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Spedizione in abbonamento postale
Gruppo III
Anno VIII
N. 12 dicembre 1960
Direzione e Redaz.: Piazza di Trevi. 86
ROMA
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ivz-2
O R G A N O M E N S I L E DELL'ASSOCIAZIONE
I T A L I A N A PER I L CONSIGLIO
come ha suggerito Jean Monnet, gli uomini
dell'uno e dell'altro blocco dovranno finire
per intendersi e affrontare uniti l'èra spaziale. I federalisti lottano per questa intesa,
e quindi n o n vogliono trasferire il nazionalismo tradizionale a livello europeo: m a vogliono che gli europei (vale ripeterlo ancora
una volta) ritornino da oggetti soggetti, i n
piena dignità, della politica mondiale. Uomini, cioè, veramente liberi.
Abbiamo anche voluto in questo numero
- riferendoci ad alcuni specifici settori contribuire ad inquadrare e suggerire delle
soluzioni alla problematica europea sotto vari
profili, perché crediamo nella necessità d i
prospettare i n problemi specifici il processo
e quindi la lotta per la integrazione europea.
Questa posizione è ben diversa da quella di
coloro che, per difendere interessi particolari e sezionali, si preoccupano della sorte
di questo o quel campicello, posizione che
I n questo numero del nostro periodico n o n spesso è i n contrasto con l'interesse generale
abbiamo preteso di offrire una completa ras- di t u t t i i cittadini.
segna dei principali problemi, che si pongono
Rendendo concreto il discorso europeo su
di fronte all'Europa e a quegli europei che alcuni aspetti - e questo numero di « Comuni
usufruiscono dei cosiddetti regimi democra- d'Europa a ricorda, fra gli altri, quelli strategico-militare, del credito alle comunità
tici rappresentativi: ci siamo limitati a proporre - o riproporre - ai nostri lettori locali, della collaborazione coi Paesi sottosviluppati, della pianificazione del territoalcuni dei problemi più scottanti, a titolo
rio, dell'energia, della scuola, oltre che quelesemplificativo. Crediamo per altro che dallo più propriamente politico - articoleremo
la modesta antologia da noi approntata salti le forze che stanno dietro l'Europa. Non ci
agli occhi, con dolorosa evidenza, che le cose saranno solo i federalisti generici, m a ci san o n vanno come dovrebbero.
ranno anche i federalisti come amministraNon che l'Europa non cammini: sono gli tori locali, come uomini di cultura, come
altri che camminano più svelti. La felice
uomini di scienza, ecc.
Abbiamo poi voluto contribuire a chiacongiuntura economica, attraversata da alcuni suoi Paesi, dà talvolta l'illusione che rire, ad uso degli ingenui, che oggi n o n c'è
l'Europa non sia tuttora in regresso sul piano una nuova divisione dell'Europa, fra il MEC
politico internazionale: pericolosa illusione. e Z'EFTA, m a semplicemente u n primo (inD'altro canto, anche all'interno del nostro sufficiente) tentativo comunitario fra sei
continente e considerandone quella parte su Paesi - che sono rimasti sei per l'ostilità
cui abbiamo diretta possibilità di intervento, o 1'impr.eparazione politica degli altri ad cgaccanto alle forze centripete agiscono zm- giungersi ai Sei - e un tentativo da parte
portanti forze centrifughe; e la situazione di esterni ai Sei di annacquare il MEC fino
ad eliminare i n esso ogni possibile, reale
può deteriorare in qualsiasi momento.
avvio ad una comunità economica ed ogni
S e la democrazia n o n è una astratta metodologia, un giuoco o un lusso, si propongono virtualità politica.
ad essa - in Europa - concreti ideali, che
L'unità europea, per cui ci battiamo, n o n
potranno essere serviti solo dalla Federaè u n a unità purchessia, m a l'unità nella dezione. Nelle pagine che seguono abbiamo mocrazia: ebbene, nella rivoluzione fedecercato di indicare alcuni essenziali obiet- rale, che n e conseguirà, noi dovremmo cort i v i politici, che dovranno porsi gli Stati reggere le disfunzioni che i tradizionali istiUniti d'Europa e che n o n sono alla portata
t u t i democratici hanno qua e là mostrato.
degli Stati nazionali.
Ecca.un'altra grande occasione offertaci dalIl mondo è diventato u n guscio di noce e, la costruzione degli Stati Uniti d'Europa.
Temi di lotta
DEI
C 0MUNI
D' E U RO PA
Sommario
P \G.
LA « FORCE DE FRAPPE » E
L'EUROPA
con scritti di P . Gallois, J . P .
Gouzy e P . Moriquand, P . Reynaud . . . . . . . . . .
3
IL CONSIGLIO DEI COMUNI
D'EUROPA
. . . . . . . .
14
LA SFIDA DELL'AFRICA
di J . Marcum . . . . . .
15
BILANCIO EUROPEO DEL 1960
di M. da Passano . . . . .
20
IL COMECON STRUMENTO DI
INTEGRAZIONE DEI
PAESI
DELL'EST
di E. P . . . . . . . . . .
24
I BASCHI NON DIMENTICANO IL PRESIDENTE JOSE'
DE AGUIRRE
di M. Olmi . . . . . . .
26
IL CONGRESSO DEL POPOLO
EUROPEO
di A. Spinelli . . . . . . .
27
IL CREDITO ALLE COMUNITA'
LOCALI EUROPEE
di U . Serafini . . . . . . .
29
DALL'INTEGKAZIONE ECONOMTCA ALLA PIANIFICAZIONE
DEL TERRITORIO
con scritti di E. Claudius-Petit,
H . Bmgmans, R. Musatti . .
32
IL COORDINAMENTO DELLE
FONTI ENERGETICHE COME
FATTORE DI INTEGRAZIONE
EUROPEA
cori scritti di F. Ippolito, P . Malvestiti, G. Caron . . . . . .
36
IL NUOVO VOLTO DELL'EUROPA INDUSTRIALE
di H. Schwamm . . . . . .
42
L'ISTRUZIONE COME INVESTIMENTO PRODUTTIVO
con scritti di A. Visalberghi,
G. Gozzer . . . . . . . .
44
oltre ai corsivi redationali sui vari argomenti.
COMUNI D'EUROPA
2
<< Comuni
d'Europa
Periodico fondato
nel
1952
ORGANO MENSILE DELL'ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL CONSIGLIO
DEI COMUNI D'EUROPA
Direttore : UMBERTOSERAFINI
Redattore-Capo: EDMONDO
PAOLINI
« Comuni d'Europa » ha pubblicato articoli e discorsi di:
Silvio
Gaetano ADINOLFI,Canzio ALMINI, Mario ALBERTINI,Gaspare AMBROSINI,
ARDY,Ferdinando ARNOULT,Attilio BALDONI,Lino BARBEXO,
Jean BARETH,Paolo
Alberto BASETTI-SANI,Mario BASTIANETTO,
Raymond BERRURIER,
Franco BONACINA,
Adolfo BRUNETTI,Alberto
Henry BONNET,Renato BRUGNER,Henri BRUGMANS,
CABELLA,
Roberto CANTALUPO,
Lorenzo CAPPELLI,Giuseppe CARON,
Nicola CATALANO,
Francesco CAVALLARO,
Giacomo CENTAZZO,
Jacques CHABAN-DELMAS,
Basilio CIALDZA,
Andrea CHITI-BATELLI,
Vincenzo CIANGARETTI,
SANTICOCO,P i e r o C o ~ Efisio
~ ~ , CORRIAS,
Andrea CROVETM,
A. C. Celstino DA COSTA,Giuseppe DAGNINO,
Magda DA PASSANO,
Alessandro DAVOLI,Georges DARDEL,
Lazzaro Maria DE B E ~ A R D IFernand
S,
DEZIOUSSE,
Giordano DELL'AMORE,Glauco DELLA PORTA,Italo D'ERAMO,Francesco DERIU,
Ivo DI FALCO,Pierre DROUIN,Luigi EINAUDI,Martin ERNST,Alessandro FANTOLI,
Virgilio FERRARI,
Alberto FOLCHI,Henry FRENAY,
Carl Joachim FRIEDRICH,
Generale
GALLOIS,Gilbert GAUER,
Enzo GIACCHERO,
Enrique GIRONELLA,
J . P. GOUZY,Giovanni
GOZZER,
Jean-Francois GRAVIER,
M. Maddalena G u ~ s c o ,Walter HALLSTEIN,Emile
Karl HORN,Otto HERR,Larnberto JORI, Anton KAPFINGER,
HAMILIUS,Guy HERAUD,
Antonio LANDOLFI,
Giorgio LA PIRA, Alois LUGGER,
Giovanni MAGGIO,Giuseppe MARANINI,John MARCUM,
Luigi MARINI,Robert MARIQUE,Gianfranco MARTINI,Gaetano
MARTINO,
Jean Joseph MERLOT,G. Battista METUS, Pietro MICARA,Marce1 MOLLE,
P. MORIQUAND,
Costantino MORTATI,
Robert MossÉ, Bertrand MOTTE,Hans MUNTZKE,
Pietro MUSANO,Riccardo MUSATTI,Adriano OLIVETTI,Massimo OLMI, Edmondo
PAOLINI,Gabriele PANIZZI,
Pietro PELLEGRINI,
Amedeo PEYRON,
Vittorio PERTUSIO,
Andrf PHILIP, Giovanni PIERACCINI,
PAPAPIO XII, Edoardo PIZZOTTI,POLITICALAND
ECONOMICPLANNING,Pietro QUARONI,Sandra RAPETTI,Paul RFYNAUD,Menotti
RICCIOLI,Henry RIEBEN,Arturo RIGHETTI,Domenico RODELLA,
Giuseppe ROMITA,
LA ROSABIANCA,
Dieter ROSER,Aride ROSSI,Umberto ROSSI,Domenico SABELLA,
NaSito SCIPIONE,
Umberto SERAFINI,
tale SANTERO,
Alessandro SCHIAVI,
Henri SCHWAMM,
Angelo SPANIO,Altiero SPINELLI,Carlo SPINELLI,Francesco TAGLIAMONTE,
Tiziano
TESSITORI,André THIÉRY,Giuseppe TRAMAROLLO,
Generale VALLUY,Aldo VISALBERGHI, Enrico ZECCA,
Giancarlo ZOLI, Luigi ZUMERLE,
e di altri.
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Piazza di Trevi. 86 - Roma n
I(
dicembre 1960
COMUNI D'EUROBA
I
...
sfondo, occorre pur dirlo, c'è il drammatico dil e m m a delle nostre coscienze d i fronte al rischio
d i far saltare il mondo: difesa militare o resistenza passiva?
I n complesso si t e n d e a rassicurarci che u n a
guerra generale, nucleare, n o n concluderà i l
conflitto ideologico-politico f r a i due blocchi.
Ciò è bene, perché n o n dobbiamo addormentarci n e l terrore e servirci dell'eventuale resistenza passiva come d i u n alibi, m a dobbiamo
intanto vigorosamente impegnarci a far si che
i nostri ideali siano veramente i più degni e
i più credibili: se la pace ( o Ea quasi-pace)
durerà, la coesistenza competitiva e i m o t i v i
I T A L O SVEvo, « L a coscienza di Zeno », (rodella guerra generale si risolveranno i n u n
manzo - 1928). in fina.
certo u ordine D finale ( p e r quanto il t e r m i n e
finale può essere lecitamente - e cioè con u n
La nostra rivista pubblica q u i appresso u n
ampio margine d i relativila - usato nella
saggio del generale francese Pierre Gallois s u slorza), determinato con ogni probaoiiità dalle
L'Europa e la difesa dell'Occidente m (uscito scelte del e m o n d o terzo n, cioè dei popoli oggi
nel v o l u m e l'<tEurope a u d é f i n, edito nella
n o n impegnati i n nessuno dei d u e blocchi. Tutracollana T r i b u n e libre dall'editore Plon [Pa- via è bene sottolineare che la fiducia sul n o n
rigi 19591 - dal quale sono stati acquistati i
verificarsi indefinito dell'apocalisse nucleare n o n
diritti per la traduzione italiana del saggio - ci lascia del tutto tranquzlli. I m e z z i d i distrue contenente anche scritti della Hersch, d i Frezione aumentano in m o d o tale (l'altro giorno
n a y , del professor Rieben, d i Francois B o n d y
la corrispondenza d i u n quotidiano m i erudiva
e d i A n d r é Philip), u n o studio d i due federasul fatto che u n revolver del prossimo avvenire
listi francesi, Gouzy e Moriquand (uscito n e l
potrebbe essere caricato d i pallottole al caligiornale e Peuple européen .), su
La Force
f o r n i u m , ciascuna delle quali esploderebbe con
d e frappe
e il testo d i u n intervento alla violenza d i almeno dieci tonnellate d i tril'Assemblea Nazionale del vecchio Reynaud, tolo) e i l potere, talvolta addirittura anonimo,
intervento che i n sede parlamentare francese è si concentra sempre d i più zn m o d o tale ( t ~ t t i
sembrato u n o dei più persuasivi e apprezzati abbiamo almeno inarcato u n sopracciglio alcontro la u force d e frappe n nazionale.
l'equivoco e al falso allarme dei radar delle
Già quando la guerra, ancora solo convenbasi subpolari americane, ~ " m u n i c a t o c irecenzionale, era diventata
totale D, si era fatto
t e m e n t e ) che n o n c'è da star sicuri fidando sul
stl-ingente per i politici d i conoscerne più a fondo
trionfo del razionale, sulla razionale, certa comalcuni aspetti anche tecnici - il che n o n giumisurazioize tra fini e m e z z i interna a ciascun
stificava i l caporalismo d i alcuni dittatori, m a
blocco. Mi pare sia stato Spinelli a dire che se
u n lavoro i n équipe fra militari e civili -: oggi
u n u o m o della strada costruisce u n universo
il destino del genere u m a n o e d e l pianeta
apparentemente razionale, m a e f f e t t i v a m e n t e
Terra è legato, forse i n m o d o definitivo, alla
astratto, perché basato s u u n punto d i partenza
pace e a u n ordine mondiale (problematico, assurdo, lo chiudiamo i n manicomio come paracome tappa i m m e d i a t a ) o a u n equilibrio il
noico; se si tratta d i u n u o m o che ha responm e n o incerto possibile, clie se n o n assicuri la sabilità politiche, lo consideriamo alla stregua
pace, almeno garantisca u n a coesistenza ove
d i u n qualsiasi altro statisra. Nessuno i n realtà
la guerra - da u n a parte e dall'altra - sia
pensa o penserà in t e m p o a rinchiudere chi
esclusa nelle sue f o r m e radicali quale struconsidera o considererà l'affermazione della prom e n t o per decidere del primato f r a i sistemi
pria ideologia o f e d e politica i n t e r m i n i d i
ideologici e i blocchi politici i n competizione. alternativa alla fine del m o n d o . Pertanto proAll'uomo politico responsabile e all'onesto stublema capitale e u r g e n t e rimane quello d i u n
dioso e consigliere d i cose politiche incombe
caraggioso disarmo: da cercare senza ingenuità,
d i aggiornare continuamente il bagiaglio delle
m a anche senza spirito manicheo, cioè rendenproprie conoscenze sui rapporti f r a guerra e
dosi ben conto che le forze della pace, ossia
politica internazionale. Quando nell'estate 1953 coloro clze n o n sono disposti a volere il t r i o n f o
f u i per 1'International Seminar alla Harvard,
violento del proprio blocco e della propria ideol'amico Henry Kissinger n o n si era ancora i m logia al d i là d i certi ccsti u m a n i , esistono al
pegnato con l'équipe selezionata dal Council
d i qua e al d i là della cortina d i ferro.
o n Foreign Relations i n quel lavoro, che portò
Ma proprio per facilitare ciò incombe u n a
al suo Nuclear Weapons and Foreign Policy u
intelligente ricerca preliminare dell'equilibrio
(uscito nel 1957 [Harper and Brothers, N e w
mondzale: i n senso militare e politico. A questo
Y o r l c l ) : ci r i v e d e m m o a Londra al Congresso equilibrio n o n portano davvero u n contributo,
atlantico del giugno '59 - dove Kissinger era n e l campo occidentale, i n grave handicap ( p e r relatore della Commissione militare - e senza
m a n e n t e per la guerra convenzionale e contindubbio alcuni dati tecnici del problema erano
gente i n relazione ai missili), le dispersive velgià modificati, i n modo da richiedere anche
leità degli Stati nazionali e sovrani 11: tipica la
una evoluzione immediata d i alcune tesi polifollia gollista di lanciarsi a costituire u n a force
tiche. 11 1960 ci ha regalato u n panorama, red e frappe nazionale, che scatenerà le pretese
trospeltivo e attuale, d i u n o scrittore militare
d i altri Paesi ( v . il discorso tenuto il 27 setd i vecchia f a m a , B. H. Liddell Hart (. Deterrent
t e m b r e 1960 da Adenauer al gruppo parlamenor Defence - A Fresh Look at tlze W e s t ' s tare CDU del Bundestag - m i permetto i n
Military Position P [ L o n d o n , S t e v e n s and Sons
materia d i richiamare i l m i o duro a m m o n i m e n t o
L i m i t e d ] ) , D'altra parte anche all'uomo m e n o
rivolto ai gollisti dalla tribuna dei I11 Stati geattento del m o n d o N occidentale D n o n s f u g g e nerali d e i C o m u n i d'Europa, alla Paulskirche
un'evidente tormentata comparazione f r a dati
d i Francoforte sul Meno, fin dall'ottobl-e 1956).
militari e obiettivi politici all'interno del blocco
L a force d e frappe nazionale - parliamo d i
u oriei~talen. La posta i n giuoco è tale che una
queste nazioni europee d i risibili dimensioni comune responsabilità investe o v u n q u e polil-isulta militarmente ineficace, anche seguendo
tici, mi1itai.i e scienziati: ed anche l'uomo della
la tesi della u dissuasione proporzionale
(per
strada è clziumato, come attore, i n causa ( c f r . cui, per es., u n a Francia può approntare u n a
i l nostro articolo
Sull'orlo dell'abisso i, i n minaccia d i rappresaglia nucleare modesta i n
C o m u n i d'Europa n. 6 - giugno 1959). Nello
confronto a quella degli U S A . ma pur sempre
< Quando i gas velenosi non basteraniiu uiu, uii udmu iaLlu come lu~Li
gli altri, nel segreto di una stanza di
questo mondo. inventerà un esplosivo
incomparabile, in confronto al quale
gli chplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un aiL1.0 uomo fa.tto anche lui
coriie tutti gli altri, ma degli altri un
po' più nminaiato. ruberà tale esplosivo
e s'ariampicherà al centro della terra.
per porio nel punto ove il suo effetto
potrà essere il massimo. Ci sarà
un'esl~losioneenorme che nessuno udrà
e la terra ritornata alla forma di
nebulosa errerà nei cieli priva di
parassiti e di malattie.»
.
l'Europa
dissuadente, purché proporzionata, nell'entità
dei danni capace d i arrecare, al m i n o r valore
strategico-politico che la conquista della Francia avrebbe rispetto a quella degli U S A - s u
ciò v . soprattutto il Titolo VI11 del libro d i
Dollfus, d i cui dirò più sotto -), ed economicam e n i é . ( a n c h e qui con immediati, negativi riflessi militari) rovinosa. Viceversa, finché n o n
si pervenga al disarmo controllato, n o n sarebbe
irragionevcle u n a force d e frappe europea occidentale, che, beninteso, richiamerebbe ancora
u n a volta la necessità dell'integrazione politica
sopranazionale: specie se l'autonomia n o n si
intendesse, i n maniera molto più blanda d i
quanto sogni il Governo d i De Gaulle per Ea
Francia, come semplice decentramento europeo
della decisione d i utilizzazione della force atom i q u e d e frappe occidentale, m a come creazione autonoma (problematica) d i questa force.
Non disarmando gli altri, una force d e frappe
europea n o n dovrebbe sembrare particolarmente
provocatoria ai sovietici (anche se essi sostenessero il contrario): incauti o provocatorii e
incoerenti con la bandiera della libertà e della
democrazia, da noi agitata, sono piuttosto certi
atteggiamenti razzisti o revanscisti della Germania d i Bonn, lo spirito colonialista d i u n a
parte d e i belgi e dei francesi, il permanere
- riverito - del regime fascista d i Franco,
e t similia. La force d e frappe europea potrebbe
contribuire a scoraggiare definitivamente la t e n tazione d i risolvere d i forza, dall'esterno, i problemi politici dell'Europa occidentale, i n u n a
fase dell'evoluzione tecnologica in cui il deter-
11
C
D,
rent americano n o n è più scontato che sarebbe
usato per bloccare u n a invasione con a r m i classiche dell'Europa, dato che l'America è essa stessa indifesa d i fronte a una contromzsura nucleare.
Fondamentalmente rimane per altro clie nascano
gli Stati Uniti d'Europa ( e intanto il primo nucleo
federato - nucleo-chiave - composto dai sei
Paesi delle C o m u n i t à ) , contribuendo a stabilire
rispetto all'URSS u n migliole equilibrio politico-economico-militare classico ( o semiclassico:
cioè basato s u a r m i atomiche tattiche). Quando
ciò avverrà, e senza che il nucleo federato
europeo pretenda d i raggiungere il peso economico e militare dell'URSS, la semplice e f i cienza d i questo territorio dell'occidente e la
garanzia (anche 1'URSS n e ha diritto) che i n
esso, per la vittoria democratica del federalismo,
COMUNI D'EUROPA
n o n prevarranno i n alcun caso le forze auventute della guerra, saranno una grande spinta i n
favore d i u n più sincero avvio al disarmo. L'attuale assetto balcanico dell'Europa occidentale
n o n incoraggia sul momento le buone intenzioni rivolte alla costruzione della pace. Con
Tutti i Comuni che desiderano prendere l'iniziativa per affratellamenti
(jumelages) con altri Comuni europei,
sono invitati, per evidenti ragioni di
coordinamento delle numerose iniziative in corso e per documentazione, a
tenersi in collegamento con la Segreteria deii7AICCE, Piazza di Trevi 86
- Roma.
ai confini una Europa senza pii1 fede nell'espansione dei propri ideali politici, velleitaria m a
sostanzialmente inerme, deve sembrare assurdo,
se non scioccamente arrogante, ai sovietici il
modo occidentale d i condurre le trattative per
il disarmo: noi andiamo proponendo dispositivi
che, senza sforzi esemplari da parte nostra,
senza dimostrazione di iiiia qualche (i resistenza nella solidarietà d i cui sia capace il campo
democratico n, ci tolga insieme l'incubo (aleatorio) della guerra generale nucleare e quello
( p i ù concreto) della superiorità espansiva del
sistema politico comunista e delle armate ad
armamento classico ( o semiclassico) dell'URSS.
Troppo facile! Viceversa 200 milioni d i sovietici,
preoccupati di n o n perdere la leadership del
mondo comunista di fronte a 650 milioni di
cinesi e n o n certo indotti a contare sulle forze
polacche. o ungheresi i n caso d i conflitto di
risoluzione n c n instantai~ea, n o n avrebbero la
più piccola tentazione di conclzidere d i forza
- con dispendio d i energie e rischi - il conflitto ideologico n e i riguardi di una Europa (sia
pure I< piccola 11, visto che 51 milioni di inglesi,
7 milioni e mezzo di svedesi, 5 milioni di svizzeri, 30 milioni di spagnoli, ecc., disertano per
ora la lotta per u n federalismo democratico)
politicamente i n fase d i entusiasmo - l'unità
offrirebbe u n ragionevole s mito I ) , specie ai giovani -, economicamente i n buona salute, militarmente (anche solo sul terreno classico) al
massimo nel rendimento possibile. Il mondo
terzo u (che è disponibile) - per n o n parlare
degli alleati periferici delllOcciden.te - sostiene
d'altra parte tranquillamente, in fatto di potenziale umano, il confronto con la C i n a . Niente
quindi, se non per i reazionari i n pantofole
o per i paranoici i n veste di statisti (che si
trovano, naturalmente, anche e largamente al
d i qua della cortina di ferro), niente autorizza
ad affermare a priori che, alla distanza, la difesa
del campo della u libertà D sia da afidarsi solo
a u n precario, indefinito equilibrio del terrore
(in mancanza di u n Governo mondiale poliziotto, a cui siamo pronti ad ubbidire solo a
patto che v i abbiano la maggioranza gli interessi e i pregiudizi costituiti e le Nazioni tradizionali). S e al di sotto di un provvisorio equilibrio nella capacità di frapper atomicamente equilibrio di cui la force de frappe europea
potrebbe essere u n elemento costitutivo, mentre
le forces d e frappe nazionali e velleitarie costituiscono un turbamento gravissimo di t u t t i gli
equilibri -, noi procureremo entro il blocco
occidentale e nel mondo terzo una a f f e r m a zione corposa del federalismo democratico, integrale ( d i qziesta affermazione la Federazione
europea dovrebbe essere il prototipo), porremo
le premesse per oneste trattati.ue, su scala m o n diale, a favore del disarmo. Allora la coesistenza
competitiva n o n sarà più u n a tregua, i n attesa di colpi di mano m e n o spaventosi della
guerra guerreggiata m a , dal punto di vista
dell'autonomia democratica, altrettanto irregolari: il blocco comunista dovrà e f e t t i v a mente piegarsi a non voler accelerare i tempi
dell'evoluzione storica - a parte ogni lecita
influenza culturale - e ad accettare (se è là
che si deve per,uenire) una via europea, africana, indiana del socialismo; mentre gli ii occideqztaii
doi.?rilzno riacquistare tutto il loro
senso storico e ammettere che molte sono le
strade per arri.uare alle libertà ci,uili e politiche.
L'Occidente ne ha percorse faticosamente, n o n
di rado contradditoriamente, alcune: Paesi di
(1
))
))
diversa storia può darsi n e debbano percorrere
altre. I 1 che non vuol dire cadere nell'agnosticismo sulla libertà, poiché ci sono strade, ovunque, che con certezza n o n conducono alla libertà: vuol dire semplicemente che gli occidentali,
e per primi gli europei, quando si intrighino
delle cose d i casa d'altri, dovranno ormai per
sempre abbandonare i l facile schematismo dei
cattedratici soddisfatti e lavorare almeno con
la stessa serietà con cui lavorano - ed è onesto
darne loro atto - i migliori fra i comunisti.
Lo studio di Gozizy e Moriquand - per tornare ai passi di seguito riprodotti - potrà essere utilmente integrato con la lettura d i u n
volztmetto recente (deposito legale: 4" quadrimestre 1960), edito dal Julliard (Paris, 30 et
34 Rue de l'llniversité) sotto gli auspici del
Comité d'études pour la République (presieduto
da Christian Pineau): La force de frappe ,I di
Daxiiel Dollfus. E' una requisitoria di estremo
vigore contro la force de frappe autonoma francese, e v i si fanno anche alcune responsabili
annotazioni sul problema del disarmo.
Infine, mentre vergavo queste righe intro(C
dicembre 1960
duttive ai testi di Gallois, d i Gouzy e Moriquand,.
e di Reynaud, m i è pervenuto il volume del
generale \'alluy
S e défendre? - contre qui?
wour quoi? et comment? (edito, sempre nella
collana
Tribune libre ., dal Plon [Parigi,
19601), che l'autore ha avuto la cortesia di
i n v i a m i appena uscito. Come è noto, il generale V a l l u y è stato dal 1956 al maggio scorso
- quando ha lasciato il servizio attivo - Comandante i n capo delle Forze alleate CentroEuropa a Fontainebleau; ed è u n avversario della
force de frappe autonoma francese. Di questo
libro ci piace segnalare il passo intitolato, con
aperto intento polemico,([ " Europe " ... ma patrie! D. In u n dialogo immaginario fra due Militari e un Diplomatico, u n o dei Militari, ad u n
ispirato auspicio del suo collega, esclama: 11 T o n
Europe n'existera jamais! n. E il primo Militare
replica: Tant que t u la proneras d u bozit des
levres et qu'en m e m e t e m p s t u la nieras e n l'empechant de croztre. Tant que t u e n feras u n
moyen, et n o n u n but ... Mais je sais qu'elle
est présente azi coeur et à la pensée des Européens
U. S.
.
11
D.
L'Earopa e la difesa dell'occidente
di Pierre Gallois
L'Europa occidentale, testa di ponte i n Eurasia
del vecchio ordine liberale, è ancora difendibile
militarmente? La geografia, specialmente stando
a Mercator, è severa con lei. L'immensa massa
del vecchio Continente la respinge verso l'Oceano. U n a ad una vengono tagliate l e radici che
essa affondava nelle Heartslands B d'Asia e
d'Africa e presto bisognerà che essa diventi
cosciente di essere, sulla carta, nient'altro che
uno stretto promontorio, una delle punte della
irregolare losanga che l'Eurasia descrive.
I n meno d i dieci anni essa è stata amputata
di circa d u e milioni di chilometri quadrati e
di oltre cento milioni d i abitanti. Stati baltici,
C
Polonia. Germania Orientale, Cecoslovacchia,
Ungheria, Romania, Bulgaria. Albania sono
stati assorbiti dall'URSS, l e cui forze sono ora
solamente a qualche migliaio di chilometri
dall'Atlantico.
Quest'Europa forma una specie di triangolo
del quale il vertice sarebbe Capo S . Vincenzo
i n Portogallo e la cui base sarebbe concava,
perché v a dalla Norvegia alla Turchia, inarcandosi per passare per la punta occidentale
del quadrilatero di Boemia. Dal Portogallo al
Capo Nord, lungo l'Atlantico, e dal Portogallo
alla Turchia lungo il Mediterraneo, i lati del
triangolo europeo misurano quasi 4.000 chilometri. Entro questi limiti geometrici la storia
ha composto u n mosaico di nazioni, con interessi spesso contrari.
Essi hanno u n concetto di organizzazione
sociale e politica che n o n rende i loro popoli
propensi al sacrificio, e ancor m e n o al sacrificio collettivo giacché l'individualismo è il
contrassegno della loro civiltà. Essi sottoscrivono l e parole di Lincoln: I n questo tempo,
i n questo paese, l'opinione pubblica è tutto.
A lei nulla può opporsi, contro di lei nulla
riesce 3 . Nessuno osa contestare il valore morale e pratico d i questa affermazione. Tuttavia,
diventa sempre più difficile conformarvisi (1).
Prima dell'èra industriale, quando i problemi
erano semplici - e la democrazia n o n esistev a (2) - l'espressione del sentimento popolare
avrebbe potuto guidare spesso con efficacia i
governi. Oggi i popoli vivono i n una realtà
complessa. L'esperienza dimostra che l'opinione
pubblica è sempre più i n ritardo sull'evoluzione
tecnica della auale n o n sempre riesce a cogliere l'influenza sulla vita sociale e politica.
I governi, pur disponendo di strumenti amministrativi e di esperti, hanno già l e loro grosse
difficoltà a operare una sintesi delle mille
diverse discipline che costituiscono la trama
della vita organizzata. Si cerca dunque più col
senso popolare nel campo emozionale che n o n
nel reale, ottenendo così un'adesione con eccessiva e pericolosa semplificazione. Gli uomini di
Stato dell'occidente possono scegliere tra l'interpretazione dell'opinione pubblica e il parere
circostanziato degli specialisti ( 3 ) . T r a i d u e la
frattura è tanto più grande quanto più la
realtà è ardua a cogliersi. I1 giuoco democratico
n o n n e è facilitato. E' sorprendente constatare
l e divergenze che esistono, a volte, tra la posizione dei governi, informati dalle loro a m m i nistrazioni, e l'atteggiamento dell'opposizione
che cerca di esprimere il sentimento popolare.
Frequente è il caso dell'uomo di Stato che una
volta al potere pratica una politica contraria
a quella che difendeva quando era a capo
dell'opposizione. Qui l'opinione pubblica pesa
moltissimo, e spesso i n modo inconseguente,
sulle decisioni dei governi.
Non è così all'est della cortina di ferro.
Ovverossia là il leader è libero di condurre la
C
(1) Occorre subito mettere in g u a d i a il lettore: questa
non è che la prima premessa di tutta una serie di considerazioni che Gallois f a per significare che nei regimi democratici tradizionali soprattutto nei settori militari il
peso dell'opinione pubblica è avvertibile più come forza di
ritardo che come spinta. I1 che è - a nostro avviso ancora una garanzia, mentre per l'Autore del saggio
- dal suo punto di vista di tecnico specializzato militare - è. per lo meno, un incoriveniente. (N.d.T.).
(2) Andiamo piano a dire che la democrazia non esisteva
e che i problemi erano semplici: semplici, forse, erano i
problemi tattici militari perché - per molti secoli le «scoperte belliche » erano rimaste ferme. I democratici Stati Uniti d'America hanno affrontato una guerra
- tutt'altro che semplice!
prima drll'avvento dell'era
industriale. ( N . d . l ' . ) .
il
vero
- una terza scelta che
( 3 ) Avrebbero - a dire
Gallois - ci sembra - ignora: informare rapidamente,
chiaramente, costantemente l'opinione pubblica. Invece i
vecchi apparecchi amministrativi mancano alla loro funzione in tal senso. Anche l'Europa. di cui tanto discorre
Gallois, non ha prima di tutto voce in sé stessa. Solo
così si sana la frattura t r a opinione emozionale (pih
spesso moralmente giusta) e parere degli specialisti (pih
spesso tecnicamente esatta). ( N . d . T . ) .
-
dicembre 1960
COMUNI D'EUROPA
azione sovversiva, secondo l'attuale terminologia. Inoltre, a quell'epoca. gli Stati Uniti
avevano il monopolio dell'arma nucleare, ed
il loro intervento, soprattutto economico, non
comportava alcun rischio. Ognuno, all'ovest,
aderiva alla dottrina a Truman D e lo statu quo
fu alla fine mantenuto nei Balcani.
I1 colpo di stato di Praga (22 febbraio 1948)
affrettò l'attuazione di un embrionale sistema
difensivo. Nel marzo Belgio, Francia, Paesi
Bassi e - anche - Lussemburgo, firmavano
con la Gran Bretagna il Trattato di Bruxelles,
alleanza difensiva che puntualizzava e rafforzava il Trattato concluso a Dunkerque tra
Francia e Gran Bretagna, = per evitare il rit o n o di un'aggressione tedesca n.
Quando gli esperti dei cinque paesi membri
della nuova alleanza si riunirono a Londra,
nell'aprile 1948, constatarono che la somma di
forze insignificanti non avrebbe portato ad
altro che all'attuazione di uno stmmento militare altrettanto insignificante. In confronto alle
duecento divisioni di cui disponeva il blocco
nemico, i paesi dell'accordo di Bruxelles non
riuscivano a mettere insieme nemmeno il decimo dei mezzi opposti! Così 1'11 giugno 1948,
la risoluzione di Vandenbei-g veniva accolta
dal Senato americano e con essa si sanciva
l'entrata di principio degli Stati Uniti nella
alleanza. I negoziati si conclusero il 4 april e 1949.
I1 Trattato del Nord Atlantico stipula (art. 5)
che u n attacco armato contro una o più di una
delle Parti contraenti dell'Europa o dell'America
del Nord, sarebbe consideiato come attacco
diretto contro tutte le Parti ... e che per conseguenza ciascuna di esse darà aiuto alla o
alle Parti attaccate ...
su una giusta valutazione del rischio corso per
Così si attuava un sistema di difesa colletvincere una certa posta. L'esperienza dimostra
tivo. L'Europa n e era l'oggetto e l'America
che quasi sempre quando si tratta di prove di
forniva l'essenziale. Tutti i paesi firmatari aveforza l'Est la spunta sull'ovest, mentre le opivano da questa formula più vantaggi che rischi
nioni pubbliche occidentali non sanno - e non
ed inconvenienti. I1 giro d'orizzonte compiuto
sanno per difetto di informazioni facilmente
a Londra dagli esperti del Trattato di Bruxelles,
comprensibili - valutare convenientemente
aveva permesso di misurare l'ampiezza del
che rischio sarebbe tener duro. Dopo dodici
vuoto esistente in Europa, mentre il blocco di
anni il governo sovietico obbliga l'occidente
Berlino sottolineava a un tempo l'aggressività
a giuocare a un giuoco fatto per gli iniziati,
sovietica e le capacità tecniche d e l l ' h e r i c a .
del quale l e sottigliezze sfuggono alle masse.
In confronto a l pericolo, il rischio era dunDal momento che esse non contano che da una
que minimo e associarsi fra Stati europei
parte, l'altra ne esce avvantaggiata. Siccome
faceva scattare il formidabile meccanismo degli
il rischio di guerre locali - e a maggior
aiuti americani. Dal canto loro gli Stati Uniti
ragione di guerra generale - è nullo, il sistema
non avevano altra scelta. All'aiuto economico
del ricatto alla paura della guerra il più delle
del Piano Marshall occorreva aggiungere la
volte riesce, poiché l e opinioni pubbliche delgaranzia militare americana. Per gli Stati Uniti
l'Europa collaborano alla riuscita del sistema,
anche il rischio era accettabile, visto che essi
senza rendersi conto che, così facendo, avviciavevano in quel momento il solo arsenale nunano il momento in cui sarà la stessa Europa
cleare esistente, di efficacia impressionante in
ad essere la posta di u n ricatto del genere.
confronto alle masse armate convenzionalmente.
Per chi sa aspettare essa non è un santuario
Esattamente all'indomani della firma del Tratinviolabile.
tato, i Paesi membri dell'alleanza di Bruxelles
Dobbiamo studiare le condizioni del mantechiesero aiuto militare e finanziario al governo
nimento dello statu quo in Europa occidentale,
americano. E, quindici mesi più tardi, i primi
appunto tenendo conto di questo atteggismento.
convogli di materiale d'armamento lasciavano
D'altra parte, questa Europa è ricca. Qui
i porti americani diretti in Europa.
l'individuo fruisce di vantaggi che quasi due
Durante tutto questo periodo gli Stati Magmiliardi di esseri umani possono invidiargli.
giori elaborarono piani. Piani tutti basati sulSenza dubbio la sola giustificazione morale alla
l'impiego di armi convenzionali. Da noi non si
conservazione d i questi privilegi è che dividerli
disponeva di alcuna documentazione sugli efcon altri non modificherebbe sensibilmente le
fetti dell'esplosivo nucleare che restava l'arma
condizioni delle masse ancora depresse. E, in
dello = Strategic Air Command = americano.
più, i paesi sottosviluppati si sviluppano - con
Per cui, lo scopo di quei piani, sia che si
o senza l'aiuto occidentale, che bisognerebbe
trattasse di piani di armamento o di eventuali
distribuire largamente - e verrà il giorno in
piani di operazione, era di far pagare così
cui si potrà forse aprire la chiusa senza che la
cara un'aggressione diretta all'Europa occidendifferenza di livello provochi dei risucchi imtale, da eccedere il vantaggio che l'aggressore
pressionanti.
avrebbe potuto trarre dal suo intervento. S e
l'avversario non avesse avuto la stessa visione
e se, malgrado la previsione di una solida
La conquista - ideologica, se non sempre
resistenza, fosse passato oltre, accettando di
territoriale - dell'Europa, è stata iniziata in
pagare con forti perdite l'occupazione delquesta visione generale.
l'Europa, allora le forze europee avrebbero
dovuto condurre una guerra ritardatrice, per
consentire alle unità terrestri americane di
intervenire. Certo contemporaneamente si conLA PAURA DEI PIU' FORTI
tava su un'azione dello = Strategic Air Command D sulle stesse sorgenti del potere politico,
demografico e industriale del nemico.
Dopo il disarmo totale degli Stati Uniti e
della Gran Bretagna, nel marzo del 1947. la
Nulla di nuovo, dunque, in questo schema;
questione della Grecia dette l'allarme. La posta
l e due ultime guerre pesavano abbondantemente
era minore, non tanto perché si trattava della
sulla elaborazione della nuova strategia e tutto
Grecia, ma perché la lotta non era aperta,
avveniva come se Hiroshirna non ci fosse mai
perché aveva preso la forma di guerriglia O di
stata.
Non era necessario per dissuadere il potenziale aggressore dal venire alle armi, di equi( 4 ) I1 lettore non si lasci infarinare dalle parole: « liLeio » sta qui per « padrone » di condurre la sua azione,...
librare uomo per uomo, carro armato per carro
ecc. Ma attenzione! libero dall'obbligo del consenso
armato, aereo per aereo la sua enorme potenza
poi~olare,forse, ma quanto legab all'apparnto?! (N.d.T.).
sua azione (4). oppure, se gli occorre un certo
appoggio popolare, lo ottiene grazie alla macchina propagandistica della quale dispone. Infatti, il sentimento pubblico interviene poco,
ed il notabile non può esprimere che un parere
conforme, e, all'interno del partito, le controversie si regolano generalmente con la forza.
Questo è u n elemento che riteniamo decisivo.
Da Hiroshima in poi, in realtà, il mantenimento dello statu quo tra i due mondi, è basato
militare. In u n combattimento difensivo, con
la speranza di pronti rinforzi e, in più, con
l'intervento di forze aeree atomiche, allora
considerate come forze di appoggio, si riteneva
di attuare un'organizzazione àifensiva sufficiente
con u n centinaio di grandi unità terrestri,
appoggiate da una corrispondente aviazione.
I1 bilancio dei mezzi europei mostrò che si
era lontani dal conto fatto. Ma si pensò in
modo generico che l'America avrebbe dato l'appoggio, in materia di credito, di armi e anche
di effettivi. I piani di riarmamento nei loro
imperativi finanziari non differiscono affatto
dai piani industriali. Essi si basano sugli investimenti e sulle prime offerte assai più importanti dei corrispondenti = regimi di mantenimento D. Essi comportano spese iniziali assai
più elevate delle spese successivamente necessarie per mantenere e modernizzare la forza
così attuata.
Sarebbe stato assai saggio fissare il contributo francese al nuovo sistema di difesa collettiva, a una forza, il mantenimento della
quale - in regime di marcia >, - fosse stato
alla portata delle possibilità finanziarie del
paese. Quanto invece alle spese supplementari
dovute alla messa in opera di questa forza e
al decollo della fabbricazione dell'armamento
corrispondente, sarebbero state assicurate dall'aiuto economico, tecnico e militare fornito
dagli Stati Uniti. Così si sarebbe creato via via
uno strumento militare del quale il paese
avrebbe potuto in seguito finanziare soltanto la
spesa di mantenimento annuale senza anemizzare la sua economia e senza spendere permanentemente l'aiuto esterno, vale a dire l'aiuto
fornitogli dal governo di Washington.
Ma a quell'epoca, ognuno nutriva le più
grandi ambizioni. I1 blocco di Berlino e la
guerra di Corea dimostravano il permanere
della minaccia. C'era pericolo e non era il
momento di lesinare.
LISBONA, O LE AMBIZIONI DELUSE
Ogni Stato-membro, o meglio ogni Stato
Maggiore di ogni Paese membro del Trattato,
tendeva a promettere u n contributo militare
comparativamente più grande di quello del
vicino. All'interno d i ogni paese, che tendeva
a mettere avanti le sue possibilità e l'importanza del suo compito in caso di conflitto, ogni
arma cercava di aumentare i suoi effettivi e
l'armamento. Quando capitava loro di preoccuparsene, le contingenze finanziarie sembravano di importanza secondaria ai militari che
pensavano a l Creso americano. Si sapeva che
riuscendo a economizzare soltanto il 10% sul
suo bilancio di difesa, Washington avrebbe
potuto raddoppiare i bilanci militari di tutti
i suoi alleati europei. Ma non conoscendo il
programma di assistenza americana, né nel suo
insieme, n é nella sua durata, né nei suoi limiti
annuali, vi si addebitavano possibilità infinite.
6
COMUNI D'EUROPA
lioni di dollari mentre i trasferimenti da un
tipo di aiuto a un altro permettevano al governo
americano di sussidiare, tra l'altro, con 300 milioni supplementari la Gran Bretagna e con
250 la Francia.
Anche se incomplete, queste cifre danno la
misura di un programma di assistenza che
nel suo insieme doveva rappresentare, alla fine
dell'anno 1955. una somma vicina ai 20.000 miliardi di franchi avendo la sola Francia ricevuto circa 1.000 miliardi di franchi in materiali
ceduti o acquistati in off shore direttamente
alle sue fabbriche. A dispetto dell'ampiezza del
programma, come pure degli sforzi dei paesi
europei, la seduta del Consiglio Atlantico del
dicembre 1932 fu preparata nell'inquietudine.
Senza un aiuto considerevolmente accresciuto,
gli obiettivi militari - anche se assai meno
ambiziosi di quanto lo fossero due anni prima non avrebbero potuto essere raggiunti.
dicembre 1960
questa illusione. I1 sistema della semplice somma. delle forze nazionali non era alla portata
della prova sia nella preparazione che nella
concezione e nell'esecuzione della manovra. La
strategia dei mezzi era stata sminuzzata sul
disegno del mosaico dei vari territori alleati.
In Francia. sebbene lo sforzo finanziario - a
partire dal 1936, è
vero, e due anni
dopo i1 terzo Reich
- fosse stato s3stanziale, gli armamenti necessari non
furono r i u n i t i in
tempo. Quindici
anni più tardi, questa volta per prevenire la guerra e
non per farla, le
nazioni d'Europa si
trovavano i n una
situazione analoga.
L'INFELICE SOMMA DELLE FORZE
Nel maggio 1953,
il generale Ridgway
Che cosa stava succedendo? Bisogna riconoscriveva al Gruppo
scere che, non essendo la botte senza fondo,
Permanente, ossia
l'Europa non si sente di autorizzare un rendialla più alta automento elevato di crediti per un armamento
investiti presso di lei. L'alleanza non ha fatto
rità militare della
scomparire in lei né l e frontiere né i partiNATO: 1, ... Mi trocolarismi. L'aiuto americano non fu = integrato.
vo di fronte ad
ma concesso separatamente a ciascun paese.
una tale disparità
Ogni volta che per aumentare il reddito di
tra le nostre forze
questo credito, gli esperti americani cercavano
disponibili e queldi specializzare l e industrie nazionali e di
le che i capi sovieevitare i doppi impieghi, i paesi, cosi minactici potrebbero OPciati di non poter più darsi un completo trofeo
porci che non mi
d'armi, protestavano in nome della loro sovraritengo autorizzato
nità nazionale. Finalmente, dopo numerosi nea formulare altra
goziati, Washington fu obbligato a finanziare,
qui da noi, un materiale analogo a quello che
c o n c l u s i o n e che
stava per essere finanziato dall'altra parte della
questa: un attacco
frontiera. Si produsse in piccole serie. ciascun
sovietico di grande
per sé e a forti prezzi. S e il rendimento
ampiezza, in un
finanziario era mediocre, l'efficacia realizzatrice
tempo p r o s s i m o ,
sarà ancora più debole. I1 comandante supremo
troverebbe le forze
delle forze alleate in Europa, la cui missione
alleate in Europa in
sarebbe stata di comandare le forze nazionali,
stato di critica deposte a i suoi ordini in caso di crisi, disponeva
bolezza riscetto al
- e dispone a tutt'oggi - di una forza abbastanza disparata in fatto di armamento. Ci f u
loro compito D. Ottimo come generale, Ridgway
era un cattivo politico perché potesse ricordare
un momento in cui doveva fare i conti con una
trentina di modelli diversi di aerei. quando
a i governi le loro responsabilità e l'insufficienza
PONTE DI CESARE
tre o quattro sarebbero stati sufficienti. La
dei loro sforzi nei settori del credito, del mateSUL-RENO
- standardizzazione non era ottenuta che in quella
riale e degli uomini. Nel luglio 1953 gli succe- parte che riguardava il materiale ceduto dagli
- dette il generale Gruenther e presto fu messo
A
Stati Uniti. Così qualche anno fa più del 50%
allo studio un nuovo criterio militare. Bisognava
degli aerei da combattimento in servizio nelle
sfuggire al dilemma ormai classico: o si rispetta
forze aeree degli Stati membri della NATO
l'economia, e in tal modo non si dispone che
erano stati consegnati dall'America ed erano
di forze veramente insufficienti al confronto
di uno stesso modello, mentre il resto apparteneva ad una ventina di diversi tipi. Si imdei mezzi militari aumentati ininterrottamente
magina facilmente la complessità dei problemi
dall'URSS, o si aumentano effettivi ed armadi vettovagliamento posti da questa eterogementi, minacciando così i sistemi economici
neità.
dei paesi da difendere.
Sebbene, anche se i prodotti degli arsenali
I1 solo modo di imporre il non-ricorso alla
americani, oltre alle loro intrinseche qualità,
prova di forza era disporre di armi a elevato
non costavano nulla alle finanze europee, non
potere distruttivo pur utilizzando le unità che
erano sempre adatti alle condizioni geografiche,
europee (grazie a degli ordini off shore), susil mondo libero riusciva a mettere i n funzione
strategiche e tecniche del teatro sul quale
sidi diretti di credito che venivano ad accresenza dilapidare la sua economia.
avrebbero potuto essere utilizzati. Una macscere i bilanci nazionali delle difese, il financhina a trazione anteriore si adatta meglio di
Moltiplicando per 10.000, 50.000, forse anche
ziamento di studi e ricerche nel campo delle
una Cadillac alle strade del bosco normanno.
per parecchi milioni, la potenza distruttiva
tecniche d'armamento, l'assistenza militare e
Allo stesso modo gli aerei ricevcti dall'America
unitaria di un proiettile, si riduce evidentetecnica, l'ammissione di personale alleato nelle
esigevano delle pist,? troppo lunghe, costose a
mente i n enorme proporzione il numero dei
scuole americane; e, in più, aiuto economico
costruirsi, difficili a collocarsi in una campagna
proiettili necessari per ottenere la quantità
sotto forma di dotazioni distribuite dalla a Ecodensamente popolata dove sarebbero, per di
distruttiva voluta. Come pure se si accresce
e la cui
nomic Cooperation Administration
più, più vulnerabili. L'utilizzazione del mateconsiderevo1:nente così facendo il prezzo delcontropartita poteva essere assegnata all'espanriale americano portò naturalmente all'adozione
sione della produzione d'armamento.
l'esplosivo si riduce però notevolmente il nudi quelle organizzazioni delle unità che norI1 Secondo rapporto a l Congresso sul promalmente l e usano. Esse avevano conservato
mero dei veicoli 3 necessari a trasportarlo e
gramma di reciproca sicurezza
precisa che
una struttura legata al criterio del corpo di
a metterlo in azione D. Palese è poi l'econodal 1949 al giugno 1952 gli Stati Uniti avevano
spedizione che si imponeva nel 1944, al momia x per quel che riguarda uomini e matedato ai loro alleati europei materiale per il
mento della riconquista dell'Europa occidenriale. Si sarebbe dovuto raggruppare parecchie
valore all'incirca di due miliardi di dollari e
tale. L'insieme era troppo pesante e troppo
centinaia di bombardieri a bombe ordinarie
avevano ordinato, i n off shore, per 621 milioni
costoso per l'equilibrio di una difesa che poteva
per praticare la devastazione che un solo appadi dollari, armi fabbricate da industrie europee.
durare degli anni. Breve: L'Europa non esirecchio atomico inflisse a Hiroshima e poi a
Durante il solo esercizio 1951-52 erano stati
steva, visto che il problema da risolvere non
Nagasaki.
consacrati due miliardi di dollari a l pagamento
era più alla portata di un raggruppamento di
di merci importate dai paesi europei per accrenazioni soltanto contrapposte. Non lo è più
I1 fattore s veicolo portatore D, che si tratti
scere il loro sforzo di produzione militare.
ormai da un pezzo. Poiché. dal 1914 a l 1918, di aerei, di carri armati o di unità di fanteria
Durante lo stesso periodo, la contrapartita della Francia era riuscita a spuntarla con l'aiuto
o di artiglieria, non è la sola variante. Infatti
l'aiuto economico che era stato loro fornito,
dal momento che entra in giuoco l'esplosivo
di un appoggio esterno importante, ma molto
rappresentava una spesa di 85 milioni di dolnucleare, ogni cosa cambia. Non si tratta di
inferiore a l suo proprio sforzo, ella credeva
lari, mentre gli Stati Uniti finanziavano con
preparare la dilezione di una guerra, bisogna
nel 1939 che tutto doveva essere 25 anni più
circa 300 milioni di dollari una larga parte
adottare una nuova concezione militare assudell'infrastruttura aerea europea. Erano stati tardi come se sussistessero ancora, riunite, tutte
negoziati prestiti che raggiungevano i 165 mimendo lo scopo di rendere impossibile la guerra.
l e condizioni del passato. S i è pagata cara
F u cosi che, da questa parte dell'oceeno, il
criterio finanziario f u aggirato. Qualunque sia
l'ampiezza del piano, l'America lo sosterrà. Ci
si basò prima di tutto sul fattore demografico
(gli effettivi) e sul potenziale tecnico e industriale (produzione di armamento) per fissare
i livelli dei futuri contributi nazionali.
In Francia, si cominciò col progettare la
messa in atto di un numero di divisioni delle
quali poi neppure un quarto fu messo a
disposizione della NATO. Certamente, una volta
riempite di cifre promettenti le colonne dei
rispettivi Stati, bisognava valutare le spese
corrispondenti. Furono allora gli economisti a
lanciare grida altissime. Le loro proteste furono
tanto più veementi in quanto la guerra di
Corea aveva suscitato un rialzo generale dei
urezzi e, in Europa, la bilancia dei conti dava
delle gravi inquetudini. Ma si pensò ancora
che l'America avrebbe fornito un complemento
che, via via che passavano i mesi e che gli
esperti militari lavoravano, avrebbe finito per
diventare l'essenziale, in quanto a credito e a
materiale, se non a personale impiegato.
L'equivoco cominciò ad essere dissipato dal
a Comitato temporaneo D del Consiglio che era
stato riunito per tentare di proporzionare gli
sforzi militari dei paesi dell'Europa alla rendita nazionale di ciascuno, determinando l'ordine di grandezza e le forme dell'aiuto americano accordato a tutti. La Conferenza di
Lisbona, nel febbraio 1952, diradò le nuvole.
Militari e finanzieri delle due rive dell'Atlantico si trovarono faccia a faccia. I piani militari furono riesaminati alla luce delle limitazioni economiche, il futuro contributo tedesco
fu invocato a titolo di compenso e anche per
evidenti ragioni strategiche. e furono adottati
obiettivi più realistici dallo stesso Consiglio per
la fine dell'anno 1952, mentre venivano formulate ambizioni più proporzionate per gli anni
1953 e 1954.
Allo stesso tempo, l'aiuto americano all'Europa permetteva. progressivamente, di raddoppiare il numero delle divisioni terrestri esistenti al momento della costituzione dello Stato
Maqgiore inter-alleato del generale Eisenhower,
e di quintuplicare le forze aeree. Questo aiuto,
sotto il titolo generale di a Programma di reciproca sicurezza B , prese diverse forme: aiuto
militare, con cessioni massicce di materiale di
armamento, acquisti di materiale alle industrie
-
d
.
.,
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
E, per quel che riguarda l'Ovest, il solo modo
d i arrivare a tal punto. tenuto conto del rapporto di forze, è disporre di uno strumento
di rappresaqlia tale che nessuna Potenza potrebbe accettare di sopportarne gli effetti. L'insieme dell'Europa occidentale, a partire dalla
fine del 1954, fu posto, molto più categoricamente di prima, sotto questa terribile ma indispensabile protezione. Gli araldi dell'alleanza
affermavano, proclamando la nuova strategia
da tutti i microfoni, che, qualora una qualsiasi
parte di territorio della NATO fosse stata
minacciata, e sotto qualunque forma si manifestasse tale minaccia, si sarebbe risposto con
l'utilizzazione dell'arsenale nucleare dellfOccidente.
Fu necessario attendere il 1957 perché si giungesse a preoccuparsi di questa-nuova concezione della difesa in certi ambienti politici.
Quando, nel novembre 1957, i rappresentanti
dei Parlamenti dei quindici Stati membri
dell'organizzazione atlantica si riunirono a Parigi, le de1e:azioni di alcune Nazioni del Continente protestarono contro la concezione strategica della NATO. S i accusò l'organizzazione
atlantica di = aver accettato una eccessiva limitazione delle forze convenzionali. - cioè non
atomiche - e d i contare troppo sulle forze
d i rappresaglia nucleare n. Vedremo in che cosa
tale critica era giustificata. Tuttavia, poiché
veniva d?i parlamentari degli Stati membri
della KATO, essa era per lo meno stupefacente.
Chi infatti, se non quegli stessi parlamentari,
avevano votato, nelle loro asscmblee. i bilanci
militari? E quali erano stati i parlamentari che
non avevano chiesto a gran voce che si profittasse il più possibile delle risorse tecniche del
momcnto, economizzando in tal modo effettivi
e crediti? Chi protestava sempre contro la
durata del servizio militare domandandone
regolarmente la riduzione? Non si può, contemporaneaniente, imporre della economia di
effettivi e di armamenti convenzionali e, in
più, protestare contro una strategia supplementare, imposta a l comando interalleato d a quelle
stesse limitazioni.
In un secondo tempo la critica fu diretta
contro la carenza della NATO in rapporto alla
minaccia sovietica a l Medio Oriente. Si dimenticava così ugualmente che, se gli artt. 5 e 6
del Trattato sono molto espliciti quanto alla
zona coperta dall'organizzazione atlantica, a l
contrario, l'art. 4 non è abbastanza chiaro da
rendere possibile la mobilitazione dei membri
dell'alleanza contro le iniziative sovietiche nel
Medio Oriente. E soprattutto si dimenticava
che, quando si trattava di qualche disgraziato
incidente clpitato loro fuori d'Europa, le Nazioni europee interessate si crano sempre levate
contro l'intromissione di un terzo nei loro
affari. Cosi l'Algeria, sebbene indicata esplicitamente nell'art. G del Trattato non è mai
stata e a pieno titolo territorio della NATO.
Fino al 1954. poiché la Francia non lo voleva;
più tardi, poiché la Francia era ormai la sola
a volerlo. Sappiamo che in Europa, o più generalmente nel mondo occidentale, tali contraddizioni sono frequenti.
Stando così le cose, le critiche di certi
parlamentari dei paesi della NATO, riuniti a
Parigi in assemblea, non erano inutili: protestare perché le forze convenzionali impiegate
sul suolo del continente sono numericamente
insufficienti, e uniformarsi ai desideri del comando inter-alleato. Dopo Lisbona e dopo aver
constatato le limitazioni finanziarie della maggior parte dei paesi europei, lo SHAPE era
stato obbligato a ricorrere alla minaccia di
rappresaglie nucleari agitando lo spauracchio
delle armi d i larga distruzione. Tuttavia esso
non ignorava il ruolo essenziale delle forze
convenzionali. Spetta ad esse infatti il compito
di scoraggiare i conflitti di portata minore dei
quali l'Europa delllOvest poteva essere il teatro e dei quali la gravità non era tale d a
ricorrere alle riserve nucleari. L e forze convenzionali, proprio loro, possono, in quanto
esistono, f a r salire il valore della posta P. e
porre un eventuale conflitto, che l'avversario
vorrebbe delimitare territorialmente, in una
tale prospettiva d a rendere possibile l'utilizzazione d i armi nucleari. Insomma, l'impiego
permanente di una linea difensiva a i piedi
della Cortina d i ferro deve porre 1'URSS di
fronte a questo dilemma: o raccogliere, per
averla vinta, importanti mezzi e giungere a
un conflitto rilevante, e, in tal caso, rischiare
di far scattare l'impiego di armi nucleari, con
tutte le incalcolabili conseguenze di un simile
passo falso, oppure, accettare di limitare l'ampiezza del conliitto ed in t a l , caso non c'è
possibilità di spuntarla, e per conseguenza lo
stesso ricorso alla forza è un non senso in
quanto resterà privo di conseguenze. Nell'un
caso si è dissuasi dalla minaccia di rappresaglie che superano di gran lunga le distruzioni che un popolo può accettare di subire;
nell'altro, si tratta di una nota inutile perché
non produce nulla per chi la scatena.
Va da sé che più le forze convenzionali
alleate sono importanti, meno è possibile di
attaccarle con speranza di successo senza ri-
rità del disarmo delle forze convenzionali sulla
distruzione delle riserve atomiche.
Ma, il nuovo stato di fatto che risulta dall'esistenza, nei due campi, di armi a largo
potere distruttivo, mantiene un tale carattere
esoterico, che, per ignoranza, l'Ovest rovina,
d a se stesso, le basi della sua esistenza. Ci si
ricorda del passato e si ragiona per analogie
c3n le prove di forza del passato. Sebbene, si
dovrebbe sapere che, viste certe precauzioni
prese da tempo da una parte e dall'altra, lo
scambio classico di attacchi è oggi un non
senso. P e r una potenza che oggi soffre di malattia espansionistica si tratta soltanto di proporzionare, sapendo che esiste una riserva
militare potentissima, la posta e il rischio per
guadagnarsi il premio senza che il rischio,
divenuto eccessivo, lo conduca all'irrimediabile.
Dopo circa dieci anni i paesi dell'Europa dell'Ovest vivono alla mercè di questa formula
d i equilibrio. Da dieci anni almeno, 10 statu q110
è stato mantenuto in Europa con la combinazione dei due mezzi militari seguenti:
1) La minaccia d i una pronta risposta nucleare fulminante esercitata dazli aerei dello
e Strategic Air Command B americano, da quelli
del Bomber Command e, dal 1954, in generale dalle forze aereo-nucleari anglosassoni stabilite in Europa e nella periferia. Questa forma
di dissuasione dell'aggressione ha un valore
indipendente dall'accrescimento delle possibilità offensive contrarie. La logica dell'epoca
aereo-nucleare è quella per la quale l'aggressore è obbligato ad avere la priorità sulle forze
di rappresaglia della sua vittima. Non potrebbe,
infatti, incassare i loro colpi neppure se aucste
forze fossero numericamente ridotte. L'URSS
ha d a anni la piena facoltà tecnica di distruggere le forze agglomerate dei paesi dell'alleanza
occidentale. Ma siccome qucsta aggressione scatenerebbe analoghe rappresaglie, l'operazione
sarebbe un non-senso. P e r contro, se si potessero annientare gli strumenti di questa rappresaglia prima che si siano scatenati, allora l'assalitore potrebbe non subire punizione e, militarmente, la sua iniziativa offensiva sarebbe
fruttuosa ed egli sarebbe il padrone assoluto
della situazione. I1 ruolo della difesa occidentale è appunto quello di rendere impossibile
il successo d i questa forma d i attacco.
p
4
schiare di rendere legittimo il ricorso alle armi
d i massiccia distruzione.
Non è facile fissare il miglior livello di queste
forze. Fino a quel momento erano state decisive
più le cgnsiderazioni finanziarie che non quelle
strategiche. Lo SHAPE, parlando di trenta
divisioni impiegate permanentemente .nella Germania dell'ovest, chiede quelle forze delle
quali conta poter disporre. Oggi, se l'evoluzione
della situazione europea ponesse sessanta divisioni - per esempio trenta dall'un lato e dall'altro - in posizione di combattimento o i
negoziati di pace arriverebbero in tempo, o la
parte attaccante avrebbe coscienza che la lotta
potrebbe prendere una piega tanto grave da
f a r sì che la parte in difesa ponesse anche la
riserva nucleare sulla bilancia. Avverandosi il
rischio, anche le trattative sarebbero evidentemente fuori di luogo. E' possibile che domani,
con l'aiuto della paura, occorrerebbe un impiego assai più numeroso di uomini perché
alla parte attaccata apparisse legittimo il ricorso
alle armi d i lar$a distruzione.
Se la parte attaccata non potesse pagare il
conto e se il potenziale aggressore avesse
coscienza degli scrupoli e dei timori del suo
avversario, non esiterebbe a trarne i suoi
vantaggi. O la sua vittima avrà perduto la
partita senza neppure giuocarla e malgrado l e
sue riserve nucleari cederà all'ultimatum, oppure rifiutando d i usare i soli mezzi efficaci
dei quali dispone, accetterà di combattere con
forze classiche, perdendo un combattimento
impari.
Più vibrata è la campaena contro l'armamento nucleare, maggiori è la paura atomica,
meno apparrebbe possibile moralmente - e
fisicamente - sbandierare le moderne riserve
per imporre il non-ricorso alla forza. e più
bisognerebbe tendere verso un equilibrio impossibile in materia di forze convenzionali. F a
parte del giuoco sovietico la spinta alla soppressione di queste armi o, quanto meno. la
tattica di legare la loro utilizzazione, nella
concezione popolare, all'idea d i un cataclisma
che non si potrebbe i n nessun modo pensare
di scatenare. Infine, bisogna convincere il mondo
che va1 meglio la schiavitù che non la v morte
atomica P. Quando si parla di disarmo. ci si
riferisce soprattutto a l disarmo atomico. In
effetti la geografia e la demografia comparate
dei due blocchi contrapposti dovrebbero portare l'occidente a considerare l'assoluta prio-
2) I1 secondo mezzo militare che assicura la
protezione dell'Europa è l'impiego quanto più
possibile all'Est di forze convenzionali delle
quali abbiamo già visto lo scopo. Esse devono
fare la parte d i vetrina s che lo svaligiatore
deve infrangere per poi impadronirsi dei gioielli.
Naturalmente più spesso è il vetro più il colpo
è rumoroso e meno facile è l opcrazione, perché
rischia di attirare la polizia. Allo stesso modo,
più solida sarà la forza convenzionale .di arresto
impiezata vicino alla Cortina di ferro, più ssra
rischioso attaccarla poiché l'operazione accuisterebbe immediatamente carattere di guerra
generalizzata e l'assalitore dovrebbe temere
l'intervciitg, a questo punto, di armi nucleari.
Torniunici a cuesti due strumenti com:lerr.cntari della difesa dell'Europa contro l'aggressione: difesa per mezzo dell'atomo, difesa per
mezzo dell'uomo.
DIFESA PER MEZZO DELL'ATOMO
Affinché la minaccia di pronta risposta nucleare conservi una certa efficacia, bisogna che
vi siano un certo numero di condizioni tecniche
e politiche.
Occorre che queste forze d i rappresaglia non
possano essere distrutte da un brusco attacco
prima di essere utilizzate. Lo studio del problema dimostra che questo brusco attacco, per
essere possibile e fruttuoso, dovrebbe riuscire
a distruggere simultaneamente tutte le basi di
partenza dei bombardieri alleati. Essendo queste
basi distribuite su tutto l'emisfero nord e, in
più. essendo coperte da una rete d i radar, non
possono in nessun modo essere attaccate e
distrutte simultaneamente. La futura sostituzione di ordigni balistici (o razzi) ai bombardieri di oggi non modificherà affatto le condizioni d i questa strategia, poiché il compito
dell'a~gress3i-e rimarrà pressocché impossibile
se il difensore si sarà organizzato e armato in
conseguenza.
Bkogna, anche, che questa forza di rappresaglia sia tale da raggiungere i centri vitali
dicembre 1960
COMUNI D'EUROPA
avversari. I1 potere di traversare l e linee difensive dipende evidentemente dallo stato d'avanzamentc tecnico da una parte e dall'altra della
Cortina di ferro: quello offensivo all'ovest e
quello difensivo all'Est.
Occorre soprattutto che il potenziale aggressore sia persuaso che se partisse all'assalto del
mondo libero, rischierebbe l'irrimediabile. Occorre che, nel pensiero dei suoi leaders e degli
Stati Maggiori che li consigliano, l'automaticità
della pronta risposta non lasci dubbi. Solamente
a questa condizione egli rinuncerà, di fronte
a l rischio che corre, ad una prova di forza
generalizzata. A questo punto, entra in ballo
un tipico problema dell'Europa continentale.
Durante i primi anni della NATO, l'America
era la sola a possedere l'arma nucleare ed il
rischio che poteva correre per garantire l'Europa dell'ovest non era grandissimo. Da due
o t r e anni a questa parte l e cose non stanno
più allo stesso modo. Un giorno ci si potrebbe
porre il problema di sapere fino a dove arrivi
questa garanzia. Via via che dalla parte sovietica si sviluppano l e a m i a grande potere
distruttivo e che il territorio americano, intero,
si trova alla mercè degli aerei e degli ordigni
russi, l'opinione pubblica americana potrà gravare sul governo invitandolo a misurare nel
giuoco dei ricatti i disastri nucleari che non
tarderebbero a verificarsi a causa dei territori
oggi garantiti dalla NATO. L'abbiamo visto,
l'anno scorso, per la Turchia. Dulles non ha
esitato ha riaffemare la determinazione americana di mantenere i suoi impegni precedenti,
ed il Cremlino non ha insistito. E' chiaro tuttavia che, in questo giuoco di usura della grandezza d'animo occidentale, il mondo libero
finirà per perdere. Tanto più che l'opinione
pubblica non può facilmente cogliere il nuovo
ordine di cose nel quale il mondo è immerso
e, a l contrario di quel che accade nell'Est,
questa opinione pubblica pesa, alllOvest, sulle
decisioni dei governi.
Ecco che il partito liberale britannico, per
pura demagogia e per aver la meglio nel
cuore degli elettori inglesi, si pronunzia a
favore dell'abbandono da parte della Gran
Bretagna della politica militare basata sulla
bomba a H e sul suo = potere di dissuasione X .
Ieri, negli Stati Uniti, patria dell'atomo, ci si
ribellava contro il solo mezzo che una civiltà
tecnicamente evoluta possiede per equilibrare
l e masse dell'Eurasia. Qulache settimana prima,
il partito laburista e l e s Trade Unions B inglesi si accordavano per chiedere la smobilitazione delle pattuglie di bombardieri H = sul
suolo britannico, la rinuncia all'installazione di
basi di lancio di missili, all'abbandono delle
esplosioni nucleari sperimentali e a l raggiungimento di un accordo generale sul disarmo.
Ovunque in Europa, e soprattutto nelle illuminate democrazie D del Nord, si levarono proteste contro l'installazione di rampe di lancio
a portata intermedia X ; l e opinioni pubbliche
occidentali, sconvolte dall'avanzamento tecnico
che esse attribuiscono alllURSS, e aiutate dalla
paura, reclamano negoziati, non importa a che
prezzo. Sono state pubblicate delle opere che
lasciano capire che all'epoca dei razzi, non
soltanto tutta l'Europa è alla mercè dell'URSS
ma che l'intero globo potrebbe essere in ogni
sua parte distrutto senza possibilità di difesa.
Gli autori di auesta letteratura tacciono volutamente su dati elementari della tecnica e della
strategia. Dimenticano infatti che, s e l'aggressore non ha distrutto i mezzi di rappresaglia
della parte opposta, subirà egli stesso la stessa
sorte della sua vittima, e anche che la distruzione simultanea di questi mezzi di rappresaglia pone, all'epoca dei razzi, problemi praticamente insolubili.
I1 Cremlino, in seguito alla sua dichiarazione
dell'agosto 1957 sul lancio di un ordigno balistico sperimentale a lunga portata, suscitò all'Ovest nuove vocazioni pacifiste. Tanto più
che gli = sputnik n fornivano, proprio allora,
la prova del progresso sovietico i n materia di
razzi. I1 pacifismo a tutti i costi ottiene tanto
maggiore seguito in quanto la paura si fa più
manifesta. Ognuno, all'ovest. parla di soluzioni
capaci di ridurre la tensione tra i due blocchi * come se questa tensione, in epoca aereonucleare, avesse lo stesso significato che all'epoca del TNT. Abbiamo perfino sentito dire,
dopo Kennan, l'Air-Marshal, John Slessor. doC
C
.
mandare la smobilitazione, precisando che l e
venti divisioni occidentali non potrebbero certo
prevenire lo scoppio di conflitti localizzati in
poiché esse non potrebbero difenEuropa,
dersi contro forze t r e volte più potenti D. Tutti
questi argomenti non resistono ad un serio
esame del problema posto dalla difesa dell'Europa in epoca temo-nucleare. Tuttavia,
poiché sono argomenti presentati da esperti
C
seguenza. P e r contro, dall'una parte e dall'altra della Cortina di ferro, piccoli gruppi di
specializzati si dedicano alla costruzione del
nuovo edificio della strana logica dell'èra aereonucleare. Poiché il sistema è logico, questi specialisti arriyano dall'una parte e dall'altra della
Cortina di ferro alle stesse conclusioni. Questa
idendità di vedute potrebbe rappresentare una
garanzia di pace se, in Occidente, non tanto
il peso delle opinioni pubbliche quanto piutintelligentsia
non finisse per
tosto delle
annullare lo sforzo dei suoi specialisti. P e r
poter affrontare l'èra temo-nucleare bisognerebbe potersi liberare degli insegnamenti della
storia, perfino della storia di questi ultimi anni.
E sono pochissimi quelli che lo fanno. Autori
tanto eminenti come il prof. P. M. S. Backett,
sommano volentieri i due sistemi, quello dell'esplosivo molecolare e qilello dell'esplosivo
nucleare, per ammettere che, a parte l'enorme
potere di distruzione raggiunto da un'unità di
fuoco oggi disponibile, tutto è come prima
La superiorità del blocco orientale consiste nel
fatto che i suoi leaders sono liberi di sfruttare
come vogliono l e conclusioni dei loro esperti.
La stessa struttura politica delle democrazie
occidentali impone invece l'adesione popolare.
A loro volta questa presuppone la comprensione di ogni fenomeno scientifico, militare e
politico, oggi assai complesso e, i n più, a l
ritmo crescente del progresso tecnico. L a storia
di questi ultimi vent'anni dimostra quale potere frenante siano l e opinioni pubbliche occidentali, sempre i n ritardo sulle questioni scientifiche, tecniche e forse anche politiche. Quando
ci si mette a comporre il bilancio delle occasione perdute, si può concludere che il sistema
politico a l quale sono giustamente legate l e
democrazie occidentali, non è alla portata degli
avvenimenti se non quando essi sono comprensibili facilmente per tutti, ossia, spessissimo,
troppo tardi, oppure soltanto per dei problemi
minori.
Se abbiamo insistito tanto a lungo su questa
rilevanza delle opinioni pubbliche e sulle conseguenze di una facile demagogia, lo abbiamo
fatto perché essa sembra determinante nel mantenimento dello statu quo politico e territoriale
nelllEuropa dell'ovest. Questo statu quo è assicurato dall'impegno americano di intervenire
con mezzi nucleari se uno qualsiasi dei territori della NATO fosse direttamente minacciato.
Più l'Europa è divisa sulle condizioni della sua
difesa, più essa ricusa di dividere i pretesi
rischi dell'éra temo-nucleare, più essa frena
la politica di resistenza all'espansionismo sovietico, e più essa spingerà il popolo americano a
c c disimpegnarsi n, apparendogli alla fine il rischio corso per coprire l e spalle a un'Europa
del genere, un rischio sproporzionato in confronto ai benefici di un tale impegno
Se
questa garanzia nucleare non esistesse più, questa Europa si troverebbe con l e sue trenta divisioni, di fronte a forze dieci volte più numerose.
Evidentemente rinuncerebbe alla lotta, ma non
avrebbe nessuna probabilità di conservare la
sua indipendenza.
<(
eminenti o da alte personalità scientifiche e
politiche, tuttavia non responsabili, e poiché
essi corrispondono a quella che l e opinioni
pubbliche credono essere la realtà, la loro
importanza è assai grande, e, poco alla volta,
l'Ovest f a decadere, da se stesso, la sua situazione di difesa che era praticamente inespugnabile.
Queste prese di posizione, queste inquietudini, queste chiacchiere di una generazione
superata da quella che essa stessa ha creato,
pongono il vero problema del momento.
Già ieri, la supremazia dell'èra industriale non
si adattava alle discussioni accademiche. Oggi
ancora quelle che sono incapaci di sbrogliare
i fili dell'imbroglio nucleare sono le élite intellettuali, sono i notabili D. Ed il notabile prende
posizioni oggi, nello stesso modo come poteva
fare ieri, su argomenti troppo complessi perché
egli possa coglierne l'intera portata. Così sugli
esperimenti nucleari, il prof. Schweitzer, Bertrand Russell, ottengono l'adesione delle masse
senza pertanto avere, in questo settore, la stessa competenza di uno specialista in materia (5).
Preso nel suo insieme, dallo sprovveduto all'uomo di scienza, l'intero mondo non ha affatto
colto la natura degli sconvolgimenti militari,
e per conseguenza politici, che la fissione, e
quindi la fusione dell'atomo, portano di conC
(5) Qui il dissidio con chi scrive è totale: Schweitzer e
Russell hanno l'adesione popolare per dei principi che
appartengono, come direbbe il nostro vecchio professore
di filosofia - e con ragione -, alla «coscienza comune).
Essi non hanno, è vero, nessuna competenza specializzata
e nosi rifiutiamo l'idea stessa delle competenze specializr
lizzate intese negativamente, cioè come distaccate, indifferenti a una vasta umana cultura tessuta dai principi
comuni che la normale conoscenza degli uomini contiene
ed esprime. Dieci o un folle - perfettamente informati ci potrebbero trascinare chissà dove, con tutte le carte
in regola sulla loro specializzazione. Così - ci immaginiamo possa dire Gallois - anche il filosofo ci può condurre -- per un non-fare - alla rovina. E questo è l'altro
punto del discorso. In mezzo sta, tuitavia, questa che
noi crediamo verità: il filosofo del consenso comune può
comprendere la logica - quando c'è - dello specialista,
cluesta non mai la logica del filosofo ( o della massa
ronsenziente) finché permane specializzato. Sarebbe ora
che uomini come Gallois si accorgessero dell'organica
unità del discorso umano e smettessero di dividere tecnica
da politica, filosofia da scienza ecc. Quella che non è
altro che multiformità dell'agire umano per diverse discipline, non deve essere più tormentosa divisione negntiva
dello spirito umano. (N.d.T.).
.
..
LA DIFESA PER MEZZO DELL'UOMO
La migliore garanzia per l'indipendenza di
un popolo è senza dubbio la sua qualifica di
intrattabile n. Ancora nell'epoca termonucleare,
il precedente napoleonico i n Spagna conserva
tutto il suo valore. Resta da sapere se i pregi
corrispondenti si ritroveranno ancora i n nazioni
ricche ed evolute, che dispongono di tecniche di
persuasione una volta sconosciute e agli ordini
di un governo pronto ad ogni rigidezza e ad
ogni abile concessione, una volta che esse siano
poste di fronte ad un formidabile organismo
militare
e politico. Dobbiamo credere che
la risposta a questo interrogativo sia negativa
dal momento che non si è raggiunta questa
soluzione in Europa e che dovunque degli
eserciti regolari costituiscono per lo meno una
prima linea di resistenza. Nel quadro della
NATO, si è cercato di ottenere la dissuasione
dalle aggressioni minori, dai conflitti localizzati
che abbiano per obiettivo una sola parte del
tutto atlantico, con l'impiego di forze armate
convenzionali.
La formula presuppone l'adesione ad un sistema di difesa collettiva. Soltanto che, nessun
popolo dell'Europa occidentale avrebbe potuto
pagare per il rispetto della sua frontiera un
prezzo sufficiente. Da un punto di vista stretta1
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
mente razionale la difesa collettiva e il sistema
classico delle alleanze dovrebbe ancora essere
valido nel domini3 della dissuasione dal conflitto
minore. D11 momento che le armi nucleari possono entrare nel giuoco, è concepibile che una
potenza che n e disponga trovi esagerato brandirle a favore di un alleato che n e sia sprovvisto. Poiché a questo punto sarebbe la stessa
sua vita che la Potenza garante metterebbe in
giuoco. P e r delle poste limitate, è più facile
correre il rischio. A condizione tuttavia che l e
due parti opposte riconoscano che la posta della
loro disputa non meriti che si ricorra mai alle
armi di distruzione massiccia. Ma, più potente
sarà il sistema d i difesa collettiva a base di uomini e d i armamenti convenzionali, e più sarà difficile e pericoloso per l'avversario eventuale, d i
iniziare un combattimento che potrebbe anche,
per la sua portata, rapidamente trasformarsi da
i, tradizionale n
a C,atomico
I1 pericolo dei
piani di neutralizzazione
della zona d i contatto dei due blocchi europei è che essi portino a
ridurre l e forze alleate convenzionali in proporzione non paragonabile con la corrispondente
amputazione d i forze sovietiche e soprattutto
che portino come conseguenza il ritiro di una
parte o della totalità delle truppe anglosassoni
il cui compito non è soltanto quello di respingere l'invasore ai fianchi degli alleati complementari, ma anche di servire da
ostaggi n
che garantiscano l'automaticità dell'intervento
americano e, conseguentemente, il funzionamento a tutto profitto dell'Europa dellfOvest
della tattica dello scoraggiamento dell'aggressione >, .
)I
31.
8
CC
(8
v
*
?:
Un armamento nucleare europeo potrebbe
rappresentare una soluzione del problema dell'equilibrio di forze tra Eurasia e Europa dell'Ovest. S e l'Europa fosse compiuta e se disponesse d i un proprio stock nucelare e dei mezzi
per servirsene, potrebbe non essere necessaria
la garanzia aereo-nucleare degli Stati Uniti. I1
disimpegno del quale si comincia a parlare
anche negli Stati Uniti, diventerebbe cosa possibile, senza che si condizioni il passaggio dell'Europa dell1Ovest al partito opposto. Dal momento che esistono armi di grande potere
distruttivo, la stessa nozione d i alleanza ha
ureso un significato diverso da quello che aveva
$1
11
spondenti a questa politica sono infatti gli
avvenimenti dei mesi scorsi in Medio ed
in Estremo Oriente. Essi hanno messo a dura
prova sia gli alleati occidentali, gli uni contro
gli altri, sia l'opinione pubblica della potenza
garante, ossia degli Stati Uniti (morire per Quemoy?).
E se domani, dovesse risultare inefficace la
garanzia che il Nuovo Mondo offre all'Antico,
potrebbe essere una soluzione complementare il
fatto di riarmare con armi nucleare l'insieme
dei Paesi dell'Europa occidentale? Detto in altre
parole, i paesi dell'Europa occidentale presi nel
loro insieme accetterebbero di correre collettivamente, a vantaggio di uno tra loro più direttamente minacciato, quel rischio che gli Stati
Uniti accettano oggi di correre coprendo le
spalle alllEuropa con la loro forza aero-nucleare?
In un solo caso la risposta potrebbe essere
positiva: se l'Europa smettesse di essere ~ i n a
semplice costruzioiie tecnico-economica, per diventare 211% tutto politico. una Patria. E allora,
bisognerà arrivare alla decentralizzazione nucleare totale, allo stock atomico nazionale? Questo stock, preparato in comune, con l'aiuto delle
risorse d i ciascuno, potrà in un secondo tempo
essere suddiviso? E se l e cose stessero in questo
modo, non si arriverebbe piuttosto - sia pure
solo nel campo della difesa - alla giustapposizione di Stati neutrali, in quanto capaci di
assicurare la loro neutralità? O piuttosto, allora,
bisogna dare a uno Stato-guida europeo la funzione d i (1 cane da guardia nucleare n, garantendo esso gli alleati europei da un ultimatum,
dal ricatto dell'annientamento o dal colpo di
forza, come gli Stati Uniti hanno lasciato capire
che garantirebbero l'Europa dell'Ovest nel quadro della NATO? Questo Stato-guida desideroso
di giuocare queste carte, come prova della sua
potenza, sarà infine libero di mantenere i suoi
impegni? L'opinione pubblica di questo Stato,
secondo l e circostanze del momento e la forma
presa dalla minaccia, non tenderà piuttosto a
considerarla, per quanto grande per l'alleato che
si trovi in difficoltà. minore per il paese
garante (6)?
Non era questo l'atteggiamento della parte
attiva dell'opinione pubblica degli alleati europei degli Stati Uniti, avantieri, di fronte a l
conflitto d i Corea, ieri d i fronte a quello di
Formosa? Come e perché la Potenza garante
della salvezza delllEuropa potrebbe essere domani più chiaroveggente di quel che oggi siano
gli alleati europei dell'America? Non si tratta
di morire per Quemoy n , si osserva qui criticando l'atteggiamento di Washington in Estrema
Oriente. Ed è facile criticare con tanta leggerezza una politica che, secondo gli avversari
di Dulles, non ha senso se non per gli abitanti
di Quemoy, mentre in realtà la posta è d i tutt'altra importanza. Eppure potrebbe venire il
giorno in cui avrebbe la stessa risonanza alle
orecchie del cittadino di oltreatlantico
morire per l'Europa n.
Ecco perché l'(<impegno
americano per il
vecchio Continente ha tanta importanza. E' significativo che Kennan e Rapacki si siano quasi
trovati d'accordo sull'inopportunità del permanere di forze atomiche anglosassoni sul suolo
tedesco. Ed è di capitale importanza la dichiarazione d i un diplomatico americano che in sostanza non ha più valore la minaccia d i rappresaglie massiccie, in quanto sanzione diplomatica
e che tale minaccia non può essere il fondamento d i un sistema d i alleanze. Continua
Kennan: non si possono utilizzare queste rappresaglie - e d i conseguenza la stessa minaccia
di ricorrere a queste rappresaglie - per s x c o r rere un alleato minacciato. Tale affermazione
porterà al ritiro dall'Europa delle forze americane, all'abbandono della garanzia degli Stati
Uniti e alla smobilitazione della NATO. Può
darsi che Kennan abbia ragione. In tal caso
potrebbe essere ancora possibile s x t i t u i r e al
deterrent americano un K deterrent D europeo,
il quale assolva la funzione che i primi non
possono assicurare perché. secondo il pensiero
di Kennan, non si può usarla a profitto d i
un alleato ) I . Ma il diplomatico aggiunge che,
quando, in un prossimo futuro, le a i m i tattiche
nucleari e atomiche saranno a disposizione degli
alleati atlantici sul suolo del continente europeo, pericolo e tensione non faranno che creCC
))
))
j)
(C
in passato. Può resistere a un ricatto nucleare?
Un potente alleato manterrà i suoi impegni
tanto a lungo se uno dei suoi associati è
direttamente minacciato e se si rende conto
che l'avversario è pronto a correre quei rischi
che egli stesso non si sente di correre? P e r
quella parte contendente che si trova in posizione di espansione. si tratta piuttosto d i procedere per tappe e di moltiplicare le testimonianze operative, per riuscire a scandagliare
la volontà del suo principale avversario. Corri-
scere. Cosa resta dunque all'Europa per equilibrare la formidabile potenza sovietica? Le sue
trenta divisioni eterogenee e, in effetti. poste
sotto comandi disparati, visto che i tentativi di
integrazione sono stati bloccati sul nascere con
il rigetto della CED. La minaccia sovietica, è
esatto dirlo, è di natura soprattutto politica,
economica, psicologica. Tuttavia essa non è
stata confinata in questo ruolo triplice proprio
perché, fino ad oggi. esisteva, o sembrava che
esistesse, la garanzia americana, ciò che è poi
lo stesso ai fini del formidabile rischio che si
( 6 ) La storia dello stato-guida è vecchia quanto il mondo e,
a parte il gusto di citare l'esempio, ha avuto e continua
ad avere espressioni così negative che dovrebbero bastare a farcene rimanere lontano. (N.d.T.).
sarebbe corso speculando sulla passività degli
Stati Uniti di fronte ad un attacco frontale
diretto contro l'Europa dell'Ovest. Kennan non
si sbaglia quando pretende che la situazione oggi
sia molto diversa da quella che era a l momento
della firma del patto e del monopolio atomico
americano. Tuttavia la sua logica è che bisognerebbe sostituire ad una forza di scoraggiamento dell'aggressione in Europa, mobilitabile
potenzialmente a questo fine, una forza suscettibile d i essere mobilitata più stabilmente, cioè
una forza specificamente europea.
Quindi si delineano tre tappe. In un primo
tempo, che corrisponde all'incirca ai periodi 1959
e 1960, il sistema attuale h a ancora possibilità di
efficacia poiché, alla peggio, l'atteggiamento di
Washington potrebbe essere soltanto ambiguo,
e, trovandosi l'URSS in una situazione d i assoluta incertezza sulle reali intenzioni degli Stati
Uniti, non potrebbe correre il rischio esagerato
di speculare sul non-intervento delle forze di
oltreatlantico. Certamente f a parte del giuoco
avversario procedere per sondaggi e vedere a
che punto arriva il limite tra accessibile e proibito. Se la Turchia, internamente, non fosse abbastanza forte, essa costituirebbe un buon terreno di assaggio. Sarebbe interessante seguire
la reazione delle opinioni pubbliche dei paesi
dell'Ovest Europeo, d i fronte ad una minaccia
diretta contro questo paese. Dal momento che
sovietico
la tattica dello cc sbocconcellamento
in Medio Oriente è stata coronata da successo,
sapranno esse sostenere pna politica d i fermezza o rovineranno da sé stesse la base sulla
quale si fonda la loro sicurezza dando la colpa
alla posizione avanzata del territorio turco e
all'isolamento geografico del paese?
In 1~11 secondo tempo, sembra necessario
elevare al massimo il valore della posta europea; con uno spiegamento di forze convenzionali e atomiche importanti, queste ultime agli
ordini diretti dei governi delllEuropa dell'ovest.
In questo caso il vetro della vetrina europea
sarebbe abbastanza spesso da rendere esitante
chi la dovesse infrangere, sia perché si imporrebbe una rilevante apparecchiatura militare,
sia perché la gravità della questione, permettendo l'entrata in funzione del
deterrent )I
strategico americano, ricondurrebbe il problema alle condizioni d i ieri e d i oggi, benché,
naturalmente, i due aspetti di una aggressione
del genere invitino alla circospezione e alla
rinuncia. Sembra che, nel caso particolare della
difesa dell'Europa dell'ovest, gli stessi Stati
Uniti avrebbero interesse a giungere alla a decentralizzazione D dell'armamento nucleare. Sarebbero allora alleggerite l e enormi responsabilità dei governi di Washington poiché sarebbe
minima la probabilità d i un ricorso a l deterrent americano e, in ogni modo, non sarebbe
impugnato che per una considerevole posta.
8,
)I
1)
La terza fase dovrebbe corrispondere all'integrazione europea e a l ritiro delle forze anglosassoni dal suolo dell'Europa continentale. Le
corrispondenti misure di difesa avrebbero significato soltanto se la prima di queste condizioni
fosse attuata nei fatti e la seconda fosse stata
imposta dalle necessità politiche degli Stati
Uniti.
COMUNI D'EUROPA
1O
P
-
P e r quel che riguarda l'integrazione europea, questo è il nostro pensiero: perché una
minaccia diretta contro uno dei popoli dell'Europa dell'ovest sia considerata come una
minaccia diretta contro tutti, bisogna essere arrivati a legami sufficientemente stretti tra i
popoli europei. I1 rischio che bisognerebbe
correre in una situazione del genere non ha
possibilità di confronto con quello che i membri
d i un'alleanza accettavano di porre al tempo
del TNT.
I1 ritiro delle forze-ostaggio americane impiegate in Europa potrebbe i n ogni modo essere
visto soltanto a condizione di quanto precedentemente detto.
Così, contrariamente a un pensiero assai diffuso e durevole secondo il quale non è possibile un disarmo controllato, l e armi nucleari
debbono essere accompagnate in Europa da
forze convenzionali, abbastanza importanti, da
essere complementari, queste o quelle, nella
tattica d i C dissuasione dell'aggressione. Quant0 più l e opinioni pubbliche mondiali diventano
coscienti dell'onnipotenza dell'atomo, tanto più
appare chiaro che il suo compito sarà limitato
a impedire una minaccia diretta contro la stessa
vita della nazione che possiede un armamento
nucleare.
Certi esperti ritengono che scendendo progressivamente nella gamma delle potenze unitarie di distruzione, si riuscirà praticamente a
sopprimere le forze convenzionali. In questo
caso potendo l e forze armate con effettivi ridotti mantenere un potere considerevole, n e
basteranno meno per sostituire l e numerose
divisioni di una volta. La nuova organizzaziune delle forze terrestri americane tiene appunto conto di questa evoluzione nella nuova
tecnica degli armamenti.
Tutto avviene come se non ci fosse più soluzione di continuità tra il proiettile molecolare
più potente - diciamo la bomba di dodici torinellate dell'ultima guerra - e il proiettile
nucleare meno potente, per esempio l'obus o
il razzo d i uno o due chilo-tonn. se pure esiste.
Questa
miniaturizzazione i della potenza e
degli effetti dell'arma nucleare porta a progettare la sua introduzione nei combattimenti di
minore portata. E poiché da una parte e dall'altra questo accadrà e, in caso d i disfatta d i
uno dei belligeranti, gli sarà sempre lecito
rimontare nella gamma delle potenze per ristabilire la sua posizione, si rischierà di arrivare
all'impiego di grosse potenze e a una forma
di conflitto inaccettabile per l'una e l'altra
parte contrapposta. E' verosimile che i negoziati
intervengano in tempo prima che si arrivi a
scambiarsi colpi massicci. Certi autori ritengono
che la prospettiva ha un certo interesse perché
eliminerebbe completamente il ricorso alla forza. I n effetti l'esperienza dimostra che alcune
forme di prove di forza non permettono politicamente e militarmente di far uso di tutte l e
risorse delle riserve convenzionali. S i sarebbe
forse potuto compiere l'operazione di Suez
servendosi di grosse bombe a l TNT che la
RAF lanciava su Moen? Tecnicamente, la difesa
dei nazionalisti nel mare della Cina trarrebbe
vantaggio dalla neutralizzazione delle batterie
comuniste per mezzo d i qualche proiettile atomico di piccola portata. Ma 1'. accerchiamento D
--
politico non facilita l'impiego dell'atomo in Asia
dove, la distruzione di Hiroshima e di Nagasaki è stata svuotata d i significato militare per
diventare il simbolo della posizione dell'uomo
bianco di fronte all'uomo d i colore.
In più, l'inconveniente dell'armamento atomico minimizzato consiste nel fatto che esso
è irreversibile negli effetti. Forse diminuite numericamente per tener conto dell'enorme accrescimento di potenza di fuoco che ne risulta,
sarebbero quasi inutili se si dovesse arrivare
a l punto di non poter ricorrere all'esplosivo
atomico.
Stando così le cose, come si può cercare di
garantire la sicurezza dell'Europa mentre si
equipaggia e si trasforma formidabilmente 1'Eurasia?
A quanto sembra l e economie delle nazioni
dell'Europa non si adattano a uno sforzo maggiore in materia di forze convenzionali. Esse non
difettano n é di uomini, n é di tecniche, ma non
possono finanziarne la preparazione a vantaggio
della loro difesa. I1 successo della comunità
d'armamento prevista dal Trattato della CED
avrebbe reso più lievi i loro carichi. Dal 1954
in poi niente o quasi niente è stato fatto in
questo campo. Doppi impieghi, studi e ricerche
zondotti simultaneamente di qua e di l à delle
frontiere, non hanno servito a ridurre il peso
finanziario degli Stati del mosaico europeo.
Pertanto, quasi 150 milioni d i uomini, che vivono in una delle zone più ricche del mondo.
dovrebbero poter riunire i mezzi della loro
difesa soprattutto oggi che le sforzo Comune
americano ed europeo ha consentito di creare
l'infrastruttura di questa difesa. Con l'equivalente d i più d i 5.000 miliardi di franchi è
fisicamente possibile creare una forza capace,
non certo d i condurre una guerra offensiva, ma
di f a r pagare abbastaza caro ogni attacco a
lei diretto. La somma dedicata dai paesi euro~ e della
i
NATO alla loro difesa non raggiunge
il decimo della loro produzione nazionale grezza.
L'integrazione degli studi e della produzione
degli armamenti ridurrebbe considerevolmente
questa voce nell'economia generale della difesa.
Simili essendo strategia, livello tecnico, metodi
d i produzione, dall'una parte e dall'altra delle
frontiere europee, non si porrebbero problemi
insolubili, se non nel settore politico per la
utilizzazione in comune delle risorse.
I principi di una simile organizzazione difensiva non sono mutati con gli anni. Arrivano
sempre alla messa in azione e a l mantenimento
d i una forza convenzionale costituita con i contributi di ognuno. Questa forza, siccome è destinata a O scoraggiare conflitti di portata minore.
può essere integrata in un sistema collettivo.
Rimane accettabile per i partecipanti il rischio
da correre, visto che non differisce molto da
quello che una volta si correva aderendo ad
un'alleanza difensiva. Tuttavia questa forza ha
anche lo scopo di porre l'aggressore davanti alla seguente alternativa: o non usa che piccoli
contingenti e non riesce a spuntarla; o mobilita
importanti forze e in questo caso può temere
una reazione nucleare e la generalizzazione del
conflitto.
Dal momento che essa è strettamente difensiva, l'organizzazione militare corrispondente
può utilizzare fino i n fondo le risorse del territorio da difendere. Essa può equipaggiarla con
una infrastruttura alleggerendo i suoi carichi
e permettendo di fissare il cammino d i un
avversario superiore numericamente. Egli, essendo per definizione in posizione di attacco,
deve concentrarsi per avere la meglio. In piu
esso offre a i colpi della difesa obiettivi vulnerabili. Inoltre si muoverà in una zona che
abitualmente non occupa e dovrà accettare di
appesantirsi con vettovagliamento che non potrà trovare sul posto, su un terreno equipaggiato, come quello nel quale opera la difesa.
Infine, sbarramenti artificiali (mine nucleari)
o naturali possono fermare la sua avanzata fino
a tanto che si sentano gli effetti dello scambio
d i colpi atomici lanciati in profondità. L'analisi dimostra che l'aggressione terrestre, a queste
condizioni, sarebbe difficilmente condotta. O
potrebbe essere eseguita con mezzi limitati
(e potrebbe essere irnprovvisa), ma avrebbe
poche probabilità di riuscire; o sarebbe massiccia, ed allora sarebbe preceduta d a movimenti
e contrazioni necessari ad ottenere un effetto
massiccio e, non potendo essere improvvisa,
permetterebbe uno sforzo parallelo dalla parte
della coalizione difensiva.
S e domani si aggiungesse, a l potere d i fuoco
limitato degli armamenti convenzionali, l'esplo-
--
dicembre 1960
---
.
-
sivo nucleare d i bassa potenza, sarebbero probabilmente ridotti gli effettivi necessari a fermare questo tipo di aggressione. A condizione
tuttavia che l'avversario sappia che non si
esiterebbe un momento a servirsi d i queste
armi; il che resta da dimostrare.
Dietro a questa forza convenzionale - o semiconvenzionale, se dispone di esplosivi atomici
di bassa potenza e di razzi portanti a corto
raggio d i azione - il sistema di difesa europeo
deve essere egualmente basato su mezzi aereonucleari - propri per rendere impossibile un
assalto generale. Abbiamo visto che ieri come
oggi, questi mezzi sono stati e sono esclusivamente anglosassoni. Essi conservano un significato in quanto e se: a l contrario di quanto pensa Kennan, ognuno sia persuaso che l'integrità
del territorio europeo non potrebbe essere posta
in discussione senza che n e derivi una minaccia di fare uso di questi mezzi. Se, domani,
questa certezza si dovesse trasformare in dubbio, e se più tardi, una garanzia del genere
non potesse essere più data, l'Europa continentale dovrebbe sostituirsi alle Potenze che hanno
garantito la sua sicurezza. Una volta anc3i-a
l'iniziativa non è sproporzionata rispetto alle
possibilità delle nazioni del continente. L'esempio britannico lo prova. Tuttavia non bisogna
aspettare.
Loassegnazione di armi nucleari ai paesi alleati o comunque garantiti sarebbe per questi
ultimi una soluzione facile. Tuttavia non è
senza rischi, Essa potrebbe legittimare un'assegnazione del genere dall'altra parte della Cortina di ferro se non nella stessa misura, almeno
le circostanze e nel caso di operazioni
particolari d i cui i conflitti localizzati del recente passato servono a darci un'idea, s i potrà
obiettare che l'esplosivo atomico è forse già
stato fornito alla Cina comunista. Si ric2rdi
tuttavia che perché yarsenale atomico giuochi
nella tattica di
dissuasione
all'aggressicine,
non deve rimanere clandestina; a l contrario,
devono essere oggetto d i una larga
gli stessi criteri del suo impiego, N ~ la
, soluzione risiede in uno sforzo, sarebbe inconcepibile che le nazioni che figurano fra le più
industrializzate e le più avanzate in materia di
,j
'1
scienza e di tecnica non potessero avere la meglio in questo campo, su quelle che sono ancora
oggi sottosviluppate. Questo è il vantaggio del
blocco dell'Ovest sul blocco d e l y ~ s t ,e per questo il primo potrebbe arrivare alla pluralità
nucleare quando il secondo non avesse ancora
tutti i mezzi.
Lo stock di esplosivi atomici così formato,
può rimanere debole. Ancora una volta, non
si tratta d i distruggere il pianeta, di condurre
una guerra di sterminio. Si tratta soltinto di
essere capaci d i infliggere rovine di ampiezza
tale da superare il beneficio che risulterebbe
da u n assorbimento, per mezzo della f3rza,
dell'Europa. Una volta evitata questa minaccia
resterebbe da far fronte al pericolo, in altri
settori, dei quali i più importanti non sono più
di ordine militare ma politico o economico. Per
lo meno potrebbe essere eliminata la prospettiva del ric3rso alla forza, dell'ultimatum e
dell'intimidazione. Resterà certamente l'essenziale: avere la forza morale di vivere e di lotrare in iin mondo sempre più dificile.
I governi messi di fronte alla questione nucleare, debbono affrontare difficili, immensi
problemi. Prima di tutto occorrerebbe che le
opinioni pubbliche occidentali si familiarizzassero con la nuova logica del momento. Dovrebbero rinunciare alle contraddizioni con l e
quali si gingillano. Non è affatto razionale contemporaneamente protestare contro le spese
militari che mirano a mettere in funzione unità
convenzionali e domandare la messa al bando
delle riserve nucleari. Non si può, al tempo
..
COMUNI D'EUROPA
--
dicembre 1960
m,.
7
stesso, reclamare la sicurezza a prezzo migliore
e rifiutare una certa integrazione degli studi
e della produzione di armamento. Non si può,
insomma, adottare una politica strettamente
pacifista e difensiva e rifiutare i voli permanenti dei bombardieri I< H n, unico mezzo per
una forza di difesa per sfuggire alla distruzione
in caso di improvvisa aggressione. Non si può
domandare la garanzia americana in più quella
degli altri alleati e rifiutare di installare rampe
di lancio sul suolo nazionale, dividendo così
la garanzia e non il rischio. Non si può alla
maniera del passato e dei suoi criteri, chiedere
a gran voce una difesa basata unicamente su
mezzi difensivi, perché essi hanno perso quasi
tutta la loro efficacia. Non si può, infine, tener
testa e fare il viso dell'arme all'espansionismo
sovietico senza correre rischi. O forse, il mondo
occidentale non è più all'altezza dei tranelli
che gli si tendono?
F o ~ xatomica
~
: una
chimera nazionale
di J. P. Gouzy
Due concezioni della difesa nucleare sono
recentemente venute in contrasto in Francia.
Queste due concezioni rispondono a delle
Weltanschauuizgen differenti. Da una parte il
generale de Gaulle e l'aristocrazia del nuovo
regime desiderano = integrare B il meno possibile l e forze armate francesi nel sistema atlantico, e hanno indicato al paese, come grande
obiettivo militare per gli anni futuri, la costituzione di una forza atomica d'urto francese.
D'altra parte dalla destra (Antoine Pinay, Raymond Aron) alla sinistra, compresi alcuni militari come il generale Valluy, ex-comandante in
capo del Centro Europa, sono state proposte le
soluzioni dell'integrazione militare nella NATO
e di una difesa organizzata a livello europeo
e non solo nazionale.
Si tratta di un dibattito fondamentale che
rischia in particolare di orientare in senso
sbagliato tutta la politica francese degli anni
a venire, ma la cui posta, bisogna dirlo, supera
oggi la percezione dell'opinione pubblica.
I1 costo deil'armamento atomico
I1 costo dell'armamento atomico e dell'impiego dei mezzi nucleari a fini militari è espresso da cifre e statistiche mostruose: decine di
milioni di dollari, migliaia di miliardi di
franchi (leggeri). Tali cifre seguono curve tanto
più vertiginose in quanto l e ricerche e gli esperimenti rientrano nella preparazione delle armi
nucleari con percentuali astronomiche.
Quando la stampa annuncia che un antimissile statunitense Nike Hercules a carburante solido ha distrutto in volo, grazie a un
sistema di telecomando, un missile Corporal
durante una esercitazione, ciò significa che in
alcuni secondi lo Strategie Air Command D ha
polverizzato una decina di miliardi di franchi.
Ora gli esperti militari stimano a circa 2.000
i missili che gli Stati Uniti hanno bruciato
durante questi anni, prima di arrivare alla
fabbricazione in serie degli attuali ICBM e
IRBM. Quando gli Stati Uniti facevano volare.
per garantire il paese da un attacco a sorpresa, i bombardieri B52 notte e giorno nel
cielo del paese, il costo dell'ora di volo era
di circa 4.000.000 di franchi, e questi voli sono
durati degli anni.
Infine, contrariamente a quanto si crede, il
possesso puro e semplice della bomba atomica
non ha più oggi significato militare. I1 problema è, per chiunque la possieda, di poter
utilizzare parallelamente degli ordigni di trasporto e degli ordigni di aifesa superiori in
velocità, raggio d'azione ed efficacia a quelli
del possibile avversario, cioè di ogni altro
paese che possieda la bomba. Inutile dire che
questo nuovo tipo di corsa agli armamenti
impone uno sforzo finanziario enorme agli
Stati Uniti e alllUnione Sobietica. E l e recenti
disavventure inglesi in questo campo sono
venute proprio a provare che la preparazione
della guerra atomica si trova ormai al livello
dei continenti.
A
e P. Moriquand
Premesse queste considerazioni generali, vediamo ora in che cosa consiste oggi una vera
forza d'urto d'importanza mondiale, come sembra preconizzarla il genersle De Gaulle
forza d'urto
a ) Bonzbe A e H Queste bombe devono
essere sufficientemente miniaturizzate da poter essere portate dai differenti vettori, aerei
o missili, firiora realizzati. La bomba H costruita
in gran serie assicura essa sola
l'equilibrio
nella paura ,> che risponde alla = legge della
Secondo Francis Perrin, Alto
dissuasione
Commissario per l'Energia Atomica, una bomba
H da 5 megaton scava un cratere di 10 kin2 e
distrugge tutto in un raggio di 300 km. Le
bombe H attuali hanno da 1.000 a 2.000 volte
la potenza della bomba di Hiroshima e rappresentano ciascuna la potenza di distruzione
di 21.000 aerei della seconda guerra mondiale,
che portino ciascuno una tonnellata e mezza
di bombe ordinarie.
Costruita su larga scala, la bomba A dovrebbe avere il costo relativamente modesto
di 2508.0008.000 di franchi, ma la messa a punto
di una prima bomba, e in particolare di una
bomba H, rappresenta alcune centinaia di milioni di franchi. Gli Stati Uniti e l'Unione
Sovietica disporrebbero di circa 20.000 bombe
A e H e gli esperti giudicano che 575 megatonnellate di TNT, cioè l'equivalente di 300
bombe H, sarebbero sufficienti a cancellare la
Russia o gli Stati Uniti dalla carta geografica.
b) Bombardieri pesanti szipersonici. I1 vettore convenzionale della bomba atomica è il
bombardiere pesante, oggi supersonico. Gli Stati
Uniti, che sono in testa per i bombardieri di
questo tipo, dispongono oltre che del B 52.
anche del B 58, 1'Hostler che vola al valore 2
del numero di Mach e che costa = p i ù caro
dell'oro , (1.134 dollari al kg contro i 1.000
dollari al kg dell'oro) e del B 70 che deve volare
a Mach 3 e a 21.000 metri d'altezza con possibilità indefinita di rifornimento in volo.
Costruito in serie, il costo unitario di un'apparecchio supersonico da bombardamento pesante sembra oscillare oggi fra i 2,5 e i 3 miliardi di franchi. Gli Stati Uniti possiedono,
secondo gli esperti, 2.000 bombardieri di questo tipo, mentre gli Inglesi dispongono di 200
unità del modello V.
C) Missili. Per valutare il costo di questi
ordigni balistici supersonici, capaci di portare
la bomba atomica a migliaia di chilometri di
distanza, bisogna dare un'occhiata all'insieme
delle spese americane per il 1960: vi si constata che 7.000 miliardi di franchi sono destinati ai missili e 5.500 all'insieme delle ricerche,
fra cui circa 720 per i missili.
I1 costo degli ICBM, Atlas, Titan e Polaris,
sarebbe il seguente: i nove gruppi di 10 apparecchi Atlas installati sulle loro basi costeranno
3.2 miliardi di dollari, cioè 1.600 miliardi di franchi, ovvero 17 miliardi e mezzo di franchi per
missile installato. Gli undici gruppi, di 10 apparecchi Titan ciascuno, costerebbero 1.800 miq.
liardi di franchi, ovvero 16 miliardi ciascuno.
I nove sottomarini, equipaggiati con missili
Polaris, costeranno 1.600 miliardi di franchi,
cioè 11 miliardi ciascuno.
d ) Sottomarini. I Russi e gli Americani
dispongono di sottomarini atomici capaci di
fare varie volte il giro del mondo senza rìfornimento, a grande profondità, e in grado di
bombardare un paese da oltre 10 metri sotto
il livello del mare, mediante missili nucleari
di una portata da 1.600 a 2.400 km. Gli Stati
Uniti possederanno, entro il 1962, più di 15 sottomarini atomici. Ora si conosce il prezzo del
Georges Washington D, pubblicato dalla stampa
americana: 199 milioni di dollari pari a 100 miliardi di franchi.
e) Portaerei atomiche. Una forza d'urto
con ambizioni strategiche mondiali deve poter
disporre di portaerei atomiche, rapide basi
mobili da cui far partire i bombardieri e gli
ordigni atomici. Sono note alcune cifre: la
Forrestal è costata 150 miliardi di franchi e
1'Enterprise 470 milioni di dollari, cioè 235 miliardi di franchi; infatti questa è più perfezionata.
f) Divisioizi ad armameiito atomico. Gli
americani stanno realizzando queste divisioni
completamente motorizzate; l e cifre relative
non siamo riusciti a trovarle, ma per la Francia
è stata fatta una valutazione due anni fa, fissando il valore del solo materiale di una divisione d'armamento atomico a 300 miliardi di
franchi.
g) Basi per missili. Alle portaerei e ai
sottomarini corrispondono a terra delle basi.
I1 costo unitario della costruzione di ciascuna
delle nuove basi dei missili Titan (18 rampe
sotterranee di lancio e 1.200 uomini) sarebbe
per gli Stati Uniti di 40 miliardi di franchi:
è prevista la costruzione di 14 basi di lancio.
La situazione dell'Inghilterra
Gli inglesi non hanno ancora una forza d'urto
veramente indipendente, benché dispongano di
qualche decina o centinaia di bombe A e H.
Possiedono un tipo di bombardiere supersonico (il T S R 2 munito di armi Air-Air), ma
la principale conclusione che si può trarre dal
libro bianco, pubblicato nel febbraio 1959 dal
Ministro della Difesa inglese, è il complesso
delle considerazioni tecniche e finanziarie che
hanno condotto all'abbandono dei progetti di
lancio dei missili a testata nucleare da parte
di sottomarini. M. Jean Wetz scriveva su = Le
Monde D del 12 febbraio 1959 a questo proposito: Una simile impresa rischierebbe d'esser e assolutamente rovinosa per la Gran Brctagna,
essendo lo sviluppo delle armi ultramoderne
assai più costoso del previsto. I n queste condizioni l e risorse disponibili saranno concentrate
nella messa a punto del missile Blue Streak.
che funziona su basi terrestri e la cui portata
dovrebbe raggiungere i 4.500 km. D.
Ora, è di questi gioini la notizia che gli
inglesi abbandonano il progetto di fabbricazione del Blue Streak pur avendo speso, come
lia riconosciuto il Ministro della Difesa Watkinson, 65.000.000 di sterline, cioè circa 100 miliardi
di franchi in tre anni daila sua messa in cantiere,
E' di conseguenza manifesto che gli inglesi
hanno fatto macchina indietro, quando si sono
resi conto del carattere deleterio della 1 x 0
impresa nazionale di produrre i n serie missili
balistici nucleari.
.
L a potenza militare sovietica
La potenza militare sovietica non è ben nota,
poiché i russi non lasciano circolare cifre che
permettano di fare un bilancio d'insieme. Ciò
nonostante si ritiene che lo sforzo militare russo
sia di molto superiore alle cifre ufficiali di
15.000 miliardi di franchi annunciate per
il 1960, poiché l e spese a fini militari sono
distribuite nell'insieme del bilancio. D'altra
parte, non solo l'Occidente risulta più deb3le
sul piano convenzionale rispetto all'esercit:,
sovietico (6 milioni di uomini nei paesi comunisti, 175 divisioni di cui 65 meccanizzate in
Russia), ma ha anche perduto la sua precedente
supremazia in materia di bombe A e H e si
trova nettamente superato sul piano dei missili
balistici. La superiorità occidentale in materis
di vettori non esiste ormai più che nella categoria dei bombardieri pesanti supersonici ame-
COMUNI D'EUROPA
12
ricani che costituiscono l'elemento essenziale
della nostra forza di dissuasione.
La forza aerea sovietica si fonda sulla espansione del programma missilistico, e l e cifre
rilevate a tal proposito sono inquietanti: dopo
i primi mesi del 1959 il ritmo di fabbricazione
degli ICBM T 3 sovietici, con portata 14.000 km..
sarebbe di 15 al mese (ogive da 5 megaton).
Gli ICBM russi hanno per obiettivo gli Stati
Uniti mentre gli IRBM hanno per scopo di
colpire eventualmente l e basi della NATO.
V
Graiideur nationale oblige n
Poiché il dogma sul quale poggia la filosofia
della V Repubblica è quello della a grandezza
nazionale 1, fondata su una idea irreale della
sovranità, la Francia, si sa, pretende di entrare
nella folle spirale dell'armamento nucleare,
costituendo una forza d'urto nazionale.
Nel famoso discorso del novembre 1959 alla
Scuola di Guerra, de Gaulle aveva lanciato
la nuova dottrina assegnando alla e force de
frappe ,> l'obiettivo di essere in grado di intervenire dovunque sulla terra, poiché si poteva
eventualmente distruggere la Francia a partire
da un punto qualsiasi del mondo D.
Abbiamo visto che se anche l'ipotesi del possesso di una bomba H risultasse realizzata in
Francia fra 15 mesi, coine sembrerebbe, l'importanza militare del fatto non sarà rilevante, se
la Francia non disporrà nello stesso tempo di
vettori capaci di portare la bomba su di un
obiettivo, senza essere intercettata dall'avversario eventuale.
Pertanto l'operazione bomba H D peserebbe
già di per sé stessa fortemente sul bilancio
militare francese che è nel 1960 di 1.603 miliardi di franchi (n. d. r.: il bilancio italiano è
di 700 milialdi di lire). Già il costo delle spese
dovute alle esplosioni di Reggane è stato valutato a 43 miliardi di franchi a cui bisogna
aggiungere l e spese di Marcoules per la produzione del plutonio.
I vettori francesi dovranno dunque avere
una potenza paragonabile o superiore ai vettori
di cui dispone l'eventuale avversario: il vettore
proposto dal governo francese, il M i ~ a g e4 A
supersonico, è già superato rispetto ai bcmbardieri americani.
P e r quanto concerne poi i missili, è evidente
che la fabbricazione di apparecchi balistici nazionali è indispensabile nell'attuale concezione
del Capo dello Stato
di intervenire doviinque
sulla terra D). La Francia procede dunque attualmente a dei tentativi: una società di studi e
realizzazioni di missili balistici a media gittata
è all'opera. La messa a punto di un missile
balistico ... francese al cento per cento, costerà
la bagatella di 250 o 300 miliardi. Potrebbe
essere realizzato entro 4 o 5 anni e avrebbe
una portata di 3.000 chilometri. Questo secondo
tipo di sforzo è forse conveniente dal punto
di vista militare?
Aggiungiamo a tutto cib, che il programma
attuale prevede la fabbricazione di un primo
sottomarino atomico francese, il Q244. La sua
entrata in cantiere a Cherbourg data dalla
fine del 1955; poiché il reattore ad uranio naturale non ha potuto essere realizzato, è stato
necessario trattare con gli Stati Uniti l'acquisto di 440 kg. di uranio arricchito e bisognerà,
all'atto del ricevimento di questo combustibile,
mettere a punto il reattore definitivo.
Ora, mentre si discutono i bilanci, mentre
i Ministri Baumgartner e Guiscard d'Estaing
non vogliono né aumentare l e imposte né il
passivo, che già raggiunge i 700 miliardi, ci
si domanda su quali mezzi può contare la politica di grandezza nazionale D per realizzare
tanti progetti: tanto più che gli esperti constatano che l'armamento delle forze convenzionali è in pessimo stato, che il bilancio della
Marina, a parte l'incrociatore lancia-missili, da
tre anni non prevede costruzioni di nuove navi
da guerra.
In realtà ancora una volta la Francia si trova
di fronte ad un dilemma che corrisponde ad
una scelta politica. Dilemma che è stato espresso
in particolare da Raymond Aron: a La Francia
deve costruirsi al più presto il maggior numero
di bombe e di veicoli portatori o deve integrare
il suo sforzo in quadro più ampio? D. Mentre
a questo interrogativo il generale Valluy ha
risposto s integrazione 3, de Gaulle ha fatto
opzioni ben diverse: s Bisogna che la nazione
si associ a questa che sarà la grande opera
della Francia negli anni venturi S .
.
Ma come potrà la Francia fare ciò
Gran Bretagna, pur avendovi destinato
superiori di u n quarto o di un terzo a
previste dal bilancio francese, non ha
fare? Qui sta tutto il problema.
dicembre 1960
che la
somme
quelle
potuto
Possibilità di una politica
La sola possibilità seria che esista per impedire veramente la guerra atomica o l e sorprese
di una situazione che susciterebbe un conflitto
nucleare, è quella che risulterebbe da un disarmo generale, controllato da una autorità mondiale e sovranazionale. I n mancanza di una
tale realizzazione, l e potenze mondiali sono condannate a perfezionare sempre più l e forze di
dissuasione, di cui dispongono.
Di fronte al mondo totalitario che agisce
come un unico blocco, l e potenze occidentali,
piccole e medie, che pensassero di garantire
la loro neutralità e indipendenza mediante una
forza d'urto nazionale, necessariamente priva
di quegli elementi d'intervento più costosi e
Paul Reynaud
moderni di cui dispongono in gran quantità
le superpotenze, non darebbero prova di realismo. S e invece queste potenze occidentali, piccole e medie, e quelle del vecchio continente
i n particolare, volessero costituire una forza
atomica militare, finanziariamente sostenibile
per esse e nello stesso tempo non trascurabile
per il mondo libero tutto intero, dovrebbero
darsi i mezzi di una tale politica, il che significa, per lo meno, sostituire il piano europeo
a quello nazionale.
Al livello di una forza potenziale paragonabile a quella degli Stati Uniti e dell'unione
Sovietica. una forza d'urto. anche con i suoi
5 o 10 'anni di ritardo, rimane concepibile
poiché la massa di mezzi intellettuali, tecnici
e finanziari messi insieme permetterebbe di
compensare, almeno parzialmente, l e conseguenze del ritardo iniziale. D'altra parte è
plausibile che gli Stati Uniti non rifiuterebbero
più di condurre la loro avanzata in campo
nucleare insieme con un compagno degno di
questo nome, cioè una federazione europea
fondata sul libero consenso dei cittadini.
ali'Assemblea nazionale
(Intervento fatto aII'Assernblea nazionale francese
il 18 ottobre 1960)
M. Paul Reynaud. Mesdames, messieurs, la
commission des finances vous demande de
repousser la question préalable. D'abord parce
qu'elle a adopté l e projet qui vous est soumis,
ensuite parce que, si intéressantes a u e soient
les questions posées par M. Jean-Paul David,
elles trouveront leur place dans le débat, enfin
parce qu'il lui apparait qu'à l'égard de I'opinion
publique l'Assemblée nationale paraitrait abdiquer si elle reculait devant l e droit qu'elle a
aujourd'hui d'exprimer sa volonté sur un problème de la solution duquel dépendent l'avenir
et, peut-&re, la vie de la France. (Applaudissements à gauche, a u centre et sur certains
bancs à droite).
S'il doit y avoir un régime parlementaire
- e t nous voulons qu'il y en ait un - c'est
dans un débat te1 que celui-ci que 1'Assemblée
doit et peut prouver qu'elle en est digne.
Pour moi, j'apporte ici une conviction profonde qui émane des auditions auxquelles nous
avons procédé e t de la visite a u e nous avons
faite aux forces francaises e n Allemagne. Peut&tre mon cas paraitra-t-il moins mauvais à
M. Jean-Paul David. (Sourires).
J e tiens tout d'abord à rendre hornrnage à
la parfaite loyauté avec laquelle M. le ministre
des armées nous a permis de nous informer.
(Murmures sur certains bancs à gauche et sur
quelques bancs à droite. - Applaudissements a
gauche, a u centre et sur certains bancs à
droite).
Cette conviction, mesdames, messieurs, je l'apporte en dépit d'un désaccord qui m'afflige lorsque je songe à des débats de cette nature
dans l e passé.
De quoi s'agit-il? De la défense nationale.
En cette matière, l e problème numéro un, c'est
la défense de l'Europe. C'est là que l e péril
peut $tre mortel, e t peut-$tre à court terme.
En Algérie, il s'agit d'un problème auquel
nous sommes profondément attachés, qui nous
angoisse. Mais, s'il n'y avait plus de France,
il n'y aurait plus de problème de 1'Algérie.
(Mouvenzents divers).
Mesdames, messieurs, l e rideau de fer n'est
qu'à cent cinquante kilomètres du Rhin, à hauteur de Thuringe. Vous savez qu'au coup de
Prague, pour arreter la vague soviétique allant
vers l'Océan, il a ét6 répondu par 1'Alliance
atlantique. A ceux qui critiquent l'OTAN peut6tre me sera-t-il permis de faire observer que,
s'il n'y avait pas l'OTAN, notre armée qui est
aujourd'hui en Algérie devrait étre sur l e Rhin,
e n priant Dieu que l'adversaire n'utilise pas
d'armes atomiques.
Pendant tout l e temps où les Etats-Unis ont
eu une supériorité atomique écrasante sur les
Soviets, la paix n'était pas en péril. Mais la
roue a tourné. Aujourd'hui, les Soviets sont a u
moins à égalité. Dès lors, l'infériorité des forces
classiques des alliés a créé e t crée un péril.
Forces classiques, dit-on, ou forces conventionnelles. Deux adjectifs trompeurs, car ils évoquent plut6t quelque chose de démodé et d'archaique, alors qu'il s'agit a u contraire de troupes disposant de l'armement l e plus moderne.
y compris la force atomique tactique, celle du
champ de bataille.
0 Ù e n est ce péril?
On entend dire e t répéter au'il est imprubable que, de propos délibéré, les Soviets déclenchent une guerre atomique à cause du prix
qu'ils auraient à payer en dépit de l'avantage
d'une attaque par surprise.
Mais ce n'est plus ainsi que se pose l e
problème.
Un adversaire hardi, accrocheur, violent, que
ses échecs répétés à l'ONU viennent d e pousser à des manifestations pittoresques mais troublantes, peut se livrer sur le rideau de f e r à
des opérations locales que l'OTAN a toujours
redoutées: un coup de main, par exemple, des
troupes de l'Allemagne de l'Est sur BerlinOuest ou sur Hambourg.
Si les alliés n'ont pas en forces conventionnelles le moyen d'arreter net l'opération, s'ils
sont mis devant un fait accompli, ils seront
alors contraints de se servir de bombes atomiques e t c'est l'incendie aui se généralise et
l'Europe qui est détruite.
Pour cette petite guerre qui a pour but
d'empecher la grande d'éclater, les alliés ontils les forces conventionnelles nécessaires?
En face des vingt divisions russes stationnées
e n Allemagne de l'Est, qui peuvent en quelques
jours $tre doublées et presque triplées - ce
n'est pas au hasard que j'emploie ces expressions - quelle est notre situation?
Voici l'opinion publiquement exprimée par
un général francais qui venait d'etre l e commandant e n chef du Centre-Europe pendant
plus de trois ans e t demi, l e général Valluy,
qui disait il y a quelques mois: u En matière
de troupes conventionnelles, notre infériorité
flagrante e t prolongée est redoutable U.
Ce sont les termes memes qu'il a employés.
I1 ne s'agit pas là d'un danger futur, d'un
danger lointain. I1 s'agit d'un danger actuel, qui
a grandi depuis que les Soviets ne sont plus
retenus par leur infériorité atomique e t qu'ils
se croient m6me les plus forts.
Ce procédé de l'offensive locale aurait à leur
yeux, au surplus, l'avantage de jeter une confusion e t un doute sur les responsabilités de
la guerre.
Ce danger de mort qui menace la France
comme l'Allemagne, y aura-t-il quelqu'un pour
déclarer à cette tribune qu'il l'envisage d'un
coeur léger?
Analysons maintenant la cause de la faiblesse,
de la dangereuse faiblesse des alliés. De quoi
disposent-ils? 5 divisions américaines A effectifs
complets, parfaitement équipées. 7 divisions
dicembre 1960
15
COMUNI D'EUROPA
l'Africa
di John Marcum
Riportiamo, per gentile concessione delL'Editore, un lucido capitolo del libro « L a
s f i d a dell'Africa » d i John Marcum (Milano,
prefazione d i
edizioni d i C o m u n i t à , 19GO
T o m Mboyu - c o n 110 tavole fuori testo lire 900). Il v o l u m e è uscito in questo stesso
a n n o i n America ( T h e Challenge o f A f r i c a
- N e w Y o r k , N e w Leader, 1960). I1 professor J o h n M a r c u m è u n o dei massimi esperti
americani d i cose d'Africa: e la parola di
iin americano "liberale" su questo t e m a è
d i notevole attualità n e l m o m e n t o i n cui, d a
u n a parte, sta entrando in f u n z i o n e 1'OCED
(della quale sono m e m b r i i vecchi soci europei dell'OECE, più S t a t i U n i t i e Canadà, e d i
cui u n o d e i t r e scopi fondamentali è la coordinazione degli sforzi dell'occidente izell'aiut o ai Paesi economicamente sottosviluppatz)
P , dall'altra, si accinge ad assumere la presidenza J o h n F. K e n n e d y . T o m Mboya, come
.si sa, è u n o dei maggiori capi politici e sindacali dell'Africa.
Dalle sole pagine riportate ci pare si possano ricavare alcune osservazioni più o m e n o
o v v i e . A n z i t u t t o che l'Africa in v i a d i decolonizzazione n o n potrà tollerare n lirngo di
essere, sia pure indirettamente, la vittima
delle risse f r a gli S t a t i nazionali "sovrani"
dell'Europa occidentale. I n secondo luogo c h e , data la vastità e la gravità dei
problemi dei Paesi sottosviluppati delL'Africa
come dei Paesi sottosviluppati
d i t u t t o il m o n d o - e data la delicatezza di
u n a costruzione democratica n e i Paesi d i
fresca indipendenza, n o n sarà certo l'Europa
delle sigle (anche se "armonizzate") a poter
dire iina sua credibile, ascoltata, e f f i c a c e
parola. Ancora u n a volta: o a v r e m o , e relat i v a m e n t e presto, gli S t a t i U n i t i d'Europa.
o anche in A f r i c a gli europei andranno scomparendo c o m e soggetti della politica internazionale. C o n t u t t e le conseguenze nel c a m p o
c u l t ~ i r a l ee morale.
-
delllAfrica può catalizzare e incanalare quelle
energie umane che sono state finora prive di
direzione e di scopo: come l'entusiasmo per i
programmi comunitari del Gana e della Guinea dimostra. Ma per realizzare u n rapido
sviluppo economico i n condizioni umane sop~ o r t a b i l ioccorre qualcosa di più delle braccia,
della forza muscolare, della volontà e della
disciplina. Persuadere i cittadini a costruire
strade, scuole, dighe e fogne non è sufficiente
I1 valore dell'i, investimento umano sarà legato alla loro salute e alle capacità tecniche.
nonché agli strumenti, alle macchine e ai materiali loro disponibili. Essi hanno bisogno di
assistenza sia educativa che materiale.
V i sono molti modi i n cui l e relativamente
ricche società dell'occidente possono aiutare
ed accelerare il progresso africano verso mi-
parte della Francia) sono stati così posti i n
u n rapporto speciale e privilegiato con le sei
nazioni europee che procedono lungo il cammino dell'integrazione.
Mediante questa associazione vengono promesse alle esportazioni africane quote e tariffe
progressivamente ridotte, che porteranno infine al libero accesso ai 165.000.000 di consumatori del MEC, appena questo sarà realizzato:
le esportazioni europee verso l'Africa rimangono soggette alle tariffe doganali locali, provvedimento che. interpretato liberamente, può
assicurare protezione alle giovani e vulnerabili industrie africane; gli europei avranno
uguali, m a per ora indefiniti, diritti di creare
imprese economiche i n Africa, diritti che saranno sempre più soggetti ad esser definiti
dagli africani: e. più importante di tutto, è
-
***
E' fondamentalmente vero che quando arrivano a dedicare circa il 15 per cento del loro
reddito annuale aeli investimenti di capitale,
i paesi meno sviluppati, come ouelli africani,
possono aumentare il loro reddito annuo approssimativamente del cinque per cento, il
che consente loro u n incremento modesto, se
si calcola u n contemporaneo aumento della
popolazione dal due al tre per cento. I1 reddito annuale della maggior parte degli africani, compreso il loro raccolto diretto. ammonta i n media a 43.000 lire pro capite, meno
di u n decimo delle 560.000 lire all'anno godute
dall'europeo medio, ovvero u n venticinquesimo delle 1.240.000 lire percepite dall'ancor
più fortunato americano. Perciò non è facile
limitare il consumo e risparmiare il 15 per
cento del magro reddito delle società africane.
Del resto, tassi di sviluppo così alti e sostenuti sono stati raggiunti solo nelle zone m e ridionali, dove gli europei dominano e investono.
Nondimeno, saggie politiche interne di risparmio e di spesa possono dare u n contributo
vitale allo sviluppo economico, incanalando
l'attivo locale, per auanto modesto, i n investimenti produttivi. Inoltre, l'(i investimento umano r organizzato - espressione usata per indicare il lavoro comunitario volontario o obbligatorio, la risorsa della gente priva di risorse
- può servire ad iniettare una nuova forza
in economie stagnanti I1 risveglio nazionale
Reticolati ad Algeri
gliori condizioni di vita. Liberata da ogni
residuo di signoria politica, l'assistenza postcoloniale dell'occidente può servire egregiamente l e aspirazioni umane della rivoluzione
africana. U n aiuto viene già offerto attraverso
la CEE, sotto l'egida della Comunità Francese
e del Commonwealth britannico, attraverso
l'assistenza bilaterale degli U S A e di altri
paesi, nonché attraverso i programmi del-
Si può contemplare con tranquillità lo
spietato corso della violenza in Algeria, la
disperazione e la brutalità di una guerra
combattuta tra i difensori di una présence
francaisen imposta e i ribelli di una d k e redata maggioranza mussulmana, dieci
volte più numerosa, che vuole essere se
stessa e autogovernarsi?
1'ONU e delle sue istituzioni specializzate, che
sono i n larga misura finanziati dall'occidente.
Comunità Economica Europea. I territori
africani che si trovano sotto l'amministrazione
francese, belga e italiana sono stati associati
alla CEE dal trattato di Roma del 1957, e da
una speciale convenzione quinquennale. Oltre
cinque milioni di miglia quadrate e sessantatré
milioni di abitanti dell'Africa (inclusa l'Algeria. che è legalmente integrata nella CEE come
stato istituito u n Fondo di Sviluppo di 360 m i liardi di lire per i primi cinque anni (1958-62)
dell'associazione. Gli associati africani ricevono pertanto la promessa di benefici commerciali e finanziari, senza dover assumere i
doveri della piena appartenenza alla CEE.
Dopo u n inizio lento, il Fondo di Sviluppo
ha preso slancio. I 317 miliardi di lire del
Fondo, assegnati alle zone attualmente o precedentemente sotto amministrazione francese.
rappresentano un'aggiunta di quasi il cinquanta
per cento al programma di investimenti pubblici già in corso di attuazione, i n quelle stesse
zone, nel quadro del Fondo per l'Assistenza e
Cooperazione della Comunità Francese. Molti
africani, però, guardano tuttora sospettosamente
all'associazione con il Mercato Comune, nonostante i dispensari, l e strade, le scuole e i
pozzi che il Fondo di Sviluppo sta rendendo
possibili. Gli africani sono stati associati alla
CEE dagli europei. Alcuni membri africani
del Parlamento francese hanno avuto l'opportunità di votare pro o contro il Trattato, m a
solo al premier della Costa d'Avorio, Félix
Houphouet-Boigny, è stato concesso di giocare
u n modesto ruolo nei negoziati. Inoltre, nonostante la probabile indipendenza di u n certo
numero dei paesi africani associati, nessuna
delle clausole dell'associazione ha fatto menzione dei modi i n cui questa indipendenza
potrebbe condurre a u n rapporto liberamente
riconfermato e modificato con la CEE.
I nazionalisti africani pih suscettibili hanno
dicembre 1960
COMUNI D'EUROPA
AFRICA 1960
(da « Monde Uni ».
con aggiornamenti)
PAESI INDIPENDENTI
CAMERUN - Repubblica indipendente dal gennaio 1960 - Territorio già sotto tutela francese.
( * ) I1 Camemn britannico (capitale: Bouea) si federerà probabilmente con la Nigeria o con l a Repubblica
del Camemn.
CONGO - Repubblica indipendente dal giugno 1960 - Già Congo Belga.
EGITTO (RAU) - Repubblica federale (EgittoSiria) - L'Egitto è territorio indipendente
dal febbraio 1922.
ETIOPIA - Impero federale (Etiopia-Eritrea)
- Indipendente dal 1942.
GUINEA - Repubblica indipendente dail'ottobre 1958 - Già territorio dell'AOF.
( * ) L'Unione t r a la Guinea e il Chana, conclusa nel
novembre 1858, dura teoricamente tutt'ora.
LIBERIA - Repubblica indipendente dal 1847.
LIBIA - Regno federale (Tripolitania, Cirenaica, Fezzan) - Indipendente dal dicembre 1951.
Già colonia italiana
MALI (Ex-Sudan) - Repubblica indipendente
dal giugno 1960 - Già territorio dell'AOF.
(') Il Mali era, fino all'agosto
del Senegal e del Sud:in.
1960, la Federazione
MAROCCO - Regno - Già protettorato francese,
indipendente dal marzo 1956.
SOMALIA - Repubblica unificata (già Somalia
inglese e Somalia italiana) - Indipendente dal
luglio 1960.
SUDAN - Repubblica - Già dominio angloegiziano - Indipendente dal gennaio 1956.
TOGO - Repubblica indipendente dall'aprile 1960 - Territorio già sotto tutela francese.
TUNISIA - Repubblica indipendente dall'ap~ile 1956 - Già protettorato francese.
PAESI INDIPENDENTI, MEMBRI DELLA
COMUNITA' FRANCESE
CENTRO-AFRICANA (UNIONE) - Repubblica
(ex Oubangui-Chari) - Già territorio del1'AEF - Indipendente dal luglio 1960.
( * ) L a Repubblica Centro-Africana costituisce, con il
Congo e il Ciad, l'Unione delle Repubbliche dell'Africa
Centrale (URAC) che. pur non essendo una F d e r a zione nel vero senso della parola, annovera defli
Organi eoniiini alle t r e Repubbliche (in pai.ticolare la
rappresentanza diplomatica).
CIAD - Repubblica indipendente
sto 1960 - Già territorio dell'AEF.
dall'ago-
CONGO - Repubblica indipendente
sto 1960 - Già territorio dell'AEF.
dall'ago-
NIGERIA - Federazione - Già colonia britannica - Territorio indipendente dall'ottobre 1960.
TANGANYKA - Territorio sotto tutela britannica - Sarà reso indipendente nel 1961.
UNIONE SUD-AFRICANA - Repubblica (ottobre 1960) - Territorio indipendente dal 1909.
TERRITORI NON INDIPENDENTI
DAHOMEY - Repubblica indipendente dall'agosto 1960 - Già territorio dell'AOF.
GABON - Repubblica indipendente dall'agosto 1960 - Già territorio dell'AEF.
FRANCIA
ALGERIA-SAHARA - Dipartimenti francesi.
COMORES (Arcipelago) - Tei ritorio d'oltremare
della Repubblica francese.
SOMALIA FRANCESE (Costa francese dei Somali) - Territorio d'oltremare della Repubblica francese.
ALTO-VOLTA - Repubblica indipendente dall'agosto 1960 - Già territorio dell'AOF.
MADAGASCAR - (Repubblica Malgascia) Già territorio autonomo dell'unione francese,
indipendente dal luglio 1960.
INGHILTERRA
BASUTOLAND - Protettorato britannico.
BECIUANIA - Protettorato britannico.
NIGER - Repubblica indipendente dall'agosto 1960 - Già territorio dellPAOF.
GAMBIA - Parte colonia (Santa Maria e Georgetown), parte protettorato britannico.
SENEGAL - Repubblica indipendente dal giugno 1960 - Federata col Mali fino a l settembre 1960 - Già territorio dell'AOF.
KENYA - Parte colonia, parte protettorato (20na costiera).
GHANA - Repubblica - Già colonia britannica
(Costa d'Oro) - Indipendente dal 1957.
Protettorato
britannico
SPAGNA
IFNI - Provincia spagnola (luglio 1959)
GUINEA SPAGNOLA:
Provincia
colonia
Provincia
colonia
(luglio 1959) del Rio Muni (già
continentale).
(luglio 1959) di F e ~ n a n d oPo (già
insulare).
SAHARA SPAGNOLO - Provincia spagnola
(luglio 1959) - Già colonia del Rio d'Oro.
(*) Ceuta e Melilla, come s.li altri t r e domini spagnoli
sulla costa mediterranea del Marocco (Iso'le Chaffarines.
Pefiones de Alhucemas e di VeJez de la Gomera) sono
ricollegate alle provincie di Ma.la.ya e di Cadice. Le
Canarie, la cui popolazione è es~clusivamente europea, mstituiscono le due provincie spagnole di S a n t a C m z e
T,ns Pal?iu~s.
PORTOGALLO
ANGOLA e CABINDA - Provincie portoghesi
(1951).
MAURITAKIA - Repubblica indipendente dal
novembre 1960 - Già territsrio dell'AOF.
PAESI INDIPENDENTI, MEMBRI DEL
COMMONWEALTH BRITANNICO
-
ZANZIBAR e PEMBA (Sultanato) - Protettorato britannico.
SIERRA LEONE - Territorio in parte colonia,
in parte protettorato britannico - Sarà reso
indipendente il 27 ap,rile 1961.
COSTA D'AVORIO - Repubblica indipendente
dall'agosto 1960 - Già territorio dell'AOF.
(O)
La Costa d'Avorio forma, con il Dahomey, l'Alto
Volta e il h'lger il Grur>po dell'lntesa. Ciascuno dei
quattro Stati esercita seliaratamente la propria sovranità all'interno e all'esterno.
SWAZILAND
( 0 ) I1 Kenya costituisce con 1'Uganda e il Sanganyka
una Unione doganale.
UGANDA
-
CAPO VERDE (Isole)
(1951).
-
Provincia portoghese
GUINEA PORTOGHESE e ISOLE BYAGOS
Provincia portoghese (1951).
-
MOZAMBICO - Provincia portoghese (1951)
S A 0 TOME e PRINCIPE (Isole)
portoghesi (1951).
-
Provincie
TERRITORI SOTTO TUTELA
Protettorato britannico.
RHODESIA-NYASALAND (Federazione dal
settembre 1953) - Rhodesia del Nord e Nyasaland, protettorati; Rhodesia del Sud, Stato
autonomo.
RUANDA e URUNDI - Territorio sotto tutela
belga.
SUD-OVEST AFRICANO - Territorio sotto tutela dell'unione Sud-Africana.
dicembre 1960
17
COMUNI D'EUROPA
.
subito attribuito motivi egoistici e ambizioni
teme che l e relazioni dell'Europa con l'Africa
neocolonialistiche alla CEE, per il timore che
possano evolvere sullo stesso modello di decoloessa abbia mirato a mantenere l e loro econonizzazione a pezzi e bocconi, e di esodo rilutmie estrattive a l servizio dell'industria eurotante che si è avuto in Asia. Egli dice che un
pea. I1 governo francese, per di più, h a rafforesame degli ultimi cento anni non indica alcun
zato questi timori che l'indipendenza sia indiritto dell'Europa ad arrogarsi i1 ruolo di
compatibile con un rapporto con il MEC,
governante dell'Africa. Ecco il pensiero degli
quando ha bloccato i passi della segreteria
europei genuinamente
postcoloniali D : a Noi
della CEE per offrire alla Guinea favorevoli
non siamo pedagoghi, e dovremmo evitare socondizioni per la continuazione dell'associaprattutto ogni atteggiamento che possa f a r penzione, dopo che questa aveva optato per l'indisare che aspiriamo ad essere pedagoghi. Siamo
pendenza nel 1958. La Guinea non è stata
uomini che, dopo tutte l e terribili esperienze
distrutta da questo stizzoso atto della Quinta
che in particolare la nostra generazione ha
Repubblica. Sèkou Touré si è rivolto ad oriente,
dovuto attraversare, hanno l'unico desiderio di
alle condizioni apparentemente buone dell'aiuto
vivere in pace con il mondo intero, e che
del blocco sovietico: senza forse ricordare, però,
perciò vogliono cercare vie e mezzi con tutte
il disastro che per due volte si era abbattuto
l e nazioni ... per raggiungere la meta D. In un
sull'economia jugoslava quando l'indipendenza
mondo che si restringe, e nel auale l'Africa e
di Belgrado provocò a l Cremlino disappunto e
l'Asia sono da considerarsi vicini dell'Europa,
la brusca sospensione degli aiuti sovietici; e
a vogliamo aiutare e mitigare il bisogno e la
forse senza riflettere che la RAU, che si è
povertà, ma questo aiuto non dev'essere un fine
trovata a suo tempo in una situazione analoga,
in se stesso: vogliamo considerarlo un mezzo
h a riconosciuto ora come sia saggio non metper raggiungere quel rapporto d i mutua fiducia
tere tutte le uova i n un solo paniere. ( I n un'intervista concessa a l Die Tat di Zurigo il 26 agosto 1959. il Ministro degli esteri della RAU ha
dichiarato:
Noi miriamo a creare un'econoLe sfida delllAfrica è una sfida a comia a tre direzioni: un terzo del nostro traffico
struire: costruire un continente pacifico di
economico si svolgerà con l'Europa occidentale
nazioni nuove. L'esatta antitesi di questa
e il mondo anglosassone, un terzo con il mondo
sfida è rappresentata dalla recente deci,
comunista, e un terzo con le nazioni non vinsione del governo francese di compiere
colate. Non abbiamo ancora raggiunto questo
esperimenti nucleari nella zona sahariana
stadio, ma stiamo facendo buoni progressi verdi Reggan, nonostante i timori, il risentiso la realizzazione del nostro programma
mento e le proteste degli africani, e nonoP u r avendo attuato lealmente in Europa le
stante l'esistenza di un'altra località dispoclausole del trattato di Roma, il governo frannibile per questi esperimenti, l'isola inacese si è mostrato riluttante a vedere la Segrebitata d i Kerguelen nell'oceano Indiano.
teria del MEC sviluppare contatti diretti o
addirittura reclutare africani e malgasci per
scopi di addestramento o per incarichi di responsabilità nella Direzione Generale dei Paesi
tra uomini e nazioni eguali e liberi che è il
e Territori d'oltremare della CEE. In questa
fondamento d i un futuro pacifico e felice per
luce, è interessante registrare la convinzione
noi tutti B.
del Direttore Generale della Divisione d'01Alla fine del 1959, sotto la pressione della
tremare, il dottor Helmut Allardt, secondo il
rapida evoluzione politica dell'Africa, l'Assemquale solo se riuscirà a costituirsi con <I un'orblea Parlamentare Europea, il Consiglio dei
ganizzazione genuinamente sopranazionale u la
Ministri e l'Amministrazione della CEE di
CEE potrà funzionare efficaceillente come struBruxelles sono venuti riesaminando attivamente
mento attraverso cui gli europei possono prele basi su cui è possibile preservare e costruire
stare assistenza tecnica, finanziaria e morale
un'associazione con i paesi africani. I prosall'Africa. Altrimenti, la CEE correrà il rischio
simi negoziati con i due Camerun, il Togo e la
d'essere considerata un organo esecutivo dei
Somalia dovrebbero stabilire una formula consuoi governi membri, e di vedere in partenza
trattuale per l'associazione della CEE con stati
screditati tutti i suoi sforzi, come organizzaindipendenti. Gli europei hanno discusso i mequalcosa di
zione a sé stante, per creare
riti del convertire gli aiuti dopo i primi cinque
nuovo che continui ad esistere per se stesso
anni in prestiti a lunga scadenza, e la desidea l di là degli immediati vincoli che legano i
rabilità di stabilizzare i prezzi mondiali di
territori d'oltremare alla loro madrepatria
quegli articoli africani d i esportazione come il
Parlando alla Fiera Industriale Tedesca di
caffè, l e arachidi e il cotone. A Cannes, nelHannover nell'aprile 1959, il Direttore Genel'ottobre 1959, una riunione d i parlamentari
rale h a definito le finalità dell'associazione
europei e africani h a discusso la possibilità di
euro-africana come solo in parte economiche.
una nuova associazione tra l'Europa e l'Africa.
Queste finalità, h a fatto notare, dovrebbero
L'incontro è stato promosso dall'Associazione
comportare un aumento delle esportazioni euParlamentare Europa-Africa, fondata nel 1958
ropee verso l'Africa, reso possibile dalla creadal deputato francese Rémy Montagne e volta
zione di un nuovo potere d'acquisto da parte
alla creazione di una Comunità Generale deldegli africani per mezzo di investimenti di
l'Europa e dell'Africa. Tale Comunità comprencapitale straniero, pubblico e privato. Allardt
derebbe inizialmente l e zone ora incluse nella
ha attribuito anche un significato politico e
associazione tra la CEE e l'Africa, e verrebbe
umanitario all'associazione tra l'Africa e la
amministrata da un'Alta Autorità che si incaCEE. L'aiuto ha detto, è qualcosa che non
richerebbe di consorziare gli investimenti euroviene accettato ovunque con piacere - né tra
pei in Africa e di coordinare la cooperazione
gli individui n é tra gli stati - perché è un
economica, tecnica, sociale e politica dell'Eui-opa
atto unilaterale e al tempo stesso comporta
con l'Africa.
un certo grado di dipendenza da parte di chi
Anche ammettendo che piogetti come questo
riceve l'aiuto )n. Era necessario dirlo chiarasiano, come i loro sostenitori pretendono, scemente, dato che molti tentativi fatti in questo
vri di intenzione colonialistica, essi restano predopoguerra per porre i rapporti tra nuove e
giudicati dal semplice fatto che sono promossi
vecchie nazioni su un terreno solido attraverso
e vengono identificati con uno dei due blocchi
gli aiuti sono, in realtà, falliti, lasciando i
commerciali concorrenti che si stanno formando
riceventi con
un cattivo gusto in bocca n.
in Europa: la CEE. Vengono sospettati dagli
L'Europa deve trovare nuovi modi d i svilupafricani di essere concepiti nell'interesse esclupare una franca e sincera cooperazione con
sivo d i questo blocco. Vengono considerati elel'Africa mediante iniziative congiunte condotte
menti di divisione nella misiira in cui riguarGli
in condizioni di completa eguaglianza.
derebbero solo una parte dell'Africa. Allardt
ospedali, i serbatoi, i nuovi insediamenti e
ha detto che gli stati non membri, che vogliono
tutto il lavoro d i ricerca, ecc., che stiamo
godere degli stessi vantaggi dei paesi africani
finanziando col Fondo di Sviluppo, saranno
associati nella CEE, sono completamente liberi
presto dimenticati se non riusciremo a collod i proporre un trattato di associazione D ; tutcarli nel quadro di questa amichevole coopetavia, nessuno stato africano l'ha fatto o sembra
razione tra l'Europa R l'Africa. Ciò richiede,
propenso a farlo.
soprattutto, un sincero sforzo per comprendere
Commonwealth. Preferendo ad un rapporto
la mentalità di queste giovani nazioni, che
contrattuale con l'Europa dei sei la loro assospesso differisce dalla nostra, e nello stesso
ciazione storicamente condizionata, i membri
tempo per comprendere i sentimenti - perdel Commonwealth sono stati tra i più duri
sino i sentimenti amari - che essi talvolta
critici della CEE, in parte perché promette a
nutrono oggi verso l'Europa
paesi vicini e concorrenti di garantire un'acCome ex diplomatico tedesco in Asia, Allardt
1,).
CC
11.
)I
N
.
)).
cesso preferenziale a l mercato europeo. Come
membri indipendenti e volontari del Commonwealth e dell'area della sterlina, nazioni come
il Gana possono contare su una assistenza economica e tecnica continuativa da parte del
Regno Unito. Gli investimenti inglesi nello
sviluppo dei paesi del Commonwealth hanno
raggiunto in questi anni una media di quasi
350 miliardi di lire annui, pari a oiù dell'l per
cento del reddito nazionale lordo dell'Inghi1terra. Paesi che si stanno liberando dal colonialismo britannico, e dalla tutela coloniale della
legge e del fair play D britannici, hanno trovato una base nuova, soddisfacente e matura
per una cooperazione materiale e culturale duratura entro il flessibile, egualitario Commonwealth.
I1 rifiuto del Regno Unito di integrare la
propria economia con quelle dei paesi dell'Europa continentale era destinato, tuttavia,
ad avere serie ripercussioni in Africa, dato
che tende a perpetuare e ad approfondire l e
divisioni tra gli stessi africani. Esso sta conducendo alla divisione dell'Europa in due gruppi concorrenti, comprendenti da un lato l e sei
nazioni della CEE e dall'altro l e sette nazioni
dell'EFTA, capeggiate dalllInghilterra. In Africa
tende a far allineare la maggior parte degli
stati con l'uno o l'altro blocco, a seconda della
loro appartenenza all'area della sterlina o a
quella del franco, ovvero alla loro assocazione
con la CEE.
La prospettiva d i unlEuropa divisa non solo
in due rissosi raggruppamenti economici occidentali, ma anche in un blocco democratico
occidentale e in un blocco orientale comunista
è abbastanza sinistra per la stessa Europa.
Potrebbe essere disastrosa per l e relazioni europee con l'Africa. Gli africani non hanno
alcuna voglia di essere divisi dagli stranieri.
Essi hanno già fin troppe divisioni interne, sia
nazionali che di tribù, da superare prima di
raggiungere una vera unità continentale. S e
il progresso verso una tale unità dovesse apparire agli africani inceppato dalla disunione
europea, gli africani potrebbero rivolgersi contro l'Europa con un risentimento solidale. Non
è più possibile per l'Europa ripartire l'Africa
in tante riserve economiche separate.
Stati Uniti d'America. In aggiunta ai programmi di aiuti della Francia, della CEE e del
Commonwealth, una quarta e crescente fonte di
assistenza occidentale all'Africa è rappresentata
dagli USA. Eppure anche qui il auadro è
oscurato dalla mancanza di un programma plurilateralc, concepito in comune e coordinato.
per lo sviluppo economico africano. L'irto nazionalismo della Quinta Repubblica del generale De Gaulle concorre a bloccare l'integrazione degli aiuti americani in un tale programma generale. I1 riconoscimento americano
della Guinea, per non parlare degli aiuti economici, è stato gravemente ritardato dalla Francia. Alcuni leaders francesi amano ancora considerare gran parte dell'Africa come uno speciale feudo per la mission civilisatrice. Così, i
funzionari e i giornalisti francesi si lamentano
delle attività dei centri culturali degli USA
nel Marocco e nella Tunisia indipendenti, e
soprattutto si infastidiscono dei loro programmi
di insegnamento della lingua inglese. La Francia pretende ancora il pieno appoggio dei suoi
alleati occidentali al programma di pacificazione. in Algeria, dove ben 315 miliardi di
lire saranno spese nel 1960 nel quadro del piano
d i sviluppo economico e sociale noto come il
piano di Costantina. E i francesi reagiscono
ancora con irose insinuazioni alle ambizioni
americane di sostituire la Francia in Algeria
quando non ricevono quell'appoggio, come accadde quando gli Stati Uniti si astennero dal
votare contro la risoluzione afro-asiatica sull'Algeria all'Assemblea Generale dell'ONU.
Inoltre, gli amministratori coloniali del Kenya
rallentano il passo nel mettere in atto i programmi americani di aiuto scolastico, e la
stampa colonialista in molti paesi amministrati
dagli inglesi, dai belgi e dai francesi continua
a distorcere e ad alterare l e notizie concernenti
i rapporti razziali e i diritti civili negli USA.
I saccentoni colonialisti tacciono del progresso
americano verso l'eguaglianza giuridica e sociale, preferendo diffondere una immagine alla
Little Rock = del loro socio atlantico tradizionalmente anticolonialista. In generale, gli Stati
Uniti non si sono fatti valere contro questi
atteggiamenti colonialisti e queste politiche poco
amichevoli. Un recente rapporto preparato per
la commissione senatoriale degli esteri dal pro-
.
COMUNI D'EUROPA
dicembre 19 60
Africa 1935: tre foto del nostro Direttore (bambini italiani nella Casbah di Tunisi; la Grande-Poste di Algeri; Medina vecchia a Casablanca)
di iin mondo definitivamente mutato.
fessor Melville Herskovits, del Programma di
Studi Africani della Northwestern University.
dichiara che gli Stati Uniti non hanno mai
avuto una politica positiva, ciinamica per 1'Africa. Fino a pochissimo tempo fa, abbiamo guardato a l persistente controllo esercitato da potenze europee amiche come ad una garanzia
d i stabilità e solida cooperazione, e ci siamo
mostrati riluttanti a riconoscere che il principio
dell'autogoverno è pienamente applicabile alle
Con parole indicative della
sue popolazioni
rivalutazione dell'Africa, ora in corso in America, e derivante dalla a scoperta = dell'Africa
come continente rivoluzionario, il rapporto
passa a raccomandare: a La politica degli USA,
nel perseguimento dei suoi interessi più vitali,
e in armonia con l'azione di alcuni nostri alleati della NATO, dovrebbe essere guidata dalla
previsione della preminenza degli africani nell'Africa a sud del Sahara
Com'è chiaro, ciò
significa che gli Stati Uniti non debbono più
prevedere o accettare una permanente egemonia o supremazia europea nell'Africa.
Sfida per Z'Occide~zte.L'Occidente deve trarre
profitto dalla sua rivalutazione dell'Africa. superare la confusione e i litigi e affrontare la
sfida lanciata dalla rivoluzione africana con
dignitosa generosità. L'alternativa è di provocare un graduale estraniamento dell'Africa
dall'occidente. Quali probabilità vi sono che
l'Occidente ponga mente a questa necessità?
I1 rinnovato vigore econumico delle nazioni
europee sembra averle preparate ad accettare
un ruolo crescente nello sviluppo economico
dei paesi africani ed asiatici, forse, in parte,
come risultato dell'insistenzs degli USA affinché
l'Europa
faccia la sua parte D. I capi e gli
intellettuali occidentali pensano di più e con
maggior impegno all'Africa. I1 sempre più vasto
interesse per l'Africa si riflette in un certo
numero d i proposte generali, che rivelano una
crescente preoccupazione su come collegare i
mezzi occidentali ai bisogni africani. S i prendano tre esempi: il nuovo a piano Monnet a ,
una poco nota proposta del Consiglio d'Europa
e il = rapporto Herskovits m.
L'influente Comitato d'Azione per gli Statj
Uniti d'Europa di J e a n Monnet ha proposto
recentemente che la CEE dia vita e partecipi
ad un ambizioso programma internazionale per
elevare i redditi individuali, nei paesi meno
sviluppati. di una media del 25 per cento nello
spazio d i dieci anni, ossia all'incirca di un 2
per cento all'anno. Per affrontare questa meta,
la proposta sollecita un contributo annuale di
fondi esterni per un totale di circa 4.600 miliardi di lire, da aggiungersi a l risparmio locale.
Escluso l'aiuto sovietico, questo rappresenta
quasi 2.500 miliardi di lire all'anno in più di
quanto venga attualmente investito, e rappresenta circa l'uno per cento del reddito nazionale
2 .
3.
complessivo dei paesi sviluppati dell'occidente.
I1 Comitato d'Azione ritiene che se l'Europa
lanciasse un programma di tale ampiezza, gli
Stati Uniti e altri paesi potrebbero e vorrebbero associarsi, e che ciò, a sua volta, consentirebbe la realizzazione di quel tipo di programma
d'aiuti, cooperativo e allargato, a i paesi meno
sviluppati, che è stato varie volte sostenuto dai
presidenti Eisenhower e De Gaulle.
Indipendentemente dagli sforzi di Monnet.
quello che è probabilmente il corpo parlamen-
All'incirca 370 miliardi di lire di capitale
americano sono direttamente o indirettamente investiti nell'economia, in forte
espansione, del Sud Africa: più che in
tutto il resto dellfAfrica preso insieme.
Questo interesse finanziario ha condizionalo in passato la politica americana verso
questa zona. I vantaggi economici a breve
scadenza non possono tuttavia controbilanciare il danno crescente che una silenziosa
accettazione delle iniquità razziali può
arrecare all'influenza e al prestigio americani in tutta l'Africa. Inoltre, le risorse
resesi d:sponibili altrove hanno alquanto
ridotto la dipendenza delllAmerica dall'uranio sudafricano, rafforzando pertanto
gli argomenti a favore del disimpegno
degli USA.
tare più tenacemente ignorato d'Europa, 1'Assemblea Consultiva del Consiglio d'Europa, ha
proposto quel che possiamo considerare il programma più specifico, originale e negletto di
assistenza europea allo sviluppo dell'Africa. A
richiesta dell'Assemblea Consultiva, un Gruppo
di Studio per lo Sviluppo dell'Africa venne
convocato nel 1956 e nel 1957 allo scopo di
elaborare s proposte intese a incoraggiare e
accelerare lo sviluppo economico e sociale dell'Africa, ed elevare il livello di vita delle
popolazioni airicane... attraverso la cooperazione su un piede di parità tra i paesi africani
e i paesi membri del Consiglio d'Europa m.
Composto di esperti indipendenti, tra cui un
certo numero d i africani, e diretto da Edmond
Lucas. un funzionario temporaneamente ceduto
dall'OECE, il Gruppo d i Studio si mise al
lavoro e presentò il suo rapporto finale nel
settembre 1957.
I1 Consielio d'Europa e il suo pendnnt economico, l'OECE, hanno il notevole vantaggio di
essere organizzazioni ombrello ., che comprendono non solo i membri della CEE, ma anche
quelli delllEFTA. Inoltre, essi sono immuni dalle
C
caratteristiche militari connesse alle attivita
che vengono svolte nel quadro della NATO.
Infine. la permanente associazione degli USA
e del Canadà con l'OECE costituisce un interessante precedente per la collaborazione nordamericana. Sulla base di queste considerazioni,
il rappoito del Gruppo di Studio ha messo in
evidenza la necessità di trarre le risorse tecniche e di capitale da tutti i paesi occidentali, e
non solo dai paesi europei aventi respo~sabilità
coloniali.
Affermando che la sua preoccupazione fondamentale si riferisce all'elevamento dei livelli
di vita delle popolazioni dell'Africa, il Gruppo
di Studio ha segnalato l'esigenza di preparare
gli africani ad una partecipazione efficace a
tutti i programmi di sviluppo. Per questi programmi h a raccomandato strutture cooperative
il più possibile simili a quelle del Piano di
Colombo per l'Asia del Sud e del Sud-est
Più precisamente - secondo questa formula i governi elaborerebbero e presenterebbero i
programmi di sviluppo nazionale. e indicherebbero l e valutazioni e le previsioni sulle
quali sono basati, nonché l'assistenza esterna
occorrente per la loro realizzazione. I governi
partecipanti si associerebbero, quindi, in uno
studio generale svolto alla compilazione di un
panorama generale dei problemi di sviluppo
(scientifici, tecnici, amministrativi, finanziari,
commerciali, ecc.) del continente africano;
s questo
panorama coprirebbe un periodo di
cinque anni, e determinerebbe l'entità totale
dell'assistenza esterna occorrente per portar6
a termine i progetti di sviluppo. Servirebbe
pure come base per determinare quali misure
dovrebbero prendere i governi partecipanti, sia
individualmente che congiuntamente, allo scopo
di ovviare alle manchevolezze e colmare le
lacune degli accordi esistenti di assistenza
esterna. In tal modo, i programmi di aiuto
bilaterali come quelli degli USA e d'Israele, i
prestiti e l'assistenza multilterali della Banca
Internazionale e dell'ONU, gli investimenti privati - di capitale sia interno che straniero e i tentativi per risolvere problemi comuni,
come la stabilizzazione dei prezzi delle materie
prime, potrebbero tutti esser trattati come elementi di un programma di sviluppo totale.
I1 rapporto ha raccomandato la creazione di
alcune nuove strutture per facilitare l'esecuzione del suo programma, e per intcgrare le
istituzioni internazionali già esistenti, come la
Banca Internazionale. Queste strutture sono:
1) un Comitato Consultivo, che dovrebbe fungere da organo programmatore a l livello ministeriale, e in cui tutti i governi partecipanti,
sia africani che europei, sarebbero rappresentati su un piede di parità; 2) un Comitato
Permanente di Coordinamento per svolgere il
lavoro d i base e fungere da organo esecutivo
11.
dicembre 1960
19
COMUNI D'EUROPA
per il Comitato Consultivo; 3) una Banca per
lo Sviluppo Africano. che dovrebbe concedere
prestiti di sviluppo ad interesse, garantire i
prestiti contratti dai paesi africani sul libero
mercato finanziario e assicurare una quota degli
investimenti privati contro i rischi non commerciali; 4) un Fondo Africano per gli Investimenti, che conceda prestiti e sovvenzioni a
programmi sociali ed economici di natura non
commerciale, non di lucro. Questo fondo si
affiancherebbe, o sostituirebbe il Fondo d i
Sviluppo della CEE, e le sue risorse consisterebbero in contributi iniziali da parte d i tutti
i paesi partecipanti, e in contributi periodici
da parte di paesi non africani, determinati, ad
esempio, in proporzione al volume totale degli
scambi annuali (importazioni ed esportazioni
totali) di ciascuno d i essi con l'Africa D ; 5) un
Ufficio di Assistenza Tecnica incaricato di organizzare la cooperazione tecnica e scientifica
tra i paesi africani partecipanti, i cui compiti
potrebbero essere affidati all'esistente Comitato
per la Cooperazione Tecnica nell'Africa a Sud
del Sahara.
L'intenso lavoro che diede vita a l rapporto
del Gruppo di Studio per lo Sviluppo dell'Africa è stato compensato dall'approvazione
delllAssemblea Consultiva, priva d i poteri, da
qualche studio compleme~ltaresu aspetti specifici delle sue proposte, come l e garanzie dei
prestiti e l'assicurazione degli investimenti, e
dalla totale inazione dei governi europei. I1
rapporto resta, tuttavia, una solida base su cui
potrebbe ancora essere fondata una razionale
collaborazione tra l'occidente e l'Africa.
D'altronde, il riconoscimento della necessità
di una tale collaborazione non è limitato alla
Assemblea Consultiva di Strasburgo. Ne è prova
evidente la duplice decisione raggiunta nella
riunione del dicembre 1959 dei Quattro Grandi
occidentaii a Parigi, in cui i capi occidentali
si sono accordati per cercare d i armonizzare le
relazioni tra i blocchi commerciali entro la
comunith occidentale, e per esplorare nuove
possibilità di programmi di aiuto più diffusi ai
paesi meno sviluppati; e ne è prova anche il
Rapporto Uuvieusart ,) presentato in ottobre
all'Asserfiblea Parlamentare Europea, che ha
suggerito la creazione d i un equivalente africano delllOECE.
Un riconoscimento analogo di questa esigenza
è palese, sull'altra sponda dell'Atlantico, nel
cc Rapporto
Herskovits
Dopo aver affermato
che l'America dovrebbe immediatamente riconsiderare i suoi programmi di aiuti africani, il
rapporto fa l a seguente raccomandazione: x Per
aumentare l'efficacia dei futuri contributi, si
dovrebbero fare sforzi per sviluppare accordi
regionali, più o meno analoghi a l Piano di
Colombo, che forniscano un'ossatura alla cooperazione tra i paesi dell'Africa a sud del
Sahara. la Comunità Economica Europea, il
Commonwealth britannico, gli USA, e altre nazioni disposte a partecipare ad azioni intese a
promuovere lo sviluppo economico di quella
zona *.
Alcune altre nazioni z già = partecipano ad
azioni intese a promuovere lo sviluppo economico
dell'Africa. I1 governo d'Israele ha
aiutato il Gana a creare una flotta mercantile
ed un'accademia navale. Presta assistenza tecnica e sta sviluppando gli scambi con un certo
numero di paesi africani. Sta anche portando
africani in Israele per studiare la silvicoltura,
la conservazione del suolo, l'irrigazione, l'itticoltura, l e tecniche di vendita, la medicina
veterinaria e l'amministrazione delle cooperative. Inoltre, la Germania orientale, la Cecoslovacchia e altri stati dell'Europa orientale
hanno cominciato a mandare in Africa ingegneri. agronomi e missioni commerciali. L'Unione Sovietica ha cominciato a concedere prestiti d i sviluppo B. L'Etiopia e la Guinea stanno
ricevendo assistenza sia tecnica che finanziaria
dal blocco sovietico. Gli aiuti comunisti, tuttavia, potrebbero essere resi meno sospetti
politicamente - e quelli di Israele forse più
efficaci - se venissero entrambi integrati con
l'assistenza occidentale in un comune programma multilaterale di sviluppo africano = t i p o
Colombo n, piuttosto che conservare il loro
attuale carattere bilaterale.
Infine, l'assistenza dell'ONU e dei suoi enti
specializzati, finanziata in larga misura dall'occidente, dovrebbe pure essere coordinata
con un eventuale programma generale di sviluppo per l'Africa. I1 Fondo Speciale dell'ONU
per lo sviluppo economico, che ha cominciato
a funzionare nel 1959, concorrerà con quasi
.
8 miliardi di lire a i programmi africani per
il 1960. La F A 0 ha aperto nel 1959 una sede
regionale ad Accra, nel Gana, mentre l'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha ora in
funzione un ufficio distaccato a Lagos, i n Nigeria, per mezzo del quale è in grado di offrire
consulenza e preparazione tecnica sulle leggi
del lavoro e sulla sicurezza sociale. L'UNESCO
si è impegnato in un programma di incoraggiamento delle biblioteche pubbliche in Nigeria,
e ha intrapreso uno studio i n loco mirante a
promuovere l'educazione delle donne africane.
Infine l'organizzazione Mondiale della Sanità
ha mandato nel continente africano, durante
l'anno passato, quasi cento specialisti, i quali
hanno eseguito vaccinazioni e inoculazioni, e
lavorato per il miglioramento sanitario in vari
villaggi d i ogni parte dell'Africa.
Questi programmi, come tutti gli altri, debbono essere coordinati nel quadro il più vasto
possibile.
Sfida per l'Africa. Finché raggruppamenti
economici rivali, e disaccordi intorno a l principio o a i tempi della decolonizzazione, dividono le potenze occidentali, l'azione comune
dell'occidente per lo sviluppo economico e
sociale africano continuerà ad apparire ambigua.
Che cosa si può fare, dunque, per stimolare
un'azione razionale e comune? Quali nuove
pressioni potrebbero essere esercitate sui capi
occidentali per convincerli che la duplicazione
I>.
C
.
e le azioni interferenti che lasciano intatte certe lacune debbono essere eliminate con l'adozione di uno schema comune? Gli africani
dovrebbero esercitare pressioni per conto proprio?
Al livello governativo, forse attraverso la
progettata Comunità degli Stati Africani Indipendenti, i paesi delllAfrica che godono dell'autogoverno potrebbero patrocinare l'elaborazione di un programma di sviluppo su scala
continentale. S e i governi africani mettessero
l'occidente di fronte a precisi suggerimenti
per uno sviluppo armonizzato, e si impegnassero concretamente tra di loro in imprese
cooperative, si troverebbero senza dubbio nella
posizione di negoziare con la forza morale e
materiale di una voce unificata, e di ottenere
una maggiore attenzione da parte delle potenze
occidentali. Con l'assistenza del personale della
Commissione Economica dell'ONU per l'Africa,
e con idee e ispirazioni tratte dal lavoro del
Gruppo di Studio del Consiglio d'Europa e
dall'esperienza del Piano di Colombo, gli stati
africani potrebbero formulare un piano generale di sviluppo economico e sociale dell'Africa.
Essi potrebbero ottenere, in tal modo, che la
partecipazione ai piani di sviluppo e alle zone
di libero scambio della CEE, della Comunità
francese, e del Commonwealth britannico, non
provochi divisioni e conflitti regionali all'interno delllAfrica. Potrebbero attirare assistenza
economica e tecnica da tutte l e parti, inclusi
gli USA, e presumibilmente alcuni dei paesi
comunisti, liberi dai pericoli delle pressioni
economiche neocoloniali che possono derivare
dai programmi d i aiuto bilaterali, e dall'eccessiva dipendenza d a una sola fonte d i aiuti.
Al livello non governativo, i capi politici
africani potrebbero considerare la prospettiva
di arrivare ad un Movimento Africano. Impegnato a promuovere l'unificazione dell'Africa,
così come il Movimento Europeo deve facilitare
l'unificazione dell'Europa, un Movimento Afri-
Qualsiasi soluzione che non si traduca
nella pacifica e progressiva liquidazione
dell'autocrazia europea nell1Unione del
Sud Africa, nelllAfrica del Sud-Ovest, nella
Federazione Africana Centrale della Rhodesia e del Niassa, nell'Angola e nel Mozamblco, sarebbe inumana e disastrosa.
cano potrebbe contribuire a popolarizzare la
causa dello sviluppo economico razionale su
scala continentale, e operare per mitigare le
rivalità di tribù e l e altre rivalità interne. Non
potrebbe la Conferenza di Tutti i Popoli Africani fondare un tale Movimento per pianificare
e conquistare appoggi alla costruzione postcoloniale d i un'Africa unita? L'entusiasmo per
l'unità africana latente nella giovane élite colta
è la misura del dinamismo potenziale di un
simile movimento. Necessiterebbe di contributi
finanziari relativamente modesti, e, così come
il Comitato Americano per l'Europa Unita ha
dato assistenza materiale a i movimenti che si
battono per l'integrazione europea, è ragionevole attendersi che la causa dell'unità africana
troverebbe rispondenza negli Stati Uniti, specialmente tra i 17 milioni di americani di
discendenza africana.
Un Movimento Africano potrebbe incontrarsi
con il suo equivalente europeo su un piede di
parità, e procedere a un fruttuoso dialogo e a
scambi tecnici. Potrebbe incoraggiare un nuovo
tipo di relazione umana tra gli africani e gli
europei, creando, ad esempio, contatti con l'ala
sinistra anticolonialista del Movimento Europeo,
e con il Congresso del Lavoro Europeo fondato
a Parigi a metà del 1959. Potrebbe fornire gli
strumenti organizzativi per elaborare e promuovere programmi di cooperazione internazionale e sopranazionale sia entro l'Africa che
tra l'Africa e altre zone.
In associazione con altre organizzazioni come
il Movimento Europeo e il Congresso per la
Libertà della Cultura, potrebbe organizzare
convegni di studio su argomenti quali il federalismo, la cooperazione e l'organizzazione internazionale e l e unioni doganali. Questi convegni
potrebbero essere integrati da visite all'estero
miranti a familiarizzare i capi africani con
la struttura e il funzionamento delle istituzioni pubbliche e private più significative per
le aspirazioni africane. Queste istituzioni potrebbero comprendere la CEE, la CECA e
l'EURATOM, l'OECE, il Benelux, il Consiglio
Settentrionale, il Consiglio d'Europa, la Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi,
la Confederazione Internazionale dei Sindacati
Cristiani, le cooperative e i programmi di assistenza sociale scandinavi e i consigli di fabbrica della Jugoslavia. Altri esempi potrebbero
essere i Kibuzim, e l'organizzazione sindacale
Histradut di Israele, i sistemi federali del Canadà, dell'India e degli USA, l'organizzazione
degli Stati Americani, la Lega Araba. il Piano
di Colombo, e. naturalmente, qualsiasi altra
istituzione importante dello stesso continente
africano.
La rivoluzione africana è ancora in un periodo = influenzabile B. Attraverso il libero dialogo con le organizzazioni culturali e tecniche
occidentali, un Movimento Africano potrebbe
contribuire a incanalare un'. influenza D occidentale positiva nella nuova Africa: non solo
un'influenza tecnologica, ma un'influenza etica
che inviti gli africani a unirsi a tutti gli uomini
illuminati nel perseguimento degli ideali della
conoscenza, della libertà e della dignità umana.
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
Bilancio e u r o p e o d e l 1960
di Magda da Passano
L'antica saggezza greca consigliava di compiere il bilancio morale della vita di un uomo
solo alla fine dei suoi giorni. Applichiamo
questo saggio principio alla storia dei nostri
tempi e facciamo - ormai che possiamo! il N bilancio n delle nazioni europee. I paesi dell'Europa, con il loro carattere di nazionalità
particolari, stanno per chiudere (alcuni hann3
già chiuso) la loro esistenza storica. Possiamo
forse considerare il 1960 come l'anno di chiusura di molti bilanci di nazionalità esasperate.
Quelle che restano vanno viste come fenomeni
ritardati di un processo storico già scontato e
ciò che rimane di alcune di queste Nazioni
con la maiuscola, è un residuo concentrato
che serve a darci l'idea d i auello che muore
con esse. Cosa nasce dalle loro mediocri rovine?
Non da loro. ma dalla forza dello spirito umano
nasce una idea nuova: essa corrisponde a i suoi
più profondi desideri d i libertà e di pacifica
convivenza tra gli uomini; essa tiene conto, non
per umiliarle ma per rispettarle, delle differenze storiche ed etniche dei popoli: è l'idea
delle grandi federazioni a misura continentale.
Solo così il bilancio approda a qualche utilità. Altrimenti, prese per sé l e singole storie
dei nostri paesi europei attraverso tutti questi
scarni anni di pace ipotecata, si presenterebbero
alla nostra osservazione come una inutile chiusura di conti d i annate magre. Questo bilancio
visto in chiave europea è l'unica dignità che
ci resta. Al d i fuori di questa null'altro possiamo vantare se non modeste e particolari
abilità di tipo semi-folcloristico per le quali
saremo - presi ognuno per sé - più o meno
valutabili sui grandi mercati: si verrà a cercare
in Europa abili meccanici o cantastorie ...
Molte cose che scuotono il mondo (dicono poi
coloro che credono d i dover guardare molto più
lontano) succedono ancora oltre i nostri confini europei: occorre allargare maggiormente
il nostro orizzonte ... siamo misura particolare
di un immenso universo politico ... Non è vero:
noi non siamo più niente, in questa prospettiva,
perché non esistono ancora strutture stabili di
tale misura che ci consentano sinceramente di
definirci cittadini di un vasto mondo politicamente organizzato. cc L'Italia - diceva i n gennaio del '60 il Presidente Segni nel discorso
rivolto a l Cancelliere Adenauer venuto in visita
nel nostro Paese - non intende sottrarsi alle
sue responsabilità. Noi speriamo che il desiderio
di pace assuma forme sempre più concrete e
che l'Europa unita possa, insieme con i suoi
alleati e i suoi amici, apportare un contributo
decisivo al processo di distensione... n. In questo brano d i discorso si ravvisa tutto il carattere della singola impotenza dei nostri Stati. I
Governi IC sperano n, i paesi hanno I( alleati )I ed
amici
tutta un'atmosfera di autunno politico
pervade i discorsi dei Presidenti del Consiglio.
Ed anche quando una fattiva energia ne anima i
programmi interni un angusto senso d i chiusura
provinciale fa sì che si debba considerare
inutile zelo mal riposto la loro attività di
Governo. La babele europeistica ha invaso ormai ogni settore di accordo internazionale
europeo: si parla di 0 Europa unita come se
fosse una realtà operante, capace addirittura
di porsi ad arbitra neutrale e sapiente delle
controversie ideologiche intercontinentali, e più
non ci si orienta - in effetti - tra le formule
di intesa: un Governo che non h a ancora deciso
se operare verso l'unità, attraverso il Consiglio
d'Europa o attraverso la Comunità Economica
Europea, attraverso l'Unione Europea Occidentale o percorrendo addirittura la strada contorta
della NATO, può onestamente essere giudicato
come un Governo che vuole (gli esecutivi non
sono eletti per K sperare n!) l'unità dell'Europa?
I1 discorso sull'Europa ritornerà nei suoi dettagli alla fine di questo panorama europeo
dell'anno che finisce qui. L e date stesse degli
appuntamenti invernali ci riporteranno a questo tema, così come le sfoglieremo dal calendario. E si vedrà che a l massimo questa pretesa
(C
)I;
11
esistente unità può essere definita - alla maniera la più tradizionale - una II entente cordiale di buona memoria.
11
Si dice che un giorno la Marchesa Du Deffand discorrendo col Cardinale De Polignac
della pietosa leggenda d i S. Dionigi che, come
si sa, sarebbe andato, decapitato, portando in
mano la sua testa da Montmartre a St. Denis
(dove sorse poi la Chiesa a lui dedicata). a
proposito di quegli increduli che osservavano
che il Santo non poteva aver compiuto un
viaggio cosi lungo, in quell'atteggiamento, abbia
osservato spiritosamente: ,Cil n'y a que l e premier pas qui coute D !
Così la Francia, meno miracolosamente di
S. Dionigi, ha decapitato la sua democrazia, e
questa ha percorso fin qui un cammino scomodo, lasciando che la mano portasse la testa,
che l'esecutivo quindi avesse uno strapcitere.
Non è il cammino lungo che ci sorprende (la
Marchesa Du Deffand ci è maestra davvero)
ma ancora non ci sappiamo spiegare come essa
abbia potuto compiere il primo passo. E dubitiamo d'altronde che nel luogo ove si conclude
il viaggio della decapitata democrazia francese
da Parigi ad Algeri, possa sorgere un tempio
a lei dedicato!
Alla vigilia di Natale del 1959 l'Assemblea
nazionale francese approvò il progetto governativo sulla scuola, che disciplinava economica-
Parigi, 24 diceinbre 1959: l'Assemblea h'aziorlale francese approva la legge sulla scuola.
mente il problema delle scuole private. Diciam3
(1 economicamente 11 perché a detta d i documentati analizzatori del progetto di legge. esss
non conteneva altro che garanzie finanziarie da
parte dello Stato verso la scuola privata: lo
Stato si accollava infatti la retribuzione degli
insegnanti mentre la scuola privata accettava
un controllo finanziario, ma cmtinuava a godere di quasi assoluta libertà all'interno. Questo
fatto che può apparire come uno dei tanti atti
legislativi del Governo Debré, destinato cioè
a non richiamare tanta attenzione oltre a
quella - sia pure larga - degli ambienti
interessati, determinava invece una grossa incrinatura nella compagine governativa francese.
Si sa come si risolvono, in regimi non democratici, o non tali a pieno, l e crisi governative:
con le dimissioni del Ministro dissidente e l'interim del Presidente del Consiglio. Così avvenne: l'ex socialista (la Francia sembra traboccare
d i (I e x socialisti 11, che hanno troppo spesso la
sola funzione di togliere l e castagne dal fuoco
per il Governo) Boulloche abbandonava il suo
posto. Un anno è passato: J o z e (1) ha affrontato un compito altrettanto e più difficile e
denso di pesanti responsabilità politiche ed
umane: risolvere la fase culminante della
questione algerina. La Francia, con la sua
incapacità di trovare ormai una soluzione d i
vero compromesso in Algeria (e in altre zone
meno vicine a noi ma ancora d i sua appartenenza), di ritrovare la sua chiara via democratica, il suo posto dignitoso fra l e nazioni
europee e il suo ruolo di sollecitazione di
una politica illuminata tra le grandi alleanze
intercontinentali, è stato il problema d i ogni
giorno di questo anno negativo per la politica
europea. Vi sono a volte dei tempi d'arresto
nella storia delle civiltà umane. Anche il più
gretto conservatore francese saprebbe vedere.
se lo volesse, che questo per la Francia non è
che un temporeggiare. Temporeggiare tuttavia
è importante: è stato infatti essenziale per quelI l ) Già segretario generale - nel 1943 - del Comitato
francese di Liberazione nazionale e subentrato appunto
a Boulloche, come Ministro deli'Educazione nazionale.
l e piccole minoranze, economicamente fortissime,
d i francesi d'Algeria che hanno potuto, grazie
alle dosate promesse di De Gaulle e del Governo, sloggiare senza troppo rischi economie;
da quel territorio che si avvia - inesorabilmente, ma chissà ancora attraverso quali tempeste - a diventare indipendente. Può darsi
che si possa concordare su alcuni punti con
loro (con questi sapienti amministratori dei
propri beni e delle altrui potenziali proprietà)
e concludere che la via dell'indipendenza reale
- politica ed economica - dell'Algeria, è
ancora assai lunga. Può darsi che l'Algeria
non intraveda neppure - ancora oggi - i
giusti termini di tale indipendenza. Come può
un paese trovare sé stesso prima di essere stato
tale? Quello che oggi appare chiaro, forse più
chiaro che mai, a l neo ministro Joxe, è che
siamo arrivati alla fase di liauidazione della
questione. Attraverso quali forme? P e r prima
cosa - h a proposto De Gaulle - un referendum. Egli è stato in Algeria per cercare di
prendere altro tempo. Questa volta la sua abilità oratoria deve ottenere l'ultimo sforzo di
non comprensione da parte dei mussulmani e
(se è possibile) dei francesi d'Algeria: egli dovrà
essere abbastanza abile da far credere che il
referendum porti a tutti la cosa voluta, l'integrazione con la Francia agli integrazionisti (integrazione... che brutta parola, scontata ormai
tanto in Europa!), per ottenere che essi votino
e votino a favore. Impresa non facile, anche
se probabilmente può contare sull'appoggio di
certa parte dei militari che hanno mezzi sempre assai convincenti per ottenere voti. Tant-J
più che ci troviamo un'altra volta in una situazione limite per la democrazia, della quale il
'refe'rendum è istituto spurio.
I1 Fronte di Liberazione Nazionale ha,
dalla sua parte, il vantaggio dei nazionalisti di colonia: la chiarezza delle prime
tappe da raggiungere e - prima fra tutte quella essenziale della partenza dei colonizzatori. E' la sola cosa che gli si può invidiare.
P e r il resto non pare che esso abbia i n serbo
per un ipotetico, immediato domani d i libertà,
qualcosa d i sicuro da porre a fondament3 della
sua politica. Qualcosa di sicuro non l'hanno
- sembra - neppure gli altri Stati afro-asiatici
in fermento: dall'Etiopia a l Nepal.
Tutto quello che abbiamo letto sui giornali
- europei e no - della difficile e dolorosa
situazione algerina, tende a volte a metterci in
una posizione errata. Abbiamo sentito qualcuno
dire che la questione algerina è, come altre,
una situazione particolare, quasi episodica. Invece, la vera intelligenza del mondo nel quale
viviamo ci impone di saper distinguere quando
una questione ha confini veramente limitati e
quando invece essa, anche automaticamente soltanto, appartiene a una catena di avvenimenti, termini singoli d i una più ampia manifestazione storica nuova. Forse quindi i disordini
della Martinica (l'isola ancora francese dei Caraibi, di alterna appartenenza nei secoli passati, comunque oggi ancora francese) sono una
estrema punta geografica di un vasto sistema
di ricerca d i indipendenza e di autonomia. Esso
ha i suoi cardini appunto in Africa e in America Centrale. L'isola francese, non abbastanza
importante apparentemente per sollevare consensi larghi o rancori a Parigi, e non abbastanza
inutile come territorio per sfuggire alle sollecitazioni del movimento di insurrezione sviluppatosi tutto all'intorno, col suo porto d i Fortde-France, resta ancor oggi un importante punto
di sosta dei grossi carichi petroliferi e per le
acque della Martinica passano l e rotte dirette
a e da Panama. Forse i nonni lontani del generale De Gaulle quando sterminarono la popolazione dei Caraibi e portarono sull'isola schiavi negri a coltivare caffè e altro, credettero di
aver risolto per sempre il problema. I problemi
umani non si risolvono mai all'infinito, almeno
con mezzi del genere. Da Algeri alla Martinica
la Francia è respinta i n Europa: ed ora, proprio
la Francia che di questa Europa occidentale è
stata per tanto tempo la bandiera. sembra odiare
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
come estranea alla sua natura la civiltà del
vecchio continente. Essa si sforza soltanto di
riconoscersi o è veramente ridotta a quella esigua Francia prepotente, incapace di trasformarsi
o di morire, residente in Algeri e dintorni? Di
Europa si sono - è vero - riempiti la bocca
uomini politici francesi assai lontani, per convinzioni e programmi, da una reale unità politica
della Piccola Europa. Abbiamo sentito perfino
Pinay, alla vigilia della sua strepitosa uscita dal
Governo (ecco altre dimissioni importanti dal
Governo Debré), accusare la politica di De
Gaulle come mancante di preoccupazioni in
senso europeo. Oggi si può onestamente dire
che l'aver esonerato Pinay dalle sue funzioni
di Ministro delle Finanze, non ha però portato
il Governo a un sostanziale mutamento di politica. Basta vedere, per confermarci nella nostra
Robert Schuman
idea, quanto siano stati al contrario modificati
nella sostanza i progetti di legge che motivarono
l'uscita di Pinay dalla compagine governativa.
Poiché quella che Pinay aveva definito addirittura una 11 politica socialista del Governo,
era soltanto un i<illuminato
neo-capitalismo
preoccupato di creare: una società izazionalizzata per il petrolio sahariano, un ente di riconversione industriale. e di associare, nella misura
di un quarto, la rappresentanza sindacnle nei
consigli d'amministrazione. Come sa ogni europeo d'Occidente queste tre non sono altro che
pallide finzioni di una politica di sinistra, mezzi
per attirare un po' di popolarità al Governo.
D'altra parte, lo abbiamo visto, il legame con i
settori socialisti pareva, con le dimissioni di
Boulloche, spezzato del tutto. Si tentò perciò
questa via. In realtà il primo progetto
pur
disturbando il cartello internazionale del petrolio - non avrebbe avuto, dato il carattere
della Quinta Repubblica, una chiara forma di
ente di pubblico controllo; quanto all'ente di
riconversione industriale, sappiamo bene ormai
quanto queste iniziative si risolvano in una
sanatoria (operata dallo Stato) di situazioni di
perdita; sanatoria della auale si avvantaggia,
di solito, assai più il capitale privato in crisi
che non le finanze dello Stato e auindi l'interesse dei cittadini. In ciò, pur con il frasario
e gli argomenti classici degli ottimi tecnici delle
Finanze di tipo tradizionale, Pinay aveva giustamente osservato che questo provvedimento
avrebbe salvato le industrie zoppe
Quanto
alla sua terza critica essa era poi forse la più
vera di tutte, ma per motivi che sfuggono, necessariamente, ad un uomo politico delle idee
di Pinay Egli parlò di 11 sovietizzazione 1, delle
aziende, attraverso l'immissione della rappresentanza sindacale nella Amministrazione delle
società in quanto i sindacati sono per la maggioranza comunisti. Orbene la sovietizzazione
vera consisteva invece nel fatto che ad una
- sia pure limitata - possibilità di intervento
nella direzione economica delle aziende, non
corrispondeva poi sul piano generale, sia parla,I
-
11.
mentare che di strutture di grande programmazione economica, una libertà politica che
consentisse una piena funzione di democratico
potere. Tuttavia il Ministro delle Finanze usciva
dal Governo, con l'occasione di questi tre progetti, nel tentativo probabilmente di riserbarsi
per il futuro. Un futuro che egli ed i suoi
alleati politici volevano determinare a favore
appunto di una limitata Francia che ha dalla
parte sua una grande arma: quella di conoscere chiaramente i suoi interessi a breve scadenza. Perciò accusare, come molti hanno fatto,
Pinay di miopia, significa solo dire che a i suoi
oppositori - democratici più o meno, a seconda
dei casi - manca la capacità di fissare le tappe
della loro ideologia e della loro azione politica.
De Gaulle stesso mancò di questa chiarezza.
Egli cominciò la serie dei viaggi, fuori e dentro la Francia. Sembrava alla ricerca di un
consenso del quale non era più così certo. Anche nella periferia algerina era alla ricerca
di un consenso. Ma questa volta sembrava aver
capito che ciò che a lui e alla Francia bastava
ormai - doveva bastare - era un consenso sulla
limitata questione del referendum. Egli si è
finalmente posto delle tappe, almeno una prima
tappa. Ha intanto nominato un esecutore testamentario della Francia in Algeria! Non ci piace
certo ricercare delle analogie che si risolverebbero, qualora l e riscontrassimo vere, in una
ulteriore disapprovazione del regime gollista,
ma non è un caso il fatto che Pinay sia stato
per tanta parte il consigliere finanziario del
Governo Pétain e di quello del Generale De
Gaulle.
Dicono che il Generale si inquietasse molto
per essere chiamato semplicemente Presidente
dal suo Ministro delle Finanze, e che un giorno
abbia osservato a Pinay: cc Lei si sbaglia di Repubblica ) I . Abbiamo l'impressione che anche
De Gaulle si sbagli di Repubblica e che stia
giocando con una Costituzione repubblicana
con troppa disinvoltura.
I fatti sanguinosi e drammatici dell'Algeria,
che qualcuno si ostina ancora a interpretare
come un fatto di rivalità tra due nazionalità
diverse, semplificando il contrasto che è assai
più complesso, sono la lotta della Francia colonialista contro la Francia europea, che non ha
ancora riconosciuto le sue forze politiche. Lo
stesso nazionalismo della Francia è in violenta
discussione con sé stesso sul suolo africano.
Tutti ricordano il tragico scherzo dell'intervista del Generale Massu al quotidiano bavarese
Suddeutsche Zeitung 1). Essa denunciò chiaramente la politica di De Gaulle e fu, anche per
i più ciechi, la dimostrazione che perfino l'esercito metteva in discussione gli ordini del Governo. Sappiamo - tutti noi europei ne abbiamo già fatto l'esperienza - che cosa significhi
quando gli eserciti non sanno più ubbidire e
si credono autorizzati ad attribuirsi un valore
trascendente N , che v a al di là cioè della
loro funzione di mezzi per tutelare le libertà
dei popoli e l'autorità dei Governi. Tutto il
discorso di Massu era dello stile della più classica pirateria e neppure l e smentite, seguite di
pochi giorni da Parigi, dove il generale fu
convocato d'urgenza, riuscirono a diminuirne
l'impressione nel mondo. A proposito della
richiesta se De Gaulle avesse o n o un'idea
chiara circa la politica da svolgere in Algeria,
il generale rispose: cc non lo so. E se ne ha una,
essa non corrisponde alla nostra ... Egli chiedeva inoltre procedimenti speciali giudiziari
da attuare in Algeria e non a Parigi, contro
i tentativi antifrancesi dell'FLN. Egli - con
una di quelle idee economiche che ben si addicono a i militaristi - proponeva la distribuzione
di ampie zone di bosco tra gli arabi. E infine
chiudeva con frasi ambigue e minacciose l'intervista, lasciando chiaramente capire che l'esercito era pronto, i n larga parte, a disubbidire a
Parigi. I1 tentativo di durezza del Governo,
succeduto a questo episodio, non fu in realtà
nulla di fatto: i procedimenti speciali furono
introdotti (il comunicato parlava di 11 adattare
la nostra legalità repubblicana alla guerra sovversiva ...
e De Gaulle, nel suo appello alla
pacificazione degli animi, parlava di una soluzione francese per l'Algeria. Ma il tempo ha
compiuto ormai - malgrado i generali - un
inevitabile allargamento delle idee e dei contrasti. I1 Marocco e l'Egitto dichiararono in
quella occasione la loro solidarietà con la
lotta algerina e allo stesso momento si compiacquero per l'annunciata prossima indipendenza di quegli Stati africani che si preparavano ad essere 11 liberati dal peso della colonizCC
11.
zazione europea n. L'intervista Massu, prudentemente coperta dal generale Challe (quello stesso che oggi viene ricompensato con la carica
di Comandante delle forze alleate del CentroEuropa) ebbe in sostanza un solo risultato: quello
di tirare fuori il generale dalle sommosse dei
giorni seguenti. Le barricate dell'improvvisato
Alcazar D degli insorti agli ordini di Lagaillarde (abbiamo letto assurdi consensi in manifesti di I I evviva Lagaillarde, difensore della
civiltà europea n sui muri di Roma!), di Ortiz
e di Martel, assediate solo di nome dalle
truppe del generale Challe, l'incerto linguaggio
del delegato generale Delouvrier, dimostrarono
chiaramente che la vera disputa in Algeria era
tra francesi e francesi e che proprio per questo
la frattura era penetrata ormai in ogni settore
e aveva fondamentalmente compromesso la saldezza delle stesse Forze armate. Diceva Delouvrier alla folla europea lasciando Algeri: c i ... annienterete il Fronte Nazionale di Liberazione,
il quale aspetta nell'ombra che regoliamo le
nostre dispicte 11. Naturalmente l'appello del Presidente De Gaulle (ottenuti dei poteri straordinari, grazie al tipico disordine costituzionale
che regna oggi in Francia, per il auale i pieni
poteri delegati dal Parlamento al Primo Ministro, possono essere in realtà esercitati dal
Capo dello Stato) era assai più duro e si preoccupava di scusare sia il Generale Challe sia il
delegato Delouvrier per una certa loro mitezza.
Del resto la pretesa durezza di De Gaulle era
più nelle parole che nei fatti. Non si può - e
lo si è visto palesemente - processare obiettivamente un Lagaillarde quando si è fatto leva
per quasi un ventenni0 di retorica politica (se
non di azione politica vera e propria) su quei
settori nazionali, su quelle forze, su quegli uomini. Proprio De Gaulle, l'inventore della Francia africana come forza politica di insurrezione
e di riscatto nazionalista, può trovare, senza
suscitare rivolte e secessioni, una soluzione di
liquidazione della Francia in Algeria? Oggi, all'indomani di un referendum d'Algeria, c'è chi
sostiene che l'esercito, ormai deciso ad appoggiare De Gaulle, ha ottenuto abbastanza voti
mussulmani favorevoli. Qualunque cosa pensi De
Gaulle e sopportino i democratici francesi - che
da due anni quasi si sono ritirati lasciando fare
al Generale e quindi dimostrando con ciò di credere ancora possibile una unità francese che
non può più avere lunga vita -, la soluzione
che esce dal referendum o è una formula
nuova, e come tale potrà rigettare e rinnegare
gli impegni di De Gaulle, o non è altro che
un'ennesima fase del temporeggiamento francese, e allora potrà anche suscitare una rapida
quanto catastrofica e drammatica liquidazione
dell'affare algerino. Anche e più di tutti, forse,
proprio i democratici francesi sono usciti malconci da tutto il bilancio annuale d'Algeria in
quanto essi possono ormai concludere che la
loro rinuncia a l potere e l'accettazione di un
regime di umiliazione democratica non hanno
- nemmeno - giustificazione in una profonda
e vera unità dei francesi intorno a De Gaulle.
In secondo luogo i più accorti e lungimiranti di
loro, lontani dall'accettare con nazionalistica
rinuncia questo fallimento di un sacrificio, si
accorgeranno presto che solo in una più coraggiosa e sicura solidarietà europea, la democrazia francese potrà avere nuova spinta vitale.
Quanto al sempre presente atteggiamento poujadista che cova, pronto a minare presso gli
incerti le già scosse convinzioni democratiche,
si può domandare onestamente se i cento rimpasti governativi operati sotto De Gaulle non
stiano lì a dimostrare che non era solo il regime democratico ad avere accolto in sé questa
mutevole meccanica.
Ancora il Generale De paulle, come nelle sue
memorie di guerra, potrà concludere: 11 La via
della grandezza è libera l , ?
La grandezza invece egli l'andava ricercando
altrove, nelle ostentazioni di forza e non di
vera e propria grandezza. L e esplosioni di Reggane non furono altro che un esempio tipico ed
estremo di questa politica della forza. L'Occidente europeo - pur di fatto coinvolto i n questa
azione di intimidamento verso i popoli africani
- non ha dimostrato tuttavia di accogliere con
entusiasmo e favore la raggiunta capacità atomica francese. Una volta di più l'occidente
europeo è stato inerte e non ha trovato - perché non li ha - i mezzi possibili per frenare
la Francia in questo suo grave errore. Le esplosioni di Reggane - se hanno portato il Generale Challe alla carica che sappiamo - hanno
,(
COMUNI D'EUROPA
tuttavia gravemente contribuito a compromettere una politica di pacificazione afro-europea
e, come primo risultato, portarono una influenza negativa sui negoziati che si stavano svolgendo, al momento della prima esplosione, a
Ginevra per limitare gli esperimenti nucleari.
Sarebbe assai triste pensare che questa delle
esplosioni di Reggane sia l'ultima firma importante della influenza francese i n Nord Africa!
Come analisi del fenomeno di abbandono dei
classici canoni della democrazia partitica, in
Francia, si può osservare che l'antipartitismo
di certa Francia non è poi tanto diverso da
quello di oggi delllAmerica Latina dove fenomeni, per esempio come il velaschismo (21, sono
in auge. L'antipartitismo non ha di solito infatti
una ideologia ben programmata da opporre al
sistema delle tradizionali democrazie, ma vive di
improvvisazioni che sono tanto più possibili ed
efficaci in quanto si attuano con il semplice
muovere di un dito del capo dello Stato. Certo
le democrazie non hanno questa che ad alcuni
sembra mirabile forza di improvvisazione.
Del resto tutta l'interpretazione di De Gaulle
al processo di unificazione dell'Europa, che corrisponde realisticamente a quanto in effetti
sono l e esistenti Comunità specializzate, è
basata sull'idea (più volte sottolineata) della
II Europe des patries .. Le comunità, diceva
il
Capo della V Repubblica francese, non hanno
altro valore che quello di essere un punto
d'incontro stabile tra gli Stati europei, la sede
nella quale con periodica regolarità (3) gli stati
si accordano sulle loro politiche economiche.
L'interpretazione poi che De Gaulle (4) dà al
processo storico europeo di questo dopoguerra
segue sostanzialmente questa linea assai semplice: alla fine del conflitto gli Stati erano
smembrati e distrutti, fu quindi necessaria l'alleanza atlantica per garantire la loro sicurezza
e il loro primo risollevamento economico, fintanto che si andavano ricostituendo nelle loro
singole unità. Ora il processo dovrebbe - a
parere di De Gaulle - riconvertirsi: dalla
occasionale D unità di certi settori, si deve
ritornare ormai ad una diversificazione netta
degli Stati europei. rinati ad una verginità
senza precedenti. A parte la considerazione che
viene i n mente a tutti noi europei che l e nazioni, come gli uomini, non riescono mai identiche da certi fondamentali avvenimenti che
hanno posto i n discussione la loro intima esistenza e struttura, si può dire a De Gaulle che
egli è, per lo meno, responsabile di aver taciuto
fino allo scorso settembre questa sua chiara,
anche se antistorica, visione. Non avremmo perduto tanto tempo - non noi federalisti per dire
il vero, ma noi in quanto democratici più
possibilisti - a credere che, in fondo, qualcosa
di europeo viveva nell'anima del vecchio generale. Per grazia di Dio una Francia più
civile aspetta di riaffacciarsi all'Europa, dopo
la chiusura della questione algerina e coloniale
in genere (5).
CC
* * *
A dire il vero non sembra essere la Francia
la sola a credere che i Paesi dell'occidente europeo possano riprendere ormai completamente
l e fila interrotte dallo scoppio della guerra europea. Così, il Primo Ministro belga Eyskens, nel
(2) E' una forma di raggruppamento politico che pretende di non avere vero e proprio carattere di partito.
Ha preso il nome di José Velasco Ibarra, pres,idente delI'Ecuador, scrittore di materia costituzionale, che tentò
una prima volta, con colpo di Stato, di raggiungcre il
potere e non riuscì. Poi. con elezioni popolari, fu eletto:
egli improvvisa, giorno per giorno, una politica, senza
precisi programmi e schemi, a vo'lta a volta facendo
leva su sentimenti nazionalisti o su aspirazioni sociali
frustrate.
(3) Questa pretesa <<regolarità» non c'è affatto: i
Consigli dei Ministri delle Comunità si bloccano per qualsiasi più o meno valido intralcio di politica interna.
( 4 ) Vedi la Conferenza Stampa di Parigi del 5 settembre 1960.
(5) Abbiamo letto su certi giornali italiani che tra le
dichiarazioni di uomini celebri sul voto del referendum,
ce ne sarebbe stata una di Jean Cocteau alquanto discutibile ma significativa: « Il voto » avrebbe detto Cocteau
serbandolo segreto « è uno slancio del cuore)). Alla legge
dell'invecchiamento nessuno si sottrae, è vero; individualmente nulla. se non saggiamente amministrare il
proprio cuore, è possibile fare. forse. Il brutto è che
tutta la Francia - in questa questione privata t r a ognuno e il Generale - ha votato col cuore, si direbbe.
Invece non è così: tra quelli che « amano » e quelli che
((odiano » la politica - quanto vaga lo si è vista - del
Presidente, c'è - questo il vero risultato del Referendum - una larga percentuale di popolo - europeo ed
africano - che non ka cuore per un referendum.
suo discorso programmatico prima del rimpasto governativo autunnale, chiamando alle loro
responsabilità l e classi economiche privilegiate,
che dovrebbero mettere il paese <I i n grado di
riassorbire gli effetti economici e sociali dell'affare congolese prometteva riforme strutturali indispensabili, riallacciandosi alle riforme
già allo studio nel 1937! (6).
Nei colloqui parigini tra rappresentanti belgi
e francesi e nei seguenti incontri con i rappresentanti del Lussemburgo e delllItalia venne
in luce comunque che il progetto di De Gaulle
non otteneva grandi favori. Ma - intendiamoci - non otteneva favori su quelle che lo
stesso Ministro degli Esteri francese, Couve de
Murville (7) in u n discorso alllAssemblea nazionale francese, chiamava l e tappe della via allo
scopo finale: cioè l'unità confederale dell'Europa.
E si badi, che nel dire l'unità confederale già si
fa troppo credito all'idea del Governo francese: in realtà la forma unitaria europea progettata da De Gaulle (forse il progetto non
è suo ma a lui piace assumersene la paternità)
è una forma spuria confederale, ossia una confederazione con ampie deleghe - senza riserve - ad un segretariato permanente, del quale
probabilmente egli pensa che la sede debba
essere - almeno nella sostanza - Parigi. L'Assemblea europea (di secondo grado) eletta a
latere di questo vertice n nominato, avrebbe
probabilmente le durevoli vacanze dell'Assemblea nazionale francese. Quanto al referendum popolare serve a dare una parvenza
di suffragio popolare. Bene. Generale De Gaulle:
i militari disgraziatamente non hanno mai partorito grandi progetti costituzionali. Anche il
generale Bonaparte ebbe parecchie infelici idee
su questo tema e noi, francamente, non crediamo di essere pronti a ripetere gli esperimenti cisalpini. Anche i governi europei della Piccola Europa hanno però risposto alla proposta gollista richiamando vecchie formule, in
maniera assai tradizionale: invocando, a controbilanciare il progetto francese, l'influenza della
Gran Bretagna. I1 gioco di De Gaulle non sarà
dunque riuscito, ma ha tuttavia contribuito a
cancellare qualcosa ancora della ricerca di una
unità sovrannazionale europea.
Sempre tragicamente legati al carbone, sembrano essere, in Europa come già in Italia, i
veri sentimenti di una ii patria nuova D migliore
e pacifica!
Le diplomazie tradizionali non poterono inventare quello che da loro non è mai nato, giacché esse pescano sempre - bene o male - nel
già tentato. E visto che l e sovranità nazionali
sono state l'àncora di salvezza, come ognuno
sa, dei popoli europei - ad est e ad ovest di
Berlino - è davvero una buona regola di
saggia prudenza riproporle intatte, in un mondo
tecnicamente e socialmente tanto mutato! Comunque ognuno dispone delle riserve che ha
e la storia non è quasi mai stata il fertile
archivio delle diplomazie.
,),
Per quanto negativo sia il bilancio dell'Europa a Sei, se facciamo i conti dell'anno seguendo
il criterio di un esame particolare per ciascun
paese, il risultato non è più soddisfacente.
I1 Belgio, abbiamo visto, ha impegnato tutto
l'anno 1960 alla a liquidazione D dell'affare Con-
20 gennaio-20 febbraio 1960: Tavola rotonda
sulla enlancipazione del Congo, a Bruxelles
(convocata dal Governo belga).
go. Ormai già dal gennaio 1958 il Congo aveva, a
prezzo di sanguinose giornate, dimostrato di
volere la propria indipendenza. Fino a quella
data il possedimento africano del Belgio non
aveva dato alla madre patria nessun grosso fastidio; senza dubbio, risultato abbastanza positi(6) Infatti le recenti agitaz,ioni in Belgio hanno dimostrato quanto impopolare sia una riforma che pretende
di ripercorrere all'indietro la via delle conquiste sociali,
economiche ed assistenziali.
(7) Posizioni difficili, a volte, quelle del Ministro Couve
de I\Iurville: come quella che gli toccò tenere a Parigi
il 4 marzo 1960, di fronte all'Ambasciatore del Belgio,
al quale dovette precisare che la Francia, ritenendo ancora
validi gli accordi franco-belgi dell'aprile 1884 ( l ) , aveva
tutte le intenzioni di f a r valere i suoi diritti di « prelazione » sui territori del Congo,. in caso di « cessione » da
parte del Belgio.
dicembre 1960
vo di una intelligente e dosata politica di agilità
amministrativa e di espansione e sviluppo economico (per questa parte il merito va principalmente al Ministro Wigny) era stato appunto
quello di aver ritardato, per tutti gli anni del
dopoguerra, il problema di un totale distacco
del Congo dal Belgio. Ma l'aspetto negativo della
stessa politica belga era che essa si reggeva
soprattutto sulle piccole, ma violente rivalità
territoriali tra tribù e tribù, meglio vorremmo
dire tra regione e regione. Territorio di una
vastità notevole (2.345.400 kmq., 13.175.000 ab.)
il Congo è in realtà diviso ormai da troppo
tempo in regioni amministrative diverse e
disorganiche, con sproporzioni di civiltà e di
livello economico, con possibilità diverse e
capacità di rapporti con vicini e con europei,
sicché il credere che esso rappresenti, cosi come
è organizzato, lo schema valido di uno stato
unitario e pacificamente unito, è veramente
un grosso errore. Se questo errore poteva essere
compiuto da critici europei più o meno informati, non poteva e non doveva essere possibile
proprio per il Belgio che da troppo tempo
conosceva del Congo e l e intime ricchezze minerarie e l e fondamentali differenze. Apparentemente la I , tavola rotonda tenutasi a Bruxelles
all'inizio del 1960, sembrò all'Europa occidentale
e al mondo un grosso avvenimento rivoluzionario di ampio respiro liberale, da parte del
Belgio. Vinte infatti l e reticenze nazionali, il
Belgio decideva che entro il giugno 1960 la
colonia avrebbe ottenuto l'indipendenza politica. Tale era la portata della decisione nella
sua sostanza che nessuno si preoccupò di osservare nel dettaglio il piano di affrancamento.
La tavola rotonda che abbiamo ricordato, composta di rappresentanti congolesi e di rappresentanti belgi, lavorò per u n mese e fissò i n
16 risoluzioni una serie di punti politici e costituzionali che dovevano rappresentare una specie
di prima carta costituzionale provvisoria congolese. Esse dovevano garantire il passaggio
pacifico e graduale, anche se sollecito, da uno
stato di colonialità a quello di formale indipendenza (8).
Un governo doveva essere composto a l più
presto, dopo il risultato delle libere elezioni,
su nomina del Re Baldovino, ed esso doveva
preparare il Congo all'indipendenza dal Belgio
che sarebbe stata proclamata e attuata il 30 giugno di quest'anno. I1 testo delle risoluzioni che
parevano, ad una prima lettura, un prodigio
di accortezza e di liberalità, era i n realtà
troppo impreciso sotto alcuni aspetti fondamentali. Già tra l e righe di quel testo si scorgevano alcune debolezze del Governo belga
( O Alcune delegazioni vorrebbero che...
Altre
delegazioni sostengono ...
ad assicurare delle
salde e chiare regole democratiche all'interno
del futuro Stato. I1 Belgio transigeva piuttosto
su fondamentali regole di democrazia (che sarebbero tornate logicamente di grande vantaggio per l'Europa occidentale e per il mondo
libero!) e otteneva invece la promessa di un
accordo di amicizia economica trk i due Paesi,
all'indomani della proclamazione d'indipendenza (9). Al solito: premevano di più interessi precisi e singoli di settori economici, che non una
generale volontà di progresso democratico. Le
differenze che il Belgio lasciava dietro di sé
nel Congo, non potevano - lo si è visto essere cancellate dalla semplice istituzione di
un regime bicamerale, dall'attribuzione semplicistica di poteri locali e centrali sulla base delle
costituzioni europee e soprattutto - cosa assai
più grave - nessuna vera volontà di collaborazione era stata assicurata a l nuovo stato da
parte degli elementi belgi, residenti ormai da
),,
11.
CC
11)
(8) Un discorso logico e quindi realistico sull'indipendenza degli Stati, dovrebb~finalmente essere fatto. Esso
non ha soluzioni diverse per questa o per quella zona del
mondo. Non si tratta di « equilibri » di indipendenza
basati su una tattica più o meno valida o aggiornata,
ma di indipendenza vera che ogni Stato per essere tale
deve trovare in sé e in sé poter garantire. L'indipendenza è misura politica e la formula costituzionale o
l'organizzazione sociale deve tendere ad assicurarla, non
il contrario. Orbene: non si può forse obiettare nulla sulla
formale struttura proposta per il Congo: strutture simili
tuttavia riescono a mala pena a mantenere una certa
indipendenza agli Stati europei, vecchie volpi di diplomazia e protetti - almeno in parto - da patti militari
difensivi. alleanze economiche, ecc. Poteva valere per
il ~ongo'?
L'Olanda ha proceduto sulla via del progressivo autogoverno della Guinea modificando le proporzioni della
rappresentanza indigena nelle istituzioni e procedendo
a un imDegnato piano di sviluppo economico e civile.
(9) In più otteneva, evidentemente, l'accordo pieno di
alcuni territori, come il Katanga, economicamente importanti.
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
anni nel Congo e capaci quindi di portare un
utile contributo d'esperienza e di ricchezza. La
solita divergenza tra Bruxelles e coloni belgi
i n Congo faceva così precipitare, aiutata dalla
volontà antidemocratica di decisi uomini congolesi senza scrupolo, tutte l e possibilità di pace
e di libertà per il niiovo grande Stato africano.
Invece, l'indipendenza era preceduta da una
imponente fuga di capitali con trasferimenti
valutari che si aggiravano sul miliardo, miliardo e mezzo al mese. Troppo tardi il Governo
belga tentò una limitazione di questi trasferimenti. In più esso assicurò al nuovo Stato un
prestito di 40 milioni di dollari al tasso ancora
troppo alto del 6% (l'URSS li concede all'interesse dell'l%) scontabile in appena 12 anni.
Lasciamo ad altri, che voglia approfondire
questo delicato e intricato fatto politico del
1960, il compito di vedere se e quanto il Belgio
abbia mancato nell'applicazione preparatoria
delle risoluzioni del febbraio o quanto e se la
Organizzazione delle Nazioni Unite (come giorni
fa rilevava lo stesso Capo del Governo del
Katanga secessionista) e il Belgio abbiano errato
per indecisione e disorientamento nell'immediato verificarsi dei sanguinosi fatti congolesi.
Queste sono responsabilità vicine che è difficile
comunque attribuire senza risalire a responsabilità più remote. Sono appunto queste responsabilità remote che appartengono a cittadini
europei fino a ieri padroni di uno Stato africano quali il Congo, responsabilità che denunciano l'immiserimento civile dell'Europa. Al
Belgio come alla Francia si possono concedere
attenuanti: prima fra tutte, il lungo periodo
di disorientamento politico del terrore nazista
che ha ferito in profondità l'una e l'altro, ma
all'uno e all'altra bisogna coraggiosamente dire: non siete rimasti immuni dal morbo nazionalista imperialista.
Temiamo che questa nostra malattia europea
abbia a sua volta contaminato quegli stessi
popoli che ne hanno subito fino ad oggi i tragici
effetti, anche in Africa.
Nell'Occidente europeo, fuori e dentro le
numerose formule di intesa (di tempo in tempo
abbiamo assistito a riunioni di Assemblee credute morte e superate, oppure abbiamo visto
accendersi le stampe nazionali di progetti elettorali I , su scala europeo D, ... fuoco di paglia
vano di tempo d'estate) (10) tra Stati europei, un
altro fatto rilevante è stato - nell'anno '60 il maggior peso ed intervento della Gran Bretagna. La vecchia madre del Governo civile
- almeno nelle sue forme d'attuazione - al
mondo europeo è maestra di diplomatica tattica. Forte, sul piano internazionale, nella sua
posizione di lucida e realistica attesa nella grande controversia tra URSS e Stati Uniti, capace
cioè di tradurre in politica vera di terza posizione (non chiamiamola ,, forza I,!) il suo ruolo
di sapiente intermediario, ferma nei periodi di
distensio~le come in quelli di guerra fredda,
padrona anche delle sue colpe e capace di
escluderle se non di cancellarle (così Suez, così
oggi l'Africa centrale...), essa vuole temporeggiare ancora verso di noi. I1 suo prender tempo
è più che mai giustificato sul piano degli interessi di ieri e in via di liquidazione (la sua
influenza e il suo dominio nei vari altri Continenti), ma rischia di perderci davvero. La Gran
Bretagna, da un suo angolo particolaristico,
ha ragione: è l'Europa occidentale e continentale
che si perde in questa attesa, non lei. Onore che
si può rendere al vecchio leone che non si sentì
stritolare tra l e braccia dell'orso (v. il discorso
di MacMillan a Mosca durante il suo viaggio
Ge~r~raio
1959: viaggio a Wasliington di Mikoyan.
Fel~braio1959: viaggio a Mosca di Mac Millnn.
che f u la palese premessa della distensione: la
vera premessa f u in realtà il viaggio di Mikoian
negli Stati Uniti ...) e che non perdé l'equilibrio
neppure in questo abbraccio ... Le visite, o l'incontro tra altri uomini politici di singoli Stati
europei e capi sovietici, non sono stati altrettanto confortanti e fertili: tutt'al più degli
accordi commerciali relativamente efficaci sono
nati da questi spostamenti, dei quali la stampa
ha molto parlato.
(10) P e r esempio, il progetto Dehousse, sulle elezioni
a suffragio diretto dell'ilssemblea Parlamentare Europea.
Anche la Germania occidentale, stabilizzatasi
nella sua posizione di grande fonte economica
di progresso, non sembra per ora riprendere e
poter riprendere un ruolo propriamente politico.
Essa è ormai in questi anni l'intelligente preparatore e venditore dei migliori prodotti in
Europa occidentale, ma, assai più, in Europa
orientale, in Asia, in America latina. O - stanca di insistere (con Adenauer) sola sulla necessità di una incontrovertibile unione dell'Europa dei Sei - essa ha cambiato cammino,
graduando sapientemente l e sue tappe e si
Luglio 1960: accordo coninierciale ' tedescogiapponese.
Dicembre 1960: accordo coniniercinle tedescorusso.
veste oggi coi panni apparentemente neutrali di un vasto intervento economico di produzione; oppure essa aspetta che ancora l'ultima fase degli errori coloniali sia esaurita.
Certo, allungando i nostri sguardi, possiamo
onestamente invocare anche per la Germania
un governo europeo, in cui - se Dio vuole! non esistano più Ministri per i rifugiati D che
siano costretti a dimettersi perché incriminati
di aver partecipato ai massacri nazisti. Intendiamoci: non sono meno nazisti quei governi
e quelle autorità - di qualunque competenza che vietano a uomini di pelle nera o di altre
caratteristiche somatiche, l'ingresso nelle scuole dei bianchi. Non ci sono ( I scuole dei bianchi
ma solo cc scuole per uomini n. L e scuole dei
bianchi sono fucine di odi e basta
(11).
E' chiaro tuttavia che la Germania Occidentale si P trovata negli anni scorsi sempre più
in una insostenibile posizione di accusata della
quale la Francia è stata la prima interprete:
pedina sapientemente ma non più nascostamente mossa nel 1960 dall'unione Sovietica.
Errore fondamentale di Krusciov è stato quello
di aver scoperto il suo ruolo di suggeritore:
pochi lo avevano capito, quando l'Assemblea
NazionaIe francese rigettò - sotto il Governo
di un sottile radicale - il trattato della CED
che riarmava - con controlli collettivi indiscussi - la Germania dell'ovest. Tutta l'opinione
pubblica europea ha potuto invece comprenderlo oggi che il Presidente dei Ministri sovietico, in visita a Parigi, ha fatto pubblicamente
le sue dichiarazioni antitedesche. A queste dichiarazioni è merito del Governo Adenauer
aver dato ancora maggiore pubblicità e seguito
giornalistico (che altro può fare ormai un
paese europeo, se non presentare note diplomatiche e farne parlare i giornali?) con una protesta presentata in aprile di quest'anno. Krusciov
sa bene tuttavia che a furia di pensarle certe
cose creano una realtà. Ma - tanto per fare
un paragone - rimaniamo nella misura minore: così Eden ha paragonato (per giustificare
appunto il suo errore di Suez) Nasser a Hitler!
Sono scherzi che non bisognerebbe mai cominciare. Anche Fidel Castro ha tratto dall'occidente americano degli utili consigli in materia e invece di essere dimensionato è diventato il tizzone che ha riacceso tutta l'America
centrale e del Sud (12). Naturalmente il discorso
antitedesco cadeva - prevedibile - dopo il
lungo viaggio di Adenauer negli Stati Uniti e
nel Giappone. L'accordo tedesco-giapponese è
un altro esempio, forse, di quanto la mancanza
di fantasia degli uomini politici democratici
dell'occidente abbia fatto rinascere delle intese
più naturali forse, e meno storicamente fertili
e valide. I1 Giappone come la Germania Federale hanno avuto l'intelligenza di dichiarare
questa intesa come una coinciclenzo di interessi
economici e, i n particolare, la Germania ha
quasi voluto giocare un ruolo di assistente economica e finanziaria dello Stato orientale, stretto dalla combinata morsa russo-cinese. Già nel
1959 il primo ministro Kishi si era recato a
Bonn e le basi di scambi ed aiuti erano state gettate. Adenauer ha proseguito anticipando alcune
fasi dell'accordo, su questa via d'intesa, e si è
spinto al punto di adoprarsi per ottenere un
accordo possibile tra il Giappone e la Comunità
,I
I>
economica europea!... Lunghissima e travagliata
via della divisione europea! La Germania sembra essere, nelle dichiarazioni dei suoi Ministri,
come all'attenzione dei visitatori, così in potente risalita - economicamente - da giustificare il suo interesse per l'assistenza economica a i paesi sottosviluppati
Discorsi da titani, apparentemente scevri da contenuto diretto politico.
Del resto sulla innocenza dei tecnici il discorso è lungo, ed antico.
Anche da noi si sostiene da tempo che i
governi dei tecnici sono al di sopra del compromesso politico.
. ..
Il. discorso è lungo, anche, sulla apparente
irrilevaiiza di certe decisioni in materia di
politica delle amministrazioni locali, interne
ai paesi dell'occidente europeo, misurate su
quella che tradizionalmente è intesa come
politico estera. La verità che pochi accettano è che si può parlare ormai di relazioni più o meno ampie, ma che quasi sempre
scegliersi un Governo significa questo o quello
programmaticamente nella vita nazionale, e questa o quella (tutta diversa e contrapposta) linea,
in materia di politica europea ed internazionale. Dalla stampa a i mezzi audiovisivi di informazione nazionale, tutto farebbe pensare invece che si tratti solo di piccole sfumature e
varianti nel quadro u... del Patto Atlantico o
della vagamente definita unità europea. E in
realtà hanno ragione, almeno i n buona parte,
coloro che si esprimono in questo modo proprio
perché non abbiamo visto mutare affatto la nostra posizione nelle assemblee internazionali od
europee, se pure c'è stata una spinta più coraggiosa e meno conservatrice nel settore interno
della nostra vita politica.
Sarebbe tempo, per quello che ci tocca più
da vicino, che il Governo italiano dicesse al
Paese se crede che la formula della sovranazionalità - sia pure di settore, come quella
della Comunità del Carbone e dell'Acciaio - è
ormai decaduta nei suoi intenti e nei suoi
desideri, oppure se crede che sia bene rafforzare l'istituto dell'unione europea occidentale,
per dare modo alla Gran Bretagna di influire
dal di dentro sulle politiche nazionali ed internazionali dell'Europa dei Sei, oppure se ci sta
portando verso una graduale smobilitazione
- attraverso un reciproco contenersi - di
tutte le istituzioni, una volta che l'acceleramento del Mercato Comune ha ottenuto
determinati risultati nel livellamento delle
disparità delle economie nazionali. Precisiamo
comunque che per economie si intende, come
ognuno sa, visto il carattere della Comunità
economica europea, scambi economici e, al massimo, una concordata politica commerciale
Sembra che non sia un caso che a questa
atmosfera di confusione di formule pseudounitarie nell'Europa dell'ovest, faccia riscontro
una ripresa di accordi bilaterali tra le varie
nazioni dell'Europa dell'Est sia in materia
strettamente commerciale, sia in settori specifici
della produzione ed estrazione delle materie
prime. I1 1960 ha visto infatti accordi particolari
tra Bulgaria e Romania per un concordato svi-
))
(11) V. Massimo Salvadori in « I l Messaggero» del
1960.
(12) Utili. si intende, a brevi scadenze.
12 dicembre
Luglio 1960: trattato fra Bulgaria e Romania.
DFcemhre 1960: accordi Ungheria e URSS.
Dicembre 1960: accordi polacco-cecoslovacchi.
luppo delle risorse petrolifere e minerarie, trattati di scambi commerciali tra Ungheria e URSS,
lunghi dettagliati accordi tra Polonia e Cecoslovacchia che - preceduti da un lungo cappello
di teoriche riaffermazioni di fede marxista-lcninista - fissavano sostanzialmente: a ) una cooperazione tecnico-scientifica; b) la collaborazione economica nel campo dell'estrazione delle
materie prime (zolfo, rame, carbone); C) il
cofinanziamento per la produzione di macchi-
COMUNI D'EUROPA
24
cecoslovacco forse non riuscirà mai - nonostante il suo pesante bagaglio di ortodossia ad essere uno Stato accentrato alla maniera
moscovita.
nari industriali; e - tanto per concedere qualcosa anche a l settore agricolo -- d ) degli scambi
di esperienze sui preparati chimici per l'agricoltura e sui semi d i qualità superiore, nonché
in materia d i allevamenti d i bestiame e di
veterinaria. La Cecoslovacchia assumeva, con
questi accordi, un ruolo delegato di assistenza
alla Polonia, mentre, come si è visto, era la
stessa Unione Sovietica che si incaricava direttamente di assistere ,) l'Ungheria.
Nei primi mesi dell'anno, senza che si facesse
troppo chiasso intorno alla cosa, c'erano state
delle giornate di scambi d i idee tra Polacchi e
Ungheresi. La visita di Kadar e della sua delegazione a Varsavia aveva sottolineato una certa
comunanza di problemi tra i due paesi. Ambedue infatti hanno difficoltà nell'intero settore
dell'econornia agricola, e problemi tipicamente
politici di rapporti con ambienti popolari, saldamente cattolici e circoli intellettuali, assai
critici rispetto al regime. Qualcuno ha voluto
dare anche un'altra interpretazione e cioè ha
detto che, essendo l'Ungheria esclusa dalle
discussioni sul disarmo tenutesi a Ginevra, gli
uomini del Governo di Budapest avevano potuto, con questo incontro con i polacchi, essere
dettagliatamente informati sullo svolgimento
delle trattative per il disarmo e sullo stato dei
rapporti tra Oriente e Occidente. Comunque
si voglia interpretare, nell'occasione, l'incontro,
possiamo dire che esso rappresentava un'intesa
diretta che forse Mosca ha voluto spezzare
prima che potesse avviarsi a una fase più concreta di IL accordo stabile. E' toccato dunque
all'ortodossia cecoslovacca (un po' scolastica, per
dire il vero, a giudicare dalla lettera delle dichiarazioni ufficiali del 5 settembre scorso), ancorare di nuovo il Governo Polacco ed il partito
ai punti programmatici e teorici voluti dal
Cremlino.
Così l'oriente europeo poteva trovarsi allineato alle riunioni invernali d i Mosca tra i
Dirigenti d i tutti i Paesi comunisti.
In certo modo simili solio le posizioni di
due Stati europei al limite tra l'Europa dell'Est
e quella dell9Ovest.Finlandia e Austria, rispetto
all'occidente vanno visti come due Stati che
continuano ad essere - anche per motivi strettamente economici - legati profondamente alla
Unione Sovietica. E' vero che il viaggio di
Krusciov a Vienna e gli accordi intervenuti nel
luglio hanno concesso all'Austria una migliore
situazione di libertà, mentre la Finlandia sembra restare, nei criteri del Cremlino, una zonaponte verso i paesi scandinavi, per ottenerne
neutralità nella controversia Occidente-Oriente.
Entrata l'Austria e, quasi, la Finlandia nell'Associazione europea 'di Libero scambio, esil
se rappresentano tuttavia t, politicamente
residuo della risacca sovietica in Europa.
P u r e in questi due paesi vive sorgenti democratiche sono tutt'altro che esauribili e, storicamente parlando, esse potrebbero, qualora
l'Europa volesse veramente ritrovare sé stessa,
appartenerle con tutte le loro energie.
Non europea, invece, la posizione di una
Jugoslavia, abilmente postasi in un ruolo tutto
per sé, che trova alleati solo fuori del continente.
Quanto più europea, nella sua impazienza e
nella sua lotta storica per l'autonomia, la Catalogna. E' evidente che la Regione spagnola non
può condizionare il . dittatore. Non crediamo
però che si contenterà delle ridicole concessioni
fatte alla sua libertà dal Caudillo.
N
))
Sarebbe un errore di analisi, avendo parlato
di un ruolo delegato assunto dalla Cecoslovacchia neli'ambito delle nazioni dell'Est europeo, non rilevare anche che, proprio nello
scorso anno, essa è stata sede di una profonda
trasformazione costituzionale. La Cecoslovacchia
è arrivata, come prevedevano tutte l e sue leggi
fondamentali dal 1948 in poi con la conclusione
del periodo transitorio di 1, via a l socialismo D,
ad una fase, a l contrario, di solidificazione e
fondazione dello Stato socialista. Un grosso
avvenimento ha sancito appunto questo passaggio: la riforma costituzionale. Questa riforma, alla critica di noi europei democratici dell'Occidente, può apparire sotto diversa interpretazione. Da u n punto d i vista più vicino alla
lettera della nuova costituzione e alle notizie
di questi ultimi anni, la nuova Carta concede
- d i fatto - di più ai governi locali, creando
divisioni amministrative anche dove non esistevano e apparentemente, quindi, assicurando
una voce alle varie
nazionalità
conviventi
nel territorio cecoslovacco. Ma, d a u n altro
canto, si può osservare: può anche succedere
che questa costituzione studiata in tale forma,
proprio per riassorbire dei fenomeni di semipartitismo di tipo locale, finisca invece per portarli dentro, nella piena vita dello Stato, traducendo in forze politiche questi gruppi di opinione. Non che la loro autonomia sia tale da
far prevedere una possibilità d i differenziazione politica vera e propria, pur tuttavia essi
possono, per quanto è possibile, in una rigida
pianificazione centralizzata, operare una certa
ripresa di autogoverno. L'ispirazione - è stato
detto - è tipicamente sovietica. Comunque, per
lo stesso fatto di concretarsi oggi, questa istituzione di Comitati Nazionali su u n territorio
tanto più limitato come misura, ma tanto più
vivo d i diversità nazionali (e quindi storiche
e culturali-politiche) può avere un destino assai
diverso. Stretto tra due Germanie (una federale e una accentrata), tra unlAustria, divisa
ancora tra un ruolo orientale e uno occidentale,
tra la Polonia e l'Ungheria inquiete, lo Stato
.
dicembre 1960
Nella Turchia del 1960 abbiamo assistito invece ad un fenomeno quasi da America latina e
forse qualcosa del genere si prepara per la
Grecia.
I1 Continente ha un vecchio cuore che non
riesce a attivare u n buon sistema circolatorio
periferico! Incontri d i Ministri, viaggi, sorrisi,
dichiarazioni di amicizia sono le valvole abituali
d i questo sistema. cc Dobbiamo vederci più spesi nostri Paesi hanno interessi vicini
so D ;
C,siamo della stessa famiglia n ; di quante di
queste frasi sono ormai s a t ~ i r el e orecchie del
cittadino europeo? Poi, l'indomani, aprendo il
giornale, si legge che il solito militare d i turno
ha deposto il nostro sorridente visitatore d i ieri.
E noi sappiamo quanto possano durare i militari, anche semplici caporali, se è il caso.
Al di fuori, quali le prospettive di risorgimento per l'Europa? La vittoria democratica
americana, non è il punto d i partenzri ma il
punto d i arrivo di una politica di sdrammatizzazione verso l'Europa. L'opinione pubblica
americana guarda ormai altrove. I centri di
interesse che si sono aperti fuori d'Europa, sono
focolai grossi, nuovi, vivaci: il vecchio continente, se pure h a dato un maestro di teoria
politica al giovane Presidente Kennedy, non
trova una sollecitazione nelle sue attività e nei
suoi discorsi elettorali. I n auesto s3ltant3, De
Gaulle ha ragione: siamo di nuovo soli con noi
stessi; altrimenti, se si vuole chiudere gli
occhi a questa responsabilitii europea, ci si apre
una via intricata e faticosa di equilibrismi economici e di astensioni politiche che potrebbero
davvero aprire la porta a qualsiasi schiavitù,
Ci può essere a questo punto chi solleva la
testa e dice: eppure si sono accelerati i tempi
d i una integrazione (integrazione no: armonizzazione!) economica, qualcosa forse non di decisivo e di enorme, ma tuttavia cc qualcosa si è
fatto 11. Orbene, non sarà necessario ricordare
qui che quando i responsabili della confusa
politica europeistica rispondono in tal modo, ciò
significa appunto che IC qualcosa n, non quello
che si doveva veramente fare, ha occupato i singoli Ministri e l e segreterie di questa o di
quella organizzazione.
CON L'URSS I N PUNBIONE D1 STATO GUIDA
11 Comecon strumento
di integrazione dei paesi dell' Est
.
La sessione ha constatato l'importanza sempre crescente del Consiglio per la Mutua Assistenza Economica nella organizzazione economica tra i Paesi membri del Consiglio.
In considerazione delle esperienze raccolte
nella collaborazione economica dei Paesi socialisti e della opportunità di sostituire uno statuto
alle decisioni prese in precedenza dal Consiglio
riguardo agli obiettivi, a i principi e alle forme
organizzative della sua attività, la sessione del
Consiglio ha discusso ed approvato lo statuto
del Consiglio (1) ... [nel quale1 ... viene recepita
la tradizionale prassi di stretta collaborazione
economica e tecnico-scientifica tra i Paesi socialisti d'Europa, basata sui principi della piena
parità dei diritti, del rispetto degli interessi
( l i Il primo articolo dello Statuto (Scopi e principi)
dice:
a) Il Considio per la cooperazione economica h a
come scopo di favorire, con l'unificazione e 11 coordinamento delle aspirazioni dei paesi membri, a rea,lizzazione del p r o g r s s o tecnico ed economico nei paesi
interessati, l'elevamentn del livello di industrializzazione
nei paesi a industria poco sviluppata, il miglioramento
continuo della produttività del lavoro e l'aumento del
benessere dei popoli dei paesi membri.
b ) Il Consiglio per l a cooperazione economica si
fonda sulle basi della parità sovrana di tutti i membri
del Consiglio. La cooperazione economica e tecnicoscientifica nei paesi membri viene
rispetto
dei principi della piena parità, della sovranità e degli
interesci nazionali, del reciproco vantaggio e del
a,michwoie .iUh.
nazionali, del reciproco vantaggio e del cameratesco aiuto reciproco n.
Questo comunicato, diramato a l termine dei
lavori di una delle ultime sessioni del Consiglio
per la Mutua Assistenza Economica tra i Paesi
dell'Europa orientale (COMECON), anche se
lascia intravedere le possibilità e i limiti di
questo organo, destinato alla supervisione e
alla programmazione, conferma che l'importan~a
del COMECON, come strumento d'integrazione
economica, va sempre crescendo.
Se dalla sua nascita, nel 1949, alla morte di
Stalin aveva una pura funzione consultiva
- determinata principalmente
dalla volontà
del dittatore che non credeva in una integrazione delle economie, ma secondo i principi
dello sviluppo prioritario degli stessi settori
produtttivi. le preferiva autarchiche - esso
prese man mano importaiiza tanto che, di
recente, è stata prevista l'inclusione nella struttura del COMECON anche dei problemi agricoli.
E' bene però precisare subito che l'aumentata attività del COMECON è strettamente
legata alla politica dell'URSS che, subito dopo
la morte d i Stalin, si è allineata alla concezione
economica dei grandi spazi, integrandola con
l'altra, più volte riaffermata in auesti ultimi
tempi, della divisione internazionale del lavoro.
Ciò-risulta in modo evidente se riesaminiamo
brevemente le tappe principali del COMECON.
I1 Consiglio fu fondato, come abbiamo detto,
dicembre 1960
COMUNI D'EUROPA
sita nell'Associazione stesia, perché come la CEE
non direttamente sopranazionale (4).
La sua efficacia sta nell'avere, in assenza
d i una sua struttura sopranazionale, dotata di
poteri reali, uno Stato - 1'URSS - che ha
avocato e d accentrato in sé questo compito sia
dal punto d i vista politico, col peso della sua
potenza, sia dal punto di vista economico, determinato principalmente dai prestiti che hanno
legato i singoli Paesi allo Stato sovietico.
D'altro canto molti degli ostacoli che si frappongono alla costituzione di un mercato comune
occidentale non sussistono nei Paesi dell'Est:
ricordiamo fra l'altro la difficoltii per noi di
formulare piani a lunga scadenza, per la tendenza a l protezionismo settoriale o alla diversità
della formazione dei prezzi, politici nell'Est,
affidati a l gioco della concorrenza nel MEC.
Quindi, malgrado la impossibilità per il
COMECON d i imporre una politica, questa di
fatto viene suggerita ed attuata per l'esistenza,
fra i suoi membri, d i uno Stato, che, per
potenza politica ed economica, riesce a coordinare le diverse economie e a stimolarle convenientemente in una vasta programmazione (5).
Questa considerazione ribadisce la nostra tesi:
se si vuole ottenere un risultato positivo in
una politica di sviluppo economico fra più
Stati, in posizione di parità e non di subordinazione, non si possono mettere insieme, con
lo spirito di collaborazione più economie, ma
bisogna integrarle, e per integrarle bisogna
creare un organo, comune, capace di farlo.
Oppure la Francia, la Germania, l'Italia o
i Paesi del Benelux si sentono in potenza 1'Union e Sovietica?
Purtroppo queste illusioni non sono dannose
solo per noi ma anche per i Paesi d'oltrecortina: l'integrazione iniziata fra i mercati dell'Est favorisce la specializzazione econofnica e
contribuisce d i fatto alla loro interdipendenza
rendendoli indispensabili alla distanza l'uno
dall'altro.
S e noi non operiamo in tempo sarà troppo
tardi per sperare di attrarre dalla nostra parte
i Paesi satelliti dell'URSS, facendo fallire il
principale degli obiettivi della nostra integrazione, la difesa e l'incremento della libertà in
Europa.
nel gennaio 1949 (21, e la prima sessione, tenutasi a Mosca nell'aprile dello stesso anno, stabilì
di d a r vita ad un segretariato permanente per
la cooperazione economica con sede a Mosca.
Lo scopo era di esaminare i problemi della
cooperazione economica e tecnica, che si basavano allora solo su accordi bilaterali tra 1'URSS
e gli Stati del blocco orientale, i quali, fra
l'altro, nel loro commercio estero, dovevano
seguire le linee tracciate dall'unione Sovietica.
L'accettazione dei capi dei Paesi satelliti
delle direttive di Mosca terminò con la morte
di Stalin, quando la Polonia e la Germania
orientale sottoposero ai sovietici proposte dettagliate per la creazione di gruppi di lavoro
o commissioni per i più importanti settori della
economia. Queste proposte furono accettate,
ma la realizzazione pratica non avvenne che
dopo i fatti d i Polonia e d'Ungheria, fatti che
avevano messo in luce gli errori del sistema
di pianificazione autarchica (basti pensare agli
sforzi per tentare di industrializzare 1'Ungheria, che mancava di quasi tutte l e materie prime) tanto più che la Russia aveva ormai una
posizione meno forte sui satelliti ed era costretta ad offrire aiuti economici sostanziali, crediti,
informazioni tecniche e soprattutto un decentramento della pianificazione, per adattarla
anche agli interessi dei popoli, al fine di evitare
nuove rivolte.
Furono create così 15 Commissioni con sedi
nelle capitali del blocco, a seconda dell'importanza o dell'efficienza che, per ogni determinato settore, avevano raggiunto i vari Stati (3).
Questa riforma strutturale - che poneva le
basi per una seria coordinazione delle attività nei vari campi - mettendo inoltre in
primo piano i problemi economici, aveva fatto
accantonare quelli teorici, dando così impulso
a l progressiva sviluppo dell'integrazione.
Tuttavia lo sviluppo economico del blocco
orientale è tuttora legato e basato sui rapporti
bilaterali tra l'URSS e i singoli Stati, principalmente preché il COMECON - come organo - non è in grado di concedere crediti a i
Paesi satelliti cosa che gioca un ruolo importantissimo. Perciò questi accordi hanno di fatto
più efficacia delle raccomandazioni del Consiglio e spesso essi stessi servono d i base per i
programmi elaborati dalle Commissioni permanenti.
Malgrado ciò i risultati, grazie ripetiamo alla
presenza dell'URSS, sono sempre di maggior
peso, specie se paragonati con quelli del nostro
strumento d'integrazione, la Comunità Economica Europea.
Né a giustificare questi progressi valgono
alcune considerazioni quale quella della più
affine posizione politica: che se nei Paesi dell'Est vi è una solidarietà ideologica ben più
definita che non il vago senso di democrazia e di libertà, che stancamente si riafferma
nell'Europa Occidentale, in ambedue i gruppi
di Paesi i contrasti politici sono assai gravi.
Né que~lladella maggiore consolidazione delle
strutture del COMECON, dovuta alla più remota origine, dato che, come abbiamo detto
sopra, solo dopo la morte di Stalin, anzi solo
dalla creazione delle Commissioni permanenti,
esso ha fatto concreti passi avanti.
Né tanto meno, infine, quella dell'autorità in( 2 ) Ad esso aderirono iniz,ialmente Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Ungheria e URSS. Successivamente, nel febbraio 1949, aderì l'Albania e nel settembre 1960 la Germania Orientale.
(3) Le 15 Commissioni riguardano:
Questioni economiche . . . . . .
Metallurgia ferrosa . . . . . . .
Metallurgia non ferrosa
Industria carbonifera . . . . . .
Energia elettrica
. . . . . . .
Petrolio e gas industriali . . . .
Industria chimica . . . . . . .
Costruzione macchine . . . . . .
Industria leggera e industria dell'alimentazione
. . . . . . .
Edilizia . . . . . . . . . . .
Traspo'rti . . . . . . . . . .
Agricoltura
. . . . . . . . .
Commercio estero . . . . . . .
Geologia . . . . . . . . . . .
Legname a lavorazione deml legno
. . . . .
.
Mosca
Mosca
Budapest
Varsavia
Mosca
Bucarest
Berlino
Praga
Praga
Berlino
Varsavia
Sofia
Mosce
Mosce
Mosca
Le ultime due Commissioni furono sciolte alla XI Sessione tenuta in Tirana nel maggio 1959, mentre nella
Sessione di luglio di quest'anno è stata costituita quella
per l'energia atomica.
( 4 ) << I1 Consiglio per la cooperazione economica, rappresentato dagli Orga(ni che agiscono nel ranipo di loro
competenza. è autorizzato nel iluadro del presente Statuto
a emettere pareri e decisioni (art. 111, co'mma 2).
I primi vengono dati su problemi relativi alla cooperazione economica e tecnica (art. IV, comma l), le
sewnde si riferisco~noa piwblemi legisla(tivi e procedurali
(art. IV, comma 2). Essi vengono appro~vati, in sede
di Consiglio, solo con l'accordo del paese membro interessato (art. IV, w m m a 3) D.
( 5 ) E' di estremo interesse per noi ricordare che
nell'ultima sessione, tenuta nel lwlio scorso a Budapest,
pur non trascurando i problemi a breve scadenza - co'n
pai-ticola<re riguardo per quelli delle macchine utensili,
della produzione del grano e dei foraggi, del miglioramento qualitativo delle merci di consumo e della più
armonica cool~erazione nel campo tecnico-scientifico si è comnstatata la necessità di formulare dei piani a
lunga scadenzai, enucleando alcuni settori base ùa sviluppare con particolare effiracia. I principali settomri
interessati sono,:
Centrali elettriche: sviluppo delle possibilità della rete
fluviale clanubiana e po~lacca, a vantaggio principalmente
dtill'Ungheria,.
Carbone: razionalizzazione della produzio'ne polacca.
con attre7,zatura di nuove miniere attraverso crediti
esterni. Concentrazione della produzione carbchimica in
Polonia. mentre quella della lianite e dei suoi derivati
viene riservata alla Germania orientale.
Petrolio: s v i l u ~ p o della produzio.ne della Romania e
impianto, nel territorio romeno, di una forte industria
petrochimica. Costiuzione di oleodotti in partenza dalla
Unione Sovietica e dalla Romania e diretti verso Polonia,
Cecoslovacchia, Ungheria e Germania o'rient~le, dove
verrebilero impiantate anche alcune raffinerie.
Minerale di ferro: concentrazione dei rifornimenti
delle democrazie popolnri, povere in genere di minerali
di ferro, sui giacimenti somvietici di Iirivoi Rog e sforzi
per eliminare l a concorrenza del minerale di ferro svedese, sin qui fonte di rifornimento primaria delle democrazie popolari.
Industria metallurgica: Concentrazione della produzione
nel triangolo industriale Cecoslovacchia-Polonia-Germania
orientale, w n alcune limitate produzioni specializzate
in Ungheria e Romania.
Ripartizion,e dei conipiti t r a le varie democrazie popolari per quanto riguarda la produzione di macchinari
pesanti, veicoli, trattori e macchine utensili: è questo
uno dei settori in cui le resistenze dei singo'li paesi alla
specializzazione completa della produzione appaiono tuttora assai vive.
Tra.?porti: s v i l u ~ p odelle linee di co~municazione ferroviaria e fluviale, con la ripresa di progetti di canaiizzazione abbandonati nel dopoguerra. Costruzione di
un grosso porto commerciale a Rostock sul Baltiw.
Agricoltura: Comncentrazione dello sforzo produttivo in
Bulgaria e Ungheria, che verrebbe così riportata, almeno
in Parte, alla sua funzione iniziale di grande fornitore
agricolo dell'Europa centrale.
26
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
EL REGIME SPAGNOLO & CON L9ANTIEUROPA
I b a sC h i n 0 n d i m e n t iC a n 0
L a S p a g n a è oggi u n Paese sottratto a l l a
battaglia p e r il federalismo e p e r l a libertà:
e p p u r e n o n sensbra che gli « occidentali » si
scandalizzino eccessivamente d i questo sperpero d i ricchezza morale e culturale. Una
rapida, a c u t a sintesi dell'apporto della S p a g n a alla civiltà democratica e personalista
dell'Europa è costituita d a l bellissimo saggio
d i José M. Semprun y Gurrea s u « L i b e r t à
e democrazia nella storia del pensiero politico spagnolo » (nel volume « Laicismo e n o n
laicismo », a c u r a d i Magda d a Passano,
Milano, 1955). Occorre poi ricordare u n precedente della s t r u t t u r a statale a base regionale - sancita nella Costituzione della Repubblica italiana - nella Costituzione repubblicana spagnola d e l 1931 (cfr. la relazione d i Gaspare Ambrosini a i V S t a t i
Generali i n << Comuni d'Europa D, n. 5, maggio 1960 - i n proposito v. anche dell'Ambrosini « L'ordi~zamento regionale - L a r i f o r m a
regionale nella Costituzione italiana » Bologna, editore Zanichelli, 1957, e p e r u n o s t u dio specifico sulla s t r u t t u r a della Costituzione repubblicana spagnola e sullo S t a t u t o
della Catalogna il suo classico libro « Autonomia regionale e federalismo », Roma, Edizioni Italiane, S. d.).
Ancora i n t e m p i recenti i n S p a g n a s i sono
messi i n galera o si sono comunque vessati
i democratici europeisti. Q u i appresso riproduciamo d a e Il Powolo » d e l 12 novembre
1960 IL^ « servizio » d i Massimo Olmi.
La Valle de 10s Caidos - cioè la Valle
dei Caduti , - si trova ad una cinquantina di
chilometri d a Madrid: un immenso sacrario
incassato nella roccia e sovrastato da una stupenda, altissima croce attorno alla quale fanno
gruppo alcune statue. L'insieme è dedicato alla
memoria dei caduti della guerra civile. u ...Dei
caduti amici d i Franco n precisa il signore che,
nell'autobus che dalla capitale ci ha condotto
Ano a l sacrario, è rimasto seduto accanto a
noi e adesso ci fa un po' da cicerone. Mala
lingua come la sua n e abbiamo sentite poche,
persino in questa Spagna che nel regime politico attuale sembra trovare la fonte inesauribile
di battute di spirito, di barzellette e di piccole
e grandi cattiverie: il sig. T.H., alla N Valle de
10s Caidos , deve esserci venuto di malavoglia,
probabilmente non è madriieno, lo ha spinto
soltanto la normale curiosità del turista. Non
sappiamo se sia madrileno, ma cattolico praticante lo è certamente: e democratico di sentimenti, anche. Durante il viaggio, avevamo
avviato una interessante conversazione sulla
democrazia cristiana italiana, sul movimento
repubblicano popolare di Francia e, in generale, sui movimenti e partiti democratico-cristiani d'Europa. I1 nostro compagno non solo
si era dimostrato molto a l corrente delle cose
di casa nostra e di quelle di Francia e di
Gerniania ma, per chiari segni, aveva rivelato
che il suo non era l'interesse distaccato dello
studioso di problemi politici, sibbene l'interesse di chi partecipa, vive il fenomeno preso
in esame, insomma simpatizza con esso. Quel
... dei caduti amici di
commento secco secco
Franco.) mi aveva confermato che fra lui
e il iranchismo doveva esserci una vecchia
ruggine.
'b
'5
( C
.
Protestiamo. D'accordo, a l centro del sacrario vi è la tomba di José Antonio Primo de
Rivera (il solo, con il torero Luis Miguél
Dominguin, a godere in Spagna del privilegio
di essere chiamato per nome) ma se non erriamo nelle intenzioni del governo questo
monumento deve ricordare tutti coloro che
sua intenzione d i ridurre la Navarra (che
peraltro oggi non è considerata generalmente
come parte del paese basco), Alava, Guipuzcoa
e Viscaya a l semplice status di provincie. La
sconfitta dei carlisti significò la sconfitta della
causa autonomista basca: il governo del 1936 si
rese popolare fra i baschi per aver concesso
quello che i liberali della prima metà del secolo
Quando scoppiò la guerra civile, i baschi si
trovarono d i fronte ad un delicatissimo problema di coscienza: restare fedeli alla repubblica e conservare l'autonomia
il separatismo
è una sciocchezza: è stato sempre considerato
tale n commenta il nostro cicerone) oppure
passare dalla parte di Franco e rinunciare in
partenza ali'autonomia? Obbedire a l governo
legale, osservare la dottrina della Chiesa circa
la sottomissione ai poteri costituiti, volere la
libertà per la loro patria? Oppure far causa
comune con gli insorti ed accettare il carattere
di crociata che essi davano alla loro lotta? Mai
un popolo cattolico si trovò a dover scegliere
fra i corni di un simile dilemma: i baschi nella
loro maggioranza (Guipuzcoa e Viscaya, mentre Alava fu per Franco) optarono per la
repubblica. = Era per noi - spiega T.H. - il
minore dei mali: e comunque il paese basco
non conobbe una sola chiesa incendiata, un
solo sacerdote ucciso. Cattolici eravamo, cattolici restavamo: franchisti, no D.
([C
UN ARTICOLO DI STURZO
Barcellona: il Museo Marittimo.
caddero negli anni 1936-39: dunque, franchisti
ma anche repubblicani 3,. Ci sentiamo rispondere:
Può darsi ... Forse ha ragione lei. E
certo nel corso della guerra civile gli
- suagnoli
dell'una e dell'altra parte non si sentirono mai
- dico mai - nemici ma sempre e solamente
avversari. Dunque, se il concetto ispiratore del
sacrario fosse davvero quello che lei sostiene,
sarebbe non solamente un concetto cristiano ma
che si rifarebbe a quello che fu il carattere del
massacro d i venti anni fa. Mi permetta comunque di restar dubbioso ... .. Cerchiamo di aiutarci
con la geografia.
Lei, scusi, in quale parte
della Spagna è nato? n. Risposta: Son basco D.
Adesso capiamo tutto. Cattolico praticante e
chiaramente non franchista: non poteva che
essere basco ( o forse anche catalano).
A
-
Quanti ricordi si affollano alla mente! Soprattutto l'appassionata ed appassionante polemica
che la tragedia del popolo basco, la tragedia
di Guernica distrutta dagli aerei nazisti, suscitò in Francia, l'appello che per il popolo
basco lanciarono allora Francois Mauriac,
J . Madaule, Gabriel Marcel, Jacques Maritain,
Emmanuel Mounier, Claude Bourdet sulle colonne de La Croix B nel maggio del 1937, la
protesta di Mauriac su Le Figaro n ( a Non si
assassina un vecchio popolo cristiano solo perché h a creduto che non occorreva ribellarsi ... .)
e poi l'articolo di Don Sturzo s u l l ' ~Aube
~
D
.
UN POPOLO FIERO
La storia del popolo basco - questo popolo
fiero, incostante e gelosissimo della propria
lingua, delle proprie tradizioni culturali e folcloristiche - può interessare notevolmente gli
storici e gli antropologi ma pure (anche se
pochi lo sanno) gli studiosi della democrazia
cristiana europea. Perché se oggi i pochi democristiani spagnoli si trovano soprattutto in
quella fascia settentrionale del Paese (ed in
Catalogna), ciò è dovuto a l fatto che solamente
là si è avuto praticamente un esempio di regime
spagnolo sinceramente cattolico e sinceramente
democratico. Come si ricorderà, il 5 ottobre
del 1936 il governo repubblicano concesse l'autonomia regionale alle provincie di Alava, Guipuzcoa e Viscaya: due giorni dopo la proclamazione, il 7 ottobre, sotto l'albero sacro dei
baschi, José Antonio de Aguirre fu eletto Presidente del governo locale. Prendeva cosi consistenza e realtà il vecchio sogno dei baschi:
nel quadro della madre Spagna, veder riconosciuta l a = personalità ,, culturale basca. Per la
difesa a i quel principio i baschi non avevano
esitato ad essere dalla parte dei carlisti nel
corso della guerra civile del 1833-1339, visto
che il governo di Madrid, che peraltro era
liberaleggiante. aveva chiaramente mostrato la
La tradizionale danza basca dei bastoni.
( c c Niente
crociate, niente guerra santa ... n) ...
Quanti ricordi! Dolorosi, laceranti ricordi.
Noi non abbiamo dimenticato Aguirre. E
Franco non ha dimenticato noi. A Madrid, se
uno critica ad alta voce il regime, tutt'al più
può beccarsi una multa: ma se ci prova a
Bilbao, a Vitoria, dovunque nella nostra regione, sarà la galera. Ha detto che questo
sacrario è per tutti i caduti della guerra civile?
Prendiamo per buona la sua affermazione.
Venga, andiamo a pregare. Fer gli uni e per
gli altri. Venga ... n.
E ci spinge dentro.
Massimo Olmi
27
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
Il congresso del popolo europeo
U n insegnamento di Machiavelli
di Altiero Spinelli
Ristampiamo questo scritto di Altiero Spinelli
del maggio 1958 ( v . l'indispensabile volume
l'Europa n o n cade dal cielo Il Mulino [ B o logna, 19601, pag. 259 sgg.), che chiarisce molto
bene l'assioma politico su cui sono arrivati definitivamente a basarsi i federalisti europei del
nuovo corso n (l'ala maggioritaria dell'union
Européenne des Fédéralistes, che ha assunto
posizioni intransigenti dopo la caduta della CED
nel 1954). Del Congresso del Popolo Europeo,
promosso da questi federalisti, la manifestaziolie
più vistosa sono le elezioni primarie n, eleziolii
private
che esso va estendendo a sempre
n u o v e città europee, dopo averne scelto iin
primo nucleo iniziale ( T o r i t ~ o .Milano, Lione,
Strasburgo, Darmstadt, Maastricht ...), al fine
di legittimare con u n crescente siiflragio popolare esplicito l'azione di avanguardia che va
conducendo. Benché tutti i federalisti, iibtraibsigenti e moderati, abbiano cittadinanza nel
Consiglio dei C o m u n i d'Europa (purché il loro
autentico obiettivo sia la Federazione europea, e
n o n l'Europa delle patrie o altre forme d i associazione d i Stati nazionali sovraiii), occorrerà
sottolineare che molti sono nel CCE, i n Italia
come i n Francia, i n Germania e nelle altre Sezioni, i militanti del Coligresso del Popolo
Europeo. Non possiamo a questo proposito n o n
ricordare l'indimenticabile figura del Sindaco
di Udine, Giacomo Centazzo, Vicepresidente
dell'AICCE testé deceduto.
Del resto pare evidente che, per far compiere all'Europa la svolta decisiva, occorra u n a
forza democratica sopranazionale e azctonoma
delle forze politiche organizzate su scala nazioiiale. S e queste ultime, invece d i porre remore
e riserve, collaboreranno con la fo.rza sopranazionale, tanto meglio: nessuno vorrà respingerle, tiitt'altro.
)),
(C
C<
))
* * *
E debbasi considerare come n o n è cosa più
difficile a trattare, n é più dubia a riuscire, n é
più periculosa a maneggiare, che farsi capo a
introdurre n u o v i ordini; perché lo introduttore
ha per nimici tutti quelli che degli ordini vecchi fanno bene, e ha tepidi defensori tutti quelli che degli ordini n u o v i farebbono bene. La
quale tepidezza nasce, parte per paura degli
avversari, che hanno l e leggi dal canto loro,
parte dalla incredulità degli uomini, i quali
n o n credono i n verità l e cose n u o v e , se n o n n e
veggano nata u n a ferma esperienza: donde nasce
che qualunque volta quelli che sono nimici
hanno occasione d i assaltare, lo fanno partigianamente, e quegli altri defendono tepidam e n t e : i n modo che insieme con loro si periclita.
.: E'
necessario pertanto, volendo discorrere
b e n e questa parte, esaminare se questi innovatori stanno per loro medesimi o se dependano da altri: cioè, se per condurre l'opera loro
bisogna che preghino, ovvero possono forzare.
Nel primo caso capitano sempre male e n o n
conducono cosa alcuna; m a quando dependono
da loro proprii e possono forzare, allora è che
rare volte periclitano D.
I n questa meditazione fredda e profonda di
Machiavelli si trova la spiegazione dell'infelice
storia dei dieci ultimi anni d i europeismo, e
l'indicazione del metodo che conviene seguire
se si vuole veramente = farsi capo a introdurre ,,
quei n u o v i ordini * che sono la federazione
europea.
L'unificazione d'Europa è stata f i n o ad ora
affidata all'iniziativa dei governi nazionali. Sono
essi che hanno fatto delle proposte, che hanno
redatto dei trattati, l i hanno firmati e l i hanno
fatti approvare alle maggioranze parlamentari
d i cui disponevano. Non è stato u n caso che
abbiano preso iniziative di tal genere. Essi si
rendono conto che la politica estera, militare,
economica e sociale n o n può essere condotta
i n m o d o valevole al giorno d'oggi i n Europa
se non mediante un'azione europea, e quando
l o dimenticano i fatti stessi si incaricano di
ricordarglielo periodicamente. Ma i governi e
i partiti nazionali sono fatti per esprimere punt i di vista, sentimenti e volontà nazionali. E' a
questo f i n e che governano, legiferano e levano
imposte. Né i ministri n é i parlamenti hanno
la tendenza a limitare i loro propri poteri. L e
forze politiche e sociali, che sono organizzate
i n ogni paese i n vista di partecipare alla formazione delle leggi e agli atti di governo, n o n lo
desiderano neppure esse, perché se sono al gov e r n o beneficiano di questo potere, e se sono
all'opposizione, sanno che il gioco democratico
permetterà loro u n giorno d i beneficiarne. N e
deriva d u n q u e che, se n o n sono forzati a comportarsi diversamente, i governi nazionali concepiscono sempre l'azione europea, d i cui pur
sentono la necessità, come u n a cooperazione fra
stati sovrani. S i promettono reciprocamente,
mediante trattati, d i condurre u n a comune politica militare, estera, economica; avviluppano
questa promessa i n frasi solenni, i n commission i , i n consigli, i n assemblee multiple; m a m a n tengono ciascuno per il suo stato il potere
reale d i governare e d i legiferare, d i decidere
e d i eseguire. I cittadini continuano a essere
obbligati all'obbedienza solo verso l e leggi e
l e decisioni dei loro stati. T u t t e l e istituzioni
e l e comunità europee esistenti n o n riescono
a nascondere sotto il loro belletto di pseudoesecutivi e di pseudo-parlamenti europei l a loro
vera natura d i istituzioni internazionali, dipendenti per quanto riguarda la loro esistenza,
dalla buona volontà degli stati che restano sovrani. La C E C A stessa di cui si vanta così spesso
la sovranazionalità, n o n f a eccezione per chiunq u e n e abbia seguito l'involuzione e sappia che
il vero potere si è rapidamente spostato nel
suo seno dall.'Alta Autorità verso il Consiglio
dei ministri nazionali. Ma il mantenimento di
questa sovranità è precisamente l'origine dei
mali dell'Europa.
U n paragone semplicissimo basterà per far
capire la natura d i queste comunità. Supponete
che a simiglianza dello stato dell'arkansas, che
ha deciso di recente di n o n applicare u n a decisione della corte federale americana, u n o stato
europeo decida domani d i obbligare i suoi cittadini a pagare u n dazio doganale, a mantenere u n cartello, a evitare la vendita del carbone a clienti di altri paesi, a ignorare una
misura igienica dell'Euratom. Per spezzare il
rifiuto del governatore Faubus, la federazione
americana dispone di u n a forza armata che
interviene a d i f e n d e r e i diritti dei negri. Dov'è
il gendarme della Comunità europea che potrebbe difendere il cittadino contro u n a decisione abusiva del suo stato nazionale?
I1 fatto è che l e iniziative europee dei governi nazionali n o n sono passi verso l'unificazion e europea; sono, sì, risposte al problema dell'unità dinnanzi al quale gli Europei si trovano,
m a sono risposte abilmente negative che permettono agli stati nazionali e a coloro che li
dirigono d i evitare l'ostacolo e di conservare
nelle loro m a n i i poteri che dovrebbero abbandonare.
Usando i termini di Machiavelli diremo d u n q u e che gli a introduttori d i ordini n u o v i dagli uomini d i stato europeisti f i n o ai federalisti raggruppati n e i diversi m o v i m e n t i europei - hanno finora periclitato = perché diperché dovevano prependevano da altri
gare governi e parlamenti nazionali, cioè coloro stessi che degli ordini vecchi fanno b e n e n , m e n t r e sarebbe stato necessario a forzarli P.
.,
.
K
L'Europa n o n sarà unificata dai governi nazionali, la cui funzione, prima dell'unità è di
impedirla, e dopo l'unità sarà d i frenarne u n o
sviluppo eccessivo, vale a dire è i n ogni caso
u n a funzione antagonista al processo dell'unificazione. Essa n o n sarà neppure unificata dalle
Comunità grazie alle quali i governi conserv a n o l e loro prerogative. Sarà unificata da u n a
forza imperialistica - e i protettorati russo e
americano sono abbozzi d i questo tipo d i u n i f i cazione - oppure da u n a forza democratica
europea. T u t t o il problema è di sapere quale
dei d u e metodi si realizzerà prima.
Lascio q u i da parte l'ipotesi dell'unificazione
imperiale. Non perché la creda impossibile, o
i n se stessa abominevole. Semplicemente perché sono u n o di quegli Europei che sono decisi
a fare tutto quello c h e è umanamente possibile per risparmiare all'Europa quest'umiliazione, e che sono persuasi che l'unificaziori,fatta dagli Europei stessi sarà insieme m e n o
pericolosa e più feconda per l'umanità intera
che n o n l'unificazione imperiale.
Creare u n a forza democratica europea, capace di obbligare gli stati nazionali a capitolare
e a riconoscere che l'Europa d e v e essere fatta
dagli Europei stessi, n o n è un'impresa facile.
Machiavelli ci dice che si tratta di un'operazione
difficile a trattare, dubia a riuscire, periculosa a maneggiare ;.>.Ma dal m o m e n t o c h e ci
sono oggi i n Europa uomini che hanno deciss
d i suscitare questa forza democratica europea,
vale la pena di arrestarci u n m o m e n t o davanti
alla loro azione per intenderne il significato
profondo.
Per riuscire a far scaturire questa forza n o n
basta far capire ai cittadini dei nostri paesi
che l'Europa è necessaria. Oso dire che, con
più o m e n o chiarezza, quasi tutti ormai senton o che il quadro nazionale è sorpassato, che
l a politica estera, militare, economica e sociale
ha dimensioni europee, che t u t t i gli Europei
sono legati a u n a sorte comune, che l'Europa
forma ormai u n tutto. E' impossibile oggi leggere u n giornale, ascoltare la radio, partecipare a u n dibattito politico i n u n parlamento
o i n u n c a f f é , senza incontrare la parola Europa,
carica del doppio significato di comune sventura e di comune speranza. Quello che gli Europei n o n capiscono ancora è che quest'Europa,
desiderabile e i n u n certo qual modo quotidianamente presente, n o n può essere l'oggetto dell e operazioni diplomatiche dei governi nazionali; c h e essa n o n è altra cosa che loro stessi:
gli Europei. N o n comprendono che l'Europa n r n
è ancora u n a realtà politica operante, perché
essi, gli Europei, hanno sì, a f f a r i comuni, responsabilità comuni, m a non posseggono n é diritti, n é doveri, n é leggi, n é istituzioni europee.
Dovrebbero costituire u n popolo - il popolo europeo - m a n o n lo sono. T u t t i i loro doveri e i
loro diritti politici sono nazionali. Dalla loro infanzia hanno imparato che la suprema comunità
politica, la sola c h e abbia il diritto di esigere
l'obbedienza, il denaro e persino la vita, la sola
che essi abbiano il diritto d i controllare dernocraticamente, è la comunità nazionale rappresentata dallo stato nazionale sovrano. Questo
stato n o n esiste dall'eternità; m a gli Europei
si comportano come se dovesse esistere per
l'eternità.
I1 lealismo nazionale n o n è più tuttavia radicato nello spirito degli Europei. L o è stato n e l
passato, e ha generato allora, i n bene e i n
male, grandi cose i n t u t t e l e nazioni; m a dopo
tutto quel che è accaduto dal 1914 ad oggi, il
lealismo nazionale n o n ha più e non può più
avere troppa consistenza. L'incredulità b e f f a r da circa la capacità del nostro stato d i c m t a r e
qualcosa i n caso di guerra, l'attesa nervosa che
i Russi e gli Americani dispongano di noi i n
u n a conferenza al vertice, il r i f i u t o crescente i n
u n campo dopo l'altro di subordinare gli interessi particolari di questo o quel gruppo all'interesse comune, la fuga annuale di giovani
scienziati dall'Europa verso l'America, l'indifferenza di larghi strati della popolazione per i
nostri sistemi d i libertà democratiche nazio-
COMUNI D'EUROPA
28
nali - tutto questo e altri sintomi ancora che
si potrebbero aggiungere alla lista, sono altrettante prove che nello spirito degli Europei, lo
stato nazionale e il lealismo nazionale stanno
agonizzando.
I1 primo passo d a compiere per creare una
forza democratica europea è dire ad alta voce
quello che già tutti sentono; esprimere in parole chiare e dure quello che giace inespresso
nella coscienza politica di tutti. I nostri stati
nazionali sovrani sono diventati la grande menzogna politica di cui l'Europa sta morendo.
Coloro che se n e disputano il potere sono i
guardiani gelosi di questa menzogna. I nostri
stati usurpano ormai funzioni che credono pot e r esercitare nel nostro interesse, mentre non
sono più in grado di farlo. Lo stato nazionale
sovrano è diventato un idolo incapace di renderci servizio in tutta una serie di campi essenziali della vita pubblica, ma pretende purtuttavia di monopolizzare la nostra coscienza
e la nostra azione politica. Contro di essi è
venuto il momento di rivendicare il diritto
degli Europei di costituirsi in popolo europeo,
il diritto di darsi una costituzione federale attraverso una cosJituente direttamente eletta da
loro, e di ratificarla direttamente con referendum in ogni nazione.
S i potrà parlare di Europa come realtà politica solo a partire dal momento in cui il popolo
europeo esisterà e si darà l e sue leggi e il suo
governo, riducendo gli stati nazionali alle sole
funzioni di dimensioni nazionali.
La coscienza di non poter più essere soltanto
cittadino nazionale e di dover ritirare una parte
del lealismo politico dalla propria nazione e
dal proprio stato nazionale per trasferirlo al
popolo europeo e a l suo stato federale, non
può diventare una forza politica che se si traduce in un'organizzazione di lotta europea, l a
quale sormonti le frontiere nazionali, sia indipendente da ogni organizzazione nazionale, e
il cui fine sia la conquista dei diritti politici
degli europei e la creazione delle loro istituzioni fondamentali.
dicembre 1960
I1 Congresso del Popolo Europeo, nato da
una meditazione sulle ragioni del fallimento
dei movimenti europei d i questi ultimi dieci
anni, che si proponevano di a pregare invece
di forzare B gli stati nazionali, è questa organizzazione d i lotta. F a appello a tutti coloro
che sentono la necessità di rivendicare i propri diritti di cittadini d'Europa. Le sue elezioni
primarie sono il mezzo che permette di suscitare questa coscienza e che l e dà la possibilità
di esprimersi. L e sue sessioni d i delegati eletti
dai loro cittadini costituiscono il primo foro
politico europeo. La sua organizzazione di militanti, che hanno deciso di liberarsi dalle servitù della vita politica nazionale e di concentrarsi nella lotta per i diritti del popolo europeo è lo strumento che condurrà l a battaglia
politica in nome di tutti gli elettori del Congresso. La sua struttura, che rifiuta deliberatamente l e divisioni nazionali, assicurerà l'unità della sua azione.
Suscitando un atto d i accusa sempre più veemente contro l'illegittimità delle sovranità nazionali, risvegliando la coscienza dei diritti europei in un numero sempre maggiore di cittadini, organizzando un'agitazione sempre più
larga e permanente in favore della costituente
europea, profittando dei momenti critici che
periodicamente mostreranno l'urgenza dell'unità, sfruttando la cattiva coscienza d i tutti i
democratici, i quali non possono rifiutare il
principio che l'Europa è cosa degli Europei, e
che tuttavia si adattano alla finzione che n e fa
cosa degli stati nazionali e delle loro diplomazie, il Congresso del Popolo Europeo si propone di arrivare a un momento in cui gli stati
o almeno alcuni di essi siano a forzati 2 a capitolare, e rinunzino a trattare essi stessi questo problema, convocando la costituente europea.
A questa prospettiva o, per meglio dire, alla
decisione di condurre questa battaglia, si replica d i solito che è troppo unilaterale, che
non tiene conto della complessità dei fattori
che ci conducono verso l'unità.
))
C
E' fin troppo evidente che se l'unità federale
dell'Europa diverrà un giorno una realtà, tutti
vi avranno contribuito. I suoi amici e i suoi
nemici, gli uomini d'azione e i contemplativi,
i moderati e gli estremisti, i conservatori e i
rivoluzionari, gli interessati e gli indifferenti,
i realizzatori e i sognatori, la forza delle cose
e la volontà umana, le fortune e le sfortune.
Lo storico potrà avere lo sguardo maestoso e
generoso di Dio dopo la creazione. Conoscendo
già tutto quello che sarà accaduto, troverà che
tutto sarà ben accaduto. Gli ostacoli, gli avversari, l e false soluzioni, l e possibilità di sconfitta
gli appariranno 'nel ruolo mefistofelico della forza che vuole sempre il male, e crea sempre il
bene. Ma non siamo ancora a questo punto.
L'unità dell'Europa non è una realtà. E' solo
una speranza e potrebbe benissimo rimanere
un sogno. Gli ostacoli possono non essere superati, gli avversari possono vincere la partita,
le false soluzioni possono avere la meglio su
quelle buone, la sconfitta può essere l'ultima
parola di quest'avventura. Lo storico futuro,
sempre maestoso e generoso, scoprirebbe allora
che l'azione e l'ideale europeo saranno stati
solo una manifestazione deli'astuzia della ragione e che avranno in realtà solo servito a
raggiungere conclusioni del tutto diverse.
Quando si riflette oggi sul problema dell'unità europea, non serve a niente avere l'occhi3
contemplatore dello storico, perché non c'è
ancora niente da contemplare; bisogna avere
l'occhio pratico dell'. introduttore di ordini nuovi n. Costui è tenuto a considerare gli avversari, gli ostacoli, l e false soluzioni come tali,
e non come elementi dialettici dell'armonia
universale. E' anche tenuto a sapere che l'Europa non è soltanto un insieme di problemi:
è prima di tutto un insieme di uomini, e che
perciò non nascerà se non avrà messo radici
nelle loro anime. Ma queste radici non possono
essere altro che il rifiuto del lealismo nazionale totale e la rivendicazione dei diritti del
cittadino d'Europa.
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--,
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direzione
centrale
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roma
-
via del corso, 173
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
29
I1 credito finanziario alle comunità locali europee
ge, si avverte un n o n chiaro avvenire per
il governo locale; mentre 21 fiorire del governo locale è determinante per conferire
. . . . . . . . . . . CI misura u m a n a alla democrazia e , t o u t
L'unificazione monetaria presuppone
court, per l'incremento della libertà. L'ininderogabilmente l'integrazione policertezza delle f u n z i m i attrzbuite all'ente lotica ...
cale territoriale e , n o n d i vado. l'inadeguatezza dell'ente locale alle funzioni che dovrebbero essere ad esso attribuite (occorre,
(« La politica monetaria della
Comunità economica europea », respecie in Francza e in Italia, realizzare o
lazione - 21 marzo 1960 - al
Comitato d'Azione del Movimento
adeguare glz enti terrztoriali locali zntermedi
Euro~tu,- n. 22 della «serie relaf
r a i l Comune e l o Stato) intralciano u n a
zioni » dell'Istituto di economia
aziendale dell'Università Bocconi,
soluzione di fondo e u n a n o n equivoca bateditore Giufirè, Ililano).
taglia politzca per l'autonomia finanziaria dez
P o t e n locali. I n t e m a di fiscalztà locale, per
U n certo n u m e r o d i soci e d i simpatizzanti
del Consiglio dei Comuni d'Euro~pa è pro#- esempio, i Poterz localz si aggvappano sobabilmente insoddisfatto della lentezza, con v e n t e a imposte arcaiche o comztnque anticui si prospetta la realizzazione effettiva d i economiche ( o anti sociali), se e appena queu n a soluzione europea del problema del cre- ste permettono una q~ralsiasz conservazione
dito finanziario agli Enti territoriali locali: della loro autonomia, m e n t r e lo Stato, col
m a occo'rre rendersi ragione del perché, al pretesto di aggiornamenti fiscali, n o n si f a
fine di ovviare - per la via migliore - a scrupolo d i inaridire le fonti finanziarie dei
Poteri locali e di integrarne poi i bilanci
questa lentezza e d i n o n limitarsi a un atteggiamento genericamente protesta bari,^ o a con sovvenzioni discrezionali, che mettono in
u n deluso disinteresse.
mora i l p ~ i n c i p i ostesso dell'autonomia: v i Anzitutto Za soluzione d,el problema è ceversa, specificate e rese certe le funzioni
obiettivamente difficile per d u e m o t i v i condei Poteri locali, si potrebbe pervenire a un
correnti. Da u n lato, pur fra quei Paesi di a ~ ~ t o ~ m a t riparto,
ico
fra essi e lo Stato, delle
Europa che se l'a sono pro~posta, batt'e il entvate fiscali generali e allo stessio r i o ~ e n passo l'integrazion,e economica vera e pro'- tamento complessivo d,el si'stema fiscale, si
pria - qu8ella, per intenderci, che richiede da rend,erlo congrzto a un regime fed,erale o
quanto m e n o autono~mistico ( c f r . ,Studi sul
u n a comune volontà politic'a e quindi, alm e n o i n fieri, le r e h t i v e istituzioni -:
il federalismo a cura di B o ~ u ~ iee Friedrich,
traduzione italiana, Milano 1959: cap. V I I ,
MEC (meglio: la Comunità Econ,om,ica Europea) ha superato già brillantemente alcuni Finanze pubbliche - questo di'scorso vale si'a
traguardi di unione d,oganale e ha permesso
all'interno d.ei singomli Stati, cioè per il fedeanche altre p r ~ ~ v v i d e n z eeconom,iche e so- ralismo infranazionale, sia per l ' c c armonizciali, che n o n impli,cano tuttavia u n autenzazione dei sistemi fiscali dei Paesi della
tico inizio di integvzzione. I campi min,ati, Comun,ità europea, cioè nella prosplettiva del
tipico quello d i u n a politica mo'netaria comufederalismo sopranazionale). Non ci di1un'n e , sono stati finora accuratamente evi,tati; ghiamo ulteriormente su questo secolndo m o tivo, del quale si son'o o~ccupatinegli ultimi
nessuno ag'ita concretamente t e m i come quello di u n a politica comunitaria delle aziende t e m p i bz nostra Sezione italiana ( v . l e riso>e c ~ n o m ~ i ' c hdi
e diritto pitbblico. I n quest,a luzio'ni del Direttivo dell'AICmCE, sotto il
titolo N I n Campidoglio in K Comuni d'Eusituazione riesce difficile porre su scala elin . 1, gennaio 1960, pag. I sg., e la
ropea i projblemi finanziari d,ei Poteri locali, ropa
relazione Maggio nel n . 5, maggio 1960,
considerati gelosamente come affari privati
degli Stati ancora sovrani
malgrado t u t - pag. 7 sgg.) e t u t t o il C'CE ( v . f r a i rapporti
preliminari sui 3 t e m i dei V Stati generali
to, tanto nell'economia quanto nella politica.
Dall'altro lato occorre francamente ricoquello della prima commissione, con l e note
noscere che t u t t o quello che attiene all'aucomplementari per i singoli Paesi, i n Costonomia finanziaria dei Poteri locali tende m u n i d'Europa » n . 3, marzo 1960, pag. 7 sgg.,
oggi ad essere zn ogni caso accantonato o sue nel n. 4, aprile 1960, l'editoriale Dopo
bisce sollirzàoni provvzsorie, m a i di largo reCannes no~nchéla riso~luzio~ne
su,lle autonospiro ( e quindi tanto m e n o so~vranazionali), m i e lo'cali a pag. 8 ) .
perché c'è in t u t t i i Paesi d'Europa u n a crisi
Accennati i due motivi osbiettivi che rendelle autonomie local-i. che andrà, anche dotdono difficile la solitzione del problema, bi'trinariamente, risolta. Occorre rivedere le sogn,a subito aggiungere che i Po~tert locali
funzioni dei var0 Enti locali, definirle meglio
n o n po'tranno comunque vincere questa loro
nel quadro dei vasti pzanz di sviluppo ecobattaglia finché,
uniti al di sopra delle
frontiere I) - co'me recita la Carta europea
nomzco e n e i confronti degli Entz parastatali interessati alla sicurezza sociale e ad
delle libertà Locali -, n o n sapranno più saldamente o~ganizzarsi,chiarire senza residui
altre branche fondamentali della v i t a asdi dubbio le proprie idee comuni ed esersoczata moderna. U n comunalismo vecchio
citare u n reale peso politico. Che è come
stile e un bmapartzsmo rinverdito dalle ridire: aiittiamoci a potenziare il Consiglio
chieste sempre maggiori - e del resto inedei C o m u n i d'Europa, rendiamo possibile
vitabili -, che si vanno facendo alla cosa
ad esso ( e alla Comunità europea d i Credito
pubblica, si fronteggiano oggi i n molti Paesi
c m z t n a l e ) di utilizzare un servizio studi
d'Europa: ed anche ove u n a struttura autoveramente autonomo e veramente all'a,lteznomistica, o a d d i r i t t u ~ afederale, ancora reg= L'integrazione economica della piccola Europa è irrealizzabile i n assenza
di una politica monetaria comune.
)I.
za dei grossi progetti che ci proponi'amo, chiariamo senza possibilitu d,i equivoco la cornice
europea en,tro La quale dobbiamo operare
(quella parte d'Europa ove sia realmente riscontrabile u n a vo~lontà d i integrazione') e,
quindi, esercitiamo c o n tenacia t u t t o il n80stro peso politico - che si moltiplicherà,
per un fenomeno noto alla scienza politica, se sapremo allearci a forze che già lavorano i n modo concreto all'integrazione europea -.
L a Comunità europe'a d i Credito co~munale
opera, per quel che la riguarda, coerentem e n t e e .senza esitaziwni in tale senso? I lettori d i IL Co~munid'Europa hanno quest'an'n o se~guitou n a polemichetta, che si è svolta
sztll'e colonne della rivista (n. 6, giugno': pagina 16 sgg.) e alla qu,ale hanno partecipato
l'amico Basetti-Sani, esperto dell',AICCE, il
prof. Mossé e i l diretto~redel giornale. Senza
ripetere qui i termini di quella discussione,
vogliamo so~loricavarne il dissenso che si è
ancora u n a volta potuto rilevare f r a il professor Mossé e l'orientamento prevalente d,ella Sezione italiana. Per nulla pretendendo
8
11
)b
>),
)),
N
)D,
C
)I
N
Giordano Dell'Amore
di riscrivere in due righe t u t t a la ormai non
breve storia degli sforzi del CCE in favore
della costituzione d i u n K credito europeo
per i Poteri locali, ci lzmiteremo a ricordare
che, quando Robert Mossé, u o m o di indiscussa competenza e di esperienza ecolnomica
a livello internazionale, assunse la segreteria della CECC, egli si alleò alla tesi italiana di un Istituto europea contro quella
del venerabzle Edgard Milhaud (professore
onorario all'Unzversità di Ginevra e direttore-fondatore d i cc Les annales de l'Econom i e collettive ») - appoggiata sostanzialm e n t e dal Segretarzo generale del Credito
comunale del Belgio, V a n Aztdenhove - di
creare un'associazione o consorzio europeo d i
istituti nazionali di credito comunale. Successivamente ci sembra che Mossé, forse per
troppo amore del progetto che si era entu)l
.
dicembre 1960
COMUNI D'EUROPA
siasticamente affiliato e c h e a v e v a f a t t o
crescere, abbia perso d i vista il sottofondo
politico della sua posizione n e i rigzcardz d i
quella d i Milhaud: donde il controsenso d i
v o l e r f a r e accettare l'istituto europeo a q u e gli stessi ambienti c h e si rifiutano d i accett a r e l'integrazione europea e c h e accusano
il MEC d i dividere l'Eurolpa. C o n questi
i n t e r l o c u t o ~ i egli è costretto a mitigare i l
senso rivoluzionario del suo progetto, sicché
finisce per presentarlo evirato e senza quelfacendo superare le perplesla carica che
sità d e ~ i v a n t idal d o v e r m e t t e r e le m a n i in
materia si complessa - potrebbe allettare
viceversa qualche pioniere dell'Europa comunitaria, anticamera dz qiiella sopranasion a l e e federale. Insoinina Mossé più c h e a
prepararlo alla lotta si è d a t o d a fare per
mostrare il b a m b i n o a c h i u n q u e fosse disposto ad elargirgli un sorriso: pronto, al pari
d i t u t t i i genitorz troppo gelosi delle l o ~ o
creature, a consiclerare c o m e gente cattiva
c o l o ~ oc h e l o guardassero all'inizio c o n aria
distratta o pregassero d i farlo tacere per n o n
d i s t u r b a ~ ei l lavoro. S i , la CECC si è rivolta
anche alla B E I , prima addirittura per coinvolgerla n e l progetto d i Istituto europeo e
poi, q u a n t o m e n o , per proporle u n o stralcio,
cioè il finanziamento diretto d i opere e attiv i t à d e i Poteri locali: m a a livello della dirigenza della Banca europea è e v i d e n t e c h e
n o n ci si può n o n limitare a far p ~ e s e n t i
gli articoli del T r a t t a t o d i R o m a , i l regolam e n t o della Banca stessa e le diretttve superiori impartzte, sul m o m e n t o , dalla C o m missione della C E E ; n é l'incerta lealtà comunztaria (microeuropeista, c o m e dicono i
patiti della grande Europa a parole) delka
CECC riusczrà m a i a indurre un u o m o politico o un funzionario europeo, a n c h e volenterosissimo, a prendersi la gatta a pelare d i
f a r e il paladino di cosa astrusa e dalle indelfinibili prospettive c o m e il credito finanziario alle collettività lo~cali.
D u n q u e , a parer no'stro, difficoltà obiett i v e d i ordine generale, ancora n o n sufficiente peso politico del consigli,^ dei CONmuni d'Europa ed errori d i condotta della
CECC sono i m o t i v i c h e h a n n o a tutt'oggi
ritardato un concreto a v v i o ad u n a soluzione
europea del problema del credito finanzia,rio agli E n t i territoriali lo~cali: il c h e n o n
d e v e scoraggiare gli amministratori locali e
farli desistere dalla Lotta. Deve, se m a i , p o ~ tarli a ineglio g ~ n d u a r ei traguardi, ad allargare frattanto il c a m p o d i collaborazione c o n
la C o m u n i t à Economica Europea e a chiarire, nella propria famiglia, alcune i d e e tuttora n o n chzurissime. A t a l e proposito rim a n e s e m p r e f o n d a m e n t a l e l a relazione f a t t a
all'ormaz lontano congresso d i Frascati dall'amico Tzto Scipione, d a n o i ristampata q u e st'anno
C o m u n z d'Europa D, n. 2, f e b braio).
C
13
-
(l(
Q u i d i seguito riproduciamo, ritraducendolo dal francese, un i n t e r v e n t o i m p r o v v i -
sato dal nostro Direttore, n e l l a sua qiialità
d i m e m b r o dell'Assemblea della CECC e
anche d i Segretario generale della Sezione
italiana del C C E , durante la sessione del
giugno scoirso ( p e r l a quale v .
Comuni
d'Europa n , n. 7-8, luglio-agolsto, pag. 12):
i n t e r v e n t o c h e ci pare t u t t o r a attuale, sia
per i nostri lettori e per gli associati al
Consiglio dei C o m u n i d'Europa che per la
Segreteria della C o m u n i t à europea d i Credito comunale.
.
* * *
Poiché l'amico prof. Mossé m'ha fatto l'onore
di chiamarmi i n causa, Signori, io vorrei adempiere qui a due compiti: l'uno, essere il portavoce del pensiero della Sezione italiana del
Consiglio dei Comuni d'Europa, dal momsnto
che il nostro Presidente Peyron è evidentemente al di sopra della mischia; e d'altro canto
esprimere anche alcuni giudizi personali, di
cui io solo sono il responsabile.
E allora io penso che, innanzi tutto, al momento in cui ci troviamo, noi dovremmo esaminare i motivi per cui i Governi, ed espressamente i Governi dei Sei, come l'amico Mossé
sottolinea talvolta, hanno formulato alcune riserve di fronte ai nostri progetti - io direi
che sono stati più che riservati - e le istituzioni dei Sei sono state egualmente assai riservate.
I1 Presidente Peyron ha letto u n istante fa
una lettera della Banca Europea per gli Investimenti che, in linea di principio, è favorevole
alle nostre proposte, m a altra volta il Presidente Peyron ha avuto l'occasione di sottolineare che l'atteggiamento di questa Banca è
stato esso anche assai riservato.
Al contrario, secondo la comunicazione dell'amico Mossé, l'atteggiamento del Consiglio
d'Europa, o di alcuni ambienti del Consiglio
d'Europa, sarebbe più favorevole, e sempre in
linea di principio questo avrebbe mostrato di
essere molto b e n disposto nell'esame delle nostre proposte.
Io vorrei subito sottolineare che l'atteggiamento più riservato dei nostri Governi e delle
Istituzioni dei Sei e della Banca Europea per
gli Investimenti è ovviamente dettato dal fatto
che i Governi e l e Istituzioni dei Sei quando
danno risposte sono coinvolti i n impegni, poiché i Governi e le Istituzioni dei Sei lavorano
nel campo della realtà: ecco dunque la ragione
della loro prudenza.
Al contrario l e Istituzioni dei Quindici non
hanno nulla da perdere quando si aprono a una
discussione, poiché evidentemente è sempre
possibile accogliere una raccomandazione. Occorre sottolinearlo: è molto facile appoggiare
una proposta, che è destinata a restare sul
terreno puramente accademico.
E allora penso sia arrivato il momento di
vedere u n po' più attentamente le ragioni della
prudenza dei nostri Governi e anche delle Istituzioni dei Sei.
Personalmente ho già qualche altra volta
sottolineato che questo famoso rapporto o espoSto, preparato dal signor V a n Audenhove nella
primavera 1958 per l'Union Internationale des
Villes i n previsione della Seconda sessione della
Conferenza Europea dei Poteri Locali, che si è
svolta nell'ottobre dello stesso anno, che questo
esposto del signor V a n Audenhove - dicevo
- è assai giudizioso, qualora si voglia creare
u n istituto europeo aperto ai Quindici o, se
noi parliamo la lingua della moribonda OECE,
ai Dieciassette ( o ai Dieciotto).
SO bene che il signor Mossé, io stesso e direi
una maggioranza di noi ci siamo battuti altra
volta per l'Istituto europeo (sottolineo europeo)
contro l'altra tesi di una Confederazione di
Istituti nazionali.
Ma - il signor Moss6 lo ricorderà benissimo
- i pilastri su cui poggia questo istituto europeo consistono nel fatto che esso è, alla base,
i n corrispondenza di una integrazione al vertice; cioè esso contribuirebbe a u n tessuto di
base federalista, nello stesso tempo i n cui al
vertice si cerca di costruire una parallela integrazione.
E' evidente che, quando ci si trasferisce sul
terreno dei Quindici, questo parallelismo oggi
non c'è, e secondo m e si tratta di u n parallelismo necessario. Infatti è andare al di là
delle possibilità dei Poteri locali tentar di fai-e
del federalismo di base nel dominio veramente
esplosivo del credito, quando al vertice gli
Stati, i n questo stesso dominio, restano completamente sovrani.
So bene che l'amico Mossé m i osserverà che
oggi - sembra - si profila u n certo ravvicinamento fra i Sei e i Sette: m a io gli rispondo
immediatamente che è u n ravvicinamento che
si profila sul terreno doganale e non davvero
sul terreno dell'integrazione. Avete letto or
ora gli stessi quotidiani che ci dicono che c'è
u n interesse dell'hghilterra per 1'Euratom. Ma
quando si passa sul terreno della Comunità
Economica Europea, allora l'Inghilterra è disposta a qualche gentlemen agreement, ove si
tratta sempre d'un ravvicinamento doganale e
non d'un ravvicinamento sul terreno dell'integrazione europea, comunitaria.
Ebbene, quali sono secondo m e le osservazioni assai giudiziose del signor V a n Audenhove?
V a n Audenhove ci diceva che, prim'a di far
funzionare il credito per i Poteri locali nel
quadro generale della politica monetaria. congiunturale, del credito di uno Stato, u n Governo
nazionale deve fare una analisi della situazione generale del reddito n x i o n a l e , analizzare
di questo reddito quale è la parte che dovrebbe
essere destinata agli investimenti, analizzare
anche negli investimenti quale è la parte che,
secondo questo Governo, è piuttosto da destinare agli investimenti privati e quale da destinare agli investimenti pubblici; e quando ha
davanti a sé il panorama degli investimenti
pubblici possibili, sta ancora al Governo di
vedere quali sono l e priorità economiche e
sociali, di giudicare quale è la parte da destinare
ai Poteri locali e quale è la parte che deve
essere gestita direttamente dallo Stato o dagli
Enti statali o nazionali.
I1 signor V a n Audenhove osservava anche
che spetta pure allo Stato, i n tutti gli investimenti pubblici e dunque altresì negli investimenti destinati ai Poteri locali, di vedere se la
situazione generale è di inflazione o di deflazione, d'espansione o no, e pertanto di regolare
il credito ai Poteri locali nei differenti casi.
E quale è la conclusione del signor V a n
Audenhove? La conclusione è di ridurre quasi
a nulla l'espressione
istituzione europea di
credito alle collettività locali D, i n favore della
quale il signor Mossé ed io stesso ci siamo
battuti, per dare invece l'importanza principale a istituzioni nazionali, che evidentemente
sono ispirate o hanno la supervisione dei Governi nazionali. Ebbene, nel campo dei Quindici o i n quello dei Dieciassette o Dieciotto è
evidente che non c'è oggi, n é i n una prospettiva
prossima, u n potere qualsiasi, u n comitato per
arbitrare con u n minimo di poteri, o qualcosa
di simile, che sia i n condizione di fare u n disegno generale e di gestire una politica comune
degli investimenti, una politica monetaria e
del credito.
Al contrario, ed è la mia tesi, si potrebbe
rispondere al signor V a n Audenhove che nell'ambito dei Sei noi siamo ancora, è perfettamente vero, sul terreno delle intenzioni, m a
si può forzare la situazione e battersi nello
stesso tempo affinché la Comunità Economica
Europea si dia, al vertice, u n potere economico
più reale, e cominci a realizzare il complesso
di buone intenzioni del Trattato, a condurre
una politica europea di investimenti, del credito e monetaria comune. e affinché sia sfrut-
I
o ad Organismi dei Sei, che si collochino a u n
conveniente livello e che avrebbero il compito
di condurre la detta politica monetaria, di
investimenti e del credito comune.
Evidentemente la questione non è semplimente qui: ci sono ancora, e ci verrò. osservazioni da fare anche se noi restiamo nell'am-
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
bito dei Sei, relativamente alla destinazione
di questi crediti; c'è sempre un problema che,
forse, è il più scottante del progetto Mossé.
cioè quale sia il criterio di selezione e di scelta
dei crediti d i fronte a migliaia, a diecine d i
migliaia d i domande da parte dei Poteri 1c;cali.
Ebbene, vorrei sottolineare che sul terreno dei
Sei si avrebbe u n criterio di selezione e di
scelta offerto dagli stessi Sei, e auesto si trova
nel Trattato di Roma, che prevede una politica europea regionale, una pianificazione del
territorio, una certa azione verso le zone meno
sviluppate, che sono in tutta l'Europa, non solamente nell'Italia del Sud Ricordo il discorso
che è stato fatto settimane fa dal signor Hallstein in Sardegna, ove egli parlava del reddito
medio delle diverse zone europee e sottolineava, per esempio, che lo Schleswig-Holstein h i
un reddito molto basso in paragone del reddito
di altre regioni d'Europa.
Dunque nel nostro dialogo con le Comunità
a Sei e i Governi, che ci fanno obiezioni varie
(una, quest'ultima: quale sarà il criterio di
scelta di fronte alle numerose domande; l'altra: << ma il controllo sembra che ci sfuggirebbe
in questo Istituto! B), sOn d'avviso che ci si aprirebbe così un ben più concreto cammino.
Ma, come ha giusto detto il nostro amico
Mossé, n é il Consiglio dei Comuni d'Europa
Jean Monnei
n é la Comunità Europea d i Credito Comunale
sono limitati a i Sei, e io sono perfettamente
d'accordo. Quale è tuttavia la risposta? '
La mia risposta è questa. Sia i Poteri locali
dei Sei sia i Poteri locali del resto del Consiglio dei Comuni d'Europa, in particolare 1'Austria, che, con tutta franchezza, è la sola Sezion e praticamente attiva del nostro CCE a l di
fuori dei Sei (poiché in Inghilterra la Sezione
è semplicemente un Comitato di aderenti a
titolo individuale, e la Sezione svizzera anche
è un po' sulla carta), evidentemente sono cittadini con gli stessi diritti. Semplicemente,
allorché si tratta dei bisogni dei Poteri locali
austriaci, per esempio, o dei Poteri locali dei
Sei, nelle decisioni non si può trascurare la
situazione obiettiva: e ciò non dovrebbe stupirvi.
Io sono da tempo fautore d i una soluzione
questa volta veramente a mista del problema.
Cioè penso che nell'ambito dei Sei noi siamo
nella possibilità di avere un Istituto europeo
nel senso originario del nostro amico Mossé,
e nell'ambito dei Poteri locali che, pur avendo
gli stessi diritti, sono esterni a i Sei, occorre
seguire la soluzione dei differenti Istituti nazionali d a associare all'Istituto europeo a Sei, con
un meccanismo che, per grossolana analogia,
può ricordare l'associazione a l MEC richiesta
oggi, sul terreno dell'economia generale, dalla
Grecia, dalla Turchia, ecc.
Ciò non darebbe luogo a pecore nere e a
pecore bianche, ma semplicemente terrebbe
il conto dovuto delle differenti situazioni che
ci si presentano. Del resto non semplicemente
per la Comuniti europa di Credito comunale,
ma anche per il Consiglio dei Comuni d'Europa
le cose, psicologicamente e politicamente, vanno oggi press'a poco nel modo seguente.
Nell'ambito dei Quindici ci si accusa d'essere
in qualche modo gli inviati sotterranei dei Sei,
e di là perplessità, e negli ambienti dei Sei ci si
accusa di avere idee generiche, vaghe, incerte, e
non interamente leali alle diverse posizioni dei
Sei (così come avviene per gli esterni ai Sci).
Insomma noi siamo come dice la nota espressione: invisi a Dio e ai suoi nemici.
E' possibile, io penso, portare una chiarificazione attraverso una soluzione articolata.
Un Istituto a Sei, o un Dipartimento a Sei, se
così piace a l nostro amico Mossé. e una associazione degli esterni ci darebbe la chiarezza
necessaria per intrattenere disiorsi assolutamente leali e tecnicamente del tutto precisi con
gli uni e con gli altri.
Credo che quando egli si compiace di parlare
delle istituzioni internazionali, quando il nostro amico Mossé cita la Banca dei Regolamenti Internazionali e la Banca internazionale
per la Ricostruzione e lo Sviluppo, egli pensa:
perché non fare noi anche un istituto internazionale, europeo nel senso internazionale (non
sopranazionale), se ci sono già banche internazionali che funzionano assai bene, e perché
retrocedere a una confederazione di istituti nazionali?
Io credo che quando egli cita queste istituzioni già esistenti l'amico Mossé non si sofferma troppo sulla differenza fondamentale che
interviene fra queste banche, a cui ho fatto
allusione, e il nostro costituendo istituto.
Queste banche internazionali hanno rapporti
direttamente coi Governi: dunque C'& una pluralità di rapporti bilaterali, che sono appoggiati da Stati economicamente scivrani. Ma i!
nostro istituto, che si rivolge ai Poteri locali,
creerebbe, in fondo, un contatto diretto fra
una istituzione destinata alle collettività locali
e i Poteri locali. E se il nostro amico AIossé
osserva che ci sarebbe tuttavia, nel nostro
costituendo istituto, anche la presenza dei Governi nazionali, evidentemente la controreplica è che qualche volta si potrebbe rendere un po' platonico questo controllo, quando
i Poteri locali fossero s lanciati X , e il nostro
Istituto cominciasse ad avere successo. Là resta
sempre la preoccupazione dei nostri Governi,
che, un po' da per tutto, sono abituati a manovrare l'economia dei Poteri locali, soprattutto
nelle situazioni congiunturali più difficili, recessione ed eccessiva espansione, e che non
potrebbero rinunciare a questo strumento assai
rilevante di manovra senza trasferirlo a un
effettivo potere responsabile. che succeda loro
nel quadro delle Istituzioni a Sei, se queste sono
pronte a funzionare in tal senso.
Avrei quasi finito il mio intervento e la mia
esposizione di pareri personali: vorrei soltanto
dire ancora che, forse - il signor Mossé lo
sa molto bene -, l e ragioni, i motivi del nostro amico Milhaud non vertono semplicemente
sul quadro della nostra azione, i Sei o i Quindici, sull'istituto europeo o la confederazione d i
istituti nazionali, ma anche su una concezione
differente dell'autonomia locale. Egli vorrebbe
non solo un istituto a Quindici sotto forma di
confederazione di istituti nazionali, ma vorrebbe anche una parte più larga, determinante
e quasi esclusiva dei Poteri locali nella direzione dell'Istituto.
I1 signor Milhaud in fatto di autonomia locale
vuole tutto )). Ebbene, oggi, quando gli Stati
più liberali sono abituati a manovrare, e noi
lo vediamo nell'economia americana, il credito
e l'intera economia (il regime liberale dice
che lo fa per meglio liberalizzare il mercato),
è assolutamente controproducente per la battaglia in favore dell'autonomia locale chiedere
una specie d i indipendenza economica dei Poteri locali di fronte al potere economico dello
Stato.
Qui penso che il signor Mossé ed io siamo
d'accordo, cioè la nostra concezione dell'autonomia deve essere completamente differente,
deve aspirare, a l massimo (ed è un massimo a
cui noi aspiriamo ad arrivare), a fare in modo
che potere centrale e potere locale siedano a l
medesimo tavolo per considerare, a priori e
non a posteriori, quale è la situazione economica e dividersi l e responsabilità, a l vertice
e alla base. E questa è un'altra ragione per
appoggiare un Istituto a Sei.
Effettivamente questa tavola rotonda economica permanelzte, ove le Istituzioni dei Sei,
gli Stati nazionali e i Poteri locali siederebbero
per vedere quale potrebbe essere la ripartizione da dare a l reddito europeo fra gli investimenti privati e i pubblici, fra i progetti che
debbono essere realizzati a l vertice e quelli
che debbono essere realizzati dai Poteri locali,
è cosa che può verificarsi, per il momento, nell'ambito dei Sei, e noi lo speriamo, e viceversa è cosa che non ha prospettive immediate
nell'ambito dei Quindici, dei Dieciassette o dei
Dieciotto.
Dunque, nel campo della direzione dell'Istituto e della destinazione dei capitali, si ha una
ragione di più per appoggiare la mia tesi di
una soluzione mista, cioè un Istituto europeo
a Sei e differenti Istituti nazionali per gli
altri, strettamente associati alllIstituto a Sei.
Detto ciò, io debbo aggiungere che la mia
tesi è anche suffragata da una relazione che
ha fatto recentemente il professor Giordano
Dell'Amore sulla politica monetaria della Comunità Economica Europea. E' una relazione
che può essere sintetizzata in otto proposizioni,
ma io mi limito a leggervi la terza, che ci
interessa qui.
I1 prof. Dell'Amore afferma che < l a liberalizzazione dei movimenti dei capitali, anche
se assoluta, può concorrere ad accelerare il
conseguimento dell'obiettivo, ma non esaurisce
la serie dei provvedimenti all'uopo necessari ... ed ecco il punto che ci interessa: e In assenza dell'accentramento dei poteri relativi
alla politica monetaria, essa può anzi presentare seri pericoli, i n . determinate congiunture
economiche, legate anche a contingenti condizioni di Paesi esterni alla Comunità n.
Cioè: fate attenzione a chiedere una liberalizzazione dei movimenti dei capitali anche nell'ambito dei Sei, se parallelamente non pervenite a un governo comunitario della moneta,
del credito, degli investimenti.
In fondo, le parole del prof. Dell'Amore
sono parole che ci aiutano a comprendere il
pensiero corrente di quegli ambienti governativi, che hanno per consiglieri uomini con
preoccupazioni analoghe a quelle di Dell'Amore. Dunque occorre ascoltarle, non solo per il
loro indubbio merito intrinseco, ma anche perché questo parere è il parere di un uomo, che
è consultato da uno dei Governi a cui ci vogliamo rivolgere.
Vi ho confidato anche, ed era il mio compito principale, di essere il portavoce della
Sezione italiana del Consiglio dei Comuni d'Europa. Ebbene, se la CECC è una espressione
del Consiglio dei Comuni d'Europa, può essere
interessante conoscere l'opinione di una delle
sue Sezioni nazionali. E' vero che il CCE è
anzitutto sopranazionale, e dunque i pareri
delle Sezioni nazionali sono pareri provvisori,
ed è negli organi sopranazionali del CCE che
il nostro pensiero viene definitivamente fermato: ma in ogni caso è probabilmente interessante conoscere i pareri degli organi dirigenti della Sezione italiana.
La Sezione italiana, nell'ultima riunione del
suo Consiglio Direttivo, nel mese d i dicembre (19591, precedente agli Stati generali di
Cannes, ha riaffemato
il suo sempre più
fermo convincimento che un Istituto europeo
d i credito alle collettività locali, e in generale
un allargamento delle possibilità creditizie degli Enti territoriali locali su scala europea, non
sia realizzabile se non nell'ambito in cui è
prevista una politica monetaria e congiunturale
comune: e pertanto che la creazione di questo
Istituto debba avvenire, per ora, nell'ambito
dell'E.iropa a Sei, non escludendo l a cooperazione tra l'Istituto europeo e Istituto d i credito alle collettività locali operanti nei Paesi
europei esterni a i Sei E il Consiglio Direttivo
ha affermato anche che la politica creditizia
dell'Istituto europeo deve essere formulata nel
quadro della politica comunitaria a lunga scadenza e dei piani regionali di sviluppo economico.
Questa è, come sapete, l'espressione costante
del pensiero, su questi problemi, della totalità,
o della quasi totalità, degli aderenti alla Sezione
italiana a partire da quel Congresso di Frascati,
ove il nostro amico Mossé intervenne. ,Dunque
egli conosce assai bene l'atteggiamento della
nostra Sezione.
Grazie, Presidente.
,);
D .
32
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
L'UOMO E L A P O L I S
Dall'integrazione economica
alla pianificazione del territorio
I t r e autori e i t r e t e m i che seguono sono
da a f f r o n t a r e , e ciò rimane evidente, in u n a
c o m u n e problematica. S i è spesso cominciato
a riflettere, e a dubitare, studiando e operando
i n campi diversi, m a si è poi arrivati - e questo
vale per Claudius-Petit, Brugmans e Musatti
come per Adriano Olivetti, che è i l protagonista del terzo articolo - al federalismo integrale, a q u e l federalismo, cioè, che - poggiando sui d u e pilastri della solidarietà. e dell'auton o m i s m o - riconsidera, alla luce dell'interesse generale e della persona u m a n a e contro
sezionalismi e privilegi, t u t t e le strutture associative. Oggi, dal centro sociale d i quartiere
urbano o d i villaggio rurale alla federazione
europea; domani, sino alla federazione m o n diale, che ad u n a instabile coesistenza competitiva n sostituirà la convivenza u m a n a sotto
i l segno d i u n a istituzione al d i sopra d i t u t t e
le nazioni. Istituzione che n o n dovrà essere
paralizzata dagli Stati sovrani, n o n dominata
dai primi arrivati x , n é americana n é russa m a
d i t u t t i gli u o m i n i (in alcune élites - per
esempio la gran maggioranza degli scienziati ci si sente già più cittadini del m o n d o che
sudditi nel proprio r e a m e ) ; istituzione che,
d'altra parte, n o n dovrà prevaricare dai suoi
compiti generalissimi, a f i n c h é sotto i l suo o m brello fioriscano t u t t e le autonomie.
S i è detto che a questa prospettiva d i f e d e ralismo integrale i nostri, come altri i n n u m e revoli autori, sono arrivati per strade diverse.
L'urbanista più aperto ha, via via, scoperto il
self-government
locale e la federazione europea; il meridionalista ha scoperto anch'esso
la federazione europea, accanto al regionalismo
e alla comunità d i base a II tuille d'homme
il produttore o il sindacalista. u r e o c c u ~ a t idel
lavoratore nella sua interezza d i persona u m a n a , hanno scoperto accanto all'integrazione economica l'urbanistica, la pianificazione del territorio, i l servizio sociale, la geografia u m a n a .
A n c h e i n quest'ultimo specifici campo si sono
percorsi lunghi c a m m i n i separati prima d i
incontrarsi: si è d o v u t o lottare, per uscire dal
chiuso d i abitudini mentali e d i schematismi
accademici, prima che urbanisti e geografi si
sedessero intorno allo stesso tavolo, e che e n t r a m b i entrassero nelle scuole d i servizio sociale. Più ancora ha tardato l'incontro con gli
amministratori locali. Addirittura ha d o v u t o
sfidare lo scandalo il simposio finale con i
federalisti europei, I I contaminati 11 dalla politica.
Brugmans, Claudius-Petit, Musatti e , naturalmente, Olivetti hanno, t u t t i , seguito variam e n t e , apprezzato, appoggiato la battaglia ( i l
cui inizio risale alla fine del 1950) del Consiglio
dei C o m u n i d'Europa. C i piace in particolare
rammentare che Claudius-Petit e Musatti hann o attivamente partecipato ai lavori della C o m missione urbanistica ( o dell'equilibrio ruraleu r b a n o ) del CCE, contribuendo f r a l'altro - i n sieme con Berrurier, B o d m e r , Brugner, Hoose,
Lassy, L. Quaroni, Ronse - alla redazione della
preveggente risoluzione del febbraio 1954 (sessione d i T o r i n o ) , o v e pianificazione generale del
territorio, piani particolari, governo locale, equilibrio rurale-urbano e mercato comune europeo
erano chiaramente visti sotto u n a prospettiva
unitaria. I1 Trattato d i R o m a istitutivo della
C o m u n i t à Economica Europea ha aperto alcuni
spiragli in questa direzione, e un lavoro d i
rilievo svolge Marjolin, responsabile, nell'àmbito della Commissione della C E E , del settore
degli investimenti a lunga scadenza e della politica regionale 3 (cfr., soprattutto per gli aspett i finanziari della questione, dei quali questo
n u m e r o tratta altrove, l'intervista d i Robert
Marjolin riprodotta in u C o m u n i d'Europa 11, ottobre 1959, pag. 7; v . anche il discorso del
presidente Hallstein a Cagliari, su 1i Aree m e n o
sviluppate e politica regionale sopranazionale n,
8
)I;
11
n e l n u m e r o d i aprile 1960, pag. 11 sgg.). Purtroppo i l Trattato della CEE n o n prevede i n
maniera esplicita la necessaria collaborazione
diretta della C o m u n i t à coi Poteri locali - a
t u t t o danno della Comunità, che rimane esitante
nel servirsi d i un prezioso strumento democratico, così come dei Poteri locali e d e i cittadini interessati. D'altro canto è fin troppo e v i dente che u n a e f f e t t i v a pianificazione del
territorio europeo, un v e r o superamento del
pericolo che v e n g a col MEC a consolidarsi la
cosiddetta Lotaringia industriale, u n a autentica
soluzione in profondità del problema meridionale n o n si avranno senza un G o v e r n o e un
Parlamento federali europei: occorre, anche qui,
il Potere politico sopranazionale, visto che è
nella politica che si sciolgono i particolarismi
della tecnica, dell'economia, della diplomazia,
delle corporazioni.
L'articolo, che riportiamo, d i Claudius-Petit
e b b e a suo t e m p o - quando usci sulla rivista
Gauche européenne ( m a r z o 1956) da cui è
tradotto - notevole risonanza, e può considerarsi classico. L'ex-Ministro francese della Ricostruzione - che è poi un vecchio militante f e d e ralista europeo - v i insiste a parlare dell'alloggio, del focolare privato del lavoratore,
come indice d i un certo reale livello d i vita:
noi v i aggiungiamo, come pierre d e touche,
q u e i focolari pubblici o v e il lavoratore organizza i l suo t e m p o libero e diventa ( o ridiv e n t a ) animale politico .. L'attività persuasiva
(<
))
CC
d i Socrate, in un clima mediterraneo e dolce,
si svolgeva spesso all'aperto: e in realtà i l prob l e m a del tetto n o n è il principale. Ma piazza
o portici medioevali, centri sociali o comunitari o ( c o n la riserva per le burocratizzazioni
partitiche) case del popolo del nostro t e m p o ,
certo è che la 11 macchina produttiva e sociale
n o n è v e r a m e n t e al servizio dell'uomo, se l'uom o della città o del borgo n o n può, i n piena
autonomia, incontrare i suoi simili e discutere
del comune avvenire, superando - insieme il particolarismo del clan familiare e quello
dei N settori 11 della società ( s i potrebbe dire che
è q u i la f o n t e perenne, e ragionevole, del patriottismo). C i permettiamo, i n merito, d i ricordare le conclusioni del convegno sull'equilibrio città-campagna che, sotto gli auspici dell'Istituto europeo d i studi e relazioni intercom u n a l i , si t e n n e a Palazzo Canavese n e l sett e m b r e 1958 ( v . I, C o m u n i d'Europa
gennaio 1959, pag. 18 sg.).
I1 passo d i Brugmans costituisce il cap. X V I I
del suo ri Panorama del pensiero federalista
(Milano, edizioni d i Comunità, 1960 - se n e v e da la recensione in C o m u n i d'Europa 11, sett e m b r e 1960, pag. 11 sg.).
L o scritto d i Musatti andrebbe integrato dalla
lettura d i L a v i a del S u d n dello stesso autore:
aureo libretto da noi recensito al suo primo
apparire ( v . C o m u n i d'Europa n, ottobre 1955,
pag. 6 ) .
)l,
8
.
K
.
* * *
<$
La bianificazione del territorio
i n nna prospettiva enropea
I
J
di Eugenio Claudius-Petit
S e c i si propone d i f a r e l'Europa sia per
costruire la pace, sia per accrescere, n e i l i m i t i
d e l possibile, il benessere d i t u t t i , n o n ci si
può contentare d i un progresso economico quantitativo c h e porterebbe alla soddisfazione solt a n t o degli accresciuti bisogni di alcuni consumatori. E' indispensabile c h e tutti siano consumatori. S e l'Europa, ad u n a più sicura speranza d i pace, associa n e l c o n t e m p o u n a certezza
d i miglioramento del benessere, è necessario
che ciascuna economia particolare degli Stati
europei si adegui, si sviluppi ed assicuri la sua
espansione al d i fuori dell'Organizzazione. S e
fosse altrimenti, n o n a v r e m m o niente da r i m proverare al liberalismo economico e n o i lascer e m m o c h e si procedesse alla cieca, come avev a n o fatto fino allora gli interessi particolari,
finanziari o politici. L'Europa n o n esisterebbe
che a parole, senza però v i v e r e n e i fatti.
S e si f a l'industrializzazione, n o n importa
d o v e o come, se i l servizio del b e n e c o m u n e
n o n domina gli interessi particolari, se si dà
ragione agli industriali metallurgici tedeschi
c h e si oppongono al progetto d i canaljzzazione
della Mosella e proclamano i l loro desiderio e
l a loro volontà d i installare industrie metallurgiche l à d o v e sembrerà loro opportuno, ten e n d o conto soltanto del r e n d i m e n t o c h e pot r a n n o ottenere, se il neo-liberalismo sul piano
interstatale n o n può essere imbrigliato, n o n
si sarà pienamente raggiunto l o scopo: l'Europa
n o n sarà stata c h e un'addizione, n o n avrà permesso la messa i n c o m u n e d i t u t t e l e virtualità,
avrà lasciato c h e n u o v i disordini, concentrazioni fondate sul solo profitto i m m e d i a t o d i
alcune imprese o rami industriali si stabilissero, avrà incoraggiato l e emigrazioni interne
c h e lasciano dietro d i sé zone d i depressione.
INTORNO A L L E PIANIFICAZIONI
E L A PIANIFICAZIONE
E' per questo c h e l'industrializzazione, l a
valorizzazione delle terre, l e localizzazioni u m a n e , e d i conseguenza, la costruzione d i alloggi
d e v o n o essere esaminate n e l quadro d i u n a
pianificazione del territorio, v i s t o almeno al
livello europeo. E' d i v e n u t o banale parlare d i
pianificazione del territorio. Questo problema
era, qualche anno f a , al d i f u o r i d i un piccolo
n u m e r o d i specialisti, praticamente sconosciuto
i n Francia. S i assiste oggi ad u n a straordinaria
fioritura d i comitati d i pianificazione del territorio. Ciascuno h a il proprio. Talvolta sembrano
troppi, c o m e la d i f e s a d i piccole entità locali, d i
piccole economie regionali e , per attirare gli
industriali, capita loro d i d o v e r vantare t a n t o
l a tavola, i v i n i e la qualità del sole, c h e l e
facilità d i comunicazione o i vantaggi fiscali
consentiti dai C o m u n i o dai Dipartimenti.
La pianificazione del territorio n o n è a f f a t t o
questa. P u ò difficilmente concepirsi al d i fuori
del disinteresse. S i tratta, certamente, d i
valorizzare n e l m o d o migliore u n a regione
determinata, m a i n u n a prospettiva d i miglior a m e n t o del benessere dei francesi e , più alla
lontana, n e l divenire della Comunità Europea
che n o n ignora l'Unione Francese. N o n c'è
pianificazione del territorio su scala cantonale
o sii scala dipartimentale, c h e possa essere
artificialmente isolata.
S e l e analisi sono f a t t e a t u t t i i livelli,
partendo dal più piccolo, è perché si stabilisca
poi questo straordinario dialogo tra l e possibilità e i bisogni, l e virtualità ed i m e z z i , i
bisogni e la capacità degli uomini. Sotto
l'aspetto industriale la pianificazione del ter-
dicembre 1960
ritorio consiste nel disporre gli stabilmenti in
quei luoghi dove essi possano essere utili agli
uomini invece di disporli laddove essi procurino ai loro proprietari più grandi guadagni.
Un paese capitalista e liberale, o che si crede
ancora liberale, gli Stati Uniti, ci dà una
lezione che pur non essendo completa, non è
tuttavia meno interessante. S i trattava di installare una grande acciaieria e si scelse lo stato
del New Jersey, in qualche posto fra Washington e New York. In questo luogo non
esisteva minerale di ferro o carbone. Ciò nonostante gli economisti hanno scelto tale installazione dopo studi meticolosi. I1 minerale di
ferro verrà dal Venezuela, il carbone dalla
Pennsylvania e l'acciaio sarà prodotto laddove
la sua utilizzazione e la sua diffusione, dopo le
trasformazioni che avrà subite, sembreranno più
facili. I bisogni dell'agglomerazione umana
sono stati oggetto di valutazione, e l'interesse
del consumatore, dunque della maggior parte,
è stato inoltre preso in considerazione senza
pensare soltanto all'interesse esclusivo della
fonderia d'acciaio: si trattava di vendere i
prodotti finiti al prezzo migliore. Ciò che ha
modificato i dati del problema è stata la considerazione dell'insieme del processo che porta
all'oggetto finito e distribuito; l'interesse generale viene così tenuto in maggior conto. Si
tratta di procedere nel modo in cui si ottengono i maggiori profitti se si vogliono ben
considerare i profitti diretti e sociali dei consumatori ed anche quelli che l'impresa può
durevolmente scontare.
LA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO
E L'AGRICOLTURA
La pianificazione del territorio interessa
l'agricoltura. Ecco una cifra che dà una idea
delle nostre responsabilità europee e il livello
delle nostre riflessioni: il 53% della superficie
totale dei terreni sodi dell'Europa occidentale sono situati in Francia. Ciò significa che
noi possediamo un po' più della metà delle terre
a maggese o sode, in poche parole delle terre
disponibili e che, attualmente, non producono niente. E' scoraggiante. ma ci lascia molta
speranza. La valorizzazione di aueste terre
apporterebbe un certo arricchimento o permetterebbe di normalizzare certe produzioni
agricole ritrovando migliori condizioni di natura. Le terre sode, le produzioni agricole in
eccedenza, i milioni d i esseri sotto-alimentati
costituiscono i quadri contraddittori di una
società non organizzata. Succede che nell'agricoltura. così come nell'industria. gli uomini
si rifiutano di produrre qualsiasi cosa che non
frutti subito. C'è una certa riluttanza all'investimento allorché l'interesse personale non vi
trova più il suo tornaconto al di l à di un
livello raggiunto, per esempio, da una certa
fiscalità. Ed è così che bisogna aspettare più
di dodici mesi per ottenere certi tipi di acciaio,
e che i Comuni aventi dei programmi di
pianificazione idraulica attendono quasi u n anno
prima che vengano loro consegnati i tubi di
cui necessitano. Malgrado i programmi, nella costruzione non bisogna attendere soltanto
l'acciaio, poiché anche l'equipaggiamento sanitario è sempre prodotto ad un ritmo insufficiente nonostante la domanda.
L'ESEMPIO DI LA ROCHELLE
E DI LA PALICE
Pensare ad un'Europa dal territorio in assestamento, equivale a porre ogni problema in
una prospettiva europea, preoccupandosi di
soddisfare gli interessi localizzati e tenendo
dovuto conto degli interessi della comunità.
All'indomani della liberazione, la pianificazione
di La Rochelle e di La Palice è stata affidata
a Le Corbusier. L'amministrazione non aveva
pensato che ad un progetto di urbanistica.
Le Corbusier collocò questo progetto in una
prospettiva più ampia e questo non per ampliarlo, ma per porlo in termini più esatti. Egli
fece dunque u n viaggio in Svizzera e incontrò
l e persone cui poteva interessare u n deflusso
d i merci per l'Atlantico. Vicinissimo a La Rochelle poteva essere costruito il grande porto
costiero ad alto fondale. Lo studio geografico
dell'Europa, unitamente a quello delle migrazioni, aveva convinto Le Corbusier che la via
naturale delllEuropa centrale verso l'Atlantico
passava attraverso la Francia, per raggiungere
la costa nei dintorni d i La Rochelle prima di
COMUNI D'EUROPA
allargarsi da una parte e dall'altra. I1 suo
progetto di pianificazione non comportava soltanto l'urbanizzazione del retroterra del porto,
ma allo stesso tempo la costruzione di una
autostrada che avrebbe seguito il tracciato della
ferrovia collegante in breve tempo la Svizzera
alla costa atlantica. Ciò apparve utopistico e
fuori posto. E' tuttavia da notare che gli americani, installandosi a La Palice, gettarono subito le basi di un progetto dello stesso tipo
per raggiungere la Germania dal sud. Come
non sottolineare ugualmente l'interesse che
presenterebbe una grandissima via trasversale,
che desse sfogo a tutto il centro della Francia
e che portasse nuova vita a regioni semiabbandonate, realizzando ciò che la ferrovia
non ha potuto fare: mantenere e riportare la
prosperità in questa regione oggi derelitta.
LA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO
AL SERVIZIO DELL'UOMO
Ma perché insistere tanto sulla pianificazione
del territorio? Perché è inutile promuovere
i'espansione economica se essa si sviluppa nel
disordine umano. se conserva l'individualizzazione dei guadagni e la ripartizione delle perdite. Non serve a nulla produrre sempre maggiori ricchezze se allo stesso tempo sussiste lo
spreco di ricchezze dovuto alla infelice ripartizione territoriale dell'industria, a una insufficiente valorizzazione delle terre, a uno
sfruttamento usuraio e distruttivo delle ricchezze naturali. I1 miglior mezzo per impedire
alle terre di ricadere a maggese e senza coldi
tura. è di mantenere attiva la wo~olazione.
*
permettere ad essa di produrre una sufficiente
auantità di ricchezze. e auello di installare
con discernimento le industrie, che permetteranno al circondario agricolo di prosperare.
I salari apportati, più volte impiegati sul posto,
costituiscono gli elementi indispensabili di
scambi col mondo esterno. I giovani delle famiglie agricole, l e donne, quando i loro bimbi
sono in età da scuola o sono cresciuti, v i
trovano una remunerazione che accresce considerevolmente i redditi delle famiglie di agricoltori. Non si tratta di disseminare tutta l'industria, ma di tenere in dovuto conto le facilità di trasporto. Ad una industrializzazione
rischiosa, che viene fatta soprattutto nella periferia delle città con estrema facilità, bisogna
rispondere con una industrializzazione su u n
piano decentralizzato. Questo vale per il nostro
Paese, ancor più per l'Africa, ed in modo
particolarissimo per l'Algeria, il Marocco e la
Tunisia. A che serve, i n questi tre paesi, costruire molti alloggi in prossimità delle coste,
dal momento che ci saranno sempre più uomini
e donne che abbandonano regioni che non
procurano loro alcun lavoro. che non danno
loro alcuna possibilità di vita. Sarebbe più
conveniente, qualsiasi n e fosse il prezzo, trattenerne il maggior numero possibile con lo
sviluppo dell'agricoltura e, per quanto è possibile, con quello delle attività industriali.
L'industrializzazione su u n piano decentralizzato contempla sia la grande industria di base
che l e industrie di trasformazione. Essa cozza
evidentemente contro l'opposizioile d i tutti
coloro i quali non guardano che ai propri
interessi. Ma una resistenza non dimostra la
nocività di una misura. L'idea europea soddisfa
la nostra ragione. Bisogna ancora, perché essa
divenga realtà, che sollevi l'entusiasmo delle
masse popolari e dei lavoratori in particolare.
Vi troveranno essi l e forme tangibili delle
L
nuove solidarietà che un'economia a l servizio
degli uomini deve inevitabilmente creare?
L'Europa economica si giustifica pienamente
se è a l servizio dell'uomo. Lo sarà meglio neiia
misura i n cui essa abbandoni il perseguimento
di u n equipaggiamento industriale che non
farà altro che continuare, consapevolmente o
meno, il disordine del liberalismo che iniziava
l e sue attività a rischio degli interessi e delle
volontà degli individui e degli Stati, ed anche
nella misura in cui essa organizzi lo spazio
nella considerazione del miglioramento del
benessere popolare. I1 rischio deve essere eliminato per quanto sia nelle nostre possibilità.
Orientiamoci verso una valorizzazione cosciente
dell'insieme europeo e del suo prolungamento
africano, togliamo agli uomini questa inquietudine per un'Europa tecnica ed arida, che
ignora la vita quotidiana degli uomini, le loro
difficoltà e le gioie che hanno diritto di trovare
nel focolare. L'Europa non sarà realtà finché
non avremo saputo liberare e sviluppare un
sentimento comunitario presso tutti coloro che
partecipano allo sforzo; nella prospettiva europea, e particolarmente in Francia, alloggio e
livello di vita sono intimamente legati e lo
sforzo di costruzione deve essere tanto più
grande presso di noi che siamo più arretrati
rispetto ai paesi vicini. La differenza dei livelli
di vita dei francesi e degli altri europei è di
gran lunga troppo rilevante se considerata
sotto il punto di vista realistico dell'alloggio,
per cui si esita a far di tutto per colmarla.
Basta, per esserne convinti, attraversare le
nostre frontiere ed ecco, al di fuori di paragoni di carattere finanziario o di bilancio, apparire, nel modo di vivere quotidiano, il livello
di vita degli uomini. Fate il viaggio da Basilea
a Mulhouse, andate da Lione a Ginevra, da
Stoccolma a Parigi; è allora che, con gli occhi
pieni dello spettacolo della vita quotidiana
degli operai svedesi, danesi, svizzeri, siete colti
da una stretta al cuore. Comprendete allora
da dove provenga l'insoddisfazione degli uomini
delle nostre parti, questo sentire, da parte di
troppi francesi, di non essere una comunità.
Il vero volto del nostro paese non è bello
come quello illuminato dal sorriso degli uomini,
delle donne e dei bambini che si incontrano
da noi. E' nostro compito, al d i là dei sorrisi,
scoprire le realtà, vincere le difficoltà, superare
la nostra boria per costruire un mondo migliore.
L'alloggio è la forma più concreta di miglioramento del tenore di vita. E' il segno più
tangibile e meno ingannevole della condizione
materiale dei popoli. Ed ecco che trovo, in uno
scritto del Direttore Generale dell'organizzazione Internazionale del Lavoro, in u n rapporto
presentato alla seduta del 1954: E' presso il
focolare, dove il lavoratore vive, che si può,
nella maniera più immediata e più tangibile,
giudicare il suo benessere. I1 focolare è il
centro stesso della sua vita personale e . d i
quella dei suoi, il luogo dove mangia, dove
dorme, dove passa una gran parte dei suoi
momenti di riposo, il luogo dove può crearsi la
sua vita familiare con una sua propria atmosfera. Più di questo ancora, è il luogo dove si
sente più capace, i n quanto persona, di condurre una vita degna e felice. E' la qualità
del suo alloggio che, d'altra parte, contribuisce
senza dubbio, più di qualsiasi altro elemento
del suo livello di vita, a renderlo pienamente
cosciente della sua appartenenza a d una comunità e a determinare il suo senso civico.
I l fattore geograjico
di Henri Brugmans
Abbiamo cercato di esporre alcune idee fondamentali del federalismo quali si ritrovano
in autori molto diversi. Resta da vedere se si
tratta di uno svolgimento di pensiero puramente ideologico o se la reale evoluzione dell'umanità, ciò che i marxisti chiamano giustamente * condizioni obiettive
rende possibile.
desiderabile, e perfino necessario applicare il
principio federativo nel mondo contemporaneo.
Per quanto riguarda il principio di soprannazionalità la cosa, per quanto n e sappiamo,
non è stata mai messa in dubbio. Una difesa
della sovranità nazionale assoluta è stata fatta
.,
da alcuni giuristi sovietici, e in particolare
da Viscinski, ma nei paesi liberi simile petizione di principio è estremamente rara, se non
in paesi ex-coloniali che hanno conquistato
recentemente la loro indipendenza. I n Europa
invece gli stati-nazione sorti nel periodo del
Rinascimento o, più tardi, della rivoluzione
industriale e che corrispondevano a i bisogni
di allora stanno perdendo oggi rapidamente la
loro importanza. Nell'epoca dell'aviazione, aella
radio e dell'energia atomica essi non sono più
sufficienti per tutelare la sicurezza e gli interessi dei loro cittadini: è una cosa già dimo-
COMUNI D'EUROPA
34
strata tante volte da esser ormai banale. Però
non si è mai offerta una soluzione a questa
situazione, n é mai f u proposta una diversa
alternativa. Gli avversari del federalismo soprannazionale non riuscirono ad altro che a
insistere su difficoltà (che nessuno mette in
dubbio) o su resistenze sentimentali. Si è potuta
rifiutare la soluzione federalista i n questo campo, non si è mai però cercato di dimostrare
che essa fosse incoerente, illusoria, o estranea
alla odierna situazione di fondo. Si discute
sull'Europa dei Sei o dei Quindici, di federalismo atlantico o mondiale, ma ormai nessuno sostiene più la causa delle Nazioni Unite
come d'altra parte nessuno più si cura di
prendersela con questa organizzazione. Fino
a che il fondamento della Carta dell'ONU sarà
la sovranità nazionale, questa organizzazione
resterà inoperante come fattore d'ordine politico nel mondo. Nessuno lo mette nemmeno più
in dubbio.
Ma se il federalismo soprannazionale ha ctlisa
vinta sul piano del pensiero scientifico (che
però non significa un immediato trionfo pratico), ben diversa è la situazione quando si
parla di decentramento, di autonomia, di regio~ a l i s m o .Sono ancora relativamente pochi quei
federalisti che auspicano la loro unione federale (quale n e sia l'ambito geografico) come
una società di società P. E pochi sono quelli
che avvertono come la creazione di una autorità soprannazionale possa esser una grave
minaccia per la democrazia, allontanando pericolosamente i governati dai governanti, quarido
rlel tempo stesso non si operi un rafforzam.mto
o un rinnovamento della base democratica e
del self-government. P e r molti europei si tratterebbe soltanto di porre sopra stati sempre
più centralizzati strutture soprannazionali niiove
controllate da un parlamento soprannazionale
europeo, atlantico o mondiale. eletto con suffraeio universale diretto.
Si tratta di una concezione del federalismo
troppo strettamente giuridica ( l ) che bisogaerebbe fosse completata dai dati di una scienza
che può esser considerata la scienza federalista
per eccellenza: la geografia umana, sociale e
culturale.
In pratica non basta preparare un trattata di
unione tecnicamente perfetto e non basta nemmeno affidare dei compiti a una autorità soprannazionale.
Questa auando cominci ad operare avrà a che
f a r e con degli uomini e con dei gruppi di uomini; con uomini che lavorano, con uomini che
hanno un loro luogo di residenza, cioè con
uomini che vivono con proprie abitudini, proori
ideali, e proprie fedi. In Europa auesta autorità
soprannazionale dovrà generare la società più
varia che si possa trovare nel mondo, una
società che non si caratterizzi soltanto per i
suoi destini comuni, ma anche per un passato
millenario che ha segnato ogni pietra e ogni
anqolo del paesaggio.
I n questa Europa tradizionale dove l e frontiere non sono mai state tracciate con la sauadra non si tratta solo di armonizzare degli
interessi nazionali. Si tratta di una cosa ben
diversa, più complicata e più promettente ad
un temoo. L'esecutivo europeo competente per
gli affari portuali vedrà come tra Genova e
Livorno ci siano già problemi estremamente
diversi. Nel Pool agricolo la Bretagna dei boschi cedui e la Normandia dei pascoli proporranno rivendicazioni molto diverse, e per
quanto riguarda i canali del Benelux se è
vero che fra Anversa e Rotterdam vi sono
molti contrasti è anche vero che Liegi non
è affatto d'accordo con Anversa su una politica
= belqa B. Si può dire che è meglio così e che
questa situazione è una risposta per quelli
che pretendono sia impossibile fare l'Europa
a causa degli interessi nazionali contrastanti.
è
In pratica lo stesso a interesse nazionale
spesso un mito ed è men sicuro che la funzione politica comune europea non avrà nulla
di auella primitiva semplicità che caratterizzò
gli Stati Uniti d'America al loro sorgere.
In queste situazioni il sistema del voto maggioritario non sarà sempre il più pratico. Bisognerà affidarsi al tatto, ai compromessi, ed
aver soprattutto una precisa conoscenza dei
problemi in questione. Non basterà considerare
i cittadini di Europa soltanto come i sostenitori
-
3
( 1 ) E' davvero indicativo che la maggior fonte dei
teorici del federalismo siano dei giurlsti cume, ad esempio:
Gic~ke, Kelsen, Krabbe, Duguit, ecc.
di questa o quella ideologia o come homines
cl-conomici conoscibili con l'aiuto di soli dati
statistici. Quelli che unificheranno l'Europa
dovranno non solo possedere senso storico ma
anche saper riconoscere la realtà geografica
delle comunità che si affideranno nelle loro
mani.
In queste condizioni sarebbe vano attenderci
tutto dalla saggezza dei governanti poiché se
i governanti resteranno passivi lo stato legifererà indipendentemente da quel che essi pensano. Sarà necessario che proprio alla base gli
europei imparino a pensare i problemi delle
loro proprie aziende, e delle loro proprie regioni
su un piano continentale. I governanti di Strasburgo o del Lussemburgo dovranno saper pensare in sardo o in provenzale così come i :ardi
o i provenzali dovranno imparare a pensa-e
da europei. L'Europa i n pratica non sarà soltanto una federazione di stati e di popolazioni
di stati che vi entreranno in blocco a milioni
o a decine di milioni, ma si dovrà tener conto
che questi vengono all'Europa con tutte l e loro
vecchie tradizioni.
Occorre conoscerle e, se sarà proprio necessario regolarle, occorrerà comprenderle tanto
da non mutilare la loro essenza. Pianificare è
una funzione normale e costruttiva, e se la
pianificazione autoritaria porta alla dittatura.
la pianificazione democratica, basata sulla geografia e sulla iniziativa decentralizzata, è una
soluzione di libertà. Ad una soprannazionalità
forte saranno necessarie forti autonomie affinché la base possa allargarsi quanto più si eleva
la cima.
In pratica la geografia umana. scienza delle
'ealtà concrete, osserva gli uomini nella loro
infinita varietà e ci insegna che l e nuove realtà
tecniche consentono un decentramento economico, e di conseguenza politico, enormemente
più vasto di quello di una volta. Si può andare
ancora oltre e dire che ciò non è solo permesso
ma richiesto dalla evoluzione stessa. Mentre la
prima rivoluzione industriale, quella dell'uso
del vapore, chiedeva una concentrazione cconomica entro lo stesso bacino minerario (per
esempio il paese nero n di Inghilterra, o il
bacino di Liegi, o la Ruhr), l'elettricità rendeva poi possibile una distribuzione di energia
--
dicembre 1960
-A
più rapida e più economica. L'energia atomica
non farà che accentuare questa tendenza ed è
tempo oramai che anche l e strutture amministrative n e tengano conto. La loro centralizzazione eccessiva, costosa e paralizzante rischia
di frenare un progresso che non è solo tecnico
ma anche umano.
I n questo campo è decisivo l'apporto di insegnamenti di geografi come Maurice Lannou e
Jean-Francois Gravier. Particolarmente l'opera
di quest'ultimo su Le Progrès technique et la
Décentralisation(2) mostra che nel secolo aei
grandi spazi un ritorno alle comunità più ristrette non è un tornar indietro ma è invece
condizione indispensabile per qualsiasi efficace
modernizzazione.
La geografia umana, scienza di una realtà
complessa che cerca di comprendere la realtà
regionale sia con una psicanalisi della storia
che con l'analisi delle responsabilità future,
non si soffenna troppo sulle manifestazioni del
folklore. Ma ovviamente essa riconosce come
il regionalismo culturale linguistico (un movimento come quello della letteratura occitanica
della Francia del sud) rappresenti una volontà
vitale di non cedere al prestigio della assimilazione e dell'uniformità. Pertanto la geografia
umana non lascia questi tentativi alla sola analisi dei linguisti e degli archeologi, e sa ritrovarvi una manifestazione dello spirito del tempo che tende all'universale e, al tempo stesso,
alla differenziazione (3). Ma essa è anche cosciente del fatto che senza una solida base cconomica il regionalismo si esaurisce nelle pagine
di bollettini specializzati fatti e letti da gente
delle vecchie generazioni. Ma questa base esiste
ed esisterà sempre più quanto più procederà
la nascita dell'Europa.
La geografia umana aiuta a comprendere e
a liberare l'immenso potenziale e il reale avvenire delle diverse regioni europee.
( 2 ) Questa opera riassume i due libri precedenti: Paria
et le Déyert frawais e Mise e n Valelcr <le la France.
1.e Portulan, Flammarion, Paris 1954.
(3) Cfr. Joseph S A L Y FBdBralisme,
~:
articolo su Lo gai
Saber, settembre-novembre 1M57. Questa « revista dr
L'Escoh Occitana», pubblicata a Tolosa, 31 rue de la
Fonderie, stampando tale articolo su questo mio libro.
presenta una eccellente e documentata sinossi delle mialiori ~'uhhlicazioni esistenti sul rcaiomalismo in Francia.
Pensiero e azione di Adridno Oliuetti
per il Mezzogiorno d'ltdlid
di Riccardo Musatti
Si era all'indomani dell'inaugurazione dello
stabilimento Olivetti di Pozzuoli, in un pomeriggio di primavera sulla Riviera di Mergellina, di fronte a quel panorama di Napoli che
sembra rappresentare, nella sua grandiosa bellezza, nelle sue contraddizioni, nella sua sconcertante complessit8, l'emblema stesso del Mezzogiorno d'Italia e dei suoi problemi. Diceva
l'ingegner Adriano: i governanti dell'Italia postbellica avrebbero avuto una possibilità straordinaria di risolvere insieme il problema del
risanamento delle ferite del Nord e quello del
rinnovamento meridionale. Sarebbe bastato dirottare dal Settentrione verso il Sud una modesta parte delle risorse nazionali, ma non secondo
la soluzione indiscriminata di un grosso finanziamento (quale, ad esempio, poi si ebbe con
la Cassa del Mezzogiorno e le molte leggi, più
o meno speciali) sibbene con un'assegnazione
di responsabilità ben definite territorialmente
e funzionalmente. Ad ogni industria, ad ogni
gruppo produttivo del Nord - ipotizzava ancora - avrebbe dovuto essere affidata, ope legis
ma solo dopo un'attenta rilevazione e prospezione dei dati obiettivi e delle suscettibilità di
sviluppo, una singola comunità meridionale,
un preciso territorio, coi suoi abitanti, con le
sue positive e negative realtà. Ma, intendiamoci
bene, non si sarebbe dovuto trattare di un affidamento caritativo, di un obbligo imposto ai
più ricchi ed attrezzati di aiutare così, a scopi
di poco persuasa assistenza, i più poveri e
sprovveduti. Nell'integrazione dinamica di due
diversi sistemi economici, si sarebbe invece
ottenuto, con comune beneficio, uno sviluppo
immediato ed organico: nuove disponibilità di
lavoro, più ampi mercati, eliminazione di quegli
squilibri, che se gravano come una condanna
sui più sfortunati e sui dimenticati, pure intralciano il cammino di chi è. o si ritiene oggi
più favorito.
Era un paradosso politico, e ben lo sapeva
l'ingegner Adriano quando lo enunciava con
quel suo sorriso dolce e consapevole. con una
espressione che non dimenticheremo mai.
Ma di paradossi è contesta l'opera di quei
pochi uomini che, in ogni generazione, contribuiscono veramente al progresso comune.
Paradossi fatti di idee ardite e lungimiranti, di
sistemi complessi (che è troppo facile definire
utopistici), di irriducibile fede morale.
L'auspicio di un mondo diverso e migliore,
il raffronto tra quanto si potrebbe fare e quanto
troppo spesso non si fa, dominavano costantemente il pensiero di Adriano Olivetti, operavano sul suo spirito generoso come uno stimolo acuto e a l tempo stesso vitale. Basterebbe
richiamare questo tratto del suo carattere per
dare il senso della drammatica forza con cui il
problema del Mezzogiorno lo attirò fin dai suoi
giovani anni e dominò appieno, come una passione meditata, il periodo più intenso della sua
vita di politico e d'imprenditore industriale.
Uomo del Nord, non solo per nascita, ma
per formazione culturale, Aàriano Olivetti era
come pochi sensibile a i valori umani che l'autentica società meridionale. quella degli uomini semplici ancora legati alla vita della
natura e alla sua moralità originale, racchiude ed esprime, e come pochi conosceva le
risorse di laboriosità creativa che gli uomini
di queste regioni conservano ed offrono ad ogni
iniziativa civilmente responsabile.
COMUNI D'EUROrA
dicembre 1960
I1 suo primo intervento diretto nell'azione
meridionalista risale agli anni intorno al '50
quando - sotto la spinta del movimento contadino affamato di terre e di un piccolo gruppo di
studiosi e di politici, italiani e no -, la questione meridionale fu portata finalmente alla
ribalta nazionale con indilazionabile urgenza.
Fra i dibattiti ideologici e i sommari programmi governativi, Adriano Olivetti s'inseri
alla sua maniera, con una proposta precisa.
Scelse il suo campo di attività nel quadro di
un ente che sembrava allora promettere rapidità di intervento e globalità di interessi. Si
batté all'interno di auell'ente (1'UNRRA-Casas
Prima Giunta) perché il non molto denaro
ad esso riservato fosse concentrato su progetti
esemplari, perché alla vecchia prassi delle
opere pubbliche D disperse e disarticolate si
sostituissero nuove visioni politico-tecniche e
nuovi metodi d i lavoro.
Geno Pampaloni ha scritto (1) la storia della
seconda fase dell'opera d i Adriano Olivetti al1'UNRRA-Casas, svoltasi nell'ultimo biennio di
sua vita; resta invece da scrivere la storia di
quel primo periodo, in cui, fra la confusa
opposizione dei burocrati e dei politicanti. lo
stesso Olivetti riuscì a spingere avanti alcune
iniziative che, oggi più o meno dimenticate,
restano tuttavia a testimonianza del suo geniale
e novatore approach alla questione meiidionale (2). Studi sociologici e progetti edilizi e
urbanistici presero allora avvio, affermando la
necessità di affrontare il problema del rinnovamento del Sud con progetti organici, basati
su una conoscenza scientifica della realtà sociale, e diretti, insieme, a soddisfare i più urgenti
bisogni di vita (la casa, la terra) e a porre l e
basi culturali e strumentali di un ulteriore
sviluppo socio-economico. Un gruppo d i giovani ricercatori e di architetti moderni rispose
con entusiasmo all'appello di Adriano Olivetti.
I frutti della loro collaborazione - le inchieste
su Matera, sulle zone turistiche della Calabria.
su alcune aree nevralgiche della depressione
insulare restarono in gran parte inutilizzati,
nascosti nei cassetti, i n cui la secolare abilità
di una classe politica e funzionariale retriva sa
costringere qualsiasi cosa minacci il suo lungo
sonno. E anche respinti e sostanzialmente mutilati e alterati furono altri progetti edilizi, attraverso i quali un'architettura novatrice e avvertita veniva a proporre per la prima volta in
Italia la formazione d i unità residenziali organiche, dirette a introdurre nel deserto del
Mezzogiorno latifondistico nuovi nuclei di vita
e di rinnovamento. Contro la consueta formula
conservatrice della colonizzazione sparsa, quei
progetti affermavano che l'antica miseria meridionale non richiede soltanto più decenti abitazioni per i contadini, dannati a l lavoro su
una terra sempre e comunque avara, ma impone - se la si voglia veramente superare la creazione di centri attrezzati di servizi collettivi a carattere sociale e produttivo, capaci
di suscitare più moderne forme di cultura e
di attività economica.
Dei molti borghi progettati allora soltanto
alcuni quartieri sono sorti qua e là, in disarticolata confusione: ma fra essi l'ormai famosa
La Martella testimonia f r a l e ancor desolate
convalli del Materano quale avrebbe potuto
essere l'immediato domani del Mezzogiorno contadino, se quella prima coraggiosa sortita di
Adriano Olivetti contro l'indifferentismo della
classe dirigente, politica e tecnica, del nostro
paese non fosse stata costretta, nel giro di
pochissimi anni, alla più ingiusta delle rinunzie.
Nei momenti più amari, l'ingegnere Adriano
soleva ripetere un detto già caro a suo padre:
la verità risplende nei fatti.
I1 borgo d e La Martella, lo stabilimento industriale di Pozzuoli sono i fatti che egli ha
(1) U n anno a U ' U N R R A C w s , in « Comunità » n. 82,
settembre 1960.
(2) Dall'es~erienza di quegli anni. condotta a fianco
di Adriano Olivetti, è nato il nostro libro « La via del
Sud» (Milano 1955, 11 ed. aumentata. Milano 1958), in
cui iaee, polemiche e conclusioni su quella fase dell'azione
meridionalista sano più largamente e sistematicamente
trattate. Vedi anche il nostro saggio T e r ~ asenza città.
in u Nord e Sud ». n. 28, m a n o 1937.
Una versione ufficiale dell'attività dell'UNRRA-Casa6
è contenuta nei volumi « Esperienze urbanistiche in
Italia » (Roma, 1952) e « Nuove esperienze urbanistiche
in Italia » (Roma, 1956). a cura dell'Istituto Nazionale
di Urbanistica. L'introduzione a1 primo di tali volumi,
firmata da Adriano Olivetti, B importante per l'appello
contro il sezionalismo e per il cooi.dinamento delle attivi% degli enti pubblici. operanti soprattutto nel M a zoglorno.
lasciato a testimonianza della sua
verità
della sua fede nella possibilità di un diverso
e più positivo contributo alla trasformazione
meridionale.
Fabbrica a misura dell'uomo
e insieme
tecnicamente efficientissima, lo stabilimento di
Pozzuoli è oggi quotidianamente additato ad
esempio, lodato, ufficialmente premiato. L a definizione che l'ing. Adriano pronunciò il giorno
dell'inaugurazione è oggi universalmente accetDi fronte a l golfo più singolare del
tata.
mondo - egli disse - questa fabbrica si è
elevata nell'idea dell'architetto, in rispetto della
bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse
di conforto nel lavoro di ogni giorno (3).
Ma nell'opera concreta, fatta d i mattoni, di
cemento o di acciaio, che ha inverato l'idea,
resta soprattutto la testimonianza esemplare
della soluzione-base che Adriano Olivetti additò per il problema-base della società contemporanea: il problema di un lavoro che dia sicurezza all'uomo che vi s'impegna e determini
nell'intiero corpo sociale una nuova spinta
creativa. una positiva condizione di perfezionamento insieme materiale e sociale.
L'esperienza d i Olivetti nel auadro delle iniziative pubbliche e ufficiali si chiuse nel '53 nel
modo cui si è accennato e non doveva riaprirsi
che troppo tardi - con altre incomprensioni
non meno gravi ed ottuse - alla vigilia della
sua fine immatura. L'altra esperienza - quella
di imprenditore industriale privato - non poteva non avere limiti assai precisi. Ma negli
anni seguenti, forzatamente lontano dalle possibilità di azione pratica nel Mezzogiorno, egli
redigeva un C,piano D d i iniziativa economicosociale per il rinnovamento meridionale, che,
rimasto anch'esso inascoltato a l momento in cui
f u formulato, possiamo ora rileggere - singolare coincidenza - a chiusura del volume
V Città dell'uomo
edito poche settimane prima
della sua morte.
E' un testo scarno e compendioso: ma dietro
ogni indicazione s'intravvede il maturo convincimento dell'esperienza. I1 paradosso n politico, che ricordavamo in principio sotto forma
aneddotica, v i è ripetuto e definito con l'esattezza di uno schema di lavoro. I1 Mezzogiorno
non deve essere semplicemente aiutato n con
provvedimenti rapsodici: esso deve entrare cc a
far parte di un piano organico nazionale nel
quale lo sviluppo e la contemporanea ristrutturazione del potenziale industriale del Nord
consentano d i porre a disposizione della trasformazione meridionale strumenti tecnici ed
operativi, capaci di vitalizzare in loco l e risorse sociali e i fattori economici comunque preesistenti.
Ma la mobilitazione delle energie non dovrebbe essere solamente massiccia; essa dovrebbe poter poggiare su una vasta qualificazione
delle infrastrutture culturali e politiche della
nazione: istituti d i formazione tecnica e professionale, enti edilizi e d i trasformazione agraria, comitati di coordinamento e di pianificazione a livello locale.
Con questi strumenti, l'azione d'intervento
dovrebbe poi articolarsi secondo il metodo
della concentrazione degli sforzi su territori
d i dimensioni ridotte: quivi, sotto il controllo
d i organismi di rappresentanza democratica,
il meccanismo del piano si metterebbe in moto
in una prospettiva di crescente dinamismo. Le
isole B iniziali di più alto potenziale produttivo e d i maggior benessere sociale non
tarderebbero a trascinare verso un superiore
traguardo l e altre zone d i minore suscettibilità.
L'incremento dei consumi, lo sviluppo culturale, il rafforzamento della struttura tecnicoproduttiva - attuati prima sulla scala degli
impianti-pilota e delle zone delimitate - si
estenderebbero in breve, come benefica macchia, a modificare l e condizioni generali del
Sud. E l'intero Paese n e sortirebbe rinnovato e
sospinto verso più alte mète di incivilimento
e di benessere.
E' stato detto che questo schema, e molte
altre idee fondamentali d i Adriano Olivetti risentono dei suggerimenti del fordismo: e si
è voluto, così, quasi sottintendere una critica.
Ma sono queste l e idee che, per quanto agitate da pochi, hanno portato, non solo a scuotere la millenaria indifferenza verso i problemi
del Mezzogiorno, ma a superare il limite statico dietro cui si trinceravano in genere i meCC
1,
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11
1,
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11,
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(3) I1 dlseorso è integralmente pubblirntn in
l'uomo R. M h o 1960.
%
C i t a del
ridionalisti dell'età liberale - anche gli illuminati - e che h a caratterizzato fino a ieri
l'impostazione teorica e pratica della politica
ufficiale. I1 limite di una visione riformatrice
soddisfatta di poter dare (quando la dava) una
possibilità di migliorare le preesistenti condizioni economiche e culturali: di combattere
l'analfabetismo, di potenziare l'agricoltura, di
fornire fognature e acquedotti ai fatiscenti
agglomerati urbani. Questo limite sembra ormai destinato a cadere per sempre se perfino
nel gran mare dei disegni di legge si moltiplicano ormai l e proposte di provvedimenti
nuovi, finalmente rivolti a fare del Mezzogiorno
di domani non una regione un po' più ricca
e confortabilmente abitale del Mezzogiorno di
ieri, ma un diverso Mezzogiorno, in nulla
inferiore per condizioni di vita dal resto dell'Italia e dell'Europa, ormai avviata ad unità
economico-sociale.
Ma v'erano nel pensiero di Adriano Olivetti due altri fondamentali elementi d i ideale
novità. Da un lato, egli vedeva come ogni
programma operativo assuma forza ed efficacia
soltanto se riportato su una scala territorialmente definita, sulla scala della comunità concreta dove gli strumenti d'intervento possono
essere commisurati a una realtà ben conosciuta
e radicata nella storia e nella natura, e prendere per ciò stesso vigore dalla partecipe adesione delle collettività direttamene interessate.
D'altro lato Olivetti non dimenticava mai
di illuminare ogni bilancio d i opere realizzate
e soprattutto ogni programma di opere da
realizzare, con una ragione più alta ed estrema,
quella di fini che ogni azione umana, dovunque
svolta, deve porsi. Presentando lo schema del
suo piano per il Mezzogiorno. egli avvertiva,
a conclusione: Le linee generali tracciate vogliono indicare a grandi segni un piano organico di rinnovamento basato sulla industrializzazione come mezzo, ma senza dimenticare il
fine: la promozione di una civiltà, fondata sull'armonia dei valori, sul rispetto delle libertà
democratiche, sull'autonomia della persona n.
Sulla traccia d i questi valori basici, sarebbe
possibile - e bisognerà farlo un giorno - di
ricomporre il quadro storicamente e ideologicamente completo del pensiero e dell'azione meridionalista di Adriano Olivetti; e non bisognerà
dimenticare allora i tratti segreti della sua
profonda bontà, china, qui come altrove, sulle
sofferenze più intime di uomini, piagati da
antichi mali, ma sempre pronti a raccogliere
ogni sincera speranza: una carità n nutrita dalla forte consapevolezza che in essa non può
esaurirsi oggi l'amore verso il prossimo, ma che
essa richiede, oggi più che mai, la ferma decisione d i fare, ma fare rigorosamente bene
con scienza, con coscienza e con giustizia.
L'insegnamento di Adriano Olivetti sopravvive in quanti ebbero il privilegio d i lavorare
con lui per i valori ideali che egli attinse e
diffuse, ma anche e soprattutto per l'esempio
operante che egli dette di un modo integrale
di affrontare la realtà nella nostra epoca, in
ogni sua accezione d i lavoro e di partecipazione
civile. Non c'era frattura, nel suo esempio, tra
dovere etico, responsabilità sociale e rigore
tecnico: egli ne affermava la sintesi, poiché
sapeva e insegnava che solo attraverso di essa
la nostra epoca potrà raggiungere un nuovo
umanesimo.
I1 Mezzogiorno è stato uno dei banchi di
prova in cui egli scelse di affermare queste
verità: l a sottile angoscia di non poter fare
per queste regioni tutto quello che aveva sognato in un vasto disegno lo accompagnò fino
all'ultimo, aggiungendo incessantemente a l primitivo patrimonio d i proposte e di suggestioni
nuovi temi e nuove proposte: l'area meridionale
d'Italia come Mezzogiorno d'Europa, una grande
forza umana e un vasto spazio geografico aperti
a quel potenziamento dell'industria europea necessario per consentirle di competere vittoriosamente in un mondo sempre più angusto e omogeneo, legato ad un unico destino.
Ma egli non ignorava che, ad un certo punto,
la testimonianza personale, la spinta di una
forza anticipatrice devono segnare il passo ed
attendere che le idee abbiano compiutamente
percorso il loro cammino di penetrazione. P e r
questo, guardando a l futuro del Mezzogiorno
e dell'intiera società umana, non perse l a generosa fiducia che tempi nuovi avrebbero dato
nuovi frutti di vita.
(t
(1
.
COMUNI D'EUROPA
36
dicembre 1960
I1 coordinamento delle fonti energetiche
come fattore di integrazione europea
di Felice Ippolito
PREMESSA (1)
Le istanze per il coordinamento energetico
si sono venute moltiplicando ultimamente in
Europa, sia nell'ambito delle Comunità a Sei
che in quello più vasto dell'OECE e degli altri
organismi della cooperazione internazionale. All e istanze di carattere economico si sono aggiunte una serie di iniziative di colore politico,
come i dibattiti svoltisi in seno all'Assemblea
Parlamentare Europea, al Comitato per gli Stati
Uniti d'Europa e all'Associazione per lo Studio
dei Problemi d'Europa: l e une e gli altri convergono sulla necessità d'intraprendere un'azione univoca, graduale e decisa nel settore dell'energia.
Nella prima parte di questo rapporto verranno presi in esame i dati obiettivi che si
riferiscono alla produzione di elettricità in Europa, con particolare riguardo alla Comunità dei
sei Paesi. Nella seconda verranno delineate le
ipotesi di coordinamento, f r a l e quali tocca oggi
effettuare una scelta. Nella terza verranno discusse le varie soluzioni proposte e delineati
i motivi che consigliano di adottare una formula particolare, che, partendo dal campo di
azione di una delle tre Comunità, si propone
di attuare il coordinamento energetico nel
quadro di un'integrazione economica a livello
comunitario. La, formula suggerita s'inserisce
realisticamente nel paesaggio economico e produttivo dell'Europa in via d'integrazione, rifuggendo da quelle caratterizzazioni estreme che
pregiudicherebbero ogni possibile intervento,
allontanando il traguardo del coordinamento.
I. - L'ENERGIA E LE COMUNITA'
1. La situazione energetica europea. - L'incremento dei consumi di elettricità i n Europa
rappresenta un dato controverso in tutte le
analisi che si sono fatte recentemente della
situazione economica continentale. Mentre l e
valutazioni del tasso d'incremento oscillano. a
seconda della maggiore o minore completezza
dei fattori economici presi in esame, non esistono dubbi apprezzabili circa il fatto che in
un giro d'anni, che viene calcolato mediamente
in una decade, i consumi elettrici, nei Paesi
caratterizzati da una crescente industrializzazione, si raddoppieranno. Analisi dei consumi
elettrici in Europa sono state effettuate negli
ultimi tempi a vari livelli; a livello della Piccola Europa, a livello OECE e non sono mancante neanche l e opportunità di delineare, se
non altro a titolo di assaggio, un s panorama D
continentale comprensivo anche della zona di
influenza sovietica. Poiché tuttavia, rispetto a
quest'ultima zona, ed a taluni paesi dell'Europa
Meridionale, non sussiste continuità di dati,
l'osservazione del panorama energetico non ci
sembra possa farsi utilmente, almeno per ora,
se non nei limiti degli organismi di collaborazione già attivi da tempo nell'Europa occidentale.
Sarebbe relativamente semplice rifarsi, affrontando il problema dei consumi di elettricità in
Europa, al rapporto redatto dai cosiddetti ii Tre
Saggi D per conto della Comunità Atomica Europea: poiché però le conclusioni di tale rapporto sono state recentemente messe in dubbio,
( i ) I1 presente rapporto, preparato in una prima stesura per la riunione tenuta dal Movimento Europeo a
Bruxelles il 29 gennaio 1960, è stato poi rielabrato,
per tener conto delle discussioni ivi svoltesi. per la riunione dello stesso organismo tc?iute a Milano il 21-22 marzo 1960 ( v . «Comuni d'Europa», n. 4. aprile 1960,
pag. 11). Esso riprende e modifica in un quadro più vasto.
le proposte da me avanzate a Londra il 3 novembre 1959
;illa IV « Table Ronde », per i Problemi d'Europa.
Rin~razio qui gli amici Achille Albnetti e Guido
Botta per i preziosi consigli e per l'aiuto datomi nell'elaborare questo rapporto.
ritenendosi che esse risentissero del clima di
congiuntura in cui il rapporto f u redatto, e
poiché d'altra parte l'osservazione dell'incremento energetico nell'ambito della Piccola Europa non offre che un quadro parziale, sarà
forse opportuno richiamarsi a i dati statistici e
di previsione formulati da un'organizzazione più
vasta, l'OECE, che si è occupata attivamente
delle questioni energetiche. Ciò vale ad allargare l'orizzonte, ma non significa che l e conclusioni formulate nel 1957 dai II Tre Saggi
debbano ritenersi erronee o influenzate eccessivamente da fattori di congiuntura. Prevale d'altronde, com'è noto, nelle valutazioni dell'OECE,
la tendenza a raccogliere i dati statistici senza
effettuare su di essi le successive operazioni
di critica e di previsione, lasciando cioè che
altri elabori i dati collazionati. I1 riconoscimento di particolari tendenze e il calcolo dell'incremento probabile dei consumi vanno in
ogni caso effettuati con estrema cautela.
Dalla tabella che compare nel rapporto della
Commissione per l'Energia dell'OECE intitolato
La crescente fame di energia in Europa D si
desume che le previsioni sull'aumento dei consumi di elettricità vengono comunemente fondate sul tasso annuale di incremento del 7%;
valutazione che i compilatori del rapporto OECE
ritengono accettabile per ogni bilancio di previsione, anche se esprimono l'opinione che, di
fatto, l'incremento segua una spirale meno rapida, all'incirca del 5,5%.
Risulta dalla tabella che il consumo totale
di elettricità nei Paesi dell'OECE era, nel 1955,
calcolato in 358,2 TWh. Nel 1965 i consumi
dovrebbero essere pressoché raddoppiati raggiungendo i 710 TWh: nel 1975, permanendo
lo stesso rateo minimo d'incremento si raggiungerebbero i 1.299 TWh. Nell'aumento della
produzione, tuttavia, le differenti fonti di energia giocano un ruolo del tutto diverso, poiché,
mentre nei primi dieci anni (1955-1965) sugli
impianti idroelettrici dovrebbe gravare un incremento di produzione pari al 63%, nella successiva decade l'apporto della fonte idroelettrica non dovrebbe superare il 50%. Beninteso,
questi sono i ratei parziali, relativi ai soli impianti idroelettrici; vale a dire che mentre complessivamente si ritiene che la produzione di
elettricità aumenterà nei dieci anni del 100%,
l'apporto degli impianti idroelettrici diminuirà
rispetto alla situazione attuale di una quantità
che può calcolarsi del 35% per i primi dieci
anni, del 50% per i successivi dieci. Di converso,
l'apporto degli impianti termoelettrici (nei quali
l'OECE include anche quelli elettronucleari) dovrebbe aumentare in misura sostanziale, sopperendo anche alla progressiva carenza di impianti idroelettrici. Si avrebbe auindi, secondo
la previsione dell'OECE, una produzione di
elettricità da fonti termiche, praticamente quadruplicata nei venti anni che vanno dal 1955 al
1975. Dai 217,7 TWh del 1955 si dovrebbe pervenire nel 1965 ai 476 e nel 1975 ai 948 TWh.
La proporzione tra l e fonti di elettricità dovrebbe risultare sensibilmente spostata, se si
calcola che dal rapporto attuale fra impianti
idroelettrici e impianti termici, rapporto che
può essere posto nei termini del 215 e 315 del
totale di consumi, si passerà a un rapporto di
circa 3/10 e 7/10.
Appare evidente, pertanto, che gli impianti
termici e nucleari - che, sarà bene ripeterlo,
l'OECE considera nella stessa categoria, cioè
f r a gli impianti che trasformano il calore in
elettricità, indipendentemente dalla fonte energetica - sono destinati ad assumere nella
maggioranza dei Paesi membri dell'OECE una
posizione preminente. Non rientrano nella condizione generale cinque Paesi, l'Austria, l'Islanda, la Norvegia, la Grecia, la Turchia dove esistono tuttora rilevanti possibilità di sfruttamento idroelettrico. Nel quadro dell'OECE,
tuttavia, ciò che conta è la situazione generale,
1,
ed è in questo quadro che vanno considerate
le istanze per un coordinamento delle politiche
energetich<, che si sono andate moltiplicando
recentemente sia nell'ambito della Comunità
che in quello più vasto dell'OECE. E sarà bene
precisare che si tratta di un fenomeno perfettamente logico, se si considera il fatto che, con
il progressivo esaurirsi della fonte idroelettrica
nella maggioranza dei Paesi dell'OECE, si sono
venuti a creare dei problemi di approvvigionamento nuovi. e nel contempo problemi concorrenziali tra petrolio, carbone e gas liquidi determinati dalla domanda crescente da un lato,
dall'aggravarsi di gestioni antieconomiche dall'altro e infine da fattori di congiuntura, quali
il basso prezzo dei noli marittimi e la conseguente aumentata presenza del carbone e del
petrolio americani sul continente.
2. Rivalutazione delle previsioni dei COILs u m i energetici. - Va rilevato che nel rapporto pubblicato dalla Commissione Consultiva
dell'Energia delllOECE, presieduta dal professor
Austin Robinson nel gennaio di quest'anno,
l e prospettive circa l'aumento dei consumi energetici fino al 1975 hanno s u b ~ t oun certo ridimensionamento; e, del resto, compito precipuo
della Commissione Robinson è proprio quello
di esaminare periodicamente l e statistiche relative alla produzione, ai consumi, alle importazioni, al prezzo dell'energia e agli investimenti
òperati nel settore. Da questo riesame periodico,
la Commissione desume gli indici presumibili
d'incremento della domanda di energia; è evidente perciò che una rivalutazione di fattori
già considerati, o la sopraggiunta presenza di
fattori nuovi possano mutare considerevolmente
l e conclusioni circa le previsioni del fabbisogno
e conseguentemente suggerire formule diverse
circa il modo di fronteggiarlo, in termini di
produzione di elettricità a livello economico.
I1 rapporto testé pubblicato dalla Commissione
Consultiva, che si intitola appunto <I L'Energia
in Europa, nuove prospettive u riflette una valutazione indubbianiente più prudente sull'evoluzione futura della domanda di energia ed
esclude pertanto che si debba pianificare la
produzione energetica sulla base di u n presumibile deficit energetico. I1 rapporto Robinson
ritiene infatti di poter prevedere che la domanda di energia primaria aumenterà in Europa dal 25 al 35% fino al 1965 e dal 58 all'83%
nel periodo compreso tra il 1955 e il 1975. Si
tratta dunque di dati di previsione per un
ventenni0 che si fondano evidentemente per
una certa parte su dati statistici già acquisiti
e per così dire verificati dall'andamento attuale
della domanda.
I1 rapporto fondamentale tra energia termica
e energia idroelettrica, tuttavia, non sembra
mutare in misura apprezzabile neanche nelle
valutazioni prudenziali del Gruppo Robinson.
Si tratta del resto di una situazione irreversibile, per quanto attiene alla disponibilità di
bacini idroelettrici suscettibili di sfruttamento. Da
questo punto di vista, le conclusioni del 1955 non
differiscono sostanzialmente da quelle convalidate nel 1960. Si rileva soltanto la raccomandazione
di maggiore cautela che l'OECE rivolge ai Paesi
membri i n materia di programmi di potenza nel
settore elettronucleare; ma non può non osservarsi che nel punto XIX delle conclusioni, il
rapporto Robinson segnala un ampio margine
d'incertezza quanto al ruolo che l'energia nucleare potrà sostenere nella politica di approvvigionamenti da oggi a l 1975 ) I . Anche se non
si pronuncia sulla data nella quale può presumersi che l'energia nucleare tocchi il traguardo
concorrenziale con l e fonti classiche, il rapporto
conferma l'opinione, generalmente diffusa, sulla
progressiva flessione dei costi d'impianto e di
quelli del combustibile, secondo una curva decrescente in misura più rapida che non nelle
centrali termiche di tipo classico.
dicembre 1960
Appare estremamente significativo, comunque,
che il rapporto Robinson si concluda - punto
XXIV delle Conclusioni - con la raccomandazione che
l'OECE esamini la possibilità d i
operare una integrazione materiale più stretta
degli approvvigionamenti energetici dell'Europa occidentale, e segnatamente di migliorare
il regime di fornitura di energia alle regioni
che ne sono attualmente meno provvedute n.
37
COMUNI D'EUROPA
più legati alla conservazione di posizioni di
privilegio, si fanno già sentire. Oscillando fra
un regime di potenziale carenza energetica e
una presunzione d i saturazione, probabilmente
fittizia, il mercato energetico europeo sta subendo una serie d i scosse, talvolta assai violente;
ed è caratteristico che a richiedere un coordinamento energetico non siano soltanto i settori
nei quali si sono create crisi palesi, come quello
carboniero, ma anche i settori nei quali la
situazione pletorica potrebbe generare la mag3. s e t t o r i energetici europei in crisi, - 11
fatto concreto, verificato da tutte le analisi
giore tranquillità, congiunta alla certezza di aprecentemente effettuate, è che la situazione enerprovvi?Zionamenti praticamente illimitati. s i è
perciò sempre più
chiedere in
getica europea è caratterizzata oggi da una
serie di fenomeni contraddittori che contribuiSede comunitaria o in sede OECE - le cOnclustono a creare un quadro estremamente con..
sioni del rapporto Robinson non sono che l'ulil dialogo
timo episodio di questa tendenza - di procefuso, tanto Più che in parecchi
in termini d i economia è reso difficile dall*inva- dere ad un coordinamento energetico, fondandosi sull'intesa raggiunta in importanti settori
denza dei fattori nazionalistici che rischiano di
economici rientranti nell'ambito della CEE, delriportare la collaborazione europea al punto
l'EURATOM e della CECA. I1 successo settoriale
di partenza. cVè,in primo luogo, la crisi del
assicura sulla possibilità di un'intesa più vasta
carbone belga (si era parlato anche di una
ed
ma
deve trarre in
situazione di disagio del carbone tedesco, ma
circa la
che le
sembrerebbe oggi che ci si avvi ad una normadebbono affrontare. Senza entrare nel merito
lizzazione di quel mercato).
poi un nuovo
delle resistenze, le quali derivano fatslmente
elemento determinato dall'annuncio della scodalla presenza d i forti interessi, che tendono ad
perta di giacimenti di idrocarburi nel s a h a r a e
associarsi, e da un regime concorrenziale assai
subordinatamente nel ~~~~~~i~~~~ d91talia, di
che la
carbOsicui non si può valutare per ora che in linea
va
derurgica sembra aver conseguito Un primo SUCgenerale il probabile apporto, P e r quanto ricesso nella battaglia d'arresto contro i1 periguarda il petrolio sahariano, la questione si
colo delle concentrazioni industriali, praticamente messe a l bando dall'art. 65 paragrafo 2
del trattato CECA. La denegata autorizzazione
dell'Alta Autorit5 alla costituzione di un carte110 unico di vendita del carbone della ~
~
che avrebbe controllato circa la metà di tutta
la produzione carbonifera dei Sei Paesi, costituisce un precedente d i estremo interesse anche
perché dimostra di quali poteri effettivi dispongano gli Esecutivi comunitari nei loro interventi: quando beninteso la lettera dei trattati
sia esplicita, ciò che non può dirsi né per quello
della CEE, n é per l'EURATOM, almeno per
quanto riguarda la materia energetica, Va facendosi strada, ad ogni modo, negli stessi Esecutivi comunitari, la convinzione che sia nel
carbosiderurgico 'Ome
in
altre fonti energetiche sia difficile combattere
non il principio della concentrazione, ma il
dato d i fatto dell'esistenza di forti concentrazioni industriali, che agiscono in un determinato
settore, lo condizionano e praticamente 10 regelano, anche e soprattutto all'esterno delle
Comunità, Nel caso Thyssen-Phoenix, ad esempio, non è probabile che si giunga ad una decisione
radicale come quella che è stata,
sia pur faticosamente, raggiunta nei confronti
del proposto cartello unico del carbone, perché
ognuno sa che yoptimum delyimpresa acciaiera
L'ori. Paolo Emilio Taviani fu il capo della delegaè oggi in una dimensione minima ,di produzione
che va dai due ai quattro milioni di tonnellate,
i o n e italiana che partecipò alla redazione (1950-51)
del Trattato istitutivo della Comunità sopranazionale
e d'altra parte la concentrazione Thyssen-Proenix controllerebbe non più del 10% della proeuropea del carbone e dell'acciaio (CECA).
duzione acciaiera tedesca. E' verosimile quindi
che l'Alta Autorità l'autorizzi condizionatamente,
ponendo ad esempio l'obbligo dell'approvazione
complica per il problema del trasporto interconda parte dello stesso Esecutivo per gli investitinentale, anche se la costruzione di oleodotti
menti resi necessari dalla concentrazione stessa,
per il tratto africano e per quello europeo sembra rendere meno difficile il trasporto da un
oltre un certo limite.
continente all'altro. S i tratta di una serie di
L'esempio della CECA dimostra anche che
situazioni che non è improprio definire fluide,
nell'evoluzione del processo integrativo non si
poiché è dal confluire di tali fattori nuovi che
può sempre applicare rigidamente la lettera del
è nata una specie di psicosi anticongiunturale.
trattato, sotto pena di provocarne la sclerosi o,
In altri termini, mentre i bilanci di previsione
peggio, d i limitarne l'applicabilità a questioni
i n materia energetica risentivano nel 1957 della
di principio che non affrontano i problemi nella
strozzatura degli approvvigionamenti petroliferi
loro vera essenza e rischiano d'ingenerare ultioriginata dalla chiusura del Canale, c'è ora rimamente la più perniciosa sfiducia negli scopi
schio che prevalga nei calcoli sulla produzione
stessi dell'integrazione europea. Così come in
di elettricità in Europa una psicosi di saturataluni casi sta a l discernimento degli Esecutivi
zione. Si tende cioè a trascurare il fatto che
o anche dei Consigli dei Ministri della Comula presenza di surplus d i carbone belga è donità di temperare, nel processo di applicazione,
vuta agii alti prezzi causati dalla gestione spesso
l'asprezza d i quelle formule che rischierebbero
antieconomica di numerose miniere belghe; si
d i fare più guasti che vantaggio, spetta agli
f a troppo afidamento su un fatto decisamente
Esecutivi delle Comunità, in sede proponente,
dovuto alla congiuntura favorevole, vale a dire
a i Consigli dei Ministri e ai Governi dei Paesi
alla disponibilità nei porti continentali di commembri, in sede deliberante, suggerire ed adotbustibile americano caratterizzato da prezzi di
tare quelle modifiche ai trattati che consentano
rottura derivanti dal bassissimo regime di noli;
di agire, o perlomeno d i arrivare ai mezzi adatti
si considera forse con eccessiva euforia la
ad agire, in determinati settori nei quali si
capacità dei giacimenti testé scoperti. ma non
siano presentate e sviluppate situazioni nuove.
ancora riconosciuti in modo soddisfacente da
Questo è il caso tipico della necessità di coorun punto di vista geominerario; si dà pieno
dinamento energetico che si è venuta delicredito alle imprese elettrocommerciali per
neando gradatamente neil'ambito delle Comuquanto riguarda l a loro capacità di adeguarsi
nità. La presenza del problema e l'impegno,
rapidamente a l crescente ritmo della domanda.
da più parti espresso, di studiarlo a fondo, per
I risultati di questa complessa situazione, sulpianificare un'azione risolutiva, devono però
essere bene ancorate alla realtà economica e
la quale hanno evidentemente buon gioco gli
interessi particolaristici dei gruppi economici
industriale dei Sei Paesi, come entità. singole,
impegnate bensì alla realizzazione dell'integrazione economica, ma evidentemente condizionate e limitate nella propria volontà di agire
da fattori, interessi e contingenze di carattere
regionale.
ed i'Liziativa privata
4' Impresa
produzione di elettricitd. - I n realtà., l e possibilità di raggiungere un regime di accordi nel
campo dell'industria elettrica, quali che siano
le fonti energetiche, si presentano piuttosto limitate, per l'estrema disparità delle situazioni
nazionali nel settore (2).
A titolo di raffronto, basterà considerare la
ripartizione fra imprese pubbliche e private
""la
produzione di
nei Paesi
Comunità
Esistono differenze Percentuali, oltre che diverse formazioni strutturali
della distribuzione dei consumatori, l e quali dimostrano ampiamente come ogni regime che si
proponga la modifica della situazione esistente
sia destinato a scontrarsi, non soltanto con l a
diffidenza - che si può definire legittima ( 2 ) Ritenianio utile pubblicare quanto in proposito
i1 dott. caro", ~ i ~ ~ . p (lella
~ ~ Commissione
~ i d ~ ~ della
t ~
CEE, ha detto nella s u a relazione al Convegno supli
IGrocarburi. tenuto a Piacenza il 12 settembre 1960, rela"lone delle quale riportiamo un ampio stralcio nelle
i>apg. 4 1 e 4 2 (li questo numiLro di « Comuni d'Europa »:
, I I Belgio, ehe ha foi.se i niacimenti carlIomifei.i a coati
piìi elevati t r a i Sei, è st;ito il Paese che naturalmente
h ah avuto~ più diffico'ltà
a crainpetere eon le importazioni di
,
energia a più basso prezzo. I'.' così che il Governo è
ricorso all'isolamento del suo mercato carl~onifero,attraverso restrizio,ni quantiintive r~eile impoi-tazioni (li carbone, ron un sistema di licenze sia per i Paesi come
Stati Uniti e Gran Bretarnzi che non fanno parte della
CECA, sia p e r i Paesi m e m l ~ i idella CECA.
Durante il mese (li ago,sto, a seguito (li u n a forte concorrenza cia narte dei prodotti petroliferi, il Belgio h a
introdotto u n a nuova L ~ s s a pari a 70 franchi belgi alla
tonnellata sull'olio co;nl>ustibile e che h a portato il totale
(telie imposte indirette su tale pro(iotto a 160 franchi belgi
la tonnellata: a ciò deve azgiungersi un diritto clo~anale
di 100 franchi k l c i p e r tonnell:ita. L e imposte indirette
suila benzina erano ~ i stiite
h
aunirntate nei 1958.
I n Francia il Goveillo (lispone
settore dell'enerKia
,,i notevoli possibilità di inter,,ento. ~ ~ f ~eccezio,nr
~ ~ i
del petrolio, le altre fonti energetiche (carlmne, ras, elettricità) Sono naziona1iz7,ate.
Recentemente, nonostante l'industria carbonifern :issuin ~
~ la politica
~
enerpetica
~
~
francese sta prendendo un nuovo orientamento in favore
dello sviluppo del petrolio, a causa soprattutto delle scoperte recenti di fomrti giacimenti ~>etroliferi, in gran
parte nazionalizzati, nel Sahara. E' così che la Francia
controlla le importazioni di carbone tramite un'azenzia
statale, il che h a facilitato l'arresto depli acquisti dall'estero durante la recente crisi carbonifera.
P e r di più fin dal 1828, la Francia co'ntrolla il mercato
(lei pro<lotti petroliferi. Tali controlli includono restrizioni
<iwdntitative delle importazioni, I'obbli~odi scorte di sicurezza, l'imposizione <li un certo controllo di prezzi per i
,.ari prodotti, una
preventiva per gli investimenti, e più recentemente un divieto di sconto di più
'le1
ai a i sOtLo
listino pubblicato.
I1 sistema fiscale. infine assume un molo abbastanza
im,,orti<nte
nel settore energetico,
,,
I n Ger?mxni(i la politica enerpetica è dominata dall'esistenza di un'importante industria carbonifera da proteggere'
carl'one
copre ancora attualmente Oltre il 63'%
dei consumi totali di energia. L a politica liberale tedesca
nei settore energetico è s t a t a rivista ali'inizio della crisi
carbonifera nel 1957-1858. E' così che il Governo tedesco
h a imposto la rinegoaiazione dei contratti a lungo termine
per lximpo,rtazione di
americano ed ha introdotto
un diritto doganale sulle importazioni eccedenti un determinato livello. Per di l>iù- il
ha olilili-
''
i produttori
le compagnie
di carhnne per moderare
accettare la
un concorrenza.
coi'
Allorché tale accordo non polé essere mantenuto. il Governo
un'iinpOsta indiretta pari a E5 marchi
la tonnellata sull'olio combustibile e dedicò i proventi d i
tale imposta alla riconversione del13industria carl>onifera,
~,~ol,d, è un Paese con u n a modesta industria caririnifera e importanti interessi petroliferi. Ciononostante.
per proteggere le
industrie ed mche 'Ome
atto
di soli(1arietà con gli altri Paesi della Camunità, il
&vemo ha imposto un sistema di licenze di importazione
sul carbone. P e r l'olio combustibile è in vigore un sistema
'li
L,ltelia i. il Paese che si è potuto permettere una poli,ica enerEetica relativamente liberale, fon(lata sul
cipio della libera importazione di energia al più *basso
praZO possihfie. 11 mercato energeticO italiano e per
caratteriz7'ato
più 'li quello
Paesi, da u n a forte concoi.renza. Ciononostante i prodotti
petroliferi sono gravati di oneri fiscali nettamente più
importanti di quelli gravanti su1 carbone.
Si noterà che tutti i Governi dei Paesi delle &munita
~ ~ u r o p eintervengono
e
ampiamente e attraverso vari si.
stemi sui mercato energetico servendosi di quasi tutti i
n1e7,7,i a loro disposizione e inP1iiendO
volte sulle quanti"
amlie(lue. La divergenza
mercato' a'1e
deglivolte
inteiventi
sui
adottati
e
in ciasu
scuno dei Paesi membri sottolinea ancora una volta la
di un coOrdinainentO del1e politiche energetiche.
"
"l
zioni
fine
di concorrenza.
a"Sicurare necessaria
Una ce*a per
eguaglianza
la creazione
nelleprogressiva del mercato comune*. (N.d.R.).
,
i
COMUNI VEUROPA
degli interessati, ma con effettive difficoltà di
ordine generale.
Per restare dunque a livello comunitario, e
sempre prendendo a fondamento i dati dell'OECE, basterà osservare che in Francia
1'81% della produzione e 1'86% della distribuzione sono affidate alle imprese pubbliche,
che intervengono per un ulteriore 10% della
produzione attraverso imprese miste, mentre
solo il 9% della produzione e il 14%.della distribuzione sono i n mano all'iniziativa privata: che
in Germania il 40% della produzione e il 52%
della distribuzione sono amministrate dai poteri
pubblici, mentre soltanto il 65% della produzione e della distribuzione è in mano alle imprese private, vigendo per le percentuali residue
(54% della produzione e 42% della distribuzione)
il regime misto: che in Belgio il 93% della produzione è i n mano all'iniziativa privata e il 7 %
ai poteri pubblici, e che la distribuzione è cosl
ripartita: 19% allo Stato, 14% alle imprese miste,
67% alle imprese private. L'Olanda presenta il
caso più semplice, poiché le imprese elettriche
sono integralmente nazionalizzate.
P& l'Italia i dati riportati nel citato rapporto
della Commissione Consultiva dell'Energia dell'OECE si riferiscono all'anno 1953. Tale situazione - in seguito al mutamento di proporzioni
tra produzione dell'industria di Stato e produzione privata, configuratosi con il distacco delle
Aziende a capitale intero o prevalente capitale
statale dalla Confederazione dell'hdustria italiana - risulta oggi la seguente:
%
1) Settore pubblico:
Aziende IRI . . . . . . . .
Aziende Municipalizzate . . .
Ferrovie dello Stato . . . .
27
6
2
2) Elettroproduttori privati . . .
50
3) Autoproduttori . . . . . . .
15
Totale . . .
100
11. - L'ISTANZA PER LA COORDINAZIONE
E LE SCELTE POSSIBILI
I1 problema del coordinamento energetico è
stato posto, almeno in termini di ipotesi comunitaria, sin dalla firma dei trattati di Roma.
Da tutti si riconobbe - e il riconoscimento
non è mai venuto meno, si è andato anzi sempre più rafforzando con l'andar del tempo che l'elettricità è un'infrastruttura essenziale
per ogni sviluppo della Comunità e che vano
riesce il discorso della collaborazione ove non
si affronti il fenomeno all'origine, creando cioè
una piattaforma comune sulla quale sia offerta
a tutti i Paesi. in misura -proporzionale
al loro
potenziale economico ed industriale, la possibilità di sviluooarsi e di armonizzare i propri
sforzi nel quadio generale del progresso
&ll'ammodeinamento delle strutture industriali.
La esistenza di sensibili sperequazioni, di salienti e rientranti sul fronte economico dei Sei
Paesi, fu bene avvertita sin da principio, ma
questa constatazione non limitò, ma valse al
contrario a stimolare l'interesse verso il settore
energetico. Si studiò, con una certa lungimiranza, la formula alla quale adattare lo spirito
di collaborazione, che era allora intatto e profondo; probabilmente perché, nella prima fase
dell'applicazione dei trattati, non era ancora
avvertibile la reazione di quei gruppi economici
sui quali ricade evidentemente, perlomeno in
apparenza ed a breve raggio, il danno immediato delle soluzioni comunitarie. I1 dialogo europeo si svolgeva in quei giorni ad alto livello,
in una sfera del tutto politica e si esauriva
spesso con la dichiarata volontà di attuare un
ordinamento di taluni settori economici in un
senso più aderente alle necessità dei Sei Paesi.
Si presentò già allora un aspetto caratteristico
del processo d'integrazione europea, aspetto che
si è verificato ripetutamente nelle fasi finora
esperite della collaborazione comunitaria. Si
riscontrò cioè, allora per la prima volta, che
la volontà politica di attuare la Comunità europea non trova sul suo cammino ostacoli insuperabili, fino a che questa volontà si esprime
in termini di teoria, nel limbo dei desideri
considerati più o meno irrealizzabili; oppure
e
realizzabili secondo una formula di comodo, che
lasci invariate l e situazioni nazionali e quelle
settoriali delle attività economiche. Le resistenze diventano evidenti e talvolta insuperabili quando dall'ipotesi comunitaria si passa
alla fase concreta, quando il problema dell'integrazione si pone in termini di organizzazione
effettiva, di coordinamento, di interaz~onedei
vari gruppi economici attivi nei singoli Paesi,
e solitamente restii a rinunciare al clima, concorrenziale ed in taluni casi monopolistico, nel
quale sino a quel momento si sono svolte le
loro attività economiche. Non ci furono difficoltà
sensibili, nel 1957, per ottenere l'approvazione di
quel protocollo che attribuiva all'Alta Autorità
della CECA il compito di esplorare il paesaggio
energetico, per poi suggerire alle altre due
Comunità la possibilità di un'azione di coordinamento. Nel protocollo 9 ottobre 1957, l'art. 4
L'Alta Autorità
era e ~ t r e m a m e n t e esplicito:
della CECA presenterà al Consiglio dei Ministri
gli orientamenti generali sulla politica energetica, l e proposte sulle condizioni di realizzazione
di tale politica e l e misure concrete che essa
stima adeguate n. S i trattava, com'è evidente, di
un accordo i n termini assai generici; si proponeva unicamente la realizzazione di un'intesa a
livello del Consiglio dei Ministri e non degli
Esecutivi delle Comunità. L'esperienza di questi pochi anni di funzionamento degli organi
comunitari ha dimostrato in modo inconfutabile,
che mentre il Consiglio dei Ministri possiede
evidentemente tutti gli strumenti atti a dare
efficacia ai provvedimenti suggeritigli dagli
Esecutivi, assai dubbia è la capacità propria
del Consiglio a realizzare quando si tratti di
impostare autonomamente un provvedimento
concreto, che richieda successivamente l'assenso degli Esecutivi e quello, indispensabile, dei
governi nazionali. Ciò risponde del resto alle
caratteristiche stesse del consiglio dei Ministri.
ed è interessante rilevare come l'elaborazione
dei provvedimenti in sede esecutiva, sia stata
la caratteristica costante delle iniziative comunitarie più efficaci. S i potrebbe aggiungere che
il fatto stesso di saltare, per così dire, lo stadio
degli Esecutivi, per proporre direttamente la
decisione al Consiglio dei Ministri, può essere
preso in generale come una prova dello scars3
interesse che si porta ad un determinato problema.
I1 protocollo 9 ottobre 1957, malgrado configurasse già una possibile soluzione, non divenne operante che in una forma del tutto platonica, come l'espressione di una volontà palitica,
che non si materiava in alcuna iniziativa concreta. E se ciò fu ritenuto accettabile nei periodi
di prima applicazione dei trattati, diventò del
tutto insoddisfacente man mano che, procedendo
sulla via dell'integrazione, cominciavano a venire in luce i primi contrasti ed i primi attriti
fra i vari settori energetici, all'interno o all'esterno dell'iniziata collaborazione comunitaria. Lo stato di disagio, endemico fino a tutto
il 1958, ha assunto come tutti sanno forma
epidemica con i primi sintomi della grave crisi
del carbone della CECA, che rappresenta, tuttavia, soltanto una localizzazione ed una puntualizzazione di un problema che è indispensabile affrontare nell'interesse delle Comunità.
Una serie di documenti. approvati nelle più
varie sedi della collaborazione europea e all'int e m o stesso della Comunità, ha posto l'accento
sulla necessità di attuare un coordinamento nel
settore energetico, ma ha anche comprovato
l'estrema confusione che esiste in questa fase
preliminare, per l'accavallarsi delle istanze, la
diversa origine di esse e la non meno diversa
destinazione che dai vari gruppi s'intende dare
al coordinamento. Mentre talune di queste istanze presentano un carattere abbastanza concreto
e non è difficile identificare in esse almeno una
ipotesi di collaborazione nel settore energetico,
altre - e sono la maggioranza - sembrano aver e un carattere del tutto velleitario, limitandosi
a rammentare l'esistenza del problema, senza
proporne tuttavia alcuna soluzione concretamente attuabile. Una breve rassegna di queste
istanze, che si distinguono per la loro estrema
varietà, varrà a dimostrare come evidentemente
non basti riconoscere l'esistenza di un problema per dare l'avvio alla soluzione di esso,
soprattutto quando interessi contrastanti e settori economici in naturale antitesi debbono
essere integrati con un regime di concessioni
reciproche.
L'anno testè decorso è straordinariamente
ricco di istanze per il coordinamento energetico. In seno alllAssemblea Parlamentare il
Rapporto Posthumus, seppure in termini prudenziali, aveva segnalato già nel gennaio la
necessità di esaminare a fondo la situazione
energetica europea alla luce della crisi manifesta della CECA. Posthumus chiedeva l'attuazione di un certo grado di arinonizzazione fra
le iniziative prese sino a quel momento dalla
Comunità Carbosiderurgica e dalla Comunità
Europea dell'Energia Atomica. Suggeriva inoltre la opportunità di ridimensionare la produzione del carbone belga, eliminando dal ciclo
economico della domanda e dell'offerta quei
fattori di disturbi che avevano contribuito a
creare una situazione falsa. In seno al Comitato d'Azione per gli Stati Uniti d'Europa
è stato inoltre sottolineato nel maggio scorso
l'appello rivolto da Jean Monnet perché sia
impostata una politica comune dell'energia,
fondamento indispensabile dell'ulteriore progresso dell'integrazione europea. Nel corso del
dibattito sull'energia svoltosi nel giugno, nella
sede dell'Assemblea Parlamentare, tutti i gruppi si sono pronunciati per la formulazione di
una politica energetica, anche se si trattava
in questo caso specifico di una serie di provvedimenti ad hoc, destinati ad affrontare direttamente e immediatamente il problema del carbone invenduto in Europa, e soltanto alla
lontana e con estrema cautela quelli relativi
alle altre fonti di energia. Più concreta appariva in verità la proposta presentata dal senatore Leemans, Presidente della Commissione
delllEnergia dell'Assemblea Parlamentare; tale
proposta era intesa a suggerire la costituzione.
in una fase più avanzata dell'integrazione europea, di un Centro Europeo per l'Energia, dotato
di poteri effettivi. Al termine del summenzionato dibattito svoltosi in seno all'Assemblea
Parlamentare, veniva adottata una mozione che
auspicava, ancora una volta, l'azione di un
Comitato a livello Interesecutivo.
Lo stesso carattere aveva il rapporto presentato, all'incirca nello stesso periodo dall'organo direttivo dei Charbonnages de France
rapporto nettamente orientato nel senso
di una collaborazione a livello interesecutivo,
ma anche ispirato alla necessità di effettuare
una ripartizione adeguata delle responsabilità
delle tre Comunità tenendo conto dell'apporto
delle fonti convenzionali e di quella nucleare
Anche in seno ad istituzioni a carattere nazionale si registrano, sempre nel 1959, non
poche istanze per il coordinamento, energetico:
fra l e altre, il rapporto Richard, presentato al
Consiglio Economico e Sociale della Repubblica Francese, su richiesta del Ministro dell'Industria e Commercio, sollecita l'intervento
sul fronte energetico di una Autorità politica
europea, che si prefigga il compito di coordinare
e organizzare tempestivamente la copertura del
fabbisogno continentale di elettricità su base
comunitaria, o a livello delllOECE, e che soprattutto tenga conto della ripartizione della produzione di elettricità in relazione alle varie
fonti energetiche.
Seducenti che siano le prospettive di un
coordinamento su base continentale, o anche
a livello OECE, noi riteniamo che sia più realistico considerare ogni possibile azione tendente
al coordinamento del settore energetico nell'ambito ben delimitato delle tre Comunità.
Nel groviglio delle istanze, del resto, il tema
ritornante è quello dell'organizzazione, o in sen o ad una delle Comunità o nell'ambito di un
organismo intercomunitario, che sia capace di
rilevare, ampliare e integrare i compiti già
svolti con carattere di ricerca e studio dal Comitato Interesecutivo per l'Energia. Ed è alla
iniziativa di una delle Comunità, la CECA,
che si deve, nel settembre del 1959, un orientamento particolarmente interessante dell'evoluzione verso la collaborazione energetica. Avvalendosi del mandato assegnatole dall'art. 4 del
protocollo 8 ottobre 1957, l'Alta Autorità indirizzava in quella data alle Commissioni delle
altre due Comunità, una lettera nella quale
proponeva, di fronte all'immutato stato di disagio del mercato carboniero, l'adozione di contromisure efficaci: tra tutte va segnalata, in
primissimo piano, la raccomandazione di istituire, nell'ambito dei singoli Paesi membri, un
organismo interministeriale capace d i dirimere
i conflitti di competenza fra i vari Ministeri
interessati all'attività energetica, e come naturale sviluppo di questi organismi nazionali,
un Comitato Consultivo per l'Energia che raggruppi a livello comunitario i rappresentanti
dei vari settori energetici (carbone. gas natu(,
)):
11.
dicembre 1960
--
COMUNI D'EUROPA
--
p
I1 pensiero di Piero Malvestiti
D. - Può l'Alta Autorità della CECA adempiere a i suoi obblighi istituzionali senza
affrontare e risolvere il problema della coordinazione della politica energetica dei sei
Paesi?
11
R. - Ho detto chiaramente all'Assemblea Parlamentare Europea nel mio discorso
di insediamento che non mi pare possibile risolvere a lungo termine lo stesso problema
del carbone se non nel quadro di u n coordinamento delle politiche energetiche. Le basi
giuridiche di questo coordinamento sono date dal protocollo dell'ottobre 1957 e dall'accordo del 9 ottobre 1959 con gli altri due esecutivi comunitari.
Come è noto, il protocollo del '57 attribuisce all'Alta Autorità il compito di avanzare
proposte concrete a l Consiglio dei Ministri, e n e viene logicamente che l'Alta Autorità
della CECA deve rimanere chef de file di questo lavoro.
I1 coordinamento energetico si impone non solo per I< salvare il carbone 8 , ma
nell'interesse stesso del petrolio, che sembra oggi voler affermare prepotentemente la
sua presenza.
Quando l'energia nucleare arriverà sul mercato a prezzi competitivi (ed io diffido
dei tecnici pessimisti, che parlano d i 20 anni o 25 anni su dati tecnici attuali, senza
nemmeno sospettare l e sorprese che la stessa tecnica potrebbe riservarci fra t r e mesi)
non solo il carbone, ma tutte le fonti di energia, in prima linea il petrolio, si troveranno - m~itatismzitai~dis- nelle stesse condizioni in cui il carbone si trova oggi d i
fronte a l petrolio. Con questa differenza: che proprio il carbone sarà allora, probabilmente, dimensionato; in altre parole non ci saranno a quell'epoca miniere marginali
e la produzione seguirà criteri sanamente economici.
D. - Ritiene Ella, S z g ~ i oPrestdente.
~
che l'opera di pi.evisio?ie e di decisione in
sede comunitaria debba basarsi oltre che sui dati statistici anche sulla conoscenza, quale
dato essenziale, delle scelte e delle piogrammazioni dei singoli governi in materia di
sviluppo economico; ed in particolare degli indirizzi circa la espansione dei consumi,
il ritmo e la loro localizzazione, il posto affidato ulle varie fonti di energia?
K. - E' fuori di dubbio che l'elaborazione del dato statistico è assolutamente indispensabile per creare la base dalla quale partire per coordinare l'afflusso delle varie
forme di energia sul mercato. In concreto si tratta d i formare u n vero e proprio bilancio
energetico, che naturalmente deve essere dinamico e non statico.
L'optimun~,quanto aile scelte e alle programmazioni dovrebbe consistere in un'unica
politica energetica per tutti i sei Paesi, tenendo conto delle esigenze e delle situazioni d i fatto degli stessi Paesi, e insieme delle finalità comunitarie.
Di fatto, basti considerare che i poteri normativi del Trattato di Parigi, con relativo
carattere sovranazionale deil'Alta Autorità, sono conferiti solo per i carboni, per rendersi conto delle difficoltà pratiche. I n concreto, converrà quindi favorire la formazione
di una politica energetica unitaria per ogni Paese, lasciando all'Alta Autorità il compito
del coordinamento. I n altre parole, sarà già un primo risultato favorevole che una
politica energetica coerente venga stabilita in ogni Paese, senza dimenticare (perchk
oltretutto non sarebbe praticamente possibile) la produzione ed il consumo delle varie
fonti di energia negli altri Paesi della Comunità.
1,
D. - L'Alta Autorità è messa attualmente i n grado dai sei n Governi nazionali
di operare una previsione dello svilzippo dei covsumi di energia sulla base di organiche
programmazioni in sede nazionale?
CC
R. - Non vedo ancora organiche programmazioni che, come ripeto, intendo favorire
come prima fase della coordinazione comunitaria in sede nazionale.
Questo non vuol dire che l'Alta Autorità, d'accordo con le Comunità sorelle, non
debba sin d'ora studiare una previsione. non solo. come lei mi domanda, dei consumi di
energia, ma altresì delle dimensioni dell'afflusso di energia delle varie fonti, ben s'intende
non dimenticando che le stesse fonti non sono soltanto in Europa.
(fntervietu conceesu al periodico « Uenwcruzi«. Moderno », pa~?laio 1960)
rale, petrolio, fonte idroelettrica, energia nucleare). La lettera dell'Alta Autorità prevedeva
anche l'istituzione di u n Comitato misto tra i
Governi nazionali e le Commissioni delle Comunità, con la partecipazione di esperti designati dagli uni e dalle altre, allo scopo di
formulare regolarmente previsioni energetiche
a breve termine, aile quali conformare successivamente l'azione delle Comunità. In base a
queste richieste esplicite della Comunità Carbosiderurgica venivano ristabiliti con maggiore
intensità i contatti fra i tre Esecutivi e si
giungeva all'accordo del 9 ottobre 1959, la cui
caratteristica fondamentale è costituita dall'orientamento a svolgere l'eventuale azione comunitaria nell'ambito degli Esecutivi, ampliando
eventualmente l'orizzonte mediante l'inserimento di qualche iniziativa concreta sul fondale
fin qui puramente consultivo dell'organismo.
Questa iniziativa della CECA e l'accordo conseguentemente raggiunto con l e altre due Co-
munità sembrerebbero confermare alla Comunità Carbosiderurgica il compito di procedere
ulteriormente sulla via del coordinamento. Ma
va precisato che questo ruolo l e viene riconosciuto, semmai. in una fase interlocutoria e
nell'aspettativa deil'attuazione d i una comunità
economica globale nella quale l'infrastruttura
energetica rientri come uno dei fattori più determinanti.
Nel corso della Table Ronde sui problemi
dell'Europa dedicata all'esame delle possibilità
d i coordinamento energetico, e tenuta a Londra ai primi di novembre, si è constatato in
realtà che nella situazione attuale del processo
d i integrazione, si offrono alle Comunità almeno cinque soluzioni distinte, limitandosi beninteso a l solo circolo comunitario:
1) proseguimento della tendenza attuale,
che vede assegnati alla CECA i compiti di guida e propulsione sulla via del coordinamento.
In base ad una tale ipotesi, la CECA, continuando l'azione iniziata con il protocollo del
1957 e con la lettera del settembre del 1959,
potrebbe adoperarsi ad ampliare il suo campo
d'azione, estendendo la sua influenza dal settore carboniero agli altri settori energetici. Ciò
comporterebbe la possibilità d i creare un organismo, a carattere inizialmente consultivo, che
vedesse riconosciuto alla Comunità carbosiderurgica il leading role, senza pregiudizio degli
sviluppi futuri. I1 campo di attività di un
tale organismo, centrato sulla CECA, potrebbe
precisarsi mediante l'attuazione della formula
già proposta dall'Alta Autorità nella sua lettera del settembre 1959: vale a dire, prima coordinamento delle singole fonti energetiche all'interno d i ciascuno dei Paesi membri, quindi
costituzione d i un organismo a livello interesecutivo dotato d i poteri effettivi e abilitato
in un primo tempo alla pianificazione. in un
secondo tempo a l controllo della produzione
d i energia:
2) nella presunzione di un inlervento massiccio dell'energia nucleare sul fronte energetico
europeo, potrebbe attribuirsi all'EURATOM il
compito d i attuare, grazie all'assenza d i situazione cristallizzata che caratterizza appunto il
settore dell'energia nucleare, una forma d i
coordinamento fondata sul nuovo equilibrio che
il programma elettronucleare potrebbe introdurre. Nei confronti delle altre due Comunità, l'EURATOM si distingue infatti per essere
destinato a svolgere la propria attività esclusivamente nel settore energetico, anche se i
suoi compiti industriali e d i ricerca non vanno
sottovalutati. L'affidamento all'EURATOM della
responsabilità del coordinamento potrebbe attuarsi secondo una formula minima ed una più
ampia: la prima comporterebbe l'istituzione di
un organo di pianificazione e controllo nel solo
settore dell'energia elettronucleare, con attività
marginali d i informazioni ed armonizzazione con
le altre fonti energetiche: la seconda potrebbe
risolversi in un'attività di pianificazione vera
e propria nel campo energetico, includendo negli orizzonti della Comunità Europea per 1'Energia Atomica tutto quanto attiene ai possibili
sviluppi delle fonti energetiche tradizionali e
di quella nucleare. La meccanica di un tale regime di priorità all'EURATOM equivarrebbe in
sostanza ad un trasferimento del leading role in
materia energetica dalla CECA all'EURATOM.
Secondo la formula massima, all'EURATOM
potrebbero anche essere affidati compiti industriali, ampliando il suo attuale destino istituzionale di ente propulsore e stimolatore:
3) partendo dal carattere orizzontale della
Comunità Economica Europea, sarebbe logico
affidare a d essa - che racchiude nella formula
più vasta, anzi praticamente illimitata, delle
attività economiche e produttive, la più naturale soluzione del problema - il compito di
avviare concretamente il processo d i coordinamento. Infrastruttura essenziale d i ogni attività
economica, il dominio dell'energia appare come
quello che condiziona lo sviluppo, il progresso.
il potenziamento dell'economia comunitaria ir,
corso d i integrazione. I1 fatto che singole fonti
d i energia rientrino già sotto il controllo delle
altre due Comunità nulla toglierebbe all'autorità della CEE, che potrebbe attuare, da principio, un compito di coordinamento con il settore carboniero e con quello nucleare, riservando a sé l e altre fonti energetiche ed assumendo in seguito compiti precisi d i guida e
controllo in tutto il campo dell'energia. Non va
dimenticato che la CEE rappresenta in definitiva il punto d'arrivo del processo d i integrazion e e che le attività controllate settorialmente
dalle altre due Comunità non possono non
rientrare, in u n giro più o meno lungo d i
anni, nella sfera d'azione della CEE. E' da
considerare inoltre che, essendo le altre due
Comunità già attive nel settore energetico. la
CEE avrebbe su d i esse il vantaggio di poter
istituire una formula nuova di collaborazione,
evitando l e visioni unilaterali e a ciclo chiuso
che possono facilmente accompagnarsi alle istituzioni verticali:
4) una soluzione radicale potrebbe essere
presentata dalla costituzione d i una Comunità
Europea delllEnergia, da affiancarsi alle altre
tre e da riassorbirsi in u n lontano futuro nella
economia integrata, quando i trattati di Roma
avranno raggiunto la loro destinazione piiì
completa.
COMUNI D'EUROPA
La creazione di un nuovo organismo verticale
offrirebbe indubbiamente il vantaggio di poter
affrontare il problema con o-uella linearità e
praticità di impostazione che sono caratteristiche
delle istituzioni verticali. L'efficienza raggiunta
in non pochi casi da organismi del genere, che
lianno il privilegio di poter agire secondo una
lini2 più o meno concorrenziale, vale a dire
mirando a degli obiettivi particolari che escludono o limitano gli obblighi di collaborazione
con altri settori, assicura sulle ottime probabilità di successo, almeno a breve termine, di una
iniziativa del genere. L'esperienza acquisita attraverso l e tre Comunità già in essere permetterebbe d'altronde di evitare quegli errori
strutturali e funzionali che si sono palesati, in
grado maggiore o minore, nelle altre Comunità:
5) partendo dalla considerazione che non
sussistono ancora nell'Europa dei Sei piattaforme sufficienti per una collaborazione energetica in senso attivo, si potrebbe ricorrere ad una
formula interlocutoria, istituendo un Comitato
consultivo per l'energia, con compiti di studio,
raccolta di dati, elaborazione di previsioni,
eventuale elaborazione di un piano energetico
da attuarsi in un futuro più o meno lontano.
Si tratterebbe di un organismo nel quale dovrebbero essere assorbiti tutte le Commissioni,
gruppi di lavoro O di studio, che effettuano
oggi lavori di ricerca statistica e formulazione
di previsioni in seno ai vari enti della collaborazione europea. In base alla riscontrata difficoltà di coordinamento fra gli organismi comunitari e quelli nazionali nel dominio energetico.
soprattutto nei Paesi dove la produzione e la
distribuzione di energia sono disugualmente distribuite, si potrebbe studiare per tale comitato una formula nella quale fossero rappresentati, oltre che gli enti a carattere internazionale, i singoli Governi nazionali. Questa
formula si avvicina sensibilmente a quella delineata dal prof. Armand, nel corso della
Table Ronde sui problemi dell'energia tenuta
a Londra ai primi di novembre, e condivisa
dalla maggioranza dei partecipanti a quel dibattito. Si tratterebbe, secondo il suggerimento dell'ex presidente della Commissione dell'EURATOM di costituire un Comitato Interesecutivo con mansioni in un primo tempo
esclusivamente consultive, successivamente investito di poteri delegati dai Governi, al quale
sia affidato il compito di avviare sul binario
delle realizzazioni le idee, numerose e talvolta
contrastanti, che ispirano gli attuali promotori
del coordinamento. Vaga che sembri questa
formula, si intravvede in essa la prospettiva di
una organizzazione del settore energetico, rispondente ai termini della situazione odierna.
Altre formule, egualmente discusse in sede
di Table Ronde, o negli ultimi dibattiti dedicati dall'Assemblea Parlamentare Europea ai
problemi energetici, non si discostano sostanzialmente dalle cinque ipotesi fin qui prospettate.
Va segnalato, tuttavia, che non mancano, anche
in questo settore, i fautori di un sistema noninterventista, che vorrebbero affidati i compiti
del coordinamento da un lato, cioè nell'ambito
nazionale, alle iniziative dei gruppi, pubblici
o privati, che controllano la produzione di
elettricità; dall'altro, non meno fatalisticamente,
alla comprensione, caso per caso, dei Governi
nazionali, che dovrebbero cercare e negoziare
l'accordo solo in presenza di una eventuale congiuntura sfavorevole in uno o più settori energetici.
111. - LA SOLUZIONE:
UNA FORMULA PROGRESSIVA
E SISTEMATICA
La scelta fra queste cinque soluzioni si presenta particolarmente difficile, nel momento attuale, per la presenza di talune situazioni economiche che è lecito considerare come contingenti. Senza entrare in un esame approfondito
di questi fattori più o meno congiunturali, si
potrà accennare a quelli che possono essere
classificati come i fatti nuovi del panorama
energetico europeo, vale a dire il potenziale
apporto del petrolio saheriano, che può essere
presente sul mercato europeo in misura ragguardevole, anche se non ancora precisabile; il
basso regime dei noli marittimi che consente
l'introduzione sul continente di quantità pra-
ticamente illimitate di combustibili di produzione americana, a prezzi di rottura, quando
e se la convenienza degli esportatori lo richiederà: un certo sbandamento del nuovissimo settore elettonucleare, dove il pessimismo, dilagato nel Regno Unito a seguito della mancata
o ritardata conquista del mercato europeo da
parte delle industrie nucleari britanniche, può
senz'altro considerarsi come un fattore di contingenza.
In riferimento a questi elementi più sopra
elencati, bisognerà tenere ben presente il fatto
- lapalissiano, ma spesso negletto dai pianificatori della legislazione europea - che il coordinamento energetico, come del resto ogni altra
iniziativa convergente nel settore della collaborazione economica, non è evidentemente una
questione che riguardi soltanto i Sei Paesi associati nella Comunità. La creazione dell'EFTA
è stata palesamente affrettata, se non addirittura originata, dall'entrata in vigore e dalle
prime concrete iniziative della CEE, mentre la
Organizzazione Economica Atlantica può essere
francamente interpretata come una contromisura, per ora potenziale, escogitata dagli Stati
Uniti per consentirsi una possibilità di intervento economico nella situazione europea, mutata dopo l'istituzione della CEE e dell'EFTA.
I1 declino dell'OECE - legata ad una formula
di cooperazione economica che l'impegno dimostrato dai Sei Paesi prima e dai Sette della
Piccola Zona, poi, portano a considerare superata - e la natura necessariamente accademica
dei dibattiti che l'Assemblea Parlamentare dedica ai problemi della integrazione economica
costituiscono altri fattori non secondari del
quadro generale, così come esso si presenta agli
inizi del 1960.
E vale la pena di porre nella giusta luce
un'altra circostanza che di solito i pianificatori,
obbedendo ad un'inconsapevole demagogia, tendono a trascurare: il fatto che esistono non
soltanto i n Europa, ma in tutti i continenti degli
interessi organizzati per i ouali il progresso
integrativo in atto nel nostro continente costituisce materia di osservazione e spesso di preoccupazione profonda. Questi stessi interessi dispongono di tutti gli strumenti necessari ad intervenire al momento giusto, provocando una
situazione nuova, o introducendo un elemento
diverso di valutazione, quando l'occasione lo
richieda. Non è un mistero per nessuno che
il regime dei noli marittimi è controllato in
una misura assai sensibile dai gruppi petrolieri:
a prescindere dalla possi'oilità di mantenere il
basso livello dei noli, che è divenuto abituale
negli anni seguiti alla crisi di Suez, si sono
avute recentemente alcune manifestazioni, nel
mercato petroliero, che possono ben essere prese come i prodromi di auella che potrebbe
essere l'azione correttiva escogitata dai grossi
complessi petroliferi americani, per riacquistare
il dominio completo del settore. In un'industria
che lavora con alti margini, non esistono problemi insuperabili, quando si tratta di rompere
una situazione economica che si avvia a diventare sfavorevole: un ribasso anche limitato dei
prezzi del petrolio, a titolo di esempio, basterebbe ad allontanare di cinque o di sei anni
il traguardo competitivo dell'energia nucleare:
e, del resto, è bastata l'azione decisa del Comitato Mc Kinney, all'interno e all'esterno del
Congresso USA, per gettare lo scompiglio, O almeno per ingenerare una battuta d'arresto nel
settore elettronucleare.
Di tutti codesti fattori bisognerà pertanto
tenere il debito conto, agendo realisticamente
su un terreno economico reso estremamente
difficile dalla presenza di interessi assai vasti.
Le cinque ipotesi più sopra formulate vanno
dunque esaminate in questa luce, tenendo ben
presenti, ed eventualmente anticipando le reazioni possibili. Si è già visto quali inconvenienti, nel senso di una collaborazione europea
su basi più ampie che non quelle dei Sei, abbiano prodotto le contromisure che hanno portato alla costituzione dell'EFTA.
E' in base a questa valutazione realistica che
possono essere considerate come inattuali almeno
due delle ipotesi prese precedentemente in esame: l'istituzione di una Comunità energetica europea e l'accentramento nell'EUZATOM dei compiti di coordinamento e propulsione che Sono
considerati essenziali per l'integrazione del settore energetico. La prima resterebbe, anzitutto,
in forti e forse insuperabili difficoltà all'interno
di almeno quattro dei sei Paesi e susciterebbe
d'altronde prevedibili preoccupazioni nell'al-
dicembre 1960
tro blccco economico europeo, 1'EFTA. Senza
contare che, per la riscontrata maggiore efficienza delle organizzazioni verticali, una nuova iniziativa comunitaria in tal senso getterebbe
l'allarme in maniera ancora più vistosa in tutto
il settore energetico mondiale. Quanto all'EURATOM, esso è stato evidentemente messo
in difficoltà negli ultimi mesi, in seguito ad
una serie di fattori, molti dei quali sfuggono
al suo controllo. Un moderato pessimismo che
domina il campo elettronucleare, giustificato o
non dagli eventi economici e tecnici, non costituirebbe la piattaforma ideale per un'azione che
deve essere essenzialmente di sfondamento. Né
va trascurato il fatto che sull'EURATOM si
sono appuntate recentemente le critiche più
aspre della controparte americana, delusa dal
parziale insuccesso del programma di potenza
patrocinato congiuntamente dalla Comunità e
dagli Stati Uniti. Lo scetticismo che si è diffuso sulle iniziative nucleari non è evidentemente giustificato in senso assoluto, poiché il
progresso tecnologico, l'aumentata - e virtualmente illimitata - disponibilità di combustibili
nucleari, le differenziazioni regionali che offrono possibilità assai vantaggiose, per quanto riguarda l'impiego dell'energia da fissione, a
talune aree sottosviluppate, contribuiscono a
dare una visione più realistica, e sostanzialmente più ottimistica degli aspetti economici
dell'energia nucleare. Ma, in questa fase e nella
attuale temperie economica, neanche una forte
volontà politica basterebbe a forzare i tempi,
se si partisse dall'EURATOM, per arrivare ad
un ordinamento più o meno comunitario, nel
settore dell'energia.
Restano pertanto le altre tre ipotesi. Potrà
apparire semplicistico, ma noi riteniamo che
potrrnno, e forse dovranno, essere realizzate
tutte e tre nel corso del difficile processo integrativo. In luce, ouesto è il significato della
formula Armand. Tralasciando altre iniziative
che sono state tenute, e giustamente, a 1ivell.s
accademico o dibattimentale, i soli fatti concreti che abbiano comprovato la volontà comunitaria di giungere ad un coordinamento
energetico sono il protocollo de11'8 ottobre 1957
e l'accordo 9 ottobre 1959, che entrambi affidano alla CECA il ruolo guida nella pianificazione di un corodinamento energetico. Sarebbe
controproducente spostare l'iniziativa, in questa
fase, ad un'altra delle Comunità, dato anche
che l e deliberazioni prese recentemente dall'Alta Autorità dimostrano che essa è pienamente consapevole dell'importanza degli obiettivi da raggiungere, e sa predisporre gli strumenti necessari a tale scopo. I1 primo passo è
dunque da mantenersi a livello CECA. Ma subito dopo, quando interverrà la necessità di creare una formula di coordinazione più vasta e
più capillare, non si può non procedere sulla
via indicata da Armand: costituzione di un Comitato ad hoc, con caratterizzazione consultiva
in un primo tempo, che faccia il punto sulla
situazione energetica e delinei l e concrete possibilità di intervento nei vari settori. In un secondo tempo, una volta raggiunto l'accordo
sulle linee d'azione da seguire, non si può non
richiedere ai singoli governi di arocedere con
i propri mezzi ail'attuazione i n sede nazionale
di auel coordinamento che si vuole realizzare
in sede comunitaria. Quindi, istituzione di organismi coordinatori del settore dell'energia
nell'ambito dei Sei Paesi, ed eventuale inserzione di rappresentanti degli stessi in seno al
Comitato Consultivo.
La fase successiva è quella della delega di
taluni poteri da parte dei governi al Comitato.
non più soltanto consultivo, che potrebbe procedere alla realizzazione delle prime tappe della
integrazione energetica. I modi e i termini
di questa integrazione sono ovviamente da studiarsi e concordarsi, sfuggendo però alla tecnica
dispersiva del rc caso per caso
I1 traguardo ultimo di questo processo graduale di allineamento e livellamento non può
non essere la CEE, nella quale si assommano e
si condensano tutte le istanze per il raggiungimento di una economia integrata nei suoi
singoli settori, indirizzata alle stesse finalità,
differenziata dal diverso grado di industrializzazione delle aree regionali ma armonizzata, al
tempo stesso, in base alla visione della complementarità dei fattori economici e produttivi.
L'infrastruttura energetica è destinata naturalmente ad essere ambientata in una Comunità
a carattere orizzontale, destinata del resto ad
assorbire ed unificare quelle verticali, una volta
)D.
41
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
che queste abbiano esaurito il proprio compito.
Va rilevato che, allo stato attuale, la CEE è
una comunità per larga parte potenziale, che si
va dando u n contenuto giorno per giorno, secondo la meccanica lenta e graduale della
integrazione.
Per realizzare il coordinamento secondo questa formula graduale e sistematica, occorrerà
tuttavia affermare, anzi confermare l a volontà
politica di pervenire all'attuazione concreta dei
trattati d i Roma, nella convinzione di poterli
a l più presto possibile superare nello spirito e
nella lettera.
Occorre inoltre non lasciarsi scoraggiare o intimidire da coloro che non soltanto esprimono
quotidianamente il proprio scetticismo nelle
possibilità dell'integrazione, ma si ostinano a
considerare ogni forma di organizzazione come
l'estrema e più odiosa perversione del dirigismo economico.
Obiettivi a breve e a lungo termine
per una a z i o n e europea coordinata
di Giuseppe Caron
Pubblichiamo qui di seguito la parte finale
della relazione Coordinamento delle politiche
energetiche nelrambito della Comunit& Economica Europea che il vice-presidente della Commissione della CEE ha tenuto, il 12 settembre 1960 a Piacenza, a l Convegno per gli idrocarburi, svoltosi nel quadro della V Mostra
nazionale degli idrocarburi.
CC
))
* *
Vorrei fare qualche osservazione sui principi,
gli obbiettivi e metodi a cui dovrebbe ispirarsi
un coordinamento delle politiche energetiche
nei sei Paesi delle Comunità Europee, tenendo
presente naturalmente l e indagini finora fatte
dai t r e Esecutivi, in collaborazione con i Governi.
Innanzi
mi sembra si debba
problema de' coordinamento de'che 'Ovente
le politiche energetiche è offuscato
fatto
che gli obbiettivi d i una politica coordinata
'On0
sufficientemente precisati'
Occorre infatti distinguere' a mio parere'
obbiettivi d i carattere stmtturale o a lungo
termine d a quelli d i ordine congiunturale o
a breve termine.
Tra questi due tipi di Obbiettivi
vi può
essere una certa divergenza' 'Ome ciò avviene
sovente in
economica.
divergenza deve essere
e transitoria, mentre è necessario che sia sempre
chiaro
Autorità
coordinamento* che la
deve 'OnObbiettivi
tribuire
a lungo termine' dato
carattere di priorità di quest'ultima.
Mi sembra quindi di dover dire
-e
spero che su ciò tutti possano essere d'accordo
- che l'obbiettivo strutturale principale di una
politica coordinata dell'energia debba coilsi&ere nell'assicurare
il
più possibile stabile, a i prezzi più bassi passibili. Tale obiettivo mi pare indispensabile per
un'espansione sana del reddito nazionale dei
Paesi della Comunità.
Un secondo obbiettivo, ugualmente di carattere strutturale, potrebbe essere un minimo
di produzione energetica all'interno della Comunità, a l fine d i poter f a r fronte eventualmente a i rischi di interruzione degli approvvigionamenti di energia in provenienza dai
Paesi terzi. L'esperienza della crisi di Sue2
sembra tuttavia aver dimostrato che tali rischi
non devono essere sovraestimati.
In definitiva, la preoccupazione prima di u n
coordinamento delle politiche energetiche dovrebbe essere quella di assicurare approvvigionamenti abbondanti di energia a basso prezzo,
lasciando ai consumatori una piena libertà di
scelta. Tale libertà d i scelta dovrà comportare,
naturalmente, l'esigenza - tanto più che i Sei
Paesi fanno parte delle medesime Comunità e
sono quindi legati ad obbiettivi comuni
che
siano adottate tutte l e misure necessarie affinché:
-
a) sia garantito che vi sia tra le differenti
fonti di energia una concorrenza leale;
b, siano a'imentate
per quant0 è possibile, le distorsioni eventuali. A tal
fine, sarà indispensabile che progressivamente
siano introdotte regole di concorrenza comuni.
Tali misure non dovranno aver altro fine,
tuttavia, che quello di permettere il buon
funzionamento dei meccanismi tradizionali di
Una economia di
Esse dovrebbero portare principalmente su:
a ) la creazione d i un dispositivo antidumping comunitario, destinato ad impedire
agli oligopoli, siano essi privati o pubblici, di
applicare eventuali misure d i strategia di
mercato;
b) lo stabilimento di regole di concorrenza
destinate ad eliminare quei fattori che falsino
la concorrenza t r a differenti prodotti energetici.
sia negli scambi interni, sia negli scambi esterni, della Comunità.
Inoltre, potrebbero essere prese in considerazione misure suscettibili di attenuare le conseguenze d i fluttuazioni congiunturali sulla
economia cnergetica.
Di fronte a questi obbiettivi a lungo termine
cui quali, Come ho già accennato, è forse più
semplice trovare un accordo, sarà necessario
naturalmente individuare alcuni obbiettivi a
breve termine.
E' evidente ad esempio, che i problemi più
gravi si pongono attualmente nei settore della
concorrenza tra il carbone e il petrolio. Tra i
fattori che insidiano la posizione del carbone,
uno dei più importanti e dei più notevoli, infatti, è la concorrenza che proviene dai prodotti
petroliferi. Tale concorrenza diviene ogni giorno
più forte, data l'abbondanza crescente di petrolio grezzo. gli aumenti rapidi della capacità
di raffinazione e il ribasso dei noli e dei prezzi.
I vari indizi disponibili attualmente indicano
che i forti ribassi dei prodotti petroliferi, particolarmente accentuati nel settore delllolio combustibile, continueranno nel futuro.
Il ribasso dei prezzi dell'energia in Europa
Occidentale e l a sostituzione crescente del carborie con i prodotti meno costosi sembrano quindi essere fenomeni futuri,
Questa evoluzione deve inoltre essere considerata come un evento favorevole che permetterà uno sviluppo economico più rapido dell'area del Mercato Comune e, in particolare,
delle regioni periferiche della Comunità, tra
cui in primo luogo l'Italia, che hanno gravemente sofferto d a più d i u n secolo e mezzo per
la loro distanza dai giacimenti carboniferi.
Qualcuno potrebbe domandarsi fino a che
punto i ribassi di prezzi, che caratterizzano
l'attuale mercato dei prodotti petroliferi, continueranno. A questo proposito mi sia permesso
fare un breve inciso. Mi sembra infatti opportuno ricordare la difficoltà esistente nel f a r e
previsioni sulla evoluzione dei prezzi del petrolio. Tale difficoltà è ben maggiore d i quella
relativa ai prezzi del carbone. Innanzi tutto,
perché mentre il prezzo di vendita del carbone
è strettamente legato a l costo d i produzione,
il prezzo di vendita del petrolio è determinato
soltanto in parte da tale costo. P e r di più è un
fatto che i lavori effettuati dalla CECA negli
ultimi otto anni hanno fatto progredire considerevolmente la conoscenza economica delle
condizioni di produzione carbonifera.
La conoscenza del mercato del petrolio è ben
inferiore, sia perché l e stesse intenzioni dei
Governi sono più vaghe, sia ancor di più perché è difficile individuare le direttive seguite
soprattutto da coloro che sono chiamati in un
gergo conosciuto I Grandi D.
Abbiamo poi sentito stamane come il mercato
petrolifero attraversi non soltahto una crisi di
sovraproduzione, ma anche una crisi di struttura per cui non reggono più gli accordi a suo
tempo vigenti per il sorgere di nuove iniziative
in ogni parte del mondo e per gli intementi
in alcuni paesi dello Stato. Lungi da me
l'entrare nell'esame d i questo problema che è
stato esaminato da Oratori che mi hanno preceduto da un punto di vista diverso. Ne traggo
solo una conseguenza, che per ottenere un vero
coordinamento delle politiche energetiche. occorre anche conoscere più a fondo i problemi
petroliferi che si pongono in seno ai Sei Paesi
della Comunità Economica, i cui Governi, tenendo presenti gli impegni assunti col Trattato d i Roma, debbono coordinare l e loro politiche.
I n ogni caso, sia a breve che a lungo termine, sembra evidente che la industria carbonifera dovrà ridimensionarsi e che essa necessiterà di un certo periodo di tempo, ma anche
di qualche garanzia per potersi adattare alle
nuove condizioni.
L'abbandono a se stesso del mercato della
energia toccherebbe brutalmente centinaia di
migliaia di minatori, che non avrebbero rapide
prospettive di riadattamento, tanto più che essi
sono concentrati in determinate regioni.
I Governi e l e istituzioni comunitarie non
avrebbero il tempo necessario per provocare
l'impianto d i nuove imprese nelle regioni minerarie, che rischierebbero d i divenire delle
regioni caratterizzate da una disoccupazione e
sotto-occupazione strutturali. L'esperienza atprova,
tuale belga ne è
Poiché tale prospettiva è socialmente e politicamente inaccettabile, + chiaro che ill maricanza di un'azione europea coordinats, ogni
Governo sarà portato ad agire individualmente.
Tale azione isolata potrà evitare, almeno in
parte, le conseguenze di cui sopra, ma il mercato dell'energia sarebbe disorganizzato, con
delle conseguenze estremamente gravi per il
progresso dell'integrazione europea e la p o s i biliti di isolamento d i mercati e riduzione di
scambi anche petroliferi.
I1 problema a breve termine, che si inquadra perfettamente nella prospettiva a lungo
termine, è quello dunque di individuare una
linea di azione che permetta di portare il
prezzo dell'energia nelle Comunità europee al
livello più basso, compatibile con un approvvigionamento per quanto possibile durevole, accordando nello stesso tempo alle imprese ed ai
Governi dei Paesi produttori di carbone una
certa sicurezza ed il tempo necessario per la
razionalizzazione delle miniere e per la riconversione parziale della mano d'opera in sovrappiù e delle regioni carbonifere.
In sintesi, il programma di azione potrebbe
fondarsi sulle seguenti idee:
C
a) accettare un ribasso sostanziale dei prezzi dell'energia che corrisponda a i mutamenti
strutturali acquisiti O prevedibili;
b ) realizzare gli adattamenti dell'industria
carbonifera che tale sostanziale ribasso dei
prezzi dell'energia esige;
C) prevedere un certo periodo d i tempo ed
una certa garanzia per effettuare gli adattamenti dell'industria carbonifera, a l fine di evitare di introdurre una inutile instabilità nel
mercato ed un aggravarsi del suo frazionamento;
d) mettere in opera queste idee d i comune
accordo, affinché i livelli rispettivi dei prezzi
dell'energia nei Paesi membri non presentino
scarti troppo grandi, che
di
Mercato
mettere la
Lo sforzo principale dovrebbe dunque portare sulla riduzione dei costi di produzione del
carbone, attraverso un'opera di concentrazione
dei giacimenti più produttivi, una chiusura dei
pozzi e delle miniere a costi più elevati, una
razionalizzazione a l fine di ottenere un incremento generale della produttività. Parallelamente, si dovrebbe procedere a l riadattamento
dei minatori dalla riconversione delle industrie
minerarie laddove occorra. Tali compiti incomberanno essenzialmente ai Governi nazionali,
anche se i diversi programmi di risanamento
dei bacini carboniferi dovranno essere discussi
collettivamente in seno alle istituzioni comu-
COMUNI D'EUROPA
nitarie al fine d i poter scoprire e correggere
l e eventuali contraddizioni e armonizzarle in.
m o d o d a permettere l a progressiva realizzazione
d i u n mercato c o m u n e dell'energia.
Dovrà essere chiaro i n ogni caso c h e , o v e si
deciderà d i c o m u n e accordo, e q u i n d i all'unan i m i t à , tra i G o v e r n i d e i S e i Paesi m e m b r i ,
c h e certe garanzie siano date ai produttori d i
carbone, esse n o n dovranno essere concesse
c h e per u n periodo limitato d i tempo. T a l i
garanzie n o n dovrebbero portare c h e su quantità progressivamente ridotte n e i riguardi della
produzione attuale, e su prezzi c h e n o n dovrebbero oltrepassare i prezzi m e d i attuali della
energia concorrente, e c h e potrebbero anche
essere in certi casi inferiori.
V e n i a m o ora ai m e t o d i per giungere ai risultati preconizzati.
Debbo dire subito, per quel poco o tanto
c h e dirò, c h e esso rappresenta l'espressione del
m i o pensiero e n o n può essere i n alcun m o d o
considerato direttiva della Commissione Economica Europea, n é tanto m e n o dell'Inter-esecut i v o dell'energia in seno alle T r e C o m u n i t à , c h e
n o n h a n n o ancora definito l e loro proposte.
Consultazioni, c o m e h o detto. sono i n corso,
studi approfonditi, pure. Infine si d e v e tener
presente c h e quando gli Esecutivi delle C o m u nità formuleranno l e loro proposte, saranno i n
definitiva i G o v e r n i c h e all'unanimità dovranno
approvare i provvedimenti concreti. Infine aggiungo, per essere ancora più esplicito, c h e
altri m e t o d i possono essere elaborati oltre a
quelli c h e indicherò. per quanto mi sembri c h e
questi abbiano il pregio della semplicità e perm e t t a n o u n a scelta d i fondo.
Per tutto quanto h o detto fino ad ora e per
queste u l t i m e considerazioni, penso c h e il miglior metodo o l a migliore soluzione sia quella
che si indirizza ad eliminare, per quanto è
u m a n a m e n t e possibile, l e gravi preoccupazioni
della crisi carbonifera per a v e r e u n a base sana
per u n coordinamento energetico.
Questo m e t o d o n o n può essere, a m i o
personale giudizio, c h e quello d i dare sovvenzioni ai produttori d i carbone sulla base naturalmente d i programmi d i risanamento carbon i f e r o e n e i limiti delle quantità previste in
tali programmi.
I1 finanziamento dovrebbe essere evidentem e n t e comunitario tramite u n ,qualche organo
centrale c h e i Sei Stati potrebbero alimentare
c o n u n a chiave d i ripartizione da determinarsi
e c h e tenga conto della situazione economica
ed energetica dei singoli Paesi.
Questo metodo n o n solo è d i più facile
attuazione, m a n o n includerebbe alcun ostacolo
alle importazioni d e l carbone e d e i prodotti
petroliferi e lascerebbe liberi i prezzi d i formarsi i n u n libero mercato ed il carbone sarebbe
concorrenziale, in quanto la d i f f e r e n z a tra il
prezzo d i costo e quello d i vendita sarebbe
coperto dalle sovvenzioni.
E' chiaro che u n altro m e t o d o consiste invece
n e l limitare l e quantità d a offrirsi sul mercato
contingentando l e importazioni del carbone, del
petrolio e d e i derivati.
U n altro metodo, infine, è quello d i regolare
i prezzi fissando u n prezzo m i n i m o al d i sotto
del quale potrebbe stimarsi pericoloso ribassare
il prezzo dell'energia.
I1 prezzo m i n i m o dovrebbe essere naturalm e n t e fissato ad u n livello basso per lasciare
allPEuropa il beneficio d i u n approvvigionam e n t o d i energia a b u o n mercato, senza tuttavia
compromettere l a riorganizzazione dell'industria
carbonifera.
Questi m e t o d i , c o m e h o detto, e qualsiasi
altro metodo c h e venisse prescelto, debbono
m a n t e n e r e fisso, a m i o giudizio, l'obiettivo finale d i creare u n mercato libero per l'energia
senza protezione e senza sovvenzioni.
Il m e t o d o prescelto dovrebbe poi tener presente i m u t a m e n t i d i fatto c h e sostanzialmente
h a n n o cambiato la situazione dell'approvvigion a m e n t o energetico. Questo cambiamento d i
situazione, c h e libera l'economia dei S e i Paesi
dall'esclusiva dipendenza del carbone, c h e v e d e
l'afflusso d i forti quantità d i idrocarburi. u n o
sviluppo sempre maggiore dell'energia elettrica, c h e però avrà anch'essa i suoi l i m i t i , e
v e d e il profilarsi dell'energia nucleare, h a posto
l e premesse per u n a struttura industriale più
differenziata e più armonica. Questa n u o v a evoluzione per d i più, c o m e h o già accennato, v a ,
senza d u b b i o a vantaggio delle zone periferiche
rispetto ai tradizionali poli d i sviluppo, m a più
vicina aile n u o v e f o n t i d i approvvigionamento.
N o n bisogna, i n f a t t i , dimenticare c h e u n o d e i
fattori c h e ha limitato l'espansione economica
d i certe regioni o d i certi Paesi delle C o m u n i t à
Europee, e in particolare dell'Italia, è stato
l'approvvigionamento d i energia. L o straordinario sviluppo economico d i certi Paesi all'int e m o della C o m u n i t à , durante gli u l t i m i d u e cento anni, si è basato principalmente, i n f a t t i ,
sull'espansione dell'industria situata in prossim i t à delle grandi f o n t i d i energia, rappresentate dai giacimenti carboniferi.
Nella R u h r , n e l nord della Francia e in
Belgio, i centri industriali si sono sviluppati
attorno alle m i n i e r e d a c u i dipendono. La scoperta d e l petrolio, c o m e f o n t e d i energia. h a
reso molto più facile, durante gli u l t i m i decenni, portare l'energia laddove essa era m e n o
direttamente accessibile, per il benessere delle
popolazioni.
Per d i più, il trasporto a lunga distanza del
gas e dell'elettricità h a n n o reso possibile l o
sviluppo industriale d i tali regioni, sviluppo
dicembre 1960
c h e h a permesso u n i n c r e m e n t o notevole e
costante d e l reddito nazionale delle popolazioni.
Recentemente, l e applichzioni dell'energia
nucleare h a n n o aperto n u o v e e incalcolabili
prospettive d i ulteriori sviluppi.
E' inutile sottolineare in tale quadro i v a n taggi c h e t u t t e l e zone dell'Europa meridionale, e i n particolare il Mezzogiorno e l'Italia,
possono trarre d a questa n u o v a situazione. E'
per questo c h e qualsiasi coordinamento della
politica energetica d e v e porsi n e l quadro d i
sviluppo economico generale d i ogni singolo
Paese della C o m u n i t à e soprattutto n e l quadro
d i sviluppo economico generale della C o m u nità n e l suo insieme.
I prezzi delle d i f f e r e n t i f o r m e d i energia
d e v o n o riflettere f e d e l m e n t e il costo d i produzione e la rarità relativa d i ogni tipo d i energia, m e n t r e il rapporto tra i l prezzo delle d i f ferenti f o r m e d i energia d o v r e b b e essere tale
da permettere c h e ogni tipo d i energia sia
utilizzato n e l m o d o migliore.
Il nuouo volto delP Europa industriale
di Henry Schwamm
I1 Mercato c o m u n e n o n è soltanto per i S e t t e
u n o dei principali poli d'attrazione per gli
i n v e s t i m e n t i e s t e ~ i ,come è detto nell'articolo
d i Henry Schwamm, Segretario generale del
C e n t r e Européen d e la Culture d i G i n e v r a , 1, I1
n u o v o volto dell'Euroca industriale D , m a lo
è anche per le industrie americane, che hanno
aumentato, nel corso d i questi u l t i m i anni,
gli i n v e s t i m e n t i i n Europa con u n r i t m o
m o l t o più rapido che nelle altre parti d e l
m o n d o . 11 loro totale ccmplessivo è praticamente triplicato tra il 1950 ed il 1959,
per passare da 1.733 a 5.300 milioni d i dollari
( d i cui n e i S e i Paesi del Mercato comune, da
da 637 a 2.194 milioni) m e n t r e , n e l resto d e l
m c n d o , il loro valore globale è progredito d a
11.788 a 29.735 milioni d i dollari.
T u t t a v i a , a n c h e nel m o m e n t o attuale, gli i n v e stimenti e f f e t t u a t i i n Europa n o n rappresentano p i ì ~ d e l 18% del totale degli i n v e s t i m e n t i
delle società americane all'estero e , espressi i n
percentuali a n n u e del prodotto nazionale lordo
d e l Paese beizeficiario, si aggirano sull'l70 i n
Francia, i n Italia e n e l B e n e l u x , su11'1,4%
nella Repubblica federale tedesca e sul 3,2%
i n Gru11 B ~ e t a g n a (raggiungono quasi il 27%
i n Canadà).
Fra i settori più favoriti, il petrolio occupa
naturalmente u n posto preminente, tuttavia anche altre industrie, tra le quali quella chimica,
quella delle costruzioni meccaniche (particolarm e n t e l'azrtomobilistica) e quella elettrica, occupano u n b u o n p x t o .
Secondo recenti studi il ritmo degli investim e n t i americani in Europa, che già riveste
grande importanza, è desti~zato ad aumeiztare
rapidamente, tanto più che i costi d i produzione sono generalmente più bassi n e l contin e n t e europeo; tale evoluzione, che comincia
già a preoccupare seriamente i sindacati a m e ricani, poiché i profitti realizzati vengono i n v e stiti d i n u o v o sul posto, è d i rilevante apporto
per lo sviluppo industriale dell'Europa. U n
esempio dell'interesse americano è, n e l campo
dell'industria automobilistzca, il caso della. Ford
che, in vista dell'importante espansioize d e l
mercato automobilistico in Europa, e i n particolare n e l Mercato comune, per meglio conserv a r e la sua libertà d'azione i n tutta I'operazione europea, ha riacquistato quasi t u t t e le
azioni minoritarie d i proprietà degli azionisti
liberi.
C i ò era stato acutamente previsto n e l docicm e n t o L e conseguenze dell'integrazione ecopreparato dal Political and
nomica europea
Economic Planning ( P E P ) per il Congresso
Atlantico d i Londra d e l giugno 1959 ( v . a C o m u n i d'Europa n . 7-8, luglio-agosto 1959) d i cui
ricordiamo le conclusioni:
I1 Trattato d i R o m a è u n e v e n t o d e l più
grande significato per Z'Eziropa occidentale e
l'Alleanza Atlantica. L a sua motivazione è stata
tanto politica che economica. Questa è la sfida
c h e si presenta oggi al resto dell'Europa occidentale. A m b e d u e i m o t i v i indeboliranito le
precedenti f o r m e d i cooperazione i n termini
c h e segnelanno u n a n u o v a tappa verso l'unificazione europea.
Gli interessi dell'Europa occidentale e del
m o n d o intero saranno meglio serviti se i S e i ,
con u n a maggiore integrazione, saranno capaci
d i sostenere u n più alto grado di sviluppo. C i ò
accadrà molto probabilmente se, oltre a rimuov e r e le barriere al commercio, essi potranno
accorciarsi s u positive politiche espansionistiche.
E' il grado di espansione che soprattutto determ i n e r à se la C o m u n i t à sarà protezionista o liberista. S e il suo sviluppo sarà rapido, le importazioni d i materie prime aumenteranno anche
esse ( b e n c h é m e n o rapidamente); saranno anche necessari mercati c h e si espandano verso
l'estero, e perciò la C o m u n i t à sarà iizteressata
n e i negoziati t a r i f f a r i col m o n d o esterno. Inoltre, u n rapido sviluppo renderà gli accordi
preferenziali con i territori associati m e n o discrimitiatori i n e f f e t t i , e cosi aiuterà le relazioni c o n gli altri produttori d i materie prime.
U n alto tasso di sviluppo r a f f o r z e ~ àanche la
C o m u n i t à relativamente agli Stati U n i t i m e n t r e
nello stesso t e m p o approfondzrà ancor d i più il
divario tra l'insieme delle nazioni più ricche e
d i quelle più povere. Essa d u n q u e porrà i n u n
rilievo più forte c h e m a i il problema delle
aree sottosviluppate. Così, m e n t r e il Trattato d i
R o m a cerca in qualche m o d o d i provvedere u n a
soluzione per u n n u m e r o d i paesi europei, n o n
v i è dubbio che per il m o n d o nel suo complesso
sorgeranno m o l t i altri problemi i11 u n a f o r m a
più acuta d i prima a.
I n ogni m o d o è chiaro che la c o m u n i t à ' Economica Europea, lungi dall'essere u n o strumento
d i discriminazione, è già risultata - e più lo
sarà quando passerà decisamente dalla fase d i
unione doganale a quella d i autentica comun i t à economica - strumento esemplare ( s e m a i
troppo t i m i d o ) d i u n i t à .europea.
Questo passaggio, oltre ad impedire, f r a l'altro, la. formazione d i monopoli e d i cartelli,
garantendo l'inserimento delle forze operaie
nel grande processo d i trasformazione economica, porrebbe gli inglesi d i fronte ad u n salutare dilemma: continuare a sabotare ( e questa
volta in m o d o d e l tutto aperto e frontale) l'integrazione europea (1). oppure avviarsi con
gli altri sulla strada del federalismo.
E. P.
,),
8
N o n passa settimana c h e n o n v e d a nascere
numerosi accordi tra industriali europei. Questi
accordi prendono f o r m e diverse secondo la
(1) Per una documentata rievocazione di questo sabotaggio s a r à bene ricorrere al recentissimo «Preistoria degli Stati Uniti d'Europ:ì, di Achille Albonetti (introduzione di Roberto Ducci), Giuffrè Editore. Milano. 1960.
C O M U N I D'EUROPA
dicembre 1960
natura e le dimensioni delle imprese in questione. Trattano della produzione, deil'accesso
alle materie prime, degli sbocchi o ancora delle
prospettive e degli studi d i mercato. In certi
sett3ri accade che taluna impresa nazionale non
riesca più con le sue sole forze a fare lo
sforzo di riadattamento strutturale, necessario
a i nuovi compiti del mercato europeo, e decida
per conseguenza d i fondersi con un'altra industria o di venderle azioni e diritti contrattuali.
Lo sforzo d i razionalizzazione indispensabile
può infine prendere la forma dell'assorbimento
puro e semplice d i una società da parte di
un'altra.
Tutti questi sforzi tendono insomma a standardizzare i prodotti, a specializzare le aziende,
a diminuire le spese di vendita e di trasporto,
a dosare e a distribuire con più giudizio gli
investimenti, grazie a una informazione più
completa sulle virtualità dei mercati e, infine, a
regolarizzare e a qualificare i prodotti.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare
questo process:, d i riavvicinamento a livello
delle imprese non si limita soltanto a l quadro
del Mercato Comune. Questo è tuttavia sul
punto d i divenire uno dei principali poli d'attrazione per gli investimenti dei ir Sette all'estero. Fiduciosi nell'avvenire della CEE numerose firme inglesi, svedesi, danesi e svizzere
ritengono dover inserirsi a l più presto nel
Mercat:, Comune.
Ecco qualche esempio citato a caso:
Leyland Motor e Standard Triumph (automobili) hanno impiantato delle officine d i montaggio nel Benelux. La più importante ditta
francese d i dischi e di radio, si trova a l presente sotto controllo britannico;
Meta1 Industries (strumenti d i controllo
elettrico ed elettronico) ha fondato una filiale
in Belgio e una succursale di distribuzione nei
Paesi Bassi;
D u n l ~ p(gomma) estende le sue attività a l
continente.
43
DISTRIBUZIONE IN EUROPA DELLE IMPRESE DEGLI STATI UNITI
(nuove operazioni 1958-1960)
Gran
Belgio Francia Germania Bretagna
Altri
Totale
31
26
313
22
20
9
115
11
12
11
8
93
-
1O
2
2
Italia
Macchine e lavorati i n
metallo . . . . . . .
35
63
55
47
56
Prodotti chimici e farmaceutici . . . . . . .
23
21
1O
10
. . . .
13
17
21
.
3
1O
1
Manufatti vari
Petrolio
. . . . . .
Olanda
P
Totale (compresi i servizi)
77
115
96
28
P
75
107
69
51
590
Fonte: The C h s s n f a n h t t a n Bank
già ben avviata attraverso accordi d i standardizzazione, d i fusione d'impresa e la creazione
di raggruppamenti finanziari. La C.S.F. francese ha moltiplicato gli accordi: in Italia essa
si è associata con Microparad (condensatori)
e ha partecipato con la Finmeccanica alla creazione delle Industrie riunite elettroniche e meccaniche, specializzate nella fornitura d i materiale destinato all'elettronica professionale.
In Germania essa si è associata alla Felten
und Carlswerk per costituire la compagnia
europea di cavi telefonici. S i potrebbero citare
esempi a dozzine, ma l'elenco sarebbe noioso.
Occorre tuttavia notare che i Sette partecipano attivamente a l movimento: 1'Electricol
Musical Industries (Inghilterra) ha impiantato
una officina a Colonia. E, prima tappa di un
(C
))
Investimenti svedesi si sviluppano nel campo
della carta e delle costruzioni meccaniche. Una
ventina d i Società danesi sono state fondate
nello Schleswig del Sud per avere una porta
aperta sul Mercato Comune e profittare delle
riduzioni tariffarie i n seno alla Comunità dei
Sei.
Gli investimenti svizzeri si indirizzano più
particolarmente verso il settore elettrico in Germania e verso le industrie alimentari in Francia
e nel Benelux.
Per così dire, tutte le grandi ditte svizzere
intrattengono da lungo tempo filiali nei Paesi
del Mercato Comune.
Ma i responsabili di molte d i queste ditte
(in generale degli cc holdings D ) sono attualmente assai preoccupati per la ripartizione
dell'attività e l'equilibrio delle forze tra Casa
madre in Svizzera e filiali situate nel Mercato
Comune.
L'esempio d i Brown Boocri è particolarmente
eloquente. La filiale d i Brown Boveri a Mannheim ha realizzato l'anno scorso una cifra d i
affari doppia d i quella della casa madre a Baden. In numerosi casi, si assiste a un rafforzamento della produzione delle filiali situate
nel Mercato Comune per permettere a queste
ultime d i far fronte alla concorrenza accresciuta dei Sei.
S i può dunque dire che le industrie dei Sette
che esportan:, tradizionalmente verso la CEE,
pensano d i essere svantaggiati dalla tariffa e ~ t e riore coinune e per conseguenza investono sstto
diverse forme in uno dei Sei paesi, per produrre all'interno del nuovo cordone doganale.
Walter Hallstein
La stessa cosa, d'altra parte, si verifica da
qualche tempo in campo opposto: numerosi
Sei D intendono accrescere i
industriali dei
piano d'espansione verso la CEE, la compagnia
loro interessi nell'area dell'EFTA.
britannica Ether Langhm Thompson ha proceS i può, per esempio, osservare nel Bollettino
duto a Milano alla costituzione della filiale che
ufficiale svizzero d i commercio che ogni giorno
fabbricherà e metterà in commercio i prodotti
nascono filiali di Società specialmente tedesche
deila casa madre e che parallelamente, negoa Zurigo, Basilea, Glaris e Winterthur.
zia accordi con altre ditte britanniche simiI1 grado d'interpenetrazione europea delle inlari, onde assicurarne la rappresentanza in Itadustrie varia secondo le branche. Esso è partilia. La società svedese Electro-Helios ha instalcolarmente elevato nel settore in espansione:
lato a Francoforte una Società di vendita per
costruzioni elettriche, costruzioni automobilistiapparecchi domestici e frigoriferi.
che e chimiche.
L'industria automobilistica dei Sei 6 sulla
La CEE indirizza l e imprese d i costruzione
difensiva; essa deve risolvere due problemi: in
elettriche a formulare l'inventario delle loro
primo luogo impedire attraverso una legislapossibilità e a elaborare i loro programmi in
zione adeguata che officine d i montaggio, sia
funzione di un mercato d i 165 milioni di clienti
virtuali. L'integrazione di questa industria è
americane che inglesi, facciano concorrenza aile
proprie fabbriche; in secondo luogo, d i preferenza in comune, accordi sul tipo di quelli
intercorsi tra Renault e Alfa Romeo e tra
Simca e Fiat.
P e r combattere la concorrenza britannica i
11 S e i .
hanno installato nella Zona di libero
scambio officine d i produzione e d i montsggio
a Etton (Gran Bretagna), Svezia e Austria.
Una sola parola sull'industria chimica. Contrariamente alla Francia e alla Germania, il
Benelux, più consumatore che produttore, è
nettamente libero-scambista. Un segretariato
permanente dell'industria chimica europea (Sei
e Sette) è stato creat:, a Zurigo su iniziativa
tedesca, in vista dell'allargamento della I, piccola soluzione europea del Mercato Comune ...
a uno spazio economico contenente tutta 1'Europa 1 9 .
La conclusione è evidente: le frontiere naturali delllEuropa elettrica, automobilistica e chimica e - occorrerebbe aggiungere - tessile
e degli orologi, non coincidono più con le
frontiere del Mercato Comune e della Zsna d i
Libero Scambio. Un accordo in questi settori
chiave dell'economia europea sul piano industriale, permetterebbe un prim:, passo verso
un accomodamento tra Sei e Sette.
Comunque, dall'entrata in vigore dei Trattati
d i Roma, le imprese hanno appreso a guardar
lontano e di gran lunga più in là delle frontiere dei propri paesi e dei gruppi di paesi
d i cui fanno parte.
Non è forse questa la vera rivoluzione di
questo decennio?
INVESTIMENTI AMERICANI
IN EUROPA OCCIDENTALE
(in milioni d i dollari, a fine d'anno)
1950
1959
.
Francia . . . . . . . . . .
204
795
217
632
. . . . . . . . . . .
Repubblica Federale Tedesca
Italia
63
313
. . . . .
84
244
. . . . . . . . . .
69
210
637
2.194
. .
Svizzera . . . . . . . . . .
847
2.475
25
158
. . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . .
58
125
166
348
1.733
5.300
Paesi Bassi
U.E.B.L .
.
. .
.
1,
Totale Mercato Comune . . .
Gran Bretagna . . . .
Svezia
Altri
.
Totale Europa occidentale
(Fonte: U.S. Department of
current business)
.
.
--
--
Gornrnerce
Sunvey of
COMUNI D'EUROPA
L'istruzione
dicembre 1960
lome investrmerrto produttivo
C
di Aldo Visalberghi
Questo articolo è stato tratto dal numero speciale della rivista d'inforntazione e di tecnica
Pirelli n dal titolo La scuola in Italia e i n
Europa V , curata dal prof. Aldo Visalberghi,
del quale ripubblichiamo in questo numero
anche l'articolo (con il relativo nostro corsivo
redazionale) N La Trentasettesima apparso i n
11 Scuola e Città
del gennaio 1959 e riprodotto
sul n. 3, marzo 1959 d i I( Comuni d'Europa n.
Particolare attenzione meritano le osservazioni
del prof. Giovanni Gozzer sul tema della competizione quantitativa n o qualitativa ., estratte dal voliime Primato tecnico e primato scolastico nella competizione mondiale della collana N Scuola europea ., Fratelli Palombi editori - Roma 1959, che abbiamo inserito in nota
all'articolo cc L'istruzione come investimento
produttivo ),.
11
.
.
CC
)l
*
::.
Gli sviluppi tecnologici più recenti, particolarmente quelli che vanno sotto il nome di automazione ., hanno finalmente reso popolare una
verità troppo spesso disconosciuta: fra tutti gli
investimenti economici, fra tutte le norme di
capitalizzazione
la più' importante, la più
indispensabile, la più produttiva, è quella volta
a formare teste ben fatte U , secondo l'espressione del vecchio Montaigne. L'industria moderna. ed i n misura crescente l a stessa agricoltura, non possono prosperare che l à dove
trovano non solo le 11 infrastrutture necessarie,
ma principalmente dovizia di quadri e di lavoratori istruiti, agili di mente, capaci di qualificarsi e riqualificarsi i n base alle mutevoli
esigenze di tecniche produttive in continuo
sviluppo.
La prosa scarna di un rapporto dell'OECE
(L'Europe aujourd'hui et en 1960. Paris, 1957)
ci sembra la più istruttiva a l proposito: u A
lunga scadenza, una delle condizioni più essenziali dell'espansione economica sarà che l e disponibilità d i mano d'opera qualificata siano
sufficienti. La proporzione del personale di direzione, dei ricercatori e dei tecnici aumenta
senza posa nell'industria e la crescente complessità dei procedimenti industriali porta ad
esigere competenze maggiori, a tutti i gradini
della gerarchia. In altri settori, come l'agricoltura e l a distribuzione, il miglioramento della
produttività non dipenderà tanto dalla messa
in opera di nuove macchine quanto da qualità
d'intelligenza nella gestione e nell'organizzazione n.
Non si tratta dunque di cc educare 11 veramente la mente di pochi e di istruire alla meglio
la massa. adattandola meccanicamente a i diversi compiti produttivi. Si tratta di educare
nel modo migliore, secondo le sue possibilità,
la mente d i ciascuno, perché la moderna società
produttiva h a bisogno che ciascuno esprima
senza residuo l e sue qualità intellettuali e morali se viiol avervi un suo posto e una sua
funzione. Già si sta discutendo, in Europa e
i n America, del p ~ v b l e m a (che presto si farà
pressante in tutti i paesi tecnologicamente più
sviluppati) dell'utilizzazione di coloro che hanno scarse capacità intellettuali. Non è un problema irresolubile, ma qui lo menzioniamo
soltanto per far rilevare come, per esplicito
presupposto e a maggior ragione, tutti i sufficientemente dotati devono aver modo di espandere l e proprie doti attraverso un'educazione
adeguata.
L'educazione media della popolazione è dunq u e uno dei più importanti fattori che favoriscono lo sviluppo produttivo e la sua localizzazione, è cioé un vero e proprio fattore orientativo degli investimenti. Questo fatto è altrettanto importante per l'economia italiana in sé
considerata quanto per l'economia europea. Come in Italia il distacco fra Nord e Sud rischia
di aumentare progressivamente (quanto a differenza nei redditi medi). così nello spazio
economico della <I piccola Europa l'Italia potrebbe veder aumentare il distacco che separa
il suo reddito nazionale u pro capite da quello
degli altri paesi, a causa soprattutto del grado
insufficiente d i istruzione dei suoi cittadini. D'al(1
tra parte, lo sforzo finanziario che l'Italia dovrebbe compiere per neutralizzare lo svantaggio
sembra quasi esorbitare dalle sue possibilità
economiche. I1 n piano decennale per la scuola 8
recentemente elaborato dal Governo italiano
contempla una spesa straordinaria di quasi
1.400 miliardi in dieci anni. Ma tale cifra rappresenta poco più d i quanto sarebbe necessario
per rendere effettivo di qui a un decennio l'attuale obbligo scolastico che si estende, come
noto, fino a l compimento del quattordicesimo
anno di età (1). A quante migliaia di miliardi
dovrebbe allora ammontare lo sforzo finanziario sufficiente a elevare il livello italiano di
istruzione a l grado raggiunto, per esempio, dalla
Repubblica Federale Tedesca, dove la totalità
dei ragazzi frequenta qualche tipo di scuola
fino a i 16 anni compiuti, ed il 72 per cento fino
ai diciassette?
Si tenga presente che l a Repubblica Federale
Tedesca spende, per abitante, il doppio dell'Italia in spese pubbliche per l'istruzione, ma
le percentuali del reddito nazionale che i due
paesi investono in tal modo sono assai meno
sperequate; il 4 per cento la Germania, poco
più del 3 per cento l'Italia (2). Anche spendendo il 4 per cento del suo reddito annuo in
spese per l'istruzione, l'Italia impiegherebbe
decennio per raggiungere l'attuale situazione educativa della Germania. Comunaue.
l'insufficiente grado d'istruzione degli italiani
rappresenta un danno non solo per l'Italia, ma
anche, sia pure i n misura assai meno disastrosa,
per l'avvenire deli'intera Comunità Economica
Europea, allo stesso modo che l'arretratezza economica del Mezzogiorno rappresenta per tutto
il nostro paese, non escluso il Nord, una pesante
palla al piede nel progresso produttivo.
Un aspetto più chiaramente evidente della
giustezza d i queste considerazioni è quello connesso all'emigrazione: l'Italia vedrebbe ben volentieri emigrare una più forte aliquota dei suoi
disoccupati verso altri paesi europei, ma gli
altri paesi europei desiderano quasi unicamente
immigranti qualificati. Se, a l limite, dovesse
trattarsi di trasferimenti tutti stabili e tutti di
famiglie complete (e tali tendono ad essere i
trasferimenti di personale altamente qualificato),
è evidente che l e spese necessarie all'istruzione
e alla qualificazione (e sinanco quelle del puro
mantenimento dalla nascita a l momento della
emigrazione) del personale trasferito, sarebbero
d a registrarsi in pura perdita per il paese d'origine e in netto attivo per i paesi dove andrebbe
a svolgere la sua attività. E in effetti sia il
trattato della CECA sia quello della CEE prevedono alcune forme di intervento supernazionale a parziale finanziamento delle spese per
l a riqualificazione della mano d'opera.
Questo è soltanto u n ipotetico esempio, sul
quale dovremo ritornare. Ma esso illustra bene,
ci pare, un altro motivo per cui è legittimo
considerare su piano europeo i problemi scolastici. Comunque si sviluppi il programma di
liberalizzazione degli scambi commerciali e del
movimento della mano d'opera prospettato dalla
legge-quadro sulla Comunità economica europea, gli squilibri di livello educativo fra u n
paese e l'altro dell'Europa sono una grave remora allo sviluppo anche delle più prospere
nazioni europee. Le provvidenze previste dai
trattati entrerebbero in giuoco solo per cor(1) Il Ministero italiano della P. I. calcola infatti
(molto ottimisticamente) a 600 miliardi la sola spesa
neiemaria per la costruzione delle aule mancanti. I1
numem degli attuali inadempienti all'obhligo scolastico
si può calcolare in circa 1.400.000 unità, di cui poco
mono di 1.200.000 in età f r a gli 11 e i 14 anni. La loro
scolarizzazio~ne richiederebbe un personale (insewante e
non insegnante) di circa 136.000 unità, co'n una, spesa
annua che p u r all'attuale bassissimo livello rekributivo
si aggirerebbe intorno ai 100 miliardi. Considerando il
pi.ogramma per il completamento dell'obbligo realizzato
in dieci aiini al ritmo del 10 per cento annuale. la* spesa
nel decennio sarebbe per il solo personale di almeno
460 miliardi, e perciò di 1060 rni1,iardi complessivi ai
quali sarebbero d a aggiungersi le altre spese relative a
miglioramenti retributivi e alle attrezzature, sussidi e
servizi di cui una scuola moderna non può fare a meno.
( 2 ) I1 calcolo esatto per l'Italia è a tutt'oggi impossibile perché si i,mora il preciso ammontare delle spese
scolastiche degli enti locali.
reggere gli ulteriori scompensi determinati dall a stessa integrazione economica, e non è neppure certo che potrebbero riuscirvi del tutto.
Nello stesso modo in cui l'Italia deve, con
opera politica, riorientare quelle che sarebbero
le linee di sviluppo N naturali della sua economia per eliminare lo q u i l i b r i o fra Nord e
Sud, così gli organismi europei dovrebbero
porsi il problema dello squilibrio esistente fra
i diversi paesi membri, dopo che ciascuno di
essi si fosse impegnato a investire per suo conto,
nelle spese per l'istruzione, una stessa aliquota
del suo reddito nazionale. Questo problema
esisterebbe anche senza prospettive d i integrazione economica, ma in vista d i queste prospettive esso si articola ulteriormente, e si fa
problema di vera e propria integrazione educativa, se non altro in quanto la libertà di
movimento delle persone e delle famiglie esigerà l'equipollenza dei titoli di studio ed una
alrneno parziale omogeneizzazione delle strutture.
S e l a problematica ventilata a proposito del
valore della tradizione umanistica europea puntava, nella misura (a dire il vero ancora non
definita) della sua validità, sull'aspetto qualitativo, l e considerazioni successive investono
invece l'aspetto quantitativo della questione (3).
La inscindibilità dei due aspetti già emergeva
dal necessario rifiuto di ogni comoda soluzione
di educazione en masse, e dall'esigenza che sia
data a tutti, e non solo a una élite, un'autentica formazione umana e civile, oltre che professionale. Ma anche per quanto riguarda la
scienza pura 1) va notato che l'aspetto qualitativo oggi non è più scindibile da quello
l>
(31 Su questo tema ricordiamo quanto h a scritto il
prof. Giovanni Gozzer su « primato tecnico e primato scolastico nella competizione mondiale »:
Ecco donque i termini della gara per il primato scolastico che oggi si combatte; si:imo passati d a una competizione quantistica (« il numero di baionette ») ad una
qualitativa (il « livello intellettuale dei contendenti ») :
nell'unione Sovietica, stando alle tesi del1 Comitato Centrale del Partito Comunista e del Consiglio dei Ministri.
si è passati dai nove milioni e mezzo di alunni del 1914
ai trenta milioni e mezzo di alunni del 195'i-58: in questo
periodo il numero degli alunni delle scuo~le secondarie
si è moltiplicato per 40: gli insegnanti che nel 1914 erano
280 mila, sono o'ggi oltre due milioni; negli Stati Uniti
l'espansione dell'istmiome secondaria h a avuto nell'ultimo
cinquantennio sviluppi di importanza non certo inferiore:
per cui è lecito pensare che oggi veramente i grandi Paesi
i quali entrano nella gara della competizione mondiale
siano impegnati, sul piano smlastico, in una battaglia
di importanza non minore di quella che essi stanno svolgendo sul piano ircnico, scientifico o militare.
Sono documento di questa nuova dimensione del proi'lema scolastico, in America, le recenti discussioni sul problema educativo, le quali hanno dato luogo:. a d accesi
contrasti, di importanza non inferiore a quelli che dividono le varie posizioni sul piano tecnico e scientifico, e
a cui accenneremo in seguito. I n URSS è di Ieri la recente
riforma scolastica. preceduta dai vari documenti e dibattiti: il discorw di Krusciov del 18 aprile 1958. il promemoria dello stesso Krusciov al Praesidium del Comitato
Centrale, e infine la tesi del Comitato Centrale del Partito
Comunista e del Consiglio dei Ministri dell'unione Sovietica, tradotto nella legge del 24 dicembre 1958 « s u l rafforzamento dei legami della scuo~la con la vita e suli'ulteriore sviluppo del sistema della ;Pubblicn Istruzione
nell'unione Sovietica 8.
Ci si domanderà o r a quale sia in questa Rara mondiale
la posizione dei « Paesi intermedi » come l'Italia.
Ci sembra senz'altm di poter dire che i Paesi intermedi
si dividono in due gruppi: quelli che hanno realizzato una
loro << istruzione generaliz'zata » (e cioè hanno creato
un sistema scolastico con frequenza obbligatoria fino a
livelli di 15. 16, 17 anni) e quelli che sono rimasti ancorati al vecchio sistema della scuola selettiva, con scarsa
dinamica dell'istruzione obbligatoria e sviluppo quasi
esclusivo dell'istruzione secondaria a tipo tradizionale nei
settori classico-umanistici.
L'Italia f a parte di questb secondo gruppo: nel primo
cinquentennio di questo secolo. infatti, l'istruzione obbligatoria h a avuto un aumento assoluto di circa 1'80 per
rento, buo'na parte del quale era assorbito dall'aumentn
demografico: mentre la scuola secondaria ha avuto un
contemporaneo aumento di oltre 1.300 per cento, ossia di
circa 13 volte. I1 che significa, in sostanza, che Paesi
quali si trovano in questa situazioiie non sono in grado
di partecipare alla gara cui si diceva. ma solo in co,ndizioni di assistervi wme spettatori o come potenziale
materia prima di trasferimento. In quanto sarebbe anzitutto necessario per essi realizzare la grande espansione
che avrebbe dovuto aver 1uo.g-o nella prima metà di questo
secolo, dell'istruzione generalizzata fino ai 14-15 anni.
Naturalmente questa espansione non si può, né si sarebbe potuta operare d a sé, senza un contempo'raneo fenomeno di trasformazione sociale ed economica; ed è per
questo che la situazione risulta oggi particolarmente difficile ». (N.d.R.).
COMUNI D'EUROPA
dicembre 1960
quantitativo relativo ai m e z z i a disposizione per
la ricerca. Organismi c o m e l'Euratom i n t e n dono a f f r o n t a r e anche quest'aspetto del problem a europeo, m a solo i n u n settore limitato; e
giacché la scienza n o n si f a per settori, rappresentano n o n tanto soluzioni, quanto indicazioni d i u n a strada c h e occorrerebbe battere
fino i n fondo.
Questa strada è quella d i u n a c o m u n e politica scolastica e culturale europea, l e c u i l i n e e
direttive emergono con drammatica urgenza
dalla situazione c h e siamo andati delineando e
che d o v r e m o ulteriormente analizzare.
genere dal solo sforzo nazionale dell'Italia, l'eliminazione d e l dislivello c u i s'è accennato. Com e il S u d d'Italia n o n potrebbe con l e s u e sole
energie giungere ad allinearsi c o n il Nord n é
per sviluppo economico, n é per sviluppo e d u cativo, m a h a bisogno d i u n a politica nazionale
d i i n v e s t i m e n t i a ciò diretta, la quale ovviam e n t e attinga ai più alti redditi del Nord, così
l'Italia avrà bisogno degli altri paesi della Com u n i t à Economica Europea o meglio d i u n a
politica europea d i i n v e s t i m e n t i , soprattutto ai
fini d i u n suo adeguamento educativo al livello
dei paesi più progrediti.
Ma ciascun paese, prima d i poter impostare
c o n serietà i l problema d i u n a politica scolastica
europea ad ampio respiro, dovrebbe dimostrare
d i saper compiere per intanto il massimo sforzo
i n m o d o autonomo, per esempio c o n l'equo criterio d i spendere per l'educazione il 5% del suo
reddito nazionale. Oggi la Germania impiega i n
tale settore circa i l 4% del suo reddito nazioSecondo i dati più recenti forniti dalla d i v i nale, l'Italia n o n supera i l 3,4% ( p u r considerandosi n e l calcolo anche gli stanziamenti degli
sione statistica dell'UNESC0, l'Italia è al t r e n tasettesimo posto f r a i paesi del m o n d o i n fatto
Enti locali, n e i l i m i t i i n cui è possibile f a r n e
d i spese pubbliche per l'educazione. L'Italia
una stima).
spende i n f a t t i i n questo settore 10,l dollari per
Affinché l'Italia arrivi a spendere f r a dieci
abitante, m e n t r e gli Stati U n i t i v i spendono
a n n i i l 5% del suo reddito nazionale per l'edu56.3 dollari, il Belgio 33,3, la Francia 31,8, la
cazione è necessario c h e essa giunga, nello stesso
Svizzera 28, la Repubblica Federale tedesca 27,6, n eri odo, a triplicare il bilancio della P.I. ( q u e l'Inghilterra 26,6 ( i l r a f f r o n t o , che sarebbe ancto se i l reddito cresce secondo l'ipotesi dello
ch'esso interessante, c o n alcuni paesi dell'Est
appare viziato dal fatto c h e l e altissime aliquote
- U R S S 201,7, Polonia 90, Repubblica Democratica Tedesca 81 - si riferiscono al totale delle
Ogni nuovo abbonamento a
spese culturali e sociali
L'Italia spende d u n q u e , per abitante, appena
u n t e r z o d i q u e l c h e spendono i n m e d i a per la
Comuni d'Europa
istruzione i paesi con i quali dovrebbe realizzare l'unità economica nell'ambito del Mercato
ci permette di inviare u n certo, ulteC o m u n e . Questo fatto è d i per sé abbastanza
eloquente. L'urgenza d i m u t a r e questo stato d i
riore numero di copie i n omaggio a
cose si misura meglio se si t i e n e presente la
cittadini che ancora non ci conoscono.
constatazione, ormai familiare a chi studia la
distribuzione geografica dei n u o v i investimenti.
cioè delle n u o v e fonti d i reddito, i n economie
amici, ABBONATEVI! '
i n sviluppo, c h e sono l e infrastrutture, o i fattori
agglcmeranti, a determinare tale distribuzione,
e c h e tra questi fattori alla scuola è ormai riconosciuto u n posto primario.
schema V a n o n i , e la moneta m a n t i e n e i l suo
potere d i acquisto, m a l e cose n o n m u t a n o soCiò significa, i n parole povere, c h e i n u o v i
stanzialmente su basi ipotetiche d i v e r s e ) .
i n v e s t i m e n t i t e n d o n o a concentrarsi là d o v e troOra, l'intero a m m o n t a r e complessivo del Piav a n o , tra l'altro, maestranze d i alta qualifican o decennale andrebbe moltiplicato per d u e
zione e specializzazione. N e deriva o v v i a m e n t e
volte e m e z z o per ottenere i l totale delle magu n a sorta d i circolo vizioso: arricchisce con
giori spese n e l decennio che sono necessarie al
r i t m o crescente quella zona c h e dispone d i u n
risultato c h e abbiamo detto.
miglior sistema scolastico, m a il miglioramento
A. V.
d i u n sistema scolastico n o n 6 possibile d o v e
n o n vi sia reddito così alto da assicurarne il
finanziamento.
U n altro punto da t e n e r e presente q u a n d o si
a f f r o n t i questo t i p o d i problemi è c h e la realtà
U n o dei calcoli più d i f i c i l i è quello sulle
con cui abbiamo a che fare è una realtà in m o spese per l'educazione che si f a n n o in u n a deterv i m e n t o : c h i voglia pianificare u n complesso d i
m i n a t a Nazione, concorrendo ad esse - oltre
i n v e s t i m e n t i scolastici c h e riescano sufficienti lo Stato e i privati - u n a folla d i E n t i puba colmare la distanza f r a il proprio ed altri paesi
blici e semipubblici, direttamente e indirettai n u n certo n u m e r o d'anni, n o n d e v e dimentim e n t e . L a situazione dell'ltalia è probabilmente
care c h e anche quegli altri paesi sono in m o v i ancora peggiore, dal punto d i vista del finanm e n t o ed avranno raggiunto al t e r m i n e del peziamento della scuola e dell'educazione, d i quanriodo traguardi b e n più avanzati c h e all'inizio.
t o si ricavi dallo scritto d i Visalberghi.
T u t t i i paesi, quale più quale m e n o , realizzano
E allora? E allora, r i m a n e n d o n e l campo che
continui incrementi degli stanziamenti pubblici
ci riguarda, il problema del finanziamento della
per l'istruzione, e si tratta d i incrementi spesso
scuola è per gli europeisti d'Italia un promassicci. Secondo valutazioni del Bureau Interblema drammatico. Già i l Consiglio Direttivo
national d'Education d i G i n e v r a gli incrementi
dell'AICCE, i n u n a sua risoluzione dell'll gium e d i annui percentuali delle spese pubbliche
gno 1957 che a f f r o n t a v a - tra l'altro - le
per l'istruzione negli u l t i m i cinque anni per i
prospettive della Comunità Economica Europea,
quali si h a n n o i dati (relativi alla quasi totalità
a f f e r m ò : ... Per quel legame che spesso sussidei paesi d i alto livello c i v i l e ) . sono stati i seste ( e d è previsto costituzionalmente) t r a gli
guenti: 16% n e l 1953, 11,5% n e l 1954, 10,5%
Enti territoriali locali e l'educazione pubblica
nel 1955, 14,5% n e l 1956, 15% n e l 1957.
(specie l'istruzione professionale, l'educazione
E' chiaro, quindi, che per raggiungere il li- degli adulti, l'assistenza sociale n e l suo indivello m e d i o degli altri paesi della C E E i n un rizzo più m o d e r n o , ecc.) ... l'integrazione econocerto n u m e r o d i anni l'Italia dovrebbe proporsi
mica europea postula per l'ltalia piani finand i compiere durante l o stesso periodo u n o sforzo ziari scolastici straordinari, nazionali, regionali,
capace d i realizzare i n c r e m e n t i d i spesa per la
locali, per portare il nostro Paese a un decopubblica istruzione d i u n ordine n e t t a m e n t e suroso grado d i capacità competitiva c c n gli altri
periore a quello cui si è testé accennato.
della Comunità. )n. Dobbiamo ora aggiungere che
Sullo s f o n d o d i queste considerazioni v a conse tutta la Nazione n o n si impegnerà e n o n
siderato a nostro avviso il progetto n o t o c o m e
opererà un miracolo, a causa della depressione
cc Piano decennale per
la scuola
se vogliamo
scolastica l'integrazione economica europea si
renderci conto dello stato della discussione in- presenta a noi sotto cattivi auspici.
torno ad esso. N o n già che, a nostro avviso, si
Stranamente siamo noi italiani a chiedere la
possa pretendere da u n piano pluriennale e, i n
libera circolazione della manodopera. Indubbia-
La trentasettesima
CC
q).
8
45
m e n t e c'è qualche disponibilità, i n alcune spopolate zone francesi, per la nostra manovalanza
agricola; e c'è qualche altra possibilità marginale q u a e là; m a in linea d i massima, nell'attuale situazione, con la tanto agognala circolazione d i manodopera si profila per noi l z prospettiva eventuale d i perdere i lavoratori qualificati - che rappresentano u n a ricchezza
potenziale ( v o i sapete quale i n v e s t i m e n t o rappresenti ogni lavoratore qualificato) - e n o n
d i impiegare i n o n qualificati. Questi u l t i m i
forse varcheranno le ex-frontiere, i n cerca d i
occupazione, senza che nessuno lo impedisca
loro: m a la maggior parte dovranno essere r i m patriati d'uficio, dopo avere i n v a n o o f f e r t o un
lavoro generico, che n o n serve più; o f o r m e ranno miserabili s l u m s o <I borgate ,, presso diverse città d'Europa.
L'integrazione europea è u n a cosa seria, estrem a m e n t e seria, come u n a guerra o u n a rivoluzione: e richiede un i m p e g n o d i emergenza
(ecco dove si può far mostra del proprio reale
patriottismo) d a parte d i t u t t a la c3llettività
nazionale. Di ciò m o l t i i n Italia n o n si sono
ancora resi conto, e aspettano la m a n n a dal
cielo. A parte quella delle m e r c i , noi n o n tanto
dobbiamo puntare sulla libera circolazione della
manodopera quanto s u quella dei capitali e dei
servizi; e dobbiamo preparare t u t t e le nostre
strutture e t u t t i i nostri territori - gli u o m i n i
e le cose - a investimenti europei
questi
faranno s i che l'ltalia - l'ltalia sottosviluppata
i n special m o d o - partecipi come parte i n t e grante, attivamente, alle fortune d i quella globale area d i sviluppo che sarà la C o m u n i t à e u ropea, che saranno gli Stati U n i t i d'Europa. Ma
a realizzare ciò - ripetiamo - è i~ecessario
un i m p e g n o d i emergenza: d i tutti, o v v i a m e n t e ,
per quanto d a queste colonne n o n possiamo n o n
pensare particolarmente alle Amministrazioni
locali e alle loro Associazioni e ai loro f u t u r i
Organi rappresentativi. S i parla t a n t ~d i i n f r a strutture: m a la più importante delle i n f r a strutture è l'istruzione pubblica. E si parla
tanto d i i n v e s t i m e n t i produttivi: e l'investimento
più sicuramente produttivo è quello compiuto
nell'istruzione pubblica.
S i a m o d'avviso che sull'oggetto potrebbero
v e n i r e utili notizie e suggerimenti dalla C o m u nità economica europea d e i Poteri locali: cioè
d a quell'organismo, in cui i l Congresso d i Frascati dell'AICCE ha richiesto che si t r a s f o r m i
la C o m u n i t à europea d i Credito comunale.
11:
COMUNI D'EUROPA
Organo dell'A.1.C.C.E.
- n. 12 - dicembre 1960
A n n o VI11
Direttore resp.: U M B E R T O S E R A F I N I
Redattore capo: EDMONDO P A O L I N I
DIREZIONE
E REDAZIONE:
684.556
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su c / c postale n. 1/27135 intestato a:
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Bissolati - Associazione Italiana per il
Consiglio dei Comuni di Europa - Piazza
d i T r e v i , 86 - R o m a D, oppure a m e z z o
assegno circolare - n o n trasferibile intestato a = Comuni d'Europa m.
I),
Autor. del Trib. di Roma n. 4966 dell'll-6-1955
-n
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Anno VIII Numero 12 - renatoserafini.org