anno VII
numero 63
aprile 2010
PUGLIA SOPRA
LE RIGHE
PUGLIA SOPRA LE RIGHE
E non te lo spieghi. Passi i giorni a fare tutto il
possibile per te e per le persone che ami e alla
fine un fulmine spegne la luce. In momenti come
questi, quando c’è solo e buio e silenzio capisci
alcune cose.
Che ci sono vite veloci che lasciano il segno, vite
normali e vite speciali, persone messe su questo
pianeta per fare qualcosa, altre investite di una
missione, di una sensibilità verso il mondo diversa, tanto forte, delle volte, da poter rompere un
cuore. Chi fa il nostro lavoro, quello del giornalista, dinanzi a notizie come questa si sente un
uomo piccolo, incapace e inutile. Chi fa questo
mestiere come lo faceva Michele Frascaro ha un
senso, tanto da essere impopolare e allo stesso
tempo conosciuto da tutti.
Non ho mai avuto coraggio, chi mi conosce lo sa.
Michele ne aveva al punto da regalarlo agli altri,
una passione generosa e contagiosa.
Anche se noi di Coolclub.it più che militanti
siamo millantanti ed effimeri più che impegnati, siamo da sempre vicini ai compagni di Paz e
all’Impaziente.
Perché come per loro prima che il lavoro è l’amore a legarci, di quello fraterno.
E quando un fratello muore, tutto si ferma. Michele se n’è andato il 21 marzo e questo numero
non può che essere dedicato a lui. A chi resta,
oltre alle lacrime e ai ricordi, la piccola storia di
un grande uomo.
Su questo non voglio aggiungere altro. Molti
hanno detto anche troppo.
Non senza difficoltà abbiamo, alla fine, chiuso
questo numero del giornale e con esso la trilogia dedicata alla cultura in Puglia. Un numero
dedicato alla scrittura, alla nuova stagione della
letteratura pugliese a quello che, forse solo in
apparenza, è un rinascimento pugliese. Abbiamo
cercato di capire se la vivacità registrata in questi ultimi anni sia frutto di una crescita o semplicemente il riconoscimento di una scena che
da sempre è popolata di grandi autori. Quello
che conta è che questo sud sa raccontarsi e farsi
leggere da sempre più persone, che la Puglia approda ai grandi editori, ai premi e alla direzione
editoriale di collane e case editrici. Una Puglia
“migliore” che ci piace festeggiare nel giorno in
cui, mentre scriviamo, si gioca il destino politico
dei prossimi anni che ci auguriamo di raccontare ancora, con lo stesso entusiasmo di sempre e
con l’imbarazzo di dover scegliere tra tante cose
belle.
Osvaldo Piliego
Editoriale 3
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Anno 7 Numero 63
aprile 2010
Iscritto al registro della
stampa del tribunale di Lecce
il 15.01.2004 al n.844
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
Cesare Liaci, Antonietta
Rosato, Dario Goffredo,
Pierpaolo Lala
Hanno collaborato a questo
numero: Vincenzo Santoro,
Mara Barone, Tobia D’Onofrio,
Dario Quarta, Lori Albanese,
Dino Amenduni, Valeria
Blanco, Arcangelo Licinio,
Stefano Donno. Omar Di
Monopoli, Michela Carpi
In copertina: un piede, dei libri
Ringraziamo Manifatture
Knos, Officine Cantelmo,
Cooperativa Paz di Lecce e le
redazioni di Blackmailmag.
com, Radio Popolare
Salento, Controradio di Bari,
Mondoradio di Tricase (Le),
Ciccio Riccio di Brindisi,
L’impaziente di Lecce,
quiSalento, Lecceprima,
Salento WebTv, Radiodelcapo,
Musicaround.net.
Progetto grafico
erik chilly
Impaginazione
dario
Stampa
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Chiuso in redazione gioendo
per Nichi e pensando a Michi
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abbonamenti:
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3394313397
PUGLIA SOPRA LE RIGHE
Una scrittura di migrazioni 6
La letteratura si nutre di partenze 8
Le mode sono sempre effimere 10
Dieci libri 16
musica
Two Door Cinema Club 18
Sophia 22
Recensioni 28
Salto nell’indie - Indie Box 40
Libri
Sergio Rubini 42
Carlotta De Melas 44
Recensioni 48
Cinema Teatro Arte
Nel Salento delle mine vaganti 54
Recensioni 56
Arturo Cirillo 58
Eventi
Calendario 60
sommario 5
UNA SCRITTURA
DI MIGRAZIONI
Carlo D’Amicis, scrittore e redattore di Fahreneit,
delinea la nouvelle vague pugliese
Il nostro viaggio nel mondo della cultura pugliese degli ultimi cinque anni si chiude con la
letteratura. Un argomento sterminato che, come
e più degli altri, nasconde insidie e invidie. L’editoria è sempre in crisi, si legge poco ma il numero
degli scrittori aumenta. Tutti vogliono pubblica6
PUGLIA SOPRA LE RIGHE
re, tutti credono di avere nel cassetto un capolavoro. E aumentano anche gli editori (più o meno
veri). Parlare di libri significa parlare di narrativa, saggistica, poesia e molto altro. Sarebbe stato
difficile (o meglio, impossibile) fare un censimento di quanto uscito in Puglia negli ultimi anni.
Ci siamo affidati, innanzitutto, all’esperienza
di Carlo D’Amicis, Nicola Lagioia, Mario Desiati. Tre dei tanti scrittori pugliesi di nascita ma
“forestieri” di adozione, rappresentanti di quella
fuga di cervelli che spesso viene citata solo per
la ricerca scientifica e mai per il giornalismo, la
comunicazione, l’arte, la musica, la narrativa, la
filosofia.
Partiamo con Carlo D’Amicis, classe 1964, originario di Sava, redattore di Fahreneit, la trasmissione di Radio 3 interamente dedicata ai
libri. Ha pubblicato i romanzi Piccolo Venerdì
(Transeuropa, 1996), Il ferroviere e il golden gol
(Transeuropa, 1998), Ho visto un re (Limina,
1999), Amor Tavor (Pequod, 2003) e per Minimum Fax Escluso il cane (2006) e La guerra dei
cafoni (2008).
Si parla spesso di una nouvelle vague pugliese. Esiste dunque una scena letteraria
che in qualche modo caratterizza questa
regione?
Mi sembra un fatto oggettivo che ci sia stato un
affollarsi di voci che provengono dalla Puglia
soprattutto a confronto di un passato in cui gli
scrittori pugliesi che approdavano a case editrici
nazionali erano pochissimi. Quindi che ci sia una
scena letteraria pugliese è un fatto innegabile
come è anche innegabile che ci sia una schiacciante supremazia rispetto alle altre regioni del
Sud, se escludiamo la Campania e la Sicilia che
meritano un discorso a parte.
Che cosa differenzia la Puglia dalle altre
regioni del Sud?
Ci sono delle cose che saltano all’occhio e che
sono legate alle condizioni sociali e alla criminalità organizzata che nelle altre regioni del Sud
sono più schiaccianti. In Puglia questa situazione è meno critica rispetto a Sicilia, Campania
e Calabria. Eppure c’è una sorta di contraddittorietà nell’equazione meno criminalità più letteratura. Se pensiamo infatti alla camorra in
Campania che ha portato ad una sorta di folclore
della devianza, oppure alla letteratura di mafia in Sicilia dove autori molto differenti come
Sciascia e Camilleri hanno attinto a questo immaginario. Quindi non so se questa ragione può
essere accampata.
Che cosa è successo recentemente in Puglia? C’è stato secondo te un cambiamento
di qualche tipo (sociale, politico, culturale)
che ha contribuito alla rinascita della narrativa pugliese?
Credo che in Puglia si sia verificato un cortocir-
cuito un po’ tra i tre tempi (presente, passato,
futuro) e un po’ che si sia condensata la dimensione temporale. Infatti da una parte c’è un senso della tradizione molto forte, dall’altra ci sono
spinte in avanti che hanno reso la Puglia un
luogo per certi versi all’avanguardia. E da una
parte ci sono Italsider, Ilva, Cerano e lo spettro
del mostro nucleare e dall’altra masserie, trulli,
campagne bellissime. La contiguità di spinte in
avanti e di vestigia del passato è molto letteraria. Uno strabismo tra futuro e passato, tra quello che è stato e quello che sarà, tra il movimento
interiore di nostalgia e i fermenti. C’è nell’animo
di tutti i pugliesi la voglia e la necessità di andare via, di allontanarsi ma allo stesso tempo c’è
un senso della tradizione e del passato molto forte. Il movimento della pizzica e della taranta che
affonda in un orgoglio del proprio passato e poi
diventa un business sfrenato che assomiglia più
ad un mega rave che al De Martino della Terra
del rimorso. C’è il degrado da una parte e questo
incanto naturale dall’altra. Questo tipo di contrasto è abbastanza potente.
Molti scrittori, come te, sono pugliesi di nascita ma vivono fuori da molti anni.
Io credo si possa parlare di una scrittura di migrazione. Moltissimi autori pugliesi non vivono
più là. Non so quanto sia solo pugliese come fenomeno, questo flusso migratorio continuo però
effettivamente ha generato molta scrittura. Questo allontanarsi in molti è uno stimolo a dedicarsi alla scrittura. Spesso, se non c’è quel passo
indietro che ti consente di guardare te stesso o
le cose che vuoi raccontare, non c’è letteratura.
Quali sono oggi le voci più interessanti della narrativa pugliese?
Innanzitutto Nicola Lagioia, Mario Desiati,
Alessandro Leogrande che, ognuno con il proprio stile, vedono le cose nella loro profondità
raccontando la puglia contemporanea ma anche
riappropriandosi del proprio passato senza cadere in una letteratura stereotipata. Si corre il
rischio di creare una regione com’era la Napoli
del sole, della pizza e del mandolino. Invece molti scrittori pugliesi non cavalcano gli stereotipi
e ci consegnano un’immagine corretta. Ci sono
libri più allegorici o più descrittivi che comunque
cercano di girare intorno a questo rischio. Tra gli
altri cito anche Rossano Astremo e Elisabetta Liguori che hanno scritto insieme un bel libro sul
disfacimento della famiglia, Cosimo Argentina,
Emiliano Poddi, Omar di Monopoli, Vito Bruno.
Pierpaolo Lala
PUGLIA SOPRA LE RIGHE 7
LA LETTERATURA SI
NUTRE DI PARTENZE
Intervista a Mario Desiati, scrittore
ed editor di Fandango libri
Giovane, pugliese e di successo, Mario Desiati è
uno di quelli che ha fatto un sacco di cose, uno
di quelli che ha fatto la gavetta, come si dice.
Cresciuto a Martina Franca ha scelto poi Roma.
È del 2003 il suo primo libro Neppure quando è
notte uscito per PeQuod. Ma Mario è anche poeta, giornalista (collabora con Repubblica e Panorama), è stato caporedattore della rivista Nuovi
Argomenti e attualmente direttore editoriale di
Fandango. Il suo ultimo romanzo Il paese delle spose infelici (Mondadori) ha vinto il premio
Ferri – Lawrence e il premio Mondello. Mario
Desiati è oggi una delle voci più interessanti
della nuova e sulla nuova narrativa italiana, un
modello di nuovo intellettuale che vive il mondo
della scrittura a 360°. Legato alla sua terra la
racconta nei suoi libri e ne parla con noi.
8
PUGLIA SOPRA LE RIGHE
La letteratura pugliese è un sistema complesso. Oggi è più che mai è difficile tracciare una mappatura precisa dei suoi autori, molti hanno oltrepassato i confini regionali affermando l’idea di una nuova letteratura del Sud. Tu sei protagonista (come
scrittore) e lettore (come editor) di questo
rinascimento. Come vivi e come vedi questo momento?
Sono molto felice, ma credo che non si tratti di
un rinascimento, semplicemente in questa terra
sono avvenute alcune cose prima che nel resto
del Paese. Innanzitutto qui è avvenuta prima
che nel resto d’Italia la mutazione antropologica attraverso la massiccia ondata migratoria del
1991, quando in Italia gli emigranti erano ancora pochissimi e si identificavano soprattutto
In foto: Taranto (ph. Paolo Margari)
L’emigrazione massiccia come già detto, la commistione potente delle genti e delle loro culture,
poi se devo fare un nome decisivo per l’apertura
di questa regione credo che quello di Edoardo
Winspeare sia il più giusto. Dalle feste di Pizzica e Comunione, passando ai suoi documentari e
film, l’associazione Coppula tisa, quello che si è
mosso attorno a lui.
Quali sono i pugliesi più interessanti che
hai avuto modo di leggere o conoscere in
questi ultimi anni?
Il mio preferito è Cosimo Argentina, ho subito
fatto il diavolo a quattro per portarlo in Fandango Libri. Cuore di cuoio e Maschio adulto solitario sono due piccoli libri di culto che raccontano
la mia terra con durezza e senza sconti.
Il ritorno alle storie, alla giovinezza, il raccontare una generazione è parte del tuo ultimo libro Il paese delle spose infelici. Un
libro in cui racconti una Puglia contraddittoria che non è solo sfondo ma personaggio.
Quanto la terra incide sulla scrittura?
Senza la terra non scriverei, scrivo in quanto mi
manca disperatamente e quando vi sono ne scrivo perché non è quella che mi mancava. Credo
sia la contraddizione di molti scrittori del Sud.
nei cosiddetti vucumprà e nei lavavetri. La nave
Vlora con i suoi 20.000 albanesi fu il nostro muro
di Berlino.
E se guardi al passato. Credi che questa generazione di scrittori sia figlia di una terra,
di esperienze letterarie autoctone, o piuttosto di un’apertura verso l’esterno?
Entrambe. Molti dei narratori di oggi sono andati via, la letteratura si nutre di ritorni ha scritto
Naipul, per me si nutre anche di andate, perché
lo sguardo cambia, si affina, iniziano a mancare
le cose che sono sempre state davanti agli occhi e
assumono un’aura diversa.
Cosa o chi secondo te ha dato vita a questa
rinascita?
La tua esperienza come capo redattore della rivista Nuovi Argomenti e oggi come editor di Fandango libri ti offre una prospettiva privilegiata sulla letteratura italiana. Di
cosa si scrive oggi e di cosa bisognerebbe
scrivere? Cosa consiglieresti a un giovane
autore?
Di raccontare quello che gli piace, ma anche
quello che vorrebbe cambiare e soprattutto scrivere qualcosa per cui si è disposti a perdere tutto. Farsi questa domanda come mantra: “Quanto
sono disposto a perdere della mia vita per questo
romanzo?”
In questo numero abbiamo intervistato
il tuo conterraneo Nicola Lagioia. Avete
storie più o meno simili. Tutti e due siete
partiti senza dimenticare le vostre origini.
Credi sia ancora necessario andarsene o ci
sono i presupposti per scrivere e vivere di
scrittura anche in Puglia?
Bisogna andare via per conoscere, poi decidere
se tornare o no. Dieci anni fa era impensabile immaginare che la Puglia fosse la seconda regione
italiana per l’industria cinematografica. Magari
un domani potrà accadere anche con quella editoriale.
Osvaldo Piliego
PUGLIA SOPRA LE RIGHE 9
In foto: Bari (ph. Paolo Margari)
LE MODE SONO
SEMPRE EFFIMERE
Intervista a Nicola Lagioia, scrittore ed editor
di minimum fax
Dopo Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj del
2001 il barese Nicola Lagioia non si è mai fermato. Occidente per Principianti è uscito nel 2004
(Premio Scanno, finalista Premio Bergamo, finalista Premio Napoli). Segue 2005 dopo Cristo e il
saggio Babbo Natale. Ovvero come la Coca-Cola
ha colonizzato il nostro immaginario collettivo,
oltre alla partecipazione a diverse antologie. È
curatore per minimum fax della collana Nichel.
Qualche anno fa, durante una sorta di stati
generali della letteratura pugliese, preconizzasti un panorama letterario che ora sembra
più che mai delineato e definito. Come vedevi e come vedi la Puglia che scrive?
10 PUGLIA SOPRA LE RIGHE
La Puglia che scrive, che fa film, teatro, musica
è evidentemente ormai una realtà importante.
Non era mai successo prima, con una simile vitalità e eterogeneità. Vorrei a ogni modo ricordare
– fosse anche per orgoglio – che il fenomeno è
nato senza il minimo aiuto da parte di istituzioni, quasi sempre con gli scrittori, i registi, i musicisti, gli artisti che si sono giocati tutto in prima
persona. Lacapagira, che è del 2000 e, almeno
dal punto di vista cronologico, ha aperto il varco,
è forse stata prodotta in Puglia?
La letteratura del Sud, non solo negli scenari ma anche nei temi è oggi à la page. C’è
un perché in questo fenomeno?
Se è à la page vuol dire che è
già morta, dunque spero dia il
meglio di sé quando sarà passata di moda. Le mode sono
effimere, stupide, e spesso
vampiresche persino con quel
po’ di buono da cui sono state
generate. Sul perché non saprei, a parte il fatto che forse,
una regione per lungo tempo
lontana dai grandi riflettori, ha avuto tutto il tempo e
i modi per mantenere viva,
e anzi rinnovare la propria
identità senza troppi sputtanamenti. Dunque il difficile
arriva adesso.
La Puglia è cambiata molto in questi anni, secondo
te è merito della politica,
di una sorta di flusso di
ritorno di alcuni talenti, o
semplicemente la normale
evoluzione di una terra?
Valga per questo (sebbene
non sia sufficiente) la risposta
precedente. Sulla politica rimango cauto. Spero che Nichi
Vendola, dopo aver vinto queste elezioni regionali, non si innamori troppo di se stesso, perché
questo rischia di essere il suo tallone d’Achille.
Su Emiliano ho invece già perso da tempo le speranze: subito dopo essere stato rieletto, la prima
mossa del sindaco è stata sbarazzarsi dell’assessore alla cultura tenendo per sé la delega: il rischio è del ritorno della cultura come folklore, la
sagra del trullo e della cima di rapa. Eppure la
cultura potrebbe essere davvero uno dei nostri
trampolini di lancio. Guardate a cosa hanno fatto Mantova e Gavoi con i loro festival letterari.
Tra scrittori del sud e scrittori che scrivono del Sud la lista è lunghissima, quali sono
i nomi più interessanti?
La lista è veramente troppo lunga. Per rimanere
alla Puglia, e alla prosa, mi piacciono tutti gli
scrittori che, pur parlando di provincia (o anzi, a
maggior ragione), si sono smarcati dal provincialismo, come Andrea Piva, Carlo D’Amicis, Mario
Desiati, Liviano D’Arcangelo, Giancarlo De Cataldo o il Cosimo Argentina di Maschio adulto
solitario. Ne ho dimenticato sicuramente qualcuno.
La Puglia non è solo terra di autori ma an-
che di editori, come vedi questo fiorire di
possibilità?
Guardo al fermento editoriale pugliese con speranza. Credo che – per quelli che ancora la praticano – non si faranno passi avanti con le pubblicazioni a pagamento. Aspetto (e spero ardentemente) che a un certo punto venga fuori la Sellerio
pugliese. Fino a quando non accadrà, alla cultura
della nostra regione mancherà sempre qualcosa.
Insomma, un editore pugliese di rilevanza nazionale… C’è la Laterza, certo, ma io ne vorrei un’altra, di eguale importanza, che si occupi anche di
narrativa e di poesia. Spero che a Manni, o a Besa,
o a un’altra delle emergenti case editrici pugliesi,
accada quello che è accaduto per esempio a e/o.
Dirigi una delle collane di letteratura italiana più ambite. Hai, giusto per citare
un’antologia pubblicata da voi, la cognizione della qualità dell’aria della narrativa
italiana. Com’è il nuovo panorama letterario? Dove credi si stia indirizzando?
Credo che la letteratura di casa nostra abbia
dato, negli ultimi quindici anni, segni di grande vitalità, il che non significa necessariamente
l’eccellenza. La riscoperta del nostro Paese, dopo
gli anni Novanta che furono il decennio dell’escapismo e dell’esotismo, mi sembra il dato più significativo.
Il tuo ultimo romanzo Riportando tutto a
casa fa i conti con la tua città (Bari) e con
un periodo storico ben definito e delineato
(gli anni ’80). È un romanzo che credo racconti molto di te, perché queste scelte oggi?
È una tendenza generale? Credi ci sia un
bisogno di raccontare la storia e le vite di
questo paese?
Forse è meglio che la risposta a queste domande
le dia direttamente il romanzo, o voi lettori, non
le dichiarazioni d’intenti dell’autore.
In questo numero di Coolclub.it abbiamo
intervistato anche il tuo collega Mario Desiati. Anche lui scrittore ed editor, un altro
pugliese approdato alla grande editoria.
Cosa ne pensi?
Gli auguro di continuare a fare bene il suo lavoro
come ha dimostrato in questi anni. Come scrittore, che continui a scrivere bei romanzi. Come
editor, che faccia scrivere a Cosimo Argentina il
bel romanzo di cui sicuramente è capace.
Osvaldo Piliego
PUGLIA SOPRA LE RIGHE11
NATI IN PUGLIA.
E ALLORA?
Piccola rassegna di letteratura in Puglia
e letteratura pugliese
12
La letteratura in Puglia è cosa ben diversa dalla
letteratura pugliese. La differenza rispecchia
quella che si cercava di stabilire fino a qualche
anno fa, non senza affanno, tra “scrittori
meridionali” e “scrittori meridionalisti”. Non
esistono da tempo, ormai, in Puglia, gli autori
da campanile, e tantomeno lo sono gli scrittori
degli ultimi anni: sono narratori. E basta. Sono
poeti. Che siano nati in Puglia è un elemento
trascurabile per il pubblico. Finalmente deve
essere trascurabile. Del resto, una buona parte
pubblica i propri libri con case editrici che hanno
rilevanza (cioè, distribuzione) nazionale. E non
è un caso che inizino già a vedersi volumi sulla
recente cultura letteraria della regione, come
La letteratura del Novecento in Puglia curata
da Ettore Catalano, a conferma della radicata
dignità intellettuale degli scrittori pugliesi sul
territorio nazionale.
Foggia, Bari, Brindisi, Taranto e Lecce regalano
in questi anni una spumeggiante esplosione
di romanzi e raccolte poetiche. La poesia di
Capitanata, per esempio, è ravvivata dai nomi
di Lucio Toma e della giovanissima Matia Curci;
la narrativa annovera, invece, l’esperta mano di
Guido Manfredonia e, fino al 2008, anche quella
spassosa e grottesca di Giuseppe Cassieri. Ed
è foggiana anche l’ironica Valeria Di Napoli,
nota con lo pseudonimo Pulsatilla, autrice
de La ballata delle prugne secche e Giulietta
Squeenz. Ma la terra che, non dimentichiamolo,
ha partorito Andrea Pazienza, conta tra i suoi
scrittori anche Piernicola Silvis, interessante
autore noir o, comunque, vicino al genere
poliziesco.
Il capoluogo da parte sua vanta poeti che,
negli ultimissimi tempi, hanno offerto prove
significative:
Enzo
Mansueto,
Francesco
Lorusso, Luigi Abiusi, Raffaele Fiantanese e
Gianni Antonio Palumbo, tutti a loro modo
rigidi, irrequieti e problematici. La narrativa
barese è ancora più florida e certamente più
fortunata della poesia. La penna prolifica di
Giorgio Saponaro ha prodotto solo negli ultimi
cinque anni ben quattro romanzi; e non è da
meno Nicola Lagioia, ormai famoso a livello
nazionale sia per il grande successo dei suoi
romanzi (pubblicati da Fazi, Einaudi, minimum
fax), sia per l’inarrestabile fenomeno dell’“è
famoso: l’ho visto in tv”. Ciò, ovviamente, nulla
toglie alla qualità, difficilmente discutibile, dei
romanzi. Stessa sorte felice anche per Gianrico
Carofiglio, fortunatissimo autore di famosi
“legal thriller”, talento riconosciuto e apprezzato
in tutta Italia. Ma, in terra di Bari, oltre ai
magistrati prestati alla narrativa, non vanno
sottovalutati i giornalisti che si cimentano in
questo genere, come Piero Colaprico e Beppe
Lopez. Un caso letterario è nato, poi, intorno
ai due giovani autori televisivi Tommy Dibari
e Fabio Di Credico il cui romanzo La Cambusa
ha riscosso un grande successo esclusivamente
grazie al meraviglioso prodigio del passaparola,
che dall’editore Schena l’ha fatto balzare alla
Rizzoli.
Sembravano la Cenerentola della letteratura
pugliese, e invece anche Brindisi e Taranto
negli ultimi tempi hanno fatto un bel salto di
qualità (e quantità). Basti pensare, per Brindisi,
allo sperimentalismo poetico di Nadia Cavalera
e alle prove narrative di Antonio Caiulo e di
Osvaldo Capraro. Ma è Taranto, in particolare,
che balza in primo piano: Giancarlo De Cataldo,
da Romanzo criminale in poi, è uno dei fiori
all’occhiello della letteratura nata da ingegno
pugliese. E Mario Desiati è uno dei più grandi
autori della ribalta nazionale. Ma non dispiace
anche la meno famosa Anna Lucia Lomunno, già
spiritosa e pungente in Rosa sospirosa e Nero
sud, e da poco uscita con Troppe donne per un
delitto.
Il Salento ha una più lunga tradizione, o
forse semplicemente un passato letterario più
brillante, e conferma negli ultimi tempi la sua
vivacità, pur non avendo un autore che si impone
sul panorama nazionale e nelle classifiche di
vendita. Il “sempreverde” Giovanni Bernardini,
attivo fin dalla fine degli anni Sessanta, ha
appena pubblicato l’ennesimo piacevolissimo
romanzo. Ed anche Giuseppe Minonne è un
attivissimo portabandiera delle “vecchie” leve.
La generazione più recente, poi, sembra avere
una riserva infinita di originalità e desiderio
comunicativo: la firma nota dei giornalisti
Antonio Errico e Raffaele Gorgoni è in calce
anche a non pochi racconti e romanzi, e li segue
(solo per quantità inferiore di pubblicazioni,
non certo per qualità) Armando Tango,
pseudonimo dietro il quale si cela il giornalista
Teo Pepe. Ha esordito addirittura con Einaudi
Livio Romano, che continua oggi la sua fervida
attività narrativa con editori di minor fama
ma altrettanto stimabili. Sono emersi intanto,
negli ultimissimi tempi, e consolidano con
ritmo incalzante la propria fama, autori come
Stefano Donno, Pierluigi Mele, Luisa Ruggio,
Tony Sozzo, Vito Antonio Conte, Paolo Vincenti,
Nino Gianni D’Attis, Martina Gentile, Raffaele
Polo, Elisabetta Liguori e Rossano Astremo. Gli
ultimi due hanno addirittura pubblicato, proprio
di recente, anche un libro a quattro mani: una
felice dimostrazione del particolare affiatamento
esistente tra le giovani leve salentine, che
iniziano a farsi apprezzare anche fuori dai
confini regionali.
Qualcuno diceva che la letteratura, come la
nobiltà, è nel sangue.
Mara Barone
PUGLIA SOPRA LE RIGHE13
LA PUGLIA
IMMAGINATA
Una regione scritta da altrove
14
Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli scrittori
pugliesi che si sono imposti alla ribalta nazionale, arrivando a pubblicare anche per case editrici
importanti. Occorre tener presente però che, in
molti casi, questi scrittori vivono ormai da anni
(a volte da moltissimi anni) fuori dalla Puglia,
per cui forse la categoria di “scrittore pugliese”
andrebbe usata con più cautela.
Uno sguardo alla Puglia come nuova location di
un certo immaginario letterario non può però a
mio avviso prescindere da un altro fenomeno,
che riguarda invece numerosi scrittori che, pur
non pugliesi, hanno scelto la nostra regione – che
è diventata per loro quasi una “seconda patria”,
e in cui risiedono per lunghi periodi dell’anno -,
per ambientare le loro opere. Questo fenomeno
riguarda soprattutto il Salento che pare essere
diventato un vero e proprio “scenario ideale” per
romanzi, ma anche per opere teatrali, film, fiction televisive. In molti casi, questa produzione
letteraria si muove in parallelo con la tumultuosa “rinascita della pizzica” degli ultimi anni, per
cui le opere di questi scrittori, singolarmente,
fanno in vario modo riferimento proprio al “Salento pizzicato”, con i suoi luoghi, i suoi protagonisti e i suoi riti.
A voler dare una parziale rassegna, possiamo
cominciare, in ordine cronologico, dal romanzo
Delle volte il vento, della bolognese Milena Magnani (Vallecchi 1996), ambientato a Otranto,
nel periodo di maggiore intensità degli sbarchi
dei “migranti”, che descrive, attraverso la storia
di un’amicizia difficile tra una donna del posto
e un’“albanese”, le conseguenze dello sradicamento e dell’esilio forzato. Nei dialoghi troviamo
spesso l’uso del dialetto salentino e nella narrazione sono continui i riferimenti ad elementi della cultura popolare locale.
Sempre sulla città adriatica, non si può non citare Otranto di Roberto Cotroneo (Mondadori
1997), scrittore che ha col Salento e con la città idruntina un legame speciale. Il libro, chiaramente debitore verso L’ora di tutti di Maria
Corti, descrive Otranto come una città onirica,
metafisica, carica della presenza costante delle
memorie dei tragici avvenimenti che vi si sono
svolti.
L’ambientazione salentina e le suggestioni del
tarantismo le troviamo successivamente in Casa
rossa di Francesca Marciano (Longanesi 2003),
complesso affresco narrativo che attraversa la
storia italiana dagli anni ’30 ai giorni nostri,
ambientato tra Roma, New York e la Casa Rossa della famiglia della protagonista, situata nel
Sud Salento. Il libro contiene numerosi riferimenti alla musica salentina, e una scena di te-
rapia domiciliare di una tarantata, ambientata
negli anni ’50, chiaramente ispirata alle descrizioni demartiniane.
Il testo più spiazzante fra quelli da noi considerati è certamente Rosso taranta, di Angelo
Morino (Sellerio 2006), in cui l’autore rilegge,
ancora una volta, La terra del rimorso, e, contemporaneamente, dopo una visita nel Salento
nel giugno del 2001, ripercorre in prima persona
le tappe della ricerca dell’etnologo napoletano,
riportando lo svolgimento del suo viaggio in una
sorta di singolare “diario sul campo”. Ne deriva
un libro inquietante e controverso, in cui in molti casi l’autore pare forzare i dati della realtà,
alla ricerca di quelle che appaiono sue personali
ossessioni.
In foto: Ernesto De Martino
Di tutt’altro tenore è invece Il bacio della tarantola di Giovanna Bandini (Newton Compton
2006), che, senza mediazioni di sorta, cerca di
sintonizzarsi con il movimento musicale salentino (e in particolare con la rappresentazione
che ne dà Edoardo Winspeare in Sangue Vivo),
con i suoi protagonisti, i sui luoghi topici, il suo
linguaggio e, naturalmente, con la sua musica e
la sua danza. La trama appare quasi come un
pretesto per descrivere “quel” Salento, profondamente vissuto e amato dall’autrice. Da notare
inoltre la presenza frequente di espressioni del
dialetto del Capo di Leuca, quasi sempre usato
in maniera pertinente e corretta.
Per concludere la nostra rassegna, dobbiamo citare l’importante primo romanzo della musicista
Teresa De Sio, Metti il diavolo a ballare (Einaudi
2009), ambientato nel Salento degli anni ’50, che
descrive una terribile vicenda di soprusi a cui è
sottoposta una bambina di origini umili, che, per
sfuggire alla propria condizione e “espiare” il proprio male, a un certo punto diventa tarantata, e
viene costretta a “curarsi” con la musica. Anche in
questo caso, le descrizioni dell’esorcismo domiciliare risentono in maniera evidente dello “sguardo” demartiniano.
Vincenzo Santoro
PUGLIA SOPRA LE RIGHE15
DIECI LIBRI...
... di autori pugliesi segnalati da Coolclub.it
Cosimo Argentina
Maschio Adulto
Solitario
Manni Editore
Se Herman Hesse fosse vissuto
a Taranto oggi, questo sarebbe
il suo Lupo della steppa.
Alessandro Leogrande
Uomini e caporali
Mondadori
Un’accurata
inchiesta
per
raccontare le storie dei nuovi
schiavi delle campagne pugliesi
nostro Paese (gli anni ’80) e le
delusioni del nostro presente.
Carlo D’Amicis
La guerra dei cafoni
minimum fax
Il
cambiamento
collettivo
dell’Italia degli anni 70 attraverso le storie di ragazzi indemoniati e cafoni
Mario Desiati
Il paese delle spose infelici
Mondadori
Divertente, ironico, irriverente
e intelligente sguardo sull’uomo contemporaneo nel profondo Sud d’Italia.
Omar Di Monopoli
Ferro e fuoco
ISBN
Il pomodori-western di Omar
Di Monopoli non smetterà mai
di affascinarci con i suoi avverbi e i suoi aggettivi che fanno
tanto tanto southern gothic.
Rossano Astremo
Elisabetta Liguori
Tutto questo silenzio
Besa Editore
Nicola Lagioia
Riportando tutto a casa
Einaudi
Il sud avvelenato e l’amore assoluto e maledetto, l’educazione erotica di due ragazzi e la
Taranto di Cito. Il tutto scritto
con l’eleganza dei classici.
Attraverso le vite e i sogni di
tre ragazzini e la loro formazione scopriamo un decennio del
Nino G. D’Attis
Mostri per le masse
Marsilio
D’Attis ci accompagna per
mano verso il baratro dell’odio
e del nero più profondo. E al
limite del pozzo ci da una bella spinta e ci lascia scivolare
senza corda di protezione. Un
racconto più nero del nero per
lo scrittore salentino.
16 PUGLIA SOPRA LE RIGHE
Livio Romano
Niente da ridere
Marsilio
Un romanzo a quattro mani ma
ad una sola voce per il decadimento della famiglia italiana
Francesco Dimitri
Pan
Marsilio
Peter Pan è tornato. E con lui
Capitan Uncino. Ma chi è davero il cattivo tra i due?
NON È TEMPO
PER LA SIESTA
Intervista al critico Filippo La Porta che esprime le sue idee
sul rinascimento letterario pugliese
Il bravo editore Manni ha pubblicato È finita
la controra, un’antologia curata dal critico Filippo La Porta che raccoglie brani dai romanzi
di diciannove scrittori pugliesi nati tra il 1956
e il 1986. Secondo La Porta la scena letteraria
pugliese è “affollata e vitalissima”. La Puglia
sta vivendo un nuovo rinascimento letterario, o
Nuovelle Vague grazie alle “contraddizioni, che,
ovunque presenti, vi sono estremizzate: tra arcaico e postmoderno, globale e locale, moralità e
corruzione, illegalità e bisogno di ordine”.
Una premessa è d’obbligo: fa molto piacere vedere raccolte in un unico volume alcune delle
migliori pagine scritte da autori pugliesi negli
ultimi anni. Leggere, come se fosse un unico
grande racconto, le storie di Puglia e di pugliesi.
I diciannove autori raccolti nel libro sono diversissimi tra loro per genere e tematiche trattate:
si va dal giallo-noir di De Cataldo, Carofiglio,
Lomunno e, se vogliamo, De Michele, al western
pugliese di Omar Di Monopoli, ai reportage di
Alessandro Leogrande, al blog trasferito su carta
di Pulsatilla, alle invenzioni narrative e linguistiche di Livio Romano, Carlo D’Amicis, Mario
Desiati e Cosimo Argentina, allo sguardo cinematografico di Andrea Piva.
Ma i diciannove autori sono diversissimi tra loro
anche per storie personali e per il loro rapporto
con “l’astronave madre”. Ci sono gli “emigranti”,
la maggior parte, come De Cataldo, D’Amicis,
Argentina, Desiati, Vito Bruno, De Michele, Leogrande, Piccinni, Emiliano Poddi, Pulsatilla,
Angela Scarparo. A questi va aggiunto Omar
Di Monopoli, che dopo aver scritto i primi romanzi nella sua Manduria si è trasferito anche
lui a Roma. E poi ci sono quelli che “resistono”
che nella loro Puglia ci vivono e lavorano oltre
a raccontarla. Sono pochi ed è sintomatico forse
di quanto questa terra si contraddittoria e dura,
anche con i suoi figli migliori. Ma allora,s e così
diversi sono tra loro gli autori “censiti”, quali
sono stati i criteri di scelta? “Uno su tutti: trattasi di letteratura e dunque l’invenzione espressiva, la personalità stilistica. Devo percepire nella pagina scritta che la lingua incontra – anche
drammaticamente - una resistenza del “fuori” e
così si torce, si adatta, si frammenta, si reinventa… La letteratura nasce sempre da un attrito,
da una scintilla. Aggiungo: folklore a parte, mi
piace anche sentire in questi scrittori l’incanto
rapinoso della loro terra, il misticismo cristiano
e pagano, l’ansia d’oriente di cui parlava il grande francesista Giovanni Macchia (di Trani)”.
Dario Goffredo
PUGLIA IN SCENA 17
MUSICA
18
TWO
DOOR
CINEMA
CLUB
Una delle novità più
scottanti d’oltremanica
19
20
È appena uscito l’atteso album dei Two Door Cinema Club, ma questo trio di ragazzi irlandesi
figura già fra le migliori band esordienti Britanniche. Una delle realtà più scottanti d’oltremanica che soddisferà i fan dei primi Bloc Party e
dei Death Cab For Cutie, ma anche gli amanti
dell’afro-electro-beat di artisti come i Vampire
Weekend. I TDCC hanno suonato in tour con Foals, Wombats e Maccabees. Quindi aspettatevi
croccanti canzoni pop di tre minuti, pimpanti ritmiche in levare e tenetevi pronti per l’adrenalina
che vi farà scatenare sul dancefloor.
Vi è bastato pubblicare un paio di singoli
per essere inclusi nella prestigiosa lista
“BBC Sound 2010”. Vi aspettavate un tale
successo in così breve tempo?
Abbiamo lavorato per circa tre anni e sembra
proprio che la gente stia iniziando a notarci, il
che è davvero grandioso! Il successo non ci ha
influenzati più di tanto. Il nostro album è pronto
e il tour è stato programmato. Quindi il nostro
progetto è quello di continuare a lavorare sodo!
Something Good Can Work mi ricorda i
Vampire Weekend; Do You Want It All (una
soffice melodia su ritmica pulsante che cresce fino all’esplosione finale da dancefloor)
e la deliziosa This Is The Life mostrano il
lato più soft della vostra musica, spesso al
confine con la psichedelia. Sicuramente gli
anni ’80 sono una presenza determinante
all’interno delle vostre canzoni (soprattutto per le chitarre e l’utilizzo della drum-machine); quali sono gli artisti di quel periodo che vi piacciono di più? Police? Duran
Duran? E che mi dite della scena attuale? I
vostri gruppi preferiti?
Non siamo stati influenzati più di tanto dagli
anni ’80. In effetti abbiamo un po’ trascurato
la musica di quel periodo. Credo però che molti
dei gruppi che ascoltiamo siano influenzati dal
sound di quella decade, quindi indirettamente lo
siamo anche noi. I nostri preferiti, al momento,
sono Six Star Hotel, Phoenix, Foals, Yeasayer,
Cashier no.9, Late of The Pier…
Il vostro produttore è lo stesso dei Phoenix… e avete anche remixato “Lasso”, uno
dei brani presenti nel’ultimo album dei
francesi. Come sono nate queste collaborazioni?
Condividiamo la stessa etichetta discografica
ed è per questo che ci hanno proposto le collaborazioni. Siamo stati molto fortunati ad avere
la possibilità di lavorare insieme a Zdar (il pro-
duttore) su alcuni nostri singoli. Tutto questo è
accaduto grazie alla Kitzune e al nostro management, che ha pensato di inserire l’elemento dance nel nostro sound.
Venite dalla scena musicale di Belfast. È
vero che c’è un forte spirito di squadra fra
le band irlandesi? Raccontateci come sono
i concerti dalle vostre parti.
Si è vero. Amo molto quei concerti perché conosci sempre nuova gente e le persone hanno gusti
musicali eclettici e assai diversificati. Credo che
la scena sia tra le più divertenti, probabilmente
unica nel suo genere.
Avete annunciato un tour mondiale. Siete
eccitati all’idea di suonare nella patria del
Rock? Pensate di trovare una scena musicale differente, rispetto a quella Britannica?
Si, non stiamo più nella pelle! Sarà certamente
uno degli apici della nostra carriera. Si, in effetti penso che laggiù sia molto diverso e che probabilmente noteremo delle differenze anche tra
uno stato e l’altro. Non vediamo l’ora di fare nuove esperienze e di suonare davanti a un pubblico
che non ci ha mai sentiti dal vivo!
Quest’estate avete suonato a Glastonbury, il magico raduno nelle terre di Avalon!
Come descrivereste l’energia di quel luogo?
Tornerete a suonare al Festival?
È stato davvero incredibile! Siamo rimasti per
tutto il weekend e abbiamo avuto l’opportunità
di vedere dal vivo un sacco di gruppi. La gente
era presa benissimo durante le nostre performance. Abbiamo suonato tre volte in tutto e ogni
volta il pubblico è accorso sempre più numeroso.
È stato stupendo. Noi speriamo di poterci tornare quest’anno, ma bisognerà aspettare per vedere se sarà possibile.
Tobia D’Onofrio
MUSICA 21
SOPHIA
Robin Proper-Sheppard, dai God Machine
al nuovo progetto solista
22
In occasione del tour Europeo di Sophia, che il
29 Aprile approderà alle Officine Cantelmo di
Lecce, nell’ambito della nostra rassegna Keep
Cool, abbiamo fatto due chiacchiere con il frontman Robin Proper-Sheppard, già leader dei God
Machine, seminale band di culto degli anni ’90.
Sei un musicista a tempo pieno sin dal 1990,
anno in cui hai lasciato San Diego per trasferirti nella capitale britannica. Hai viaggiato in tutta Europa, ma fai spesso ritorno
a Londra. Immagino che sia la musica a riportarti continuamente lì.
Effettivamente siamo arrivati (Austin, Jimmy
ed io – The God Machine) a Londra il primo
Gennaio del ’90 e anche se ho vissuto in diversi
paesi europei, continuo a tornare a Londra. Non
che ami necessariamente Londra, ma credo che
sia diventata la mia casa “spirituale”. Mi sento
a mio agio qui. Capisco la città. Ma la cosa più
importante è che mia figlia vive qui, dunque immagino che d’ora in poi sarà sempre la mia casa.
Negli anni ’90 sei stato tra i primi a recuperare una dimensione intimista nella musica, salpando per un romantico viaggio
“depresso”. Infatti God Machine e Sophia
si soffermavano su emozioni che avrebbero incontrato un pubblico più ampio solo
verso la fine del decennio, in compagnia
di Will Oldham, Dave Pajo, Codeine, Arab
Strap, Mogwai, Low, Dakota Suite. Che ci
dici di questo approccio alla composizione,
di questo recupero dell’intimismo e del formato canzone?
Per quanto riguarda il “romantico viaggio depresso” inteso come formato canzone, credo che
ci siano sempre stati musicisti che si concentrano sul contesto emozionale della musica, piuttosto che su quello tecnico. I God Machine hanno
sempre incarnato lo “spirito” emozionale della
nostra musica e Sophia non ha fatto che proseguire sulla stessa linea. L’essenza di ciò che
scrivo è rimasta bene o male la stessa, ma cerco
continuamente di vestirla con colori diversi.
Il 23 Aprile Sophia partirà in tour per l’Europa e siete soltanto tu e la tua chitarra.
C’è una ragione particolare dietro questa
scelta?
Credo ci sia più di una ragione… Prima di tutto
volevo poter essere in grado di suonare di fronte
a quelli che, mi auguro, siano i fan più fedeli. Volevo andare nei posti (città e locali) in cui prima
d’ora non ero riuscito ad esibirmi. Durante questo tour suonerò in locali realmente fuori mano
MUSICA 23
(molti dei quali davvero eccezionali). Questi posti non avrebbero potuto accogliere l’intera band.
Ed è una cosa che mi eccita veramente!
Sono anche molto emozionato per il fatto che
sarà il mio primo tour interamente acustico.
Credo che l’intimità dell’ultimo album There Are
No Goodbyes si presti particolarmente per questo tipo di performance. Inoltre penso che sarà
anche molto bello suonare i primi album, come
Fixed Water e The Infinite Circle, perché hanno
una natura acustica. Da quando ho iniziato a
provarle ogni giorno, queste canzoni mi stanno
accompagnando in un profondo viaggio nel mio
passato. Dalla morte di Jimmy Fernandez (il
brano So Slow) alla prima volta che ho dovuto
lasciare Londra (il brano Directionless), fino alle
più recenti (ma ancora assai dolorose) Heartache
e There Are No Goodbyes… È un viaggio molto
emotivo, certamente.
Ma è sempre stato così, per Sophia, giusto?
Probabilmente era così anche prima di Sophia… Ho sempre avuto l’impressione che
God Machine rappresentasse un’esperienza esistenziale totalizzante: eravate giovani, eravate insieme in giro per il mondo
dall’altra parte dell’Atlantico: avete vissuto
delle esperienze molto intense, ed è facile
percepirle durante l’ascolto.
In tutta onestà, quando oggi ripenso a The God
Machine non la ricordo come un’esperienza particolarmente intensa. È stata un’esperienza pazzesca (inaspettatamente, essere finiti a Londra
è stata la cosa più assurda!) e sicuramente, se
fossimo restati negli Stati Uniti, saremmo cresciuti in modo totalmente diverso, ma non è stato poi così intenso. Eravamo giovani e le nostre
vite erano flessibili, abbiamo preso le cose come
venivano. Siamo finiti in situazioni realmente
estreme (niente acqua corrente, niente elettricità), ma ripensandoci adesso la consideravamo
una lunga vacanza in campeggio. Non ci preoccupavamo mai di niente e potevamo sempre contare sulla nostra amicizia. Come tutti i giovani
credevamo nel futuro, ma la cosa più importante
è che non eravamo mai soli, e questo ci ha dato
grande forza e stabilità.
Quindi c’era realmente una profonda connessione tra di voi. Ascoltando la musica di
The God Machine si percepisce chiaramente una forte tensione spirituale, mentre in
Sophia appare mitigata, sembra un viaggio
più lucido e personale. È una giusta lettura?
La mia scrittura è sempre stata molto personale.
24 MUSICA
Questo non è mai cambiato. Detto questo, quello
che scrivevo per i God Machine era sicuramente
molto più esistenzialista e andava ad indagare
a fondo il “qui e ora”, hic et nunc. Ribadisco: immagino che questa sia una parte importante del
processo di crescita di ogni individuo, trovare il
suo posto nel mondo.
Intendi forse dire che la differenza di scrittura fra i due gruppi dipende dalla maturità conquistata con il passaggio all’età
adulta?
Quando invecchi, gli interrogativi come “Chi
sono Io?” vengono interiorizzati, e le idee che troviamo in risposta a queste domande tendono ad
intrecciarsi sempre di più con le nostre personali
relazioni ed esperienze (e definizioni) dell’amore,
e con il modo in cui queste modificano la nostra
percezione del mondo che ci circonda. Questo è
ciò che tento di esprimere con Sophia.
Immagino che le differenze possano essere sintetizzate in questo modo: nei God Machine mi
chiedevo se Dio esistesse, mentre in Sophia mi
domando se esiste l’Amore.
È corretto, allora, dire che Sophia incarna
semplicemente una dimensione più adulta
e rilassata?
Non saprei proprio dire se il viaggio di Sophia
sia più rilassato. Dipende da cosa si intende per
rilassato. Se guardo alle esperienze che si celano
dietro la mia scrittura oggi, in confronto a 15-20
anni fa, direi che la mia vita è diventata decisamente più complicata e molto meno rilassata di
quanto non fosse all’epoca. Ma capisco perfettamente che, per molte persone, dieci chitarre elettriche distorte creeranno sempre una maggiore
tensione dinamica, rispetto a una sola chitarra
acustica!
The God Machine è una band di culto perché ha anticipato diverse tendenze musicali e ha costruito ponti fra diversi generi:
noise, stoner, post-metal e in qualche modo
post-rock, ma anche tanta musica dark degli anni ’80. Oggi gli anni ’80 sono diventati
fonte di ispirazione per innumerevoli gruppi. Qual è la musica di quel periodo che
ascoltavate di più?
Non abbiamo mai anticipato niente! Né abbiamo
mai tentato di costruire alcun ponte o incrociare
alcun genere. Suonavamo semplicemente quello
che volevamo suonare. La cosa più divertente
è che mentre eravamo a San Diego suonavamo
pezzi degli Iron Butterfly, di Van Halen e dei
Jefferson Airplane, ma questo non era conside-
rato figo, perché tutti ascoltavano il pop anni ’80
(noi inclusi!). Poi, quando siamo arrivati a Londra, abbiamo iniziato a suonare canzoni di The
Cure, Echo And The Bunnymen e Bauhaus, ma
neanche questo era considerato figo, perché tutti
ascoltavano Black Sabbath e Led Zeppelin (noi
inclusi!).
Come ho detto, non ce ne fregava niente. Suonavamo quello che ci andava di suonare.
Credo che i God Machine siano una band di culto
perché lì fuori c’è un gruppo di persone fedelissime che abbiamo toccato nel profondo. Poi eravamo realmente una grande band. I God Machine non hanno mai venduto molti dischi (infatti,
il primo disco dei Sophia ha venduto più copie
dei due album dei God Machine messi insieme),
ma quei pochi che hanno avuto l’opportunità di
ascoltarci o di vederci dal vivo sapevano di poter
credere in noi.
Effettivamente prima del ’95 solo pochi
fortunati hanno comprato gli album. Ormai quei dischi sono diventati rari e molto
costosi. Perché è così difficile riuscire ad
avere un album dei God Machine? È vero
che la Universal non intende pubblicare
ristampe?
Non possediamo i diritti di The God Machine e
la Fiction Records (la nostra etichetta di allora)
è stata comprata dalla Universal quindici anni
fa. Credo di sapere perché non abbiano ancora
pubblicato ristampe: perché per loro ristampare/
vendere/distribuire 1000 album dei God Machine deve essere più problematico che vendere un
milione di copie di un album di Lady Gaga. È
una questione di business, giusto?
Ma c’è una novità! Infatti credo che la Universal Germany stia progettando delle ristampe. Se
è davvero così, sono felice che alla fine abbiano
preso questa decisione. Personalmente ho ri-
stampato i primi quattro album dei Sophia (Fixed Water, Infinite Circle, De Nachten e Collections: One) e sono terminati in un mese. So bene
che alcune persone hanno pagato 60 Euro per i
vecchi album dei Sophia, e posso solo immaginare quanto costino quelli dei God Machine.
Perché hai scelto di venire a vivere nel
Vecchio Continente? Puoi dirci, secondo te,
che differenza c’è tra America ed Europa?
Ad essere sincero, ormai ho dimenticato quali
siano le differenze. Ho passato in Europa tutta
la mia vita da adulto e oggi non mi sentirei a mio
agio se dovessi fare dei commenti sulla cultura
americana.
Ho sempre pensato a te come un poeta romantico, forse per l’intensità e la bellezza
formale di alcuni testi. C’è un verso di Pace
che dice “Senza poesia è come se fossimo
morti”. Ti sembra una buona sintesi del tuo
approccio alla scrittura?
Un vero poeta romantico? Sei davvero gentile!
Capisco che i miei testi sono sempre stati abbastanza semplici (mi hanno “accusato” di questo
anche ai tempi dei God Machine) e a volte vorrei
almeno poter fingere di essere un cantautore un
po’ più sofisticato, ma d’altra parte, credo che la
gente apprezzi proprio questo nella mia musica.
È semplice ed onesta. Non faccio finta di essere
triste e sicuramente non faccio finta di essere felice. Né di essere più forte o più debole di quello
che sono. Non fingo di essere più complicato o
sofisticato di quanto non sia in realtà. Sono semplicemente me stesso.
Come ha detto Voltaire: “Se una cosa è troppo
stupida per essere detta, meglio cantarla”. Sarà
forse per questo che in vita mia ho scritto tante
canzoni, eh?
Tobia D’Onofrio
25
TRE ALLEGRI
RAGAZZI MORTI
La nuova rivoluzione musicale del trio di Pordenone
26
Foto di Paolo Proserpio
Primitivi del Futuro è l’undicesimo album dei
Tre Allegri ragazzi morti. Sono passati 16 anni
da Mondo naif e Davide e soci sono ancora capaci di sorprendere. Lo fanno musicalmente con
un disco dub, emotivamente riuscendo da subito
a trascinarci nel loro mondo. Questa volta la realtà sembra fare capolino più spesso nel loro immaginario e i ragazzi sembrano un po’ cresciuti.
Un album che ci restituisce un gruppo inossidabile in ottima forma e che, cosa più importante,
è capace di scrivere canzoni di una poeticità disarmante e agrodolce. È sempre un piacere parlare con Davide Toffolo.
La prima domanda è d’obbligo. Il disco segna una piccola “rivoluzione musicale” o
meglio un avvicinamento a sonorità inedite nel mondo dei Tarm. Da dove arriva il
nuovo suono dub di Primitivi del futuro?
Il suono di Primitivi del futuro arriva dalla contaminazione della nostra musica con il reggae e
il dub. Una specie di viaggio in Jamaica, esotico
ma anche quotidiano. È stato il modo migliore
per imparare una lingua nuova. Ecco adesso siamo un gruppo bilingue. Rock e reggae.
Nonostante il cambio di rotta sonora, l’approccio è sempre quello rock and roll, un
po’ come facevano i Clash giusto per dirne
una. I Tarm hanno sempre mantenuto una
coerenza fin dalla loro nascita. Cosa avete
mantenuto e cosa avete perso per strada?
Per fare il musicista qualche pezzo lo perdi inevitabilmente, ma dico proprio dei pezzi del proprio essere. È la condizione delle persone pubbliche. Ma noi abbiamo la maschera che ci rende
praticamente inconsumabili nel modo tradizionale e per questo motivo anche quasi invincibili
al tempo e alle mode.
Nel disco si sente una maturazione, quasi una sorta di passaggio generazionale.
Anche alcuni personaggi del vostro immaginario cambiano. Di cosa parla questo
disco?
Il disco parla di quello che abbiamo visto e
vissuto in questi tre anni. Il mondo intorno è
cambiato, la violenza dell’ uomo sul pianeta e
dell’uomo sull’uomo è così evidente. È un disco
più realistico.
Comunque io, che sono un disegnatore, scrivo
quello che ho intorno, come fossero dei disegni,
degli schizzi. I nuovi personaggi che sono raccontati nel disco assomigliano a quello che vediamo intorno a noi oggi.
Chi sono i “Primitivi del futuro”?
Gli unici che sopravviveranno al degrado della
nostra specie. Primitivi del futuro è quello che
vorremmo essere. Forse Corona è un primitivo
del futuro, Mauro Corona, lo scultore- alpinistascrittore.
Ma anche ognuno di noi che abbia voglia di non
sottostare alle regole del nuovo schiavismo che
si chiama speculazione sul denaro.
Per la prima vi siete affidati a un orecchio
e a mani “esterne”. Ci parli del vostro incontro con Paolo Baldini?
Paolo Baldini è un grande, giovane maestro. Lavora con macchine analogiche su supporto digitale, ha un modo di vivere romantico e titanico
allo stesso tempo. Registra nella cucina di casa
sua, non ha paura di niente, è competente e passionale allo stesso tempo. Qualcuno dice essere
la cosa più jamaicana in circolazione oggi. Poi è
anche alto, bellissimo, e suona il basso come un
drago con gli Africa Unite.
Siete una famiglia molto allargata. La vita
è fatta di incontri e nei vostri viaggi avete
visto e ascoltato cose. Se dovessi tracciare
un mappa dell’Italia rock quali band sceglieresti?
Noi ragazzi morti abbiamo una specie di discoteca ideale che si chiama La tempesta. L’Italia è
piena di grande musica. Oggi che il mercato affoga. Le luci della centrale elettrica, Pan del diavolo, Teatro degli Orrori, Zen Circus, Uoki toki,
Moltheni, altro per citarne qualcuno. Poi ci sono
altre biblioteche altrettanto ricche. È un grande
momento, per la musica nuova. Una specie di
rifondazione della musica popolare italiana.
I Tarm sono da sempre non solo una band,
un meta-gruppo. La musica non sempre
basta oppure è solo una parte di una vita.
Quante cose sono i Tre Allegri ragazzi morti?
Sono un gruppo di rock & roll, un gruppo di reggae music, sono 500 pagine di storie a fumetti,
sono un’identità collettiva, sono tre maschere,
con 10.000 maschere, sono tre, cinque, quattro,
sono un’idea, sono tre generazioni in uno stesso
palco, sono tutte le persone che si sono avvicinate in questi 15 anni, sono una grande idea in un
paese dove le idee è meglio non averle, sono critici, sono divertenti e fanno pensare. Tre allegri
ragazzi morti sono in tour. Da 15 anni.
Osvaldo Piliego
MUSICA 27
BLACK REBEL
MOTORCYCLE CLUB
Beat the Devil’s Tattoo
Vagrant
BOLOGNA
VIOLENTA
L’altro lato di Nicola Manzan
Quinto album per i californiani, che tornano in groppa al
loro hard-blues psichedelico decisi a sfondare gli amplificatori.
Tralasciando il registro acustico dell’album Howl (qui ripreso solo in un paio di brani),
i BRMC restano ancora una
volta fedeli alla tradizione che
porta dai Velvet Underground,
ai Jesus and Mary Chain, fino
ad arrivare a Ride e White Stripes. Acidi, ossessivi (River Styx
ricorda Alice In Chains), persi
in una nebbia a grana grossa
che stordisce (Aya). Unica pecca dell’album, forse, l’assenza
di volontà di trascendere la formula, penetrando in territori
inesplorati.
Tobia D’Onofrio
THE KNIFE
Tomorrow, In A Year
Rabid Records
28 MUSICA
Oltre a suonare con Teatro degli Orrori, Baustelle, Alessandro Grazian,
Franklin Delano e tanti altri Nicola Manzan è anche
Bologna Violenta, un mix di
electro, grindcore e follia.
Il preludio alle schegge
di violenza, i brevi intervalli di respiro alla frenesia, gli inserti midtempo fanno dei tuoi brani
degli affreschi musicali
che se dilatati e rallentaI performer danesi Hotel Pro
Forma commissionano a The
Knife la scrittura di un’opera
“lirica” ispirata a L’origine della Specie di Charles Darwin.
Nasce così questa collaborazione tra il duo svedese, Planningtonrock e Mt. Sims. Un
lavoro intenso dai forti tratti
sperimentali che mette da parte l’eclettismo pop degli altri
album per mescolare elettronica dilatata, field recordings
registrati in Amazzonia e occasionali gorgheggi d’opera che
rendono la materia sonora an-
ti sarebbero brani strutturati e normali. Possiamo dire che i tuoi brani
sono canzoni lanciate
alla velocità della luce?
O cosa?
Non posso negare che alcuni
pezzi abbiano una struttura abbastanza vicina alla
forma-canzone. Ci sono
delle strofe e dei ritornelli,
ma l’assenza del cantato e
la velocità rendono il tutto parecchio diverso dalle
canzoni “tradizionali”. Per
me l’obiettivo è quello di
scioccare l’ascoltatore, e la
velocità, secondo me, può
essere un ottimo strumento
di terrore.
Le frasi, frammentarie
che intermezzano o introducono i brani sono
Haiku eretici, cut up da
film, slogan. Da dove viene questa idea postmoderna?
Quello che si sente nel disco
è un lavoro di rielaboraziocor più drammatica. I brani più
canonici ricalcano le atmosfere
di Fever Ray, il progetto solista
della metà femminile Karin
Dreijer Andersson.
Tobia D’Onofrio
XIU XIU
Dear God I Hate Myself
Kill Rock Stars
Chi ancora non conosce l’art-pop
di Xiu Xiu troverà in questo lavoro un’ottima introduzione al
tragico mondo di Jamie Stewart
e compagna. Mettendo da parte
la psicosi dei dischi preceden-
ne di tematiche affrontate nei
mondo movies. Dal vivo uso
anche degli spezzoni audio presi da poliziotteschi o documentari. Mi ha sempre affascinato
l’uso del cut up, tecnica già in
voga negli anni sessanta per
quel che riguarda la letteratura. Mi piace l’idea di manipolare materiale sonoro e soprattutto parlato. Ne Il Nuovissimo
Mondo questa tecnica mi ha
consentito di rendere i concetti più estremi e diretti. L’idea
di vedere i testi del mio disco
come degli haiku eretici non è
male, comunque...
La tua musica è molto vicina all’arte. I tuoi concerti
sono vere e proprie performance. Come ti approcci
alla dimensione live?
Inizialmente la cosa un po’ mi
spaventava. Dopo un centinaio
di concerti posso dire che mi
trovo sempre a mio agio sul
palco, faccio emergere quello che ho dentro, il senso più
profondo dei pezzi. Non ci sono
filtri, ci sono metafore, prese in
giro e prese di coscienza. Un po’
quello che è la mia vita, come
penso anche quella di tutti.
Ascoltando la tua musica
emergono due passioni: i
ti, Dear God rimescola in modo
meno dadaista la tavolozza di
colori del classico Xiu Xiu: paesaggi shoegaze e tappeti electrovintage fanno da base a melodie vocali radicate nel pathos
di Joy Division (This Too Shall
Pass Away). New-wave riletta
in chiave “contemporanea”. Bedroom-pop a bassa fedeltà dalle
forti tinte psichedeliche. Gotico
e abrasivo nel sound, coraggioso
nell’approccio compositivo, il duo
di Brooklin resta una delle perle
nere di questo nuovo millennio.
Tobia D’Onofrio
film polizieschi anni ’70 e
l’hardcore. Quali sono i tuoi
riferimenti musicali?
Ho iniziato a studiare musica
a cinque anni, e a suonare il
violino a sette. Ho fatto molta
musica classica fino a qualche
anno fa come violinista. Quindi
ho un background classico molto forte, che mi influenza molto
nella scrittura dei pezzi. Adoro
Bach e nei due dischi ci sono
degli omaggi al maestro tedesco. Verso i quindici anni ho
cominciato ad ascoltare grindcore e soprattutto l’hardcore
italiano degli anni ottanta. Ad
un certo punto i due mondi
hanno cominciato ad avvicinarsi, e credo che Il Nuovissimo
Mondo sia un’immagine abbastanza chiara di quello che ho
in testa in questo momento.
Ovviamente poi ci sono molte
citazioni “cinematografiche”,
quindi molti richiami a colonne
sonore di Ortolani o Morricone.
Il nuovissimo mondo si presenta come un epitaffio. È
la morte di una nazione? Di
un pianeta? Cosa vuole comunicare questo album?
È il declino del genere umano. Volevo che la copertina
raffigurasse in maniera molto
esplicita il futuro dell’uomo. Ho
CALIBRO 35
Ritornano quelli
Calibro 35
Ghost Records
di…
Ritornano le atmosfere roventi dei polizieschi anni 70, con
questa band che ha rilanciato
atmosfere evergreen. Funky,
soul, progressive, jazz, sapientemente amalgamati in
un’esplosiva miscela lisergica
che vede nel groove l’unica via
da seguire. Lungi dall’essere
dei pedissequi imitatori, i Calibro 35 hanno un’ottima tecnica
e la giusta dose di personalità.
messo una mia foto, ma poteva esserci la foto di chiunque.
Questo disco parla dell’essere
umano in quanto animale che
si sta auto-estinguendo.
Oltre al tuo progetto Bologna Violenta collabori come
chitarrista e polistrumentista con molti artisti. Ci parli di questa tua altra anima?
Ho suonato con molte band ed
ho registrato il mio violino in
parecchi dischi. A volte sono
collaborazioni che durano il
tempo delle registrazioni, in altri casi nascono progetti più a
lungo termine, vedi ad esempio
con Il Teatro Degli Orrori, per
cui ho registrato i violini dei
due album ed ora, a distanza
di quattro anni dal primo “incontro”, sono in pianta stabile
nella loro line-up dal vivo. Oppure con Alessandro Grazian,
che aveva bisogno di un violinista per qualche data e alla
fine ci siamo ritrovati a farne
più di cento e a registrare tre
dischi insieme. È un aspetto
molto bello di questo lavoro, ho
la possibilità di esibirmi molto
dal vivo e di avere sempre nuovi input che vanno a riflettersi
sul mio gusto musicale e sulla
mia professionalità.
Osvaldo Piliego
Un omaggio a Morricone, Micalizzi e Isaac Hayes da una delle più talentuose band del Bel
Paese. In cabina di regia Tommaso Colliva, già collaboratore
di Muse, Arto Linsday e Franz
Ferdinand.
Tobia D’Onofrio
GORILLAZ
Plastic Beach
Parlophone
Snoop Dogg, Mos Def, De La
Soul, Mark E. Smith, Mick
Jones & Paul Simonon, Lou
Reed… Una sorprendente lista
MUSICA 29
di ospiti illustri che hanno accettato di interpretare un ruolo
nella cartoon-band di Damon
Albarn. Oltre al solito hip-electro-pop, White Flag si perde
in fragranze mediorientali fra
tablas ed enfasi d’archi. Superfast Jellyfish chiama in causa i
De La Soul e la voce dei Super
Furry Animals. Stylo ha un
cantato soul immerso nel profumo di anni ’80 che pervade
anche Empire Ants e l’acidissima Glitter Freeze. Some Kind
Of Nature è Lou Reed in forma
smagliante e Pirate Jet chiude
il lotto lasciando in bocca un
piacevole sapor di Brian Eno.
Tobia D’Onofrio
JIMI HENDRIX
BRAD MEHLDAU
Highway Rider
Nonesuch
Il disco che probabilmente
si rivela come il più importante ed atteso del 2010,
uscito il 9 marzo, è stato
registrato quarant’anni fa,
da un musicista deceduto
quarant’anni fa: ci sarebbe
da riflettere sullo stato di
salute della musica attualmente in circolazione, se
non fosse che la circostanza
enunciata è attinente a uno
degli artisti più importanti
e influenti del secolo scorso,
reale icona della chitarra e
Se Brad Mehldau avesse mai
mancato un colpo, nella sua
ormai ventennale carriera, con
questo disco si rimetterebbe in
pari e poi chiuderebbe la partita, senza sforzo e senza vedere avversari. Perché il doppio
“Highway Rider”, arrivato otto
anni dopo il suo primo lavoro
orchestrale, Largo, di nuovo al
fianco di un grande produttore
come Jon Brion (lo stesso che
stava dietro a Elliott Smith,
e poi a Fiona Apple, Rufus
Wainwright, e a cui si devono
le colonne sonore dei film di
Michel Gondry, Charlie Kaufman, Paul Thomas Anderson),
è un lavoro di singolare bellezza, fatto di melodie insolite
30 MUSICA
Nuove canzoni per la leggenda
e insistenti, di arrangiamenti
raffinati, di composizioni perfette che trasudano le molteplici ispirazioni classiche, jazz,
rock, pop che hanno guidato
il pianista americano nella
scrittura e nell’orchestrazione.
Registrato in presa diretta negli Ocean Way Studios di Los
Angeles, l’album snocciola le
performance del trio di Mehladu, con i solidi Larry Grenadier
al contrabbasso e Jeff Ballard
alla batteria, allargandosi poi
al magnifico sassofonista Joshua Redman, a un altro nome
enorme delle bacchette, Matt
Chamberlain (già coi Pearl Jam
e poi al fianco di Tori Amos,
del rock.
Hendrix è senza ombra di
dubbio il chitarrista più
noto alle masse che sia
mai esistito, sia per la sua
magnificenza chitarristica,
compositiva e più in generale artistica, che per la sua
figura di personaggio ‘maledetto’ impelagato in una
vita di eccessi culminati
nella morte a soli 27 anni,
nel settembre del 1970,
per cause non ancora ben
accertate, sebbene la tesi
Morrissey, David Bowie, Peter
Gabriel e via così), e all’orchestra diretta da Dan Coleman.
Gran disco. Finalmente.
Lori Albanese
GOLDFRAPP
Head First
Mute
Il duo di Bristol della dolce Alison
Goldfrapp ritorna al synth-pop
degli esordi, riproponendo l’ormai “obbligatorio” sound anni 80.
Chi ha nostalgia di ABBA, ELO
e compagnia bella troverà sicuramente pane per i suoi denti. Chi
invece cerca un minimo di originalità e carattere, resterà proba-
più accreditata voglia che il
chitarrista sia morto soffocato
dal proprio vomito a seguito di
un micidiale cocktail di alcool e
tranquillanti.
In realtà Jimi alla fine della
sua brevissima ma sensazionale carriera - appena quattro
anni - non sopportava molto l’idea di dover fare “il Jimi
Hendrix” a vita, di dover continuare a suonare chitarre coi
denti o incendiarle, tanto che
arrivò a insultare pesantemente, durante uno degli ultimi
concerti (28/01/1970 a New
York), una fan che gli chiedeva
di suonare Foxy Lady. L’istrionico maltrattatore di chitarre
dal piglio mascolino (che però
pare avesse finto a suo tempo
la propria omosessualità per
farsi congedare dai propri incarichi militari) era ad onor
del vero un tipo molto timido
e insicuro di sé, che detestava
la propria voce, e che probabilmente anche per questa sua insicurezza fu preda di ogni sorta
di estremismo lisergico.
Di conseguenza probabilmente
Jimi con ogni probabilità non
sopporterebbe di buon grado
l’idea che la sua famiglia, a
quarant’anni dal suo trapasso,
continui abilmente a lucrare
sfornando materiale che il chitarrista, di origini miste cheyenne e afroamericane, aveva
semplicemente registrato ma
del quale non aveva avuto né
il tempo né il modo di acconsentire alla pubblicazione. E
c’è ancora tanto di che lucrare,
dal momento che era caratteristica fondamentale di Hendrix
la continua sperimentazione
in studio, che portava a interminabili e sfiancanti sessioni
di registrazione (al punto di
indurre allo sfinimento e all’abbandono il produttore Chas
Chandler che l’aveva scoperto e
lanciato nel 1966); dunque esistono chilometri di nastri non
ufficialmente pubblicati, che
potranno garantire una vita
lussuosamente serena ai suoi
eredi.
Valleys of Neptune è una raccolta di 12 brani con 2 bonus
track, estrapolati dalle sessioni
avvenute a cavallo dei due dischi ufficiali Electric Ladyland
(1968) e Band of Gypsys (1970),
con un notevole lavoro di produzione operato congiuntamente da Janie Hendrix, Eddie
Kramer e John McDermott: ad
essere sinceri il materiale real-
mente e completamente inedito è ben poco, in quanto quasi
tutti i brani erano in qualche
modo apparsi all’interno di
bootleg, o erano stati già pubblicati in altre versioni - basti
pensare che, ad esempio, Stone
Free, il brano di apertura, era
già stato la facciata B del primo
singolo di Jimi, Hey Joe (1966).
Ciò non toglie, però, che siamo
sempre di fronte alla musica
di Jimi Hendrix, e nonostante questo disco sia una palese
operazione di rastrellamento finanziario, fa sempre un grande
piacere ascoltare il chitarrista
alle prese con una fulminante
versione di Fire, o con un omaggio infuocato ai Cream di Sunshine of Your Love, o con una
versione strumentale e dilatata
di Red House. E fa anche piacere sapere che qualcuno, grazie
al tamburellare mediatico correlato a questo album, possa
magari scoprire per la prima
volta la magia di un artista che
il mondo continua ad ascoltare
a distanza di quarant’anni dalla scomparsa, e che continuerà
sicuramente ad ascoltare anche fra quarant’anni.
Marcello Zappatore
bilmente deluso da un album di
hit, strizzando l’occhio ai fan che
non avevano apprezzato la svolta
folk del precedente Seventh Tree.
I brani più interessanti sono Dreaming che rifà i Bronsky Beat,
Voicething che imita Laurie Anderson, e Shine and Warm che
riprende l’atmosfera del vecchio
singolo Black Cherry.
Tobia D’Onofrio
l’elettronica e la psichedelia con
sguardo obliquo e penetrante.
Dopo aver incrociato l’esuberanza delle melodie anni ’60,
le progressioni del krautrock,
le nebbie del dream-pop, oggi
torna a deliziarci con un lavoro
più accessibile che nuota fra le
suggestioni, eliminando il taglio sperimentale in favore del
formato canzone. Se i brani più
contemporanei ricordano gli
Animal Collective, il resto di
Swim getta l’ancora sul dancefloor, galleggiando serenamente
fra reminiscenze di Daft Punk,
Chemical Brothers e Four Tet,
amico e collaboratore di Snaith.
Tobia D’Onofrio
DAVIDE TOSCHES
Dove l’erba è alta
Controrecords
CARIBOU
Swim
Merge
Prima con Manitoba, poi con
Caribou, il produttore canadese Dan Snaith ha esplorato
Sembra un viaggio onirico dal
tramonto all’alba questo Dove
l’erba è alta, cd d’esordio (dopo
un primo demo) del cantautore
Davide Tosches. Prodotto da
Giancarlo Onorato (e si sente),
il disco si muove tra sonorità
scure e testi austeri. Undici
brani (tre strumentali) che
tinteggiano un immaginario
buio e tetro, una notte uggiosa e ventosa quando pensi che
qualunque cosa possa capitare,
un’alba nebbiosa e fredda, un
tramonto dai colori impossibiMUSICA 31
li. Gli arrangiamenti ospitano
violini, hammond, pianoforti,
wurlitzer, lastre metalliche,
richiami per uccelli in una costruzione sonora mai banale.
Moltheni, Cesare Basile, Piero
Ciampi e, andando oltre, Tom
Waits e Nick Cave sembrano
alcuni dei punti di riferimento
di Tosches. Un disco robusto e
intenso. Da ascoltare (pila).
DEE DEE
BRIDGEWATER
Eleanora Fagan (19151959). To Billie With
Love from Dee Dee
Emarcy
Mettiamola così: il disco è bello,
ha un suono molto americano,
molto ben curato, si arriva alla
fine e lo si rimette daccapo, e
poi ancora. Alcuni brani sono
pieni di uno swing che fa tremare le ginocchia e Dee Dee è
ovunque divina. La sua voce è
in piena forma, bella, appassionata, vibrante. I musicisti
sono strepitosi, di quelli che,
come spesso si dice, non hanno
bisogno di presentazioni (Edsel
Gomez, al piano, che ha anche
curato tutti gli arrangiamenti;
Lewis Nash alla batteria; Christian McBride al contrabbasso,
e James Carter a sax, clarinetto e flauto). Non è un disco di
standard, né un tribute-album.
È, a tutti gli effetti, un disco di
Dee Dee Bridgewater, la cui
personalità straripante copre
e riveste di sé un repertorio
32 MUSICA
di assolute meraviglie come
Lady Sings The Blues, All Of
Me, You’ve Changed, Don’t Explain, Fine And Mellow. Brani
infiniti con cui non si può semplicemente entrare in contatto,
ma che si devono “possedere”.
E proprio di possessione ha
spesso parlato Dee Dee raccontando il suo rapporto con Billie
Holiday, che già venticinque
anni fa aveva omaggiato a teatro. Il punto è che qui l’omaggio si riduce a mero repertorio,
perché di Lady Day sembra
mancare tutto. C’è l’anima di
Dee Dee, ed è grandiosa. Ma è
solo lì che è rimasta Billie.
Lori Albanese
nei quali ha militato - all’r’n’b
di Amy Winehouse, e molto,
molto altro. Tra gli schiamazzi
sanremesi, la sua bella L’uomo
che amava le donne (che richiama Truffaut), è suonata come
una promessa, mentre il singolo che l’ha preceduta al successo, Cinquantamila lacrime,
insieme a Giuliano Palma, così
piacevolmente retrò, ha fatto
chiaramente intravedere che
dietro quell’intenzione un po’
à la Meg, si celava una cultura musicale sorprendente. Una
virtù che la gran parte delle
starlette sue colleghe non si
sogna nemmeno. Ce ne fossero.
Lori Albanese
NINA ZILLI
Sempre lontano
Universal
GRIMOON
Super 8
Macaco
Com’è leggera, la Nina. Com’è
bella e fresca la sua voce, così
zeppa di colori pieni, e vivaci,
anche quando canta la tristezza e la malinconia. Una boccata
d’aria pura, un respiro di sollievo, un gran bel sentire. Lei,
Nina Zilli, piacentina, che si è
scelta un nome d’arte piccolo e
potente in omaggio a una enorme signora della musica come
Nina Simone, scrive, produce,
arrangia e mischia, con la naturalezza un po’ grezza degli artigiani, tutte le passioni musicali
della sua vita, quelle che vanno
dal soul della Motown e di Otis
Redding agli anni Sessanta di
Mina, dal reggae degli Africa
Unite e dei Franziska - gruppi
Ogni tanto gli amici mi chiedono: mi suggerisci un bel disco?
Trovato! Super 8 dei Grimoon
ti prende al primo ascolto e ti
accompagna qualunque cosa
tu stia facendo. È il quarto lavoro discografico per il gruppo
italo francese che, anche questa volta, sorprende per lo stile
crepuscolare ma spensierato,
morbido ma incisivo. Nei dodici brani del cd infatti i Grimoon tengono insieme il folk e il
rock, ballate docili e cantautorato delineando, etichettando
ancor più che nei precedenti
lavori, un vero e proprio sound
Grimoon, un mondo sonoro
inconfondibile. Il cd è accompagnato da Neera - secondo
film del gruppo rigorosamente
fatto in casa dopo La Lanterne
Magique – un viaggio surreale
tra terreno ed ultraterreno che
coinvolge, tra gli altri, Alessandro Fiori (Mariposa, Amore),
Davide Toffolo, la compagnia
teatrale Farmacia Zoo ed Erik
Ursich (pila).
EUGENE
CHADBOURNE
Roll Over Berlosconi
Interbang Records
Chadbourne è un artista americano prolifico, ironico e virtuoso
che strapazza chitarre e banjo
come fosse in preda a una cri-
si epilettica. La sua semplicità
melodica lo fa sembrare una
versione roots di Daniel Johnston (il cantautore outsider
amico di Nirvana e Yo La Tengo), ed è disarmante quando affronta una funambolica cover di
Nick Drake al banjo. Tra brani
inediti e rifacimenti di vecchie
canzoni, Eugene suona blues,
jazz e bluegrass in mezzo a
tanta improvvisazione, restando sempre in bilico tra pop e
avanguardia. Ma la più grossa
“novità” del suo ultimo album
consiste nella “dedica” a Berlusconi, citato nel feroce brano
di satira politica che dà il titolo
all’intero lavoro. Con coraggio e
simpatia, Chadbourne reinterpreta Roll Over Beethoven, un
vecchio classico di Chuk Berry,
raccontando le avventure del
nostro amato Premier. Il vinile
in edizione limitata di 999 copie
può essere ordinato in rete su
www.rolloverberlosconi.com.
Tobia D’Onofrio
BARNETTI BROS BAND
Chupadero
Eccher music
Chupadero è un luogo sacro
del New Mexico a quasi tremila metri di altezza. Lì si sono
incontrati quattro musicisti
e cantanti molto diversi tra
loro: Massimo Bubola, autore
con Fabrizio De Andrè di due
album bellissimi e considerato
uno dei massimi esponenti della scena cantautorale italiana,
Andrea Parodi, già vincitore
del Premio Tenco come esordiente per Soldati, Massimiliano Larocca, fiorentino molto
promettente, e Jono Manson,
un americano giramondo che
ha attraversato il soul, il blues
approdando anche al cinema
con i fratelli (suoi cugini) Cohen. Da questo incontro è nato
un disco intenso che racconta storie e delinea ritratti di
banditi, briganti e fuorilegge,
personaggi fuori dal comune.
33
Undici canzoni pensate come
undici cartoline che raccontano altrettanti episodi di vita e
nei quali si passa dal Vecchio
West all’era Vittoriana inglese,
dal Risorgimento italiano, alla
New York degli anni ’50, fino ai
nostri anni di piombo. I quattro sono affiancati da numerosi
ospiti, tra i quali, Terry Allen,
Tom Russell, Andrew Hardin,
Gurf Morlix, Joel Guzman,
Mark Clark, Sharon Gilchrist.
Un’epopea in musica. (pila)
AA.VV.
Can’t stop the music –
Volume 1
In attesa del loro nuovo cd, in
uscita a maggio, i Sud Sound
System danno voce ai tanti virgulti reggae cresciuti sotto le
loro fronde. Can’t stop the music è il titolo della compilation,
non uno showcase, una raccolta cioè di brani cantati su un
paio di “riddim”, ma una vera
e propria raccolta di pezzi e di
giovani voci del reggae salentino. E dei relativi “stili”. Perché
quello che emerge nelle tredici
tracce del “variopinto manipolo” di ragazzi è certamente una
maggiore “maturità” e personalità rispetto alle precedenti
produzioni. Da Mulino, uno dei
pezzi più interessanti è il suo
Un altro giorno, a Terequeia,
e poi Ghetto Eden, Lu Dottore,
Rubens e tanti altri. Partendo,
e non poteva che essere così,
dai “veterani” Papa Leo & Ran34 MUSICA
kin Lele, con il brano che dà il
titolo al cd. Tante, ovviamente, le comparsate dei Sud che
non si limitano a stare dietro
le quinte ma accompagnano
molti momenti e voci del cd. In
particolare, e tutti insieme, nel
brano Proteggimi di più, di Ely,
l’unica voce femminile di Can’t
stop the music.
Dario Quarta
MASCARIMIRÌ
Tradizionale
Dilinò
I Mascarimirì staccano la spina, posano gli strumenti, tamburello a parte, per mettere
su disco la loro “polifonia paccia salentina”. È Tradizionale
- di nome e di fatto - il cd nel
quale Claudio “Cavallo” Giagnotti, Mino Giagnotti e Vito
Giannone, accolgono la “uce te
fimmina” di Anna Cinzia Villani per una inedita versione
di molti dei più celebri brani
della tradizione salentina. Da
Quantu me pari Beddha a Moretto, e poi Oriamu pisulina,
Fimmene fimmene, Lu Rusciu
de lu mare, Pizzicarella, Tre
sorelle e altri ancora. Tutti con
le sole voci e qualche tamburello. Canti “alla stisa”, che si
avvolgono e accompagnano a
“loop”, polifonie e refrain vocali. Tradizionale (ri)parte quindi
dalle voci e dai canti della tradizione, senza abbandonare le
sperimentazioni musicali che
hanno contraddistinto il decen-
nale lavoro dei Mascarimirì e
che qui diventano più propriamente vocali, per continuare
comunque la “tradinnovazione”. Il cd, prodotto da Dilinò,
nato sotto la supervisione di
Manù Theron, voce unica del
canto di tradizione Occitano e
che, da anni, ha allacciato uno
strettissimo sodalizio artistico
con Mascarimirì.
Dario Quarta
NOYZ NARCOS
Guilty
Sine, Propaganda
Records
Emanuele Frasca aka Noyz
Narcos è agitatore della scena
hardcore-rap capitolina, uno
degli artisti di maggior successo per il nuovo hip-hop italiano.
Da Roma con furore, dunque, il
rapper del Truceklan organizza un assalto frontale con mitragliate di beat assassini. Sinfonismo dark, atmosfere nere
come la pece e testi incazzati e
intelligenti. Fra gli ospiti, Marracash, Club Dogo e Fabri Fibra nell’acida Italian Psychos.
Tobia D’Onofrio
MARLA SINGER
Tempi di crisi
RockOver
In America esiste un rock cosiddetto mainstream che vende
milioni di copie. In Italia il rock
dai grandi numeri è spesso pop
mascherato. I Marla Singer
sono un caso particolare. Riescono a conciliare una robusta
struttura musicale sintonizzata con le ultime sonorità internazionali a una vocalità potente e nitidamente melodica.
Un po’ come fu qualche anno
fa per i Timoria, i Marla Singer riescono a gestire memorie
grunge alla Pearl Jam, ispirazioni nu metal, rock classico
con equilibrio prediligendo la
forma della ballad.
DAKOTA DAYS
Dakota days
Ponderosa
cato dalla vita che diventa un
teatrino dal sapore retrò in cui
si può ridere ma soprattutto
piangere per ciò che si è perso.
A book of songs for Anne Marie
è un disco dedicato all’amore e
come tale non può colpire i cuori di chi sa ascoltare. (op)
CHAPLEIER FOU
613
Ici D’ailleurs
Gli incontri, quando ispirati
dalla musica, non possono che
farne nascere di nuova. È successo a Ronald Lippok e ad Al
Fabris. Il primo fa parte dei
progetti Tarwater e Rococo rot,
l’altro ha collaborato con artisti come Pacifico e Blonde red
head. L’alchimia scaturita non
poteva che produrre canzoni
dalle atmosfere stranianti. Una
sorta di punk sopito, annegato
tra onde psichedeliche e ingabbiato in mantra new wave. (op)
BABY DEE
A book of songs…
Tin Angel
Musica da camera a metà strada tra Anthony and the Johnson e i Sex Pistols. Sono questi gli estremi per inquadrare
un’artista complessa come
Baby dee. È multistrumentista, transgender, performer ma
più di tutto è un anima sensibile al mondo, uno spirito toc-
La musica classica del futuro
non può non contemplare l’elettronica. Quella di Chapelier fou
è la nuova musica classica ma
è anche di più. Il violinista polistrumentista francese ha il dono
di percepire la musica per strati
di essere orchestra di condensare le possibilità in un espressione musicale progressiva e
complessa. Tutto mantenendo
una forte comunicatività espressiva con il connazionale e amico
Yann Tiersen. Intesse, in questo
613, partiture degne di Matt
Elliot, affresca atmosfere alla
Brian Eno, si stiracchia come farebbero Boards of Canada.
Osvaldo Piliego
MISS FRAULEIN
The secret bond
Mk records
Tornano i calabresi Miss Fraulein. Il loro sound si evolve
mantenendo fede al patto siglato ormai da anni con il rock
and roll. Tra alternative e stoner smussano alcuni angoli rispetto al passato senza perdere
spinta e potenza. Aperture southern dal sapore psichedelico
si alternano a tirate più tipicamente southern. Sullo sfondo
Kyuss e Queen Of the stone age
ma, complice un timbro vocale
insolito, le nuove canzoni dei
Miss Fraulein hanno un impulso nuovo che ci piace molto.
VIVIANNE VIVEUR
Rain Feelings
My Fay Record
Il trio italo-inglese guidato dalla dolce vocalist Vienne pubblica un nuovo lavoro intenso
e crepuscolare registrato a
Londra e Varese, masterizzato
a Manchester. Dieci brani che
strizzano l’occhio ai classici del
gotico come Cure e Siouxie, ma
anche al progressive rock e a
un pop psichedelico con venature noir che ricorda Flaming
Lips (My Rainstorm), Deus
(Edimburgh Say) e Blonde Redhead (Victorian Rain).
Tobia D’Onofrio
AVI BUFFALO
Avi Buffalo
Sub Pop
Avi Buffalo è un album vario
e articolato che omaggia Neil
Young e la sensibilità pop dei
Beatles alla stregua di altri giovani gruppi, come i compagni
di etichetta Band Of Horses e
Shins. Il brano d’apertura unisce
il cantato femminile dei Belle &
Sebastian a corposi arrangiamenti docilmente post. Il singolo
What’s In It For si sposta su una
coralità psych-pop che stavolta
ricorda i Flaming Lips su una
base roots alla Wilco. Fenomenali gli otto minuti di Remember
Last Time che salutano i Built
To Spill, con tanto di assolo in
coda. Considerato che si tratta di
un cantautore californiano di 18
anni, è giusto aspettarsi grandi
cose da questo nuovo membro
della famiglia Sub pop.
Tobia D’Onofrio
MUSICA 35
36
AVANTI POP
Cinque brani di successo che piacciono anche a Coolclub
Vampire Weekend – Horchata
I nerd che diventano
star. È successo negli
Stati Uniti, quando nel
bel mezzo della guerra tra star plastificate il loro “Contra” ha
raggiunto la posizione
numero uno della classifica Billboard degli
album. Il primo album
negli ultimi 20 prodotto da un’etichetta indipendente a finire così in alto. Un segnale fortissimo
di speranza e di vitalità per l’indie-rock aldilà
dell’Oceano. Il quartetto guidato da Ezra Koenig
piace molto anche qui in Italia, ma non è ancora
un fenomeno di massa né lo sarà mai. Però qui
c’è molto, moltissimo pop tra una chitarra e l’altra. Non sappiamo se hanno il carisma per reggere alla pressione e alle aspettative. Nell’attesa
ci godiamo questo meraviglioso singolo bevendo
Horchata (ma si può tradurre con “orzata”?)
Ellie Goulding – Starry eyed
Strombazzata su queste pagine e su quelle
più nobili del sito della
BBC, è arrivata anche
nell’airplay
italiano.
Niente di eclatante,
niente di nuovo, ma la
miscela piace e più resistere per più di una
stagione. La parola
folk-tronica non è nuova ma con Ellie, bionda
ragazza dell ’86, inglese sin dal primo sguardo,
e i suoi produttori Starsmith e Frankmusic, può
nascere un nuovo filone tutto femminile, molto
pop, ma un attimo meno plastificato (per quanto la produzione di Lights, album d’esordio della
Goulding, sia un muro di suoni creati a tavolino).
Baustelle – Gli spietati
Uno dei pochissimi gruppi italiani ascoltati ed
amati a prescindere. I mistici dell’Occidente, sesto album della formazione toscana, è uscito proprio in questi giorni ed è ancora presto per dire
se sarà amato universalmente come Amen. Né
sapremo se quel colore nella musica che Francesco Bianconi riesce ad esportare anche quando
scrive brani per altri (Paola Turci, Irene Grandi) sarà annacquato dal lavoro di Pat McCarthy
(già produttore con Rem, U2 e Madonna) o sarà,
ancora una volta, il marchio di fabbrica. L’unica
certezza è che questa Spietati è, come da tradizione, un primo singolo devastante, sia nel successo sia nel rapporto tra popolarità e testi, così
duri ma cantati da tutti, tali da offrire sempre lo
stesso senso di straniamento.
Gorillaz – Stylo
Un po’ come per i Baustelle, i Gorillaz hanno un rapporto con il
music business simile
a quello che Gastone
avrebbe con una slot
machine. Scrivono un
album (ogni 5 anni), i
fan spuntano, quando
fanno un buon colpo
ne aggiungono altri. È il caso di Plastic Beach,
già universalmente incensato. Un po’ meno questa Stylo, tipica del loro registro ma, proprio per
questo un po’ stantia. In radio però fa la sua
meravigliosa figura. Nel frattempo i Gorillaz,
misteriosi e taroccatori di professione, sono stati
accusati di plagio proprio per questa Stylo. Ma,
ne siamo certi, questa spy-story esalterà l’ironia
di Damon Albarn, Jamie Howlett e dei suoi omologhi cartoon.
Dj Zinc feat. Ms Dynamite – Wile out
Due perdenti di successo si
incontrano per fare il successo vero. Dj Zinc, onesto
faccendiere del turntable a
secco di grandissimi successi oramai da 15 anni, e
Ms Dynamite, MC di belle
speranze e di comprovata furbizia, ferma al palo
dal 2002, anno della sua esplosione. La Dinamite però avrà avuto le polveri bagnate e così ha
cercato una miccia di zinco. Una miscela intelligente di grime, dubstep e dei background rap dei
due musicisti hanno portato ad un brano breve e
assai intenso. Un suono che difficilmente sfonderà in Italia, ma che da queste parti piace molto.
Dino Amenduni
37
38
DAMMI UNA SPINTA
Cinque artisti che ascolteremo in radio. Forse...
Tre allegri ragazzi morti – Puoi dirlo a
tutti
In un mese in cui tutti
rimangono fedeli a loro
stessi e le poche evoluzioni si assomigliano,
ci sembra doveroso
aprire con un gruppo
che ama sparigliare. I
Tarm, dopo aver ridato più di un senso alla
speranza che la musica indipendente possa salvare il mondo (la Tempesta vi dice qualcosa?),
si mettono in posizione polleggiata e passano
al dub. Siamo curiosi di sapere come la loro incredibile prova del nove verrà accolta dal loro
zoccolo duro di fan, ma siamo certi che nessuno
avrà niente da obiettare.
Breakage feat. Burial – Vial
Un brano impossibile
per le radio italiane,
impossibile per molti
padiglioni auricolari,
impossibile per quasi
tutti. Un capolavoro
per i pochi reduci. Siamo in piena musica
post-atomica, nel cuore
di quel genere meticcio e oramai onnipresente che viene chiamato
dubstep. Il brano di Breakage è impreziosito
dal canto (?) alieno di Burial, l’uomo che nessuno ha visto e nessuno ha sentito se non con un
muro di effetti tra sé e la sua voce. Il classico
brano da ascoltare quando si è determinati, a
piedi e nella tua città piove a dirotto.
Jamie Lidell – Compass
Dopo l’uomo della pioggia, l’uomo del sole.
Jamie Lidell, perla del
soul europeo, dovrebbe
essere la colonna sonora di una domenica
di primavera. Eppure
in questa Compass c’è
dell’altro. C’è una ten-
denza evolutiva, non c’è solo un crooner ma
c’è un cantautore. Non c’è solo soul ma anche
blues, non c’è solo il sole ma qualche nuvola
sembra addensarsi. Il brano meno radiofonico
della sua carriera, il più sporco. Quasi dubstep.
Nell’iPod non sfigurerebbe affatto.
MIA – There’s space for ol dat i see
La tigre (Tamil) torna.
Oramai da star del
pop. Pur avendo fatto molto poco di commerciale e pur avendo
manifestato un certo
fastidio per il mondo
dello showbiz, e forse
anche per la società
occidentale che ha saputo accogliere (e che lei ha saputo incarnare
molto più di noi europei da generazioni). Questo brano non aggiunge moltissimo all’immaginario che ha sapientemente creato. E a noi va
benissimo così.
Calibro 35 – Milano odia, la polizia non
può sparare
Nel pieno revival da poliziottesco un titolo così
attira automaticamente
l’attenzione. Se poi la
sostanza dietro la forma è di questa caratura, non ci resta che registrare una piccola perla
della musica italiana. I
Calibro 35, ensemble milanese di musicisti di
altissimo livello (un po’ di scuola Afterhours,
un po’ Mauro Pagani, un po’ turnisti di fama
internazionale), si divertono a giocare a rifare
gli anni ’60 e ’70 e a citare i grandissimi maestri degli score cinematografici. Come singolo
lanciano un pezzo strumentale di un album che
pian piano sta facendo breccia negli iPod di
molti italiani.
Dino Amenduni
39
SALTO NELL’INDIE
In foto: D-vines
INDIE BOX
Dalla musica per la musica. Dietro lavori come
quello di Indie box c’è passione e voglia di fare.
Un’altra realtà discografica all’insegna del rock e
del punk. Sembra non trovare una fine il nostro
censimento delle etichette indipendenti italiane,
sintomo di una scena musicale sempre più prolifica.
to dici; la filosofia “No future” non fa assolutamente per noi, siamo ormai lontani anni luce da
quell’approccio nichilista e, invece, preferiamo
costruire e portare avanti una scena con determinazione e qualità, una realtà che possa essere
sempre più punto di riferimento per il punk italiano ed estero.
Indie box nasce nel 2004 e sembra fedele
a una linea musicale, estetica e “politica”.
Quando si dice che il punk non è solo autodistruzione ma capacità di costruire cose
fatte bene. Che ne dici?
Dico che sono pienamente in accordo con quan-
Ci racconti un po’ l’inizio della vostra avventura?
È una lunga storia a dire il vero perché tutto inizia nel lontano 2000 quando iniziai a lavorare
autonomamente all’organizzazione dei concerti
della mia band, L’Invasione degli Omini Verdi.
40 MUSICA
senza indugio e su quella piattaforma costruire
tutta la struttura IndieBox; riappropriandoci
inoltre al 100% dei diritti della nostra band!
Avete unito tutti i servizi legati alla musica
in un’unica struttura. Questo vi permette
di essere vicinissimi alle band. Ce lo spieghi?
La nostra filosofia è quella di poter fornire alle
nostre band un servizio completo che permetta a
tutti quanti di concentrare le forze su obbiettivi
comuni e fondamentali senza disperdere i lavori
ai quattro venti come spesso accade. Siamo inoltre in grado di fornire servizi anche ad etichette
e a band singole. La nostra struttura, composta
attualmente da cinque persone, gestisce a 360°
tutte le band IndieBox, offre un servizio di ufficio stampa sempre attivissimo con due addette
stampa, distribuisce tutte le releases anche del
gruppo Dmb music, cura il booking di svariate
band di tutto il mondo, oltre ad occuparsi, ovviamente, di quello delle nostre produzioni, offre un
servizio di stampa cd che lavora a pieno regime,
gestisce circa 5000 titoli nel settore publishing di
tutti i generi più disparati ed infine amministra
buona parte delle prenotazioni dello studio di registrazione Living Rhum.
Dovrebbe essere tutto!
Fu proprio questo inizio a darmi la convinzione
che da soli, se si è determinati, si può fare bene
e tanto! Fu così che nel 2003 fondai la mia prima
agenzia, Tourgang Booking che poi abbandonai
in mano agli altri due soci per aprirne un’altra,
nel 2004, Heartwork Music Agency, tutt’oggi in
vita. Heartwork fu gestita da me e la mia attuale socia e moglie Debora con la quale, dopo
l’università, decidemmo di fondare la più ampia
struttura IndieBox. La genesi stessa di IndieBox
è particolare perché la nostra idea era quella
di fondare quello che ora è IndieBox, ossia una
struttura a 360°, ma per fare questo sapevamo
di non poter trascurare la parte Publishing, la
gestione del diritto d’autore. La fortuna volle che
proprio in quel periodo la Le Parc Music, società
editoriale ed etichetta che gestiva L’invasione
degli Omini Verdi, decise di vendere; fu quindi
in quel momento che decidemmo di acquistarla
A chi pensa che di sola musica non si vive
cosa diresti?
Che forse è bene che facciano un altro lavoro.
Se parti con quest’idea vuol dire che non vedi la
musica come una parte importante della tua vita
ma come un hobby; secondo la loro logica il “vero
lavoro” è quello canonico con orari canonici etc
etc. Semplicemente hanno una visione diversa
da chi crede che invece la musica possa essere
un’eccezionale attività, che dia da vivere e ti faccia gioire ogni giorno in cui ti permette di alzarti
e fare questo lavoro!
Avete un po’ di uscite in catalogo. Ce le racconti molto brevemente?
Certamente al momento abbiamo in uscita:
Tommi e gli onesti cittadini, progetto di questa
super band formata da Tommi Pornoriviste,
Carlame Skruigners, Agu Franziska e Jack Camerini. L’invasione degli Omini Verdi Nel nome
di chi? quinto disco in carriera. IndieBox compilation vol 5 appuntamento fisso per la scena
punk mondiale
Da settembre avremo poi molte altre uscite che
dobbiamo schedulare... vi terremo aggiornati!
Antonietta Rosato
MUSICA 41
LIBRI
42
SERGIO RUBINI
Il regista pugliese nel suo ruolo di scrittore
Un libro a metà tra romanzo e sceneggiatura,
un lavoro in cui i confini tra cinema e letteratura non sono più chiaramente distinguibili: è
Il cattivo soggetto (Manni), scritto a sei mani
dall’attore e regista pugliese Sergio Rubini,
dallo scrittore Domenico Starnone e dalla sceneggiatrice Carla Cavalluzzi. La strana natura di questo libro che non è un romanzo né un
vero soggetto cinematografico, ma uno “strano
soggetto” come spiega il titolo è il pretesto per
allargare il discorso al rapporto tra cinema e
letteratura, alla loro attrazione fatale per il lato
oscuro delle cose e al ruolo del Meridione. Oltre
che autore del libro, Sergio Rubini è tra le voci
più autorevoli del cinema italiano in cui, sin dal
primo film da regista, La stazione, ha dato voce
a un Sud nostalgico e contraddittorio, non tralasciando di esplorare il lato oscuro dell’animo
umano, soprattutto negli ultimi lavori.
Rubini, partiamo dal titolo e dall’evidente
gioco di parole. Ce ne spiega il significato?
Il libro contiene quello che in gergo cinematografico si chiama un trattamento, cioè una cosa
che sta a metà strada tra il soggetto di un film e
la sceneggiatura. Infatti, era il progetto per un
film che poi non si è più fatto. Il “cattivo soggetto” è tale perché non è riuscito a diventare
un film.
Ma fuori dal gergo cinematografico, il cattivo soggetto è una persona cattiva...
Nel nostro caso il cattivo soggetto è il protagonista del libro, Mimì Festa, un gangster che trova
riparo in una canonica dove incontra un prete
del Nord in crisi. Il cuore del racconto è nel loro
rapporto.
Come nasce l’idea?
A Mellitto, una contrada del mio paese, Grumo
Appula, c’è una chiesetta e una scuola per i figli
dei pastori. Circola la voce che lì si sia fermato il
boss Bernardo Provenzano durante la latitanza.
Sta dicendo che il protagonista è l’alter
ego di Provenzano?
Mimì Festa è un gangster sui generis, un uomo
inquieto, folkloristicamente arrogante ma anche
fragile. Per giunta con una famiglia squinternata e un figlio che non rispetta la sua autorità.
Provenzano è stato solo lo spunto per la storia.
Perché vale la pena di leggerlo?
Perché è una lettura godibile, ma anche per
mettere il naso in una fase importante della
preparazione di un film.
Che immagine del Meridione viene fuori
dalla lettura?
È un Meridione della memoria, perché nessuno
di noi autori vive più al Sud. È un Sud pieno
di contraddizioni, attuale, multietnico, contemporaneo e variegato, in cui ci sono le cicale che
cantano, le vecchiette e gli extracomunitari che
raccolgono i pomodori.
Come spiega l’attrazione del cinema e
dell’arte in genere nei confronti del male,
dell’oscuro, del cattivo?
L’arte è ricerca della perfezione: nel buono si è
già vicini alla perfezione e c’è poco da lavorare,
mentre il cattivo è più ricco di sfaccettature. E
poi, c’è una parte oscura in ognuno di noi: tirarla fuori è difficile, vederla su uno schermo tranquillizza.
Il cattivo soggetto è un libro che nasce da
un film mancato. Una provocazione rispetto alla tendenza opposta, quella di trasformare i libri in film?
Sul set Intervista, Federico Fellini mi insegnò
che i grandi libri non possono diventare film.
Lui non realizzò mai un film tratto da America
di Kafka e mi spiegò che il cinema si può rivolgere solo alla letteratura imperfetta, cercando
di perfezionarla sullo schermo. Un grande capolavoro non può essere perfezionato.
Tornando al suo, di cinema, sta lavorando
a un nuovo film?
Sono in fase di scrittura, ma non ho ancora trovato il mio “cattivo soggetto”.
Valeria Blanco
LIBRI 43
CARLOTTA
DE
MELAS
L’autrice di Randagi, una fiaba
metropolitana ambientata nel mondo
dei punkabbestia pubblicata da Eumeswil
Randagi, la nuova fatica letteraria di Carlotta
De Melas, giovanissima narratrice che ha esordito a soli 25 anni con Una lingua sul cuore (Giraldi), è una fiaba metropolitana che pur trattando
di temi anche pesanti mantiene un tono leggero
e a tratti poetico. I punkabbestia non mi sono
mai stati simpatici, lo confesso, e quando mi è
capitato tra le mani questo romanzo ambientato
in quel mondo, ero un po’ scettico. Ma Carlotta,
simpatica e leggera come la sua scrittura è riuscita a farmi icredere e a farmi appassionare alle
44 LIBRI
storie di questi ti un po’ scalcinati e ai margini
ma che non fanno male a nessuno, se non a se
stessi in alcuni casi.
Come sei arrivata a questa storia?
La storia di Randagi ha trovato me. Capita sempre per caso di incontrare nella mia mente strani
personaggi che mi raccontano le loro avventure. A volte questi surreali incontri si verificano
prima di cadere in un sonno profondo. A volte
li dimentichi, altre volte ancora li ricordi e in
casi ulteriormente diversi la stessa vita ti offre
suggestioni e frammenti di quell’incontro. Così è
stato per Randagi.
Ero curiosa di scavare in vite diverse dalle mie,
ma farlo con pudore e trovando incanto anche
negli angoli poco illuminati della città.
I punkabbestia nell’immaginario collettivo
ricoprono un ruolo marginale e fastidioso.
Richiamano alla mente sporcizia, droghe,
cani pulciosi, collette. I tuoi personaggi
invece sembrano muoversi con leggiadria
tra tutto questo senza rimanerne sporcati
(tranne Ursula a un certo punto della storia). Ti sei ispirata a qualcuno che hai realmente incontrato per disegnare i caratteri
di Zack, Liam e Ursula?
Ho conosciuto un ragazzo dai cappelli azzurri
che faceva colletta in Porta Ticinese a Milano.
Mi ha raccontato la sua esperienza. Le sue parole le ho donate a Matteo, il fratello della protagonista.
Gli altri personaggi vivono da qualche parte di
questo mondo o di qualche altro, ma nella quotidiana realtà nessuno mi ha ispirato il loro carattere.
Matteo è un personaggio che pur non comparendo fisicamente nel libro ne permea
ogni pagina. Ci parli di lui?
Matteo è uno dei protagonisti principali. Forse il
più randagio di tutti pur non vivendo realmente
per strada.
Matteo è il fratello di Nina, si è tolto la vita. Leggendo il romanzo si scoprirà perché.
È la vittima dei più stupidi dei pregiudizi e del
pensiero ignorante che porta a imprigionare le
persone in categorie. È un anima fragile, che sopravvive nella memoria delle persone che lo hanno realmente amato. Sopravvive la sua anima.
Il tuo libro è ricco di musica, quasi una colonna sonora che sottolinea i momenti topici della storia. Ma come lavora Carlotta De
Melas, ascolti musica mentre scrivi, ti lasci
ispirare e guidare da quello che ascolti?
Quando scrivo cerco e ho bisogno del più assoluto
silenzio. Nella vita di tutti i giorni non ascolto
molta musica. La vado ad ascoltare quando ne
ho bisogno. Allora metto su David Bowie, Nico
con i Velvet Underground, Lou Reed, Emily Autumn… e restando nei confini italiani Morgan,
Battiato, De Gregori, Vecchioni, Carmen Consoli. L’elenco potrebbe continuare molto. In questo
libro si ricorda, anzi, Ursula ci parla proprio con
Kurt Kobain.
Il tuo libro è diventato anche un tour per
immagini e parole. Ce ne parli?
La bravissima fotografa Daze(d), vi invito a cercare il suo profilo on line, ha scattato delle immagini suggestive e poetiche ispirate a Randagi;
una ragazza in nero uscita dall’oceano dell’asfalto insieme ad un ragazzo unicorno. Laddove ci è
possibile portiamo fotografie e parole.
Come sei approdata alla scrittura?
Leggendo moltissimo.
Quando ero ragazzina scrivevo quaderni su quaderni sulle mie malinconie, fra quelle pagine vi
erano moltissime poesie. Qualche anno dopo provai a raccontare una storia che in qualche modo
fosse catartica per il tumulto che portavo nella
testa e nel petto. Ora la scrittura è diventata
parte di me. Non riesco a farne a meno. Scrivo
con passione e totale impegno, lasciandomi suggestionare dall’esterno, divertendomi come una
matta.
Il mio cuore tace, accompagna la penna ma non
la governa con la sua voce, sorride spesso. La
scrittura è stata una cura, mi ha permesso di capire quale fosse il mio posto e la mia inclinazione. Seguirla è fondamentale per chiunque.
I tuoi progetti per il futuro?
Sono entrata nel mondo della fantasia. Non posso, per scaramanzia, dire altro. Sono un po’ superstiziosa.
E non solo.
Ci sono ben tre storie con cui sorseggio vino rosso
sulla testiera del pc.
Dario Goffredo
LIBRI 45
46
FERNANDO
CORATELLI
Intervista all’autore di Altrotempo
Come credete che accada un’intervista? Come
un dialogo? L’intervistato ascolta le domande:
risponde; l’intervistatore ascolta le risposte: domanda di nuovo.
La maggior parte delle interviste che leggete, invece, accade in due tempi. Le domande sono preparate prima delle risposte. Le risposte si danno
conoscendo tutte le domande. L’unica vera domanda, quindi, è la prima.
Quella che segue è la trascrizione infedele di una
prima domanda.
Vivi a Milano. Hai un’agenzia di servizi editoriali. Scrivi da quando hai tredici anni.
Organizzi eventi legati alla letteratura.
Non potevi fare tutto questo, compreso vivere a Milano, restando in Puglia?
Avrei voluto fare tutto questo vivendo a Parigi
o New York, invece mi sono limitato a Milano.
D’altronde Milano è la Bari del Nord, o meglio
la Lombardia è una succursale appula. Credo ci
siano più pugliesi qui che in Puglia stessa. E poi
dopo avere organizzato un evento letterario a
Bari, a febbraio, non è detto che non si possa ripetere l’esperienza, anzi. Oppure speriamo aprano tante ottime case editrici sul territorio che mi
costringano a tornare in “patria”.
Qualunque cosa tu abbia risposto, dimmi,
se già non l’hai fatto: c’è, cos’è, dov’è, la cosiddetta generazione di nuovi scrittori pugliesi di cui (alcuni) parlano?
Risposta complessa. C’è una generazione di scrittori pugliesi (nuova non è l’aggettivo appropriato perché manca la vecchia generazione - salvo
che non si voglia considerare Nigro sineddoche
totalizzante della vecchia generazione). Cos’è, è
domanda cui non saprei dare risposta, sono un
poco tutti per cazzi loro sparsi per l’Italia (così
ti rispondo pure al dov’è). Il chi sono, che non mi
hai chiesto, potrebbe essere interessante. In ogni
caso non esiste una scuola pugliese, strictu sensu, potrei giusto dire che è esistita anni fa una
associazione a Bari (Metropolis) che aveva una
sezione letteraria (Daedalus) che si incontrava
in sede e chiacchierava di poesia e letteratura una sorta di Barcamp ante litteram (anche piuttosto casuale). A quelle riunioni partecipavo io,
Nicola Lagioia, Andrea Piva fra gli altri.
Hai un cane e in Altrotempo racconti di una
ricerca che nasce da una fuga. Trova la domanda.
Scrive un famoso autore sudafricano che il dolore
è come un cane fedele che ti segue dappertutto.
Poi, nel dolore, il protagonista di un romanzo di
quello scrittore sudafricano fugge dalla vergogna
curando cani. La storia letteraria è costellata di
cani e di fughe, da Odisseo che fugge perché de’
remi [facesse] ali al folle volo, ma alla fine l’unico
che davvero lo riconosce è il suo Argo, fino a Timbuctu di Auster. Non so se ho trovato la domanda ma di sicuro ho un cane che mi seguirebbe
nella fuga e avrebbe naso per la ricerca.
Quando finisci di scrivere, i tuoi personaggi continuano a vivere nella tua testa? Continui a immaginare cosa fanno, cosa faranno, cosa avrebbero potuto fare altrimenti?
Sì, vivono a lungo nella mia testa. Continuo a
immaginare cosa facciano e cosa faranno. Per
esempio Giulia, la protagonista di Altrotempo,
passa casualmente nel nuovo romanzo che
ho scritto, sulla sua Polo blu, è ancora in giro,
è ancora affascinante sebbene abbia ormai
qualche anno in più. Francesco invece no. Il
protagonista di Altrotempo non l’ho più sentito,
ho provato una volta a chiamarlo ma non mi ha
risposto. Deve essersi offeso per qualcosa.
Arcangelo Licinio
47
LARA CARROZZO
Più Luce - raccolta
poetica
Bhoomans editore
Il Salento è pulito. Lo dicono i
dati scaturiti dai rilevamenti
dei microinquinanti organici
presenti nelle deposizioni atmosferiche, cioè di tutto ciò che
si deposita al suolo, effettuati
di recente dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale
(Arpa) e dall’Istituto nazionale
della chimica per l’ambiente
(Inca) in collaborazione con il
Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il Salento oggi è diverso, non più evocativo di termini
come sottosviluppo e miseria,
ma scenario ideale per set cinematografici, ambiente ideale
dove il Fai ha trovato il modo,
con le sue giornate primaverili,
di evidenziare come sia diffuso
e vario il nostro patrimonio artistico e naturalistico. Il Salento è un territorio ricchissimo di
saperi, pieno di librerie, di case
editrici, di associazioni culturali, di gallerie d’arte, di teatri,
attivissimo nella produzione
e organizzazione di appuntamenti culturali. Il Salento
allora non è solo un territorio
ricco di bellezze paesaggistiche e culturali, ma una terra
che può offrire ancora molte
opportunità. Ed ecco che una
storica casa editrice olandese
come Bhoomans editore, che
opera dalla seconda metà del
secolo scorso nella patria dei
tulipani, apre anche una sua
succursale proprio a Lecce e lo
48 LIBRI
ENZO MANSUETO
Scassata dentro, un libro di prose e versi
e un disco poetico
Scassata dentro, l’ultima
proposta di Enzo Mansueto,
per i tipi delle Edizioni D’if,
è un gigantesco buco nero
che inghiotte qualsiasi cosa,
anche il silenzio e la disperazione. Libro di prose e
versi, disco poetico, con musiche e sonorizzazioni centrifughe, elettroniche, acustiche, post-rock prodotte
da La Zona Braille (lo stesso
fa con l’intento di lavorare con
poche uscite, ma di alto valore
contenutistico e una grande
cura grafico-editoriale. Il primo
lavoro di questa nuova azienda
editoriale è di Lara Carrozzo,
con la sua prima raccolta poetica dal titolo Più luce. Lara
Carrozzo, che con una laurea in
lettere, ha performativamente e poeticamente collaborato
con grandi nomi della cultura
salentina appartenenti al mondo accademico, scrive versi intensi che per comprendere ci si
deve porre nella condizione di
immaginarsi abbagliati da una
grande fonte luminosa dopo
un lungo percorso nelle tenebre. L’autrice nutrendo l’intera
raccolta di tutta l’esperienza
possibile assaporata nella sua
vita, modella il ritmo poetico
Mansueto, con Davide Viterbo e Angelo Ruggiero).
Oggetto alfabetico-sonoro
non identificato. Esso diviene demiurgicamente Voce
tonante la deriva del sociale
– dall’Abisso dell’ex-sistere
– e lamento funebre del Progresso, delle magnifiche sorti, annichilite dall’urlo del
No Future. Mansueto è, in
una parola: agghiacciante.
attraverso una dialettica che
va dal sensibile al sensoriale
al mistico. Fondamentalmente
si tratta di un lavoro dove materia e cuore si fondono in un
sincopato rumore bianco fatto
di possessi, ingordigie, corpi,
visioni misteriche ed esoteriche. Un canto di lode smisurato
al Feminino Sacro come fonte
inesauribile di energia ed ispirazione di vita.
Stefano Donno
HUGUES PAGAN
La notte che ho
lasciato Alex
Meridiano Zero
Che dire di Hugues Pagan, se
non che merita di sicuro un
posto bene in vista nell’Olimpo
dei grandi scrittori noir, magari
Gli abbiamo rivolto qualche domanda per guidarci in questo
viaggio nella zona del disastro.
Come mai un libro/disco poetico?
La parola tipografata, contagiata dai new media è slittata
fuori pagina. Il marchingegnolibro si è scassato e la voce, digitalizzata e scorporata, torna
a vibrare nella sfera dell’acustico, nella zona cieca di una
nuova oralità. In ciò, La Zona
Braille è avanguardisticamente arcaica.
Come si usa quest’oggetto?
Ognuno ne fa quel che vuole. Io
suggerisco un ascolto notturno,
a pieno volume su impianti ad
alta fedeltà o in una buona cuffia. E gli occhi ben spalancati/
chiusi sulla pagina. Poi, quando la parola ti ha invaso e ritornellato, butti tutto nell’iPod e ti
smarrisci tra le psicogeografie
della città.
Scassata dentro parla il linguaggio della metropoli e si
vicino a Chandler, o Hammet, a
cui lui, anche se europeo, anzi,
francese, strizza decisamente
l’occhio? Questo La notte che ho
lasciato Alex chiude la trilogia
iniziata con Dead End Blues
e Quelli che restano. Il protagonista, Chess, è lo stesso dei
due precendenti romanzi, un
poliziotto dall’anima straziata, ferita, che si muove in una
Parigi che più noir non si può,
tra pioggia, blues, donne fatali
e misteri pericolosi e scottanti.
Un romanzo del 1997, pubblicato la prima volta dalla sempre
ottima casa editrice Meridiano
Zero e ripubblicato adesso, sempre per gli stessi tipi. Traduzione di Luca Conti, come a dire un
marchio di qualità.
Dario Goffredo
nutre delle sue paure ancestrali. Quali?
Dell’alienazione, innanzitutto.
Intesa anche come invasione
dell’alieno. Una paura che a
volte si ribalta nell’euforica
e schizofrenica ebbrezza del
perdersi. La metropoli per me
è anche questo: essere uomo
della folla è anche essere oltre
l’uomo, nell’orizzonte artificiato della giungla urbana e delle
sue stratificate mappature, topografiche e mentali.
Scassata dentro parla il linguaggio della poesia civile.
Azzardo o ipotesi plausibile?
Sì, ma solo in modalità indiretta, poiché l’anatomia dell’orrore, la stessa pornografia, offre
argomenti ad un’etica dell’agire. Giammai, comunque, essa
parla il linguaggio dell’impegno ideologico. Da anarchico,
abituato a stare dalla parte
delle minoranze etiche, manifesto il mio impegno nella polis
col mero esistere a modo mio.
VICTOR GISCHLER
Anche i poeti uccidono
Meridiano Zero
Uno legge lo strillone in copertina in cui Joe R. Lansdale
dichiara di “non essere riuscito
a staccarsi dalla lettura di questo romanzo” e pensa: vabe’,
sarà la solita marchetta che al
Scassata dentro parla il linguaggio di una sub-condizione umana fatta di particole di vita. Siamo già oltre
Dick, ovvero in quale multiverso siamo?
No, era Dick che era oltre. E
noi ora ci siamo dentro in pieno: derealizzazione, tempo fuor
di sesto, replicanti, ipercontrollo tecnologico, non sono più
ingredienti per romanzi di fantascienza. La tele-visone, che
riempie gran parte dei versi
di Scassata dentro, è la metafora di un generatore di realtà parallele nelle quali, anche
corporalmente, la nostra vita
si aliena, subendo una inaudita metamorfosi. In qualche
modo, le poesie sonorizzate di
Scassate dentro emulano i meccanismi invasivi e subliminali
di questa “realtà” esaltandone
il carattere allucinatorio. Come
tutta la vera letteratura, siamo
in presenza di un potente allucinogeno!
Stefano Donno
bravo scrittore texano è toccato
di fare per aiutare un collega
a vendere qualche copia in più
(una moda molto americana,
d’altronde: Stephen King sono
decenni che rilascia attestati di
apprezzamento che capeggiano
in bella vista sulle copertine di
dozzine e dozzine di giallacci
anche della peggior specie, al
punto che verrebbe da chiedersi quanto tempo mai potrà
passare uno scrittore di grido
come lui a leggere roba altrui?).
E invece Anche i poeti uccidono
di Victor Gischler mantiene la
promessa, e lo fa per davvero,
diavolo! Leggi le prime pagine e in un attimo la scrittura
ti avvinghia, catapultandoti
in un mondo di sbroccatissimi
gangster tarantiniani e poeti in
LIBRI 49
crisi creativa che si affrontano
a ritmo incalzante, lasciandoti senza fiato. Il protagonista
Jay Morgan è un professore
universitario di provincia che
una mattina si ritrova nel letto il cadavere nudo di una sua
studentessa, un evento a seguito del quale la sua vita viene
sconvolta dovendo in rapida
successione confrontarsi con
un investigatore rapace, una
partita di droga trafugata, un
benefattore scorbutico che gira
per il campus con un gorilla dal
grilletto facile e una gang di
spacciatori incazzata nera, più
tutt’una serie di piccoli insormontabili guai che si concatenano tra loro in una sarabanda
spumeggiante. L’autore costruisce la storia con un gusto incredibile per il gioco narrativo,
graffiando con sarcasmo e intelligenza sia il mondo universitario che i canoni ormai un
po’ stazzonati del genere noir.
Onore e gloria, quindi, alla
straordinaria capacità di Gischler (autore di sette romanzi
e sceneggiatore di fumetti per
la Marvel) di tenere ben saldo
il lettore sulla vicenda: una
qualità unica che non si impara in nessuna scuola di scrittura creativa, e che, vivaddio!, è
ancora in grado di stupire gli
appassionati. Traduzione di
Luca Conti: praticamente una
garanzia - che ve lo dico a fare?
Omar Di Monopoli
FESTIVAL OF
FESTIVALS
Festival 2010. Un anno
di eventi culturali in
Italia
Morellini Editore
Festival of Festivals rinnova
la sua collaborazione con Morellini Editore per la redazione della quarta edizione della
guida ai festival italiani Festival 2010. Un anno di eventi
culturali in Italia. La guida
50 LIBRI
raccoglie le più importanti manifestazioni festivaliere del territorio nazionale, raccontandone focus, linee guida e dati, in
modo da fornire al lettore uno
strumento unico e completo per
partecipare all’evento. Una lettura decisamente interessante
non solo per gli addetti ai lavori
ma anche per chi magari vuole
programmare le sue vacanze
anche in base a quello che c’è
da sentire e vedere in giro per
l’Italia. Schede ricche e complete dei festival di musica, cinema, arte, letteratura e cultura
in generale. Uno strumento
utile e divertente per chi ama
le guide come il sottoscritto.
Dario Goffredo
cheranno pur qualcosa) fanno
dei libri di Carofiglio piacevoli
passeggiate tra le parole. In
questa ennesimo episodio l’avvocato Guerrieri si trasforma
quasi in un investigatore privato alla scoperta di un mistero
da Chi la visto? per una ragazza scomparsa da molti mesi.
Come al solito le storie di legge
si incrociano con la tormentata
vita privata di questo avvocato
che i lettori hanno imparato a
conoscere e ad apprezzare non
solo sulle pagine ma anche in
tv. Una di quelle saghe (come
accade per Montalbano) che lascia sempre la speranza che ci
sia un seguito.
Scipione
GIANRICO CAROFIGLIO
Le perfezioni provvisorie
Sellerio editore
AA.VV
Guerra alla terra
Edizioni Ambiente
In un numero dedicato alla
letteratura pugliese degli ultimi anni non poteva mancare
uno degli autori più richiesti e
venduti del panorama italiano.
Il magistrato e senatore Gianrico Carofiglio ha fatto ancora
centro con Le perfezioni provvisorie nuova avventura della
saga dell’avvocato Guerrieri
che, uscita come al solito per
Sellerio, ha conquistato le vette
delle classifiche di vendita confermando tutte le qualità dello
scrittore barese. Capacità di
tinteggiare personaggi credibili, ironia, legami con l’attualità
(politica, cocaina e prostituzione nella Bari odierna signifi-
Da piccolo, ricordo l’angoscia
provocata dalle immagini televisive dei missili nucleari
che avrebbero potuto distruggere la terra allora divisa
dalla guerra fredda che volgeva al termine. Angosciose
immagini di quello che poteva
essere. Dagli anni ’90, in poi,
invece la guerra è diventata
una condizione di “normalità”
nelle televisioni e sui media.
I bambini italiani di oggi,
rifletto, nascono con la guerra e sono quasi assuefatti a
questa brutale “normalità”
mediatica. Ma non tutte le
guerre sono uguali e non tutte
le guerre vengono raccontate
allo stesso modo. Guerra alla
terra della collana VerdeNero
di Edizioni ambiente a cura
dei giornalisti di Peace Reporter racconta cinque conflitti
scatenati per la conquista
delle risorse naturali. Christian Elia parla dell’acqua del
contendere nel conflitto israelo-palestinese,
Alessandro
Grandi racconta del litio boliviano, Matteo Fagotto della
guerra dimenticata del petrolio nel delta del fiume Niger,
Cecilia Strada racconta invece delle mine in Afghanistan.
Vauro, a suo modo e con le sue
vignette, racconta il rapporto
tra guerra e ambiente. “Continuiamo a giocarci pezzi di
pianeta, seppellendo sotto le
bombe e le mine, avvelenandolo con l’uranio e il petrolio,
stravolgendone la fisionomia.
Nessun trattato di pace potrà rimettere le cose a posto”,
sottolinea nella prefazione
Gino Strada. “La cultura della guerra ha preso il sopravvento e ha fatto saltare anche
i paletti della logica, non solo
quelli della convivenza civile”, precisa nella introduzione Maso Notarianni. “Su che
base logica e lessicale, infatti,
una bomba che esplode in una
città europea facendo decine e
decine di vittime civili si chiama terrorismo, mentre una
che detona in un mercato del
giovedì in un villaggio afgano
si chiama deprecabile errore?
Qualcuno crede ancora al fatto che non sia nei piani strategici (criminali), nelle intenzioni (criminali) e nella volontà (criminale) dei comandanti
militari occidentali e dei loro
mandanti politici l’ammazzare ogni giorno svariate decine
di civili inermi?” (pila)
JAMES ELLROY
Il sangue è randagio
Mondadori
Ci sono dei punti fermi nella vita di ognuno, tipo il gelato
più buono, il piatto preferito, la città dove siamo stati più
felici eccetera. Uno die mie punti fermi è che James Ellroy
è un genio, e non si discute. Mi sono tuffato in questo immenso Il sangue è randagio pieno di aspettative. Era troppo
tempo che fremevo per l’attesa dell’ultimo romanzo del più
grande scrittore di noir del mondo (non è un’iperbole), avevo ormai covato un desiderio di leggerlo che era diventato
insopportabile.
Finalmente l’ho stretto tra le mani, l’ho annusato, l’ho accarezzato, come si fa con un cucciolo appena entrato in famiglia. E poi mi ci sono immerso in questo meraviglioso delirio
di oltre 800 pagine. Un grandioso affresco dostoevskiano
sulla storia recente degli Stati Uniti d’America.
Il sangue è randagio chiude la trilogia iniziata con America tabloid dove il genio di Los Angeles raccontava gli anni
della Baia dei Porci e dell’omicidio Kennedy sotto la regia
occulta, ma non troppo, della CIA, della mafia, dell’FBI guidata da Edgar J. Hoover. Il secondo capitolo, Sei pezzi da
mille, invece raccontava le vicende legate alla guerra del
Vietnam e agli omicidi di Martin Luther King e Robert F.
Kennedy. Si ripresentavano alcuni personaggi cruciali del
primo romanzo e ne incontravamo di nuovi altrettanto cattivi e strepitosi.
Ed eccoci a oggi. JFK, RFK e MLK sono morti. A chi toccherà
adesso? Quali sono gli affari sporchi in cui si immischerà la
mafia. E Hoover contro chi complotterà? Quali nuovi personaggi incontreremo? E quali dei vecchi ci toccherà salutare?
Non vi racconto nulla della trama per non guastare nemmeno un briciolo del piacere enorme che procura la lettura di
questo nuovo romanzo di James Cattiiiiivo Fratello Ellroy.
Dario Goffredo
51
BOOKS BROTHERS
Books Brothers: associazione “di pronto intervento letterario” nata all’ombra degli anni Ottanta, ha fatto crescere e conoscere quelli che
all’inizio vennero salutati con stupore come gli
autori di uno sconosciuto “Sud Estremo”. Da allora, sono passati più di vent’anni, Books Brothers si è conquistata la fiducia di autori e lettori
in ogni parte d’Italia attraverso un capillare e
costante lavoro di ricerca tra le scritture più vive
delle giovani generazioni. Domenica 25 Aprile, a
Roma, viene presentato uno dei suoi ultimi frutti (e, per rimanere nella metafora, uno dei più
maturi): l’antologia di racconti e testi di critica
letteraria Frammenti di cose volgari. Ne parliamo con uno dei curatori, lo scrittore Maurizio
Cotrona.
52 LIBRI
Books Brothers: il nome riecheggia quello del
film, Blues Brothers… perché quest’omaggio?
Ok, confesso: sono un Brother della seconda ora
e quando è stato scelto il nome non c’ero! Mi viene in mente solo lo slogan che accompagnava la
nostra sigla: Books Brothers, everybody needs
some book to love!
Da quale bisogno è nata, qual è il vuoto che
voleva colmare?
Il big bang di Books Brothers si può fare risalire
al 1988, anno in cui Gaetano Cappelli, Michele
Trecca ed Enzo Verrengia hanno invitato gli autori meridionali under 25 a venire allo scoperto.
L’idea era quella di creare uno spazio di lavoro
per la letteratura non masticabile con logiche
aziendali ma “proiettata all’offensiva per piegare
il presente ad un senso comune o condivisibile”.
È l’idea sintetizzata con lo slogan “per una scrittura a trazione anteriore”, che non vuole definire
altro se non una scrittura che non deve rendere
conto a nessuna logica se non a quella della scrittura stessa. Ne è venuta fuori l’antologia Sporco
al sole, un esperienza di indubbio successo, in
termini di scouting (ci stavano dentro Ottavio
Cappellani, Francesco Dezio, Annalucia Lomunno e Livio Romano) e di dibattito suscitato. Noi
ancora oggi cerchiamo di tener vivo quello spirito.
Poi è arrivato il debutto in rete: cosa è cambiato? Cos’è Books Brothers oggi?
La rete ha reso possibile una dimensione di laboratorio “economica” e “permanente”. Una manciata di persone ha potuto creare un piccolo ma
vitale “ambiente creativo”, dove gli autori ricevono l’attenzione e il rispetto che meritano. Senza
promettere nulla se non la possibilità di confrontarsi con una redazione competente (si spera) e
uno spazio in cui venire allo scoperto.
In cosa, soprattutto, ti sembra cambiato il
clima letterario – e culturale – rispetto al
momento in cui avete iniziato?
Mi sembra che sia aumentata “quantitativamente” l’offerta complessiva. C’è moltissima roba di
qualità media in giro ed è difficilissimo essere
notati. Un caso come quello di Sporco al sole oggi
non riceverebbe alcuna attenzione, temo.
Quanto BB è strettamente pugliese, e in
cosa, e quanto aperta ai fermenti del resto
d’Italia?
È pugliese la genesi, ma ormai l’ancoraggio è
saltato. L’origine pugliese di alcuni dei fondatori
resta un fatto accidentale; la nostra redazione
ha varcato i confini e nel nostro bacino di autori non è possibile riconoscere alcuna prevalenza
geografica.
C’è, qualcosa, secondo te, che definisce la
tipicità di una “letteratura del Sud” rispetto a quella del Centro o del Nord?
La tendenza al lamento è una debolezza atavica. Ma se mi guardo attorno scopro che non
sono stati gli autori meridionali a guarire dal
cosiddetto “dolorismo” ma, anzi, sono stati quelli
centro-settentrionali ad esserne contagiati. Ormai l’Italia è un grande meridione, pieno di canitartufo del marcio. Faccio l’esempio del recente
romanzo Acciaio, di Silvia Avallone: è ambien-
tato a Piombino, ma è simile a tanta roba che ho
dovuto leggere sulla mia Taranto.
Avete appena autoprodotto un’antologia di
testi critici e letterari. Ci spieghi il titolo:
Frammenti di cose volgari?
“Frammenti” perche dentro l’antologia sono finiti pezzi di una cosa molto più grande; la dimensione complessiva del lavoro svolto su booksbrothers.it può essere colta sfogliando il retro del
libro: Acqua passata, ovvero un catalogo accurato di tutto quello che è stato pubblicato sul sito
nei tre anni dal 2006 al 2008. Abbiamo definito
questi frammenti “volgari” perché li consideriamo “vicini”, “veri”, “umani”. Sono pezzi di Italia,
pezzi del nostro tempo, persone.
Quanti testi ricevete/avete ricevuto?
Mi fai felice con questa domanda e, grazie al lavoro di catalogazione svolto da Antonio Gurrado, posso rispondere in maniera molto precisa!
Dal 2 gennaio del 2006 a San Silvestro del 2008,
booksbrothers.it è vissuto su 473 interventi, con
una media di quasi mezzo intervento al dì, quindi 3,3 a settimana. Per citare Gurrado “i blog –
non solo letterari – nascono e muoiono nel breve
volgere dell’entusiasmo o dell’ottimismo, Books
Brothers è perdurato ed è stato costante, il che
significa che ha sempre avuto qualcosa da dire”.
Con la nostra Area Creativa abbiamo mandato in
onda la bellezza di settanta autori diversi. E nel
2009 i numeri si sono quasi duplicati… è un caso
in cui quantità vuol dire qualità.
Cosa consigli a un esordiente scrittore?
Nel mio caso ha funzionato considerare i rifiuti
non come una persecuzione, ma come un invito
a migliorare. Per il resto considero utile acquisire un po’ di dimestichezza del mondo editoriale,
leggendo autori contemporanei e, perché no, frequentando un corso/laboratorio di scrittura creativa. I corsi non aiuteranno a scrivere meglio
ma costringono lo scrittore ad uscire dal proprio
guscio fatto di sbalzi di umore selvaggi (Oddio,
non valgo una cicca! Oddio, sono un genio incompreso!).
Di quali esordi vi sentite più fieri? (Se vi
sentite fieri di qualche esordio…)
Ho già citato Cappellani, Dezio, Lomunno e Romano. Posso aggiungere Andrea Corraro, Giovanni Di Iacovo, Francesco Lanzo, Roberta Jarussi e Andrea Di Consoli. Ma, conoscendomi, è
probabile che stia dimenticando i migliori.
Michela Carpi
LIBRI 53
CINEMA TEATRO ARTE
NEL SALENTO DELLE
MINE VAGANTI
Il regista turco Ferzan Ozpetek propone una
commedia amara ambientata a Lecce
Una commedia dolce e amara, leggera e
intensa, comica e drammatica. Mine Vaganti
nuovo film del regista turco Ferzan Ozpetek
ha messo d’accordo critica e pubblico. La
tematica è quella cara al regista delle Fate
54 cinema teatro arte
Ignoranti, l’omosessualità e il suo rapporto con
la società. In questo caso, però, dopo numerosi
drammi e film seriosi e seri, Ozpetek si cimenta
con la commedia all’italiana dove il tema
sociale si incastra a perfezione con l’ilarità.
La storia ruota attorno alla famiglia Cantone
proprietaria di un pastificio poco distante da
Lecce, una famiglia numerosa e stravagante
guidata da papà Vincenzo (Ennio Fantastichini)
deluso nella aspettative sui figli e soprattutto
sconvolto dall’annuncio del maggiore Antonio
(Alessandro Preziosi) che dichiara di fronte
alla famiglia radunata per un pranzo d’affari di
essere omosessuale. Una condizione che viene
vissuta invece come una malattia e che porta lo
scompiglio nella famiglia e il chiacchiericcio in
città. Ma c’è una cosa che papà Vincenzo non
sa. Anche il figlio minore Tommaso (Riccardo
Scamarcio) ha qualcosa da nascondere. Non
studia economia ma scrive romanzi e soprattutto
non ha una ragazza ma un fidanzato medico con
il quale convive a Roma. Il ritorno di Tommaso
nella casa paterna scatena una serie di novità
(a partire dall’outing del fratello) che vede
protagoniste la nonna (una bravissima Ilaria
Occhini) ribelle e intrappolata nel ricordo di un
amore impossibile, la mamma Stefania (Lunetta
Savino), amorosa ma soffocata dalle convenzioni
borghesi, l’eccentrica e alcolizzata zia Luciana
(Elena Sofia Ricci), la sorella Elena (Bianca
Nappi) che rifugge il suo destino da casalinga e la
sua monotona vita da mamma e moglie. Nella vita
dei Cantone e di Tommaso, in particolare, entra
anche Alba (Nicole Grimaudo), la cui famiglia
diventa socia del pastificio. “Non farti mai dire
dagli altri chi devi amare e chi devi odiare.
Sbaglia per conto tuo, sempre” è l’ammonimento
della nonna, la vera mina vagante del film. “Il
tema non è l’omosessualità”, tiene a precisare
il cosceneggiatore Ivan Cotroneo, “ma il
rapporto padri-figli, la difficoltà di conoscersi e
di accettarsi”.
“Quello
delle
persone
preoccupate
più
dall’apparenza che dalla sostanza è un club che
ha molti iscritti”, precisa Ennio Fantastichini.
“Io, di mio figlio, piuttosto che sapere con
chi va a letto, vorrei sapere se è felice. È un
periodo in cui sono attratto dal ruolo di padre.
La riflessione più grande che si può fare è sul
rapporto tra padre e figlio. A volte noi papà
siamo troppo ossessivi, preoccupati. Vincenzo,
il mio personaggio, ha un’ossessione, la paura
di ciò che gli altri possano pensare di lui e della
sua famiglia”. Un’altra mina vagante che, in
qualche modo, è detonatore di tutta la storia è
Antonio. “Uno che crea scompiglio in famiglia
in nome di un segreto che ha tenuto nascosto
per anni e che, improvvisamente, decide di
buttare fuori in nome dell’amore”, sottolinea
Alessandro Preziosi. “Credo che il cinema,
soprattutto una commedia leggera come questa,
debba essere disimpegnante. Mine vaganti non
vuole imporre una morale a nessuno, non vuole
insegnare niente se non l’importanza di fare
delle scelte. Funziona un po’ come la solidarietà:
nessuno ti obbliga a fare nulla, sta a te capire
l’importanza del dare agli altri”. Per raccontare
questa vicenda Ozpetek ha scelto la strada della
commedia. “Viviamo un’epoca in cui c’è davvero
poco da ridere, noi abbiamo deciso di farlo e sul
set ci siamo divertiti tanto”, sottolinea Elena
Sofia Ricci.
La colonna sonora comprende Sogno di Patty
Pravo e 50 mila che ha consolidato il successo
di Nina Zilli.
Mine Vaganti ha anche un’altra protagonista:
Lecce. “Non ho voluto esagerare con gli accenti.
Gli attori parlano in italiano ma con una leggera
inflessione e qualche intercalare dialettale”,
sottolinea il regista Ferzan Ozpetek che è rimasto
folgorato dal Salento e da Lecce, dalla sua luce,
dalla sua bellezza, dal calore delle persone.
“Avrei potuto girare questo film in Sicilia o in
un’altra regione del Sud, ma ho scelto Lecce, che
già conoscevo, accogliendo la disponibilità del
sindaco Perrone e la disponibilità dell’Apulia
film commission che ha sostenuto e finanziato
il progetto. Sono arrivato a 50 anni e posso
definire quello di Lecce il mio periodo più felice.
Tutta la Puglia è una regione particolare ma ad
affascinarmi è soprattutto la gente. Il pugliese
è simile a me: io apro a tutti le porte della mia
casa, dando subito fiducia”. Mesi di preparazione
e di set che hanno scaldato il cuore della troupe
e del cast. “Tornando qui, abbiamo provato una
forte emozione alla comparsa della segnaletica
stradale che indicava Lecce”, ha dichiarato la
Ricci durante l’anteprima leccese del film che
ha visto anche la partecipazione delle comparse
e degli attori salentini che hanno svolto piccoli
ruoli nel film. E se sui manifesti affissi per Lecce
spiccava l’orgogliosa scritta “girato nel Salento”
sicuramente un film di qualità come quello di
Ozpetek è un ottimo spot per questo territorio. Il
regista, grazie alla collaborazione con il location
manager Andrea Coppola, regala un Salento
molto bello (dal mare di Gallipoli al centro storico
di Lecce) ma non da cartolina manieristica.
E poi, cosa che non accade spesso, il film non
solo è girato a Lecce ma è ambientato a Lecce
e la città viene spesso citata. Una risposta a chi
considera l’investimento in cultura e nel cinema
uno sperpero di denaro pubblico.
Pierpaolo Lala
cinema teatro arte 55
ROSSELLA PICCINNO
Hanna e Violka
Anima Mundi
Kurumuny
Una mamma che abbraccia la
sua famiglia in Polonia dopo
anni di lavoro come badante
nel Salento. Una figlia diciannovenne che la sostituisce per
consentirle il viaggio. Una trasformazione privata e il confronto con differenti ruoli, l’Italia che invecchia, la famiglia
che cambia, la migrazione di
oggi, la capacità delle donne di
affrontare con forza e ironia le
dure sfide del quotidiano sono
al centro del bel documentario
Hanna e Violka di Rossella Piccino uscito per Anima Mundi
e Kurumuny con il sostegno
dell’Apulia Film Commission.
Hanna Korszla è una delle
1.700.000 badanti presenti in
Italia. Violka è una diciannovenne senza lavoro che per un
periodo sostituisce la madre
nella cura dell’anziano ‘Ntoni.
“Avvicinandomi a questo tema
con il mio precedente lavoro
Voci di donne native e migranti”, sottolinea la regista Rossella Piccino, “ho sentito l’esigenza di fare un ulteriore passo in
questa direzione spostando la
mia ricerca dal documentario
corale al film privato, dalla realtà detta alla realtà mostrata.
Per questo motivo ho scelto di
raccontare la vita di Gina e
‘Ntoni, miei nonni materni, e
56 cinema teatro arte
“Provate a mettervi nei miei
panni: vi staranno larghissimi, ma provateci”. È un fiume
in piena di felicità e autoironia Nicola Nocella, ventottenne di Corato che in pochi mesi
è stato catapultato dal Centro
sperimentale di cinematografia sul set di Pupi Avati e poi
consegnato alla ribalta nazionale. È lui quel figlio più
piccolo cui si riferisce il titolo
dell’ultimo film di Avati, ed è
suo il suo nome che campeggia tra quelli di Christian De
Sica, Laura Morante e Luca
Zingaretti. La storia sembra
ripetersi: anche per Il papà
di Giovanna Avati affidò a un
comico (Ezio Greggio) un ruolo drammatico e scovò l’allora
poco nota Alba Rohrwacher
per la parte della protagonista. In quest’ultimo film il
ruolo drammatico è andato a
De Sica, mentre si spera che
di Hanna, la loro badante polacca, avventurandomi personalmente in una riflessione che
non è solo antropologica e sociale ma prima di tutto intima
e personale”. Il documentario è
corredato da un libretto a cura
di Naemi, forum di Donne Native e migranti con Il racconto
del viaggio a Chelm di Rossella
Piccinno, La nenia dell’amore di Maurizio Nocera, Venute
dall’est di Ada Donno, Il lavoro
invisibile delle donne migranti
di Antonella Mangia e una interessante analisi dei dati che
riguardano le badanti in Italia
e in Puglia. Una ennesima con-
Nocella ricalchi il percorso
della Rohrwacher: David di
Donatello come miglior attrice protagonista. Nicola Nocella è già al settimo cielo anche
senza premio e ogni due per
tre ricorda, a se stesso e agli
altri, quanto sia riconoscente
al regista per avergli cambiato la vita.
Com’è avvenuta la selezione: il classico provino?
Ero seduto su una panchina
al Centro sperimentale e Avati passeggiava col mio maestro, Giancarlo Giannini. Passando, mi ha guardato e mi
ha chiesto l’età, nulla di più.
Era Pasqua dell’anno scorso,
io stavo tornando a casa dai
miei per qualche giorno. Al
casello di Canosa mi squilla
il telefono: era Pupi Avati che
mi chiedeva di raggiungerlo a
Roma.
ferma di come il documentario
possa essere il modo migliore,
e troppo spesso sottovalutato,
per raccontare la società che
cambia. (pila)
MIRKO GRASSO
Cinema primo amore.
Storia del regista
Antonio Marchi
Kurumuny
La casa editrice salentina Kurumuny prosegue il suo viaggio
nel documentario con Cinema
primo amore. Storia del regista Antonio Marchi di Mirko
Grasso. L’autore dopo Pasoli-
NICOLA
NOCELLA
Io esordiente con Pupi Avati
Che si fa in questi casi?
Sono arrivato a casa, ho raccontato tutto a mio padre e siamo
ripartiti subito. La sera dopo
sono uscito dallo studio di Avati
col contratto firmato e 270 pagine di sceneggiatura in mano.
Ero in lacrime.
Parlando del primo giorno
di riprese, Avati ha ricordato con tenerezza suo padre che aspettava fuori dai
cancelli di Cinecittà. Com’è
andata?
Siamo una famiglia comune:
papà fa un lavoro normale,
mamma è una casalinga. Tutto
ci è piovuto addosso all’improvviso, mi sentivo più sicuro a
sapere che papà era lì ad aspettarmi, anche perché temevo
che da un momento all’altro ci
ripensassero e mi mandassero
via. Però mi vergognavo, quindi
gli ho chiesto di aspettare fuori.
ni e il sud, Stendalì, Scoprire
l’Italia, Geatano Salvemini.
L’uomo il politico e lo storico e
Firenze di Pratolini si cimenta
con questo regista di Parma
(1923/2003) che ha operato tra
il 1946 e il 1957. In quei pochi
anni Marchi realizza numerosi
documentari, fonda una rivista
di cinema, dirige un lungometraggio. La sua esperienza si
intreccia con quella di numerosi intellettuali come Pasolini,
Antonioni, Zavattini, Moravia,
Ungaretti e Attilio Bertolucci.
“Elegante e misterioso. Così mi
appariva Antonio Marchi da
bambino”, ricorda il figlio di At-
Invece è andata bene. Ha
condiviso il set con De Sica,
Morante, Zingaretti: niente
male come esordio.
Lavorare con attori del loro calibro è una fortuna. Alcuni attori
sono gelosi del mestiere e fanno
di tutto per custodirne i segreti.
Laura, Christian e Luca, invece, mi hanno preso per mano e
guidato, insieme con Pupi, per
tutte le riprese.
Come ha reagito Corato alla
vista del suo volto sulle locandine?
Sono stato a Corato quando ancora il film non era uscito. In pochi sapevano della fortuna che
mi era capitata. So che la città
è orgogliosa, ma anche un po’
intimorita.
per quattro anni, ho studiato seriamente per altri tre e ho ottenuto un risultato con fatica, non
partecipando a un reality. Sono
un precedente pericoloso: nessun genitore potrà più opporsi
al desiderio di un figlio che vuol
fare l’attore.
E i suoi, di genitori, come
hanno reagito?
Mi hanno sempre sostenuto. Mi
hanno solo detto: “Se vuoi fare
l’attore, lo devi fare seriamente.
Devi studiare”. E così ho fatto.
Si può diventare un buon attore anche senza una scuola?
Non si può prescindere da una
solida preparazione di base.
Fare l’attore è come fare qualunque altro mestiere al mondo:
bisogna studiare e poi fare anche tanta pratica.
In che senso?
Ho provato a entrare al Centro
sperimentale di cinematografia
Come le sembra la situazione del cinema in Puglia?
Il mondo del cinema continua
ad essere “romanocentrico” e io
non vivo in Puglia da anni. Mi
sembra di capire, però, che si è
sulla buona strada: il Bifest ha
avuto grande risonanza, il cineporto e le sale di qualità sono
ottime idee.
Valeria Blanco
tilio, Bernando Bertolucci. “Se
sono diventato regista di film è
per imitare lui. Ho rivisto tutti
i documentari diretti da Antonio e scritti da mio padre. Sono
estetizzanti e poetici”. Il libro è
accompagnato dal dvd con due
documentari: La liberazione
di Montechiarugolo e Come un
canto. Appunti e immagini di
un regista dimenticato. “Leggerissimi e straordinariamente evocativi sono due gioielli
che di dicono tanto su quello
che sarebbe potuto essere il
cinema
dell’indimenticabile
Antonio Marchi”, sottolinea
Bertolucci. Il libro propone
un’attenta analisi del dopoguerra nel quale nasce e cresce
la passione del regista anche
attraverso documenti inediti e
testimonianze di coloro che lo
hanno conosciuto e apprezzato come Luigi Malerba, Citto
Maselli e Mario Verdone. “Al di
là del film, colpisce nella ricostruzione di Mirko Grasso l’intreccio delle attività di Marchi
e del suo gruppo “fuori Roma”,
e come la provincia abbia contribuito alla realizzazione di
film e al dibattito sul cinema”,
sottolinea
nell’introduzione
Adriano Arpà. (pila)
cinema teatro arte 57
ARTURO CIRILLO
Intervista all’attore napoletano in scena a Nardò con il
suo “Fatto di cronaca di Raffaele Viviani a Scampia”
Arturo Cirillo è un nome fondamentale nel teatro contemporaneo italiano, grazie alla sua continua ricerca sul teatro di tradizione napoletano
e non solo. Per tantissimi anni ha recitato nella
compagnia di uno dei maestri indiscussi: Carlo
Cecchi. Ha portato in scena lavori di Eduardo,
Moliere, Shakespeare, riuscendo a dare alle sue
messinscene sempre un tocco personale e inimitabile. Lo potremmo vedere in scena venerdì 16
e sabato 17 al teatro Kismet di Bari e domenica 18 aprile a Nardò nell’ambito della stagione
teatrale Lo spettatore incantato dove porterà un
testo di un grande autore napoletano, Raffaele
Viviani.
Un testo, questo Fatto di cronaca di Raffaele Viviani, che si discosta in modo deciso
dalla tradizione del teatro napoletano più
conosciuta al grande pubblico, quella di
Edoardo. Ce ne vuole parlare?
58 cinema teatro arte
Considero Raffaele Viviani un grande scrittore
di teatro, allo stesso livello di Eduardo, se non
superiore. Questo è un testo del 1920, che tratta
di un incidente in cui trova la morte una moglie
fedigrafa. In un clima di omertà e connivenze si
dipana una trama continuamente in bilico tra il
dramma e la farsa, dove la comicità nasce più dal
tragico che dal ridicolo.
Come è nata l’idea di lavorare con attori
non professionisti, i ragazzi di Scampia? E
come si è trovato a lavorare con loro?
L’idea di lavorare con allievi attori, perché questo sono i ragazzi di “Punta corsara” non è nata
da me ma da Marco Martinelli e Debora Pietrobono, che mi hanno chiamato a fare un laboratorio di dieci giorni, e poi successivamente
a curare una trasposizione scenica di un testo
di drammaturgia napoletana con i ragazzi del
corso. Ho scelto la lingua di Viviani perché mi
è parsa la più naturalmente vicina a quella di
questi ragazzi. Con loro mi sono trovato molto
bene, imparando a volte più che insegnando, o
quasi sempre entrambe le cose.
Ha trovato un gruppo disposto a seguirla?
Come hanno risposto i ragazzi agli stimoli
del teatro?
Ho trovato un gruppo di persone che avendomi già conosciuto nel primo laboratorio fatto in
sieme avevano curiosità e voglia di confrontarsi con il mio modo di fare teatro, anche magari
temendo le difficoltà che potevano nascere ma
comunque determinati, come forse solo la giovinezza sa essere. Ci tengo a chiarire che questo è
stato un vero corso di teatro, quello che i ragazzi
per tre anni hanno frequentato, quindi mi sono
trovato a lavorare con delle persone che stavano
già avendo una relazione con “i teatri” di molti
artisti e maestri, nulla a che fare con l’assistenza
sociale o affini insomma.
Che cosa rappresenta per lei il teatro di
tradizione?
Il teatro di tradizione è il teatro, non credo in un
teatro che non si rapporti con il passato e con le
tradizioni. È un arte che si fa nel presente, pensando e vivendo, o anche sognando, il passato.
E che cos’è invece per Arturo Cirillo il teatro di ricerca?
Il teatro di ricerca è quello che reinventa la tradizione, ogni volta. È un teatro che non replica
ma cerca di accadere ogni sera.
Dove sta andando oggi il teatro in Italia?
Alla malora, ma con vitalità.
Coolclub.it sta realizzando un’inchiesta in
tre numeri sulle arti in Puglia negli ultimi
cinque anni. Che cosa pensa della letteratura e del teatro pugliesi?
Non conosco la letteratura e la drammaturgia
pugliese, ma ritengo che la Puglia sia una regione molto attiva nel teatro, tra le migliori direi.
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Riprenderò Le cinque rose di Jennifer, l’Otello la
prossima stagione. A giugno a Martina Franca
curerò la regia dell’opera lirica Napoli milionaria su libretto di Eduardo, con le musiche di
Nino Rota. A ottobre inaguriamo, con la mia
compagnia, la stagione del teatro Mercadante di
Napoli con l’Avaro di Molierè.
Dario Goffredo
A NARDÒ LO
SPETTATORE È
INCANTATO
Fatto di cronaca di Raffaele Viviani a Scampia
a cura di Arturo Cirillo andrà in scena domenica 18 aprile presso il Teatro Comunale di
Nardò nell’ambito della rassegna Lo spettatore
incantato, a cura del Comune di Nardò, del Teatro pubblico pugliese e di Terrammare Teatro
che è la compagnia in residenza per il progetto
Teatri Abitati.
La stagione del piccolo teatro storico di Nardò
si articola in diverse sezioni che spaziano dalla
prosa alla scena contemporanea, dalla danza
al teatro per le famiglie, dalla scena dei ragazzi al teatro per diletto (con le compagnie amatoriali). 13 spettacoli serali, 5 spettacoli per le
famiglie nella rassegna “piccoli sguardi” oltre
15 recite di teatro ragazzi per le scolaresche.
La rassegna ospita anche attività di formazione con laboratori e stage per bambini e adulti,
seminari per insegnanti.
Il teatro è anche uno spazio di produzione dove
Terrammare prova, realizza e replica i suoi
spettacoli per ragazzi. Terrammare ha adottato inoltre all’interno della residenza la giovane
formazione Factory Compagnia Transadriatica
che realizzerà uno spettacolo nella prossima
stagione.
Questi i prossimi appuntamenti: sabato 10
aprile andrà in scena Cena a sorpresa di Neil
Simon con Giancarlo Zanetti, Giuseppe Pambieri, Benedetta Buccellato, Toni Garrani,
Simona Celi, Fiorenza Marcheggiani per la
regia di Giovanni Lombardo Radice. Sabato 24
aprile la compagnia Fontemaggiore propone
Ricordi con guerra di e con Stefano Cipiciani
che riporta in scena un personaggio che visse
per due estati, quella del 1989 e 1990, in due
spettacoli con la regia di Marco Baliani Corvi
di luna e D’Acqua la luna. Gli spettacoli parlavano della resistenza traendo spunto principalmente dai testi di Italo Calvino e Beppe
Fenoglio. Venti anni dopo raccontare quella
piccola storia è una sfida alla memoria personale e a quella di un paese che non sa più se
festeggiare o no il venticinque aprile. Sabato
30 aprile la rassegna ospita la compagnia salentina Induma con W l’Anarchia! liberamente tratto da Anarchia in Baviera di Rainer
Werner Fassbinder con Lea Barletti, Simone
Franco, Anna Lisa Gaudino, Cecilia Maffei,
Otto Marco Mercante, Giuseppe Semeraro per
la regia di Werner Waas. Info 0833.571871
59
EVENTI
MUSICA
VENERDÌ 2 – Vite di Nardò
(Le)
Giorgio Distante solo
VENERDÌ 2 – Endorfina di
Montesano (Le)
Lola’s Got A Sista
SABATO 3 – Endorfina di
Montesano (Le)
GaRdeNya
SABATO 3 – Vite di Nardò
(Le)
Ard trio
SABATO 3 – Sotterranei di
Copertino (Le)
Miss Fraulein
SABATO 3 – Transito di
Lecce
X-mood con Raffaele Casarano
e Dario Muci
SABATO 3 – H25 di Bari
Nina Zilli
SABATO 3 - Istanbul Café
di Squinzano (Le)
Roots hi-tek
DOMENICA 4 - Istanbul
Café di Squinzano (Le)
Postman ultrachic
DOMENICA 4 – Evening di
Monteroni (Le)
Paskareggae Night con Bunna
(from Africa Unite), Terron
Fabio (from Sud Sound
System) e Lampa Dread (from
One Love)
DOMENICA 4 – Endorfina
di Montesano (Le)
Orient Express
LUNEDÌ 5 – Parco Gondar
di Gallipoli
Alboroise, Boo Boo Vibration
e Boosta
LUNEDÌ 5 – Campeggio
Sentinella di torre
dell’Orso
Pasquetta rock&roll
VENERDÌ 9 – Saletta della
Cultura di Novoli (Le)
Perlè
VENERDÌ 9 – Istanbul Cafè
di Squinzano (Le)
Black garden e Teenage Riot
VENERDÌ 9 – Cavallo di
Troia di Molfetta (Ba)
60 EVENTI
Marco Parente
VENERDÌ 9 – Endorfina di
Montesano (Le)
Silvered
VENERDÌ 9 – Vite di Nardò
(Le)
Antonio Tosques duo
VENERDÌ 9 – Sashon di
Salve (Le)
Elisa Perrone&Funk Mood
SABATO 10 – Istanbul Cafè
di Squinzano (Le)
Polar for the masses
SABATO 10 – Endorfina di
Montesano (Le)
Dufresne, Hierophant, Fish
Eye Corporation
SABATO 10 – Transito di
Lecce
Mascarimirì e Anna Cinzia
Villani
SABATO 10 – Vite di Nardò
(Le)
Djazz live
SABATO 10 – h25 di Bari
Linea 77
SABATO 10 – Teatro Forma
di Bari
Bobby Previte’s Panatlantic
Band Feat Gianluca Petrella
SABATO 10 - Jungle pub di
Presicce (Le)
Gli Sparisopra (Vasco Tribute)
SABATO 10 E DOMENICA
11 – Teatro Paisiello di
Lecce
Papaveri Rossi. Tributo a
Fabrizio De Andrè tra musica
e poesia
DOMENICA 11 - Lulu’s di
Maglie (Le)
Musicamo’ (Omaggio A Sergio
Caputo e Pino Daniele)
GIOVEDÌ 15 – Teatro
Petruzzelli di Bari
Afterhours
GIOVEDÌ 15 – Road 66 di
Lecce
Tobia Lamare & The Sellers
VENERDÌ 16 – Saletta
della Cultura di Novoli
Marcio Rangel
VENERDÌ 16 – Istanbul
Cafè di Squinzano (Le)
Guignol
VENERDÌ 16 – Endorfina di
Montesano (Le)
Putan Club
VENERDÌ 16 – Prime di
Castrignano de’greci (Le)
Bluealma
SABATO 17 – Bluecaos di
Gallipoli (Le)
Gretaluna’s Band
SABATO 17 – Endorfina di
Montesano (Le)
Simona Gretchen
SABATO 17– Sotterranei di
Copertino (Le)
Putan Club
SABATO 17 – Vite di Nardò
(Le)
Djazz live
SABATO 17- h25 di Bari
Tre allegri ragazzi morti
SABATO 17 – Spazio Off di
Trani
Folkabbestia
MARTEDÌ 20 – Endorfina
di Montesano (Le)
Maya mountains e Il pasto
nudo
MERCOLEDÌ 21 – Ex
Convento Degli Agostiniani
di Melpignano (Le)
Davide Van De Sfroos
GIOVEDÌ 22 – Bluecaos di
Gallipoli (Le)
Musicamo’ (Omaggio A Sergio
Caputo e Pino Daniele)
VENERDÌ 23 – Prime di
Castrignano de’greci (Le)
Elisa Perrone&Funk Mood
VENERDÌ 23 - San Pedro
Saloon di Galatina (Le)
Gli Sparisopra (Vasco Tribute)
VENERDÌ 23 – Saletta della
Cultura di Novoli
Lucia Manca
VENERDÌ 23 – Istanbul
Cafè di Squinzano (Le)
2 pigeons, Gato the marmo e
Biblioteca deserta
VENERDÌ 23 – Vite di
Nardò (Le)
New Harlem Acoustic Duo
VENERDÌ 23 E SABATO
24 – Officine Cantelmo di
Lecce
Nuove prospettive della
ricerca sui patrimoni musicali
tradizionali
SABATO 24 – Istanbul Cafè
di Squinzano (Le)
Assalti frontali
SABATO 24 – Sotterranei di
Copertino (Le)
Cut
SABATO 24- Transito di
Lecce
Ard Trio
SABATO 24 – Vite di Nardò
(Le)
Djazz live
SABATO 24 – Endorfina di
Montesano (Le)
The Strange Flowers
SABATO 24 – Teatro
Kismet di Bari
Dente per Fuoritempo
DOMENICA 25 – Ramblas
di Taranto
Cut
GIOVEDÌ 29 – Officine
Cantelmo di Lecce
At home with Sophia
GIOVEDÌ 29 – Istanbul
Cafè di Squinzano (Le)
Noise of torture
GIOVEDÌ 29 – Bluecaos di
Gallipoli (Le)
Glorify Soul&Corporation
VENERDÌ 30 – Prime di
Castrignano de’greci (Le)
Rockin’ Fingers (Dire Straits
Tribute)
VENERDÌ 30 – Calaluna
di Marina di Andrano
(Le)
Bluealma
VENERDÌ 30 – Bluecaos
di Gallipoli (Le)
Sunshine (Elisa Tribute)
VENERDÌ 30 – Saletta
della Cultura di Novoli
Girl With the Gun
VENERDÌ 30 – Vite di
Nardò (Le)
Le jam del birdland –
Andrea Sabatino Duo
VENERDÌ 30 – Endorfina
di Montesano (Le)
Frogwomen & Superfreak
VENERDÌ 30 – Istanbul
Cafè di Squinzano (Le)
Ballarock
SABATO 1 MAGGIO –
Bluecaos di Gallipoli (Le)
Gli Sparisopra (Vasco Tribute)
TEATRO E CINEMA
SINO AL 3 APRILE - Roca
Nuova (Le)
Mutiduani con Elena
Ghigas, testo e regia, Ippolito
Chiarello, attore, Giacomo
Merchich, sound designer e le
‘voci’ originali di inaudito.org
VENERDÌ 9 E SABATO 10 –
Teatro Kismet di Bari
Il popolo non ha il pane?
Diamogli brioche di Filippo
Timi e Stefania De Santis con
Filippo Timi, Paola Fresa,
Marina Rocco, Lucia Mascino,
Luca Pignagnoli
DAL 13 al 18 – Cityplex
Santalucia di Lecce
Festival del cinema europeo
VENERDÌ 16 E SABATO 17
– Cantieri Koreja di Lecce
Il mercante di Venezia uno
spettacolo di Massimiliano
Civica
VENERDÌ 16 E SABATO 17
– Teatro Kismet di Bari
Studio su fatto di cronaca di
Raffaele Viviani a Scampia a
cura di Arturo Cirillo
VENERDÌ 23 - Cantieri
Koreja di Lecce
Destination trafik: deer
SABATO 24 E DOMENICA
25 - Cantieri Koreja di
Lecce
Runaway
61
martedì 13 aprile
COOK AND ROLL CIRCUS
Tappa leccese per il nuovo progetto del cuoco poeta donpasta
Il Teatro Paisiello di Lecce
ospita una tappa del tour di
“Cook and Roll Circus”, nuovo progetto multimediale in
cui Donpasta mescola musica,
racconto popolare, cucina e immagini. Lo spettacolo è della
Compagnia Food Sound Circus
con la produzione di Mairie de
Toulouse. Tra il teatro contemporaneo, le favole di un vecchio
cantastorie e le disavventure di un cuoco
maldestro. Donpasta è
un cuoco poeta, ecologista e stralunato che
non cucina mai piatti
fuori stagione! Contrario al “fast food” e
agli OGM, denuncia le
nuove forme di caporalato e rivendica il cibo
come frutto di commistioni meticcie… come
pasta e sarde. La pasta è rigorosamente
fatta in casa. È capace
di impiegare dieci ore
per fare un sugo come
si deve. Allora ne approfitta
per raccontare storie, mentre
zucchine, peperoni, melanzane
fondono nell’olio e si diffondono
odori di soffritto che risvegliano i sensi. Le sue, sono storie
di un viaggiatore. Una sorta di
road movie in cui sfilano uliveti, strade di notte e mercati
rionali. Tuttifrutti culturale,
melting pot artistico in una
unione di nostalgia, speranza,
riflessione, dove la cucina è
cultura, profondamente ancorata nella nostra civilizzazione
mediterranea. Nello spettacolo
tutti i sensi sono chiamati in
causa, l’olfatto, la vista, l’udito.
Ogni testo, ogni parola, ha un
controcanto nelle immagini e
nei suoni che dalla cucina raggiungono la musica ispirando
le melodie. I due polistrumentisti suggeriscono verso i fornelli
nuove lasagne musicali spruzzate di jazz e rock. Nick Drake
q.b., Coltrane q.b., Tom Waits
q.b.… Dai video altri ingredienti per la scena come veri e
propri attori che ci preparano
alla tavola. È così che il Circus
fluisce, in una sorta di stillicidio gastronomico per lo spettatore. Sipario 21.00. Ingresso 12
euro. Info 0832303707.
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Melpignano
(Mediateca, Kalì), Corigliano
D’Otranto (Kalos Irtate), Otranto (Anima Mundi),
Alessano (Libreria Idrusa), Galatina (Palazzo
della Cultura, Gamestore), Nardò (Libreria i
volatori, Vite, Aioresis Lab), Novoli (Saletta della
Cultura Gregorio Vetrugno), Squinzano (Istanbul
Cafè), Ugento (Sinatra Hole), Gagliano Del
Capo (Enoteca Torromeo, Tabacchino Ricchiuto),
Montesano (Endorfina coffee drink), Presicce
(Jungle pub, Arci Nova), Salve (Chat Noir, Le
Beccherie), Castrignano del Capo (Extrems),
Brindisi (Libreria Camera a Sud, Goldoni, Birdy
Shop), Ceglie (Royal Oak), Erchie (Bar Fellini),
Torre Colimena (Pokame pub), Oria (Talee),
Bari (Taverna del Maltese, Caffè Nero, Feltrinelli,
Kismet teatro, New Demodè, TimeZones, Teatro
Forma, H25), Giovinazzo (Arci 37), Trani (Spazio
Off), Taranto (Associazione Start, Trax vinyl shop,
Gabba Gabba, Biblioteca Comunale P. Acclavio, Alì
Phone’s Center, Artesia, Radiopopolaresalento),
Manduria (Libreria Caforio), Roma (Circolo Degli
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Coolclub aprile 2010