Rivista del Consiglio Bollettino dell’Ordine degli Avvocati presso la Corte d’Appello di Lecce Anno XIV-XV 2010-2011 ISSN 2239-5121 Direttore Responsabile: Luigi Rella Direttore Editoriale: Sergio Limongelli Comitato di redazione: Luigi Rella - Raffaele Fatano - Antonio Sergi - Nicola Stefanizzo - Lucio Caprioli Sommario Editoriale 3 Intervento del Presidente Avv. Luigi Rella all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2011 53 Protocollo per l’astensione degli avvocati dalla procedura obbligatoria di conciliazione (D.Lgs 28/2010) Il Consiglio 55 Regolamento delle procedure di Conciliazione e Mediazione 67 Criteri per il pagamento delle spese di avvio e dell’indennità di mediazione 6 Rinnovato il Consiglio su decisione del C.N.F. 25 Il nuovo Consiglio 26 Extravagantes di Lucio Caprioli Politica Forense 29 Fatti, non parole di Raffaele Fatano 35 Antonio De Giorgi nominato Coordinatore della Fondazione dell’Avvocatura presso il CNF 37 Giuseppe Bonsegna nuovo Delegato Nazionale dell’OUA Speciale Mediazione 43 Introduzione a cura di Sergio Limongelli 47 Verbale dell’Assemblea straordinaria dell’Ordine degli Avvocati di Lecce del 21/03/2011 69 L’Ordinanza del TAR Lazio 107 Le procedure di conciliazione ed arbitrato nel sistema finanziario bancario italiano di Roberta Sodo Attività del Consiglio 113 Il nuovo Regolamento Difensore d’ufficio Pari opportunità a cura di Roberta Altavilla 120 Donne lavoratrici in Europa di Raffaele Baldassarre 125 XXX Congresso Nazionale Forense. Gruppo di lavoro congiunto Pari Opportunità - Giovani 133 XXX Congresso Naz. For. - Mozione In copertina: Lecce, Piazza Vittorio Aymone (foto S. Limongelli). Formazione e Aggiornamento 137 Dal Centro “Michele de Pietro”: un Corso di formazione per gli operatori nel Diritto di Famiglia a cura di Lucio Caprioli 170 Un problema di legittimazione 171 Uno spunto notarile: nullità della procura generale contenente la facoltà di costituire fondi patrimoniali Il Foro Salentino Diritto Tributario Ordinamento e Deontologia 181 L’accertamento fiscale per il professionista che emette poche fatture di Maria Leo 139 A proposito della minaccia di blocco per una disfunzione tecnica a cura di Lucio Caprioli 141 Art. 28 - Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il Collega di Raffaele Fatano 174 Le Commissioni tributarie non devono essere paralizzate di Maurizio Villani 147 La riforma della Previdenza forense. Trattamenti pensionistici di Vittorio Mormando 192 Ex Foro Opinioni e Saggi La Previdenza forense Rubrica di Giurisprudenza Salentina a cura di Vito Lubelli 156 Introduzione 158 Costituzione e cessazione del fondo 161 Annotazione e trascrizione nei registri 163 Garanzia patrimoniale e opponibilità ai creditori: i conflitti intorno all’art. 170 cod. civ. Del perché se corrispettivo e valore “normale” (nella plusvalenza da cessione di immobili) continuano a essere la stessa cosa, questo non è più un Paese civile di Armando Mancuso 198 Lo storico, il giudice e lo stato di diritto di Cesare Taurino 201 Albo chiuso? Albo aperto? a cura di Lucio Caprioli 204 L’infortunio in itinere. Inquadramento della fattispecie. Evoluzione normativa ed orientamenti giurisprudenziali di Walter Gravante 166 Sull’azione revocatoria Cerimonie 168 Un’ipotesi di esecuzione promossa dal figlio 215 Targa ricordo dedicata a Michele de Pietro 211 Toghe d’oro e toghe d’onore Direzione - redazione - pubblicità Edizioni Grifo - Via Sant’Ignazio di Loyola, 37 - Lecce e-mail: [email protected] Stampa: Tiemme (Industria grafica - Manduria) Tutti gli iscritti all’Ordine possono collaborare alla rivista del Consiglio con articoli su problemi di interesse generale: la Direzione si riserva la facoltà di non pubblicare gli articoli che pervengono. I dattiloscritti non vengono restituiti. Tiratura n. 4.700 copie Editoriale Intervento del Presidente Avv. Luigi Rella all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2011 Signor Presidente, Signor Procuratore Generale, Autorità Civili e Militari. Vi porto il saluto dell’Avvocatura Salentina in questa cerimonia per l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2011. Quest’anno, ancora più degli anni precedenti l’Avvocatura di questa Corte d’Appello è preoccupata per le condizioni in cui versa l’Amministrazione della Giustizia a tutti i livelli. Il Personale di Cancelleria sta diminuendo giorno per giorno, a vista d’occhio. Non passa settimana che io non sia invitato alla cerimonia di saluto di Cancellieri che vanno in pensione per raggiunti limiti di età. E molti altri andranno via nel corso del corrente anno. Nonostante la grave emergenza che si sta verificando non solo negli Uffici del Distretto, ma in tutta Italia, all’orizzonte non si vede alcun concorso per l’assunzione di nuovo personale. Al rappresentante del Ministro della Giustizia, presente oggi in aula, io chiedo con grande senso di responsabilità: dove vogliamo andare? Quali sono le prospettive per l’Amministrazione della Giustizia? I Funzionari di Cancelleria con grande senso di responsabilità, Rivista del Consiglio 3 Intervento dell’Avv. Luigi Rella all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario ogni giorno cercano nuove strutturazioni degli Uffici per far fronte all’emergenza. In questi giorni le Cancellerie degli Uffici del GIP - GUP sono state accorpate a due a due ma si lavora con grande difficoltà e con notevoli rischi in considerazione dei ritmi di lavoro di quei Giudici. Presso la Procura o presso i Giudici di dibattimento la situazione è anche più grave. Nel Settore Civile poi siamo al collasso e addirittura dobbiamo prendere atto del fallimento del sistema. Ai problemi legati al Personale di Cancelleria, si aggiunge quello del numero di Magistrati sempre più esiguo, sempre più insufficiente. Si bandiscono concorsi per poche centinaia di posti, che spesso non vengono integralmente coperti, ed intanto è andato in pensione un numero di Magistrati di gran lunga maggiore. In buona sostanza la situazione, lungi dal trovare soluzioni, va sempre più peggiorando. Non è ammissibile, anzi è vergognoso, che in uno Stato di Diritto moderno, come il nostro, si dia una risposta al cittadino che chiede Giustizia in tempi così lunghi; ciò non avviene neanche negli Stati del c.d. Terzo Mondo. E che dire poi delle situazioni nelle carceri italiane. Assistiamo ogni giorno alla violazione dei diritti fondamentali dei detenuti, costretti a stare in spazi sempre più angusti per l’aumentare continuo della popolazione carceraria. La Polizia Penitenziaria, in conseguenza di ciò, lavora in continua emergenza con gli Organici insufficienti e Noi manifestiamo loro la più viva riconoscenza per gli sforzi che fanno ogni giorno per garantire i servizi e consentirci, per esempio, di tenere i colloqui con i detenuti riducendo al massimo i tempi di attesa. Ed infine l’annoso problema delle Sezioni Distaccate e della conseguente revisione della Geografia Giudiziaria. Sono anni che io partecipo alla inaugurazione dell’Anno Giudiziario e vedo prendere la parola a Parlamentari di tutte le Forze Politiche e tutti convengono sulla necessità di ridurre il numero delle Sezioni e promettono provvedimenti in tal senso. Oggi possiamo dire, a ragion veduta, che ci hanno sempre preso 4 Rivista del Consiglio Editoriale in giro perché, una volta tornati a Roma al loro posto se ne sono puntualmente dimenticati!!!! E quando dico tutti mi riferisco proprio a tutti indipendentemente del colore Politico, senza alcuna differenza se di destra o di sinistra, se di maggioranza o di opposizione. E, prima di concludere un breve riferimento sig. Presidente me lo consenta in relazione a quanto da Lei sostenuto nella relazione odierna in ordine alla gestione del Gratuito Patrocinio. Il Patrocinio a spese dello Stato è regolato da una Legge che gli Avvocati cercano di applicare ed osservare. Se le somme liquidate ogni anno dagli Uffici Giudiziari sono notevoli questo non è colpa degli Avvocati ma probabilmente dobbiamo ritenere che è conseguenza della grave crisi economica ed occupazionale che stiamo vivendo e che consente a molti cittadini di accedere a quei benefici. Sperando di aver contenuto il mio intervento nei termini assegnati concludo questo mio intervento, formulando gli auguri di buon lavoro a tutti i Magistrati, agli Avvocati ed al Personale di Cancelleria. Rivista del Consiglio 5 Il Consiglio Rinnovato il Consiglio su decisione del C.N.F. Con decisione del 30 marzo 2011 Nr 24/10 il Consiglio Nazionale Forense, su parere conforme del Procuratore Generale, ha parzialmente accolto il ricorso presentato dall’avv. Salvatore Vincenti avverso le Elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine per il biennio 20102011. L’accoglimento del ricorso, che aveva come motivo principale la facoltà di espressione del voto per lista, ha comportato l’annullamento delle Elezioni di ballottaggio del 25 febbraio 2010, ed ha reso necessario il rinnovo del turno di ballottaggio, per l’elezioni di 14 consiglieri (l’avv. Luigi Rella era stato già eletto al primo turno) che formeranno il Consiglio dell’Ordine per la residua parte del biennio 2010-2011. Pubblichiamo gli esiti delle votazioni, svoltesi il 18 e 19 maggio, anticipate dalle motivazioni del ricorso dell’avv. Vincenti, dalle difese del Consiglio dell’Ordine e di alcuni consiglieri, e dal testo della motivazione della sentenza del Consiglio Nazionale Forense. * * * Dal Reclamo dell’avv. Salvatore Vincenti Motivi 1) Violazione ed erronea applicazione del D.Lgs Lgt. N. 382 del 23.11.1944, Art. 2. - Erroneità dei presupposti - sviamento di potere evidente contraddittorietà di norme - ingiustizia manifesta - disparità di trattamento. 6 Rivista del Consiglio Il Consiglio Il D.Lgs. 382/44, avente ad oggetto le norme sui Consigli degli Ordini, all’art. 2, stabilisce che i componenti del Consiglio sono eletti dall’assemblea degli iscritti nell’albo a maggioranza assoluta di voti segreti per mezzo di schede contenenti un numero di nomi uguale a quello dei componenti da eleggersi. Il deducente conosce la giurisprudenza, anche di Codesto Ecc.mo Consesso, che ha mitigato la portata della norma, ma soltanto nel senso di ritenere possibile, che le preferenze possano essere espresse fino al numero massimo consentito, sulla base degli indici di cui al precedente art. 1. Tuttavia, nessuna pronuncia ha mai derogato al chiaro dettato normativo inerente la necessità che, nella scheda, venga indicato il nome dei candidati prescelti dall’elettore. Va rammentato, inoltre, che la specificità della normativa, che regolamenta la elezione del COA, non consente la applicazione analogica di altre normative in materia elettorale, quale ad esempio quella per il rinnovo delle amministrazioni comunali su base di liste contrapposte, atteso che la prima è a candidatura libera, senza neppure onere di presentazione. Ed allora, risulta chiaro, come la elezione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce sia stata viziata da una palese illegittimità, per violazione delle norme dettate in materia, in particolare dell’art. 2 D.Lgs. Lgt. 382/44, e, per quanto si dirà appresso, in violazione dello stesso regolamento elettorale. Invero, non potevano e dovevano essere attribuiti voti alle liste, espressi genericamente (addirittura, in una lista, la numero 1, per un numero di eleggibili superiore a quello consentito, non essendo stato espunto il nome di chi era già eletto al turno precedente!) e senza la specifica e nominativa indicazione dei suffragati. A prescindere, infatti, da ogni considerazione, pur rilevante, come certo valuterà codesto Consiglio, già evidenziata dal deducente nella nota inviata al Consiglio e relativa alla chiara non coincidenza del testo approvato dall’assemblea con quello adottato dal Consiglio e depositato agli atti, vi è da osservare come tale “precisazione”, aggiunta nel testo definitivo del regolamento elettorale, tra l’altro, sia in contrasto con la norma generale, di rango superiore, che vieta Rivista del Consiglio 7 Rinnovato il Consiglio su decisione del C.N.F. la possibilità di una designazione generica, mediante la semplice indicazione della lista, senza espressione dei candidati prescelti, esigendo, come detto, una indicazione specifica dei loro nominativi nella scheda elettorale. In tal senso, è evidente come non possa ritenersi applicabile la detta precisazione, aggiunta dal Consiglio in sede di approvazione definitiva del medesimo regolamento, in quanto contrastante con la normativa generale. Ma vi è di più. Che la precisazione sia fuor di luogo; che la medesima abbia inficiato il conteggio e l’attribuzione dei voti ai candidati e che tale “postilla” si ponga in netto contrasto e contraddizione con la parte del regolamento, conforme alla normativa, e regolante l’attribuzione dei voti, è palese. L’art. 14 del regolamento, infatti, laddove vengono stabilite le modalità di voto, prevede, al primo comma, che “nell’esprimere il voto, l’elettore, ferma restando la facoltà di esprimere tante preferenze quanti siano i posti da assegnare, potrà indicare il nome ed il cognome del candidato prescelto è indicato in detta lista”. È chiaro, quindi, che la prima parte della norma prevede, conformemente al dettato legislativo, che il candidato prescelto venga indicato dall’elettore con il proprio nome, ovvero, alternativamente, con il motto della lista e la contemporanea indicazione del numero, con il quale lo stesso candidato è indicato nella lista di appartenenza. In sostanza, la prima parte dell’art. 14, legittimamente, prevede, che l’elettore debba comunque esprimere il suo voto intuitu personae, indicando il “nome e cognome del candidato prescelto” ovvero “il motto della lista prescelta ed il numero con cui il candidato prescelto è indicato in detta lista”. Le modalità di voto, relativamente al raggruppamento di candidati, qualificato anche come lista, doveva manifestarsi solo in uno dei due modi normativamente previsti, tertium non datur. Il regolamento, in questa parte, non presenta lacune, risultando chiaramente, dalla modalità di espressione della preferenza suindicata, la volontà dell’elettore di designare “quel candidato” prescelto e solo quello. 8 Rivista del Consiglio Il Consiglio Tale iniziale formulazione risulta, però, in antitesi ed evidente contrasto con la successiva precisazione, inserita illegittimamente in calce all’art. 14, che, al contrario, permettendo la indicazione generica della lista di appartenenza di taluni candidati, consente a tutti loro di beneficiare del voto, senza che ciò risulti conforme ad una espressa volontà dell’elettore. Potrebbe, invero, verificarsi l’assurda ipotesi, secondo l’illegittima precisazione aggiunta dal Consiglio e non ratificata dall’assemblea, che un candidato, appartenente ad una delle liste, ottenga zero preferenze nominative, ma, avvalendosi degli impersonali e generici “voti di lista”, ottenga la nomina a consigliere dell’Ordine. Può mai essere consentito ciò!? Ed inoltre, risulta illegittima, perché comunque contraria alle norme che regolano la materia ed allo stesso regolamento, la predisposizione, mediante stampa con sigla del presidente del seggio e timbro del COA, delle schede elettorali. L’art. 13 del regolamento recita letteralmente che “le votazioni avranno luogo esclusivamente a mezzo schede … su cui l’elettore … indicherà, con voto segreto, i nomi dei candidati prescelti…”. Le schede, predisposte dal COA, recavano la dicitura “Lista n. …”, che certamente mal si concilia con l’espressione di voto dei nomi dei candidati prescelti, tassativamente prevista dal regolamento. Senza considerare che le schede, per quanto precisato nella premessa, prevedevano una possibilità di voto numericamente superiore a quello consentito, potendo così indurre in errore l’elettore. Da quanto innanzi evidenziato, risulta, inoltre, come sia stato penalizzante per i candidati che abbiano deciso di singolarmente proporre la loro candidatura rispetto a coloro che hanno scelto di aderire ad un raggruppamento. Questi ultimi, infatti, si sono avvalsi della “forza” trainante dei loro compagni di lista, che hanno favorito, promuovendo il voto di lista, valevole per tutti i componenti, una ingiustificata moltiplicazione delle preferenze attribuite a ciascuno di loro, addirittura lasciando in una lista un candidato già eletto. Tale illegittima modalità costituisce, pertanto, una chiara disparità di trattamento riservata dal regolamento per coloro che si avvalgono Rivista del Consiglio 9 Rinnovato il Consiglio su decisione del C.N.F. dell’“anonimo” voto di lista e che beneficiano, in tal modo, di voti che, in caso contrario, non v’è certezza che l’elettore avrebbe espresso anche nei loro confronti. Tale aspetto si è manifestato, ancor più evidente, nella elezione di ballottaggio, laddove, essendo mutato il panorama degli “eleggibili” (riservato, com’è noto, non più agli iscritti all’albo, ma soltanto a coloro che avevano riportato un voto al precedente turno) ed avendo le liste o i raggruppamenti risentito dei risultati ottenuti dai singoli candidati, queste ultime si sono avvalse della forza trainante di loro candidati, che avevano ottenuto la elezione al precedente turno e che, paradossalmente, sono stati rivotati. La ratio della legge, a sommesso avviso di chi scrive, è chiara ed è ben altra da quella sottesa alla parte “aggiunta” dell’art. 14 del regolamento: rendere evidente, mediante la indicazione del nome del candidato prescelto la volontà di designarlo alla carica di consigliere. Al contrario, il voto “di lista” non dà certezza di tale volontà, risultando non chiarificata in alcun modo la espressione della volontà dell’elettore. Ed allora, da quanto innanzi detto, consegue la illegittimità del regolamento elettorale, che, pertanto, va disapplicato, nella parte in cui consente la attribuzione a ciascuno dei candidati di una lista, dei voti assegnati alla medesima (art. 14, ultimo periodo). Ne consegue, che i voti riportati da ciascuno dei candidati, che hanno proposto la propria candidatura in raggruppamenti o lista, deve essere decurtato dei voti attribuiti alla lista ed illegittimamente a loro assegnati, con la modifica dei risultati da ciascun candidato ottenuti, annullata la proclamazione degli eletti e dichiarati eletti al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, coloro i quali, tra cui il deducente, hanno riportato il maggior numero di preferenze, fino alla totale occupazione dei seggi disponibili. Subordinatamente, stante le evidenziate illegittimità dell’intera operazione di voto, ove codesto Ecc.mo Consesso ritenesse del tutto viziata la elezione, in quanto indetta su erronei ed illegittimi presupposti e fonti regolamentari, deve essere annullata la elezione di cui alla delibera consiliare del 09.12.2009 e indetta altra elezione, previa disapplicazione o annullamento del regolamento, in parte qua ed 10 Rivista del Consiglio Il Consiglio adozione di tutti i provvedimenti previsti dalla normativa in caso di impossibile funzionamento del COA. È indubbio che codesto Consiglio possa, decidendo il presente ricorso, disapplicare la parte di regolamento – art. 14 ultimo periodo –, che incidentalmente accerterà illegittima (ved. Cass. civ., sez. un., 23 giugno 2005, n. 13445). Dalle memorie dell’avv. Nicola Buccico, difensore del Consiglio dell’Ordine A) Inammissibilità del reclamo per mancata tempestiva denuncia del regolamento elettorale. Le elezioni risultano pacificamente svoltesi sulla base di un regolamento elettorale a formazione complessa (assemblea ed Ordine): tale regolamento non risulta tempestivamente contestato innanzi la competente Autorità Amministrativa (cfr ricorso al Tar notificato in data 30.3.2010: produzione Vincenti). Il regolamento risulta approvato in data 4 novembre 2009 e, nella veste in tale data adottato, perfettamente cognito soprattutto agli avvocati impegnati nelle elezioni conclusesi, quanto al primo scrutinio, in data 16.2.2011. Il primo lamento dell’avv. Vincenti è postumo, rispetto alla promulgazione del regolamento, alla sua conosciuta circolazione, alla “campagna elettorale”, al primo turno elettorale e… al suo esito: ed è cioè datata 19.2.2010. Costituisce principio recetto (ex aliis CNF 7.6.2002, n. 28/02 R.G.) quello per cui l’atto impugnativo (si verte, ovviamente, in tema di reclamo elettorale) è inammissibile per mancata tempestiva denuncia del regolamento elettorale ed ancora nella citata decisione viene ribadito un principio consolidato: “i singoli ordini territoriali possono darsi regolamenti elettorali autonomi, purché nel rispetto dei principi inderogabili normativamente fissati”. Nella decisione richiamata vi è un opportuno richiamo ai principi generali fissati ex lege a proposito delle elezioni, sia politiche che amministrative. Rivista del Consiglio 11 Rinnovato il Consiglio su decisione del C.N.F. B) Conformità del regolamento ai principi inderogabili. L’aspetto da indagare è quindi quello relativo alla conformità del regolamento – e in generale della espressione di voto, così come realizzatasi – con “i principi inderogabili”, che a parere di questa difesa tecnica, vanno interpretati sia con riferimento al D.Lgs. n. 382/1944 che in sintonia con la evoluzione ordinamentale e costituzionale e con i sistemi elettorali succedutisi (ai quali, nella moltiplicata esperienza di elezioni tenutesi nei consigli degli Ordini con liste, hanno fatto equilibrato ricorso gli avvocati italiani, più amici di Copernico che di Tolomeo). Non è un fuor d’opera ricordare come la elaborazione giurisprudenziale – e culturale – del CNF abbia individuato i principi inderogabili esemplificandoli, significativamente, in quelli che soggettivamente qualificano l’elettorato attivo e passivo, la segretezza del voto, i quorum costitutivi e deliberativi, la congruità dei tempi per l’elezione (cfr ex plurimis, CNF 18.5.1999 n. 59). Sempre in tale alveo ed ancora recentemente cfr CNF 10.11.2006, che, nel ribadire il c.d. principio di strumentalità delle forme, ha ritenuto rilevanti soltanto le irregolarità sostanziali, “tali cioè da influire sulla sincerità e sulla libertà del voto” (in termini anche CNF 23.10.2010 n. 127). Qui, ora, la lente dell’interprete si ferma al regolamento varato in via definitiva dal Consiglio dell’Ordine in data 4.11.2009. La censura principale è quella della personalizzazione del voto secondo una griglia euristica per cui la espressività personale dovrebbe conseguirsi soltanto con la sola specifica indicazione del nome. Trattasi di una lettura formale, che confligge – proprio – con i principi regolatori generali in tema di elezioni. Valgano le seguenti epigrafiche considerazioni: b1) Il decreto legislativo richiamato è del 1944 (le donne non avevano ancora il diritto di voto!) e precede l’avverarsi della Magna Carta e le stagioni delle libere elezioni. I principi generali non possono essere anoressicamente relegati e racchiusi nel decreto del 1944: e del resto le stesse norme ordinamentali del 1933 – nelle prassi interpretative virtuose – sono state sempre modulate sui principi costituzionali. E, a maggior ragione, in tema della libera espressione del voto, come diritto potestativo soggettivo non comprimibile non può essere vissuto alla luce dei principi costituzionali e della successiva legislazione; 12 Rivista del Consiglio Il Consiglio b2) L’opzione del sistema elettorale per liste è promanazione legittima dell’adeguamento ai principi praticati nel Paese ed il sistema, per es., delle liste con cancellazione e aggiunte così come quello delle votazioni senza preferenze con la sola indicazione della lista appartiene alla democratica e normale evoluzione legislativa in tema di elezioni (gli avvocati, come si evince, dal preambolo del codice deontologico sono prima cittadini, donde la sacralità del principio di doppia fedeltà e non possono dimenticare che oramai nella Costituzione vi è un novellato art. 111!). Le votazioni per i Consigli dell’Ordine degli Avvocati (e anche di tutti gli altri Ordini e collegi professionali) a mezzo dello strumento-liste è prassi diffusissima con liste, addirittura, riprodotte per l’intero numero degli eleggibili sulle schede e liste riconoscibili con numero e/o motto (tra i tantissimi esempi cfr COA Palermo cfr CNF 8.11.2001 n. 226 e COA Santa Maria Capua Vetere – liste prestampate in scheda – cfr già richiamata CNF 18.5.1999 n. 59). Dare il voto ad una lista, pubblicata conosciuta e stampata, quindi, non può che significare l’automatica attribuzione del voto a tutti i componenti, salva diversa e prevista manifestazione di volontà. Non merita commento, siccome concettualmente irrilevante, il riferimento all’effetto “trascinamento” sollevato dal reclamante: il trascinamento, per dirla con Voltaire, è un rumore popolare; b3) La introduzione del sistema per liste non fa venir meno, né attenua, il “carattere” fortemente personalistico”, come sostiene il reclamante sulla base della Ordinanza della Corte Cost. 260/2002). La lettura, integrale, della decisione del Giudice delle Leggi (è antica regola scannerizzare le sentenze partendo dal caso specifico che le ha partorite) evidenzia – giustamente – la non irragionevolezza nel privilegiare elezioni suppletive per la sostituzione di candidati deceduti e dimissionari (questa è la fattispecie esaminata dalla Corte Costituzionale, ontologicamente diversa dalla nostra, nella quale è constatabile la volontà di esprimere con il voto alla lista la volontà di votare i suoi componenti). b4) Nella sentenza della Suprema Corte (Sez. Un. 13445/05) richiamata dal reclamante ai fini della legittimità dell’accertamento di natura incidentale (del quale, in definitiva, qui si discute), vengono affermati altri due principi, ancorché di rango diverso: l’uno relativo Rivista del Consiglio 13 Rinnovato il Consiglio su decisione del C.N.F. alla legittimità per gli Ordini di emanare regolamenti elettorali e l’altro relativo al favor voti, che, come è ribadito, costituisce “principio generale in tema di elezioni ed ad esso può derogarsi solo nel caso in cui le norme disciplinari lo scrutinio prevedano la nullità del voto espresso in maniera difforme da quella prevista”. Ed ancora recentemente (Cass. Sez. Unite Civili 4.8.2010 n. 18047) tale principio è stato assertoriamente riaffermato (“il generale principio del favor voti impone che la manifestazione della volontà debba essere il più possibile conservata, a meno che non sia violato l’indispensabile requisito di segretezza del voto opporre specifiche norme disciplinanti lo scrutinio che prevedano la nullità del voto espresso in maniera difforme da quella prevista”). C) L’esame del merito della vicenda elettorale adduce ulteriori argomentazioni. In verità: c1) La pretesa difformità tra decisione dell’Ordine (4.11.2009) e deliberazione assembleare (3.7.2009) è, concettualmente, tema estraneo, superato dal duplice riferimento alla ammissibilità o meno del reclamo e alla conformità ai principi. In ogni caso si verte nell’area dell’apparenza: il Consiglio – indipendentemente dalla anatomia lessicale – ha esplicitato un ovvietà, consustanziale con il concetto di lista in sé; c2) Il reclamante ha partecipato alla assemblea del 3.7.2009, ha conosciuto la delibera dell’Ordine, ha ricevuto contezza del sistema elettorale, ha presentato ex art. 2 del regolamento dichiarazione di intenzione, il suo nome è stato stampato ed affisso secondo le prescrizioni dell’art. 3 del regolamento e in conformità dell’art. 5 anche per la fase del ballottaggio sono state seguite le stesse modalità di stampa ed affissione, ha preso parte alla elezione in piena consapevolezza, ha votato adeguandosi alla scelta regolamentare, ha preso parte ad entrambi i turni, accettando regole di normale democrazia; c3) L’esame delle schede è riprova della libertà e democraticità del voto: ci sono schede senza voto di lista e con nominativi appartenenti a tutte e tre le liste, schede con voto di lista e con nominativi di avvocati presenti in altra ovvero in nessuna lista; c4) Nelle schede di ballottaggio è chiaramente scritto che il voto alla lista “consente di aggiungere altri nominati sino al raggiungimento di complessive 14 preferenze” e tanto perché l’avv. Rella era stato eletto al primo turno. 14 Rivista del Consiglio Il Consiglio Dalle memorie dell’avv. Angelo Vantaggiato … Premesso, infatti, che, come pacificamente ammesso dal reclamante, il regolamento non stabiliva “vincoli” al modo di espressione del voto degli elettori, né alcun effetto “premiale” per i candidati raggruppati in liste o per le schede che contenessero il voto di lista, appare evidente che le considerazioni espresse hanno natura eminentemente “politica” e non giuridica. In altri termini, la pretesa penalizzazione per i candidati isolati e la forza trainante dei compagni di lista sono considerazioni totalmente disgiunte dai sistemi, si ripete, liberi di espressione del voto e attengono ai raggruppamenti in quanto tali e, conseguentemente, alla libera scelta dell’elettore di esprimere i voti per il raggruppamento, o per i singoli candidati ad esso appartenenti, o ancora per candidati non raggruppati, ovvero ancora per il raggruppamento o per candidati raggruppati, unitamente a candidati singoli. In alcun modo, una rispetto alle altre opzioni possibili, determinavano effetti di moltiplicazione nell’attribuzione dei voti. Prescindendo, poi, dalla costruzione meramente ipotetica espressa nel III° e IV° capoverso di pag. 8, la scelta dell’elettore di esprimere preferenze per candidati raggruppati è indipendente dal sistema di espressione del voto ed è specularmente rovesciabile nel senso che non vi è alcuna certezza che quei voti contestati non avrebbero comunque “raggiunto” tutti i candidati raggruppati. … Ed infatti, sorvolando sulla circostanza che in concreto tutti i candidati raggruppati, al primo turno, hanno ottenuto preferenze uti singuli, il preteso effetto moltiplicatore è apertamente contraddetto dalla circostanza che le schede nelle quali l’elettore, oltre all’indicazione della lista, avesse espresso preferenze nominative solo per alcuni dei candidati nella stessa raggruppati (oltre a eventuali candidati “liberi”), i voti sono stati attribuiti solo a questi ultimi senza alcuna attribuzione degli candidati di lista. Irrilevante, poi, è ogni considerazione in ordine alla circostanza che nel “manifesto” affisso fosse ancora inserito il nominativo del canRivista del Consiglio 15 Rinnovato il Consiglio su decisione del C.N.F. didato raggruppato che aveva già ottenuto l’elezione al primo turno. L’indicazione specifica contenuta nella scheda elettorale consentiva espressamente il raggiungimento delle quattordici preferenze esprimibili, indipendentemente dalla circostanza che la lista avesse ancora solo nove o tutti e dieci i candidati raggruppati da eleggere. Anche in questo caso, quindi, nessun effetto moltiplicatore o premiale dal punto di vista dell’espressione del voto rispetto alla premialità “politica” del raggruppamento in quanto tale. … Dalle memorie dell’avv. Vincenzo Caprioli … La elezione che il reclamante domanda di annullare è stata, per l’Ordine Forense salentino, la prima caratterizzata dalla possibilità di esprimere il voto, oltre che in favore di singoli candidati, anche per raggruppamenti di candidati che avessero presentato un programma comune. È stata infatti la prima elezione disciplinata dal nuovo regolamento elettorale, studiato da una commissione istituita dal Consiglio dell’Ordine, ed alla quale hanno partecipato attivamente tutte le associazioni presenti nel territorio (le sezioni locali di associazioni nazionali: AIGA, ANF, UIF, Camere penale, civile, tributaria e minorile; e le associazioni locali: le Camere forensi neritina, gallipolitana e galatinese). Il regolamento è stato approvato nella assemblea del 3 luglio 2009: chiaro il riferimento durante i lavori (doc. 1, estratto dalla registrazione, come pubblicata sul sito del Consiglio dell’Ordine1) della assemblea alla possibilità di esprimere il voto a tutti coloro che avessero aderito ad una lista (tra tutti, si rimanda modestamente all’intervento assembleare del deducente). Tant’è che, in occasione della procedura elettorale, tra i 34 avvocati che hanno ritenuto di presentare una propria candidatura, ben trenta http://www.ordineavvocatilecce.it/upload/doc/notizie/REGISTRA ZIONEVERBALE.pdf 1 16 Rivista del Consiglio Il Consiglio erano raggruppati in tre liste, e soltanto quattro hanno presentato candidature singole (doc. 2, estratto dal sito del Consiglio dell’Ordine2). E che il regolamento andasse serenamente interpretato nel senso di consentire il voto alla lista (e, per esso, a tutti i candidati inclusi in essa), lo testimonia sia la campagna elettorale, nella quale i candidati organizzati in lista hanno richiesto il voto per il proprio raggruppamento (doc. 3); - sia le istruzioni emanate dalla commissione che ha presieduto alle operazioni di voto, ed affisse nella sala di voto, nonché in ogni singola cabina (doc. 4); - sia i risultato complessivi, che hanno visto gli avvocati leccesi (certamente non avezzi al nuovo sistema delle liste) aderire comunque di buon grado al voto di lista e nella misura del 30% dei voti espressi, per il primo turno; e del 19% per il secondo turno (doc. 5, prospetto dei risultati dei due turni di voto). ... Il reclamo è certamente inammissibile, ed allo stesso tempo tardivo, rispetto al vizio di cui l’avv. Vincenti si duole, e rispetto all’atto lesivo dei suoi interessi: egli, infatti, contesta la approvazione, nel regolamento elettorale, della facoltà per l’elettore di esprimere il voto indicando genericamente la totalità degli aderenti ad una lista di candidati. Tuttavia, è di palmare evidenza che l’avv. Vincenti ha partecipato alla competizione elettorale, ha presentato uti singulus la sua candidatura nelle modalità previste proprio da quel regolamento di cui oggi si duole. ... Assume il reclamante, dolendosene, che il Consiglio dell’Ordine di Lecce avrebbe ecceduto dal mandato commesso dalla assemblea degli iscritti nella adunanza del 3 luglio 2009; si presupporrebbe quindi che il Consiglio dell’Ordine sia sprovvisto di potestà regolamentare autonoma, ma che essa competa alla sola assemblea degli iscritti. Non è evidentemente così: proprio recentemente, il T.A.R. del http://www.ordineavvocatilecce.it/avvisi_bacheca/dettagli.php?id_ elemento=283&nome_modulo_corrente=avviso_bacheca&i=2&parola_ chiave=&data_dal=&data_al= 2 Rivista del Consiglio 17 Rinnovato il Consiglio su decisione del C.N.F. Lazio (Roma, Sez. III quater, 06/10/2009, n. 9770) ha ritenuto legittimo che i Consigli dell’Ordine adottino regolamenti (nella specie, in materia di formazione professionale continua). Sicché, quando il Consiglio dell’Ordine di Lecce avesse pure adottato un regolamento in eccesso rispetto ad una delibera assembleare, esso sarebbe valido e vigente, poiché approvato da organo competente. Ma v’è di più: come detto, nella stessa assemblea del 3 luglio 2009, nella quale si è approvato il regolamento elettorale, è chiaramente emerso che la stragrande maggioranza dei presenti intendeva introdurre la facoltà di esprimere il voto a raggruppamenti di candidati, contraddistinti da un motto, ed uniti da un programma di politica forense. Proprio di questo sistema si discusse ampiamente in quella sede: si rimanda, come si è detto, all’intervento dell’esponente, ed a quello degli avvocati Corvaglia ed Orlandini; ma non mancarono le espressioni di dissenso sul punto specifico, come, per esempio, nell’intervento della avv. Luigia Fiorenza. Lo spirito del regolamento approvato, che emerge nella seduta, risiede nella ammissione dei raggruppamenti eticamente e “politicamente” motivati, espressi in liste, nel rispetto della garanzia rispetto all’elettorato passivo: votare la lista significa attribuire un voto a ciascuno dei candidati inclusi in essa, salva la facoltà per l’elettore di aggiungerne altri, o di eliminarne talaltri. Non è vero che, quindi, il Consiglio avrebbe manipolato il deliberato assembleare; ne ha, invece, precisato e chiarito la portata. Sostiene ancora, l’avv. Vincenti, che illegittimamente si siano attribuiti i voti di lista ai candidati di raggruppamenti, e che, in disapplicazione del regolamento illegittimo, il Consiglio Nazionale, considerando nulli i voti espressi in favore delle liste, dovrebbe rettificare i risultati delle elezioni. Ora, anche in assenza di una deliberazione regolamentare come quella contestata, sarebbe stato impossibile durante le operazioni di scrutinio non attribuire le preferenze ai singoli: vi osta il principio di conservazione della volontà dell’elettore, in base al quale l’interprete deve compiere ogni sforzo per interpretare la espressione di voto, e 18 Rivista del Consiglio Il Consiglio che il voto è nullo solo in presenza di circostanze che univocamente permettono di ricondurre il caso concreto al caso di nullità previsto normativamente. Proprio per la elezione di un Consiglio dell’Ordine forense, così si sono espresse le Sezioni Unite: «Il principio del “favor voti” è principio generale in tema di elezioni, applicabile anche per le elezioni del consiglio dell’ordine degli avvocati, e ad esso può derogarsi solo nel caso in cui le norme disciplinanti lo scrutinio, come il regolamento elettorale approvato dal consiglio dell’ordine, prevedano la nullità del voto espresso in maniera difforme da quella prevista» (Cass. Civ., Sez. Unite, 23/06/2005, n. 13445, in Foro It., 2007, 4, 1, 1266, CARBONE). La motivazione della Sentenza del C.N.F. ... Le questioni poste all’attenzione del CNF possono indicarsi, in ordine di priorità logica: 1) se il termine per l’impugnazione del verbale di proclamazione degli eletti decorre, per entrambe le tornate elettorali, ordinaria e di ballottaggio, dalla conclusione dell’intero procedimento, oppure dalla conclusione di ogni singola tornata; 2) se il regolamento elettorale adottato da COA può indicare modalità di espressione del voto diverse da quelle fissate dalla legge; 3) se il termine per l’impugnazione del regolamento elettorale decorre dalla sua pubblicazione e comunque dalla sua conoscenza; 4) se il giudice della controversia elettorale può disapplicare in via incidentale il regolamento elettorale impugnato nell’ipotesi in cui lo riconosca contrario alla legge. Va esaminata prioritariamente l’eccezione – sollevata dall’avv. Caprioli – di tardività del ricorso nella parte in cui lo stesso è diretto avverso i risultati del primo turno della competizione elettorale, turno svoltosi nei giorni 11 e 12 febbraio 2010 e conclusosi con il verbale di proclamazione dell’unico candidato eletto in quella tornata (avv. Luigi Rella). L’eccezione è diretta a coinvolgere l’intero reclamo sostenendosi Rivista del Consiglio 19 Rinnovato il Consiglio su decisione del C.N.F. dal resistente che il termine per l’impugnazione deve farsi decorrere dalla proclamazione degli eletti del 12 febbraio 2010. L’eccezione – peraltro rilevabile d’ufficio – è parzialmente fondata. Il verbale di proclamazione degli eletti al primo turno è, infatti, autonomo rispetto all’omologo verbale relativo alla tornata di ballottaggio. Esso, dunque quale atto conclusivo dell’elezione – sia pure di un solo candidato al primo turno – andava impugnato nel termine fissato dall’art. 6 del D.Lvo n. 382/1944. Detta norma dispone, infatti, che il termine per l’impugnazione decorre dalla proclamazione, vale a dire dall’atto finale di ciascuna tornata elettorale, che si conclude, appunto, con un autonomo verbale di proclamazione. Il reclamo è stato depositato il 5 marzo 2010, dopo la scadenza del termine di giorni 10 decorrente dalla proclamazione del candidato eletto (12 febbraio 2010), e dev’essere pertanto dichiarato irricevibile. Per quanto attiene al turno di ballottaggio, svoltosi nei giorni 25 e 26 febbraio 2010, il reclamo, depositato – come si è detto – il 5 marzo 2010, è, invece, tempestivo. Nel merito esso è altresì fondato nei limiti di cui infra. L’art. 2 del D.Lvo 23 nov. 1944, n. 382, dispone testualmente quanto segue: “I componenti del Consiglio sono eletti dall’Assemblea degli iscritti all’albo a maggioranza assoluta dei voti per mezzo di schede contenenti un numero di nomi uguale a quello dei componenti da eleggere”. Il sistema di votazione fissato da detta norma non ammette alcuna diversa modalità di espressione del voto e dunque qualsivoglia disposizione, ancorché prevista da apposito regolamento, che differisca dal suddetto precetto legislativo, è palesemente illegittima e pertanto disapplicabile in via incidentale dal giudice. Nel contenzioso elettorale il rapporto accertamento principale (avente ad oggetto il risultato delle elezioni) / accertamento incidentale (avente ad oggetto il regolamento elettorale) va definito nel senso che l’accertamento incidentale del giudice è sempre possibile nel caso in cui la domanda impugnatoria si volta all’accertamento di un vizio di legittimità del procedimento dal quale venga fatta discendere l’illegittimità della proclamazione degli eletti dedotta in giudizio. In materia elettorale il CNF è, invero, provvisto di giurisdizione esclusiva e conosce quindi, senza efficacia di giudicato, di tutte le 20 Rivista del Consiglio Il Consiglio questioni pregiudiziali o incidentali la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale, escluse quelle concernenti lo status e la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso. Esso può dunque occuparsi di ogni questione connessa con il thema decidendi, che sia stata proposta unitamente al ricorso. Il termine per l’impugnazione incidentale coincide necessariamente con quello per l’impugnazione principale atteso che l’interesse all’annullamento dei risultati elettorali sorge al momento della proclamazione. Trattasi, peraltro, di interesse non solo individuale del singolo candidato, ma generale della intera categoria professionale alla corretta composizione dell’Organo come si desume con nettezza dall’attribuzione a ciascun iscritto della legittimazione al reclamo. Deriva da siffatta finalità dell’azione – che presenta stretta analogia con l’azione popolare – la tempestività dell’impugnazione incidentale del regolamento elettorale proposta dal reclamante nel termine prescritto dall’art. 6 D.Lvo n. 382/1984. Non rileva, ai fini della presente controversia, stabilire se siano o meno ammissibili le varie modalità di presentazione delle candidature utilizzate in occasione delle elezioni del COA di Lecce (candidature singole o associate, accorpate in liste predisposte dai candidati con un numero pari o inferiore al numero dei componenti dell’Organo da eleggere, dichiarazioni di collegamento tra liste o tra candidati, ecc.). Trattasi, infatti, di modalità non obbligatorie, riguardanti la fase c.d. preparatoria, che restano affidate, in quanto precedenti alle operazioni di voto, alla libera scelta dei candidati, anche in assenza di un apposito regolamento. Esse non sono in contrasto con alcuna disposizione di legge e quindi rientrano nella libertà di autorganizzazione dei singoli, delle associazioni di categoria, o di gruppi spontanei di avvocati in vista della competizione elettorale, che è governata – come è pacifico – dal principio “tutti elettori, tutti eleggibili” e dal principio della personalizzazione del voto (cfr., per quest’ultimo principio, Corte Cost., ordin. n. 270/2002). Nel caso in esame dette modalità non sono state fissate dal COA con apposito regolamento, che è legittimo nei limiti in cui le sue disposizioni non riguardano i principi fondamentali dell’elezione vera e propria, che sono, invece, Rivista del Consiglio 21 Rinnovato il Consiglio su decisione del C.N.F. disciplinati dalla legge (cfr., CNF, 24.12.2002, n. 205; 11.4.2002, n. 66) e segnatamente, per ciò che concerne l’espressione del voto, governati espressamente dal principio della personalizzazione di cui si è detto. L’art. 2 del D.Lvo sopra richiamato dispone infatti – come si è già avuto modo di precisare – che la scheda elettorale deve contenere un numero di nomi uguale a quello dei componenti da eleggere. Detta norma assume – per ciò che attiene al sistema di espressione del voto – un valore sovraordinato rispetto allo strumento normativo regolamentare adottato dal COA di Lecce, che, peraltro, è privo, sul punto, e cioè limitatamente all’art. 14, di efficacia giuridica, e va conseguentemente disapplicato in parte qua. I Consigli degli Ordini territoriali non hanno, infatti, potestà regolamentare con efficacia generale, provvista cioè di forza giuridica nelle materie disciplinate direttamente dalla legge professionale, tra le quali rientra con nettezza quella che attiene alla modalità di espressione del voto. Prescindendosi, dopo la recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 18047 del 4 agosto 2010, dal numero dei voti esprimibili – che dunque può essere inferiore a quello dei candidati da eleggere – è certo che è assolutamente necessario che la scheda contenga, per la sua validità, i nomi dei candidati votati, nomi che non possono essere surrogati da nessun’altra indicazione. Nelle elezioni di ballottaggio del 25 e 26 febbraio 2010, oggetto del reclamo, l’espressione del voto è stata manifestata dagli elettori sia mediante l’indicazione nominativa dei candidati, sia mediante l’applicazione delle modalità fissate dall’art. 14 del Regolamento che, per le ragioni sopra esposte, deve considerarsi illegittimo e quindi disapplicato perché contrario a norma inderogabile. L’utilizzazione nel turno di ballottaggio, da parte di un elevato numero di elettori, del sistema d’espressione del voto con la sola indicazione del motto o del numero della lista, previsto dall’illegittimo art. 14 del Regolamento, non consente di accertare ex post quale sarebbe stato il risultato elettorale in assenza di detta norma, che ha indubbiamente condizionato la manifestazione del voto in un numero rilevante di schede, incidendo sul risultato della competizione. Ne consegue la nullità dei risultati del ballottaggio, che va pertanto 22 Rivista del Consiglio Il Consiglio integralmente rinnovato con la precisazione che potranno essere considerate valide solo le preferenze espresse dall’elettore nella scheda mediante l’indicazione del nome del candidato o dei candidati votati, con esclusione di qualsiasi altra espressione surrogatoria del voto. P.Q.M. Il Consiglio Nazionale forense, riunito in Camera di Consiglio; visti gli artt. 54 del R.D.L. 27.11.1933 n. 1578, 59 e segg. Del R.D. 22.01.1934, n. 37, 6 D.Lgs 23.11.1944 n. 382 - dichara irricevibile per tardività il reclamo avverso la proclamazione del candidato eletto nella tornata dei giorni 11 e 12 febbraio 2010; - accoglie il reclamo limitatamente al verbale di proclamazione degli eletti del turno di ballottaggio dei giorni 25 e 26 febbraio 2010, che annulla, disponendo la rinnovazione delle relative operazioni con la statuizione che vanno considerate valide le preferenze che saranno espresse dagli elettori con l’indicazione del nome dei candidati ammessi al ballottaggio ed in possesso dell’elettorato passivo; - dispone che il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Lecce in carica alla data dell’11.2.2010 (e comunque alla stessa data e fino alla ricostituzione dell’Organo in prorogatio unitamente all’intero Consiglio eletto per il bienni 2008/2009) provveda entro 5 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della presente decisione, a convocare, con le modalità di legge l’Assemblea degli iscritti per le operazioni di voto del turno di ballottaggio dandone immediata comunicazione al Ministero della Giustizia; - manda alla Segreteria di restituire al COA di Lecce il materiale elettorale acquisito con l’ordinanza del 18 maggio 2010. Così deciso in Roma li 30 marzo 2011. IL SEGRETARIO f.to avv. Andrea Mascherin IL PRESIDENTE f.f. f.to. avv. Carlo Vermiglio Rivista del Consiglio 23 Il nuovo consiglio 24 Rivista del Consiglio Il Consiglio Il nuovo Consiglio Con delibera del 30 maggio 2011, il Consiglio ha eletto Presidente l’avv. Luigi Rella, Segretario l’avv. Raffaele Fatano e Tesoriere l’avv. Angelo Vantaggiato. Avv. Rella Luigi Avv. Fatano Raffaele Avv. Vantaggiato Angelo Avv. Altavilla Roberta Presidente Cons. Segretario Cons. Tesoriere Avv. Bonea Silvio Avv. Bortone Simona Avv. Bruno Laura Avv. Caprioli Vincenzo Avv. Lanzilao Andrea Avv. Maraschio Annagrazia Avv. Piccinni Luigi Avv. Salvatore Giampaolo Avv. Sergi Antonio Avv. Spano Salvatore Avv. Vincenti Salvatore Rivista del Consiglio 25 Extravagantes su una decisione “domestica” del C.N.F. di L. Caprioli Extravagantes su una decisione “domestica“ del C.N.F. in materia di elezioni forensi e sulle modalità qualunquiste della “riconsultazione“ di Lucio Caprioli Nessun dubbio sulla inaccettabilità nello attuale contesto ordinistico (l’Albo dell’Ordine Circondariale di Lecce, “ricco“ di circa 5.000 iscritti) della recente decisione del C.N.F. che ha costretto l’Ordine salentino ad indire un “ballottaggio“ a distanza di 15 mesi dalle operazioni principali (del febbraio 2010) e ad appena sette mesi dalla scadenza “canonica“ e dal nuovo ritorno alle urne, salvo il rischio che qualche iscritto “benpensante” non torni (con altra prestigiosa impugnazione) alla tesi secondo la quale le schede espressive del voto se non contengono tanti voti quanti siano i consiglieri da eleggere sono… nulle (dimenticando – ah, la “memoria storica! – della quale mancano i signori componenti questo collegio che ha così deciso! – che, per altro non molto tempo addietro, non è mancata qualche decisione che ha affermato che il d. lgvo n. 382 del 1944, che si ritiene correttamente applicato nella specie, così andava bene solo quando gli Ordini Forensi circondariali erano “ricchi”di poche centinaia di iscritti, e addirittura si correva il rischio che non venisse eletto l’intero Consiglio, ossia che non venissero eletti tanti iscritti quanti ne erano previsti per la composizione del Collegio. C’è di più: 1°) L’Ordinamento forense, che è regolato non solo dalle antiche leggi del 1933 e del 1944 ma anche da alcuni “aggiornamenti” rilevanti approvati proprio a Lecce nel 1978, in vista del XV Congresso 26 Rivista del Consiglio Il Consiglio Nazionale qui celebratosi, già prevede – ove se ne ricercasse la necessità – e favorisce l’incontro ed il confronto di tesi elaborate dalla base: un enorme salto di qualità rispetto al “personalismo, o, se si vuole al meglio, rispetto alla scelta elettorale mossa solo dall’intuitus personae – l’Ordinamento già come è, favorendo l’incontro ed il confronto, esclude lo scontro, ed esclude altresì il qualunquismo ed il menefreghismo. 2°) Se nello Statuto del Congresso e nel Regolamento per la elezione dei Delegati è previsto che tesi elaborate dalla base diventino tesi congressuali, in forza di discussione che si svolge in assemblee ordiniste preparatorie ad hoc convocate e siano delegati alla partecipazione al Congresso Nazionale gli iscritti candidati che in assemblea abbiano sostenuto la tesi o le tesi approvate dalla assemblea medesima, va da sé che anche la elezione del Consiglio Circondariale sia illuminata da quella regola (che, non è superfluo ripetere, fu “inventata” qui a Lecce, Presidente Aymone – Presidente dell’Ordine Salentino e Presidente altresì di quel XV Congresso Nazionale – il quale accolse e fece proprie le istanze che muovevano dalla base e veicolate dalle Associazioni forensi); 3°) Riguardo alla istituzione di una Scuola per la formazione, è bene rammentare che l’Ordine forense di Lecce dispone già di una istituzione ad hoc: scuola di formazione forense “Primo Tondo”; è una istituzione dell’Ordine, pensata e voluta come servizio, addirittura indispensabile, per la “formazione all’accesso” dei candidati alla iscrizione, e per la “formazione permanente” degli iscritti. 4°) Non può essere trascurata la presenza e la attività del “Centro Studi Giuridici Michele De Pietro”: l’Ordine salentino non può limitarsi ad esserne uno “sponsor” economico e patrimoniale (ancorché insostituibile), ma ne deve essere l’anima (così si disse, anche se non si scrisse formalmente, quando ai rapporti “Ordine Forense Salentino - Centro Studi De Pietro” – si dette nuova sistemazione, anche in conseguenza della meravigliosa donazione Fumarola De Pietro del 5 dicembre 1972. Rivista del Consiglio 27 Extravagantes su una decisione “domestica” del C.N.F. di L. Caprioli 5°) L’Ordine di Lecce dispone del Regolamento prescritto dalla L. 7 agosto 1990 n. 241 che consente la migliore partecipazione, anche nella realizzazione del principio di sussidiarietà, degli iscritti alla vita dell’Ordine e l’accesso ai documenti; disponendo di tale strumento gli iscritti possono “emanciparsi” dallo sterile e giurassico “diritto di protesta”, ed esercitare le facoltà del “diritto di controllo partecipativo” e del “diritto di proposta”; non sembra, tuttavia, ahimè, che tale “Emancipazione” si sia verificata, e si preferisce, invece, ancora, di domandare soluzioni provenienti... ex aliunde! 28 Rivista del Consiglio Politica Forense Politica Forense Fatti, non parole di Raffaele Fatano La lettura della sentenza con la quale il TAR del Lazio ha annullato il Regolamento sulle Specializzazioni adottato dal Consiglio Nazionale Forense, sul quale tanto impegno era stato profuso anche dal nostro rappresentante distrettuale, mi ha rammaricato ma anche, per certi versi, consolato. Rammaricato, perché ho dovuto constatare, ancora una volta, che le iniziative coraggiose, anche se migliorabili, hanno tanti avversari, talvolta occulti. Consolato, perché in quella sentenza ho trovato alcune analogie con la vicenda che ha condotto al parziale annullamento del nostro Regolamento Elettorale. Non intendo, almeno in questa occasione, entrare nel merito del provvedimento che personalmente ritengo non condivisibile e con una motivazione che definirei “formalistica”, perché la scelta di non impugnarlo, che è frutto di una comune riflessione assai sofferta, impone di accettarne oggi il suo contenuto. Non posso fare a meno, però, di ripensare alle ragioni che spinsero il Consiglio a rivedere l’ormai vetusto Regolamento elettorale e di constatare, con amarezza, che nessuno dei molti – singoli ed associazioni – che pur sposarono integralmente quel “nuovo” modo di affrontare le elezioni, all’indomani della pronuncia abbia inteso spendere una sola parola, se non nei corridoi, per rivendicare meriti o per assumersi la responsabilità di quella scelta, che peraltro non costituisce un unicum nel panorama ordinamentale dei vari Ordini Forensi (vedi Regolamento Ordine di Pescara). Sono ancora oggi convinto che quella scelta, innovativa se vogliaRivista del Consiglio 29 Fatti, non parole di R. Fatano mo, lungamente discussa ed indubbiamente condivisa, anche nella stesura finale, da tutto il Consiglio, era giusta e lungimirante, perché avrebbe consentito, nel tempo, di avere un Organismo “omogeneo”, eletto sulla base di una lista formata da colleghi che, preventivamente, avrebbero dovuto condividere un impegno fondato, non tanto su comuni valori (è difficile immaginarne di diversi), quanto su un “metodo di lavoro” che consentisse di realizzare al meglio quei compiti che al Consiglio sono affidati e che, nel tempo, sono diventati sempre più stringenti, impegnativi ed assorbenti. Nessuno può dubitare che una realtà come quella leccese, che vede iscritti oltre cinquemila avvocati, non possa più essere gestita nei ritagli di tempo ed a “parole”, ma richieda un impegno quotidiano e molto sacrificio personale. Tuttavia non mi è sembrato, almeno nel recente passato, che questo elemento sia stato considerato qualificante e che tanto sia stato opportunamente valorizzato, forse anche per un difetto di comunicazione nei confronti degli elettori. Non intendo sottrarmi all’analisi critica dell’operato, ma ritengo inaccettabili, ingenerose e, me lo si lasci dire, non sempre degne di un’Avvocatura matura e responsabile, le posizioni di chi, aspirando a ruoli apicali, pur d’intercettare il voto di alcuni colleghi, non ha esitato ad esprimere critiche immotivate, senza alcun contraddittorio, giungendo, perfino in qualche caso, alla denigrazione personale sussurrata nei corridoi. Nonostante tutto, molto lavoro è stato fatto e molto di più poteva esserne fatto condividendo, come detto, un “metodo”. Solo a titolo di esempio: non esito a dire che il settore più trascurato è stato quello della formazione dei giovani che pure, in un passato non troppo lontano, aveva assorbito tante energie ed impegno con risultati apprezzabili ed apprezzati. Molti, che hanno incomprensibilmente assunto il ruolo di censori, hanno dimenticato, fin troppo presto, che quando sono stati investiti personalmente di quella responsabilità hanno proposto e realizzato occasionali iniziative che sono risultate deludenti e, comunque, non all’altezza delle aspettative. Certo il settore ha risentito di quella pretesa, assurda e per certi versi superata, di realizzare una Scuola obbligatoria per tutti con risultati, alla fine, assai inadeguati. Sul punto, tuttavia, non 30 Rivista del Consiglio Politica Forense vi sono giustificazioni né alibi, sicchè credo che si debba avere il coraggio di ripartire da zero, di eliminare l’obbligatorietà, di stilare un programma realistico e, per cominciare, fornire un servizio qualitativamente adeguato a tutti quei giovani che dovranno sostenere l’esame di abilitazione nella prossima sessione. Tanto potrà essere realizzato scegliendo un “direttore” estraneo al Consiglio, al quale affidare, in via esclusiva, la organizzazione della Scuola e che – avvalendosi di un gruppo di avvocati e magistrati, di sicura affidabilità scientifica e di adeguata esperienza, da lui scelti e coordinati – dovrà presentare al Consiglio il programma che intende realizzare, assumendone la responsabilità. Il Consiglio, che dovrà preventivamente approvare il progetto, metterà a disposizione mezzi, se necessario anche di natura economica, per la sua realizzazione. Questo ovviamente non impedirà di avviare una esperienza di più ampio respiro che dovrà essere caratterizzata dalla continuità. Le risorse umane non mancano, a condizione che a fronte dell’impulso volontaristico ed altruista, che deve rimanere prevalente, si riesca a coniugare, in modo equilibrato, gratuità ed onerosità che rappresentano, a mio avviso, il giusto riconoscimento per l’impegno di contribuire alla formazione delle generazioni future che sono grandemente bisognose di attenzione e di guida e che non possono essere lasciate esclusivamente alle cure del dominus ed al sermoncino, in taluni casi assai riduttivo, che viene loro propinato al momento della consegna del libretto. Nel contempo nessuno potrà negare che il Consiglio in questi ultimi quattro anni ha dovuto affrontare problematiche nuove quali quella della formazione continua, resa obbligatoria dal Regolamento del CNF del Luglio 2007, per cui è stato assorbito da un’impegnativa ristrutturazione della sede principale e da un’importante riorganizzazione degli spazi (ampliamento della sede di via Brenta) e dei servizi (punti di consultazione Polis Web, rete WI FI etc.). Tutti sanno che nell’atrio del Tribunale di via Brenta è stato installato un monitor che, collegato con le cancellerie, visualizza informazioni sulle udienze. L’utilità di questo servizio – che è divenuto consultabile anche dal Sito Ufficiale dell’Ordine che, di recente, è stato Rivista del Consiglio 31 Fatti, non parole di R. Fatano riorganizzato con una nuova veste grafica e costituisce, a mio parere, una delle più importanti novità di questi ultimi quattro anni essendo diventato uno strumento di comunicazione e di trasparenza – è ancora più apprezzabile per le prospettive di sviluppo ad esso connesse potendosi ipotizzare, in un prossimo futuro, un collegamento anche con le sezioni distaccate. Non si può non essere soddisfatti per l’istituzione dell’Organismo di Conciliazione che ha iniziato a svolgere la sua attività, sebbene ciò stia comportando un notevole impegno organizzativo ed amministrativo interamente gravante, allo stato, sulla già esile struttura amministrativa della Segreteria dell’Ordine che gestisce ordinariamente, oltre che le iscrizioni e le cancellazioni (Albo avvocati, Registro praticanti, Elenco difensori Ufficio, Elenco Difensori Patrocinio Spese Stato, Elenco Ausiliari Esecuzioni Immobiliari etc.) il rilascio delle certificazioni, la verifica della pratica, la liquidazione dei pareri, l’inserimento dei dati sul Sito e, soprattutto, il Patrocinio a Spese dello Stato e la consulenza in materia di Cassa Previdenza. Considero, invece, un’occasione perduta la mancata attuazione del protocollo d’udienza che, probabilmente rivisto, rappresenta, a mio avviso ed in ogni caso, un importante elemento d’ordine nella organizzazione dell’udienza. Basti riflettere come le fasce orarie consentirebbero di lavorare in modo accettabile in locali certamente inadeguati e di limitare comunque i disagi, più volte segnalati dal Consiglio, che derivano dalla contemporanea presenza nella stessa aula di parti, avvocati e praticanti che, com’è noto, normalmente si concentra nella fascia oraria che va dalle ore 10 alle ore 11. Il Protocollo d’udienza che, secondo me, aveva dato buona prova per le udienze in cui aveva trovato attuazione, presuppone un’opera di sensibilizzazione dei magistrati, che sono chiamati ad un lavoro aggiuntivo, degli avvocati ed operatori di cancelleria e può consentire di raccoglierne i frutti dopo l’applicazione protratta per qualche tempo, che deve essere monitorata per l’eventuale adozione di quei correttivi che si rendessero necessari. Credo che anche su questo argomento il Consiglio dovrà profondere, nell’immediato futuro, il 32 Rivista del Consiglio Politica Forense massimo degli sforzi possibili perché le segnalazioni e le lamentele relative alle disfunzioni e ai disagi, tutti obiettivamente riscontrabili, se non accompagnate da un intervento strutturale sul piano dell’organizzazione, sono destinate a riproporsi aumentando disagio e malcontento tra gli utenti. A dire il vero l’argomento più complesso è quello della gestione dei rapporti con la magistratura e con gli uffici giudiziari in genere (cancellerie, ufficiali giudiziari etc.) che soprattutto nelle sezioni distaccate presentano punti di criticità significativi. Al riguardo il Consiglio dovrebbe essere ancora più presente assumendo posizioni, anche forti, che individuino i problemi e denuncino le criticità rifuggendo, tuttavia, da atteggiamenti populistici. Nessuno potrà pensare che a Lecce si possa risolvere il problema dell’introduzione del contributo unificato per le cause di previdenza e separazione oppure quello dell’abolizione degli Ordini o qualsiasi altro problema di carattere generale, ma certamente si potrà affrontare quello della gestione delle risorse umane per sopperire, ad esempio, a carenze di organico anche con provvedimenti temporanei che prevedano il coinvolgimento dell’avvocatura com’è accaduto, ad esempio, per la magistratura onoraria. Delle questioni di carattere generale bisognerà prendere coscienza, ma spetterà agli organismi rappresentativi dell’avvocatura – OUA e CNF in primis – avviare tutti gli interventi necessari coinvolgendo la base e tenendo conto delle diverse esigenze e prospettive. E, per far questo, bisognerà recuperare l’unità nella diversità delle rispettive attribuzioni perché, spesso, abbiamo dovuto assistere ad incomprensibili posizioni frutto esclusivamente di inaccettabili protagonismi che hanno avuto come unico effetto quello di far perdere all’Avvocatura quella forza rappresentativa che deriva dall’unità. Credo che tutti debbano fare un passo indietro nell’interesse dell’Avvocatura e credo che tanto debba avvenire anche nella nostra realtà locale. L’elezione dei componenti del Consiglio per liste, inizialmente già condizionata da precedenti assetti, ha perso del tutto quella già limitata caratterizzazione alla luce dei risultati del recente turno di ballottaggio. Ed allora bisogna prendere atto di ciò e ripensare all’orRivista del Consiglio 33 Fatti, non parole di R. Fatano ganizzazione interna, valorizzando tutti i componenti del Consiglio in funzione della loro capacità, esperienza, spirito di sacrificio e, se vogliamo, anche del consenso elettorale ottenuto sebbene io ritenga che ciò non debba e non possa rappresentare né l’unico parametro di valutazione né quello prevalente. So che qualcuno potrebbe obiettare che la mia è una posizione interessata, ma così non è. Per quel che mi concerne sono pronto a fare un passo indietro senza “se” e senza “ma”, perché tentare di recuperare, nella sostanza e non solo a parole, l’unità nella diversità è un atto di responsabilità che non si può aspettare che venga fatto da altri se non si è pronti a farlo per primi. Al termine di questo impegno sento di esprimere gratitudine, per la collaborazione incondizionatamente ricevuta, e riconoscenza, per il quotidiano impegno nell’espletamento dei loro compiti, al personale dell’Ordine con l’auspicio che l’attuale assetto organizzativo venga adeguato alle effettive esigenze dell’Ufficio. 34 Rivista del Consiglio Politica Forense Antonio De Giorgi nominato Coordinatore della Fondazione dell’Avvocatura presso il CNF L’avv. Antonio De Giorgi, Consigliere Nazionale del CNF per gli Ordini di Lecce, Brindisi e Taranto, è stato nominato, all’unanimità, Coordinatore della Fondazione dell’Avvocatura Italiana. La Fondazione dell’Avvocatura Italiana è un Ente di diritto privato, costituito per affiancare il CNF nello svolgimento di importantissime funzioni, quali la promozione e l’aggiornamento della cultura giuridica e forense; la valorizzazione della avvocatura; la divulgazione dei diritti di difesa della persona. Per perseguire dette finalità la Fondazione può costituire centri di studio e di ricerca; compiere indagini e sondaggi; istituire corsi di formazione e di aggiornamento professionale giuridico e forense, anche in collaborazione con altri enti; promuovere e realizzare iniziative per la diffusione della cultura giuridica e la conoscenza del diritto; costituire biblioteche; istituire borse di studio su temi afferenti la cultura giuridica e forense riservate a praticanti avvocati e giovani avvocati; promuovere, finanziare e patrocinare manifestazioni culturali inerenti gli scopi istituzionali. La carica di Presidente della Fondazione è ricoperta dal Presidente del Consiglio Nazionale Forense. Il Comitato Direttivo è composto da sette membri eletti, con votazione segreta, dall’intero Consiglio del CNF. All’interno del comitato direttivo l’avv. Antonio De Giorgi è stato quindi nominato Coordinatore. è un riconoscimento di altissimo prestigio, che nessun rappresen- Rivista del Consiglio 35 Antonio De Giorgi nominato Coordinatore della Fondazione dell’Avvocatura... tante del distretto di Lecce, fino ad ora, ha avuto l’onore di ricevere. Ad Antonio De Giorgi, inoltre, per la sua funzione di coordinatore anche della “commissione accesso e formazione” espressione del CNF e che si interessa della formazione continua, è stato attribuito l’incarico di gestire il “servizio attribuzione crediti formativi su tutto il territorio dello Stato”. All’avv. Antonio De Giorgi vanno gli auguri di buon lavoro da parte della redazione della Rivista e del Consiglio dell’Ordine, per l’incarico di grande responsabilità, con la convinzione che saprà dedicarsi con la consueta passione e professionalità. 36 Rivista del Consiglio Politica Forense Giuseppe Bonsegna nuovo Delegato Nazionale dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Durante il Congresso Giuridico Forense di Genova del novembre scorso, l’avv. Giuseppe Bonsegna è stato nominato quale rappresentante del Distretto di Lecce nell’OUA, Organismo Unitario dell’Avvocatura. Sostituisce l’avv. Marcello Marcuccio che aveva rappresentato l’Ordine di Lecce nei due bienni precedenti e che continuerà nel suo impegno nell’OUA quale “veterano”. Al “giovane” delegato gli auguri di un proficuo lavoro, con la convinzione che l’impegno e la passione che sono stati caratteristica della sua presenza in Consiglio, continueranno nel nuovo incarico, sempre al servizio degli avvocati. Pubblichiamo il suo intervento all’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario. Inaugurazione dell’anno giudiziario 2011 Distretto di Corte di Appello di Lecce Intervento dell’avv. Giuseppe Bonsegna Rappresentante dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana Ill.mo Sig. Presidente, Sig. Procuratore Generale, Autorità tutte, rappresentanti delle Istituzioni e delle Associazioni, gentili Ospiti, Colleghe e Colleghi, è con un pizzico di emozione che, dopo tanti anni di silenziosa Rivista del Consiglio 37 Giuseppe Bonsegna nuovo Delegato Nazionale OUA partecipazione, mi accingo a prendere la parola in questa cerimonia, quale delegato distrettuale dell’O.U.A., l’organismo unitario dell’Avvocatura italiana, che, per rispondere con estrema sintesi alla domanda di chi, anche tra gli addetti ai lavori, ha approfittato della notizia della mia elezione per domandarmelo, è nato nel 19941995, ed è la struttura, diretta emanazione del Consiglio Nazionale Forense, nella quale confluiscono tutte le istituzioni ed associazioni forensi, nel rispetto della autonomia di ciascuna componente. È, cioè, il soggetto politico che, accanto alla competenza istituzionale del CNF, è chiamato ad elaborare proposte di riforma organica della giustizia, ispirandosi sia ai deliberati del Congresso Nazionale Forense, sia alle istanze, alle idee e alle proposte provenienti da tutte le componenti sia istituzionali che associative dell’avvocatura, in definitiva a rappresentare l’avvocatura nella sua interezza nei provvedimenti e progetti che riguardano la professione di avvocato, la giustizia e i processi. È, quindi, a pieno titolo che l’O.U.A. interviene con un documento del nostro Presidente, avv. Maurizio De Tilla, dal quale ho estrapolato alcuni dei passaggi più significativi, e che anche Lei, signor Presidente, ha ampiamente e generosamente citato nella Sua ottima relazione. E, nell’ottica della verifica delle problematiche trattate alla luce della nostra realtà locale, mi piace subito dire che l’OUA ha sottoscritto, nel maggio 2009, insieme con l’Associazione Nazionale Magistrati e con le altre componenti del mondo giudiziario, il “Patto per la Giustizia e per i Cittadini”, che prevede: - il rafforzamento delle risorse umane ed economiche; - la riforma dell’ordinamento forense; - personale adeguato al funzionamento degli uffici; - la reale informatizzazione finalizzata allo snellimento delle procedure; - l’apprestamento del processo telematico su tutto il territorio nazionale; - l’intervento sulla Magistratura laica; - la rivisitazione della “Geografia Giudiziaria”, ed ha anche, più recentemente, predisposto un decalogo per la riforma della macchina giudiziaria. 38 Rivista del Consiglio Politica Forense Il documento è ampio ed è stato messo a Sua disposizione. Qui voglio, solo brevemente, dire: quanto al rafforzamento delle risorse, occorre riappropriarsi di quelle prassi virtuose che hanno dato risultati positivi negli uffici giudiziari dove sono state applicate. Chi non ha sentito parlare del “Metodo Barbuto”? Da noi, il protocollo di udienza, voluto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e dall’Associazione Nazionale Magistrati di Lecce ed introdotto già sotto la presidenza Pagano, deve funzionare, migliorandolo nei settori dove è stato già applicato e introducendolo dove, con la resistenza di molti, anche tra gli avvocati, è stato praticamente ignorato. Va incrementato il numero dei Magistrati togati e va individuata una nuova figura di giudice laico, da valutare con accesso rigoroso e selettivo, con la previsione di un rigoroso sistema di incompatibilità assoluta, ma con la garanzia di adeguato trattamento retributivo e di copertura previdenziale e assicurativa. Ha ragione, signor Presidente. Nell’attuale assetto organizzativo e con le carenze di organico dei Magistrati Togati non si può più fare a meno dei Magistrati Onorari; ma non ci devono essere nel mondo della giurisdizione figli e figliastri, Magistrati onorari costrette ad allattare nell’anticamera dell’aula di udienza, quando sono state baciate dalla fortuna di portare a termine gravidanze, a rischio non dichiarato per non perdere il posto di lavoro. E taccio d’altro! Questo accade anche nella nostra realtà, ma in uno Stato di diritto, e nel tempio del diritto, non deve più accadere! Vanno portati a compimento, in tutta Italia, rispettosamente, signor rappresentante del Ministro, la informatizzazione degli uffici giudiziari ed il processo telematico. Il dott. Gagliotta, magistrato referente nel settore penale, sa quale è stato il contributo dell’Avvocatura leccese per realizzare anche a Lecce il sistema Aurora che consente di gestire in maniera digitale il fascicolo penale e che offre al difensore diversi vantaggi, primo fra tutti quello di consultare il fascicolo ovunque si trovi. A Bari non è più un sogno, ma questo progetto ha dovuto registrare incredibili ritardi perché il Ministero non decideva a chi, banche o poste, affidare il compito di esigere il pagamento dei diritti. Il dott. Benfatto sa del contributo già apportato dal locale ConRivista del Consiglio 39 Giuseppe Bonsegna nuovo Delegato Nazionale OUA siglio dell’Ordine, che ha stanziato cospicue risorse proprie per far decollare alcuni servizi. Auspichiamo anche noi che le notificazioni di cancelleria avvengano in forma telematica, anche tramite PEC, quale primo passo verso il processo telematico. Quanto alla geografia giudiziaria, egregio Consigliere Fuzio, a Lecce è noto l’orientamento comune di Avvocati e Magistrati, che, almeno sin dalle posizioni congiuntamente ed ufficialmente assunte, con il coinvolgimento anche degli Enti locali, nella Conferenza sulla giustizia tenuta all’Hotel President nel lontano 2003, ma anche da prima, hanno sostenuto la necessità della riorganizzazione degli uffici giudiziari secondo il binomio costi-benefici, anche se questa scelta, in barba alle ragioni di “campanile”, può comportare la soppressione di molte delle attuali sezioni distaccate del Tribunale, però nello spirito e nella lettera, mai attuati, della riforma. Vedete, a Lecce, il dialogo tra le varie componenti della giurisdizione, pur se con qualche fisiologico momento di tensione, non è mai mancato ed anzi, come abbiamo sperimentato, è stato anche proficuo. Ora, con il Patto per la Giustizia, deve ancor più rafforzarsi, specialmente ora che la Corte è retta da Lei – e lo dico senza piaggeria ma per manifestarLe, anche in questa solenne occasione, la nostra gratitudine e stima che Lei, signor Presidente, ha saputo conquistarsi nei confronti di tutti, contribuendo a far sì che, parafrasando quanto ha detto ieri l’avv. Vietti, il Tribunale sia diventato la nostra casa. E se questa è la nostra casa, in attesa che passi la nottata, facciamoci carico noi di renderla vivibile. È con questo auspicio di sempre maggiore collaborazione, esteso anche ai problemi di tutta l’Avvocatura su tutto il territorio nazionale, che voglio chiudere il mio intervento. Ho ascoltato ieri gli interventi del Primo Presidente della Cassazione e del ministro Alfano, nella cerimonia di apertura presso la Corte di Cassazione. Il Primo Presidente, nell’invitare il Governo ad individuare strumenti deflattivi, in vista del raggiungimento dell’obiettivo della ragionevole durata del processo, ha espresso consenso per l’istituto della conciliazione che il 20 marzo 2011 dovrebbe entrare in vigore. 40 Rivista del Consiglio Politica Forense Il Ministro, da parte sua, ha incassato, ringraziando. L’Avvocatura, permettetemi di ribadirlo, non è d’accordo e non solo per le difficoltà applicative emerse nell’incontro tra il C.N.F. ed il Ministro ed alle quali ha fatto pure cenno il Primo Presidente. E non perché faremmo resistenze corporative, se era anche a noi che si riferiva ieri il Ministro Alfano. Noi siamo contrari per tutte le ragioni di merito più volte ribadite – e anche ieri, se pure con la sintesi necessaria, dal Presidente Alpa – e diffusamente elencate nel documento dell’O.U.A. e da Lei oggi richiamate per dire della Sua sostanziale condivisione. Siamo contrari a questa legge, non all’istituto della conciliazione, che anzi abbiamo suggerito come rendere più possibile anche nella fase giudiziaria, perché non è concepibile che, nel mentre ancora ieri il Ministro vantava di aver valorizzato il dialogo con gli Avvocati e Magistrati, protagonisti della giustizia; nel mentre si studia come inserire il soggetto Avvocatura più incisivamente nella Costituzione, non è concepibile, dicevo, alimentare la cultura del sospetto nei confronti dell’Avvocato e, nel mentre si offre un ulteriore strumento dilatorio a chi è inadempiente, indicare, anche con vergognosi spot televisivi, che la strada verso la deflazione deve essere lastricata delle toghe degli avvocati, e che si scriva in una legge dello Stato che l’esercizio del diritto alla giustizia, anzi del diritto ai propri diritti, possa compiersi, per giunta dinanzi a soggetti non dotati della necessaria preparazione giuridica, senza la obbligatoria partecipazione degli Avvocati. Attenzione a non perseverare in questo errore. Gli avvocati chiedono, convintamente, a gran voce, che si proceda al più presto anche alla riforma dell’ordinamento professionale, che non solo è a costo zero ma può portare, anche attraverso una rivisitazione delle regole sull’accesso alla professione, – siamo 240 mila e cresciamo di 15.000 unità all’anno – ampi benefici nel funzionamento della macchina della giustizia. E chiudo veramente, ricordando che il Parlamento Europeo in una importante risoluzione del 23 marzo 2006, ha riaffermato il pieno riconoscimento della funzione cruciale esercitata dalla professione di avvocato in una società democratica, al fine di garantire Rivista del Consiglio 41 Giuseppe Bonsegna nuovo Delegato Nazionale OUA il rispetto dei diritti fondamentali, lo Stato di diritto e la sicurezza nell’applicazione della legge. La garanzia dell’avvocato nei processi è stata configurata come strumento per porre rimedio alle naturali disparità delle parti. L’ufficio dell’avvocato è una funzione, non solo dal punto di vista giuridico, ma anche politico e sociale, perché, stando tra le parti ed i giudici, gli avvocati costituiscono l’elemento fondamentale attraverso il quale i rapporti tra l’amministrazione della giustizia e i cittadini possono migliorare, crescendo da un lato l’autorità, dall’altro la fiducia. Ecco perché, ribadendo a chiare lettere che la legalità è garantita dalla giurisdizione; che la giustizia è amministrata dai giudici e ad essi si deve rispetto, mi sento di aggiungere che, per raggiungere l’obiettivo del corretto funzionamento del sistema della giustizia dobbiamo, in un sistema di reciproca indipendenza e di rapporti equilibrati tra giudici e avvocati, sederci permanentemente intorno al tavolo del Patto per la Giustizia, ricordando, come diceva Calamandrei che “i buoni giudici fanno i buoni avvocati e viceversa: i magistrati che disprezzano i difensori disprezzano se stessi; ma gli avvocati che non rispettano la dignità del magistrato offendono la dignità della toga”. 42 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione Introduzione a cura di Sergio Limongelli Con provvedimento del Direttore Generale della Giustizia Civile del Ministero della Giustizia del 18 marzo 2011, l'Organismo di Conciliazione dell'Ordine degli Avvocati di Lecce è stato iscritto al Registro degli organismi abilitati a svolgere la mediazione di cui all'art. 3 del D.I. 18 ottobre 2010 nr. 180, al numero progressivo 180 del Registro. è pertanto organismo legittimato a svolgere l'attività di mediazione a partire dal 21 marzo 2011. Le domande di mediazione possono essere presentate attraverso il sito www.organismomediazionelecce.it e depositate poi nella sede dell'Ordine degli Avvocati, in Via Brenta, presso il Tribunale di Lecce, al piano terra. Il D.lgs. nr. 28 del 4 marzo 2010, come è noto, ha introdotto in Italia l’istituto della mediazione e costituisce l’attuazione, del tutto particolare, della Direttiva 21 maggio 2008 nr. 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea. Particolare perché il nostro legislatore è andato oltre l’obiettivo iniziale di garantire un miglior accesso alla giustizia anche stragiudiziale, improntato a criteri di economicità e rapidità della risoluzione delle controversie civili e commerciali. Originariamente rivolta alle controversie transfrontaliere, la mediazione è stata infatti prevista dal nostro legislatore anche per le controversie interne ed in alcune materie, indicate dall’art. 5 del D.lgs. nr. 28/2010, è stato reso obbligatorio il tentativo di conciliazione, a pena di improcedibilità del giudizio. Il ruolo della classe forense nella genesi della normativa è stato Rivista del Consiglio 43 Introduzione di S. Limongelli del tutto marginale. Al di là di un formale coinvolgimento iniziale, gli avvocati, CNF e OUA in testa, non sono stati capaci di far rilevare le numerose incongruità della costruzione normativa, pur avendole immediatamente individuate nella obbligatorietà del tentativo, nella scarsa professionalità dei conciliatori (con laurea triennale o iscritti ad un albo professionale), nella mancata assistenza obbligatoria dell’avvocato. Dopo la pessima figura al Congresso di Genova del novembre 2010, e solo con l’avvicinarsi dell’entrata in vigore della obbligatorietà del tentativo e con l’allontanarsi delle flebili speranze di modifica, la protesta dei rappresentanti della avvocatura italiana si è accentuata, con gli editti di De Tilla e i comunicati di Alpa, ed attraverso astensioni dalle udienze e ricorsi al TAR. Con l’ordinanza del 12.4.2011, pubblicata di seguito, il TAR del Lazio ha evidenziato diversi profili di incostituzionalità della normativa, incentrati principalmente sulla obbligatorietà della conciliazione e sulle inesistenti garanzie di professionalità e di preparazione dei conciliatori. Le riserve sulla Mediaconciliazione, da parte degli avvocati, non si fermano alle censure di incostituzionalità, pur rilevanti, ma riguardano l’intero meccanismo della legge, che esalta nelle intenzioni (europee) le potenzialità della conciliazione stragiudiziale, ma nell’attuazione pratica la confina a percentuali che, sin dalle prime statistiche, appaiono inconsistenti. La obbligatorietà del tentativo esisteva già nelle controversie di lavoro, e costituiva semplicemente una formalità, come ben dimostrano i dati statistici. Ma era gratis! Oggi viene gravato il cittadino non solo delle procedure dinanzi agli organismi di conciliazione, e dei conseguenti tempi di ultimazione, ma anche di costi di avviamento e di indennità di mediazione che, negli scaglioni più alti, raggiungono cifre insostenibili per la stragrande maggioranza degli italiani. è il principio della giustizia alternativa a costo zero, il cui peso graverà sulla cittadinanza e, soprattutto, sugli avvocati civilisti, già in grandi difficoltà operative. In attesa che qualcosa cambi, per l’intervento della Consulta, o per un ripensamento del legislatore, l’Ordine degli Avvocati di Lecce, raccogliendo l’esplicito invito contenuto nel D.Lgs. 28/2010, ha costituito l’Organismo di Conciliazione, utilizzando i locali messi a disposizione dal Presidente del Tribunale di Lecce. Cerca così di 44 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione garantire la massima professionalità nella gestione della fase di conciliazione, e nella scelta dei mediatori, che sono iscritti all’Albo degli Avvocati di Lecce da almeno tre anni, hanno conseguito il titolo di mediatore seguendo i Corsi prescritti dai decreti attuativi, D.M. nr. 180/2010; sono vincolati al Codice etico europeo ed al nostro Codice deontologico; sono scelti secondo un criterio informatico di ‘rotazione qualificata’ che assicura la massima trasparenza ed imparzialità; sono tenuti ad un periodico e qualificato aggiornamento professionale. Gli avvocati leccesi, nell’Assemblea del 21 marzo 2011 hanno espresso chiaramente il loro dissenso nei confronti della disciplina della mediazione, così come concepita, e, grazie soprattutto alla spinta propulsiva delle Associazioni, A.N.F. e AIGA in testa, hanno indirizzato l’Ordine e l’Organismo verso scelte perequative per i cittadini, allo scopo di limitare i disagi ed i costi del procedimento. Il Regolamento dell’Organismo è stato quindi modificato, il 7 aprile u.s., tenendo conto degli orientamenti dell’Assemblea degli avvocati. è stato eliminato l’obbligo di pagamento dell’indennità di mediazione nei casi di mancata adesione dei chiamati alla mediazione; è stata prevista la possibilità per il mediatore di avanzare una proposta di mediazione solo nei casi in cui sia richiesto da tutte le parti; la possibilità di nomina di un consulente tecnico ausiliario da parte del mediatore, ed a spese delle parti, è stata sottoposta alla preventiva valutazione da parte dell’Organismo. Il procedimento di mediazione è una novità che si porta un carico irrisolto di interrogativi e problemi, non previsto da un legislatore superficiale, e lasciato alla capacità risolutiva degli avvocati, siano essi mediatori, gestori degli organismi, o difensori delle parti. Domande ‘riconvenzionali’, chiamate di terzo, cause di incompatibilità, scindibilità delle domande di mediazione, disponibilità dei diritti controversi (ad esempio, in materia di usucapione), sono solo alcune delle questioni sorte nei primi mesi di applicazione della normativa, e per la cui soluzione ci si deve affidare all’esperienza ed al buon senso della classe forense, sulle cui fragili spalle grava il peso di questo controverso istituto. Di seguito pubblichiamo il verbale dell’Assemblea del 21.3.2011; il Protocollo presentato in quell’assise dall’Associazione Forense Rivista del Consiglio 45 Introduzione di S. Limongelli Lecce; il Regolamento dell’Organismo con una sintesi dei criteri per la presentazione delle domande e per il pagamento delle indennità di mediazione; l’ordinanza del TAR Lazio del 12.4.2011; un intervento dell’avv. Roberta Sodo, componente dell’Organismo di Conciliazione dell’Ordine degli Avvocati di Lecce. 46 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione Verbale dell’Assemblea straordinaria dell’Ordine degli Avvocati di Lecce del 21/03/2011 Addì, ventuno marzo duemilaundici, ore 11,30 in seconda convocazione, in Lecce - viale De Pietro nell’Aula Magna della Corte di Appello di Lecce è stata convocata l’assemblea degli iscritti. Sono presenti numerosi avvocati tra i quali: F. Zompì, F. Caracuta, A. Galati, G. De Mauro, V. Venneri, P. Corleto, L. Fiorenza, M. Romita, O. Valletta, G. Capodacqua, A. Sansonetti, R. Perchiazzi, F. La Gioia, G. U. Garrisi, M. Rizzo, G. Gallo, V. Caprioli, S. Limongelli, S. Bonea, F. Porcari, L. De Giorgi, A. Rollo, C. Ruppi, C. Corvino, A. Pecoraro, F. Chiarello, G. Pastore, D. Mellone, B. Coluccia, V. Carbone, F. Fusaro, M. Pezzuto, V. Napolitano, S. Chiriatti, R. Totaro, P. Marseglia, S. Spano, A. Tana, R. Altavilla, U. Macrì, A. Romano, G. Degli Atti, A. Lanzillotti, A. Sergi, M. Carrà, A. Balzani, M. Marcuccio, C. Licci, R. Donadei, A. Lonoce, A. Greco, T. Rizzo, C. Guido, V. De Benedittis, A. Coppola, A. Manno, G. Capone, S. Vincenti, A. Lanzilao, M. Scardia, L. Fersini, V. Caramuscio, M. Stefanelli, S. Camassa, L. Sambati, F. Barbara, A. Maraschio, B. Caracciolo, F. Cillo, A. Pedone, D. Guadalupi, A. Pallara, F. Maggiore, M. Esposito, G. Fina, G. De Matteis, G. Calasso, F. Salerno, E. Calò, E. Galati, G. Greco, M. Panareo, M. Lanzilao, D. Donnaloia, R. De Matteis, B. Zappone, A. Medea, S. Picciolo, L. Corvaglia, N. Murri Dello Diago, L. Contini, A. M. Sanchez, G. De Spirito, R. Barsi, G. Farachi, L. Lomonaco, A. Ingrosso, A. Indirli, E. Elia, S. Conte, F. Galluccio Mezio, V. Casilli, S. Bortone, M. Gorgoni, A. Caprioli, G. Rampino, D. Amorosi, P. Nuzzo, D. Sabetta, N. Longo, R. Licci, L. Franchini, A. Franchini, S. Muscogiuri, L. Pastore, G. Salvatore, V. Vernaleone, B. De Francesco, R. Valente, F. Accoto, G. Caiaffa e molti altri. Assume la presidenza l’avv. Luigi Rella. Funge da segretario l’avv. Raffaele Fatano. Il Presidente invita al tavolo della presidenza l’avv. Rivista del Consiglio 47 Verbale dell’Assemblea straordinaria del 21/3/2011 G. Bonsegna – neo delegato OUA – e gli avv.ti Marcello Marcuccio e Gaetano De Mauro, presenti in aula, che hanno ricoperto, nel passato, l’incarico di delegati OUA. Il Presidente, rilevato che è presente il numero legale, dichiara aperta l’assemblea e dà lettura dell’ordine del giorno: Astensione proclamata dall’OUA dal 16 al 22 marzo 2011; Varie ed eventuali. Il Presidente prende la parola e svolge la relazione introduttiva nella quale spiega le ragioni dell’astensione ed informa l’Assemblea che anche l’Ordine di Lecce ha istituito un Organismo di Conciliazione al servizio di tutta l’Avvocatura. Al termine della relazione cede la parola all’avv. Giuseppe Bonsegna, rappresentante del distretto nell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, che informa l’assemblea sugli eventi che hanno indotto l’OUA – che è l’Organismo di rappresentanza politica dell’Avvocatura – ad indire la protesta. Durante l’intervento dell’avv. Bonsegna interviene l’avv. Claudio Consales - anch’egli delegato OUA per il distretto che viene invitato al tavolo della presidenza. Al termine dell’intervento dell’avv. Bonsegna il Presidente cede la parola l’avv. Marcuccio che ha chiesto d’intervenire oltre che per illustrare alcuni aspetti della legge sulla mediazione anche per evidenziare come non sia in gioco solo il problema della conciliazione ma la stessa autonomia della professione per alcuni progetti di legge che sono allo studio da parte del legislatore. Al termine dell’intervento il Presidente porta all’Assemblea il saluto dell’avv. Antonio De Giorgi, rappresentante per il Distretto al Consiglio Nazionale Forense che, assente per motivi di salute, avrebbe dovuto partecipare all’assemblea, espressamente delegato espressamente dal Presidente Alpa per dare il suo contributo e per riferire la vicinanza del CNF. A questo punto viene aperto il dibattito. Interviene l’avv. Angelo Galante, Segretario dell’AFL, che informa l’assemblea di un protocollo operativo stilato dall’Associazione che, se applicato, potrebbe bloccare l’operatività della legge sulla mediazione. Al termine dell’intervento consegna al Presidente una copia del documento che viene allegato al presente verbale e chiede che 48 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione venga sottoposto all’approvazione dell’assemblea. Interviene, quindi, l’avv. Giuseppe Gallo che informa l’assemblea che già dal 2008 un gruppo di professionisti, avvicinatisi alle tematiche della Conciliazione, ha costituito un’associazione a Lecce – l’Associazione Conciliatori Salentini - che non è un organismo iscritto nel registro degli organismi deputati allo svolgimento della Mediazione, ma è semplicemente un’associazione che ha come scopo quello di studiare ed approfondire questa tematica. Al termine del suo intervento l’avv. Gallo propone che l’assemblea e, comunque, l’ordine, individui i modi e i termini più adatti volti ad eliminare le conseguenze previste e introdotte dall’Art. 4 n. 3 lettera a) del Decreto Ministeriale numero 180, che è – diciamo – la norma di legge che prevede i requisiti per l’accesso ai corsi di formazione e, quindi, che si preveda una sorta di tirocinio formativo per i Conciliatori iscritti nell’organismo dell’Ordine, assegnando nel breve periodo le conciliazioni ad una equipe di professionisti presieduta dal professionista più esperto. Inoltre, laddove è possibile, prevedere di concerto con la Magistratura locale l’affiancamento dei Conciliatori al Magistrato o ai Magistrati nei procedimenti aventi ad oggetto le materie previste dall’Art. 5 del Decreto Legislativo 28/2010. Interviene l’avv. Andrea Lanzilao, nella qualità di Presidente della locale sezione dell’AIGA, il quale manifesta il totale dissenso di AIGA, sia a livello locale che a livello nazionale, alla riforma della mediazione ed illustra, al termine del suo intervento una mozione proposta dall’Associazione, che in copia viene allegata al presente verbale, che chiede venga sottoposta al voto dell’assemblea. Interviene l’avv. Domenico Guadalupi nella qualità di consigliere nazionale dell’AIGA ad avviso del quale l’assemblea deve trovare delle soluzioni di carattere politico che riescano a risolvere il problema della materiale inattuazione della normativa in questione. Interviene, quindi, l’avv. Claudio Consales per portare all’assemblea il suo saluto e per invitarla a riflettere che non si è di fronte ad una legge sbagliata ma di fronte ad un disegno serio, studiato a tavolino dai poteri forti “– e intendo per poteri forti assicurazioni, banche, Marcegaglia e compagnia – per sopprimere l’Avvocatura”. A fronte di questa legge la vera realtà è che sono fioriti i corsi per formare i Rivista del Consiglio 49 Verbale dell’Assemblea straordinaria del 21/3/2011 mediatori, e intorno a questi corsi c’è un accaparramento di ricchezza che va al dì là dei limiti tollerabili per l’Avvocatura. Al termine del suo intervento assicura l’assemblea che l’impegno sarà costante per portare avanti tutte le istanze dell’avvocatura. Interviene l’avv. Emanuela Galati che mette in evidenza come di fronte ad una legge che di fatto ha dichiarato guerra dell’Avvocatura, non ci sia stata quell’attesa reazione, quello sviluppo di anticorpi da parte del Consiglio Nazionale Forense e che l’impegno dell’OUA è risultato tardivo. L’avv. Marcello Marcuccio svolge una breve replica all’intervento critico dell’avv. Galati. Interviene, quindi, l’avv. Luigi Corvaglia ad avviso del quale occorre passare a forme di lotta concrete, che prevedano in primo luogo la comunicazione con i cittadini e poi escludano che l’Ordine debba fare mediazione attraverso l’Organismo all’uopo costituito. Interviene, quindi, il Presidente evidenziando che in un momento difficile come questo, nel momento in cui ANF invita invece ad essere presenti a costi ridotti, cercando di dare un servizio, le proteste aventiniane non dovrebbero giovare all’avvocatura. Interviene, quindi, l’avv. Ubaldo Macrì, Presidente della Camera Penale, il quale evidenzia quanto sia difficile, soprattutto per i più giovani colleghi, dare attuazione a quanto è stato proposto dall’AFL nel protocollo proposto all’assemblea. L’Ordine non può prevedere una sanzione disciplinare per una cosa che non è prevista, cioè non aderire ad una forma di protesta. Interviene l’avv. Luigina Fiorenza che evidenzia la tardività della protesta e manifesta la sua contrarietà a qualsiasi forma di astensione dichiarandosi favorevole al protocollo proposto dall’AFL di Lecce. Intervengono, quindi, l’avv. Sergio Limongelli che esprime qualche perplessità su alcuni passaggi della proposta dell’AFL. Interviene l’avv. Lanzilao il quale precisa che il documento da porre in votazione deve intendersi così modificato: «gli importi per il procedimento di media conciliazione innanzi all’Organismo costituito dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati presso la Corte d’Appello di Lecce vengano fissati nella misura minima consentita dalle esigenze di bilancio, ovvero nella misura minima consentita dalla legge - dovendo essere suffi50 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione ciente esclusivamente a coprire le spese necessarie al regolare funzionamento della struttura; il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati presso la Corte d’Appello di Lecce renda nota l’iniziativa di cui al precedente punto 1) al Consiglio Nazionale Forense ed all’Organismo Unitario dell’Avvocatura affinché invitino a loro volta gli altri Consigli dell’Ordine ad adeguarsi». Al termine degli interventi le mozioni presentate dall’AFL e dall’AIGA e le proposte degli avv.ti Corvaglia e Gallo, da intendersi quali raccomandazioni, vengono poste in votazione. Viene posta in votazione la raccomandazione proposta dall’AFL: «L’assemblea raccomanda a tutti gli iscritti di applicare il “Protocollo per l’astensione degli avvocati dalla procedura obbligatoria di Conciliazione (d.LGS 28/2010) e al Consiglio” proposto dall’AFL». L’assemblea approva a maggioranza. Viene posta in votazione la raccomandazione proposta dall’AIGA Sezione di Lecce: «L’assemblea raccomanda al Consiglio dell’Ordine che 1) gli importi per il procedimento di media conciliazione innanzi all’Organismo costituito dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati presso la Corte d’Appello di Lecce vengano fissati nella misura minima consentita dalle esigenze di bilancio, ovvero nella misura minima consentita dalla legge, dovendo essere sufficiente esclusivamente a coprire le spese necessarie al regolare funzionamento della struttura; 2) l’iniziativa di cui al precedente punto 1) venga resa nota al Consiglio Nazionale Forense ed all’Organismo Unitario dell’Avvocatura affinché invitino a loro volta gli altri Consigli dell’Ordine ad adeguarsi». L’assemblea approva a maggioranza. Viene posta in votazione la proposta dell’avv. Corvaglia: «L’assemblea raccomanda all’OUA e al CNF di continuare nell’astensione in conformità di quanto previsto dal Codice di Autoregolamentazione». L’assemblea approva a maggioranza. Viene posta in votazione la proposta dell’avv. Gallo: «L’assemblea raccomanda al Consiglio dell’Ordine: 1) di adottare le iniziative più opportune volte alla modifica dell’art. 4 n. 3 lett. A del D.M. n. 180 pretendendo tra le modalità di accesso ai corsi di formazione esclusivamente quella del possesso del diploma di laurea magistrale in materia giuridica ed economica; 2) di prevedere un tirocinio formativo per i profesRivista del Consiglio 51 Verbale dell’Assemblea straordinaria del 21/3/2011 sionisti iscritti nell’Organismo di Conciliazione dell’Ordine degli Avvocati di Lecce assegnando – nel breve periodo – i procedimenti di conciliazione ad una equipe di conciliatori presieduta da un conciliatore professionalmente esperto (data di iscrizione all’Albo, svolgimento di ruoli nella magistratura onoraria etc.); 3) di prevedere, di concerto con il Presidente della Corte di Appello di Lecce - l’affiancamento di conciliatori ai magistrati nei procedimenti aventi ad oggetto le materie previste dall’art. 5 D.lgs. 28/2010». L’assemblea approva a maggioranza. A questo punto il Presidente, non essendovi altro a deliberare, alle ore 13,25 scioglie l’assemblea. Si da atto che si è proceduto alla registrazione delle relazioni e degli interventi la cui trascrizione integrale è allegata al presente verbale redatto in forma riassuntiva. Il Consigliere Segretario Avv. Raffaele Fatano 52 Rivista del Consiglio Il Presidente Avv. Luigi Rella Speciale Mediazione Protocollo per l’astensione degli avvocati dalla procedura obbligatoria di conciliazione (D.Lgs 28/2010) I - La protesta si attua nel pieno rispetto della legge (il legislatore non ha voluto la partecipazione obbligatoria dell’avvocato); II - L’avvocato della parte che intende promuovere la lite predispone l’istanza di conciliazione senza costituirsi nell’atto; III - L’istanza va diretta esclusivamente all’organismo di conciliazione costituito presso l’Ordine degli Avvocati, che ha garantito, da una parte, che si pagherà soltanto il costo di attivazione della pratica (40 euro) e che l’anticipo del 50% del costo della procedura sarà fatto pagare soltanto nel caso in cui entrambe le parti si costituiscano, dall’altra, che dal conciliatore non saranno formulate proposte di conciliazione senza la costituzione di entrambe le parti e la loro istanza congiunta in tal senso (la scelta dell’organismo del consiglio dell’ordine è motivata sia dal riconoscimento istituzionale dell’avvocatura quale unico interlocutore in materia di diritto di difesa, contro la privatizzazione della giustizia, sia in considerazione della circostanza che un unico organismo non potrà evadere tutte le istanze); IV - L’avvocato della parte convenuta, che abbia eventualmente ricevuto la convocazione da parte dell’organismo (non sappiamo quante istanze l’ordine riuscirà ad evadere) informerà il proprio assistito che gli avvocati, in forma di protesta, hanno deciso di astenersi dalla partecipazione e gli darà, nelle forme di legge, le dovute informazioni in ordine alla procedura, ai relativi costi ed eventuali conseguenze della mancata partecipazione – allo stato tutte da verificare in ordine alla loro applicabilità anche in ragione del giusto motivo della parte a non partecipare alla procedura senza l’ausilio difensivo del proprio avvocato – predisponendo una comunicazione all’organismo con la quale si giustifica la mancata partecipazione al tentativo di conciliazione per l’adesione del proprio difensore di Rivista del Consiglio 53 Protocollo per l’astensione degli avvocati fiducia alla protesta, inoltre gli farà presente che al procedimento è comunque consentito alla parte partecipare anche senza l’assistenza del difensore avvocato. V - A questo punto l’organismo non dovrà fare altro che prendere atto della mancata conciliazione e rendere procedibile l’azione; in difetto, ciò sarà, comunque, possibile trascorsi quattro mesi dalla presentazione dell’istanza; VI - Infine, ma non ultimo, gli avvocati perseguiranno la conciliazione preventiva della controversia, come già notoriamente avviene con loro precipuo impegno, incentivandone lo sforzo in tal senso. Il segretario dell’AFL (avv. Angelo Galante) 54 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione Regolamento delle procedure di Conciliazione e Mediazione dell’Ordine degli Avvocati di Lecce Art. 1 Principi generali 1. La Conciliazione/Mediazione è una procedura, comunque denominata, svolta da un soggetto terzo, imparziale ed indipendente, denominato Conciliatore/Mediatore, finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole, per la composizione di una controversia, sia nella formulazione, su concorde richiesta delle parti, di una proposta per la risoluzione della stessa. 2. La procedura di Mediazione è improntata ai principi di informalità, celerità ed oralità. 3. Possono essere sottoposte all’Organismo di Conciliazione dell’Ordine tutte le controversie afferenti a diritti disponibili, comprese quelle individuate ex lege. 4. Nelle materie individuate dalle norme di legge le parti possono ricorrere alla giurisdizione ordinaria solo dopo aver esperito il tentativo di mediazione, tuttavia lo svolgimento del tentativo di mediazione non preclude la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari. 5. L’Organismo di Conciliazione dell’Ordine non fornisce consulenza legale. 6. Il presente regolamento è applicabile alla conciliazione di controversie di qualsiasi natura, relative a diritti disponibili, che le parti vogliano risolvere in maniera collaborativa, in forza di un accordo, di una clausola contrattuale e/o statutaria, ovvero di una previsione di Legge. 7. La qualificazione della natura della controversia spetta alla parte che deposita la domanda di conciliazione. Per i procedimenti disciplinari da disposizioni di legge, il presente regolamento si applica in quanto compatibile. Rivista del Consiglio 55 Regolamento di Conciliazione e Mediazione dell’Ordine 8. Ai fini del presente regolamento i termini Mediazione e Conciliazione sono da intendersi equivalenti, così come quelli di Mediatore e Conciliatore. Art. 2 Accesso alla procedura di Conciliazione 1. La parte o le parti che intendono promuovere la procedura di Conciliazione presso l’Organismo di Conciliazione dell’Ordine degli Avvocati di Lecce devono depositare presso la sua Segreteria la domanda compilata sul modello predisposto (allegato B) che deve contenere: - L’Organismo adito; - I propri dati e quelli delle altre parti, nonché quelli dei difensori e dei professionisti che eventualmente potrebbero assistere la parte nel procedimento, e, comunque, indicare il domicilio, il numero di fax o l’indirizzo di posta elettronica certificata presso i quali saranno effettuate le dovute comunicazioni; - L’oggetto e le ragioni della pretesa attraverso una sommaria esposizione dei fatti, le pretese, i danni lamentati e i documenti che intendono esibire avendo cura di precisare quali comunicazioni devono intendersi dirette, in via riservata, al solo Conciliatore. - L’indicazione del valore della controversia determinato secondo i criteri previsti dal codice di procedura civile; qualora il valore risulti indeterminato, indeterminabile o vi sia una notevole divergenza tra le parti sulla stima, l’Organismo decide il valore di riferimento e lo comunica alle parti; 2. L’Organismo non accetterà le domande di mediazione che riguardino controversie la cui competenza territoriale, in base al dettato del codice di procedura civile, non appartenga ad Uffici Giudiziari del Circondario di Lecce. 3. L’Organismo di Conciliazione si riserva la facoltà di non accettare la domanda per ragionevoli motivi. 4. Il deposito della domanda di conciliazione, nonché l’adesione alla stessa costituiscono accettazione del regolamento, delle inden56 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione nità di cui alla tabella allegata (allegato A), commisurate al valore della lite e riconoscimento del relativo debito, solidale tra le parti, nei confronti dell’O.d.C. Art. 3 Adempimenti della segreteria 1. La gestione della procedura avviene a cura della Segreteria dell’Organismo di Conciliazione dell’Ordine, che terrà un registro, anche informatico, per ogni procedimento di mediazione con le annotazioni relative al numero d’ordine progressivo, ai dati identificativi delle parti, all’oggetto della controversia, al mediatore designato, alla durata del procedimento ed al relativo esito. 2. Accettata la domanda, la Segreteria provvede a formare il fascicolo del procedimento, debitamente registrato e numerato, nel quale verranno inseriti tutti gli atti ed i documenti presentati dalla parti. 3. I dati raccolti vengono trattati nel rispetto delle disposizioni e, fatto salvo per quelli espressamente indicati come riservati al Conciliatore, sono accessibili alle parti. 4. Dopo il deposito della domanda, l’Organismo designa, attraverso idoneo sistema informatico, un mediatore/conciliatore, nel rispetto dei criteri di rotazione qualificata e di quanto previsto dallo Statuto; Entro quindici giorni dal deposito della domanda viene fissato l’incontro tra le parti. 5. La Segreteria dell’Organismo darà tempestiva comunicazione, con ogni mezzo idoneo ad assicurare la ricezione: a) alla parte istante: del nominativo del mediatore designato, la data e il luogo dell’incontro di mediazione; - all’altra o alle altre parti: della domanda di mediazione; del nominativo del mediatore designato; della data e luogo dell’incontro di mediazione, con invito a comunicare, nel termine perentorio di otto giorni prima dell’incontro, la propria adesione, invitandolo altresì a partecipare personalmente al procedimento, e avvertendo che l’incontro non avrà luogo, ove non vi sia l’adesione di tutte le parti. Rivista del Consiglio 57 Regolamento di Conciliazione e Mediazione dell’Ordine 6. La Segreteria informa altresì la parte dei benefici fiscali previsti dagli artt. 17 e 20 del D.Lgs n. 28/2010 e l’avverte della circostanza che, ai sensi dell’art. 8, comma 5, del D.Lgs. n. 28/2010, il giudice potrà desumere dalla mancata partecipazione al procedimento argomenti di prova ai sensi dell’art. 116, 2° comma, c.p.c. 7. In caso di mancata adesione della/e parte/i invitata/e, la parte istante dovrà partecipare all’incontro fissato dinanzi al Mediatore designato, il quale constatata la mancata comparizione delle parti invitate, redigerà il verbale negativo del tentativo di conciliazione. 8. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’Organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari e/o esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i Tribunali, che saranno remunerati dall’Organismo secondo quanto previsto dal tariffario allegato al presente regolamento. 9. Qualora tutte le parti abbiano aderito alla mediazione, le stesse, anteriormente al primo incontro dovranno versare alla Segreteria dell’Organismo di Conciliazione dell’Ordine la quota a loro carico delle spese di avvio della procedura nella misura indicata dall’art. 10 del presente Regolamento e dal Tariffario vigente. Art. 4 Il mediatore/conciliatore - Imparzialità e doveri 1. Presso la Segreteria dell’Organismo di Conciliazione dell’Ordine è depositato l’elenco dei Conciliatori/Mediatori accreditati, composto da Avvocati regolarmente iscritti all’Albo degli Avvocati di Lecce, che siano esperti in tecniche di conciliazione e che abbiano frequentato con profitto i corsi di formazione tenuti dagli enti accreditati dal Ministero di Giustizia, nonché i successivi corsi di aggiornamento. 2. L’elenco è gestito, tenuto e aggiornato dall’Organismo di Conciliazione dell’Ordine. 3. Il Conciliatore, potrà essere scelto su indicazione congiunta delle parti, o, in difetto, individuato dall’Organismo tra i conciliatori iscritti nell’elenco depositato presso l’Organismo di Conciliazione, secondo criteri di rotazione qualificata, gestita attraverso programma 58 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione informatico (software), in considerazione del valore della controversia e del suo oggetto. Il mediatore al momento dell’iscrizione all’elenco potrà indicare le materie rispetto alle quali non intende prestare l’opera di conciliazione. 4. In relazione alla particolare natura e/o complessità dell’oggetto della Conciliazione, l’Organismo di Conciliazione dell’Ordine, previo accordo con tutte le parti, potrà nominare un collegio di Conciliazione/Mediazione composto da un massimo di tre membri. 5. Prima dell’inizio del procedimento di Conciliazione, il conciliatore sarà tenuto a sottoscrivere dichiarazione di assoluta neutralità, indifferenza ed assenza di qualunque interesse anche indiretto. 6. Qualora l’incompatibilità dovesse insorgere nel corso della procedura di conciliazione, il conciliatore dovrà informarne immediatamente la Segreteria dell’Organismo di Conciliazione dell’Ordine per essere sostituito. 7. Il conciliatore è obbligato a mantenere il segreto su quanto apprenderà nel corso del procedimento di conciliazione; a non divulgare il contenuto dei documenti di cui verrà a conoscenza; a non assumere in futuro alcun incarico di diversa natura a riguardo all’oggetto della controversia. 8. Allo stesso è fatto divieto, altresì, di assumere diritti od obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati ad eccezione di quelli strettamente inerenti alla prestazione dell’opera e/o servizio, nonché di percepire compensi direttamente dalle parti. 9. Alle procedure di conciliazione potrà assistere un aspirante conciliatore, indicato dall’Organismo, il quale dovrà rispettare i medesimi obblighi a cui è tenuto il Conciliatore professionista e a sottoscrivere, identica dichiarazione di impegno, ove prevista. 10. I Conciliatori devono svolgere la loro attività nel rispetto del Codice di Comportamento approvato dall’Organismo di Conciliazione dell’Ordine (depositato presso la Segreteria per l’eventuale consultazione) e comunque secondo i canoni del Codice di Deontologia Forense. Rivista del Consiglio 59 Regolamento di Conciliazione e Mediazione dell’Ordine Art. 5 Procedimento di conciliazione La Conciliazione, di regola, si svolge in un unico incontro presso la sede dell’Organismo di Conciliazione dell’Ordine. 2. Il Conciliatore d’accordo con la parti, eccezionalmente, potrà fissare incontri successivi a breve intervallo di tempo. 3. Costituisce impegno reciproco delle parti cooperare tra loro e con il Conciliatore per il buon esito della procedura. 4. Il Conciliatore se lo ritiene necessario, può chiede all’Organismo di essere autorizzato a nominare un consulente tecnico, iscritto nell’albo dei consulenti e dei periti presso il tribunale, con spese a carico delle parti. All’esperto si applicano le disposizioni del presente regolamento che riguardano i casi di incompatibilità e l’imparzialità del mediatore, nonché le regole di riservatezza. 5. Il mediatore formula una proposta di conciliazione solo se tutte le parti gliene hanno fatto concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. In caso di mancata adesione o partecipazione al tentativo di mediazione di tutte le parti, il mediatore non può formulare la proposta. Prima di formulare la proposta il mediatore informa le parti che se il provvedimento che definisce il giudizio: a) corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice escluderà la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condannerà al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, ivi compresi i compensi dovuti al mediatore e all’esperto eventualmente nominato, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto; b) non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto eventualmente nominato. La segreteria comunica alle parti in forma comprovante l’avvenuta 60 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione ricezione, la proposta formulata dal mediatore. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. 6. Il procedimento di conciliazione deve concludersi, in ogni caso, nel termine perentorio di 4 mesi a far data del deposito della domanda di conciliazione. Art. 6 Riservatezza della procedura di conciliazione 1. La Conciliazione è riservata. Il Conciliatore, le parti ed ogni persona presente sono tenuti al più stretto riserbo in ordine a tutto ciò che riguarda la procedura e, pertanto, quanto viene detto nel corso degli incontri non può essere registrato né verbalizzato. 2. Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni acquisite durante il procedimento di mediazione. Le dichiarazioni e le informazioni acquisite nel corso di eventuali sessioni separate, salvo consenso della parte dalla quale provengono, sono ugualmente riservate. 3. Le informazioni e i documenti e i documenti che l’Organismo di Conciliazione dell’Ordine ed il Conciliatore hanno ricevuto dalle parti come confidenziali non potranno essere portati a conoscenza dell’altra parte, e comunque non possono essere utilizzate nel giudizio che abbia, totalmente o parzialmente, il medesimo oggetto del procedimento di mediazione, salvo il consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. 4. In relazione a quanto precede: - l’Organismo di Conciliazione dell’Ordine e il Conciliatore saranno tenuti, in ogni caso, a restituire a ciascuna delle parti i documenti prodotti nel corso della procedura senza trattenerne copia alcuna, così come non verrà trattenuta neppure copia dell’eventuale accordo e del verbale a meno che ciò non sia espressamente previsto dalla normativa vigente al momento della presentazione della domanda di conciliazione; Rivista del Consiglio 61 Regolamento di Conciliazione e Mediazione dell’Ordine - nell’eventuale successiva procedura giudiziale o arbitrale, relativa alla medesima controversia, le parti non potranno dedurre mezzi di prova su quanto avvenuto e sulle dichiarazioni rese dalle parti nel corso della procedura di Conciliazione né potranno chiamare a testimoniare il Conciliatore o altre persone presenti al procedimento. 5. Nell’eventualità in cui le parti dovessero essere assistite da avvocati si richiama per questi la normativa deontologica in tema di riservatezza delle trattative. Art. 7 Sostituzione del conciliatore 1. Nell’ipotesi in cui il Conciliatore, per giustificato motivo, ritenga di non poter adempiere all’incarico ricevuto, sospende la procedura dandone comunicazione alla Segreteria dell’Organismo di Conciliazione dell’Ordine per essere sostituito secondo le modalità di cui al presente regolamento. 2. Allo stesso modo, le parti potranno richiedere alla Segreteria, per giustificati motivi, la sostituzione del Conciliatore incaricato del procedimento. Art. 8 Definizione della procedura 1. La conciliazione si conclude: a) nel caso di mancata partecipazione di una o più parti; b) quando le parti raggiungono l’accordo; c) quando le parti non aderiscono alla proposta formulata dal mediatore; d) quando il mediatore non ritiene utile proseguire il procedimento; e) decorsi quattro mesi dalla proposizione della domanda. 2. La sospensione o la cancellazione dell’Organismo dal Registro non hanno effetto sul procedimento in corso. 62 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione 3. Se è raggiunto un accordo, il mediatore forma un processo verbale con l’indicazione dell’eventuale proposta formulata. Il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità a sottoscrivere. Il processo verbale è depositato presso la Segreteria dell’Organismo e di esso è rilasciata copia alle parti che lo richiedono. Gli oneri fiscali derivanti dall’accordo sono a carico delle parti. 4. Al termine del procedimento ciascuna parte è tenuta a compilare la scheda di valutazione del servizio di mediazione predisposta dall’Organismo (allegato C), depositandola in segreteria nel termine di giorni dieci dalla conclusione del procedimento. Art. 9 Rapporti tra conciliazione e procedura arbitrale o giudiziale 1. In generale, la pendenza del procedimento di Conciliazione non preclude alle parti la possibilità di promuovere il procedimento arbitrale o di ricorrere all’autorità giudiziaria a meno che ciò non sia espressamente vietato, in specifiche materie, dalla normativa vigente. Art. 10 Criteri di determinazione dell’indennità 1. L’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione. 2. Per le spese di avvio, a valere sull’indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte un importo di €. 40,00 che è versato al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento. 3. Le spese di mediazione sono dovute da ciascuna parte nella misura indicata nella tabella allegata. (All.A), redatta tenendo conto dei criteri di cui all’art. 16 del D.M. nr. 180/2010. 4. L’indennità di mediazione: Rivista del Consiglio 63 Regolamento di Conciliazione e Mediazione dell’Ordine a) è aumentata di a un quinto in caso di successo della mediazione; b) è aumentata di un quinto nel caso di formulazione della proposta su richiesta congiunta delle parti, anche se non accettata; 5. Le spese di mediazione devono essere interamente corrisposte nel termine di giorni cinque prima dell’inizio del primo incontro di mediazione. L’organismo determina ogni anno l’ammontare delle indennità di mediazione, nel rispetto degli scaglioni minimi e massimi stabiliti dalla Tariffa allegata al D.M. 180/2010. 6. Nel caso di mancata adesione di una o più parti invitate, che comporti l’impossibilità di procedere alla mediazione, la parte istante sarà tenuta al pagamento dell’indennità nella misura ridotta di Euro 50,00, qualunque sia il valore della mediazione. Art. 11 Indennità per i non abbienti 1. Quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la parte che sia in possesso delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 76 del D.p.r. 30.5.2002, n. 115, è esonerata dal pagamento delle indennità. A tal fine la parte è tenuta a depositare presso l’Organismo, unitamente alla domanda di mediazione, la documentazione necessaria a comprovare il possesso delle condizioni richieste, ai sensi del medesimo D.P.R. nr.115/2002. 2. Il mediatore di un procedimento in cui tutte le parti si trovino nel caso previsto dal comma precedente deve svolgere la sua prestazione gratuitamente. Nel caso in cui le condizioni predette riguardino solo alcune delle parti, il mediatore riceve un’indennità ridotta, in misura corrispondente al numero delle parti che non risultano ammesse al gratuito patrocinio. 64 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione Art. 12 Responsabilità 1. L’Organismo di Conciliazione dell’Ordine risponderà in solido con il Conciliatore dell’opera prestata dallo stesso e dell’eventuale violazione dei doveri di cui al presente regolamento. 2. L’applicazione e l’interpretazione del presente regolamento sono di competenza esclusiva dell’Organismo di Conciliazione dell’Ordine. 3. L’Organismo non potrà comunque essere ritenuto responsabile di eventuali decadenze o prescrizioni sia per la mancata o ritardata effettuazione delle comunicazioni di cui all’art. 8 del D.Lgs n. 28/2010 sia nel caso di imprecisa, inesatta o mancata individuazione dell’oggetto della domanda e del diritto tutelato ad opera dell’istante. Ai fini interruttivi dei termini di decadenza o di prescrizione, la parte istante ha la facoltà di effettuare la comunicazione del deposito della domanda di mediazione, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del D.Lgs n. 28/2010, anche senza l’indicazione della data dell’incontro di mediazione. Art. 13 Rappresentanza ed assistenza 1. Alla procedura di Conciliazione deve obbligatoriamente partecipare il soggetto che ha il potere di definire la controversia od un suo procuratore speciale munito degli stessi poteri. Lo stesso potrà farsi assistere da un avvocato di sua fiducia del quale dovrà indicare il nominativo, ed il recapito al momento della compilazione della scheda. 2. Sarà cura della Segreteria darne immediata comunicazione all’altra parte. Art. 14 Entrata in vigore e modifiche del regolamento 1. Il presente regolamento, con i suoi allegati, modifica quello Rivista del Consiglio 65 Regolamento di Conciliazione e Mediazione dell’Ordine già approvato con deliberazione del Consiglio dell’Ordine in data 8.7.2010 ed entrerà in vigore il giorno successivo alla sua approvazione. 2. Il Regolamento o i suoi allegati possono essere modificati dal Consiglio dell’Ordine, su proposta del Consiglio Direttivo dell’Organismo. 3. Gli allegati al presente regolamento formano parte integrante del regolamento stesso. ALLEGATO A Tabella ScaglioneIndennità per ciascuna parte aderente Fino a Euro 1.000 da Euro 1.001 a Euro 5.000 da Euro 5.001 a Euro 10.000 da Euro 10.001 a Euro 25.000 da Euro 25.001 a Euro 50.000 da Euro 50.001 a Euro 250.000 da Euro 250.001 a Euro 500.000 da Euro 500.001 a Euro 2.500.000 da Euro 2.500.001 a Euro 5.000.000 oltre Euro 5.000.000 66 Rivista del Consiglio 65 130 200 300 450 750 1.200 2.000 3.800 5.200 Speciale Mediazione Criteri per il pagamento delle spese di avvio e dell’indennità di mediazione Ai sensi dell’art.16 del D.M. nr.180/2010 e dell’art.11 del Regolamento dell’Organismo di Conciliazione dell’Ordine degli Avvocati di Lecce, le spese di avvio del procedimento, nella misura di Euro 40,00 per ciascuna parte, devono essere corrisposte dalla parte istante al momento del deposito della domanda di mediazione, mediante bonifico sul c/c 3606 presso Banca Popolare Pugliese - Filiale di Lecce - Piazza Mazzini IBAN IT08R0526216081CC0810003606, intestato a Ordine degli Avvocati di Lecce - Organismo di Conciliazione, indicando nella causale “Domanda mediazione nomeparte-nomecontroparte”. La parte chiamata alla mediazione dovrà corrisponderle con le stesse modalità al momento della sua adesione al procedimento. Le spese di mediazione sono quelle indicate nella Tabella A allegata al Regolamento, approvato dal Consiglio dell’Ordine in data 7 aprile 2011. Il valore della lite è indicato nella domanda di mediazione ai sensi del codice di procedura civile. Se il valore è indeterminato, indeterminabile o vi sia divergenza notevole tra le parti sulla stima, l’organismo decide il valore e lo comunica alle parti. Le spese di mediazione devono essere corrisposte interamente prima dell’inizio del primo incontro di mediazione, sia dalla parte istante che dai chiamati alla mediazione che abbiano aderito al procedimento. L’importo può essere aumentato o ridotto nei casi e nella misura indicata dall’art.11 4° comma del Regolamento. Nel caso di mancata adesione di una o più parti invitate, che comporti l’impossibilità di procedere alla mediazione, la parte istante sarà tenuta al pagamento dell’indennità nella misura ridotta di Euro 50,00, qualunque sia il valore della mediazione.. Quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità della Rivista del Consiglio 67 Criteri per il pagamento delle spese... domanda giudiziale, la parte che sia in possesso delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, è esonerata dal pagamento delle indennità. A tal fine la parte è tenuta a depositare presso l’Organismo, unitamente alla domanda di mediazione, la documentazione necessaria a comprovare il possesso delle condizioni richieste, ai sensi del medesimo D.P.R. nr.115/2002. ALLEGATO A TABELLA Scaglione Indennità per ciascuna parte aderente Fino a Euro 1.000 da Euro 1.001 a Euro 5.000 da Euro 5.001 a Euro 10.000 da Euro 10.001 a Euro 25.000 da Euro 25.001 a Euro 50.000 da Euro 50.001 a Euro 250.000 da Euro 250.001 a Euro 500.000 da Euro 500.001 a Euro 2.500.000 da Euro 2.500.001 a Euro 5.000.000 oltre Euro 5.000.000 68 Rivista del Consiglio 65 130 200 300 450 750 1.200 2.000 3.800 5.200 Speciale Mediazione L’Ordinanza del TAR Lazio REPUBBLICA ITALIANA Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) ha pronunciato la presente ORDINANZA sul ricorso numero di registro generale 10937 del 2010, proposto da: Organismo Unitario dell'Avvocatura Italiana - Oua, Maurizio De Tilla, Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli, Francesco Caia, Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Torre Annunziata, Gennaro Tornese, Unione Regionale dei Consigli dell'Ordine degli Avvocati della Campania, Franco Tortorano, Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Lagonegro, Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Larino, Marco d’Errico, Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Campobasso, Demetrio Rivellino, Mario Pietrunti, Aiaf - Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori, Filippo Pucino, Paola Pucino, Angelo Pucino, Carmelo Maurizio Sergi, Federica Eminente, Sabrina Sifo, Pompeo Salvatore Walter, Eugenio Bisceglia, Vitangelo Mongelli, Vincenzo Papaleo, Salvatore Di Cristofalo, Giovanni Zambelli, Giuseppe Di Girolamo, Agostino Maione, Claudio Acampora, Luigi Ernesto Zanoni, rappresentati e difesi dagli avv.ti Giorgio Orsoni, Mariagrazia Romeo e Mario Sanino, con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo in Roma, v.le Parioli, n. 180; contro Ministero della giustizia e Ministero dello sviluppo economico, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; Rivista del Consiglio 69 L’Ordinanza del TAR Lazio e con l'intervento di ad adiuvandum: - Associazione degli Avvocati Romani e Associazione Agire e informare, rappresentate e difese dagli avv.ti Giampiero Amorelli e Dorodea Ciano, presso lo studio dei quali elettivamente domiciliano in Roma, via Guglielmo Pepe, n. 37; - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Firenze, rappresentato e difeso dagli avv.ti Nino Scripelliti e Gaetano Viciconte, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alessandro Turco in Roma, l.go dei Lombardi, n. 4; - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Salerno, rapresentato e difeso dall'avv. Gaetano Paolino, con il quale elettivamente domicilia presso l’avv. Leopoldo Fiorentino, studio Carlini, in Roma, p.za Cola di Rienzo, n. 92; ad opponendum: - Associazione Avvocati per la mediazione, Lorenza Morello e Alberto Mascia, rappresentati e difesi dagli avv.ti Daniela Bauduin e Giorgio Prete, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alberto Mascia in Roma, via Michele di Lando, n. 41; - Adr Center s.p.a., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe De Palo, Rodolfo Cicchetti e Donatella Mangani, con domicilio eletto presso lo studio legale associato Oikos in Roma, via Luigi Rizzo, n. 62; - Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili e Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti, rappresentati e difesi dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso lo studio Bdl in Roma, via Bocca di Leone, n. 78; sul ricorso numero di registro generale 11235 del 2010, proposto da Unione Nazionale delle Camere Civili (Uncc), rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Storace e Antonio De Notaristefani Di Vastogirardi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Crescenzio, n. 20; contro Ministero della giustizia e Ministero dello sviluppo economico, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; 70 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione per l'annullamento sia quanto al ricorso n. 10937 del 2010 che quanto al ricorso n. 11235 del 2010: del decreto del Ministro della giustizia adottato di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico n. 180 del 18 ottobre 2010, pubblicato nella G.U. n. 258 del 4 novembre 2010, avente ad oggetto "Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo n. 28 del 2010”, nonché per la dichiarazione della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, in riferimento agli artt. 24, 76 e 77 e Cost. Visto il ricorso n. 10937 del 2010; Visto il ricorso n. 11235 del 2010; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia e del Ministero dello sviluppo economico in entrambi i ricorsi; Visti gli atti di intervento ad adiuvandum nel ricorso n. 10937 del 2010; Visti gli atti di intervento ad opponendum nel ricorso n. 10937 del 2010; Viste le memorie difensive; Visti gli atti tutti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 9 marzo 2011 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. 1. Il Collegio dispone preliminarmente la riunione dei ricorsi in trattazione (n. 10937 del 2010; n. 11235 del 2010), che risultano connessi sotto il profilo oggettivo, nonché parzialmente connessi sotto il profilo soggettivo, stante l’identità del provvedimento impugnato e delle resistenti amministrazioni della Giustizia e dello Sviluppo economico. In particolare, con entrambi i gravami, interposti rispettivamente Rivista del Consiglio 71 L’Ordinanza del TAR Lazio con atti notificati nelle date del 22 e del 27 novembre 2010 e depositati nelle date del 7 e 13 dicembre 2010, si introduce lo scrutinio di legittimità del decreto 18 ottobre 2010, n. 180 adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ovvero il regolamento che, in forza della previsione di cui all’art. 16 del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, “Attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”, reca la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti ai suddetti organismi. I ricorrenti di entrambi i giudizi, nel prosieguo meglio specificati, ne domandano l’annullamento in parte qua ritenendolo lesivo degli interessi della categoria forense, nonché illegittimo perché in contrasto con il precitato d. lgs. n. 28 del 2010, con la relativa legge delega ed affetto da eccesso di potere sotto vari profili. Nei limiti di cui all’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, ovvero incidentalmente, lo scrutinio in trattazione concerne in parte qua anche gli artt. 5 e 16 dello stesso d. lgs. n. 28 del 2010, avverso i quali i ricorrenti di entrambi i giudizi spiegano eccezione di incostituzionalità, per contrasto con i precetti di cui agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione. Nello scenario investito dal gravame si innesta anche la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea, che ha disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. Ancorché, infatti, la precitata legge delega n. 69 del 2009 non menzioni specificamente la direttiva n. 2008/52/CE, l’ambito oggetto di regolazione comunitaria è pressochè coincidente con quello disciplinato dalle richiamate norme legislative nazionali ed attuato con il decreto impugnato, ed il comma 2 nonché il terzo criterio e principio direttivo della legge delega in parola (art. 60, l. n. 69 del 2009) prescrivono al legislatore delegato di disciplinare la mediazione nel rispetto ed in coerenza con la normativa comunitaria. Tant’è che la direttiva n. 2008/52/CE è stata richiamata espressamente nel preambolo del decreto delegato 28/2010. 72 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione 2. Prima di dare ingresso alla disamina delle questioni introdotte dai ricorrenti, e, segnatamente, delle questioni di legittimità costituzionale – alcune delle quali ad avviso della Sezione risultano rilevanti ai fini del decidere e non manifestamente infondate – occorre prioritariamente affrontare, com’è d’uopo, le questioni di carattere pregiudiziale. 2.1. In detto ambito, in riferimento al ricorso n. 10937 del 2010, viene in immediata evidenza l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dai resistenti Ministero della giustizia e Ministero per lo sviluppo economico nei confronti del ricorrente Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana - O.U.A., ritenuto privo della rappresentanza istituzionale degli interessi della categoria degli avvocati, che il ricorso assume lesi. Si osserva, al riguardo, che il gravame in parola risulta proposto, oltre che da O.U.A., da ordini esponenziali della categoria forense e da singoli avvocati ad essi iscritti. I primi sono pacificamente legittimati a difendere in sede giurisdizionale gli interessi della categoria nel suo complesso, di cui hanno la rappresentanza istituzionale, non solo quando si tratti di violazione di norme poste a tutela della professione, ma anche ogniqualvolta si tratti di perseguire comunque, come nella fattispecie, il conseguimento di vantaggi giuridicamente riferibili alla sfera della categoria stessa (tra altre, C. Stato, V, 10 novembre 2010, n. 8006; VI, 14 giugno 2004, n. 3874; V, 7 marzo 2001, n. 1339; Tar Lazio, Roma, I, 16 maggio 2005, n. 3770). I secondi sono legittimati a difendere i propri interessi legittimi. Ne deriva che l’eccezione – come, del resto, sembrano essere ben consapevoli gli stessi eccepenti – è suscettibile, al più, in caso di accoglimento, di condurre all’estromissione dal giudizio n. 10937 del 2010 dell’O.U.A., e giammai di paralizzare l’esame di merito delle doglianze introdotte con il ricorso – e, indi, massimamente, di quelle attinenti alla verifica di costituzionalità – in relazione alle quali permarrebbe, comunque, l’interesse ad agire degli altri ricorrenti. Di talchè l’esame della questione attinente alla legittimazione ad agire di O.U.A., anche alla luce delle argomentazioni difensive sul punto svolte dall’Organismo [che, pur non obliando che la Corte Rivista del Consiglio 73 L’Ordinanza del TAR Lazio Costituzionale ha escluso la legittimazione di O.U.A. a rappresentare e tutelare gli interessi giuridici appartenenti alla classe forense nelle sue vesti istituzionalizzate (sentenza 21 novembre 2006, n. 390), ha invocato il ruolo di organo titolare della rappresentanza politica dell’Avvocatura italiana conferitogli dall’art. 6 dello Statuto, e si è appellato all’evoluzione interpretativa-ampliativa della nozione di legittimazione attiva nel processo amministrativo], non si configura come pregiudiziale rispetto alla presente ordinanza, e, può, pertanto, essere senz’altro rinviato all’atto del pronunciamento definitivo sul gravame stesso. 2.2. Anche nel ricorso n. 11235 del 2010 i resistenti Ministero della giustizia e Ministero per lo sviluppo economico hanno spiegato eccezione di difetto di legittimazione attiva nei confronti dell’unico ricorrente, Unione Nazionale delle Camere Civili – UNCC, sostenendo che la rappresentanza istituzionale dei professionisti del settore che occupa appartiene esclusivamente al Consiglio dell’Ordine e al Consiglio Nazionale Forense. L’eccezione deve essere respinta. È principio giurisprudenziale pacifico che un'associazione professionale, se e in quanto ne sia comprovato un apprezzabile grado di rappresentatività, può essere legittimata ad impugnare provvedimenti lesivi, oltre che di interessi propri, di interessi collettivi della categoria, non anche di singole posizioni giuridiche degli associati (C. Stato, V, 22 ottobre 2007, n. 5498; Tar Lazio, Roma, I, 5 dicembre 2008, n. 11015). Nella fattispecie, alla luce dello statuto dell’UNCC, la ricorrente risulta essere associazione non riconosciuta costituita tra associazioni di avvocati civilisti, avente scopo, tra altri, di promuovere iniziative dirette a conseguire un miglior funzionamento della giustizia, con particolare riguardo a quella civile (art. 2, lett. a) e di rappresentare a livello nazionale le istanze degli avvocati civilisti e degli iscritti alle Camere Civili aderenti all’Unione, nei rapporti con gli organi istituzionali dell’Avvocatura, i rappresentanti dei pubblici poteri, l’Ordine Giudiziario, le altre Associazioni forensi (art. 2, lett. g), senza che lo statuto stesso preveda una qualche limitazione dei mezzi mediante i quali realizzare i detti scopi. 74 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione Riferisce, inoltre, la ricorrente, senza essere smentita dalle eccepenti, di contare circa settemila iscritti sull’intero territorio nazionale, e di essere stata riconosciuta dal Congresso Nazionale Forense tra le associazioni maggiormente rappresentative dell’Avvocatura nel suo complesso. 2.3. Nell’ambito del ricorso n. 10937 del 2010, l’interveniente ad opponendum Associazione Avvocati per la mediazione afferma che il ricorso stesso è inammissibile per mancanza di interesse ad agire, non concretando l’atto impugnato, avente natura regolamentare, una diretta ed immediata lesione in capo ai ricorrenti. L’eccezione va immediatamente apprezzata. Infatti, se, per un verso, può fondatamente dubitarsi che gli interventori in un giudizio amministrativo possano formulare autonomi mezzi di gravame, sia che intervengano ad adiuvandum sia che intervengano ad opponendum, traducendosi, in questo ultimo caso, gli stessi motivi in una sorta di ricorso "incidentale" per conto dell'autorità che ha emanato l'atto impugnato (Tar Campania, Napoli, 10 agosto 1987, n. 175), per altro verso la questione proposta afferisce alla verifica della sussistenza delle condizioni della interposta azione impugnatoria, ed è pertanto rilevabile d’ufficio. Nel merito, essa è però da respingere. è vero che, secondo un principio consolidato in giurisprudenza amministrativa, le norme regolamentari, categoria cui è pacificamente ascrivibile l’impugnato decreto n. 180 del 2010, vanno impugnate unitamente all'atto applicativo, che rende concreta la lesione degli interessi di cui sono portatori i destinatari. Ma la descritta regola è diretta conseguenza della natura, solitamente generale ed astratta, delle previsioni di fonte regolamentare, sicchè trova eccezione per i provvedimenti che, sia pur di natura regolamentare, presentano un carattere specifico e concreto, e sono idonei ad incidere direttamente nella sfera giuridica degli interessati: in tal caso sorge l'onere di immediata impugnazione, a decorrere dalla pubblicazione nelle forme previste dalla legge (C. Stato, V, 19 novembre 2009; IV, 17 aprile 2002, n. 2032). Siffatta ultima evenienza si apprezza nella fattispecie, in cui il regolamento impugnato regola puntualmente e compiutamente Rivista del Consiglio 75 L’Ordinanza del TAR Lazio l’iscrizione nel registro degli organismi di mediazione, con criteri che svelano un immediato e certo effetto precettivo ovvero conformativo in relazione alla posizione della platea dei soggetti interessati all’iscrizione. Risulta, pertanto, pienamente ammissibile la domanda diretta ed autonoma di verifica giudiziale della conformità a legge dell’atto che li contiene, che risulta preordinata all’utilità consistente nell’evitarne l’efficacia cogente per ogni avente causa, in osservanza del termine decadenziale decorrente dalla sua pubblicazione, senza, cioè, che sia necessario rimandarne l'impugnazione al momento successivo dell’adozione dei conseguenti provvedimenti applicativi o esecutivi, che, del resto, non potrebbero che esplicare effetti meramente consequenziali rispetto all’atto stesso, che funge loro da indeclinabile presupposto. 2.4. Va ancora riferito che nel ricorso n. 10937 del 2010 hanno spiegato intervento volontario adesivo alle domande ricorsuali l’Associazione degli Avvocati Romani, l’Associazione Agire e informare, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze e il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno. Hanno, invece, spiegato intervento volontario ad opponendum, oltre alla già citata Associazione Avvocati per la mediazione, anche l’Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, l’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti e l’Organismo di mediazione ADR Center s.p.a. Con riferimento alla posizione di tutti i nominati intervenienti, va preliminarmente ribadito, in forza delle argomentazioni di cui ai punti che precedono, che il ricorso in parola risulta ritualmente interposto da soggetti legittimati ad agire e che il provvedimento di cui si domanda l’annullamento si configura come direttamente impugnabile dinanzi al giudice amministrativo. Va ulteriormente osservato che le amministrazioni che hanno adottato l’atto impugnato (Giustizia e Sviluppo economico), parti necessarie della controversia, sono state regolarmente evocate in giudizio, nel quale si sono costituite in resistenza. Tanto premesso, il Collegio ritiene, anche qui, che può essere rimandato all’atto della definizione del gravame l’approfondimen76 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione to delle articolate questioni (di cui alcune sollevate, con eccezioni incrociate, dalle parti costituite) che non si rivelano direttamente ovvero immediatamente incidenti sullo scrutinio di manifesta fondatezza delle spiegate eccezioni di costituzionalità. In detta sede, si avrà, indi, cura di delineare puntualmente i soggetti nei confronti dei quali la sentenza di merito deve e può essere resa, previa disamina della sussistenza delle condizioni legittimanti gli interventi volontari nel giudizio amministrativo. Non appare, comunque, sin d’ora superfluo rammentare che tali condizioni consistono, per gli interventori ad adiuvandum, nella carenza di una posizione sostanziale di interesse legittimo, cui conseguirebbe, anziché la assunta posizione adesiva, la proposizione di autonomo ricorso nei prescritti termini di decadenza (C. Stato, VI, 6 settembre 2010, n. 6483), e, per gli interventori ad opponendum, nella titolarità di un interesse contrario a quello azionato dai deducenti, il quale potrebbe subire pregiudizio dall'annullamento dell'atto impugnato (Tar Lazio, Roma, I, 4 giugno 2007, n. 5149). 3. A questo punto deve necessariamente essere svolta, ancorché sinteticamente, l’illustrazione del quadro normativo della controversia, per quanto qui di interesse. 4. In forza dell’invito formulato agli Stati membri dal Consiglio europeo nella riunione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, delle conclusioni adottate dal Consiglio nel maggio 2000 sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, nonché del Libro verde presentato dalla Commissione nell’aprile del 2002, relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie nelle predette materie, la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea ha disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. Come sempre in tema di diritto comunitario, i “considerando” della direttiva delineano la generale impostazione conferita all’oggetto della regolazione, sia quanto alle finalità, sia quanto alle caratteristiche. Rivista del Consiglio 77 L’Ordinanza del TAR Lazio La direttiva chiarisce innanzitutto che l’obiettivo di garantire un miglior accesso alla giustizia sia giudiziale che extragiudiziale, e, segnatamente, la disponibilità del servizio di mediazione, nel contesto della politica dell’Unione europea volta a istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, è un importante contributo al corretto funzionamento del mercato interno (quinto considerando). Alla luce del sesto considerando della direttiva, la mediazione è, infatti, ritenuta una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale, poiché le relative procedure sono concepite in base alle esigenze delle parti, e gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente, oltre a preservare più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti, benefici che diventano anche più evidenti nelle questioni di portata transfrontaliera. La direttiva intende indi delinearne gli elementi chiave, per rendere certo il relativo contesto giuridico (settimo considerando). Sotto il profilo sostanziale, in positivo, si afferma che la direttiva dovrebbe applicarsi alle controversie transfrontaliere, ma che nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di estenderla ai “procedimenti di mediazione interni” (ottavo considerando). In negativo, si afferma che la mediazione non dovrebbe applicarsi: “ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile. Tali diritti ed obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritti di famiglia e del lavoro” (decimo considerando); “alle trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura arbitrale quali talune forme di conciliazione dinanzi ad un organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l’arbitrato e la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da persone od organismi che emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della controversia” (undicesimo considerando). Quanto agli elementi chiave della mediazione, vengono in evidenza, sempre tra i considerando, la differenza tra mediatore e giudice (dodicesimo considerando), la possibilità di rendere il ricorso alla mediazione obbligatorio ovvero soggetto a incentivi o sanzioni, purchè non venga impedita alle parti “di esercitare il loro diritto di ac78 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione cesso al sistema giudiziario” (quattordicesimo considerando) ovvero non si impedisca alle parti, nell’incoraggiare la mediazione, in relazione ai termini di prescrizione e di decadenza, “di adire un organo giurisdizionale o di ricorrere all’arbitrato in caso di infruttuoso tentativo di mediazione” (ventiquattresimo considerando), la fissazione di un termine al processo di mediazione (tredicesimo considerando), la riservatezza del relativo procedimento, anche in relazione all’eventuale successivo procedimento giudiziario od arbitrale (ventitreesimo considerando), l’esecutività dell’accordo scritto raggiunto, fatta salva l’ipotesi di contrasto tra lo stesso e il diritto nazionale ovvero quella che l’obbligo contemplato nell’accordo non possa essere per sua natura reso esecutivo (diciannovesimo considerando); ai fini erariali, la tendenziale neutralità finanziaria in relazione agli stati membri della mediazione, che può includere “il ricorso a soluzioni basate sul mercato”(diciassettesimo considerando). Viene inoltre in rilievo l’assistenza del mediatore (decimo considerando), la sua formazione e l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità della fornitura del servizio (sedicesimo considerando), la flessibilità del procedimento di mediazione e l’autonomia delle parti, nonché l’efficacia l’imparzialità e la competenza della mediazione (diciassettesimo considerando). 4.1. La direttiva 2008/52/CE regola indi la materia con 14 articoli. In particolare: - l’art. 1 enuncia l’obiettivo della regolazione (“…facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario”) e ne delinea il campo di applicazione [“…controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale tranne per i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale, doganale e amministrativa né alla responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)]. - l’art. 3, dedicato alle definizioni, dispone che per mediazione, al di là della denominazione, si intende un procedimento strutturato Rivista del Consiglio 79 L’Ordinanza del TAR Lazio ove “…due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto di diritto da uno Stato membro”; - lo stesso art. 3 esplicita che per mediatore si intende “…qualunque terzo cui è chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato…” (lett. b), che comunque incoraggia “…la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti” (par. 2). - l’art. 5, dedicato al ricorso alla mediazione, esplicitando l’intendimento già anticipato dal preambolo, prevede che “L’organo giurisdizionale investito di una causa può, se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la controversia…” e che “La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”. - l’art. 6 delinea la esecutività degli accordi risultanti dalla mediazione, che è, peraltro, esclusa laddove “…il contenuto dell’accordo è contrario alla legge dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta o se la legge di detto Stato membro non ne prevede l’esecutività”; - l’art. 8 dispone che “Gli Stati membri provvedono affinché alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza”. 5. Con la legge 18 giugno 2009, n. 69, titolata “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, e, segnatamente, con l’art. 60, il legislatore nazionale ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e 80 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione commerciale (comma 1), nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai principi e criteri direttivi enunciati al comma 3 (comma 2). Tra questi ultimi, sono attinenti alla materia dell’odierno contendere i principi e criteri direttivi dettati dalle lettere: “a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia; b) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione; c) disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l’estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l’istituzione, presso il Ministero della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro degli organismi di conciliazione…; d) prevedere che i requisiti per l’iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia; e) prevedere la possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli; f) prevedere che gli organismi di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro; g) prevedere, per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali; h) prevedere che gli organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro; n) prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione; p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell’accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l’accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente… e, inoltre, che possa condanRivista del Consiglio 81 L’Ordinanza del TAR Lazio nare il vincitore al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato...; q) prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi; r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilità tale da garantire la neutralità, l’indipendenza e l’imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni; s) prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”. 6. La delega in parola è stata esercitata con il d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28. L’art. 2 del d. lgs. 28/2010 recita che “1. Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto”. L’art. 4 chiarisce che “1. La domanda di mediazione…è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo…2. L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa. 3. All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale...”. è bene a questo punto illustrare l’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, che, in continuità logica con l’ultima disposizione appena richiamata, sancisce al comma 1 che “Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazioneai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito 82 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza…”. Esclusa, ai sensi dell’ultimo periodo del ridetto comma 1 dell’art. 5 la sua applicazione alle azioni previste dagli artt. 37, 140 e 140-bis del codice del consumo (d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206), il successivo comma 4 dispone ancora che lo stesso comma 1 (nonché il comma 2) non si applica: “a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile; c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile; d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; e) nei procedimenti in camera di consiglio; f) nell'azione civile esercitata nel processo penale”. Regolati, poi, agli artt. 6, 8, 11, 12 e 13, il procedimento di mediazione, anche sotto il profilo temporale (art. 6: durata massima di quattro mesi), gli effetti dalla legge ricondotti ai suoi possibili esiti [a) mancata partecipazione senza giustificato motivo, art. 8, comma 5; b) raggiungimento dell’accordo amichevole, formazione del relativo processo verbale anche sulla base di una proposta di mediazione, ed efficacia esecutiva ed esecuzione dell’accordo, non contrario all’ordine pubblico e a norme imperative, previa omologazione, art. 11, commi 1, 2, 3 e art. 12; c) mancato raggiungimento dell’accordo, art. 11, comma 4], nonché le spese dell’eventuale giudizio che fa seguito al procedimento di mediazione nel quale non si è raggiunto un accordo (art. 13), il capo III del d. lgs. 28/2010 è dedicato agli organismi di mediazione. Al riguardo, viene in rilievo la previsione dell’art. 16, comma Rivista del Consiglio 83 L’Ordinanza del TAR Lazio 1, della costituzione da parte di enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, di organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all'art. 2. Tali organismi devono essere iscritti nel registro, con separate sezioni, disciplinato da appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico, che regola anche le indennità loro spettanti (art. 16, commi 1 e 2). Dette amministrazioni costituiscono, per la parte di competenza, le autorità vigilanti sul registro (art. 16, comma 4). Ai fini dell’iscrizione, secondo il comma 3 dello stesso art. 16, gli organismi, unitamente alla relativa domanda, sono tenuti a depositare il proprio regolamento di procedura, la cui idoneità forma oggetto di specifica valutazione da parte del Ministero della giustizia, e il codice etico. Al regolamento devono inoltre essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, che sono a loro volta proposte per l'approvazione, a norma del successivo art. 17. Invero, l’art. 17, disposto ai commi 2 e 3 che tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, e che il verbale di accordo è esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro (altrimenti l'imposta è dovuta per la parte eccedente), prevede al comma 4 che con il decreto di cui all'art. 16, comma 2, sono determinati: “a) l'ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti; b) i criteri per l'approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati; c) le maggiorazioni massime delle indennità dovute, non superiori al venticinque per cento, nell'ipotesi di successo della mediazione; d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell'articolo 5, comma 1”. La disposizione di cui alla appena citata lett. d) si correla al comma 5, che dispone che, quando la mediazione è condizione di pro84 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione cedibilità della domanda ai sensi dell'art. 5, comma 1, all'organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. 7. Con decreto 18 ottobre 2010, n. 180 il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ha adottato il regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti agli organismi. 8. Come già sopra anticipato, il decreto n. 180 del 2010 è l’atto di cui in questa sede i ricorrenti domandano l’annullamento in parte qua, per le ragioni che si passa sinteticamente ad illustrare. 8.1. Nell’ambito del ricorso, n. 10937 del 2010 (O.U.A. ed altri), il primo ed il secondo motivo di gravame (entrambi titolati: violazione di legge; violazione art. 16, d. lgs. 28/10; erronea interpretazione; eccesso di potere; difetto di presupposto; illogicità; arbitrarietà) racchiudono i tratti salienti dell’interesse azionato in giudizio e investono anche questioni di rilevanza costituzionale. Di essi si tratterà più diffusamente nell’immediato prosieguo. Il terzo motivo di ricorso (violazione di legge; violazione art. 16, d. lgs. 28/10; violazione art. 60, l. 69/09; erronea interpretazione; difetto di presupposto; eccesso di potere; arbitrarietà; illogicità; sviamento) è diretto avverso l’art. 4, comma 4 del regolamento, che, nel subordinare l’iscrizione degli organismi costituiti dai consigli dell’ordine degli avvocati nel registro degli organismi di mediazione alla presentazione di una polizza assicurativa di importo non inferiore a € 500.000,00, introduce, secondo i ricorrenti, una limitazione all’accesso all’attività di mediazione di tipo economico e finanziario che è illegittima, in quanto non prevista né dalla legge delega 69/09 né dal decreto delegato 28/10. Con lo stesso terzo motivo i ricorrenti avversano anche la disposizione transitoria di cui all’art. 20 del regolamento, che consente l’iscrizione di diritto nel registro degli organismi di mediazione degli organismi già iscritti nel registro di cui al decreto del MiniRivista del Consiglio 85 L’Ordinanza del TAR Lazio stro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222, rappresentando che tale previsione risulta del tutto arbitraria, tenendo conto sia dell’art. 16, comma 2, del d. lgs. n. 28 del 2010, che aveva previsto l’operatività di detti organismi solo fino al momento dell’entrata in vigore del regolamento, sia dell’art. 60, comma 3, lett. e) ed f) della l. n. 69 del 2009, che collega piuttosto l’immediata operatività dei procedimenti di mediazione all’iscrizione di diritto nel relativo registro dei soli organismi eventualmente costituiti dai consigli dell’ordine presso i tribunali. Con il quarto motivo di ricorso (violazione di legge; violazione art. 17, d. lgs. 28/10; erronea interpretazione; difetto di presupposto; eccesso di potere; sviamento) i ricorrenti lamentano che l’art. 16 del regolamento, disattendendo l’art. 17 del d. lgs. 28/2010: a) non prevede la determinazione dell’importo minimo delle indennità spettanti agli organismi di mediazione in relazione al primo scaglione e non individua il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti; b) non appronta i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti dagli enti privati; c) non indica le maggiorazioni massime delle indennità dovute; d) non prevede la riduzione minima dell’indennità nell’ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. 8.2. Come si desume da quanto appena riferito, mentre la disamina della fondatezza delle doglianze di cui al terzo e quarto motivo di ricorso non investe l’apprezzamento di questioni di legittimità costituzionale, e può essere rimandata all’atto della definizione del gravame, analoga condizione non si ravvisa per le due prime doglianze, che vanno, pertanto, illustrate in dettaglio. 8.3. Mediante le censure dedotte al primo ed al secondo motivo del gravame n. 10937 del 2010 i ricorrenti lamentano che il decreto 180/2010 non reca alcun criterio volto a individuare e a selezionare gli organismi di mediazione in ragione dell’attività squisitamente giuridica che essi andranno ad effettuare, e che è richiesto sia dalla normativa comunitaria [laddove dispone che la mediazione “sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti” (art. 4 direttiva 2008/52/CE)], sia dalla legge delega [art. 60, lett. b), 86 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione l. n. 69 del 2009: “prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali ed indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione”]. A sostegno della censura, viene ulteriormente osservato che l’art. 4 del regolamento n. 180 del 2010, nel disciplinare l’iscrizione, a domanda, degli organismi di mediazione, che possono essere costituiti sia da enti pubblici che da enti privati, si limita a prevedere, al comma 2, una serie di parametri di tipo amministrativo-economico-finanziario (tra cui la capacità finanziaria e organizzativa, il possesso di polizza assicurativa, la trasparenza amministrativa e contabile), poi a prescrivere, al comma 3, una verificazione di tipo “aggiuntivo” sui requisiti di qualificazione dei mediatori, che viene demandata al responsabile del procedimento (“Il responsabile verifica altresì i requisiti di qualificazione dei mediatori”), senza essere in alcun modo correlata con le competenze giuridiche oggettivamente richieste dall’attività di mediazione. A tale ultimo riguardo, i ricorrenti O.U.A. ed altri escludono che il criterio selettivo di cui lamentano la carenza possa essere costituito dalla previsione di cui all’art. 4, comma 3, del regolamento impugnato, che prevede, alla lett. a), che il mediatore deve essere in possesso di “un titolo di studio non inferiore al diploma di laurea universitaria triennale” ovvero, in alternativa, essere iscritto “ad un ordine o collegio professionale” e, alla lett. b), che il mediatore abbia “una specifica formazione e…uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione” regolati al successivo art. 18. Ciò in quanto, secondo i ricorrenti, tutti tali elementi, essendo sprovvisti dell’indicazione di una specifica professionalità, delineano un’area generica, attinente al solo ambito della formazione culturale, e che risulta, pertanto, priva di quegli agganci ad una precipua qualificazione e perizia nell’ambito giuridico e processuale – senza la quale l’attività formativa specifica prevista, peraltro esigua, non può raggiungere utili scopi – che essi ritengono invece necessaria in ragione della tipologia della prestazione che deve essere resa. E ciò soprattutto considerando che, alla luce dell’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, per le materie ivi previste, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, Rivista del Consiglio 87 L’Ordinanza del TAR Lazio ovvero si pone come alternativa al sistema giudiziale o quale funzione stragiudiziale di soddisfazione di pretese giuridiche. L’assunto secondo il quale il procedimento di mediazione non può che essere gestito con l’ausilio dei soggetti svolgenti la professione legale viene dai ricorrenti affidata anche alla considerazione che: - il procedimento di mediazione non positivamente concluso incide sulle spese del successivo giudizio [art. 13, d. lgs. 28/10; art. 60, lett. p), l. 69/09]; - il verbale dell’accordo conclusivo del procedimento di mediazione, non contrario all’ordine pubblico o a norme imperative, nonché sottoposto ad omologazione, ha efficacia di titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 12, d. lgs. 28/10); - l’avvocato ha l’obbligo di informare il proprio assistito, all’atto del conferimento dell’incarico, della possibilità di avvalersi della mediazione [art. 4, comma 3, d. lgs. 28/10; art. 60, lett. n), l. 69/09], nonostante lo svolgimento della relativa attività sia, poi, demandato ad altre categorie professionali. Proseguendo nel descritto ambito argomentativo, i ricorrenti pervengono, infine, alla conclusione che l’intero corpo sistematico delle fonti di disciplina del procedimento di mediazione faccia emergere evidenti profili di contraddittorietà, ed, in particolare, che la mancata previsione di idonei criteri di valutazione della competenza degli organismi di mediazione ponga il regolamento impugnato in palese contrasto non tanto con l’art. 16 del d. lgs. 28/2010, ma piuttosto con i principi generali e l’insieme delle disposizioni dell’intero impianto legislativo considerato. 8.4. Sempre nell’ambito del ricorso n. 10937 del 2010, i ricorrenti espongono che gli artt. 5 e 16 del d. lgs. 28/2010 non sfuggirebbero a censure di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 77 e 24 della Costituzione. In particolare: a) l’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, nel prevedere che l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità, rilevabile anche d’ufficio, della domanda giudiziale in riferimento 88 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione alle controversie nelle previste materie (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, responsabilità medica e diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari), precluderebbe l’accesso diretto alla giustizia, disattendendo espressamente le previsioni della legge delega, art. 60 della l. n. 69 del 2009, e, segnatamente, il principio e criterio direttivo di cui alla lett. a), che lo tutela specificamente; b) l’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, ponendo quali criteri di selezione degli organismi abilitati alla mediazione esclusivamente la “serietà ed efficienza”, liberalizzerebbe il settore, contravvenendo sia all’art. 4 della direttiva 2008/52/CE, sia alla citata legge di delega, lett. b), che fanno riferimento, rispettivamente, ai criteri della competenza e della professionalità. 8.5. Passando all’illustrazione del ricorso n. 11235 del 2010, si rileva che esso consta di tre censure. Con la prima (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale degli artt. 5 e 17 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione) la ricorrente UNCC sostiene che il legislatore delegato è incorso in eccesso di delega laddove ha introdotto l’obbligatorietà della mediazione e l’improcedibilità del giudizio interposto senza il previo esperimento della mediazione, entrambi non previsti dalla legge delega. Con la seconda (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art. 8 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione) la ricorrente sostiene che, poiché nella logica del decreto delegato, le scelte che la parte è chiamata ad effettuare nel procedimento di mediazione sono suscettibili di condizionare l’esito del successivo processo, per un verso la mancata previsione nel procedimento stesso della obbligatorietà dell’assistenza del difensore viola l’art. 24 della Costituzione (nonché favorisce le classi più abbienti, facoltizzate ad avvalersene), per altro verso l’introduzione della possibilità di acquisire elementi di prova in assenza di difesa tecnica, non prevista dalla legge delega, concreta eccesso di delega ex art. 76 Cost. Rivista del Consiglio 89 L’Ordinanza del TAR Lazio Con il terzo motivo di gravame [violazione dell’art. 60, comma III, lett. b) della l. n. 69 del 2009 e dell’art. 16 del d. lgs. 20/2010 – eccesso di potere per irragionevolezza – illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art. 16 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione] la ricorrente lamenta che, laddove la legge delega pone il requisito dell’indipendenza sia in capo agli organismi di mediazione sia in capo ai singoli mediatori, l’art. 4 del decreto impugnato assicura tale indipendenza in misura molto minore, riferendola esclusivamente “allo svolgimento del servizio di mediazione”. 9. A questo punto va subito chiarito che le eccezioni di costituzionalità relative alla mancata previsione nel procedimento di mediazione della obbligatorietà dell’assistenza del difensore nonché alla mancata esplicitazione in capo agli organismi di mediazione del requisito della indipendenza, sollevate esclusivamente nel ricorso n. 11235 del 2010, si profilano non rilevanti ai fini del presente giudizio. La prima in quanto priva di qualsiasi collegamento diretto od indiretto con la domanda demolitoria del regolamento impugnato avanzata innanzi a questa sede; la seconda in quanto afferisce esclusivamente allo scrutinio di legittimità dell’art. 4 del regolamento stesso. 10. Ritiene, invece, il Collegio che le altre questioni di costituzionalità sollevate dai ricorrenti sono rilevanti ai fini della decisione del gravame e non si profilano manifestamente infondate. Esse investono, precisamente: - l’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), secondo periodo (che prevede che l’esperimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza); 90 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione - l’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone che sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza. 11. Va, quindi, ora immediatamente affrontato il profilo della rilevanza ai fini della decisione della presente controversia delle questioni di cui al precedente punto 10. Punto centrale della stessa, nonché qualificante espressione dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio, alla luce della prima e dalla seconda doglianza di cui al ricorso n. 10937 del 2010, è la dedotta omissione, da parte dell’art. 4 dell’impugnato regolamento 180/2010, di criteri volti a delineare i requisiti attinenti alla specifica professionalità giuridico-processuale del mediatore. L’illegittimità di siffatta omissione, precisano i ricorrenti, non si apprezza che in relazione alle previsioni contenute nell’art. 4 della direttiva 2008/52/CE e nell’art. 60 della l. n. 69 del 2009, che appunto prevedono, rispettivamente, che la mediazione debba essere svolta con competenza e professionalità. Ciò in quanto l’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, di cui il regolamento costituisce attuazione, e in relazione al quale i ricorrenti introducono il sospetto di incostituzionalità, ha obliato la valenza di detti requisiti (si ripete, competenza e professionalità), sostituendoli con altri (serietà ed efficienza), che il regolamento impugnato ha fatto propri, ma che non soddisfano, però, secondo i ricorrenti, le esigenze considerate dal legislatore comunitario e da quello nazionale delegante. Tali ultime esigenze i ricorrenti ritengono, invece, insopprimibili, soprattutto osservando che, per un vasto ventaglio di materie, l’art. 5 dello stesso d. lgs. 28/2010, pure dai ricorrenti sospettato di incostituzionalità, rende l’esperimento della mediazione condizione di procedibilità della domanda giudiziale. E allora, per effettuare in questa sede autonomamente e compiutamente la disamina della eventuale fondatezza di un siffatto impianto argomentativo – prescindendo, cioè, dalle questioni di costituzionalità – il Collegio dovrebbe sottoporre l’art. 60 della l. n. 69 Rivista del Consiglio 91 L’Ordinanza del TAR Lazio del 2009 e l’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010 ad una interpretazione costituzionalmente orientata, che tenga conto della necessità di una stretta continuità e coerenza delle disposizioni, tra di esse ed in relazione all’art. 4 della direttiva 2008/52/CE. Ciò al fine di risolvere ermeneuticamente il problema consistente nella non sovrapponibilità dei concetti di “competenza”, “professionalità”, nonché “serietà ed efficienza”, alternativamente utilizzati dalle fonti regolatrici della materia (rispettivamente, direttiva, legge delega e decreto delegato), individuando, anche alla luce degli scopi e dei principi fondanti che esse assumono, il parametro normativo specifico in relazione al quale apprezzare se la disposizione regolamentare impugnata (art. 4) presenti le caratteristiche della completezza e della congruenza. In tal modo, non solo non si porrebbe la necessità di scrutinare in via incidentale l’art. 16 del d. lgs. 28/2010, ma anche l’art. 5 dello stesso d. lgs. 28/2010 rimarrebbe sullo sfondo della controversia, senza essere direttamente investito dalla sua definizione. Ma il Collegio ritiene che una siffatta impostazione non sia oggettivamente perseguibile. Ciò in quanto essa non esaurirebbe che in una misura molto limitata l’ambito delle questioni sottoposte a giudizio, lasciando, in particolare, aperto l’interrogativo di quale sia il ruolo che l’ordinamento giuridico nazionale intende effettivamente affidare alla mediazione. Laddove, invece, è proprio la puntuale individuazione di tale ruolo ad essere imprescindibilmente pregiudiziale all’apprezzamento dei requisiti che, in via attuativa-amministrativa, è legittimo richiedere al mediatore ovvero da cui è legittimamente consentito prescindere. è infatti intuitivo, anche sotto il profilo del grado di affidamento da ingenerarsi verso l’esterno in relazione alla figura del mediatore, e che si riflette nella professionalità che in capo al medesimo l’amministrazione è tenuta a verificare, che: - una cosa è la costruzione della mediazione come strumento cui lo Stato in un vasto ambito di materie obbligatoriamente e preventivamente rimandi per l’esercizio del diritto di difesa in giudizio; 92 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione - altra cosa è la costruzione della mediazione come strumento generale normativamente predisposto, di cui lo Stato incoraggi o favorisca l’utilizzo, lasciando purtuttavia impregiudicata la libertà nell’apprezzamento dell’interesse del privato ad adirla ed a sopportarne i relativi effetti e costi. In altre parole, non pare potersi porre fondatamente in dubbio che la disamina rimessa a questa sede in ordine alla valutazione della fondatezza delle descritte doglianze, in relazione alle norme del regolamento n. 180 del 2010 interessate dalla domanda demolitoria nei sensi sopra precisati, non possa prescindere dall’accertamento della correttezza, in raffronto ai criteri della legge delega ed ai precetti costituzionali, e tenuto conto delle disposizioni comunitarie, delle scelte operate dal legislatore delegato laddove: - all’art. 16, ha conformato gli organismi di conciliazione a parametri, o meglio a qualità, che attengono esclusivamente ed essenzialmente all’aspetto della funzionalità generica, e che, per contro, sono scevri da qualsiasi riferimento a canoni tipologici tecnici o professionali di carattere qualificatorio ovvero strutturale; - al contempo, all’art. 5, ha configurato, per le materie ivi previste, l’attività da questi posta in essere come insopprimibile fase preprocessuale, cui altre norme del decreto assicurano effetti rinforzati, ed, in quanto tale, suscettibile, in ogni suo possibile sviluppo, o di conformare definitivamente i diritti soggettivi da essa coinvolti, o di incidervi, comunque, anche laddove ne residui la giustiziabilità nelle sedi istituzionali e si intenda adire la tutela giudiziale. E ciò anche tenendo particolarmente conto, sotto un profilo più generale, del fatto che nel decreto legislativo n. 28 del 2010 si rinvengono, come al Collegio sembra palese, elementi che fanno emergere due scelte di fondo che, in relazione ai diritti disponibili e nelle materie considerate, in misura inversamente proporzionale, ma biunivocamente, mirano, con forza cogente, l’una, alla deistituzionalizzazione e de-tecnicizzazione della giustizia civile e commerciale nelle materie stesse, e, l’altra, alla enfatizzazione di un procedimento para-volontario di componimento delle controversie nelle materie stesse, che, però, per come strutturate, non risultano omogenee con una ulteriore scelta pure ivi operata. Rivista del Consiglio 93 L’Ordinanza del TAR Lazio Che consiste nel disporre che l’atto che conclude la mediazione, sottoposto ad omologazione, possa acquistare efficacia di titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 12, d. lgs. 28/10) – rientrando, così, a pieno titolo tra gli atti aventi gli stessi effetti giuridici tipici delle statuizioni giurisdizionali – laddove, nel corso della mediazione, ed ai sensi decreto legislativo stesso, il profilo della competenza tecnica del mediatore sbiadisce, e, vieppiù, anche il diritto positivo viene in evidenza solo sullo sfondo, come cornice esterna ovvero come generale limite alla convenibilità delle posizioni giuridiche in essa coinvolte (divieto di omologare accordi contrari all’ordine pubblico o a norme imperative, art. 12 del d. lgs. n. 28 del 2010). E allora, per assicurare la certezza della fattibilità del descritto meccanismo, al fine di escludere che lo stesso ridondi in danno del diritto di difesa in giudizio garantito dall’art. 24 Cost., risulta insopprimibile la necessità che l’interpretazione dell’art. 16 del d. lgs. 28/2010 [propedeutica alla disamina della impugnata disposizione regolamentare dell’art. 4)] sia correlata con quanto previsto dall’art. 5 dello stesso decreto (entrambi nelle parti precisate al punto 9), il cui combinato disposto costituisce il vero perno della regolazione delegata. Tale ultima norma, però, per le ragioni che si passa ad illustrare, non risulta al Collegio trovare una rispondenza nella legge delega, con conseguente violazione dell’art. 77 Cost.. 12. Nell’illustrare il complessivo quadro normativo della fattispecie, si è dato conto che la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/ CE è chiara nell’affermare, all’ottavo considerando ed all’art. 1, che il campo privilegiato di applicazione delle disposizioni comunitarie sulla mediazione in materia civile e commerciale è rappresentato dalle controversie transfrontaliere, ma che nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di estenderla ai “procedimenti di mediazione interni”. L’intento della direttiva sul punto è chiaro. La immediata disponibilità nell’ambito dell’Unione europea del servizio di mediazione in relazione alle controversie transfrontalie94 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione re nelle materie civili e commerciali risponde, infatti, con efficacia apprezzabile a prima vista, alla necessità di superare le problematiche solitamente e squisitamente proprie di tali tipologie di controversie, quali l’individuazione dell’ordinamento statale applicabile e del giudice compente, contribuendo, così, ad una soluzione rapida ed efficace delle ragioni del contendere, che altrettanto indubitabilmente manifesta il ruolo di elemento necessario al corretto funzionamento del mercato interno, anche tenuto conto che la materia degli scambi commerciali non è ontologicamente estranea alla composizione amichevole delle controversie. Al contempo, il legislatore comunitario esprime evidentemente l’avviso che nulla osta a che la mediazione, quale strumento tendenzialmente generale di risoluzione delle controversie, sia valorizzata dalle singole legislazioni nazionali, mediante l’esercizio di un’opzione estensiva dell’istituto, come delineato nei tratti salienti dalla direttiva, che ne comporti l’applicazione anche a quelle che esulano dal campo dei rapporti transfrontalieri, e che ricadono interamente nell’ambito degli ordinamenti interni degli Stati membri. Secondo le attribuzioni proprie dell’ordinamento nazionale vigente, l’eventuale adesione, di carattere pacificamente discrezionale, a siffatta ipotesi ampliativa, e, conseguentemente, la competenza ad esercitare opzione nei detti sensi, non può che essere individuata che in capo alla fonte normativa primaria [art. 111 Cost.; art. 117, lett. l) ed m) Cost.;]. E ciò anche perché, come meglio in seguito, essa non esaurisce le scelte da compiersi, ma costituisce il presupposto da cui scaturisce la necessità di operare altre scelte, che ineriscono, se così si può dire, ai massimi livelli del sistema nazionale della “giustizia” in materia civile. Si pone, indi, la necessità di verificare se le scelte effettuate dal legislatore delegato, con specifico riferimento alle prime tre disposizioni dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010, possano essere ascritte, nelle parti fondanti, all’art. 60 della più volte richiamata l. n. 69 del 2009. è il caso di chiarire che ad analoga necessità condurrebbe anche l’eventualità che l’art. 60 della l. n. 69 del 2009, oltre a porsi in continuità con la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE – come Rivista del Consiglio 95 L’Ordinanza del TAR Lazio sembra al Collegio palese ancorché la stessa non venga richiamata nel testo dell’articolo, che rimanda però al “rispetto” ed alla “coerenza” con la normativa comunitaria [comma 2 e comma 3, lett. c)], e come è in effetti sembrato palese anche al legislatore delegato, che l’ha citata nel preambolo – esprima anche l’ulteriore ed autonomo intendimento del legislatore di approntare soluzioni volte a fronteggiare le note problematiche connesse nel nostro ordinamento al processo civile. In tale ultimo senso sembrano, per vero, militare sia l’inserimento dell’art. 60 non nella legge comunitaria annuale bensì in un corpus normativo per “lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, sia la dizione utilizzata dal comma 2 dello stesso articolo, che qualifica la delega conferita al Governo ai sensi del comma 1 che lo precede (“in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale”) quale “riforma”. Infatti, quand’anche ci si trovasse di fronte ad una autonoma “riforma” di carattere ordinamentale, meramente occasionata dall’obbligo di recepire la direttiva n. 2008/52/CE, da cui mutua il contenuto essenziale, ma senza che l’intento recettivo esaurisca le intenzioni del legislatore, a maggior ragione si imporrebbe l’indagine sull’oggetto che costituisce il reale ambito della delega, che non potrebbe essere sic et simpliciter derivato dalle disposizioni comunitarie in corso di recepimento. 13. Ma il Collegio non rinviene nella legge delega alcun elemento che consenta di ritenere che la regolazione della materia andasse effettuata nei sensi prescelti dalle prime tre previsioni dell’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010. E ciò per le ragioni che si passa ad illustrare. 13.1. Va subito chiarito che, laddove indubitabilmente è ascrivibile al più volte nominato art. 60 della l. 60/09 la scelta di ampliare il ricorso alla mediazione nelle controversie interne in ambito civile e commerciale, nessuno dei criteri e principi direttivi previsti e nessuna altra disposizione dell’articolo espressamente assume l’intento deflattivo del contenzioso giurisdizionale o configura l’istituto della mediazione quale fase pre-processuale obbligatoria. 96 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione Né detto tema può ritenersi rientrante nell’ambito di libertà, ovvero nell’area di discrezionalità commessa alla legislazione delegata, esso non costituendo, per quanto sopra riferito e per quanto in seguito, né un mero sviluppo delle scelte effettuate in sede di delega nè una fisiologica attività di riempimento o di coordinamento normativo, sia che si tratti di recepire la direttiva comunitaria n. 2008/52/CE sia che si tratti della riforma del processo civile. Ne consegue che, ai fini della positiva valutazione della costituzionalità della previsione, tenendo conto del silenzio serbato dal legislatore delegante sullo specifico tema, occorrerebbe almeno che l’art. 60 lasci trasparire elementi in tal senso univoci e concludenti. Ma così non è. 13.2. Va poi anche escluso che l’art. 60 della legge n. 69 del 2009, con la locuzione del relativo comma 2 (regolare la riforma “nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria”), ovvero con il principio e criterio direttivo posto alla lett. c) del comma 3 (“disciplinare la mediazione nel rispetto della normativa comunitaria”) possa essere inteso quale delega al Governo a compiere ogni e qualsivoglia scelta latamente occasionata dalla direttiva comunitaria n. 2008/52/CE, che, come sopra si è rilevato, il Governo non è stato neanche espressamente chiamato a recepire. Ma, sul punto, come già sopra accennato, è ancor più decisivo osservare che varie sono le opzioni da considerare a termini della direttiva in parola. La prima e la più significativa, nonché quella chiaramente compiuta dall’art. 60, è indubbiamente quella relativa alla estensione dell’applicazione delle disposizioni comunitarie sulla mediazione anche ai procedimenti interamente ricadenti nell’ordinamento nazionale, per i quali essa non è originariamente ed obbligatoriamente prevista. La seconda è quella di valutare se il procedimento di mediazione debba essere “avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro” [art. 3, lett. a), direttiva n. 2008/52/CE]. La terza, logicamente conseguente all’ultima delle opzioni della seconda, è quella di apprezzare se, dinamicamente, lasciare “impreRivista del Consiglio 97 L’Ordinanza del TAR Lazio giudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario” (art. 5, par. 2, direttiva n. 2008/52/CE). Il tutto, tenendo comunque conto del limite costituito dalla necessità di non impedire “alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario” (art. 5, par. 2, direttiva n. 2008/52/CE). I ricaschi della scelta estensiva dell’istituto della mediazione dal campo privilegiato delle controversie transfontaliere a quello dei procedimenti interamente ricadenti nell’ordinamento interno sono, indi, molteplici, ed attengono precipuamente alle varie modalità con cui tale estensione, salvaguardando l’accesso alla giustizia, può essere effettuata nei singoli ordinamenti, ed, in primis, all’opzione di rendere il ricorso alla mediazione “prescritto dal diritto”, indi “obbligatorio” e “soggetto a sanzioni”. Quand’anche, pertanto, dovesse ritenersi che l’art. 60 si ponga un intento integralmente recettivo della direttiva n. 2008/52/CE, il silenzio del legislatore delegante su tali ultime opzioni non ha, né può avere, alla luce della doverosa interpretazione della delega in conformità agli artt. 24 e 77 Cost., il significato di assentire la meccanica introduzione nell’ordinamento statale delle opzioni comunitarie che, rispetto al diritto di difesa come scolpito dall’art. 24 Cost., appaiono le più estreme, ovvero la “prescrizione di diritto” per talune materie dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione, e la predisposizione della massima “sanzione” per il suo eventuale inadempimento, quale è l’improcedibilità rilevabile anche d’ufficio, come, al contempo, ha fatto l’art. 5 del decreto delegato. 13.3. Va, altresì, chiarito che nessun elemento decisivo, sempre ai fini in parola, è ricavabile dal principio e criterio direttivo previsto dalla lett. a) della legge delega, laddove si dispone che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, “senza precludere l’accesso alla giustizia”. Tale principio e criterio direttivo, infatti, nella dinamica della delega, non sembra assumere altro ruolo che quello di richiamare l’attenzione sulla necessità di rispettare un principio assoluto e primario dell’ordinamento nazionale (art. 24 della Costituzione) e di quello comunitario. 98 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione Ciò posto, è vero che l’accesso alla giustizia potrebbe non ritenersi ex se precluso dalla previsione di una fase pre-processuale, che, ancorché obbligatoria, lasci comunque aperta la facoltà di adire la via giurisdizionale. Infatti, secondo il costante insegnamento del Giudice delle leggi, l'art. 24 Cost. non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre allo stesso modo e con i medesimi effetti, e non vieta quindi che la legge possa subordinare l'esercizio dei diritti a controlli o condizioni, purché non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell'attività processuale (Corte Cost., 21 gennaio 1988, n. 73; 13 aprile 1977, n. 63; sul punto, non può non richiamarsi anche la recente sentenza della Corte di Giustizia CE, IV, 18 marzo 2010). Ma è altresì vero: - sia che, proprio in forza delle statuizioni appena citate, le modalità di una siffatta previsione non sono ininfluenti al fine di valutarne la conformità a Costituzione; - sia che nell’ordinamento giuridico vigente, e specificamente in quello che regola la delega legislativa, non tutto ciò che è in via generale permesso all’autorità delegante può ritenersi anche assentito alla sede delegata. Di talchè, anche potendosi ammettere che le prime tre disposizioni del comma 1 dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010, isolatamente considerate, possano non essere in contrasto con il principio costituzionale del diritto alla difesa, alla stessa conclusione potrebbe non pervenirsi tenendo conto degli effetti del loro coordinamento con altre disposizioni dello stesso d. lgs., e, segnatamente, con l’art. 16. In ogni caso, poi, attesa la natura della fonte, occorrerebbe rinvenirne il fondamento in un altro principio e criterio direttivo della delega. Ma, come si è già accennato, ciò non è dato. 13.4. Atteso, quindi, che i principi e criteri direttivi appena esaminati appaiono neutrali al fine di apprezzare la rispondenza dell’art. 5 del d. lgs. 28/10 alla legge delega, va osservato, vieppiù, che ben due principi e criteri direttivi depongono, invece, a favore della non rispondenza. Rivista del Consiglio 99 L’Ordinanza del TAR Lazio 13.4.1. Con il principio e criterio direttivo previsto dall’art. 60, lett. c), si prevede che la mediazione sia disciplinata anche “attraverso l’estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”. Il decreto legislativo 5/2003 reca la “Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della l. 3 ottobre 2001, n. 366”, e nel titolo VI, dedica(va) alla conciliazione stragiudiziale gli artt. da 38 a 40, ora abrogati proprio dall’art. 23 del d. lgs. n. 28 del 2010. Il richiamo dell’art. 60 in parola al d. lgs. 5/2003 fa escludere che la puntuale scelta operata dal comma 1 dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010 possa essere ascritta al legislatore delegante. Infatti, il d. lgs. 5/2003, segnatamente, all’art. 40, comma 6, molto più limitatamente di quanto previsto dal ridetto art. 5, e solo nello scenario in cui “il contratto ovvero lo statuto della società prevedano una clausola di conciliazione e il tentativo non risulti esperito”, prevede che “il giudice, su istanza della parte interessata proposta nella prima difesa dispone la sospensione del procedimento pendente davanti a lui fissando un termine di durata compresa tra trenta e sessanta giorni per il deposito dell'istanza di conciliazione davanti ad un organismo di conciliazione ovvero quello indicato dal contratto o dallo statuto”. Il modello legale valorizzato dall’art. 60 della l. 69/90 mediante il richiamo al d. lgs. 5/2003 è quello, quindi, in cui si versa innanzitutto in un ambito già delineato da norme di fonte volontaria privata (contratto o statuto sociale). In tale quadro, è comunque rimesso ad un altro momento volontario privato, ovvero alla facoltà della parte che vi ha interesse, e non alla forza cogente della legge, far constare nel giudizio già interposto, ed entro termini prestabiliti, la sussistenza di una clausola conciliativa ed il mancato esperimento della conciliazione. Ed anche qualora la parte ritenga di avvalersi di tale facoltà, il procedimento giudiziale non si estingue, ma, molto più limitatamente, deve essere sospeso per il periodo necessario ad esperire la conciliazione. Il decreto legislativo 5/2003 delinea, dunque, una fattispecie nel100 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione la quale l’esistenza di un modulo normativo di composizione delle controversie alternativo alla giurisdizione, di cui l’interessato non si sia avvalso, né pospone de iure il suo diritto di difesa in giudizio né lo rende, eventualmente, inutiliter esercitato, come, invece, fanno le prime tre disposizioni del comma 1 dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010. è bene aggiungere che nulla muta, poi, considerando che il decreto delegato n. 28 del 2010, al comma 2 dello stesso art. 5, affianca al meccanismo sospetto di incostituzionalità di cui al comma 1 anche un meccanismo coincidente a quello appena descritto, ascrivibile al modello richiamato dal legislatore delegante (d. lgs. 5/2003), in forza del quale è il giudice adito, anche in sede di appello, che, valutati una serie di elementi, invita le parti a procedere alla mediazione e differisce la decisione giurisdizionale: tale disposizione, infatti, tiene comunque “Fermo quanto previsto dal comma 1…”. Anzi, il comma 2 dell’art. 5 lumeggia maggiormente la incisività della diversa scelta compiuta dal legislatore delegato al comma 1 dello stesso articolo, di subordinare nelle materie ivi previste il diritto di difesa in giudizio all’esperimento della mediazione, rendendo ancor più pressante l’esigenza che di una siffatta scelta si individui il preciso fondamento nella legge delega. 13.4.2. A sua volta, la lett. n) del più volte richiamato art. 60 prevede il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della “possibilità”, e non dell’obbligo, di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione. Anche tale disposizione non consente di ritenere che l’art. 5 del d. lgs. 20/10, al comma 1, nelle tre prime disposizioni, trovi un riscontro nella legge delega 69/09. Infatti, la possibilità è, per definizione, diversa dall’obbligatorietà, e l’accentuazione di tale differenza non può ritenersi superflua, vertendosi nel campo della deontologia professionale, ovvero in un complesso di obblighi e doveri la cui inosservanza può determinare conseguenze pregiudizievoli in base all’ordinamento civile (risarcimento del danno), amministrativo (sanzioni disciplinari) e pubblicistico (art. 4, comma 4, d. lgs. 28/2010), che richiedono l’esatta individuazione del precetto presidiato dalle sanzioni. Rivista del Consiglio 101 L’Ordinanza del TAR Lazio Tant’è che lo stesso decreto delegato 28/2010 ha dovuto differenziare, al comma 4 dell’art. 4, l’ipotesi in cui l’avvocato omette di informare il cliente della “possibilità” di avvalersi della mediazione, da quella in cui l’omissione informativa concerne i casi in cui “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. E ciò ancorché poi, alquanto sorprendentemente, l’art. 4, comma 4 in parola non diversifichi la sanzione correlata alle due fattispecie, che sono state entrambe ricondotte alla unica categoria della “violazione degli obblighi di informazione” e all’annullabilità del contratto intercorso tra l’avvocato e l’assistito, nonostante la assai maggior pregiudizievolezza della seconda. 14. Nessuna delle problematiche di rilievo costituzionale sopra evidenziate viene risolta dalle difese formulate dalle amministrazioni resistenti. 14.1. Si opina che lo schema procedimentale seguito è quello dell’art. 46 della l. 3 maggio 1982, n. 203, in tema di controversie agrarie. L’argomentazione non è satisfattiva. Detta risalente legge, che effettivamente configura un meccanismo in forza del quale il previo esperimento del tentativo di conciliazione assume la condizione di presupposto processuale, la cui carenza preclude al giudice eventualmente adito di pronunciare nel merito della domanda (Cass. SS.UU, 20 dicembre 1985, n. 6517), oltre a concernere le limitatissime (rispetto alle materie di cui all’art. 5, comma 1, del d. lgs. n. 28 del 2010) ipotesi dei contratti agrari, non figura menzionata in alcuna parte della legge delega, che richiama, invece, la completamente diversa fattispecie normativa del già citato d. lgs. n. 5 del 2003, sopra illustrata. 14.2. L’assunzione di finalità deflative del contenzioso giudiziale, l’apprezzamento dell’equilibrio della soluzione prescelta e delle eccezioni previste rispetto all’esercizio del diritto di azione ex art. 24 Cost. e all’interesse generale alla sollecita definizione della giustizia ed al contenimento “dell’abuso del diritto alla tutela giurisdizionale” – posto che una siffatta tipologia di “abuso” possa essere legitti102 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione mamente e genericamente visualizzata, a termini dell’ordinamento nazionale vigente, unico parametro lecito nella prospettiva propria dell’argomentazione, solo sulla scorta del dato costituito dal numero di contenziosi civili pendenti – non sono qui in discussione. Si tratta, infatti, di questioni di merito sottratte all’ambito proprio del giudizio amministrativo, laddove, invece, più a monte, occorre verificare, in osservanza delle regole proprie dello scrutinio incidentale di costituzionalità di cui all’art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948, se trattasi di scelte che il Governo era legittimato ad attuare, e con le previste modalità, in forza delle attribuzioni delegate dal Parlamento. 14.3. è fuori tema e non coglie comunque nel segno, per le stesse ragioni appena riferite e per quanto al punto 13.3., ogni questione attinente alle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza comunitaria in tema di telecomunicazioni invocata dalle parti resistenti in relazione alla astratta possibilità per il legislatore nazionale di sottoporre l’esercizio dei diritti fondamentali a restrizioni compatibili con obiettivi di interesse generale, a condizione che essi siano perseguiti in modo non sproporzionato o inaccettabile, ed alla verifica del rispetto di siffatte condizioni da parte delle norme delegate. 14.4. Non è vero, per quanto pure in precedenza riferito, che l’unico limite posto al decreto delegato è quello del rispetto della possibilità di accesso alla giustizia. Si è infatti sopra dato conto che nell’art. 60 della l. n. 69 del 2009 sussistono alcuni elementi di carattere positivo univoci e concludenti, tra cui primariamente il richiamo alle già illustrate disposizioni di cui al decreto legislativo n. 5 del 2003 (artt. da 38 a 40, ora abrogati dall’art. 23 del d. lgs. n. 28 del 2010), che, nel rapporto tra mediazione e processo, delineano un equilibrio molto diverso da quello assunto dal comma 1 dell’art. 5. Né è conducente, per quanto sopra pure diffusamente esposto (13.2), affermare che la normativa comunitaria fa esplicito riferimento all’ipotesi di mediazione obbligatoria anche negli specifici termini estremi fatti propri dal legislatore delegato (e non, si ribadisce, dalla legge delega), atteso che essi, nel contesto comunitario, come sopra acclarato, costituiscono previsioni via via “facoltizzate”. Rivista del Consiglio 103 L’Ordinanza del TAR Lazio Quanto all’affermazione che, ai fini dell’introduzione della obbligatorietà della mediazione, sono state prescelte controversie che traggono origine da rapporti particolarmente conflittuali, quali quelle attinenti al risarcimento del danno, e che sono caratterizzate da maggior complessità e durata, essa, oltre a inverare ancora un giudizio di merito non consono alla presente sede, sembra deporre a favore delle tesi ricorsuali, più che confutarle. Il problematico contesto sopra considerato non muta, infine, tenendo conto delle materie (d. lgs. 8 settembre 2007, n. 179, Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob; art. 128-bis del d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 e s.m.i., t.u. in materia bancaria e creditizia, risoluzione stragiudiziale delle controversie tra le banche e gli intermediari finanziari e la clientela), per le quali è già previsto un procedimento conciliativo, trattandosi, anche qui, di elementi che si profilano di assoluta neutralità in relazione alle questioni dibattute in questa sede. 15. Tutto quanto sin qui argomentato giustifica la valutazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale: - dell’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), secondo periodo (che prevede che l’esperimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice); - dell’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone che abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione sono gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di “serietà ed efficienza”. 15.1. In particolare, le disposizioni di cui sopra risultano in contrasto con l’art. 24 Cost. nella misura in cui determinano, nelle considerate materie, una incisiva influenza da parte di situazioni preliminari e pregiudiziali sull’azionabilità in giudizio di diritti sog104 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione gettivi e sulla successiva funzione giurisdizionale statuale, su cui lo svolgimento della mediazione variamente influisce. Ciò in quanto esse non garantiscono, mediante un’adeguata conformazione della figura del mediatore, che i privati non subiscano irreversibili pregiudizi derivanti dalla non coincidenza degli elementi loro offerti in valutazione per assentire o rifiutare l’accordo conciliativo, rispetto a quelli suscettibili, nel prosieguo, di essere evocati in giudizio. 15.2. Le disposizioni in parola risultano altresì in contrasto con l’art. 77 Cost., atteso il silenzio serbato dal legislatore delegante in tema di obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie, nonché tenuto conto del grado di specificità di alcuni principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega, art. 60 della l. 69/09, che risultano stridenti con le disposizioni stesse. In particolare, alcuni principi e criteri direttivi [lett. c); lett. n)] fanno escludere che l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie possa rientrare nella discrezionalità commessa alla legislazione delegata, quale mero sviluppo o fisiologica attività di riempimento della delega, anche tenendo conto della sua ratio e finalità, nonché del contesto normativo comunitario al quale è ricollegabile. 15.3. Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla questione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) interlocutoriamente pronunciando sui ricorsi di cui in epigrafe, così dispone: 1) riunisce i ricorsi n. 10937 del 2010 e n. 11235 del 2010, connessi oggettivamente e parzialmente connessi soggettivamente; 2) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi intende esercitare in giudiRivista del Consiglio 105 L’Ordinanza del TAR Lazio zio un’azione relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), secondo periodo (che prevede che l’esperimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice); 3) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone che abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione sono gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza. 4) dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale; 5) ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati: Giorgio Giovannini, Presidente Roberto Politi, Consigliere Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore L'estensore Il Presidente Depositata in segreteria Il 12/04/2011 Il Segretario (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 106 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione Le procedure di conciliazione ed arbitrato nel sistema finanziario bancario italiano di Roberta Sodo L’attenzione rivolta alle condizioni regolanti i rapporti tra banche e clientela è, in Europa, come in tutti i paesi industrializzati, una delle priorità da raggiungere per consentire l’efficace funzionamento del mercato unico dei servizi finanziari e bancari. A tale scopo, e sulla scorta delle varie direttive, oggi l’ordinamento italiano prevede una disciplina di trasparenza il cui fine primario è quello di garantire una semplice informazione e comparabilità dei costi. Gli istituti che operano nel mercato finanziario hanno il puntuale obbligo di dover informare e di ragguagliare costantemente la parte debole del rapporto, ma hanno anche l’esigenza di conoscere se l’adempimento avverrà nel modo e nel momento stabilito. Ove tale momento non sia rispettato si crea un duplice effetto negativo: l’operatore finanziario dovrà dare attuazione alle idonee azioni recuperatorie e il cliente rivalutare il probabile tempo per adempiere alla sua prestazione, giungendo così a numerose controversie di diverso valore patrimoniale, che si protraggono per anni, ed a insanabili fratture dei rapporti tra i soggetti interessati. è quindi evidente la necessità, stante la complessità del pianetagiustizia, di poter ricorrere a degli strumenti che permettano di risolvere i conflitti nel più breve tempo possibile e la creazione di efficaci sistemi di risoluzione alternativa delle controversie comporta molti vantaggi: permette un effettivo accesso alla giustizia per la parte debole del rapporto; consente al cliente di ottenere in tempi molto più contenuti la decisione di un organismo imparziale; i sistemi stragiudiziali assumono rilievo per le finalità di vigilanza e Rivista del Consiglio 107 Le procedure di conciliazione ed arbitrato... di R. Sodo per l’efficienza del sistema finanziario. Meccanismi efficaci di definizione delle liti incrementano il rispetto dei principi di trasparenza e correttezza con la clientela; migliorano la fiducia del pubblico nei prestatori dei servizi bancari e finanziari e sono sicuramente d’aiuto per una relazione non conflittuale e duratura tra le parti, posto che come è noto l’adire l’autorità giudiziaria causa, la maggior parte delle volte, una rottura traumatica della relazione banca-cliente. Nel nostro paese, raccogliendo anche le raccomandazioni della Commissione Europea, esistono, per quanto concerne le controversie in materia finanziaria e bancaria, le seguenti procedure alternative alla giustizia ordinaria: - La procedura innanzi all’Arbitro Bancario e Finanziario presso la Banca d’Italia. - La procedura di conciliazione ed arbitrato in materia di servizio di investimento innanzi la Camera di Conciliazione ed Arbitrato presso la CONSOB. - Le procedure di mediazione ed arbitrato innanzi agli altri organismi pubblici e privati iscritti presso il registro degli organismi di conciliazione del Ministero della Giustizia. All’Arbitro Bancario e Finanziario istituito, ai sensi dell’art. 128 bis T.U.B., presso la Banca d’Italia, che ne ha definito il quadro regolamentare, ne ha curato l’organizzazione e ne segue il buon funzionamento, possono essere sottoposte le controversie relative a tutte le operazioni bancarie, con esclusione dei servizi di investimento, successive al 1 gennaio 2007 e per un valore non superiore ad € 100.000,00. Il ricorso all’Arbitro Bancario e Finanziario, che deve essere preceduto da un reclamo da presentare, a cura del cliente, alla propria Banca, va depositato, compilando un apposito modulo, presso una filiale della Banca d’Italia, spedendone contestualmente apposita copia all’intermediario. I soggetti vengono quindi rimessi ad un Collegio composto da cinque membri che deve pronunciarsi entro sessanta giorni. La decisione del Collegio giudicante non è vincolante per le parti, salvo la pubblicità negativa nei confronti degli intermediari che non adempiano a quanto stabilito dall’Arbitro stesso. Tale procedura tuttavia non pare ispirarsi ai principi cardini del108 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione la conciliazione, che come è noto è una tecnica di risoluzione delle controversie in cui entrambi i contendenti devono uscire “vittoriosi” e presenta inoltra alcune limitazioni, difatti: - innanzi all’Arbitro si svolge un mini-processo al termine del quale si attribuisce la ragione ad una parte; - il valore delle controversie è ristretto ad € 100.000,00; - non essendo tale procedimento uno strumento di mediazione il suo esperimento non integrerà il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 5 del d.lgs. 28/10. L’art. 9 della legge 262 del 28.12.2005 ha previsto l’emanazione di un decreto legislativo in materia di servizi e di investimento, di procedure di conciliazione ed arbitrato e di un sistema di indennizzo in favore degli investitori (esclusi quelli professionali) e dei risparmiatori dettandone principi e direttive. In attuazione è stato emanato il d.lgs n. 179 dell’8.10.2007 con il quale è stata istituita la Camera di Conciliazione ed Arbitrato presso la CONSOB, per l’amministrazione dei procedimenti di conciliazione e di arbitrato promossi per la risoluzione delle controversie insorte tra gli investitori ed intermediari per la violazione da parte di questi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza relativi alle operazioni di collocazione dei titoli, a fondi comuni od altri tipi di investimenti finanziari. Si tratterà quindi di conciliazioni ed arbitrati c.d. amministrati o istituzionali: cioè quelle procedure caratterizzate dalla presenza di un’istituzione che gestisce la procedura conciliativa e/o arbitrale. La procedura alla Camera di Conciliazione, la quale potrà decidere di avvalersi anche di organismi esterni purché iscritti nel registro presso il Ministero di Giustizia, è sottoposta a due condizioni: la prima è che la medesima istanza non sia stata sottoposta davanti ad un altro organismo di conciliazione o che l’investitore non abbia già aderito a quella stessa istanza presentata dall’intermediario e la seconda che prima sia stato presentato un reclamo diretto da parte del risparmiatore all’intermediario. La Camera, una volta adita, invita quindi l’intermediario ad aderire ed a depositare il proprio atto difensivo di replica, e nominerà un Conciliatore tra quelli iscritti nei propri elenchi; entro 15-20 giorni viene quindi fissato l’incontro Rivista del Consiglio 109 Le procedure di conciliazione ed arbitrato... di R. Sodo di conciliazione e la conclusione del procedimento deve avvenire entro 60 giorni. Se la procedura, (ispirata dai principi di neutralità ed imparzialità del Conciliatore, all’assenza di formalità procedurali ed all’obbligo di riservatezza per tutte le parti interessate), termina con un accordo positivo, che beneficia tra l’altro anche dell’esenzione dell’imposta da bollo e della deducibilità delle spese ed è soggetto alla disciplina del d.lgs 28/2010, ne viene stilato il relativo verbale, il quale omologato dal Presidente del Tribunale del luogo ove ha sede l’Organismo, costituisce titolo esecutivo; ove viceversa tale accordo non venga raggiunto, il Conciliatore, se richiesto dalle parti, formula una proposta alle cui conclusioni ritiene si debba conciliare. Di questa proposta potrà tener da conto il giudice per la liquidazione delle spese di lite, ove l’esito del giudizio corrisponda alla proposta. È di chiara evidenza che a differenza della procedura precedentemente esaminata, è importante in questo caso la scelta del conciliatore che, dotato dei requisiti di imparzialità, indipendenza, di professionabilità ed onorabilità, ha come obiettivo primario quello di preservare la flessibilità del procedimento di mediazione e l’autonomia delle parti. D’altra parte la tenuta degli elenchi sarà sicuramente un fattore di trasparenza per l’istituzione e al tempo stesso richiederà che la competenza metodologica del conciliatore sia altamente elevata e specifica. Meritano infine una particolare attenzione le procedure di risoluzione delle controversie, alternative alla magistratura ordinaria, gestite da organismi privati od ad essi assimilati come il Conciliatore Bancario istituito presso l’Associazione Bancaria Italiana e le Camere Arbitrali delle C.C.I.I.A.A. Il procedimento innanzi a tali organi, connotato da caratteristiche comuni e che tende alla composizione della lite, si occupa della conciliazione delle controversie nell’ambito di tutta l’operatività degli intermediari bancari e finanziari e il risparmiatore, se la controparte accetta, può rivolgersi indifferentemente a qualsiasi organismo di conciliazione. Il Conciliatore Bancario, per esempio, è un’associazione privata che ha il precipuo scopo di composizione della lite in materia 110 Rivista del Consiglio Speciale Mediazione di diritto bancario, finanziario e societario ed è iscritto al registro degli organismi di conciliazione presso il Ministero della Giustizia; tale organismo tuttavia ha competenza a gestire anche le procedure dell’OBUSDAM-Giurì Bancario. In tale ultima veste è una specie di giudice di appello avverso i procedimenti di reclamo interni alle banche per servizi e attività di investimento escluse dal sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie ex art. 128 bis T.U.B. La procedura, che comunque qui a noi interessa, è quella amministrata secondo i requisiti richiesti dal d.lgs 5/2003 ora d.lgs. 28/10, e viene attivata da uno dei soggetti interessati, generalmente l’investitore, al costo di € 30,00 per spese di segreteria e tende a far raggiungere un accordo tra le parti, riportato in un verbale sottoscritto dai soggetti interessati e dal Conciliatore. Chi opera nel mercato bancario e finanziario ha quindi un’ampia offerta di giustizia ed a partire dal marzo 2011, l’investitore e/o il risparmiatore, previa presentazione di un reclamo al proprio istituto di credito, potrà: 1) in caso di controversie inerenti operazioni e servizi bancari a) rivolgersi all’Arbitro Bancario e Finanziario se il fatto contestato è successivo all’1.1.2007 e nel limite di € 100.000,00; b) presentare un’istanza per l’avvio della procedura di conciliazione presso uno degli Organismi di Conciliazione iscritto nei registri presso il Ministero della Giustizia, come il Conciliatore Bancario, per esperire il tentativo obbligatorio previsto dall’art. 5 d.lgs. 28/2010; c) ed infine ove non abbia avuto alcun successo adire l’autorità giudiziaria ordinaria. 2) in caso di controversie inerenti controversie inerenti servizi ed attività di investimento d) rivolgersi all’Obusdam-Gran Giurì Bancario ovvero e) instaurare la procedura innanzi la Camera di Conciliazione della Consob o ancora f) ricorrere al Conciliatore Bancario Finanziario. Anche quindi nel complesso mondo economico e finanziario vieRivista del Consiglio 111 Le procedure di conciliazione ed arbitrato... di R. Sodo ne incentivato il ricorso agli strumenti alternativi delle controversie, a breve obbligatorio, che concedono alle parti la possibilità di poter e voler definire una lite. La conciliazione, in Italia, come è ben noto non ha avuto gran fortuna; quella giudiziale è stata sempre individuata come automatismo procedurale mentre quella volontaria ha sempre incontrato numerosi ostacoli. Si spera che l’attuazione del d.lgs. 28/10, anche in tale materia, diffonda l’informazione e la conoscenza di tale strumento nei cittadini, nelle imprese e professionisti di ogni settore, evidenziandone al contempo il risparmio di tempo e dei costi nonché la valorizzazione degli interessi sostanziali più che dei diritti. 112 Rivista del Consiglio Attività del Consiglio Il nuovo Regolamento Difensore d’ufficio Estratto dal verbale della seduta del Consiglio del giorno 12/01/2011 L’anno 2011, il giorno 12 del mese di gennaio, in Lecce alle ore 16,30, nella sede dell’Ordine Forense di Lecce in viale Michele De Pietro presso il palazzo di giustizia, si è riunito il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Il Presidente, preso atto che è presente il numero legale dei Consiglieri componenti il Consiglio, dichiara aperta la seduta per la trattazione degli argomenti posti all’ordine del giorno. OMISSIS Il Consiglio, - ritenuta la necessità di coordinare la normativa sulle difese d’ufficio e le connesse regole deontologiche; - ribadito il principio secondo cui la difesa d’ufficio, attraverso la costituzione dell’Elenco Speciale, tenuto dal Consiglio, è tesa a garantire la tutela, efficace e compiuta, del diritto di difesa dei cittadini, anche mediante misure volte ad assicurare la preparazione culturale e scientifica del difensore - richiamata, conseguentemente, la natura pubblica dell’incarico di Difensore d’Ufficio; - ribadito il diritto alla retribuzione dell’attività svolta dal Difensore d’Ufficio, secondo gli artt. 115, 116, 117 e 118 D.P.R. 115/2002; - riaffermata la natura volontaria della iscrizione nelle liste dei Difensori d\’ufficio, con le doverose conseguenze da assumersi anche in sede di determinazione degli Onorari, alla luce di elementari, quanto fondamentali, principi di lealtà e di correttezza nell’esercizio di tale ufficio; - affermata la necessità di tutelare il prestigio della istituzione fo- Rivista del Consiglio 113 Il nuovo Regolamento Difensore d’Ufficio rense ed il decoro professionale di tutti gli Avvocati, attraverso uno scrupoloso ed efficace controllo della attività professionale svolta dai difensori iscritti nell’elenco, delibera di approvare il presente Regolamento: PARTE I DIFENSORI DI UFFICIO Articolo 1 (La attività del difensore d’ufficio) 1. Lo svolgimento della attività del difensore d’ufficio è volontaria. 2. Il difensore d’ufficio ha l’obbligo di prestare il patrocinio. Allorchè sia impossibile adempiere all’incarico o nominare un sostituto, il difensore di ufficio deve dare immediata comunicazione alla autorità giudiziaria, la quale nominerà un sostituto. 3. Il difensore d’ufficio incaricato ed il sostituto, designato ai sensi dell’art. 102 c.p.p. o nominato ex art. 97 c. 4 c.p.p., sono tenuti ad esercitare il proprio mandato nel più scrupoloso rispetto della legge e dei principi deontologici di correttezza e di diligenza. 4. Il difensore di ufficio ha il diritto di essere retribuito. Articolo 2 (Formazione degli elenchi dei difensori d’ufficio) 1. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce predispone ed aggiorna, ogni tre mesi, l’elenco alfabetico degli iscritti negli albi e disponibili ad assumere le difese d’ufficio. 2. Nell’ambito della previsione di cui all’art. 97 c.p.p, allo scopo di meglio garantire il principio di effettività della difesa, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Lecce predispone due elenchi di difensori – ciascuno autonomo – uno con riferimento ai procedimenti penali da celebrare dinanzi alla autorità giudiziaria ordinaria, un altro con riferimento ai procedimenti penali da celebrare innanzi al Tribunale per i Minorenni. 3. è ammesso negli elenchi dei difensori di ufficio avanti alla autorità giudiziaria ordinaria, l’avvocato che abbia conseguito l’attestazione di idoneità rilasciata al termine della frequentazione 114 Rivista del Consiglio Attività del Consiglio dei corsi di aggiornamento professionale istituiti ex art. 29 disp, att. c.p.p. dall’Ordine o dalla Camera penale o, alternativamente, quello che dimostri l’esercizio continuativo della difesa in sede penale, attestando la partecipazione e l’assistenza difensiva in almeno venti procedimenti penali nel biennio antecedente la presentazione della domanda, di cui almeno 10 dinnanzi al Tribunale e 5 alla Corte di Appello. 4. è ammesso negli elenchi dei difensori di ufficio avanti il Tribunale per i Minorenni l’avvocato che abbia conseguito l’attestazione di idoneità rilasciata al termine della frequentazione dei corsi di aggiornamento professionale, istituiti ex art. 29 disp. att. c.p.p. dall’Ordine o dalla Camera penale e che, congiuntamente, abbia anche conseguito l’attestazione di frequenza nel corso di perfezionamento e di aggiornamento nelle materie attinenti il diritto minorile e le problematiche dell’età evolutiva istituiti ex art. 15 D.l. 272/89 dall’Ordine o da istituzioni Universitarie i cui programmi siano ritenuti idonei dall’Ordine. Può essere altresì ammesso l’avvocato che dimostri l’esercizio continuativo della difesa penale avanti al Tribunale per i minorenni, attestando la partecipazione e l’assistenza difensiva in almeno venti procedimenti penali nel biennio antecedente la presentazione della domanda. 5. Ogni avvocato può domandare la iscrizione ad uno o più degli elenchi di cui ai punti precedenti. Articolo 3 (Designazione dei difensori d’ufficio) 1. I difensori d’ufficio sono designati dall’autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria solo in base agli elenchi di cui all’art. 97 c.p.p., formati secondo l’art. 2, e che sono aggiornati ogni tre mesi dal Consiglio dell’Ordine e sono gestiti tramite il sistema informatizzato di cui all’art. 29 disp. att. c.p.p. 2. Una volta designati, i difensori hanno l’obbligo di prestare il patrocinio e possono essere sostituiti dal Giudice solo per giustificato motivo ai sensi degli artt. 97 comma 5 c.p.p. e 30 disp. att. c.p.p. 3. è fatto vietato all’iscritto sollecitare all’autorità giudiziaria ed alla polizia giudiziaria nomine a difensore ai sensi dell’art. 97 comma 4 c.p.p. Rivista del Consiglio 115 Il nuovo Regolamento Difensore d’Ufficio PARTE II DOVERI DEL DIFENSORE D’UFFICIO Articolo 4 (Obbligo di formazione) 1. Il difensore d’ufficio deve curare la propria preparazione professionale con specifico riferimento alla difesa d’ufficio. 2. Quale requisito essenziale per la iscrizione all’elenco dei difensori di ufficio, l’avvocato è tenuto a seguire i corsi di formazione che il Consiglio dell’Ordine organizzerà con cadenza annuale. 3. Il difensore d’ufficio, comunque, è tenuto a seguire gli incontri accreditati nell’ambito della formazione professionale continua che siano indicati come indispensabili dal Consiglio dell’Ordine. Articolo 5 (Obbligo di informazione) 1. Ove l’assistito prenda contatto con il difensore d’ufficio, quest’ultimo deve informarlo: a) della facoltà di nominare, in qualsiasi momento, un difensore di fiducia; b) dei termini previsti per lo svolgimento della difesa; c) che è fatto obbligo all’assistito di retribuire il difensore d’ufficio secondo quanto previsto dal D.P.R. 115/2002; d) che qualora l’assistito versi nelle condizioni reddituali previste dal medesimo D.P.R. 115/2002 e successive modificazioni, potrà presentare richiesta di ammissione al Patrocinio a spese dello Stato. 2. Nel caso in cui l’assistito elegga domicilio presso il difensore d’ufficio, quest’ultimo è tenuto a conservare gli atti notificati presso il domicilio eletto e a darne informazione all’assistito ove questi prenda contatto. Articolo 6 (Obbligo di reperibilità) 1. I difensori d’ufficio inseriti nella tabella predisposta dal Consiglio dell’Ordine dei turni giornalieri per gli indagati o imputati 116 Rivista del Consiglio Attività del Consiglio detenuti, hanno l’obbligo di assicurare la reperibilità, secondo quanto stabilito dall’art. 29 comma 7 disp. attuaz. c.p.p., dando comunicazione al Consiglio di tutti i propri recapiti telefonici che assicurino la effettiva possibilità di essere contattati in qualsiasi momento nel corso del turno giornaliero (dalle ore 0,00 alle ore 24,00 del giorno prestabilito). 2. I difensori inseriti nella tabella dei turni giornalieri per gli indagati o imputati detenuti hanno l’onere di verificare presso la segreteria dell’Ordine le date dei propri turni di reperibilità comunicando tempestivamente i casi di assoluta e giustificata indisponibilità. In ogni caso, l’eventuale designazione di un sostituto ai sensi dell’art. 102 c.p.p. dovrà essere effettuata con assoluta tempestività. PARTE III RAPPORTI CON IL DIFENSORE DI FIDUCIA Articolo 7 (Nomina del difensore di fiducia) 1. Il difensore d’ufficio cessa immediatamente dal suo incarico se viene nominato un difensore di fiducia. 2. Il difensore di fiducia ha l’obbligo di comunicare immediatamente l’avvenuta nomina, ove la natura dell’incarico lo consenta, prima del compimento di qualsiasi attività. 3. Il difensore di fiducia deve attivarsi affinché il cliente corrisponda al difensore d’ufficio gli onorari dovuti per le prestazioni effettuate. PARTE IV LA ATTIVITA’ DEL SOSTITUTO DI UDIENZA Articolo 8 (La attività del sostituto di udienza ex art. 97, co. 4, c.p.p.) 1. L’attività svolta dal difensore iscritto nelle liste ex art. 97, co. 4, c.p.p. è volta a garantire il diritto di difesa all’imputato che ha nominato un difensore di fiducia o di ufficio che per qualsivoglia motivo non è presente. Rivista del Consiglio 117 Il nuovo Regolamento Difensore d’Ufficio 2. In caso di nomina in udienza ex art. 97, co. 4, c.p.p. che richieda attività difensive, il difensore di ufficio ha facoltà di richiedere al Giudice di consultare gli atti per il tempo necessario a svolgere la difesa. Articolo 9 (Retribuzione del difensore ex art. 97, co. 4, c.p.p.) 1. Quando l’attività professionale svolta è stata tale da comportare un effettivo esercizio della difesa, il difensore d’ufficio nominato ai sensi dell’art. 97, co. 4, c.p.p., potrà procedere alla richiesta di pagamento del compenso. 2. Il difensore di fiducia dovrà adoperarsi perché il sostituto venga retribuito per la attività effettivamente prestata. 3. Il sostituto di udienza potrà agire per il pagamento del compenso nei confronti della parte assistita non prima del termine di trenta giorni dalla formale richiesta rivolta al difensore di fiducia sostituito. 4. Il difensore d’ufficio nominato ex art. 97, co. 4, c.p.p. non deve chiedere il pagamento delle competenze per la partecipazione ad udienze di mero rinvio. 5. Il difensore d’ufficio nominato ex art. 97, co. 4, c.p.p. deve insistere sulla istanza di rinvio eventualmente avanzata dal difensore di fiducia. In caso di rigetto della istanza, può e deve espletare la difesa. PARTE V I COMPITI DEL CONSIGLIO DELL’ORDINE Articolo 10 (I compiti del Consiglio dell’Ordine) 1. Il Consiglio dell’Ordine vigila sul rispetto della legge, dei principi deontologici di correttezza e di diligenza nonché sul rispetto delle disposizioni della presente delibera. 2. La richiesta di compenso per importi manifestamente sproporzionati costituisce illecito disciplinare. 3. Il Consiglio dell’Ordine, nell’ambito dell’aggiornamento e predisposizione trimestrale dell’elenco dei difensori di ufficio, effettuerà 118 Rivista del Consiglio Attività del Consiglio controlli e verifiche sulle assenze ingiustificate, anche su segnalazioni dell’Autorità Giudiziaria. 4. Per le assenze ingiustificate è prevista l’automatica cancellazione dall’elenco dei difensori di ufficio per un periodo non inferiore a sei mesi, salvo, in ogni caso, il disposto di cui all’art. 105 c.p.p. 5. L’irrogazione di un secondo provvedimento di cancellazione, considerata anche la natura delle violazioni, comporta il divieto di reiscrizione nell’elenco dei difensori di ufficio per un periodo non inferiore ad un anno. OMISSIS Dal chè si è redatto il presente verbale l.c.s. Il Consigliere Segretario f.to avv. Raffaele Fatano Il Presidente f.to avv. Luigi Rella Rivista del Consiglio 119 Pari opportunità a cura di Roberta Altavilla Donne lavoratrici in Europa di Raffaele Baldassarre Proprio qualche giorno fa, l’Aula di Strasburgo, in occasione della giornata internazionale delle donne, ha discusso e votato due relazioni fondamentali per il ruolo delle donne nella nostra società: quella della collega bulgara Nedelcheva sull’“uguaglianza di genere nel 2010” e quella della socialista rumena Rovana Plumb sulla “povertà femminile”. Nella sua relazione, la collega Nedelcheva ha fatto il punto su alcuni aspetti prioritari per favorire l’uguaglianza di genere, quali l’eliminazione del divario salariale, l’accesso delle donne agli organi decisionali e la necessità di includere il concetto di parità di genere nella strategia 2020. Rovana Plumb, invece, ha affrontato questioni concernenti gli aspetti della povertà femminile, individuando diversi ambiti d’azione per combattere tale fenomeno, quali la conciliazione fra vita professionale e familiare, la protezione sociale e il sostegno finanziario. L’UE, insomma, contribuisce in maniera sostanziale, spesso sopperendo alle mancanze strutturali degli Stati membri, alla creazione di un contesto giuridico e politico, che promuova l’accesso all’occupazione per le donne, la lotta contro le discriminazioni di genere e la protezione della maternità. Ciononostante – e la crisi che attraversiamo non aiuta per niente – le donne non godono ancora delle stesse opportunità professionali degli uomini. Il tasso di disoccupazione è più elevato e le donne continuano a guadagnare quasi il 18% in meno rispetto agli uomini per lo stesso tempo di lavoro. 120 Rivista del Consiglio Pari opportunità a cura di R. Altavilla Facendo un calcolo rapido, si arriva a una conclusione sconcertante: una donna dovrebbe lavorare 418 giorni all’anno per guadagnare come un uomo! La stessa diseguaglianza si riflette nei posti di responsabilità: solo il 3% delle grandi imprese in Europa sono guidate da donne! E un dato ancora più sconfortante è legato alla maternità: tre donne manager su quattro non hanno figli. La ripartizione delle responsabilità familiari e assistenziali non avviene ancora equamente: il compito di prendersi cura dei familiari a carico, infatti, viene principalmente assunto dalle donne. Il tasso di occupazione delle donne con figli a carico è, infatti, di appena il 62,4% rispetto al 91,4% degli uomini nella stessa situazione. Venendo adesso al ruolo svolto dall’Unione europea in questo campo, va detto che, sebbene le disparità siano tuttora presenti, negli ultimi decenni l’UE ha compiuto notevoli passi avanti verso l’uguaglianza di genere, grazie, in particolare, a interventi legislativi e all’adozione di politiche ad hoc. La parità fra uomini e donne è uno degli obiettivi basilari dell’Unione europea. Con il passare del tempo, inoltre, la legislazione, la giurisprudenza e le modifiche ai trattati hanno contribuito a rafforzare questo principio e la sua applicazione. Fin dal trattato di Roma nel 1957, il principio della parità retributiva era sancito dai trattati della CE. Tuttavia, le prime direttive di attuazione di tale principio non furono adottate su tale presupposto, ma, per la maggior parte, sulla base dell’allora articolo 94 sul ravvicinamento delle leggi e dell’articolo 137 sulla salute e sicurezza dei lavoratori. Il trattato di Amsterdam, al contrario, ampliava la base giuridica per la promozione della parità tra uomini e donne. Gli articoli 137 e 141, infatti, consentivano all’UE di intervenire non solo in materia di parità retributiva, ma anche nel più ampio ambito della parità di opportunità e di trattamento per l’impiego e l’occupazione. In particolare, l’articolo 141 consentiva la discriminazione cosiddetta “positiva”, ossia a favore delle donne. Inoltre, l’articolo 3 del Trattato di Amsterdam conferiva alla CoRivista del Consiglio 121 Donne lavoratrici in Europa di R. Baldassarre munità il compito di realizzare le parità uomo-donna in tutti i suoi ambiti di attività, aprendo la strada alla cosiddetta «integrazione di genere» o, nell’accezione inglese «gender mainstreaming». Il trattato di Lisbona, attualmente in vigore, ha ulteriormente rafforzato il principio della parità fra uomini e donne, includendolo tra i valori e gli obiettivi dell’Unione. L’Articolo 3 del Trattato è, infatti, chiaro nel sancire l’obiettivo dell’Unione europea di combattere “l’esclusione sociale e le discriminazioni”, promuovendo “la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei minori”. L’obiettivo della parità, soprattutto in ambito lavorativo è stato, inoltre, il fulcro di un ampio corpus legislativo europeo. Risale già al 1975 la prima direttiva sulla parità delle retribuzioni. La Direttiva 378 del 24 luglio 1986, modificata dalla direttiva 97 del 20 dicembre 1996, ha permesso l’attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne nei regimi di sicurezza sociale professionali. L’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne è stata poi estesa alle lavoratrici gestanti o puerpere dalla direttiva 613 dell’11 dicembre 1986. Nel 2002, la direttiva relativa alla parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, oltre a definire giuridicamente le varie forme di discriminazione diretta e indiretta, ha esortato gli Stati membri a istituire organismi per le pari opportunità per promuovere e sostenere la parità di trattamento fra donne e uomini. La Direttiva 113 del 13 dicembre 2004, infine, attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne nell’accesso ai beni e ai servizi nella fornitura degli stessi. Al processo legiferatore dell’esecutivo europeo, è corrisposta, l’interpretazione della Corte di Giustizia, che, per mezzo di sentenze rappresentative, ha definito con maggior precisione i contorni giuridici della promozione della parità di genere in problematiche legate all’accesso e all’ottenimento del lavoro. 122 Rivista del Consiglio Pari opportunità a cura di R. Altavilla Alcuni esempi: - La sentenza “Defrenne” dell’8 aprile 1976 ha riconosciuto l’effetto diretto del principio di parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, stabilendo che tale principio riguarda non solo le pubbliche autorità, ma vale del pari per tutte le convenzioni che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato. - La sentenza “Barber” del 17 maggio 1990 ha sancito l’applicazione del principio di pari trattamento a tutte le forme di pensione professionale. - La sentenza Marschall dell’11 novembre 1997 ha autorizzato una forma di «discriminazione positiva», stabilendo che una norma di diritto internazionale che imponesse di garantire la priorità per la promozione ai candidati di sesso femminile, in un settore in cui la presenza maschile è maggiore rispetto a quella femminile, non fosse incompatibile con la legislazione comunitaria, a condizione che tale vantaggio non fosse applicato automaticamente e in maniera sistematica. Infine, permettetemi di ricordare un intervento legislativo ancora in corso, che ritengo abbia un’importanza fondamentale per le politiche di conciliazione all’interno dell’Ue: la proposta di modifica della Direttiva 92/85 relativa al congedo di maternità. Qualche mese fa, il Parlamento europeo con una larga maggioranza, ha votato in favore della relazione della collega portoghese Estrela, che mira a estendere il congedo di maternità minimo da 14 a 20 settimane. Inoltre, in base alla relazione del Parlamento, per la prima volta, in ambito europeo, è stato approvato il congedo di paternità, che prevede l’astensione dal lavoro per 2 settimane durante il periodo di maternità. Sono state approvate anche delle modifiche che vietano di licenziare le donne dall’inizio della gravidanza fino a 6 mesi successivi al congedo di maternità. Purtroppo la proposta è stata bocciata in sede di Consiglio, dove le divergenze tra i vari Stati membri continuano a essere notevoli. Ciononostante, sono convinto che il Parlamento non farà alcun Rivista del Consiglio 123 Donne lavoratrici in Europa di R. Baldassarre passo indietro su una questione così cruciale per lo sviluppo delle politiche di conciliazione dell’Ue, quando l’iter legislativo riprenderà il proprio corso nella fase cosiddetta di “seconda lettura”. E ciò vale non solo per l’obiettivo di innalzare il congedo di maternità, ma anche per quanto concerne l’introduzione del congedo di paternità. I congedi di paternità, infatti, possono e devono essere utilizzati per favorire una più equa divisione dei compiti all’interno della famiglia. In ogni problema c’è sempre una condizione per la soluzione dello stesso. In questo caso, la condizione è che le politiche di conciliazione smettano di essere indirizzate esclusivamente alle donne per essere rivolte anche, e soprattutto, agli uomini. Ciò detto, mi preme aggiungere che il contributo dell’Ue non è solo di carattere regolamentare o legislativo, ma anche indirizzato a fornire un quadro finanziario alla problematica. La parità fra i generi è, ad esempio, uno dei cinque ambiti di attività del programma “Progress”, a favore dell’occupazione e solidarietà sociale. Un minimo pari al 12% del suo budget, di quasi 743 milioni di euro, è destinato ad azioni in questo settore nel periodo 2007-2013. Infine, estremamente utile è l’attività di monitoraggio ed informazione svolta dall’Unione Europea. È questo il compito dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, istituito nel Dicembre 2006 con lo scopo di svolgere un’opera di sensibilizzazione sul tema della parità di genere assistendo sul piano tecnico le istituzioni comunitarie mediante la raccolta, l’analisi e la diffusione dei dati e degli strumenti metodologici. Concludo, ricordando le parole di Margaret Thatcher, la quale disse: “In politica, se vuoi che qualcosa venga detto, chiedi ad un uomo. Se vuoi che qualcosa venga fatto, chiedi ad una donna”. Ritengo, infatti, sia quanto mai necessario adoperarsi in favore della valorizzazione della capacità decisionale femminile nell’ambito politico e, soprattutto, presso i governi degli enti locali e regionali. 124 Rivista del Consiglio Pari opportunità a cura di R. Altavilla XXX Congresso Nazionale Forense Gruppo di lavoro congiunto Pari Opportunità - Giovani Scheda Componenti Gruppo Pari Opportunità: Componenti Gruppo Giovani Avvocati: - Avv. Carla Guidi - Avv. Luigi Cardone - Avv. Nicola Bianchi - Avv. Ilaria Li Vigni - Avv. Monica Baggia - Avv. Roberta Altavilla - Avv. Elisabetta Guidi - Avv. Anna Losurdo - Avv. Immacolata Troianiello - Avv. Stefania Cherubini - Avv. Milena Liuzzi - Avv. Gabriella De Strobel - Avv. Lavinia Cantà - Avv. Alessandra Abbate - Avv. Anna Martinelli - Avv. Annalisa Atti - Avv. Maria Gabriella Iovino - Avv. Aurelia Barna - Avv. Emilia Lodigiani - Avv. Emanuele Spata - Avv. Antonio Volanti - Avv. Giovanni D’Innella - Avv. Carla Broccardo - Avv. Luigi Ancona - Avv. Massimo Costa - Avv. Cristiana Arditi di Castevetere - Avv. Alessandro Graziani Partendo dal presupposto per cui sia le donne che i giovani si trovano a dover affrontare, nell’esercizio della professione e nell’ambito delle istituzioni forensi, problematiche del tutto analoghe, se non addirittura coincidenti, è sembrato opportuno, pur ferma la specificità delle politiche di genere, lavorare congiuntamente, individuando cinque punti di approfondimento dai quali saranno elaborate una o più mozioni da sottoporre all’approvazione congressuale: Rivista del Consiglio 125 XXX Congresso Nazionale Forense - Gruppo di lavoro... 1. attuale identità femminile e giovanile all’interno dell’Avvocatura, ivi compreso il tema degli avvocati salariati, 2. possibili iniziative specifiche di sostegno, 3. forme organizzative di svolgimento della professione, evidenziando l’inadeguatezza delle forme attuali e la necessità d’individuazione di nuove modalità, 4. spazi ed esigenze di mercato: orientare la formazione e la specializzazione dei Giovani e delle Donne in modo da soddisfare le esigenze del mercato nella specificità delle singole aree geografiche, 5. adeguata rappresentanza delle componenti femminili e giovanili all’interno dell’Avvocatura ed in particolare delle sue istituzioni attraverso proposte volte alla affermazione di una nuova cultura ed alla eliminazione degli ostacoli sostanziali e formali. Le considerazioni e le proposte di ogni sottogruppo nascono dall’analisi della situazione della Avvocatura italiana attraverso il Rapporto Censis del febbraio 2010 sulle donne avvocato nonché grazie all’indagine dell’Osservatorio Permanente Giovani ed ai dati della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense. Attraverso tali strumenti è stato, infatti, possibile iniziare un processo di conoscenza, ancora, tuttavia, da approfondire, da cui è emerso, comunque, uno spaccato dell’Avvocatura sicuramente diversa e trasformata rispetto al modello tradizionale. *** 1. (L’attuale identità femminile e giovanile all’interno dell’Avvocatura) La situazione dell’Avvocatura italiana si è fortemente trasformata, anche solo rispetto agli ultimi vent’anni, ed oggi risultano circa 230.000 avvocati iscritti agli albi (di cui solo parte – 152.000 professionisti nel 2009 – iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense): una tale ed inarrestabile crescita numerica è sicuramente determinata dalla mancanza di un’adeguata e programmata selezione all’ingresso nel mondo della formazione universitaria ma è altresì determinata dalla mancanza di sbocchi professionali diver126 Rivista del Consiglio Pari opportunità a cura di R. Altavilla si per i giovani laureati in giurisprudenza che si affacciano al mondo del lavoro. I giovani (meno le donne, come confermato dal Rapporto Censis 2010) scelgono, in maggioranza, la professione di avvocato non per passione ma quale unico sbocco lavorativo. Tale identità giovanile, ed in parte femminile, all’interno dell’Avvocatura, rispecchia quella dei giovani nella società e nel mondo del lavoro di oggi. L’analisi dell’ultimo rapporto sociale del Censis descrive, infatti, la società italiana come una società “replicante”, “ripiegata su sé stessa”: modello in cui si riflette il ripiegamento in ruoli, di fatto, impiegatizi/ subordinati ed il conseguente depotenziamento di un necessario spirito imprenditoriale al fine della ricerca di un proprio autonomo ruolo. Nei giovani avvocati un livello di soddisfazione mediamente scarso relativamente al risultato economico della propria attività professionale, rapportato anche all’impegno di lavoro ed al tempo dedicato alla professione e conseguentemente sottratto alla vita privata, ha determinato l’accettazione, da parte degli stessi, di una situazione che li vede all’interno degli studi legali senza una clientela propria, di fatto, in ruoli impiegatizi. Situazione di grave disagio ed insicurezza che necessita, come emerge con forza dall’approfondita analisi svolta sul punto (all. 1: “Il calvario dei Giovani Avvocati senza Welfare e senza clienti”), di un intervento normativo che, anche attraverso altre esperienze e modelli quale ad esempio quello francese, accolga la richiesta di una maggiore, necessaria, chiarezza e trasparenza in ordine ai rapporti di lavoro di fatto esistenti negli Studi legali. Ferma, tuttavia, la contrarietà alla previsione, di recente introdotta con emendamento alla legge di riforma dell’ordinamento professionale, in discussione al Senato, di rendere compatibile l’impiego privato con l’esercizio della professione. Tale situazione necessita, dunque, di un ormai improrogabile intervento anche attraverso l’individuazione di nuove regole volte ad una programmazione dell’intero apparato della Giustizia, in quanto problema che non può più considerarsi della sola Avvocatura. *** Rivista del Consiglio 127 XXX Congresso Nazionale Forense - Gruppo di lavoro... L’affrontare le problematiche con cui donne e giovani si trovano a dover fare i conti nello svolgimento della professione significa rivolgere particolare attenzione: - all’individuazione di possibili, specifiche, iniziative di sostegno (all. 2). Le non indifferenti spese d’avvio, la lentezza nel raggiungere livelli dignitosamente adeguati di reddito (il reddito medio individuale dei 155 mila avvocati iscritti alla Cassa nel 2009 è stato di poco superiore a 49 mila euro), le difficoltà del “mercato”, particolarmente in momenti di crisi come l’attuale, costituiscono evidenti elementi di criticità e rendono, dunque necessarie, iniziative di sostegno all’avvio della vita professionale come pure al suo corso. In tale prospettiva, occorrono incentivi di natura tributaria a sostegno della professione giovanile nonché per potenziare e favorire l’innalzamento delle qualità delle prestazioni professionali (ad es. attraverso l’eliminazione dei limiti esistenti alla deducibilità delle spese per la formazione professionale continua obbligatoria e delle spese necessarie per affrontare la “nuova frontiera” della specializzazione) ma è, altresì, necessaria l’estensione all’universo professionale delle agevolazioni finanziarie dell’imprenditoria femminile e giovanile (ad esempio, attraverso la istituzione e regolamentazione di un fondo di solidarietà con agevolazioni in conto interesse e a fondo perduto). Senza tralasciare il tema dell’adeguamento degli studi di settore alla realtà professionale, alla congiuntura attuale e soprattutto alla necessità che gli stessi tengano conto della condizione giovanile e del genere. L’attuale momento politico, che vede in discussione la legge sul federalismo ed, altresì, l’apertura del tavolo sulla riforma fiscale, individuando, così, nelle regioni e negli enti locali i soggetti deputati ad individuare, per professionisti e piccole imprese, i livelli di tassazione ed i criteri di deduzione e deducibilità, rende particolarmente importante l’attenzione sulle ripercussioni di tale riforma sulla categoria. 128 Rivista del Consiglio Pari opportunità a cura di R. Altavilla - all’individuazione di nuove modalità di svolgimento della professione (all. 3). Dai dati del Rapporto finale sul Programma di ricerca intervento per le donne avvocato realizzato dal Censis e dalla prima indagine dell’OPGA emerge, infatti, una forte esigenza, avvertita sia dalla avvocatura femminile che dalla giovane avvocatura, di svolgimento della professione in forma organizzata con altri colleghi: esigenza legata non solo all’incremento del reddito ma anche e soprattutto ad una migliore modalità di svolgimento della professione che consenta di dedicare tempo ad iniziative volte a migliorare le proprie prestazioni professionali (mediante l’aggiornamento professionale o la specializzazione) ma anche all’individuazione di spazi per conciliare la professione con gli oneri familiari di cura e di assistenza. Oneri che si auspica siano equamente ripartiti tra generi, nell’ottica di un vero e profondo cambiamento culturale volto a favorire una effettiva conciliazione tra vita familiare e lavorativa nonché pari opportunità tra donne ed uomini. Poiché i modelli organizzativi, oggi disponibili, di svolgimento della professione mal si adattano alle esigenze dell’avvocatura femminile e giovanile, occorre individuare nuovi strumenti associativi e/o societari che consentano di superare i limiti oggi esistenti, rappresentati essenzialmente da un insoddisfacente regime della responsabilità, una disincentivazione fiscale e l’assenza di alcuna politica di sostegno allo start up. A tal fine andrebbero, dunque, favoriti, con una nuova politica fiscale, strumenti atti ad incentivare la creazione di forme associative più semplici ed elastiche ma soprattutto meno onerose sotto il profilo fiscale, con la possibilità di detrazioni per quegli studi di grandi/medie dimensioni che coinvolgano al proprio interno, in forma associativa, avvocati donne e giovani. Rivista del Consiglio 129 XXX Congresso Nazionale Forense - Gruppo di lavoro... - all’individuazione degli spazi e delle esigenze del mercato: orientando la formazione e la specializzazione dei giovani e delle donne in modo da soddisfare le esigenze del mercato nelle specificità delle singole aree geografiche (all. 4). Le giovani avvocate ed giovani avvocati necessitano, infatti, di sostegni espliciti allo svolgimento della loro attività lavorativa per crescere e rafforzare la loro collocazione sul mercato delle competenze legali. Occorre, dunque, conoscere il mercato e le sue esigenze per capire in quali settori ci sia spazio ed orientare, quindi, giovani e donne verso quei settori, attraverso un’attività formativa specifica. In particolare, è stata evidenziata l’importanza della formazione durante il percorso degli studi universitari per stimolare ed orientare i giovani verso materie che possono diventare altrettanti ambiti lavorativi ma anche in “itinere” per trovare una nuova collocazione di competenze nell’ambito della professione. In tale prospettiva, la formazione, attraverso un coinvolgimento diretto di quelli che sono i soggetti del mercato, può porsi, essa stessa, come strumento ed occasione di raccordo tra domanda ed offerta di servizi legali. In un momento in cui gli spazi di mercato per gli Avvocati sono da ogni parte erosi, occorre che l’Avvocatura si attivi per un’analisi economico-sociale dei bisogni così da orientare la formazione e la specializzazione di donne e giovani verso settori che richiedono specifica professionalità e quindi adeguata risposta. A tal fine, potrebbe ipotizzarsi la costituzione di un osservatorio di analisi stabile, osservatorio che potrebbe costituire, di fatto, un’agenzia per facilitare l’“incontro tra domanda ed offerta”. - all’adeguata rappresentanza delle componenti femminili e giovanili all’interno dell’Avvocatura in particolare delle sue istituzioni, attraverso proposte volte all’affermazione di una nuova cultura ed all’eliminazione degli ostacoli sostanziali e formali (all. 5). Il vuoto della rappresentanza di genere nell’Avvocatura costituisce un punto fondamentale in quanto ad esso vuoto si ricollega e da 130 Rivista del Consiglio Pari opportunità a cura di R. Altavilla esso discende la divergenza reddituale, vero squilibrio e punto di criticità in termini di uguaglianza. La prima linea di intervento da cui partire è, dunque, quella della rappresentanza degli interessi delle avvocate e del loro ruolo negli organismi decisionali di categoria. Non è trascurabile, al riguardo, l’imminente approvazione dei due progetti di legge, C. 2426 e C. 2956, in materia di parità di accesso agli organi di amministrazione delle società quotate in mercati regolamentati. La partecipazione equilibrata dei sessi in posizioni di potere e nel processo decisionale è principio democratico che come tale rientra nella carta dei diritti fondamentali: la presenza paritaria di cittadine e cittadini nei contesti decisionali, infatti, non solo consente di dare voce ad istanze altrimenti sconosciute ma rende quella democrazia una vera democrazia per avere attuato un principio fondamentale e cioè il riconoscimento della compresenza paritaria dei due sessi in ogni settore in cui si decide. Già nel 1869 Stuart III sosteneva, infatti, come ogni talento inespresso significhi per una società la rinunzia ad un progresso più rapido e migliore, ovvero egualitario. La necessità di dare sostegno al tema della parità nonché spazio all’ottica di genere nelle politiche decisionali richiede, altresì, una chiara regolamentazione delle Commissioni Pari Opportunità ormai diffuse in modo capillare sul territorio, così da colmare le lacune esistenti in ordine alla natura ed alle funzioni delle stesse. *** In tale quadro, la situazione delle donne e dei giovani che svolgono la professione di avvocato richiede specifiche attenzioni sia all’interno delle istituzioni forensi sia da parte della politica (ed in particolare del legislatore) per l’affermazione dell’indispensabile ruolo degli stessi in un’Avvocatura che sia effettivamente attenta al presente e rivolta al futuro. Molto si può quindi fare, ed in tale linea di rinnovo ed intervento si pone la stessa legge di riforma dell’ordinamento professionale, e molto deve essere fatto dalla stessa categoria dell’Avvocatura in Rivista del Consiglio 131 XXX Congresso Nazionale Forense - Gruppo di lavoro... rapporto necessario con la struttura del paese Italia per la costruzione di uno stato sociale in cui l’Avvocatura sia presente dal di dentro ed in cui Giovani e Donne svolgono già la loro professione in un ruolo di servizio del cittadino (dal patrocinio a spese dello stato alla tutela dei bisogni delle persone). 132 Rivista del Consiglio Pari opportunità a cura di R. Altavilla Xxx Congresso Nazionale Forense Genova 25/27 Novembre 2011 Mozione L’Avvocatura Italiana, oggi gravemente mortificata da politiche inadeguate alle effettive esigenze della collettività e da una congiuntura economica che colpisce tutte le categorie professionali, ritiene necessario rivendicare l’autorevolezza ed il rango costituzionale che le competono, e a tal fine ritiene indispensabile, per la propria dignità e per il proprio prestigio, approntare soluzioni volte ad eliminare ogni disuguaglianza presente nell’attuale sistema, regolamentando con norme positive e prassi virtuose tali fenomeni che ne ledono il decoro, onde realizzare una vera crescita culturale ed etica dell’Avvocatura tutta. Su tali presupposti, in previsione del XXX Congresso Nazionale Forense sono stati istituiti, di concerto tra CNF e OUA, il Gruppo di Lavoro per le Pari Opportunità ed il Gruppo Giovani, i quali congiuntamente hanno predisposto un documento che ha esaminato le principali criticità della professione, dal punto di vista delle donne e dei giovani ed ha tentato di prevedere dei correttivi, atti a superare tutte le forme di disuguaglianza che di fatto ostacolano la piena attuazione del principio di parità nel mondo professionale (a tali gruppi hanno partecipato la Commissione Pari Opportunità del CNF, ed alcuni rappresentanti di OUA, AIGA, Cassa Forense, ANF, AIAF nonché altri componenti di Associazioni Forensi riconosciute dal Congresso). Orbene, considerato che l’analisi, sviluppata in specifiche schede di lavoro, elaborate da sottogruppi compositi, ha evidenziato alcune problematiche comuni, che possono essere sostanzialmente ricondotte a cinque punti: Rivista del Consiglio 133 XXX Congresso Nazionale Forense - Mozione 1) inesistenza di forme di sostegno economico nell’avvio della vita professionale. è di tutta evidenza la carenza di incentivi diretti all’innalzamento delle qualità delle prestazioni tecniche e della formazione deontologica, anche a causa della mancata previsione normativa di agevolazioni finanziarie per le donne ed i giovani Avvocati. A ciò aggiungasi la inadeguatezza degli studi di settore, i quali, oltre a non tener conto dell’attuale congiuntura economica che investe tutto il mondo professionale, tralasciano le obbiettive maggiori difficoltà di donne e giovani; 2) inadeguatezza, alle esigenze di donne e giovani, dei modelli associativi attuali, caratterizzati da un insoddisfacente regime della responsabilità, nonché dalla disincentivazione fiscale e dall’assenza di ogni politica di sostegno dello start up; 3) mancanza di meccanismi di orientamento della professionalità femminile e giovanile verso settori di specializzazione atti a soddisfare le esigenze del mercato, tenuto conto altresì delle singole aree geografiche; 4) mancanza di una specifica regolamentazione della figura professionale di molte donne e molti giovani, i quali spesso all’interno degli studi legali ricoprono ruoli subalterni e pressoché impiegatizi che richiedono un urgente ed appr]]]]ofondito esame della problematica da parte dell’Avvocatura ed un conseguente intervento normativo volto a disciplinare la materia, individuando eventualmente nuove forme professionali, ma escludendo fermamente ogni tipologia di rapporto di lavoro privato subordinato, compatibile con la iscrizione nell’Albo professionale; 5) scarsa rappresentanza delle componenti femminili e giovanili all’interno dell’Avvocatura, soprattutto in relazione alle sedi istituzioni. Tale vulnus si riscontra sovente, anche in presenza di forte suffragio da parte delle Assemblee elettorali in favore di donne e giovani, con ciò scompensando la democraticità in sede decisionale, che potrà essere raggiunta solo attraverso la equilibrata compresenza dei due generi in ogni settore. Ciò premesso, e poiché la situazione delle donne e dei giovani Avvocati richiede particolari attenzioni e correttivi, sia da parte delle Istituzioni a 134 Rivista del Consiglio Pari opportunità a cura di R. Altavilla ciò deputate, che da parte degli Organi politici (e soprattutto del Legislatore), affinché si possa creare una Avvocatura attenta al presente e volta al futuro, l’Avvocatura Italiana, riunita in Assemblea a Genova - XXX Congresso Nazionale Forense, Invita il CNF, l’OUA e la Cassa Forense a proseguire e sostenere il percorso di conoscenza e di analisi scientifica dell’Avvocatura (già avviato dal CNF con il Rapporto CENSIS “Dopo le teorie le proposte” nonché dall’Osservatorio Permanente Giovani), istituendo altresì un nuovo Osservatorio di analisi stabile che individui le esigenze del mercato in relazione alla professione forense, al fine di facilitare l’incontro tra domanda e offerta; Sollecita il CNF e l’OUA A chiedere con fermezza agli Organi Politici: I) di approntare interventi normativi diretti a programmare il numero degli iscritti nelle Facoltà di Giurisprudenza, commisurato alle effettive esigenze del mercato e alle reali possibilità di occupazione; II) di predisporre, in sinergia con l’Avvocatura, ed in sintonia con i principi di chiarezza e trasparenza, una normativa atta a regolamentare i rapporti di lavoro di fatto oggi esistenti negli studi professionali, che in maggior misura coinvolgono donne e giovani; III) di attivare politiche economiche di sostegno all’avvio dell’attività professionale, anche attraverso agevolazioni fiscali e finanziarie. Invita il CNF a promuovere protocolli di intesa con il CSM, diretti a regolamentare secondo principi di chiarezza, trasparenza ed effettiva rotazione, l’affidamento degli incarichi professionali nell’ambito dei Tribunali (fallimenti, ausiliari dei giudici etc), cosicché siano officiati parimenti giovani e donne con idonee competenze. Rivista del Consiglio 135 XXX Congresso Nazionale Forense - Mozione Auspica una formazione professionale mirata ad una qualificazione ed a un orientamento che tengano conto degli effettivi bisogni del mercato e della collettività, chiedendo sul tema l’impegno diretto del CNF e la sua costante sollecitazione, rivolta a tutti gli Ordini locali ad attivarsi in tal senso. Chiede al CNF di predisporre una regolamentazione unitaria delle Commissioni per le Pari Opportunità presso gli Ordini Forensi, favorendo anche la necessaria istituzione di organismi di parità di carattere Distrettuale. Sollecita tutti gli Organi Istituzionali dell’Avvocatura ad intervenire affinché, nel rispetto delle norme Costituzionali e delle Direttive Europee siano previsti meccanismi di riequilibrio che garantiscano democraticamente la necessaria compresenza dei due generi negli ambiti decisionali forensi e nelle rappresentanze delle associazioni, con limitazione dei mandati nelle cariche di vertice e ferma restando la necessità di regole certe in tema di incompatibilità e di divieto di duplicazione degli incarichi istituzionali. 136 Rivista del Consiglio Formazione e Aggiornamento Formazione e Aggiornamento Dal Centro “Michele de Pietro”: un Corso di formazione per gli operatori nel Diritto di Famiglia a cura di Lucio Caprioli Il Centro Studi Giuridici “Michele De Pietro” ha deliberato la progettazione e la organizzazione di un “Corso di formazione” in Diritto di Famiglia e le ha affidate alla Direzione dell’avv. Marcello Marcuccio. La iniziativa è di grande importanza ed è di grande attualità: scontati il valore costituzionale (artt. 29, 30, 31, Cost.), rinnovata ed anzi rigenerata la attenzione agli artt. 143, 144, 147 cod. civ. (pur nel rispetto della loro libertà, si torna a parlare di preparazione e formazione dei nubendi e, con specifico riferimento ai “principi-precetti” di cui agli artt. 30 Cost. e 147 C.C., Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’Uomo, Decreto Conciliare “Gravissimum Educationis”, sulla Educazione cristiana, si giunge addirittura a far cenno ad una esigenza di… Laurea in genitura…! La iniziativa manifesta la opportunità tempistica quando si pensi alle istanze che provengono dalla Avvocatura e dalla Magistratura, dal mondo istituzionale e politico, dalle formazioni di fatto, dalle associazioni, dai movimenti, le quali promuovono sempre più una effettiva “specializzazione” negli operatori (Giudici, Avvocati, Ausiliari), e, nel rispetto della incostituzionalità della istituzione di un nuovo giudice speciale (il “Tribunale per la famiglia”), promuovono almeno un migliore coordinamento delle attribuzioni delle competenze, anche in materia di volontaria giurisdizione, oggi distribuite, Rivista del Consiglio 137 Dal Centro “M. de Pietro”: un Corso di formazione... di L. Caprioli tra varii organi già esistenti, diversamente competenti, della Autorità giudiziaria, sempre in maniera reciprocamente impenetrabile, spesso anche in maniera irrazionale e contraddittoria. Una nota “provocatoria” per organizzatori e studiosi del Corso, nello spirito del preambolo del codice deontologico forense: gli studi e gli approfondimenti non trascurino di occuparsi anche degli ahimè trascuratissimi (ancorché solennemente proclamati) “Diritti della famiglia”: hic et nunc una fonte inesauribile di temi sull’argomento è costituita dal preambolo dello Statuto del Comune di Lecce, il quale, riguardo alla FAMIGLIA dichiara, TRA L’ALTRO, di promuoverne la soggettività giuridica e politica, di favorirne la presenza e la partecipazione reale nei luoghi e nei momenti delle responsabilità decisionali… Stupendo! Ma vuoto flatus, decisamente ignorato, anche solo come mera proclamazione, da tutti, non solo dagli incolti (e tuttavia va sottolineato, drammaticamente, che in quello Statuto non manca, e a conferma di norme di diritti positivo, la indicazione di luoghi e tempi, in cui la previsione è specifica. 138 Rivista del Consiglio Il Foro Salentino A proposito della minaccia di blocco per una disfunzione tecnica A proposito di una esperienza salentina di 35 anni addietro a cura di Lucio Caprioli Rimane fermo l’addebito: la disfunzione c’è. C’è la inammissibile pretesa di introdurre riforme a costo zero, benché esse richiedano necessariamente i nuovi strumenti tecnologici e, coerentemente, nuove professionalità. La responsabilità, secondo il chiaro dettato costituzionale (art. 110 Cost.), appartiene prioritariamente al Governo (nella specie: a tutti i Governi della Repubblica: da sempre), questa… “trascuratezza” è stata rilevata, indipendentemente dal “colore” del Governo in carica, ed una legislazione più recente, promossa da Conferenze “leccesi”, chiama in causa, non senza riferimento al principio di sussidiarietà ed almeno per quanto riguarda la geografia giudiziaria, anche le autonomie locali – Regione, Provincia, Comune – riscuotendo, almeno per ora, solo la assoluta insensibilità di quegli Enti. E rimane sempre valido l’antico monito di Carlo Arturo Jemolo, giurista e storico, secondo il quale, non c’è dubbio che occorrono regole e strumenti adeguati che organizzino la vita nell’Ordinamento e, quindi, della Giustizia, ma occorrono anche, ed anzi soprattutto uomini di buona volontà. Ed un esempio della applicazione pratica del principio etico promosso dallo Jemolo si ha nella esperienza vissuta qui a Lecce, nel Rivista del Consiglio 139 A proposito della minaccia di blocco... di L. Caprioli novembre del 1973, epoca della entrata in vigore della Legge sul “rito del lavoro”. Tale legge introduceva, per la prima volta nella storia, la possibilità della sostituzione delle verbalizzazioni su carta, con la registrazione su nastro (art. 422 C.P.C.); mancavano, però, le professionalità; per altro, non c’erano (e, fino ad oggi, chi li ha mai visti? registratori, nastri, professionalità); il sistema poteva entrare in crisi; esemplare, appunto, è quella sorta di “conferenza di servizi”, promossa dal Consiglio degli Ordini Forensi, presieduta dall’on. Avv. Pietro Lecciso, Presidente pro tempore, ed alla quale parteciparono e procurarono fattivi contributi tutti i responsabili della Giustizia locale, e scongiurò, una paralisi, che appariva come inevitabile. Lupiensis Civis 140 Rivista del Consiglio Ordinamento e Deontologia O r d i n a m en t o e Deontologia Art. 28 - Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il Collega di Raffaele Fatano Non possono essere prodotte o riferite in giudizio le lettere qualificate riservate e comunque proposte transattive scambiate con i colleghi. è producibile la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando sia stato perfezionato un accordo, di cui la stessa corrispondenza costituisca attuazione. è producibile la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando sia stato perfezionato un accordo, di cui la stessa corrispondenza costituisca attuazione. è producibile la corrispondenza dell’avvocato che assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste. L’avvocato non deve consegnare all’assistito la corrispondenza riservata tra colleghi, ma può, qualora venga meno il mandato professionale, consegnarla al professionista che gli succede, il quale è tenuto ad osservare i medesimi criteri di riservatezza. * * * L’art. 28 del Codice Deontologico tratta un argomento di grande rilievo pratico: la producibilità in giudizio e, comunque, la riservatezza sulla corrispondenza scambiata con il Collega. Nonostante il chiaro tenore letterale della norma deontologica la stessa, il più delle volte, è totalmente ignorata o liberamente interpretata sicché è frequente ritrovare su riviste specialistiche massime del seguente tenore «Pone in essere un comportamento disciplinarmente Rivista del Consiglio 141 Art. 28 - Divieto di produrre la corrispondenza... di R. Fatano rilevante il professionista che utilizzi in giudizio una missiva inviatagli dal collega di controparte, definita “riservata personale”, contenente una proposta transattiva, atteso che la corrispondenza scambiata tra colleghi prima o durante il giudizio, avente ad oggetto argomenti afferenti al merito della controversia, è coperta dal dovere di riservatezza con divieto di produzione nella causa. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Lucca 6 aprile 2005)». (cfr. CNF 5/10/2006 n. 66) La norma, che è collocata nel Titolo II – Rapporto con i Colleghi, ha come finalità quella di tutelare l’affidamento e la lealtà nei rapporti interprofessionali nel senso che il mittente non deve essere condizionato dal timore o dalla preoccupazione che il contenuto della corrispondenza riservata, che potrebbe contenere anche ammissioni in ordine alla res litigiosa, venga divulgato ovvero che il proposito transattivo, contenuto nella lettera, possa essere valutato in giudizio. è chiaro che questo timore, ove il precetto non esistesse e non fosse adeguatamente sanzionato in caso di violazione, condizionerebbe fortemente i rapporti tra colleghi scoraggiando qualunque forma di contatto finalizzato al raggiungimento di un accordo. La norma, pertanto, evidenzia anche un’altra finalità che è quella della attuazione della sostanziale difesa dei clienti, attraverso la leale coltivazione di ipotesi transattive. è questa la ragione per la quale non solo è insignificante, ai fini del divieto, che la lettera sia stata scritta “in nome e per conto” rilevando, semplicemente, che sia indirizzata ad un collega e non alla parte personalmente; in quest’ultimo caso, infatti, sarebbe liberamente producibile sia dal mittente che dal destinatario. In ogni caso una lettera non è producibile in giudizio neanche quando, pur non recando la dizione “riservata personale” o altra similare, contenga proposte transattive: «Pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante il professionista che produca in giudizio una lettera inviatagli dal collega di controparte e contenente una proposta transattiva. La riservatezza, infatti, colpisce non solo tutte le comunicazioni espressamente dichiarate riservate ma anche le comunicazioni scambiate fra avvocati nel corso del giudizio, e quelle anteriori allo stesso, quando le stesse contengano esposizioni di fatti, illustrazioni di ragioni e proposte a carattere transattivo ancorché non dichiarate espressamente “riservate”. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bergamo, 18 febbraio 1997)». 142 Rivista del Consiglio Ordinamento e Deontologia Né la produzione in giudizio può essere giustificata dalla tutela degli interessi dell’assistito come pure ha ritenuto il Consiglio dell’Ordine di Genova che, in un parere espresso nella seduta del 26/4/2007, ha affermato che la corrispondenza riservata potrebbe essere eccezionalmente prodotta in tutti quei casi in cui costituisca l’unico modo per provare e tutelare gli interessi dell’assistito rappresentando l’unico mezzo per controbattere le affermazioni rese in giudizio dalla controparte. Il principio espresso, tuttavia, non sembra condivisibile e non è stato condiviso dal Consiglio dell’Ordine di Roma che, confortato dal Consiglio Nazionale Forense, ha sanzionato un avvocato che, nell’ambito di un procedimento per separazione giudiziale coniugi, aveva prodotto in giudizio una lettera, qualificata come riservata personale, nella quale il collega avversario riferiva la consistenza del patrimonio di ciascuno dei coniugi specificando in particolare il valore di alcune quote societarie. Il CNF, nel confermare la decisione, ha chiarito che «La produzione in giudizio di una lettera qualificata riservata personale non diviene priva di rilevanza disciplinare allorquando il suo contenuto sia comunque processualmente acquisito sulla base degli scritti difensivi e della prova documentale, i quali siano tali da far perdere alla corrispondenza il carattere di riservatezza rendendola altresì ininfluente ai fini della decisione. La lettura sistematica dell’art. 28 c.d.f. non consente invero di valutare, ai fini disciplinari, l’utilità e l’influenza della produzione della corrispondenza scambiata fra avvocati, rilevando la sola considerazione che l’avvocato abbia scritto ed inviato quella specifica lettera con la volontà espressa di mantenerla nello stretto ambito di personale colleganza. La lettera riservata personale costituisce esercizio di una libertà svincolata da ogni valutazione circa la scelta fatta da chi ha espressamente voluto la riservatezza, ed è soltanto l’autore che può sciogliere il vincolo della riservatezza, fatta eccezione per l’ipotesi in cui il contenuto della corrispondenza risulti illecito.» (cfr. CNF 13/12/2010 n. 198). Lo stesso Consiglio, in motivazione, ha poi spiegato che andando di diverso avviso si tradirebbero, violandoli, i principi cardine della libertà, indipendenza e autonomia dell’avvocato. Altra problematica di carattere generale che ha formato oggetto di un parere reso dal CNF in data 14/1/2011 riguarda il caso in cui Rivista del Consiglio 143 Art. 28 - Divieto di produrre la corrispondenza... di R. Fatano l’avvocato sia destinatario di corrispondenza riservata che contenga espressioni offensive ed ingiuriose nei suoi confronti ovvero nei confronti del proprio cliente e, in particolare, se detta corrispondenza possa essere utilizzata a tutela delle proprie ragioni e/o di quelle del cliente. Il Consiglio, sul presupposto che la riservatezza intesa come divieto di produrre in giudizio la corrispondenza non può ritenersi causa di giustificazione di eventuali reati, ha ritenuto che l’avvocato abbia diritto di svolgere le azioni civili e/o penali e/o disciplinari, qualora ritenga di essere stato offeso e/o ingiuriato, e, trattandosi di legittimo esercizio di un diritto, di utilizzare la lettera. Con riferimento al cliente, invece, pur ritenendo che l’avvocato sarebbe legittimato a chiedere l’intervento del Consiglio per la violazione dell’art. 20 (divieto di utilizzare espressioni offensive nei confronti di chiunque) ha ritenuto che l’avvocato non sarebbe legittimato a consegnare la corrispondenza riservata al proprio cliente. La seconda conclusione suscita qualche perplessità che merita di essere approfondita perché l’avvocato ha il dovere d’informare il proprio cliente circa il contenuto della corrispondenza riservata pur essendogli vietato di consegnarne copia. è superfluo precisarlo ma i principi espressi valgono anche quando l’avvocato è difensore di se stesso perché, in tal caso, egli assume la duplice veste di parte e di avvocato con la conseguenza che deve rispettare le regole che disciplinano l’attività ed i comportamenti di ciascuna delle due qualità e, quindi, anche il divieto di cui all’art. 28 C.D. (cfr. CNF 13-09-2006, n. 49). L’interpretazione dei canoni complementari non ha creano particolari problematiche. Vale la pena di evidenziare, con riferimento alla documentazione da consegnare al cliente alla fine di un incarico, che l’art. 28 disciplina il caso della corrispondenza riservata senza nulla dire con riferimento alla corrispondenza scambiata con il collega, non qualificata né qualificabile come riservata. Sebbene questa documentazione non rientri tra quella che deve essere restituita al cliente (cfr. art. 42 C.D. «documentazione dalla stessa ricevuta») non v’è dubbio che l’avvocato sia tenuto a consegnare al cliente la corrispondenza non riservata se e nella misura in cui la stessa risulti attinente e funzionale alle esigenze di difesa. 144 Rivista del Consiglio Ordinamento e Deontologia A conclusione di queste brevi considerazioni di carattere generale può essere utile, senza pretesa di completezza, soffermarsi su alcune delle situazioni più frequenti che, nella pratica di tutti i giorni, possono presentarsi, per tentare di proporre una risposta che, tuttavia, dovrà essere verificata caso per caso. 1) Il divieto di cui all’art. 28 C.D. si riferisce alla corrispondenza trasmessa per lettera, per telefax, per posta elettronica ed anche ai colloqui intercorsi con Colleghi. è stato, infatti, evidenziato che il dovere di riservatezza e di segreto tutela sia la corrispondenza scambiata con il collega che il contenuto dei colloqui verbali (anche telefonici) (cfr. C.N.F. 28-03-1992, n. 39). 2) Il divieto di cui all’art. 28 C.D. si riferisce alla corrispondenza scambiata in relazione al merito della controversia sia prima che durante il giudizio ed investe, per intero, il contenuto della lettera dovendosi escludere la possibilità di una produzione parziale o frazionata. 3) La corrispondenza inviata “per conoscenza” anche a terze persone è liberamente producibile venendone meno il carattere confidenziale. 4) è producibile la corrispondenza il cui naturale destinatario sia la controparte come nel caso in cui si chieda il pagamento di una somma, si formuli una diffida ovvero la corrispondenza sia finalizzata ad evitare prescrizioni o decadenze (cfr. art. 27 C.D.) In questi casi, com’è noto, la lettera può essere indirizzata alla parte personalmente ma la norma impone che la lettera sia inviata, per conoscenza, anche al legale. Qualche problema potrebbe sorgere qualora la lettera contenesse oltre che la diffida ad adempiere anche una proposta transattiva. Al riguardo, tuttavia, ferma restando l’opportunità di scrivere due lettere distinte, si può ritenere, a ben vedere, che la lettera sia liberamente utilizzabile proprio perché indirizzata anche alla parte personalmente che non è tenuta al rispetto del codice deontologico. 5) è producibile la corrispondenza inviata e dichiarata espressamente “non riservata” così come è producibile la corrispondenza riservata per la quale sia intervenuto esplicito assenso Rivista del Consiglio 145 Art. 28 - Divieto di produrre la corrispondenza... di R. Fatano alla produzione da parte del mittente. è, invece, da escludere che il Consiglio dell’Ordine, richiesto dall’interessato, possa autorizzare la produzione in giudizio di corrispondenza da ritenersi riservata. 6) La corrispondenza alla quale il mittente faccia riferimento nelle sue difese ed argomentazioni, secondo taluni, sarebbe liberamente producibile. 7) è vietato chiedere la esibizione in giudizio di documenti di cui si sia avuta conoscenza attraverso corrispondenza riservata. Con riferimento, infine, alle conseguenze derivanti dalla violazione dell’art. 28 C.D. il suo accertamento comporterà l’applicazione di una sanzione disciplinare che sarà graduata in relazione alla gravità del comportamento, all’eventuale danno per la controparte e alla reiterazione dei comportamenti. De iure condendo, per rafforzare il precetto e le finalità che lo sorreggono, basterebbe prevedere l’inutilizzabilità della corrispondenza riservata scambiata tra avvocati e prodotta in giudizio. Tuttavia una prospettiva che suscita interesse e provoca qualche preoccupazione è quella della responsabilità civile del difensore per l’infrazione della norma deontologica che muove dal principio, affermato in modo netto e chiaro dalla Cassazione nella sentenza n. 26810 del 20/12/2007, che le norme del codice deontologico forense sono fonti normative e non soltanto regole interne della categoria e che, come tali, sono soggette al controllo in Cassazione ai sensi del n. 3 dell’art. 360 cpc per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Non v’è dubbio che il passaggio della qualificazione della norma deontologica da «regola interna della categoria» a «fonte normativa» non è privo di conseguenze, e va attentamente valutata per le potenzialità che essa ha di estendere il campo della responsabilità civile dell’avvocato (cfr. G. Scarselli in F.It. 2009 n. 11 col. 3167 ss). 146 Rivista del Consiglio La Previdenza forense La Previdenza forense La riforma della previdenza forense. Trattamenti pensionistici di Vittorio Mormando Con decreto Ministeriale del 18 dicembre 2009 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31/12/2009) il Ministero del Lavoro, di concerto con i Ministeri dell’Economia e della Giustizia (Ministeri vigilanti sulla Cassa) ha approvato i nuovi regolamenti per le prestazioni previdenziali e per i contributi che costituiscono e realizzano la riforma del sistema previdenziale predisposto dal Comitato dei Delegati di Cassa Forense per assicurare il mantenimento dell’attuale sistema pensionistico ed assistenziale e per assicurare la sostenibilità finanziaria dell’Ente per i prossimi cinquanta anni. Prima di esporre i contenuti della riforma in tema di trattamenti pensionistici, ritengo necessario spiegarne le ragioni che l’hanno determinata. Al riguardo nel mondo dell’Avvocatura si sono diffuse le più disparate voci e, principalmente, critiche per gli Amministratori e Delegati della Cassa. Per capire la vera ratio della riforma bisogna prendere le mosse dalla L. 576/80 che è la legge base della previdenza forense. Con tale legge, infatti, venne impostato il sistema previdenziale forense che è durato sostanzialmente invariato (salvo gli inevitabili aggiustamenti) sino all’attuale riforma. Gli attuari ed amministratori dell’epoca studiarono la normativa trovandosi in questa situazione: Iscritti alla Cassa: 45.000 di cui il 65% uomini ed il 35% donne; Età media di un uomo: 72 anni, età media di una donna 78 anni. La situazione al 2008 era radicalmente cambiata: Iscritti alla Cassa 145.000 di cui 60% donne, 40% uomini; Età media di un uomo 78 anni, età media di una donna 83 anni. Alla luce di tali semplici dati risulta evidente che la Cassa non poteva Rivista del Consiglio 147 La riforma della Previdenza forense... di V. Mormando continuare ad erogare trattamenti pensionistici sulla base degli stessi principi del 1980 pena il default che si sarebbe verificato nel 2027 (esaurimento completo del patrimonio). Per risolvere il grave problema ai Delegati si prospettavano due strade: o mantenere l’attuale sistema (con le ovvie modificazioni sul piano dell’età pensionabile e della misura della contribuzione) ovvero passare dal sistema retributivo a quello contributivo. La discussione è stata lunga e travagliata in quanto c’era chi intendeva mantenere l’attuale sistema e chi (delegati del Nord e giovani avvocati) preferiva passare al sistema contributivo. Il passaggio a tale secondo criterio avrebbe assicurato stabilità eterna alla Cassa. Le conseguenze sarebbero state certamente molto gravi. Infatti la Cassa sarebbe diventata una normale compagnia di assicurazione in quanto si sarebbero erogate pensioni in base al rendimento degli importi versati dagli iscritti (tanto mi hai versato – tanto ha reso il capitale che hai versato – tanto ti erogo di pensione). Oltre alla riduzione drastica delle pensioni rispetto a quelle attuali (mediamente il 60% in meno) una riforma in tal senso avrebbe fatto venire meno un fine fondamentale che sta alla base della stessa esistenza della Cassa: l’assistenza. La Cassa, infatti, non avrebbe potuto erogare somme a titolo di assistenza in quanto non avrebbe potuto sottrarre agli iscritti somme da destinare ad assistenza (se non in maniera limitatissima). Basti pensare all’assistenza in caso di bisogno erogata tramite i Consigli dell’Ordine, all’assistenza indennitaria in caso di malattia ed infortunio, alle pensioni indirette erogate ai superstiti dopo cinque anni di iscrizione alla Cassa ecc. Ed allora il Comitato dei delegati, chiamato a decidere preliminarmente a scegliere tra mantenimento del sistema retributivo e passaggio al sistema contributivo, con votazione a larghissima maggioranza (53 a 23) ebbe a scegliere di mantenere l’attuale sistema retributivo. Effettuata la scelta di fondo era necessario assicurare la sostenibilità economica per un numero adeguato di anni. A questo punto si inserisce la disposizione di cui al comma 763 dell’art 1 della legge finanziaria del 31/12/2007. Tale norma imponeva ed impone alle Casse di Previdenza dei liberi professionisti di assicurare la sostenibilità finanziaria per 30 anni. Ma il Comitato dei Delegati si è dato da subito il compito di raggiungere con la riforma una sostenibilità di almeno 50 anni. 148 Rivista del Consiglio La Previdenza forense Era evidente che per raggiungere tale obiettivo bisognava agire su due linee: una l’aumento dell’età pensionabile e corrispondente aumento degli anni di iscrizione (effettiva iscrizione e contribuzione) e l’altra l’aumento dei contributi (soggettivo ed integrativo). Questi sono i principi e la storia degli eventi che hanno portato alla riforma del sistema previdenziale e ne ha assicurato la sostenibilità ben oltre i cinquanta anni consentendo alla Cassa di continuare a svolgere anche il fondamentale fine dell’assistenza. Passiamo ora all’esame del contenuto della riforma in tema di prestazioni pensionistiche. REGOLE GENERALI DEI TRATTAMENTI PENSIONISTICI: • Tutte le pensioni sono corrisposte su domanda degli aventi diritto. • I trattamenti pensionistici decorrono dal primo giorno del mese successivo a quello in cui è avvenuta la presentazione della domanda per le pensioni di invalidità, inabilità e di vecchiaia contributiva. • I trattamenti pensionistici decorrono dal primo giorno del mese successivo all’evento da cui nasce il diritto, per le pensioni di vecchiaia, reversibilità e indiretta indipendentemente dalla data della domanda (salva, ovviamente, la prescrizione). • Ai fini del diritto a pensione si calcolano, per intero, l’anno solare in cui ha avuto decorrenza l’iscrizione (ad esempio se l’iscrizione è avvenuta il 31 dicembre si calcola per intero l’anno relativo) e l’anno in cui si maturano i requisiti per l’ammissione al trattamento (anno a quo ed anno ad quem computator). • Gli anni oggetto di riscatto e/o ricongiunzione regolarmente adempiuti, sono equiparati ad ogni effetto agli anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa. Pensione di vecchiaia - Età pensionabile L’età pensionabile è stata elevata da 65 a 70 anni e ciò gradualmente secondo la seguente progressione: Rivista del Consiglio 149 La riforma della Previdenza forense... di V. Mormando ANNI SOLARI DI PENSIONAMENTO ETà MINIMA 2011 – 2013 66 2017 – 2018 68 2014 – 2016 2018 – 2020 2021 67 69 70 ANZIANITà MINIMA 31 32 33 34 35 È possibile, tuttavia, anticipare a 65 anni la pensione, sempre che si siano maturati gli anni di anzianità minima (anni di effettiva iscrizione e contribuzione). In tale caso l’importo della pensione sarà ridotto del 5% per ogni anno di anticipo – esattamente lo 0,41% per ogni mese di anticipazione che corrisponde ad un 5% annuo – (esempi: Un collega che nel 2012 compie i 65 anni di età ed ha maturato almeno 31 anni di effettiva iscrizione e contribuzione, può andare in pensione ottenendo una pensione pari al 95% di quella intera – altro esempio: un collega che nel 2017 compie 65 anni di età ed ha maturato almeno 33 anni di effettiva iscrizione e contribuzione, può andare in pensione ottenendo una pensione pari all’85% di quella intera – altro esempio: un collega che nel 2022 compie 65 anni di età ed ha maturato almeno 35 anni di effettiva iscrizione e contribuzione può andare in pensione ottenendo una pensione pari al 75% di quella intera). Tale criterio trova una sostanziale mitigazione per effetto dell’emendamento proposto da Dario Lolli e da chi scrive il presente articolo ed approvato con notevole difficoltà dal Comitato dei Delegati. La norma introdotta prevede che i colleghi che abbiano maturato almeno 40 anni di effettiva iscrizione e contribuzione possono andare in pensione al compimento di 65 anni di età senza alcuna riduzione percentuale. Per “utilizzare” al meglio la normativa di cui sopra il suggerimento che mi sento di dare è che i colleghi verifichino la loro posizione previdenziale e provvedano a far decorrere l’iscrizione dall’anno in cui hanno compiuto 25 anni (nel calcolo degli anni di iscrizione l’anno iniziale si computa così come si computa l’anno di maturazione dei requisiti) provvedendo a riscattare gli anni mancanti. Ovviamente, per chi si trova nelle condizioni relative, consiglio di utilizzare la ricongiunzione di periodi contributivi con altri enti previdenziali precedenti a quelli di iscrizione alla Cassa Forense. In tema di riscatto desidero effettuare una breve digressione ricordando che l’importo del riscatto è interamente deducibile fiscalmente e può essere 150 Rivista del Consiglio La Previdenza forense rateizzato in cinque anni con il pagamento di interessi del 2,5%. Per valutare la convenienza o meno del riscatto basta effettuare un breve calcolo tra il costo del riscatto e l’importo della percentuale di pensione non decurtata che si otterrebbe dai 65 anni all’anno di pensione piena: ovviamente tanto più conveniente sarà il riscatto quanti più anni di pensione non decurtata si otterrebbero. Supplementi di pensione: Il supplemento di pensione è stato abolito Infatti per le pensioni erogate dopo il 1° gennaio del 2021 non sono previsti supplementi di pensione. L’attuale normativa si applica solo per le pensioni maturate (maturazione dei requisiti indipendentemente dalla data di liquidazione) alla data del 31 dicembre 2010. Per le pensioni maturate dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2020, le disposizioni transitorie prevedono: ANNO DI DECORRENZA PENSIONE 2011 – 2013 2014 – 2016 2017 – 2018 2019 – 2020 DECORRENZA SUPPLEMENTO Dopo quattro anni dal pensionamento Dopo tre anni dal pensionamento Dopo due anni dal pensionamento Dopo un anno dal pensionamento Il supplemento è, comunque, dovuto dal mese successivo alla cancellazione dagli albi e viene liquidato con il sistema contributivo. Calcolo della pensione: Anche la media dei redditi da prendere in considerazione ai fini della determinazione (attualmente i migliori 20 degli ultimi 25) della pensione, è stata modificata ampliandola al fine di “raffreddare” l’importo della pensione. La media dei redditi deve comprendere, quindi, almeno 30 anni. Non è prevista l’esclusione dei peggiori cinque redditi professionali qualora gli anni di iscrizione maturati siano inferiori a: 25 anni fino al 31 dicembre 2010; 26 anni fino al 31 dicembre 2013; 27 anni fino al 31 dicembre 2016; 28 anni fino al 31 dicenbre 2018, 29 anni Rivista del Consiglio 151 La riforma della Previdenza forense... di V. Mormando fino al 31 dicembre 2020 30 anni dal 1° gennaio 2021. Il calcolo della pensione è stato, ovviamente, modificato seguendo sempre il principio del pro rata. Per le pensioni erogate dal 1° gennaio 2010 il coefficiente di calcolo sarà applicato, per gli anni antecedenti, con le precedenti regole e per gli anni dal 2010 compreso in poi con le nuove regole SCAGLIONE DI REDDITO €. 0 - €. 42.550 COEFFICIENTE VIGENTE 1,75% €. 42.550 - €. 64.000 1,50% €. 64.000 - €. 74.500 €. 74.500 - €. 85.250 (tetto pensionabile) 1,30% 1,15% NUOVO COEFFICIENTE 1,50% 1,50% 1,20% 1,20% PENSIONE DI ANZIANITà Il Comitato dei Delegati nella nuova normativa relativa al Regolamento delle prestazioni previdenziali, è intervenuto sulla pensione di anzianità procedendo ad un “raffreddamento” innalzando sia l’età minima che l’anzianità minima (attualmente 58 anni di età e 36 anni di anzianità). La progressione è la seguente: ANNI SOLARI PENSIONAMENTO ETA’ MINIMA ANZIANITA’ MINIMA 2012 – 2013 58 36 2016 – 2017 60 38 2014 – 2015 2018 – 2019 2020 59 61 62 37 39 40 Desidero ricordare che la pensione di anzianità comporta la cancellazione dall’Albo (Cassazione compresa) e può essere liquidata, una volta deliberata, solo a cancellazione avvenuta. Conseguentemente l’eventuale reiscrizione all’albo comporta la sospensione dell’erogazione della pensione. 152 Rivista del Consiglio La Previdenza forense TRATTAMENTO MINIMO Una importantissima innovazione è stata apportata con riferimento al trattamento minimo. Come ritengo sia noto, la Cassa erogava trattamenti pensionistici non inferiori ad un importo minimo che per l’anno 2008 è stato di € 10.160,00. L’erogazione del trattamento minimo rientra tra i trattamenti assistenziali in quanto la Cassa per poter erogare un trattamento al minimo deve attingere a fondi propri non essendo evidentemente sufficienti le somme versate dall’avvocato nel corso della vita professionale. Rientrando l’istituto della pensione minima tra i trattamenti assistenziali il Comitato dei Delegati ha ritenuto necessario far conseguire all’avvocato o all’avente diritto tale trattamento nel caso di sussistenza di un effettivo stato di necessità; legando, quindi, tale trattamento all’ipotesi che l’avente diritto non disponga in ambito familiare (lui e la moglie) di un reddito inferiore a tre volte il trattamento minimo (quindi € 30.480,00). In tale ipotesi l’integrazione al minimo viene calcolata solo per la differenza sino al raggiungimento di tale importo. PENSIONE DI INABILITà – PENSIONE DI INVALIDITà Il Comitato dei Delegati, interpretando nel modo migliore e più pieno il ruolo effettivamente assistenziale della Cassa è intervenuto in maniera forte in tema di pensioni di inabilità e di invalidità dimezzando da dieci a cinque gli anni di iscrizione alla Cassa sufficienti per ottenere un trattamento pensionistico per eventi (malattia e/o infortunio) che abbiano determinato l’impossibilità a svolgere attività professionale (inabilità) o l’abbiano ridotta a meno di un terzo (invalidità). Mentre con la pensione di invalidità l’avvocato può proseguire l’attività professionale, per la pensione di inabilità l’avvocato dovrà cancellarsi dagli Albi. Entrambi i trattamenti pensionistici si ottengono sempre che l’avvocato sia iscritto alla Cassa prima del quarantesimo anno di età. Entrambe le pensioni vengono erogate nel rispetto dei minimi (la pensione di invalidità è ridotta del 30% rispetto alla pensione piena). Rivista del Consiglio 153 La riforma della Previdenza forense... di V. Mormando PENSIONI DI REVERSIBILITà ED INDIRETTE La pensione di reversibilità e quella indiretta spettano al coniuge superstite, anche se titolare di altra pensione e/o altri redditi ed ai figli minori fino al compimento degli studi e, comunque, sino al compimento del 26° anno di età. La pensione reversibilità ha come presupposto che l’avvocato fosse titolare di pensione o avesse maturato il diritto a pensione, mentre la pensione indiretta spetta quando l’avvocato non aveva ancora maturato il diritto a pensione quando l’evento morte sia intervenuto dopo solo dieci anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa. Anche a tali trattamento viene riconosciuto il minimo pensionabile. PENSIONE DI VECCHIAIA CONTRIBUTIVA Da ultimo tratto la pensione di vecchiaia liquidata con il metodo contributivo. Tale pensione è stata introdotta per venire incontro a tutti gli avvocati che, per varie ragioni (il più delle volte perché avevano svolto altre attività ed, una volta ottenuto o maturato un diritto ad un trattamento pensionistico avevano scelto di fare gli avvocati) si sono iscritti alla Cassa avanti negli anni ed ad un’età tale che non avrebbe permesso loro di maturare un trattamento pensionistico di anzianità o vecchiaia. La pensione viene determinata sulla base del rendimento dei contributi versati per un arco di tempo non inferiore a cinque e sempre che l’avvocato abbia raggiunto l’età pensionabile 65 o età maggiore in ragione di quella prevista con la riforma. La pensione si consegue esclusivamente su domanda ed a partire dal primo giorno del mese successivo alla domanda stessa anche se il diritto è stato maturato precedentemente. La pensione contributiva non da diritto a supplementi di pensione anche se l’avvocato prosegue l’attività professionale, fermo restando l’obbligo per lo stesso di versare il contributo soggettivo previsto per i pensionati di vecchiaia. La pensione di vecchiaia contributiva, ovviamente, non da diritto all’integrazione al minimo ed è, però, reversibile alla vedova ed altri superstiti. 154 Rivista del Consiglio La Previdenza forense PENSIONE MODULARE La grande novità della riforma è costituita dall’introduzione di una pensione modulare per integrare il trattamento pensionistico di base. Chiarisco subito che sono molto scettico su tale innovazione che è stata introdotta più per mediare con il ministero del lavoro che spingeva per forme di previdenza integrativa che per effettivi benefici per la categoria. In buona sostanza la pensione modulare prevede che l’avvocato debba versare un uno per cento obbligatorio del proprio reddito che genererà una pensione aggiuntiva (che non potrà che essere modestissima per non dire insignificante) liquidata con il sistema contributivo. L’avvocato, potrà versare volontariamente una percentuale fino al 9% del proprio reddito che andrà a formare un montante economico che sarà liquidato con il criterio contributivo sulla base di un rendimento non inferiore al 2,50%. Non credo che tale forma di pensione integrativa possa avere successo e sarà utilizzata da pochissimi avvocati con guadagni milionari, ma non certamente dalla generalità dei colleghi, specie dei giovani alle prese con le difficoltà di una professione che sta diventando sempre meno gratificante anche sul piano economico. Rivista del Consiglio 155 Ex Foro Rubrica di Giurisprudenza Salentina a cura di Vito Lubelli Introduzione Il fondo patrimoniale, oggetto del secondo numero della rubrica Ex foro, è un tema tanto dibattuto quanto ostico: più si amplia la sua diffusione quale istituto di salvaguardia delle esigenze familiari, più si registrano conflitti tra classi di creditori e tra creditori e debitore, in misura equivalente al crescere dell’utilizzo distorto del fondo come strumento di elusione della garanzia patrimoniale disposta dall’art. 2740 cod. civ. (a latere le crescenti discussioni sul superamento del dogma ivi sancito). Il fondo patrimoniale, disciplinato nella sua natura costitutiva dalle norme ex art. 167 cod. civ. e nei suoi fondamentali effetti dalla (ermetica) regola di cui all’art. 170 cod. civ., costituisce com’è noto una forma di patrimonio su cui è impresso un vincolo di destinazione, ad sustinenda onera matrimonii, avente l’effetto di separare i beni conferiti dai singoli patrimoni dei soci conferenti e perciò sottrarre i primi all’esecuzione dei creditori ordinari. Ma la prassi applicativa del fondo ha sollevato, dai tribunali di merito fino alle Sezioni Unite, numerosi problemi: nel rapporto tra annotazione nei registri matrimoniali e trascrizione nei registri immobiliari, con riferimento al regime della pubblicità e della opponibilità ai terzi; nei limiti all’esperibilità dell’azione revocatoria e alla legittimazione passiva nel giudizio che ne consegua; nelle analogie e divergenze tra il fondo e l’istituto del trust; per tacere delle questioni fallimentari, notarili, di imposizione fiscale e via discorrendo. Non è questa, tuttavia, la sede per dare conto di tutti gli orientamenti e le pronunce che si sono susseguiti negli anni a partire dalla 156 Rivista del Consiglio Ex Foro riforma del diritto di famiglia; si può però fornire un quadro dei provvedimenti con i quali sono stati risolti taluni dei quesiti sottoposti all’attenzione dei giudici del distretto leccese. Intento della presente rubrica è, infatti, offrire una sintetica ma selezionata panoramica per argomento di sentenze emanate nel distretto della Corte d’Appello di Lecce, allo scopo di proporre in chiave ragionata una rassegna di decisioni che diano al giurista la possibilità di conoscere gli orientamenti della nostra giurisprudenza in una materia specifica. ***** 1. Costituzione e cessazione del fondo (Trib. Minorenni Lecce, 25.11.1999, Trib. Min. Lecce, 17.4.2002). 2. Annotazione e trascrizione nei registri (Trib. Brindisi, 10.12.2001; Cass. civ. Sez. III, 8.10.2008, n. 24798). 3. Garanzia patrimoniale e opponibilità ai creditori: i conflitti intorno all’art. 170 cod. civ. (sul conflitto con il creditore ipotecario, Trib. Taranto, 15.9.2008). 4. Sull’azione revocatoria: Trib. Taranto, 22.3.1999; App. Lecce, 12.2.2001; Cass. civ. Sez. I, 7.3.2005, n. 4933; Trib. Lecce, 11.2.2010, n. 390. 5. Un’ipotesi di esecuzione promossa dal figlio: App. Lecce, 20.3.2001. 6. Un problema di legittimazione: Cass. civ. Sez. I, 29.11.2000, n. 15297. 7. Uno spunto notarile: nullità della procura generale contenente la facoltà di costituire fondi patrimoniali (Commissione amministrativa regionale di disciplina della Puglia, 21.1.2008, con nota in Resp. civ., 2008, 10, 775). ***** Rivista del Consiglio 157 Rubrica di Giurisprudenza Salentina a cura di V. Lubelli 1. Costituzione e cessazione del fondo Il fondo patrimoniale è un regime complementare costituibile da uno o entrambi i coniugi, durante e dopo il matrimonio, o anche per testamento del terzo (e avrà natura di legato) ovvero con un atto di liberalità inter vivos, salva l’accettazione, pure posteriore, dei beneficiari, attraverso il conferimento di beni immobili, mobili registrati o titoli di credito da vincolare con la relativa annotazione; l’atto di costituzione è sempre pubblico; la causa – in dottrina si parla in generale di negozi causa familiae – consiste nella generica necessità di provvedere ai bisogni della famiglia, in particolare grazie ai frutti che dal fondo possono ritrarsi, come pigioni, interessi o rendite, giusta la disposizione dell’art. 168² cod. civ. La proprietà dei beni conferiti in fondo si presume comune, salva espressa deroga nell’atto di costituzione: il costituente (coniuge o terzo) può riservarsi la proprietà dei beni conferiti, che, pur essendo soggetti fino alla cessazione del fondo al relativo vincolo di destinazione, nonché alle regole di gestione e di responsabilità patrimoniale di cui agli artt. 168 e ss., non usciranno dal suo patrimonio, generando una scissione tra titolarità e godimento analoga a quella della costituzione di un usufrutto a favore dei coniugi; parimenti, i beni del fondo si amministrano disgiuntamente per l’ordinaria amministrazione, congiuntamente per gli atti eccedenti, secondo le regole della comunione legale (artt. 168³ e 180 cod. civ.). Il fondo patrimoniale può cessare sia per vicende attinenti al rapporto matrimoniale in senso stretto, che per fatti diversi. Rientrano nella prima ipotesi l’annullamento, la dichiarazione di nullità, lo scioglimento in generale (p.e. per separazione o morte) e la cessazione degli effetti civili del matrimonio (art. 171¹ cod. civ.). Si ascrivono alla seconda ipotesi il compimento della maggiore età dell’ultimo figlio, il fallimento di un coniuge stante la riserva ex artt. 171, co. 4, e 191¹ cod. civ., le eventuali ipotesi residue, ove applicabili, dettate in tema di comunione legale. Uno dei provvedimenti più importanti e citati è la sentenza con la quale il Tribunale per i Minorenni di Lecce ha chiarito che “al fondo patrimoniale è applicabile la normativa generale, che prevede 158 Rivista del Consiglio Ex Foro la modificabilità delle convenzioni matrimoniali. Pur in mancanza di un’espressa previsione di legge, pertanto, è ammissibile lo scioglimento del fondo patrimoniale per espressa volontà manifestata in tal senso dai costituenti. Nel caso in cui vi siano figli minori, è competente, per l’autorizzazione, il tribunale dei minorenni” (Trib. Minorenni Lecce, 25 novembre 1999). Il giudice minorile, accogliendo implicitamente i suggerimenti della dottrina maggioritaria, ha invertito – seppure in un panorama di scarse pronunce – quell’orientamento che riteneva non fosse consentito ai coniugi risolvere consensualmente il “regime del patrimonio familiare” (così si esprime Trib. Catania 12 dicembre 1990, nota di Torrisi, Dir. famiglia 1991, 1013); si riteneva infatti che l’elencazione dell’art. 171 c.c. avesse carattere tassativo. Secondo una preferibile opinione intermedia, occorre invece distinguere se ci siano o meno dei figli: nel primo caso, in aderenza al comma 2, il fondo non può essere sciolto per mutuo consenso finché l’ultimo dei figli non raggiunga la maggiore età; restano invece liberi i coniugi senza prole di revocare in ogni tempo il fondo, tramite apposita convenzione di cessazione. Il Tribunale leccese adotta la soluzione opposta, attraverso un’interpretazione sistematica delle norme dettate per il regime patrimoniale della famiglia, come l’art. 163 cod. civ. in tema di modifica delle convenzioni matrimoniali, che si applica anzitutto per la comunione legale. Si reputa in sostanza che i commi 2 e 4 dell’art. 171 cod. civ. vadano interpretati in maniera elastica e che l’autorizzazione giudiziaria, nell’ipotesi di prole, sia sufficiente a garantire l’interesse di quest’ultima. La soluzione, a stretto rigore, può essere criticabile: l’art. 171, co. 4, enuncia che le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale si applicano se non vi siano figli, lasciando così chiaramente intendere che se figli vi sono, il fondo può cessare solo con la maggiore età dell’ultimo figlio (171²), persino in regime di ultrattività rispetto all’eventuale scioglimento del matrimonio nel frattempo intervenuto (senza contare che la novella ubi voluit, ibi dixit). Si tratterebbe, in altri termini, di una norma di ordine pubblico, e quindi inderogabile – ovvero interpretabile solo restrittivamente – poiché Rivista del Consiglio 159 Rubrica di Giurisprudenza Salentina a cura di V. Lubelli dettata per un interesse, quale quello della famiglia e dei figli, superiore ai singoli interessi individuali dei coniugi conferenti. In senso contrario, si considerano diffusamente applicabili, oltre al citato disposto ex art. 163 cod. civ., anche le norme in materia di potestà, segnatamente l’art. 320, tutte le volte in cui si prevedano l’intervento e l’autorizzazione del giudice tutelare: spunto a cui, evidentemente, non è rimasto indifferente il giudice minorile leccese. La giurisprudenza anche successiva, peraltro, ha continuato a oscillare: il Tribunale per i Minorenni di Venezia, in due distinte decisioni a pochi anni di distanza, ha dapprima ritenuto che le ipotesi di cessazione del fondo non siano tassative, potendosi ammettere la modifica e la revoca consensuale, come consentito in termini generali per tutte le convenzioni matrimoniali dall’art. 163 c.c., ferma restando la necessità dell’autorizzazione in caso di figli minori (Decr. 17 novembre 1997); poi ha sconfessato se stesso, sostenendo addirittura che non è prevista né necessaria alcuna autorizzazione, purché alla revoca, ai sensi dell’art. 163 c.c., diano il consenso tutti i soggetti che costituirono il fondo (Decr. 7 febbraio 2001). Nella stessa direzione si pronuncia Trib. Min. Lecce, 17 aprile 2002, che contraddicendo il proprio precedente ha ritenuto possibile lo scioglimento convenzionale, sia parziale che integrale, del fondo patrimoniale costituito per atto inter vivos, e ciò senza necessità di alcuna autorizzazione giudiziale, anche in presenza di figli minori1. Su una posizione più rigida invece il Tribunale di Perugia, che non ha ammesso l’estinzione convenzionale del fondo se non mediante alienazione dei singoli beni, con il consenso di entrambi i coniugi e l’autorizzazione del Tribunale ordinario (?) in presenza 1 Da ultimo, Trib. Lodi, 6 marzo 2009: “Ai sensi dell’art. 169 c.c., è legittima la previsione nell’atto costitutivo di fondo patrimoniale della alienabilità di un bene immobile con il solo consenso congiunto di entrambi i coniugi, senza autorizzazione del Tribunale, anche in presenza di figli minori. infatti, dall’esame della disposizione contenuta nell’art. 169 c.c., interpretata ai sensi dell’art. 12 preleggi, risulta che l’autorizzazione per alienare beni facenti parte del fondo patrimoniale è prevista solo nel caso in cui nell’atto costitutivo non sia espressamente consentita l’alienabilità dei beni e, per di più, vi siano figli minori, da ciò ricavandosi che se nell’atto costitutivo è consentita l’anienabilità, viene meno uno dei due presupposti previsti perché sia necessaria l’autorizzazione del Tribunale. 160 Rivista del Consiglio Ex Foro di figli minori, solo in caso di necessità o utilità evidente (169 c.c.), escludendo così l’applicazione analogica dell’art. 171 c.c. (Decr. 20 marzo 2001). In realtà, con la possibilità ventilata di estinguere il fondo solo attraverso l’alienazione dei beni, per quanto in presenza di necessità o utilità evidente, non si considerano le fattispecie in cui alla revoca del fondo non corrisponda necessariamente un’alienazione, ma una retrocessione dei beni al conferente originario (uno dei coniugi genitori). In tale circostanza, quand’anche si presentasse un rischio per gli interessi della prole, tornerebbe allora preferibile la prima interpretazione del Tribunale di Lecce, per cui l’autorizzazione allo scioglimento del fondo è lo strumento per vigilare sul rispetto degli interessi super-individuali. Infine, ragionando in termini generali (oltre a riprendere il solido argomento secondo cui il fondo, poiché è una convenzione matrimoniale, di questa ne segue le regole generali, in primis in punto di modifica e revoca ex art. 163 cod. civ.), si può sostenere che l’art. 171 disciplina la cessazione del fondo, che è un effetto legale, e perciò automatico, alle ipotesi ivi previste, ma non lo scioglimento in generale, che richiamando una manifestazione di mutua volontà sarebbe sempre ammissibile. 2. Annotazione e trascrizione nei registri Il tema del c.d. duplice binario della pubblicità del fondo ha registrato un dibattito altrettanto acceso, ma la soluzione sembra oramai pacifica. Si discute(va) infatti se la trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di costituzione del fondo fosse da sé sufficiente, fungendo da pubblicità dichiarativa secondo il regime ordinario che governa la circolazione dei beni immobili, a garantirne l’efficacia e l’opponibilità verso i terzi. L’orientamento positivo, già minoritario, è stato del tutto sconfessato dalla giurisprudenza. Infatti, nonostante la previsione dell’art. 2647 cod. civ., che ne regola la trascrizione, sia inserita tra le norme relative alla pubblicità dichiarativa, si deve ritenere assorbente la Rivista del Consiglio 161 Rubrica di Giurisprudenza Salentina a cura di V. Lubelli regola di cui all’art. 162, u.c., cod. civ., che prevede un regime obbligatorio di annotazione a margine dell’atto di matrimonio, al fine di rendere le convenzioni matrimoniali (quindi anche il fondo) opponibili ai terzi (di recente, Trib. Cassino, 20 maggio 2009; Trib. Salerno Sez. III, 15 gennaio 2010). Infatti, anche secondo Trib. Brindisi, 10 dicembre 2001, “l’atto costitutivo del fondo patrimoniale esige, ai fini dell’opponibilità ai terzi delle vicende a esso riconducibili, l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, dovendosi diversamente ritenere dette vicende ignote ai terzi, siano o meno essi a conoscenza del relativo vincolo”. In altra vicenda appartenente al foro leccese, con la sentenza n. 24798 dell’8 ottobre 2008, la Suprema Corte ha stabilito che: “La Corte di Appello di Lecce si è uniformata alla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale va compresa tra le convenzioni matrimoniali ed è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 cod. civ., circa le forme delle convenzioni medesime, ivi inclusa quella del terzo comma, che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio (Cass. civ. Sez. I, 5 aprile 2007, n. 8610). La trascrizione del vincolo, ai sensi dell’art. 2647 cod. civ., rimane degradata a mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, annotazione che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti dell’avvenuta costituzione del fondo (Cass. civ. Sez. II, 15 marzo 2006, n. 5684)”. La Cassazione ha aggiunto che “l’annotazione della costituzione del fondo patrimoniale, con la specificazione della data dell’atto, delle parti e del notaio rogante […] deve risultare dall’atto di matrimonio, cioè da atto di cui i terzi possano venire a conoscenza e di cui possano ottenere copia; non rileva, invece, che risulti da altri documenti, quali gli estratti più o meno autentici e integrali dei registri dello stato civile, a cui si riferiscono i ricorrenti, che sono destinati a rimanere riservati e di cui i terzi non possono venire in possesso”. 162 Rivista del Consiglio Ex Foro 3. Garanzia patrimoniale e opponibilità ai creditori: i conflitti intorno all’art. 170 cod. civ. Se pure i due argomenti che precedono risultano di indubbio fascino, il nodo cruciale dell’istituto in commento, con spiccate conseguenze pratiche, è nella sorte del fondo rispetto ai conflitti con i creditori. Dispone l’art. 170 cod. civ.: “L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”. Per costante interpretazione, la norma va oltre il suo apparentemente ristretto significato letterale: in deroga alla regola dell’unitarietà patrimoniale del debitore, che ai sensi dell’art. 27401 cod. civ. garantisce le proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, e in applicazione del secondo comma che ammette le limitazioni a tale responsabilità nei casi di legge, la costituzione del fondo crea due classi di creditori, i creditori particolari del fondo per le obbligazioni a esso connesse e i creditori generali con riferimento ai debiti personali dei conferenti. La norma, in realtà, ci dice solo che il creditore del fondo può agire in esecuzione sui beni del fondo medesimo solo per i debiti contratti per fare fronte ai bisogni della famiglia; in altri termini, il legislatore ha voluto che il fondo nel suo impianto naturale fosse insensibile ai crediti non contratti per bisogni della famiglia; l’aggressione ai beni del fondo è ammessa solo quando il credito sia direttamente riferibile a essi (si pensi una pigione ritratta dall’immobile), ovvero quando il terzo creditore dimostri di non essere stato a conoscenza della estraneità del debito alle esigenze familiari; tanto che i beni del fondo non possono neanche essere assoggettati al fallimento. Perciò la conseguenza non è solo l’ammissibilità dell’esecuzione per tutti i crediti sorti per soddisfare bisogni della famiglia, ma anche l’onere per i coniugi (in caso di crediti estranei ai bisogni della famiglia) della prova della consapevolezza di detta estraneità da parte del creditore al momento del sorgere dell’obbligazione (dovendosi, in mancanza di detta prova, far prevalere l’interesse del creditore a procedere all’esecuzione forzata). Rivista del Consiglio 163 Rubrica di Giurisprudenza Salentina a cura di V. Lubelli Chiarito il punto, il problema si sposta sulla definizione di “bisogni familiari”: tanto maggiore o minore è la dilatazione del concetto, tanto è più o meno ristretto il ventaglio di possibilità concesse al creditore particolare di agire esecutivamente sul fondo. Da un lato, la Suprema Corte ha sostenuto, seppure tra orientamenti ondivaghi e decisioni tuttora contraddittorie, che nel concetto di bisogni della famiglia rientrano tutte le obbligazioni contratte dai coniugi per l’armonico sviluppo della famiglia, fuorché le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti speculativi; dall’altro, si è precisato che il criterio identificativo dei crediti da soddisfare in via esecutiva sui beni del fondo non vada ricercato nella natura delle obbligazioni, ma nella relazione esistente tra la loro fonte e i bisogni della famiglia: in altri termini bisogna accertare in concreto se il debito sia stato contratto per soddisfare necessità familiari, una finalità che non può dirsi sussistente, per esempio, per il solo fatto che il debito sia sorto nell’esercizio dell’impresa. Il concetto di bisogni e interessi della famiglia non rappresenta un contenitore di significati rimessi all’interpretazione delle parti. Il legislatore infatti parla con estrema precisione di bisogni e interessi non solo in tema di fondo, ma anche in punto di comunione legale, che al fondo è accomunata per funzione, destinazione e disciplina: così nell’art. 186, lett. c), cod. civ., è dato leggere che i beni della comunione legale rispondono di ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche separatamente, nell’interesse della famiglia, ma “solo se l’obbligazione sia contratta nel diretto e immediato interesse della famiglia” e addirittura “non quando possa semplicemente e astrattamente essere volta a vantaggio della famiglia” (Trib. Cassino, 7 gennaio 2005). La lettura, assiologica e sistematica, delle norme in materia di regime patrimoniale della famiglia, allora, insegna che ogni fenomeno di gestione e circolazione, anche forzosa, dei beni vincolati e destinati alle esigenze familiari passa attraverso la verifica in concreto della rispondenza a tali esigenze delle obbligazioni assunte: il vincolo di destinazione del fondo non ha una valenza solo descrittiva, ma integra in senso tecnico la causa dell’istituto e costituisce il mezzo di esplicazione di un interesse costituzionalmente protetto. 164 Rivista del Consiglio Ex Foro Su questa scia si colloca il provvedimento con cui il Tribunale di Taranto ha stabilito che “il vincolo di inespropriabilità (relativa) che colpisce i beni costituiti in fondo patrimoniale è opponibile al creditore pignoratizio che abbia iscritto ipoteca successivamente all’atto costitutivo del fondo patrimoniale”: Trib. Taranto, sent. 15 settembre 2008. Nella fattispecie, una società di riscossione tributi aveva iscritto ipoteca su un immobile conferito in fondo patrimoniale per un presunto credito tributario basato su dieci cartelle esattoriali; gli attori proponevano opposizione agli atti esecutivi, eccependo l’intangibilità del fondo. Il giudice conclude che: “La costituzione di un fondo patrimoniale dopo il matrimonio integra una convenzione matrimoniale a titolo gratuito (ex multis Cass. 6954/97), per effetto della quale i beni conferiti nel fondo sono indisponibili e inespropriabili. L’esecuzione sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale è consentita, a norma dell’art. 170 c.c., soltanto per i debiti contratti per fare fronte a esigenze familiari, ipotesi non ricorrente nel caso di specie. Come è noto, il vincolo di inespropriabilità che colpisce i beni costituiti in fondo patrimoniale è opponibile al creditore pignoratizio che abbia iscritto ipoteca successivamente all’atto costitutivo del fondo patrimoniale2. Ne consegue che va dichiarata la illegittimità dell’iscrizione ipotecaria sull’immobile costituito in fondo patrimoniale e per l’effetto va ordinato al Conservatore dei Registri Immobiliari di Taranto la cancellazione dell’ipoteca”3. 2 Invece, la costituzione del fondo patrimoniale non è opponibile all’Amministrazione finanziaria la quale è ammessa a iscrivere ipoteca ex artt. 76 e 77, D.P.R. n. 602/1973 in quanto non trattasi di atto esecutivo bensì misura di natura cautelare alla quale non osta il disposto dell’art. 170 c.c. particolarmente laddove il mero consenso dei coniugi consenta di alienare, ipotecare o dare in pegno i beni: Commiss. Trib. Prov. Toscana Pisa, Sez. VI, 18 marzo 2009, n. 74. 3 Con riferimento anche all’annotazione si veda viceversa Cass. civ. Sez. Unite Sent., 13 ottobre 2009, n. 21658: le S.U. hanno confermato la sentenza di merito che – in presenza di un atto di costituzione del fondo patrimoniale trascritto nei pubblici registri immobiliari, ma annotato a margine dell’atto di matrimonio successivamente all’iscrizione di ipoteca sui beni del fondo medesimo – aveva ritenuto che l’esistenza del fondo non fosse opponibile al creditore ipotecario. Rivista del Consiglio 165 Rubrica di Giurisprudenza Salentina a cura di V. Lubelli 4. Sull’azione revocatoria Delimitazione della garanzia patrimoniale, limite all’esecuzione per i creditori del fondo e concetto di bisogni familiari costituiscono il punto di vista “interno” del problema dell’aggredibilità dei beni costituiti in fondo; viceversa occorre esaminare che cosa succede all’esterno del fondo, cioè quali sono le vicende che interessano i creditori personali e quali i mezzi di tutela concessi a questi ultimi nelle ipotesi di costituzione fraudolenta di patrimoni familiari. Non di rado, infatti, la prassi dei tribunali registra una manipolazione applicativa dell’istituto esaminato, che viene snaturato per essere piegato a interessi diversi e generalmente non meritevoli di tutela per l’ordinamento giuridico: in particolare, costituire un patrimonio vincolato con l’unico fine di sottrarlo alla garanzia ex art. 2740 cod. civ., sicché il motivo illecito assorbe, azzerandola, la causa in concreto del negozio (cfr. App. Potenza, 11 febbraio 2009). L’effetto immediato che ne segue è evidente: il debitore – abusando di un negozio preordinato a destinare taluni beni per le esigenze della famiglia – determina in realtà una riduzione o persino un annullamento della garanzia patrimoniale, impedendo al creditore la possibilità di sottoporre a esecuzione forzata il bene conferito, ai fini del soddisfacimento coattivo del diritto di credito. Lo strumento predisposto dall’ordinamento a tutela del creditore è, dunque, l’azione revocatoria ex art. 2901 cod. civ., esperibile allo scopo di ottenere la declaratoria di inefficacia dell’atto costitutivo della convenzione (cfr. Trib. Napoli, 8 giugno 2009). Naturalmente, discernere i casi in cui il fondo è legittimamente costituito a tutela delle reali esigenze della famiglia dai casi in cui l’elemento soggettivo che muove il debitore è quello di arrecare consapevolmente un pregiudizio alle ragioni del creditore rappresenta un’operazione ermeneutica non sempre agevole, ma che può essere facilitata dalla presenza di c.d. “indici sintomatici”, rilevatori delle intenzioni fraudolente del debitore, idonei a fondare la pronuncia di revocatoria, sempre che ne ricorrano i seguenti presupposti: 1) l’esistenza del credito, 2) la presenza di un atto dispositivo posto in essere dal debitore, 3) l’eventus damni, ossia il pregiudizio arrecato alla garanzia patrimo166 Rivista del Consiglio Ex Foro niale, 4) l’elemento soggettivo della scientia damni o consilium fraudis. La sentenza del Trib. Lecce, 11 febbraio 2010, n. 390, ha accertato la sussistenza di tutti gli elementi di cui all’art. 2901 n. 1 cod. civ. per la declaratoria di inefficacia di un atto notarile con il quale la debitrice – avuta conoscenza dell’esito negativo di un giudizio di cognizione durato ben venti anni – unitamente al proprio marito aveva destinato in fondo patrimoniale l’unico bene aggredibile, di cui erano comproprietari, al solo scopo di rendere impossibile la soddisfazione del credito con l’eliminazione dell’unica garanzia patrimoniale ex art. 2740 cod. civ. Tale atto non solo risultava palesemente estraneo alla causa familiare, ma era stato posto in essere con la chiara consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie. E infatti, circa l’integrazione del profilo oggettivo dell’eventus damni, l’atto di costituzione in fondo dell’unico cespite immobiliare rendeva di fatto impossibile la soddisfazione del credito, determinando la perdita della garanzia patrimoniale e precludendo la realizzazione del diritto con l’azione espropriativa. Per costante giurisprudenza (cfr. Cass. civ. Sez. III, 29 aprile 2009, n. 10052), quando l’atto di disposizione è successivo al sorgere del credito è sufficiente la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (scientia damni), e cioè la semplice conoscenza – cui va equiparata la agevole conoscibilità – da parte del debitore. Nel caso de quo la debitrice ebbe a costituire il fondo appena due mesi dopo il sorgere di un credito liquido ed esigibile accertato con sentenza che definiva un giudizio iniziato nel lontano 1983. Costituiva, altresì, un’ulteriore “strana coincidenza” la circostanza che la debitrice avesse sentito l’esigenza di costituire un fondo quando erano trascorsi ben 27 anni dalle nozze (e con figli quasi tutti maggiorenni) e dopo 26 anni dall’acquisto dell’immobile avvenuto in regime di comunione legale con il marito. Si tratta, evidentemente, di inequivocabili indici sintomatici della sostanziale estraneità della causa familiare, tanto più che per i bisogni della famiglia sarebbe stato, per ipotesi, sufficiente l’altra metà dell’immobile, di proprietà del marito della debitrice. In una vicenda analoga, il Tribunale Taranto, sent. 22 marzo 1999, ha ribadito che “Poiché la costituzione di fondo patrimoniale Rivista del Consiglio 167 Rubrica di Giurisprudenza Salentina a cura di V. Lubelli è atto a titolo gratuito che rende i beni conferiti aggredibili dai creditori solo a determinate condizioni e riduce, pertanto, la garanzia generale dei creditori stessi sul patrimonio dei costituenti, è ammissibile l’azione revocatoria ordinaria finalizzata a rendere inefficace nei confronti dei creditori la costituzione del fondo”. Va menzionata inoltre Cass. civ. Sez. I, 7 marzo 2005, n. 4933, che ha confermato la sentenza App. Lecce, 12 febbraio 2001 (inedita) di declaratoria di inefficacia dell’atto costitutivo di fondo dell’unico cespite immobiliare posseduto dai coniugi, risultando dai documenti versati in atti che il valore di questo era inferiore al volume dei debiti e delle obbligazioni fideiussorie contratti verso le banche e che il relativo rogito era posteriore al sorgere dell’esposizione debitoria. Sicché risultava evidente l’intenzione di recare, con tale atto, pregiudizio alle ragioni dei creditori, considerati i limiti posti dall’articolo 170 c.c. all’esecuzione sui beni e sui frutti del fondo, per debiti, come quelli di specie, contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia; con l’effetto, nella fattispecie, di rendere più incerta o difficile la soddisfazione del credito (Cass. nn. 12144/1999, 2971/1999, 6676/1998, 6272/1997). (Avv. Matteo Prato). 5. Un’ipotesi di esecuzione promossa dal figlio Ci si chiede se sia ammissibile una legittimazione processuale dei figli allorché sia stato costituito un fondo patrimoniale; ma i precedenti sul punto sono piuttosto rari. Un’interessante ricostruzione proviene dal Tribunale di Savona (Sent. 10 maggio 2005), che ha affermato la sussistenza della legittimazione attiva dei figli minorenni nelle azioni esperibili per la salvaguardia del fondo. Premessi natura e scopi del fondo, con riguardo al vincolo di destinazione e ai bisogni familiari, il giudice ha associato l’interesse dei minori ivi tutelato con l’usufrutto legale, anch’esso preordinato e a fare fronte ai bisogni familiari, rilevando che tutta la disciplina del fondo è modellata (anche) in un’ottica pregnante di tutela dei diritti dei figli, specialmente con riferimento al sistema delle autorizzazioni (c.d. tutorie) e al requisito della necessità o utilità evidente 168 Rivista del Consiglio Ex Foro per ottenere l’assenso agli atti di straordinaria amministrazione; ha quindi concluso per l’esistenza di un interesse dei minori al rispetto della destinazione dei beni facenti parte del fondo patrimoniale. Come si vedrà nel paragrafo seguente, quest’ipotesi è suggestiva ma giuridicamente fragile, benché certa dottrina non abbia mancato di ipotizzare l’inerzia dei genitori in ordine ad azioni volte alla tutela del fondo, dei beni e della loro destinazione, riconoscendo la legittimazione dei minori, portatori, appunto, di un interesse qualificato ad agire. Inoltre, a mente dell’art. 171² cod. civ., il giudice può dettare norme per amministrare il fondo in presenza di figli; per cui sembrerebbe agevole concludere che i figli sono tra i soggetti titolari di tale interesse e, quindi, legittimati ad agire al fine di ottenere il provvedimento. Ci si chiede inoltre se l’applicazione di tale norma vada estesa al caso dei figli già maggiorenni ma non ancora economicamente autosufficienti, applicando nella presente materia gli stessi principi operanti in materia di separazione dei coniugi e diritto al mantenimento dei figli adulti non indipendenti, stante l’analogia dei presupposti di fondo. Del resto, il terzo comma prevede che il giudice possa “altresì attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota di beni del fondo”. La lettura sistematica delle norme farebbe emergere pienamente la rilevanza dell’interesse dei figli e la sussistenza di una legittimazione attiva al fine di far valere, per esempio, l’estraneità rispetto ai bisogni familiari dei debiti contratti o al fine della nomina di un amministratore ai sensi dell’art. 171 cod. civ. (Trib. Savona, cit.). Il figlio non ha, in verità, alcuna legittimazione, perché nessuna norma consente, neanche implicitamente, di ritenere che sia conferito al minore una posizione giuridica suscettibile di lesione da parte di iniziative di terzi dirette ad aggredire i beni: così, diffusamente, Cass. 15297/2000 (su cui infra). In senso negativo, infatti, anche se per una fattispecie diversa, si pronuncia altresì App. Lecce, 20 marzo 2001: “Colui il quale abbia conservato lo “status” di figlio legittimo ex art. 128 cod. civ., pur dopo l’annullamento ecclesiastico del matrimonio del proprio genitore, non può vantare diritti sul fondo patrimoniale da quest’ultimo costituito all’atto della contrazione di un nuovo matrimonio, Rivista del Consiglio 169 Rubrica di Giurisprudenza Salentina a cura di V. Lubelli ma solo agire in executivis sulla quota di spettanza del medesimo ove risulti inadempiuto l’obbligo di mantenimento a lui spettante”. 6. Un problema di legittimazione Nella vicenda che si conclude con la sentenza Cass. civ. Sez. I, 29 novembre 2000, n. 15297, il curatore del fallimento dichiarato nei confronti di una società di fatto tra due soci aveva chiesto e ottenuto dal giudice delegato che, previa dichiarazione di inefficacia dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale (istituito cinque anni prima della sentenza di fallimento da uno dei soci), l’immobile fosse acquisito all’attivo fallimentare. La moglie del predetto socio conferente, nella qualità di genitore esercente la patria potestà sulla minore (nell’interesse della quale pure era stato costituito il fondo), aveva dapprima subito una declaratoria di inammissibilità per tardività del reclamo avverso il decreto del G.D.; proponeva quindi ricorso per la cassazione del decreto. La Suprema Corte, nella sentenza che si annota, ha dichiarato il ricorso inammissibile. In sintesi, “l’inammissibilità non discende dal difetto di autorizzazione del giudice tutelare (come aveva dedotto la resistente curatela), che è prevista dalla norma dell’art. 320 cod. civ. soltanto allorché si intenda promuovere giudizi relativi ad atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, mentre nel caso di specie le impugnazioni della ricorrente resistono alla pretesa del fallimento e sono individuabili come strumentali, in astratto, alla tutela degli interessi della minore e alla conservazione dei beni oggetto del vincolo di cui all’art. 169 e ss. cod. civ. La ragione giuridica della inammissibilità del ricorso va invece individuata in relazione al difetto, in capo alla minore, nel cui interesse e in nome della quale il ricorso stesso è proposto, di una legittimazione sostanziale, atteso che la costituzione di beni in fondo patrimoniale non conferisce ai figli una posizione giuridica suscettibile di essere lesa da atti di disposizione dei beni stessi o da pretese e iniziative anche giudiziali di terzi che i beni abbiano a oggetto”. La Cassazione, dunque, ha ritenuto non sussistere la legittima170 Rivista del Consiglio Ex Foro zione del minore nelle azioni a tutela del fondo. Si osserva infatti che “la costituzione del fondo patrimoniale soltanto determina un vincolo di destinazione su tali beni, affinché con i loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità della proprietà dei beni stessi né implica l’insorgere di una posizione di diritto soggettivo in favore dei singoli componenti del nucleo familiare, neppure con riguardo alla inalienabilità dei beni” (Cass. n. 3703 del 1988). La dichiarazione di inefficacia nei confronti della massa dei creditori del fondo patrimoniale, promossa dal curatore del fallimento e resa dal giudice delegato ai sensi dell’art. 64 L.F., non ha dunque incidenza su diritti soggettivi della minore che il suo rappresentante legale possa tutelare giudizialmente, contrastando tale dichiarazione di inefficacia, come nel caso di specie, con il mezzo di impugnazione straordinaria di cui all’art. 111 Cost.”. 7. Uno spunto notarile: nullità della procura generale contenente la facoltà di costituire fondi patrimoniali Un notaio del distretto leccese roga un atto contenente una procura generale nella quale è stata inserita una clausola che prevede la facoltà di stipulare convenzioni matrimoniali e in particolare fondo patrimoniale e comunione convenzionale (oltre alla possibilità di scelta del regime di separazione dei beni). Il Conservatore Dirigente dell’Archivio Notarile di Lecce trasmette – ai sensi dell’art. 153¹, lett. c), l. not. – una richiesta di avvio di procedimento disciplinare nei confronti del Notaio, ravvisando nella clausola la violazione dell’art. 28 L. Not. (che vieta al Notaio di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge), sanzionato dal successivo art. 138² con la sospensione da 1 a 6 mesi. La violazione, secondo il Dirigente, scaturirebbe da un duplice ordine di motivi. Anzitutto, le convenzioni matrimoniali sono atti di natura personalissima, che non tollerano la rappresentanza generale volontaria, potendo essere compiute solo personalmente dai coniugi le valutazioni afferenti agli interessi della famiglia; in secondo luogo e con Rivista del Consiglio 171 Rubrica di Giurisprudenza Salentina a cura di V. Lubelli specifico riferimento all’ipotesi di conferimento di procura generale contenente la facoltà di costituire fondi patrimoniali, la violazione dell’art. 28 L. Not. deriverebbe “dall’inquadramento del negozio costitutivo di tale regime patrimoniale in una fattispecie di liberalità donativa, per la quale la possibilità di ricorrere a un potere di rappresentanza generale è preclusa dal divieto contenuto nell’art. 778, 5° co., c.c.”, secondo il quale “È nullo il mandato con cui si attribuisce ad altri la facoltà di designare la persona del donatario o di determinare l’oggetto della donazione”. Per tali motivi, secondo il Dirigente, la suddetta clausola é nulla e comporta la violazione dell’art. 28 L. Not., norma che, pur se letteralmente dettata per sanzionare la redazione di atti affetti da nullità assoluta (cioè quella che travolge l’atto in sé, in quanto viziato nella sua interezza), secondo il prevalente orientamento della S.C. è applicabile anche alle ipotesi di nullità parziali o di singole clausole. La Commissione Amministrativa regionale di disciplina della Puglia, con il provvedimento del 21 gennaio 2008, accoglie la richiesta, dichiarando la nullità dell’atto. Parte della dottrina, al contrario, confuta tali argomenti, ritenendo anzitutto che le convenzioni non perdano il loro carattere negoziale a contenuto economico e come tali, pur lambendo lo status coniugale, restano atti di natura essenzialmente patrimoniale. Inoltre, “della necessità che le convenzioni matrimoniali debbano essere stipulate alla presenza di entrambi i coniugi non v’è traccia nel codice. L’art. 162 c.c. prevede, invero, che per la stipula delle convenzioni venga osservata la forma dell’atto pubblico, ma non prevede alcuna deroga alla disciplina generale concernente la conclusione dei contratti, quali ben possono essere classificate anche le convenzioni matrimoniali: e la disciplina generale dei contratti prevede, come ognuno sa, la possibilità di concluderli pure fra assenti” (La responsabilità del notaio che abbia ricevuto una procura attributiva del potere di concludere convenzioni matrimoniali. A proposito di un parere del Consiglio Nazionale del Notariato e di una pronuncia della Commissione amministrativa regionale di disciplina della Puglia, nota di Zaccaria, in Resp. Civ. 2008, 10, 775, che critica negativamente il provvedimento che ci occupa). 172 Rivista del Consiglio Ex Foro In definitiva, le diverse posizioni sulla possibilità di conferire una procura in vista della stipulazione di una convenzione matrimoniale sono riassumibili in quella di chi, “muovendo dal riconoscimento o dalla negazione del carattere personale delle convenzioni matrimoniali, rispettivamente: nega l’ammissibilità di una procura, riconoscendo possibile soltanto una «procura specifica e dettagliata» (che non è una procura speciale, bensì un incarico di ambasceria, che fissa una dichiarazione semplicemente da trasmettere); e in quella di chi ammette che anche una convenzione matrimoniale possa essere conclusa da un rappresentante, che potrebbe allora essere nominato tanto con una procura speciale (e cioè avente per oggetto soltanto la conclusione di quella convenzione, o di quel genere di atti) quanto con una procura generale (e cioè avente per oggetto tutti gli affari del rappresentato), nell’ambito della quale, nel contesto dell’elencazione degli atti di straordinaria amministrazione che il rappresentante è legittimato a compiere, sia compresa anche la stipula di convenzioni matrimoniali; ferma restando, naturalmente, anche in questo secondo caso, la possibilità di ricorrere ad una ambasceria”4. Non è questa, naturalmente, la sede per dare conto in maniera dettagliata dell’argomento; in conclusione sia concesso, perciò, rinviare allo studio citato e alla corposa bibliografia in appendice. 4 Zaccaria, cit. Rivista del Consiglio 173 Diritto Tributario Irragionevole ed incostituzionale riordino della giustizia tributaria Le Commissioni tributarie non devono essere paralizzate (art. 39 del Decreto Legge n. 98 del 06/07/2011 in G.U. n. 115 del 06/07/2011, entrato in vigore il 06/07/2011) di Maurizio Villani Le Commissioni tributarie non devono fare cassa ma risolvere con competenza, equilibrio e serenità, senza pregiudizi, le controversie fiscali che insorgono tra il fisco ed i contribuenti, non solo nel rispetto delle norme ma anche nella corretta interpretazione giuridica delle stesse. Il concetto di cui sopra è logico e naturale, in quanto un organo giurisdizionale (e tali sono le Commissioni tributarie) non solo deve essere, ma anche “apparire”, terzo ed imparziale nella definizione delle controversie tributarie e non ci deve essere alcun sospetto che le sentenze debbano tendere a fare cassa, nell’unico interesse del fisco, che è una delle parti in causa. Eppure, questi elementari e chiari concetti, oggi, sono totalmente messi in discussione con la recente manovra economica che, tra le varie disposizioni, vuole riordinare (peraltro parzialmente) la giustizia tributaria con l’art. 39 del decreto legge appena firmato dal Presidente della Repubblica e che nei prossimi giorni dovrà essere approvato dal Parlamento. La suddetta riforma mette seriamente in pericolo i principi di autonomia ed indipendenza della Magistratura tributaria e ne travolge l’attuale assetto in modo irrazionale ed incostituzionale. 174 Rivista del Consiglio Diritto Tributario In definitiva, la suddetta disposizione vuole rafforzare le cause di incompatibilità dei giudici tributari nonché incrementare notevolmente la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili ovvero tra gli Avvocati dello Stato, in servizio o a riposo. Di conseguenza, il legislatore, al fine di assicurare una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria, garantendo altresì imparzialità (!) e terzietà (!) del corpo giudicante, con il succitato art. 39, ha disposto che rientrano tra le cause assolute di incompatibilità ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992: 1) le iscrizioni in albi professionali, elenchi e ruoli indicati nell’art. 12 del D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, nonché il personale dipendente di cui al succitato art. 12; ciò indipendentemente dalla preventiva indagine sull’attività esercitata in materia fiscale (con possibili future eccezioni di incostituzionalità per irragionevolezza della norma ai sensi dell’art. 3 della Costituzione); 2) l’esercizio in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, della consulenza tributaria, della tenuta delle scritture contabili e della redazione dei bilanci, nonché l’attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori; 3) i rapporti di coniugio, di convivenza (con quali prove?), di parentela fino al terzo grado o di affinità in primo grado di coloro che sono iscritti in albi professionali (vedi n. 1) ovvero esercitano le attività individuate al n. 2 nella regione e nelle province e regioni confinanti con la predetta regione dove hanno sede le Commissioni tributarie provinciali (per i giudici di primo grado) e le Commissioni tributarie regionali (per i giudici di appello). I giudici tributari che alla data di entrata in vigore del citato decreto legge versano nelle condizioni di incompatibilità devono comunicare la cessazione delle cause di incompatibilità entro il 31 dicembre 2011 al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, nonché alla Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze. Rivista del Consiglio 175 Le Commissioni tributarie non devono essere paralizzate di M. Villani In caso di mancata rimozione nel termine predetto delle cause di incompatibilità, i giudici tributari decadono automaticamente, con paralisi assoluta delle Commissioni tributarie. Infine, per completare il riordino (parziale) della giustizia tributaria, il legislatore, sempre con il succitato art. 39, ha previsto: a) un concorso per 960 posti presso le Commissioni tributarie, riservato, però, ai soli magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo, ed agli avvocati e procuratori dello Stato in servizio ed a riposo; tutti i suddetti soggetti, però, non devono prestare già servizio presso le predette Commissioni tributarie; b) i compensi corrisposti ai membri delle Commissioni tributarie entro il periodo d’imposta successivo a quello di riferimento si intendono concorrere alla formazione del reddito imponibile, ai sensi dell’art. 11 del T.U. II.DD. (DPR n. 917 del 22 dicembre 1986), e non saranno più tassati separatamente. A questo punto, l’opera di smantellamento e paralisi delle Commissioni tributarie è completato, così come di seguito esposto. A)Tutti i professionisti iscritti agli Albi vengono categoricamente esclusi, con grave perdita delle professionalità giuridiche ed economiche necessarie per decidere, con equilibrio e competenza, delicate e complesse questioni fiscali (con possibili vizi di incostituzionalità già segnalati). B)Rischiano tutti gli altri componenti che hanno parenti nella regione, iscritti in albi non necessariamente collegati con le problematiche fiscali. La norma sulle incompatibilità per i magistrati tributari non ha riscontro in nessun’altra magistratura. Un giudice ordinario, infatti, può essere Presidente del Tribunale in cui magari il figlio, per materie diverse da quelle di cui si occupa lui, svolge le funzioni di avvocato. Invece, un giudice tributario, per esempio, non può essere tale alla CTR di Roma, se suo figlio fa l’avvocato a Firenze; una diversità di trattamento che verosimilmente finirà alla Corte Costituzionale, quanto meno per irragionevolezza della normativa, ai sensi dell’art. 3 della Costituzione. C)I compensi, già miseri (€ 25 a sentenza depositata), si riducono 176 Rivista del Consiglio Diritto Tributario ulteriormente, perché non più assoggettati a tassazione separata. D)Entrano a far parte delle Commissioni tributarie gli avvocati dello Stato, anche in servizio, oltre ai magistrati contabili; in questo caso, invece, il legislatore ignora i conflitti di interesse, in quanto agli avvocati dello Stato, in particolare, è affidata la difesa dell’Agenzia delle Entrate. E)Continuano a far parte delle Commissioni tributarie i magistrati militari che, di certo, non hanno una competenza professionale in campo fiscale superiore a quella degli avvocati e dei dottori commercialisti che, invece, il legislatore ha voluto espellere senza alcuna motivata giustificazione. F) Possono far parte delle Commissioni tributarie gli ispettori tributari di cui alla Legge n. 146 del 24 aprile 1980 (ciò a seguito dell’abrogazione della lettera f) dell’art. 8 D.Lgs. n. 546 cit.); per assurdo, quindi, i super-ispettori del fisco possono diventare giudici tributari, ignorando il legislatore totalmente i criteri di terzietà ed imparzialità. Infatti, gli ispettori tributari sono alle dirette dipendenze del Ministero dell’economia e delle finanze (art. 9 L. n. 146 cit.) e possono persino eseguire, in via straordinaria, verifiche fiscali (art. 9, c. 1, lettere b) e c), cit.); in questo caso, anche l’apparenza della terzietà ed imparzialità va a farsi benedire. In sostanza, la riserva di posti a favore di soggetti incardinati nell’Amministrazione, come gli avvocati dello Stato e gli ispettori del Fisco, appanna l’immagine del giudice tributario anche solo sotto il profilo dell’apparenza, in quanto rischia di sembrare agli occhi dei contribuenti condizionato nelle sue decisioni. G)In definitiva, con le attuali modifiche, potremmo avere collegi giudicanti composti da (elencazione non esaustiva): - magistrati militari; - magistrati contabili; - avvocati dello Stato in servizio; - ispettori tributari; - casalinghe con la laurea in giurisprudenza o in economia e commercio conseguita da almeno due anni; - ufficiali della Guardia di Finanza cessati dalla posizione di Rivista del Consiglio 177 Le Commissioni tributarie non devono essere paralizzate di M. Villani servizio permanente effettivo prestato per almeno dieci anni; - pensionati; - imprenditori; - agenti di assicurazioni; - commercianti; - artigiani; - docenti scolastici; - magistrati onorari; - giudici di pace. Bisogna tener conto che, attualmente, la composizione delle C.T. è del 23,9% di magistrati togati e del 76,1% di giudici non togati. H)Infine, nelle Commissioni tributarie regionali i posti da conferire saranno attribuiti in modo da assicurare progressivamente la presenza in tali Commissioni di due terzi dei giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili ovvero gli avvocati dello Stato, in servizio o a riposo. L)Di conseguenza, su un totale di 3.731 giudici tributari al 31/12/2010, circa 3.000 giudici sono a rischio di decadenza, con la possibilità (se non certezza) di una totale paralisi della giustizia tributaria per molti anni (anche perché i 960 posti a concorso sono insufficienti a compensare le perdite). Oltretutto, in base a quanto previsto dal Decreto Ministeriale dell’11 aprile 2008, l’organico dei giudici tributari dovrebbe essere pari a 4.668. J) La paralisi delle Commissioni tributarie coincide, peraltro, con l’entrata in vigore, dall’01/10/2011, delle norme sugli accertamenti esecutivi, dove la posizione del fisco è di fatto prevalente rispetto alla posizione del contribuente, stante le inevitabili difficoltà che esso incontrerà a causa della impossibilità di vedere trattata l’istanza di sospensione nel termine dei 180 giorni previsto dalla norma, a seguito della conversione in legge del Decreto Sviluppo n. 70 del 13/05/2011. La giustizia civile è affidata in gran parte a professionisti per i quali vige la sola incompatibilità di tipo territoriale. Non si vede perché per il giudice tributario debbano valere regole diverse e più severe di quelle di qualsiasi altra magistratura. Con il rischio che in futuro la giustizia tributaria sia amministrata 178 Rivista del Consiglio Diritto Tributario da chi di “professione” fa la casalinga, in quanto laureata in giurisprudenza o in economia ha tutti i titoli per fare il giudice tributario (art. 4, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 545 cit.). Oggi, invece, serve una giurisdizione tributaria terza ed imparziale, che sappia risolvere e rasserenare le situazioni fiscali più complesse e spigolose, con competenza ed equilibrio. Appunto per questo è da criticare e contestare in toto l’attuale intervento legislativo, peraltro adottato con la forma del decreto legge senza che ci siano le condizioni di necessità ed urgenza (art. 77, comma 2, della Costituzione). è auspicabile, invece, che il legislatore, nell’ambito della generale riforma fiscale, con legge delega riformi totalmente la giustizia tributaria (non un semplice parziale ed ingiustificato riordino) prevedendo i seguenti, necessari principi: 1) dipendenza dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non più dal Ministero dell’economia, che è una delle parti in causa; 2) parità assoluta tra le parti in causa, senza limitazioni nella fase istruttoria, con la possibilità di citare i testimoni e fare i giuramenti; 3) possibilità di chiedere le sospensive e le conciliazioni anche in grado di appello e di Cassazione; 4) di conseguenza, tenuto conto che il processo tributario diventa un “vero” processo (come quello civile, penale ed amministrativo), necessità di reclutare giudici tributari a tempo pieno, con competenza qualificata, pagati dignitosamente anche per le sospensive (dato che è previsto il pagamento di un contributo unificato), e senza alcun collegamento funzionale con il Ministero dell’economia e delle finanze. è auspicabile, pertanto, che il Parlamento non converta l’art. 39 più volte citato ma colga l’occasione per una riforma totale, seria ed organica, del processo tributario che non mortifichi il diritto di difesa dei contribuenti (art. 24 della Costituzione), come purtroppo sta avvenendo oggi. In definitiva, le suddette disposizioni di riordino mettono seriamente a rischio i principi di autonomia ed indipendenza della Rivista del Consiglio 179 Le Commissioni tributarie non devono essere paralizzate di M. Villani Giustizia tributaria, che sono principi assoluti, non subordinati alla materia su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi. Oltretutto, i tempi sono maturi per il definitivo riconoscimento costituzionale della Magistratura tributaria, che opera esclusivamente nell’interesse dello Stato e del cittadino contribuente. 180 Rivista del Consiglio Diritto Tributario L’accertamento fiscale per il professionista che emette poche fatture di Maria Leo 1) Premessa L’Amministrazione finanziaria può procedere ad accertamento del reddito, ex art 39 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili (titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo1), prescindendo dai dati risultanti dalle scritture contabili. Orbene, diviene necessario, anche se sinteticamente, dare conto di tale contraddizione in termini: possibilità per l’Amministrazione finanziaria di prescindere dalle scritture contabili per ricostruire il reddito dei soggetti che, obbligatoriamente, vi sono tenuti. Conseguentemente è fondamentale individuare quali siano gli elementi, i dati, ecc., extracontabili, che l’Amministrazione finanziaria potrà adottare per giungere ad un risultato che porti alla rettifica della dichiarazione di questa peculiare categoria di contribuente. Si ribadisce il punto: la dichiarazione dei redditi viene compilata, e inviata, sulla base dei dati risultati dalle scritture contabili (libro giornale, registri IVA, libro cespiti ammortizzabili, ecc…). La stessa potrà essere rettificata dall’Amministrazione finanziaria senza che vengano considerate le componenti positive2 e negative3 che conducono al risultato economico (reddito o perdita) dell’eser1 L’art. 39, comma 3, D.P.R. 600/1973 estende la metodologia accertativa relativa alle imprese, di cui al primo comma, anche al reddito di lavoro autonomo, essendo identico il presupposto: la tenuta delle scritture contabili. 2 Ricavi, plusvalenze e sopravvenienze attive per le imprese e compensi per gli esercenti arti e professioni. 3 Costi, minusvalenze e sopravvenienze passive per le imprese e costi per gli esercenti arti e professioni. Rivista del Consiglio 181 L’accertamento fiscale per il professionista... di M. Leo cizio, ma partendo dalla considerazione, o, meglio suggestione, di un giudizio di non verosimiglianza del reddito dichiarato con quello effettivo. 2) Accertamento ex art. 39 D.P.R. 600/1973. Soggetti passivi e requisiti necessari. Il legislatore, all’art. 39 del D.P.R. 600/1973, ha previsto la possibilità che l’Amministrazione possa ricorrere a tre tipi di accertamento: analitico, analitico-induttivo ed induttivo “puro”. Tale metodologia accertativa viene utilizzata dall’Ufficio per la ricostruzione del reddito o del volume d’affari, partendo dai dati contabili. Il primo comma, in particolare, prevede che si possa procedere, nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili (in sostanza, imprenditori e lavoratori autonomi), ad accertamento di tipo: - analitico4: in presenza di una contabilità corretta – in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti – qualora vi siano divergenze tra gli elementi documentali e la dichiarazione, in quanto: - le componenti positive e negative di reddito indicate nella dichiarazione non corrispondano a quelle iscritte in bilancio (lett. a); - non siano state correttamente applicate le disposizioni sul reddito di impresa (lett. b); - la dichiarazione contenga dati incompleti5, falsi6 o inesatti7 (lett. 4 Definito anche analitico-contabile, in quanto “consiste nell’analisi della contabilità complessivamente e nelle singole poste e nel suo raffronto con le indicazioni contenute nella dichiarazione, o con le informazioni desunte dall’esercizio dei poteri istruttori”, cfr. A. Fantozzi, Il diritto Tributario, UTET, 2003, p. 435. 5 L’incompletezza dei dati attiene a situazioni in cui il contribuente, pur avendo l’obbligo di inserire in dichiarazione dati ed elementi, non ottempera a tale obbligo. 6 La falsità attiene alla inesattezza dei dati rappresentati in dichiarazione, ma si differenzia dalla stessa, per l’animus del soggetto agente di alterare – con volontà – il contenuto della dichiarazione, al fine di evidenziare una rappresentazione distorta della propria attività economica o professionale. 7 L’inesattezza attiene alla non conformità dei dati rappresentati nella dichiarazione, con i dati risultanti dalle scritture contabili e dalla documentazione obbligatoria ai fini fiscali. 182 Rivista del Consiglio Diritto Tributario c), risultanti in modo certo e diretto dai verbali redatti in occasione della comparizione del contribuente presso gli Uffici, o dal questionario redatto dal contribuente su richiesta dell’Ufficio, o dai documenti esibiti in tale occasione, o dalle dichiarazioni di altri soggetti, o dai verbali relativi ad ispezioni presso altri soggetti; - analitico-induttivo8, in presenza di una contabilità corretta, qualora la dichiarazione contenga dati incompleti, falsi o inesatti9, i quali risultino: dall’ispezione delle scritture contabili, o dalla verifica condotta presso il contribuente, o dal controllo delle fatture e della documentazione contabile, o dai dati e dalle notizie raccolte dagli Uffici ex art. 32 D.P.R. 600/1973; l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici10, purché gravi, precise e concordanti (lett. d). L’art 39, comma 2, prevede il c.d. accertamento induttivo “puro11”; con tale metodologia accertativa è previsto che, in deroga alle disposizioni di cui al primo comma – e, pertanto, in deroga alle scritture contabili tenute – l’Ufficio determini il reddito, sulla base dei dati 8 Questo metodo di accertamento rimane nell’ambito della contabilità del soggetto, per cui è definito induttivo-contabile, in quanto “si avvale di elementi inferenziali esterni alla contabilità (i fatti certi su cui si basano le presunzioni), per indurre conseguenze sulla determinazione del reddito, senza sovvertire o alterare l’impianto contabile”: cfr. A. Fantozzi, cit., p. 436. 9 Per le nozioni di incompletezza, inesattezza e falsità dei dati, v. note 2, 3 e 4. 10 Il legislatore tributario non ha previsto una definizione di presunzione, ma ha operato un mero richiamo al concetto di presunzione disciplinato dal codice civile all’art. 2727, il quale qualifica la presunzione come “la conseguenza che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”. La presunzione viene definita da F. Gavioli, “Legittimo accertamento induttivo per l’avvocato che emette poche fatture”, in Pratica Fiscale e Professionale, n. 20 del 18 maggio 2009, come una “prova indiretta”, scaturente da qualsiasi argomento o congettura attraverso cui, partendo da un fatto noto, si perviene a considerare provata un’altra circostanza, sfornita, quest’ultima, di prova indiretta”. Ebbene, l’Amministrazione finanziaria in tal modo viene facilitata nel dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria, ed il contribuente che intenda contestare la capacità dimostrativa di quei fatti avrà l’onere contrario di dover dimostrare l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi. 11 Questo metodo di accertamento, definito in dottrina induttivo-extracontabile, presenta rilevanti conseguenze sotto il profilo della prova e della motivazione. “La maggiore difficoltà per il contribuente di opporsi ad un accertamento induttivo o extracontabile deriva soltanto dal necessario maggior argine di apprezzamento riservato all’ufficio nell’esercizio di una funzione pubblica di accertamento, privata del supporto della obbligatoria collaborazione da parte del privato”: così A. Fantozzi, op. cit., p. 437. Rivista del Consiglio 183 L’accertamento fiscale per il professionista... di M. Leo e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza12, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili, e, all’uopo, possa avvalersi anche di presunzioni “semplicissime”, non qualificate13, prive, cioè, dei requisiti della precisione, gravità e concordanza14. è bene precisare che l’Amministrazione finanziaria potrà procedere ad accertamento extracontabile solo in presenza di specifiche condizioni richieste dalla legge. Difatti, per poter ricostruire complessivamente il reddito d’impresa del contribuente, sulla scorta del 2° co. dell’art. 39 (che permette di prescindere sia dall’impianto contabile sia dall’utilizzo di presunzioni dotate dei caratteri della precisione, gravità e concordanza), è necessaria ed indefettibile sussistenza di tassative condizioni: a) quando il reddito d’impresa non è stato indicato in dichiarazione; b) quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art 33 risulta che 12 La lettera d-bis) del secondo comma dell’art. 39 del D.P.R. 600/1973, consente l’accertamento induttivo anche qualora il contribuente non abbia dato seguito agli inviti disposti dall’ufficio ai sensi dell’art. 32, primo comma, nn. 3 e 4, del D.P.R. 600/1973. Le notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri e i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente,. Si fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta. Tale principio è affermato anche dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sez. 27, nella sentenza n. 38 del 13.04.2006, che legittima l’accertamento induttivo effettuato a fronte della mancata risposta del contribuente al questionario, regolarmente notificato. La sola mancata risposta al questionario consente all’ufficio – direttamente – di agire induttivamente, senza che sia necessario dimostrare di aver proceduto in altro modo a rintracciare il contribuente: così Caputi, L. n. 28/1999: maggiori poteri di accertamento per l’Amministrazione finanziaria e diritto di difesa, in “Il fisco”, n. 10/1999, p. 3377. 13 La possibilità di utilizzo delle presunzioni in campo tributario è stata espressamente prevista dall’art. 39 del D.P.R. 600/73, in tema di imposte dirette, e dagli artt. 54 e 55 del D.P.R. 633/1972, in tema di IVA, al fine di ridurre l’onere probatorio in capo all’Amministrazione finanziaria nell’attività di accertamento. Sono consentite presunzioni solo a favore dell’Amministrazione finanziaria e non è consentito, nemmeno astrattamente, che esse operino a favore del contribuente. Tuttavia la loro operatività è vincolata all’esistenza di specifici riscontri nelle scritture contabili. 14 L’utilizzo di presunzioni semplicissime è previsto se: nella dichiarazione non è stato indicato il reddito; per la dichiarazione dei redditi presentata prima del 1° gennaio 1998 non siano stati allegati il bilancio e il conto profitti e perdite; non sia stato possibile ispezionare le scritture contabili, purchè ciò risulti dal verbale di ispezione; le omissioni o le false o inesatte indicazioni accertate in contabilità e le irregolarità formali delle scritture contabili siano gravi, numerose e ripetute, tanto da rendere inattendibile la contabilità; il contribuente non abbia adempiuto all’invito ad esibire o trasmettere atti e documenti, o non abbia risposto ai questionari relativi alla richiesta di dati e notizie di carattere specifico. 184 Rivista del Consiglio Diritto Tributario il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art 14 ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore; c) quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni, accertate ai sensi del precedente comma, ovvero la irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica; d) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli Uffici ai sensi dell’art. 32, 1 comma, nn 3 e 4, del presente decreto o dell’art 51, 2 comma, nn 3 e 4 del D.P.R. 633 del 72. 3) L’accertamento analitico-induttivo e la “qualificazione delle presunzioni” L’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i corrispettivi e i compensi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis del D.L. n. 331 del 30 agosto 199315, potranno rappresentare delle presunzioni, per l’Amministrazione finanziaria, sulle quali costruire l’intero procedimento accertativo. Il criterio della ragionevolezza era già stato sancito dalla Cassa- 15 L’art. 62 sexies del D. L. 331/1993 enuclea il principio secondo cui l’accertamento induttivo possa essere fondato sull’esistenza di gravi incongruenze rispetto a quanto previsto dagli studi di settore, pur senza fissare un automatismo nell’attività di accertamento dell’ufficio, ma una mera facoltà. La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, con sentenza n. 440 del 26/03/2007, ha statuito che l’accertamento del reddito, in linea di principio, deve essere ancorato alle risultanze delle scritture contabili, qualora l’impresa sia obbligata alla loro tenuta e la stessa sia regolarmente tenuta, in quanto essa “ha una sua preminente rilevanza ai fini fiscali, avendo il contribuente diritto a che essa sia posta a base dell’accertamento”. In tal modo, i giudici di codesta On.le Commissione hanno sancito l’inapplicabilità degli studi di settore in presenza di una contabilità fedele e in assenza di gravi incongruenze tra i ricavi rilevate dall’Ufficio, facendo desumere che per adottare in sede di accertamento le risultanze degli studi di settore occorra preventivamente l’accertamento della contabilità ordinaria, da cui risulti la sua inattendibilità, e l’esistenza di gravi incongruenze tra i dati dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore. Rivista del Consiglio 185 L’accertamento fiscale per il professionista... di M. Leo zione nel lontano 1995, la quale aveva precisato che la contabilità del contribuente professionista, pur se formalmente corretta, dovesse essere considerata essenzialmente inattendibile, allorché configgente con il normale senso comune, con conseguente legittimità dell’accertamento induttivo16. Allo stesso modo, la Suprema Corte, con sentenza n. 14292 del 30 ottobre 2000, aveva affermato che “il numero dei soggetti ad imposta che abbiano le proprie scritture contabili presso un professionista è un valido parametro per l’accertamento induttivo dei redditi del professionista stesso, ed anche per considerare inattendibile la eventuale contabilità tenuta dal professionista stesso”. Ed ancora, la stessa sentenza aveva enunciato un principio fondamentale: “il parametro secondo cui il numero dei clienti è uno degli elementi da cui è possibile trarre induttivamente il reddito di un soggetto è poi conforme ad una giurisprudenza ormai pacifica di questa Corte17”. Sarà, pertanto, onere del contribuente-professionista addurre elementi in grado di superare tali presunzioni18. La presunzione secondo 16 Cassazione Civile, Sez. I, 17 ottobre 1995, n. 10823, nella quale era stata ritenuta inattendibile la contabilità di un professionista, nella specie, un commercialista, il quale aveva dichiarato perdite per tre periodi fiscali consecutivi; Commissione Tributaria Regionale Sicilia, sez. XIV, sentenza n. 47 del 2003, nella quale è stato dichiarata l’inattendibilità della contabilità del professionista, la quale configgeva con il senso comune, oltre che con le regole fondamentali di ragionevolezza. In tale fattispecie, in particolare, la Commissione aveva dichiarato legittimo l’operato dell’ufficio che aveva proceduto induttivamente, poiché il volume di affari dichiarato dal contribuente risultava incongruo rispetto al numero dei soggetti assistiti. 17 A tal fine, la sentenza citata richiama la sentenza della Cassazione n. 51 del 7 gennaio 1999, secondo cui il reddito di un ristorante può essere dedotto dal numero di coperti, a sua volta dedotto dal numero di tovaglioli lavati, oppure dalla quantità di materie prime utilizzate. 18 Relativamente all’onere della prova nel processo tributario, L. Leo, Onere della prova nel processo tributario, Rassegna Tributaria 4/2006, p. 1305, secondo il quale “la dinamica che conduce all’instaurazione del processo tributario, sostanziandosi nella richiesta del contribuente di vedere annullata, o rettificata, la pretesa pecuniaria dell’Amministrazione finanziaria non muta le regole del giudizio sul fatto incerto. Il fatto che è il contribuente a doversi rivolgere al giudice tributario per sentire dichiarata la illegittimità della pretesa avanzatagli dall’Amministrazione finanziaria, non deve far ritenere che gravi in capo a costui la dimostrazione in sede processuale della insussistenza di detta pretesa. Questi, in definitiva, sarà attore solo in senso formale ma rimarrà convenuto in senso sostanziale dall’Amministrazione finanziaria, la quale deve indicare e provare i fatti costitutivi della pretesa avanzata. Solo quando l’Amministrazione finanziaria avrà dimostrato i fatti costitutivi della propria pretesa, il contribuente sarà onerato a provare o l’inefficacia dei fatti provati dall’attore o che il diritto da questa provato si è modificato o estinto”. Relativamente all’inversione dell’onere della prova, Cass. Sentenze n. 5794 del 19/04/2001, anche nella determinazione del reddito effettuata sulla base dell’applicazione del cosiddetto “redditometro” l’Amministrazione finanziaria è dispensata da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti, indici di maggiore capacità contributiva, individuati 186 Rivista del Consiglio Diritto Tributario cui i professionisti non sono soliti prestare la propria opera a titolo gratuito, o dilazionando la richiesta di compenso, è agilmente superabile attraverso una prova puntuale e specifica (ma non attraverso una mera asserzione). In un sistema che consente l’utilizzazione delle presunzioni a favore dell’Amministrazione, l’unico rimedio posto a carico del contribuente è quello dell’inversione dell’onere della prova19. A tale presunzione, potrà opporsi agevolmente che, per quanto riguarda la prestazione professionale, non rileva il momento iniziale o finale della stessa: il sistema di determinazione del reddito di lavoro autonomo applica il criterio c.d. “di cassa20”. Così, nel caso del medico dentista, sarà possibile opporre alla presunzione siffatta, che il numero delle visite giornaliere21 dichiarate dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere, pertanto, l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore è posto a carico del contribuente. Dello stesso avviso, Cassazione civile , sez. trib., 10 ottobre 2008 , n. 24912, nella quale si afferma che “I coefficienti presuntivi di reddito di cui al D. P. C. M. 29 gennaio 1996 (parametri) ... non costituiscono prove neppure presuntive di reddito e non possono da soli sostenere un avviso di accertamento di maggiore imponibile”; “in caso di discordanza tra quanto dichiarato e quanto risultante dai calcoli in forza ai c.d. parametri, non sussiste una presunzione iuris tantum a favore dell’Ufficio, con conseguente inversione dell’onere della prova”) -, l’applicazione dei parametri pone (Cass. trib.: 14 marzo 2008 n. 6924; 14 febbraio 2007 n. 3223, tra le recenti) una presunzione legale relativa, superabile solo con la prova contraria, data dal contribuente, con la dimostrazione di circostanze specifiche le quali rivelino concretamente il conseguimento di un ammontare di ricavi inferiore in quanto i coefficienti presuntivi di reddito rappresentano un valore minimale nella determinazione del volume d’affari, che si pone alla base dell’accertamento del reddito in un’ottica statistica, ma non astratta, riferita a un determinato settore economico”. Ed inoltre, a conferma che non si tratta di presunzioni juris et de jure, ma di presunzioni contro cui graverà sul contribuente l’onere di provare il contrario; così anche la Commissione Tributaria Regionale Sicilia, sent. cit. 19 Cassazione Civile, Sez. V, sentenza n. 2891 del 27 febbraio 2002, secondo cui “il contribuente ha l’onere (quanto ad allegazione ed a prova) di giustificare lo scostamento rilevato dall’Ufficio nell’avviso di accertamento”. 20 Ai professionisti è applicabile il criterio di cassa e non quello di competenza, ragion per cui i costi sopportati in un anno potrebbero riferirsi a prestazioni fatte o pagate nell’anno successivo e, quindi, in un altro periodo di imposta. 21 La Suprema Corte, con sentenza n. 4772 del 2001, ha asserito che i compensi tariffari minimi possono integrare presunzioni gravi, precise e concordanti sull’entità dei ricavi del professionista, conformemente al dettato di legge che disciplina le presunzioni stesse, considerando la rilevante probabilità, cioè l’id plerumque accidit, che i contraenti si siano conformati a disposizioni inderogabili. Tuttavia, tali presunzioni saranno atte a ricostruire i redditi di lavoro autonomo solo se le prestazioni in concreto svolte siano state identificate in maniera certa, poiché è questo il presupposto per poter individuare le voci tariffarie da applicare e gli onorari minimi da esse accordati. Rivista del Consiglio 187 L’accertamento fiscale per il professionista... di M. Leo non può implicare, di per sé solo, sotto il profilo delle presunzioni, un pagamento proporzionale: occorre, di converso, considerare il pagamento a cura completata22. Ciò accade anche all’ingegnere per la redazione di un progetto relativo ad opere importanti, e accade anche all’avvocato, soprattutto nelle cause la cui durata non è preventivabile. 4) In particolare: l’accertamento induttivo effettuato nei confronti dell’avvocato che emette poche fatture Giurisprudenza Recentemente la Suprema Corte, sentenza n. 7460 del 27/03/2009, ha affermato che costituisce una valida presunzione, ai fini dell’accertamento induttivo effettuato nei confronti del professionistaavvocato, “l’emissione di un numero di fatture non congruo rispetto al decoro e all’onore della professione, oltre che rispetto al numero di ricorsi depositati in favore dei propri clienti”. Nella sentenza in parola si è ribadita la legittimità dell’accertamento induttivo utilizzato dall’Amministrazione finanziaria per rettificare il reddito di lavoro autonomo dichiarato da un professionista, il quale aveva emesso un numero di fatture irrisorio. Nella fattispecie in esame, in particolare, l’Ufficio delle Imposte Dirette di Roma aveva rettificato il reddito di lavoro autonomo per l’attività forense, a seguito di una verifica da cui era emerso che il ricorrente aveva emesso soltanto 25 fatture, a fronte della presentazione di un numero di ricorsi civili ed amministrativi pari ad oltre 200. Il professionista, in risposta, aveva eccepito che un notevole numero di tali ricorsi era stato presentato per gli iscritti ad un sindacato del cui ufficio legale egli faceva parte e per i quali aveva riscosso compensi irrisori solo all’esito favorevole delle relative vertenze. In particolare, il professionista aveva eccepito altri elementi da cui poter 22 Cassazione Civile, sentenza n. 2744 del 10 marzo 2000, la quale accoglieva il ricorso del medico dentista avverso l’accertamento di tipo induttivo. In esso il ricorrente segnalava la peculiarità della prestazione odontoiatrica, la quale si articola in una pluralità di sedute, con normale erogazione dell’onorario all’esito, vincendo la presunzione dell’Ufficio. 188 Rivista del Consiglio Diritto Tributario desumere il suo tenore di vita effettivo, quali la propria abitazione, il suo studio professionale, gli stessi accertamenti bancari eseguiti dalla G. di F. La Suprema Corte, tuttavia, ha confermato quanto affermato dai giudici della Commissione Tributaria Regionale, in quanto una dichiarazione annuale dei redditi di € 6.590,00 non appariva congrua rispetto alla mole di lavoro effettuata, che per quell’anno consisteva nella presentazione di ricorsi per oltre 200 clienti. La sentenza richiamata pare inserirsi nell’orientamento della stessa Suprema Corte con Cass. Civ., Sez. Trib., 13/04/2007, n. 8886, secondo cui l’Amministrazione finanziaria può procedere, anche in via indiziaria, all’accertamento di maggiori ricavi in materia di reddito d’impresa o di lavoro autonomo, anche in presenza di una contabilità regolarmente tenuta. Ha inoltre ritenuto legittimo l’accertamento, operato nei confronti dei professionisti, sulla base dell’elenco clienti e del giro d’affari degli stessi. Nella specie, l’Ufficio aveva proceduto alla determinazione dei compensi percepiti dalla contribuente sula base della lista dei suoi clienti e dei ricavi da loro dichiarati, tenuto conto delle tariffe professionali. A sostegno di quanto sopra la stessa Suprema Corte con Cass. Civ., Sez. Trib., 24 novembre 2006, n. 25002, relativamente ad un ricorso presentato nell’interesse di un commercialista, per il quale si era proceduto alla rideterminazione induttiva del reddito, in quanto il numero dei clienti era notevolmente superiore al numero delle fatture emesse e al reddito dichiarato, aveva ribadito che: “giova preliminarmente ricordare che in mancanza di contrarie disposizioni di legge, la prova della percezione di un reddito può anche essere data per presunzioni e che la necessità, sul piano sostanziale, di tener conto dei soli compensi concretamente percepiti nel periodo di imposta, non esclude la possibilità, sul piano probatorio, di ritenere pagate, nell’anno stesso di esecuzione, tutte quelle prestazioni per le quali sussistono elementi capaci di giustificare simile convincimento. Tanto puntualizzato, rimane unicamente da aggiungere che nella fattispecie in questione, la Commissione Regionale ha desunto il tempestivo pagamento delle prestazioni dal numero delle stesse, dalla caratura dei beneficiari, dalla consistenza dell’opera prestata in loro favore, dalle caratteRivista del Consiglio 189 L’accertamento fiscale per il professionista... di M. Leo ristiche della struttura utilizzata e dalla mancata indicazione, da parte del contribuente professionista, di elementi atti a dimostrare il contrario”23. Anche la giurisprudenza di merito, Commissione Tributaria Centrale, Sez. XXV, sentenza n. 799 del 04 marzo 1997, aveva sancito la correttezza dell’accertamento induttivo dei redditi, previsto dall’art. 39, comma 2, D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, promosso nei confronti dei soggetti esercenti arti e professioni, per cui aveva legittimato l’operato dell’ufficio che aveva proceduto nei confronti di un commercialista mediante lo strumento dell’accertamento induttivo, ponendo a fondamento di esso una ragionevole presunzione di inattendibilità della dichiarazione dei redditi del contribuente; a tale scopo demandava l’onere della valutazione estimativa dell’entità del volume d’affari alla competente Commissione tributaria regionale. Il maggior numero dei clienti rispetto a quello delle fatture emesse e la sproporzione tra l’ammontare di queste ultime, anche in relazione al probabile impegno profuso dal professionista nella sua prestazione d’opera, costituiscono circostanze idonee a far sì che l’Ufficio presuma l’esistenza di attività non dichiarate e reputi inattendibile la documentazione contabile. In tali casi, occorrerà dimostrare che il compenso del professionista è esattamente quello indicato in fattura, indipendentemente dal numero delle “pratiche” svolte o in trattazione. Giova ribadire che la determinazione della base imponibile degli esercenti arti e professioni segue il criterio di cassa quindi rileva solo ed esclusivamente il momento della percezione del compenso, a nulla rilevando l’inizio della prestazione professionale. Gli strumenti probatori dei quali potrà servirsi il professionista sono della stessa natura di quelli adottati dall’Amministrazione finanziaria, ovvero potrà avvalersi di presunzioni per confutare il 23 Già la Cassazione Civ., Sez. trib., 30 ottobre 2000, n. 14292, aveva affermato che: “Il parametro secondo cui il numero dei clienti è uno degli elementi da cui è possibile trarre induttivamente il reddito di un soggetto è poi conforme ad una giurisprudenza ormai pacifica di questa Corte”. Costituisce, quindi, un possibile parametro per l’accertamento induttivo dei redditi del professionista anche il numero dei soggetti ad imposta che hanno le proprie scritture contabili presso il professionista, anche per considerare inattendibile la eventuale contabilità tenuta dal professionista stesso. 190 Rivista del Consiglio Diritto Tributario ragionamento inferenziale dell’Ufficio fiscale. Così, come ha affermato dalla giurisprudenza di merito, Commissione Tributaria Regionale Sicilia, Sez. 1, sentenza n. 13 dell’08.04.200824, è ragionevole ritenere che solo la conclusione della vertenza, con esito favorevole per il cliente, possa far legittimante concludere per la corresponsione del corrispettivo da parte di questi. Conseguentemente è prudente che il professionista adotti ogni cautela per salvaguardare il proprio credito professionale, non solo per il credito in sé, ma anche perché rinunciarvi, sic et simpliciter, potrebbe condurre l’Ufficio fiscale ad un giudizio di percezione “in nero” dello stesso. In definitiva ci si potrebbe trovare dinanzi alla mancata percezione del corrispettivo professionale e alla contestazione del mancato pagamento delle imposte ad esso relativo, ovviamente con la comminazione di sanzioni. 24 Commissione Tributaria Regionale Sicilia, Sez. 1, con sentenza n. 13 dell’08.04.2008: “Invero nel rapporto tra il professionista ed il cliente, capita spesso che il primo, per mantenersi buono il cliente, chiede, all’atto del conferimento dell’incarico, acconti limitatamente alle spese da sostenere, mentre il compenso vero e proprio viene procrastinato all’atto della cessazione del servizio professionale. [...] In sostanza, la vera e propria retribuzione del professionista si ha al momento della completa prestazione del servizio”. Rivista del Consiglio 191 Del perché se corrispettivo e valore “normale”... di A. Mancuso Del perché se corrispettivo e valore “normale” (nella plusvalenza da cessione di immobili) continuano a essere la stessa cosa, questo non è più un Paese civile di Armando Mancuso Premessa Sono sempre più frequenti, nella prassi degli Uffici finanziari, gli accertamenti nei confronti dei cedenti / persone fisiche – a titolo di plusvalenza reddituale da cessione di bene immobile –, emessi automaticamente allorquando il corrispettivo della vendita indicato in atto risulti inferiore al maggior valore accertato (spesso nei confronti del solo acquirente) dagli Uffici per lo stesso immobile, ai fini dell’imposta di registro. Se pur palese è il tentativo del fisco di “recuperare” materia imponibile (specie in periodi di crisi come quello attuale), in ordine alla illegittimità di una tale pedissequa “traslazione d’imponibile” da un’imposta all’altra, valga quanto segue. Quadro normativo Ai sensi degli artt. 51 e 52 del D.P.R. n. 131/86, l’imposta di registro, con riferimento agli atti aventi per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, si applica sulla base non (solo) del corrispettivo dichiarato in atto, quanto (se superiore) sulla base del valore venale in comune commercio. 192 Rivista del Consiglio Diritto Tributario Ratio della c.d. imposta d’atto1 è quella di incidere, più che sulla ricchezza realmente prodottasi (corrispettivo incassato), sulla ricchezza “trasferita” (valore venale del bene compravenduto). Viceversa, in tema di redditi diversi (categoria reddituale in cui inquadrare la plusvalenza da cessione di bene immobile per le persone fisiche2), gli artt. 67 e 68 del D.P.R. n. 917/86 – c.d. TUIR – intendono colpire l’effettivo incremento patrimoniale, essendo la plusvalenza costituita dalla differenza tra il corrispettivo percepito nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto del bene. L’Amministrazione Finanziaria, in sede di accertamento di una (asserita) plusvalenza reddituale, dovrà, evidentemente, dimostrare il proprio assunto – imponibile “reale” – e non colpire un arricchimento “astratto” e “virtuale”. Non è sufficiente che la fattispecie concreta sia la medesima – il trasferimento oneroso dell’immobile –, ciò che va debitamente sottolineato è che cambiano i presupposti stessi dell’imposizione, ai fini del registro e delle imposte dirette. Purtroppo la inveterata prassi degli Uffici di sfruttare a proprio vantaggio questa (irrazionale) commistione di presupposti impositivi scaturisce anche dall’atteggiamento a dir poco ondivago della giurisprudenza, soprattutto di legittimità, per niente univoca nell’individuare e delimitare gli esatti confini tra le due imposte. La Suprema Corte, difatti, pur non avallando una sorta di automatismo accertativo, ha ammesso, in talune pronunce, anche recenti (cfr. Cass. sez. trib., ord. n. 22793 del 09 novembre 2010), la possibilità per l’amministrazione finanziaria di far ricorso ad una presunzione, ai fini delle II.DD., fondata sull’accertamento di un maggior 1 Si fa riferimento, in questo caso, alla definizione di “imposta d’atto” in senso atecnico, aderendo, viceversa, alla tesi dominante per cui il presupposto dell’imposta di registro si ravvisa nell’atto non in quanto tale, ma quale negozio e, in particolare, nei suoi effetti giuridici con riferimento ad un fatto economicamente rilevante, espressivo di capacità contributiva : in questi termini, P. Russo, Manuale di diritto tributario, Giuffrè editore, 1994, pg. 681. 2 Sono tassabili la cessione di immobili a titolo oneroso infraquinquennio dall’acquisto o costruzione (eccezion fatta per le unità immobiliari urbane adibite, per la maggior parte del periodo tra acquisto e cessione, ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari), nonché, in ogni caso, le cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, ai sensi dell’art. 67 TUIR. Rivista del Consiglio 193 Del perché se corrispettivo e valore “normale”... di A. Mancuso valore definitivamente accertato in sede di applicazione dell’imposta di registro, gravando sul contribuente / cedente l’onere di superare tale presunzione (così anche Cass. trib., sent. n. 1447/06 e Cass. trib., sent. n. 14581/01). Pur riconoscendo la diversità dei presupposti e delle basi imponibili delle due imposte, conforme a tale orientamento anche Cass. trib., sent. n. 4057/07 e Cass. trib., sent. n. 14448/00. Potendo (dovendo) il cedente far ricorso ad ogni altro elemento, anche indiziario, a supporto del reale corrispettivo di vendita (Cass. trib. sent. n. 14581/01). In realtà, come detto, la legge (artt. 67-68 TUIR) prevede ben altro in tema di redditi diversi, nel momento in cui definisce la plusvalenza quale “differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto”, e non parla affatto, invece, di presunzioni e di “maggior valore”… Non v’è alcuna norma che fissi una presunzione legale relativa3, la sola in grado di invertire l’onere della prova a carico del cedente, potendosi, al più, parlare (per chi aderisca all’orientamento di una certa giurisprudenza di legittimità) di mera presunzione (semplice4). In questo senso altra recente pronuncia della Suprema Corte: “(…) compete all’Amministrazione Finanziaria (…) l’onere della prova dell’ammontare del corrispettivo della vendita assunto diverso da quello dichiarato in funzione dell’accertamento operato ai fini dell’imposta di registro (…)” (expressis, Cass. trib., sent. n. 20496 del 30 settembre 2010). Di identico tenore, la precedente Cass. trib., sent. n. 16700 del 08.08.2005, ai sensi della quale, nella determinazione della plusvalenza tassabile ai fini delle imposte sui redditi, si deve tener conto 3 Ai sensi dell’art. 2728 (Prova contro le presunzioni legali) co. 1 del cod. civ., “Le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite”, e la prova contraria (nell’ipotesi di presunzione legale relativa, la quale ammette, appunto, prova contraria) spetta a chi intende dimostrare che non sono vere le conseguenze che la legge trae da un fatto noto per risalire ad uno ignorato (secondo la definizione di presunzione di cui all’art. 2727 cod. civ.). 4 Ai sensi dell’art. 2729 (Presunzioni semplici) del cod. civ. , “Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”. 194 Rivista del Consiglio Diritto Tributario del prezzo effettivamente percepito dal contribuente, in quanto la prova che il valore del bene è superiore al prezzo dichiarato in atto costituisce solo un indizio di possibile occultamento del prezzo reale, e se ciò è sufficiente a giustificare un accertamento ai fini della imposta di registro, non giustifica affatto un accertamento induttivo ai fini delle imposte sui redditi, al più residuando la facoltà (e l’onere) dell’Ufficio di dimostrare aliunde – con gravità, precisione e concordanza – l’eventuale divergenza del prezzo effettivamente riscosso. Sulla inequivocità del termine “corrispettivo” piuttosto che “valore di mercato”, nel senso che la normativa sui redditi non autorizza revisioni dell’imponibile in base al semplice riscontro dell’inferiorità del ricavato rispetto al valore di mercato, vd. anche Cass. trib., sent. n. 7689/03. Assolutamente concordi sul punto – onere della prova del maggior corrispettivo incassato a carico dell’A.F. - dottrina e giurisprudenza di merito maggioritarie. Evidente, al contrario, l’ambiguità della posizione espressa e la labilità del confine tracciato, da ultimo, dalla cit. Ord. n. 22793 del 09 novembre 2010 della Cass., sez. trib.: ammettere che l’A.F. è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento della plusvalenza da cessione, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro (se pur quando tale valore sia stato “definitivamente” accertato, e salvo prova contraria del contribuente), comporta che, nelle more della definitività5, comunque l’Ufficio si sentirà legittimato ad accertare anche la (presunta) plusvalenza reddituale del cedente, salvo poi (eventualmente) provvedere ad annullare l’accertamento in autotutela6, all’esito del giudizio sul valore. Con buona pace dell’art. 53 della Costituzione, e del sempre meno inviolabile principio della capacità contributiva in esso riprodotto, si giunge, ahinoi, a tassare una ricchezza mai realmente prodottasi (se l’assunto è indimostrato, trattandosi di “semplice” pre5 Ad esempio, pendente il giudizio sul maggior valore accertato, per aver il contribuente tempestivamente impugnato il relativo atto impositivo. 6 In tutto o in parte, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 11 febbraio 1997 n. 37. Rivista del Consiglio 195 Del perché se corrispettivo e valore “normale”... di A. Mancuso sunzione, non c’è alcuna “ragionevole” certezza di maggior reddito realizzato). In uno Stato di diritto che dir si voglia, però, è chi accusa a dover fornire le prove della colpevolezza, e non chi è accusato a dover dimostrare la liceità della propria condotta. Sono le più elementari regole giuridiche e i più basilari principi generali di ogni Ordinamento giuridico – anche fiscale – che si professi civile e democratico ad imporcelo… Del resto, l’Agenzia delle Entrate già a partire dalla Risoluzione n. 8/1437 del 01.07.1980 aveva chiaramente evidenziato che, nel mentre ai fini dell’imposizione indiretta la legge fa riferimento al “valore venale in comune commercio” (art. 51 DPR n. 131/86), in ambito reddituale vale il diverso criterio del “corrispettivo percepito nel periodo d’imposta” (art. 68 cit.). Salvo, poi, dimenticarsene negli anni a venire (per le solite esigenze di cassa)… Conclusioni Sono sempre di più le presunzioni introdotte, in tema di imposte sul reddito, dal legislatore nel nostro sistema tributario (si pensi all’accertamento c.d. sintetico e al redditometro, ai parametri e agli studi di settore, alle indagini finanziarie, alle società di comodo, alle operazioni con paradisi fiscali, alla esterovestizione delle società, alla presunzione di residenza nel territorio nazionale, etc.), non si capisce se per l’incapacità cronica7 degli Uffici di effettuare controlli analitici, o se (ciò che pare essere) per facilitare e accelerare il lavoro di accertamento e di riscossione del Fisco8, in un Paese che ha continuamente e sempre più bisogno di ingenti entrate finanziarie per far fronte ad un debito pubblico quasi insostenibile. Per mancanza di mezzi e/o risorse, anche umane, nonché per la elefantiasi e la oscurità della normativa fiscale. 8 A partire dal 01 luglio 2011, a seguito delle novelle introdotte dalla Manovra correttiva di cui al D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, con l’art. 29 (Concentrazione della riscossione nell’accertamento), l’avviso di accertamento, in tema di II.DD. e IVA, diverrà immediatamente esecutivo e ciò, nelle intenzioni del legislatore, porterà ad una notevole accelerazione anche della riscossione di tali imposte. 7 196 Rivista del Consiglio Diritto Tributario Indipendentemente dalla contingenza dell’attuale momento di crisi economico-finanziaria mondiale (l’”urgenza” tipicamente italiana, per un Paese realmente “normale”, non può durare 20, 30 anni o più!), la strada da imboccare, a sommesso parere di chi scrive, non deve essere (solo) questa. La tanto agognata virtuosità fiscale degli italiani non potrà, viceversa, che passare dalla trasparenza (e, a regime, equità) dell’imposizione, senza trascurare l’auspicio verso una restituenda fiducia nell’utilizzo corretto delle risorse finanziarie, tese alla realizzazione di un – finalmente – lungimirante progetto di Stato. Rivista del Consiglio 197 Opinioni e Saggi Lo storico, il giudice e lo stato di diritto di Cesare Taurino Non si può non dire che da quando un erudito come il gesuita Henri Griffet nel suo Trattato sulle diverse specie di prove che occorrono per stabilire la verità storica (1769) paragonò lo storico al giudice, le due figure sono state considerate con serio parallelismo così da portare ad una similitudine di esercizio che non può, tuttavia, significare ed essere identità. Invero, così come lo storico che, per onorare la sua funzione di ricostruzione del passato, segue il criterio del documentare, del verificare e del ricostruire senza abbandonarsi a schemi astratti che farebbero venir meno l’ossatura dei fatti storici, anche il giudice deve, al fine di avere la conoscenza dei fatti che hanno cagionato l’illecito, tanto in civile quanto in penale e in via amministrativa e tributaria, ricercare, acquisire le prove concrete (il giudice non è presente nel momento in cui si verifica l’illecito) onde risalire alla responsabilità del soggetto autore del misfatto produttivo di danni. Però, mentre lo storico, con l’ausilio di documenti che vanno rintracciati e selezionati nonché di possibili testimonianze di vita, non ha limiti temporali nella ricerca delle fonti storiche documentali provenienti da archivi ed altro, il giudice, al contrario, deve formulare la propria decisione su prove oggettive entro limiti di tempo e con modalità di acquisizione ed allegazioni sotto pena di decadenze e preclusioni stabilite perentoriamente dal legislatore. Di qui la diversità del giudizio storico – complesso e definitivo – e quello del giudice il quale, al termine del processo, non può che depositare e motivare la “verità processuale” che può non corrispondere alla verità dei fatti materiali. Ed ecco verificarsi lo scarto tra la “verità processuale”, o formale, e quella del fatto concreto e storico. 198 Rivista del Consiglio Opinioni e Saggi A questo punto sorge spontanea la domanda: se tra il Fatto e il Diritto, se tra la vicenda vera e reale e la sentenza vi è distinzione e hiatus, a che serve il processo se da questo non sempre scaturisce l’autentica verità storica, cioè quel dato concreto che ha causato lutti e danni al singolo e alla collettività? Esempi drammatici di tale discrasia si possono cogliere a piene mani nella vita di ogni giorno. Si ponga mente all’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 quando persero la vita 85 persone innocenti e ci furono più di duecento feriti. Per quella strage sono stati condannati soltanto Fioravanti e la Mambro come esecutori materiali. Ebbene, dopo trent’anni, la “giustizia penale” non ha ancora individuato i mandanti, gli organizzatori e gli altri esecutori, il che denuncia l’incapacità del processo a fare luce completa su chi deviò le indagini, su chi organizzò e volle come suo disegno politico quella strage che grida vendetta perenne e giustizia per le tante famiglie che hanno subito danni irreparabili. È bene, dunque, anche dal punto di vista storico, oltre che giuridico, vengano aperti gli archivi pubblici e gli armadi privati dove si possono, trovare autori e mandanti coperti dal segreto di Stato! E così per la strage di Capaci del 1992 organizzata per uccidere il magistrato Giovanni Falcone e, poco dopo, quella in cui trovò la morte l’amico e collega Borsellino. La “giustizia” in tanti anni, non ha ancora scoperto i veri colpevoli e i tanti mandanti sia per la deviazione delle indagini, sia perché è ormai certo che quella strage non fu voluta solo dalla mafia ma anche da altre occulte forze politiche – come la “P 2” di Licio Gelli – coperte dai servizi segreti e da “pezzi dello Stato”, che avevano in programma il cambio della direzione politica e governativa del Paese. A che servono allora, c’è da chiedersi, il Diritto e l’apparato giudiziario che dovrebbe garantirlo, se la violazione di essi è quasi costante nella vita quotidiana? E che cosa sono il Diritto e lo Stato se i cittadini non sempre vengono tutelati e protetti giuridicamente contro i corruttori, i violenti e i malfattori che brulicano nella società? Nel rispondere a ciò non posso non ricorrere alla tesi suggestiva ed acuta del grande giurista Francesco Carnelutti per il quale “il Diritto è l’armatura dello Stato” e questo che rappresenta “l’arco” che congiunge due sponde altriRivista del Consiglio 199 Lo storico, il giudice e lo stato di diritto di C. Taurino menti lontane, esprime fermezza e forza, se l’armatura è salda e ben posta. Sicché, nel momento in cui viene meno l’armatura (Diritto), l’arco (lo Stato) cede ai sussulti interni ed alle pressioni esterne. Di qui la conclusione carneluttiana: “lo Stato di Diritto non è lo Stato perfetto più di quanto possa essere l’arco prima che i muratori l’abbiano finito di costruire. Lo Stato perfetto sarà, al contrario, lo Stato che non ha bisogno del Diritto: una prospettiva, senza dubbio, lontana, immensamente lontana” (in, Arte del Diritto). Di conseguenza, il Carnelutti (fideista) insiste nell’auspicare che solo l’amore fra gli uomini possa, in mancanza del Diritto (“surrogato dell’amore”) cementare e solidificare l’arco che regge la società e lo Stato. Ecco che attraverso tale concezione del Diritto e dello Stato, fanno capolino le figure del lupo e dell’agnello: homo homini lupus (Hobbes) e homo homini agnus (S. Francesco). Chi crede nella prima alternativa – come chi scrive – fa i conti con la storia triste e spregiudicata dell’umanità che deve trovare in sé stessa le soluzioni più adeguate, razionali e realiste. Se nella struttura dello Stato si infiltrano mafiosi e corruttori, se faccendieri e spregiudicati trattano (onde la “cricca P 3”), anche telefonicamente, di uomini che contano negli alti uffici giudiziari e non, di ispezioni ministeriali a orologeria; se il Paese va a picco e la corruzione e il malaffare penetrano nella varie strutture pubbliche e dilagano in ogni dove, come l’aria, l’unico mezzo per superare lo stallo, anzi il vuoto (horror vacui) in cui si trovano la giustizia e lo Stato, è che questo si ridesti dal lungo sonno letargico e mostri le sue potenzialità, la sua virtù propria, disintossicando la società che deve svilupparsi senza tiranni, senza padroni e padrini e trovare in essa gli anticorpi necessari e sufficienti perché l’uomo risalga dal fondo melmoso in cui si trova così da ridare speranza, nuove prospettive alle giovani generazioni educandole ai reali valori civili ed umani, senza infingimenti ed ipocrisie curialesche. Di qui la necessità di dire, con Pascal, che “la giustizia scompagnata dalla forza è impotente, la forza scompagnata dalla giustizia è tirannica. Bisogna, dunque, coniugare la giustizia e la forza, facendo in modo che quel che è giusto sia forte e quel che è forte sia giusto”. 200 Rivista del Consiglio Opinioni e Saggi Albo chiuso? Albo aperto? a cura di Lucio Caprioli Intervengono nel dibattito aperto dalle drammatiche analisi svolte da Pietro Quinto e Raffaele Fatano (La Gazzetta del Mezzogiorno). Questo mio intervento ha solo lo scopo di dare apporti di testimonianze della “memoria storica” riguardo al drammatico dilemma rappresentato nel titolo (rectius: epigrafe). E muovo subito da quella che può essere una “curiosità” nel confronto tra l’ieri e l’oggi: L’Albo del Collegio dei Procuratori presso il Tribunale civile e correzionale di Lecce, il quale, alla data del marzo del 1884 registrava 124 iscritti. Presidente (denominato istituzionalmente “Presidente del Consiglio di disciplina”) l’avv. Nicola Barletti; poi, quanto alla anzianità d’iscrizione: l’avv. Luigi Villani fu Francesco, iscritto nel 1829, gli avv. Oronzo De Simone fu Florestano, e Antonio Pirrone fu Carlo, iscritti nel dicembre del 1843. Il “nostro dilemma”: addirittura traumatico più che drammatico, per il suo incidere, in maniera davvero traumatica, in rapporti con principi costituzionali, con principi etici, con principi ordinamentali professionali. E non si tratta di un problema dell’oggi; esso ha sempre angosciato il mondo forense. Qui basti ricordare i lavori dell’XI Congresso Nazionale Forense, celebratosi a Cagliari nel settembre del 1971; riguardo al tema: “Accesso alla professione” si fronteggiarono due contrapposte mozioni, sostenute: - l’una dal Foro Salentino (guidato dal Presidente dell’Ordine avv. Pietro Lecciso, relatore ufficiale per la opzione “Albo Aperto”, sostenuta anche da altri fori, tra i quali, Bologna, Roma. - l’altra dal Foro Napoletano (autore della relazione ufficiale per la opzione “Albo Chiuso” l’avv. Mario Pisani Massamormile). A conferma della traumaticità del dilemma, stanno le rispettive ragioni ed argomentazioni che sostengono le due opzioni contrapposte: Rivista del Consiglio 201 Albo chiuso? Albo aperto? a cura di L. Caprioli Argomenta Pisani Massamormile: “…il numero non è potenza… la quantità è a tutto danno della qualità… Le condizioni economiche del Paese non giustificano la pletorica esistenza di una folla di iscritti, la maggior parte dei quali non trova fonte adeguata di lavoro, quando addirittura non trova lavoro affatto”. (correva, allora, solo l’anno 1971…!). Argomenta Pietro Lecciso: “…l’Ordinamento ha il diritto ed anche il dovere di impedire l’accesso alla professione forense a coloro che non hanno adeguata preparazione teorica e pratica e non sono di specchiatissima condotta, di escludere coloro che non operano con dignità e decoro, e di dettare le norme per attuare la selezione. Ma il ricorso a sbarramenti o a limitazioni, per altro dettate in base a discutibili criteri, potrebbe precludere ai giovani la possibilità di accedere ad una istituzione libera e indipendente, indispensabile per la protezione e la difesa degli umani diritti”. Il dramma c’era allora e, nel tempo, lungi dallo alleviarsi, anzi si è ulteriormente appesantito, evocando i fantasmi di responsabilità plurime non imputabili solo a quella connessa con la “tenuta degli albi” attribuita alle “Associazioni professionali”, ossia, agli Ordini. C’è una rilevante responsabilità dell’Università. Ma, una precisazione: questa sorta di addebito all’Università (che, tuttavia, è assai “antico”), non può esaurirsi in questa tautologia; in questo… ipse dixit; ma richiede seri approfondimenti. Subito, qui, comunque non posso non richiamare due fonti autorevolissime, “ex plurimis”: Piero Calamandrei, presidente della commissione, nominata con decreto 3 giugno 1954 del Ministro sen. De Pietro (con l’incarico di redigere lo schema definitivo di legge sull’Ordinamento Forense) nella relazione 12 settembre 1955 rassegnata al Ministro successivo e pro tempore on. Moro: “… omissis Nel nostro ordinamento universitario mancano, dopo la laurea, appositi istituti che aiutino i giovani aspiranti alla avvocatura… dato il numero sempre crescente dei laureati, pochi di essi saranno anche in avvenire i fortunati… Questo è il problema di ordine generale che rimane insoluto, e che ha natura complessa e cause profonde e per risolvere il quale non basta riformare la legge forense… Una fondamentale riforma degli studi medi ed universitari… 202 Rivista del Consiglio Opinioni e Saggi Mino Martinazzoli, nella storica relazione preliminare del Ministro per la Giustizia alla “prima” (e ultima?) Conferenza Nazionale della Giustizia – Bologna, novembre 1986 – : …I problemi della formazione e della specializzazione degli avvocati. Il primo rilievo da fare è quello che attiene al livello di preparazione dei giovani che, ottenuta la laurea, si avviano alla scelta della professione forense… Gli studi universitari di diritto non sono stati ancora adeguati alle richieste che il mondo pone alla Avvocatura (ed alla Magistratura)… Mi fermo qui, anche se la “storia” è, evidentemente, … senza fine! Rivista del Consiglio 203 L’infortunio in itinere... di W. Gravante L’infortunio in itinere Inquadramento della fattispecie Evoluzione normativa ed orientamenti giurisprudenziali di Walter Gravante L’infortunio in itinere. Inquadramento della fattispecie. Evoluzione normativa ed orientamenti giurisprudenziali La normativa in materia di rapporto di lavoro, così come è facilmente intuibile, non fa sorgere particolari problemi qualora un determinato infortunio dovesse verificarsi durante l’espletamento delle mansioni alle quali il lavoratore è preposto. In tal caso, infatti, sarebbe facile accertare, previa verifica della sussistenza dei presupposti normativi, la piena tutela di un determinato evento dannoso, restando salva, ovviamente, la prova che il danno si sia verificato nell’ambiente di lavoro (c.d. nesso topografico) ed in orario lavorativo (c.d. nesso cronologico). Il pregiudizio, quindi, sarebbe pienamente indennizzabile se fosse ricollegabile all’attività lavorativa secondo la relazione lavoro rischio - infortunio. Il tempo che il lavoratore dedica all’espletamento della prestazione, tuttavia, non si limita a quello durante il quale la stessa viene eseguita, ma ricomprende anche il lasso di tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro o per ritornare a casa, o in altro posto, dopo averla terminata. Talvolta potrebbe accadere che il lavoratore rimanga vittima di un infortunio durante il tragitto necessario per raggiungere la relativa sede. Il suddetto evento è stato definito “infortunio in itinere”, e rappresenta la figura più importante di rischio generico aggravato. 204 Rivista del Consiglio Opinioni e Saggi Tale istituto è stato espressamente disciplinato, per la prima volta, dall’art. 12 del Decreto Legislativo n° 38 del 16 marzo 2000, che ha aggiunto un apposito comma agli articoli 2 e 210 del D.P.R. n° 1124/1965. Secondo il disposto dell’art. 2 citato, così come modificato ed integrato dal suddetto atto normativo, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro. Trattasi dell’ipotesi più ricorrente, atteso che la previsione legislativa non pone alcuna eccezione, né riguardo ai lavoratori assicurati né in relazione al tipo di lavoro che il lavoratore è chiamato a svolgere. Nel periodo anteriore all’entrata in vigore della novella legislativa, mancando una disciplina specifica, la copertura assicurativa era avvenuta, ad opera della giurisprudenza, come “prolungamento” dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. La tutela, in altri termini, era accordata se ed in quanto l’evento fosse riconducibile alla comune ipotesi prevista dall’art. 2 del T.U. citato. La predetta normativa, tuttavia, sicuramente importante per aver disciplinato legislativamente l’infortunio in itinere, impone una serie di precisazioni indispensabili al fine di comprenderne la portata. Occasione di lavoro L’indennizzabilità dell’evento dannoso, in primo luogo, postula necessariamente che lo stesso si sia verificato “in occasione del lavoro”. Quest’ultima è costituita dal nesso eziologico di causa – effetto tra lavoro ed infortunio, che può essere anche soltanto indiretto od occasionale, e scaturisce dalla relazione lavoro - rischio - infortunio. Il lavoro, in particolare, deve essere il fattore che determina il rischio in presenza del quale si verifica il danno. Rivista del Consiglio 205 L’infortunio in itinere... di W. Gravante Attività tutelate diverse dalla prestazione lavorativa La nozione di lavoro, in secondo luogo, comprende non solo la prestazione lavorativa in senso stretto ma anche le azioni ad essa connesse. La giurisprudenza, infatti, ha riconosciuto, in numerosissime occasioni, l’indennizzabilità di un infortunio verificatosi durante l’espletamento delle attività complementari ed accessorie legate da un rapporto di occasionalità con la prestazione lavorativa (es. indossare la divisa prima dell’inizio del lavoro, svestirsi dopo la fine del turno, percorrere un tratto di strada per recarsi al lavoro, portare il denaro incassato a casa, ecc.). Talvolta è stata, altresì, ritenuta la piena tutela anche per eventi dannosi verificatisi al termine della giornata di lavoro (Cass. 15961 / 2000, che ha definito “infortunio” il ferimento di un benzinaio rapinato dell’incasso, al termine della giornata, nella propria abitazione). La S.C. ha stabilito, nella fattispecie, che la prestazione lavorativa poteva ritenersi conclusa solo con il trasporto del denaro a casa, anche in considerazione del fatto che il giorno seguente, essendo festivo, non poteva depositarlo in banca. Sussisteva, quindi, secondo i giudici di legittimità, il nesso di derivazione eziologia tra la prestazione lavorativa e l’evento dannoso. Secondo alcune decisioni, l’infortunio è indennizzabile quando vengono accertate: 1) le finalità lavorative; 2) la normalità del tragitto; 3) la percorrenza in orari compatibili con quelli lavorativi. Il percorso luogo di abitazione - luogo di lavoro, affrontato per esigenze lavorative in orari confacienti con quelli lavorativi, fa sì che il rischio “generico” diventi “aggravato dal lavoro”. Talvolta alcuni atti, apparentemente neutri dal punto di vista naturalistico, assumono un particolare rilievo, sotto il profilo giuridico, nel momento in cui sono finalizzati all’espletamento delle prestazioni lavorative. Tali azioni, di conseguenza, rientrano nella salvaguardia se ed in quanto abbiano lo scopo di espletare la prestazione di lavoro. 206 Rivista del Consiglio Opinioni e Saggi Sulla base di tali principi sono stati indennizzati gli infortuni occorsi: • Ad un lavoratore investito mentre attraversava una pubblica via mentre si recava al lavoro (Tribunale di Firenze, 27 marzo 1996); • Ad un lavoratore infortunatosi durante il percorso a piedi per raggiungere la propria autovettura, il cui uso era necessario per raggiungere il posto di lavoro (Cassazione n° 3576 / 1997); • Ad un lavoratore infortunatosi a seguito dell’incidente stradale occorso all’autobus sul quale viaggiava per raggiungere dal luogo di residenza il posto di lavoro (Cassazione n° 455 / 1998); • Ad un lavoratore caduto mentre, in ora prossima a quella di inizio delle prestazioni, si dirigeva a piedi e senza deviazioni dalla sua abitazione alla fermata del mezzo di trasporto pubblico per raggiungere il posto di lavoro, considerato che l’uso del mezzo pubblico era necessario (Cassazione n° 10582 / 1998); • Ad una lavoratrice caduta a causa della brusca frenata dell’autobus di linea che la portava sul luogo di lavoro (Cassazione n° 11008 / 1998); • Ad un lavoratore investito mentre attraversava la strada per recarsi a prendere il bus che quotidianamente lo portava a casa, in considerazione del fatto che aveva ultimato poco prima il turno di lavoro (Cassazione n° 3979 / 1999); • Ad una cassiera di banca che, avendo dimenticato a casa le chiavi della cassaforte, abbia subito un infortunio a causa di un incidente stradale con gravi lesioni invalidanti. Secondo la S.C. non assume alcun rilievo contrario, in quest’ultimo caso, la circostanza che il viaggio di ritorno per prendere le chiavi sia stato determinato da una dimenticanza della dipendente. Si afferma, infatti, un principio, ormai consolidato, secondo il quale la colpa esclusiva del lavoratore non osta alla operatività dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, neppure in caso di infortunio in itinere. Rivista del Consiglio 207 L’infortunio in itinere... di W. Gravante Considerazioni in merito al percorso Si ritiene opportuno precisare che il percorso giuridicamente tutelato deve necessariamente essere quello più breve nonché privo di deviazioni idonee ad alterarlo in maniera significativa. Se, ad esempio, il lavoratore percorresse una strada del tutto diversa da quella strettamente necessaria per recarsi al lavoro o per rientrare a casa, correrebbe, a nostro parere, il serio e fondato rischio di non essere indennizzato qualora dovesse verificarsi un determinato infortunio. Tale deviazione, inoltre, farebbe sorgere il dubbio che la strada “alternativa” non abbia attinenza con la prestazione lavorativa. Il medesimo discorso potrebbe valere, applicando i medesimi principi, se il lavoratore interrompesse il tragitto per fare delle pause intermedie, soprattutto se non collegate con l’espletamento delle mansioni. In tal caso, ovviamente, potrebbe ricadere sul lavoratore il rischio di aver temporeggiato. Resta inteso, comunque, che, qualora la deviazione fosse giustificata dallo svolgimento di una mansione lavorativa, l’infortunio sarebbe ampiamente tutelato (ad esempio se il prestatore fosse stato incaricato, dal datore di lavoro, di effettuare una consegna, in una località diversa, prima di terminare il turno di lavoro). La dottrina, seguita da una parte della giurisprudenza, mitiga il precedente rigore giungendo alla conclusione che il percorso da seguire deve essere quello “normalmente” compiuto dal lavoratore, anche se diverso da quello oggettivamente più breve, purchè giustificato dalla concreta situazione della viabilità (es. traffico più scorrevole rispetto a quello del percorso più breve). Si ritiene, inoltre, estendendo i concetti esposti, che per “luogo di abitazione” debba intendersi non solo quello di “normale” residenza ma anche quello di abitazione “temporanea”, purchè avente carattere di stabilità (ad. es. per raggiungere la famiglia nel periodo estivo o nel fine settimana). Si noti, in aggiunta, che la copertura assicurativa è operante anche per il percorso c.d. “misto” (in parte a piedi ed in parte con altri mezzi di trasporto) e non può costituire ostacolo all’indennizzo la 208 Rivista del Consiglio Opinioni e Saggi circostanza che l’incidente sia da attribuire ad esclusiva colpa del lavoratore per il mancato rispetto delle norme del codice stradale (Cassazione n° 15312 / 2001 citata; a volte è stata esclusa l’indennizzabilità, in caso di trasporto con mezzo privato, solo quando la distanza dall’abitazione al luogo di lavoro possa essere percorsa a piedi – Cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n° 15617 datata 11 dicembre 2001). Le molteplici ipotesi in precedenza analizzate riguardavano, in linea di massima, delle ipotesi in relazione alle quali la copertura assicurativa veniva riconosciuta. Ci si chiede, tuttavia, se ed a quali condizioni un determinato infortunio sarebbe indennizzabile qualora fosse enucleabile, nei confronti del lavoratore, un giudizio di rimprovero per aver violato, in tale occasione, determinate norme giuridiche. La giurisprudenza ha ritenuto, in caso di violazioni di norme che regolano la circolazione stradale, che l’eventuale infrazione non influisce sull’indennizzabilità (Cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n° 15312 del 4 dicembre 2001 ed altre conformi). L’evento dannoso, quindi, sarebbe tutelabile anche se dovuto ad imprudenza, negligenza o imperizia del lavoratore in quanto rientranti nel rischio assicurato. La motivazione di una decisione recita testualmente, a tal proposito, che “non può dubitarsi dello stretto collegamento tra l’infortunio e l’attività lavorativa se solo si consideri che, tentando di rientrare nella propria abitazione, la lavoratrice ha posto in essere una condotta finalizzata alla puntuale esecuzione della prestazione dovuta” (Cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, 28 maggio - 11 dicembre 2003 n° 18980). La medesima tutelabilità è stata accertata per un lavoratore che, nonostante il mancato rispetto del segnale di “Stop” abbia subito un infortunio, atteso che si tratterebbe, secondo la motivazione, solo di una specifica violazione di norme che regolano la circolazione stradale (Cfr. Cassazione, Sezione Lavoro, n° 15312 del 4 dicembre 2001). Talvolta è stato, altresì, affermato, a proposito del lavoratore pendolare, che il rischio di prendere il treno è un rischio generico in quanto ad esso tutti sono esposti in egual misura. È altrettanto vero, però, che per il lavoratore l’atto di prendere Rivista del Consiglio 209 L’infortunio in itinere... di W. Gravante proprio “quel treno” ha una motivazione ben precisa, cioè quella di giungere puntualmente al lavoro. Se il treno, ad esempio, dovesse deragliare con conseguente morte del lavoratore, si potrebbe affermare, senza ombra di dubbio, che la causa immediata e diretta della morte è stato il disastro ferroviario, ma il lavoro è stata la “causa causae” (Cfr. Fontana A. - Dottrina e Giurisprudenza a confronto sull’occasione di lavoro, Rivista degli infortuni e delle malattie professionali). Casi di esclusione dalla tutela Restano da esaminare, in conclusione, le ipotesi in relazione alle quali deve ritenersi categoricamente esclusa l’indennizzabilità: il “dolo” ed il c.d. “rischio elettivo” (o rischio di libera elezione). Il dolo è esplicitamente escluso dalla tutela in base agli articoli 11 e 65 del T.U. n° 1124 del 1965, con la grave conseguenza della perdita del diritto alle prestazioni. Il rischio elettivo, invece, è quello che il lavoratore, in maniera del tutto volontaria, crea senza alcuna attinenza con lo svolgimento del suo lavoro, ponendo in essere un’azione non finalizzata all’interesse aziendale, talvolta addirittura in contrasto con le direttive impartite dal datore di lavoro. Se, per ipotesi, il lavoratore percorresse, a folle velocità ed in base ad una sua scelta, in palese violazione delle più elementari norme in tema di educazione stradale, la strada che lo conduce al luogo di lavoro, l’eventuale infortunio non sarebbe indennizzabile. Le medesime considerazioni qualora venisse percorsa una strada pericolosa, o, comunque, sconnessa la cui percorrenza non sia necessaria per il raggiungimento dell’azienda. Tali condotte, ovviamente, interromperebbero il nesso di occasionalità con l’attività lavorativa. Riteniamo, in conclusione, che l’infortunio in itinere debba essere valutato caso per caso, rivolgendo particolare attenzione, soprattutto a livello probatorio, alla sussistenza, sicuramente non agevole, di tutti i presupposti ai quali la normativa subordina la tutela. 210 Rivista del Consiglio Cerimonie Toghe d’oro e toghe d’onore Il 12 febbraio presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Lecce è stata convocata l’Assemblea degli Avvocati per festeggiare, in una solenne cerimonia, gli avvocati Francesco Coppola, Enrico Salvatore, Donato Paolo Tanisi, Antonio Sanasi, Aldo Petrucci, prestigiosi decani del foro di Lecce che hanno onorato, con la loro attività, per oltre cinquant’anni, l’Ordine e la funzione difensiva. Nella stessa cerimonia l’Assemblea ha manifestato l’ammirazione e l’affetto ai giovani Avvocati, entrati a far parte dell’Ordine, distinguendosi per merito nella sessione di esami 2008/2009, con l’attribuzione della Toga d’Onore, del Premio “Pietro Lecciso”, del Premio “Antonio Lisi” e del Premio “Fondazione Capone-Cartanì”. Rivista del Consiglio 211 Toghe d’oro e toghe d’onore Da sin. Donato Paolo Tanisi, Enrico Salvatore, Francesco Coppola, Aldo Petrucci, Antonio Sanasi. Da sin. Sergio Contino (Toga d’Onore), Maria Luisa Avellis (Premio Fondazione Capone-Cartanì), Luciana Terragno (Premio Pietro Lecciso), Enrico Gargiulo (Premio Antonio Lisi) e Margiotta Giusi (Premio Fondazione Capone-Cartanì). 212 Rivista del Consiglio Cerimonie Il gruppo dei giovani premiati con il Presidente Luigi Rella. Rivista del Consiglio 213 Toghe d’oro e toghe d’onore 214 Rivista del Consiglio Cerimonie Targa ricordo dedicata a Michele de Pietro Lecce, 9 luglio 2011, Via Umberto I, 31 in occasione dello “scoprimento” della targa ricordo dedicata a Michele de Pietro, dall’Ordine Forense di Lecce e dal Centro Studi Giuridici “Michele De Pietro” e della benedizione dell’edificio. L’intervento di Lucio Caprioli Sono stato designato io ad “accompagnare” (chiedo scusa per il termine improprio) questo momento solenne e gioioso di pubblicazione di questa targa, didascalica e commemorativa. Pur consapevole della mia inidoneità, sono grato per questa designazione: io penso essere stato designato perché testimone di quanto si proclama e si documenta nel testo. Ché in effetti, di un vero Rivista del Consiglio 215 Targa ricordo dedicata a Michele de Pietro e proprio documento si tratta, non è solo solenne proclamazione. In esso si dà testimonianza di persone e di eventi; di persone che hanno creduto nei valori anche di una antica tradizione di civiltà giuridica, radici feconde, dalle quali si attendono nuovi virgulti e germogli. Si tratta di leggere quel documento, riscontrarne la veridicità, assumerne eticamente il messaggio. C’è il riferimento apparentemente principale a Michele De Pietro, quest’UOMO figlio di questa nostra Terra Salentina, riguardo al quale la Provvidenza fu più generosa nell’assegnazione di talenti. Di tali talenti Egli fu a sua volta generoso donatore in favore della comunità Veri e propri carismi dunque, impiegati proprio al servizio della comunità: c’è la molteplicità delle caratteristiche di quel servizio: UOMO ai più grandi livelli della politica, Ministro, V. Presidente del Senato, V. Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. E poi (“poi” si fa per dire) UOMO giurista, professionista forense, ai massimi livelli della avvocatura salentina, Presidente del Consiglio dell’Ordine Forense. Ma, sopra tutti, così io lo considero, c’è il riferimento ad un grandissimo Valore: l’UOMO SPOSO, Sposo di una SPOSA ESEMPLARE; la integrazione della esistenza sua con la esistenza della Compagna della sua vita. Quella nobilissima Persona, a sua volta figlia di antica e nobile famiglia Salentina – i Fumarola – la quale, nei fatti testimoniando l’idem velle atque idem nolle, che caratterizzò l’unione con il nobile consorte, compì questa generosa e luminosa liberalità: è davvero buona cosa rileggere l’atto di donazione rogato dal notaio Buonerba il 5 dicembre 1972. Sono presenti e richiamate in quell’atto altre Persone della tradizione giuridica salentina: sono testimoni il carissimo compianto Avv. Salvatore Greco, allora Consigliere del Centro Studi Giuridici, e la signora Anna Laudisa, vedova dell’avv. Primo Tondo, fondatore negli anni ’40 del Centro Studi (il Centro Studi Giuridici in quell’atto assume un ruolo assai importante, quale destinatario di particolari servizi). Ad accettare la donazione e gli oneri in essa indicati c’è l’on. avv. 216 Rivista del Consiglio Cerimonie Pietro Lecciso, già Sindaco di Lecce, ed allora Presidente di quel Consiglio dell’Ordine Forense, autorizzato da una deliberazione che, a sua volta, costituisce un documento della storia cittadina. TESTUALMENTE, tra l’altro, in quell’atto notarile: premette e dichiara la costituita n.d. Maria Clementina Fumarola che, per onorare la memoria del compianto suo marito sen. Avv. Michele de Pietro, già Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e dei Procuratori di Lecce, sino a quando non si dimise a causa della incompatibilità derivante dalla elezione di lui a Vice Presidente del Consiglio superiore della Magistratura, intende donare, nello spirito delle tradizioni di liberalità della Famiglia Fumarola, cui va aggiunto il desiderio, più volte espresso dal compianto suo marito Michele de Pietro, il suo palazzo in Lecce, con tutti i libri, etc con l’onere che siano destinati in perpetuo alla istruzione e al tirocinio dei praticanti procuratori, alla ricerca scientifica, di procuratori, avvocati, magistrati, giuristi Salentini. Consentitemi, a questo punto, una testimonianza personalissima: in questo Palazzo, già donato, ma ancora abitato da donna Maria Clementina, già si esercitava la Scuola Forense, da lei accolti, noi con i tirocinanti, si occupava il salotto della casa familiare e si svolgeva in maniera assai familiare, la attività di scuola, le conversazioni con i ragazzi. Allora un gruppetto non molto numeroso, che veniva ospitato, nel salotto, come ho detto, utilizzando quell’arredamento: quelle sedie, quelle poltrone, quei divani. Poi le ristrutturazioni, gli sviluppi, la utilizzazione per Convegni, Scuole, Corsi, etc. E torniamo al testo: non è di secondo momento il riferimento alla tradizione. Da noi, quella tradizione è caratterizzata dall’affetto che ha legato e lega tuttora i giuristi. Quando noi ci riferiamo a Primo Tondo, a Francesco Salvi, a Salvatore Greco, a Vincenzo Camassa, a Tommaso Santoro, ai Guacci, agli Stasi, ai De Pace, ai Sansonetti, ai Misurale a Nicola e Marcello Petrucci, ad Atlante Guglielmi, Nicola Flascassovitti, ad Attilio Motta, a Nino Prete, a Tommaso Stefanizzo, a Pietro Lecciso, a Menotti Guglielmi, a Gaetano e Vittorio Aymone ed ai tantissimi ancora, e facciamo precedere la indicazione anche con l’appellativo di “compianto” non ci appiattiamo ad un metodo di Rivista del Consiglio 217 Targa ricordo dedicata a Michele de Pietro convenienza e di stile comunque rispettosi: noi siamo ancora legati all’affetto vero di quelle Persone, ancor oggi; che per noi sono patrimonio di umanità non solo giuridico, e con essi, con il loro affettuoso ricordo, ci sentiamo Famiglia, ci sentiamo comunità Cittadina, poiché siamo certi che essi, ciascuno, e tutti insieme, anche per la promozione umana che ci è derivata dall’esempio di questa stupenda coppia che qui stiamo – consentitemi – commemorando, hanno contribuito alla costruzione di questa nostra comunità. Non è un caso che tanto sia riconosciuto, senza mezzi termini, nel molte volte ignorato Statuto di questa comunità cittadina. E mi si consenta, proprio con questa visione verso la Comunità Cittadina, Famiglia viva senza tempo e senza scadenze, di chiudere, rimanendo sempre APUD MAIORES proprio e testualmente con la meravigliosa invocazione con la quale Vittorio Aymone concluse il suo “MICHELE DE PIETRO Signore della parola, Signore della Vita: “Vivi e ricorda a tutti, infine, o Maestro, l’insegnamento comune e più alto: non dissipare LA VITA PERCHè LA VITA è DONO SUPREMO, DOMINATA DAL PASSATO, DEBITRICE VERSO L’AVVENIRE. 218 Rivista del Consiglio