter scopare con piacere in avvenire. >
< Be’, tanto per cambiare discorso. Tu mi conosci appena e già vuoi
dividere il tuo danaro per divertirci. Perché mi proponi questo? Mai
nessuno in vita mia si e permesso di prestarmi un centone. E tu vorresti
spendere il tuo danaro con me? Non è giusto... >
< Perché non è giusto? Ormai anche volendo siamo legati entrambi da
un vincolo mortale e solo essendo uniti ci salveremo la pelle. Perciò quello
che è mio è anche tuo. Chiaro! >
< Non troppo, ma vedremo poi, più avanti, amico. Sai una cosa
Mauro?! Se avessimo con noi quella valigia e se veramente fosse piena di
preziosi o droga, adesso potevamo... >
< Fare nulla! Ecco cosa si può fare con tutti quei se, se? Non ricordi
quel grassone con la barba che stava per spararti, cosa disse? > Mentre
Andrea muoveva la testa in segno negativo e si vedeva ancora, in quel
momento ch’era spaventato a morte dallo sbiancare del suo viso. Poi, con
titubanza rispose: < Be’, veramente non ricordo nulla di quel momento.
Vedevo solamente la canna di quella pistola puntata contro. Cristo! Me la
sono fatta addosso dalla paura... credimi... >
< Be’, io sì, invece! Ho sentito quello che ti sbraitava contro con
cattiveria. C’era dentro della droga, che loro l’avevano rubata ad altri per
questioni di tangenti, per dei passaggi e pedaggi obbligatori da pagare. E tu
vorresti che diventiamo anche noi venditori di morte per farci la grana
facile, rispondi? > espose serio Mauro.
< Sì, hai ragione. Quanti compagni o visto finire male per quella
porcheria. Era solo per dire, d’altronde l’avevano già scaricata prima, >
confermò Andrea. < Quando si sono fermati per telefonare a qualcuno.
Perché il telefonino che avevano loro, si era rotto nella colluttazione della
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battaglia. Così dicevano tra loro, mentre io ero prigioniero e incuneato sul
pavimento dell’auto, schiacciato sotto i loro piedi. Quei figli di cani! Mi
pestavano con cattiveria... Pace alle loro anime. E poi, quando il capo uscì
dall’auto per telefonare, uno era sceso ed aveva aperto il cofano dell’auto,
l’ho sentito frugare dentro e prendere dall’auto qualcosa di pesante, dal
modo che imprecava quello, poi si allontanò. Mentre un altro sopra di me
stava dicendo all’autista: “Appena sistemata la merce, ci divideremo le
nostre parti e via sulla Costa Azzurra come nababbi”. Ma fu interrotto
dall’arrivo del capo e dell’altro, quello smilzo... >
< Cosa hai detto? Come. Hanno telefonato a qualcuno? > lo fermò
Mauro. < Allora, potrebbero aver letto la tua targa e trasmetterla a chi di
dovere, per sapere chi sei veramente tu? Capisci che potrebbero averlo
fatto. L’unica speranza che non gliene fregava niente di te, dato che aveva
già pensato di farti fuori. E magari l’avrebbero fatto accanto alla tua
macchina se non arrivava della gente. Capisci amico? Si fa sempre più
complicata la questione. Perla miseria! Che inguaiata del cavolo! > sbottò
deciso Mauro, nell’apprendere quella nuova congettura.
< Già! A questo punto dobbiamo veramente stare attenti. E’ meglio
essere poveri ma vivi. Sai, che mi fa venire la pelle d’oca a ripensare a
tutto quello che c’è successo in queste poche ore. Hai proprio ragione
Mauro, stiamo per affogare nella merda. >
< Be’, allora tieni duro e agguantati alla cima... >
< Magari se fosse così facile per risalire la china. >
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Capitolo Settimo
La rustica palazzina era situata ad angolo sulla via principale che porta
al centro della frazione. Il cancello d’entrata era ubicato lateralmente nella
viuzza in terra battuta e terminava poi in aperta campagna. Con fatica
Andrea aveva aperto il cancello e aveva indicato a Mauro di parcheggiare
l’auto sotto il porticato in fondo al giardino di casa. Mauro appena sceso
dall’auto si guardò attorno a rimirare il posto con circospezione.
La casa era disposta su due piani con la scala esterna per salire al piano
superiore; Notò che su ogni gradino della scala vi erano vasi di gerani in
fiore, dando un tocco di allegria all’edificio dipinto di bianco e le imposte
di un verde scuro. Ad un certo punto Mauro fu distolto dal suono delle
campane della parrocchia a un paio di chilometri di distanza e stavano
rintoccando le ore sette del mattino. Mauro capì che le ore stavano volando
via velocemente. Perciò si apprestò a prendere la propria roba dal
bagagliaio dell’auto. Andrea si era risistemato sulle spalle, la leggera
giacca di lana di Mauro, per coprire alla meglio la voluminosa fasciatura.
Tenendola accostata con la mano libera, assieme i vari quotidiani. Richiuso
il cancello d’ingresso e bussò sui vetri della finestra della padrona di casa
per salutarla. Come sua abitudine fare. < Vado di sopra ad accompagnare il
mio amico. Tra un momento sarò da lei, mamma Concettina. > l’avvertì
velocemente Andrea con un sorriso malfermo. Poi invitò Mauro a seguirlo
di sopra. Mentre gli mostrava l’ubicazione del suo appartamentino. < Io
abito qua sopra, e sotto abita la padrona di casa. > gli stava spiegando
Andrea sottovoce mentre salivano le scale. < E’ lei, che mi tiene
l’appartamento in ordine, è così coccola e buona. Oltretutto vive sola e con
una misera pensione. Così, con l’affitto che gli passo oltre le spese varie, si
aiuta a tirare avanti. E sinceramente, devo dire che mi vuole un bene
dell’anima. Come, un figlio. > espose sorridendo. Poi appena entrati in
casa, mormorò piano a Mauro: < Mettiti pure comodo. Intanto io, scendo
un momento e vado a salutare mamma Concettina. Altrimenti, può darsi
che ce la troviamo qui da un momento all’altro. Sai, ormai è da tre anni
che lo abituata a ciacolare un poco al mio rientro da Firenze. Ti sembro, a
posto? > chiese all’amico preoccupato e Mauro accennò di sì col capo. <
Sai, lei si alza sempre presto al mattino. Senz’altro si domanderà chi e mai
quel giovane che mi accompagna e per giunta con un’altra macchina e non
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la mia? E appena andrà a far spesa. i vicini gli chiederanno subito, chi sei
tu e cosa fai? Poi con quell’auto rossa targata Padova. Capisci. Da queste
parti, tutti vedono e sentono ogni cosa. Sono sospettosi. Ma avendo paura
della ndranghete, nessuno fiata apertamente. >
< Certo, ma cosa gli dirai di preciso? > chiese Mauro incuriosito e
preoccupato per la leggerezza del giovane. Mentre l’altro si sistemava
meglio la giacca rispose tranquillamente: < Ho avuto un incidente con la
mia auto a Firenze e lo lasciata per le riparazioni. Chiaro! E tu sei un mio
amico. Un editore del Veneto e socio del mio datore di lavoro. Mi hai
accompagnato a casa con la tua macchia sportiva. Visto che io, ho una
piccola slogatura al braccio. Esatto! Così sarà soddisfatta e non chiederà
più nulla. Poi, se proprio vuol sapere altro. Gli dirò che tu a Padova hai
chiuso la legatoria per ferie. E sei venuto qui a farle in santa pace con me.
Che ne dici, ti va l’idea delle ferie qui a Arcavacata? >
< Ha, si chiama così questo posto... Arcavacata, però?! Ok! Vai, ma
fai presto, che controlleremo poi la tua ferita. >
< Sai una cosa Mauro. > riprese a dire Andrea, mentre stava per
aprire la porta e si era girato. < Per me è come una madre. Forse, perché
non ne ho mai avuta una vera. Mamma Concettina, mi sta riempiendo di
affetto e amore, colmando quel gran vuoto che mi portavo dentro da tanto
tempo. Comprendi questa mia riconoscenza... > espresse il tutto senza
aspettare una risposta, mentre usciva di casa deciso. Mauro si rallegrò in
cuor suo, per quell’affiatamento e amore ch’era sorto tra i due. Poi si
distrasse ad osservare il piccolo appartamento del giovane, curiosando
nelle varie stanze. Scoprendo che Andrea aveva un simpatico salotto, con
un comodo divano letto, di fronte il televisore e un piccolo impianto hi-fi.
Nella parete di fronte all’entrata, vi era una grande finestra che si apriva
sulla viuzza laterale. Coperta da una tenda bianca ricamata a mano e di lato
contro la parete verso la cucina, una piacevole libreria moderna. Sul
piccolo tavolino vi erano vari libri e riviste accatastate e sparse un po’
ovunque. Mauro pensò, che senz’altro la signora Concettina non toccava
nulla in quel piccolo disordine del giovane. Per il resto, l’ordine era
presente in ogni angolo. Le parete erano ricoperte da una simpatica
tappezzeria colore pastello. Dall’altra parte vi era la piccola cucina in
legno chiaro, dal colore eguale nelle quattro pareti in perlinato. Mauro si
accorse che c’era lo stretto necessario per l’emergenza, ma si vedeva
ch’era poco usata. Dall’altra parte dello stretto corridoio c’era il bagno
doccia e al suo fianco la camera da letto, con un ampio armadio antico, una
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poltroncina e un ampio letto dalle spalliere in ottone, ed era sistemato
contro la parete del bagno e di fronte la finestra, ch’era coperta da un
grande tendone color panna. Mauro spostò leggermente il tendone e scoprì
che la finestra si apriva e guardava sulla strada principale, del piccolo
borgo di Arcavacata.
Mauro, usò il bagno con soddisfazione era giorni ormai che desiderava
un piccolo momento d’intimità personale. Invece della toelette nelle
stazioni di servizio quasi sempre sporche. Poi, ripresosi un poco, si recò
dall’altro lato in camera e si sedette sulla poltroncina con un giornale in
mano, Ma s’addormento di botto per la grande stanchezza e sfinimento.
Erano le otto, quando Andrea ritornò di sopra con del caffè bollente e
trovò Mauro di traverso sulla poltrona, che russava profondamente sfinito.
Avrebbe voluto lasciarlo dormire ma, dovendo continuare quella loro
commedia. Si sforzò alzando la voce, per farsi sentire anche dalla cara
signora di sotto. < Mamma Concettina, ti manda i suoi saluti e ci offre il
suo caffè, Più tardi dopo aver riposato un poco andremo a farle visita.
D’accordo Mauro! >
Mauro si era svegliato di botto a quelle parole a volume alto, capendo e
cercando a sua volta di stare al gioco. Purtroppo assonnato rispose con
difficoltà alla domanda mal recepita: < Ringrazia la signora da parte mia e
sarò felice di far dopo la sua conoscenza. > poi a voce più bassa brontolò.
< Hai perso un sacco di tempo. Be’, prendiamo questo benedetto caffè. In
verità lo desideravo molto, > dirigendosi in cucina, per sorseggiare quel
bramato nettare caldo.
Poi, dopo un buon momento di rinsavimento, Mauro chiese ad Andrea.
< Dai, prendi l’occorrente per le medicazioni ragazzo. Hai veramente una
faccia cadaverica, che proprio non mi piace affatto. >
< A chi lo dici. Sono sfinito e se non facciamo presto io svengo
prima. Anche Mamma Concettina, sé ne accorta subito... > si era fermato
di parlare per cercare di svestirsi. Ma a quel punto accorreva l’aiuto
dell’amico se voleva risolvere i suoi problemi. Mauro l’aiutò a togliersi la
giacca e quel che restava della camicia. La precaria medicazione si era
insanguinata. Mentre Andrea, riprendeva con fatica a parlare e a riferire la
conversazione avuta con la signora Concettina. < Sai una cosa. Mamma
Concettina, appena ci ha visti arrivare nel cortile si è spaventata a morte.
Vedendomi senza macchina e con la spalla rigida e poi, la mia faccia così
tirata e l’occhio pesto. Perciò, ho dovuto faticare per rassicurarla che era
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lieve il danno. Le ho detto che avevo preso uno forte scossone nel
tamponamento, ed ero ancora un po’ intontito. E mi è sembrata che l’abbia
bevuta bene la storia dell’incidente. Sinceramente, mi secca molto
prenderla in giro. Lo so che è impossibile spiegare i fatti come stanno
veramente. Ma non è giusto questo mio comportamento scorretto nei suoi
confronti. Non se lo merita affatto... >
< Sì, certo! Ma ora siediti e stai fermo! > gli ordino Mauro. < Ti faro
un po’ male. > spiegò all’amico dolorante, mentre osservava il petto del
giovane sotto la canottiera, pieno di ecchimosi. < Ti hanno sistemato per le
feste. Sei coperto abbastanza bene per tutto il corpo di lividi e graffi. >
< Be’, anche i tuoi non sono di meno. Li ho visti quando ci siamo
rimessi un po’ in ordine, laggiù, dietro la casa cantoniera. >
< Già! Possiamo provare a contarli chi ne ha di più. In verità, anch’io
mi sento tutto rotto! Non vedo l’ora di andare a letto e poter dormire per
una settimana intera. Comunque, ora e meglio fare subito quella puntura
che dicevi di avere in casa. Almeno e spero, tenterà di fermare l’infezione.
In ogni modo, mi sembra che la febbre sia diminuita un po’, sei meno
caldo. Penso sia meglio che ti lavi prima, sei sudicio e potresti infettare di
più la ferita. Visto che il nastro adesivo tiene ben chiuso i fori. Si potrà
girarci attorno con l’acqua, per pulire via lo sporco. Ti pare? >
< Sì, hai ragione. Aiutami per favore a togliermi di dosso i vestiti, mi
sento sporco fin dentro all’anima. Uhm, che male! > sbottò sotto voce.
< Figurati anch’io, come mi sento dentro. Sono riuscito a scaricare
dell’altro fetore che m’avevano riempito quelli... E in verità, con grande
dolore frammisto al sangue raggrumato. Forse hanno usato qualche
bastone per ferirmi all’interno. Accidenti! Che brutta cosa non ricordarsi
niente? Speriamo di non avermi preso qualche malattia di questi tempi.
Accidenti a loro! > sbottò, con un tremore addosso. Andrea percepì a sua
volta quel conflitto di lotte impari all’interno di quell’amico smemorato,
che faticava tremendamente ad accantonare quell’aggressione subita.
Mauro si stupì da solo per quella confidenza così particolareggiata con il
giovane amico, che mai prima d’ora, si sarebbe permesso con chiunque di
ventilare o accennare su certe cose così intime e sporche.
< Certo è un bel guaio, speriamo bene! > rispose appena dopo
Andrea un po’ preoccupato, mentre gli appoggiava la mano sulla spalla a
confortare l’amico. Poi per distrarre l’attenzione propose: < Dai su
spogliamoci e facciamo questa benedetta doccia. Ci laverà via la sporcizia
del mondo. Aiutami per favore! >
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Mauro cercava di far molto piano nel togliere quella canottiera strappata
di Andrea. Lo trovava interessante con la barba un po’ lunga e quel cerotto
sulla spalla, da conferirgli un’aria spavalda. Quasi fosse un marine appena
rientrato dal fronte. Sebbene era la prima volta che Mauro eseguiva tale
operazione, ne rimase colpito e in verità gli piacque farlo. Vi erano tante
cose nuove da imparare in quella forzata unione, in una prossima
convivenza per la sopravvivenza. In parte lo turbava, ma anche l’attraeva.
Ma allo stesso istante, si spaventò di quelle sue nuove turbative. Scoppiate
così per caso e venivano così di botto a confondere la già precaria sua
situazione mentale. Pensando con sgomento, se lui per caso nel passato era
un diverso, un omosessuale? Poi, scacciò con forza quelle balzane idee,
che decisamente non dovevano riguardarlo di persona. Poi senza indugio,
si alzò deciso e accompagnò l’amico in bagno, aiutandolo a entrare nella
doccia. Mentre Andrea goffamente protestava, guardando Mauro
impacciato. < Be’, ora che faccio? > facendo gesti strani con la mano
libera. E di rimando Mauro rispose deciso, ma al tempo stesso più che mai
confuso: < Aspetta! > borbottò e si spogliò velocemente, in quella confusa
e vergognosa idea nella sua mente. Aveva buttato a terra i suoi vestiti e si
era ficcato nudo come un verme, dentro alla piccola doccia. Andrea lo
stava guardando con ammirazione, da confonderlo ancora di più in quel
rossore sprigionato dal suo viso.
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Infine, Mauro fece scorrere l’acqua fresca sulle loro pelli piene di
ecchimosi e a godere di quella frescura per entrambi. Sperando al tempo
stesso, che plachi oltretutto quei suoi bollori di calura. Passò delicatamente
la mano sulla pelle dell’altro e gli strofinò con la spugna l’epidermide
ambrata. Evitò di toccare la ferita che tracimava ancora un po’ di sangue.
L’amico non si lamentava e sopportava bene quel dolore lancinante, che
traspirava solamente dal suo viso contratto. Mauro lo strofinò per bene da
ogni parte, evitando di soffermassi troppo a lungo sulle parti più intime del
giovane, ma al contempo si sentiva turbato e eccitato. Mentre Andrea
beatamente si stava crogiolando in quel servizio fatto al completo
dall’amico, senza minimamente darsi da fare con la mano libera e sana.
Mauro dal canto suo, si masturbava la mente sulle sue nuove turbative,
scoppiate così all’improvviso e senza un vero perché di quel fatto intuitivo.
Capendo al tempo stesso che non era giusto quel suo comportamento. Si
sentiva così confuso, per quella improvvisa profusione d’interesse per
l’altro, in quel contatto dall’apparenza scostante. In quell’accostamento
così banale ma, fin troppo sentita l’attrazione fisica. Più probabile,
platonica. Mentre le loro epidermidi a contatto si toccavano e si sfregavano
continuamente in quello spazio così ristretto, creando inspiegabili e
imprevedibili sensazioni, mai provate prima dall’ora. Mauro era talmente
disorientato e confuso. Ma al tempo stesso gli venivano certe idee
paradossalmente eccitanti, d'inconcepibile emozioni al quanto strane e
contorte. E in quel medesimo istante, percepì con terrore che anche Andrea
captasse i suoi pensieri e turbamenti. In quel frangente di supposizioni
strane, che gli trasmettesse ingenuamente le sue emozioni e impressioni in
quel momento divenuto audace.
Mentre Andrea, con un piccolo sorriso e superando il forte dolore che
gli procurava la spalla gli espose quasi serio: < Sai, è molto difficile a
dirsi, ma mi eccitano abbastanza le tue mani sulla mia pelle. >
< Cosa vai pensando, è senz’altro il dolore ti da alla testa? > espose
Mauro arrossendo, per le sue immaginarie visioni sconce di poc’anzi.
< Sentirmi strofinare la schiena da una mano forte e per giunta
maschile. Non avrei mai supposto prima d’ora, questo pizzicore di piacere
così stranamente eccitante. A prescindere dei fatti accorsi, che nel giro di
poche ore, mi hanno portato dal finire prima arrosto e poi ammazzato.
Infine, esser salvato da un caro amico. E guarda casa, ora mi sta lavando
per bene anche il culo. Cosa voglio di più, da questo mondo ingrato? >
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mentre faceva scorrere la mano sul petto di Mauro divenuto un po’
tremante. Mentre l’altro con falsa decisione gli rispondeva, tossendo per
l’impacciata situazione, mentre la sua voce sciorinava malferma: < Non ci
sono problemi, giovanotto! Se è la mia mano che ti turba, puoi dirlo
chiaramente? O forse preferisci così... magari è più eccitante? > dandogli
una leggera sculacciata a mano larga, sul bel sedere sodo e nudo
dell’amico. Che protestò decisamente: < Non eravamo d’accordo così! E
poi, io, mica ci stavo provando... > mentre gli sfuggiva un debole sorriso.
< Certo che se saresti una bella pollastra, allora sì! Non penserei
certamente alla mia spalla in questo momento. Ti scoperei all'istante. >
< Vuoi che ti dica veramente, cosa ho pensato di te, questa mattina in
macchina? > sbottò deciso Mauro, ma al tempo stesso si bloccò sorpreso
per le sue stesse parole, uscite fuori così all’improvviso.
< Cosa hai pensato? E cosa centra, con quello che ho immaginato?
S’intende senza malizia. > rispose l’altro sorridendo forzatamente ancora.
Mauro lo stava fissando con determinazione, poi riprese. < Non so il
perché ti sto’ dicendo questo. Ma di te mi fido ciecamente e anche quel
pudore che potrebbe insorgere con chiunque, con te non lo provo. Perciò ti
posso dire liberamente, quello che ho pensato questa mattina. Mentre tu eri
assopito al mio fianco in auto... E sei scivolato contro la mia spalla. >
< Be’, allora? Vai avanti, su parla! > lo spronò Andrea incuriosito.
Mentre Mauro aggrottava le sopracciglia titubante, poi abbassò il capo e
infine si confidò: < Ho presupposto che... E’ una cosa strana. Al tempo
stesso mi fa incavolare tremendamente. Insomma per farla breve. Ho
immaginato che se eri tu a possedermi e non quelli là... Tu non puzzi di
rancido e di schifosa birra... Ah, scusami queste mie stronzate! ‘Sto
impazzendo. Accidenti! Forse era meglio che non parlavo, esponendo così
scioccamente i miei pensieri balordi... Accidenti! > e si fermò sopraffatto
dalla vergogna, mentre gli occhi si erano fatti rossi sotto l’acqua che
lambiva i propri corpi.
Andrea lo stava osservando con stimato affetto e poteva leggere nelle
sue irridi azzurrognole, una profonda pena. Comprendendo quale dramma
interiore era in conflitto con sé stesso e prontamente cercò d’incoraggiarlo
alla meglio: < Ti comprendo Mauro. Ma se posso esprimere la mia
opinione senza offesa. E’ semplicemente una tua reazione a voler ad ogni
costo scacciare quel brutto momento. Certamente con la mia presenza in
questa nostra acquisita amicizia, ti porta ad immaginare, che possa essere
la soluzione migliore. Da poter sovrapporre a quella realtà meschina e
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fetente. E’ il tuo subconscio che si rifiuta, non vuol saperne di quel fatto. Ti
ha sconvolto la vita. Devi solo lasciare che scorra con il tempo nel
dimenticatoio e ogni male pian piano sciamerà via. Credimi amico... >
consigliò Andrea in quella circostanza e si trovò ad abbracciare quel caro
compagno avvilito. Mentre Mauro in quel contatto così stretto e bruciante
cercava disperatamente di distogliere il suo pensiero da quelle perverse
immagini che gli danzavano davanti agli occhi. Ma al contempo e
saggiamente capiva che la cosa più importante in quel momento, era ben
altra. Prendersi cura del suo paziente e ripristinare la medicazione al più
presto. Infine dopo un prolungato e affannoso sospiro, Mauro disse con
fare sottomesso: < Scusami ancora Andrea. Hai più che ragione, vorrei
tanto dimenticare e ricordare invece il mio passato, qualunque esso sia. E
poi almeno potrei eventualmente giudicarmi da solo. Nel distinguere
obbiettivamente qual è il bene e il male nel mio passato buio. Perché, al
momento non so bene cosa rappresento io, in questo mondo infame e
fetente. Sinceramente è molto dura arrampicarsi sugli specchi a mani nude.
Tu mi puoi capire amico... > Poi si diede una scrollata di testa e aiutò
Andrea a uscire dalla doccia, facendolo sedere sul water. Mentre lui
terminava di sciacquarsi via il sapone da dosso e al contempo Andrea
commentava: < Già, come ti capisco amico mio. >
Mauro uscì subito e si preoccupò di asciugare Andrea e poi sé stesso
frettolosamente. Tentando di deviare quell’atmosfera tesa, in qualcosa di
più spiritoso. Chiedendo all’amico, mentre terminava di asciugarsi i
capelli: < Abita qui in città, la tua ragazza? >
Andrea per in attimo si trovò confuso poi, mentre osservava l’altro
stranamente pensieroso, gli rispose sorridendo: < No! Non qui, ma a
Firenze. Anzi per la precisione, abita a Fiesole. Perché? >
< Scusami, la domanda idiota... > sbottò Mauro.
< Figurati! Comunque è ancora una semplice amicizia... forse più
avanti. Chissà? > rispose sereno l’altro.
< Scusami ancora. Ma immaginavo che abitasse qui vicino, chissà
perché? > mentre si passava la mano tra i corti capelli castano chiaro, poi
riprese a dire: < Invece io con questa memoria del cazzo, non so veramente
se ho per caso da qualche parte, una donna che m’aspetta. Magari in
qualche parte del Veneto, così indicano i miei documenti. Accidenti!
Nemmeno un numero di telefono. Anche se continuo a spremermi le
meningi, non viene fuori proprio niente. Dovrò decidermi a tornare a
Padova. Forse? Perla miseria! Ah... sarà meglio parlare d’altro. Invece di
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star qui a lagnarmi come un bambino viziato che gli hanno appena rotto il
giocattolo. Dai, amico! Vieni che controlliamo questa benedetta ferita. E'
molto più importante delle mie stronzate che vado blaterando. >
< Okay! Andiamo di là Mauro, e non t’arrabbiare. Lo sai che non
serve a nulla, piangere sul latte versato. >
Andrea si era messo seduto e Mauro diligentemente incominciò a pulire
con del disinfettante la ferita, mentre toglieva il grosso cerotto sui fori.
Facendo mugugnare Andrea dal dolore. Mentre il sangue ricominciava a
fluire fuori. Mauro, esamino per bene da ogni parte dei due fori, ristagnati
dal sangue coagulato. Poi Mauro, li pulì entrambi per bene. Andrea faceva
ogni sforzo per non gridare dal dolore. Aveva la fronte imperlata di sudore
e soltanto di tanto in tanto gli sfuggiva dei deboli lamenti a denti stretti per
evitare di farsi sentire dalla signora Concettina al piano di sotto.
< Ti prego Mauro fai presto! > borbottò tra i denti. < Non ce la faccio
più a resistere... Tra poco, mi metto a urlare dal dolore... >
< So, che ti faccio male e ti capisco più che bene. Ma devi resistere,
‘sto per finire e poi ti farò una bella fasciatura. Parola d’artista... >
< Artista su o giù, il male c’è l’ho egualmente io. Muoviti e basta! >
< Da dan! Ecco fatto! Ora porgi le chiappe e ti infilerò dentro tutto
l’ago. Così mi vendico per bene, scaricandoti addosso la mia rabbia. >
< E per cosa? Se possibile saperlo, > chiese Andrea, mentre si
metteva comodo e pronto a ricevere l'ago nei glutei. La siringa era ormai
pronta in mano di Mauro e come ultima richiesta bisbigliò: < Fai piano...
Per favore? Detesto le punture. >
< Lo faccio solamente per farti venire ancora un pochino di paura e
così, alzerà il tasso di adrenalina nel tuo corpo martoriato. >
< Ah, grazie tante!... Hai! Ma noi due... non eravamo d’accordo di
fare diversamente, senza dolore? >
< Certo, certo! Ma ora beccati questo trattamento, amico. Lo sai che
sono un sadico killer di professione. >
< Accidenti! Ma sei proprio fissato con ‘sto killer del cavolo! >
sbottò Andrea dolorante. Alla fine del pronto intervento, si erano distesi
nudi sul letto esausti. Andrea si lamentava per il dolore alla spalla, aveva
preso inoltre delle pastiglie contro i dolori in generale. Con la speranza di
poter dormire almeno un poco ma, la grande spossatezza, oltre la paura e
tutto il resto era troppa, che faticava a prendere sonno in tutti i modi.
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Mauro era rimasto a fissare il soffitto rischiarato dalle fessure delle
persiane chiuse, che lasciavano trapelare la luce del sole ormai alto. Quelle
strisce di luce venivano interrotte dall’ombra delle auto che passavano
sulla strada sottostante, ma contrastavano con il loro senso di marcia,
andavano alla riversa. Poi, finalmente il sonno e la stanchezza si fecero
sentire di più e senza accorgersene s’assopirono, l’uno accanto all’altro
stremati dai troppi avvenimenti in simultanea.
Mauro si svegliò con dei forti crampi allo stomaco, alzò il capo e guardò
l’ora digitale sul comodino, erano già le diciassette pomeridiane. A quel
punto incominciò a capire che non avrebbe più dormito la fame era insiste.
Pensò di andare in cucina, sperando di trovare qualcosa da mettere sotto i
denti, mentre avrebbe aspettato che anche Andrea si svegli. Nel frattempo
gli appoggiò la mano sulla fronte per captare la temperatura e gli sembrò
contenuta, su bassi livelli. Constatando l'effetto dei medicinali. Infine
Mauro, si alzò dal letto. Si sentiva tutto indolenzito ma al contempo felice
di essere ancora vivo. Poi, si recò in bagno evitando di far troppo rumore,
si lavò i denti e si sciacquò la bocca parecchie volte e si tracannò un bel
bicchiere d’acqua fresca. Tornò nell’atrio e si prese la sacca da tennis e
andò in cucina posandola sul tavolo, per verificare il contenuto. Tolse da
sopra l’occorrente per il tennis, e infine aprì la cerniera e controllò la
refurtiva. In un primo momento non era ancora troppo convinto in quel
frastornato dramma. Soltanto il frutto di una sua brutta fantasia, scoppiata
dal trauma subito. Alla vista di tutti quei biglietti verde, accusò un
capogiro. Poi, si ricordò della fame e dei crampi che aveva. Perciò si mise
a frugare nella credenza per trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Ma
purtroppo non c’era niente. Trovò solamente un pacchetto di cracker, che
si sgranò in un baleno. Mentre rimuginava una soluzione più che pratica
per tutte quelle banconote che aveva sottratto ai killer malavitosi.
Senz’altro, erano e sono soldi sporchi, riciclati altrove, avendo sbarazzato
la droga da un’altra parte, per portarsi a casa il malloppo pulito. Senza
passare tramite le usuali banche amiche e magari, messe sotto controllo
dalla polizia sempre in agguato. Ma sta di fatto, che al momento erano lì,
su quel piccolo tavolo da cucina, aspettando l’idea migliore per essere
divisa e poi, sparire via il più lontano possibile.
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Capitolo Ottavo
A quel punto non mancavano i mezzi con quel ben di Dio a portata di
mano. Mauro prese in mano una mazzetta di dollari americani e ne contò il
numero di banconote, erano cento e tutte da cinquecento pezzi l’una.
Grossomodo, dal numero abbondante riposte nella borsa da tennis; calcolò
approssimativamente che l’ammontare si sarebbe aggirato in diversi
miliardi, oltre a una trentina e più di mazzette da centomila lire italiane. A
Mauro gli scappò un debole fischio di gioia, dicendo tra sé sottovoce: <
Caro Andrea, con questi ci divertiremo un sacco, ma molto lontano da qui.
S’intende. > Poi, dopo il primo impatto, rimise tutto a posto, all’infuori di
una mazzetta di lire italiane, che l’infilo nella tasca della sua giacca appesa
nell’atrio. In fine ritorno a letto, visto che non vi era più nulla da mangiare
in quella cucina linda, ma spoglia di ogni sostentamento.
Andrea russava leggermente tra piccoli lamenti di dolore. Mauro si
sistemò accanto delicatamente per evitare che l’altro si svegli, mentre
l’osservava preoccupato. Perché di tanto in tanto aveva dei piccoli sobbalzi
di tensione e spavento. Il shock subito, l'aveva traumatizzato fortemente.
Comunque sembrava soddisfacente la sua reazione. Pensò tra sé Mauro,
vedendolo più tranquillo dopo l’impatto, vissuto faccia a faccia con la
morte. Mauro a quel punto, si concesse senza vergogna, il lusso di rimirare
per bene l’amico che riposava. Ne approfittò per guardarlo nei minimi
particolari. Si soffermò su quelle piccole rughe, increspature di quel bel
viso moro che esponeva una virilità soavemente mostrata. Che celava
sotterfugi sessuali e fors’anche qualche intima perversione sul torace
possente ma non aggressivo. Al contempo Mauro rammentava il suo
sorrisi, il sorriso di un Andrea sfuggito all’abbraccio della morte. Divenuto
ammiccante e furbesco, aveva le fattezze orientaleggianti e la disinvolta
cupezza da bel tenebroso, con delle spalle massicce e scolpite a nudo. E
ora disteso lì accanto, che dormiva abbastanza tranquillo in quel caldo
letto, da sembrare al tempo stesso fragile ma così, violenta la sua presenza
giovanile. Mauro si stupì da solo per tutte quelle congetture che si stava
ponendo, mentre osservava con prodigalità il dormiente. Pensando, che
mai prima d’ora aveva adocchiato, guardato così tanto un uomo. Mentre in
lui in quel momento, era scoppiata una nuova curiosità eclatante da
scoprire e memorizzare. Ma al tempo stesso, tremò all’idea di scoprirsi un
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altro, con interessi così particolari che andavano a scovare quei minimi
dettagli insignificanti, che stavano diventavano interessanti. La trovava
paradossalmente inammissibile, quella sua strana esplosione euforica, da
preoccuparlo. Comprendendo più che chiaramente lo sbaglio che stava
facendo, da farlo trasalire ancor di più nell’imbarazzo. Oltre a quelle idee
così balorde, fatte di espressione e ammirazione per un bel maschio li
accanto e questo non lo poteva negare nemmeno a sé stesso. Sì, Andrea era
veramente bello e procace.
Poi Andrea si mosse, mettendosi su di fianco, rivolto verso l’amico
sveglio; mentre si lamentava nel sonno per il dolore, assopito dalla forte
stanchezza e da sembrare un povero fanciullo spaventato a morte, in cerca
di un rifugio tra quelle coltri bianche.
Mauro istintivamente gli accarezzò il viso e si trovava ormai a pochi
centimetri dal suo. Per Mauro quel gesto sfuggitogli, fu così inaspettato e
spontaneo, ma al tempo stesso fu troppo sorpreso e s’irrigidì stupito del
suo stesso comportamento. Temeva e aveva paura del peggio, intuendo
quel subbuglio così strano dentro di sé. Perché, al momento non voleva
creare turbamenti, con pensieri inequivocabili di ogni sorta al compagno.
Sapendo più che bene Mauro, che in quella situazione galeotta si stava
crogiolando così bene. Oltre che, di cose mai supposte prima d’ora, da
sembrargli paradossalmente assurde. Ma che sfrontatamente uscivano dal
suo io, e si riversavano così sfacciatamente preponderanti, a quell’evento
sconvolgente e sfizioso appena nato nel suo subconscio.
Mauro restò un bel momento a fissare l’altro che riposava, dove
percepiva l’alitare del suo respiro così caldo e vicino. Si sentiva stregato
da quel volto ambrato e da rimanere così bloccato a fissarlo. Sentiva il
bisogno d’allontanarsi da quel corpo caldo ed eccitante, spostarsi lontano
oltre i confini dell’irreale. Dove la tentazione di fuggire era tanta, ma
qualcosa lo tratteneva lì, inchiodato al suo posto senza battere ciglia.
Mauro si accorse, che persino il suo respiro era trattenuto e divenuto
irregolare, percependo l’aumentare dei battiti del suo cuore in quel
subbuglio di strane idee più che mai conturbanti. Poi, d’improvviso decise
senza indugi di assaporare quelle labbra così invitanti, come un frutto
maturo da raccogliere nel periodo migliore. E in quel momento di così
grande tensione, azzardò a pensare, che a quel punto non importava
proprio più niente se aveva di fronte un aitante giovane, invece di una
lussuriosa donna supina, in attesa dell’amore appagante.
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Capitolo Nono
Mauro s’allungò furtivamente, percorrendo quella minima distanza con
un’infinità di tempo e gli sembrava eterna la destinazione. Confusamente,
s’accorgeva che non raggiungeva mai decisamente alla fine di quel breve
percorso. Anzi, gli sembrava di procedere al contrario, talmente l’istinto di
sottrarsi era presente. La lentezza dei movimenti, veniva bloccata da
quell’idea alquanto subdola, balorda, ma intrigante. Infine giunse a sfiorare
impercettibilmente quelle labbra carnose e vellutate con le sue.
Mauro s’appoggiò con delicatezza sulle labbra e le baciò delicatamente,
assaporando quel frutto proibito ma, altrettanto divino. Poi, fattosi più
audace, incomincio a percorrere dolcemente con la lingua il labbro
inferiore dell’altro, percependo un’estasi di lussuriosa tenerezza, mai
provata prima d’allora. Nel capire, che in quel momento così superlativo,
lui stava rubando, scippando senza violenza, qualcosa all’altro che non
avrebbe mai concesso apertamente. Quel dolce furto, creava in lui, una
componente così esilarante e improponibile. E a quel punto non si stupì
più di nulla, ormai sapeva fin troppo bene. Quel dramma capitatogli aveva
veramente sconvolto la sua vita, convinto di appartenere ad un’altra razza.
Ma al contempo Mauro capiva che non gli dispiaceva affatto. Quantunque
sapeva nettamente, che la pensava ancora diversamente e in quegli attimi
successivi, fatti di congetture e d’estasi, l'impressionò talmente.
Poi, fu distratto dai mugolii di soddisfazione di Andrea. Percepì lo
schiudersi della bocca invitante dell’amico. Da confonderlo tanto.
Tremendamente. Ma, inevitabilmente portò a incontrare le proprie lingue
in un tocco fugace e significativo. Quell’impatto fu per Mauro disastroso e
si spaventò talmente. che s’allontanò così rapidamente dall’amico.
Sgusciando via come un’anguilla avvolto nella vergogna e la paura di
essere scoperto dal compagno da un momento all’altro. Mauro capì, il
grosso sbaglio che aveva commesso e si vergognò di sé stesso. Coprendosi
il volto con le mani, sapendo di aver osato tanto, troppo. Mentre il suo
volto corrucciato, veniva rigato dalle lacrime scaturite per la rabbia e la
vergogna provata.
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Altrettanto Andrea nel sonno, si stava passando la lingua sulle labbra
umide, a voler gustare il sapore di un cibo immaginario, mugolò e sospirò
leggermente ancora. Era difficile distinguere se era per il dolore o di
sollievo. Poi Andrea, si girò dall’altro lato e di colpo si svegliò,
imprecando ad alta voce: < Hai!..! Accidenti! Alla mia spalla. > e si rimise
supino. Mentre Mauro si girò di nuovo a osservare l’accaduto chiedendogli
preoccupato: < Ti sei girato sulla spalla ferita, vero? > Mauro aveva
camuffato un poco la sua voce, per coprire l’imbarazzo appena avuto.
Mentre l’altro gli rispondeva con una tonalità un po’ rauco: < Già! Proprio
da quella parte dovevo girarmi e mentre stavo facendo proprio un bel
sogno. Ho sciupato tutto, peccato! > poi, s’alzò un poco e guardò l’ora e
protestò nuovamente incavolato: < Dio! Sono già le sei e venti del
pomeriggio... Accidenti! Come passa veloce il tempo. >
< Cosa, stavi dicendo prima d’incavolarti? Stavi sognando qualcosa
di bello? > gli chiese Mauro con fare curioso, per nascondere la sua
tensione di poc'anzi.
< Sì, stavo facendo un bel sogno e track! Vado a girarmi... Insomma,
per l’esattezza stavo facendo l’amore con un bel pezzo di passera bionda.
Figurati, era la fine del mondo... Una ragazza bionda color del grano. >
< Be’, abbi fede e ritroverai nel prossimo sogno la tua passera. >
rispose Mauro più rinfrancato, nell’apprendere che l’amico non aveva
sentito e intuito nulla poco prima.
Mentre Andrea gli rispondeva: < Ah, certamente! Ormai l’ho persa e
chissà quando ritornerà nei miei sogni? Però, stavo scopando alla grande...
Guarda come sono ridotto male... Dover sognare!>
< Già vedo, vedo... > rispose Mauro guardandolo in viso. Mentre
l’altro facendo finta di nulla e proseguiva a mugugnare: < Ma sai che non
ci vedo più dalla fame che ho dentro. > continuò Andrea. < Tu, no? >
< A chi lo dici, ti ho preso un pacchetto di cracker dalla credenza. Mi
si spaccava lo stomaco dal dolore. > mentre evitava di abbassare gli occhi
sul corpo dell’amico ancora eccitato.
< Quel pacchetto? Ma quello, avrà cent’anni... mi serviva per far star
buono il cane di una mia amica, qualvolta mi veniva a trovare e tu...
Questa poi... cracker rancidi! >
< Beh’, non erano poi male per la fame che tengo. Comunque, tu
come ti senti? Hai voglia di andare fuori a cena, visto che il pranzo è
saltato? > gli chiese Mauro con fare gioviale.
Mentre l’altro lo stava rimirando sconcertato, essendo poi ancora un po’
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addormentato. Infine rispose con fare di sottomissione: < Sì, non sarebbe
male idea. Ma devi sapere che la mia gentile padrona di casa, nonché
mamma Concettina. Ha preparato già il pranzo per noi, appena ci saremmo
alzati. E mi dispiace di non averti informato questa mattina. Senz’altro è di
sotto che aspetta di sentire i nostri passi per preparare il tutto, ormai per la
cena. Visto che abbiamo dormito tutte due come ghiri. E sinceramente se
non fosse per la fame dormirei avanti... >
< Sì, certamente anche io. Ma ora? Non mi sembra il caso di
disturbare. > rispose Mauro confuso, ma pur sempre sulle difensive.
< Macché disturbo! Lei è contentissima di avere noi come suoi
ospiti. Poi, alla fin fine, non ha mai nessuno per casa e ti assicuro che è
molto brava a preparare dei succulenti piatti. Vedrai! Te lo posso
assicurare. E poi in fondo non possiamo deluderla, lei ci tiene così tanto.
Oltretutto la colpa è mia, l’ho viziata. > confermò Andrea sornionamente.
< Ecco, perché hai la credenza vuota. > constatò sorridendo Mauro.
< Tu vai sempre di sotto a mangiare, vero? > lo rimproverò.
< Be’, sì. Quando sono qui è lei che mi prepara sempre il pranzo,
questo è vero... > confermò l’altro.
< Ma, non è giusto che spenda tutti quei tre soldi che ha per farti
trovare il pranzo pronto. Anche se sei il suo coccolo, d'inquilino modello.
Non è corretto da parte tua. E poi portare anche l’amico a pranzo, non mi
sembra veramente il caso. >
< Su questo hai ragione, Io gli devo ancora l’affitto dell’altro mese e
in questo momento non ho molti spiccioli a disposizione. Vorrà dire che le
farò un assegno abbondante così contribuirò alle spese. Oltretutto qualche
volta mi fa fare qualche telefonata, pertanto non è bello approfittarne della
sua benevolenza e disponibilità. >
< Ok, ok! Ho capito, non si può rifiutare. Be’, allora, dai,
vestiamoci... Sai Andrea, che ho veramente una tale fame dentro. >
< Figurati io quanta. > e scoppiò a ridere di gusto. Mauro rimase
sorpreso e gli chiese curioso di quell’euforia: < Ma, perché ridi cosi di
gusto, è forse la fame che ti da alla testa? >
< No, no. E’ solamente che mi è venuta alla mente un fatto quand’ero
militare e di aver tanta fame addosso... >
< Be’, e con questo. Cosa centra con la nostra fame adesso? > rispose
Mauro sconcertato ma incuriosito.
< E’ semplicemente, che quand’ero negli alpini, insomma l’altr’anno
in una caserma sul Col di Tenda in Piemonte. Un commilitone di nome
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Aldo Riboni, aveva sempre addosso una fame boia. E un giorno che il
colonnello del battaglione venne in visita al nostro distaccamento, chiese
se qualcuno avesse qualcosa da chiedere. E Riboni, con fare convincente
chiese: “Se non gli davano da mangiare di più, si sarebbe mangiato
l’alpino del reparto più piccolo”. A quel punto il colonnello scoppiò a
ridere e diede subito ordine di dar da mangiare a sazietà all’alpino Riboni.
Lui non adoperava un piatto normale, ma una zuppiera colma di pasta. >
< Be’, almeno quello, in emergenza aveva della carne giovane a
portata di mano. In mancanza d’altro. Dai su, allora! Andiamo a riempire
la nostra pancia, bell'alpino... > commentò Mauro, cercando al momento di
essere più coerente con la vita. Mentre al tempo stesso preoccupato,
pensando a come comportarsi con la signora di sotto e se lei per caso
sapesse già qualcosa dei venti burrascosi che si stavano abbattendo su
quella zona inglobata alla malavita? Poi tralasciò tutti quei quesiti ed entrò
in casa seguendo Andrea.
Fu una gradita sorpresa per Mauro, l'incontro con la signora Concettina
Prospero. Trovandola così gentile e disponibile da imbarazzarlo, a
contrastare con le sue idee impostate prima di conoscerla, intuendo subito
che l’invito a cena era veramente spontaneo e sincero. Una donnetta
minuta, dal carattere molto schietta e deciso. Da non essere paragonata alle
dicerie in generale, sul comportamento chiuso delle donne del meridione.
Un po’ schive per non dire sospettose coi forestieri.
Pertanto il loro incontro andò ben oltre alle solite smancerie di
prammatica. La signora Concettina sprizzava gioia da ogni parte. Era
felicissima di avere degli ospiti nella sua modesta casa e per di più
giovanotti che portavano una ventata di giovinezza, nella sua ormai
appartata e solitaria vita casalinga.
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Capitolo Decimo
La cena era squisita e prelibata, la signora Concettina aveva superato sé
stessa, con le varietà di pietanze preparate. Servendo gli ospito con
estremo riguardo da vera padrona di casa. Senza metterli in soggezione e i
discorsi erano molto aperti, senza invadenza da ambo le parti, quasi fosse
un normale evento d’incontri strettamente famigliare.
< Ne prenda ancora Mauro! > spronò la signora un po’ emozionata per
quella nuova presenza nella sua casa. Oltretutto uno che veniva dal nord
d’Italia e per la signora Prospero, non le sembrava una cosa che capiti tutti
i giorni. < Le piace il mio stufato d’agnello? Ma se preferisce l’anitra in
salmì, può prenderne ancora. Anche tu Andrea, se ti va prendi pure.
Insomma non fate dei complimenti ragazzi, mi raccomando! >
< Grazie tante Signora Concettina, ne prenderò ancora un poco d’anitra
è troppa buona. Anzi è tutto buono quello che ha preparato e in special
modo quella sua pasta “scivareddi”, era buonissima! Le faccio i miei
complimenti signora. E’ veramente tutto buono, di una squisitezza unica.
Sinceramente, non ricordo di aver mangiato altrove così bene. > decantò
Mauro con un sincero enfasi. Mentre la signora tutta euforica ringraziava il
simpatico giovane: < Ohm, ma è troppo buono Mauro! >
< Lei pecca di modestia, Signora... > rispose lui con un sorriso.
< La ringrazio, ma ho fatto soltanto una piccola cosuccia paesana,
niente di più. Sinceramente è da molto tempo che non preparo diverse
varietà di cibi. Ormai cucino soltanto qualcosa per me, ad eccezione di
quei due o tre giorni, quando Andrea torna da Firenze. >
< Sai una cosa Mauro, > s’intromise Andrea nell’esporre le sue lodi.
< Mamma Concettina è veramente un angelo, perché intuisce sempre il
mio pensiero e mi fa trovare sempre pronta ogni cosa che mi piace. Mi
vizia troppo, questo è vero. Ma le voglio un gran bene! > espresse sincero.
< Gli preparo solamente cose che gli possono far soltanto bene. Poi è
solo per pochi giorni e ci si fa un po’ compagnia. Per il resto dell’anno
m’arrangio con poco e questa sera mi sembra di ritornare ai vecchi tempi.
Quando c’era quella povera anima di mio marito e il dottore Buzzi che
veniva qui a cena e allora si, che si passava le serate discorrendo in
allegria. Che Dio li abbia in gloria tutte due! > rievocò la donna,
rivolgendo lo sguardo al cielo a ridestare altri ricordi ormai trapassati,
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mentre s’alzava dalla tavola per andare in cucina.
Andrea intanto continuava a spiegare sottovoce all’amico: < Mauro,
devi sapere che Mamma Concettina, è per me più di una madre e di questo
gliene sono più che grato. Veramente! >
Mentre dalla cucina, la signora Concettina lo riprendeva: < Dai, su
figliolo, > ma, al contempo e con una certa commozione rispondeva al
complimento ricevuto: < Se continui così, finirò per piangere. >
E di rimando Andrea, con fare bonario ribatteva: < Non ci sono
problemi mamma Concettina. Ecco qua un bel vassoio porta frutta, penso
che basti a contenere tutte le sue lacrime per questa sera? >
< Dico, solamente, > Mentre tornava dalla cucina con il cesto della
frutta e uno sguardo fustigatore. < Che tu giovinastro, stai facendo troppo
il furbastro. Già, mio caro giovanotto! Vorrei proprio vedere, come ti tratta
quella tua nuova ragazza a Firenze? >
< Non deve preoccuparsi mamma Concettina, > rispose Andrea
mentre si alzava da tavola e si avvicinava alla donna. < Non la tradirò mai.
Lei sarà sempre la donna del mio cuore! > prendendola sotto braccio e
girando con ella mentre urlava. < Dio santo! Ma tu sei matto ragazzo.
Fermati! Possiamo cadere entrambi. Santo cielo! Cosa devo vedere e
provare adesso che sono vecchia. > borbottò più che mai felice.
< Purtroppo devo mollare la presa, la spalla mi fa un po’ male. >
< Benedetto figliolo devi stare attento con quella slogatura. >
Mauro li stava osservando con ammirazione e si complimentava con loro,
per quel bel rapporto che si era restaurato fra padrona e inquilino.
Poi, il telefono squillò e ruppe quella gaia atmosfera. Istintivamente si
guardarono tutti quanti in viso e l’ora che segnava il pendolo a muro,
mentre la signora si recava nell’andito a rispondere. Tornò quasi subito e
rivoltasi ad Andrea, disse con un sorriso un po’ furbesco: < Andrea ti
vogliono al telefono, > e più sottovoce con fare intrigoso continuò: < E’
Serena, la figlia dell’avvocato Rottai, che ti vuole parlare. Ma tu, gli hai
telefonato, avvisandola che arrivavi questa sera? >
Andrea pensieroso, scrollava il capo in segno negativo, poi si decise ad
andare nell’ingresso a rispondere. Mauro aveva percepito in quello
scampanellare del telefono un attimo di panico. Poi, mentre rimuginava
nella sua balorda mente, dove aveva già sentito quel nome. Non gli era per
nulla nuovo. Ma fu distratto dalla signora Concettina, le si era seduta
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accanto e bisbigliò qualcosa al giovane: < Quella Serena ‘sta facendo il
filo ad Andrea, ha continuato tutto il giorno a telefonarmi per sapere
quando rientrava da Firenze. Non è per niente furba quella. Prima sé
lasciata scappare l’occasione. Ed ora vuole riprenderselo, ma lui mi
sembra che non le vada più tanto adesso... Ah, questi giovani oggigiorno,
fanno presto a cambiare idea e ragazza... Non li capisco proprio? >
Mauro fu abbastanza sorpreso di quelle nuove congetture appena sfornate,
e chiese alla signora Concettina abbastanza euforica per quella serata.
< Come! Era la sua ragazza? > domandò, proseguendo: < E si chiama
Rottai e il padre è forse avvocato? > pensava ad alta voce Mauro, talmente
era preso a ricordare quel nome, che gli sfuggiva la provenienza.
< Ma, perché, lei lo conosce quell’avvocato? > le chiese incuriosita.
Mentre Mauro, stava ancora spremendosi le meningi per scovare una
risposta, infine rispose: < Non so bene ma, quel nome non mi è nuovo.
Adesso non ricordo bene, comunque? > mentre si massaggiava le tempie
sperando di riuscirci. E la signora con fare da cospiratrice proseguiva nel
dire: < Quell’avvocato, Pietro Rottai è un furbastro. Sa, sono quelli che
hanno le mani in pasta dappertutto. Possiede persino una tipografia. La
dirige la moglie, una certa, Elena Curini da Bitonto. Una che si dà un
sacco di arie. E pensi Mauro, hanno solo quella figlia Serena, un po’
troppo viziata. Ma è pur sempre un buon partito, di questi tempi. Soltanto
che Andrea non sembra tenerci molto, da quando si sono lasciati per
stupidaggini, roba da ragazzi. E adesso lui sembra indeciso. E’ troppo
buono e non ha malizia, specialmente con le ragazza, tipo quella... >
mentre faceva segno con il capo la ragazza al telefono. < Io dissi ad
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Andrea, ch’era un affare oggigiorno. Discretamente bella, ricca e...
insomma, mi sembrava che poteva sistemarsi. Ma lui, mi avevo risposto:
“La minestra riscaldata non è più la stessa”. Be’, in fondo ha forse
ragione. Soltanto ora, è così strano...? E' da stamattina che continua a
telefonare per vederlo. Tutto di colpo e dopo mesi questo interessamento.
Non sarà rimasta in cinta e cerca un merlo da incastrare? Speriamo di no?
Ormai sono più di sei mesi che non si frequentano, per quello che so io, >
confidò lei sottovoce. < poi in fondo Andrea, finora mi a sempre confidato
tutto e ci credo. Sono proprio curiosa di sapere cosa vuole quella Serena
alle nove di sera? > espresse dubbiosa la signora.
< Forse avrà avuto una ventata di nostalgia. Sa come sono i giovani,
cambiano idea sovente. > espose Mauro insospettito.
< Sarà, ma non sono convinta. Certo che qui Andrea si sarebbe
sistemato in quella famiglia. Un buon lavoro in una tipografia e un conto
in banca cospicuo, invece di correre fino a Firenze per rilegare dei libri.
Cosa ne pensa Mauro? Insomma per farla breve, diamoci del tu, e mi
sembra più appropriato al caso. Poi, sei cosi giovane. Che m’illudo in
questo momento, di avere in casa due figli miei. > mentre arrossiva un
poco per quella immaginaria e felice soluzione.
< Grazie per la sincera famigliarità, mamma Concettina. Va bene! Ma
per tornare sull’argomento del lavoro di Andrea, secondo me, i lavori sono
alla pari, ma se si parla di danaro e nell’aspettare l’eredità dai suoceri e
un’altra cosa. Soltanto che bisognerebbe almeno che le due persone
interessate si vogliano bene e allora tutto si può accettare. Ma credo che
Andrea, sia un tipo restio a farsi mantenere dai suoceri e allora subentrano
altri fattori, l’indipendenza. E al momento mi sa che non ne abbia proprio
voglia di legarsi seriamente. D’altronde sarà lui a decidere non la ragazza.
Mi creda, mamma Concettina. >
< Già, forse hai ragione Mauro. > mentre tentava di ascoltare cosa
diceva Andrea dall’altro lato della porta, infine prospettò: < Sai una cosa
Mauro. Io sono convinta e scommetto, che Serena gli dirà che sta per
diventare padre? > sbottò sardonica ma decisa nella sua idea.
< Lei pensa davvero che è in cinta? > domandava Mauro pensieroso.
< La mia paura è che Andrea è troppo buono e sarebbe capace di
accettare anche questa mia supposizione... Comunque aspettiamo a
giudicare il prossimo, visto che dal nome la fa sembrare molto, Serena. >
la signora si era momentaneamente arresa all’evidenza ma, non troppo
sbagliata, e al contempo sorrideva all’idea del nome appropriato.
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< Io penso che non serva voler forzare la mano. Comprende mamma
Concettina. Anche se così fosse, Andrea non è il tipo di accettare
compromessi per far felice gli altri. > Mauro rimuginava, pensando che lui
effettivamente non conosceva molto bene Andrea, per poter dire ed
esprimere obbiettivamente la sua opinione, aveva già azzardato tanto.
< Su questo hai perfettamente ragione Mauro. Io per esempio, con il
mio povero marito, Dario, > mentre alzava di nuovo gli occhi al cielo in
segno di riverenza. < L’ho perduto otto anni fa, in un incidente sul lavoro,
non troppo chiaro l'accaduto. Mi hanno liquidata con tre miseri soldi. Dato
che non potevo permettermi un buon avvocato. Poi oltretutto ero talmente
sconvolta, da non capire niente. E quei tre soldi sono andati per risistemare
questa casa, che non mi è rimasto più niente. E' stata molto dura dover
tirare avanti da sola, senza nessuno vicino da piangere sulla sua spalla. Noi
ci volevamo molto bene e la sua perdita è ancora molto presente. Che mi
sembra appena ieri, che mi è mancato così di colpo. Che dolore perdere
una persona molto cara. Non si dimentica più. > espresse laconica.
Mauro la stava osservando con ammirazione, nel comprendere quanta
sofferenza provava ancora dentro di sé quella tenace donna. Porgendo la
sua partecipazione a quell’evento antecedente, dicendole con affetto: < Mi
dispiace veramente! Ma ha dei figli, mamma Concettina? > lei era rimasta
muta a fissarlo, e lui continuò a chiederle: < Abitano lontano da lei, sposati
con famiglia? > provò a chiedere.
Lei, l’osservò sorpresa, per quella domanda ormai scordata nel tempo,
infine rispose con fare mesto: < No, purtroppo! Non ne ho avuti. Eppure
abbiamo provato, ma si vede che non era destino avere dei figli nostri e
magari vedere poi, crescere dei nipotini. Peccato! Almeno, adesso c’è
Andrea che mi da l’illusione di avere un figlio tutto mio. E da notare che al
principio non ne volevo sapere di aver qualche estraneo per casa. Se non
era per l’insistenza del dottore Buzzi che mi spronava a prendermi un
inquilino in casa. Raccontandomi che stava curando un ragazzo appena
tornato da militare. Si era preso una bella bronchite e aveva dei problemi
con la famiglia. Al momento viveva in un buco umido e malsano in centro
di Cosenza. Dicendomi che era la soluzione migliore per entrambi. Andrea
aveva bisogno di un po’ di sole e tranquillità e io qualcuno da curare e
accudire per distrarmi dai miei pensieri tristi per la perdita di mio marito.
Insistette così tanto il dottore, che alla fine dovetti cedere. D’altronde non
potevo rifiutare ad un amico come il dottore Buzzi, che mi era stato vicino
nei momenti peggiori. Comunque, gli dissi che avrei provato, solo per un
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breve periodo di tempo ma, mi dovetti ricredere subito. Andrea si rivelò la
persona più buona e coccola che avessi conosciuto e mi ha fatto capire che
si può avere ancora uno scopo nella vita e sono altrettanto grata a Andrea
per l’affetto che mi porge. E sinceramente devo dire che è stata la cosa più
bella dopo mio marito ad avere in casa. Dovetti scusarmi con il dottore per
la mia cocciutaggine e ringraziarlo veramente tanto. Ho, scusa! Per la mia
divagazione. Stavo dicendo prima di mio marito, ci siamo conosciuti in
una balera alla festa del patrono. Eravamo giovanissimi entrambi e ci
siamo fidanzati e sposati subito senza una lira. Dario aveva un misero
lavoro in una fonderia qui vicino. Ma soprattutto ci volevamo bene.
Peccato che i figli non sono venuti. Comunque, volevo dire che non
c’importava di essere poveri ma, felici. Ecco perché non voglio dare troppi
consigli a altri. Scusami ancora. Io quando incomincio a parlare non la
smetto più, d’altronde sono sempre sola e con i vicini parlo il meno
possibile, sono troppo pettegoli quelli... Beh, per cambiare argomento,
preparo del caffè Mauro? > propose con decisione la donna.
< Sì, grazie! Mi manca veramente, quella leccornia. >
In quel momento, anche Andrea aveva terminato la lunga chiacchierata
al telefono e ritornò da loro. La signora non aspettò un secondo e gli
chiese: < Cosa vole... > ma si fermò e riformulò la domanda. < Vuoi che
preparo anche per te del caffè, Andrea? >
< No, grazie! Anzi, dovrei assentarmi un poco, Serena deve parlarmi
di una certa questione... > mentre osservava i visi di Mauro e la signora
che si scambiavano occhiate di stupore e curiosità. Andrea, un po’ confuso
tentò di spiegare: < Sinceramente, non sé spiegata bene per telefono, ma
pare che il suo nuovo ragazzo faccia delle storie, insomma rompe. Fa certe
insinuazioni e quanto sembra mi riguardano. Altro non so di preciso, che
cavolo sia successo. Comunque, farò in un baleno a districare ‘sta storia.
Tra poco Serena passerà a prendermi con la sua macchina. > spiegò
vagamente il giovane agitato e nervoso.
< Proprio non lo vuoi, una tazzina bella bollente? > l’invogliò la
signora Prospero con quel suo fare un po’ intrigoso, senza commentare.
< Be’, forse sarà meglio che prenda questo caffè mamma Concettina,
ne avrò certamente bisogno per tenermi sveglio. >
< Va bene... Ma la spalla come va, ti fa ancora male? Altrimenti può
aspettare quella Serena. Ma tu le hai telefonato che arrivavi oggi? >
< No, mamma. Per niente! Comunque, è meglio che sistemi subito la
questione e sinceramente mi sembra abbastanza strana, mah!... >
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< Grazie tesoro per la mamma, ti voglio molto bene anche io. Ma non
strafare e abbi cura di te stesso, d’accordo! >
< Sì, mamma e grazie ancora per tutto! Be’, questo benedetto caffè,
allora? > mentre schioccava un sonoro bacio sulla guancia della donna, che
si scioglieva in un brodo di giuggiole per la gioia. Mentre lei, lo redarguiva
sornionamente: < Va bene ragazzo mio. Tu va pure a districare le tue
rogne, mentre noi continueremo a chiacchierare tranquillamente. Poi, in
fondo sono in buona compagnia e alla fine cosa voglio di più della vita. >
Mentre Mauro proseguiva a dire a sua volta: < Non ti preoccupare, perché
se ci scappa la voglia, possiamo andare a quel nuovo Nightclub. Vero
mamma Concettina? > espose Mauro sorridendo.
< Come no! Subito. Al Club-lavello, mi sembra il migliore? >
confermò la signora sorridendo.
Andrea che in quel momento stava pensando ad altro, non aveva seguito
le loro battute spiritose e chiese: < Ma, dove? Hanno aperto un nuovo
locale qua vicino, mamma Concettina ? >
Mentre Mauro se la rideva sotto i baffi, la signora rispose seria: < O sì,
certamente, è stato appena aperto di là! > mentre indicava con il dito indice
la cucina. < Lava, sciacqua e asciuga. Che musica! Se vuoi provare? Ma
perdi l’occasione di uscire ragazzo mio. >
< Oh, che fessacchiotto sono! > mentre si beveva d’un fiato il caffè e
riprese a dire con fare burbero. < Ah, è così? Prendetemi pure in giro voi
due. Be’, ho capito che sono di troppo, vado via... >
La signora Concettina, mentre portava le stoviglie in cucina, se la stava
ridendo ancora di gusto. Mauro nel frattempo si era alzato dalla sedia e
s’avvicinò a Andrea, dicendogli sottovoce: < Ti serve qualcosa? >
< No, non mi occorre nulla, E’ soltanto che questa rottura di uscire
con la mia ex non era preventivata. Ti spiegherò poi. Spero solamente di
sbrigarmela in fretta Accidenti! > poi rivoltosi alla signora che stava
tornando dalla cucina le domandò: < Signora Concettina. >
< Come figliolo. Prima mi chiami mamma e ora torni a darmi della
signora? > lo rimprovera lei corrucciando la fronte.
< Scusa mamma, è che sono un po’ stanco e questa storia di Serena
mi a rotto un poco. Ecco è tutto qui! Volevo solamente dire, ancora grazie
per tutto e domani faremo i conti, d’accordo? >
< Certo, certo! Ma ora vai che Serena è già arrivata. Mi raccomando
non fare tardi e fai attenzione al tuo braccio, ciao! >
< Arrivederci! > rispose confusamente Andrea, uscendo dalla porta.
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Capitolo Undicesimo
Mauro stava aiutando la signora Concettina a sbarazzare la tavola e
portare in cucina ogni cosa rimasta, mentre lei gli proponeva: < Mauro se
sei stanco puoi andare a dormire, mentre io termino di lavare questi tre
piatti. Andrea ti ha preparato il divano letto? >
< Sì, è tutto pronto di sopra, ma non sono affatto stanco, posso
benissimo aiutarla ad asciugare le stoviglie e in due si farà prima. > gli
propose lui consenziente.
< Bene, visto l’insistenza, puoi invece prepara un altro caffè? Il
barattolo è la sopra alla credenza e al fianco c’è lo zucchero. E io farò in
un attimo. Così dopo mentre ci prendiamo il caffè in santa pace, mi
racconterai qualcosa, com'è Padova. Sai, diversi anni fa avremmo dovuto
andarci in pullman con mio marito, in una gita organizzata dalla
parrocchia. Purtroppo Dario dovette andare al lavoro e così, Sant’Antonio
non l’ho potuto vedere da vicino. > spiegò Concettina rammaricata.
< Be’, fa’ sempre in tempo ad andare con qualche comitiva o in quei
viaggi che organizzano gite. > prospettò Mauro nel convincere la signora.
< Sì, certo! Ma, non sarà come una volta, andare assieme a mio
marito sarebbe stato tutto diverso. Mah, pazienza..! >
< Beh, sì, certamente! Questo è vero, ma può farlo come se fosse un
viaggio di pellegrinaggio al Santo, visto che ci tiene tanto. Ormai
oggigiorno lo fanno quasi tutti da turista e non per devozione. >
< Non so perché, ma mi sarebbe piaciuto andarci, e adesso non posso
permettermelo. Per fortuna che una volta, l’hanno fatto vedere alla tivù e
così almeno ho avuto il piacere di vedere la basilica. Tu per caso abiti da
quelle parti, insomma nelle vicinanze del Santo? >
< Be’, non proprio vicino, dieci minuti a piedi. C’è sempre un sacco
di gente che visita la basilica. Comunque oggigiorno con la televisione si
può visitare molti paesi e apprendere molte cose. Perché di persona non si
potrebbe mai fare, avendo pur a disposizione un sacco di soldi. > espresse
Mauro convinto della sua teoria, oltre a sviare il discorso ad altro.
< Hai perfettamente ragione Mauro, seduti a casa propria si può
visitare tutto il mondo. Bene, io ho terminato con i piatti e il caffè è quasi
pronto, perciò, possiamo sederci un momento ancora e bere in santa pace
quest’ultima tazzina tonificante. E pensare che il dottore me l’ha proibita,
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al massimo una tazzina al giorno. Ah, benedetto dottore Buzzi! > esclamò.
Perciò, dopo quel buon caffè, ripresero a dialogare con più foga di
prima, senza badare che le ore passavano velocemente, chiacchierando su
ogni cosa che passava per la mente; sul tempo, le stagioni che non erano
più quelle, e così via discorrendo. Sino ai luoghi dove lui era nato e dei
suoi parenti e amici. Mauro faticò molta a deviare il discorso con
sotterfugi ben congeniali senza intaccare la perspicacia mente della
signora, giostrando abilmente con false risposte. Poi senza volerlo e per
fortuna, il discorso ripiombò ancora sulla vita di Andrea, pupillo della
signora Prospero.
Seduti, attorno al piccolo tavolo della cucina che parlavano a bassa voce
come se stessero cospirando contro invisibili ascoltatori. Mentre la signora
incominciava a sciorinare fuori un sacco di cose antecedenti, riguardanti la
vita di Andrea e di quella parte del paese sconosciuta a Mauro.
< Adesso ti svelerò un segreto Mauro. Questa è la prima volta che
racconto a qualcuno certe cose. Ma, mi raccomando! Che Andrea non lo
venga mai a sapere, potrebbe arrabbiarsi tanto. Sai, nel suo passato ha già
avuto una vita abbastanza grama, ‘sto benedetto figliolo! >
Mauro accennò con un movimento del capo, poi rispose: < Non ci sono
problemi da parte mia. Peraltro, lei non è tenuta a spiegare a me certe cose
così confidenziali e private. > espose.
< Ma di te posso fidarmi, lo sento dentro al cuore che sei un giovane
a posto e mantieni la parola data. > rispose lei più che convinta.
< Troppo buona! E’ solamente che ci conosciamo soltanto da poche
ore, capisce... > insistette lui restio, poi oltretutto era preoccupato per
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Andrea, che non gli capiti qualcos'altro, oltre a sfuggirgli dalla bocca
qualcosa sull’accaduto. Essendo troppo buono, ma al tempo stesso forse
troppo ingenuo, come aveva esposto poco prima la signora. Poi tralasciò
quei pensieri ingarbugliati e si mise ad ascoltare la storia che la signora
ostinatamente voleva raccontare.
< Sì Mauro, capisco il tuo restio. Non temere. > confermò lei più che
convinta: < Comunque tornando al discorso di prima: Andrea è un ragazzo
buono e si fa subito abbindolare dalla prima persona che lo coccola un po’
di più. Questa è la verità. Quello che gli è mancato veramente è l’affetto di
una madre e di un padre. Lui personalmente non ha mai conosciuto in via
diretta. Insomma per la cronaca, lui è figlio di NN, capisci Mauro com’è la
situazione di Andrea per il passato... > espletò lei con fare severo.
< Già, comprendo. Almeno ora, a lei che l’adora veramente e
senz’altro lei avrà già capito, che siete fatti l’una per l’altro. >
< Oh, sì! E’ veramente un caro ragazzo, come se fosse del mio stesso
sangue, dal bene che gli voglio. Ma, per tornare sull’argomento di prima,
stavo dicendo, che lui, Andrea ne ha sofferto molto e ne soffre ancora di
questa mancanza. Devi sapere Mauro, che oltretutto nella scalogna del
destino, Andrea è stato adottato da quel genitore... Insomma, da un certo
Antonino Trani, grossista di carni a Reggio Calabria. Come copertura
s’intende ma, sotto, sotto, dev’essere imparentato con ndrangheta quello, >
mentre lo diceva si era avvicinata di più al giovane e si guardava attorno
sospettosa. < Io, sono più che convinta. Quel Trani, l’abbia adottato solo
per sentirsi sollevata la coscienza con il padreterno. Ma al contempo,
anche perché gli serviva della manodopera gratis nella sua azienda.
Risparmiando di pagare altri dipendenti e poter dimostrare alle tasse, che
era un poveraccio di lavoratore onesto. Adottando dei figli provenienti da
un orfanotrofio. Così mi era stato riferito. Ma, io non ci credo all’onestà di
quel galantuomo! C’era e c’è ancora troppa acqua torbida che gira attorno
a quella famiglia Trani. Comprendi Mauro. Ma, andiamo per ordine.
Quando aveva deciso di adottare il ragazzo, Andrea aveva già tredici anni;
accettando di malavoglia quella famiglia imposta dal tribunale. Ma fu così
categorico e testardo di pretendere di tenersi il proprio nome imposto
dall’istituto al momento dell’abbandono. E allo stesso tempo, la moglie di
quel Trani, una certa Carmela Turi, aveva espresso che era felice di quella
soluzione chiesta dal ragazzo. Poi oltretutto se non voleva andare con loro
era dispiaciuta ma, non offesa e avrebbe preso al suo posto un altro
ragazzo meno pretenzioso. Ma dato l’insistenza del Trani, avendo qui a
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Cosenza un giro di conoscenze altolocate, era riuscito egualmente nel suo
intento. Così, il tribunale dei minori concesse in affidamento temporaneo
Andrea Prandi alla famiglia Trani. Riuscendo a spuntarla con la moglie e
avere in parte quel ragazzo, sì proprio quello voleva lui, perché era il frutto
di una sua relazione segreta con una nobildonna messinese; si fa per dire?
Ma la furba moglie aveva egualmente saputo e smascherato il marito da
quell’inghippo antecedente, ricattandolo, e al tempo stesso, accettando in
parte quel bastardo in famiglia. Ma il tutto andava a discapito per Andrea,
senza un avvenire sicuro e condizionato a essere un misero garzone. >
< Però, che vita movimentata a già avuto Andrea da ragazzo. Ma lei,
come sa tutto questo? Insomma questi retroscena… >
< Eh, ragazzo! Ho anch’io le mie fonti! Stai pur certo che sono vere.
Comunque, dicevo prima. Ah, sì! Dunque, per essere più chiari, Andrea è
figlio di quell’Antonino Trani e di una certa Rosalba Prandretti di Messina,
che gestiva a quei tempi; circa dieci anni prima della nascita di Andrea,
una casa d’appuntamento a Catania. E quella era anche la convivente di un
vecchio boss mafioso del posto, un certo Santacata ma, allo stesso tempo
amante di quel Trani di Reggio. Capito l’intreccio amoroso. > espose con
fare cospiratorio Concetta. Facendo trasalire Mauro < Accidenti che
minestrone! > provò a commentare. Mentre la donna proseguiva a ruota
libera: < In quel periodo la Prandretti, non aveva avuto precauzioni con
l’amante giovane, e così era rimasta in cinta di Andrea. Soltanto si era
accorta troppo tardi per abortire e gli era difficile accollarlo al boss
catanese, troppo vecchio per fare dei figli. Così, venne qui a Cosenza con
la scusa che doveva curarsi dei calcoli al fegato. Partorì a casa di un
vecchio amico in segreto; per non dire che ai tempi addietro erano stati
amanti a loro volta. Lei giovane e ambiziosa ragazzina, con l’avvocato
Pietro Rottai... >
< Come? > chiese Mauro sorpreso. < Quel... proprio quello! Il padre
di Serena? Acciderba! Che intreccio della miseria! >
< Sì, quello! L’avvocato Pietro Rottai. Che a sua volta s’interessò per
fare tutte le cose in segreto e alla svelta. Così affidarono Andrea all’istituto
per trovatelli. Consegnato il neonato da sconosciuti e dicendo di averlo
trovato per strada. Sai da queste parti si usa ancora lasciare il fardello alla
provvidenza, capisci com’è andata la faccenda. >
< Veramente è successo tutto questo a Andrea, però? Ma, quella
Rosalba Prandretti che tipo di madre era? Una senza coscienza, che
guardava soltanto al lusso e l’interesse per gli affari... Almeno, era una
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bella donna? Dalle fattezze di Andrea, si direbbe di sì... >
< Mia cognata mi disse che era una vera signora, alta e slanciata, dai
capelli e occhi neri, sì era bella. Anche il padre di Andrea è un bell’uomo,
quello lo visto un paio di volte. Era venuto qui per parlare con Andrea, ma
lui non c’era e non voleva per nulla parlargli, quando gli ho riferito della
sua venuta a cercarlo. >
< Comunque, > espresse Mauro incuriosito. < Se non sono indiscreto
chi le ha svelato tutte queste cose, così segrete e intime... sua cognata? Mi
scusi la mia curiosità a questo punto... >
< Be’, hai ragione! Ormai ti ho detto quasi tutto e posso dire anche il
resto. > mentre un risolino era apparso sulle sue labbra scarne, infine
riprese a spiegare: < La direttrice dell’istituto per trovatelli, qui a Cosenza
era mia cognata a quei tempi. Vedova anche lei, in pensione da molti anni.
E fu proprio per caso, che un giorno c’incontrammo in città, assieme ad
Andrea. Lui mi aveva portato con la macchina per delle compere, e quando
s’incontrarono e si videro loro due, mia cognata e Andrea, avvertii una
specie di repulsione da parte di Andrea, verso mia cognata. Ci fu uno
scambio freddo di saluti e lui si eclissò rapidamente, con una scusa banale
e improvvisa. Comunque, io rimasi in compagnia di mia cognata, dato che
ci vediamo così poco, soltanto qualche telefonata breve per le solite
ciacole da povere vecchie. Perciò, nel discorrere sedute appartate in un
caffè del centro, lei ad un certo punto mi chiese chi era Andrea? Io gli
spiegai, che era un mio inquilino mandatomi dal dottor Buzzi. E tutte
quelle domande erano soltanto perché gli sembrava di conoscerlo e io a
mia volta gli dissi che non andava d’accordo con la famiglia a Reggio ed
era venuto qui a Cosenza a studiare. Perciò, subito lei mi chiese come si
chiamava di cognome e quando gli dissi Prandi, lei rimase allibita.
Insomma per farla breve, lei mi raccontò tutta la storia. Si era avvicinata a
me dicendomi sottovoce: “Concettina, quel ragazzo è roba che scotta, fai
attenzione!”. E poi, incominciò a raccontarmi tutto, vita e miracoli di
quella Rosalba la madre. Poi, dopo la morte del suo boss catanese, era
diventata la mantenuta di un’altro boss Palermitano un certo mister
Boston. Comunque e penso, che anche Andrea sappia qualcosa, perché
appena è venuto a Cosenza e si era rivolto all’istituto per sapere chi era la
madre. Ma gli era stato riferito di non saperlo, perché nell’averlo trovato
un cittadino per strada e portato all’istituto. Ma per farla breve Mauro,
anche mia cognato a saputa tutta questa storia, soltanto molto tempo dopo.
Tutto era successo, perché dei mafiosi volevano sistemare sottomano dei
95
ragazzi all’istituto, ma era successo un putiferio e incominciarono delle
discussioni animose tra loro. Oltreché a sputtanarsi a vicenda e alla fine
spifferarono ogni cosa, anche sulla vita degli altri. Dato che uno dei due, il
più anziano, era l’autista privato dell’avvocato Rottai. Perciò capirai che
storia lunga è uscita da quelle bocce ruffiane, che per soldi venderebbero
anche l’anima al diavolo. E suppongo che tutta questa storia è stato captato
da quell’intelligente boss palermitano, mister Boston. Lo chiamano così
perché è arrivato dall’America a dirigere la mafia siciliana. E quello,
avendo senz’altro capito qualcosa, voleva sapere i retroscena della bella
Rosalba Prandretti sua convivente. Perciò ha fatto fare delle indagini
segrete. Forse per avere qualcuno da ricattare a suo tempo. Dicono che è
un tipo previdente e furbo quello. E fu così che mia cognata riuscì a
comporre quel mosaico di sporca mafia locale. Forse sperava di poterne
ricavare qualcosa dai giornali. Ma, mi sa che non ha avuto il coraggio, ed è
rimasta una poverella anche lei come me, che vive della sua discreta
pensione... > Concettina si era fermata un momento, per bere il poco caffè
rimasto, mentre Mauro si stava strofinando con la mano, la barba ormai
lunga da due giorni, a meditare su tutta quella nuova storia. Infine lui le
espose la sua opinione: < Sa’, che è veramente una storia molto complicata
ed estroversa. > ma al contempo, incominciavano ad aumentare dentro di
sé quelle avvisaglie di paure e sensi di apprensione. Mentre gli frullavano
continuamente strane idee in testa. Tra quei nomi che non gli erano affatto
nuovi. Al tempo stresso s’incavolava di più, per non sapersi districare da
quell’intricato mosaico. Immaginando che qualcosa in tutto quel casino,
centrava con la sua storia, appena avviata malamente.
Mentre la signora gli rispondeva: < Be’, sì! E’ veramente complicata la
storia, comunque, capisci ora in che razza di parentela è messo Andrea.
Eh! Penso che la matrigna gli abbia spifferato qualcosa al ragazzo, per
farlo scappare via. Lei ha un altro figlio, più giovane di Andrea e
senz’altro vuole che il patrimonio sia tutto per quello, questo è poco ma
sicuro. D’altronde io non mi sono mai permessa; da quando ho saputa
questa storia, nel chiedere a Andrea qualcosa al riguardo. Nemmeno lui
non mi a mai chiesto qualcosa di mia cognata, pur sapendo e ricordando
che era la direttrice del collegio a Cosenza. >
< Però!... > sbottò Mauro, mentre gli sfuggiva uno sbadiglio. E
subito la signora si era girata per vedere l’ora dall’orologio appeso al muro
e sbottò anch’essa sorpresa di aver fatto dardi: < Oh, mio Dio! E’ già l’una
di notte. Su, su, giovanotto è meglio andare a letto! Chissà che ora farà
96
quel girovago di Andrea? > mentre si alzava dalla sedia un po’ indolenzita.
Mauro si alzò a sua volta mentre le rispondeva: < Ha perfettamente
ragione mamma Concettina, non credevo nemmeno io che il tempo volasse
via così velocemente. Comunque la devo ringraziare di tutto cuore... Una
cena stupenda! > commentò con sincerità.
< Ma non stare neanche a parlarne, ragazzo mio. > sbottò
nuovamente la signora con un gioviale sorriso, mentre lui continuava a
dirle: < No, veramente! Lei si è prodigata fin troppo, per due rompiscatole
come noi. E’ stata veramente una giornata così intensa di avvenimenti che
meta bastava. Ah, dimenticavo? > mentre si prendeva dalla tasca la
mazzetta da centomila lire, che aveva messo in una busta e la porgeva alla
donna, dicendole: < Io e Andrea, abbiamo deciso di darle qualche spicciolo
per le prime spese. D’altronde Andrea le deve un paio di mesi d’affitto e
perciò, intanto prenda questi e poi si vedrà per il saldo di tutto. Oltretutto
se ci farà un sevizio così succulento, andrà a finire che non ci muoveremo
più da qui. Mi creda mamma Concettina. >
Mentre lei confusa e un po’ seccata per quella presenza in danaro; ma al
contempo era veramente a corto nei fondi di cassa e giungevano proprio a
proposito quei soldi. Altrimenti domani come avrebbe potuto far la spesa,
senza lasciare i conti in sospeso dal droghiere e quella era una cosa che
non era per nulla abituata. Perciò, a rilento accettò quella manna dal cielo.
Rispondendo al giovane con un lieve sorriso: < Va bene Mauro, accetto,
così non vi farò sentire a disagio, ma non era il caso, veramente! >
< Non si preoccupi! Anzi ha perfettamente ragione, non ci troveremo
a disagio. Anzi felicemente a casa nostra. Poi due che dormiranno sino a
tardi, cosa vogliamo di più dalla vita, così beata... >
< Be’, questo lo puoi dire forte ragazzo, che siete a casa vostra. E al
diavolo il lei! Tu mi sei veramente simpatico, e già ti considero un altro
mio caro figlio appena acquisito. Che gioia mi date ragazzi... Be’, via, è
ora di andare a nanna Mauro, buona notte ragazzo! >
< Buona notte... mamma! > e senza pensarci su un attimo, Mauro gli
schioccò un caldo bacio sulla guancia della donna, che era rimasta
stupefatta da tanta effusione. Infine, più che commossa, rispose, mentre le
sfuggivano piccole lacrime sul viso: < Grazie Mauro! Tu e Andrea mi fate
veramente tanto felice. Grazie ancora! >
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Mentre Mauro saliva le scale esterne, la signora stava guardando nella
busta e gli venne un colpo, per quell’enorme quantità di biglietti da
centomila. Subito corse fuori e chiamò il giovane, che stava per entrare in
casa: < Mauro! Puoi venire giù un momento per favore? > e poi sottovoce
riprese, mentre Mauro era già accanto a lei. < Ti sei sbagliato ragazzo? Qui
mi hai messo un sacco di soldi, sono troppi per... la spesa? >
< Non si preoccupi. Vede mamma, io avevo prelevato del danaro per
un certo affare, ma è andato a monte, e mi secca portare in giro certe
somme. Col pericolo di qualche scippo e dato che Andrea deve avere
ancora il suo stipendio dal mio socio di Firenze. Lui è l’amministratore. E
così, visto che Andrea gli deve del danaro per l’affitto e altre cose. Poi, ora
ci sono qui anch’io sulle spalle e pertanto andare in albergo, spenderei di
più e non sarei servito cosi bene e in tranquillità. Perciò quel danari in più
lo scali dall’affitto anticipato e il problema è risolto. D’accordo mamma? >
< Ragazzo mio, io non ho ben capito questa storia dell’anticipo? Da
quando un qua si paga anni di anticipo, me lo spieghi tu Mauro? >
< Mamma, è semplicissimo! Noi vogliamo che lei possa avere dei
soldi a sua disposizione e se non vuole tenerli ha casa, li può portare alla
posta o in banca, come crede meglio. Ecco è tutto qui. Non deve
preoccuparsi i miei parenti ne hanno fin troppo di danaro, e io un amico so’
come trattarlo alla pari. E lei non può immaginare la felicità che mi a dato
la sua disponibilità di una vera mamma... > si era fermato un attimo. Poi
riprese a dire: < Questo per me è molto importante... un giorno le
spiegherò il perché. Per adesso grazie mamma e ancora buona notte! >
Concettina Prospero era rimasta sconcertata da quelle parole, ma capiva
che venivano dal cuore di quel giovane e aveva anche lui molti problemi
sulle spalle. L’aveva capito subito appena si erano conosciuti ma, non
poteva invadere la sua privacy a chiedere, soltanto aspettare che si sciolga
da solo. Infine rispose: < Notte figliolo! > rimanendo a guardare Mauro
salire le scale e poi scollò la testa e si ritirò in casa stringendo tra le mani
quella busta ricolma di benessere.
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Capitolo Dodicesimo
Mauro mentre si svestiva, stava ripensando a quei fatti accorsi in quella
calda serata e si trovò sorpreso a pensare se per caso anche lui aveva da
qualche parte una madre così. Poi di colpo imprecò tra le labbra, sapendo
fin troppo bene di quella sua prolungata lacuna. Poi tanto più che non era
riuscito a estrapolare fuori proprio nulla. Nemmeno dopo quel secondo
trauma nell’assassinare spietatamente quei quattro killer. Insomma era più
giusto pensare, giustiziare. E ancora ebbe un altra preoccupazione viva.
Non avevano sentito e visto la televisione, su quei fatti accorsi e nemmeno
la signora non ne aveva parlato; si vede che era intenta a cucinare per loro
due e la felicità di avere ospiti a casa, aveva tralasciato i notiziari
televisivi. “Senz’altro è andata così”. Si disse da solo un po’ apprensivo
per quel lungo silenzio sui fatti e pertanto pensava di convincere Andrea di
andarsene via in vacanza in qualche posto sperduto. Imprecando tra sé, per
non aver avuto prima quell’idea. < Accidenti, perché non ho pensato
prima? Appena torna a casa vedrò di convincerlo ad andarcene via di
corsa. > mentre l’affanno l’assaliva, poi si distese nudo sul letto e cercò di
pensare ancora ad altre soluzioni migliori, ma si addormentò di botto.
Nella notte vi fu uno strano rumore che destò Mauro dal sonno. Aprì
gli occhi, ma non poté distinguere nulla, era buio pesto; infine, sentì
qualcuno mugugnare nella camera. Mauro stava quasi per dire qualcosa
ma, si trattenne, capendo che era Andrea che trafficava da solo al buio. A
quel punto Mauro si svegliò completamente e restò lì, in silenzio a sentire
quelle piccole imprecazioni fatte a denti stretti dall’altro. Intuendo che vi
era qualcos’altro che non andava per il verso giusto, oltre la ferita del
giovane amico. D’altronde, quel parlottare spiaccicato gli dava a Mauro
l’impressione che Andrea l’avesse con qualcuno in particolare, più che con
sé stesso.
Alla fine Andrea, visto che non ci riusciva a svestirsi, dovette per forza
decidersi ad accendere la luce. Ma non volendo svegliare l’amico, pensò di
accendere la piccola abatjour e solo dopo, se fosse proprio necessario
chiedere l’aiuto all’amico. Stava togliendo la mano dall’interruttore del
abatjour sul comodino a lato del letto, quando la mirabolante luce irradiò
di colpo tutta la camera. Creando fantasiose figure colorate emanate del
99
paralume cinese, che proiettava strani disegni sul corpo nudo di Mauro.
Andrea rimase lì, un buon momento a osservare quelle strane ombre
sull’amico che dormiva beatamente disteso sul letto. Ma fu a sua volta
colpito da quella giovane presenza. Si stupì da solo, perché mai stava
guardando con tanto interesse quel corpo maschile. Si trovò spodestato
nelle sue idee, nel non capire quel improvviso interesse a osservare per
bene il corpo nudo dell’amico. Ma quantunque ammettesse esplicitamente
che non era corretto il suo comportamento. Restò lì a fissarlo incuriosito.
Guardando ogni piccolo particolare, in ogni angolo più remoto e nascosto.
Esplorando con curiosità, quasi morbosa, quel corpo che l’amico esponeva
così innocentemente.
Mentre l’altro, in quel finto sonno, si masturbava la mente a capire
perché mai l’amico l’osservava così insistentemente. Da rimanere in parte
quasi contento di quello sguardo caldo e curioso addosso, ma al contempo
confuso e preoccupato.
Quando gli occhi di Andrea si erano poi soffermati un buon momento a
guardare quel giovane compagno era veramente interessante per una
donna. Se si fosse poi trovata lì, in quel momento invitante e sublime,
sarebbe successo il finimondo. E senza immaginarselo Andrea sbottò
piano, una frase a fior di labbra, sicuro più che mai che il compagno dorma
profondamente e non possa sentire la sua opinione: < Però amico…
sebbene ammaccato, sei veramente figo! Per non dire interessante per una
femmina che ti ammiri in questo momento. >
Mentre Mauro nella confusione più totale, stringeva di più gli occhi per
la paura di essere scoperto che sbirciava e origliava le lodi spropositate.
Andrea imperterrito continuava nella sua decantazione alla bellezza
maschile: < Non credevo che avessi un fisico così invidiabile. Insomma,
ben proporzionato in ogni parte... > e si arrestò di colpo meravigliato delle
sue stesse parole e del suo sguardo. Poi, trasse un lungo sospiro deciso.
Distolse lo sguardo da quel corpo supino, ma troppo preponderante.
S’allontanò e si sedette sulla poltroncina, cercò di togliersi le scarpe e le
calze con una mano sola; d’altronde la spalla gli doleva fortemente,
neutralizzandogli il braccio ferito. Infine con fatica era riuscito a levarsi
anche i calzoni e gli slip assieme, e fin lì era arrivato.
Ma quando cerco di togliersi il maglioncino aderente a quel punto si arenò,
dovendo arrendersi all’evidenza dei fatti. Il dolore era insuperabile da non
riuscire ad alzare e muovere di un centimetro il braccio ferito.
Così gli restava solamente svegliare Mauro e farsi aiutare, non avrebbe
100
voluto, ma quel maglioncino un po’ stretto gli dava l’impressione che
aumentasse il suo dolore, l’infastidiva troppo, per non dire tanto.
Oltretutto, quel leggero maglioncino di lana in casa lo faceva sudare
tremendamente e lui ormai, era abituato a dormire sempre nudo; nudo
come l’amico lì accanto che russava impercettibilmente così bene.
Alla fine si fece coraggio e si avvicinò al giovane, e allungò la mano
sfiorando il petto dell’altro per destarlo. E fu in quel istante che percepì in
quel contatto una elettrizzante vibrazione, che lo colpì stranamente. Da
farlo trasalire e pensare a certe idee strambe.
Cose inspiegabilmente fantasiose che si stavano formando dentro di sé,
avvolte da idee sconce e improponibili per un uomo. Ma egualmente gli
venivano alla mente così preponderanti, da eccitarlo allo stesso tempo.
Pensando che erano soltanto forme astratte, dovute a quella sua
momentanea padronanza nell’approfondire la sua visione sul corpo
dell’amico dormiente. E stranamente in quel contatto si immaginava già,
morbose situazioni. Poi, sbottò tra sé, una esclamazione quasi veritiera:
“Ecco perché l’hanno violentato quelli! Con una pelle così morbida e
vellutata, hanno subito pensato di fottersi una giovane verginella... e
trovando anch’egli vergine, che cuccagna! Avranno detto...” Ma di colpo,
scacciò quei sciocchi pensieri e scrollò più fortemente l’amico. Mauro a
sua volta mugolò nel sonno e in fine aprì gli occhi con fare fastidioso per
la luce accanto. Con finta sorpresa, mentre sfoderava un candido sorriso,
Mauro borbottò: < Ciao! Come stai, e la tua spalla? > mentre pensava se
riusciva bene la sceneggiata del dormiente. Dandosi contemporaneamente
dello stupido per aver avuto quell’idea così balorda e sinceramente gli
seccava. Allo stesso tempo si beava, mentre ripensare ad un momento
prima, nel rivedere Andrea che trafficava cercando di svestirsi. Lui fu sul
punto di scoppiare a ridere, dal modo così buffo e imbranato che esponeva
l’amico, nell’aggrovigliare il suo corpo, per aiutare quell’unica mano
libera. E in fine, quando rimase con addosso soltanto il maglioncino, era
veramente eccitante quella mezza nudità. Mostrava quei glutei ben marcati
dalla pelle ambrata; erano veramente da guardare e far invidia ai mostri
sacri del cinema hollywoodiano.
Ma tutto cambiò e svanì via, scosso dalla voce di Andrea che rispondeva
sornionamente alla sua domanda. < Beh, non va troppo bene la mia spalla.
E il perché t’ho svegliato è che non riesco a togliermi questo maglioncino
della miseria da dosso. E’ stretto. Se mi aiuti, per favore... forse in due
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riusciremo a farcela. La spalla mi fa un male boia! >
< Cosa mi dai in cambio? > sbottò malignamente Mauro.
< S'eri una donna lo sapresti subito. Posso solamente cantarti la ninna
nanna, ma non di certo a quest’ora, all’una e mezza di notte. >
< Come, solo l’una e mezza! Ma, è appena mezz’ora che ho lasciato
la signora Concettina? Mi sembrava di aver fatto una lunga dormita. Però
com’è strana la vita, ti sembra una cosa e invece è un’altra. >
< Fino a quest’ora, avete chiacchierato voi due? Però! > e riprese a
domandare: < Per caso Mauro, non gli avrai raccontato del nostro casino?
Spero proprio di no!? > borbottò Andrea, più che mai preoccupato.
< No, stai tranquillo! E meno male che la televisione era spenta,
altrimenti chissà cosa sarebbe saltato fuori. Ah, proposito, tu hai sentito in
giro altre novità? Senz’altro e magari scottanti? >
< No, nemmeno io, oltre alle solite di questa mattina. Ma d’altronde,
puoi immaginare come mormora la gente sul caso. Per piacere, allora mi
aiuteresti a togliere ‘sto coso da addosso? >
Mauro saltò giù dal letto e s’avvicinò all’amico. < Dai, alza leggermente
il braccio e faremo in un minuto... Ecco... a posto amico! Fermo ancora un
momento? Fai vedere la ferita! Ci sono le bende un po’ umide di sangue.
Direi che possiamo rifare la fasciatura e l’altra puntura contro l’infezione,
di già che siamo svegli. Così potrai dormire un poco di più. Okay! >
< Spiacente ma non posso. Devo andare in banca a prendere un po’ di
grana per pagare la signora di sotto. Ai visto quanta roba ha preparato per
cena e sinceramente non ha molti soldi. E per giunta io sono arretrato
nell’affitto, così, come vedi devo alzarmi presto e... > ma viene interrotto
energicamente. < Ma, vuoi fermarti un momento e lasciarmi spiegare? >
protestò Mauro.< Non occorre nulla per adesso. Ho già provveduto io a
tutto, e per un po’ la signora non gli occorrerà altri soldi. Comprendi! >
< Come? Tu gli hai dato dei soldi, al mio posto? Ma, se... noi non ne
abbiamo parlato e poi... > ribatté Andrea cocciuto.
< Ssst! Aspetta un momento, per favore! Lasciami finire il discorso
Andrea. Io le ho dato dei soldi che avevo in più nel portafoglio e perciò
non t’affannare è tutto a posto... Già, dimenticavo, la signora mi ha detto
che si pranza all’una. Ti va bene? >
< Come mi va bene? Non mi va per niente bene, così. Non è giusto...
Tu non puoi sostituirti a me. Non è giusto! >
< Come non è giusto? Dai, cerca di vedere anche tu la questione da
un altro lato, quella della salvezza della nostre vite. Hai già dimenticato
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della scorsa notte che stavi per tiraci le cuoia. >
< Altro che dimenticato. Mi vengono i brividi freddi solo a ripensare
all’accaduto, accidenti a me! Che cretino sono stato. >
< Capisci Andrea la situazione? Poi, oltre al fatto, è che noi due
dobbiamo andarcene di qui. Almeno per un poco, evitando di imbatterci in
qualcosa di più grande di noi. Sarebbe la nostra fine. Comprendi che è
pericoloso? E meno male che non ci vuole un dottore per te, altrimenti... >
< Già, su questo hai ragione. E’ meglio così, con le voci che
circolano in giro, al riguardo della nostra lunga storia? > espose alla fine
Andrea con fare sottomesso e preoccupato.
< Perché? Allora tu hai scoperto altre novità sul caso nostro? Vero!>
chiese Mauro pensieroso, per non dire agitato, mentre Andrea si metteva
seduto e l’altro incominciava a sfasciare la ferita.
< Certo! Ma, non volevo preoccuparti a questa ora di notte, domani
te l’avrei detto... >
< Detto cosa? Dai su, parla? Non perdere tempo. E’ inutile menare il
cane per l’aia, aspettando il domani... > sbottò Mauro, serio e impaziente.
< Questa sera Serena, mi ha mostrato un’edizione straordinaria del
giornale regionale. E guarda caso, ci sono già io in bella mostra. > mentre
si allungava e prendeva un foglio di giornale che aveva messo sul mobile
poco prima. < Ecco guarda, sta’ a sentire cosa dice quest’articolo a mio
riguardo. Io mi sono preso la pagina per ricordo: Il signor Andrea Prandi
è stato medicato l’altro giorno all’ospedale di Viareggio, per una ferita
alla spalla da una freccia. Il malcapitato signor Prandi passeggiava nei
giardini sul lungomare, quando è stato raggiunto da un dardo di una
freccia, scagliata da uno sconosciuto. Per fortuna che la ferita è lieve e
guarirà un pochi giorni. Medicato e rimandato a casa, dopo le rituali
deposizioni e denuncia contro ignoti. Del presunto Robin Hood non vi
sono tracce, mentre la polizia indaga ancora: ecc. ecc. Hai capito, amico,
la fatalità? C'è un tale che ha il mio stesso nome e abita a Viareggio quanto
pare. Pertanto, a Serena e altre persone che conosco lo lasciato credere, che
mi avevano infilzato per sbaglio. Poi d’altronde la mia spalla rigida non è
passata inosservata. Così, ho leggermente condito la storia, per essere più
veritiera. Non si sa mai? Spiegando ch’ero proprio sfigato quella
settimana, a Firenze mi avevano tamponato l'auto e a Viareggio infilzato
come un’oca marina. Tu pensi che la mia ferita può passare per un foro da
freccia? > mentre ributtava il giornale sul mobile.
< Sì, se la guardano da lontano? > commentò poco convinto Mauro.
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< Comunque è già una buona cosa, avere un mezzo alibi per il foro nella
spalla. Magari domani si sarà chiusa un po’ di più e allora tutto è a posto.
Io penso che se per puro caso la polizia ti domanderebbe delle spiegazioni
e trovando poi sul giornale la conferma del fatto e guarda caso tu lavorare
a Firenze e in una gita a Viareggio... Insomma, non te la nega nessuno che
ti sia capitato quell’incidente. Ma sì... stai tranquillo! Penso che su quel
particolare non indagheranno a fondo. E’ irrilevante. > lo consolò Mauro
mentre terminava il suo operato, e poi, prese la siringa con una mano e il
cotone imbevuto di alcol nell’altra, gli ordinò: < Amico mio, è ora di girare
le chiappe! > mentre a Mauro gli sfuggiva via un risolino sardonico, per
quella sadica manovra a scapito dell’altro.
< Ti prego! > bofonchiò l’altro preoccupato. < Fai piano e non come
l’altra puntura fatta prima. Mi sembravi un macellaio che cerca di
d’infilzare il coltello in un pezzo di manzo, dall’altra parte del tavolo. >
< Hai sbagliato amico, qui c’è un puledro, non un manzo... vai! >
dandogli una leggera pacca sul sedere nudo, mentre Andrea mugugnava.
< Già fatto? Però. Ma sai, che mi fa’ egualmente male... Senz’altro,
sarà il liquido della fiala che è troppo forte. Accidenti a tutto! >
< Ma, perché ti agiti tanto, dovresti esserne contento. Sei già finito in
prima pagina, di questo passo diventerai celebre. >
< Sinceramente era un trafiletto nella quarta pagina. > precisò Andrea
mentre si massaggia il deretano indolenzito dal forte liquido.
< Comunque, se non sono troppo indiscreto e curioso, com’è andata
quella storia da definire con Serena. E’ tutto chiaro adesso? > gli domandò
l’altro mentre si recava in bagno a lavarsi, seguito da Andrea come un
cagnolino che rincorre il padrone. < Figurati, anzi, mi fa piacere che me lo
chiedi, visto che siamo amici... > mentre osservava l’altro che scaricava la
vescica nel water, riprendendo a dire. < E non ho nulla di privato da tenere
nascosto. Tant’è vero che Serena a voluto farmi un grande discorso; già
iniziato prima per telefono. Ma per la verità, devo dire che tutta questa
storia, mi sembra un po’ stramba. Insomma, la trovo così ridicola quella
sua insistenza. Mi è sembrata di più ‘sta storia, una squallida sceneggiata
mal recitata, capisci Mauro? >
< Sì, sì, capisco! Insomma non troppo per capirsi. Ma, in fondo sono
affari tuoi e a me non riguardano, più di tanto. >
< Già, hai ragione. Sono affari miei. Ma comunque, a te posso dirlo.
Anzi lo voglio dire, altrimenti con chi potrei lamentarmi. Sai che ho paura?
Una fottuta paura! Incomincio solo ora a rendermene conto di quello che
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abbiamo appena passato assieme. Porca puttana! > inveì Andrea con
sgomento. Si vedeva che la sua tensione stava per sfaldarsi, lasciandosi
andare in imprecazioni convulse. Mentre l’altro, lo redarguiva a farsi
coraggio: < Dai, su! Non alzare la voce, potresti farti sentire dalla signora
di sotto e non è gusto che stia in pensiero per te. Visto che ti vuole un bene
dell’anima. Sarà meglio evitare che senta e capisca che non va bene
qualcosa. E non lasciati trascinare dagli avvenimenti, ormai quello che è
fatto è fatto. E purtroppo lo sai più che bene anche tu, che bisogna reagire
a nostro vantaggio se dobbiamo sopravvivere. Ecco perché, sarà meglio
cambiare aria, andando magari all’estero. Capisci? > mentre Mauro si
avviavano verso la camera seguito dall’altro preoccupato.
< Hai perfettamente ragione Mauro, ma talvolta mi lascio prendere la
mano dalle incazzature vecchie e nuove. > poi mugugnando si mise a letto
al fianco di Mauro. Mentre quest’ultimo gli rispondeva: < Sì, capisco tutto
ma, urlando non approdi a nulla. Se proprio vuoi toglierti quei mattoni che
hai sullo stomaco, puoi sfogarti a parlare con me. Sono tutt’orecchi. > gli
prospettò Mauro, visto l’altro tutto teso e nervoso, mentre spegneva la
luce. Poi, pensando, che forse al buio l’amico si sarebbe sentiva più libero
nel parlare e aspettò che si decida a tirare fuori il rospo dalla gola. Dopo un
buon momento, Andrea tirò un lungo respiro e incominciò nel dire
sottovoce: < Sai, Mauro, > mentre al buio cercava la mano del compagno
stringendola tra la sua, un po' sudata dalla tensione.
Mauro pensò, che in quel contatto Andrea stava cercando un po' di
coraggio e solidarietà, fors'anche quell’affetto mancato e trovato
finalmente in quella amicizia appena acquisita.
Poi in fine, incominciò a raccontare un po’ riluttante: < La cosa più
comica di tutta questa faccenda è capitata proprio questa sera. Pensa un
po’, che Serena supponeva che io fossi ancora tanto innamorato di lei. Era
così preoccupata a farmi sapere che lei ama un altro uomo, e non sapeva
come dirmelo. Figurati io, cosa m’importava e m'importa di lei. Se proprio
m’interessava, me la sarei già fatta da un pezzo. Comunque chiarito quel
punto, lei ha voluto che spiegassi all’altro la mia posizione, affermando
che tra noi non c'è stato mai nulla. E io, a quel punto mi sono incavolato
veramente! E allora lei sé messa a piangere, pregandomi di farla contenta,
per salvare il suo amore. L’amore per quel... testa di cavolo! Insomma quel
Carmine, il suo nuovo uomo. Uno peggio di così non poteva trovare, ‘sta
benedetta donna. Beh! Lasciamo perdere, sono cavoli, per non dire altro,
suoi! > sbottò abbastanza incavolato.
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< Ben, tutto qui, quella lunga chiacchierata fatta prima al telefono e
poi per strada? > mugugnò Mauro deluso.
Andrea, cercò di scrutare il viso dell’amico accanto ma, il buio glie lo
impediva. Poi riprese a parlare, mentre si schiariva la voce rauca: < Be’,
insomma è soltanto un po’ sfilacciata la faccenda. Comprendi? Lei voleva
che io spieghi all’altro, che non c’era mai stato nulla tra noi. Perciò
arrivammo ad un accordo. Ma il fatto è che lui, Carmine, a suo tempo mi
aveva aggredito verbalmente, dicendomi che la lasciavo troppa sola e così
c’erano altri uomini che la frequentavano assiduamente e... Insomma!
Dicendomi inoltre che non era una ragazza seria. E questo avveniva otto
mesi fa, e io per il rispetto verso Serena, lo presi a pugni per bene. Perciò,
adesso mi seccava dover parlare con quel figlio di buona donna. Sapendo
che gli avrei rotto il muso un’altra volta. Ma l’insistenza di Serena e per
evitare scenate; oltretutto nella nostra nuova situazione cercai di
assecondarla e farla finita in fretta. Poi, alla fin fine, con il male alla spalla
non è che avessi molta voglia di discutere. Oltretutto Serena non aveva
mai saputo di quella baruffa tra noi due e così decisi di assecondarla. E non
potevo nemmeno digli a quello stronzo di Carmine, davanti a Serena,
ch’era veramente un testa di minchione! >
< Vedo che vai di bene in peggio! > commentò Mauro pensieroso,
sentendo aumentare dentro di sé quell’ansia di apprensione e pericolo, che
non riusciva bene a focalizzare, mentre aspettava di sentire il resto.
Intuendo che non era finita per niente quella storia appena iniziata.
< Sai, in quel momento, > riprese Andrea, < ho avuto un pensiero
cattivo, di non averne approfittato anch’io di lei. Ma forse è meglio così,
non avrò dei rimorsi se mi sono perso un po’ di scopate. Pazienza... >
< Ma, che bravo Sant’Andrea! Mah, veramente! Insomma, non hai
mai fatto proprio niente? >
< Be’, sì, questo è vero! Sono stato un fesso, ma non me la sentivo di
approfittarne. Forse il perché, non era la ragazza giusta. Fatta apposta per
me, su misura... > rispose con un po’ di baldanza.
< Misura d’uccello? Però, a vederti non sembra, sei ben fornito... oh,
forse non ti tira più l'arnese? >
< Cosa vorresti dire? L’arnese funziona e come! Se eri una donna
l’avresti già provato più che bene... > ma si arrestò di colpo, poi,
mortificato per le parole sfuggitogli di bocca, riprese a dire. < Scusami!
Non volevo intaccare la tua già penosa storia. Perdonami amico, mi
dispiace! > Mentre gli serrava più forte la mano nella sua, abbastanza
106
sudata dalla tensione. E Mauro con voce roca, rispondeva: < Non devi
preoccuparti e scusarti, lo sai molto bene, che sono un culo rotto! Ma non
divagare, prosegui. > l’incitò a continuare, d’altronde era inevitabile prima
o dopo, si sarebbe arrivati a quelle frasi e la colpa era soltanto sua, che
aveva voluto far del sarcasmo, pertanto aveva avuto la risposta giusta e
meritata. Si commentò da solo Mauro.
Mentre Andrea, con un sospiro di disapprovazione al suo comportamento,
riprendeva: < Ok, ok amico, sorvoliamo le cazzate! Stavo dicendo prima...
Insomma! Se non ho fatto nulla con Serena… Non è che non mi tira più
l'uccello. E' che, mi sarei semplicemente sentito dopo più amareggiato. E
questa è sempre stata una mia intuizione... per essere schietti e dire
qualcosa che non dovrei dire, ma a questo punto... Insomma! Serena
potrebbe essere mia sorella... Capisci adesso il perché! >
< E se io, ti dicessi il contrario, mi crederesti Andrea? > sbottò
Mauro d’impulso. Mentre Andrea a quelle parole era rimasto muto e
stupito, pensando di colpo, che senz’altro mamma Concettina, aveva
raccontato di lui e di quella cognata, la direttrice dell’istituto dei trovatelli.
Senz’altro lei, la cognata, sapeva chi era e chi erano i suoi? “Accidenti”!
Esclamò tra sé incavolato. Poi, si decise a chiedere a Mauro. < Concettina
ti ha parlato di sua cognata, la direttrice dell’istituto per orfani. Vero? >
esprimendo quella frase con una tonalità piuttosto dura e accusatrice.
< Sì, è vero! E quell’avvocato di merda non è tuo padre, questo è più
che sicuro. Comunque, ho già sentito da qualche parte quel nome, Rottai
ma, non mi viene in mente per il momento, dove? Accidenti! Con questa
memoria del cavolo che mi trovo addosso, mi manda in bestia. Ma da
quello che ho sentito, neanche il tuo vero padre è tanto meglio, compresa
tua madre. Scusami la freddezza, ma è la verità. Se ti amavano veramente
non ti avrebbero abbandonato per strada, come un miserabile cane! Messo
poi, per compassione in un orfanotrofio.> Mauro era esploso così
energicamente, quasi fosse lui la vittima di tutto.
< Dunque lei, Concettina sapeva tutto e non mi ha mai detto nulla...
perché? Perché, non me la detto? > esplose seccato.
< Per il semplice fatto, che eri tu, a doverti confidare con lei, e forse
lei dopo ti avrebbe spiegato ogni cosa. Ma tu eri restio, specialmente dopo
che avete incontrato sua cognata, ti sei chiuso nel tuo guscio. E lei, cosa
doveva dirti? Poi, fu solamente in quel momento ch’era venuta al corrente
della tua storia. Cosa doveva fare? Buttartela in faccia! Come una merda.
No! Lei ti vuole troppo bene e a tenuto tutto per sé. Capisci com’è andata
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la faccenda, e non devi farle una colpa. E’ stato per puro caso, che mi ha
confidato la tua storia, pregandomi di tacere. E guarda io, come un gran
coglione, per non dire fesso, la spiattello subito. Che testa di cazzo sono.
Accidenti! Scusami amico! > era veramente mortificato Mauro, ma allo
stesso tempo pensava che forse era venuto il momento che Andrea sapesse
la verità che tanto bramava. Forse fin troppo amara, ma era la realtà del
momento. Purtroppo, tardiva, ma vera.
< No, non c'è nulla da scusarsi Mauro. Anzi, sono io che devo
prendermi a schiaffi. Hai ragione, riguardo hai miei, non mi meritano. E
vadano al diavolo tutti quanti... > sbottò deciso. Poi, dopo un lungo
momento di assoluto silenzio, mentre Andrea si muoveva nel letto
nervosamente, provò a chiedere ancora: Ma tu, ora sai chi sono i miei
genitori? Scusami la curiosità, ma ho frugato dappertutto in questi anni per
sapere qualcosa. E pensare che bastava chiedere alla persona più cara che
ho vicino. E in verità, mi ha fatto più lei da madre in poco tempo, che tutti
quanti messi assieme. > costatando quella verità sacrosanta.
< Tuo padre lai già conosciuto, > gli espose Mauro. < Anzi, ai vissuto
con lui un po’ di tempo. > usando una tonalità volutamente calma, per
evitare che l’altro scoppi in escandescenza, sapendo purtroppo bene la
storia e l’eventuale reazione dell’amico defraudato.
< Come! Quello? > sbottò sull’adirato. < Quel figlio di puttana di
Trani! Che mi faceva sgobbare dalla mattina a sera, e alla fine della
giornata mi diceva solamente: “Bravo figliolo ma, potresti fare qualcosa
in più, dacci dentro! ”. Per non parlare di lei, non lo mai potuta sopportare
quell’arcigna di sua moglie, che stravedeva per quel figlio deficiente e
vendicativo. Per caso non è lei mia madre, spero proprio di no? > domandò
preoccupato Andrea.
< No, non è lei. Ma, un’altra della stessa pasta, però. Bella sì, ma
arida e vuota nell’anima. Se ti ha lasciato subito appena dopo averti
partorito. Abbandonato in quell’istituto, e non certo perché gli mancava il
pane per sfamarti. Perciò, hai ragione vadano all’inferno! > Mauro si era
alzato a sedere sul letto mentre si stringeva le ginocchia al petto, avvolto
da una cupa rabbia per l’amico Andrea.
< Okay! Grazie amico, per avermelo detto. E scusami per la mia
buriana di prima. Incomincio finalmente a capire che l’affetto migliore
viene sempre da chi non conosci. Devo ringraziare mamma Concettina e
te, mio caro e ineguagliabile amico, non ché salvatore. >
< E, ridagli! Ti prego lasciamo perdere i convenevoli e finisci una
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buona volta la tua graziosa telenovella. Mi incuriosisce tanto, e sono stufo
d’immaginare il finale che è senz’altro a sorpresa. Vero? >
< Be’, sì, questo è vero! Comunque, ritornando a quello stronzo di
Carmine: Io avevo detto a Serena che gli avrei telefonato domani per farla
contenta. Sebbene avrei fatto la parte del cretino ma, pazienza. Ma lei a
quel punto m’implorò di andare con lei al bar dove bazzica Carmine, e
sistemare subito la questione.
Alla fine dopo una bella litigata in macchina, accettai. Perché
incominciavo ad aver le palle piene di quella menata sdolcinata, che mi
stava propinando controvoglia... > Andrea si era fermato ancora un
momento sospirando, mentre tirava su con il naso. E Mauro lo spronò a
continuare dicendogli: < Be’, allora, com’è finita? >
< Okay! Va bene, va bene! Adesso riprendo... Ho perso il filo, tra i
ripensamenti su quei ipocriti genitori. >
< Già, l’immaginavo che ci avresti filato sopra. Credimi, non ne vale
la pena. Non sono degni di te. >
< D’accordo, ok! Insomma, dicevo, quel Carmine si presentò al bar,
con un modo abbastanza strafottente, che persino gli avventori del bar si
voltarono a guardare il nostro gruppetto in fermento. Se non era per la mia
spalla dolorante gli avrei mollato un sinistro in pieno viso da gorilla
deficiente. Comunque, in breve gli dissi deciso senza curarmi dei presenti
e di come entrambi avrebbero recepito la mia risposta. “Carmine, ti devo
dire con sincerità che tra me e lei, non c'è mai stato nulla e mi pare che un
tempo ne avevamo già discusso e più che chiaramente sulla sua serietà,
ricordi?” E lui, restò zitto, arrossendo come un pomodoro, mentre
abbassava il capo e rispondeva a monosillabe. “Certo, certo!” Mentre
Serena cercava di raccapezzarsi sulle mie parole, e temendo un altro
inghippo cercai di essere più mite e non dire quello che avevo dentro,
dicendo solamente: “Sai Carmine hai scelto la ragazza migliore e mi
congratulo con voi.” Poi, li pregai di portarmi a casa che ero stanco, così
vennero tute due ad accompagnarmi fino qui sotto. Soltanto una cosa mi a
sorpreso un poco, che Serena mi ha pregato di tenergli la sua sacca con i
suoi libri di scuola, che sarebbe passata di qui domani in giornata per una
spiegazione. Un consiglio? Riguardante un particolare esame aziendale
che stava facendo. Pensandoci bene, chissà quale ditta fa degli esami e
assunzioni ai primi di luglio, non ti sembra strano? >
109
< Perché proprio da te, deve farsi spiegare il sistema commerciale.
Non può chiederlo al padre? Quello è intrufolato da ogni parte in questa
città. > commentò Mauro, dubbioso su quella ridicola messinscena. Mentre
Andrea confermava quella stravaganza: < Mah, si vede che non vuole
ricorrere al padre e preferisce chiederlo a me. In ogni modo, è l’ultimo
favore, poi basta! Vada pure a spasso con Carmine, quello bazzica con la
malavita locale... Be’, ora lasciamo perdere e dormiamoci sopra, domani ci
penseremo a risolvere questi piccoli quesiti del cavolo?. Buona notte,
Mauro! > e tentò di girarsi su di un fianco, ma ci ripensò un attimo, se era
la posizione giusta per la sua spalla dolorante.
< Notte, Andrea! > rispose Mauro corrucciando la fronte, aveva un
certo malessere addosso, che l’opprimeva tremendamente ma, al contempo
non voleva farlo capire all’amico incavolato.
Poi, mentre aspettavano di addormentarsi i loro pensieri parevano
identici. Tutte due, stavano pensando quante notti e giorni potranno vivere
ancora liberamente. Prima che qualcun li scopra e li sistemi, chiudendogli
la bocca e gli occhi per sempre?
A quel punto pensò Mauro, sarà veramente il casi di godersi la vita a più
non posso e in qualsiasi modo, fintanto che in gola c’è un piccolo respiro.
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Capitolo Tredicesimo
Pareva procedere tutto per bene a quella ora della notte, Mauro faticava
ad addormentarsi, aveva cercato disperatamente di non pensare più a nulla,
proprio a niente e quasi c’era riuscito nell’intento. Quando sul più bello, la
voce del compagno lo riportò al punto di partenza.
< Mauro, sei ancora sveglio? > gli domandò sommessamente Andrea.
< Sì, perché? > rispose mentre si girava dalla sua parte a scrutarlo nel
soffuso buio. L’altro con voce sorniona gli domandò di botto: < Perché
l’hai fatto questo pomeriggio? >
Quella frase lo riportò di colpo ben sveglio, per quella domanda che gli
poneva così cruda e nuda l’altro.
< Cosa!? > rispose a fiato mozzo, dopo un’interminabile silenzio.
Sapendo già, più che bene a cosa si riferiva e intendeva dire l’altro con
quella domanda pertinente. Mentre dentro di lui si sentiva perdutamente
perso e svuotato di ogni risorsa, per la figura meschina che stava facendo.
Quella domanda, così a bruciapelo, imposta dall’amico, gli aveva di colpo
fatto raggelare il sangue nelle vene. Mentre un forte tremito lo stava
assalendo e si sentì di colpo avvampare il viso per la gran vergogna
scoppiata di botto. Mentre Andrea nell’indifferenza più assoluta
continuava a parlare pacatamente: < Oggi pomeriggio, tu mi hai baciato
con trasporto. E non dirmi che non è vero, perché l’ho captato più che bene
il tuo messaggio. > si era girato verso l’amico e gli aveva appoggiato la
mano sul suo petto sudato e tremante. Mauro era rimasto fermo e muto,
scosso solamente da fremiti d’oppressione e sgomento, sapendo di esser
stato scoperto così meschinamente. Mentre l’altro percepiva quei sussulti
di tensione e panico che l’amico non sapeva regredire. Andrea afferrò la
sua mano e la strinse forte, per dargli un po’ d’aiuto, capendo di aver
colpito profondamente l’anima, per non dire nel cuore dell’amico.
Mauro deglutì la saliva parecchie volte, infine cercò di rispondere a
quella scabrosa domanda lanciatagli contro: < L’ho fatto solamente per
convincere me stesso, che tu non eri come quelli... o più precisamente per
capire se io fossi un altro, insomma... Cazzo! Magari io sono, uno che va
in giro a... accidenti! Volevo capire, se un uomo può essere, interess... >
ma gli mancò la forza di proseguire e cercò di sottrarsi, girandosi dall’altro
lato. Obbligando Andrea ad afferrarlo per un braccio e girarlo verso di sé,
111
mentre proseguiva lui il discorso: < Volevi dire forse, se un uomo può
essere interessante e piacere ad un altro uomo? E’ questo che intendevi
dire? > ma, visto che l’altro non rispondeva, lui continuò a dire: < Sì, è
vero! Anche tu sei interessante e la tua presenza è piacevole. E per essere
sincero, come sei stato tu ieri mattina. Quantomeno mi conoscevi appena e
mi hai esposto apertamente il tuo pensiero senza vergogna, ricordi? Mi hai
detto che avresti preferito che fossi stato io a violentarti al posto di quelli
là... > fece una breve pausa e poi, riprese con più foga, sbilanciando l’altro
precariamente in bilico da mille dubbi e un’inconfutabile vergogna. < Be’,
vuoi sapere un cosa? Anch’io ho pensato la stessa cosa un momento fa.
Appena ho sfiorato il tuo petto, per svegliarti. Sì, per un attimo ti ho
desiderato, > mentre pensava di esagerare un poco, ma si era lasciato
prendere la mano dall’euforia. Per aiutare l’amico ad uscire fuori da quel
incubo dov’era piombato dentro e non riusciva a cavarsela da solo.
Continuando poi a dire: < E sinceramente ti avrei... Insomma! Per parlar
chiaro. Sì, ti avrei scopato! Volgarmente parlando. Ora ti è chiara l’idea?
Be’, ora sai, cosa ho pensato di te... E tu, cosa rispondi invece? > pensando
al contempo, se lui avesse fatto veramente l’amore con Mauro, forse l’altro
avrebbe superato quel dramma e gli sarebbe ritornata la memoria. A quella
idea, poteva anche essere una scusante per tutte due, ma effettivamente
Andrea non era troppo convinto sulla riuscita. Altre sì, vi era quell'altro
fatto più tangibile che lì accumulava in un’unica e solida attrazione
affettiva. Quella obbligata solidarietà per la vita. Da divenire per Andrea,
qual cosa che non poteva negare, nemmeno a sé stesso. Perché, aveva
trovato nell’amico qualcosa di diverso dai solito amici che frequentava.
Quel giovane per Andrea era diventato più di un caro fratello, oltre avergli
salvato la vita, mettendo a repentaglio la sua. Sapeva benissimo che Mauro
poteva fuggire via e lasciarlo al suo destino fatale. Eppure questo, per lui
l’aveva fatto e quel atto di solidarietà non lo potrà mai dimenticare. “Però
è stato veramente bravo con la pistola e che mira!” mugugnò tra sé.
Mentre aspettava che l’altro si decida a dire qualcosa, in quella
irriflessiva disputa di pensieri un po’ strambi per entrambi.
Alla fine Mauro, si raschiò la gola, deglutì la saliva, poi scartò ogni
indugio e rispose con voce un po’ tremante, all’amico in attesa. < Tu,
faresti veramente l’amore con un uomo? Con me! Lo faresti? >
Andrea, in un primo momento restò un po’ sbilanciato ma, subito si
riprese da quella assurda proposta e scoperta. Mentre stava valutando
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quella probabilità; dapprima remota e ora presente. Nel dire a sé stesso che
quella idea gli era già balenata per la testa molto prima, per essere coerente
con le sue fantasie. In verità con un bel uomo così, non gli dispiacerebbe
affatto apprendere un’altra parte nascosta del suo subconscio. In fondo lui,
era un tipo aperto e poteva essere un’esperienza positiva, oppure negativa.
Ma tutta la faccenda lo poteva appurare soltanto dopo. Poi cosa importava
il dopo, sapendo che la loro vita poteva essere molto breve in avvenire.
Erano legati ad un filo sottile e si poteva spezzare da un momento all’altro.
Alla fin fine, c’erano tanti fattori complicati e nascosti.
Vi era tutta una serie di circostanze strane, che alimentavano quella
atmosfera carica di tensione. Ma al tempo stesso, una sottile eccitazione
traspirava in quella notte, così piena di magia e mistero. Insomma, vi erano
tutte quelle cose che per forza o per caso, avevano accidentalmente
contribuito a quella unione più che fraterna. Oltre tutto, Andrea stava
costatando che il profumo maschio dell’amico lì accanto, lo inebriava e
l’avvolgeva in dismisura. Riscontrando che in quell’odore muschiato non
trovava nessuna repulsione pur essendo maschile. E in quell’afrodisiaco
effluvio del compagno lo recepiva con interesse, sentendosi ammaliato in
quel momento così incasinato. Poi decise senza indugio di rispondere al
compagno in attesa: < Io, veramente, non l’ho mai fatto con nessuno. Ma
penso, che con te e in special modo adesso, lo farei! Tu hai qualcosa di
maliardo e magico che mi ha colpito e m’incuriosisce tanto, per non dire
tremendamente. Io sono disposto a provare, d’altronde, siamo adulti e
vaccinati e penso proprio che non ci scandalizzeremmo più di tanto. Poi
quel bacio di oggi, mi ha sconvolto parecchio per non dire tanto. E’ la
verità! Perciò, vorrei riprendere quel dialogo muto ma sublime, da dove
siamo rimasti a mezz’aria oggi... Ma, tu, sei ancora d’accordo a voler
provare Mauro? > mentre faceva scorrere la mano sul petto caldo
dell’altro. Che reagì prontamente, quasi fosse una bravata da ragazzini,
dicendo con voce tremante dall’emozione e in una confusione assoluta di
idee: < Certo, proviamo! Forse servirà a lavare l’onta che ancora ho dentro
di me e mi perseguita inesorabilmente. E magari, potremmo pensare
d’essere due innamorati, che danno sfogo hai loro istinti primitivi e
selvaggi. Senza pensare alle bigotte discriminazioni sull’appartenenza dei
sessi e le sue pratiche perverse. Sì, soltanto sesso e nient’altro! > Ci fu un
momento di pausa ma, subito Mauro riprese a dire con serietà: < E’ tutta
una menzogna ciò che ho detto. In verità, ho desiderato fare l’amore con te
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Andrea. Forse per poter mettere ad ogni costo nella mia mente e anche nel
mio cuore, la tua sana presenza inestinguibile, messa al posto di quegli
altri che mi hanno sodomizzato con cattiveria. Insomma, per cancellare
dalla mia memoria quel brutto momento, che la mia mente si rifiuta di
accettare e bloccarmi il passato nel vuoto assoluto. >
Simultaneamente si trovarono stretti tra loro in un abbraccio pieno di
tenera passione, poi le loro labbra si unirono con voluttà e desiderio e mai
prima d’ora avevano recepito tanto ardore, che si stava sprigionando con
furore dai loro corpi nudi a contatto.
Mentre il bacio si faceva sempre più irruente, alla fine Andrea tra un
sospiro e un altro provò a dire sorridendo: < In verità non lo so proprio il
perché e sinceramente a questo punto non me ne importa un bel niente.
No, non è vero... Lo pensato di fare e basta! In verità incomincia a
piacermi. Oltre tutto vi è qualcosa di straordinario nella tua persona, che
mi affascina molto, tremendamente tanto! Forse, perché è la prima volta
che faccio l’amore con un uomo e tutte queste tue componenti virili e
nuove mi hanno ribaltato ogni mia previsione discriminatoria a discernere
fra il sacro e il profano. Ma insomma! Perché cercare delle scuse fasulle, è
andata così e devo dirti con sincerità che mi piace continuare a baciarti.
< In verità, anch'io non avrei mai supposto di capire e apprezzare
così profondamente l’amore tra due persone dello stesso sesso. Ma ora mi
devo ricredere, sebbene non ricordo nulla del mio passato e mi sembra,
anzi è più un’intuizione sentita, che dei ricordi precisi ormai svaniti via.
Ma sinceramente, finora, non ho mai provato qualcosa di simile, devi
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credermi amore. Mi sto’ innamorando di te Andrea e non mi vergogno a
dirlo apertamente. > Espose seriamente Mauro. Forse sarà l’ultima volta
che ci ameremo, perché il domani potrà serbarci chissà cos’altro. Ma per
ora non fermarti, continua amore! Non deludermi e stringimi fortemente a
te. Lo desidero sentirti accanto, prima che.... >
< Ma perché non riesci a stare zitto un momento, dicendo stronzate
sulla morte! Sai che l’amore può avere molti umori e mutamenti
nell’amplesso... > Brontolò bonariamente Andrea.
< Già, scusami! Ma, era solamente per confondere e affievolire il
dolore che sto’ provando. Che trasuda nel piacere.
Era quasi l’alba e si udiva di già il canto degli uccelli, mentre ancora
correvano i baci e le carezze sui loro corpi sudati, alla ricerca di
quell’oblio anelante e così insaziabile. E ogni volta sembrava più bello e
maggiore di prima e ogni cosa cessò di esistere, solo il loro amore che si
concepiva molteplicemente, quasi come un rito pagano a ridare l’onore
perso in battaglia, ma ora lì, ritrovato tra le loro forti braccia.
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Capitolo Quattordicesimo
< Sono già le tredici pomeridiane!? > Esclamò Mauro rivolto a
Andrea che faticava a svegliarsi, quando sentirono bussare alla porta
ripetutamente. Andrea accese la luce e guardò l’orologio sul comodino,
erano solamente le otto e trenta del mattino: < Accidenti! > sbotto confuso
e incavolato. Mentre Mauro stava rimuginando tra sé, nel ripensare quanto
tempo era trascorso, constatando che avevano dormito più o meno tre ore.
Perciò non era sicuramente la signora Concettina che veniva a rompere a
quella ora del mattino?
< Ma cos’è successo? > chiese nuovamente Andrea preoccupato.
Mentre si ripetevano dall’esterno i battiti alla porta insistentemente, da
farli saltare giù dal letto precipitosamente, sperando di non supporre a
quello che stavano pensando veramente di grave?
Poi dato l’insistenza dei pugni sulla porta, era senz’altro nulla di
gratificanti per loro due che dormivano alla grande. Mauro fu il primo a
infilarsi i calzoni velocemente, mentre imprecava sottovoce contro molte o
poche avversità successe all’insaputa di loro due. < Siamo in un bel guaio
Andrea! > espose Mauro all’amico, mentre i pensieri si accavallavano
rapidamente assieme. Erano così confusi e assonnati, mentre cercavano i
propri vestiti sparpagliati ovunque per la casa. Andrea con fatica si era
infilato gli slip e i calzoni, ma per la maglietta era un’altro problema
irrisolto al momento. Invece Mauro si era sistemato alla meglio e stava
ponderando più alacremente ogni possibile evenienza. Supponendo, che se
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per caso la polizia avesse già trovato i cadaveri dei quattro nel fossato e
per vie traverse erano già arrivati sino a loro, allora sarebbe stato un bel
guaio? Impossibile, ma purtroppo pareva vero. Oltretutto lui era un killer
assassino e quella era una cosa da non dimenticare e che gli faceva rivivere
l’accaduto con apprensione. In quel preciso momento gli procurò un
brivido gelido per tutto il corpo. Poi si sforzò a riflettere ancora un attimo,
mentre mugugnava su quella sua negligenza provata, ma non ci riusciva a
scovare proprio nulla, che lo aiutasse a reagire in quella confusione
mattutina. < Per la miseria! Siamo fottuti più che bene! > imprecò.
< Aprite, polizia! > urlarono dal di fuori. Quel persistere di colpi
sulla porta di casa e a quel ordine perentorio, richiamò Mauro alla realtà
più che concreta, mentre urlava per farsi sentire dall’esterno: < Sì, sì! Va
bene!... Veniamo, solo un momento! > imprecando poi, a bassa voce al
compagno: < Puttana Eva! Siamo fregati più che bene Andrea! Questa è la
polizia..? Come hanno fatto, a trovarci così in fretta? > espose, Mauro
digrignando a denti stretti, più che mai incavolato.
< Lo pensi veramente? Dai aiutami a infilare questa maglia, non
voglio far vedere la ferita... > mugugnò confuso Andrea. Mauro non
rispose, ma aiutò l’altro a sistemarsi, poi andò deciso ad aprire la porta.
Mentre si preparava un’espressione confacente al caso e nell’aver ragione
a supporre la sua pessima idea di poco prima.
Ebbe quasi un colpo, nel costatare che aveva capito più che bene chi
bussava. Si trovò di fronte due poliziotti in divisa e al fianco la signora
Concettina spaventata a morte, che non sapeva cosa dire o fare al
momento. Travisava nel suo sguardo supplichevole, molti interrogativi
esposti verso Mauro, per quella invadenza incontenibile delle forze
dell’ordine. Comunque, Mauro seppe magistralmente ponderare a quel
primo impatto così improvviso, e si mostrò agli agenti insonnolito e
tranquillo, senza preoccupazioni. L’ufficiale che le era di fronte si presentò
deciso, dicendogli con severità: < Tenente Narduzzi e sergente Nardelli, lei
è il signor Andrea Prandi? > Domandò con autorità mal celata e nascosta
sotto una superficiale cortesia mostrata.
Mauro rispose a sua volta, sbadigliando: < No. Il signor Prandi è ancora
a letto, se vogliono aspettare un momento vado a chiamarlo. E se non
chiedo troppo, cosa desiderano dal signor Prandi, lor Signori? > scrutando
i presenti dai visi seri e indagatori. Mentre porgeva un sorriso alla povera
signora Concettina, raggomitolata in un angolo del pianerottolo a ridosso
della ringhiera, così attonita e ammutolita per quella intromissione
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mattutina. Al tempo stesso in quel frangente di secondi che sfilavano
velocemente, Mauro pensava alacremente dove Andrea avrebbe sbagliato.
Perché, e senz’altro quelli erano già riusciti ad identificare la sua auto e
solo per quel motivo potevano essere lì a cercarlo a quella ora del mattino?
Mentre il tenente dallo sguardo un po’ infido e schivo, gli chiedeva con
fare sollecito: < Possiamo entrare. Lei, è... Non ho capito il suo nome? >
Sbottò quello, con fare autoritario, mentre tentava di superare Mauro, che a
sua volta si era girato di proposito verso la signora le stava chiedendo con
fare gentile, ma serio: < Signora Prospero, le hanno mostrato qualche
documento questi signori? > mentre Mauro fissava il tenente con uno
sguardo da rimprovero e gli bloccava indifferentemente l’ingresso,
aspettando un cenno della donna che confermava la sua domanda. < No!
Non mi hanno dato niente... Non capisco... Cosa vogliono? >
< Molto male, tenente Narduzzi! > provò a dire Mauro risentito da
tanta strafottenza, e stava per rispondere malamente, ma si trattenne, solo
perché non sapeva ancora bene il motivo di quella presenza mattutina.
Infine rispose con una velatura di sarcasmo: < Comunque, per il mio
nome, lei ancora non me la chiesto. Sono Mauro Rossi, > mentre estraeva
il portafoglio dalla tasca posteriore dei calzoni e porgeva la patente al
sergente e riprendeva a dire: < Sono amico del signor Prandi e attualmente
sono suo ospite qui per qualche giorni. Le può bastare? >
< Sì, certamente, per ora può bastare. > rispose seccato il tenente
Narduzzi. < Bene, ora m’accompagnerebbe dentro, dal signor Prandi? >
< Non c’è bisogno, eccomi qua! > rispose Andrea alle spalle di Mauro,
mentre si sistemava la cintura dei calzoni e riprendeva a chiedere: < Cosa
vuole la polizia da me, a questa ora del mattino? > guardando un po’
confuso i poliziotti, mentre si sfregava gli occhi per il sonno perso e
aspettando che l’ufficiale si spieghi meglio.
< La pregherei di seguirci in questura, signor Prandi, per degli
accertamenti. > rispose serio, mentre cercava con falsa cortesia di prendere
Andrea per un braccio.
< Un momento! Accertamenti di che? Si può spiegare meglio
tenente! > gli chiese sorpreso Andrea, mentre si ritraeva di qualche
centimetro. Al tempo stesso, dentro di lui si andavano ad ammassarsi un
sacco di domande, senza risposta.
< Spiacente signor Prandi, ma sarà dovere del questore Gorelli
rispondere alla sua domanda. La prego, ci segua. Sarà una semplice
formalità, stia pur certo. > espose con un falso sorriso.
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< Insomma! Se devo seguirla dovrò almeno sapere il perché e per
cosa? Diammine tenente, penso che una piccola delucidazione la possa
dare. Almeno ditemi cosa ho fatto di grave? Per essere portato di peso in
questura… > protestò Andrea.
Nel frattempo Mauro, si rimetteva in tasca i suoi documenti guardati
velocemente dal sergente. Mauro era rimasto per tutto il tempo zitto e
ascoltava i presenti, poi visto l’andazzo che aveva preso la situazione e
quella reticenza espressa dell’ufficiale, si stufò e s’intromise deciso,
rivolgendosi al tenente con un tono secco: < Tenente Narduzzi, se lei è
nell’impossibilità di esporre un documento di comparizione o un mandato
con esposto ben in chiaro le richieste della questura di Cosenza per una
convocazione, oltre ad aver già dimenticato l’autorizzazione per
l’intromissione in casa della signora Prospero. Mi spiace ma non può
obbligare il signor Prandi a seguirla. Giusto? >
Il tenente Narduzzi si sentì per un attimo spiazzato ma, si riprese e
rispondeva questa volta con una tonalità più morbida, porgendo una scusa
al caso: < Giustissimo, signor Rossi, ma non devono arrabbiarsi, noi
abbiamo avuto l’ordine di venire a prendere il signor Andrea Prandi e
portarlo in questura per accertamenti. Tutto qui! Capisce, è nostro dovere
eseguire gli ordini. > mentre guardava il sergente Nardelli a sostegno, ma
quello, fermo e impassibile nella sua divisa blu da buon poliziotto ligio al
proprio dovere, non s’intromise minimamente.
< Certo che la capisco, > rispose Mauro serissimo. < Ma non a questo
modo, senza saper il perché e per come? Chiaro! Comunque per evitare
ulteriori complicazioni al caso, sia per lei e far perdere del tempo a noi. Io
direi che lei può chiamare via radio la centrale e farci parlare con il
questore, così lui dirà al signor Prandi il motivo di questa urgente
convocazione. Poi allora in signor Prandi verrà con lei in questura senza
problemi. E mi creda è il massimo che possiamo fare per collaborare.
Oltretutto per pianificare la vostra momentanea e abusiva invasione in casa
d’altri. Penso di essermi spiegato chiaramente. D’accordo? >
Il tenente si era trovato a corto di azioni giuridiche per affrontare quel
giovane ben informato, poi effettivamente era rimasto un po’ sconcertato
da quella reazione più che giustificata. Pensando che quel forestiero poteva
essere un giovane avvocato ben informato sugli iter e cavilli burocratici,
dal modo che trattava la questione. Perciò alla fine, il tenente cercò di
assecondare la domanda, evitando ulteriori ritardi al caso e approvando la
loro richiesta, che alla fin fine, non era poi sbagliata per chi sa le regole.
119
Infine il tenente, rivoltosi al subalterno al suo fianco ordinò di procedere:
< Nardelli, vai alla macchina e chiama via radio il questore e digli di
chiamarci al telefono della signora Prospero. Ecco il numero... Noi
aspettiamo la sua chiamata. > poi si era rivolto ai presenti con un piccolo
ghigno di accomodamento. < Spero che vada bene adesso? Aspetteremo
che ci chiami il questore Gorelli. Almeno così, spiegherà lui la questione al
signor Prandi, > mentre controllava l’ora al suo polso. < A quest’ora è già
in ufficio. > spiegò controvoglia ai presenti.
Mauro aveva momentaneamente posticipato la questione e si era rivolto
alla signora Concettina abbastanza smunta e raggomitolata nell’angolino
del pianerottolo, in attesa di una chiarificazione; perché fino a quel
momento non aveva capito proprio nulla in tutta quella forsennata
invasione. < Signora Concettina non le spiace se andiamo di sotto in casa
sua ad aspettare la telefonata del questore? > Lei annuì con il movimento
del capo, era troppo sconvolta per parlare. Mentre scendeva le scale si
asciugava il sudore dalla fronte, seguita dai presenti in una processione
scomposta e muta. Mauro si stava arzigogolando il cervello a pensare:
“Perché mai Narduzzi aveva già memorizzato il numero telefonico della
signora Prospero? Certo non era un caso fortuito...”
Quando il telefono squillò la signora pregò il tenente di rispondere, ma
la chiamata non era del questore, era il centralino della questura che
pregava di attendere ancora un momento, infine dopo quell’attesa
snervante rispose finalmente il questore Gorelli, che ascoltò il tenente e poi
a sua volta passò la cornetta al Prandi che rispose risentito: < Buongiorno!
Sono Andrea Prandi. Dica, l’ascolto? > Andrea prestò attenzione alle
parole del questore dall’altro capo del filo, rispondendo affermativamente
a tratti, mentre si corrucciava la fronte: < Sì, sì, capisco!... Se è così
dottore, lei è stato chiarissimo... Va bene, vengo subito. Stia tranquillo,
sarò muto come un pesce... > aveva risposto Andrea, ragrizzando la fronte,
mentre riponeva la cornetta sul suo supporto, poi si era rivolto al tenente in
attesa: < Okay, possiamo andare tenente! > mentre guardava le signora e
Mauro in ansia per una semplice spiegazione. < Non preoccupatevi, vi
spiegherò dopo. > espose serio.
Mauro voleva chiedergli qualcos’altro ma, capì e restò muto, mentre la
signora Concettina si era un po’ ripresa e prese un giubbotto di Andrea
appeso all’attaccapanni e glielo sistemò sulle spalle, dandogli un bacio in
fronte e dicendogli un po’ preoccupata. < Mi raccomando figliolo... >
< Stia tranquilla mamma Concettina, va tutto bene. A dopo! >
120
Capitolo Quindicesimo
Appena la portiera dell’auto della polizia si richiuse e la macchia partì,
seguita da un’altra volante diretti verso la città. Mamma Concettina rientrò
in casa velocemente piangendo, era sopraffatta dal dolore.
Mauro la seguì costernato, mentre mille pensieri cupi aleggiavano
all’orizzonte, nel capire che la resa dei conti era più vicina di quel che lui
aveva previsto. E quella convocazione di Andrea in questura non era per
nulla chiara. La cosa più plausibile per il momento, era la decifrazione dei
numeri sul telaio della vettura di Andrea, solo quello poteva essere il
movente al momento? Ameno ché, pensò Mauro, che qualcuno avesse
visto Andrea prima, nell’inseguimento ai banditi e aveva preso la sua
targa? Poi Mauro, si ricordò che Andrea aveva detto che quelli avevano
fatto una telefonata. Ma, a chi? Ecco i quesiti da risolvere rapidamente.
“Rapido, rapido! Ma come? Accidenti!” biascicò tra sé incavolato.
Oltretutto con quella memoria del cavolo che si trovava e che s’infrangeva
continuamente contro l’ignoto, ogni qualvolta che cercava di scavare nel
suo passato, gli era molto difficile edificare qualcosa. Poi alla fine gli
sembrava d’intravedere un piccolo barlume di false idee, ma fu interrotto
dalle supposizioni della signora. Era tutta preoccupata per Andrea, mentre
stava mugugnando quasi da sola: < Sarà senz’altro una questione che
riguarda i suoi genitori adottivi. Perché ho sentito dire dal bottegaio questa
mattina, che c’è stata una sparatoria tra bande della ‘ndrangheta e camorra.
E quel Trani è uno che è dentro fino al collo? > spiegò lei, tutta corrucciata
e più che mai convinta. < Chissà cosa gli chiederanno a quel figliolo. Oh,
Mauro che disastro! Erano tutti fuori a guardare, alla vista della polizia
ferma qui davanti. Molti sbirciavano dietro le persiane socchiuse? I cari
paesani, per non dire altro... Adesso avranno da spettegolare per un mese.
121
E senz’altro domani quando andrò a far la spesa, chissà cos’altro mi
chiederanno queste tre comari pettegole... Già questa mattina, quando
sono andata a prendere il pane, il latte e i giornali. Figurati, erano già ad
aspettarmi dal droghiere e mi hanno subdolamente tempestata di domande:
“Chi sei, da dove vieni e cosa fai qui con Andrea”... Insomma! Ho dovuto
raccontare qualcosa, che sei il suo datore di lavoro e sei venuto qui qualche
giorno e nient’altro. Solo per acquietare un poco quelle loro lingue lunghe.
Figurati adesso che hanno visto la polizia portare via Andrea. Dio ci liberi
da loro! Vergine Santa! Questa cosa non ci voleva? > sbottò più che mai
amareggiata, oltre che incavolata fortemente.
Mauro faticò abbastanza per calmarla un poco, dicendole con fare
bonario: < Ha fatto più che bene mamma Concettina. In fondo ha detto la
verità. Certo che adesso, Dio solo sa’ cosa tireranno fuori e penseranno
senz’altro un sacco di cose sbagliate. Magari diranno che ha fatto male ad
affittare la casa a dei ragazzi incoscienti e via discorrendo. Ma vedrà tutto
andrà a posto appena Andrea torna a casa. E dopo lei deciderà cosa vorrà
raccontare a quelle quattro befane la fuori, in attesa di altre notizie di
prima mano. Perla miseria! ‘sta gente, che non ha niente altro da fare!? >
sbottò a sua volta Mauro.
< Si, hai proprio ragione Mauro, sono proprio quattro befane bigotte!
Comunque, ci penseremo dopo alle ciacole della gente ignorante. Adesso
c’è dell’altro più importante da vedere e come andrà a finire ‘sta storia... >
si era messa le mani sul volto, poi tirò un profondo respiro e chiese al
giovane per reagire a quell’ansia: < Preparo del caffè, figliolo? >
< Ho, sì, grazie! Mi occorre proprio del caffè per ragionare meglio.
Vedrà, mamma Concettina, appena avranno fatto quei loro accertamenti lo
riporteranno qui subito. > mentre dentro di lui, sapeva che mentiva ed era
ben altro il motivo di quell’improvvisa convocazione mattutina.
< Macché accertamenti del cavolo! Allora l’avrebbero fatto qui e non
portarselo via come un criminale, quel benedetto figliolo. Mancava
soltanto le manette ai polsi, per completare l'opera... Oh Maria Vergine! >
borbottò nuovamente la signora Concettina sdegnata, mentre sistemava
nervosamente le tazzine del caffè e la zuccheriera sul tavolo della piccola
cucina. < E pensare, che finora nella sua vita Andrea e non ha mai avuto
nulla di buono. Poi, quello che non capisco io e l’avevo già spiegato al
tenente, che insisteva tanto sull’orario. Andrea era rincasato all’una e venti
questa notte. Io avevo guardato l’ora un momento prima, dato che devo
prendere le pillole per la pressione ogni sei ore e quando ho sentito l’auto
122
di Serena fermarsi qua sotto. Stavo tornando a letto e avevo già spento la
luce, così ho visto bene dalla finestra della camera chi erano. Andrea era
sceso dall’auto con una borsa e Serena con un altra persona in macchina è
andata via di volata. Ecco, capisci la mia preoccupazione quando è fuori
alla sera quel benedetto figliolo. Poi sentii che Andrea saliva le scale
fischiettando e mi coricai più sollevata, pensando che la spalla andava
senz’altro meglio. E questa mattina ecco il patatrac! Dio che scalogna ha
quel figliolo addosso e adesso non capisco cosa sia successo? > La signora
si fermò a mezz’aria con la caffettiera in mano a pensare. < Per caso, non
riguarda l’incidente che ha avuto con l’auto a Firenze e abbia ferito
qualcuno? Tu, ne sai qualcosa Mauro? > mentre gli versava il caffè.
Mauro, si portò la tazzina alla bocca ma, non si fermò per sentire se
scottava. Mentre pensava, se almeno avesse il tempo d’inventare cosa
rispondere a quella domanda più che giusta. Aveva troppe cose per la testa
che non si era accorto che il caffè era bollente, finché non se lo sentì che
scottava in gola, rimanendo un momento sconvolto e subito la signora
Concettina intuì il guaio e gli diede in mano il bicchiere d’acqua che aveva
messo prima sul vassoio, da acquietare il bruciore che Mauro aveva in
gola.
< Devi prestare attenzione! Dai bevi un po’ d’acqua figliolo! Vedrai
che ti passa subito il bruciore. Sei troppo precipitoso ragazzo mio! >
< Ha ragione, accidenti alla mia premura! > borbottò a bocca larga
per far respirare la gola accaldata, facendosi vento con la mano. Poi Mauro
si prese un altro buon sorso d’acqua, per affievolire la scottatura. Mentre la
sua mente era rimasta a pensare sorpreso, colpito dal modo così perspicace
della signora Concettina; una vecchietta così arzilla e per nulla stupida da
non capire certe cose. Perciò, ripensò Mauro, che in futuro avrebbe
valutato diversamente quella semplice donna, prima di aprire bocca.
Depose il bicchiere e infine rispose. < Sì, non ha torto mamma, ha fare
tutte queste congetture più che giuste. Andrea non centra nulla con
l’incidente avuto a Firenze. La peggio l’avuto soltanto Andrea che si è
slogato la spalla andando a sbattere contro un muro e sfasciando mezza
macchina. La sua... Sarà qualcos’altro! Comunque staremo a vedere. Ma
senz’altro sarà nulla. Forse alla polizia vogliono delle informazioni su
persone che conosceva Andrea? > espose alla fine Mauro, mentre si
versava altro caffè dalla grossa caffettiera, ne aveva veramente bisogno e
la prima tazzina non l’aveva nemmeno gustata per la premura e il troppo
123
calore ingoiato. < Sai, figliolo. Io penso invece, che non ci sarà per caso,
qualcosa con quella Serena? > mentre sorseggiava il suo caffè, era
pensierosa e seria. < Forse e magari suo padre, quel bellimbusto
dell’avvocato Rottai, che si sia intromesso e l’abbia denunciato per averla
messa in cinta? Sai questa idea di una ragazza in cinta e che tenta di
bidonare un amico, non mi garba troppo. Credimi. Posso sbagliarmi,
mah!? > commentò più che convinta.
Mauro gli scappò quasi da ridere per quell’idea non per nulla strana, ma
lui sapeva ormai la vera storia e alla fine rispose: < No, stia pure tranquilla.
Serena non è in cinta. Ha solamente un altro ragazzo e ha voluto che
Andrea ieri sera, dicesse all’altro che tra loro due, non c’è mai stato nulla
di tenero. Tutto qui in quel discorrere al telefono di ieri sera e poi al bar a
Cosenza. Capisce ora mamma, com’è andata la serata d’Andrea. Questa
notte al suo rientro mi ha raccontato tutto, ed è felice che la questione si è
risolta a quel modo, senza strascichi e piagnistei. >
< Ecco, perché Andrea era tornato accompagnato da Serene e un
altro giovane. Ma sì! Andrea è ancora giovane e si troverà un giorno o
l’altro la ragazza giusta. Comunque speriamo che non sia nulla di grave
adesso. Perché, aver a che fare con la legge c’è sempre d’avere delle
rogne. Poco ma sicuro? Parole del mio povero marito. >
< Già, questo è vero. Ha più che ragione e bisogna sempre affilare le
unghie con loro. > rispose Mauro in sovrappensiero.
< E tu, hai fatto bene a parlare in quel modo deciso a quei due
poliziotti, soltanto perché hanno una divisa addosso e hanno la legge dalla
loro parte. Pensano sempre che tutti siano ignoranti e colpevoli, e talvolta
purtroppo basta la loro presenza che tutti si spaventano e stanno zitti e
subiscono assurde umiliazioni. Invece tu hai fatto capire senza urtarli che
volevi che siano rispettate le nostre ragioni e basta. Hai fatto proprio bene
Mauro. Acciderba ragazzo mio! >
Mauro sorrise a quell’idea “le nostre ragioni” lui aveva capito che
ormai faceva parte della famiglia e mentre sorseggiava altro caffè, pensò
se lui avesse una famiglia da qualche parte? Ma visto che si trovava
sempre alle solite lacune mentali, tralasciò ad approfondire la sua ricerca.
Poi si alzò e si appoggiò allo stipite della porta, si massaggiò il collo, si
sentiva ancora in trance dopo quella nottata da mille e una notte. Ma subito
accantonò quei pensieri audaci, ma al contempo dolci, oscurati ora da
quell’ultimo avvenimento per nulla rassicurante. Mentre Mauro ripensava
che doveva al più presto escogitare o inventare qualcos’altro; perché
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immaginava, per non dire che intuiva il pericolo molto vicino e che al più
presto sarebbero venuto a interrogare anche lui. Era solo una sua
supposizione, ma collimava con tutte quelle piccole questioni che lo
circondavano inesorabilmente. Quella sensazione si faceva sempre più
forte in lui, pensando che doveva concentrarsi e fare subito il punto della
situazione. Poi senza volerlo l’occhio cadde sul giornale messo sul mobile
dalla signora e chiese, mentre cercava di scoprire la data. < E’ nuovo, di
questa mattina, mamma Concettina? > rivolgendosi alla signora che
trafficava nervosamente attorno ai fornelli.
< Certo! l’avevo appena appoggiato lì, quando sono piombati qua di
volata quelli là. Pensavo che quando vi sareste alzati vi faceva piacere
saper qualcosa sulle ultime notizie. Io personalmente leggo poco e guardo
il meno possibile la cronaca alla televisione, c’è già troppa cattiveria in
giro senza doversela sorbire anche alla tivù. Poi basta che vado dal
bottegaio che sa tutto, come al riguardo di quel massacro sull’autostrada
l’altro giorno. Dio, non c’è più religione, s’ammazzano tra di loro come
cani. C’è proprio d’aver paura uscire di casa oggigiorno. >
< Già è vero! > Mauro riuscì a dire solamente quella breve frase,
Perché capiva che anche lui, gli aveva posto l’altra faccia della medaglia e
per giunta sporca di sangue. Mentre si commiserava così vigliaccamente,
sapendo di non avere il coraggio di dirlo apertamente. Poi si fece coraggio
e incominciò a spulciare la cronaca nera e trovò scritto a caratteri cubitali
lo “scoop” che la stampa riproponeva a piena pagina. E riguardava ancora
la rapina e il massacro sull’autostrada; con l’uccisione di varie persone e
presunte implicazioni di altre, in quel mistero che si andava infittendo
sempre più, allargandosi a macchia d’olio. Mauro si mise seduto accanto al
tavolo controllando per bene ogni riga, mentre la signora incominciava a
spignattare per calmare quell’ansia che aveva addosso. Mauro incominciò
a far scorrere lo sguardo sui fatti più salienti riguardanti quegli omicidi,
trascurando quelle cose irrilevanti a suo avviso. Mentre la stampa si
sguazzava a meraviglia, con assurde ipotetiche prospettive e le prossime
catture dei presunti delinquenti, quasi individuati dalla legge. Così
leggendo tra quelle righe, scoprì che era sorto una specie di enigma sui
quei fatti orripilanti. E in parte fu contento Mauro di non essere distolto
dalle lamentele più che giuste della signora Prospero. Così poteva
addentrarsi e concentrarsi sulla lettura e capire la situazione per nulla
chiara, anzi troppa torbida al caso. Mauro stava scoprendo molte cose su
quel quotidiano regionale, che portavano stampato a caratteri abbastanza
125
evidenziati testuali parole: “Ieri pomeriggio un pastore di Macellara ha
trovato quattro cadaveri in un fossato e un’auto abbandonata in un
prato, foracchiata da diversi proiettili, a una quindicina di chilometri
dall’autostrada A3, nei paraggi della piccola stazione ferroviaria di
Tarsia. Si tratta proprio della stessa auto, l’Alfa blu 164 targata Roma...
ecc. e che risulta essere stata rubata una settimana prima nel garage di
una villa romana e il proprietario: un noto industriale europeo si trova
tuttora in vacanza all’estero. Pertanto nessuno del personale della villa
si era accorto della sparizione dell’auto. Dai rilievi che la scientifica a
effettuato, è risultato ch’è la stessa auto adoperata per la rapina e il
massacro dei due orafi palermitani e il loro l’autista, il giorno prima
sull’autostrada A3, nei pressi: “Le Vigne”. Ed era poi la stessa auto,
vista ancora all’inseguimento di una Fiat Uno di colore scuro sulla
statale 19, e quest’ultima è poi finita in una scarpata sul fiume Esaro,
incendiandosi. Ma al tempo stesso, permettendo agli inseguitori di
prelevare il conducente ferito dall’auto in fiamme e dileguarsi, così è
stato riferito da testimoni. Purtroppo dai resti dell’auto bruciata non si è
potuti risalile al proprietario, i numeri del telaio sono irriconoscibili. A
questo punto la storia s’infittisce sempre più, perché i cadaveri dei
quattro uomini accanto all’Alfa Romeo 164, sono senz’altro gli stessi
che guidavano la vettura in questione. Ma a loro volta sono stati
eliminati da un’altra banda di criminali che li hanno aggrediti e uccisi.
Si presume che il conducente della Fiat Uno sia un complice della
banda rivale che si è salvato dal massacro, e abbia ucciso lui il
casellante per non essere riconosciuto. Sul posto è intervenuta la
magistratura e un nugolo di investigatori, coordinati dal sostituto
procuratore Alberto Calindi uno dei magistrati del “pool” che indaga
sulla mafia calabrese e ha messo subito in azione la squadra speciale per
rilevare ogni piccolo dettaglio che possa servire alle indagini in corso.
Nei due fossati laterali della strada di campagna sono state trovate varie
impronte e una buona quantità di bossoli di vario tipo delle armi usate e
ritrovate nel fossato accanto ai morti. Ma da un punto ben preciso vi
sono una quindicina di bossolo 9x21, sembra che qualcuno abbia
scaricato un intero caricatore contro gli altri contendenti, ancora non si
ha bene la dinamica del fuoco, che si presume incrociato, avendo ante
tempo spostato i cadaveri dal luogo dell’impatto. Dalle indiscrezioni
pervenute, pare che l’arma principale del massacro sia una pistola
Beretta 9x21, trovava nella macchina e dalle impronte digitali, sembra
126
provenga da uno dei cadaveri? La perizia stabilirà se la tesi degli
investigatori è esatta, oltre a rilevare diverse impronte di pneumatici. Dai
documenti in possesso dei cadaveri, risultano essere i seguenti: Luigi
Baro, ventiduenne da Catania; Giacomo Folpi, trentenne da Reggio
Calabria già noto alla polizia; Carmelo Sunito, trentottenne da Palermo
e Giovanni Doi, quarantanove anni incensurato da Reggio Calabria.
Tutta l’operazione è sotto il più stretto riserbo della magistratura, ma
tutto fa pensare a un regolamento di conti fra bande rivali dei clan
calabresi e la mafia siciliana”. Mauro attentamente, cercava tra le righe
qualcos’altro che potrebbe coinvolgerli ancora di più di quel che finora
sembra oscura visione. Certo che ripensandoci bene, lui, in parte li aveva
beffati tutti quanti le parti in conflitto, compresa la polizia. Per poi,
prendendosi la refurtiva consistente. Ma quella borsa di soldi poteva
servire come lasciapassare, per poter forse barattare le loro vite? Perché a
quel punto Andrea, stando ai giornali, era un po’ più complice dei
malviventi e appena la polizia riuscirà a svelare e identificare la sua auto,
per lui sarebbe la fine. Complice o no, sarà presto messo sotto torchio. E
trovato Andrea troveranno anche lui e il gioco sarà fatto. Perciò, Mauro
doveva veramente estrapolare da quella sua testa balorda qualcosa di
geniale per sopravvivere nelle ore successive. Almeno potersi mettere
sull’avviso a prevenire qualsiasi mossa. Pensò, persino di andare alla
polizia e dire tutto, incominciava a sentirsi stufo di quella commedia che
stava interpretando per sé e per altri. Ma gli avrebbero creduto? Era
impossibile. Pensò amaramente. Molte altre colpe sarebbero cadute sulla
sua testa, oltre quelle di aver ammazzato per legittima difesa quei quattro.
Ma capiva che sarebbe stato tutto inutile, sarebbe servito soltanto per
accelerare la propria morte, quello era la verità al momento. Anche se
quella notte era passato da spettatore a protagonista e ancor di più, sarebbe
stato coinvolto per la sua rapidità e precisione nel colpire il nemico e
abbatterlo. Proprio come Carson Kid, il più veloce pistolero del West. Poi
Mauro tralasciò quella solita retorica e si dedico ad una plausibile via di
uscita al caso se fosse interrogato. E cosa avrebbe detto di preciso, che lui
era uno studente in giurisprudenza a Padova? “Ma certo è senz’altro così,
studio legge!” sbottò stupito di quella nuova apertura della sua memoria.
Poi cercò di essere calmo, sperando che uscisse fuori qualcos’altro, da
poter scoprire alla fin fine la verità.
127
Capitolo Sedicesimo
Infine decise che aveva bisogno di riflettere e concentrarsi, perciò disse
alla signora indaffarata: < Mamma Concettina, io vado un momento di
sopra a farmi una doccia e la barba almeno mi sveglierò un poco. Dopo
tutto ‘sto trambusto capitato... >
< Ma certo, fai pure con comodo. Intanto io ‘sto preparando il pranzo,
così appena arriva Andrea pranzeremo tutte tre in santa pace. >
Mauro stava per dire qualcos’altro, ma si trattenne e si recò di sopra,
mentre mugugnava sulle scale, incavolato a più non posso.
Mauro si era spogliato nudo e pronto per farsi una bella doccia
tonificante, oltre la lunga barba che si portava da giorni addosso. Ma al
tempo stesso, aveva bisogno di raccogliersi e riflettere su quel susseguirsi
di avvenimenti non troppo chiari e l’unico posto per concentrarsi era sotto
la doccia e questa era una cosa che s’immaginava da sempre. Capendo che
qualcos'altro si stava ricordando del suo passato e si stupì ancora per aver
scoperto un’altro piccolo pezzo mancante del puzzle della sua vita e fu in
parte soddisfatto. Ma poi, qualcosa gli fece cambiare idea. Mentre stava
per entrare in bagno notò appeso all’attaccapanni nel corridoio a fianco
alla sua giacca, una piccola sacca rossa. Mauro tentò di rammentare che
non c’era il giorno prima, pensando, chi l’aveva appesa? Poi si ricordò
subito di quello che gli aveva raccontato la notte precedente Andrea al
rientro dall’incontro con Serena. < Ecco! > sbottò stupito, pensando a
quelle parole espresse: “Lui aveva parlava dei libri di Serena che gli
aveva consegnato da tenere e che sarebbe venuta oggi stesso a riprenderli,
oltre a delle spiegazioni su come fare certi esami, domande e altro...
insomma qualcosa del genere”. Confabulò Mauro tra sé e sé pensieroso.
Ma allo stesso tempo si era un po’ incuriosito per la stranezza di quella
donna. Oltretutto Mauro non conoscendola di persona non poteva valutare
le sue stramberie, ma dal breve resoconto avuto da Andrea incominciava a
farsene un’idea più che precisa sulla ragazza: “Come? Voleva ad ogni
costo che spiegava al fidanzato geloso il loro innocente rapporto e poi,
così di botto, decide che verrà qui da sola per farsi spiegare o fors’anche,
in parole più semplici, farsi sbattere dall’amico lasciato?” Mauro formulò
sadicamente quel pensiero, mentre rimuginava il tutto, poi di colpo
scoppiò a dire a voce alta: < Porca puttana! Non sarà per caso una trappola
per Andrea quella sacca? > mentre mille idee gli balenavano già in testa
128
velocemente. Mauro aveva afferrato con rabbia la sacca dall’attaccapanni e
la svuotò con decisione sul pavimento, sapendo che in parte quel gesto di
curiosità era un po’ dovuto alla gelosia, per qualcosa che aveva lui appena
acquisito in quella notte di follia. Poi scacciò quelle idee balorde e si
concentrò di più su un’altro argomento più plausibile e verosimile che gli
frullava in testa, mentre osservava il contenuto di quella sacca rossa.
Dentro vi trovò un maglioncino azzurro e dei quaderni di scuola con vari
appunti irrilevanti, di scienze politica e di economia e commercio,
scarabocchi di matematica e algebra, insomma i soliti pasticci di studenti
svogliati. Mauro stava per rimettere dentro tutto, quando vide sul fondo
della sacca qualcosa che attirò la sua attenzione. C’erano tre bustine:
sacchettini di polvere bianca. A quella vista Mauro, gli venne un colpo per
la sorpresa, ma soprattutto le conseguenze che sarebbero scaturite fuori, se
veniva trovata lì dalla polizia, in casa di Andrea. E quella sacca
incominciava ad assumere le risposte di ogni sua vana supposizione.
D'improvviso, un’angoscia soffocante gli stava attanagliando la gola.
Capendo, che senz’altro e tra poco sarebbero arrivati a far una bella
perquisizione in casa e incastrare per bene Andrea, oltre l’amico dai
risvolti oscuri. E a quel punto, sarebbero stati in balia dei contendenti, che
senz’altro volevano recuperare la refurtiva. E pertanto qualcuno sapeva
che Andrea era stato presente ai fatti, ma non potevano denunciarlo
apertamente alla polizia. Perché avrebbero dovuto svelare qualche piccolo
segreto. Con la possibilità di perdere nuovamente il malloppo per la terza
volta, o la prima se erano quegli altri a volerla recuperare. Stava diventato
un bel dilemma per Mauro smemorato. Senz’altro c’era qualcuno dietro le
file che coordinava le varie mosse e magari, c’era qualcun'altra persona
nell'ambito della polizia che lavorava trasversalmente per trovare la
refurtiva senza farsi scoprire. Una talpa belle e buona all’interno della
giustizia. Pertanto un po’ di polverina bianca faceva al caso loro e poi,
quando uno era dietro tra le sbarre, anche solo per accertamenti. Non si sa
mai cosa gli poteva capitare? Magari un incidente, dopo che aveva
spifferato ciò che volevano sapere dall’arrestato. < Porca, porca puttana!!
Accidenti, che inguaiata! > sbottò nuovamente Mauro incazzato a morte e
sorpreso delle sue stesse parole. < Siamo nella merda!! Belle che fregati
tutte due, cazzo!! > apostrofò a voce alta, più che mai sconfitto e
amareggiato. < Quelli sanno già tutto, o quasi? > si arrestò e rimuginare tra
sé incavolato nero, capendo che ormai il gioco era aperto. Perciò con
decisione Mauro, si mise a ripassava velocemente tutti i fatti accaduti in
129
quelle poche ore. Pensando sempre più alacremente a cosa centrava quella
Serena: “Perché mai quelle continue telefonate, alla ricerca di Andrea? E
quella insistenza di vederlo, forse per farlo rapire e fagli sputare dove
aveva sistemato il malloppo... no? Darebbe troppo nell’occhio. E’ meglio
farlo arrestare per spaccio di droga e così al fresco qualcuno potrà
rinfrescagli la memoria e magari dopo, trovarlo impiccato nella cella per
la vergogna del suo gesto di spacciatore e tutto sarà risolto velocemente a
norma di legge. Certo che ci vuole la complicità della polizia, ma con i
soldi si ottiene sempre tutto. Accidenti a questi bastardi criminali”.
commentò tra s’è Mauro, più che preoccupato. Sapendo che la sua
supposizione filava a meraviglia. Perciò a quel punto lui doveva cambiare
le regole del gioco per restare ancora vivo un’altro poco. Restò solo un
attimo a pensare e poi decisamente prese le tre bustine e le infilò con le
mani direttamente nel water rompendole e far scorrere poi l’acqua. Infine
controllò ancora bene nella sacca se non vi fosse qualcos’altro di
compromettente. Ma trovò soltanto un paio di penne a sfera e uno strano
rossetto, l’annusò, ma aveva uno strano odore dolciastro, mentre pensava,
che magari era un tipo di rossetto soporiferi alla droga, che ci si lecca sulle
labbra con infinita goduria per l’interessata. E perciò, gettò anche quello
nel sciacquone infilandolo per bene con la mano nello scarico evitando che
rimanga sul fondo e possa al caso essere recuperato. Poi ripose la sacca
con il resto del contenuto al suo posto, dopo avergli spruzzato sopra un po’
di dopobarba, per confondere un po’ le idee e alla fine sembrava quasi
soddisfatto del risultato. Ma poi Mauro, si ricordò dei soldi nella sua sacca
messa dietro al divano in salotto e subito s’ingegnò a trovare una
soluzione. < Accidenti, che casino! Ma quando finirà tutto? > imprecando
abbondantemente, nello spremersi le meningi a pensare dove poteva
nascondere la refurtiva al momento e velocemente? Visto che in quel
momento così critico non potevano più allontanarsi dal posto. Ormai era
più che sicuro che sarebbero arrivati molto presto a perquisire tutta la casa.
Era una cosa che sentiva sotto la pelle come un dannato prurito. Così
facendo, Mauro cercava di affrettarsi a trovare un nascondiglio. Poi,
mentre discuteva con il suo subconscio imbranato e incazzato, dava un
piccolo pugno contro la parete divisoria con la cucina. E di colpo capì e
osservò con interesse la tramezza ricavata tra il salotto e la cucina. Dalla
parte del salotto era tappezzata completamento come tutta la camera da
sembrare una vera parete di mattoni e alla sommità contro il soffitto aveva
un profilato di legno che percorreva le quattro pareti, da rendere invisibile
130
la congiunzione. Invece dalla parte della cucina era completamente
rivestita sino al soffitto da perlinato di legno chiaro, che rivestiva eguale
tutte le quattro pareti della piccola cucina. Mauro calcolò che poteva essere
l’unica soluzione fattibile al momento, perché all’interno vi era senz’altro
un’intercapedine vuota e poteva riporvi il danaro trovato. Mentre batteva
nuovamente con le nocche della mano per sentire il vuoto sottostante. E
detto fatto si mise al lavoro, spostò il tavolo e con un coltello da cucina
svitò le viti che teneva il battiscopa della parete. Poi svitò le viti che si
trovavano sotto e che fissavano le strisce di perlinato sino al soffitto e
staccandole di poco per poi, spostandole di fianco permettendo di vedere
all’interno. E tutto quel lavoro lo stava facendo nel più assoluto silenzio,
per evitare che la signora di sotto senta qualche rumore strano provenire
dall’alto; lei doveva rimanere all’oscuro di tutto, pensò Mauro m’adito di
sudore. Guardò nell’apertura e trovò che c’era uno spazio lungo una
ventina di centimetri tra un montante e un’altro e la profondità era di dieci
centimetri tra le due pareti del salotto e la cucina. < Perfetto!... > esclamò
sogghignando, mentre correva a prendere la borsa e poi, incominciò a
sistemare velocemente tutta le refurtiva, accatastandola metodicamente in
due scomparti fino a una buona altezza, costatando poi, che valeva
veramente una montagna di soldi quella parete.
131
Capitolo Diciassettesimo
Alla fine dopo una buona un’ora di lavoro era riuscito a rimettere tutto
a posto alla perfezione, lavando persino con della varechina, tutto il
pavimento della cucina e del corridoio, per cancellare eventuali traccia e
odore di droga e altro. Poi abbastanza soddisfatto del suo lavoro, nudo,
sporco e sudato, decise di farsi quella benedetta doccia. E proprio mentre
si stava recando in doccia, sentì fermarsi sotto casa due auto, a quel punto
non volle neanche guardare dalla finestra, era più che sicuro che erano
della polizia e che veniva a perquisire la casa. E questa volta Mauro,
avrebbe scommesso le palle, che avevano persino un bel mandato.
Mauro era ancora sotto la doccia quando sentì dei rumori nella casa, ma
non uscì da sotto l’acqua, anzi si mise a canticchiare un motivo alla moda.
E appena dopo sentì la voce di una persona accanto alla tenda della doccia
che diceva: < Scusi signor Rossi! Dovrebbe uscire da sotto la doccia per
favore. Siamo della polizia. >
Mauro tranquillamente chiuse l’acqua e aprì completamente la tenda e
fece finta di stupirsi per quella presenza inaspettata. Era il giovane
sergente Nardelli; dallo sguardo gioviale ed espressivo sul volto moro. Lo
stava osservando furbescamente per bene dalla testa ai piedi, forse
meravigliato da quella presenza virile di Mauro. Mentre quest’ultimo
tranquillamente gli chiedeva un po’ sorpreso: < Bene sergente Nardelli già
di ritorno, è finito presto l’interrogatorio del signor Prandi? > osservandolo
attentamente, mentre l’altro in po’ imbarazzato per quella sua presenza
nuda, abbastanza intrigante; obbligando il sergente ad abbassare gli occhi,
mentre rispondeva: < Mi spiace signor Rossi doverla disturbare... > si era
fermato un attimo leggermente confuso. Mentre rialzava subito il capo per
evitare quell’impacciata situazione da sembrare uno voyeur incallito, a
rimirare proprio quella parte messa in bella mostra dal giovane villeggiante
tutto bagnato. Da confonderlo abbastanza, ma al tempo stesso permettere
al sergente di sbirciare di sotterfugio l’altro tutto grondante d’acqua.
Mauro, in tutto quell’insieme di supposte controversie, fece finta di
nulla, poi educatamente chiese al militare: < Per favore sergente, mi può
passare quell’asciugamano dietro di lei. > Magistralmente Mauro usciva
dalla doccia scivolando apposta sulle mattonelle lucide del bagno e stava
132
quasi per cadere a terra, se non interveniva prontamente il poliziotto a
sorreggerlo per la vita. Nardelli era rimasto per un attimo un po’
boccheggiante in quell’abbraccio stretto e i viso finiti a contatto, che gli
procurò una certa confusione imbarazzante.
< Grazie! Nardelli, se non c'era lei ha sorreggermi, sarei finito a terra
come un povero salame. > rispose Mauro con un largo sorriso.
Mentre l’altro, ripresosi velocemente dall'imbarazzo, dava l’asciugamano
al giovane e proseguiva a parlare indifferente all’accaduto: < Sono
spiacente, ma abbiamo l’ordine di... Insomma, dobbiamo perquisire la
casa. > riprendendo fiato, mentre incominciava a sudare e a bagnare il
collo della camicia, oltre quella parte già bagnata dal contatto con il
giovane nudo per sorreggerlo. E continuò a dire Nardelli: < Comunque
Signore, ora abbiamo con noi il mandato. E sappiamo più che bene che è
una seccatura sia per voi che per noi. Purtroppo, dobbiamo fare il nostro
dovere, mi dispiace veramente, signor Rossi! Mi creda. >
Sembrava sincera la sua esposizione dei fatti. Al tempo stesso, Mauro
stava pensando che il poliziotto era così, per dire, simpatico e gentile, al
contrario del tenente Narduzzi arcigno e strafottente. Nardelli era un
giovane all’incirca della sua età, dalla pelle un po’ scura come gli occhi e i
capelli ricci e neri, da buon meridionale. Poi Mauro scartò quelle
divagazioni di pensieri corroboranti e rispose con una tonalità seriosa al
caso: < A questo punto, non ho nulla da obbiettare, sergente Nardelli.
Comunque, la padrona di casa abita di sotto, avete già chiesto e mostrato i
documenti per la perquisizione degli stabili? > mentre si era tolto
l’asciugamano e si recava nella camera da letto, per prendersi dei vestiti da
indossare. Seguito dal sergente un po’ disorientato, se doveva essere
autoritario oppure lasciare che le cose andassero a posto da sole. Mentre
Nardelli, ripensando agli ordini del tenente che gli aveva ordinato di salire
di sopra e portare giù di volata quel rompiballe dell’amico del Prandi. Ma
lui, si limitò a seguirlo e controllare a vista il suo operato, mentre lo
rimirava per bene in ogni parte, forse in parte gli faceva un po’ invidia sia
come struttura del corpo ben modellato, oltre al carattere deciso, ma al
tempo stesso gli era simpatico, per aver dato del filo da torcere al tenente.
Mentre l’altro si vestiva lentamente in silenzio, lui l’osservava di nascosto
attraverso lo specchio dell’armadio. E Mauro notava ogni mossa e sguardo
del sergente ma, fece finta di nulla, anzi gli scappò un debole sorriso. Poi
tralasciò quei pensieri futili e s’infilò deciso uno slippino bianco e dei
calzini puliti, si mise un paio di calzoni jeans, mentre infilava un piede nel
133
mocassino, s’infilò una t-shirt blu addosso; che contrastava sulla sua pelle
chiara e i suoi occhi dal color indaco, da accentuare quella capigliatura
quasi bionda. Poi mise l’altro piede nell’altra scarpa e infine rivolgendo lo
sguardo al militare, restò un attimo ha guardare pensieroso.
Nardelli era accaldato e sudato; a quel punto non sapeva bene se era per
il caldo estivo o per la divisa che l’infastidiva addosso, oppure era
qualcos’altro che l'aveva maggiormente accalorato?
In quel frangente di tempo Mauro l'avvisava: < Sergente io sono pronto.
Ora può chiamare i suoi aiutanti per controllare l’appartamento. >
E proprio in quell’istante arrivò il tenente Narduzzi precipitosamente di
sopra, mentre stavano per aprire la porta di casa. Poi alla vista dei due che
stavano per uscire, lui con fare da super ispettore porgeva a Mauro il
documento redatto dalla magistratura per quella investigazione. < Ecco
signor Rossi la richiesta per una perquisizione dell’appartamento del
signor Andrea Prandi, firmata dal giudice Mario Lodetti e controfirmata
dal procuratore Alberto Calindi, che coordina le indagini in corso. >
Mauro sbirciò rapidamente il mandato e l’appoggio sulla mensola della
cucina e uscì sul ballatoio senza rispondere. Era bastata quella sua sbirciata
a mandare l’altro in bestia, che incominciò a sbraitare verso i subalterni
che stavano salendo le scale, spronandoli a muoversi più in fretta, mentre il
tenente era già sparito all’interno e incominciava freneticamente una
accurata e meticolosa perquisizione. Dimostrando più che mai un troppo
accanimento al servizio e al dovere.
Mauro restò un attimo sul pianerottolo e si guardò attorno e vide altri
agenti nel cortile che controllavano ogni angolo, poi notò accanto alla sua
auto un agente con un cane antidroga che lo spronava a fiutare ogni
angolo. Un altro agente stava controllato i suoi documenti nell’auto,
prendendone appunti e dai movimenti di testa tra agenti confermavano un
nulla di fatto al momento.
Mauro scese le scale e andò in casa dalla signora Concettina, e questa
volta la trovò più che mai sconvolta. Appena lei lo vide entrare in casa, le
corse in contro mettendosi tra le sue braccia in lacrime. < Oh, Mauro che
disgrazia! Ma perché stanno facendo tutto questo? > cadendo nello
sconforto, mentre Mauro faticava a ridagli fiducia, cercando di calmarla
nel dire: < Mamma Concettina, non si preoccupi, noi sappiamo di aver la
coscienza a posto e lasciamo pure che la legge prosegua il suo corso, >
Mauro non s’interruppe nemmeno quando piombò dentro casa il tenente
Narduzzi. Lui continuò indifferente a esporre le sue dimostranze voltando
134
le spalle al tenente e proseguendo a dire alla signora affranta. < Mi ascolti
bene signora Prospero. lasci pure che facciano il loro mandato, e quando i
lor Signori avranno controllato per bene tutto e non avranno trovato nulla
di quello che stanno cercando e presumano dovrebbe trovarsi qui. A questo
punto a noi non importa, cosa sia e cosa dovrebbe esserci. Ma c’importa
invece molto il dopo. Con questa loro meschina perquisizione, hanno
volutamente infangare il buon nome di una rispettabile Signora. Pertanto,
dopo prenderemo le nostre dovute riserve per cautelare la sua privacy. E
qualcuno ne risponderà di persona tale affronto. Glielo garantisco Signora
Prospero, stia pur certa! La magistratura dovrà rendercene conto. E sono
più che certo di uno sbaglio, > mentre Mauro si era volutamente girato e
fissava con determinazione Narduzzi, che si era fermato ad ascoltare
l’arringa del giovane Rossi, nonché rompiballe. < Senz’altro si tratterà, >
riprese Mauro. < di un abbaglio. Certo, dovuto a forti pressioni o subdole
supposizioni di qualche anonimato, che cerca di far carriera a discapito di
chi gli capita sotto tiro. Sono più che sicuro che il movente si trova altrove.
Comunque, sapremo difenderci da subdoli intrallazzi. >
< Ma lei, signor Rossi, > lo interruppe Narduzzi. < Da chi ha saputo
queste presunte manipolazioni? > sbottò quello con fare indagatore.
< Ma, è semplicissimo! E’ la normale prassi che viene usata quando
un caso è irrisolvibile al momento e pertanto viene inscenata subdoli
diversivi, ricavati da semplici telefonate anonime. O invenzioni astrali di
un funzionario molto scaltro. Comprende tenente? Fregandosene altamente
di chi capita sotto tiro, pur di far contenta la stampa a suo guadagno.
Oggigiorno, basta che uno indichi a dito puntato: “quello”, e il gioco è
fatto. E se vuole saper di più, anche io l’ho appreso, seguendo vari casi nei
tribunali di Milano, Padova e Venezia, insomma, studio giurisprudenza e
vuole che non sappia tutte queste piccole intrallazzature. > mentre Mauro
si stupiva da solo per aver scoperto un altro momento della sua vita
antecedente, ma tralasciò e continuò a dire: < So perfettamente che voi
eseguite il vostro dovere e iter burocratico. Ma purtroppo dimenticate
volentieri il lato umano della questione, e non pensate minimamente come
può influenzare l’opinione pubblica un fatto, esposto così maldestramente
alla luce del sole. Vero tenente? Comunque, avete trovato almeno qualcosa
di compromettente e a noi finora sconosciuta la vera ragione di questa
invasione, oltreché non scritto sul mandato a specificare la domanda? >
E subito il tenente, con un mezzo sorriso di soddisfazione, mostrava la
sacca che teneva nascosta dietro e comunicava a Mauro: < Lei, ne sa
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qualcosa di questa sacca rossa? > alzando in alto un sacchetto di nailon
contenente la sacca rossa di Serena. Mentre si toglieva i guanti in lattice.
< Veramente l’ho vista anch’io, appesa all’attaccapanni di sopra. E
prendendo la mia giacca e caduta a terra e una parte del contenuto è
fuoriuscita, così ho scoperto che era di un’amica del signor Prandi. Serena
Rottai. Perciò tenente, lo chieda a Prandi, perché è qui la sua sacca? >
< Va bene, va bene! Chiederemo al signor Prandi delle spiegazione e
chiarificazioni plausibili. > mugugnò sorpreso.
< A proposito tenente, dov’è il signor Prandi? > chiese Mauro
fingendosi sorpreso per non averlo ancora visto, mentre si guardava
attorno alla ricerca dell'amico non presente.
Narduzzi, un po' seccato rispondeva deciso: < Al riguardo del signor
Prandi, l’interrogatorio non è terminato. >
< Come non è finito? E con quali accuse viene trattenuto in questura.
Mi può per favore, spiegare tenente? > domandò sorpreso.
Narduzzi si grattò la testa pensieroso, poi disse senza tante storie,
avvicinandosi al giovane, mentre abbassava la voce: < Senta signor Rossi,
noi sappiamo che lei frequenta l’università di Padova e precisamente la
facoltà di Giurisprudenza, con ottimi voti per non dire il primo in assoluto.
Insomma sarà un valido giurista in avvenire, nonché un brillante avvocato.
E per di più suo padre un alto magistrato della corte suprema di Roma. Ma
purtroppo, in questo momento c’è un’accusa di omicidio che pesa sulla
testa del signor Prandi... comprende? > formulò sarcastico.
< Oh, Dio Santo! > esplose stupita la signora Prospero. < Ma non
può essere vero? Lui, non centra, sono più che sicura. > continuò lei più
che mai sconvolta a quell'affermazione.
< Ma certamente, Ha ragione Mamma Concettina. > rispose Mauro,
cercando e valutando la situazione da quel punto che lui non aveva ancora
considerato. E chi mai avrebbe ammazzato Andrea? Per finire in trappola a
quel modo.
Mentre il tenente un po’ altezzoso continuava a esporre: < E perciò è stato
trattenuto in questura. Per ora solo in stato di fermo, fino a nuovi sviluppi
dell’inchiesta. Mi sono spiegato. Ecco, perché questa nostra invasione e
perquisizione della casa. Perciò, la prego si astenga al di fuori della
questione signor Rossi, è meglio per lei e la sua carriera? Intanto noi
cerchiamo di risolvere al più presto la questione. Sperando che il signor
Prandi abbia delle buone ragioni e prove da esporre per la sua innocenza. >
136
< Ma, se la mia domanda non incide sulle indagini in corso, si può
sapere chi avrebbe ucciso di preciso il signor Prandi? > domandò Mauro
con un’espressione cortese, per evitare ulteriore astio con il tenente
cazzoso. Mentre quest’ultimo spazientito gli rispondeva: < Questa notte
hanno ammazzato con cinque colpi di pistola un giovane tossicomane e
guarda caso era stato visto per l’ultima volta all’una di notte, assieme al
signor Prandi e la sua ragazza e con una sacca rossa, questa, chiaro? >
mentre faceva dondolare in mano quel sacchetto di nailon.
< Chiarissimo, tenente! > rispose Mauro serio, per poi riprendere a
dire ancora. < Comunque le posso confermare che la ragazza in questione,
la signorina Serena Rottai, è fidanzata con un altro ragazzo, un certo
Carmine, e non con Andrea Prandi. E questo è soltanto un’informazione
confidenziale, forse a lei tenente può servire? >
< Be’, allora perché questa sacca e questi quaderni di scuola della
signorina sono qui a casa del signor Prandi, me lo può spiegare lei? >
< Per il semplice fatto, che proprio ieri sera la ragazza e il Prandi si
erano visti e pertanto li avrà consegnati al Prandi questa notte all’una e
mezza, dopo aver lasciato la ragazza e il suo fidanzato qui sotto casa. Poi
mi sembra che la signora Prospero questa mattina le abbia già detto a che
ore era rientrato il Prandi. E cosa a visto dalla finestra della sua camera. >
< Sì, ricordo! Comunque, adesso porteremo via la sacca e faremo
rilevare le impronte su ogni cosa dentro e fuori da questa sacca così si
saprà quante mani l’hanno maneggiata. > espose abbastanza incavolato.
< Be’, penso che troverà anche le mie tenente. > disse Mauro mentre
mostrava le mani e riprendeva a dire: < Ho sfogliato quei quaderni e ho
trovato soltanto molte discordanze, appunti irrilevanti e inesistenti rispetto
ai vari programmi mai seguiti e per una studentessa di quel tipo e si più
definire fallita già in partenza. Non gli serviranno per nulla lezioni al caso.
Se quello è il motivo per aver dato la sacca al Prandi. >
< Vedo che lei è molto attento signor Rossi e segue meticolosamente
ogni cosa. Ma bravo! Farà senz’altro carriera, ma non in questo caso... >
< Se dovrò diventare un giorno giudice è meglio che incominci da
adesso a controllare e diffidare di chiunque per esprimere un’equità
sovrana. Comunque, per tornare al nostro problema se vorranno le mie
impronte, io sarò ben felice di aiutare la giustizia. > mentre sperava che su
quell’Alfa blu non vi siano rimaste delle sue impronte, altrimenti
incomincerà un’altra storia di prossimi defunti. E ripensando bene alle
impronte, si ricordò che non aveva pulito la sua macchia da eventuali
137
impronte di quei quattro aggressori, perché e senz’altro la sua auto sarà
coperta di sudice manate. Ma per sua fortuna, la polizia non ha avuto
sentore di rilevare qualcosa, oltre che farla fiutare dai cani dell’eventuale
esistenza di droga. Poi la voce del tenente interruppe i suoi pensieri. < Va
bene signor Rossi. Se vuole seguirci al commissariato, faremo presto. >
Mauro mentre salutava la signora e le dava speranza, incominciava a
dubitare della fortuna che li aveva assistiti fino a quel momento. Sperando
solamente che la polizia non abbiano sufficienti prove, in special modo su
quella sacca. Perché vi era qualcosa che non quadrava al riguardo e
quando lui aveva detto di aver toccato anch’egli la sacca, il tenente ebbe
un’impercettibile sussulto di disappunto e Mauro gli parve di sentire
addosso un brivido di contrazione fredda e gelida.
Mentre l’auto della polizia correva verso la questura, Mauro stava
vagliando freneticamente ogni congettura intrinseca in quel maledetto
inghippo. Una qualsiasi scappatoia possibile per districare la matassa
aggrovigliata. Asserendo a sé stesso che quella giornata era veramente nata
fin troppo sfigata. Comunque, aveva già appurato qualcos’altro in più;
aveva un padre magistrato. Mentre si domandava tra sé: “Chissà che volto
avrà questo mio padre magistrato?”. Perché in quel momento non riusciva
ad immaginare minimamente il suo viso.
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Capitolo Diciottesimo
Mauro constatò che aveva passata più di un’ora girando per i vari uffici,
da quando era arrivato alla questura di Cosenza, per far rilevare le sue
impronte come testimone. Sapendo per certo che ne sarebbero trascorse
molto di più, prima che la faccenda si schiarisse almeno un poco e
sperando almeno un po’ a loro favore. Era persino riuscito a discorrere con
un maresciallo un po’ troppo chiacchierone che gli aveva confidato un po’
di notizie irrilevanti, ma sempre utili sui vari funzionari di quel dicastero.
In fine l’accompagnarono con poche spiegazioni nella stanza n°17,
nell'ufficio del commissario di turno, ed 'erano ormai le dodici passate.
Il commissario Rizzi, un funzionario sulla cinquantina, dall’apparenza
modesta, alto e smilzo, con pochi capelli in testa. Era trincerato dietro una
grande scrivania e stava rovistando tra le scartoffie che aveva davanti sul
tavolo, cercando dei documenti che al momento sembrava non trovare.
Senza alzare minimamente il capo, si rivolgeva all’appuntato seduto alla
scrivania nell’altra stanza attigua: < Tardito, ne sai qualcosa della pratica
1024, che non trovo qui? Dovrei controllare un particolare. E tu per favore
puoi controllare più scrupolosamente la 2345. Ci sono dei particolari che
mi sembrano interessanti e inavvertitamente mi sono sfuggiti via. >
< Commissario. Non li ho viste quelle due pratiche? > rispose l’altro,
senza scomodarsi troppo. Dava l'impressione, di uno che gli pesi il sedere.
< Acciderba! Soltanto ora, mi sono balzate di colpo nella mente. Erano
dei documenti che dovevano essere qui, accatastati sul mio tavolo da una
settimana... ricordo bene... > brontolò con frenesia.
Effettivamente quella scrivania, traboccava da ogni parte di scartoffie e
cartelle, mal riposte. Da farlo imprecare nuovamente tra i denti stretti e
sparò: < Accidenti! Dove saranno finiti quei maledetti fogli? >
C’erano veramente cartelle dappertutto, più o meno ricolme e taluna
contenevano delle scartoffie persino ingiallite dal tempo. Senz’altro
giravano da una parte all’altra dei vari uffici senza una fine. Ed era quello
che Mauro, stava deducendo da quel primo sguardo nella stanza n°17. Un
po’ disadorna, con la scrivania al centro e un altro tavolo contro la parete
di sinistra con una macchina da scrivere sopra. Era anch’esso stracolmo di
fogli di carta e pacchi e sulla sedia accanto vi era messa sopra in mal modo
una giacca. E nell’altra parete di lato un armadio di ferro grigio chiuso a
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chiave, dove il dondolio del portachiavi inserito nella toppa, denunciava
ch’era stato appena richiuso di botto. E alle spalle del commissario intento
al proprio rompicapo, un’ampia finestra aperta sui tetti della città, da dove
giungeva sino a loro il vociare della gente, frammisto al pulsante rumore di
vita quotidiana.
Mauro e il militare che l’accompagnava, s’erano fermarono al centro
della stanza per un momento. Poi la voce dell’appuntato al suo fianco,
annunciava al commissario Rizzi la sua presenza. < Commissario, scusi,
c’è il signore che aspettava. >
Finalmente il commissario alzò la testa e guardò con aria greve il
giovane. Mauro restò un po’ stupito da quei due occhioni grigi dell’uomo
di fronte, che assomigliava stranamente a un povero gufo spennacchiato.
Infine, quest’ultimo disse mentre indicava con un cenno della mano la
sedia di fronte: < Buongiorno! S’accomodi, sarò subito da lei... > poi prese
una busta gialla e la consegnò all’appuntato al fianco di Mauro. < Belletti,
consegni questa al capitano Micheluzzi al secondo piano, grazie! > infine
mentre l’appuntato si richiudeva la porta alle spalle, il commissario si era
rivolto a Mauro e riprese a dire con fare gioviale: < Signor, Rossi, vero? >
< Sì, Mauro Rossi, commissario Rizzi, esatto? > leggendo il nome
sulla targhetta, che era sistemata su una pila di fascicoli sopra al tavolo.
< Sì, esatto, > mentre si alzava e allungava la mano. < Adriano Rizzi,
piacere... > e si strinsero la mano frettolosamente, poi il commissario
riprese a parlare velocemente, mentre si grattava la testa, quasi pelata, per
non dire tutta. < Senta, signor Rossi, è meglio che tralasciamo i
convenevoli e veniamo subito al nocciolo della questione, > mentre
prendeva in mano dei fogli dattiloscritti. < Dunque, uhm!... Vediamo... lei,
è nato...a... uhm!.. Domiciliato a Padova e frequenta l’università da quattro
anni, si... Si è iscritto nella facoltà di giurisprudenza, scienze politiche,
economia e commercio, filosofia, lettere, scienze delle comunicazioni e
lingue... uhm, pero! Tutti con eccellenti profitti... Insomma, vedo che lei è
al di sopra di molto della media. Forse, spera di superare suo padre?
Uhm!... quanto sembra. > Ma venne subito interrotto da Mauro un po’
seccato, che si intrometteva e continuava lui, per sveltire quella tiritera
dell'altro: < Sì, mio padre è un noto magistrato ecc. ecc. Ma veniamo al
sodo e al riguardo di questa brutta storia del signor Prandi commissario, la
prego? Se non le dispiace questa mia insistenza e intromissione al caso,
s’intende. > buttò quell’ultima frase di ammorbidimento per evitare di farsi
troppi nemici. Perché dietro alle sue spalle erano già tanti in quel
140
momento. Sebbene ancora non li conosceva tutti quanti. Mentre si
riguardava le dita rimaste un po’ annerite dal tampone ai prelievi.
< Bene, bene, uhm... si, già! > confermò il commissario Rizzi, che
sembrano non far caso ai formalismi, mentre prendeva in mano dei telefax
appena ricevuti. < Vedo che c’intendiamo subito io e lei signor Rossi.
Comunque, mi hanno riferito che le sue impronte sono già in laboratorio e
presto sapremo quasi tutto. Sa’ una cosa. Abbiamo un piccolo ma efficiente
laboratorio di ricerche qui, e ci da buone soddisfazioni, mi creda.
D’altronde, lei come amico del Prandi, uhm, vero? Così mi hanno riferito
che è ospite del signor Prandi nel suo appartamento, sito in località
Arcavacata. Ma esattamente dove vi siete conosciuti, mi sembra che abbia
detto al tenente Narduzzi, a Firenze se non sbaglio? > mentre gli offriva un
sardonico sorriso, buttato lì alla meglio.
< No, non sbaglia, ha perfettamente ragione. Sono socio piazzista del
suo datore di lavoro, lui, il signor Prandi, li rilega i libri e io a Padova li
vendo agli studenti e conoscenti. Abbiamo una società d’affari, che serve
per pagarci gli studi, visto che i libri e le tasse d’iscrizione sono troppo alte
per le tasche di chiunque e con quello che i genitori ci passano, basta solo
per mangiare e pagare l’affitto di casa. >
< Più che giusto, se fossero tutti così i giovani che si danno da fare...
uhm! Bene, bene, proseguiamo. Perciò dicevamo… eravate appena giunti
ieri, qui a Cosenza, esatto? E soltanto ieri sera il signor Prandi è uscito con
la fidanzata. La signorina Serena Rottai, rincasando all’una e venti, esatto
anche tutto questo... giusto? >
< Perfettamente commissario. Se permette e posso esprimermi in una
parola, > mentre il commissario, gli faceva cenno con la mano di
proseguire a parlare. < Dicevo, l’unica cosa un po’ strana che ho notato io:
Come mai quella Serena, che io personalmente non conosco, abbia dato i
suoi appunti di studio al Prandi? Dopo che l’aveva pregato di confessare al
fidanzato geloso, che tra loro due non c’era mai stato nulla di tenero. Mi
capisce, commissario? > Mauro buttò quella frase così cospiratoria a
stuzzicare l’interesse del commissario incuriosito.
< Uhm, uhm! > fece l’altro, poi riprese: < Ma veramente, non mi
sembra di afferrare bene la storia del Prandi, che ieri sera al caffè si è
arrabbiato con l’amico geloso. Questo è riportato da testimoni oculari. >
< Forse, non mi sono spiegato bene commissario. Era l’altro il
fidanzato geloso. Il Prandi mi ha riferito che era contento che tutto fosse
finito tra loro. Comunque non vedo ancora il nesso, ammettendo che
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ancora non so’ bene, chi sia la vittima che si supponga uccisa dal Prandi.
Così mi è stato riferito dal Tenente Narduzzi... E per quale motivo? >
formulò quella domanda un po’ evasiva, aspettando la spiegazione
dell’altro che lo stava scrutando silenzioso. Alla fine il commissario
rispose: < Ma penso che il nome a poca importanza per lei che viene dal
nord. Comunque, il motivo è presupposto alla gelosia e la vittima era un
certo Carmine Loderzo, tossicomane e già schedato per piccole cose. Era
stato trovato a suo tempo in possesso di diverse bustine di droga e appunto
era amico del Prandi e di Serena Rottai. E con questo ennesimo assassinio,
la nostra regione sta’ assumendo l’appellativo di regione a rischio mafioso
e non è per nulla simpatico sentirlo ripetere in continuazione. Oltretutto
con le due sparatorie dell’altro giorno e le varie uccisioni di ben otto
persone in pochi giorni. Accidenti! Non si può negare che siamo
veramente al centro di un bersaglio. Uhm, non le pare! > gli espose con
enfasi il commissario Rizzi. Mentre Mauro cercava di valutare quelle
nuove e piccole notizie, aspettando che il commissario si decidesse a
spiegare chiaramente la questione. Invece di girarci attorno continuamente,
forse aspettando che lui incappi in un’affermazione errata. Sapendo più
che bene che loro avevano in mano la deposizione di Andrea e perciò
volevano confrontarla con la sua. E pertanto lui doveva stare molto attento
a non uscire troppo dalla norma, non sapendo cos’altro abbia detto Andrea
a sua discolpa. Lui avrebbe voluto chiedere di vedere l’amico, ma questo
significava che non si fidava delle legge, e perciò doveva attendere un
altro momento. D’altronde il commissario non aveva ancora menzionato di
prendere un legale per il Prandi, perciò era ancora sul dubbio la sua
colpevolezza. Sebbene il tenente Narduzzi era più che convinto che
Andrea avesse ucciso l’altro per gelosia. Poi alla fine di quella veloce
riflessione, Mauro rispose al commissario dicendo: < Sì, l’ho letto proprio
questa mattina sui giornali di quei fatti accaduti, così orripilanti. Ma
tornando ai problemi del Prandi. Dunque, l’assassinato era quel Loderzo
che è stato visto in compagnia del Prandi e la ragazza. Giusto. Allora, era
lui, il ragazzo di Serena Rottai da quel che capisco? >
< Ma, non è Andrea Prandi il ragazzo di Serena Rottai? > sbottò
Rizzi incuriosito, dicendo ancora: < Così ha confermato e riferito il padre
della ragazza, l'avvocato Pietro Rottai. Ha detto che quel Prandi è il
ragazzo di sua figlia e intendeva prendere le sue difese. Ma per il momento
aveva da guardare la figlia, troppo scioccata da questi avvenimenti e
pertanto lascerà che subentri qualcun'altra a prendere la difesa del Prandi
142
quando occorrerà. S'intende! Rottai è molto noto in questa città e non di
certo si può dubitare della sua parola... Uhm! Ma lei è sicuro di quel che
dice, signor Rossi? > mentre il commissario lo fissava stranamente
incuriosito e capendo che il giovane era molto sveglio e riflessivo.
< Ma, perché non lo chiedete al Prandi stesso e alla ragazza la
risposta. Io posso solo riferire quello che il Prandi mi ha detto ieri sera
appena rincasato: che sono già otto mesi che si sono lasciati e poi da
precisare e questo è confidenziale, mi creda? > capendo Mauro, che
doveva accattivarsi Rizzi se voleva estrapolare qualche notizia in più, sui
fatti, perciò buttò quella frase, sapendo che avrebbe avuto a suo tempo
effetto. < Detta tra noi. Tra loro due... insomma, non hanno mai scopato!
Mi ha capito commissario, erano soltanto amici e nient’altro. >
< Be’, uhm! Mi fa piacere che tra di noi s’intenda velocemente.
Comunque era quello che speravo mi dicesse signor Rossi, a proposito
d’improntare un’equa testimonianza. >
Mauro restò un momento a pensare e poi incominciò a dire a sua volta:
< Commissario, se mi permette dato la sua sincera disponibilità, nonché
reciproca. Vorrei esprimere un mio parere su questa storia; una teoria
avventata. Forse anche sbagliata, ma personalmente vado pazzo per gli
enigmi e forse a lei potrebbe servire un’idea in più al momento. >
< Ho saputa da suo padre che lei è una testa matta, e su certe
questioni cavillose se la cava egregiamente bene, nel districarsi da indagini
complicate. Lei ne sa’ una più del diavolo! >
< Be’, insomma, non dia retta a mio padre, lui esagera sempre per
vantarsi della sua stirpe. >
< Ma guardi, che certe notizie le ho sapute proprio stamattina dal
presidente del CSM mio carissimo amico e nonché di suo padre... >
< Ha, il dottor... > si era fermato a pensare Mauro, ma quel nome non
veniva fuori, oltre a non ricordarselo per niente. Confabulando allo stesso
tempo con sé stesso, che quel commissario non perdeva tempo a chiedere
informazioni in giro ovunque e su chiunque.
< Dottor Guzzelli, non si ricorda è un vostro carissimo amico di
famiglia. > sbottò cordiale Rizzi.
< Ha. sì, sì! Il dottor Guzzelli, quel simpaticone d’uomo. > continuò
Mauro sudando sette camicie per quella sua memoria del cavolo che non
l’aiutava affatto. Poi deciso riprese a dire: < Senta commissario, io penso
che, in tutta questa storia non chiara, ci sia qualcuno che intenda incastrare
il signor Prandi. Per quale motivo, ancora non lo so esattamente. Ma
143
sappiamo ambedue, che essendo stato adottato nella sua giovinezza da un
presunto mafioso? E fors’anche può essere suo padre. Chi mi dice, che non
serva per ricattare qualcun altro. Un pesce più grande? Ma tutto questo lei
lo sa già, non è vero? > scrutando il commissario Mauro, notò un piccolo
cipiglio negli occhi dell’uomo, mentre emetteva quel gutturale “uhm!”
abituale dell’altro e Mauro dedusse che aveva azzeccato in quella sua
incauta esposizione, buttata di proposito e sperando di non sbagliare.
Ma, furono interrotti dal bussare e l’aprirsi della porta dell’ufficio, e
l’intrusione della testa dell’appuntato Belletti che si rivolgeva al
commissario con sollecitudine: < Mi scusino? Commissario può venire
fuori un momento, occorre la sua presenza. > il commissario uscì dalla
stanza 17, scusandosi con Mauro per il contrattempo.
Mauro guardando l'orologio, constatò che era già trascorsa una buona
mezz’ora, dall'uscita del commissario da quella stanza 17. Il giovane
fremeva nervoso in quella attesa, piena di buchi e dubbi Pensando e
ripensando se il commissario era un tipo superstizioso, oppure indifferente
se restava tranquillamente in quell’ufficio con quel numero sulla porta. Poi
all'improvviso si ricordò di un fatto accaduto a Padova, un libraio molto
superstizioso del venerdì e del n°17, capitò che dovendo partire si scordò
ch'era venerdì 17 e sull'autostrada in un tamponamento a catena lui
tamponò un auto con il n° 17 iniziale sulla targa ed erano proprio le ore 17
pomeridiane e per finire poi all'ospedale con il letto n°17, da farlo fuggire
via con una paura nefasta addosso. Poi Mauro tralasciò sorridendo quel
fatto e quelle supposizioni nefaste per nessuno. Contento di aver scoperto
un altro tassello della sua stramba memoria e incominciò ad alzarsi dalla
sedia e bighellonare un po’ per sgranchirsi le gambe. Sbirciando di tanto in
tanto l’appuntato seduto nell’altra stanza, preso dal lavoro al computer.
Mauro, tentava di non mostrare il suo nervosismi e si portò accanto alla
finestra a guardare il panorama da sopra i tetti delle case di fronte. Le
trovò stracolme di antenne televisive tra comignoli sgangherati. Era
rimasto lì fermo, a guardare indifferente quella città di provincia situata al
meridione, avvolta nella sua calma pomeridiana. Mauro si trovò
freddamente assente, fra i suoi mille pensieri che correvano irrisolti. Anzi
sempre di più ingarbugliati, d’aspettarsi il peggio da un momento all’altro.
Incominciava ad averne abbastanza, di quella finta calma addosso.
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Capitolo Diciannovesimo
Poi, finalmente il commissario Rizzi rientrò nell’ufficio con un largo
sorriso, accompagnato dal questore Gorelli e il tenente Narduzzi, che
salutò Mauro con un semplice cenno della testa. Mentre il commissario
disse al giovane impaziente: < Sa una cosa, signor Rossi. Ah, dimenticavo,
lei conosce il capo questore Gorelli? > mentre quest’ultimo gli porgeva la
mano. < Signor Rossi, piacere! Mi pare... > Mauro prontamente rispose al
saluto dicendo a sua volta senza troppa enfasi: < Si, ci siamo già visti di
sfuggita, da basso mentre aspettavo. Comunque piacere dottore. >
< Ah, sì! Ora ricordo. > esclamò il questore Gorelli, mentre il
commissario riprendeva a dire rivolto al giovane: < Come le dicevo prima,
la perizia necroscopica sul cadavere del fu Loderzo, ha rilevato che la
morte risale alle ore tre e quindici del mattino. Poi, dal rilevamento delle
impronte digitali sui quaderni, risultano le impronte della giovane Serena
Rottai e quelle del defunto Loderzo e le sue signor Rossi. Invece quelle del
signor Prandi erano solamente all’esterno della sacca e sulla cordicella di
chiusura. Perciò vuole dire che lui la presa e appesa all’attaccapanni e
nient’altro. Invece lei come a dichiarato a sfogliato i quaderni, come pure
il fu Loderzo e la Rottai. > Rizzi fece una breve pausa e riprese a parlare
più conciso. < Uhm, dicevo, ah, sì! Hanno però rilevato, che la sacca a
contenuto a suo tempo anche della droga di vario tipo, e questo fa supporre
che il fu Loderzo o qualcun'altra persona usava la ragazza e la sua sacca
per trasportare o smerciare la merce. Questo è la mia prima supposizione e
con la sua deposizione oltre quella della signora Prospero, si può
confermare che il Prandi era già rientrato a casa prima della morte del
Loderzo. > fece un’altra pausa e con un sorrisetto maledettamente furbesco
il commissario riprese a dire: < Adesso viene il bello, signor Rossi! > E
prontamente Mauro s’intromise dicendo a sua volta con un forzato mezzo
sorriso sulle labbra: < Commissario Rizzi, potrei azzardare un’altra mia
ipotesi? > domandò mentre guardava i presenti incuriositi. < Saprete già,
che a me piacciono tremendamente questi test. A scuole e nelle aule d’un
tribunale dove vado sovente ad assistere le udienze. Ne vado pazzo nel
riuscire a formularli almeno mentalmente prima degli altri, s’intende... >
Mauro buttò quella sua idea abbastanza avventata, sperando di far colpo
sui presenti, abbastanza incuriositi.
145
< Ha, sì! Abbiamo visto dai suoi documenti pervenuti via fax, che lei
è tra i primo dell’università di Padova. > formulò il questore Gorelli con
un debole sorriso d’accomodamento. A quel punto Mauro, incominciava a
esporre la sua tesi: < Io penso per prima cosa, che la signorina Serena
Rottai abbia confermato e confessato di essersi compromessa in un
complotto contro il signor Prandi, per incastrarlo. Motivo che l’ha indotta
a farlo è per droga, più che per soldi? E per secondo, le rivalità tra le bande
siciliane e quelle calabresi, e il Prandi doveva essere l’esca per catturare o
ricattare il padre adottivo. E questa operazione è in parte riuscita, perché a
qualcuno gli occorreva della droga? E se nella sacca c’era traccia di varie
droghe, vuol dire che la signorina Rottai ne fa’ uso e gli occorre
periodicamente e chi se non il fu Loderzo a rifornirla previo pagamento?
Perciò si è fatta corrompere. Non ci sono alternative a mio avviso. >
mentre osservava i visi costernati dei presenti. < E fin qui ci siamo arrivati.
Certamente che in tutta questa storia non ci doveva scappare il morto. Ma
si vede che l’operazione non è del tutto chiara e probabilmente il fu
Loderzo, avrebbe chiesto una cifra superiore ai patti e cosi è stato
eliminato. Sapendo per certo che i morti non possono parlano, ne tanto più
testimoniare. Poi in fondo c’era sempre a chi si poteva affibbiata la colpa?
Ho forse sbagliato in qualcosa signori, o sono arrivato vicino? > chiese
Mauro alla fine della sua breve arringa, mentre gli altri tre erano
ammutoliti e pensierosi al tempo stesso. Poi il questore Gorelli disse
rivolto a Rizzi: < Ecco cosa ci mancava a noi la famiglia Trani! Ci
occorrerà qualche prova in più, per incastrarli tutti quanti. > prospettò
convinto. Mentre Rizzi commentava: < Già, uhm! Il signor Rossi ci ha
rivelato la pedina mancante e per il resto è sulla buona strada. > elargì con
magnanimità il commissario Rizzi, all’indirizzo di Mauro. Mentre Gorelli
riprendeva a dire a sua volta con fare serio: < Comunque a questo punto,
non avendo tutti gli elementi a disposizione, io suggerirei di dare la notizia
alla stampa. Girano qua attorno come avvoltoi sulla preda. Pertanto far
trapelare la voce che liberiamo il Prandi per non aver commesso il fatto.
Ma rimarrà sotto protezione a domiciliari in attesa di nuovi sviluppi al
caso. Cosa ne pensate? > espose convinto Gorelli.
E subito Mauro s’intromise dicendo a sua volta: < Loro vorrebbero che
il signor Prandi faccia da esca. Per non dire da bersaglio, vero? Perché è
più che evidente che qualcuno a questo punto tenterà e dovrà farlo cantare.
Prima per sapere cosa vi ha raccontato o spifferato, per rimanere sotto
protezione. Scegliendo la parola più confacente al caso, e poi fagli la pelle
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per pareggiare i conti tra le bande rivali. Esatto signori? >
< Be’, in parte è così! Ma sarà protetto e senz’altro scopriremo di
sicuro chi vorrà adesso farlo fuori e in che girone sono le fazioni calabresi
con quelle siciliane. Capisce signor Rossi e a questo punto possiamo
informarlo su presunte indagini, > mentre Gorelli guardava Rizzi per
un’approvazione e riprendeva a dire. < D’altronde è già da tempo che ci
stiamo dietro per sviscerare le varie bande malavitose, ma sanno sempre
un attimo prima di noi, quando ci muoviamo e pertanto penso che sia il
caso di provare con questa nuova esca. Visto che i siciliani hanno voluto
dare un avviso ai calabresi cercando d’incastrare il figlio, di uno di loro. E
questi altri hanno tentato di soffiare sotto il naso dei preziosi o altro,
apparentemente di proprietà di mafiosi siciliani. E il tutto sotto false
spoglie, s’intende? > Espose Gorelli tranquillamente.
Mauro capì, che la polizia sapeva che quel Trani era veramente il padre
di Andrea e chissà cos’altro sapevano di preciso. Ma al momento la sua
paura era ben altra, perché Mauro incominciava a supporre, anzi ormai era
più che sicuro, che nella questura c’era una talpa ben piazzata nei punti più
strategici. Forse di rilievo e vegliava continuamente su ogni mossa della
polizia, sapendo sempre tutto, di tutti e in anticipo. A quel punto Mauro
incominciò a sfogliare mentalmente, il candidato in quella questura che
poteva essersi sistemato in una posizione chiave e al tempo stesso essere
insospettabile. Oppure veniva dal di fuori ed avere all’interno un complice
sicuro. Pensò seriamente Mauro, esponendo meccanicamente su tutto
quello che sapeva, oltre ai funzionari che aveva appena sentito nominare e
perciò dedusse tra sé, spulciandoli sistematicamente tutti, per quel poco
che sapeva. Il procuratore Alberto Calindi? Lui era siciliano con una vasta
parentela, così gli aveva spiegato il maresciallo ciacolone di poco prima. E
magari la sua giurisdizione sconfinava nell’illegalità e poteva essere un
potenziale movente. Oppure il giudice Mario Lodetti napoletano, che
aveva fatto una accanita battaglia contro la camorra napoletana, ed era
stato silurato per aver mirato troppo in alto e ora, sconfinato in una
cittadina di provincia con minori possibilità di progredire. Magari lasciarsi
incantare da miraggi illegali a ripagare la sua delusione di onesto tutore
della legge. Poi, vi era anche il tenente Narduzzi, un po’ egocentrico ma,
vispo, oltretutto gli era antipatico per la sua strafottenza, ma non per
questo poteva essere la talpa, non aveva accesso a molte porte quello,
sebbene si dava da fare a più non posso. E in fine veniva il questore
Gorelli che presidiava un posto di rilievo e aveva accesso a tutto, perciò
147
poteva anche darsi che qualche bustarella ben ricolma poteva smuovere
anche le persone più restie e oneste in un campo cosi vasto e pieno
d’intrallazzi oltre la droga. E infine c’era il commissario Adriano Rizzi,
che gestiva una buona fetta di personale e sulla sua scrivania passavano
ogni pratica dei cittadino della regione, ma tutto era ancora nel dubbio più
assoluto. Oltretutto quei personaggi erano soltanto delle persone che
Mauro conosceva al momento e chissà quante altre c’erano dietro le quinte
che manovravano i vari scenari. Coinvolti si fa per dire momentaneamente
ma, che gestivano quella faccenda con scrupolosa serietà. Purtroppo alla
fine di tutta quella ruminazione fatta dentro di sé, Mauro capì che per il
momento non portava proprio a nulla e allora provò a esporre ancora
quesiti ai presenti: < Comunque signori, le faide in gioco sono troppo
argute ed è quello che vorreste proporre al signor Prandi di collaborare.
pertanto è una cosa che dovrete esplicitare chiaramente con lui. Sperando
che accetti di collaborare con la giustizia e far da bersaglio? > espose serio.
< Ma certamente! Sarà una cosa tra noi. Nessun altro saprà cosa
intendiamo fare, per l’opinione pubblica il signor Prandi resterà sotto
protezione per precauzione. Essendo l’assassinato un trafficante di droga e
amico, pertanto ad evitare ritorsioni contro il giovane, null’altro. Perciò,
lei Narduzzi, provvederà per la sicurezza del Prandi, d’accordo? > espletò.
< Non si preoccupi Commissario, metterò una guardia del corpo con
loro giorno e notte con telefono cellulare sempre attivo. Un giovane della
loro età, da sembrare un’altro studente in pensione dalla signora Prospero.
E ci saranno macchie civetta che perlustreranno la zona continuamente a
ore sfalsate, da essere sempre pronti ad intervenire in ogni caso. Come le
sembra l’idea? > espose Narduzzi gioioso della sua rapida inventiva.
< Benissimo tenente! > esplose Gorelli euforico. < Lei risolva questo
caso e avrà una giusta promozione, ma nel frattempo non tralasci gli altri
casi. Altrimenti, possiamo alleggerirlo e passarli al maggiore Gambassi, è
appena ritornato dalla licenza matrimoniale, quello. >
< A proposito, > chiese Rizzi a Narduzzi. < Ha, parlato con il
magistrato Calindi, per i cadaveri di quei quattro, dell’Alfa? E se è
terminata la perizia necroscopica sui loro corpi? Appena avremo i verbali,
possiamo consegnare tra un paio di giorni i corpi ai parenti, che li
reclamano. Tutti sono addolorati e sorpresi adesso. >
< No! Stavo appunto andando. Comunque l’avviserò appena so
qualcosa commissario. > rispose affabilmente Narduzzi.
Mauro tra le quinte aveva assistito a un trio abbastanza in sincronismo.
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Tuttavia, vi era qualcosa che non gli suonava bene all’orecchio, ma al
momento non riusciva a decifrare la nota che poteva stonare. Infine esplicò
una domanda. < Tenente, allora rimarrà lei con noi a guardarci le spalle?
D’altronde lei, a un aspetto così giovanile... > gli espose con falso enfasi.
< Purtroppo non posso io, ma metterò un valido giovane che sa’
tenere la bocca chiusa e fare il suo dovere. Il sergente Nardelli il mio
aiutante, le va bene signor Rossi? > espose con serietà.
< Perfetto da parte mia. Ora però, bisognerà sentire il signor Prandi
come la pensa sulla questione? >
< Tenteremo di convincerlo per il bene di tutti. > prospettò Gorelli.
< Certamente! > confermo serio Rizzi, < Narduzzi prenderà ogni
precauzione, stia tranquillo signor Rossi, è un buon ufficiale. >
Infine dopo varie discussioni fino a tarda sera, tutto sembrava
predisposto al meglio. Era stato accordato con la signora Prospero di
menzionare in paese e in particolare nei negozi di alimentari di Arcavacata,
delle piccole mezze frasi sull’andamento di quell’inchiesta. Parole
ammezzate e involontariamente sfuggite dalla sua buona fede, a spiegare
quei piccoli inconvenienti accaduto al suo inquilino. Con vaghe
spiegazioni blande, di supposizioni un po’ frammentarie, da lasciare un po’
tutti i curiosi soddisfatti e pronti a spettegolare.
E meno che non si dica, la donna era stata bersagliata di domande su
quei fatti che la cronaca dava ampio spazio. Ma che la gente ascoltava
sempre più con interesse, se la storia veniva riportata da una parte più che
mai interessata, per non dire a contatto. Cose da non credersi, ma vere.
Così, come d’accordo, la signora Prospero incominciò a piagnucolare e
a raccontare fregnacce alle comari avide di notizie; e si compiacque da
sola per la parte che le era stata data da svolgere, sapendo che ora stava
aiutando la giustizia a scoprire i veri colpevoli. Comunque, dopo le varie
ciacole, aveva fatto sapere che sarebbe andata a stare un poco di giorni da
sua cognata, perché era ancora scossa da quegli avvenimenti. Poi tanto più
che adesso aveva un altro inquilino che gli faceva aumentare la sua quota
di pensione e in futuro si potrà permettere anche di viaggiare un po’ per
l’Italia, essendo un vecchio desiderio che tutti nel vicinato lo sapevano. E
tutti quanti la sollecitarono, incitandola per bene. Che faceva bene ad
andare un po’ in giro per il mondo, ora che avrebbe preso qualche lira in
più, da aggiungere alla misera pensione. E in tutta quella bufera di storie in
parte inventate, si sperava che qualcuno della mala locale abboccasse
all’amo.
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Capitolo Ventesimo
Da quando Mauro, aveva messo piede la prima volta in quella casa ad
Arcavacata, erano passati ormai quattro giorni. E quel giorno sotto un sole
torrido e pieno d’afa, arrivò strombazzando il giovane studente sulla sua
rossa moto e si fermò accanto all’auto della polizia, gridando che gli esami
per un lavoro d’architetto erano andati più che bene.
Era nient’altro che il sergente Nardelli in borghese: casco rosso, t-shirt
bianca piena di scritte, giubbotto e calzoni jeans, stivaletti neri e un zaino
blu in spalla, a cavalcioni di una splendente moto rossa giapponese. Veniva
sotto falsa copertura a dare il cambio ai colleghi in divisa che custodivano
la casa con i suoi occupanti. Il sergente Nardelli sarebbe rimasto lì assieme
al signor Prandi e l’amico Rossi, come tre nuovi inquilini in quella casetta
tranquilla di periferia.
Quella messinscena fatta in strada dal giovane poliziotto, che salutava i
militari con parole un po’ grossolane e gioviali; in uso tra i giovani
d’oggigiorno, era un semplice compromesso. Come un buon attore, mentre
diceva ad alta voce: < Come, andate già via? E chi farà la guardia alla mia
moto nuova? E questo castello chi lo cura? Accidenti! Avrei dovuto
ascoltare mia madre di non portarmi la moto dietro e di usare invece
l’autobus. Ma non ci pensate ragazzi alla mia moto? Come farò ad
agganciare le ragazza del posto, senza moto, se me la rubano prima. Me lo
spiegate voi ragazzi? > brontolò sardonicamente.
150
Mentre quelli di rimando gli rispondevano a voce alta: < Quante storie!
Ma da chi avete paura? Era soltanto una precauzione. Ma tutto il pericolo è
rientrato. Potete state tranquilli. Noi abbiamo altro lavoro da fare,
arrivederci! > mentre mettevano in moto e facevano stridere le gomme
sull’asfalto rovente e via a sirene spiegate, e Nardelli che gli gridava
dietro. < Vaffanculo! Sono solo capaci di far suonare la sirena quelli. >
mentre adocchiava le varie finestre delle case di fronte a un centinaio di
metri da lui. Erano tutti dietro le persiane a sbirciare e sentire quello che
succedeva fuori, e per strada non c’era un’anima viva, nemmeno un cane.
Scuotendo il capo Nardelli, spinse la moto oltre l’angolo della casa e entrò
nel cortile di casa, parcheggiando la moto accanto all’auto di Mauro, poi
chiuse il cancello, salì le scale. Mentre si guardava attorno a constatare
quella prigione da custodire, che a suo parere faceva acqua da ogni parte.
Commentando tra sé, quella situazione alquanto disastrosa: “Dunque,
vediamo un po’ com’è la situazione qui attorno? Da quel lato c’è quel
muretto basso che da sulla campagna, e basta solo un salto e sono dentro.
Poi da quell’altra parte c’è quel capannone del rottamaio a ridosso ed è
un altro pericolo. Accidenti, che schifo di fortezza! Ma staremo ben a
vedere?” Infine bussò alla porta di casa e una voce dall’interno gli rispose
avanti. Mentre si apriva la porta, si trovò d’improvviso davanti Mauro, era
in calzoncini corti, scalzo e a petto nudo, che lo salutava maliziosamente
sorridendo: < Ciao! > e lui rispose un po’ confuso: < Buona sera, come sta,
posso entrare signor Rossi! >
< Dai, su! Entra Nardelli e lascia stare i convenevoli. > e continuò a
chiedergli: < Mah, insomma, si può sapere com'è, il tuo nome? Visto che
dovrai bivaccare in questa gabbia di matti, con noi. Sarà bene che ci diamo
del tu fin da adesso, non ti pare? >
E Nardelli con un grande sorriso sulle labbra rispose: < Okay! Meno
male! Comunque, io sono Stefano per gli amici. Ma solo per quelli, anche
se sono sempre in servizio, ventiquattrore su ventiquattro e non riesco mai
a frequentarli sul serio. > espose mogio.
< Ah, come ti capisco amico! Be’, non stare lì impalato, dai su entra
e mettiti comodo, perché qui il tempo sarà assai lungo da far passare.
Andrea ‘sta ancora dormendo, era veramente sfinito in questi giorni
piantonato prima in questura, e ora qui sotto stretta sorveglianza. Che sfiga
gli è capitata addosso, accidenti? > espose gioviale Mauro.
E Stefano che non sapeva cosa rispondere in quel momento, cambiò
discorso dicendo: < Be’ ti è piaciuta la mia prova di recitazione in strada,
151
fatta prima? > espose sardonico.
< Sì, ti ho visto dalla finestra e ho visto anche la gente che sbirciava
da dietro le persiane e ascoltava la tua commedia. Io penso che hai avuto
un gran successo. Peccato che mancavano gli applausi finali. > mentre
batteva le mani a congratularsi con il giovane pieno di spirito.
< Be’, almeno il commissario Rizzi sarà contento, figurati mi ha fatto
una testa. Un sacco di raccomandazioni. > spiegò Stefano. < Pensi che più
di uno avrà bevuto la storia dei nuovi studenti arrivati in comunità. >
< Certamente e ora dovremo soltanto aspettare che qualcuno si faccia
vivo e io, penso molto presto. > rispose a sua volta Mauro pensieroso.
< Vorrà dire che starò all’erta. > rispose Nardelli, mentre batteva
sullo zainetto: < Ho qui dentro la mia pistola d’ordinanza, spero che non
serva. Poi dalla questura manderanno circa ogni ora un’auto civetta a
perlustrare la zona. > Nardelli spiegava a Mauro la dislocazione e i modi
del programma di protezione messo in atto. < Comunque, > riprendeva a
dire: < Tutta la messinscena della protezione al signor Prandi è finita. La
notizia è stata sparsa anche dentro la questura, per poter dare il tempo ad
un’eventuale talpa che lo venga a sapere e si decidano a reagire. Cosi mi ha
spiegato il commissario Rizzi. Per conto mio lui è un uomo di fiducia, te lo
posso garantire, ci si può fidare. > spiegò convinto.
< Bene, staremo a vedere come andrà a finire. Io personalmente non
ci conto troppo. > rispose Mauro aggrottando le sopracciglia.
< Be’, sì! In un certo senso, hai ragione Mauro, ma sai, troppe cose
sono trapelate di recente fuori dai nostri uffici: indagini segrete, che la
stampa sapeva già prima di noi interessati. Io personalmente avevo riferito
al tenente Narduzzi qualcosa che avevo sentito dire al di fuori del nostro
ambiente, cose che non potevano essere di dominio pubblico, eppure erano
uscite fuori. E quello stronzo di... scusami per lo stronzo, ma è la verità. Il
tenente Narduzzi, talvolta ragiona come un deficiente, per non dire con il
culo. In fin dei conti, avevo espresso un mio dubbio su qualcuno dei
colleghi che fanno piccoli affari con... insomma, mi capisci. Intrallazzi,
roba del genere, comprendi Mauro? E quello è andato a interrogare tutti,
facendo soltanto un gran casino e nient’altro. E alla fine mi sono preso una
difilata dal questore Gorelli per aver presupposto stronzate non vere. Così
io, l’ho preso in culo, per aver cercato di fare il mio dovere e mi sono
giocato l’avanzamento. Capisci com’è andata la questione. Ed è per questo
che tra noi due non c’è troppa simpatia. E ora per recuperare la graduatoria
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dovrei fare il leccapiedi al tenente... Altra stronzata, più che trovata.
Accidenti! > sbottò incavolato.
Ma fu interrotto dall’arrivo di Andrea, sbucato nel corridoio in silenzio.
Assonnato e quasi nudo, se non era per l’asciugamano che teneva sopra la
spalla ferita a penzoloni davanti, mentre diceva ai due: < Ciao! > aveva la
voce roca, un po’ impastata dal sonno poi, riprese a dire mentre
camminava rasente al muro, pronto ad appoggiarsi per la stanchezza e il
sonno: < Ah, meno male che hanno assegnato a te, questo incarico di
merda. Oh, scusa! Ma non per offenderti, è solamente che almeno tu, hai la
nostra età e senz’altro potremo discorrere molto meglio e più liberamente
tra noi giovani. Visto che dovremo convivere qua dentro assieme... chiusi
come topi in gabbia. Accidenti! Cosa mi è venuto alla mente di uscire
l’altra sera con Serena e il suo... ah! Lasciamo perdere. > brontolò.
Mentre Stefano gli rispondeva cordialmente. < Certo, certo! > era
ancora sorpreso per quella libertà che regnava in quella casa, pensando alla
diversità e l’atmosfera di casa sua, all’interno con la famiglia. Al massimo
poteva restare con la sola canottiera addosso e proprio quando si moriva
dal caldo. Guai se suo padre fosse stato lì, in quel momento a vedere un
uomo nudo per casa: “mamma mia!” Poi scacciò quei pensieri retorici e
riprese a dire un po’ euforico: < Certo che mi piace far da guardia del
corpo a dei giovani. E poi, s’eravate delle ragazze, tanto di guadagnato,
wauh! Ragazzi, che goduria! > tirando fuori quel suo sorriso così infantile
ma, abbastanza conturbante.
< Ah, bene, bene! > contestò Mauro con fare gioviale. < Adesso
vorresti scambiarci per delle pollastrelle, vero? Però, furbo il ragazzo! >
diagnosticò l'idea dell'altro ridendo.
< Vorrebbe farsi la bocca buona mentre lavora. Però non è male
l’idea? > si aggregò Andrea mentre sbadigliava con energia.
E Mauro di rimando riprese a dire: < Ma certamente tutti vorrebbero
farsi un pezzo di “mona” nostrana. >
< Che roba è? Cosa hai detto Mauro? > chiese Andrea più che mai
confuso, d’altronde era ancora tra le braccia di Morfeo. Mentre Mauro
esponeva il significato ai presenti: < Nel veneto si chiama: “mona”, la
passera decantata da ogni poeta sporcaccione, ma pur sempre la parte più
ricercata in una donna. > spiegò con fare canzonatorio. Mentre Stefano
diceva a sua volta. < Se continuo di questo passo, mi sa’ proprio che ‘sto
perdendo anche il gusto di scopare una vera donna. Sono più di tre
settimane che vado in bianco, accidenti al lavoro! Per non dare a me la
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colpa. E questo è più che vero, sono sfigato! >
< Be’, ho capito. State già parlando di grasso a quest’ora. Beh’, che
schifo! > sbottò Andrea. < Comunque, adesso io vado a farmi una bella
doccia... > disse entrando barcollando nel bagno di fronte. Mentre Mauro
invitava Stefano in salotto, chiedendogli: < Stefano, non ti dispiace se qui
si gira per casa nudi? Il padrone di casa s’è abituato cosi bene, che non
smette il vizio. > mentre indicava Andrea in bagno. < Personalmente mi
sento anche io a mio agio, per te fa lo stesso? >
< Ma senz’altro! Figurati che è meno penoso anche per me e poi,
essere qui assieme e dover usare l’etichetta con tanto di dialettica,
farfallino e guanti, mi sembra troppo. > rispose Stefano sorridendo.
< Be’, per stare al gioco. Non staresti male, nudo con il farfallino al
collo. > prospettò Mauro ridendo.
< Non ho mai pensato a una così bella idea, a presentarmi nudo
davanti ad una donna? Che figata ragazzi! > esplodendo in una gaia risata.
Poi Mauro riprese a dire con fare più confacente: < Ora parlando di cose
serie. Per te va bene spaghetti con aglio e olio per cena, e di secondo
avremo, fritto misto di pesce, con insalata variegata, e del vino bianco
fresco? Guarda che qui si cena alle otto, mi raccomando, puntuali e senza
smoking. I ritardatari laveranno i piatti... d’accordo amico! >
< Stai pur certo sarò il primo. Ho una fame addosso che mi mangerei
uno squalo intero. Ma, se non sono indiscreto chi è il cuoco qui? > chiese
Stefano con fare dubbioso, mentre si guardava attorno.
< Ma tu, naturalmente ragazzo! Perché, pensavi diversamente. Per
cosa ti abbiamo assunto? No, stai tranquillo, qualcuno ci penserà a
spignattare. Anzi sarà Andrea a cucinare, è lui il prigioniero e perciò
muova lui le chiappe per tutti noi. Non ti pare Stefano? >
E proprio in quel momento la voce di Andrea si faceva sentire dal
bagno, mentre lo chiamava: < Mauro per favore puoi venire un momento
ad aiutarmi? > miagolò.
E Mauro rivoltosi a Stefano borbottò: < Si sente depresso e a bisogno
che gli dia una passata alla schiena, lo viziato troppo. Io personalmente gli
darei qualcos’altro per tirargli su il morale. Si fa per dire, capisci. > mentre
si avviava sorridendo verso il bagno e continuò a dire: < Se non si scherza
un po’, qui non si arriva più alla fine della giornata, ci si fa la muffa, che
barba! > e sparì oltre la porta del bagno. Mentre Stefano stava scrollando
la testa in segno affermativo, approvando quel ragionamento; già lui aveva
supposto che sarebbe stato barboso far passare le ore giocando a carte e
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guardare la televisione o ancora di più, mettersi a leggere qualche libro o
giornale, in attesa che capiti qualcosa ed essere pronto a menare le mani.
Nel frattempo in bagno, Mauro stava terminando la fasciatura della
spalla di Andrea, che borbottava e si lamentava. < Cosa te ne pare del mio
foro nella spalla, sarà presto guarito? >
< Ma, penso proprio di sì. Però, hai avuto un bel culo. >
< Già, questo è vero. Figurati se m’avessero visitato in questura per
bene e avessero visto i fori, apriti cielo! > esclamò Andrea mentre fissava
Mauro dritto negli occhi.
< Ma tu, non avresti detto che ti hanno infilzato a Viareggio? Sei sul
giornale. dove dice che c’è un tale che porta il tuo stesso nome e che sé
fatto infilzare la spalla da una freccia a Viareggio? Pressappoco nella
stessa giornata del tiro a segno... e allora? > espose saggiamente Mauro.
< Si, è quello che averi detto anche io alla polizia, se chiesto il perché
di quella ferita e dove era successo. Capisci non ero troppo sicuro che mi
avrebbero creduto? Comunque è meglio così, altrimenti non sapremmo
dove mettere tutte queste rogne. Sai Mauro, ho una fottuta paura addosso,
che salti fuori anche quell’altra storia. Quei morti. Accidenti! Li vedo
continuamente in sogno. > brontolò sfiduciato.
< Già, a chi lo dici, che talvolta bisogna per forza dover sorridere.
Quando dentro di noi abbiamo una gran voglia di piangere. Capisci
Andrea, come siamo finiti in basso e il peggio deve ancora venire. Pensa
se ti avessero fatto il DNA del tuo sangue e l’avrebbero confrontato con
quello trovato nell’erba e sull’Alfa 164, comprendi fin dove sarebbe
arrivata la polizia? Ma non è per loro, ma per gli altri che stanno cercando
noi e con quella telefonata che ha fatto il grassone barbuto. Qualcuno sa di
sicuro chi siamo e dove abitiamo. Comprendi amico, questo è il vero
pericolo a portata di pistola? >
< Lo pensi veramente, che sanno chi siamo. Perciò, verranno qui per
ammazzarci? > mugugnò impaurito.
< Già, suppongo di sì! > confermò rassegnato.
< E non basterà di certo la difesa di Stefano a fermare quella masnada
di assassini. Comunque lo sapremo presto... be’, voltati che facciamo la
puntura. > lo spronò a muoversi. E appena dopo la puntura di antibiotico e
il solito “hai!” Andrea propose e pretese: < D’accordo! Per favore, ora
dammi un bacio, ho bisogno di un po’ di sostentamento per rinfrancarmi.
Mi sento veramente male dalla paura, ritardata. >
Alla fine di quel prolungato bacio, Andrea riprese a dire, tra una smorfia
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e un’altra per il dolore alla spalla: < A proposito, sai un’altra cosa Mauro.
Mi ero dimenticato di dirtelo prima... > si era fermato per infilarsi su i
calzoncini corti. Mentre l’altro impaziente lo spronava a continuare: < Be’,
Allora? Dai muoviti, che dobbiamo andare di là! Altrimenti Nardelli
potrebbe pensare a chissà cosa, stiamo facendo qui in bagno, un sacco di
tempo, non è affatto bello... >
< Oh, ma che bella questa! Ci diamo alla santificazione adesso? >
sbottò Andrea sorpreso e continuando a dire: < Perché quell’altra notte
abbiamo forse, detto le preghiere per San Maurizio e Sant’Andrea, vero? >
esprimendosi con sarcasmo, mentre l’altro un po’ umiliato, rispondeva
sottovoce: < Scusami! Ma non essere cattivo. >
< Be’, sorvoliamo, è meglio. Comunque, volevo dirti che avevo
parlato con Serena. L’ho incontrata nei corridoi della questura, dopo che
l’avevano interrogata per bene. Era accompagnata dal padre e dal questore
Gorelli e una guardia. E guarda caso è la prima volta che ho incontrato il
padre di Serena. Quel Rottai, a tutta la faccia da vero mafioso, quello
secondo me, non si è fatto i soldi con il suo sudore. Credimi. Chissà quanta
povera gente a spennato per bene. > espresse Andrea più che convinto.
< Be’, insomma, vuoi finire di raccontare cos’è successo. Allora? >
< Be’, mentre il padre di Serena stava discorrendo con il questore
Gorelli, io che ero accompagnato da un agente ho chiesto al questore se
potevo dire due parole a Serena e questo mi ha concesso due minuti e in un
angolo del corridoio, con una guardia per parte abbiamo scambiato poche
parole. Insomma, in poche parole, lei mi ha detto ch’è stata costretta a
raggirarmi e si scusava per l’accaduto, ma aveva bisogno di cocaina, stava
male e per averla a poco prezzo si era lasciata ricattata e a collaborare con
la mafia. Ma lei non sapeva chi fossero quelli, che gli avevano precisato
che io dovevo andare in galera per un po’, perché qualcuno non è stato ai
patti. Perciò era una punizione giusta a mio riguardo. Capisci, e lei si è
lasciata infinocchiare. Almeno poteva chiedere un parere a suo padre, visto
che quello a le mani in pasta dappertutto? >
< Già, perché tu pensi che quell’avvocato del cavolo, per non dire
altro, fosse consapevole che la figlia si droghi. No? >
< Sì, hai ragione! I genitori sono sempre gli ultimi a sapere certe
cose. Comunque, mentre io, gli dicevo che mi dispiaceva per il suo
ragazzo ammazzato a quel modo. Rimasi male, vedendo lei che rimaneva
indifferente all’accaduto. E sai, cosa mi colpì di più in lei. Cosa da non
credere! Non le faceva molto effetto quella notizia, anzi era preoccupata a
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pensare a chi dovrà rivolgersi adesso per rifornirsi di droga. Capisci come
si è ridotta male, infangata fino al collo. Poverina! In che mondo di merda
viviamo. Accidenti! Comunque, adesso lei è in libertà vigilata fino al
processo. E’ accusata di complicità. Ora suo padre cercherà e fare
l’impossibile. Ha difeso un sacco di mafiosi e criminale quello... >
< Aspetta un momento? Massi! Ecco dove avevo già sentito quel
nome... > sbottò decisamente contento Mauro.
< Ma, cosa vai dicendo, e quale nome? > chiese Andrea confuso.
< Ma, certo, certo! Era il nome di quell’avvocato, Rottai, che stavano
parlando quei criminale all’autogrill, quel giorno! Oh quella notte? Si
parlavano di lui, che aveva organizzato con il culo una certa operazione.
Era il nome di chi aveva diretto l’operazione era proprio Rottai. Accidenti!
Capisci ora Andrea, come si sta complicando la questione. Quel culo rotto
di Rottai, sa senz’altro che sappiamo qualcosa. Perciò, dovremo stare
all’erta e vedrai che molto presto si faranno sentire prima o dopo in
qualche modo. E allora saremo fregati, questo è più che certo! Comunque,
per ora non stiamo più a pensarci, ne parleremo dopo, evitiamo di farci
sentire da Stefano. > mentre Mauro si avviava alla porta.
< Stefano chi? Ah, Nardelli. Si chiama Stefano. Okay! > e fermava
per un braccio Mauro, dicendogli ancora sottovoce: < Ascolta ancora un
momento. Cos’è questa storia di un accordo con il commissario Rizzi e il
questore Gorelli. E di che patto parlavate voi tre, mentre io non so nulla?
Mi hanno solamente detto che tu sei d’accordo e approvi. E poi, la droga
c’era nella sacca di Serena? > gli chiese Andrea preoccupato ma, al tempo
stesso curioso, mentre fissava Mauro che sgranava un ghigno di
rimprovero: < Che culi rotti! Non te l’hanno detto e chiesto, vero? Non ha
importanza a questo punto. Certo, c’era la droga dentro la sacca. E meno
male che ho avuto sentore di curiosare dentro, altrimenti ora eri veramente
al fresco, poco ma sicuro. Il tenente Narduzzi ti avrebbe incastrato per
bene. Sai, lui era convinto che tu l’hai fatto fuori per gelosia quel Carmine
Loderzo. Perciò, ti avrebbero messo dentro con gioia. E ci sarebbe stato
subito qualcuno in carcere che avrebbe voluto farti delle domande, per
sapere da te qualcosa? E in cella, sai che lo spazio è molto ridotto e non si
può scappare, pertanto... Capisci cosa voglio dire? Sapere da te quello che
non sai, ma che loro pensano che tu lo sappia e non lo vuoi dire, chiaro! >
gli espose Mauro seriamente deciso.
< Proprio per niente? Non ci capisco un’acca di tutto quello che hai
detto. Vorresti farmi credere che mi volevano al fresco solo per farmi
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parlare e dire che cosa? Dire che mi volevano morto per averli seguiti fin
là sull’autostrada? Accidenti, Mauro! Ma cos’è questo, un terzo grado? >
< No, per niente! Ma il peggio deve ancora venire. Ma per ora basta,
è meglio andare di là, ne parleremo più tardi. >
< E quando? Se abbiamo il custode tra i piedi? > sbottò Andrea,
mentre Mauro con uno sbuffo riprendeva a dire: < Non ti preoccupare lui
dormirà in salotto e noi avremo tutto il tempo che vogliamo a letto e
potremo parlare tranquillamente tutta la notte. Okay! >
. Ma cos’è che avete confabulato voi tre in questura? E non tenermi
sulle spine troppo a lungo? Ti prego....> lo supplicò.
< No, è solamente quello che vorrebbero sapere anche loro: Gorelli e
Rizzi, ma che maledettamente tu, non sai e non glielo puoi dire. Ma
contrariamente tutti la pensano diversamente. Perciò, ora incominci a
capire, che per noi ci sono poche speranze di riuscire a sfuggirli? Ed è dura
dover pensare che presto finiremo tutte due ammazzati, ti basta così!
Andiamo di là adesso. > Mauro usci dal bagno quasi con rabbia, seguito
da Andrea tutto spaventato e confuso, mentre confabulava tra sé avvilito e
pensieroso, cercando una valida soluzione. Sapeva che Mauro aveva
ragione, almeno lui avrebbe potuto andare via e salvarsi, ma era rimasto
fedele e si sarebbe sacrificato per un amico. “Non so’ se avrei avuto lo
stesso coraggio, lui è d’ammirare”. sbottò tra sé e sé mogio mogio. Poi la
voce di Mauro più allegra, dalla cucina lo richiamò alla realtà. < Be’,
allora, Andrea ti decidi a venire qui a cucinare? Noi abbiamo fame! >
Mentre Andrea si metteva confusamente a protestare.
< Cosa, io in cucina? Ma se non so’ fare proprio niente! > brontolò
vivamente, mentre entrava in cucina. < Questo è un ricatto, bello e buono,
non è giusto! Voi due, volete dissanguarmi, io non ci sto!... >
E a quelle parole Mauro s’intenerì rispondendo, mentre Andrea si
sedeva sul bordo del tavolo in cucina. < Be’, ho capito, mi tocca! >
confermò Mauro. < Vorrà dire che a voi lascerò pentole e piatti da lavare,
d’accordo belli e sfaticati. >
< Okay, okay! T’aiutiamo a preparare la tavola... > suggerì Andrea, e
veniva aiutato da Stefano chiedendo a sua volta: < Certo, certo! Dove
sono le posate i piatti? >
< Dai... scherzavo! > sbottò Mauro. < Non ci pensate, per ora sparite
in salotto, vi chiamerò io appena è tutto pronto. Intesi ragazzi? Su,via.
Sciò, sciò! > spingendoli fuori dalla cucina.
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Capitolo Ventunesimo
Erano le nove passate quando i tre giovani si misero a tavola e il buon
profumo che si alzava dai piatti ricolmi li faceva sbavare dalla voglia di
mangiare. Stefano si era presentato in cucina con la sua pistola a tracolla
nella fondina, sopra la t-shirt bagnata dal sudore. A quella vista Andrea
esclamò con un sorriso ammiccante: < Stefano Kid! La puoi togliere quel
cannone dalla spalla, qui nessuno bara al nostro tavolo. Il casinò è chiuso
questa sera. > Anche Mauro che stava trafficando tra i fornelli gli scappò
da ridere, commentando: < Dai, bel cow-boy, non fare il duro stasera. E
togliti quella maglietta che è tutta marcia di sudore. Non aver riguardo, sei
tra amici. Noi ti consideriamo tale. > espose con un largo sorriso.
Stefano li osservò entrambi e sorrise, poi mentre si toglieva la fondina e
la sistemava sulla spalliera della sedia, rispose con una certa serietà: < Ma,
non vorrei che al caso servisse...> mentre si toglieva la maglietta fradicia e
la depose anch’essa sulla spalliera della sedia e riprendeva a dire: < Non
mi piace essere preso alla sprovvista e non per fare il John Wayne di
Cosenza, ma per fare bene il mio dovere. > Mauro lo motteggiò, mentre
sbirciava Andrea che guardava meravigliato il fisico abbronzato del
giovane, dicendo sardonicamente: < Ma, questo l’abbiamo capito più che
bene, sergente Nardelli! >
< Be’, ho capito ragazzi, vi sto’ sui coglioni, vero? > sedendosi con
un sorriso sornione e incominciò con decisione ad assaggiare la prima
forchettata di spaghetti.
159
< Non farci caso Stefano, quando incomincerai a capirlo sarà sempre
tardi! > gli spiegò Andrea serioso.
< Guarda chi parla, adesso? L’inviato del “Times”. > protestò Mauro
annichilito, mentre Stefano sempre più arguito rispose, per sviare a
entrambi le risposte: < Ragazzi permettete, posso dire una cosa anch’io? >
Mentre gli altri due si erano fermati a guardarlo. < E’ veramente squisita la
pasta, poi con la fame che tengo. Buon appetito! > augurò Stefano, mentre
si rimpinzava la bocca con una forchettata piena di pasta, lasciando gli
altri alquanto stupiti, per poi scoppiare a ridere assieme.
Così, mentre cenavano allegramente, discorrevano su vari argomenti,
scherzando un po’ su tutto. Poi ad un certo punto Stefano incuriosito chiese
a Andrea: < Cosa hai fatto alla spalla, amico? >
Andrea un po’ confuso, gli rispondeva mentre guardava Mauro in cerca
di aiuto: < Be’, se ti dico com’è successo veramente non ci crederesti... >
< Ma, posso indovinare, ti hanno sparato contro? Scherzo! dai,
continua pure... sempre se lo vuoi dire, s’intende. >
Andrea, stava sudando da matti, alla fine si fece coraggio e continuò a
raccontare quella fiaba: < Mi hanno infilzato con una freccia nei giardini a
Viareggio e purtroppo non si sa chi sia il bravo Robin hood. Non l’hai letto
sui giornali? Quello che si è fatto prendere per un’oca selvatica. Be’, sono
io. Guarda un po’ che sfiga ho in questi giorni! >
< Ha, sì! Adesso ricordo, lo stavano dicendo dei colleghi, ridendo. E
io pensavo ch’era la solita palla inventata per far notizia. Sei tu!? Però,
guarda com’è piccolo il mondo... > mentre se la rideva di gusto.
< Già, è proprio vero. > confermò Mauro sorridendo a Andrea, che
aveva superato la prova più che bene.
Dopo cena erano passati in salotto ricordandosi solo al momento della
partita di calcio alla televisione e le loro preoccupazioni in quel momento
erano svanite via. La partita notturna che si disputava amichevolmente
quella sera in TV, era Inter-lazio e una buona parte della nazione era
inchiodata davanti alla TV. Tutta la loro attenzione era concentrata sulla
palla che correva da una parte all’altra del teleschermo, avvolgendoli
completamente, da non capire più nulla di quello che c’era attorno.
Mauro da parte sua quello spettacolo al momento gli era indifferente, lui
aveva altri pensieri che gravavano sulla sua coscienza di assassino. Poi se
veramente doveva esprimere un suo parere su quale antagonismo sportivo
160
lui preferiva fare era il windsurf. Era lo sport in primo in assoluto, poi
venivano gli altri. Forse, perché lui quello sport l’aveva sempre praticato.
E di colpo si fermò di pensare a quelle differenze, capendo che stava
scoprendo un’altra parte nascosta. Oltre che avere un padre magistrato e
che non si era nemmeno degnato di venirlo a vedere di persona. Se non era
per le telefonate del commissario Rizzi, che gli chiedeva informazioni sul
figlio, lui non l’avrebbe saputo nemmeno se esisteva quel ramo di
parentela. Ma tralasciò per il momento quel particolare e si spostò accanto
alla finestra, poi si concentrò sul windsurf cercando di rammentare
quand’è stata l’ultima volta che l’aveva praticato? Ma un dubbio l’aveva
assalito, pensando se veramente lo sapeva fare? Ma si dovette arrendere
davanti all’omertà del suo subconscio, purtroppo irremovibile e stronzo.
Ed era stata esattamente la stessa cosa con suo padre al telefono al mattino.
Quando alzò la cornetta e rispose, il padre incominciò a parlare a ruota
libera, più che mai arrabbiato. Da parte sua Mauro, si trovò destabilizzato,
nel pensare che stava parlando al telefono con un estraneo e non uno di
famiglia. In special modo dal tono aspro dell’altro, abbastanza freddo e
distaccato. A stento Mauro faticava a immaginare un viso e un portamento,
qualcosa da renderlo più famigliare e umano. Ma, niente da fare, non
riusciva a vedere una sembianza, almeno un poco. “Accidenti!” sbottò tra
se. Forse in fondo a tutto Mauro, tentava illusoriamente di averlo lì di
persona. Almeno per un momento e potergli chiedere un suo aiuto, o
fors’anche niente. Soltanto la sua presenza di padre sarebbe bastato ad
appagarlo almeno un poco. Ma niente affatto. Il noto magistrato romano,
non ci pensava nemmeno di muovere il culo da Roma, per correre a vedere
il figlio implicato in un omicidio. Per un magistrato della sua portata,
bastava fare un po’ di telefonate e tutto si sarebbe risolto per il meglio. Era
quello che pensava Mauro più che sorpreso in quel momento. Costatando
in quel dialogo muto da parte sua con suo padre, aveva subito soltanto una
lunga telefonata inquisitoria e Mauro faticò molto per districarsi da quelle
domande trasversali, che gli poneva con autorità suo padre. Ma lui,
sinceramente non era in grado di rispondere e gli era molto difficile
spiegarsi al momento. Poi oltretutto, in quella situazione che si trovava suo
malgrado. E per giunta al telefono, senz’altro era stato messo sotto
controllo. Mentre suo padre, il noto magistrato romano, Francesco Rossi
segretario del CSM, lo spronava a rispondere a quelle domande concise,
ma alquanto dure e pungenti al momento. < Ma insomma Mauro! Cosa
mai ti è capitato? Ti stai comportando in modo alquanto bizzarro e
161
scervellato, per non dire altro! E poi, cos’è tutta questa amicizia di basso...
insomma questo Prandi, ma chi è? E da quando lo conosci? Insomma! Mi
vuoi spiegare e rispondere? > Mauro a sentire quelle insinuazioni, non
riusciva proprio ad aprire bocca e a rispondere a quelle accuse doloranti e
infondate. Si stava arrabbiando troppo, in quell’inaspettato comportamento
di un padre padrone. Mentre quello continuava a tartassarlo di domande
inutili, forse erano più che giuste: < Hai abbandonato gli studi a quanto
pare e soprattutto ci hai fatto fare una figuraccia con il tuo futuro suocero.
Ed è meglio tralasciare il resto per il momento, ad evitare che trascenda in
epiteti impronunziabili per telefono, verso un figlio così ingrato e
scervellato! Ma capisci! Stai compromettendo la tua carriera e soprattutto
il nostro buon nome. Per non parlare della mia reputazione in procura,
comportandoti in questo modo? E io, controvoglia ho dovuto faticare per
appianare la questione con la questura di Cosenza. Lo sai più che bene
anche tu, che ha me non piacciono i favoritismi. Anche se sei il mio
secondo genito, in verità fino ad ora, mi hai soltanto dato dei grattacapi,
per non dire dispiaceri. Pertanto non sono più disposto a continuare a
sopportarti, chiaro! Comunque questa volta ho fatto un’altro strappo alla
regola e ho faticato e pregato il capo questore Gorelli e il commissario
Rizzi a convincerli che tu non centri in quella faccenda di quel Prandi lì. E
per fortuna che non hanno trovato nulla da eccepire nei tuoi riguardi,
facendomi un gran favore a tenere lontano il nostro nome dalla stampa. E
da come ho visto sui quotidiani ho appreso che hanno fatto l’impossibile.
Ringraziali da parte mia, mi raccomando. Comunque vedi un po’ di
districarti da certa gente, perché questa malsana questione ti può nuocere e
compromettere il tuo avvenire. Oltre il nostro. Poi, e soprattutto, vorrei
proprio sapere il perché ci hai piantato in asso a quel modo? E proprio il
giorno prima del tuo fidanzamento, già accordato con Carla? Questa poi!?
Sinceramente noi ci vergogniamo per la tua condotta. Sapevo, ma non
immaginavo che diventavi un’irresponsabile fino a questo punto. Da
portarti a infangare il nostro buon nome. Perdiana, Mauro! > sbottò adirato
più che mai il padre, padrone.
Mauro era così attonito ad ascoltare quelle manifestazioni sdegnose, che
in tutta quella storia si condensava a salvare il buon nome della famiglia
Rossi. “Puttanaeva, che cazzate sta dicendo!” sbottò tra sé e sé Mauro,
impotente e senza il coraggio di parlare e ribattere. Era troppo disorientato
e avvilito nell’apprendere la freddezza di un padre così egoista, che
davanti a tutto metteva la carriera e il buon nome della famiglia. Pertanto
162
alla fine Mauro si limitò ad ascoltarlo nell’indifferenza più assoluta.
Avrebbe voluto mandarlo a quel paese, ma si trattenne a stento. Mentre il
nobile magistrato, imperterrito nella sua crociata, continuava a esporre le
sue dimostranze, per quell’offesa ricevuta da un figlio ingrato: < E pensare
poi, nell’abbandonare così malamente quella povera figliola e proprio in
quel modo. Lasciata piangere per giorni per la figura fatta davanti a parenti
e amici. Questa non te la perdono Mauro! Per fortuna che Franco, ha avuto
più buon senso di te, usando l’accortezza di salvare il salvabile alla festa
del tuo fidanzamento. Raccontando un sacco di storie ai presenti, per
evitare maggior pettegolezzi e danno al padre di Carla, come Ministro Dei
Beni Culturali. Spiegando che non potevi essere presente al suo
fidanzamento con Carla. Salvando in estremi la faccenda, prendendo il tuo
posto da buon fratello maggiore. Consolando la povera Carla da un simile
affronto ricevuto da te, mascalzone! Sei una vergogna! Hai perso
veramente un’occasione d’oro, oltre l’eredità che si aggira sui venti
miliardi. Perché mai? Sapevi più che bene che il Padre di Carla, avrebbe
lasciato tutto alla figlia e poi oltretutto, come Ministro Dei Beni Culturali,
ha voce in capitolo su eventuali tuoi sviluppi in futuro. E io personalmente
mi secca dover dire fregnacce per te, che di punto in bianco decidi di
sparire via, come un meschino ricercato o peggio ancora... > Mentre
Mauro pensava che era purtroppo vero, quello che stava dicendo quel
padre sui ricercati. Ma non riusciva a parlare, si era bloccato nell’apatia
più assoluta. “Che stronzate va dicendo!” Esplose tra se. Mentre l’altro
insisteva a rimproverarlo: < E per di più a me tocca inventare storie e scuse
con chiunque, dicendo che stavi attorno ad un importante esame, inviato
dall’università di Padova in Sicilia. Riguardante un caso cavilloso nella
procura di Palermo, in veste come giudice civile a discutere in seduta
chiusa, fino al verdetto finale e pertanto non potevi comunicare con
l’esterno tutto questo tempo. E tutto questo, per un buon esito delle tua
laurea, pensa un po’ cosa ho fatto per te, ingrato! Perciò è ora che ti
sbrighi, chiedendo al questore Gorelli la tua estromissione dei fatti e torni
subito qui a Roma e vedremo di sistemarti a qualche altro buon partito di
una buona e sostantiva famiglia romana. Perché ormai, Carla l’hai persa
per sempre e devi ringraziare tuo fratello che ha saputo salvare il salvabile
e prendere il tuo posto. E meno male che Carla a accettato di buon grado la
richiesta di tuo fratello. Capisci, tutta questa storia è veramente seccante
per tutti... Perdiana! > Mauro da parte sua faticava tremendamente a sviare
mentalmente la sua posizione attuale. Poi a quel punto, dopo quelle
163
chiarificazioni più che chiara, anzi limpida del padre, non aveva nemmeno
osato fiatare. Era rimasti al telefono ad ascoltare quel padre che urlava
sottovoce ma con determinata freddezza. Mentre Mauro cercava di
ricordarlo almeno fisicamente. In quella sua smemoratezza non trovava e
incominciava a capire che stava diventando talmente assurda quella storia.
Ma purtroppo era vera. Pensando come poteva spiegare, dire così a botta
fresca, quello che aveva dentro nell’anima, a quell’uomo dall’altro capo
del filo. Che non aveva un briciolo di comprensione e commiserazione. E
dopo tutto quello che aveva sentito dire poco prima e per la prima volta da
quell’uomo, non era proprio il caso. E visto poi, che non si ricordava
niente di tutto quel casino che avrebbe combinato lui a Roma. Come
poteva spiegare e dire a cuore aperto: Papà, sono stato violentato e
malmenato per strada e adesso non ricordo più nulla? “Cribbio!” sbottò
tra i denti. Come poteva diglielo in quel momento così, alquanto
paradossale e ridicolo, ma in fondo reale. Quella schifosa verità poteva
anche traumatizzarlo, sapere che il figlio di un noto magistrato romano, si
era fatto inchiappettare per bene da quattro sconosciuti e per giunta
malviventi, appartenenti al clan della mafia. E per completare l’opera, alla
fine lui, suo figlio, li aveva anche ammazzati tutti e quattro come cani e
abbandonati là tra i campi della Calabria. E tutto questo sembrava
paradossalmente improponibile a un magistrato di quella portata ma,
purtroppo era ormai successo. Perciò a quel punto Mauro doveva essere
cauto ed evasivo al momento. Mentre cercava di collegare quelle novità
apprese da quel padre padrone, senza una fisionomia confacente. Di
un’immaginabile magistrato che sinceramente a lui, a quel punto gli era
alquanto indifferente. Da intuire e capire che in quel suo passato era
alquanto devastante e spropositato da fagli quasi paura da spiegare, in
quella recensione telefonica così difficile e oppressiva. Mauro sentiva
dentro di sé una forma di repulsione e timore a dialogare con uno
sconosciuto che diceva di essere suo padre. Per lui gli era al quanto
difficile d’accettare e comprendere quell’affetto che non c’era. Poi, capì
che al momento aveva altre cose più importanti da pensare. La sua
sopravvivenza sulla morte incombente, che lo preoccupavano veramente
tanto. Perciò, alla fine cercò di essere evasivo, ascoltando quella verità di
cose inimmaginabili per lui in quel momento difficile da apprendeva sulla
sua vita antecedente. Oltre le raccomandazioni e i rimproveri che il padre
gli stava esponendo con durezza. E visto che il figlio non rispondeva a
ogni sua domanda autoritaria, il signor Rossi stizzito esplose con severità:
164
< Perdiana! Ma tu, mi stai ascoltando? Figurati, che persino tua madre è
arrabbiatissima con te. Anzi, non voleva nemmeno che ti telefonassi, per
quello che hai combinato. E lo sai più che bene com’è fatta lei, si è offesa
per quello che gli hai procurato. Gli hai fatto fare una figura di... >
A quel punto Mauro esplose, dicendo a sua volta con freddezza: < Sì, so
perfettamente! Una figura di merda! Vero? > mentre al tempo stesso si
biasimava di essere stato troppo duro e proseguì a dire con una tonalità più
confacente al caso: < Comunque, scusami con la mamma, mi dispiace. Mi
farò sentire al più presto e vi spiegherò più avanti, arrivederci! > e
interruppe la comunicazione. Si era rotto veramente le palle di quelle
lagnanze spropositate. Forse più che giuste ma, lui in quel momento non le
sopportava proprio, pensando che era meglio così, altrimenti sarebbe
uscito di senno. Esploso! E dicendo poi, cose che si sarebbe pentito dopo.
Forse? Era troppo saturo di quell’infinità di cose che gli frullavano in testa
e s’accavallavano l’una sull’altra in continuazione. Emotivamente si
sentiva sconvolto, sebbene se non riusciva ancora a far collimare le sue
visioni del passato e in particolare con quella sua famiglia. Esposta da quel
padre autoritario che gli era così estraneo e che faticava a crederci. Poi,
quel fatto, che lui, non ricordava nemmeno il volto di sua madre, questo
era troppo da credersi vera nella sua smemoratezza e per di più così
demoralizzante, che in quella parte il suo subconscio si rifiutava a
identificare la sua stirpe altolocata. “Cose da non credere!” si domandava
continuamente tra sé, capendo che ormai era diventato un’altra persona e
solo in quel suo nome era la congiunzione in quella parentela. E in fondo
Mauro, pensava che alla fin fine, era meglio così, e quell’agiata famiglia si
scordasse presto e per sempre, di quel figlio menomato e per giunta un
killer assassino. Sì, era quello che desiderava in quel momento, ma al
tempo stesso era dispiaciuto di quel dialogo così freddo e ufficioso, avuto
con quel padre che sentiva di non avere dentro di sé e soltanto sui
documenti si ritrovava quel legame figliare. Poi, pensando a quella sua
fuga da quella fidanzata, quella Carla che lui non rammentava
minimamente e senz’altro c’era stato un motivo ben valido per fuggire
lontano. Impossibile che non avesse una minima visione di quella donna
altolocata, strano, molto strano? Pensò Mauro disorientato. Ma di più in
quello che l’aveva disorientato e sconvolto nel suo io. Il comportamento di
sua madre, che elargiva in quell’occasione la sua unica preoccupazione era
quella di aver subito una sfacciata figuraccia, di fronte ad alte personalità
della capitale... “Senz’altro, conoscenze del cavolo! Soltanto buoni a
165
ridere alle spalle degli altri” Sbotto furioso tra sé Mauro. Ma soprattutto
era la rabbia per il comportamento di una madre, che non si preoccupava
minimamente di sapere, come, e il perché quel suo gesto? Se stava bene o
male nel cercare un dialogo appropriato. Se amava veramente i suoi figli
come una vera madre, sarebbe corsa da lui, disposta a combattere per
salvare un figlio errante. Ecco? Era quello che Mauro avrebbe voluto
ascoltare da un padre e una madre vera. Invece quelle parole l’avevano
sconvolto nel profondo dell’anima e del suo cuore. Nell’apprendere che
sua madre non l’aveva attaccato a sé, neanche per i tacchi delle scarpe.
Capendo ancora che sua madre aveva messo al primo posta la sua
reputazione e quella della famiglia e non l’esistenza di un figlio finito in
qualche modo malamente. E a malapena capì che la sua fuga, era forse
dovuta proprio per quella mancanza di affetto e amore. E quella
supposizione, ora, diventava un altro dubbio che l’avrebbe assillato per
molto tempo. Ma a quel punto era veramente giusto dagli un taglio netto
con il passato e se doveva morire, non aveva rimorsi di nessun genere sulla
coscienza. E alla fine capì, che il suo io testardo, non voleva riaprire la
memoria sul passato. Non sapendo se era una buona cosa o cattiva, come
prospettiva per l’avvenire, e se ce ne fosse stata l’opportunità di scoprirla.
Poi, visto che incominciava ad innervosirsi ancora di più, cercò di
posporre tutte quelle domande che l’assillavano e aveva già accantonato
prima. Poi, il borbottio del tuono in lontananza, lo distolse da quei pensieri
retorici e petulanti. Abbastanza per fargli venire un gran mal di testa,
com’era sovente avere in quei giorni più che mai sfigati.
Mauro era lì, appoggiato contro il davanzale della finestra per assuefarsi
la frescura che non c’era in quell’aria greve, che regnava costante per tutto
il giorno e ora ormai notte, era ancora di più maggiore. Osservava con
interesse il saettare dei lampi in lontananza nella notte, a presagire l’arrivo
di un bel temporale, con la speranza che venga un acquazzone a smorzare
quell’afa così opprimente e irrespirabile, per non dire insopportabile a quel
punto. Mauro restò ancora un poco a scrutare l’orizzonte dalla finestra
spalancata, per far passare il più possibile l’aria che non c’era. Nemmeno
una piccola bava di vento esisteva al momento, tutto era calmo e pieno di
calore umido. Gli altri due erano talmente intenti al finale della partita, che
in quella foga verso la vittoria, si erano persino scordati del caldo che
incombeva e imperterriti continuavano a sudare copiosamente, come due
fontanelle stantie ma costanti. Mentre le bibite ghiacciate si esaurivano
velocemente. Frattanto Mauro senza volerlo, si ritrovò a riprovare ancora
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una volta a ricomporre quell’intrico e complicato mosaico alquanto
misterioso. E in tutti quei quesiti che si poneva, vi era sempre qualcosa che
non quadrava. Era diventato come un abile artigiano che dopo anni di
lavoro non riusciva più a far collimare per bene le sue ultime parti creative,
lasciandolo perplesso e confuso su quell’intarsio appropriato. Soltanto che
non sapeva e immaginava che qualcuno avesse sostituito dei pezzi
importanti al suo mosaico preferito, per farlo impazzire dalla rabbia.
Pensando, chi mai poteva aver architettato quel piano per mandare Andrea
in prigione? Forse aveva ragione il questore Gorelli di pensare che magari
era qualcuno che voleva ricattare quell’Antonino Trani, che era in fase di
espansione e il suo racket stava rompendo i coglioni a molta gente nel
meridione. Comunque Mauro era ormai persuaso che centrava qualcosa
anche quel Rottai. Quell'avvocato del cavolo a voler senz’altro trovare la
refurtiva per conto suo. Ma soltanto e presumibilmente erano in pochi a
sapere che in quelle valigie c’era la grana vera e non droga. Rimuginò
Mauro più che mai avvilito, per non arrivare a capo di qualcosa e pertanto,
al momento doveva soltanto stare all’erta e diffidare di chiunque. A
quell’affermazione mentale, subito Mauro si voltò e osservò attentamente
il poliziotto Stefano, Era intento a guardare la partita e all’istante Mauro
capì, che non era lui, l’infiltrato, mentre mormorava a fior di labbra: < Non
è lui, l’avrei capito subito quando qualcuno a qualcosa da nascondere e ha
del negativo addosso. No! Non è lui. Stefano non ha niente a che vedere
con questa storia, è solamente una piccola pedina che può essere
sacrificata facilmente, quando non serve più la si butta via. Questo è il
guaio! > Ma nello stesso istante Mauro captò uno strano segnale sotto la
sua pelle, qualcosa d’indefinito ma sentito. Vi era qualcosa che lo
preoccupava tremendamente mentre fissava attonito il giovane poliziotto.
Sentiva quasi visivamente che gli sarebbe successo qualcosa di grave a
quel ragazzone così gioviale. E in quella intuizione premonitrice ebbe un
brivido per tutto il corpo; era una sensazione di paura e sgomento in quella
percezione scaturita così dal nulla. Dove in quella mal celata cognizione
forse e anche esagerata da tutte quelle forti emozioni subite. Mauro cercò
di scacciare via quelle idee balorde d’addosso. Poi alla infine per cambiare
pensiero, si rivolse ai compagni dicendo: < Ragazzi, io vado a farmi una
doccia, qui si crepa dal caldo. In attesa che arrivi il temporale. Poi andrò
dritto a letto. Ormai è già la mezza... Buonanotte a tutti! >
< Notte, notte! > risposero in coro i due, senza staccare gli occhi un
attimo dal teleschermo.
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Capitolo ventiduesimo
Mauro stava per mettersi a letto avvolto dai suoi funesti pensieri,
quando l’urlo di sconfitta si era alzato unanime dall’altro lato in salotto e
capì che qualcuno dei contendenti aveva perso.
Mentre Andrea stava commentando animosamente con Stefano.
< Peccato! Proprio per un punto, avete perso la partita.
< Già, che scalogna! Se quella testa di cazzo non sbagliava quel
rigore, adesso... accidenti! Ma ci rifaremo… > sbottò Stefano annichilito,
mentre l’altro alzandosi gli diceva: < Be’, visto che sei rimasto fregato dal
terzino... era dalla parte dei vincitori. Peccato! Be', io vado per primo a
farmi una doccia sono fradicio di sudore, poi andrò a letto. Ciao! >
< Se non ti spiace io resto ancora un poco, vedrò i punteggi finali e
poi farò anch’io una bella doccia gelata per rianimarmi, aspettando che
arrivi questo benedetto temporale che continua a borbottare e non fa nulla
di buono, per rinfrescare un poco l’aria... Notte Andrea! >
Andrea si era fatto una sciacquata veloce, poi ancora tutto grondante
d’acqua ritornò in salotto e guardò Stefano seduto a cavalcioni della sedia
che aspettava gli ultimi resoconti e lo motteggiò sornionamente, dicendo
con fare scherzoso: < Be’, ancora lì, aspetti la rivincita?... Notte amico! >
L’altro si girò e se lo vide davanti tutto nudo e grondante d’acqua, da
farlo rimanere a bocca aperta, alla fine rispose: < Ah, sì, aspettavo la
rivincita. Ma cosa mi fai dire! E io che ci casco come un pero maturo. Be’,
buona notte! > mentre lo rimirava per bene, poi di colpo si riprese e sbottò
chiedendogli: < Ma per caso, non andrai a letto così bagnato, spero? >
< Già, è proprio quello che voglio fare! Stai a vedere... > mentre gli
scappava da ridere. E Stefano sconcertato gli rispondeva: < Ma dai, non
farai sul serio? Potresti prenderti una scarpata in testa... Be’, vai pure, se
sentirò degli urli, vorrà dire che l’operazione pelle bagnata è riuscita. >
< Puoi contarci, sento già il caldo contatto assieme all’urlo di Mauro.
Ah, che goduria! Notte amico! >
E solo dopo un istante Stefano senti chiaramente Mauro borbottare
dall’altra parte. < Ma cosa ti ha preso! Hai bagnato tutte le lenzuola. Ha,
sei il solito rompiballe! Ma pur sempre un amorevole amico. Dai mettiti a
dormire Andrea e non t’agitare come al solito... notte! >
< Io!? Ma se non fiato nemmeno per farti riposare in santa pace.
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Uhm, che brontolone sei... notte Mauro! > bofonchiò Andrea.
E tutto si fece silenzio nella casa. Stefano aveva già spento il televisore
preparato il letto e si stava spogliando, mentre ripensava a quegli amici
così giocherelloni, che lo stupivano continuamente per quella libertà così
sincera e spontanea che avevano addosso. Nemmeno nel suo corso da
poliziotto non aveva mai provato e capitato dei fatti così procaci da
turbarlo alquanto. Forse era soltanto un po’ d’invidia che provava nei
confronti di quei nuovi compagni di sventura, che liberamente girare nudi
per casa. In fondo gli piaceva quel loro modo di prendere la vita. Infine
con provata malizia si tolse i calzoni, slip e con una soddisfazione rimasta
nascosta, ma che in parte ne gioiva in quella libertà ritrovata. In quel
preciso momento si sentiva così bene. Poi, andò a farsi quella benedetta
doccia, tanto bramata e rilassante.
Stefano restò abbastanza tempo sotto l’acqua e non sarebbe più uscita da
tanto piacere che gli procurava quel liquido tonificante, che gli lambiva il
corpo con la sua frescura, quasi fosse l’abbraccio di un’amante possessiva.
E in quel momento Stefano, avrebbe voluto avere lì accanto una ragazza,
per placare la sua grande voglia d’amare. Quella voglia ch’era repressa da
molti giorni, per non dire settimane in quel periodo. E’ stato troppo
impegnato con il lavoro, che si era persino scordato che due giorni prima
aveva un appuntamento con una ragazza conosciuta in discoteca. E solo in
quel momento gli era ritornato alla mente quella sua dimenticanza,
imprecando più volte con sé stesso: < Porca puttana! Che testa di cazzo
sono stato, accidenti! Almeno potevo telefonare, scusarmi... > grugni tra i
denti, mentre sbuffava amareggiato, e cercava di reagire con una scusante
diversa, dicendosi da solo a bassa voce: < Oltretutto non avrei potuto
proprio andarci con quel testa di minchione di Narduzzi che mi rompe
sempre i coglioni! Poi in fondo e fors’anche non avrei neanche scopato...
Ma chi se ne frega! No, il fregato sono io, questa è la pura verità... Be’,
lasciamo perdere che è meglio... che stupido! > disse tutto annichilito a
mezza voce. Perché quella smemoratezza l’aveva fatto terribilmente
incazzare con se stesso, pensando che erano cose che non avrebbe dovuto
scordarsene, invece, patatrac! E adesso, come un povero somaro si era
trovato solo e per giunta smemorato di quell’invito che lui stesso aveva
proposto alla ragazza in questione. Trovandosi a quel punto con la bocca
più che mai amara. Alla fine uscì dalla doccia più incavolato che mai e si
asciugò malamente, ormai aveva perso in quell’appuntamento sprecato,
tutto il suo buonumore. Poi ancora avvolto nei suoi grevi pensieri, si avviò
169
scalzo nel corridoio, mugugnando su quella sua vita sentimentale più che
mai sfigata. “Accidenti, accidenti!” sbottò tra sé.
Stefano stava per superare la camera da letto dei due amici, quando
dalla porta spalancata per la calura, un fulmine illuminò per un attimo tutta
la camera e i due ragazzi a letto. A quella vista Stefano sì bloccò e rimase
lì impalato, più che mai sorpreso e stupito a guardare come un povero
deficiente inebetito, per quello che gli sembrava di aver visto. Mentre si
domandava più che mai sorpreso per quel fatto così nuovo: “No! Non può
essere vero?” Ma purtroppo era proprio così, un secondo lampo scoprì
quello che già aveva intuito in quella fuggente comparizione. Ma al tempo
stesso non ci credeva hai suoi occhi, mentre in lui era sorta una specie di
subdola curiosità più che mai sorda, da fagli sbarrare di più gli occhi e a
scrutare nel buio di quell’alcova. Aspettando con impazienza un altro
lampo, che non lo fece attendere in quella notte carica di elettricità e
tensione. Il chiarore fu breve ma, bastò a rischiarare per intero i due a letto,
teneramente abbracciati in un’affettuosa calma, quasi a voler far durare più
a lungo quella loro deplorevole unione.
Stefano era rimasto inconsapevolmente bloccato lì, a guardare sbigottito
e sconvolto. Si era appoggiato alla parete di fronte in una specie di trance
mentale, che lo bloccava in quel punto incapace di reagire e andarsene via.
Era stata troppo forte la sorpresa, che ancora stentava a crederci, mentre
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dentro di sé, una voce gli diceva: “Non sono affari che ti riguardano, e
ognuno a casa propria può fare ciò che vuole e fare all’amore con chi
vuole.” Mentre farneticava tra sé e sé vergognosamente, capendo che stava
comportandosi in modo assai strano e non corretto. Stefano pensava che
non avrebbe mai supposto e immaginato che quei due stessero facendo
l’amore così apertamente. “Sì, insomma quello che stanno facendo senza
pudore.” Ma, alle stesso momento e l’istante successivo Stefano si sentiva
compresso e eccitato, per quella vista che gli offrivano quei due amici
ignari della sua presenza. Era per lui una cosa tutta nuova e inaspettata, ma
al contempo vecchia come il mondo, e lo stava sconvolgendo talmente
tanto. Si trovò letteralmente disorientato e confuso, incominciava a sudore
copiosamente per tutto il corpo. Non riusciva a distogliere lo sguardo
d’addosso a quei corpi nudi e belli, abbracciati tra loro con amore e
tremendamente febbricitanti. Erano pieni di vitalità e la cui fame
sonnecchiava sotto la loro calda epidermide, pronti a scatenarsi in quella
notte che li avvolgeva nell’oblio dell’amore.
Stefano si domandava continuamente tra sé, più che mai confuso e
sconvolto da quel fatto così inaspettato e inimmaginabile poche ore prima.
Mentre capiva che non era giusto che restasse lì a guardare, quella mirabile
visione indecorosa. Ma allo stesso tempo quell’immagine d’amore
l’ammagliava così tanto da sconvolgerlo tremendamente. Sapeva che
doveva andarsene via per i fatti suoi, ma quali erano i suoi impegni o fatti
in quel momento? Che sinceramente aveva anche lui un tremendo bisogno
d’amare e d’amore, da sentirsi scoppiare dentro al petto per il gran
desiderio represso. Ma per un sacco di fattori negativi per lui, gli era
rimasto sempre molto poco o niente. E dover ricorrere ad espedienti
manuali, era una cosa che non l’attirava per niente e per poi trovarsi alla
fine con la bocca vuota e più amara di prima. Eppure, da notare, che alla
fin fine non era un giovane inesperto e fasullo e non proprio da buttare. E
molte ragazze gli avevano fatto capire più che bene, che aveva un fascino
devastante. Ma era diventato un caso così strano, che ultimamente gli
capitava purtroppo e molto sovente di rimanere troppo tempo a digiuno,
con dentro di sé una gran voglia di vivere e amare. Forse il tutto, era
aiutato dal buio della notte e si sentiva quasi al sicuro nel suo angolo a
scrutare gli amanti in calore. Partecipe nella fantasia di quell’amore che si
stava concependo tra quelle coltri bianche nella camera di fronte a lui. In
quel momento, Stefano capì che non trovava affatto ripugnante quella loro
171
unione, fors’anche dovuta alla simpatia che aveva ormai acquisito in
quelle poche ore di convivenza con quei compagni e si meravigliò per
quelle sue congetture difensive. E il tutto era dovuto forse, al fatto che lui
personalmente non aveva mai avuto pregiudizi sul comportamento altrui.
Perciò non gliene importava proprio niente.
Mentre imperterrito non riusciva ad allontanarsi da quel posto divenuto
infernale. Lui era rimasto lì, bloccato senza respiro, trattenuto a stento
dall’emozione eccitante. Sembrava stregato, a fissare costantemente quella
componente erotizzante, che gli veniva mostrata così liberamente, da
sentirsi avvolto e eccitato sempre di più.
Nell’ombra del corridoio Stefano, fu colto da tremori e spasimi
irrefrenabili, si sentiva perduto e amareggiato con sé stesso, ma non voleva
allontanarsi da quella inebriante vista che l’inchiodava al suo posto da
misero guardone. “Accidenti! Vorrei anch'io avere tra le braccia
qualcuno da amare baciare.” espose Stefano senza pudore, ma al tempo
stesso arrabbiato per il suo comportamento abbastanza sconveniente..
Mentre nella camera Mauro era rimasto fermo per un momento ad
ascoltare l'opinione di Andrea e alla fine borbottò scherzosamente a sua
volta. Capendo che quella situazione di stasi, in attesa della morte
imminente, li stava facendo impazzire entrambi. Ma allo stesso tempo,
cercavano di pensare e fare le cose più impensate che gli capitavano per la
testa. Forse per placare quella paura che incombeva costantemente su di
loro e fors’anche sfogarsi in quella voglia di godere all’inverosimile in
qualsiasi maniera prima della fine totale. Infine Mauro commentò: < Già a
questo siamo arrivati? Hai abbandonato le donne per me e abbiamo fatto
all’amore soltanto una volta e poi ricordo benissimo che tu mi hai detto:
“Ti amo!” E ora di già, mi dici che ami quel bel ragazzo moro, che sta
dormendo beatamente in salotto? Però, fai presto a cambiare bandiera.
Almeno, devo dire che hai dei buoni gusti... Be’, sincerità, per sincerità, ti
devo dire che anche io, sebbene volendoti tanto bene, farei altrettanto
l’amore con lui adesso. E alla fine vedremmo chi è il migliore di noi tre in
battaglia? > espletò il suo discorso con un bacio finale e appassionato.
Andrea si era messo seduto a osservare l’amico con un’espressione stupita,
ma gioviale e tra un lampo e un altro, guardava il viso maschio di Mauro,
mentre gli sfuggiva un sommesso grido di euforica gioia. Poi alla fine gli
domandò curioso: < Ma, veramente, tu lo faresti qui con me, insomma
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l’amore anche con lui. In tre? > espose.
< Ma certamente! E sai il perché?... Perché qui in questo momento,
sia tu che io, non lo faremmo per tradirci a vicenda, ma solamente per
aumentare la felicità di un compagno solo e abbandonato di là, in
circostanze non voluta da lui, ma imposte dal suo mestiere di angelo
custode e ligio ai propri doveri. Sacrificandosi per il paese e i suoi cittadini
in conflitto come noi. Poi, anche per il fatto che siamo sempre stati sinceri
tra noi due, in questo rapporto nato così per strane congetture inspiegabili,
e senza volerlo e saperlo ci sentiamo fedeli tra noi apertamente... >
< Ma, aspetta un momento Mauro. > lo pregò Andrea. < Tu, vorresti
farmi capire che noi; sempre supponendo che l’altra persona ci stia e
succeda quello che immaginiamo? Tu vorresti dire che non sciuperemmo il
nostro rapporto, ma al tempo stesso faremmo felice un altra persona? >
< Sì, perché, abbiamo recepito una reciproca fiducia tra di noi due.
Perciò vedi, che senza volerlo e involontariamente stavamo pensando la
stessa cosa, di fare l’amore con lui, in tre. >
< Immagina se fosse qui adesso, > provò a dire Andrea. < Deve
essere divino! > espletò ancora Andrea sorridendo, mentre sentiva
aumentare l’eccitazione di Mauro accanto, per le parole appena esposte tra
baci e carezze.
< Be’, sì, su questo hai ragione! Ma alla fin fine, bisognerà vedere se
l’altra persona ha gli stessi nostri desideri e idee anticonformiste e
asociali... Vero? Perciò, a questo punto, siamo arrivati al finale della nostra
bella storia d'amore a luci rosse. >
< Già, questo è più che vero. E’ troppo figo, per non dire etero.
Meno male che Stefano dorme di grosso e non ha sentito nulla di questi
nostri concetti sconci di ammucchiate perverse. Accidenti! Guarda un po’
in che cose strane e improponibili stiamo tirando in ballo. Non avrei mai
supposto di arrivare a tanto... m'ha! Comunque, tralasciando le avventure,
io in questo momento ti desidero tutto per me amore... > commento Mauro
accaldato e Andrea rispondeva:< Anch’io ti voglio tanto bene e ti desidero,
amore. > mentre gli si stringeva contro in un abbraccio pieno di passione.
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Capitolo Ventitreesimo
Ma, a un certo punto, sentirono un rumore sordo e un fruscio nel
corridoio e di colpo capirono cos’era stato. Si guardarono in viso sorpresi,
fra quegli abbagli di luce accecante che eseguivano i lampi ripetutamente,
nell’approssimarsi al loro sbocco finale. I fenomeni temporaleschi si
facevano più intensi e persistenti. Mentre fuori incominciava a cadere i
primi goccioloni d’acqua. Istintivamente Mauro e Andrea si alzarono dal
letto e in simultanea si recarono in salotto e trovarono Stefano accanto alla
finestra spalancata che fissava disperatamente il vuoto infinito all’esterno,
dove i fulmini illuminavano lo spazio aperto della campagna. Mentre rivoli
di lacrime gli solcavano il viso stravolto e muto. Stefano era scosso da
fremiti irrefrenabili, da far veramente paura e pensare al peggio, visto sotto
quella falsa luce di quei lampi abbacinanti e improvvisi. Per Mauro e
Andrea nell’essenziale momento capirsi al volo e subito tentarono un
approccio con il giovane sconvolto da quel dramma interiore. Mentre la
loro intesa era spontanea e intuitiva, come se i loro cervelli fossero in
sincronismo e riuscivano a tradurre i loro pensieri di sincera amicizia.
Si erano avvicinati a Stefano scosso da tremori incoercibili per la rabbia di
essersi fatto scoprire a quel modo. Farsi cogliere a curiosare e a godere
della loro intimità, quello era veramente grave e umiliante per il suo
decoro da militare e se ne rammaricava molto. Ma a quel punto non
serviva pentirsi, si sentiva un animale braccato e sconfitto. Alla fine
esplose in un pianto dirotto. Mauro gli passò il braccio attorno alla vita
senza pronunciare una parola. Dopo un momento Stefano si girò e
abbracciò fortemente i due amici che lo stavano baciando sul viso bagnato
dalle lacrime e grondante di sudore. Poi Stefano esplose quasi urlando,
sbottò ai due compagni al suo fianco: < Perdonatemi ragazzi, io... volevo
rubare un poco del vostro amore. Mi sentivo mancare e scoppiavo nella
solitudine, nell’impossibilità di amare anche io un poco. Perdonatemi se ho
osato tanto... > Mentre Mauro tentava di dire qualcosa e alla fine ci riuscì:
< Ti prego Stefano, non giudicarci dei malvagi pervertiti omosessuali, che
pensano solamente a godere fregandosene dei sentimenti altrui.
Quantunque, quello che abbiamo detto di là, su di te prima, è la verità! Ma
con ciò non è detto che tu la debba esaudire apertamente i nostri pensieri e
desideri. Sia ben chiaro! Tu, comprendi il nostro dramma Stefano. Vero? >
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Mentre da parte sua Stefano, era sempre più scosso da convulsioni e
singhiozzi di tensione e rabbia, più con sé stesso che con gli altri, alla fine
riuscì ad affermare di aver capito muovendo soltanto il capo. Mentre
Mauro cercava di esporre la sua opinione senza false ambiguità, dicendogli
pacatamente: < Sì, è vero! Noi siamo amanti... Ma tutto questo è stato, ed è
incominciato giorni addietro, per frapporre qualcosa di vero e tangibile al
sudiciume che mi avevano messo addosso... Insomma, per farla breve. Io
sono stato violentato, sodomizzato per bene, da... da quattro individui
libidinosi. Oltre che aver ricevuto un sacco di botte da farmi perdere la
memoria sul mio passato... > Mauro faceva molta fatica a ripercorrere quei
momenti drammatici, ma capiva che doveva farlo; oltretutto se ci riusciva
era anche per il bene suo, a superare quella dura prova. Anche Andrea
confermò quel fatto, dicendo a sua volta: < Io l’ho visto com’era sconvolto
e amareggiato della vita per quell’umiliazione subita, ma al tempo stesso
tenace a volersi togliere d’addosso quel lezzo infame. >
Mentre Mauro riprendeva a dire: < Sì, è vero. E devo ringraziare lui, >
rivoltosi ad Andrea con un sorriso, poi riprese: < E lui sta cercando con il
suo amore di cancellare dal mio corpo e dalla mia anima, ciò che mi hanno
lasciato dentro quei maiali. D’altronde, è inutile che cerchi una scusante
per ciò che abbiamo fatto e detto prima. Forse è soltanto una nostra forma
di egoismo, nel voler arraffare il più possibile, affetto e amore, tutto questo
è soltanto un diversivo. Perché, sappiamo più che bene entrambi che forse
molto presto dovremo morire e allora volevamo godere ancora un poco
della vita. Forse è un modo sbagliato ma, al tempo stesso abbiamo per caso
scoperto l’amore. Capisci ora, il perché di tutto questa sporca storia? Ecco,
ora sai tutto Stefano. E adesso, se vuoi puoi prenderci anche a calci in
faccia, se questa nostra omosessualità nata così per caso e in circostanze
così avverse, ti potrebbe infastidire e sconvolgere tanto. >
Per un lungo momento erano rimasti in silenzio, aspettando che il
giovane poliziotto dica qualcosa, almeno che li mandi al diavolo entrambi.
Poi, alla fine Stefano con voce roca e tremante dall'emozione rispose ai
compagni in attesa.
< Sinceramente, faccio molta fatica a capire. > borbottò Stefano tra le
labbra, assai confuso. < Ma cosa importa con chi fai l’amore se lo fai
veramente con il cuore e con l’anima. E ciò che ho visto prima, era amore
vero e non fasullo. Prendetemi con voi, l’ho desidero tanto in questo
momento, ragazzi. Desidero il vostro amore! Desidero essere baciato tutto,
come dicevate prima e di baciare a mia volta voi, vi prego, fatelo? >
175
E negli attimi successivi si trovarono tutte tre stretti e avvinghiati in
un’unica cosa sola, mentre nell’aria si formò un grande silenzio
premonitore di grandi eventi. Si sentiva soltanto dei respiri anelanti, ma di
più erano accentuati i battiti dei loro cuori in un grande subbuglio, che si
trasmettevano in quel contatto di corpi sudati e eccitati. Così appiccicosi e
mescolati tra loro in un nuovo e sconcertante piacere. Poi, un fulmine che
si abbatté a pochi metri dalla casa, seguito in contemporanea dal grande
botto secco dello scoppio, li fece serrare più strettamente tra loro, in quel
attimo di paura abbagliante. A quel punto non servirono scusanti in parole,
ma soltanto seguire la via che indicava i loro cuori. E senza nemmeno
saperlo si trovarono distesi su quel letto dei desideri auspicati, sudati e
spogliati di ogni cosa o pensiero remoto, dove solo il loro reciproco amore
si stava concependo. Mentre si stavano rimirando a vicenda con bramosia
e voluttà, sembravano dei dell’olimpo nel fulgore della loro bellezza e la
loro epidermide levigate dal sudore brillavano sfolgorante alla luce di quei
lampi impetuosi e contendenti tra loro.
Il vento s’insinuò turbinando nella casa e fuori incominciò a diluviare.
Mauro fu il primo ad uscire da quel torpore di lussuria e bofonchiò
qualcosa ai compagni. < Restate pure tranquilli, io vado a chiudere le
imposte. > e si alzò deciso, mentre una smania di dolcezza l’invase
accarezzando i compagni. Poi lì guardò ancora un attimo mentre
s’allontanava da loro e si rese conto di essere felice in quel momento così
magico. Loro due si erano avvicinati e si baciavano dolcemente con
trasporto. Mauro in quel momento capì che quelle effusioni non
l’infastidivano affatto, anzi ne gioiva per loro, perché sapeva più che bene
che si trovava ancora platonicamente tra loro.
Mauro stava fissando l’imposta della finestra nella camera che sbatteva,
quando qualcosa attirò il suo sguardo e richiamò la sua attenzione. Vide la
piccola luce di un accendino che brillò nell’interno di un’auto oltre la
strada, infilata un una stradina di campagna tra due filari a siepe di Acacie.
E in quel momento pensò che forse era una coppia d’innamorati che si era
appartata a pomiciare. Poi improvvisamente un fulmine illuminò la
vettura, e Mauro gli sembrò di notare che all’interno dell’auto scura vi era
più di una persona, sebbene lo scrosciare dell’acqua era intenso e forte.
Perciò, provò a farsi delle stereoscopiche congetture, era impossibile? Non
potevano essere due amanti, o quella sera tutti facevano all’amore in tre,
come loro, appena prima. Era veramente paradossale? Ma al tempo stesso
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pensò anche alla sorveglianza della polizia che di nascosto vegliava su di
loro. Comunque, si ricredette di quella supposizione, immaginando che la
polizia italiana non adoperi vetture di lusso, per fare degli appostamento
come in quel caso e gli scappò di dire a voce alta: < Mi sembra
impossibile! > sbottò inavvertitamente.
Mentre alle sue spalle la voce di Andrea gli domandava. < Cos’è
impossibile Mauro? >
Mauro per evitare spaventi inutili al momento, rispose deciso: < Mi
sembra impossibile, che faccia ancora così tanto caldo. > e chiudeva la
finestra, mentre dentro di sé, incominciava a sentire dei brividi gelati che
percorrevano il corpo. Mentre stava accentuando quella sua sensazione di
pericolo, mettendolo sulle difensive. Per un momento gli sembrava che era
passato molto tempo, da quando aveva subito quella violenza e aveva
ucciso quei criminali, ma ora di colpo tutto riaffioravano velocemente a
galla, capendo che ormai si apprestavano a pareggiare i conti. Poi cercò di
pensare a altro, perché non voleva in quel momento di per se romantico,
fosse guastato da un’altra disgrazia e sapendo più che bene, che quel bel
sogno d’amore appena concepito, non si sarebbe mai più ripetuto in futuro.
Perciò non intendeva sciuparlo. Ma al tempo stesso sentiva crescere in lui
quell’orgasmo d’apprensione che lo metteva a disagio e essere guardingo
contro tutto. Ormai sapeva, che fin quando avrebbe seguito il suo istinto a
fiutare il pericolo in tempo, forse si sarebbe salvato e con lui anche
Andrea, questo era ormai scontato.
Mauro a quel punto pensò ch'era meglio lasciare da parte il divertimento e
pensare più seriamente al presente e all’avvenire se voleva campare un po’
più a lungo. Così, usci dalla camera e si avviò nel salotto per controllare
quell’altra finestra e a sistemarla con i chiavistelli. Alla fine voleva quasi
dire a Stefano che c’era qualcosa di sospetto la fuori, ma tornando in
camera, trovo che i due amici erano intenti in un dolce approccio fatto di
baci e carezze, che non volle sciupare quel momento. Con qualcosa che
magari era soltanto un’avvisaglia di un buco nell’acqua. Pertanto, disse
solamente ai due compagni. < Ragazzi, io vado un momento di sotto in
casa della signora, a vedere se è tutto chiuso, altrimenti con l’acqua che
viene giù adesso si allagherà la casa. > E velocemente uscì, nudo com’era
e si buttò sotto quell’acquazzone che lo investì furiosamente.
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Capitolo Ventiquattresimo
Mauro fu obbligato ad afferrarsi alla ringhiera per non scivolare sui
gradini a piedi nudi, mentre l’acqua gelida gli sferzava la pelle, facendogli
scuotere di dosso ogni pigrizia rintanata. Scivolò giù per le scale silenzioso
e deciso, cercando di riordinare per bene le idee in testa. Mentre il vento e
l'acqua lo scuotevano con violenza da fermare quasi il respiro, oltre che
annebbiandogli la vista. Mentre tentava di ripararsi gli occhi con le mani e
alla fine giunse accanto alla porta di ferro. Stava per aprirla per guardare
fuori se quell’auto era ancora al suo posto. Quando sentì fra lo scrosciare
d’acqua, il rumore di un’auto che s’avvicinava alla casa a fari spenti.
Mauro ebbe un momento di panico a non saper bene cosa fare, poi aspettò
un attimo ancora e ascoltando i rumori all’esterno. Ma gli era difficile
capire in mezzo a quel diluvio universale. Senti sbattere la chiusura di due
portiere d’auto e a quel punto capì, che qualcuno sarebbe venuto a bussare
molto presto. Mauro velocemente s’infilò nel sottoscala e al tempo stesso
fu contento che aveva dei fori sotto i gradini, così poteva vedere chi
entrava dalla porta di ferro che dava in strada; ammettendo che sarebbero
entrati da quel lato con le chiavi per aprirla. E proprio in quel momento
senti girare la chiave nella serratura rumorosa e aprirsi di colpo la porta
cigolante. Due ombre entrarono nel cortile, proprio mentre un fulmine
illuminò i due nel vano della porta. Mauro fu sorpreso ma, allo stesso
tempo ebbe un momento di sollievo vedendo il tenente Narduzzi
richiudere la porta. Rammentando che solo la polizia poteva avere avuto le
chiavi dalla signora Prospero. Il tenente era accompagnato da un uomo alto
e corpulento con un cappellaccio in capo che lo riparava dall’acqua. Mauro
osservando quest’ultimo che non conosceva per niente e ebbe un perplesso
dubbio. Lì vide entrare e portarsi contro il muro per ripararsi un poco dal
temporale. Erano tutte due in borghese e Mauro stava quasi per uscire e
chiedere se avevano visto quell’auto appostata nella stradina di campagna.
Ma la voce sommessa e decisa del tenente, lo fece fermare bruscamente ad
ascoltare ciò che diceva all’altro, quatto, quatto, da insospettirlo alquanto.
< Tu rimani qui. Occhi aperti e non farti scappare nessuno, intesi! >
< Non ti preoccupare! Tu fai solo presto, sai che verranno a prenderci
la merce tra un’ora. E io non voglio finire in fondo al mare con una pietra
al collo, se qualcuno sbaglia ancora e non consegniamo la merce al posto
178
giusto. Hai capito bel tenente! > mormorò quell’altro con voce baritonale.
< Stai tranquillo! Io salgo e mi farò dire da quei bastardi la sopra
dov’è nascosta la valigia? Sono sicuro che è nascosta bene, qui da qualche
parte. > Borbottò Narduzzi mentre saliva rapidamente le scale.
Mauro maledì la sua scempiaggine, a non aver capito prima in quella
sua repulsione per quel bastardo di Narduzzi. Era lui la talpa ricercata?
M’ha, a quel punto cosa poteva fare? Aspettare che ammazzi a sangue
freddo quei due di sopra, che in fondo non sapevano proprio niente, oppure
tentare il tutto per tutto? Mentre si agitava come una belva in gabbia a
cercare una soluzione che in quell’attimo non gli veniva per niente fuori.
Mauro era ancora sotto shock di quelle frasi appena sentite ma, non voleva
per nessun motivo restare lì e aspettare che Narduzzi lì ammazzi come
cani. E pensò che forse avrebbe avuto un poco di tempo in più a
disposizione per agire, mentre Narduzzi aspettava che Andrea si decida a
parlare, indicando dov’era nascosta la refurtiva. Soltanto che lui al
momento non poteva intervenire con quel gorilla appoggiato al muro e
sistemato sui primi gradini della scala e con un cannone in mano pronto a
sparargli contro, se solo si muoveva. Poi un lampo illuminò quel sottoscala
e Mauro vide di sfuggita un badile appoggiato al muro. Fu così veloce e
deciso che non capì nemmeno lui com’era successo. Afferrare quell’arnese
e uscire di scatto, vibrandolo con forza sulla fronte dell’altro, ed è stato
tutt’uno l'impatto. Mentre l’energumeno, aveva ancora lo sguardo rivolta
verso l’alto, a guardare la porta dov’era entrato in quell’attimo il tenente
Narduzzi. Ebbe solo il tempo di sbarrare gli occhi e poi si udì uno
scricchiolio di ossa rotte, mentre quello cadeva a muso sotto nel cortile,
rimanendo mezzo sepolto da un buon venti centimetri di acqua piovana.
Soltanto che nell’impatto piroettò su sé stesso e l’arma che teneva in mano
gli volò lontano e sparì al centro del cortile pieno d’acqua. Mauro capì
subito che gli era impossibile recuperare quell’arma velocemente. Allora
pensò di correre sopra e poter arrivare in cucina prima che il tenente
s’accorga di qualcosa, e recuperare la pistola di ordinanza di Stefano
lasciata appesa alla sedia. Corse su velocemente, con la paura nel cuore di
arrivare troppo tardi, per salvare quei compagni di sventura. Fece tre
gradini alla volta e due volte scivolo con i piedi scalzi sul granito bagnato,
mentre imprecava furiosamente tra sé, infine arrivò alla porta rimasta
socchiusa e sperando che in quel momento non ci fosse un lampo da
illuminarlo per bene. Riuscì ad entrare silenzioso nel corridoio, in quel
momento buio pesto e cercò di mettere a fuoco la sua vista, perché oltre al
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buio aveva tutta l’acqua che gli colava dalla testa annebbiandogli la
visuale. Poi, con circospezione si portò rapidamente verso la cucina,
evitando di scivolare sulle mattonelle che lui bagnava gocciolando in
abbondanza. Mentre era attento ad afferrare ogni piccolo rumore, sentì
chiaramente fra i tuoni e lampi due, Pluf! Pluf! Spari attutiti dal
silenziatore provenire dal salotto. Mauro imprecò tra i denti e cerco di
raggiungere la cucina, prima che Narduzzi esca dal salotto. Ma al tempo
stesso Mauro sperava che al buio, quello avesse sparato a delle ombre sul
divano vuoto e non veramente a qualcuno. Riuscì a trovare la sedia
dov’era appesa la fondina, prese di volata la pistola di Stefano, mentre
sentiva delle imprecazioni provenire probabilmente ora dalla camera da
letto e lui, ritornò rapidamente in corridoio rasentando il muro e accanto
alla camera si appostò meditando in fretta. Mentre imprecava tra sé e sé,
per avere ancora una volta un’arma in mano, e essere costretto ad usarla
nuovamente.
Tra un lampo e un’altro Mauro riuscì a vedere dal riflesso sul vetro della
porta l’interno della camera. E ciò che vide e sentì non gli piacque affatto.
Il tenente era entrato e si era messo con le spalle alla finestra per non
essere abbagliato dai fulmini nel tenere tutto sotto controllo anche la porta,
mentre apostrofava sgarbatamente contro i due sorpresi nudi e abbracciati
a letto: < M’ha, guarda un po’, ‘sti fetosi culattoni! > sbraitò Narduzzi
beffardo. < Allora di là era quel culo rotto del Rossi che ho sistemato per
sempre... Be ‘ poche storie dov’è la merce signor Prandi? > stava
domandando Narduzzi ai due spaventati a morte, mentre loro tentavano di
coprirsi un poco con il lenzuolo. Ma al tempo stesso anche il tenente era
sorpreso e incazzato per aver già sbagliato a supporre. Mentre Stefano
tentava di chiedergli delle spiegazioni: < Ma, tenente! Cosa fa’ e perché ci
punta addosso quella pistola? Cosa vuole da noi? >
< Tu fai silenzio, sei già morto! > e sparò un colpo, colpendo la mano
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del sergente, che urlò dal dolore: < Che bastardo figlio di puttana! Allora
siete voi la talpa che si cercava in questura... Ohi! >
Mentre il tenente lo ignorava e continuava a impartire ordini ad Andrea,
urlando con rabbia: < Questi sporchi culattoni!... Be’, poche storie, dov’è
nascosta la valigia? Parla! Ho vuoi che oltre la mano gli faccio saltare le
cervella al tuo amante? beh’, che schifo ‘sti froci! E pensare che prima di
là, quando ho sparato supponevo ch’eri tu Nardelli del cazzo! Mi sei
sempre stato sui coglioni! E invece ho fatto secco quell'avvocatuzzo di
merda! Quel Rossi era soltanto uno stronzo sbruffone. Lui e i suoi cavilli
giuridici... Be’, ci vogliamo sbrigare a parlare stronzetto! Dove hai
nascosto la merce, parla? Cullatone di merda! > mentre agitava la pistola
con nervosismo e aveva gli occhi rossi di collera.
Andrea, era rimasto muto e spaventato sino a quel momento, poi
spronato dal tenente rispose dicendo confusamente: < Ma di che merce e
valigia parla... io non ne so niente? >
A quel punto Mauro capì che era soltanto questione di secondi e poi
quando Narduzzi avrebbe capito che lui non sapeva proprio niente, e per la
rabbia di essere stato bidonato una seconda volta, li avrebbe fatti fuori
egualmente. Perciò Mauro, pur avendo di fronte Narduzzi che impugnava
una pistola pronto a far fuoco, decise di tentare e si presentò dentro la
camera, accendendo la luce di colpo. Mentre teneva la pistola dietro la
schiena e rispondeva con finta calma al tenente, rimasto abbagliato dalla
luce e stupito di vederselo ancora vivo davanti e per giunta nudo, oltre ad
essere tutto inzuppato d’acqua, da sconcertarlo per un attimo a pensare
come mai? Mentre Mauro con finta calma gli confermava: < Perché,
tenente non lo chiede a me, dov’è finita la refurtiva? E’ quella vero, che
cerca per i suoi amici mafiosi siciliani? Oh, magari bidonarli un’altra volta
per consegnarla a quel Rottai di merda, suo complice? >
Vi fu un attimo d’esitazione, poi un urlo di rabbia uscì dalla gola del
tenente che cercò di spostare la mira dai due a Mauro per avere la meglio e
obbligare anche quello a parlare. Ma si accorse troppo tardi che anche
Mauro era armato e allora premette il grilletto, ma purtroppo un secondo
dopo che Mauro gli aveva sparato un colpo decisamente in fronte con tanta
determinazione e cinismo. La pallottola sparata dell’arma del tenente si era
conficcata nel legno della porta, a trenta centimetri dal giovane Rossi. Al
contempo il tenente senza emanare un grido cadeva bocconi sul pavimento
e la sua pistola scivolava via, finendo sotto il letto. Tutto si svolse in una
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frazione di secondo, frammisto al frastuono che incombeva fuori da far
tremare anche i muri, fra tuoni e saette, sembrava veramente giunta la fine
del mondo.
Stefano tutto spaventato e smunto in viso, si stringeva la mano
sanguinante, la pallottola gli aveva lacerato la carne sotto il mignolo
sinistro; per fortuna senza toccare le ossa, mentre si stava ancora
domandando il perché: < Ma cosa gli ha preso quello...? Io ho lasciato la
mia pistola in cucina... Ohi, oh! Che male! > si lamentava il giovane
poliziotto in quella confusione di paura e terrore di aver visto la morte
davanti agli occhi. < Ma proprio lui? Cazzo! Cosa ci sta’ capitando? >
farneticando in continuazione senza fermarsi un attimo.
Mauro, si riprese subito da quel dramma, pensando anche al dopo e che
senz’altro c’era qualcun'altra persona sull’auto e perciò doveva sbrigarsi a
controllare. Perché se avrebbero sentito qualcosa, sarebbe stato poi,
difficile sfuggire alle grinfie della mafia. Ma comunque la guerra era
iniziata e bisognava ormai continuare la battaglia, in quella partita
disputata per la sopravvivenza. Perciò con determinazione prese in mano
le redini della situazione, dicendo ai due spaventati a morte e dovette quasi
urlare per farsi ascoltare: < Dai, Andrea! Vai di la in bagno a prendere delle
bende per fasciare la sua mano, ma non accendere la luce, intesi! Dopo vi
spiegherò tutto, ma ora state buoni e zitti, capito! > Mentre accendeva
l’abatjour e spegneva la luce in alto. < C’è di sotto ancora qualcuno che ci
aspetta per farci fuori. Perciò, fate quello che vi dico e nient’altro, intesi! >
sbottò deciso. Mentre Andrea andava di là senza fiatare e Stefano asseriva
con il capo, rincretinito da quel dramma appena vissuto. Mauro si era
abbassato a recuperare la pistola del tenente, quella aveva il silenziatore e
gli poteva servire meglio, mentre controllava il caricatore s’era pieno e si
sentiva abbastanza preoccupato per quel suo sangue freddo, ad agire così,
con distacco e determinazione. Poi tralasciò quei pensieri inutili in quel
momento e si dedicò ai due amici sconvolti tremendamente. < Stefano, ti
prego stai calmo. Appena Andrea ti avrà fasciato la mano vestitevi, senza
far rumore, capito? Io scendo da basso e speriamo che abbia ancora un po’
di culo, per non dire fortuna... > mentre Mauro spariva nel corridoio
rapidamente. Poi mentre infilava la porta d’uscita, sentì solamente l’ultima
frase di Stefano che spronava Andrea: < Dai fai presto per favore... mi sto’
dissanguando tutto! > piagnucolò spaventato.
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Mauro nel frattempo era scivolato giù per le scale come un avvoltoio,
ormai troppo carico di rabbia e disgusto di sé stesso. A quel punto non gli
importava più niente, anche di morire pur di farla finita una buona volta
per tutte. Pensando ancora, se era veramente giusto quello che aveva fatto
e stava per fare in quel momento, ammazzare la gente? Gli sembrava di
rivivere in uno di quei film gialli alla Hitchcoct dove lui, nolente o no, era
l’interprete principale. Ma era arrivato alla porta di ferro e tutti quei
pensieri svanirono via, rimanendo soltanto da fare il suo dovere da buon
cittadino. “Ma era poi vero?” si domandò restio. Poi scacciò dalla mente
quella prosopopea teatrale e si concentrò sul da farsi. Aprì lentamente la
porta e sbirciò fuori. L’auto era stata parcheggiata a ridosso il muro della
casa già girata e pronta per partire, avvolta dall’acqua che scrosciava giù a
più non posso. All’interno Mauro intravide una persona che si stava
fumando una sigaretta tranquillamente. Mauro pensò che con quel
temporale e con i vetri chiusi non aveva sentito proprio niente e senz’altro,
quello era più che sicuro del lavoro fatto dai suoi complici. Mauro a
carponi si avvicino cauto all’auto per non essere visto dal guidatore della
vettura. Poi, afferrò la maniglia della portiera e la spalancò di colpo,
prendendo alla sprovvista l’autista che si stupì facendogli cadere la
sigaretta dalla bocca. Mentre Mauro gli puntava la pistola alla tempia,
dicendogli con una tonalità decisa, per non dire arrabbiata: < Non fare una
mossa o sei morto! > e quello desistette nell’abbassarsi e prendere
senz’altro un’arma sotto il sedile. Poi Mauro, con determinazione
domandò: < Non fare il furbo, amico! E rispondi chiaramente e alla svelta.
Chi è che vi manda? > mentre gli pressava la pistola alla tempia. L’altro
tentava di girarsi verso di lui, mostrando un ghigno strafottente a
dimostrare che non era per nulla spaventato. Forse già abituato a certe cose
nel suo mestiere da killer. Poi visto questo tutto nudo e bagnato, con la sola
pistola in mano, gli scappò quasi da ridere, in un ghigno sadico e
malvagio. Avendolo al tempo stesso riconosciuto e in fine, motteggiò
Mauro: < Ma tu cosa centri e cosa fai in questo posto? Poi, vai sempre in
giro nudo, per farti rompere ancora un’altra volta il culo. Già rotto da noi
sull’autostrada? Peccato che ho dovuto smettere sul più bello per l’arrivo
della pula... Però che spasso incularti stronzetto... > ma non finì la frase,
perché Mauro ebbe un impeto di rabbia, e gli mollò un tremendo colpo in
faccia con il calcio della pistola, facendolo urlare e sanguinare, mentre lo
minacciava: < Questo è solo l’anticipo per aver banchettato con il mio
culo, chiaro! E se ti può schiarire le idee a non fare il fesso con me. Devo
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farti presente che i tuoi quattro compagni di banchetto, lì ho ammazzati io.
E se non parli li seguirai al più presto, mi sono spiegato? > ma al contempo
si obbligò a calmarsi, prima voleva qualche informazione in più. Mentre
capiva e si rammaricava, venendo a sapere che in quella serata balorda
erano in cinque a divertirsi col suo sedere. Poi decisamente gli riproponeva
la domanda, sorvolando per il momento la spiritosa battuta dell’altro
povero deficiente ignorante. < Ora muoviti a parlare. Se ti stanno a cuore i
tuoi gioielli tra le gambe? Che ne dici, se te li spappolo e poi, te li faccio
ingoiare? Rispondi! Chi vi ha mandato qui? >
E l’altro alla fine più che mai convinto, rispose: < Anche se te lo dico,
non ti servirà a nulla. Ti troveranno ovunque e allora non ti spaccheranno
soltanto il culo, ma del tuo corpo si faranno un bel tappeto per la stalla... >
< Tu non ti preoccupare del dopo, e di chi cercherà di spaccarmi il
culo ancora! Ora prova a sputare dei nomi, sai che non ho molto tempo da
dedicare a te. Se non vuoi ingoiare le tue palle, chiaro? >
Dopo un attimo di esitazione, quello riprese a dire: < E’ mister Boston a
voler la sua merce e tu c’è la darai bastardo! Te e il tuo avvocato di merda,
quel Rottai... > mentre sputava sangue dalla bocca e continuò a dire: < E
non ti servirà a nulla scappare ti ammazzeranno come un cane! >
< Vedi, io gli darei la merce. Ma chi mi assicura che poi voi, non mi
darete la caccia? E dimmi un po’ cosa centra Narduzzi in questa storia...
lasciami indovinare è uno che tiene i piedi in due staffe, vero? Mentre gli
pressava la pistola sul viso, a convincerlo di quella presenza metallica.
Infine quello disse, mentre lo rimirava per bene, Mauro sotto l’acqua
che veniva giù a più non posso: < Perché, tu l’hai già sistemato per le feste
quel lecca culo di merda, vero? Però sei svelto di mano e ci hai levati uno
stronzo di torno, ci faceva soltanto comodo perché era dentro la questura.
Ma faceva troppo bene il doppio gioco... Be’ che ne dici, vuoi venire con
noi “gli intoccabili” qui pagano bene e un tipo svelto di mano come te, fa
molto comodo a mister Boston... > mentre cercava di essere più pratico e
consenziente. Poi aveva notato che Mauro si era un attimo distratto a
pensare e con l’acqua sugli occhi, quello cercò di prendere la pistola sotto
il sedile e quasi c’era riuscito ad averla in mano, ma Mauro fu più veloce.
Partire un colpo solo e quello si accasciò sul sedile, mentre un rivolo di
sangue gli usciva dalla tempia sinistra forata dal proiettile.
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Mauro richiuse lo sportello e come un automa ripercorse il percorso in
senso inverso, entrò in camera e trovò Stefano seduto sul letto mezzo
vestito, con la sua pistola nella mano sana e pronto a far fuoco dalla
tensione e shock che aveva addosso. Mentre Andrea seppur spaventato era
un po’ più sveglio e loquace, e terminava di fasciargli la mano ferita e gli
parlava per confortandolo un poco. < Non ti preoccupare, vedrai che andrà
tutto a posto, il commissario capirà la situazione e... >
< Proprio un bel niente capirà! > sbottò Mauro. < Lui è dentro fino al
collo! Per favore Stefano abbassa quel cannone, sei troppo scosso e
potrebbe scapparti un colpo. Comunque, vi spiego velocemente il perché
lui è fregato. Per il semplice fatto che in questura Narduzzi, avrà senz’altro
sistemato per bene tutte le cose, per incastrarlo a dovere... > mentre
indicava con la mano il giovane ferito. < Stefano risulterà sicuramente la
talpa, che estrapolava fuori le notizie riservate dalla questura. E tu Andrea
eri quello che seguivi quelli sull’autostrada e poi hai fregato la loro merce
come complice di altri. E quel figlio di puttana di Rottai, senz’altro sa tutto
di noi e avrà predisposto un suo piano in caso di guai diversi. Perciò a
questo punto siamo un po’ tutti inguaiati. Nella merda! E poi ora c’è anche
il fatto che proprio con la sua pistola, io ho sistemato quel testa di cazzo! >
indicando il cadavere del tenente. < Perciò, dalla perizia balistica, risulterà
che tu lai fatto fuori, perché sei stato scoperto dal tenente. Tu eri in
combutta con la mafia siciliana. Sei la Talpa. Chiaro ragazzi! >
< Chiaro un bel niente? Io non ci capisco proprio niente, > sbottò
Stefano sempre più stupito. E continuò: < Ma, tu Mauro allora cosa centri
in tutti questo casino, che sinceramente non riesco a capire un accidenti,
oltre le stronzate, che mi aveva riempito la testa Narduzzi? > mentre lo
indicava la a terra con ribrezzo, tentando di non vederlo.
< Caro Stefano, > lo sollecitò Mauro. < Io sono il cattivo di tutta la
faccenda. Sono quello che ha sistemato quei quattro dell’Alfa 164, e Rottai
questo l’avrà supposto, scoprendo che i suoi uomini sono stati ammazzati
tutti... > e vedendo che Stefano sgranava gli occhi, si spiegò meglio.
< Io ho ammazzato quei quattro killer, mentre quelli stavano per
giustiziare lui, Andrea, il testimone scomodo... > e Andrea approvava con
il capo e si stava sbiancando in viso al solo pensiero. Poi Mauro cercò di
spiegare e riassumere velocemente tutta la questione.
< Comprendete ora ragazzi, come siamo inguaiati per bene tutte tre. E
ora abbiamo anche questi tre cadaveri da far sparire al più presto? >
< Come, tre cadaveri? > chiesero quasi in coro Stefano e Andrea.
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< Già, tre! Con il tenente c’erano altri due mafiosi e purtroppo li ho
sistemare a dovere... E ora bisogna escogitare un piano velocemente, se
vogliamo salvarci la pelle? E non scherzo, ragazzi! Dobbiamo alzare le
chiappe e alla svelta, senza lasciare traccia a chiunque. >
< Ma se spieghiamo per bene tutta la storia al commissario Rizzi,
quello capirà e ci aiuterà in qualche modo? > contestò Stefano confuso e
tutto tremante. < Capite, bisognerà fare in questo modo, fidarsi della
giustizia. Narduzzi a tradito il corpo di polizia... >
< Sì, ti capisco Stefano. Il tuo ragionamento fila. Ma Narduzzi ti ha
incastrato, poco ma sicuro. E devi anche pensare che quelli della mafia
siciliana e precisamente quel mister Boston, non la pensano a questo
modo. E oltre a voler la loro merce vogliono vederci morti per avergli rotto
le palle e ammazzato i suoi killer. E lo sapete più che bene che chiunque
per un pugno di soldi ci farebbero secchi con piacere, mi sono spiegato!
Quelli non mollano anche se ci troveremmo sotto la protezione della
polizia. Sperando che ci credano prima? > Mentre Mauro si stava vestendo
continuava a parlare. < Comunque vada a finire la questione, ragazzi noi ci
lasceremo la penne, così si vuol dire. E se voi avete fiducia in me, io avrei
una piccola soluzione per salvarci la pelle? Ma comporterà un enorme
sacrificio da parte nostra. Se siete disposti ad accettare le conseguenze, si
potrà fare. Altrimenti a questo punto so’ per certo che saremo vittime delle
circostanze. E non per fare l’uccello del malaugurio, ma è la realtà
incombente. A questo punto sta’ a voi decidere, io non discuterò e fiaterò la
vostra proposta, qualunque essa sia. >
Vi fu un momento di esitazione e poi sia Andrea che Stefano si
guardarono in viso e risposero convinti: < Okay, siamo con te! Che vada a
finire come vuole. Tentiamo la sorte, se vogliamo vivere ancora un po’. >
< Va bene ragazzi! Ma ora sbrighiamoci e vestitevi alla svelta e
aiutatemi a trasportare Narduzzi, assieme ai suoi due complici e poi me la
sbrigo io a portarli lontano, perché, da quel che ho sentito questi avevano
un appuntamento con altri sicari per consegnare la merce. >
< M’ha, a proposito, > sbottò Andrea chiedendo. < Di che valigia
stava parlando quello? > indicando Narduzzi con una certa repulsione.
< Quella valigia, piena di droga... > spiegò Mauro mentre frugava
nelle tasche del tenente morto e recuperò un caricatore di proiettili e una
busta contenente dei fogli scritti a macchina. E al momento se li mise in
tasca pensando di leggerli più tardi. E continuò a dire ai due che
aspettavano una risposta. < La valigia c’era, ma non la droga, dentro vi era
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soltanto dollari sonanti, capito! E con quelli ci potremo pagare una lunga
vacanza all’estero, d’accordo fin qui, ragazzi!? > mentre quelli inebetiti da
quella sorpresa muovevano la testa confusamente. Mauro si caricò sulle
spalle Narduzzi e si avviò all’auto, seguito da Andrea.
< Dai, apri la portiera dietro... > chiese all’amico tutto spaventato.
Mauro sistemò il tenente e si fece aiutare a spostare quello al volante e
ritornarono a prendere l’altro in cortile.
Andrea reggeva l’uomo per i piedi, mentre vomitava di lato anche l’anima
e Mauro con decisione cinica lo spronava a reagire. < Guarda che per me
non è un gioco. Anche se l’ho dovuto fare ancora per salvarci la pelle a
entrambi, mi ascolti? So che è aberrante questo modo, ma se vogliamo
vivere ancora un poco, dobbiamo lottare avanti. E per sopravvivere
dobbiamo stringere i denti e continuare. Ti capisco più che bene… Ahh!
Merda, merda!.. Che casino è saltato fuori! >
< Sì, hai più ragione Mauro, ma è più forte di me... > rispose a fatica
Andrea inzuppato d’acqua fino al collo.
Prima di andarsene Mauro aveva dato istruzioni più che precise ai due
amici, ch’erano più che mai sconvolti. < Io porterò lontano questi cadaveri
e torno subito. Mentre voi state calmi e tranquilli e non usate o rispondete
al telefono in nessun caso e non accendete la luce. Tutti devono pensare
che stiamo dormendo. E meno male che questo temporale è capitato di
proposito, Okay, allora io vado! Mi raccomando. Calma! >
Loro acconsentirono muovendo solamente il capo. Poi Stefano disse
preoccupato, mentre Mauro stava mettendo in moto l’auto. < Mauro, non
sarebbe meglio che veniamo anche noi? Potremmo aiutarti! >
< No, è troppo rischioso! Poi potrei imbattermi con la polizia o quei
mafiosi che vogliono romperci il culo... E a questo punto io l’ho già rotto.
Dai non temete, andrà tutto bene! Tuttalpiù se m'imbatto nella polizia o
carabinieri sono io l’unico responsabile, d’accordo? Ah, dimenticavo,
invece dovreste cercare la pistola dell’altro mafioso al centro del cortile.
Non dobbiamo lasciare delle traccia che potrebbero comprometterci oltre.
Anzi, cercate di lavare via quel sangue sparso per terra in casa. Ok! Io
vado... > e si avviò il più silenziosamente possibile a fari spenti.
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Capitolo Venticinquesimo
Mauro stava guidando con un paio di guanti casalinghi, per evitare
di aumentare le impronte su quell’auto mafiosa, mentre stava mugugnando
tra sé nel cercare di pianificare le sue idee. Pensando se avesse predisposto
al meglio ogni cosa. Poi sperava che la fortuna rimanga ancora un po’
rivolta verso di loro, ne avevano veramente bisogno tutti quanti.
Ad un certo punto notò dei fari d’auto dietro di sé, incominciando a
preoccuparsi. Li aveva dietro da un buon cinque minuti, ma non tentavano
di avvicinarsi troppo e quel fatto lo insospettiva parecchio. Arrivato ad un
bivio, Mauro sterzò deciso e s’infilò dentro a una strada di campagna oltre
il ponte di un torrente che costeggiava la statale. A un centinaio di metri si
fermò sulla sinistra, spense tutto e scese dall’auto sotto quel diluvio
d’acqua, mentre trascinava al posto di guida l’autista morto. Poi, scivolò
giù per la scarpata e lato della strada e si trovò nel fossato con più di
mezzo metro d’acqua piovana dentro. Tentò di ritornare verso il ponte
appena superato, camminando a fatica in quella fanghiglia che correva
anch’essa verso il torrente più avanti. Aggrappandosi agli sterpi Mauro
riuscì a non farsi trascinare dalla corrente che s’immetteva nel torrente in
piena. Poi s’infilò sotto l’arcata del ponte, fradicio di acqua e fango,
mentre l’auto che lo seguiva, aveva già svoltato anch’essa sopra di lui e si
era fermata proprio dietro alla Mercedes nera. Mauro aveva fatto appena in
tempo ad abbandonarla un momento prima. Il suo intuito non mentiva. Per
fortuna Mauro, trovò un cornicione largo mezzo metro, che percorreva
sotto l’arcata del ponte e camminava a livello dell’acqua turbolente del
torrente in piena; provocato da quel temporale che ancora imperversava e
non la smetteva di piovere a dirotto. Mauro percorse velocemente quel
passaggio e si trovò dall’altro lato della strada di campagna e di corsa
faticando nel fango del prato, ritornò in dietro, arrivando presumibilmente
all’altezza dei veicoli fermi. Risalì sulla scarpata opposta di un paio di
metri, si appiattì e osservò i movimenti dei nuovi venuto. Due persone
armate di mitragliette erano già scese da una Mercedes bianca, mentre il
terzo era rimasto al volante dell’auto. Dopo un momento di controlli a
distanza, quei due senza avvicinarsi troppo all’altra auto, incominciarono
ad aprire il fuoco sull’auto davanti a loro. E dopo aver scaricato un buon
numero di pallottole verso l’interno dell’auto, cessarono di sparare.
188
Tutt’intorno era ritornato il silenzio, all’infuori del tuono e delle saette in
cielo. Poi finalmente quelli si decisero di avvicinarsi all’auto tutta
crivellati dai loro colpi e dopo aver aperto gli sportelli e anche il baule
dell’auto nera, capirono di non aver trovato quello che cercavano, dal
modo che si erano incazzati a morte inveendo contro il tenente morto. A
quel punto Mauro aveva compreso che i nuovi killer dovevano prendersi la
merce ma non i trasportatori. Ma era altrettanto vero che quelli in quel
momento capivano che la refurtiva era ancora in mano agli altri e tutto
sarebbe ricominciato da capo. Con la caccia all’intruso più che mai aperta.
Dedusse rapidamente Mauro. Ormai incominciava a capire quale gioco si
giocava e a quel punto lui doveva giocare la sua ultima carta che gli era
balenata in mente in quel momento. Mentre si appostava meglio di fronte
ai suoi contendenti. Si alzo dietro un albero di cespugli d’acacia, che gli
sferzavano il viso dal forte vento e acqua. Notò tra quei lampi che
saettavano in cielo, che il tizio in auto stava per comporre dei numeri sul
cellulare che teneva alto in mano e a quel punto Mauro non esitò a
sparargli con la pistola del tenente munita di silenziatore. Prendendo in
pieno l’autista e il cellulare assieme, ma il rumore dei vetri rotti dell’auto
attirò i compagni che incominciarono a sparare da ogni parte, non sapendo
bene di dove provenivano gli spari. Mauro si spostò e prese di nuovo la
mira e sparò deciso due colpi consecutivi e colpì il più vicino fermo tra le
due auto, che s’accascio come un cencio a terra. Mentre l’altro si era
riparato dietro la Mercedes nera e incominciò a sparare verso Mauro.
Avendo senz’altro seguito la debole fiammata che usciva dalla pistola con
il silenziatore. Mauro si era già spostato, aspettando il momento migliore.
Purtroppo il buio e l’auto davanti, non riusciva a individuare il terzo killer
siciliano. Mentre quello stava cambiando il caricatore e un lampo illuminò
la sua testa oltre il cofano dell’auto, Mauro premette il grilletto tre volte
rapidamente e l’altro lanciò un piccolo gemito e poi tacque. Mauro resto
un buon momento in ascolto a eventuali altri rumori sospetti, ma sembrava
ormai tutto finito, oltre il borbottio del temporale che persisteva ancora. In
fine costatò che aveva combinato un altro bel casino. Ma quello che lo
stupiva di più, che aveva fatto tutto con determinata freddezza. Senza
cercare un’altra scusante plausibile al suo comportamento glaciale.
Borbottando a denti stretti: < Meglio loro a questo punto. Se poi dovrò fare
l’ergastolano, almeno non sarà per un morto, ma per molti. Accidenti a me!
Che figlio di puttana sono diventato. Perdio! Non mi riconosco più da
tanto cinismo che ho addosso!? > urlò di rabbia.
189
Mentre dentro di sé, aveva veramente paura di quella sua fredda e cinica
determinazione. Ma al tempo stesso pensava che era soltanto per salvarsi
la pelle. Comunque, non era giusto che fosse lui a fare il giustiziere a quei
killer di professione. Poi tralasciò quei suoi mugugni e pensò a riordinare
il suo piano di fuga che in quel momento diveniva ancor più audace, oltre
che cinico e spietato nuovamente.
Salì sulla strada e si avvicinò cautamente ai cadaveri dei mafiosi e
velocemente li controllò e visto ch’erano morti con un bel colpo in testa
per ciascuno si tranquillizzò. Si stupì di non sentire sgomento per il suo
operato, ma capì d’essere diventato un killer spietato. Stava diventando
veramente pericoloso quel gioco. Poi prese quei corpi e con decisione lì
caricò nel baule della Mercedes bianca e buttò le armi raccolte dentro
all’auto nera, ormai tutta traforata dai proiettili, compreso i suoi occupanti
doppiamente morti. Poi mise in mano al brigadiere la sua pistola e infine
mise in moto la Mercedes nera e innestò la marcia uscendo di scatto
dall’auto. Scivolò giù per la scarpata bloccandosi nel fossato laterale.
Rimanendo in parte nascosta dalla visuale. Poi Mauro, salì sull’altra auto,
retrocedendo deciso fino alla statale per ritornare verso l’abitazione con il
suo carico mortale. Mentre ripensava a tutto quel casino, che in parte lui
era l’artefice e il boia, era veramente bestiale quello che stava facendo.
Sebbene la solita retorica inscenata per scolparsi da quei crimini eseguiti
con fredda logica da manuale. Lui non era un agente segreto e non aveva
la licenza di uccidere liberamente, ma a quanto sembra stava diventando
una cosa normale. Andando avanti di quel passo avrebbe battuto tutti
record mondiali. Poi di colpo esplose con rabbia: < Perdio! Dove sono
finito, così spietatamente in basso... Porca puttana!> imprecò disperato.
Mauro arrivò sotto casa ch’erano le tre e venti del mattino e grandinava
a più non posso, accostò la vettura alla casa e salì le scale di corsa. Andrea
era la sulla porta, ad aspettarlo in apprensione: < Cosa ti è capitato Mauro?
Oh, dio! Hai un’altra macchina adesso? >
Mauro gli fece cenno d’entrare in casa, trovò Stefano seduto in cucina
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con la mano ferita infilata nella camicia che mugugnava contro tutto, oltre
che per il dolore. E sul tavolo c’erano due pistole, la sua e quella
recuperata nel cortile. E appena lo vide si precipitò a chiedere: < Be’,
allora Mauro, com’è andata? Cos’è successo ancora? >
Mauro li guardò per bene e poi disse con fare serio: < Adesso dobbiamo
cancellare per bene le nostre tracce. In fretta! >
< Che altro c’è adesso? > mugugnò Andrea confuso.
< Perché abbiamo altre complicazioni. Ma… forse sarà la nostra
maggior salvezza. > espose Mauro deciso.
< Ma come? > chiese Stefano preoccupato. Mentre Andrea si
guardava attorno e diceva con sospetto. < Qui la mafia ci farà fuori tutti!
Senza riguardo per nessuno, adesso... Accidenti, che casino! >
< Be’, può anche darsi! Ma se mi ascoltate bene, cosa dobbiamo fare
adesso? Riusciremo a farcela di sicuro. > prospettò Mauro. Mentre Stefano
diceva preoccupato: < Speriamo bene! Andrea mi ha spiegato tutta la
storia, mentre tu eri via. Ora capisco perché Narduzzi ci teneva tanto a
questo caso, lui era dentro fino al collo. Quel figlio di puttana! Ecco
perché seguiva tutto e... > Ma Mauro lo fermò dicendo a sua volta ai
compagni: < Ormai non si può più tornare in dietro. Io, poi ho fatto
un’altra scia di cadaveri da far raddrizzare i capelli, persino al miglior
santo in paradiso. Pertanto giù di sotto ho altri tre cadaveri che mi sono
imbattuto per strada. Insomma mi stavano seguendo e alla fine hanno
sparato all’auto pensando di far secchi gli occupanti, gli uomini
dell’avvocato Rottai, Narduzzi e compagni. E poi recuperarsi la famosa
valigia, ma quando hanno scoperto che non c’era? Hanno tentato di
telefonare e allora ho dovuto intervenire rapidamente, per evitare che
avvisassero qualcuno che la merce non l’avevano recuperata e noi eravamo
ancora vivi. Chiaro?! Avete capito, com’è la situazione ora, ragazzi… >
mentre si stava asciugando la fronte e tirò un profondo respiro. Andrea a
sua volta gli chiedeva: < Ma tu ai detto che nella valigia era piena di
dollari, ma dov’è adesso? Tutti la cercano. Ma non l’hanno trovata da
nessuna parte? > commento più che mai confuso.
< E’ qui a casa tua! > esclamò Mauro tranquillamente. < Anzi,
bisognerà recuperarla, dai prendi un coltello o un cacciavite... Stefano
prenderesti quella sacca blu in salotto dietro al divano, ma sempre al buio,
mi raccomando. Qui hai una torcia Andrea? Dai, prendila... >
< Ma dimmi un po’, > gli chiese Andrea, mentre Mauro incominciava
a svitare il battiscopa e le perlinate. < Lì, dietro? Ma quando li hai
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sistemati qua dentro? Tu sapevi dei soldi e non m’hai detto nulla? >
protestò Andrea, ancora stupito, mentre osservava il lavoro di Mauro
assieme a Stefano che teneva in mano la torcia a far luce, e l’altro gli
rispondeva: < Se l’avresti saputo, senz’altro ti saresti comportato male in
questura e magari avresti detto qualcosa da insospettirli maggiormente. A
parte che Narduzzi già sapeva la tua targa e con quella era risalito a te e ha
escogitato quell’arresto per droga. Ma soltanto che non prevedeva la mia
mossa di far sparire la droga nella sacca di Serena e nascondere qui dentro
la refurtiva, che lui ed altri credevano ancora fosse droga, chiaro? >
< Già, è veramente un bel casino. Pensare che l’abbiamo perquisita a
fondo... > sbottò Stefano, mentre apriva il sottofondo della sacca da tennis,
seguendo le istruzioni di Mauro e alla fine quando incominciarono a
vedere tutto quel ben di dio, tirarono un gran respiro di stupore e un po’ di
gioia per entrambi. < Madonna mia, quanta grana! > sbottò Andrea.
Mentre sistemavano per bene la refurtiva e Mauro rimetteva a posto le
traverse di legno, spiegando ai compagni: < E adesso ragazzi viene la parte
più macabra di tutta questa storia? Eh, già!.. Perla miseria! >
< Be’, cos’altro c’è? Dobbiamo solamente svignarcela e tutto è a
posto. D’altronde non s’è visto nemmeno passare una macchia della
polizia qua sotto questa notte. > rispose Andrea.
< Magari, se tutto sarebbe così facile. E poi, sai benissimo che
Narduzzi avrà fatto in modo di tenere lontano qualsiasi pattuglia, magari
facendo credere che era lui a controllare la zona. Ecco è semplicissimo,
quando si comanda. Ma devi sempre ricordare che non dobbiamo
preoccuparci tanto di fuggire, ma di non lasciare traccia. Chiaro! Perciò
dovremo portare su quei tre cadaveri che ho preso con me e metterli qui al
nostro posto. Da far credere che siamo noi morti. Ammazzati e poi bruciati
qua dentro per cancellare completamente la nostra fuga. >
< Come, tu vorresti dar fuoco alla casa di mamma Concettina... No?
Non si può fare! > rispose Andrea terrorizzato all’idea di un incendio in
quella casa che amava come la sua.
< Ascolta bene Andrea, lo so che è dura per te, ma è l’unica soluzione.
Perché quelli della mafia sapranno subito che noi siamo morti. Uccisi e
bruciati dal tenente e quelli che avevano inviato per prendere la roba dal
tenente sono spariti nel nulla. Così cercheranno soltanto quelli e non noi.
Giusto! E dato che quei tre sono all’incirca della nostra età, e sono morti
ammazzati dalla pistola del tenente, li sistemeremo qui al nostro posto e a
uno di loro con a tracolla la tua fondina e in mano la pistola nel tentativo di
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difesa. Metteremo i nostri orologi ai polsi e la tua catenina al collo di
qualcuno più assomigliante e il tutto dovrebbe funzionare. Mi pare che non
servano le impronte dentarie a dei cadaveri bruciati. Sapendo già a chi
appartengono i corpi e sarà difficile stabilire veramente chi erano prima.
Soltanto tre maschi giovani e con tre fori in testa, uccisi nel sonno...
d’accordo? > spronò Mauro. < Accidenti! Diamoci da fare. Il tempo vola e
speriamo che nessuno abbia notato qualcosa. Questo è l’essenziale, per una
buona riuscita. Forse il padreterno ci vuole ancora aiutare con questo
temporale, che continua a scaricare giù acqua a più non posso. >
Infine un po’ mogi, mogi, decisero di proseguire in quel macabro delitto
perfetto. Mentre Andrea mugugnava un poco, per quell’incendio riparatore
e Mauro gli spiego brevemente, mentre sistemavano con riluttanza quei
cadaveri ai propri posti. < Non devi temere per la signora Prospero e la
distruzione della casa. Con lei avevo già prospettato una fuga in questo
modo, ma senza tanti cadaveri al nostro posto. E lei fu d’accordo su tutto.
Oltretutto non sarebbe più rimasta qui in questo posto senza di te e con dei
vicini stronzi soltanto buoni a criticare. Perciò io gli avevo messo in banca
sul suo conto un buon gruzzolo, inviato da una caro cugino defunto in
America e lei era l’unica erede. Perciò con quella somma si potrà prendere
un’altra casa ovunque. E le piccole cose più care, che possedeva del
povero marito, li aveva portate con se prima. Comprendi Andrea! >
< Però, sei forse un veggente tu, che precedi sempre ogni mossa? Va
bene, allora diamoci dentro, accidenti! Che casino! >
Avevano faticato a sistemare ogni cosa al proprio posto, e mettendo
addosso ai morti pochi indumenti e portandosi via in una sacca i vestiti dei
defunti. In fine Mauro prese del cherosene per il riscaldamento dalla
cantina e lo sparse per bene in ogni angolo della casa, per evitare che
giungano i pompieri e possano salvare ancora qualcosa di compromettente.
Quando alla fine Mauro accese un fiammiferi, erano le quattro e
trentacinque del mattino e il temporale stava per passare, resto un
momento a riflettere. Poi con rammarico lo buttò a terra e subito le fiamme
si propagarono rapidamente nell’interno dell’appartamento, poi scese giù
di sotto e fece lo stesso in casa della signora Prospero, per aumentare la
forza distruttiva dell’incendio.
193
Capitolo Ventiseiesimo
Mentre si allontanavano rapidamente dalla casa sotto l’acqua, Mauro
notò da una casa poco distante qualcuno alla finestra e scrutava quel loro
spostamento veloce e tra poco, quello vedendo le fiamme alzarsi dalla casa
di fronte, avrebbe dato l’allarme. Per spiegare poi agli agenti, di aver visto
una grossa macchina bianca fuggire via di volata.
Erano arrivati alla fine del rettilineo, che s’intravedeva alle loro spalle il
fumo denso e nero alzarsi dalla casa in fiamme. E a quel punto sarebbe
scoppiato l’allarme.
Mauro accelerò e la vettura si allontanò velocemente, mentre gli altri
due continuavano a guardare in dietro, a quella casa in fiamme e man
mano che s’allontanavano il rosso delle fiamme si alzava alto in cielo. Poi,
sopraggiunse una curva e tutto scomparve assieme al loro passato.
Rimasero per molto tempo in silenzio, nessuno parlava in quella loro
complicità di vandali e piromani. Ma capivano che era inevitabile a quel
punto continuare. Ed era ciò che stavano ripensando dentro di loro. Poi fu
ancora Mauro a scuotere i compagni da quel torpore di fatue colpe e
palesare a loro una debole scusante: < Ragazzi, su con gli animi. Purtroppo
per non morire davvero, abbiamo creato un gran casino della madonna. Ma
è anche vero che siamo ancora vivi e questo è l’essenziale per continuare a
combattere e sopravvivere. Puttanaeva! > esplose a voce alta.
< Già, tu fai presto a dire, > protesto Andrea. < Perché non ti ricordi
nulla del tuo passato. Ma noi che avevamo accanto qualcuno che ci amava
e ora tutto va in fumo. Accidenti a quell’inseguimento che ho voluto fare
sull’autostrada… Ecco il guadagno che mi sono preso. Dover fuggire via
come un appestato! Un... delinquente omicida... >
< Puoi dirlo tranquillamente, > sbottò Mauro, continuando. < Fuggire
come dei criminali in compagnia di un folle killer, che a spedito sotto terra
194
già dieci persone. E’ veramente follia pensare ch’è vero tutto questo.
Perdio! Che gran bastardo sono! > urlò Mauro per la rabbia. Stefano cercò
di calmare quella scoppiata ira, dicendo ai presenti: < Ragazzi, dobbiamo
calmarci e essere uniti nella lotta ed è inutile recriminare sul latte versato.
Lo sappiamo più che bene, che dispiace aver appiccato il fuoco alla casa di
quella povera signora Prospero. Ma se lei era d’accordo ad affrontare certi
sacrifici, aiutando noi a sparire nel nulla. Ringraziamola del suo silenzio. >
Mentre Mauro con fatica, si riprendeva dall’incazzatura con sé stesso e
commentava su quel fatto: < E’ tremendamente tutto complicato... Vedi
Andrea, la signora Concettina quando gli ho accennato quest’idea folle, lei
ha accettato subito e non voleva nemmeno un soldo. Dicendomi che aveva
in parte qualcosa che gli bastava per i suoi prossimi anni. Ma io ho
insistito perché noi ci saremmo sentiti più tranquilli e meno debitori nei
suoi riguardi. Visto l’impossibilità d’incontrarsi in futuro e alla fine accettò
quella transizione. Perciò come vedi Andrea, lei non è una donna
sprovveduta e più che mai convinta della sua scelta. E mi aveva anche
detto, che con la mafia da queste parti non si scherza e preferiva saperci
vivi lontani, che dover venire al cimitero a portarci dei fiori sulle nostre
vere tombe. Comunque più tardi cercherò di telefonarle, spacciandomi per
uno dell’assicurazione. Eravamo già d’accordo sul come e dirò poche cose
che lei capirà subito che siamo veramente ancora vivi. Solo quello le
basterà sapere. > espose Mauro tranquillo.
< Ma, veramente intendi telefonarle? Non sarà pericoloso? >
chiedeva Andrea preoccupato.
< No, come d’accordo nel segnale convenuto. Lei capirà. Okay! Ora
l’ultima preoccupazione e di sbarazzarsi di quest’auto. Perché quelli di
Mister Boston la cercheranno con i suoi occupanti oltre la polizia. Chiaro
ragazzi. Be’, ora su con gli animi e speriamo di non trovare posti di blocco
dalla polizia o carabinieri a sciuparci le feste un’altra volta e sarebbe
troppo in poche ore consecutive. Accidenti!> commentò Mauro con ironia.
195
Capitolo Ventisettesimo
E’ stato veramente un venerdì mattina, da thrilling di prima mano. Stava
pensando Mauro mentre guidava tranquillo, per non dare dei sospetti ad
altri automobilisti. Stavano percorrendo la statale che portava a Reggio
Calabria, e il temporale si era spostato verso nord, lasciando dietro di sé
una debole pioggerella finale. Poi a San Lucido avevano preso la statale
n°18 seguendo la costiera verso il sud. Il traffico era scarso, dovuto
senz’altro al maltempo e loro procedevano abbastanza bene e l’auto
oltretutto aveva il pieno di benzina. Cosi non avrebbero dovuto fare delle
soste in quel percorso di per sé già lungo, ma tranquillo senza passare
attraverso i vari caselli autostradali e senz’altro, più controllati dalla
polizia, che presto si sarebbe messa allerta.
Ad un certo punto Stefano un po’ preoccupato e taciturno disse ai
compagni: < Io suggerirei di arrivare fin dopo la località Favanizza, in un
tratto dove la statale costeggia il mare e fra due gallerie, prima del paese di
Scilla. C’è un posto che fa al caso nostro in una piccola insenatura, con
una piazzola di sosta. Li potremo buttare l’auto in mare ed è molto
profondo e riparato. Il problema è arrivare fin la senza intoppi o dei posti
di blocco. E questo mi preoccupa molto. Oltre che fingermi morto sono
anche un disertore adesso. Se vengo preso dai miei colleghi. Puttanaeva!
Che figura di merda faccio. > espletò sardonico.
< Certo è vero. Ma diversamente saresti già morto e infangato il tuo
onore con quel servizio che ti ha preparato Narduzzi. Giusto! Ecco guarda
qui, > consegnandogli un foglio di carta che teneva in tasca Mauro, tutto
stropicciato e bagnato. < L’aveva in tasca Narduzzi e l’avrebbe senz’altro
lasciato sul tuo cadavere. Così al ritrovamento di noi tre morti avrebbero
trovato nella tua tasca questo foglio, che ti fa complice della banda
palermitana. E invece così capiranno che era lui la talpa e complice... Be’,
forse da morto diventerai un eroe. >
< Che figlio di puttana era! > esplose Stefano. < Voleva incastrarmi
per bene! > dopo averlo letto lo stracciò dalla rabbia quel pezzo di carta,
dicendo: < Certamente con questo in tasca sarei passato veramente per una
talpa infiltrata. Che miserabile puttana! > mentre allargava la mano e i
pezzettini volavano via dal finestrino dell’auto senza vetro. Mentre Mauro
tentava di alzare un po’ il morale dei compagni esortandoli: < Coraggio il
196
peggio è passato! Intanto andiamo avanti e poi si vedrà. Se il posto è
adatto per fare un tuffo, il resto lo faremo a piedi, siamo giovani e forti. >
Mauro aveva buttò quella frase sciocca per alleviare un po’ le loro pene
dell’inferno, che regnavano in quel momento nei loro animi in subbuglio.
I chilometri passavano a rilento mentre il cielo era ancora plumbeo e
carico di nuvoloni grigi e bassi, a formare quasi una leggera nebbia su tutto
il litorale calabro. Il traffico incominciava ad aumentare man mano che le
ore passavano e loro avevano una gran voglia di caffè, ma cercavano di
evitare di far notare la loro presenza in qualsiasi bar; tre giovani con
quell’auto, una Mercedes bianca. Sarebbe cascato subito nell’occhio a
chiunque, pertanto desistettero, proseguendo con il loro piano. Arrivare al
più presto possibile a Reggio e a imbarcarsi con poche formalità sulla
prima nave per l’isola di Malta. Quello era il loro primo passo da fare e poi
che il cielo gliela mandi buona, ma veramente.
Erano le sette quando giunsero al punto X predestinato. Si fermarono
sulla piazzola indicata da Stefano ed era veramente l’ideale quel posto
riparato da due grossi pini marini, in quella piccola conca naturale
sovrastata dalla parete rocciosa della montagna, era quasi nascosta dalla
vista a chi passava velocemente sulla strada in curva. La piazzola era
separata con il precipizio sottostante da una siepe di rosmarino e cespugli
d’alloro, che odorava tutto il posto di spezie aromatiche e il luogo era
veramente solitario. Scesero frettolosamente dall’auto per guardarsi
rapidamente attorno sospettosi. Notarono la tranquillità del posto e
oltretutto riparato da sguardi indiscreti con quel tempo bilioso sopra di
loro. Considerarono ch’era l’ideale per il loro scopo, avvolto in quella
bruma umida che incombeva su tutta la costa calabrese.
Senza troppi indugi presero dall’auto le loro due borse e giubbotti, poi
Mauro spostò l’auto in posizione giusta innesto la leva del cambio
automatico e aspettò con il piede sul freno e prese in mano la pietra che gli
passava Andrea, poi appena gli dettero il via lui appoggio la pietra
sull’acceleratore e saltò giù dall’auto mollando il freno e l’auto incominciò
a muoversi rapidamente, sfondando e reclinando la siepe di rosmarino
senza fatica e uscendo nel vuoto con un ruggito del motore, che si attenuò
appena il sasso si sposto dall’acceleratore e silenziosamente volo verso il
mare sottostante.
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Ci fu un solo tonfo, un po’ sordo e subito si inabissò rapidamente in quel
profondo mare blu cupo, per svanire silenziosamente vero il fondo. Loro
erano rimasti lì a fissare quel volo in silenzio, poi senza fiatare si misero a
camminare speditamente verso la cittadina poco distante, mentre un treno
passava fischiando sopra di loro.
Dopo un paio di chilometri arrivarono alla prima fermata d’autobus e
proprio in quel momento stava giungendo il pullman da Vibo Valentia a
Reggio Calabria, così lo presero al volo in quella loro sfacciata fortuna.
L’autobus era carico di lavoratori insonnoliti da destare meno sospetti la
loro mattiniera presenza.
Erano le undici del mattino quando stavano uscendo dal supermarket
dopo aver acquistato: pinne e maschere, calzoncini da bagno, tre giubbotti
di tela, dei calzoni e asciugamani, oltre spazzolino da denti e relativo
dentifricio, sciampo e un’altra sacca per Stefano con racchette da tennis e
un paio di occhiali scuri alla moda per ciascuno. Insomma un po’ di tutto,
da sembrare dei bravi ragazzi che vanno a fare un po’ di sport di fine
settimana sull’isola di Malta.
Mauro aveva già acquistato i biglietti del traghetto per Malta con
partenza alle dodici precise dal porto.
198
Capitolo Ventottesimo
Mentre stavano per andare a prendersi qualcosa da mangiare, nel
passare davanti ad un negozio di elettrodomestici si videro entrambi in
televisione. Erano le loro foto che stava trasmettendo il servizio televisivo
regionale, su quel fatto orripilante appena successo quella notte a Cosenza,
li ammutolì di colpo. Mentre si guardavano attorno con sospetto, ma le
poche persone ferme a guardare era prese da quell’evento che osservavano
sbigottiti quelle scene mute che la vetrina esponeva, ma erano abbastanza
significative. E per fortuna con addosso quei occhiali e la barba un po’
lunga, permetteva di mascherare discretamente i loro visi segnati da quelle
avversità accorse. Sembravano veramente tre studenti sempliciotti e
trasandati come la maggior parte dei giovani, in giro per la città a fare
acquisti. Si soffermarono un momento per captare cosa diceva lo speaker,
ma era impossibile attraverso il vetro della vetrina. Vedevano solamente i
resti di una casa bruciata messa a soqquadro da una sfilza di pompieri e
molte macchine della polizia. Poliziotti che tenevano lontani i curiosi.
Mentre mostravano dei piccoli dettagli del posto e ancora i volti delle
vittime estrapolate dai documenti della polizia. E infine, quella televisione
locale era riuscita a far intravedere i corpi carbonizzati delle vittime,
orrendamente mutilati dal fuoco distruttivo. Poi giunsero altre persone a
curiosare e inorridite da quella disgrazia e a quel punto loro decisero di
allontanarsi e di recarsi direttamente al porto, per passare la dogana in
fretta mostrando i loro documenti d’identità, con la speranza che alla
dogana non abbiano visto quel comunicato televisivo delle ore undici e
trenta locale a ricordare di quei volti e nomi apparsi alla TV come morti
bruciati in quella notte macabra a Cosenza.
Il traghetto si stava staccando dal molo e in poco tempo aveva
guadagnato il mare. E fu allora che i tre giovani tirarono un lungo sospiro
di sollievo.
< Bene ragazzi, fino qua siamo arrivati senza intoppi e siamo ancora
vivi. > bisbigliò Mauro avvicinandosi ai compagni a ridosso del parapetto
che osservavano la costa allontanarsi da loro, e solo Stefano gli rispose con
fare serio e abbacchiato: < Chissà se un giorno potrò rivedere i miei
famigliari? Non so ancora se la scelta è stata poi quella giusta? >
199
< Già. E’ difficile a dirsi, forse un giorno ritorneremo a casa... >
mormorò a sua volta Andrea con un nodo che gli opprimeva in gola.
Mentre la costa si allontanava e presto sarebbe sparita dalla loro vista.
Mauro per rompere quella atmosfera abbastanza tesa, li avvisò del loro
turno per il pranzo: < Dai ragazzi andiamo, si va a pranzo. Sono riuscito a
farci assegnare al primo turno. >
< Finalmente si mangia! Mi sento male dalla fame. > esclamò Stefano
mentre si passava la mano sullo stomaco vuoto da molte ore.
< Hai veramente ragione. Muoio anche io dalla fame! > sbottò Andrea.
Sulla nave maltese la cucina era tipicamente mediterranea, discreta e
abbondante, ma per loro in quel momento non contava la qualità, ma la
quantità dalla fame che avevano addosso. Oltretutto dopo quella stressante
maratona per la sopravvivenza, aveva veramente logorato i nervi. Perciò a
quel punto, mentre si sentivano un momento più tranquilli stavano già
acquistando un aspetto più normale e rilassante.
A tavola, mentre stavano mangiando, Mauro espose ai compagni i
presumibili piani da effettuare nei prossimi giorni. < Io proporrei di
fermarci qualche giorno alla Valletta per riposare e poi prendere qualche
mezzo migliore e spostarsi in qualche località più lontana senza dar troppo
nell’occhio e aspettare eventi migliori. Voi che ne pensate ragazzi? >
Si guardavano in viso tra di loro e infine risposero unanime: < Per noi
va benissimo! > ma subito Stefano con una strizzatine d’occhio cambiava
tonalità della voce, accennando allo sport subacqueo nell’isola. Si erano
avvicinati al tavolo attiguo due coppie di connazionali, che senz’altro dal
loro modo di comportarsi si vedeva che andavano veramente in vacanza.
Mentre Stefano diceva a voce più alta: < Sapete ragazzi che sull’isola di
Gozo si potrà fare delle magnifiche immersioni? >
E Andrea di rimando rispondeva: < Be’, io spero di divertirmi tanto. E
poi ragazzi, dite quel che volete, ma senza le nostre ragazze tra i piedi, che
spasso. Avremo tutte le maltesi a disposizione. Guardate un po’, tre fusti
come noi. Faremo strage di donne, credetemi! >
< Eh, dai! Non farla giù grossa. Cala, cala! > rispose Mauro euforico
per l’occasione. < Se poi lo viene a sapere la tua Francesca, saranno cavoli
amari dopo... > mentre lanciava occhiate furtive attorno.
< Tu sei soltanto invidioso, vero? Poi, lo sai che occhio non vede,
cuor non duole. Ah, quante storie fate ragazzi! Intanto pensiamo a
divertirci e al resto ci penseremo dopo, d’accordo? > Mentre adocchiavano
200
i vicini che se la ridevano sotto i baffi, ascoltando le battute di quei tre
giovinastri in giro per il mondo a divertirsi.
Poi tutte tre decisero di passare il resto del pomeriggio a prendersi il
sole in coperta, ormai sgusciato fuori da quelle ultime nuvole estive
rimaste sulla costa italiana.
Erano le sette di sera e il sole all’orizzonte stava volgendo al tramonto,
quando decisero di andare al bar per prendersi qualcosa prima di sbarcare a
Malta, l’arrivo all’isola e l’attracco al porto era previsto tra due ore circa.
Si stavano gustando una bibita quando la televisione di bordo veniva
trasmesso il telegiornale italiano, anche loro come gli altri passeggeri per
la maggioranza italiani si girarono a guardare le ultime notizie dal
continente. Dopo le solite questioni politiche nazionali e estere, un piccolo
inserto di scabrosi fatti orripilanti successi la notte precedente. Mostrando
in una veloce carrellata quei fatti così clamorosi annerenti alla mafia
calabrese. Mentre lo speaker annunciava: “Questa notte i vigili del fuoco
sono stati avvisati da una telefonata anonima, che in località Arcavacata
alla periferia di Cosenza, una casa andava a fuoco. Intervenuti i vigili del
fuoco a spegnere l’incendio della casa, che risultava poi di origine dolosa
e all’interno hanno trovato i cadaveri carbonizzati di tre persone: Si tratta
di due studenti e un poliziotto, quest’ultimo era stato assegnato come
guardia del corpo di uno dei giovani, testimone di attentati da parte della
ndrangheta calabrese. La notizia ci è pervenuta dagli ufficiali inquirenti
al caso. Dalle prime indagini, sembra che i tre sia stati giustiziati prima
che appiccassero il fuoco alla casa, eliminando eventuali tracce e il tutto
fa sembrare a una resa dei conti tra bande calabresi e siciliane, che in
questi giorni hanno insanguinato la regione calabrese. Un vicino di casa
ha notato quella notte, l’aggirarsi nei paraggi di una grossa macchina
nera e prima che scoppiasse l’incendio. Hanno visto qualcuno che fuggiva
via veloce dalla casa in questione a bordo di una Mercedes bianca, ma
dato la lontananza non ha potuto rilevare la targa, nell’imperversare del
temporale. I cadaveri carbonizzati risultano essere quelli del giovane
ventunenne Andrea Prandi da Cosenza, affittuario nella casa distrutta
dall’incendio e l’amico padovano, in quei giorni suo ospite, si tratta dello
studente Mauro Rossi di ventiquattr’anni figlio del noto magistrato
romano Giuseppe Rossi, membro del CSM. Entrambi sono periti
nell‘incendio e il terzo cadavere era quello del sergente di polizia
investigativa Stefano Nardelli di ventitreenne da Catanzaro, assegnato
dalla procura di Cosenza come guardia del corpo al giovane Prandi.
201
Essendo quest’ultimo un testimone chiave di un’assassinio perpetrato
dalla mafia. Il Nardelli aveva ancora in mano la pistola d’ordinanza, nel
tentativo di fare il proprio dovere. Sono stati freddati con un colpo per uno
alla tempia, da una calibro 22. Il giovane poliziotto Stefano Nardelli era
un ottimo elemento d’infiltrazione che collaborava con la DIGOS, sul
caso del massacro sull’autostrada A3, avvenuto pochi giorni fa’, che costò
nella rapina la vita di due orafi palermitani e l’uccisione del loro autista.
Stavano anche indagando su quell’Alfa 164 usata per quella rapina e
ritrovata il giorno dopo tutta traforata da proiettili, con accanto quattro
cadaveri. Gli stessi killer dell’assalto agli orafi palermitani. Si è trattato
di una vera e propria lotta tra bande rivali. Le indagini sono al vaglio
della magistratura di Cosenza. Purtroppo dai resti carbonizzati e
irriconoscibile dei tre corpi sono stati identificati dai parenti, tramite i
pochi oggetti di metallo che avevano addosso e li compiangono i
famigliari accorsi sul posto. E queste che vi mostriamo sono le immagini
dei tre giovani deceduti... Dobbiamo segnalare un altro fatto di cronaca
nera appena pervenuta in redazione. La notizia è forse da collegare
all’altro fatto accaduto. A una decina di chilometri dell’incendio della
casa è stata trovata un’auto. Sembra sia stata buttata in una scarpata da
una strada di campagna e si tratta di una Mercedes nera, anch’essa
traforata da vari proiettili e all’interno c’erano ben tre cadaveri anch’essi
armati e crivellati da diversi colpi, che ancora non si conosce l’identità
dei cadaveri. Tutto è sotto il più stretto riserbo della magistratura di
Cosenza che indaga in ogni direzione. Ma a questo punto, noi cittadini,
cosa dobbiamo pensare, che soltanto in pochi giorni sono morti per
violenza ben tredici persone, è un fatto che ci fa pensare veramente tanto?
Appena avremo altre notizie vi terremo informati.” E appena il servizio
terminò, tutti quanti giù a commentare in un brusio di voci eccitate e
sbigottite da quegli eventi scabrosi. Parlavano di quel massacro così
orripilante e si stava espandendo a macchia d’olio sul continente. Mentre i
tre giovani erano colpiti da quelle scene strazianti dei loro parenti in
lacrime, e Mauro tentò di deviare il discorso dicendo a sua volta. < Però, la
magistratura come sa’ aggiustare le cose a secondo come tira il vento al
momento? > mormorando piano ai compagni ad evitando di entrare
sull’argomento parenti. Erano rimasti bloccati davanti al televisore e per
fortuna che si trovavano in disparte nella parte più buia del bar salone.
Stefano aveva gli occhi rossi e un magone dentro, per il dolore che stava
recando ai suoi famigliari in quel momento. Avendoli intravisti sulla scena
202
del massacro in lacrime. Anche la signora Concettina era presente, ma
almeno lei era stata messa al corrente con una strana telefonata da parte di
Mauro, in un laconico saluto, e al tempo stesso confermò, che lei si
sarebbe presa cura di avvisare in un secondo momento i famigliari di
Stefano, con una buona notizia. Sono vivi ma rimarranno lontano per un
po’, ad evitare ritorsioni ai parenti stessi.
Poi tutte tre uscirono e andarono sul ponte di prua e a quel punto Stefano
esplose in una imprecazione più che amara: < Perdio! Non ci voleva
questo fatto. Forse era meglio che andavamo dal commissario Rizzi a
spiegare la questione? Sono un bastardo disertore che ha paura di morire...
Perdio! > mentre si metteva seduto su una panca, aveva piegato la testa
sulle mani, e si era messo a piangere in silenzio.
< E tu pensi che saresti riuscito ad aprire la bocca? > tentò di
spiegare Mauro all’amico infranto: < Non saresti riuscito a mettere un
piede in questura e raccontare tutto? Ti avrebbero fatto secco molto prima.
Narduzzi e quell’avvocato di merda, quel Rottai. Avranno senz’altro altri
tirapiedi in questura e alla prima mossa sbagliata avrebbero avvisato chi di
dovere. Soltanto per non complicare la situazione già critica per loro. Ti
avrebbero eliminato all’istante. Poco ma sicuro, credimi! Senz’altro quel
Rottai, oltre tutto la farà in barba a tutti quanti. Se non ci penserà Mister
Boston e spedirlo all’altro mondo. > suppose Mauro più che convinto,
avendo sentore dei modi sbrigativi di certa gente. < Quel Mister Boston
non è il tipo che perdona a Rottai, tutto questo casino provocato, per
fregagli la merce e fargli pagare il pedaggio. Rottai e compagni non la
passeranno liscia. Tra non molto, leggeremo che Rottai è aumentato di
peso. L’hanno impiombato a dovere. >
Andrea a sua volta tentava di spiegare qualcosa anch’egli: < Ma, forse
Stefano ha ragione, magari? Sì, va bene che abbiamo il danaro da spendere
a nostro piacere. Ma abbiamo anche chiuso con il nostro passato in Italia.
E' molto dura da accettare questa condizione estrema. Per giunta obbligata.
Credetemi! Ragazzi è dura…> mugugno.
< Sì, comprendo il vostro risentimento, che alla fine è anche il mio. >
rispose Mauro irritato. < Ma dovete capire che quelli dalla mafia non
perdonano e abbiamo le prove più che evidenti. Persino quel disgraziato di
Narduzzi a cercato di farci secchi ieri notte! E poi, quei altri non importava
se era un loro associato. Avevano capito che incominciava a fare il doppio
gioco, troppo bene. Perciò avevano già predisposto la sua fine, dopo. >
203
< Be’, sì, hai ragione. Se non era per te eravamo già ben distesi e
stecchiti, per non dire anche arrosto forse... ah basta! Abbiamo preso la
nostra decisione e perciò, andiamo avanti allora! > espletò Stefano nel
comprendere quella verità sorda.
< Il problema, non è soltanto il fatto di affidarci alla giustizia e essere
protetti? Dopotutto questo gran casino ch’è saltato fuori in questi giorni,
non so se salveremmo egualmente le nostre teste. E fin qui potrebbe essere
già scontata la nostra morte. Ma quello che sarebbe più grave, che ci
vadano di mezzo i famigliari. Perché, per vendetta la mafia si potrebbero
riversare sui parenti più stretti ricattandoli al nostro posto, per farci uscire
dal nascondiglio che la polizia ci fornirebbe. Mi sono spiegato? > cercando
di essere più esplicito e conciso, poi Mauro continuò a dire: < Capite
ragazzi la mia preoccupazione? Sarebbe ingiusto far patire degli innocenti
al nostro posto. Anch’io ho pensato molto in questi giorni prima di
decidere a cosa fare. Ma visto che ogni volta che cercavo di essere più
umano e consenziente, ho dovuto uccidere ancora e ancora. Perdio! Forse
voi non potete immaginare cosa si prova ad essere veramente un killer, Un
fottuto criminale, così determinato e spietato! E per giunta non avendo mai
sparato in vita mia un sol colpo d’arma da fuoco e questo particolare lo
intuisco più che bene. Ho avuto una mira infallibile, di una precisione
inaudita, che mi sono spaventato veramente tanto di questa mia
determinante aggressività e mi fa una gran rabbia e spavento allo stesso
tempo. Persino nel guardarmi allo specchio non mi riconosco più da solo,
oltre la dimenticanza insistente del mio ingarbugliato passato? Capite ora,
cosa ho dentro che mi ‘sta rodendo l’anima! Sono diventato peggio di loro.
Un assassino incallito e spietato... ah, basta per favore! Non ne parliamo
più...! > urlò, l’amarezza e la delusione si impadronì di lui. E s’allontano
dai compagni sconvolto, camminando a rilento sul ponte della nave,
mentre le lacrime gli solcavano il viso, senza pensare a oltre. Era avvolto
dalla brezza marina della notte in arrivo, senza averne però alcun beneficio
di sollievo. Poi fu raggiunto dai compagni e camminarono su e giù una
buona mezzora in silenzio e infine Andrea sbottò dicendogli: < Sì, hai
ragione Mauro, noi egoisticamente abbiamo pensato quella che sembrava
la soluzione migliore e forse a quest’ora le persone care a noi avrebbero
pianto egualmente la nostra morte e tutto sarebbe eguale di adesso.
Soltanto che non saremmo qui in questo momento, su questa nave
aspettando di trovare quel paradiso terrestre. Invece ci saremmo trovati tra
i defunti nell’aldilà com’era stato predisposto dalla mafia. Ma vedi, è
204
molto dura dover accettare così di punto in bianco certe decisioni radicali,
che sconvolgono la nostra vita così tanto e per sempre... Accidenti! >
< Comunque, > s’intromise Mauro dopo un lungo sospiro, spiegando
ai compagni. < La signora Concettina, appena possibile e senza sospettare
nessuno avviserà anche i tuoi famigliari Stefano. Ti sapranno vivo, ma
lontano dal pericolo di morte. Speriamo che i tuoi sapranno tenere la bocca
chiusa con chiunque, ne va anche della loro vita. Questo lo capisci, vero? >
< Hai più che ragione Mauro. Scusami! Io penso che terranno tutto
per sé. Comunque questa tua proposta fatta alla cognizione della signora
Prospero è più che lodevole. Grazie amico! > mormorò il giovane. < Certo
che dalla sera alla mattina ti trovi la vita sconvolta e poi dover fingersi
morto per salvarsi la pelle. Questa è sfiga più che buona. perDio! Cosa
bisogna fare. > protestò Stefano con amarezza.
< Essi, caro Stefano. Sfigati e obbligati all’avventura. Accidenti! >
costatò Andrea, mentre osservava la mano gonfia di Stefano coperta con
un semplice cerotto grande, per non dare troppo nell’occhio. < Ti fa molto
male Stefano? Anch’io la spalla oggi mi duole da matti... >
E l’altro pensieroso rispose con un’aria superficiale: < Ma, sai sono
talmente scosso da tutti questi avvenimenti, che mi sono scordato della
mano ferita, e in verità mi fa molto male. Accidenti! >
E Mauro cercò ancora di dare un aiuto morale, dicendo a sua volta ai
compagni di sventura: < Appena sbarcheremo e andremo in un albergo
confacente controllerò le vostre ferite... > si fermò di parlare e il suo viso
si incupì, mentre gli altri due lo fissavano interrogativamente preoccupati.
Poi Mauro disse con una voce più imperativa da mettere loro due
sull’attenti a pensare cosa sarebbe nato in quel momento? < Ragazzi. C’è
un piccolo, oppure grande particolare che ho trascurato? >
< Cosa? > Chiesero unanime Andrea e Stefano, erano stupiti e
incuriositi dal suo brusco cambiamento, mentre Mauro proseguiva
borbottando: < Ho dimenticato, che in tutta Malta, ricevono i programmi
italiani e quando daremo i nostri passaporti sia alla dogana e in albergo, vi
sarà senz’altro qualcuno che a visto per bene i nostri visi e nomi alla
televisione e allora sarà dura da spiegare la coincidenza di parentela.
Capite qual è il prossimo guaio, ragazzi? >
< Già, a questo non avevamo pensato... > confermò Andrea.
< Innanzitutto, dovremo passare la dogana e se possibile accodandoci
a quella comitiva di ragazzi e ragazze. Forse, mescolati in mezzo a loro
passeremo più facilmente inosservati. E nel compilare i modelli per il
205
soggiorno dovremo segnare lo stesso albergo e poi consegnare il talloncino
frammisto a quelli del gruppo. >
< Certo, certo! faremo senz’altro così. > rispose Stefano per tutti.
< Ma pensi veramente che possiamo farcela a passare inosservati? >
chiese Andrea preoccupato. Mentre Mauro prendeva dalla tasca del
giubbino i loro passaporti e infine rispose con fare un po’ dubbioso: < Be’,
bisognerà essere un po’ credenti e sperare sempre nei miracoli, non vi pare
amici? Questo è l’essenziale per continuare a questo punto a vivere ancora
qualche giorno in più, ragazzi. Bisogna saper tener duro! >
Purtroppo alla fine, tutto il loro piano escogitato per bene cambiò
radicalmente. Sul molo dove avrebbe attraccato il traghetto maltese, vi era
ormeggiato una motonave greca dal carico promiscuo, pronta a partire per
la Grecia. Così mentre la nave si stava avvicinando alla banchina, Mauro
aveva estrapolato da un marinaio qualche informazione su quella nave che
faceva due volte al mese la spola tra Tunisi, Malta, Creta, Rodi e Atene.
206
Capitolo Ventinovesimo
A quel punto Mauro gli balenò l’idea di trasbordare direttamente su
quella nave, se fosse stato possibile.
< Ragazzi, voi aspettatemi sul molo, io cercherò di scendere per
primo e andrò a parlare con qualcuno di quella nave e con una buona
mancia in dollari, vedrò di ottenere un passaggio. D’accordo! > Prese dalla
sacca una mazzetta di dollari e se la ficcò nella tasca del giubbotto, poi
consegnò la sacca a Andrea e si avviò per lo sbarco. Appena sceso andò
dall’ufficiale greco alla passerella della nave di nome “Elpida”. E pensò
che tradotto in italiano “Speranza”, era un nome confacente per loro.
Salutò l’ufficiale, che rispose con un cordiale: < Calispéra! > E subito
Mauro in quel greco che sapeva discretamente si fece capire molto bene,
spiegando che erano degli studenti in vacanza e avrebbero preferito fare la
settimana di vacanze a Creta piuttosto che lì a Malta. Ma purtroppo
dall’Italia le prenotazioni erano tutte esaurite per quella settimana.
Comunque, se sulla loro nave c’era ancora un buco libero, pagando anche
un supplemento avrebbero preferito. Mentre gli metteva cento dollari nel
taschino per il disturbo di chiedere al comandante e quello volò di corsa a
parlare al comandante. Meno che non si dica, gli trovarono subito una
cabina comoda per quattro persone. E un quarto d’ora dopo, li fecero salire
a bordo più che mai contenti di avere passeggeri che pagano senza
protestare. Oltre che a completare il carico e riempire una delle tante
cabine rimaste vuote. Così con un po’ di dollari sistemarono la faccenda.
Mentre consegnavano i loro passaporti all’ufficiale addetto, Mauro si
premuro di offrire un obolo per il suo disturbo, e quello in un batter
d’occhio la fece sparire via in un baleno, regalando a loro un meraviglioso
sorriso di contentezza. E prontamente, li faceva accompagnare da un
giovane inserviente sempre sorridente, alla loro cabina assegnata. Il sorriso
di questo ultimo, si accentuò ancora di più quando si trovò anch’egli in
mano cento dollari. Si era persino prosternato, il giovane inserviente per
ringraziarli, mentre maliziosamente indicava il numero della cabina, “6”,
ma al fianco scritto a mano da un bontempone un bel nove. E si trovarono
a ridere tutti quanti per quella insinuazione maliarda.
207
Appena furono soli si svestirono e si buttarono a turno sotto la doccia.
Poi Mauro prese dalla sua sacca del disinfettante e bende e si mise a
sistemare al meglio la mano di Stefano. La pallottola gli aveva per fortuna
pizzicato solamente mezzo centimetro di polpa sotto il mignolo,
lasciandogli un bel incavo nella mano ormai gonfia. Mauro la disinfettò
per bene, mentre l’altro si mordeva le labbra per non urlare dal bruciore,
poi la fasciò con cura. E infine, controllò la spalla di Andrea e trovò che
andava molto bene la sua ferita, cambiò la fasciatura e fissata con grossi
cerotti, poi alla fine disse ai due: < Be’, ora a nanna ragazzi e per domani
ci penseremo cosa fare al meglio, okay! >
Mentre Stefano rispondeva: < Sono stanco morto, andrò su uno dei
lettino e voi potrete mettervi nel letto matrimoniale che è grande e sembra
più comodo per voi due... d’accordo. >
< Cosa? > sbottò Andrea e proseguì a dire: < D’accordo un bel
niente. Staremo comodi tutte tre assieme, io non voglio stare solo in questo
momento. Ho bisogno di voi due accanto, mi sentirei più al sicuro e poi
oltretutto, ci scalderemo a vicenda. D’accordo ragazzi? >
< Ok, ok! > risposero mentre si buttavano nudi com’erano sul grande
letto, e soltanto un momento dopo russavano tutte tre più che bene, in una
dolce sinfonia pastorale, alquanto discordante.
Erano le dieci passate quando si svegliarono, e in parte si sentivano
discretamente meglio. All’infuori della mano di Stefano ch’era ancora
gonfia e gli doleva abbastanza, e Mauro decise che a quel punto era meglio
che si rivolgeva alla farmacia della nave, per acquistare degli antibiotici.
Ma subito Stefano lo fermò dicendo: < Aspetta Mauro, è meglio di no?
Potrebbero insospettirsi e il medico di bordo, capirebbe subito che questa è
una ferita da arma da fuoco. Questo è più che certo, non credi? >
< Stai tranquillo, > gli rispose Mauro. < Non dirò al medico che è per
te. Ma gli farò vedere questo bel graffio che ho sotto al mio braccio, vedi...
Ecco, è bel rosso e un po’ gonfio, e dirò che me lo sono fatto sulla scaletta
del ponte superiore ieri sera. E vorrei degli antibiotici per non sciupare le
nostre vacanze. Chiaro! > Mentre Andrea preoccupato gli chiese: < Ma
perché non l’hai detto subito ieri sera? Hai sistemato le nostre ferite e la
tua non l’hai controllata... Veramente è successo ieri sera, sulle scaletta
della nave? >
< Non ricordo! mi sembra l’altra notte, quando mi sono buttato a
capofitto nella scarpata per evitare i tre mafiosi e i loro spari. Avrò urtato
qualcosa che mi ha graffiato. Un ramo di acacia spezzato. Beh, almeno
208
questa la posso far vedere e farmi prescrivere qualcosa, per evitare
l’infezione. D’accordo? >
Accanto alla farmacia vi era l’ambulatorio medico e subito il dottore
della nave, controllò l’abbondante graffiatura di Mauro e ligio alle sue
mansioni di medico gli fece una rapida medicazione e gli prescrisse una
scatola di antibiotici intramuscolari e una la fece subito. Rimanendo
d’accordo che all’indomani sarebbe ritornato per fare una seconda fiale e
per evitare dispersioni del prodotto aperto e già pagato, consegno la
confezione al paziente. E con quelle quattro fiale rimaste Mauro avrebbe
risolto il suo problema. Effettivamente Stefano prima di sera si sentiva già
meglio, con la mano meno gonfia e la temperatura era tornata normale.
Avevano cercato in tutta la giornata di passare inosservati tra i
passeggeri evitanti i punti più chiassosi e affollati, chiedendo con laute
mance di pranzare e cenare in camera e al tempo stesso riposare per bene.
Mauro nel frattempo era riuscito a cambiare un po’ di dollari in dracme
greche per piccoli acquisti: Calzoni magliette e sigarette per Stefano, una
bottiglia di wischy per disinfettante, cioccolata per Andrea e una bottiglia
di vino greco per ubriacarsi, quella era la sua intenzione in quel momento.
Erano stati avvisati che sarebbero giunti a Iràklion la città principale
dell’isola di Creta, all’indomani verso le cinque pomeridiane e al momento
potevano veramente stare tranquilli, sapendo che per ora erano al sicuro.
Poi più avanti avrebbero pensato quale era la via migliore da prendere per
209
sopravvivere. Perciò a quel punto potevano veramente dormire fino a tardi,
ripristinando le loro ossa doloranti e contuse. Mettendosi in forma prima
dello sbarco ad essere più rilassati e magari se possibile divertirsi un poco
sull’isola di Creta. Quella era la loro prima aspirazione. Avevano fatto
una bella doccia e dopo la rituale puntura si erano sistemati a letto con un
caldo abbraccio, cercando di addormentandosi in fretta.
La stanchezza dei giorni passati si era fatta sentire, ma più che
fisicamente la spossatezza, era moralmente che si sentivano abbacchiati e
distrutti da quegli eventi appena lasciati alle loro spalle, fortemente
presenti. Stretto tra le loro braccia forti, da sentirsi ormai in paradiso. Alla
fine visto che non riuscivano a dormire, si misero supini uno accanto
all’altro, cercando di riposare le proprie spoglie doloranti, chi per la spalla,
chi la mano, ma anche e chi aveva le costole doloranti. Infine Mauro
espresse ai compagni, mentre Stefano si stava accendendo una sigaretta
desiderata in quel momento: < Grazie amici! >
< Be’, a questo punto, > intervenne Stefano nel dire qualcosa anche lui al
momento: < Vorrei anch’io essere smemorato e dimenticare tutto del mio
passato, forse potrei godere meglio il futuro... >
< A questo punto, io direi invece, perché non ci facciamo sopra una
bella dormita? > espose Andrea sorridendo a entrambi, mentre dava un
bacio ad ognuno. Poi senza accorgersene si trovarono stretti tra loro a
baciarsi con amore e tutto successe così all'improvviso ma pienamente
convinti di quello che facevano per placare l'ansia e la paura al momento
appena lasciata in disparte, ma che covava sotto, sotto e tutto si svolse nei
migliori dei modi senza prevalere e accettare quella loro strana unione con
diletto.
Poi la calma prevalse e gli animi si acquietarono finalmente assieme,
addormentandosi rapidamente avvinghiati tra le loro mani forti.
210
Capitolo Trentesimo
Erano le dieci passate, quando qualcuno bussò alla porta della cabina,
ma loro erano talmente presi dal sonno che non sentirono nulla e si erano
dimenticati di mettere il cartellino fuori “Non disturbare”. Neanche
quando la porta si aprì e entrò il cameriere di quel settore per le pulizie e la
richiuse sbattendola abbastanza forte. Era il giovane col sorriso sulle
labbra che li aveva accompagnati al loro arrivo. Ma quando si trovo quei
tre corpi nudi e aggrovigliati tra loro che dormivano beatamente, per un
momento il suo sorriso si era perso in un’interrogativa domanda più che
mai comprensibile? L’inserviente aveva capito subito cosa avevano fatto
quei tre italiani quella notte. Un’orgia belle e buona, aveva dedotto con un
po’ di fantasia il giovane inserviente stava guardando con ammirazione
quei bellissimi corpi sudati e lucidi dal riflesso del sole che filtrava oltre
l’oblò, che andava e veniva seguendo le oscillazioni del rullio garbato
della nave, quasi come una carezza luminosa che partiva dai piedi e saliva
verso la testa e poi ritornava ancora verso l’estremità con un’altra passata
lenta e leggera, sulle loro pelli accaldate e rilassate a riposare.
E fu sorpreso ancora di più il giovane inserviente, quando Mauro aprì
gli occhi e lo vide lì in piedi con ancora gli occhi sbarrati dallo stupore a
fissarli e prontamente Mauro si scusò: < Scusa la nostra maniera di
dormire, ma siamo sempre abituati a dormire nudi. >
mentre il giovane si riprese e farfuglio qualcosa in segno di scusa e la
sua mortificazione era ben visibile, dicendo: < Lipùme Chìrìos! Mi scusi
Signore! Ma non pensavo che dormivate ancora e fuori non c’era il
cartellino e io... > ma non riusciva a proseguire il discorso, era tutto
imbarazzato e arrossato in viso. Era stato colto a guardare com’erano nudi
e scomposti a letto. Aveva la voce un po’ alterata e tremante l’inserviente.
Aveva destato dal sonno anche gli altri due passeggeri, ancora assonnati e
confusi mentre non capivano bene chi stava parlando nella loro cabina in
quel momento con Mauro. Stefano sonnolente borbottava ai compagni di
letto: < Accidenti ragazzi, che notte! > e di rimando Mauro rispondeva,
avendo intuito che il giovane greco aveva capito a cosa si riferiva
quell’esclamazione di Stefano. Mauro aveva visto fremere il giovane
inserviente confuso, oltre che aumentare il rossore sul suo giovanile e
imberbe viso. Perciò propose a Stefano: < Be’, visto che la mano, ti fa
211
male così tanto, vuoi forse farti visitare dell’ufficiale qui, di marina? >
indicandolo con la mano il giovane. < Lui ha senz’altro un po' di detersivo
o candeggina che allevierà il dolore!. Vero? > Si era rivolto al giovane
inserviente, dai cappelli ricci e neri con due occhioni grossi e scuri, che
brillavano confusi, sopra il rossore del suo viso, ma con addosso una
grande agitazione e confusione, da quei discorsi che capiva più che bene.
Perché sulla nave c’era un’ufficiale italiano, che gli insegnava a parlare la
propria lingua. Il giovane greco deglutì la saliva, non sapendo bene cosa
fare o dire in quel momento. Mentre Andrea si era alzato a sedere e infine
accorgendosi della sua presenza, incominciò a capire quei discorsi
mattinieri dei compagni e infine rispose con enfasi al riguardi: < Però, che
bel pezzo di giovane uomo ci hanno inviato dell’Olimpo greco di prima
mattina, hai portato la colazione? > chiese sorridendo.
E finalmente quello un po’ timidamente rispose ai passeggeri di quella
cabina n° 6: < Paracalò, Prego, scusate ancora Signori... Io non
immaginavo, entrando per le pulizie della vostra cabina, di causare uno
scompiglio nella vostra intimità... Ma se desiderate la colazione vado a
prenderla subito in cucina! Efcharistos, volentieri. >
< Be’, visto che comprendi bene l’italiano, > gli rispose Stefano
sorridendo: < Cosa aspetti? Dai porta pure un sacco di roba da mangiare,
ho una fame addosso che mi mangerei anche il cuoco. >
E fu assai veloce il giovane a ritornare con un grande vassoio colmo di
brioche e caffè bollente. Purtroppo l’inserviente greco doveva fare ancora
un sacco di lavoro su quella nave da mezza crociera. E quando ritornò
trovò che avevano divorato tutto. Perciò il giovane greco era uscito
pienamente soddisfatto per le dracme che stringeva in mano a confermare
il servizio ristoro eseguito a dovere.
Mentre Mauro esprimeva la loro unanime idea: < Comunque vada a
finire ragazzi, ci siamo divertiti a sazietà. Pur sapendo più che bene che
sopra ogni cosa, abbiamo sempre nel fianco quella spina mortale.
Sperando che si possa tirare avanti il più a lungo possibile. Sperò! Ma, fin
ché c’è vita c’è speranza. Questo è l’essenziale. > sbottò sull'euforico.
< Una cosa ho compreso, > aggiunge Andrea stringendosi a loro,
con affetto. < Ci sentiamo ormai come fratelli e ci vogliamo molto bene,
ed è per questo che ci unisce in un’unica cosa. Grazie amici miei! >
< Già! Come diceva quel detto? Uno per tutti e tutti per uno. >
espletò Stefano, mentre baciava con affetto i compagni, rafforzando
quell’assurda unione tridimensionale, nel rinvigorire i loro animi sconvolti
212
dagli eventi funesti. Nel lottare contro le tante patologie storte, colme di
paure e di ansie e desideri repressi, ma con una voglia d’amare ed essere
amati, fino all’ultimo respiro. Quasi a voler affrettarsi in quella ridda di
premure e smanie, prima che qualcosa venga a smorzare con un colpo di
pistola le loro assurde bramosie sconce.
Mauro aveva partecipato con finta goliardia a quel festino notturno,
capendo che era un modo come un altro per dissipare e nascondere la
paure della morte incombente. Non voleva sminuire quella ridda
d'erotismo smisurato e si lasciava coinvolgere senza protestare, lui sapeva
che quei due giovani erano entrati nel suo cuore così fortemente da fargli
paura di perderli molto presto. Era il presagio ch'era sorto in quei giorni di
traviata unione. Poi tralasciò quei quesiti che sovente faceva, oltre ai sogni
scabrosi che lo assalivano nella notte e forse per quello che accettava ogni
loro desiderio anche strambo, pur di averli sempre vicini al suo fianco.
La motonave “Elpida” attraccò nel porto di Iráklion a Creta alle
diciassette e trenta quasi in orario. La giornata era stupendamente bella,
con un caldo sole africano che riscaldava le lamiere della nave. Mentre
l’aria veniva rinfrescata da una leggera brezza che percorreva la costa
rocciosa dell’isola di Creta. Un’isola un po’ aspra, dai lineamenti
grandiosi, con splendidi paesaggi di mare e nude montagne, le colline
cariche di uliveti e piccole piante verdi sparse qua e la, fra agglomerati di
case bianche. Pertanto, guardandola dalla nave sembrava veramente l’isola
dei loro sogni. < E’ veramente bella! > esclamò Andrea affascinato del
posto e Stefano proseguiva a esprimere quasi una richiesta: < Speriamo
che ci sia di divertirsi qui? >.
Nell’approssimarsi all’arrivo a Creta, i tre giovani avevano faticato per
trovare via radio una camera in qualche albergo dell’isola, data l’alta
stagione era molto difficile trovarne una. Ma alla fine, tramite conoscenze
il comandante aveva trovato e prenotato per loro una suite per una
settimana, al Grant Hotel “Xenia” sul lungomare di Candia.
Quando uscirono dalla stazione marittima il taxi dell’hotel era lì ad
attenderli puntuale. L’autista in uniforme, era un signore simpatico di
mezza età, ma con una tale vivacità e brio addosso. Li stupì alquanto, nel
sentirlo parlare in quel linguaggio spiccicatamene cretese, che elargiva
consigli anticipatamente ai tre turisti, cose ancora non richieste, ma pur
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sempre cose buone a sapersi per l’avvenire.
< Hanno scelto bene il posto Signori! Qui, troveranno le migliori
ragazze discendenti da antiche origini minoiche, esuberanti, allegre,
ospitali, ma sopratutto disposte verso il turista a far trascorrere le giornate
meravigliosamente bene sotto questo sole cretese. Credetemi pallicàris,
giovanotti. Farete le migliori vacanze. > espresse con marcata euforia.
E Mauro si trovò pronto a discorrere, pensando al tempo stesso, dove
aveva appreso quel comprensibile linguaggio greco; all’università? < Be’,
vorrà dire che le sapremo dire alla nostra partenza da Iràklion, se sono stati
propizi gli dei dell’olimpo verso gli stranieri. >
< Vedo che il Signore conosce bene la nostra lingua e pertanto non
sarà difficile comunicare più profondamente con il gentil sesso del posto.
Comunque, per qualsiasi informazione e aiuto, mi possono trovare al bar
dell’hotel. Chiedete di Miros il sofèr, sarò a vostra disposizione. >
< Okay, può contarci! > rispose Mauro, mentre gli altri due lo
fissavano curiosi, a voler sapere cosa diavolo avevano borbottato quei due
tra loro. Ma erano ormai giunti all’albergo e la domanda finì per essere
rinviata a più tardi, mentre Mauro elargiva al taxista una buona mancia.
La suite era bella e spaziosa, aveva un grande terrazzo che dava sul
lungomare Makaríou e si perdeva sul mare aperto di fronte a loro e più a
lato in lontananza si vedeva la piccola isola rocciosa di Dia. Lo spettacolo
che si presentava ai loro occhi era superbo e dava l’immagine di un mare
diverso in quella immensità mescolata di verde, azzurro e un blu profondo,
sotto l’increspatura bianca delle onde. Tutto sembrava veramente di
appartenere ad un altro mondo, qualcosa di mistico e antico traspirava in
quel posto. Persino nell’aria s’annusava, quasi a percepire l’odore del
vicino continente africano.
Il Lift: il ragazzo dell’ascensore era entrato dopo di loro, serio e
impeccabile nella sua divisa rosso scura, bordata da un’esuberanza di
fronzoli dorati, era lì che aspettava. Aveva deposto a terra il loro ristretto
bagaglio e lì stava osservando un po’ imbarazzato. Stefano lo guardò a sua
volta e non sapendo cosa dire si era rivolto a Mauro, chiedendogli una
spiegazione: < Mauro com’è... insomma, che parola magica occorre per
dire al ragazzo, che può andarsene via, senza usare gesti strani? >
< Quante dracme hai in tasca? > gli chiese Mauro con un risolino
sulle labbra.
< Ma, veramente ho circa cento dracme... > rispose confuso, mentre
214
Mauro lo sollecitava, dicendo: < Beh, cosa aspetto a dagliele e vedrai che
lui toglierà subito il disturbo. >
E con mille ringraziamenti il ragazzo se ne andò velocemente contento.
Nel frattempo Andrea si era tolto la camicia e si era messo su uno sdraio
sul terrazzo a godersi il sole, che incominciava a volgere al tramonto e
l’irradiava per tutto il corpo di un colore arancione e Mauro osservandolo
esplose a dire rivolto a Stefano, distratto a guardare sotto di loro il traffico
serale. Scorreva fluido, ma altrettanto rumoroso, sul grande lungomare di
Candia. < E’ bastato solo un momento. E track! Andrea è diventato tutto
rosso come un peperone... Guarda un po’? >
E di rimando Stefano: < Bisognerà metterlo in frigorifero per
raffreddarlo a questo punto!? > e gli scappò una fragorosa risata.
< Be’, che avete da ridere tanto? > protestò Andrea che incominciava a
crogiolarsi di quel posto accogliente. < Insomma, che avete tanto da
rompere ragazzi? > mentre si alzava dallo sdraio corrucciato in volto.
< Nulla, è soltanto che hai un bel colorito, sembri pel di carota. >
rispose Stefano con fare sornione.
Mentre Andrea borbottando ai due e riprese a dire: < Ho capito siete
gelosi del mio fisico, questa è la verità. Bene, sapete cosa vi dico adesso?
Io vado a farmi una bella doccia fresca e poi andrei un poco per strada in
cerca di una discoteca o una sala da ballo. Insomma ci sarà qualche buco?
Ho una voglia matta di sgranchirmi un po’ le gambe. Voi no? >
< Urca! > sbottò Stefano con allegria. < Che voglia di ballare ho
anch’io addosso. E’ un sacco di tempo che non mi scateno. Dai ragazzi
muoviamoci a fare una nottata di baldoria... e chissà cos’altro. Urrà!! >
Mauro era ancora sulle difensive, dopo quei giorni di tensione e
sgomento appena superate, che ancora non era di umore giusto, per darsi
da fare in quel senso. Ma non poteva deludere quei compagni che avevano
diritto di svagarsi un poco, dopo aver dovuto abbandonare tutto e tutti così
precipitosamente e perciò rispose con un sorriso convincente: < Be’, cosa
aspettiamo, diamoci da fare. Okay, ragazzi! > mentre rimuginava ancora
qualcosa e il suo viso lo rifletteva, che Andrea gli chiese: < Be’, che c’è
ancora, che ti preoccupa Mauro, qui siamo al sicuro, no? >
< Beh! Volevo soltanto dire, che dovremo evitare di dar troppo
nell’occhio in questi primi giorni e poi decideremo, se tutto sarà calmo...
mi capite vero, ragazzi? Dobbiamo stare sempre allerta, non si sa mai... >
< Certo, certo, ok! Faremo soltanto un giro per vedere cosa offre
questo posto. > risposero quasi all’unisono, mentre si svestivano buttando i
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vestiti da ogni parte. E persino sotto la doccia spaziosa si misero a giocare
come dei ragazzini, spruzzando acqua da ogni parte. Mauro stava
partecipando con finta apparenza giuliva, ma la sua mente era altrove.
Chissà perché, gli stava frullando in testa un cattivo presagio di
un’imminente olocausto. Quel presentimento gli era sorto appena aveva
toccato piede su quell’isola così mitica e satura di avvenimenti già da
millenni. Poi scaccio quei cattivi presagi e cercò di essere alla pari dei
compagni, così euforici dopo tanto dolore e travaglio. E a quel punto non
lo voleva far pesare quella sua fobia repressa. Poi, di quella sua cognizione
era più che cosciente a non voler coinvolgere i presenti più di tanto.
Erano le dieci di sera quando lasciarono il ristorante del Grant Hotel
“Xenia”, e s’inoltrarono nella piccola e ridente metropoli di Iràklion, si
erano messi addosso dei vestiti freschi: calzoni ti tela lunghi e chiari, con
sandali appropriati, mentre le magliette erano a mezza manica, dal blu di
Mauro e bianche degli amici che facevano risaltare i loro petti muscolosi.
Era l’ultimo acquisto appena fatto sulla motonave greca e se li stavano
sfoggiando, oltre aversi fatto un piccolo guardaroba da viaggio.
In quelle strette vie la musica e le urla dei turisti, villeggianti e cittadini
di Candia si mescolavano assieme in un’assordante melodia d’altri tempi.
Si ammassavano e si moltiplicavano enormemente, creando una vera fiera
a festa. Le vie e i vicoli erano assiepati di gente che passeggiava
tranquillamente nella frescura della notte mediterranea. Camminando tra i
negozi ancora aperti per invogliare i turisti tardoni, ed erano molto
abbondanti in quel periodo privilegiato di alta stagione.
Il portiere dell’hotel, alla loro richiesta di un posto per divertirsi, lì aveva
indirizzati ad una megagalattica discoteca poco distante da loro. Quando
apparve alla loro vista sulla cima di una ripida salita, lì stupì un poco. Nel
suo complesso a forma di nave era grandiosa l’imponenza, stracarica di
passeggeri che ogni qualvolta che si aprivano le grandi porte, usciva fuori
un denso fumo di sigarette, che veniva sospinto dal vento verso il cielo, da
sembrare dei grandi fumaioli di un transatlantico in piena navigazione.
L’interno brulicava di gente, conteneva senz’altro più di tremila persone,
stipate così bene, da sembrare tante sardine da inscatolare e pronte per
l’affumicatura.
216
Capitolo Trentunesimo
A quella vista traboccante di giovani, Stefano gli era sfuggito un urlo
d’approvazione: < Iah-ooh!! Qui si balla!... >
< E chissà cos’altro! > sbottò Andrea euforico, mentre Mauro torceva
il naso, pensando che in quel posto si poteva fare solamente una buona
sauna, con tutta quella ressa di giovani e meno giovani. Poi con foga da
pionieri si erano buttati anche loro nella mischia, mescolandosi a quella
moltitudine di persone urlanti che brulicavano da ogni parte. Buona parte
ebbri da quella musica che rimbombava nei timpani dei partecipanti in
euforica gioia, in quella voglia di scatenarsi a perdifiato e scaricare i nervi.
La musica era inebriante, da stravolgere le fisionomie. Volti sudati e
affannati e gli occhi sbarrati, un po’ allucinati. Forse anche aiutati da quelle
pasticche da sballo che bazzicano sottomano e vanno così tanto di moda.
In quella immensa sala si vedevano seni ondeggianti e agitati che
sussultavano in continuazione. Fra braccia muscolose grondanti di sudore
e il tutto coperto dal fragore assordante dalla musica, accompagnate dalle
molteplici luci psichedeliche. Tutto era all’insegna del progresso più
sfrenato, dove il ritmo era così avvolgente che i giovani partecipanti si
trovavano a spartirsi il posto a gomitate tra loro.
Stefano da buon poliziotto aveva adocchiato e abbordato come un falco
due meravigliose figliole nordiche, erano veramente la fine del mondo. A
stento Stefano, riuscì alla fine a farsi capire e a portarle dov’era Andrea in
un giro di ricognizione, spiegando a quest’ultimo: < Senti amico. Ho
recuperato queste due stangone bionde. E mi pare se non sono cieco, è più
che evidente, sono gemelle e... non si separano mai. Capisci? >
Andrea era rimasto a bocca aperta e affermava col capo. Mentre Stefano
proseguiva: < Non so da che parte vengono dal nord? Forse svedesi. Perciò
figurati, quanta voglia di maschi latini hanno? Soltanto e mi sembra che
non capiscono né il greco e nemmeno l’italiano. Parlano un poco l’inglese.
E tu, so che ti arrangi con quella lingua, così ho pensato che ci si può
discutere con loro sul da farsi. Che ne dici? C’è solo un particolare e lo
puoi vedere da te. E’ molto difficile distinguerle l’una dell’altra? Per me fa
lo stesso. Non ho problemi. Tu cosa ne pensi, ti va di farmi compagnia con
una delle gemelle gocce d’acqua? > commentò Stefano.
< Io dico, che meglio di così non poteva capitarci d’incontrare. Se a
217
loro sta bene! Per me non m’importa chi sia quella delle due, chiaro. Poi se
sanno l’inglese ci capiremo al volo e in verità a letto vanno bene tutte le
lingue, purché lunghe e vogliose. > mentre si facevano reciprocamente le
presentazioni, e dalle loro occhiate allusive, sembrava ch’erano i ben
accetti a far da cavaliere alle carine bionde svedesi.
Andrea era rimasto colpito e affascinato da quei due pezzi da novanta,
bionde e carine, con un sorriso che sembrava stampato perennemente sulle
loro vogliose labbra. Mentre i due lupacciotti aspettava un loro assenso
benevolo, che risposero con identica voce: < Okay, okay, Boy friend! >
< Bene, allora diamoci dentro! > E si buttarono tra la mischia a ballare
un rock scatenato, mentre si stringevano tra le braccia ognuno la sua
bionda. Le bionde vichinghe, dagli atteggiamenti procaci e dal modo che si
passavano la lingua sulle labbra, in quei gesti infantili, ma assai produttivi
a eccitare l’accompagnatore del momento.
Mauro dal canto sua in quella bolgia si trovò a ballare di fronte ad una
enigmatica ragazza dal viso ambrato. Aveva due bellissimi occhioni neri
che prorompevano in uno sguardo affascinante, con una lunga capigliatura
nera fin sulle spalle nude e più sotto una camicetta di pizzo bianca, molto
scollata sul seno abbondante. Portava una corta gonna nera, mettendo in
mostra due affusolate gambe perfette, da definirsi sorprendente tutto
l’insieme. Mauro era rimasto colpito dalla bellezza della ragazza e ad un
certo punto si stupì a supporre platonicamente. Assomigliava a una dea
moderna, mandata in quel posto dagli dei dell’olimpo per divertirsi e far
soffrire di desideri reconditi i presenti, e crogiolarsi vanitosa alle spalle dei
tanti ammiratori che la corteggiavano assiduamente.
218
Era stupendamente bella, altera, ma altrettanto dolce, così sembrava al
giovane in contemplazione. Mentre lei di tanto in tanto buttava un sorriso
qua e là e qualche parola, in quel greco locale molto stretto e un po’
difficile da capire. Poi Mauro si fece coraggio e cercò un aggancio, con
poche parole greche ma molto significative per la ragazza e subito tra i due
incominciò una piacevole conversazione, fra salti e spintoni. Mauro aveva
intuito che la ragazza aveva voglia di dialogare da quel che notava, era
senz’altro lì sola, o al massimo con delle amiche. Perché era così strano
che una così bella ragazza affascinante, non abbia il suo boy friend tra i
piedi. “Magari il suo ragazzo sarà in qualche angolo della discoteca che
l’attende?” Commentò tra sé Mauro, mentre pensava ancora che avrebbe
egualmente continuato a parlare con lei, gli piaceva quella ragazza cretese.
A un certo punto le domandò: < Scusami, ma sei sola? > butto quella
domanda un po’ sciocca, in quella frase abbastanza frivola. Mentre lei lo
fissava incuriosita, poi rispose: < No, sono con un’amica, Perché? > gli
chiese lei un po’ sulle difensive. Mentre Mauro cercava di non invadere la
sua privacy. Lui, voleva soltanto essere cortese e dialogare un altro poco.
Poi, rispose: < Sei troppo carina! Perciò, mi sembra strano che tu non
abbia un ragazzo che ti corteggi e ti faccia da guardia del corpo, in mezzo
a tanti predatori che ti ronzano qua attorno. Ecco, tutto qui! > espose
Mauro con un largo sorriso, la sua semplice opinione.
Lei lo fissò con determinazione, ma al tempo stessa era incuriosita da
quella domanda. Mentre si muoveva sinuosa al ritmo di quella musica
sfrenata. Mettendo in evidenza il suo prosperoso seno, che ondeggiava
paurosamente. Costringendo Mauro a guardare altrove per evitare
l’imbarazzo di quell’eccitamento, che gli proponeva la ragazza in quel
momento. Infine, lei rispose con semplicità: < Non dubitare, ce l’ho un
ragazzo, e sinceramente lo devo ammettere, è anche bello. Ma purtroppo
questa sera aveva del lavoro da sbrigare e così sono venuta a ballare con
un’amica. Ma, in questo momento è sparita da qualche parte con il suo
ragazzo. Perciò, eccomi qua sola, sola, al momento... > mentre sorrideva
maliziosamente al giovane straniero.
< Ma lui, non è geloso a lasciarti sola? Io lo sarei! Avere tra le mani
una così graziosa e bella ragazza... > Ma veniva interrotto dalla giovane
che gli chiedeva decisamente: < Ma tu per caso, > sbottò lei seriosa. < Non
ci stai provando a farmi la corte, vero? >
Mauro gli sorrise e rispose con fare serio: < Non mi permetterei mai con
la ragazza di un’altro e in special modo, ad uno che lavora, non sarebbe
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onesto da parte mia. Comunque, tanto per cambiare argomento, non
gradiresti una bibita ghiacciata? Qua dentro si crepa dal caldo! > gli
propose, mentre lei dopo averlo guardato per bene rispondeva con un caldo
sorriso: < Ma certo, offro io! > propose lei con una gioiosa risata. E Mauro
di rimando ribatteva: < La proposta è stata mia. Pertanto dovrai aspettare il
tuo turno, che sarà senz’altro dopo. Okay! > poi aggiunse porgendogli la
mano: < Io mi chiamo Mauro, Mauro Rossi, e tu? >
< Elena. > rispose lei, mentre le loro mani si stringevano con calda
simpatia e la ragazza metteva in mostra una meravigliosa fila di denti
bianchi. E Mauro di rimando chiedeva ancora con fare furbesco: < Per
caso, tu non fai parte della mitologia greca. Sei forse, quella Elena? Sai
cosa intendo dire… Quella che fu messa in discussione per molti anni, ai
tempi di quel capitano che ci lasciò il tallone. Quell’Achille, ricordi? >
Elena di nuovo scoppiò a ridere ma di gusto, infine rispose a fatica
trattenendo quella ilarità scoppiata per quella frase d’altri tempi. < Be’, sì!
In verità, il mio lui, si chiama effettivamente Akhilleos... Come vedi sarà
forse un lontano parente, ma ti assicuro è identico anche nell’aspetto e per
di più molto geloso e combattivo. > espose compiaciuta al confronto, nel
trovarsi entrambi a ridere nuovamente.
Poi, mentre erano seduti al tavolino prenotato della ragazza e la sua
amica, sopra la balconata che circondava la grande sala. Da lassù si
dominava tutto sotto di loro, mentre osservavano quella marea tumultuosa
in gran fermento. Dopo aver ordinato delle bibite di acqua ghiacciata
mescolata a Ouzo, si rimisero a chiacchierare animosamente come due
vecchi amici, sulle cose più svariate della vita e le differenze fra le varie
nazionalità e via discorrendo. Ad un certo punto della loro ben avviata
amicizia, era giunta accanto a loro, l’amica di Elena con il suo ragazzo un
po’ alticcio da molti drink bevuti. Oltretutto il giovane cretese faticava a
reggersi in piedi, oltreché a dialogare e visto che alla fine era soltanto un
farfugliare di parole inutili. A quel punto, l’amica di Elena molto sveglia,
si trascinò via il suo ragazzo, salutandoli velocemente e sparendo
nuovamente tra la ressa di quei giovani in fermento, oltretutto super
agitati.
220
Capitolo Trentaduesimo
Mentre loro due incuranti dal frastuono continuavano a dialogare tra
loro tranquillamente. Improvvisamente si trovarono accanto Stefano e
Andrea in compagnia dalle due bionde vichinghe. Mauro fu colpito da
quella identicità delle giovani, e per un attimo pensò di vederci doppio.
Due visi angelici e con meravigliosi occhi azzurri e i loro corti capelli di
un biondo platino e manco a dirlo indossavano identici e attillati vestiti, di
un bianco smagliante. Il tutto faceva risaltare tremendamente le loro
procaci forme anatomiche. E tutte quattro si dimostravano molto euforici
in quel momento di reciproca conquista, mentre Andrea si era rivolto a
Mauro dicendo: < Ehi! Amico. Scusa se disturbiamo... > ma si era fermato
e si stupì della bellezza di Elena, che gli sorrideva maliarda da turbarlo.
Poi s’era ravveduto da quella vista da mozzafiato e riprese a dire quasi con
affanno: < Capisci Mauro, noi, insomma io e Stefano, vorremmo andare
con loro. A dimenticavo, loro sono Elka e Frida, gemelle da non dirsi... >
Mentre s’intrecciavano frettolosamente le mani. E Mauro subito fece le
presentazioni di entrambi. < Lei è Elena e loro sono Andrea e Stefano e le
gemelle Elka e Frida. > mentre scrutava compiaciuto le due turiste
nordiche e stringeva a sua volta le loro mani. Stefano intanto stava
dicendo, mentre scrutava la mora Elena seduta accanto a Mauro. < Sai,
Mauro ci hanno invitato nella loro pensione e certamente faremo tardi... >
poi, dopo una breve pausa riflessiva aggiunse. < Molto, molto tardi? >
< Ma certamente ragazzi, divertitevi! Siamo qui per questo a Creta,
vero? > rispose Mauro con un largo sorriso, mentre faceva l’occhiolino
d’intesa a Elena, che a sua volta rideva tranquillamente di quella
appropriata combinazione latino nordica.
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Abbracciati per i fianchi, il quartetto se la squagliavano velocemente
con un frettoloso saluto giubilante. < Ciao, ciao, a presto! >
Mauro avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro, ma quelli erano già
spariti, mentre Elena che aveva intuito più che bene quel ballottaggio di
prosperose avventure tra i giovani turisti, espose sorridendo a Mauro un
suo commento: < Be’, vedo che i tuoi amici non hanno perso tempo nel
darsi da fare per divertirsi. Poi in fondo sono due belle coppie, molto bene
appaiate anche in altezza. L’unico problema l’imbarazzo nel dividersi la
compagna giusta... difficile da distinguere, l’una dall’altra, ti pare? >
Mauro stava per rispondere qualcosa al riguardo, quando lei tutta
eccitata si mise a indicare qualcosa, fra quella marea di gente al centro
della sala sotto di loro. < Guarda Mauro, eccolo è laggiù! Lo vedi? >
indicando tra i giovani che ballavano, un giovane alto e moro, con dei
cappelli neri, abbastanza lunghi e arricciati, che si guardava in giro
preoccupato. Poi lei, lo chiamo a gran voce: < Akhilleos!! > e lui appena la
vide, arrivò su da loro in un lampo.
Mauro stava osservando con interesse quell’alta figura d’uomo, indicato
poco prima da Elena, che avanzava con decisione verso di loro. E vedendo
l’espressione dal viso corrucciato dell’altro, sembrava veramente teso e
preoccupato quel giovane cretese. Con quella folta chioma nera che
ondeggiava mentre s’avvicinava a lunghi passi, dava da pensare che avesse
molta premura. E quando fu accanto a loro si pianto di fronte a Mauro con
decisione e lo guardò dritto negli occhi con serietà preoccupante. Quasi a
dimostrare ch’era pronto ad una sfida. Mauro era rimasto senza fiato, non
aveva mai sentito su di sé uno sguardo altrettanto serio e profondo. Era
come se quegli occhi scuri e penetranti fossero arrivati fino al centro della
sua anima. E si stupì ancora di più da solo di trovarsi ed essere cosi calmo,
nell’indifferenza più totale e senza reagire a quella sfacciata strafottenza
che vedeva stampato sul volto squadrato del giovane cretese. Aveva le
mascelle contratte per l’ira che dimostrava apertamente di aver in corpo.
Mauro a quel punto fu turbato, ma non per quello che poteva pensare il
presunto avversario, ma altresì per la sua idea sbocciata improvvisamente
fuori dal suo subconscio. Il suo primo impulso perverso era stato quello di
portarselo a letto quel bellissimo e arrogante giovane, ne sarebbe valso
veramente la pena. Era folle quel pensiero affiorato così d’impulso, ma era
veramente bello e intrigante quel rude giovane maliardo. Mauro si
rimproverò, pensando che era l’uomo di quella giovane greca, e pertanto
222
era meglio scordare e accantonare quella evasione improvvisata.
Elena che conosceva la caparbietà del suo uomo e sapendo più che bene
quali erano le sue reazioni in quel genere d’incontri, intervenne
rapidamente per placare gli animi. Poi, dopotutto era soltanto un dolce
bambinone il suo uomo e lei sapeva come giostrarselo a dovere, spiegando
al suo tenebroso uomo dall’aria più che mai rissosa a quella presenza di
Mauro: < Lui è un amico, Mauro Rossi. E’ un avvocato italiano. > gli
spiegò in quel dialetto greco locale e decisamente poi rivoltosi a Mauro lo
presentò: < Ecco, questo è il mio ragazzo, Akhilleos Kirkis. > mentre i due
si guardavano un po’ in cagnesco. Mauro allungò deciso la mano, dicendo
all’agguerrito innamorato: < Piacere di fare la tua conoscenza! >
Mentre l’altro un po’ titubante, allungò in fine la sua mano ruvida e
callosa, stringendo con troppa energia quella dell’altro a dimostrare la sua
priorità sulla ragazza. In quella stretta fatta con molta riluttanza, il giovane
greco rispondeva a denti stretti, dicendo con semplice freddezza a quel
presunto rivale: < Calispéra! > mentre si prendeva una sedia per sedersi
accanto a Elena senza tanto complimenti al caso.
Mauro lo ricambiò con un largo sorriso, pensando dentro di sé che
quell’arrogante greco si stava sbagliando di grosso, lui in quel momento
aveva altro per la testa e poi era già innamorato di ben altre persone, che si
stavano già scordando dei loro intimi momenti e involontariamente gli
sfuggì dentro di sé una semplice parola di rimpianto: “Peccato!” Poi
tralasciò quei caldi pensieri antecedenti e tentò di riproporre qualcos’altro,
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al giovane ombroso seduto di lato, che lo fronteggiava con ostentazione e
diffidenza. < Venite spesso qui, a ballare? > Mauro aveva parlato apposta
in italiano, per evitare che quel prode guerriero supponesse dell’amicizia
troppo intimità con la sua ragazza, mentre indicava con la mano il locale.
E dopo un attimo di riflessione avevano un poco intuito il significato,
mentre Elena aveva risposto affermativamente. < Sì, abbastanza! > ma al
tempo stesso lei pensava, “Perché mai aveva parlato in italiano e non in
greco che sa spiegarsi e arrangiarsi benissimo?”
Mentre Akhilleos stava ancora squadravano l’altro con circospezione e
diffidenza, scoppiata in quel frangente di supposizioni dei presenti, che si
andava formando velocemente in testa ad ognuno.
Mauro in quell’attesa che qualcuno di loro parli, stava osservando con
interesse quella specie di selvaggio preistorico dall’aria un po’ bellicosa. E
a quel punto Mauro doveva dedurre e dar ragione a Elena, che in fondo era
veramente un bel fusto il suo ragazzo; supponendo all’incirca della sua età.
Abbronzato e muscoloso ma senza eccedere nelle forme da super
olimpionico. Poi tralasciò quei commenti fuori posto e cercò di essere più
esplicito verso il giovane ribelle, dicendogli decisamente ma sempre in
italiano evitando che Elena capisse troppo quel dialogo tra uomini, fatto
per lo più di sguardi belligeranti in un presumibile conflitto a due, se ci
fosse stato: < Amico non t’arrabbiare... Io non sono qui per rubarti la tua
donna... Devi credermi. Anche se non comprendi l’italiano, so che mi
capisci egualmente... Mi sono spiegato? > mentre teneva puntato gli occhi
addosso al giovane cretese, senza ostilità ma una pacatezza controllata.
Akhilleos s’incupì maggiormente e strinse un po’ gli occhi a voler
memorizzare quelle parole sconosciute e infine parve d’intuire la risposta
attraverso i loro sguardi duri, ma espressivi e sinceri. Poi dimostrò di
disinteressarsi a quell’italiano rompiscatole e rivoltosi alla ragazza gli
chiese in greco, sapendo ormai che quell’italiano non capiva un gran ché,
per non dire un accidenti del loro dialetto: < Be’, dove l’hai pescato questo
pezzo di, bamboccio legale? Ah’, lasciamo perdere! Comunque, mi devi
scusare Elena, ma avevo un lavoro da fare? > e vedendo il viso della donna
incupirsi, Akhilleos si spiegò meglio: < Sì, ho portato qui da Mirtos sulla
mia Rolls Royce un carico di bionde. Roba per il contrabbando locale e ho
preso un bel po’ di dracme... > Ma Elena lo fermò appoggiando la mano
sul suo braccio, dicendogli tranquillamente a sua volta: < Guarda che
dovresti far più attenzione quando parli. Perché lui, Mauro, oltre che essere
un avvocato italiano capisce anche il greco. >
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Akhilleos restò un momento in silenzio, un po’ confuso, ma si riprese
subito e guardando dritto negli occhi a Mauro, ed espose ciò che pensava
senza tanti complimenti e con determinazione redarguì l’altro: < Penso che
tu non sei qui per rompere... diciamo, le uova nel paniere, vero, dìchigòros,
avvocato, giusto? > e sbottò un leggero sogghigno.
Mauro abbozzò un largo sorriso, pensando al modo controverso di
esporre con decisione le sue idee. Quel mezzo bucaniere gli piaceva, forse
troppo, ma non volle andare oltre e addentrarsi in particolare troppo
profondi e immaginari. Poi, alla fine rispose al giovane selvaggio, ma
questa volta in greco: < Amico, > sbottò Mauro con un’ingannevole sorriso
sulle labbra. < Io ho già abbastanza fastidi addosso, per non dire guai da
risolvere, senza andare a cercarne altri. M’hai compreso? > mentre gli
balenava di colpo un’idea, che quel bel giovane moro dalla chioma fulva e
nera, gli poteva forse servire in qualche modo. Essergli magari di aiuto in
quelle circostanze scabrose che si trovavano lui e i suoi amici in quel
momento. Mentre quelli, in quel medesimo momento erano a spasso
tranquillamente con le svedesi, se non di già a letto a scopare. Era stata una
cosa così improvvisa, sentita dentro, nel profondo dell’anima, e Mauro era
sicuro che poteva fidarsi di quell’uomo dai sentimenti forti ma leali, il suo
intuito non mentiva. Così Mauro decise di punto in bianco di parlare ai due
amici appena acquisiti. Erano rimasti a guardarlo incuriositi, per la sua
espressione preoccupata: < Senti un po’ Akhilleos. Io avrei un piccolo
problema da risolvere e forse tu potresti aiutarmi? > mentre lo fissava
dritto negli occhi scuri in attesa. E altrettanto il giovane greco lo stava
studiando e inquadrando per bene in quella sua mal certa curiosità, quasi
avesse già colto il significato della richiesta e deciso gli sussurrò, con un
vago tono d’intesa: < Di che genere di aiuto... hai bisogno avvocato? >
aveva usato una tonalità più concisa ma dall’espressione amica.
Mentre Mauro fissava e cercava la sua risoluzione, prima su Elena e poi
Akhilleos e alla fine tentò di spiegarsi: < A questo punto, devo fidarmi di
qualcuno e penso siate voi quelle persone. Anche se ci conosciamo appena,
la vostra fiducia è più che riposta in me. E per farla breve... Dovete sapere,
che in Italia sono stato testimone involontario di un omicidio della mafia e
così ho dovuto scappare per non essere ammazzato. Capite questa mia
situazione? > buttò quell’inventiva travisata, per dare un senso alla sua
richiesta, senza addentrarsi troppo nei dettagli. Già di per sé complicata.
< Veramente!? > sbottò Elena sorpresa. < Ma sei così tranquillo. Non
hai paura che ti trovino quelli? >
225
< Se vi dicessi la verità, senz’altro non ci credereste. Si ho paura, ma
di più per i miei amici che mi hanno aiutato a fuggire e ora anche loro sono
bersagliati dalla ndrangheta calabrese e la mafia siciliana. V’immaginate
tutto questo sconvolgimento nella nostra vita. Ecco perché siamo capitati
qui a Creta e proprio per caso. Avendo trovato l’unica nave che transitava
da Malta di notte e l’abbiamo presa al volo. Ma io presumo che attraverso i
nostri documenti ci possano rintracciare ed è per questo che volevo sapere
da te Akhilleos, se per caso conoscevi qualcuno? S’intende pagando bene.
Poter avere dei nuovi documenti d’identità? Insomma, dei documenti falsi
per cambiare identità per sempre. Capisci il mio... il nostro guaio? >
Akhilleos con un lieve cipiglio e cenno del capo, annuì.
< Ma tutti quanti dovrebbero cambiare l’identità? > chiese a sua
volta Elena con circospezione. E Mauro calmissimo rispose: < Certamente,
perché hanno cercato di nascondermi in casa loro, ma purtroppo siamo
stati individuati e per poco non ci ammazzavano tutti. La mafia non
perdona a chi interferisce nei suoi sporchi affari, perciò ci perseguitano a
morte. Pertanto se tu avessi delle conoscenze... > mentre guardava in viso
il giovane greco pensieroso. Mauro aspettava una risposta affermativa,
sapendo che quella idea era la soluzione migliore per far perdere le tracce
definitivamente. Capendo, che senz’altro la mafia ora starà cercando quei
tre giovani killer fuggiti con il malloppo, mentre si commentava tra sé e sé,
Mauro poco convinto: “Non si sa mai, un po’ di pace in più non farebbe
poi male a nessuno, di questi tempi?”
Akhilleos, dopo una breve pausa, chiese a sua volta: < Ma non potevate
rivolgervi alla polizia italiana? Farvi aiutare da loro... farvi proteggere? >
Mauro gli sfuggì un piccolo sogghigno e rispose: < Non era possibile...
Be’, sì in un certo senso avremmo avuto la protezione della polizia, ma la
mafia si sarebbe vendicato contro i nostri parenti, ricattandoci. E’ per
questo che abbiamo preferito lasciare per sempre l’Italia e vivere
all’estero. Ma io ho paura che girando con i nostri veri documenti ci si
possa incappare in qualcuno di loro... Comprendete? >
< Già, hai ragione! E’ meglio non provarci. > approvò Akhilleos
mentre si strofinava con la mano la barba un po’ lunga sul suo viso
ambrato. Poi di colpo butto indietro oltre le spalle i lunghi capelli che gli
cadevano un po’ sul viso e si alzò dicendo: < Aspettate qui un momento,
vado a fare una telefonata. > e se ne andò di filata con quella caratteristica
falcata agile. Mentre Elena rassicurava Mauro. < Devi stare tranquillo,
quando Akhilleos prende un’iniziativa lo porta sempre a termine. In verità
226
lo devo ammettere, lui è un uomo di parola. >
< Sì, questo lo capito appena l’ho visto. Io stranamente percepisco
sempre chi ha l’animo buono, al di fuori dell’esteriorità burbera. Invece di
altri per non dire molti, che ti circondano di moine ma sono ambiguamente
ipocriti. Comunque mi compiaccio con voi due, siete una bellissima e
affiatata coppia. Spero che sarete tanto felici assieme in futuro. >
< Ma, lo spero bene anche io. > rispose Elena tranquillamente.
Akhilleos tornò quasi subito con un mezzo sorriso sulle labbra carnose,
e appena seduto si avvicino ai due e disse sotto voce. < Sei fortunato
amico. C’è uno che può fare qualcosa per il tuo caso, ma vuole mille
dollari in anticipo e il resto da stabilire dopo? > mentre osservava Mauro e
aspettava una conferma, che decisamente Mauro approvava muovendo il
capo: < Okay! Non c’è problema. > rispose, mentre aspettava di avere altre
spiegazioni al riguardo di quell’operazione da farsi sottobanco.
< Il tizio abita a pochi chilometri da Ziros, sulla punta estrema
orientale dell’isola. > spiegò Akhilleos mentre si guardava attorno con
circospezione. < Lui è un tipo fidato. Su questo puoi stare tranquillo. >
< Okay! Ma dove lo posso incontrare e quando? > chiese Mauro con
sollecitudine e un po’ di euforia.
< Domani, anzi oggi alle dieci, > guardando l’orologio al polso di
Mauro, < Lui sarebbe libero da impegni... > mentre parlava Akhilleos
guardava Elena e stava pensando come fare, poi ebbe un’idea, dicendo a
Elena: < Non potresti portarlo tu con la tua moto? Oltretutto non dareste
tanto nell’occhio, andando in giro in cerca di souvenir particolari. In ogni
modo Elena ti spiegherò dopo la strada. > e rivolto di nuovo a Mauro gli
diede delle piccole delucidazioni al caso: < Devi sapere che Spiros, così si
chiama o si fa chiamare così? Per l’esattezza non so bene se è quello il suo
vero nome... Comunque non c’interessa. Lui è un tipo molto speciale e
previdente su certi lavori artigianali e deve sempre di persona giudicare se
deve accettare oppure no. Credimi, amico, comunque quando lo conoscerai
capirai meglio che tipo è Spiros. Strano ma sincero. >
Mentre Elena chiedeva a Mauro: < In che albergo vi siete sistemati? >
< Al “Xenia”. L’unico che aveva camere libere. > rispose Mauro.
< Però, vi trattate bene! > espresse Akhilleos sorridendo, poi riprese a
dire: < Bene, allora Elena, passi da lui alle nove a prenderlo e io sarò ad
aspettarvi in piazza a Sitia alle dieci e trenta. D’accordo? >
< Okay, d’accordo! > mentre Mauro estraeva cento dollari dalla tasca
dei calzoni e l’infilava nella tasca della camicia mezza sbottonata di
227
Akhilleos. < Questo è un anticipo per il disturbo. > espresse Mauro.
Ma subito Akhilleos reagiva decisamente. < No! Mi spiace ma non
voglio nulla, questo è un favore da amico. Non posso accettare! >
restituendo decisamente il danaro a Mauro che insisteva energicamente a
voler dare: < Dai, non offenderti! Non che ne abbia molti, ma non mi
mancano per il momento. Poi oltretutto, ti stai dando da fare per me e i
miei compagni e sinceramente non saprei a chi altri rivolgermi. Ti prego
accetta e poi domani, insomma oggi darò a Elena il dovuto per tutto il
disturbo, anche per il suo trasporto in moto. Ok! >
Mentre Elena dava una gomitata al giovane restio, e rispondendo lei più
che mai decisa: < Okay Mauro, serviranno per farmi la mia dote, vero
Akhilleos? > rivolgendosi al suo ragazzo con un sguardo conturbante, da
confonderlo tremendamente. Si vedeva più che bene che lui era
innamorato e ammagliato da quella stupenda fanciulla e si lasciava
trascinare e guidare senza reagire minimamente. Perciò alla fine, rispose
semplicemente a Mauro: < Ok, ok! va bene, facciamole la dote e grazie
ancora. > e metteva in mano a Elena la banconota, che prontamente la
faceva sparire nella sua borsetta. Poi con decisione Akhilleos salutò Mauro
con una stretta di mano ben diversa di poco prima, esprimendo una leale
solidarietà in quel gesto: < Allora ci vediamo, d’accordo Mauro? > rispose
con un caldo sorriso, mentre si alzava dalle sedie, nel dargli una pacca
sulla spalla a confermare la serietà e la sicurezza di quel lavoro. Elenca a
sua volta porgeva la mano a Mauro, salutandolo calorosamente: < Bene,
allora, sarò da te alle nove precise. Ciao! > confermò lei sorridendo.
< Okay! Tra poche ore, all’entrata dell’albergo, d’accordo? > rispose
Mauro più che soddisfatto per l’inaspettata riuscita. Poi mentre osservava
Akhilleos ed Elena che si allontanavano a braccetto sorridenti, Mauro
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rimare lì, in contemplazione a fissarli soddisfatto. “ Sono veramente una
bella coppia.” Commentò con una piccola e imprecisata punta d’invidia.
Mauro dopo un buon momento di rimuginazione, si era avviato a sua
volta verso l’uscita e appena fuori da quella bolgia tirò un grande respiro
di sollievo. Scappando via da quella fabbrica di fumo che gli soffocava il
respiro. Oltre al baccano infernale emesso a tutto volume, da provocargli
un effetto contrario ad una normale situazione di euforia. Quel frastuono
esagerato gli aveva messo i nervi tremendamente a pezzi. Comprendendo
che il tutto era provocato da ben altro, ma che al momento non sapeva
bene cosa fosse, o forse non voleva ammetterlo di saperlo più che bene
quale era il problema reale. Dovendo poi alla fine ammettere ch’era
semplicemente geloso con il prossimo e arrabbiato con sé stesso, di
quell’assurda situazione in cui si trovava in quel momento. Cercando di
portare la sua attenzione verso altre questioni, pensando e incolpando
quell'incubi che subiva ormai quotidianamente, dopo quella famosa notte.
Per Mauro erano ormai diventate una cosa così abituale, ma per fortuna
che la compagnia e l’esuberanza dei compagni di sventura, facesse sì che
si smorzasse un poco quella stressante situazione che incombeva
tremendamente sul suo capo. Senza però darlo a vedere agli amici, già
abbastanza in apprensione per sé stessi. Sapendo più che bene che tutto
quel travagliato aggrovigliamento di avvenimenti era soltanto e dovuto a
quell’amore per la vita. Da divenire abbastanza morboso in quella mischia
triangolare, sapendo altre sì bene, che non poteva durare a lungo quella
fiaba d’oltre sponda. Pertanto da un giorno all’altro poteva finire tutto di
colpo, ma dentro di sé Mauro non pensava che sarebbe finito cosi presto e
all’improvviso. Sperava, che quell’amore e rispetto reciproco, nato con i
suoi compagni durasse ancora. Almeno un altro poco. “Pazienza,
pazienza!” sbottò sull’incavolato. Immaginando che passata quella paura,
tutto sarebbe oltretutto cambiato con l’aiuto di quella piccola fortuna che
custodiva la sua sacca, essendo poi il migliore afrodisiaco per far dirottare
qualsiasi idea. E pertanto, si diceva tra sé e sé che non doveva aver nessun
rancore verso i compagni di sventura, se tutto quell’eufuismo stava
scemando nel dimenticatoio. Ormai capiva ch’era giunto il momento della
fatidica separazione. Intuendo più che bene che in quella prima avvisaglia
di follie notturne era il preludio di un proseguimento costante e imminente.
Lui, lo sentiva dentro di sé quell’apprensione accentuata di sgomento. E in
fondo, era più che giusto pensò: “In fondo a tutto è meglio prima, che
aspettare il dopo”, bofonchiò tra sé più che mai abbacchiato.
229
Poi senza accorgersene, era giunto davanti al Grant Hotel e per un
attimo si girò a guardare quella moltitudine di gente che passeggiava a
quell’ora di notte. Mauro ebbe un vacuo sorriso di commiserazione con sé
stesso, pensando a quante persone avrebbero voluto possedere quella
fortuna che aveva riposto nella sua borsa da tennis e avrebbero fatto follie
quella notte. In quanto a lui non importava molto, era soltanto un mezzo
come un’altro per sopravvivere in quel momento. E tutto quel suo
rimuginare d’idee strambe, era solamente e perché, in quel momento si
sentiva così solo e avvilito, per non dire deluso della vita. Pensando a ciò
che gli dava tanto fastidio in quel momento: di essere rimasto alle prese
con la sua scadente memoria. Sebbene in parte riacquistata ma, alquanto
deludente. E a quel punto avrebbe voluto che la sua memoria si ampliasse
su quelle non tanto brillanti prospettive che si delineavano all’orizzonte.
“Pazienza, pazienza, ragazzo!” sbottò ancora dentro di sé incavolato più
che mai, sapendo che era l’unica maniera per commiserarsi nel ripetere
continuamente le stesse cose e farsi venire un gran mal di testa.
La voce del portiere lo distolse da quelle vacue rimuginazioni,
riportandolo alla realtà del momento, con un saluto. < Kalinikta Kùpios! >
Augurandogli la buonanotte, e a sua volta Mauro rispose per rispetto in
quella sua svogliatezza: < Kalinikta! > sparendo oltre la porta d’ingresso.
230
Capitolo Trentatreesimo
Mentre si stava spogliando, Mauro si ricordò di recuperare i vari
documenti e le foto istantanee fatte nella macchine a gettoni al Super
Market di Reggio Calabria, prima dell’imbarco e un bel po’ di danaro
necessario per quell’operazione di cambiamento radicale delle loro vite.
Sistemato ogni cosa nella tasca del giubbino jeans, e il tutto gli avrebbe
servito tra poche ore. Alla fine si spogliò e si recò in bagno a farsi una
bella doccia tonificante, sapendo ormai che quella soluzione era l’unica
cosa che gli riusciva più che bene, aiutandolo a rilassarsi e alleggerire i
suoi pensieri alquanto turbinosi.
Alla fine visto che il sonno era ormai andato a farsi benedire, pensò bene
di mettersi sul terrazzo a godersi quella notte in santa pace e aspettando
l’alba ormai vicina. Mauro si era sistemato su di uno sdraio nell’attesa che
passino quelle poche ore e giunga il mattino. E poi alle nove passerà
Elena, a prenderlo con la sua moto. Così si era accordato, ripensò distratto.
Era li disteso e distrattamente osservava le stelle, che si aprivano in un
ampio scenario celeste sopra di lui. Mauro in quel momento, si lasciò
rapire dalla fantasia; quasi a voler contare quelle miriadi di miliardi di
stelle cosparse in cielo. Tutti quei puntini luminosi, così scintillanti in
quell’infinito spazio convulso dell’universo, lo stava tremendamente
affascinando. Si trovò a ritornare indietro nel tempo e si rammentò che
aveva desiderato molte volte soffermarsi a scrutare il firmamento ma non
aveva mai trovato il tempo per farlo. E ora ch’era lì a guardare, se lo
voleva godeva tutto per sé in un sol momento quella stupenda visione.
Mentre scrutava con impegno il cielo in cerca della sua buona stella. Ma
subito Mauro si dovette ricredere, capendo che lui, un miserabile assassino
non poteva pretendere di averne una; dopotutto non sé la meritava
veramente. Ma in fondo a tutto si sentiva così solo in quel momento e
avrebbe voluto anche lui avere lì accanto qualcuno d’amare e essere
amato. Intuendo più che chiaramente, che in futuro sarebbe stato un mezzo
calvario per un tipo come lui, così introverso e soprattutto un maniaco
omicida. E si vergognò tremendamente da solo, per quella verità venuta a
galla più che veritiera. Era così miseramente impotente a reagire e
accettare le sue colpe, che si trovò a piangere convulsamente.
231
Alla fine Mauro si lasciò andare e s’assopì a quel modo con un forte peso
sullo stomaco e un gran mal di testa. Ma nel sonno che seguì fu scosso e
agitato, cercando disperatamente di reagire e svegliarsi. Si sentiva
inseguito dai fantasmi del suo passato, avvolti da amare e ingiuste gelosie.
Vedeva scorrere dinanzi a sé impotente, i volti sconvolti e insanguinati
delle sue vittime che aveva trucidato cinicamente, e dove il sangue
scorreva a flotti. Da divenire un grande fiume irruente e rosso dal sangue
che traboccava
convulso da quei cadaveri viventi. Lui, tentava
disperatamente di fuggire e guadare la riva. Ma si sentiva bloccato e
capiva che stava per annegare tra quelle acque torbide. Mentre il sogno si
faceva sempre più irruente, nel vedersi inseguito un’infinità di persone
armate e grondanti di sangue e lui disperatamente faticava a correre. Quei
fantasmi gli sparavano contro con grande soddisfazione espressa dai loro
ghigni sgraziati. Mentre osservava con terrore il suo corpo tutto traforato
dai proiettili. Era pieno di buchi e il sangue usciva copioso. Lui
disperatamente tentava di otturare quei fori con le mani insanguinate, ma
tutto era inutile e alla fine non approdando più a nulla, si lasciava
travolgere dal terrore. E a quel punto del suo macabro sogno, si svegliava
di soprassalto stremato, avvolto nella paura più cupa. Purtroppo,
quell'insano sogno si ripeteva ormai costantemente eguale ogni notte.
Mauro si trovò, che tremava come una foglia al vento, cosparso di una
sudorazione fredda, a quel punto si avvolse meglio l’accappatoio addosso,
ma non se ne andò a letto. Era rimasto lì a ripensare a quelle sue turbative
mentali, che gli stavano piano piano, condizionando e rendendo la vita
impossibile, portandolo presto alla pazzia. Quella soluzione era la più
credibile. Stava impazzendo. Poi, Mauro si guardò attorno, rendendosi
perfettamente conto ch’era lì tutto solo e nudo come un verme. Nel capire
ancora una volta, dove aveva sbagliato e a cosa gli serviva quella sua
smania d’amore perverso verso i suoi compagni di sventura. Era solamente
un appiglio per non dare il tempo al suo subconscio di pensare oltre e
avere qualcuno accanto per placare e mascherare la sua errante paura di
quei sogni notturni, che lo perseguitavano ormai continuamente.
232
Capitolo trentaquattresimo
Mauro era ancora in bagno quando squillò il telefono in camera. Uscì
dalla doccia grondante d’acqua e si reco dall’altra parte, alzò la cornetta e
l’addetto alla reception l’avvisò che vi era una certa signorina Elena che
l’attendeva da basso. Lui ringraziò e velocemente terminò di asciugarsi e
vestirsi, si era messo di volata un paio di jeans, t-shirt bianca, mocassini e
giubbotto, infine ricontrollò se aveva preso tutto. Poi scrisse due righe per
avvisare i due nottambuli, che lui restava fuori una buona parte della
giornata e si avviò celere all’ascensore.
Elena l’attendeva nella hall del Grant Hotel, aveva addosso dei jeans
chiari, stivaletti neri e camicetta a fiori molto aperta sul davanti da
permettere una buona vista sul suo seno perfetto e sul suo viso ambrato
aveva un paio di occhiali scuri, abbinati alla sua folta capigliatura corvina
annodata dietro alla nuca a coda di cavallo. Mauro constatò ch’era perfetta
in tutto, aveva l’aspetto da sbarazzina e il tutto le donava tremendamente
tanto, per non dire molto e conturbante.
E quando lei lo vide uscire dall’ascensore le corse incontro e l’abbracciò
furbescamente con calore, dandogli un leggero baco sulla guancia.
< Finalmente caro! > proruppe lei a voce piuttosto alta, in
quell’euforia che dimostrava. Mentre Mauro in un primo momento rimase
un po’ confuso, ma subito si riprese a quel dolce abbraccio di primo
mattino, oltre che al parlottare nascosto della ragazza che gli diceva piano
nell’orecchio: < Stringimi per favore e fai finta di nulla, c’è un poliziotto
dell’Hotel in borghese, che mi ‘sta da un bel po’ appiccicato addosso e ora
ci osserva continuamente. Caro! > esplose ancora con una tonalità più alta
del dovuto. < Ti sei svegliato finalmente! Sai che dovevamo già essere al
mare a questa ora... Be’, sei pronto adesso? Andiamo allora! >
< Scusami amore! > rispose Mauro in quel greco espresso in una
tonalità anglosassone, mentre la baciava nuovamente sul viso. < Mi
dispiace per il ritardo! Mi sono addormentato pensandoti. Sai, dopo la
bella serata trascorsa assieme, è stato un onore farti da cavaliere.. >
< Va bene, ma ora andiamo, è tardi! > l’incitò la ragazza mentre
osservava che il loro dolce colloquio non era passato inosservato dai pochi
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presenti nella hall dell’Hotel a quell’ora. E tutti quanti si stavano gustando
la fresca bellezza di quella spigliata ragazza, che se ne stava andando via
in compagnia di quel fortunato giovane cliente del Grant Hotel “Xenia”, e
lasciando tutti a bocca aperta, per non dire vuota dall’invidia.
Accanto alla moto della ragazza, Mauro espresse con serietà un semplice:
< Grazie Elena! >
Mentre lei gli passava il casco sorridendo, poi rispose: < Dai monta su,
che andiamo! > lo incitò con celerità.
Mauro s’infilò il casco e salì dietro a Elena, mentre le sussurrava ancora
all’orecchio: < Non so come avrei fatto senza di te, sei una ragazza sveglia
e tremendamente affascinante... >
Ma lei aveva già accelerato e la moto schizzò via come il vento, mentre
lui tentava di parlare ancora, ma fu costretto a gridare oltre il casco di lei
per farsi sentire: < Quando incontreremo Akhilleos? >
< Tra poco! > rispose lei quasi urlando. < Ci aspetta a Sitía, a un
centinaio di chilometri da qui. Ma ora tieniti bene, perché si vola! > e
aumentò l’andatura già abbastanza veloce in quel momento.
Mauro in quel frangente di cose nuove, si sentiva veramente bene e
avrebbe voluto che quella ragazza che stringeva per la vita, fosse la sua
donna. A quel pensiero, cercò di immaginarsi e ricordare quell’altra, la
ragazza romana che aveva piantato in asso. Carla? Ricordando il severo
rimprovero e la vaga spiegazione del suo gesto incosciente, dette da quel
padre che non sentiva per niente suo. Ma ancora in quel momento non
riusciva a ricordare visivamente quella Carla, che avrebbe dovuto sposare.
“Incredibile?” Commentò tra sé costernato. Purtroppo non si rammentava
proprio nulla, nemmeno una parvenza di fisionomia, nulla? Cercando di
sforzarsi a voler almeno avere una piccola visione di quella donna lasciata
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a Roma, anche solo per il gusto di dirsi poi, che non aveva fatto male a
piantarla. Ma tutto inutile, non riusciva a metterla a fuoco. Mentre si
spremeva le meningi, Mauro gli sembrava d’intravedere soltanto
un’ombra, una cosa sbiadita d’altri tempi. Poi visto che non approdava a
nulla si disarmò da solo, nel capire che non doveva insistere ancora.
Altrimenti poteva capitagli di rovinare quella bella giornata iniziata
abbastanza bene, stretto al caldo corpo di quella Dea dell’Olimpo greco,
che zigzagava sulla strada come una vera centauro spericolata.
Al porticciolo di Áyios Nikólaos si fermarono un momento per
prendersi una bibita, mentre Mauro tentava di acquietare la corsa irruente
della ragazza: < Ma tu, corri sempre così decisa? >
< Ma, guarda che non ‘sto correndo, vado di fretta. Tu hai paura
forse? > mentre rimontavano in sella, e lui le rispondeva con un semplice
ma stantio sorriso: < No, no! E’ soltanto una mia curiosità... >
Ma lei aveva già innestato la marcia e via un’altra volta di volata. Alla fine
giunsero nella piccola cittadina di Sitia e in piazza trovarono parcheggiato
il camioncino sgangherato di Akhilleos.
Elena entrò decisa in un cancello aperto. Poi, mentre stava
parcheggiando la sua moto nel cortile di una trattoria a lato della piazza.
Akhilleos stava uscendo proprio in quel momento dal locale avvicinandosi
a Mauro dicendo con fare burlone: < Siete in ritardo ragazzi! >
< Scusa la colpa è mia. Ho fatto aspettare Elena in albergo. > mentre
osservava il giovane greco, intento a seguire le mosse della sua ragazza
che sistemava la propria moto. Poi l’altro, riprese a dire a Mauro: < Sai
una cosa amico. Io non smetterei mai di guardare la mia donna, mi fa
girare la testa ogni volta che la vedo... > mentre la sua voce esprimeva una
tale gioia piena d’emozione. E riprendendo a dire con enfasi: < Perché
ogni volta che me la vedo davanti mi manda in tilt il cervello. Mi piace
tanto e mi fa impazzire, credimi amico! >
Mauro era stupefatto nello scoprire nuove cose di quel burbero
bucaniere, dall’apparenza così diversa dalla notte prima che sembrava
volesse spellarlo vivo avendolo visto assieme alla sua ragazza in discoteca.
E ora qui, così modesto ma franco nell’esprimersi. Probabilmente, pensò
Mauro, che quel giovane doveva avere un cuore grande come il mondo,
oltreché pieno di saggezza. Mentre pensava ancora, che era soltanto la
seconda volta che si vedevano eppure si era restaurato un rapporto così
umano e profondo tra loro due. E di questo Mauro gli era molto grato,
comprendendo che di questi tempi è molto difficile trovare ancora simili
235
personaggi e si compiacque ancora di più con lui: < Sei veramente
fortunato amico! > esclamo con sincerità. < Hai la più bella e dolce
ragazza e in verità ti invidio tanto. Comunque sono felice per voi due. >
Mentre Elena si stava avvicinando a loro e li stava osservando un po’
dubbiosa, infine li apostrofò entrambi: < Be’, che c’è di tanto strano in
me? Mi state guardando come se fossi una bestia rara! > protestò lei
vivamente.
E quasi in contemporanea risposero loro due decisi. < Niente, niente! >
Subito Akhilleos riprese a dire alla ragazza con una voce un po’
emozionata: < Su, andiamo tesoro! Sali... > mentre se la stringeva a sé con
passione. < Dai, salite sulla mia Rolls... > e scoppiarono a ridere per il
lontano paragone fra le due vetture quasi d’epoca.
Appena superata la località di Ziros, Mauro chiese: < Manca ancora
molto per arrivare dal Signor Spiros? >
< Tra due chilometri. > spiegò Akhilleos. < E’ dietro quel crinale
laggiù. Tra un momento vedrai la casa dell’amico Spiros. E’ situata su un
piccolo pianoro a strapiombo sul mare e dalla casa si domina tutto il mare
aperto sul Mediterraneo. E’ un bellissimo posto! Spiros lo chiama il suo
monastero. La leggenda dice che avrebbe dovuto sorgere un convento
sopra al tempio, ma il Dio Giove non lo permise e fece crollare quasi tutto
nel mare. Un terremoto, e quel che rimane è stato fin dai tempi addietro
sistemata a semplice dimora per eremiti. >
< Già, ha qualcosa di misterioso il posto. > approvò Elena, mentre si
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guardavano in giro curiosa. E infatti appena svoltarono dietro il monte,
apparve il piccolo spiazzo antistante e s’intravedeva oltre il grosso platano,
la sagoma della piccola casetta bianca con le persiane e le porte dipinte di
un blu chiaro, era a ridosso di una roccia a strapiombo sul mare libico, che
brillava al sole sopra di loro dritto allo zenit.
Akhilleos fermò rumorosamente il suo scassato camioncino nello
spiazzo antistante alla casa, alzando un gran polverone. Sfidando il tutto,
scesero dal mezzo e portandosi rapidamente sotto il pergolato di una vite
moscato dal tronco grosso e secolare. Mentre il vento spazzava via
l’ultimo granello di polvere e ridando al posto la pace e la solitudine
abituale. Loro si misero a curiosare attorno, mentre seguivano Akhilleos
verso la casa.
Mauro si stava gustando quel posto così solitario, ammirando la sua
ubicazione centenaria, mentre tutt’intorno non si vedeva anima viva; da
sembrare che in quel punto il tempo si fosse fermato da parecchio tempo.
Mauro era affascinato da tanta bellezza abbandonata, ammirava un’infinità
di sculture dall’aspetto molto antico sistemate tra piccoli viali di alloro e
rosmarino. E gli sembrava di trovarsi in uno di quei tanti musei greci
abbandonati al proprio destino. Poi, in quel posto così silenzioso e pieno
d’antichità gli pareva che aleggiasse attorno anche un pizzico di mistero.
Quel posto era solamente una piccola e vecchia impresa artigianale
imitazioni archeologiche, ma di discreta fattura nella creatività dell’estro
dell’artista. Dove la scelta del prodotto era abbastanza vasta: dai capitelli
decorati, ai cavalli di ogni grandezza e forma, ai mezzi busti dei vari
personaggi della storia e della mitologia greca. Sistemati su mezze colonne
artefatte, d’origine: dorico, ionico e corinzio, di greci, minoici e macedoni.
In quel miscuglio di doppioni, più o meno belli e goffi, esposti in
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quell’antichità ben ricostruita, a valorizzare la mano dell’artista e a
confondere il turista affrettato e avido di scoprire cose nuove e strane, ma
soprattutto a buon prezzo e là in mezzo a quella groviglio di stranezze,
poteva trovare ciò che gli confaceva. Anche fra quelle grandi statue di
condottieri in grandezza naturale, esposti così bene: da Alessandro Magno
nudo con la spada e lo scudo in mano a Minosse pronto per la battaglia e
poi ancora, da Oreste, Agamennone, Zeus con le saette in mano e ancora:
Minerva, a Perseo con in mano la testa di Medusa, Eracle, Apollo nei vari
abbigliamenti dell’epoca e in fine Achille nudo, colpito al tallone dal dardo
fatale. Tutto era così esposto più che bene, a invogliare il turista a
comprare.
Mauro si soffermò un attimo a osservare quell’ultima statua per bene, era
a ridosso della casa in un bel marmo bianco levigato e si stupì per la forte
rassomiglianza con l’amico Akhilleos e notò che anche Elena ci stava
pensando sopra, ma poi si allontanò tranquillamente senza dire niente.
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Mauro si accorse che Akhilleos era alquanto imbarazzato di quella perfetta
rassomiglianza e per una frazione di secondo i loro sguardi s’incrociarono
e Mauro capì all’istante che Akhilleos aveva fatto da modello per
quell’opera, ch’era veramente la più bella e perfetta.
Poi, senz’altro l’astuzia dell’artista, l’aveva messa apposta in quel posto
per invogliare i turista a guardarla più che bene. E Mauro se ne
compiacque nuovamente, pensando se veramente era proprio identica in
tutto e per tutto, in quell’abbondanza sostantiva che mostrava il marmo
ben levigato. Poi, capì che non doveva commentare e tralasciò quei
pensieri cattivi, e seguì i due amici. A quel punto Akhilleos ripresosi da
quell’inghippo dimenticato più di un anno fa; ma rievocato in quel
momento d’imbarazzante situazione da sentirsi più nudo del suo doppione
marmoreo esposto in bella mostra, che lo ritraeva dolorante nel tentativo di
strapparsi la freccia dal tallone. Alla fine Akhilleos tento di deviare
l’inghippo e spiegò ai compagni: < E’ tutta opera di Spiros. E’ un piccolo
artista, un Michelangelo cretese... > facendo segno con il braccio a cerchio
per indicare tutto il posto. < Ora seguitemi, l’entrata e di sotto. > indicando
una stretta scala, mentre Mauro gli rispondeva: < Hai perfettamente
ragione è un mago della perfezione. Peccato che i migliori artisti siano
sempre sottovalutati. >
< Già! > rispose Akhilleos sorridendo tra sé, mentre stava scendendo
la scala scavata nella roccia a ridosso della casa e conduceva da basso in
uno specie di locale cantica tutto fare. Infine in silenzio, attraversarono
una bassa porta dipinta di azzurro, con una scritta sopra: “Monastiri”.
Appena entrati nella penombra dell’ambiente, Mauro comprese che quel
locale era adibito a negozio, da com’erano sistemati tutta quella quantità di
suppellettili che vi era dentro, messi su vecchi scaffali a ridosso delle
pareti. Vi erano vasi di ceramica e terracotta di ogni forma e grandezza.
Piccoli monili, anelli, bracciali, orecchini e collane, in quel miscuglio di
souvenir per ogni gusto e tasca. Dove dei e dee dell’olimpo troneggiavano
sui vari scaffali più alti. In quell’ambiente mistificatore di epoche, fra
vecchia polvere e l’odore di creta fresca che si mescolava al silenzio
mitologico. Veniva interrotto da un raggio di sole che entrava dalla piccola
finestra socchiusa dalle imposte, che s’affacciava sul mare Mediterraneo
sottostante e tracciava nella polvere che aleggiava in quella grande stanza,
una divisione netta. Sembrava un’invisibile spada conficcata a terra.
Mauro rimase ancora una volta stupito, quasi se stesse percependo
239
nell’aria una mistica cognizione del tempo passato, dove l’aria che
respirava sapeva di vecchio e stantio. E s’immaginava nella sua mente
l’epoca di quel prode Achille morente. Ma un attimo dopo fu scosso da una
sinistro presagio, avendo appoggiato una mano sul ripiano a lato nel
locale, da farlo rabbrividire in un quel sentore di una freddezza mortale che
percepiva più che bene. Faticò, cercando di scacciare via quei pensieri
dall’aspetto auspicante e funesto, sorti così all’improvviso. Dal niente.
Infine passarono oltre una logora e sporca tenda e dall’altro lato
entrarono direttamente nell’antro del creatore, le fucine del Dio Giove.
Così era scritto in cirillico sulla parete di fronte a loro.
Il signor Spiros era seduto su di uno sgabello attorno a un antico girello,
mentre stava pedalando per far girare il tavolino rotondo e con le mani
bagnate le faceva scorrere attorno all’argilla fresca per improntare la forma
voluta all’anfora di turno. Senz’altro era il suo centesimo vaso, che stava
per terminare di modellare, constatò Mauro incuriosito. Stupendosi di
trovarsi a confronto con il mitico artista, un vecchio dai folti cappelli grigi
e la barba bianca e due vispi occhi neri sempre guardinghi. E quando loro
entrarono l’anziano uomo si fermò un istante e li salutò con un cenno del
capo e la mano che saliva alla fronte e poi l'allontanava in quel saluto
arabico e a fior di labbra una semplice parola: < Kalimèra. >
Loro risposero al saluto e Akhilleos cordialmente gli stringeva la mano
piena di creta: < Khèrete! Salve! > Poi, rivoltosi ai compagni Akhilleos
spiegò: < Questo è il signor Spiros... >
< Felicissimo!> rispose Mauro. E l’uomo di fronte rispose con un
semplice: < Khèro! Piacere! > mentre riprendeva il suo lavoro e loro si
guardavano attorno aspettando pazienti. Poi il vecchio Spiros lasciò a metà
la sua opera con uno sguardo di soddisfazione, mentre si puliva le mani
con uno straccio e si alzò dallo sgabello. Era alto e magro, con il viso un
po’ incavato ma, dal portamento dignitoso in quel lungo barracano azzurro
che indossava. Infine allungò la mano a Elena e a Mauro salutandoli con
una stretta decisa e poderosa. Poi, iniziò a parlare con Akhilleos in uno
stretto dialetto locale. Dopo un buon momento di contrasti verbali
Akhilleos si era rivolto a Mauro, riassumendo brevemente quel loro
dialogo fatto in dialetto: < Ora che ti ha visto, il signor Spiros è d’accordo
per aiutarti. Sai lui è un tipo istintivo e non fa nulla se non è convinto di
persona. Comprendi Mauro? Bene, ora spiega a lui cosa ti serve di preciso
per i vostri documenti da rifare. >
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Mauro estrasse dalla tasca del giubbino i tre passaporti e un foglio di
carta, mentre osservava il vecchio dall’età indefinita. E gli mostrò i
documenti, dicendo: < Si possono sostituire con dei passaporti greci? >
Mentre l’altro li controllava velocemente, poi rispose: < Certamente, tutto
si può fare! > mentre scrutava Mauro con quegli occhi da falco predatore.
< Soltanto, > riprese Mauro. < C’è un piccolo problema, > espresse
con disappunto. < I miei compagni non sanno nemmeno una parola di
greco e sarebbe un guaio se qualcuno gli domandasse qualcosa,
specialmente la polizia o alla dogana... vero? >
< Be’, penso che potremmo fare un’altra copia del passaporto
italiano, modificato. > propose Spiros mentre si strofinava con garbo la
lunga barba bianca. < Cambiando il nome e l’indirizzo e lasciando il loro
numero di matricola, se non sono ricercati dall’Interpol? E mi sembra da
quello che mi ha spiegato Akhilleos del vostro caso. Pertanto, possono
passare inosservati, fino al rinnovo del passaporto e prima di quel tempo
potranno chiedere la cittadinanza del posto dove andranno a vivere. >
< Già, penso che così possa andare. Comunque io le ho portato dei
dati e indirizzi diversi, così non avrà da tribolare. Invece per il mio
documento, desidero farlo greco... Ecco qui la lista delle modifiche. Vede
io ho pensato di chiamarmi in avvenire: Maurices Ros, nato ad Atene il
6/4/71, in odòs Sàrri 10, professione university. Esatto? Invece per i miei
compagni, uno sarà Andrea Prandini nato a Milano il 6/6/74, viale Monza
18, studente. E l’altro, Stefano Patelli nato a Napoli il 18/5/72 corso
Vittorio Emanuele 103, studente. Okay! Va bene signor Spiros, le occorre
qualche altro dato o può bastare? > Il vecchio lo guardò un momento in
viso e poi rispose: < Va bene così! Vedrò di prepararli per... diciamo,
domani sera, qui alle nove. D’accordo? >
Mentre Mauro tirava fuori dalla tasca del giubbino una mazzetta di
banconote da cento dollari e gli contò il dovuto. Ma subito Spiros lo fermò
proponendo: < Soltanto la metà adesso, domani il resto. >
< Io mi fido di lei signor Spiros e perciò non ho paura a darle tutto il
suo dovuto adesso. > e terminò di contare i verdi biglietti che Spiros li fece
sparire in un baleno senza protestare, ma con un vivo sorriso. E Mauro lo
ringraziava nuovamente mentre gli stringeva la mano: < Grazie signor
Spiros, ora mi sento più tranquillo in avvenire. >
Spiros aveva preso da un armadio una piccola statuetta in bronzo
raffigurante il prode Achille, era una copia esatta di quella esposta
all’esterno e la porse ad Elena dicendole: < Questa signorina è per
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giustificare la vostra visita al monastero di Spiros. Non si trova da
nessun’altra parte, porta la mia firma e sigillo, > e con un sorrisetto di
soddisfazione, osservava Akhilleos in viso, stava nuovamente arrossendo
nell’imbarazzo, poi proseguì a dire ai convenuti. < A domani, Calimèra! >
Erano accanto al camioncino per salirci sopra, quando stava giungendo
dalla polverosa strada un taxi con dei turisti a bordo e appena scesero dal
mezzo due coppie di attempate signore e rispettivi mariti, incominciarono
a gesticolare e a salutare i presenti: < Hallo, hallo, good bye! > A loro volta
contraccambiarono alzando le braccia e salutandoli in risposta, mentre
Akhilleos commentava: < Ecco, è arrivata l’America e Spiros sarà felice di
appioppagli una delle sue belle patacche antiche, appena ritrovata da
un’immaginaria tomba poco lontano, con tanto di sigillo per la dogana. >
Poi, mentre stavano partendo Mauro commentò: < Be’, è veramente un
bel posto questo Monastero di Spiros. > mentre osservava Elena che
guardava la piccola statuina di Achille che teneva in mano e le chiese di
proposito: < Non ti sembra Elena, che assomigli molto a lui? > indicando
Akhilleos che cercava di estraniarsi dal discorso dicendo a sua volta
distratto: < Cosa? A parlavate di quella statuetta? Be’, basta avere i capelli
lunghi e tutti si assomigliano, esatto? > mentre stava fissando negli occhi
Mauro e lo stava fulminando con uno sguardo decisamente duro. Mentre
Elena diceva in risposta tranquillamente: < Magari se Akhilleos fosse così
bello. Lui è soltanto un rude pescatore buono e bravo, questo sì... > e tirò
un lungo sospiro che lasciò gli altri due sorpresi e stupiti. Poi per fortuna
erano giunti a Ziros e Mauro propose ai compagni di viaggio di fermarsia
pranzare: < Sentite,visto che sono già le due passate e la fame si fa sentire,
perché non ci fermiamo in qualche posto che sapete voi e io vi offrirò
volentieri il pranzo, oltre alle spese pattuite prima, d’accordo? > mentre si
frugava nelle tasche.
< Sì, dai Akhilleos, fermati da qualche parte, ho una fame! > protestò
Elena a sua volta, mentre Akhilleos era un po’ annichilito. Senz’altro
dovuto alla risposta sciocca detta da Elena, al riguardo del confronto con la
statuina del prode Achille, non immaginava proprio, che lui aveva posato
per fare da modello, anche a Mauro era rimasto un po’ male.
Mauro nel frattempo aveva ripiegato a metà un bel po’ di dollari e si
allungo oltre Elena e l’infilava nel taschino della camicia di Akhilleos,
dicendogli. < Questo è un semplice acconto di riconoscenza, amico. >
< Ci basta quello di ieri sera. Al massimo il pranzo! >
242
Mentre Mauro rispondeva bloccandogli deciso la mano sulla tasca: < Dai,
possono e serviranno per le vostre prossime nozze. Vero Elena che vi
serviranno quel giorno? >
< Be’, sì! Non abbiamo fissato ancora la data ma sarà presto. >
mentre dava una gomitata nel fianco del suo ragazzo alla guida, che a sua
volta ribatteva riluttante: < Be’, sinceramente io, la sposerei anche domani,
ma lei non vuole, deve pensarci su, per adesso. > commento il tutto, con
una venatura di delusione nella voce.
Ma subito Elena con destrezza ribatteva decisa: < Ma dai caro! Non
essere precipitoso, abbiamo tutta la vita davanti. Ma prima di tutto bisogna
vedere per il lavoro e io ad Atene sai che non posso mollare di colpo il mio
impiego, oltretutto guadagno bene, capisci vero? >
< Già, capisco fin troppo bene... > rispose Akhilleos poi di colpo,
cambiò discorso divenendo più imperativo: < Guardate! Ci fermeremo là,
da “Kapnistò” si mangia bene. > espresse il tutto con un vago sorriso.
< Vorrebbe dire affumicato in italiano. Be’, purché si riempia la
pancia, poi tutto va bene... > commentò Mauro seguendo il cambiamento
del giovane cretese. Divenuto suscettibile e un tantinello incavolato, sul
matrimonio che naufragava ogni qualvolta ne parlava alla sua donna. A
Mauro dispiaceva quella impercettibile contrarietà fra i due, e non si
immaginava che la ragazza avesse delle contrarietà così evidenti. O forse
non era ancora esploso quel grande amore da parte sua, che all’apparenza
sembrava palese.
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Capitolo trentacinquesimo
Quando Elena scaricò Mauro davanti all’Hotel, erano già le cinque
pomeridiane e prima di lasciarlo le riconfermò l’accordo per il giorno
dopo: < Allora Mauro, siamo intesi? > chiese Elena mentre agganciava alla
moto il casco che aveva prestato a Mauro. < Domani pomeriggio, sarò qui
attorno alle diciannove... due ore è più che sufficiente. Fatti trovare pronto
qua fuori. D’accordo! Ciao Mauro, a domani! >
< Okay! > rispose Mauro mentre le dava un leggero bacio sulla
guancia. < Mi raccomando non correre, vai piano! > ma lei aveva già
accelerato e lui restò a guardarla mentre s’infilava nel traffico più che mai
decisa e sparì rapidamente dalla sua vista. Mauro era un poco preoccupato
da quel suo modo di andare in moto e si grattò la testa, mentre corrugava la
fronte pensieroso. Poi, con un gesto della mano a scacciare i brutti pensieri
e sbottò a fior di labbra: < Ah, le donne!? > ed entrò nell’albergo salendo
direttamente in camera.
Mauro, trovò Andrea e Stefano a letto che dormivano beatamente,
allietati da un leggero russare disarmonico da entrambi. Senz’altro erano
da poche ore rincasati, dal modo che avevano buttato i vestiti da ogni
parte, sfatti da una lunga notte lussureggiante. Mauro lì guardò per bene e
borbottò tra le labbra: < Però, ci danno dentro per bene questi due. Forse è
meglio così. Sanno prendere la vita come viene. Beati loro... > mentre si
svestiva e andava sotto la doccia per rinfrescarsi e rilassarsi un poco, oltre
tutto era l’unico modo per raccogliere le sue idee e calmare le altre.
Insomma quelle che ancora gli rimanevano in giro da qualche parte. E
sotto quella frescura che gli scorreva sulla pelle nuda, si sentiva veramente
bene, mentre confermava mentalmente ch’era proprio quello che ci voleva
in quel momento. Sapendo più che bene cos’era quella sua apprensione
scaturita in quell’ambigua situazione. Ma al contempo non voleva
ammetterlo apertamente, nemmeno con sé stesso. E poi, quel modo di
comportarsi dei compagni gli seccava veramente tanto. D’altronde lo
capiva più che bene il problema. Certamente non aspettava a lui giudicare
il comportamento altrui. Pertanto, dopo quelle dichiarazioni e proposte di
un’assoluta fraternità e solidarietà tra loro, lui sperava che almeno durasse
ancora un poco e non credeva che fosse già tutto dimenticato fino a quel
punto. Oltretutto non doveva di certo aspettarsi che restassero dei santi per
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riconoscenza a una promessa fatta così goliardicamente pochi giorni prima
e perciò, ora o più avanti, non farebbe di certo la differenza la separazione.
Soltanto per il semplice fatto di aver fatto un po’ di baldoria erotica
assieme, non voleva dire proprio niente. Perciò Mauro, doveva accettare la
situazione quale fosse. Ma sinceramente gli bruciava tremendamente
dentro, avendo riposto nel suo cuore una parte di quella famiglia che stava
per nascere e formarsi. Mentre dall’altra parte, quella verità così nuda e
cruda doveva acquisirla con il sorriso sulle labbra amare, sapendo ch’era la
pura e semplice realtà del momento. E senz’altro da parte loro si stavano
facendo delle spassose ammucchiate a quattro. “Più ne ha, più ne metta”.
Sbottò tra sé amareggiato.
Poi le sue riflessioni furono interrotte dall’arrivo nella doccia di Stefano
che gli domandò con fare burlone: < Be’, allora? Dove sei sparito,
volpone? > mentre si strusciava scherzosamente contro e Mauro stava
quasi per imprecare, ma si trattenne a stento e decise che non ne valeva la
pena discutere. Alla fine Mauro, rispose con la prima idea che gli passava
semplicemente per la mente: < Be’, penso proprio che è una domanda che
dovreste rivolgervela da soli, vero ragazzi? >
E Stefano un po’ incupito abbassò la testa sotto l’acqua, poi con
riluttanza rispose: < Be’, sì, hai veramente ragione, siamo noi che ce la
siamo squagliata... ma sai, quelle due gemelle sono la fine del mondo...>
E Mauro per evitare l’aggravarsi di quel piccolo attrito, cambiò
argomento dicendo all’altro intento a strofinarsi per bene la pelle sotto
l’acqua. < Io, ho trovato chi ci sistemerà i nostri documenti e così si potrà
andare in qualche posto più lontano e sicuro. > mentre si versava sulla
mano un po’ di bagno schiuma. E l’altro rispose: < Ma, per me va bene
anche qui. Quando si ha dei soldi da spendere, in qualsiasi parte è buono
per starci e divertirsi tanto. Esatto? > gli domandò Stefano curioso di
sentire la sua risposta. Che in fondo sapeva più che bene quello che Mauro
stava facendo ed era veramente per il bene di tutti loro.
< Ah, certamente, non vi sono dubbi e... > rispose Mauro, ma fu
interrotto da Andrea che s’intrufolò in mezzo a loro, tutto assonnato.
Mentre borbottava qualcosa tra i denti, ma con il rumore dell’acqua e i
gargarismi che faceva era impossibile capire un accidente.
Mauro si sentì così a disagio e trovo una scusa all’istante per uscire,
dicendo con fare di uno che ha dimenticato qualcosa: < Accidenti che
palle! Mi spiace ragazzi, ma ho un altro impegno e devo proprio andare
via. Vi spiegherò più tardi. > ma fu fermato da Andrea che l’aveva preso
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per un braccio cercando di trattenerlo ancora un poco. < Dai aspetta! Non
ti vediamo più... sei sempre in giro a zonzo? >
E Mauro sull’incazzato rispose deciso: < Ah! Questa è bella? Io sono
sempre in giro, e voi cosa state facendo? No, dico io! Le dame di
compagnia alle gemelle svedesi per caso? > e uscì dalla doccia dicendo
ancora, ma con più moderazione questa volta: < Ci vediamo a cena ragazzi
e vi spiegherò il nuovo piano. D’accordo, ciao a dopo! >
Mentre gli altri due si guardavano in viso e si davano un’alzata di spalle.
Mauro aveva fatto una lunga camminata lungo la passeggiata a mare,
per scaricare i nervi, capendo che la colpa era soltanto sua, a non voler
intendere che tutto era cambiato. Anche il mondo cambia continuamente,
pensava tra sé; e allora doveva accettare la situazione come si era
ingarbugliata più che mai, invece di brontolare con sé stesso e molto
sovente in quei giorni. Alla fine si era fermato in un caratteristico caffè sul
lungo mare di Candia. Si era seduto ad un tavolino appartato proprio a
ridosso del parapetto sul mare e restò per un bel po’ ad osservare il
sciabordare delle onde contro la struttura del terrazzo sotto di sé, cercando
di non pensare a niente. Mentre si stava gustando una buona tazza di caffè
greco, insomma alla turca, lasciando depositare i fondi del caffè nella
tazzina, per poi scoprire in quei disegni i presagi del destino.
Erano le nove passate quando arrivò nel ristorante dell’hotel e trovò i
suoi compagni che l’attendevano al loro tavolo un po’ impazienti e si
vedeva che morivano dalla voglia di sapere qualcosa. E appena lui si
avvicinò, Stefano esplose: < Be’, dicci com’è andata? > Anche Andrea si
associò chiedendo: < Sì, dai racconta! Cosa hai fatto? > mentre si passava
la lingua sulle labbra tumide.
Mauro, fece uno sforzo e cercò di dimostrare una certa baldanza,
elargendo a beneficio di tutti un radioso sorriso, captato con interesse dai
compagni e infine rispose alla loro domanda un po’ sull’evasivo: < Sì, è
stato veramente molto efficace! Anzi, tonificante l’esperienza... >
E i due incuriositi di più, lo spronarono ancora chiedendo dell’altro. < E
allora, dai, insomma, racconta Mauro? Be’, ti sei fatto almeno una
poderosa scopata, ne valeva la pena... vero? >
< Be’, allora con chi eri? Dai, di qualcosa? > incalzò Andrea più che
mai stuzzicato da quelle prossime rivelazioni.
< Con Elena. Questo è ovvio. Ah, già! Voi non la conoscete, è
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cretese. > esclamò con enfasi per accentuare quella particolarità del luogo.
Mentre loro due avevano sbarrato gli occhi e infine Stefano sbottò
dicendo: < Non sarà per caso quella stupenda mora, ch’era con te in
discoteca l’altra sera? E’ lei vero? > mentre gli lanciava un mezzo sorriso
di conferma intuitiva e Andrea esprimeva il loro parere: < Be’, siamo
veramente contenti per te. Perché, sai... insomma, quasi ci sentivamo in
colpa nell’averti lasciato un po’ in disparte. Ma capirai, con quelle due
sventole svedesi! Sai sono due vichinghe da mozzafiato. >
< Sì, me ne sono accorto. > rispose semplicemente Mauro. < L’altra
sera in discoteca eravate due coppie ben appaiate, ma ditemi un po’? Non
per essere curioso, gli avete messo un bollino colorato per distinguerle
l’una dall’altra? Sono troppo eguali... >
< Non ce né bisogno, abbiamo creato un quartetto formidabile. >
rispose Stefano con un’aria euforica. < Ci siamo molto affiatati e capirai
senz’altro come va sempre a finire certe situazioni familiari, così intrigate.
A loro piace fare di tutto, oltre a vedere noi due nel far l’amore. Abbiamo
scoperto di essere bisex. Be’, sai com’è? D’altra parte anche stasera
abbiamo un appuntamento con loro. Ci trovano simpatici e sempre
disponibili per non dire tosti. E visto che sono così carine e disponibili
specialmente a letto. Sanno fare delle operazioni linguistiche speciali,
capirai! Con loro non si può fare una sveltina. Ed è per questo che ti
aspettavamo prima per parlare un poco, ma ora siamo già in ritardo. Non ti
dispiace vero, se ti lasciamo solo? > espresse Stefano con seduzione,
mentre cercava un aiuto da Andrea. Mauro più che deciso, rispondeva
subito senza stupirsi troppo, per non dimostrare la sua disapprovazione
agli eventi. < Ma che bravi porcelloni ‘sti ragazzi sempre in tiro! Spero che
il letto regga bene l’ammucchiata? > e visto l’andazzo che aveva preso le
rivelazioni dei compagni a voler esporre le proprie prodezze, lui continuò a
dire con fare semi serio: < Bene, sono contento per voi, poi d’altronde
anche io ho un impegno questa sera. E di questo passo c’incontreremo di
certo da qualche parte. Su dai... andate via. Non fatele aspettare! > Si
vedeva più che bene ch’erano un po’ sulle spine. E quelle due stangone
nordiche erano riuscite ad abbindolare tutte due per bene. Che ormai
Andrea e Stefano, si stavano già scordando abbastanza in fretta dei
pensieri e fastidi addosso, per non dire dei parenti e le preoccupazioni
lasciate alle spalle in Italia.
Essendo veramente in ritardo, i due compari si erano alzati dal tavolo
salutandolo velocemente, per eclissarsi rapidamente oltre la porta della
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sala da pranzo. Mauro notò, che si erano messi in ordine per bene i due
latinlover, con un’abbondante quantità di profumo che si diffondevano in
ogni loro movimento attorno in quella premura esagerata.
Mauro era rimasto lì seduto a mugugnare sulle proprie patologie storte,
poi chiamò il cameriere e si fece portare una bottiglia di vino bianco e con
quella tra le mani andò dritto su in camera.
Si era disteso nudo sullo sdraio nel terrazzo per assaporare la frescura
della notte e incominciò a scolarsi la bottiglia di vino con una certa rabbia,
senza capire proprio nulla sul sapore di quel vino locale, per lui erano tutti
eguali i gusti. Poi oltretutto, non era abituato agli alcolici e pertanto gli era
ancora di più indifferenti il suo gusto sul palato, ma allo stesso tempo gli
stava alleviando i pensieri e incominciava a confondergli le idee. Capendo
ch’era un modo come un altro per far passare le ore in solitudine. Poi più
avanti, cercò fra le stella quella che più gli confaceva e la indicò con il
braccio teso dicendo sottovoce: < Be’, sei in ritardo bellezza, stavo per
andarmene a letto. Ci vediamo un’altra sera carissima... > e cercò di alzarsi
dallo sdraio ma si trovò nell’impossibilità di farlo, le gambe non lo
reggevano più e la testa gli girava vorticosamente. A quel punto, pensò di
rimanere dov’era, oltretutto in quel momento gli era talmente tutto
indifferente dove si trovava. Mentre sul viso gli era apparso un sorriso
scialbo e vuoto, poi senza comprendere il perché si lasciò andare in un
pianto dirotto a non riuscire a trattenersi dal blaterale parole sconnesse, fin
quando il sonno e l’effetto del vino non l’avvolse per bene.
Il sole era già alto in cielo e scottava, quando fu svegliato dalla voce di
Andrea. < Ehi! Mauro, ma cosa fai qui a dormire sul terrazzo? E meno
male che sei qui all’ombra del palazzo, altrimenti a quest’ora eri ormai
super cotto, già, più che bene dal sole arroventato di oggi. >
Mauro tentò di aprire gli occhi, ma il riverbero della luce era troppo
forte e fu costretto a coprirsi gli occhi con la mano. E soltanto dopo un
buon momento quando incominciò a capire qualcosa di quello che aveva
fatto la sera prima, sbottò sull’incazzato: < Porca puttana! Com’è tardi, ma
che ore sono? > chiese al compagno in piedi sopra di lui che lo stava
fissando pensieroso.
< Sono quasi le due. E noi, eravamo giù ad aspettarti a pranzo. >
Mauro si era alzato a fatica dallo sdraio, aveva la testa talmente pesante e
una forte arsura in bocca che gli faceva stravedere ogni cosa doppia,
mentre borbottava ancora: < Accidenti, com’è tardi! Avevo per l’una di
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oggi un appuntamento... Accidenti! > esplose, e si avviò a fatica verso la
doccia, si fece una sciacquata veloce e via a vestirsi di volata, mentre
Stefano un po’ preoccupato gli chiedeva: < Ti serve qualcosa? >
< No, grazie! > mentre si prendeva il giubbotto e si avviava alla
porta, dicendo ai compagni che lo stavano seguendo impensieriti.
< Ci vediamo a cena ragazzi. Ciao! > e sparì oltre la porta.
Mentre gli altri due si domandavano, cosa stava combinando con quei
loro documenti. Da trovarsi tutto preso a quel modo?
Mauro appena uscito dall’albergo chiamò un taxi e si fece portare a
Festos, con l’idea di visitare le antichità dell’isola e anche per allontanarsi
dai compagni, mentre aspettava di trovarsi più tardi con Elena per andare a
ritirare i loro documenti. Purtroppo in quel momento non riusciva ad
apprezzare la loro compagnia e per quello aveva preferito andarsene via.
Mauro era lì, tra quelle rovine millenarie di Festos, dove il tempo
sembrava essersi fermato, e lui, finalmente si sentiva un po’ più appagato
nel riuscire a placare in qualche modo i suoi pensieri oscuri. S’incuriosì di
quel posto, ammirando con un certo interesse gli appartamenti reali, in
quei grandi propilei che formavano il salone a colonne e che conducevano
al mégaron della regina, dai bellissimi pavimenti alabastrini. E così,
mentre camminava in quei viali lastricati e consumati dal tempo, oltre che
dai passi dei viandanti che l’avevano preceduto, si lasciò rapire dalla
fantasia. Ma al contempo si sentiva così avvilito con sé stesso, per il suo
modo di comportarsi, sapendo più che bene che non era giusto. D'altronde,
se fosse rimasto in albergo si sarebbe incavolato di più e avrebbe creato dei
problemi ai compagni e questo non voleva che succeda veramente, in
fondo gli voleva troppo bene. E per evitare ogni questione, aveva scelto la
via più facile, quella di allontanarsi e starsene poche ore da solo, a
meditare sulle sue opinioni storte, per non dire colpe.
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Infine si trovò seduto su di un’ampia gradinata di un vecchio teatro
minoico e per molto tempo restò lì, in un assente silenzio da ogni cosa che
lo circondava. Con la mente vuota dalla realtà quotidiana, in una specie di
trance a rivivere le molteplici vite di quei millenni passati, trascorsi in quel
posto e racchiudeva ancora in sé del mistero. E tutto quel trambusto,
mentre Mauro osservava il grandioso paesaggio attorno, da sopra quella
collina che dominava la fertile pianura della Mesarás, dove folate d’aria
secca africana giungeva sino a lui. A smorzare la calura di quel sole
cocente pomeridiano. E alla fine, l’unica cosa ch’era riuscito a esprimere a
fior di labbra, con fare di uno che ha subito una ennesima scoglionata
giornaliera: < Uhm, che palle! >
Poi, quando Mauro si era un po’ ravveduto dei suoi mugugni e guardò
l’ora, si ricordò dell’appuntamento con la ragazza e di colpo si trovò a
imprecare tra sé un’altra volta: “Sono una gran testa di cazzo! Da
dimenticarmi delle cose più importanti. Accidenti!” mentre si affrettava a
lasciare quel bel posto leggendario ai posteri e trovare un taxi libero.
Quando Mauro smontò dal taxi davanti all’hotel scorse la grossa moto
di Elena parcheggiata e si arrabbiò guardando l’ora, mentre pagava la sua
corsa al baffuto tassista. Poi, a fior di labbra Mauro imprecò nuovamente
tra sé: < Porca puttana! Sono già le diciannove e trenta. E io come un fesso
in giro a zonzo. Ah, lasciamo perdere! > protestò, ed entrò velocemente
nella hall dell’albergo. Finalmente, scorse Elena seduta in un angolo con
Andrea e Stefano, che discorrevano. E fu Stefano a vederlo per primo
dicendo agli altri: < Eccolo, è arrivato, finalmente! > indicandolo. Mentre
Andrea si girava e gli chiedeva: < Ma, dove sei stato finora? E lei, >
mentre indicava Elena al suo fianco. < E più di mezz’ora, che è qui che ti
aspetta? >
Mauro con un forzato sorriso rispose direttamente a Elena: < Scusami
Elena! Ma avevo un altro impegno prima e ho fatto tardi. Mi spiace! Be’,
ora possiamo anche andare... la strada è lunga? > mentre guardava i
compagni incuriositi dicendo a loro. < Penso che faremo tardi, comunque
voi ci sarete questa notte in albergo? >
E fu Andrea a rispondere per tutte due: < Penso di sì, perché le svedesi
devono fare un’escursione subacquea ai ruderi sott’acqua a Ágria
Gramvoúsa, domani mattina molto presto, allo spuntare del sole. Dicono
250
che é meraviglioso il riflesso a pelo d’acqua. E perciò devono essere già
sul posto per vederlo e andranno con le altre colleghe d’ufficio, tutte qui a
Candia in vacanza. Pertanto noi saremo liberi per un giorno, così potremo
riposare un poco... > mentre gli sfuggiva un risolino più che complice.
Elena che non riusciva a star zitta e aveva capito quasi tutto quel loro
discorso, disse a Mauro con fare gioviale: < Però, Queste svedesi non li
mollano un momento? Hanno trovato ciò che immaginavano. >
E Mauro approvavano quella verità. Poi sorridendo, mentre traduceva
l’opinione di Elena e loro due. E Stefano rispondeva per entrambi: < Be’,
sai com’è? In vacanza si cerca di divertirsi in qualche modo e loro due...
Elka e Frida, sono una vera bomba, in tutti i sensi. Credetemi! > e si mise a
ridere sornionamente a camuffare ogni sbilanciamento.
Mauro aveva nel frattempo preso sotto braccio Elena dicendole, mentre
guardava i compagni di sott’occhio: < Dai! Vieni Elena, andiamocene via,
altrimenti questi due hanno tante storie da raccontare e noi abbiamo già
perso troppo tempo prezioso. >
< Purtroppo anche noi abbiamo fretta. > rispose Andrea, mentre si
alzavano dalle sedie e uscirono tutti assieme dall’albergo.
< Ciao, a questa notte! > sbottò Mauro mentre seguiva Elena alla
moto e aveva girato la testa per vederli ancora. Ma erano già spariti con
solerzia dietro l’angolo, inoltrandosi nei vicoli di Iràklion. Dovevano
essere in ritardi per l’appuntamento con le svedesi, immaginò Mauro.
Poi, mentre Elena stava per partire, era arrivata dietro a loro, una nera
vettura Citroen. Si era fermata decisamente a pochi centimetri dalla moto,
ed erano scesi di volata due uomini. Con urgenza andarono dritti verso
l’ingresso dell’albergo. Mauro lì aveva osservati di sbieco, quel loro modo
sospettoso. Poi, deciso s’infilò il casco e salì dietro alla ragazza, mah
all’improvviso si sentì addosso un’irrequietezza strana. Pensando che era
già tutto il giorno che si sentiva una tale agitazione, da attribuirla alla
fame, per non aver messo nulla nello stomaco quel giorno, all’infuori di
vari caffè presi. Ma forse e anche per quella sua assurda e platonica fase
d’innamoramento per i compagni di sventura. Poi tralasciò quei cattivi
presagi e si strinse alla donna, che aveva assunto un’andatura un po’ troppo
spericolata per il suo gusto di voler vivere ancora ad ogni costo.
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Capitolo Trentaseiesimo
Erano quasi le nove quando si fermarono nella piazzetta a Sitia e si
guardarono in torno in cerca di Akhilleos e del suo camioncino, ma non
c’era nemmeno l’ombra. Elena si guardò l’ora al polso e brontolò a voce
alta: < Mi rimprovera sempre che sono io in ritardo. E lui? Però è strano, è
sempre puntuale? Forse è già da Spiros ad aspettarci? > provò a dire.
< Pensi che ci abbia preceduto? > le chiese Mauro dubbioso. Mentre
lei supponeva ancora. < Forse avrà avuto un contrattempo sul lavoro?
Possiamo aspettare ancora un momento e poi andremo direttamente dal
signor Spiros. Tu cosa dici Mauro? > propose lei dubbiosa.
< Be’, per me va benissimo! come ti sembra meglio fare. Sai se il
signor Spiros abita laggiù? > le domandò Mauro titubante e dubbioso su
quei piccoli inghippi insorti.
< A me sembra di sì. > rispose lei, mentre guardava l’ora e proseguì a
dire più che convinta: < Sai Mauro sarà meglio che andiamo avanti...
Ormai, siamo già arrivati in ritardo e può anche darsi che Akhilleos
sia effettivamente già là, non vedendoci arrivare prima. Okay! >
< Hai ragione Elena, sono le ventuno e trenta passate. Sì, andiamo! >
rispose serio, ma al tempo stesso preoccupato da quell’ansia che aveva
addosso e aumentava gradualmente.
Avevano ripresero il cammino e in meno di mezz’ora erano arrivati sul
posto. Lo trovarono deserto e tutto buio, all’infuori del chiarore della luna
che irradiava una luce un po’ spettrale e slavata attorno al monastero di
Spiros. Elena aveva fermava la moto e si guardava in giro in cerca del
camioncino di Akhilleos, ma purtroppo non c’era nemmeno lì. Vi regnava
soltanto un assoluto silenzio inquietante e quella supposizione la sentiva
anche Mauro. Sussurrò sottovoce cercando di essere meno realista e più
coerente all’evidenza dei fatti: < Be’, sinceramente, di notte non è affatto
rassicurante come posto. Brrr!! Che paura... > tentò con una battuta un po’
loquace d’infatuare quell’atmosfera tetra.
< Già. hai più che ragione! Ma a questo tuo modo di esporre i fatti,
mi fai venire i brividi. > Borbottò lei, mentre si accostava di più al
giovane, cercando di farsi coraggio a vicenda, e Mauro se la stringeva
contro e le proponeva sottovoce: < Non temere e non badiamo alle
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leggende orripilanti di draghi dalle fauci infuocate e da streghe cattive,
oltre a Dei che hanno abitato da sovrani quest’isola da almeno quattro
secoli. Vieni! Andiamo da basso, mi sembra che vi sia una luce accesa
nello scantinato. Speriamo che almeno Spiros sia in casa? >
La porta era socchiusa, la spinsero e questa cigolò aspramente
nell’aprirsi, infine un po’ titubanti entrarono nel famoso antro del dio
creatore e lo trovarono in fondo alla stanza intento a sistemare dei vasi, il
signor Spiros, e al loro ingresso si girò tranquillamente dicendo in quel suo
accento arabizzato: < Avevo paura che non venivate più ragazzi! >
espresse Spiros mentre si avvicinava a loro e poi con un cenno del capo, li
conduceva nell’altra camera superando il negozio-ufficio. Mentre Elena
chiedeva all’uomo che li precedeva: < Abbiamo fatto tardi per aspettare
Akhilleos e pensavamo che fosse già qui, ma a quanto sembra non c'è? >
espresse con disappunto Elena.
< Qui, non si è fatto vivo... Comunque i documenti sono pronti. >
brontolò, mentre li tirava fuori da un vaso sopra ad uno scaffale e li
mostrava a Mauro, abbassando la luce a carrucola, dal soffitto basso della
stanza e spiegava: < Ecco, ci sono tutte e tre i passaporti vecchi e nuovi e
con le modifiche che mi ha chiesto. > Mauro li controllò frettolosamente,
sapeva che doveva fidarsi del lavoro meticoloso del vecchio Spiros,
mentre lo ringraziava: < Okay, grazie tante signor Spiros! E’ un lavoro
perfetto. > e se li infilava nella tasca del giubbotto che teneva in mano.
Mentre il signor Spiros stava per dire qualcosa, ma di colpo si azzittì
alzando la mano e sbottò a dire sottovoce ai presenti: < Ssst! Sta, arrivando
qualcuno la fuori? > espose stringendo gli occhi e corrugando la fronte.
E Mauro capì all’istante cos’era quella sua grande apprensione che lo
perseguitava quella sera, dandosi del cretino per non averci fatto caso,
mentre chiedeva preoccupato: < Chi può essere? >
Mentre Elena, esponeva tranquillamente: < E’ senz’altro Akhilleos... >
< No! Non è lui? Lo conosco più che bene il suo scassato
camioncino, questa è una vettura che sta arrivando veloce dal suo rumore
in folle e non mi piace per niente a quest’ora di notte. > commentò Spiros
preoccupato. < Su presto entrate lì dentro! > indicando una porta semi
nascosta dagli scaffali alle loro spalle. Mentre Mauro gli chiedeva
sottovoce. < Ha un’altra uscita? >
< No! > rispose Spiros, mentre si prendeva una vecchia pistola a
tamburo da un cassetto e controllava se era carica. A quel punto Mauro
ebbe una contrazione a rivivere mentalmente e rapidamente le varie sue
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esperienze drammatiche con le armi da fuoco e d’impeto disse all’uomo,
mentre spingeva dentro al ripostiglio Elena che ancora non capiva la
gravità della situazione e dandole in mano il suo giubbotto.
< Elena entra lì e aspetta in silenzio! > poi rivoltosi a Spiros espose
deciso la sua idea: < E lei mi dia quell’arma! Io sarò dall’altra parte e lei
aspetterà qui a fare il suo lavoro tranquillo sotto la luce. Okay! Io sarò
nascosto, così vedremo chi arriverà dentro... D’accordo? >
Il signor Spiros ebbe un attimo d’esitazione, poi approvò quel piano di
Mauro e si sedette sul suo girello facendo finta di terminare il suo lavoro.
Mauro si era precipitato nell’altra stanza e aveva spento la debole luce e
osservò Spiros oltre la tenda logora e gli sembrò soddisfacente e credibile,
quella tranquilla presenza dell’uomo.
Poi, si spostò e attese, ma non passò molto tempo che senti dei leggeri
passi sui gradini e il lieve cigolio della porta che si apriva piano, mentre lui
si era sistemato dietro a degli scaffali e poteva tenere d’occhio tutto
l’ambiente. Infine attraverso il piccolo spiraglio di luce che proveniva
dall’altra camera, poté vedere chi entrava.
Erano due uomini vestiti di scuro; giacca e cravatta, muniti di pistole con
il silenziatore sulla canna. Mauro capì tutto e li riconobbe all’istante, erano
i due arrivati di corsa all’albergo. A quel punto s’arrabbiò con sé stesso,
rammaricandosi tremendamente, che in tutta quella loro fuga e quei morti
lasciati alle spalle, non era servito a nulla. Tutto inutile. Capendo più che
bene cosa volevano quei due, dal loro modo di comportarsi in quel
momento. Stavano avanzando verso la tenda silenziosi, mentre
coordinavano le loro mosse a gesti, pronti a far fuori chiunque. A quel
punto Mauro, decise d’intervenire rapidamente; non voleva che qualcuno
si facesse male per colpa sua e perciò con decisione, ordinò ai due in
italiano ben chiaro: < Volete mettere giù le armi e alzare per bene in alto le
mani, signori? > e capì all'istante che aveva colto nel segno.
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Quelli capivano più che bene l’italiano. Uno era quasi pronto per fare ciò
che gli chiedeva Mauro, mentre l’altro si era girato di scatto e aveva fatto
fuoco, spronando con parolacce sconce l’amico imbranato a seguire il suo
esempio. < Minchione, testa di cazzo! Spara a iddu! Spara! >
Mauro prevenuto da una simile mossa e si era buttato di lato mentre
sparava a sua volta decisamente verso le sagome ben delineate dalla luce
proveniente dalla camera di lato.
Poi dopo i vari Pluf! Pluf! Da un lato e i Bang! Bang! Dall’altro lato, vi
fu un silenzio glaciale nel locale.
Mauro fu invaso da un dolore lancinante sotto la clavicola fra il petto e
la spalla e capì d’essere stato colpito seriamente, mentre mugugnava tra sé
dal dolore e la rabbia: < Dai, dai, e alla fine ti sei fatto beccare come un
fesso!... Ohi!.. Che male! > gridò a denti stretti per il dolore ch’era tanto e
gli mancava persino il fiato per respirare mentre sentiva mancagli sempre
più le forze.
Poi la luce si era accesa ed era comparso il vecchio Spiros con un tubo
di ferro in mano, mentre alle sue spalle era comparsa Elena tutta sbiadita
da quella paura appena vissuta, mentre osservavano inorridita a terra i due
uomini caduti l’uno sull’altro, uno aveva ancora la pistola in mano. Erano
immobili senza lamentarsi, erano veramente morti stecchiti.
< Per Giove! > imprecò il vecchio scombussolato, mentre cercava
Mauro tra li scaffali. Mauro si era appoggiato ad un ripiano e faticava a
respirare. Mentre con la mano tentava di fermare, tamponando l'emorragia
che sgorgava dal foro della pallottola nel suo corpo.
Poi un altro rumore proveniente dall’esterno, li fece sobbalzare ancora e
Mauro faticò ad alzare la grossa pistola per arrestare il prossimo intruso.
Era pronto a far fuoco: quando in quella grande confusione sentirono delle
imprecazioni, era la voce di Akhilleos che si era precipitato dentro al
seminterrato, stravolto dalla paura di essere giunto in ritardo. A quel punto
Mauro lasciò cadere l’arma a terra e si accasciò bocconi sul pavimento.
Akhilleos agitato e confuso borbottava: < Elena come stai? Sei ferita? >
e se la strinse al petto. Lei era tutta tremante di paura, ma subito si riprese
e rispose indicando Mauro: < No, io non ho nulla! Mauro sembra sia stato
colpito... Che paura! > sbottò, mentre seguiva gli altri accanto al giovane
ferito che si lamentava, ma più precisamente brontolava sommessamente
di aver creato un bel po’ di casino a tutti quanti. < Accidenti! Questa
proprio non ci voleva, adesso... > sbotto a fatica Mauro. Elena si
preoccupava dicendo agitata: < Presto! Ha bisogno di un dottore?
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Bisognerà portarlo subito all’ospedale! > era tutta sconvolta, pronta per
una crisi di nervi, mentre Spiros interveniva decisamente: < Non si può
chiamare nessuno! Altrimenti finiremo tutti quanti al fresco se non... ah,
storie! Adesso prendo delle bende per fasciare la ferita e poi vedremo cosa
fare? > e decisamente andava dall’altra parte di sopra. Nell’incoscienza
anche Mauro protestava: < No, vi prego, non chiamate nessuno. Me la
caverò è solo un graffio... Hai! > sforzandosi a parlare per sminuire il
danno provocato, mentre la vista gli si annebbiava.
Con decisione Akhilleos gli controllava la ferita, aprendogli la camicia
a constatare il danno: < Altro che niente, questo è un bel buco e dentro ci
sarà ancora la pallottola, > mentre metteva la mano dietro e notò che il
buco d’uscita non c’era. < Sì, è ancora dentro, perciò ci vuole un dottore
che sappia lavorare e tenere la bocca chiusa. Al tempo stesso cercare di
sistemare il danno fatto dalla pallottola. > Akhilleos Cercò di sollevarlo da
permettere a Spiros di fasciarlo meglio e fermare l’emorragia che sgorgava
abbondante dalla ferita aperta.
Mauro imprecava con difficoltà per la rabbia: < Accidenti! Mi spiace
ragazzi di avervi coinvolto in tutto questo. Ma a questo punto se non volete
aver altre rogne bisognerà far sparire al più presto quei due fessi
siciliani... >
< Ma come fai a dire ch’erano siciliani, li conoscevi forse? > sbottò
Akhilleos e continuando a dire. < Comunque, ne parleremo dopo, perché
anche io ho da raccontare un sacco di cose su quei due... Ma ora stai fermo
e lascia che Spiros ti faccia una bella fasciatura e poi decideremo come e
cosa fare per salvarti la pelle amico. >
< Lui rimarrà qui, > disse Spiros deciso. < E tu Achilleos andrai
subito al porto a Nikólaos. Troverai ormeggiato un goletta a tre alberi di
nome “Zeus” e chiederai del comandante. Il capitano Stavoskopulis e a lui
dirai che ti mando io. Pregandolo di mandare assieme a te il suo medico di
bordo per un’emergenza. Lui capirà e vedrai che ci farà questo favore. Ora
vai! Qui ci pensiamo noi, vero Elena? > le chiese Spiros e lei ch’era ancora
tutta scossa da quel trauma e da quei morti. Rispose titubante: < Sì, sì,
certo! Tu vai, io resto qui ad aiutare... > farfugliò sconnessa.
Mentre Spiros borbottava imprecazioni in arabo: < Lo sapevo che un
giorno o l’altro sarebbe successo qualcosa di grave, per Giove! > poi si
prese tranquillamente il ferito in braccio e lo portò di sopra attraverso una
scala interna, seguito da Elena alquanto agitata. Akhilleos era già sparito
con il suo rombante camioncino. Spiros depositò Mauro su un lettino e poi
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prese dell’acqua e una tazza consegnandola a Elena. < Dagli da bere avrà
senz’altro una forte arsura con il sangue che ha perso. Io vado di sotto e
metterò un po’ d’ordine. Se occorre qualcosa chiamami, d’accordo? > E lei
annuì muovendo il capo affermativamente, era ancora troppo scossa per
parlare o protestare.
Era mezzanotte passata quando Akhilleos arrivò con il suo camioncino
rombante e portò con sé il signor Nikos Dromos, il medico di bordo. Era
un giovane medico sulla quarantina, un tipo di poche parole con una folta
barba scura ben curata e due occhi grigi molto espressivi; indossava un
giaccone blu da marinaio, che si era tolto subito da dosso, rimanendo con
una maglietta a mezze maniche e si mise decisamente subito al lavoro.
Spiros aveva già preparato dell’acqua bollente e della tela pulita,
mettendo il ferito su di un tavolo coperto da un lenzuolo bianco.
Il lavoro d’estrazione del proiettile e la dovuta saturazione ci volle un
po’ di tempo. Alla fine tutto andò per il meglio e Mauro sotto una buona
dose di sedativi e antibiotici era rimasto nel mondo dei sogni. Mentre
Elena era rimasta in disparte ancora stordita e un po’ nauseata da tutta
quella storia dai risvolti oscuri e capitata in mezzo senza poter capire nulla
o poco. Spiros gli aveva dato da bere un buon goccio di brandy per
rianimarla un poco, da renderla alla fine più che mai euforica.
Spiros e gli altri, fecero un piccolo piano di emergenza e decisero che a
quel punto Elena sarebbe rimasta lì sino al mattino, era ormai troppo tardi
per ritornare in città tutta sola e in quello stato d’agitazione; il dottore le
aveva già dato prima un tranquillante per acquietarla un poco e lei si era
messa sulla piccola sdraio appisolandosi quasi subito. Akhilleos ne
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approfittò per riaccompagnare il dottore sulla nave e Spiros l’avrebbe
seguito con la macchia presa a noleggio dai due siculi e l’avrebbe poi
depositata in qualche località frequentata da turisti e parcheggiata per bene.
Di modo che, quando sarebbe stata ritrovata dalla polizia non sarebbero
venuti a capo di nulla. Poi alla fine di tutto quel trambusto, il signor Spiros
avrebbe provveduto a ritornare in dietro sul camioncino di Akhilleos e in
due avrebbero provveduto a riordinare ogni cosa.
E tutto fu fatto nel più stretto giro di tempo, prima che sopraggiunga
l’alba. Mentre i corpi dei due killer siciliani erano già finiti in un profondo
antro introvabile sulla scogliera, che sprofondava nel mare a ingrassare gli
abbondanti pesci barracuda che gironzolavano da quelle parti.
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Capitolo Trentasettesimo
Quando Mauro si riprese da quel trauma subito, avere tutto il corpo
dolorante e faticava a muoversi. Cercò di spalancare gli occhi, ma in quel
posto dove si trovava era buio, deducendo che erano passate soltanto poche
ore da quel fatto increscioso. E si trovò ad imprecare mentalmente con sé
stesso, perché era troppo arrabbiato e seccato, per ciò che era capitato.
Pensando che non doveva succedere in casa di amici, ma purtroppo, non
l’aveva potuto evitare. E capiva che quella sua apprensione che aveva
avuto addosso per tutto il giorno, era più che veritiera e in futuro se voleva
vivere più a lungo, doveva stare sempre all’erta e ascoltare le sue
supposizioni e ansie. Oltre a stare alla larga da tutti, in special modo dai
guai. Poi dopo quelle assurde riflessioni si guardò attorno e cercò di
scrutare nel buio e di capire dove si trovava veramente. Non l’aveva mai
vista prima quella stanza e sì stupì Mauro a pensare dov’era capitato;
mentre tentava di alzarsi, ma il dolore alla spalla lo fermo di colpo,
obbligandosi a riabbassare il capo sul cuscino spossato per la debolezza
che sentiva in tutto il corpo, mentre gli sfuggiva un debole lamento.
Poi la porta si aprì e un raggio di luce filtrò assieme a Spiros con una
scodella in mano: < Ah, bene! Ti sei svegliato finalmente! Be’, come ti
senti giovanotto? > gli chiese l’uomo, avvicinandosi al paziente. Spiros era
alto come una montagna e Mauro faticava molto a vederlo in viso, in
quella camera semi buia, dove la luce proveniva soltanto dall’altra camera
dov’era arrivato l'uomo. Infine Mauro tentò di parlare, provando con fatica
a schiarirsi la gola: < M’ah, di preciso non lo so... > rispose con voce
rauca, aveva qualcosa in gola che l’infastidiva e faticava tremendamente a
parlare. < Mi sento così malandato. Sono tutto rotto e... Accidenti a me! >
Mentre il vecchio Spiros lo ammoniva: < Non c’è bisogno che ti sforzi,
resta calmo. Hai dormito parecchio. Ormai il peggio è passato. Dai, ora
manda giù un po’ di brodo caldo. > e l’aiuto ad alzare un poco il capo, e
Mauro provò a sorseggiare quel nettare tiepido, che l’avrebbe rinvigorito
un poco; era ciò che formulò in quel momento tra sé e sé, fra mille idee
strambe che gli frullavano continuamente in testa. Poi, si fermò
preoccupato e sbottò a chiedere: < Come, ho dormito parecchio? Allora,
sono già passate molte ore? Accidenti! > protestò.
Spiros rispose a confermare quella supposizione: < Non ti preoccupare,
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tra poco arriverà qui Akhilleos e porterà le medicine che il dottore ti ha
prescritto. > Ma subito interrotto nuovamente da Mauro abbastanza
spaventato, che gli domandava sorpreso: < Come, un dottore? Non avrete
chiamato per davvero un medico? Ohm, mio Dio! >
< Stai calmo, embros, avanti, bevi ancora. Non temere il medico è un
mio filos, amico e nessuno sa dove ti trovi adesso. Comprendi giovanotto?
Non temere, tutto si sistemerà... vedrai! >
< Ma come? Accidenti! Si certo, capisco... Ma, comprende signor
Spiros. Io sono preoccupato che non succeda nulla di male a voi tutti.
Oltreché vi siete presi cura dei miei problemi... comprende tutto questo..! >
< Non temere, i tuoi amici sono stati avvisata da Elena e non si
muoveranno per venire a vederti. Ci penserà Elena a informarli sulla tua
salute... D’accordo? > mentre Spiros si girava di scatto e stava ascoltando
qualcosa, per poi andava alla finestra dell’altra stanza a vedere chi stava
arrivando in quel momento lì da loro, ma era proprio Akhilleos, con il suo
rombante camioncino che stava scendendo dalla collina in folle, alzando
una nuvola di polvere. La notte era rischiarato da una meravigliosa luna
che si librava alta e luccicava in cielo sopra di loro.
E appena dopo Akhilleos era già piombato dentro casa, e con fare
corrucciato si mise a confabulare con Spiros nell’altra stanza in quello
stretto dialetto locale. Mauro faticava a captare qualche parola, in quella
sua cognizione di cattivi presagi che si profilavano neri e cupi
all’orizzonte. Poi Akhilleos, seguito da Spiros apparve sulla soglia della
stanza con un caldo sorriso sulle labbra. < Ehi, amico! Come va’ la tua
spalla? > sbottò il giovane cretese salutandolo con un gesto amichevole
della mano, mentre si avvicinava al ferito. < Poteva andare meglio, >
rispose con fatica Mauro. < Se stavo più attento a non farmi sparare
addosso... sarebbe tutt’altra cosa? M’ah, pazienza! L’importante che non
sia successo nulla a voi. Questo innanzi a tutto è importante per me... > si
era fermato un attimo a respirare. Poi riprese a chiedere al giovane cretese:
< Akhilleos, mi potresti spiegare un po’ la faccenda? Mi sembra di aver
perso il conto? > sbottò nell’impazienza Mauro. Il suo istinto di
sopravvivenza gli stava dicendo che nell’aria c’era qualcosa che non
quadrava per bene. Pertanto voleva sapere quali pesci pigliare per
sbrogliare quell’intricata matassa. E dove s’era infilato suo malgrado, con
tutte quelle precauzioni prese in quella settimana antecedente e che alla
fine non erano servite proprio a niente.
Akhilleos s’era seduto sul letto, mentre Spiros era andato a preparare del
260
caffè per l’amico e quest’ultimo si mise a spiegare la situazione a Mauro.
< Vuoi sapere com’è andata a finire la questione su quei due siciliani,
piombati qui l’altra sera? > stava dicendo. < Quei due che hai fatto fuori
l’altra notte... > ma fu interrotto da Mauro che gli chiedeva un po’ confuso:
< Come! l’altra... notte? Ho dormito tutto questo tempo, insomma,
rimbambito dalla ferita... Oh, no! Accidenti! Non posso star qui fermo ad
aspettare il peggio. Devo pensare ai miei amici, senz’altro saranno in
pericolo? Per favore... ti prego! Dimmi almeno che ore sono adesso? >
< Sono le nove di sera e non ti agitare. > rispose Spiros entrando con
in mano un vassoio e sopra tre tazzine di caffè bollente. < Proprio così, hai
dormito una notte e un giorno intero. > proseguì l’uomo dal portamento
arabesco in quel suo barracano bianco bordato da greche azzurre.
< Be’, infondo anche i medicinali hanno fatto il loro effetto. > aggiunse
Akhilleos, mentre si versava nella tazza il caffè e proseguiva il suo
racconto: < Comunque, non devi preoccuparti dei tuoi amici, loro non
corrono pericolo in questo momento. E ascoltami ciò che volevo dirti
prima. Perché anche io ho qualcosa d’aggiungere su quei due siciliani. Che
le loro anime riposino in pace. Perdio! Che paura mi sono preso quando
dall’esterno o sentito sparare quel cannone di Spiros, temendo il peggio.
Invece tu li hai stesi tutte due con pochi colpi, però, sei forte amico! >
rispose Akhilleos sorridendo in quel momento dopo la passata paura
dell’altra notte. Akhilleos non sembrava preoccupato in quel momento a
ripensare all’accaduto; gli sembrava ancora di vedere un bel film giallo
alla televisione senza sottotitoli ma in prima persona e oltretutto era stato
in parte partecipe. Focalizzò tra sé e sé eccitato.
< Già, hai perfettamente ragione Akhilleos. Li ha beccati con decisa
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determinazione al primo colpo. > sbottò Spiros mentre si stiracchiava la
barba bianca e continuava a dire. < Per Giove, che mira figliolo! Centrati
tutte due in pieno. > aveva espresso con meraviglia la sua viva impressione
sull’accaduto. < E poi dopotutto quelli erano venuti con l’intenzione di
spedirci tutti quanti al creatore, nessuno escluso. >
Mentre Mauro espletava con rammarico: < E pensare che io odio le
armi. Guardate cosa mi tocca fare... Sono diventato un fottuto criminale!
Peggio di loro... Solamente per salvarmi la pellaccia devo continuamente
uccidere. Sinceramente sono veramente stufo di farlo, credetemi amici.
Accidenti a me! > si biasimò convinto più che mai di quel che diceva.
Mentre Akhilleos lo redarguiva per calmarlo un poco, dicendo a sua
volta: < In certe occasioni non si può scegliere, bisogna accettare la sfida.
Anche se tale gesto può significare la perdita d’identità morale, ma
interiormente si è coscienti delle proprie azioni giustificative e nient’altro.
Poi, meno male! Sei così deciso e con una buona mira. Altrimenti eri già
tra i morti a quest’ora. Stai facendo un’opera buona per il tuo paese
eliminando la feccia che inquina e corrompe l’umanità più debole. >
espresse convinto Akhilleos con fare da intenditore.
< Già, questa è buona! Sinceramente sono stufo di fare lo “007 senza
licenza d’uccidere”... E... sapete immaginarvi quanti ne ho già ammazzati
per sopravvivere io e i miei compagni..? >
< Tre, con questi due, da quel che ho capito dal racconto fattomi da
Elena? > disse Akhilleos.
< Magari! > ribatté Mauro. < D’altronde non è il numero che conta
per farti sentire un killer di professione. Per non dire un sadico criminale
che mi vergogno di me stesso e sono nauseato di tutto questo casino che ho
creato con le mie mani... Puttana Eva! >
< Beh, allora!? > chiese Spiros curioso di sapere. < Dai rispondi e
tira fuori il rospo? > lo spronò a proseguire il racconto.
Mauro restò un momento a fissarli e poi controvoglia rispose: < Se vi
dico che ne ho già ammazzati dodici con questi due qui, cosa pensate di
me a questo punto, che racconto frottole per vantarmi? >
< Dodici!! > pronunciò sorpreso Akhilleos, seguito da Spiros
affascinato. Poi Akhilleos riprendendo fiato continuò a indagare, dicendo
con fare un po’ canzonatorio: < Allora tu non ce la racconti giusta, tu sei
un’agente secreto, ingaggiato dalla CIA, senz’altro? >
< No, niente di tutto questo! > esclamò Mauro. < Sono soltanto un
262
povero smemorato studente in giurisprudenza che per caso si è imbattuto
in un tentato omicidio e precisamente di Andrea il mio compagno di
sventura. Io ho tentato di salvarlo dalle loro grinfie e mi è andata bene,
nient’altro. Soltanto che le circostanze avverse si sono accavallate una
sull’altra. Purtroppo precipitosamente. E cosi per salvarci la pelle abbiamo
incominciato a fuggire inseguiti da ben due mafie, quella calabrese e
quella siciliana. Che purtroppo nostro malgrado gli abbiamo rotto i loro
piani di espansione con il loro racket della droga. E perciò eccoci arrivati
fino qui e non è di certo finita. Ora più che mai, avendo ripreso la nostra
tracce. Capite amici, cosa ho dovuto fare per salvare la mia pelle e quella
dei miei amici, coinvolti malgrado le loro buone intenzioni di rimanervi
fuori da tutto questo. > Mauro si era accasciato sfinito e demoralizzato
dalle sue stesse parole da vecchio criminale incallito. Mentre Akhilleos gli
passava la tazzina del caffè e l’aiutava a sorreggere il capo per poter bere.
Intanto Akhilleos tentava di riportare il discorso su altre prospettive
alquanto confuse che s’intravedevano approssimarsi all’orizzonte. Perciò
alla fine, riprese a dire: < Be’, per tralasciare i vecchi ricordi di guerra e
cambiare discorso ritornando su cose più importanti. Ma al contempo sono
sempre su quest’argomento fetente. E per farla breve dicevo prima... >
riprese a dire Akhilleos. < Io l’altra sera non ero riuscito ad arrivare
all’appuntamento con voi prima. Il tutto per seguire quei due siciliani?
Perché nel pomeriggio al porto mi era capitato un fatto strano? Io ero
intento a caricare delle casse sul mio camioncino da portare ai magazzini
generali, quando mi cadde l’occhio su quei due individui. Capisci Mauro, a
chi mi riferisco? Quei due dall’aspetto poco raccomandabili, ch’erano
arrivati a bordi di quella Citroen nera, noleggiata in città, > mentre
guardava Spiros per coordinare le loro idee e quello muoveva il capo
affermativamente. < Pertanto quei due giù al porto, si erano diretti agli
uffici spedizioni. E chissà perché, ma qualcosa mi diceva che mi dovevo
interessare a loro. Così lì ho seguiti incuriosito dal loro modo di fare, un
po’ diffidente. Forse era il loro modo di guardarsi sempre attorno
sospettosi, che mi aveva incuriosito. Insomma ‘sta di fatto che con una
scusa sono entrato nell’ufficio e ho potuto sentire cosa chiedevano
all’impiegato allo sportello. In breve erano venuti a chiedere informazioni:
Se per caso avrebbe visto tre giovani italiani sbarcare dalla motonave
“Elpida”, proveniente da Malta. A quel punto, mi era venuto un sospetto e
ho raddrizzato le orecchie per captare meglio ciò che dicevano. Mentre
loro, visto la titubanza dell’impiegato gli passarono delle banconote sotto
263
lo sportello. Spiegando con fare mesto, di essere dei vostri parenti e
tentavano di rintracciarvi. Per avvisarvi della morte di un vostro caro
congiunto. E alla fine l’impiegato si lasciò convincere, sciogliendo la
lingua, come il burro messo al sole, dal luccicare dal danaro che aveva
fatto sparire velocemente in tasca. Informandoli come e quando e l’albergo
da voi prenotato, al “Grant Hotel Xenia”. Hai capito, com’è successo.
Così hanno saputo quello che volevano sapere subito e velocemente da
quello stronzo d’impiegato? >
< Perla miseria! Questo fatto nuovo, non ci voleva proprio. > sbottò
Mauro preoccupato. Mentre continuava a chiedere con insistenza: < Ma
erano soltanto in due quelli? > chiese dubbioso.
Mentre Akhilleos corrugava la fronte a pensare e in fine spiegò: < A me
è sembrato che fossero soli. E ti dirò di più, appena dopo aver saputo
dov’eravate alloggiati, si erano diretti al centralino telefonico lì accanto e
avevano fatto una lunga telefonata. Penso in Italia, dal tempo ch’era
trascorso prima che rispondessero dall’altra parte. E a quel punto io mi
trovavo in difficoltà per avvisarvi. Ormai erano le diciannove e trenta,
perciò presi una decisione di scaricare velocemente le casse a terra e
seguire i due siciliani. Che non tardarono poi a portarsi al vostro albergo e
quando loro sono arrivati, i vostri compagni avevano già svoltato l’angolo.
Mentre tu e Elena stavate per partire. Perciò in quel momento vi siete
incontrati di sfuggita. Si vede che non ti conoscevano perché si erano
diretti alla reception chiedendo senz’altro di voi tre italiani e qualcuno vi
aveva indicato che eravate all’uscita. Perciò loro corsero subito fuori, ma
voi stavate già partendo con la moto e così loro si misero subito a seguirvi
a distanza di sicurezza. > spiegò l'inghippo.
< Eh, pensare che io, li avevo guardati per un attimo prima di partire
con Elena, > spiegò Mauro. < Accusando un malessere a quella vista che
mi turbava, ma dato che pensavo che le mie sensazioni erano di ben altra
specie, non ci feci troppo caso, capisci Akhilleos... > commentò Mauro
corrucciando la fronte.
< Capisco più che bene. Per gli dei dell’olimpo! > sbottò Akhilleos e
riprendendo a dire: < Com’è tutto così complicato e io ho faticato per star
dietro a loro con il mio macinino. Perciò a Sitia loro si erano fermati poco
lontano e vi guardavano cosa facevate lì fermi per aspettarmi. E senz’altro
avranno pensato che aspettavate gli altri due e così vi avrebbero preso tutti
quanti in un sol colpo. Perciò io, a quel punto dovetti stare più indietro.
Non potendo far nulla per avvisarvi senza essere visto. Nemmeno
264
precedervi qui, la strada è solo quella. E così sono arrivato qui appena ho
capito, che non potevano sentire e vedermi arrivare dietro di loro.
Scendendo in folle giù per la discesa a motore e fari spenti. Ma a quel
punto avevo veramente paura di non poter far nulla per voi ed essere in
ritardo. Ero veramente incazzato con me stesso, per non aver escogitato un
piano diversivo. Ho avuto una tremenda paura quando ho sentito i colpi
della rivoltella sua? > indicando Spiros al fianco in ascolto. < Accidenti!
Ecco, ora sai tutto Mauro, di quell’altra sera. >
Ma subito Spiros interveniva dicendo: < Ma non gli hai detto cosa
avevano addosso, insomma i loro documenti. Forse lui li conosce quei due
di nome? > mentre andava nell’altra camera e ritornava con un sacchetto di
stoffa e tirava fuori dei passaporti. Poi Spiros si era messo sotto la debole
luce a leggere a voce alta: < Be’, ascoltate forse non è la pronuncia giusta,
ma io ci provo: Carmine Rocco trentacinque anni da Palermo, ecc. ecc. E
Turiddu Rosi trentanove anni da Catania, eccetera ecc. E senz’altro dai
nomi e dai posti da dove vengono sono della mafia siciliana e vi danno la
caccia e a quanto pare questi sono soltanto l’avanguardia, vero? >
< Già, ha più che ragione signor Spiros. Vogliono vederci morti e
senz’altro arriveranno degli altri per darci la caccia. Perciò dovremo
evacuare al più presto da Creta. > espose seriamente Mauro.
Mentre Akhilleos proponeva a sua volta: < Be’, per incominciare
facciamo questa benedetta puntura e poi decideremo per il resto. Anzi, io
propongo che tu venga per il momento a casa mia. Visto che in questi
paraggi, qualcuno può aver visto per caso quei due con la macchina,
mentre venivano da queste parti. Io l’altra sera sinceramente non avevo
tempo di guardare chi c’era in giro a quell’ora. Ero troppo preoccupato per
quello che poteva capitare qui dentro... >
< Ma’, della macchina e dei due che fine hanno fatto, se non sono
troppo curioso? > chiese Mauro. Mentre Spiros decisamente rispondeva
per primo: < Non ti devi preoccupare è tutto sistemato per sempre e senza
traccia. E per la macchina, quando la troveranno è soltanto messa per bene,
parcheggiata in una zona turistica, senza i passeggeri s’intende. Comunque
è meglio fare come dice Akhilleos, perché vederlo venire qui troppo spesso
darebbe troppo nell’occhio. Perciò è meglio che andiate via questa sera
stessa, dopo averti fatto l’iniezione ordinata dal dottore Dromos.
D’accordo ragazzi! > espose seriamente Spiros.
< Sì, ha ragione, se mi aiutate ad alzarmi, potremo lasciare il
monastero fin ch’è buio. > propose Mauro più che mai preoccupato.
265
Capitolo Trentottesimo
Era l’una passata quando arrivarono nella piccola casetta di campagna
di Akhilleos ai piedi del monte Ida. Mentre la luna faceva capolino dalla
sua sommità dov’era un tempo il centro dell’Olimpo.
Mauro era sfinito e si era appeso al braccio robusto di Akhilleos per
entrare in casa. Si sentiva veramente tutto rotto e appena Akhilleos lo aiutò
ad adagiarsi sul suo letto lui si contrasse su di sé dal dolore. Mentre
l’amico si prodigava per aiutarlo a svestirsi e coricarlo sotto le coperte.
Mauro era scosso da tremiti e quel trambusto gli aveva fatto aumentare la
febbre. Akhilleos l’aveva costatata mettendogli la mano sulla fronte, da
preoccuparlo e farlo imprecare tra i denti: < Per gli Dei! Hai la temperatura
alta, bisognerà che domani mattina cerchi di parlare con il dottore Dromos,
sulla nave “Zeus”. Io non so’ cos’altro darti da prendere, oltre quello che ti
ha già prescritto il dottore? Accidenti! > espresse il giovane greco
preoccupato.
< Non devi preoccuparti! Sarà, per questa sfaticata appena fatta.
Vedrai, domani starò meglio... stai tranquillo amico. > mugugno Mauro,
con molta fatica per non preoccuparlo ancora di più. S’era sforzato di
essere il più tranquillo possibile, ma effettivamente si sentiva male e aveva
dei brividi di freddo che lo facevano sussultare tremendamente.
Poi per fortuna sentì il corpo caldo di Akhilleos accanto al suo e
s’acchetò un po’, quella vicinanza gli dava un po’ di benessere, mentre
l’altro gli diceva: < Scusa, ma non ho altri letti, > gli sussurrò all’orecchio,
mentre se lo stringeva un poco a se. < Dovrai accontentarti di stare un po’
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stretti in questo piccolo letto sfondato, fin dai tempi dei miei avi. Questa
casa a più di cento anni. > ribatté Akhilleos mentre tentava di scaldarlo.
< Non importa amico. Anzi è meglio così, sento il tuo calore vicino e
mi stai scaldando per bene. Ho un tale freddo addosso che non riesco a
frenarmi dal tremare. In verità... mi sento veramente sfinito. Scusami
Akhilleos, per tutto il trambusto che ti creo... >
< Dai non farla lunga! Poi a cosa servono gli amici se non si prestano
nel momento del bisogno. Però! Come stai tremando ragazzo, spero che il
mio calore ti può bastare per calmarti. Comunque ora proviamo a dormire
almeno qualche ora. Forse si calmerà la tua febbre? Io tra poche ore dovrò
alzarmi, ho un bel po’ di lavoro giù al porto. E veramente sono anch’io
abbastanza stressato oggi, per non dire stanco. Kaliniktà! >
< Notte e grazie per tutto amico mio! > rispose Mauro mentre si
stringeva a lui più vicino e si trovò a piangere silenziosamente tra sé, in
quell’arrabbiatura incondizionata. Oltretutto quel ragazzo greco era l’unico
appiglio rimastogli, per quello che gli sembrava di capire in quel momento
così difficile. Restò parecchio tempo sveglio Mauro ad ascoltare il respiro
regolare di Akhilleos che riposava, poi alla fine con l’aiuto dei medicinali
si addormentò anch’egli profondamente.
Quando Mauro si sveglio era molto tardi e il sole era già alto in cielo,
rischiarando la piccola stanza dell’amico, con poche cose dentro: un letto,
un armadio abbastanza vecchio e un comodino, che separava il letto dalla
finestra, e si apriva verso il monte Ida in un meraviglioso panorama estivo.
Poi di colpo Mauro capì che Akhilleos era già andato al lavoro e a quel
punto, si rammaricò per non essersi svegliato prima, almeno per salutarlo.
Era il minimo che poteva fare per ringraziarlo da tutto quel tribolare e
pericolo che gli aveva procurato con la sua presenza in quell’isola di pace.
In fine dopo tutti quei mugugni cercò di alzarsi, ma dovette rinunciare non
era in grado di poterlo fare, si sentiva ancora così debole che rinunciò a
fare ogni sforzo inutile. Si guardò attorno e trovò sul comodino al suo
fianco un cestino di vimini, coperto da un tovagliolo e una bottiglia di
acqua. Faticò un bel po’ prima di potersi sistemare e usare la mano e il
braccio buono. Alla fine riuscì a prendersi la bottiglia e bere un buon sorso
d’acqua, poi alzò il tovagliolo e sotto vi trovò sei panini imbottiti di salame
e formaggio che emanavano un profumino appetitoso. Mauro provò a
morsicare un pezzo di panino e dopo il primo boccone incominciò a
gustare quella provvista che Akhilleos gli aveva procurato con del pane
267
raffermo per sobbarcare la giornata fino a sera, in solitudine. Dopo il terzo
panino, Mauro si lasciò andare soddisfatto di avere finalmente qualcosa
nello stomaco. Ma dopo un prolungato momento di riposo, decise che
doveva per forza alzarsi dal letto. Aveva veramente bisogno di andare in
bagno e chissà mai, dov’era ubicato in quella casa campestre. Si sforzò e
con tenacia alla fine ci riuscì ad alzarsi. Akhilleos gli aveva lasciato un
paio di zoccoli ai piedi del letto. Mauro si trovò tutto barcollante sulle
gambe, muovendosi a stento come un vecchio ubriaco, appena uscito
dall'osteria. Tra le varie imprecazioni che formulava a denti stretti, cercò
d’indovinare dov’era sistemato quel benedetto cesso. Era fuori in giardino
a ridosso della casa; bello e arieggiato con vista sulla campagna. Infine
Mauro, prima di rientrare sbirciò il paesaggio tutt'attorno, a prevenire e
allontanare ogni paura. Si sentiva braccato. Poi con decisione, ritornò a
letto e quasi subito si riaddormentò stremato dalla provata fatica.
Era già sera tardi quando sentì lago entrargli nel gluteo sinistro e si
svegliò di botto, ma senza muoversi e lamentarsi per il pizzicore che gli
procurava il liquido, per entrare nella sua tenera carne. Mentre la voce di
Akhilleos risuonava alle sue spalle: < Mi dispiace, dormivi così bene. Ma
il dottore mi ha pregato di non saltare l’orario della terapia e perciò ne ho
approfittato della tua posizione giusta per bucarti le chiappe... ti ho fatto
male amico? Non è che sia molto esperto. D’altronde ci si fa la mano... >
< No per niente. Poi da te mi farei fare qualsiasi cosa... sei un vero
amico. Grazie ancora! > mormorò sottovoce.
< Eh! Dai, dai, piantala di rompere con quel grazie! Lo farei con
chiunque se occorre. In fondo poi, mi sei simpatico, sebbene la prima volta
che ti ho visto assieme a Elena ti avrei spaccato volentieri la faccia.
Temevo che stavi facendole la corte e a quell’idea mi girano subito le
palle! Scusami. Ma sono maledettamente geloso. Sebbene Elena è una
persona un po’ estroversa e sinceramente, non sa’ bene nemmeno lei cosa
268
vuole dalla vita. Vedi Mauro, io la sposerei subito, ma so per certo che lei
non vorrà mai adattarsi a vivere qui con un povero pescatore senza una
barca, per non dire, senza soldi. Soltanto un rude manovale giù al porto,
che sobbarca il lunario facendo ogni lavoro che capita. S’intende, oltre che
navigare con qualcuno che gli occorre una mano. Perciò, temo che sarà
molto difficile che la nostra situazione vada in porto. D’altronde, io, sono
innamorato e sono speranzoso. Mah! Mentre lei, ne approfitta della mia
devozione e talvolta mi tiene a una certa distanza. E il tutto, mi fa molta
rabbia. Purtroppo, spero sempre che un giorno si convinca che anch’io
possa valere qualcosa per lei... Ma lasciamo perdere le mie rogne! Tu hai
mangiato quei panini che ti ho messi nel cestino? > mentre alzava il
tovagliolo e lo trovò vuoto. < Be’, almeno non potrai dire che ti ho lasciato
a secco. D’altronde, devi scusarmi ma in casa non avevo altro e il pane era
certamente un po’ duro. > si scusò il giovane allargando le braccia.
< Tutt’altro, era buonissimo! Quando si ha fame, è tutto buono...
grazie mille Akhilleos! >
< Guarda, che se non la smetti di ringraziarmi ti sistemo fuori in
giardino, sotto quel grosso fico d’India e aspetterai che maturino i loro
frutti per mangiarli. Dai, resta buono ancora un poco, mentre io vado in
cucina a preparare qualcosa di caldo, d’accordo? > e s’allontanò deciso
seguito dallo sguardo affascinato di Mauro, che commentava dentro di sé:
pensando che sotto quella pelle ambrata di quel burbero uomo, c’era un
cuore veramente d’oro. Rammaricandosi, perché mai Elena lo trattasse a
quel modo e non l’apprezzi per quello che vale veramente. “Peccato!”
Akhilleos dopo la rituale fasciatura che gli aveva insegnato il dottore
Dromos, l’aiutò ad alzarsi dal letto e l’accompagnò in cucina, che odorava
di buono. Quando si misero a tavola, il padrone di casa lo servì di una
meravigliosa spaghettata al pomodoro, Mauro si sentiva felice accanto a
quel giovane, mentre pensava che non aveva mai provato una tale simpatia
per nessuno a quel modo. Nemmeno verso Andrea e Stefano, che
senz’altro se la stavano godendo a più non posso assieme alle gemelle
svedesi, “ben per loro”, si trovò a dire dentro di sé angustiato. Ma lì, in
quel momento si sentiva abbastanza felice.
< Be’, non parli? Forse non sono di tuo gusto gli spaghetti? Certo che
questi non sono di produzione italiana. > Akhilleos era un po’ emozionato
non sapendo bene cosa mangiavano di solito gli avvocati a tavola e attese
con il forchettone in mano, una risposta, magari di apprezzamento, da
parte di quell’invalido paziente seduto lì, di fronte.
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< Ti prego amico, non farmi dire... > mentre Mauro si metteva in
bocca una forchettata di pasta e alla fine commentava mostrando una
contrazione al viso, mentre l’altro era un po’ sconcertato del risultato. Poi
Mauro riprese a dire: < Qui è tutto superlatif monsieur chef, a commentare.
Sei formidabile! Ma non aspettarti che ti ringrazio ancora. M'hai proibito.
Perdonami, ma non voglio burlarmi di te. Tu mi sei molto caro e non so’
proprio come avrei fatto senza di te... > Mauro si fermò, mentre osservava
l'altro, poi riprese a dire: < Be’ ora che fai lì ancora in piedi e con il braccio
a mezz’aria, tu non mangi? >
< Ma, veramente stavo pensando a cosa vuol dire quella parola
straniera: “Superlatif”, scusami ma non capisco il significato, insomma,
qualcosa di superiore, vero? Ma messa assieme a quel monsieur... be’, che
confusione. D’altronde mi è sembrata francese la frase detta, se non vado
errato? > provò a dire Akhilleos. < Vedi amico, la scuola l’ho frequentata
molto poco, invece per lavorare tanto e sinceramente ora capisco bene, che
mi sarebbe servita dell’istruzione in più. Pazienza! Se si nasce poveri cosa
si può fare, altro? > brontolò il giovane mentre appoggiava il forchettone.
< Be’, questo è anche vero, da un lato. D'altronde non si può avere
tutto. Comunque, ora siediti a mangiare e ti spiegherò cosa volevo
esprimere con quelle parole francesi. Nient’altro che farti un complimento
come cuoco. Hai creato qualcosa d’ineguagliabile con questa spaghettata
al pomodoro, che in verità, oltre il profumo è veramente una delizia per il
palato. > mentre l’assaggiava con gusto. < Dai mangia che ne hai
veramente bisogno dopo una dura giornata di lavoro. Sei bravissimo amico
mio, anche come cuoco. Bravo! E quasi, quasi, ti assumerei... >
< Eh, dai! E’ roba da niente. Guarda che ce né ancora nella pentola. >
mentre Akhilleos s’imboccava grosse forchettate di spaghetti, si vedeva
che aveva una fame da lupo. Anche Mauro si diede da fare con la sua
abbondante porzione, accompagnato da un vinello bianco locale che
scendeva giù nello stomaco come un rosolio. Mentre discorrevano su ogni
cosa e alla fine Mauro disse all’amico con fare preoccupato: < Akhilleos,
dovrei pregarti di un favore, domani non potresti avvisare Elena che vada
dai miei due amici e dica loro di prendere la mia sacca da tennis e venire
qui con te. Dovrei spiegare loro qualcosa, oltreché consegnare i loro
passaporti nuovi e i vecchi, per gli ultimi spostamenti locali. Senza
aspettare che succeda il peggio. Comprendi? >
< Ma certamente! Posso farlo... Temi il peggio, vero? >
< Purtroppo e sappiamo molto bene, che non passerà molto tempo che
270
arriveranno senz’altro altri killer a cercarci per farci fuori. E perciò, io
vorrei consigliare i miei compagni di prendere nuove precauzioni al caso e
magari cambiare aria. Tu potresti portarli qui senza destare sospetti in
giro? Mi faresti un gran favore. > mentre terminava di intingere con il
pane fresco, che aveva portato a casa Akhilleos, nel raccogliere le ultime
parti rimaste del sugo al pomodoro.
< Ma certo! > rispose Akhilleos. < Domani in giornata passerò da
Elena e vedremo come metterci d’accordo per condurli qua in sordina.
Magari appena dopo il tramonto. Okay!? > mentre si alzava dal tavolo e
incominciava a sparecchiare i piatti e la pentola della pasta ormai vuota.
< Puoi portare anche Elena qui con loro, non ti dispiace? >
< Perché dovrebbe spiacermi. Speriamo che lei voglia venire qui. Non
è mai venuta qui a casa mia, forse temeva che la violenti. Scherzo! Però, e
sinceramente è un po’ restia nel fare l’amore con me talvolta. Scusami se
mi confido con te, ma sei cosi fraterno per me, che sinceramente mi
piacerebbe averti come fratello minore, io ho venticinque anni, uno in più
di te... > esponendolo con baldanza quel vantaggio, mentre Mauro
commentava su quel fatto: < Be’ in verità, per quel che ricordo io, in Italia
ho un fratellastro maggiore... > fermandosi un momento a pensare su
quella nuova cognizione dei ricordi, poi scacciò quell’insignificante
differenza, capendo che ormai era divenuta irrilevante. Mentre Akhilleos
commentava sorpreso: < Come, in Italia, hai un fratello? >
Mauro riprendeva a spiegare: < Si. Comunque, è una storia un po’ lunga
e complicata, che alla fine ne so ben poco anch’io. D’altronde dalla
descrizione che mi ha fatto mio padre per telefono, suppongo sia più che
una frana questo fratello, sebbene non me ne ricorda per niente e a questo
punto non m’importa proprio. Non so perché ma non sento niente per loro,
è veramente strano? Invece io ne sarei orgoglioso d’averti per fratello. Sei
così formidabile e tenace, ma altrettanto tenero... >
< Cala, cala amico, e non stare arruffianarti ancora, non ho dolcetti
da offrirti per ripagarti delle belle parole. > espose sorridendo Akhilleos
< Posso esprimere una mia idea, > mentre osservava l’altro che
scuoteva il capo, poi approvò a malavoglia aspettando che Mauro dica la
sua ennesima eresia nei suoi confronti.
< Tu assomigli molto a quell’altro... >
< Chi, quell’altro? > gli chiese incuriosito Akhilleos, stringendo gli
occhi a ricordare, qualcosa che non veniva fuori.
< Quello con il colore della tua pelle ambrata e i tuoi lunghi capelli
271
neri. Quello descritto dalla mitologia di queste terre? Achille. >
< Dai, non esagerare amico. Pensavo chi mai potessi assomigliare e
guarda un po’ cosa stai tirando fuori adesso. > rispose un po’ confuso
Akhilleos, ma al contempo sorrideva compiaciuto all’idea.
< Poi, oltretutto ne hai la prova in quella meravigliosa scultura fatta
da Spiros... > gli espose Mauro con fare serio. < Sei stato il suo modello,
vero? > mentre lo fissava con determinazione, sapendo già qual era la
risposta, mentre l’altro un po’ titubante rispondeva: < Be’, sì! Hai ragione,
ho posato per Spiros. Lui continuava a dirmi che ero proprio
l’impersonificazione d’Achille, e mi sono lasciato travolgere da quella
metafora e ora tutte le volte che vado laggiù e mi rivedo in quell’immagine
scolpita nel marmo. Mi vergogno di aver posato a quel modo, così nudo
e... lasciamo perdere per adesso. > poi, per cambiare discorso Akhilleos
propose: < Sai invece cosa dobbiamo fare adesso? Andare a dormire.
Scusami, ma sono veramente stanco! > mentre sistemava le ultime cose
nella cucina. E Mauro seguendo il suo consiglio rispondeva: < Ma
certamente fratello maggiore, andiamo in quel nostro piccolo baccello. >
< Tu hai ancora freddo? > gli chiese Akhilleos. < Non ti spiace se
teniamo soltanto il lenzuolo sopra? >
< Come vuoi fratello, oggi mi sento in forma. Ahi! Non troppo ma,
comunque abbastanza meglio. Tu avevi caldo ieri notte, vero? > mentre
Mauro, si attaccava al suo braccio per recarsi in camera e l'aiutava a
sedersi sul letto, lo stava rimirando per bene.
< Sì, veramente. Mi sono fatto una sudata che nemmeno ai bagni
turchi, non l’avrei mai fatta, così terapeutica. > rispose Akhilleos con un
largo sorriso, mentre se lo stringeva al suo fianco con delicatezza.
< Mi dispiace, mentre io stavo molto bene vicino a te. Credimi... >
confermò Mauro sorridendo maliziosamente.
< Come, non ti sei accorto più tardi che ti ho levato la maglia e le
mutande, erano macere di sudore? >
< No, veramente? Ecco perché mi sono trovato nudo stamattina. Non
ho sentito nulla fino a questa mattina quando mi sono svegliato e tu non
c’eri più, eri già andato via e mi è dispiaciuto non averti almeno salutato.
Senz’altro avranno fatto effetto le medicine che m’hai dato. Sono a base di
sonnifero per calmarmi dal dolore e a farmi sprofondare nel sonno
inconsciamente. > protestò.
< Già. è per quello che straparlavi nel sonno e io credevo che mi
ascoltassi mentre ti toglievo la maglia e le mutande bagnate e t’asciugavo
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un poco, tu stavi farneticando cose strane, un po’ strampalate.. Be’, dai,
girati. > mentre aiutava Mauro a levarsi l’accappatoio da dosso, che gli
aveva dato poco prima e infine a coricarlo a letto, poi si denudò a sua volta
e s’infilò sotto quel leggero lenzuolo, dicendo piano all’amico al suo
fianco: < Buona notte Mauro! >
< Notte Akhilleos!... > poi dopo un prolungato momento Mauro gli
chiedeva ancora: < Ma cosa volevi dire prima al riguardo di ieri notte,
mentre dicevo strafalcioni nel sonno? >
< Oh, nulla di speciale. Eri arrabbiato con qualcuno, insomma
borbottavi. Dai ora dormi... Kaliniktà! > e s’era girato dall’altro lato.
Mentre Mauro, dopo un attimo di riflessione rispondeva a sua volta al
compagno: < Kalinktà adelfòs! > e rimase lì a pensare su quel quesito
appena accennato dall’amico. Forse aveva avuto i suoi soliti e abituali
incubi e Akhilleos a interpretato altrimenti quei fatti? O nell’incoscienza
Mauro avesse accennato all’intreccio amoroso con i compagni? A
quell’ambiguo pensiero Mauro si contrasse a pensare che Akhilleos avesse
captato quel suo angustiato dispiacere per la lontananza dei suoi amici.
Dovute dalle circostanze capitate, in quel luogo di villeggiatura. Mauro sì
rammaricò di essersi tradito con quell’uomo al suo fianco, esponendo una
verità per nulla accettabile dai ben pensanti eterosessuali. Da sentirsi
avvampare il viso dal rossore. Mauro era veramente dispiaciuto se per caso
quella sua supposizione era la verità accaduta. Cercando al tempo stesso di
non pensare oltre, altrimenti si sarebbe vergognato ancora di più di fronte a
ciò che poneva miseramente davanti all’amico sul suo conto. Avrebbe
preferito essere lui a esporre la verità, invece di far blaterale il suo
subconscio. Ma ormai il danno era fatto e perciò doveva accettare il
giudizio storto che si era fatto l’amico sul suo conto. Poi alla fine Mauro
s’addormentò profondamente con quel dubbio che gli pesava addosso.
Poi nel bel mezzo della notte Mauro, si era svegliato e rimase supino
per un bel po’ a fissare il soffitto rischiarato dalla luna che entrava dalla
finestra spalancata per l’arsura. A un certo punto senti muoversi nel letto
Akhilleos, girandosi verso di lui e appoggiando la sua gamba contro la sua,
a quel contatto caldo Mauro ebbe un leggero sussulto di tensione e piacere.
E solo in quel momento pensò spudoratamente di voler far l’amore con
quel meraviglioso condottiero d’altri tempi, che dormiva beatamente al suo
fianco nudo e procace.
273
Capitolo Trentanovesimo
Il lenzuolo era ormai sparito da qualche parte a terra e Mauro rimase
colpito da tanta bellezza che sprigionava quel corpo così ben levigato,
coperto da un leggero strato di sudore. Emanando in quella piccola stanza
il profumo di maschio, nel pieno vigore della sua giovinezza. Constatò
Mauro, nel dover ammettere che quell’afrodisiaco effluvio era così
eclatante e l’affascinava tremendamente. Oltre alla complicità della luna
che rischiarava in parte quel corpo supino, da far restare Mauro parecchio
tempo a contemplare e scrutare ogni singola parte di quel maschio latino.
Al contempo Mauro, ne gioiva in parte, pensando alla fortuna che aveva in
mano Elena, ha possedere una simile rarità un po’ selvaggia. Immaginando
che loro due assieme, formavano una coppia perfetta e da quell’unione
sarebbero sorti dei graziosi pargoletti. Degni di buoni auspici, da parte di
quei Dei dell’Olimpo, che soggiornavano un tempo lì accanto, sopra al
monte Ida.
Poi si stupì ancora di più Mauro, per quel suo modo di masturbarsi la
mente e osservare con troppo interesse quel giovane lì accanto, che russava
impercettibilmente. Mentre faticava a togliere gli occhi d’addosso a quel
fisico ambrato e possente, con una voglia matta di allungare la mano e
accarezzare quell’epidermide vellutata. E in quella sua debolezza umana, o
peggio ancora sfrontatezza, si trovò a pensare di far del sesso con quel
giovane cretese, arrossendo tremendamente a quell’idea spudorata, che gli
era sorta all’improvviso e spontanea. A quel punto Mauro girò il capo
dall’altro lato, togliendo ai suoi occhi quella deliziosa vista, cercando di
274
placare quelle sue strane voglie scoppiate così dal nulla. Capendo più che
bene, quale dramma si stava concependo dentro al suo petto e all’istante si
ripromise che in futuro mai più avrebbe fatto all’amore con qualcuno, in
special modo con un uomo. Ormai Mauro, aveva capito più che bene che
in quei giorni trascorsi assieme ai suoi compagni di sventura, avevano
esagerato troppo e perciò si ripromise con fermezza tra s'è: “D’ora in
avanti cercherò di condurre una vita più casta. Basta con le orgie e le
sodomizzazioni in giochi perversi, aspettando che la morte venga a
prenderci. Ciò che ho provato mi è bastato per capire il mio sbaglio e
cambiare il corso della vita. Adesso basta!” E tentò di girarsi a pancia
sotto e mettersi a dormire per non pensare ad altro, cercando di scollarsi di
dosso quelle baggianate idee. Ma quella mossa decisa gli procurò un forte
dolore alla spalla e ai muscoli del petto, costringendolo a digrignare i denti
ad evitare d’urlare per il male. Contemporaneamente sentì Akhilleos
muoversi e girarsi vero di lui, in quello stretto letto e accostandosi contro
con affetto materno. Involontariamente la sua gamba scivolò questa volta
sopra la sua, in un abbraccio di muscoli sudati e possenti. Mauro percepì in
quella stretta un brivido percorrergli lungo tutta la schiena, mentre il
sudore incominciava a colargli copiosamente per tutto il suo corpo ormai
eccitato. Un tremore elettrizzante gli veniva trasmesso dal corpo invitante
di Akhilleos al suo, in quel contatto di epidermidi accaldate. Mauro sentì
distintamente mugolare il giovane nel sonno, mentre inconsciamente con il
braccio l’avvolse con dolcezza a se. Poi, l’altro si serrò sempre di più
marcatamente al suo corpo tremante di paura e gioia per quel platonico
amplesso. Mauro si trovò sconvolto da inspiegabili sensazioni assai
devastanti. Da temere nella sfrontatezza esposta, dei suoi pensieri sconci di
desideri repressi. Ma, così vivi e palpitanti nel suo essere primordiale. La
paura l'aveva aggredito temendo che i suoi tremori, vengono captato da
Akhilleos ignaro. E solo allora Mauro, scoprì quanto era grande la sua
debole forza, nel reagire e contrastare contro quella presenza così genuina,
ma assai preponderante. Era così caldo e spontaneo quel contatto del
compagno, che l’aggrediva in profondità del suo io. Vi era qualcosa
d’inconfutabile e magico in quella vicinanza, da farlo impazzire di
desiderio. E senza saperlo si trovò a piangere di quella sua deplorevole
debolezza ai desideri della carne in fermento, oltre a quel disordine che
teneva dentro di sé nel suo cuore infranto. Mentre le silenziose lacrime
lasciavano le sue guance arrossate dalla vergogna e si depositavano sul
cuscino, Mauro imprecò dentro di sé, a non riuscire a frenare quei sussulti
275
interni e smisurati, quei piccoli tremori di rabbia e di sconforto che
l’avvolgeva tanto. Erano impulsi così spaiati, frammisti al desiderio così
impellente, di voler aggrapparsi quasi con rabbia a quell’uomo lì, alle sue
spalle che senz’altro sognava momenti belli ed erotici, dai gemiti emessi a
fior di labbra. Ma al tempo stesso in quel sogno motivato dell’altro,
l’aggressione era all’unisono. Alla fine Mauro chiuse gli occhi molto
fortemente e pregò che non succeda nulla e che il giovane così irruente e
focoso si giri dall’altro lato e calmi i suoi bollenti spiriti, con qualcos’altro
che può lenire nel sonno e diminuire le sue voglie. Così, tutto ad un tratto
era svanito quel filo sottile di speranza che non succeda mai nulla tra loro.
Quella spada di Damocle, precariamente in bilico era caduta sul suo capo
senza ritegno. Capendo che ancora una volta si era lasciato abbindolare
dalla bellezza del bel tenebroso Akhilleos, che aveva avuto il sopravvento
sui suoi deboli sentimenti. Mauro si rammaricò con sé stesso, costatando
d’essere diventato soltanto un oggetto di piacere per gli avventori che
incontrava sul suo cammino. Ma soprattutto Mauro, capiva amaramente
che forse quell’aggressione era lo scotto che doveva pagare per riabilitarsi.
E alla fine, con umile rassegnazione Mauro decise di accondiscendere
senza contestare più nulla a quell’irruenza di Akhilleos, in quell’abuso di
potere incondizionatamente scontato. poi, l’irruenza si avvampò
nell’ardore divenendo più dolce, mentre i baci si fecero più teneri sul collo
dell’amante, attorno all’orecchio e in fine gli sussurrò qualcosa di
sorprendente: < Tu, ieri notte, nel delirio della febbre chiedevi l’amore dei
tuoi compagni e io ho capito in quel momento che ne soffrivi per le loro
scappatelle con le svedesi. E questa notte mi hai istigato con il tuo corpo
caldo così tremendamente appiccicato al mio, che mi sono eccitato al
massimo. A questo punto, mi sono preso la briga di placare il tuo desiderio
ma anche il mio,< Mi dispiace veramente di aver agito con troppa e brutale
irruenza. Lo devo ammettere ero in conflitto con me stesso. In verità e ti
confesso, è da varie settimane che vado in bianco con Elena per svariati
motivi, suoi. E questo tuo atteggiamento maliardo, mi sono lasciato
travolgere. > espose dispiaciuto. < Poi ero ormai più che convinto che tu
desideravi avermi dentro di te, con una grande voglia, letta nei tuoi occhi
in questi giorni. Sì, è vero! Ti ho violentato. Accidenti! Ora me ne
rammarico veramente tanto, mi dispiace! Scusami tanto Mauro...
Perdonami! Sono un imbecille, non... Accidenti! > sbottò dispiaciuto.
Mauro faticò a rispondere in quel momento per lui sublime, oltre alla
spalla che gli doleva fortemente e tentava di superare tutti quei dolori
276
messi assieme. Ma volle egualmente essere sincero con quell’amico
desideroso d’amore, ed ora pentito. < Grazie, per la sincerità Akhilleos. In
parte anche io l’ho voluto. Sinceramente non avrei ma immaginato di
approfittare del tuo magnifico dono e mi dispiace che nel delirio mi sia
tradito. E tu abbia interpretato male il mio bisogno d’affetto e amore. Si
voglio bene ai miei compagni, per non dire che in un certo senso li ho
anche amati. Ma purtroppo la vita continua e mi sarei dovuto rassegnare
già prima. Sapendo che un giorno li avrei persi. Ma quel pensiero mi
creava un grande dolore nel mio cuore e ho rinviato al dopo. Comunque e
per essere completamente sincero con te, anch’io ti ho desiderato fin dal
primo momento che ti ho visto in discoteca, ricordi? In quel tuo modo
guerresco di comportarti nei miei confronti, ed eri pronto per aggredirmi.
Mi hai eccitato tremendamente, costringendomi a confondere stranamente
le mie idee nei tuoi confronti. E poi, quando ti ho visto raffigurato da
Spiros in quella meravigliosa e sublime statua. Nel prode Achille... Mi
sono innamorato platonicamente e perdutamente della tua immagine,
levigata nel marmo, così espressiva e viva. Pensando, che essa mi sarebbe
servita in futuro a placare la mia sete d’amore e di avere qualcosa a cui
venerare e sognare. Immaginare platonicamente di poter essere stretto
come amante fra le tue braccia forti... E’ la verità. Fin da quel primo
momento mi hai stregato. Mentre le loro bocche si univano in
un’innocente bacio significativo. Era un po’ difficile da parte di Akhilleos,
accettare quel approccio un po’ primordiale in quel bacio, dove
l’imbranatura era più che naturale. Per poi, sfociare in un irruente e focoso
bacio pieno di passione e amore, da troppo tempo represso. Ma questa
volta fu un amore dolce e profondo, quando Akhilleos si unì al compagno.
Poi, finalmente si acquietarono un po’ gli animi in subbuglio e dopo un
lungo respiro di soddisfazione, Akhilleos provò a parlare sottovoce,
esponendo quasi con seduzione il suo pensiero all’amato compagno che
stringeva con amore al suo corpo. < Mauro posso svelarti un mio angustio
segreto? Una cosa che non ho mai esposto nemmeno a Elena. > mentre
non smetteva di baciarlo in ogni angolo del suo viso con desiderio. Come
un giovane fanciullo che ha appena scoperto la cosa più bella del mondo. E
Mauro divenuto un po’ curioso, lo spronò a proseguire: < Be’, cos’hai di
tanto segreto da confidarmi e fermare questo momento così magico per
tutte due? Puoi procedere egualmente mentre parli... io ti desidero più che
mai, all’inverosimile. > lo pregò.
< Sai una cosa? Tu sei la prima persona che non ha fatto nessuna
277
obiezione al mio grosso e lungo arnese. Che fin dai tempi lontani m’ha
fatto sentire a disagio e sempre in colpa per averlo troppo grande e lungo.
Persino con Elena è sempre stato un dramma ogni qualvolta si concedeva a
me. Lei, lo faceva con difficoltà, pretendendo da me di non forzare troppo.
In fondo capivo anch’io, che il piacere in quella costrizione era limitato.
Mi stavo abituando a godere in quel modo, a metà. Soltanto ora ho capito
la differenza e quanto sia grande il poter godere per intero. Tu per la prima
volta, mi hai permesso di assaporare il piacere al massimo. E forse è stato
appunto quella mia costrizione e ribellione a infierire su di te la mia
predominanza e prepotenza. Perciò, devo dirti, grazie amico! Per la prima
volta sono felice di aver fatto l’amore per intero con un uomo. Un vero
uomo innamorato. > sbottò euforico.
< Non devi ringraziare nessuno, perché se non lo desideravo anch’io
avrei potuto allontanarti da me. Comunque se vuoi sapere veramente la
verità? Anche io ho sentito il dolore, tremendamente forte e in verità è
stato un male! Ma sapevo altre sì bene, che il mio dolore non era nulla a
confronto del piacere che mi donavi che è più grande e appagante. E l’ho
desiderato fortemente, tanto e più di ogni altra cosa. Perciò non perdere
tempo a discorrere amico, perché il domani potrà essere per me l’ultima
volta. Perciò, grazie amico mio! Desidero fortemente tanto i tuoi baci. >
< Ti prego, non dire eresie funeste. > lo rimproverò Akhilleos,
mentre gli accarezzava il petto ricoperto da una imberbe e invisibile
peluria bionda. < Tu hai qualcosa dentro di te che ti fa onore. L’amore per
il prossimo e l’hai appena dimostrato sopportando con tenacia la mia
focosa irruenza. Perciò, anch’io, te ne sono grato. Molto... > ma non poté
finire, perché Mauro l’aveva aggredito con le sue labbra in un bacio
prolungato al massimo dei loro affannosi respiri. E alla fine quando si
ripresero Achilleos gli chiese corrugando la fronte: < Perché prima ti sei
riferito a me con: “amico mio” invece di chiamarmi, non so, per esempio:
Amore? Non ti sembra, che sarebbe più corretto... >
< Perché, questo bel gioco ch’è scoppiato così come un temporale
estivo, sparirà all’arrivo del bel tempo e il sereno. E quando tu ti sposerai
con Elena, di tutto questo rimarrà soltanto un dolce ricordo nascosto
infondo al tuo cuore. Ed anche per me sarà eguale il pensiero di un caro
amico lontano, che ha saputo donare la felicità in una notte così
indimenticabile. Ti prego, rimaniamo soltanto dei buoni amici, per me
sarebbe più facile ricordare queste ore felici, senza patire. >
< Tu mi stai confondendo le idee. Io non riesco a seguire il tuo
278
concetto di amicizia. Quando appena un minuto fa’ hai tracimato d’amore
per me. Non è giusto ciò che dici. E’ tutta fasulla questa tua farsa? >
< Molte cose non sono giuste a questo mondo, ma talvolta bisogna
saperle accettare così come sono. Pertanto restiamo buoni amici in nome di
questo nostro piccolo segreto, che io custodirò gelosamente nel mio cuore.
Tu mi hai reso felice e partecipe dei tuoi sentimenti e mi hai fatto capire
quanto può essere importante una vera amicizia. Fa che non si sciupi e
sbiadisca con il passare del tempo. Per me è molto importante e te ne sarò
grato per l’eternità amico mio. Forse un giorno quando ci rincontreremo in
un mondo migliore e forse tu sarai già nonno… Allora e solo allora ti
racconterò tutta la mia scialba storia. Ora, vedi l’alba sta per spuntare e tu
non hai riposato un momento questa notte per colpa mia e tra poche ore
dovrai andare al tuo lavoro. Perciò, ora gli ordini li do io! Cerca di dormire
almeno un poco e penserò io a svegliarti alle sette, d’accordo amico mio. >
Akhilleos era rimasto colpito da tanta determinazione di quel caro
compagno d’amore che gli aveva donato tutto sé stesso e a quel punto non
sapeva più cosa dire o ribattere a quel quesito che gli poneva così
drasticamente. Poi si fece coraggio e tentò di parlare: < Mauro, non so
bene come ringraziarti per ciò che mi hai offerto a cuore aperto e
sinceramente devo dirti che ti voglio molto bene. Tu per me ora sei molto
di più che un amico e... > Ma fu fermato dalla mano di Mauro che si era
appoggiata sulla sua bocca, mentre gli sussurrava piano: < Ssst! Non
andare oltre. Fermati e accetta questo nostro meraviglioso segreto. Sarà
una dolce fiamma che arderà per noi in eterno. Grazie amico! > e lo baciò
con intenso trasporto. Poi l’obbligò a distendersi e riposare almeno un
poco. < Dormi adesso, avremo altri momenti per discutere. D’accordo? >
mentre l’altro annuiva come un bambino felice, per tutte quelle attenzioni
che mai nessuno sino a quel momento aveva avuto verso di lui. Erano
piccole cose insignificanti, ma molto importanti per Akhilleos in quel
momento e senza accorgersene si era già addormentato con un’espressione
felice sul suo viso ambrato e rilassato.
Erano quasi le sette, quando Mauro svegliò bruscamente Akhilleos.
L’altro assonnato e confuso gli bloccava la mano appoggiata ancora sul
suo petto, mentre si metteva seduto contro la spagliare del letto a fissare un
po’ intontito l’espressione alquanto preoccupata dell’italiano al suo fianco.
Chiedendogli alla fine: < Stai male Mauro? Cos’è successo alla spalla? >
Mauro un po’ titubante rispondeva con apprensione: < Ho avuto un
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brutto presentimento e sono sicuro che si avvererà se non riusciamo a
precedere questa mia sensazione di sgomento più che veritiera. Mi ha
preso così all’improvviso, che mi sono svegliato di soprassalto. E a questo
punto so per certo che il mio sesto senso non mi tradisce e non vorrei star
qui senza far nulla. Aspettando il peggio che arrivi addosso. Comprendi? >
< Bene, dai, non farmi stare in pena? Spiegati meglio. Cosa ti sta
succedendo? > sbottò Akhilleos anch’egli in apprensione a quel punto.
< Visto che di là hai il telefono, lo puoi usare? > gli chiedeva Mauro
sempre più preoccupato. E Akhilleos ancora insonnolito non riusciva a
capire bene quella premura dell’altro, rispondendo: < Certo che funziona,
sebbene mai nessuno mi chiama, compresa Elena. Ma mi vuoi spiegare
cosa ti ha preso adesso e cosa centra il telefono? > brontolò.
< Sento che dovremo anticipare quella riunione con i miei amici.
Sperando che non sia già troppo tardi? Accidenti! Che dolore mi ha preso
nel petto. Sai, ho veramente paura? Puoi per favore chiamare il “Grant
Hotel Xenia” e farti passare la camera 103... >
Akhilleos era ancora troppo confuso, ma non voleva contrastare con
l’amico, perciò si alzò andando in cucina, seguito a fatica da Mauro e
chiamò l’albergo e solo dopo un attimo d’attesa arrivo la comunicazione
che la passò a Mauro in apprensione. < Pronto, Andrea! Sì, sono io. Sì, si!
Sto bene... Ascolta un momento per favore. C’è lì con te anche Stefano...
bene. Allora ascoltatemi bene tutte due. Preparatevi e prendete le nostre tre
sacche da tennis... Sì, con dentro tutto, capito? Okay! E diciamo... >
mentre guardava Akhilleos e indicava fra due ore e quello acconsentì. Poi
riprese a parlare con Andrea: < Allora fatevi trovare tra due ore da questo
momento, diciamo a cinquecento metri dall’albergo in quel vecchio caffè
sul lungomare, si chiama “Olimpo” e lì arriverà Elena e il suo ragazzo a
prendervi. D’accordo ragazzi, state attenti siamo... voi mi capite vero? A
presto! > e depose la cornetta sul suo supporto, mentre Akhilleos lo
guardava pensieroso. Poi Mauro, si rivolgeva all’amico confuso e gli
chiedeva: < Ti prego! Perdonami Akhilleos, ma è una mia supposizione
troppo veritiera. Concedimi ancora questo giorno del tuo tempo. Saprò
ricompensarti in denaro della tua giornata persa sul lavoro. >
< Io lo faccio più che volentieri ma non per danaro, ma per un amico
che gli occorre il mio aiuto. D’accordo!? > sbottò Akhilleos un po’
sull’irritato. Poi prosegui a chiedere: < Pensi veramente che siano già
giunti dalla Sicilia altri killer, per farvi fuori? > provò a dire pensieroso.
< Già, è proprio di questo che ho paura, e le ore sono volate via
280
troppo in fretta mentre oziavo nell’attesa. E non me lo perdonerei mai se le
mie sensazioni si avverassero e qualcuno ci lasci la pelle. Capisci
Akhilleos il mio dramma? Scusami, di tutto questo... Accidenti! >
< Certo, certo! Lascia perdere le scuse. Ora mi vesto e vado subito
via. Passerò prima da Elena a prenderla e poi dai tuoi compagni. Okay! >
Mauro si era appisolato nell’attesa che giungano i compagni; dopo aver
faticato un mondo per infilarsi le mutande e i calzoni, lasciando il petto
nudo ricoperto dalla grande fasciatura che gli bloccavano la spalle e una
buona parte del petto, più che mai dolorante. Mentre gli veniva quasi da
ridere in quella sua sfaticata nel ripensare a quell’altra notte ad
Arcavacata. Quando Andrea faticò per togliersi i vestiti e alla fine era
ricorso al suo aiuto. < Già era stata una indimenticabile sensazione. Però,
ah! > borbottò tutto solo, mentre pensava che in quel momento c’era
l’eguale problema, poi tralasciò quei vecchi dilemmi di fatue sensazioni e
si distese con fatica sul letto in attesa del loro arrivo, addormentandosi
profondamente stremato.
281
Capitolo Quarantesimo
Mauro fu svegliato da uno strano rumore e si spaventò un poco, poi capì
ch’era solamente la chiave che girava nella toppa della vecchia serratura.
Era Akhilleos che entrava in casa accompagnato dagli amici e da Elena un
po’ imbronciata per quella sgroppata di prima mattina, a venire fin lì tra le
montagne. Ma alla fine, a malincuore aveva accettato, più per curiosità che
altro. Pensando a cosa la poteva interessare in quel posto sperduto tra i
monti. Mentre si guardava attorno, capendo che non le piaceva affatto.
Appena i giovani si videro, fu un momento di gioia fra pacche sulle
spalle e abbracci calorosi, con domande a vicenda. < Be’, come sta’ il
nostro ingegnoso avvocato. Ti fa male la ferita? > gli chiese Andrea
preoccupato, mentre Stefano che se lo stringeva affettuosamente al petto,
commentava a sua volta: < Sentivamo la tua mancanza Mauro. > mentre lo
baciava con affetto sulla guancia, e subito di rimando con fare scherzoso
Mauro rispondeva: < Non mi state a dire! Vi siete già stancati di quelle due
bionde svedesi? Non ci credo... > provò a supporre.
Mentre loro due si adocchiavano furbescamente a vicenda e alla fine,
Stefano rispondeva con una vago sornione sorriso sulle labbra: < Be’, sai
come vanno certe cose... Insomma, stiamo bene assieme e sinceramente
siamo due coppie ben affiatate, specialmente a letto devi credermi amico.
Ci stanno facendo impazzire. Be’, capirai? > mentre fissava negli occhi il
compagno ferito. Mauro. riuscì a non lasciar trapelare nessuna emozione,
anzi tentò a fatica di scherzarci sopra, dicendo: < Bene, sono contento per
voi ragazzi! Almeno qualcuno in famiglia si diverte e bene quanto pare... >
per riprendere subito dire, con un’altra tonalità più seria e preoccupante al
caso: < Ma ora veniamo al dunque ragazzi e perché vi ho fatto venire qui?
Purtroppo le cose sono precipitate tremendamente e sento che sta per
succedere qualcos’altro di brutto. Dopo questa nuova presenza della mafia
siciliana, in perlustrazione qui a Creta... >
< Sì è vero! Ci aveva raccontato Elena di quello che ti è capitato e
poi... Be’, meno male! Ti sei salvato. > aveva risposto Andrea dispiaciuto,
mentre Mauro riprendeva a spiegare a sua volta: < Ecco perché vi ho fatto
venire qui per discutere sul da farsi, ormai la questione si fa sempre più
scottante per noi, pertanto sarà meglio dividerci in piccoli gruppi, visto che
quelli stanno cercando ancora tre italiani fuggiti con il malloppo, chiaro? E
282
perciò, innanzi tutto, dividere la nostra piccola fortuna e questa volta
comprenderanno anche loro due... > mentre li indicava con un piccolo
gesto. < Loro, che hanno contribuito alla nostra sopravvivenza e questo è
più che certo. Perciò ora conteremo il danaro dividendolo in quattro parti,
una per ciascuno di noi e una parte per loro due, > indicando Elena e
Akhilleos che si tenevano un po’ in disparte e ascoltavano attentamente,
cercando di capire quello che diceva Mauro in italiano. < Va bene! Siete
d’accordo ragazzi, fatto in questo modo? > chiese Mauro serio. Mentre
tutte due rispondevano con il capo affermativamente. < Certo, certo.
Quello che deciderai di fare, andrà bene anche per noi. > rispose alla fine
per tutte due Andrea, mentre apriva la sacca ed estraeva fuori tutto quel
ben di Dio, mettendola sulla tavola della cucina. A quella vista Elena si era
avvicinata con gli occhi fuori dalle orbite per lo stupore e la meraviglia, di
vedere tutto assieme una tale quantità di dollari. Immaginando che in vita
sua, li aveva soltanto viste al cinema tanti dollari così ben impacchettati.
Fu altrettanto una sorpresa anche per Akhilleos che osservava affascinato
quegli sguardi dei presenti, in special modo quelli della sua ragazza che si
stava mordendo le labbra da sola e continuava a passarsi la lingua su di
essa, per quella meraviglia che gli faceva luccicare gli occhi. Akhilleos in
quella situazione visiva era rimasto abbastanza male, nel capire all’istante,
come quel mucchio di soldi sul tavolo, potevano far cambiare così
rapidamente l’umore e le idee alla gente. Pensando al contempo, se tutto
quello che sapeva di quei giovani stranieri, era la pura verità? Oppure,
dietro quelle loro maschere giulive, si celava un’altra faccia? Ma a quel
punto non gliene importava più niente, si era schifato di tutto e sperava in
cuor suo che finisca tutto e subito, al più presto.
283
Mauro si era seduto in un angolo vicino al tavolo e lasciò fare a Stefano
il lavoro di ammucchiare e dividere in quattro mucchietti quelle mazzette
verdastre che avevano già creato un sacco di morti.
Mentre continuava a spiegare le varie fasi di quella loro operazione: < Io
ho pensato che appena andrete via di qui con la vostra quota, avviserete in
albergo che dovete partire subito per l’Italia, avendo avuto notizie della
perdita di un caro congiunto. Salderete il conto e poi con i vecchi
passaporti prenderete la prima nave per Atene. Appena giunti ad Atene
distruggerete i vecchi passaporti e adopererete quelli nuovi e sparite da
qualche parte... Può andare questa mia idea? > chiese mentre li guardava in
viso uno per uno, aspettando un loro commento o disappunto.
< Va, benissimo. > rispose Andrea, mentre si spremeva la memoria e
subito riprese a dire, rivolgendosi a Stefano intento al suo lavoro: < Be’,
cosa diresti se andassimo via con le svedesi? Insomma loro partono oggi
pomeriggio proprio per Atene e poi non so dove andranno in quali altri
posti. Non sarebbe una brutta idea, star con loro ancora un poco? >
< Già, hai quasi ragione? Erano così tristi a lasciarci qui da soli. >
commentava Stefano. < E volevano ad ogni costo il nostro indirizzo. Ma,
purtroppo? > Corrucciando la fronte al ricordo di quelle due sventole da
mozzafiato, mentre riprendeva a dire al compagno di giochi: < Già, ma
sarà difficile trovare dei posti a bordo della “Calipso”, sarà stracarico di
gente. Certo che Elka e Frida sarebbero più che contente di averci con loro
a bordo ancora un poco? E forse anche più avanti, assieme... >
< Be’, se è per trovare un posto a bordo, penso che non ci sono
problemi. > intervenne Akhilleos avendo intuito dal nome della nave cosa
volevano fare quei due. Proponendo a sua volta: < Io conosco il capitano e
un piacere me lo può fare senz’altro e magari senza farvi incontrare con la
dogana portuale... capite vero? >
< Benissimo! Questa è più che una buona soluzione, > confermò
Mauro. < Però dovete fare in modo che all’albergo capiscano che voi
prendiate l’aereo per l’Italia, eventualmente qualcuno chiedesse di voi nei
prossimi giorni. Così, da sviare via e ritardare per un po’ i vostri veri
spostamenti. Questo è l’essenziale? Se si vuole salvare la pelle, ragazzi! >
< Ma perché, tu non vieni via con noi? > chiese Stefano a Mauro.
Mentre lui rispondeva ai compagni, spiegando la sua situazione, oltre la
ferita che lo immobilizzava ancora per un poco: < A parte che mi è difficile
muovermi liberamente e poi quelli che sono appena giunti dalla Sicilia per
284
cercarci... Cercavano tre giovani italiani in vacanza. Capite adesso, il
perché è meglio dividerci in vari gruppi. Chiaro? E io appena potrò
muovermi meglio, vedrò di andare da qualche parte e potremo poi
incontrarci in qualche punto della terra più calmo. Vi pare? > propose
Mauro e riprendeva a dire; < Basta mettersi d’accordo ragazzi? Ma penso
che anche tu Elena debba lasciare l’isola? > consigliò Mauro. < Ti hanno
vista in troppi al mio fianco per Iràklion e diventerebbe pericoloso per te
restare qui quando verranno altri in cerca di noi tre... comprendi? >
< Già, è quello che stavo pensando anche io, > commentò Akhilleos
un po’ preoccupato per la sua donna, tutta presa a fissare quei dollari.
Mentre lei, non era per niente preoccupata in quel momento. Era così
presa da quel danaro che veniva per bene sistemato sul tavolo e fremeva a
quella luccicante vista, che talvolta li sfiorava con la mano a sentire lo
spessore delle mazzette. Senz’altro, i suoi pensieri in quel momento erano
diventati un po’ ingordi, dal suo modo di comportarsi e la dimostrava più
che chiaramente. Da dar a pensare che era già arrivata a contare
mentalmente, quanto gli veniva in tasca della sua parte di divisione con o
senza Akhilleos? Mentre Elena si era un po’ estraniata, sopraffatta da quel
luccicare di dollari. Alla fine si era ravveduta, rispondendo decisa, con fare
interessato: < Be’ forse avete ragione. Vedrò di andarmene anch’io oggi.
Se tu mi trovi un posto a bordo della “Calipso”. > mentre guardava
sornionamente Akhilleos, come una giovane cerbiatta innamorata e con
fare da cospiratrice, aspettava che lui le risponda al suo aiuto.
< Ma certamente! > rispose serio con le mascelle contratte: < Vedrò di
convincere il capitano. Senz’altro troverà un posto per tutti, vedrai che ce
la farai a partire con loro. E’ più sicuro! Devi lasciare l’isola. >
< Grazie tesoro! > rispose lei tutta intenerita, mentre gli donava un
caldo bacio sulla guancia. Poi fu subito attirata dalla voce di Stefano che
diceva: < Bene, sono tutte a posto. A quanto ammonta? > rivolgendosi a
Mauro che aveva preso nota. Poi aspettò di sentire la cifra, che non tardò a
giungere alle orecchie di tutti in attesa. < Sono esattamente la bellezza di:
$. 5.950.000.00, dollari americani, che divisi per quattro fanno ben tondi:
$. 1.487.500.00, a testa. > spiegò Mauro tranquillamente. Mentre dentro di
lui si sentiva fin troppo saturo di quei maledetti soldi, che avevano già
causato un sacco di guai a tutti, oltre ai morti che lui aveva disseminato.
Ma anche e in una certo senso la salvezza. Poi fu distolto dai quei torbidi
pensieri, dalla richiesta di Andrea. < Be’, ma in lire italiane quanto farebbe
per intenderci meglio? > mentre si leccava le labbra con gusto.
285
< Be’, vediamo un po’, > riprese Mauro. < Ecco, fanno esattamente
la bellezza di oltre due miliardi e mezzo, in lire italiane s’intende, a
secondo del cambio ufficiale. Comunque penso che ti possano bastare per
un po’ di tempo... Vero Andrea? >
< Urka! Altroché, se mi bastano. Sarà una pacchia ragazzi! >
E subito Elena sbottò decisa, mentre si guardava attorno in cerca di
sostegno alla sua brillante idea, pronta per essere partorita: < Invece io
farò…> e s’era rivolta a Akhilleos proponendogli la sua decisione presa al
momento: < Akhilleos siamo ricchi! E con la mia parte di $. 743.750.00,
dollari mi metterò su una boutique o un grande atelier in Atene. E’ sempre
stato il mio sogno e finalmente la potrò realizzare adesso. Si ragazzi
partiamo subito, ora posso fare quello che voglio! > esclamò euforica.
Akhilleos era rimasto quasi pietrificato, dall’eufemismo esagerato di
Elena. Si era messa subito a spartire la sua quota da quella di Akhilleos,
ch’era rimasto in disparte a fissarla più che mai sorpreso in quel radicale
cambiamento e comportamento strano. A quel punto lui si girò e andò nel
ripostiglio a prendere una bottiglia di vino e dei bicchieri dall’armadio. Si
avvicino al tavolo ricolmo di soldi e vi depose i bicchieri al centro dei
quattro mucchi, dicendo svogliatamente, con un falso sorriso sulle labbra.
Mentre vuotava velocemente nei bicchieri il vino: < Hai miracoli che
produce il denaro. Salute amici! > e fu il primo a prendersi il suo bicchiere
e scolare d’un fiato il contenuto e poi allontanarsi fingendosi indaffarato.
Mauro lo stava guardando con una fitta al cuore. Capendo che quel rude
ragazzo stava soffrendo le pene dell’inferno, per quel modo cosi da
voltagabbana impersonato da Elena. Di punto in bianco era cambiata
completamente, mettendo in mostra la vera Elena avida. Mauro la fissava
stupito nel vederla così intenta a sistemarsi la sua parte nella sua ampia
borsa. Anche gli altri due, si stavano mettendo via la propria parte nelle
rispettive sacche, lasciando sul tavolo soltanto la parte di Mauro e il
gruzzoletto di Akhilleos, affaccendato in altre cose più importanti in quel
momento. Per non dire incavolato con il mondo intero. E alla fine fu
ancora Elena a parlare ai presenti indaffarati: < Be’, penso che possiamo
andare, se vogliamo prendere quella nave? Spero che tu, > rivoltasi a
Akhilleos. < Tu possa proprio trovarmi un posto a bordo, vero? Be’, allora
andiamo ragazzi! Io devo fare ancora i bagagli e riconsegnare la moto? >
sbottò frenetica. < Stai tranquilla non la perderai quella benedetta nave... >
rispose Akhilleos asciutto, aveva la mascella contratta, mentre continuava
a dire. < D’altronde cara, non devi essere troppo euforica. Hai già pensato
286
a cosa dire con i tuoi o ad altra gente, la provenienza di questa fortuna?
Non di certo, potrai dire che hai vinto la lotteria? Non è così alta la posta
qui in Grecia, mi sono spiegato? > gli suggerì Akhilleos serio.
Ma lei, era così pronta a rispondere che gli espose decisa: < Ricordi quel
mio zio d’America? Quello che è appena morto? Be’, mi a lasciato la sua
eredità. Ecco belle che sistemato tutto. Vedi caro come sono furba io... >
< Già, lo vedo? > mentre si avviava alla porta seguito da Elena.
Gli altri due si erano avvicinati a Mauro per salutarlo. < Bene, mi
raccomando! Guarisci presto... > augurò Stefano abbracciandolo. Poi fu la
volta di Andrea. Si strinsero amorevolmente, mentre Mauro faceva a loro
delle raccomandazioni: < Allora ragazzo, mi raccomando abbi cura di te.
D’accordo? Ora andate e fate attenzione ragazzi! Occhi aperti... >
< Certo, ma anche tu riguardati e stai attento, amico. A presto! >
< Bene, dove ci incontriamo? > gli chiedeva Stefano un po’
emozionato, per quella affrettata separazione.
< Be’, ci possiamo incontrare il primo dell’anno. Alle ore dodici,
davanti alla cattedrale di Ibiza, alle Baleari, d’accordo ragazzi? > propose
Mauro pur di dir qualcosa, con un grosso magone dentro al cuore. Sapendo
più che bene che quel saluto era l’ultimo. Se lo sentiva dentro, come una
premonizione, che non si sarebbero più rivisti. Forse era meglio così.
Sarebbe stato troppo gravoso e doloroso rimanere al loro fianco e sbavare
per il loro affetto ormai sparito altrove.
< Be’, allora a tutti buona fortuna. Fra sei mesi a Ibiza, d’accordo? >
sbottò Mauro, mentre gli si erano inumiditi gli occhi e restò un bel po’
sulla porta a vedere il camioncino di Akhilleos allontanarsi da casa, mentre
le braccia dei compagni lo salutavano dal finestrino. Poi scomparve dalla
sua viste e allora Mauro rientro chiudendosi la porta alle spalle e scoppiò a
piangere senza saper bene il motivo, o non lo voleva ammettere che quello
che pensava era più che veritiero. Ammettere l’indifferenza dell’umanità
nel mondo.
Alla fine Mauro si buttò sul letto, per lasciarsi travolgere dalla rabbia e a
quel punto avrebbe voluto urlare, ma si trattenne a stento.
Esausto di quel forte peso che gli opprimeva nel petto, oltre al dolore alla
spalla messa troppo in movimento, si prese un paio di pastiglie dal cassetto
del comodino e alla fine tra imprecisati dolori, si addormento stremato.
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Capitolo Quarantunesimo
Era ormai buio quando Akhilleos tornò e appena entrato in casa sbottò
sull’imprecisato una battuta scialba: < Eccomi, arrivato finalmente! >
Mauro dal canto suo, era stato tutto quel tempo impaziente nell’attesa,
per sapere se tutto era filato liscio giù al porto. Ma osservando l’amico che
aveva un’aria imbronciata e dimessa si preoccupò un poco, riuscendo a
farfugliare solamente una semplice domanda: < Com’è andata poi? >
Mentre l’altro con vago enfasi incominciò a raccontare quella partenza
degli amici, senza metterci troppo entusiasmo: < Sai, che è stata un po’
dura lasciarsi a questo modo. Io sono rimasto fino alla partenza del
traghetto e finalmente alle otto di sera, è partito. Il capitano Ados aveva un
po’ arricciato il naso per la mia richiesta. Ma alla fine dopo tanti e
importanti favori che gli avevo fatto, ha accettato ed è riuscito a sistemare
ogni cosa per bene. Senza far notificare la loro presenza a bordo, così
saranno al sicuro fino allo sbarco. Nessuno li ha visti salire, perché il
capitano li ha fatti salire assieme al personale di bordo come camerieri e
tutto è filato liscio. > espose Akhilleos mesto.
< Sei stato veramente bravo a far sì che nessuno li abbia visti
imbarcarsi sul traghetto. > Mauro buttò quell’elogio all’amico un po’
apprensivo, cercando di sviscerare la pena che lo rodeva dentro. Mentre
Akhilleos riprendeva a dire: < Ma anche loro hanno fatto la loro parte e
persino in albergo. Così mi ha spiegato Andrea, che alla reception, mentre
pagavano il conto dell’albergo, Stefano aveva chiesto al direttore se poteva
chiamare l’aeroporto per prenotare un volo urgente e quando l’impiegato
gli passò la comunicazione, Stefano velocemente con un movimenti di
destrezza e confusione, aveva interrotto la comunicazione, mentre
continuava egualmente a parlare, chiedendo dei posti per il primo aereo
per Roma con urgenza. Dando il tempo all’addetto dell’albergo di capire
che avrebbero preso l’aereo delle dodici e trenta e tu, eri già partito per
Roma la sera prima. Almeno così, quando qualcuno andrà a chiedere di
quei tre turisti italiani li avrebbero spediti all’aeroporto e magari con un
po’ di fortuna a quello di Roma. Comunque Mauro, avresti dovuto vedere
le svedesi com’erano felici di averli accanto quei due stalloni, quando
hanno saputo che andavano via con loro. Comunque, si vedeva più che
bene che si sono presi una bella cotta per le bionde svedesi. Quei due... Eh,
288
sì! Figurati, che quando li ho viste quelle due gemelle sono rimasto di
stucco. Da non credersi, sono come due gocce d’acqua, identiche. Non so
come faranno per non sbagliare chi è quella giusta delle due, insomma,
sarebbe difficile capire, con chi scopare? >
< Non ti preoccupare. Fanno il lavoro di gruppo loro e questo te lo
posso assicurare che sono più che mai affiatati. D'altronde le gemelle, mi
sembra siano un po’ lesbiche e pertanto non si lascerebbero mai, ma
fortuna vuole che hanno trovato Andrea e Stefano che non disdegnano
nulla nel far l’amore di gruppo. Perciò non ce pericolo che si sfaldi
qualcosa tra loro. E’ una simbiosi unica al mondo essere bisex. Comunque,
da quello che mi racconti Akhilleos, erano contenti tutte quattro. Be’,
almeno loro si faranno buona compagnia in avvenire. Spero solamente che
non si facciano trovare dalla mafia e che siano veramente felici in futuro.
D’altronde penso che non gli manchi proprio nulla, sono giovani, belli e
hanno dei soldi da spendere e due formidabili vichinghe affiatate per
divertirsi. Cosa vogliono di più dalla vita? > prospettò maliziosamente
Mauro con una punta d’invidia per la perdita subita.
< Solamente stare attenti a non farsi scoprire e nient’altro. > sbottò
Akhilleos. mentre Mauro riprendeva a dire: < Perché in parte è stata un po’
colpa mia, se li ho coinvolti in questa assurda storia, obbligandoli a
seguirmi per sfuggire a una morte sicura e abbandonare tutto alle spalle
oltre i loro cari famigliari. Poi, oltretutto Stefano, in un certo senso è una
specie di disertore da vivo, ed eroe da morto. Era la nostra guardia del
corpo inviato della polizia. Insomma ti dico, ho combinato un gran casino,
veramente grande! Puttana Eva! Che schifo mi faccio... >
< Beh, allora, dai racconta? Incomincio ad esserne curioso. E per
essere sincero, quando questa mattina ho visto tutto quel danaro sul
tavolo… al primo momento, ho pensato che avevate fatto una rapina in
qualche banca da qualche parte del continente e quelli che vi cercavano
erano dei poliziotti. Ma poi, mi sono subito ricreduto, ripensando a quei
due a casa di Spiros. Capendo che principalmente tu non eri il tipo di
raccontare frottole e fare simili cose. Poi ho visto come hai sparato preciso
e a segno. Comunque, sono convinto che tu non sei un criminale, chissà
perché, ma la penso ancora così, come il primo giorno che ci siamo visti. >
espose seriamente la sua opinione Akhilleos, senza un battito di ciglia.
Mentre Mauro lo stava ascoltando con interesse e capendo che
quell’uomo lì di fronte gli prestava la massima fiducia. In fine a sua volta
rispose, dicendo con tranquillità: < Grazie, per la fiducia che riponi in me e
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te ne sono grato. Sinceramente non mi è mai piaciuto raccontare frottole e
in special modo ad una cara persona come te. Pertanto se hai un momento
di tempo ti racconterò brevemente la mia scialba storia. Per non dire una
parte della mia vita, fin dove la mia imbranata memoria si addentra e il
mio restio subconsci la lascia andare ha scoprire il mio nascosto passato.
Ormai lasciato per sempre alle spalle. Questo è più che sicuro. >
< Qualcosa sulla memoria mi avevi già accennato. Ma ti prego
prosegui, mi farebbe piacere sapere una buona volta per tutte la verità.
Solo la verità, su tutta questa oscura e tortuosa, vostra storia? > commentò
Akhilleos apprensivo e in aspettativa.
< Ok! Vieni a sederti qui sul letto e ti racconterò questa assurda
favola... > e senza tentennamenti Mauro incominciò a spiattellare ogni
particolare e cosa di quegli avvenimenti dai risvolti più che gialli e scuri.
< Vedi, tutto è incominciato sull’autostrada della Calabria in Italia.
Sono stato aggredito e violentato da cinque uomini mafiosi, senza un
motivo ben preciso, o forse era soltanto per divertirsi un poco con il mio
corpo. E alla fine nel ripagarmi con un sacco di botte e poi trovarmi
oltretutto smemorato. Ma, il destino vuole, nel rincontrarli mentre stavano
per uccidere Andrea. Lui, li aveva scoperti e seguiti dopo una loro rapina e
uccisione di altri mafiosi rapinati. Componenti di un’altra banda mafiosa
siciliana. E io a quel punto dovevo decidere cosa fare, se fuggire ho
aiutarlo? E non so bene il perché, ma mi sono trovato in mano un’arma e
ho avuto fortuna per non dire culo. Li ho uccisi tutti e quattro all’ultimo
minuto, salvando la vita ad Andrea ferito. Capisci adesso Akhilleos com’è
successo all’inizio? Poi, senza volerlo ho trovato quei maledetti dollari. In
un primo momento ho pensato di barattarli con le nostre vite. Ma tutto fu
travolto da molti inghippi, persino in questura c'erano delle talpe che
volevano quella refurtiva e perciò è incominciato il nostro calvario nella
fuga. > Mauro raccontò ogni sua mossa eseguita a far perdere le loro
tracce. < Oltretutto, abbiamo avuto una fortuna sfacciata fin ora. Ma anche
fatta da grosse umiliazioni subite. > Spiegando, che usò l’astuzia con
volontà determinante e perspicacia, per salvarsi. Formulando un racconto
di chiare impressioni e pregiudizi espressi nei suoi pensieri. In quei
momenti così drammatici e pieni di sgomento per tutti. Stava diventando
un racconto fatto di tormentate ore di paura e d’angoscia. Ma con amore e
abnegazione aveva combattuto quei sentimenti così dolorosi che hanno
inciso la sua vita per il resto dei suoi giorni. Ma tutto in quel dramma
l’aveva vissuto cercando di proteggere i suoi compagni di sventura. Lui
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anche volendo non sarebbe riuscire ha essere indifferente e lasciare gli altri
al proprio destino. Ad arrivare al punto di essere disposto a sacrificare la
sua vita per agli altri. < Certo ch’è stata molto dura la realtà, > continuando
ad esporrete e spiegare: < Non potevo fregarmene e sparire via nel nulla.
Sebbene in un primo momento era fattibile, con quel danaro tra le mani.
Non potevo cinicamente farlo. Avrei avuto un rimorsi per tutta la vita.
Comprendi Akhilleos? > stava spiegando all’amico il suo sgomento, i suoi
timori, le paure e quando il conflitto si fece più arduo e i contendenti
volevano ad ogni costo le loro teste. Lui non lo fece, lotto con tutte le sue
forze per salvare la sua vita e quella degli altri. E in parte, dopo tutto quel
travagliato dramma, quei dollari era servito per far felice qualcuno, non
tutti, ma comunque era già qualcosa. Alla fine quando stava per concludere
di raccontare la sua odissea da killer, terminò dicendo: < Come vedi, in
tutta questa assurda storia, io purtroppo non ho riacquistato la mia
memoria e in fondo ho perso molte cose importanti. La cotta che ho preso
per i miei compagni. Essi, in quella paura di finire uccisi da un momento
all’altro ci siamo buttati sull’erotismo più sfrenato, amandoci a vicenda
senza reticenza. Ecco perché ora mi era difficile separarmi da loro. Li ho
amati veramente tanto. > espose a malincuore.
< Però? In fondo hai avuto molta fortuna Mauro. Con dodici morti
sulle spalle… Accidenti! > espresse Akhilleos pensieroso ma altrettanto
stupito nell’aver appreso i particolari di quel dramma nel dramma. Senza
però addentrarsi in quell’ultima parte del racconto, facendo finta di non
aver appreso. < Sembra una storia che si vede soltanto al cinema, se non
avessi partecipato anch’io in qualche modo. E meno male che sai sparare
bene, altrimenti? Roba da non crederci! E io come un fesso ho di nuovo
abusato di te, mi dispiace... Si mi dispiace tanto, amico. Perdonami! >
< Dai, non ricominciamo! In fondo anch’io l’ho voluto. E per il
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resto, hai veramente ragione tu. Roba da non credersi, eppure è capitata.
Ma pazienza, cercherò di scordare tutto quel marciume che mi sento
ancora addosso. > mentre Mauro si schifava stringendo gli occhi. Poi
dopo un breve silenzio Mauro riprese a dire mentre cercava di mettersi alle
spalle quella brutta storia: < Scusami Akhilleos, se con questa mia storia ti
ho interrotto prima, mentre mi stavi raccontando sulla partenza dei ragazzi.
Beh! dai, allora? Continua, racconta bene com’è andata, insomma giù al
porto? Mi farebbe piacere sapere ogni cosa? >
< Ma, sai come vanno queste cose. Con i saluto e via discorrendo. Io
non sono fatto per i piagnistei… Erano tutti la a sbaciucchiarsi felici. > si
vedeva che Akhilleos era un po’ restio a parlare, perché cambiò la risposta
in domanda, chiedendo a Mauro: < Senz’altro di mancheranno i tuoi amici
adesso, vero? Forse più avanti vi vedrete e tutto tornerà eguale a prima. >
< Certo che mi mancheranno i miei compagni. Mi ero abituato così
bene a loro. Sentirò veramente la loro lontananza. D’altronde a rimanere
assieme sarebbe stata una pena per entrambi. Poi con il pericolo che
succeda a loro qualcosa, non me lo sarei perdonato. In fondo gli ho voluto
molto bene, mah! E’ andata a finire così... >
< Già, ho visto! Ha, dimenticavo, Stefano mi ha pregato di dirti che
sarai sempre nel suo cuore. A modo suo ti ha amato e anche Andrea e stato
sul punto di dirmi qualcosa. Ma si è limitato a stringermi la mano forte e
pregandomi di un favore, dicendomi con un magone: ”Salutamelo tanto e
abbi ne cura in questi giorni, fin che rimarrà a casa tua”. Aveva gli occhi
lucidi. Ha suo modo ti a voluto bene. Be’, in fondo hai ragione tu, tutto
passa... Certo, in fondo è meglio così. Perché se fossero rimasti qui
sarebbero finiti in un bel guaio prima o dopo. Questo è più che sicuro
Mauro, credimi! > mentre si accendeva una sigaretta. E Mauro per sviare
via da quell’atmosfera che si era fatta triste tergiversò per riconvertire
l’argomento tralasciato a metà. Visto che quella introduzione non aveva
avuto troppo successo. Mentre tentava e spronava l’altro a parlare della
ragazza, chiedendogli alla fine direttamente: < E con Elena com’è andata
poi, é partita anche lei, spero. Giusto? >
Akhilleos era abbastanza restio, poi alla fine riprese a raccontare e a fare
il resoconto di quell’ultima giornata che ha fatto scoprire l’altra faccia
dell’umanità ingrata. Mentre indugiava un buon momento a fissava la
sigaretta che aveva tra le dita, poi rispose: < Certo, lei era l’unica che non
si era commossa tanto e senz’altro non ha sofferto la nostra separazione.
Anzi fremeva perché la nave non partiva subito. Comunque, m’ha detto
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che appena sarà giunta ad Atene mi telefonerà subito. Staremo a vedere,
ma non ci credo troppo? Era troppo presa con quei maledetti soldi. Sì quei
dannati dollari! > indicandoli con disprezzo, ancora di la sul tavolo,
dov’erano rimaste le loro rimanenti parti della divisione. < Gli hanno fatto
perdere la testa... Sai una cosa Mauro? > mentre spegneva il mozzicone
nel portacenere e riprendeva a dire con sarcasmo: < Una cosa che mi ha
colpito in lei e mi ha lasciato senza parole. Sì, come un povero deficiente?
E’ stata quando eravamo nella sua pensione per prendersi i bagagli, io per
così dire... Insomma, mi sembrava quasi un dovere, dover far l’amore con
lei in quel momento di separazione così precipitosa. Insomma anche io la
desideravo e poi sarebbe passato molto tempo prima che ci saremmo
rivisti. Ma lei era talmente euforica per la fortuna che le è piovuta dal
cielo. E mi pregò di non insistere, dicendo che avremmo avuto molto
tempo in futuro a nostra disposizione e in quel momento non aveva tempo
per simili espressioni da bassa plebe. Capisci! Bassa plebe? Lei
l’aristocratica. E’… è tutto così assurdo? E alla fine, tutto si risolse con un
semplice bacio fraterno e basta. Per gli Dei dell’Olimpo! > urlò e dopo un
buon momento di silenzio riprese e sbottò sull’incavolato: < Per Giove!
Valle a capire le donne? O forse siamo noi uomini che non vogliamo
intendere, la verità. Questa è la realtà del momento! > sbottò adirato. Poi
con foga riprese a dire: < Solo ora incomincio a capire di aver sbagliato
proprio tutto. Per gli Dei dell’Olimpo! > alzandosi adirato dal letto e con
nervosismo, camminando per la piccola camera come un leone in gabbia.
Mauro tentò di esporre qualcosa, per smorzare l’arrabbiatura del
compagno, dicendogli: < Ma dai, non essere così pessimista, solo perché ti
sei perso una scopata. Vedrai che appena sarà ad Atene ti telefonerà e ti
dirà che gli manchi tanto e aspetterà che tu la raggiunga a casa sua. >
< Davvero!? Perché tu, ci credi ancora ai miracoli?... Io no! > rispose
serio Akhilleos, mentre si recava nello sgabuzzino a prendere una bottiglia
di vino. Poi tornò e propose all’amico in attesa a letto: < Aspetta che arrivo
amico. Ci ubriachiamo sopra, con questa bottiglia un po’ particolare. La
tenevo in serbo per un’eventuale momento buono. E mi sembra questa
l’occasione. E’ più che speciale. “Vino degli Dei”. Cavolate! Cavolate del
cazzo! Quello che ‘sto dicendo... Credimi amico... > mentre batteva la
bottiglia sul tavolo con forza. Mauro era rimasto abbastanza confuso e alla
fine gli rispondeva a sua volta dalla camera: < Dai, non fare così! Non
serve arrabbiarsi. Dagli un po’ di tempo e vedrai che tornerà a cercarti. >
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tentò di dire Mauro per calmarlo e sminuire quel fatto più che evidente.
< Tu lo pensi veramente? Io no! Caro Mauro, ti sbagli e di grosso! E
d’altronde anche io, l’ho capito soltanto oggi... Per Elena, io ero soltanto
un presentabile accompagnatore per le vacanze. Qualcosa da mostrare alle
amiche. Ma in verità io le importavo ben poco, o forse era il mio grosso
uccello che le interessava di più, in un certo senso. Magari per vantarsi di
averlo ma non adoperarlo. Ma certamente non disposta a sposarsi con me.
E la dimostrato qui, questa mattina appena ha capito che gli avresti dato
una fetta di questa maledetta fortuna e tutto è cambiato di colpo in lei. Non
ho forse ragione? Io sono soltanto un stupido zoticone. Un marinaio senza
barca... Senza niente da offrirle. Anzi uno stronzo innamorato! Ecco cosa
sono. Per Giove! > sbottò adirato più che mai. Mauro era rimasto in
silenzio, mentre capiva che era la pura verità. Lei non avrebbe mai più
sposato un rude marinaio appiedato o un semplice portuale, era ben
visibile e chiaro quel fatto. Ormai aveva una posizione in mano e poteva
gestire la sua vita diversamente. Anche se quel benedetto ragazzo cretese,
aveva l’uccello più bello dell’isola. Pazienza, lei l’avrebbe senz’altro
rimpiazzato con un’altro di dimensioni più ridotte, ma di una posizione
sociale più alta. Anche se al momento Akhilleos aveva anche lui la sua
buona dote da spendere. E certamente queste cose non li poteva dire
all’amico lì, di fronte in apprensione. Ammettendo che anche Akhilleos si
sarebbe rifatto con la sua parte di dollari. Ma per Elena, restava sempre il
rozzo marinaio delle vacanza e nient’altro. Alla fine Mauro rispose con un
semplice scusante: < Be’, in parte hai ragione Akhilleos. E’ tutto così
strano. Quei dollari, l’avevo dato perché potevate farvi un futuro assieme e
non dividerlo così di colpo. Senza un piccolo consulto tra voi due?
Pensavo veramente, che avreste fatto col danaro un bel matrimonio. >
< Ma guarda bene... Ha me non interessa quel danaro! > sbottò.
< E non lo voglio minimamente quel dannato danaro, e... accidenti! >
esplose Akhilleos incazzato nero.
< Beh, certamente. Sé montata la testa da sola e ha agito d’impulso.
Ma vedrai che alla fine non sarà così drammatica la cosa, aspetta almeno
un po’ per giudicare. Dagli almeno il tempo di calmare quella sua euforia e
vedrai. Tornerà! Perché avrà capito il suo sbaglio. Con quelle somme
riunite assieme, avrete più possibilità d’impiantare un’attività redditizia
per entrambi. > prospettò Mauro non troppo convinto, di ciò che esponeva.
Akhilleos non rispose e per tagliare di netto quel discorso del cavolo,
cambiò il tutto in domanda, chiedendo a Mauro: < Be’, perché non hai
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ancora messo via quei maledetti dollari dal tavolo? >
A quel punto Mauro, gli scappò un sorriso sarcastico, rispondendo poi
con fare un po’ cinico, da far voltare Akhilleos a guardarlo più che mai
stupito: < Pensi veramente che valga così tanto interesse quel danaro? Che
ho dovuto uccidere un sacco di gente per potermi salvare e fuggire via.
Con la speranza che potesse dare almeno la felicità in cambio a ciò che si è
perso alle spalle? Poi in fondo cosa mi è rimasto da poter comperare,
sapendo che ciò che avrei voluto, non lo posso comperare a nessun prezzo.
Perciò vedi, che in fondo non è valsa la pena sacrificarsi tanto. Avrei
dovuto lasciarlo dov’era. In fondo sono soltanto soldi sporchi oltre il
sangue che gli ho versato sopra io. Pertanto vedi cosa mi rimane addosso,
soltanto indifferenza. Perché ho capito soltanto ora che non si può
comperare la felicità. Mi è rimasto in mano soltanto un pugno di mosche,
per non dire niente di niente. E’ questo il guaio. > borbottò scontento.
Akhilleos lo fissò interrogativamente nel profondo degli occhi e sbottò
sull’incazzato: < Questo non lo puoi dire in generale! Perché a questo
punto io cosa sono per te. Rispondimi? Forse un bel niente? > mentre si
recava nell’altra stanza sbattendo la porta più che mai incavolato. E Mauro
a quelle parole si vergognò per quella sua forma di egoismi e rancore che
aveva verso i suoi compagni. Li aveva abbastanza amati, per non dire
molto. Includendo in quel contesto anche quell’uomo che non centrava
niente e se ne dispiacque per quel lapsus di parole. Infine cercò di spiegare
a quel giovane di avere sbagliato ancora un’altra volta. Nell’aver per un
momento accantonato quel suo affetto così caro. Poi, dopo quell’attimo di
marcata riflessione, alla fine si alzò e seguì l’altro nell’altra camera e gli
rispose: < Scusami Akhilleos. Non volevo offenderti e non l’avevo con te,
credimi. Tu per me, sei l’amico più caro che abbia trovato e te ne sono
grato. Ci tengo veramente molto alla tua amicizia. Dio che stronzo sono! >
mentre si dava dell’imbecille da solo. Capendo di averlo ferito nel
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profondo del cuore e si rammaricò molto. Akhilleos stizzito si era recato
nel ripostiglio e dall’altra stanza gli rispondeva con una tonalità abbastanza
dura: < Perché, tu forse ne dubiti della mia sincera amicizia? > E ritornò
indietro, inarcò le sopracciglia con un gesto di sfida, mentre mandava i
lunghi capelli neri oltre le spalle. Poi si fermò a fissava Mauro con
aggressiva determinazione. Mauro non tentennò e rispose deciso a quel
sarcasmo dell’amico, espresso con più che giusta ragione. < Io non ho mai
dubitato un solo attimo dei tuoi sentimenti nei miei confronti, è soltanto
che in questo momento io ero incazzato con i miei compagni. Ecco, è
questa la verità! E ancora di più capisco che non è giusto e corretto il mio
comportamento di poc’anzi. Ammetto di aver sbagliato tutto. Tu questo lo
puoi capire e fors’anche sei disposto a perdonarmi? Scusami ancora amico
mio... Io ti voglio bene! Molto bene! > precisò convinto.
Akhilleos si era avvicinato senza parlare, poi se lo prese tra le braccia
stringendolo a sé con tanta forza da fagli male. Mauro non fiatò, nemmeno
un piccolo gemito gli scappò per il dolore che gli procurava l’altro, ma al
contempo gradì quella stretta così determinante e sincera. Comprendendo
che ognuno in quel momento aveva i propri drammi da dissipare e sfogare
con qualcuno e quelle avvisaglie erano arrivate al momento culminante.
Poi Mauro si fece forza e gli sussurrò a fatica nell’orecchio: < Grazie
amico per tutto ciò che stai facendo, e ti voglio un bene dell’anima! Ma
allenta un po’ la stretta, mi blocchi il respiro... Mi sento mancare... >
< Scusami, non volevo farti male! > si premurò Akhilleos dispiaciuto
per la stretta: < Anche io, ti voglio tanto bene, credimi! E non centra nulla
con tutta questa storia, fagocitata... > mentre gli schioccava un sonoro
bacio sulla guancia e poi sulla calda bocca del compagno.
In fine Akhilleos sbottò, dicendo con una tonalità più allegra: < Io ho una
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fame tremenda. Mi mangerei te per colazione. Adesso preparo qualcosa da
mettere sotto i denti, cosa ne dici? > poi di colpo si batte la mano sulla
fronte esplodendo mortificato: < Oh, per gli Dei!.. Ma tu oggi non hai
mangiato nulla vero? > mentre si girava e apriva la credenza ch’era vuota.
E Mauro rispondeva tranquillamente: < Caffè, caffè e sette biscotti, ecco
ciò che ho trovato in casa tua. Ma mi è bastato vederti tornare a casa per
scordare tutta la fame che avevo dentro. Veramente, credimi amico la tua
presenza mi basta e avanza. > mentre se ne andava in camera seguito da
Akhilleos, che gli brontolava dietro. < Ma, a chi la vorresti raccontare
queste palle? Vorrei vederti se ti metto davanti la mia foto e un piatto di
arrosto, chi sceglieresti fra le due cose? > propose serio.
< Ma senz’altro l’arrosto, questo è scontato. Ma comunque, prova
invece a metterti davanti nudo e al fianco un piatto d’arrosto e aspetta di
vedere cosa prenderò io? > provò a insinuare Mauro sorridendo.
< Be’, allora cosa prenderesti? > lo spronò Akhilleos incuriosito da
quella nuova divagazione per rompere quei piccoli intoppi.
< Spogliati e lo saprai... > rispose Mauro sorridendo maliziosamente.
< O capito! Aspetta un altro momento. Per oggi mi è già bastata una
incazzatura che metà avanza. Bene, dai, su! Andiamo in cucina a preparare
veramente qualcosa. Mentre vado fuori a prendere la legna e la borsa della
spesa. > e con decisione Akhilleos si avviava fuori, a spaccare un po' di
legna e prendere poi la roba sul camioncino.
Mentre Mauro confermava il suo malessere per la fame: < In verità
anch’io ho molta fame. Dai, vengo ad aiutarti, faremo prima? >
< No grazie! Resta pure lì, io farò in un momento. > sbottò.
< Posso preparare la tavola almeno? > propose Mauro.
< Okay, ma non stancarti, altrimenti dopo avrò doppio lavoro per
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rimetterti in sesto. > rispose ridendo Akhilleos.
< Be’, se la pensi così, allora me ne starò buono. Voglio che tu
rimanga in forma per dopo cena? > espose sornionamente Mauro.
< Tu mi stai provocando, vero? Ma guarda che io intendevo proprio
in quel senso, di star buono amico. > espresse Akhilleos serio.
< Ma, dai! Io scherzavo prima. > bofonchio Mauro felice, mentre si
appoggiava contro la schiena di Akhilleos. E prontamente l'altro
rispondeva: < Di questo passo, mi sa che non mangeremo più niente. >
Poi, mentre cenavano di buon gusto incominciarono a discorrere su
quelle loro incomprese patologie e in fine Mauro espose: < Perciò come
vedi, a questo punto sul passaporto sono e sarò soltanto un semplice
giovane studente greco disoccupato. Be’, forse potrei impiantare una
scuola di windsurf e passare il resto dei giorni a correre libero sulle onde
del mare. Magari riprendere gli studi e terminare la mia laurea in legge.
Comunque, appena starò meglio toglierò il disturbo. Ti ho coinvolto
abbastanza. Tu hai già fatto tanto e troppo per me, in questi giorni. >
< Io non mi sento estraneo ai fatti e sono coinvolto quanto te. Ma se
tu te ne vuoi andare via. Sei libero di farlo e non sarò io a trattenerti.
Chiaro? Soltanto per ora dovrai prima guarire meglio e poi deciderai.
D’accordo? > rispose Akhilleos con determinata fermezza.
< Certo, certo! Ma non t’arrabbiare, ti prego... Accidenti! Sbaglio
sempre a parlare... > commentò Mauro dispiaciuto più che mai.
< Questo è più che vero! Ma lasciamo perdere e sarà meglio andare a
dormire, è abbastanza tardi e io sono stanco. > espresse Akhilleos.
< Sì, hai ragione. Anche io sono stressato più che stanco e una buona
dormita farà bene a tutte due. > espresse Mauro.
< Già, questo è più che certo. Appena ti sarai rimesso ti porterò a visitare
l’isola. Promesso! > l’assicurò Akhilleos con un caldo sorriso a riprova.
298
Capitolo Quarantaduesimo
Fu per entrambi una notte abbastanza tormentata, era un continuo
rotolarsi per il letto, e alla fine dovettero alzarsi con una scusa inesistente,
mentre Akhilleos brontolava a denti stretti: < Sarà stato quell’ultimo caffè
che ho preso a farmi sentire così agitato nel perdere il sonno, non ne posso
più. Vado fuori in giardino, forse un po’ d’aria fresca mi farà bene. Per gli
dei dell’olimpo! > sbottò incavolato.
Mauro aveva approvato l’operato dell’altro, muovendo soltanto il capo,
ma dopo un po’ si dovette alzare a sua volta, era troppo nervoso per restare
lontano dall’amico in apprensione. Quando lo raggiunse lo trovò seduto
sul muretto che divideva la piccola corte con l’orto, e fumava
nervosamente. Appena fu davanti a lui gli chiese con una certa serietà
servile: < Il signore Kirkis desidera forse del caffè freddo? >
A quel punto Akhilleos non riuscì a essere serio e scoppiò a ridere
sornionamente e infine rispose a mezza voce: < Sei tremendo! D’accordo,
prendiamo questo benedetto caffè freddo. Ormai, le ore sono volate via... >
Mauro era tornato in cucina e trovò la grossa caffettiera appoggiata sulla
stufa economica di terracotta, ne verso lentamente una parte di caffè in due
tazze. Poi, con impegno prese una tazza e la portò all’amico abbastanza
abbacchiato, mentre provava a dire qualcosa di spiritoso per rompere un
poco quell’atmosfera abbastanza tesa: < Be’, appena ti vedranno arrivare
al lavoro i tuoi compagni ti chiederanno subito dove hai passato la notte,
con la faccia così tirata e gli occhi un po’ gonfi? >
< Per la cronaca, > rispose stizzito Akhilleos. < i miei compagni di
lavoro non si permettono nessuna confidenza con me. Io non rompo i
coglioni a loro e nemmeno desidero che lo facciano a me, capito? >
< Certo, okay! > mentre rientrava in cucina a prendersi la sua tazza
299
di caffè, poi riprese a dire: < Io non volevo farti incavolare nuovamente.
Che stupido sono! Sbaglio sempre a parlare... Be’, poi con quella tua parte
di dollari ti puoi mettere in proprio come lavoro o magari prenderti una
bella barca tutta tua... > aspettando cosa avrebbe risposto, prospettò Mauro
all’amico che lo stava fissando disinteressato ma indispettito. Infine
Akhilleos non resistette più e sbottò dicendo a sua volta con fare serio a
Mauro: < Perché tu pensi che basta che io vada domani al lavoro e dica ai
colleghi: “Ragazzi ho vinto la lotteria e vi saluto vado alle Bermuda!”
Vero? Sarebbe tutto così facile con tutti quei soldi tuoi. Giusto! >marcando
con sarcasmo, mentre trangugiava il suo caffè con rabbia.
Mauro stava per ribattere, ma tralasciò e rispose bonariamente: < Be’,
non sarebbe male, le isole Bermuda fanno parte di quei piccoli paradisi del
mondo e tu non staresti male laggiù. Poi con il tuo fisico faresti affari
d’oro, credimi! Ma tanto per la cronaca e non lo voglio più ripetere, ciò
che era sul tavolo prima e tu l’hai messo tutto nella mia sacca. Ora è per
metà tuo, chiaro! E ti prego, non incominciamo a discutere che proprio non
è l’ora ne il momento! D’altronde non devi incolpare me perché la tua
futura vita sentimentale è stata spezzata. Tu ti prendi la tua parte e io la
mia. Mi sono spiegato! Siamo d’accordo? > aveva risposto abbastanza
sull’incazzato Mauro. Akhilleos era rimasto un po’ sorpreso da quella
reazione sentita di Mauro e capiva che effettivamente non sarebbe servito a
nessuno doversela prendere continuamente tra loro due. Perciò tentò di
controllare la sua buriana, e dopo un attimo di pausa riflessiva, rispose con
voce più calma: < Scusami! Stiamo sbagliando proprio tutto... Perciò sarà
meglio andare a dormire e domani riusciremo a discorrere meglio. Grazie
per il caffè. > e si avviò verso casa, mentre Mauro tentò un altro approccio
di persuasione, dicendo sottovoce: < Be’, ora te ne vai tutto solo alle
Bermuda, e io, cosa faccio? >
< Accidenti! Sei proprio tremendo! Ma ti voglio egualmente bene.
Dai amore, andiamo a letto che è tardi! > bofonchiò sorridendo.
< D’accordo amico mio. Ma badaben che questa volta dovrai dormire
accelerando se vorrai recuperare le ore perse in ciacole notturne e inutili. >
< Vorrà dire che schiaccerò il piede sull’acceleratore, a tavoletta. Dai,
salta nel letto e aggancia le cinture, si parte! >
Mentre si abbracciavano stretti e alla fine scoppiarono a ridere entrambi
di gusto. Ma qualcosa era successo, perché si trovarono a baciarsi con
passione e soltanto dopo un momento, Akhilleos disse all’amico: < Sarà
meglio dormire. Potrebbero venire delle brutte idee a questo punto. Notte
300
Maurice e sogni doro... >
< Buona notte Akhilleos, che la notte ti porti un buon consiglio. >
mentre si metteva supino e stringeva la mano dell’altro che lo ricambiava
con affetto e forza. Akhilleos era già uscito da un pezzo quando Mauro si
svegliò e si arrabbiò con sé stesso per non averlo sentito andar via. Mentre
lui si sentiva così strano, stava poco bene quel mattino e pensò che forse
era dovuto al trambusto del giorno prima. Oltretutto si erano dimenticati di
fare la puntura e prendersi le varie pastiglie di sulfamidici. Pertanto Mauro
si trovò con la spalla rigida e gli arrecava dolore, con una fitta anche al
petto da fargli mancare il respiro. Capendo che quella sua ferita non
andava per nulla bene. Alla fine si sforzò e si alzò dal letto con una pigrizia
addosso veramente inconsueta. Era così stanco e alla fine capì cos’era:
aveva la febbre abbastanza alta dai brividi di freddo e la fronte che
scottava. A quel punto si sforzò per arrivare fino in cucina e frugò
nell’armadio per trovare le fiale di antibiotici, ma non trovandole, pensò
ch’erano ormai finite, pertanto doveva aspettare Akhilleos con la speranza
che si ricordi di comperarle. Comunque nel frugare nei cassetti trovò delle
pastiglie antidolorifico in generale e ne prese diverse. Poi a fatica ritornò a
letto mettendosi sopra la coperta di lana. Era avvolto da tremori di freddo
che non riusciva a frenare in nessun modo. Trascorsero molte ore prima di
assopirsi in un sonno avvolto dai soliti e sconvolgenti incubi.
Più tardi fu svegliato dalle forti imprecazioni di Akhilleos, che lo
rimproverava: < Per Giove! Tu stai bruciando dalla febbre. Accidenti,
Mauro! Avevi il numero telefonico dell’agenzia e potevi chiamarmi subito.
Ora vado sulla nave a parlare con il dottore Dromos e magari portarlo qui
di persona per fargli vedere questa febbre oltre alla tua ferita, per sapere
come va’... Che a mio parere, molto male? > Mentre Mauro a fatica tentò
di dissuaderlo dicendogli: < Ti prego, non è il caso. Sarà soltanto una cosa
passeggera. Invece abbiamo ancora in casa quelle punture di antibiotici? E
se ci sono, potresti farne una subito... ci siamo scordati di farla ieri,
ricordi? > precisò tra un brivido e un'altro.
< Già, accidenti alla mia memoria del ... Ma mi sembra che ce ne sia
ancora due fiale, ora vado a controllare e poi la facciamo subito.
Comunque, andrò egualmente ad Áyios Nikólaos a parlare con il dottore
Dromos, d’accordo! Non mi piace questa tua ricaduta, oltre la febbre? >
mentre si recava in cucina a controllare i medicinali.
< Ok, ok! > rispose Mauro tremante. < L’avrei fatta da solo se
solamente avessi trovato dove la tenevi nascoste quelle fiale... >
301
< Sono riposte in questo contenitore giallo per alimenti, che io non
ho mai adoperato. Mi spiace di non avertela fatta già ieri... accidenti! >
borbottava ancora Akhilleos, dall’altra parte in cucina mentre trafficava coi
medicinali. < Questa mia dimenticanza proprio non ci voleva... >
< Dai su, non t’arrabbiare. Vedrai che mi passera presto. > gli rispose
Mauro balbettando dai brividi per la febbre, mentre aspettava Akhilleos
che arrivi con l’occorrente per la puntura.
Poi, Akhilleos arrivò e senza perdere tempo, scostò la coperta e il
lenzuolo e gli abbassò i boxer e con decisione strofinò per bene la parte da
infilzare e track, < Fatto! > E dopo il solito: “Ahi!” di Mauro, Akhilleos
rispondeva: < Io non ho sentito nulla. Dai, stai fermo che ti controllo la
spalla? > Sfasciò deciso e controllò per bene la ferita, la lavò come gli
aveva insegnato il dottore, mentre spiegava all’amico: < Ecco perché hai la
febbre, la tua ferita si è infiammata, ho tolto un sacco di pus. Ora è pulita e
disinfettata per bene. Speriamo che la temperatura si abbassi, altrimenti
non c’è altro sistema, dovremo per forza andare in ospedale? >
< All’ospedale? No, non si può... No! > sbottò Mauro preoccupato.
Mentre akhilleos terminava di fasciarlo per bene senza rispondere
all’interrogativo dell’altro. Passò la fasciatura sulla spalla e attorno al
petto, dimostrando la padronanza del suo operato in un modo deciso. In
realtà era molto delicato Akhilleos e in cuore suo era molto felice di essere
utile all’amico ferito. Mentre Mauro brontolava a quella sua decisione di
portarlo in ospedale, dicendogli decisamente e nuovamente, per non aver
avuto risposta dall’amico infermiere: < Non stare nemmeno a dirlo per
scherzo! > sbottò, e riprese a dire per sviare via il discorso da quella
proposta impensabile: < Non sarebbe meglio che intanto prepari qualcosa
di caldo per cena? Io ho un po’ fame! > mentiva spudoratamente, ma era
forse l’unico sistema per fargli cambiare idea, sapendo che era troppo
testardo quello stallone dalla fluttuante chioma nera.
< Accidenti! Come al solito tu non hai mangiato nulla, vero? >
apostrofò nuovamente Akhilleos arrabbiato con sé stesso.
< Si, è vero! Poco per non dire niente. Oltretutto la febbre che avevo
mi dava la nausea. Sai, capita sovente, come le donne in cinta... ho forse lo
sono? > confidò sorridendo quella possibile supposizione. Mentre
Akhilleos aggrottava la fronte pensieroso, dicendogli: < Ecco perché
bisogna andare all'ospedale? Ma di maternità a quanto sembra... vero? >
scoppiando a ridere entrambi.
302
Capitolo Quarantatreesimo
Più tardi, dopo che avevano mangiato della minestrina un po’ saporita
ma calda, seguito da un secondo piatto di spezzatini con patate, si
sentivano già meglio. Akhilleos aveva acquistato tutta quella roba già belle
e pronta in una trattoria gestita da amici, oltre alla spesa di vari prodotti
che aveva fatto al magazzino del porto, per un rifornimento abbondante
della sua cambusa semivuota. Per non dire vuota. Akhilleos propose a
Mauro di mangiarsi un po’ di frutta fresca: < Dai mangiane un poco, ti
farà bene, hanno vitamine e sostituirà il dessert. >
< Ok! Ma guarda che la frutta fa bene anche a te, vuoi che ti spelo
questa bella mela? > si offrì Mauro.
< Ma, a quel modo le vitamine se ne vanno assieme alla pelle. No,
grazie! la sgranocchi così, mi piace di più. > rispose contento per quelle
piccole premure che riceveva dall'amico.
In fine Akhilleos, dopo averlo accompagnato a letto, con i rituali
rimproveri e rimboccato le coperte per stare più al caldo, incominciò a
spiegare all’amico ancora tremante: < Sai, una cosa Mauro? Avevi ragione
tu, sul fatto di stare all’erta. C’è un tale fermento di gente nuova giù in
città. E dai discorsi di molte persone che trafficano in certi ambienti, si va
dicendo, che sono arrivati con un aereo privato un sacco di personalità
dall’Italia, che si spacciano per industriali. Ma in realtà, sono in cerca di
cinque persone scomparse qui sull’isola. Capisci Mauro? Sono arrivati qui
per cercarvi. Hanno sguinzagliato un sacco di persone da ogni parte
dell’isola. E in verità hai avuto buon fiuto a mandare via per tempo i
ragazzi. Altrimenti adesso c’è la probabilità che ci scappi il morto. E sai
un’altra cosa? Sono alloggiati al tuo albergo, il “Xenia”. Figurati il
personale dell’albergo come canterà bene, davanti a buone e abbondanti
mance elargite per scovarvi a ogni costo? >
< C’era d’aspettarsela? Speriamo solamente che non riescono a
rintracciare i ragazzi? Questo è l’importante. Ma la polizia greca non dice
nulla? Sa almeno che sono mafiosi o li ritiene dei tranquilli turisti pieni di
grana, che se la spassano in vacanza? > ipotizzò Mauro.
< Ma senz’altro sapranno qualcosa, d’altronde se non c’è un mandato
internazionale e al momento loro non hanno violato i regolamenti e le
nostre leggi. Perciò nessuno può far nulla. Li terranno senz’altro d’occhio
303
e nient’altro, comprendi! E dalle varie voci che circolano in giro, sembra
che ci sia anche un’importante boss, tra il gruppo che hanno prenotato un
intero piano del Gran Hotel “Xenia”. Capisci! Bisognerà stare all’erta nei
prossimi giorni, amico... > espose più che serio Akhilleos.
< Accidenti! Non riuscirò mai a togliermeli di dosso, quelli? > sbottò
sfiduciato Mauro, poi riprendendo a dire: < A questo punto mi converrà
cambiare aria. Evitando di coinvolgerti ancor di più in tutta questa sporca
faccenda. Dovrò prendere una decisione al caso. > Espresse Mauro, mentre
Akhilleos si era rabbuiato e sbottò chiedendo a sua volta: < Cosa vorresti
dire, dovrò? Mi sembra che eravamo già accordati sul da farsi e più che
chiaramente? > sbottò Akhilleos serio.
Mauro tentò di parlare, ma Akhilleos lo fermò dicendo: < La vuoi
piantare con queste stronzate del cavolo! Siamo nei guai? Bene! E allora?
Lotteremo! Arriverà prima o dopo anche per noi un momento di calma e
tranquillità, non credi? Pertanto ora cercheremo di organizzarci meglio e
far lavorare il cervello invece del culo. Con le solite stronzate del cavolo
che continuamente tiri fuori... Chiaro? > formulo Akhilleos, più che mai
arrabbiato, per non dire incazzato.
Mauro avrebbe voluto contrastare, ma poi, capì che tutto sarebbe stato
inutile. E poi, effettivamente dove sarebbe andato conciato in quel modo?
Pertanto alla fine rispose risentito: < Scusami! Hai ragione tu. Cosa posso
fare conciato in questo modo, da povero invalido per non dire altro. Okay!
Farò quello che mi dirai di fare, d’accordo Akhilleos? >
< Adesso incominciamo a ragionare. Non lo capisci che sei mezzo
morto e pertanto dove vorresti andare a farti beccare subito al primo
colpo? Ma lo sai che sei un bel testardo! > sbottò Akhilleos mentre si stava
spogliando e Mauro restò un momento al ammirare quel sedere nudo che
usciva dai pantaloni dell’amico incavolato.
< Dai, spostati un poco e fammi posto a letto. Ora innanzi tutto,
dobbiamo preoccuparci che la febbre ti passi, altrimenti? Ah! E’ meglio
non parlare adesso, accidenti! Mi stai facendo arrabbiare, testone! >
< Certo, certo! Comunque, aspetteremo e poi si vedrà, vero? > ribatté
Mauro e Akhilleos rispose senza contrastare oltre: < Sì, certamente! >
mentre Mauro si metteva più sotto le coperte e Akhilleos non voleva in
quel momento affrontare un’altra discussione a vuoto e continuò con una
tonalità più calma: < Be’, penso che per oggi abbiamo già parlato anche
troppo. E se ti fai ancora un pochino in là, potrò anch’io distendermi al tuo
fianco. Ho capito ti secca lasciare il posto caldo. Comunque ti puoi tenere
304
la coperta, io starò benissimo senza nulla addosso, con ‘sto caldo! >
Mauro si spostò trascinandosi le coperte e si girò sul fianco da aver la
spalla dolorante in alto, mentre Akhilleos entrò nudo nel letto insinuandosi
con delicatezza contro la sua schiena divisa dal lenzuolo e coperta,
portandogli la sicurezza e il calore voluto dall’altro. Mentre lo prendeva
per la vita e gli diceva piano: < Kalinìkta! > Mauro a quella vicinanza
esultò di piacere nel sentirlo accanto e si meravigliò ancora una volta di sé
stesso. Capendo ch’era difficile capire se quei brividi erano ancora per la
febbre o era qualcos’altro, che gli stava facendo quei brutti scherzi di
concupiscenza; ma al contempo ne gioiva di averlo accanto quel prode Dio
greco. Poi era già tutto il giorno che lo desiderava vicino e in quella casa
ogni cosa glielo ricordava e ora lì accanto. Quella calda presenza, lo stava
riempiendo di piacere in quell’abbraccio, Mauro ne esultava. Infine la voce
di Akhilleos lo distolse da quei dolci pensieri. < Ma tu stai tremando
ancora e sei ancora bollente per la febbre. Ho sbagliato ad ascoltarti, avrei
dovuto andare a chiamare il dottore Dromos? > imprecò.
Il primo impulso di Mauro, era stato quello di digli che era ben altro in
quel momento che gli faceva salire la febbre, ma poi optò per non turbare
l’amico cretese e in fine rispose con fare allegro: < Vedrai, passerà presto e
domani mattina non avrò più nulla, parola mia... Ora proviamo a dormire.
Buona notte Akhilleos! > provò a dire nel tentativo di distrarlo.
< Ok! E’ senz’altro meglio. Altrimenti m’arrabbio... ciao Mauro! >
rispose tra le prime avvisaglie di sonno e appena un momento dopo già
russava placidamente alle sue spalle. Era veramente stanco.
Mauro restò molto tempo sveglio, ad ascoltare il respiro dell’altro che si
faceva sempre più regolare e tranquillo e alla fine s’addormentò anch’egli
felice in quell’avvinghiato abbraccio.
305
Capitolo Quarantaquattresimo
Finalmente, dopo una decina di giorni dall’incidente Mauro, si sentiva
sufficientemente meglio. La febbre era del tutto sparita, aiutata dagli
antibiotici prescritti dal dottore Dromos, che forniva ad Akhilleos di
nascosto, in una taverna del porto a Nikòlaos, incontrandosi per caso,
senza dare troppo nell’occhio. Purtroppo la mafia era in giro a ispezionare
tutta l’isola e a quel punto, era meglio evitare assidui incontri da far
insospettire qualcuno. Perché alla fin fine, per un po’ di dracme, chiunque
era disposto a tradire o vendere semplicemente del fumo. D’altronde,
bisognava in qualche modo fare qualcosa per calmare la febbre o andare
direttamente in ospedale. Per fortuna la situazione prese una discreta piega
e tutto sembrava andare per il meglio al momento. Pertanto ora a Mauro
gli occorreva ben altro per rimettersi in sesto. Era così fiacco e ridotto
male dalla debolezza e in più in quello sfilamento psicologico che si era
imposto tutto da solo, era veramente disfatto. Oltretutto quei giorni
sembravano eterni per arrivare alla guarigione e muoversi più che mai
liberamente. Mentre dentro di lui tutto fremeva nel voler accelerare quella
sua lunga convalescenza, dovuta dalle circostanze avverse. Pertanto
passava il tempo a oziare in quella piccola prigione campestre, diventata la
sua dolce alcova da fuggitivo ferito. Trascorrendo le ore di sole nel piccolo
cortile, dove la frescura gli era fornita all’ombra del grosso fico d’india,
traboccante di fiori e frutti spinosi. E in quell’irrequietezza che aveva
addosso, cercava di calmarla in qualche modo, nel farsi scurire la pelle dal
forte sole che filtrava tra le grosse foglie del fico d’india.
Quel giorno Akhilleos tornò molto prima a casa e lo trovò che dormiva
su un vecchio materassino di gomma, nella parte più nascosta del suo
rinsecchito giardino. Era talmente addormentato che non si era nemmeno
accorto che una lucertola gli stava percorrendo curiosa il suo petto
asciutto, fra quella esigua peluria biondiccia che esponeva sul corpo un po’
emaciato. Era mirabile quella visione che gli proponeva quell’amico
italiano, in quell’innocente sistemazione a prendersi il sole e per giunta in
compagnia di una simpatica lucertola per nulla spaventata dal ritmare
regolare del suo petto abbrustolito dal sole.
Akhilleos restò un buon momento lì fermo ad osservare entrambi, mentre
306
la lucertola muoveva continuamente la testa da una parte all’altra, poi
sentendosi spiata si spostò velocemente da un’altra parte. Akhilleos si stupì
dalla gioia che provava nel vedere il progredire dell’amico verso la
guarigione, mentre osservava con provata ammirazione quel corpo che
emanava ancora un’irresistibile fascino, in quella nudità mostrata con
un’innocente bellezza, esposta così per caso, dopo tante traversie accorse.
Erano ormai trascorsi molti giorni dell’inserimento fortuito del giovane
ricercato e nascosto nella sua casa. Il corpo di Mauro mostrava la sua
prolungata debolezza, in quell’ingannevole apparenza scarna mostrata dal
falso chiaroscuro del posto e dava l’impressione assai più grave.
Akhilleos si trovo a dirsi tra sé, mentre ammirava e curiosava con
un’inspiegabile insistenza l’amico dormiente: “Quanto mi piaci Mauro e
quanto ti desidero, veramente. Non so perché, ma mi sto innamorando di
te.. è un vero peccato che tu non lo vuoi capire che tutto è finito con i tuoi
compagni di sventura...” mentre scrollava la testa a pensare che un giorno
quel giovane avvocato se ne sarebbe andato per la sua strada. Pertanto
Akhilleos, non voleva coinvolgere più di tanto i suoi sentimenti in
qualcosa da ricordare poi amaramente. Com’era già capitato a Mauro, in
quel legame scoordinato. E perciò, era meglio accantonare tutto e accettare
quella semplice amicizia, che l’amico continuava a confermare. Ma in
fondo a tutto, doveva ammettere che gli piaceva quel giovane, perché era
diverso da altri amici che aveva e conosceva, oltretutto per lavoro. Mauro
aveva qualcosa di maliardo addosso e Akhilleos, si trovò a ripensare che
anche sul lavoro il suo pensiero era sempre rivolto verso casa, a pensare
cosa stesse facendo l’amico in quel momento nella sua casa tutto solo? Ed
era stato tentato varie volte di voler telefonare per dialogare un poco con
lui, ma poi aveva sempre desistito a esprimere quelle sciocche dimostranze
307
ma sentite. Mai aveva provato, immaginato quella che stava percependo in
quel momento per Mauro, una forte simpatia e affetto per non pensare
oltre. Ma al contempo quella presenza nuda lì davanti lo stava
confondendo troppo, anzi, tremendamente, per non dire che l’aveva
eccitato tanto e si trovò a toccarsi il petto istintivamente, mentre chiudeva
gli occhi a immaginare che siano le mani dell’altro ad accarezzarlo con
desiderio. Poi con fatica scacciò quelle idee balorde e si rimproverò da
solo: “Sarà perché ho un gran desiderio di fare l’amore, o perché Elena
mi ha piantato in asso come un povero fesso. D’altronde è più che vero,
non si è fatta più sentire da quel giorno della partenza. Perciò è tutto
scontato mi ha piantato e basta. Ma sinceramente ho un’impellente
desiderio d’amare e di essere amato anch’io, accidenti! Calma Akhilleos,
calma”. Si trovò a dire, brontolando dentro di s’è, quasi con rabbia. Poi
accantonò tutte quelle ruminazioni inutili, sul fatto di essere stato piantato
in asso dalla ragazza. Mentre cercava di essere più coerente ai fatti e
svegliare l’amico per evitare una sua affrettata eccitazione a quella
esuberante presenza. Quella vista era troppo intrigante e invitante al tempo
stesso.
Akhilleos si accucciò al suo fianco e lo sfiorò nel punto dov’era passata
la lucertola poco prima, ed ora era poco più in parte sul bacino, ma
all’ombra della sua mano era fuggita via precipitosamente. Poi, a quel
leggero contatto Akhilleos gli sfuggì un lungo sospiro di sgomento e
soddisfazione inimmaginabile. Mentre chiudeva gli occhi per assaporare
meglio quella sensazione gradevole, nel sfiorare il corpo vellutato
dell’amico dormiente. Poi visto che non si svegliava, ma in compenso lui
si eccitava sempre di più e maggiormente. Lo scosse più forte, dicendogli
con voce roca, un po’ canzonatoria: < Be’! Come va’ dormiglione? >
continuando a scuoterlo dolcemente. < Non resterai qui tutto il
pomeriggio, in questo sconveniente modo, spero? > mentre gli sfuggiva un
risolino furbesco. Mauro si destò di colpo, spaventato. Al tempo stesso
Akhilleos, cercava di calmare la paura dell’amico improvvisa, dicendogli
con decisione: < Ehi! Calma ragazzo! Sono io, non t’agitare tanto! Sono
rientrato prima. Sei sveglio? >
Mauro più che mai confuso in quella sonnolenza, si copriva la sua virile
nudità con l’asciugamano, arrossendo dalla vergogna. Dubitando d’essere
stato scoperto sui sogni alquanto sconci che stava facendo. Perciò, alla fine
rispose confusamente con un mezzo sorriso sulle labbra: < Scusami, ma
dormivo così profondamente e non immaginavo che tu tornassi così
308
presto... Mi hai spaventato un poco... > confessò.
< Già, sono tornato prima, per stare un po’ con te. Ti va’ l’idea? >
< Certo che mi va’! Be’, almeno potrai stenderti un poco, qui con
me. Su, dai, spogliati! Prima che il sole se ne va via. >
< Vorresti che mi spoglio qui adesso? Così nudo come un verme e tu
ti stai coprendo per la vergogna in mia presenza. Pensi veramente che sia il
caso? Sai che ha me, il sole mi fa strani effetti e potrebbe essere pericolosa
l’esposizione troppo prolungata. > provò a dire sogghignando Akhilleos.
< Dai, non farti pregare. Poi, per essere sincero, prima non ti avevo
riconosciuto subito e mi sono trovato imbarazzato, capisci vero? >
< Ha, certo che capisco. E vedo che sei ancora in tiraggio sotto
l’asciugamano, esatto? > lo stuzzicò.
< Be’, non è che mi vergogno, è semplicemente che abbiamo
restaurato un buon rapporto di una sincera amicizia e non voglio sciuparla
con una semplice azione dovuta al sole cocente. > rispose mortificato.
< Be’, adesso cos’è questa storia del sole cocente? Guarda, come sei
messo! > sbottò Akhilleos, aggrottando le sopracciglia mentre alzava
l’asciugamano e sbirciava sotto, sorridendo.
< Non ti sfugge nulla. Okay, d’accordo! E' soltanto colpa... Insomma,
stavo facendo un bel sogno e sai com’è, capita... mi capisci vero? Sognavo
di... beh, lasciamo perdere... > espletò Mauro confuso.
< No, no! Dai, continua? Io sono tutt’orecchi a sentire certe cose... O
hai forse vergogna a dirlo al tuo migliore amico. Cosa stava sognando il
tuo subconscio, vero? Be’, questo a me lo puoi dire? > mentre con la mano
la faceva scorrere sulla pelle chiara dell’amico, da strapparli muti fremiti
di desideri repressi. Mentre Mauro gioiva di quel contatto, ma al tempo
stesso si sentiva un po’ imbarazzato a dover esporre il suo sogno di
poc’anzi. Poi, visto l’insistenza nello sguardo intenso dell’altro, decise,
dandosi una scrollata di testa: < Va bene! Se proprio lo vuoi sapere, stavo
sognando e... facevo all’amore, con te. > mentre si passava la lingua sulle
labbra tumide a trasmettere al giovane ormai eccitato, inimmaginabili e
lussuriose sensazioni sfrenate, del suo lascivo e sconcio sogno.
< Cosa? > sbottò Akhilleos con fare inorridito, mentre si alzava in
piedi. < Tu, stavi facendo l’amore con me, qui in giardino sotto questo
grosso fico? non è possibile! E io non ne so niente!? > espletò con stupore,
mentre si toglieva velocemente la maglietta bianca scagliandola contro
Mauro, rimanendo a petto nudo di fronte all’amico, che lo rimirava dal
309
basso in alto. Poi a sua volta Mauro, con calma sfacciata, traendo un lungo
respiro si alzò senza parlare. Mentre l’altro, era ormai tutto scosso ed
eccitato al massimo del desiderio. Mauro si avvicinò all’amico fissandolo
intensamente e incominciò ad accarezzargli dolcemente il petto. Mentre lo
stava aggirando evitando le braccia dell’altro che tentavano di afferrarlo.
Infine, si fermò alle sue spalle e incominciò a far scorrere le mani
sull’ambrata epidermide dell’amico ormai tremante e ansioso, mentre il
cuore di quest’ultimo era ormai sconvolto e in subbuglio.
Poi, Mauro sebbene il dolore alla spalla gli impediva la scioltezza,
Mauro insinuò le mani sui calzoni dell’amico e con scaltra lentezza slacciò
la cintura, lasciando scivolare a terra i jeans ormai liberi da ogni legame,
dicendogli all'orecchio: < Ora puoi prendere il sole e abbrustolirti anche le
chiappe. > In un attimo Akhilleos si trovò completamente nudo fra le
braccia dell’altro. Sentiva il caldo corpo a contatto della sua schiena,
mentre le mani di Mauro incominciavano ad accarezzare delicatamente il
suo petto villoso, da strappare gemiti di gioia e piacere. A quel punto
Akhilleos si stava eccitando tremendamente. Mauro si destreggiò per
svincolarsi dalle forti mani che tentavano di fermarlo, lui con sapiente
devozione, mentre gli baciava il collo e gli bisbigliava nell’orecchio dolci
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parole da farlo mugolare di piacere e per l’altro fu la fine. Akhilleos non
seppe resistere ed esplose con un grido di gioia, ma anche di disappunto
per aver affrettato così rapidamente quel piacere incontinente, Poi
Akhilleos, tentò di reagire a quell’estasiante piacere e gli bisbiglio a sua
volta nell’orecchio: < Avevi paura che ti violentassi, che ti sei prodigato e
hai tentato di farmi calmare il bollore che avevo dentro. Ma di calore ne ho
ancora così tanto in corpo, da esplodere per la lunga astinenza voluta? >
confermò.
< No, non è per niente vero! > protestò subito Mauro. < Poi, so per
certo, che tu non mi avresti più violentato un’altra volta. Anche se avevo la
febbre e deliravo, era già scontato che avrei accettato. Anch’io ho
desiderato il tuo amore. Chiaro? Sebbene è stato tremendo il dolore ma
bellissimo il piacere dopo. Ma non è detto che debba succedere ancora. Per
il semplice fatto, che appena sarà passata la buriana e l’euforismo, Elena
tornerà da te e tutto tornerà come prima. Anzi, meglio di prima. Esatto?
Oltretutto siete la coppia più bella dell’isola e... >
< Per favore piantala di dire stronzate! > sbottò adirato Akhilleos,
mentre si alzava i calzoni e sbottò a dire ancora con una tonalità più che
mai dura: < Perché, accidenti! Tu, credi ancora alle favole? > gli chiese
fissandolo intensamente, e riprendendo a dire: < Io, è da giorni che ho
capito che è tutto finito e non ho più avuto un rapporto sincero con
nessun’altra donna. All’infuori di quella notte che ho abusato di te. E mi
rammarico ancora... Sì, mi dispiace! Perciò, mi sono spiegato più che
chiaramente! Ho devo continuare a inveire contro tutti, per non dire al
mondo intero? Sono stufo di brancicare nel buio con le mie erotiche
fantasie... Ah! Per gli Dei! Finiamola una buona volta... >
< Be’, sì, ti capisco! E in fondo hai ragione. Ma vedrai, che dopo... >
Non poté finire di parlare Mauro, perché l’altro si stava arrabbiando
seriamente, rispondendogli con durezza: < Ma cosa dopo? Per gli Dei! Che
le ho telefonato, si può dire ogni giorno e lei non aveva tempo per
dialogare almeno due minuti con me. Almeno poche parole. Era troppo
presa nel suo lavoro? Accidenti a lei e a quei maledetti dollari! >
< Ma, questo particolare non l’ho sapevo? Tu non mi hai mai detto
nulla, che telefonavi a Elena? > gli domandò Mauro sorpreso.
< Be’, ora lo sai! Pertanto ti prego, non torniamo più su questo
argomento del cavolo, chiaro? Mi sono rotto le palle abbastanza!... >
311
< Mi, dispiace! devi credermi. Non avrei mai pensato che tutto fosse
finito in questo modo... > cercò di essere convincente questa volta Mauro.
< Già.! Ma purtroppo è così ormai. Lei pensa solamente a quei
maledetti dollari da gestire al meglio e di me non gli passa nemmeno per la
testa. Porcaputtana!! Scusa l’espressione scurrile, ma è così, capisci?
Figurati che ogni volta che chiamavo rispondeva sempre qualcun’altra al
telefono. Dicendomi che ero troppo presa dai suoi impegni e che mi
avrebbe richiamato poi. Tu, hai sentito suonare il telefono qualche volta
qui, all’infuori di me? No! Altrimenti e senz’altro me l’avresti detto?
Giusto! > espleto con rammarico Akhilleos. Mentre Mauro non sapeva
cosa dire e pensare, in fine rispose, confermando quella supposizione
dell’altro: < In verità non ha telefonato proprio nessuno, all’infuori di te
nel segnale convenzionale. > rimanendo un buon momento ad osservarlo
pensieroso, poi provò a ridire all’amico arrabbiato: < Akhilleos non ti
secca se tralasciamo un po’ da parte tutte ‘ste storie e pensiamo ad andare
in casa a cenare... > mentre gli alzava il braccio e guardava l’orologio al
polso dell’amico. < Sono già le venti e in verità io ho un po’ di appetito, tu
no? > borbottò sull’imprecisato.
< Accidenti! Mi dimentico sempre di aver un ospite che ha fame?
D'altronde, sono abituato da anni a farmi un panino in trattoria e perciò, a
casa ci mangio così poco... niente! > spiegò Akhilleos all’amico affamato.
< Ma io non volevo dire che tu debba preparare la cena. Questa volta
ho fatto io qualcosa? > spiegò Mauro con un sorriso furbesco.
< Tu hai cucinato? Ma se sei ancora così... debole. > borbottò
Akhilleos confuso, ma felice per l’altro.
< Be’, ci ho provato. Aspetta e giudicherai dopo quale ti piace di più,
l’arsenico o la cicuta? A te la scelta...>
< Ha, bene! Siamo già hai veleni. Che gli Dei ci salvino da simili
chef... > mentre lo prendeva sotto braccio per avviarsi verso casa e sbottò
di nuovo, guardando Mauro dalla testa ai piedi. < Però, non ho mai avuto
questo piacere di aver visto in altre parti, un cuoco tutto nudo. >
< Abbi fede e dammi il tempo di vestirmi. O mi preferisci con il solo
asciugamano addosso? > provò a dire Mauro sorridendo.
< Sinceramente ti preferisco nudo, ma al momento non riuscirei a
mangiare con te davanti così appetitoso. Mi sono spiegato amico. >
< Okay, okay! Più che chiaramente. Ora mi sistemo meglio e poi si
mangia, amico. > confermò, mentre s’allungava e gli dava un leggero
bacio sulla bocca invitante, da lasciarlo stupito, ma contento.
312
Capitolo Quarantacinquesimo
Stavano terminando di cenare quando Akhilleos si rivolse all’amico
improvvisatosi cuoco, con un’espressione abbastanza seria: < Sei stato
veramente ineccepibile, sì! Sei magnifico come cuoco e a questo punto se
vuoi, ti posso assumere come chef e darti un lavoro fisso qui in questa
taverna di campagna. Tu cosa ne pensi, ti va l’idea del cuoco privato? >
mentre Akhilleos si alzava e incominciava a sparecchiare la tavola,
aspettando che l’altro risponda qualcosa, a quella piccola parodia inscenata
al momento. Mentre Mauro, aggrottando le sopracciglia, bofonchiava se
poteva accettare quella proposta: < Be’, vediamo un po’ cosa posso
guadagnarci sopra? > prospettò Mauro seriamente, mentre a sua volta si
alzava da tavola, mettendo via il cestino del pane e prospettava e valutava
a voce alta: < Ammettendo di lavorare un anno, più il vitto e alloggio,
magari qualche viaggio all’estero... Sì, si potrebbe fare! Mi andrebbe bene,
sì! Ma, uhm? > mugugnava, mentre si portava accanto al lavello per lavare
quei due piatti della loro cena.
< No, lascia, laverò io questi due piatti. > protestò Akhilleos, mentre
continuava a chiedere all’amico in silenzio: < Be’, allora, cosa volevi dire
con quel ma? Ti andrebbe, insomma, si potrebbe fare? >
< Ma certamente! Innanzi tutto, per primo un viaggio all’estero io e
te soli, d’accordo? > mentre scoppiava a ridere e Akhilleos sul momento
non aveva afferrato l’idea del viaggio, “soli”, ma subito si era ravveduto e
anch’egli scoppiò a ridere, ma di gusto. Poi ritornando serio riprese a
commentare: < Però c’è ne voluta, prima che ti decidessi a condividere la
nostra vita. Ora sono contento. Sai, non so veramente cosa avrei fatto con
quei soldi, che mi avresti voluto dare per forza? Senz’altro non sarei in
grado di spenderli bene, dopo tutta questa storia che mi ha un po’
amareggiato l’avvenire. Mi sarei fatto abbindolare dalla prima donna che
avrei incontrato per strada, o avrei buttato tutto il danaro nel primo casinò
che avrei trovato davanti. E alla fine bello che pulito sarei tornato qui a
zappare la terra più arrabbiato di prima. Perciò, penso che sia tu a gestire il
danaro, sarà senz’altro meglio per entrambi. >
< Be’, però, non hai molta fantasia amico? Mi pare che ti stai perdendo
in un bicchiere d’acqua. Poi non credo che li avresti buttati così al vento.
Con quei soldi della tua parte ti puoi comperare molte cose, che ti
313
farebbero abbastanza felice... > commentò.
< Ad esempio, prova a dire, cosa? > lo spronò Akhilleos a parlare,
mentre aggrottava la fronte e con le mani si riassestava i lunghi capelli
neri, legandoli con un elastico; pensando al tempo stesso, che quello che
avrebbe voluto comperare non era in vendita. Ma alla fine aspettò che
l’altro formuli la sua alquanto sospettosa proposta.
< Ci sono molte cose, ad esempio: una bella barca, o un piccolo
motel, o ancora di più un grazioso albergo in qualche angolo di questa
meravigliosa isola, dove troveresti un sacco di donne che di correrebbero
dietro, oltre che per i soldi, ma soprattutto perché sei un bel fusto e anche
per qualcos’altro da offrire... Dico bene? >
< Sì, perché ce l’ho lungo e grosso, oltre che sempre in tiro e poi
quando l’hanno fra le mani si spaventano. Com’è capitato altre volte e mi
rispondono:“Quello, no!” Se proprio lo vuoi sapere, anche Elena a sempre
declinato ogni mia richiesta nel far l'amore. Solo una delle prime volte,
visto che l'interessavo molto, si sforzò e la faccenda a funzionato in parte e
per il resto dei nostri incontri si risolveva alla fine controvoglia con
qualcosa di manuale. Mentre io,ero talmente innamorato che mi sembrava
di aver trovato il paradiso, anche a quel modo, dopo tante astinenze per la
mia grossa protuberanza, del cavolo! Ah, stronzate!. Ma perché non lo
vuoi capire che a me non mi frega un accidente di niente avere dei soldi da
spendere. Se alla fine non ho vicino la persona che mi sta facendo
impazzire. A cosa servono? Niente! Lo sai più che bene, che mi sto
innamorando di te. E non perché tu sei riuscito dove altri hanno fallito. Il
sesso non centra un cazzo! Tu, proprio tu, comprendi almeno questo che
dico? > gli spiattellò con decisione Akhilleos, fissandolo dritto negli occhi
con tanta determinazione.
Mauro per un momento si trovò confusamente disorientato, mentre tutto
gli girava attorno tremendamente. Era felice, ma allo stesso tempo
spaventato da tanto ardore espresso così con il cuore in mano. Esposto da
quell’uomo che era lì di fronte a sé. Così violento, forte e tenace, ma
soprattutto dolce. Poi alla fine, dopo aver deglutito parecchie volte la
saliva che non c’era, si decise a parlare e a rispondere a quella tangibile
espressione di affetto e amore. < Veramente! Tu mi ami così tanto e sei
disposto a sacrificare la tua vita per me? Un incallito killer che ha i giorni
contati per non dire le ore. Inseguito da quella masnada di mastini che
girano arrabbiati per tutta l’isola? > sbottò tutto in un fiato.
< Ma come la fai lunga! Sono tutte palle, quello che stai dicendo.
314
Poi, sarebbe ora che la smettessi di pensare male di te stesso. Non sei
quello che credi o che vuoi far credere di essere. Se hai dovuto uccidere e
per giunta molte persone, non devi farti una colpa. In te non è rimasto
nulla della cattiveria o la mania omicida, io sono più che sicuro di quello
che affermo. Anzi sei rimasto coerente alle tue ideologie e di aver fatto
tutto questo casino, solo per la sopravvivenza e nient’altro. Ecco, cos’è che
mi piace in te! Perché tu non sei egoista, opportunista, scaltro, ma
soprattutto daresti la vita per gli amici. Tant’era vero che hai ucciso per
salvarli e salvarti, questo è vero. Ma hai anche diviso tutto con loro e alla
fine hanno scordato le cose più belle della vita. La vita stessa che gli hai
restituito senza chiedere nulla in cambio, soltanto un po’ d’affetto. Mentre
loro, hanno scordato molto rapidamente l’amore per qualcuno che si è
sacrificato anche per loro... Non ho ragione forse? Ho ti secca tanto questa
verità davanti agli occhi? Ma se devi rispondere, sii sincero almeno per
questa volta. Ti prego? > gli domando seriamente Akhilleos.
< Sì, è vero! Hai più che ragione, ma... > mentre afferrava la mano
dell’amante e l’osservava quasi fosse una reliquia, poi proseguiva a dire
con una gradazione minore nella sua voce, quasi di rimpianto: < Non
aspetta a me giudicare il prossimo. Io ho cercato attraverso gli altri anche
la mia rinascita e forse ho travisato un po’ tutto. Ma penso che mi è servito
da lezione a capire me stesso e tutto questo, tu lo puoi capire, vero? >
< Certamente che ti capisco e come! > rispose Akhilleos, mentre
l’altro si masturbava le mani continuamente. Poi, dopo quella breve pausa,
Mauro si era girato emotivamente confuso a osservare la luna oltre la
finestra spalancata. La voce gli si era spezzata in gola, strinse le labbra
quasi incapace di parlare. Poi si girò e con forza continuò a dire: < Non
posso mentire a te la verità! E’ più forte di me! Perché fino dal primo
momento che ti ho visto in mezzo a quella marea di giovani in fermento, in
quella grande discoteca, ho capito che saresti stato l’uomo per me. Ho
avuto una grande sensazione futuribile, ma anche un grande turbamento in
quel momento. Ma che svanì all’improvviso quando Elena ti chiamò
dall’alto, dicendomi con enfasi: “guarda Mauro, quello è il mio ragazzo.”
E da quel momento non volli più provare a indagare nel mio subconscio,
in quell’impalpabile consapevolezza che stavo ancora sbagliando. Ora
capisci il perché di tutto questo mio tormentato mondo, che mi trovo
sempre ad innamorarmi delle persone sbagliate, accidenti a me? Mentre le
circostanze hanno cambiato il corso della nostre vite e hanno deformato la
reale situazione, da confondermi tanto. Portandoci in questo momento a
315
cercare il conforto e la solidarietà tra noi due… > ma non poté proseguire,
perché l’altro lo incalzava a rispondere su ciò che desiderava sapere da lui,
che tentennava confusamente. < Ma perché non la pianti una buona volta
di girare sempre attorno alla solita menata del cavolo! > sbottò Akhilleos,
essendo stufo di sentirlo tergiversare, con decisione seria sbottò a
rimproverarlo e scuoterlo, dicendogli: < Andando a tirare fuori un sacco di
stronzate inutili. Ma la vuoi capire una buona volta, che andando avanti di
questo passo diventerai veramente pazzo! Questo lo vuoi capire? Io
desidero solamente stare con te e solo con te ho imparato ad amarti
veramente. E non pensare che tutta questa mia manifestazione è dovuta
soltanto per l’interesse di possedere il tuo corpo per il mio diletto sfogo, in
mancanza di un’altra maniera per sfogarmi meglio. Mi sono spiegato? E a
questo punto non so più in che modo dirtelo, quanto ti amo! Hai proprio
una testa dura!? > mentre l’afferrava per un braccio e lo scuoteva
energicamente e in fine l'obbligava a rispondere: < Ora, per favore rispondi
seriamente alla mia domanda? Dai, dillo ch’è vero? Io l’ho so, che anche
tu mi ami! Per favore sii sincero, almeno questa volta? > urlò nella
disperazione.
Mauro era sempre di più sconcertato da quella verità
inimmaginabile. Deglutì parecchie volte la saliva e infine con le labbra un
po’ tremanti specificò senza più esitare: < Sì, ti amo! E’ la verità... Mi sono
innamorato perdutamente di te! Non posso negarlo. E tu mi vorresti così
come sono... veramente? > esclamò confuso, ma gli era difficile
proseguire, gli si era formato un grosso nodo in gola che gli precludeva
ogni parola, mentre i suoi occhi si erano inumiditi per la felicità ritrovata.
Akhilleos si era avvicinato a Mauro e con la sua grossa e ruvida mano,
gli alzò il viso e lo fissò profondamente negli occhi color indaco, leggendo
in essi l’amore che lui bramava così tanto. Poi alla fine rispose con voce
ferma e sicura a quel compagni degno di una vita, mormorandogli parole
dolci espresse dal profondo del suo cuore: < Sì, amore, ti amo! Più di ogni
altra cosa e ti voglio al mio fianco. E tutto questo lo capito soltanto in
questi giorni di travaglio e convivenza con te. Prima d’ora non avrei mai
minimamente supposto che mi sarei innamorato così follemente di un
uomo? Invece è successo e il resto non conta più nulla. Ho capito che con
te sarò felice, perché tu m’hai donato il tuo cuore, la tua anima e il tuo
corpo senza riserve. E per me è stata la cosa più bella del mondo e la
desidero conservare senza doverla perdere ancora, perché, sono sicuro che
assieme saremo veramente felici ovunque andremo. E guarda che non è
retorica la mia proposta, ma amore! > mentre se lo stringeva al petto con
316
grande motivata passione, era anch’egli tutto emozionato e estremamente
impacciato a fare dei discorsi così lunghi e seri.
Mauro per un attimo chiuse gli occhi e assaporò quella stupenda storia,
poi di fronte a tanto impeto, alla fine rispose un po’ titubante: < In verità è
che ho tanta paura che un giorno finisca tutto così nel nulla, come il
passare di un vento impetuoso. Ed è per questo che sono restio ad accettare
qualsiasi tipo di compromesso, perché le vecchie scottature mi dolgono
ancora. Capisci Akhilleos quale è la mia paura al momento? So bene che
non è giusto ipotecare il futuro. Sarebbe più giusto prendere il presente e
godere la vita più intensamente. Come avevo già tentato di fare assieme ai
miei amici, ma tutto è finito troppo rapidamente e mi sento ancora male. E
in verità io non ci riesco a capacitarmi una volta per tutte...>
Mentre Akhilleos imperterrito nelle sue idee, ma al contempo fiero
dell’opinione espressa poc’anzi gli rispondeva con decisione: < Sì, capisco
più che bene tutto questo. Ma non per questo tu debba giudicare tutti
quanti alla stessa stregua? Io penso di non essere eguale agli altri, sono
diverso per carattere. Come vedi, io potrei essere quella famosa mosca
bianca, non credi, o ti è difficile pensare? > provò a riproporrere la sua
volontà. Poi alla fine Mauro con semplicità, rispose: < Io non ho più parole
per dirti veramente quanto ti amo e te ne sono grato per la felicità che mi
arrechi in questo momento d’inimmaginabile gioia. > Mauro era più che
mai provato da tanto amore concesso, mentre si stringevano con ardore tra
loro. Poi le loro labbra si unirono dolcemente e l’amore vero straripò oltre
i confini dei loro desideri e pensieri aggrovigliati.
Erano lì in piedi, stretti tra le loro braccia in un’unica cosa, sia nel corpo
che nell’anima, che si guardavano negli occhi con tenerezza. Ormai
avevano capito che quell’amore era pronto per superare qualsiasi barriera.
317
Poi la felicità che traboccava dai loro cuori assetati d’amore e furono
travolti nell’impeto dei desideri e dalla gioia di essersi ritrovati come due
anime gemelle in un’unica cosa.
Akhilleos fremeva ai baci dell’amante, impressi con impeto sulla sua
bocca assetata d’amore; Akhilleos con urgenza lo stava spogliando dei
pochi vestiti rimasti addosso al suo amante. Mauro rimase per un buon
momento ad osservarlo in un silenzio contemplativo, dove il chiarore della
luna che entrava dalla finestra spalancata andava dritta sul letto a
illuminare quell’alcova dei desideri, facendo brillare ogni pelo cosparso di
sudore di quel semidio sceso per lui dall’Olimpo. Mauro si sentiva rapito e
i suoi occhi si erano accesi di desiderio, mentre pensava con gioia, che di
fronte a lui c’era la reincarnazione perfetta del prode Achille, capitano e
guerriero, vissuto nella leggendaria mitologia greca. Altero, dolce,
possente, smagliante e incredibilmente bello. Akhilleos coi i suoi folti e
lunghi capelli neri, cosparsi di sudore, erano così lucenti al riflesso di
quella luna così maliarda. Mentre Mauro tentava di far durare più a lungo
quella sua fantastica storia tra il passato e il presente, per paura che
sopraggiunga troppo in fretta il dardo nemici a colpire ancora una volta
quel punto vulnerabile del prode guerriero, il famoso: “tallone d’Achille”,
e a troncare quella superba vita nel fulgore dei suoi anni migliori. mentre
osservava il viso eccitato di quel Dio cretese. Tutto si consumò nel
migliore dei modi e fors’anche con l’auspicio benevolo degli Dei residenti
da millenni in quel posto. Mai come quella notte Mauro aveva donato con
amore e grande gioia il suo corpo all’amante cretese. Aveva compreso più
che chiaramente quale posizione importante avrebbe occupato il suo amore
nel cuore del compagno.
E alla fine rimasero soltanto i baci e le carezze a placare la loro gioia nel
voler continuare ancora oltre l’impossibile, in quella notte dai mille
desideri incontenibili.
318
Capitolo Quarantaseiesimo
Si svegliarono quel mattino che il sole era già alto e la giornata
prometteva bene per due ch’erano rimasti a letto fino a tardi e avevano
fatto l’amore per quasi tutta la notte.
Mauro si alzò per primo e andò in cucina a preparare del caffè, mentre
Akhilleos l’aveva seguito appena dopo, ed era uscito in cortile a farsi una
tonificante doccia. L’aveva realizzata con un grande bidone sistemato sul
muro di cinta e un lungo tubo di gomma con alla base un rubinetto e
attaccato un rudimentale imbuto per innaffiare le piante. Akhilleos era
felice di possedere una così semplice ma efficace doccia campestre.
Mauro dopo aver tolto la caffettiera dal fuoco, uscì a sua volta e si buttò
deciso sotto la tiepida acqua assieme a Akhilleos che l’invitava a giocare
con spruzzi d’acqua, mentre Mauro brontolava all’amico per quella
irrorazione abbondante di acqua addosso: < No, ti prego, non sulla ferita
per favore! > brontolò ridendo.
< Non importa dovremo rifare la medicazione dopo. D’altronde il
dottore mi aveva consigliato di tenere sempre pulita la tua ferita. >
< Certo, ma non con spruzzi d’acqua... > contestò Mauro.
< Okay! Dai, girati che t’insapono per bene. Mah, dopo lo dovrai fare
a me lo stesso trattamento, altrimenti non ti porterò a visitare le grotte di
Ideo qua vicino. > mentre lo baciava felice.
< Be’, questo non è giusto! Tu mi vuoi ricattare, vero? Dai girati che
ti strofino a dovere. > protestò Mauro entusiasta.
< Ah! Che goduria mai provata prima... > esclamò Akhilleos giulivo.
Purtroppo il bidone si vuotò in fretta e i giochi d’acqua terminarono
malvolentieri, avrebbero dovuto aspettare parecchie ore, perché il bidone
si riempisse di nuovo. La ingegnosa e lunga tubatura di due chilometri,
fatta da Akhilleos alla sorgente tra le fenditure del monte Ida, aveva risolto
il problema dell’acqua potabile per la casa, oltreché l'acqua in esubero che
fuoriusciva dal bidone andava a innaffiare l'orto.
Così, dopo essersi asciugati alla meglio, si sedettero sui gradino di casa
a dialogare, mentre si gustarono quel caffè ormai diventato tiepido. A un
certo punto Mauro gli prospettò una sua impressione: < Sai una cosa
Akhilleos, era da diversi giorni, che non mi sentivo così bene. Sono felice
di averti incontrato. > espletò la sua opinione con sincera onestà,
319
continuando a dire: < Essere liberi di ogni avversione anche dalle mie
pressanti apprensioni e mai come ora non me le sento addosso. Mi sento
veramente libero. Poi questo incantato posto un po’ preistorico e
romantico, dove la pace e la tranquillità è presente e ti fa sentire ai confini
del mondo. E l’essenziale per vivere felici assieme alla tua preponderante e
inconfutabile presenza. Mi aiuta a superare tutte le avversità e te ne sono
infinitamente grato, amore mio! > mentre appoggiava il capo contro la
spalla dell’amico ch’era in raccolto ascolto del suo discorso, e in fine
Akhilleos dopo aver deposto a terra la tazzina, risponde con una certa
serietà: < Ti ringrazio per la tua stima e affetto che provi per me e sono
talmente contento in questo momento, che di più non potrei esserlo. In
verità per quello che ricordo io, non sono mai stato tanto soddisfatto della
mia vita passata. Insomma, nella posizione sociale e morale oltre che
sentimentale, l’accettavo e basta, capisci? Invece ora è tutt’altra cosa. Mai
come in questo momento mi sento appagato. Incomincio a capire qual è la
differenza. Sono veramente felice qui al tuo fianco. Ma non confondere
tutto questo con il sesso, quello è una componente secondaria a completare
l’amore che percepiamo dentro di noi l’uno per l’altro. Spero di essermi
spiegato! Forse non troppo chiaro, in qualche modo. > espresse Akhilleos a
cuore aperto.
< Certo, certo! Come ti capisco e ho compreso perfettamente la tua
opinione. > rispose Mauro pienamente soddisfatto di quel cauto e provato
ragionamento dell’altro.
Mentre Akhilleos stava pensando che in quei giorni accanto a
quell’uomo lui aveva acquisito un sacco di nozioni nuove, cose che non
avrebbe mai supposto prima d’allora e dove apprezzava ogni giorno di più
quella sua compagnia. Oltretutto Mauro non gli ha mai fatto pesare la sua
scarsa cultura; mentre gli sfuggiva un gioioso sorriso da incuriosire Mauro,
che lo stavo osservando in quella sua espressione un po’ maliarda, da
indurlo a chiedergli: < Perché sorridi di nascosto? > mentre con la mano
gli sollevava i lunghi capelli neri. < E’ forse un tuo segreto? Ho posso
entrare e saperlo anch’io? >
< Se ti dicessi che sorridevo pensando al nostro rapporto turbolente
di questa notte, tu ci crederesti? > mentre si stava legando con un elastico i
lunghi capelli neri dietro la nuca e al contempo rimirava incuriosito
l’espressione aggrottata del compagno. Che restò un buon momento a
pensarci sopra, poi con decisione sbottò: < No, è senz’altro qualcos’altro
che stavi rimuginando sornionamente in testa. Stavi pensando che assieme
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formiamo una bella coppia da galera, esatto? >
< Be’, quasi, insomma siamo veramente una bella accoppiata. Ma
dimmi un po’ sei almeno riuscito a ricordare qualcos’altro del tuo passato?
O è tutto ancora nel dimenticatoio? > chiese incuriosito.
Mauro restò un momento a fissarlo dritto negli occhi pensieroso e infine
rispose: < Ma, veramente a questo punto preferisco non ricordare più nulla
del mio passato. Invece vorrei in futuro ricordarmi nettamente ogni minuto
e secondi di quest'incantevole momento trascorso accanto a te. Ecco cosa
vorrei ricordare costantemente questo nostro amore così pulito e onesto. >
espose Mauro con sincerità sgorgata dal suo cuore.
< Senz’altro, hai ragione! Cosa importa del passato, è il presente e il
futuro che conta adesso. Il nostro futuro. >
< Già, l’ho sempre pensato che quando si ama veramente ha tutto
un’altro sapore la vita. > commentò Mauro serio.
Poi la loro tranquillità fu interrotta dallo squillo del telefono e subito
Akhilleos brontolando, espresse la sua convinzione, dicendo: < Vuoi
scommettere, sarà senz'altro Elena che mi cerca? > avviandosi in casa per
rispondere. Mauro lo stava rimirando con interesse mentre Akhilleos
entrava in casa e gli scappò un sorriso nel vedere quei glutei nudi e sodi
che sculettavano in quel passo deciso del giovane. Poi Mauro decise di
starsene lì ancora un po’ a crogiolarsi al sole già alto in cielo, senza
pensare a qualcosa o qualcuno che avrebbe potuto guastare le feste in quel
momento. Poi, Akhilleos tornò appena dopo dicendo: < Indovina un po’,
chi era al telefono? >
< Be’, allora? Suppongo che è Elena, che si scusava di tutto questo
tempo ch’è passato, senza sentirti? > provò a dire.
< Sbagliato! No, era Spiros, che mi chiedeva se tutto va bene. Io l’ho
sempre tenuto informato di ogni cosa… Ma, c’è una novità? > mentre
guardava Mauro e quello lo sollecitava con la mano a parlare. < La novità
è che Spiros mi ha fatto una proposta da parte di quel suo amico il capitano
dello “Zeus”, il signor Alexanders Stavoskopulis. Mi ha chiesto se vorrei
sostituire il suo nostromo che si è ritirato a riposo per aiutare i suoi figli
che gestiscono un albergo sull’isola di Andros. Capisci è una occasione
d’oro. Almeno si potrà viaggiare e vedere molti paesi con quell’anziano
capitano, un po’ strambo. Ma stracarico di miliardi e che ha voglia di
viaggiare ancora per il mondo. Capisci è una vera fortuna Mauro, poi se
vedessi la nave è una meraviglia! > espresse il tutto Akhilleos spruzzando
321
gioia da ogni poro della sua pelle, nel parlare di quel veliero ormeggiato
nel porto di Nicòlaos.
Mauro deglutì la saliva velocemente e tentò con ogni mezzo a non
mostrare la sua delusione a quella palese situazione accorsa. Capendo che
purtroppo non poteva impedire a quel meraviglioso uomo di scegliere la
sua strada. Sapendo più che bene che l’amore per il mare scorreva nel
sangue di Akhilleos ed era giusto che seguisse il suo istinto. Alla fine
espresse le sue congratulazioni alla nuova proposta che aveva avuto quel
caro compagno. < Sono veramente contento per te, finalmente incomincia
a cambiare in meglio la tua vita. Se ti hanno proposto un posto di comando
vuol dire che sanno che sei più che all’altezza del compito. Io sono molto
orgoglioso di te. Auguri Akhilleos! > mentre gli porgeva la mano e l’altro
tutto emozionato l’afferrò stringendola con forza, mentre i suoi occhi
sprigionavano felicità da ogni parte, attirandolo a sé e baciandolo felice.
< Grazie amore mio! Tu mi stai portando fortuna. Per gli Dei
dell’Olimpo! > mentre gioiva dalla voglia di urlare. < Wauh! >
Quella telefonata l’aveva veramente sconvolto, ma di gioia. Akhilleos
non stava più nella pelle. Quella sensazione era più che visibile e Mauro da
un lato era veramente felice per quell’uomo, ma dall’altro sapeva che tra
poco quell’illusione di un amore perdurante sarebbe finito presto. E tutto
questo non doveva farlo pesare sulle spalle dell’altro, non si meritava di
farlo sentire in colpa. Ormai il dado era tratto e perciò bisognava prendere
la questione con una buona dose di saggezza. Infine Mauro con fare
scherzoso, tentò un amichevole approccio: < Bene, ora che stai per
diventare nostromo di un tre alberi, pagherai almeno una bevuta alla tua
nomina, vero? > sbottò con una leggera pacca sulla spalla.
< Ma certamente amico, ci sbronzeremo per festeggiare. Ma prima
dovrò andare giù al porta a Nikòlaos per discutere con il capitano sulla mia
assunzione e compenso. S’intende. Poi questo lavoro sarebbe anche
un’occasione per andarmene via da questa isola e se un giorno tornassi con
qualche soldo in più. Potrò sempre dire che l’armatore del tre alberi mi ha
beneficiato di una cospicua rendita. Tu che ne pensi? >
< Che se la racconterai a questo modo, senz’altro tutti penseranno
che ti sei venduto il culo, per farti una rendita considerevole. Poco ma
sicuro, amico? > gli confidò Mauro sornionamente.
< Ho, Dio! Pensi veramente, che tutti penserebbero subito che ho
lavorato bene col culo... Ah, no! Per amore sì! Ma non per soldi... >
< Ai commenti ci penserai più avanti, ora sarà meglio che vai a
322
parlare con il comandante Akhilleos. Così ti togli subito quel pensiero e
saprai già adesso quale sarà il tuo operato a bordo. Tu non stai più nella
pelle dalla contentezza... Dai, muoviti e fammi sapere poi com’è
andata,d’accordo? > lo spronò con decisione Mauro, capendo ch’era un
po’ titubante e senz’altro pensava a come lasciare l’amico solo? “Ma
quella era un’altra cosa da sistemare più avanti”. Mugugno tra sé Mauro:
“Ora Akhilleos dovrà decidere da solo e alla svelta”, pensò ancora Mauro
per l’altro, mentre s’infilava addosso un paio di calzoncini corti e
consegnava un paio di bermuda all’amico fin troppo in agitazione. Al
tempo stesso Akhilleos tentava di riuscire a pensare ai suoi doveri mentre
spiegava al compagno in contemplazione: < Comunque prima che vada via
dovremo rifare la medicazione alla tua ferita e così potrò spiegare al
dottore come procede la guarigione, d’accordo? > e si avvicinò deciso a
Mauro prendendolo per mano nel condurlo dentro casa. Mentre Mauro gli
consigliava: < Sai amico, dovresti rasarti e metterti una camicia pulita, sarà
di buon effetto al comandante... Sono tutte lavate e stirate. >
< Tu, l’hai fatto? Hai stirato le mie camice!> espletò sorpreso,
pensando a come, l’altro si stava prendendo cura di lui. Mai nessuno
l’aveva fatto prima? < Grazie amore! Va bene... obbedisco! > rispose
Akhilleos euforico e confuso. Poi iniziò a togliere il grosso cerotto sulla
ferita, senza riuscire ad aprire la bocca. Era troppo emozionato Akhilleos.
Alla fine sistemò la nuova fasciatura, mentre Mauro incominciò ad
accarezzarlo sui fianchi e infilò le mani tra le bermuda del compagno in
agitazione. A quel punto Akhilleos socchiuse gli occhi e si trovò già tutto
tremante dall’eccitazione. Mauro con le sue mani sui glutei dell’amico
bloccava la sua presa, ormai troppo agitata. In fine, dopo lunghi sforzi di
costrizione Akhilleos sbottò più che mai deciso a fermarlo: < Ti prego
Mauro, smettila! Se no, qui si ricomincia da capo. Lo sai più che bene che
mi fanno impazzire le tue mani e i tuoi baci sul mio corpo. Stanno
diventando per me, un’insaziabile droga senza sosta. >
E Mauro sornionamente rispondeva a fior di labbra: < Perché, pensi che
ci faccia male a esagerare? Per me fa’ l’effetto contrario, è un tonificante.
Credimi amore! > mentre dentro di sé sapeva che stava giocando con il
fuoco, ma non riusciva a starne lontano, dicendosi tra sé e sé: “ Approfitta
di questi momenti di felicità e non andare a cercare l’impossibile. Lascia
che il mondo vada come vuole, goditi questi attimi e non chiedere
nient’altro al tuo prossimo”. Poi, quel punto tutto cambiò di colpo
radicalmente tra loro. Fu un amore consumato senza fretta, in perfetta
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armonia con il carattere stesso di quell’isola millenaria. Si svestirono a
vicenda lentamente di quel poco che avevano addosso, assaporando la
vista di ogni centimetro di pelle che si denudava con lentezza e man mano
si scambiavano baci e carezze all’infinito. Riscoprendo i propri segreti e le
proprie patologie come se fosse la prima volta. Mentre i baci si
moltiplicavano in dismisura sulla loro epidermide tremante dal piacere che
il compagno sapeva dare con amore. Si trovarono distesi nudi sul piccolo
letto a rimirarsi con desiderio e passione. E mai prima d’allora avevano
provato una così grande consapevolezza e senso chiaro sul concetto amore
a due. Nella purezza del loro amore che si andava consumando con infinita
lentezza, a dimostrare il piacere di assaporare ogni centimetro dei loro
caldi corpi assetati d’amore. Tutto si stava svolgendo nel più sacro
silenzio, quasi fosse un rito magico che lì racchiudeva in un involucro
surreale, pieno di un immenso piacere.
Poi la calma lì avvolse nel trovarsi rilassati e felici. Ma ahimè il dovere
prevalse e Akhilleos sorrise al compagno borbottando: < Mi spiace ma
devo proprio andare. Vorrà dire che riprenderemo più tardi questo bel
dialogo appena concluso in parte, d’accordo amore? >
< Certo, certo! Rimango qui ad aspettarti, senza fiatare amore mio. >
< Dai non esagerare, prendi pure fiato! Anzi, ricaricati per dopo? >
propose Akhilleos, mentre gli dava una leggera pacca sul sedere del
compagno e saltava giù dal letto per prepararsi e andare ad ascoltare
quell’allettante proposta di lavoro.
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Capitolo Quarantasettesimo
La giornata era splendida e Mauro pensò di fare due passi attorno alla
casa, nell’approfittarne un poco per svagarsi e sgranchire un po’ le gambe.
Inoltre, non gli avrebbe fatto certamente male muoversi un poco e
tralasciare per un momento al pensare e meditare sulle sue patologie storte.
D'altronde, non avendo mai visto passare nessuno da quelle parti, Mauro si
sentiva abbastanza tranquillo da sgusciare fuori qualche ora, in attesa che
ritorni a casa Akhilleos con delle buone notizie. Poi, con la prossima
partenza di Akhilleos per quel nuovo lavoro come nostromo, sarebbero
cambiate molte cose in avvenire. Certamente anche per lui ci sarà un
radicale cambiamento e dovrà al più presto trovarsi un altro posto per
rifugiarsi in quell’isola, prima di poter partire per chissà dove. Pensò tra
sé, Mauro annichilito e preoccupato. Avrebbe potuto affittare quella stessa
casa, ma come fare per avere e reperire le prime cose necessarie, senza
destare dei sospetti? Purtroppo Mauro capiva che al momento non potrà
lasciare così facilmente l’isola? Senz’altro sarà sotto l’assiduo controllo da
parte della mafia. Dislocata ormai in ogni parte dell’isola per stanarli fuori.
Controllando ogni buco e imbarco: in ogni aeroporto e stazioni marittime,
oltre che nei piccoli centri con navi da diporto. Quello era il guaio pensò
Mauro, mentre stava rimuginando il tutto. Provò a supporre e sperare che
Akhilleos lo sistemi da qualche altra parte, con tanta gente che conosce in
quell’isola. E magari, più avanti, potrà sgusciare via da quell’isola e
approdare in un’altra parte, un buco nascosto in qualche parte del mondo.
Quello era il suo pensiero fisso, mentre continuava ad arzigogolarsi le
meningi, senza voler pensare all’altro problema che gli stava più a cuore.
La perdita di quel giovane amante, era al momento la questione più grave
per Mauro. Ma purtroppo, era evidente la loro prossima separazione e
quell’idea lo rattristava molto, per non dire tanto. Perciò a quel punto
aveva un altro rospo da ingoiare, senza doverlo dimostrare apertamente
all’amico, quello era l’essenziale e doveroso. Mentre mugugnava tra sé
Mauro, non ci fece caso che si era allontanato dalla casa e quando si fermò
e guardò alle spalle, notò che la casa di Akhilleos era soltanto una
minuscola casa bianca, in mezzo al verde della campagna. Situata tra
grossi agglomerati di fico d’india e acacie sparpagliate tra le rocce carsiche
alle pendici del monte Ida. Era tutto così lussureggiante di verde e giallo il
325
paesaggio, da farlo fermare a guardarsi intorno e a godersi un momento di
quello spettacolo esposto dalla natura, su quell’estrema isola mediterranea.
Mauro si stupì da solo, pensando che in tutti quei giorni di permanenza su
quell’isola, non si era mai permesso il lusso di gustarne almeno un poco di
quella bellezza. Si era altrettanto meravigliato per quella sua scarpinata su
quel sentiero ghiaioso, che gradualmente saliva verso la base del monte
Ida. D’altronde Mauro, era stato troppi giorni a letto con la febbre alta per
la ferita riportata, e per fortuna, la sua guarigione al momento sembrava
procedere abbastanza alacremente. Anche il braccio incominciava a
muoverlo discretamente bene e a quel punto aveva solo bisogno di
un’assidua ginnastica, per riabilitare sia l’arto che il corpo intorpidito e
affiochito dalla malattia. Così un po’ di moto gli avrebbe fatto soltanto
bene, si consigliò da solo a mo’ di scusante. Pertanto a quel punto del
percorsi oltretutto sentendosi bene, Mauro riprese ad arrampicarsi ancora
un poco su quello stretto sentiero fatto soltanto per capre e muli. Man
mano che saliva il panorama diveniva sempre più bello e affascinante, fra
quelle scarse macchie di verde e rocce carsiche; da risultare stupendo quel
miscuglio di colori che la natura gli proponeva. Mauro restò ad osservare
incuriosito quella montagna tanto discussa dalla mitologia greca, come
residenza degli Dei dell’Olimpo. La trovava un po’ brulla e spoglia sulla
sua sommità celeste, pensando che quei poveri Dei non avevano un po’ di
verde per stare all’ombra. Amenoché, stando sempre ritirati nelle grotte a
meditare sulle cattiverie umane, già fin dai tempi antichi. Forse per quello,
venivano sempre raffigurati un po' tutti evanescenti e sbiancati, rintanati
nell’ombra delle grotte a impallidire. A quell’idea un po’ stramba, Mauro
gli scappò da ridere, pensando al fatto che gli venivano così sovente e
bene, inventare nuove variegate idee su qualsivoglia. Immaginandosi di
trovarsi di persona a quei tempo antichi, descritti dalla mitologia greca e
magari lui, sarebbe riuscito a parare quel dardo mortale, che aveva colpito
quel prode Achille? Poi Mauro, tralasciò quelle fantasie e riprese la salita,
visto che non sentiva ancora la stanchezza addosso. Salì fino a raggiungere
un piccolo pianoro da dove poteva vedere una buona parte di quell’isola e
a intravedere il mare in lontananza. Si era messo seduto su di un masso e
restò un bel po’ a respirare a pieni polmoni quell’aria fine. Anche per
calmare quella sgroppata nella salita e per crogiolarsi di quel posto con
bella vista sulle sue valli sottostanti. Dove il ripido pendio dei canaloni che
scendevano dal monte Ida, si diradavano verso la scoscesa piana che
intravedeva lontana, tra vasti pendii adibiti a uliveti e ortaggi. Ove l’opera
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dell’uomo aveva in parte modificato e sfruttato fin dai tempi antichi, quel
terreno abbastanza aspro e roccioso dell’isola di Creta.
Mauro non s’accorse che il tempo era volato via così rapidamente e
quando si era ravveduto capì ch’era un po’ tardi e pertanto doveva
ritornare all’ovile, altrimenti avrebbe ricevuto una severa strigliata dal suo
padrone di casa, per quella scappatella senza la sua approvazione. E
perciò, pian piano, si mise in cammino verso casa. Ma a un certo punto,
mentre si guardava in giro e cercava di vedere in lontananza la casa di
Akhilleos, sperduta tra le rocce e il verde selvatico un po’ rupestre, vi fu
qualcosa che attirò la sua attenzione. Stava seguendo con gli occhi la
striscia rossiccia della strada campestre che proveniva dal piccolo villaggio
di Anoyia, situato sulla montagna opposta e rifletteva il bianco candore
delle casa al sole che si avviava al tramonto. E proprio in quel momento,
Mauro notò un discreto polverone, che si alzava dalla strada in terra
battuta. Usciva dal piccolo paese e proseguiva verso le grotte di Ideo, un
luogo turistico. Akhilleos gli aveva promesso di portarlo un giorno a
vedere quei cunicoli. Mauro si stava distraendo a connettere certe
situazioni futuribili e non certo ammezzate al momento di una inspiegabile
premonizione. Poi, a un certo punto, si ricordò che su quella strada vi era
anche la piccola deviazione che conduceva e finiva dopo tre chilometri
dritta alla casa di Akhilleos. E Mauro in quel medesimo momento captò un
inspiegabile segnale di pericolo, quasi avesse un’intuizione di qualcosa di
sgradevole, che non riusciva a far quadrare nella sua mente. In
quell’improvvisa tensione che si era formata dentro di sé, Mauro si
327
concentrò su quel puntino in lontananza, seguendo e precedendo quel
polverone sollevato da due vetture che procedevano a forte andatura.
Mauro cercò di guardare oltre agli anfratti e boschetti di acacia e arrivò
con l’occhio sino alla casa di Akhilleos e proprio in quel momento scoprì e
scorse Akhilleos che scendeva dal suo scassato camioncino ed entrava in
casa. Subito Mauro, ritornò a guardare le due auto molto più in dietro e
proprio in quel momento li vide mentre stavano svoltando sulla mulattiera,
che conduceva alla casa di Akhilleos. A quella brusca svolta delle due auto,
insospettì paurosamente Mauro, causandogli un forte malessere. Mauro
ebbe un colpo al cuore. Sentì nascere dentro di sé una tale apprensione e
sgomento, a presagire qualcosa di veramente grave? Il panico lo stava
assalendo a tal punto, di non sapere più cosa fare, a quel punto. E di colpo
gli fu tutto più che chiaro, anzi più nero che mai. Avrebbe voluto poter
urlare e avvisare Akhilleos di quella sospettosa visita alle sue spalle, ma
come fare? Si era già buttato giù dal monte a rotta di collo, per giungere
prima degli altri alla casa. Mentre imprecava e pensava maledettamente,
che ancora una volta erano riusciti a scovarlo nel suo nuovo nascondiglio,
da farlo imprecare a voce alta: < Perdio, nooh!! No, non ci voleva
quest'altra battaglia! > purtroppo con la paura dentro al cuore, sia già persa
prima di iniziare. < No! > l’urlo di rabbia si levo sordo tra le rocce che lo
fiancheggiavano e gli coprivano la vista della casa. Mentre la sua corsa a
perdifiato proseguiva senza sosta, a un certo punto veniva colpito al fianco
da una fitta pungente, da fagli mancare il respiro. Ma egualmente Mauro
non mollava l’andatura. Il percorsi era tortuoso e lungo, inciampando
parecchie volte tra i sassi e i rovi che gli sferzavano il viso, mentre mille
imprecazioni uscivano dalla sua bocca secca. Pensando al tempo stesso, di
aver fatto male ad allontanarsi troppo e a quel punto, come poteva avvisare
Akhilleos di quel pericolo, che stava incombendo sul suo capo? Sapendo
più che bene in quella sua veritiera supposizione, non aveva nulla di buono
quell’apparizione così improvvisa? Era più che sicuro ch’era una minaccia
incombente, che stava per abbattersi su quell’ignaro compagno. < No!! >
Poi nell’avvallamento più piano tra gli arbusti e le rocce non poté vedere
più niente, gli coprivano completamente la vista della casa e pertanto lui
correva alla ceca, non sapendo cos’avrebbe trovato al suo arrivo a casa?
L’unica speranza era di giungere prima di tutti, ma sapeva già per certo,
che non era possibile quella sua supposizione, la sua locazione era ancora
troppa distante. Comunque Mauro sperava egualmente di riuscire a
cambiare la situazione delle cose. E quando giunse in prossimità della casa
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rallentò un momento, sentiva che gli stava per scoppiare il cuore, oltretutto
gli mancava il respiro e aveva il fiatone grosso. Sembrare una vecchia
locomotiva asmatica, dal rumore che faceva con la bocca spalancata, per
l’eccessivo sforzo subito in quella sfrenata corsa. Mentre si stringeva con
la mano il fianco per il forte dolore che aveva. Soprattutto arrabbiato,
perché capiva di essere giunto in ritardo, avendo intravisto una vettura
fermarsi dietro l’angolo della casa. Mauro si fermò un momento dietro un
grosso fico d’india e si appoggiò ad un masso, si sentiva scoppiare, ma di
più per la rabbia. Restò un attimo a scrutare la situazione vicino
all’abitazione, mentre tirava il fiato e si mordeva la lingua da solo.
Smadonnando a più non posso, inveendo parolacce sconce e digrignando i
denti incavolato a morte: “Porca puttana! Questa proprio non ci voleva!
Perdio che scalogna!” E proprio in quel momento, vide giungere l’altra
vettura e si fermò dietro quell’altra appena fermata. Scesero tre persone
che sparirono dietro l’angolo della casa, sapendo per certo che sarebbero
entrati decisamente in casa e avrebbero sorpreso Akhilleos. Senz’altro,
non si immaginerà di trovarsi preso in una trappola senza via di scampo.
Mauro, in quella sua premura stava zigzagando da un albero e un masso,
mentre procedeva alacremente verso la casa. Pensando a cosa stessero
chiedendo a Akhilleos, senza pensare alle cose sgradevoli che potevano
fare al giovane compagno? Ma al solo pensiero che gli avessero fatto del
male, il sangue gli ribolliva in testa, da farlo incavolare terribilmente tanto.
< Puttana! Cosa faccio adesso? > esplose adirato.
Poi, senza essere visto e con il cuore in gola, Mauro era giunto
silenziosamente accanto alla casa, intanto cercava di calmare il suo
sbuffare ad evitare di farsi sentire. Poi incominciò ad aggirarla, finché
giunse all’altro angolo della casa a pochi metri dell’entrata. Sbirciò con
circospezione oltre il muro d’angolo e trovò ciò che pensava. C’era uno
dei gorilla dallo stampo mafioso ben marcato, ch’era rimasto fuori di
guardia alla porta d’entrata e stava fumando una sigaretta tranquillamente
all'ombra della casa.
Mauro cercò di escogitare rapidamente qualcosa per distrarre la guardia
di custodia all’ingresso e silenziosamente raccolse un grosso sasso e lo
scaglio in alto, con un ampio cerchio oltre la guardia. Il sasso cadde con un
discreto rumore accanto all’angolo opposto della casa, da insospettire il
grosso bisonte sulla porta. L’uomo si girò e buttò la cicca a terra. Stava
per andare a controllare la provenienza del rumore, ma riuscì a fare
soltanto pochi passi. Mauro fu così agile e veloce come una Lince di
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montagna, d’aggredirlo alle spalle silenziosamente con una grossa pietra.
Mauro lo colpì fortemente al capo e quello stramazzò a terra come un
sacco di patate, senza un minimo lamento. Mauro lo frugò rapidamente,
sperando che non sia un poliziotto greco, e trovò il suo passaporto. Non si
era sbagliato era italiano e guarda caso di Palermo, a quel punto Mauro
capì di aver fatto centro. Poi tralasciò il tutto e s’impossessò dell’arma che
il killer aveva a tracolla sotto la giacca, era una pistola Berretta italiana.
Guardò per un attimo l’uomo a terra e poi, via di corsa verso l’altra parte
della casa, ricordandosi che aveva lasciato aperto la finestra della camera
da letto scavalcando il piccolo muretto di cinta.
Mentre era a ridosso della finestra aperta, sentì distintamente un forte
parlottare provenire dalla cucina e a quel punto tentò di sbirciare dentro
alla stanza. Ma subito si dovette riabbassare per l’entrata nella stanza di
uno dei componenti della banda, e si mise a guardare se vi era qualcuno
nascosto, alla fine dopo aver controllato anche sotto il letto, si era
avvicinato alla finestra per ispezionare anche fuori. Ma la voce baritonale
di qualcuno nell’interno, l’aveva richiamato dall’altro lato.
Mauro a quel punto non rinunciò al suo piano e s’infilò deciso dentro la
finestra e si appiatti contro il muro. Sapendo che non sarebbe stata più
controllata quella stanza e pertanto si sentiva al momento sicuro. Mentre
cercava di origliare e sbirciare oltre la porta lasciata socchiusa e a capire
cosa succedeva nell’altra stanza, in cucina. Purtroppo Mauro, non riusciva
a vedere nulla, aveva troppo poco spazio. Comunque, captò il parlottare
sgraziato dei presenti con rituali imprecazioni scurrili a non finire. C’erano
voci che parlavano in italiano e altre in greco, che facevano delle domande
ben precise a qualcuno. Senz’altro quel qualcuno era Akhilleos, sebbene
Mauro non aveva ancora sentito la sua voce che rispondeva a quei insulti
precisi, mentre un’altra voce in italiano diceva: < Be’, allora, ti vuoi decide
a dirci dove si sono nascosti quei tre fetosi italiani? Non ti conviene fare lo
stronzo con noi. Avrai già capito che noi, non stiamo qui a perdere tempo e
a scherzare? > E il tutto veniva tradotto in greco. Poi con sollievo Mauro
sentì distintamente la voce di Akhilleos che rispondeva con risolutezza ai
presenti: < Io non so un bel niente! E non so di chi state parlando e
cercando... > ma non poté continuare a parlare, perché a quel punto Mauro
senti un rumore sordo, come un pugno arrivato ha segno. Il coperto dal
trambusto e parlottare che c’era dall’altro lato in cucina, in quelle voci
sovrapposte e confuse. Per Mauro in quell'attesa era una tremenda pena, in
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quell'intervallo a studiare come poteva intervenire? Fremeva e scalpitava
come un puledro pronto alla partenza. Avrebbe voluto entrare di botto e
dire a quei mafiosi: “Ecco sono qua! Prendetemi e lasciate stare
quell’uomo. Lui non centra nulla, sono io quello che cercate. Figli di
puttana!”. Ma si trattenne per il momento a evitare che la sua irruente
entrata potesse provocare del male all’amico preso in ostaggio. Mentre
ascoltava le invettive d’impazienza dei contendenti che insistevano a voler
far parlare Akhilleos ad ogni costo, chiedendogli ancora: < Senti bello!
Falla finita di fare il furbo e sputa fuori tutto? Altrimenti sai cosa ti può
capitare se non parli? Lui ha detto che la tua ragazza era con loro. Perciò è
inutile che cerchi di nasconderli? Hai capito? Stronzo! > E si sentì
chiaramente un altro forte pugno cadere sul viso di Akhilleos. Mentre
Mauro si era accucciato a terra, ed era riuscito nel trambusto ad aprire
silenziosamente la porta della camera e vedere quasi per intero dentro la
cucina. Cera sulla sua sinistra un uomo accanto alla porta d’ingresso,
seduto su una sedia e sembrava un distinto signore di mezza età, con un
paio di occhiali scuri e un grosso sigaro puzzolente in bocca. Mauro a
quella vista pensò rapidamente, quasi fosse una sua intuizione veritiera,
quello era veramente quel famoso boss palermitano? “Mister Boston! Che
si è scomodato di persona a venire da Palermo per vedere in viso chi gli
ha fregato il suo cospicuo malloppo. Accidenti si vede che é incazzato di
brutto!” sbottò tra sé Mauro a quell’evidenza dei fatti, mentre girava lo
sguardo agli altri componenti della banda. E scorse un’altro, un tipo alto e
magro con un viso da beccamorto ch’era in piedi con una pistola in mano,
accanto ad un uomo piccolo e calvo, un po’ spaventato per la situazione e a
quella vista Mauro, si ricordò subito chi fosse mai quello; era nient’altro
che l’impiegato dell’ufficio viaggi giù al porto di Iràklion. E di botto
Mauro sbottò tra sé un’ennesima imprecazione: “Che stronzo è mai
quello, e non sa che tra poco non vedrà più la luce del sole, con questi
avvoltoi senz’anima in giro! Puttanaeva!” L’impiegato li aveva anche
visti in discoteca assieme a Elena. E guarda caso aveva proprio inciampato
nel loro tavolo cadendo in ginocchio davanti a loro un po’ brillo.
“Porcaputtana! Che testa di cazzo!” Sbottò nuovamente Mauro incavolato
nero. “E senz’altro ora, per un po’ di soldi non si è fatto pregare a cantare
come un fringuello, ma ancora per poco respirerà. Stronzo!”, pensò
compassionevolmente Mauro. “Ma, che stronzo!” borbottò avanti. Poi si
sforzò e apri lentamente ancora un pochino la porta e a quel punto poté
vedere anche Akhilleos legato per bene mani e piedi, su di una sedia con
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varie contusioni ed ecchimosi sul viso, dai pugni dell’energumeno che lo
sovrastava. Lo stava ancora pestando a sangue per farlo parlare, oltre per il
proprio gusto di farlo.
Mauro era sul punto di balzare dentro, ormai era troppo scosso per
rimanere fermo ad aspettare ancora. Mentre al tempo stesso, pensava
ch’era veramente stufo di fare il killer e uccidere continuamente per
sopravvivere, ma a quel punto nolente o no, doveva andare avanti, senza
ripensamenti. Soltanto per salvare quell’amico che non centrava niente.
Poi qualcosa accadde in quel momento e cambiò per un momento i suoi
piani. L’impiegato che fino a quel momento era rimasto a guardare
abbastanza spaventato, si fece coraggio e s’intromise dicendo al boss
seduto tranquillamente sulla sedia: < Bene, signor Boston, visto che avete
trovato la persona che cercavate io a questo punto posso andare via. Se mi
può pagare quello che avevamo accordato? Avrei del lavoro da sbrigare giù
all’ufficio, mi capisce vero? > lanciando un debole sorriso.
< Ma certamente amico! > rispose quello con quella sua grossa voce
da baritono, mentre s’era tolto il sigaro di bocca. < Carmelo perché non gli
dai il suo avere ‘s tu picciriddu fetuso... >
E quello imperterrito fermo al suo fianco, senza una grinza si girò e
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sparò deciso due colpi al petto dell’impiegato, che sbarrò gli occhi stupito
retrocedendo per la spinta dei colpi ricevuti nel petto e si afflosciò a terra
come uno straccio, senza avere il tempo di emettere un piccolo grido.
Mauro a quel punto ne approfittò di quella minima distrazione dei
presenti ed entrò deciso nella cucina con la pistola puntando e urlò ai
presenti in italiano: < Fermi! Non muovetevi!... > ma non poté finire di
parlare, perché il tizio smilzo si era girato rapidamente e aveva aperto il
fuoco in simultanea a Mauro che l’aveva preceduto di un solo secondo, ed
era bastato per colpirlo in piena petto con due colpi consecutivi, facendolo
retrocedere di un passo dalla spinta delle pallottole che si conficcava nella
carne. Mentre il primo colpo dell’altro si era conficcato nel muro sopra la
testa di Mauro e il secondo colpo ormai senza mira, aveva colpito allo
stomaco il grassone boss sulla sedia. Che a sua volta stava tentato di
estrarre l’arma dalla tasca e avrebbe fatto fuoco su Mauro, ma si stupì
dello sbaglio del suo uomo. Gli cadde l’arma di mano, appoggiandosi al
mobile e il sigaro gli scivolava via dalla bocca, da dove fuoriusciva dei
rivoli rossi di sangue. Mauro gli aveva dato uno sguardo di sfuggita e
aveva rivolto la sua attenzione all’energumeno che aveva aggirato
velocemente Akhilleos, legato sulla sedia e gli stringeva il collo con il
braccio, mentre urlava in greco a Mauro: < Metti giù la pistola, ho gli
stacco la testa di colpo. Hai capito, bastardo poliziotto? > Mentre il boss
con un ultimo sforzo e un filo di voce, incitava l’energumeno a reagire con
decisione: < Am...mazzali ‘s ti fetusi...! > e si afflosciò a terra. Mauro si
trovò all’istante tra l’incudine e il martello, non sapendo bene cosa fare,
ma sapeva che un suo gesto sbagliato voleva dire far ammazzare
Akhilleos. D’altronde, anche se lasciava l’arma, non avrebbe tetto che si
sarebbero salvati, anzi sarebbero stati subito ammazzati tutte due. Perciò a
malincuore cercava un’altra via d’uscita, evitando altro spargimento di
sangue e soprattutto non voleva rischiare la vita dell’amico innocente?
Perciò, alla fine con sottomissione abbassò lentamente l’arma al suo fianco
a dimostrare la resa incondizionata. Mentre Akhilleos sottoposto a quella
stretta mortale urlava a fatica a Mauro: < Non ascoltarlo Mauro! >
Mentre l’energumeno gli stringeva sempre più il collo contro il suo
grosso petto, aspettando che l’altro lasci cadere l’arma a terra. Ma
nell’attimo successivo, Mauro girò velocemente l’arma nel suo polso verso
l’alto e fece fuoco con una tale rapidità inaudita, mentre fissava con
determinazione Akhilleos, che a sua volta sconvolto e terrorizzato chiuse
gli occhi istintivamente in contemporanea allo scatto di Mauro e della
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vampata di fuoco dalla pistola che stringeva saldamente in mano. Il colpo
fu secco, risuonando nella cucina con fragore, mentre il grassone colpito in
piena fronte si afflosciava a terra trascinando con sé anche il povero
Akhilleos legato per bene alla sedia.
In quell’attimo che aveva preceduto lo sparo Akhilleos ebbe in quella
frazione di secondo un dubbio, ma poi capì all’istante che Mauro non gli
avrebbe mai fatto del male e tutto lo stava rimuginando appena dopo
ch’era lì a terra legato alla sedia e non poteva muoversi, avendo sopra di
lui quell’energumeno morto. E nel momento successivo, appena dopo la
caduta Akhilleos aprì gli occhi, giusto in tempo per urlare a Mauro del
pericolo che stava incombendo drasticamente alle sue spalle: < Attento
Mauro! Alle tue spalle! > E in parte fu utile quell’avviso, la sua prontezza
d’animo, permise a Mauro di girarsi di scatto e si scansò quel poco ch’era
riuscito a fare, evitando di prendersi una coltellata nella schiena, mentre a
sua volta faceva rapidamente fuoco, sull’ultimo componente della banda,
che aveva poco prima messo fuori uso con una pietrata in testa. Quello era
rinvenuto ed aveva fatto lo stesso percorso di Mauro entrando a sua volta
dalla finestra e stava tentando di sorprendere Mauro alle spalle e c’era
quasi riuscito, se non fosse stato per l’urlo di Akhilleos. Il killer era
scivolato a terra con un piccolo grido di rabbia che si bloccò sulle sue
labbra con gli occhi sbarrati. Comunque Mauro, non aveva potuto, evitare
di prendersi quella pugnalata nella coscia, e nel trambusto della lotta
Mauro aveva perso l’equilibrio ed era caduto a terra sbattendo seriamente
la spalla ferita e con il coltello a serramanico conficcato nel polpaccio.
Tutto si era svolto così velocemente, e per un buon momento Mauro non
poté muoversi, era più che mai stordito dal dolore in ogni parte del suo
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corpo, mentre malediva e imprecava più per la rabbia che per il dolore
addosso: < Puttana! Non ne posso più! Accidenti! Sono proprio stufo…
Akhilleos, tu come stai? Accidenti a loro, che stronzata! >
Mentre dall’altro lato della stanza Akhilleos lo supplicava a reagire
ancora: < Si sto bene! Dove ti ha beccato quel figlio di puttana? Dai, ti
prego! Aiutami Mauro, a slegarmi se vuoi che ti aiuto. Altrimenti morirai
dissanguato e io qui legato come un salame, non potrò far nulla. Sforzati
Mauro, resisti! Per tutti gli Dei! Coraggio!..Devi farcela Mauro! > imprecò
decisamente Akhilleos, mentre nella sua mente ringraziava la velocità
nello sparare dell’amico, altrimenti a quell’ora erano tutte due belle che
stecchiti. E al contempo continuava a incitarlo ad alzarsi da terra: < Dai,
Mauro, devi farcela! Alzati! Per gli Dei dell’Olimpo!! > capendo che
doveva aizzarlo a spronarsi, per evitare che si lasciasse andare nel torpore
del male presente.
Mauro dopo un buon momento di infiacchimento, scrollò il capo e tentò
di alzarsi, ormai la gamba destra era fuori uso e con il sangue che usciva
abbastanza bene, e il braccio sinistro era diventato inattivo dal forte dolore
e bloccato al momento. E a quel punto capì ch’era un po’ difficile fare
qualcosa in quello stato, poi s’impegnò a reagire e invece di faticare a
voler alzarsi, preferì strisciare sul pavimento aiutandosi con la gamba
buona e il braccio destro sano, cosi avrebbe fatto prima a raggiungere
Akhilleos e slegarlo in qualche modo. Era l’unico sistema per non morire a
quel modo, come un animale braccato e ferito. Finalmente dopo tanti
sforzi Mauro, era riuscito a fatica ad arrivare accanto all’amico e riuscì a
togliere e liberare quei nodi dai polsi dell’amico, che a sua volta si scaricò
d’addosso il grosso pachiderma ormai morto e si slegò le gambe e in fine
si alzò, aiutando poi Mauro ad alzarsi e metterlo seduto su di una sedia.
Ma al tempo stesso scattò un improvviso impulso, così simultaneo e si
abbracciarono con affetto. Mentre Akhilleos borbottava più che
commosso: < Grazie amor mio, ti devo la vita! > Ma non poté continuare,
Mauro aveva posto le labbra sulle sue, suggellando quel patto di grande
affetto e amore. Poi fu ancora Mauro a dover dire in risposta all’amico dal
viso tumefatto e contuso: < Okay! Tuttavia ora ti prego, non ringraziare
nessuno per adesso. Qui abbiamo un sacco di rogne grosse da sistemare se
vogliamo uscirne fuori. Mi capisci Akhilleos? > mentre si guardava quel
lungo coltello a serramanico conficcato tutto nella sua coscia che
tracimava sangue. Nel frattempo Akhillleos cercava di riordinare le idee
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confuse. Prese in dispensa delle bende e disinfettante per fasciargli la
gamba, dopo aver tagliato e fatto una apertura nel gambale e rispondeva
all'amico ferito: < Be’, ora cosa possiamo fare con questo macello qua
dentro? Dobbiamo chiamare la polizia? Già questo è il guaio, chi ci
crederà poi, che non centriamo niente? nessuno. Porcacciaeva, che casino
è venuto fuori! > sbottò tutto agitato.
< Già. puoi dirlo forte amico. Siamo nuovamente in un bel guaio?
Ahi! > urlò Mauro mentre Akhilleos senza tante storie aveva estratto il
coltello dal polpaccio e subito gli versava sopra della tintura di jodio da
farlo urlare ancora di più. Mauro stava sudando tremendamente aggrappato
a Akhilleos, capendo che tra poco gli avrebbe mancato i sensi, perciò disse
all’amico preoccupato: < Ti prego... fai presto e fammi subito quella
puntura... quei antibiotici... e l'altra antidolorifico. Comprendi?...Adesso
non posso e non devo svenire... Mi capisci? Abbiamo molto da fare
ancora... Ahi!! Che male, accidenti! Non ci voleva quest’altra rogna... >
mentre Akhilleos gli tagliava completamente il calzone per avere la gamba
libera da fasciare meglio e gli proponeva a sua volta: < Telefonerò al
dottore Dromos, almeno… > ma la mano di Mauro lo fermò nel dire con
fatica: < No ti prego! Non coinvolgiamo nessun’altra persona... più tardi
decideremo il da farsi, d’accordo? Ora sistema alla meglio la mia gamba e
fasciala ben stretta... Invece vediamo un po’ assieme cosa possiamo fare
per salvarci il culo da tutto questo casino che ho nuovamente combinato...
Accidenti! Merda, merda! Siamo nella merda fino al collo!? >
Poi dopo aver fasciato per bene la gamba dell’amico e avergli fatto la
puntura direttamente nella coscia per prevenzione, Akhilleos versò
dell’acqua per Mauro e per lui un buon bicchiere di grappa, per rianimarsi
un poco da quella tremenda scossa ricevuta, oltre che il vedere quel campo
di battaglia nella sua casa. Mentre cercava di riordinare le proprie idee, ma
non ci riusciva in quel momento e alla fine si era rivolta a Mauro che si
stava un po’ riprendendo. < Mauro cosa dobbiamo fare adesso? > mentre
con la mano indicava tutti quei corpi a terra. Mauro, tentava di riprendere
un po’ di fiato, sapendo che il suo stato era più che mai deplorevole,
mentre aspettava premuroso che la puntura inizi il suo effetto a calmagli
un poco, il grande dolore che aveva per tutto il corpo, alla fine a fatica
rispose: < Sai, sono veramente stanco di fare il killer di professione, penso
che dovrai chiamare la polizia e vedrò di farla finita una buona volta. Ma
non temere, io mi assumerò tutte le colpe e tu dirai che ti ho ricattato e
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costretto a tenermi nascosto qui... Loro sono tutti morti pertanto non
possono parlare e contestare qualcosa al caso... Io sono il cattivo... >
< Aspetta, aspetta un momento! Cosa vorresti fare? Vuoi arrenderti,
proprio ora che stiamo per andarcene via! Tu vorresti mollare tutto? Ma tu
sei pazzo! Io non posso lasciartelo fare... Mi comprendi? > sbottò
Akhilleos incavolato. Mentre Mauro, non aveva ben capito quello che
l’altro gli aveva detto e glielo chiese ancora: < Cosa volevi dire prima con
quella frase: Stiamo per andarcene via? Certo che andiamo via, tu sulla tua
nave in salvo e io in galera per aver rotto le palle al mondo intero e in
questo modo eviterò di coinvolgerti di più. Mi comprendi vero? E tutto
sarà risolto una volta per tutte... Sono stufo, si proprio stufo! > Ma subito
fu fermato da Akhilleos più che mai infuriato, mentre stizzito rispondeva
deciso: < Ma tu, stai scherzando, vero? Altrimenti sarebbe il minimo
prenderti a pedate nel culo per le cretinate che stai dicendo adesso. Ma non
capisci che hai lottato fino a un momento fa’ e ora ti vuoi piegare e
rinunciare alla tua libertà? Se poi, non vuoi venire con me sulla nave,
pazienza. Sei libero di farlo. Ma non buttare via la tua giovane vita a
questo modo. Sì, lo sappiamo più che bene che il mondo è perverso e
malvagio e sei stato coinvolto in qualcosa, ch’era più grande di te. Avrai
anche tu i tuoi difetti, ma con questo non puoi ritornare indietro, ridando la
vita a tutti quei che hai steso per bene. Comunque, non è detto che debba
continuare in questo modo. Bisognerà soltanto rivedere un po’ tutto in
avvenire. Io penso e sono più che convinto, che potremmo in futuro essere
felici assieme. Tu non credi nell’amore? > gli domandò deciso Akhilleos,
mentre lo fissava intensamente e riproponeva: < Io ti amo veramente! Ora
più che mai e vorrei tanto che tu non cambi idea... Vieni via con me?...
Basta che tu mi dica cosa debbo fare e io lo farò senza esitare. Ti prego,
pensaci su un momento prima di decidere della tua libertà? >
Mauro era rimasto colpito da tanto amore e affetto che quel benedetto
uomo gli offriva con il cuore e alla fine rispose un po’ a fatica: < Akhilleos
io ti ringrazio dell’amore che mi serbi, ma non posso farti partecipe dei
miei delitti, prima o dopo dovrò scontarli. E non voglio per nessun motivi
coinvolgerti ancora di più, credimi, io... > ma non poté finire, perché
l’altro l’aveva aggredito quasi urlando, dicendogli con rabbia: < Ma la
vuoi piantare di commiserarti una buona volta! Io ho già parlato con il
capitano della nave e tu verrai a bordo con me. Altrimenti nessuno partirà
da qui. Chiaro? Comunque vada a finire questa storia io resterò con te. E
adesso tu che sai pensare meglio, decidi cosa devo fare di questi corpi, ma
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alla svelta? Ormai sta diventando buio e... portarli lontano da qui è
impossibile, perciò dovremo sistemarli da qualche parte, questo è ovvio.
Allora? > lo spronò Akhilleos con un buon risultato. Mauro si riprese e
incominciò a dire all’amico: < Ok, d’accordo!... Sì, forse hai ragione e il
casino è troppo grande. Senti un po’ Akhilleos, se li carichiamo tutti sulle
loro auto e li portiamo a quelle grotte che dovevamo visitare in santa pace?
Invece dell’escursione si è rivelata ben diversa adesso... Comunque, io
penso che se sistemiamo i corpi in modo che sembrino si siano scannati
tra loro in una discussione di... insomma? Se la vedrà poi la polizia dopo...
Tu cosa ne pensi, di questa idea balorda? > provò ad esporrete.
< Ma penso che possa andare bene. D’altronde se fino ad ora la
polizia non è giunta fino qua, vorrà dire che questi erano riusciti a far
perdere le loro tracce ai vari pedinamenti. In fondo erano più che visibili a
tutti e perciò sarà stato più facile per loro eludere la sorveglianza e
liberamente venire qui per poterci ammazzarci tutti senza tanti problemi.
Senz’altro, erano più che sicuri di non essere seguiti. Mi sono spiegato? >
espresse Akhilleos pensieroso, quasi convinto di ciò che diceva. Tutta
quella storia l’aveva tremendamente sconvolto, ma al tempo stesso era più
che mai testardo a voler portare a termine quella sua idea di convivenza e
unione in nome dell’amore. Soprattutto nell’amore onesto e sincero, scritto
a lettere maiuscole e solo per loro.
< Sì, certo. Ma senz’altro nel paese di Anòyia li avranno visti passare
e avranno pensato che si recavano alle grotte per visitarle? Ma a questa ora
qualcuno si chiederà come mai non sono ancora tornati in dietro? Pertanto
dovremo far trovare le auto parcheggiate laggiù e fare in modo di un
omicidio reciproco. Non sarà troppo credibile, ma bisogna allontanare da
qui le ricerche. Quanto distano da qui le grotte? > chiese Mauro all’amico,
mentre quello stava controllando i vari documenti dei morti con dei guanti
di gomma da cucina, per evitare altre impronte e capire qualcosa in più chi
fossero quelli, mentre rispondeva: < Sono a una decina di chilometri...
Ecco, guarda un po’ qui! > mostrando a Mauro il portafoglio del boss
siciliano. < Guarda, è senz’altro quello che comandava tutta la baracca? >
< Fai vedere, deve essere lui senz’altro? Apri il portafoglio e guarda
all’interno per favore.> gli chiese Mauro, mentre mugugnava per il dolore.
< E qui, cosa ancora! > mentre frugava nelle tasche e tirò fuori un
passaporto. < Ha un passaporto, statunitense.... e si chiamava Buretta
Carmine era nato a Palermo cinquanta anni fa e ha vissuto molti anni in
America, a Chicago dalla data del rilascio. >
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< Okay, siamo tranquilli è proprio lui. Comunque, ci saranno altri
scagnozzi in giro per l'isola, oltre che qualcuno in albergo. Controlla
cos’altro ha dentro al portafoglio prima di rimettere tutto a posto... magari
ci sono documenti che indicano la nostra posizione? Non si sa mai? >
Mentre Akhilleos sfogliava le varie carte di credito e biglietti da visita, poi
trovò una mazzetta di dollari. < No, non c’è nulla di particolare, all’infuori
di questi dollari. Ce li teniamo per i danno arrecati alla casa, giusto! A lui
bastano le carte di credito per la polizia. Va bene ora li porto fuori e li
metto nell’auto. L’altra macchina è quella dell’impiegato dell’agenzia
portuale. Che stronzo è stato! > sbottò Akhilleos, indicandolo a terra
stecchito. < Ecco spiegata la loro presenza qui. Lui sapeva dove abitavo. >
mentre con un po’ di riluttanza si caricava sulle spalle il primo cadavere e
lo portava via. Fuori era quasi buio ormai.
Dopo aver sistemato tutti i cadaveri nelle rispettive auto, con insistenza
Mauro cercò di spiegare la sua partecipazione per evitare altra perdita di
tempo. < Senti Akhilleos, io cercherò di guidare l’auto del boss, mi sembra
che abbia il cambio automatico è mi sarà facile con una gamba sola buona,
così in due faremo prima. Questo è l’essenziale. > espose Mauro.
< Ma come farai con quella ferita nella coscia? Resta qui, io andrò da
solo e tornerò subito in bicicletta e magari dopo se vi saranno delle
difficoltà maggiori potrai venire. Tu hai bisogno di un dottore, potrebbe
insorgere una bella infezione conciato a quel modo... > mentre capiva che
era inutile contrastare, Mauro aveva ormai deciso. < Ti prego Akhilleos, è
per il nostro bene fare in fretta e in un viaggio sistemeremo ogni cosa. Poi
con la bicicletta ti lascerò pedalare e portarmi a casa, d’accordo? > Mentre
l’altro scuoteva la testa ma non provò a contestare ancora. Mauro a quel
punto si mise alla guida dell’automatica con a bordo il boss e i due
scagnozzi e Akhilleos si era messo davanti con la macchina dell’impiegato
con a bordo gli altri due morti e la bicicletta infilata nel portabagagli e via
senza troppo chiasso a luci spente, seguito da Mauro. La luna ormai alta in
cielo, era luminosa quella notte, proprio quello che serviva per illuminare
il percorso.
339
Capitolo Quarantanovesimo
Poi finalmente alle due di notte erano riusciti ad arrivare fino alle grotte
senza intoppi. Trovato il posto più appropriato per la loro diavoleria,
cercarono di sistemare ogni cosa un po’ alla rinfusa come da copione
immaginato da Mauro, così al momento del ritrovamento sarebbero sorti
molti dubbi al caso. Mentre Mauro impartiva gli ordini e Akhilleos
eseguiva a pennello, quasi fosse diventato un gioco di scacchiera. Fece
sistemare la vettura dell’impiegato un una certa posizione e di traverso
quella del boss, poi sistemarono il boss riverso sul sedile posteriore
dell’auto e una guardie del corpo all’esterno con la propria pistola Beretta
ancora in mano e l’altro accanto all’auto dell’impiegato a terra dopo aver
sparato con la Smith & Wesson a quello al volante. Insomma,
all’impiegato e a quell’altro che parlava greco che aveva fatto sudare sette
camice a Akhilleos per l’eccessivo peso, era senz’altro un mafioso locale e
l’aveva messo accanto all’auto dell’impiegato, con in mano la pistola
Walther p 88 del boss a dimostrare di aver difeso qualcuno e sé stesso.
Akhilleos borbottava continuamente incitandolo a muoversi: < Be’, allora
gli hai trovato la posizione per farli morire in santa pace? Dai muoviti,
prima che giunga qualcuno e allora siamo belle che fritti tutte due! >
< Okay, ancora un momento? > mentre Mauro sudava copiosamente
per il dolore e faticava tremendamente a muoversi, dovendo trascinarsi
dietro la gamba ferita, sapendo che non poteva mollare proprio in quel
momento, altrimenti sarebbe andato a finire tutto a puttane il loro piano.
Alla fine Mauro pregò Akhilleos di sparare dei colpi: < Senti, prendi
quell’arma e spara a quell’altro... > ma non servì che proseguisse il suo
ragionamento, Akhilleos ansimando, rispondeva energicamente all’amico:
< Senti un po’. Io ti ho fatto tutto quello che mi hai detto, d’accordo... Ma
ora non chiedermi di sparare a quei morti. Chiaro? Non posso, anche
volendo farlo... Non ci riuscirei…>
< Non ci sono problemi, sono io il killer... Ok! Purtroppo devo farlo
per complicare un po’ le ricerche. Non penserai che la polizia greca sia
così tonta da non capire ch’è tutta una farsa, questo casino? > mentre si
avviava a fatica, sistemando meglio i guanti da cucina e si avvicinò al
primo morto. Prese la sua mano ormai rigida e sparò vari colpi in direzione
dell’altra auto. Poi passò dall’altra parte e con l’arma dello smilzo, sparò
340
contro l’auto e l’impiegato e infine ritorno verso l’auto del boss e sparo
altri colpi all’interno dell’auto addosso al povero boss, morto due volte.
Poi rimise la pistola al suo posto e prese l’arma dell’altro e sparò un po’
dappertutto nei vetri delle due macchine e in fine guardando quel campo di
battaglia gli sembrava quasi veritiera tutta quella ridicola messinscena.
Infine, aiutato da Akhilleos s’incamminarono per la strada. Mauro
stentava tremendamente con una gamba sola a camminare, ormai quella
ferita glie l’aveva resa inservibile, oltre per il male e lo sfinimento che
avanzava. Il sangue aveva inzuppato la grossa fasciatura, ma sapeva che
doveva resistere almeno ancora un poco. Sorretto da Akhilleos ancora
sconvolto da quella nuova prova del loro sadismo, bisbigliava: < Mi pare
che abbiamo creato un gran casino e nient’altro. Speriamo che la polizia
non vada tanto per il sottile, altrimenti chissà cos’altro salterà fuori. Bene,
ora possiamo andare via finché siamo soli e la fortuna è ancora dalla nostra
parte. Che duri ancora in un paio d’ore, altrimenti... >
< Certo, ma più di così non si poteva confondere le tracce, credimi! >
< Io non ci capisco più nulla adesso. Però devo dire che abbiamo avuto
un bel culo finora. Non s’è visto nessuno da queste parti, speriamo bene? >
mentre piano, piano s’incamminavano tra l’erba e i grossi sassi, evitando
di lasciare delle loro tracce visibili. D'altronde, di giorno c’era sempre un
buon viavai di gente e pertanto di impronte c’erano in abbondanza. Più
avanti Akhilleos, raccolse la bicicletta che aveva scaricato prima dall’auto.
Quella bici vecchiotta la teneva nel ripostiglio di casa, vi caricò sulla
canna Mauro e si mise a pedalare sulla sconnessa strada sterrata.
341
Per fortuna il percorso era buona parte in discesa. Dopo un bel po’ di
chilometri a pedalare, decisero di fermarsi a riprendere fiato. Mauro era
stremato e incominciava a non reggersi più e si era un po’ afflosciato sulle
braccia del compagno. Akhilleos a quel punto gli consigliò di aspettarlo lì,
che sarebbe tornato a prenderlo con il suo camioncino. < Dai Mauro, sei
sfinito. Resta qui nascosto, mentre io farò una bella pedalata fino a casa e
tornerò a prenderti con il mio camioncino. Okay! > mentre lo sistemava
contro un albero, Mauro era talmente stremato che faticava ad aprire la
bocca per parlare, muovendo solamente il capo per approvare quella
proposta suggerita.
Quando Akhilleos tornò a riprenderlo erano ormai le quattro e trenta del
mattino e il cielo si stava rischiarando, Mauro era svenuto ai piedi
dell’albero. Akhilleos era molto preoccupato per la vita del suo compagno.
Con decisione lo sollevò delicatamente e lo depose nel cassone del
camioncino. Lo avvolse con vecchie coperte, per tenerlo un poco al caldo e
coperto dall’umidità della notte e poi, via di volata verso casa.
L’alba era ormai spuntata e Akhilleos era stremato per quel superlavoro
che stava terminando di fare. Aveva quasi sistemato e lavato tutto in casa,
rimettendo ogni cosa al suo posto per far sparire ogni traccia delittuosa.
Ma al momento l’unica preoccupazione per Akhilleos era la salute di
Mauro. Nelle ultime ore aveva fatto un tracollo strepitoso e allarmante. Al
momento l’aveva messo a letto dopo avergli fatto un’altra puntura, ma ad
un certo punto era svenuto di nuovo e lui avrebbe voluto potarlo subito dal
dottore Dromos. Ma prima doveva riordinare per bene ogni cosa ad evitare
che per caso, mentre erano sulla nave, qualcuno entri lì dentro casa a
curiosare e trovi qualche indizio o qualcosa di sospetto. Oltretutto erano a
pochi chilometri da dove avevano sistemato il loro misfatto e poi la strada
era unica che passava dal paese e conduceva alle grotte e a metà strada
c’era il bivio per casa sua. Pertanto usando la tattica di Mauro, Akhilleos si
era fatto una certa cultura a non lasciare eventuali tracce rintracciabili.
Akhilleos aveva già telefonato a Spiros per avvisarlo di trovarsi al porto
che gli avrebbe spiegato poi al riguardo della sua partenza e Spiros aveva
afferrato subito il muto problema.
342
Capitolo Quarantanovesimo
Finalmente dopo gli ultimi ritocchi con occhi critici, Akhilleos decise
che potevano partire e si recò in camera a prendere Mauro, che si era
ripreso un momento da quello sfinimento, ma non lo lasciò tentare nel
muoversi da solo, se lo prese in braccio avvolto dalla coperta e lo portò
fuori. Lo depositò ancora nel cassone del camioncino essendo il posto più
sicuro e comodo. Disteso su quel materiale d’imballo e coperto dalle
coperte ad evitare che nel attraversare i vari centri abitati avrebbe destato
sospetti con quella faccia cadaverica che si trovava Mauro. Oltretutto
Akhilleos l’avevano sempre visto da solo sul suo scassato camioncino e
sarebbe passato più che mai inosservato anche quel normale mattino. Poi
mentre sistemava il ferito e lo confortava dicendogli: < Qui sarai più al
sicuro e visto che incontro sempre un sacco di gente che conosco, perciò,
solo mi è più facile far pensare alla mia solita giornata di lavoro e cercherò
di coprire i miei lividi con i capelli. D’accordo? Stai tranquillo faremo
presto. > e lo coprì in modo da essere nascosto ma da poter respirare. Poi
mise in moto e fece un doppio giro nel suo piazzale per cancellare
eventuali tracce dei pneumatici della altre vetture. Aveva legato dietro al
suo camioncino un grosso ramo spezzato di quercia che scopava la strada
fino alla fine della sua strada sterrata. Poi al bivio e dopo aver imboccato
l’altra strada, s’era fermato e aveva slegato il grosso ramo, buttandolo in
una scarpata laterale abbastanza profonda; da evitare che al momento del
ritrovamento dei corpi nel massacro, la polizia non avrebbe notato quelle
strane impronte di pneumatici che giravano nella sua strada. Infine riprese
il cammino tranquillamente alla stessa ora di sempre e nel passare dal
paese di Anoyia, lo fece in modo sereno, con Mauro nascosto sotto le
coperte nel cassone assieme ad altre cianfrusaglie; mentre lui salutava i
compaesani che si recavano a loro volta al lavoro. E per evitare malintesi,
dovuti poi alla sua lunga assenza che avrebbe coinciso e guarda caso con
quel massacro lì vicino, incominciò a urlare agli amici che incontrava: <
Uhei! Vi saluto! Vado per un po’ di tempo a navigare, hanno bisogno di un
marinaio e pagano bene! Perciò, ci vedremo a settembre, is ighian! salute!
> sapendo più che bene che tra poche ore tutto il paese sapeva che il
solitario Kirkis s’imbarcava su qualche nave. Mentre c’era già qualcuno
che gli gridava dietro: < Sei il solito culo rotto, ma fortunato Kirkis! Buon
viaggio! A presto amico! >
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Erano le sei e un quarto quando Akhilleos fermò il suo camioncino
all’attracco della goletta “Zeus” . Il signor Spiros e il capitano della nave,
il signor Stavoskopulis, erano sul molo ad attenderli. Spiros era un po’
preoccupato da quella strana telefonata ricevuta nel cuore della notte e ora
lì, aspettavano ansiosi di sapere qualcosa di preciso direttamente da loro. Il
comandante era un ometto sulla sessantina, arzillo e vispo con due
occhietti grigi che scrutavano quei due che si avvicinavano in condizioni
pietose. Uno era zoppicante con una grossa fasciatura sulla gamba senza
gambale ai calzoni, sorretto dall’altro che aveva il viso un po’ scorticato e
duro dalle avversità accorse in quella notte e tutto non prometteva nulla di
buono. Mentre il capitano pensava dentro di sé, che si stava inguaiando in
un grosso impiccio a voler aiutare quel rude marinaio di Kirkis. Ma a quel
punto era meglio saper di preciso cos’era capitato a quei due per valutare
nuovamente la sua offerta a consegnare in mano la sua nave a un uomo che
ne fosse veramente all’altezza.
Spiros vedendoli arrivare in quel mal modo e intuendo la situazione
capitatagli, era corso loro incontro per aiutare Akhilleos a trasportare
Mauro ormai sfinito. Si erano fermati accanto al capitano dall’evidente
compostezza del suo viso a dimostrare di essere preparato a eventuali
sorprese. Akhilleos con il fiatone grosso per la sfaticata tardò un attimo a
parlare, poi si schiarì la gola ed espose deciso al capitano, che attendeva
impassibile una spiegazione plausibile alla questione in atto. < Mi scusi
comandante, ma dato le circostanze avverse e da me già accennate ieri,
purtroppo ora è successo l’inevitabile. E ieri sera s’è aggravata ancora di
più la questione, con la presenza della mafia a casa nostra e il mio amico è
rimasto ferito abbastanza seriamente in un conflitto a fuoco. Ma ora è tutto
sotto controllo senza la minima ripercussione sulla sua persona signor
Stavoskopulis. Soltanto se rimaniamo qui dovremo spiegare alla polizia
queste sue ferite. Comunque se lei è ancora d’accordo a prenderci a bordo
io gliene sarò grato. Altrimenti vedrò diversamente come potrò aiutare il
mio amici a guarire e a nascondersi altrove. Perciò, se lei non intende
rischiare di assumerci. Mi dispiace ma dovrò rinunciare anch’io alla sua
allettante proposta. Ma mi creda, non posso lasciarlo solo e con il pericolo
che l’ammazzino per davvero... > aveva parlato tutto d’un fiato, mentre il
capitano era rimasto fermo senza battere ciglio, poi alla fine rispose con
voce pacata e ferma che non ammetteva altre discussioni o ripensamenti in
merito: < Giovanotto, lei mi sta mettendo alle strette. Ma da quello che mi
ha spiegato già ieri, io non intendo sapere altro. Lei mi ha dato la sua
344
parola d’onore che mi servirà fedelmente e pertanto le credo a ciò che ha
appena detto. Bene allora saliamo a bordo e facciamo vedere questo
marinaio dal dottore di bordo. Su non perdiamo tempo, la marea è buona
per salpare oggi. > mentre si rivolgeva a Spiros e allungava la mano
dicendo con affetto: < Amico, tu m’hai dato una gatta da pelare, spero
solamente che ne valga la pena. Farò di lui un buon ufficiale ne ha la
stoffa. Grazie di tutto amico anche per la bellissima statua di Achille che
ho riposto nella mia cabina. Tu sei sempre stato un gran volpone! Dai sali
a bordo a bere un goccio prima che partiamo. > mentre si metteva a ridere
assieme al Spiros e infilavano la passerella per salire sulla nave.
Akhilleos era già salito a bordo, portando Mauro nell’infermeria di
bordo, poi appena l’ebbe consegnato e spiegato al dottore Dromos cos’era
successo e cosa gli aveva già somministrato, era uscito per salutare e
parlare un momento con Spiros. A sua volta si era recato nell’ampia cabina
del comandante, arredata nella sobrietà di un tempo ormai passato da
vecchio lupo di mare e quando Akhilleos bussò ed entrò dentro con un
certo contegno da subalterno, restò stupito di vedere in un angolo ben
fissata al pavimento la famosa statua di Achille e si trovo ad arrossire
tremendamente e fu subito interrogato dal capitano che si mise a parlare
per rompere quella situazione imbarazzante per il suo nostromo,
dicendogli sornionamente serio: < Come vede giovanotto, così avrò
qualcuno a cui potrò contestare ogni cosa, senza che possa ribattere e
contraddire la mia opinione. Non trova Nostromo, ch’è una idea geniale
questo dono da parte del signor Spiros? > mentre quest’ultimo se la rideva
sotto la sua lunga barba bianca e Akhilleos più che mai imbarazzato e
rosso in viso come un pomodoro, per non dire confuso da non sapere cosa
rispondere al momento. Poi si fece coraggio e finalmente rispose
mettendosi sull’attenti: < Ha perfettamente ragione Signore. Comandante,
mi permette una osservazione? > Mentre quello acconsentiva con il capo.
< Io approvo il bel gesto del signor Spiros, ma verità, in avvenire mi
sentirò, come un verme esposto a quel modo, > mentre indicava la statua
di marmo bianco ben levigata e lucida. Riprendendo a dire: < Alla mercede
del personale di bordo, ogni qualvolta entreranno qua dentro. Lei mi
comprende vero, Comandante? >
< Perché ragazzo mio? > gli chiedeva il capitano maliziosamente
sorridendo. < Ti vergogni per l’anatomia di quel prode guerriero, forse non
è identica al cento per cento? Quando una cosa è bella non c’è nulla di
male a mostrarla per essere ammirata e io la trovo stupenda come opera
345
prima di Spiros. Forse un giorno la donerò al museo di New York che il
mondo intero possa ammirarla per la sua purezza e creatività dall’artista,
che ha saputo dare al marmo anche un’anima e tu ne devi andare fiero per
essere stato prescelto come modello, giusto? Comunque ne parleremo più
tardi. Ora se non ti spiace darci dei ragguagli al vostro caso, a quanto pare
la faccenda scotta, almeno anche il signor Spiros saprà come comportarsi
all’occorrenza. D’accordo signor Kirkis? >
< Certo Signore! Ha perfettamente ragione. Comunque, finora la
situazione è sotto controllo, io ho cercato di sistemare ogni cosa da
allontanare da noi ogni sospetto. Ma se posso dilungarmi un poco, sarà
meglio che spieghi tutto dal principio, così potranno capire meglio la
situazione del mio compagno e ora anche la mia... >
Mentre il comandante gli faceva segno di sedersi: < S’accomodi Kirkis
e racconti pure tranquillamente tutto, saremo ben felici di potervi aiutare
entrambi in qualche modo. >
E alla fine Akhilleos dopo aver raccontato per filo e per segno tutta
quell’odissea del suo compagno, il giovane nostromo concluse dicendo ai
presenti: < Come vedano, io spero di aver agito per il bene di quell’amico
che mi preoccupa. E se permette signor Comandante vorrei aggiungere
senza vergogna una cosa che mi sta a cuore e che non vorrei fosse
fraintesa. Pertanto, preferisco essere esplicito ed esporla io in prima
persona. Noi siamo amanti. E se ha lei non le sta bene questa nostra
unione, noi toglieremo il disturbo con i più sentiti ringraziamenti. Mi scusi
per la franchezza, ma non vorrei che in seguito saltassero fuori delle
divergenze al caso, ed è mia abitudine essere franco con chi mi attribuisce
la fiducia e un comando. Mi scusi ancora la mia franchezza, Signore!
Qualunque cosa lei decida in merito, io le sarò sempre molto riconoscente,
ringraziandola in anticipo. > esplicitò Akhilleos serio.
Dopo un piccolo momento di riflessione e concentrazione il comandante
senza un minimo cipiglio gli rispose con franchezza: < Vedo che lei signor
Kirkis va per le spicce e ammiro la sua lealtà e sincerità al caso.
Comunque le devo far presente ch’era una cosa che la supponevamo già,
dato la sua insistenza di ieri a prendere a bordo il giovane. > mentre
guardava l’amico Spiros sorridente. < Ma devo dire, che ha me
personalmente non interessa la vita privata di ogni membro di questo
equipaggio, al di fuori dei propri servigi. Si intente. Esigo solamente che
ognuno faccia il proprio dovere e abbia rispetto della vita altrui. E se lo
346
assunta è per la buona esposizione che mi ha fatto qui il signor Spiros. Che
ha di lei, la massima fiducia e la lealtà da parte sua. Pertanto ci siamo
spiegati per bene ogni cosa! Ora signor Kirkis prenda il comando della
nave ufficialmente; tanto per non perdere le vecchie abitudini. Appena
dopo che saremo radunati assieme con tutto il personale di bordo nel
quadrato e faremo le presentazioni di rito ufficiale, d’accordo? >
< Certo Signore! Mi concede un momento per dire due parole al
signor Spiros? > chiese con deferenza.
< Certamente, vi lasco soli, vado a controllare la preparazione per la
manovra di partenza. > mentre si allontanava chiudendosi alle spalle la
porta della cabina.
< Spiros, mi dispiace di tutto questo casino che ti ho creato e scusami
ancora se mi sono rivelato un omosessuale in queste circostanze, ma è
stata una cosa così inaspettata e naturale. Io non l’avrei mai supposto. Per
il passato vedevo soltanto le passere, invece ecco che di colpo mi sono
innamorato perdutamente di quel giovane. Credimi, non ho vergogna a
dirlo, ma la mia vita è cambiata con lui. Cambiata però in meglio. Sono
felice sebbene ci siano state molte e inaspettate controversie. Spero
solamente che Mauro, anzi ora Maurices possa guarire in fretta e che sia
finita una buona volta la sua odissea. Mi comprendi amico? >
< Certo che ti capisco amico mio e ammiro in te la tua tenacia e
l’amore che hai acquisito da quel giovane sfortunato, ma che ora so che
sarete felice assieme e ne sono contento anche io. Auguri ragazzi! >
< Grazie Spiros! Grazie di tutto! Ti lascio la mia auto e ecco le chiavi
di casa controlla che sia tutto a posto e fanne quello che vuoi, puoi
affittarla a quei tuoi parenti libici che cercavano alloggio, vero? > mentre
l’accompagnava all’auto e si prendeva la sacca con il danaro dentro e
dando una mazzetta di dollari a Spiros, che al principio tentò di rifiutare,
ma poi accettò, dicendo: < Be’, li prendo per sistemare un poco la tua casa
e renderla più presentabile per quei parenti arabi, che sono dei nobili al
loro paese e pertanto, tu mi capisci, vero? Grazie Akhilleos! Guarda che
aspetto vostre notizie. > mentre saliva sull’auto e gli gridava dietro
sporgendosi dal finestrino: < Ah, dimenticavo? Auguri e figli maschi! > e
se la rideva di gusto. < Ti voglio bene mio prode guerriero. Ciao! >
< Ciao amico mio! Ti inviterò a nozze, d’accordo! > e scoppiarono a
ridere assieme. E mentre Spiors si allontanava dalla banchina un vecchio
pescatore che si era avvicinato a Akhilleos, gli chiedeva curioso: < Come,
ti sposi Akhilleos? Finalmente eh! Ma bravo lupachiotto solitario. Sono
347
contento. Ma e la sposa, dove la tieni nascosta? >
< Caro Amos, la mia sposa è bionda e svedese, e stiamo partendo per
andarla a prendere. Ci vedremo al ritorno a settembre. Antio! Addio! > e
montava deciso sulla passerella della nave.
348
Capitolo Cinquantesimo
Erano le nove e trenta del 4 luglio 99, quando la goletta salpò l’ancora
dal porto di Ayios Nikòlaos, sotto il comando del nuovo nostromo che
aveva impartito gli ordini al timoniere di mantenere la rotta per l’isola di
Santorino. Poi dopo essersi consultato con il comandante Akhilleos era
tornato in infermeria a vedere Mauro come stava sotto le cure del dottor
Dromos assistito dal suo fidato aiutante.
< Come sta’ dottore? > gli chiese preoccupato.
< Be’, per ora va tutto bene, gli ho messo un paio di punto alla
coscia. pertanto ora è soltanto sfinito e avrebbe avuto bisogno di una
trasfusione di sangue ne ha perso molto e dalla prima ferita non si era del
tutto ripreso. Soltanto che qui a bordo non c’è nessuno con quel gruppo di
sangue 0 RH positivo, lo si dovrebbe richiedere... > ma subito fermato da
Akhilleos che gli confermava: < Io, mi sembra di avere quel gruppo se
vuole provare dottore, sarei disposto a cederne tranquillamente quanto
serva. > mentre il dottore si prendeva un laccio emostatico e una siringa, e
Akhilleos si avvolgeva su la manica della camicia. Dromos fece il prelievo
dicendo al Giovane nostromo: < Appena avrò rilevato la compatibilità ti
avviserò, d’accordo? Comunque dovremo poi disinfettare quelle tue
ecchimosi sul viso. Anzi, Ahmed pensaci tu a rimettere un poco in ordine il
viso del nostro nuovo capo. >
< Certo... okay! Ha ragione dottore... Va bene, facciamo una cosa
veloce a sistemare le mie contusioni. Devo mettermi in ordine un poco, per
incontrare l’equipaggio e prendere le consegne ufficialmente. Altrimenti
che figura faccio… sembro un cane bastonato. >
< Appunto! Almeno la prima volta, un buon aspetto darà una buona
impressione a tutto l’equipaggio. Ti pare amico? >
< Sì, ha ragione dottore, ok! Comunque, grazie ancora dottore, per
tutto il disturbo che rechiamo io e il mio compagno. >
< Senti, per gli amici io sono Nikos, e lui Ahmed. Piacere Akhilleos e
ben venuto a bordo! > mentre si stringevano la mano con stima e
simpatia.< Piacere e grazie ancora Nikos! Anche a te, grazie Ahmed! >
< Felicissimo di aiutarla Capo! > rispose sorridendo l’aiutante arabo.
Poi, Akhilleos dopo quella sistemazione veloce, lasciava l’infermeria
recandosi nella propria cabina assegnata per rimettersi un poco in ordine,
349
dovendosi presentare come nuovo ufficiale a tutto il personale di bordo.
Mauro era stato sistemato nella cabina condivisa dal nostromo Kirkis.
Al mattino del terzo giorno di navigazione, fu svegliato da un’imprecisata
voce un po’ preoccupata. In quel dormiveglia dove si era adagiato il
giovane ferito, cullato dal rollio della nave in movimento. Mauro faticò ha
distinguere quella voce insistente, che dava una certa celerità alla cosa. Da
impensierire alquanto Mauro, in cosa consisteva quel trambusto, essendo
ancora sotto l’effetto dei farmaci che lo stavano stabilizzando abbastanza
bene. Oltretutto pensava, che aveva poi beneficiato molto della trasfusione
di sangue donato dall’amato Akhilleos. Nel ripensare a quel gesto d’amore
l’aveva tremendamente inorgoglito tanto.
< Monsieur Ross, si svegli! Presto? > insisté la voce.
Mauro aprì gli occhi a stento, non capendo bene cosa stava succedendo
e con chi stavano parlavano. Poi, si ricordò che Ross era lui e infine
aprendo gli occhi vide accanto a sé l’aiutante del dottore, lo studente in
medicina; era nientemeno che il giovane Ahmed Thibnn che lo sovrastava
in piedi accanto alla sua brandina, sollecitandolo a svegliarsi: < Il capitano
mi manda e dire che dovete star qui in silenzio e far finta di dormire. Mi ha
capito monsieur Ross? > espose serio il giovane.
A quel punto Mauro che effettivamente non aveva capito un’acca,
domandò più che mai confuso: < Ma scusami amico! Cosa stavo facendo
finora. Prima che tu mi svegliavi? Giusto! >
< Sì, Maurices. Hai ragione, dormivi. Ma dato che si sta’ avvicinando
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una nave della Guardia Costiera e hanno chiesto via radio di fermarci.
Perciò il comandante teme che venendo a bordo per controllare tutto, oltre
al personale di bordo. Capisci? Pertanto il marinaio Maurices Ross deve
rimanere nella sua cabina. Fingendo di dormire per evitare che si
interroghi e si scopra che è ferito e il tutto non è segnato sul libro di bordo,
come dovrebbe succedere. Hai capito adesso? >
< Certo, Ahmed, è così che ti chiami, vero? >
< Sì, monsieaur Ross. Mi chiamo Ahmed. Sono nato in Giordania e
sono qui per imparare a navigare, oltre la medicina e... >
Mauro alzò la mano e lo fermò dicendogli: < Ti prego, mi sono appena
svegliato. Lasciami riprendere fiato e poi discorreremo meglio. Poi innanzi
tutto, dimmi un po’, tu? Un marinaio che ha appena finito il suo turno di
guardia non può essere svegliato con un: “Signore”, ma è più giusto darci
del tu, tra colleghi di lavoro, non ti pare Ahmed? >
< Per me va benissimo. Non vorrei che il comandante non approvi
queste amicizie con un avvocato come sei tu Ross. Questo è ciò che
sappiamo di te qui a bordo. >
< Macché, tutte storie! Be’, se proprio vuoi essere più tranquillo, lo
potremo fare quando saremo soli. E in pubblici faremo le persone serie. Ti
va l’idea amico? >
< Certo, certo! Ma ora è meglio che tu obbedisca. Come ha ordinato
il comandante. Dice che è per il tuo bene. Ouì Maurices! Ma ora, se
permetti? Io penso e immagino, che se qualcuno viene a bordo e sul diario
c’è scritto che hai appena terminato il suo turno notturno di lavoro, non ci
sono problemi, ma se ti vedono conciato a questo modo, cosa possono
pensare? Perciò bisogna inventare qualcosa per distrarre l’eventuale
controllo se ci fosse. Mi sono spiegato amico? >
< Be’, cosa hai pensato di poter escogitare, Ahmed? > gli chiese a
quel punto Mauro incuriosito.
< Ma è semplicissimo lasca fare ad un povero beduino e vedrai se
non ho ragione. > mentre apriva dei cassetti dall’armadio a parete e
prendeva una maglietta blu di Akhilleos, con stampigliato sulla schiena
della maglietta il nome della nave “Zeus”, e mostrandola a Mauro nel
spiegare: < Dai cerca di alzarti un poco e io ti toglierò da dosso quella
giacca da pigiama e indosserai invece questa maglietta del personale di
bordo, vedi, eguale alla mia… Ecco fatto. Ora si che assomigli ad un vero
marinaio e non si nota la leggera fasciatura alla tua spalla. >
< Be’, sì! Fin qui va tutto bene. Ma per la gamba ferita come farò per
351
nasconderla? Certo starò sotto le coperte, ma se mi svegliano e vogliono
interrogarmi, dovrò scendere da qui e vedranno subito che zoppico? >
espose Mauro un po’ preoccupato a non dare altri fastidi a bordo, oltre a
quello che stava già recando con quella sua immobilità provocata dalla
ferita alla gamba.
Mentre Ahmed furbescamente diceva all’amico: < Be’, come avvocato ti
facevo più furbo. Ascoltami. Tu non farai semplicemente nulla. Anzi,
adesso alza il culo un poco e io ti toglierò le mutande... Stai buono e
ascolta un amico... Acciderba che bell’affare amico! > provò a dire
Ahmed, sorridendo riferendosi all'attributo di Mauro uscito allo scoperto
nel rimanere senza mutande. Mentre l’altro nella finta indifferenza alle
parole del giovane, tentava di protestare ma, senza riuscire a cambiare
l’idea del giordano che esponeva la sua tesi: < Quando saliranno a bordo e
visiteranno tutta la nave e se per caso vogliono vedere proprio tutto? Allora
tu, farai finta di dormire e quando qualcuno verrà qua dentro a vedere, tu ti
farai trovare che dormi beatamente. Capito? >
< Ma capito cosa, che devo dormire? > sbottò Mauro.
< Insomma! Tu fai finta di dormire, però con una parte del tuo bel
culetto rimarrà fuori dal lenzuolo, che ti coprirà soltanto la gamba ferita e
l’altra sarà esposta alla vista del controllo assieme al tuo culetto un po’
provocante. E vedrai che a quel punto nessuno ti sveglierà. Stai tranquillo,
quest’idea è a prova di bomba. Basta saper mettere il dessert sul piatto
giusto e al momento giusto, se piace lo si prende e si assaggia, altrimenti lo
si lascia in parte. Al massimo lo si guarda con interesse e basta, mi sono
spiegato Maurices? > espose con un formidabile sorriso di soddisfazione.
< Sì, certamente. Fin troppo chiaro. Si vede e non si vede e
certamente non sveglieranno uno ch’è stanco e riposa e per puro caso con
352
il culo all’aria nella propria cabina. Giusto? Sei un genio Ahmed! Staremo
a vedere se funzionerà. Comunque speriamo che non vengano qui? >
< Vedrai, fidati di me! Poi effettivamente ora che ti guardo bene hai
veramente un bel culo marinaio. > sbottò ridendo.
< Ma guarda che è permesso solo sbirciare, non pensare che... >
< Non ti preoccupare, ognuno ha il suo da guardare e... be’, lasciamo
perdere. Ora c’è altro da fare. > si premurò di dire il giovane Ahmed.
< No ti prego, prosegui. Vai avanti e non lasciare le cose a metà. >
< Senti Mourices, che rimanga il tutto tra noi. > mentre l’altro
approvava con un gesto del capo. < Forse mi posso sbagliare e se sbaglio ti
chiedo scusa fin da adesso. Ma mi è parso che il Nostromo Kirkis è troppo
preso nei tuoi riguardi. O effettivamente è innamorato di te? Dal modo che
si prende cura e ti guarda in modo un po' particolare... sbaglio? >
< Se ti dicessi di sì, tu ci credi? > provò a dire Mauro serio.
< Allora, siete amanti? Anche tu lo ami, vero? >
< Sì, Ahmed! Siamo amanti. Ma ti prego e dammi la tua parola che
non divulgherai questo nostro amore. Io, gli ho già procurato un sacco di
guai e per amore lui a già sfidato tutti. Avrebbe perso anche questo posto,
se io non l’avessi seguito. Solo che ferito in questo modo sono solo
d’impaccio e mi dispiace procurare tutto questo casino a tutti voi. Tu mi
comprendi amico, vero? >
< Come no! Sono veramente felice per voi. Poi non devi preoccuparti,
perché anche io mi sono innamorato del dottore Dromos e sono ricambiato
con amore. Ma certamente il tutto è racchiuso nella nostra cabina e nulla è
trapelato fuori fino adesso. Perciò come vedi siamo un paio di coppie da
sposare se fosse possibile. Ma ahimè, a questo mondo non è ancora
permesso mostrarsi in pubblico mano nella mano, noi siamo dalla parte
sbagliata per taluni. Be’, purtroppo adesso devo andare. Ah, come sono
contento per voi. Ti saluto amico! >
< Ciao, a presto! Ma non in infermeria s’intende. > rispose Mauro.
E fu veramente utile quella sceneggiata, perché all’arrivo della Guardia
Costiera, la marina militare greca aveva chiesti il permesso di salire a
bordo, che fu accordato dal comandante. Appena salito a bordo l’ufficiale
presentò le sue credenziali al comandante, spiegando la ragione di quella
visita predisposta dalla Capitaneria di Porto del dipartimento delle isole
Cicladi, a verificare tutte le navi che incrociavano al largo dell’isola di
Santorino.
353
< Ci dispiace importunarla comandante. Ma ci è stato imposto di
controllare ogni nave che incrociamo. Dato gli intensi traffici di
contrabbandieri e pertanto dovremo perquisire anche la sua nave come da
prassi. Spero che lei lo permetta. Signore? > espresse seriamente l’ufficiale
al comando.
< Non ci sono problemi qui a bordo tenente. Nostromo, vuole
accompagnare la Nostra marina a verificare di persona ogni cosa... >
< Si, Signore! > rispose prontamente Akhilleos all’ordine di
accompagnare l’ufficiale a controllare una parte della nave, mentre altri
due marinai della capitaneria greca, venivano accompagnati da un
marinaio dello “Zeus” per controllare le stive e la sala motori di riserva.
E quando Akhilleos aprì ignaro la propria cabina, nominando il marinaio
che corrispondeva l’assegnazione di quella cabina condivisa con il
nostromo, si trovarono entrambi in difficoltà nell’entrare.
Fu una sorpresa per entrambi nel trovarsi davanti un bel sedere nudo,
esposto con grazia e magari con un po’ di malizia, da lasciare l’ufficiale un
po’ perplesso e sconcertato alla presenza di quel culetto abbronzato.
Nonché dall’atteggiamento del proprietario ch’era così rilassato a dormire
ma abbastanza provocante. A quel punto Akhilleos s’intromise subito
scusandosi con l’ufficiale greco: < Scusi tenente, ma il marinaio Ross a da
poco smontato il suo servizio di guardia, come a potuto notare sul libro di
bordo e pertanto lui... comprende, è sempre un po’ libertino nel dormire.
Vuole che lo svegli? > mentre tentava di avvicinarsi, ma subito la mano
dell’ufficiale lo fermava dicendo sottovoce: < No, la prego nostromo lo
lasci pure che dorma, ne ha diritto. Beata la gioventù! > mormorò piano,
mentre con più interesse il tenente lo scrutava in ogni parte, traendo dei
piccoli sospiri confusi e dimenticando per un momento la sua missione.
Quel sedere l’aveva per un momento turbato. E a quel punto Mauro
russando leggermente si era girato dalla loro parte tenendo sempre
attorcigliato il lenzuolo attorno alla gamba ferita, ma portando a mostrare
qualcos’altro. Akhilleos a quel punto gli scappò quasi da ridere per la
sfacciata sorpresa. Mentre l’ufficiale si sentiva imbarazzato e confuso nei
suoi movimenti di controllo, aprendo armadietti e cassetti cosi senza
vederci nulla, talmente era preso a sbirciare quella preda a riposo. Mentre
Mauro tentava a sua volta di sbirciare attraverso le palpebre socchiuse e
vedere l’agitazione più che comprensibile del giovane ufficiale greco e lo
doveva ammettere che era veramente affascinante nella sua divisa bianca.
Mentre la voce soffusa dell’ufficiale con dovuta cortesia chiedeva al
354
nostromo: < Posso? Non le spiace se apro... > aprendo e chiudendo in
contemporanea e ogni suo movimento vi era un’assoluta confusione. Poi
l’ufficiale si fece più coraggio e si avvicinò alla brandina di Mauro e si
allungò sopra per poter controllare meglio sul ripiano a lato del letto e per
un attimo si soffermò più del dovuto, a inalare e rimirare quel corpo supino
che russava impercettibilmente e che mostrava il suo attributo non troppo a
riposo, messo così ben in vista da confondere più che mai le idee. Mentre
Akhilleos fingeva di non vedere guardando fuori dalla cabina; oltretutto gli
veniva proprio da ridere e al tempo stesso poter lasciare l’ufficiale che si
sazi per un momento la vista. Ormai era plausibile quella sua recondita
voglia. Poi alla fine l’ufficiale si spostò e raccolse furtivamente lo slippino
del giovane finito in un angolo del letto, per controllare cosa fosse mai,
mentre lo guardava velocemente nell’indifferenza, per rimetterlo poi al
suo posto con un gesto smarrito. Poi vistosi eccitato si girò e commentò la
sua visita al nostromo fermo sulla porta: < Bene, nostromo possiamo
andare qui è tutto a posto. > mentre l’ufficiale si avviava all’uscita,
Akhilleos era entrato e con destrezza raccoglieva lo slippino di Mauro,
mettendolo velocemente nella tasca dei calzoni, poi uscì a sua volta
richiudendo la porta, per poi seguire l’ufficiale che l’attendeva. Mentre
dentro di sé Akhilleos sorrideva, pensando che tutti più o meno avevano le
proprie turbative di aspirazioni nascoste.
Poi dopo altre perlustrazioni dall’esito negativo, si recarono dal capitano
nella sua cabina a bere un sorso di Uzo offerto dal comandante, che
commentava la sua fiducia nella marina militare. Al termine del dialogo
amichevole e aver salutato il capitano Stavoskopulis, l’ufficiale greco
seguì il nostromo e prima di salire in coperta Akhilleos si affiancò
all’ufficiale dicendogli sottovoce: < Tenente, un piccolo souvenir da parte
dell’equipaggio dello “Zeus”. > e gli mostro nel pugno stretto della mano
lo slippino bianco e velocemente prima che l’altro potesse dire qualcosa,
glielo metteva deciso nella tasca dei calzoni attillat dell’ufficiale. Mentre
l’ufficiale greco arrossiva confuso e dopo quel primo impatto di
smarrimento, rispondeva al sorriso di Akhilleos, dicendo a sua volta con
serietà: < Grazie nostromo. Sarà più che gradito il suo gesto. La invidio
veramente tanto. A scelto bene la sua calda preda per le notti umide.
Complimenti e arrivederci! > mentre gli porgeva la mano in una stretta
forte e decisa da entrambi a dimostrare una sincera simpatia reciproca.
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Capitolo Cinquantunesimo
Quando più tardi Akhilleos ritornò nella propria cabina, trovò Mauro
addormentato e restò un bel po’ ad osservare l’amico che dormiva fra
quelle coltri bianche attorcigliate dove quel provocante sedere era rimasto
ancora in esposizione.
Mentre il nostromo pensava se veramente era giunto il momento tanto
atteso per riposare serenamente in santa pace. Perché, quel benedetto uomo
ch’era lì e dormiva, aveva già fin troppo sofferto le ingiustizie del mondo e
pertanto era proprio ora che fosse lasciato in pace. Non avrebbe più in
avvenire dovuto fuggire e uccidere per sopravvivere. D’ora in avanti
avrebbe vegliato lui sulla sua vita. Poi Akhilleos aprì la porta e se ne stava
andando via, quando l’amico si destò e lo chiamò, fermando l’altro con la
mano sulla maniglia: < Akhilleos, pensi veramente che abbiamo finito di
fuggire via? Io sono stufo di continuare a nascondermi, vorrei tanto godere
un po’ in santa pace l’amore che ho per te. Pensi che sarà possibile? >
< Certamente Amore! Certamente, è già iniziato il nostro tempo. Non
vedi, sono qui e ti sto dicendo che ti amo immensamente! > mentre
rientrava e si abbassava sopra di lui baciandolo con seduzione, da
strappare brividi di gioia per entrambi. Ma subito Mauro riprese a dire
preoccupato: < Io sono veramente stanco di scappare, credimi amore... >
< Sì, lo so. Io penso che è tutto finito ormai, e il passato è alle nostre
spalle. Spero solamente che ti adatterai e ti piacerà essere un buon
marinaio, girare il mondo al mio fianco. Poi alla fin fine, sei un’altra
persona, sei un marinaio greco su di una bella goletta in crociera, che te ne
pare amico mio? Anzi Amore mio.>
< Per me va tutto bene, pur di essere al tuo fianco e spero solamente
di non farci scoprire dagli altri marinai, sarebbe un vero peccato se
scoprissero che siamo due amanti felici. >
< Non ci sono problemi di sorta. Il comandante è informato della
nostra unione e non a fatto una grinza. Io mi sono prevenuto ad informarlo
subito appena siamo saliti a bordo la prima volta... Se mi voleva a bordo
doveva ospitare anche te, il mio amante. Chiaro! >
< Tu hai avuto il coraggio di diglielo... accidenti! Allora mi ami
veramente tanto, per aver contrastato e con il pericolo di perdere e
rinunciare a questo lavoro che tu desideravi tanto. Hai rischiato molto
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forte! E l’hai fatto soltanto per me. >
< Certo che ho rischiato, ma sapevo di vincere. Il capitano è un uomo
di senno e ha compreso la mia lealtà e sincerità nell’esporre i nostri fatti. E
perciò ha tratto le sue conclusioni, accettando. Poi in fondo non c’è nulla
di male se dormiamo assieme e facciamo l’amore nella nostra cabina. Mai
mescolare il piacere con il dovere è un vecchio detto, ma sempre buono da
tenere presente, marinaio... >
< Accidenti! Ancora non riesco a capacitarmi. Ma senti un po’, allora
perché mi hai fregato le mie mutande di nascosto oggi? Immagino e
senz’altro per donarle al bell’ufficiale della Guardia Costiera, più che mai
arrapato, vero? > insinuò Mauro più che convinto.
< Già, proprio così! Perché volevo in qualche modo che fosse felice
anche lui del nostro amore. Ho capito che era una piccola tangente che
dovevo versare per averti solo per me. Ed essere felici di amarci senza più
recondite paure. Scordando il passato e pensando solo al nostro futuro.
Penso di non pretendere molto? > espose Akhilleos serio.
< Ti amo veramente tanto o mio prode guerriero, nonché nostromo
Akhilleos Kirkis! >
< Anch’io ti amo tanto, troppo, marinaio Maurices Ross. Si tanto! >
Era notte fonda quando Akhilleos entrò nella propria cabina, dopo che
aveva finito il suo giro di perlustrazione della nave ed era soddisfatto, tutto
era in ordine. Ormai erano giorni che navigavano tranquillamente nel mare
Mediterraneo con tutte le vele aperte, il vento era un po’ scarso in quei
giorni. Akhilleos si era soffermato un po’ di tempo nella cabina del
capitano, discorrendo amichevolmente sui vari problemi annerenti al
viaggio intrapreso e oltretutto sulle ultime notizie diramate dalla radio e la
televisione di bordo. Parlavano sui fatti orripilanti accaduto giorni addietro
sull’isola di Creta. Ma fino a quel momento non vi era nessuna notizia che
poteva dar da pensare ad un coinvolgimento del nostromo e del marinaio
Ross. La televisione forniva ampio dettaglio sui fatti, spiegando l’accaduto
diramato dalla polizia dell’isola. Una disputa tra bande rivali, giunte
dall’estero a prendere possesso dei punti strategici per lo smistamento
della droga e altro. E alla fine in quei giorni di indagini vi fu una vasta
retata della polizia con l’arresto di complici mafiosi locali e altri bloccati
nella fuga, già segnalati dall’Interpol.
Akhilleos si sentiva un po’ stanco ma soddisfatto del suo operato e quella
notte vi fu qualcosa di diverso, dopo tutti quei giorni d’inferno appena
357
trascorsi in apprensione, ora che la calma sembrava presente. Perciò,
appena si era denudato, e si avvicinò al lettino di Mauro che dormiva
profondamente, s’abbassò a sfiorargli la bocca con un candido bacio, ma
fu aggredito dal rianimarsi del compagno, che l’avvolse tra le sue braccia e
senza immaginarselo si trovarono uniti in un amplesso d’amore
incolmabile e sfrenato. I baci e le carezze non si contavano più da tanta
felicità e amore e tutto si svolse nell’assoluta certezza che l’indomani
sarebbe stato più bello e migliore. Come l’amore che li avvolgeva
tenacemente in quella notte d’oblio Tutto quello che stava accadendo era
sublime e inimmaginabile un momento prima.
Capendo più che bene Akhilleos che si era innamorato follemente del
suo amante da arrivare a far cose impensabili, ma erano soltanto azioni
spinte dal cuore e tutto procedeva nella tranquillità di quella loro
accogliente alcova.
Poi, alla fine stremati e stanchi, ma pienamente soddisfatti si
guardarono in viso per contemplarsi a vicenda, bisbigliando: < Ti amo
tanto, immensamente! > provò a dire Mauro, mentre Akhilleos lo azzittiva
con un tenero bacio sulle labbra, rispondendo appena dopo: < Anch’io,
tanto! > mentre premeva nuovamente la sua bocca su quella calde e
invitante del compagno. Erano piccoli dialoghi, interrotti solamente dai
leggeri baci che si concedevano ancora e ancora.
.Alla fine si lasciarono avvolgere dal sonno stretti tra le loro forti
braccia, infinitamente felici.
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Epilogo
Sei mesi dopo, il primo giorno dell’anno, nella plaza de la Catedral a
Ibiza, due marinai greci erano lì fermi e aspettavano, mentre alle loro
spalle dal campanile dalla cattedrale, le campane stavano rintoccando le
ore dodici.
L’accordo stipulato verbalmente mesi prima da Mauro e Akhilleos con i
compagni spariti via con le gemelle svedesi, era quello di ritrovarsi, ma
purtroppo non si vedevano ancora. Loro erano lì, nella piazza che
aspettavano ansiosi quegli amici, ma fino a quel momento niente. Ormai
era da più di mezz’ora ch’erano lì seduti sui gradini della scalinata in
attesa dell’arrivo dei superstiti al massacro, con la speranza nel cuore
d’incontrarsi ancora una volta tutti assieme, quello era stato il loro
accordo. L’attesa era snervante, mentre Mauro e Akhilleos si guardavano
continuamente attorno per scovare tra la folla il viso di quei cari compagni
di sventura e ora forse d’avventura. Mentre le ore scorrevano via
velocemente e dal campanile rintoccavano ormai le tredici e trenta
pomeridiane.
Infine, dopo un prolungato sospiro di rassegnazione, Mauro provò a dire
con fare mesto, all’amico seduto al suo fianco che si stava godendo il
panorama dalla baia e osservava il loro vascello ancorato al largo. < Sai,
Akhilleos, speravo proprio che sarebbero arrivati. Almeno per salutarci
ancora una volta. Pazienza. Spero solamente che non abbiano mai avuto
rogne e possano essere felici ovunque essi siano... > biascicò mal
rassegnato Mauro.
< Amore, non tutti sono come noi, che amiamo e rispettiamo il
prossimo. Magari ‘sto esagerando! Magari loro, hanno già messo su
famiglia e con dei pargoletti... perciò è sempre difficile potersi muovere
liberamente. Ti sembra? >
< Già! Ma è impossibile, non sono trascorsi ancora nove mesi. Spero
solamente che siano felici. E se il loro destino e tra le braccia di quelle due
sventolone svedesi, nonché gemelle, ben per loro... > mentre si alzava e
urlava al vento.
< Auguri a tutti! > e poi più piano rivolto al compagno, mentre la
gente attorno lo ringraziavano sorridendo per quel gesto gentile di primo
dell’anno. < A te amico mio ancora una volta, Buon Anno! >
< Buon Anno anche a te... e per sempre uniti. Come questi mesi
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passati assieme con infinito amore per entrambi. >
< Alla nostra felicità Nostromo. >
< Solo nostra amore mio! Be’, sarà meglio avviarsi a bordo, ci
aspetta un succulento pasto di primo dell’anno. E Ahmed si è impegnato
ad aiutare il cuoco. Staremo a vedere cosa hanno combinato. Purtroppo il
comandante è invitato qui sull’isola a pranzo dal nostro console. Sai sono
dei buoni amici e senz’altro rimarrà fino a tardi. >
< Be’, posso svelarti un segreto. Ma che rimanga qui tra noi, ti
prego? Non dovrei dirlo a nessuno. E dato il nostro bel rapporto senza
nessun segreto da nascondere, penso... > mentre Akhilleos l’incitava a
sbottonarsi e continuare. < Be’ e allora? Dai parla, racconta quello che non
so, ho dovrei sapere come nostromo? Penso che ti riferisci a qualcosa che
riguardi il nostro vascello, vero? >
< Forse era meglio che non accennavo a niente. Insomma, volevo
dire prima rammentando il nostro bel rapporto d’amore e convivenza, che
ci sono altri che aspirano e hanno le nostre stesse idee e opinioni. Due
persone innamorate come noi a bordo. >
< Ma tu intendi parlare di Nikos e Ahmed? Ma lo sanno tutti a
bordo del loro felice rapporto, come pure del nostro. Ma il bello di
quell’equipaggio, che ognuno pensa hai propri cavoli. La sopra. >
indicando il veliero con la mano Akhilleos, continuava a spiegare al
compagno costernato di quelle rivelazioni esposte così tranquillamente
senza dar troppo peso. < Dicevo prima, che la sopra c’è una buona parte di
uomini che piace andare con donne e appena si sbarca da qualche parte si
danno da fare. Ma non hanno nessuna intenzione di mettere su famiglia e
durante il viaggio si masturba di tanto in tanto aspettando il prossimo
sbarco. E invece altri come noi, e il dottore e l’aiutante, preferiamo amarci
tra noi. E il capitano che ha avuto una vita abbastanza avventurosa in
gioventù sa capire e tollerare ogni esigenza del proprio personale, purché
tutti seriamente si rispettano reciprocamente. >
< Già, capisco molte cose ora, e devo dire che a bordo ho sempre
incontrato la massima solidarietà e comprensione da chiunque. Anzi si
prestano fraternamente a insegnarmi, persino a fare un semplice nodo, se
sbagliavo, senza prendermi in giro se non ci riuscivo al primo approccio.
Questo lo notato più che bene. > espose Mauro sorpreso.
< Vedi Mauro, quando tu fai partecipe dei tuoi problemi i compagni
di lavoro, la solidarietà diventa unanime. E questo è quello che capita sulla
nostra nave, siamo una grande e allargata famiglia. >
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< Okay, ho capito! In verità devo dire che mi era già parso di
trovarmi in una grande famiglia... > poi mentre si guardava l’orologio al
polso, constatò il mancato incontro: < Visto che Andrea e Stefano non
sono venuti all’appuntamento e meglio rientrare a bordo. >
< Peccato! Speriamo che se la passino bene quei due? >
Poi mentre si avviavano giù per il grande scalone e svoltato l’angolo
dietro un vecchio muraglione di fortificazione, Akhilleo afferrò
decisamente Mauro e se lo porto contro il proprio petto baciandolo con
trasporto. < Dio quanto ti amo! > sussurrò sulla sua bocca.
< Non puoi immaginare quanto anche io ti amo... amore! >
fine
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Pierantonio Marone
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Fatti, luoghi e personaggi, sono puramente casuali
la lettura del Romanzo Omosex è consigliata ad un
pubblico adulto e maggiorenne
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