Saggio introduttivo alla mostra
Gabriele Barucca
La possibilità di organizzare a Mosca, nell’ambito delle manifestazione collaterali dell’Esposizione dei beni e
prodotti italiani di eccellenza nella Federazione Russa città di Mosca – Exhibitaly 2012, una piccola
esposizione di opere d’arte provenienti dall’Italia, offre l’occasione per riunire alcuni capolavori di Lorenzo
Lotto (Venezia, circa 1480 – Loreto, circa 1556), scelti in prevalenza tra quelli riconducibili ai vari soggiorni
nelle città delle Marche o a committenze marchigiane con l’aggiunta di due celebri dipinti realizzati da Lotto
negli anni trascorsi a Bergamo, città che lo ospitò quasi continuativamente dal 1513 al 1525. Una mostra
d’occasione, dunque, che intende costituire l’omaggio all’artista cinquecentesco più vicino alla sensibilità e
alle inquietudini contemporanee da parte di due istituzioni culturali, la Soprintendenza per i Beni Storici,
Artistici e Etnoantropologici delle Marche e il Museo di Stato Puškin di Mosca.
Veneziano, Lorenzo Lotto trascorse quasi tutta la vita lontano dalla città natale, ai suoi giorni ancora una
delle più straordinarie capitali della civiltà occidentale, che però non lo aveva mai capito e apprezzato
abbastanza e che preferiva l’opera dei suoi grandi coetanei Giorgione, Palma il Vecchio e Tiziano. Così la sua
esistenza errabonda e inquieta lo portò spesso lontano da Venezia e fu segnata da soggiorni più o meno
prolungati a Treviso, a Bergamo e, soprattutto, nelle cittadine delle Marche. E qui a Loreto il grande pittore
ormai vecchio e solo si stabilì definitivamente nel 1552 divenendo due anni dopo oblato presso la Santa
Casa, sotto la protezione del veneziano Gaspare de Dotti, governatore apostolico, e vi morì fra la fine del
1556 e i primi mesi dell’anno seguente.
La decisione di scegliere per questa mostra alcuni dipinti di seducente bellezza di Lorenzo Lotto è dettata
principalmente da due ragioni. La prima ragione risiede proprio nella qualità straordinaria di queste opere
del pittore veneziano, riscoperto dalla critica novecentesca dopo secoli di oblio - la prima monografia di
Berenson è del 1895 - e finalmente riconosciuto come uno degli interpreti e artefici più sensibili e profondi
del suo tempo, la seconda nel fatto che Lorenzo Lotto rappresenta una delle testimonianze più alte e
significative dell’intensità dei rapporti culturali tra Venezia e le Marche. Di fatto, almeno fino a tutto il
Cinquecento Venezia ha inequivocabilmente rappresentato per la Marca uno dei principali, fortissimi poli di
attrazione. Numerosi contributi di studio hanno affrontato i diversi aspetti del rapporto tra Venezia e l’area
adriatica, in particolare marchigiana. Questo fenomeno di carattere essenzialmente economico e sociale
determinò almeno fino al XVI secolo un’osmosi culturale tra le città della Marca e Venezia, che trova
riscontro ancora oggi, nonostante le innumerevoli dispersioni, nella realtà di un tessuto artistico locale
caratterizzato profondamente dalla notevole densità di “presenze veneziane” o più generalmente venete,
distribuite su tutto il territorio marchigiano.
Lorenzo Lotto non si limitò ad inviare nella Marca le sue opere bensì vi soggiornò ripetutamente nel corso
della sua esistenza, scegliendola di fatto come sua terra d’elezione. I dipinti selezionati intendono proprio
documentare i diversi momenti di questo intenso legame tra l’artista e le Marche e insieme consentono di
tracciare un’affascinante sintesi delle componenti della poetica lottesca, di seguire insomma il cammino
della sua arte, la ben rilevabile evoluzione stilistica nel corso della sua carriera.
Accanto a queste opere di sicura provenienza marchigiana sono presenti tre straordinari dipinti del Lotto ora
conservati all’Accademia Carrara di Bergamo. Si tratta del Matrimonio mistico di santa Caterina con il
donatore Niccolò Bonghi del 1523, e del Ritratto di Lucina Brembate, databile intorno a quell’anno, entrambi
realizzati dunque durante il sereno periodo trascorso dal Lotto nella città orobica, e infine della Sacra
Famiglia con santa Caterina d’Alessandria, entrata nel 1829 nella collezione del conte Guglielmo Lochis a
Bergamo, ma probabilmente dipinta da Lotto non appena arrivato nelle Marche da Venezia nel 1533, anno
in cui la tavola risulta firmata e datata.
Il tempo brevissimo a disposizione per organizzare l’esposizione e le sue dimensioni limitate da più ragioni
materiali, hanno consigliato, volendo comunque illustrare i diversi momenti della carriera di Lotto, di
concentrare l’attenzione su uno dei temi caratterizzanti della produzione del pittore, vale a dire quello della
pittura di devozione, di destinazione sia pubblica sia privata. Risulta così purtroppo penalizzata in mostra la
ritrattistica, altro tema dominante dell’attività lottesca sia per la quantità di ritratti eseguiti, sia soprattutto
per gli esiti di qualità, spesso altissima. Così, data l’indisponibilità al prestito di ritratti eseguiti da Lotto per
committenti marchigiani, si è scelto di esporre qui un solo esemplare degli anni bergamaschi, che credo sia,
però, tra i più importanti. E’ il Ritratto di Lucina Brembate in cui il pittore rivela grande maestria nel fissare
la verità della persona rifuggendo da intenti di idealizzazione e manifesta con il sorprendente inserimento
del rebus per l’identificazione del nome della dama la sua passione costante per la cultura degli emblemi e
delle allegorie. A ben guardare, all’interno della ritrattistica può essere ricompresa anche la grande tela
della Carrara con le Nozze mistiche di santa Caterina, a cui è ammesso come testimone il committente
Niccolò Bonghi, ritratto di fronte e còlto dal pittore nel suo vero interesse di farsi notare dal pubblico
piuttosto che di contemplare la scena sacra.
Ma andiamo per ordine. Al primo periodo della presenza di Lotto nelle Marche (1506-1512) appartiene la
tavoletta votiva del San Giacomo pellegrino, proveniente dal piccolo Oratorio di San Giacomo a Recanati, ed
ora nella locale Pinacoteca Civica di Villa Colloredo Mels. Il dipinto appartiene alla giovinezza dell’artista ed
è stato riconosciuto dalla critica come uno dei capolavori emblematici nel percorso iniziale del pittore più
originale e bizzarro emerso nella Venezia del Cinquecento. Il modo in cui è definito lo sfondo paesaggistico e
la monumentalità classica della figura del santo, nonostante le sue piccole dimensioni, denunciano il
momento di più stretta consentaneità con Raffaello, come nella Deposizione di Jesi, confermando la
datazione del nostro dipinto negli anni fra il 1511 e il 1513, periodo in cui Lotto alterna ai soggiorni
marchigiani e bergamaschi periodi di attività romana a fianco dell’Urbinate nella decorazione delle Stanze
Vaticane. La suprema e moderna libertà nel giocare con lo spazio e le disparità dimensionali tra primo piano
e sfondo, che conferendo maestosità al san Giacomo fanno sembrare questa figura nelle riproduzioni
fotografiche molto più grande del vero, anticipano gli effetti raggiunti dai grandi incisori seicenteschi come
Francesco Villamena e Jacques Callot.
Alla seconda metà degli anni venti sono databili le due tavolette con l’Angelo annunciante e la Vergine
annunciata, oggi nella Pinacoteca Comunale di Jesi, e la tela raffigurante la Madonna col Bambino,
attualmente nelle collezioni d’arte del Palazzo del Quirinale a Roma, ma con ogni probabilità proveniente
dalla raccolta anconetana dei duchi Grazioli. E’ questo il periodo tra la fine del soggiorno bergamasco e il
rientro a Venezia del pittore, che proprio in quegli anni rinsalda nuovamente i suoi rapporti con i
committenti marchigiani e specialmente jesini. Peraltro già nel 1523, quando ancora risiedeva a Bergamo, si
era recato a Jesi per firmare il contratto per la Pala di santa Lucia, di fatto dipinta a Venezia e consegnata a
Jesi solo nel 1532. Le tavolette jesine con l’Annunciazione, presenti in mostra, costituivano gli scomparti
laterali di una pala frammentaria, realizzata per un altare della chiesa dei Minori Conventuali di San Floriano
a Jesi, nel cui convento furono rinvenute nel 1861. Memorabili sono le figure dei due protagonisti che
appaiono improvvisamente dall’oscurità, legate visivamente dalla ricomposizione nei due scomparti di un
ambiente domestico unitario dove si svolge la scena, suggerito da alcuni particolari come l’uscio aperto alle
spalle dell’Angelo da cui filtra la luce che illumina appena la stanza, l’inginocchiatoio con i libri, la vetrata
dell’oculo e la tenda verde annodata dietro alla figura della Madonna. La luce che investe i due personaggi li
colpisce sul davanti, come la luce artificiale di una ribalta, che concentra l’attenzione sulla mano destra
alzata dell’Angelo, sublime trasposizione visiva dell’”angelica salutazione”, sul viso della Vergine e sul gesto
delle sue mani, esprimenti la sua conturbazione dopo aver udite le parole dell’Angelo. In questa figura Lotto
raggiunge in virtù di una stesura pittorica superlativa uno dei vertici supremi della sua arte: una creatura
come nessuna altra celestiale che si fa visione materiale, segnando con la sua ombra il pavimento della
stanza. La cronologia dei pannelli superstiti della paletta jesina è generalmente circoscritta tra il 1525 e il
1527; l’esecuzione delle opere sarebbe pertanto avvenuta nel periodo di passaggio tra l’attività bergamasca
del Lotto, segnata dal Polittico di Ponteranica, e il suo rientro a Venezia, denso di commissioni destinate alle
Marche, come per esempio la Pala di Santa Lucia di cui s’è detto e la Pala di San Francesco al Monte,
sempre a Jesi, firmata nel 1526. Proprio per gli stretti legami di stile con quest’ultima opera, Zampetti
propone una datazione intorno al 1526-27 per la piccola tela raffigurante la Madonna col Bambino, oggi
negli appartamenti imperiali del Quirinale. Lo studioso inoltre avanza un’ipotesi sul possibile committente e
su un’originaria provenienza marchigiana dell’opera, legandola ai duchi Grazioli, tenuto “presente che quella
dei Grazioli è una famiglia patrizia anconetana e che un Ludovico Grazioli viene ricordato dal Lotto nel suo
Libro di spese in diverse circostanze, facendogli anche il ritratto nel 1550”. Le ridotte dimensioni della tela
ne suggeriscono una destinazione alla devozione privata anziché pubblica. Il tema mariano insieme a quello
cristologico è uno dei prediletti dal pittore veneziano per i dipinti destinati alla pietà domestica. In questa
Vergine col Bambino presentata nel suo isolamento iconico, senza la presenza di altri personaggi, figure di
santi o ritratti di donatori, visibili in numerose altre opere incentrate sull’iconografia mariana, Lotto, con la
sua straordinaria capacità di parlare con le immagini a chi guarda, rafforza il sentimento devoto con il gesto
di Gesù che indica il libretto aperto delle preghiere nella mano della Madre.
Ad aprire il terzo momento cruciale dell’attività e del soggiorno nelle Marche del Lotto tra il 1533 e il 1539,
periodo in cui si susseguono le più prestigiose commissioni nella regione, è la Sacra Famiglia con santa
Caterina d’Alessandria, tavola firmata e datata 1533, ora all’Accademia Carrara di Bergamo dove pervenne,
come s’è detto, dalla collezione del conte Lochis. La sottile inquietudine che turba i volti dei personaggi e
agita come in un vortice i loro movimenti, quasi per un oscuro presagio, si scioglie nel sereno e stupefacente
paesaggio dello sfondo, incorniciato da una folta siepe di piante vere, di cui si possono identificare le specie
botaniche, che non è azzardato identificare in un tratto della costa adriatica a sud del monte Conero, visibile
a sinistra della testa di san Giuseppe, con il fiume Potenza che sfocia nel mare.
Tra le grandi commissioni pubbliche di questi anni è riconducibile la pala raffigurante la Madonna col
Bambino incoronata dagli angeli e con i santi Stefano, Giovanni Evangelista, Mattia e Lorenzo. La grande
tela, oggi nella Pinacoteca Civica di Ancona, è ricordata dal Vasari, il quale informa che fu eseguita per la
chiesa di Sant’Agostino di Ancona. E’ firmata ma non datata ed è collocabile cronologicamente intorno al
1538, anno in cui Lotto è documentato ad Ancona. La composizione e concezione luminosa del dipinto
rivelano un momento di alta tensione religiosa e mostrano stilisticamente un certo avvicinarsi del Lotto al
gusto lagunare, e in particolare alla pittura di Tiziano. Ma si deve ricordare anche che la pala anconetana
giustificò l’inserimento di Lorenzo Lotto tra i ‘pittori della realtà’ precedenti di Caravaggio, secondo una
intuizione di Roberto Longhi (1929): “O se volete vedere a che punto il Lotto, ne’ momenti più sobri e meno
melici, sia vero e semplice di forma, e allora precaravaggesco, guardate il San Lorenzo della pala di Ancona,
proprio formato dal lume, come farà il Caravaggio cinquant’anni dopo.”
Alla fase finale dell’attività del Lotto per le Marche (circa 1545-1556) appartengono le ultime due opere in
mostra. La prima è una piccola tela raffigurante San Rocco, dalla stesura pittorica di qualità magistrale,
acquistata recentemente dallo Stato sul mercato antiquario e destinata alla Galleria Nazionale delle Marche
di Palazzo Ducale di Urbino, fino a quel momento priva di opere di uno dei protagonisti più rappresentativi
dell’arte nelle Marche. Il dipinto è stato individuato, insieme al pendant raffigurante San Sebastiano
conservato in collezione privata, come una delle parti superstiti della pala eseguita per la chiesa di Santa
Maria di Posatora ad Ancona, commissionata nel 1549 da un gruppo di pie donne della nobiltà anconetana
e ricordata dallo stesso Lotto nel Libro di spese diverse. Probabilmente per desiderio delle stesse
committenti, Lotto replica fedelmente nelle effigie dei due santi protettori contro la peste, le stesse figure
che aveva posto ai lati del San Cristoforo nella pala realizzata intorno al 1535 per il Santuario di Loreto. Del
resto è documentato il successo di questa invenzione lottesca: di recente è riapparso alla luce fortuitamente
nella chiesetta di Santa Maria delle Grazie a Monte San Martino, nell’alto maceratese, un affresco, datato
1536, in cui il pittore Giovanni Andrea De Magistris, padre di quel Simone destinato a divenire uno dei pochi
epigoni del Lotto nelle Marche, riprende fedelmente proprio la figura lottesca del san Rocco della pala di
Loreto, a pochi mesi dalla sua realizzazione.
Se il San Rocco di Urbino rappresenta quella parte di produzione senile del Lotto, in cui innegabilmente la
spinta inventiva sembra affievolirsi e le composizioni ripropongono idee già collaudate, l’ultima opera in
mostra contraddice questa tendenza e tocca anzi uno dei vertici assoluti della creatività dell’artista, che
sembra annunciare gli sviluppi futuri della pittura europea. Si tratta della tela raffigurante la Presentazione
di Gesù al Tempio nel Museo Antico Tesoro della Santa Casa di Loreto. E’ una tra le più struggenti opere
lottesche per la forza emotiva che sa ancora trasmettere. La consunzione formale e materica che
caratterizza la stesura pittorica si manifesta anche nelle scelte cromatiche caratterizzate dal prevalere di toni
austeramente smorzati, per contro vivacizzati dalla raffinatezza di alcuni particolari esecutivi come le
profilature di luce a segnare i panneggi delle vesti dei personaggi. Anche le espressioni dei protagonisti,
quasi illuminati da una visione spirituale tutta interiore, sono una toccante dichiarazione della personale
fede religiosa del vecchio pittore. E’ con quest’ultimo capolavoro, di sorprendente modernità, che si chiude
questa breve selezione delle opere di Lorenzo Lotto realizzate per le Marche: poche opere che comunque
consentono, insieme ai due dipinti del periodo bergamasco, di delineare un percorso coerente e di
avvicinarsi e meglio conoscere uno dei protagonisti assoluti dell’arte italiana del Cinquecento.
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Saggio introduttivo alla mostra Gabriele Barucca La