Marzo 2009 numero 1 2.0 De:Facto Sommario Sommario Copertina di Werther Dell’Edera De:Rive - Editoriale De:Facto - “Double or Nothing”: intervista a Tito Faraci Mixtape De:Finizioni - La doppia carriera di Mr. Bolland De:Coder - Doppi e doppioni dell’italica editoria De:Finizioni - Elogio del doppio: dal Multiverso a Batman R.I.P. Sparring Partners De:Finizioni - Doppio Mistico: dualismo religioso nella mitologia e nei comic books De:Facto - Doppio Mento: i supereroi decaduti di Donald Soffritti De:Finizioni - Floyd Gottfredson ed i pericolosi doppi di Topolino Guest List - “Ciao, facciamo un doppio?’ De:Finizioni - Promethea: la doppia natura dell’esistenza De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 2 pag. 3 pag. 4 pag. 10 pag. 11 pag. 14 pag. 16 pag. 25 pag. 31 pag. 36 pag. 42 pag. 48 pag. 51 De:Rive Editoriale a cura della Redazione Chi ha seguito le vicende di Rorschach (prima e-zine e successivamente sito web), di Comics Code e infine di De:Code, sa che ci piacciono le sfide e il cambiamento. Non solo, dopo qualche tempo, sembra che per noi il cambiamento non solo sia auspicabile, ma necessario. In questo senso, vista anche una certa attitudine retro, ci è sembrata naturale una nuova incarnazione virtuale che avesse in sé i semi di quell’atteggiamento “antitecnologico” che ci ha spesso caratterizzato ma che allo stesso tempo potesse avvantaggiarsi delle nuove tendenze del web. Questo significava una cosa sola: un nuovo formato (il PDF), una nuova “casa” (Glamazonia) e soprattutto un nuovo atteggiamento. In parole povere, l’impostazione apparentemente “vecchia” del PDF ci permette comunque l’introduzione di hyperlink in un formato rivista tradizionale, la “casa” di Glamazonia ci mette a disposizione un forum dedicato per discutere di De:Code 2.0, ma soprattutto il nuovo atteggiamento ci porta a cercare di confezionare qualcosa di “diverso”, in ossequio a quella tendenza web che, insieme ai grandi fenomeni di globalizzazione, esalta la specializzazione più estrema. Ecco, questa è la nostra ambizione: creare contenuti che non possiate trovare altrove, quantomeno nella griglia delle webzine “tradizionali”. Da qui la scelta di fare numeri monografici, ognuno dedicato ad un tema diverso, e soprattutto di affrancarsi quando possibile dal giogo spesso scomodo dell’attualità, abolendo le recensioni e scegliendo in toto l’analisi critica, a metà fra l’approfondimento serio e le varie sfumature del sarcasmo (o cazzeggio, scegliete voi la definizione che più vi si attaglia). In questo senso, il numero che avete di fronte (allo schermo), dedicato al tema del “doppio”, fornisce la perfetta chiave per decodificare questo nuovo corso. Dietro la copertina dedicata a Dr. Jekyll & Mr. Hyde, visti in versione “orientale” dal bravissimo (e lanciatissimo) Werther Dell’Edera, troviamo una settantina di pagine di analisi fumettistica. Si parte con una interessante intervista a Tito Faraci, uno degli autori più noti del fumetto popolare italiano, impostata unicamente sulle varie dicotomie di volta in volta incarnate dalla sua opera. Seguono un esaustivo excursus sul doppio come elemento caratterizzante del cosmo DC Comics, una chiacchierata con l’ottimo Donald Soffritti sui suoi “supereroi decaduti”, doppi imbolsiti delle icone USA, una revisione critica della doppia carriera mainstream-underground di un cartoonist-illustratore amato come Brian Bolland, un’analisi dei dualismi religiosi nei comic books, una ironica tirata contro i doppi e doppioni nelle edizioni dell’industria fumettistica italiana, e un pezzo analitico sulla doppia natura dell’esistenza in Promethea e un approfondimento sui pericolosi “doppi” disneyani di Gottfredson. Completano il panorama alcune rubriche abbastanza inedite, come Sparring Partners, botta e risposta telematico su Skype, Mixtape, un blob di citazioni a tema, e la Guest List, che di volta in volta presenterà il contributo di un autore diverso in relazione al tema trattato. Questa volta è Roberto Recchioni a parlarci dei “doppi” da giocare ai videogames. Sperando che il nuovo corso di De:Code 2.0 sia di vostro gradimento, vi aspettiamo per commenti, suggerimenti e quant’altro, sul forum di Glamazonia. Sappiateci dire. De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 3 De:Code 2.0 rivista bimestrale in formato PDF anno 1, numero 1, marzo 2009 Redazione Nicola Peruzzi Simone Satta Antonio Solinas Hanno Collaborato Andrea Cantucci Werther Dell’Edera (http://wertherdelledera.blogspot.com) Tito Faraci (http://titofaraci.nova100.ilsole24ore.com/) Roberto Recchioni (http://prontoallaresa. blogspot.com/) Donald Soffritti (donaldsoffritti.blogspot. com) Links De:Code sito ufficiale vecchia versione http://www.de-code.net homepage Glamazonia http://www.glamazonia.it/ forum di Glamazonia http://www.glamazonia.it/board/index. php forum dedicato su Glamazonia http://www.glamazonia.it/board/de-code2-0-f-59.html De:Facto INTERVISTA loro, così come è naturale leggere cose molto diverse fra loro. Ma mi rendo conto che per la maggior parte degli autori non sia così (e questa, però, non è una critica). In ogni caso, c’è un elemento di coerenza: sono un autore “di genere”, perché in questo ambito rientrano commedia, horror, fantascienza, western... Quanto alle case editrici, ho sempre ottenuto lo stesso rispetto che ho dato. La sfida, da vincere, è essere Autori all’interno del fumetto popolare (ma sarebbe interessante anche essere Popolari all’interno del fumetto d’autore). A proposito di doppiezza, la dicotomia è stata presente nella tua vita professionale sia dall’inizio, visto il tuo passato di musicista. Quale è stata la molla che ti ha fatto passare dalla musica estrema alle sponde molto più “consolanti” del fumetto mainstream italiano? “Double or Nothing”: Intervista a Tito Faraci di Antonio Solinas Prima di questa intervista, avevi mai visto la tua carriera in termini di assoluta doppiezza (realistico-umoristico, Tex-Diabolik, indipendente con BD-”corporativo”, e via dicendo)? Be’, doppiezza non suona molto bene. Sembra un po’ una vocazione al tradimento. Mentre è sempre fatto tutto con molta e sincera ispirazione. Per me è perfettamente naturale scrivere cose diverse fra De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 4 Non so se il fumetto popolare, mainstream sia poi così consolante. Se lo sia sempre. Riguardando certe mie storie di Topolino, le sento attraversate anche da una grande inquietudine. Sono storie dove ho sperimentato molto, anche in termini di linguaggio. E le sento, a loro modo, estreme. Nella musica io ho sempre apprezzato la coerenza. Che a volte spinge ai limiti, all’estremo. Sempre per quanto riguarda la musica, invece, quanto pensi ti abbia aiutato l’approccio rigoroso e “quadrato” di certo thrash nella tua formazione di sceneggiatore di fumetti? Eh, questo è interessante. In effetti, in un certo Metallo Pensante (come mi è sempre piaciuto chiamarlo) ho sempre apprezzato rigore, precisione, un uso funzionale - non circense! - della tecnica. Forse è stato un buon esempio, De:Facto INTERVISTA estrema col fumetto? Che cosa ti ha trattenuto dal farlo, nel caso? Un giorno lo farò. Mi ha trattenuto la mancanza di un’occasione, finora. Forse me la creerò. La rappresentazione della violenza, con la sua sublimazione, è da sempre una componente importante della nostra cultura. La violenza è stata rappresentata in tutte le forme d’arte. anche per altre cose, non musicali. Hai mai pensato di veicolare la brutalità di certa musica metal Parliamo degli inizi. La prima cosa tua che mi ricordo di aver letto è un omaggio a Kirby in Arthur King. Cosa ti spinse a omaggiare un personaggio così importante in un fumetto che invece aveva una impronta (anche parodistica) abbastanza italiana? Penso che c’entrassero l’amore, la passione. Dal fumetto americano, ho imparato molte cose - soprat- De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 5 tutto un certo modo di raccontare i personaggi da dentro - che ho applicato altrove. Come è avvenuto poi, più o meno nello stesso periodo, il passaggio da indie ad autore mainstream con la Disney? È stato un caso. Una gigantesca fortuna. Dopo avere perso un “impiego sicuro”, ero finito a collaborare con una agenzia editoriale che, a sua volta, collaborava con la Disney. Da qui il contatto con la redazione di Topolino, il primo soggetto proposto e approvato e tutto il resto, accelerando. Il tuo Topolino è quello certamente più noir di sempre. Come ti è venuta l’idea di usare i topoi delle “crime stories” e applicarli a Topolino, e quanto è stato facile “rischiare” in questo senso? De:Facto È stato naturale. Oggi mi dico: ehi, ho avuto coraggio! All’epoca, mi sembrava giusto così e basta. Scrivevo un Topolino che attingeva dalla lezione di Gottfredson e Scarpa, soprattutto. Autori di grandi storie criminali, anche. Quando ti eri già costruito una rispettata carriera in Disney, è scattato nuovamente il tuo “lato doppio”, e sei diventato anche uno sceneggiatore realistico per Bonelli ed Astorina. Quali sfide ha comportato questa trasformazione e come le hai affrontate? Di Diabolik apprezzavo il coraggio, l’aver saputo essere fumetto scomodo, fumetto “contro”. E la capacità di essere calato nel proprio tempo. Abbiamo fatto un grande lavoro, in questa direzione, negli ultimi anni. E questo grazie all’illuminata guida di Mario Gomboli. Al mondo Bonelli ero legato come lettore, prima di tutto. Penso INTERVISTA all’amore per Tex, che ora scrivo. Un sogno realizzato. Con la Bonelli ho potuto lavorare sul Mito. Sul versante realistico, ti sei misurato su due icone assolute del fumetto italico, ovvero Tex e Diabolik, come dire il buono ed il cattivo per antonomasia, almeno a livello italiano. Quali differenze ci sono, al di là dei format imposti dalle case editrici, nello scrivere due personaggi così antitetici? Le differenze più grosse naturalmente nascono dalla specificità dei personaggi. In estrema (e riduttiva) sintesi, posso dire che per Diabolik conta “cosa” racconti, e in Tex “come” racconti. Sei uno sceneggiatore che rappresenta un paradosso interessante, essendo uno di quelli che, pur portando avanti un approccio realistico, più hanno lavorato nei luoghi classici dell’immagiDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 6 nario (vedi Clerville e Topolinia, piuttosto che l’America di Brad Barron o di Tex). Quanto pensi che lo svincolarsi dalle minuzie “tecniche” della vita di tutti i giorni e del realismo “ambientale” abbia favorito la tua sceneggiatura realistica? Per quanto riguarda Diabolik, una volta accettati alcuni assunti straordinari (l’esistenza delle maschere, i trucchi ), il racconto si svolge in un universo di “straordinario realismo”. Ma questa è una buona carta in più, da giocare. Brad Barron viaggia nei territori del Mito, è vero. Questo ti fa sentire più libero, ma solo fino a un certo punto. Perché devi comunque confrontarti con un sistema di riferimenti, di attese del lettore (che puoi anche scientemente disattendere). Torniamo alle ultime esperienze Bonelli. Sei uno sceneggiatore formatosi sulle serie a continua- De:Facto INTERVISTA un lavoro di sintesi e rielaborazione dei codici del fumetto bonelliano classico. Brad Barron, in maniera neanche tanto nascosta, era un eroe tutto d’un pezzo sulla falsariga di Tex (una specie di suo “doppio” moderno). Quali le ragioni di questa scelta e quali gli aspetti dell’eroe “classico” che hai voluto enfatizzare nella figura del soldatoscienziato? Era un momento della mia carriera in cui, dopo moltissime storie di taglio corale (in Disney, ma non solo), volevo tenere al certo l’eroe. Colui che con la sua presenza modifica tutto il mondo, attorno a sé. Paradossalmente, questo classicismo per me è stato un momento di sperimentazione. zione, eppure hai avuto l’onore di fare esordire l’ondata di miniserie Bonelli. Un altro caso di doppiezza? Che cosa ci puoi raccontare dell’esperienza miniserie? No, nessuna “doppiezza” (ma che brutta parola). Brad Barron è stato De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 7 In qualche maniera, è sembrato a molti che la mini abbia un po’ faticato a svilupparsi, nonostante il convincente finale. A posteriori, ti senti di avere fatto qualche errore “d’inesperienza” sulla distanza dei 18 numeri, o va bene così? Su quasi duemila pagine, è chiaro De:Facto che non posso essere contento di tutte al 100%. Forse avrei potuto fare percepire di più una certa continuity, che in effetti c’era e si è rivelata come tale negli ultimi episodi, quando elementi di vari numeri precedenti si sono rivelati come tasselli di un mosaico. Ma forse è stato meglio così. In fondo, la mini serie ha funzionato molto bene, ha avuto un pubblico vasto e fedele. Di che posso lamentarmi? INTERVISTA che hai scritto si caratterizzano come marcati individualisti (a parte forse Tex, ma anche questo sarebbe da discutere). Quanto pensi che, a tutti i livelli, una certa esaltazione dell’individualità caratterizzi il tuo lavoro? No, non è così. Nel fumetto Disney, che per me è e sempre reste- Sempre a proposito di doppia essenza, Brad Barron è, allo stesso tempo, una serie finita e ancora in corso, grazie agli speciali. Quanto questa “doppiezza” è stata dovuta a una mediazione con la Bonelli e quanto dall’esigenza di “chiudere il cerchio” rispetto a quel mondo da te creato? La mini era finita. Il ciclo chiuso. Ma ho un personaggio che ancora mi piace, su cui ancora posso lavorare. E un universo in cui farlo muovere. Sia Brad Barron (che proponeva esplicitamente il dualismo massificazione-individualità) che quasi tutti gli altri personaggi De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 8 rà fondamentale, ho quasi sempre scritto storie con una forte componente corale. Ho raccontato un mondo. Sei stato la “punta di diamante” della Panini in alcuni apprezzati progetti per la Marvel, nonostante all’epoca di tali progetti tu fossi lo sceneggiatore più acclamato De:Facto INTERVISTA della Bonelli. Come è avvenuto il tuo coinvolgimento con Il Segreto del Vetro e Capitan AmericaDevil? Quanto “ti sei proposto”, nel caso, e quali sfide ha comportato l’approccio ai supereroi? La sfida è stata all’inizio, e ha coinvolto tutta la Panini. Una sfida produttiva. Perché la lavorazione di quelle storie è stata per forza di cose complessa. È difficile dire, ricordare se mi sono proposto o se ho ricevuto io una proposta. Tutto è cominciato a una Lucca Comics, di fronte allo stand Panini, parlandone insieme... Hai l’onore ufficiale di essere “doppio” anche in senso vero e proprio, visto che Recchioni ti ha reso un personaggio di John Doe (Titus). Quanto ti fa piacere una cosa del genere e quanto ti rende invece “self-conscious” rispetto alla tua immagine? Mi stupisce, mi diverte, mi onora molto e, solo un poco, mi inquieta. Comunque, non ho una precisa idea (non ho mai voluto farmela) di come sono percepito nel momdo del fumetto, come persona. È poi così importante? Parliamo della tua attività come editor-in-chief della BD. In cosa consiste il tuo ruolo? Il fatto di essere in primis uno sceneggiatore, ti ha comportato alcuno scrupolo di coscienza, a livello tuo personale? Ci sono mai state situazioni in cui ti sei sentito in un “conflitto di interessi”? No, mai. Mai nemmeno una volta. È un modo di restituire al mondo del fumetto almeno un po’ di ciò che mi ha dato. È un grosso impegno, un serio lavoro. Essere un autore mi aiuta a capire meglio certi meccanismi e, in veste di editore, avere un rapporto migliore con chi è dall’altra parte della barricata. La parte in cui sto anche io, quando sono un autore. è troppo ingombrante. Il tuo doppio “virtuale” in rete tiene molto il basso profilo: ha un blog “sobrio” e poco polemico, frequenta poco i forum, si è cancellato da Facebook e, in generale, sembra poco “presenzialista”. Da cosa dipende questa scelta? Quali altre “doppiezze” dovremo aspettarci da te in futuro? Siamo alle porte di qualche altra trasformazione per Tito Faraci? Dal mio carattere. Mi piace discutere, molto. Ma detesto litigare, alzare la voce. Cerco di rendere il mio blog uno spazio sereno, aperto al confronto, dove perfino la presenza del padrone di casa non De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 9 Sì, certo. Ho appena consegnato un romanzo per ragazzi, che sarà edito da una grossa casa editrice del settore. È una nuova sfida. Non vuole dire che abbandonerò i fumetti, o anche solo che ne scriverò di meno, assolutamente no! Ma ho trovato spazio anche per altro. MIXTAPE RUBRICA Dualismi a cura di Antonio Solinas Mixtape è un “blob” di citazioni prese a caso e riformattate in modo assolutamente arbitrario così da de-tournarne irrimediabilmente il significato. A volte da questa sorta di “divinazione da fondi del caffè” dell’era del cut-and-paste vengono fuori anche cose intelligenti, altre volte è solo un esercizio di flusso di coscienza fine a sé stesso. Decidete voi. Gli autori non ne hanno colpa. “Bisogna starci attenti con gli account multipli, i fake e quanto altro, altrimenti si rischia di farsi sgamare.” (dal blog di Roberto Recchioni, 12/07/08) “Il fatto che il fumetto che mi interessa e quell’altro fumetto si chiamino allo stesso modo mi è insopportabile.” (dal blog di Paolo Interdonato, 28/05/07) “Lui conosce Berlusconi di persona, io me ne guardo bene. Lui è un comunista ricco, io sono un comunista povero.“ (dal blog di Marco Rizzo, 11/09/08) “C’è un clima molto teso, barricate sempre più alte. Sbaglio io, però: soffro la pugna e a volte (non sempre) tendo a rifugiarmi nel deprecabile e italiota siamo-amici-e-vogliamoci-bene. Nel mondo del Fumetto, oggi, c’è anche - forse soprattutto - bisogno di un serio e, se è il caso, pure aspro confronto. E, se le barricate servono a evitare ammucchiate, ben vengano.“ (dal blog di Tito Faraci, 29/10/08) “L’insulsa, insipiente logica dell’essere italiano vuole che ci si schieri in due fazioni (pro e contro) riguardo ad ogni cosa, conosciuta o meno. I criteri coi quali viene scelta la fazione sono dettati da quanto appartenere a quella fazione sia una posa interessante, da quanto sia odiato il leader dell’altra posizione, da una serie di riflessi condizionati circa l’associazione tra la cosa medesima e la propria presunta identità.” (dal blog di Diego Cajelli, 24/10/08) “La vicinanza che nutro verso l’atteggiamento di certi autori è proporzionale alla lontananza che avverto per il vacuo nerdismo dilagante. Ma forse un giorno ne parlerò meglio o forse no. Sì, non lo farò. Tanto... Si è capito cosa intendo. E non c’è mica altro da dire.” (dal blog di Francesco Ciampi, 15/05/08) De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 10 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO La “doppia” carriera di Mr. Bolland di Antonio Solinas Brian Bolland è unanimamente considerato uno dei maggiori copertinisti viventi. Si tratta di un dato di fatto: il cartoonist britannico ha caratterizzato un’epoca con le proprie cover, sia in ambito De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 11 prettamente supereroistico che in ambito ”vertiginoso” e continua a fare scuola ancora oggi, da quando Camelot 3000 ne lanciò la carriera internazionale, quasi tre decenni fa (era il 1982). In questo senso, la percezione più comune di Bolland da parte del pubblico è quella di un artista dalla mano fatata che ci ha concesso troppe poche pagine a fumetti (dopo Camelot 3000, il Killing Joke e pochissimi altri exploits) ma anche tante copertine di livello quasi sempre eccelso. E se questa percezione ha un solido fondamento, ciò si deve al fatto che spessissimo le cover di Bolland sono state usate come ”esca” principale per prendere all’amo i lettori di testate interessanti ma che non potevano contare su una parte artistica adeguata (il pensiero corre per esempio ad Animal Man). In altri casi, Bolland è stato chiamato a dare valore aggiunto a serie in pericolo di chiusura o sotto tono dal punto di vista delle vendite (vengono in mente The Invisibles) o a nobilitare eventi speciali (Superman 400) e galleries, muovendosi con disinvoltura soprattutto nelle due divisioni principali della DC Comics, ovvero DCU e Vertigo, quelle che ne hanno definito lo status di copertinista e illustratore per antonomasia. Sebbene la visione di un Bolland come ”Norman Rockwell dei diseredati” (secondo la felice definizione dello sceneggiatore Grant Morrison) prestato al fumetto americano sia chiaramente calzante (e conseguentemente sia stata abbondantemente analizzata e discussa), questa non rende del tutto giustizia ad un artista completo e capace di esprimersi al meglio anche in ambiti diversi. Parallelamente alla carriera ”mainstream”, infatti, Brian Bolland ha portato avanti un’altra strada, egualmente brillante e anzi maggiormente interessante dal punto di vista critico, quella di cartoonist completo (è lui stesso a definirsi De:FINIZIONI ”un disegnatore umoristico”). Sebbene non si possa parlare di scelta ”underground”, infatti, nella creazione dei propri fumetti Bolland ha optato per strade meno commerciali, come dimostrano, al di là di vari liberi disseminati qua e là (interessanti ma non fondamentali), The Actress and the Bishop e Mr. Mamoulian, due serie di culto in bianco e nero originariamente apparse rispettivamente sulle defunte A1 e Negative Burn e poi raccolte nel volume Bolland Strips! (che recentemente è stato presentato in Italia dalle Edizioni BD nella collana Icon). Ma se The Actress and the Bishop è un’ottima allegoria (scritta in rima) delle forze che regolano i rapporti umani, che sublima tutta la festosa carica erotica che da sempre caratterizza le rappresentazioni femminili del Maestro, tutto sommato la serie rappresenta soprattutto la maturazione di Bolland come nar- APPROFONDIMENTO ratore. Dal punto di vista grafico, infatti, la serie costituisce semplicemente la testimonianza della certosina abilità e dello straordinario talento di un illustratore capace di un segno allo stesso tempo epico e sottile. In questo senso, The Actress and the Bishop è soprattutto un modo di ”riorganizzare”, anche tramite l’uso del bianco e nero ”puro”, una capacità narrativa troppo spesso messa a disposizione di altri in maniera fine a se stessa (uno ”strumento per la conquista del mondo ad opera di un altro”, come lui stesso dice). Il vero pezzo forte della carriera ”altra” di Bolland è rappresentato invece dalle eclettiche e sorprendenti 54 tavole di Mr. Mamoulian. La strip, di una pagina per storia, ha un sapore umoristico, ma l’umorismo ”deadpan” e soprattutto il retrogusto amaro/assurdista la rendono una specie di contraltare britannico dei migliori momenti del De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 12 Why I Hate Saturn di Kyle Baker. In Mr. Mamoulian, Bolland si sente legittimato a fare, dal punto di vista grafico (e narrativo: come vedremo i due aspetti non sono scindibili, in questo caso), tutto quello che il suo status di fine artist gli impedisce in ambiti più popolari (nella doppia accezione di accessibili e numericamente più rilevanti). Per prima cosa, lo stile della strip è caricaturale, al limite del grottesco, certamente slegato dall’iper-realismo di cui invece Bolland ha fatto la cifra stilistica in ambito generalista. Il segno di Bolland, normalmente de-finito, perde in Mr. Mamoulian tutte le caratteristiche di organicità e ”naturalismo”, per diventare uno sketch volutamente cartoonesco tutto a pennino, quasi a sottolineare uno stacco ”spontaneo” (ma non fatevi ingannare, dietro c’è uno studio precisissimo) rispetto alla parossistica perfezione della straordinaria tecnica messa in mostra come autore mainstream. Poi il tratto è nervoso, spesso schizzato: la resa a pennino ci porta volutamente lontano dalla estrema precisione delle linee piene a pennello, dalla pulizia del chiaroscuro e dalla canonicità del segno che anche l’osservatore più distratto riconoscerà come caratteristiche principali del Bolland ”classico”. Leggendo le prime strisce di Mr. Mamoulian, in particolare La Spugna, è impossibile immaginare che il disegnatore sia lo stesso non solo di The Killing Joke ma anche di The Actress and the Bishop. Il tratteggio non è qui usato per creare volumi con la grazia che permane immutata in The Actress and the Bishop. Esso diventa spesso una massa informe di segni sconnessi (specie quelli che definiscono la paradossale fisicità del protagonista sin dalla prima striscia, Promiscuità) nella stessa maniera in cui le precise linee del lavoro ”ufficiale” vengono rielaborate nel corso della strip in manie- De:FINIZIONI ra apparentemente semplificata tramite l’uso di un tratto spezzato, che a volte lascia il campo, in maniera schizofrenica, a vignette più particolareggiate. Gli sfondi, sempre per sottolineare quel senso di immediatezza che Bolland ci tiene a comunicare, diventano praticamente inesistenti, salvo poi apparire in maniera prepotente per definire con precisione luoghi e ambienti. Ciò che importa, comunque, è la creazione di un palcoscenico vuoto, una tabula rasa su cui i personaggi si possano muovere in maniera anche e soprattutto incoerente (in una delle frasi dell’autore riportate sull’edizione BD Bolland parla non a caso di ”mille direzioni diverse”). E così accade, in un guazzabuglio di personaggi e situazioni, sempre a metà fra realtà e delirio, che catturano costantemente l’attenzione, anche quando il narratore scende in campo in prima persona (e fez bianco in testa, Albanian style). Sebbene spesso nella strip appaiano (quando necessario) bagliori dell’impostazione realistica di Bolland, nella stessa maniera in cui argomenti più ”pesanti” e argute osservazioni sociali e politiche si accoppiano alla banalità quotidiana più totale, questo appare come una ulteriore conferma della libertà che l’autore si concede sin dall’inizio (e vuole comunicare al lettore, quasi come espiazione dei peccati di una carriera mainstream). In maniera raffinata, la ricerca artistica di Bolland lo porta ad occuparsi degli argomenti che gli interessano anche quando questo comporta rinunce rispetto all’originale approccio ”sperimentale” (e questo è apprezzabile sempre di più via via che la serie si sviluppa). Ad esempio, i momenti più surreali del desiderio sessuale di Mr. Mamoulian sono contrappuntati dalla deliziosa resa grafica del- APPROFONDIMENTO le sempre splendide donnine di Bolland, gli alieni e le cospirazioni governative diventano surrealismo allo stato puro, le tirate antireligiose (sempre molto ironiche) lasciano il campo a uno stile più realistico e alla sottigliezza delle espressioni facciali per cui Bolland è così apprezzato. A volte, si sfocia persino nello stile classico e particolareggiato che tutti conoscono, se questo questo è necessario a scopo narrativo (una foto di Man De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 13 Ray, la descrizione di un metodo di tortura). In ogni caso, il sistema non cambia: in Mr. Mamoulian, sceneggiatura e disegno sono inscindibili, e la paradossale “metodicità spontanea” (ossimoro se mai ce ne fosse mai stato uno) di Bolland ci restituisce tutta la perizia narrativa di un craftsman eccezionale nella maniera meno adulterata (e paradossalmente più ambivalente) possibile. De:Coder APPROFONDIMENTO Doppio Misto: doppi e doppioni dell’ italica editoria di Simone Satta I Classici del Fumetto di Repubblica, collana di volumi monografici a fumetti commercializzata settimanalmente in allegato al quotidiano nazionale a partire dal 2003, per un totale di 60 numeri, riscosse, all’epoca della sua uscita, un successo clamoroso, generando in breve tempo un seguito ideale (I Classici del fumetto di Repubblica - Serie Oro) e una moltitudine di epigoni nati fondamentalmente (e logicamente) nella speranza di cavalcarne l’onda. In breve tempo, così, nel corso degli ultimi anni, le edicole sono diventate un proliferare di collane e volumi dedicati ai personaggi e agli autori di maggior appeal, che spesso hanno dovuto lottare con le unghie e con i denti per sopravvivere alla selezione naturale che li poneva in competizione con le pochette di Donna Moderna, i materassini di Oggi in estate e i calendari dedicati ai futuri ministri della Repubblica Italiana allegati a una serie infinita di testate. Il tutto nella speranza di arrotondare i bilanci e magari di incre- De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 14 mentare il bacino d’utenza sempre più ridotto, infettando col morbo dell’arte sequenziale qualche lettore occasionale per trasformarlo nell’agognato lettore abituale o, ancor meglio, in appassionato quando non addirittura nella mitologica figura del collezionista, metà uomo e metà portafoglio, un essere che è solito entrare in berserk appena varcata la soglia di una fumetteria, agitando la sua carta bancomat ad ampi fendenti, rimanendo in tale stato fino alla conclusione dell’acquisto (cospicuo). Per molto tempo ci si è chiesti e ancora ci si chiede se tali collane facciano realmente bene al mercato del fumetto, se riescano cioè, in qualche modo, ad allargare il bacino d’utenza portando nuovi lettori. È una legittima riflessione ma non è questo ad interessarci in questo momento. Il vero dramma è per chi, appassionato da fumetti da anni, da un mese all’altro oramai rischia di trovare in edicola, nel marasma delle uscite, anche alcuni volumi che sostanzialmente sono delle ristampe di opere che già possiede (a volte De:Coder meglio confezionate e più economiche ), in questo caso vengono a delinearsi diverse situazioni: Situazione 1: l’appassionato si im- batte nella collana ed evince, dal piano dell’opera, che quella collana presenta solo storie che lui ha la fortuna di non possedere, ancor meglio se storie molto vecchie e difficilmente reperibili, se non a prezzi inumani, al mercato nero. L’appassionato decide di seguire la collana fino alla fine: comprando il primo numero suggella con il sangue un patto con l’edicolante/ libraio e col dio dei fumetti (qualora dovesse esistere). Situazione 2: l’appassionato si imbatte nella collana ed evince, dal piano dell’opera, che quella collana presenta quasi esclusivamente storie che lui ha la fortuna di non possedere. Decide di prendere i pochi volumi che presentano materiale già goduto in altra forma per non spezzare la deliziosa sim- APPROFONDIMENTO metria dei numeri che campeggiano sul lato della costoletta ritenendo questo un sacrificio necessario per il bene maggiore. Sigla il solito patto di sangue, ecc. ecc. a scricchiolare pericolosamente, la carta si è ingiallita e alcune pagine sembrano sul punto di staccarsi... meglio approfittare dell’uscita della collana e recuperare delle Situazione 3: l’appassionato si imbatte nella collana ed evince, dal piano dell’opera, che quella collana presenta quasi esclusivamente storie che lui possiede tranne un paio di volumi. Decide di prendere solo i pochi volumi che non ha avuto il piacere di leggere, se ne frega a malincuore della deliziosa simmetria dei numeri sulla costoletta e sa che, con un paio di sedute dal suo psicoterapeuta di fiducia riuscirà a superare il trauma (o probabilmente no). copie di sicurezza di quelle storie, in modo da essere certi di poterle rileggere senza rischi... certo quei numeri sulla costoletta... Quindi le case editrici e i quotidiani coinvolti in queste lodevoli iniziative devono mettersi la mano sul cuore: non ristampino opere uscite di recente o facilmente ed economicamente reperibili se vogliono bene al loro zoccolo duro, ma soprattutto evitino di mettere quei fastidiosissimi numeri sulla costoletta: sarà molto più facile, per quelli come me, rinunciare a imbottirsi gli scaffali di quei maledetti doppioni. Situazione 4: l’appassionato ha tutte le storie presentate nei volumi ma alcune sono presentate in volumi molto vecchi che negli anni, con le brossure che si realizzavano in passato, hanno iniziato De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 15 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO Elogio del doppio: dal Multiverso a Batman R.I.P. di Nicola Peruzzi Una da molti: cronistoria della DC/National Il cosmo supereroistico della DC Comics è senza dubbio uno dei più vasti di sempre, tanto per “dimensioni editoriali”, quanto per numero di personaggi finzionali che lo abitano. Questo per diversi motivi, gran parte dei quali puramente editoriali: la casa editrice che conosciamo come DC Comics nasce infatti come amalgama di due diversi editori, entrambi con una buona produzione supereroistica; il primo si chiamava National Allied Publications, fondato nell’autun- no del 1934 da Malcolm WheelerNicholson1, scrittore pulp e pioniere dell’editoria a fumetti americana. I titoli pubblicati dall’editore di Portland erano diversi dal resto delle pubblicazioni contemporanee; Wheeler-Nicholson, infatti, intuì per primo che il pubblico si era stancato dei doppioni: i comic book che uscivano in quel periodo, infatti, offrivano delle semplici ristampe delle strisce pubblicate in precedenza sui quotidiani. La prima vera rivoluzione della National, dunque, fu quella di creare dei magazine che contenessero solo ed esclusivamente storie oriDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 16 ginali. Nel dicembre del 1936 (nonostante l’albo riporti in copertina la data di 3 mesi dopo, marzo 1937, pratica che è diventata da allora consuetudine nelle pubblicazioni a fumetti americane) esordisce Detective Comics, che introduce personaggi che diventeranno un cardine della futura DC Comics: Slam Bradley2 nel numero 1, e, nel numero 27, Batman. Il successo ed il consenso è vasto e immediato. Ciò nonostante, a quel tempo (siamo nel maggio del 1939) Wheeler-Nicholson aveva già abbandonato l’azienda, passata in mano al distributore Harry Donenfield, che fondò per l’occasione la casa editrice Detective Comics, Inc. Poco dopo il lancio di Detective Comics, la National Allied Publications lanciò Action Comics, e nell’aprile del 1938, Superman fece il suo esordio. Le due case editrici, sarebbero risultate tanto inutili quanto dannose l’una per l’altra, se avessero continuato a procedere in coppia. I rispettivi direttori esecutivi pensarono quindi che fosse necessaria una fusione, dalla quale derivò la National Comics. Questa nel 1944 assorbì un altro clone, la All-American Publications con tutto il suo universo narrativo, diventando National Periodical Publications. E fino ad oggi non si è mai più De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO fermata, inglobando gli universi narrativi e le case editrici più disparate (ultimo e più recente caso, la Milestone). L’invasione degli ultracorpi La vera forza della DC-National fu quella di riuscire creare dei personaggi che, immediatamente, furono presi a imitazione da tutti gli altri editori e cartoonists sperando di bissarne le vendite. La casa editrice americana, di conseguenza, cominciò a minacciare (e a praticare) azioni legali contro gli editori concorrenti, finendo inevitabilmente per vincere. La vittoria portava al blocco dei diritti del personaggio e alla successiva acquisizione, all’interno dell’universo fisico e narrativo della DCNational, di quella particolare creazione dell’editore di turno che, impossibilitato ad utilizzare il proprio personaggio, arrivava di fatto a venderlo. Uno dei casi più eclatanti in tal senso fu quello di Captain Marvel della Fawcett Comics, una specie di doppione di Superman, che fu vinto ed acqui- sito con una causa legale quantomeno singolare3. Si può dire che questo comportamento abbia generato il proliferare di diverse versioni di uno stesso eroe nello stesso universo narrativo, e che sia stato l’inizio di questa “invasione degli ultracorpi”. È la scintilla iniziale, il momento in cui Krona decide di diventare un osservatore partecipante al momenDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 17 to della Creazione causando, tra le altre cose, la nascita delle terre infinite, se vogliamo trasportare la storia nel contesto narrativo. È nato il Multiverso della DC Comics, per lo meno quello fisico. Per quello finzionale, invece, dobbiamo aspettare un tranquillo giorno del giugno 1961, quando nei comic shop degli States esce il celeberrimo The Flash #123. I De:FINIZIONI colpevoli sono Julius Schwartz, storico editor delle più importanti testate dell’universo DC, insieme con Gardner Fox e Carmine Infantino. La cover che mostra Jay Garrick e Barry Allen che corrono, separati da una parete altissima, a salvare lo stesso uomo è diventata un instant classic, come recita lo strillo APPROFONDIMENTO in copertina. Ed è nato così anche il Multiverso finzionale. Prove tecniche per Terre Infinite In realtà un primo accenno di Multiverso lo abbiamo in Wonder Woman #59, dell’aprile del 1953, in cui l’Amazzone viene risucchiata De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 18 da un vortice spazio-temporale e finisce in una terra parallela, dove incontra il suo doppio, Terra Terruna. Appena 5 anni dopo, nell’aprile del 1957, si ha il primo remake implicito di questa storia (erano anni in cui il collezionismo non era tenuto in nessuna considerazione, e gli autori potevano permettersi, di tanto in tanto, il riciclo di alcune idee “forti” senza paura di incappare in nessun genere di problema), in cui Wonder Woman scopre una “dimensione” dove il crimine prospera a discapito della giustizia (elemento che sarà successivamente riutilizzato per i concetti della Terra-3 dell’universo pre-crisi e della morrisoniana Terra-2 postcrisi, dove prospera il Sindacato del Crimine) e si è imposta la magia anziché la scienza. Ma si tratta delle prove generali: la vera e propria strutturazione del Multiverso, si è visto, si avrà solo nel 1961 col “Flash dei due mondi”. Copie imperfette Una prima mandata di “copie degli eroi” arriva con lo sviluppo del De:FINIZIONI concetto di legacy, elemento importantissimo nel cosmo DC, tanto da diventarne una caratteristica del tutto personale e specifica. Per parlare della legacy è necessario introdurre il concetto di sidekick, ovvero la “spalla”, “l’aiutante” APPROFONDIMENTO dell’eroe. Il concetto di sidekick, ovviamente non nasce nei comic book. Nella narrativa, nel teatro classico, nelle leggende ma, se vogliamo salire a livello archetipico, nella mitopoiesi, il sidekick svolge sempre un ruolo di primissimo piano. Si pensi ad esempio a Little John per Robin Hood, a Sancho Panza per Don Chisciotte, al coro nella tragedia greca: tutti personaggi di contorno, per certi versi, che però svolgono una funzione primaria e attiva nel corso della vicenda raccontata. O ai tanti sidekick presenti nelle storie western, in qualità di spalla comica o di “momento divertente”. Per quanto riguarda la nostra DC, si appropria del concetto arche- De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 19 tipico di “aiutante” e lo trasferisce nel proprio universo narrativo, donandogli però quel quid che trasforma la figura da semplice aiutante a “erede”. Robin ad esempio (ci si riferisce a Dick Grayson, vero e proprio padre di tutti i sidekick dei supereroi, creato da Finger e Fox nella primavera del 1940, dopo appena 12 numeri di Batman “a solo”), si allontana dal suo mentore per sviluppare una propria personalità, quella di Nightwing, il cavaliere di Blüdhaven. Ma a quel Robin seguirà un altro Robin, simile anche se non identico all’originale, Jason Todd, che finirà massacrato dal Joker. E poi ancora un altro, Tim Drake, il Robin attuale, e via fino arrivare alla Robin di Dark De:FINIZIONI Knight Returns di Miller. Una serie di copie che lasciano intendere come alla DC, da sempre, conti di più il mantello della persona che lo indossa, a parte in pochi casi specifici. Altri mondi Fin dagli anni Cinquanta, gli anni della Silver Age, quella stagione irripetibile dell’immaginazione pura stampata su carta, gli eroi DC si ritrovano a vivere storie ai confini col surreale che in apparenza non possono essere giustificate. E si cercano etichette che permettano di distinguere tali storie da quelle inserite nella continuità narrativa. Basta sfogliare uno qualsiasi degli Showcase di Superman per trovarsi di fronte, ad esempio alle APPROFONDIMENTO Imaginary Stories, come ad esempio la celebre “The Amazing Story of Superman Red and Superman Blue!”4. In questa storia particolare, Superman crea un macchinario che lo aiuta ad amplificare i propri poteri. Il macchinario funziona talmente bene lo divide in due esseri, uno il doppio dell’altro, completamente autonomi ed autosufficienti, cosa che lo rende in grado di risolvere i problemi di Kandor (che al termine della storia diventerà New Krypton, elemento per altro ripreso, in maniera in parte similare, nel recente crossover delle supertestate di Johns e Robinson) e i problemi del mondo intero. E dopo il successo di questa storia, si assiste ad un proliferare di storie immaginarie, con protagonisti Superman, Batman e Wonder WoDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 20 man, storie in cui gli eroi visitano mondi fantastici, incontrano versioni alternative di sé stessi, fanno tutto ciò che, normalmente, non sarebbe possibile fare. Finché il classico Whatever happened to the Man of Tomorrow?, scritto da Alan Moore e disegnato dall’artista forse più rappresentativo di sempre, per quanto riguarda il Superman Silver Age, Curt Swan, mette fine a questa diffusione incontrollata raccontando, a mo’ di inchiesta giornalistica, della vita e delle opere di un Superman creduto morto. Pubblicato nel 1986 in due parti su Superman vol. 1 #423 e Action Comics #583, Whatever happened... ha la doppia funzione di chiudere la stagione delle storie immaginarie e fornire il destro per il rilancio post-Crisis di Byrne. Solo nel De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO 1989, con il bellissimo Gotham by Gaslight, le Storie Immaginarie trovano un’etichetta editoriale: Elseworlds. La storia è semplice: la nascita di Batman viene anticipata al XIX secolo, in Inghilterra, e il pipistrello è una specie di detective da romanzo pulp sulle tracce di Jack lo Squartatore. La storia scritta da Brian Augustyn (storico editor di Flash nonché coautore, insieme all’amico Mark Waid, di numerose serie nostalgiche della Silver Age) e disegnata dall’allora quasi esordiente, benché già talentuoso, Mike Mignola (Hellboy), ispira la linea editoriale che mette in scena le più inverosimili versioni alternative di tutti i personaggi della casa editrice, senza vincoli di sorta. Ricapitolando, tra cloni, doppi provenienti da terre parallele, sidekick che prendono il manto degli eroi alla morte dei mentori (che però sono inevitabilmente destinati a ritornare causando notevole confusione), versioni alternative degli eroi provenienti da Storie Immaginarie o Elseworlds, le copie erano talmente numerose che non ba- stò una Crisi a sterminarle tutte. Una crisi per domarli Le reiterate operazioni di reboot che caratterizzano l’universo DC dal 1985 in avanti e che prendono il nome di Crisis, meritano senza dubbio una veloce menzione (sarebbe un discorso troppo ampio e complicato da sviscerare in poche battute), poiché aprono scenari e prospettive decisamente particolari. Basti dire che la prima Crisi di De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 21 magnitudine multiversale, quella mini di 12 numeri pubblicata nel 1985, fu Crisis on Infinite Earths opera di Marv Wolfman e George Pérez che aveva il compito di riscrivere una continuity oramai troppo intasata da cinquant’anni di doppioni. Queste le ragioni ufficiali; le ragioni ufficiose sono ben altre, anche perché, nonostante fosse impossibile negare che il caos narrativo rendesse abbastanza inaccessibile e involuto l’univer- De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO le del “nostro” Superman quando ancora operava a Smallville), la Legione dei Super-Eroi è il primo supergruppo della Silver Age e il primo gruppo di teenagers a comparire sulle scene5, ed era scritta in quel periodo da Paul Levitz, futuro presidente della DC Comics. so DC, il Multiverso era, coi suoi 34 anni di attività, un meccanismo oliato e narrativamente conosciuto (anche grazie alle periodiche Crisis on Earth-1 e similari, ognuna etichettata a dovere, che avevano abituato gli aficionados ai crossover tra le versioni alternative degli stessi eroi). La promessa, quindi, era quella di fare una sorta di repulisti editoriale, promessa, però, non del tutto mantenuta, tanto che vent’anni dopo, con una nuova crisi, Infinite Crisis, si cercherà di ripristinare il precedente status quo (che nei fatti non era mai scomparso), riportando in piedi il Multiverso, probabilmente nell’intento di ripresentare al grande pubblico quella ricchezza assoluta che è stata per cinquant’anni la forza della DC Comics, ma riportando ancora una volta un’inevitabile confusione nell’universo Dc. Long Live Legion(s)! Vero e proprio gruppo simbolo di queste promesse fatte e non del tutto mantenute di Crisis on Infinite Earths è la Legion of SuperHeroes. Nata nel 1958 nella testata Adventure Comics (il numero è il 247), che ospitava le avventure di Superboy (la versione giovani- La testata aveva troppo successo per pensare ad un reboot, e per un certo periodo di tempo (9 anni) continuò mutuata di un pezzo di storia (Superboy che ne aveva dato l’ispirazione), ma con un similare roster di personaggi. Nel 1994 però arrivò Zero Hour, la prima vera Crisi della Legione, per mezzo della quale la continuity del trentesimo secolo fu azzerata e al gruppo fu permesso di ripartire con una nuova formazione adolescente, che andava a sostituire il gruppo precedente ormai cresciuto e giunto all’età adulta. Gli autori erano Tom McGraw, Mark Waid e Stuart Immonen. Causa scarse vendite, anche questa legione sarà destinata a scomparire nel limbo, e nel 2005 sarà seguita da un nuovo reboot (di nuovo a cura di Mark Waid, ma stavolta in coppia con Barry Kitson, coppia ormai collaudata). Nonostante gli ottimi primi numeri, questa serie non ha avuto l’appeal delle precedenti incarnazioni, tanto da chiudere dopo appena 4 anni di permanenDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 22 za negli scaffali. La situazione si complica ulteriormente dopo la conclusione di Infinite Crisis, il non troppo riuscito evento estivo del 2005, quando le testate della DC Comics vengono, per l’ennesima volta, rilanciate. Esce Justice Society of America, opera del “solito” Geoff Johns in coppia con Alex Ross ai testi, e del bravo Dale Eaglesham alle matite, nelle cui fila milita Starman, quello della prima Legione dei Super-Eroi, che tornerà con la sua formazione completa nel recente Superman di Johns. Col ritorno in pompa magna delle terre parallele, sebbene limitate a 52, si è tornati di fatto ad una situazione abbastanza sconclusionata, tra copie di personaggi che aggiungevano zavorra ad un universo editoriale che di zavorra non aveva bisogno, e rendevano ancora più caotica la comprensione di chi fosse chi nel Dc Universe. Prendiamo ad esempio la complessa situazione di Starman, che ha almeno 9 incarnazioni a livello di legacy e “cloni”6, e altre due copie nelle diverse formazioni della Legione dei Super-Eroi, tornate tutte quante nel crossover Legion of Three Worlds. De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO Fabbricare supereroi C’è un autore, che è riuscito ad applicare con ottimi risultati il concetto della “riproducibilità dell’eroe”, per ora utilizzato a livello meramente extra-diegetico, anche a livello della diegesi. Questo autore è Grant Morrison. Scozzese, classe 1960, Morrison è uno dei più celebri autori mainstream di oggi, tanto da non avere bisogno di alcuna introduzione. Il suo ritorno all’universo supereroistico della DC Comics, nel 2005, lo vede al lavoro su importantissimi progetti mainstream, tra i quali Superman e Batman. Se in All Star Superman, miniserie di dodici numeri a cadenza bimestrale, ha la possibilità di scrivere una storia svincolata dalla continuity, libera e strutturata a episodi autoconclusivi che si intersecano in un intreccio più grande dove può dare libero sfogo alla fantasia più sfrenata, su Batman realizza una saga, nel senso più letterale del termine, completamente incentrata sulla storia batmaniana dagli anni Trenta in avanti e sulle sue tante versioni alternative. Tutta la serie è un sentito omaggio al tema del “doppio”7. Si pensi al primo ciclo, che vede la comparsa di Demian – il figlio di Batman e Talia al Ghul concepito nel Graphic Novel Son of The Demon, di Mike W. Barr8 –, che decide di sostituirsi a Robin, oramai figlio adottivo di Bruce Wayne, ed allo scontro tra i due per indossare il mantello del Ragazzo Meraviglia. Si pensi, negli stessi numeri, alla comparsa dell’esercito dei Men-bat9, che non sono altro che copie imperfette dell’Uomo Pipistrello, dei pipistrelli umani. O ai Batmen of All Nations10 (in seguito noti come Club of Heroes) del ciclo “The Black Glove”, vero e proprio epicentro della serie, in cui Morrison riporta in gioco una sorta di squadra di wannabe Batmen che operano a livello internazionale (Italia, Argentina, Francia, Inghilterra, Australia, Svezia e Stati Uniti). E non De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 23 solo, i Batmen hanno un gruppo di nemici, a loro complementari così come il Joker è complementare a Batman, il Club of Villains. Tutto il ciclo di Morrison, si diceva, gioca sulla riproducibilità di Batman; tanto a livello superficiale, si è già visto, quanto a livello decisamente più profondo: nel corso della saga dei Three Ghosts of Batman, ad esempio, l’evil mastermind, il Dr. Simon Hurt (altro personaggio ripescato dalla continuity batmaniana del passato) cercherà un modo per riprodurre l’uomo pipistrello, ufficialmente per sostituirlo in caso di morte improvvisa; il risultato sono tre bat-poliziotti “corrotti dal potere”: il Batman con la pistola, che rifà il verso alla prima incarnazione del vigilante mascherato di Bob Kane e Bill Finger; il Bat-Bane, un colosso vestito da luchador e alimenta- De:FINIZIONI to da Venom, (la droga che amplifica le potenzialità fisiche già vista nell’omonima Leggenda), che finisce quasi per spezzare la schiena (ancora una volta) al pipistrello; e il Batman anticristo, il più misterioso di essi, a quanto pare dotato di poteri psichici e in grado di sopravvivere fino all’ipotetico futuro distopico di Batman 666. E ancora, in un rilancio continuo di situazioni e di intuzioni del tutto inedite e originali, il Batman di Zur-en-arrh (un Batman puro, quello che esce una volta escluso Bruce Wayne dall’equazione), l’idea di Gotham come griglia per creare Batman, e via discorrendo, fino a giungere alla conclusione, in cui Batman viene utilizzato come vera e propria matrice per creare un esercito di “doppi” con le sue stesse capacità e potenzialità. L’eredità degli Elsewords, delle Storie Immaginarie, delle Storie Impossibili, di conseguenza, se ben utilizzata può diventare una vera e propria miniera d’oro dalla quale attingere per creare storie nuove, con uno sguardo certamente rivolto al passato, ma saldamente ancorate nel presente e nel futuro della casa editrice. Alla faccia delle infinite crisi e dei reboot, che fino ad oggi hanno contribuito ad alimentare la leggenda dell’universo narrativo inaccessibile ai neofiti. Note 1) Portland, 1890-1968. Per giudicare la sua importanza a livello storico nel mondo del fumetto, basti pensare che nel 2008 è stato incluso nella Will Eisner Award Comic Book Hall of Fame. 2) Il personaggio di Slam Bradley è stato recuperato e reintrodotto definitvamente in continuity qualche anno fa da Ed Brubaker nella sua run di di Catwoman. 3) Sarebbe decisamente troppo lungo parlare della causa DC vs. Fawcett in questa sede, per questo si rimanda, per approfondimenti, al sito http:// en.wikipedia.org/wiki/National_Comics_ Publications_v._Fawcett_Publications. 4) Pubblicata originariamente in Super- APPROFONDIMENTO man (vol. 1) # 162, luglio 1963, reperibile facilmente in Showcase Presents Superman vol. 4, settembre 2008. 5) Il gruppo di adolescenti forse più celebre dell’universo DC, i Teen Titans, debuttano ufficialmente in The Brave and the Bold #54, datato luglio 1964. È interessante notare come Wonder Girl, aggiunta ai membri del gruppo un anno dopo il loro debutto, sia a tutti gli effetti un doppio di Wonder Woman nato a causa di un errore dello scrittore Bob Haney, che aveva visto di sfuggita la cover di una Impossible Tales, in cui l’amazzone faceva team up con versioni differenti di se stessa, e l’aveva di fatto scambiata per un sidekick. Cfr. http://goodcomics.blogspot.com/2005/06/comic-book-urbanlegends-revealed-3.html. 6) Cfr. Kingdom Come, appendice, di Mark Waid e Alex Ross, ed. Play Press, 1999. 7) Tematica evidentemente piuttosto cara a Morrison, e riproposta a più riprese nel corso della sua carriera. Esempi recenti sono The Filth, che mostra il “doppio cattivo” di Greg Feely, vero coprotagonista della serie, e New X-Men, dove entra in scena Cassandra Nova, mummudrai, una sorta di “gemello spirituale” del Prof. Xavier. 8) Batman – Il figlio del Demone, di Mike De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 24 W. Barr e Jerry Bingham, Play Press 1997. 9) Man-Bat è il pipistrello umano creato dal siero del dott. Kirk Langstrom, personaggio di Frank Robbins e Neal Adams che ha esordito in un altro, acclamatissimo ciclo del pipistrello degli anni Settanta ed è presto diventato un villain ricorrente. 10) I Batmen of All Nations appaiono per la prima volta in Detective Comics 215, gennaio 1955. SPARRING PARTNERS Pop Asses RUBRICA di Antonio Solinas e Giovanni Agozzino La premessa di Sparring Partners è semplicissima: gli autori si trovano su Skype, vanno a ruota libera su temi spesso strampalati e infine salvano le trascrizioni della conversazione. Incredibilmente, con un minimo di editing (ridotto per altro all’osso, per non disturbare il flow della chat) ne vengono fuori discussioni interessanti (speriamo lo siano anche per voi). In questo caso, i due “sparring partners” hanno recuperato una vecchia discussione di oltre un anno fa che verteva sul porno pop e on 2007-11-24 23:39:46. su unCreated suo potenziale “doppio”, ovvero il “pop ass” di Roberto Recchioni. Questo è il risultato. Giovanni Agozzino: 21:11:43 sentito del volume porno di recchioni? Antonio Solinas: 21:11:47 No Antonio Solinas: 21:11:51 che si dice? Giovanni Agozzino: 21:12:18 sta producendo un pornazzo a fumetti Antonio Solinas: 21:12:22 ahah Antonio Solinas: 21:12:30 minchia roberto e' un grande Giovanni Agozzino: 21:12:35 un'antologia, autori scafati + qualche esordiente Antonio Solinas: 21:12:39 ah Giovanni Agozzino: 21:12:40 ha aperto un blog col casting Antonio Solinas: 21:13:15 come e' il link? Giovanni Agozzino: 21:13:18 spe Giovanni Agozzino: 21:13:51 http://thepopassexperience.blogspot.com/ Antonio Solinas: 21:14:49 peccato che il porno Antonio Solinas: 21:14:54 non mi ispiri come genere letterario Antonio Solinas: 21:15:06 se no ci proverei Giovanni Agozzino: 21:15:32 però vuole solo autori completi De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 25 Antonio Solinas: 21:14:49 peccato che il porno Antonio Solinas: 21:14:54 non mi ispiri come genere letterario SPARRING PARTNERS Antonio Solinas: 21:15:06 se no ci proverei Giovanni Agozzino: 21:15:32 però vuole solo autori completi Giovanni Agozzino: 21:16:01 peccato, altrimenti un paio di tavole di prova le avrei mandate anche io (previa ricerca di disegnatore) Antonio Solinas: 21:16:09 inoltre, non sono sicuro che il pop di cui parla Recchioni esista Antonio Solinas: 21:16:13 voglio dire Antonio Solinas: 21:16:20 ma Belladonna e' pop? Antonio Solinas: 21:16:33 magari l'emanazione, ma non l'attrice Antonio Solinas: 21:16:40 mi spiego Antonio Solinas: 21:16:44 Moana Pozzi, la massima icona pop italiana Antonio Solinas: 21:17:08 lo era (pop) in quanto partecipante al circo di Costanzo Antonio Solinas: 21:17:19 non in quanto pornostar che prendeva cazzi in culo Antonio Solinas: 21:17:24 o no? Giovanni Agozzino: 21:17:25 sì Giovanni Agozzino: 21:17:27 decisamente Giovanni Agozzino: 21:17:39 però per belladonna è diverso, credo Antonio Solinas: 21:17:45 perche'? Giovanni Agozzino: 21:18:00 cioè lei è pop perchè si fa mettere piedi nella passera e perchè te le trovi su internet ovunque Antonio Solinas: 21:18:09 l'unica pop era Jenna, data la sua immagine "leggera" Antonio Solinas: 21:18:34 cioe' la sua immagine softcore e quella hardcore erano piu' o meno uguali Giovanni Agozzino: 21:18:38 Il problema secondo me è che il costanzo show è stato soppiantato da internet Antonio Solinas: 21:18:57 Tera Patrick e' pop De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 26 RUBRICA Antonio Solinas: 21:18:09 l'unica pop era Jenna, data la sua immagine "leggera" Antonio Solinas: 21:18:34 SPARRING PARTNERS cioe' la sua immagine softcore e quella hardcore erano piu' o meno uguali Giovanni Agozzino: 21:18:38 Il problema secondo me è che il costanzo show è stato soppiantato da internet RUBRICA Antonio Solinas: 21:18:57 Tera Patrick e' pop Antonio Solinas: 21:19:05 ma perche' si accompagna Antonio Solinas: 21:19:12 a quel minchione di Spyder (post Biohazard) Giovanni Agozzino: 21:19:18 lol Antonio Solinas: 21:19:36 per me Belladonna e' pop come Reznor Antonio Solinas: 21:19:38 ovvero ci si puo' illudere che siano pop Antonio Solinas: 21:20:08 ma per sdoganarli ci vuole il Manson di turno Giovanni Agozzino: 21:20:19 credo di aver capito Antonio Solinas: 21:20:20 non pensare a noi maniaci Giovanni Agozzino: 21:20:29 appunto, stavo proprio per dire Antonio Solinas: 21:20:34 pensa a una persona come mia moglie Giovanni Agozzino: 21:20:43 purtroppo sono troppo addentro alla pornografia per capire di preciso se hai ragione :p Antonio Solinas: 21:20:58 per lei una figura come Tera o Jenna puo' essere "accettabile" Antonio Solinas: 21:21:06 Belladonna o Sasha Grey no Antonio Solinas: 21:21:08 credo Giovanni Agozzino: 21:21:20 però è anche vero che una volta una ragazza mi è venuta a parlare di taylor rain senza che sapesse della mia passione per il porno Antonio Solinas: 21:21:41 Poi, se vogliamo parlare di pop, definiamone prima i contorni Antonio Solinas: 21:21:53 per me il pop e' roba seria Antonio Solinas: 21:21:57 ovvero Antonio Solinas: 21:22:06 Diana e le Supremes De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 27 Antonio Solinas: 21:21:41 Poi, se vogliamo parlare di pop, definiamone prima i contorni Antonio Solinas: 21:21:53 SPARRING PARTNERS per me il pop e' roba seria Antonio Solinas: 21:21:57 ovvero Antonio Solinas: 21:22:06 Diana e le Supremes Giovanni Agozzino: 21:22:19 lol Antonio Solinas: 21:22:26 Snoop Doggy Dogg e Dr. Dre Antonio Solinas: 21:22:31 Prince Antonio Solinas: 21:22:45 Certe cose di Morrison Antonio Solinas: 21:23:09 non certo Robbie Williams o i Blue Giovanni Agozzino: 21:23:19 possiamo andarci a naso Antonio Solinas: 21:23:23 ovvero? Giovanni Agozzino: 21:23:32 io non saprei darti una definizione di "cultura pop" adesso Antonio Solinas: 21:23:39 neanche io Giovanni Agozzino: 21:23:45 anche se è probabilmente la parola che ho più usato nelle mie recensioni :p Giovanni Agozzino: 21:23:47 (giuro) Antonio Solinas: 21:23:53 ahahahah Antonio Solinas: 21:23:59 dicevo Antonio Solinas: 21:24:06 ci sono due tipi di pop Antonio Solinas: 21:24:16 uno e' quello che pur non definendo, riusciamo a "sentire nostro" Antonio Solinas: 21:24:23 (quello serio) Antonio Solinas: 21:24:41 e l'altro e' la roba che viene buttata dentro internet, in televisione Antonio Solinas: 21:24:50 nei party di Paris Hilton... Antonio Solinas: 21:24:59 se scegliamo la seconda definizione De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 28 RUBRICA Antonio Solinas: 21:24:23 (quello serio) Antonio Solinas: 21:24:41 SPARRING PARTNERS e l'altro e' la roba che viene buttata dentro internet, in televisione Antonio Solinas: 21:24:50 nei party di Paris Hilton... Antonio Solinas: 21:24:59 se scegliamo la seconda definizione Antonio Solinas: 21:25:05 allora (forse) Antonio Solinas: 21:25:13 Belladonna puo' essere pop Antonio Solinas: 21:25:27 se invece accettiamo che il pop debba venire elaborato Antonio Solinas: 21:25:34 una specie di "ipocalisse" Antonio Solinas: 21:25:39 allora col cazzo Antonio Solinas: 21:25:45 (pun intended) Giovanni Agozzino: 21:25:51 lol Antonio Solinas: 21:25:59 mi sono spiegato? Giovanni Agozzino: 21:26:06 assolutamente sì Antonio Solinas: 21:26:23 guarda che questa chat la salvo e ci facciamo la column Giovanni Agozzino: 21:26:39 le devi salvare tutte :D Antonio Solinas: 21:27:14 fra parentesi, Giovanni Agozzino: 21:27:15 anche quella con malgioglio non era male Antonio Solinas: 21:27:19 ahah Giovanni Agozzino: 21:27:24 e ho paura di dire che malgioglio per me è pop Antonio Solinas: 21:27:43 si, Malgioglio e' pop Antonio Solinas: 21:28:07 fra parentesi Recchioni su sta cosa ci si masturba Giovanni Agozzino: 21:28:37 Recchioni si masturba su malgioglio? Antonio Solinas: 21:29:24 De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 29 Macche', recchioni si masturba su una elaborazione sul porno che parte da lui RUBRICA si, Malgioglio e' pop Antonio Solinas: 21:28:07 SPARRING PARTNERS fra parentesi Recchioni su sta cosa ci si masturba Giovanni Agozzino: 21:28:37 Recchioni si masturba su malgioglio? RUBRICA Antonio Solinas: 21:29:24 Macche', recchioni si masturba su una elaborazione sul porno che parte da lui Giovanni Agozzino: 21:29:36 ah beh, anche io se è per questo Giovanni Agozzino: 21:29:42 (che parte da me, dico, non da recchioni) Antonio Solinas: 21:29:59 non ripugnarmi Giovanni Agozzino: 21:30:04 LOL Antonio Solinas: 21:30:09 a pensare che questo spunto ti eccita Antonio Solinas: 21:30:24 mi sento male Giovanni Agozzino: 21:30:28 parlavo di masturbazione mentale ahaha Antonio Solinas: 21:30:33 anche io SuperMarket AAVV - Bizzarro Comics (2009), Planeta/DeAgostini, 418 pagg., € 30,00. Takahashi - Ranma 1/2 (1996), Star Comics, 112 pagg., £ 3300. De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 30 Koslowski - The King, Top Shelf (2004), 208 pagg., $ 19.95. De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO Doppio Mistico: dualismo religioso nella mitologia e nei comic books di Andrea Cantucci Il concetto del doppio, in base al quale a un dio o ad un eroe corrisponde una sua controparte negativa con cui tale personaggio deve confrontarsi, è un tema ampiamente utilizzato nei fumetti e nella narrativa in genere, ma chiaramente le radici più antiche di quest’idea affondano nel mondo dei miti religiosi e delle tradizioni esoteriche. Nei viaggi nell’oltretomba descritti nei “libri dei morti” egizi, il dio-Sole Ra affronta ogni notte il serpente Apophis, personificazione delle tenebre della non esistenza, ma non può mai sconfiggerlo definitivamente, poiché si tratta di un’entità indistruttibile, al pari del Sole stesso. La loro lotta è necessaria per mantenere l’equilibrio naturale del mondo, in cui luce e buio si alternano, prevalendo a turno l’uno sull’altro, col passare dei giorni e delle notti. A volte anche il principio solare era raffigurato dagli egizi sotto forma di serpente (e posto sulle corone De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 31 dei faraoni), come se si trattasse di entità gemelle ed equivalenti. La versione terrena di questo conflitto si ritrova nella rivalità tra i fratelli Osiride e Seth, gli dèi che si sarebbero contesi la sovranità dell’Egitto in epoche arcaiche. Dopo la morte di Osiride, sarebbe stato suo figlio, il dio solare Horus, a contrapporsi a Seth. Nello Zoroastrismo persiano, c’è un dualismo analogo nell’eterno conflitto tra il “saggio signore” Ahura Mazda (o Ormuzd) e lo “spirito maligno” Angra Manyu (o Ahriman), artefici entrambi di una propria creazione, alternativa l’una all’altra. Sembra che in origine la contrapposizione tra queste due divinità, e tra gli altri dèi o spiriti ad esse sottoposti, chiamati rispettivamente Ahura e Deva (o Daiva), fosse espressione di rivalità etniche tra popoli Ari e non Ari. In India gli stessi termini hanno senso contrario, i Deva sono dèi della luce e gli Ahura della distruzione, mentre nei miti cristiani, più vicini a influenze persiane, i diavoli derivano chiaramente dai Deva anche nel nome. In Persia sarebbe stato il De:FINIZIONI leggendario profeta Zarathustra (o Zoroastro) a dare ai due principi una valenza di contrapposizione morale, interpretando il conflitto tra luce e tenebre come scontro tra bene e male. I due stessi dèi, visti come gemelli nati dal dio del tempo Zurvan, si ritrovano poi nell’insegnamento del profeta Mani, dal cui nome derivano i termini Manicheismo e manicheo, ad indicare chi interpreta tutto distinguendo nettamente tra bene e male, senza mezze misure. Nelle dottrine taoiste cinesi, troviamo invece i principi complementari Yin e Yang, non visti come entità in conflitto, ma come due aspetti necessari e imprescindibili dell’esistenza, interpretabili come luce e ombra, maschile e femminile, attivo e ricettivo, ecc. Il concetto unificante del Tao (la Via) si compone di entrambi in uguale misura, come APPROFONDIMENTO rappresentato nel noto simbolo circolare. Nei miti cinesi arcaici, troviamo due fratelli identificabili con questi due principi: la dea Nu Wa (o Nu Kua), che crea fisicamente gli uomini, e il dio Fu Xi (o Fu Hsi), che insegna loro ogni disciplina. Entrambi avevano volto umano e corpo di serpente (o drago) e sarebbero stati i primi a unirsi in matrimonio. L’unione di due serpenti intrecciati si ritrova in molti simboli antichi, tra cui il caduceo del dio greco Ermes (o Mercurio), e la si intravede stilizzata nel simbolo dello Yin e dello Yang. Un concetto di unione armonica tra i due principi, anziché di conflitto a oltranza, si ritrova nelle dottrine alchimistiche, in cui lo stato di “oscurità” denominato nigredo e lo stato di “luminosità” denominato albedo erano due fasi entrambe necessarie alla realizzazione della “Grande Opera”. L’esigenza di riconciliare gli opposti è espressa anche in opere letterarie come “Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno” dello scrittore e incisore inglese William Blake, il cui modo di fondere graficamente testi e immagini, si potrebbe considerare precursore dell’arte del fumetto. Negli anni ’60 del ‘900 nasce l’attuale Universo Marvel e, tra gli esseri cosmici che lo popolano, troviamo Eternità, un essere infinito che riassume in sé tutto ciò che esiste, apparso per la prima volta in un episodio del Dr. Strange di Stan Lee e Steve Ditko, sul n°138 di Strange Tales. Attraverso le sue avventure successive, altri autori svilupparono il concetto e, in particolare, lo scrittore Steve Englehart identificò Eternità con Adam Qadmon, l’Uomo Archetipo della tradizione cabalistica, e gli contrappose come fratello la Morte, che riassume in sé la fine e l’assenza di tutto, di modo che i due insieme comprenderebbero tutta la nostra realtà, pur senza essere divinità vere e proprie, De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 32 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO influenza, fino a sottomettere Odino stesso, che aveva tentato di contrastarlo. In pratica Infinito rappresenta il lato arrogante e dominatore di Odino, il tipico dio del cielo, re o padre degli dèi, delle culture patriarcali. Nel fumetto, la situazione si risolve quando Odino si distacca dal suo antagonista e, presa coscienza della parte oscura di sé, la riassorbe in una sorta di riconciliazione. Apparivano invece inconciliabili, ma entità ai limiti dell’astrazione. Con entrambe, il mago supremo Strange arriva ad identificarsi per superare diverse situazioni, sia di conflitto personale che di pericolo universale. Nella saga di Thor di Stan Lee e Jack Kirby appare invece Hela, la dea della morte scandinava che, in un ciclo disegnato da John Buscema nei primi anni ‘70, è artefice di uno sdoppiamento del dio Odino, di cui genera una controparte negativa chiamata Infinito. Questo oscuro essere immateriale, diffondendosi dal mondo dell’aldilà nel nostro universo, cancella le stelle e controlla chi cade sotto la sua De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 33 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO nei fumetti di Jack Kirby degli anni a riprenderne i personaggi, ‘70, i pianeti gemelli Nuova Genesi impegnandoli nuovamente nella e Apokolips, l’uno governato dal loro lotta senza fine. benevolo Alto Padre Izaya e l’altro Un nome analogo a Darkseid dominato dallo spietato Darkseid, (che suona come “dark side”, “lato versioni quasi speculari l’uno oscuro”), riecheggia nel ciclo dell’altro, personificanti le forze cinematografico di Star Wars della creazione e della distruzione. creato qualche anno dopo da Nonostante nella graphic novel George Lucas, adattato e ampliato Hunger Dogs, Kirby avesse poi in una lunga serie di fumetti. Qui, tentato di mettere fine alla saga alla “Forza”, l’energia mistica che con la distruzione di Nuova Genesi genera e permea ogni parte e l’esodo dei Nuovi Dèi verso dell’universo, si contrappone il altri mondi, dove le necessità di “Lato Oscuro” della Forza stessa. ogni conflitto potessero essere Le tendenze distruttive non superate, questa soluzione proverrebbero quindi dall’esterno, non è in pratica stata accettata ma sarebbero parte integrante all’interno dell’Universo DC, in cui dell’essenza spirituale che è anche il ciclo è stato fatto confluire, e altri in ognuno di noi, una concezione autori continuano periodicamente forse ispirata a certe analisi dei De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 34 simboli mitici apparse nei saggi dello scrittore Joseph Campbell. Comunque, per mantenersi libero di sviluppare questi concetti come meglio credeva, mentre stava completando la prima trilogia di Star Wars, pare che Lucas avesse proibito agli autori dei fumetti di utilizzare la Forza nelle loro storie. In altri universi narrativi, come nei romanzi fantasy con protagonisti Corum o il principe Elric, firmati dallo scrittore inglese Michael Moorcock e adattati anche a fumetti, gli eroi sono pedine più o meno consapevoli in un conflitto che vede contrapposti gli dèi dell’Ordine e quelli del Caos. Concetti analoghi si ritrovano nelle storie a fumetti del Dr. Fate, De:FINIZIONI che serve i signori dell’Ordine, in particolare nell’ottima miniserie omonima scritta da De Matteis e disegnata da Keith Giffen nel 1987, oppure nel ciclo di Warlock realizzato da Jim Starlin, in cui Caos e Ordine si alleano contro Thanos, l’adoratore della morte che minaccia di distruggere i domini di entrambi. Poco prima, APPROFONDIMENTO Adam Warlock, ex-messia di una contro-terra alternativa, aveva affrontato la parte negativa di sé stesso, il Magus, una sorta di anticristo fondatore di una chiesa interplanetaria violenta e assassina, sinistramente simile a tante forme religiose storicamente reali. Per sconfiggerlo, Warlock aveva dovuto accettare la propria parte oscura, il cosiddetto “mostro della follia”, vedendola non più come necessariamente negativa, ma solo come una diversa forma di realtà, e infine dovette sfuggire all’Intermediario, un’altra entità mistica dell’Universo Marvel, apparsa anche in storie del Dr. Strange, che regna su un limbo posto a metà tra tutte le coppie di opposti (realtà e illusione, bene e male, vita e morte, ecc.). Ma la più bella riconciliazione tra De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 35 gli opposti appare alla fine del ciclo di Swamp Thing noto come American Gothic e scritto da Alan Moore, in cui, dopo alcune puntate di crescente “tensione magica”, si scopre che alcune colonne nere sorte dall’oscurità primordiale non sono che le dita di un’enorme mano che s’innalza verso l’alto, per incontrarsi e riunirsi con un’altra mano luminosa che scende dal cielo, in un’apoteosi simbolica che cerca di riscattare il mondo del fumetto dalla condanna di doversi occupare sempre e soltanto di banali scontri tra buoni e cattivi. De:Facto INTERVISTA Doppio Mento: i supereroi decaduti di Donald Soffritti di Antonio Solinas Superheroes Decadence, con i “doppi” dei supereroi in versione bolsa o incartapecorita, è un’idea semplice ma geniale. A quando risale la genesi e quando è stato che il tutto è diventato un progetto organico? Innanzitutto tengo a sottolineare che più che geniale è un’idea semplice, forse è per questo che appare geniale. Io non sono assolutamente un genio, ho avuto una ideuzza neanche tanto originale (di cose simili se ne sono già viste De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 36 ancora, una su tutte gli Incredibili della Pixar...). Credo che la cosa che alla fine sia piaciuta molto in questa mia serie Decadence sia la contestualizzazione dei singoli personaggi. L’invecchiamento e la gag parlano della loro storia del loro passato e non sono invecchiamenti a caso. Le gags le creo dopo essermi documentato molto bene sul personaggio, sul suo profilo psicologico, sulla sua storia di supereroe, sui suoi poteri e talloni d’achille. A mio favore poi ha giocato anche il fatto che forse nessuno li ha mai fatti in serie e il vederli così tutti insieme fa un certo occhio. Iniziai per gioco nel 2006 sul mio blog. Lo avevo da poco aperto e preso dalla foga di postare sempre cose nuove, nel giro di poco tempo non ebbi più nulla da pubblicare. Visto che cominciavano ad arrivare anche commenti dall’America decisi lì per lì di toccare il tema supereroistico con un Superman un po’ attempato, fuori forma, togliendogli soprattutto la sua immortale longevità. Passai subito dopo a dissacrarne altri, Wonder Woman, Supergirl, Spider-Man, Batman e Robin creando proprio un vero filone e un vero e proprio progetto che chiamai Decadence. Nel giro di poco tempo ebbi accessi da tutto il mondo con apprezzamenti e solleciti per averne altri. Ero molto contento e anche molto incredulo. Mi stava esplodendo la cosa tra le mani e non capivo il perché. Ovviamente lo stimolo forte mi portò a continuare. Mi divertivo, era il mio spazio, un angolo tutto Soffritti senza limiti o vincoli e soprattutto senza scadenze. Dopo un po’ di tempo, anzi diciamo pure dopo un annetto, cominciarono ad arrivare anche richieste di Book, volevano il libro, c’era molto interesse. La cosa mi prese un po’ alla sprovvista anche perché li avevo fatti tutti in RGB per il web, lì dovevano restare, e non in CMYK De:Facto per la stampa. Alla fine mi convinsi di farne veramente un libro che li raccogliesse tutti. Dovetti risistemare una metà buona portandoli in CMYK e risistemando la risposta del colore che nel passaggio cambia. Insomma per farla breve è diventato un vero e proprio progetto editoriale dal momento in cui le richieste di farne un libro cominciarono ad arrivare un po’ più di frequente. Come è avvenuto poi il contatto con la Comma 22 e il passaggio alla carta stampata? La prima idea di raccolta cartacea INTERVISTA la proposi a Francesco Meo, ex dipendente di Panini, nel 2007, quando ci vedemmo a Milano al Cartoomics per parlare del Vasco Comics. Nel dialogo mi disse che come Panini si stavano allargando a nuovi progetti editoriali e fu lì che gli proposi il progetto, ma purtroppo mi rispose che era una cosa che per il momento non gli interessava, non era in linea con i loro piani editoriali. Poco male pensai, ci ho provato! Nel frattempo andavo avanti con il progetto e di strada ce n’era ancora tanta da fare, ne avevo appena fatti una quindicina. Poi un giorno al telefono con DaDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 37 niele Brolli (siamo amici da molto tempo) gli parlai di questa mia serie che avevo sul blog e degli innumerevoli accessi da tutto il mondo paventandogli l’idea di farne eventualmente una raccolta cartacea. Dopo esserseli visti tutti in rete mi disse che sarebbe stato disposto a pubblicarmeli con Comma 22 che nel frattempo come casa editrice stava crescendo sempre più con una qualità molto alta. L’anno scorso decidemmo che la data di uscita sarebbe stata Lucca 2008 e fui costretto a stringere i tempi per arrivare a farne una qua-rantina. Fu un lavoro durissimo perché avevo anche tante altre De:Facto INTERVISTA ramente avere doti soprannaturali, essere dei veri supereroi. E quelli veri di supereroi con i loro superpoteri classici, i loro raggi magnetici o paralizzanti, di fronte a tutto questo, di fronte ad un nemico invisibile chiamato “avidità” cosa possono fare? Nulla, gli resta solo il pensionamento anticipato”. Quale è stato il supereroe, invece, la cui “decadenza” è stata maggiore fonte di divertimento? Ce ne sono diversi. Batman e Robin, La Donna Invisibile con le sue protesi, Reed Richard, Magneto, Catwoman, Goblin, Freccia Nera... Ricordo con piacere Magneto perché fu l’ultimo che feci e vederlo in pensione come vero magnete attaccato al frigo reggente un promemoria mi faceva molto ridere... cose da fare contemporaneamente, ma alla fine ce la feci... al pelo! Sarò sincero, nonostante fossi un po’ scettico sul formato, me lo immaginavo più come un cartonato francese, il vederlo pubblicato fu una grossa soddisfazione e il formato funzionava benissimo. Sicuramente, nonostante l’atteggiamento giocoso, Superheroes Decadence ha un approccio fortemente iconoclasta nei confronti di importanti icone editoriali statunitensi. Ti sei mai “sentito in colpa”, in questo senso? No assolutamente. I miei sono solo vecchietti in costume e niente più, i veri supereroi sono quelli che non muoiono e non invecchiano mai. La mia è solo una parodia dissacratoria di un qualcosa di immortale come i supereroi. Oltre alla satira e all’ironia del disegno, vuole essere anche un momento di riflessione di cui tutti ne danno una loro versione. Di mio dico: “E se un giorno anche i supereroi perdessero la loro immortalità cosa succederebbe? Sarebbe la fine dei sogni, delle speranze o semplicemente l’inizio di una nuova epoca con un’inversione di ruoli, un epoca dove è la normalità che diventa sinonimo di supereroe? Non ci sono più mostri alti 100 piani, alieni o invasioni della terra da combattere. Il nemico numero uno adesso è la sopravvivenza al debito pubblico, al Pil in ribasso, all’euribor, alle tasse, al petrolio, ai canoni, alle bollette, alle banche, all’economia mondiale in crisi alla disoccupazione a una politica troppo costosa e ai cinesi. Riuscire a sopravvivere quotidianamente a tutto questo riuscendo pure ad arrivare a fine mese bisogna veDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 38 Il progetto Superheroes Decadence ha avuto un fortissimo sostegno a livello web. C’è stato poi lo stesso riscontro a livello di vendite? Quanto pensi che il web sia stato importante per il volume e quanto invece abbia costituito una sorta di “fumo negli occhi”? Dunque, per adesso il libro continua a vendere. Non stiamo parlando di cifre grossissime, siamo quasi a 1000 copie in due mesi. Certo è che l’obiettivo principale è arrivare all’estero, in tutti quei paesi che hanno creato il fenomeno con i loro accessi e le loro richieste. Il blog resta sempre un ottima vetrina. Ci saranno quelli che si accontenteranno di avere solo le immagini scaricate dal mio blog e chi le vorrà avere cartacee, anche se sul libro ci sono una decina di inediti, ovviamente. In Brasile sono tutti impazziti per i miei Decadence, c’è il web pieno, ho ricevuto molte mail di interesse nei confronti dell’eventuale libro e anche richieste come socio in affari, proprio perché ne hanno visto una possibile fonte di guadagno De:Facto INTERVISTA da parte del lettore. Hai avuto suggerimenti sui “trattamenti” da riservare ai supereroi? Ci sono aneddoti particolari da raccontare, in questo senso? Sì, suggerimenti ne arrivano sempre e mi fanno molto piacere. Uno mi è arrivato pochissimo tempo fa che trovate tra i post di Wolverine su come trattare gli altri X-Men. Alcune cose sono anche palpabile dalla grande mole di persone che ne parla. Presto sarà anche disponibile su internet. A fine gennaio verrà distribuito nelle librerie e anche questo gli darà maggiore visibilità. Non essendoci nessuna campagna pubblicitaria se non tre anni di visibilità sul mio blog direi che non mi lamento. È una macchina un po’ lenta ma credo che piano piano potrà darmi soddisfazioni. Non sono convinto che il web sia fumo negli occhi, è solo un mezzo, una macchina ancora poco sfruttata ma efficace. Il web arriva nelle case di tutto il mondo in un click. Arrivarci con un prodotto cartaceo invece è un po’ meno immediato ma non impossibile. Intanto la gente sa che esiste questo tipo di prodotto. Comunque sia a mio avviso il web paga sempre, fosse solo come semplice rientro d’immagine. L’importante è farsi conoscere, far sapere che a questo mondo ci sei anche tu e che hai qualcosa da dire con la tua arte. Non è facile, ovviamente, ma almeno ci si prova. Proprio per la sua natura “istantanea”, Superheroes Decadence ha una componente di coinvolgimento a livello web che permette una fortissima identificazione De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 39 molto interessanti. Sai, ognuno ha la propria versione decadence dei propri beniamini e vedo che tutti i suggerimenti sono sensati. I lettori hanno capito il meccanismo del gioco e giocano. Io faccio tesoro di tutto ovviamente, gli spunti datimi mi servono per far partire le mie riflessioni. Prenderli pari pari non mi sembra corretto né per me e il mio lavoro né per loro, anche se so benissimo che ne sarebbero De:Facto INTERVISTA nosciuti che non sono riuscito a fare nel primo volume e che mi sono stati espressamente richiesti dai lettori. Questo vuol dire altri 40 Decadence che devo iniziare a fare e che chiuderanno la serie. Poi ci sarà un terzo volume a sorpresa di super chiusura filone supereroistico alcuanto curioso, con supereroi molto particolari.... Da qui abbandono i supereroi e farò un quarto libro Decadence ma in altra direzione. Sto molto sul vago perché per adesso sono solo idee, e tra il dire e il fare ce ne passa... Ovviamente il filone Decadence è inesauribile, posso affrontare qualsiasi argomento o situazione, però non credo che lo farò in maniera assidua. Magari, dopo i primi 4, uno ogni tanto a seconda delle idee dell’ispirazione, ma non sarà il solo filone che accompagnerà entusiasti. Un aneddoto simpatico mi capitò dopo aver postato Wonder Woman. Mi scrisse un americano lasciandomi pure un link, ecco il post pari pari: “These old super heroes are great!! I think your wonder woman has a real life twin: http://misc.qti.com/ staff/greg/img/photos/fat_wonder_woman.jpg Io mastico poco l’inglese ma qui capii benissimo. Una gemella “vera”? Incuriosito cliccai sul link e mi apparve una vera Wonder Woman in ciccia e ossa da spavento. Provare per credere... sinceramente preferivo la mia, se non altro perché solo di fantasia! Ci fu poi un grandissimo artista, Gabriele Pennacchioli, animatore italiano della Dreamworks, che mi suggerì di tirare in gioco anche i cattivi. Non ci avevo ancora pensato e il suo prezioso suggerimento lo portai subito su carta inaugurando il primo supereroe cattivo della serie Decadence proprio con il nemico preferito dallo stesso Gabriele cioè Octopus, dedicandoglielo. Di buon auspicio, dopo aver appreso dal blog l’uscita del libro, mi ha augurato di vederlo presto al Comic-Con di San Diego, sicuro del suo successo. Io, scaramanticamente non dico niente. Che cosa riserva il futuro ai supereroi in decadenza? Ci saranno altri episodi web o su carta stampata, in questo senso? Ci sarà un’altro volume per inglobare tutti i supereroi più coDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 40 De:Facto la mia carriera di autore. Ho già in mente altre cose simpatiche che non hanno niente a che vedere con la terza età. Devo dire che il volume dei decadence per me è stato molto importante per un motivo in particolare, ovvero che sono tornato a ragionare su cose mie. Avevo abbandonato la cosa 12 anni fa quando entrai in Disney, travolto dal lavoro seriale. Ritornare finalmente a ragionare INTERVISTA con la mia testa in maniera incondizionata, semplice, senza presunzione, solamente per ritrovare stimoli nuovi e per il solo gusto di rimettersi in discussione. Tutto quello che ne verrà in più sarà regalato. Concludo dando un’anticipazione. Se tutto filerà liscio, è prevista per Torino comics l’uscita della raccolta dei due volumi di Alienor, la serie francese che feci con Frédéric De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 41 Brémaud per Soleil di cui ora deteniamo i diritti. Il formato sarà sempre quello dei Decadence e di Kico e l’editore pure. Ci tenevo molto a portare la serie in Italia, purtroppo l’editore cui la proposi tempo fa non se la sentì di rischiare, e finalmente ci sono arrivato grazie alla Comma 22 che ringrazio anticipatamente. De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO Floyd Gottfredson ed i pericolosi doppi di Topolino di Nicola Peruzzi Floyd Gottfredson è autore tanto importante per la storia del fumetto quanto troppo poco conosciuto, al di fuori della cerchia degli appassionati Disney, a causa di un improbabile veto che vieta effettivamente la ristampa di una buona sezione di storie e ne impedisce la diffusione massiccia, cosa che, di fatto, è avvenuta per lo stimato ed altrettanto importante collega Carl Barks con la Carl Barks Library all’estero e La Grande Dinastia dei Paperi in Italia. Autore estremamente prolifico (disegna, scrive e china strisce quotidiane e tavole domenicali del Topo più famoso del mondo per 45 anni e mezzo, dal maggio del 1930 al novembre del 1975), dotato di una mano magica e di un senso innato dell’avventura, si può di fatto considerare l’inventore e l’autore di punta delle storie del Mickey Mouse “avventuroso”, quello più appassionante da leggere e, forse, più spesso preso a pietra di paragone dalla primissima scuola Disney italiana (Scarpa in particolar modo, che ne riutilizza anche alcuni personaggi, come ad esempio Macchia Nera o il Dottor Enigm, e ne crea di nuovi modellandoli sugli originali, ad esemDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 42 pio Atomino Bip-Bip che per certi versi può essere quasi considerato un “doppio” di Eta Beta). Nel corso della sua lunga e sicuramente faticosa carriera (non è facile portare avanti per decenni lo stesso personaggio, disegnandone una striscia al giorno, anche se si è coadiuvati dai bravissimi sceneggiatori come Ted Osborne, Merril De Maris, Bob Karp, Dick Shaw e, ultimo ma non ultimo, l’indimenticato Bill Walsh) la figura del “doppio” ha fatto spesso capolino, nelle storie da lui realizzate. Un doppio non sempre malvagio, un sosia, il più delle volte, ma che nella maggior parte dei casi è, come caratterizzazione psicologica, l’antitesi pura dell’eroe. Dopo le prime prove, che vedevano un Topolino ancorato alla campagna e alla provincia americana, alle prese con altri topi più o meno simili al protagonista che mettono in forse il suo rapporto con Minnie1 – come ad esempio Mr. Slicker, il bel gagà2 – nella seconda metà degli anni trenta entra in scena la figura del doppio speculare, personaggio che permette a Gottfredson (e relativi sceneggiatori) di esprimersi con gag degne della migliore commedia degli equivoci. È il caso di Topolino sosia di Re Sorcio,3 storia in cui Mickey e Re Sorcio (King Michael XIV, in originale), il re di Medioka, nazione De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO mitteleuropea che versa in grave crisi a causa delle mani bucate del suo reggente, si scambiano di posto per un certo periodo di tempo per permettere al regno di ritornare agli antichi fasti. Come nell’Anfitrione di Plauto ci sono i due sosia, le rispettive fidanzate, le situazioni tragicomiche in cui non si capisce bene chi è Topolino e chi è Re Sorcio, e l’impostazione, cosa assolutamente normale per un fumetto realizzato nel 1937, teatrale, o meglio, cinematografica. La storia si ispira infatti a Il Prigioniero di Zenda, romanzo di Anthony Hope del 1894 e adattato per il grande schermo; non si sa bene se Gottfredson si riferisca all’adattamento del 1922 o a quello del 1937, visto che la data di uscita nei cinema americani di quest’ultimo, 2 settembre 1937, risulta essere successiva alla prima striscia, anche se probabilmente gli studios erano in contatto, cosa che permetteva di sfruttare il gancio con l’attualità.4 La striscia riprende dal film le tematiche e le mescola con le sempreverdi gag del Topo, risultando come una versione alterna- tiva della stessa storia, un doppio cartoonesco che però dei film (e del libro) conserva il fascino e il senso dell’avventuroso. La storia, che permette anche di veicolare una visione tutta americana della politica mitteleuropea del tempo (tanto che la Jugoslavia, riconosciutasi un po’ colpevolmente nel regno di Medioka, ne ha proibito la distribuzione nel suo territoDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 43 rio, rendendola di fatto una delle storie da “lista nera della ristampa” della casa madre), mette per la prima volta Topolino alle prese con un suo sosia arrogante, e facendolo vincere con apparente semplicità sul rivale. Non solo, nel corso del conflitto, il Topo risana il paese ormai in crisi nera, nonostante la scarsa esperienza in materia di buon governo, e fa innamorare di De:FINIZIONI sé la promessa sposa di re Michael. Quasi a voler ribadire dire che l’America rooseveltiana post New Deal insegnava a vivere all’Europa, e non solo.5 La seconda volta che Topolino si imbatte in un doppio avviene anni più tardi, in Topolino e le meraviglie del domani.6 Stavolta il topo più fa- APPROFONDIMENTO moso del mondo compie un viaggio nel futuro, che sebbene avvenga in sogno si rivela decisamente realistico. La storia non è che un pretesto per aggiornare il look di Mickey: è qui che il topo perde la coda (che, per problemi di animazione particolarmente complessa, Walt Disney aveva esplicitamenDe:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 44 te chiesto di eliminare durante la guerra, quando i liquidi erano decisamente ridotti e l’America, così come il resto del mondo, versava in una grave crisi economica7) e acquisisce il look che oggi conosciamo, con la camicia e pantaloncini. Mickey si trova a viaggiare in un mondo che, a prima vista, appare perfetto: i grattacieli enormi ricordano un certo cinema espressionista a là Metropolis di Fritz Lang, i barboni chiedono le elemosina nelle macchine volanti, i bus (anch’essi volanti, come in ogni futuro che si rispetti) trasportano da un continente all’altro della terra in una manciata di secondi, per la gioia di turisti e pendolari. Ma in realtà, non tutto va per il verso giusto, e Peg-Leg Pete, il nostro Pietro Gambadilegno, o forse un suo pronipote, è deciso a conquistare il mondo tramite i Mekka-Men, dei robot-zombi in tutto e per tutto simili agli uomini comuni, completamente alle sue dipendenze. Uno di essi, ovviamente, è un doppio malvagio di Topolino, completamente amorale, fortissimo, sadico, con un gusto generico per la distruzione e un odio del tutto particolare per il suo sosia. Quan- De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO do la situazione si fa disperata di tutti gli ideali e le speranze compare Mimì, creata per essere dell’americano medio), ma fa anla compagna del Topolino-robot, che da contrappunto e da anticima che (ancora una volta) si inna- pazione per quello che sarà l’ultimora di quello in carne e ossa. E mo e più efficace “scontro” con un per lui, nel gran finale, si sacrifica, doppio di Topolino.8 e permette a Topolino di trionfare Siamo nell’America del 1953. La si Gambadilegno e la sua orda di guerra oramai è finita da un pezzo, robot, doppelgänger compreso. ma negli USA gli strascichi si fanQuesta storia permette a Bill Walsh no ancora sentire. Lo spionaggio e (e di conseguenza a Floyd Gott- la paura del comunista è la nuova fredsona) di dare sfogo a tutta la paranoia dell’americano medio, sua passione per il fantastico ed il alimentata da quella celeberrima fantascientifico, in un tripudio di “caccia alle streghe” contro gli ininvenzioni, più o meno plausibili vasori dall’URSS fomentata dal (ma si sa, il futuro visto dal passato senatore Joseph McCarthy. Imè sempre fin troppo possibilista) e provvisamente, scatta la caccia situazioni ottimistiche che servo- al comunista; i cittadini sono nel no principalmente ad esorcizza- panico, perché non è possibile, re gli orrori della guerra in cui gli ovviamente, riconoscere una spia americani sono costretti a vivere sovietica o un simpatizzante del (in questi anni Mickey è una sor- Partito, e lo sconforto entra per ta di “bandiera”, e si fa portatore direttissima nelle case degli ame- De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 45 ricani. Il contraccolpo, ovviamente, si sente anche nella fiction: il cinema e la narrativa di genere vedono il proliferare di invasioni aliene, rapimenti, incontri ravvicinati; la paura di un’invasione degli ultracorpi è cominciata. Le strisce quotidiane di Mickey Mouse, in questo periodo realizzate per la maggiore dal team Walsh-Gottfredson, non sfuggono di certo al sentore comune. In quanto portatore, come si diceva prima, dei sentimenti degli americani, Topolino si ritrova a vivere avventure cupe, talvolta a sfondo orrorifico, entrano in scena regimi, spie, dittature, violenza; quasi come se l’entusiasmo e l’american way che avevano caratterizzato gli anni precedenti fossero d’un tratto scomparsi, lasciando il posto all’inquietudine più pura. De:FINIZIONI La storia forse più rappresentativa di questo sentore è Topolino contro Topolino.9 Di ritorno in città da una non ben precisata avventura precedente, Topolino si ritrova improvvisamente ignorato da amici e vicini. Nella sua assenza, infatti, un suo doppio malvagio ha imperversato in città compiendo i più incredibili misfatti e facendo attenzione a farsi riconoscere da tutti, ma senza mai farsi catturare dalla polizia. La storia, incredibilmente adulta e dal ritmo consapevolmente cinematografico (certi momenti ricordano le scene suspenseful del miglior Alfred Hitchcock), vede contrapporsi il “nostro” Mickey ad un suo clone puramente malvagio, cosa che provoca una grande inquietudine APPROFONDIMENTO nel Topo e in chi gli sta accanto. Simbolica è la scena dello specchio, in cui il protagonista, prima di andare a dormire, si riflette nell’enorme armadio a muro nella sua stanza da letto e compie i gesti più quotidiani: si pettina, si aggiusta il pigiama e via discorrendo. Dopo essersi coricato, però, si rende conto che quell’immagine, che anziché un pigiama indossava un maglione a collo alto, non poteva essere il suo riflesso. E tutto questo scatena una serie di situazioni rocambolesche, tra inseguimenti, scontri sulle strade, sui vicoli e sui tetti della città, una Topolinia per la prima volta inquietante e notturna, fino all’inevitabile happy ending (che però, stavolta, tanto happy non è, visto che Miklos, il De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 46 topo grigio trasformista che aveva preso il posto di Mickey, riesce a farla franca e a dileguarsi). Quello che è interessante è notare la reazione dell’eroe (e dei suoi amici), per la prima volta contrapposto ad un suo doppione assolutamente perfetto, in tutto e per tutto identico tranne che nella morale, e in più di un occasione perde le speranze poiché la situazione pare disperata. Come notano Gori e Stajano ne Il grande Floyd Gottfredson, il confronto è quasi freudiano, la scoperta del proprio lato oscuro, incarnato in Miklos, fa serpeggiare l’ombra del dubbio sul protagonista ma soprattutto sulla gente che di lui si fidava, amplificando il senso di paura e di paranoia che caratterizzava quegli anni. La scoperta De:FINIZIONI che l’altro da sé è in realtà un altro sé entra a pieno vigore nel cosmo di Topolino, e ne influenzerà, nel bene e nel male, anche le successive avventure, sempre più simili a crime stories, con tutto lo sporco e le paure del caso. Il topo grigio tornerà più di vent’anni dopo in un’avventura-remake tutta italiana ad opera di Giulio Chierichini.10 Ma questa è un’altra storia. APPROFONDIMENTO Gottfredson, chine di Al Taliaferro e Ted Thwaites. 4) Cfr. Fossati F., Topolino, storia del topo più famoso del mondo, Gammalibri 1980. 5) Cfr. Gori L., Stajano F., Il grande Floyd Gottfredson – una vita con Topolino, Comic Art 1998, ma anche Becattini A., Floyd & Mickey, Comic Art 1998. 6) Mickey Mouse in the world of to- Note 1) Minnie è un altro doppio, per lo meno grafico, di Topolino, tanto più che nella fondamentale storia di Scarpa Topolino e la Dimensione Delta (Topolino libretto 206, 1959) viene confusa per Mickey da un ancora inesperto Atomino BipBip. 2) Mr. Slicker and the egg robbers, pubblicata dal 22 settembre 1930 al 26 dicembre 1930, scritta e disegnata da Floyd Gottfredson. 3) The Monarch of Medioka, pubblicata dal 9 agosto 1937 al 5 febbraio 1938, testi di Merril de Maris e Ted Osborne e disegni di Floyd De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 47 morrow, pubblicato dal 31 luglio 1944 al 11 novembre 1944, testi di Bill Walsh, matite di Floyd Gottfredson e chine di Dick Moores. 7) Cfr. The man who drew the mouse, an interview with Floyd Gottfredson by David R. Smith, in Mickey Mouse in Color, Pantheon Books 1988 ma anche Becattini A., Floyd & Mickey, Comic Art 1998. 8) Per quanto appena un anno dopo, nella storia Topolino e Billy il Topo (Billy, the Mouse, pubblicata dal 5 marzo 1945 al16 giugno 1945, testi di Bill Walsh, disegni di Floyd Gottfredson, chine di Dick Moores), Topolino si trovi a recarsi nel far west dove viene scambiato per il famigerato fuorilegge Billy The Mouse (che fa il verso al più celebre Kid) in una sorta di commedia parodistica western in tono minore. 9) Mickey’s dangerous double, pubblicata dal 2 marzo 1953 al 20 giugno 1953, testi di Bill Walsh e disegni di Floyd Gottfredson. 10) Topolino e il flagello grigio, di Giulio Chierichini, pubblicata nell’Almanacco di Topolino 264 del 1978. GUEST LIST Rubrica “Ciao, facciamo un doppio”? di Roberto Recchioni Se avete più di una ventina d ‘anni e nella vostra gioventù siete stati frequentatori di quei luoghi mitologici che una volta erano le sale giochi, questa domanda ve la sarete sentita rivolgere almeno una volta. Di solito, a porla era qualche insopportabile ragazzino che cercava di trarvi in inganno per sbattervi fuori dal gioco e prendere il vostro posto, ma certe volte capi- tava pure che a farla fosse un onesto amante dei videogames che, semplicemente, aveva voglia di condividere l ‘esperienza di gioco con qualcuno per sfidarsi, oppure collaborare. Del resto, i videogiochi nascono quasi da subito come esperienza sociale da giocare preferibilmente in coppia, e se “Tennis for Two”, il gioco sviluppato da William Higinbotham nel 1958 non può essere definito un videogioco a tutti gli effetti (non funzionava su un dispositivo video ma su un oscilloscopio), e “Computer Space” (il primo videogioco ufficialmente riconosciuto della storia, uscito nel 1971) offriva la sola esperienza single player, basta arrivare a “Pong” (1972) per imbattersi nella prima istallazione ludica dedicata De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 48 al multiplayer nella storia del media videogioco. Del resto, la scelta di affidare il grado di sfida che un videogame poteva offrire a un avversario umano, nei primi tempi della nascita di questo media era dettata da una precisa necessità tecnica visto che, a causa delle scarse risorse di cui si poteva disporre, era impossibile sviluppare una qualsiasi forma di intelligenza artificiale per gestire un avversario virtuale. Le cose cambiarono GUEST LIST in fretta con l ‘aumento di potenza di calcolo dei computer e, lentamente ma in maniera sistematica, la modalità a due giocatori venne sempre più relegata alla sola sfera degli arcade (i videogames da sala giochi) mentre i prodotti sviluppati per gli home computer (dal Sinclair ZX80 fino al Commodore Amiga) e per le console casalinghe si dedicarono con maggiore interesse al solo singleplayer. Scelta logica visto che in una sala gioco non c ‘era alcun problema a trovare un avversario o un alleato umano mentre non la fruizione casalinga era, in quanto tale, un ‘esperienza più intima e solitaria. E ‘ con l ‘avvento di internet che il multiplayer tornò in maniera preponderante nel mondo dei videogiochi. Grazie alla connessione al world wide web, infatti, non c ‘era più la necessità di trovarsi fisicamente vicini per giocare insieme ma bastava disporre RUBRICA di un modem. La parola “multiplayer” divenne rapidamente sinonimo di gioco su internet e si sviluppò sostanzialmente in alcuni grossi filoni: i giochi competitivi (in cui due o De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 49 più avversari si confrontano nel tentativo di prevalere sull ‘opposta fazione), quelli cooperativi (in cui i giocatori collaborano contro degli avversari mossi da una intelligenza artificiale) e gli universi persistenti (veri e propri mondi, popolati da milioni di giocatori umani, in cui vivere l ‘esperienza di una vita parallela). Al momento in cui scrivo, i migliori (e più popolari) titoli delle rispettive categorie sono i seguenti: per il filone dei giochi competitivi a farla da padrone sono gli FPS (first person shooter), gli sparatutto in prima persona, tutti discendenti diretti di quel “DOOM” che, proprio grazie alle possibilità di essere giocato su internet da più giocatori, spopolò nel lontano 1993. A capitanare questa tipologia di giochi, in questo momento ci sono il fantascientifico “Halo 3” e “Call of Duty 4: Modern Warfare” (è appena uscito il tanto atteso “Killzone 2”). Altro genere molto popolare nel filone dei giochi multiplayer competitivi è quello degli RTS (real time strategy), in cui a farla da padrone (specie in Corea del Sud dove è, praticamente, lo sport nazionale) è ancora il vetusto “Starcraft”, nell ‘attesa che la Blizzard si decida a far uscire la seconda iterazione della serie. Infine, GUEST LIST i prossimi mesi dovrebbero veder tornare sotto la luce dei riflettori i picchiaduro, genere che sul finire degli anni ‘90 era molto popolare ma, che negli ultimi anni, è andato poco di moda. La Capcom, infatti, ha appena dato alla luce il quarto, spettacolare, capitolo della saga di “Street Fighter” e il mondo videoludico si appresta a tornare a sfidarsi a colpi di shoryuken e hadoken. Inutile sottolineare che il gioco sostiene pienamente il multiplayer su internet. Passando al filone dei giochi cooperativi, è impossibile non segnalare come, dopo anni di magra, il genere stia finalmente tornando a fiorire, prima con alcuni titoli di medio livello come “Kane & Lynch” e “Army of Two”, e poi con capolavori assoluti come “Left 4 Dead”, “Fable II”, la serie di “Monster Hunter” (successo fenomenale ma solo in Giappone), e “Gears of War 2”. Per non parlare del fatto che anche “Halo 3” prevede una modalità cooperativa, ovviamente. Sul fronte degli universi persistenti c ‘è davvero poco da dire di nuovo: “World of Warcraft” continua a regnare incontrastato dall ‘alto RUBRICA dei suoi nove milioni di giocatori paganti, sostenuto anche dalla recente espansione “Wrath of the Lich King”. Qualcosina per contrastarlo è stata fatta da “Warhammer De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 50 Online” ma il predominio del gioco di casa Blizzard è assoluto. A conti fatti, quello che risulta chiaro è che poco importa quanto l ‘intelligenza artificiale possa svilupparsi e raffinarsi, le persone continueranno sempre ad amare la sfida e il divertimento che solo uno o più giocatori umani possono garantire. Il “Doppio”, inteso come concetto di gioco in comune (visto tanto come sfida quanto come collaborazione), sta diventando, e diventerà, sempre di più (viste anche le capacità multimediali delle console dell ‘ultima generazione), un mattone preminente del media videogame, fino a quando verrà ritenuto del tutto imprescindibile. Un giorno non ci domanderemo più “a cosa giochiamo” ma “con chi”... e, a essere sincero, io non vedo l ‘ora che quel giorno arrivi. De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO Promethea: la doppia natura dell’esistenza di Andrea Cantucci I due aspetti del doppio In narrativa il concetto del doppio, inevitabilmente, si può sviluppare in due direzioni diverse. Si può trattare, per così dire, di un doppio “esterno”, una copia gemella e/o distorta che un personaggio incontra al di fuori di sé. Se ne hanno esempi in letteratura, dal William Wilson di Edgar Allan Poe a La Maschera di Ferro, e naturalmente anche nei fumetti, da Ekardnam, il doppio malvagio di Mandrake uscito dagli specchi in un episodio del 1944, alla “copia prodiga” che Zio Paperone incontra in una storia di Cimino e Scarpa del 1970, passando per Bizarro, il doppio imperfetto di Superman, e moltissimi altri. Nella maggior parte dei casi, che sia un sosia gemello, un doppelgänger di un’altra dimensione o un banale imitatore, il doppio è quasi sempre un nemico, una controparte negativa dell’eroe, o come minimo una sua versione più stramba o dispettosa che gli procura guai a non finire. Solo negli universi paralleli si incontrano a volte dei De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 51 doppi positivi, ma spesso nascono dalle diverse versioni che un personaggio ha avuto nel corso del tempo e comunque il conflitto tra i due alter ego non è mai escluso a priori (come Capitan America, che una volta si scontrò con la sua versione maccartista degli anni ’50, molto più reazionaria di lui, o come nel caso del solito Superman, che nella recente miniserie Crisi Infinita si è scontrato con la versione più vecchia di sé stesso, per non parlare della battaglia all’ultimo sangue tra i due Superboy che appaiono nella stessa storia). Ad ogni modo, il fatto stesso che il doppio sia visualizzato come un io esterno, ne indica l’estraneità e quindi la distanza rispetto al carattere del personaggio originale. Ci può essere però anche un doppio “interiore”, una diversa personalità che in qualche modo è parte integrante di un individuo e può sostituirsi a lui. Esempi arcaici si trovano nei culti totemici di varie tradizioni, in cui, anche grazie all’uso di droghe, si immaginava di acquistare le fattezze di un proprio “fratello” animale, magari rivestendosi con la sua pelle, come gli Uomini Leopardo africani, i berserker scandinavi posseduti dallo spirito dell’orso, o i presunti stregoni europei che si identificavano coi lupi mannari. Metamorfosi spiegate con interventi magici si trovano poi in molte fiabe popolari, come Cenerentola o Pelle d’Asino, di cui ci sono varianti nei diversi paesi europei. Una delle più emblematiche è la fiaba russa di Sivko Burko, riportata nella raccolta di Afanasev col titolo Morettino, il Cavallo Incantato. Qui lo “sciocco” Ivan, grazie al cavallo magico ereditato dal padre, ogni volta che ne ha bisogno si trasforma in un invincibile cavaliere, e naturalmente nessuno lo riconosce. Ecco in embrione l’archetipo dell’identità segreta dell’eroe, che nelle sue incarnazioni più moderne sarà tutelata prevalentemente attraverso maschere e costumi, a De:FINIZIONI volte rievocanti la pelle dell’animale totemico, piuttosto che per mezzo di arti magiche, anche se, da Zorro-Don Diego in poi, l’apparente differenza di carattere tra il giustiziere e il suo io di tutti i giorni ricorrerà spesso. Dall’ottocento si comincia ad usare anche la scienza, per giustificare la trasformazione nel proprio doppio. È quanto accade al dottor Jekill del romanzo di Stevenson e a molti scienziati dei fumetti, come Bruce Banner, che nel 1962 diventò un Hulk più grosso, ottuso e colorito, o Marny Bannister, che nel 1964 diventò una Satanik molto più affascinante e sexy. Non è certo un caso se il suo nome è simile a quello della protagonista del film Marnie, diretto da Hitchcock in quello stesso anno, in cui una ragazza sviluppa senza volerlo una personalità cleptomane, eppure la schizofrenia, che oggi sarebbe la spiegazione più ovvia della doppia natura di un personaggio, nei fumetti è più suggerita simbolicamente che rappresentata in modo esplicito. Sono descritti APPROFONDIMENTO come chiaramente schizofrenici giusto dei supereroi minori, come il bizzarro giustiziere The Creeper creato da Steve Ditko, oppure l’ambigua Aurora, una degli Alpha Flight di John Byrne. Il caso più tipico è quello de La Spina, una scatenata supereroina disegnata da Dick Giordano negli anni ’70 che non ricordava più nemmeno cosa aveva fatto, quando tornava alla sua solita identità, quella della dolce e pacifica Rosa Forrest. dottor Blake diventava il potente dio Thor picchiando il suo bastone per terra, lo studioso Jason Blood si trasformava nel demone Etrigan recitando formule in rima, il motociclista Johnny Blaze mutava nello scheletrico Ghost Rider al calar della notte, mentre il recente e folle The Mask si impossessa del corpo di chi ne indossa la maschera, fornendo notevoli e strampalati poteri, ma al tempo stesso liberando gli istinti più violenti del fortunato malcapitato, al di fuori di ogni suo Il doppio magico controllo razionale. La stessa cosa accade ad uno schizoide quando La magia invece ha continuato abbandona il falso io dietro cui si ad essere usata abbastanza spes- nasconde nell’apparente normaliso, parallelamente ai “semplici” tà di tutti i giorni e lascia libera di eroi mascherati, per mutare radi- rivelarsi la propria psicosi, la procalmente l’aspetto e le capacità pria schizofrenia latente. È proprio dell’eroe e quindi per far sognare recitando dichiaratamente una anche ai piccoli lettori della metà parte, nascondendosi dietro un del ’900 di poter diventare dei su- ruolo apparentemente diverso da peruomini come Captain Marvel o sé, che chi ha tendenze schizoidi Marvelman, semplicemente pro- riesce finalmente ad esprimere il nunciando una parola. Successi- suo io più vero e profondo; insomvamente, per non essere troppo ma, se normalmente si fa solo finta ripetitivi, si sono escogitati anche di essere sani”, come diceva anche altri sistemi, così il claudicante Giorgio Gaber, per smettere di fingere e essere davvero sé stessi si ha bisogno di indossare una maschera di qualche tipo, esattamente come tanti eroi dei fumetti1. Visto sotto questo aspetto, anche il proprio doppio “magico” potrebbe rivelare semplicemente una parte più vera di sé, una propria diversa natura, più potente, più spirituale o addirittura divina, nascosta sotto un’apparenza banale. È più o meno la stessa riflessione che faceva un personaggio del film Kill Bill di Quentin Tarantino, parlando del personaggio di Superman: nel suo caso il vero io non è quello “normale”, ma quello coi superpoteri. È più o meno anche lo stesso concetto che sta alla base della Promethea di Alan Moore e J.H. Williams III. Qui la protagonista, la giovane studentessa Sophie Bangs, non si traveste, non fa finta di essere qualcun altro, ma permette a qualcosa di più vasto, De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 52 De:FINIZIONI qualcosa che riveste un maggior significato e che esiste ad un livello diverso, di esprimersi attraverso di lei. Del resto non esiste forse un doppio che possa essere considerato più magico di Promethea, perché si tratta di un’idea che APPROFONDIMENTO rappresenta l’essenza stessa della magia, cioè dell’immaginazione concepita come qualcosa che non andrebbe considerato come fittizio, ma che in un certo senso esiste e permea il mondo in cui viviamo, né più né meno di quanto faccia la De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 53 materia. Ovviamente nella serie questi presupposti sono portati alle estreme conseguenze. Attraverso la magia, gli esseri immaginari riescono a prendere sostanza e ad agire nel mondo fisico, allo stesso modo in cui quelli dotati di un corpo fisico possono entrare mentalmente nel mondo immaginario dell’Immateria, un equivalente narrativo di ciò che nei suoi scritti Alan Moore ha definito anche come Ideaspace, uno spazio mentale in cui le idee possono muoversi ed evolversi, fino a prendere apparentemente vita. Questo non riguarderebbe solo l’ambito privato di ognuno, ma coinciderebbe anche con una sorta di inconscio collettivo a cui tutti possono accedere, superando i limiti delle proprie fantasie personali così come un corpo supera i limiti di un’abitazione uscendo di casa2. In questa ipotesi, sviluppata in un fumetto, ma avanzata anche come seria possibilità, si potrebbe intravedere l’esistenza di un doppio magico anche per l’intero mondo in cui viviamo, un doppio la cui presenza è stata più volte sospettata in varie e presunte dimensioni ultraterrene e che invece potrebbe essere chiamato tranquillamente Immaginazione3. Questa teoria è stata sviluppata ed espressa genialmente a fumetti, attraverso immagini raffinate ed evocative, accompagnate da continue sperimentazioni tecniche e grafiche, nell’arco di 32 albi, poi raccolti in 5 volumi, pubblicati sotto l’etichetta America’s Best Comics tra il 1999 e il 2004. Anche la durata della serie non è stata casuale, poiché il 32 è il numero che nella Cabala è associato al viaggio spirituale che partendo dal livello della Terra si dirige verso la Corona Suprema, l’essenza universale indifferenziata che qualcuno superficialmente chiama Dio. De:FINIZIONI Il fuoco dell’Arte Le origini di Promethea sono mostrate in flashback nell’albo numero uno: la figlioletta di un mago egizio è messa in salvo dal padre facendola rifugiare nel luogo in cui vivono gli dèi, prima che dei monaci cristiani vengano a linciarlo e ucciderlo4. Il luogo è Alessandria APPROFONDIMENTO Anche il dio che accoglie la bimba nell’Immateria è un essere doppio, come molti dèi antichi che si identificavano l’uno con l’altro, essendo composto da Toth, dio egizio della scrittura e delle scienze arcane e da Ermes, dio greco dei messaggi e degli incantesimi, che è anche la guida delle anime nell’aldilà. Il caduceo di quest’ultimo, simbolo doppio e magico per eccellenza, diventerà l’attributo principale attraverso cui si incanala il potere di Promethea. La bimba si trasforma quindi in un’idea vivente che può manifestarsi nei due mondi, ma per assumere forma fisica, deve essere evocata dalla fantasia di un mortale e prendere possesso di un corpo ospite che si identifichi con lei. Di volta in volta, nel corso degli anni, è fatta rivivere da poeti, illustratrici e naturalmente autori di fumetti, che proiettandone l’immagine sui corpi propri o di persone a loro care, danno vita a diverse versioni di Promethea, ognuna differente ma tutte ugualmente vere e vitali, che ne mantengono l’aspetto anche dopo la morte, continuando a vivere nell’Immateria. Scrivendo una poesia su di lei, Sophie diventa quindi la nuova Promethea, e come le precedenti deve vedersela con una serie di minacce ultraterrene, “immaginarie” o concrete, da cui deve proteggere sé stessa e coloro che la circondano. Oltre ad occuparsi di magia e immaginazione, si tratta ovviamente anche di una serie sull’Arte con la A maiuscola, trattandosi di tre concetti che per Moore sono strettamente interconnessi, anzi, praticamente identificabili. Molti d’Egitto nel 411 d.C., un’ambien- termini, come “opera” o “creaziotazione non casuale. Nella prima ne”, sono infatti utilizzati sia nei pagina infatti si cita la bella Ipazia, riti esoterici che nell’espressione maestra di filosofia di Alessandria artistica ed entrambe le cose tenuccisa veramente quattro anni tano di dare forma ad un qualche prima da quegli stessi “monaci potere della fantasia sulla materia, guerrieri”, una dei più importanti che è esattamente quello che si martiri “pagani”, eliminati dall’in- esprime in Promethea. Il dono del tolleranza del potere cristiano ap- fuoco all’umanità narrato dal mito pena insediatosi5. di Prometeo, qui diventa il dono De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 54 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO di un fuoco interiore, quello della in cerca di autentica creatività. In Fantasia, della Magia e dell’Arte, Promethea nulla è lasciato al caso, viste come realtà metaforiche, ma pur di ottenere un buon effetto che hanno in sé la capacità di cam- “magico”… biare il mondo in base ai nostri desideri, poiché immaginarlo di- Le quattro armi magiche verso è comunque il primo passo per modificarlo. Moore insomma, Dopo qualche scaramuccia con nelle sue attività artistiche ritiene dei demoni e un primo viaggio di aver compiuto contemporanea- nell’Immateria, che soddisfamente degli atti magici, suscettibili no anche esigenze commerciali potenzialmente di smuovere qual- d’azione e divertimento, Sophie cosa anche nel mondo fisico6. Per comincia a conoscere meglio le esplorare a fondo i territori della Promethee precedenti, che a turfantasia, sostiene anche di essersi no la guidano nei rispettivi territodotato lui stesso di un aiutante ri immaginari e le forniscono memagico, scegliendo come propria taforicamente quattro armi magiguida l’immaginario dio-serpente che, cioè degli insegnamenti che Glicone7. Comunque sia, la sua le diano maggior comprensione e dimestichezza con questi territori potere sia sulla fantasia che sulla appare evidente anche per i pro- realtà. Le quattro armi, ispirate ai fani, soprattutto nei testi delle sue semi delle carte spagnole e napoperformance coi musicisti Tim Per- letane: Coppe, Spade, Denari e Bakins e Dave J8 e naturalmente nelle stoni, in qualche modo coincidosceneggiature di Promethea, pro- no con i quattro strumenti magici fondamente imbevute di forme e della tradizione celtica che si dice teorie esoteriche. i mitici dèi irlandesi, i Tuatha De Le elaborate tecniche con cui que- Danann (Le Genti della Dea Dana), ste storie sulle storie sono realizza- avessero portato da Tir Nan Og (La te, affidate per lo più alle matite di Terra della Gioventù): il calderone un eccezionale disegnatore come di Dagda, la spada di Nuada, la J. H. Williams III e alle chine di un altrettanto raffinato autore come Mick Gray, non sono infatti secondarie, ma, come sempre dovrebbe accadere sia nella magia che nell’arte, sono parte integrante del messaggio. Fin dall’inizio, la composizione delle copertine e delle pagine interne si accompagna a decorazioni simboliche e soluzioni grafiche sempre diverse, in sintonia con i contenuti di ogni episodio, che esprimono quanto non sarebbe possibile dire a parole. Ciò influisce ovviamente anche sul montaggio narrativo delle vignette, spesso disposte anche su due tavole, qualche volta seguendo addirittura un ordine che stravolge con successo l’abituale senso di lettura. Naturalmente questo può creare qualche problema ai lettori più pigri, ma non può mancare di entusiasmare quelli più esigenti e De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 55 pietra di Fal e la lancia di Lug, attributi dei più importanti dèi o eroi d’Irlanda9. Secondo Moore, la coppa rappresenta la Compassione, la spada l’Intelletto, i denari il Mondo Fisico e il bastone la Volontà, ma si identificano anche coi quattro elementi: Acqua, Aria, Terra e Fuoco, a significare che senza l’unione di tutti e quattro la nostra natura non sarebbe completa. E’ interessante notare come l’Immateria vive di metafore che rimandano al mondo concreto; benché teoricamente privo di limiti, nei primi episodi sembra uno specchio deformato della realtà materiale in cui certi eventi restano cristallizzati. Non si può dire comunque che uno dei due mondi, fisico o immaginario, derivi dall’altro; sono due realtà intrecciate inestricabilmente, di cui a volte è difficile stabilire dove si trovino i confini. Bisogna considerare però che le precedenti Promethee non si erano allontanate molto dal mondo materiale. Una di loro, che agiva durante la I Guerra Mondiale, abita un mondo fiabesco dei sogni, la Misty Magic Land (Nebbiosa De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO Terra della Magia), ispirata diretta- le insegni, o le ricordi, ciò che in mente alla Slumberland (Terra del fondo dentro di sé potrebbe già Sonno) in cui agiva Little Nemo sapere. Molte rivelazioni somiglianei fumetti di Winsor McCay ai no ad un risveglio di ciò che è già primi del ’900.10 Un’altra affronta in noi. mostri usciti dai pulps degli anni Pur senza essere freudiani, diventa ’30, in una terra chiamata Hy-Brasil, quindi chiaro, se ci si pensa, che la nome di un’isola mitica della tradi- coppa rappresenta anche il sesso zione celtica (che pare abbia dato e la natura femminile, mentre il il nome al Brasile), ma che qui in- bastone è anche il sesso e il prindica un antico mondo fittizio affi- cipio maschile, come Jack Faust ne a quello in cui si muove Conan insegna alla nuova Promethea il barbaro nei racconti di Robert con una dimostrazione molto, Erwin Howard. Un’altra ancora ap- molto esplicita. Invece nelle carte partiene a storie a metà tra quelle francesi e toscane, appartenenti dei supereroi e quelle dei fumetti evidentemente ad ambienti più rosa degli anni ’50. Ognuna cita raffinati, i semi si stilizzano e si “inuna forma di narrativa popolare gentiliscono”: le coppe diventano di un diverso periodo del ’900, in i cuori, simbolo ancora più chiaro cui l’unico limite è la fantasia degli della compassione, le spade diautori, che è pur sempre un limite. ventano le picche (in inglese spaAnche il mondo di Sophie, una des, “vanghe”, come se l’intelletto New York di un anno 2000 più dovesse anche scavare oltre ad avanzato del nostro, è un luogo essere affilato), i denari diventa- caduceo in un episodio particolarideato da uno scrittore, quindi, a no i quadri (in inglese diamonds, mente sperimentale15, Promethea rigor di logica, dovrebbe anch’es- “rombi” o “diamanti”, quindi ancora si immerge nell’Immateria seso far parte dell’Immateria, ma più legati alla terra e al mondo fisi- guendo la mappa dell’Albero della meglio stare al gioco e fingere che co) e i bastoni diventano i fiori (ma Vita, una struttura evidentemente sia reale, o le domande successive in inglese conservano lo stesso immaginaria messa a punto dalla sarebbero: “Quanto è reale il no- nome, clubs, letteralmente “clave” Cabala, la tradizione mistica ebraistro mondo?” - “Ci sarà qualcuno o “mazze”). ca, a cui sono stati sovrapposti nel che sta immaginando noi?”. Eppu- L’apprendistato della magia, come corso dei secoli moltissimi simboli re il nome Sophie Bangs non sem- dell’arte, non può però essere di diversa provenienza. E’ consibra casuale, anche se Moore dice solo intellettuale e necessita di derata una rappresentazione sinche quando iniziò la serie non esperienze pratiche. L’atto sessua- tetica sia della natura umana che sapeva che un altro scrittore di le con Faust, più che a soddisfare dell’intero Universo, in una stretta nome Bangs avesse già ambien- un vecchio libertino, serve a Pro- corrispondenza tra microcosmo e tato un romanzo in un mondo im- methea-Sophie per comprendere macrocosmo, tra ogni individuo maginario.11 Sophie è diminutivo non solo con la testa, ma con tut- e l’Essere Cosmico che costituidi Sophia, che in greco significa to il suo essere, cosa significa spo- rebbe il doppio privo di limiti di Sapienza, proprio ciò di cui sono starsi su altri livelli di coscienza. Il ognuno di noi16. Libri recenti sulla “amanti” coloro che si dicono filo- cosiddetto sesso tantrico13, crean- Cabala tendono a proporre l’uso sofi.12 Inoltre nella Cabala, la fon- do identificazioni successive con i dell’Albero della Vita per affronte nascosta del Tutto, identificata diversi chakra, le fa sperimentare tare e risolvere anche i più banali con Dio, è chiamata En Soph (l’In- anticipatamente le emozioni con- problemi quotidiani, più che per finito) e Sophie è spesso chiamata trastanti ed estatiche che la atten- pure meditazioni mistiche, tratSoph dall’amica Stacia. Come le dono in quello che sarà il suo viag- tandone i segreti, a questo punto dice il mago Jack Faust prima di gio più importante: l’ascesa verso non più tanto “segreti”, in modo far sesso con lei, “tutto ha un signi- le sfere più elevate della Cabala14. meno serioso e più accessibile, ma ficato magico”. Sophie, che non a anche enormemente semplificato, caso è una studentessa, in quanto L’Albero della Cabala rispetto ai trattati antichi. Senza simbolo non dichiarato della potogliere nulla alla profondità detenziale “Sapienza Infinita” a cui Dopo un periodo di studi con Jack gli studi esoterici di Moore, degli esseri umani possono accede- Faust, ricevuta un’ultima serie di vono essere stati probabilmente re, ha bisogno però che qualcuno insegnamenti dai serpenti del suo manuali “pratici” di questo tipo a De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 56 De:FINIZIONI fornirgli gli strumenti più utili per districarsi nella materia17. La scusa per il viaggio è fornita dalla ricerca dell’anima di Barbara Shelley, la Promethea prima di Sophie, che dopo morta si è addentrata nell’Immateria per ricongiun- APPROFONDIMENTO autori passano a concentrarsi sulle fantastiche rappresentazioni delle sfere cabalistiche, accompagnate da dotte e ironiche dissertazioni filosofiche. I lettori neofiti scoprono così che l’Albero della Vita è diviso in dieci sfere o centri manifesti, chiamati Sefiroth (Numeri), disposti in ordine progressivo a partire dall’alto, identificati tra l’altro coi pianeti e collegati da ventidue “vie” o “strade”, a loro volta identificabili con le carte dei Tarocchi18. Il viaggio di Promethea parte ovviamente dalla Sefirah di Malkut, il “Regno”, che corrisponde al pianeta e all’elemento Terra ed è il piano materiale su cui viviamo fisicamente, mentre dentro e attorno a noi si svolge il “discorso divino”.19 Da qui prende la 32° via, corrispondente alla carta dell’Universo (o “Il Mondo”), che raffigura una donna che danza con un serpente.20 Supera poi il fiume Stige, che nei miti greci divide il mondo dei vivi da quello dei morti, e giunge alla Sefirah di Yesod, il “Fondamento”, che corrisponde alla Luna ed è legata alla sessualità21 e ai sogni, che già nella Cabala si identificavano con un abisso della coscienza analogo al Subconscio. Qui Promethea, in mezzo a immagini di personaggi reali e fantastici, tra cui vari “viaggiatori lunari”, ritrova la propria amica e proseguono insieme la ricerca. L’associazione tra il mondo inconscio dei sogni e il regno dei morti mitologico è esplicita22. Qui si possono incontrare solo parvenze di vita, dei sogni appunto, doppi inconsistenti e prevedibili delle vite reali; per trovare i simboli che danno forza e sostanza all’anima occorre andare oltre. Percorrendo a ritroso la “folgore” dell’Albero della Vita, ovvero la gersi allo spirito del marito. Da strada simbolica che avrebbe comquesto momento gli elementi più piuto lo Spirito Divino per manifeavventurosi e dinamici, già mes- stare il Mondo, prendono quindi la si da parte più d’una volta, sono via che equivale alla carta del Sole delegati alle apparizioni saltuarie e che le conduce alla Sefirah di di un’altra Promethea che sostitu- Hod, lo “Splendore” (o “Maestà”), la isce Sophie sulla Terra, mentre gli sfera di Mercurio, associata anche De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 57 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO all’omonima sostanza, che è il re- “Bellezza” (o “Gloria”, detta anche gno dell’intelletto razionale e del Rachamim, “Pietà”), sfera del cenlinguaggio. Qui trovano gli dèi del- tro della coscienza che si identifica la magia che avrebbero inventato col Sole e con l’Oro e rappresenta Promethea e i loro corrispondenti il punto più alto della personalità di altre culture, oltre ad alcuni mo- umana, l’io di ognuno di noi che derni maghi. Poi attraversano la via coincide con quello dell’Universo, della Torre e passano nella Sefirah la voce percepibile del respiro didi Netzach, la “Vittoria” (o “Eternità”, vino, ovvero suo figlio.24 o “Pazienza”), sfera dei sentimenti Viene poi la strada della Giustizia istintivi e del pianeta Venere, che che le porta alla Sefirah di Gebubilancia quella dell’intelletto ed è rah, la “Forza” (o “Potenza”, detta associata all’elemento Acqua.23 Il anche Din, “Giustizia”), la sfera di successivo passaggio cruciale è la Marte associata all’elemento Fuovia della Morte, che è indispensa- co, che rappresenta la volontà e bile accettare e superare, rinun- il giudizio della parte superiore ciando al proprio io terreno, per dell’Anima, un luogo pericoloso accedere alla Sefirah di Tifareth, la se ci si identifica troppo con esso De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 58 perché può portare a eccessiva severità e distruzione, ma da lì la via della Forza le conduce alla Sefirah che lo bilancia, Chesed, la “Misericordia” (o “Amore”), sfera del pianeta Giove associata all’Aria (ma anche all’Acqua, per contrapporla al fuoco di Geburah), in cui ci si identifica con la benevolenza paterna, l’aspetto creativo e protettivo degli dèi del cielo. Da questo punto però non c’è sull’Albero un sentiero diretto che porti alla sfera successiva lungo la “folgore divina” e del resto nei miti sembra che la folgore venga da qui, dalla mano di Zeus o dal martello di Thor. Si direbbe che abbia percorso una De:FINIZIONI via che non esiste più, o che solo la Divinità poteva percorrere. Inoltre lungo la sua strada è posta una sfera occulta priva di numero, chiamata Daath, la “Conoscenza”25, nel punto in cui un “abisso” divide le sfere degli archetipi dell’Anima da quelle più alte, appartenenti direttamente allo Spirito Divino. In realtà sulla “mappa” ci sarebbero altre strade secondarie che potrebbero portare lassù26, ma è chiaro che Moore, come autore, non ama le comode scorciatoie, quindi deve far superare alle sue eroine quel baratro e lo fa creando qualcosa di originale, enigmatico e, come sempre, geniale, in cui si intravedono soprattutto gli echi delle opere di Howard Phillips Lovecraft. In qualche modo riescono dunque a raggiungere la terza Sefirah, Binah, la “Comprensione” (o ”Intelligenza”), la stabile sfera di Saturno, che rappresenta l’amore e la consapevolezza spirituale, il principio passivo, la parola interna non udibile, il “Mondo Futuro” a cui tornano le anime. Qui appare loro la doppia natura dell’aspetto più alto della Dea Madre, di cui la stessa Promethea non è che un aspetto. Poi la via dell’Imperatrice, un altro simbolo del potere generativo della Dea, le porta alla seconda Sefirah, Chokmah, la “Saggezza” (o “Sapienza”), il pensiero abissale che rappresenta la volontà e il fine dello Spirito Divino, che origina e governa ogni attività e dinamismo27, il principio maschile che si unisce al principio femminile e che Moore e Williams rappresentano senza nessuna soggezione o censura dogmatica. L’11° sentiero, quello del Matto, le porta infine a ritrovare il marito di Barbara nella prima Sefirah, Kether ‘Eliyon, la “Corona Suprema” (chiamata anche Ayn, il “Nulla”), l’Io Universale in cui tutte le differenze si dissolvono, il punto abbagliante senza dimensioni o movimento, il vuoto in cui l’Infinito si manifesta e da cui scaturisce il Tutto.28 APPROFONDIMENTO Ogni tappa, compresa l’ultima, è rappresentata con una cura e un’attenzione ai minimi dettagli che rasenta la perfezione Questo viaggio potrà anche risultare un po’ noioso per chi si entusiasma solamente quando può tifare tra due energumeni che se le suonano, ma è quanto di più vicino alla Divina Commedia sia mai stato realizzato nel mondo del Fumetto29, anzi, senza entrare nel merito artistico, Moore usa delle allegorie più universali di quelle di padre Dante e pur rivendicando una certa sostanza alla fantasia, ha l’accortezza di tenere separati i diversi piani, senza confondere le metafore con delle realtà concrete. Doppia battaglia tra esseri duplici Promethea n. 24 è l’ennesimo numero particolarmente originale in una serie in cui non esistono episodi banali. Sophie si deve scontrare con la Promethea che aveva lasciato al suo posto e che è un po’ refrattaria a ritornarsene in pensione. Fin qui niente di strano; è solo la conferma che le diverse versioni di un personaggio tendono a litigare abbastanza spesso. Senonché assistiamo in parallelo al flashback di un lontano ricordo sepolto, di un’epoca in cui ci furono contemporaneamente due Promethee, una cristiana e una musulmana, incapaci di comprendersi e destinate a combattersi senza esclusione di colpi, pure essendo due forme della stessa persona. Mentre passato e presente si confondono, assistiamo quindi ad un doppio conflitto tra due coppie di fantastici doppi magici incarnati in corpi di donne diverse, che però condividono essenzialmente una sola natura ed una sola anima. Se qualcuno ne ha voglia, può anche approfittarne per chiedersi se quando combattiamo qualcuno non stiamo per caso combattendo noi stessi, o riflettere su quale sia il senso di considerare sempre giusta la nostra violenza e sbagliata solo quella degli altri. Non male in fondo, per un episodio su una semplice “scazzottata”. L’Apocalisse prossima ventura Il quinto e ultimo volume della serie è ambientato tre anni dopo il quarto; nel frattempo Sophie Bangs ha tentato di evitare i suoi doveri di Promethea, perché sembra che questi comprendessero qualcosa di cui la maggior parte della gente ha una cattiva opinione: la fine del Mondo. Cosa sia poi questa “fine del Mondo” non è del tutto chiaro e non si può certo essere così crudeli da anticiparlo qui. Comunque di Apocalissi ne sono già state raccontate tante, soprattutto se si considera che ancora De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 59 De:FINIZIONI non ne è mai capitata nessuna. Le più belle, come sempre, sono quelle mitologiche, che se non altro hanno il pregio di poter essere interpretate in molti modi. Nei miti dell’India30 come nel Ragnarok della Scandinavia31, nonostan- APPROFONDIMENTO mondo. La morale è che l’esistenza è un ciclo, perché nasca qualcosa di nuovo deve morire il vecchio e da ogni fine può rinascere qualcosa. Invece nelle religioni monoteiste o legate ad un presunto profeta storico, che si chiami Siddharta, Jesus o futuro Messia, c’è questo dio umanizzato, o essere umano divinizzato, a cui viene lasciata la bella responsabilità di venire alla fine di tutto a constatare i disastri che si saranno combinati nel frattempo, a rimettere a posto in qualche modo i cocci e a spengere la luce definitivamente dietro di sé allo scadere dell’orario di chiusura. Il ciclo conclusivo di Promethea prende qualcosa da entrambi questi modi di concepire la fine, ma non sposa completamente nessuno dei due. Per la verità non si può dire che la rivelazione finale della storia giunga del tutto inattesa, per lo meno per chi si intende minimamente di cose esoteriche, anche perché Moore, nel suo desiderio di diffusione della sapienza misterica, aveva distillato tutta una serie di rivelazioni continue, un po’ per volta, nel corso della serie e, così facendo, inevitabilmente aveva già anticipato molto. Un lettore smaliziato insomma potrebbe anche intuire a grandi linee cosa lo attende nell’ultimo volume, al di là del fatto che la storia è come sempre narrata in modo meraviglioso, col notevole apporto dei “dipinti fotografici” di Josè Villarubia e ricorrendo in modo inatteso anche ad elementi quotidiani che vengono caricati di un significato magico senza limiti. Benché ci sia all’inizio un incontro-scontro con Tom Strong, l’eroe più classico dell’universo mooriano di America’s Best Comics, che richiama anche nella te certi elementi cruenti, c’è un grafica le storie degli anni ’70 sul aspetto consolante: dopo la fine genere di “Superman contro Wondel mondo attuale ne nascerebbe der Woman”32, non vengono fatte un altro, con degli dèi nuovi di zec- poi troppe concessioni a logiche ca, probabilmente destinati a loro commerciali o stereotipate. La volta a scomparire per poi essere realtà apparente delle cose viesostituiti da altri insieme al loro ne semplicemente scardinata più De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 60 De:FINIZIONI volte e poi ricomposta. La doppia natura dell’esistenza risulta ormai evidente agli occhi di chiunque voglia vederla. Il dirompente potere della fantasia si mostra in tutta la sua innegabile verità e poi si nasconde ancora dietro tentativi di spiegazioni razionali. La protagonista cresce, matura, cambia e compie azioni definitive e “irrimediabili”, senza nessuna apparente possibilità di tornare sui suoi passi. Sullo sfondo intanto, personaggi estremi, colti nel loro più estremo momento di inquietudine, tentano di cogliere le loro ultime occasioni prima della fine… Si potrebbe continuare a cercare APPROFONDIMENTO di dire tutto senza dire niente, ma accontentarci dell’edizione in voquello che comunque è veramen- lume, con allegata una copia del te affascinante e rivoluzionario in duplice poster in versione ridotta. questa Apocalisse, è che ad accoglierci, alla fine, una volta tanto ci sia una bella donna. Titolo: Promethea (serie di 5 voluDopo che tutto è finito, l’epilogo mi) del 32° ed ultimo numero è l’en- Testi: Alan Moore nesima sperimentazione estre- Matite e dipinti: J. H. Williams III ma: un albo spillato le cui pagine (con la collaborazione di Charles sono singole vignette di una dan- Vess e Josè Villarubia) za, contenenti molte utili e curio- Chine: Mick Gray se informazioni, che spaginate Colori digitali: Jeremy Cox e riunite insieme compongono Edizione italiana: Magic Press due poster che riproducono due Formato: variabile tra 168 e 192 volti di Promethea, realizzati con pagine un misto di tecniche pittoriche e Rilegatura: in brossura con bandigitali. In Italia però dobbiamo delle De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 61 De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO Prezzo: variabile tra € 13 e € 15,50 a volume Su Promethea vedere anche www.segretidipulcinella.it/sdp19/ art_02.htm Note 1) Sul carattere schizoide e schizofrenico vedere ad esempio il volume di Ronald Laing “The Divided Self”, Tavistock Publications 1959 – edizione italiana “L’Io Diviso”, Einaudi 1969. 2) “Lo spazio all’interno della nostra casa è interamente nostro, eppure se facciamo un passo fuori dalla porta d’ingresso ci ritroviamo in una strada, in un mondo che è mutuamente accessibile e aperto a tutti. E se questo fosse vero anche per la mente? E se potessimo viaggiare oltre i confini dello spazio mentale individuale verso lo spazio comune esterno, dove potremmo incontrare le menti di altre persone in uno spazio condiviso? Questo potrebbe spiegare di colpo fenomeni controversi come quella che viene definita telepatia o trasmissione delle conoscenze a distanza, ma spiegherebbe anche dei fenomeni più ordinari, anche se altrettanto intriganti. Quando James Watt scoprì la propulsione a vapore, per esempio, ci fu un gran numero di altri inventori a cui venne la stessa idea nello stesso anno, in modo del tutto indipendente…” (da “Alan Moore intervistato da Eddie Campbell” – traduzione di Smoky Man – introduzione al volume “Serpenti e Scale” di Moore e Campbell, edizione italiana Black Velvet Editrice 2003). 3) “Quando venni per la prima volta sito Ultrazine.it). iniziato alla magia, si trattò di un evento 4) Con gli editti di Tessalonica (380 d.C.) spontaneo, non stabilito: i miei pensieri e Costantinopoli (392 d.C.) emanati parvero focalizzarsi su un argomento, che da Teodosio, il Cristianesimo diventò la consapevolezza è uno spazio, la mente religione ufficiale di stato dell’Impero può essere osservata come uno spazio Romano e gli altri culti vennero aboliti e e quello spazio può essere occupato. Ci dichiarati fuori legge. possono essere entità che sono indigene 5) Nel 415 d.C., il patriarca cristiano di di quello spazio. Flora e fauna del Alessandria d’Egitto, Cirillo, istigò i suoi mondo mentale, il ché credo sia più che monaci combattenti ad uccidere la nota sufficiente a spiegare tutti i demoni, gli “maestra di filosofia” Ipazia (Hypatia: 370angeli, le chimere, gli alieni grigi, gli elfi, 415 d.C.), figlia di Teone, matematico e i folletti, le fate della cultura umana.” (da Rettore dell’Università di Alessandria. un’intervista ad Alan Moore, a cura di Barry Donna di grande saggezza versata Kavanagh - traduzione di Smoky Man dal in filosofia, matematica e astronomia, De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 62 Ipazia aveva fondato una scuola rinomata, rivolgendo i suoi insegnamenti soprattutto alle giovani donne, per emanciparle dall’atteggiamento maschilista dell’epoca. (…) Cirillo ordinò la sua cattura e la mandò a morte, in una chiesa, facendola scarnificare viva con conchiglie taglienti; i suoi resti furono gettati in una cloaca. (…) Cirillo fu in seguito canonizzato dalla chiesa ed ancora oggi viene celebrato ad Alessandria il 9 Febbraio e nelle chiese latine il 28 Gennaio. Ipazia era talmente stimata e apprezzata per la sua brillante intelligenza che il suo assassinio è stato considerato da molti come la morte De:FINIZIONI del mondo e della cultura pagana. (…) Anche i suoi discepoli furono uccisi, gli scritti bruciati ed i suoi insegnamenti andarono in parte perduti. Alcuni suoi lavori, conosciuti anche in Oriente, vennero tradotti in arabo e furono resi APPROFONDIMENTO noti in Occidente dopo oltre mille anni di silenzio. (Sintetizzato dal sito Alatheus. it) - Ipazia è apparsa anche in un fumetto, nella storia di Corto Maltese “Sirat Al-Bunduqiyyah - Favola di Venezia”, realizzata da Hugo Pratt nel 1977. De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 63 6) “Non faccio distinzioni tra magia e arte. Quando mi misi nella magia, compresi che lo avevo fatto per tutto il tempo, da quando scrissi la mia prima patetica storia o poesia quando avevo dodici anni o qualsiasi altra cosa. Questa è stata la mia magia, il mio modo di averci a che fare.” (da un’intervista ad Alan Moore, a cura di Barry Kavanagh - traduzione di Smoky Man dal sito Ultrazine.it). 7) Glykon fu un dio venerato per breve tempo in Dacia, oggi parte della Romania, nel II secolo d.C. 8) Sulle performance di Alan Moore e le versioni a fumetti di Eddie Campbell che ne sono state tratte, vedere articolo “Alan Moore: Eroi, orchi e serpenti”: www. de-code.net/approfondimenti_scheda. asp?tipo=1&id=10. 9) Sia la Spagna che la Francia, in cui gli attuali semi e figure furono aggiunti alle carte da gioco provenienti dai paesi arabi, erano e sono abitate da popoli d’origine celtica. Le quattro armi magiche dei Thuata De Danann sono anche al centro di una storia a fumetti della serie di Slaine, The Horned God, scritta da Pat Mills, dipinta da Simon Bisley e liberamente ispirata a leggende irlandesi (edizione italiana: Il Dio Cornuto, Magic Press). Il tema di queste quattro armi mitiche è stato sviluppato, in modo molto diverso, anche da Alfredo Castelli nella sua serie di Martin Mystère, ipotizzando una loro improbabile origine extraterrestre. 10) Su Little Nemo di Winsor McCay, vedere l’articolo “Da Freud a Little Nemo… e oltre - Viaggio cosciente nei sogni a fumetti”, alla pagina www.segretidipulcinella.it/ sdp19/art_02.htm. 11) Si tratta di John Kendrick Bangs, autore di “Un Houseboat sullo Stige”, Harper 1896. Moore ha usato il suo libro come spunto per Promethea n. 14, spacciandone l’autore per un “lontano zio” di Sophie. 12) In greco, Filosofia significa letteralmente “Amore per la Sapienza”. Sophia o Sofa era anche un appellativo di Athena, in quanto dea della Sapienza. Nel Cristianesimo gnostico, Sophia è la luce nata dalla Fede che separa il cosmo dal Caos sottostante, cioè dall’illimitato abisso oscuro delle acque primordiali, secondo il mito delle origini del testo De:FINIZIONI copto Pistis Sophia (rinvenuto con altri a Nag Hammadi, in Egitto, nel 1945 e risalente al 400 d.C.). In Promethea n. 21, Moore identifica la Sophia con la Shekinah, la Presenza Divina della Cabala, che si manifesta discendendo nella sfera materiale di Malkut, così come Promethea si manifesta nel corpo di Sophie. 13) Col termine “sesso tantrico” si indicano impropriamente atti di “magia sessuale” ispirati a teorie dalle filosofie indiane dello Yoga e del Tantra, ma in India non risulta sia praticato fisicamente, almeno non da adepti ortodossi delle attuali religioni locali, che nonostante l’uso di simboli sessuali, come il linga (il sesso maschile) e la yoni (il sesso femminile), attuano una repressione dei propri istinti APPROFONDIMENTO anche maggiore di quelle occidentali. 14) Da sempre le discipline magiche tendono ad identificare strutture simboliche di diverse tradizioni mistiche. I sette chakra indiani (una sorta di centri energetici), si possono far coincidere con i sette livelli dell’Albero della Vita cabalistico ed entrambi si possono sovrapporre a punti del corpo umano in modo abbastanza coerente. 15) In Promethea n. 12 si sovrappongono in modo coerente: la storia del mondo narrata in rima dai serpenti, le figure dei Tarocchi, degli anagrammi del nome Promethea e una barzelletta raccontata dall’occultista Alistair Crowley. Ogni pagina è una vignetta che continua nella successiva e l’ultima si collega alla prima. De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 64 Il senso può essere che, nella magia, le corrispondenze (artificiose o meno) unificano i concetti e svelano le verità comuni. 16) Nei testi cabalistici raccolti sotto il nome di Zohar (Il Libro dello Splendore) si fa anche una distinzione interna all’Albero della Vita tra “Grande Volto” (o “Volto Maggiore”) e “Piccolo Volto” (o “Volto Minore”), descritti minuziosamente come simboli della doppia natura dello Spirito Divino e dell’Anima, ovvero metaforicamente il Padre e il Figlio, che si riflettono l’uno nell’altro. 17) Vedere il libro di Will Parfitt “The Elements of the Qabalah”, Elements Books Limited 1991 – edizione italiana “La Cabala”, Oscar Mondadori 2000 – un De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO e genitali, dove l’energia femminile di Kundalini è attorcigliata su sé stessa come un serpente (sul significato di questo simbolo, vedi nota 20). 20) Moore ritiene che rappresenti l’Immaginazione che si intreccia con laVita (identificando il Serpente con la doppia elica del D.N.A.). In effetti la Dea Madre dei culti antichi (identificabile anche con Maya, l’Illusione) è spesso associata al Serpente, simbolo di trasformazione e rinnovamento legato agli elementi e in genere a tutto ciò che fluisce, come i fiumi a cui assomiglia, l’energia, il Tempo e come appunto la Vita. L’interpretazione di Moore ha il solo difetto di essere un po’ restrittiva, poiché in molti miti il Serpente, in quanto simbolo del fluire dell’esistenza, è associato anche ad eventi manualetto di Cabala semplificata che descrive esattamente la stessa struttura e le stesse corrispondenze dell’Albero della Vita utilizzate da Moore per Promethea. 18) In versioni antiche le Sefiroth si identificano anche coi vari nomi di Dio, gli Arcangeli, le gerarchie angeliche e addirittura con ordini demoniaci e Arcidiavoli, che ne costituirebbero l’aspetto negativo, nascosto nei cosiddetti Qliphoth, i “gusci” che ne restano quando se ne allontana lo Spirito Divino. Le Sefiroth e le vie che le uniscono possono essere associate anche a divinità, animali, piante, pietre, elementi, lettere, punti cardinali o segni zodiacali, rappresentando tutte le forme in cui si manifesta la Divinità e quindi l’intero Universo. – L’identificazione delle ventidue vie con i ventidue Tarocchi maggiori è dovuta ad occultisti del XIX secolo, mentre in origine il loro numero era messo in relazione soprattutto con le ventidue lettere dell’alfabeto ebraico. 19) La Sefirah di Malkut si identifica anche con la Shekinà, la “Presenza Divina”, in quanto manifestazione fisica della Divinità, ed è quindi chiamata anche Regina o Moglie (di Dio). - Nello Yoga corrisponderebbe al chakra Muladhara, il “Sostegno alla base”, collocato tra ano De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 65 ciclici naturali come alluvioni o siccità e non unicamente agli esseri viventi. Un grande serpente, o più esattamente un drago, di nome Nidhogg, si trova anche alle radici di Yggdrasill, il frassino cosmico che costituisce un equivalente dell’Albero cabalistico nella tradizione nordica. 21) In origine Yesod rappresenta il simbolo della circoncisione, considerata il “fondamento” del culto ebraico. - Nello Yoga sarebbe il chakra Svadhisthana, “Che sta al proprio posto”, alla base dell’organo genitale. 22) Lo stretto rapporto tra i simboli degli Inferi e quelli dell’Inconscio è stato trattato diffusamente nel 1979 dallo psicologo James Hillman, nel suo libro “The Dream and the Underworld” – edizione italiana “Il Sogno e il Mondo Infero”, Adelphi 2003. De:FINIZIONI APPROFONDIMENTO fa dire a Sophie che “non ci sono vie che partono dalla quarta sfera”. In effetti, oltre a tre vie che tornano indietro, ci sarebbe stata la 16° strada, quella del Papa, che però avrebbe avuto il difetto di passare direttamente alla seconda sfera saltando la terza, quella della Madre Divina (si sa, i papi negano da sempre l’aspetto femminile della Divinità…). 27) Nella Bibbia, Binah corrisponde alle acque primordiali, mentre Chokmah, che nella Cabala moderna è stata associata al pianeta Nettuno, corrisponde allo Spirito di Dio che aleggia sulle acque. Binah e Chokmah nello Yoga corrispondono al “terzo occhio” tra le sopracciglia, Ajna, “Dove si realizza il comando”; infatti quando Promethea visita queste due sfere appare sulla sua fronte un terzo occhio inscritto in un triangolo. – In Binah, sfera di Saturno, Moore inserisce anche delle falene di una specie chiamata Saturniae Promethea, “Promethea di Saturno”, della cui esistenza pare non fosse a conoscenza quando iniziò a scrivere la serie. 28) Nella Cabala moderna, Kether è fatta coincidere col pianeta Plutone, probabilmente perché anche l’antico dio degli Inferi rappresentava il Nulla che segue o precede l’esistenza. Nello Yoga corrisponderebbe al chakra Sahasrara, il “Loto dai Mille Petali”, alla sommità del 23) Hod e Netzach, nello Yoga corrisponderebbero al chakra Manipura, la “Città della Gemma”, nella zona dell’ombelico, in cui si concentrano le tendenze possessive che in effetti possono essere comuni sia all’ambito intellettuale e razionale che a quello sentimentale e istintivo. 24) Tifareth rappresenta la pietà, in quanto intermediaria tra le sfere superiori del Giudizio e dell’Amore. Nello Yoga sarebbe il chakra del cuore, Anahata, “Che risuona senza colpo”, il luogo in cui gli opposti si uniscono. 25) Nella cabala moderna, Daath è stata identificata col pianeta Urano, un tempo sconosciuto, mentre Moore ha preferito un’altra soluzione. Nello Yoga corrisponderebbe al chakra della gola, Vishudda, il “Purissimo”. 26) Una delle pochissime imprecisioni di Moore è quando, su Promethea n. 20, De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 66 De:FINIZIONI capo, appena sotto o appena sopra la calotta cranica. 29) La struttura dell’Universo della Divina Commedia è simile ad un’altra immagine cabalistica delle Sefiroth: l’Adam Qadmon, l’“Adamo Celeste”, l’Uomo Cosmico inscritto in dieci sfere concentriche, il cui punto centrale, la Sefirah di Yesod, coincide con il suo sesso e corrisponde APPROFONDIMENTO anche alla posizione dell’Inferno dantesco. Dante prima scende negli Inferi e poi risale dall’altra parte della Terra, ma la sua direzione non cambia, come se percorresse in linea retta l’Albero della Cabala, da Malkut verso Kether. Quindi il cunicolo che dal centro della Terra lo porta all’isola del Purgatorio e poi il monte del Purgatorio stesso De:Code 2.0, n.1, marzo 2009 pag. 67 corrisponderebbero alla via dell’Arte, che si interseca con quella della Torre e che conduce a Tifareth, la sfera del Sole. Questa si può considerare in relazione con il giardino dell’Eden che è in cima al Purgatorio, dove Dante invoca Apollo e vede sorgere un Sole che lo illumina. L’albero proibito della Conoscenza, che sovrasta l’Eden, può essere in relazione con la Sefirah occulta della Sapienza, Daath, o con le Sefiroth superiori in genere, come dice anche il testo cabalistico dello Zohar. Saranno coincidenze, ma mentre la guida di Dante lungo la “via dell’Arte” era un artista, Virgilio, lungo l’equivalente della via della Papessa, che porta da Tifareth a Kether, lo accompagna invece una donna, Beatrice. I nove cieli del Paradiso dantesco più quello della Terra sono poi identici ai dieci cerchi dell’Adam Qadmon e rappresentano le stesse sfere dei pianeti cabalistici (quelli conosciuti dagli antichi) associate a significati più o meno analoghi e poste nello stesso ordine, anche se numerate in senso inverso. Infine l’Empireo di Dante corrisponde perfettamente a Kether. 30) Il principale mito apocalittico indù, dice che l’ultima incarnazione di Vishnu, chiamata Kalkin, col suo cavallo bianco e la sua spada fiammante “purificherà” il Mondo dal male, ponendo fine al Kali Yuga, l’attuale “Età Perdente”, a cui, dopo un crepuscolo di 360.000 anni, seguirà un nuovo Krta Yuga, o ”Età Perfetta”. 31) Il Ragnarok, o Crepuscolo degli Dèi, degli antichi popoli nordici, in cui i Troll e i Giganti insorgeranno contro gli dèi di Asgard e l’oscuro dio Surtur salirà dall’abisso con la sua spada di fuoco a incendiare il Mondo, è stato narrato anche a fumetti, da Lee e Kirby in due puntate di Tales of Asgard del 1966, e poi ha minacciato di verificarsi più volte nelle storie di Thor. La versione operistica germanica, capitolo conclusivo del ciclo dell’Anello di Wagner, è stata adattata a fumetti due volte, da Roy Thomas e Gil Kane e da P.Craig Russell. 32) Per la precisione, la copertina di Promethea n. 27 è dichiaratamente ispirata a quella disegnata da Ross Andru per l’albo speciale “Superman contro l’Uomo Ragno” – edizione italiana Editoriale Corno 1976. http://www.de-code.net http://www.glamazonia.it/ http://www.glamazonia.it/board/index.php http://www.glamazonia.it/board/de-code-2-0-f-59.html