ARPINO (FR) 3000 anni di storia, cultura e natura nella terra di Cicerone Altitudine: 450 m Coordinate: Latitudine: 41°39’0”N - Longitudine: 13°37’0”E Bandiera Arancione 2010 “Historia magistra vitae” dicevano i Latini e tale massima ben si sposa con l’intenzione di realizzare un efficace, completo e chiaro libretto informativo ad uso sia dei singoli Arpinati sia, ed in particolare, dei turisti che, ormai numerosissimi, hanno finalmente scoperto la nostra Città con tutte le sue bellezze storiche, architettoniche, pittoriche, scultoree, ambientali ed enogastronomiche. Oggi il turista, reso più esigente da una richiesta culturale più approfondita, ed il Cittadino sia residente che emigrato, manifestano bisogni più approfonditi e particolari che i normali ‘libri’ non possono più esaudire. E’ necessario rispondere in termini pratici ad una domanda che si è fatta impellente di ciò che siamo e di dove veniamo. D’ora in poi sarà soddisfatto il turista che cerca notizie sulle poderose mura che si levano verso il cielo, tra i vicoli storici che si intersecano in una ragnatela di personaggi richiamati sulle indicazioni stradali, in un andirivieni di colli, valli e piccoli piani che hanno nei secoli segnato la storia non solo del Popolo Arpinate ma di tutta una civiltà che ha trovato entro queste mura cittadine i suoi fondatori e gli artefici di grandi conquiste in ogni campo. Il turista di carducciana memoria sarà diverso e potrà leggere, comprendere ed immergersi in una storia totale che non gli sarà più ostica ma completa e propria. Anche ai “ciociari” distratti, che fino ad ora ‘sono passati senza guardare’, insensibili della grandezza passata, padroni solo della miseria presente, la nuova guida vuole offrire un manuale completo di informazioni divise nelle varie categorie, da quelle storiche a quelle ambientali, da quelle artistiche a quelle enogastronomiche, in cui i nomi dei singoli vicoli, vie, piazze e località siano espressione chiara di un richiamo certo ed educativo. Dove si trova Adagiata su di un sistema collinare che si erge improvviso sulla vallata, Arpino offre il suo profilo inconfondibile al visitatore che vi giunge. Man mano che ci si avvicina alla cittadina, circondata da una campagna prospera di uliveti secolari, si fa più netto il contorno imponente del Castello di Ladislao con la chiesetta della Madonna di Loreto, e si distinguono le sagome degli edifici sulle quali svetta il campanile barocco di S. Maria di Civita. Siamo sul versante sinistro della Media Valle del Liri, prossimi alle estreme propaggini dell’Appennino centrale. Situata ad un’altezza media di 450 m s.l.m., Arpino gode di un clima asciutto e gradevole, che la rende una “stazione climatica” ideale per chiunque desideri sfuggire all’atmosfera soffocante ed inquinata delle grandi città. Arpino conta cira 8000 abitanti, distribuiti tra il centro storico e le numerose frazioni e contrade sparse per la campagna circostante. Il territorio arpinate, in gran parte destinato all’agricoltura ma ancora ricco di boschi e di natura intatta, è molto vasto (circa 55 kmq) e l’altitudine, in località Montecoccioli, supera gli 800 m. Sovrasta il centro storico la splendida Acropoli di Civitavecchia (650 m), il cuore antico di Arpino, chiusa dalle maestose mura megalitiche. Là si erge, a sorvegliare l’intero territorio, la mole severa della Torre di Cicerone. Già, perché la nostra città ha dato i natali al grande oratore, come anche al celebre condottiero Caio Mario. Da Arpino è possibile raggiungere agevolmente il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise la Riserva Naturale del Lago di Posta Fibreno, l’Abbazia di Casamari, l’Abbazia di Montecassino. Da visitare anche Fontana Liri, Santopadre, Rocca d’Arce che con il comune di Arpino formano l’unione dei comuni “Civitas Europae”. L’uomo del terzo millennio ha ormai compreso che la sobrietà, i cibi “poveri” i sapori semplici sono il migliore antidoto all’alimentazione imposta dalle industrie. E’ questa una terra che vanta una storia plurisecolare anche in cucina ed è pur vero che in molte famiglie le preparazioni tradizionali sono ancora in uso. Perché allora non trasformare il fine settimana o la gita fuori porta in un mini-tour alla ricerca degli antichi sapori? Su tutte le tavole, in famiglia o nei locali, è possibile gustare prodotti tipici genuini. Il pane, ad esempio, per qualità, figura tra i migliori dell'intera nazione. In molti casi viene lavorato, come un tempo, con una lievitazione naturale e cotto nel forno a legna. Può essere bianco o scuro ed è confezionato, nella maggior parte dei casi, in forma di "filone" da 1 Kg. o di "pagnotte" da 1 o 2 Kg. La sua particolare struttura lo rende appetibile anche dopo alcuni giorni. Ben si accompagna ai salumi che, prodotti per lo più in modo artigianale, sono il frutto del lavoro di intere famiglie che, riunite, partecipano alla lavorazione delle carni del maiale. Ma non c’è cosa migliore che esaltarlo con l’ottimo olio extravergine d’oliva, l’olio di Arpino. Premiato nella categoria “fruttato-medio” al concorso nazionale dei migliori extravergine del Lazio ”Ercole Olivario” (aprile 2000), l’olio di Arpino viene ottenuto dalla spremitura della Moraiola unita al Leccino e Frantoio. Perché l’olivo dia un buon prodotto sono necessarie tre “S”: sole, sasso e scure e cioè, esposizione a sud-ovest (sole), terreni sassosi calcarei cioè ricchi di carbonato di calcio (sasso), giuste potature (scure). Elementi che qui certamente non mancano. La coltura millenaria dell’ulivo in questi luoghi, la natura incontaminata, le tecniche colturali adeguate conferiscono a quest’olio antichi sapori e caratteristiche organolettiche di qualità. Il suo profumo inconfondibile accompagna i piatti della tradizione locale. Da provare a tutti i costi le ricottine fresche che ancora oggi si possono acquistare nei mercati, portate da “donne di campagna” e confezionate in graziosissimi cestini di vimini intrecciati e coperte da foglie di fico. Si sciolgono in bocca e sono di sublime bontà. Dall’allevamento ovino proviene il saporito pecorino posto in forme confezionate in fasce di legno. Sin da tempi molto lontani, era pratica usuale delle famiglie ciociare commissionare direttamente ai pastori del luogo le proprie “forniture annuali” di formaggio fresco. La fornitura era annuale perché il formaggio doveva essere ottenuto preferibilmente da pascolo invernale, più adatto alla trasformazione. Erano le stesse famiglie che provvedevano, poi, alla salatura e alla breve stagionatura. Oggi, il produttore è solito vendere il formaggio al consumatore finale (anche direttamente a domicilio) o in parte ai dettaglianti locali. Altro formaggio saporito è la marzolina. Si tratta di formaggio caprino semistagionato e stagionato che i pastori anticamente utilizzavano per soddisfare il pasto quotidiano. Piatto tipico sono le Sagne e Fagioli con i ruschi (asparagi selvatici) il piatto preferito da Marcello Mastroianni. Le sagne sono pasta fresca lavorata solo con acqua, farina e sale, tirata in modo abbastanza consistente e tagliata in maniera grossolana in forma di “foglia di olivo”. Le Sagne vengono preparate con condimento di salsa a base di fagioli cannellini, pomodoro e cotenna o anche senza pomodoro e con aggiunta di asparagi selvatici. Un tempo piatto povero, oggi diventa spesso alimento ricercato. Se ben eseguito è un piatto indimenticabile! Le “ciammaruche” (lumache al sugo); i piccioni ripieni al forno; i “pellastre” arricchiscono la tavola dell’Arpinate. Tra le carni il capretto da latte, tipico delle festività pasquali, è eccellente per la qualità delle sue tenerissime carni. Oltre che al forno, viene lavorato in casseruola con odori e vino bianco; l’agnello è di buona qualità specie nella versione “castrato” ed eseguito alla brace rappresenta una pietanza tipica e gustosa: un tempo piatto prelibato era la “capezzella” (la testa d’agnello); il pollame ha da sempre rappresentato il vero serbatoio alimentare di carni di queste genti. Non è raro trovare anche nei locali di ristorazione polli ruspanti dalle carni consistenti e saporite. Vi consigliamo anche di provare, nella stagione più fredda, le salsicce di fegato di maiale, particolari perché aromatizzate con buccia d’arancia e talvolta anche con pezzetti di mela. La cucina arpinate ha anche una tradizione di pesce alle spalle. Le limpide acque del vicino fiume Fibreno ha offerto per secoli trote e gamberi di fiume. Squisitissimi! E anche se oggi è più semplice trovarli d’allevamento, il metodo di esecuzione in cucina segue dettami antichi. Nella pasticceria Arpino certo non pecca e ogni evento ha il suo dolce: cecamarini, crustole, loffe di lupo (per il Carnevale), zeppole (per San Giuseppe), pigna (per la Pasqua), ciambelline al vino, torroncini di pasta reale e mostaccioli (per Natale). Particolarmente interessante è la produzione di miele di castagno, millefiori e altri gusti da scoprire sul posto direttamente dai produttori. I boschi circostanti sono ricchi di prodotti della terra; funghi porcini e tartufi. Possiamo tranquillamente dire, infine, che tutti i ristoratori di Arpino città e dintorni offrono piatti tipici locali. La ristorazione agrituristica ha trovato qui terreno fertile e sa offrire, in più, il contatto diretto con la genuina gente di campagna con la quale, magari, intrattenersi sorseggiando un bicchiere di vino fresco di cantina, prodotto nei piccoli vigneti dei dintorni. Le Origini e la Storia Le origini di Arpino si perdono nella notte dei tempi. Narra la leggenda che essa sarebbe stata fondata dal dio Saturno, protettore delle messi, così come altri centri della Ciociaria (Alatri, Ferentino, Atina, Anagni). I suoi primi abitatori furono identificati con i mitici Pelasgi, la popolazione preellenica alla quale la tradizione attribuisce la realizzazione del gigantesco sistema fortificato delle "mura ciclopiche", dette per questo "pelasgiche", ancora oggi visibile in località Civitavecchia e in numerosi punti dell'abitato cittadino. In realtà, i primi ad insediarsi nella zona furono i Volsci, la cui presenza è documentata sin dal VII sec. a.C. Conquistata dai Sanniti nel IV sec. a.C., passò dopo breve tempo sotto il dominio di Roma, con il diritto di civitas sine suffragio. La città divenne così il centro di irradiazione della civiltà romana nella Valle del Liri. Nel 188 a.C. ottenne a pieno titolo il diritto alla cittadinanza romana, diventando civitas cum suffragio, grazie anche al contributo in termini di uomini che Arpino dette a Roma nella guerra contro Annibale. Durante il consolato di Caio Mario l'Ager Arpinas (il territorio del municipium arpinate) si estendeva dal villaggio di Cereatae Marianae, l'odierna Casamari, fino ad Arce. Con l'età imperiale la città conobbe un periodo di declino. Durante l' Alto Medioevo Arpino fu più volte territorio di conquista: nel 702 cadde sotto il dominio del duca longobardo di Benevento, Gisulfo I. Nell' 860 fu presa dai Franchi al comando del conte Guido, quindi seguirono l'nvasione degli Ungari e le devastanti incursioni dei Saraceni al principio del X secolo. Dopo l'anno Mille Arpino fu dominio normanno con Roberto, duca di Caserta. Nel XIII sec. , con l'arrivo nell'Italia meridionale degli Svevi, subì drammatiche distruzioni ad opera di Federico II (1229) e di Corrado IV (1252). Quest'ultima incursione, culminata in un rovinoso incendio, cancellò molte delle antiche vestigia romane conservate nella città e costrinse la popolazione superstite a rifugiarsi nella vicina località fortificata di Montenero. Con la conquista del Regno di Napoli da parte degli Angiò, nel 1265, Arpino conobbe una significativa ripresa. A questo periodo risalgono infatti molte opere di fortificazione, tra le quali i torrioni e i castelli di Civitavecchia e di Civita Falconara. Nel corso del XIV secolo fu feudo della famiglia degli Etendard e dei Cantelmi. Nel 1409 il re di Napoli Ladislao d' Angiò-Durazzo le concesse il privilegio di città demaniale, sottraendola così alla giurisdizione feudale. Il sovrano vi stabilì anche una guarnigione militare, che si insediò nel castello ancora oggi denominato "Castello di Ladislao" sovrastante la rocca di Civita Falconara. Il re trascorreva lunghi periodi nel castello arpinate, punto strategico per la difesa dei confini settentrionali del Regno. Durante il conflitto tra Angioini ed Aragonesi (1458-1464), papa Pio II, celebre cultore del mondo classico, ordinò alle sue truppe di risparmiare dal saccheggio Arpino, sostenitrice degli Angiò, in memoria dei suoi due illustri cittadini, Cicerone e Caio Mario Dalla fine del XV secolo la città appartenne alla famiglia dei Marchesi d'Avalos, e nel corso del Cinquecento vi soggiornò più volte Vittoria Colonna, moglie del marchese Francesco Ferrante d'Avalos, poetessa, intellettuale, amica e confidente di Michelangelo Buonarroti. Acquistata dai duchi Boncompagni nel 1583, entrò a far parte del territorio del ducato di Sora e vi rimase fino al 1796. I secoli XVII e XVIII videro la sua massima espansione economica e demografica, sostenuta dallo sviluppo delle sue manifatture laniere, grazie alle quali il nome di Arpino divenne celebre in tutta l' Europa del tempo come sinonimo di fervida città industriale. Sorsero e prosperarono lanifici all' avanguardia per le tecniche di lavorazione, e pressoché tutta la popolazione fu impegnata nell' attività produttiva. Divenne inoltre un rinomato centro di cultura e di istruzione, dove fiorì un eccellente collegio gestito dai padri Barnabiti. Nel 1796 tornò a far parte a pieno titolo del Regno di Napoli, del quale condivise le sorti. Nel 1799 subì le drammatiche conseguenze della guerra tra i francesi sostenitori della Repubblica Partenopea ed i filoborbonici. Nel 1814 Gioacchino Murat, allora Re di Napoli, vi istituì il Convitto Tulliano, sul modello dei licei francesi. Con l'Unità d'Italia Arpino si trovò a condividere con il resto dell' ex Regno borbonico i problemi e le contraddizioni dell' unificazione. La decadenza dell'industria laniera e la contrazione dello sviluppo economico provocarono un forte flusso migratorio dei suoi abitanti verso il Nord Europa e l'America. Nel 1927 la città entrò a far parte della neocostituita provincia di Frosinone. I tristi eventi della Seconda Guerra Mondiale segnarono tragicamente Arpino, che nel maggio 1944, in località Collecarino, fu teatro di un eccidio di cittadini inermi per mano delle truppe tedesche. Oggi la conformazione della città, risultato della sovrapposizione di tanti insediamenti successivi, ricorda la forma di una ics: sulle quattro propaggini si trovano i quartieri Colle, Civita Falconara, Arco e Ponte, che si congiungono al centro nella Piazza Municipio, cuore della città. La struttura attuale è fortemente condizionata dall'impianto sette-ottocentesco, che coincise con il momento di massima fioritura di Arpino nell'economia, nelle lettere e nelle arti. Tracce di caratteri medievali si possono individuare ancora oggi negli edifici sacri e nelle abitazioni signorili, oltre che nei resti delle fortificazioni. Civitavecchia, l' Acropoli di Arpino Storia e leggenda s’intrecciano nelle vicende di Arpinum, ma ancor più in quelle della Civitas Vetus, l’Acropoli. Piccolo centro di umanità secolare, raccolta entro una barriera di mura megalitiche essa irradia ancora, per il turista che la raggiunge, suggestioni e testimonianze di una vita arcaica. Civitavecchia fu, probabilmente, il nucleo originario del primitivo insediamento volsco (popolo del VII-VI sec. a.C.), fondato per necessità di difesa su un luogo alto e dirupato e poi circondato da possenti mura. Infatti altri popoli italici, quali i Marsi e i Sanniti ne premevano e minacciavano la sicurezza e i beni. La grandiosità di queste mura, che si trovano pure in altri paesi dei Volsci (Atina, Aquinum, Sora, Signia, Arcis) e degli Ernici (Aletrium), ha suggerito alla fantasia popolare il nome di mura pelasgiche (in ricordo dei preellenici, mitici Pelasgi) o ciclopiche (i giganti omerici). E’, però, più giusto chiamare questo tipo di mura “poligonali” proprio per la forma che presentano gli enormi massi, sovrapposti l’uno sull’altro senza alcun legame di malta. Le mura poligonali di Arpino si dipartono da Civitavecchia all’altezza di 627 metri e scendono giù per il declivio fino ad abbracciare e chiudere la città nell’altra minore altura (Civita Falconara). Esse non hanno fondazioni e sono costituite da enormi monoliti di puddinga del pleistocenico, materiale i cui banchi disseminati nell’ intero versante nord della propaggine montana e quindi anche in vicinanza del sito arcaico. La muraglia, in origine, si estendeva per 3 km, ma oggi ne rimangono circa 1,5 km ed in alcuni punti si presenta inglobata nelle case. Restaurata nell’età sannitica, poi romana e medioevale con l’aggiunta di torri e di porte, dimostra una serie ininterrotta di vicende storiche. La datazione delle mura di Civitavecchia trova discordi gli studiosi: lo Schmidt le fa risalire al VII-VI sec. a.C., il Sommella le dice di epoca romana. Tito Livio (IV, 57,7) ci dà notizie di rocche ciclopiche volsche esistenti già nel 408 a.C.. Della tesi dello Schmidt si fa assertore anche il Morricone (“Arpino Arcaica”) rilevando la possibilità delle influenze greche sui nostri antichi territori, dovute agli scambi commerciali e culturali attraverso le valli fluviali del Volturno e del Liri (corsi d’acqua questi, in antico, quasi certamente in parte navigabili) che dalla Campania portavano al massiccio della Meta, ricco di minerali. Certamente l’arco a sesto acuto, porta arcaica d’ingresso all’Acropoli, rievoca in maniera determinante il sistema costruttivo delle gallerie di Tirinto e Micene. Questo prodigioso monumento è alto 4,20 metri ed è formato da blocchi sovrapposti che si restringono verso la cima, tagliati obliquamente sul lato interno. In epoca medievale fu chiuso in un bastione semicircolare, ora per metà demolito. In alcune fotografie, precedenti al restauro del 1960, si presenta con un pilastro centrale che serviva da sostegno. Un’altra porta d’accesso al complesso fortificato è situata alle pendici del colle, a ridosso del quartiere Arco. Si ipotizza fosse usata come accesso inferiore all’acropoli. A differenza dell’arco a sesto acuto questa porta, battezzata come “Porta Tana del Lupo”, ha forma architravata e massi poligonali ben definiti con facciavista regolare. Interessante è la cava situata accanto al muro perimetrale utilizzata per l’estrazione del materiale per realizzare i ciclopici massi. Non abbiamo testimonianze architettoniche o storiche del periodo romano in Civita Vecchia, ma un’antica credenza vuole collegarla al grande Arpinate. Forse la tradizione tramandataci da Plutarco e Silio Italico che Cicerone discendesse dal re volsco Tullio Attio, fece ritenere che proprio lì, nel primitivo insediamento, fosse l’origine dei Tulli. Civitas Ciceroniana venne indicata, infatti, nel catasto di Arpino del 1581; “Torre di Cicerone” viene chiamata la torre medioevale del luogo; ma soprattutto si volle credere che in Civita Vecchia fosse la casa degli avi di Cicerone, ereditata poi dal fratello Quinto. Credenza che portò la studiosa Marianna Dionigi all’inizio del 1800 fin sull’antica rocca. Il suo sogno romantico, però, rimase deluso perché non trovò traccia della casa di Cicerone, se non costruzioni recenti, un muro che la tradizione orale chiamava Cicero e un sentiero lastricato detto Via Cicera. Reali sono invece le testimonianze del Medioevo. Entrando dalla Porta, costruita dopo l’inglobamento di quella arcaica in un torrione circolare che ne aveva impedito l’accesso al borgo, troviamo, a sinistra, un’alta torre quadrangolare eretta a difesa di un recinto che costituiva il castrum, racchiuso da mura medioevali, oggi ruderi. In esso una cisterna assicurava il rifornimento idrico. Divenuta Arpino baluardo della Chiesa verso il Sud dell’Italia, dopo il 1215, le mura che scendevano da Civita Vecchia verso Arpino vennero rafforzate e completate con torri quadrate e rotonde, con bastioni forniti di casematte collegati da cammini di ronda. Una comoda passeggiata panoramica, che si diparte dal centro del borgo, ci fa ammirare da vicino queste storiche costruzioni. A fianco dell’arco a sesto acuto incontriamo un gioiello settecentesco: la chiesa della SS. Trinità o del Simulacro del Crocifisso. Ancor’oggi di proprietà della famiglia Pesce, essa fu fatta costruire nel 1720 dal Cardinale Giuseppe Pesce, maestro e rettore della Cappella Pontificia. E’ di stile romanico con pianta a croce greca. La cupola è sollevata su quattro pilastri centrali. Il paliotto dell’altare, dipinto con i fiori, fa da sfondo alla piccola chiesa. A fianco, due grandi affreschi: a destra L’Immacolata, a sinistra S. Giuseppe. Per il cardinale Pesce operò in Arpino, dove morì nel 1779, lo scultore in legno il tirolese Michele Stolz che fu per molto tempo suo ospite nella casa di Civitavecchia. Scolpì la statua di San Vito, il simulacro della Crocifissione, la statuetta della Concezione oltre numerose altre opere per le chiese di Arpino. Il linguaggio stilistico dello Stolz fu decisamente rococò d’impronta napoletana. Proseguendo per la stradina che taglia in due il borgo, lastricato dai piccoli tipici ciottoli, incontriamo al numero civico 6 un antico Palazzo che presenta una curiosità: ai lati del portone d’ingresso due scivoli permettavano ai “bravi” del padrone di casa di tenere sotto bersaglio gli ospiti indesiderati o malintenzionati. Si arriva, poi, alla chiesa di S. Vito del XVI secolo, a tre navate. Sull’altare maggiore si possono ammirare una tela del Cavalier d’Arpino raffigurante S. Vito, S.Crescenza e S. Modesto e la già citata statua di S. Vito dello Stolz. Usciti dalla chiesa, prendendo a sinistra la stradina di fronte, concludiamo questo breve viaggio attraverso i luoghi, il tempo, i monumenti di Civitavecchia nella piccola rotonda-belvedere che si affaccia sulla valle sottostante. Di qui l’ampiezza dell’orizzonte, le pendici della rocca rivestita di querce ed olivi, il silenzio che regna tutto intorno sovrano sono di grande suggestione. Come si raggiunge: Da Arpino seguire le indicazioni per Casalvieri. Dopo 3 km., a destra, ingresso all’Acropoli. Si consiglia lasciare la macchina fuori del borgo nel comodo parcheggio antistante l’ingresso. ARTE E FEDE Il Cortile "Farnese" in Arpino E' uno dei "luoghi storici "dell'Arpino medievale. Si trova in via Battiloro 13, già via S. Rocco. Era una delle strade che collegava direttamente il quartiere Civita Falconara con la Chiesa di S. Rocco, quando ancora le mura ciclopiche di via Caio Mario non erano state tagliate per consentire il passaggio del corteo di re Ferdinando IV di Borbone in visita al lanificio dei Ciccodicola, situato nel Castello di re Ladislao D'Angiò Durazzo. Datato intorno all'anno mille, è parte di un antico edificio costruito sulle mura ciclopiche che fu palazzo signorile o monastero. Forse abitato dai Dell'Isola, Pietro e Roffredi, zio e nipote entrambi abati di Montecassino in epoche successive ( 1173-1186). E' un cortile molto particolare poiché in esso si trovano i resti di numerose sovrapposizioni storiche. Nell'arco di ingresso romanico - borgognone, è posto in basso a sinistra un masso squadrato di pietra bianca compatta, nella parte alta dalla quale si intravede un'iscrizione latina. Studi e rilievi condotti da una laureanda dell'Università di Perugia coadiuvata da un professore esperto nel settore archeologico dell'Università di Roma, ha fatto datare l'iscrizione intorno al II sec. a.C. (periodo di Caio Mario), in quanto presenta la lettera M con le aste divaricate, tipiche di quel tempo. Nella iscrizione sono citati due nomi: Lucio - forse il nome del proprietario dell'edificio cui apparteneva la pietra - e il nome del Dio Apollo; poiché la nostra chiesa di S. Michele risulta costruita su un antico tempio dedicato al dio Apollo e alle nove Muse, la scritta è stata ritenuta pertinente. La pietra rappresenta parte di un donario dedicato alla divinità. L'arco borgognone, tipico dell'alto Medio Evo,è stato costruito utilizzando due tipi di materiale diverso: la parte più bassa è in pietra viva compatta, dello stesso tipo della pietra del donario, l'altra di tipo arenaria lavorata in un periodo più recente. Sul portale domina lo stemma dei Farnese, unica testimonianza della presenza di questa famiglia nel sud laziale; sei gigli disposti su tre file (3+2+1), classificato con precisione solo nel 1983. Manca al di sopra dello stemma la corona nobiliare, sicuramente collegata con perni in ferro ancora esistenti. A tutt'oggi rimane sconosciuta la motivazione della presenza di questa potente famiglia nell'ambito arpinate; forse legata al Vescovo De Theodinis, legato pontificio presso Papa Paolo III Farnese nel XVI secolo. All'interno del prezioso cortile, si ammira un elegante chiostro in pietra viva realizzato dagli scalpellini dell'epoca, formato da archi a tutto tondo sostenuti da colonne bizantine, (ciò sostenuto da un professore dell'università di Roma che insieme al suo assistente effettuavano uno studio per l'Abazia di Casamari nel 1980, meravigliandosi anche della presenza dello stemma Farnese nel basso Lazio). Le colonne rotonde hanno la base quadrata, si arrotondano e ritornano squadrate, si allargano e formano quattro spicchi in ognuno dei quali è scolpito una foglia ogivale. Delle sette colonne, quattro sono originali, le altre sono state sostituite con colonne quadrate di mattoncini rossi e rivestite di intonaco, forse cadute a causa di terremoti o devastazioni medievali. Delle colonne mancanti, una spezzata si trova nell'orto contiguo ed è stata utilizzata come base di un tavolo di cemento. L'altra è stata rilevata tra le molteplici e varie colonne che formano la cripta dell'Abazia di San Domenico di Sora ed è posta in modo capovolto rispetto a quelle presenti nel chiostro arpinate. Due scalinate in pietra fiancheggiano il muro di accesso, una in buone condizioni l'altra sconnessa e dissestata conduce alle varie abitazioni; all'interno del cortile acciottolato, si trova un pezzo di forma quadrata.Corso Tulliano e il Quartiere Ponte Dalla piazza Municipio, imboccata la Via del Liceo, svoltiamo a sinistra e imbocchiamo il Corso Tulliano, la via principale del centro storico. Realizzata nel 1884, essa poggia su di un sistema di arcate (le “volte”) adibite in parte a mercato coperto. A destra, incontriamo la casa natale del musicista Carlo Conti, maestro di Vincenzo Bellini. A sinistra, uno spiazzo, sul quale si affaccia il Palazzo Comunale, ospita il Monumento ai Caduti (1927), opera dello scultore arpinate Domenico Mastroianni. Subito dopo, ci si imbatte nell’elegante facciata del Palazzo Quadrini-Borromeo, risalente alla seconda metà dell’Ottocento, che ospita la sede del Circolo Tulliano, associazione culturale e mondana attiva in città dal 1886. Più avanti, il Palazzo Merolle-Felluca, pervenuto al Comune nel 1998 per lascito dei proprietari, accoglie la Biblioteca Comunale e il Museo della Liuteria (vd capitolo Musei). Sul lato destro del Corso, in posizione isolata, sorge il massiccio complesso del Palazzo Sangermano, costruito tra il 1879 e il 1884 e circondato da un ampio parco digradante verso il corso del torrente Reviéte. Dal 1923 al 1976 fu sede della “Scuola Apostolica Ven. Castelli” dei Padri Barnabiti. Successivamente divenne di proprietà comunale. Il Corso termina con la Porta del Ponte, rifacimento medievale dell’antica Porta sud. A sinistra della Porta, le Gradelle Torrione si arrampicano verso il quartiere Colle, costeggiando il torrione medievale un tempo inserito nel circuito murario. E’ visibile anche l’edicola con l’affresco di San Cristoforo: una sorta di “viatico” per il viandante che si apprestava a lasciare Arpino. La denominazione “Ponte”, estesa al quartiere, deriva dalla esistenza sul posto, di un ponte di epoca romana sul torrente Reviéte. La presenza del corso d’acqua ha determinato a lungo la vocazione manifatturiera di questa zona: mulini, concerie e frantoi erano numerosi, ed ancora oggi si possono vedere i fabbricati che li ospitavano. Dopo la Porta del Ponte e la piazza Gioacchino Conti inizia la via Vittoria Colonna. Subito sulla sinistra incontriamo un’altra pagina del “Libro di Pietra”. Di seguito si apre la scalinata che conduce alla barocca Chiesa di S. Antonio di Padova (vd capitolo Le chiese). Proseguendo, sempre a sinistra, incontriamo un grande edificio in pietra che sino alla fine dell’Ottocento fu sede del lanificio Sangermano, uno dei più importanti della città. La struttura, oltre alla fabbrica vera e propria, comprendeva anche gli appartamenti dei lavoranti. La costruzione conserva ancora oggi tracce della sua antica vicenda. Attualmente essa ospita l’Albergo Ristorante “Cavalier d’Arpino”, ed è in parte occupata da abitazioni private. Via Aquila Romana Dalla porta del Ponte si risale il Corso Tulliano per imboccare, a destra, il suggestivo percorso di via dell’Aquila Romana. E’ questo il tracciato dell’antico decumanus romano, l’asse viario più importante della città, che tagliava l’abitato da est a ovest. Ha conservato a lungo la sua funzione di strada principale fino all’inizio del Novecento, quando venne realizzato il più spazioso Corso Tulliano. Ancora oggi, gli Arpinati la chiamano familiarmente “via vecchia”, per distinguerla dal Corso. Tracce di pavimentazione romana sono oggi visibili all’altezza della Chiesa di S. Domenico, sconsacrata, che ospita il Museo dell’Arte della Lana (vd capitolo Musei). Proprio di fronte alla chiesa, si scorge un portale ad arco gotico, probabile ingresso di una bottega medievale, a testimonianza delle diverse sovrapposizioni urbanistiche ed edilizie che contraddistinguono l’impianto abitativo esistente attorno alla Via, fatto di vicoli, rampe e viuzze. Eleganti edifici secenteschi e sette-ottocenteschi si affacciano sulla Via dell’Aquila Romana con i loro portali in pietra, spesso adorni di fregi e di stemmi opera di scalpellini locali, alcuni dei quali particolarmente pregevoli. Sotto la Via, corre il tracciato sotterraneo dell’antica Cloaca Massima di epoca romana, risalente al I sec. a. C. In realtà, tale opera pubblica corre nel sottosuolo di Arpino lungo tutto l’asse est-ovest dell’antico decumano (da Fuoriporta fino alla Porta del Ponte), ma all’altezza di via dell’Aquila Romana essa è venuta alla luce nelle fondamenta di alcuni dei palazzi signorili che si affacciano numerosi sulla storica strada. Fuoriporta e il Quartiere Arco Dalla Piazza Municipio, costeggiando il complesso del Tulliano, si percorre Via Giuseppe Cesari e si giunge, sulla sinistra, al Piazzetta intitolata a S. Francesco Saverio Maria Bianchi. La statua bronzea del Santo barnabita, nato ad Arpino nel 1743, risale al 1977 ed è opera dell’artista Pietro Giambelluca. Dalla balconata retrostante il monumento si può ammirare un notevole panorama suggestivo del quartiere Civita Falconara e delle mura ciclopiche. Proseguendo, si incontra sulla destra il palazzo secentesco che fu residenza del pittore Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino (15681640). Agli inizi del Novecento, per permettere un migliore accesso in città, tutta l’ala esterna dell’edificio venne abbattuta, insieme all’antica porta nord che si apriva nella cinta muraria. Tuttavia ancora si può osservare lo stretto passaggio, situato al pianterreno del palazzo, che prima costituiva la via d’ingresso in Arpino. Di fronte alla casa del celebre pittore, dal lato opposto della strada, si diparte il tracciato dell’antica Via Latina che scendeva verso il Vallone (dove sono visibili, in contrada Stazione, resti dell’originaria pavimentazione risalenti al I-II sec. a.C.) per congiungersi poi alle vie consolari. Siamo nella zona nota come “Fuoriporta”, vera e propria porta d’ingresso alla città. Il lungo e alberato Viale Belvedere, che da qui si snoda, è un abituale ritrovo per le passeggiate degli Arpinati. Dal viale si può godere uno spettacolare panorama sulla vallata (il “Vallone”) e sui colli circostanti, sullo sfondo dei Monti Lepini ed Ernici. Affacciandosi dalla terrazza panoramica, è possibile individuare, seminascosto dalla vegetazione, il rudere di un monumento funerario romano, che la tradizione popolare identifica con la tomba di Saturno, il mitico fondatore della città. Accanto ad esso sorgeva una chiesetta, i resti della quale sono ancora in parte distinguibili, denominata in dialetto “la cona del monumento”, e dedicata a S. Apollonia. Sul lato opposto della strada sono esposte le sculture in ferro opera del grande artista contemporaneo Umberto Mastroianni (vedi capitolo Musei). La chiesa di San Michele Arcangelo Sulla piazza principale di Arpino sorge la Chiesa di S. Michele Arcangelo, costruita sull’area di un tempio pagano, sembra, dedicato ad Apollo e alle nove Muse. Così almeno viene creduto in quanto dietro l’altare vi è un vano scavato nella roccia con nove nicchie vuote. Nella navata sinistra della chiesa, una lapide del 1700 avvalora questa credenza; così recita “Templum hoc novem musis olim dicatum ...anno MDCCXXXI consecravit”.Affreschi risalenti all’VIII-IX sec., la datazione MC sull’iscrizione della campana maggiore, la documentazione dei Regesti dell’abbazia di Montecassino, che parlano di una donazione da parte di Giovanni di fu Lando nel 1104, attestano l’antichità della chiesa e ci ricordano la continuità nello stesso luogo del culto pagano e della religiosità cristiana. Da documenti dell’inizio del ‘400 sappiamo che S.Arcangelo (così allora veniva chiamato) fu residenza del vescovo di Sora, che da qui emanava i suoi decreti. Danneggiata dal terremoto del 1654, la Chiesa fu restaurata e rimaneggiata successivamente fino ad avere l’aspetto attuale. L’interno, barocco, è a croce latina a tre navate con cappelle laterali e volte a crociera. S. Michele è custode di numerose opere di prestigio. Subito, entrando, notiamo sull’altare maggiore la grande tela del Cavalier d’Arpino raffigurante L’Arcangelo Michele vittorioso su Lucifero e sulla volta dell’abside la maestosa figura del Padre Eterno. Sempre allo stesso artista sono attribuite L’Annunciazione, Tobia e l’Angelo, Il Martirio di S. Pietro, e le 14 Stazioni della Via Crucis. Di notevole livello artistico è la Croce stazionale di Scuola Toscana (sec. XIV), nella navata destra. Nella Sacrestia una tela ad olio, attribuita a Francesco Curia, imitatore del Caravaggio, rappresenta Il Battesimo di Gesù. Bella è la Madonna con Bambino del pittore secentesco Dionigi Ludovisi. Da notare è l’organo realizzato nel 700 e opera di Michele Stolz sono il Battistero e il pulpito in legno di noce con sei putti a rilievo sostenuti da un’aquila. Michele Stolz, lo scultore in legno, tirolese (1725-1779) che operò lungamente in Arpino, è sepolto sotto l’altare del Sacro Cuore in questa Chiesa. Al principio del Viale una scalinata conduce all’ingresso della raccolta e suggestiva Chiesa della Madonna delle Grazie (vd capitolo Le chiese). La facciata, ariosa e classicheggiante, presenta un ampio pronao sovrastato da tre finestroni. A destra della chiesa, una rampa in acciottolato conduce verso la Via Arco Torrione. Si percorre la strada per giungere all’ingresso del quartiere Arco. Sulla sinistra, notiamo il grande complesso del settecentesco Istituto S. Vincenzo de’ Paoli. Situato a nord, il quartiere Arco si arrampica sulle pendici della collina che sovrasta il centro storico. L’impianto abitativo, sorto a ridosso del tracciato delle mura ciclopiche che scendeva dall’Acropoli verso la città, ha mantenuto le caratteristiche medievali: un dedalo di vicoli e gradinate spesso scavate nella roccia viva, sviluppatosi attorno ad alcuni antichi percorsi che collegavano il centro con l’Acropoli. Un quartiere che, pur nell’asperità della sua struttura, sa offrire al visitatore che vi si avventuri scorci pittoreschi e splendidi panorami. Iniziamo la nostra visita partendo dalla Porta dell’Arco (che sostituisce quella più antica che si apriva nella cinta muraria in opera poligonale, accanto ad un antico torrione. Essa era rivolta a nord ed era detta anche Porta Romana. Fu demolita nel 1900). Oggi le mura poligonali e le opere difensive appaiono inglobate nel tessuto abitativo. Si percorre la stretta Via Marco Agrippa, dalla quale si diramano molti vicoli. A destra, l’antica Via Maiura (via Maior), una ripida scalinata che congiunge il quartiere con la via Giuseppe Cesari. Proseguendo per Via Marco Agrippa, si giunge alla Salita dell’Arco, dove si apre un’ampia scalinata che collega la strada con la sottostante Piazza Municipio. Sulla destra, la casa natale di Giuseppe Polsinelli, patriota e deputato del Regno d’Italia, e il campanile (per gli Arpinati “I campanare”) della Collegiata di S. Michele Arcangelo, innalzato sulla roccia viva, dalla caratteristica cella campanaria “a cuspide” di foggia napoletana. A sinistra si inerpica la Via Greca, citata anche da Cicerone quale percorso di collegamento con l’Acropoli, e così denominata perché con ogni probabilità costruita da schiavi greci. Sempre sulla Via Marco Agrippa, al civico 93, Palazzo Antenangeli, sorto sui resti di un edificio romano. Si torna indietro al “campanaro” per ridiscendere verso Piazza Municipio. Santuario Santa Maria di Civita Sul luogo dove oggi sorge la Chiesa di S. Maria di Civita, un tempo si ergeva un tempio pagano, dedicato a Mercurio Lanario, protettore della lavorazione della lana, che era l’attività principale del centro romano della Civitas Falconara. Una torre follonica, poi divenuta base dell'odierno campanile, e una lapide rinvenuta nel pavimento del recinto sacro attestano questa continuità. La lapide, oggi murata sulla facciata della Chiesa, così recita: "R.UM – SACRUM – TRI – MERCURIO – LAN – CILIX – TULLI L.S. – TEPA – PRAECIAE – S –PHILOTIMUS - PERFIC.". Le persone indicate (Cilix-Tepa-Filotimo), che probabilmente fecero erigere questo tempio, erano storicamente legate alla famiglia di Cicerone. Del tempo romano sono pure il fregio sui blocchi poligonali del campanile con figure simboliche (non visibile), la lapide che ricorda la ricostruzione delle torri da parte del console Acerronio e quella che indica il restauro del tempio a cura di tre edili (Sacrestia). Nei primi anni del Cristianesimo, dunque, sorge qui S. Maria di Civita e la prima notizia le abbiamo da un documento di donazione firmato nel 1038 proprio dentro la chiesa di “S. Maria de Arpino”. Qui si venerava una tavola antichissima della Regina degli Angeli, detta la Madonna della Civita, quadro distrutto nel periodo delle incursioni barbariche. Dice Serafino Montorio nello Zodiaco Mariano che "questa chiesa al tempo dei Goti patì lagrimevole incendio … e solamente restovvi intatto dalle fiamme un Martirologio in pergamena manoscritto con caratteri longobardi in cui leggesi la consacrazione della chiesa sotto il titolo dell'Assunta". Oltre questo documento della fine del XIII sec., che riporta a margine iscrizioni di fatti storici e fenomeni tellurici locali, sono conservati nella chiesa anche gli Antifonari "membranacei" del sec. XIV. Riconsacrata agli inizi del 1300, S. Maria della Civita fu quasi completamente rifatta in stile tardo barocco alla fine del sec. XVIII e poi ancora arricchita nel corso del 1900. L’interno della chiesa è a tre navate, a croce latina. Un’ariosa cupola dà luminosità e ampiezza alla navata centrale. Desta ammirazione la cappella della Vergine Incoronata, le cui pareti sono rivestite di marmi. In essa è custodita la statua lignea dell’Assunta, scolpita a tutto tondo in un tronco di cedro del Libano. Nei secoli bui del Medioevo sembra che fosse traslata, per meglio difenderla dalle incursioni barbariche, nella rocca di Montenero, fortilizio naturale tra Arpino e Santopadre, dove, in caso di emergenza, trovavano rifugio gli abitanti della città. L’atteggiamento rigido e l’espressione ieratica della Madonna sono tipici dell’arte fiorita intorno al Mille. Oggi si presenta rivestita da un ricco paludamento settecentesco e in Suo onore il 15 agosto si svolge in Arpino una solenne processione. Anche in questa chiesa ammiriamo due tavole del Cavalier d’Arpino: San Giovanni e San Giuseppe (in Sacrestia), oltre la maestosa figura del Padre Eterno nella cupola. Ad un seguace del Caravaggio viene attribuita una tela ad olio di San Girolamo e sono di scuola romana del XVIII sec. il San Giacomo che ascende in gloria (navata sinistra), l’Annunciazione (lato sinistro del transetto), il Sogno di San Giuseppe (lato destro del transetto). Ai lati della sacra cappella, nell’abside, le statue di San Pietro e San Paolo sono dell’artista arpinate Mariano Pisani, che per queste opere conseguì nel 1919 la medaglia d’oro all’Esposizione di Arte Sacra. Sulle finestre della navata centrale sono installate dieci artistiche vetrate. Cotte a gran fuoco, istoriate con figure, decorate a simboli, legate a piombo, sono state realizzate su disegni del prof. Luciano Bartoli. Altre due belle vetrate si ammirano nel restaurato Battistero. L’artistico frontale dell’organo, scolpito e dorato, viene dalla tradizione attribuito allo Stolz, ma più verosimilmente è opera di un autore ignoto, ebanista laziale, del sec. XVIII. Dello Stolz è invece sicuramente la macchina su cui poggia il simulacro della Vergine, un tempo ornata di Angeli che purtroppo sono stati rubati. Entrando a destra, una lapide ricorda la visita che fece in questa chiesa Carlo III di Borbone nel 1749. La chiesa di S. Andrea e il Monastero di clausura delle Benedettine Da un documento di permuta del 1084 si ha notizia certa della chiesa di S. Andrea, antica prepositura benedettina divenuta poi Collegiata con autonomia liturgica e amministrativa, situata sul colle di Arpino ai piedi di Civitavecchia. Distrutta e ricostruita nel XIII secolo, restaurata nel 1533 e ristrutturata nel 1780, essa si presenta oggi con una facciata ad ampi riquadri. Il portale centrale in pietra proviene dalla distrutta omonima chiesa di Montenero, antica rocca situata fra Arpino e Santopadre. L’interno è a tre navate. La pala d’altare commissionata dalla Badessa dell’attiguo monastero al Cavalier d’Arpino, raffigura i due Santi protettori: San Benedetto e Sant’Andrea. Da notare che il volto del Sant’Andrea è identico a quello dipinto dallo stesso autore nell’affresco dell’Ascensione nella Cappella Borghese in S. Giovanni in Laterano. Nella grandiosa achitettura che racchiude il dipinto, oltre le figurazioni di S. Lucia, S. Pietro Martire, S. Anna con Maria Bambina e San Rocco, si ammirano in due piccole nicchie laterali una Madonna col Bambino del XV sec. e una pergamena con l’Annunciazione, ad acquarello, opera di un miniaturista del XVIII sec. Dietro le grate, che si affacciano sulla chiesa, le suore di clausura dell’attiguo convento assistono e a volte partecipano con cori alle funzioni religiose e, proprio lì, oltre le grate, sono custodite la statua settecentesca in cartapesta della Madonna di Loreto, dichiarata protettrice di Arpino fin dal 1802 e la “macchina” in legno dello Stolz, raffigurante la Casa di Nazareth, trasportata dagli Angeli. Nella parte anteriore si legge: “Facta est. Domi Pesci 1756. Michele Stolz”. Attiguo alla omonima chiesa di S. Andrea, con la quale ci furono sempre rapporti religiosi e di interessi, sorge l’antico monastero di clausura delle Benedettine. Di esso si ha notizia certa in un rogito sottoscritto dalla badessa Odda e dalle sue consorelle, risalente al 1249. Ma la tradizione lo vuole, addirittura, fondato nel VI sec. da S. Scolastica, sorella di San Benedetto. A prescindere da quanto di artistico è presente nel monastero, storicamente questo cenobio, l’unico femminile delle antiche prepositure benedettine giunto ininterrottamente fino ai giorni nostri, è importantissimo perché ci fa conoscere nelle ottantasette pergamene conservate in Montecassino, la vita claustrale in tutti i suoi aspetti. La Badessa, coadiuvata da un consilium monialium, secondo la regola benedettina prendeva le decisioni e curava i rapporti con l’esterno. Donativi (salutes) e giornate lavorative (servitia) costituivano i beni del monastero. Per entrare nel convento occorrevano libertà di scelta, irreprensibile condotta, buon ceto sociale. Tra le attività delle suore prevaleva l’arte del ricamo; oggi il monastero è divenuto centro di incontri di studio nell’organizzazione dell’Oasi Benedettina Maria Santissima. La struttura più antica è quella dei magazzini, delle cucine e del refettorio. Bello è il Chiostro con un porticato su cui si aprono gli ambienti della comunità. Ma questa parte purtroppo non è visitabile a motivo della clausura. Il monastero ha avuto, nel corso dei secoli, diversi rifacimenti. Tra le opere custodite importante è il Crocifisso. Esso si presentava, prima dell’intervento conservativo, come un dipinto ad olio su tela inchiodata al supporto ligneo. Ma in fase di restauro, sotto la tela, sulla tavola, furono trovate tracce di un altro dipinto a tempera. Esso rappresenta il Christus triumphans, inchiodato alla Croce, con espressione ieratica e con volto circondato dal nimbo crocigero. Entro i capicroce sono raffigurati episodi della passione. Esso risale sicuramente al Trecento ed è di Scuola Toscana e Umbra, il cui influsso in Arpino fu forse dovuto ad una comunità di Francescani. La tela, ad olio, che ricopre il dipinto trecentesco, in parte ricalca l’iconografia della croce medioevale con stile naturalmente differente e può esser fatta risalire alla fine del secolo XVI. Nella Sala dei Convegni possiamo ammirare quest’opera e l’affresco raffigurante Sant’ Andrea che ornava la lunetta sovrastante il portale dell’omonima chiesa.Orario di visita al Monastero: 8,30-11,30/15,1516,45 (ora legale17,15) E ancora Oltre le tre principali, nel centro di Arpino, molte sono le chiese degne della nostra attenzione. Non a caso esse, spesso, presentano caratteri stilistici barocchi e settecenteschi proprio perché costruite o restaurate nel secolo di maggior benessere e ricchezza di questa industre città. Proprio all’ingresso della cittadina si trova la chiesa della Madonna delle Grazie. Di essa si ha notizia storica per il patto del 1463 firmato fra il Papa Pio II Piccolomini, gli Aragonesi e gli Angioini proprio “in Ecclesiae Sanctae Marie Graziarum extra muros terre Arpini”. Fu poi ristrutturata nel XVIII sec. Una larga scalinata porta al pronao, che dà importanza e ariosità all’insieme. Proseguendo verso la piazza e attraversatala troviamo la chiesa dei Santi Carlo e Filippo: chiesa settecentesca alla quale era annesso il collegio di S. Carlo, affidato da Desiderio Merolle ai Padri Barnabiti. Fu, dunque, il primo nucleo di quel centro di cultura che determinerà la nascita del Collegio Tulliano nell’ex monastero delle Cappuccinelle, con annessa la chiesa della Santa Croce del sec. XVII. Su Via dell’Aquila Romana, S. Domenico, di stile barocco, non più consacrata, accoglie il Museo della Lana (vd. capitolo Musei). Proseguendo si arriva al quartiere Ponte dove è la chiesa di S.Antonio di Padova, di origine trecentesca. Vi si accede con una grande scalinata. Restaurata e riconsacrata nel 1727, dopo la distruzione del terremoto del 1654, oggi si presenta anch’essa con l’interno in stile barocco. Un Crocifisso dello Stolz e una tela del Cavalier d’Arpino, raffigurante la vestizione di S.Antonio, sono custoditi in questa chiesa. Sulla rocca di Civita Falconara, visibile anche da molto lontano, nei pressi del Castello di Ladislao, sorge la chiesa della Madonna di Loreto. Edificata sulle rovine di una torre poligonale dell’antica cinta di mura, presenta un’abside ottagonale. Custodisce due grandi pitture del Cassevano (sec. XVIII), bisognose di restauro, raffiguranti con gusto popolare e dovizia di particolari la traslazione dalla chiesetta di S. Sebastiano del dipinto della Madonna di Loreto e il ricordo dei Padri Francescani che piantano la Croce a Pizzo Falcone. Sullo sfondo dei dipinti viene rappresentato il vicino Castello prima dei rimaneggiamenti. Sull’altare centrale, il dipinto de La Madonna di Loreto con la santa casa trasportata dagli angeli. Legata a questa chiesa è la tradizione della vendita di piccole campanelle di terracotta beneauguranti in ricordo di un antico avvenimento. Sembra, infatti, che quando la Madonna fu qui traslata, tutte le campane di Arpino suonassero spontaneamente. Realizzata su un torrione della muraglia è la chiesa di S. Rocco. Non possiamo dimenticare la piccola chiesa subito fuori la solenne Porta Saturno di Arpino detta la Madonna del Riparo o S.Giuseppe alla Parata. Se all’esterno essa può apparirci una modesta cappella di campagna, all’interno abbiamo la sorpresa di trovare una vera chiesa cinquecentesca che custodisce opere quali un Crocifisso dello Stolz e una deliziosa statuetta in alabastro, copia originale della Madonna di Trapani del 1400. Particolare della chiesina è il portico antistante l’ingresso, sotto il quale l’antico viandante passava mentre si accingeva al periglioso viaggio attraverso i monti. La religiosità e la fede degli abitanti di Arpino è attestata dalla presenza nel suo territorio di tanti luoghi di culto, costruiti nel corso dei secoli. Agli albori del sec. XI, dal centro religioso di Montecassino s’irradiarono piccoli insediamenti monastici nello spirito della Regola benedettina “Ora et Labora”. Queste comunità religiose costruirono chiesine campestri sui terreni donati dagli abitanti del luogo all’Abbazia di Montecassino. Erano veramente molto numerose, ma di esse ne sono giunte fino a noi, oltre S. Andrea, solamente due: S. Amasio (sec. XII) nei pressi di Montenero dove sorgeva anticamente un tempio romano e S. Lucia nel Vallone di Arpino, oggi completamente rimaneggiata, ma del nucleo originario si intravvede ancora il pronao dell’ingresso laterale, che ha sul portale una lunetta affrescata con l’immagine della Santa. Di altre prepositure, quali S.Altissimo e S.Martino restano nei luoghi solo i toponimi dati alle contrade dove sorsero. Non prepositura benedettina, ma ugualmente antica, è la chiesina di S. Sebastiano di cui si trova notizia nella Rationes decimarum (collettorie papali) già nel sec. XIII. Recentemente, nel 1981, è stata restaurata. Nell’interno, dietro l’altare, ammiriamo un ciclo di affreschi. Di questi Il San Domenico di Guzman e Il San Sebastiano trafitto (con la più antica raffigurazione della città di Arpino sullo sfondo) sono sicuramente del pittore Ambrogio da Ferentino e datati al 1498. Il San Sebastiano con un Angelo che stacca una freccia è invece di più tarda epoca (forse del 1700/1800). Bella è La Madonna del latte, che interpreta una devozione comune a molti paesi della Ciociaria. Per finire, sulla parete di destra, un’altra raffigurazione del Martirio di San Sebastiano. MUSEI Fondazione Mastroianni Il Museo “Umberto Mastroianni o mostra permanente della Donazione Umberto Mastroianni esiste a partire dal 24 Aprile 1993 e costituisce una delle istituzioni culturali più importanti della città, viva testimonianza dell’operato di uno dei più grandi scultori del Novecento, che volle onorare Arpino con la sua opera. La Fondazione, infatti, raccoglie ed espone al pubblico in una Mostra permanente oltre cento opere tra sculture, disegni, bassorilievi, arazzi, cartoni, bozzetti scenografici realizzati dal grande artista contemporaneo Umberto Mastroianni. Qui è conservato anche l’archivio personale del Maestro. La Fondazione è ospitata in via provvisoria nelle sale di Palazzo Boncompagni e di Palazzo Spaccamela, in attesa dell’allestimento della sede definitiva presso il Castello di Ladislao. Sono esposte al pubblico le sculture, gli arazzi, i legni ed i cartoni realizzati da Mastroianni e donati dal Maestro al centro a lui intitolato, oltre al materiale fotografico e documentario concernente l’attività artistica di Umberto Mastroianni e della Fondazione. Oltre alla mostra permanente della Donazione Mastroianni, è possibile visitare la sezione I Mastroianni” dedicata a Domenico e Alberto Mastroianni, Marcello, Ruggero, Federica, Barbara e Chiara Mastroianni ed ai Mastroianni Ceramisti, che consentiranno di tutelare l’immagine storica di promuovere il valore storicoartistico dell’intera famiglia. Questa prestigiosa istituzione culturale promuove inoltre, periodicamente, mostre ed esposizioni dedicate ad artisti contemporanei. Come un museo all’aperto, alcune sue sculture possono essere ammirate in vari punti della Città. Sede: Palazzo Boncompagni, Piazza Municipio, 33 - Tel. 0776.848177 Il Museo dell'Archeologia Industriale della Lana Fin dall'epoca romana, Arpino si distinse come centro laniero di grande importanza. Diffusissima era la produzione artigianale, organizzata all'interno delle famiglie che ospitavano telai ed arcolai tra le mura domestiche. Ma è a partire dal Settecento che questa attività assunse carattere industriale, proiettando la città tra i principali centri di produzione di tessuti in lana a livello italiano ed europeo. Al principio del XVIII secolo, infatti, l'arrivo in Arpino del tecnico francese Baduel, invitato dall'imprenditore laniero Filippo Quadrini, insieme ad altre maestranze esperte provenienti dall'Olanda e dall'Inghilterra, pose le basi per la creazione dei primi lanifici operanti su vasta scala. L'importazione di tecnologie e conoscenze dai Paesi europei leader nella produzione laniera, unitamente ad una salda tradizione nel settore, formarono il trampolino di lancio per un'industria che, in breve tempo, vide prosperare numerosissimi lanifici, e raggiungere ottimi standard di produzione, al punto che, nel 1744 Carlo III di Borbone ritenne opportuno visitare personalmente le fabbriche arpinati, con il conferimento ad alcune di esse del titolo di "regio lanificio". La produzione era organizzata sul lavoro autonomo di tipo artigianale ma, soprattutto, sul lavoro dipendente, svolto a domicilio per conto di mercanti-imprenditori, secondo lo schema più tipico dell’industrializzazione europea. Nel 1850, prosperavano in città ben trentadue lanifici, e dei 15000 abitanti della città oltre la metà trovava occupazione nell’industria laniera. I prodotti arpinati venivano esportati ovunque, ricevendo attestati di merito e riconoscimenti per l’alta qualità. Il sistema produttivo arpinate venne sostenuto dalla politica protezionistica attuata durante il periodo francese e poi dal Regno delle Due Sicilie. L'unificazione italiana, il mutamento della politica economica del nuovo Stato unitario, con la fine della protezione doganale, insieme allo spostamento dell’asse degli interessi economici nazionali verso il Nord segnarono il tramonto dell'industria arpinate. I primi del Novecento videro la chiusura di molti lanifici, gli ultimi dei quali cessarono la produzione nel Secondo Dopoguerra. Il Museo dell'Arte della Lana costituisce una testimonianza preziosa di questa vicenda industriale, parte fondamentale della storia e dello sviluppo cittadini. Esso conserva ed espone le attrezzature d'epoca provenienti dall'antico lanificio Diodati, e ricostruisce in un percorso storicamente documentato le fasi della produzione. I macchinari esposti sono: uno sfioccatore, tre cardatrici, una ritorcitrice, un orditoio, quattro telai. Insieme ad essi, sono conservate le polveri originali per la tintura dei tessuti: un'arte, questa, molto importante per Arpino dove, durante gli anni d'oro dell'industria laniera, venne addirittura istituita una scuola per l''nsegnamento delle tecniche di tintura. Un'accurata documentazione storica ed iconografica, curata da esperti nel settore, completa la dotazione del museo. Tra i progetti si annovera anche un Museo dell'Arte Tipografica, un'attività particolarmente sviluppata in Arpino nel corso dell'Ottocento. Sede: ex chiesa di S. Domenico -Via dell'Aquila Romana - Tel. 0776.849241 Orario di visita: Lun. 9 -13 Mo. - Mar. - Dom. 9 - 13 / 15 - 19. Tu.- Su. Donazione del Maestro Mario Iafrate Il maestro Mario Iafrate, nato ad Arpino, nel 2006 ha donato alla sua città natale tutta la sua bottega di falegname, che ora si trova in esposizione presso la chiesa sconsacrata di San Domenico. Nel 2009 il maestro ha donato al Comune di Arpino una serie di sue opere scolpite in legno di ulivo, che arricchiscono ulteriormente la donazione precedente. Il Museo della Liuteria L’arte della liuteria ha goduto ad Arpino di una tradizione affermata e gloriosa. Merito della bottega del Maestro Luigi Embergher, valentissimo costruttore di strumenti musicali a corda attivo in città durante la seconda metà dell’Ottocento, e del suo allievo e continuatore Domenico Cerrone, che subentrò all’Embergher nel 1938 alla guida dell’attività. Il laboratorio, che Embergher fondò nel 1880, si trovava in vicolo Morelli, una traversa di via Pio Spaccamela, verso il quartiere Colle, ed è stato attivo fino agli anni Cinquanta. La bottega Embergher-Cerrone, che contava ben quindici dipendenti, era specializzata nella realizzazione di mandolini di tipo “romano” ed arrivò a produrre circa cento strumenti al mese: un’abilità nella quale i due Maestri liutai rasentarono la perfezione, producendo strumenti dalle qualità armoniche ed estetiche elevatissime. Violini chitarre mandolini ed altri strumenti a corda usciti dalla bottega arpinate vennero a lungo esportati in tutto il mondo, e furono celebri per le loro caratteristiche, guadagnando ad Embergher e a Cerrone prestigiosi riconoscimenti internazionali. Oggi, a testimonianza di questa antica e nobile arte, è sorto il Museo della Liuteria, che raccoglie ed espone i prodotti finiti e le fasi di lavorazione seguite nella storica bottega Embergher-Cerrone. Si possono osservare gli strumenti musicali nei diversi momenti di realizzazione, i macchinari e le attrezzature impiegate, alcune delle quali costituiscono dei veri e propri pezzi unici. Completano l’esposizione progetti, documentazione sull’attività della bottega e attestati di merito conferiti ai due Maestri liutai. Il Sistema Museale ospita inoltre l’esposizione permanente della pittrice Vincenzina Lamarra e dell’artigiano Mario Iafrate. Sede: Casa Felluca-Merolle-Corso Tulliano, 49 Orario di visita: lun. 9-13 Mo. - mar.-dom. 9-13 / 15-19 Mo. Su. Il Libro di Pietra E’ una singolare iniziativa che coniuga il fascino antico e a tratti aspro di questo centro con le suggestioni della poesia contemporanea. Si tratta della riproduzione su pietra di poesie (in lingua originale e relativa traduzione italiana) che famosi poeti contemporanei, ospiti della città, hanno dedicato ad Arpino. L’iniziativa è coordinata dallo scrittore Giuseppe Bonaviri. Le “pagine” del Libro sono collocate nei quattro quartieri in cui si divide il centro storico: all’esterno della Porta di Saturno (quartiere Colle), è riprodotta la poesia di Giuseppe Bonaviri “Il Bianchissimo Vento; sulla via Vittoria Colonna, presso la chiesa di S. Antonio (quartiere Ponte), si possono leggere “Pietre” dello svedese Lars Forssell e “Scritto nella pietra di Kjell Espmark; in via Caio Mario in prossimità del Castello di Ladislao (quartiere Civita Falconara) è riprodotta “A volo d’uccello” del russo Valentin Berestov; in via M. Tullio Tirone (quartiere Arco) si trova “Applauso per Arpino”, di Pedro J. De la Peña, e al Ponte Lungo “Spirito dell’Acqua” della tunisina “Fadhila Chabbi. Ed ancora, “La musica dell’arpa” di Lei Shuyan (Cina, 1997/98) presso la chiesa del Suffragio a Panaccio; “Ascolta la Ciociaria” omaggio a Libero De Libero” (1988) presso Pontelungo sulla provinciale Tulliana; “L’aquila tranquilla” di Wladimir Mikes (Rep. Ceca, 2000) in Salita dell’Arco; “A Saturno conditum” di Sandy Hutchinson (Gran Bretagna-Scozia, 2001) in piazza Gioacchino Conti; “Il sogno” di Silvia Baron Supervielle (Francia, 2002); “L’usignolo di maggio” di Ursula Koziol (Polonia, 2003) in via Civita Falconara; Il grande libro di Arpino” di Dante Marianacci (Italia, 2004) presso Collecarino; “I capelli di Arianna” di Ioan Flora (Romania, 2005) in via Vittoria Colonna; “Dio dell’Alleanza” di Papa Giovanni Paolo II (2005) presso l’Acropoli di Civitavecchia; “Bar Fabbrizio” di Matthias Politycki (Germania, 2006) in piazza Municipio. Manifestazioni Il Pappone di Civita 17 gennaio in occasione della festa di S. Antonio Abate, nella piazza S. Maria di Civita viene offerto il "pappone", ovvero la polenta cucinata in piazza in grandi paioli di rame e condita con sugo e pecorino. La tradizione nasce nel 1615, quando il nobile Pompeo Grimaldi lasciò il suo patrimonio alla Congregazione del SS e Concezione a favore del sussidio alle funzioni religiose, affinché ogni anno, per la festa di S. Antonio Abate, fosse distribuito un pasto ai poveri. La polenta viene cucinata in piazza da cuochi improvvisati, in grandi paioli di rame (le "cuttrelle"), ben condita con sugo e pecorino grattugiato e distribuita ai passanti. Premio di poesia 8 marzo Promosso dal Comitato di Arpino della Società Dante Alighieri in collaborazione con l’Amministrazione comunale, la Pro loco ed il Gruppo Guide Cicerone. A valenza interregionale si rivolge a tutti i giovani dai 14 ai 26 anni. Processione del Cristo Morto Venerdì Santo Suggestiva processione in notturna che muovendosi dalla chiesa della Madonna della Pietà, si snoda tra vie e vicoli del centro storico, per concludersi, a mezzanotte, nella Collegiata di S. Michele Arcangelo. Certamen Ciceronianum Arpinas Metà di Maggio Istituito nel 1980 dal Liceo-Ginnasio “Tulliano”. Si tratta di una vera e propria “gara” di traduzione e commento di un brano di Cicerone, alla quale partecipano gli studenti delle ultime classi dei licei italiani e stranieri. La manifestazione, che gode dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, dura quattro giorni. E’una valida occasione di incontro e di scambio tra giovani provenienti da diverse parti del mondo, ed ha sempre goduto dell’attenzione e della presenza di studiosi di fama internazionale. Alla competizione, che si svolge nell’arco di una giornata, si affianca una serie di eventi culturali : conferenze e convegni sulla lingua e la letteratura latina, seminari di studio, concerti, mostre, visite guidate, che rendono Arpino un vivace centro internazionale di diffusione della cultura. La cerimonia conclusiva della manifestazione si tiene la domenica mattina in Piazza Municipio con la premiazione dei vincitori del Certamen. www.certamenciceronianum.it S. Antonio di Padova 13 giugno Festeggiamenti religiosi, con la solenne processione che percorre le vie del centro, e civili, con spettacoli e fuochi d’artificio I FaOne di S. Giovanni 23 giugno E’ la festa di inizio estate, reminiscenza di antiche ricorrenze pagane legate al culto solare e ai ritmi agricoli. Si celebra sulla piazza del quartiere Colle, con l’allestimento di una grande pira di arbusti di ginestra, alla quale, scesa la sera, si dà fuoco. Arpinati e visitatori attendono il momento fatidico dell’accensione del “favone” tra spaghettate, bicchieri di vino e musica, in un’atmosfera festosa resa ancor più imperdibile dal fascino del luogo. Il “GONFALONE” E’ un evento che recupera e ripropone il patrimonio folkloristico arpinate. Nato nel 1971 con lo scopo di valorizzare le tradizioni e il folklore locale, il “Gonfalone” si articola in più momenti, i protagonisti dei quali sono i quartieri e le contrade della città. Durante il mese di agosto si propongono serate alla riscoperta di sapori tipici e genuini: ogni quartiere organizza una sagra all’aperto ispirata ad un piatto della tradizione arpinate. Sabato e domenica successivi al Ferragosto Il sabato successivo al Ferragosto ha luogo la manifestazione più propriamente folkloristica che vede impegnati tutti i partecipanti nella sfilata in costume ciociaro e nel momento folkloristico durante il quale si rievocano momenti ed attività tradizionali (i lavori agricoli, l’allevamento degli animali, i mestieri artigianali, ecc), fino a chiudere in tarda serata con il ballo generale in piazza. La domenica invece è il momento delle sei gare che si svolgono tra il tifo indiavolato delle contrade e un’atmosfera di festa genuina: corsa con gli asini, corsa con la “cannata” (un pesante recipiente di terracotta usato un tempo per attingere l’acqua), corsa nei sacchi, corsa con la carriola, staffetta e tiro alla fune. Il quartiere che ha totalizzato il maggior numero di punti vince il “Gonfalone”, uno stendardo dipinto ogni anno da un artista di chiara fama. www.ilgonfalonediarpino.itCERTAMEN DELLA CHIMICA Seconda domenica di ottobre Gara aperta ai migliori studenti dell'ultimo anno di corso degli Istituti per Chimici che si cimentano nella risoluzione di una serie di quesiti e nell'elaborazione di una breve relazione su un tema specifico, con lo scopo della riscoperta del vasto patrimonio tecnicoindustriale di cui gode la nostra terra. "December" Mese di dicembre Manifestazione a carattere culturale che propone la rivisitazione degli antichi culti magici, le feste, i costumi ed i piatti “tipici” romani. Festa Patronale della Madonna di Loreto 10 dicembre Una consolidata tradizione, che affonda le sue radici nel XVII secolo, ha proclamato la Madonna di Loreto protettrice della città di Arpino. La sua intercessione avrebbe infatti risparmiato la città e i suoi abitanti da carestie, epidemie, terremoti e guerre. Nel 1656, ad esempio, Arpino venne risparmiata da una tremenda epidemia di peste che mieté le sue vittime a Roma, a Napoli e in tutto il Meridione d’Italia, evento che venne attribuito alla protezione della Vergine di Loreto. Ma l’avvenimento che per gli Arpinati assunse davvero il significato di un miracolo si verificò il 17 aprile 1799, quando le truppe francesi in guerra contro i sostenitori dei Borbone di Napoli marciavano alla volta di Arpino. Si invocò la protezione della Madonna di Loreto, collocandone il simulacro fuori della porta Nord. Giunti nei pressi della città, all’improvviso e, parve, inspiegabilmente, i francesi batterono in ritirata rinunciando all’assalto. La tradizione vuole che, da un colle prospiciente, fosse sceso un “esercito di novemila uomini vestiti di bianco”, e che la Vergine stessa, sotto le spoglie di una donna bruna che pascolava il gregge, avesse dissuaso i francesi dall’affrontare una simile schiera, salvando in questo modo la città dal saccheggio e dalla distruzione. In conseguenza di questo evento prodigioso, gli Arpinati chiesero ufficialmente alle autorità religiose cittadine di elevare la Madonna di Loreto a protettrice della città. La statua della Vergine, conservata presso il Monastero femminile benedettino di S. Andrea, viene portata in processione fino alla Collegiata di S. Michele Arcangelo, nella piazza Municipio, dove sosta alcuni giorni e dove è collocata una lapide che ricorda gli avvenimenti di quei giorni del 1799. Mangiare ad Arpino RISTORANTI : Baccolino Contrada Abate, 3 349.0842915 Bellavista Via Casale, 30 0776.848390 Da Peppino Via Rondinella 0776.880046 Il Ciclope Via S. Francesco, 23 0776.848809 Il Giardiniere Via Montenero, 21 0776.849098 I Giardini dell'Acropoli Strada Prov. Arpino-Casalvieri - Loc. Civitavecchia 0776.848209 I Rea Tra Arpino e Isola Liri 0776.848866 La Perla Via Collebianco 0776.849583 Lo Zoppo Via Colle lo Zoppo, 2A 0776.88110 Mingone Via P. Nenni, 96 0776.869140 Splendor Via Panaccio 0776.848505 Sunrise Crest Loc. Civitavecchia 0776.848901 Tempio di Bacco Via Pietro Nenni 0776.868445 Antichi Sapori Piazza Municipio, 27 0776.849287 Del Corso C.so Tulliano, 23 0776.848528 Eurobar Via Pelagalli, 6 0776.848224 "Bellavista" Via Casale , 30 0776.848380 Da Adriano Via Scaffa, 163 0776.880049 "Il Giardiniere" Via Montenero, 21 0776.849098 Il Piccolo Rifugio Piazzale Rotondi 0776.849101 "Capo Nord" Via Collecarino, 17 0776.848850 "Splendor" Via Panaccio 0776.848505 "Del Corso" Corso Tulliano, 23 0776.848528 "Sciuscià" Via Ildefonso Re, 1 0776.859030 Tempio di Bacco Via Pietro Nenni 0776.868445 TRATTORIE PIZZERIE: Come si raggiunge Arpino dista 30 km da Frosinone, ed è situata alla stessa distanza da Roma e da Napoli (circa 120 km). In auto: Da Roma: autostrada A1 Milano-Napoli), uscita Frosinone. Si imbocca poi la superstrada Frosinone - Sora, uscita Castelliri (15 km). Di qui si seguono le indicazioni per Arpino (10 km circa). Orari circolari trasporto urbano: • dalla Stazione di Arpino al centro: 08.00 - 09.15 - 10.05 - 12.30 - 12.45 - 13.50 • dal centro alla stazione di Arpino: 07.40 - 9.10 - 10.00 - 12.15 - 12.40- 13.30 Numeri utili Municipio 0776.85211 Ufficio Cultura: 0776.852101 - 0776.848010 Pro Loco - Centro inf. turistiche P.zza Municio n.46 0776.848535 Ciociariaturismo 0775.211417 Centro Guide Turistiche 0775.211417 SOSTA Sulla S.P. Arpino Casalvieri, in loc. Civitavecchia, si trovano “I Giardini dell’Acropoli”, un Camping con servizio per camper. Tel. 0776848209 – 0776865653 Costo € 15 Scheda Campeggio Parco con Ristorante, Pub e 30 posti camper; Area di sosta attrezzata Camper service Campeggio Agriturismo o altro Servizi igienici Sosta a pagamento Sosta gratuita Elettricità Area pic-nic attrezzata Barbecue Area giochi bambini Servizi bus o navetta Apertura annuale Apertura stagionale Animali ammessi Caravan ammesse www.igiardinidellacropoli.it [email protected]