UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di laurea in Lettere Moderne
LO SPAZIO, LA STORIA LA CULTURA:
IL SALOTTO DI CLARA MAFFEI
Relatrice:
Chia.ma Prof. Giuliana Nuvoli
Laureanda:
Marianna D’Agostino
ANNO ACCADEMICO 2010-2011
1
Introduzione
Coniugando alcune letture che avevo fatto sulle donne del Risorgimento e la
partecipazione ad un progetto per l’Expo 2015 sulla riscoperta dei “luoghi
dimenticati” della Lombardia, ho deciso di analizzare la figura di Clara Maffei,
patriota e letterata milanese, e del palazzo in cui visse per trentasei anni e dove tenne
uno dei salotti letterari più illustri dell’epoca. L’edificio in questione è Palazzo
Olivazzi, situato nel pieno centro di Milano, ad angolo tra via Bigli e via Manzoni.
Il primo capitolo dell’elaborato si può suddividere in due parti: nella prima troviamo
una breve storia urbanistico – architettonica di Milano nel XVIII - XIX secolo, storia
che è indiscutibilmente legata alle dominazioni a cui Milano fu sottoposta nell’arco
di diversi secoli; nella seconda parte si analizza la storia di Palazzo Olivazzi,
ricostruendola tramite pratiche edilizie, dall’anno 1814 fino al 1909. Tutte le notizie
riportate sono frutto di un’indagine effettuata presso l’Archivio storico del Comune
di Milano, in particolare presso il Fondo Ornato Fabbriche. L’apparato iconografico
è molto ricco in quanto è stato possibile recuperare le pratiche edilizie del XIX – XX
secolo che contenevano al loro interno numerosi disegni originali della facciata del
palazzo, dell’interno e della planimetria stradale di via Bigli. Sono state altresì
trovate piante della città di Milano risalenti anche al XVII secolo e una pianta dei
danni della Seconda guerra mondiale, utile per concludere la nostra indagine. È stato
infatti scoperto che il seicentesco palazzo oggetto del nostro studio, dopo aver subito
numerosissime modifiche a metà Ottocento, è stato poi interamente distrutto (fatto
salvo per la facciata) durante i bombardamenti del 1944-45 pertanto oggi non è più
possibile capire qual è l’appartamento che fu abitato da Clara Maffei, né tantomeno
siamo in grado di risalire alle storiche suddivisioni degli spazi dell’edificio.
Nel secondo capitolo l’attenzione si sposta sulla contessa Clara Maffei. Figura
interessante sotto diversi punti di vista e molto moderna. Separata dal marito, visse
da sola nell’appartamento di via Bigli, restando legata per oltre quarant’anni a Carlo
2
Tenca e intessendo una rete di relazioni che ebbero un certo rilievo nella storia di
Milano e dell’Italia. L’elaborato si pone infatti l’obiettivo di dimostrare, attraverso i
numerosi incontri che ebbe la contessa con personalità illustri di metà Ottocento,
l’importanza storico-politica che ebbe il suo salotto letterario. Si è scelto di
approfondire in particolare l’amicizia di Clara Maffei con Giovanni Visconti Venosta
letterato, politico e patriota; con Giannina Milli, poetessa estemporanea di odi e
carmi sull’Italia, figura pressoché sconosciuta ma che mette in luce il sentimento
femminile nella causa dell’Unità; e con il musicista Giuseppe Verdi, il quale, ad
esempio, creò un forte sodalizio artistico con Arrigo Boito, grazie alla contessa che
lo aveva conosciuto nella propria dimora e aveva deciso di presentarlo al Maestro.
Nel terzo ed ultimo capitolo sono stati trascritti e brevemente commentati alcuni
documenti inediti di grande valore conservati presso la Biblioteca Nazionale
Braidense. Si tratta di componimenti poetici di diverso tipo (odi in vario metro, un
sonetto, componimenti in ottave e sestine …) trovati in uno dei cosiddetti Album dei
ricordi di Clara Maffei. Si tratta di quattro quaderni che coprono gli anni dal 1837 al
1864, e che possono essere definiti come un ibrido tra un diario personale della
contessa e un insieme di poesie a lei dedicate dai numerosi ospiti del salotto. Le parti
personali sono state scritte in francese, mentre la maggior parte delle dediche sono in
lingua italiana. Alcune pagine sono state strappate o tagliate via, probabilmente
perché contenevano parti piuttosto intime o che riguardavano la vita sentimentale tra
i due coniugi Maffei. All’interno degli Album sono stati inoltre ritrovati una stampa
della Maffei, e dei fiori secchi, probabilmente raccolti dalla stessa Clarina, che si
sono conservati per quasi due secoli tra le pagine scritte.
Si è scelto di riprodurre sette componimenti di sette persone diverse, tutte legate da
un fattore comune: l’amicizia con Clara Maffei. Sono state brevemente raccontate le
loro vite ma si è deciso di non approfondire con grande dovizia di particolari i loro
carmi in quanto non si tratta di grandi poeti ma di semplici ospiti che si
improvvisarono verseggiatori per lasciare qualcosa di gradito alla loro amica.
L’elaborato mette in evidenza il legame fortissimo tra spazio e cultura, mostrando
come spesso, luoghi oggi anonimi e dimenticati che un tempo erano palazzi fastosi,
3
raccolgono tra le loro mura ricordi di un passato ricchissimo dal punto di vista
storico, politico e sociale.
CAPITOLO I
Lo spazio. Palazzo Olivazzi e dintorni
4
Clara Maffei, il personaggio oggetto del nostro studio, abitò da coniugata in via Tre
Monasteri (oggi via Monte di Pietà), in Corsia del Giardino (oggi via Manzoni) e
infine, negli anni più rigogliosi del suo salotto letterario, in via Bigli. Abbiamo
perciò preso in esame l’ultimo palazzo abitato dalla contessa, allargandoci talvolta
sulle vie adiacenti, e quindi più in generale su quello che oggi è considerato il centro
storico di Milano.
1.1 Breve excursus storico - urbanistico su Milano tra i secoli XVIII e XIX
Per comprendere i cambiamenti architettonici di un palazzo e relazionarli all’interno
del quartiere in cui esso è collocato, crediamo sia doveroso fare un breve cenno sulla
storia di Milano poiché si tratta di una città che è stata sotto l’influenza di molteplici
dominazioni e ognuna di queste ha portato mutamenti non solo in ambito sociopolitico ma anche urbanistico e architettonico.
Il dominio francese iniziò nel 1499 dopo una guerra che vide il re francese Luigi
XII vittorioso contro la nobile famiglia degli Sforza, allora Signori di Milano.
Successivamente Milano fu contesa tra Carlo V di Spagna e Francesco I di Francia
che la perse in una battaglia a Pavia nel 1525. La città passò così nelle mani degli
Spagnoli ma, grazie anche all’intervento del papa Clemente VII e del versamento di
una cospicua somma di denaro, venne posta sotto il dominio di Francesco II, ultimo
degli Sforza. La dominazione spagnola durò quasi due secoli, fino al giorno in cui
venne firmato il Trattato di Rastadt, nel 1714, quando la Lombardia passò alla corona
austriaca. Milano divenne così proprietà dell’Austria fino al 1859, salvo due piccole
parentesi di dominazione francese (quella franco-sabauda del 1733-36 e quella
napoleonica del 1796-1814).
Durante il dominio spagnolo Milano conobbe lo stile barocco e rococò ma,
trattandosi di un periodo caratterizzato da incertezza politica, la naturale conseguenza
fu un certo degrado urbano e sociale come ci racconta anche Alessandro Manzoni ne
I promessi sposi.
Successivamente con la dominazione austriaca le cose migliorarono:
dall’ingresso delle truppe di Napoleone Bonaparte fino all’indipendenza del 1859
5
Milano conobbe un notevole sviluppo urbano poiché stava diventando una città
industrializzata e più prettamente commerciale. Il numero delle abitazioni crebbe
sempre all’interno della cerchia delle mura spagnole che, all’inizio del XIX secolo,
contenevano al loro interno uno spazio di 8,2 milioni di metri quadrati per un totale
di 3,5 metri quadrati di superficie coperta da edifici a cui si aggiungevano 4,7 metri
quadrati di giardini, orti e spazi pubblici. La popolazione milanese invece era di 135
mila abitanti nel 1801 e 192 mila nel 18611, pertanto lo spazio all’interno dell’area
bastionata era quasi in esubero rispetto al numero di occupanti. Fu proprio in quegli
anni che l’organismo urbano, espandendosi, si indirizzò verso la periferia, in
direzione del Castello Sforzesco, dove l’area era rimasta alquanto libera da case e
coltivazioni per lasciare spazio a luoghi di difesa militare.
Fino alla fine del Settecento non c’era modo di identificare l’immagine della
città poiché i diversi governi che si erano susseguiti a Milano non avevano messo a
punto dispositivi di conoscenza dell’edilizia cittadina (come rilievi della città e del
territorio o mappe catastali). Fu a partire dalla dominazione di Maria Teresa
d’Austria2 e di suo figlio Giuseppe II3 che le cose iniziarono a cambiare. Al “periodo
delle successioni” che va dal 1714 al 1748, seguì infatti quello che dagli storici è
denominato “periodo delle grandi riforme”. Fu proprio in quegli anni che vennero
soppressi alcuni monasteri i cui ordini non erano stati riconosciuti dalla Chiesa e
vennero sostituiti, nei medesimi edifici, da scuole, biblioteche, collegi e ospedali.
Evidentemente il governo austriaco, come del resto quello della parentesi francese,
1
Lucio Gambi e Maria Cristina Gozzoli, Le città nella storia d’Italia. Milano, Editori Laterza, Bari
1982, p. 203.
2
Maria Teresa d'Asburgo (Vienna, maggio 1717 – Vienna, novembre 1780) fu arciduchessa regnante
d'Austria, regina regnante di Boemia, Croazia e Slavonia, duchessa regnante di Parma e Piacenza e
inoltre granduchessa consorte di Toscana e imperatrice consorte del Sacro Romano Impero in quanto
moglie di Francesco I. Fu madre degli imperatori Giuseppe II e Leopoldo II, nonché di Maria
Antonietta, regina di Francia, e Maria Carolina, regina di Napoli e Sicilia. Durante il suo Regno, fu
combattuta la Guerra di successione austriaca che durò otto anni, dal 1740 al 1748.
3
Giuseppe Benedetto Augusto Giovanni Antonio Michele Adamo Davide II d'AsburgoLorena (Vienna, marzo 1741 –Vienna, febbraio 1790)
fu imperatore del Sacro
Romano
Impero e Duca di Milano, associato al trono con la madre Maria Teresa dal 1765, e da solo dal 1780,
alla morte di lei. Durante il suo regno, fu visto dai contemporanei come il tipico rappresentante del
"dispotismo illuminato" e come imperatore continuò l'opera della madre. La sua politica ecclesiastica
fu chiamata Giuseppinismo; con essa, l'imperatore intendeva unificare nelle mani dello Stato i poteri
sul clero nazionale, sottraendoli al papa ed ai suoi rappresentanti
6
dava più importanza ai servizi pubblici e alla centralità del cittadino rispetto al
governo spagnolo.
La città cercò di darsi un assetto uniforme, quantomeno nelle facciate degli
edifici che erano sotto gli occhi di tutti. Venne così istituito, a partire dal 1777,
l’obbligo di sottoporre i disegni delle nuove fabbriche e delle facciate dei palazzi al
professore di architettura a Brera e al giudice delle strade4.
Pianta di Milano del XVIII secolo
4
AA. VV, L’espansione della città di Milano attraverso alcuni episodi significativi della sua storia,
Politecnico di Milano, Facoltà di architettura 1997, pp. 22 – 23.
7
1.1.1 Nascita della Commissione d’Ornato e alcuni cambiamenti
Nel 1807 nacque ufficialmente con un proclama reale la Commissione d’Ornato,
ossia una commissione facente capo al podestà di Milano e a cinque famosi architetti
– Luigi Cagnola, Giocondo Albertolli, Giuseppe Zanoja, Paolo Landriani, Luigi
Canonica – il cui incarico era di approvare o meno progetti di cambiamento o
rifacimento delle facciate degli edifici privati a lato strada. In realtà la Commissione
esisteva già da almeno tre anni, come testimoniano alcuni documenti datati 1804, ma
l’avviso di ufficializzazione è di quell’anno. Erano stati gli Austriaci, il cui rigore
estetico è ben conosciuto, a volere una commissione autorizzata dalle istituzioni
statali che si occupasse di uniformare lo stile della città, rendendola più elegante.
Inizialmente la Commissione si occupava solo dei palazzi che rientravano all’interno
della cinta muraria, senza prendere in considerazione Corpi Santi, l’insieme di
cascine e piccoli borghi che costituiva il suburbio di Milano appena fuori dai
bastioni. Fu a partire dal 1812 che le cose cambiarono e anche Corpi Santi venne
sottoposta al controllo del Municipio.
Lo stato divenne così il garante assoluto dell’immagine della città e
responsabile del gusto e del decoro anche perché era formatore di figure
professionali come architetti, capi mastro e decoratori, «tuttavia l’assenza di un piano
e di un ordinamento generali non consentono di configurare entro metà Ottocento
una disciplina urbanistica»5. Sempre nel 1807 ci fu il tentativo della creazione di un
piano regolatore, detto “piano regolatore neoclassico”, poiché si differenziava
dall’idea urbanistica dell’Ancien Régime che prevedeva una costruzione per parti6 e
quindi non uniforme, ma per svariati motivi tale piano non venne mai realizzato.
Fu con l’inizio del Risorgimento che Milano, in particolare nella persona di
Carlo Cattaneo7, si pose il problema di uno stile nuovo, adatto a diventare uno stile
nazionale e adeguato al rapido cambiamento dei tempi moderni. Infatti nel decennio
5
Ibidem.
Ibidem.
7
Carlo Cattaneo (Milano 1801 - Lugano, 1869), storico, economista e uomo politico. Nel 1839 fondò
la rivista «Politecnico», repertorio mensile di studi applicati alla cultura e alla prosperità sociale, che
durò fino al 1844 per poi risorgere nel 1859. Partecipò attivamente alle Cinque giornate di Milano
come capo del Consiglio di guerra. Repubblicano e federalista dovette però cedere il campo ai
moderati filo-piemontesi e nel 1848 si ritirò a Parigi e quindi in Svizzera. Eletto nel 1860 deputato,
non entrò mai alla Camera per non prestare il giuramento monarchico.
6
8
che va dal 1834 al 1844 furono ampliate e abbellite più di 800 case8. E ancora nel
1884 -anno che segna in un certo senso la conclusione della prima fase di espansione
urbana oltre la cerchia muraria con l’episodio della lottizzazione del Lazzaretto9 - la
rivista «Milano tecnica» scriveva che
coll’aprirsi della nuova era di indipendenza politica della Lombardia e dell’Italia in seguito agli
avvenimenti del 1859 sorse e prese tosto sviluppo in Milano quel potente risveglio edilizio che valse
in breve volgere di anni a trasformare, quasi per opera di incanto, i più importanti nuclei dei vecchi
abitati compresi nell’antica cerchia della città.10
Questo potrebbe pertanto spiegare i numerosi cambiamenti edilizi che vennero fatti
anche nel palazzo oggetto del nostro studio, come testimoniato dalle numerose
pratiche analizzate che riportano domande e notifiche di cambiamenti architettonici
quasi ogni anno nel periodo tra il 1831 e il 1840.
1.2 Palazzo Olivazzi
Palazzo Olivazzi si trova nell’attuale via Bigli 21, parallela di via Monte Napoleone,
nel pieno centro di Milano. Costruito nel XVII secolo, è stato indicato nelle pratiche
catastali con diverse denominazioni poiché una parte di esso si affaccia anche su via
Manzoni, all’epoca Corsia del Giardino, e poiché aveva il cortile in comune con
Palazzo Poldi Pezzoli (oggi situato in via Manzoni al civico 12), allora Palazzo Porta.
Nelle pratiche d’archivio lo troviamo infatti indicato come palazzo di Contrada dei
Bigli sia numero 1227 che 1231. Oggi parte di quello che nell’Ottocento era indicato
con il civico 1227, è in realtà un insieme di palazzi situati in via Manzoni.
8
Maurizio Grandi, Attilio Pracchi, Milano.Guida all’architettura moderna, Zanichelli, Bologna 1984,
p.8
9
Il Lazzaretto venne fissato come luogo di ricovero degli appestati nel 1488 dalla Repubblica
Ambrosiana che ne affidò il controllo all’Ospedale Maggiore di Milano. Nel 1797 fu espropriato dal
Governo Napoleonico della Lombardia e trasformato in Campo delle Federazione, dove si svolsero i
festeggiamenti della Repubblica Cisalpina; per permettere l’ingresso delle truppe vennero demolite
ventidue celle che, in seguito, furono ricostruite Fino al 1812 servì nuovamente a scopi militari; in
quell’anno ne riprese il possesso l’Ospedale Maggiore, che fece un secondo tentativo di vendita, ma
l’asta andò deserta. Da quell’anno, fino alla vendita, fu destinato ad abitazione, soprattutto di
immigrati appena arrivati a Milano.Quando furono coperti i fossati sul Corso Loreto (l’attuale C.so
Buenos Aires), vennero aperte numerose botteghe e vi si installarono piccole attività artigianali.
Venne infine comprato, nel 1881, dalla Banca di Credito Italiano il cui intento era di demolirlo e di
destinare l’area alla costruzione di un nuovo quartiere. Il progetto di edificazione venne approvato dal
Comune di Milano nel 1882.
10
Ivi, p. 33.
9
Quello che oggi risulta essere l’adiacenza di due palazzi distinti (il numero 21, a cui
viene attribuito il nome “Olivazzi” e il numero 19 di via Bigli) era, all’epoca, parte di
un unico numero civico, ma risulta difficile distinguere il confine tra i due edifici a
causa di una questione storico-urbanistica di numerazione e denominazione delle
strade e degli edifici di Milano.
Numerazione teresiana – particolare di Palazzo Olivazzi. Anno 1856
Fino al 1773-74 infatti non era presente la numerazione degli edifici . I riferimenti
erano le chiese o palazzi pubblici più importanti. Non esistevano le “vie” ma le
“contrade” (denominazione medievale che, per esempio è rimasta immutata a
Venezia) che comunque non avevano alcun riferimento numerico.
Con la sovranità di Maria Teresa d’Austria su Milano venne poi
istituita la
cosiddetta “numerazione teresiana” degli edifici che era in senso orario concentrico a
partire dall’edificio numero uno ossia Palazzo Reale. Questa numerazione creava non
pochi problemi in quanto l’espansione di Milano e la costruzione di nuovi edifici in
aree già abitate, prevedeva che, per esempio, tra il numero 3245 e il numero 3246 si
inserisse un nuovo numero che riprendeva la fine della serie – che intanto
si
avvicinava al numero 6000- . In una stessa strada, tre edifici vicini potevano avere
10
così questa consequenzialità di numeri: 3245, 5338 e 3246 generando così ancora più
confusione tra i cittadini. Per ovviare a questa spiacevole situazione nel 1845
vennero istituiti i “numeri barrati” per eliminare i numeri saltuari dell’ordine delle
cinque migliaia che creavano tanti dubbi.
Utilizzando l’esempio precedente si
avrebbe quindi: 3245, 3245/A, 3245/B, 3246.
La numerazione teresiana rimase in vigore fino al 1865 convivendo con una
numerazione sperimentale cominciata nel 1857 e chiamata “numerazione rossa”
poiché era applicata con vernice, appunto, rossa. Essa era caratterizzata da numeri
consequenziali apposti via per via
ma senza l’identificazione del “pari” e del
“dispari” ai due lati della strada. Questa novità venne invece introdotta a partire dal
1865.
Numerazione teresiana. Esempio di numeri civici barrati.
Particolare di Palazzo Reale. Anno 1856
Palazzo Olivazzi, è stato chiamato così dal nome della prima famiglia che lo fece
costruire, e la denominazione è rimasta immutata fino ad oggi.
Uno dei due rami che componevano la famiglia dei marchesi Olivazzi, nobili
piemontesi originari di Alessandria, si stabilì a Milano nel Seicento e qui Giorgio
Olivazzi, giureconsulto e senatore della città, fece edificare un palazzo ad angolo tra
11
le attuali via Manzoni e via Bigli, con facciata ed entrata principale su quest’ultima
via. Verso la fine del Settecento il palazzo divenne proprietà del conte Antonio Tanzi
che creò un piccolo museo contenente stampe, porcellane e quadri di notevole
importanza. Nel 1810 fu acquistato dal conte Francesco Nava (e non Tommaso,
come indica L. Negri nel suo libro I palazzi di Milano11), poi passò al figlio
Giovanni, ai Poldi-Pezzoli e infine ai Trivulzio, che erano imparentati con questi
ultimi.
Per questo motivo l’edificio oggi riporta sulla facciata la targa con
l’iscrizione “Palazzo Olivazzi – Trivulzio”.
Per descrivere dal punto di vista architettonico il palazzo riporto una pagina
dell’opera a cura di Giacomo Bascapè I palazzi della vecchia Milano12:
La semplice facciata, caratterizzata da un portale inserito in un immenso nicchione, contornato di
bugne di granito, ha una balconata d’angolo, di linea mossa e ed elegante, di pietra con splendidi
pannelli di ferro battuto a volute, foglie e fiori, uno dei più notevoli esemplari di barocco fiorito; il
disegno si ripete nei balconcini verso la Corsia del Giardino, che si appoggiano, come il balcone
d’angolo, su cartelle a fogliami di stucco, finemente modellate. […] Nella corte notarono il bel portico
ad archi ribassati, su colonne doriche binate di granito rosa, e al primo piano le belle finestre
sagomate, con timpani curvi e triangolari e balconi come nella facciata; di fronte all’ingresso una bella
fontana con statua di Cupido in marmo bianco.
Sotto l’androne a sinistra si apre un vestibolo a volta ribassata, che porta allo scalone d’onore, largo e
arioso come di consueto, su due rampe con elegante balaustra di pietra, volta decorata a stucchi; al
piano nobile una fuga di belle stanze arredate secondo i canoni della moda imperante.
Osservato il giardino, ricco di fiori rari e piante ornamentali, che confina e si fonde con quello di
Palazzo Porta […]13
1.2.1 Dubbi sull’indicazione del piano abitato da Clara Maffei
Fu proprio in questo palazzo che visse per trentasei anni, dal 1850 al 1886, anno
della sua morte, la contessa Clara Maffei, patriota e letterata italiana. E fu proprio qui
che aprì le porte della sua dimora per accogliere gli ingegni più illuminati del suo
tempo, creando uno dei salotti letterari più insigni dell’epoca.
Dalle ricerche effettuate è emersa una contraddizione circa il piano abitativo
della contessa. Secondo l’opera biografica a cura del giornalista Raffaello Barbiera14,
11
Livia Negri, I palazzi di Milano: dall'edilizia rinascimentale fino alle creazioni dell'architetura del
Novecento, arte, storia, aneddoti e curiosità dei grandi edifici della metropoli lombarda, Newton &
Compton Editore, Roma 1998.
12
Giacomo Bascapè, I palazzi della vecchia Milano, Ulrico Hoepli Editore, Milano 1977, opera cit.
13
Giacomo Bascapè, I palazzi della vecchia Milano, Ulrico Hoepli Editore, Milano 1977, pp. 249 250.
12
la Maffei abitò al secondo piano del palazzo; invece in un’altra fonte molto più
recente reperita presso il sito del Comune di Milano15, viene indicato come piano
abitativo della contessa il terzo. I dubbi relativi al piano nascono, secondo la nostra
ipotesi, dall’esistenza del cosiddetto “piano nobile”, nome che è stato dato, in epoca
recente, al piano superiore al pianoterreno. È chiamato così poiché in passato era
usuale che i nobili abitassero al primo piano, situazione molto più comoda e agevole
in mancanza di ascensori e montacarichi, nonché soluzione abitativa più luminosa
rispetto al pianterreno. Se supponiamo perciò, di chiamare “piano nobile” l’effettivo
primo piano, il secondo piano verrebbe chiamato “primo piano” e il terzo piano
“secondo”.
Tuttavia la dicitura “piano nobile” è recente, pertanto risulta difficile pensare
che contemporanei della Maffei, come il suo biografo Barbiera, abbiano potuto
utilizzarla. Pertanto quello che è da lui indicato come “secondo piano” dovrebbe
essere l’effettivo secondo piano e non il terzo, come indicato nell’altra fonte in
nostro possesso.
1.2.2 Breve storia delle modifiche architettoniche del palazzo (1814 - 1909)
È abbastanza difficile reperire notizie circa cambiamenti e modifiche di palazzi
privati, perché non sempre le pratiche si sono conservate nel tempo, tuttavia la nostra
ricerca ha avuto esito particolarmente positivo, in quanto siamo riusciti a reperire
fonti d’archivio sufficientemente numerose e interessanti.
Studiando le diverse
pratiche della Commissione d’Ornato presenti nell’Archivio storico del Comune di
Milano, è possibile ricostruire la storia dell’edificio in un arco di tempo di quasi
cento anni. La prima pratica relativa a Palazzo Olivazzi (indicato come edificio di
proprietà del nobile Francesco Nava) è infatti datata 1814, mentre l’ultima 1909. La
ricerca non si è spinta oltre perché abbiamo ritenuto opportuno analizzare i
cambiamenti che avvennero mentre era in vita Clara Maffei, e negli anni
immediatamente successivi alla sua scomparsa.
14
15
Raffaello Barbiera., Il salotto della contessa Maffei, Garzanti, Milano 1940
www.comune.milano.it/dseserver/WebCity/documenti.pdf
13
Nei primi anni del XIX secolo l’edificio era così come lo abbiamo descritto ma i
suoi proprietari fecero numerosissime domande di modifica di vario genere. La
prima cartella (1814-1817) è anomala: si tratta infatti di una richiesta di modifica di
una grondaia da parte del nobile Francesco Nava, seguita dall’approvazione della
Commissione. Successivamente però viene contestato al nobile di non aver
“solamente” sistemato la vecchia grondaia, quanto di averla rifatta completamente
senza alcun permesso comunale. Addirittura vengono interrogati due bottegai
dirimpettai del palazzo per testimoniare l’ardimentoso cambiamento, tale Giuseppe
Suardi, salsamentario, e
Gaetano Merlo, caffettiere. La vicenda della grondaia
modificata si chiude nel novembre 1817, con l’ingiunzione da parte del Podestà
verso il Nava a presentarsi presso il Municipio per pagare una qualche multa16;
questo a riprova dell’importanza che in quegli anni veniva data alla facciata esterna
Ingiunzione del Podestà a Francesco Nava
16
Interrogatorio a Giuseppe Suardi - particolare
Così riportato nella cartella 184/4 dell’anno 1814, ASCMi Fondo Ornato Fabbriche I serie.
14
delle costruzioni cittadine, quando anche la modifica di una grondaia, o, come
vedremo più avanti, del materiale con cui erano costruiti i davanzali, doveva essere
comunicata e approvata.
Le successive pratiche, a partire dal 1831, richiedono modifiche ogni anno, fino al
1834. Sono pratiche prive di disegni e piante in quanto riguardano la parte interna del
palazzo, pertanto non erano ritenute necessarie. Le richieste vanno dallo spostamento
di un camino alla costruzione di una bottega del vino17, all’ampliamento di due vani
sempre per aprire esercizi commerciali. Degna di nota è l’unica domanda di modifica
non accettata, quella del 1833-1834, in cui veniva richiesto l’abbattimento di un
balcone di bottega18, balcone che però faceva da sostegno ad un pilastro vetusto e
mal costruito19 e pertanto, togliendolo, avrebbe potuto causarne la caduta. La
Commissione Edilizia perciò, nonostante la grande importanza che dava
all’esteriorità degli edifici, si occupava anche della messa in sicurezza degli stessi.
Ancora piccoli cambiamenti negli anni 1836-1837, come costruzione di scale di
servizio, cambiamento del materiale con cui erano costruiti i davanzali (dal cotto si
passa al marmo) e ampliamento della stessa bottega del vino che era stata costruita
qualche anno prima.
È del 1839 invece la richiesta - con disegno allegato - del cambiamento della facciata
della parte di palazzo che affacciava su Corsia del Giardino 1220 (attuale Palazzo
Poldi Pezzoli, allora facente parte di un unico complesso architettonico).
17
Così riportato nella cartella 185/3 dell’anno 1832, ASCMi Fondo Ornato Fabbriche I serie
Così riportato nella cartella 185/4 dell’anno 1833, ASCMi Fondo Ornato Fabbriche I serie.
19
Ibidem.
18
15
Rifacimento facciata civico 1220 di Corsia del Giardino
È del 1842, quando ormai il proprietario era il figlio di Francesco Nava, Giovanni, la
modifica più importante: innalzamento di un terzo piano nel palazzo di Contrada dei
Bigli sia 1227 che 1231. Di questa domanda l’unico disegno in nostro possesso
riguarda l’innalzamento nella parte dell’attuale via Bigli 19; per vedere il
cambiamento nella parte di palazzo facente capo a via Bigli 21, è necessario guardare
una pianta del 1861.
16
Notifica innalzamento terzo piano, 1842
Facciata lato via Bigli e lato di via Manzoni, 1842
17
Facciata lato di via Bigli, 1861
Dal 1844 – anno in cui vennero proseguiti i lavori a seguito dell’innalzamento dei
piani – fino al 1907 non c’è traccia di altre pratiche. Possiamo desumere che quando
Clara Maffei si trasferì lì, nel 1850, il palazzo era sostanzialmente finito secondo le
norme della Commissione d’Ornato.
Le successive modifiche riguardano il biennio 1907-1909, mentre il proprietario era
il principe Luigi Trivulzio, durante il quale viene richiesto l’innalzamento del terzo
piano in via Bigli 19. Questa domanda di modifica ci fa giungere alla conclusione
che probabilmente la precedente richiesta del 1842 non venne poi eseguita nella parte
di via Bigli 19 ma solo in via Bigli 21. A differenza delle pratiche archiviate fino al
1861, in queste sono presenti anche le piante degli interni il che ci fa capire come
fossero cambiati i compiti della Commissione d’Ornato che difatti era ormai
diventata Commissione Igienico – Edilizia, a sottolineare che non contavano più
tanto le facciate degli edifici quanto la loro corretta e sana abitabilità.
18
Pianterreno Via Bigli, civico 19 – pianta
L’ultima modifica del palazzo è del 1909 e riguarda proprio via Bigli n°21. Si tratta
della richiesta – accettata – di sopralzo dell’edificio, quindi, sostanzialmente della
costruzione di un sottotetto. È possibile vedere le piante degli interni nonché i
disegni della facciata.
Come si nota dal cambiamento dei documenti da noi reperiti nell’Archivio, agli
inizi del XX secolo la Commissione igienico – edilizia chiedeva che venissero
presentate anche le piante degli interni in modo da visionare l’ampiezza dei locali, la
luminosità, i materiali con cui erano costruiti i pavimenti, la funzionalità delle stanze,
e, in particolare, della latrina, la quale era spesso motivo della non approvazione di
una domanda di ampliamento o modifica. Ricordiamo infatti che Milano era stata
diverse volte, nel corso della sua storia, colpita da epidemie di peste e di colera,
pertanto la Commissione aveva il compito di prevenire, tramite anche la corretta
disposizione dei locali delle case private, ulteriori pandemie.
19
Prospetto sezione con sopralzo, 1909
La parte esterna di Palazzo Olivazzi – Trivulzio divenne così quella definitiva,
visibile anche oggi. Tuttavia, analizzando la mappa dei danni della Seconda guerra
mondiale, siamo venuti a scoprire che il civico 21 venne completamente distrutto al
suo interno e il civico 19 in parte. Il palazzo è stato perciò interamente ricostruito nel
secondo dopoguerra quindi la suddivisione degli appartamenti così com’era ai tempi
di Clara Maffei non esiste più. Oggi l’appartamento dove probabilmente viveva la
contessa è stato suddiviso in più parti abitate da privati e non visitabili. Rimane il
balcone in ferro battuto ad angolo tra via Bigli e via Manzoni, dove si dice che Clara
Maffei si affacciasse per salutare Giuseppe Verdi mentre egli alloggiava nell’hotel di
fronte. Ma chissà se sarà poi vero … il balcone è al primo piano.
20
21
CAPITOLO II
La storia. Clara Maffei, la sua vita, i suoi incontri
22
2.1 Una breve biografia
Di Clara Maffei possediamo una quantità ragguardevole di notizie, tutte però
“indirette” poiché recuperate da descrizioni, diari e lettere di altre personalità di quel
tempo che la incontrarono o che si legarono a lei e al suo salotto. L’unica biografia in
nostro possesso è quella di Raffaello Barbiera, giovane letterato che, non ancora
ventenne, fu ospite assiduo di casa Maffei. La prima edizione della biografia è del
1895 (quasi dieci anni dopo la morte della Maffei) mentre l’ultima è del 1940.
Una biografia più recente è quella di Daniela Pizzagalli, pubblicata nel 1997.
Quest’opera si basa senza dubbio sull’opera di Barbiera e sui carteggi di Clara
Maffei con tanti altri illustri personaggi del Risorgimento (Carlo Tenca, Giuseppe
Verdi, Visconti Venosta…).
Gran parte delle notizie relative alla contessa e ai suoi incontri sono state recuperate
tramite queste opere, altre tramite i diari, le memorie e le lettere delle persone che la
incontrarono.
Francesco Hayez, Ritratto di Clara Maffei., 1845
23
2.1.1 Le origini
Chiara Elena Maria Antonia Carrara Spinelli, detta Clara o Claretta, nacque a
Bergamo Alta il 13 marzo 1814 dal conte Giovanni Battista, e dalla contessa Ottavia
Gàmbara, di Brescia. Ancora oggi è possibile vedere la casa natale, in via Arena, un
edificio appartenuto ai conti Vimercati Sozzi e poi ceduto al seminario.
La famiglia era discendente dei Carrara di Bergamo, precisamente dai Carra-Spinelli
di Clusone, luogo in cui Clara aveva un appartamento che fu “il salotto d’autunno”
degli amici più intimi, i soli a cui era riservata l’accoglienza in questa dimora.
Il padre di Clara, che Barbiera descrive come uomo bonario ma dal sentire
raffinato20, era un drammaturgo e letterato che lavorava come istitutore in famiglie
benestanti. Fu lui che insegnò alla figlia in che modo una gentildonna dovrebbe
accogliere in casa i propri amici, come si legge da una pagina di memorie di Clarina:
la libertà della buona conversazione non si gode dalle signore che in casa loro: se non che, per fruire
di così schietto passatempo, bisogna por giù quel sostenuto e contegnoso che a favellare non invita, e
mette quasi in soggezione colui che avrebbe voglia di conversare. Se la tua conversazione è pel
consorzio dell’amicizia e del merito, puoi sbandire da essa tutti quei riguardi che chiamansi
21
pregiudizi, i quali inceppano un conversare allegro e disinvolto .
«Tu ti chiami Chiarina in memoria della poetessa Chiara Trinali, madre mia»22,
diceva la madre di Clara alla sua unica figlia. Ottavia Carrara – Spinelli, nata
Gàmbaro, era figlia di un conte repubblicano nativo di Brescia, Francesco, che nel
1797 aderì alla Repubblica Cisalpina. Sua moglie fu una verseggiatrice della scuola
anacreontica di Vittorelli. Anche la poetessa Veronica Gàmbaro (Pralboino, 1485 –
Correggio, 1550) apparteneva alla casa materna di Calra Maffei. Possiamo perciò
azzardarci a dire che il gusto di Clara per l’arte e la letteratura ha radici in entrambi i
rami della famiglia, così come il suo spirito patriottico.
Ben presto il conte Carrara Spinelli e sua moglie Ottavia si separarono poiché
quest’ultima abbandonò la casa coniugale per andare a vivere con un tale Belli, suo
20
Raffaello Barbiera., Il salotto della contessa Maffei, Garzanti, Milano 1940, p.5
Ibidem
22
Ivi, p. 7.
21
24
amante. Pertanto Clara, ancora giovanissima, fu affidata dalla madre al collegio degli
Angeli di Verona. Clara, seppur colpita da notevoli dispiaceri famigliari, in una
lettera all’amico Giulio Carcano descrisse la sua infanzia come «la sola epoca non
infelicissima della mia vita»23.
Dopo la morte della madre, Clara, per volere del padre, si trasferì a Milano,
nell’istituto di educazione di Madame Garnier, che all’epoca era una scuola molto
rinomata frequentata dalle ragazze delle migliori famiglie milanesi. Clara tuttavia
non aveva un’ottima opinione dello “Stabilimento”, reputando ella stessa di aver
imparato poco di arte e letteratura: «nessuna […] è trascurata nella persona, forse
saremo un po’ ignorantine, ma almeno abbiamo il buon senso di saperlo d’essere»24 .
Clusone - Residenza estiva di Clara Maffei
23
Ivi, p. 9.
Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano, Mondatori,
Milano 1997, p. 7.
24
25
2.1.2 L’infelice matrimonio con Andrea Maffei e la nascita del salotto
Il padre si recava spesso a far visita a quell’unica figlia gracilina e le presentò un
giorno un bellissimo e raffinato giovane di trentaquattro anni, il poeta Andrea
Maffei. Clara, che all’epoca aveva solo diciassette anni e un cuore romantico, accettò
di sposarsi con Maffei, e così vennero ben presto celebrate le loro nozze nella chiesa
di Santa Maria alla Porta: era il 10 marzo 1832, tre giorni dopo Clara avrebbe
compiuto diciotto anni.
La coppia, tornata a Milano, si stabilì in Via Tre Monasteri che diventò, di lì a poco
tempo Via Monte di Pietà.
Ben presto Maffei si accorse di non essere votato al matrimonio e il rapporto tra i due
coniugi andava piano piano raffreddandosi. Resta celebre una sua massima che
andava sovente ripetendo agli amici: «il matrimonio è una cosa tanto seria che, prima
di incontrarlo, bisogna pensarci su tutta la vita!» 25.
La nascita di una bambina, Ottavia, in onore della madre di Clara, diede per poco
tempo l’illusione che l’unione tra i due si potesse consolidare. A soli nove mesi la
bambina morì, lasciando sprofondare Clara nella desolazione.
La contessa cadde in uno stato di depressione che le tolse il desiderio di uscire e di
seguire il marito nelle sue serate. Così, per stemperare la tristezza di Clara, sempre
più amici tra poeti e letterati si recavano a farle visita in casa. Fu in questo modo che
nacque il celebre salotto, la cui fondazione si può convenzionalmente fissare
nell’anno 1834.
Padrini dell’illustre salotto furono Tommaso Grossi, che pubblicò nello stesso anno il
suo romanzo Marco Visconti, e Massimo D’Azeglio, il bel giovane pittore e scrittore
il cui romanzo dell’anno precedente, Ettore Fieramosca, aveva riscosso grande
successo in tutta la società milanese.
Fra gli ospiti illustri dei primi anni del salotto possiamo nominare il pittore veneziano
Hayez, lo scrittore francese Honoré de Balzac, il musicista austriaco Liszt, Gorge
Sand accompagnata da Alphred de Musset e tanti altri.
25
Raffaello Barbiera , Il salotto della contessa Maffei, Garzanti, Milano 1940, p.11.
26
2.1.3 L’incontro con Carlo Tenca e la separazione legale
Intorno al 1843-44 entrò a far parte degli ospiti del salotto, Carlo Tenca26, allora
quasi trentenne. Egli, nonostante l’aspetto rude e spartano, divenne uno dei maggiori
animatori del salotto e si legò fin da subito a Clarina con una profonda amicizia tanto
che ella, nell’estate del 1844, lo invitò a soggiornare a Clusone, luogo riservato ai più
intimi tra gli amici di casa Maffei. In quei giorni probabilmente si svelarono i
reciproci sentimenti che erano evidentemente mutati da amicizia a qualcos’altro, e il
legame tra i due si consolidò maggiormente, come testimoniano una poesia di
carattere allusivo di Carlo a Clara:
[…] Sotto al folto delle zolle
Luce e tace l’umil fior
[…]
Spesso il cor così profonde
Le sue cure a ignota dama
Ma l’affetto in sé nasconde
27
Nulla chiede all’altrui cor.
e due lettere in cui si riscontra il passaggio dal “Lei” al più confidenziale “Voi”: «Io
penso pur sempre a quelle dolci veglie, in cui rinacqui con voi alla poesia della vita e
gustai l’intera pienezza del sentimento …»28.
Andrea Maffei non poté non accorgersi del turbamento di Clara dopo che fu
tornata dal soggiorno a Clusone, tanto più che il contrasto tra le idee patriottiche di
lei e il conservatorismo di lui li allontanava sempre più e «una crescente inquietudine
invadeva lo spirito della contessa. Nello stesso tempo ella sentiva sempre più una
26
Carlo Tenca (Milano 1816 – ivi 1883) fu letterato, giornalista e patriota italiano. Di famiglia umile,
cominciò i suoi studi in Seminario abbandonandolo però per dedicarsi a dare lezioni private e
mantenersi così all’università. Collaborò all’«Italia musicale», al «Corriere delle Dame» e dal 1841
alla «Rivista Europea», della quale divenne direttore nel 1845. Dopo le Cinque giornate diresse il
«Ventidue marzo», organo di governo provvisorio, che lasciò perché egli, mazziniano, era contrario
alla fusione della Lombardia col Regno di Sardegna. Successivamente però si staccò dal partito di
Mazzini e divenne portavoce degli ideali cavouriani anche e soprattutto presso il salotto Maffei, luogo
dove trovò numerosi seguaci. Con la nascita dello Stato italiano divenne deputato della cosiddetta
Destra storica e lo fu dal 1860 al 1880, anno in cui, per gravi motivi di salute, si dimise.
27
Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano, Mondatori,
Milano 1997, p 34.
28
Raffaello Barbiera, cit. , p. 109.
27
forza invincibile che l’allontanava dal marito».
29
Clara, spinta anche
dall’intransigenza di Tenca e dal suo disprezzo per ogni compromesso, si decise a
non voler più continuare la convivenza, seppur di facciata, col marito, e si adoperò
per effettuare la separazione da Andrea Maffei. Con un decoroso e moderato atto
notarile stilato dall’amico e notaio Tommaso Grossi, il 16 giugno 1846, con la
testimonianza di Giulio Carcano e Giuseppe Verdi, fu sancita la separazione legale
tra i coniugi Meffei – Carrara Spinelli.
Carlo Tenca, ritratto
2.1.4 Una nuova vita, un “nuovo” salotto
Clara, rimasta sola, trovò casa in corsia dei Giardini (attuale Via Manzoni), al primo
piano del numero 46 e fece proseguire le serate nel suo salotto, accantonando, per
volere di Tenca, le frequentazioni mondane per dedicarsi ad ospitare nomi legati alla
cospirazione politica.
Nel 1847 a causa del bollente clima politico, molti milanesi ritennero
opportuno rifugiarsi in Svizzera e tra loro anche Carlo Tenca che Clara decise di
29
Ivi, p. 111
28
seguire, accompagnata dalla madre di lui. Al rientro a Milano, nel 1850, Clara si
installò in un nuovo appartamento, al secondo piano di un elegante palazzo
settecentesco in via Bigli 21. Riprese le riunioni nel suo salotto e da allora non le
interruppe più. Tuttavia nel corso degli anni ’50-’60 Clara perse molti amici che
morirono o vennero imprigionati perché sostenitori della causa italiana. Ricordiamo
tre nomi fra i tanti: Emilio Dandolo, per la cui vedova Clara si prodigò
molto,Giuseppe Finzi e Carlo Lazzati arrestati in seguito alla cospirazione di
Mantova. È in questi anni che si assiste all’ardente patriottismo di Clara Maffei che
ospitò nel suo salotto sempre più riunioni politiche con ospiti illustri che sarebbero
diventati, di lì a pochi anni, i padri dell’Italia unita. «In casa Maffei […] certo le spie,
né maschi, né femmine, in nessun modo poteano aver adito. Vi erano ammessi solo
uomini di fede provata, e le poche signore che amavano fortemente, come la contessa
Maffei, la patria».30
Nel 1860, con la liberazione di Milano dagli austriaci, il salotto Maffei, avendo
raggiunto il suo scopo di ritrovo per congiurati per la libertà31, ritornò ad essere il
salotto dei primi anni, mantenendo però il suo spirito patriottico.
30
31
Ivi, p.170
Ivi, p. 250
29
Interno del salotto di via Bigli
Dalle idee mazziniane, e quindi repubblicane, dei primi anni del salotto, molti amici,
Carlo Tenca in primis, si avvicinarono ad una concezione monarchica del nuovo
stato italiano, e alle idee di Cavour, certamente più liberali e moderate.
Con la nascita dello Stato italiano e le prime votazioni, Carlo Tenca venne eletto
come membro del Parlamento e costretto a trasferirsi a Torino, successivamente a
Firenze e infine a Roma, proseguendo sempre la sua carriera politica facendo parte
del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.
Da allora Clara e Carlo
inizieranno una corrispondenza destinata a protrarsi per lunghi anni, dettata dal loro
profondo amore costretto alla lontananza forzata.
2.1.5 Gli ultimi anni
Nel corso degli anni le riunioni serali nel salotto della contessa Clara continuarono ed
ella, oltre a coltivare amicizie consolidate come quella con Giuseppe Verdi e la
famiglia Viola, incontrò nuovi illustri personaggi: Giannina Milli, Ippolito Nievo,
Camillo e Arrigo Boito, Emilio Praga, Giosuè Carducci, Giovanni Verga e tanti altri.
Tuttavia aleggiava in Clara un’ombra di solitudine e certamente la lontananza da
Tenca e da altri amici contribuiva alla sua malinconia, come ella stessa scrive in una
lettera all’amica Maria Carcano, figlia di Giulio: «la mia società va languendo e direi
spegnendosi»32 scrive la Maffei a Maria Carcano, figlia di Giulio. E Barbiera
aggiunge poi che «la contessa si sente stanca […] le perdite dolorose d’amiche e
d’amici carissimi le riempiono il cuore di lagrime; e un velo di tristezza scende nel
salotto, che finisce…»33, consolidando così la nostra idea che il salotto andava via
via perdendo il suo prestigio e Clara stava diventando consapevole di questo declino.
Nota positiva degli anni della vecchiaia di Clara fu la riappacificazione con Andrea
Maffei, a cui fu sempre legata da profondo affetto.
Nel 1879, iniziò una crisi parlamentare per la Destra e Tenca iniziò a scrivere a Clara
lettere in cui assicurava che non sarebbe stato rieletto e avrebbe potuto perciò tornare
32
33
Ivi, p. 235
Ibidem.
30
a Milano. Il 12 febbraio di quell’anno Carlo fu colto da malore mentre si trovava alla
Camera, e da allora la sua salute iniziò un lento deterioramento. Clara di demoralizzò
molto a causa della malattia di Carlo, tant’è vero che scrisse a Verdi, il 2 maggio: « è
vero che i tempi sono tristissimi sotto ogni rapporto, e se vi si aggiungono poi
dispiaceri particolari il peso diviene schiacciante.»34 ma continuò ad assisterlo nella
sua malattia, fatto salvo qualche periodo di riposo a Clusone, fino al giorno della
morte che avvenne il 4 settembre 1883. Solo tre anni dopo, Clara si ammalò di
meningite: era il mese di giugno del 1886. Il decorso della malattia fu molto rapido e
nell’arco di due settimane la contessa entrò in coma. Morì nel pomeriggio del 13
luglio e, per ironia della sorte, molti amici mancarono al funerale poiché si trovavano
già in villeggiatura. Venne sepolta presso il cimitero Monumentale dove, nel 1888,
l’amico Emilio Bignami Sormani fece porre e inaugurare una lapide (oggi distrutta)
che recava la seguente epigrafe:
A – CLARA MAFFEI – che nata ad amare a compatire a perdonare – pure trovò nella sua devozione
alla Patria – l’energia dello sdegno l’ardire della lotta – e tutta accesa nel desiderio del bene –
custodì fino all’ultimo immutati – gli entusiasmi della Fede dell’amicizia della pietà – le amiche gli
35
amici l’erede – con memore affetto questo ricordo – posero.
34
Arturo Di Ascoli (a cura di), Quartetto milanese ottocentesco. Lettere di Giuseppe Verdi,
Giuseppina Strepponi, Clara Maffei, Carlo Tenca e di altri personaggi del mondo politico e artistico
dell’epoca, Archivi Edizioni, Roma, 1974, p. 379
35
Raffaello Barbiera, cit., p. 341.
31
Clara Maffei, ritratto
2.2 L’importanza degli incontri
Nel suo salotto Clara Maffei incontrò numerosissimi personalità di spicco di quegli
anni:
«Nel celebre crocchio delle contessa Maffei, tutte le arti hanno ormai delle tradizioni, perché da quasi
mezzo secolo quei due salottini […] hanno ospitato tutte le notorietà italiane e tutti gli stranieri distinti
36
che sono venuti a Milano», scrive il romanziere Roberto Sacchetti» .
E in effetti furono davvero tantissimi gli uomini e le donne che Clara ebbe la fortuna
di legare a sé: da patrioti a letterati, da musicisti a pittori, da poetesse a romanzieri.
Con alcuni di essi intesse una relazione fatta di lettere, altri invece ne scrissero nelle
loro memorie.
È purtroppo impossibile fare qui una descrizione accurata delle relazioni della
Maffei con tutti questi uomini illustri, si è scelto pertanto di limitare il campo di
ricerca su tre aspetti particolari (la politica, la letteratura e la musica) e sui legami tra
Clara e un personaggio appartenente ad ognuna di queste “categorie”.
36
Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano, cit., p. 297.
32
2.2.1 La politica: Clara Maffei, Giovanni Visconti Venosta e i patrioti italiani
Giovanni Visconti Venosta, di antica e nobile famiglia valtellinese, nacque a Milano
nel 1831, più giovane di quasi tre anni dell’altrettanto celebre fratello Emilio.
Educato nel migliore istituto privato di Milano, quando il padre morì fu affidato,
insieme al fratello maggiore, al patriota Cesare Correnti, uno degli ingegni più vivaci
del tempo, già ospite del salotto Maffei. Giovanni venne introdotto presso la contessa
nel 1850 da suo fratello Emilio e, come egli stesso ci narra nelle sue memorie: «la
mia soggezione fu grande; ma la contessa mi accolse con un’affabilità tanto
disinvolta e amorevole […] che mi parve di esserle amico da un pezzo»37. Non è un
mistero la spiccata benevolenza di Clara Maffei nei confronti di tutti i suoi ospiti, a
par misura. Col giovane Giovanni poi, si legò in modo particolare anche forse per il
fatto che fu proprio nella sua dimora, in una delle piacevoli riunioni serali, che
Visconti Venosta conobbe la contessa Laura d’Adda, con la quale si sposò. Egli
dedica alla Maffei una cospicua parte del XII capitolo della sua autobiografia Ricordi
di gioventù38, lodandola per il suo patriottismo e il suo affetto nei confronti degli
amici, tant’è vero che «da allora, finché visse, non passò giorno, quand’ero a Milano,
che di giorno o di sera, foss’anche per pochi minuti, non facessi la mia visita alla
contessa Maffei».39
La testimonianza lasciataci da Giovanni Visconti Venosta è importantissima dal
momento che mostra da un lato il cambiamento dell’entourage del salotto, e
dall’altro il mutamento di indirizzo politico non solo di Clara Maffei, ma anche di
numerosi suoi affezionati. Dal 1849 al 1859, il salotto di casa Maffei diventa infatti
il ritrovo dei luminari del Risorgimento, e anzi, come scrive lo stesso Visconti
Venosta: «da quel salotto elegante e intelligente si irradiava una luce, e direi quasi
una volontà direttiva di azione patriottica, che ebbe una grande influenza morale in
quegli anni, difficili e duri, della resistenza»40. Queste parole
sono la prova
dell’importanza dei ritrovi presso casa Maffei, i quali furono, con ogni probabilità,
determinanti nello sviluppo della storia dell’Unità d’Italia.
37
Giovanni Visconti Venosta, Ricordi di gioventù, Rizzoli Editore, Milano, 1959, p.138
Ivi, p. 140.
39
Ibidem
40
Ibidem
38
33
Ed è infatti proprio di quegli anni, precisamente del 1849-50 la fondazione del
settimanale politico «Il Crepuscolo» di Carlo Tenca, giornale sovversivo su cui
scrissero personalità di spicco e cari amici di Clara, come Cesare Giulini, Tullio
Massarani, Cesare Correnti, Eugenio Camerini, Emilio Bignami Soriani, Giuseppe
Zanardelli e tanti altri, oltre naturalmente ai due fratelli Visconti Venosta. Il primo
numero de «Il Crepuscolo» fu del 6 gennaio 1850.
A quell’epoca esistevano
numerose riviste politiche che più o meno ogni settimana descrivevano i fatti
avvenuti a Milano e in Austria, suscitando clamore e censura. Il giornale di Tenca,
nobile e rigido41 come il suo direttore, scelse una via alternativa: il silenzio. Così
ogni settimana veniva pubblicata una rivista di carattere ampiamente divulgativo
(c’erano articoli di arte e letteratura, scienza e igiene, architettura e urbanistica…),
senza che si facesse alcun cenno agli avvenimenti politici locali; «questo silenzio che
non poteva essere incriminato, fu la continua protesta del Crepuscolo»42.
Di quell’anno fu anche un cambiamento di pensiero da parte di alcuni patrioti, tra cui
Tenca e i Visconti Venosta che, da accesi repubblicani, assunsero un atteggiamento
spiccatamente più moderato «che si adoperava per tener vivo il sentimento nazionale
attraverso la diffusione di studi e pubblicazioni»43.
Giuseppe Mazzini, che Clara aveva conosciuto nel 1849, restando alquanto delusa
dall’incontro, si muoveva verso un’altra soluzione: auspicava per il 6 febbraio 1853,
ultima domenica di carnevale, un’insurrezione popolare che, partendo da Milano si
sarebbe irradiata in tutta la penisola. Inutilmente diversi patrioti avevano cercato di
dissuaderlo, persuasi dell’infattibilità della mossa, anche grazie alle riunioni politiche
nel salotto Maffei. L’insurrezione in effetti si rivelò un clamoroso insuccesso di
pochi ma il giorno successivo gli austriaci si accanirono con ferocia su Milano,
chiudendo le porte delle città e istituendo dure limitazioni. Gli amici di Clara non
avevano aderito alla cospirazione mazziniana, eppure vennero ricercati dalla polizia e
De Cristoforis, addirittura, si risolse a scappare dalla città meneghina travestito da
cocchiere. Altri amici del salotto, meno fortunati, erano in prigione a Mantova
41
Ivi, p. 140.
Ibidem
43
Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano, cit., p. 71.
42
34
dall’anno prima, in seguito alla delazione di Luigi Castellazzo44. Si trattava di
Giuseppe Finzi e Antonio Lazzati, per il quale era stata prevista come pena
l’impiccagione. Visconti Venosta ci racconta nel suo diario di gioventù il ricordo
relativo a quest’ultimo:
«Lo vedevo ogni sera dalla contessa Maffei, ov’egli metteva sempre nella conversazione una gaiezza
che pareva in contrasto col suo aspetto severo […]. Lazzati temeva, fuggendo, di svegliare i sospetti
della Polizia e di compromettere maggiormente alcuni amici. Quell’esitazione gli fu fatale: due giorni
45
dopo veniva arrestato.» .
In seguito ai fallimenti dell’insurrezione del 6 febbraio e alla scomparsa di diversi
amici, molti affiliati del salotto Maffei decisero di abbandonare per sempre i sistemi
della cospirazione per abbracciare l’idea cavouriana di alleanza col Piemonte e con il
re Vittorio Emanuele II: «gli amici di lei , dopo il 6 febbraio, l’avevano rotta con
Mazzini […] e ora, vagando in un repubblicanismo ideale, aspettavano di scorgere la
nuova spiaggia a cui approdare»46. È lo stesso Visconti Venosta a sottolineare il
cambio di indirizzo politico della Maffei: «essa che in passato aveva circondato
d’ogni suo ideale Mazzini, ora, disillusa, principiava a idealizzare il Re […] e
diffondeva intorno a sé la nuova fede che l’animava, coll’entusiasmo e l’attrattiva
della sua anima eletta e gentile»47.
L’attività de «Il Crepuscolo» cessò il 25 dicembre 1859, poiché ormai si
respirava un’aria nuova, dovuta al recente clima di liberazione di Milano
dall’oppressione austriaca48. Gli amici che prima si erano riuniti intorno a Tenca
nella redazione del settimanale, si ritrovarono a creare un nuovo giornale, «La
Perseveranza» (il nome deriva motto dei patrioti lombardi). Tenca si sentì in un certo
senso “tradito” dai suoi colleghi ma gli era ben chiara l’importanza della novità della
rivista: non era più utile
un giornale
che facesse del silenzio la sua potenza
44
Luigi Castellazzo (Pavia, 1827 – Pistoia, 1890) fu un patriota, ufficiale garibaldino e politico
italiano. Segretario del Comitato centrale, arrestato dalla polizia austriaca nel 1851, fece il nome di
diversi cospiranti del Comitato mantovano che vennero imprigionati e uccisi.
45
Giovanni Visconti Venosta, Ricordi di gioventù, Rizzoli Editore, Milano 1959, p. 155
46
Daniela Pizzagalli, Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano, Mondatori, Milano 1997,
p. 77.
47
Giovanni Visconti Venosta, cit., p. 155
L’11 luglio 1859, con la Pace di Villafranca, da cui erano stati esclusi i Piemontesi, Francesco
Giuseppe acconsentì a concedere la Lombardia, eccetto Peschiera e Mantova, a Napoleone III, il quale
a sua volta la cedette a Vittorio Emanuele II, re del Regno di Sardegna.
48
35
sovversiva, tuttavia non aderì al progetto. La decisione di fondare «La Perseveranza»
non allontanò gli abitués del salotto da casa Maffei, anzi in quegli ultimi mesi si era
intensificata la presenza di alcuni amici che erano ritornati dall’esilio in Svizzera. In
ogni caso, l’unico che decise di non affiancarsi a Giulini, a Correnti e a tutti gli altri
nella pubblicazione de «La Perseveranza», fu proprio Giovanni Visconti Venosta.
Secondo quanto leggiamo nella sua biografia, lo fece per un segno di riconoscenza
nei confronti di Tenca: «gli amici insistettero perché io assumessi una parte fissa e
costante nella redazione ma per diverse ragioni, e specialmente per una, non
acconsentii:questa era il riguardo che volevo usare personalmente a Carlo Tenca»,
ma non è difficile pensare che anche la benevolenza di Clara e la sua generosa
amicizia abbiano influito sulla decisone del giovane Venosta.
Giovanni Visconti Venosta, ritratto
2.2.2 La letteratura: Clara Maffei e Giannina Milli
Clara Maffei incontrò nel suo salotto illustri letterati: Honoré de Balzac, Niccolò
Tommaseo, Ippolito Nievo, Alessandro Manzoni e tanti altri. La scelta di raccontare
della sua amicizia con Giannina Milli è stata dettata dal desiderio di approfondire la
vita di figure femminili nel periodo del Risorgimento, figure che oggi risultano
pressoché dimenticate. E Giannina Milli fa appunto parte di questa schiera. Fu un
personaggio importante di quegli anni: improvvisatrice della redenzione italiana49, si
49
Raffaello Barbiera, Diademi. Donne e madonne dell’Ottocento, Garzanti Editore, Milano 1940 p.
315
36
prodigò per la causa dell’unità d’Italia portando nei teatri della penisola odi in onore
di Garibaldi e Cavour diffondendo così il sentimento nazionale. Purtroppo, essendo
Giannina un’improvvisatrice di odi, non sono rimaste molte testimonianze scritte dei
suoi versi, se non raccolte da qualche bravo e attento uditore e stenografo. È lo stesso
Barbiera nel suo Diademi. Donne e madonne dell’Ottocento50, nel capitolo dedicato
alla Milli, a dirci che i volumi, pubblicati a suo tempo dall’editore fiorentino Le
Monnier, sono quasi introvabili51.
La sua prima raccolta di 49 componimenti venne reputata dalle autorità un “libro
proibito” in quanto erano presenti contenuti che inneggiavano alla repubblica e alla
liberazione dall’oppressore straniero. La stessa Milli, secondo le parole di Oreste
Raggi «veniva accusata [… ] e minacciata di prigionia»52 e fu costretta a bruciare
tutte le copie dell’opera in suo possesso.
Nel 1850 ottenne il "certificato di buona condotta religiosa e morale", indispensabile
per poter viaggiare liberamente per l’Italia. Si recò prima a Portici e poi a Napoli
dove soggiornò fino al 1857. Successivamente si recò a Roma, Ferrara, Firenze,
Siena e, il 31 dicembre 1859, si ritrovò a festeggiare l’ultimo dell’anno al secondo
piano di via Bigli 21, ospite di Clara. Raffaello Barbiera ci descrive questo momento
come memorabile: si celebrava infatti il primo anno della redenzione italiana53 e
Giannina fu invitata da tutti gli ospiti del salotto ad improvvisare dei versi sulla
libertà di Milano. «Appena finito l’ultimo verso, prorompono gli applausi. La
poetessa singhiozza di commozione […] la contessa le bacia la fronte infocata.»54,
così la Milli, descritta da Barbiera come una donna sensibile e molto modesta
nonostante la sua evidente genialità, venne confortata dall’abbraccio affettuoso e
incoraggiante di Clara, alla quale, da allora, tributò una tenerezza filiale. Le due
donne in effetti rimasero in contatto epistolare per tutta la durata della loro vita e le
lunghe descrizioni dell’andamento del neonato stato italiano sono la preziosa
testimonianza del fervore patriottico che infiammò entrambe. In particolare Giannina
50
Opera cit.
Opera cit. p. 317
52
www.storia.unina.it
53
Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei, cit., p. 239
54
Ivi, p. 240
51
37
scriveva a Clara della difficile situazione in cui versava il Sud Italia, essendo tornata
a Napoli dopo l’Unità d’Italia:
«gli uomini che più si credevano adattati a riordinare l’amministrazione sconvolta, ed ad attuare il
regime costituzionale in questi paesi, son riusciti non ad altro che a scadere dall’opinione pubblica di
55
cui godevano; il Re stesso si è mostrato tutt’altro che popolare qui».
Altra circostanza importante che legò le due amiche (addirittura Giannina nelle sue
lettere chiama Clara mammina) fu la presentazione di Manzoni alla giovane Milli, da
parte della contessa, sempre nel 1860. All’epoca Manzoni era venerato come il più
insigne tra i romanzieri e poeti e per Clara Maffei costituiva un vanto conoscerlo
intimamente e poterlo presentare agli amici più stretti. Anch’egli fu colpito dalla
bravura della giovane poetessa abruzzese tanto che disse: «e pensà che mi, per fà ona
strofa sola, ghe metti tri giornad, e poeu sont amalaa!»56 e le regalò una sua stampa
autografata. Giannina, molto riconoscente a Clara, anche anni dopo ricorderà nelle
sue lettere questo incontro:
«Grazie, mille affettuose grazie […] del dono preziosissimo che mi avete inviato in quei fiorellini che
il nostro incomparabile Manzoni colse per voi […] voi baciategli la mano per me, e ditegli ch’io prego
57
Iddio riversi sul suo capo venerando tutto il bene che ha fatto all’Italia con le sue opere…»
Nel frattempo le attività della Milli proseguivano: nel 1862 uscì a Firenze, per
l’editore Le Monnier, un’altra raccolta di poesie chiamata appunto Poesie; nel 1865
fu nominata dal Ministro della Pubblica Istruzione Ispettrice delle scuole normali ed
elementari e nel 1872 fu chiamata a Roma a dirigere la Scuola Normale superiore
femminile. Importante fu quindi anche il suo lavoro come educatrice e pedagoga,
come ci mostrano alcuni atti di convegni a cui partecipò. Negli anni che trascorse
lontano da Milano non dimenticò mai di scrivere alla sua cara amica Clara,
aggiornandola costantemente sulla sua vita e chiedendole di lei e di Tenca,
supportandola anche nella difficile circostanza di vivere a distanza l’amore con
Carlo.
55
Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano, Mondatori,
Milano 1997, p. 111.
56
Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei, cit., p. 240
57
Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano, cit., p. 128
38
Ironia della sorte, le due donne condivisero anche un altro aspetto importante
delle loro vite: la malattia dei loro compagni. Giannina Milli che si era sposata con il
provveditore agli studi Ferdinando Cassone, lo vide spegnersi lentamente in una
malattia che lo rese infermo per lunghi anni, e nonostante il dolore ella continuò a
ripetere: «Dio me l’ha dato e ora più che mai non devo lasciarlo!».58
Qualche anno dopo, morì anche Clara, ma Giannina fece in tempo a mandarle
un ultima lettera di auguri per il nuovo anno, lettera in cui da’ segno di non essersi
dimenticata della mammina, della sua amica di una vita: «Dio vi renda centuplicato il
bene che a me vorreste concesso […] Oh quant’è lontano il tempo in cui mi
sgorgavan dal cuore, più che dal labbro, le fervide armonie impensate! Quelle che
voi ricompensavate di baci e lagrime affettuose!»59. E nemmeno Clara si dimenticò
di lei, difatti la citò nel suo testamento, volendo lasciare a lei, così come a pochi altri
amici di una vita, un oggetto, un quadro o un gioiello che potesse conservare il
ricordo della loro amicizia.
Giannina Milli, ritratto
58
Raffaello Barbiera, Diademi. Donne e madonne dell’Ottocento, Garzanti Editore, Milano 1940, p.
325
59
Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano, Mondatori,
Milano 1997, p. 310
39
2.2.3 La musica: Clara Maffei e Giuseppe Verdi
Fu nel 1842 che Clara Maffei conobbe Giuseppe Verdi.
Verdi, nato a Roncole - vicino Piacenza - nell’ottobre 1813, da famiglia molto utile,
poté iniziare i suoi studi come musicista e compositore grazie alla benevolenza di
alcuni persone (l’organista della chiesa paesana e il direttore della locale società
filarmonica) che lo presero a cuore. Trasferitosi a Milano tentò inutilmente di farsi
ammettere al Conservatorio. La sua prima opera Oberto, Conte di San Bonifacio
andò in scena alla Scala nel 1839 e ottenne un discreto successo. Ma il compositore
divenne celebre proprio nel 1842: il 9 marzo infatti, al Teatro La Scala, ci fu la prima
dell’opera biblica Nabucco che ottenne un memorabile trionfo. Andrea Maffei,
presagendo il genio che sarebbe diventato poi Verdi, si adoperò per stringere un
sodalizio d’arte col Maestro e per questo motivo lo invitò presso la propria dimora.
Verdi, di animo chiuso e riservato, fu abbastanza riluttante a presentarsi all’incontro
ma, fin dal primo momento in cui entrò in casa Maffei, strinse con Clara un’amicizia
che durò quarantaquattro anni e che finì solamente con la morte di lei.
Qualche anno dopo Giuseppe Verdi e la contessa, vedendosi sempre meno
spesso, cominciarono a scriversi lettere (la prima in nostro possesso è datata 13
agosto 1845). Le prime contengono soprattutto notizie relative alla folgorante
carriera di Verdi, le successive includono anche cenni sull’andamento della propria
quotidianità e sulle questioni dell’unità d’Italia. In particolar modo Clara chiedeva
notizie al Maestro quando egli si trovava all’estero, probabilmente per avere un
quadro più ampio della situazione nazionale:
«Vuol sapere l’opinione di Francia sulle cose d’Italia? […] chi non è contrario è indifferente:
aggiungo di più che l’idea dell’Unità italiana spaventa questi uomini piccoli […] la Francia non
interverrà colle armi certamente […]. Qui arrivano diplomatici italiani da tutte le parti: anche ieri
Tommaseo; non riusciranno a nulla; pare impossibile che sperino ancora nella Francia. In una parola:
60
la Francia non vuole l’Italia nazione.»
La corrispondenza Verdi-Maffei possiede un enorme valore storico poiché mette in
luce le sensazioni e impressioni di persone che vissero con trepidazione e grandi
aspettative l’unità d’Italia. Inoltre ciò che ci preme far notare è che l’incontro di
60
Lettera di Giuseppe Verdi a Clara Maffei, datata Parigi, 24 agosto 1848. Tratta da Quartetto
Milanese Ottocentesco, p. 91.
40
Giuseppe Verdi con Clarina Maffei e quindi con tutti gli altri ospiti e amici del
salotto, fu importante per le opere stesse di Verdi che subirono, in un certo senso,
l’influenza dei personaggi che ebbe modo di incontrare nel salotto della contessa.
Primo fra tutti fu sicuramente Giulio Carcano61, conosciuto anch’esso nel 1842
proprio per mezzo di Clara, come ci narra Barbiera: «Giulio Carcano, col quale in
quello stesso anno si incontrò presso la contessa, imparò ad amarlo, riamato da
un’amicizia indissolubile».62 I due, a causa del legame che li univa ad entrambi i
coniugi Maffei, fecero anche da testimoni alla separazione tra Clara e Andrea e, in
questa occasione, furono particolarmente vicini alla contessa come testimonia un
bigliettino di Verdi a Clara: « A momenti presenterò a Maffei le carte e farò in modo
che vengano accettate. Verrò al più presto da Lei. Si faccia coraggio […]»63. L’anno
successivo furono entrambi invitati da Clara a trascorrere la lunga pausa estiva
presso Clusone, villeggiatura molto gradita a Verdi tanto che la lodò esplicitamente
in una lettera del 14 novembre 1847: « ma lo dissi: Clusone è l’Eden64… L’assicuro
che io non sono mai stato così bene quanto in quei giorni »65 e fu in quei giorni che
discorsero dei drammi di Shakespeare e sulla possibilità di metterli in musica. E
infatti proprio nel 1847 Verdi presentò a Firenze la sua prima del Macbeth, su
libretto del Piave (ma con un numero cospicuo di aggiustamenti da parte di Andrea
Maffei), mentre Carcano fece pubblicare la sua traduzione italiana dell’opera del
drammaturgo inglese.
A Verdi piacque molto la collaborazione con Andrea Maffei, tanto che si fece
scrivere da lui il libretto per la sua nuova opera I Masnadieri, e a Clara in una lettera
ne parla così: «le dico che non è mai stato scritto un più bel libro! Quelli di Romani
61
Giulio Carcano (Milano, agosto 1812 – Lesa, aprile 1884), fu un politico, scrittore e traduttore. Di
famiglia nobile, partecipò alle Cinque Giornate di Milano a seguito delle quali fu costretto a rifugiarsi
in Svizzera. Tornato poi in Lombardia, ottenne svariati incarichi pubblici e nel 1876 venne eletto
Senatore. Grazie alla traduzione completa delle opere di Shakespeare, ottenne la nomina di
vicepresidente onorario della “Shakespeare Society” di Londra.
62
Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei, Garzanti, Milano 1940, p. 82.
63
Lettera di Giuseppe Verdi a Clara Maffei, datata giugno 1846. Tratta da Quartetto Milansese
Ottocentesco, p. 48.
64
In corsivo nel testo originale.
65
Arturo Di Ascoli (a cura di), Quartetto milanese ottocentesco. Lettere di Giuseppe Verdi,
Giuseppina Strepponi, Clara Maffei, Carlo Tenca e di altri personaggi del mondo politico e artistico
dell’epoca, Archivi Edizioni, Roma, 1974, p. 44
41
sono un nulla a confronto. Basti dire che Maffei è il primo verseggiatore italiano […]
».66
L’amicizia tra la Maffei, Verdi e Carcano proseguì negli anni, e Barbiera ci
informa che la contessa si premurava di avvisare Carcano ogni volta che Verdi
passava da Milano e faceva in modo che tutti si incontrassero presso il suo salotto
nelle prime ore serali, quando la casa era aperta esclusivamente per gli andeghée67 –i
parrucconi-, nomignolo meneghino che Tenca diede agli amici più intimi. E spesso
gli andeghée si abbandonavano al gioco delle carte in cui primeggiava proprio
Verdi.68
Verdi dovette parlare tanto bene di Clarina che la sua compagna, Giuseppina
Strepponi69, volle conoscerla di persona e l’incontro tra le due donne avvenne nel
maggio 1867. Negli anni successivi Clara si rivolgeva spesso a Giuseppina,
soprattutto quando Verdi era troppo assorbito dal lavoro, e le due costruirono una
solida amicizia minata poi -una decina di anni dopo- dalla gelosia della stessa
Strepponi per la cantante preferita da Verdi, Teresa Stolz70, per la quale Clara aveva
sempre parole d’affetto e con la quale intrattenne ottimi rapporti presso il proprio
salotto; tutto ciò probabilmente infastidì Giuseppina, tanto da raffreddare in modo
repentino i suoi rapporti con la contessa: ormai le sue lettere si limitavano a brevi
parole di auguri per le ricorrenze particolari. Era ormai solo Verdi a dare notizie di
entrambi all’amica.
C’è inoltre un tardivo ma non meno importante incontro di Verdi con un ospite
del salotto di casa Maffei: si tratta di Arrigo Boito71, conosciuto da Clara nel 1863
insieme ad altri due nomi della Scapigliatura italiana: Emilio Praga e Franco Faccio.
66
Ivi, p. 64
Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei, cit., p. 85
68
Ibidem.
69
Giuseppina Strepponi, all’anagrafe Clelia Maria Josepha Strepponi (Lodi, settembre 1815 –
Sant’Agata di Villanova sull’Arda, novembre 1897), fu una cantante soprano. Figlia di musicisti,
studiò presso il Conservatorio di Milano. Fu la seconda moglie di Verdi che era rimasto vedovo di
Mergherita Barezzi. Cantò per numerosi compositori, da Luigi Ricci a Gioacchino Rossini, ma
soprattutto fu l’interprete maggiore del Nabucco e dell’Ernani di Verdi.
70
Teresa Stolz (Elberkostelez, Repubblica Ceca giugno 1834 – Milano, agosto 1902) è stata una
cantante soprano di spicco. Debuttò con l’opera verdiana Giovanna d’Arco, nel 1865. Fu legata a
Verdi da amicizia profonda che, forse, sfociò in una relazione amorosa.
71
Arrigo
Boito (Padova, febbraio 1842 – Milano, 10
giugno 1918)
è
stato
un letterato, librettista e compositore italiano.
67
42
Inizialmente contrari alla tradizione musicale verdiana, i tre amici osannavano la
nuova musica di Wagner, ma ben presto, volendosi trasferire a Parigi in cerca di
fortuna, chiesero a Clara di mettere qualche buona parola per un incontro con
Giuseppe Verdi. Egli espresse all’amica le sue perplessità relative ai giovani,
memore dell’enorme insuccesso del Mefistofele di Boito, andato in scena alla Scala
nel 1868, tuttavia qualche anno dopo strinse un sodalizio artistico e paterno72 con
Boito che scrisse per lui due opere sublimi73: Otello e Falstaff. Ancora una volta
l’amicizia con Clara aveva portato i suoi frutti artistico -lavorativi al grande
musicista e compositore.
Leggendo la corrispondenza tra Verdi e la Maffei, non si può fare a meno di notare
che egli sovente si scusa per il ritardo nelle sue risposte e, talvolta, addirittura per le
mancate risposte. Questo può far pensare ad un disequilibrio nell’amicizia tra i due
ma è necessario non sottovalutare il grande impegno artistico del Maestro che si
trovava spesso indaffarato e in viaggio per seguire la messa in scena delle sue opere,
mentre Clara conduceva una vita tranquilla e casalinga e aveva pertanto molto più
tempo per dedicarsi al mantenimento delle sue numerose relazioni amicali. Una delle
prove della grande amicizia che legò i due personaggi può essere senz’altro l’uso
delle parole affettuose che si riscontrano nella corrispondenza, come Cara Clarina74,
vostro affezionatissimo75, o anche vogliatemi bene come io ne voglio a voi76. Inoltre
Barbiera, narrandoci gli ultimi momenti di vita di Clara, sottolinea la silenziosa ma
importante presenza di Verdi, che fece di tutto per arrivare in tempo a porgere
l’estremo saluto alla sua amica e sorella da ormai quarantaquattro anni.
«Verdi vuol essere informato ad ogni momento della malattia dell’amica amatissima; e, appena
apprende che ormai non v’ha più alcuna speranza di salvezza, lascia affannoso Montecatini […] e
arriva a Milano prima dell’alba; […] sale precipitoso, e giunge appena a salutare, singhiozzando, per
l’ultima volta, colei che per tanti anni gli era stata sorella. […] La poveretta non era ancora spirata. Si
avvide ella della Presenza di Verdi?... qual gioja sarebbe stata per lei l’accorgersi che, nel momento
77
supremo, era venuto Giuseppe Verdi!».
72
Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei, Garzanti, Milano 1940, p. 261.
Ibidem.
74
Lettera di Giuseppe Verdi a Clara Maffei, datata St. Agata, 9 aprile 1867. Tratta da Quartetto
Milanese Ottocentesco, p. 147 e altre.
75
Lettera di Giuseppe Verdi a Clara Maffei, datata Genova, 31 dicembre 1877. Opera cit. p. 357.
76
Lettera di Giuseppe Verdi a Clara Maffei, datata Milano, 24 giugno 1846. Opera cit. p. 53.
77
Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei, cit., p.339
73
43
Giuseppe Verdi, ritratto
44
CAPITOLO III
La cultura. Scritti inediti: Clara Maffei
e gli Album dei ricordi
45
3.1 Descrizione degli Album
Presso la Biblioteca Nazionale di Brera sono conservati i carteggi e alcune lettere di
Clara Maffei. Conducendo una piccola indagine sugli scritti tra lei e Giuseppe Verdi
è stato possibile ritrovare i cosiddetti Album dei ricordi di Clara Maffei. Si tratta di
quattro quaderni racchiusi in un cofanetto di legno di rovere che coprono gli anni dal
1837 al 1864 e oltre.
I quattro album misurano 11,5 cm x 20 cm e hanno tutti una copertina in pelle
con diversi bordi dorati sulla facciata e sulla costa. La particolarità è che le quattro
copertine hanno colori diversi: rosso, marrone, verde e nero. Gli album risultano
scritti sia sul verso che sul recto della pagina e ogni facciata consta di 24 righe,
tuttavia non tutte le pagine sono state scritte. La biblioteca di Brera, per comodità di
catalogazione, ha numerato i quaderni denominandoli con numeri romani che vanno
dall’uno al quattro.
Il primo volume comincia nel 1838, presenta solo pagine scritte in francese
dalla contessa Maffei e si conclude brutalmente alla pagina 32r. molte pagine di
questo volume sono state strappate. Il II volume è quello più ricco, scritto
interamente, cioè fino alla pagina 102v, comincia il 24 maggio 1837 e si conclude il
28 luglio 1843. Il III volume comincia nel 1837 e si conclude con un componimento
privo di data. Tuttavia nella pagina immediatamente precedente sono stati trascritti
dei versi stampati nel 1848, pertanto sarà sicuramente successivo a quell’anno.
L’ultimo volume, il IV, è stato scritto poco, fino al 33v, e contiene componimenti
scritti in date molto differenti: il primo è del 4 marzo 1837, uno degli ultimi è invece
del 1864, e questo è certo perché, benché privo di data, si tratta di una famosa ballata
di Emilio Praga composta in onore dei cinquant’anni di Clara Maffei, intitolata
appunto La cinquantina.
Questi quattro volumi possono essere definiti come un ibrido tra un diario
personale della contessa e un insieme di poesie a lei dedicate dai numerosi ospiti del
salotto. Le parti personali sono state scritte in francese, mentre la maggior parte delle
dediche sono in lingua italiana. Alcune pagine, come detto sopra, sono state strappate
o tagliate via, probabilmente perché contenevano parti piuttosto intime o che
riguardavano la vita sentimentale tra i due coniugi Maffei. Oltre ad una stampa della
46
Maffei, sono stati trovati all’interno del quaderno IV dei fiori secchi, probabilmente
raccolti dalla stessa Clarina, che si sono conservati per quasi due secoli tra le pagine
scritte.
Alcune poesie contenute all’interno dei volumi sono state pubblicate, come la
ballata La cinquantina di Praga, o come alcuni versi di Andrea Maffei; altri scritti
invece sono inediti ed è su questi che si è concentrata la nostra attenzione. A causa di
ragionevoli motivi di spazio abbiamo dovuto fare una scelta, decidendo di analizzare
e trascrivere solo sette poesie del volume III che comincia nel 1837 e si conclude
quasi sicuramente nel 1848-50, benché l’ultima poesia - di Giannina Milli – non
rechi alcuna data.
Per cercare notizie relative ai diversi autori dei componimenti, ci siamo serviti del
Dizionario biografico degli italiani78 (DBI), il dizionario a cura dell’Istituto
dell’Enciclopedia italiana cominciato nel 1925 che raccoglie al suo interno le
biografie e le relative bibliografie di oltre 40.000 italiani illustri, suddivise in 110
volumi.
3.2 Componimenti
Giulietta Pezzi, 13 aprile 1837, 2r.
Se soave un’arietta ti spira
Se soave un’arietta ti spira
Sulle labbra, o Clarina gentile,
Non pensar che sia brezza di aprile,
Sì bell’aura l’aprile non ha.
Se allettata ti trovi ne’sensi
Dal poter di balsamico odore,
Non pensare ch’egli emani da un fiore,
Tal profumo niun fiore ti dà.
Se l’udito ti va dolcemente
Carezzando soave concenti
Credi pur che terreni strumenti
Mormorar non fan tal suoni.
Se dormendo ti appare l’improvviso
Vaporoso, gentile angioletto,
78
AA. VV. Dizionario Biografico degli italiani, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 2010.
47
Non frenare il respiro nel petto,
Quelle forme chimere non son.
E se avvien che, di mezzo alle nubi,
S’apra il varco un bel raggio di luce,
Non è il sol che a’tuoi sguardi traluce
Sì bel raggio di Sole non è
Quell’auretta, il profumo ed il suono
D’angioletto e la luce divina,
Sono vezzi di cara bambina
Che dal cielo discende per me.
Pagina manoscritta di Giulietta Pezzi
Giulietta Pezzi (Milano 1812 o 1816 – dicembre 1878) è stata una scrittrice e
giornalista nonché fervente mazziniana. Fu molto legata a Clara Maffei che l’accolse
benché fosse additata per la sua condotta immorale dal momento che aveva avuto
una figlia da una relazione con un musicista conosciuto proprio nel salotto della
contessa. Era figlia di Francesco Pezzi, fondatore e direttore della rivista teatrale
«Gazzetta di Milano», per cui scrisse le sue prime novelle.
48
A partire dal 1848, anno in cui conobbe e appoggiò profondamente la causa di
Mazzini, le sue opere risentirono dell’influenza del patriota italiano per il quale la
Pezzi si prodigò, cercando, inutilmente, di far avvicinare anche Clara alla medesima
idea politica.
Le sue carte, le sue lettere e i suoi album, depositati presso il Museo del
Risorgimento, vennero completamente distrutti in un incendio durante la Seconda
guerra mondiale. Si salvò solamente un suo ritratto.
La poesia, un’ode in decasillabi, scritta sulla pagina 2r dell’album, fa
probabilmente riferimento alla recente morte di Ottavia, la figlia prematuramente
scomparsa di Clara. La morte della piccola era avvenuta nel 1834 e Clara da allora
era caduta in uno stato depressivo allietato solo dall’incontro con gli amici presso il
suo salotto. Pare pertanto plausibile che a tre anni dopo il grave lutto, Giulietta Pezzi
abbia voluto rasserenare la sua cara amica con un componimento in cui dice che la
dolcezza dell’aprile, con i suoi profumi e colori primaverili, altro non sono che vezzi
di cara bambina, cioè segnali mandati alla mamma dalla sua cara figlioletta.
Antonio Gazzoletti, 4 maggio 1837, 3r.
Te delle dotte vergini
Te delle dotte vergini,
O delle grazie amica
/fredde superbe imagini!/
La poesia non dica,
Benché se ‘vero e fulgido
Scintilla il tuo pensier,
E tanti vezzi infiorano
Quel volto lusinghier.
Trovi le caste imagini
Nella natura bella,
O tra le [†] ti collochi
Dall’occhio di gazzella
O com’eterea silfide
49
Sul profumato albor
Ti chiegga a’ rai dell’iride
O al calice dei fior.
La musica che al battito
S’ispira del tuo petto
Crei le ridenti e magiche
Note d’un primo affetto,
O imiti il vol degli angeli
Raminghi al par di te,
O quel si’ mezzo e fievole
“non ti scordar di me”!
Ritragga le tue gracili
Forme, e il leggiadro viso
Chi della Matre amabile
Tinge il divin sorriso;
Ma non aggiunga il bambolo
Sin che in più caro vel
Quel tuo rapido pargolo
Non ti ritorna in ciel.
50
Pagina manoscritta da Antonio Gazzoletti
Antonio Gazzoletti (Nago, marzo 1813 – Milano, dicembre 1886) giurista, poeta e
patriota, nacque sulla sponda trentina del Lago di Garda, e, a causa del suo ingegno
precoce e della sua spiccata intelligenza, venne ammesso a frequentare il ginnasio di
Rovereto a soli nove anni. Ebbe una formazione classicista venata tuttavia da
entusiasmi romantici. Studiò a Innsbruck per perfezionare la lingua tedesca e nel
1837, dopo aver conseguito la laurea in Legge a Padova, si trasferì a Trieste dove
visse per lunghi anni, si batté per la causa del’Unità d’Italia e pubblicò larga parte
delle sue opere. Venne incarcerato e mandato in esilio tre volte e infine, nel 1859,
andò ad abitare a Milano che era stata liberata dai dominatori austriaci.
Era grande amico di Andrea Maffei al quale dedicò anche la sua opera Versi, di
conseguenza si legò alla di lui moglie Clara.
Il componimento trovato sugli Album è un’ode in ottonari e settenari alternati e il
nobile contenuto è senza dubbio un apprezzamento alla bellezza anche interiore di
Clara, una bellezza casta e angelica, come sottolineato più volte nella seconda parte
del componimento, difatti nell’ultima strofa l’estemporaneo poeta sembra quasi voler
51
dire che solo un artista in grado di dipingere la Madonna, può cimentarsi nel ritrarre
le divine forme della contessa Maffei.
Giovan Battista Martelli, 12 marzo 1841, 23r.
Sonetto
Donna sui labbri tuoi fulge il sorriso
Onde d’amor la Bellezza arma di strale
Che spinto a volo a palpitar conquiso
Soavemente astringe il cor mortale;
Ma un raggio spirituale di Paradiso
Allor che dotta parli ai sofi equale
Sì forte espresso ti lampeggia in viso
Che all’avvenenza tua si fa rivale.
Perch’io l’accolgo e in estasi l’ammiro
Di ideal simpatia che in sen mi spande
Piacer di mente per concorde spiro;
Cara beltà fo segno al veder mio
Che a tutte l’altre è sopra un’alma guarda
Che al ciel somiglia e alla beltà di Dio.
52
Pagina manoscritta di G.B. Martelli
Giovan Battista Martelli (Milano, settembre 1780 – Borgo Ticino, novembre 1850),
fu giurista e letterato, originario di una famiglia di commercianti di Miasino, sul
Lago d’Orta. Si laureò a Pavia in Legge, tuttavia fu sempre attratto dagli studi
letterari infatti esercitò per breve tempo la professione di avvocato, per poi dedicarsi
alla traduzione di opere
in versi dall’inglese all’italiano. Potendo contare
sull’appoggio del celebre poeta Vincenzo Monti, conosciuto negli anni universitari,
poté pubblicare anche alcuni componimenti, tutti si stampo classicista.
Visse gli ultimi anni di vita in uno stato di prostrazione mentale e fisica che lo
costrinsero ad allontanarsi da Milano e a spostarsi in campagna con la moglie e i
quattro figli, presso Borgo Ticino, dove morì 1848.
Fra i primi frequentatori del salotto Maffei, scrisse sul III album un sonetto
dedicato alla bellezza interiore e fisica di Clara. La contessa è un’anima superiore
alle altre, la sua bellezza è paragonabile, addirittura, alla beltà di Dio e rivale dei
raggi spirituali del Paradiso.
53
Giuseppe Ambrosoli, 10 gennaio 1841, 42v.
MANCA FOTO DEL COMPONIMENTO DI GIUSEPPE AMBROSOLI
I miei pensieri
Sacro è il silenzio, o Notte, in cui tu siedi,
Sacro e l’orror che ti circonda e veste;
Sempre mi batte il core allor che riedi
Colle fide ore tue placide e meste.
Quando sovra la terra alta risiedi,
Quando adorni di stelle il vel celeste
Allor tristi pensier ‘ scendono all’alma
Nel tuo fido silenzio e nella calma.
Salve, o Notte! Nel tuo placido orrore
Mi tornano alla mente i miei prim’anni;
Altri giorni, altri luoghi io porto in core,
Luoghi beati e giorni senza affanni;
Quando non conoscea l’umano errore,
Non conoscea questi terreni inganni,
E l’innocenza mia, rosa romita,
Fioriva ignota al sol, ma al Ciel gradita.
E la fedel memoria del passato,
La cura del presente e l’incertezza
Dell’avvenir fiera mi siede allato
E l’alma affanna e il mesto cor mi spezza:
Il cor che lasso e dal dolor piagato
Di tanti affetti ormai cede all’asprezza,
Qual legno spinto da contrari venti
Di tempestoso mar fra gli spaventi.
O Lario! O luogo fortunato e ameno
Che nell’infanzia mia lieto abitai,
Verdi colli fioriti e ciel sereno
Sotto cui dì felici io già passai,
Se il mio pianto vi giunge ah date almeno
Benigna udienza a così mesti lai,
E se memoria ancor di me serbate
Vi prenda almen del mio dolor pietate.
Sempre v’amai, luoghi ridenti e cari
Della mia fanciullezza e de’miei voti:
Sempre vi porto in core, o solitari
Recessi ombrosi un giorno a me si’ noti.
Quel che in voi m’era dolce ora si’amari
Pensier ridesta a me poc’anzi ignoti:
Sempre rammento i giorni fortunati
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Ch’io già vissi fra voi, luoghi beati.
Colla vostra gentil ridente imago
Altro pensier spesso mi desta amore,
Che sebben del pensier vostro men vago
Pur non men caro mi discende al core.
Spesso insieme all’idea del mio bel lago
S’unisce un'altra imago di dolore,
E chieggo invan dalla notturna calma
Il sonno agli occhi e la quiete all’alma.
Spesso mi par la buona avola mia
Veder nel ciel fra gli angioli vagando
Che colla incerta man tenera e pia
Mi vada il volto e il capo accarezzando.
Mentre col labbro onde già un dì lambia
Le gote a me mi viene ancor baciando.
Agli atti, al volto, al tenero sorriso
Tutta un angelo par del Paradiso.
L’altra speranza de’suoi dì cadenti
La cara Emilia (1) ella per mar conduce.
Negli occhi suoi che morte non ha spenti
Un bel raggio di gioja ancor riluce.
La dolce giovinetta infra i concenti
Degli angelici cori e fra la luce,
Quasi del mio patir fatta pietosa
Volge la faccia a me tutta amorosa.
Oh rimembranze, oh miei tristi pensieri
Una volta da me lungi fuggite,
E come flutti tempestosi e neri
No più l’anima mia non atterrite
Nel mio sonno a seder sugli origlieri
La quiete a turbar più non venite
Il mio martir vi mova alfin pietate,
dolorosi pensier, deh! Mi lasciate.
Lasso! Se voi partite a sorger presto
Ecco un altro pensier non men crudele.
Cupo il presente ed il futuro è mesto,
Tutta la vita par nappo di fiele
Nessun presagio che non sia funesto,
Tutto mi move al pianto, alle querele,
E allor mi stringe e par m’opprima il core
Fero duol, dubbia speme, alto terrore.
Ma perché piango? Al Ciel data è la cura
Dell’incerta mia vita, e il Ciel m’arrida.
Colui che ognor tutto governa e cura
Quegli sostien che solo in Lui s’affida.
Se l’alma in sen serberò bella e pura
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Fia che il fato presente a me sorrida
Dell’avvenir sempre l’uom giusto e pio
Lascia la cura ed il destino a Dio.
Sorgi, o mio cor! Risorgi alla speranza,
Batti ancora alla gioja, esulta ancora!
In Dio riponi ormai la tua fidanza
Che guida per sua mano il giusto ognora_
Tempra, o Signor, la giovenil baldanza,
Sostienmi e guida della prova all’ora
E quando giunga de’miei dì la sera
Accogli allor l’estrema mia preghiera.
(1) mia cugina e coetanea morta poco prima dell’avola
Di Giuseppe Ambrosoli non è stato possibile reperire alcuna notizia biografica. Le
uniche in nostro possesso le possiamo desumere dalle poche righe di
accompagnamento ai Versi che il padre Francesco scrisse sul III album di Clara. Si
deduce così che Giuseppe nacque nel 1827 e visse probabilmente in collegio, quindi
lontano dal padre, presso il Lago di Como.
Il componimento riportato sull’album della Maffei è un componimento in ottave e ci
mostra un giovane preso dagli affanni della vita nel senso più leopardiano del
termine. Un giovane che a soli 13 anni non nutre grandi speranze per l’avvenire e a
cui mancano nel profondo del cuore i luoghi dell’infanzia. L’infanzia sembra essere
per Giuseppe il periodo dell’innocenza, di quando non era a conoscenza dell’umano
errore, o forse semplicemente delle responsabilità di un giovane che deve vivere da
solo lontano dalla famiglia. Nell’ultima parte sembra consolarsi con l’affidare la sua
anima a Dio, poiché è al Ciel che viene affidata l’incerta sua vita.
Francesco Ambrosoli, 11 gennaio 1841, 44v.
A mio figlio Giuseppe che nel giorno 3 ottobre 1840,
compiendo i tredici anni, mi inviò dal lago di Como
Una bella poesia risposi i seguenti
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Versi
Te pei solinghi variopinti calli
De’patrii monti segue il mio pensiero:
Or ti veggo su’poggi or nelle valli
Stampar colle fugaci orme il sentiero.
Si, ti veggo, mio caro, e ascolto il suono
Della tua voce e sempre teco io sono.
“Osa contendi”, e forse il ciel non vieta
A te la speme d’immortal corona.
Me frattanto consoli. Oh come lieta
Oggi è la vita! Come in cuor mi sona
La soave armonia de’tuoi bei carmi
Mentre di sdegni ognun favella e d’armi.
L’Anglo, il Franco ed il Russo a mortal guerra
Solcano i flutti dell’antico Egeo;
Freme l’onda commossa, e sta la terra
Timida al rombo di quel turbin reo;
E te forse la Musa educa intanto
I feri scontri a celebrar col canto.
Era fanciullo ancor Sofocle quando
Tinsero i Persi ‘l mar di Salamina;
Ma ratto crebbe, ed illustrò cantando
Il valor greco e la fatal ruina.
Tutto disperse il tempo; i carmi suoi
Vinser la fama de’ maggiori eroi.
“Osa, contendi” ; che a te pure il cielo,
Se non m’illude amor, diede ali al volo.
Io col cuor ti precorro, e spero e anelo
Tanto vederti dilungar dal suolo,
Che già ti perdo fra le nubi, e sento
Solo il dolce de’tuoi carmi concerto.
Alla Nobil Donna Chiarina Maffei
Sai tu, Donna gentil, perché d’affanni
Ragiona il figlio, e il genitor di speme?
L’uno presenta della vita i danni,
L’altro del mondo ormai nulla più teme.
57
Pagina manoscritta di Francesco Ambrosoli, particolare
Francesco Ambrosoli (Como, gennaio 1797 – Milano, novembre 1868) fu un
letterato e giurista. Fu avviato agli studi letterari dal poeta Vincenzo Monti e da
Pietro Giordani, suoi cari amici. Iniziò con la carriera da avvocato ma la polizia
austriaca, sospettandolo di patriottismo, gli impedì di proseguire la professione, così
Ambrosoli si dedicò allo studio del latino e del greco. Divenne professore di filologia
ed estetica presso l’Università di Pavia e, per un breve periodo, ottenne anche uno
stabile incarico presso la Biblioteca di Brera. Prese parte alle Cinque giornate di
Milano e questo gli costò l’esilio da Pavia e la revoca dell’incarico di professore
universitario. Tra le sue opere più celebri ricordiamo la Grammatica della lingua
italiana (1820) e il Manuale della letteratura italiana (1831), che ebbe numerose
ristampe negli anni successivi.
Come lui stesso scrive sull’album il componimento lì riportato, interamente in
sestine, è una risposta a dei versi mandategli dal figlio al compimento del suo
tredicesimo anno di vita. Nei versi il padre sembra nutrire grandi speranze per il
figlio, e lo sprona a continuare nella sua strada, a scrivere versi e a lasciarsi educare
dalla Musa.
58
La guerra a cui forse si riferisce Ambrosoli è quella che ebbe origine dalla
rivolta egiziana del 1832. Mohammed Alì, governatore d'Egitto, aveva intrapreso una
vera e propria guerra d'indipendenza, spingendosi col proprio esercito fino all'interno
dell'Anatolia, minacciando da vicino la stessa sopravvivenza dell'Impero Ottomano.
Lo zar si decise per un intervento armato in favore del tradizionale nemico. Tra il
febbraio e il marzo 1833 prima una flotta russa e poi una divisione di fanteria si
recarono nella regione degli stretti a protezione della legittimità del Sultano.
L'allarme che tale intervento provocò in Francia e Gran Bretagna fu enorme. Il
riferimento ad una guerra lontana, in terre quasi esotiche, è forse un’allusione ad una
guerra che l’ospite di Clara, estemporaneo poeta, sente avvicinarsi alla Penisola
italiana. Solo qualche anno dopo la scrittura di questi Versi, scoppieranno diverse
rivoluzioni in tutta Europa che porteranno l’Italia (non ancora unita) a combattere
quella che oggi chiamiamo Prima guerra d’indipendenza.
L’osa, contendi che si ripete due volte a inizio verso è preso dal sonetto di
Parini del 1825 A Vittorio Alfieri, a prova di come fosse importante e riconosciuta la
grandezza dei due poeti nel XIX secolo.
Anselmo Guerrieri, 12 agosto 1843, 66v.
Son dolci tesori
Son dolci tesori
Di strenne e di fiori;
Che il facile impero
D’amato pensiero,
Intorno raccoglie
Sull’ ospiti soglie.
E ai dolci tepori
Di strenne e di fiori,
con gioja segreta
Sorride il poeta,
Che in tutti travede
Il fior della fede.
Ma fior che suo verde
Per anni non perde,
Che regge alla nera
59
Mugghiante bufera,
Che vespro e mattino
Profuma il giardino.
E indarno, o gentile
Lo chiedi all’Aprile;
Si veston le lande
Di fresche ghirlande;
Ma passa e non dura
Il fior di natura.
Dei roridi calli
D’eterne convalli;
Un angiolo lieve
Con penna di neve
Protegge il candore
Del mistico fiore.
Ma il fior della fede
Che il cielo possiede,
Dal lembo dell’ala
Di quell’immortale
fuggio tra gli offerti
Suoi candidi serti.
E ancor li riveste
Di un’aura celeste;
[†]
Con dolce melode
Il suon d’una sola
Diletta parola.
Or dunque fu lieta
La sorte al poeta
Che a farsi messaggio
D’un caro linguaggio
Del fiore più vago
conobbe l’imago.
60
Pagina manoscritta di Antonio Guerrieri
Anselmo Guerrieri Gonzaga (Mantova, maggio 1819 – Palidano di Gonzaga,
settembre 1879) di origine nobile, visse con la prozia Marianna Guerrieri, donna di
grande cultura il cui salotto era frequentato da grandi intellettuali. Si laureò in Legge
presso l’Università di Padova, divenne funzionario fiscale per il governo austriaco e
successivamente, trasferitosi a Milano, si dedicò all’attività forense aprendo un suo
studio legale a Cassano d’Adda. Si inserì benissimo nel salotto della contessa Maffei,
tanto che divenne uno dei redattori della «Rivista europea» nonché grande amico di
Carlo Tenca, Cesare Correnti e Carlo Cattaneo. Partecipò alle Cinque Giornate di
Milano, pertanto fu poi costretto a riparare a Firenze, Genova e infine a Ginevra dove
si accostò agli ideali mazziniani. Trasferitosi poi a Parigi, si legò ad un altro amico
del salotto Maffei, Daniele Manin, che con la sua influenza lo portò ad abbracciare
l’idea politica di Cavour. Tornato in Italia nel 1859, venne eletto nel primo
Parlamento ma la sua carriera politica finì sette anni dopo e Guerrieri si dedicò agli
61
studi letterari e alle traduzioni dal latino e dal tedesco. Si spense improvvisamente
nella sua villa di campagna nei pressi di Mantova.
Nel suo componimento in senari distici a rima baciata, Guerrieri sembra parlare
del poeta come Vate. Il poeta come colui che, accolto sulle ospitali soglie di casa
Maffei, si guarda intorno e vede in tutti il fior della fede ed è il solo fortunato che ha
visto e che può portare il messaggio dell’immagine più bella, quella del fiore verde,
ossia della giovinezza che è protetta dal Cielo.
Giannina Milli (non è indicata la data), 78r.
Frammenti di un canto estemporaneo
Amore e Morte
Amor e Morte … l’un nome suona:
Iddio, Speranza, Luce, avvenir ;
Orrendamente l’altro risuona:
Nulla, Mistero, ombra, Martir!
Amor non nacque, di Dio consorte
A tutte cose die’ vita amor.
Tutto a dissolvere nacque la morte
Dal fulminato primiero error.
Questa nel tempo, fia spenta ancora,
Quando futuro più non vi avra
Quello immutato splendido ognora,
Distrutti i secoli, con Dio vivra!
62
Pagina manoscritta di Giannina Milli
L’ultimo componimento presente nel III album è questo di Giannina Milli, un’ode in
distici a rima alternata. Di questa figura quasi dimenticata, ne abbiamo parlato nel
capitolo precedente. E’significativo che il III album si chiuda proprio con questa
poesia dal momento che si era aperto con quella di Giulietta Pezzi, altra grande
amica di Clara. Due donne che aprono e chiudono i ricordi della contessa. La prima
cercando, nel 1837, di portare un po’ di primaverile serenità all’animo turbato della
Clarina, l’ultima, che parla di amore e morte, un binomio che in poesia, come in
altrove non ha mai smesso di incuriosire. La prima poesia forse dedicata alla morte
della figlioletta di Clara, l’ultima che sembra un accorato appello all’amore, alla sua
forza invincibile e duratura, alla potenza che vince la morte e che ognora con Dio
vivrà.
Amore e morte, come quella poesia di Leopardi del 1832, probabilmente ancora
fresca, una decina di anni dopo, nella mente della poetessa Giannina Milli. Si
ritrovano delle eco leopardiane in questo componimento, tuttavia la presenza di Dio,
63
considerato dalla Milli come l’amore supremo, quello che vincerà nei secoli sulla
morte, la allontana profondamente dalla concezione leopardiana e anche dal primo
componimento dell’Album, quello di Giulietta Pezzi che più volte all’amica Clara
Maffei si era dichiarata atea e repubblicana79 e che abbiamo accostato, per
somiglianze e differenze, con quest’ultimo.
Non ci è dato di sapere perché la poesia di Giannina Milli sia l’unica dell’Album
priva di data, né tantomeno il perché delle numerose pagine bianche che seguono.
Importante segno però è la femminilità di questo Album, femminilità esaltata da
questi due componimenti a inizio e a fine diario che sanciscono l’importanza,
l’affetto e la stima attribuiti da Clara alle donne che erano ospiti del suo salotto, alle
quali, come si vede, è riservato in tutti i sensi un posto d’onore.
79
Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano, cit., p 47.
64
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Antonio Monti, Una passione romantica dell’Ottocento: Clara Maffei e Carlo
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-
Livia Negri, I palazzi di Milano: dall'edilizia rinascimentale fino alle creazioni
dell'architettura del Novecento, arte, storia, aneddoti e curiosità dei grandi edifici
della metropoli lombarda, Newton & Compton Editore, Roma 1998.
65
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Daniela Pizzagalli, L’amica. Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento italiano,
Mondatori, Milano 1997.
-
Giovanni Visconti Venosta, Ricordi di gioventù, Rizzoli Editore, Milano 1959.
-
Pasquale Voza, Letteratura e rivoluzione passiva: Mazzini, Cattaneo e Tenca,
Edizioni Dedalo, Bari 1978
Fondi d’archivio
Archivio Storico del Comune di Milano (ASCMi) Fondo Ornato Fabbriche I e II
serie
-
I serie, cartelle:
184 anno 1814
185/2 anno 1831
185/3 anno 1832
185/4 anno 1833
185/7 anno 1836
185/8 anno 1837
185/10 anno 1839
186/3 anno 1844
147 anno 1861
-
II serie, cartelle:
410 P.G. 25944, anno 1907-1909
412 P.G. 104744, anno 1909
-
Fondo Majnoni, cartelle:
2/191
2/241-257
Raccolta cartografica:
-
2/34, XVII secolo
4/12 , anno 1856
7/12, anno 1945
-
O.F Is c. 2/5
66
Indice
INTRODUZIONE ............................................................................................................ 1
CAPITOLO I.................................................................................................................. 4
1.1 BREVE EXCURSUS STORICO - URBANISTICO SU MILANO TRA I SECOLI XVIII E XIX .... 5
1.1.1 Nascita della Commissione d’Ornato e alcuni cambiamenti ................................ 8
1.2 PALAZZO OLIVAZZI ...................................................................................................... 9
1.2.1 Dubbi sull’indicazione del piano abitato da Clara Maffei ................................. 12
1.2.2 Breve storia delle modifiche architettoniche del palazzo (1814 - 1909) ............ 13
CAPITOLO II .............................................................................................................. 22
2.1 UNA BREVE BIOGRAFIA.............................................................................................. 23
2.1.1 Le origini .............................................................................................................. 24
2.1.2 L’infelice matrimonio con Andrea Maffei e la nascita del salotto .................... 26
2.1.3 L’incontro con Carlo Tenca e la separazione legale .......................................... 27
2.1.4 Una nuova vita, un “nuovo” salotto..................................................................... 28
2.1.5 Gli ultimi anni ....................................................................................................... 30
2.2 L’IMPORTANZA DEGLI INCONTRI ............................................................................... 32
2.2.1 La politica: Clara Maffei, Giovanni Visconti Venosta e i patrioti italiani ......... 33
2.2.2 La letteratura: Clara Maffei e Giannina Milli .................................................... 36
2.2.3 La musica: Clara Maffei e Giuseppe Verdi ........................................................ 40
CAPITOLO III ............................................................................................................. 45
3.1 DESCRIZIONE DEGL’ALBUM ...................................................................................... 46
3.2 COMPONIMENTI ......................................................................................................... 47
Se soave un’arietta ti spira ............................................................................................ 47
Te delle dotte vergini ...................................................................................................... 49
Sonetto ............................................................................................................................ 52
I miei pensieri ................................................................................................................. 54
Versi ................................................................................................................................ 57
Son dolci tesori ............................................................................................................... 59
Amore e Morte................................................................................................................ 62
BIBLIOGRAFIA............................................................................................................ 65
FONDI D’ARCHIVIO................................................................................................... 66
67
68
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IL SALOTTO DI CLARA MAFFEI di MARIANNA D`AGOSTINO