Anno LXXIX - N. 4 OTTOBRE/DICEMBRE 2015 ISSN 0392 3592 - Notiziario della Provincia Lombardo-Veneta dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio
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DIRITTO D’ASILO: UNO SCATTO DI RESPONSABILITà e di giustizia sociale di Mons. Gian Carlo Perego pag. 10
4/2015
1
I FATEBENEFRATELLI
ITALIANI NEL MONDO
I Fatebenefratelli sono oggi
presenti in 52 nazioni con
circa 319 opere ospedaliere.
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St. John of God Social and Health Center
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Fax 0063/2/7339918
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Sede del Postulantato e Scolasticato
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Tel. 0063/46/4131737
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PROVINCIA LOMBARDO-VENETA
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Sede Legale: Brescia
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Via Pilastroni, 4 - Cap. 25125
Tel. 03035011 - Fax 030348255
E-mail: centro.sangiovanni.di.dio@
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Sede del Centro Pastorale Provinciale
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Viale Principe di Napoli, 16 - Cap. 82100
Tel. 0824771111- Fax 082447935
Via Corsica, 341 - Cap. 25123
Tel. 0303530386
E-mail: [email protected]
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CERNUSCO SUL NAVIGLIO (Ml)
Curia Provinciale
Via Fatebenefratelli, 2 - Cap. 00045
Tel. 06937381 - Fax 069390052
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Ospedale Madonna del Buon
Consiglio
Via Manzoni, 220 - Cap. 80123
Tel. 0815981111 - Fax 0815757643
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Ospedale Buccheri - La Ferla
Via Messina Marine, 197 - Cap. 90123
Tel. 091479111 - Fax 091477625
Via Cavour, 2 - Cap. 20063
Tel. 0292761 - Fax 029241285
E-mail: [email protected]
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Centro Sant’Ambrogio
Via Cavour, 22 - Cap. 20063
Tel. 02924161 - Fax 0292416332
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CROAZIA-Bolnica Sv. Rafael
Milsrdna Braca Sv. Ivana od Boga
Sumetlica 87 - 35404 Cernik
Tel. 0038535386731 / 0038535386730
Fax 0038535386702
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Cap. 22040 Tel. 031650118
Fax 031617948
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Casa di Riposo San Pio X
Via Ca’ Cornaro, 5 - Cap. 36060
Tel. 042433705 - Fax 0424512153
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Viale San Giovanni di Dio, 54 - Cap. 20078
Tel. 03712071 - Fax 0371897384
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Via Fatebenefratelli, 70 - Cap. 10077
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Tel. 031802211 - Fax 031800434
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Madonna dell’Orto, 3458 - Cap. 30121
Tel. 041783111 - Fax 041718063
E-mail: [email protected]
Sede del Postulantato
e dello Scolasticato della Provincia
Edizioni Fatebenefratelli
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4/2015· Centro Studi e Formazione > [email protected] · Centro Pastorale Provinciale [email protected]
2
Sommario
In copertina
Accogliere i forestieri è
una delle sette opere di
misericordia corporale.
«è mio vivo desiderio
- scrive Papa Francesco che il popolo
cristiano rifletta durante
il Giubileo sulle opere
di misericordia...»
13
5 Editoriale
Luci spente
Marco Fabello o.h.
6
30
48 36
Parole di Ospitalità
Papa Francesco sui profughi: la globalizzazione dell’indifferenza
Aldo Maria Valli
10 Ospitalità e immigrazione
Diritto d’asilo: uno scatto di responsabilità e di giustizia sociale
Gian Carlo Perego, direttore “Migrantes”
13 Immigrazione e salute
Salvatore Geraci
nuove povertà: una realtà con cui confrontarsi
24 Le
Serafino Nizza
30 Etica e Ospitalità
«Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo
della Misericordia»
Carlo Bresciani
34 Pastorale e Ospitalità
Ser ve una nuova fantasia della carità
Laura Maria Zorzella
36 Psichiatria e Ospitalità
a cura di Rosaria Pioli
Solidarietà
Eugenio Borgna
4/2015
3
Sommario
84
64
38
43
66
Marco Fabello o.h.
CAPO REDATTORE:
Elvio Frigerio
L’umanità in viaggio: l’esperienza dell’Irccs
di Brescia per il disagio psichico del migrante
Giovanni Battista Tura
Gravi disturbi di personalità: conoscenze, diagnosi, cura
Paolo Cozzaglio
72
78
45 Filosofia di vita e Ospitalità
48
Ospitalità e Consacrazione
Sulle onde tra naufraghi e profughi
di Giovanni Cer vellera
51 Erbe e Salute
Profughi, migranti ed... expo
Lorenzo Cammelli
55
59
84
76
Dalle
nostre
case
____________
64 Giubileo di
Fede e Ospitalità
Ospitalità
San Riccardo Pampuri: apostolicamente operoso:
66 Menni: chiusura
spirito missionario a 360 gradi
del centenario
Luca Beato o.h.
69 Venezia
Ospitalità nel tempo
74 Brescia
Il fuoco.. quando fatti e responsabilità
scottano e non si riesce a stare fermi
78 San Maurizio
Canavese
Giusi Assi
79 Cernusco
62 Recensioni
Elvio Frigerio
63 Dalle nostre case
a cura di Elvio Frigerio
83 Ospitalità al femminile
Gocce d’amore nell’oceano di una tragedia
Florence Gillet
4
4/2015
Anno LXXIX n. 4
OTTOBRE/DICEMBRE 2015
Direttore RESPONSABILE:
29
Accogliere la vita con Misericordia
Maurizio Schoepf lin
ISSN: 0392 - 3592
FATEBENEFRATELLI NOTIZIARIO
Rivista trimestrale degli Istituti e Ospedali
della Provincia Lombardo - Veneta dell’Ordine
Ospedaliero di San Giovanni di Dio.
Registro Stampa tribunale di Milano n. 206 del
16.6.1979 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in
Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI
sul Naviglio
81 Solbiate
82 Varazze
COLLABORATORI:
Giusi Assi, Luca Beato o.h., Eugenio Borgna,
Carlo Bresciani, Lorenzo Cammelli,
Gianni Cervellera, Florence Gillet,
Maurizio Schoepflin, Aldo Maria Valli,
Paolo Viana, Laura Zorzella.
CORRISPONDENTI:
Erba: Silvia Simoncin; Venezia: Barbara Cini;
S. Colombano al Lambro: Serafino Acernozzi o.h.;
Cernusco sul Naviglio: Gianni Cervellera;
S. Maurizio Canavese: M. Elena Boero;
Solbiate: Anna Marchitto; Gorizia: Fulvia Marangon;
Varazze: Agostino Giuliani;
Romano d’Ezzelino: Lavinia Testolin;
Croazia: Kristijan Sinkovic’ o.h.
REDAZIONE - PUBBLICITà
SEGRETERIA E ABBONAMENTI:
20063 Cernusco sul Naviglio - Via Cavour, 2
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Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio
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Iscrizione al R.O.C.
n. 25605 del 12/05/2015
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di Franco Ilardo
Lungotevere de’ Cenci, 5
00186 Roma
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STAMPA:
Arti Grafiche Bianca & Volta srl
Via del Santuario, 2 - 20060 - Truccazzano (Mi)
foto:
Archivio Fatebenefratelli - Lorenzo Cammelli
CSC Audiovisivi - Archivio
Filmafir
Luigi Campa
Archivio Movimento dei Focolari
Associato all’Unione
Stampa Periodica Italiana
Visto del Superiore Provinciale
Massimo Villa o.h. il
14 dicembre 2015
EDITORIALE
Marco
Fabello o.h.
LUCI SPENTE
25
dicembre:
è ancora il S. Natale?
Non vedo più bambini
e ragazzi lungo i fossi a
raccogliere il muschio,
non incontro più scolaresche tutte intente, da giorni e giorni, come
piccoli architetti e ingegneri a pensare alla
struttura del Presepe della mia classe che
dovrà essere migliore di quello della terza B. Gli insegnanti non propongono più
l’inno del Manzoni ai loro studenti. Non
vedo più lucine accendersi accanto alla capannina. Non sento melodie natalizie prima delle vacanze. Gli insegnanti sembrano di un altro pianeta come se loro non
fossero nati al suono della ninna nanna,
la stessa che la Madonna cantava a Gesù
Bambino nella grotta di Betlemme!
No, dicono, non si può più! Sono arrivati altri mondi, non possiamo offenderli, sono arrivati credenti di altre religioni,
dobbiamo rispettarli!
E un po’ di rispetto per noi che abbiamo
Gesù nel cuore, no?
Già Cristo sulla Croce era stato disarcionato dalla parete! Ma il Gesù, piccolo
Bambino, inerme ed indifeso, anche Lui
incute paura, timore?
Le zucche di Halloween, gli scheletri di
Halloween no, queste cose non fanno
paura, vengono dall’America, è la festa
dei bambini!
Il Presepe allora facciamolo in casa; forse, ma è più facile fare l’albero, si compra ed è già pronto, senza fatica, non occorre neppure un po’ di fantasia, e poi
sotto l’albero non c’è bisogno dei canti
di Natale: si illumina e si spegne da solo;
è proprio comodo!
La Madonna e San Giuseppe da Nazareth andavano verso Betlemme ma non
trovarono posto in un albergo in cui la
Madonna potesse dare alla Luce il Bambino Gesù, solo una stalla li accolse, nel
caldo tipico di un asino e di un bue.
Sì, allora come ora: se non trovano
posto i presepi, come possono trovare
posto gli stranieri che scappano dalla
guerra? Come possono trovare posto i
poveri e gli affamati?
è il cuore che si è fatto arido: non c’è
più posto nel cuore e nella mente: né
per Gesù, né per gli stranieri, né per i
poveri!
Si ripete oggi ciò che è accaduto a Maria
e Giuseppe, ma oggi abbiamo una risorsa in più, si chiama Papa Francesco,
il Papa della misericordia.
Possa essere il Giubileo della Misericordia la chiave di accesso al cuore degli
uomini perché si aprano alla solidarietà
e all’accoglienza. Si trovi un “albergo”
per tutti, anche contro tutti coloro che
predicano egoismo e indifferenza.
E Buon e Santo Natale a tutti.
4/2015
5
Parole di Ospitalità
Papa
Francesco
Aldo Maria
Valli
sui profughi:
la globalizzazione
dell’indifferenza
«La causa principale
è un sistema socioeconomico cattivo, ingiusto perché, parlando anche del problema ecologico, della politica, il centro non è più la persona. Il sistema economico
dominante mette al centro il dio denaro, è l’idolo di moda»
S
ono ormai numerosi gli
appelli, i discorsi e i gesti
simbolici che Francesco
ha dedicato all’accoglienza di migranti, rifugiati, profughi e richiedenti asilo.
Indimenticabile la visita a Lampedusa del luglio 2013, quando il Papa parlò di «quelle barche che invece di essere una
via di speranza sono state una
via di morte» e denunciò che
«non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri»
e «abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna». La
cultura del benessere, spiegò
in quell’occasione, «ci porta a
pensare a noi stessi, ci rende
insensibili alle grida degli altri,
ci fa vivere in bolle di sapone,
che sono belle, ma non sono
nulla, sono l’illusione del futi-
6
4/2015
le, del provvisorio», e così arriviamo all’indifferenza verso gli
altri, anzi «alla globalizzazione
dell’indifferenza».
A Lampedusa Francesco pose
a tutti una domanda: «Chi di
noi ha pianto per questo fatto
e per fatti come questo, chi ha
pianto per la morte di questi
fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani
mamme che portavano i loro
bambini? Per questi uomini
che desideravano qualcosa
per sostenere le proprie fami-
«OGNI PROFUGO,
OGNI RIFUGIATO, PORTA
CON Sé una storia di
drammi e di conflitti,
ma soprattutto porta
una ricchezza umana
e religiosa.
non dobbiamo avere
paura delle differenze»
Ricchezza umana
e religiosa
glie? Siamo una società che ha
dimenticato l’esperienza del
piangere, del patire con: la globalizzazione dell’indifferenza ci
ha tolto la capacità di piangere!».
Come
La Sacra Famiglia
«Milioni di famiglie oggi sperimentano la condizione drammatica dei profughi. Anche
Gesù e la sua famiglia hanno
sperimentato questa difficoltà». Nell’ultimo Angelus del
2013, e nel giorno in cui la
Chiesa cattolica celebra la festa della Santa Famiglia di Nazaret, Papa Francesco torna
sull’argomento paragonando
i profughi a Maria e Giuseppe costretti a fuggire in Egitto
per salvare Gesù dalla persecuzione del Re Erode. «Quasi
ogni giorno – dice Bergoglio
commentando il brano del
Vangelo – la televisione e i
giornali danno notizie di profughi che fuggono dalla fame,
dalla guerra, da altri pericoli
gravi, alla ricerca di sicurezza
e di una vita dignitosa per sé
e per le proprie famiglie. In
terre lontane, anche quando
trovano lavoro, non sempre i
profughi e gli immigrati incontrano accoglienza vera, rispetto, apprezzamento dei valori
di cui sono portatori. Le loro
legittime aspettative si scontrano con situazioni complesse e
difficoltà che sembrano a volte
insuperabili». «Perciò – spiega
Francesco ai fedeli presenti
in piazza San Pietro – mentre
fissiamo lo sguardo sulla Santa
Famiglia di Nazaret nel momento in cui è costretta a farsi
profuga, pensiamo al dramma
di quei migranti e rifugiati che
sono vittime del rifiuto e dello sfruttamento. Ma pensiamo
anche agli “esiliati” che possono esserci all’interno delle
famiglie stesse: gli anziani, per
esempio, che a volte vengono
trattati come presenze ingombranti. Molte volte penso che
un segno per sapere come va
una famiglia è vedere come si
trattano in essa i bambini e gli
anziani».
I luoghi di accoglienza nel
nostro paese non mancano, e
nel settembre del 2013 Francesco vuole visitarne uno per
ringraziare tutti coloro che si
spendono dalla parte dei più
poveri e abbandonati. Va al
Centro Astalli di Roma, segno
dell’impegno dei gesuiti per
la giustizia e per l’educazione
dei giovani in una società interculturale, dove sono accolti
tanti profughi di ogni parte del
mondo, uomini e donne che
fuggono dalle guerre.
«Saluto prima di tutto voi rifugiati e rifugiate», dice il Papa.
«Ognuno di voi, cari amici,
porta una storia di vita che ci
parla di drammi di guerre, di
conflitti, spesso legati alle politiche internazionali. Ma ognuno di voi porta soprattutto una
ricchezza umana e religiosa,
una ricchezza da accogliere,
non da temere. Molti di voi
sono musulmani, di altre religioni; venite da vari paesi, da
situazioni diverse. Non dobbiamo avere paura delle differenze! La fraternità ci fa scoprire che sono una ricchezza,
un dono per tutti! Viviamo la
fraternità!».
Roma, dice ancora Francesco,
«dovrebbe essere la città che
permette di ritrovare una di-
4/2015
7
Parole di Ospitalità
mensione umana, di ricominciare a sorridere. Quante volte, invece, qui, come in altre
parti, tante persone che portano scritto “protezione internazionale” sul loro permesso
di soggiorno, sono costrette a
vivere in situazioni disagiate, a
volte degradanti, senza la possibilità di iniziare una vita dignitosa, di pensare a un nuovo
futuro!».
Servire,
accompagnare,
difendere
«Tenere sempre viva la speranza! Aiutare a recuperare la
fiducia! Mostrare che con l’accoglienza e la fraternità si può
aprire una finestra sul futuro».
Così si rivolge il Papa agli operatori umanitari, proponendo
poi tre parole chiave: servire,
accompagnare e difendere.
«Servire significa accogliere
la persona che arriva, con attenzione; significa chinarsi
su chi ha bisogno e tendergli
la mano, senza calcoli, senza
timore, con tenerezza e com-
8
4/2015
prensione, come Gesù si è chinato a lavare i piedi agli Apostoli. Servire significa lavorare
a fianco dei più bisognosi, stabilire con loro prima di tutto
relazioni umane, di vicinanza,
legami di solidarietà. Solidarietà, questa parola che fa paura al mondo sviluppato».
Accompagnare vuole dire sapere che «la sola accoglienza
non basta. Non basta dare un
panino se non è accompagnato dalla possibilità di imparare
a camminare con le proprie
gambe. La carità che lascia il
povero così com’è non è sufficiente». Difendere «vuol dire
mettersi dalla parte di chi è
più debole». «Quante volte leviamo la voce per difendere i
nostri diritti, ma quante volte
siamo indifferenti verso i diritti degli altri! Quante volte non
sappiamo o non vogliamo dare
voce alla voce di chi, come voi,
ha sofferto e soffre, di chi ha
visto calpestare i propri diritti,
di chi ha vissuto tanta violenza
che ha soffocato anche il desiderio di avere giustizia!»
Più coraggio
e generosità
Per la Chiesa è importante
che l’accoglienza del povero e
la promozione della giustizia
non vengano affidate solo agli
specialisti, ma siano un’attenzione di tutta la pastorale, della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, dell’impegno
normale di tutte le parrocchie,
i movimenti e le aggregazioni
ecclesiali. «In particolare – e
questo è importante e lo dico
dal cuore – vorrei invitare anche gli istituti religiosi a leggere
seriamente e con responsabilità questo segno dei tempi. Il
Signore chiama a vivere con
più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti.
Carissimi religiosi e religiose,
i conventi vuoti non servono
alla Chiesa per trasformarli in
alberghi e guadagnare i soldi. I
conventi vuoti non sono vostri,
sono per la carne di Cristo che
sono i rifugiati».
Aprire i conventi, accogliere
concretamente. Un appello
che Francesco ripete durante l’Angelus domenicale, il 6
settembre 2015, rivolgendosi
anche alle parrocchie e ai vescovi d’Europa: «Cari fratelli e
sorelle, la Misericordia di Dio
viene riconosciuta attraverso
le nostre opere, come ci ha
testimoniato la vita della beata Madre Teresa di Calcutta,
di cui ieri abbiamo ricordato
l’anniversario della morte. Di
fronte alla tragedia di decine
di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra
e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di
vita, il Vangelo ci chiama, ci
chiede di essere “prossimi”,
dei più piccoli e abbandonati.
A dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: “Coraggio, pazienza!…”. La speranza cristiana è combattiva,
con la tenacia di chi va verso
una meta sicura. Pertanto, in
prossimità del Giubileo della
Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri
e ai santuari di tutta Europa ad
esprimere la concretezza del
Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Un gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia.
Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero,
ogni santuario d’Europa ospiti
una famiglia, incominciando
dalla mia diocesi di Roma.
Mi rivolgo ai miei fratelli vescovi d’Europa, veri pastori,
perché nelle loro diocesi sostengano questo mio appello,
ricordando che Misericordia è
il secondo nome dell’Amore:
“Tutto quello che avete fatto
a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a
me” (Mt 25,40). Anche le due
parrocchie del Vaticano accoglieranno in questi giorni due
famiglie di profughi».
Crimini
che offendono
la famiglia umana
Nell’estate di quest’anno in
Austria, sull’autostrada Budapest - Vienna, si registra il
terribile caso della morte di
settantuno migranti, fra i quali quattro bambini, soffocati a
bordo di un Tir, e nell’Angelus
di domenica 30 agosto Francesco non può far mancare la
sua voce: affidiamo ciascuna
vittima, dice, alla misericordia
di Dio «e a Lui chiediamo di coglienza, in Argentina. Fu
aiutarci a cooperare con effi- possibile perché il paese sucacia per impedire questi cri- damericano non scivolò nella
mini, che offendono l’intera xenofobia, ma aprì le sue porfamiglia umana. Preghiamo in te. E a questo punto il Papa,
silenzio per tutti i migranti che con la sua tipica concretezza, si
soffrono e per quelli che han- rivolge di nuovo alle strutture
no perso la vita».
cattoliche precisando i termini
Sul tema dell’accoglienza dei della sua proposta di aprire le
profughi Francesco torna, in porte: «Quando dico che una
settembre, durante l’intervista parrocchia deve accogliere
all’emittente portoghese Rá- una famiglia, non intendo che
dio Renascença, quando, rife- per forza debbano andare a virendosi alle notizie di cronaca vere in canonica, ma che la cosempre più drammatiche, dice munità parrocchiale cerchi un
che sono «la punta di un ice- posto, un angoletto per fare un
berg», «è povera gente che fug- piccolo appartamento o, nel
ge dalla guerra, che scappa dal- peggiore dei casi, si organizzi
la fame». «La causa principale per affittare un appartamento
è un sistema socioeconomico modesto per quella famiglia,
cattivo, ingiusto perché, par- ma che abbiano un tetto, che
lando anche del
vengano accolti e
problema ecolovengano inseriti
«comunità
gico, della politinella comunità».
parrocchiali,
ca, il centro non
Secondo Franmonasteri
è più la persona.
cesco anche le
Il sistema econo- e santuari mettano c o n g r e g a z i o n i
mico dominante
religiose devono
a disposizione
mette al centro
guardarsi dalla
le loro strutture tentazione
il dio denaro, è
del
per ospitare
l’idolo di moda».
«dio denaro» che
Fondamentale,
spinge a curare
i più
ribadisce Papa
solo i propri inbisognosi»
Bergoglio, è risateressi e verso
lire alle cause del
l’indifferenza nei
fenomeno: dove c’è fame bi- confronti dei più bisognosi.
sogna creare lavoro e investire; Se nel fare accoglienza si guase c’è la guerra bisogna cercare dagna, bisogna pagare le tasse.
la pace e lavorare per la convi- E poi occorre, sull’esempio
venza pacifica. «Oggi il mondo di Don Bosco, risvegliare la
è in guerra contro se stesso», vocazione educativa tipica di
aggiunge il Papa: una «guerra alcune congregazioni, creare
a pezzi» che sta distruggendo corsi e “scuole di emergenza”
la terra, «la casa comune». dove i giovani possano imparaForte è poi la denuncia delle re un mestiere che consenta di
strumentalizzazioni, dell’inter- trovare un lavoro, anche tempretazione ideologica rispetto poraneo. Da Papa Francesco,
al fenomeno migratorio.
in conclusione, richiami a più
Francesco ricorda che lui stes- livelli, ma con lo sguardo fisso
so e l’intera sua famiglia han- su Dio Amore, che fa sempre
no fatto l’esperienza dell’ac- il primo passo verso l’altro.
4/2015
9
Ospitalità e IMMIGRAZIONE
Diritto d’asilo:
uno scatto di responsabilità
e di giustizia sociale
Gian Carlo
Perego
Non possiamo non riconoscere la nostra
responsabilità: di chi ha violato la terra di altri, di chi
ha sfruttato persone e terre, di chi ha impoverito, di chi
ha venduto armi e ha lucrato sulla guerra.
Monsignor Gian Carlo Perego,
sacerdote cremonese, dall’11
novembre 2009 è direttore generale della Fondazione Migrantes
e dal settembre 2012 Consultore del Pontificio Consiglio della
pastorale per i migranti e gli itineranti. La Fondazione “Migrantes” è l’organismo costituito dalla
Conferenza Episcopale Italiana
per accompagnare e sostenere
le Chiese particolari nella conoscenza, nell’opera di evangelizzazione e nella cura pastorale
dei migranti, italiani e stranieri,
per promuovere nelle comunità
cristiane atteggiamenti e opere
di fraterna accoglienza nei loro
riguardi, per stimolare nella società civile la comprensione e la
valorizzazione della loro identità
in un clima di pacifica convivenza, con l’attenzione alla tutela dei
diritti della persona e della famiglia migrante e alla promozione
della cittadinanza responsabile dei migranti. Nel suo articolo
Monsignor Perego parla diffusamente dell’emergenza in corso
verso i migranti e del diritto d’asilo regolato oggi a livello europeo.
10
4/2015
«L
a situazione
internazionale, in questi ultimi 25
anni, ha visto un crescendo di Paesi vivere uno stato di guerra, insicurezza e
instabilità. Alle 42 guerre
e guerriglie in atto, e ai 52
Paesi nel mondo dove la
libertà politica e religiosa è
violata o a rischio, si sommano gli oltre 2.000 disastri
ambientali gravi tra il 2000
e il 2012: oltre 50 milioni
di persone si sono messe in
cammino forzatamente, gli
è stato negato il diritto di rimanere nella propria terra.
E il cammino di chi fugge
s’incrocia con il cammino
di chi ha fame e ha sete –
rispettivamente 840 milioni e 1 miliardo di persone
–. Le violenze, la paura
e la ‘rabbia dei popoli’ –
come ammoniva già Paolo
VI nell’enciclica Populorum
progressio, quasi 50 anni fa
– accompagnano il cammino delle persone oggi,
di cui un piccolo tassello,
un segno è il popolo di chi
ha attraversato nel 2014 –
172.000 persone – o attra-
versa in questi mesi – 57.000
persone – il Mediterraneo e
raggiunge le nostre coste italiane ed europee. Leggendo
nella situazione internazionale
non possiamo non riconoscere la nostra responsabilità: di
chi ha violato la terra di altri, di
chi ha sfruttato persone e terre, di chi ha impoverito, di chi
ha venduto armi e ha lucrato
sulla guerra. Uno sviluppo iniquo, che ha diviso il mondo e
ha indebolito la solidarietà è la
causa di questi nuovi cammini,
di questi nuovi sbarchi, di queste nuove morti. La responsabilità è nostra. Questo movimento di persone generato da
noi, dalla nostra indifferenza,
dalla mancata solidarietà, dallo
sfrutL’EUROPA
tamento,
dalle guerre
SEMBRA
‘giuste’
e
DIVISA
dalle guerre
TRA CHI
dimenticate,
ACCOGLIE
tranne che
dagli armaE CHI ALZA
tori, accomMURI PER
pagnato da
DIFENDERSI
cambiamenDAI POVERI
ti climatici,
toccando
DEL
l’Italia
e
MONDO
l’Europa ha
messo alla
prova il diritto d’asilo. Il diritto
d’asilo è stato di fatto negato da
respingimenti più o meno mascherati, talora condannati, di
cui anche l’Italia è stata colpevole nel 2011. Il diritto d’asilo
ha visto uno scatto nell’operazione italiana Mare nostrum, che
ha generato la consapevolezza
europea – un Mare nostrum europeo – della necessità di mettere al primo posto il salvataggio
in mare delle persone: uomini,
donne, giovani e bambini.
OGGI IL 70% DELLE DOMANDE DI ASILO SONO FATTE IN CINQUE PAESI:
GERMANIA, FRANCIA, SVEZIA, INGHILTERRA E ITALIA
Il diritto d’asilo, oggi regolato a
livello europeo, è ancora debole in almeno 23 Paesi europei.
Nel 2011 l’Italia si è trovata
impreparata a tutelare un diritto, affermato ma non esigibile,
nonostante la storia di 14 anni
di PNA (programma nazionale
asilo) e di SPRAR, cioè di servizi di protezione ai richiedenti
asilo e rifugiati, soprattutto nel
caso di minori non accompagnati: 10.000 posti in Centri di
prima accoglienza e 3000 posti
nello SPRAR. Tra il 2014 e
il 2015 in Italia sono arrivate
300.000 persone, di cui oltre
200.000 hanno continuato il
viaggio e 95.000 sono ospiti in
Centri di accoglienza (10.000),
in strutture temporanee di accoglienza (65.000) e negli SPRAR
(20.000) e l’Italia ha faticato ad
accompagnare e gestire questo
diritto, con ritardi, inadeguatezze e improvvisazioni.
Particolare è stata la debolezza del sistema nella tutela
e nell’affido dei minori non
accompagnati,
raddoppiati
in due anni, da 6.000 a oltre
12.000, e che sono stati accolti
per mesi in strutture inadeguate. È vero, però, che la fatica
dell’Italia è stata accompagnata dalle incertezze e dalla inadeguatezza della politica europea.
L’Europa ha condiviso un regolamento per una politica
4/2015
11
Ospitalità e IMMIGRAZIONE
d’asilo e di protezione internazionale comune (Accordo
di Dublino), costruendo uno
spazio importante per richiedere asilo, pari a oltre il 40%
delle domande d’asilo nel
mondo.
Questo spazio di democrazia,
nato sulla libertà di movimento delle persone nel contesto
europeo (Schengen), dovrebbe, però, oggi essere diffuso
nei 28 paesi dell’Unione, attraverso piani strutturali. Oggi
il 70% delle domande di asilo sono fatte in cinque paesi
(Germania, Francia, Svezia,
Inghilterra e Italia).
Non possono però questi cinque paesi essere lasciati soli
nell’accoglienza di chi ha ricevuto una protezione internazionale.
Il diritto d’asilo ha dimostrato la debolezza di un’Europa
solidale, ancora da costruire
nella gestione responsabile e
diffusa di un diritto fondamentale, ma soprattutto inconsapevole delle vere cause che hanno generato questa situazione:
le guerre dimenticate, i cambiamenti climatici, la tratta di
esseri umani, le violenze e la
instabilità di paesi che sono al
confine dell’Europa o che arrivano ai confini dell’Europa.
Nessuno ha riconosciuto il
UNO SVILUPPO
INIQUO HA DIVISO
IL MONDO
E HA INDEBOLITO
LA SOLIDARIETà
CAUSANDO
NUOVI CAMMINI,
NUOVI SBARCHI,
NUOVI MORTI.
12
4/2015
mancato sviluppo dei popoli e
l’Europa sembra divisa tra chi
è aperto all’accoglienza e chi
ancora una volta alza muri per
difendersi, quasi da una nuova
‘Lepanto’, i cui nemici questa
volta sono i poveri del mondo.
È uno scatto di giustizia sociale che manca all’Europa in
questo momento, che rischia
di frantumarsi, di chiudersi e
di non valorizzare una risorsa, quale è la migrazione, fatta
di bambini, di giovani, di famiglie: ciò che sta mancando
all’Europa per costruire il proprio futuro.
Il fenomeno migratorio chiede
oggi un lavoro di discernimento dei cristiani e delle comunità che aiuti da una parte, in
ambito socio-politico, a salvaguardare la dignità della persona umana; dall’altra, sul piano
culturale e pastorale, se è importante sottolineare l’identità
cristiana e il rispetto delle regole fondamentali della convivenza, è altrettanto importante
costruire, aprirsi all’accoglienza e al dialogo, costruendo regole e itinerari che valorizzino
la ricchezza delle differenze
culturali e religiose, soprattutto, ci ricorda Papa Francesco
nella bolla Misericordiae vultus,
del mondo ebraico e islamico.
La qualità dell’evangelizzazione dipenderà dalla qualità della testimonianza dell’amore al
prossimo. E l’oggi delle migrazione ne è un banco di prova.
Immigrazione
e salute
Foto di luigi campa
«... Le misure sanitarie per i migranti che siano ben gestite,
inclusa la salute pubblica, promuovono il benessere di
tutti e possono facilitare l’integrazione e la partecipazione
dei migranti all’interno dei Paesi
ospitanti promuovendo l’inclusione e la comprensione,
contribuendo alla coesione, aumentando lo sviluppo»
(Dichiarazione di Bratislava a conclusione dell’8a Conferenza dei Ministri Europei della Salute, 2007)
L’immigrazione in
Italia: qualche dato
Nell’ambito dello scenario
mondiale, nonostante la crisi
economica globale, i flussi migratori continuano a intensificarsi: nel 2014 i migranti nel
mondo erano stimati 240 mi-
lioni, più del 3% della popolazione del pianeta, di cui 20
milioni rifugiati e 1,8 milioni
di richiedenti asilo, complessivamente sono 60 milioni i
“migranti forzati” compresi gli
sfollati interni a causa di una
crescente instabilità mondiale
(33 conflitti in corso, 11 situa-
Salvatore
Geraci
Salvatore Geraci, laureato
in medicina e chirurgia
è impegnato dal 1986
nell’Area sanitaria della
Caritas di Roma di cui
è responsabile dal 1991.
Dal 2000 al 2009 è stato
Presidente della Società
Italiana di Medicina delle
Migrazioni, attualmente si
occupa del coordinamento
delle Unità Territoriali Immigrazione e Salute (GrIS).
è autore di alcuni saggi e
di oltre 450 pubblicazioni
sui temi sanitari dell’immigrazione. Come docente
e formatore collabora con
diversi Enti ed Aziende
sanitarie. Nell’ambito del
Coordinamento Nazionale
Immigrazione della Caritas
Italiana è referente degli
aspetti sanitari e fa parte
delle Consulta Nazionale
per la Pastorale della Salute della CEI.
zioni di crisi, 16 missioni
ONU attive).
Si sta sempre più evidenziando la differenza tra le
persone che scelgono di
partire, seppur condizionate da molteplici fattori per
trovare condizioni di vita
migliori (i cosiddetti mi-
4/2015
13
Ospitalità e IMMIGRAZIONE
granti economici) e coloro che
invece sono costretti a scappare da condizioni di conflitto
e persecuzione (richiedenti
protezione
internazionale).
Nell’Unione Europea (UE),
a gennaio 2014, i residenti
stranieri sono risultati 33,9
milioni, pari al 6,7% della popolazione totale (20 milioni
sono cittadini di paesi terzi e
14 milioni originari di altri Stati membri) e i richiedenti asilo
626.710.
L’Italia è “protagonista” del
fenomeno migratorio sia per
avere ormai una comunità
straniera con una presenza
consolidata, sia come terra di
accoglienza di persone in fuga,
sia per una significativa comunità di italiani all’estero composta da oltre oltre 4.600.000
è rimasto pressoché costante,
intorno ai 5 milioni di presenze (al 1 gennaio 2015 erano
5.014.037 residenti, effettivamente presenti sono stimati a
5.421.000, pari all’8,2% della
popolazione italiana), con una
presenza femminile del 53%.
L’incremento rispetto all’anno precedente è stato solo del
2%.
Gli stranieri hanno una distribuzione disomogenea sul
territorio (59,4% nord, 25,4%
centro, 15,2% sud). I cittadini
non comunitari regolarmente
soggiornanti rappresentano
oltre il 70% del totale degli
nostri concittadini.
Sono passati ormai circa 40
anni da quando l’Italia è divenuta terra di immigrazione
con una presenza di cittadini
non italiani in costante crescita (circa 200.000 nel 1980,
500.000 nel 1990, poco oltre 1.600.000 nel 2000, circa
4.500.000 nel 2010), anche
se negli ultimi anni, quelli della crisi economica, il numero
di cittadini stranieri presenti
stranieri residenti. I Paesi di
cittadinanza più rappresentati sono Romania (1.131.839),
Albania (490.483), Marocco
(449.058), Cina (265.820),
Ucraina (226.060).
Sul versante della multireligiosità, secondo la stima elaborata
dal Dossier Statistico Immigrazione 2015 dell’Idos, attualmente i cristiani sono quasi 2
milioni e 700mila (il 53,8% del
totale, con prevalenza degli or-
14
4/2015
NEL 2014 I RESIDENTI STRANIERI
NELL’UNIONE EUROPEA
ERANO 33,9 MILIONI
PARI AL 6,7% DELLA POPOLAZIONE
todossi), i musulmani più di 1
milione e 600mila (32,2%), i
fedeli di religioni orientali (induisti, buddhisti, sikh e altri)
più di 330mila, gli ebrei circa
7.000, i seguaci di religioni tradizionali 55mila, gli appartenenti a gruppi religiosi più difficilmente classificabili 84mila,
mentre ammontano a 221mila
gli atei e gli agnostici.
Una presenza strutturata e “necessaria”
L’immigrazione è ben strutturata in Italia considerando
che ci sono 1.828.338 famiglie, circa il 7,4% di tutte le
famiglie in Italia, con almeno
un componente straniero e
tra queste il 74,2% conta tutti
componenti stranieri (il 50%
è composto da almeno tre
componenti, il 13% da oltre
cinque componenti). Questi
immigrati mostrano una forte
tendenza all’insediamento stabile, soprattutto i non comunitari, i quali per oltre la metà
hanno ottenuto un permesso
CE come lungo-soggiornanti,
e quindi a tempo indeterminato. Inoltre nel 2014 sono
stati 129.887 gli stranieri che
hanno acquisito la cittadinanza italiana (+29,0% rispetto al
2013, un anno che già aveva
registrato un fortissimo aumento rispetto all’anno precedente), mentre risultano in
leggera diminuzione i matrimoni misti (18.273 nel 2013,
il 9,4% delle 194.097 nozze
celebrate in totale nell’anno),
ai quali si aggiungono quelli
tra partner entrambi stranieri
(7.807, il 3,8% del totale). Su
Foto di luigi campa
un totale di 502.596 bambini
nati nel corso del 2014, quelli
con genitori entrambi stranieri
sono stati 75.067, il 14,9% del
totale.
Questi dati sono particolarmente significativi dal punto
di vista demografico, tenendo
conto che l’indice di sostituzione è di 2,1 (numero di figli che in media ogni donna
dovrebbe fare per mantenere
costante la popolazione in un
determinato paese), gli ultimi
dati dell’Istat evidenziano che
nel 2014 questo indicatore del
tasso di fecondità delle donne
italiane era di 1,27 contro il
2,2 delle immigrate; l’apporto
di quest’ultime risulta quindi
necessario ma non sufficiente
a ristabilire un trend positivo
alla curva demografica del nostro Paese.
Si va quindi verso un graduale
e drammatico invecchiamento
della nostra popolazione, con
tutte le conseguenze socio-economiche che questo comporta. I minori stranieri sono
quasi 1,1 milioni, di questi
sono stati 814.187 gli iscritti
a scuola nell’anno scolastico
2014/2015, il 9,2% di tutti gli
iscritti: un’incidenza decisamente superata nel Nord e
nel Centro (rispettivamente,
13,6% e 11,1%) e più bassa
nel Sud (3,0%) e nelle Isole
(2,9%). I più numerosi in assoluto sono gli studenti di cittadinanza romena (157.497, il
19,3% del totale), cui seguono
gli albanesi (109.769, 13,5%),
i marocchini (102.515, 12,6%)
e, con numeri meno alti, i cinesi (41.882, 5,1%), i filippini (26.147, 3,2%), i moldavi
(25.057, 3,1%) e gli indiani
(24.772, 3,0%). Nelle università italiane, invece, gli iscritti
stranieri (69.176 su un totale
di 1.640.956 nell’anno accademico 2013/2014) incidono per il 4,2%, un valore che
scende al 3,3% tra i laureati
(9.913 stranieri su un totale di
302.231 nel 2013).
Secondo l’Istat gli occupati
stranieri nel 2014 sono risultati 2.294.000 (1.238.000 uomini e 1.056.000 donne), più
di un decimo degli occupati
complessivi (10,3%), con un
tasso di occupazione nuovamente in leggero aumento.
CONOSCERE, CAPIRE E FARSI CARICO CON AMORE DELLA PROMOZIONE DELLA SALUTE DI COLORO CHE
SONO SVANTAGGIATI
Secondo una stima riportata
nel Dossier dell’Idos, le entrate fiscali e previdenziali ricollegabili ai lavoratori immigrati
sono state nel 2013 pari a 16,6
miliardi di euro, mentre il totale delle uscite sostenute nei
loro confronti è stato di 13,5
miliardi (saldo positivo di 3,1
miliardi di euro).
Peraltro, nel 2013 IL DIBATTITO
il contributo al Pil NON
nazionale assicu- è “SE”
rato dagli occupati ACCOGLIERE
stranieri è stato di O “NON”
123.072 milioni ACCOGLIERE
di euro (l’8,8% del
MA SU “COME”
totale).
In particolare, essi ACCOGLIERE:
versano in media OCCORRONO
tra i 7-8 miliardi SCELTE
di contributi l’an- EQUE
no ma, non riu- E SOSTENIBILI
scendo tutti a maturare il diritto alla pensione,
l’Inps ha stimato che abbiano
lasciato nelle casse previdenziali oltre 3 miliardi di euro
improduttivi di prestazioni.
4/2015
15
Ospitalità e IMMIGRAZIONE
LA RISPOSTA DEL VANGELO
è LA MISERICORDIA: DARE
CONCRETEZZA ALLE OPERE
DI MISERICORDIA CENTRO
DELL’ANNO GIUBILARE
16
4/2015
Attualmente, i cittadini non
comunitari beneficiari di pensioni previdenziali per invalidità, vecchiaia e superstiti sono
35.740 (lo 0,2% di tutti i beneficiari), mentre i titolari di pensioni assistenziali sono 51.361
(l’1,4% del totale).
Va anche superato il pregiudizio che gli immigrati pesino
eccessivamente sulla spesa
sanitaria. In dieci anni (20032012) i ricoveri ospedalieri
ordinari, pur aumentando gli
immigrati del 161,5%, sono
cresciuti solo del 52,6% e han-
no determinato un aumento
complessivo dei ricoveri del
2,5% (Ministero della Salute).
Un’umanità in fuga
Da sempre nel mondo ci sono
state popolazioni in fuga e nella storia recente l’Italia stessa
si è resa protagonista di azioni
di protezione internazionale
nei confronti di persone che
stessero scappando da guerre
e persecuzioni: alla fine degli
anni ‘70 una missione navale
andò a prelevare vietnamiti,
cambogiani e laotiani, negli
anni ‘90 siamo stati interessati
dagli ingenti flussi di persone
provenienti dall’Albania che
sancivano la disgregazione politica e sociale di quel paese;
con la crisi balcanica nel 1995
abbiamo accolto profughi e
sfollati; durante il conflitto in
Kosovo negli anni successivi,
seppur con ritardo, abbiamo
creato corridoi umanitari. Ed
ancora abbiamo ricevuto specifici flussi di persone in fuga
dalla Somalia (a partire dall’inizio anni ’90), e, dal 2008
continui e progressivi sbarchi
sulle nostre coste. Attualmente il fenomeno degli sbarchi
caratterizza il dibattito pubblico italiano sull’immigrazione
e catalizza l’attenzione politica
e mediatica sul tema. Secondo
i dati del Ministero dell’Interno, il 2014 è stato l’anno record degli sbarchi, registrando
oltre 170 mila arrivi, più della
somma dei tre anni precedenti
e quasi il triplo del 2011 (anno
dell’emergenza Nord Africa
seguita alle “primavere arabe”). Con una leggera flessione nei numeri (circa il 12% in
meno), dovuto ad una modifica della rotta di fuga in partico-
UNA SANITà CENTRATA SULLA PERSONA HA TRASFORMATO
UN CENTRO MEDICO DELLA PERIFERIA ROMANA NELL’ATTUALE
AREA SANITARIA CON UNA RETE COMPLESSA DI INTERVENTI
lare della componente siriana paese UE per numero di ri(direttamente dalla Turchia in chiedenti asilo (dopo GermaGrecia e poi attraverso la peni- nia e Svezia), ma anche quello
sola balcanica per arrivare nel che ha registrato il maggior
centro-nord Europa), gli arrivi incremento nell’ultimo anno
sono proseguiti nel 2015 con (+142,8%). Osservando la
un significativo cambiamen- composizione dei richiedenti
to di popolazione: nel 2014 il asilo per genere ed età, appaPaese di provenienza più rap- re evidente come l’Italia prepresentato era costituito dalla senti una situazione del tutto
Siria, 43.323 persone, circa singolare a livello europeo: la
il 25%, seguita dall’Eritrea, ridottissima presenza di don34.329, il 21,2% e dalla Nige- ne (7,6%) e di minori (6,8%),
ria (13%); nel 2015
nettamente inferiori
i dati evidenziano al
rispetto alla media.
LO STATO
primo posto l’Eritrea IN MATERIA DI Tra i richiedenti asi(27%), seguita dalla
lo presenti in Italia
Nigeria (13%) e dalla SANITà ASSUME nel 2014 prevalgoIL RUOLO
Somalia (8%), menno quelli provenientre la Siria è presente
ti da paesi africani
DELL’EQUITà
con circa il 5% delle
(4 tra i primi 5 paesi
persone sbarcate.
d’origine); le prime
Uno degli effetti diretti della tre nazionalità sono la Nigeria,
situazione geopolitica interna- il Mali e il Gambia.
zionale, che vede intensificarsi Il sistema dell’accoglienza in
numerose situazioni di crisi a Italia si regge su diverse tisud del Mediterraneo, è l’au- pologie di strutture: centri di
mento delle richieste d’asilo in accoglienza governativi, strutItalia e in Europa.
ture temporanee e la rete del
Le richieste di asilo in Euro- Sistema di Protezione dei
pa nel 2014 hanno superato Richiedenti Asilo e Rifugiati
quota 625 mila, segnando (SPRAR), che in ragione delun +44,7% rispetto all’anno le differenti funzioni hanno
precedente. L’Italia è il terzo modelli organizzativi, voci di
4/2015
17
Ospitalità e IMMIGRAZIONE
costo e tempi di permanenza
differenziati.
Sono quasi 3.100 strutture
che accolgono circa 100.000
profughi distribuite in tutte le
Regioni: al primo posto per
numero di presenze sono la
regione Lombardia e la regione Sicilia nei cui centri accolgono rispettivamente il 13%
e l’11% degli immigrati; poi
Lazio, Campania, Piemonte
e Veneto con circa l’8% delle
presenze ciascuna.
Un aspetto specifico in questo
complesso fenomeno è quello
dei minori non accompagnati:
secondo i dati del Dipartimento della Pubblica sicurezza,
i minori stranieri (e coloro
che si dichiarano tali) non accompagnati, sbarcati nel 2014,
sono pari a 13.026, il 50% di
tutti i minori sbarcati (26.122).
Nel 2015 i minori sbarcati
sono decisamente diminuiti,
circa 10.000 in meno rispetto
l’anno precedente, e ciò è dovuto in particolare alla drastica
riduzione della componente
siriana che è una migrazione
di interi nuclei familiari, mentre proporzionalmente si è
accresciuta la percentuale di
minori non accompagnati arrivando a oltre il 73% del totale
dei minori soccorsi.
Oltre il 34% dei minori non
accompagnati accolti è concentrato sul territorio siciliano.
Sono quasi 5.500 i minori registrati come tali in una prima
fase dell’accoglienza ma successivamente irreperibili.
Infine un altro dato drammatico accompagna questa umanità in fuga ed è la triste contabilità delle morti avvenute
18
4/2015
durante la traversata del Mediterraneo (Canale di Sicilia o
Mar Egeo)
Dal 2000 ad oggi sono stati
quasi 30.000 i migranti e rifugiati che sono morti nel tentativo di raggiungere l’Europa: circa 3.300 nel 2014 e oltre 3.600
nel 2015.
Il profilo di salute
dell’immigrato
in Italia
La progettualità migratoria si
motiva e si orienta verso un
ventaglio di diverse possibilità: lavoro, ricongiungimento
familiare, studio, asilo politico
e umanitario, migrazione ulteriore, etc. Se ancora oggi la
principale presenza di immigrati in Italia è a fini di lavoro, progressivamente crescen-
te è stata, a partire dal primo
quinquennio degli anni ‘90,
la migrazione per ricongiungimento familiare, tipica di una
seconda fase di migrazione,
quella in cui il resto della famiglia raggiunge l’immigrato,
qualora questi sia riuscito a realizzare una qualche forma di
inserimento sociale: oggi, annualmente, è questo il primo
motivo di ingresso in Italia.
Quali che siano le motivazioni
iniziali, appare evidente come
il tentativo migratorio sia messo in atto da quei soggetti che,
per caratteristiche socio-economiche individuali e per
attitudini caratteriali, hanno
le massime possibilità di successo prevedibili, all’interno
della comunità di riferimento,
familiare o allargata. Questo
esclude in partenza individui
DEI 5 MILIONI DI CITTADINI STRANIERI
RESIDENTI IN ITALIA, IL 53,8% SONO
CRISTIANI E IL 32,2% MUSULMANI
che non godano di apparenti buone condizioni di salute: non è certo casuale che la
maggioranza di chi emigra abbia un’età giovane adulta; che
appartenga, nel proprio paese,
alle classi sociali meno svantaggiate (quelle più povere non
potrebbero sostenere neppure
le spese di viaggio); che abbia
per lo più un medio grado di
istruzione. Il fisico sano garantisce possibilità maggiori di
inserimento sociale, che spesso, soprattutto nelle prime fasi
della permanenza nel paese
ospite, è particolarmente difficile e permette la possibilità di
rispondere ad un mercato del
lavoro che offre opportunità
di mansioni per lo più molto
faticose ed usuranti sul piano
fisico. L’immigrato, in particolare colui che viene per motivi
di lavoro, generalmente arriva
nel nostro paese con un patrimonio di salute pressoché
integro, quello che viene chiamato “effetto migrante sano”
(il rischio di importazione
di malattie infettive esotiche
paventato da un pregiudizio
diffuso, si è mostrato assolutamente non significativo); le
complessive condizioni di vita
cui l’immigrato dovrà conformarsi, potranno poi essere
capaci di erodere e dilapidare, in tempi più o meno brevi,
questo patrimonio.
Tali considerazioni valgono
anche per la salute psichica:
patologie ricadenti in questo
ambito clinico possono infatti ritrovarsi generalmente a
distanza di tempo dall’arrivo
in Italia spesso correlate al
fallimento di specifici progetti migratori anche, come nel
periodo attuale, per una crisi
economica e sociale diffusa.
Ma il fenomeno dell’immigrazione è complesso e dinamico, mai uguale a se stesso, e
diventa sempre più difficile
descrivere tale popolazione
come un complesso unitario
sia dal punto di vista giuridico,
sia demografico, sia culturale che produttivo. All’effetto
migrante sano si sostituisce
progressivamente quello del
“migrante esausto” da anni di
lavori usuranti e mal tutelati e
l’effetto di una transizione epidemiologica con l’aumento di
malattie cronico-degenerative;
diventa sempre più difficile
uscire da una condizione di
irregolarità giuridica, per anni
quasi tappa obbligata prima
di avere un permesso di soggiorno (ciò è dimostrato dalle
7 sanatorie/regolarizzazioni
previste per legge in 27 anni
di storia di immigrazione),
anzi oggi la crisi produce un
passaggio inverso dalla regolarità all’irregolarità essendo il
permesso di soggiorno strettamente e ambiguamente collegato al contratto di lavoro; la
richiesta di manodopera, specificatamente quella femminile, si è specializzata nell’accudimento alla persona anziana
e malata con l’arrivo di donne
straniere non più giovani e
spesso con storie di disagio
familiare alle spalle e con un
lavoro segregante, seppur in
ambiente protetto; l’ingresso
nell’unione Europea di paesi
come la Romania e la Bulgaria (inizio 2007) con libertà
di circolazione in Europa ha
reso difficile una programmazione (per altro sempre
debole) dei flussi migratori in
entrata.
Sfuggono ovviamente a questo schema interpretativo, che
si può ritenere ancora valido
seppur con un progressivo indebolimento, le situazioni in
cui il migrante sia portatore di
patologie che, in quanto ancora asintomatiche, o per scarso
livello sanitario del paese di
origine, o perché culturalmente non considerate come tali,
non lo scoraggiano a partire.
Sono da escludersi dall’effetto
migrante sano anche coloro
che “fuggono” dal loro paese
per rischio di persecuzioni,
tortura e morte; si potrebbe
ipotizzare che la selezione av4/2015
19
Ospitalità e IMMIGRAZIONE
venga in senso opposto (scappano per primi i più fragili);
in realtà i dati finora raccolti,
se da una parte evidenziano
drammaticamente nei richiedenti protezione internazionale una maggior incidenza
di esiti di tortura, d’altra parte, all’atto dell’arrivo in Italia,
non sono rilevabili particolari
malattie se non quelle legate
alle condizioni del viaggio/
fuga, spesso rischiosissime.
Dal 2005 un monitoraggio sulla salute
CI SONO dei migranti viene
PERSONE CHE realizzato annualSCELGONO mente nell’ambito
DI PARTIRE E dell’Osservatorio
PERSONE Nazionale sulla SaCHE SONO lute nelle Regioni
Italiane; nato per
COSTRETTE iniziativa dell’IstituA SCAPPARE to di Igiene dell’Università Cattolica del
Sacro Cuore, l’Osservatorio
vede la collaborazione di diversi enti ed istituzioni scientifiche e per la parte relativa ai
cittadini immigrati si a avvale
del coordinamento di esperti
della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni.
Riassumendo, a fronte di fattori protettivi quali la struttura
anagrafica della popolazione
immigrata e l’autoselezione
alla partenza, si può riconoscere il rischio di una fragilità
sociale di questa popolazione
che, pur nella sua eterogeneità, mostra condizioni di sofferenza sanitaria in gran parte
imputabili a incerte politiche
di accoglienza ed integrazione
sociale soprattutto in ambito
locale, a difficoltà di accesso
ai servizi, a problematiche relazionali-comunicative.
20
4/2015
Le norme per
l’assistenza sanitaria
to poi maggiore concretezza
applicativa con l’emanazione
del Regolamento di attuazioIn Italia il diritto alla tutela del- ne previsto dallo stesso Testo
le persone non appartenenti Unico (Decreto Presidente
all’Unione Europea (stranie- Repubblica n. 394 del 31 ago-
ri), anche se non in regola con
le norme per l’ingresso e il
soggiorno, è garantito dal Decreto Legislativo 286 del luglio
1998, dal titolo: «Testo unico
delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero». I principi e
le disposizioni contenute in
questo decreto hanno trova-
sto 1999) e dalla Circolare n.
5 del Ministero della Sanità
del marzo 2000. Obiettivo dichiarato di questa impostazione politico-normativa è quello
di includere a pieno titolo gli
immigrati in condizione di regolarità giuridica e prevalentemente presenti con permessi
di media e lunga durata (lavoro, famiglia, protezione), nel
NEL 2013 IL CONTRIBUTO
AL PIL NAZIONALE
DATO DAGLI OCCUPATI
STRANIERI è STATO
DI 123 MILIARDI DI EURO
sistema di diritti e doveri per
quanto attiene all’assistenza sanitaria a parità di condizioni e
di opportunità con il cittadino
italiano: sono stati così rimossi dei requisiti che nel passato
erano ostativi (la residenza, il
limite temporale, le aliquote
diversificate per l’iscrizione al
Servizio Sanitario Nazionale SSN, ...) ed introdotti principi
di equità (obbligatorietà estesa
all’iscrizione al di là del perfezionamento formale delle pratiche, esenzione per situazioni
di maggior disagio - richiedenti asilo, detenuti, ...). Il diritto
all’assistenza è stato esteso anche a coloro presenti in Italia
in condizione di irregolarità
giuridica (Stranieri Temporaneamente Presenti – STP)
garantendo loro oltre alle cure
urgenti anche quelle essenziali, continuative ed i programmi
di medicina preventiva. È stata
così realizzata una strategia di
inclusione, che pone l’Italia
all’avanguardia tra i paesi di
immigrazione.
Per i cittadini comunitari la tutela sanitaria è garantita nei soggiorni brevi attraverso la Tessera Europea di Assicurazione
Malattia (TEAM) rilasciata dal
paese di provenienza, e, per i
soggiorni più lunghi attraverso l’iscrizione al SSN o con
assicurazioni private. Tuttavia
esistono condizioni di margi-
CARITAS
L’Area sanitaria della Caritas di Roma dal 1983 è
impegnata nella tutela sanitaria delle persone più
deboli della nostra società,
in particolare con gli immigrati in condizioni di marginalità giuridica e sociale,
con i rom e con i senza dimora.
Agli inizi degli anni ottanta
nella capitale furono istituite mense, ostelli, centri
d’ascolto per dare risposte
concrete ma anche per capire “dal di dentro” questa
problematica, per studiare
il fenomeno, per stimolare
le autorità a farsene carico. È questa la spinta che
ha trasformato un piccolo
Centro medico della periferia romana, nato per
una risposta immediata a
dei bisogni senza risposta,
nell’attuale Area sanitaria, complessa ed efficace
rete di servizi e progetti,
laboratorio transculturale per una sanità centrata
sulla persona. Accanto agli
aspetti assistenziali (oltre
95.000 pazienti visitati dal
Poliambulatorio alla Stazione Termini e dai centri
collegati), particolare attenzione è posta all’analisi
dei bisogni ed allo studio
dei fenomeni alla base di
fragilità sociale e marginalità, alla formazione sui temi
della salute globale e di
una sanità senza esclusioni, all’impegno per i diritti
di ogni persona in una logica di giustizia ed equità.
Questa esperienza, vissuta
da centinaia di volontari, è
in continua evoluzione ed
è stata fin dall’inizio condivisa a livello locale e nazionale in un’ottica di lavoro
di rete e di crescita comune
che fa della testimonianza
diretta e delle opere segno
strumenti concreti per una
attenta azione pastorale.
Questa è la Mission
dell’Area sanitaria : “Mettersi in relazione con ogni
persona partendo dalla
stima e dal valore della
vita di ciascuno a qualsiasi
cultura o storia appartenga, per conoscere, capire e
farsi carico con amore della promozione della salute
specialmente di coloro che
sono più svantaggiati, affinché vengano riconosciuti,
riaffermati e promossi ad
ogni livello, dai singoli,
dalla comunità e dalle istituzioni, diritti e dignità di
tutti, senza nessuna esclusione”.
4/2015
21
Ospitalità e IMMIGRAZIONE
nalità (lunghi soggiorni senza
un lavoro regolare, mancanza
della TEAM, assenza di residenza) che espongono cittadini europei ad una inadeguata
copertura sanitaria nel nostro
paese (di fatto solo la possibilità di accedere al pronto soccorso). Quasi tutte le Regioni
hanno normato l’accessibilità
ai servizi sanitari, analogamente agli STP, attraverso il codice ENI (Europeo Non Iscritto
- ENI) dando una copertura
universalistica coerente con il
mandato costituzionale. L’impostazione inclusiva data dal
legislatore, deve però necessariamente
accompagnarsi
con una disponibilità da parte
delle amministrazioni locali,
che nel tempo sono divenute
le reali protagoniste delle politiche sociali e sanitarie per gli
stranieri, nell’implementarle e
renderle operative; ma è proprio in questo ambito che si
evidenzia una preoccupante
discontinuità e discrezionalità
applicativa in base agli umori
politici nazionali e locali.
La Legge costituzionale n. 3
del 18 ottobre 2001 dal titolo
«Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione» per effetto dell’art. 117, ha
dato alle Regioni e le Province
Autonome (PA) il potere di
definire delle norme sul tema
della salute di tutti i residenti e
quindi anche degli immigrati,
mentre l’immigrazione è tra le
materie in cui lo Stato mantiene la piena potestà legislativa.
La tematica “salute e immigrazione” appare ambiguamente sospesa tra la legislazione
“esclusiva” (quella dello Stato)
e la legislazione “concorrente”
(quella delle Regioni e PA)
in ciò che abbiamo definito
22
4/2015
“pendolo delle competenze e
delle responsabilità”. Lo Stato
in materia di sanità assume il
ruolo di garante dell’equità
ma, nella pratica, le numerose
indicazioni normative sull’assistenza sanitaria agli immigrati da parte di vari ministeri a
cui si aggiungono indicazioni
regionali hanno ingenerato
confusione e difficoltà interpretative a livello dei settori
amministrativi delle Regioni e
delle Aziende Sanitarie.
Gli stessi Sistemi Sanitari Regionali operano in modo molto difforme configurando una
progressiva divaricazione dei
21 sistemi sanitari che spesso
derogano, specie per i gruppi
più vulnerabili quali gli immigrati, dai Livelli Essenziali
di Assistenza e dal principio
di equità, ispiratore del SSN.
Per evitare questo rischio il 20
dicembre 2012 è stato sancito
un Accordo in seno di Conferenza Stato-Regioni e Province
autonome che pur non essendo una nuova legge, è cogente
sul piano interpretativo delle
norme esistenti ed ha introdotto importanti novità come la
possibilità di iscrizione al SSN
di minori figli di immigrati non
in regola con il soggiorno (vedi
Gazzetta Ufficiale n. 32 del 7
febbraio 2013).
A distanza di quasi 3 anni dalla sua approvazione, l’Accordo
ancora deve essere diffusamente e omogeneamente applicato.
Nella tabella di pagina 20 riportiamo schematicamente e non
esaustivamente quanto previsto
dalla normativa nazionale per
la tutela sanitaria di cittadini
stranieri e comunitari.
Per non concludere
Forse non ce ne rendiamo
conto ma ci troviamo in un
“crinale della storia” e il
fenomeno dell’immigrazione, nelle dimensioni anche
drammatiche della fuga, ci
richiama ad una riflessione sul modello di sviluppo,
delle relazioni internazionali, della giustizia sociale che
abbiamo costruito.
Il dibattito non è “se” accogliere o “non” accogliere ma
su “come” accogliere e nel
contempo riuscire a ridefinire globalmente e localmente le priorità di un’agenda
della convivenza sociale e
della cooperazione internazionale, con scelte eque e
sostenibili. In questo senso
i richiami del Santo Padre,
Papa Francesco, sono pressanti e indifferibili sia per
una nuova visione dello sviluppo sia per l’accoglienza
degli immigrati:
“… la rivelazione biblica incoraggia l’accoglienza dello
straniero, motivandola con
la certezza che così facendo
si aprono le porte a Dio e
nel volto dell’altro si manifestano i tratti di Gesù Cristo. …
Eppure non cessano di moltiplicarsi anche i dibattiti
sulle condizioni e sui limiti da porre all’accoglienza,
non solo nelle politiche degli Stati, ma anche in alcune
comunità parrocchiali che
vedono minacciata la tranquillità tradizionale.
Di fronte a tali questioni,
come può agire la Chiesa se
non ispirandosi all’esempio
e alle parole di Gesù Cristo?
La risposta del Vangelo è la
misericordia”.
Per chi si occupa di salute e
sanità, dare concretezza alle
“opere di Misericordia” che
sono l’asse portante dell’anno giubilare, significa anche
riposizionarsi in un atteggiamento di attenzione, ascolto, servizio, impegno nei
confronti di tutti i sofferenti
e, forse, soprattutto verso
chi ha una ferita in più dovuta all’incomprensione, al
pregiudizio, all’ostilità come
a volte sono gli immigrati.
Bibliografia essenziale
AAVV. Dossier Statistico Immigrazione 2015. Idos, 2015
AAVV. Rapporto Osservasalute – parte relativa agli immigrati (dal 2006 al 2015). Osservatorio
nazionale sulla salute nelle regioni italiane. Università Cattolica del Sacro Cuore. Prex SpA. Milano
AAVV. Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2014. Anci, Caritas Italiana, Cittalia,
Fondazione Migrantes, Sprar. In collaborazione con Unhcr, Roma, 2014
AAVV. Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2015. Anci, Caritas Italiana, Cittalia,
Fondazione Migrantes, Sprar. In collaborazione con Unhcr, Roma, 2015
AAVV. XXIV Rapporto Immigrazione 2014. Migranti, attori di sviluppo. Caritas, Migrantes.
Tau editrice srl – Todi (Pg), maggio 2015
Forti O., Geraci S.: Diritto Universale, approccio transculturale. In Italia Caritas, numero 3,
aprile 2015
Geraci S.: La tutela sanitaria degli immigrati in Italia. Salute e sviluppo, n. 70, Medici con l’Africa
Cuamm, novembre 2014
Geraci S.: Mitologia dell’untore, ci si ammala di margini. Italia Caritas numero 10, dicembre
2012 – gennaio 2013. Roma, 2012; 12:15
Istat: Natalità e fecondità della popolazione residente, anno 2014. Roma, 27 novembre 2015
Istat: Cittadini non comunitari: presenza,
nuovi ingressi e acquisizioni di cittadinanza, anni 20142015. Roma, 22 ottobre 2015
Ministero dell’Interno: Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia. Aspetti, procedure, problemi. Roma, ottobre 2015
Papa Francesco: Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato, gennaio 2016
Papa Francesco: Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune. Città del Vaticano, 2015
4/2015
23
Ospitalità e IMMIGRAZIONE
LE NUOVE
POVERTà:
una realtà con cui confrontarsi
Serafino
Nizza
Il «Villaggio della Carità» concretizza l’Ospitalità dei Fatebenefratelli verso coloro che non possono essere raggiunti dai servizi territoriali già esistenti. L’offerta di un aiuto concreto, come può essere un pasto gratuito, un letto caldo, un consiglio, un luogo di
aggregazione, un centro di ascolto, è l’obiettivo che la commissione
Nuove Povertà vuole realizzare.
La Commissione Nuove Povertà è stata istituita dal Consiglio Provinciale dell’Ordine
con lo scopo di elaborare proposte concrete di aiuto a coloro che hanno più bisogno e
che sono più difficilmente raggiungibili dalla normale rete
assistenziale dello Stato. La
Provincia Religiosa e tutte le
sue componenti di cui diremo
più oltre non intendono sostituirsi allo Stato ma semmai si
prefiggono di affiancare i servizi sociali e tutte le altre realtà
istituzionali integrandole laddove possano concretizzarsi
difficoltà oggettive di sistema.
Tutto questo ricorrendo alla
capacità di individuazione delle aree critiche ma soprattutto
alla capacità di progettare risposte, possibilmente semplici, ricorrendo in primo luogo
alla solidarietà e alla capacità
di costituire una rete con tutte le realtà pubbliche e private
che possono essere messe in
campo per realizzare gli obiettivi prefissati.
24
4/2015
Possiamo dire che questa
Commissione, presieduta dal
Definitore Provinciale fra Guido Zorzi, coordina le attività
di diversi soggetti giuridici che
direttamente o indirettamente fanno capo alla Provincia
Religiosa. Ferme restando le
autonomie derivanti dal riconoscimento giuridico, infatti,
la Fondazione Famiglia di San
Giovanni di Dio di Cernusco
sul Naviglio, nata come Onlus, l’Associazione «Dott. Luigi Fiori – Fatebenefratelli per
le Nuove Povertà» Onlus di
San Maurizio Canavese, l’Associazione «Asilo Notturno
San Riccardo Pampuri Fatebenefratelli» Onlus di Brescia
e l’Associazione di Volontariato «San Riccardo Pampuri» di
Trivolzio collaborano alla realizzazione del Progetto «Villaggio della Carità», che, come si
diceva, ha lo scopo di andare
incontro alle Nuove Povertà,
ai Nuovi Bisogni e a tutti coloro che non possono essere
raggiunti capillarmente dai
servizi territoriali già esistenti.
Si tratti di progetti grandi o
contenuti, di soluzioni semplici o più complesse, tutte le
iniziative hanno un denominatore comune: la ricerca degli
ultimi, di coloro che hanno
più bisogno, e l’offerta di un
aiuto concreto, come può essere un pasto gratuito, un letto
caldo, un consiglio, un luogo
di aggregazione e di ritrovo,
un centro di ascolto. A seguire
la descrizione di alcune delle
iniziative realizzate e di altre
che sono prossime alla realizzazione.
La mensa
«Panem Quotidianum»
Lo scorso 19 novembre in
San Colombano, presso il
nostro Centro Sacro Cuore
di Gesù, il Superiore Provinciale fra Massimo Villa ha
inaugurato la mensa gratuita
per i bisognosi denominata
“Panem Quotidianum”, alla
presenza del Sindaco Pasqualino Belloni, del Superiore
fra Gennaro Simarò e del Direttore Antonio Rossi – che
sono i promotori dell’iniziativa – nonché di altri religiosi e
dirigenti della Provincia oltre
a parte del personale della
struttura. Il progetto ha inteso realizzare presso il nostro
istituto uno spazio fisico e relazionale di Ospitalità per rispondere alla povertà alimentare, sempre più presente tra
la popolazione, attraverso la
preparazione di pasti caldi e il
loro consumo.
L’obiettivo era quello di donare un pasto caldo a persone
bisognose che vivono in condizioni di fragilità economica
e non sono in grado di provvedere in modo adeguato al
proprio nutrimento, in particolare ad anziani e pensionati
soli in difficoltà e famiglie in
condizioni di recente povertà.
Abbiamo voluto che fosse un
segno e uno spazio di condivisione, ospitalità, solidarietà
e d’incontro per e con le persone più deboli, presenti sul
territorio, nella tradizione
dell’Ospitalità, secondo lo stile di San Giovanni di Dio, cercando di creare, per quanto
possibile, un clima familiare.
4/2015
25
Ospitalità e IMMIGRAZIONE
Ci siamo riproposti di essere
un servizio di cooperazione e
di rete tra le diverse parti sociali e associative ecclesiali e
non, favorendo sempre più il
rapporto tra il territorio (parrocchia, comune, Fatebenefratelli, eccetera) e le persone
che vivono condizioni di povertà ivi residenti e seguite dai
servizi sociali del Comune di
San Colombano al Lambro.
Sensibilizzare
i giovani sul
Comportamento
Alimentare
Dal Centro Sant’Ambrogio di
Cernusco sul Naviglio è scaturito il progetto del Superiore
e dei suoi Direttori che ha a
tema una campagna di sensibilizzazione – presso le scuole
medie superiori – sui rischi dei
Disturbi del Comportamento Alimentare. Da novembre
2015 a marzo 2016 sono programmati 11 incontri in diversi
siti per un totale di 25/30 classi
tra le terze e le quinte. Il nostro
scopo è quello di contribuire,
con l’esperienza di soggetti titolati, a prevenire l’insorgere
di tali disturbi nei giovani. L’iniziativa ha trovato subito risposta favorevole da parte dei
26
4/2015
Presidi e degli Insegnanti delle
Scuole coinvolte, segno questo
che esiste una forte sensibilità
sul tema ed anche, ovviamente, una concreta disponibilità.
Progetto «Sporgersi» – uno sportello di ascolto
Da Cernusco è scaturita un’altra iniziativa, cui è stato dato
il nome di Progetto “Sporgersi”. Premesso che il Centro
Sant’Ambrogio è una presenza storica a Cernusco sul Naviglio e opera nell’assistenza
psichiatrica dal 1939 e che nei
suoi oltre settant’anni di attività, la struttura ha continuato
senza interruzione l’opera di
cura e di assistenza alle persone affette da disturbi psichici
ispirata alla tradizione storica,
alle competenze e alla missione dell’Ordine: attribuire
piena centralità al valore della persona umana e vivere il
carisma specifico dell’Ospitalità, il Progetto Sporgersi,
promosso da alcuni operatori
del Centro Sant’Ambrogio
che operano, a vario titolo,
nell’ambito della Salute Mentale, ha l’obiettivo di realizzare uno sportello di ascolto
che vuole essere un tentativo
di andare incontro all’altro,
sporgendosi, nel tentativo
di portare e accompagnare,
azione attraverso cui si declinerà in parte il contributo del
progetto ma che indica anche
il protendersi fuori da qualcosa: simbolicamente per chi
necessita di aiuto rappresenta
l’iniziare ad uscire da una difficoltà.
Gli obiettivi sono quelli di
offrire ascolto e accoglienza,
in un luogo non istituzionale, per individuare la domanda effettiva (diagnosi clinica,
definizione del bisogno); accompagnare l’utenza all’utilizzo dei Servizi Territoriali
eventualmente già esistenti;
sostenere l’utenza nella creazione di una rete sociale
quando possibile; eventuale
supporto formativo su singoli
casi già in carico alle équipe
dei Centri di Ascolto Caritas
presenti sul territorio; consulenza medica (psichiatrica e
internistica) per gli utenti già
in carico nei Centri di Ascolto; incontri di prevenzione e
informazione nell’ambito della Salute Mentale; supporto
sociale nell’effettuare pratiche
amministrative; supporto psicologico per problematiche
individuali; consulenza psicoeducativa a genitori rispetto a
problematiche familiari di vario tipo (disoccupazione, difficoltà scolastiche dei minori,
problematiche
relazionali)
e invio ai servizi di competenza; mappatura dei Servizi
presenti nel territorio di Cernusco (associazioni di volontariato, Centri di Ascolto, uffici comunali, presidi medici
eccetera); stesura di dépliant
informativo per favorire la
conoscenza e la diffusione sul
territorio del progetto.
Ci prefiggiamo di raggiungere
utenti che manifestano disagio psichico ancora non diagnosticato e non già in carico
ai Servizi Psichiatrici; utenti
che manifestano patologie organiche croniche non in grado di usufruire della cura del
SSN; utenti con problematiche psico-sociali di vario tipo
non ancora in carico ai Servizi
Sociali.
CASA DI OSPITALITÀ FATEBENEFRATELLI
VARAZZE «Ospitalità Misericordiosa» 2016
disponibile dal 7 al 14 febbraio, dal 28 febbraio al 6 marzo,
dal 10 al 17 aprile, dall’8 al 15 maggio, dal 2 al 9 ottobre,
dal 13 al 20 novembre
Progetto «Ospitalità Misericordiosa»
A Varazze è scaturito il Progetto Ospitalità Misericordiosa,
per iniziativa del Coordinamento nazionale Case per Ferie presso la Conferenza Episcopale Italiana. Per il Giubileo
straordinario della Misericordia, tutte le strutture di ospitalità gestite da religiosi sono
state chiamate ad un atto di
vera misericordia, mettendo a
disposizione la propria opera e
la propria accoglienza. Questa
la richiesta alla quale la nostra
struttura di Varazze ha aderito
convintamente: «… il Giubileo della Misericordia è ormai
alle porte ed abbiamo pensato
di dare un significato tangibile
alla nostra missione quotidiana
presentando alla CEI il “Progetto Ospitalità Misericordiosa”, che ha suscitato da subito
vivo apprezzamento. Seguendo
i pressanti inviti di Papa Francesco per un anno di vera Misericordia, vogliamo dare a tutte le strutture di ospitalità con
particolare carisma la possibilità di ospitare volontariamente,
per periodi di una settimana,
persone o famiglie che, per
condizione economica o sociale, non potrebbero permettersi
qualche giorno di serenità fuori
dalle loro problematiche quotidiane. Diocesi e parrocchie si
faranno carico di individuare i
destinatari di questo beneficio,
mentre le strutture potranno
mettere a disposizione una camera destinata a quest’opera
di misericordia per un periodo
concordato in forma completamente gratuita ...».
4/2015
27
Ospitalità e IMMIGRAZIONE
Sull’esempio
di San Riccardo
A Trivolzio, luogo caro ai Fatebenefratelli per la testimonianza del Santo Confratello
Riccardo Pampuri, l’Associazione di Volontariato a lui
intitolata ha prodotto l’iniziativa “L’operare segue l’essere,
le radici e le motivazioni del
prendersi cura dell’Altro”.
L’obiettivo, in questo caso,
non è direttamente rivolto
alle Nuove Povertà ma vuole
avere il senso della continuità dell’esempio del Santo
attraverso il ricordo e dunque
attraverso: il Museo dedicato
a San Riccardo; l’allestimento
di una Mostra; la pianificazione di convegni.
L’Asilo Notturno
di Brescia
Da ultimo l’Asilo Notturno di
Brescia, presenza storica dei
Fatebenefratelli, impegnato da
anni a dare accoglienza ai senza tetto e oggi uno dei centri di
riferimento della Prefettura di
Brescia per l’accoglienza dei
Migranti (peraltro siamo uno
dei pochi centri che accoglie
indifferentemente uomini e
donne, soprattutto intere famiglie). L’attività dell’Asilo
Notturno è inevitabilmente
destinata a diversificarsi ed
ampliarsi: il nostro obiettivo
è quello di non fermarci alla
prima accoglienza dei Migranti, cercando di offrire ai nostri
ospiti almeno un’opportunità di lavoro, un’occupazione
temporanea che consenta loro
uno stile di vita dignitoso in
attesa di soluzioni più definitive. Nel frattempo, mentre
sono ancora nostri ospiti, ci
28
4/2015
preoccupiamo che siano attivi non soltanto nell’apprendimento della lingua (presso
l’Asilo vengono tenuti, da docenti qualificati, regolari corsi
di lingua italiana) ma anche
nella collaborazione con altri
soggetti in difficoltà per l’apprendimento di tecniche di
produzione semplici ma comunque efficaci. Nella nostra
progettualità ricomprendiamo
attività agricole e artigianali
che possano essere riprodotte
anche nei Paesi d’origine. Stiamo studiando, con varie collaborazioni, la possibilità di favorire il rimpatrio assistito sia per
coloro che, avendo presentato
richiesta di asilo, abbiano ricevuto risposta negativa, sia per
coloro che, pur avendo avuto
risposta favorevole, dovessero
decidere di riportare in patria
le conoscenze acquisite per
metterle al servizio dei connazionali.
Per eventuali donazioni
a sostegno del Villaggio
della Carità:
Asilo Notturno San Riccardo
Pampuri Onlus,
Via Corsica n. 341,
25125 Brescia,
c/o Credito Cooperativo
Alta Brianza, Filiale di Erba (CO)
IBAN
IT05E0832951270000000202313
Visita del
prefetto
Il giorno 2 novembre
nel pomeriggio abbiamo avuto
la piacevole sorpresa di
accogliere in visita all’Asilo
Notturno San Riccardo
Pampuri e al nostro Istituto
di ricovero e cura a carattere
scientifico, il Prefetto
di Brescia Valerio Valenti.
L’incontro, molto familiare, è stato molto concreto e il Prefetto ha
subito incontrato alcuni stranieri
dei 130 che sono ospitati all’Asilo notturno. Notevole il suo interesse circa la loro provenienza, il
loro trattamento e le loro attività:
scuola di italiano, lavoro nell’orto
e nella casa, tempi di uscita e altro
ancora. In particolare si è intrattenuto con gli ospiti durante un
momento della lezione di lingua
italiana.
Il Prefetto si è poi trasferito a visitare il Centro di Ricerca interessandosi delle varie attività e
constatando con soddisfazione la
presenza in Brescia di una realtà
che andrebbe maggiormente conosciuta.
Quindi ha visitato alcune Comunità psichiatriche intrattenendosi
semplicemente con ospiti ed operatori.
Tutti hanno avuto modo di apprezzare la cordialità, la semplicità e il tratto umano del Prefetto,
che ringraziamo vivamente per la
sua visita e al quale abbiamo dato
appuntamento per la celebrazione
del XX anniversario di riconoscimento dell’IRCCS.
4/2015
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ETICA E Ospitalità
«Migranti
e rifugiati
Carlo
Bresciani
ci interpellano.
La risposta del
Vangelo della
misericordia»
Apriamo i nostri occhi
per vedere le miserie
del mondo, le ferite di
tanti fratelli e sorelle
privati della dignità, e
sentiamoci provocati
ad ascoltare il loro grido di aiuto.
P
apa Francesco ha scelto
come titolo del suo messaggio per la Giornata del
Migrante e del Rifugiato,
che si svolgerà il 16 gennaio 2016: «Migranti e rifugiati ci interpellano. La
risposta del Vangelo della misericordia». Invita tutti, quindi, a
interrogarsi alla luce del Vangelo – e da cristiani non possiamo
avere altro riferimento – sul massiccio fenomeno migratorio che
sta interessando in modo sempre
più acuto le società occidentali,
in particolare l’Europa, ma non
solo. Basti pensare a quanto avviene al confine con il Messico
negli Stati Uniti d’America.
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Reazioni
contrastanti
Non possiamo nasconderci
che vasti settori dell’opinione
pubblica, non sempre onestamente informata e spesso
sollecitata nelle reazioni più
emotive e meno razionali, sta
manifestando preoccupazione, insofferenza e in alcuni
casi rifiuto. Non manca chi
specula, manipolando le coscienze attraverso informazioni che rappresentano la realtà
in modo scorretto e fomentando, così, pregiudizi che,
oltretutto, ostacolano una possibile futura integrazione. Non
manca neppure chi approfitta
indegnamente dei migranti
per trarne guadagno illecito e
truffaldino, come la vicenda di
Roma ha portato
alla luce.
SONO
Accanto
a
PERSONE
questo,
non
UMANE
possiamo non
CHE
vedere quanDESIDERANO ta generosità
di accoglienza
UNA VITA
molte comuniDIGNITOSA
tà stanno sviPER Sé
luppando non
E PER
senza grande
I FIGLI
impegno e tanti sacrifici. La
Chiesa con le varie caritas
parrocchiali e diocesane sta
facendo uno sforzo notevolissimo, non sempre sufficientemente apprezzato nella sua
vera portata. Molto volontariato, in silenzio, sta offrendo un
esempio luminoso di generosa
solidarietà e accoglienza.
Il Papa, fin dall’inizio del suo
pontificato, ha individuato
questa situazione come una
questione che interpellava fortemente la coscienza sociale e
la realtà ecclesiale. Non a caso
la sua prima uscita è stata a
Pantelleria, mettendo sotto gli
occhi dell’intera comunità internazionale il dramma umano che si stava consumando
sulla porta di casa nostra. Da
allora la situazione non è certo
migliorata e molta ipocrisia è
scivolata sull’acqua che, lontano dagli occhi, ingoiava con
abbraccio mortale sempre più
migranti. I morti nel mediterraneo si contano ormai a decine di migliaia e le carrette del
mare (chiamarle navi o barche
sarebbe troppo generoso), cariche fino all’inverosimile di
migranti, si sono moltiplicate.
Il Giubileo
della Misericordia
Di fronte all’impressionante
ondata di tanta umanità in cerca di un luogo in cui trovare
speranza di una vita migliore
– spesso per evitare guerre,
fame e violenza per sé e per i
figli – e che proviene da quelle
che il Papa chiama “periferie
geografiche ed esistenziali” del
mondo, occorre che interroghiamo le nostre coscienze
e che non soffochiamo quel
senso di umanità che è in noi.
Il Papa scrive nella Misericordiae vultus, la bolla con la
quale indice il Giubileo della
Misericordia: «Non cadiamo
nell’indifferenza che umilia,
nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di
scoprire la novità, nel cinismo
che distrugge. Apriamo i nostri
occhi per vedere le miserie del
mondo, le ferite di tanti fratelli
e sorelle privati della dignità, e
sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto…
Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza
che spesso regna per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo»
(n. 15). Si tratta di un invito
che deve far riflettere tutti, cristiani e no.
Il cristianesimo ha contribuito a creare condizioni di convivenza pacifica tra popoli e
nazioni, sia pure con processi
non sempre facili e che hanno
avuto bisogno di secoli, diffondendo la verità fondamentale
che tutti apparteniamo all’unica famiglia umana, la famiglia
di Dio, e che condividiamo
tutti un’uguale dignità umana,
al di là di ogni altra appartenenza sociale, economica o di
qualsiasi altro genere. Il Giubileo della Misericordia deve
aiutarci a recuperare non tanto una misericordia fondata
su una compassione emotiva,
quanto sulla dignità di figlio di
Dio che appartiene ad ogni essere umano.
4/2015
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ETICA E Ospitalità
NON CADIAMO
NELL’INDIFFERENZA CHE UMILIA...
APRIAMO I NOSTRI
OCCHI PER VEDERE LE
MISERIE DEL MONDO,
LE FERITE DI TANTI
FRATELLI E SORELLE
PRIVATI DI DIGNITà
Solo su questa verità fondamentale si possono superare
anche quegli egoismi particolaristici da cui è minacciata la
nostra opulenta modernità e
che potrebbero segnare il suo
fallimento. I muri dell’egoismo, regionale, nazionale o internazionale, non costruiranno una società più umana per
il domani, neppure per i nostri
figli. L’indifferenza verso il grido dei poveri non può sperare
di costruire una società più giusta e più pacifica, ma prepara
sicuramente drammi più gravi
per tutti. L’Europa, patria dei
diritti umani, non può diventare l’Europa degli egoismi e della negazione dei diritti umani
alla libertà e alla giustizia.
plesse, che hanno bisogno di
risposte a più livelli, locale,
nazionale e internazionale.
Occorre, quindi, che i responsabili evitino semplificazioni
che non porterebbero molto
lontano nella ricerca di soluzioni efficaci.
1. È assolutamente necessario
interrogarsi con onestà e fino
in fondo sulle cause di questi
fenomeni migratori dal sud del
mondo verso il nord più ricco,
che spesso vive agiatamente
proprio a causa di un mercato e
di un commercio internazionale
che li ha resi poveri e bisognosi
di tutto, spingendoli a lasciare il
proprio paese e la propria casa.
Pur senza voler finire in facili e
generiche colpevolizzazioni: siaUna questione
mo proprio certi di non avere
complessa da
colpe in quanto sta avvenendo?
affrontare
É più facile denunciare la negaa diversi livelli
tività del risultato, che guardare
alle sue cause, soprattutto quanÈ ovvio che ci troviamo di do in queste c’è una qualche refronte a questioni molto com- sponsabilità propria.
32
4/2015
In ogni modo, se non si cerca di far fronte onestamente e
con giustizia alle cause, individuandole senza chiusure di
principio, la misericordia di
un’accoglienza pur doverosa,
rischia di essere un pannicello
caldo con il quale cerchiamo
di curare qualcuno, mentre
continuiamo a provocare o a
mantenere situazioni che ne
richiederanno sempre di più.
A pagare tutto questo sono
persone umane, che desiderano, come noi, una vita non
di stenti, ma dignitosa per sé e
per i propri figli.
2. Ma è altrettanto necessario
che si dia anche una risposta
immediata a chi sbarca sulle
nostre coste, bisognoso di tutto: si tratta di uomini, donne e
bambini.
L’accoglienza
e il corretto
SENZA
discernimento MISERICORDIA
delle condizioVERSO IL
ni di ciascuno
BISOGNOSO
(altro sono i
NON CI
mercanti di uomini – i nuovi PUò ESSERE
schiavisti –, alVERA
tro sono coloGIUSTIZIA
ro che fuggono
dalla violenza
con
rischio
della vita) non può essere rifiutata. Certo non possono
essere trascurate dai responsabili della società civile le questioni strategiche della legalità
e della pacifica convivenza da
custodire per il bene di tutti,
ma esse non possono neppure
essere drammatizzate, magari
solo per conquistare qualche
voto in più, al punto da far
pensare che legalità e pacifica convivenza siano possibili
senza operare per una giusta
integrazione e non per un rifiuto pregiudiziale. Quando
si innalzano muri preconcetti
non si lavora per la pace, ma
per la contrapposizione e per
la divisione.
3. In un mondo globalizzato
non possiamo illuderci che sia
possibile mantenere il nostro
alto livello di vita escludendo da esso una buona parte
dell’umanità. Non si tratta
solo di dare qualcosa a queste
migliaia e migliaia di persone
che premono ai nostri confini
e che – non illudiamoci – né
muri, né reticolati riusciranno
comunque a fermare. Accoglierli è doveroso, organizzare un’accoglienza dignitosa di
fronte ad un’emergenza umanitaria è sicuramente meritevole, ma dobbiamo fare tutti
un salto di mentalità verso una
maggiore apertura d’animo
che ci porti a vedere in queste persone dei fratelli con cui
condividere.
Occorre offrire loro ospitalità,
ma nello stesso tempo responsabilizzarli all’interno della
realtà sociale nella quale sono
venuti a inserirsi. Solo così
sarà possibile un’integrazione
sociale che ricadrà alla fine a
vantaggio di tutti.
evangelica di amore per gli ultimi e per i bisognosi. Il cristiano
non può dimenticare che Cristo
stesso è presente tra i “più piccoli”, e che alla fine della vita
saremo giudicati dalla nostra
risposta d’amore, come si legge
nel Vangelo di Matteo nella parabola del giudizio finale (cap.
25, 31ss.). Con buona pace
di chi non vuol capire, Papa
Francesco ricorda, nella bolla
di indizione del Giubileo che
«essendo discepola di Gesù,
la Chiesa è sempre chiamata
ad “annunciare la liberazione
a quanti sono prigionieri delle
nuove schiavitù della società
moderna”» (Misericordiae vultus,
n. 16). Non significa dimenticare la legalità e la giustizia, ma ricordarsi che senza misericordia
verso il bisognoso non ci può
essere vera giustizia. Giustizia e
misericordia sono due dimensioni di un’unica realtà.
MOLTO VOLONTARIATO,
IN SILENZIO,
STA OFFRENDO
UN ESEMPIO LUMINOSO
DI GENEROSA
SOLIDARIETà
E ACCOGLIENZA
coscienza vigile per evitare di
non rendersi neppure conto di
quanto sta accadendo accanto
a noi, e, magari, continuare a
credere di essere giusti davanti
a Dio, dilapidando egoisticamente i beni della terra mentre il povero Lazzaro di turno
muore ai nostri piedi senza
che noi ci diamo da fare per
evitare che ciò accada.
L’accoglienza non è questione
di ‘buonismo’ ingenuo dagli
occhi chiusi e con le fette di
salame sugli occhi, ma di Vangelo, quel Vangelo sul quale è
La parabola del ricco Epulone nata e si è unita la nostra Euroe del povero Lazzaro (Lc 16, pa, che, troppo dimentica del19-31) deve continuare a inter- le sue radici, rischia sempre
rogare la coscienza di ciascu- più di ricadere nelle spire degli
no. Occorre mantenere una egoismi nazionali e localistici.
La risposta
del Vangelo
della Misericordia
Il Santo Padre invita i cristiani a
riflettere durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale, tra cui si trova
quella di accogliere i forestieri.
Ricordando il Vangelo della misericordia, egli vuole collegare
in modo esplicito il fenomeno
della migrazione con la richiesta
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PASTORALE E Ospitalità
Serve una nuova
Dove è finita la solidarietà?
Quella semplice,
umile che non si metteva
in mostra, quella per cui
non si faceva mancare
il necessario al vicino
di casa in difficoltà.
Quella che
non passava oltre.
È
fantasia
della carità
trascorso un po’ di tempo ma ritornano spesso alla memoria due immagini che sono arrivate come un
pugno allo stomaco unite ad un assordante ma muto grido di dolore,
quello che urla nel cuore e fa scuotere tutto dentro di te. Sono le immagini di Aylan, un bimbo di
tre anni, con la sua maglietta rossa e i pantaloncini blu, steso inerme sulla sabbia, le piccole braccia lungo i fianchi… e quella corsa chissà verso
dove, forse l’ennesimo confine da attraversare,
di Osama Abdul Mohsen con in braccio il figlio
Zaid di 7 anni, a lui avvinghiato, con la disperazione e l’angoscia sul volto, una corsa interrotta
da uno sgambetto di una giornalista… ed eccoli
rovinosamente a terra. Un nodo alla gola sale,
non riesco a trattenere le lacrime… un infinito
senso di impotenza misto a rabbia.
Sospendiamo ogni giudizio morale ma riflettiamo. Questi siamo noi davanti a tanta sofferenza,
che sembra solo “sfiorare” le nostre vite, il nostro
quotidiano talvolta banale e uguale a se stesso?
Capaci solo di essere spettatori, sì commossi ma
che con un clic cambiano canale e tornano indifferenti davanti ai drammi umani?
Perché in tutte queste storie ognuno di noi non si
sente responsabile, non si domanda quale contributo può dare per accogliere il dramma umano
che oggi si chiama, Aylan, Abdel, Adila, Francis
o Stanley, che tentano di sfuggire ad un destino
di guerra, persecuzione e morte. Sofferenza che
si chiama anche Piero, Rosa, Giovanni o Irina
che hanno perso il lavoro… Come mai, già da
tempo, non abbiamo soffermato lo sguardo su
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4/2015
Laura Maria
Zorzella
di loro, sull’esperienza drammatica che stanno
vivendo?
La storia umana si ripete: nella parabola del
buon samaritano (Lc 10, 25-37) per tutti i personaggi che passano accanto al malcapitato il testo ripete l’espressione «vide…». Per due di loro
l’inquietudine provocata dall’incontro con quel
viaggiatore sfortunato si traduce in uno sguardo
che non si sofferma.
“Attualizzando
il
testo al nostro contesto, potremmo quasi
sostituire quel «vide
e passò oltre» con un
«non lo vide» o addirittura con un «non lo
vide per niente». Perché la consuetudine a
non voler vedere crea
una sorta di habitus,
certo poco virtuoso,
ma che quasi in automatico porta chi si
ritrova involontario
protagonista di una situazione inquietante a uscire di
scena il più presto possibile. Ritengo che una delle difficoltà con le quali ci misuriamo oggi non sia appunto
la mancanza di carità, ma piuttosto la possibile mancanza di «vista». (…) Il risultato è che la solidarietà
e la carità rimangono valori, ma nel concreto latitano
parecchio”.
(Stefano Guarinelli, 2013, Il prete immaturo,
Edizioni Dehoniane Bologna.)
PASTORALE E Ospitalità
Condividere il necessario
Quindi dove è finita la solidarietà? Quella semplice, umile che non si metteva in mostra, quella
per cui non si faceva mancare il necessario al vicino di casa in difficoltà. Quella che non passava
oltre, che era capace di soffermare lo sguardo e
con la compassione nel cuore, nel senso del sentirsi compartecipe della sofferenza altrui, si prestava a soccorrere, ad aiutare e sostenere, o, se
nulla era più possibile, a rimanere accanto.
Per fortuna non mancano testimonianze in tal
senso neppure oggi, sia di ospitalità ai profughi,
sia verso chi si trova in difficoltà lavorativa. Ciò
che fa “scandalo” è la levata di scudi da parte di
taluni che davanti all’uomo sofferente fanno la
differenza per il colore della pelle, per la nazionalità o per il ruolo sociale.
Quale atteggiamento pastorale ci viene chiesto?
All’Angelus di domenica 8 novembre, Papa
Francesco ci richiamava alla capacità di condividere il nostro necessario con chi ha bisogno... Ho
pensato a lungo a quanto è difficile metterlo in
pratica e mi riecheggiavano alcuni passi del Vangelo di Marco: Gesù fissò lo sguardo su di lui,
lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’,
vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un
tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc 10,19...).
Nei confronti di quel giovane Gesù mostra non
soltanto approvazione, ma anche simpatia: lo
“fissa e lo ama”. Ma la proposta di Gesù fa paura
al giovane, che si allontana triste, “perché aveva
molti beni”. Il suo attaccamento ai beni materiali
è tale che non comprende che la sequela esige il
primato di Dio rispetto a tutto. Ma questo è difficile anche per noi, che spesso non siamo capaci
neanche di “vedere” chi ci passa accanto.
Ecco io credo che Papa Francesco ci stia indicando la strada per “ritornare solidali”, riscoprire
che una sola cosa ci manca: una frequentazione
personale e quotidiana con Gesù, con la sua Parola, con la preghiera così da far crescere in noi
la presenza dello Spirito di Dio che ci fa agire e vedere il prossimo come fratello, chiunque esso sia.
lo sguardo sul fratello
Oggi ci viene chiesto allora di essere ospitali,
di “vedere” in ogni fratello che incontriamo il
volto di Gesù e a provare a farci prossimo in
qualche modo. Sono sempre più convinta che
la nuova terra di missione sia laddove regna l’indifferenza, l’incapacità di essere uomini tra gli
uomini. Una pastorale che inviti a riflettere sulla
necessità di soffermare lo sguardo sul fratello o
la sorella in difficoltà, a chiedersi cosa si può fare
per alleviare la sua sofferenza, a domandarsi chi
posso interpellare per dare un aiuto concreto.
Non ci sono formule precostituite, bisogna imparare ad essere creativi e coraggiosi nel chiedere agli altri di camminare insieme a noi per provare anche strade nuove pensate e significate
secondo gli inviti fornitici dal Vangelo, da Gesù:
«Come io vi ho amato, così amatevi anche voi
gli uni gli altri» (Gv 13,34), «Tutto quanto volete
che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a
loro» (Mt 7,12), «Va’ e anche tu fa lo stesso» (Lc
10,37)... come un “buon samaritano”…
Certo, questo è difficile oggi anche per noi
che, arroccati nelle nostre abitudini, temiamo
di perdere le conquistate comodità. Ma queste
situazioni di disagio assoluto quotidianamente
ci interpellano come uomini e ancor più come
credenti. Ci spingono ad uscire da noi stessi con
cuore libero da pregiudizi e condizionamenti
per poter scorgere nel volto dei fratelli stanchi,
sconvolti e stremati da situazioni inumane, i
tratti del volto di Gesù e accoglierli come persone aventi la stessa nostra dignità di figli di un
unico Padre. Queste sono le premesse per valutare correttamente le situazioni, e così attraverso atteggiamenti e gesti concreti, poter alleviare
qualche sofferenza e collaborare per realizzare
progetti di aiuto concreto e dare un volto più
umano alla società: «non si vede bene che col
cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi» (Antoine de Saint-Exupéry, da Il Piccolo Principe).
E l’essenziale è la vita divina che c’è in ciascuno
di noi, in ciascun uomo, che necessita di essere
accolta, custodita, coltivata, agita.
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PSICHIATRIA E Ospitalità
SOLIDARIETà
Non basta commuoversi, non basta emozionarsi,
non basta sentirsi colpiti dal dolore,
se questi sentimenti non si accompagnano
a gesti concreti di solidarietà,
che non possono essere uniformi
C
Eugenio
Borgna
ome è mai possibile ai profughi, ai migranti, a quelli in particolare che giungono dall’Africa straziati dal dolore e dalla
fame, dalla paura e dalla disperazione,
mettersi in relazione con noi che siamo
così lontani dal loro linguaggio e dalle
loro consuetudini di vita? Come appare
loro il mondo senza le parole che consentano
di parlare delle loro emozioni e dei loro pensieri, delle loro angosce e delle loro speranze, e di
essere in un mondo diverso da quello che noi
abitiamo così facilmente, e così spensieratamente? Ma, ancora, come ci è possibile avvicinarsi al
loro mondo chiuso in una solitudine a noi radicalmente estranea, e a noi così oscura nei suoi
significati, e nelle sue intenzioni? Non è davvero
facile, e forse non è possibile, immergersi nella
vita interiore, nella vita intenzionale, di migranti
che hanno perduto tutto, e non hanno nemmeno più le parole che dicano l’infinito loro dolore.
La comunicazione difficile
Ma ciascuno di noi dovrebbe essere almeno
sfiorato dal pensiero della comunicazione difficile che ci separa gli uni dagli altri, e dalla esigenza
etica di ricercare la sola comunicazione ancora
possibile; quella fondata sul linguaggio dei gesti
e delle lacrime, del sorriso e della solidarietà.
Certo, quanti intralci psicologici e politici nel ripensare ai modi possibili di parlarsi, fra noi e gli
altri, non con il linguaggio delle parole, ma con
quello del silenzio e del corpo vivente, e nondimeno a questa sfida non dovremmo rinunciare,
nel segno di un comune destino di dolore e di
speranza.
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4/2015
Ma ci si parla in un solo modo,
nel modo della solidarietà, che
smorza le differenze e le dissonanze fra noi e gli altri, fra il
nostro linguaggio e il non-linguaggio dei migranti. La comunicazione difficile si trasforma
allora in comunicazione aperta
ad una impossibile speranza.
Accoglienza
Sono persone giovani e anziane, padri e madri, bambini e adolescenti, e, quando
le vediamo, siamo capaci di
sorridere loro, di dare loro la
mano, di guardarli come persone lacerate dalla solitudine e
dalla angoscia, dallo sconforto
e dalla disperazione, bisognose di ogni cosa materiale, ma
anche di un gesto che dia loro
il senso di una vicinanza umana e cristiana?
UNA
Ci sentiamo
SOLIDARIETà chiamati anche noi, nei
DIFFICILE
nostri cuori, a
QUELLA CHE rispondere al
I MIGRANTI
loro grido di
CHIEDONO E aiuto nel silenzio e nella
CHE NOI
diversità delABBIAMO IL
le loro abituDOVERE UMANO dini e delle
E CRISTIANO loro consueDI REALIZZARE tudini, dei
loro costumi
e della loro fede? Sono domande alle quali non è possibile non rispondere, è dovere
e obbligo morale, come Francesco da Roma ci ha subito
chiesto con parole ferme e
intrepide, coraggiose e splendenti della luce dell’amore e
della carità. Non è possibile
sfuggire al fascino e alla bellezza delle sue parole, e dei suoi
gesti, che infrangono, o almeno dovrebbero infrangere,
ogni nostra incertezza e ogni
I CONTRIBUTI PERSONALI SONO FORSE POCA COSA NEI RIGUARDI DEI BISOGNi
E DELLE ATTESE DEI MIGRANTI MA LA SPERANZA CRISTIANA NON CI PUò
NON SOLLECITARE ALLA SOLIDARIETà
salvezza possibile per sé e per
i propri figli. Ma questa accoglienza costa fatica ed esige
impegno, non solo pubblico
ma personale, e anche le nostre abituali parole, con cui
cerchiamo di testimoniare il
dovere morale della accoglienza, si sbriciolano nelle sabbie
mobili delle nostre indifferenze, e anche solo delle nostre
stanchezze e delle nostre preoccupazioni. Forse, solo se riconosciamo il valore non solo
ideale, ma concreto, di quella
che è possibile chiamare comunità di destino, ritroviamo
parole che ci impegnano sui
fronti aperti di una accoglienza che ha come suo comune
denominatore il rivivere la
solitudine, l’angoscia e la disperazione dei migranti, dei
Siamo
profughi, come se fossero la
tutti migranti?
nostra solitudine, la nostra angoscia e la nostra disperazioSì, siamo tutti migranti, una ne. Se non viviamo il nostro
splendida immagine, che uni- incontro con i migranti come
versalizza
immediatamente una sfida ai nostri egoismi,
la connotazione umana della e come un richiamo ad una
accoglienza a chi da terre lon- profonda, anche se difficile,
tane si allontana in vista di una solidarietà, non riusciremmo
nostra ambiguità, ogni nostra
indifferenza e ogni nostra pigrizia, ogni nostro egoismo e
ogni nostra fuga dalle responsabilità.
Certo, non basta commuoversi, non basta emozionarsi, non
basta sentirsi colpiti dal dolore, se questi sentimenti non si
accompagnano a gesti concreti
di solidarietà, che non possono essere uniformi, ma che
devono rispondere alle diverse
forme di solidarietà alle quali
siamo chiamati, e l’importante
è non fermarsi alla commozione interiore, e invece renderla
operante. Mai, forse, come in
queste circostanze drammatiche, la voce che risuona della
nostra fede e della nostra speranza deve essere ascoltata.
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PSICHIATRIA E Ospitalità
mai a dare un senso all’infinito
dolore nel quale loro sono immersi quando cercano disperatamente di ritrovare la patria
perduta, e una qualche forma
di sopravvivenza.
La speranza
Come ha scritto un grande filosofo tedesco, Walter
Benjamin, la speranza è data a
noi, che almeno temporaneamente l’abbiamo nel cuore,
solo a favore di chi la speranza ha perduto. La speranza è
l’anima di una comunità di
destino nel senso che i sacrifici necessari a realizzarla non
saranno mai trascesi se non c’è
in noi la fiamma inestinguibile
della speranza: non ovviamente delle speranze quotidiane,
così fragili e così effimere,
ma della speranza della quale
parla San Paolo nella Lettera
ai Romani: «Infatti nella speranza siamo stati salvati, e una
speranza visibile non è speranza, poiché ciò che si vede
come si può ancora sperare?
Noi speriamo ciò che non vediamo, e attendiamo pazientemente».
Questa è la speranza che ci
consente di essere solidali, al
di là della complessità delle
cose, con chi ha perduto tutto, ed è anche la speranza, che
vive nel cuore dei migranti, di
riavere un futuro se non per sé
almeno per i propri figli. La
speranza è del resto profondamente intrecciata alla carità,
l’una e l’altra stelle del mattino
che non si spengono nemmeno nelle notti oscure dell’anima alle quali tutti, migranti o
non migranti, non possiamo
sfuggire in vita.
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La conclusione
Una solidarietà difficile, questo non si può non riconoscerlo, quella che i migranti
chiedono, e che noi abbiamo
il dovere umano e cristiano di
realizzare senza esitazioni, sia
pure nella consapevolezza che
anche tante persone italiane
vivono in condizioni di estrema indigenza, che non infrequentemente sconfinano nella
povertà radicale: testimoniata
dalle cose angoscianti che si
toccano con mano nelle periferie delle grandi città. Ma, se
questo è vero, e i contributi
personali sono forse poca cosa
nei riguardi della ampiezza
dei bisogni e delle attese dei
migranti, la speranza cristiana
non ci può non sollecitare ciascuno di noi a questa che ho
chiamata solidarietà difficile, e
che è in ogni caso solidarietà
alla quale non è possibile alla
coscienza umana e cristiana
non venire incontro. Queste mie considerazioni non
vorrebbero se non essere la
espressione di una comune
partecipazione alla immensa
sofferenza dei migranti che
senza più patria, e immersi nel
dolore, giungono da noi.
L’umanità
in viaggio:
l’esperienza dell’IRCCS
San Giovanni di Dio
di Brescia per il disagio
Giovanni
Battista
psichico nel migrante
Tura
S
tanziali o migranti? Nomadi o radicati ad ogni costo alla propria terra?
È una domanda trasversale alla storia
dell’uomo, in parte impegnato in fatiche estreme per rimanere nella terra
natia anche se arida o gelida, in parte in continuo spostamento alla ricerca di nuovi mondi che
rendano l’esistenza possibile, migliore o sempli-
cemente più bella. Ma non c’è
libro della storia degli uomini,
non c’è epoca, non c’è latitudine o longitudine che non siano ampiamente narratori del
viaggio dell’umanità, alla ricerca di altro. Perché, allora, così
intensa la luce dei riflettori
puntati sui migranti, oggi, nella
nostra società? Innumerevoli
le risposte: forse la più condivisibile è quella che la parte
di umanità che ci appartiene
è quella che in questa epoca
storica ci mette in discussione
con noi stessi.
L’umanità in viaggio: migranti
per scelta, per bisogni economici, migranti forzati, viaggi
pianificati, persone da sempre predestinate al viaggio o
uomini costretti dalla notte
all’alba alla fuga; un’umanità
in viaggio con il proprio bagaglio, a volte contenibile nelle
tasche del primo paio di calzoni infilati prima di fuggire.
Ma sempre, indissolubilmente, nel bagaglio del viaggio, il
RISULTA
NECESSARIO
IL RICONOSCIMENTO
DELLA CENTRALITà
DELLA SINGOLA PERSONA
E DEL SUO
MONDO
PERSONALE
proprio mondo psichico, personale, unico e profondo. Il
proprio mondo psichico, con
le proprie armonie e con le
proprie fragilità; un bagaglio
che ogni uomo in viaggio cerca
di proteggere, di custodire, di
mascherare, a volte di nascondere, ma che non può essere
annullato, omologato e che
inevitabilmente diventa spesso il carattere identificativo e
relazionale più intenso e vero.
Una parte di sé che ineludibilmente ogni uomo in viaggio
non può non mettere in gioco,
sia per ciò che da lui dipenda
sia per ciò che da fuori gli venga richiesto.
A volte le fragilità psichiche,
nonché i disturbi classicamente intesi, sono già nel bagaglio
di partenza del viaggio; magari, nel mondo da dove si parte,
queste fragilità vogliono dire
altro, possono essere qualcosa
di familiare per la cultura che
le vede nascere; magari nel
mondo da cui si parte queste
fragilità trovano risposte tali
da armonizzarle con il resto
della persona e non generare
specifica sofferenza. E può
essere proprio il viaggio nella
sua natura traumatica a farle emergere, più critiche, e a
generare la sofferenza prima
sopita. Oppure proprio la natura traumatica del viaggio nel
suo divenire ne può generare
di nuove, forti, intense.
E ancora, la traumaticità
dell’approdo nel nuovo mondo e nella sua cultura può metterci alla prova, fino a far nascere reale sofferenza psichica
il mondo interiore e profondo
di ogni persona. Nuove regole,
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PSICHIATRIA E Ospitalità
nuove prospettive, nuove di- aree e competenze, sociali, sanamiche interpretative, nuove nitarie, psicologiche, normanti
idea di normalità, imperiose e e normative, organizzative e
urgenti richieste adattive che gerarchizzanti, ma a chiederci
non lasciano spesso scampo di essere incontrato e accolto
alla fragilità. Dall’essere iden- come persona, e con i suoi bitificato membro di una fami- sogni, in sintesi elementari ed
glia, di un clan, di una tribù, essenziali: una casa, un lavoro,
di una cultura, portatore per uno spazio dignitoso per una
specifici segni di valore fino a unica comune speranza.
prova contraria, all’es- Al migrante Per questo, i fenomesere anonimo apparte- con un bisogno ni migratori obbligano
nente di una massa di psichiatrico in un certo senso a
cui, per gli stessi segni,
ripensare la cura e la
specifico
si teme il disvalore fino viene offerto cultura della cura, ad
a prova contraria.
un percorso abbandonare i flussi
Le osservazioni scienoperativi standardizprima
tifiche e specifiche al
zati e regolamentati a
valutativo
riguardo mettono in
cui spesso si è ancoe poi
evidenza, fra tanti, un supportivo rato il proprio agire
dato cardine: l’impatto
per ripartire da dubbi,
con la nuova cultura, i micro- incertezze, magari incoerentraumi di una quotidianità che za, sicuramente sensazioni di
non risponde a ciò che spera- ritrovata “debolezza” assistenvo, la precarietà del vivere nel- ziale e terapeutica da cui il nola terra d’approdo, hanno pari stro agire professionale “acculse non maggiore possibilità di turato” ci difendeva.
generare e alimentare un trauma psichico rispetto al trauma Lo sviluppo
che ha reso necessario il viag- del disturbo
gio; la battaglia di ogni giorno nel migrante
traumatizzante come e più
della guerra da cui si scappa, Assistiamo ad un’inversione di
della violenza di cui si è stati direzione dell’etnopsichiatria,
vittima, proprio secondo il no- ovvero non più l’osservazione
stro codice di identificazione del disagio psichico nel contee ponderazione del disturbi sto di insorgenza, ma lo sviluppsichico.
po del disturbo nella cultura
Ed è questa la dimensione del paese di accoglienza del
psichica che noi incontriamo migrante, e al grande rischio
nell’incontrare l’umanità in di leggere come patologico ciò
viaggio, sia nel suo mantener- che invece è spiegabile seconsi armonica sia nella sua più o do altre direzioni di senso se
meno palese fragilità.
lette alla luce del contesto che
È ogni uomo, con il proprio li hanno generati.
carattere, con la propria iden- Assistiamo a tempi e setting
tità minata, con la propria sto- nuovi, in cui il bisogno della
ria e con la propria progettua- persona è unico, contemporalità prospettica, a chiederci di neo, urgente, attuale, mentre
non essere dimensionato in noi cerchiamo di sezionarlo e
40
4/2015
UMANITà IN VIAGGIO CON IL PROPRIO
BAGAGLIO A VOLTE CONTENIBILE
NELLE TASCHE DI UN PAIO DI CALZONI
sequenziarlo in un flusso irrealistico: prima le norme, poi la
salute, poi mille prove, poi le
promesse, poi, forse, le prime
risposte.
L’accessibilità ai servizi da
parte del migrante può essere
fortemente condizionata da
diversi fattori: lo status giuridico del soggetto, le possibilità
economiche dell’utente e le
sue necessità, la presenza di
barriere fisiche e/o organizzative all’accesso, l’informazione
sanitaria.
Ecco perché, chi si voglia o
debba occuparsi di migranti
non piò non occuparsi anche
del disagio psichico, e non
può non imporsi un lavoro fatto nell’ottica del dialogo tra le
varie figure professionali e nella tendenza on-going di evitare
l’applicazione acritica del modello di cura occidentale agli
utenti migranti e ricadere in
una incomunicabilità culturale
e operativa.
Una collaborazione
specifica
In questa direzione, e nel carisma specifico che ci richiama
all’attenzione speciale per le
nuove povertà, per le nuove
fragilità, il Centro S. Giovanni
di Dio di Brescia ha messo in
atto una attività specifica, mettendo a disposizione le proprie competenze e le proprie
risorse, declinate al meglio
nell’accoglienza del disagio
psichico dell’umanità in viaggio. Il contenitore per questa
opera, da un lato responsiva
di bisogni, dall’altro occasione di irripetibile opportunità
di esperienza formazione e
crescita culturale per i propri
operatori, è stato il rispondere
a richiesta di collaborazione
di agenzie del territorio locale
vocate all’accoglienza e alla gestione dei migranti richiedenti
asilo.
Nello specifico, partendo da
progetti mirati e in costante
evoluzione, è nata fin dal 2012
una collaborazione con Asso-
ciazione “ADL a Zavidovici”
(ente impegnato da sempre
nello specifico servizio per i
migranti richiedenti asilo); una
nuova collaborazione sta poi
per essere formalizzata con
una èquipe di lavoro in partnership con il Comune di Brescia, anch’essa dedicata.
Perché una collaborazione
specifica? Al disagio psichico
del migrante vanno riservati
spazi e competenze dedicate o
va forzata un’opera di integrazione con quanto già di diritto
al cittadino autoctono? Come
spesso nelle cose dell’uomo,
la mediazione è la risposta più
efficace. Se da un lato è vero
che il fenomeno della migrazione è così diffuso che ormai
ogni attività di servizio alla persona non può non sviluppare
competenze e capacità per il
migrante, è altrettanto evidente che l’accessibilità ai servizi
da parte del migrante può essere fortemente condizionata
da diversi fattori: lo status giuridico del soggetto, le possibilità economiche dell’utente e
le sue necessità, la presenza di
barriere fisiche e/o organizzative all’accesso, l’informazione
sanitaria, la rigidità dei modelli
valutativi e gestionali.
Per tale evidenza, un’èquipe
del Centro, di tipo multidimensionale, e grazie all’opera
di facilitazione resa possibile
dalle Direzioni, ha dato vita
in questi anni ad una intenza
attività in tale senso. Tramite
la mediazione e il primo filtro
operato dalle agenzie territoriali preposte, si sono attivati
contatti per migranti il cui disagio psichico mostrasse carattere e intensità diversi e più
richiestive di quanto non sia il
disagio ordinario d’accompagnamento al viaggio.
Risposte
personalizzate
e d’insieme
L’ottica degli interventi, prima valutativi e poi supportivi,
ha voluto necessariamente
essere attenta alla prospettiva
epistemologica sopra descritta, cercando di dare risposte
personalizzate e d’insieme,
senza cadere nella trappola
del predeterminismo culturale
dei sistemi di cura. È stata così
avviata un’esperienza che ci ha
costretto e consentito di modificare i nostri approcci e di
pensarne di nuovi, rendendo
possibile anche all’equipe del
Centro un proprio viaggio migratorio in mondi diversi.
Operativamente, alla persona che mostri per sua stessa
richiesta e ammissione o per
quanto intuibile nelle convivenze quotidiane un bisogno
psichico specifico, viene offerto un percorso
IL PROPRIO
prima valutativo
MONDO
(con strumenti
mirati a tener PSICHIATRICO,
conto delle molUNA PARTE
teplici interfeDI Sé
renze culturali,
CHE OGNI
in primis quelUOMO IN
la linguistica e
quella della sco- VIAGGIO NON
larizzazione), e
PUò NON
poi supportivo
in diverse dire- METTERE IN
GIOCO
zioni. In base
a esigenze e
prerequisiti, attivati percorsi
di supporto psicologico, piuttosto che farmacologico, fino
ad accompagnare ove necessario la persona in percorsi
4/2015
41
PSICHIATRIA E Ospitalità
più strutturati (programmi di
degenze mirate o comunitarie dedicate). Non da ultimo,
il supporto medico/legale di
settore per tutte quelle situazioni in cui il disagio psichico,
così come raccomandato dalla
Unione Europea, non sia il fattore che genera la condizioni
di diritto ad essere accolti se
sostenuti nei paesi di approdo.
La collaborazione fin ad ora
attivata ha richiesto interventi
di varia natura per circa trenta persone all’anno. In quasi
tutti i casi dopo la fase valutativa sono stati attivati percorsi
psicoterapici di sostegno e nel
50% dei casi anche un supporto farmacologico. Per alcune
persone il percorso ha richiesto degenze nelle Unità operative dell’IRCCS. In molti casi,
poi, dove il bisogno di sostegno psichico si prospettava di
lunga durata e necessitante di
interventi territoriali, si è provveduto all’affiancamento e
all’affidamento a strutture territoriali specifiche (CPS, CRA,
Comunità Protette).
Riconoscimenti
sul campo
L’esperienza fin qui condotta
ha consentito all’èquipe del
Centro di ottenere un riconoscimento specifico sul campo;
da qui l’attivazione di convenzioni con altre realtà territoriali, in primis quella con il
Comune di Brescia in via di
perfezionamento.
Sempre sulla scorta dell’esperienza maturata, all’èquipe del
Centro è affidato anche la docenza del corso di Psichiatrica
transculturale, unico insegnamento per ora attivato presso
l’Università degli Studi di Bre42
4/2015
BISOGNA EVITARE L’APPLICAZIONE ACRITICA DEL MODELLO
DI CURA OCCIDENTALE AGLI UTENTI MIGRANTI
scia in campo etnopsichiatrico.
L’esperienza fin qui condotta
ha permesso di confermare e
consolidare le intuizioni e le
evidenze iniziali: sempre più
risulta necessario nell’intervento etnodiretto il riconoscimento della centralità della singola
persona e del suo mondo personale, con un andamento necessariamente plastico rispetto
ai modelli predeterminati. E
questo in ogni atto della sequenza del progetto, dalla valutazione all’orientamento diagnostico, dalla valutazione del
funzionamento della persona
alla stesura del suo percorso
riabilitativo e integrativo, dalla
visione necessariamente olistica della dimensione della salute ad una personalizzazione
della cura farmacologica, dove
l’interferenza culturale sull’accettazione, l’interpretazione
e l’adesione ad un intervento
attraverso i farmaci richiede
intuitivamente uno sforzo in-
formativo, educazionale e motivazionale specifico.
In sintesi, la possibilità di agire come operatori sanitari nel
mondo della migrazione, la
possibilità di intercettare questo nuovo bisogno e di muoversi attraverso dinamiche spesso
sconosciute richiedono agli
operatori dell’IRCCS dedicati
di riportare la persona al centro dell’azione e di rinnovare
lo slancio professionale, senza
i meccanismi eccessivamente
codificati e standardizzati quali
rischiano di diventare le prassi
di cura convenzionali e ordinarie. L’esperienza descritta,
e che proseguirà nel breve e
nel medio termine, si connota
quindi come valido esempio di
sinergia fra la possibilità per il
Centro di fornire e offrire uno
specifico servizio alla persona,
e nel contempo quella di crescere in conoscenza e competenza, come reali compagni di
strada dell’umanità in viaggio.
Gravi disturbi di personalità:
conoscenza, diagnosi, cura
Paolo Cozzaglio
I
nstabilità emotiva, difficoltà nelle relazioni, perdita
di lavoro, abuso di droghe
e di alcol, autolesionismo, impulsività, senso penoso di vuoto e solitudine … Sono alcune
manifestazioni di un disturbo
borderline di personalità, spesso scambiate per un “carattere
difficile”, “svogliatezza”, “poca
volontà”.
Il 9 ottobre si è tenuto nel Centro Sant’Ambrogio Fatebenefratelli di Cernusco sul Naviglio il
convegno “Il trattamento riabilitativo dei gravi disturbi di personalità: realtà, criticità, prospettive” che ha tratteggiato lo stato
dell’arte della cura dei gravi disturbi di personalità.
«Il trattamento dei disturbi di
personalità più gravi pone particolari problemi di complessità e di efficacia, e richiede un
approccio multiprofessionale
– spiega Paolo Cozzaglio, primario dell’area psichiatrica del
Centro –. Il senso di disgregazione della personalità di questi
pazienti e la conseguente percezione del rapporto con gli altri
come “buono o cattivo”, “bianco o nero”, in una continua mutevolezza di sentimenti opposti,
rende difficile il trattamento con
un unico terapeuta. Per questo
il trattamento riabilitativo mirato in comunità terapeutica psichiatrica può essere la forma di
cura di elezione per le personalità più sofferenti: l’equipe tera-
peutica multidisciplinare offre a
questi pazienti la possibilità di
fare esperienza di un ambiente
variegato ma coerente, che sappia accogliere le manifestazioni
più clamorose del disagio senza
pregiudizi e, al contempo, sappia offrire una modalità alternativa di approccio per affrontare
la sofferenza».
Il Provinciale fra Massimo Villa
ha aperto i lavori del convegno
con il saluto di tutta la Provincia
Lombardo-Veneta: «I Fatebenefratelli, da sempre impegnati nell’accoglienza del disagio
psichiatrico e attenti ai bisogni
della persona sofferente, non
potevano trascurare le patologie
sociali emergenti». Gian Marco
Giobbio, direttore medico del
Centro Sant’Ambrogio, ha introdotto il tema sottolineando-
ne la portata: «I gravi disturbi di
personalità coinvolgono, secondo le stime, almeno dall’1 al 3%
degli adolescenti della popolazione normale e circa il 4% dei
giovani adulti. Sono una patologia sfuggente, difficile da inquadrare e da capire per chi ti sta
vicino. Spesso conosciuti e raggruppati sotto il termine borderline, costituiscono in realtà una
molteplicità di manifestazioni
diverse di personalità a disagio
con sé stesse e nel rapporto con
gli altri».
I relatori hanno poi delineato
gli aspetti più rilevanti della cura
del disturbo. Massimo Fontana
ha evidenziato l’importanza di
una diagnosi corretta ed esaustiva, proponendo l’utilità della
descrizione dei disturbi di personalità con il Manuale Diagno-
4/2015
43
stico Psicodinamico (PDM). In
seguito si è parlato della cura e
della ricerca. Antonio Vita di
Brescia ha rivisitato l’approccio
psicofarmacologico al disturbo
indicando i criteri basati sull’evidenza per la ricerca di una
buona pratica clinica. Roberta
Rossi e Riccardo Barbarotto
hanno correlato la ricerca neuropsicologica e gli studi di neuroimaging con l’efficacia della
psicoterapia. Paolo Cozzaglio,
Eleonora Lo Presti e Nina Letizia hanno illustrato il modello
psicoanalitico, teorico e pratico,
alla base della proposta terapeutico-riabilitativa della Comunità
“San Riccardo Pampuri” del
Centro cernuschese; una CRA
(comunità ad alta intensità riabilitativa) accreditata e contrattualizzata con la Regione Lombardia dedicata alla cura dei
disturbi di personalità.
Nel pomeriggio, dopo l’intervento di fra Marco Fabello,
che ha proposto l’Ospitalità
come sintesi di ricerca, cura e
dimensione spirituale, sono stati affrontati altri aspetti rilevanti
della cura dei disturbi di personalità. Manuela di Rosa, del
Servizio Psichiatrico di Diagnosi
e Cura di Melzo, ha affrontato
la gestione delle crisi dei pa-
44
4/2015
zienti borderline e le difficoltà
inerenti all’organizzazione dei
servizi in ospedale. Massimo
Clerici di Monza, invece, ha
trattato la sempre più frequente
comorbidità con l’uso di droghe
e alcol. Stefania Greppo e Monica Zentellini, infine, hanno
sottolineato l’approccio terapeutico dei disturbi di personalità in comorbidità con i disturbi
del comportamento alimentare,
quali anoressia, bulimia, binge
eating disorder, nella Comunità
“La casa di Bianca” del Centro
Sant’Ambrogio.
Il convegno ha evidenziato che
il termine borderline indica una
patologia di gravità “a confine”
tra i disagi psichici minori e le
malattie più gravi quali le psicosi
o la schizofrenia. La reale gravità di questi disturbi, l’impatto
sociale e la sofferenza conseguente non è da sottovalutarsi,
sebbene chi ne affetto possa
apparire normale, soprattutto
rispetto alle gravi alterazioni
mentali caratteristiche delle
patologie psichiatriche più conosciute. Già ai primi del ‘900
Kurt Schneider, psichiatra tedesco, descriveva le “personalità
che soffrono e fanno soffrire
la società”. Oggi soprattutto, i
gravi disturbi di personalità e la
psicopatologia emergente a loro
associata sono l’espressione più
peculiare del disagio psichico
nell’attuale contesto storico. Per
questo la letteratura scientifica
è fiorente e autori di diversi approcci metodologici come Kernberg, Linehan, Gunderson,
Mc Williams, se ne occupano a
tutto campo.
Il disturbo borderline di personalità rappresenta effettivamente un importante problema di
salute pubblica per l’alta prevalenza nella popolazione generale come nella popolazione
clinica. Spesso, è associato ad
altre patologie psichiatriche che
peggiorano la prognosi. Numerosi studi internazionali hanno
confutato tuttavia la tesi dell’immodificabilità di questo disturbo sottolineando la necessità di
trattamenti tempestivi e specifici, che troppo spesso, purtroppo, non sono erogati in Italia.
Il convegno – come ha concluso
Gian Marco Giobbio al termine
dei lavori – è stata l’occasione
per fare il bilancio di questi anni
di trattamento e per confrontarsi
con gli esperti italiani del settore.
Numerosa è stata la partecipazione di psichiatri, medici, psicologi,
educatori e operatori nel settore
delle cure psichiatriche.
FILOSOFIA DI VITA E Ospitalità
Accogliere
la vita con
misericordia
Maurizio
Schoepflin
«G
esù,
il
nuovo
Adamo,
inaugura con il suo concepimento
verginale la nuova nascita dei
figli di adozione nello Spirito Santo per la fede. “Come
è possibile?” (Lc 1,34). La
partecipazione alla vita divina
non proviene “da sangue, né
da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio” (Gv
1,3). L’accoglienza di questa
vita è verginale perché è interamente donata all’uomo
dallo Spirito. Il senso sponsale della vocazione umana
in rapporto a Dio si compie
perfettamente nella maternità verginale di Maria». Le
parole appena citate sono
tratte dal paragrafo numero
505 del Catechismo della
Chiesa Cattolica e ci pongono immediatamente di fronte
a una fondamentale verità: la
Rivelazione cristiana ha inizio con un atto di accoglienza, quello di Maria che dice il
suo “sì” a Dio, che l’ha scelta
come Madre di Gesù. «Maria
Vergine – si legge ancora nel
paragrafo n. 511 del Catechi-
«La rapina, la frode e il furto non consistono
solo nel rubare i beni altrui, ma anche nel non
dare agli altri parte dei propri beni»
smo – “cooperò alla salvezza
dell’uomo con libera fede e
obbedienza”.
Ha detto il suo “fiat” “loco
totius humanae naturae” –
in nome di tutta l’umanità”».
Dunque l’accoglienza riveste un ruolo fondamentale
nell’economia della salvezza, dal momento che il “sì”
di Maria segna l’inizio della
“nuova alleanza”, quella che
Dio stipula con tutti gli uomini.
Far entrare
in casa propria
Oggi il termine è diventato
di stringente attualità, ma la
sua storia è antica. Dal punto di vista biblico, accogliere
significa soprattutto aprire
la porta allo straniero o al
viandante, far entrare in casa
propria, e pertanto il concetto di accoglienza contiene in
sé un’azione concreta. Nella
4/2015
45
FILOSOFIA DI VITA E Ospitalità
Sacra Scrittura troviamo molti
esempi al riguardo: Abramo
che riceve con tutti gli onori
e rifocilla i tre uomini che si
erano presentati presso la sua
tenda (Genesi 18), Raguele che
ospita i propri fratelli Azaria
e Tobia e concede a quest’ultimo in moglie la figlia Sara
(Tobia 7), Davide che prende
Betsabea nella sua dimora (2
Samuele 11).
Soffermandoci poi sul Nuovo
Testamento, basta ricordare
l’accoglienza che Marta riserva
a Gesù quando lo fa entrare
nella sua casa (Luca 10), oppure quella piena di gioia con la
quale Zaccheo riceve il Signore (Luca 19), o ancora l’ospitalità di Elisabetta nei confronti
di Maria (Luca 1), o il benve-
nuto che il padre dà al figliol
prodigo che torna da lui e per
il quale egli prepara una grande festa (Luca 15).
Innumerevoli sono gli esempi che si potrebbero ancora
citare, sia dal Vecchio che dal
Nuovo Testamento. Ma non
sono solo i testi sacri a ricono46
4/2015
scere una chiara centralità alla
questione
dell’accoglienza:
guardando al ricchissimo patrimonio rappresentato dalla
tradizione patristica, possiamo
facilmente verificare che al
suo interno la riflessione sui
temi dell’ospitalità occupa un
ruolo preminente. A questo
proposito, mi limiterò a offrire soltanto qualche spunto di
riflessione, giovandomi della
testimonianza di pochi significativi autori, ben sapendo che
moltissime sarebbero le fonti a
cui attingere.
Nei suoi Discorsi sul povero
Lazzaro, egli affronta la questione del rapporto tra le varie
classi sociali e prende le difese
dei più indigenti servendosi
della parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro. Il
Crisostomo auspica una società accogliente, nella quale
i poveri possano vivere accanto ai ricchi e trovare sempre
misericordia e accoglienza
nel cuore dei cristiani e della
Chiesa. Nella seconda delle
sette omelie che costituiscono
l’opera, l’autore scrive: «Infatti
è un furto anche il non dare
Rapporto
parte dei propri beni. Forse vi
tra le classi sociali sembra stupefacente quanto
affermo, ma non vi stupirete:
Giovanni Crisostomo scrive infatti, a partire dalle Scrittuun’opera interamente dedi- re divine, vi offrirò una testimonianza, che dice come la
rapina, la frode e il furto non
consistono solo nel rubare i
beni altrui, ma anche nel non
dare agli altri parte dei propri
beni». A tale riguardo, Giovanni cita il passo biblico nel quale Dio rimprovera i giudei per
aver raccolto i frutti della terra
senza aver offerto le decime,
il che significa aver derubato
i poveri, e continua: «Siamo
pertanto parsimoniosi, come
se le ricchezze non fossero
nostre. Solo così diverranno
nostre. Come saremo parsimoniosi? Quando non le impieghiamo per il superfluo e
non solamente per le nostre
necessità, ma quando le districata a tale tematica. Dottore buiamo nelle mani dei poveri».
della Chiesa, nato ad Antiochia
verso il 349, egli fu monaco e Mistero
predicatore eccelso, patriarca della misericordia
di Costantinopoli, della cui corte sferzò il lusso e la mollezza, Anche il Papa Leone Magno,
la qual cosa gli costò la deposi- nei suoi Sermoni quaresimazione e la deportazione sul Mar li e sulle collette affronta la
questione della misericordia
Nero, dove morì nel 407.
divina, che è l’esempio che il
cristiano deve seguire costantemente. Definito da Giovanni
Cassiano “vanto della cattedra
di Roma”, Leone sedette sul
soglio di Pietro dal 440 al 461.
Fu uomo di profonda cultura,
moderato e al contempo dotato di grande autorevolezza.
Ristabilì la pace nella Chiesa
della Gallia e dette un contributo decisivo alla soluzione regno celeste: e il donatore di
delle grandi dispute cristolo- cose terrene diventa erede di
giche del suo tempo. Difese quelle eterne». Pressante è il riRoma e la civiltà occidentale chiamo di Papa Leone Magno
dalla minaccia di Unni e Van- alla generosità misericordiosa
dali. Tutti e 19 i sermoni della verso il prossimo: egli afferma
Quaresima sono una medi- che tutti, non solo i ricchi ma
tazione profonda sul mistero anche i poveri, devono aiutadella misericordia dalla qua- re il prossimo, perché, seppur
le Dio si è fatto guidare per «disuguali nelle loro possibilità
venire in aiuto degli uomini. di donare, tuttavia sono simiLeone, fine psicologo e pasto- li per il sentimento interiore.
re ansioso del bene del greg- […] Se allora qualcuno è stretge che gli è affidato, si rende to dalle angustie di una poverconto delle debolezze umane tà così grande che non arriva a
e coltiva il senso della
elargire due monete a
«LA
giustizia come modeun povero, trova negli
razione, convinto che
CARITà
insegnamenti del Sila bontà e il perdono
gnore come fare per
è
di Dio superano infiniadempiere al dovere
tamente ogni comune partecipazione della
benevolenza.
alla
mezzo di riconciliazioPerché certo chi offrine. A tale proposito, sofferenza rà un bicchiere di acnel Sermone 21 sotqua fresca a un povealtrui»
tolinea come le colpe
ro avrà la ricompensa
possano essere cancellate me- della sua azione, dal momento
diante le elemosine, che «in- che il Signore predispone per
fatti sono i frutti della carità, i suoi servi tante facili vie per
e noi sappiamo che “la carità l’acquisto del suo regno, che
copre una moltitudine di pec- anche l’offerta dell’acqua, il
cati”». E ancora, nel Sermone cui uso è gratuito e disponibi23 pronuncia le seguenti paro- le per tutti, non rimane senza
le: «Abbiano compassione dei premio» (Sermone 31).
poveri coloro che desiderano
essere perdonati da Cristo. Impegno
Siano generosi nel donare il per la giustizia
cibo ai miseri coloro che desiderano giungere a far parte Anche Gregorio Magno ebbe
della comunità dei beati. […] Il la costante preoccupazione di
cibo del povero è il prezzo del richiamare i fedeli alla carità.
Papa dal 590 al 604, Dottore
della Chiesa, nato a Roma verso il 540, egli profuse grande
impegno nella predicazione,
ritenendo che l’evangelizzazione fosse il compito principale e determinante per ogni
cristiano.
Intrattenne buoni rapporti con
l’Oriente e favorì la conversione al cristianesimo di goti, longobardi e angli.
Tra le sue Lettere, molte sono
dedicate all’amore del prossimo e all’impegno per la giustizia.
La carità – afferma Gregorio –
non si risolve nella beneficenza, ma è innanzitutto partecipazione alla sofferenza altrui,
secondo il comandamento
dell’amore.
Tuttavia, quando si rivolge
ai confratelli vescovi, il santo
Pontefice è sempre preoccupato di fornire indicazioni
concrete circa l’aiuto ai poveri,
ai prigionieri, ai malati.
E non si esime dallo sferzare
chi, anche nella Chiesa, è troppo disinvolto di fronte al denaro e alla proprietà, diventando
causa di ingiustizia.
Sulla scia del luminoso insegnamento contenuto nella
Bibbia, fin dalle origini i cristiani compresero che la carità
operosa che si fa accoglienza
e ospitalità rappresenta un
segno distintivo della fede in
Gesù Cristo.
4/2015
47
Ospitalità E CONSACRAZIONE
Sulle onde
tra naufraghi
e profughi
Giovanni
Cervellera
Sono in un locale con mia
moglie a bere una birra,
mentre con la fantasia andiamo a ricordi piacevoli
e prospettiamo il futuro,
per quanto sia possibile
farlo. La fantasia ci aiuta.
Al tavolo accanto, alcuni
amici che si raccontano.
Non posso fare a meno di
ascoltare alcune frasi, dalle quali capisco che uno
di loro ha da poco vissuto
un’esperienza interessante. E siccome sono alla
ricerca di uno spunto per
l’articolo sulla rivista, non
posso resistere dal chiedere se posso rivolgere
qualche domanda. Giuseppe, così si chiama il
giovane che ho ascoltato
parlare, è un marinaio imbarcato su una delle navi
che pattugliano il mediterraneo. Stava descrivendo
agli amici alcuni particolari dell’ultima missione al
recupero di profughi in bilico tra le sponde italiane
e quelle libiche. Rimango
colpito dall’intensità emotiva del suo racconto e da
lì parto con l’intervista.
48
4/2015
H
o percepito
una
certa
concitazione nelle tue
parole che
mi sembri proprio toccato dall’esperienza con
i profughi. Puoi raccontarmi questa vicenda?
Stavo proprio dicendo ai miei
amici che nonostante il fatto
che da anni sentiamo le storie
di questi barconi stracarichi di
persone che vogliono venire
in Europa, ritrovarsi in quella
situazione è tutt’altra cosa. Il
mare, che spesso immaginiamo come un luogo dalle vicende più avventurose, solcato
da splendide navi e yacht extralusso, è invece un posto terribile per tanta gente. Quando
sono rientrato per questa licenza, i primi giorni non riuscivo neppure a parlare, non
trovavo le parole per raccontare la miseria e la disperazione
sui volti, insieme al desiderio
di una nuova vita. Poi, non ho
resistito e ho voluto dire che
cosa ho provato.
Devono essere state emozioni molto forti…
Non puoi neppure immaginare quanto! E non sono le
condizioni terribili in cui devi
fare certe operazioni, è proprio quello che leggi sul volto
delle persone che ti stampa un
ricordo che non si cancella e
ti fa interrogare sempre di più
sulla società che abbiamo costruito nel tempo; sul rispetto
che abbiamo verso chi è povero; sul livello della nostra
solidarietà. La difficoltà della
lingua non sembra neppure
esistere: si capisce subito che
cosa vogliono. Alla base, i bisogni umani essenziali sono
davvero pochi e su quelli nasce una grande intesa.
prima. Meno male che la temperatura era ancora buona. Ci
siamo avvicinati con le scialuppe e abbiamo fatto salire sulla
nostra nave il maggior numero
Come è stato il primo possibile di persone. Poi ci siasoccorso in cui ti sei ri- mo diretti verso le coste italiatrovato?
ne, seguiti dal barcone.
Siamo usciti con la nostra nave
e in molti pensavamo per una
delle tante esercitazioni. Certo, il tempo dichiarato di permanenza aveva fatto nascere
qualche sospetto, ma abbiamo
scacciato l’idea di doverci ritrovare a soccorrere poveri sudici, malconci e magari infetti.
Era l’ultima cosa che avremmo desiderato.
Ad un certo punto però, i motori del catorcio non hanno
retto e abbiamo dovuto far salire tutti. La nostra nave era al
collasso, fortunatamente non
eravamo lontani dall’Italia.
In quelle ore non abbiamo
potuto fare molto, se non dare
qualcosa da bere e da mangiare e cercare di scaldare i più
infreddoliti.
ACCANTO A NOI C’ERANO PERSONE FERITE DALLA VITA
E PER LORO ERAvamO LA SALVEZZA
Durante la notte veniamo svegliati di soprassalto e ci viene
ordinato di allestire i soccorsi
per un barcone che sta affondando al largo. Davanti a noi
un qualcosa che era difficile
chiamare nave o barca, stava
a galla a malapena e non si
riusciva a capire quanto fosse
il numero di passeggeri: ovunque spuntavano teste. Quando hanno visto la nostra nave,
alcuni si sono buttati in acqua
per cercare di raggiungerci
Ma non avevate paura del
contagio, di qualche malattia?
Certo che avevamo paura.
Ma in quel momento non era
il timore di beccarsi qualche
virus, ma la preoccupazione
più forte era l’incapacità di far
fronte a quella drammatica situazione. Ma come eravamo
arrivati a quel punto? Perché
finire così? Dovevamo salvare
quella gente.
4/2015
49
Ospitalità E CONSACRAZIONE
Le discussioni sui giornali e in
TV, se bisogna accogliere solo
i profughi richiedenti asilo oppure tutti, in quel momento
non esistevano. Accanto a noi
c’erano persone ferite dalla
vita. Noi eravamo solo più fortunati e per loro eravamo la
salvezza.
Non vi è venuta la tentazione di lasciarli al loro
destino?
Assolutamente no. Pensare
certe azioni è solo per chi se ne
sta comodo nel proprio salotto
a scovare come fare per arricchirsi. Qualche anno fa sono
stato in missione su una nave
che è approdata anche al sud
delle coste africane. Lì, ho visto
le condizioni della gente e di
come vengono sfruttati spesso
dagli occidentali.
Come ti sei ritrovato a
fare il marinaio?
Sono nato sulla costa nord
della Sicilia, quella che guarda
l’Italia, e il mare ha sempre fatto parte della mia vita.
È stato quasi naturale entrare in
Marina.
Volevo un semplice posto di laIL VOLTO DELLE PERSONE
voro, senza pretese, dare il mio
TI STAMPA UN RICORDO
contributo semplice, insomma,
CHE NON SI CANCELLA
senza perderci il sonno. Speravo di non dover capitare in siNEL TEMPO, LA DIFFICOLTà
tuazioni di guerra e invece ho
DELLA LINGUA
dovuto partecipare anche ad
NON SEMBRA ESISTERE
azioni con un certo rischio.
Ho capito che una parte della Poi, ci siamo ritrovati in queste
nostra ricchezza si basa sul la- operazioni che davvero ti fanvoro di povera gente a cui non no perdere il sonno, e non tanviene dato, a volte, neppure il to per la pericolosità, ma pernecessario per sfamarsi. Se è ché vedi le condizioni e capisci
così, penso che dobbiamo re- il valore della vita e di come il
stituire qualcosa a chi è stato benessere possa rendere ciechi
tolto. E se le nostre società di di fronte alla miseria.
benestanti arricchiscono a danno degli altri, forse è tempo di Cosa si dovrebbe fare, secambiare direzione. Ripeto, condo te, per tentare di
avrei preferito non essere in risolvere questi drammacerte situazioni, ma alla fine mi tici esodi di migranti?
ci sono trovato.
Dopo quelle prima operazione Sinceramente non lo so. Sono
di soccorso, ce ne sono state cose di cui si devono interestante diverse. Alcune più ri- sare i politici, gli imprenditori,
schiose di altre ma tutte ugual- gli economisti. Occuparsi di
mente coinvolgenti.
migliorare le condizioni nelle
50
4/2015
terre di origine, perseguire la
criminalità più o meno organizzata che c’è dietro certi traffici,
garantire buone condizioni di
accoglienza… ma ho l’impressione che questo movimento
di popoli sia troppo grande
da fermare. Finora chi si è
dato più da fare è stata la gente semplice, quella che non si
fa troppe domande. Ricordo i
pugliesi che negli anni novanta
accoglievano gli albanesi, o gli
abitanti di Lampedusa che non
si sono mai rifiutati di dare un
pezzo di pane e tante altre popolazioni generose delle coste
al sud Italia. Questa gente sta
facendo la storia.
A questo punto il mio interlocutore viene richiamato dai
suoi amici. Saluto Giuseppe e gli chiedo di salutarmi i
suoi compagni, quelli che affrontano questa sfida senza
porsi troppe domande e che
di fronte alle situazioni sanno rimboccarsi le maniche e
agire: lo chiede la legge del
mare, lo chiede la legge della
vita e della solidarietà. Mentre si allontana mi viene da
associare la figura di questo
semplice marinaio con quella
di Simone di Cirene. Quest’ultimo si era trovato per caso
quel giorno a Gerusalemme,
dove pensava di partecipare
da turista alla festa, magari
di concludere qualche buon
affare e invece si ritrovò a
portare la croce di uno che
neppure conosceva. Non
avrebbe mai voluto e invece
fu costretto. Di lui non viene
riportata nessuna parola, i
Vangeli ne parlano solo per
due righe, ma dopo duemila
anni lo ricordiamo ancora. E
noi che pensiamo che sono i
grandi a fare la storia!
ERBE E SALUTE
PROFUGHI,
MIGRANTI ED...
C’
è una relazione
tra questi temi
che, in modo
diverso, ci coinvolge tutti e la
manifestazione da poco conclusa?
«C’era una volta un Dio buono e misericordioso che dopo
aver creato l’uomo e la donna
li sistemò in un giardino florido
e verdeggiante dove essi non
avrebbero mai patito la fame. E
Dio disse: “Ecco io vi do ogni
erba che produce seme e che
è su tutta la terra, e ogni albero
fruttifero che produce seme:
saranno il vostro cibo”» (Genesi
1,29) (Foto a lato)
L’immigrazione sta assumendo le forme di un fenomeno
epocale: una miriade di abitanti
della terra fuggono dalla miseria
e dalle guerre perché vogliono
vivere e far vivere meglio i loro
figli. Una povertà che non ha respiro e che spinge all’esclusione
una fetta consistente di cittadini.
In questi tempi l’argomento mi
sembra interessante perché ormai è emergenza e come tutte
le situazioni urgenti richiede risposte veloci.
Lorenzo
Cammelli
Sono un agronomo e come dicevano tanti anni fa mio padre
e ancora prima mio nonno «i
contadini ci insegnano a proteggere i semi, le piante, l’acqua e
i suoli, ma ci mostrano soprattutto come gioire della bellezza
delle piccole cose e come ap-
Il tema dei profughi e dei migranti
coinvolge anche i
paesi più ricchi, quale sarà “l’offerta”
che troveremo tra
i bancali dei Supermercati e nei negozi
di “cibi etnici” in
particolar modo
quella riferita alle
spezie, alla frutta,
ai legumi, ai cereali.
prezzare quella saggezza che ci
permette di proteggere la terra
per le generazioni future». Poiché il tema dei profughi e dei
migranti coinvolge, oggi più che
mai, anche i paesi più ricchi
ho cercato di capire quale sarà
“l’offerta” che, sempre più spesso, troveremo tra i bancali dei
Supermercati e nei negozi di
“cibi etnici” in particolar modo
quella riferita alle spezie, alla
frutta, ai legumi, ai cereali.
L’offerta, per evidenti ragioni,
4/2015
51
ERBE E SALUTE
rivoluzionerà il sistema alimentare di profughi e migranti ed
eviterà la distruzione dei loro
“saperi tradizionali”, delle loro
culture millenarie e delle loro
esperienze.
Per saperne di più e per rendermi conto se ci fosse una relazione tra migranti, profughi
ed Expo 2015 ho visitato a più
riprese la manifestazione che
ha affrontato a livello globale le
tematiche legate al cibo in base
allo slogan “Nutrire il pianeta,
Energia per la vita”.
Un tema che ha riguardato molto da vicino le piante e l’ecosistema globale e che ha parlato
di cibo di qualità, protezione
delle specialità locali e delle specie animali e vegetali a rischio.
Ho visitato i padiglioni dei paesi
più ricchi e mi hanno stupito le
dimensioni incredibili della parete vegetale di Israele con piante alimentari diverse (foto in
alto); un concetto presente anche nel grande padiglione USA
con verdure in verticale alimentate da un futuribile sistema
idroponico (foto sotto), ma ho
visitato con maggior interesse
quelli dei paesi più poveri che da
indagine stilata dallo HUMAN
DEVELOPMENT REPORT
http://hdr.undp.org/en sono: Congo: 300 dollari circa il PIL pro
capite, Liberia: 350 dollari circa
il PIL pro capite, Burundi: 400
dollari circa il PIL pro capite,
Guinea-Bissau: 500 dollari circa
il PIL pro capite, Sierra Leone: 700 dollari circa il PIL pro
capite, Zimbabwe: 714 USD
circa il PIL pro capite, seguiti a
ruota da Afghanistan, Bangladesh, Cambogia, Congo, Eritrea,
Etiopia, Gabon, Gambia, Haiti,
Laos, Madagascar, Mali, Mauritania, Nepal, Ruanda, Somalia,
Sudan, Togo, Zambia.
Nei padiglioni dei paesi più poveri hanno suscitato il mio interesse tanti vegetali di cui non
conoscevo l’esistenza e la provenienza (foto in alto a destra).
Eccone alcuni:
• Gombo
(Abelmoschus esculentus)
È presente in tutte le regioni tropicali e subtropicali del
mondo: dall’Africa all’estremo
oriente e fino al nuovo mondo.
52
4/2015
Il gombo si è ambientato perfettamente anche in Italia in
particolar modo nelle regioni
meridionali. Tuttavia, si può
coltivare con successo anche
a ridosso delle Alpi. Non ha
particolari esigenze, se non
quella della temperatura mite,
ha bisogno di almeno 20° C per
fruttificare. Iniziare la semina in
primavera, quando non ci sono
più rischi di gelate tardive. Ci si
può regolare seguendo il periodo ideale per gli zucchini. I semi
del gombo sono grossi, vigorosi
e germogliano velocemente. Si
possono seminare nelle appositi
contenitori alveolati o interrare
direttamente nell’orto, avendo
cura, in ogni caso, di ricoprirli
con almeno due centimetri di
terra. Lasciare una distanza di 40
cm. tra le piante, che si svilupperanno particolarmente in altezza,
potendo superare abbondantemente due metri. Fortunatamente non ha bisogno di un tutore
come i pomodori. Dopo i primi
fiori, la pianta comincia a fruttificare velocemente. La raccolta va
effettuata quando i frutti sono ancora piccoli (tra i 5 e i 15 cm. in
funzione delle cultivar) e teneri.
Resiste bene anche con scarsa sottile e lanoso, può raggiungere
i 12 metri di lunghezza. È coltipresenza d’acqua.
vata in tutte le regioni tropicali
Proprietà e utilizzo: è un del globo a scopo alimentare,
ortaggio poco calorico e ricco di per via dei tuberi ricchi di amivitamine. Contiene una sostan- do che assomigliano a una pataza mucillaginosa utile per alcuni ta dolce.
problemi intestinali o per la preparazione di prodotti di bellez- Proprietà e utilizzo: ha atza per la pelle e per i capelli. Il tività antiossidante e antidolorigusto è leggero e delicato. Può fica. Le specie conosciute sono
ricordare vagamente i fagiolini circa 600 e molte di esse sono
o gli asparagi. I frutti possono state utilizzate dall’industria faressere consumati sia crudi in in- maceutica per la sintesi di stesalata sia cucinati. È un ortaggio roidi. In tempi antichi l’ignam
ideale per la preparazione di sal- veniva utilizzato soprattutto per
se, piatti stufati o minestre. Può curare i reumatismi e i dolori di
essere anche fritto o preparato varia natura. La fitoterapia moderna suggerisce l’utilizzo per
in conserva.
trattare i caratteristici sintomi
della sindrome premestruale e
• Ignam
quelli tipici della menopausa,
ma i suoi estratti vengono anche utilizzati in preparazioni a
uso topico per il trattamento dei
problemi cutanei legati a squilibri di tipo ormonale.
• Manioca
è una delle principali fonti di
Nota anche come dioscorea o cibo per molte popolazioni
yam, è una pianta erbacea pe- africane e la radice, che viene
renne lianiforme il cui fusto, trasformata in farina, è la terza
più importante fonte di carboidrati nei Paesi tropicali, assieme
all’ignam e all’albero del pane.
La radice è lunga fino a 80 centimetri con un diametro di circa 5
cm. che si assottiglia a una estremità, come una carota.
Una ragione che spiega l’aumento della domanda di manioca è anche l’attuale prezzo sostenuto dei cereali. Questo la rende
un’alternativa valida al grano e al
mais, in quanto può essere trasformata in una farina di alta qualità la “tapioca” che può in parte
sostituire quella di frumento.
Proprietà e utilizzo: ha un
tubero commestibile che contiene una polpa dura, bianca o
giallastra, racchiusa in una scorza
spessa pochi millimetri, ruvida e
marrone.
4/2015
53
ERBE E SALUTE
La radice è ricca di carboidrati,
mentre le tenere foglie contengono fino al 25% di proteine,
ferro, calcio e vitamine A e C
una radice che viene trasformata in farina.
• Quinoa
(Chenopodium quinoa)
è un’erbacea annuale originaria
del Sud America che cresce ad
altezze comprese tra i 1.800 e i
5.000 metri e che viene erroneamente considerata un cereale;
in realtà è strettamente imparentata con la pianta degli spinaci e delle barbabietole e non
con la famiglia delle graminacee
come il frumento.
La Bolivia ed il Perù sono il
luogo di origine della quinoa; in
questi luoghi la sua coltivazione
avviene ancora secondo metodi
tradizionali tramandati di generazione in generazione.
È una delle piante con più proprietà nutritive al mondo; anche
se viene utilizzata come un cereale, a causa del suo contenuto
abbondante di amido, tuttavia
la quinoa non contiene glutine
ed è indicata nella dieta delle
persone con problemi legati alla
celiachia.
Contiene le vitamina A, vitamine B1, B2, B3, B5 B6, la vitamina C, vitamina J ed E, quest’ultima molto importante per le sue
proprietà antiossidanti.
54
4/2015
Benin lo si utilizza in occasione
di grandi eventi come matrimoni, battesimi e altre cerimonie.
Proprietà e utilizzo: ha un
valore equivalente più o meno a
quello del riso, con un buon contenuto di calcio, magnesio, zinco.
Contiene due aminoacidi come
la metionina e cistina, che sono
essenziali dato che l’organismo
umano non è in grado di sintetizzarli e devono essere assunti
tramite l’alimentazione. Rispetto
ad altri cereali ha un contenuto
più alto in carboidrati e meno
in proteine e lipidi. È privo di
glutine, ma ricco di fibre e lo si
raccomanda nell’alimentazione
per gli anziani, per i diabetici, le
persone con problemi digestivi
e bambini. In cucina può essere utilizzato per preparare dolci,
couscous, pane, polpette.
Proprietà e utilizzo: è un
alimento idoneo per l’alimentazione moderna e molto utile
per quelle persone che si sottopongono a diete dimagranti ed
hanno così bisogno di energie e
minerali senza dover assumere
alimenti che appesantiscono ed
ingrassano. È ricca di fibre che
donano a questo alimento un
alto potere saziante oltre a renderlo molto indicato in caso di
costipazione: una tazza di semi di
quinoa contiene circa 20 grammi
di fibra. Grazie all’abbondanza
di magnesio la quinoa è in grado
di prevenire malattie cardiova- Dopo la visita a Expo 2015 sono
scolari, aritmie, ipertensione e tornato a casa con i miei bambiaiuta a rilassare i vasi sanguigni.
ni con le impressioni forti della
grande e preziosa diversità dei
• Digitaria Exilis
popoli, che hanno in comune,
tutti, l’esigenza di rivedere ciò
che stiamo facendo sul nostro
pianeta. Mai come oggi mi sovviene ciò che scriveva nel 1° secolo d.C. Lucio Giunio Moderato Columella, autore dell’Arte
dell’agricoltura: «sarebbe sciocco
credere che la terra, che ha avuto in sorte una giovinezza eterna
simile a quella degli dei, e vien
l’immigrazione di etnie dell’A- detta madre di tutte le cose perfrica verso i paesi dell’Europa, ha ché tutte le ha prodotte, si sia
portato di recente nuovi cibi: uno invecchiata come una creatura
degli ultimi ad arrivare è il fonio. mortale. Dai contadini nascono
Uno dei cereali più antichi che si gli uomini più forti e i più validi
conosca tanto che i semi di fonio soldati: è là che si realizza il più
sono stati trovati nelle tombe dei giusto guadagno, il più saldo, il
faraoni. Si tratta di un cereale del- meno esposto al malanimo alle famiglia del miglio: c’è il fonio trui, e chi è occupato in questa
bianco quello più noto e il fonio attività è alieno più di ogni altro
nero. In Senegal, Ciad, Togo e da cattivi pensieri».
FEDE E Ospitalità
Luca
Beato o.h.
San Riccardo
Pampuri:
APOSTOLICAMENTE OPEROSO
SPIRITO MISSIONARIO A 360 GRADI
Il suo amore per le Missioni estere era enorme. Ogni mese, quando riceveva lo stipendio, correva
alla Posta per spedire pacchi di
roba e soldi. Diceva che il suo
stipendio lo investiva all’estero
perché rendeva di più.
S
an Riccardo Pampuri è stato definito apostolicamente operoso,
ma io credo sarebbe meglio dire
“missionario a 360 gradi”.
La capacità di svolgere dell’apostolato richiede
un substrato di fede viva e di capacità di aprirsi
agli altri per comunicare la propria esperienza vitale. San Riccardo non ha avuto bisogno di aspettare l’Enciclica Lumen fidei di Papa Francesco per
sapere che la fede non è una semplice adesione
intellettuale ad una serie di dogmi, ma la presa di
coscienza di essere amati da Dio: il che ci apre
alla fiducia nella sua iniziativa di salvezza mediante l’opera di Gesù Cristo e indirizza la nostra vita
alla via buona del vangelo sulle tracce del suo insegnamento.
La fede viva quindi è sempre accompagnata dalla
speranza e dalla carità e comporta la conversione
del cuore.
La fede va professata, ed ecco le varie professioni
di fede (Credo). La fede va celebrata, ed ecco la
Liturgia, specialmente la S. Messa.
La fede va vissuta mediante la pratica delle opere
di giustizia e di carità.
La fede viva illumina tutta la nostra vita e riempie
il cuore di gioia. San Riccardo è un esempio eccelso di un’esistenza illuminata da fede ardente.
In tutti gli stati di vita in cui si è trovato: studente,
soldato, medico condotto e frate, ha sempre saputo mantenere un atteggiamento di serenità e
di gioia, che merita la nostra considerazione e la
nostra ammirazione.
4/2015
55
Comunicare
agli altri la fede
La fede viva, unita a un carattere gioioso e socievole, dà
origine all’apostolato vero,
non di facciata, ma di sostanza. È l’esigenza profonda di
comunicare agli altri la propria
esperienza spirituale. L’Amore è come la tosse, non lo si
può nascondere. San Riccardo
era un innamorato di Dio e di
Gesù Cristo, ed era impossibile nascondere questa realtà;
essa trapelava da tutto quello
che diceva, faceva e scriveva.
Nel Collegio Sant’Agostino
durante le Scuole medie ed
il Ginnasio era il primo della
classe, ma con il suo modo di
fare tranquillo, accattivante,
piacevole, si faceva ben volere
da tutti ed era sempre disponibile ad aiutare i compagni più
deboli e in difficoltà.
L’ambiente studentesco universitario, in cui regna Bacco,
Tabacco e Venere vede per
contrasto un Pampuri che non
si ubriaca, non va a donne,
non dice scurrilità e per giunta
fa la comunione tutti i giorni
e inserisce Dio in quasi tutti
i suoi discorsi. Studia Medicina, ma coltiva l’idea di farsi
prete o frate. Tutto ciò poteva
essere considerato una debolezza, da prendere di mira con
apposite frecciate, ma lui era
intelligentissimo e dotato di
una dialettica formidabile per
cui tutti lo rispettavano. Per gli
universitari cattolici c’è il Circolo Severino Boezio, fondato
dal sacerdote Giuseppe Ballerini, uno dei maggiori apologeti del suo tempo e futuro
Vescovo di Pavia. Ecco cosa
attesta del nostro Santo: «Il
circolo universitario Severino
Boezio va glorioso del nome
del carissimo dottor Pampuri
e gli è assai debitore perché vi
56
4/2015
SAN RICCARDO SEPPE TRASFORMARE LA SUA PROFESSIONE
MEDICA IN MISSIONE DI CARITà
portò più soci lui col suo esempio e con l’intemerata sua vita
che non tutte le conferenze e
gli altri mezzi di propaganda,
compreso, non arrossisco a
dirlo, il mio personale interessamento». Durante il servizio
militare San Riccardo, come
caporalmaggiore della Sanità, in un ambiente dominato
dalla mentalità agnostico-positivista degli ufficiali medici, in
mezzo a quello “scempio della
povera carne umana”, faceva
dell’apostolato discreto tra i
malati, procurando i sacramenti a chi ne aveva bisogno
e dicendo parole di conforto a
tutti. Nella rotta di Caporetto,
invece di pensare a mettere in
salvo la propria pelle, come
tutti gli altri, rischiò la vita per
salvare il materiale sanitario
del suo ospedale da campo,
prezioso per la cura dei i suoi
commilitoni feriti o malati.
Il dottor Carità
Di San Riccardo la preghiera
liturgica della S. Messa dice
che “seppe trasformare la sua
professione medica in missione di carità”. È la definizione
sintetica della sua opera di
medico condotto a Morimondo (1922-1927), mentre il popolo, andando alla spiccia, gli
affibbiò il titolo significativo di
Dottor Carità.
Oltre a scrivere
una bella ricetta,
mette sotto il foglio
i soldi per acquistare
le medicine in farmacia
e poi magari
fa arrivare
il pollo a casa
per il brodo.
La giornata di Pampuri a Morimondo cominciava sempre
con S. Messa e Comunione eucaristica della Chiesa dell’Abbazia adiacente alla sua abitazione. Qui alimentava la sua
fede che gli faceva vedere nei
suoi malati il Cristo sofferente e quindi cominciava subito
il suo giro di visite, saltando
spesso anche la colazione, con
grave disappunto della sorella
Margherita, che si era messa
a suo servizio con amorevole
sollecitudine per la sua salute
e la sua buona riuscita in ambito professionale. Verso sera,
finito il giro delle visite, lasciava cavalla e calesse, entrava
in chiesa per una visita al SS.
Sacramento, si inginocchiava e
restava a lungo immerso nella
preghiera al punto da dimenticarsi della cavalla, che quando
era stufa andava a casa da sola,
e per la cena spesso dovevano
chiamarlo più volte. Come un
FEDE E Ospitalità
mistico godeva di stare alla
presenza di Dio e la sua anima entrava in una grande pace
interiore.
Il Pampuri era anzitutto un
bravo medico. Visitava coscienziosamente i suoi malati,
andava volentieri lui da loro in
bicicletta o con il calesse tirato
dalla cavalla Tosca fornitagli
dallo zio Carlo, risparmiando
loro tanti viaggi al suo ambulatorio. Con i malati problematici faceva ripetute visite al
giorno. Ben presto si acquistò
la stima dei suoi colleghi che
lo chiamavano per consulti
medici.
ALL’EMERGENZA Avendo a che
BISOGNA fare con una
RISPONDERE p o p o l a z i o n e
COI FATTI molto povera,
E NON CON LE lui benestante si
POLEMICHE sentiva in doveA BRESCIA re di fare qualI FATEBENEFRATELLI cosa per loro.
HANNO Infatti, se uno
ACCOLTO è povero, cosa
180 serve fargli una
PROFUGHI bella diagnosi,
se poi non può
curarsi? E cosa
serve stabilire una bella cura
se poi non c’è la dieta adatta?
Ecco allora che Riccardo, talvolta, oltre a scrivere una bella
ricetta, mette sotto il foglio i
soldi per acquistare le medicine in farmacia e poi magari
fa arrivare il pollo a casa per il
brodo. Se incontra per strada
un povero con le scarpe rotte
gli dà le sue, se ha bisogno della giacca gli dà la sua e perfino
se gli occorre un materasso gli
dà il suo. Alle critiche di sua
sorella e dei colleghi medici
per la sua prodigalità risponde con una scrollata di spalle.
Alla sorella Margherita faceva
spesso delle sorprese portan-
do a casa a mangiare senza
preavviso qualche poveraccio.
Ma bisogna sapere che c’erano anche i pranzi programmati con certa povera gente. A un
povero sempre in debito col
fornaio prendeva il libretto e
gli saldava il conto. Il medico
suo successore al vedersi presentare questo libretto andò su
tutte le furie sbottando: «Ho
famiglia io, non sono mica un
ente di beneficenza».
Ma cosa diceva il Pampuri ai
suoi malati? Noi non lo sappiamo con precisione, perché
non ci sono testimonianze dirette. I suoi gesti premurosi di
carità sono già un’evangelizzazione. Ma il Pampuri nella sua
vita di fede viva crede nella
vittoria della vita sulla morte
anche quando la medicina si
arrende. Sostiene quindi nella
speranza della vita eterna i malati gravi ed innalza preghiere
al Signore con essi e i loro familiari.
Cuore missionario
Non è fuori luogo affermare
che San Riccardo aveva uno
spirito missionario a 360 gradi, che manifestava in tutte le
sue relazioni con il prossimo.
Lo spirito missionario era già
vivo in Casa Campari e Pampuri, dove Riccardo era nato e
cresciuto e si traduceva in sostegno concreto alle missioni
estere. C’era addirittura una
sorella di Riccardo missionaria in Egitto, Maria, di otto
anni più vecchia di lui, alla
quale egli era molto affezionato: l’anno che era stato a Milano per la Scuola le aveva fatto
da mammina. A 23 anni si era
fatta suora nella Congregazione della Suore Francescane
Missionarie d’Egitto prendendo il nome di Longina. Con
essa ha mantenuto una continua corrispondenza e a lei
chiedeva preghiere per ottenere luce sulla sua scelta di vita e
per la buona riuscita della sua
vita professionale.
Anche Riccardo avrebbe voluto fare il missionario, ma
era perfettamente conscio che
non gli era proprio possibile
farlo, date le sue precarie condizioni di salute. Una volta,
infatti, aveva tentato di farsi
ricevere come catechista in
un Ordine missionario, ma la
sua richiesta era stata respinta.
Il suo amore per le Missioni estere era enorme. Ogni
mese, quando riceveva lo stipendio, correva alla Posta per
spedire pacchi di roba e soldi.
Diceva che il suo stipendio
lo investiva all’estero perché
rendeva di più. Allora lo Zio
Carlo investiva un altro stipendio sul territorio per Riccardo,
perché rendesse il suo frutto
qui ed ora. In pratica gli riempiva di viveri il calesse tutte le
volte che andava a trovarlo.
Con questo spirito, se non
poteva andare a convertire i
pagani in Africa, si sforzava di
convertire i “pagani di ritorno”
cioè gli Italiani che si erano al4/2015
57
DURANTE
IL SERVIZIO
MILITARE
FACEVA
DELL’APOSTOLATO
TRA I
MALATI E
RISCHIò LA
VITA PER
SALVARE IL
MATERIALE
SANITARIO
DEL SUO
OSPEDALE
DA CAMPO
lontanati dalla Chiesa. Ecco
quindi il suo impegno nelle
molteplici forme di apostolato parrocchiale: Catechismo,
Buona stampa, Azione Cattolica, Banda musicale, Teatro,
Esercizi spirituali dai Gesuiti
a Triuggio. E non sorprende
che sia arrivato alla creazione
della Commissione missionaria
parrocchiale. L’occasione gli
fu offerta dalla visita di un prete milanese, don Luigi Ghezzi,
che era andato a propagandare
le missioni a Morimondo. Di
questa Commissione egli fu
Presidente, Segretario e Tesoriere. Fu così che nacque il legame con l’ufficio diocesano milanese dell’Unione missionaria
del Clero, dove conobbe don
Riccardo Beretta, che divenne
suo direttore spirituale e gli aprì
la via verso l’Istituto religioso
ospedaliero dei Fatebenefratelli.
Attualità di San Riccardo
Pampuri
Noi Fatebenefratelli abbiamo
una grande stima ed ammirazione per San Riccardo Pampuri, innamorato di Dio e di
Cristo, che vedeva e curava
amorevolmente nei suoi malati e da buon Fatebenefratello si
sforzava di incarnare nell’oggi
58
4/2015
il “carisma dell’Ospitalità” secondo lo stile di San Giovanni
di Dio. Oltre che nella devozione essa si esprime anche
nel fatto di avergli dedicato
due cose importanti ed emblematiche: l’Asilo notturno
di Brescia; la Viceprovincia
africana Togo-Benin. Siamo
certi che se San Riccardo non
fosse morto tanto giovane, ma
fosse campato 88 anni, come
sua sorella missionaria Suor
Longina, avrebbe avuto modo
di condividere pienamente le
iniziative missionarie dei Fatebenefratelli in Africa e la lotta
alle nuove povertà della nostra
società.
Problema del giorno
Stiamo vivendo il gravissimo
problema dei profughi che fuggono dai paesi di persecuzione
e di guerra, e che per arrivare
fino a noi affrontano pericolosi
viaggi nei barconi con il rischio
di morire annegati. Non c’è solo
il piccolo Aylan trovato morto
sulla spiaggia di Bodrum, la cui
foto ha commosso il mondo intero. Sono migliaia e migliaia di
persone, come un Esodo biblico. Ma non tutti si commuovono
di fronte al dramma di questa
povera gente. C’è chi polemizza
e perfino chi alza i muri o stende
il filo spinato contro di loro.
Se incontra
per strada
un povero con
le scarpe rotte
gli dà le sue,
se ha bisogno della giacca
gli dà la sua
e perfino
se gli occorre
un materasso
gli dà il suo.
I Fatebenefratelli, senza attendere l’appello accorato del
Papa, hanno dimostrato la loro
disponibilità all’accoglienza di
un certo numero di profughi.
A Brescia nell’Asilo notturno
San Riccardo Pampuri, ne vengono accolti 180. Poi a gruppi
di 20, quando hanno svolto le
pratiche mediche e giuridiche
per la richiesta di asilo politico,
vengono trasferiti negli Alberghi. All’emergenza bisogna rispondere con i fatti e non con
le polemiche. Ma anche noi siamo d’accordo che è preferibile,
in linea di massima, aiutare la
povera gente nel luogo dove si
trova. I Fatebenefratelli italiani
hanno cominciato negli anni ’50
del secolo scorso ad aprire ospedali in Africa (Chisimaio in Somalia 1956, Afagnan nel Togo
1964 e Tanguiéta nel Benin
1970) ed hanno creato le Scuole per infermieri ad Afagnan,
la Scuola elementare cattolica
“Père Chazal” a Tanguiéta, la
piccola Scuola della Pediatria
dell’Ospedale di Tanguiéta e
promosso le Vocazioni religiose
indigene. Dal 1996 in supporto
ai Fatebenefratelli è sorta l’Associazione benefica “Uniti per
Tanguiéta e Afagnan”, in sigla
UTAONLUS, che fornisce agli
ospedali africani un sostanzioso
aiuto. Da più di 15 anni i religiosi africani hanno assunto la
gestione di queste opere con la
creazione della Viceprovincia
San Riccardo Pampuri, anche
se abbisognano sempre del nostro sostegno economico per
curare i malati poveri. Con la
benedizione di San Riccardo
Pampuri speriamo che queste
opere, in Italia e in Africa, possano continuare sempre più e
sempre meglio a fare del bene
a chi ne ha bisogno.
Ospitalità NEL TEMPO
Giusi Assi
Il fuoco...
quando fatti
e responsabilità
scottano e non si riesce
a stare fermi
«Iniziò in quella parte del
Circo che confina lungo
il Palatino e il Celio, dove
il fuoco, scoppiato nelle
botteghe che contenevano
prodotti altamente infiammabili, divampò subito violento, alimentato dal vento,
e avvolse il circo in tutta
la sua lunghezza, visto che
non esistevano palazzi con
recinti o templi cinti con
mura o qualcosa che potesse fermare le fiamme»
(Tacito, Annali, XV, 38.2).
È
famoso l’incendio che nel 64 dopo Cristo
ha devastato Roma, mentre Nerone stava
a guardare.
Nel tempo sono molti gli incendi che
hanno provocato vittime, anche tra i soccorritori, e
mandato in fumo le speranze di vita di moltissima
gente.
Nelle nostre ricerche abbiamo incontrato un paio
di punti caldi che qui metteremo a fuoco.
Il primo lo troviamo a Granada, in Spagna, nel XVI
secolo: l’incendio dell’Ospedale Reale.
L’Ospedale Reale di Granada non solo dava ricovero ai malati ma vi venivano rinchiuse anche le persone con patologie psichiatriche.
Testimonia il fatto la biografia di San Giovanni di
Dio: «Avvenne un giorno che nell’Ospedale Reale
di Granata, fondato dai Re Cattolici Don Fernando
e Donna Isabella, scoppiò un incendio così all’improvviso e con tanta furia, che devastò la maggior
parte dell’ospedale; e appena si seppe, Giovanni di
Dio accorse per soccorrere i poveri che vi erano
assistiti; e fu tanta la sua sveltezza, vedendo il gran
pericolo in cui essi si trovavano, che quasi da solo
portò in salvo, sulle spalle, tutti i poveri, uomini e
donne; …Avendo messo al sicuro i poveri, salì nella
parte alta, dove maggiore era il pericolo, per aiutare
a smorzare il fuoco; e, mentre si stava affaticando
in questo, dall’uno e dall’altro lato esplose una gran
4/2015
59
fiamma e lo prese in mezzo;
e , stando la gente a guardarlo
dal basso, si levò un fumo tanto
spesso, che tutti credettero che
certamente la fiamma lo avesse
bruciato e consumato. … Poco
dopo, però, quando meno se
lo aspettavano, lo videro uscirne libero e senza alcuna lesione, salvo che aveva soltanto le
ciglia abbruciacchiate, essendo
passato in mezzo alle fiamme, a
testimonianza del prodigio che
nostro Signore aveva operato
per lui».
Fortuna, coraggio
e responsabilità.
A molti sembrerà trattarsi di
grandissima fortuna unita ad
una buona dose di coraggio e
incoscienza (magari più incoscienza che coraggio) quella di
Giovanni di Dio; in realtà ciò
che ha fatto muovere Giovanni
era la responsabilità che sentiva
nei confronti di fratelli più deboli e bisognosi di aiuto.
Il vero prodigio che Dio “aveva operato in lui” non è tanto
l’averlo fatto uscire incolume
dalle lingue ardenti che stavano per avvilupparlo, quanto di
averlo reso pienamente fratello
dei malati; il coraggio, a questo
punto, è solo una questione secondaria.
Per coloro che sono stati soccorsi, tuttavia, l’azione fraternamente responsabile di Giovanni
di Dio ha significato una seconda possibilità di vita.
Questo tipo di responsabilità è stata ereditata dai seguaci
di Giovanni ed è sempre stata
compagna di viaggio dell’Ordine Ospedaliero.
Il secondo punto caldo di queste pagine lo troviamo nel XIX
secolo a Venezia, nell’isola di
San Servolo; focalizziamo l’attenzione proprio lì, perché quest’anno si celebrano i 300 anni
60
4/2015
di presenza Fatebenefratelli nel
capoluogo veneto e i 200 anni
della nascita di fra Prosdocimo
dott. Salerio, che a San Servolo
ha dato il meglio di sé: quale
responsabilità – nello spirito di
San Giovanni di Dio – è stata
esercitata sull’isola?
Un manicomio
a misura d’uomo.
Persa nella nebbia della laguna,
più vicina al mare che alla terraferma, l’isola di San Servolo
ha ospitato un manicomio maschile, definito “morocomio”
nella parlata del tempo (le donne erano ospitate su altra isola),
di proprietà dei Fatebenefratelli
e nel corso del 19° secolo la situazione era questa: venivano
ricoverati tutti quegli uomini
che presentavano segni di squilibrio psichico, indipendentemente dall’origine di questo
disagio. Non si trattava soltanto
di patologie psichiatriche vere
e proprie ma alterazioni del
comportamento sintomatiche
di carenze alimentari. In quest’isola i ricoverati venivano rispettati, curati e rifocillati. Fra
Prosdocimo, medico, chirurgo
e Priore di San Servolo, si teneva sempre aggiornato negli studi
l’isola di san servolo
a venezia QUI IL
MEDICO CHIRURGO
fra prosdocimo
salerio fu priore
del «morocomio»
DOVE IL 13 GIUGNO 1854
DIVAMPò UN INCENDIO
e, soprattutto era “riluttante dai
mezzi violenti”. Ebbene sì, per
la cura dei malati di mente nel
1800 erano vive due grandi correnti di pensiero: in parole povere, una sosteneva la necessità
di mezzi coercitivi che potevano
degenerare in azioni violente
nei confronti dei malcapitati pazienti ed un’altra che sosteneva
la maggiore appropriatezza di
interventi “non violenti”. Il Salerio seguiva questo secondo ordine di pensiero, non solo per
convinzione scientifica ma per
l’eredità ricevuta dal Fondatore
dell’Ordine. Per rendere giustizia a questo grande medico e religioso, la cosa migliore è recarsi
all’Isola di San Servolo, per veder di persona luoghi, strumenti
e scritti lasciati dal Padre. Proprio tra le opere scritte si può
notare come veniva effettuata
la registrazione dei malati che
Ospitalità NEL TEMPO
venivano ricoverati; oltre ai dati
personali, veniva fatta anche una
fotografia dei pazienti. Molte di
queste persone guarivano e, di
queste, veniva allegata, nella cartella personale, anche una foto
della persona ristabilita. È impressionante notare dalle foto
che le persone “guarite” dalla
pazzia all’entrata in morocomio
altro non erano che persone sottoalimentate e abbandonate a se
stesse. Le foto in uscita mostrano gente ben nutrita, pettinata,
vestita decentemente e con una
luce diversa negli occhi.
Pare una mezza bestemmia affermare che un manicomio possa essere a misura d’uomo, ma
fra Prosdocimo Salerio si stava
responsabilmente impegnando
perché questa fosse la realtà: tutto doveva concorrere alla cura,
all’accoglienza e assistenza dei
ricoverati e nulla alla fredda,
inumana e frettolosa costrizione. Non era semplice.
Una fiera procella
Diversi sono stati gli ostacoli che
fra Prosdocimo si è trovato sulla
strada. Eccone uno, tratto dalla
biografia del Religioso:
«Ma la massima delle avversità… lo coglieva nel 13 giugno
dell’anno 1854. Insorta di notte
una fiera procella (= tempesta
n.d.r.), al soffiar impetuoso dei
venti e allo scrosciare dei fulmini divampava per incendio appiccatosi una vasta Sezione del
suo Stabilimento. – Oh! Come
deve aver palpitato il cuore del
Salerio all’aspetto dell’incalcolabile disastro, mentre i soccorsi
dalla città ancora indugiavano,
ritardato dall’ora e dall’infuriare
delle onde!
Ma i suoi pazzi venivano ad ogni
costo da quella mente imperter-
rita nella generale confusione
sottratti all’eccidio; parte di viva
forza strappati alle inferriate cui
teneansi avvinghiati nei loghi già
invasi dalle fiamme, in quella
turbinosa opera mirabilmente
secondato da tutti i suoi Religiosi eroicamente devoti al loro
ministero; la sua voce dirigeva,
incorava, comandava; le sue
mani, la sua persona raddoppiavansi; non ebbesi a deplorare una vittima, all’infuori del
danno materiale; e se pure una
vittima dovesse forse registrarsi, di uno sdrucciolato sul tetto
e battendo i lombi sulle tegole
prodigiosamente arrestatosi sul
precipizio co’ piedi contro salda provvidenziale grondaia, ma
riportando contusioni…, una
certamente quella si fu del P.
Salerio, che da tal doppia scossa
fisica e morale cominciò a risentire la sua salute…».
Non siamo più abituati al linguaggio ottocentesco, siamo
molto più succinti e prosaici
nelle descrizioni ora, ma se
siamo comunque in grado di
comprendere che il fuoco che
animava il Salerio scottava di
più delle fiamme dell’incendio,
allora un briciolo di responsabilità in stile San Giovanni di Dio
è arrivata a noi.
Il fuoco arde ancora
Mentre questa rubrica cerca nei
meandri del passato quel profumo di Ospitalità che possa
essere buona notizia ai lettori
di oggi, l’odore acre e intenso
di bombe esplose, la puzza di
bruciato che si sposta per chilometri, il fuoco amico e nemico
di guerre in corso, sparse sul
pianeta, ci danno la certezza che
un’altra pagina di storia si offre
ai Fatebenefratelli per essere
scritta, perché non accada che
qualche novello e irresponsabile Nerone stia comodamente
immobile di fronte alle macerie
fumanti della propria gente.
Penso ai profughi che fuggono dai paesi di persecuzione e
di guerra e per arrivare fino a
noi affrontano pericolosi viaggi
nei barconi – se così si possono chiamare – con il rischio di
morire annegati. Di fronte al
dramma di questa povera gente c’è chi polemizza chi li vede
una minaccia per la sicurezza e
per i nostri lavoratori, che in alta
percentuale soffrono di disoccupazione.
Propongo ai lettori la risposta
data dal giornalista Beppe Severgnini ad Ambra di Treviso:
«Immagino che lei abbia sentito
parlare, almeno al Telegiornale,
di quanto sta accadendo in Siria
e in Libia, del Califfato dei tagliateste, dei drammi in Eritrea.
Un essere umano non si mette
nella stiva di un barcone con i
figli perché si diverte. Lo fa sapendo di rischiare la vita. Ma ha
fatto i suoi conti: meglio morire in mare che vedere le figlie
violentate da quattro umanoidi armati, in nome di qualche
macabra ideologia» (SETTE,
4.9.2015).
I Fatebenefratelli sempre animati dal fuoco dell’Ospitalità,
hanno interpretato la storia e
aperto le porte accogliendo a
Brescia, nell’Asilo notturno San
Riccardo Pampuri, 180 profughi.
4/2015
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RECENSIONI
Mauro Loris
LAZZARO, L’UOMO CHE AVEVA PERSO IL PASSATO
Hever editore, 2015, pp. 160, € 15,00
ISBN 978-8896308400
È una storia vera, quella narrata in questo volume. L’autore il signor Loris Mauro, imprenditore piemontese vede la propria azienda
andare in frantumi a causa della crisi economica e sprofonda nello sconforto, inoltre una
banale caduta gli causa una grave emorragia
cerebrale che sembra essergli fatale; ex degente presso l’U. O. di Neurologia del presidio
Beata Vergine Consolata di San Maurizio Canavese. Dopo la malattia e la riabilitazione, il
suo atteggiamento verso la vita
è cambiato. Lo narra in questo
libro che lo scorso 16 ottobre,
durante una giornata formativa presso il nostro Presidio
riabilitativo ha così raccontato:
«La storia di Lazzaro è un inno
alla vita, perché è stato scritto
da chi la vita la stava perdendo, da un sopravvissuto come
me, perché tale mi considero.
E ho capito che non c’è nulla
di più struggente e di più bello
che assaporare il gusto della
vita, quando si giunge così vicini alla morte come lo sono
stato io. Un ritorno alla vita:
questo è il senso del racconto
che, nel mio caso, ha svolto anche la funzione terapeutica di ritrovare il mio passato che,
a causa della conseguenze del grave trauma
cranico che ho riportato, credevo di aver perduto. Per sempre. Rivedere la luce, dopo aver
provato l’angoscia dell’oscurità che avvolgeva
la mia mente, privandomi della capacità di elaborare pensieri articolati è stata la condizione
essenziale per sentirmi vivo. Il racconto del
viaggio che ho compiuto negli ultimi anni della
mia vita è stato un fondamentale esercizio per
la mia mente, stimolata a ricordare una parte
del passato e a comprendere il presente; ha
rappresentato anche rievocazione delle sofferenze vissute e una rivisitazione delle emozioni
62
4/2015
Elvio Frigerio
profonde che portavo impresse nell’anima.
Ma è anche un canto d’amore rivolto a tutti coloro che mi hanno aiutato e mi sono stati vicini
nel momento più difficile della mia esistenza.
Mi riferisco al tempo che ha preceduto il mio
incidente e ai due anni successivi, sino ad oggi.
Sono molte le persone a cui devo tanto, a partire da Roberta, mia moglie, per giungere a
comprendere tutti coloro che hanno sperato,
pregato per me.
Dopo aver conosciuto la disperazione più cupa, quella che
non ti abbandona mai, quella per cui ogni giorno appare
come un tormento, un calvario
da affrontare, mi sono sentito
rinascere.
Circondato da un affetto profondo e continuo, giorno dopo
giorno mi rendevo conto che
questo amore così palpabile, rappresentava per me la salvezza.
E, proprio qui, ritrovavo la forza fisica, psicologica e spirituale
necessaria a tornare alla normalità. Il mio corpo, la mia mente
e la mia anima venivano alimentati da questo amore: a poco, a
poco, tornavo alla vita.
È anche un canto di speranza. Speranza nel
Signore che non ci abbandona mai, speranza
nel futuro, nella vita, nella comunità di cui facciamo parte.
La speranza è la compagna più importante della nostra esistenza, ci aiuta a comprendere il
significato della sofferenza ed è divenuta una
risorsa fisica, psicologica e spirituale che ha
contribuito a farmi divenire un uomo felice.
Così come anticipò Sofocle con la sua antica
ed oscura profezia: “nessun mortale dobbiamo stimare felice prima che abbia oltrepassato
il termine della sua vita senza aver mai sofferto
alcun dolore”.
E così è stato anche per me, un sopravvissuto».
a cura di
elvio frigerio
_______________________
Giubileo di Ospitalità di Fra Geminiano Corradini 64
San Benedetto Menni: chiusura del centenario 66
Venezia 69
Brescia 74
San Maurizio Canavese 78
Cernusco sul Naviglio 79
Solbiate 81
Varazze 82
4/2015
63
Giubileo
di Ospitalità
di fra Geminiano Corradini
«V
i invito a celebrare
e a vivere con gioia
e con convinzione piena la nostra
vocazione di consacrati nell’ospitalità, specialmente quest’anno in cui la
Chiesa ci chiama a vivere con maggiore forza la nostra consacrazione
religiosa. Siamo tutti chiamati a rivitalizzare il carisma e la missione che
abbiamo ricevuto con il maggiore
impegno possibile». Questa frase del
nostro Superiore Generale fra Jesus
Etayo Arrondo, rivolta nel messaggio
inviato per l’Anno delle Vocazioni
all’Ospitalità, ai propri confratelli e
collaboratori, ma soprattutto ai giovani e alle persone sensibili all’ospitalità racchiude parole coinvolgenti e
appassionate come valore assoluto di
una vita consacrata a Dio per la missione ospedaliera e caritativa.
Il 25 ottobre 2015 eravamo nella nostra Casa di Ospitalità di Varazze (Savona) per unirci al canto di lode e di
ringraziamento per l’anniversario del
cinquantesimo della professione religiosa del nostro confratello fra Geminiano Corradini in centro nella foto.
Al suggestivo rito celebrato nella
Chiesa della nostra casa e presieduto da fra Massimo Villa, Superiore
Provinciale, facevano corona sette
concelebranti, sacerdoti dell’Ordine
e Diocesani e numerosi confratelli in
rappresentanza delle comunità della
nostra Provincia religiosa, compresa
quella della Croazia, delle comunità di Roma, era presente fra Vittorio
Paglietti della Provincia Romana, ora
missionario nelle Filippine, numerosi
i fedeli del vicinato e turisti dei Piani
d’Invrea.
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4/2015
La cerimonia
liturgica
Il Coro Polifonico “Beato
Jacopo da Varagine” sotto la
sapiente guida del maestro
Giovanni Musso ha allietato
con i canti questa coinvolgente cerimonia.
Nell’omelia, il celebrante ha
commentato le letture del
giorno: Geremia (31,7-9)
tema fondamentale è la speranza dopo la rovina. Il “resto d’Israele” che il Signore
vuole liberare presenta solo
miseria, dolore e debolezza:
tra loro ci sono “il cieco, lo
zoppo, la partoriente” e con
loro il Signore costituisce la
sua famiglia. La lettera agli
Ebrei (5.1-6) «Tu sei sacerdote per sempre, secondo
l’ordine di Melchisedek»
il tema centrale della lettura: il
sacerdozio perfetto di Cristo.
Poi il Vangelo secondo Marco (10,46-52). «Rabbuni, che
io veda di nuovo!» Sotto la superficie esteriore, “fisica”, della
guarigione del cieco Bartimeo
si cela un segno più profondo,
messianico. Si noti innanzitutto
la speranza messianica, sottolineata dall’invocazione ripetuta
due volte: «Figlio di Davide!»
La cecità interiore sta per essere cancellata. La storia di un
miracolo diventa così la storia
di una vocazione alla fede e al
discepolato. Poi fra Massimo ha
concluso l’omelia tracciando la
vita di fra Geminiano, ricordando un fatto particolare e poco
conosciuto, quando era Maestro
dei Novizi, coinvolgeva i giovani
novizi alle necessità di quel tempo: soccorrere gli emarginati alla
stazione ferroviaria di Brescia e
da quelle serate con i senza tetto nacque il dormitorio notturno “San Riccardo Pampuri” di
Brescia, l’attuale Asilo notturno
ampliato negli anni per far fronte
alle continue esigenze di posti letto per accogliere le persone bisognose non ultime quelle prodotte dalle oceaniche emigrazioni.
Rinnovazione dei voti
Dopo l’omelia, il rito del rinnovo. Il Superiore si rivolge al religioso con queste parole: «Carissimo fra Geminiano che cosa
chiedi al Signore, alla Chiesa e
al nostro Ordine?» il festeggiato
risponde: «Chiedo umilmente
di poter dare ancora una volta
testimonianza del mio amore e
della mia totale consacrazione
a Dio, alla Chiesa e al nostro
Ordine, mediante la pubblica
rinnovazione dei Santi Voti, in
occasione del 50° della mia Professione». Il rito continua con
l’invocazione
della grazia divina per il confratello. Poi il
religioso recita
la formula della rinnovazione
dei santi voti, si
porta all’altare la
firma e la consegna al Superiore
Provinciale che
porge al festeggiato una statuetta del Santo Fondatore
dicendo: «Fra
Geminiano carissimo, ricevi
l’effigie del nostro Padre Fondatore, San Giovanni di Dio; con
il suo aiuto e la sua intercessione
la tua vita continui a manifestare
la gioia della sequela di Cristo,
buon Samaritano, accanto a chi
soffre». Dopo un abbraccio fraterno tra il festeggiato e i confratelli, la celebrazione Eucaristica
prosegue con la professione di
fede e la preghiera universale.
Durante la liturgia eucaristica il
festeggiato riceve per primo la
Comunione sotto le due specie. Al termine dopo la solenne
benedizione, fra Geminiano ha
4/2015
65
Unisciti all’Ospitalità
Siamo nell’Anno della Vita
Consacrata e stiamo per concludere a gennaio l’Anno delle
Vocazioni all’Ospitalità con lo
slogan “Unisciti all’Ospitalità”,
si vuole presentare con più forza, e in tutte le sue dimensioni,
la vocazione alla misericordia
propria del Fatebenefratello, la
testimonianza di fra Geminiano è sicuramente un prezioso
esempio per unirsi all’Ospitalità
specialmente per tutti quei giovani ancora alla ricerca di risposte sul loro futuro. Concludo
con le parole del Superiore Generale: «…Il carisma dell’ospitalità è un dono che ci concede
il Signore affinché sia vissuto
in diversi modi e opzioni di vita,
oltre a quella religiosa. In molti
vi sentite attratti dalla missione di
ospitalità che realizza l’Ordine e
con la quale vi identificate, e che
vi fa appartenere a questa nostra
Famiglia. (…)
Mi rivolgo a voi giovani e a tutte
le persone sensibili all’ospitalità, e
invito ad aprire i vostri cuori e ad
ascoltare la voce dell’ospitalità.
Mi rivolgo a voi giovani inquieti
e anticonformisti, che siete alla
ricerca di una società diversa, e
a voi giovani che siete immersi
nel rumore e nella frenesia del
virtuale e in un’infinità di esperienze che non riempiono la
vostra vita, e a ciascuno di voi
dico: fermati un attimo e unisciti
all’ospitalità!».
Serafino Acernozzi, o.h.
66
4/2015
San Benedetto
Menni: chiusura
del Centenario
...........................................................................................................................
letto commosso un breve indirizzo di ringraziamento. Dopo
questo momento, il più importante della giornata, un aperitivo sul terrazzo della casa che
guarda il mare, e nel ristorante
un’agape fraterna condivisa con
confratelli, ospiti, collaboratori
e amici della Casa.
IL VICARIO GENERALE DELL’ARCHIDIOCESI
AMBROSIANA MONSIGNOR MARIO ENRICO
DELPINI HA PRESIEDUTO LA SOLENNE CERIMONIA IN OCCASIONE DELLA CHIUSURA DEL
PRIMO CENTENARIO DALLA MORTE DI SAN
BENEDETTO MENNI NELLA PARROCCHIA
«SANTA MARIA ALLA FONTANA» DI MILANO
DOVE IL SANTO RICEVETTE IL BATTESIMO
S
i è svolta, il 20 settembre scorso nella citata Chiesa Parrocchiale, una celebrazione
solenne e familiare promossa della Provincia Italiana della Congregazione delle
Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di
Gesù e della Provincia Lombardo-Veneta dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio - Fatebenefratelli.
A presiedere la concelebrazione era presente
monsignor Mario Enrico Delpini, Vicario Generale della Archidiocesi di Milano, alla sua destra
fra Massimo Villa,
Superiore Provinciale
della Provincia Lombardo-Veneta
dei
Fatebenefratelli, alla
quale apparteneva San
Benedetto Menni, alla
sinistra don Roberto
Viganò, Parroco di
Santa Maria alla Fontana, tra i concelebranti diversi sacerdoti
della nuova Unità Pastorale milanese e dei
Fatebenefratelli.
Suor Agata Villadoro
Superiora della Provincia Italiana delle
Suore Ospedaliere ha
rivolto il saluto di benvenuto: al Vicario Generale, al Parroco, ai
SAN BENEDETTO MENNI
Fatebenefratelli e alla
QUADRO DI ALBERTO VENDITTI
MONSIGNOR MARIO ENRICO DELPINI,
vicario generale di milano
Comunità Parrocchiale esprimendo il suo compiacimento
per la loro presenza ha poi
ricordato il Santo fondatore
dicendo tra l’altro «… che in
questa Chiesa, San Benedetto
Menni con il Battesimo è stato
rigenerato alla fede ed è diventato un capolavoro del Signore; e che nella Congregazione
da lui fondata, è presente una
solidissima devozione mariana, nata proprio in questo luogo sacro dedicato a Santa Maria alla Fontana, primo scalino
che è diventato una ascesa alla
santità verso il paradiso». Ha
concluso augurando la protezione di San Benedetto Menni sulla Chiesa Ambrosiana, in
particolare, su questa comunità parrocchiale e su tutti gli
ammalati e i poveri.
Nell’omelia monsignor Delpini ha commentato le letture
del giorno: la prima (1Re 19,48) il pane portato dall’Angelo
a Elia; la seconda (1Cor 11,2326) il pane e il calice eucaristici nella Chiesa e il Vangelo (Gv
6, 41-51) il pane disceso dal colgono i poveri, si prendono
cielo. Ha quindi sintetizzato cura di vite che sembrano vite
da questi sacri testi tre spunti da niente, e vi riconoscono il
di riflessione:
volto del Signore.
«Vita! Questa vita da nien- La forza di quel pane rende
te, questa vita che non è vita, uomini e donne da nulla capaquesta vita stentata e tribolata, ci di grandi imprese: così Bequesta vita che non interessa nedetto Menni ha realizzato
a nessuno, questa vita che dà una missione sproporzionata
fastidio persino... Da molti de- alle sue forze. Ha vissuto con
serti, da molti sentieri interrot- la forza di Dio.
ti, da molti percorsi tortuosi si Così ciascuno di noi con la
perdono vite nel deserto, dove forza di questo cibo che è la
infine si arrendono: “Ora ba- carne di Gesù, può compiesta, Signore! Prendi la mia re grandi imprese… San Bevita…”.
nedetto Menni ha rinnovato
C’è sempre un angelo che alla l’Ordine dei Fatebenefratelli
vita più desolata, nella solitudi- e dato vita alla Congregazione
ne più deprimente, nel deser- delle Suore ospedaliere del
to più arido arriva e impone Sacro Cuore di Gesù, suore e
un risveglio: “Alzati, mangia!” fratelli dediti alla cura di vite
–il secondo spunto–. Ecco il da niente, di malati mentali,
pane: il dono di una vita che per aprire anche queste vite
ti fa vivere, ti rende partecipe alla speranza di entrare nella
della vita eterna.
vita di Dio.
La vita eterna non è la vita che L’angelo che ci visita stasera
non finisce mai, una specie di sveglia anche noi: Alzati, mannoia, una fantasticheria di du- gia, cammina! Vivi dunque la
rata interminabile.
pienezza, vivi la vita di Dio.
La vita eterna è la vita di Dio. Vivere la gioia di vivere. AmaVivi dunque della vita di Dio re la vita fino a donare la vita».
–ha concluso il celebrante–, La corale della Parrocchia di
pienezza di vita, gioia di vive- San Francesco al Fopponino
re… Un gusto di
vivere così intenso
che vuole essere
contagioso, che si
fa carico della vita
degli altri, che ama
a tal punto la vita
da voler donare la
vita.
La storia dell’umanità ha un futuro
perché ci sono uomini e donne che
amano a tal punto la vita da voler
donare vita, che si
fanno carico della
DEI FATEBENEFRATELLI MILANESI FRA MASSIMO
vita degli altri, rac- IL SUPERIORE
VILLA (SECONDO DA SINISTRA) CON ALCUNI CONFRATELLI
4/2015
67
SAN BENEDETTO MENNI: CHIUSURA DEL CENTENARIO
ha fatto onore alla cerimonia
liturgica, il risuonare dell’inno
a San Benedetto Menni ha
emozionato l’assemblea.
Erano presenti numerose
Suore ospedaliere con i loro
collaboratori della Casa di Salute San Benedetto Menni di
Albese, i discendenti familiari
di San Benedetto Menni, i religiosi Fatebenefratelli, fieri del
loro confratello Santo, il pittore autore del dipinto dell’altare dedicato al Santo, Alberto
Venditti, ed un bel gruppo
di parrocchiani segno di una
comunità numerosa e vivace
che custodisce anche il complesso del Santuario di Santa
Maria alla Fontana, luogo di
pellegrinaggio, ricco di storia
cinquecentesca con affreschi e
tavole dei più rinomati pittori
Lombardi del tempo.
È seguito, nel suggestivo chiostro adiacente alla chiesa, un
conviviale incontro e scambio
tra i partecipanti.
Si è così concluso l’anno centenario della morte dedicato
a San Benedetto Menni, durante l’anno sono state diverse
le iniziative congiunte Fatebenefratelli - Suore ospedaliere
che hanno voluto celebrare
un uomo che ha saputo oltrepassare le frontiere facendo
della globalizzazione solidale
dell’Ospitalità una realtà.
Più di cento anni fa, Benedetto Menni proclamava la necessità di una psichiatria che mettesse la persona al centro del
suo progetto di cura, che non
si limitasse a occuparsi della
patologia, ma che riuscisse a
vedere nel paziente quell’unicità della persona essenziale
per assistere a dovere i ammalati. La sua testimonianza ci
insegna ad arrivare agli spazi e
68
4/2015
alle persone a cui altri non arrivano, essendo testimoni entusiasti della Buona Novella:
oggi come ieri e sempre, per
ricreare il carisma dell’Ospitalità con “Un cuore senza confini”. Fedele a Dio nell’uomo
che soffre, Benedetto Menni
si fa pellegrino instancabile
dell’ospitalità, promuove e organizza molti centri assistenziali
nei quali si combinano scienza e
carità.
Incompreso e diffamato, rinuncia alla sua difesa personale; perdona e ricambia male
con bene. Sul finire della sua
vita, accoglie anche la croce
che gli viene offerta in forma
di silenzio, incomprensione e
lontananza dei suoi cari.
Questa è la pazzia delle grandi
scelte, ossia della santità.
La chiusura del Centenario
IL QUADRO DELLA VERGINE
CHE SI VENERA NEL SANTUARIO MILANESE
è stato un evento celebrativo
dell’Ospitalità che San Benedetto Menni ci ha lasciato in
una eredità da spendere nel
quotidiano servizio ai malati. Serafino Acernozzi, o.h.
FRA GUGLIELMO GAGNON
DICHIARATO VENERABILE
Dopo l’autorizzazione di
Papa Francesco la Congregazione delle Cause dei
Santi ha promulgato, il 15
dicembre 2015, il decreto
riguardante le virtù eroiche
del Servo di Dio Guglielmo
Gagnon (1905-1972) religioso professo dell’Ordine
Ospedaliero di San Giovanni di Dio fondatore dell’Ordine in Vietnam. Ringraziamo il Signore per questo
felice evento e preghiamolo
affinché, per intercessione
del nuovo Venerabile Servo di Dio Fra Guglielmo
Gagnon, ci conceda favori e
grazie.
Dalle nostre case...
VENEZIA
«Beato l’uomo
che ha cura del debole»
Barbara Cini
I
l convegno di pastorale,
tenutosi all’ospedale San
Raffaele Arcangelo di Venezia il 25 settembre scorso, è
stata un’importante occasione
di aggiornamento professionale e di apertura al tema di una
pastorale che cura l’uomo;
uno spazio di riflessione sul
tema di essere presenza significativa accanto al malato e al
sofferente, facendosi dono e
testimoniando l’amore misericordioso di Cristo.
Per ricordare i 300 anni di vita
dei Fatebenefratelli a Venezia,
proprio a San Servolo abbia-
mo potuto cogliere la grande
importanza storica che questa
realtà ha significato. Certo,
oggi la presenza dei religiosi
a Venezia è in sofferenza (e
non solo quella dei Fatebenefratelli), ma lo spirito di ospitalità continua ad animare gli
operatori che in nome di San
Giovanni di Dio vogliono costruire una sanità a misura
d’uomo.
Il convegno è stato inoltre occasione di incontro e confronto per molti operatori delle
case della Provincia Lombardo-Veneta, che hanno vissuto
questa giornata in allegria e
comunione. Proprio per la coralità di questa esperienza mi
piace condividere alcuni pensieri giunti da alcuni dei centri Fatebenefratelli che hanno
partecipato.
Ci sono giunti anche apporti
esterni, condividiamo la preghiera «Angelo bianco» del
dottor Gennaro Petricciuolo
di Napoli frutto del suo operare coi sofferenti e dall’incontro col dottor Luigi Piccenna,
medico napoletano in servizio
presso l’ospedale Caldarelli di
Napoli.
4/2015
69
Dalle nostre case...
Centro di Brescia: l’incontro ci ha lasciato una sensazione molto positiva ed è
quella di ritrovarci insieme a
celebrare una presenza antica
di opere e testimonianze di
valori di un carisma che ancora oggi vuole continuare ad
esprimersi.
Chi lo porterà avanti e come?
abbiamo trovato ispirazione
nei relatori che, con le loro
esperienze e idee, ci motivano
ad inserirci di più nell’ambito
sociosanitario e costruire un
modello integrale di assistenza dove l’amore e la consolazione abbiano ampio spazio.
Questa proposta non vale
soltanto per le persone che
svolgono la missione della pastorale della salute, ma deve
contagiare anche tutti i professionisti che intorno al malato
dispongono le proprie conoscenze per aiutarlo a sentirsi
accolto, curato e guarito.
70
4/2015
Centro di S. Colombano
al Lambro: abbiamo rilevato il linguaggio molto chiaro
dei relatori che ci ha permesso
di comprendere molto bene
i passaggi essenziali degli interventi. Il tema della “Cura
dell’altro” è stato analizzato
in modo approfondito e reso
esaustivo dai tre contributi. Si
è sottolineata l’importanza e la
forza della relazione e di come
sia un elemento fondamentale
per aiutare chi si trova nella
sofferenza. Viene ribadita l’importanza della visione olistica
dell’individuo, concezione che
considera anche l’aspetto spirituale della persona, aspetto
che non sempre appare nei
progetti riabilitativi.
È stata evidenziata anche la
necessità
dell’investimento
personale nel processo di
comunicazione con l’ospite.
Condividiamo il bisogno di
una formazione che compren-
da gli aspetti affrontati in questo convegno.
Centro di S. Maurizio Canavese: il convegno è stato
organizzato nei minimi particolari all’insegna di un’ospitalità concreta a partire dalla
buona accoglienza iniziale, dai
contenuti delle relazioni, dai
momenti più conviviali, alla
visita dettagliata dell’isola di
S. Servolo. Le relazioni sono
state uno stimolo costruttivo
di riflessione sulla quotidianità
non solo lavorativa ma anche
personale, ognuno porta se
stesso in ogni situazione di vita.
Molte sono le parole che risuonano nella mente: pastorale,
evangelizzazione, accoglienza,
curare, comunicare, collaborare, che diventano azioni importanti sia nei confronti delle
persone alle quali prestiamo il
nostro servizio, sia dei colleghi
con i quali facciamo un percor-
Dalle nostre case...
so di condivisione delle piccole
e grandi cose di ogni giornata.
Sorgono molti quesiti interiori sul proprio essere cristiani,
operatori pastorali in questo
momento storico di crisi non
solo economica ma anche di
valori, in cui più che mai è necessario alimentare la speranza
e avere fede. La visita a S. Servolo è stata molto suggestiva, ci
ha portato indietro nel tempo
facendoci sentire il profumo di
un’ospitalità viva e autentica,
che oggi tutti insieme, religiosi
e laici dobbiamo mantenere
salda e visibile.
Centro di Cernusco sul
Naviglio: riflessi nell’acqua,
ci avventuriamo nella laguna
veneta, per raggiungere l’isola di San Servolo (foto sotto)
e rimaniamo incantati dalla
visione di Venezia dal mare,
come se non catturasse già
abbastanza l’attenzione di chi
l’attraversa nelle calli.
Prima dell’immersione tra le
onde che circondano questa
città unica al mondo, abbiamo partecipato ad una sessione del convegno pastorale
insieme a religiosi e collaboratori.
Al mattino, dalle parole di
Gianni Cervellera abbiamo
scoperto una singolare connessione tra le diverse figure di samaritani presenti
nei Vangeli, al fine di capire
come si possa accompagnare
spiritualmente persone in sofferenza. Con padre Edoardo
Gavotti, invece, abbiamo approfondito modalità concrete
di stare in ospedale e con la
dott.ssa Claudia Ballarin ci
siamo imbattuti nelle problematiche legate alla responsabilità di ciascuno nel favorire
una cura integrale.
«Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia.
È fonte di gioia, di serenità e di pace…
Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona
quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino
della vita» Misericordiae Vultus
Auguri
per un anno ricco di Ospitalità
TEMPERA DI GIAN CALLONI
4/2015
71
Dalle nostre case...
VENEZIa
ANGELO
BIANCO
T
Preghiera inviata dal Dottor Gennario Petricciuolo di Napoli
u, Signore del
cielo che guidi
la perizia delle
mie mani e che conosci quanto il lamento
della povera gente bruci più del fuoco, concedi all’animo mio, simbolo di tutto ciò che
è in Te, il dono della
speranza, la gioia di vivere, il privilegio della
conoscenza e le capacità che mi consentono
di risolvere il conflitto
tra la vita e la morte.
Come vorrei vivere in
un mondo dove sia
possibile assaporare
solo il gusto della vittoria… Ma qui, in questo mondo permeato
di sofferenza non lo
è affatto! Eppure non
lascerò nulla d’intentato, mi prodigherò per
risvegliare la vita, affinché si compia il Tuo
volere.
La Tua benevolenza
mi permette d’agire e
mi guida nel compimento della tua opera.
Instancabilmente, diffondo il calore, la pace
72
e l’ostinata dedizione al
riacquisto della salute.
Tu, mio Signore, mi
guidi
nell’avanzare,
anche se smarrito, in
questa selva caotica
dall’odore di umanità
varia e decadente e sin
anche rissosa.
Signore Iddio, donami
il bene della vita affinché io possa aiutare
l’esistenza dei corpi
sospesi tra la vita e la
morte.
L’eterogeneità non mi
pesa perché sono al tuo
servizio, mio Signore!
Sai bene che convivo
là, dove regna sovrano
il dolore che affoga nel
pianto o nel sorriso della gente tramortita…
Mi prodigo fino allo spasimo, sfidando talvolta,
anche l’imponderabilità
del vivere rivolgendomi
a te, mio Dio, pietoso
e caritatevole. Anelo la
voglia del bene e il desiderio d’aiuto che non
s’arrestano in me, mai,
essendo questi connaturati in me, pel Tuo
volere.
4/2015
Donare la vita, fa vibrare nel mio animo ancor
più forte il desiderio
di piegare le forze sovrumane ostili, perché
l’uomo
senz’anima
esprime solo orrore, e
allora, un atroce dolore
m’assale…
Il mio impegno s’acquieta solo quando scorgo
nella reazione dell’infermo i primi segni della ripresa della vita, ed è
così che volo con le ali
di un angelo “bianco”,
serbando nel mio cuore un’emozione eterna.
Dalle nostre case...
PENSIERO
A MENTE LUCIDA
C
aro amico, ti scrivo per raccontarti
la mia esperienza
con l’alcol. Si inizia perché
bevono tutti, per superare la
timidezza, per sentirsi grandi, ma poi un bicchiere tira
l’altro, come si dice, e alla
fine la bottiglia beve noi.
Quando beviamo ci sentiamo più forti, coraggiosi
e ottimisti, ma se si esagera
il giorno dopo subentrano
depressione, mal di testa
e talvolta non ricordiamo
cosa abbiamo detto o fatto.
Spesso sono brutte figure,
frasi sconvenienti o comportamenti che non avremmo da sobri. Serate in cui
ho iniziato a bere per stare
bene in compagnia sono finite con litigate, per essere
meno timido con le ragazze
sono finite con nulla di fatto
a letto, per rilassarmi poi ho
combinato solo pasticci.
Continuando a bere in ma-
niera esagerata si ha bisogno di una quantità sempre
maggiore per raggiungere lo
stesso effetto e sono arrivato al punto di non riuscire
a fermarmi fino a crollare
addormentato. Quando si
inizia a bere da soli, la mattina appena svegli, quando le
mani iniziano a tremare, oppure per non sentire il mal
di testa causato dall’ubriacatura del giorno prima, si è
già alcolisti.
E accade senza accorgersi
oppure ci si accorge e si inizia a nascondere la propria
situazione per vergogna. Per
cui preoccupati e interrompi completamente di bere
se bevi da solo, se ti svegli
col mal di testa, se non ricordi cosa hai fatto quando bevevi e non vergognarti della
tua situazione, è comune a
molte più persone di quanto pensi.
Ospite day hospital alcologico
«SCATTI SPORTIVI»
IN MOSTRA
N
on ci sono riflettori puntati, né
parquet tirati a lucido, vasche riscaldate o manti erbosi verdeggianti a
raccontare questo itinerario sportivo veneziano lungo il Novecento; anzi più spesso il
“palcoscenico” si compone di masegni sconnessi [i masegni sono lastre di trachite, pietra
proveniente dai Colli Euganei, che costituisce
la tipica pavimentazione di Venezia], campi
polverosi, piscine naturali di acqua salmastra.
Sport e territorio sono un binomio inscindibile nella vita di una comunità: lo sport unisce le persone, costruisce solidarietà, abitua al
rispetto, al coraggio, alla lealtà, allena mente e
corpo all’immaginazione a al gioco.
La mostra fotografica «Scatti sportivi», ospitata a ottobre nell’atrio del nostro ospedale
Fatebenefratelli, si propone di recuperare
momenti, luoghi, suggestioni, personaggi, di
un recente passato cittadino sottraendolo da
un oblio sempre più incalzante. Con queste
mostre fotografiche organizzate con l’Assessorato alle Attività Culturali (Archivio della
Comunicazione) e l’Istituto veneziano di Storia contemporanea IVESER, il Fatebenefratelli apre le sue porte alla città e alla memoria
comune che assume ancor più valore in occasione dei tre secoli di presenza a Venezia
1715-2015.
Guido Sattin
4/2015
73
Dalle nostre case...
BRESCIA IRCCs
San giovanni di dio
Michela Facchinetti
40° DEL FOGOLAR
FURLAN DI BRESCIA
D
omenica 25 ottobre
si è ritrovato nel nostro Istituto il “Fogolar Furlan” di Brescia per
celebrare il 40° anniversario
della sua fondazione. Oltre
100 persone, accolte dal pre-
74
4/2015
sidente del Fogolar di Brescia Dario Michelutti e dalla
Segretaria Sandra Treppo, si
sono riunite all’ingresso dove
erano presenti i labari di diversi fogolars della Lombardia e lo stendardo di quello di
Brescia mentre il Coro Roccie roche diretto dal nostro
primario di Psichiatria dott.
Giambattista Tura ha seguito l’Inno Nazionale “Fratelli
d’Italia” e il canto tipico dei
Friulani “ O ce biel”.
Quindi è seguito il corteo
verso la chiesa dove è stata
celebrata la Santa Messa in
lingua friulana da Don Guido
Mizza venuto appositamente
dal Friuli. Come per l’occasione ha voluto essere pre-
sente il Presidente dell’Ente
Friuli nel mondo Pietro Pittaro. I canti della messa sono
stati eseguiti in friulano e italiano dallo stesso coro che
poi ha concluso la sua preziosa ed apprezzata presenza in auditorium dove si sono
succeduti i discorsi, i saluti e
la consegna di targhe ricordo
ai molti amici friulani di nascita e di adozione presenti.
Il pranzo che ne è seguito è
stata la degna conclusione
di una giornata straordinaria
di sentimenti di fraternità,
di amicizia, e di consolidata
unità. Al termine del pranzo
i partecipanti hanno lasciato
una cospicua somma di denaro da devolvere a favore
della ricerca.
Dalle nostre case...
VISITA DEL P. PROVINCIALE
N
ei giorni 9, 10 e 11
novembre il P. Provinciale ha trascorso
due giorni nel nostro IRCCS
per meglio conoscere, come
lui ha detto, la realtà di una
struttura unica in Provincia
per le sue peculiarità di assistenza, cura e ricerca.
Ha incontrato separatamente
il Gruppo Pastorale, i membri
dell’Ufficio di Direzione e ancora i medici, assistenti sociali
e psicologi. Un altro incontro
è stato quello con i coordinatori delle Unità Operative,
delle Comunità Psichiatriche
e degli Ambulatori e MAC.
Particolarmente significativa la
visita effettuata alla Comunità
“La Celeste – San Giovanni
di Dio” di Orzinuovi dove
dopo un primo incontro con
gli operatori, il P. Provinciale
ha potuto incontrare operatori e ospiti in un approfondito
dialogo che si è poi concluso
con la S. Messa celebrata nella
cappella della comunità dopo
che non pochi ospiti hanno
colto l’occasione per accostarsi
al Sacramento della riconciliazione. Infine dopo aver visitato
la bella struttura che accoglie
la comunità ci si è tutti salutati con un piccolo rinfresco. Il
giorno 11 novembre, invece,
sempre all’IRCCS si è tenuta
la riunione per la “trimestrale”
alla quale hanno partecipato
tutti i dirigenti della Provincia
religiosa sia del Centro che di
tutte le case, compreso il Consiglio Provinciale, i superiori
delle case e altri religiosi, per
una lettura della situazione ge-
nerale della Provincia e delle
singole realtà, per passare in
rassegna, prospetti, difficoltà
e individuare strumenti per il
superamento delle difficoltà.
Il pomeriggio è stato dedicato
alla presentazione dell’IRCCS
in tutte le sue sfaccettature:
dalla assistenza, alla clinica e
particolarmente alla Ricerca
nelle sue linee di ricerca, nelle
unità operative specifiche, ai
rapporti nazionali e internazionali e alle risorse impegnate
che vedono in questo momento occupati 105 ricercatori in
gran parte giovani.
4/2015
75
Dalle nostre case...
BRESCIA IRCCs San giovanni di dio
L’IRCCS Fatebenefratelli è una
delle 100 eccellenze italiane
L
’Irccs Fatebenefratelli
è stato individuato tra
le cento eccellenze italiane: il prestigioso riconoscimento, presentato il 3 dicembre nella Sala della Regina
della Camera dei Deputati,
è celebrato da un prestigioso
volume e precede di qualche
giorno l’avvio delle celebrazioni per il XX anniversario
del riconoscimento pubblico
dell’istituto, che a distanza di
vent’anni resta l’unico Irccs nel
campo della psichiatria. L’istituto di ricerca e di cura fa parte del Centro San Giovanni di
Dio di Brescia e incarna con la
sua attività il carisma dell’ospitalità dell’Ordine ospedaliero
fondato da San Giovanni di
Dio. Da tempo l’Irccs Fatebenefratelli è accreditato dalla
Joint Commission International, il più rigoroso sistema di
certificazione internazionale,
76
4/2015
riconosciuto solo alle istituzioni in grado di rispettare altissimi standard di qualità. «Per
noi Fatebenefratelli – spiega il
direttore generale dell’Irccs fra
Marco Fabello – investire nella
ricerca di altissimo livello è una
scelta di giustizia sociale: come
ci ha insegnato San Giovanni
Di Dio, i sofferenti, soprattutto
i più poveri, hanno il diritto di
ricevere le migliori cure, parti-
Dalle nostre case...
Lucia Avigo è il nuovo
direttore sanitario
dell’Irccs Fatebenefratelli di Brescia
L
colarmente nell’ambito della
psichiatria, che purtroppo
rappresenta una Cenerentola per il Sistema sanitario
nazionale». Le 100 eccellenze italiane sono raccolte in
un volume curato da Antonio Catricalà, già presidente
dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato
(Antitrust). Il volume è edito
da Riccardo Dell’Anna.
ucia Avigo è il nuovo
direttore sanitario del
centro San Giovanni
Di Dio – Irccs Fatebenefratelli di Brescia. Bresciana,
classe 1958, in precedenza è stata medico di base a
Manerbio, quindi dirigente
medico dell’Ussl di Brescia
e, dal 1998 ad oggi, direttore
sanitario della Casa di Cura
Domus Salutis della Congregazione delle Suore Ancelle
della Carità. Agli inizi della
professione, come medico tirocinante, aveva prestato servizio all’Ospedale Sant’Orsola dei Fatebenefratelli. È
stata docente dell’Università degli Studi di Brescia e
dell’Università Cattolica di
Roma. «Sono oltremodo
onorata di accettare la Direzione Sanitaria del Centro
– dichiara – e mi spenderò
per servire al meglio un’opera così particolare e unica
nel panorama bresciano. Le
persone a cui si rivolge sono
portatrici di una fragilità che,
con fatica, è tenuta in conto.
Il più delle volte il dolore fisico ha maggior credito del-
la sofferenza psichica ed il
servizio a queste persone è
tanto più importante quanto
più i loro disagi sono poco
all’attenzione. Certamente
incontrerò una realtà che da
molti anni si è strutturata con
tanta professionalità, ricchezza di valori ed eccellenza nel
campo della psichiatria e il
farne parte, sono convinta,
arricchirà la mia esperienza
umana e professionale. Non
posso che esserne stimolata
e riconoscente».
4/2015
77
Dalle nostre case...
SAN MAURIZIO CANAVESE
Le suore Francescane Angeline:
settant’anni
a S. Maurizio Canavese
Maria Elena Boero
«D
io sa quello che
fa» questa è la
frase programmatica che ha dato significato
alla vita della Fondatrice delle
Suore Francescane Angeline,
Madre Chiara Ricci.
L’anelito di Madre Chiara era
quello di raggiungere tutti i
luoghi dove il bisogno, la sofferenza e il cuore dei fratelli
dove, le Suore Francescane
Angeline, hanno potuto donare il loro servizio e la loro
vita per settant’anni. Proprio il
16 novembre scorso, abbiamo
avuto la grazia di poter celebrare una giornata di ringraziamento che ha raggiunto il suo
culmine nell’Eucaristia. La
presenza del Superiore Provinciale fra Massimo e della
fatto in modo che i nostri animi si predisponessero alla gratitudine e alla letizia. Molte le
persone coinvolte nella preparazione di questa giornata, tra
questi, in particolare gli ospiti
dell’U.O. Forense i quali con
dedizione, creatività e disponibilità hanno donato tempo ed
energia insieme a tutti gli operatori. Portiamo vivo nel cuore
chiedevano aiuto; diversi i posti dove si è potuto annunciare
il carisma della Pace e della
Riconciliazione. Uno di questi
è stato ed è, senza dubbio, il
Presidio dei Fatebenefratelli di San Maurizio Canavese
Madre Generale suor Rossana
ci ha permesso di coronare, in
gioia ed esultanza, questo momento. Giornate di memoria
e immagini, ricordi e incontri, hanno preceduto la festa,
hanno “preparato la strada” e
il ricordo di queste giornate
affinché diventino motivo di
rinnovato servizio e annuncio
fecondo accanto a coloro che,
nel bisogno, cercano un volto
e un cuore accogliente.
Suor Fernanda e Andrea
78
4/2015
Dalle nostre case...
CERNUSCO SUL NAVIGLIO
Giovanni Cervellera
UN OLIVO PER RICORDARE
Q
uando dimenticare è difficile, forse bisogna fare qualcosa per
conservare il ricordo
e renderlo più leggero. Piantare un albero
può essere un bel gesto per fare memoria
di un amico scomparso
in maniera tragica. È
quello che hanno fatto
gli ospiti della comunità S. Riccardo per non
dimenticare Aaron un
amico che ha percorso
con loro un pezzo di
strada e che non ha più
retto il peso della vita.
Hanno voluto comprare un giovane olivo, così come giovane era Aaron e lo hanno piantato nel giardino appena
fuori dalla comunità.
Poi, in una soleggiata mattina di ottobre si sono
dati appuntamento e prima di piantare l’albero
hanno letto due brevi testi della Bibbia. Il primo tratto dalla genesi che racconta di Dio che
pianta un giardino, e quel gesto è sembrato un
po’ simile a quello di Dio.
Il secondo era un salmo in cui si dice che
l’uomo è come un albero piantato lungo corsi
d’acqua. Alcuni dei presenti hanno voluto commentare quello che era stato letto e ricordare
con qualche episodio l’amico scomparso.
DIARIO DI UNA VOLONTARIA
Q
uando con la mia famigliola ci trasferimmo
da Milano a Cernusco sul Naviglio parecchi anni fa andavamo di solito alla S. Messa
presso la Parrocchia di S. Maria Assunta. Ricordiamo ancora oggi quanto le parole del sacerdote celebrante attirassero la nostra attenzione. In seguito
lo conobbi: era fra Andrea Faustini, per me padre
Andrea, un sacerdote dell’Ordine dei Fatebenefratelli di Cernusco, Padre Andrea introduceva le
sue omelie invitando la comunità a ringraziare
sempre il Signore per i doni ricevuti, di farli
emergere in ognuno di noi e saper metterli al
servizio di quanti meno fortunati.
Elogiava il valore del volontariato, la gratuità e
tutti quei gesti di attenzione e cura verso quanti nella malattia e nella vita quotidiana possano
aver bisogno.
Spesso accostava gli atteggiamenti amorevoli del
volontario nella Sanità, all’olio profumato della
Maddalena con il quale ungeva i piedi di Gesù.
Un olio che non guarisce la malattia ma accarezza,
si prende cura delle persone, dà speranza; parole
che inducevano le coscienze alla riflessione.
Oggi che da diversi anni opero come volontaria
nel Gruppo Amicizia presso il Centro dei Fatebenefratelli di Cernusco capisco quanto quelle
4/2015
79
Dalle nostre case...
parole pronunciate da padre
Andrea fossero dettate dalla sua
continua vicinanza alle persone
sofferenti. Noi volontari che ci
accostiamo alle problematiche
del disagio mentale ci rendiamo
veramente conto quanto piccoli
gesti di amicizia, di saper ascoltare, di fare compagnia, possano essere ingredienti importanti
per aiutare tanti ospiti ricoverati
a vivere meglio il loro disagio.
80
4/2015
Padre Andrea è stata una presenza significativa nella nostra
parrocchia.
Noi tutti lo ricordiamo per
averlo visto partecipe accanto
alle famiglie nei lutti, ma anche
nella gioia durante la somministrazione dei Sacramenti dei
nostri figli, dei nostri nipotini
accanto al Vescovo e parroci
che si sono succeduti. Padre
Andrea celebrava ogni anno la
Via Crucis per i viali dell’istituto, attorniato sempre da tanti
giovani che si alternavano a
portare la Croce e intonare
canti.
Molti di quei giovani oggi sono
impegnati nel sociale.
Amava allestire il Presepe in
prossimità del Natale all’interno dell’ingresso della Curia
Fatebenefratelli attirando l’attenzione e la devozione dei
passanti.
Quando padre Andrea venne
eletto Priore alla Casa S. Riccardo Pampuri dei Fatebenefratelli di a Trivolzio (Pavia)
non impiegò molto a farsi voler bene dagli ospiti ricoverati
e dalla Comunità locale. Fattivo, intraprendente e pieno di
iniziative gli era stata affidata
la guida pastorale della parrocchia di Trovo (Pavia) riaprendo
al culto l’antica chiesa della frazione Papiago, coinvolgendo
nell’opera numerosi volontari.
Quanti hanno avuto modo di
andare a Trivolzio non potranno certo dimenticare le suggestive rappresentazioni della
Passione di Gesù del Venerdì
Santo per le vie del paese e
della Casa di S. Riccardo Pampuri. Con l’aiuto della gente
locale e dintorni portò il vangelo di Gesù in mezzo a loro facendolo rivivere con bambini,
popolane, soldati romani e tutti
quei personaggi che con i loro
costumi tradizionali rappresentavano la Palestina ai tempi di
Gesù e ricostruendo la scenografia dei luoghi in cui avvenne
la passione e la morte di Gesù.
Quando padre Andrea ritornò
nella sua amata Cernusco, il
suo vivere non fu più lo stesso di quando lo aveva lasciato.
Ben presto si ammalò e, in seguito ad un delicato intervento
chirurgico perse molto della
sua memoria.
Quando lo si andò a trovare
all’Ospedale di Erba, lui che
era sempre stata una persona
carismatica e accogliente, non
riconobbe nessuno e ne fummo molto commossi.
Ad un anno dalla sua morte,
avvenuta il 20 ottobre 2014, vogliamo tanto ricordarlo nei suoi
ultimi tempi di fragilità ma vogliamo soprattutto non dimenticare gli insegnamenti che ci ha
lasciato.
A noi Volontari dell’associazione Amicizia, che considerava
un fiore all’occhiello del volontariato in psichiatria, diceva
sempre di non scoraggiarci di
fronte alle difficoltà che avremmo incontrato ma di confidare
sempre nell’aiuto dello Spirito
Santo e di continuare ad irradiare amore non solo con le
parole ma sempre con tante
opere di carità.
Grazie padre Andrea per tutto
questo.
Non ce lo dimenticheremo.
Maria Gabriella Badiali
Dalle nostre case...
SOlbiate
Anna Marchitto
CINQUE OPERATORI IN FESTA
N
ella nostra Residenza
di Solbiate si è celebrata, mercoledì 4
novembre, la solennità di San
Carlo Borromeo, patrono
della struttura.
La Santa Messa, animata dai
canti della corale Fatebenefratelli dell’ospedale Sacre Famiglia di Erba, è stata presieduta
dal Superiore Provinciale fra
Massimo Villa e concelebrata
dal cappellano, dai preti ospiti
in struttura, dal parroco e dal
coadiutore di Solbiate.
Nell’omelia fra Massimo ha
sottolineato il fatto che Dio
ci ama così tanto da volere da
noi le cose più belle della vita,
tra cui quella che accomuna
tutti: la salvezza.
L’umanità ha bisogno della
presenza di Cristo Buon Pastore condivisa dall’uomo,
così come lo è stato San Carlo
per il suo popolo, il gregge a
cui Cristo ha affidato la presenza del buon pastore Carlo
Borromeo, che pur essendo
di famiglia agiata, avrebbe potuto vivere in tutt’altro modo,
ma ha scelto di vestire i panni
di guida del suo popolo e di
pecora che sa seguire Cristo
Buon Pastore.
Rivolgendosi ai cinque operatori che hanno raggiunto il
traguardo dei 25 anni di servizio, il Superiore Provinciale
ha ricordato che in ogni figura
professionale deve essere riconosciuto lo spirito del Buon
Pastore, al quale è affidata la
cura di ogni ospite.
Anche ognuno di noi, come
hanno fatto San Carlo Borromeo e San Giovanni di Dio
si deve rendere Prossimo nel
servire gli altri nell’essere nei
fatti presenza di Cristo Buon
Pastore.
Alla parte religiosa ha fatto
seguito un pomeriggio ricreativo, che ha visto, nell’ampia
sala-bar esibirsi per la prima
volta Walter che ha rallegrato
con canti popolari e leggeri le
orecchie, il cuore ed i pensieri
dei presenti.
L’intensa giornata volge al
termine ma non tramonterà
mai la festa con San Carlo se
noi, come lui, sapremo essere
Buon Pastore al fianco di chi
necessita di aiuto.
I festeggiati con fra Massimo Villa, Provinciale,
E fra Sergio Schiavon, superiore locale.
4/2015
81
Dalle nostre case...
VARAZZE
Agostino Giuliani
OSPITALITà QUOTIDIANA
È
il senso di serena, signorile e nel contempo
familiare accoglienza
che ti viene incontro nel varcare la soglia del soggiorno “Fatebenefratelli” di Varazze e che
continuerà negli incontri con
il personale addetto, attento
ad adeguarsi alla tua personalità. Ma indubbiamente anche
per il libero accesso nei saloni
di ritrovo dove libri di svago,
di cultura e giornali quotidiani
sono a disposizione degli ospiti e le passeggiate: sentieri che
corrono piacevolmente man-
tenuti nel bosco-giardino a
dirupo sul mare e interrotti da
bersò predisposti per il riposo
e la conversazione; nel periodo estivo la piscina sorvegliata
dal bagnino e che ben si adegua alle esigenze sportive degli
adulti e ai giochi dei bambini,
nella sala ristorante e lungo la
veranda è il servizio mensa accuratamente scelto e servito, a
vista sul mare.
Ma è la figura del Priore fra
Valentino a dare l’impronta
per la parola che nel momento opportuno ti raggiunge e
ti fa partecipe dello spirito di
vita che anima la comunità dei
“Fatebenefratelli”, per la delicatezza con cui ti indica un
percorso, la proposta di un
momento di musica che sarà
motivo di festa; è il sapere coniugare la spiritualità di ognuno con il suo quotidiano. L’essere sempre presente fra gli
ospiti fa il Vangelo vita vissuta
come fu nella travagliata vita
di S. Giovanni di Dio e come
lo visse S. Riccardo Pampuri
segno della Provvidenza nella
sua veste di soldato, di medico
condotto, di uomo di Dio tra
i “Benefratelli”, è il Vangelo
sulla strada come lo auspica
Papa Francesco e l’ospitalità
diventa ascesa spirituale.
Elisa Plebani Faga (ospite)
ESERCIZI Beata Chiara Luce Badano
3 al 7 novembre, abbiamo nate di preghiera e di testimoSPIRITUALI 2016 Dal
ospitato gli Esercizi Spirituali, nianze dirette portate da amici
Febbraio dal 14 al 19
«Misericordia e verità si
incontreranno» - Padre
Daniele Mazzoleni o.p.
Marzo dal 6 all’11
«Il discepolo, uomo della
Misericordia nel Vangelo di
Luca» - Monsignor Mario
Rolando
Ottobre dal 9 al 14
«Gesù e le Sue parabole»
Padre Mario Chiodi, Oblati Missionari di Rho
Novembre dal 6 all’11
«Il Vangelo delle Beatitudini» - Don Claudio Doglio
Inizio Esercizi con la cena
della Domenica sera, termine
con il pranzo del Venerdì
successivo. Costo 58 euro al
giorno + 30 euro di quota di
iscrizione individuale
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per giovani sacerdoti e diaconi
sulla spiritualità e la vita della
Beata Chiara Luce Badano,
nostra conterranea, con gior-
e parenti che hanno condiviso
con Lei l’esperienza del Movimento dei Focolari ed il periodo della malattia.
RICORDIAMOLI
NEL SIGNORE
Craviotto Giovanna
Segnaliamo con enorme dispiacere, la
scomparsa prematura della nostra cara collaboratrice la signora Craviotto Giovanna,
che incarnando lo spirito vero del senso di
appartenenza alla famiglia Fatebenefratelli,
lascia un ricordo significativo ed indelebile per la sensibilità, la cordialità e la pronta
disponibilità dimostrata negli anni vissuti in
servizio.
Alla famiglia le nostre condoglianze supportate dalla preghiera al Signore.
OSPITALITà aL FEMMINILE
Gocce d’amore
nell’oceano di una tragedia
Florence
Gillet
I BAMBINI DELLA ETNIA KAREN IN THAILANDIA DAVANTI AI DONI PROVENIENTI DALL’ITALIA
Archivio movimento dei Focolari
«Se tu ami una persona,
ami il mondo intero»
Come è importante entrare nella loro vita! Lo si fa poco a poco e quando
sentono piena fiducia, si aprono. Quando capisci quello che c’è dietro,non
puoi fare altro che partecipare, piangere con loro. Ma da lì nasce tutto
S
ulla mia scrivania si accumula materiale che,
in vista di quest’articolo,
cerco di raccogliere da un po’
di tempo tra i membri del movimento dei Focolari sparsi nel
mondo. Varie le provenienze
geografiche: arriva dal Brasile,
dagli Stati Uniti, dall’Africa e,
logicamente, dall’Europa. Vari
i tipi d’impegno, dall’accoglienza dei minori nella propria fa-
miglia, alla raccolta di fondi, al
progetto “Ragazzi in famiglia”
di un’associazione di famiglie
della Sicilia, all’organizzazione
di un tir con due tonnellate di
generi di prima necessità che
parte per l’Ucraina. E molte altre iniziative, tutte commoventi
e che hanno un comune denominatore: accogliere l’altro
come fosse Gesù, con rispetto
e amore, pronti a capovolgere i
propri programmi, mettersi nei
suoi panni senza temere la diversità, anzi amarla.
Cercare di mettere armonia e
pace quando i rapporti, anche
nelle strutture di accoglienza,
sono un po’ conflittuali.
Puntare a rapporti fraterni, sicuri che l’altro ha qualche cosa
da darti. Da tutto quanto mi è
giunto, estraggo due perle, un
po’ emblematiche.
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OSPITALITà aL FEMMINILE
Luigi,
il protagonista
di questo
gemellaggio,
davanti alla
scuola
di Mae Sot.
Archivio movimento
dei Focolari
Un gemellaggio
incredibile
La prima si svolge in Thailandia, al confine con il Myanmar
(Birmania) nella città di Mae
Sot. Scrive Luigi Butori, del
focolare di Bangkok: «Lì, ci
sono moltissimi profughi che
non entrano nei campi ufficiali delle Nazioni Unite, di cui
nessuno si occupa e che spesso
non vengono pagati per il loro
lavoro settimanale: non hanno documenti e non possono
protestare con nessuna autorità perché nessuno li difenderà. Molti di loro sono stati per
anni nella foresta e finalmente
ce l’hanno fatta a venirne fuori. Stanno tra le fosse ed i muri
delle fabbriche, in capanne di
fortuna e sono vivi per miracolo. Di loro non si parla, ma qui
si conosce questa realtà: valgono oro! Sono una forza lavoro
a bassissimo costo, persone
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disposte a lavorare anche a poco
prezzo: quanto
basta per vivere.
Ed è per questa
ragione che Mae
Sot è diventata
una zona economica
speciale,
con la presenza
di molte industrie».
Il movimento dei
Focolari ha voluto assicurare una
presenza, almeno per alcuni di
questi profughi
di etnia Karen. Tutto nasce da
bambini di una scuola dell’infanzia di Latina che, saputo dalla loro maestra, Maria Grazia,
dei bambini di Mae Sot, prima
mandano disegni, poi si distaccano dei giocattoli, fino a coinvolgere genitori, altre classi,
molte persone. La cosa cresce
fino a fare il progetto di una
scuola.
Continua Luigi: «Ora questa
scuola esiste e si chiama “Goccia dopo goccia”. Un gemellaggio incredibile tra Latina ed il
fango di Mae Sot: ingiustizie,
malattie, soprusi, stupri e via dicendo; chi sta bene e chi ringrazia Dio d’essere vivo ogni mattina ed ogni sera! Come uno dei
bimbi della scuola. Chiedo alla
sua mamma: “Come si chiama
il tuo bambino?” e lei: “Chit
Yin Htoo, che vuol dire ‘Se mi
ami rispondimi’”. “E la data di
nascita?” domando. “Forse 3
o 4 anni fa, forse 5 o 6. Era la
stagione del raccolto, nel pieno
dell’offensiva militare, dovevamo scappare: solo scappare”.
A questo punto io mi fermo
e non riesco più a scrivere,
ma prego solo di non piangere di fronte a questa mamma.
Com’è possibile?».
«Questo progetto è una pazzia
d’amore che solo dei bambini
potevano pensare. E l’amore
è così: fa fiorire il deserto, ti
fa fare cose impossibili e ti fa
felice! Noi grandi seguiamo
questi bimbi, con rispetto e sacro timore. Distribuiamo cibo,
latte, e soprattutto pupazzetti e
giochi a tutti i presenti: lanterne, poi anche vestiti che fanno
felici tutti. “Non ne abbiamo
per tutti, ma chiediamo un miracolo”, dico ai presenti “che
riusciamo ad amarci e a preoccuparci degli altri, come di noi
stessi”. Gli occhi si illuminano
quando vedono il pallone e le
tute da calcio offerte da una
Scuola calcio di Priverno (LT).
Quanto amore che arriva. E gli
occhi di questi bimbi, da tristi,
scintillano di felicità perché
sentono il calore che c’è sotto».
«La scuola non ha veri muri: le
lavagne un po’ rotte; i maestri,
Corso di tedesco ai siriani Archivio movimento dei
sono volontari ai quali riusciamo a dare solo 50 € al mese
di stipendio; poi la rete, i gabinetti… Mi sembra d’essere in
un santuario d’amore, in una
cattedrale forse come la sogna
anche Papa Francesco? Anni
fa feci una promessa: che questa era la mia gente e che non
l’avrei abbandonata, mai. Di
fronte a questa scuola, a questa
“Goccia d’amore” nell’oceano
del male che ci circonda, rinnovo quella promessa».
La generosità
si estende
La seconda “perla” è ambientata a Graz, città dell’Austria,
dove i membri della parrocchia Karlau sono molto attivi
nell’aiuto ai poveri. Raccolgono cibo e altri beni di prima
necessità dai supermercati,
a volte 18 tonnellate l’anno.
Li distribuiscono alle varie
parrocchie della città, a Ceceni, Ucraini, Afghani, Siriani,
Africani…. Ma poi improvvisamente l’afflusso di rifugiati
cresce in modo tale che non
è più possibile soddisfare tutti,
sono ormai più di 200. Sorge
I bambini di Latina fanno disegni Per quelli di Mae Sot
Archivio movimento dei Focolari
un piccolo dissenso tra gli organizzatori: è il caso di selezionare i più poveri o servire i
primi arrivati?
Vicino alla parrocchia vive un
focolare. Vengono a conoscere il problema e si offrono per
una mediazione.
Una delle focolarine, Hedy,
racconta: «Vedo la generosità
di queste persone che da anni
si danno da fare in parrocchia. Propongo di radunare
tutti quelli che usufruiscono
dell’aiuto e di spiegare loro il
problema. Cerco traduttori,
accogliamo tutti con un benvenuto nella nostra città e spieghiamo che i 40 siriani arrivati
da poco fanno 10 km a piedi
due volte al mese per venire
a prendere gli aiuti. Per due
ore i siriani ci parlano dei loro
problemi, delle loro aspettative. Uno ci dice: “Da tre mesi
che siamo nel campo ed è la
prima volta che qualcuno ci
parla, si interessa della nostra
situazione”. Finalmente si arriva anche a proporre di dare
un numero progressivo e tutti
capiscono che ci vuole pazienza. Ad ogni distribuzione, mi
fermo a parlare con l’uno o
l’altro durante le lunghe attese
e, avendo stabilito questo rapporto, posso chiedere a uno di
dare il suo numero a chi viene
da lontano e rischia di dover
ripartire a mani vuote».
Ma la cosa non si ferma qui.
Hedy, essendo in pensione, cerca di coinvolgere altri
amici. Michael è uno di loro
e vuol darsi da fare. Durante
una riunione dei dipendenti
della libreria dove lavora spiega ai suoi colleghi la situazione
di questi rifugiati. Comprano
da tasca loro 35 libri e una
collega di Michael si offre per
tenere il corso: «Pensavo di
fare lezioni e basta, riconosce,
ora queste persone mi sono
così care che è diventato un
affare di cuore». Hedy bussa
alla porta di un assessore del
Hedy, che ci ha dato la sua testimonianza sull’aiuto ai rifugiati a Graz
Archivio movimento dei Focolari
i Focolari
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OSPITALITà aL FEMMINILE
consiglio comunale nel villaggio dove vivono i rifugiati. Lui
spontaneamente organizza un
pullman e raccoglie viveri nei
supermercati. Un’altra signora si accorda con il suo nipote
che vende biciclette, perché ripari vecchie biciclette e le paga
lei, 850 euro: ne procura una
ventina. La generosità si estende a macchia d’olio.
Hedy procura a queste persone piccoli lavori che eseguono
benevolmente. Un giorno, un
signore molto triste e silenzioso, gli occhi sempre a guardare
sul suo i-phone la foto dei suoi
5 bambini, di colpo si apre.
Un giorno, Hedy li accompagna tutti alla moschea della
regione per la preghiera del
venerdì.
Uno di loro testimonia: “Questo fatto di poter pregare nella
moschea ci ha riuniti tra noi e
con la nostra amica cristiana”.
Conclude Hedy: «Come è importante entrare nella loro vita!
Lo si fa poco a poco e quando
sentono piena fiducia, si aprono. Quando capisci quello che
c’è dietro, non puoi fare altro
che partecipare, piangere con
loro. Ma da lì nasce tutto».
E aggiunge: «Se tu ami una
persona ami il mondo intero».
© CSC Audiovisivi
Dice: «Sono stato nel deserto della Siria come ingegnere
in una compagnia petrolifera.
Non mi mancava niente e avevo tanti soldi.
Ora ho perso tutto. Ma con
voi mi si è chiarita una cosa.
Se per caso posso ritornare
cambierò mestiere e mi metterò ad aiutare come voi. Rende
più felice». La stragrande maggioranza di essi sono musulmani, e tra loro ci sono varie
correnti, il che suscita rivalità
e conflitti. Anche lì l’esempio
di Hedy e delle focolarine ha
dato risultati positivi.
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Se un giorno
gli uomini
Quando ho iniziato a scrivere
su Chiara Lubich per questa
rivista, il primo articolo era
intitolato: “Chiara Lubich,
maestra senza frontiere. Una
giovane maestra trentina raggiunge, con il suo insegnamento sull’amore, gli ultimi confini
della terra”.
Insieme a queste storie che ne
sono la prova, aggiungo, per
concludere, un suo scritto del
1959: «Se un giorno gli uomini, ma non come singoli ben-
sì come popoli […] sapranno
posporre loro stessi, l’idea che
essi hanno della loro patria,
[…] e questo lo faranno per
quell’amore reciproco fra gli
Stati, che Dio domanda, come
domanda l’amore reciproco
tra i fratelli, quel giorno sarà
l’inizio di una nuova era, perché quel giorno […] sarà vivo e
presente Gesù fra i popoli […].
Sono questi i tempi […] in cui
ogni popolo deve oltrepassare
il proprio confine e guardare
al di là; è arrivato il momento
in cui la patria altrui va amata
come la propria, in cui il nostro occhio ha da acquistare
una nuova purezza. Non basta
il distacco da noi stessi per essere cristiani. Oggi i tempi domandano al seguace di Cristo
qualcosa di più: una coscienza
sociale del cristianesimo […].
Noi speriamo che il Signore abbia pietà di questo mondo diviso e sbandato, di questi popoli
rinchiusi nel proprio guscio, a
contemplare la propria bellezza – per loro unica – limitata ed
insoddisfacente, a tenersi coi
denti stretti i propri tesori – anche quei beni che potrebbero
servire ad altri popoli presso i
quali si muore di fame – , e faccia crollare le barriere e correre
con flusso ininterrotto la carità
tra terra e terra, torrente di beni
spirituali e materiali. Speriamo
che il Signore componga un ordine nuovo nel mondo, Egli, il
solo capace di fare dell’umanità
una famiglia e di coltivare quelle distinzioni fra i popoli, perché nello splendore di ciascuno, messo a servizio dell’altro,
riluca l’unica luce di vita che,
abbellendo la patria terrena,
fa di essa un’anticamera della Patria eterna». (“La dottrina
spirituale”, Città Nuova, Roma
2006, pp. 327-329).
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n. 4 Ottobre-Dicembre 2015