VITA
PARROCCHIALE
di Limone sul Garda
Numero 28 - Dicembre 2012
Natale 2012
1
Anagrafe parrocchiale
dal 20 marzo al 20 novembre 2012
Battesimi
Si sono uniti in matrimonio
Jordan Bottino, 13 maggio 2012
Marco Bottino, 13 maggio 2012
Giorgio Risatti, 10 giugno 2012
Alicia Camille Martin, 16 giugno 2012
Caterina Segala, 11 novembre 2012
Florian Finkenzeller e Susanne Vlk,
15 settembre 2012
In attesa della Risurrezione
Beniamino
Chincherini,
22 aprile 2012
Norma Fava
ved. Risatti,
30 maggio 2012
Francesco
Segala,
3 giugno 2012
Ferruccio
Folcia,
20 giugno 2012
Antonio
Codogni,
1 settembre 2012
Carla Delaini
Mattei,
12 novembre 2012
Ruggero
Fava,
17 novembre 2012
Natale 2012 - Capodanno 2013
Lunedì 31
ore 19.30:
Lunedì 24 dicembre 2012
Ore 15.00-19.00:Confessioni
nella chiesa parrocchiale;
ore 23.00: Solenne Santa Messa
di Mezzanotte accompagnata dal Coro parrocchiale.
dicembre 2012
Santa Messa solenne
di Ringraziamento col canto
del Te Deum laudamus.
Martedì 1 gennaio 2013
Sacra Famiglia di Gesù,
Giuseppe e Maria
ore 8,30; 10,30; 17: Sante Messe.
Martedì 25 dicembre 2012
Solennità del Santo Natale
ore 8.30: Santa Messa;
ore 10.30: Santa Messa solenne
accompagnata
dal Coro parrocchiale;
ore 17.00: Santa Messa.
Domenica 6 gennaio 2013
Epifania del Signore
ore 8.30: Santa Messa;
ore 10.30: Santa Messa con solenne
Benedizione dei bambini;
ore 17.00: Santa Messa
Mercoledì 26 dicembre 2012
Santo Stefano
ore 10.30: Santa Messa;
ore 18.00: Santa Messa
nella chiesa di San Pietro.
In copertina: Il presepe in piazza Garibaldi
2
Il saluto del Parroco
ad attività più lucrose. Attività un tempo fiorenti
ora hanno bisogno di essere riorganizzate. L’epoca di internet stravolge le abitudini nostre e
del turista. Si deve ricorrere in alcuni casi anche
al dover reimpiegare il capitale. Ovunque quindi
‘fervet opus’ .
E’ ora tempo di Natale. Il Natale è fatto per
l’uomo, per ognuno di noi, anche per i Limonesi. Credo sia opportuno avvantaggiarsi di
questo tempo che tradizionalmente anche la società consumistica presenta pieno di affetti, di
comprensione, di relazioni distese, di sorrisi e di
abbracci, di regali, di panettoni e di cesti confezionati che vanno però diminuendo perché diminuisce la comprensione. I baci rischiano di
essere solo quelli ‘perugina’.
E’ un tempo di riflessione per quei giovani che
anche anonimamente, da vili, si sono e si vanno
esprimendo nei vari siti con certe affermazioni
denigratorie che i loro genitori nemmanco si sognavano ai loro tempi di esprimere ma che ora,
magari complici, supinamente, approvano privi
ormai di ogni ideale. E’ tempo di riflessione per i
giovani genitori che si trovano alle prese col difficile compito di dare valori ai simpatici ragazzi
Cari Limonesi,
terminata la stagione turistica ho visto un po’
tutti voi passare dalla giacca e cravatta alla tuta
di lavoro per sistemare le strutture alberghiere
che devono riposare, ma bene in ordine. In realtà la maggioranza veste normalmente sia prima
che dopo la stagione turistica, sempre pronta ad
intervenire dove necessita. E’ una caratteristica
dei limonesi essere sempre sulla breccia. E’ arrivato il tempo del meritato riposo che alcuni si
permettono in vacanze in paesi esotici, in crociere ed in gite sporadiche anche istruttive. Ben
venga quindi il tempo libero da impiegare nel
miglior modo che uno crede.
Non noto per il Paese le solite numerose gru collocate, normalmente a fine stagione, dalle varie
imprese edili che stanno soffrendo la crisi; non
solo loro però. Le piste ciclabili offrono motivi
di lavoro a qualche impresa. Qualche cantiere
è attivo là dove per tempo si è riusciti ad avere l’autorizzazione paesaggistica e la licenza di
costruire. Alcune strutture alberghiere rimandano a tempi più idonei la costruzione delle progettate piscine ed i centri di benessere. Uffici
vengono chiusi e trasferiti per lasciare spazio
3
che desiderano essere sempre al loro centro di
attenzione ma che purtroppo non sempre hanno. E’ tempo di riflessione per tutti gli adulti che
forse ancora danno troppo importanza ad avere
altre ‘prime case’ da offrire ai loro figli e nipoti
che crescono magari rivoltandosi a loro perché
non sanno dare di meglio. E’ tempo di riflessione per i non pochi settantenni che ancora non
se la sentono di passare la gestione agli impazienti figli e nipoti che devono accontentarsi di
non ribellarsi del tutto, se non già hanno lasciato
l’ambiente, consci che tanto un giorno qualcosa
arriverà per diritto ereditario.
E’ tempo di ridestarsi dal sonno, di raddrizzare i sentieri tracciati trasversalmente nei nostri
cuori, di avere il coraggio di tendere la mano,
di confrontarsi anche con chi non vuole darti
un determinato permesso di passaggio che forse
pretendi senza averne diritto. E’ tempo di pregare, di essere migliori. E’ tempo di far risuonare il melodioso suono delle zampogne non solo
nelle nostre orecchie ma soprattutto nel nostro
cuore desideroso di realizzare la sua missione di
espansività.
Di cuore a tutti auguro un Felice e Buon Natale
don Eraldo
Tempo di Avvento
Vieni Signore Gesù,
vieni nella nostra notte,
questa altissima notte
la lunga invincibile notte,
e questo silenzio del mondo
dove solo questa parola sia udita;
e neppure un fratello
conosce il volto del fratello
tanta è fitta la tenebra
ma solo questa voce
quest’unica voce
questa sola voce si oda:
Vieni vieni vieni, Signore!
Allora tutto si riaccenderà alla sua luce
e il cielo di prima
e la terra di prima non sono più
e sarà tersa ogni lacrima dai nostri occhi
perché anche la morte non sarà più.
Davide Maria Turoldo
Parrocchia di San Benedetto
Via Fontana, 19
25010 Limone sul Garda
Tel. 0365.954017
[email protected]
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IL NATALE è PER L’UOMO
Pensieri da “Il pane di ieri” di Enzo Bianchi, priore della
Comunità Monastica di Bose (2008)
Il Natale, ormai, è una festa non solo riservata
ai cristiani ma sempre più carica di una valenza
antropologica. I valori della quotidianità, del
tessuto della vita, le relazioni umane, l’amicizia,
l’amore, la fraternità sono ormai legati a
questo giorno al punto che anche là dove vi è
contrapposizione tra credenti e non credenti, la
festa rimane tale per tutti […].
Il Natale è un’autentica occasione per riaccendere
una speranza che riguarda l’umanità intera […].
Ciascuno di noi ne ha un’immagine personalissima,
legata ai ricordi d’infanzia e ai tanti Natali vissuti,
a volti e parole di persone amate, a consuetudini
che ha voluto conservare o ricreare [...].
è almeno dal IV secolo che i cristiani il 25
dicembre fanno memoria della nascita di Gesù
Cristo a Betlemme di Giudea: una data scelta
perché in quel giorno il mondo romano celebrava
e festeggiava il “sole invitto”, il sole che in quel
giorno terminava il suo progressivo declinare
all’orizzonte e ricominciava a salire in alto nel
cielo, aumentando così la durata della luce offerta
alla terra [...]. E siccome per i cristiani Gesù il
Messia è il “sole di giustizia”, la “luce vera”, fu
naturale collocare in quel giorno di festa pagana
la celebrazione della natività del loro Signore [...].
La meditazione cristiana faceva di quella festa il
giorno dell’incarnazione di Dio, il giorno in cui
è avvenuto uno scambio: “Dio si è fatto uomo
perché l’uomo diventi Dio”. Poi, nel II millennio,
soprattutto in Occidente, la meditazione del
Natale si è progressivamente concentrata sul
“bambino Gesù”, sulla sua umanità, sulla sua
debolezza e sulla “novità ordinaria” costituita
dal venire al mondo di un uomo: l’evento non
fu più letto come manifestazione, venuta di Dio,
quanto come mistero della povertà, dell’umiltà,
della debolezza di Dio. Francesco d’Assisi seppe
interpretare bene questo aspetto, creando il
presepe di Greccio [...].
Il presepe è la riproduzione iconica o scultorea di
quell’evento umile e povero che, se ci pensiamo
bene, è tra i più umani e quotidiani: una donna
che partorisce un figlio [...]. Sì, una nascita,
un essere umano che viene al mondo, è di per
sé qualcosa che nella sua normalità stupisce:
emerge il “terzo”, appare il nuovo e lo si accoglie
con gioia e con buona disposizione del cuore. E’
un evento di speranza: chi vi assiste [...] è abitato
e confortato dal pensiero che il mondo va avanti,
che la vita fiorisce e si moltiplica, che un futuro
migliore è possibile, segno tangibile del nostro
essere immersi in una catena di generazioni [...].
Nel Nord invece, dove il sole non dà evidenti
segni di vittoria nel
gelido inverno, la festa è segnata da un albero,
l’abete, evocazione dell’albero della vita: un
albero che resta vivo e verde nel bianco della
neve è il vincitore sul rigore del freddo nelle
steppe brulle [...].
Il Natale era davvero la festa più importante
dell’anno e non certo per i regali [...]. Quando
c’erano, i regali erano frutta secca, cioccolatini,
caramelle, il panettone oppure, se ci si scostava
dai dolci, un quaderno più bello, una nuova
penna, qualche matita colorata... Eppure si
attendeva il Natale con ansia. Iniziata la novena
di preparazione, noi bambini andavamo nei
boschi a raccogliere il muschio, cercavamo carta
da pacco che spruzzavamo con vari colori e poi
l’accartocciavamo perché assumesse la forma di
rocce, grotte, speroni di montagna. Quindi su
un tavolo in cucina o nella sala si disponevano le
statuine del presepe [...].
Noi bambini mettevamo tanta cura in
quell’allestimento perché sentivamo di poter
vivere dentro di noi quello che cercavamo di
raffigurare. Mi ricordo che mi mettevo accanto
al presepe con il Vangelo in mano e che, in base
a quello che vi leggevo, disponevo e spostavo
statuine e personaggi. Ero sorpreso di non
trovare nel Vangelo l’asino e il bue, che pure mi
erano così familiari e che consideravo necessari
per riscaldare quel bambino che stava per venire
“in una grotta al freddo e al gelo”. Il parroco mi
aveva rassicurato dicendomi che il profeta Isaia
aveva scritto che “il bue riconosce il suo Signore
e l’asino riconosce la greppia del suo padrone”
(Isaia I.3) Questo mi aveva tranquillizzato e, poco
alla volta, portato a capire che anche le povere
5
bestie, così come i semplici pastori e i sapienti
magi, avevano saputo riconoscere la venuta
di Dio nel mondo, mentre invece re potenti,
sacerdoti, scribi...
La vigilia di Natale, poi, si pregava tutti attorno
al presepe: noi bambini contemplavamo quelle
lucine che nella povertà del dopoguerra erano
capaci di stupirci con i loro colori e il loro
lampeggiare, ma nello stesso tempo eravamo
attratti dal mistero di un infante deposto nella
paglia, incapace di parlare, eppure proprio quel
bambino era il Dio per noi e tra di noi, il Dio che
per amore nostro volle farsi uno di noi.
Qualcuno invece del presepe addobbava l’albero,
anche se quest’usanza non era gradita al parroco,
perché aveva un vago sapore “protestante”, e
l’ecumenismo doveva ancora trovare spazio nella
chiesa. Io li preparavo entrambi, l’uno accanto
all’altro, e quando mi mancava il pino, piantavo
in un vaso una scopa di saggina capovolta [...].
Ma ciò che faceva percepire a tutti la gioia
del Natale erano i preparativi per il pranzo,
anche nelle famiglie più povere: le pentole
che bollivano con il cappone, le donne che si
riunivano per preparare insieme i ravioli [...].
Gli uomini invece cercavano il ceppo da mettere
nel camino: non la solita legna, ma un ceppo
nodoso e grande, che durasse dalla sera fino
al ritorno dalla messa di mezzanotte, quando si
rientrava a casa intirizziti dal freddo, perchè la
chiesa non era riscaldata e per molti il tragitto
fino a casa era lungo. E a quella messa andavano
tutti, anche quelli che durante l’anno non si
facevano mai vedere in chiesa: l’umile semplicità
del Figlio di Dio, che appariva come il figlio di
una coppia di poveri in viaggio, inteneriva anche
i cuori più duri. Il parroco dal canto suo sapeva
cogliere quell’opportunità unica [...] nel suo
sapersi fare eco della buona notizia del Natale.
Così, semplicemente, chiedeva a tutti di essere
più buoni, di riconciliarsi con coloro con i quali si
era in lite, di perdonare le offese. Non chiedeva
altro, perché nel suo sapiente discernimento
sapeva che per quei contadini che uscivano dal
paese solo per andare al mercato nella città vicina,
ciò che condizionava la loro vita e la loro felicità,
oltre al pane, alla casa, al vestito, erano i rapporti
quotidiani con gli altri: parenti, vicini, conoscenti
[...]; la pace, quella che era sperimentata con
la fine della guerra, era percepita come una
“grazia” [...], con la consapevolezza cioè che
quel tipo di pace non dipendesse da loro, ma dai
potenti che decidevano le sorti della pace e della
guerra. Mentre la pace quotidiana, l’armonia
nella vita familiare e nei rapporti sociali, quella
sì che dipendeva da ciascuno custodirla e farla
vivere [...]. Così il parroco non dedicava parole
e pensieri ai grandi del mondo, ma esortava con
voce accorata quelli che lo ascoltavano anche
solo in quell’occasione affinché coltivassero
durante tutto l’anno quel desiderio di armonia
e concordia sperimentato nella notte di Natale.
Così, anche il Dio che a volte nelle parole del
parroco era il Dio irato che mandava la grandine
sulla vigna di quelli che lavoravano alla domenica
o che bestemmiavano, tornava al suo volto
autentico: un Dio buono, che capiva gli uomini e
chiedeva loro solo di essere buoni, sull’esempio
di suo Figlio, Gesù. E quest’immagine di un Dio
umanissimo riaccendeva la speranza di una vita
migliore anche in quegli uomini rudi [...].
Oggi [...] i cristiani scoprono di non essere più
“padroni” del Natale, una festa ormai “strappata”
loro di mano. Tuttavia sta proprio a loro, con la
loro “differenza” nel vivere il Natale, essere i
custodi del senso profondo della festa e i testimoni
della speranza che celebrano: “l’uomo è un
animale chiamato a diventare Dio”. Sì, attraverso
un’umanizzazione della loro vita, della vita con
gli altri, della vita nella polis, i cristiani saranno
fedeli più che mai alla loro identità mentre coloro
che cristiani non sono potranno solo beneficiare
del servizio per una migliore qualità della vita
offerto dai cristiani [...]. “Non di tutti è la fede”,
ci ricorda sempre l’apostolo Paolo, ma tra tutti è
possibile tessere cammini di pace, di giustizia, di
perdono, di ascolto reciproco.
6
L’Anno della Fede
Molte persone, anche della nostra Parrocchia, hanno abbandonato la fede in Dio o meglio non sanno
più in chi o in che cosa credono; sono distanti dalla pratica della vita cristiana, dalla partecipazione
alla vita di chiesa ed hanno abbandonato coscientemente la partecipazione alla Messa domenicale.
Non ricordano l’ultima volta che si sono accostati
al sacramento della confessione. Gli ultimi bagliori
di fede sono espressi nelle partecipazioni ai funerali, ai Battesimi ed ai pochi matrimoni che si celebrano. Che cosa occorre fare, e come, affinché
la fede cristiana non resti diluita nell’incoscienza e
nell’indifferenza, ma continui ad essere valorizzata
e trasmessa? Che fare affinché quanti si definiscono ancora cattolici ricomincino ad apprezzare i valori della propria fede ereditata dagli apostoli, dalla
testimonianza dei martiri di ieri e dei nostri giorni,
dai santi, dal nostro San Daniele, dai missionari,
dai mistici, dai predicatori, dalle persone semplici e
colte che hanno trasmesso questa preziosa eredità
di generazione in generazione e l’hanno arricchita
con la propria esperienza e testimonianza? Tutto
questo esige un’autentica conversione pastorale di
tutta la Chiesa, delle sue persone, delle varie organizzazioni, delle strutture, per mettersi in uno stato permanente di missione ed avere davanti nuovi
obiettivi nella propria azione evangelizzatrice.
La Chiesa quindi ha indetto l’Anno della
Fede, dall’ anniversario dell´apertura del
Concilio, l’ 11 ottobre, fino alla festività di
Cristo Re del prossimo anno. Ci saranno eventi, appuntamenti, congressi e riunioni sotto l’egida
del “Anno della Fede”. Da quando Papa Benedetto
nell’ottobre dell’ anno scorso annunciò quest’anno
particolare, fu chiaro che dopo l’anno paolino e
quello per i sacerdoti doveva essercene uno per il
grande progetto della Nuova Evangelizzazione.
Quest’anno della fede ha già tutti quegli elementi
che normalmente vengono attribuiti ai grandi eventi: un’ apertura, una festa conclusiva e vari momenti
culminanti. Il Vaticano non sarà l’unico luogo dove
si svolgeranno questi momenti dell’ anno della
fede. Vi parteciperanno anche tante Chiese locali
con proprie manifestazioni, incontri, celebrazioni,
convegni, mostre ed altro. Le folle che si radunano, la musica e l’atmosfera particolare possono influenzare le persone e le loro percezioni. Si rischia
poi che ritornando a casa nella quotidianità diventi
difficile mantenere l’entusiasmo vissuto. Una cosa
analoga può succedere per tutti quegli eventi particolari, che segneranno l’anno della fede. è nella
natura della cose che ci si fermi a cogliere solo
l’attimo che sfugge. La fede cerca qualcosa in più,
la fede implica tempo, testimonianza e trasmissione, la fede deve cambiare il fedele dal di dentro.
Lo spirito del momento – anche se è bello – non
basta. L’anno della fede può rischiare di diventare
una collezione solo di manifestazioni esterne.
Cosa vuole essere dunque l’anno della fede?
Papa Benedetto lo ha detto in breve nella sua omelia del 16 ottobre, lo scorso anno, quando l’annunciò. In quell’occasione utilizzò soprattutto verbi
attivi: dare, condurre, rafforzare, donare e naturalmente annunciare. Il Papa vorrebbe notare – per
usare un suo stesso termine – un forte impulso che
pervade tutta la Chiesa. La stessa giornata, durante l’angelus, il Papa precisò di nuovo l’obiettivo
dell’Anno della fede: non si tratta di celebrare l’anniversario del Concilio come tale, ma di operare il
risveglio ed attuare la vivacità della fede. L ’Anno
della Fede può essere un contributo importante
per offrire quel forte impulso alla vita cristiana. Gli
appuntamenti e gli incontri, le messe e i concerti
non offriranno certo la soluzione alle problematiche della fede ma possono almeno portarle a galla. L’anno della fede è quindi un fare memoria del
Concilio Vaticano II: un aggiornamento dell’ aggiornamento.
A Limone sul Garda l’Anno della Fede dovrebbe
portare maggior interesse alla pratica religiosa almeno da equiparare in parte a quello profuso per
le attività turistiche.
don Eraldo
7
IL SINODO DIOCESANO
rocchie, ma non è quello che accadrà - assicura il
Vescovo di Brescia: “ il senso dell’Unità Pastorale
è nel segno non più dell’autosufficienza ma della
comunione tra le Parrocchie. Aiutarsi in fondo fa
già parte dell’identità di ogni singola realtà parrocchiale”.
S.E. Mons. Monari aggiunge che l’avvenire prossimo della pastorale vedrà la crescente presenza
della figura dei laici. E’ quindi un invito anche ai
fedeli limonesi di essere più attivi. A Limone sul
Garda anche la famiglia comboniana certamente
troverà la sua specificità all’interno della erigenda
Unità Pastorale che avrà probabilmente il suo centro in Gargnano.
Per chi volesse seguire il Sinodo via social network
sappia che è attiva la pagina di Facebook del Sinodo Diocesano (www.facebook.com/sinodo-brescia) e sarà possibile ‘cinguettare’ su Twitter citando #sinodobrescia.
L’1, il 2, l’8 e il 9 dicembre, presso il Centro Pastorale Paolo VI, a Brescia, si tiene il 29° Sinodo
Diocesano che ha come tema portante le Unità
Pastorali al fine di relativizzare i confini parrocchiali ed aprire le porte alla collaborazione tra differenti
realtà inter-parrocchiali per progettare una pastorale in grado di misurarsi con la complessità dei
problemi odierni.
Quasi 400 persone tra vescovi, sacerdoti, religiosi
e laici si confronteranno e daranno vita al cammino della composizione delle diverse Unità Pastorali. Se dopo il Concilio di Trento le comunità erano
legate alla propria Parrocchia ed al proprio Parroco, ora il futuro sarà impostato più sulla costruzione dei rapporti e delle relazioni con i propri vicini.
Un solo Parroco, data la complessità della realtà
odierna, non potrà più occuparsi solo dei propri
parrocchiani ma nascerà l’idea di realizzare un unico programma pastorale per più parrocchie. Le
Unità Pastorali propongono un cambio di rotta. Il
timore è quello dell’accorpamento tra diverse Par-
don Eraldo
I PRECETTI GENERALI DELLA CHIESA
Diventa allora importante ricordare ai cristiani
di Limone il loro dovere della Messa domenicale
e che se si gioca a pallone la domenica si può
venire a Messa, coi propri figli sportivi, il sabato sera. E’ anche interessante chiedersi quand’è
stata l’ultima confessione fatta davanti ad un sacerdote.
I giorni di digiuno sono il mercoledì delle Ceneri
ed il Venerdì Santo e l’astenersi dalla carne è
per i venerdì di Quaresima.
Sovvenire alle necessità della Chiesa lo si opera
anche facendo l’offerta alla Parrocchia in occasione dei battesimi, dei matrimoni e dei funerali.
Al riguardo a Limone non ci sono tabelle fisse
come esistono in molte parrocchie. Generalmente si è generosi e si offrono mediamente 50
euro per i Battesimi; 200 o 300 per i matrimoni
ed i funerali. Esiste anche chi offre di più, chi di
meno e chi si dimentica dopo magari aver speso
una bella cifra per i fiori.
don Eraldo
Sono 5 e sono punti di riferimento per il cristiano che vuol vivere dignitosamente la sua Fede.
Oltre ai 10 Comandamenti ed ai Consigli Evangelici restano indicazioni semplici da seguire.
Alcuni non ricordano più i 10 Comandamenti
e forse anche i Precetti della Chiesa sono caduti
nel dimenticatoio. Mi permetto allora di ricordarli:
1° Partecipare alla Messa la domenica e le altre
feste comandate e rimanere liberi da lavori e da
attività che potrebbero impedire la santificazione di tali giorni;
2° Confessare i propri peccati almeno una volta
l’anno;
3° Ricevere il Sacramento dell’Eucaristia almeno a Pasqua;
4° Astenersi dal mangiare carne e osservare il
digiuno nei giorni stabiliti dalla Chiesa;
5° Sovvenire alle necessità materiali della Chiesa stessa, secondo le proprie possibilità.
8
La Cresima e l’Eucarestia
per i nostri ragazzi
Domenica 22 aprile, nella Chiesa Parrocchiale,
alla presenza di monsignor Cesare Polvara, i nostri
giovani di prima media hanno ricevuto i Sacramenti della Santa Cresima e dell’Eucarestia. I ragazzi
hanno raggiunto questo traguardo dopo cinque
anni di preparazione catechistica, durante i quali
hanno: rinnovato le loro PROMESSE BATTESIMALI, ricevuto il Sacramento della CONFESSIONE, imparato la storia della BIBBIA e conosciuto
GESÙ attraverso la lettura del NUOVO TESTAMENTO. Hanno anche superato l’esame proposto
da don Eraldo per essere definitivamente ammessi
al Sacramento della Confermazione.
Ci ha fatto molta tenerezza vederli trepidanti, ansiosi, un po’ nervosi per la verifica che dovevano
sostenere, ma allo stesso tempo determinati nel
raggiungere l’obbiettivo.
Noi catechiste siamo orgogliose di loro e sappiamo
che tutti si sono impegnati molto.
Durante la cerimonia presieduta da monsignor Cesare Polvara, i ragazzi, molto emozionati, hanno
incontrato Gesù nell’Eucarestia, ricevuto la Santa
Cresima e portato un fiore e le loro preghierine
alla Madonna, per poi ringraziare il Signore con
un canto.
Ha ricevuto il Sacramento della Confermazione
anche Antonio, un ragazzo che lavora da un po’ di
tempo nella nostra comunità.
Per completare l’anno catechistico, abbiamo trascorso il pomeriggio del giorno di Pentecoste presso la Comunità Comboniana di Limone dove, con
l’aiuto di suor Paola, abbiamo meditato sulla vita di
San Daniele Comboni, intrattenendoci nel percorso multimediale e pregando lo Spirito Santo che ci
dia la forza per affrontare una vita di fede.
Questi nostri giovani hanno raggiunto un importante traguardo ricevendo tutti quattro i Sacramenti dell’iniziazione cristiana, ma non è la fine di un
percorso, bensì l’inizio di un viaggio da veri testimoni di Cristo.
II catechismo perciò prosegue… Tante cose dobbiamo ancora approfondire e tante sono da scoprire per crescere e imparare a portare il buon
esempio agli altri.
Ed ora, prima di “passare la penna” a Mara, Sabrina, Filippo, Matteo, Mattia, Elisabetta, Silvia, Ve-
ronica, Marco, Alessandro, Martina e Laura, che ci
lasceranno un loro pensiero, vogliamo ringraziare
chi ci ha aiutato in questi anni e per la buona riuscita della cerimonia.
Un grazie anche a Mariapaola per la sua disponibilità e un affettuoso ricordo a suor Barberina, vicina
a noi nei primi anni di formazione.
Le catechiste
Carla e Paola
Grazie Signore, sono stata molto contenta per
aver ricevuto la Santa Cresima e la Comunione. Prometto di andare avanti e venire sempre
a messa. Ringrazio mons. Polvara per le parole
dell’omelia che mi hanno aiutato a meditare sui
Sacramenti che sono andata a ricevere. Sono
stata molto felice per aver avuto i miei genitori
e parenti vicini a condividere con me l’immensa
gioia di quel momento così importante.
Silvia
Grazie, Signore. Sono stato molto contento di
aver ricevuto la Cresima e la Comunione. Sarà
mia intenzione continuare il catechismo e andare a Messa. Vorrei ringraziare mons. Polvara per
averci fatto ripassare i punti importanti della
nostra preparazione ai Sacramenti.
Filippo
Signore, Ti voglio ringraziare per avermi fatto
ricevere la Santa Cresima e la Comunione. Ti
prometto che d’ora in poi sarò più buona. Voglio ringraziare mons. Cesare Polvara che ha
fatto un’ottima omelia e con le sue parole mi ha
avvicinata ancora di più alla preghiera, ma soprattutto Ti ringrazio di avermi fatto stare vicino alle persone a cui voglio bene, che mi hanno
aiutato e che hanno condiviso la felicità di quel
giorno. Volevo anche dirTi che è stato uno dei
momenti più belli della mia vita.
Sabrina
9
Signore, voglio ringraziarTi per la gioia che mi
hai dato durante la Cresima e la Comunione.
Sono felicissimo e cercherò di essere sempre più
bravo e sarà mia intenzione seguire ancora il catechismo. Ringrazio monsignor Polvara per le
semplici parole che ha usato durante la celebrazione. Ho avuto vicino a me i miei famigliari che
mi hanno aiutato a condividere questi momenti
magnifici della mia vita.
Matteo
Durante la celebrazione della Santa Cresima e
Comunione ero molto emozionata e felice perché sapevo che il Signore mi entrava nel cuore
e mi faceva diventare vera figlia di Dio. Il mio
proposito è di essere una brava ragazza e aiutare
i miei amici quando hanno bisogno di me e non
voltargli mai le spalle e fargli male.
Elisabetta
Al Signore voglio chiedere di continuare ad accompagnarmi nel mio cammino fino alla morte,
come ha fatto dal giorno del mio battesimo fino
ad ora. I miei propositi sono quelli di - grazie al
Tuo insegnamento - comportarmi bene, pregare, aiutare gli altri nel momento del bisogno e
venirgli incontro.
Mattia
Domenica 22 aprile ho ricevuto i Sacramenti
della Cresima e della Comunione. Le catechiste Carla e Paola ci hanno aiutato a superare il
piccolo esame che don Eraldo ci ha fatto. Alla
cerimonia ero molto felice perché era la prima
volta che ricevevo Gesù, ma soprattutto ero molto agitata e tutte le emozioni si mischiavano tra
loro, ma sorridevo comunque. A mezzogiorno
con tutta la mia famiglia siamo andati a festeggiare mangiando tutti assieme. È stato un giorno indimenticabile.
Veronica
Grazie mille, Signore, per avermi permesso di
ricevere lo Spirito Santo. Sono contenta di aver
ricevuto la Cresima e, per la prima volta, la Comunione. Ti ringrazio per la bella famiglia e i
bei amici che mi hai dato. Ora tocca a me portare la parola di Gesù agli altri.
Mara
Signore, voglio ringraziarti per avermi fatto ricevere la Santa Comunione e la Cresima. Prometto di essere brava e pensarTi sempre. Ringrazio
mons. Polvara che con la sua bella omelia mi
ha fatto meditare sui Sacramenti che ero andata
a ricevere. Sono stata molto felice di stare con
tutta la mia famiglia e di aver passato una bella
giornata con loro.
Martina
Grazie, monsignor Polvara, per avermi dato la
Cresima e la Comunione. È stato emozionante
ricevere questi due Sacramenti. È stato stupendo! Ora siamo in grazia di Dio e testimoni di
Gesù.
Laura
10
Signore, sono molto felice di aver ricevuto questi Sacramenti. Adesso mi sento più grande e
responsabile. Cercherò di venire a messa e di seguire ancora per tanti anni il catechismo. Volevo
ringraziare il Monsignore per le semplici parole
che ha usato durante la cerimonia.
Alessandro
Grazie, Signore, per avermi dato i Sacramenti
della Cresima e dell’Eucarestia. Ringrazio anche
il vescovo che mi ha permesso di ricevere questi due Sacramenti. Voglio cercare di venire a
messa sempre, rispettare gli altri, e non dire le
parolacce.
Marco
Lettera
di ringraziamento
di mons. Cesare Polvara
ai ragazzi
Si ringraziano di cuore tutti i collaboratori della parrocchia: chi cura e pulisce la chiesa e vi
predispone i fiori, l’oratorio ed il suo giardino; chi prepara articoli e fotografie per il giornalino; catechisti, animatori, gruppi parrocchiali, il coro e l’organista.
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PRIMA COMUNIONE
6 maggio 2012
Era stato proposto ‘ad experimentum’ la possibilità di amministrare i due Sacramenti dell’Eucaristia e della Cresima contemporaneamente in un’unica celebrazione ai ragazzi della 1ª Media. Dopo
qualche anno si è deciso, d’intesa col Consiglio Pastorale, coi catechisti e con i genitori dei ragazzi,
di ritornare al sistema delle due cerimonie separate della Prima Comunione e della Cresima. Ecco
perché quest’anno si sono avute due celebrazioni di Prime Comunioni.
Ricordiamo con gioia il nostro primo incontro con
Gesù vivo e vero nell’Eucarestia. Lo ringraziamo
per il dono della sua presenza, per il suo Amore
forte e fedele. Ora continuiamo il nostro cammino
di fede, certi che Gesù, nostro caro amico, cammina con noi. Per il nuovo Anno catechistico, appena incominciato, vogliamo impegnarci a frequentare settimanalmente gli incontri in oratorio e ogni
domenica partecipare con
gioia alla S. Messa.
Ai nostri genitori, alle catechiste e a tutta la Comunità Parrocchiale chiediamo di accompagnarci in
questo meraviglioso viaggio della nostra crescita
umana e spirituale.
I ragazzi
della Prima Media:
Andrea, Matteo,
Oliver, Cristian,
Nico, Nicolò, Rossella,
Tea, Maddalena
e Rebecca.
Saluto a suor Paola
Domenica 26 agosto, durante la Santa Messa, ci
siamo incontrati un’altra volta con suor Paola in
partenza per l’Africa. Dopo l’intervento di don
Eraldo, è intervenuta per un saluto, a nome di tutti,
Lara Passolungo:
anche tristi perché in questi anni abbiamo imparato a conoscerla e a volerle bene: camminando
al nostro fianco ha, infatti, contribuito a far crescere la comunità sia cristianamente, ma anche
testimoniando con la sua vita che il Vangelo va
vissuto ogni giorno.
Vogliamo ringraziarla a nome dei malati, degli
anziani, delle catechiste, del gruppo solidarietà,
del consiglio pastorale, della comunità tutta e
in particolar modo a nome dei nostri ragazzi,
ai quali non ha profuso solo insegnamenti ma
anche scuola di vita.
Ci rivolgiamo a lei con gratitudine per l’opera
svolta in mezzo a noi con semplicità e disponi-
“Suor Paola ci lascia, torna nella sua missione
nello Zambia. Abbiamo sentito dire tante volte,
proprio dai missionari, che è un sacrificio stare lontano dalla missione, poiché è la vita che
hanno deciso di fare. Per questo, siamo contenti
che suor Paola possa ritornare dove desidera,
per continuare la sua opera preziosa in mezzo ai
più poveri ed emarginati dell’Africa. Ma siamo
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bilità, come è nello spirito di chi vuol seguire
l’esempio di san Daniele Comboni.
Nella certezza che con l’aiuto del Signore, nostra forza, possa proseguire la sua missione, le
auguriamo tanta salute ed energia per il suo impegno. E chissà che un giorno non possa ritornare in mezzo a noi. Grazie di cuore”.
Poi ha preso la parola suor Paola:
“Ringrazio don Eraldo per le parole che mi ha
rivolto questa mattina e ringrazio tutti quanti
voi. Il libro di Qoelet dice che c’è un tempo per
nascere e un tempo per morire, un tempo per
venire e un tempo per andare; io sono arrivata a
quel capitolo. È il tempo di andare e sono convinta che il più bel posto è quello dove il Signore
ci vuole.
Questi sette anni che ho trascorso qui con voi
non sono pochi ma sono passati molto in fretta
e sono stati un grande dono per me. Io so che
ritornare in Africa partendo dal paese di San
Daniele Comboni e poter dire questo agli africani, sapendo che lo amano tanto, aver conosciuto
i suoi concittadini e parenti mi fa sentire molto onorata. Io ho tanti ricordi da portarmi nel
cuore; andare è sempre un po’ morire, però se
non si va non si diventa missionari perché quello
che si è ricevuto bisogna darlo agli altri, bisogna
condividerlo perché diventi ancora più bello e
più grande. Per questo adesso parto, non perché
non mi sono trovata bene, ma per raccontare
agli altri quello che ho potuto vivere con voi. Vi
porto tutti nel mio cuore! Prego per voi e pregherò per voi ogni giorno.
Grazie veramente di cuore a tutti quanti, non
posso fare nomi perché rischierei di dimenticare
qualcuno. Grazie di avermi aiutata a vivere questi anni nella fedeltà del Signore”.
Al termine della cerimonia bambini e ragazzi del
Catechismo hanno a loro volta salutato suor Paola consegnandole un cartellone sul quale avevano
scritto una frase, un pensiero e tante firme, accompagnato da un’offerta frutto dei loro risparmi della
Quaresima.
Hanno anche espresso un desiderio: “Suor Paola,
ogni volta che aiuterai un bimbo in Africa rivolgi
un pensiero anche a noi che ti abbiamo sempre
voluto bene!”.
Noi catechisti, bambini e ragazzi ti auguriamo una
buona permanenza in Africa e che il Signore e San
Daniele ti aiutino nella tua missione donandoti tanta gioia in tutto quello che fai.
13
10 ottobre: San Daniele
Inoltre la festa di San Daniele cade proprio il giorno prima dell’inizio dell’Anno della Fede promulgato da Papa Benedetto XVI, lo stesso giorno, l’11
ottobre, in cui 50 anni fa iniziava il Concilio Vaticano II.
Mons. Polvara ha sottolineato il legame tra questi
avvenimenti: San Daniele è stato un precursore di
alcuni principi promulgati proprio dal Concilio, soprattutto nel decreto “Ad gentes” che tratta dell’attività missionaria della Chiesa. Il motto di San Daniele “Salvare l’Africa con l’Africa” esprime con
largo anticipo un nuovo punto di vista dell’uomo
“occidentale” nei confronti degli africani: il rapporto non è più tra “bianchi” dominatori e “neri”
schiavi ma tra fratelli e sorelle in Cristo.
Mons. Polvara ci ha anche esortato a coltivare la
nostra fede, a farla crescere, perché è la fede in
Cristo che rende possibile tutte le cose, non solo la
missione tra popoli lontani, ma anche la vita quotidiana nella nostra realtà.
Il 10 ottobre ricorre la festa di San Daniele Comboni. Anche quest’anno in parrocchia la festa è
stata resa solenne dalla celebrazione della Santa
Messa, con le letture di Isaia, di San Paolo ai Galati
e del Vangelo di Giovanni.
La Santa Messa è stata presieduta dal Provicario
generale della Diocesi di Brescia mons. Cesare
Polvara e concelebrata da don Eraldo, dai Padri
Comboniani e da don Marco Cosentino.
Ad introdurci nell’atmosfera di festa ci ha pensato il coro di Gargnano che ci ha presentato l’inno
comboniano di mons. Golin “Dicesti al mondo intero: ‘Voglio Nigrizia o morte’ …” e ha sostenuto
l’assemblea nei canti liturgici in latino, il Kyrie, il
Gloria e il Sanctus, per poi proporne altri di accompagnamento all’offertorio e alla comunione.
All’omelia mons. Cesare Polvara ha richiamato le
letture, soprattutto il Vangelo del Buon Pastore e le
parole di San Paolo ai Galati: “Quanto a me non ci
sia altro vanto che nella croce del Signore nostro
Gesù Cristo” (Gal 6,14), parole vissute realmente
da San Daniele.
S.R.
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Alla fine della celebrazione dedicata a
San Daniele, il coro di Gargnano ci ha
proposto alcuni canti: un’Ave Maria in
latino musicata da Tortani, “Maria Lassù” di De Marzi e il Cantico delle Creature” di San Francesco d’Assisi con la
musica di padre Domenico Maria Stella. A scuola si studia questo testo come
uno dei primi passi in “volgare”, cioè in
quella che diventerà poi la lingua italiana. In chiesa a volte si canta la variante
moderna, magari accompagnata dalla
chitarra, ma raramente si ha l’occasione per gustare la versione originale intesa appunto come cantico, come inno
di lode. Il coro di Gargnano ha cantato
in modo sublime su una dolce melodia e
alternando le voci: un assolo di contralto, uno di tenore, poi le voci femminili,
una parte corale, e così via. Riproponiamo questa preghiera, in occasione
della festa di San Francesco celebrata il
4 ottobre.
il Cantico delle Creature” di San Francesco d’Assisi
Laudato si’, mi Signore, per frate focu, per lo
quale ennallumini la nocte, et ello è bello et
iocundo et robustoso et forte.
« Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne
benedictione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra
matre terra, la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et
herba.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu
homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue
creature, spetialmente messor lo frate sole,
lo qual’è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu
è bellu e radiante cum grande splendore, de
te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace, ka da te,
Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le
stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose
et belle.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente
pò skappare: guai a cquelli ke morrano ne le
peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le
tue santissime voluntati, ka la morte secunda
no ‘l farrà male.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et
per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la
quale è multo utile et humile et pretiosa et
casta.
Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate et serviateli cum grande humilitate »
S.R.
15
UN OTTOBRE
“IMPEGNATIVO”
Nella Parrocchia di Limone, il 10 ottobre, come
ogni anno dal 2003, si è commemorata la canonizzazione di s. Daniele Comboni con una solenne
celebrazione eucaristica.
Il mese di ottobre di questo 2012 ha visto però la
Chiesa protagonista di eventi più ‘globali’, riproposti anche dai media nazionali e internazionali
all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale e
non solo cattolica.
Il 5 e 6 ad Assisi il ‘Cortile dei Gentili’ ha organizzato un incontro con tema: “Dio questo sconosciuto”. Credenti e non credenti hanno dialogato
con l’obiettivo di “rianimare il senso dell’etica e del
dovere, una nuova consapevolezza dei valori spirituali, dei doni della cultura e della solidarietà”.
Dal 7 al 28 si è riunita la XIII Assemblea generale
ordinaria del Sinodo dei Vescovi a cui hanno partecipato 262 Padri conciliari provenienti dai vari
continenti e avente per tema di riflessione e programmazione pastorale “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”.
L’11 ottobre a s. Pietro si è celebrato il 50° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II e si è
proclamato l’Anno della Fede, che si concluderà
il 24 novembre 2013. Quest’ultimo avvenimento è stato preceduto dal pellegrinaggio del Papa
a Loreto e dal conferimento del titolo di Dottore
della Chiesa a s. Giovanni d’Avila e a s. Ildegarda
di Bingen.
Il 21 ottobre, Giornata missionaria mondiale identificata dalle parole di s. Paolo “Ho creduto perciò
ho parlato”, sono stati proclamati sette nuovi santi
tra i quali la prima pellerossa, la canadese Kateri
Tekakwitha e G. B. Piamarta, sacerdote bresciano
fondatore, tra l’altro, dell’Istituto degli Artigianelli e
dell’Editrice Queriniana.
È passato nell’indifferenza generale dell’informazione di massa un altro avvenimento importante:
l’istituzione da parte dell’Onu, proprio l’11 ottobre, della Giornata delle bambine.
Perché questa dedica? I dati raccolti e analizzati
da varie associazioni laiche e religiose sono scandalosi, nonostante siano state scritte e sottoscritte
Carte dei diritti dei minori e dal 1997 a Reykiavik
anche una Carta dei diritti delle bambine.
L’ong. Terres des hommes ha elencato alcune del-
le peggiori forme di discriminazione al femminile:
aborti selettivi, infanticidi, bambine cedute o vendute per matrimoni precoci (come in Bangladesh
e non solo), gravidanze che spesso si concludono
con decessi per parti che avvengono senza nessuna assistenza (come in Costa d’Avorio e non solo),
mutilazioni o manipolazioni di parti del corpo, tratta e prostituzione, sfruttamento per lavoro minorile (come per le bambine domestiche in Perù e non
solo), mancato accesso all’istruzione...
Se milioni di bambini purtroppo hanno poco di tutto, le bambine hanno meno; se i bambini subiscono disagi, emarginazione, sofferenze e violenze le
bambine di più.
Il 19 ottobre in Italia un’altra donna è stata uccisa, vittima di ‘femminicidio’. È la centunesima
del 2012: secondo le fredda statistica matematica
sono state assassinate due donne (e mezza) a settimana.
L’11 ottobre la Caritas ha pubblicato il Rapporto
sulla povertà 2012: un italiano su tre si è rivolto ai
centri di ascolto dell’associazione.
Il 12 ottobre è stato assegnato all’Unione europea il Nobel per la Pace. Attualmente nel mondo
sessanta Stati sono coinvolti in guerre (Guerre nel
mondo News).
Dal 25 al 28 si è aperto a Torino il Salone del
Gusto in collaborazione con Terra Madre: tra degustazioni e varie manifestazioni, si sono affrontati i temi della difesa dell’agricoltura, della pesca e
dell’allevamento sostenibili, si è data priorità alla
preservazione dei gusti, della biodiversità, della
sovranità alimentare, si è cercato di sensibilizzare
contro l’accaparramento e la concentrazione di
terre nelle mani di pochi (grabbing land), a scapito del bene di intere popolazioni e della salute del
Pianeta.
f.p.
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San
Daniele
LA MORTE DELLA MAMMA
Comboni
parla
ancora
Dopo aver parlato del lungo viaggio sul Nilo, che doveva portare il gruppo di missionari mazziani alla Missione di Santa Croce, e delle prime impressioni nel vedere
gli africani da vicino, ci soffermiamo in questa puntata a ricordare come il Comboni
parla del dolore più profondo che lo ha colpito durante la sua prima esperienza di
Missione. Nelle lettere che scrisse in quell’occasione esprime tutta la sua fede e anche
tutta la sua umanità.
La più dolorosa notizia
Da marzo a novembre i missionari non ricevettero
alcuna lettera dall’Europa. Era l’epoca dell’anno in
cui le barche, per i venti contrari, non potevano risalire il Nilo. Finalmente il 13 novembre una barca
recapitò loro un pacco di lettere. Tra quelle lettere
una annunciava a Comboni la morte di sua madre.
Era morta quattro mesi prima, il 14 Luglio (cfr. Lozano.175).
Nei primi cinque mesi dopo l’arrivo a Santa Croce,
Comboni era stato attaccato più volte dalle febbri
che lo avevano prostrato fisicamente. Però da agosto in poi si era ristabilito.
Ora, al ricevere la dolorosa notizia, cadde ammalato di nuovo e si temette per la sua vita. Però si
riprese e in cinque giorni era fuori pericolo. Il 20
novembre scrisse a suo padre. Pochi giorni dopo
scrisse un’altra lettera al cugino Eustachio e i primi
di dicembre una a don Bricolo dell’Istituto Mazza.
Nella lettera a suo padre non si permise nessuno
sfogo. Con l’intenzione, evidentemente, di versare
balsamo sulla ferita, si intrattiene solo in riflessioni
di fede: “Consoliamoci – diceva – pensando che il
Signore l’ha voluta chiamare al premio. in quanto
a me la sento ora più vicina di prima”.
Con il cugino Eustachio è molto più umano: “Eustachio mio, non ho più madre. È vero che per la
grazia di Dio avevo accettato il distacco dalla famiglia e da quanto avevo di più caro al mondo per
seguire la mia vocazione e consacrarmi alle missioni, però la natura vuole la sua parte e non è
insensibile al colpo. Al ricevere la notizia ho pianto
amaramente”.
Anche la lettera a don Bricolo è uno sfogo. “Gran
cosa per me aver perduto mia madre e sapere che
ora mio padre è rimasto solo. Accetto la volontà
del Signore e adoro i suoi disegni. Ma il pensiero
di mio padre mi conturba assai”.
Bisogna ricordare che i missionari avevano interpretato la morte di don Oliboni (il primo del
gruppo a morire) come un segno di predilezione
da parte di Dio. Che questa maniera di pensare
fosse una convinzione abituale per Comboni lo si
comprende da ciò che egli dice dopo la morte di
sua madre. Infatti la lettera al padre del 20 novembre comincia con una domanda che è nello stesso
tempo una sorpresa e un’affermazione: “Con la
lingua potremo mai ringraziare il Signore che, nonostante i nostri demeriti, si è degnato di visitarci
così? La fortezza che ci viene dalla grazia di Dio
è tanto grande che possiamo non solo accettare
volentieri questa prova, ma anche chiederne altre
più grandi”.
Pare che il Comboni avesse avuto qualche presentimento della morte di sua madre perché dal mese
di luglio in poi aveva celebrato varie messe per lei.
Dopo aver ricevuto la notizia, intensificò le preghiere di suffragio anche se il cuore gli diceva che
sua madre era già entrata nella pace del Signore e
non aveva più bisogno delle sue orazioni.
Famiglia Comboniana
Limone sul Garda
17
DANIELE COMBONI
E LA VOCAZIONE ALLA MISSIONE
Una storia giapponese
Daniello Bartoli (1608-1685) gesuita, filosofo e letterato, storico della Compagnia di Gesù, nella sua
opera “Giappone” del 1660, ha scritto la storia
delle prime missioni cattoliche in quel Paese, dal
1571 al 1640, basandosi soprattutto sui minuziosi
racconti dei missionari.
Nel corso dei secoli successivi, nonostante avesse
dichiarato che “scrivendo io istoria, altro ne toccherò che quel sol che a istorico si conviene” fu
considerato da non pochi critici scarsamente attendibile a causa della tipologia delle fonti ma anche per l’intento apertamente agiografico del suo
raccontare. Nel Novecento tuttavia, la possibilità di
accedere con più facilità ai documenti giapponesi,
grazie alla riattivazione dei contatti con l’Occidente, e una maggiore attenzione per la storia dell’Estremo Oriente ne hanno favorito la riabilitazione.
L’espansione missionaria nel periodo narrato dal
Bartoli era trainata dalle scoperte geografiche, dalla conquista di nuovi territori, dall’incremento vertiginoso dei commerci gestiti dalle compagnie di
navigazione europee. Le conseguenze della Riforma protestante e calvinista, dello Scisma anglicano
e della Controriforma cattolica laceravano tragicamente il vecchio continente ma suscitavano anche
nuovi fervori di evangelizzazione.
Il primo a sbarcare nel 1549 in Giappone, “lungi
di qua dicennove mila e cinquecento miglia di burrascosissimo mare”, fu il gesuita Francesco Saverio
insieme con due compagni. Si fermò nel Paese per
due anni e tre mesi compiendo miracoli e conversioni; anche se “non pescò quivi con la rete, ma
stentatamente con l’amo”, la saldezza della fede
dei convertiti, che “non si dan vinti alla verità, senon prima convinti dalla ragione... era come lavoro di marmo, non in fragile creta”.
La società giapponese era di stampo feudale; il potere era in mano a vari Daimyo e Shogun “sempre in armi e spesso in battaglia: onde poi eran le
stragi de’ popoli, le sovversioni e gl’incendj delle
città...”. La storia narrata dal Bartoli compenetra
“l’avviarsi, il salire, il giungere al sommo e quinci
il dar volta all’in giù, e ‘l rovinar affatto della Fede
in Giappone” con la “continuata successione de’
cinque imperatori, Nobunanga, Taicosama, Daifusama e l’uno e l’altro Xongun”. Sono realistiche le
descrizioni delle lotte tra i vari ‘feudatari’ aiutati dai
fedeli Samurai, degli intrighi di corte per le successioni dinastiche; affascinanti quelle di paesaggi, di
boschi, monti, valli e laghi; quasi fotografiche quelle degli edifici a diversi piani, costruiti in pietra e legno trasportati per miglia e miglia a piedi da poveri
servi e contadini, e decorati all’interno con oro e
sfumature di azzurro; da ripresa diretta i resoconti su alcuni terremoti. I missionari erano accolti a
volte con tutti gli onori, aiutati a costruire chiese e
seminari, incoraggiati nella loro opera di diffusione
della fede; nel 1582 tre giovani nobili giapponesi
furono addirittura inviati a Roma come ambasciatori e ricevuti dal Papa con tutti gli onori: paraventi, dipinti su seta, stampe a inchiostro di china,
ceramiche testimoniano questo clima positivo e di
collaborazione. Più frequentemente i missionari e i
nuovi cristiani erano isolati, malvisti, perseguitati; il
Bartoli ne attribuisce la colpa alla gelosia dei bonzi,
che non volevano perdere “le sopragrandi ricchezze, l’autorità nel popolo, il rispetto in che erano
presso i Re”; o agli intrighi degli “eretici Olandesi”
ai quali, più pragmaticamente, interessavano soprattutto gli affari. I dissidi tra gli stessi ordini religiosi presenti sul territorio però e timori e sospetti
di ingerenze e manovre politico-militari europee,
soprattutto spagnole e portoghesi, erano forse le
cause più attendibili.
Le pene e le torture inflitte ai cristiani erano ideate
con perversa raffinatezza per acuire e prolungare
le sofferenze: costretti a percorrere nudi interi paesi e città tra le insolenze e le angherie della gente,
immersi nel ghiaccio o nel gelido mare d’inverno,
esposti al sole rovente, ustionati o arsi vivi, mutilati
pezzo a pezzo, costretti a ingurgitare acqua fino a
scoppiarne, marchiati a fuoco su tutto il corpo con
il segno della croce, calati nella fossa dei serpenti...
“E v’ha eziandio di peggio: ma non è tutto da dirsi”, afferma il Bartoli.
Fu sotto Taicosama Hidheyoshi che il 6 febbraio
del 1597 ne vennero crocifissi ventisei sulla collina
di Nagasaki: cinque erano spagnoli, uno messica18
no, uno portoghese, diciannove giapponesi tra cui
tre ragazzini di quindici, quattordici e dodici anni.
Ventisei giorni prima a Kyoto era stato tagliato
loro un orecchio e nel rigido inverno giapponese erano stati costretti a percorrere a piedi o su
carri le città di Kyoto, Osaka, Sakai fino al luogo
del supplizio. Il corteo era preceduto da un banditore con una tavola su cui era incisa la sentenza
di condanna. Nell’aria risuonavano i loro canti, le
preghiere, gli incoraggiamenti reciproci, parole di
perdono. Innalzati dopo la crocifissione avvenuta
a terra, furono uccisi da una lancia che squarciò
loro un fianco. La folla accorsa numerosa si accalcava per raccogliere con fazzoletti e con qualsiasi
altro mezzo il sangue dei martiri. Papa Urbano VIII
Barberini li dichiarerà beati trent’anni dopo, nel
1627; Pio IX Mastai Ferretti li proclamerà santi
nel 1862, alla presenza di quasi trecento vescovi,
con grande magnificenza, poco prima della fine
del potere temporale della Chiesa e dell’inizio del
Concilio Vaticano I, interrotto dalla presa di Roma
nel 1870. La liturgia cattolica ne fa memoria il 6
febbraio.
Nel 1616 il re xongum Ieyasu bandì la religione
cristiana da tutto il territorio nipponico e chiuse
le frontiere agli stranieri, ai “barbari del sud”: verranno riaperte solo nel 1853; le comunità celebravano nel nascondimento i loro riti, conservavano
e tramandavano nella clandestinità la loro fede; i
sacerdoti erano costretti a nascondersi nelle grotte,
nei boschi, su piccole barche vestiti da marinai, a
sostenere i fedeli solo di notte, con grave pericolo
per tutti. Le persecuzioni continuarono per anni, si
fecero più intense, aumentarono i martiri ma anche gli apostati.
Un ultimo episodio, storico, ma avvolto nella leggenda e nel mito, a cui il Bartoli accenna alla fine
del suo scritto, lo racconta in modo ampio e articolato anche Ivan Morris (1925-1976) inglese, professore ad Oxford e ad Harvard, uno dei maggiori
conoscitori in Europa della cultura giapponese, nel
suo libro “La nobiltà della sconfitta”. È l’avventura
di Amakusa Shiro, il messia giapponese annunciato venticinque anni prima da una profezia, un
ragazzo di sedici anni che guidò, con duecento ronin (samurai senza padrone) cristiani, la rivolta dei
contadini contro la violenta oppressione dell’imperatore. Dopo la barbara tortura e l’uccisione di
una donna incinta e di una fanciulla cristiane, i cui
parenti non avevano pagato i tributi imposti, dal
dicembre del 1637 il giovane radunò migliaia di
persone esasperate e disperate che confluirono dal
gennaio successivo nella fortezza-castello di Hara,
nella penisola di Shimbara nell’isola di Kyushu, su
un altopiano ventoso circondato su tre lati dal mare
aperto, per organizzare la ribellione e la resistenza.
Fino all’aprile del 1638 si opposero ad un serrato
assedio, anche ad un mercenario bombardamento
da una nave olandese, riducendosi ad avere per
armi solo pietre e bastoni e per cibo solo alghe e
orzo. Quando il 15 aprile furono costretti a capitolare, molte donne si buttarono nel fuoco con i loro
figli per non essere catturate, a tante fu tagliato il
naso e gli uomini furono decapitati. Non sapendo
se fra le teste mozzate ci fosse quella del giovane,
i vincitori costrinsero sua madre a passarle in rassegna: lei, che nonostante minacce e sevizie aveva
sempre sostenuto l’invincibilità e l’immortalità del
suo ragazzo, si tradì, vinta dalla pietà, constatando
quanto quella testa amata e cara fosse diventata
scarna.
Le fonti ufficiali parlano di diecimilaottocentosessantanove teste tagliate e conficcate su pali e di
altre tremilatrecento caricate su tre navi e portate a Nagasaki in una fossa comune. “Queste cifre
sono troppo esatte per essere vere, d’altra parte
non abbiamo prove che siano esagerate”, scrive
il Morris. Il castello fu raso al suolo perché non
rappresentasse un luogo simbolo e non diventasse
meta di pellegrinaggi.
Il fallimento dell’impresa di Amakusa Shiro e il
massacro che ne seguì, “uno dei più colossali della
sanguinosa storia del Giappone”, segnarono definitivamente la fine del libero culto cristiano in quel
Paese, dove il giovane è considerato comunque
ancora oggi un eroe nazionale, perché ha incarnato gli ideali del coraggio, dell’onestà, della bellezza,
della purezza e, in quanto martire di una religione sconfitta, il pathos più autentico e drammatico
dell’esistenza, simboleggiato dai fiori di ciliegio, dispersi dal vento.
Daniele Comboni ha affermato di aver letto da
ragazzino, probabilmente su un libro di Alfonso de’
Liguori (1696-1787), le storie dei primi cristiani
giapponesi, di essersi commosso per la fede e il
martirio soprattutto dei ventisei crocifissi nel 1597
a Nagasaki, e di aver coltivato, fin da allora, la sua
personale vocazione alla missione.
Flavia Pedrini
19
IL CORO
Da diversi anni il coro della Parrocchia si presta ad accompagnare le festività del Natale, della
Pasqua e l’amministrazione delle Cresime. Per diverse sere alcune persone si trovano a provare e
riprovare quei canti che vengono poi partecipati alla comunità che si riunisce in chiesa per quelle
circostanze. A loro va un particolare encomio e un vivo ringraziamento. Qualcuno annota che
chi viene alle funzioni liturgiche vorrebbe cantare personalmente ed essere ben partecipe e non
vorrebbe essere sostituto dal coro. Ben osservo che alle Messe domenicali, pur avendo tutti la
possibilità di cantare, son ben pochi quanti si uniscono al canto. Numerose sono le scuse: non
riesco a seguire il visore che propone i canti in assenza del suono del nostro organo; quando c’è
l’organo non riesco a leggere sul libretto dei canti perchè non ho gli occhiali; non mi piace chi
intona i canti; chi canta è stonato e non riesco ad intonarmi. Altri ancora annotano che non amano
il suono della chitarra, troppo alto.
Il fatto è che c’è posto per tutti. Chi ama il canto tradizionale o il gregoriano perché non si organizza
a ben preparare i canti della Messa ‘de Angelis’, della Messa per i funerali, il canto del ‘Te Deum
laudamus’, del ‘Pange Lingua’, del ‘Tantum ergo’, del ‘Veni Creator Spiritus’? Il parroco, alquanto
stonato, non andrebbe così alla ricerca di qualcuno che l’ultimo giorno dell’anno abbia ad animare
il canto. Invito quindi tutti ad animare la liturgia col canto nelle maniere che più vi aggradano e
cominciamo ad apprezzare chi offre il suo tempo per cantare in chiesa almeno a Natale e a Pasqua
e chi ci offre il suono dell’organo.
don Eraldo
SALA GIOCHI DELL’ORATORIO
E’ stata ridipinta la sala giochi dell’oratorio. Da tempo si sta cercando di offrire il biliardo a qualcuno
interessato che possa ricambiare con uno o meglio due calciobalilla più adatti ai giochi dei ragazzi.
I nostri ragazzi ed adolescenti avrebbero bisogno anche di almeno due tavoli dove possano giocare
coi loro Pokemon e Yu-Gi-Oh.
GRAZIE, RUGGERO
È deceduto lo scorso 16 novembre, presso l’ospedale di Arco, dopo sofferta malattia
serenamente accettata, il caro Ruggero Fava. In lui abbiamo trovato bontà ed affabilità,
senso positivo della vita e fiduciosa asserzione della speranza. Con rimpianto annoto la
scomparsa della caratteristica figura del custode della chiesa di San Rocco che fin dai
tempi di don Prospero ha mantenuto e svolto con dedizione e responsabilità.
Quando il 20 giugno 2007 irresponsabili avevano deturpato le due tele della chiesa
asportandone riquadri, fortemente dispiaciuto se ne addossava la responsabilità che
certamente non gli era dovuta, né tantomeno ipotizzata. Tale era il suo attaccamento
a San Rocco ed alla sua chiesa.
Il sottoscritto e la Parrocchia devono a lui riconoscenza e profondi ringraziamenti per
la sua continua dedizione profusa.
don Eraldo
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FESTA DEL DOLCE
In occasione della Festa dell’Immacolata e della seguente II Domenica di Avvento, 8 e 9 dicembre
p.v., il gruppo Solidarietà della Parrocchia organizza la tradizionale Festa del Dolce. Praticamente
presso la sala Patuzzi chiunque può offrire dei dolci confezionati in casa che verranno poi messi a
disposizione di quanti vorranno contribuire a rafforzare le finanze della Parrocchia che si è trovata a
dover affrontare varie spese non preventivate per riparare gli scarichi dell’oratorio e della canonica
nonché perdite d’acqua e sistemazione del giardino con nuove piantine. In realtà non si è ancora
concluso il pagamento per il restauro delle porte della Chiesa di San Benedetto; al riguardo le
promesse di qualcuno non hanno avuto seguito. In verità il Comune ha contribuito con la somma
di Euro 8.000,00 per le annualità 2010 e 2011, prevista dalla Legge Regionale 12/2005 per la
realizzazione di attrezzature di interesse comune destinate a servizi religiosi. Necessitano di restauro
i banchi della chiesa di San Rocco. Non posso dare inizio al restauro del mobile della sacrestia, già
autorizzato dalla Soprintendenza, in mancanza di fondi non prevedibili. Manca inoltre nel conto
della Parrocchia, presso la UBI Banca, la somma delle rate del mutuo per il campanile e l’organo
garantite dall’ Amministrazione comunale con propria Delibera di Giunta n. 79, del 17 maggio
2006, dallo scorso Aprile per un totale di Euro 9.509,66. Somma che aumenterà sempre più se
anche in prosieguo di tempo non verrà rispettato l’impegno dell’Amministrazione comunale di farsi
carico della spesa, così come a suo tempo concordato e deliberato. Il gasolio per il riscaldamento
della Chiesa e delle aule di catechismo ha il suo bel prezzo. Un grazie di cuore quindi all’iniziativa
del gruppo Solidarietà, dei catechisti e a tutti quanti contribuiranno con dolci ed offerte.
ANONIMI
Sono apparsi alcuni scritti a firma “EL BAGOSS”, “COMITATO AMICI DEL BAGOSS” e “… le
bustarelle di Volt- INO”. Siamo alle solite. In questo bel Paese di Limone sul Garda c’è chi si diverte
a diffondere notizie senza avere il coraggio di firmarsi. Senz’altro riceverebbe qualche denuncia di
diffamazione che credo si possa senz’altro fare anche contro anonimi. Un boccaccesco linguaggio
infiora notizie tendenziose con riferimenti espliciti o meno a persone del Paese che hanno diritto
ad avere la loro persona non intaccata da illazioni, bugie, calunnie e situazioni costruite ad arte per
demolire. La buona fama di ognuno va salvaguardata ed è da fortemente condannare chi fa uso
di fogli stampati per far emergere la propria insensatezza. Se quanto espresso in ‘facebook’, circa
l’esistenza di filmati, rispondesse al vero, che vadano ben avanti le autorità preposte prima che
qualcuno esca “da casa con le gambe in avanti”!
don Eraldo
La raccolta
di San Martino
Anche quest’anno si è svolta la raccolta di
San Martino. Generosa è stata la risposta
dei Limonesi che sempre si distinguono
in questa iniziativa. Un grazie a tutti
quanti si sono prestati e a chi ha portato
a destinazione i numerosi sacchi raccolti.
Due viaggi non sono stati sufficienti!
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Don Domenico Prenguber
Un sacerdote con radici limonesi
Nel Bollettino parrocchiale di Tignale edito in occasione della Pasqua 2012 è stato pubblicato un
articolo dell’arciprete don Giuseppe Mattanza che riporta alcune pagine del diario di don Domenico Prenguber (Riva, 10 marzo 1883-Tignale, 2 marzo 1945), originario di Tremosine. Da bambino
egli visse a Desenzano e a Limone e, ordinato sacerdote nel 1909, divenne parroco di Piovere e nel
1920 arciprete di Tignale. I suoi numerosi riferimenti alla vita, alla gente e alle vicende di Limone
meritano di essere qui ricordati.
Nel 1909 ai primi di luglio io Prengüber don Domenico, figlio di Angelo e di Domenica Giovanelli,
entrambi di Tremosine, faccio il mio ingresso nella
Parrocchia di Piovere, vedova da due anni per il
trasferimento del R. D. Giovanni Cavallaio a Lumezzane Pieve.
Fui destinato a questa Parrocchia appena ordinato
sacerdote da Sua Eccellenza Mons. Giacomo Maria Corna Pellegrini. Dovetti sostenere l’esame privatamente in una sala attigua al Duomo di Brescia
da Mons. Mascoli Gaffurri Testori. Alle titubanze
da me dimostrate perché giovane ed inesperto, il
venerando Presule mettendo la mano sulla testa
a me genuflesso mi disse: “Andate, vi accompagni la benedizione del vostro Vescovo” e recatosi
in biblioteca mi regalava il commento del vangelo
dell’Aluxerne.
Nato a Riva di Trento vi stetti fino agli otto anni,
poi due a Desenzano, poi a Limone dove compii le
elementari sotto la saggia maestra Codogni. Contemporaneamente mi teneva scuola di Ginnasio il
rev. curato don Giovanni Marinelli, divenuto poi
parroco per la morte di don Giovanni Cescotti, un
santo e caritatevole sacerdote.
Entrai in Seminario a Brescia, poi per la morte
del babbo dovetti rimanere a casa perché la mamma pur essendo pensionata e titolare nell’ufficio di
Caposcalo non poteva sobbarcarsi alla spesa del
collegio e poi era necessario per tenere il posto.
Frattanto mia sorella Caterina sposò Fava Oliviero,
cui fu affidato l’ufficio di battellante. La vocazione
mia fu sempre per il sacerdozio ed ecco l’aiuto della Divina Provvidenza.
Essendo morta l’unica figlia (8 anni) del dottore
Roncati di Limone, non trovando una ragazza che
volesse entrare in collegio a spese di questo buon
medico per ricordare la sua Gemma, vero angelo
di purezza e grazia, egli volle dotare me di un legato che depositò in Curia il cui reddito sarebbe frut-
tato per me fino all’ordinazione. Oltre la larghezza
del marito concorreva anche la signora Vittorina,
santa donna, cuore veramente generoso verso di
me e verso tutti i bisognosi del paese. Mi fu d’aiuto anche certa Emma Lucchini, che a Limone era
chiamata la Signorina.
Entravo in Piovere accolto dal Rev.do Vicario don
Domenico Triboldi e don Battista Andrighetti, curato di Gardola, accompagnato dal Rev. curato di
Limone don Luigi Marchesini. Sul piccolo piazzale
all’ingresso del paese fui salutato dai Fabbricieri signori Pietro Roncetti e Antonio Roncetti; vennero recitate varie poesie e si fecero dimostrazioni
d’allegrezza. Povera gente da due anni anelavano
d’avere il parroco perciò erano contenti. Si fece
corteo alla chiesa per le vie coperte di verde. Ricevetti espressioni d’affetto dai maggiorenti fratelli
Razzi Francesco Antonio Marco, Venturelli Giacomo, Antonioli Gaspare, padre del Rev. do Bortolo
morto nei pressi di Treviglio per un incidente motociclistico.
Dovetti per un periodo soggiornare in casa Bertoldi per restauri fatti alla canonica. Trovai il paese
molto deperito in fatto di vita morale, di cultura religiosa, di frequenza della Chiesa dati i due anni di
vedovanza. La gioventù soprattutto aveva bisogno
di essere accolta e guidata, cosa che potei ottenere
con catechismi, conferenze, scuola serale ecc. E
corrispose generosamente.
Trovai del buon cuore in quella popolazione e della
rettitudine e docilità e larghezza nell’aiutare il parroco, specialmente conservando l’usanza della così
detta Quarantola dell’oliva, dell’uva, fagioli, patate, granoturco ecc. Il beneficio era piuttosto misero, però con una certa attenzione poteva rendere
qualche cosa.
Arrivai a Piovere negli anni in cui si svolsero gravi
vicende nel Comune di Tignale causa la questione
della strada Tignale-Gargnano. Le frazioni Piove22
in progetto e questi erano il segretario
Roncetti, il prof. Ernesto Beretta, il sindaco Orio di Olzano, il Bertoldi e Pace
di Piovere.
Il fatto è che quelli di Oldesio scherzosamente finirono col cantare Vala al
Pra, vala a Gargnà, a noter la ne passa
so l’us de ca.
Nel 1915 perdetti a Piovere la mia
buona e santa mamma, nel 1918 mia
sorella Caterina, il di lei marito Fava
Oliviero ed un nipotino di nome Aldo.
Rimasero orfani sette nipoti: Giuseppe, Ambrosina, Adolfina, Ines, Emilio,
Angelina, Oliviero. E dovetti accoglierli
in canonica essendo tutti a Piovere perché profughi di Limone causa la guerra. La provvidenza divina con l’aiuto
dei buoni Pioveresi non è mai mancata. Nello stesso anno fui colpito io pure
da febbre spagnola quasi a morte. Il Signore mi ha salvato perché vide il bisogno ch’io facessi da babbo e mamma a
quei poveri orfani.
Devo la mia salute alle cure mediche
di quel buon sacerdote don Domenico Odorici, anima retta e tutto cuore,
che morì cadendo dalla roccia sulla via
Gargnano-Piovere colpito da svenimento essendo già di salute malferma. Era stato
a trovarmi pochi giorni prima, aveva ricevuto il S.
Giubileo e compiuto un corso di missioni nella sua
Parrocchia. Stava per recarsi alla Piazza dove si
trattava di costruire una chiesetta alla Madonna di
cui egli era tanto devoto. Dio l’abbia in Gloria! Pregato da parecchi di Gardola e dall’ex arciprete don
Triboldi, che fungeva da Economo, che mettessi il
mio nome a Tignale vacante per la morte del dotto
energico arciprete don Bortolo Zanelli, morto nel
1918 per spagnola.
Dietro invito del Vescovo mons. Gaggia mi risolvetti e sostenuto privatamente l’esame in Episcopio
venni nominato e feci l’ingresso il 2 maggio 1920,
condotto con l’auto dal cav. Bettanini di Prabione, accolto dalle autorità civili sindaco Lorenzi (che
poi fu anche mio colono), segretario Roncetti dott.
Margiotta, prof. Beretta, Fabbricieri Fruner, Moschini ecc...1
re, Aer e Prabione e parte di Gardola e Olzano
favorivano il progetto Tignale-Gargnano, gli altri
Tignale-Porto omonimo. Vi furono convegni sopra
convegni, discussioni, contraddizioni, dimostrazioni pro e contro pubblicamente, fatte con grida,
canzoni ecc. ch’era un piacere stare dietro le quinte ad ascoltare.
Si svolse il progetto con una traccia a pendenza da
far ritenere che si dovesse finire al porto tanto che,
arrivati sotto la campagna detta la Busca, si iniziò
la così detta variante, tratto di via che doveva servire di svolta verso il Prato. Tutto fu sospeso.
Frattanto venne la Guerra europea del 16-1718 e, occorrendo una via militare, dalla Busca si
proseguì per Gargnano in maniera che vincitrice
apparve la prima lega e tutto si mise in silenzio.
Veramente i caporioni della Lega per il porto avevano a loro disegno l’idea di congiungersi alla strada lacuale Gargnano-Riva che da settanta anni era
1
Giuseppe Mattanza, Una pagina di storia locale: dal diario dell’arciprete don Domenico Prengüber,
in “Gente di Tignale”, Pasqua 2012, pp. 13-14.
23
A Brescia vita più lunga
e tanta prevenzione
IL RAPPORTO 2011 DELL’ASL. Cresce il numero degli anziani, così come l’abitudine a
sottoporsi agli screening per la diagnosi precoce delle patologie oncologiche. Il big killer?
Per l’uomo i tumori alle vie respiratorie, per la donna i problemi circolatori. La sfida per il
2012: aumentare l’offerta dei test dell’Hiv alla popolazione a rischio.
Come sta la popolazione bresciana? Ha una speranza di vita che continua a crescere, muore soprattutto per tumori e patologie del sistema circolatorio, si sottopone di buon grado agli screening
per la diagnosi precoce delle patologie oncologiche. È quanto emerge dal Rapporto 2011 dell’Asl
di Brescia sulle attività di prevenzione e promozione alla salute.
NEGLI ULTIMI ANNI, innanzitutto, si è allungata
l’aspettativa di vita, con gli uomini bresciani che
vivono in media 75,3 anni (contro i 72,6 del 2002)
e le donne che raggiungono gli 82,6 anni (contro
gli 80,8 del 2002). Parallelamente cresce il numero degli anziani: quasi un bresciano su 5 ha più di
65 anni, e gli over 85 - che sono oltre 27 mila sul
territorio dell’Asl di Brescia - sono aumentati del
47,5 per cento rispetto al 2002. In crescita anche
la popolazione straniera residente, pari a oltre 162
mila persone con un incremento del 168 per cento
rispetto al 2002.
Quanto alle cause di morte, il big killer per l’uomo
rimane il tumore delle vie respiratorie, seguito dalle
patologie del sistema circolatorio (come infarto e
ictus), mentre per le donne i problemi circolatori
vengono al primo posto, seguiti dal tumore della
mammella. «Sul fronte della prevenzione anche nel
2011 un particolare impegno è stato dedicato ai
programmi di screening oncologici su colon retto,
mammella e collo dell’utero rivolti alla popolazione
residente nel territorio dell’Asl, che hanno consentito di diagnosticare precocemente la presenza di
lesioni tumorali su persone apparentemente sane»,
sottolinea Carmelo Scarcella, direttore generale
Asl di Brescia. Nel 2011 sono state invitate agli
screening gratuiti per il tumore colon rettale 124
mila persone, di cui 66.700 si sono effettivamente
sottoposte al test per la ricerca di sangue occulto
nelle feci, con un’adesione del 54 per cento che ha
consentito di individuare 65 forme tumorali maligne e quasi mille adenomi benigni. Alta l’adesione
allo screening mammografico, pari a oltre 36 mila
donne, ovvero il 67 per cento delle persone invitate dall’Asl a sottoporsi a mammografia (esame
che ha consentito di diagnosticare precocemente
270 casi di tumore). Leggermente più bassa, invece, l’adesione allo screening per il tumore del collo
dell’utero, pari al 46 per cento, con quasi 42 mila
donne sottoposte a Pap test, che ha consentito di
individuare 12 tumori maligni e 409 lesioni precancerose. Nel 2011 è proseguito anche il progetto per allargare gli screening oncologici alla popolazione detenuta a Canton Mombello e Verziano.
PER L’ANNO IN CORSO verrà incrementata l’offerta del test Hiv alla popolazione a rischio, come
annunciato dal direttore sanitario Asl, Francesco
Vassallo: «Grazie a un finanziamento della Regione
di 208 mila euro potenzieremo l’offerta del test, che
viene proposta nell’ambito del servizio di Medicina
del disagio Asl». Riguardo invece alla prevenzione
e sicurezza nei luoghi di lavoro, complice la crisi
che ha causato la netta riduzione delle ore lavorate,
gli infortuni gravi si sono ridotti a 1385 rispetto ai
2522 del 2006, mentre quelli mortali sono stati 11
(rispetto ai 17 del 2006), e riconfermano l’edilizia
e l’agricoltura come i comparti più critici. L’attività
di vigilanza dell’Asl si è concretizzata in quasi 12
mila controlli in 4856 imprese, con 810 verbali di
ispezione e quasi 1,4 milioni di euro di multe. Sono
proseguiti per tutto il 2011 anche i controlli sanitari
sull’ambiente, fra cui oltre 12 mila campionamenti
di acqua potabile dai punti rete.
Lisa Cesco
Bresciaoggi, 30 giugno 2012
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L’ultimo medico condotto di Limone
Per il dottor Cerrone è arrivata la pensione
Piróle per la presiù alta, cardioaspirina,
sciroppo: i nomi sono elencati in successione
sul foglietto che da qualche giorno è nel vaso in
mezzo al tavolo. Bisogna andare in ambulatorio
dal dottor Cerrone, che oggi firma le ultime
ricette. Nell’aprire la porta della stanza d’attesa,
la solita fila di gente seduta a ridosso delle pareti,
qualcuno con una sfilza di carte da mostrare,
una signora con il bambino piagnucolante, due
o tre più anziani preoccupati del caldo, altri
che parlano a voce alta dell’Italia agli europei
di calcio.
- Funsiunél ‘l computer stamatìna?
- L’è ‘n pó che so chi e, a dirte la verità, só
quasi stüf. Ogni tat sùna àca ‘l telefono...
Aspettando il turno in ambulatorio, la reazione
può essere differente. Se ci vai con fretta ti
incazzi, vorresti subito abbandonare e andartene,
magari per tornare un altro giorno, quando la
fila potrebbe essere ancora più lunga. Se invece
ci vai armato di pazienza, convinto che val la
pena provare anche questa, ti godi le chiacchiere
quotidiane. È un momento socializzante l’attesa,
soprattutto per un paese come il nostro dove le
occasioni d’incontro sono rare e poco vissute.
Conosci così i problemi fisici di questo e di
quello, le degenze ospedaliere, i mal di pancia,
le novità matrimoniali... Ci sono le imprecazioni
a Monti e all’I.M.U., le critiche al sindaco e al
parroco, a chi è entrato in ambulatorio e non
ne vien più fuori.
- Ma quàt ghe metéla? Stavólta hó vardà
l’orolòi! Vintisich minù...
- Ogni dù dì l’è chì... Posìbol?
Poi la porta si apre, tocca ad un altro. Nessuno
osa dir qualcosa per la lunghezza della “visita”,
anzi, anche chi prima si lamentava assume un
atteggiamento benevolo verso chi ha già fatto e
se ne sta andando...
È un via vai continuo, a volte imbarazzante.
“Povero dottor Cerrone” penso tra me. Dopo un
po’ anch’io sono coinvolto nella conversazione
e, scrutando gli atteggiamenti degli interlocutori,
noto un po’ di impazienza e qualche ansia.
Un’ora e un quarto di attesa: è il mio turno.
Come sempre il dottor Cerrone è seduto alla
sua scrivania. Il solito sorriso cordiale. Qualche
battuta. Il computer, verso la finestra, è acceso;
la stampante sta ronzando. Con le indicazioni
del mio foglietto, bisogna fare più ricette
diversificate perché siamo tre “pazienti”. Il
computer fa il suo dovere. Così la stampante.
Una firma, un saluto, gli auguri e via. Le ultime
ricette del dottor Cerrone nell’ambulatorio di via
Capitelli: il 30 giugno è la sua ultima volta.
Dal 1974 ad oggi ne è passata di gente da
lui. Prima in via Castello, al primo piano della
casa di mia zia Antonietta, dove già erano
stati il Monforte e il Davì, i medici condotti
che l’hanno preceduto. Poi il trasferimento nel
nuovo ambulatorio.
L’appuntamento per il saluto è in serata in una
sala del Centro polifunzionale. Dopo il breve
discorso del sindaco, il dottor Cerrone vivacizza
l’incontro ricordando la sua vita di studente e di
medico. Passa da Facchetti a Zoff, da Mazzola
a Gimondi e ad Agostini, dai coscritti del 1942
ai limonesi che hanno sofferto e soffrono la
silicosi. Ricorda i sindaci e i parroci con cui ha
avuto a che fare durante la sua permanenza
a Limone, i padri e le suore comboniane,
lancia un suo messaggio d’aiuto per un caso di
sofferenza di cui è a conoscenza.
“Ma come – ci diciamo un po’ tutti – il dottor
Cerrone, così schivo e poco loquace, di solito
dietro la scrivania alle prese con un computer
che a volte fa le bizze – stasera ci fa un discorso
25
così lungo, così simpatico, così
ironico, così bello?”.
Peccato, chi non c’è ad
ascoltarlo si perde una bellissima
occasione di incontro, di
riflessione sulla bellezza della
vita, sulla semplicità dell’uomo
e del medico, sull’originalità
dei limonesi. Il dutùr sciorina
un lungo elenco di ricordi e,
su ogni nome, ricama parole
quasi di poesia: il prof. Mario
Martinazzi, per le lunghe
disquisizioni di letteratura e
filosofia, Germano Chincherini,
Gennaro Dagnoli, Attilio e
Ottavia Risatti, Aldo Girardi,
Carlo Horstmann, il primo incontrato a
Limone, Pasquale Vadalà, Gaetano Beretta,
Renata Folcia con Ferruccio e Roberto, Paolo,
mio padre. E poi Elena Montagnoli, ex bidella,
“l’unica che ha pianto nel veder crollare la sua
scuola”, e Maria Girardi, assidua volontaria per
le pulizie dell’ambulatorio.
Un discorso che non m’aspettavo, che mi ha
fatto scoprire un lato che non conoscevo del
nostro dutùr, anche se ne avevo intuito in
più di un’occasione la sottile ironia. Non so
se con queste poche righe, buttate giù sul filo
dell’emozione, riesco a raccontare il senso della
serata. In un primo tempo avevo pensato di
chiedere al dottore il testo del suo intervento
per pubblicarlo integralmente. Ma quegli attimi
sono stati unici, irripetibili. Trascrivere e leggere
sarebbe stato come depredare quell’atmosfera
che ho avuto la fortuna di vivere insieme ad un
centinaio di altri limonesi, doc e nuovi.
Grazie, dottor Cerrone, per la citazione latina
di Virgilio, grazie per lo spirito positivo con cui
ha intrapreso e vissuto la sua carriera, grazie
per i 38 anni trascorsi a Limone, grazie per
le centinaia di migliaia di ricette, grazie per le
migliaia di visite a domicilio, grazie per le corse
per gli ammalati nelle nostre case.
Ho voluto mettere come titolo a questo mio
saluto quello che il dutùr stesso mi ha suggerito:
“L’ultimo medico condotto di Limone”. Sì,
perché, dal 1° luglio 2012, il mondo della
medicina a Limone è un altro. Chi vivrà vedrà.
Ad maiora.
Domenico Fava
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Suor Maria Consiglia Miglietta è la nuova
superiora delle Suore comboniane a Limone.
È arrivata suor Palma Gosetto,
cui porgiamo il nostro benvenuto
Dopo la partenza di suor Paola, la comunità delle nostre Suore Comboniane si è arricchita
di una nuova presenza: suor Palma Gosetto. La nuova Superiora è ora suor Maria Consiglia
Miglietta, che già assieme a suor Giuseppina era presente a Limone. A tutte loro auguriamo
ogni bene in questa Parrocchia e di cuore le ringraziamo per quanto fanno soprattutto per la
generosa assistenza ai nostri anziani.
Suor Palma si presenta
Nativa di Dimaro, in Val di Sole (TN), ancora
giovane ho scoperto che il Signore mi chiamava
ad essere missionaria e ho conosciuto le Suore
Comboniane. Ho speso 15 anni nel Regno
Unito, prima a Londra e poi a Glasgow, in
Scozia. Quindi sono partita per la missione
nel nord Uganda, dove ho speso 33 anni
tra quella popolazione: è stata un'esperienza
molto bella e interessante. Ho condiviso gioie,
preoccupazioni e speranze con la gente locale.
Da poco faccio parte della comunità di Limone
sul Garda, terra natale di San Daniele Comboni
e sono felice di essere qui.
Comboni, il mio paese di adozione è l'Africa.
Entrata a far parte della famiglia Comboniana,
ho avuto la mia formazione religiosa a Londra;
subito dopo, sono partita per gli Stati Uniti. Tra
studio e lavoro vi sono rimasta per 12 anni.
Finalmente il mio sogno si è avverato e nel
1974 ho toccato il suolo africano – l’Uganda
– destinata per la nuova apertura in Zambia,
1975. Ringrazio Dio per 33 anni di lavoro in
terra africana, in Zambia, 16 anni negli Stati
Uniti e un anno e mezzo qui a Limone.
Ovunque ho trovato persone buone: ci siamo
volute bene e assieme siamo cresciute nell'amore
reciproco e sopratutto nell'amore di Dio.
Grazie della vostra accoglienza in mezzo a voi.
È un dono essere nella terra di San Daniele
Comboni.
Suor Maria Consiglia si presenta
Sono nativa di Lecce e, come San Daniele
Si è concluso positivamente un lungo processo giudiziario
Pubblico. L’indennizzo è stato completamente
saldato nel mese di novembre.
L’interessato è stato difeso tra l’altro, per i
profili penali, dal figlio l’avvocato Luca Dagnoli,
del Foro di Brescia.
Figlio di Annibale Giuseppe Dagnoli e Paola
Risatti (meglio conosciuti col nome di Bèpi
e Paolina), dopo il Diploma di Maturità ha
conseguito due Lauree quinquennali in materie
Tecnico-Scientifiche.
Attraverso il superamento di specifici
concorsi, da anni ha raggiunto nella Pubblica
Amministrazione, il grado di Dirigente.
Attualmente svolge compiti dirigenziali presso
un importante Ente della Regione Lombardia,
in Brescia.
In data 13 giugno 2012 è stata depositata la
Sentenza definitiva della Suprema Corte di
Cassazione di Roma, la quale ha sentenziato
l’accoglimento del ricorso presentato dal Sig.
Dagnoli Dott. Luigi, originario e abitante di
Limone sul Garda, in merito ad un’annosa
vicenda riguardante la sua attività lavorativa
nella Pubblica Amministrazione legata a una
vicissitudine risalente al lontano anno 1999.
L’Autorità Giudiziaria sopramenzionata, oltre
a dare ragione al ricorrente accettando il
suo ricorso (giunto al terzo ed ultimo grado
di giudizio), ha altresì stabilito che il suo
risarcimento economico sia completamente a
carico dell’altra parte, imponendolo pertanto
come obbligo risarcitorio a favore del Dirigente
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MESSAGGIO DEI VESCOVI ITALIANI ( C.E.I.) PER LA 7.a GIORNATA
PER LA SALVAGUARDIA DEL CREATO
Lo scorso sabato 15 Settembre anche a Limone sul Garda si è celebrata la 7.a Giornata per la salvaguardia del Creato. Per la circostanza i Vescovi italiani avevano offerto una riflessione attraverso il loro messaggio “Educare alla custodia del creato per sanare le ferite della Terra” che ci è stato commentato dal Rev.
do don Gabriele Scalmana, incaricato della Pastorale del Creato da parte della nostra Curia Diocesana.
Don Gabriele era già stato presente in Parrocchia anche in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo
ed aveva presieduto la concelebrazione presso la chiesa di San Pietro il 29 Giugno scorso. Ha sottolineato
che la Conferenza Episcopale Italiana nel documento ha elencato le ragioni fisiche, sociali e spirituali
che ci impongono di salvare il territorio. Annunciare la verità sull’uomo e sul creato e denunciare le gravi
forme di abuso sono scelte e gesti attenti all’educazione del gusto del bello.
SAN PIETRO ED IL SUO OLIVETO
In data 7 Novembre 2012 è stato pubblicato sul
Bollettino Ufficiale Regione Lombardia (BURL)
“l’avviso di approvazione definitiva e deposito degli atti costituenti il Piano di Governo del Territorio
(PGT)” del Comune di Limone sul Garda. Sull’Avviso Pubblico Prot. N. 9247, del 07/11/ 2012,
del Comune si legge che “il PGT e tuti i suoi atti
ASSUMONO EFFICACIA dalla data odierna”.
Immediatamente sono apparsi ricorsi al TAR in
data 08/11/2012 ed in data 12/11/2012, da
parte di una società e di un cittadino limonesi, che
il Comune di Limone sul Garda, rispettivamente
con Delibere di Giunta N.145 e N.144 vuol resistere in giudizio. Non saranno forse che i primi?
Per un PGT adottato in seconda convocazione
lo scorso 30 Dicembre 2011 da soli 5 Consiglieri comunali, uno dei quali all’opposizione, ed
approvato con Delibera del Consiglio Comunale
del 29/06/2012, forse ne sono in cantiere altri.
Il 25/06/2012 la Provincia di Brescia (Parere N.
2107) aveva manifestato parere di compatibilità al
PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) del PGT del Comune di Limone sul Garda
condizionato alle conclusioni e agli elementi della
Relazione Istruttoria per le motivazioni ivi espresse. Non adeguandosi a quest’ultime il PGT potrebbe forse essere corretto? Tra queste condizioni
espresse nel documento della Relazione istruttoria
dell’Ufficio di Pianificazione Territoriale ed urbanistica della Provincia di Brescia in verità a pag. 18
si legge che “con l’attuazione di tutti gli interventi
proposti dal nuovo strumento urbanistico si insedieranno a Limone sul Garda 149 abitanti teorici
sovrastimato riferendosi a previsioni del prossimo
quinquennio”. A pag. 19 si legge ancora che “va
mantenuta e migliorata l’eventuale vegetazione arborea…Importante la presenza di oliveti…Proprio
in questi contesti, tutelati dal PTCP si concentrano
le aree oggetto di trasformazione con una superficie di 4,65 ettari. La trasformazione di tali ambiti
comporterebbe l’eliminazione di circa il 10% degli oliveti presenti a Limone”. A pag. 20 si può
leggere che “le indagini compiute evidenziano un
forte impatto delle trasformazioni previste sul sistema agricolo… gli ambiti previsti insistono
su oliveti in zona collinare o rivierasca che,
per le NTA (Norme Tecniche di Attuazione) del
PTCP, andrebbero rigorosamente conservati.” A pag. 22 si legge inoltre che è necessario
ridurre i valori del fabbisogno di tipo endogeno (mq
37.321) ed esogeno (mq 137.001) per un totale
di mq 174.321 ad un totale complessivo di mq
87.161. Praticamente si deve ridurre della metà.
Da ultimo a pag. 22 è scritto :” In particolare per
gli ambiti 5 e 5.1 si chiede un approfondimento
progettuale che valuti la possibilità di consentire
l’accesso viario dell’AdT 5 da Sud anziché da Nord
delocalizzando con lo stesso criterio l’edificio n.9.
Le aree così liberate dall’edificazione costituiranno ulteriore fascia di mitigazione della Pieve di
San Pietro.” Applicate quest’ultime resta ancora
l’autorizzazione paesaggistica. Sempre a pag. 22 si
legge che “l ‘Amministrazione Comunale dichiara
che le nuove previsioni insediative del PGT sono
state ponderate in funzione di singole richieste di
cittadini di Limone sul Garda, al fine di realizzare
la loro prima casa in territorio comunale con lo
scopo di evitare interventi speculativi di ogni sorta”. Constatando i dati catastali odierni e a quanto
sono stati venduti ed acquistati alcuni terreni qualcuno avanza perplessità al riguardo. Trattandosi di
condizioni da rispettare qualsiasi persona potrebbe
ricorrere al TAR qualora ci sia qualche dubbio che
esse non vengano considerate.
don Eraldo
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Dicembre 2012 - Comune di Limone sul Garda