Trekk urbano a Siena
Siena:
dove il passato risale a galla fino a noi
Parte I
Novembre 2015
INDICE GENERALE
INTRODUZIONE AL TREKK URBANO....................................................3
Il Fortino delle donne senesi..............................................................3
Lettura 1: Viaggio in italia di Guido Piovene.......................................3
Lettura 2: "Essere a Siena" di Mario Luzi............................................7
A) Carlo V, I Medici e Siena.................................................................8
Lettura 3: Franchi il presidente che guardava lontano........................8
Lettura 4: Fascismo, antifascismo e memoria storica.......................10
Lettura 11: 1348: La Grande Peste a Siena.......................................15
Lettura 5: I colonnini. .......................................................................18
Lettura 7: Il Palio visto da Emanuela Audisio....................................19
SCHEDA SANTA MARIA DE' SERVI.....................................................23
Lettura 8: Gente di contrada, il barbaresco......................................27
Lettura 9: una poesia di Mario Luzi. Siena - Primavera.....................29
Lettura 10: Il corteo storico..............................................................32
Lettura 11: Rosanna Bonelli detta Diavola e Rompicollo..................43
Lettura 12: La contrada della Selva...................................................48
SCHEDA DUOMO..............................................................................49
Lettura 13: il Te Deum.......................................................................51
LA STORIA DI SIENA..........................................................................53
Questo libretto è stato redatto in occasione del trekking urbano di
novembre 2015.
I testi che descrivono i luoghi sono tratti da "Wikipedia"
Dove il passato risale a galla fino a noi
SI PARTE DA VIA BIAGIO DI MONTLUC, 29. DOPO POCHE DECINE DI METRI CI SI SOFFERMA PRESSO IL
FORTINO DELLE DONNE.
INTRODUZIONE AL TREKK URBANO
Il trekking urbano nasce a Siena nel 2002. Si cammina in città e ci siguarda
attorno alla scoperta di ciò che ci circonda e che spesso non notiamo. Il nostro
trekk urbano si caratterizza per un'idea di fondo: le città non sono solo strade,
piazze, parchi e monumenti. Le città sono storie che si sono intrecciate e che si
continuano a intrecciare. Le vere pietre che costituiscono le città sono gli
uomini e le donne che ci vivono e che ci hanno vissuto. Il nostro trekk è un trekk
di storie. Infine ogni trekk ha un filo conduttore e a Siena questo filo rosso non
poteva che essere il Palio. Il Palio è stato definito in mille modi, ma sicuramente
lo si può pensare come un intreccio enorme di storie individuali e collettive.
IL FORTINO DELLE DONNE SENESI
La fortificazione conosciuta come il “Fortino delle donne senesi” si potrebbe
definire una enorme mitragliatrice a protezione della Repubblica di Siena, la
quale commissionò i lavori di realizzazione dell’opera all’architetto senese
Baldassare Peruzzi, iniziati nel 1527 e terminati nel 1532.
La necessità di questa costruzione si fece probabilmente sentire a seguito
dell’aspra battaglia di Camollia, avvenuta nel 1526, che mise a nudo alcuni
punti deboli delle mura cittadine. All’epoca della costruzione, il Fortino delle
donne senesi non si chiamava così. Questo appellativo deriva verosimilmente
dal celebre passo dei Commentaires del Comandante Biagio de Monluc (dal
quale prende il nome la strada dove il Fortino si affaccia) che fu il Maresciallo
inviato dal Re di Francia Enrico II a difesa della città durante l’assedio del 1555 e
nel quale esalta l’ardimento delle nobildonne senesi che erano capitanate dalle
Signore Laudomia Forteguerri, Fausta Piccolomini e Livia Fausti che, armate di
picconi, pale e ceste avevano contribuito alla costruzione di alcune fortificazioni
fra le quali, forse, anche il Fortino.
(...) Un’altra (maliziosa) versione che lega il Fortino alle donne senesi – della
quale però non esiste alcun riscontro documentario certo – narra che i lavori
per la realizzazione di questa fortificazione fossero stati finanziati con i proventi
della tassazione delle prostitute della città.
(http://www.ecomuseosiena.org)
LETTURA 1: VIAGGIO IN ITALIA DI GUIDO PIOVENE
Siena resta una città medievale e quasi immobilizzata nel tempo. A Siena si
hanno quei momenti perfetti, in cui il passato più lontano risale a galla fino a
noi, confondendosi col presente, diventandogli contemporaneo. Non potrò
dimenticare una sera, in cui sedevo nella piazza del Campo, quella in cui si corre
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Dove il passato risale a galla fino a noi
il Palio. Davanti a me la luna piena sembrava veramente salire dai merli gotici
del Palazzo Pubblico, lungo il filo della torre del Mangia, per poi librarsi sopra
l’ultimo ballatoio; che diveniva allora l’ultima tappa di una salita alla luna, in un
Medio Evo astrologico. Ma il popolo passeggiava e i bambini giocavano, lungo
il perimetro e nel centro incavato della stupenda piazza fatta a forma di valva;
il passato e il presente, il vicino e l’astrale, sembravano far parte di un
medesimo tempo.”
(Guido Piovene - Viaggio in Italia – pagg 382-383 – edito nel 1956)
DOPO AVER SUPERATO L'INCROCIO CON VIA MONTEGRAPPA SI IMBOCCA VICOLO MALIZIA.
SI PASSA A FIANCO DELLA CHIESA DI SANTA MARIA IN PORTICO
L'edificio, costruito in stile rinascimentale per celebrare la vittoria dei Senesi sui
fiorentini nella battaglia di Poggio Imperiale (7 settembre 1479), fu eretto su
progetto di Cristoforo Fedeli da Como nel 1479-1484. Sorse a ridosso delle mura
e fu proprio a causa del poco spazio disponibile tra la facciata della chiesa e le
mura che la chiesa sorse con tre navate ampie ma ridotte in lunghezza.
L'edificio inglobò il portico dell'ufficio della gabella del dazio in cui si trovava la
miracolosa Madonna di Fontegiusta, spiegando il nome della chiesa.
L'esterno presenta una sobria facciata in cotto tripartita da lesene, completata
da una successiva sopraelevazione a capanna al centro ed ornata da un portale
rinascimentale in marmo del 1489, opera di Urbano da Cortona. I rilievi
soprastanti (Madonna col Bambino e angeli), sono attribuiti a Giovanni di
Stefano.
All'interno, a pianta quadrata, diviso in tre navate da colonne e coperto con
volte a crociera, si conservano numerose opere d'arte.
Al centro dell'altare maggiore è la sopraccitata Madonna di Fontegiusta di
Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero, conservata nel grande tabernacolo a
forma di tempietto scolpito nel 1509-1517 da Lorenzo di Mariano, detto il
Marrina, con l'aiuto di Michele Cioli da Settignano (a quest'ultimo spetta la
Pietà nella lunetta). L'affresco in alto con l'Assunzione di Maria è di Girolamo di
Benvenuto (1515 circa), mentre i due affreschi laterali raffiguranti la Natività
della Vergine (a sinistra) e la Dormitio Virginis (a destra) sono aggiunte
successive di Ventura Salimbeni (1600 circa). La vetrata venne probabilmente
disegnata da Guidoccio Cozzarelli (Madonna col Bambino tra i santi Bernardino
e Caterina da Siena). Il piccolo ciborio bronzeo è riferito stilisticamente a
Giovanni delle Bombarde (XV secolo).
Sul lato destro della chiesa sono esposte la tela di Michelangelo Anselmi, detto
lo Scalambrino, con la Visitazione (in controfacciata) della prima metà del XVI
secolo, un affresco incompleto di ignoto artista e la tela con l'Incoronazione
della Vergine e quattro santi di Bernardino Fungai (1508-1512), vicina a una
cantoria del 1510. Sulla parete di fondo, a destra dell'altare in alto, una tela di
Francesco Vanni raffigura la Visione di un frate Domenicano della Madonna e
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Gesù Cristo (fine XVI-inizio XVII secolo) e il Beato Ambrogio Sansedoni
implorante per la città di Siena (1590).
A sinistra troviamo invece la Madonna libera Siena dalla peste di Bartolomeo
Neroni detto il Riccio del XVI secolo (in controfacciata) e la Sibilla Tiburtina
vaticinia ad Augusto la nascita del Messia di Baldassarre Peruzzi o Daniele da
Volterra (prima metà del XVI secolo). La piccola acquasantiera bronzea è di
Giovanni delle Bombarde (1430).
In sagrestia si trova un piccolo museo di cimeli che la tradizione vuole
appartenuti a Cristoforo Colombo forse studente dell'Università di Siena.
SI PROSEGUE SUPERANDO UN TUNNEL E ATTRAVERSO VIA DEL ROMITORIO SI GIUNGE ALLA CHIESA DI SANTO
STEFANO ALLA LIZZA.
La chiesa è oggi sconsacrata ed è adibita a sala riunioni e concerti. Il nome
deriva dalla piazza detta "Lizza", poiché a fine del Cinquecento era destinata a
tornei ed esercitazioni equestri.
L'edificio, attestato verso la fine del XII secolo, è privo di forme romaniche
perché riedificato nel 1671-1675. Nel 1779 la zona venne valorizzata su
progetto di Antonio Matteucci, creando una zona di passeggio pubblico e
giardino, ampliata e abbellita nel 1872.
Il classicheggiante prospetto è in mattoni ed in parte intonacato. È coronato da
un timpano con oculo, preceduto da una scala ed ornato di quattro lesene in
mattoni, una finestra rettangolare e un portale timpanato.
L'interno consiste in un'unica aula absidata che era dominata dal grande
polittico con la Madonna col Bambino e santi (primo ventennio del XV secolo) di
Andrea Vanni con predella di Giovanni di Paolo (sei Storie di santo Stefano e la
Crocifissione con i santi Girolamo e Bernardino al centro), oggi nel museo
dell'Opera di Siena per esigenze protettive. Sull'altare destro era la Visitazione
di Rutilio Manetti, mentre nell'abside era una rovinata Deposizione di Cristo di
Antonio Buonfigli, pure in deposito nel battistero. Sull'altare a sinistra era
presente un San Bartolomeo in legno, opera di Guido del Tonghio.
SI ENTRA NEI GIARDINI DELLA LIZZA AL CUI CENTRO GIGANTEGGIA LA STATUA EQUESTRE DI GARIBALDI.
Giuseppe Garibaldi era morto da meno di una settimana (2 giugno 1882)
quando il Consiglio Comunale di Siena prese la decisione di onorarlo
dedicandogli un monumento equestre, da collocare al centro del passeggio più
alla moda della città, ai Giardini della Lizza. In realtà quella della Lizza fu solo la
destinazione finale del monumento, dopo varie iniziali proposte, fra le quali
c'erano quelle di sistemarlo al centro del porticato della piccola Piazza
Indipendenza, o in Piazza Tolomei, anch'essa troppo piccola, oppure alla Croce
del Travaglio, dove addirittura, secondo la proposta dell'architetto Partini, si
pensava di ridurre l'angolo tra via Banchi di Sopra e via Banchi di Sotto,
demolendo qualche ingombrante fabbricato.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Nel 1889 ancora si discuteva su dove mettere la statua per Garibaldi e se ne
discusse ancora, fino al 1891, quando si optò definitivamente per i giardini
cittadini e si affidò l'incarico per la sua realizzazione allo scultore Raffaele
Romanelli, già autore di un altro monumento risorgimentale, quello in ricordo
dei caduti di Curtatone e Montanara per l'atrio dell'Università. L'imponente
monumento equestre in bronzo, posto su un basamento in travertino, fu
inaugurato il 20 settembre del 1896.
Fra i vari festeggiamenti per l'evento fu deciso di inserire anche un palio
straordinario da corrersi il 22 settembre seguente. In realtà il palio si corse il
giorno dopo, il 23, a causa delle piogge insistenti che misero fuori uso la pista
per il 22 e, ancora a causa del tempo minaccioso, si decise di correre all'ora di
pranzo, anticipando la corsa alle 13. Il palio straordinario dedicato al
Monumento di Garibaldi fu vinto dall'Istrice, con il fantino Celso Cianchi detto
Montieri.
La Banca Monte dei Paschi conserva, esposto nel proprio archivio storico, un
curioso ed interessante ricordo garibaldino. Si tratta di una lettera autografa,
datata al 26 novembre 1875, che il Generale inviò all'Esattore romano della
banca che reclamava il pagamento delle tasse. La risposta di Garibaldi,
essenziale e deciso, come il suo stile, fu sintetica:
"Gentile esattore mi trovo nell'impossibilità di pagare imposte.
Giuseppe Garibaldi."
(http://www.storiediunita.it)
SI ENTRA NELLA FORTEZZA
La Fortezza Medicea (nota anche come Forte di Santa Barbara) di Siena è un
forte eretto nella città toscana tra il 1561 e il 1563, su ordine del duca di Firenze
Cosimo I de' Medici.
(…) Nel luogo ove sorge l'attuale Fortezza Medicea senese, si erigeva
precedentemente un forte (chiamato "Cittadella") fatto ivi edificare
dall'imperatore, nonché re di Spagna, Carlo V nel 1548, dopo che la città era
stata assoggettata al governo iberico sotto il comando dell'ambasciatore Diego
Hurtado de Mendoza.
Il 26 luglio 1552, tuttavia, i senesi insorsero contro gli spagnoli, scacciandoli
dalla città e radendo al suolo la cittadella.
Circa tre anni dopo, il 21 aprile 1555, Siena, cinta d'assedio da oltre un anno
dalle truppe spagnole e medicee, si arrese stremata ai nemici. Mentre la
Repubblica senese, sostenuta dagli alleati francesi, continuava riparata in
Montalcino, gli spagnoli presero nuovamente possesso della città. La Pace di
Cateau-Cambrésis (2-3 aprile 1559) tra la Francia e gli Asburgo condusse la
Repubblica di Siena, rimasta priva di alleati, alla resa definitiva e al suo
assegnamento a Cosimo I.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Onde soffocare qualsiasi tentativo da parte dei senesi di riconquistare
l'indipendenza, Cosimo I ordinò la costruzione dell'attuale Fortezza Medicea sul
luogo ove precedentemente sorgeva la cittadella spagnola. L'edificio fu
progettato dall'architetto urbinate Baldassarre Lanci e i lavori ebbero inizio nel
1561. Due anni dopo, nel 1563, la fortezza fu completata.
La Fortezza Medicea senese fu smilitarizzata solo sul finire del XVIII secolo, dal
granduca Pietro Leopoldo. Da quel momento, entrò a far parte dei luoghi della
vita pubblica senese.
Nel 1937, a seguito di lavori di restauro, la fortezza fu trasformata in giardino
pubblico, come è tutt'oggi. (...)
Il 17 agosto 1874, la Fortezza ospitò un "Palio alla Romana"(non riconosciuto
ufficialmente) disputato da 9 Contrade e vinto dall'Oca.
LETTURA 2: "ESSERE A SIENA" DI MARIO LUZI
Essere a Siena, sempre, mi esalta un po’, quasi mi ubriaca. Da dove venga
questa specie di squilla interna, questa diana che sveglia memorie, ma sveglia
anche il sangue, sveglia qualcosa di inconoscibile che ci attraversa tutti quanti,
è difficile a dirsi per me. E’ anche il mistero di questo che mi attrae, l'indicibilità
di questo che mi rende così tenace l'affetto e l'aderenza a questa città. Siena è
un concentrato di umane sublimità e di estreme follie; una stratificazione di alti
disegni della mente umana e anche visioni; ma è anche il deserto, il misterioso
paesaggio che la isola e la circonda, e dall'una o dall'altro - o dall'una e
dall'altro insieme, ecco, viene questa strana febbre o febbrilità che investe uno
come me che vi ritorna dopo tanti anni. Questo non cessa mai di accadere.
La città è della mia prima adolescenza; ma lusinga anche i miei superstiti sogni
di uomo maturo. Avevo dodici anni quando vi venni e mi immersi, spaesato
ragazzo, nella solarità abbagliante dei suoi marmi e cotti. Si aprì
immediatamente un fermaglio che era chiuso, divenni giorno dopo giorno un
adolescente fervido e incantato, smanioso di apprendere. La consapevolezza di
esistere, respirare, desiderare all'interno di un chiarore di civiltà unico si faceva
strada gradualmente nelle mie giornate di scolaro ginnasiale che arrivava alla
scuola avendo lungo il tragitto visto o intravisto meraviglie, ricevuto richiami e
tentazioni. In quei mesi e in quegli anni nacque in me e si sviluppò la passione
per l'arte. Nella cornice di Siena tutta la grande civiltà pittorica, scultorea,
architettonica italiana si esaltava. Vivevo al cospetto di essa, ed essa mi
divenne sempre più quotidiana e intrinseca nell'opera dei suoi maestri; tuttavia
questo non limitava il mio sentimento che abbracciava altre immagini e altri
segni dello splendore che allora mi si apriva e di cui Siena era la preziosissima
porta.
(Mario Luzi da “Luoghi dell'infinito” - settembre 2013)
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Dove il passato risale a galla fino a noi
A) CARLO V, I MEDICI E SIENA
21 APRILE 1555: COSIMO DE’ MEDICI E LE TRUPPE SPAGNOLE DI CARLO V
ENTRANO IN SIENA
Il 21 aprile 1555 Siena, dopo il lungo assedio e la resa firmata il 17 aprile, apre
le porte a Cosimo de’ Medici e alle truppe spagnole di Carlo V. Il condottiero
francese Biagio di Montluc ed i suoi soldati escono dalla città con l'onore delle
armi e nello stesso giorno, per mantenere l'ordine pubblico, vi entrano le milizie
del conte di Santa Fiora.
La resistenza dei senesi era andata oltre ogni previsione e solo la fame e gli
stenti avevano avuto ragione dello spirito indomabile dei difensori. La balzana
bianca e nera di Siena diviene un gonfalone comunale e si innalza lo stendardo
della famiglia de’ Medici. Con la resa arrivano subito i viveri in città.
(…) Nelle clausole della resa, tra le altre cose, si stabilisce il diritto dei vinti di
uscire dalla città con famiglie e beni ed eventualmente di farvi ritorno senza
subire ritorsioni. E non sono pochi, considerando la decimazione subita dalla
popolazione, coloro che decidono di abbandonare la città in questa domenica
21 aprile: da Porta Romana, insieme ai soldati francesi, se ne vanno 435
popolani armati con le loro famiglie e 242 cittadini nobili, anch’essi con famiglie
e servitù. Il drappello porta con sé le insegne e i sigilli del Comune, pronto a
dare vita, sempre con la protezione francese, alla Repubblica di Siena ritirata in
Montalcino.
Pillole quotidiane di storia senese di Maura Martellucci e Roberto Cresti
(http://www.iltesorodisiena.net)
SI ESCE DALLA FORTEZZA CI SI DIRIGE VERSO PIAZZA ANTONIO GRAMSCI., A POCHI PASSI, SU VIALE DEI
MILLE, SI TROVA LO STADIO COMUNALE ARTEMIO FRANCHI.
Lo Stadio Artemio Franchi è il principale impianto sportivo di Siena, costruito
nel 1923.
LETTURA 3: FRANCHI IL PRESIDENTE CHE GUARDAVA
LONTANO
È opinione largamente diffusa che da una maledetta serata dell'estate di
vent'anni fa l'Italia abbia cominciato a contare sempre meno nelle stanze dei
bottoni del calcio internazionale. La maledetta serata è quella del 12 agosto
1983, quando Artemio Franchi perse la vita in un incidente sulla statale 438, a
sud di Siena, nel tratto tra Taverne d'Arbia e Asciano. Pioveva, l'asfalto era
viscido e la Fiat Argenta guidata dal presidente dell'Uefa sbandò, andando a
schiantarsi frontalmente contro un camion. Erano le 19.10 e la morte fu
istantanea. Usciva tragicamente di scena quello che viene tuttora considerato il
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Dove il passato risale a galla fino a noi
più grande dirigente che il calcio italiano abbia mai avuto, una felice miscela di
abilità e fermezza, intelligenza e malizia, tenacia e simpatia, arguzia e
diplomazia, signorilità e finezza psicologica. Quella sera Franchi - che,
fiorentino di nascita ma di origini senesi, nutriva un grande passione per il Palio
e dal '70 era capitano della contrada della Torre - si stava recando a trovare
Silvano Vigni, un popolare fantino soprannominato Bastiano, e agli amici di
Siena aveva dato appuntamento per la tradizionale cena che precede il Palio
dell'Assunta. Dopo qualche modesta esperienza da calciatore all'epoca della
scuola, Franchi nel mondo del pallone era entrato come arbitro, senza però mai
spingersi più in alto della serie C. «Più che un grande arbitro - avrebbero scritto
di lui - Franchi era un impareggiabile organizzatore, un pioniere nel campo di
nuove idee e iniziative». Non fu quindi un caso che nel '45 Franchi venisse
reclutato dalla sezione arbitrale di Firenze, lasciandola solo per diventare
segretario della Fiorentina, la sua squadra del cuore, il cui stadio gli verrà poi
intitolato.
Delle qualità di Franchi si accorsero i dirigenti della Lega di Quarta Serie, che lo
assunsero nel '52. Franchi stava ormai decollando verso una carriera
vertiginosa. Se c'erano cocci da rimettere insieme, toccava a lui provvedere.
Vicepresidente della Figc dal '58, Franchi dovette confrontarsi con situazioni
delicate come la burrascosa trasferta della nazionale in Cile, il giallo del doping
del Bologna e la sconcertante sconfitta azzurra di fronte alla Corea del Nord.
Approdato nel '67 alla guida della Figc, un anno dopo Franchi festeggiava la
vittoria azzurra all'Europeo e nel '70 il secondo posto al Mondiale del Messico,
viatico a quel Mondiale di Spagna dell' 82 che, con il c.t. Bearzot da lui scelto, fu
anche una sua vittoria personale. Di Franchi si diceva che raramente si
arrabbiasse o si abbattesse. Ma c'è chi ricorda, durante un'infuocata assemblea
federale, il suo pugno sul tavolo sferrato con tale violenza da procurargli una
frattura. E c'è pure chi lo rammenta quasi in lacrime allorché esplose lo
scandalo delle scommesse nel 1980. All'epoca era presidente onorario della
Figc e da sette anni al timone dell'Uefa, dove sarebbe stato rieletto per tre
volte. La sua probabile destinazione successiva sarebbe stata la presidenza
della Fifa, di cui era già vicepresidente. (...)
(Mario Gherarducci - 11 agosto 2003 - Corriere della Sera)
SI PROSEGUE SU VIA MALAVOLTI, QUI AL NUMERO 9 SI TROVANO LE STANZE DELLA MEMORIA.
Inaugurate il 26 gennaio 2007, le Stanze della Memoria ripercorrono la storia
senese del ventesimo secolo.
Il racconto inizia con le prime affermazioni del mondo del lavoro di fine
Ottocento, e con le significative esperienze di un forte associazionismo operaio,
all'avvento del fascismo - visto anche nei suoi aspetti quotidiani - fino al
consenso di massa e all'attività dei tribunali speciali. Le Stanze raccontano a
ritmo incalzante la vita della comunità ebraica e l'orrore delle leggi razziali, e
poi la guerra e la distruzione, le brigate partigiane, la gioia della Liberazione
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Dove il passato risale a galla fino a noi
dal fascismo. Dopo l'8 settembre lo spartiacque creato da Claudio Maccari, una
grande spirale di frecce, rimanda alle scelte diverse che allora furono fatte. Chi
andò da una parte e chi dall'altra, chi alla macchia, chi con la Repubblica di
Salò. I repubblichini senesi fecero della Casermetta, dove oggi sono ospitate le
Stanze della Memoria, quello che a Roma fu Via Tasso o a Firenze fu la Villa
Triste, con gli antifascisti e i partigiani imprigionati, torturati, uccisi. (...)
(http://www.stanzedellamemoria.it)
LETTURA 4: FASCISMO, ANTIFASCISMO E MEMORIA STORICA
La storia della Resistenza fu, dopo la Liberazione, quasi sempre un storia di
perdoni, anche se a volte fatti a malincuore per i tanti orrori subiti, e si confidò
che la legge della nuova Italia libera e democratica potesse punire con pubblici
processi gli artefici degli atti più efferati, come avvenne ad esempio per l’eccidio
di Montemaggio. (...)
A testimonianza di questo clima di pacificazione che ci fu anche a Siena vorrei
portare qui alcuni esempi di “perdono” di cui ho raccolto la memoria diretta.(…)
Erano gli ultimi giorni di giorni di Giugno del ’44, gli Alleati erano alle porte, in
casa di mio nonno Vasco Vetturini in via Santa Caterina c’erano alcuni
antifascisti del gruppo “La riscossa”, un gruppo di giovani di Fontebranda che
vivevano in clandestinità dopo l’8 Settembre e che, pur non partecipando alle
azioni militari, svolgevano importanti funzioni di comunicazione e di
rifornimento con le brigate partigiane. Ci si preparava alla Liberazione di Siena
e mio zio Marino Vetturini mostrava al cugino Mario Vetturini il funzionamento
di una rivoltella che sarebbe servita di lì a poco. Per imperizia parte un colpo e
una pallottola si conficca nella gamba di mio padre Livio Burroni. Il colpo
provocò subito una forte emorragia, bisognava andare immediatamente
all’Ospedale con il rischio però di essere scoperti e di fare la fine di tutti gli
oppositori del regime. Così fu inscenata una sorta di minicommedia, con mio
padre sopra un carretto che si fingeva ubriaco e cantava stonando a
squarciagola e gli altri due che lo spingevano a notte fonda per le salite da
Santa Caterina al Santa Maria della Scala. Qui con l’aiuto di un medico
compiacente fu subito operato e messo in corsia, nel letto accanto a lui
l’Agonigi, un vecchio “fascistone” (come si usava dire allora) gravemente
malato e quasi morente. Mio padre lo conosceva perché era il padre di un suo
carissimo amico che dopo la guerra faceva la guida turistica e che anch’io ho
più volte incontrato da ragazzino. Si arriva al 3 Luglio, Siena è liberata,
nell’Ospedale irrompono alcuni giovani antifascisti armati e si dirigono verso
l’Agonigi con la chiara intenzione di farlo fuori. Mio padre che, seppur
antifascista considerava assurda l’uccisione a freddo di un povero vecchio
morente, iniziò una lunghissima schermaglia verbale con i giovani che alla fine
abbandonarono i loro propositi e l’Agonigi ebbe salva la vita.(…)
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Dove il passato risale a galla fino a noi
La Contrada fu così preservata da una spirale di odio e rancore che in altre
piccole comunità, dove vennero fatte scelte di segno opposto, continuò a
tormentare per tanti anni una serena convivenza e una più completa
pacificazione.
(Francesco Burroni “Corriere di Siena”)
SI ARRIVA IN PIAZZA GIACOMO MATTEOTTI DOVE AL N. 17 SI ENTRA NELLA GALLERIA METROPOLITAN.
ATTRAVERSO UNA SCALINATA SI SCENDE SU VICOLO DELLA PALLA A CORDA.
Il vicolo della Palla a Corda ospita la stalla del Drago. (...)
Sembra che il nome derivi dall’usanza degli studenti dell’antica
Università di Siena, ubicata nei locali dell’attuale Biblioteca
Comunale, di praticare una sorta di primitivo gioco del tennis. Il
vicolo ha rappresentato, fino alla fine degli anni settanta, un
microcosmo ricco di vita; le famiglie che vi abitavano e gli artigiani
che ci lavoravano, con le loro storie, ne facevano un piccolo mondo a
sé.
La Palla a Corda era molto frequentata in quanto anche sede di
numerosi magazzini di negozi e commercianti. Le scale situate quasi
in fondo al vicolo portavano fin dentro il Cinema Metropolitan, il cui
ingresso principale era in Piazza Matteotti. Il vicolo, fin dal 1948, è
addobbato dai piccoli dragaioli per la Festa dei Tabernacoli dell’8
settembre. L’immagine della Madonna col Bambino, venerata
ancora oggi, è quella realizzata nel settembre 1957 da Maria Grazia
Daghini, giovane artista dragaiola anche lei abitante in Palla a
Corda e posta a metà della strada.
(http://www.ecomuseosiena.org)
SI RAGGIUNGE L'INCROCIO CON VIA DELLA SAPIENZA E VIA DEI TERMINI. SI IMBOCCA VIA DEI TERMINI. SI
RAGGIUNGE PIAZZA INDIPENDENZA. SI ESCE DALLA PIAZZA VERSO VIA DI CITTÀ FINO A GIUNGERE ALLA
LOGGIA DELLA MERCANZIA.
La Loggia della Mercanzia (detta anche dei Mercanti o di San Paolo)
(...) nella cosiddetta Croce del Travaglio tra via Banchi di Sopra, via
Banchi di Sotto (sulle quali passava la Via Francigena) e via di Città.
Storia
La loggia fu progettata da Sano di Matteo e costruita tra il 1417 e il
1428 sotto la sua direzione, poi dal 1428 al 1444 sotto Pietro del
Minella, in uno stile di transizione tra gotico e rinascimento. Alla
seconda metà dello stesso secolo risalgono le 5 statue. Le volte a
crociera furono invece costruite e decorate nel XVI secolo, mentre il
piano superiore sulla Croce del Travaglio fu aggiunto nel XVII secolo.
Nel 1764 la struttura divenne di proprietà dei Signori Uniti del Casino
che ne fecero la sede del Circolo degli Uniti, esistente dal 1657 e
tuttora attivo in loco. In quel periodo la loggia fu oggetto di
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Dove il passato risale a galla fino a noi
modifiche sostanziali, che però riguardarono essenzialmente la parte
posteriore, affacciata su piazza del Campo, che fu dotata di una
nuova facciata su disegno di Ferdinando Fuga, dove un tempo si
trovava la distrutta chiesa dei Santi Pietro e Paolo.
Nel XIX secolo la loggia fu oggetto di rimaneggiamenti, soprattutto
a livello delle decorazioni e affreschi delle volte.
Descrizione
La loggia è composta da tre arcate su pilastri riccamente decorati,
con le facce recanti tabernacoli con statue. Le due statue sui pilastri
esterni della loggia raffigurano San Pietro e San Paolo e sono del
Vecchietta (1458-1462); le altre tre statue raffigurano tre dei
quattro antichi santi protettori della città, San Savino, Sant'Ansano e
San Vittore, e sono di Antonio Federighi (1458-1459).
I lati brevi sono chiusi da due banchi marmorei, tra i quali è di
particolare interesse quello destro, del Federighi, con figure della
storia romana (1459-1464), mentre quello sinistro è opera di Urbano
da Cortona (circa 1462).
Nelle volte si trovano stucchi e affreschi decorativi, reintegrati e
rimaneggiati nell'Ottocento. La prima a sinistra è opera di Pastorino
dei Pastorini (1549-1552), la seconda e la terza di Lorenzo Rustici
(1553-1563).
ATTRAVERSO IL VICOLO DI SAN PIETRO SI ENTRA IN PIAZZA DEL CAMPO.
PIAZZA DEL CAMPO. Unica per la sua particolare e originalissima
forma a conchiglia, è rinomata in tutto il mondo per la sua bellezza e
integrità architettonica, nonché per essere il luogo in cui due volte
l'anno si svolge il Palio di Siena. Per un'antica convenzione, la piazza
e il Palazzo Pubblico non appartengono ad alcuna contrada.
Storia
Lo spazio che sarebbe diventato la piazza attuale era, alle origini di
Siena, un terreno bonificato per consentire il deflusso delle acque
piovane, come testata semicircolare della valle di Montone, tra il
colle Santa Maria e il crinale che va verso Porta Romana. Il nucleo
della città in formazione si trovava più in alto, nella zona di
Castelvecchio e il futuro "Campo" era uno spazio per i mercati,
appena laterale rispetto alle principali strade di comunicazione che
passavano per la città e situato esattamente a un crocevia.
La storia della piazza si intreccia fortemente con quella della
costruzione del palazzo Comunale, o palazzo Pubblico, che vi si
affaccia.
Prime notizie
Il primo documento che parla di sistemazione dello spazio del
"Campo" è del 1169, in cui si parla di un Campus Sancti Pauli, e si
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Dove il passato risale a galla fino a noi
riferisce a tutta la vallata comprendente sia l'attuale piazza che
quella del Mercato, al giorno d'oggi retrostante al palazzo
Comunale. In questa data, la comunità senese acquista il terreno che
andava dalle attuali Logge della Mercanzia all'attuale piazza del
Mercato.
La prima notizia di una suddivisione delle due piazze si ha nel 1193 e
fa dedurre che nel frattempo fosse stato costruito almeno un muro
divisorio, forse per arginare le acque piovane. A quell'epoca si parla
di un "Campus Fori", il cui nome allude alle funzioni di mercato (di
bestiame, pollame e del grano). Nel 1194, a ridosso del muro,
vennero erette la Dogana delle gabelle e la Zecca, detta "Bolgano".
Governo dei Ventiquattro
Fino al 1270, con il Governo dei Ventiquattro (1236-1270), lo spazio
della futura piazza viene usato per fiere e mercati. Si trovava infatti
in una zona particolarmente favorevole per l'incontro dei cittadini,
come punto di sutura tra la Sena vetus, ovvero il nucleo romano (il
terzo di Città), e i due sobborghi principali di Camollìa e di san
Martino sorti lungo la via Francigena.
Se da una parte il Campo non era un vero "campo", dall'altra non
venne progettato "a tavolino". Nonostante non avesse ancora
assunto la forma che vediamo oggi, sembra esserci già un'intenzione
di farne uno spazio sia per le feste pubbliche, in analogia a quello
che il Duomo è per le feste religiose, sia per i mercati e i commerci in
genere.
Negli statuti del 1262 si trovano alcuni primi provvedimenti per
migliorare l'assetto della piazza, prescrivendo, tra l'altro, l'obbligo di
aprirvi solo bifore o trifore (le finestre "a colonnelli", cioè con le
colonnine), la proibizione di costruire terrazzi, il perfezionamento dei
dodici accessi.
Governo dei Nove
Caduto questo governo degli aristocratici, con il Governo dei Nove
(1287-1355) si cominciò a pensare a una sede "neutra" per il
governo della città. Sul nucleo della Dogana e del Bolgano si iniziò a
costruire un palazzo che fosse sintesi della razionalizzazione
promossa dal governo e della sua autocelebrazione. Il Palazzo
Comunale, destinato ad accogliere la residenza del podestà e gli
uffici delle magistrature, fino ad allora sparse in sedi religiose o
private, diede anche impulso a una consona sistemazione della
piazza antistante. Sul finire del Duecento si iniziano ad acquistare i
fabbricati privati sul Campo e, all'inizio del Trecento, si inizia a
ristrutturare e ampliare gli edifici esistenti, in particolare il palazzo,
la cappella e la Dogana. La costruzione della Torre del Mangia risale
al 1325-1344 e nel 1333 si avvia la pavimentazione a mattoni della
13
Dove il passato risale a galla fino a noi
conca interna (completata l'anno successivo), mentre il selciato nella
parte esterna risale al 1347-1348.
Nel 1334 Jacopo di Vanni Ugolini avviò i lavori di scavo per la vasca
della fontana pubblica, completata nel 1346.
Formazione del perimetro
Lo skyline e la struttura di piazza del Campo. Durante gli anni della
sua costruzione, il governo di Siena ha via via emanato leggi al fine
di uniformare facciate, spazi, fronti architettonici e di allineare il
profilo e il perimetro dello spazio. Valga per tutti la demolizione
della chiesa dei Santi Pietro e Paolo (posta tra gli attuali vicoli di San
Pietro e di San Paolo), perché sporgente rispetto al perimetro che i
palazzi circostanti stavano lentamente delimitando.
Ai primi del Quattrocento venne Jacopo della Quercia decorò la
Fonte Gaia e nel XIX secolo venne spostata nel sito attuale.
Interventi successivi riguardarono l'accorpamento di alcune facciate,
la regolarizzazione, ampliamento o trasformazione di altre.
I palazzi e gli arredi urbani
Palazzo Comunale È il palazzo costruito dal governo della
Repubblica di Siena tra il 1298 e il 1310 come sede del Governo dei
Nove. Non fu usata la pietra, ma il mattone, mentre gli elementi
bianchi sono in marmo. Ogni finestra è ornata da un’ogiva che la
contiene. I merli sono di tipo guelfo.
Torre del Mangia Era la torre campanaria del palazzo Comunale ed
è così chiamata dal soprannome di "mangiaguadagni" dato al suo
primo custode Giovanni di Balduccio (o "di Duccio"), famoso per
apprezzare molto i piaceri del cibo e sperperare quindi a tavola i
propri guadagni. È tra le torri antiche italiane più alte, arrivando a
102 metri fino al parafulmine (seconda solo al Torrazzo di Cremona).
Fu costruita tra il 1325 e il 1348. I quattro angoli sono perfettamente
orientati in direzione N-S ed E-O.
Cappella di Piazza Si tratta del tabernacolo marmoreo che sorge ai
piedi della Torre del Mangia, sporgente rispetto al profilo del Palazzo
comunale. Fu edificata nel 1352 per ringraziare la Vergine Maria
dello scampato pericolo della peste nera che aveva colpito la città
nel 1348. Sopra l'altare, tra il 1537 e il 1539, Giovanni Antonio Bazzi
detto Il Sodoma affrescò la Madonna con il Figlio e Dio Padre, i cui
resti si conservano oggi nel Museo Civico all'interno del Palazzo
Pubblico.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
LETTURA 5: 1348: LA GRANDE PESTE A SIENA
Il morbo provocò migliaia di vittime
di Augusto Codogno
SIENA. Tra tutte le malattie che colpirono nell’antichità il genere umano, la
peste fu senz’altro una delle più sconvolgenti, almeno per quel che riguarda
Siena ed il suo territorio. Migliaia di vittime furono mietute da questo flagello
incurabile che si abbatté diverse volte sul nostro territorio; ma la storia ci ha
narrato maggiormente, forse perché più epocale per numero di morti, di quella
avvenuta nel 1348.
Dalla “Cronaca Sanese di Andrea Dei Continuata da Agnolo di Tura” (dall’anno
1186 al 1352), abbiamo una interessantissima descrizione della situazione di
Siena al tempo della “Peste Nera”.
Era Agnolo di Tura, il cui vero nome sembra essere stato Agnolo di Bonaventura
detto “Il Grasso o il Grosso”, testimone vivente degli avvenimenti di quell’anno.
Anche se per alcuni egli fu solo un “Copista”, a lui si deve una delle pagine più
significative della descrizione della Peste del 1348, probabilmente la più
devastante per la nostra città, anche se pure quella del 1374 non fu certamente
un gioco da ragazzi. Della sua famiglia, dopo l’epidemia, solo lui sopravvisse,
mentre vide spegnersi la moglie Nicoluccia ed i suoi 5 figli.
Ma ecco un estratto della sua cronaca:
“1348 – Vinciguerra da San Bonifazio fu rifermo Podestà in Calende di Luglio. E
in quel tempo cominciò in Siena la grande Mortalità, la maggiore, e la più
oscura, e la più horribile, che mai si potesse dire, o immaginare; e così bastò
infino all’Ottobre 1348. Ella fu di tanta oscurità, che morivano gli huomini, e le
donne quasi subito. Ensiava l’anguinaja, e ‘l ditello, e di subito favellando si
morivano. El Padre a pena stava a vedere il figliuolo; l’uno fratello l’altro
fuggiva; la Moglie il Marito abbandonava, perciochè si diceva, che s’appiccava
questa malattia nel mirare (con lo sguardo), e nell’alito: e così fu vero, che morì
tante genti del mese di Maggio, di Giugno, e di Luglio, e d’Agosto, che non si
trovava chi le volesse seppellire per denari. Parentado, né Amistà, né Prete, né
Frate andava con essi, né Offizio si diceva. Anco colui a cui moriva l’Attendente,
uscito il fiato, sel pigliava o di dì, o di notte, e con due o tre il portavano alla
Chiesa; e essi medesimi, dove più tosto potevano, il sotterravano meglio che
potevano, e ricoprivano con poca terra, che cani nol mangiassero. E in molti
luoghi della Città si fece fosse grandissime di larghezza, e cupe, e poi vi si
mettevano dentro i Corpi, gittandoli dentro, e coprivansi con poca terra; e poi vi
si mettevano altri Corpi assai, e poi si coprivano di terra; e così si faceva a suolo
a suolo, tanto che la fossa fusse piena; e da poi si faceva l’altra. E io Agniolo di
Tura, detto Grasso, sotterrai cinque mie figliuoli in una fossa con le mie mani; e
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Dove il passato risale a galla fino a noi
così fecero molti altri il simile; e che cani ne traevano , e mangiavano di molti
corpi per la Città. E non sonavano Campane, e non si piangeva persona, fusse di
che danno si volesse, che quasi ogni persona aspettava la morte; e per sì fatto
modo andava la cosa, che la gente non credeva, che nissuno ne rimanesse, e
molti huomini credevano, e dicevano: questo è fine Mondo. Qui non valeva
Medico, né medicina, né riparo alcuno; anco chi più argomento pigliava, più
tosto pareva che morisse. E in effetto la mortalità fu tanto oscura, grande, e
orribile, che non sarebbe penna, che la potesse scrivere, e trovossi, che moriro
in Siena, e ne’ Borghi dentro la Città in questo tempo più di LXXX mila persone
(80.000 persone)”.
Davvero il numero dei morti fu così elevato? Certo che la famiglia di Tura fu un
classico esempio dell’alta percentuale di contagiati, visto che si portò via cinque
suoi figli e poco dopo, anche il Podestà sopra citato Vinciguerra da San
Bonifazio fece la stessa fine.
Secondo le “Croniche” di Tommaso Fecini ad esempio non si parla del numero
dei morti, ma vi si legge che di dieci, nove morirono e anche altro Cronista
“Anonimo” dice che di quattro morirono tre. Un altro “Anonimo”, diverso da
quello citato sopra dice “Anno detto vi fu gran moria per tutta la Toscana, e a
Siena morì de’ cinque e quattro, che facevano 65 mila bocche, rimase vive 15
mila bocche”. Se prendiamo anche un ulteriore testimone (Domenico di
Maestro Bandino d’Arezzo), anch’egli concorda nel fatto che, alla Peste del 1348
(definita “Peste Inguinaria”), sopravvisse un quinto della popolazione esistente.
Che Siena, a quei tempi, avesse una popolazione superiore alle 80 mila persone
è abbastanza probabile perché ci sono delle testimonianze scritte secondo le
quali, nel 1328, Siena contava 35 mila uomini ai quali andavano sommati altri
30 mila residenti nei “Borghi”. Se queste stime sono veritiere, bisogna
considerare ed aggiungere anche le donne (non conteggiate), che, anche in
quei tempi, erano in numero superiore ai maschi. In questo modo arriviamo a
130 mila residenti.
Tra le vittime illustri, ricordiamo il Beato Bernardo Tolomei, fondatore della
Congregazione di Monte Oliveto, che, saputo della drammatica situazione in cui
versava la sua città, colpita dal morbo, abbandonò la sua Abbazia per recarsi in
aiuto dei frati di San Benedetto. Dopo aver aiutato e confortato i propri figli e
fratelli nella fede, proprio nel 1348 Bernardo morì colpito anche lui dalla peste,
secondo la tradizione il 20 agosto e sepolto nel monastero cittadino del quale
era andato in aiuto. Purtroppo delle sue reliquie si sono perse le tracce, dopo la
distruzione del monastero di Siena nel 1554, durante la guerra fra Carlo V e la
Repubblica Senese.
Ma la “peste nera” non fu solo un epidemia locale. Tutta l’Europa ne fu
contagiata tra gli anni 1347 e 1351 e uccise circa un terzo della popolazione (si
parla di circa 20 Milioni di vittime) con variazioni della mortalità da luogo a
luogo. La penisola Italica sembra però che subì il numero maggiore di vittime.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Per questa malattia, non si conoscevano rimedi medici, né il suo iter infettivo,
tanto che i primi studi che hanno portato a capirne la provenienza e la
diffusione risalgono a fine 1800.
La malattia della peste per concludere, deriva dalla puntura di alcune pulci
cosiddette “dei ratti” che preferibilmente attaccano i topi e li contagiano. I topi
la trasmettono agli uomini direttamente o, poiché anche loro muoiono in
massa, le pulci, una volta venuto meno il loro ospite preferito, tendono a
trasferirsi sugli uomini, infettandoli. Poi, la trasmissione continua da uomo ad
uomo come tante altre malattie infettive. Ma il morbo della peste si
manifestava in due diversi modi. Il Primo era latente, prendeva di mira le vie
respiratorie e giunto ai polmoni era impossibile guarire, il secondo era cutaneo
e si manifestava con pustole (per cui fu definita “Peste Bubbonica”) e, talvolta,
raramente, poteva avvenire la guarigione. In tutte e due i casi si moriva nel giro
di tre/cinque/dieci gironi al massimo e con atroci dolori.
Naturalmente, quella del 1348, non fu l’unica epidemia di Peste che coinvolse la
nostra città. Un’altra, altrettanto devastante, ad esempio, avvenne nel 1374 e
decimò circa un terzo della popolazione cittadina. Fu in questa occasione che
Santa Caterina da Siena stimolò molti uomini e donne caritatevoli affinchè,
nonostante i rischi del contagio, continuassero ad assistere i moribondi e gli
appestati.
Fonte Gaia Inaugurata nel 1386 nella gioia generale per la prima
fonte pubblica cittadina (da cui il nome "Gaia"), venne decorata tra
il 1409 e il 1419 da statue e rilievi di Jacopo della Quercia , originale
sintesi tra la tradizione gotica e innovazioni rinascimentali. I rilievi
odierni sono copie che vennero scolpite
da Tito Sarrocchi nel 1868.
Palazzo Chigi-Zondadari È il primo
palazzo che si incontra nell'emicilio dallo
sbocco di via dei Rinaldini (detto anche
Chiasso Largo). Si tratta di un palazzo di
antica origine, rifatto nel 1724 su
progetto di Antonio Valeri.
Palazzo Sansedoni Segue palazzo
Sansedoni, che ha una maestosa mole in
laterizio, nato dall'aggregazione di più
palazzi gentilizi nella prima metà del
Duecento, poi rifatto e ampliato nel 1339
da Agostino di Giovanni. Tra due dei
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Dove il passato risale a galla fino a noi
palazzi che formarono palazzo Sansedoni si trovava il dodicesimo
accesso alla piazza, poi chiuso.
Loggia della Mercanzia Tra i vicoli di san
Pietro e di San Paolo si trova la facciata
posteriore della Loggia della Mercanzia, su
disegno di Ferdinando Fuga realizzata nel
1763.
Case De Metz Nel blocco successivo,
procedendo a sinistra, si trovano le Case De
Metz, una serie di edifici con paramento in
laterizio in cui si vedono tracce di finestre
ogivali, un tempo appartenute ai palazzi
Saracini e Scotti.
Costarella dei Barbieri Detta anche
semplicemente "Costarella", si tratta di una ripida strada che si
trova sul luogo dell'antica Porta Salaria, dell'XI secolo, posta lungo la
cinta primitiva; importantissimo varco, collega la piazza con la via
Francigena a nord e la strada verso la Maremma a sud, nonché,
tramite via dei Pellegrini, permette la comunicazione col Duomo. Vi
si affaccia la Torre delle Sette Seghinelle.
Palazzo d'Elci Ultimo edificio monumentale sulla
piazza a ovest è il palazzo dei Pannocchieschi
d'Elci, già dei Cerretani Bandinelli Paparoni (o
Cerrettani), riconoscibile dalla merlatura guelfa e
dalla forte somiglianza con il Palazzo Pubblico
(Palazzo Comunale). In origine, fu la prima sede
del Governo cittadino per tutto il XIII secolo. Fu
completamente ristrutturato nel XVII e nel XVIII secolo.
LETTURA 6: I COLONNINI.
I colonnini in travertino che vediamo in piazza del Campo sono stati
interamente ricostruiti, in sostituzione dei precedenti, nel 1868 dall’architetto
del Purismo senese Giuseppe Partini. Sono situati lungo il perimetro interno
della Piazza, nei Quattro giorni di Palio servono per fissare le sezioni del
cancellato al cui esterno si estende la pista per le prove e la carriera, nel resto
dell’anno in pratica delimitano il “salotto bono” di Siena..
Li ho contati personalmente: 29 sono quelli nella dirittura (o spianata), davanti
al Palazzo Pubblico, dalla curva di San Martino alla curva del Casato; da qui a
Fonte Gaia ce ne sono 21 ed altri 21 da Fonte Gaia alla curva di San Martino; in
totale 71 colonnini.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Ogni colonnino è un “utensile” che a Siena contrassegna la quotidianità…
… è un punto di appoggio da cui ammirare la Piazza più bella del mondo;
… è dove i babbi issano a sedere i cittini per seguire le varie feste che si tengono
in Piazza;
… è un luogo di appuntamenti: “Ci vediamo al colonnino davanti al Chiasso
Largo”;
… è l’unità di misura per calcolare le distanze: “Ha vinto con due colonnini di
distacco”;
… è l’oggetto temuto e odiato dai fantini, specialmente quando ci sbattono
contro;
… è un riferimento fallico: “Ritto e duro come un colonnino!”;
… è dove i ragazzi senesi, per il Palio, con molto anticipo mettono il fazzoletto a
simboleggiare l’occupazione del posto, sul quale poi seguiranno la carriera.
(www.ilpalio.org)
LETTURA 7: IL PALIO VISTO DA EMANUELA AUDISIO
C'è chi di notte con il sacco a pelo ha dormito in piazza. Vengono a vedere il
tormento di un popolo che si vuole bene, senza poter andare d'accordo. E per
chi viene dal nord, da città e case ovattate, al riparo dai fulmini, dai temporali e
dal sangue che scorre troppo velocemente in vena, il Palio sembra non togliere
mai il piede dall'acceleratore, con tutta la sua disperazione, il suo
indispensabile sollievo. Mentre in altre parti i giovani si ribellano ai genitori e a
una soffocante tradizione, qui per i giorni del Palio la gioventù torna a casa e
cerca di non mancare. I tempi cambiano, ma le piccole patrie restano. Un
peccato che non invecchia. Al riparo dagli anni, dalla storia e dalla
contestazione i peccati di Siena e del suo Palio sembravano non invecchiare
mai. Troppo veniali per essere presi sul serio.
Con i suoi mille metri di percorso, con curve che richiedono torsioni particolari il
Palio per i cavalli è un'ammazzata. Calcolando anche che possono girare a
quarantotto chilometri orari. Nel galappo ad esempio c'è un momento in cui la
bestia tocca con un anteriore solo: la pressione è spaventosa. La prima cosa a
rompersi è il nodello, che corrisponde alla nostra prima falange, la seconda è lo
stinco, la terza è lo scheletro, che se ne va per conto suo. Finora nessuno si è
preoccupato di creare un cavallo da Palio, morfologicamente adatto a
sopportare le tremende pene della piazza.
Il Palio è come molte fiabe: meglio non trovarsele mai contro.
Il Palio è religione e bestemmia.
Il resto è un orgasmo da un minuto e mezzo che dura ed è preparato da una
vita. Un sentir troppo caldo sotto le coperte.
Il resto è una serie di immagini che non sembrano aver nesso tra loro, ordinate
in rapida sequenza, come i passaggi improvvisi delle scene in un film. La luce
del sole è ancora forte. Una fanfara di trombe e di tamburi che fa sporgere la
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Dove il passato risale a galla fino a noi
gente avanti avidamente. Sessantamila persone. [...] Il suono del campanone,
ossessivo, un suono cupo, lugubre, da quando un fulmine ne ha modificato il
timbro. [...] Il resto è l'animale che striscia la testa per terra quasi
rovesciandola, emettendo un gemito pietoso che pare di vedere uscire dalla
bocca, i denti digrignanti; ed è come accorgersi all'improvviso che anche le
bestie possano esprimere tensione, sofferenza, voglia di libertà in un palio fatto
da loro ma non per loro. [...] Il resto sono le finestre di una stessa casa che ti
indicano: se nasci a destra sei di una contrada, se a sinistra di un'altra. I vestiti
da mezzo quintale [...]; le stanze che ti vengono aperte quando il sole si è
abbassato e ricche di asgalani, bandiere ricamate a mano e una storia che non
è cresciuta nei musei ma a Piazza del Campo, una conchiglia di nove spicchi a
ricordo del governo dei Noverchi. Il resto è la storia con la maiuscola che si
incrocia con la minuscola: le banche, gli uffici che avanzano e occupano il
centro, il popolo che se ne va, costretto, fuori le mure, ma dentro di sé porta la
vecchia contrada.
Emanuela Audisio (tratto da La Repubblica )
SI ESCE DALLA PIAZZA SU VIA DEL PORRIONE.
La strada esisteva in epoca romana e il suo nome deriva infatti da
emporium, cioè luogo di mercato. Oggi si presenta come costeggiata
da cortine duecentesche, in cui si distinguono alcune case torri,
specialmente quella ai numeri 61-63.
POCO PIÙ AVANTI SI GIRA A SX SU VIA DELLE LOGGE DEL PAPA.
Edificate nel 1462 dall'architetto senese Antonio Federighi, furono
commissionate da papa Pio II (nativo di Corsignano, attuale Pienza,
presso Siena), che ne fece dono alla sua famiglia Piccolomini, dalla
quale egli stesso proveniva e che aveva il palazzo attiguo.
Le Logge del Papa presentano una facciata in travertino a tre arcate
rinascimentali a capitelli corinzi.
LA CHIESA DI SAN MARTINO
La chiesa era in epoca altomedievale la più importante della zona,
tanto da dare il nome al Terzo di San Martino.
Storia. Attestata già nell'VIII secolo e poi, con regolarità, dalla metà
del XII secolo, fu rinnovata e ampliata nel 1537 su disegno di Giovan
battista Pelori. La facciata fu eseguita dal 1613 e il campanile fu
terminato nel 1738.
La facciata ha le forme del manierismo romano ed è opera di
Giovanni Fontana.
L'interno rinascimentale è a croce latina con navata unica, transetto
poco sporgente, profondo presbiterio e una cupola con affreschi di
Annibale Mazzuoli.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
In controfacciata sono conservati il dipinto con l'Immacolata
Concezione protegge Siena durante la battaglia di Camollia di
Giovanni di Lorenzo Cini, voluto dal Comune nel 1528, e quello con i
Quaranta martiri di Ilario Casolani della prima meta del XVII secolo.
Nei tre altari della navata sinistra sono esposti, a partire da quello
più vicino alla controfacciata, una tela di Raffaello Vanni con Estasi
di sant'Ivone (prima metà del XVII secolo), una Crocifissione con
Giovanni Evangelista e la Madonna in legno policromo di ignoto
artista del Quattrocento (la colorazione è frutto di restauri
successivi) e una tela di Domenico Beccafumi raffigurante la Natività
di Gesù (1524 circa, incorniciato da un'opera marmorea della
bottega del Marrina).
Nella navata destra troviamo, nel primo altare, una tela di
Crescenzio Gambarelli con la Gloria di Dio e Santi (prima metà del
XVII secolo) e un piccolo dipinto di Naddo Ceccarelli con la Madonna
col Bambino (seconda metà del Trecento). Al secondo altare è
esposta una tela di Guido Reni con la Circoncisione di Gesù Cristo
(1636) e al terzo altare troviamo una prestigiosa tela, che risulta
annerita da un incendio e ritoccato, del Guercino con il Martirio di
san Bartolomeo (1637), inserito in una ricca cornice marmorea della
bottega del Marrina, in simmetria con quella corrispondente della
parete sinistra.
La sistemazione tardo seicentesca del transetto e del presbiterio è
frutto del mecenatismo della casata dei de' Vecchi, che impiegarono
per realizzare il loro progetto la famiglia di scultori e scalpellini
senesi dei Mazzuoli. Nel transetto destro si segnala la statua di San
Tommaso da Villanova di Giuseppe, che realizzò anche, assieme al
fratello Giovanni, la Madonna col bambino del transetto sinistro.
Sull'altare maggiore i due artisti realizzarono anche quattro statue
di angeli e il ciborio, mentre sulla parete destra dell'abside sono
visibili le memorie sepolcrali di Camillo e Virgilio de Vecchi, di
Bartolomeo Mazzuoli.
Nell'abside la vetrata molto rimaneggiata con San Martino è forse
su disegno di Pastorino de' Pastorini. A sinistra dell'abside, nella
cappella ogivale collocata sotto il campanile, si trovano resti di
affreschi trecenteschi con storie di santi ritenute del beato Pippo
Ancarani e con una Crocifissione, riferibili a un seguace di Pietro
Lorenzetti o di Niccolò di Segna.
SI PROSEGUE SU VIA DI PANTANETO
Siamo nel Terzo di San Martino. La via è il tracciato della via
Francigena e si snoda tra antichi palazzi. In angolo con via di
Follonica, la casa-torre detta dell'Assassino. Poco più avanti il
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Dove il passato risale a galla fino a noi
palazzo Sozzini-Malavolti (n.45), affrescato all'interno da Luigi
Ademollo. Al n. 127-129 un palazzo con finestre dagli archetti a
sesto acuto.
SI GIRA SU VIA PAGLIARESI.
Prende il nome dalla potente famiglia Pagliaresi che vi abitava nel XIV sec., ma
comunemente è chiamata Via di Cane e Gatto, in ricordo delle baruffe che vi si
svolgevano a causa delle rivalità che dividevano le famiglie di questo quartiere.
A metà della via si allunga il Vicolo degli Orefici, una strada senza sfondo,
stretta e silenziosa, quasi sempre deserta, fatta di archi e case antiche che, solo
raramente, lasciano filtrare il sole. Dove finisce il vicolo si trova una delle ultime
tubature in cotto rimaste a Siena.
(http://archivio.comune.siena.it)
SI SBUCA A SX SU VIA DI SALICOTTO E SI PASSA DAVANTI ALLA CHIESA E CONVENTO DI SAN GIROLAMO.
Il convento fu fondato nel 1354 da
Francesco di Pietro Porcari per uso dei
Gesuati. Fu ampliato nel secolo successivo,
grazie anche ai contributi del Comune di
Siena. Nel 1428 si poté così iniziare a
costruire la chiesa attuale, dotandola di
una sola navata e di due campate. Nel 1469 si ottennero i contributi
per realizzare il primo chiostro e un pezzo di dormitorio; nel 1481 si
cominciò invece la costruzione del secondo chiostro, mentre nel
1532, ancora con l'aiuto del comune, il convento si dotò di nuove
stanze. Nel 1552-1555 il convento fu occupato e devastato
dall'esercito spagnolo, ma tornò ai frati Gesuati poco dopo, fino alla
soppressione dell'ordine da parte di Clemente IX nel 1668.
Si succedettero quindi varie istituzioni religiose e laiche alla guida
del convento, fino a quando, nel 1855, il granduca di Toscana
Leopoldo II lo cedette alle Figlie della Carità di San Vincenzo de'
Paoli. Il convento è oggi sede della Casa Provinciale delle stesse
Figlie della Carità.
Sono molte le opere d'arte che si trovano nella chiesa, nel chiostro e
nel convento. A sinistra dell'ingresso il tabernacolo con grande
affresco frammentario della Pietà e santi di Guidoccio Cozzarelli.
In chiesa l'opera più importante è il complesso contenente un
affresco con la Madonna col Bambino, angeli e santi, opera del
pittore Gesuato e ghirlandaiesco Fra' Giuliano da Firenze (seconda
metà del XV secolo), un'incorniciatura marmorea di Lorenzo di
Mariano, detto il Marrina (seconda metà del XV secolo), e due
affreschi ai lati di Rutilio Manetti raffiguranti l'Angelo annunciante e
la Madonna Annunciata (prima metà del XVII secolo).
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Si segnala inoltre la lastra tombale del vescovo Antonio Bertini di
Urbano da Cortona (1486), la Sant'Anna Metterza fatta dipingere
come ex voto nel 1530 da Onoria Orsini a Giovanni di Lorenzo e una
statua in legno policromo raffigurante Santa Caterina da Siena,
attribuita a Giacomo Cozzarelli e donata ai Senesi in visita a Roma
nell'anno santo 1600 dai loro concittadini residenti nella capitale.
La cappella a sinistra del presbiterio ha un'Incoronazione della
Vergine di Sano di Pietro e l'Estasi di san Girolamo di Domenico
Manetti.
Nell'ex chiostro si trova una tavola di Bernardino Fungai raffigurante
l'Assunzione di Maria tra affreschi deteriorati di Fra' Giuliano da
Firenze, realizzati entrambi nella seconda metà del XV secolo, e le
Storie del beato Giovanni Colombini di fra' Benedetto da Brescai e
fra' Banedetto da Lucca (1575).
Nel convento si trovano altri dipinti di Bartolomeo della Porta,
Francesco Vanni e Alessandro Casolani, e una croce trecentesca
dipinta da un ignoto seguace di Duccio di Buoninsegna.
SI PROCEDE SU VIA DE LI SERVI E POI SI IMBOCCA VIA DELLE CANTINE. SI GIRA A DX SU PIAZZA
ALESSANDRO MANZONI. SIAMO DI FRONTE ALLA CHIESA DI SANTA MARIA DE' SERVI.
SCHEDA SANTA MARIA DE' SERVI
La basilica di Santa Maria dei Servi, il cui nome completo è San
Clemente in Santa Maria dei Servi si trova sul colle che domina
Valdimontone.
Storia I Serviti arrivarono a Siena intorno al 1250, provenendo dal
loro primo convento di Monte Senario, fondato precedentemente nel
1234. Inizialmente stabilitisi fuori città, furono invitati dal comune a
costruire la loro chiesa entro le mura cittadine, sul sito attuale dove
allora sorgeva la chiesa parrocchiale di San Clemente. La costruzione
del convento poté quindi iniziare pochi anni dopo il 1250, grazie
anche ad una donazione di terreni da parte della famiglia Tolomei e
ad una donazione di laterizi (materiale da costruzione) da parte del
comune. Il nuovo convento inglobò la chiesa parrocchiale
preesistente di San Clemente, spiegando l'origine del nome del
convento.
I lavori di costruzione procedettero a rilento e durarono per quasi tre
secoli. Entro la metà del XV secolo fu completato il transetto e le
cappelle terminali in stile gotico. Nel 1471-1528 venne costruito il
corpo longitudinale della chiesa con le sue tre navate in stile
rinascimentale. Artefice fu Ventura Turapilli che lavorò su un disegno
di Baldassarre Peruzzi. Il 18 maggio 1533 avvenne la consacrazione
23
Dove il passato risale a galla fino a noi
della chiesa a lavori non ancora terminati. I lavori strutturali interni
terminarono infatti solo nel 1537, con l'acquisto di quattro colonne
per la divisione delle tre navate, mentre la facciata quattrocentesca
non fu mai terminata.
La Basilica dei Servi In età barocca vennero aggiunti gli altari
laterali. Nel 1750 venne aggiunta la gradinata di accesso alla
basilica. Il transetto e altre parti vennero stilisticamente rivoluzionati
tra la fine dell'800 e gli inizi del '900 su progetto prima di Giuseppe
Partini poi di Agenore Socini, in stile neogotico.
Il campanile fu costruito nei secoli XIV-XV in stile romanico. Fu
restaurato in tempi successivi e radicalmente nel 1926, quando
furono aggiunte anche le cuspidi centrale e angolari in cima al
campanile, contribuendo a farlo somigliare a quello de Duomo di
Siena.
L'interno La pianta della chiesa è a croce egizia, con un corpo
longitudinale a tre navate e cinque campate, un transetto sporgente
dotato di cappelle terminali e cinque cappelle ricavate dalla parete
di fondo della chiesa. Di queste cinque, la cappella centrale
maggiore è più alta, larga e profonda.
Lo stile rinascimentale fiorentino domina nel corpo longitudinale,
costruito da Ventura Turapilli nel 1471-1528 su disegno di
Baldassarre Peruzzi o del Porrina. Questo è impostato sul contrasto
tra l’intonaco bianco e la pietra serena grigia, su archi a tutto sesto
con cassettoni dipinti entro l’arco, capitelli in stile corinzio con
imposta d’arco rialzata e travi in ferro a stabilizzare gli archi.
Tuttavia, a differenza delle chiese rinascimentali fiorentine la volta
della navata centrale è dotata di archi trasversali entro cui su
collocano volte a crociera. A crociera sono anche le volte delle
navate laterali, dove dominano archi a sesto acuto.
Entro le pareti delle navate laterali sono scavate nicchie con volte a
botte e cassettoni dipinti entro cui sono collocati altari barocchi. Fa
eccezione la prima cappella a destra, che è ricavata entro il
campanile e quindi più profonda e strutturalmente diversa dalle
altre. Tra le molte opere conservate entro questi altari si segnalano:
Prima cappella a destra: avanzi di affreschi tercenteschi, tra cui una
Madonna che libera le anime del Purgatorio
Seconda cappella a destra: Madonna del Bordone, unica opera
firmata di Coppo di Marcovaldo del 1261. Fu dipinta dall’artista
fiorentino catturato dai senesi in seguito alla battaglia di Montaperti
(1260) per permettere la propria liberazione. Il volto della Madonna
fu rifatto da un’artista seguace di Duccio di Buoninsegna.
Terza cappella a destra: Natività di Maria di Rutilio Manetti (1625).
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Quarta cappella a destra: Madonna coi sette santi fondatori di
Alessandro Franchi
Quinta cappella a destra Strage degli Innocenti e Madonna col
Bambino, santi e committenti di Matteo di Giovanni (1491).
Prima cappella a sinistra: Annunciazione di Francesco Vanni (fine XVI
secolo-inizio XVII secolo).
Seconda cappella a sinistra: Madonna di Belverde di Jacopo di Mino
del Pellicciaio (1364).
Quarta cappella a sinistra: Madonna e santi di Francesco Curradi e
alla parete Adorazione dei pastori di Alessandro Casolani
Alla prima colonna destra un'elegante acquasantiera con parti della
fine del Duecento
Lo stile rinascimentale che caratterizza le tre navate del corpo
longitudinale si ritrova anche nei bracci del transetto. Le cappelle del
presbiterio invece sono in stile gotico, risalenti ai primi due secoli
della costruzione dell’edificio (XIII e XIV), anche se molte decorazioni
sono neogotiche, dei secoli XIX e XX. Le cappelle sono in tutto sette,
cinque sulla parete di fondo della chiesa (di cui una centrale
maggiore più voluminosa) e due a livello delle terminazioni del
transetto. Sono molte le opere d’arte in esse contenute, soprattutto
del Trecento. Tra queste si segnala:
Cappella alla testa del transetto di destra: grande Croce dipinta
attribuita a Ugolino di Nerio o Niccolò di Segna (1331-1345); al di
sotto troviamo il corpo incorrotto del beato Francesco Patrizi (12661328), dell'Ordine dei Servi di Maria. Alla parete un Angelo
annunciante di Francesco Vanni.
Sopra la porta della sagrestia: Madonna col Bambino di Segna di
Bonaventura (primo quarto del XIV secolo).
Prima cappella di destra: tela raffigurante la Madonna col Bambino
di Lippo Memmi (circa 1325); la tela è in realtà una copia
dell’originale conservato alla Pinacoteca Nazionale di Siena. Nella
stessa cappella è visibile un affresco raffigurante la Strage degli
innocenti, attribuito a Pietro Lorenzetti con la collaborazione dei
fratelli Francesco e Niccolò di Segna (1335-1348). La figura di
Sant’Agnese è invece del solo Pietro Lorenzetti o della sua scuola.
Seconda cappella di destra: Trittico dell'Immacolata concezione e
santi di Alessandro Franchi; sull'arcone una Pietà in terracotta a
bassorilievo, dell'ambito di Guidoccio Cozzarelli.
Cappella centrale: Incoronazione della Vergine e santi di Bernardino
Fungai (1498-1501)
Prima cappella di sinistra: tela con Adorazione dei pastori di Taddeo
di Bartolo (1404); sulle pareti affreschi con Banchetto di Erode, San
Gioacchino e San Gregorio (parete destra), Ascensione di san
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Giovanni Evangelista, San Giuseppe e Sant’Ambrogio (parete
sinistra), della scuola di Pietro Lorenzetti (1335-1348).
Cappella alla testa del transetto di sinistra: Madonna della
Misericordia di Giovanni di Paolo (1431); al di sotto reliquario e urna
del Beato Gioacchino Piccolomini (1258-1305), dell'Ordine dei Servi
di Maria; sulle pareti la Messa del beato Gioacchino Piccolomini di
Rutilio Manetti e la Madonna protegge Siena in tempo di peste di
Astolfo Petrazzi; quest'ultima opera racchiude la tavola più piccola
della Madonna col Bambino di Francesco Vanni.
Le opere moderne Nei secoli XIX - XX, in occasione della
ristrutturazione, numerosi artisti collaborarono alla ridecorazione
delle cappelle, specialmente quelle absidali, quali Alessandro
Franchi, Ulisse de Matteis, Giovanni Brunacci, Giuseppe Catani. A
titolo di esempio, nella terza cappella di destra del corpo
longitudinale è esposta una tela di Alessandro Franchi (1888)
raffigurante l’ Apparizione della Madonna ai sette santi fondatori
dell’Ordine.
Organo a canne Nella basilica si trova l'organo a canne Mascioni
opus 370, costruito nel 1925. Originariamente a trasmissione
pneumatica e collocato sopra un'apposita cantoria in controfacciata,
nel 1926 venne spostato nel coro, dietro la pala dell'altare maggiore
e nel 2008 è stato restaurato ed ampliato dalla ditta Vegezzi Bossi;
in tale occasione, fra le altre cose, è stata cambiata la trasmissione
divenendo mista (meccanica per i manuali e il pedale, elettronica per
i registri e le combinazioni).
A FIANCO DELLA BASILICA SI TROVA LA SEDE DELLA CONTRADA DI VALDIMONTONE
LA CONTRADA DI VALDIMONTONE
Il toponimo Montone è stato associato nei secoli sia ad un antico castello detto
Castel Montone, sia alla vallata sottostante il poggio dei Servi. Il termine
Montone compare dopo l’anno mille con le prime testimonianze scritte, la sua
mensione risale ad un documento del 1043, nel quale si fa riferimento ad un
terreno situato in località “Il Pino” in prossimità della chiesa di Sant’Agata, che
confinava con un fossato indicato con il nome “Suptus de Montone” (sotto il
montone).
La suddetta chiesa di Sant’Agata sorgeva anticamente nello spazio sottostante
la chiesa di sant’Agostino, perciò è semplice ricostruire che il suddetto fossato
fosse ubicato alle pendici del poggio dei Servi. Di Montone, inteso come
riferimento toponomastico, si parla anche nell’attestazione della Valle de
Montone con il suo nucleo abitato, staccato dalla città di allora e risalente
all’età etrusca. Il suddetto Vico de Montone (borgo o villaggio) viene citato per
la prima volta nell’anno 1065, mentre si nomina nel 1084 il Castello de
Montone; di questa struttura rimane tuttora visibile una piccola parte di
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Dove il passato risale a galla fino a noi
mattonato in pietre sul lato sinistro dell’attuale Basilica dei Servi di Maria, che
subentrò all’antica chiesa di San Clemente, come pure a tesi di studiosi, i resti di
una delle quattro torri rimarrebbero inglobati nel campanile della basilica.
Per quanto riguarda l’origine del nome, ci sono varie interpretazioni:
La prima narra che Montorio o Montonio, centurione romano, fu mandato da
Romolo a Siena, insieme a Camelio con l’incarico di catturare e riportare al suo
cospetto i due nipoti ribelli, Senio e Ascanio, amici di Remo. La leggenda ci
narra che furono tre i primitivi accampamenti fortificati, uno su ogni colle, che
con il tempo formarono la citta di Siena. Essa conservò la divisione in tre parti
che presero poi il nome di Terzi, da esso deriva il Castrum Montonis ove oggi
sorge la basilica dei Servi.
La seconda vuole che nonostate l’esistenza del Vicus nel secolo XI il nome derivi
da una grande presenza di pastori con molti greggi di ovini che pascolavano
nella fertile vallata.
La terza sarebbe quella in cui il Castello de Montone prendesse il nome dal
capostipite della nobile famiglia senese di Montone Piccolomini: in un atto del
1165 compare un esponente della casata Piccolomo de Montone.
La quarta, e più veritiera, è quella che vuole che il toponimo derivi da “Mons
Magnum”, ed una conferma della veridicità dell’ipotesi si può acquisire in un
documento del 1205, redatto nella vigna del Potestà di Siena Bartolomeo
Rinaldini, situata in“Justa Montonem”nella vicinanza del colle.
A cura di Aldo Giannetti con la collaborazione di Paolo Brogini
(http://www.valdimontone.it)
LETTURA 8: GENTE DI CONTRADA, IL BARBARESCO
Bruno Dragoni è stato per tutti noi (generazione del '56) il Barbaresco del
Montone. A me che ho avuto la fortuna e l'onore di fargli da vice, mi ha lasciato
un profondo segno d'amore e di passione verso questa carica, che per noi che
amiamo i cavalli, ti fa' provare emozioni indescrivibili.
Bruno ha fatto il Barbaresco non più giovanissimo, in un momento particolare
per la Contrada, dove da tempo non si vinceva, ma quando il Sor Ezio Cortecci
lo chiamò, capì che in quel momento il Montone aveva bisogno di Lui e accettò
nonostante non avesse nessuna esperienza in materia. Ma erano altri tempi
dove i rapporti umani contavano più della professionalità e lui con il suo fare
scanzonato e i suoi scapaccioni dati con quelle manone, riuscì a conquistare la
stima e la simpatia della Contrada e dell'ambiente dei cavallai e dei fantini.
Canapino, Beppino, Bazzino, Bucefalo e altri, si erano affezionati a quest'Uomo
sempre disponibile a fare e pronto a dire due parole di conforto a chi ne aveva
bisogno.
A tale proposito ricordo un episodio capitato a Canapino, grande fantino ma
dal carattere fragile e a volte ingenuo, al quale Bruno voleva molto bene. Dopo
il palio di agosto del 1975, perso al 3° giro al bandierino, e con un dopo corsa a
27
Dove il passato risale a galla fino a noi
dir poco tragico, (Bruno ci rimise 2 costole) il rapporto si consolidò e Canapino
non esitava a chiamarlo in scuderia. Si arrivò così all'inverno e un giorno
Canapino portò a correre all'ippodromo di Pisa un cavallo che aveva in scuderia
e dopo aver perso la corsa, a dir suo ingiustamente, trovò il modo di litigare e
farsele dare di santa ragione. Bene, la sera, tornato a casa Leonardo piangendo
chiamò Bruno affinché andasse a trovarlo a casa, era disperato!! Bruno mi
suonò il campanello di casa e insieme andammo da lui. Canapino piangeva e si
lamentava dicendo che era sfortunato e che tutti erano contro di lui, ma da lì a
poco Bruno con un paio di scapaccioni e due berci (falla finita rincoglionito!!)
riuscì a far tornare il sorriso a quest'uomo che dietro a quello che voleva far
vedere, nascondeva un animo buono e generoso. Bruno rimarrà per sempre nel
mio cuore, con lui nella stalla ho trascorso gli anni più belli e intensi della mia
vita contradaiolo. La storia del palio vive e vivrà per sempre attraverso questi
personaggi che con l'amore e la passione hanno lasciato un segno indelebile
alla nostra meravigliosa festa.
Stefano Cannoni
(http://www.valdimontone.it)
Mario Luzi (Castello di Firenze, 20 ottobre 1914 – Firenze, 28 febbraio 2005)
Nato a Castello (Firenze) (allora frazione di Sesto Fiorentino), da genitori
originari di Semproniano nella zona del Monte Amiata in provincia di Grosseto,
trascorre l'infanzia a Castello, frequentando qui i primi anni di scuola. In
seguito, si trasferisce a Siena dove rimane per tre anni; poi nel 1929 ritorna
nella sua città natale e termina a Firenze gli studi presso il liceo classico
"Galileo". Sempre a Firenze si laurea in letteratura francese con una tesi su
François Mauriac. Sono questi, anni importanti per l'esordio poetico del giovane
Luzi che a Firenze, stringe amicizie con giovani impegnati nella cultura
ermetica, come Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Carlo Bo, Leone
Traverso, nonché l'importante e instancabile critico Oreste Macrì.
Collabora alle riviste d'avanguardia come Frontespizio, Campo di Marte,
Paragone e Letteratura.
Esce nel 1935 la sua prima raccolta poetica La barca. Nel 1938 inizia
l'insegnamento alle scuole superiori che lo porterà a Parma, a San Miniato e
infine a Roma dove lavorerà alla Sovrintendenza bibliografica.
Pubblica nel frattempo (1940) Avvento notturno. Nel 1945 ritorna a Firenze e in
questa città insegna al liceo scientifico. Sono di questo periodo alcune
importanti raccolte poetiche: nel 1946 Un brindisi e Quaderno gotico, nel n. 1 di
Inventario, nel 1952 Onore del vero, Primizie del deserto e Studio su Mallarmé.
Nel 1955 gli viene assegnata la cattedra di letteratura francese alla Facoltà di
Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze.
Nel 1963 pubblica Nel magma, nel 1965 Dal fondo delle campagne e nel 1971
Su fondamenti invisibili ai quali fa seguito Al fuoco della controversia nel 1978,
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Semiserie nel 1979, Reportage, un poemetto seguito dal Taccuino di viaggio in
Cina nel 1985 e nello stesso anno Per il battesimo dei nostri frammenti.
Nel 1978, per l'opera Al fuoco della controversia, gli è stato assegnato il Premio
Viareggio. Il 1983 vede la pubblicazione de La cordigliera delle Ande e altri versi
tradotti. È inoltre autore di importanti saggi e curatore di numerose antologie
(tra cui L'idea simbolista). Fu anche un critico cinematografico nei primi anni
'50: curò le recensioni di quasi 80 pellicole (tra le quali citiamo Roma ore 11 di
Giuseppe De Santis e Signori, in carrozza! di Luigi Zampa) che nel 1997 furono
raccolte in un libro.
Il 14 ottobre 2004 è stato nominato senatore a vita dal Presidente Carlo Azeglio
Ciampi.
Si spegne a Firenze pochi mesi dopo, il 28 febbraio 2005.
Nel 2014 il Comune di Siena ha voluto ricordarlo dedicandogli il Palio del 16
agosto, dipinto dall'artista Ivan Dimitrov.
LETTURA 9: UNA POESIA DI MARIO LUZI. SIENA - PRIMAVERA
Come splende Siena, come sfavilla,
come parata a festa si dichiara
fiera di sé, fedele
alla sua gloriosa guerra
non ancora furibonda
non ancora tripudiante.
Per ore le percorre
la lunga tortuosa schiena
solo un brivido. Che brivido però!
Impavido il MONTONE
infuoca i suoi vessilli,
intona le sue tube
prima, prima contrada. Siena
così alla sua primavera si risveglia.
Di quante mute e fragorose risse
di uomini e bandiere, di che sfide,
brighe, intese si ravviva
la sua invitta ed armoniosa piena!
Mario Luzi
ATTRAVERSO VIA VAL DI MONTONE SI RAGGIUNGE VIA ROMA E SI ENTRA NEL COMPLESSO UNIVERSITARIO
DI SAN NICCOLÒ.
Il 24 Gennaio 1774 in Toscana il Granduca Pietro Leopoldo emana la
Legge sui pazzi, che sostiene il principio del pazzo visto come malato,
come alienato e non più come insensato; viene istituzionalizzata la
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Dove il passato risale a galla fino a noi
figura del medico all’interno della casa di cura, per assistere e
cercare di recuperare le persone ricoverate. Nel 1815 il rettore della
Società di Esecutori di Pie Disposizioni, il marchese Angelo Chigi,
chiede al governo della città di adattare l’ex convento di San Niccolò
a ospizio dei “pazzarelli”. Il 6 dicembre 1818 il medico Giuseppe
Lodoli, nominato direttore del manicomio, inaugura ufficialmente
l’Ospedale Psichiatrico San Niccolò. I lavori di attuazione del
progetto definitivo dell’architetto romano Francesco Azzurri, ebbero
inizio nel 1865 e terminarono nel 1907 con l’alternarsi dei suoi allievi
Ugo Palmerini e Paolo Funaioli. Il nuovo San Niccolò divenne un
villaggio manicomiale del tutto nuovo come struttura e come
concezione, non più un luogo in cui segregare gli indesiderati della
società sottoponendoli a metodi repressivi. Tutto ruotava intorno a
un elegante edificio centrale a due piani con due avancorpi laterali,
fronteggiato da un ampio giardino, con i servizi generali, 500 posti
letto per tutti i malati tranne gli agitati, il refettorio, le sale per le
feste, un teatro (smantellato nel corso del 1900), la cucina, la
dispensa, un piano semi-interrato con i magazzini per lo stoccaggio
di olio e vino. Il manicomio era una città dentro alla città, del tutto
autonoma, con una serie di servizi e strutture per la sua
quotidianità, cui partecipavano con scopi terapeutici i malati stessi:
vi erano una lavanderia, un forno per panificazione, una grande
cucina, una farmacia, officine di calzolai, per la lavorazione di stuoie,
fabbri, legnaioli, sarti, vetrai, “verniciai”. Vennero attrezzate anche
una cascina con fienile e alcune stalle, locali per la lavorazione e
l’intreccio dello sparto e una colonia industriale chiamata Officina
Palmerini, poi Morselli. L’architetto senese Vittorio Mariani
intervenne negli ampliamenti del 1901-1927 e soprattutto dopo il
1927, per far fronte alla necessità di nuovi spazi per la popolazione
in continua crescita, quando la struttura iniziò ad accogliere anche i
malati delle province di Grosseto e Viterbo.
(http://www.ecomuseosiena.org)
SI PROSEGUE SCENDENDO VERSO L'ORTO DE PECCI.
Orto de’ Pecci All'inizio del Trecento nella valle denominata Valle di
Porta Giustizia sorgeva il borgo Nuovo di Santa Maria.
Il quartiere nacque su iniziativa del Comune per farvi insediare i
nuovi cittadini senesi, ma decadde e scomparve quando la città fu
colpita dalla peste nel 1348.
Durante il medioevo i condannati a morte uscivano dalle carceri
poste sotto Palazzo Pubblico, attraversavano Piazza del Mercato
dove c’era la casa del boia, percorrevano a piedi la sottostante via
dei Malcontenti e proseguivano per uscire dalla città attraverso
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Porta Giustizia, presente proprio in questa valle. Tuttavia tale
percorso dal triste passato ci conduce oggi in un luogo straordinario
ricco di stimoli sensoriali, legati ai molteplici aromi, odori, sapori,
rumori: l’Orto de’ Pecci.
(http://www.comune.siena.it/Il-Turista/Diversamente-Abili/Turismodei-suoni/Itinerari/Orto-dei-Pecci)
SI SALE VERSO PIAZZA DEL MERCATO.
Piazza del Mercato è una delle piazze più importanti - ma meno note
- di Siena e sorge alle spalle di Piazza del Campo, al di là del Palazzo
Pubblico.
Piazza del Mercato è molto più antica rispetto alla celeberrima
Piazza del Campo: infatti, quando la prima era già sede del mercato
cittadino e della Zecca della Repubblica Senese, la seconda era
ancora un terreno bonificato con l'unico scopo di far defluire le
acque cittadine nella vicina vallata.
La forma attuale di Piazza del Mercato è quella classica
rettangolare; mentre i sui due lati lunghi si aprono vari edifici (tra
cui il Teatro , quelli corti danno uno sulla facciata posteriore del
Palazzo Pubblico, mentre l'altro sulla vallata in cui defluivano le
acque provenienti da Piazza del Campo.
Al centro dello slargo, che lungo ai lati viene utilizzato come
parcheggio per le automobili, si trova la tettoia del mercato,
ricostruzione ottocentesca di quella precedente. Essa è costituita da
un tetto in legno e coppi sorretto da grandi pilatri in mattoni.
(http://it.wikibooks.org/wiki/Siena/Piazza_del_Mercato)
ALL'ANGOLO DELLA PIAZZA SI TROVA LA SEDE DELLA CONTRADA DE L'ONDA.
Cenni Storici
La Contrada dell’Onda ha il titolo di Capitana perché i suoi uomini
facevano la guardia al Palazzo Pubblico. Per la storia della Contrada
è fondamentale una fonte archivistica del 1524, il Libro di
Deliberazioni. Si tratta del libro dei verbali più antico di quelli
conservati dalle Contrade e riporta una notevole quantità di notizie
relative agli incarichi, alla vita della Contrada, al Palio e agli
avvenimenti che riguardano anche altre consorelle, “aggregate” o
rivali.
Importanti testimonianze si hanno anche sul Chiesino e
sull’istituzione della Festa Titolare della Contrada, celebrata fin dalla
prima metà del Cinquecento in onore della Beata Maria Vergine a
Santa Elisabetta.
Tra la fine del XVI secolo e la metà di quello successivo si può
constatare come l’Onda sia una Contrada già molto strutturata,
31
Dove il passato risale a galla fino a noi
indipendente e sempre pronta a partecipare alle feste. In questo
periodo l’Onda vinse varie bufalate e nella famosa Caccia dei Tori del
1546 si presentò con una folta schiera di ninfe e pastori a piedi e a
cavallo, con un carro allegorico che rappresentava Diana con ninfe e
Cupido, che spargevano fiori.
Per le funzioni religiose, dal 1787 la Contrada si trasferì dal Chiesino
alla Chiesa di San Giuseppe, già sede della Corporazione dei
Legnaioli, che di questi riporta numerose ed importanti
testimonianze storico-artistica. La grande cripta della chiesa, che è
coperta come la chiesa stessa da una bellissima volta a ombrello –
unico esempio in Toscana – è attualmente la Sede storica e il museo
della Contrada, dove si trovano la sala delle adunanze e la sala delle
Vittorie. Tra le molte opere d’arte, testimonianze storiche ed oggetti
custoditi sono notevoli per la loro importanza e particolarità le opere
dello scultore ondaiolo Giovanni Duprè, artista del XIX secolo che
acquisì fama internazionale.
SI PRENDE VIA DUPRÈ E SI ENTRA DI NUOVO IN PIAZZA DEL CAMPO. QUESTA È L'ULTIMA ENTRATA CHE
RESTA APERTA PER PERMETTERE L'INGRESSO DEI SPETTATORI DEL PALIO.
SI ESCE DALLA PIAZZA PER VIA CASATO DI SOTTO. AL NUMERO 9 SI TROVA LA SALA DEL CARROCCIO.
LETTURA 10: IL CORTEO STORICO
« .... Dalla torre
cade un suono di bronzo: la sfilata
prosegue fra tamburi che ribattono
a gloria di contrade....»
« .... e lo stupore
che invade la conchiglia
del Campo ....»
(Eugenio Montale, Palio, 1939)
SI PROSEGUE SU VIA CASATO DI SOPRA E POI A SINISTRA SU VIA SAN PIETRO.
ALL'ANGOLO CON VIA PENDOLA SI TROVA LA FONTANINA DELLA TARTUCA.
La fontanina della Contrada della Tartuca. L'opera è stata realizzata
dallo scultore Bruno Buracchini nel 1951. Fu donata alla Contrada da
Silvio Gigli. Grande cruccio fu per lui quello di essere stato preceduto
dalla Contrada avversaria della Chiocciola: "Contradaioli della
Contrada rivale alla mia, rubandomi l’idea, misero in atto la
fontanina […] Resto addolorato solo da ciò che mi ostacolò, e cioè la
realizzazione da parte della Contrada rivale alla mia, prima che io
stesso offrissi la fontanina alla Tartuca, ma nessun dubbio esiste sul
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Dove il passato risale a galla fino a noi
fatto che tutto fosse uscito dalla mia mente”. È posta in via
Tommaso Pendola.
(http://www.iltesorodisiena.net/2011/10/il-contradaiolo-tra-lafonte-e-la-vita.html)
Il rituale del Battesimo contradaiolo, il rito di passaggio cui si è
accennato in precedenza, nasce solo alla fine degli anni '40 del
secolo scorso. Oggi ogni Contrada lo celebra annualmente, nel
quadro della Festa titolare ... i rulli di tamburo e le bandiere ... il
Priore pronuncia la formula di rito (ogni Contrada ne ha una) ... la
consegna del fazzoletto (quello di Contrada, quello bello, che non si
trova nelle bancarelle e che può durare anche una vita) e di un
documento del Battesimo ... il popolo della Contrada partecipa ...
L'ispirazione venne una quindicina di anni prima al tartuchino Silvio
Gigli, che così ricorda:
“[…] fu nel 1932che ebbi l’idea di fare una fontanina in ogni
Contrada al fine di dar vita a questo originalissimo “Battesimo
Contradaiolo” che consacrava per tutta la vita l’appartenenza del
neonato alla Contrada di nascita. […] ”.La derivazione dal Battesimo
sacramentale è evidente ... e, a mio avviso, anche pertinente ...se
infatti il Battesimo cristiano opera l'immedesimazione del Battezzato
al Corpo mistico di Cristo, il Battesimo laico contradaiolo, mutatis
mutandis, sancisce l'appartenza alla Contrada ...Il Battesimo
contradaiolo, così come il Sacramento, può essere impartito a
bambini (ed allora sarà un dono fatto al figlio dal genitore) oppure a
ragazzi ed adulti (ma non in tutte le Contrade), ed in questo caso si
impone la libera scelta ...Le analogie credo finiscano qui ... la
rilevanza dell'acqua (che nella liturgia sacramentale ha l'evidente
significato di morte e rinascita) nella pratica del Battesimo
contradaiolo è presumibilmente da ricondurre all'importanza che
l'approvvigionamento idrico ha avuto lungo la secolare storia di
Siena …
(http://www.iltesorodisiena.net/2011/10/il-contradaiolo-tra-lafonte-e-la-vita.html)
Silvio Gigli (Siena, 10 agosto 1910 – Roma, 7 febbraio 1988) è stato
un giornalista, conduttore radiofonico, regista, scrittore e paroliere
italiano. Autore e presentatore di molte trasmissioni radiofoniche,
cronista storico del Palio di Siena (contradaiolo della Tartuca), è uno
dei primi presentatori di quiz. Noto per il caratteristico timbro di
voce, diviene uno degli speaker più conosciuti della radio, dal
dopoguerra agli anni sessanta.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
All'Eiar Di origini povere (figlio di un vetturino) inizia giovanissimo la
carriera giornalistica: nel 1927 è già cronista per il quotidiano
fiorentino La Nazione, passando in seguito al livornese Il Telegrafo.
Lavora in seguito all'allora EIAR, come presentatore. I suoi
programmi sono in genere oggetto di vasti ascolti, a partire da
"Radio Igea" (1939) dedicato ai malati ricoverati negli ospedali.
Nello stesso anno parte "L’ora del dilettante", con il quale scopre fra
gli altri Salvatore Accardo e Corrado. Per Alberto Sordi,
parallelamente, crea la memorabile macchietta di "Mario Pio".
Botta e risposta Nel 1944 lancia "Botta e risposta", un radio-quiz
che, stanti i tempi di guerra, viene diffuso dall'EIAR (in realtà inizia
su "Radio Firenze Libera") nelle zone a controllo alleato ed ha il
compito di fornire una forma di distrazione alla popolazione,
compito in cui Gigli eccelle anche grazie alle sue battute di spirito
(famosa quella rivolta a un concorrente: "Lei ha una cravatta color
singhiozzo di pesce"). I premi in palio sono in genere piccoli prodotti
di profumeria e igiene personale di ditte che sponsorizzavano la
trasmissione. Spesso i concorrenti si ripresentavano in più puntate
della trasmissione divenedo personaggi noti nella città, tra questi un
venditore ambulante di cravatte esperto su quiz di geografia.
Il varietà radiofonico Regista e organizzatore di una innumerevole
quantità di spettacoli di varietà per oltre 35 anni, soprattutto dalla
sede della Rai di Roma, disponendo di una Compagnia del Teatro
Comico di Roma tra cui attori come Raffaele Pisu, Isa Bellini, Elio
Pandolfi, Antonella Steni, Mario Riva, Wanda Tettoni, Renato Turi e
tanti altri.
Sorella radio Nel 1951 conduce "Sorella Radio", uno dei programmi
più longevi della radiofonia italiana. Cura inoltre una nutrita serie di
"interviste impossibili" (ad esempio a Guglielmo Marconi, Luigi
Pirandello, Grazia Deledda, ecc.).
Nuovi talenti Gigli, grazie ad un seguito programma di
presentazione di "voci nuove", è scopritore di talenti della canzone
italiana come Gianni Morandi, Iva Zanicchi, Orietta Berti, Loretta
Goggi. Si occupa spesso di musica, ad esempio con il breve "Piccola
storia della canzone italiana" ed apre la strada a molti altri talenti,
fra i quali Domenico Modugno e Delia Scala. Conduce in radio il già
noto Paolo Panelli, che non avrebbe più abbandonato questo mezzo.
Per le sue opere, anche letterarie, è nominato Accademico della
Crusca.
Attore cinematografico, fra il 1949 ed il 1952, in alcune particine de
"La tratta delle bianche" (Comencini), "Fiorenzo il terzo uomo"
(Canzio), "Botta e risposta" (Soldati).
34
Dove il passato risale a galla fino a noi
Curiosità senesi Di carattere "senesemente" vivace, nel 1945 al
"Palio della Pace" guida una sorta di rivolta dei contradaioli della
Tartuca (di cui era "mangino"), che si ritirano per protesta perché
per due volte il mossiere annulla la partenza del loro cavallo; Gigli,
alla testa di un gruppo di contestatori, schiaffeggia il mossiere.
A Gigli si deve l'idea di un concorso del 1965 per premiare il più
bell'inno delle 17 contrade, cosa che costringe quelle che ancora non
ne avevano uno a realizzarlo in fretta e furia.Il concorso viene vinto
dall'Imperiale Contrada della Giraffa, il testo viene scritto dal suo
amico Bruno Tanganelli detto Tambus e dal Musicista Romano Nino
Oliviero.
Come cronista, conia il motto "E Siena trionfa immortale", col quale
concludeva immancabilmente le sue trasmissioni da Piazza del
Campo.
SIAMO NEL CUORE DELLA VECCHIA SIENA A CASTELVECCHIO
Castelvecchio è il nucleo più antico della città di Siena, posto sul colle
più alto e anticamente fortificato.
Ben riconoscibile in pianta per la forma ovale, è ancora oggi
individuabile nello schema castrense, innervato su tre strade
parallele derivate dal primitivo assetto romano di Saena Julia.
Murato nella cerchia più antica, dell'XI secolo, presenta al suo
interno alcune pregevoli architetture e siti storici d'interesse.
Storia Secondo la leggenda, nel territorio ove oggi si trova via di
Castelvecchio, si rifugiarono i gemelli Senio e Ascanio, figli di Remo,
fuggiti dopo l'uccisione del padre da parte dello zio Romolo. Giunti
qui, costruirono un forte, chiamato Castelsenio. Da qui, nonché dal
termine latino senior (in italiano: antico) l'origine del toponimo
Castelsenio.
Qui abitava gran parte della popolazione quando il geografo arabo
Edrisi descrisse la città come "popolosa, con artieri e ricchezze". Lo
spostamento del potere civili da Castelvecchio (rappresentato sui più
antichi sigilli comunali) al più ampio colle di Santa Maria risale
all'inizio del basso Medioevo, per poi stabilirsi al Campo verso la
metà del Duecento.
SI ARRIVA AL PRATO SAN AGOSTINO DOVE AFFACCIA LA CHIESA DI SANT'AGOSTINO E DOVE SI TIENE LA
CENA DELLA PROVA GENERALE DELLA CONTRADA DELLA TARTUCA.
CHIESA DI SANT'AGOSTINO
La costruzione della chiesa e dell'attiguo convento fu iniziata dagli
Agostiniani a partire dal 1258 e si protrasse per oltre cinquant'anni,
subendo nel corso dei secoli ampliamenti e risistemazioni,
35
Dove il passato risale a galla fino a noi
soprattutto nel corso del Quattrocento, tra il 1450 e il 1490. In
seguito a un rovinoso incendio nel 1747 richiese un completo
rinnovo, che venne curato da Luigi Vanvitelli, dal 17 luglio 1747 al
1755. Nel 1785 la vicina parrocchia di san Salvatore confluì nella
chiesa che quindi assunse titolo parrocchiale. All'inizio del XIX secolo,
con le soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi, gli agostiniani
dovettero lasciare il convento che fu affidato al collegio Tolomei. Gli
agostiniani tornarono dopo pochi anni per reggere la parrocchia, ma
non potendo rioccupare il convento dovettero sistemarsi in una
piccola casetta. Alla fine del XX secolo hanno lasciato
definitivamente la struttura e la chiesa è affidata alla Diocesi senese.
Architettura La semplice facciata, originariamente in cotto, è
nascosta da un discutibile portico colonnato ottocentesco di
Agostino Fantastici, che introduce all'ex-convento.
L'interno settecentesco a croce latina consta di un'unica navata
dotata di poderose colonne e voltata a crociere. Il transetto è
sporgente e dotato di quattro cappelle laterali, due per parte.
Chiude l'edificio un profondo presbiterio. La navata conserva i
poderosi altari in marmi policromi eretti tra la fine del secolo XVI e
l'inizio di quello successivo. All'epoca dell'intervento vanvitelliano
risalgono le quattro statue in stucco della navata centrale e del
transetto opera di Giuseppe Mazzuoli e di Giuseppe Silini.
Navata Ricchissimo il patrimonio artistico conservato nella chiesa.
Nei quattro altari di sinistra della navata troviamo:
l'Adorazione dei pastori di Giovanni Francesco Romanelli (1640
circa);
l'Immacolata Concezione di Carlo Maratta (1681);
il Battesimo di Costantino di Francesco Vanni (1586);
la pala con la Trinità e santi di Pietro Sorri (prima metà del 1600);
Nei quattro altari di destra troviamo:
la Comunione di san Girolamo di Astolfo Petrazzi (1631);
la tavola con la Crocifissione del Perugino (1502-1504);
la pala con l'Andata al Calvario, Alessandro Casolani e Ventura
Salimbeni (1590-1612).
Transetto Nel transetto sinistro è collocato il monumento funerario
di Agostino Chigi, già rettore dello Spedale di Santa Maria della
Scala, realizzato nel 1631 da Tommaso Redi. Troviamo poi la statua
in legno policromo di San Nicola da Tolentino di un artista prossimo
a Giacomo Cozzarelli (fine del XV secolo).
Nella cappella in fondo a sinistra spicca la tela di Rutilio Manetti con
Sant'Antonio tentato dal diavolo (1630 circa). Di fronte c'è invece un
affresco con il monumento funerario della famiglia Fondi di
Bartolomeo Neroni, detto il Riccio (seconda metà del XVI secolo).
36
Dove il passato risale a galla fino a noi
L'altare della cappella reca infine una tela di Stefano Volpi con il
Battesimo di Gesù (1626). L'altra cappella del transetto sinistro
presenta opere moderne.
Nel transetto destro è esposta una tela con la morte di san Tommaso
da Villanova di Raffaello Vanni (1664) e il monumento sepolcrale di
Orso d'Elci di Giovanni Antonio Mazzuoli.
Nella cappella in fondo a destra sono stati recentemente messi in
luce importantissimi affreschi risalenti al Quattrocento, prima del
rinnovamento vanvitelliano del Settecento. Si tratta di due Sibille
affrescate da Luca Signorelli nelle lunette della volta e di due
affreschi monocromo raffiguranti la Nascita della Vergine e la
Natività di Gesù, di Francesco di Giorgio Martini e bottega, forse con
la collaborazione di Pietro degli Orioli. La stessa cappella ha un
pavimento maiolicato del 1488. L'altra cappella del transetto destro
presenta opere moderne, ad eccezione di una statua in legno dipinto
raffigurante la Madonna col Bambino di un ignoto artista
quattrocentesco.
Presbiterio Nel presbiterio spiccano l'altare maggiore con il
tabernacolo in marmi policromi di Flaminio del Turco (inizio del XVII
secolo) e Il monumentale ciborio a tempietto con il bassorilievo di
Cristo risorto e i due angeli adoranti di Francesco, Giovanni Antonio
e Giuseppe Mazzuoli.
Cappella Piccolomini Da una porta posta sulla parete destra della
navata si accede alla celebre Cappella Piccolomini, così chiamata per
la completa ristrutturazione della cappella preesistente voluto
dall'omonima famiglia alla fine del XVI secolo. Vi si accede
transitando da un vano dove è esposto il monumento marmoreo a
Papa Pio II scolpito da Giovanni Duprè nel 1850. La cappella mostra
l'altare Piccolomini, in marmi policromi, fatto erigere nel 1596, che
racchiude il dipinto su tavola del Sodoma con l'Adorazione dei Magi;
Sulla parete opposta è visibile in una lunetta il celebre affresco
raffigurante la Maestà di Ambrogio Lorenzetti, databile al 13371338. L'affresco, che è anche l'opera più antica conservata in chiesa,
si salvò solo perché il progetto di trasformazione operato dalla
famiglia Piccolomini portò ad addossare il poderoso altare contro la
parete della Maestà del Lorenzetti. Venendo quest'ultima oscurata
dall'altare, nessuno si curò di eliminarla, a differenza di altri
affreschi che presumibilmente erano presenti nella cappella e che
risultano oggi irrimediabilmente perduti. L’affresco fu riscoperto nel
1944, quando si volle mettere la tavola del Sodoma al sicuro dai
bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. L’intero altare
Piccolomini venne quindi spostato sul lato opposto della Cappella,
37
Dove il passato risale a galla fino a noi
dove si trova ancora oggi, permettendo alla Maestà del Lorenzetti di
tornare alla luce.
SI RITORNA SUI NOSTRI PASSI SI GIRA SULLA SX SALENDO PER VIA DI CASTELVECCHIO. SI VISITA UN'ANTICO
ORTILE E POI SI PROSEGUE DI NUOVO SU VIA CASTELVECCHIO FINO AD IMBOCCARE VIA STALLOREGGI.
Il toponimo, che troviamo nelle fonti a partire dal 1131, non è di
sicura origine. Una prima teoria lo farebbe derivare dal termine
“stabulum regis” (stalla dei cavalli del re), salvo il disaccordo pieno
degli studiosi sulla figura del re in questione (Carlo Martello, Pipino,
Enrico VI di Svevia ecc.). Altri ne riconducono l’origine alla locuzione
“ostellum regis” (dimora del re o, addirittura, locanda).
Sembra però preferibile una terza possibilità, da farsi risalire al
periodo longobardo. In origine il termine “Stalloreggi” avrebbe
indicato una zona, al di fuori delle mura del tempo, adibita a pascoli
collettivi, di proprietà dello Stato e, quindi, del Re (“dominium
regis”). Sembra verosimile poter collocare le terre in questione in
una zona compresa tra le Due Porte (in antico Porta Stalloreggi) e la
zona dell’attuale Porta Laterina. Alcuni tratti della via assunsero in
passato nomi diversi.
Presso le Due porte una lapide del 1898 ci indica che qui si trovava la
Bottega di Duccio di Boninsegna dal 1308 (quando l'Opera del
Duomo affidò a Duccio l'incarico di dipingere una Maestà per l'altare
maggiore del Duomo) al 1311, quando, dopo 32 mesi di lavoro,
l'opera fu ultimata.Da qui poi partì la solenne processione con cui, il
9 giugno 1311, la cittadinanza di Siena accompagnò la grandiosa
pala in cattedrale. Questo il resoconto di un cronista dell'epoca: "Ed
il giorno che (la Maestà) fu portata nella cattedrale, tutte le
botteghe rimasero chiuse e il Vescovo guidò una lunga fila di preti e
monaci in solenne processione. Erano accompagnati dagli ufficiali
del comune e da tutta la gente; tutti i cittadini importanti di Siena
circondavano la pala con i ceri nelle mani, e le donne e i bambini li
seguivano umilmente. Accompagnarono la pala tra i suoni delle
campane attraverso la Piazza del Campo fino all'interno della
cattedrale con profondo rispetto per la preziosa pala. I poveri
ricevettero molte elemosine e noi pregammo la Santa Madre di Dio,
nostra patrona, affinché nella sua infinita misericordia preservasse
la nostra città di Siena dalle sfortune, dai traditori e dai nemici."
DUCCIO DI BUONINSEGNA nasce a Siena poco oltre la metà del
Duecento, intorno al 1255. I primi documenti relativi al grande
pittore senese risalgono al 1278 e si riferiscono al pagamento di 40
soldi per la pittura di dodici casse, destinate a contenere documenti
38
Dove il passato risale a galla fino a noi
dell’Ufficio della Biccherna del Comune di Siena, e copertine di libri
contabili.
La Madonna Gualino, dipinta intorno al 1280-1283 ed oggi
conservata alla Galleria Sabauda di Torino, è la prima opera di
Duccio giunta fino ai nostri giorni. Attribuita in passato al pittore
Cimabue (quasi certamente suo maestro nei primi anni di attività),
l’opera presenta tuttavia elementi nuovi: una ricchezza cromatica
con colori che si discostano dal repertorio fiorentino, la forma del
naso del bambino ed il suo volto più dolce e fanciullesco, la veste
bizantineggiante di Maria.
Alla sua produzione giovanile appartengono la Madonna di Crevole,
attualmente esposta al Museo dell’Opera del Duomo di Siena, ed
alcune pitture a secco, oggi molto rovinate, che si trovano nella
Cappella Bardi (un tempo intitolata a san Gregorio Magno) nella
Chiesa di Santa Maria Novella a Firenze.
Nel 1285 viene commissionata a Duccio la Madonna Rucellai, dalla
Compagnia dei Laudesi, oggi conservata alla Galleria degli Uffizi.
L’opera si ispira alla Maestà del Louvre di Cimabue, dipinta pochi
anni prima. Appaiono però elementi e motivi decorativi di origine
gotica, maggiore aristocraticità e raffinatezza, con un contenuto
umano più dolce.
Nel 1311 Duccio porta a termine il suo capolavoro, l’impresa più
grande e maestosa, una delle opere più significative dell’arte
italiana, la Maestà del Duomo di Siena, oggi custodita al Museo
dell’Opera metropolitana del Duomo. L’opera fu trasportata in
Duomo dalla bottega di Duccio con una processione, con a capo il
vescovo e le massime autorità cittadine, mentre il popolo cantava ed
elargiva elemosine.
La grande tavola rappresenta sul lato principale, quello
originariamente rivolto ai fedeli, una monumentale Madonna in
trono con Bambino, circondata da angeli e santi su fondo oro. Nel
retro, diviso in 26 scomparti, vi sono rappresentati gli episodi della
Passione di Cristo. In origine era presente anche una predella nella
parte sottostante della pala. Le vesti presentano panneggi
voluminosi, i chiaroscuri sono studiati in profondità, i dettagli e le
decorazioni sono influssi provenienti dal gotico francese, il tutto
connesso ad elementi di matrice fiorentina.
Duccio di Buoninsegna muore nel 1318-1319. Un documento firmato
dai figli, che rinunciano all’eredità paterna, lo darebbe ancora in vita
nel 1319. Alla sua morte, Duccio lascia la moglie Taviana e sette figli
(due dei quali divengono pittori).
39
Dove il passato risale a galla fino a noi
Duccio riesce a fondere nella sua arte la componente bizantina alla
lezione di Cimabue (suo maestro), aggiungendo una raffinatissima
gamma cromatica, una linea morbida ed un’eleganza transalpina.
http://www.scopriresiena.it/duccio-di-buoninsegna/
Sul pilastro centrale delle Due Porte, troviamo uno splendido
tabernacolo del sec. XVI raffigurante una Madonna col Bambino,
San Giovannino e Santa Caterina da Siena. Se fino al 1982 la
paternità dell'affresco era stata attribuita pressoché unanimemente
a Baldassarre Peruzzi, in epoca più recente si è fatta strada la sua
attribuzione a Bartolommeo di David, pittore documentato dal 1506
al 1544. Oggetto di restauro nel 1975 (quando furono tolti due
sportelloni settecenteschi in legno) e nel giugno 2012.
Dalle Due Porte iniziamo la salita, tra uno stuolo di abitazioni
private, ristoranti e laboratori artigiani che, in qualche caso,
rasentano la natura di vere e proprie "botteghe d'arte" e superiamo
la Madonna del Corvo.
Palazzo Bisdomini(civici 39-45) è uno dei più antichi palazzi della
Siena medievale, databile alla prima metà del Duecento (o epoca
antecedente), periodo del quale si sono conservate solo torri. È
composto da due corpi di fabbrica, eretti immediatamente uno dopo
l’altro, uniti dallo stesso tipo di paramento murario e dalle
sovrastrutture continue.
Il vero cognome della famiglia Bisdomini, di stirpe salica e
discendente dal Conte Winigi di Raineri, che si insediò in
Castelvecchio intorno all'anno 867, fu probabilmente Antolini. Ad
uno dei suoi componenti fu infatti attribuito, durante il governo
vescovile, l'incarico di Vicario del Vescovo ("visdominus" o
"vicedominus") che, essendo carica ereditaria, finì per connotare
l'intera famiglia.
Appena passata Piazza del Conte, nel cortile interno del n. 25
troviamo una antica cisterna, risalente presumibilmente al XIII-XIV
secolo. Ad un'altra cisterna, più piccola, vi si accede dal portone
limitrofo. La loro ampiezza e vicinanza e, soprattutto, la loro
contiguità ai terreni degli edifici di Via Castelvecchio, fa
legittimamente pensare che da qui, in epoca alto-medievale, fosse
assicurata la gran parte dell'approvvigionamento idrico della Sena
Vetus.
Poco più avanti, la Torre Nini è una casa torre in pietra calcarea,
databile alla seconda metà del XIII secolo. È uno dei primi edifici
senesi che, in seguito ai divieti di costruire ballatoi nelle strade
principali della città, è dotato di sole tettoie e sviluppa
40
Dove il passato risale a galla fino a noi
caratteristiche di facciata con la presenza di cornici davanzale e
bifore.
Subito prima di Piazza Postierla, immediatamente sulla sinistra
troviamo la Torre degli Incontri o della Battagliola, appartenuta alle
famiglie degli Incontri e dei Franzesi (i signori di Staggia) e risalente
quantomeno al XII secolo.
La sua particolarità è evidente ... l'unica stretta apertura è rialzata
rispetto al livello stradale e completamente murata. Si tratta di una
"porta del morto", tipo di costruzione sufficientemente diffuse
soprattutto in Toscana ed Umbria, e normalmente servita da una
scala retrattile.
Quanto alla funzione specifica degli ingressi le opinioni sono duplici.
Secondo la tradizione popolare, restavano aperti solo per lasciar
passare la bara con il morto, ed erano chiusi subito dopo i funerali
per impedire che l'anima del defunto ritrovasse la via di casa. Altri
invece, più prosaicamente, interpretano queste aperture come dei
semplici ingressi, che conducevano ai piani superiori: ritraendo di
notte la scala di legno l'abitazione era al sicuro da eventuali attacchi
nemici.
(http://www.iltesorodisiena.net/2015/07/via-di-stalloreggi.html)
SI GIUNGE A PIAZZA DI POSTIERLA E SI PROSEGUE SU VIA DI CITTÀ.
Il nome della piazza deriva da una postierla, perché qui terminava la
prima cerchia muraria con la porta Oria (o Aurea), divenuta poi
porta secondaria nel Basso Medioevo e quindi "postierla".
Comunemente la piazza viene chiamata Quattro Cantoni poiché vi si
intersecano le vie principali del Terzo di Città: via di Città, via del
Capitano, via San Pietro e via di Stalloreggi.
In angolo con la piazzetta si erge la casa-torre Forteguerri inglobata
in palazzo Bardi alla Postierla, collegata anticamente da un
cavalcavia all'antistante palazzo Borghesi (ristrutturato nel 15131514), per impedire, secondo una cronaca del 1283, il passaggio
nella via della rivale famiglia degli Incontri, abitanti in via di
Stalloreggi. La vicina Farmacia dei Quattro Cantoni ha arredi
neoclassici, disegnati nel 1830 da Agostino Fantastici.
Al centro della piazzetta si trova una colonna quattrocentesca con
un portabandiera in ferro battuto e l'emblema della città: la Lupa
senese. È presente anche una fontana, sormontata da un'aquila,
fontanina battesimale della Nobile Contrada dell'Aquila.
Si affacciano sulla piazza, alcuni dei più importanti palazzi nobiliari
di Siena: palazzo Chigi alla Postierla, palazzo Bardi alla Postierla,
palazzo Borghesi alla Postierla.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
La fontanina battesimale della Contrada de l'Aquila si trova in
Piazza di Postierla ed è opera dello scultore Bruno Buracchini, che la
realizzò nel 1963. Reca sul basamento il motto aquilino "Unguis et
Rostris".
Contrada de l'Aquila
Il motto della Contrada, Unguibus et Rostris, sembra ripreso da
quello della città francese di Avignone: Unguibus et Rostro.
L'Aquila è l'unica contrada ad aver annoverato una donna come
fantino in un Palio alla tonda. Il 16 agosto 1957 vestì il giubbetto
giallo una giovane contradaiola dell'Aquila, Rosanna Bonelli detta
Diavola (ma meglio conosciuta come Rompicollo, dal nome di
un'operetta scritta dal padre). La ragazza era già un'affermata
fantina, ma si distinse per bravura anche sul tufo senese durante le
riprese del film "La ragazza del Palio" di Luigi Zampa, con Vittorio
Gassman e Diana Dors, della quale Rosanna era controfigura. In
relazione al lancio pubblicitario della pellicola i produttori la
aiutarono a trovare una monta, e finalmente convinsero il capitano
dell'Aquila. La corsa non fu delle migliori, e dopo una mossa difficile,
Rosanna cadde al secondo San Martino. Ma Rompicollo era ormai
entrata nella storia del Palio, e la contrada dell'Aquila, riconoscente
verso la propria contradaiola, la insignì del titolo di "fantino
onorario".
La rivalità con la Pantera L'Aquila e la Pantera sono divise da
un’accesa rivalità, anche se recente e alquanto anomala. Non è
infatti nata per le classiche questioni di confine, bensì per motivi
palieschi, non riconducibili a degli incidenti fra le Contrade, ma
addirittura ad un’inimicizia fra fantini.
In occasione del Palio del 16 agosto 1936, la Pantera ebbe in sorte il
portentoso Ruello e ne affidò la monta a Corrado Meloni detto
Meloncino: la Contrada di Stalloreggi ambiva ovviamente alla
vittoria e contava sull’appoggio dell’Aquila, che all’epoca le era
addirittura alleata. La Contrada del Casato aveva ricevuto in sorte
Rondinella e aveva chiamato a montarla il blasonato Fernando Leoni
detto Ganascia. Il problema era che i due fantini nutrivano un forte
odio reciproco. Nel palio di luglio del 1933 Ganascia aveva
duramente nerbato il padre di Meloncino, il fantino Angelo Meloni
detto Picino, ormai vecchio e al suo ultimo Palio. Per tale motivo (ma
anche per una presunta rivalità in amore) Meloncino non
sopportava Ganascia, che a sua volta ricambiava il forte astio.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Come prevedibile, Ganascia ostacolò in maniera dura e decisiva
Meloncino e i sogni di gloria della Pantera finirono con una rovinosa
caduta.
Da questo episodio i rapporti fra le due Contrade si fecero tesi,
anche se continuava a sussistere sulla carta la preesistente alleanza:
ma i contrasti continuarono anche nel 1939 e nel 1946. Fino ad
arrivare all’episodio decisivo avvenuto durante la festa titolare
dell'Aquila, l'8 settembre 1947: da un altoparlante qualcuno rivolse
delle pesanti offese nei confronti della Contrada della Pantera, i cui
dirigenti, non soddisfatti dalle mancate scuse dalla controparte,
decisero di sciogliere l’alleanza dando vita alla rivalità che ancora
oggi contrappone le due Contrade.
Un episodio eloquente di quanto aspra sia la rivalità tra le due
Contrade si ebbe in occasione del Palio del 2 luglio 1992. L'Aquila
aveva ricevuto in sorte il forte cavallo Galleggiante, e aveva deciso di
affidarsi all'esperienza del grande Andrea Degortes detto Aceto. Per
ostacolare la nemica, la Pantera si affidò invece a Sebastiano
Deledda detto Legno: la priorità, più ancora che tirare a vincere, era
ostacolare Aceto e farlo perdere.
Legno seguì alla lettera le indicazioni impartitegli e fin dalle fasi
dell'ingresso in pista, prima ancora della mossa, provocò
ripetutamente Aceto. I due in breve si scambiarono furiose nerbate:
era la prima volta che due fantini si nerbavano prima della mossa,
anche perché proibito dal regolamento (infatti a Palio concluso
Aceto verrà punito con un Palio di squalifica e Legno con cinque).
Alla mossa. Legno ostacolò duramente Aceto, facendolo partire
ultimo. Grazie a tale episodio e a un pizzico di fortuna il fantino
panterino riuscì addirittura a rimontare portandosi in testa. Nelle
retrovie però la classe di Aceto fece la differenza e l'Aquila riuscì a
portarsi in seconda posizione, lanciandosi all'inseguimento della
Pantera. Al secondo giro Legno commise una grave ingenuità,
cadendo clamorosamente in prossimità della Fonte Gaia e
permettendo il sorpasso di Aceto, che vinse così con l'Aquila il suo
quattordicesimo e ultimo Palio.
LETTURA 11: ROSANNA BONELLI DETTA DIAVOLA E
ROMPICOLLO
La Bonelli non è stata la prima donna della storia a disputare il Palio.
Infatti il 15 agosto 1581 fu la villanella Virginia Tacci a correre per la
Contrada del Drago; va però detto che quel Palio fu corso "alla
lunga" e non è riconosciuto tra quelli ufficiali nell'Elenco delle
vittorie del Palio di Siena.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Senese di nascita, la Bonelli aveva frequentato la scuola di
equitazione di Firenze e nel corso degli anni cinquanta partecipava
regolarmante a vari concorsi ippici e corse in ippodromo. Nel 1957 si
trovava a Siena, nel periodo in cui Luigi Zampa girava il film La
ragazza del Palio (con Vittorio Gassman e Diana Dors); durante una
pausa delle riprese la Bonelli riuscì ad intrufolrsi nell'entrone
dov'erano presenti i fantini scritturati dalla produzione e, con la
complicità del fantino Fernando Leoni detto Ganascia, riuscì a
montare a cavallo e fare alcuni giri sul tufo di Piazza del Campo.
Casualità volle poi che la controfigura della protagonista si
infortunò: la Bonelli si propose e venne scelta come sostituta.
Durante le riprese nacque così il desiderio di correre il Palio vero;
spinta anche dalla produzione del film, in cerca di un lancio
pubblicitario, la Bonelli si propose allo zio Umberto Bonelli, allora
capitano della Contrada della Selva. Lo zio pose però il veto assoluto,
temendo per l'incolumità della nipote e convinse anche gli altri
capitani a non ingaggiare la ragazza. Nonostante ciò la sua
contrada, l'Aquila, le offrì la possibilità di correre, vista anche la
pochezza del barbero Percina e la recente vittoria del 1956 (con
Francesco Cuttoni detto Mezz'etto).
La Bonelli prese parte a tre prove vincendone due; venne
ufficialmente segnata con il soprannome Diavola, anche se era
ormai nota a tutti come Rompicollo, dal titolo di una celebre
operetta del padre Luigi (scrittore e sceneggiatore teatrale senese,
1892-1954). Al Palio partì indietro, ma si lanciò in una grande
rimonta nei confronti di Giorgio Terni detto Vittorino del Nicchio;
durante l'inseguimento ostacolò la Torre (Rosario Pecoraro detto
Tristezza) e successivamente, alla seconda curva di San Martino,
cadde trascinata da Romano Corsini detto Romanino, della Lupa.
A Palio concluso Rompicollo venne accusata da alcuni torraioli di
aver ostacolato la corsa della loro contrada. Volò addirittura qualche
ceffone e in sua difesa accorse un contradaiolo dell'Aquila con un
mazzo di rose a gambo lungo che aveva pronto per offrile e del
quale invece si servì per allontanare gli aggressori.
SI PERCORRE VIA DI CITTÀ IN DISCESA.
La via di Città è una delle tre direttrici fondamentali del centro
storico di Siena. In particolare è quella che fa da spina dorsale del
terzo di Città, mentre le altre due sono via Banchi di Sopra e via
Banchi di Sotto con i rispettivi prolungamenti. Le tre strade si
incontrano vicino a piazza del Campo alla Croce del Travaglio.
Storia
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Anticamente via di Città si chiamava via Galgaria, per la fitta
presenza di "galgari" cioè di cuoiai e calzolai. Il nome attuale si rifà
all'uso più antico di chiamare questa parte dell'abitato "Città",
richiamando come essa fosse il nucleo più antico della "Civitas"
romana, esattamente come succede con la City di Londra.
La strada sale infatti dolcemente curvata dal Campo verso la zona di
Castelvecchio, prolungandosi con la via di Stalloreggi.
Descrizione
Oggi una tra le strade più eleganti di Siena, via di Città è
caratterizzata da una cortina pressoché ininterrotta di palazzi
nobiliari, di impianto medievale.
Partiamo da piazza di Postierla, comunemente chiamata Quattro
Cantoni poiché vi si intersecano le vie principali del Terzo.
Poco più avanti il palazzo Marsili-Libelli, che ha in facciata uno
stemma Piccolomini attribuito a uno scultore di pregio, forse il
Vecchietta, forse Urbano da Cortona: vi si trova la Soprintendenza ai
beni Architettonici e Ambientali.
Prima di via del Castoro si trova palazzo Marsili, col prospetto gotico
in cotto realizzato nel 1444 su disegno di Luca di Bartolo Luponi
(regolarizzato con un restauro del 1872, diretto da Giuseppe Partini).
Sul lato opposto si trova il cinquecentesco palazzo Selvi, e prima, al
n. 126, dal Palazzo delle Papesse, edificato probabilmente su
disegno di Bernardo Rossellino (1460-1495). Oggi ospita il centro
d'arte contemporanea.
Sulla curva seguente si dispone il grandioso Palazzo Chigi-Saracini,
costruito ampliando la residenza fortificata dei Marescotti.
All'interno si trova la prestigiosa collezione d'arte di Galgano
Saracini, nonché la sede dell'Accademia Musicale Chigiana.
Più avanti il chiasso del Bargello offre una celebre inquadratura
della Torre del Mangia al di sotto di un arco. Sullo stesso lato, al n.
75, si trova palazzo Patrizi, edificio in laterizio, che ospita
l'Accademia degli Intronati.
Al n. 2 si trova palazzo Monaldi, con portali ogivali di elegante
fattura. In angolo con la discesa della Costarella, che porta a piazza
del Campo, si trova la torre delle Sette Seghinelle, appartenente
all'antico palazzo Crocini, nella quale si aprono bifore cieche con
archi a sesto acuto.
Il Comune di Siena nel XIII secolo aveva preso in affitto dagli Alessi
una parte del loro fabbricato e lo aveva adibito a pubbliche carceri,
nonché a residenza del capitano della polizia e dei suoi famigli, o
berrovieri. Il palazzo fu chiamato Bargello, dal latino medievale
Barigildus [….].
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Dove il passato risale a galla fino a noi
E VICOLO DEL BARGELLO fu detto il ripido chiasso che da via di Città
esce sul Campo, mostrando a chi lo discende uno sfondo panoramico
dal taglio tutto verticale, come da una feritoia, riempito, oltre
l’ultimo arco sulla piazza, dalla visione incomparabile della Torre del
Mangia.
Il termine Bargello dato alla sede della polizia medioevale senese e
al vicolo, fu mutuato dal nome del magistrato fiorentino preposto
agli organi di pubblica sicurezza della città medioevale… […]»
(A. Fiorini, SIENA. Immagini, testimonianze e miti nei toponimi della
città, Siena 1991)
POCO PIÙ AVANTI PRIMA DELLA COSTA DEI BARBIERI SI SVOLTA A SX SU VIA DEI PELLEGRINI.
La via prende il nome dai pellegrini medievali che l'attraversavano
per recarsi al Duomo di Siena deviando brevemente dal percorso
della Cassia Nuova, che attraversava la città da nord a sud.
Vi si trovano numerosi edifici d'importanza. All'angolo con piazza
San Giovanni vi si affaccia il palazzo del Magnifico, eretto per
Pandolfo Petrucci nel 1508 e un tempo contenente un importante
ciclo di affreschi a più mani (Pinturicchio, Luca Signorelli,
Bartolomeo Genga, ecc.) oggi staccato e diviso in più musei
internazionali.
All'intersezione con via Jacopo da Diacceto si vede un arco, oltre il
quale si può osservare una magnifica vista su Fontebranda e San
Domenico.
ARRIVIAMO A PIAZZA SAN GIOVANNI.
La piazza si trova in posizione molto ribassata rispetto alla
soprastante piazza del Duomo, e venne creata quando fu deciso di
ampliarne l'abside, ricavando il vano per il battistero, la cui facciata
venne creata dal 1355 circa al 1382. Il collegamento col Duomo è
garantito dalla scalinata di piazza San Giovanni, del 1451.
Nella casa di fronte al battistero abitò Francesco di Giorgio, come
ricorda una targa con busto in bronzo del 1902, opera di Fulvio
Corsini.
Il Battistero di San Giovanni. Nel 1317 l'Opera del Duomo decise di
allungare il coro del Duomo di due campate. Essendo però la parete
di fondo del coro già a ridosso di una discesa scoscesa, l'unico modo
era costruire sotto un nuovo edificio il cui soffitto supportasse il
pavimento delle nuove campate del coro del Duomo. Si decise quindi
di costruire un nuovo battistero in sostituzione di quello vecchio. I
lavori vennero affidati all'allora capomastro dell'Opera Camaino di
46
Dove il passato risale a galla fino a noi
Crescentino, padre del più famoso Tino di Camaino. I lavori vennero
ultimati nel 1325.
Nel 1355-1382 il monumento venne provvisto di una facciata
marmorea, in puro stile gotico senese, a opera di Domenico di
Agostino, anche se i lavori vennero interrotti nel 1382 lasciando
incompiuta la parte superiore e priva di rifiniture quella inferiore.
Nel secolo successivo il battistero si arricchì del fonte battesimale
posto al centro, il pezzo più pregiato dell'intero monumento e opera
di vari artisti tra cui Donatello e Jacopo della Quercia, e degli
affreschi sulle volte e sull'abside a opera principalmente di Lorenzo
di Pietro detto “il Vecchietta”.
La facciata incompiuta è prevalentemente in marmo bianco e
continua, verso l'alto, fino a coprire gran parte dell'abside del
Duomo. È tripartita da quattro grandi pilastri e presenta tre portali
strombati, coronati da archetti pensili e una cornice. Tre bifore
superiori illuminano l'aula, anche se quella centrale è tamponata dal
XVI secolo. Il pavimento davanti ai portali ha mosaici a graffito e
commesso marmoreo, oggi consunti, relativi al tema del battesimo.
Quello a sinistra è di Bartolomeo di Mariano (1450), e gli altri due
sono su disegno di Antonio Federighi (1451).
La sala rettangolare è divisa da due colonne in tre navate a due
campate ciascuna, per un totale di sei ambienti coperti da volte a
crociera ogivali. Contiene una sola abside.
Fonte battesimale Al centro è presente la fonte battesimale
esagonale, opera di grande pregio, fondamentale esempio della
scultura rinascimentale del primo Quattrocento. Realizzata in
marmo, bronzo e smalto, tra il 1417 e il 1431, vi lavorarono i
maggiori scultori del tempo: Donatello (autore della formella del
Banchetto di Erode e delle statue della Fede e della Speranza),
Lorenzo Ghiberti (Cattura del Battista e Battesimo di Cristo),
Giovanni di Turino, Goro di Neroccio e Jacopo della Quercia (autore
della statua del Battista sulla sommità e altre figure).
Gli affreschi, che decorano completamente le volte, rappresentano
un ampio ed articolato ciclo religioso, tra i migliori del Quattrocento
senese.
Le due volte laterali della prima campata raffigurano otto dei dodici
Apostoli e sono attribuite al pittore bolognese Agostino di Marsiglio,
di incerta datazione. La volta centrale della stessa campata fu invece
affrescata dal Vecchietta a partire dal 1450 e raffigura i quattro
restanti apostoli.
Le tre volte della seconda campata sono state invece affrescate
interamente dal Vecchietta, sempre a partire dal 1450 e raffigurano
gli Articoli del Credo, secondo il Simbolo Apostolico, cioè la
47
Dove il passato risale a galla fino a noi
professione di fede richiesta per l’ammissione al Battesimo. Le scene
degli Articoli del Credo sono dodici, quattro per ogni campata. In
quella a sinistra si trovano Dio Padre, Gesù Cristo, l'Annunciazione e
la Flagellazione; in quella centrale la Discesa agli Inferi, l'Ascensione
di Cristo, il Giudizio Universale e la Pentecoste; in quella di destra
Allegoria della Chiesa, Confessione, Resurrezione dei morti e
Paradiso.
Del Vecchietta sono anche la Madonna in gloria tra angeli
sull'arcone absidale e gli affreschi dell’abside in basso con
l’Annunciazione, la Flagellazione di Cristo e l’Andata al Calvario
(affrescata dopo le volte). Nel catino absidale, sopra i tre citati
affreschi del Vecchietta, si trovano tre spicchi affrescati nel 1447 dal
pittore bolognese di cultura tardogotica Michele di Matteo
Lambertini, che rappresentano l'Orazione nell'orto, la Crocifissione e
la Pietà. Sebbene opere stilisticamente attardate, sono considerate
tra i capolavori di questo artista.
Due lunette decorano le pareti di fondo ai lati dell'abside: a sinistra i
Miracoli di sant'Antonio da Padova di Benvenuto di Giovanni (1460
circa) e a destra la Lavanda dei piedi di Pietro degli Orioli (1489).
Altri arredi Sull'altare principale è collocato il Battesimo di Gesù di
Alessandro Franchi, tela moderna risalente al 1907. Sull'altare di
destra è presente un polittico di Giuseppe Catani del 1896 mentre su
quello di sinistra troviamo una statua lignea, anch'essa moderna.
Infine viene esposta una tela di Andrea e Raffaello Piccinelli, detti i
Brescianini, con Il Battesimo di Gesù (1524) e una moderna di G.M.
Morandi con l'apparizione della Madonna a San Filippo Neri.
Alcune statue marmoree provengono dalla facciata e sono tutte di
scuola trecentesca senese, più o meno influenzate da Giovanni
Pisano.
LETTURA 12: LA CONTRADA DELLA SELVA
La Selva fu suo malgrado protagonista di un Palio assai cruento, quello del 16
agosto 1919, che culminò con l'accoltellamento del fantino Aldo Mantovani
detto Bubbolo da parte di un contradaiolo della Selva, contrada per la quale il
fantino aveva corso il Palio.
Il prologo del fattaccio si ebbe, con tutta probabilità, nel Palio di luglio di
quell'anno, vinto dal Leocorno con Cispa su Giacca. Avendo vinto una contrada
piccola, i soldi giunti alle consorelle furono pochi: e infatti la mancia data da
Bubbolo al barbaresco della Selva, tale Calvani, fu alquanto misera e suscitò il
malcontento del selvaiolo, che non credette alla buona fede del fantino,
ritenendo che si fosse tenuto per sé la maggior parte della somma.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Al Palio dell'Assunta i migliori cavalli toccarono alla Selva ed alla Tartuca. La
dirigenza selvaiola cercò di ingaggiare nuovamente Bubbolo il quale,
probabilmente per gli screzi con il Calvani, preferì accettare l’offerta della
Tartuca, provocando le ire dei selvaioli. (...) Alla provaccia a vestire il giubbetto
arancio-verde fu il giovane Randellone. Questi, forse per precise indicazioni
della dirigenza selvaiola, durante la corsa provocò in maniera palese Bubbolo.
I due, scesi da cavallo, se le diedero di santa ragione scatenando una rissa che
coinvolse molti contradaioli della Selva e della Tartuca. In seguito a questi fatti,
per evitare ulteriori tumulti, le autorità decisero di squalificare
immediatamente i due fantini. (...) La notizia della squalifica fu presa molto
male da Bubbolo, che era sicuro di vincere. Poco prima dell’ingresso in Piazza
del corteo storico, il fantino si recò insieme ad alcuni congiunti nella Selva.
Arrivato a destinazione, il piccolo gruppo si trovò di fronte un manipolo di
selvaioli, tutti ben conosciuti dallo stesso Bubbolo.
La discussione presto degenerò: volarono pugni, calci, bastonate, fino al
momento in cui sbucò l’ex barbaresco Calvani, il quale sferrò una coltellata al
fantino, forse per vendicarsi dei fatti del luglio precedente. Ben presto la rissa si
placò, anche perché il Palio incombeva. Mentre Bubbolo si trovava in ospedale
in gravi condizioni, la Selva vinse il Palio davanti alla Tartuca . Ma insieme con il
Drappellone, arrivarono in contrada anche i carabinieri, i quali arrestarono il
Calvani e prelevarono alcuni dirigenti selvaioli(...)
Forse il conto più salato di questa vicenda lo pagò proprio la Selva che tornò al
successo solo nel 1953, dopo ben trentaquattro anni dalla maledizione di
Bubbolo.
SALIAMO VERSO IL DUOMO ATTRAVERSO UNA SCALINATA.
La scalinata venne realizzata nel 1451 su progetto di Giovanni
Sabatelli. Su uno dei primi gradini dall'alto una croce scolpita ricorda
una leggenda legata a santa Caterina da Siena, che qui sarebbe
caduta per una spinta del diavolo.
SI ARRIVA A PIAZZA DEL DUOMO.
SCHEDA DUOMO
La piazza si trova al vertice del colle di Santa Maria, a ridosso del
nucleo più antico della città romana, il Castelvecchio. La nascita del
centro religioso è riferibile, in via ipotetica e indiziaria, al VII secolo
circa (anche se non si può escludere che il colle ospitasse una sorta
di acropoli più antica), quando la sede episcopale e la cattedrale vi
furono trasferite da un luogo imprecisato di Castelvecchio. Tutta la
platea apiscopis fu infatti inclusa nella prima cerchia di mura
altomedievale, che passava più o meno lungo l'attuale via del Fosso
49
Dove il passato risale a galla fino a noi
di Sant'Ansano, cioè sul retro del caseggiato di Santa Maria della
Scala.
Con la costruzione del Duomo, dall'XI secolo, la piazza si avviò ad
avere la conformazione attuale, che divenne per lo più definitiva
solo nel seicento, quando venne abbattuto l'antico palazzo vescovile
(dell'XI secolo), liberando il fianco destro della cattedrale, mentre sul
lato settentrionale veniva demolita la loggia che univa la vecchia
Canonica al Duomo stesso.
La straordinaria facciata del Duomo domina visivamente la piazza,
con la luce che la illumina per gran parte della giornata senza ombre
dagli edifici circostanti, che sono comunque calibratamente vicini.
Essa venne realizzata nella parte inferiore tra il 1285 e il 1296 da
Giovanni Pisano in stile Gotico con influssi rayonnant, e nella parte
superiore da Camaino di Crescentino e terminata nel 1317. I gradini
che sollevano la cattedrale sono conclusi in una proporzionata
piattaforma che fa da base al monumento, sulla quale si trovano, in
corrispondenza degli ingressi principali, intarsi marmorei (oggi copie
degli originali) che rappresentano le Cerimonie dell'iniziazione di
Nastagio di Gaspare, databili al 1450.
Agli angoli della scalinata due Lupe con i gemelli in marmo su
colonne sono opera rispettivamente di Giovanni Pisano e di Urbano
da Cortona, entrambe ricoverate nel vicino Museo dell'Opera
Metropolitana e sostituite da copie. Il lato destro dell'edificio, quello
che dà sulla piazza, è più semplice, spiccandovi la sola Porta del
Perdono ornata da un bassorilievo della Madonna col Bambino di
Donatello (pure in copia).
Il campanile, a fasce bianche e nere, venne innalzato inglobando una
parte dell'antica torre dei Bisdomini, verso il finire del Duecento.
Il lato opposto alla facciata della cattedrale è occupato dall'ex
ospedale di Santa Maria della Scala, che proprio alle gradinate del
Duomo deve il suo nome. Fondato dagli stessi canonici per dare
ospitalità ai pellegrini, assistere i poveri, i malati e accogliere i
fanciulli orfani, fu tra Medioevo e Rinascimento una delle più grandi
e importanti strutture del genere in Toscana. Il suo prestigio si
rispecchia oggi nella ricca decorazione del complesso, divenuto nel
frattempo museo. All'interno sono ospitate solo una piccola parte
delle opere d'arte possedute dall'ospedale (molte sono alla
Pinacoteca Nazionale), ma sufficienti a dare un'idea dell'antico
splendore. Ospita inoltre il Museo archeologico nazionale (nei
sotterranei) e i pezzi originali della Fonte Gaia, sia di Jacopo della
Quercia che del rifacimento ottocentesco di Tito Sarrocchi.
Il lato nord della piazza è invece occupato dal Palazzo Arcivescovile,
che oggi presenta una facciata settecentesca, mimetizzata però
50
Dove il passato risale a galla fino a noi
dall'uso dello stile gotico-senese del Trecento. Qui fino a metà del
Seicento ebbro sede i Canonici e il rettore dell'Opera, mentre
l'arcivescovo, come già accennato, abitava in un palazzo che stava
addossato al fianco destro della cattedrale.
Piazza Jacopo della Quercia A destra del Duomo l'ampio spazio in
cui sarebbe dovuta sorgere la grande cattedrale trecentesca, si trova
oggi il cosiddetto "Duomo Nuovo", ovvero uno spazio in cui resta
costruita la prima navata (sede oggi del Museo dell'Opera del
Duomo) e il cosiddetto facciatone. Tale spiazzo si chiama oggi piazza
Jacopo della Quercia.
Vi si affaccia il Palazzo Reale, opera di Bernardo Buontalenti della
fine del Cinquecento, nato per ospitare il governatore mediceo della
città. Oggi ospita la Prefettura e l'Amministrazione provinciale.
SULLA PIAZZA AFFACCIA IL COMPLESSO DI SANTA MARIA DELLA SCALA.
Già uno dei più antichi e grandi ospedali europei.
Ospita una serie di collezioni che vanno dall'antichità (Museo
archeologico nazionale nei sotterranei) all'epoca moderna,
alternando ambienti monumentali e corridoi angusti, intrecci di
gallerie scavate nel tufo e grandi spazi voltati a mattoni. Vi spicca il
celebre Pellegrinaio, il più importante ciclo del Quattrocento senese.
L'appellativo "della Scala" è testimoniato dal XII secolo e ricorda la
particolare collocazione davanti alla gradinata della chiesa
principale.
L'ospedale ha mantenuto la sua attività fino al 1995, quando si è
deciso di recuperarne i locali per costituire il nuovo polo museale
tuttora visitabile.
La straordinaria ricchezza dell'istituzione si manifestò spesso in
imprese artistiche, coinvolgendo i più grandi pittori e scultori senesi,
tanto da farne il terzo principale polo artistico cittadino, dopo il
palazzo Pubblico e il Duomo. Nell'ospedale prestarono la loro
attività caritatevole sia santa Caterina da Siena (seconda metà del
XIV secolo) che san Bernardino (XV secolo).
LETTURA 13: IL TE DEUM
Te deum, una preghiera berciata
Emozione, ansia, adrenalina… Un bercio squarcia il velo di silenzio. S’è vinto!
«Un corteo disordinato ma compatto, cencio ondeggiante in testa, vola fra
smanacciate, abbracci, spintoni, verso la chiesa, dove i due volti di Madonna –
in Provenzano il 2 luglio e in Duomo il 16 agosto –, immagini e aspetti
dolcissimi dell’unica Madre di Gesù, accolgono i figli devoti e chiassosi, che
vengono nella solenne e statica pace del tempio a deporre con toni di irreale
tumulto il “Te Deum” di ringraziamento». Così il compianto Padre Remigio
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Dove il passato risale a galla fino a noi
dall’Osservanza descrive quell’attimo eterno di gioia che sospinge un figlio tra
le braccia della mamma.
In realtà non si tratta dell’inno liturgico di ringraziamento in uso fin dal IV
secolo nella liturgia cattolica – prosegue il francescano –, ma di un breve e
antico canto gregoriano dedicato alla Madonna…
(…) I contradaioli in festa, gente pia o miscredente, davanti alla Madre della
Grazia si lasciano andare in un sol canto, a tratti forse becero o sgangherato,
dal sapore maccheronico come quel latinorum che esce impetuoso, noncurante
di grammatica e simpatiche storpiature, dalla gola di un popolo, ma di sicuro
accorato, schietto, vero, come la vittoria appena riportata sul campo.
“E nell’ora della morte facci risorgere” prosegue l’inno.
Frase che potremmo quasi, in via del tutto metaforica, considerare come ultimo
atto, quello appunto della vittoria. Scoppia il mortaretto e finisce l’attesa di un
popolo che risorge a vita nuova! Che davanti alla Madre depone ansie e
speranze, ricevendone in cambio la gioia e la certezza manifesta di un trionfo
che nessuno potrà strappare. (...)
Cecilia Mori (Malborghetto, Periodico della Contrada Capitana dell’ONDA n° 73,
marzo 2015)
52
Dove il passato risale a galla fino a noi
LA STORIA DI SIENA
L’antica Saena Etruriae o Sena Iulia sorse come colonia militare di Cesare, o dei
triunviri; appartenne alla tribù Ufentina. Le invasioni barbariche favorirono
indirettamente l’accrescimento della città, che per la sua posizione facilmente
difendibile dovette apparire come luogo di rifugio. Sede vescovile dall’8° sec., S.
fu governata da gastaldi durante la dominazione longobarda e da conti dopo la
conquista franca. Nell’11° sec. il potere dei conti si restrinse al solo contado e
crebbe quello dei vescovi, sotto i quali si affermò il Comune. Il consiglio
generale del popolo riuscì poi a sostituire al governo dei vescovi quello dei
consoli, nominati per la prima volta nel 1147. Nel 1179 il Comune di S. era
compiutamente costituito.
L’espansione di S. fuori dalle mura (con la spinta verso il castello di Staggia, le
miniere d’argento di Pontieri, Poggibonsi e la Val d’Elsa) provocò il primo
scontro con Firenze (1141). Entrati nella lega delle città guelfe (1197), i Senesi
aiutarono i Fiorentini nella presa di Semifonte (1202), ma per contestazioni di
confini le due città entrarono presto in conflitto. Al governo dei consoli,
rappresentanti delle famiglie magnatizie, dal 1199 si sostituì il podestà.
Sconfitti dai Fiorentini a Montalto della Berardenga (1207), i Senesi dovettero
rinunciare a Montepulciano e Montalcino, allargandosi però in Maremma; nel
1224 fu conquistata Grosseto. Nel 1228 S. entrò nuovamente in guerra con
Firenze, fino all’intervento di papa Gregorio IX nel 1234. A moderare l’autorità
del podestà e delle grandi famiglie, nel 1236 fu istituito un consiglio, detto
Eccelso Concistoro, al potere fino al 15° secolo. Nel 1252 fu creato il capitano
del popolo, capo del collegio dei Ventiquattro, che aveva il compito di vigilare i
nobili, amministrare la giustizia criminale e dirigere le compagnie militari dei
terzieri della città; al podestà rimasero solo l’autorità giudiziaria e il comando
degli eserciti in guerra.
Durante il regno di Federico II, S. fu a lui fedelissima e divenne centro del partito
ghibellino in Toscana. Ricca di affari con gran parte d’Europa, S. entrò
nuovamente in guerra con i Fiorentini, sbaragliati a Montaperti nel 1260;
l’avvento sul trono di Napoli degli Angioini mise però fine al predominio
ghibellino in Toscana e nel 1269 l’esercito senese fu disfatto a Colle di Valdelsa
dai guelfi fiorentini e francesi. Il nuovo governo guelfo, instaurato a S. da Guido
di Montfort, vicario di Carlo d’Angiò, impose molte prescrizioni, ma con la pace
del cardinale Latino Orsini (1280) furono riammessi in città i ghibellini e fu
costituito un governo dei Quindici. Avendo i ghibellini ordito intrighi contro i
guelfi, nel 1287 fu composto un nuovo governo dei Nove, tutti appartenenti a
ricche famiglie popolari e mercantili, che tenne il potere fino al 1355 con una
politica guelfa e amicale verso Firenze; S. raggiunse allora la sua massima
prosperità e grandezza.
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Dove il passato risale a galla fino a noi
Nelle guerre con Uguccione e Castruccio, S. aiutò Firenze e nel 1326 riconobbe
anch’essa una specie di alto dominio dell’Angiò, capo del guelfismo italiano. La
vittoria su Lucca e Pisa fu completa, ma la guerra aveva esaurito le finanze e
devastato le campagne; a ciò si aggiunse nel 1348 la peste. Nel 1355 una
sollevazione del popolo e delle famiglie magnatizie rovesciò il governo dei
Nove, cui si sostituì un governo di soli popolari. Nel 1368, con il passaggio per S.
di Carlo IV, fu costituito un nuovo governo di Quindici riformatori che si occupò
di riordinare i debiti pubblici. Nel 1386 una nuova sollevazione rovesciò i
riformatori, cui succedettero in serie un governo di Dieci (1386-87), di Undici
(1388-98) e di Dodici priori (1398-99), dai quali il partito trionfante bandiva gli
altri, esacerbando sempre più le inimicizie. Profittando della situazione, Firenze
conquistò Montepulciano e altre terre; per difendersi quindi i priori si posero
sotto la protezione di Gian Galeazzo Visconti, cui nel 1399 fu data la signoria
della città, rimasta ai suoi successori fino al 1404, quando si formò un nuovo
governo di Dieci priori. Fatta la pace con Firenze e costituita un’alleanza contro
re Ladislao di Napoli (1410), si riconquistarono la Maremma e i porti marittimi.
Nel 1454 fu nominata una nuova balìa permanente e finalmente indipendente
dal Concistoro.
Un po’ di quiete fu portata da papa Pio II Piccolomini, che elevò S. ad
arcivescovado; ma dopo il 1464 ci furono continui mutamenti politici, finché nel
1487 il capo dei fuoriusciti Pandolfo Petrucci instaurò in città un governo in cui
tutti gli ordini erano rappresentati. In realtà egli fu il vero padrone,
conservando il potere nonostante l’opposizione interna e le insidie di Cesare
Borgia, favorendo le arti e risollevando le condizioni economiche; i suoi
successori furono però cacciati nel 1523. Nel 1530 un presidio imperiale di Carlo
V entrò a S., riformando il governo a vantaggio dei grandi mercanti, ma fu
cacciato da un’insurrezione del 1552. S. strinse allora alleanza con la Francia e
con i fuoriusciti fiorentini guidati da Piero Strozzi. Nel 1554 la città era
assediata e la peste e la fame decimarono i difensori; S. si arrese nel 1555. La
lunga guerra di S. fu non solo essenziale nella genesi del granducato mediceo,
ma anche l’ultimo tentativo di resistenza del repubblicanesimo italiano al
predominio spagnolo e all’assolutismo principesco. Contravvenendo ai patti
della capitolazione, fu investito del dominio senese il principe Filippo di Spagna
che lo cedette a Cosimo I.
Sotto i Medici S. ebbe governo autonomo, con un governatore che
rappresentava il sovrano. La rinascita fu lenta e solo dopo l’avvento dei Lorena
e le riforme economiche del granduca Leopoldo I (1765-90) rifiorirono
l’agricoltura e il commercio.
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descrizione - ARCOIRIS Trekk