Anno IV - Numero 18
Settimanale della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss Guido Carli
25 Febbraio 2011
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nuovo
Economia
Il mondo sarà
ai piedi dell’Asia
Censimento
L’America lo sa
il futuro è nero
Bingomania
Una giocata
contro la noia
Focus
Il mestiere
delle feluche
LA TASK FORCE
DEL CAVALIERE
FERRARA, SANTANCHÉ, SALLUSTI E BELPIETRO: PENSIERO E AZIONE DELLA CONTROFFENSIVA
Primo Piano
Giuliano Ferrara al comando della task force mobilitata dopo la manifestazione delle donne
Un “camaleonte” in stile Barney
Cresciuto sulle gambe di Togliatti, è finito nelle braccia di Berlusconi
“Se non ora quando?” hanno gridato oltre un
milione di donne, scese in piazza, lo scorso tredici febbraio, in 250 città di tutto il mondo per
esprimere il proprio dissenso nei confronti di Silvio Berlusconi e dello scandalo delle notti di Arcore. “Adesso”, è il senso della risposta del Premier, che ha richiamato in servizio effettivo Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio, mettendolo
a capo di una task force composta da Alessandro
Sallusti, numero uno de Il Giornale, Maurizo Belpietro di Libero e l’amica fedele, oltre che sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Daniela
Santanchè. L’Obiettivo: elaborare l’ offensiva
politica e mediatica contro il “golpe puritano” dei
suoi nemici, fino alla probabile manifestazione
nel giorno del processo. Un primo risultato di que-
sta strategia è stata la contromanifestazione al teatro Dal Verme di Milano, dove, oltre alla stupefacente veemenza comunicativa di Giuliano Ferrara, significativa è stata anche la scenografia: tre
fili da bucato, da una parte all’altra del palco ottocentesco, con oltre 150 paia di mutandine da
donna. Insomma, un allestimento d’impatto, perché Ferrara sa come stupire.
I
l suo eroe si chiama Barney. È il personaggio di un
libro, diventato anche un
lungometraggio, del canadese Mordecai Richler. Modello del politicamente scorretto, è uno fuori misura, ma
possiede una energia tale,
che non ci si stanca mai di seguirne le fulminanti elucubrazioni. E se è vero, come affermano i critici, che questo
racconto è una completa teologia moderna della spregiudicatezza e dell’intelligenza,
non vi è alcun dubbio che
Giuliano Ferrara sia il grande officiante di questo culto.
«Intelligentissimo», come
l’hanno definito in molti,
l’elefantino nazionale, cinquantanove anni appena
compiuti, appare, come il
suo idolo, un trasformista
insuperabile, un concentrato
di contraddizioni e mutazioni ideologiche incredibili.
D’altronde, si sa, solo gli stupidi non cambiano mai idea.
Figlio del senatore comunista
Maurizio Ferrara, che fu anche direttore dell’Unità, e di
Marcella de Francesco, segretaria particolare di Palmiro Togliatti («mi ha tenuto
sulle sue gambe», racconta),
seguiva le orme paterne quando il partito di Gramsci era
potente, partecipando persino agli scontri di Valle Giulia
nell’incandescente 1968. Salvo poi diventare craxiano
quando il Bettino nazionale
era a Palazzo Chigi, e berlusconiano nel 1993. Un ex comunista che diventa consigliere e portavoce prediletto
del politico con l’ossessione
dei “rossi”; apostolo dell’ antiaborto, che però da giovane
fece abortire, come egli stesso ha confessato, tre sue compagne; ammiratore di Craxi,
che a Sigonella schiaffeggiava gli Stati Uniti, ma (forse)
anche spia prezzolata della
Cia; osannatore del marchionnismo, ma già responsabile del Pci operaio a Mirafiori negli anni Settanta,
suo esordio politico. È li che
parte la carriera del camaleonte Ferrara. Uomo di stato
e giornalista insieme. Quan-
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25 Febbraio 2011
LA SFURIATA In contemporanea alla manifestazione delle donne in 250 città nel mondo, la risposta di Giuliano Ferrara
do arrivò al Corriere della
Sera, alla fine degli anni Ottanta, venne notato dall’allora premier Bettino Craxi che
gli offrì una carriera politica.
Ma Giuliano respinse la proposta in cambio di un contratto di assunzione in un
giornale d’area Psi. Da Bettino a Silvio il passo è stato breve. Ha raccontato Fedele
Confalonieri, presidente Mediaset, che fu proprio Ferrara a fare pressione sul Cavaliere affinché scendesse in
politica. Lo convinse ed ebbe
ragione, diventando ministro e portavoce del primo governo Berlusconi. Si arriva
così al Ferrara che conosciamo, direttore del Foglio dal
1996. Sempre fedele al presidente del Consiglio: per un
certo momento è sembrato attratto da Fini, poi da Marchionne. Ma, in fondo, è
sempre rimasto berlusconiano. Per questo l’inquilino di
Palazzo Grazioli ha deciso di
affidare proprio a lui la nuo-
va strategia comunicativa della controffensiva contro tutti i detrattori del suo governo,
dai giudici milanesi, che lo
porteranno in tribunale il
prossimo sei aprile, all’opposizione e a quel popolo di
“giacobini e puritani” che
storcono il naso davanti ai
racconti hot delle notti di Arcore. E per giustificare il suo
assistito, il direttore del Foglio
ha tirato in ballo persino
Kant davanti alla folla dei fedelissimi del Premier riunita
nella contromanifestazione
al teatro Dal Verme di Milano, contro il “neopuritanesimo ipocrita”, in una cornice
quanto mai insolita: centocinquanta mutandine da donna circondavano Ferrara che
alla fine dell’incontro ha tuonato: « Rivogliamo il Berlusconi del 1994. Presidente,
usi le sue televisioni in modo
creativo». Non solo però è
stato il protagonista indiscusso di questa sceneggiata.
È tornato sulle pagine de Il
Giornale, di proprietà della famiglia del Capo del Governo,
come editorialista e sulla Rai,
ospite per sei minuti filati al
tg di Augusto Minzolini per
attaccare il gruppo Espresso
e i professori del Palasharp,
che, guidati da Umberto Eco,
avevano cercato di «abbattere il governo con metodi extraparlamentari». Accanto a
lui, in prima fila, sempre e comunque, Alessandro Sallusti,
il direttore responsabile de Il
Giornale, noto alle cronache
soprattutto per i tentativi di
dossieraggio nei confronti
degli anti berlusconiani. L’ultima vittima illustre è stata il
presidente di Confindustria
Emma Marcegaglia, che aveva espresso pareri discordanti con le politiche del governo. Anche Maurizio Belpietro e l’abilissima Daniela
Santanchè fanno il possibile:
ospiti in quasi tutte le trasmissioni televisive, difendono a spada tratta il loro
eroe. Ferrara si è così rimesso l’elmetto ed è andato in
trincea con la sua intelligenza, la sua passione e la veemenza di sempre, a capo delle “guardie armate” scelte
dal presidente del Consiglio
per vincere la sua battaglia,
giudiziaria e umana.
L’ambigua figura dell’Elefantino nell’analisi di un esperto
La controversa figura di
Giuliano Ferrara analizzata da
un esperto di comunicazione
politica. Gianfranco Pasquino, dell’ università di Bologna,
ci spiega dove sta la grande forza della punta di diamante
della task force berlusconiana.
Ferrara ha dimostrato di
usare un linguaggio abilissimo, non si è mai visto nessuno in grado di tenergli testa.
Come lo giudica?
«Innanzitutto, non è vero
che non c’è nessuno in grado
di tenergli testa. Ci sono diversi
politici capaci e anche diversi
professori. Qualche volta Ferrara in questi scambi ha la tendenza a prevaricare, come ha
fatto con Gad Lerner quando
conducevano insieme Otto e
Pasquino: “La sua abilità
si basa sulla sua storia”
Mezzo. E poi ha anche una storia di comunicazione molto
lunga che comincia, ed è utile ricordarlo, all’interno del
Pci e continua a fianco prima
di Craxi e poi di Berlusconi.
Spesso usa questo suo passato
per dimostrare come sia “andato oltre” rispetto ad altri, soprattutto perché conosce molto bene i suoi interlocutori»
Cosa ha visto in lui Berlusconi tanto da utilizzarlo come
sua ultima macchina da guer-
ra mediatica?
«Forse proprio la sua storia
può essere considerata la ragione principale per cui il Premier lo ha scelto. Ma va detto
che nei ranghi di Berlusconi
non ci sono tanti comunicatori,
ma ben ottanta avvocati».
Politica e giornalismo sono
un tutt’uno?
«In verità, il giornalismo
dovrebbe riportare i fatti della
politica, dovrebbe investigare.
Dovrebbe essere il cane da
Pagina a cura di Ida Artiaco
guardia della politica e non farsi abbindolare o addirittura
farsi asservire. Ma queste sono
cose che succedono prevalentemente in Italia ormai da un
po’ di tempo».
Come crede che ne uscirà
il Capo del Governo da questa crisi, dopo aver creato
una squadra di contrattacco
nella quale la più grande
agenzia newsmaker della nazione è il governo stesso?
«Non dimentichiamo che la
stampa italiana è pluralista e in
competizione in un mercato
della comunicazione politica su
cui sono intervenute anche le
nuove tecnologie, internet e
molte agenzie alla portata di un
numero sempre più grande di
persone. Non credo ci sia un
monopolio. Certo, il governo
ha un vantaggio, perché ogni
sua iniziativa deve essere riportata dai mezzi di comunicazione. Ma è un vantaggio limitato, perché il governo stesso ha fatto molto poco in questo ultimo anno e mezzo, e il
presidente del Consiglio è entrato in una spirale non solo di
scandali sessuali. Tutto questo
fa notizia. Però attenzione:
non tutto quello che fa notizia
è positivo e quindi bisogna vedere quanto questo servirà al
capo del Governo».
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Economia
In un seminario Luiss le previsioni del team dell’Osservatorio delle Economie Emergenti
Il mondo sarà ai piedi dell’Asia
Il caso Turchia: un modello anche se la sua crescita è troppo veloce
Ida Artiaco
Tra poco più di dieci anni i maggiori uomini d’affari del pianeta
avranno gli occhi a mandorla e la pelle color del sole, mentre nelle stanze del potere economico si parlerà
l’indiano o il russo: il mondo sarà ai
piedi dell’Asia. Non si guarderà più
all’America come modello bancario
di riferimento e di paragone, né alla
Germania, che pur sta trascinando il
Vecchio Continente fuori da una crisi finanziaria senza precedenti, ma ai
paesi orientali, ricchi di risorse e di
popolazione, sorgenti vive di denaro e di nuove tecnologie. È questa la
previsione espressa dal neonato Osservatorio delle Economie Emergenti, all’interno del Centro Arcelli di
Studi Monetari e Finanziari, presentata nel corso di un seminario sui
sistemi bancari in ascesa tenutosi
presso l’università Luiss di Roma.
L’obiettivo dell’evento: incentivare
il confronto su temi attuali legati ai
paesi emergenti, che potrebbero incidere sulle prospettive macroeconomiche dei prossimi anni. Mentre,
infatti, i tradizionali colossi economici
regrediscono sotto i colpi della grande crisi del 2009, dovuta all’insostenibile squilibrio tra la crescita del credito e quella del denaro, i paesi asia-
NUOVI LEADER
I rappresentanti dei
paesi del Bric:
Brasile, Russia,
India e Cina. Si
calcola che nel
2050 il loro Pil
supererà quello di
Stati Uniti,
Giappone e
Gran Bretagna
tici, capitanati da Cina, India e Russia, insieme al Brasile, guideranno
l’economia mondiale, con un aumento del prodotto interno lordo, in
alcuni casi, triplicata rispetto alla fine
degli anni Novanta. Un’ascesa inarrestabile di quelli che, alla fine del
2001, Jim O’Neill, in una relazione
della banca di investimento nordamericana Goldman Sachs, definì “i
paesi del Bric” e che nel 2050 arriveranno ad eguagliare il pil di Stati
Uniti, Giappone e Gran Bretagna, ri-
consegnando così all’Asia il primato
economico che aveva perso nel corso del diciannovesimo secolo. Addirittura, nel 2041 la Cina supererà
gli Usa per pil nominale, diventando la prima potenza economica
mondiale, con lo sviluppo di una
nuova classe media che guiderà le istituzioni finanziarie. Ma attenzione a
non sottovalutare i rischi di questo
fragile assetto: innanzitutto, un ulteriore contagio finanziario in Europa e il ripetersi delle negative espe-
rienze di Grecia, Irlanda e Spagna,
con un aumento incontenibile dello
spread rispetto ai titoli di stato tedeschi, usati come misura del grado di
affidabilità dei vari Stati dell’Unione;
ma anche l’inflazione nei paesi emergenti ed eventuali tensioni dovute allo
squilibrio globale. Le spinte per una
nuova crescita dopo il collasso finanziario dovuto all’esplosione dei
mutui americani non arriva solo
dalla Cina e dalle altre “compagne”
del Bric. Particolare interesse stanno
rivestendo anche l’Egitto e soprattutto
la Turchia, che sta affascinando per
le sue risorse numerosi investitori
bancari stranieri, tra cui l’Italia, con
il gruppo Unicredit impegnato in prima linea nella gestione della banca
Yapi Kredi, il suo bastione turco
controllato in joint venture con la famiglia Koc . Secondo Matteo Terrazzi,
senior economist del gruppo creditizio romano, intervenuto al seminario, gli investimenti stranieri diretti
sono passati dal 1 miliardo di dollari nel 1990 al picco assoluto di 22 miliardi nel 2007 nel paese della Mezzaluna. La Turchia soffre addirittura
di un problema opposto a quello degli altri paesi: la sua crescita è talmente veloce che il surriscaldamento della sua economia potrebbe arrivare al 7,5 percento di incremento
del Pil rispetto all’anno scorso. Un risultato sorprendente, inferiore nel
G20 solo alla Cina. A preoccupare
Ankara sono gli impieghi delle banche turche che crescono troppo in
fretta, con qualche rischio a cui andrebbe posto un freno. La solida
struttura delle banche turche sta diventando un modello per le altre economie asiatiche su cui puntare per accelerare il processo di ripresa economica mondiale, tra cui Iraq e Arzebaijan.
Al III Municipio uno sportello del cittadino creato da un consigliere comunale
L’uomo che risolve tutte le grane
Emiliana Costa
Dalla nonna che ha problemi con il telefonino touch
screen alle famiglie che non
arrivano a pagare l’affitto di
casa. Fino alle consulenze
per cause di divorzio. Sono
questi alcuni dei servizi proposti dallo sportello del cittadino, una sorta di difensore civico dalla parte dei più deboli. Spuntate come funghi
lungo tutta la Penisola, le finestre di “pronto soccorso” si
concentrano soprattutto nella Capitale. L’ultima nata è
quella del III Municipio, a pochi metri da Piazza Armellini.
“Non si tratta di un luogo di
ritrovo – specifica Andrea Liburdi, fondatore dell’istituto –
ma di volontariato”. L’associazione, attiva dal gennaio
2010, conta circa 700 “adepti”, dai diciotto agli ottant’anni. Per usufruire delle prestazioni offerte occorre tesserarsi, pagando una quota simbolica di iscrizione di dieci
euro all’anno. Quota valida
per tutta la famiglia.“Nel caso
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però di nuclei in difficoltà –
spiega Liburdi – facciamo
uno strappo alla regola e doniamo gratuitamente la carta
di accesso”.
L’ufficio di via Nardini opera a livello locale, ma sono
tanti i residenti di altri quartieri che si affacciano per
chiedere un “aiutino”. L’ini-
ca: i cittadini”. L’associazione
non riceve finanziamenti dal
Campidoglio, ma vive dei
fondi che provengono dai
tesseramenti e dalle donazioni.
Lo sportello è aperto cinque giorni a settimana ed è gestito in base a un calendario
settimanale rigoroso. Il mar-
Cinque giorni alla settimana,
Andrea Liburdi pronto a ricevere i 700 tesserati
In suo aiuto un gruppo di esperti
ziativa nasce da un’idea di Andrea Liburdi, consigliere comunale e capogruppo municipale del Pdl, ma non è correlata istituzionalmente all’amministrazione Alemanno: “Il senso del progetto è
quello di dare voce a chi non
ce l’ha, di contribuire alla costruzione di uno spazio che
vada oltre la propaganda politica, rimanendo vicino a chi
per primo risente dei vizi e
delle virtù della cosa pubbli-
tedì e il venerdì eroga assistenza legale a tutto campo,
dalle cause per liti condominiali ai procedimenti penali.
“Gli avvocati operano a livello volontario. Si tratta di amici di famiglia sensibili ai temi
sociali”. Ovviamente solo le
consulenze sono gratis, nel
momento in cui si arriva in
tribunale scatta la parcella, anche se ridotta del trenta per
cento. Frequente, dunque,
l’andirivieni di “clienti” in
crisi con il coniuge o in perenne lite con il vicino di
casa. Il giovedì è il turno del
commercialista, che assiste
l’utenza per problematiche
di carattere fiscale. Una sorta
di Caf in piena regola, a cui rivolgersi per la tanto temuta
dichiarazione dei redditi. Questo è il servizio più richiesto,
perché permette ai cittadini di
arrivare all’appuntamento annuale con il 740 senza mettere
mano al portafogli. Infine, il
lunedì si tiene la “giornata del
Consigliere”, in cui lo stesso
Liburdi discute con gli associati le problematiche del
quartiere. “E’ il giorno in cui
c’è il pienone – afferma Liburdi -. Sono in tanti coloro
che hanno bisogno di essere
ascoltati”. Tra i temi più battuti, l’abbattimento delle barriere architettoniche e l’assegnazione delle case popolari.
“C’è stato il caso di una famiglia – racconta il consigliere
– composta da quattro persone: una madre che guadagnava 400 euro al mese come
donna delle pulizie, due figli
DISPONIBILE Andrea Liburdi, fondatore dell’associazione
(uno a scuola e l’altro disoccupato) e una signora anziana. Bene, questa famiglia ha ricevuto una lettera di sfratto e
rischiava di ritrovarsi in mezzo a una strada. Attraverso la
mia associazione sono riuscito
a fare ottenere loro un alloggio Ater”.
L’utenza dello sportello è
trasversale, ma sono le persone più anziane a rappresentare la clientela abituale.
“C’è chi viene perché non è
capace a usare il cellulare,
per consigli sul pagamento
delle bollette o per un semplice aiuto con le buste della spesa”. Tra i tesserati, anche alcuni immigrati. “In
genere si tratta di colf e badanti che hanno bisogno di
una mano con i contratti di
lavoro”, spiega Liburdi. La
“finestra di pronto soccorso
civico” ha anche uno spazio
virtuale. Sul sito dell’associazione è infatti possibile sapere le ultime notizie che
provengono dal Campidoglio
o i negozi convenzionati della zona.
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Economia
A Pechino si estraggono a sorte le nuove targhe. Nel 2011, solo 17mila su 200mila richieste
Alla lotteria Marchionne è perdente
Così si blocca il mercato delle auto. Protesta anche la General Motors
T
roppo smog, troppo inquinamento, anche per occhi e
orecchie. Le grandi città cinesi
sono letteralmente invase dalle automobili. Le sei tangenziali di Pechino, dove ogni giorno passano il triplo delle macchine rispetto alla seconda megalopoli cinese, Shangai,
non bastano più e il livello di sopportazione dei cittadini è giunto al limite: vivere nella capitale è diventato impossibile e nell’immediato futuro
la situazione non sembra destinata a
migliorare.
L’andamento delle immatricolazioni è più che positivo. Nel 2010
sono stati venduti 1.218.722 automezzi, più di 3 mila al giorno: un aumento record dell’84 percento rispetto
all’anno precedente. Numeri che
hanno creato una situazione insostenibile e fatto suonare il campanello
d’allarme, spingendo il governo di
Wen Jiabao a prendere provvedimenti per limitare i danni e il numero
di nuove macchine in circolazione.
Dall’inizio del 2011, infatti, per
avere la possibilità di mettersi al volante di uno degli ultimi modelli in
circolazione ci vuole una buona dose
di fortuna. A Pechino le nuove targhe
vengono estratte a sorte in uno show
televisivo, una vera e propria lotteria.
Nel primo esperimento, seguito an-
TRAFFICO
Gli ingorghi sono la
normalità a
Pechino. Il record
nel 2010: sulla
China National
Highway 110, che
parte da Pechino e
attraversa la
Mongolia, nove
giorni di coda
che su internet dai neopatentati,
sono state vinte poco più di 17mila
licenze a fronte delle oltre 200mila richieste. Secondo la società di servizi finanziari Credit Suisse, se anche
le altre grandi città adottassero misure
simili, il numero di immatricolazioni potrebbe calare complessivamente del 17 percento.
Le grandi case automobilistiche,
come si poteva facilmente prevedere, non l’hanno presa bene. Secondo
i dati dell’Associazione cinese delle au-
tovetture, la crescita del settore è in
calo. Fonti governative hanno fatto
sapere che lo stallo non dipende dalle nuove misure sull’immatricolazione, ma dalla situazione congiunturale e, quasi un paradosso, dall’aumento del numero di veicoli venduti a scapito di quelli prodotti.
Quasi contemporaneamente all’inizio del bizzarro esperimento governativo, sono aumentati anche i
malumori di General Motors. I vertici del colosso a stelle e strisce si
aspettano un rallentamento delle
vendite in Cina e nell’altro mercato
emergente, quello indiano. Previsioni che si scontrano con i proclami ufficiali degli uomini di Hun Jintao e Wen Jiabao. Secondo il presidente di Gm Tim Lee il boom dell’auto in Oriente sta per finire: «Quelli cinesi non sono tassi di crescita sostenibili. Noi prevediamo per il 2011
una crescita del 10-15 percento nei
due mercati asiatici, contro il 32 del
2010. L’assenza del rinnovo degli
Auto, lotta all’inquinamento da gas di scarico e al traffico nel centro storico
Roma non è una città per ‘vecchie’
Una volta erano le mura aureliane, oggi l’anello ferroviario. Le prime dovevano difendere il centro nevralgico dell’impero dagli attacchi dei barbari. Oggi, al secondo spetta il
compito di proteggere i romani
dal più pericoloso tra i nemici dell’era post-industriale: l’inquinamento. Una barriera invisibile, quella dell’anello ferroviario, che dovrebbe respingere tutte le moto e le auto
immatricolate fino al 1992, i
cosiddetti veicoli “euro zero”
che ancora circolano per le
strade di Roma, e tenerle lontano dalle zone ad alta intensità abitativa. Come si legge in
una nota dell’amministrazione
capitolina, i provvedimenti
che vietano la circolazione dei
mezzi più inquinanti «rientrano all’interno del quadro generale degli interventi che il
Comune di Roma promuove
in favore dell’ambiente e a
salvaguardia della salute dei cittadini». L’obiettivo è quello di
diminuire la produzione di
polveri sottili e ossidi di azoto.
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25 Febbraio 2011
Ma, tra divieti e deroghe,
permanenti o temporanei, l’automobilista capitolino rischia
di perdere le staffe e la patente. Nella più vasta delle Ztl
(Zona a traffico limitato) lo
stop alla circolazione è imposto a chi non rispetta le direttive anti inquinamento. Dal lunedì al venerdì l’ingresso è
munque garantita alle vetture
munite di contrassegno per
persone disabili e i veicoli storici, ovvero tutti quelli iscritti
ad uno dei registri autorizzati dalla Asi (Automotoclub
storico italiano). Strade aperte anche per le auto alimentate a Metano o Gpl.
Con un occhio al libretto di
Proibito l’accesso alle non catalizzate
Restano fuori dall’anello ferroviario anche moto
e motorini non a norma
vietato alle auto a benzina
“euro zero”, mentre per i veicoli diesel il divieto si allarga
anche agli “euro uno”. Dal
2010 restano fuori dall’anello
anche moto e motorini a due
o quattro tempi con matricola “euro zero”. Insomma, anche al di fuori dei blocchi del
traffico, i veicoli più inquinanti
a Roma non sono più i benvenuti. La circolazione è co-
circolazione, dal quale è possibile risalire all’anno di immatricolazione e, quindi anche
alla dannosità delle emissioni
inquinanti della propria auto,
i conducenti romani guidano
con l’incubo di scontrarsi con
i limiti della Ztl nella Ztl. Nella sorella minore dell’anello ferroviario, l’area del centro storico e di Trastevere, i provvedimenti si fanno, infatti, più se-
Pagina a cura di Lorenzo d’Albergo
veri. I varchi, attivi o meno a
seconda dell’orario, diventano
spesso delle vere e proprie tagliole. C’è chi, in meno di un
anno, è riuscito a collezionare centinaia di multe, e presentare altrettanti ricorsi, “grazie” al sistema di videoriprese
Iride, che dal 2002 ha iniziato a battagliare con gli automobilisti indisciplinati.
E poco informati, ma non
per colpe proprie. I cittadini si
devono, infatti, districare nel
dedalo di pagine dei siti web
di Comune e Atac per avere
accesso alle ultime notizie
sulla viabilità. In alternativa,
telecomando alla mano, dovrebbero aspettare l’aggiornamento delle ore dieci del televideo. Troppo tardi in caso
di blocco del traffico. Scatta
dopo tre giornate consecutive
di superamento del limite accettabile di polveri sottili nell’aria (quando la giornata viene classificata come “scadente” o “non accettabile”) e
spesso coinvolge anche mezzi “euro 2”. Ma c’è sempre
qualcuno che non lo sa.
incentivi per l’acquisto di auto di piccola cilindrata, le immatricolazioni in
frenata con la lotteria che assegna le
targhe nelle metropoli - ha concluso
Lee - faranno calare il mercato».
Dell’incerto futuro cinese e delle
sue possibili conseguenze si è accorto
anche Sergio Marchionne, l’amministratore delegato della Fiat che ha ricevuto un sonoro schiaffo dal dragone
e ora vede il suo obiettivo di vendere 230 mila automobili nel 2014 sempre più lontano. Gli accordi con
Nanjing e Chery, i due giganti dell’automobile cinese, sono rimasti
sulla carta. I dirigenti Fiat sono riusciti ad arrivare alla stretta di mano
soltanto con Gac (Guangzhou automotive). Le grandi società cinesi
hanno cambiato obiettivo: è finito il
momento di importare automobili un mercato che sembra poter restare aperto solo per le vetture di lusso
che tanto piacciono alla nuova classe emergente – e ora hanno intenzione di produrre per la vendita all’estero, rivolgendosi ai paesi dell’Europa dell’Est e agli Stati Uniti. Il
dragone, quindi, si appresta a inghiottire l’aquila a stelle e strisce. Ma
nello scontro chi rischia di più sono
i paesi europei, Italia in testa, che vedono restringersi la possibilità di
competere nei mercati che contano.
STANDARD EUROPEI
Stop ai motori “euro zero”
Via libera solo dal “due”
Prezzo imbattibile, magari con passaggio di proprietà incluso e carrozzeria in ottime condizioni. L’affare sembra fatto, ma
quando si acquista una moto o un’automobile usata quello che
conta è l’“euro”. Gli ultimi blocchi della circolazione sono arrivati
a fermare anche molte vetture diesel “euro quattro”, anche se
dotate del filtro antiparticolato, che riduce le emissioni inquinanti.
I provvedimenti cambiano da Comune a Comune e spesso circolare non è possibile neanche per le vetture di ultima generazione. Dal 1992 a oggi, gli standard in fatto di emissioni sanciti dalla Comunità Europea sono stati rivisti ben cinque volte. Tra
il 2014 e il 2015 dovrebbe arrivare la sesta.
EURO 0 Lo sono tutti i veicoli “non catalizzati” a benzina e i
veicoli “non ecodiesel”. Sono stati i primi a fermarsi quando i Comuni hanno introdotto limitazioni alla circolazione di mezzi inquinanti.
EURO 1 In vigore dal 1993. Ha introdotto l’obbligo per la casa
costruttrice di montare la marmitta catalitica e di usare l’alimentazione a iniezione.
EURO 2 Questa normativa ha richiesto modifiche sui diesel
simili a quelle effettuate due anni prima sui veicoli a benzina. È
in vigore dal 1996.
EURO 3 Nel 2000, ha obbligato i costruttori a un’ulteriore diminuzione delle emissioni. Alcuni autoveicoli immatricolati prima del 2001 già rispettavano questa normativa.
EURO 4 Indica i veicoli conformi con la direttiva del 1 gennaio 2006. Alcune case costruttrici hanno anticipato l’obbligo. La
maggior parte delle macchine oggi in vendita è “euro quattro”.
EURO 5 È in vigore dal settembre 2009. Per chi possiede una delle ultime macchine fabbricate nella era dell’“euro
quattro” bastano pochi soldi per aggiornare la carta di circolazione.
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Diplomazia / In Italia
Nel Rinascimento
la Serenissima
stabilisce la prima
struttura formale
delle relazioni
internazionali.
Nel nostro paese sono
accreditate
duecentodieci
Ambasciate
e quarantasette
altre Organizzazioni
RAPPRESENTANZE Palazzo Farnese sede dell’Ambasciata Francese e Palazzo Margherita sede dell’Ambasciata Americana
Tutto è cominciato a Venezia
È la città eterna il polo italiano delle feluche straniere
Chiara Aranci
Fu l’antica Repubblica di
Venezia la prima a creare una
rete diplomatica, nel senso
moderno del termine, all’epoca del Rinascimento. La Serenissima stabilì per prima la
struttura formale della diplomazia, a cui successivamente
tutti gli stati hanno fatto riferimento. Un’operazione dettata
dall’esigenza di sfruttare e controllare al meglio il suo traffico commerciale. Fu, quindi,
l’Italia a dare le origini alla moderna diplomazia: dopo Venezia, i principati e le signorie,
infatti, introdussero un sistema di missioni diplomatiche
permanenti con il compito di
rappresentare gli interessi dei
loro stati, di negoziare e soprattutto di riferire. E’ in questo momento che nasce e si
struttura l’istituto giuridico
della diplomazia che segnerà la
vita politica mondiale. Nel
‘700, Ugo Grozio, giurista e filosofo olandese, teorizzò l’esigenza di una legge sovranazionale volta a regolare le relazioni tra gli stati: nasceva il
LE SEDI PIÙ BELLE: DA PALAZZO FARNESE A PALAZZO MARGHERITA
Michelangelo regalato a Sarkozy
Palazzi “rubati”, negati ai romani. Le
ambasciate straniere occupano alcuni tra gli
edifici storici della capitale. In uno degli esempi più importanti dell’architettura rinascimentale cinquecentesca, quel palazzo Farnese
voluto da papa Paolo III e progettato da Michelangelo, ha sede la missione francese in
Italia.
In via XX settembre un altro edificio storico, villa Bracciano, ospitava l’ambasciata inglese. Il governo britannico la acquisì nel
1870. Nel 1946 fu danneggiata gravemente
da un’esplosione di matrice terroristica israeliana e venne ricostruita nel 1968. Oggi mescola uno stile architettonico moderno a uno
dei materiali classici della tradizione edile italiana, il marmo travertino.
diritto internazionale, che andava a istituzionalizzare la figura del diplomatico e la sua
attività. Dopo le due guerre
mondiali la diplomazia “classica” amplia il suo raggio
d’azione e ingloba un fenomeno nuovo, legato alla ricostruzione, quello della coope-
Da un attentato all’altro, si arriva alla delegazione romana della Svizzera, finita recentemente nel mirino della Federazione anarchica informale. Gli elvetici trattano i propri
affari diplomatici in una magnifica villa nel
quartiere Parioli. Siepi e cancelli blindati proteggono i funzionari da sguardi indiscreti.
Proprio come fanno gli americani in via Veneto. Palazzo Margherita, oggi palazzo Mel
Sembler, dal nome dell’ambasciatore che
ottenne i fondi per il restauro del complesso, combina elementi dello stile neocinquecentista e del disegno modernista. Il tour si
chiude in zona turistica, a piazza Navona,
dove palazzo Pamphilj ospita la delegazione
brasiliana.
razione allo sviluppo. Nascono Organizzazioni internazionali, che riuniscono i rappresentanti dei Paesi che vi
aderiscono con obiettivi precisi
in diversi settori, e vanno ad affiancare il lavoro della diplomazia “classica”. Oggi in Italia sono accreditate 210 Am-
L. d’A.
basciate estere e 47 tra Organizzazioni internazionali e
Missioni speciali e Roma assume anche il titolo di Capitale
della diplomazia. Perchè tutte
le ambasciate risiedono nella
città eterna, insieme a una
trentina di Organizzazioni internazionali e a circa una no-
vantina di missioni diplomatiche presso la Santa Sede.
Nel 1957, inoltre, Roma fu la
città che vide la firma dell’omonimo Trattato, istitutivo
dell’Unione Europea e nel
2010 ha ospitato la prima edizione del “Festival della Diplomazia”, a conferma del suo
essere città di incontro e scambio delle relazioni internazionali.
Certo, il caso Wikileaks ha
riportato in primo piano il
discorso sull’attualità e la funzionalità delle ambasciate. Migliaia di documenti scambiati tra la diplomazia americana
e il Dipartimento di Stato sono
finiti in rete creando scompiglio e imbarazzo tra diversi
Paesi. Oggi l’utilizzo della rete
potrebbe dimezzare i costi
delle relazioni internazionali,
eppure tutti i Paesi, anche
quelli più poveri, preferiscono
non rinunciare alla propria
rappresentanza diplomatica,
per non far venir meno quello status symbol, quel biglietto da visita internazionale,
scrigno della diplomazia di
ogni Paese.
Con otto esponenti è l’Africa ad avere il maggior numero di ambasciatrici
Quando la rappresentanza è donna
Emiliana Costa
NOBILE Ambasciatrice della
Giordania in Italia, la principessa Wijdan Fawaz Al-Hashemi
Reporter
nuovo
L’ambasciatore non è un lavoro per
donne, almeno stando a quello che dicono i numeri. Sono 147 le feluche straniere nel nostro Paese e di queste solo
venti appartengono al gentil sesso. La carriera diplomatica, corsa a ostacoli per gli
uomini, è una vera e propria impresa per
signore e signorine che ambiscono a indossare il tanto agognato copricapo.
Ma quando ci riescono, sembrano essere le migliori. Le statistiche le premiano,
mettendole ai vertici dei concorsi per le
poltrone all’estero.
Le feluche in gonnella presenti sul territorio nazionale provengono prevalentemente dal sud del mondo. Ed è l’Afri-
ca a farla da padrona. Le ambasciate di
Niger, Guinea Equatoriale, Mozambico,
Malawi, Sud Africa, Ghana, Kenya e Benin sono guidate da donne. Lo stesso dicasi per due Paesi dell’Europa dell’Est,
Estonia e Lettonia. Spunta anche uno stato a sorpresa: il musulmanissimo Pakistan, crocevia dell’integralismo islamico,
è rappresentato a Roma dalla signora Tasnim Aslam. Per l’Europa Occidentale ci
sono le feluche rosa di Svezia, Belgio e
Serbia. Senza dimenticare l’ambasciata
della Repubblica di San Marino, guidata da Daniela Rotondaro. All’appello
non mancano gli stati insulari. Le feluche di Cipro, Honduras e Cuba sono
donne. Per il sud America, è il Paraguay
ad avere in Italia la rappresentanza al fem-
minile. Ma l’unica esponente blasonata
è l’ambasciatrice di Giordania, appartenente alla famiglia reale del paese mediorientale. Si tratta della principessa Wijdan Fawaz Al-Hashemi, nota per il suo
impegno nel dialogo tra oriente e occidente. La diplomatica, da quasi cinque
anni nella Capitale, non fa segreto del suo
amore per la città della Dolce vita. “Se potessi scegliere – aveva affermato lo scorso anno in un’intervista al Corriere della Sera – non vivrei da nessuna altra parte. In Italia avete una bella natura e gente amichevole. Amo la vostra Opera, arte
e architettura. E il cibo è fantastico”.
L’unico motivo per fuggire da Roma? “Per
ritrovare il silenzio, solo nei fine settimana”.
LA STORIA
Da Londra
fino
a Vienna
Diplomazia, dal verbo
greco diploun, piegare in
due. Lasciapassare, permessi di transito e tutti gli
altri documenti, i diplomas, indispensabili all’ambasciatore dell’impero romano erano, infatti,
applicati su due piastre
metalliche, piegate e poi
attaccate. Passando per
la diplomatica, la scienza
che studia i documenti ufficiali del tempo, si è poi
arrivati alla res diplomatica, gli affari diplomatici.
La prima potenza moderna a fare propri i termini “diplomazia” e “diplomatico” è stata l’Inghilterra di Edmund Burke, il Cicerone britannico.
«È l’insieme delle procedure politico-istituzionali – scriveva il filosofo
membro del partito Whig
- mediante le quali gli
Stati intrattengono relazioni reciproche». Dopo il
Congresso di Vienna, la
diplomazia divenne quello che non era mai stata
prima, una vera e propria
professione con le sue
norme e le sue prescrizioni. Una novità: dalle
polis greche al senato Romano, da Bisanzio alla
Cina imperiale, nessuno
Stato antico aveva allestito un’organizzazione permanente per le attività
diplomatiche.
Nel 1961 i princìpi su
cui per secoli si è basata
questa delicata professione hanno trovato una codificazione con la Convenzione di Vienna, tra
cui l’immunità e l’inviolabilità delle sedi delle
missioni. Dall’impero romano a oggi, quindi, il
detto non è mai cambiato. “Ambasciator non porta pena”.
L. d’A.
25 Febbraio 2011
5
Diplomazia / In Italia
Dal monumentale edificio del Foro Italico, uno sguardo ai vari Paesi rappresentati in Italia
Qui alla Farnesina non è mai notte
L’Unità di Crisi pronta ad affrontare tutte le emergenze internazionali
Raffaele D’Ettorre
Alla Farnesina, il mastodontico palazzo progettato
nel 1933 dagli architetti Del
Debbio, Foschini e Morpurgo e oggi sede del ministero
degli Affari Esteri, è il momento più delicato. Un’unità
di crisi lavora incessantemente per fronteggiare la difficile situazione creatasi sullo scacchiere internazionale in
seguito alla rivolta in Libia.
Istituita nella seconda
metà degli anni Ottanta,
l’Unità di Crisi del ministero
degli Affari Esteri (comunemente abbreviato in Mae) ha
il compito di tutelare gli interessi degli italiani all’estero
in situazioni di emergenza. Si
colloca nella più ampia organizzazione gerarchica del
Mae, il dicastero disciplinato
dalla legge 23 aprile 2003 n.
109, predisposto alle funzioni di rappresentanza e di tutela degli interessi dell’Italia in
sede internazionale, che spettano allo Stato sulla base dell’articolo 117 della Costituzione Italiana.
E di matasse da sbrogliare
ogni giorno, al Ministero, ne
capitano parecchie. Con oltre
un centinaio di delegati all’estero e ambasciate disseminate ad ogni fuso orario,
alla Farnesina, letteralmente,
non è mai notte. Quando le
situazioni diplomatiche degenerano e c’è il rischio di una
crisi, la fitta rete diplomatica
del ministero deve essere
sempre all’erta e pronta ad intervenire.
Al Mae spettano infatti
IMPONENTE
La sede del
ministero degli
Esteri.
In primo piano
il globo di
Pomodoro
tutti i compiti istituzionali relativi ai rapporti politici, economici, sociali e culturali
con l’estero, di rapporti con
gli altri Stati e con le Organizzazioni internazionali. Da
un punto di vista strutturale,
il Ministero è suddiviso in 13
Direzioni Generali, con il
compito di coordinare l’azione diplomatica nei diversi
settori della politica estera. A
queste vengono affiancati altri uffici, quali la Segreteria
Generale, il Servizio Stampa
e Informazione, il Servizio del
Contenzioso Diplomatico e
dei Trattati e il Servizio Storico, Archivi e Documentazione.
Il Ministero ha sede a pa-
lazzo Farnese, nella zona cosiddetta degli “Orti della Farnesina”, fra Monte Mario e il
Tevere, uno spazio in precedenza appartenuto a Paolo III
Farnese. Inizialmente pensato come “Palazzo del Lit-
L’IMPEGNO PER L’AMBIENTE
Diplomatici sì ma a basso impatto. In
occasione del sesto anniversario del
Protocollo di Kyoto, anche le ambasciate
cercheranno di ridurre l’impronta ambientale generando meno emissioni.
Un progetto ambizioso denominato
“Diplomazia a impatto zero”, promosso in Italia dall’ambasciatore del Costa
Rica, Ortuño Victory, e da LifeGate che
dal 2002 collaborano per affrontare il
problema dei cambiamenti climatici.
La campagna diplomatica coinvolgerà
le 190 ambasciate straniere presenti
sul territorio italiano, a cui l’associazione ambientalista regalerà il calcolo dell’impatto ambientale generato dalle loro
attività. Il primo passo per tentare di arginare gli stravolgimenti climatici deri-
Meno emissioni
Costa Rica
al primo posto
vanti dalle emissioni di CO2 nell’atmosfera. “La lotta ai cambiamenti climatici è una sfida globale e va affrontata con
la collaborazione di tutti gli Stati - ha dichiarato Simone Molteni, Direttore
Scientifico di LifeGate - . Proprio per rappresentare questa dimensione mondiale abbiamo deciso di coinvolgere tutte
le ambasciate presenti in Italia. Il calcolo
delle emissioni di CO2 è il primo passo
necessario per ridurre l’impatto am-
bientale e avviare un percorso di sostenibilità”. Il primo Paese ad aderire al progetto è stato il Costa Rica, che entro il
2021 ridurrà e compenserà (attraverso
la riqualificazione di foreste in tutto il
mondo) interamente le emissioni di anidride carbonica generate dall’attività
diplomatica. “Sono sicuro che i miei colleghi accoglieranno positivamente questa iniziativa” ha auspicato Ortuño Victory. Ma cosa possono fare concretamente le ambasciate per aiutare l’ambiente? Rinunciare alle missioni diplomatiche, ovviamente, non si può, ma si
potrebbero limitare i viaggi aerei delle delegazioni, magari spostando le conferenze su internet. E la Terra ringrazia.
G. C.
torio”, nuova sede del Partito Nazionale Fascista, l’edificio presenta tutte le caratteristiche tipiche dell’architettura italiana del Ventennio:
monumentalità, massa, ritmo,
simmetria, imponenza. Con
una facciata principale di 169
metri, alta 51 metri, l’edificio
si erge per nove piani, che sviluppano in totale 120.000
metri quadri di superficie e
720.000 metri cubi di volume. Una massa notevole, che
gli ha permesso di dividere
con la Reggia di Caserta il primato in Italia come palazzo
dal più ampio volume costruito.
È solo all’inizio del 1940
che, a costruzione già avviata, si decide di farne la
sede ufficiale del ministero
degli Affari Esteri. Un dicastero che, fin dal 1871, con
il trasferimento della capitale del regno d’Italia da Firenze a Roma, ha sempre
avuto la sua sede nella “città eterna”: prima nel Palazzo della Consulta (dal 1871
al 1922), poi Palazzo Chigi
(dal 1923 al 1959) e, dal
1959 in poi, l’attuale edificio,
da quel momento in poi conosciuto in tutto il mondo
semplicemente come “la Farnesina”.
Dal 2000, inoltre, il palazzo ospita una prestigiosa
collezione di Arte Contemporanea italiana, ricca di oltre 200 opere tra dipinti,
sculture, mosaici e installazioni, a testimonianza del dinamismo e della vitalità creativa della produzione artistica del nostro Paese.
In tutti i Paesi celebrazioni per l’indipendenza e liberazione dello Stato
Tante date per l’orgoglio nazionale
Chiara Aranci
CELEBRE L’assalto alla Bastiglia in un dipinto dell’epoca
6
25 Febbraio 2011
Il primo giorno dell’anno è
la celebrazione della Liberazione a Cuba e apre il calendario delle 180 feste nazionali
registrate al ministero degli
Esteri italiano. La notte di capodanno del 1959 Fulgencio
Batista, il dittatore cubano al
potere dal 1934, si diede
alla fuga in seguito alle insurrezioni scoppiate nell’isola; il primo gennaio le colonne ribelli si diressero a L’Havana senza incontrare alcuna
resistenza. Cuba era libera e
il giorno della Liberazione
divenne festa nazionale.
Scorrendo il calendario del
Mae ogni mese si fa il giro del
mondo e per tutte le delegazioni diplomatiche presenti a
Roma la festa nazionale è un
evento importantissimo da
celebrare. Gli invitati? Le rappresentanze del Paese ospitante, i colleghi delle ambasciate - con cui si hanno rapporti diplomatici, culturali
ed economici - e alle persone
che per qualche motivo - di
studio, di lavoro – sono legate al Paese che festeggia.
Tra quelle più conosciute
c’è il 12 ottobre, festa della
Spagna e ricorrenza della scoperta dell’America, un evento che per anni fu celebrato
come il “Dia de la Hispanidad” data l’enorme importanza che il 12 ottobre ricopriva per il Paese e per tutte
le popolazioni dell’America
Latina. Nel 1987 la legge venne cambiata: il 12 ottobre
mantenne la ricorrenza della
scoperta dell’America e quello di festa nazionale della
Spagna, ma perse il riferimento alla Hispanidad. Il 14
luglio è una data difficile da
dimenticare. In quel giorno,
nel 1789, ci fu la presa della
Bastiglia, simbolo dell’assolutismo monarchico. Si apriva la Rivoluzione francese e
con essa si affermavano i
principi cardine dei diritti
dell’uomo. Una conquista
non solo per la Francia. Altra
data celebre è quella del 4 luglio, giorno in cui si celebra
l’indipendenza delle 13 colonie americane, fondatrici degli Stati Uniti d’America, dalla madre patria Inghilterra.
Era il 1776 e segnava la nascita di una nazione che presto sarebbe divenuta super potenza mondiale. Una data più
recente ma densa di impor-
tanza storica è sicuramente
quella del 3 ottobre, giornata
scelta dalla Germania per celebrare la sua festa nazionale.
Proprio il 3 ottobre 1990, a
nemmeno un anno di distanza dalla caduta del muro di
Berlino la Germania Federale si riuniva con la Repubblica Democratica di Germania, dopo 41 anni di separazione. L’ultima coda della
guerra fredda veniva definitivamente cancellata.
Le feste nazionali celebrano il senso di appartenenza e
lo spirito d’unità di una nazione. Per coloro che si trovano fuori patria per motivi di
lavoro, è dunque motivo di
grande orgoglio festeggiarle
anche all’estero.
Reporter
nuovo
Diplomazia / All’estero
Carriera, compiti e obiettivi dei nostri ambasciatori nel mondo. Ad oggi sono più di 130
Il lungo viaggio delle feluche
Benefici di un ruolo ambito. Una serie di gradini scaglionati negli anni
Andrea Andrei
Quello del diplomatico è un
lavoro che in molti vorrebbero (o avrebbero voluto) intraprendere nella vita. Oltre a essere molto ben retribuito, offre la possibilità di essere sempre in movimento, di venire in
contatto con culture diverse, di
viaggiare e di vedere il mondo,
nonché di vivere “sulla propria
pelle” la politica internazionale,
seguendone gli sviluppi e avendo l’onore di rappresentare la
propria nazione all’estero.
Ma diventare diplomatico,
anche per la stessa natura del
ruolo in questione e dei delicati compiti che si è tenuti a
svolgere, non è cosa semplice.
Prima cosa, il concorso
pubblico. Si tratta di una prova complessa, che presuppone, oltre al possesso di una laurea magistrale in scienze della politica, giurisprudenza e affini, soprattutto una preparazione specifica e molto approfondita in storia, in diritto,
in economia e nelle lingue
(bisogna saperne parlare almeno due). Sono pochi i candidati che riescono a superare l’esame in tre tentativi (limite
massimo di volte in cui si
può sostenere la prova), pochissimi quelli che hanno successo al primo. Superato questo scoglio, inizia la carriera
Ecco le residenze più importanti
LONDRA Il palazzo dell’Ambasciata italiana
vera e propria, anch’essa lunga e complessa. Si diventa
dapprima Segretario di Legazione, ruolo che ha una durata di dieci anni e sei mesi, di
cui nove mesi sono di prova e
almeno sei anni vengono trascorsi all’estero. I due “gradini” successivi hanno entrambi una durata minima di quattro anni. Si tratta prima del
ruolo di Consigliere di Legazione, e poi di quello di Consigliere d’Ambasciata. A questo punto si può diventare
■ WASHINGTON
La cancelleria è a Whitehaven Street. L’ambasciatore, Giulio Terzi di Sant’Agata, vive nella splendida “Villa Firenze”.
■ LONDRA
Il palazzo al numero 4 di Grosvenor Square (foto)
ospita la sede in cui opera l’ambasciatore Alain Giorgio Maria Economides.
■ PARIGI
L’Ambasciata d’Italia in Francia è l’Hôtel de La Rochefoucauld-Doudeauville. L’ambasciatore è Giovanni Caracciolo di Vietri.
■ TOKYO
L’ambasciatore Vincenzo Petrone gode di una residenza nella capitale giapponese con un giardino
molto suggestivo che ingloba un piccolo lago.
■ MOSCA
La bellissima sede dell’ambasciata è a Denezhnij
Pereulok. Il compito di rappresentare l’Italia in
Russia è di Antonio Zanardi Landi.
Ministro Plenipotenziario, grado nel quale si deve restare almeno sette anni, prima di poter essere nominato Ambasciatore. In pratica, se si venisse
immediatamente promossi alla
scadenza minima di ogni ruolo (cosa assai difficile), per arrivare a essere al grado più alto
ci vorrebbero comunque più
di venticinque anni. Un quarto di secolo ben speso, se
poi si considera il trattamento di favore che è riservato ai
diplomatici da parte dei pae-
si ospitanti. Come sancito
dal diritto internazionale, infatti, la persona dell’Agente diplomatico è «inviolabile»,
quindi, «pur se tenuto al rispetto della legislazione dello Stato ricevente, è sottratto
alla sua giurisdizione». A
questo si vanno ad aggiungere una serie di facilitazioni, fra
cui l’esenzione dal pagamento delle tasse. Se poi si considera anche l’importante retribuzione (fino a quasi 300
mila euro annui), si com-
prende facilmente perché questo lavoro sia fra i più ambiti.
C’è da dire, però, che a tanti privilegi corrispondono anche tante responsabilità. I
compiti di un ambasciatore
sono più delicati di quanto si
possa immaginare. Essendo
l’Italia considerata nel mondo
una grande potenza “culturale”, ai rappresentanti del
nostro paese è richiesto soprattutto di puntare su questo
aspetto, promuovendo la nostra immagine dell’Italia anche
con l’obiettivo di stringere
nuove relazioni economiche
e commerciali con le altre
nazioni. Un lavoro che non è,
quindi, soltanto simbolico.
Anzi. La rappresentanza, in
questo caso, sta soprattutto
nel saper comprendere le culture con le quali si viene in
contatto ed essere così in grado di negoziare. Si tratta, né
più né meno, di attività manageriale a tutti gli effetti.
Aspetto ulteriormente accentuato nei progetti di cooperazione con i Paesi in via di
sviluppo, in cui gli agenti diplomatici hanno un ruolo di
controllo.
L’Italia ha più di 130 ambasciatori in tutto il mondo e
presso le principali organizzazioni internazionali. Di questi, soltanto cinque sono donne.
È una riforma, su indicazione del ministro, il mandato ai nostri rappresentanti all’estero
I buoni rapporti diventino buoni affari
Emiliana Costa
“Volete conquistare i mercati stranieri? Puntiamo sulle missioni, sulle regioni assistite dai diplomatici, sulle
camere di commercio e sugli
ambasciatori-coordinatori
dei desk commerciali”. E’ il
monito ai piccoli e medi imprenditori del ministro degli
Esteri Franco Frattini, che ha
lanciato “Sistema Paese”, la
riforma della Farnesina entrata in vigore il 21 dicembre
scorso e per la quale si attende il decreto entro il 30
giugno.
“Abbiamo creato un’autostrada per chi vuole fare
business all’estero. Il casello
di ingresso saranno le camere di commercio locali e il casello d’uscita le ambasciate,
che rappresenteranno lo
sportello unico del sistema
Reporter
nuovo
Paese”, spiega Frattini. Parola sano diventare in questo seme era germogliato. Oggi
d’ordine, dunque, diplomazia modo dei piazzisti. Il mini- sono loro che vengono a
economica. Con l’ambascia- stro respinge al mittente le propormi di presentare l’ultore a coordinare la squadra, accuse, definendole “squal- timo modello di Ferrari per
addetti commerciali com- lide polemiche”. E’ innega- il 2 giugno nei giardini delpresi. Le nostre aziende po- bile, però, che per gli amba- l’ambasciata”.
trebbero ritrovarsi a stringe- sciatori si tratti di una vera e
Dubbi sulle sorti dell’Ice,
re accordi oltre confine pro- propria rivoluzione cultura- l’istituto che ha avuto finora
tette dalla
un ruolo di
corazzata
supporto nelRespinte le polemiche. Resta da sciogliere
ministeriale.
la rete del
Il modello di
c o m m e rc i o
il nodo delle Regioni che si erano
“Ambasciata
estero. La soeconomica”
luzione ventidotate di una propria politica estera
è stato imlata è il pasportato da
saggio graPaesi come la Germania, la le. “Quando nel 2002 sono duale delle responsabilità alle
Francia e la Gran Bretagna. arrivato per la prima volta camere di commercio. Per
“Le nostre sedi in terra stra- alla Farnesina – racconta il gli uffici all’estero, ci sarà
niera diventeranno la Casa ministro – soprattutto colo- una struttura nell’ambito deldell’Italia. Un luogo dove, ro che erano vicini alla fine l’ambasciata che farà il cooranche fisicamente, gli im- della carriera guardarono dinamento delle iniziative
prenditori possono chiedere questa proposta come idea di locali. In realtà, l’Ice sembrale informazioni di cui hanno cambiare rapidamente pelle va sul punto di chiudere già
bisogno”. Tra i critici, c’è alla diplomazia. Ma tornato qualche mese fa, ma l’inquichi teme che le feluche pos- al dicastero ho trovato che il lino della Farnesina è otti-
mista: “Non credo che si andrà alla soppressione tout
court. E’ certo che il coordinamento sarà quello della
rete diplomatica. Gli ambasciatori, del resto, hanno
competenza economica ma
non sono promotori commerciali. Hanno bisogno di
personale specializzato”.
Resta da sciogliere il nodo
delle Regioni, che si erano dotate di una propria politica
estera. “I governatori hanno
capito che, mentre i diplomatici italiani possono incontrare facilmente il ministro dell’Industria di un certo Paese, con i loro negoziati fai da te non ci riuscirebbero mai. Attenzione, però –
conclude Frattini – il ministero non è una merchant
bank. Noi creiamo opportunità di incontri, il business
poi se lo fanno da soli”.
D’EMILIA
«Insieme
più
risultati»
Chi cura la politica
economica italiana all’estero? A contendersi il
“potere”, il nostro paese
vanta due istituzioni. Da
una parte c’è l’Ice; dall’altra, invece, il ministero degli Esteri. Ma come
si sceglie un programma
d’intervento comune che
sia univoco? In realtà Ice
e Farnesina non sempre
collaborano, ed è proprio la mancanza di coordinamento uno dei
grandi problemi dell’amministrazione italiana all’estero. ReporterNuovo
ha intervistato Pio d’Emilia, corrispondente di Sky
Tg 24, da trent’anni in
Giappone: «Molto dipende dalle persone che
singolarmente operano
in una realtà diversa: con
un direttore dell’Ice intelligente e produttivo le
cose possono andare meglio, se coadiuvato dall’Ambasciata. Ma se le
parti istituzionalmente e
personalmente non si
piacciono, nascono i problemi».
Quanto ha influito il
premier nella definizione della politica economica estera?
«Berlusconi ha dato
una spinta ulteriore al
ruolo delle ambasciate
in quanto procacciatrici e
sedi promozionali del
Made in Italy. Sicuramente un ambasciatore o
un addetto commerciale
saggio e intelligente potrebbe appoggiare il ruolo svolto dall’Ice. Ma non
avocarlo completamente».
Come procede la politica economica italiana
nel Sol Levante?
«In questo particolare
momento fortunatamente siamo di fronte a persone che collaborano in
modo intelligente, l’interesse dell’Italia è al primo
posto. Le cose funzionano indubbiamente meglio».
25 Febbraio 2011
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Diplomazia / All’estero
Per gli italiani in tutte le sedi delle nostre ambasciate solenni celebrazioni per il 17 marzo
Così nel mondo la festa d’Italia
Anche a Hong Kong e in Uganda organizzati convegni, mostre e concerti
Ida Artiaco
17 marzo 2011. Una data
che in Italia continua a dividere i politici e il mondo
dell’informazione, ma che all’estero ha messo tutti d’accordo: in ogni angolo del
pianeta, in tutti i continenti e
nelle più piccole città, si festeggeranno i centocinquanta anni dell’Unità del Belpaese. E non solo in paesi
come Argentina, Brasile, Australia ed Uruguay, dove vivono le comunità italiane
più numerose. Una opportunità irripetibile per promuovere le eccellenze nostrane,
coinvolgendo gli appassionati e tutti quegli italiani
che, pur immigrati in altri stati per motivi di studio o lavoro, mantengono vivo il legame con la loro terra d’origine. Numerose sono le iniziative pensate dalle ambasciate italiane all’estero per festeggiare lo spegnimento delle centocinquanta candeline
del nostro paese. In Polonia,
per esempio, Versavia e le altre principali città saranno
teatro di convegni sulla storia del Risorgimento e di
concerti, tra cui l’esibizione,
proprio il prossimo 17 marzo, dell’orchestra Filarmonica della Scala, diretta dal
maestro Stafano Ranzani, che
avrà un impatto, soprattutto
mediatico, sulla scena culturale e politica polacca. Anche
nel lontano Oriente si festeggerà la secolare ricorrenza: ad Hong Kong, in Cina, il
consolato generale sta mettendo a punto una program-
NEGLI USA. A COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE TERZI
FESTEGGIAMENTI
Al Columbus Day
l’inaugurazione
delle celebrazioni
per i 150 anni
dell’Unità d’Italia
“Celebriamo le nostre eccellenze”
Celebrare le eccellenze italiane,
scientifiche ed imprenditoriali in
America. Questo, secondo Giulio
Terzi di Sant’Agata, ambasciatore a
Washington, l’obiettivo del programma “Italy@150”, una serie di
eventi organizzati nel Vecchio Continente per festeggiare il compleanno
dell’Unità del nostro paese.
Ambasciatore Terzi, qual è il significato di questi appuntamenti?
«Non sono solo eventi celebrativi,
ma una scelta politica, nel senso più
ampio del termine, per riportare l’attenzione degli statunitensi sul nostro
Paese. Si tratta di una opportunità per
valorizzare il contributo che l’Italia ha
dato in tutti settori dello sviluppo
umano. Il tutto a conferma del legame unico tra le due nazioni. Un legame antico, testimoniato dall’influenza che le menti più aperte dell’Illuminismo italiano ebbero sull’America, e sviluppato attraverso
storie parallele di grandi figure del
pensiero e della storia italiana e americana, come Andrea Palladio e Thomas Jefferson, Giuseppe Garibaldi e
Abraham Lincoln. D’altronde, i valori del Risorgimento e quelli degli
Stati Uniti non di rado coincidono».
Quali manifestazioni, nello specifico, sono in programma negli
Usa?
«In quasi un anno e mezzo sono
previsti tantissimi eventi, che hanno
avuto inizio con il Columbus Day dello scorso ottobre, in cui anche il presidente Obama ha definito “inestimabile”il contributo degli italo-americani. Ampio spazio sarà dedicato all’arte, ma protagonista delle celebrazioni sarà anche il cinema italiano e la sua influenza su quello americano. Oltre alla cultura non viene dimenticata l’attualità dei legami tra i
due Paesi e il mondo delle imprese,
con una serie di conferenze sul con-
tributo delle eccellenze nostrane al
progresso Usa. Infine il 17 marzo l’ambasciata ospiterà un concerto con le
musiche di Verdi e Puccini eseguito
dall’orchestra del Petruzzelli di Bari».
Cosa significa per gli italiani che
vivono oltreoceano festeggiare questa ricorrenza?
«La risposta degli italiani che risiedono qui è stata straordinaria. E’ un
sentimento contagioso che con “Italy@150” avrà un effetto moltiplicatore
dell’attenzione degli americani per il
Belpaese. Effetto che si registra, per
esempio, anche nello studio della
lingua, l’italiano, che secondo il New
York Times è una delle poche in crescita. Proprio la lingua, insieme al patrimonio storico e culturale, sono gli
strumenti essenziali per promuovere
gli interessi e l’immagine di una Italia consapevole della propria storia e
delle proprie tradizioni e che guarda
I. A.
al futuro».
mazione di eventi sia per rafforzare il sentimento nazionale tra i cittadini residenti
nella città cinese, sia per attirare l’attenzione del pubblico locale su questo evento. Sono previsti un ciclo di
lezioni nella scuola italiana,
per approfondire le radici
storiche del nostro paese,
cui potrebbero aggiungersi
conferenze presso le università del posto, una mostra di
gioielli rinascimentali e sul
tricolore e una rassegna cinematografica. Per testimoniare la continuità secolare
nei rapporti italo-turchi, l’ambasciatore d’Italia ad Ankara,
Gianpaolo Scarante, ha presentato un anno di incontri,
sfilate di moda e conferenze,
alcune delle quali ospitate a
Palazzo Venezia a Istanbul,
storica residenza degli ambasciatori sul Bosforo, che
hanno l’obiettivo di avvicinare e far conoscere meglio la
cultura, le tradizioni e le opportunità di business fra i due
paesi. Una serie di eventi, organizzati dall’ambasciata italiana a Kampala con la partecipazione di Ong italiane
presenti sul territorio, si sono
già svolti in Uganda. Nella
prestigiosa cornice del parlamento e alla presenza dei
deputati ugandesi, di esponenti della cultura e religiosi si sono svolti interventi sul
significato del processo unitario italiano. Infine, anche i
cugini francesi, nonostante le
tradizionali incomprensioni, faranno festa con il resto
del mondo, dando voce e visibilità alla comunità italiana.
Clima. Come viene attuata la direttiva del ministero. L’esempio di Brasilia
Fotovoltaici presso le nostre sedi
Giulia Cerasi
CLASSICA Di Nervi la sede
dell’Ambasciata italiana a
Brasilia
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25 Febbraio 2011
Una diplomazia sempre
più verde. E’ questo il motto del ministero degli Affari
Esteri che, grazie a un piano
d’azione comprendente varie
iniziative ecologiche, contribuisce alla lotta al cambiamento climatico promuovendo standard ambientali più alti. Un esempio?
L’installazione di impianti
fotovoltaici presso le nostre
sedi diplomatico-consolari.
L’ambasciata italiana in
Brasile è la prima ad averne
inaugurato uno, circa dieci
giorni fa. Oltre 400 pannelli solari, per un totale di 50
kW di potenza, ora campeggiano sul tetto del capolavoro di Pierlugi Nervi, sulla riva del lago di Brasilia.
L’obiettivo è raggiungere la
completa autosufficienza
energetica.
“In un’ottica di contenimento della spesa il progetto ‘Ambasciata Verde’ nasce
dall’esigenza di una più oculata ed efficiente gestione
della cosa pubblica e consente di valorizzare, con una
tra le tecnologie più avanzate, una fonte di energia rin-
novabile a emissione zero di
cui il Brasile dispone in abbondanza” ha dichiarato il
ministro degli Esteri Franco
Frattini.
L’Aneel (Agenzia Nazionale Energia Elettrica), una
delle compagnie brasiliane
che ha contribuito al progetto, ha posizionato nell’impianto dell’ambasciata
un contatore che permette di
calcolare quanta energia verrà trasferita alla rete energetica tramite i pannelli, dando
energia all’edificio la stessa
quantità di energia anche
nelle ore in cui non viene pro-
dotta elettricità. al fine di
avere un ciclo ininterrotto e
teoricamente inesauribile.
L’iniziativa si inquadra nel
progetto, denominato “Ambasciata Verde” e lanciato
dalla Farnesina in partnership
con Enel Green Power, CEB
(Compagnia Energetica di
Brasília), Aneel, Fiat e Itaipu
Binacional, che ha mira a
fornire energia solare via via
a tutte le sedi diplomatiche
italiane nel mondo, sia ambasciate che consolati.
“L’Ambasciata Verde va
collocata nel contesto di un
progetto più grande che è
Farnesina Verde” ha spiegato l’ambasciatore d’Italia a
Brasilia, Gherardo La Francesca. Ma non solo. Questo
è segnale di rafforzamento
dei rapporti scientifici e tecnologici tra Italia e Brasile
che sembrano destinati ad
intensificarsi.
Un obiettivo ecologico
ambizioso, dunque, ma che
strizza l’occhio al mondo
degli affari. L’ambasciata italiana, infatti, dovrà rimborsare l’Enel Green Power che
ha installato i pannelli. Perché, come ammette lo stesso sito internet della Farnesina, si può coniugare brillantemente attenzione all’ambiente e promozione del
“Sistema Italia”.
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nuovo
Cronaca
Bingomania: fino a notte fonda appassionati nelle sale gioco. Un tuffo in due mega-locali
Una giocata per vincere la noia
Non solo pensionati a contendersi il jackpot in palio, ma anche giovani
Andrea Andrei
Di notte, quando la città attende, silenziosa e deserta, l’alba. Roma, quartiere africano.
Non è vero che la metropoli
non dorme mai. E chi rimane sveglio, fa fatica a trovare
un posto dove rifugiarsi e
passare qualche ora. Tutto è
chiuso, sbarrato. Ci sono alcune luci, però, che non si
spengono mai. Luci colorate,
lampeggianti, dozzinali. Una
scritta che si staglia, immensa. Bingo. Bruttissimo, da
fuori. Ma chissà se per curiosità o per qualcos’altro, senza
accorgersene si è già dentro.
Dall’aria rigida di viale Somalia si passa a un tepore piacevolissimo. Ci si fa largo tra
file di slot machine, fino a un
ascensore dalle pareti trasparenti che scende fino alla sala permercato di due piani. Parprincipale. Davanti al palco cheggio sotterraneo riservato.
delle estrazioni si apre un Mille posti, 170 dipendenti.
ampio salone. Il soffitto è al- Jackpot di tutt’altra portata.
tissimo, è ben illuminato,
La sala per le slot machine
l’aria è respirabilissima, no- è imponente. Per entrare nel
nostante l’area sia riservata ai salone principale bisogna metfumatori. C’è
tersi in fila e
una saletta più
aspettare che la
piccola, nel re- Sale ben illuminate, partita in corso
tro, per chi non
finisca. È mezfuma. I tavoli clima confortevole: zogiorno
e
sono larghi, le gli anziani passano mezza. Il sepoltrone cocondo piano è
così il tempo
mode. Non ci
chiuso, ma il
si sente a casa,
primo è pratima ci si sente
camente pieno.
bene. Coccolati, quasi. È Non c’è posto, ci sediamo
come se il tempo si fermasse, allo stesso tavolo di un signore
in un limbo frenetico.
sulla sessantina. Il soffitto è
La chiamata dei numeri è più basso, l’aria è più fumosa.
veloce e continua, il “bingo” Finita l’estrazione, il rituale è
viene gridato nel giro di cin- quasi meccanico: si avvicina
que minuti. Passano i came- un cameriere, che senza nemrieri a rifornire di cartelle chi
è “appollaiato” ai tavoli. Ci
sono parecchie persone, per
essere l’una del mattino. Una
cinquantina, forse. Anziani,
giovani, senza distinzione.
Le cartelle costano un euro
l’una, a volte 1,50. Ogni tavolo
è fornito di pennarelli neri per Emiliana Costa
segnare i numeri. Schermi
“Posso invitarla per un
dappertutto con i numeri appena chiamati e con i premi in tango?”. La richiesta non propalio. 72 cartelle vendute, 9 viene da un galantuomo deleuro per una cinquina, bingo l’Argentina anni ’20, ma da un
di 50 euro circa. Prendendo volantino pubblicitario che in
una cartella per volta, sono questi giorni sta ricoprendo le
passati 20 minuti e quattro mura della Capitale.
Sbarca in Italia il tango
estrazioni. Cinque euro spesi, niente cinquina e niente argentino, ultima frontiera
dello svago in tempo di crisi.
bingo.
La mattina seguente la tap- Si tratta di un’attività sostepa è la stessa, ma stavolta si fa nibile che con pochi euro
più sul serio. Perché a due permette ai seguaci di muopassi da piazza Re di Roma c’è vere i primi passi nel mondo
il “Bingo Re”, una delle sale del ballo di sala. Gli “adepti”,
più grandi in Italia. Un ex su- sono tutti aspiranti tanghèri
L’ATTESA
Giocatori
aspettano
l’estrazione
in una sala
Bingo
di Roma
meno guardare negli occhi il
giocatore di turno domanda:
«Due?». Un cenno del capo di
chi è al tavolo, con lo sguardo nel vuoto, e in un baleno
ecco due cartelle nuove di zecca. Per pagare basta lasciare
una banconota sul tavolo e il
cameriere si serve da sé. Qui
non ci sono solo cinquina e
bingo, ma anche altri premi,
a seconda del numero dell’estrazione in corso. Dalla
46 alla 50 c’è il “Bingo One”,
con un premio di 1500 euro.
Poi c’è il “Bingo Bronzo”, il
“Bingo Argento” e così via a
salire, fino al “Super-Bingo”,
che mette in palio quasi dodicimila euro. A volte le cartelle costano un euro, altre
volte 1,50, altre volte ancora
tre euro. In media per ogni
estrazione vengono vendute
tinaia di euro. Ogni volta che
entro qui, vedo sempre le
stesse facce». In effetti basta
guardarsi attorno per capire
che non è la notte il momento dei cultori del bingo. I
giocatori veri, quelli che non
lasciano cadere di mano il
pennarello se non per andare alle slot machine, vengono
di mattina. «E la maggior
parte sono donne», dice, sorridendo, Giuseppe. Subito
dopo si fa più serio, e ammette: «Certe volte anch’io mi
lascio prendere. Arrivo a spendere cento euro in un’ora.
Ma non sono malato, ecco».
Fa cenno a una cameriera e
ordina da mangiare. Per pranzo il menù offre pasti elaborati. Primi e secondi piatti, di
carne o pesce. Serviti in un
unico piatto, al costo di una
quasi duecento cartelle, per decina di euro.
un premio bingo di oltre cenIl tempo è scandito da una
to euro. Il signore seduto ac- voce femminile, suadente ma
canto a noi si chiama Giu- monotona, che chiama nuseppe, è pensionato. Fra una meri a ripetizione. Giuseppe
chiamata e l’altra ci racconta non vince neanche a questo
del suo rapporto con il gioco. giro. «Ci sono volte in cui fai
«Vengo qui una
bingo più volte
o due volte a
in un giorno, e
settimana, di
altre in cui non
«A volte spendo
solito di mattivinci niente per
na. Resto alme- cento euro in un’ora, mesi». Sembra
no due ore. ma non mi sento un r a s s e g n a t o .
Passo il tem«Quando ha
malato del gioco» aperto, questo
po». Si vede
che ha voglia
posto era un
di parlare con
bingo. Adesso è
qualcuno. E quando affron- un casinò». Ci alziamo. Siamo
tiamo il discorso sui soldi, si rimasti trentacinque minuti,
affretta a dire: «Spendo una abbiamo speso 10 euro, più
ventina di euro all’ora. Non mi due di parcheggio, senza vinconsidero un malato del gio- cere niente. Salutiamo Giuco. Qui c’è gente che si è ro- seppe. L’estrazione sta per rivinata. Gente che spende cen- cominciare.
Tango. Gli amatori hanno tra i 45 e i 60 anni, ma l’età media si sta abbassando
E finisce tutto con il casquet
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nuovo
tra i 45 e i 60 anni. “Ho iniziato a districarmi tra la salida e il cuadrado, figure base
di questa danza, qualche
anno fa – racconta Fabrizio
Sapia, ex allievo di una scuola romana -. Un amico, poco
avvezzo come me per il movimento a tempo di musica,
decise di seguire delle lezioni
con la sua compagna e in
poco tempo iniziarono a vincere premi su premi. Così
mi convinsi anch’io”.
Sono tante oggi le scuole di
danza che affiancano ai classici tutù i vistosi costumi dei
balli sudamericani. I più in
voga sono quelli caraibici,
come la salsa e la bachata, diffusi anche tra i giovani. Ci
sono poi quelli latino americani e gli standard, adatti a un
pubblico più adulto ed esperto. Il tango rappresenta un
mondo a sé, in genere chi lo
sceglie pratica solo questa disciplina. File rouge che collega
gli ancheggiamenti dei primi
alle mosse più sensuali del secondo è la voglia di divertirsi in compagnia e perché no,
trovare anche l’anima gemella. “C’è chi viene – spiega Fabrizio – spinto dalla voglia di
cercare la dolce metà più che
dall’amore per la danza”.
Oggi l’età media degli aspiranti ballerini si sta abbassando, grazie anche a programmi televisivi come “Ballando con le stelle” che promuovono il paso doble e il cha
cha cha. Ma ci sono altri fattori che spingono gli allievi a
indossare le scarpette. “I saggi di fine anno, gli stage all’estero e le esibizioni del
week end sulle piste dei locali
notturni – conclude Fabrizio
- rappresentano elementi di
aggregazione, all’insegna del
divertimento e delle nuove
amicizie”.
I DATI
In Italia un
business
miliardario
Il gioco del “bingo”,
molto simile alla tradizionale tombola, ha origine in Georgia. La parola “bingo” deriva da “Beano” (da “bean”, fagiolo),
che aveva questo nome
perché, per coprire i numeri estratti, si utilizzavano dei fagioli secchi.
Una volta un fortunato
vincitore, forse preso dall’emozione e non conoscendo bene la parola, si
sbagliò e gridò “Bingo!”.
Così nacque un gioco
che oggi in Italia viene
praticato da oltre un milione di persone (metà
delle quali frequenta abitualmente le sale), e che
rappresenta un business
miliardario. Nel nostro
paese, nel 2010, il Bingo
ha incassato 1,56 miliardi di euro, incrementati
anche dalla nuova modalità di gioco online (è
possibile partecipare alle
estrazioni da casa), che
ha fatto guadagnare più
di 146 milioni. Secondo
i dati diffusi da AAMS
(l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di
Stato, che gestisce le sale
bingo e le dà in concessione ai privati), nel solo
mese di gennaio 2011 il
business del Bingo è stato di 157 milioni di euro,
di cui quasi 18 provenienti dal gioco online.
In Italia ci sono in
tutto 228 sale, di cui una
ventina nella capitale. La
regione in cui si ha più
dimestichezza con numeri e cartelle è la Campania, dove a gennaio si
sono spesi 27 di milioni
nelle estrazioni, seguita
da Lombardia e Sicilia
(22 milioni) e dal Lazio
(20 milioni). In Calabria, Molise e Umbria, invece, nel Bingo si sono
spesi “soltanto” un milione di euro, mentre in
Basilicata e in Valle d’Aosta non sono presenti
sale.
A. A.
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Mondo
Secondo i dati dell’Ufficio del censo entro il 2050 i bianchi saranno meno del 53 per cento
L’America lo sa, il futuro è nero
E non si placa la fobia per i musulmani. Casi in Tennessee e Louisiana
I
fantasmi musulmani spaventano l’America. A quasi dieci anni dall’attentato
qaedista al World Trade Center, molte cose sono cambiate
negli Stati Uniti - prima tra tutti l’inquilino della Casa Bianca - ma non la fobia dell’islam.
La società che da sempre è citata come modello di integrazione tra culture diverse
teme, in realtà, di crescere
una serpe in seno: un’islamizzazione ineluttabile. E reagiscono con rabbia e orgoglio,
per dirla alla Fallaci.
In principio era il melting
pot, il “crogiolo” in cui i vari
gruppi etnici si mescolavano
conservando alcuni caratteri
distintivi della propria identità culturale. Ma le cose sono
cambiate sotto il peso crescente della demografia: la
fine dell’America bianca è vicina.
Entro 40 anni gli Usa diventeranno un “majority-minority country”, un paese in cui
la minoranza diventerà maggioranza. La previsione non è
di qualche esponente xenofobo del Tea Party, ma dell’Us
Census Bureau. Secondo le
proiezioni dell’Ufficio del censo entro il 2050 meno del 53
per cento della popolazione
sarà bianca. La nuova faccia
dell’America sarà sicuramente scura. O almeno mulatta.
Da John Fitzgerald Kennedy, irlandese e cattolico, a Barack Obama: la rivoluzione è
arrivata fin dentro alla Casa
Bianca. Di origini kenyote, il
presidente Usa è nato alle Hawaii e ha passato la sua infanzia nella musulmana Indone-
L’ESPERTO
LE ETNIE SECONDO L’ULTIMO CENSIMENTO
Al primo posto gli ispanici
In crescita anche gli asiatici
Gli americani sono 308.745.538. Lo ha rilevato il Census Bureau che ha diffuso i risultati del censimento del 2010,
condotto ogni dieci anni negli Stati Uniti. La popolazione
è aumentata del 9,7 per cento, la seconda crescita più bassa dalla Grande Depressione. Ma il volto dell’America sta
cambiando. Dal 1960 al 2005 il numero totale degli americani di etnia diversa da quella anglosassone è più che duplicato (passando da 180 milioni a 393 milioni): nel 2005
i non bianchi rappresentavano un americano su tre, mentre nel 2050 dovrebbero rappresentare un americano su due.
ISPANICI: nel 2009, secondo i dati dell’US Census Bureau, gli ispanici negli Stati Uniti erano 48,4 milioni, cioè
circa il 16 per cento della popolazione. Il Pew Research Center ha stimato che entro il 2050, questa percentuale salirà
al 29 per cento.
NERI: dieci anni fa gli afroamericani erano 37 milioni.
Attualmente rappresentano il 13 per cento della popolazione
e nel 2050 dovrebbero arrivare al 16.
ASIATICI: gli americani di origine asiatica nel 2000 erano 13 milioni. Secondo il censimento 2010 ora rappresentano il 4 per cento della popolazione e tra 40 anni raggiungeranno il 10.
INDIANI D’AMERICA, ESKIMESI, ALEUTINI: sono l’1 per
cento degli statunitensi.
sia, prima di rientrare nel cuore degli Stati Uniti.
Ma anche il mondo dello
spettacolo non è rimasto immune. Per la prima volta Miss
Usa 2010 è di origine araba:
Rima Fakih, 24 anni, nata in
Libano è musulmana praticante. L’ennesima dimostrazione di maturità degli statunitensi? Non proprio.
Criticato da più parti per
essere rimasto molto spesso
solo sulla carta, al modello del
melting pot è stato sostituito
quello del salad bowl, un’insalatiera in cui ognuno rivendica con orgoglio la propria etnicità. Crogiolo o insalatiera che sia, la verità è che
la società americana ha paura di se stessa. Lo dimostra il
mare di polemiche provocate dall’intenzione di costruire una moschea a Ground
Zero, appoggiata dallo stesso
Obama ma criticata duramente da buona parte dei newyorchesi. Per non parlare
delle reazioni all’apertura del-
Immigrati
il nuovo
da gestire
MELTING POT Bambini di diverse etnie: i nuovi americani
la prima università islamica in
California, lo Zaytuna College.
A spaventare di più gli
americani è la Shari’a. Di recente le assemblee legislative
del Tennessee e della Louisiana hanno bloccato l’applicazione della legge coranica in
virtù del fatto che essa viola le
norme esistenti e la politica
pubblica. E in un referendum del 2 novembre, anche
gli elettori dell’Oklahoma
hanno espresso il loro con-
senso, con il 70 per cento dei
voti a favore, a emendare la
loro Costituzione.
“Gli Usa e l’Islam devono
lavorare per un nuovo inizio,
un nuovo rapporto basato
sul rispetto reciproco e interessi comuni”. L’auspicio di
Obama sembra essere rimasto
inascoltato. Il cambiamento e
il superamento dei pregiudizi ancora non prevalgono sulla paura. E i fantasmi della diversità ancora si aggirano oltreoceano.
Nel paese dei due presidenti cruenti scontri tra musulmani e cristiani. E il mondo sta a guardare
Costa d’Avorio a rischio effetto domino
Corpi rivolti a terra in un
mare di sangue, armi abbandonate sull’asfalto. La manifestazione di lunedì scorso per le
vie di Abidjan si sono concluse con un tragico bilancio: si
parla di almeno 12 morti e 37
feriti sotto i colpi delle truppe
fedeli a Laurent Gbagbo, presidente in carica (in seguito a
un golpe) della Costa d’Avorio.
Il paese, primo produttore al
mondo di cacao, è in guerra civile dalle elezioni del 28 novembre scorso. La violenza
non accenna a diminuire (i miliziani sparano sui civili con
mortai e bombe a mano) e, an-
10
25 Febbraio 2011
che qui, si teme l’effetto domino delle rivoluzioni arabe.
Formalmente le consultazioni sono state vinte da Alassane Ouattara, ex primo ministro e rivale del presidente
uscente, con il 54 per cento dei
voti, contro il 46 di Gbabo che,
però, non vuole lasciare il potere. Tanto da far annullare il
responso della Commissione
Elettorale Indipendente (appoggiata dall’ Onu), ribaltando il voto delle regioni del
nord. Gli oltre venti milioni di
ivoriani si ritrovano così con
due presidenti. Il primo, Ouattara, formalmente riconosciu-
to dalla comunità internazionale ma appoggiato solo dai ribelli delle Forces Nouvelles. Il
secondo, Gbabo, controlla
esercito e mezzi di comunicazione.
A nulla sono valsi i tentativi dei mediatori dell’Unione
Africana di offrire a Gbabo
un’uscita dignitosa (residenza
nel Paese, ospitalità negli Usa).
La lotta tra i due uomini sembra riaprire la frattura tra Nord
e Sud del paese e riportare la
Costa d’Avorio all’atmosfera
della guerra civile del 2002.
Ex colonia francese, la Costa d’Avorio è relativamente ricca ma profondamente divisa.
L’agricolo nord è abitato da
stranieri che lavorano nei campi di cacao ed è prevalentemente musulmano. Il sud,
più ricco, è a maggioranza
cristiana. Il Paese, inoltre, ha risorse di gas e di petrolio, produce caffè, cotone e legno
pregiato. Ma ora lo stato africano è sull’orlo del collasso. A
fine gennaio Ouattara ha invocato un blocco delle importazioni di cacao ivoriano
Pagina a cura di Giulia Cerasi
(che nei mercati occidentali ha
toccato il record di 3.574 dollari a tonnellata) per bloccare
i finanziamenti al suo rivale. Lo
stesso vale per il caffé e per il
petrolio.
Il braccio di ferro postelettorale ha aggravato anche
la situazione umanitaria. Secondo l’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) i profughi
ivoriani in fuga nella vicina Liberia sarebbero più di 38mila.
I morti, dall’inizio degli scontri, sarebbero circa 300. A farne le spese, come sempre,
sono i più poveri.
Stefano Trincia, già
corrispondente da New
York per Il Messaggero,
che cosa vuol dire essere un immigrato negli
Stati Uniti?
«Percorrere una strada
non facile ma aperta verso l’inserimento nella società americana che, soprattutto nelle grandi città, è la massima espressione del melting pot.»
L’american way of life è
ancora un modello?
«Certo. L’America è
un paese che accoglie e
non respinge. Ciò non
vuol dire che per un immigrato non ci siano forti difficoltà nell’inserirsi.
Ma nessuno mette in
dubbio il fatto che la prima economia mondiale
abbia costantemente bisogno di un flusso immigratorio».
La società americana
è un crogiolo o un’insalatiera di culture?
«La cosa che mi ha
più colpito negli Stati
Uniti è l’attenzione ai
volti della gente. Il discorso del melting pot o
del salad bowl è in gran
parte superato: ci sono
entrambi. E’ vero che le
comunità etniche spesso
vivono separate, cercando di mantenere le proprie tradizioni, ma dall’altra parte c’è l’inarrestabile fusione fra diverse culture e razze, che dà
luogo a nuovi americani,
a nuovi volti».
In che direzione sta
andando la società americana?
«L’America è nata
come società di emigranti
e continuerà ad esserlo
perché quella è la sua
forza. I bianchi americani anglosassoni sono già
la minoranza in stati chiave come la California. E’
inutile opporsi ai flussi
della storia, bisogna saperli gestire. La fotografia è in Barack Obama
che rappresenta il volto
del nuovo americano».
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Costume & Società
Passeggiata tra i negozi del rione Monti dove si fa shopping nei negozi di seconda mano
Chic e anticrisi, Roma è vintage
Dai mercatini alle boutique, agli italiani l’usato piace sempre di più
Lorenzo d’Albergo
«Qui la crisi non è mai arrivata».
Francesco di “Pifebo”, una delle
più note boutique dell’usato del rione Monti a Roma, se ne sta seduto tra
coloratissimi vestiti d’annata, mentre la sua voce fa a pugni con le canzoni che escono dallo stereo. «Abbiamo aperto tre anni fa – racconta
Francesco, controllando lo schermo
del computer - proprio nel momento in cui si iniziava a parlare di recessione. È stata una scommessa e
siamo stati bravi e fortunati a vincerla». Già, perché Francesco, insieme agli amici Elisa e Cristiano, ha
puntato tutto sul vintage, abbandonando gli studi e trasformando la
propria passione in un mestiere, un
business vincente.
Le ultime stime pubblicate dalla
Camera di commercio di Milano danno ragione ai tre ragazzi. Roma guida la classifica delle città del vintage, seguita dal capoluogo lombardo
e Napoli. Nei negozi di seconda
mano della capitale passa il 12 percento dell’usato. Il Lazio è al secondo posto tra le regioni con oltre duecento punti vendita. L’abbigliamento di seconda mano, infatti, ha cambiato casa. Non si trova più soltanto nei flea market, i mercatini delle
TRENDY
I negozi dell’usato
sono diventati la
meta degli
appassionati di
shopping. Pifebo,
con due boutique a
San Lorenzo e nel
rione Monti, è uno
dei più noti
pulci. Oggi, è arrivato nei negozi dei
quartieri più frequentati delle metropoli europee e statunitensi.
La tradizione del riciclo di lusso,
infatti, ha natali lontani. «Ci ispiriamo ai paesi del Nord, in particolar modo a quelli della zona scandinava, dove si punta su un pubblico
giovane e alla ricerca del vintage che
fa tendenza». Un modo di fare shopping che piace anche ai personaggi
del mondo dello spettacolo. «Sabrina Impacciatore, Claudio Santamaria... anche Filippo Timi e tanti altri».
Attori e cantanti si mischiano ai turisti e ai ragazzi, che alla ricerca del
pezzo raro, quasi come se fossero accaniti collezionisti, prenotano i vestiti su Facebook. Ogni giorno foto
di stivali, magliette e borse si moltiplicano sul profilo di Pifebo, uno degli assi nella manica del negozio, secondo Francesco.
Ma il segreto che ha portato la capitale in cima alla top ten è un altro
e lo si scopre una volta girato il cartellino di uno dei capi che penzolano dal soffitto. «I prezzi non sono alti
e vendiamo solo vestiti selezionati –
spiega Francesco, ormai preso dal
racconto, lasciando squillare il telefono del negozio –. A volte sono gli
stessi che le botteghe dell’usato di città come Firenze e Milano fanno pagare il doppio, il triplo. Qui, invece,
i clienti alla fine riescono sempre a
portarsi a casa capi griffati e in ottime condizioni. Fare l’affare è facilissimo».
È semplice riuscirci anche da
Ciro e Massimiliano, che, da oltre dieci anni, a via Leonina smerciano con
successo trench al fumo di Londra,
camicie americane a quadrettoni e jeans Levi’s di seconda mano. Dietro al
bancone di “Le vesti di Messalina”,
Massimiliano passa il lucido sulla pelle di un vecchio giacchetto tra pile di
maglioni e cappotti: «Il nostro è uno
stile meno ricercato rispetto a quello di Pifebo. Cerchiamo ad attrarre diversi tipi di clienti. Da noi vengono
liceali, studenti universitari e, perché
no, anche direttori di banca alla ricerca di un bel cappotto o di un impermeabile». Capi intramontabili, ricercati anche da chi problemi economici non ne ha mai avuti. «Il nostro negozio non ha mai conosciuto la crisi. L’unica flessione la abbiamo durante il periodo di saldi, capita
ogni anno. Ma la qualità è qui, non
si trova nelle grandi catene di abbigliamento».
Gli italiani sembrano essersene accorti. Secondo Roberto Manzoni,
presidente dell’associazione FismoConfesercenti, neanche gli sconti
post natalizi sono riusciti a mitigare la delusione dei commercianti: «Se
ieri il “vestire bene” era importante,
oggi prevale l’ultimo modello dell’iPad o il passare le vacanze all’estero». Eppure, c’è chi riesce ad aggiornare il guardaroba spendendo pochissimo.
STORICA
Una veduta di Porta San
Sebastiano. A sinistra, le
Mura Aureliane, una delle sei
cinte murarie romane,
costruita tra il 270 ed il 273
da Aureliano per difendere
Roma dagli attacchi dei
barbari.
Roberta Casa
Due enormi torri sovrastano Porta San Sebastiano. Le
mura romane si stagliano
sontuose lungo tutto il panorama visibile dall’alto del bastione. Qui il cemento metropolitano non ha intaccato
il paesaggio e, trascurando le
poche macchine che circolano sulla strada che costeggia
la fortificazione, il fortunato
viaggiatore riesce addirittura
a dimenticare di essere in
una delle più grandi metropoli
europee. In questo punto della Città eterna si può ammirare una Roma inedita. Qui un
museo custodisce un pezzo di
storia antica che poche città
vantano: le Mura Aureliane,
una delle sei cinte murarie romane, costruita tra il 270 ed
il 273 da Aureliano per difendere Roma dagli attacchi
dei barbari.
Entrando nella fortificazione, all’occhio del visitatore si aprono una serie di cunicoli dalle volte altissime, con
piccole fessure che lasciano
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A Porta San Sebastiano la cinta Aureliana, meta di turisti da tutto il mondo
Dove le mura raccontano sé stesse
intravedere il paesaggio circostante, dominato dall’Arco
di Druso, un fornice grazie
alla quale l’acquedotto Antoniniano scavalcava la via Appia per raggiungere e rifornire le Terme di Caracalla. Il
“Museo delle Mura” non è
una semplice collezione di resti archeologici o opere antiche, bensì un vero e proprio
“museo nel museo”, inaugurato nel 1990 all’interno della porta San Sebastiano. Inol-
trandosi poi nelle tortuose
scalinate a chiocciola delle torri, si arriva a uno dei tratti più
emozionanti dell’intero percorso: la passeggiata sulle
mura romane, lunga circa
300 metri.
Il guest book all’ingresso
del bastione raccoglie le testimonianze di chi è uscito dal
museo sorpreso e incantato
dalla storia di cui le pareti
sono intrise. “Un pezzo di antichità conservato molto bene,
peccato non sia sempre così
qui da voi in Italia”, scrive
amareggiato uno sconosciuto
Mark, “Una delle città più belle che il passato ci ha regalato, abbiate cura del dono che
la storia vi ha fatto”, apostrofa Michel, turista francese
ammaliato dal fascino romano. In effetti questi due turisti stranieri hanno ragione:
Roma è l’unica capitale europea ad avere conservato quasi interamente il circuito del-
le sue mura, ma chi la governa sembra averlo dimenticato. In altre parti della città la
storia ha dovuto cedere il
passo all’urbanizzazione moderna: proprietà private addossate al muro, inglobamenti, concessioni di torri o
bastioni per uso abitativo
hanno completamente snaturato alcune parti del complesso. L’aspetto originario è
stato così deturpato, nonostante fantasiosi portoncini,
balconi e finestrelle realizzati in un improbabile stile rinascimentale e magari parzialmente nascosti tra una
vegetazione rampicante cerchino di rendere l’abuso meno
sgradevole. E, sebbene il comune di Roma già nel 1980
con una delibera abbia cercato di arginare il fenomeno,
non è ancora riuscito ad ottenere una dignitosa sistemazione per la fascia adiacente al muro, quello che un
tempo era chiamato “Pomerium”: piccole imprese ed
esercizi commerciali sono
spuntati negli anni a ridosso
delle mura, ma anche grandi
aziende pubbliche e private si
sono accaparrate aree di notevole ampiezza, occultate
impropriamente al pubblico,
che corre a Roma per godere
della storia che si respira
camminando per la strada.
25 Febbraio 2011
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Costume & Società
Sull’icona di Guevara e i suoi gadget avviata un’azione per impedirne lo sfruttamento
Ora il Che può tornare a vincere
Con i proventi del merchandising sarà costruito un ospedale a Cuba
Chiara Aranci
CELEBRE
Lo scatto originale
di Korda e la
litografia di
Fitzpatrick con il
volto di Che
Guevara. Sotto
L’ultima cena degli
eroi Chicanos,
di Burciaga,
con il Che al posto
del Cristo
La sua idea è in linea con quella
della filosofia del Comandante: “Quei
soldi (i guadagni dalle vendite del merchandising con l’immagine del Che,
n.d.r.) non devono arricchire poche
persone ma semmai usate per costruire un ospedale a Cuba”. A parlare
è l’artista irlandese Jim Fitzpatrick, che
nel 1968 rese universalmente noto lo
scatto di Alberto Korda, quello che ritraeva il Che in uno sguardo profondo, intenso, in cui il Comandante indossa il basco con la stella e lascia in
vista la fronte alta, ha la bocca chiusa tra un filo di barba e i capelli mossi dal vento. Con il consenso del fotografo, nel 1968, Fitzpatrick lo trasformò in un’opera: una litografia dove
il ritratto del Che, in bianco e nero, domina su uno sfondo rosso. Il lavoro di
Fitzpatrick fu il trampolino di lancio
del ritratto di Korda e quell’immagine del Che divenne universalmente
nota. Di quello scatto Korda, morto
nel 2001, disse: “E’ la mia foto più conosciuta. E’ un’immagine che mostra
il carattere del Che, la sua fermezza,
lo stoicismo, il suo essere risoluto”. Ed
è divenuta icona di una leggenda rivoluzionaria. La foto fu scattata al funerale degli 81 cubani, vittime dell’attentato alla fregata francese nel porto dell’isola. Quel giorno di lutto per
lo Stato cubano diede i natali ad
un’immagine riprodotta, nella storia
della fotografia, più di quella del Cristo, diventata simbolo del guevarismo
nostalgico e di una utopia. Dal volto
del Guerrillero Heroico Alberto Korda
però non trasse nessun guadagno. Il
Comandante era morto nell’ottobre
1967 e alcuni mesi dopo la stagione
calda del ’68 infuocava gli animi degli studenti d’Europa e d’America, e
quello scatto di Korda, rivisitato da
Fitzpatrick diveniva simbolo di un credo politico che univa i due mondi in
lotta. Poi quell’immagine finì dappertutto, dalle banconote cubane,
alle magliette, ai cappellini, agli accendini, dal muro del ministero degli
Interni, a L’Havana, alle spillette, ai
gadget, sulle bandiere, sul vino e
perfino su una vodka e, paradosso, il
Che fece far guadagni ai capitalisti che
lui aveva sempre combattuto. Oggi
Fitzpatrick, si è affidato a uno studio
di avvocati per impedire lo sfruttamento gratuito e non politico della sua
opera e presto volerà a Cuba per incontrare i familiari di Guevara per decidere con loro come ripristinare e dirottare il copyright. Forse in questo
modo il Che riprenderà la sua anima,
profanata dalle logiche commerciali e
di profitto, e la sua icona tornerà ad
essere pura e pregna di dell’ideale per
cui Che Guevara lottò fino alla morte. Nell’arte l’icona non è un simbolo, ma attraverso un codice simbolico esprime un messaggio di salvezza.
Salvezza dunque per il messaggio del
Guerrillero Heroico, icona della Rivoluzione, come per Marylin Monroe,
attrice sex symbol morta a soli 36 anni,
divenuta mito e icona pop, in risposta al bigottismo americano. Salvezza anche per i Beatles, il gruppo musicale che in soli dieci anni rivoluzionò
il modo di fare musica. Tutti nel silenzio della loro fine everlasting heroes.
Borsellino elettronico. Mentre nel mondo funziona, da noi è una presa in giro
TECNOLOGICO
Sullo schermo
dell’iPhone
si vede il conto
del caffè
a New York
pagato
direttamente
dal telefonino
Ticket col telefonino? No, grazie
Costerebbe di più, e nessuno sa dire come funziona
Roberta Casa
Dimenticare le monetine
a casa non è più un problema.
Pensare di pescare nella Fontana di Trevi perché il cassiere del bar non ha spiccioli per
il resto non è più una scusa attendibile. Una nuova applicazione è entrata nel mondo
degli smartphone e rivoluzionerà il pagamento telematico:
da qualche mese, infatti, è
possibile utilizzare il cellulare
al posto dell’ormai comunissima carta di credito. A Londra,
ad esempio, pagare il taxi con
il telefonino è diventata già una
comoda realtà, che evita spiacevoli discussioni quando si ha
solo una banconota da cinquanta.
A New York e in molte altre città statunitensi già da
tempo il caffé si paga con
l’iPhone e il Blackbarry, grazie
a una simpatica applicazione
Starbucks, la più imponente
catena internazionale di caffetteria. Tramite una scheda
prepagata, acquistabile su iTunes oppure sul sito Starbucks,
quando ci si trova con il conto in mano, è possibile pagare direttamente con lo smar-
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25 Febbraio 2011
tphone. Basta un semplice gesto e sullo schermo del telefonino si vedrà visualizzato costo della consumazione e credito residuo, senza dover rovistare nella borsetta alla ricerca
di banconote e monetine. La
nuova tecnologia utilizzata si
chiama Nfc (trasmissione wireless sicura a raggio corto) e
sta già incontrando le simpatie di chi ne ha riscontrato la
convenienza in termini di pra-
della capitale, e Poste Italiane,
permette l’acquisto del biglietto dell’autobus con il telefonino per i clienti PosteMobile. Ma, di fatto, alle poche
informazioni on line si aggiunge la scarsa informazione
degli operatori telefonici circa
le modalità di erogazione del
servizio. Inoltre, al costo standard del biglietto si deve aggiungere l’addebito per l’sms di
richiesta del servizio e, come
A Nizza pagare caffé, biglietti del tram
e pranzo alla mensa
universitaria con il cellulare è facile e conveniente
ticità e rapidità.
Nel nostro Paese, però, i
nuovi metodi di pagamento incontrano reticenze e perplessità di chi ancora non riesce a
fare almeno della consueta
moneta sonante. Se poi a tutto ciò si aggiunge scarsa assistenza e informazione ai clienti, ne consegue che coloro
che scelgono il pagamento telematico sono veramente pochi. A Roma una convenzione
tra Atac, l’agenzia di mobilità
se non bastasse, prima di poter salire sull’autobus o prendere la metro bisogna aspettare
di ricevere un messaggio di
conferma per l’avvenuto pagamento. Conclusione: il biglietto costa di più e alla semplificazione del servizio non
corrisponde una reale agevolazione per il viaggiatore metropolitano. Un’anomalia tutta italiana, anche se bisogna ricordare che nell’ultimo anno
sono stati censiti in Italia 107
servizi a pagamento mobile,
contro i 78 dell’anno precedente, con un incremento del
37 per cento. Ma che poi questi servizi funzionino è ben altro discorso.
A Nizza, ad esempio, molti francesi hanno praticamente abbandonato i borsellini a
casa: pagare caffè, biglietti del
tram o pranzo alla mensa universitaria e diventato facile e
“indolore”. Per saldare il conto, anziché inserire il bancomat
nel lettore basta puntare il
cellulare: si ha immediatamente una ricevuta elettronica di ritorno, valida sia come
scontrino fiscale sia come titolo
di viaggio. E i possibili usi dello smarphone con sistema Nfc
non si limitano a questo: in
molte città europee si possono
pagare parcheggi e autostrade,
e la trasmissione wireless permette di utilizzare il cellulare
alla stregua di un badge per entrare in ufficio la mattina o di
ricevere informazioni agli sportelli turistici. Insomma, la rivoluzione telematica va avanti, e presto invaderà anche il
mercato italiano. Ma almeno
per ora, attenzione a non dimenticare il borsellino a casa.
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della LUISS Guido Carli
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Reg. Tribunale di Roma n. 15/08 del 21 gennaio 2008
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