- Spedizione in abbonamento postale Gruppo III Anno VIII N. 12 dicembre 1960 Direzione e Redaz.: Piazza di Trevi. 86 ROMA - - - ivz-2 O R G A N O M E N S I L E DELL'ASSOCIAZIONE I T A L I A N A PER I L CONSIGLIO come ha suggerito Jean Monnet, gli uomini dell'uno e dell'altro blocco dovranno finire per intendersi e affrontare uniti l'èra spaziale. I federalisti lottano per questa intesa, e quindi n o n vogliono trasferire il nazionalismo tradizionale a livello europeo: m a vogliono che gli europei (vale ripeterlo ancora una volta) ritornino da oggetti soggetti, i n piena dignità, della politica mondiale. Uomini, cioè, veramente liberi. Abbiamo anche voluto in questo numero - riferendoci ad alcuni specifici settori contribuire ad inquadrare e suggerire delle soluzioni alla problematica europea sotto vari profili, perché crediamo nella necessità d i prospettare i n problemi specifici il processo e quindi la lotta per la integrazione europea. Questa posizione è ben diversa da quella di coloro che, per difendere interessi particolari e sezionali, si preoccupano della sorte di questo o quel campicello, posizione che I n questo numero del nostro periodico n o n spesso è i n contrasto con l'interesse generale abbiamo preteso di offrire una completa ras- di t u t t i i cittadini. segna dei principali problemi, che si pongono Rendendo concreto il discorso europeo su di fronte all'Europa e a quegli europei che alcuni aspetti - e questo numero di « Comuni usufruiscono dei cosiddetti regimi democra- d'Europa a ricorda, fra gli altri, quelli strategico-militare, del credito alle comunità tici rappresentativi: ci siamo limitati a proporre - o riproporre - ai nostri lettori locali, della collaborazione coi Paesi sottosviluppati, della pianificazione del territoalcuni dei problemi più scottanti, a titolo rio, dell'energia, della scuola, oltre che quelesemplificativo. Crediamo per altro che dallo più propriamente politico - articoleremo la modesta antologia da noi approntata salti le forze che stanno dietro l'Europa. Non ci agli occhi, con dolorosa evidenza, che le cose saranno solo i federalisti generici, m a ci san o n vanno come dovrebbero. ranno anche i federalisti come amministraNon che l'Europa non cammini: sono gli tori locali, come uomini di cultura, come altri che camminano più svelti. La felice uomini di scienza, ecc. Abbiamo poi voluto contribuire a chiacongiuntura economica, attraversata da alcuni suoi Paesi, dà talvolta l'illusione che rire, ad uso degli ingenui, che oggi n o n c'è l'Europa non sia tuttora in regresso sul piano una nuova divisione dell'Europa, fra il MEC politico internazionale: pericolosa illusione. e Z'EFTA, m a semplicemente u n primo (inD'altro canto, anche all'interno del nostro sufficiente) tentativo comunitario fra sei continente e considerandone quella parte su Paesi - che sono rimasti sei per l'ostilità cui abbiamo diretta possibilità di intervento, o 1'impr.eparazione politica degli altri ad cgaccanto alle forze centripete agiscono zm- giungersi ai Sei - e un tentativo da parte portanti forze centrifughe; e la situazione di esterni ai Sei di annacquare il MEC fino ad eliminare i n esso ogni possibile, reale può deteriorare in qualsiasi momento. avvio ad una comunità economica ed ogni S e la democrazia n o n è una astratta metodologia, un giuoco o un lusso, si propongono virtualità politica. ad essa - in Europa - concreti ideali, che L'unità europea, per cui ci battiamo, n o n potranno essere serviti solo dalla Federaè u n a unità purchessia, m a l'unità nella dezione. Nelle pagine che seguono abbiamo mocrazia: ebbene, nella rivoluzione fedecercato di indicare alcuni essenziali obiet- rale, che n e conseguirà, noi dovremmo cort i v i politici, che dovranno porsi gli Stati reggere le disfunzioni che i tradizionali istiUniti d'Europa e che n o n sono alla portata t u t i democratici hanno qua e là mostrato. degli Stati nazionali. Ecca.un'altra grande occasione offertaci dalIl mondo è diventato u n guscio di noce e, la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. Temi di lotta DEI C 0MUNI D' E U RO PA Sommario P \G. LA « FORCE DE FRAPPE » E L'EUROPA con scritti di P . Gallois, J . P . Gouzy e P . Moriquand, P . Reynaud . . . . . . . . . . 3 IL CONSIGLIO DEI COMUNI D'EUROPA . . . . . . . . 14 LA SFIDA DELL'AFRICA di J . Marcum . . . . . . 15 BILANCIO EUROPEO DEL 1960 di M. da Passano . . . . . 20 IL COMECON STRUMENTO DI INTEGRAZIONE DEI PAESI DELL'EST di E. P . . . . . . . . . . 24 I BASCHI NON DIMENTICANO IL PRESIDENTE JOSE' DE AGUIRRE di M. Olmi . . . . . . . 26 IL CONGRESSO DEL POPOLO EUROPEO di A. Spinelli . . . . . . . 27 IL CREDITO ALLE COMUNITA' LOCALI EUROPEE di U . Serafini . . . . . . . 29 DALL'INTEGKAZIONE ECONOMTCA ALLA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO con scritti di E. Claudius-Petit, H . Bmgmans, R. Musatti . . 32 IL COORDINAMENTO DELLE FONTI ENERGETICHE COME FATTORE DI INTEGRAZIONE EUROPEA cori scritti di F. Ippolito, P . Malvestiti, G. Caron . . . . . . 36 IL NUOVO VOLTO DELL'EUROPA INDUSTRIALE di H. Schwamm . . . . . . 42 L'ISTRUZIONE COME INVESTIMENTO PRODUTTIVO con scritti di A. Visalberghi, G. Gozzer . . . . . . . . 44 oltre ai corsivi redationali sui vari argomenti. COMUNI D'EUROPA 2 << Comuni d'Europa Periodico fondato nel 1952 ORGANO MENSILE DELL'ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL CONSIGLIO DEI COMUNI D'EUROPA Direttore : UMBERTOSERAFINI Redattore-Capo: EDMONDO PAOLINI « Comuni d'Europa » ha pubblicato articoli e discorsi di: Silvio Gaetano ADINOLFI,Canzio ALMINI, Mario ALBERTINI,Gaspare AMBROSINI, ARDY,Ferdinando ARNOULT,Attilio BALDONI,Lino BARBEXO, Jean BARETH,Paolo Alberto BASETTI-SANI,Mario BASTIANETTO, Raymond BERRURIER, Franco BONACINA, Adolfo BRUNETTI,Alberto Henry BONNET,Renato BRUGNER,Henri BRUGMANS, CABELLA, Roberto CANTALUPO, Lorenzo CAPPELLI,Giuseppe CARON, Nicola CATALANO, Francesco CAVALLARO, Giacomo CENTAZZO, Jacques CHABAN-DELMAS, Basilio CIALDZA, Andrea CHITI-BATELLI, Vincenzo CIANGARETTI, SANTICOCO,P i e r o C o ~ Efisio ~ ~ , CORRIAS, Andrea CROVETM, A. C. Celstino DA COSTA,Giuseppe DAGNINO, Magda DA PASSANO, Alessandro DAVOLI,Georges DARDEL, Lazzaro Maria DE B E ~ A R D IFernand S, DEZIOUSSE, Giordano DELL'AMORE,Glauco DELLA PORTA,Italo D'ERAMO,Francesco DERIU, Ivo DI FALCO,Pierre DROUIN,Luigi EINAUDI,Martin ERNST,Alessandro FANTOLI, Virgilio FERRARI, Alberto FOLCHI,Henry FRENAY, Carl Joachim FRIEDRICH, Generale GALLOIS,Gilbert GAUER, Enzo GIACCHERO, Enrique GIRONELLA, J . P. GOUZY,Giovanni GOZZER, Jean-Francois GRAVIER, M. Maddalena G u ~ s c o ,Walter HALLSTEIN,Emile Karl HORN,Otto HERR,Larnberto JORI, Anton KAPFINGER, HAMILIUS,Guy HERAUD, Antonio LANDOLFI, Giorgio LA PIRA, Alois LUGGER, Giovanni MAGGIO,Giuseppe MARANINI,John MARCUM, Luigi MARINI,Robert MARIQUE,Gianfranco MARTINI,Gaetano MARTINO, Jean Joseph MERLOT,G. Battista METUS, Pietro MICARA,Marce1 MOLLE, P. MORIQUAND, Costantino MORTATI, Robert MossÉ, Bertrand MOTTE,Hans MUNTZKE, Pietro MUSANO,Riccardo MUSATTI,Adriano OLIVETTI,Massimo OLMI, Edmondo PAOLINI,Gabriele PANIZZI, Pietro PELLEGRINI, Amedeo PEYRON, Vittorio PERTUSIO, Andrf PHILIP, Giovanni PIERACCINI, PAPAPIO XII, Edoardo PIZZOTTI,POLITICALAND ECONOMICPLANNING,Pietro QUARONI,Sandra RAPETTI,Paul RFYNAUD,Menotti RICCIOLI,Henry RIEBEN,Arturo RIGHETTI,Domenico RODELLA, Giuseppe ROMITA, LA ROSABIANCA, Dieter ROSER,Aride ROSSI,Umberto ROSSI,Domenico SABELLA, NaSito SCIPIONE, Umberto SERAFINI, tale SANTERO, Alessandro SCHIAVI, Henri SCHWAMM, Angelo SPANIO,Altiero SPINELLI,Carlo SPINELLI,Francesco TAGLIAMONTE, Tiziano TESSITORI,André THIÉRY,Giuseppe TRAMAROLLO, Generale VALLUY,Aldo VISALBERGHI, Enrico ZECCA, Giancarlo ZOLI, Luigi ZUMERLE, e di altri. « Comuni d'Europa » è un organo di studio e di battaglia politica: ogni amministratore locale europeista dovrebbe individualmente abbonarsi ad esso. Dovrebbero abbonarsi anche i tecnici e i funzionari delle Amministrazioni locali, gli urbanisti, gli economisti, gli esperti di servizio sociale, gli ediicatori, tutti coloro che vogliono seguire dalla « b a s e » il processo di unificazione e di rinnovamento dell'Europa. Gli istituti di cultura, gli enti economici, le associazioni democratiche dovrebbero sottoscrivere abbonamenti sostenitori e benemeriti. Direzione e Redazione: Piazza di Trevi, 86 - Roma - Tel. 684.556 - 687.320. Amministrazione: Via Castelfidardo, 68 - 'Roma Indirizzo telegrafico: Comuneuropa - Roma Un numero L. 100. Abbonamento annuo ordinario L. 1.000. Abbonamento sostenitore L. 5.000 e per Enti L. 100.000. Abbonamento benemerito L. 300.000, L'abbonamento per gli Enti territoriali locali aderenti all'AICCE è conglobato nelle quote sociali. Abbonamento per amministratori locali L. 500. L'abbonamento per amministratori locali e dipendenti degli Enti territoriali locali, aderenti all'AICCE a titolo individuale, è conglobato nelle rispettive quote sociali. I versamenti debbono essere effettuati sul c/c postale n. 1/27135 intestato a: Banca Nazionale del Lavoro - Roma, Via Bissolati Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni d'Europa Piazza di Trevi. 86 - Roma n I( dicembre 1960 COMUNI D'EUROBA I ... sfondo, occorre pur dirlo, c'è il drammatico dil e m m a delle nostre coscienze d i fronte al rischio d i far saltare il mondo: difesa militare o resistenza passiva? I n complesso si t e n d e a rassicurarci che u n a guerra generale, nucleare, n o n concluderà i l conflitto ideologico-politico f r a i due blocchi. Ciò è bene, perché n o n dobbiamo addormentarci n e l terrore e servirci dell'eventuale resistenza passiva come d i u n alibi, m a dobbiamo intanto vigorosamente impegnarci a far si che i nostri ideali siano veramente i più degni e i più credibili: se la pace ( o Ea quasi-pace) durerà, la coesistenza competitiva e i m o t i v i I T A L O SVEvo, « L a coscienza di Zeno », (rodella guerra generale si risolveranno i n u n manzo - 1928). in fina. certo u ordine D finale ( p e r quanto il t e r m i n e finale può essere lecitamente - e cioè con u n La nostra rivista pubblica q u i appresso u n ampio margine d i relativila - usato nella saggio del generale francese Pierre Gallois s u slorza), determinato con ogni probaoiiità dalle L'Europa e la difesa dell'Occidente m (uscito scelte del e m o n d o terzo n, cioè dei popoli oggi nel v o l u m e l'<tEurope a u d é f i n, edito nella n o n impegnati i n nessuno dei d u e blocchi. Tutracollana T r i b u n e libre dall'editore Plon [Pa- via è bene sottolineare che la fiducia sul n o n rigi 19591 - dal quale sono stati acquistati i verificarsi indefinito dell'apocalisse nucleare n o n diritti per la traduzione italiana del saggio - ci lascia del tutto tranquzlli. I m e z z i d i distrue contenente anche scritti della Hersch, d i Frezione aumentano in m o d o tale (l'altro giorno n a y , del professor Rieben, d i Francois B o n d y la corrispondenza d i u n quotidiano m i erudiva e d i A n d r é Philip), u n o studio d i due federasul fatto che u n revolver del prossimo avvenire listi francesi, Gouzy e Moriquand (uscito n e l potrebbe essere caricato d i pallottole al caligiornale e Peuple européen .), su La Force f o r n i u m , ciascuna delle quali esploderebbe con d e frappe e il testo d i u n intervento alla violenza d i almeno dieci tonnellate d i tril'Assemblea Nazionale del vecchio Reynaud, tolo) e i l potere, talvolta addirittura anonimo, intervento che i n sede parlamentare francese è si concentra sempre d i più zn m o d o tale ( t ~ t t i sembrato u n o dei più persuasivi e apprezzati abbiamo almeno inarcato u n sopracciglio alcontro la u force d e frappe n nazionale. l'equivoco e al falso allarme dei radar delle Già quando la guerra, ancora solo convenbasi subpolari americane, ~ " m u n i c a t o c irecenzionale, era diventata totale D, si era fatto t e m e n t e ) che n o n c'è da star sicuri fidando sul stl-ingente per i politici d i conoscerne più a fondo trionfo del razionale, sulla razionale, certa comalcuni aspetti anche tecnici - il che n o n giumisurazioize tra fini e m e z z i interna a ciascun stificava i l caporalismo d i alcuni dittatori, m a blocco. Mi pare sia stato Spinelli a dire che se u n lavoro i n équipe fra militari e civili -: oggi u n u o m o della strada costruisce u n universo il destino del genere u m a n o e d e l pianeta apparentemente razionale, m a e f f e t t i v a m e n t e Terra è legato, forse i n m o d o definitivo, alla astratto, perché basato s u u n punto d i partenza pace e a u n ordine mondiale (problematico, assurdo, lo chiudiamo i n manicomio come paracome tappa i m m e d i a t a ) o a u n equilibrio il noico; se si tratta d i u n u o m o che ha responm e n o incerto possibile, clie se n o n assicuri la sabilità politiche, lo consideriamo alla stregua pace, almeno garantisca u n a coesistenza ove d i u n qualsiasi altro statisra. Nessuno i n realtà la guerra - da u n a parte e dall'altra - sia pensa o penserà in t e m p o a rinchiudere chi esclusa nelle sue f o r m e radicali quale struconsidera o considererà l'affermazione della prom e n t o per decidere del primato f r a i sistemi pria ideologia o f e d e politica i n t e r m i n i d i ideologici e i blocchi politici i n competizione. alternativa alla fine del m o n d o . Pertanto proAll'uomo politico responsabile e all'onesto stublema capitale e u r g e n t e rimane quello d i u n dioso e consigliere d i cose politiche incombe caraggioso disarmo: da cercare senza ingenuità, d i aggiornare continuamente il bagiaglio delle m a anche senza spirito manicheo, cioè rendenproprie conoscenze sui rapporti f r a guerra e dosi ben conto che le forze della pace, ossia politica internazionale. Quando nell'estate 1953 coloro clze n o n sono disposti a volere il t r i o n f o f u i per 1'International Seminar alla Harvard, violento del proprio blocco e della propria ideol'amico Henry Kissinger n o n si era ancora i m logia al d i là d i certi ccsti u m a n i , esistono al pegnato con l'équipe selezionata dal Council d i qua e al d i là della cortina d i ferro. o n Foreign Relations i n quel lavoro, che portò Ma proprio per facilitare ciò incombe u n a al suo Nuclear Weapons and Foreign Policy u intelligente ricerca preliminare dell'equilibrio (uscito nel 1957 [Harper and Brothers, N e w mondzale: i n senso militare e politico. A questo Y o r l c l ) : ci r i v e d e m m o a Londra al Congresso equilibrio n o n portano davvero u n contributo, atlantico del giugno '59 - dove Kissinger era n e l campo occidentale, i n grave handicap ( p e r relatore della Commissione militare - e senza m a n e n t e per la guerra convenzionale e contindubbio alcuni dati tecnici del problema erano gente i n relazione ai missili), le dispersive velgià modificati, i n modo da richiedere anche leità degli Stati nazionali e sovrani 11: tipica la una evoluzione immediata d i alcune tesi polifollia gollista di lanciarsi a costituire u n a force tiche. 11 1960 ci ha regalato u n panorama, red e frappe nazionale, che scatenerà le pretese trospeltivo e attuale, d i u n o scrittore militare d i altri Paesi ( v . il discorso tenuto il 27 setd i vecchia f a m a , B. H. Liddell Hart (. Deterrent t e m b r e 1960 da Adenauer al gruppo parlamenor Defence - A Fresh Look at tlze W e s t ' s tare CDU del Bundestag - m i permetto i n Military Position P [ L o n d o n , S t e v e n s and Sons materia d i richiamare i l m i o duro a m m o n i m e n t o L i m i t e d ] ) , D'altra parte anche all'uomo m e n o rivolto ai gollisti dalla tribuna dei I11 Stati geattento del m o n d o N occidentale D n o n s f u g g e nerali d e i C o m u n i d'Europa, alla Paulskirche un'evidente tormentata comparazione f r a dati d i Francoforte sul Meno, fin dall'ottobl-e 1956). militari e obiettivi politici all'interno del blocco L a force d e frappe nazionale - parliamo d i u oriei~talen. La posta i n giuoco è tale che una queste nazioni europee d i risibili dimensioni comune responsabilità investe o v u n q u e polil-isulta militarmente ineficace, anche seguendo tici, mi1itai.i e scienziati: ed anche l'uomo della la tesi della u dissuasione proporzionale (per strada è clziumato, come attore, i n causa ( c f r . cui, per es., u n a Francia può approntare u n a i l nostro articolo Sull'orlo dell'abisso i, i n minaccia d i rappresaglia nucleare modesta i n C o m u n i d'Europa n. 6 - giugno 1959). Nello confronto a quella degli U S A . ma pur sempre < Quando i gas velenosi non basteraniiu uiu, uii udmu iaLlu come lu~Li gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo. inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli chplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un aiL1.0 uomo fa.tto anche lui coriie tutti gli altri, ma degli altri un po' più nminaiato. ruberà tale esplosivo e s'ariampicherà al centro della terra. per porio nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esl~losioneenorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie.» . l'Europa dissuadente, purché proporzionata, nell'entità dei danni capace d i arrecare, al m i n o r valore strategico-politico che la conquista della Francia avrebbe rispetto a quella degli U S A - s u ciò v . soprattutto il Titolo VI11 del libro d i Dollfus, d i cui dirò più sotto -), ed economicam e n i é . ( a n c h e qui con immediati, negativi riflessi militari) rovinosa. Viceversa, finché n o n si pervenga al disarmo controllato, n o n sarebbe irragionevcle u n a force d e frappe europea occidentale, che, beninteso, richiamerebbe ancora u n a volta la necessità dell'integrazione politica sopranazionale: specie se l'autonomia n o n si intendesse, i n maniera molto più blanda d i quanto sogni il Governo d i De Gaulle per Ea Francia, come semplice decentramento europeo della decisione d i utilizzazione della force atom i q u e d e frappe occidentale, m a come creazione autonoma (problematica) d i questa force. Non disarmando gli altri, una force d e frappe europea n o n dovrebbe sembrare particolarmente provocatoria ai sovietici (anche se essi sostenessero il contrario): incauti o provocatorii e incoerenti con la bandiera della libertà e della democrazia, da noi agitata, sono piuttosto certi atteggiamenti razzisti o revanscisti della Germania d i Bonn, lo spirito colonialista d i u n a parte d e i belgi e dei francesi, il permanere - riverito - del regime fascista d i Franco, e t similia. La force d e frappe europea potrebbe contribuire a scoraggiare definitivamente la t e n tazione d i risolvere d i forza, dall'esterno, i problemi politici dell'Europa occidentale, i n u n a fase dell'evoluzione tecnologica in cui il deter- 11 C D, rent americano n o n è più scontato che sarebbe usato per bloccare u n a invasione con a r m i classiche dell'Europa, dato che l'America è essa stessa indifesa d i fronte a una contromzsura nucleare. Fondamentalmente rimane per altro clie nascano gli Stati Uniti d'Europa ( e intanto il primo nucleo federato - nucleo-chiave - composto dai sei Paesi delle C o m u n i t à ) , contribuendo a stabilire rispetto all'URSS u n migliole equilibrio politico-economico-militare classico ( o semiclassico: cioè basato s u a r m i atomiche tattiche). Quando ciò avverrà, e senza che il nucleo federato europeo pretenda d i raggiungere il peso economico e militare dell'URSS, la semplice e f i cienza d i questo territorio dell'occidente e la garanzia (anche 1'URSS n e ha diritto) che i n esso, per la vittoria democratica del federalismo, COMUNI D'EUROPA n o n prevarranno i n alcun caso le forze auventute della guerra, saranno una grande spinta i n favore d i u n più sincero avvio al disarmo. L'attuale assetto balcanico dell'Europa occidentale n o n incoraggia sul momento le buone intenzioni rivolte alla costruzione della pace. Con Tutti i Comuni che desiderano prendere l'iniziativa per affratellamenti (jumelages) con altri Comuni europei, sono invitati, per evidenti ragioni di coordinamento delle numerose iniziative in corso e per documentazione, a tenersi in collegamento con la Segreteria deii7AICCE, Piazza di Trevi 86 - Roma. ai confini una Europa senza pii1 fede nell'espansione dei propri ideali politici, velleitaria m a sostanzialmente inerme, deve sembrare assurdo, se non scioccamente arrogante, ai sovietici il modo occidentale d i condurre le trattative per il disarmo: noi andiamo proponendo dispositivi che, senza sforzi esemplari da parte nostra, senza dimostrazione di iiiia qualche (i resistenza nella solidarietà d i cui sia capace il campo democratico n, ci tolga insieme l'incubo (aleatorio) della guerra generale nucleare e quello ( p i ù concreto) della superiorità espansiva del sistema politico comunista e delle armate ad armamento classico ( o semiclassico) dell'URSS. Troppo facile! Viceversa 200 milioni d i sovietici, preoccupati di n o n perdere la leadership del mondo comunista di fronte a 650 milioni di cinesi e n o n certo indotti a contare sulle forze polacche. o ungheresi i n caso d i conflitto di risoluzione n c n instantai~ea, n o n avrebbero la più piccola tentazione di conclzidere d i forza - con dispendio d i energie e rischi - il conflitto ideologico n e i riguardi di una Europa (sia pure I< piccola 11, visto che 51 milioni di inglesi, 7 milioni e mezzo di svedesi, 5 milioni di svizzeri, 30 milioni di spagnoli, ecc., disertano per ora la lotta per u n federalismo democratico) politicamente i n fase d i entusiasmo - l'unità offrirebbe u n ragionevole s mito I ) , specie ai giovani -, economicamente i n buona salute, militarmente (anche solo sul terreno classico) al massimo nel rendimento possibile. Il mondo terzo u (che è disponibile) - per n o n parlare degli alleati periferici delllOcciden.te - sostiene d'altra parte tranquillamente, in fatto di potenziale umano, il confronto con la C i n a . Niente quindi, se non per i reazionari i n pantofole o per i paranoici i n veste di statisti (che si trovano, naturalmente, anche e largamente al d i qua della cortina di ferro), niente autorizza ad affermare a priori che, alla distanza, la difesa del campo della u libertà D sia da afidarsi solo a u n precario, indefinito equilibrio del terrore (in mancanza di u n Governo mondiale poliziotto, a cui siamo pronti ad ubbidire solo a patto che v i abbiano la maggioranza gli interessi e i pregiudizi costituiti e le Nazioni tradizionali). S e al di sotto di un provvisorio equilibrio nella capacità di frapper atomicamente equilibrio di cui la force de frappe europea potrebbe essere u n elemento costitutivo, mentre le forces d e frappe nazionali e velleitarie costituiscono un turbamento gravissimo di t u t t i gli equilibri -, noi procureremo entro il blocco occidentale e nel mondo terzo una a f f e r m a zione corposa del federalismo democratico, integrale ( d i qziesta affermazione la Federazione europea dovrebbe essere il prototipo), porremo le premesse per oneste trattati.ue, su scala m o n diale, a favore del disarmo. Allora la coesistenza competitiva n o n sarà più u n a tregua, i n attesa di colpi di mano m e n o spaventosi della guerra guerreggiata m a , dal punto di vista dell'autonomia democratica, altrettanto irregolari: il blocco comunista dovrà e f e t t i v a mente piegarsi a non voler accelerare i tempi dell'evoluzione storica - a parte ogni lecita influenza culturale - e ad accettare (se è là che si deve per,uenire) una via europea, africana, indiana del socialismo; mentre gli ii occideqztaii doi.?rilzno riacquistare tutto il loro senso storico e ammettere che molte sono le strade per arri.uare alle libertà ci,uili e politiche. L'Occidente ne ha percorse faticosamente, n o n di rado contradditoriamente, alcune: Paesi di (1 )) )) diversa storia può darsi n e debbano percorrere altre. I 1 che non vuol dire cadere nell'agnosticismo sulla libertà, poiché ci sono strade, ovunque, che con certezza n o n conducono alla libertà: vuol dire semplicemente che gli occidentali, e per primi gli europei, quando si intrighino delle cose d i casa d'altri, dovranno ormai per sempre abbandonare i l facile schematismo dei cattedratici soddisfatti e lavorare almeno con la stessa serietà con cui lavorano - ed è onesto darne loro atto - i migliori fra i comunisti. Lo studio di Gozizy e Moriquand - per tornare ai passi di seguito riprodotti - potrà essere utilmente integrato con la lettura d i u n volztmetto recente (deposito legale: 4" quadrimestre 1960), edito dal Julliard (Paris, 30 et 34 Rue de l'llniversité) sotto gli auspici del Comité d'études pour la République (presieduto da Christian Pineau): La force de frappe ,I di Daxiiel Dollfus. E' una requisitoria di estremo vigore contro la force de frappe autonoma francese, e v i si fanno anche alcune responsabili annotazioni sul problema del disarmo. Infine, mentre vergavo queste righe intro(C dicembre 1960 duttive ai testi di Gallois, d i Gouzy e Moriquand,. e di Reynaud, m i è pervenuto il volume del generale \'alluy S e défendre? - contre qui? wour quoi? et comment? (edito, sempre nella collana Tribune libre ., dal Plon [Parigi, 19601), che l'autore ha avuto la cortesia di i n v i a m i appena uscito. Come è noto, il generale V a l l u y è stato dal 1956 al maggio scorso - quando ha lasciato il servizio attivo - Comandante i n capo delle Forze alleate CentroEuropa a Fontainebleau; ed è u n avversario della force de frappe autonoma francese. Di questo libro ci piace segnalare il passo intitolato, con aperto intento polemico,([ " Europe " ... ma patrie! D. In u n dialogo immaginario fra due Militari e un Diplomatico, u n o dei Militari, ad u n ispirato auspicio del suo collega, esclama: 11 T o n Europe n'existera jamais! n. E il primo Militare replica: Tant que t u la proneras d u bozit des levres et qu'en m e m e t e m p s t u la nieras e n l'empechant de croztre. Tant que t u e n feras u n moyen, et n o n u n but ... Mais je sais qu'elle est présente azi coeur et à la pensée des Européens U. S. . 11 D. L'Earopa e la difesa dell'occidente di Pierre Gallois L'Europa occidentale, testa di ponte i n Eurasia del vecchio ordine liberale, è ancora difendibile militarmente? La geografia, specialmente stando a Mercator, è severa con lei. L'immensa massa del vecchio Continente la respinge verso l'Oceano. U n a ad una vengono tagliate l e radici che essa affondava nelle Heartslands B d'Asia e d'Africa e presto bisognerà che essa diventi cosciente di essere, sulla carta, nient'altro che uno stretto promontorio, una delle punte della irregolare losanga che l'Eurasia descrive. I n meno d i dieci anni essa è stata amputata di circa d u e milioni di chilometri quadrati e di oltre cento milioni d i abitanti. Stati baltici, C Polonia. Germania Orientale, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria. Albania sono stati assorbiti dall'URSS, l e cui forze sono ora solamente a qualche migliaio di chilometri dall'Atlantico. Quest'Europa forma una specie di triangolo del quale il vertice sarebbe Capo S . Vincenzo i n Portogallo e la cui base sarebbe concava, perché v a dalla Norvegia alla Turchia, inarcandosi per passare per la punta occidentale del quadrilatero di Boemia. Dal Portogallo al Capo Nord, lungo l'Atlantico, e dal Portogallo alla Turchia lungo il Mediterraneo, i lati del triangolo europeo misurano quasi 4.000 chilometri. Entro questi limiti geometrici la storia ha composto u n mosaico di nazioni, con interessi spesso contrari. Essi hanno u n concetto di organizzazione sociale e politica che n o n rende i loro popoli propensi al sacrificio, e ancor m e n o al sacrificio collettivo giacché l'individualismo è il contrassegno della loro civiltà. Essi sottoscrivono l e parole di Lincoln: I n questo tempo, i n questo paese, l'opinione pubblica è tutto. A lei nulla può opporsi, contro di lei nulla riesce 3 . Nessuno osa contestare il valore morale e pratico d i questa affermazione. Tuttavia, diventa sempre più difficile conformarvisi (1). Prima dell'èra industriale, quando i problemi erano semplici - e la democrazia n o n esistev a (2) - l'espressione del sentimento popolare avrebbe potuto guidare spesso con efficacia i governi. Oggi i popoli vivono i n una realtà complessa. L'esperienza dimostra che l'opinione pubblica è sempre più i n ritardo sull'evoluzione tecnica della auale n o n sempre riesce a cogliere l'influenza sulla vita sociale e politica. I governi, pur disponendo di strumenti amministrativi e di esperti, hanno già l e loro grosse difficoltà a operare una sintesi delle mille diverse discipline che costituiscono la trama della vita organizzata. Si cerca dunque più col senso popolare nel campo emozionale che n o n nel reale, ottenendo così un'adesione con eccessiva e pericolosa semplificazione. Gli uomini di Stato dell'occidente possono scegliere tra l'interpretazione dell'opinione pubblica e il parere circostanziato degli specialisti ( 3 ) . T r a i d u e la frattura è tanto più grande quanto più la realtà è ardua a cogliersi. I1 giuoco democratico n o n n e è facilitato. E' sorprendente constatare l e divergenze che esistono, a volte, tra la posizione dei governi, informati dalle loro a m m i nistrazioni, e l'atteggiamento dell'opposizione che cerca di esprimere il sentimento popolare. Frequente è il caso dell'uomo di Stato che una volta al potere pratica una politica contraria a quella che difendeva quando era a capo dell'opposizione. Qui l'opinione pubblica pesa moltissimo, e spesso i n modo inconseguente, sulle decisioni dei governi. Non è così all'est della cortina di ferro. Ovverossia là il leader è libero di condurre la C (1) Occorre subito mettere in g u a d i a il lettore: questa non è che la prima premessa di tutta una serie di considerazioni che Gallois f a per significare che nei regimi democratici tradizionali soprattutto nei settori militari il peso dell'opinione pubblica è avvertibile più come forza di ritardo che come spinta. I1 che è - a nostro avviso ancora una garanzia, mentre per l'Autore del saggio - dal suo punto di vista di tecnico specializzato militare - è. per lo meno, un incoriveniente. (N.d.T.). (2) Andiamo piano a dire che la democrazia non esisteva e che i problemi erano semplici: semplici, forse, erano i problemi tattici militari perché - per molti secoli le «scoperte belliche » erano rimaste ferme. I democratici Stati Uniti d'America hanno affrontato una guerra - tutt'altro che semplice! prima drll'avvento dell'era industriale. ( N . d . l ' . ) . il vero - una terza scelta che ( 3 ) Avrebbero - a dire Gallois - ci sembra - ignora: informare rapidamente, chiaramente, costantemente l'opinione pubblica. Invece i vecchi apparecchi amministrativi mancano alla loro funzione in tal senso. Anche l'Europa. di cui tanto discorre Gallois, non ha prima di tutto voce in sé stessa. Solo così si sana la frattura t r a opinione emozionale (pih spesso moralmente giusta) e parere degli specialisti (pih spesso tecnicamente esatta). ( N . d . T . ) . - dicembre 1960 COMUNI D'EUROPA azione sovversiva, secondo l'attuale terminologia. Inoltre, a quell'epoca. gli Stati Uniti avevano il monopolio dell'arma nucleare, ed il loro intervento, soprattutto economico, non comportava alcun rischio. Ognuno, all'ovest, aderiva alla dottrina a Truman D e lo statu quo fu alla fine mantenuto nei Balcani. I1 colpo di stato di Praga (22 febbraio 1948) affrettò l'attuazione di un embrionale sistema difensivo. Nel marzo Belgio, Francia, Paesi Bassi e - anche - Lussemburgo, firmavano con la Gran Bretagna il Trattato di Bruxelles, alleanza difensiva che puntualizzava e rafforzava il Trattato concluso a Dunkerque tra Francia e Gran Bretagna, = per evitare il rit o n o di un'aggressione tedesca n. Quando gli esperti dei cinque paesi membri della nuova alleanza si riunirono a Londra, nell'aprile 1948, constatarono che la somma di forze insignificanti non avrebbe portato ad altro che all'attuazione di uno stmmento militare altrettanto insignificante. In confronto alle duecento divisioni di cui disponeva il blocco nemico, i paesi dell'accordo di Bruxelles non riuscivano a mettere insieme nemmeno il decimo dei mezzi opposti! Così 1'11 giugno 1948, la risoluzione di Vandenbei-g veniva accolta dal Senato americano e con essa si sanciva l'entrata di principio degli Stati Uniti nella alleanza. I negoziati si conclusero il 4 april e 1949. I1 Trattato del Nord Atlantico stipula (art. 5) che u n attacco armato contro una o più di una delle Parti contraenti dell'Europa o dell'America del Nord, sarebbe consideiato come attacco diretto contro tutte le Parti ... e che per conseguenza ciascuna di esse darà aiuto alla o alle Parti attaccate ... su una giusta valutazione del rischio corso per Così si attuava un sistema di difesa colletvincere una certa posta. L'esperienza dimostra tivo. L'Europa n e era l'oggetto e l'America che quasi sempre quando si tratta di prove di forniva l'essenziale. Tutti i paesi firmatari aveforza l'Est la spunta sull'ovest, mentre le opivano da questa formula più vantaggi che rischi nioni pubbliche occidentali non sanno - e non ed inconvenienti. I1 giro d'orizzonte compiuto sanno per difetto di informazioni facilmente a Londra dagli esperti del Trattato di Bruxelles, comprensibili - valutare convenientemente aveva permesso di misurare l'ampiezza del che rischio sarebbe tener duro. Dopo dodici vuoto esistente in Europa, mentre il blocco di anni il governo sovietico obbliga l'occidente Berlino sottolineava a un tempo l'aggressività a giuocare a un giuoco fatto per gli iniziati, sovietica e le capacità tecniche d e l l ' h e r i c a . del quale l e sottigliezze sfuggono alle masse. In confronto a l pericolo, il rischio era dunDal momento che esse non contano che da una que minimo e associarsi fra Stati europei parte, l'altra ne esce avvantaggiata. Siccome faceva scattare il formidabile meccanismo degli il rischio di guerre locali - e a maggior aiuti americani. Dal canto loro gli Stati Uniti ragione di guerra generale - è nullo, il sistema non avevano altra scelta. All'aiuto economico del ricatto alla paura della guerra il più delle del Piano Marshall occorreva aggiungere la volte riesce, poiché l e opinioni pubbliche delgaranzia militare americana. Per gli Stati Uniti l'Europa collaborano alla riuscita del sistema, anche il rischio era accettabile, visto che essi senza rendersi conto che, così facendo, avviciavevano in quel momento il solo arsenale nunano il momento in cui sarà la stessa Europa cleare esistente, di efficacia impressionante in ad essere la posta di u n ricatto del genere. confronto alle masse armate convenzionalmente. Per chi sa aspettare essa non è un santuario Esattamente all'indomani della firma del Tratinviolabile. tato, i Paesi membri dell'alleanza di Bruxelles Dobbiamo studiare le condizioni del mantechiesero aiuto militare e finanziario al governo nimento dello statu quo in Europa occidentale, americano. E, quindici mesi più tardi, i primi appunto tenendo conto di questo atteggismento. convogli di materiale d'armamento lasciavano D'altra parte, questa Europa è ricca. Qui i porti americani diretti in Europa. l'individuo fruisce di vantaggi che quasi due Durante tutto questo periodo gli Stati Magmiliardi di esseri umani possono invidiargli. giori elaborarono piani. Piani tutti basati sulSenza dubbio la sola giustificazione morale alla l'impiego di armi convenzionali. Da noi non si conservazione d i questi privilegi è che dividerli disponeva di alcuna documentazione sugli efcon altri non modificherebbe sensibilmente le fetti dell'esplosivo nucleare che restava l'arma condizioni delle masse ancora depresse. E, in dello = Strategic Air Command = americano. più, i paesi sottosviluppati si sviluppano - con Per cui, lo scopo di quei piani, sia che si o senza l'aiuto occidentale, che bisognerebbe trattasse di piani di armamento o di eventuali distribuire largamente - e verrà il giorno in piani di operazione, era di far pagare così cui si potrà forse aprire la chiusa senza che la cara un'aggressione diretta all'Europa occidendifferenza di livello provochi dei risucchi imtale, da eccedere il vantaggio che l'aggressore pressionanti. avrebbe potuto trarre dal suo intervento. S e l'avversario non avesse avuto la stessa visione e se, malgrado la previsione di una solida La conquista - ideologica, se non sempre resistenza, fosse passato oltre, accettando di territoriale - dell'Europa, è stata iniziata in pagare con forti perdite l'occupazione delquesta visione generale. l'Europa, allora le forze europee avrebbero dovuto condurre una guerra ritardatrice, per consentire alle unità terrestri americane di intervenire. Certo contemporaneamente si conLA PAURA DEI PIU' FORTI tava su un'azione dello = Strategic Air Command D sulle stesse sorgenti del potere politico, demografico e industriale del nemico. Dopo il disarmo totale degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, nel marzo del 1947. la Nulla di nuovo, dunque, in questo schema; questione della Grecia dette l'allarme. La posta l e due ultime guerre pesavano abbondantemente era minore, non tanto perché si trattava della sulla elaborazione della nuova strategia e tutto Grecia, ma perché la lotta non era aperta, avveniva come se Hiroshirna non ci fosse mai perché aveva preso la forma di guerriglia O di stata. Non era necessario per dissuadere il potenziale aggressore dal venire alle armi, di equi( 4 ) I1 lettore non si lasci infarinare dalle parole: « liLeio » sta qui per « padrone » di condurre la sua azione,... librare uomo per uomo, carro armato per carro ecc. Ma attenzione! libero dall'obbligo del consenso armato, aereo per aereo la sua enorme potenza poi~olare,forse, ma quanto legab all'apparnto?! (N.d.T.). sua azione (4). oppure, se gli occorre un certo appoggio popolare, lo ottiene grazie alla macchina propagandistica della quale dispone. Infatti, il sentimento pubblico interviene poco, ed il notabile non può esprimere che un parere conforme, e, all'interno del partito, le controversie si regolano generalmente con la forza. Questo è u n elemento che riteniamo decisivo. Da Hiroshima in poi, in realtà, il mantenimento dello statu quo tra i due mondi, è basato militare. In u n combattimento difensivo, con la speranza di pronti rinforzi e, in più, con l'intervento di forze aeree atomiche, allora considerate come forze di appoggio, si riteneva di attuare un'organizzazione àifensiva sufficiente con u n centinaio di grandi unità terrestri, appoggiate da una corrispondente aviazione. I1 bilancio dei mezzi europei mostrò che si era lontani dal conto fatto. Ma si pensò in modo generico che l'America avrebbe dato l'appoggio, in materia di credito, di armi e anche di effettivi. I piani di riarmamento nei loro imperativi finanziari non differiscono affatto dai piani industriali. Essi si basano sugli investimenti e sulle prime offerte assai più importanti dei corrispondenti = regimi di mantenimento D. Essi comportano spese iniziali assai più elevate delle spese successivamente necessarie per mantenere e modernizzare la forza così attuata. Sarebbe stato assai saggio fissare il contributo francese al nuovo sistema di difesa collettiva, a una forza, il mantenimento della quale - in regime di marcia >, - fosse stato alla portata delle possibilità finanziarie del paese. Quanto invece alle spese supplementari dovute alla messa in opera di questa forza e al decollo della fabbricazione dell'armamento corrispondente, sarebbero state assicurate dall'aiuto economico, tecnico e militare fornito dagli Stati Uniti. Così si sarebbe creato via via uno strumento militare del quale il paese avrebbe potuto in seguito finanziare soltanto la spesa di mantenimento annuale senza anemizzare la sua economia e senza spendere permanentemente l'aiuto esterno, vale a dire l'aiuto fornitogli dal governo di Washington. Ma a quell'epoca, ognuno nutriva le più grandi ambizioni. I1 blocco di Berlino e la guerra di Corea dimostravano il permanere della minaccia. C'era pericolo e non era il momento di lesinare. LISBONA, O LE AMBIZIONI DELUSE Ogni Stato-membro, o meglio ogni Stato Maggiore di ogni Paese membro del Trattato, tendeva a promettere u n contributo militare comparativamente più grande di quello del vicino. All'interno d i ogni paese, che tendeva a mettere avanti le sue possibilità e l'importanza del suo compito in caso di conflitto, ogni arma cercava di aumentare i suoi effettivi e l'armamento. Quando capitava loro di preoccuparsene, le contingenze finanziarie sembravano di importanza secondaria ai militari che pensavano a l Creso americano. Si sapeva che riuscendo a economizzare soltanto il 10% sul suo bilancio di difesa, Washington avrebbe potuto raddoppiare i bilanci militari di tutti i suoi alleati europei. Ma non conoscendo il programma di assistenza americana, né nel suo insieme, n é nella sua durata, né nei suoi limiti annuali, vi si addebitavano possibilità infinite. 6 COMUNI D'EUROPA lioni di dollari mentre i trasferimenti da un tipo di aiuto a un altro permettevano al governo americano di sussidiare, tra l'altro, con 300 milioni supplementari la Gran Bretagna e con 250 la Francia. Anche se incomplete, queste cifre danno la misura di un programma di assistenza che nel suo insieme doveva rappresentare, alla fine dell'anno 1955. una somma vicina ai 20.000 miliardi di franchi avendo la sola Francia ricevuto circa 1.000 miliardi di franchi in materiali ceduti o acquistati in off shore direttamente alle sue fabbriche. A dispetto dell'ampiezza del programma, come pure degli sforzi dei paesi europei, la seduta del Consiglio Atlantico del dicembre 1932 fu preparata nell'inquietudine. Senza un aiuto considerevolmente accresciuto, gli obiettivi militari - anche se assai meno ambiziosi di quanto lo fossero due anni prima non avrebbero potuto essere raggiunti. dicembre 1960 questa illusione. I1 sistema della semplice somma. delle forze nazionali non era alla portata della prova sia nella preparazione che nella concezione e nell'esecuzione della manovra. La strategia dei mezzi era stata sminuzzata sul disegno del mosaico dei vari territori alleati. In Francia. sebbene lo sforzo finanziario - a partire dal 1936, è vero, e due anni dopo i1 terzo Reich - fosse stato s3stanziale, gli armamenti necessari non furono r i u n i t i in tempo. Quindici anni più tardi, questa volta per prevenire la guerra e non per farla, le nazioni d'Europa si trovavano i n una situazione analoga. L'INFELICE SOMMA DELLE FORZE Nel maggio 1953, il generale Ridgway Che cosa stava succedendo? Bisogna riconoscriveva al Gruppo scere che, non essendo la botte senza fondo, Permanente, ossia l'Europa non si sente di autorizzare un rendialla più alta automento elevato di crediti per un armamento investiti presso di lei. L'alleanza non ha fatto rità militare della scomparire in lei né l e frontiere né i partiNATO: 1, ... Mi trocolarismi. L'aiuto americano non fu = integrato. vo di fronte ad ma concesso separatamente a ciascun paese. una tale disparità Ogni volta che per aumentare il reddito di tra le nostre forze questo credito, gli esperti americani cercavano disponibili e queldi specializzare l e industrie nazionali e di le che i capi sovieevitare i doppi impieghi, i paesi, cosi minactici potrebbero OPciati di non poter più darsi un completo trofeo porci che non mi d'armi, protestavano in nome della loro sovraritengo autorizzato nità nazionale. Finalmente, dopo numerosi nea formulare altra goziati, Washington fu obbligato a finanziare, qui da noi, un materiale analogo a quello che c o n c l u s i o n e che stava per essere finanziato dall'altra parte della questa: un attacco frontiera. Si produsse in piccole serie. ciascun sovietico di grande per sé e a forti prezzi. S e il rendimento ampiezza, in un finanziario era mediocre, l'efficacia realizzatrice tempo p r o s s i m o , sarà ancora più debole. I1 comandante supremo troverebbe le forze delle forze alleate in Europa, la cui missione alleate in Europa in sarebbe stata di comandare le forze nazionali, stato di critica deposte a i suoi ordini in caso di crisi, disponeva bolezza riscetto al - e dispone a tutt'oggi - di una forza abbastanza disparata in fatto di armamento. Ci f u loro compito D. Ottimo come generale, Ridgway era un cattivo politico perché potesse ricordare un momento in cui doveva fare i conti con una trentina di modelli diversi di aerei. quando a i governi le loro responsabilità e l'insufficienza PONTE DI CESARE tre o quattro sarebbero stati sufficienti. La dei loro sforzi nei settori del credito, del mateSUL-RENO - standardizzazione non era ottenuta che in quella riale e degli uomini. Nel luglio 1953 gli succe- parte che riguardava il materiale ceduto dagli - dette il generale Gruenther e presto fu messo A Stati Uniti. Così qualche anno fa più del 50% allo studio un nuovo criterio militare. Bisognava degli aerei da combattimento in servizio nelle sfuggire al dilemma ormai classico: o si rispetta forze aeree degli Stati membri della NATO l'economia, e in tal modo non si dispone che erano stati consegnati dall'America ed erano di forze veramente insufficienti al confronto di uno stesso modello, mentre il resto apparteneva ad una ventina di diversi tipi. Si imdei mezzi militari aumentati ininterrottamente magina facilmente la complessità dei problemi dall'URSS, o si aumentano effettivi ed armadi vettovagliamento posti da questa eterogementi, minacciando così i sistemi economici neità. dei paesi da difendere. Sebbene, anche se i prodotti degli arsenali I1 solo modo di imporre il non-ricorso alla americani, oltre alle loro intrinseche qualità, prova di forza era disporre di armi a elevato non costavano nulla alle finanze europee, non potere distruttivo pur utilizzando le unità che erano sempre adatti alle condizioni geografiche, europee (grazie a degli ordini off shore), susil mondo libero riusciva a mettere i n funzione strategiche e tecniche del teatro sul quale sidi diretti di credito che venivano ad accresenza dilapidare la sua economia. avrebbero potuto essere utilizzati. Una macscere i bilanci nazionali delle difese, il financhina a trazione anteriore si adatta meglio di Moltiplicando per 10.000, 50.000, forse anche ziamento di studi e ricerche nel campo delle una Cadillac alle strade del bosco normanno. per parecchi milioni, la potenza distruttiva tecniche d'armamento, l'assistenza militare e Allo stesso modo gli aerei ricevcti dall'America unitaria di un proiettile, si riduce evidentetecnica, l'ammissione di personale alleato nelle esigevano delle pist,? troppo lunghe, costose a mente i n enorme proporzione il numero dei scuole americane; e, in più, aiuto economico costruirsi, difficili a collocarsi in una campagna proiettili necessari per ottenere la quantità sotto forma di dotazioni distribuite dalla a Ecodensamente popolata dove sarebbero, per di distruttiva voluta. Come pure se si accresce e la cui nomic Cooperation Administration più, più vulnerabili. L'utilizzazione del mateconsiderevo1:nente così facendo il prezzo delcontropartita poteva essere assegnata all'espanriale americano portò naturalmente all'adozione sione della produzione d'armamento. l'esplosivo si riduce però notevolmente il nudi quelle organizzazioni delle unità che norI1 Secondo rapporto a l Congresso sul promalmente l e usano. Esse avevano conservato mero dei veicoli 3 necessari a trasportarlo e gramma di reciproca sicurezza precisa che una struttura legata al criterio del corpo di a metterlo in azione D. Palese è poi l'econodal 1949 al giugno 1952 gli Stati Uniti avevano spedizione che si imponeva nel 1944, al momia x per quel che riguarda uomini e matedato ai loro alleati europei materiale per il mento della riconquista dell'Europa occidenriale. Si sarebbe dovuto raggruppare parecchie valore all'incirca di due miliardi di dollari e tale. L'insieme era troppo pesante e troppo centinaia di bombardieri a bombe ordinarie avevano ordinato, i n off shore, per 621 milioni costoso per l'equilibrio di una difesa che poteva per praticare la devastazione che un solo appadi dollari, armi fabbricate da industrie europee. durare degli anni. Breve: L'Europa non esirecchio atomico inflisse a Hiroshima e poi a Durante il solo esercizio 1951-52 erano stati steva, visto che il problema da risolvere non Nagasaki. consacrati due miliardi di dollari a l pagamento era più alla portata di un raggruppamento di di merci importate dai paesi europei per accrenazioni soltanto contrapposte. Non lo è più I1 fattore s veicolo portatore D, che si tratti scere il loro sforzo di produzione militare. ormai da un pezzo. Poiché. dal 1914 a l 1918, di aerei, di carri armati o di unità di fanteria Durante lo stesso periodo, la contrapartita della Francia era riuscita a spuntarla con l'aiuto o di artiglieria, non è la sola variante. Infatti l'aiuto economico che era stato loro fornito, dal momento che entra in giuoco l'esplosivo di un appoggio esterno importante, ma molto rappresentava una spesa di 85 milioni di dolnucleare, ogni cosa cambia. Non si tratta di inferiore a l suo proprio sforzo, ella credeva lari, mentre gli Stati Uniti finanziavano con preparare la dilezione di una guerra, bisogna nel 1939 che tutto doveva essere 25 anni più circa 300 milioni di dollari una larga parte adottare una nuova concezione militare assudell'infrastruttura aerea europea. Erano stati tardi come se sussistessero ancora, riunite, tutte negoziati prestiti che raggiungevano i 165 mimendo lo scopo di rendere impossibile la guerra. l e condizioni del passato. S i è pagata cara F u cosi che, da questa parte dell'oceeno, il criterio finanziario f u aggirato. Qualunque sia l'ampiezza del piano, l'America lo sosterrà. Ci si basò prima di tutto sul fattore demografico (gli effettivi) e sul potenziale tecnico e industriale (produzione di armamento) per fissare i livelli dei futuri contributi nazionali. In Francia, si cominciò col progettare la messa in atto di un numero di divisioni delle quali poi neppure un quarto fu messo a disposizione della NATO. Certamente, una volta riempite di cifre promettenti le colonne dei rispettivi Stati, bisognava valutare le spese corrispondenti. Furono allora gli economisti a lanciare grida altissime. Le loro proteste furono tanto più veementi in quanto la guerra di Corea aveva suscitato un rialzo generale dei urezzi e, in Europa, la bilancia dei conti dava delle gravi inquetudini. Ma si pensò ancora che l'America avrebbe fornito un complemento che, via via che passavano i mesi e che gli esperti militari lavoravano, avrebbe finito per diventare l'essenziale, in quanto a credito e a materiale, se non a personale impiegato. L'equivoco cominciò ad essere dissipato dal a Comitato temporaneo D del Consiglio che era stato riunito per tentare di proporzionare gli sforzi militari dei paesi dell'Europa alla rendita nazionale di ciascuno, determinando l'ordine di grandezza e le forme dell'aiuto americano accordato a tutti. La Conferenza di Lisbona, nel febbraio 1952, diradò le nuvole. Militari e finanzieri delle due rive dell'Atlantico si trovarono faccia a faccia. I piani militari furono riesaminati alla luce delle limitazioni economiche, il futuro contributo tedesco fu invocato a titolo di compenso e anche per evidenti ragioni strategiche. e furono adottati obiettivi più realistici dallo stesso Consiglio per la fine dell'anno 1952, mentre venivano formulate ambizioni più proporzionate per gli anni 1953 e 1954. Allo stesso tempo, l'aiuto americano all'Europa permetteva. progressivamente, di raddoppiare il numero delle divisioni terrestri esistenti al momento della costituzione dello Stato Maqgiore inter-alleato del generale Eisenhower, e di quintuplicare le forze aeree. Questo aiuto, sotto il titolo generale di a Programma di reciproca sicurezza B , prese diverse forme: aiuto militare, con cessioni massicce di materiale di armamento, acquisti di materiale alle industrie - d . ., COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 E, per quel che riguarda l'Ovest, il solo modo d i arrivare a tal punto. tenuto conto del rapporto di forze, è disporre di uno strumento di rappresaqlia tale che nessuna Potenza potrebbe accettare di sopportarne gli effetti. L'insieme dell'Europa occidentale, a partire dalla fine del 1954, fu posto, molto più categoricamente di prima, sotto questa terribile ma indispensabile protezione. Gli araldi dell'alleanza affermavano, proclamando la nuova strategia da tutti i microfoni, che, qualora una qualsiasi parte di territorio della NATO fosse stata minacciata, e sotto qualunque forma si manifestasse tale minaccia, si sarebbe risposto con l'utilizzazione dell'arsenale nucleare dellfOccidente. Fu necessario attendere il 1957 perché si giungesse a preoccuparsi di questa-nuova concezione della difesa in certi ambienti politici. Quando, nel novembre 1957, i rappresentanti dei Parlamenti dei quindici Stati membri dell'organizzazione atlantica si riunirono a Parigi, le de1e:azioni di alcune Nazioni del Continente protestarono contro la concezione strategica della NATO. S i accusò l'organizzazione atlantica di = aver accettato una eccessiva limitazione delle forze convenzionali. - cioè non atomiche - e d i contare troppo sulle forze d i rappresaglia nucleare n. Vedremo in che cosa tale critica era giustificata. Tuttavia, poiché veniva d?i parlamentari degli Stati membri della KATO, essa era per lo meno stupefacente. Chi infatti, se non quegli stessi parlamentari, avevano votato, nelle loro asscmblee. i bilanci militari? E quali erano stati i parlamentari che non avevano chiesto a gran voce che si profittasse il più possibile delle risorse tecniche del momcnto, economizzando in tal modo effettivi e crediti? Chi protestava sempre contro la durata del servizio militare domandandone regolarmente la riduzione? Non si può, contemporaneaniente, imporre della economia di effettivi e di armamenti convenzionali e, in più, protestare contro una strategia supplementare, imposta a l comando interalleato d a quelle stesse limitazioni. In un secondo tempo la critica fu diretta contro la carenza della NATO in rapporto alla minaccia sovietica a l Medio Oriente. Si dimenticava così ugualmente che, se gli artt. 5 e 6 del Trattato sono molto espliciti quanto alla zona coperta dall'organizzazione atlantica, a l contrario, l'art. 4 non è abbastanza chiaro da rendere possibile la mobilitazione dei membri dell'alleanza contro le iniziative sovietiche nel Medio Oriente. E soprattutto si dimenticava che, quando si trattava di qualche disgraziato incidente clpitato loro fuori d'Europa, le Nazioni europee interessate si crano sempre levate contro l'intromissione di un terzo nei loro affari. Cosi l'Algeria, sebbene indicata esplicitamente nell'art. G del Trattato non è mai stata e a pieno titolo territorio della NATO. Fino al 1954. poiché la Francia non lo voleva; più tardi, poiché la Francia era ormai la sola a volerlo. Sappiamo che in Europa, o più generalmente nel mondo occidentale, tali contraddizioni sono frequenti. Stando così le cose, le critiche di certi parlamentari dei paesi della NATO, riuniti a Parigi in assemblea, non erano inutili: protestare perché le forze convenzionali impiegate sul suolo del continente sono numericamente insufficienti, e uniformarsi ai desideri del comando inter-alleato. Dopo Lisbona e dopo aver constatato le limitazioni finanziarie della maggior parte dei paesi europei, lo SHAPE era stato obbligato a ricorrere alla minaccia di rappresaglie nucleari agitando lo spauracchio delle armi d i larga distruzione. Tuttavia esso non ignorava il ruolo essenziale delle forze convenzionali. Spetta ad esse infatti il compito di scoraggiare i conflitti di portata minore dei quali l'Europa delllOvest poteva essere il teatro e dei quali la gravità non era tale d a ricorrere alle riserve nucleari. L e forze convenzionali, proprio loro, possono, in quanto esistono, f a r salire il valore della posta P. e porre un eventuale conflitto, che l'avversario vorrebbe delimitare territorialmente, in una tale prospettiva d a rendere possibile l'utilizzazione d i armi nucleari. Insomma, l'impiego permanente di una linea difensiva a i piedi della Cortina d i ferro deve porre 1'URSS di fronte a questo dilemma: o raccogliere, per averla vinta, importanti mezzi e giungere a un conflitto rilevante, e, in tal caso, rischiare di far scattare l'impiego di armi nucleari, con tutte le incalcolabili conseguenze di un simile passo falso, oppure, accettare di limitare l'ampiezza del conliitto ed in t a l , caso non c'è possibilità di spuntarla, e per conseguenza lo stesso ricorso alla forza è un non senso in quanto resterà privo di conseguenze. Nell'un caso si è dissuasi dalla minaccia di rappresaglie che superano di gran lunga le distruzioni che un popolo può accettare di subire; nell'altro, si tratta di una nota inutile perché non produce nulla per chi la scatena. Va da sé che più le forze convenzionali alleate sono importanti, meno è possibile di attaccarle con speranza di successo senza ri- rità del disarmo delle forze convenzionali sulla distruzione delle riserve atomiche. Ma, il nuovo stato di fatto che risulta dall'esistenza, nei due campi, di armi a largo potere distruttivo, mantiene un tale carattere esoterico, che, per ignoranza, l'Ovest rovina, d a se stesso, le basi della sua esistenza. Ci si ricorda del passato e si ragiona per analogie c3n le prove di forza del passato. Sebbene, si dovrebbe sapere che, viste certe precauzioni prese da tempo da una parte e dall'altra, lo scambio classico di attacchi è oggi un non senso. P e r una potenza che oggi soffre di malattia espansionistica si tratta soltanto di proporzionare, sapendo che esiste una riserva militare potentissima, la posta e il rischio per guadagnarsi il premio senza che il rischio, divenuto eccessivo, lo conduca all'irrimediabile. Dopo circa dieci anni i paesi dell'Europa dell'Ovest vivono alla mercè di questa formula d i equilibrio. Da dieci anni almeno, 10 statu q110 è stato mantenuto in Europa con la combinazione dei due mezzi militari seguenti: 1) La minaccia d i una pronta risposta nucleare fulminante esercitata dazli aerei dello e Strategic Air Command B americano, da quelli del Bomber Command e, dal 1954, in generale dalle forze aereo-nucleari anglosassoni stabilite in Europa e nella periferia. Questa forma di dissuasione dell'aggressione ha un valore indipendente dall'accrescimento delle possibilità offensive contrarie. La logica dell'epoca aereo-nucleare è quella per la quale l'aggressore è obbligato ad avere la priorità sulle forze di rappresaglia della sua vittima. Non potrebbe, infatti, incassare i loro colpi neppure se aucste forze fossero numericamente ridotte. L'URSS ha d a anni la piena facoltà tecnica di distruggere le forze agglomerate dei paesi dell'alleanza occidentale. Ma siccome qucsta aggressione scatenerebbe analoghe rappresaglie, l'operazione sarebbe un non-senso. P e r contro, se si potessero annientare gli strumenti di questa rappresaglia prima che si siano scatenati, allora l'assalitore potrebbe non subire punizione e, militarmente, la sua iniziativa offensiva sarebbe fruttuosa ed egli sarebbe il padrone assoluto della situazione. I1 ruolo della difesa occidentale è appunto quello di rendere impossibile il successo d i questa forma d i attacco. p 4 schiare di rendere legittimo il ricorso alle armi d i massiccia distruzione. Non è facile fissare il miglior livello di queste forze. Fino a quel momento erano state decisive più le cgnsiderazioni finanziarie che non quelle strategiche. Lo SHAPE, parlando di trenta divisioni impiegate permanentemente .nella Germania dell'ovest, chiede quelle forze delle quali conta poter disporre. Oggi, se l'evoluzione della situazione europea ponesse sessanta divisioni - per esempio trenta dall'un lato e dall'altro - in posizione di combattimento o i negoziati di pace arriverebbero in tempo, o la parte attaccante avrebbe coscienza che la lotta potrebbe prendere una piega tanto grave da f a r sì che la parte in difesa ponesse anche la riserva nucleare sulla bilancia. Avverandosi il rischio, anche le trattative sarebbero evidentemente fuori di luogo. E' possibile che domani, con l'aiuto della paura, occorrerebbe un impiego assai più numeroso di uomini perché alla parte attaccata apparisse legittimo il ricorso alle armi d i lar$a distruzione. Se la parte attaccata non potesse pagare il conto e se il potenziale aggressore avesse coscienza degli scrupoli e dei timori del suo avversario, non esiterebbe a trarne i suoi vantaggi. O la sua vittima avrà perduto la partita senza neppure giuocarla e malgrado l e sue riserve nucleari cederà all'ultimatum, oppure rifiutando d i usare i soli mezzi efficaci dei quali dispone, accetterà di combattere con forze classiche, perdendo un combattimento impari. Più vibrata è la campaena contro l'armamento nucleare, maggiori è la paura atomica, meno apparrebbe possibile moralmente - e fisicamente - sbandierare le moderne riserve per imporre il non-ricorso alla forza. e più bisognerebbe tendere verso un equilibrio impossibile in materia di forze convenzionali. F a parte del giuoco sovietico la spinta alla soppressione di queste armi o, quanto meno. la tattica di legare la loro utilizzazione, nella concezione popolare, all'idea d i un cataclisma che non si potrebbe i n nessun modo pensare di scatenare. Infine, bisogna convincere il mondo che va1 meglio la schiavitù che non la v morte atomica P. Quando si parla di disarmo. ci si riferisce soprattutto a l disarmo atomico. In effetti la geografia e la demografia comparate dei due blocchi contrapposti dovrebbero portare l'occidente a considerare l'assoluta prio- 2) I1 secondo mezzo militare che assicura la protezione dell'Europa è l'impiego quanto più possibile all'Est di forze convenzionali delle quali abbiamo già visto lo scopo. Esse devono fare la parte d i vetrina s che lo svaligiatore deve infrangere per poi impadronirsi dei gioielli. Naturalmente più spesso è il vetro più il colpo è rumoroso e meno facile è l opcrazione, perché rischia di attirare la polizia. Allo stesso modo, più solida sarà la forza convenzionale .di arresto impiezata vicino alla Cortina di ferro, più ssra rischioso attaccarla poiché l'operazione accuisterebbe immediatamente carattere di guerra generalizzata e l'assalitore dovrebbe temere l'intervciitg, a questo punto, di armi nucleari. Torniunici a cuesti due strumenti com:lerr.cntari della difesa dell'Europa contro l'aggressione: difesa per mezzo dell'atomo, difesa per mezzo dell'uomo. DIFESA PER MEZZO DELL'ATOMO Affinché la minaccia di pronta risposta nucleare conservi una certa efficacia, bisogna che vi siano un certo numero di condizioni tecniche e politiche. Occorre che queste forze d i rappresaglia non possano essere distrutte da un brusco attacco prima di essere utilizzate. Lo studio del problema dimostra che questo brusco attacco, per essere possibile e fruttuoso, dovrebbe riuscire a distruggere simultaneamente tutte le basi di partenza dei bombardieri alleati. Essendo queste basi distribuite su tutto l'emisfero nord e, in più. essendo coperte da una rete d i radar, non possono in nessun modo essere attaccate e distrutte simultaneamente. La futura sostituzione di ordigni balistici (o razzi) ai bombardieri di oggi non modificherà affatto le condizioni d i questa strategia, poiché il compito dell'a~gress3i-e rimarrà pressocché impossibile se il difensore si sarà organizzato e armato in conseguenza. Bkogna, anche, che questa forza di rappresaglia sia tale da raggiungere i centri vitali dicembre 1960 COMUNI D'EUROPA avversari. I1 potere di traversare l e linee difensive dipende evidentemente dallo stato d'avanzamentc tecnico da una parte e dall'altra della Cortina di ferro: quello offensivo all'ovest e quello difensivo all'Est. Occorre soprattutto che il potenziale aggressore sia persuaso che se partisse all'assalto del mondo libero, rischierebbe l'irrimediabile. Occorre che, nel pensiero dei suoi leaders e degli Stati Maggiori che li consigliano, l'automaticità della pronta risposta non lasci dubbi. Solamente a questa condizione egli rinuncerà, di fronte a l rischio che corre, ad una prova di forza generalizzata. A questo punto, entra in ballo un tipico problema dell'Europa continentale. Durante i primi anni della NATO, l'America era la sola a possedere l'arma nucleare ed il rischio che poteva correre per garantire l'Europa dell'ovest non era grandissimo. Da due o t r e anni a questa parte l e cose non stanno più allo stesso modo. Un giorno ci si potrebbe porre il problema di sapere fino a dove arrivi questa garanzia. Via via che dalla parte sovietica si sviluppano l e a m i a grande potere distruttivo e che il territorio americano, intero, si trova alla mercè degli aerei e degli ordigni russi, l'opinione pubblica americana potrà gravare sul governo invitandolo a misurare nel giuoco dei ricatti i disastri nucleari che non tarderebbero a verificarsi a causa dei territori oggi garantiti dalla NATO. L'abbiamo visto, l'anno scorso, per la Turchia. Dulles non ha esitato ha riaffemare la determinazione americana di mantenere i suoi impegni precedenti, ed il Cremlino non ha insistito. E' chiaro tuttavia che, in questo giuoco di usura della grandezza d'animo occidentale, il mondo libero finirà per perdere. Tanto più che l'opinione pubblica non può facilmente cogliere il nuovo ordine di cose nel quale il mondo è immerso e, a l contrario di quel che accade nell'Est, questa opinione pubblica pesa, alllOvest, sulle decisioni dei governi. Ecco che il partito liberale britannico, per pura demagogia e per aver la meglio nel cuore degli elettori inglesi, si pronunzia a favore dell'abbandono da parte della Gran Bretagna della politica militare basata sulla bomba a H e sul suo = potere di dissuasione X . Ieri, negli Stati Uniti, patria dell'atomo, ci si ribellava contro il solo mezzo che una civiltà tecnicamente evoluta possiede per equilibrare l e masse dell'Eurasia. Qulache settimana prima, il partito laburista e l e s Trade Unions B inglesi si accordavano per chiedere la smobilitazione delle pattuglie di bombardieri H = sul suolo britannico, la rinuncia all'installazione di basi di lancio di missili, all'abbandono delle esplosioni nucleari sperimentali e a l raggiungimento di un accordo generale sul disarmo. Ovunque in Europa, e soprattutto nelle illuminate democrazie D del Nord, si levarono proteste contro l'installazione di rampe di lancio a portata intermedia X ; l e opinioni pubbliche occidentali, sconvolte dall'avanzamento tecnico che esse attribuiscono alllURSS, e aiutate dalla paura, reclamano negoziati, non importa a che prezzo. Sono state pubblicate delle opere che lasciano capire che all'epoca dei razzi, non soltanto tutta l'Europa è alla mercè dell'URSS ma che l'intero globo potrebbe essere in ogni sua parte distrutto senza possibilità di difesa. Gli autori di auesta letteratura tacciono volutamente su dati elementari della tecnica e della strategia. Dimenticano infatti che, s e l'aggressore non ha distrutto i mezzi di rappresaglia della parte opposta, subirà egli stesso la stessa sorte della sua vittima, e anche che la distruzione simultanea di questi mezzi di rappresaglia pone, all'epoca dei razzi, problemi praticamente insolubili. I1 Cremlino, in seguito alla sua dichiarazione dell'agosto 1957 sul lancio di un ordigno balistico sperimentale a lunga portata, suscitò all'Ovest nuove vocazioni pacifiste. Tanto più che gli = sputnik n fornivano, proprio allora, la prova del progresso sovietico i n materia di razzi. I1 pacifismo a tutti i costi ottiene tanto maggiore seguito in quanto la paura si fa più manifesta. Ognuno, all'ovest. parla di soluzioni capaci di ridurre la tensione tra i due blocchi * come se questa tensione, in epoca aereonucleare, avesse lo stesso significato che all'epoca del TNT. Abbiamo perfino sentito dire, dopo Kennan, l'Air-Marshal, John Slessor. doC C . mandare la smobilitazione, precisando che l e venti divisioni occidentali non potrebbero certo prevenire lo scoppio di conflitti localizzati in poiché esse non potrebbero difenEuropa, dersi contro forze t r e volte più potenti D. Tutti questi argomenti non resistono ad un serio esame del problema posto dalla difesa dell'Europa in epoca temo-nucleare. Tuttavia, poiché sono argomenti presentati da esperti C seguenza. P e r contro, dall'una parte e dall'altra della Cortina di ferro, piccoli gruppi di specializzati si dedicano alla costruzione del nuovo edificio della strana logica dell'èra aereonucleare. Poiché il sistema è logico, questi specialisti arriyano dall'una parte e dall'altra della Cortina di ferro alle stesse conclusioni. Questa idendità di vedute potrebbe rappresentare una garanzia di pace se, in Occidente, non tanto il peso delle opinioni pubbliche quanto piutintelligentsia non finisse per tosto delle annullare lo sforzo dei suoi specialisti. P e r poter affrontare l'èra temo-nucleare bisognerebbe potersi liberare degli insegnamenti della storia, perfino della storia di questi ultimi anni. E sono pochissimi quelli che lo fanno. Autori tanto eminenti come il prof. P. M. S. Backett, sommano volentieri i due sistemi, quello dell'esplosivo molecolare e qilello dell'esplosivo nucleare, per ammettere che, a parte l'enorme potere di distruzione raggiunto da un'unità di fuoco oggi disponibile, tutto è come prima La superiorità del blocco orientale consiste nel fatto che i suoi leaders sono liberi di sfruttare come vogliono l e conclusioni dei loro esperti. La stessa struttura politica delle democrazie occidentali impone invece l'adesione popolare. A loro volta questa presuppone la comprensione di ogni fenomeno scientifico, militare e politico, oggi assai complesso e, i n più, a l ritmo crescente del progresso tecnico. L a storia di questi ultimi vent'anni dimostra quale potere frenante siano l e opinioni pubbliche occidentali, sempre i n ritardo sulle questioni scientifiche, tecniche e forse anche politiche. Quando ci si mette a comporre il bilancio delle occasione perdute, si può concludere che il sistema politico a l quale sono giustamente legate l e democrazie occidentali, non è alla portata degli avvenimenti se non quando essi sono comprensibili facilmente per tutti, ossia, spessissimo, troppo tardi, oppure soltanto per dei problemi minori. Se abbiamo insistito tanto a lungo su questa rilevanza delle opinioni pubbliche e sulle conseguenze di una facile demagogia, lo abbiamo fatto perché essa sembra determinante nel mantenimento dello statu quo politico e territoriale nelllEuropa dell'ovest. Questo statu quo è assicurato dall'impegno americano di intervenire con mezzi nucleari se uno qualsiasi dei territori della NATO fosse direttamente minacciato. Più l'Europa è divisa sulle condizioni della sua difesa, più essa ricusa di dividere i pretesi rischi dell'éra temo-nucleare, più essa frena la politica di resistenza all'espansionismo sovietico, e più essa spingerà il popolo americano a c c disimpegnarsi n, apparendogli alla fine il rischio corso per coprire l e spalle a un'Europa del genere, un rischio sproporzionato in confronto ai benefici di un tale impegno Se questa garanzia nucleare non esistesse più, questa Europa si troverebbe con l e sue trenta divisioni, di fronte a forze dieci volte più numerose. Evidentemente rinuncerebbe alla lotta, ma non avrebbe nessuna probabilità di conservare la sua indipendenza. <( eminenti o da alte personalità scientifiche e politiche, tuttavia non responsabili, e poiché essi corrispondono a quella che l e opinioni pubbliche credono essere la realtà, la loro importanza è assai grande, e, poco alla volta, l'Ovest f a decadere, da se stesso, la sua situazione di difesa che era praticamente inespugnabile. Queste prese di posizione, queste inquietudini, queste chiacchiere di una generazione superata da quella che essa stessa ha creato, pongono il vero problema del momento. Già ieri, la supremazia dell'èra industriale non si adattava alle discussioni accademiche. Oggi ancora quelle che sono incapaci di sbrogliare i fili dell'imbroglio nucleare sono le élite intellettuali, sono i notabili D. Ed il notabile prende posizioni oggi, nello stesso modo come poteva fare ieri, su argomenti troppo complessi perché egli possa coglierne l'intera portata. Così sugli esperimenti nucleari, il prof. Schweitzer, Bertrand Russell, ottengono l'adesione delle masse senza pertanto avere, in questo settore, la stessa competenza di uno specialista in materia (5). Preso nel suo insieme, dallo sprovveduto all'uomo di scienza, l'intero mondo non ha affatto colto la natura degli sconvolgimenti militari, e per conseguenza politici, che la fissione, e quindi la fusione dell'atomo, portano di conC (5) Qui il dissidio con chi scrive è totale: Schweitzer e Russell hanno l'adesione popolare per dei principi che appartengono, come direbbe il nostro vecchio professore di filosofia - e con ragione -, alla «coscienza comune). Essi non hanno, è vero, nessuna competenza specializzata e nosi rifiutiamo l'idea stessa delle competenze specializr lizzate intese negativamente, cioè come distaccate, indifferenti a una vasta umana cultura tessuta dai principi comuni che la normale conoscenza degli uomini contiene ed esprime. Dieci o un folle - perfettamente informati ci potrebbero trascinare chissà dove, con tutte le carte in regola sulla loro specializzazione. Così - ci immaginiamo possa dire Gallois - anche il filosofo ci può condurre -- per un non-fare - alla rovina. E questo è l'altro punto del discorso. In mezzo sta, tuitavia, questa che noi crediamo verità: il filosofo del consenso comune può comprendere la logica - quando c'è - dello specialista, cluesta non mai la logica del filosofo ( o della massa ronsenziente) finché permane specializzato. Sarebbe ora che uomini come Gallois si accorgessero dell'organica unità del discorso umano e smettessero di dividere tecnica da politica, filosofia da scienza ecc. Quella che non è altro che multiformità dell'agire umano per diverse discipline, non deve essere più tormentosa divisione negntiva dello spirito umano. (N.d.T.). . .. LA DIFESA PER MEZZO DELL'UOMO La migliore garanzia per l'indipendenza di un popolo è senza dubbio la sua qualifica di intrattabile n. Ancora nell'epoca termonucleare, il precedente napoleonico i n Spagna conserva tutto il suo valore. Resta da sapere se i pregi corrispondenti si ritroveranno ancora i n nazioni ricche ed evolute, che dispongono di tecniche di persuasione una volta sconosciute e agli ordini di un governo pronto ad ogni rigidezza e ad ogni abile concessione, una volta che esse siano poste di fronte ad un formidabile organismo militare e politico. Dobbiamo credere che la risposta a questo interrogativo sia negativa dal momento che non si è raggiunta questa soluzione in Europa e che dovunque degli eserciti regolari costituiscono per lo meno una prima linea di resistenza. Nel quadro della NATO, si è cercato di ottenere la dissuasione dalle aggressioni minori, dai conflitti localizzati che abbiano per obiettivo una sola parte del tutto atlantico, con l'impiego di forze armate convenzionali. La formula presuppone l'adesione ad un sistema di difesa collettiva. Soltanto che, nessun popolo dell'Europa occidentale avrebbe potuto pagare per il rispetto della sua frontiera un prezzo sufficiente. Da un punto di vista stretta1 COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 mente razionale la difesa collettiva e il sistema classico delle alleanze dovrebbe ancora essere valido nel domini3 della dissuasione dal conflitto minore. D11 momento che le armi nucleari possono entrare nel giuoco, è concepibile che una potenza che n e disponga trovi esagerato brandirle a favore di un alleato che n e sia sprovvisto. Poiché a questo punto sarebbe la stessa sua vita che la Potenza garante metterebbe in giuoco. P e r delle poste limitate, è più facile correre il rischio. A condizione tuttavia che l e due parti opposte riconoscano che la posta della loro disputa non meriti che si ricorra mai alle armi di distruzione massiccia. Ma, più potente sarà il sistema d i difesa collettiva a base di uomini e d i armamenti convenzionali, e più sarà difficile e pericoloso per l'avversario eventuale, d i iniziare un combattimento che potrebbe anche, per la sua portata, rapidamente trasformarsi da i, tradizionale n a C,atomico I1 pericolo dei piani di neutralizzazione della zona d i contatto dei due blocchi europei è che essi portino a ridurre l e forze alleate convenzionali in proporzione non paragonabile con la corrispondente amputazione d i forze sovietiche e soprattutto che portino come conseguenza il ritiro di una parte o della totalità delle truppe anglosassoni il cui compito non è soltanto quello di respingere l'invasore ai fianchi degli alleati complementari, ma anche di servire da ostaggi n che garantiscano l'automaticità dell'intervento americano e, conseguentemente, il funzionamento a tutto profitto dell'Europa dellfOvest della tattica dello scoraggiamento dell'aggressione >, . )I 31. 8 CC (8 v * ?: Un armamento nucleare europeo potrebbe rappresentare una soluzione del problema dell'equilibrio di forze tra Eurasia e Europa dell'Ovest. S e l'Europa fosse compiuta e se disponesse d i un proprio stock nucelare e dei mezzi per servirsene, potrebbe non essere necessaria la garanzia aereo-nucleare degli Stati Uniti. I1 disimpegno del quale si comincia a parlare anche negli Stati Uniti, diventerebbe cosa possibile, senza che si condizioni il passaggio dell'Europa dell1Ovest al partito opposto. Dal momento che esistono armi di grande potere distruttivo, la stessa nozione d i alleanza ha ureso un significato diverso da quello che aveva $1 11 spondenti a questa politica sono infatti gli avvenimenti dei mesi scorsi in Medio ed in Estremo Oriente. Essi hanno messo a dura prova sia gli alleati occidentali, gli uni contro gli altri, sia l'opinione pubblica della potenza garante, ossia degli Stati Uniti (morire per Quemoy?). E se domani, dovesse risultare inefficace la garanzia che il Nuovo Mondo offre all'Antico, potrebbe essere una soluzione complementare il fatto di riarmare con armi nucleare l'insieme dei Paesi dell'Europa occidentale? Detto in altre parole, i paesi dell'Europa occidentale presi nel loro insieme accetterebbero di correre collettivamente, a vantaggio di uno tra loro più direttamente minacciato, quel rischio che gli Stati Uniti accettano oggi di correre coprendo le spalle alllEuropa con la loro forza aero-nucleare? In un solo caso la risposta potrebbe essere positiva: se l'Europa smettesse di essere ~ i n a semplice costruzioiie tecnico-economica, per diventare 211% tutto politico. una Patria. E allora, bisognerà arrivare alla decentralizzazione nucleare totale, allo stock atomico nazionale? Questo stock, preparato in comune, con l'aiuto delle risorse d i ciascuno, potrà in un secondo tempo essere suddiviso? E se l e cose stessero in questo modo, non si arriverebbe piuttosto - sia pure solo nel campo della difesa - alla giustapposizione di Stati neutrali, in quanto capaci di assicurare la loro neutralità? O piuttosto, allora, bisogna dare a uno Stato-guida europeo la funzione d i (1 cane da guardia nucleare n, garantendo esso gli alleati europei da un ultimatum, dal ricatto dell'annientamento o dal colpo di forza, come gli Stati Uniti hanno lasciato capire che garantirebbero l'Europa dell'Ovest nel quadro della NATO? Questo Stato-guida desideroso di giuocare queste carte, come prova della sua potenza, sarà infine libero di mantenere i suoi impegni? L'opinione pubblica di questo Stato, secondo l e circostanze del momento e la forma presa dalla minaccia, non tenderà piuttosto a considerarla, per quanto grande per l'alleato che si trovi in difficoltà. minore per il paese garante (6)? Non era questo l'atteggiamento della parte attiva dell'opinione pubblica degli alleati europei degli Stati Uniti, avantieri, di fronte a l conflitto d i Corea, ieri d i fronte a quello di Formosa? Come e perché la Potenza garante della salvezza delllEuropa potrebbe essere domani più chiaroveggente di quel che oggi siano gli alleati europei dell'America? Non si tratta di morire per Quemoy n , si osserva qui criticando l'atteggiamento di Washington in Estrema Oriente. Ed è facile criticare con tanta leggerezza una politica che, secondo gli avversari di Dulles, non ha senso se non per gli abitanti di Quemoy, mentre in realtà la posta è d i tutt'altra importanza. Eppure potrebbe venire il giorno in cui avrebbe la stessa risonanza alle orecchie del cittadino di oltreatlantico morire per l'Europa n. Ecco perché l'(<impegno americano per il vecchio Continente ha tanta importanza. E' significativo che Kennan e Rapacki si siano quasi trovati d'accordo sull'inopportunità del permanere di forze atomiche anglosassoni sul suolo tedesco. Ed è di capitale importanza la dichiarazione d i un diplomatico americano che in sostanza non ha più valore la minaccia d i rappresaglie massiccie, in quanto sanzione diplomatica e che tale minaccia non può essere il fondamento d i un sistema d i alleanze. Continua Kennan: non si possono utilizzare queste rappresaglie - e d i conseguenza la stessa minaccia di ricorrere a queste rappresaglie - per s x c o r rere un alleato minacciato. Tale affermazione porterà al ritiro dall'Europa delle forze americane, all'abbandono della garanzia degli Stati Uniti e alla smobilitazione della NATO. Può darsi che Kennan abbia ragione. In tal caso potrebbe essere ancora possibile s x t i t u i r e al deterrent americano un K deterrent D europeo, il quale assolva la funzione che i primi non possono assicurare perché. secondo il pensiero di Kennan, non si può usarla a profitto d i un alleato ) I . Ma il diplomatico aggiunge che, quando, in un prossimo futuro, le a i m i tattiche nucleari e atomiche saranno a disposizione degli alleati atlantici sul suolo del continente europeo, pericolo e tensione non faranno che creCC )) )) j) (C in passato. Può resistere a un ricatto nucleare? Un potente alleato manterrà i suoi impegni tanto a lungo se uno dei suoi associati è direttamente minacciato e se si rende conto che l'avversario è pronto a correre quei rischi che egli stesso non si sente di correre? P e r quella parte contendente che si trova in posizione di espansione. si tratta piuttosto d i procedere per tappe e di moltiplicare le testimonianze operative, per riuscire a scandagliare la volontà del suo principale avversario. Corri- scere. Cosa resta dunque all'Europa per equilibrare la formidabile potenza sovietica? Le sue trenta divisioni eterogenee e, in effetti. poste sotto comandi disparati, visto che i tentativi di integrazione sono stati bloccati sul nascere con il rigetto della CED. La minaccia sovietica, è esatto dirlo, è di natura soprattutto politica, economica, psicologica. Tuttavia essa non è stata confinata in questo ruolo triplice proprio perché, fino ad oggi. esisteva, o sembrava che esistesse, la garanzia americana, ciò che è poi lo stesso ai fini del formidabile rischio che si ( 6 ) La storia dello stato-guida è vecchia quanto il mondo e, a parte il gusto di citare l'esempio, ha avuto e continua ad avere espressioni così negative che dovrebbero bastare a farcene rimanere lontano. (N.d.T.). sarebbe corso speculando sulla passività degli Stati Uniti di fronte ad un attacco frontale diretto contro l'Europa dell'Ovest. Kennan non si sbaglia quando pretende che la situazione oggi sia molto diversa da quella che era a l momento della firma del patto e del monopolio atomico americano. Tuttavia la sua logica è che bisognerebbe sostituire ad una forza di scoraggiamento dell'aggressione in Europa, mobilitabile potenzialmente a questo fine, una forza suscettibile d i essere mobilitata più stabilmente, cioè una forza specificamente europea. Quindi si delineano tre tappe. In un primo tempo, che corrisponde all'incirca ai periodi 1959 e 1960, il sistema attuale h a ancora possibilità di efficacia poiché, alla peggio, l'atteggiamento di Washington potrebbe essere soltanto ambiguo, e, trovandosi l'URSS in una situazione d i assoluta incertezza sulle reali intenzioni degli Stati Uniti, non potrebbe correre il rischio esagerato di speculare sul non-intervento delle forze di oltreatlantico. Certamente f a parte del giuoco avversario procedere per sondaggi e vedere a che punto arriva il limite tra accessibile e proibito. Se la Turchia, internamente, non fosse abbastanza forte, essa costituirebbe un buon terreno di assaggio. Sarebbe interessante seguire la reazione delle opinioni pubbliche dei paesi dell'Ovest Europeo, d i fronte ad una minaccia diretta contro questo paese. Dal momento che sovietico la tattica dello cc sbocconcellamento in Medio Oriente è stata coronata da successo, sapranno esse sostenere pna politica d i fermezza o rovineranno da sé stesse la base sulla quale si fonda la loro sicurezza dando la colpa alla posizione avanzata del territorio turco e all'isolamento geografico del paese? In 1~11 secondo tempo, sembra necessario elevare al massimo il valore della posta europea; con uno spiegamento di forze convenzionali e atomiche importanti, queste ultime agli ordini diretti dei governi delllEuropa dell'ovest. In questo caso il vetro della vetrina europea sarebbe abbastanza spesso da rendere esitante chi la dovesse infrangere, sia perché si imporrebbe una rilevante apparecchiatura militare, sia perché la gravità della questione, permettendo l'entrata in funzione del deterrent )I strategico americano, ricondurrebbe il problema alle condizioni d i ieri e d i oggi, benché, naturalmente, i due aspetti di una aggressione del genere invitino alla circospezione e alla rinuncia. Sembra che, nel caso particolare della difesa dell'Europa dell'ovest, gli stessi Stati Uniti avrebbero interesse a giungere alla a decentralizzazione D dell'armamento nucleare. Sarebbero allora alleggerite l e enormi responsabilità dei governi di Washington poiché sarebbe minima la probabilità d i un ricorso a l deterrent americano e, in ogni modo, non sarebbe impugnato che per una considerevole posta. 8, )I 1) La terza fase dovrebbe corrispondere all'integrazione europea e a l ritiro delle forze anglosassoni dal suolo dell'Europa continentale. Le corrispondenti misure di difesa avrebbero significato soltanto se la prima di queste condizioni fosse attuata nei fatti e la seconda fosse stata imposta dalle necessità politiche degli Stati Uniti. COMUNI D'EUROPA 1O P - P e r quel che riguarda l'integrazione europea, questo è il nostro pensiero: perché una minaccia diretta contro uno dei popoli dell'Europa dell'ovest sia considerata come una minaccia diretta contro tutti, bisogna essere arrivati a legami sufficientemente stretti tra i popoli europei. I1 rischio che bisognerebbe correre in una situazione del genere non ha possibilità di confronto con quello che i membri d i un'alleanza accettavano di porre al tempo del TNT. I1 ritiro delle forze-ostaggio americane impiegate in Europa potrebbe i n ogni modo essere visto soltanto a condizione di quanto precedentemente detto. Così, contrariamente a un pensiero assai diffuso e durevole secondo il quale non è possibile un disarmo controllato, l e armi nucleari debbono essere accompagnate in Europa da forze convenzionali, abbastanza importanti, da essere complementari, queste o quelle, nella tattica d i C dissuasione dell'aggressione. Quant0 più l e opinioni pubbliche mondiali diventano coscienti dell'onnipotenza dell'atomo, tanto più appare chiaro che il suo compito sarà limitato a impedire una minaccia diretta contro la stessa vita della nazione che possiede un armamento nucleare. Certi esperti ritengono che scendendo progressivamente nella gamma delle potenze unitarie di distruzione, si riuscirà praticamente a sopprimere le forze convenzionali. In questo caso potendo l e forze armate con effettivi ridotti mantenere un potere considerevole, n e basteranno meno per sostituire l e numerose divisioni di una volta. La nuova organizzaziune delle forze terrestri americane tiene appunto conto di questa evoluzione nella nuova tecnica degli armamenti. Tutto avviene come se non ci fosse più soluzione di continuità tra il proiettile molecolare più potente - diciamo la bomba di dodici torinellate dell'ultima guerra - e il proiettile nucleare meno potente, per esempio l'obus o il razzo d i uno o due chilo-tonn. se pure esiste. Questa miniaturizzazione i della potenza e degli effetti dell'arma nucleare porta a progettare la sua introduzione nei combattimenti di minore portata. E poiché da una parte e dall'altra questo accadrà e, in caso d i disfatta d i uno dei belligeranti, gli sarà sempre lecito rimontare nella gamma delle potenze per ristabilire la sua posizione, si rischierà di arrivare all'impiego di grosse potenze e a una forma di conflitto inaccettabile per l'una e l'altra parte contrapposta. E' verosimile che i negoziati intervengano in tempo prima che si arrivi a scambiarsi colpi massicci. Certi autori ritengono che la prospettiva ha un certo interesse perché eliminerebbe completamente il ricorso alla forza. I n effetti l'esperienza dimostra che alcune forme di prove di forza non permettono politicamente e militarmente di far uso di tutte l e risorse delle riserve convenzionali. S i sarebbe forse potuto compiere l'operazione di Suez servendosi di grosse bombe a l TNT che la RAF lanciava su Moen? Tecnicamente, la difesa dei nazionalisti nel mare della Cina trarrebbe vantaggio dalla neutralizzazione delle batterie comuniste per mezzo d i qualche proiettile atomico di piccola portata. Ma 1'. accerchiamento D -- politico non facilita l'impiego dell'atomo in Asia dove, la distruzione di Hiroshima e di Nagasaki è stata svuotata d i significato militare per diventare il simbolo della posizione dell'uomo bianco di fronte all'uomo d i colore. In più, l'inconveniente dell'armamento atomico minimizzato consiste nel fatto che esso è irreversibile negli effetti. Forse diminuite numericamente per tener conto dell'enorme accrescimento di potenza di fuoco che ne risulta, sarebbero quasi inutili se si dovesse arrivare a l punto di non poter ricorrere all'esplosivo atomico. Stando così le cose, come si può cercare di garantire la sicurezza dell'Europa mentre si equipaggia e si trasforma formidabilmente 1'Eurasia? A quanto sembra l e economie delle nazioni dell'Europa non si adattano a uno sforzo maggiore in materia di forze convenzionali. Esse non difettano n é di uomini, n é di tecniche, ma non possono finanziarne la preparazione a vantaggio della loro difesa. I1 successo della comunità d'armamento prevista dal Trattato della CED avrebbe reso più lievi i loro carichi. Dal 1954 in poi niente o quasi niente è stato fatto in questo campo. Doppi impieghi, studi e ricerche zondotti simultaneamente di qua e di l à delle frontiere, non hanno servito a ridurre il peso finanziario degli Stati del mosaico europeo. Pertanto, quasi 150 milioni d i uomini, che vivono in una delle zone più ricche del mondo. dovrebbero poter riunire i mezzi della loro difesa soprattutto oggi che le sforzo Comune americano ed europeo ha consentito di creare l'infrastruttura di questa difesa. Con l'equivalente d i più d i 5.000 miliardi di franchi è fisicamente possibile creare una forza capace, non certo d i condurre una guerra offensiva, ma di f a r pagare abbastaza caro ogni attacco a lei diretto. La somma dedicata dai paesi euro~ e della i NATO alla loro difesa non raggiunge il decimo della loro produzione nazionale grezza. L'integrazione degli studi e della produzione degli armamenti ridurrebbe considerevolmente questa voce nell'economia generale della difesa. Simili essendo strategia, livello tecnico, metodi d i produzione, dall'una parte e dall'altra delle frontiere europee, non si porrebbero problemi insolubili, se non nel settore politico per la utilizzazione in comune delle risorse. I principi di una simile organizzazione difensiva non sono mutati con gli anni. Arrivano sempre alla messa in azione e a l mantenimento d i una forza convenzionale costituita con i contributi di ognuno. Questa forza, siccome è destinata a O scoraggiare conflitti di portata minore. può essere integrata in un sistema collettivo. Rimane accettabile per i partecipanti il rischio da correre, visto che non differisce molto da quello che una volta si correva aderendo ad un'alleanza difensiva. Tuttavia questa forza ha anche lo scopo di porre l'aggressore davanti alla seguente alternativa: o non usa che piccoli contingenti e non riesce a spuntarla; o mobilita importanti forze e in questo caso può temere una reazione nucleare e la generalizzazione del conflitto. Dal momento che essa è strettamente difensiva, l'organizzazione militare corrispondente può utilizzare fino i n fondo le risorse del territorio da difendere. Essa può equipaggiarla con una infrastruttura alleggerendo i suoi carichi e permettendo di fissare il cammino d i un avversario superiore numericamente. Egli, essendo per definizione in posizione di attacco, deve concentrarsi per avere la meglio. In piu esso offre a i colpi della difesa obiettivi vulnerabili. Inoltre si muoverà in una zona che abitualmente non occupa e dovrà accettare di appesantirsi con vettovagliamento che non potrà trovare sul posto, su un terreno equipaggiato, come quello nel quale opera la difesa. Infine, sbarramenti artificiali (mine nucleari) o naturali possono fermare la sua avanzata fino a tanto che si sentano gli effetti dello scambio d i colpi atomici lanciati in profondità. L'analisi dimostra che l'aggressione terrestre, a queste condizioni, sarebbe difficilmente condotta. O potrebbe essere eseguita con mezzi limitati (e potrebbe essere irnprovvisa), ma avrebbe poche probabilità di riuscire; o sarebbe massiccia, ed allora sarebbe preceduta d a movimenti e contrazioni necessari ad ottenere un effetto massiccio e, non potendo essere improvvisa, permetterebbe uno sforzo parallelo dalla parte della coalizione difensiva. S e domani si aggiungesse, a l potere d i fuoco limitato degli armamenti convenzionali, l'esplo- -- dicembre 1960 --- . - sivo nucleare d i bassa potenza, sarebbero probabilmente ridotti gli effettivi necessari a fermare questo tipo di aggressione. A condizione tuttavia che l'avversario sappia che non si esiterebbe un momento a servirsi d i queste armi; il che resta da dimostrare. Dietro a questa forza convenzionale - o semiconvenzionale, se dispone di esplosivi atomici di bassa potenza e di razzi portanti a corto raggio d i azione - il sistema di difesa europeo deve essere egualmente basato su mezzi aereonucleari - propri per rendere impossibile un assalto generale. Abbiamo visto che ieri come oggi, questi mezzi sono stati e sono esclusivamente anglosassoni. Essi conservano un significato in quanto e se: a l contrario di quanto pensa Kennan, ognuno sia persuaso che l'integrità del territorio europeo non potrebbe essere posta in discussione senza che n e derivi una minaccia di fare uso di questi mezzi. Se, domani, questa certezza si dovesse trasformare in dubbio, e se più tardi, una garanzia del genere non potesse essere più data, l'Europa continentale dovrebbe sostituirsi alle Potenze che hanno garantito la sua sicurezza. Una volta anc3i-a l'iniziativa non è sproporzionata rispetto alle possibilità delle nazioni del continente. L'esempio britannico lo prova. Tuttavia non bisogna aspettare. Loassegnazione di armi nucleari ai paesi alleati o comunque garantiti sarebbe per questi ultimi una soluzione facile. Tuttavia non è senza rischi, Essa potrebbe legittimare un'assegnazione del genere dall'altra parte della Cortina di ferro se non nella stessa misura, almeno le circostanze e nel caso di operazioni particolari d i cui i conflitti localizzati del recente passato servono a darci un'idea, s i potrà obiettare che l'esplosivo atomico è forse già stato fornito alla Cina comunista. Si ric2rdi tuttavia che perché yarsenale atomico giuochi nella tattica di dissuasione all'aggressicine, non deve rimanere clandestina; a l contrario, devono essere oggetto d i una larga gli stessi criteri del suo impiego, N ~ la , soluzione risiede in uno sforzo, sarebbe inconcepibile che le nazioni che figurano fra le più industrializzate e le più avanzate in materia di ,j '1 scienza e di tecnica non potessero avere la meglio in questo campo, su quelle che sono ancora oggi sottosviluppate. Questo è il vantaggio del blocco dell'Ovest sul blocco d e l y ~ s t ,e per questo il primo potrebbe arrivare alla pluralità nucleare quando il secondo non avesse ancora tutti i mezzi. Lo stock di esplosivi atomici così formato, può rimanere debole. Ancora una volta, non si tratta d i distruggere il pianeta, di condurre una guerra di sterminio. Si tratta soltinto di essere capaci d i infliggere rovine di ampiezza tale da superare il beneficio che risulterebbe da u n assorbimento, per mezzo della f3rza, dell'Europa. Una volta evitata questa minaccia resterebbe da far fronte al pericolo, in altri settori, dei quali i più importanti non sono più di ordine militare ma politico o economico. Per lo meno potrebbe essere eliminata la prospettiva del ric3rso alla forza, dell'ultimatum e dell'intimidazione. Resterà certamente l'essenziale: avere la forza morale di vivere e di lotrare in iin mondo sempre più dificile. I governi messi di fronte alla questione nucleare, debbono affrontare difficili, immensi problemi. Prima di tutto occorrerebbe che le opinioni pubbliche occidentali si familiarizzassero con la nuova logica del momento. Dovrebbero rinunciare alle contraddizioni con l e quali si gingillano. Non è affatto razionale contemporaneamente protestare contro le spese militari che mirano a mettere in funzione unità convenzionali e domandare la messa al bando delle riserve nucleari. Non si può, al tempo .. COMUNI D'EUROPA -- dicembre 1960 m,. 7 stesso, reclamare la sicurezza a prezzo migliore e rifiutare una certa integrazione degli studi e della produzione di armamento. Non si può, insomma, adottare una politica strettamente pacifista e difensiva e rifiutare i voli permanenti dei bombardieri I< H n, unico mezzo per una forza di difesa per sfuggire alla distruzione in caso di improvvisa aggressione. Non si può domandare la garanzia americana in più quella degli altri alleati e rifiutare di installare rampe di lancio sul suolo nazionale, dividendo così la garanzia e non il rischio. Non si può alla maniera del passato e dei suoi criteri, chiedere a gran voce una difesa basata unicamente su mezzi difensivi, perché essi hanno perso quasi tutta la loro efficacia. Non si può, infine, tener testa e fare il viso dell'arme all'espansionismo sovietico senza correre rischi. O forse, il mondo occidentale non è più all'altezza dei tranelli che gli si tendono? F o ~ xatomica ~ : una chimera nazionale di J. P. Gouzy Due concezioni della difesa nucleare sono recentemente venute in contrasto in Francia. Queste due concezioni rispondono a delle Weltanschauuizgen differenti. Da una parte il generale de Gaulle e l'aristocrazia del nuovo regime desiderano = integrare B il meno possibile l e forze armate francesi nel sistema atlantico, e hanno indicato al paese, come grande obiettivo militare per gli anni futuri, la costituzione di una forza atomica d'urto francese. D'altra parte dalla destra (Antoine Pinay, Raymond Aron) alla sinistra, compresi alcuni militari come il generale Valluy, ex-comandante in capo del Centro Europa, sono state proposte le soluzioni dell'integrazione militare nella NATO e di una difesa organizzata a livello europeo e non solo nazionale. Si tratta di un dibattito fondamentale che rischia in particolare di orientare in senso sbagliato tutta la politica francese degli anni a venire, ma la cui posta, bisogna dirlo, supera oggi la percezione dell'opinione pubblica. I1 costo deil'armamento atomico I1 costo dell'armamento atomico e dell'impiego dei mezzi nucleari a fini militari è espresso da cifre e statistiche mostruose: decine di milioni di dollari, migliaia di miliardi di franchi (leggeri). Tali cifre seguono curve tanto più vertiginose in quanto l e ricerche e gli esperimenti rientrano nella preparazione delle armi nucleari con percentuali astronomiche. Quando la stampa annuncia che un antimissile statunitense Nike Hercules a carburante solido ha distrutto in volo, grazie a un sistema di telecomando, un missile Corporal durante una esercitazione, ciò significa che in alcuni secondi lo Strategie Air Command D ha polverizzato una decina di miliardi di franchi. Ora gli esperti militari stimano a circa 2.000 i missili che gli Stati Uniti hanno bruciato durante questi anni, prima di arrivare alla fabbricazione in serie degli attuali ICBM e IRBM. Quando gli Stati Uniti facevano volare. per garantire il paese da un attacco a sorpresa, i bombardieri B52 notte e giorno nel cielo del paese, il costo dell'ora di volo era di circa 4.000.000 di franchi, e questi voli sono durati degli anni. Infine, contrariamente a quanto si crede, il possesso puro e semplice della bomba atomica non ha più oggi significato militare. I1 problema è, per chiunque la possieda, di poter utilizzare parallelamente degli ordigni di trasporto e degli ordigni di aifesa superiori in velocità, raggio d'azione ed efficacia a quelli del possibile avversario, cioè di ogni altro paese che possieda la bomba. Inutile dire che questo nuovo tipo di corsa agli armamenti impone uno sforzo finanziario enorme agli Stati Uniti e alllUnione Sobietica. E l e recenti disavventure inglesi in questo campo sono venute proprio a provare che la preparazione della guerra atomica si trova ormai al livello dei continenti. A e P. Moriquand Premesse queste considerazioni generali, vediamo ora in che cosa consiste oggi una vera forza d'urto d'importanza mondiale, come sembra preconizzarla il genersle De Gaulle forza d'urto a ) Bonzbe A e H Queste bombe devono essere sufficientemente miniaturizzate da poter essere portate dai differenti vettori, aerei o missili, firiora realizzati. La bomba H costruita in gran serie assicura essa sola l'equilibrio nella paura ,> che risponde alla = legge della Secondo Francis Perrin, Alto dissuasione Commissario per l'Energia Atomica, una bomba H da 5 megaton scava un cratere di 10 kin2 e distrugge tutto in un raggio di 300 km. Le bombe H attuali hanno da 1.000 a 2.000 volte la potenza della bomba di Hiroshima e rappresentano ciascuna la potenza di distruzione di 21.000 aerei della seconda guerra mondiale, che portino ciascuno una tonnellata e mezza di bombe ordinarie. Costruita su larga scala, la bomba A dovrebbe avere il costo relativamente modesto di 2508.0008.000 di franchi, ma la messa a punto di una prima bomba, e in particolare di una bomba H, rappresenta alcune centinaia di milioni di franchi. Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica disporrebbero di circa 20.000 bombe A e H e gli esperti giudicano che 575 megatonnellate di TNT, cioè l'equivalente di 300 bombe H, sarebbero sufficienti a cancellare la Russia o gli Stati Uniti dalla carta geografica. b) Bombardieri pesanti szipersonici. I1 vettore convenzionale della bomba atomica è il bombardiere pesante, oggi supersonico. Gli Stati Uniti, che sono in testa per i bombardieri di questo tipo, dispongono oltre che del B 52. anche del B 58, 1'Hostler che vola al valore 2 del numero di Mach e che costa = p i ù caro dell'oro , (1.134 dollari al kg contro i 1.000 dollari al kg dell'oro) e del B 70 che deve volare a Mach 3 e a 21.000 metri d'altezza con possibilità indefinita di rifornimento in volo. Costruito in serie, il costo unitario di un'apparecchio supersonico da bombardamento pesante sembra oscillare oggi fra i 2,5 e i 3 miliardi di franchi. Gli Stati Uniti possiedono, secondo gli esperti, 2.000 bombardieri di questo tipo, mentre gli Inglesi dispongono di 200 unità del modello V. C) Missili. Per valutare il costo di questi ordigni balistici supersonici, capaci di portare la bomba atomica a migliaia di chilometri di distanza, bisogna dare un'occhiata all'insieme delle spese americane per il 1960: vi si constata che 7.000 miliardi di franchi sono destinati ai missili e 5.500 all'insieme delle ricerche, fra cui circa 720 per i missili. I1 costo degli ICBM, Atlas, Titan e Polaris, sarebbe il seguente: i nove gruppi di 10 apparecchi Atlas installati sulle loro basi costeranno 3.2 miliardi di dollari, cioè 1.600 miliardi di franchi, ovvero 17 miliardi e mezzo di franchi per missile installato. Gli undici gruppi, di 10 apparecchi Titan ciascuno, costerebbero 1.800 miq. liardi di franchi, ovvero 16 miliardi ciascuno. I nove sottomarini, equipaggiati con missili Polaris, costeranno 1.600 miliardi di franchi, cioè 11 miliardi ciascuno. d ) Sottomarini. I Russi e gli Americani dispongono di sottomarini atomici capaci di fare varie volte il giro del mondo senza rìfornimento, a grande profondità, e in grado di bombardare un paese da oltre 10 metri sotto il livello del mare, mediante missili nucleari di una portata da 1.600 a 2.400 km. Gli Stati Uniti possederanno, entro il 1962, più di 15 sottomarini atomici. Ora si conosce il prezzo del Georges Washington D, pubblicato dalla stampa americana: 199 milioni di dollari pari a 100 miliardi di franchi. e) Portaerei atomiche. Una forza d'urto con ambizioni strategiche mondiali deve poter disporre di portaerei atomiche, rapide basi mobili da cui far partire i bombardieri e gli ordigni atomici. Sono note alcune cifre: la Forrestal è costata 150 miliardi di franchi e 1'Enterprise 470 milioni di dollari, cioè 235 miliardi di franchi; infatti questa è più perfezionata. f) Divisioizi ad armameiito atomico. Gli americani stanno realizzando queste divisioni completamente motorizzate; l e cifre relative non siamo riusciti a trovarle, ma per la Francia è stata fatta una valutazione due anni fa, fissando il valore del solo materiale di una divisione d'armamento atomico a 300 miliardi di franchi. g) Basi per missili. Alle portaerei e ai sottomarini corrispondono a terra delle basi. I1 costo unitario della costruzione di ciascuna delle nuove basi dei missili Titan (18 rampe sotterranee di lancio e 1.200 uomini) sarebbe per gli Stati Uniti di 40 miliardi di franchi: è prevista la costruzione di 14 basi di lancio. La situazione dell'Inghilterra Gli inglesi non hanno ancora una forza d'urto veramente indipendente, benché dispongano di qualche decina o centinaia di bombe A e H. Possiedono un tipo di bombardiere supersonico (il T S R 2 munito di armi Air-Air), ma la principale conclusione che si può trarre dal libro bianco, pubblicato nel febbraio 1959 dal Ministro della Difesa inglese, è il complesso delle considerazioni tecniche e finanziarie che hanno condotto all'abbandono dei progetti di lancio dei missili a testata nucleare da parte di sottomarini. M. Jean Wetz scriveva su = Le Monde D del 12 febbraio 1959 a questo proposito: Una simile impresa rischierebbe d'esser e assolutamente rovinosa per la Gran Brctagna, essendo lo sviluppo delle armi ultramoderne assai più costoso del previsto. I n queste condizioni l e risorse disponibili saranno concentrate nella messa a punto del missile Blue Streak. che funziona su basi terrestri e la cui portata dovrebbe raggiungere i 4.500 km. D. Ora, è di questi gioini la notizia che gli inglesi abbandonano il progetto di fabbricazione del Blue Streak pur avendo speso, come lia riconosciuto il Ministro della Difesa Watkinson, 65.000.000 di sterline, cioè circa 100 miliardi di franchi in tre anni daila sua messa in cantiere, E' di conseguenza manifesto che gli inglesi hanno fatto macchina indietro, quando si sono resi conto del carattere deleterio della 1 x 0 impresa nazionale di produrre i n serie missili balistici nucleari. . L a potenza militare sovietica La potenza militare sovietica non è ben nota, poiché i russi non lasciano circolare cifre che permettano di fare un bilancio d'insieme. Ciò nonostante si ritiene che lo sforzo militare russo sia di molto superiore alle cifre ufficiali di 15.000 miliardi di franchi annunciate per il 1960, poiché l e spese a fini militari sono distribuite nell'insieme del bilancio. D'altra parte, non solo l'Occidente risulta più deb3le sul piano convenzionale rispetto all'esercit:, sovietico (6 milioni di uomini nei paesi comunisti, 175 divisioni di cui 65 meccanizzate in Russia), ma ha anche perduto la sua precedente supremazia in materia di bombe A e H e si trova nettamente superato sul piano dei missili balistici. La superiorità occidentale in materis di vettori non esiste ormai più che nella categoria dei bombardieri pesanti supersonici ame- COMUNI D'EUROPA 12 ricani che costituiscono l'elemento essenziale della nostra forza di dissuasione. La forza aerea sovietica si fonda sulla espansione del programma missilistico, e l e cifre rilevate a tal proposito sono inquietanti: dopo i primi mesi del 1959 il ritmo di fabbricazione degli ICBM T 3 sovietici, con portata 14.000 km.. sarebbe di 15 al mese (ogive da 5 megaton). Gli ICBM russi hanno per obiettivo gli Stati Uniti mentre gli IRBM hanno per scopo di colpire eventualmente l e basi della NATO. V Graiideur nationale oblige n Poiché il dogma sul quale poggia la filosofia della V Repubblica è quello della a grandezza nazionale 1, fondata su una idea irreale della sovranità, la Francia, si sa, pretende di entrare nella folle spirale dell'armamento nucleare, costituendo una forza d'urto nazionale. Nel famoso discorso del novembre 1959 alla Scuola di Guerra, de Gaulle aveva lanciato la nuova dottrina assegnando alla e force de frappe ,> l'obiettivo di essere in grado di intervenire dovunque sulla terra, poiché si poteva eventualmente distruggere la Francia a partire da un punto qualsiasi del mondo D. Abbiamo visto che se anche l'ipotesi del possesso di una bomba H risultasse realizzata in Francia fra 15 mesi, coine sembrerebbe, l'importanza militare del fatto non sarà rilevante, se la Francia non disporrà nello stesso tempo di vettori capaci di portare la bomba su di un obiettivo, senza essere intercettata dall'avversario eventuale. Pertanto l'operazione bomba H D peserebbe già di per sé stessa fortemente sul bilancio militare francese che è nel 1960 di 1.603 miliardi di franchi (n. d. r.: il bilancio italiano è di 700 milialdi di lire). Già il costo delle spese dovute alle esplosioni di Reggane è stato valutato a 43 miliardi di franchi a cui bisogna aggiungere l e spese di Marcoules per la produzione del plutonio. I vettori francesi dovranno dunque avere una potenza paragonabile o superiore ai vettori di cui dispone l'eventuale avversario: il vettore proposto dal governo francese, il M i ~ a g e4 A supersonico, è già superato rispetto ai bcmbardieri americani. P e r quanto concerne poi i missili, è evidente che la fabbricazione di apparecchi balistici nazionali è indispensabile nell'attuale concezione del Capo dello Stato di intervenire doviinque sulla terra D). La Francia procede dunque attualmente a dei tentativi: una società di studi e realizzazioni di missili balistici a media gittata è all'opera. La messa a punto di un missile balistico ... francese al cento per cento, costerà la bagatella di 250 o 300 miliardi. Potrebbe essere realizzato entro 4 o 5 anni e avrebbe una portata di 3.000 chilometri. Questo secondo tipo di sforzo è forse conveniente dal punto di vista militare? Aggiungiamo a tutto cib, che il programma attuale prevede la fabbricazione di un primo sottomarino atomico francese, il Q244. La sua entrata in cantiere a Cherbourg data dalla fine del 1955; poiché il reattore ad uranio naturale non ha potuto essere realizzato, è stato necessario trattare con gli Stati Uniti l'acquisto di 440 kg. di uranio arricchito e bisognerà, all'atto del ricevimento di questo combustibile, mettere a punto il reattore definitivo. Ora, mentre si discutono i bilanci, mentre i Ministri Baumgartner e Guiscard d'Estaing non vogliono né aumentare l e imposte né il passivo, che già raggiunge i 700 miliardi, ci si domanda su quali mezzi può contare la politica di grandezza nazionale D per realizzare tanti progetti: tanto più che gli esperti constatano che l'armamento delle forze convenzionali è in pessimo stato, che il bilancio della Marina, a parte l'incrociatore lancia-missili, da tre anni non prevede costruzioni di nuove navi da guerra. In realtà ancora una volta la Francia si trova di fronte ad un dilemma che corrisponde ad una scelta politica. Dilemma che è stato espresso in particolare da Raymond Aron: a La Francia deve costruirsi al più presto il maggior numero di bombe e di veicoli portatori o deve integrare il suo sforzo in quadro più ampio? D. Mentre a questo interrogativo il generale Valluy ha risposto s integrazione 3, de Gaulle ha fatto opzioni ben diverse: s Bisogna che la nazione si associ a questa che sarà la grande opera della Francia negli anni venturi S . . Ma come potrà la Francia fare ciò Gran Bretagna, pur avendovi destinato superiori di u n quarto o di un terzo a previste dal bilancio francese, non ha fare? Qui sta tutto il problema. dicembre 1960 che la somme quelle potuto Possibilità di una politica La sola possibilità seria che esista per impedire veramente la guerra atomica o l e sorprese di una situazione che susciterebbe un conflitto nucleare, è quella che risulterebbe da un disarmo generale, controllato da una autorità mondiale e sovranazionale. I n mancanza di una tale realizzazione, l e potenze mondiali sono condannate a perfezionare sempre più l e forze di dissuasione, di cui dispongono. Di fronte al mondo totalitario che agisce come un unico blocco, l e potenze occidentali, piccole e medie, che pensassero di garantire la loro neutralità e indipendenza mediante una forza d'urto nazionale, necessariamente priva di quegli elementi d'intervento più costosi e Paul Reynaud moderni di cui dispongono in gran quantità le superpotenze, non darebbero prova di realismo. S e invece queste potenze occidentali, piccole e medie, e quelle del vecchio continente i n particolare, volessero costituire una forza atomica militare, finanziariamente sostenibile per esse e nello stesso tempo non trascurabile per il mondo libero tutto intero, dovrebbero darsi i mezzi di una tale politica, il che significa, per lo meno, sostituire il piano europeo a quello nazionale. Al livello di una forza potenziale paragonabile a quella degli Stati Uniti e dell'unione Sovietica. una forza d'urto. anche con i suoi 5 o 10 'anni di ritardo, rimane concepibile poiché la massa di mezzi intellettuali, tecnici e finanziari messi insieme permetterebbe di compensare, almeno parzialmente, l e conseguenze del ritardo iniziale. D'altra parte è plausibile che gli Stati Uniti non rifiuterebbero più di condurre la loro avanzata in campo nucleare insieme con un compagno degno di questo nome, cioè una federazione europea fondata sul libero consenso dei cittadini. ali'Assemblea nazionale (Intervento fatto aII'Assernblea nazionale francese il 18 ottobre 1960) M. Paul Reynaud. Mesdames, messieurs, la commission des finances vous demande de repousser la question préalable. D'abord parce qu'elle a adopté l e projet qui vous est soumis, ensuite parce que, si intéressantes a u e soient les questions posées par M. Jean-Paul David, elles trouveront leur place dans le débat, enfin parce qu'il lui apparait qu'à l'égard de I'opinion publique l'Assemblée nationale paraitrait abdiquer si elle reculait devant l e droit qu'elle a aujourd'hui d'exprimer sa volonté sur un problème de la solution duquel dépendent l'avenir et, peut-&re, la vie de la France. (Applaudissements à gauche, a u centre et sur certains bancs à droite). S'il doit y avoir un régime parlementaire - e t nous voulons qu'il y en ait un - c'est dans un débat te1 que celui-ci que 1'Assemblée doit et peut prouver qu'elle en est digne. Pour moi, j'apporte ici une conviction profonde qui émane des auditions auxquelles nous avons procédé e t de la visite a u e nous avons faite aux forces francaises e n Allemagne. Peut&tre mon cas paraitra-t-il moins mauvais à M. Jean-Paul David. (Sourires). J e tiens tout d'abord à rendre hornrnage à la parfaite loyauté avec laquelle M. le ministre des armées nous a permis de nous informer. (Murmures sur certains bancs à gauche et sur quelques bancs à droite. - Applaudissements a gauche, a u centre et sur certains bancs à droite). Cette conviction, mesdames, messieurs, je l'apporte en dépit d'un désaccord qui m'afflige lorsque je songe à des débats de cette nature dans l e passé. De quoi s'agit-il? De la défense nationale. En cette matière, l e problème numéro un, c'est la défense de l'Europe. C'est là que l e péril peut $tre mortel, e t peut-$tre à court terme. En Algérie, il s'agit d'un problème auquel nous sommes profondément attachés, qui nous angoisse. Mais, s'il n'y avait plus de France, il n'y aurait plus de problème de 1'Algérie. (Mouvenzents divers). Mesdames, messieurs, l e rideau de fer n'est qu'à cent cinquante kilomètres du Rhin, à hauteur de Thuringe. Vous savez qu'au coup de Prague, pour arreter la vague soviétique allant vers l'Océan, il a ét6 répondu par 1'Alliance atlantique. A ceux qui critiquent l'OTAN peut6tre me sera-t-il permis de faire observer que, s'il n'y avait pas l'OTAN, notre armée qui est aujourd'hui en Algérie devrait étre sur l e Rhin, e n priant Dieu que l'adversaire n'utilise pas d'armes atomiques. Pendant tout l e temps où les Etats-Unis ont eu une supériorité atomique écrasante sur les Soviets, la paix n'était pas en péril. Mais la roue a tourné. Aujourd'hui, les Soviets sont a u moins à égalité. Dès lors, l'infériorité des forces classiques des alliés a créé e t crée un péril. Forces classiques, dit-on, ou forces conventionnelles. Deux adjectifs trompeurs, car ils évoquent plut6t quelque chose de démodé et d'archaique, alors qu'il s'agit a u contraire de troupes disposant de l'armement l e plus moderne. y compris la force atomique tactique, celle du champ de bataille. 0 Ù e n est ce péril? On entend dire e t répéter au'il est imprubable que, de propos délibéré, les Soviets déclenchent une guerre atomique à cause du prix qu'ils auraient à payer en dépit de l'avantage d'une attaque par surprise. Mais ce n'est plus ainsi que se pose l e problème. Un adversaire hardi, accrocheur, violent, que ses échecs répétés à l'ONU viennent d e pousser à des manifestations pittoresques mais troublantes, peut se livrer sur le rideau de f e r à des opérations locales que l'OTAN a toujours redoutées: un coup de main, par exemple, des troupes de l'Allemagne de l'Est sur BerlinOuest ou sur Hambourg. Si les alliés n'ont pas en forces conventionnelles le moyen d'arreter net l'opération, s'ils sont mis devant un fait accompli, ils seront alors contraints de se servir de bombes atomiques e t c'est l'incendie aui se généralise et l'Europe qui est détruite. Pour cette petite guerre qui a pour but d'empecher la grande d'éclater, les alliés ontils les forces conventionnelles nécessaires? En face des vingt divisions russes stationnées e n Allemagne de l'Est, qui peuvent en quelques jours $tre doublées et presque triplées - ce n'est pas au hasard que j'emploie ces expressions - quelle est notre situation? Voici l'opinion publiquement exprimée par un général francais qui venait d'etre l e commandant e n chef du Centre-Europe pendant plus de trois ans e t demi, l e général Valluy, qui disait il y a quelques mois: u En matière de troupes conventionnelles, notre infériorité flagrante e t prolongée est redoutable U. Ce sont les termes memes qu'il a employés. I1 ne s'agit pas là d'un danger futur, d'un danger lointain. I1 s'agit d'un danger actuel, qui a grandi depuis que les Soviets ne sont plus retenus par leur infériorité atomique e t qu'ils se croient m6me les plus forts. Ce procédé de l'offensive locale aurait à leur yeux, au surplus, l'avantage de jeter une confusion e t un doute sur les responsabilités de la guerre. Ce danger de mort qui menace la France comme l'Allemagne, y aura-t-il quelqu'un pour déclarer à cette tribune qu'il l'envisage d'un coeur léger? Analysons maintenant la cause de la faiblesse, de la dangereuse faiblesse des alliés. De quoi disposent-ils? 5 divisions américaines A effectifs complets, parfaitement équipées. 7 divisions dicembre 1960 15 COMUNI D'EUROPA l'Africa di John Marcum Riportiamo, per gentile concessione delL'Editore, un lucido capitolo del libro « L a s f i d a dell'Africa » d i John Marcum (Milano, prefazione d i edizioni d i C o m u n i t à , 19GO T o m Mboyu - c o n 110 tavole fuori testo lire 900). Il v o l u m e è uscito in questo stesso a n n o i n America ( T h e Challenge o f A f r i c a - N e w Y o r k , N e w Leader, 1960). I1 professor J o h n M a r c u m è u n o dei massimi esperti americani d i cose d'Africa: e la parola di iin americano "liberale" su questo t e m a è d i notevole attualità n e l m o m e n t o i n cui, d a u n a parte, sta entrando in f u n z i o n e 1'OCED (della quale sono m e m b r i i vecchi soci europei dell'OECE, più S t a t i U n i t i e Canadà, e d i cui u n o d e i t r e scopi fondamentali è la coordinazione degli sforzi dell'occidente izell'aiut o ai Paesi economicamente sottosviluppatz) P , dall'altra, si accinge ad assumere la presidenza J o h n F. K e n n e d y . T o m Mboya, come .si sa, è u n o dei maggiori capi politici e sindacali dell'Africa. Dalle sole pagine riportate ci pare si possano ricavare alcune osservazioni più o m e n o o v v i e . A n z i t u t t o che l'Africa in v i a d i decolonizzazione n o n potrà tollerare n lirngo di essere, sia pure indirettamente, la vittima delle risse f r a gli S t a t i nazionali "sovrani" dell'Europa occidentale. I n secondo luogo c h e , data la vastità e la gravità dei problemi dei Paesi sottosviluppati delL'Africa come dei Paesi sottosviluppati d i t u t t o il m o n d o - e data la delicatezza di u n a costruzione democratica n e i Paesi d i fresca indipendenza, n o n sarà certo l'Europa delle sigle (anche se "armonizzate") a poter dire iina sua credibile, ascoltata, e f f i c a c e parola. Ancora u n a volta: o a v r e m o , e relat i v a m e n t e presto, gli S t a t i U n i t i d'Europa. o anche in A f r i c a gli europei andranno scomparendo c o m e soggetti della politica internazionale. C o n t u t t e le conseguenze nel c a m p o c u l t ~ i r a l ee morale. - delllAfrica può catalizzare e incanalare quelle energie umane che sono state finora prive di direzione e di scopo: come l'entusiasmo per i programmi comunitari del Gana e della Guinea dimostra. Ma per realizzare u n rapido sviluppo economico i n condizioni umane sop~ o r t a b i l ioccorre qualcosa di più delle braccia, della forza muscolare, della volontà e della disciplina. Persuadere i cittadini a costruire strade, scuole, dighe e fogne non è sufficiente I1 valore dell'i, investimento umano sarà legato alla loro salute e alle capacità tecniche. nonché agli strumenti, alle macchine e ai materiali loro disponibili. Essi hanno bisogno di assistenza sia educativa che materiale. V i sono molti modi i n cui l e relativamente ricche società dell'occidente possono aiutare ed accelerare il progresso africano verso mi- parte della Francia) sono stati così posti i n u n rapporto speciale e privilegiato con le sei nazioni europee che procedono lungo il cammino dell'integrazione. Mediante questa associazione vengono promesse alle esportazioni africane quote e tariffe progressivamente ridotte, che porteranno infine al libero accesso ai 165.000.000 di consumatori del MEC, appena questo sarà realizzato: le esportazioni europee verso l'Africa rimangono soggette alle tariffe doganali locali, provvedimento che. interpretato liberamente, può assicurare protezione alle giovani e vulnerabili industrie africane; gli europei avranno uguali, m a per ora indefiniti, diritti di creare imprese economiche i n Africa, diritti che saranno sempre più soggetti ad esser definiti dagli africani: e. più importante di tutto, è - *** E' fondamentalmente vero che quando arrivano a dedicare circa il 15 per cento del loro reddito annuale aeli investimenti di capitale, i paesi meno sviluppati, come ouelli africani, possono aumentare il loro reddito annuo approssimativamente del cinque per cento, il che consente loro u n incremento modesto, se si calcola u n contemporaneo aumento della popolazione dal due al tre per cento. I1 reddito annuale della maggior parte degli africani, compreso il loro raccolto diretto. ammonta i n media a 43.000 lire pro capite, meno di u n decimo delle 560.000 lire all'anno godute dall'europeo medio, ovvero u n venticinquesimo delle 1.240.000 lire percepite dall'ancor più fortunato americano. Perciò non è facile limitare il consumo e risparmiare il 15 per cento del magro reddito delle società africane. Del resto, tassi di sviluppo così alti e sostenuti sono stati raggiunti solo nelle zone m e ridionali, dove gli europei dominano e investono. Nondimeno, saggie politiche interne di risparmio e di spesa possono dare u n contributo vitale allo sviluppo economico, incanalando l'attivo locale, per auanto modesto, i n investimenti produttivi. Inoltre, l'(i investimento umano r organizzato - espressione usata per indicare il lavoro comunitario volontario o obbligatorio, la risorsa della gente priva di risorse - può servire ad iniettare una nuova forza in economie stagnanti I1 risveglio nazionale Reticolati ad Algeri gliori condizioni di vita. Liberata da ogni residuo di signoria politica, l'assistenza postcoloniale dell'occidente può servire egregiamente l e aspirazioni umane della rivoluzione africana. U n aiuto viene già offerto attraverso la CEE, sotto l'egida della Comunità Francese e del Commonwealth britannico, attraverso l'assistenza bilaterale degli U S A e di altri paesi, nonché attraverso i programmi del- Si può contemplare con tranquillità lo spietato corso della violenza in Algeria, la disperazione e la brutalità di una guerra combattuta tra i difensori di una présence francaisen imposta e i ribelli di una d k e redata maggioranza mussulmana, dieci volte più numerosa, che vuole essere se stessa e autogovernarsi? 1'ONU e delle sue istituzioni specializzate, che sono i n larga misura finanziati dall'occidente. Comunità Economica Europea. I territori africani che si trovano sotto l'amministrazione francese, belga e italiana sono stati associati alla CEE dal trattato di Roma del 1957, e da una speciale convenzione quinquennale. Oltre cinque milioni di miglia quadrate e sessantatré milioni di abitanti dell'Africa (inclusa l'Algeria. che è legalmente integrata nella CEE come stato istituito u n Fondo di Sviluppo di 360 m i liardi di lire per i primi cinque anni (1958-62) dell'associazione. Gli associati africani ricevono pertanto la promessa di benefici commerciali e finanziari, senza dover assumere i doveri della piena appartenenza alla CEE. Dopo u n inizio lento, il Fondo di Sviluppo ha preso slancio. I 317 miliardi di lire del Fondo, assegnati alle zone attualmente o precedentemente sotto amministrazione francese. rappresentano un'aggiunta di quasi il cinquanta per cento al programma di investimenti pubblici già in corso di attuazione, i n quelle stesse zone, nel quadro del Fondo per l'Assistenza e Cooperazione della Comunità Francese. Molti africani, però, guardano tuttora sospettosamente all'associazione con il Mercato Comune, nonostante i dispensari, l e strade, le scuole e i pozzi che il Fondo di Sviluppo sta rendendo possibili. Gli africani sono stati associati alla CEE dagli europei. Alcuni membri africani del Parlamento francese hanno avuto l'opportunità di votare pro o contro il Trattato, m a solo al premier della Costa d'Avorio, Félix Houphouet-Boigny, è stato concesso di giocare u n modesto ruolo nei negoziati. Inoltre, nonostante la probabile indipendenza di u n certo numero dei paesi africani associati, nessuna delle clausole dell'associazione ha fatto menzione dei modi i n cui questa indipendenza potrebbe condurre a u n rapporto liberamente riconfermato e modificato con la CEE. I nazionalisti africani pih suscettibili hanno dicembre 1960 COMUNI D'EUROPA AFRICA 1960 (da « Monde Uni ». con aggiornamenti) PAESI INDIPENDENTI CAMERUN - Repubblica indipendente dal gennaio 1960 - Territorio già sotto tutela francese. ( * ) I1 Camemn britannico (capitale: Bouea) si federerà probabilmente con la Nigeria o con l a Repubblica del Camemn. CONGO - Repubblica indipendente dal giugno 1960 - Già Congo Belga. EGITTO (RAU) - Repubblica federale (EgittoSiria) - L'Egitto è territorio indipendente dal febbraio 1922. ETIOPIA - Impero federale (Etiopia-Eritrea) - Indipendente dal 1942. GUINEA - Repubblica indipendente dail'ottobre 1958 - Già territorio dell'AOF. ( * ) L'Unione t r a la Guinea e il Chana, conclusa nel novembre 1858, dura teoricamente tutt'ora. LIBERIA - Repubblica indipendente dal 1847. LIBIA - Regno federale (Tripolitania, Cirenaica, Fezzan) - Indipendente dal dicembre 1951. Già colonia italiana MALI (Ex-Sudan) - Repubblica indipendente dal giugno 1960 - Già territorio dell'AOF. (') Il Mali era, fino all'agosto del Senegal e del Sud:in. 1960, la Federazione MAROCCO - Regno - Già protettorato francese, indipendente dal marzo 1956. SOMALIA - Repubblica unificata (già Somalia inglese e Somalia italiana) - Indipendente dal luglio 1960. SUDAN - Repubblica - Già dominio angloegiziano - Indipendente dal gennaio 1956. TOGO - Repubblica indipendente dall'aprile 1960 - Territorio già sotto tutela francese. TUNISIA - Repubblica indipendente dall'ap~ile 1956 - Già protettorato francese. PAESI INDIPENDENTI, MEMBRI DELLA COMUNITA' FRANCESE CENTRO-AFRICANA (UNIONE) - Repubblica (ex Oubangui-Chari) - Già territorio del1'AEF - Indipendente dal luglio 1960. ( * ) L a Repubblica Centro-Africana costituisce, con il Congo e il Ciad, l'Unione delle Repubbliche dell'Africa Centrale (URAC) che. pur non essendo una F d e r a zione nel vero senso della parola, annovera defli Organi eoniiini alle t r e Repubbliche (in pai.ticolare la rappresentanza diplomatica). CIAD - Repubblica indipendente sto 1960 - Già territorio dell'AEF. dall'ago- CONGO - Repubblica indipendente sto 1960 - Già territorio dell'AEF. dall'ago- NIGERIA - Federazione - Già colonia britannica - Territorio indipendente dall'ottobre 1960. TANGANYKA - Territorio sotto tutela britannica - Sarà reso indipendente nel 1961. UNIONE SUD-AFRICANA - Repubblica (ottobre 1960) - Territorio indipendente dal 1909. TERRITORI NON INDIPENDENTI DAHOMEY - Repubblica indipendente dall'agosto 1960 - Già territorio dell'AOF. GABON - Repubblica indipendente dall'agosto 1960 - Già territorio dell'AEF. FRANCIA ALGERIA-SAHARA - Dipartimenti francesi. COMORES (Arcipelago) - Tei ritorio d'oltremare della Repubblica francese. SOMALIA FRANCESE (Costa francese dei Somali) - Territorio d'oltremare della Repubblica francese. ALTO-VOLTA - Repubblica indipendente dall'agosto 1960 - Già territorio dell'AOF. MADAGASCAR - (Repubblica Malgascia) Già territorio autonomo dell'unione francese, indipendente dal luglio 1960. INGHILTERRA BASUTOLAND - Protettorato britannico. BECIUANIA - Protettorato britannico. NIGER - Repubblica indipendente dall'agosto 1960 - Già territorio dellPAOF. GAMBIA - Parte colonia (Santa Maria e Georgetown), parte protettorato britannico. SENEGAL - Repubblica indipendente dal giugno 1960 - Federata col Mali fino a l settembre 1960 - Già territorio dell'AOF. KENYA - Parte colonia, parte protettorato (20na costiera). GHANA - Repubblica - Già colonia britannica (Costa d'Oro) - Indipendente dal 1957. Protettorato britannico SPAGNA IFNI - Provincia spagnola (luglio 1959) GUINEA SPAGNOLA: Provincia colonia Provincia colonia (luglio 1959) del Rio Muni (già continentale). (luglio 1959) di F e ~ n a n d oPo (già insulare). SAHARA SPAGNOLO - Provincia spagnola (luglio 1959) - Già colonia del Rio d'Oro. (*) Ceuta e Melilla, come s.li altri t r e domini spagnoli sulla costa mediterranea del Marocco (Iso'le Chaffarines. Pefiones de Alhucemas e di VeJez de la Gomera) sono ricollegate alle provincie di Ma.la.ya e di Cadice. Le Canarie, la cui popolazione è es~clusivamente europea, mstituiscono le due provincie spagnole di S a n t a C m z e T,ns Pal?iu~s. PORTOGALLO ANGOLA e CABINDA - Provincie portoghesi (1951). MAURITAKIA - Repubblica indipendente dal novembre 1960 - Già territsrio dell'AOF. PAESI INDIPENDENTI, MEMBRI DEL COMMONWEALTH BRITANNICO - ZANZIBAR e PEMBA (Sultanato) - Protettorato britannico. SIERRA LEONE - Territorio in parte colonia, in parte protettorato britannico - Sarà reso indipendente il 27 ap,rile 1961. COSTA D'AVORIO - Repubblica indipendente dall'agosto 1960 - Già territorio dell'AOF. (O) La Costa d'Avorio forma, con il Dahomey, l'Alto Volta e il h'lger il Grur>po dell'lntesa. Ciascuno dei quattro Stati esercita seliaratamente la propria sovranità all'interno e all'esterno. SWAZILAND ( 0 ) I1 Kenya costituisce con 1'Uganda e il Sanganyka una Unione doganale. UGANDA - CAPO VERDE (Isole) (1951). - Provincia portoghese GUINEA PORTOGHESE e ISOLE BYAGOS Provincia portoghese (1951). - MOZAMBICO - Provincia portoghese (1951) S A 0 TOME e PRINCIPE (Isole) portoghesi (1951). - Provincie TERRITORI SOTTO TUTELA Protettorato britannico. RHODESIA-NYASALAND (Federazione dal settembre 1953) - Rhodesia del Nord e Nyasaland, protettorati; Rhodesia del Sud, Stato autonomo. RUANDA e URUNDI - Territorio sotto tutela belga. SUD-OVEST AFRICANO - Territorio sotto tutela dell'unione Sud-Africana. dicembre 1960 17 COMUNI D'EUROPA . subito attribuito motivi egoistici e ambizioni teme che l e relazioni dell'Europa con l'Africa neocolonialistiche alla CEE, per il timore che possano evolvere sullo stesso modello di decoloessa abbia mirato a mantenere l e loro econonizzazione a pezzi e bocconi, e di esodo rilutmie estrattive a l servizio dell'industria eurotante che si è avuto in Asia. Egli dice che un pea. I1 governo francese, per di più, h a rafforesame degli ultimi cento anni non indica alcun zato questi timori che l'indipendenza sia indiritto dell'Europa ad arrogarsi i1 ruolo di compatibile con un rapporto con il MEC, governante dell'Africa. Ecco il pensiero degli quando ha bloccato i passi della segreteria europei genuinamente postcoloniali D : a Noi della CEE per offrire alla Guinea favorevoli non siamo pedagoghi, e dovremmo evitare socondizioni per la continuazione dell'associaprattutto ogni atteggiamento che possa f a r penzione, dopo che questa aveva optato per l'indisare che aspiriamo ad essere pedagoghi. Siamo pendenza nel 1958. La Guinea non è stata uomini che, dopo tutte l e terribili esperienze distrutta da questo stizzoso atto della Quinta che in particolare la nostra generazione ha Repubblica. Sèkou Touré si è rivolto ad oriente, dovuto attraversare, hanno l'unico desiderio di alle condizioni apparentemente buone dell'aiuto vivere in pace con il mondo intero, e che del blocco sovietico: senza forse ricordare, però, perciò vogliono cercare vie e mezzi con tutte il disastro che per due volte si era abbattuto l e nazioni ... per raggiungere la meta D. In un sull'economia jugoslava quando l'indipendenza mondo che si restringe, e nel auale l'Africa e di Belgrado provocò a l Cremlino disappunto e l'Asia sono da considerarsi vicini dell'Europa, la brusca sospensione degli aiuti sovietici; e a vogliamo aiutare e mitigare il bisogno e la forse senza riflettere che la RAU, che si è povertà, ma questo aiuto non dev'essere un fine trovata a suo tempo in una situazione analoga, in se stesso: vogliamo considerarlo un mezzo h a riconosciuto ora come sia saggio non metper raggiungere quel rapporto d i mutua fiducia tere tutte le uova i n un solo paniere. ( I n un'intervista concessa a l Die Tat di Zurigo il 26 agosto 1959. il Ministro degli esteri della RAU ha dichiarato: Noi miriamo a creare un'econoLe sfida delllAfrica è una sfida a comia a tre direzioni: un terzo del nostro traffico struire: costruire un continente pacifico di economico si svolgerà con l'Europa occidentale nazioni nuove. L'esatta antitesi di questa e il mondo anglosassone, un terzo con il mondo sfida è rappresentata dalla recente deci, comunista, e un terzo con le nazioni non vinsione del governo francese di compiere colate. Non abbiamo ancora raggiunto questo esperimenti nucleari nella zona sahariana stadio, ma stiamo facendo buoni progressi verdi Reggan, nonostante i timori, il risentiso la realizzazione del nostro programma mento e le proteste degli africani, e nonoP u r avendo attuato lealmente in Europa le stante l'esistenza di un'altra località dispoclausole del trattato di Roma, il governo frannibile per questi esperimenti, l'isola inacese si è mostrato riluttante a vedere la Segrebitata d i Kerguelen nell'oceano Indiano. teria del MEC sviluppare contatti diretti o addirittura reclutare africani e malgasci per scopi di addestramento o per incarichi di responsabilità nella Direzione Generale dei Paesi tra uomini e nazioni eguali e liberi che è il e Territori d'oltremare della CEE. In questa fondamento d i un futuro pacifico e felice per luce, è interessante registrare la convinzione noi tutti B. del Direttore Generale della Divisione d'01Alla fine del 1959, sotto la pressione della tremare, il dottor Helmut Allardt, secondo il rapida evoluzione politica dell'Africa, l'Assemquale solo se riuscirà a costituirsi con <I un'orblea Parlamentare Europea, il Consiglio dei ganizzazione genuinamente sopranazionale u la Ministri e l'Amministrazione della CEE di CEE potrà funzionare efficaceillente come struBruxelles sono venuti riesaminando attivamente mento attraverso cui gli europei possono prele basi su cui è possibile preservare e costruire stare assistenza tecnica, finanziaria e morale un'associazione con i paesi africani. I prosall'Africa. Altrimenti, la CEE correrà il rischio simi negoziati con i due Camerun, il Togo e la d'essere considerata un organo esecutivo dei Somalia dovrebbero stabilire una formula consuoi governi membri, e di vedere in partenza trattuale per l'associazione della CEE con stati screditati tutti i suoi sforzi, come organizzaindipendenti. Gli europei hanno discusso i mequalcosa di zione a sé stante, per creare riti del convertire gli aiuti dopo i primi cinque nuovo che continui ad esistere per se stesso anni in prestiti a lunga scadenza, e la desidea l di là degli immediati vincoli che legano i rabilità di stabilizzare i prezzi mondiali di territori d'oltremare alla loro madrepatria quegli articoli africani d i esportazione come il Parlando alla Fiera Industriale Tedesca di caffè, l e arachidi e il cotone. A Cannes, nelHannover nell'aprile 1959, il Direttore Genel'ottobre 1959, una riunione d i parlamentari rale h a definito le finalità dell'associazione europei e africani h a discusso la possibilità di euro-africana come solo in parte economiche. una nuova associazione tra l'Europa e l'Africa. Queste finalità, h a fatto notare, dovrebbero L'incontro è stato promosso dall'Associazione comportare un aumento delle esportazioni euParlamentare Europa-Africa, fondata nel 1958 ropee verso l'Africa, reso possibile dalla creadal deputato francese Rémy Montagne e volta zione di un nuovo potere d'acquisto da parte alla creazione di una Comunità Generale deldegli africani per mezzo di investimenti di l'Europa e dell'Africa. Tale Comunità comprencapitale straniero, pubblico e privato. Allardt derebbe inizialmente l e zone ora incluse nella ha attribuito anche un significato politico e associazione tra la CEE e l'Africa, e verrebbe umanitario all'associazione tra l'Africa e la amministrata da un'Alta Autorità che si incaCEE. L'aiuto ha detto, è qualcosa che non richerebbe di consorziare gli investimenti euroviene accettato ovunque con piacere - né tra pei in Africa e di coordinare la cooperazione gli individui n é tra gli stati - perché è un economica, tecnica, sociale e politica dell'Eui-opa atto unilaterale e al tempo stesso comporta con l'Africa. un certo grado di dipendenza da parte di chi Anche ammettendo che piogetti come questo riceve l'aiuto )n. Era necessario dirlo chiarasiano, come i loro sostenitori pretendono, scemente, dato che molti tentativi fatti in questo vri di intenzione colonialistica, essi restano predopoguerra per porre i rapporti tra nuove e giudicati dal semplice fatto che sono promossi vecchie nazioni su un terreno solido attraverso e vengono identificati con uno dei due blocchi gli aiuti sono, in realtà, falliti, lasciando i commerciali concorrenti che si stanno formando riceventi con un cattivo gusto in bocca n. in Europa: la CEE. Vengono sospettati dagli L'Europa deve trovare nuovi modi d i svilupafricani di essere concepiti nell'interesse esclupare una franca e sincera cooperazione con sivo d i questo blocco. Vengono considerati elel'Africa mediante iniziative congiunte condotte menti di divisione nella misiira in cui riguarGli in condizioni di completa eguaglianza. derebbero solo una parte dell'Africa. Allardt ospedali, i serbatoi, i nuovi insediamenti e ha detto che gli stati non membri, che vogliono tutto il lavoro d i ricerca, ecc., che stiamo godere degli stessi vantaggi dei paesi africani finanziando col Fondo di Sviluppo, saranno associati nella CEE, sono completamente liberi presto dimenticati se non riusciremo a collod i proporre un trattato di associazione D ; tutcarli nel quadro di questa amichevole coopetavia, nessuno stato africano l'ha fatto o sembra razione tra l'Europa R l'Africa. Ciò richiede, propenso a farlo. soprattutto, un sincero sforzo per comprendere Commonwealth. Preferendo ad un rapporto la mentalità di queste giovani nazioni, che contrattuale con l'Europa dei sei la loro assospesso differisce dalla nostra, e nello stesso ciazione storicamente condizionata, i membri tempo per comprendere i sentimenti - perdel Commonwealth sono stati tra i più duri sino i sentimenti amari - che essi talvolta critici della CEE, in parte perché promette a nutrono oggi verso l'Europa paesi vicini e concorrenti di garantire un'acCome ex diplomatico tedesco in Asia, Allardt 1,). CC 11. )I N . )). cesso preferenziale a l mercato europeo. Come membri indipendenti e volontari del Commonwealth e dell'area della sterlina, nazioni come il Gana possono contare su una assistenza economica e tecnica continuativa da parte del Regno Unito. Gli investimenti inglesi nello sviluppo dei paesi del Commonwealth hanno raggiunto in questi anni una media di quasi 350 miliardi di lire annui, pari a oiù dell'l per cento del reddito nazionale lordo dell'Inghi1terra. Paesi che si stanno liberando dal colonialismo britannico, e dalla tutela coloniale della legge e del fair play D britannici, hanno trovato una base nuova, soddisfacente e matura per una cooperazione materiale e culturale duratura entro il flessibile, egualitario Commonwealth. I1 rifiuto del Regno Unito di integrare la propria economia con quelle dei paesi dell'Europa continentale era destinato, tuttavia, ad avere serie ripercussioni in Africa, dato che tende a perpetuare e ad approfondire l e divisioni tra gli stessi africani. Esso sta conducendo alla divisione dell'Europa in due gruppi concorrenti, comprendenti da un lato l e sei nazioni della CEE e dall'altro l e sette nazioni dell'EFTA, capeggiate dalllInghilterra. In Africa tende a far allineare la maggior parte degli stati con l'uno o l'altro blocco, a seconda della loro appartenenza all'area della sterlina o a quella del franco, ovvero alla loro assocazione con la CEE. La prospettiva d i unlEuropa divisa non solo in due rissosi raggruppamenti economici occidentali, ma anche in un blocco democratico occidentale e in un blocco orientale comunista è abbastanza sinistra per la stessa Europa. Potrebbe essere disastrosa per l e relazioni europee con l'Africa. Gli africani non hanno alcuna voglia di essere divisi dagli stranieri. Essi hanno già fin troppe divisioni interne, sia nazionali che di tribù, da superare prima di raggiungere una vera unità continentale. S e il progresso verso una tale unità dovesse apparire agli africani inceppato dalla disunione europea, gli africani potrebbero rivolgersi contro l'Europa con un risentimento solidale. Non è più possibile per l'Europa ripartire l'Africa in tante riserve economiche separate. Stati Uniti d'America. In aggiunta ai programmi di aiuti della Francia, della CEE e del Commonwealth, una quarta e crescente fonte di assistenza occidentale all'Africa è rappresentata dagli USA. Eppure anche qui il auadro è oscurato dalla mancanza di un programma plurilateralc, concepito in comune e coordinato. per lo sviluppo economico africano. L'irto nazionalismo della Quinta Repubblica del generale De Gaulle concorre a bloccare l'integrazione degli aiuti americani in un tale programma generale. I1 riconoscimento americano della Guinea, per non parlare degli aiuti economici, è stato gravemente ritardato dalla Francia. Alcuni leaders francesi amano ancora considerare gran parte dell'Africa come uno speciale feudo per la mission civilisatrice. Così, i funzionari e i giornalisti francesi si lamentano delle attività dei centri culturali degli USA nel Marocco e nella Tunisia indipendenti, e soprattutto si infastidiscono dei loro programmi di insegnamento della lingua inglese. La Francia pretende ancora il pieno appoggio dei suoi alleati occidentali al programma di pacificazione. in Algeria, dove ben 315 miliardi di lire saranno spese nel 1960 nel quadro del piano d i sviluppo economico e sociale noto come il piano di Costantina. E i francesi reagiscono ancora con irose insinuazioni alle ambizioni americane di sostituire la Francia in Algeria quando non ricevono quell'appoggio, come accadde quando gli Stati Uniti si astennero dal votare contro la risoluzione afro-asiatica sull'Algeria all'Assemblea Generale dell'ONU. Inoltre, gli amministratori coloniali del Kenya rallentano il passo nel mettere in atto i programmi americani di aiuto scolastico, e la stampa colonialista in molti paesi amministrati dagli inglesi, dai belgi e dai francesi continua a distorcere e ad alterare l e notizie concernenti i rapporti razziali e i diritti civili negli USA. I saccentoni colonialisti tacciono del progresso americano verso l'eguaglianza giuridica e sociale, preferendo diffondere una immagine alla Little Rock = del loro socio atlantico tradizionalmente anticolonialista. In generale, gli Stati Uniti non si sono fatti valere contro questi atteggiamenti colonialisti e queste politiche poco amichevoli. Un recente rapporto preparato per la commissione senatoriale degli esteri dal pro- . COMUNI D'EUROPA dicembre 19 60 Africa 1935: tre foto del nostro Direttore (bambini italiani nella Casbah di Tunisi; la Grande-Poste di Algeri; Medina vecchia a Casablanca) di iin mondo definitivamente mutato. fessor Melville Herskovits, del Programma di Studi Africani della Northwestern University. dichiara che gli Stati Uniti non hanno mai avuto una politica positiva, ciinamica per 1'Africa. Fino a pochissimo tempo fa, abbiamo guardato a l persistente controllo esercitato da potenze europee amiche come ad una garanzia d i stabilità e solida cooperazione, e ci siamo mostrati riluttanti a riconoscere che il principio dell'autogoverno è pienamente applicabile alle Con parole indicative della sue popolazioni rivalutazione dell'Africa, ora in corso in America, e derivante dalla a scoperta = dell'Africa come continente rivoluzionario, il rapporto passa a raccomandare: a La politica degli USA, nel perseguimento dei suoi interessi più vitali, e in armonia con l'azione di alcuni nostri alleati della NATO, dovrebbe essere guidata dalla previsione della preminenza degli africani nell'Africa a sud del Sahara Com'è chiaro, ciò significa che gli Stati Uniti non debbono più prevedere o accettare una permanente egemonia o supremazia europea nell'Africa. Sfida per Z'Occide~zte.L'Occidente deve trarre profitto dalla sua rivalutazione dell'Africa. superare la confusione e i litigi e affrontare la sfida lanciata dalla rivoluzione africana con dignitosa generosità. L'alternativa è di provocare un graduale estraniamento dell'Africa dall'occidente. Quali probabilità vi sono che l'Occidente ponga mente a questa necessità? I1 rinnovato vigore econumico delle nazioni europee sembra averle preparate ad accettare un ruolo crescente nello sviluppo economico dei paesi africani ed asiatici, forse, in parte, come risultato dell'insistenzs degli USA affinché l'Europa faccia la sua parte D. I capi e gli intellettuali occidentali pensano di più e con maggior impegno all'Africa. I1 sempre più vasto interesse per l'Africa si riflette in un certo numero d i proposte generali, che rivelano una crescente preoccupazione su come collegare i mezzi occidentali ai bisogni africani. S i prendano tre esempi: il nuovo a piano Monnet a , una poco nota proposta del Consiglio d'Europa e il = rapporto Herskovits m. L'influente Comitato d'Azione per gli Statj Uniti d'Europa di J e a n Monnet ha proposto recentemente che la CEE dia vita e partecipi ad un ambizioso programma internazionale per elevare i redditi individuali, nei paesi meno sviluppati. di una media del 25 per cento nello spazio d i dieci anni, ossia all'incirca di un 2 per cento all'anno. Per affrontare questa meta, la proposta sollecita un contributo annuale di fondi esterni per un totale di circa 4.600 miliardi di lire, da aggiungersi a l risparmio locale. Escluso l'aiuto sovietico, questo rappresenta quasi 2.500 miliardi di lire all'anno in più di quanto venga attualmente investito, e rappresenta circa l'uno per cento del reddito nazionale 2 . 3. complessivo dei paesi sviluppati dell'occidente. I1 Comitato d'Azione ritiene che se l'Europa lanciasse un programma di tale ampiezza, gli Stati Uniti e altri paesi potrebbero e vorrebbero associarsi, e che ciò, a sua volta, consentirebbe la realizzazione di quel tipo di programma d'aiuti, cooperativo e allargato, a i paesi meno sviluppati, che è stato varie volte sostenuto dai presidenti Eisenhower e De Gaulle. Indipendentemente dagli sforzi di Monnet. quello che è probabilmente il corpo parlamen- All'incirca 370 miliardi di lire di capitale americano sono direttamente o indirettamente investiti nell'economia, in forte espansione, del Sud Africa: più che in tutto il resto dellfAfrica preso insieme. Questo interesse finanziario ha condizionalo in passato la politica americana verso questa zona. I vantaggi economici a breve scadenza non possono tuttavia controbilanciare il danno crescente che una silenziosa accettazione delle iniquità razziali può arrecare all'influenza e al prestigio americani in tutta l'Africa. Inoltre, le risorse resesi d:sponibili altrove hanno alquanto ridotto la dipendenza delllAmerica dall'uranio sudafricano, rafforzando pertanto gli argomenti a favore del disimpegno degli USA. tare più tenacemente ignorato d'Europa, 1'Assemblea Consultiva del Consiglio d'Europa, ha proposto quel che possiamo considerare il programma più specifico, originale e negletto di assistenza europea allo sviluppo dell'Africa. A richiesta dell'Assemblea Consultiva, un Gruppo di Studio per lo Sviluppo dell'Africa venne convocato nel 1956 e nel 1957 allo scopo di elaborare s proposte intese a incoraggiare e accelerare lo sviluppo economico e sociale dell'Africa, ed elevare il livello di vita delle popolazioni airicane... attraverso la cooperazione su un piede di parità tra i paesi africani e i paesi membri del Consiglio d'Europa m. Composto di esperti indipendenti, tra cui un certo numero d i africani, e diretto da Edmond Lucas. un funzionario temporaneamente ceduto dall'OECE, il Gruppo d i Studio si mise al lavoro e presentò il suo rapporto finale nel settembre 1957. I1 Consielio d'Europa e il suo pendnnt economico, l'OECE, hanno il notevole vantaggio di essere organizzazioni ombrello ., che comprendono non solo i membri della CEE, ma anche quelli delllEFTA. Inoltre, essi sono immuni dalle C caratteristiche militari connesse alle attivita che vengono svolte nel quadro della NATO. Infine. la permanente associazione degli USA e del Canadà con l'OECE costituisce un interessante precedente per la collaborazione nordamericana. Sulla base di queste considerazioni, il rappoito del Gruppo di Studio ha messo in evidenza la necessità di trarre le risorse tecniche e di capitale da tutti i paesi occidentali, e non solo dai paesi europei aventi respo~sabilità coloniali. Affermando che la sua preoccupazione fondamentale si riferisce all'elevamento dei livelli di vita delle popolazioni dell'Africa, il Gruppo di Studio ha segnalato l'esigenza di preparare gli africani ad una partecipazione efficace a tutti i programmi di sviluppo. Per questi programmi h a raccomandato strutture cooperative il più possibile simili a quelle del Piano di Colombo per l'Asia del Sud e del Sud-est Più precisamente - secondo questa formula i governi elaborerebbero e presenterebbero i programmi di sviluppo nazionale. e indicherebbero l e valutazioni e le previsioni sulle quali sono basati, nonché l'assistenza esterna occorrente per la loro realizzazione. I governi partecipanti si associerebbero, quindi, in uno studio generale svolto alla compilazione di un panorama generale dei problemi di sviluppo (scientifici, tecnici, amministrativi, finanziari, commerciali, ecc.) del continente africano; s questo panorama coprirebbe un periodo di cinque anni, e determinerebbe l'entità totale dell'assistenza esterna occorrente per portar6 a termine i progetti di sviluppo. Servirebbe pure come base per determinare quali misure dovrebbero prendere i governi partecipanti, sia individualmente che congiuntamente, allo scopo di ovviare alle manchevolezze e colmare le lacune degli accordi esistenti di assistenza esterna. In tal modo, i programmi di aiuto bilaterali come quelli degli USA e d'Israele, i prestiti e l'assistenza multilterali della Banca Internazionale e dell'ONU, gli investimenti privati - di capitale sia interno che straniero e i tentativi per risolvere problemi comuni, come la stabilizzazione dei prezzi delle materie prime, potrebbero tutti esser trattati come elementi di un programma di sviluppo totale. I1 rapporto ha raccomandato la creazione di alcune nuove strutture per facilitare l'esecuzione del suo programma, e per intcgrare le istituzioni internazionali già esistenti, come la Banca Internazionale. Queste strutture sono: 1) un Comitato Consultivo, che dovrebbe fungere da organo programmatore a l livello ministeriale, e in cui tutti i governi partecipanti, sia africani che europei, sarebbero rappresentati su un piede di parità; 2) un Comitato Permanente di Coordinamento per svolgere il lavoro d i base e fungere da organo esecutivo 11. dicembre 1960 19 COMUNI D'EUROPA per il Comitato Consultivo; 3) una Banca per lo Sviluppo Africano. che dovrebbe concedere prestiti di sviluppo ad interesse, garantire i prestiti contratti dai paesi africani sul libero mercato finanziario e assicurare una quota degli investimenti privati contro i rischi non commerciali; 4) un Fondo Africano per gli Investimenti, che conceda prestiti e sovvenzioni a programmi sociali ed economici di natura non commerciale, non di lucro. Questo fondo si affiancherebbe, o sostituirebbe il Fondo d i Sviluppo della CEE, e le sue risorse consisterebbero in contributi iniziali da parte d i tutti i paesi partecipanti, e in contributi periodici da parte di paesi non africani, determinati, ad esempio, in proporzione al volume totale degli scambi annuali (importazioni ed esportazioni totali) di ciascuno d i essi con l'Africa D ; 5) un Ufficio di Assistenza Tecnica incaricato di organizzare la cooperazione tecnica e scientifica tra i paesi africani partecipanti, i cui compiti potrebbero essere affidati all'esistente Comitato per la Cooperazione Tecnica nell'Africa a Sud del Sahara. L'intenso lavoro che diede vita a l rapporto del Gruppo di Studio per lo Sviluppo dell'Africa è stato compensato dall'approvazione delllAssemblea Consultiva, priva d i poteri, da qualche studio compleme~ltaresu aspetti specifici delle sue proposte, come l e garanzie dei prestiti e l'assicurazione degli investimenti, e dalla totale inazione dei governi europei. I1 rapporto resta, tuttavia, una solida base su cui potrebbe ancora essere fondata una razionale collaborazione tra l'occidente e l'Africa. D'altronde, il riconoscimento della necessità di una tale collaborazione non è limitato alla Assemblea Consultiva di Strasburgo. Ne è prova evidente la duplice decisione raggiunta nella riunione del dicembre 1959 dei Quattro Grandi occidentaii a Parigi, in cui i capi occidentali si sono accordati per cercare d i armonizzare le relazioni tra i blocchi commerciali entro la comunith occidentale, e per esplorare nuove possibilità di programmi di aiuto più diffusi ai paesi meno sviluppati; e ne è prova anche il Rapporto Uuvieusart ,) presentato in ottobre all'Asserfiblea Parlamentare Europea, che ha suggerito la creazione d i un equivalente africano delllOECE. Un riconoscimento analogo di questa esigenza è palese, sull'altra sponda dell'Atlantico, nel cc Rapporto Herskovits Dopo aver affermato che l'America dovrebbe immediatamente riconsiderare i suoi programmi di aiuti africani, il rapporto fa l a seguente raccomandazione: x Per aumentare l'efficacia dei futuri contributi, si dovrebbero fare sforzi per sviluppare accordi regionali, più o meno analoghi a l Piano di Colombo, che forniscano un'ossatura alla cooperazione tra i paesi dell'Africa a sud del Sahara. la Comunità Economica Europea, il Commonwealth britannico, gli USA, e altre nazioni disposte a partecipare ad azioni intese a promuovere lo sviluppo economico di quella zona *. Alcune altre nazioni z già = partecipano ad azioni intese a promuovere lo sviluppo economico dell'Africa. I1 governo d'Israele ha aiutato il Gana a creare una flotta mercantile ed un'accademia navale. Presta assistenza tecnica e sta sviluppando gli scambi con un certo numero di paesi africani. Sta anche portando africani in Israele per studiare la silvicoltura, la conservazione del suolo, l'irrigazione, l'itticoltura, l e tecniche di vendita, la medicina veterinaria e l'amministrazione delle cooperative. Inoltre, la Germania orientale, la Cecoslovacchia e altri stati dell'Europa orientale hanno cominciato a mandare in Africa ingegneri. agronomi e missioni commerciali. L'Unione Sovietica ha cominciato a concedere prestiti d i sviluppo B. L'Etiopia e la Guinea stanno ricevendo assistenza sia tecnica che finanziaria dal blocco sovietico. Gli aiuti comunisti, tuttavia, potrebbero essere resi meno sospetti politicamente - e quelli di Israele forse più efficaci - se venissero entrambi integrati con l'assistenza occidentale in un comune programma multilaterale di sviluppo africano = t i p o Colombo n, piuttosto che conservare il loro attuale carattere bilaterale. Infine, l'assistenza dell'ONU e dei suoi enti specializzati, finanziata in larga misura dall'occidente, dovrebbe pure essere coordinata con un eventuale programma generale di sviluppo per l'Africa. I1 Fondo Speciale dell'ONU per lo sviluppo economico, che ha cominciato a funzionare nel 1959, concorrerà con quasi . 8 miliardi di lire a i programmi africani per il 1960. La F A 0 ha aperto nel 1959 una sede regionale ad Accra, nel Gana, mentre l'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha ora in funzione un ufficio distaccato a Lagos, i n Nigeria, per mezzo del quale è in grado di offrire consulenza e preparazione tecnica sulle leggi del lavoro e sulla sicurezza sociale. L'UNESCO si è impegnato in un programma di incoraggiamento delle biblioteche pubbliche in Nigeria, e ha intrapreso uno studio i n loco mirante a promuovere l'educazione delle donne africane. Infine l'organizzazione Mondiale della Sanità ha mandato nel continente africano, durante l'anno passato, quasi cento specialisti, i quali hanno eseguito vaccinazioni e inoculazioni, e lavorato per il miglioramento sanitario in vari villaggi d i ogni parte dell'Africa. Questi programmi, come tutti gli altri, debbono essere coordinati nel quadro il più vasto possibile. Sfida per l'Africa. Finché raggruppamenti economici rivali, e disaccordi intorno a l principio o a i tempi della decolonizzazione, dividono le potenze occidentali, l'azione comune dell'occidente per lo sviluppo economico e sociale africano continuerà ad apparire ambigua. Che cosa si può fare, dunque, per stimolare un'azione razionale e comune? Quali nuove pressioni potrebbero essere esercitate sui capi occidentali per convincerli che la duplicazione I>. C . e le azioni interferenti che lasciano intatte certe lacune debbono essere eliminate con l'adozione di uno schema comune? Gli africani dovrebbero esercitare pressioni per conto proprio? Al livello governativo, forse attraverso la progettata Comunità degli Stati Africani Indipendenti, i paesi delllAfrica che godono dell'autogoverno potrebbero patrocinare l'elaborazione di un programma di sviluppo su scala continentale. S e i governi africani mettessero l'occidente di fronte a precisi suggerimenti per uno sviluppo armonizzato, e si impegnassero concretamente tra di loro in imprese cooperative, si troverebbero senza dubbio nella posizione di negoziare con la forza morale e materiale di una voce unificata, e di ottenere una maggiore attenzione da parte delle potenze occidentali. Con l'assistenza del personale della Commissione Economica dell'ONU per l'Africa, e con idee e ispirazioni tratte dal lavoro del Gruppo di Studio del Consiglio d'Europa e dall'esperienza del Piano di Colombo, gli stati africani potrebbero formulare un piano generale di sviluppo economico e sociale dell'Africa. Essi potrebbero ottenere, in tal modo, che la partecipazione ai piani di sviluppo e alle zone di libero scambio della CEE, della Comunità francese, e del Commonwealth britannico, non provochi divisioni e conflitti regionali all'interno delllAfrica. Potrebbero attirare assistenza economica e tecnica da tutte l e parti, inclusi gli USA, e presumibilmente alcuni dei paesi comunisti, liberi dai pericoli delle pressioni economiche neocoloniali che possono derivare dai programmi d i aiuto bilaterali, e dall'eccessiva dipendenza d a una sola fonte d i aiuti. Al livello non governativo, i capi politici africani potrebbero considerare la prospettiva di arrivare ad un Movimento Africano. Impegnato a promuovere l'unificazione dell'Africa, così come il Movimento Europeo deve facilitare l'unificazione dell'Europa, un Movimento Afri- Qualsiasi soluzione che non si traduca nella pacifica e progressiva liquidazione dell'autocrazia europea nell1Unione del Sud Africa, nelllAfrica del Sud-Ovest, nella Federazione Africana Centrale della Rhodesia e del Niassa, nell'Angola e nel Mozamblco, sarebbe inumana e disastrosa. cano potrebbe contribuire a popolarizzare la causa dello sviluppo economico razionale su scala continentale, e operare per mitigare le rivalità di tribù e l e altre rivalità interne. Non potrebbe la Conferenza di Tutti i Popoli Africani fondare un tale Movimento per pianificare e conquistare appoggi alla costruzione postcoloniale d i un'Africa unita? L'entusiasmo per l'unità africana latente nella giovane élite colta è la misura del dinamismo potenziale di un simile movimento. Necessiterebbe di contributi finanziari relativamente modesti, e, così come il Comitato Americano per l'Europa Unita ha dato assistenza materiale a i movimenti che si battono per l'integrazione europea, è ragionevole attendersi che la causa dell'unità africana troverebbe rispondenza negli Stati Uniti, specialmente tra i 17 milioni di americani di discendenza africana. Un Movimento Africano potrebbe incontrarsi con il suo equivalente europeo su un piede di parità, e procedere a un fruttuoso dialogo e a scambi tecnici. Potrebbe incoraggiare un nuovo tipo di relazione umana tra gli africani e gli europei, creando, ad esempio, contatti con l'ala sinistra anticolonialista del Movimento Europeo, e con il Congresso del Lavoro Europeo fondato a Parigi a metà del 1959. Potrebbe fornire gli strumenti organizzativi per elaborare e promuovere programmi di cooperazione internazionale e sopranazionale sia entro l'Africa che tra l'Africa e altre zone. In associazione con altre organizzazioni come il Movimento Europeo e il Congresso per la Libertà della Cultura, potrebbe organizzare convegni di studio su argomenti quali il federalismo, la cooperazione e l'organizzazione internazionale e l e unioni doganali. Questi convegni potrebbero essere integrati da visite all'estero miranti a familiarizzare i capi africani con la struttura e il funzionamento delle istituzioni pubbliche e private più significative per le aspirazioni africane. Queste istituzioni potrebbero comprendere la CEE, la CECA e l'EURATOM, l'OECE, il Benelux, il Consiglio Settentrionale, il Consiglio d'Europa, la Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi, la Confederazione Internazionale dei Sindacati Cristiani, le cooperative e i programmi di assistenza sociale scandinavi e i consigli di fabbrica della Jugoslavia. Altri esempi potrebbero essere i Kibuzim, e l'organizzazione sindacale Histradut di Israele, i sistemi federali del Canadà, dell'India e degli USA, l'organizzazione degli Stati Americani, la Lega Araba. il Piano di Colombo, e. naturalmente, qualsiasi altra istituzione importante dello stesso continente africano. La rivoluzione africana è ancora in un periodo = influenzabile B. Attraverso il libero dialogo con le organizzazioni culturali e tecniche occidentali, un Movimento Africano potrebbe contribuire a incanalare un'. influenza D occidentale positiva nella nuova Africa: non solo un'influenza tecnologica, ma un'influenza etica che inviti gli africani a unirsi a tutti gli uomini illuminati nel perseguimento degli ideali della conoscenza, della libertà e della dignità umana. COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 Bilancio e u r o p e o d e l 1960 di Magda da Passano L'antica saggezza greca consigliava di compiere il bilancio morale della vita di un uomo solo alla fine dei suoi giorni. Applichiamo questo saggio principio alla storia dei nostri tempi e facciamo - ormai che possiamo! il N bilancio n delle nazioni europee. I paesi dell'Europa, con il loro carattere di nazionalità particolari, stanno per chiudere (alcuni hann3 già chiuso) la loro esistenza storica. Possiamo forse considerare il 1960 come l'anno di chiusura di molti bilanci di nazionalità esasperate. Quelle che restano vanno viste come fenomeni ritardati di un processo storico già scontato e ciò che rimane di alcune di queste Nazioni con la maiuscola, è un residuo concentrato che serve a darci l'idea d i auello che muore con esse. Cosa nasce dalle loro mediocri rovine? Non da loro. ma dalla forza dello spirito umano nasce una idea nuova: essa corrisponde a i suoi più profondi desideri d i libertà e di pacifica convivenza tra gli uomini; essa tiene conto, non per umiliarle ma per rispettarle, delle differenze storiche ed etniche dei popoli: è l'idea delle grandi federazioni a misura continentale. Solo così il bilancio approda a qualche utilità. Altrimenti, prese per sé l e singole storie dei nostri paesi europei attraverso tutti questi scarni anni di pace ipotecata, si presenterebbero alla nostra osservazione come una inutile chiusura di conti d i annate magre. Questo bilancio visto in chiave europea è l'unica dignità che ci resta. Al d i fuori di questa null'altro possiamo vantare se non modeste e particolari abilità di tipo semi-folcloristico per le quali saremo - presi ognuno per sé - più o meno valutabili sui grandi mercati: si verrà a cercare in Europa abili meccanici o cantastorie ... Molte cose che scuotono il mondo (dicono poi coloro che credono d i dover guardare molto più lontano) succedono ancora oltre i nostri confini europei: occorre allargare maggiormente il nostro orizzonte ... siamo misura particolare di un immenso universo politico ... Non è vero: noi non siamo più niente, in questa prospettiva, perché non esistono ancora strutture stabili di tale misura che ci consentano sinceramente di definirci cittadini di un vasto mondo politicamente organizzato. cc L'Italia - diceva i n gennaio del '60 il Presidente Segni nel discorso rivolto a l Cancelliere Adenauer venuto in visita nel nostro Paese - non intende sottrarsi alle sue responsabilità. Noi speriamo che il desiderio di pace assuma forme sempre più concrete e che l'Europa unita possa, insieme con i suoi alleati e i suoi amici, apportare un contributo decisivo al processo di distensione... n. In questo brano d i discorso si ravvisa tutto il carattere della singola impotenza dei nostri Stati. I Governi IC sperano n, i paesi hanno I( alleati )I ed amici tutta un'atmosfera di autunno politico pervade i discorsi dei Presidenti del Consiglio. Ed anche quando una fattiva energia ne anima i programmi interni un angusto senso d i chiusura provinciale fa sì che si debba considerare inutile zelo mal riposto la loro attività di Governo. La babele europeistica ha invaso ormai ogni settore di accordo internazionale europeo: si parla di 0 Europa unita come se fosse una realtà operante, capace addirittura di porsi ad arbitra neutrale e sapiente delle controversie ideologiche intercontinentali, e più non ci si orienta - in effetti - tra le formule di intesa: un Governo che non h a ancora deciso se operare verso l'unità, attraverso il Consiglio d'Europa o attraverso la Comunità Economica Europea, attraverso l'Unione Europea Occidentale o percorrendo addirittura la strada contorta della NATO, può onestamente essere giudicato come un Governo che vuole (gli esecutivi non sono eletti per K sperare n!) l'unità dell'Europa? I1 discorso sull'Europa ritornerà nei suoi dettagli alla fine di questo panorama europeo dell'anno che finisce qui. L e date stesse degli appuntamenti invernali ci riporteranno a questo tema, così come le sfoglieremo dal calendario. E si vedrà che a l massimo questa pretesa (C )I; 11 esistente unità può essere definita - alla maniera la più tradizionale - una II entente cordiale di buona memoria. 11 Si dice che un giorno la Marchesa Du Deffand discorrendo col Cardinale De Polignac della pietosa leggenda d i S. Dionigi che, come si sa, sarebbe andato, decapitato, portando in mano la sua testa da Montmartre a St. Denis (dove sorse poi la Chiesa a lui dedicata). a proposito di quegli increduli che osservavano che il Santo non poteva aver compiuto un viaggio cosi lungo, in quell'atteggiamento, abbia osservato spiritosamente: ,Cil n'y a que l e premier pas qui coute D ! Così la Francia, meno miracolosamente di S. Dionigi, ha decapitato la sua democrazia, e questa ha percorso fin qui un cammino scomodo, lasciando che la mano portasse la testa, che l'esecutivo quindi avesse uno strapcitere. Non è il cammino lungo che ci sorprende (la Marchesa Du Deffand ci è maestra davvero) ma ancora non ci sappiamo spiegare come essa abbia potuto compiere il primo passo. E dubitiamo d'altronde che nel luogo ove si conclude il viaggio della decapitata democrazia francese da Parigi ad Algeri, possa sorgere un tempio a lei dedicato! Alla vigilia di Natale del 1959 l'Assemblea nazionale francese approvò il progetto governativo sulla scuola, che disciplinava economica- Parigi, 24 diceinbre 1959: l'Assemblea h'aziorlale francese approva la legge sulla scuola. mente il problema delle scuole private. Diciam3 (1 economicamente 11 perché a detta d i documentati analizzatori del progetto di legge. esss non conteneva altro che garanzie finanziarie da parte dello Stato verso la scuola privata: lo Stato si accollava infatti la retribuzione degli insegnanti mentre la scuola privata accettava un controllo finanziario, ma cmtinuava a godere di quasi assoluta libertà all'interno. Questo fatto che può apparire come uno dei tanti atti legislativi del Governo Debré, destinato cioè a non richiamare tanta attenzione oltre a quella - sia pure larga - degli ambienti interessati, determinava invece una grossa incrinatura nella compagine governativa francese. Si sa come si risolvono, in regimi non democratici, o non tali a pieno, l e crisi governative: con le dimissioni del Ministro dissidente e l'interim del Presidente del Consiglio. Così avvenne: l'ex socialista (la Francia sembra traboccare d i (I e x socialisti 11, che hanno troppo spesso la sola funzione di togliere l e castagne dal fuoco per il Governo) Boulloche abbandonava il suo posto. Un anno è passato: J o z e (1) ha affrontato un compito altrettanto e più difficile e denso di pesanti responsabilità politiche ed umane: risolvere la fase culminante della questione algerina. La Francia, con la sua incapacità di trovare ormai una soluzione d i vero compromesso in Algeria (e in altre zone meno vicine a noi ma ancora d i sua appartenenza), di ritrovare la sua chiara via democratica, il suo posto dignitoso fra l e nazioni europee e il suo ruolo di sollecitazione di una politica illuminata tra le grandi alleanze intercontinentali, è stato il problema d i ogni giorno di questo anno negativo per la politica europea. Vi sono a volte dei tempi d'arresto nella storia delle civiltà umane. Anche il più gretto conservatore francese saprebbe vedere. se lo volesse, che questo per la Francia non è che un temporeggiare. Temporeggiare tuttavia è importante: è stato infatti essenziale per quelI l ) Già segretario generale - nel 1943 - del Comitato francese di Liberazione nazionale e subentrato appunto a Boulloche, come Ministro deli'Educazione nazionale. l e piccole minoranze, economicamente fortissime, d i francesi d'Algeria che hanno potuto, grazie alle dosate promesse di De Gaulle e del Governo, sloggiare senza troppo rischi economie; da quel territorio che si avvia - inesorabilmente, ma chissà ancora attraverso quali tempeste - a diventare indipendente. Può darsi che si possa concordare su alcuni punti con loro (con questi sapienti amministratori dei propri beni e delle altrui potenziali proprietà) e concludere che la via dell'indipendenza reale - politica ed economica - dell'Algeria, è ancora assai lunga. Può darsi che l'Algeria non intraveda neppure - ancora oggi - i giusti termini di tale indipendenza. Come può un paese trovare sé stesso prima di essere stato tale? Quello che oggi appare chiaro, forse più chiaro che mai, a l neo ministro Joxe, è che siamo arrivati alla fase di liauidazione della questione. Attraverso quali forme? P e r prima cosa - h a proposto De Gaulle - un referendum. Egli è stato in Algeria per cercare di prendere altro tempo. Questa volta la sua abilità oratoria deve ottenere l'ultimo sforzo di non comprensione da parte dei mussulmani e (se è possibile) dei francesi d'Algeria: egli dovrà essere abbastanza abile da far credere che il referendum porti a tutti la cosa voluta, l'integrazione con la Francia agli integrazionisti (integrazione... che brutta parola, scontata ormai tanto in Europa!), per ottenere che essi votino e votino a favore. Impresa non facile, anche se probabilmente può contare sull'appoggio di certa parte dei militari che hanno mezzi sempre assai convincenti per ottenere voti. Tant-J più che ci troviamo un'altra volta in una situazione limite per la democrazia, della quale il 'refe'rendum è istituto spurio. I1 Fronte di Liberazione Nazionale ha, dalla sua parte, il vantaggio dei nazionalisti di colonia: la chiarezza delle prime tappe da raggiungere e - prima fra tutte quella essenziale della partenza dei colonizzatori. E' la sola cosa che gli si può invidiare. P e r il resto non pare che esso abbia i n serbo per un ipotetico, immediato domani d i libertà, qualcosa d i sicuro da porre a fondament3 della sua politica. Qualcosa di sicuro non l'hanno - sembra - neppure gli altri Stati afro-asiatici in fermento: dall'Etiopia a l Nepal. Tutto quello che abbiamo letto sui giornali - europei e no - della difficile e dolorosa situazione algerina, tende a volte a metterci in una posizione errata. Abbiamo sentito qualcuno dire che la questione algerina è, come altre, una situazione particolare, quasi episodica. Invece, la vera intelligenza del mondo nel quale viviamo ci impone di saper distinguere quando una questione ha confini veramente limitati e quando invece essa, anche automaticamente soltanto, appartiene a una catena di avvenimenti, termini singoli d i una più ampia manifestazione storica nuova. Forse quindi i disordini della Martinica (l'isola ancora francese dei Caraibi, di alterna appartenenza nei secoli passati, comunque oggi ancora francese) sono una estrema punta geografica di un vasto sistema di ricerca d i indipendenza e di autonomia. Esso ha i suoi cardini appunto in Africa e in America Centrale. L'isola francese, non abbastanza importante apparentemente per sollevare consensi larghi o rancori a Parigi, e non abbastanza inutile come territorio per sfuggire alle sollecitazioni del movimento di insurrezione sviluppatosi tutto all'intorno, col suo porto d i Fortde-France, resta ancor oggi un importante punto di sosta dei grossi carichi petroliferi e per le acque della Martinica passano l e rotte dirette a e da Panama. Forse i nonni lontani del generale De Gaulle quando sterminarono la popolazione dei Caraibi e portarono sull'isola schiavi negri a coltivare caffè e altro, credettero di aver risolto per sempre il problema. I problemi umani non si risolvono mai all'infinito, almeno con mezzi del genere. Da Algeri alla Martinica la Francia è respinta i n Europa: ed ora, proprio la Francia che di questa Europa occidentale è stata per tanto tempo la bandiera. sembra odiare COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 come estranea alla sua natura la civiltà del vecchio continente. Essa si sforza soltanto di riconoscersi o è veramente ridotta a quella esigua Francia prepotente, incapace di trasformarsi o di morire, residente in Algeri e dintorni? Di Europa si sono - è vero - riempiti la bocca uomini politici francesi assai lontani, per convinzioni e programmi, da una reale unità politica della Piccola Europa. Abbiamo sentito perfino Pinay, alla vigilia della sua strepitosa uscita dal Governo (ecco altre dimissioni importanti dal Governo Debré), accusare la politica di De Gaulle come mancante di preoccupazioni in senso europeo. Oggi si può onestamente dire che l'aver esonerato Pinay dalle sue funzioni di Ministro delle Finanze, non ha però portato il Governo a un sostanziale mutamento di politica. Basta vedere, per confermarci nella nostra Robert Schuman idea, quanto siano stati al contrario modificati nella sostanza i progetti di legge che motivarono l'uscita di Pinay dalla compagine governativa. Poiché quella che Pinay aveva definito addirittura una 11 politica socialista del Governo, era soltanto un i<illuminato neo-capitalismo preoccupato di creare: una società izazionalizzata per il petrolio sahariano, un ente di riconversione industriale. e di associare, nella misura di un quarto, la rappresentanza sindacnle nei consigli d'amministrazione. Come sa ogni europeo d'Occidente queste tre non sono altro che pallide finzioni di una politica di sinistra, mezzi per attirare un po' di popolarità al Governo. D'altra parte, lo abbiamo visto, il legame con i settori socialisti pareva, con le dimissioni di Boulloche, spezzato del tutto. Si tentò perciò questa via. In realtà il primo progetto pur disturbando il cartello internazionale del petrolio - non avrebbe avuto, dato il carattere della Quinta Repubblica, una chiara forma di ente di pubblico controllo; quanto all'ente di riconversione industriale, sappiamo bene ormai quanto queste iniziative si risolvano in una sanatoria (operata dallo Stato) di situazioni di perdita; sanatoria della auale si avvantaggia, di solito, assai più il capitale privato in crisi che non le finanze dello Stato e auindi l'interesse dei cittadini. In ciò, pur con il frasario e gli argomenti classici degli ottimi tecnici delle Finanze di tipo tradizionale, Pinay aveva giustamente osservato che questo provvedimento avrebbe salvato le industrie zoppe Quanto alla sua terza critica essa era poi forse la più vera di tutte, ma per motivi che sfuggono, necessariamente, ad un uomo politico delle idee di Pinay Egli parlò di 11 sovietizzazione 1, delle aziende, attraverso l'immissione della rappresentanza sindacale nella Amministrazione delle società in quanto i sindacati sono per la maggioranza comunisti. Orbene la sovietizzazione vera consisteva invece nel fatto che ad una - sia pure limitata - possibilità di intervento nella direzione economica delle aziende, non corrispondeva poi sul piano generale, sia parla,I - 11. mentare che di strutture di grande programmazione economica, una libertà politica che consentisse una piena funzione di democratico potere. Tuttavia il Ministro delle Finanze usciva dal Governo, con l'occasione di questi tre progetti, nel tentativo probabilmente di riserbarsi per il futuro. Un futuro che egli ed i suoi alleati politici volevano determinare a favore appunto di una limitata Francia che ha dalla parte sua una grande arma: quella di conoscere chiaramente i suoi interessi a breve scadenza. Perciò accusare, come molti hanno fatto, Pinay di miopia, significa solo dire che a i suoi oppositori - democratici più o meno, a seconda dei casi - manca la capacità di fissare le tappe della loro ideologia e della loro azione politica. De Gaulle stesso mancò di questa chiarezza. Egli cominciò la serie dei viaggi, fuori e dentro la Francia. Sembrava alla ricerca di un consenso del quale non era più così certo. Anche nella periferia algerina era alla ricerca di un consenso. Ma questa volta sembrava aver capito che ciò che a lui e alla Francia bastava ormai - doveva bastare - era un consenso sulla limitata questione del referendum. Egli si è finalmente posto delle tappe, almeno una prima tappa. Ha intanto nominato un esecutore testamentario della Francia in Algeria! Non ci piace certo ricercare delle analogie che si risolverebbero, qualora l e riscontrassimo vere, in una ulteriore disapprovazione del regime gollista, ma non è un caso il fatto che Pinay sia stato per tanta parte il consigliere finanziario del Governo Pétain e di quello del Generale De Gaulle. Dicono che il Generale si inquietasse molto per essere chiamato semplicemente Presidente dal suo Ministro delle Finanze, e che un giorno abbia osservato a Pinay: cc Lei si sbaglia di Repubblica ) I . Abbiamo l'impressione che anche De Gaulle si sbagli di Repubblica e che stia giocando con una Costituzione repubblicana con troppa disinvoltura. I fatti sanguinosi e drammatici dell'Algeria, che qualcuno si ostina ancora a interpretare come un fatto di rivalità tra due nazionalità diverse, semplificando il contrasto che è assai più complesso, sono la lotta della Francia colonialista contro la Francia europea, che non ha ancora riconosciuto le sue forze politiche. Lo stesso nazionalismo della Francia è in violenta discussione con sé stesso sul suolo africano. Tutti ricordano il tragico scherzo dell'intervista del Generale Massu al quotidiano bavarese Suddeutsche Zeitung 1). Essa denunciò chiaramente la politica di De Gaulle e fu, anche per i più ciechi, la dimostrazione che perfino l'esercito metteva in discussione gli ordini del Governo. Sappiamo - tutti noi europei ne abbiamo già fatto l'esperienza - che cosa significhi quando gli eserciti non sanno più ubbidire e si credono autorizzati ad attribuirsi un valore trascendente N , che v a al di là cioè della loro funzione di mezzi per tutelare le libertà dei popoli e l'autorità dei Governi. Tutto il discorso di Massu era dello stile della più classica pirateria e neppure l e smentite, seguite di pochi giorni da Parigi, dove il generale fu convocato d'urgenza, riuscirono a diminuirne l'impressione nel mondo. A proposito della richiesta se De Gaulle avesse o n o un'idea chiara circa la politica da svolgere in Algeria, il generale rispose: cc non lo so. E se ne ha una, essa non corrisponde alla nostra ... Egli chiedeva inoltre procedimenti speciali giudiziari da attuare in Algeria e non a Parigi, contro i tentativi antifrancesi dell'FLN. Egli - con una di quelle idee economiche che ben si addicono a i militaristi - proponeva la distribuzione di ampie zone di bosco tra gli arabi. E infine chiudeva con frasi ambigue e minacciose l'intervista, lasciando chiaramente capire che l'esercito era pronto, i n larga parte, a disubbidire a Parigi. I1 tentativo di durezza del Governo, succeduto a questo episodio, non fu in realtà nulla di fatto: i procedimenti speciali furono introdotti (il comunicato parlava di 11 adattare la nostra legalità repubblicana alla guerra sovversiva ... e De Gaulle, nel suo appello alla pacificazione degli animi, parlava di una soluzione francese per l'Algeria. Ma il tempo ha compiuto ormai - malgrado i generali - un inevitabile allargamento delle idee e dei contrasti. I1 Marocco e l'Egitto dichiararono in quella occasione la loro solidarietà con la lotta algerina e allo stesso momento si compiacquero per l'annunciata prossima indipendenza di quegli Stati africani che si preparavano ad essere 11 liberati dal peso della colonizCC 11. zazione europea n. L'intervista Massu, prudentemente coperta dal generale Challe (quello stesso che oggi viene ricompensato con la carica di Comandante delle forze alleate del CentroEuropa) ebbe in sostanza un solo risultato: quello di tirare fuori il generale dalle sommosse dei giorni seguenti. Le barricate dell'improvvisato Alcazar D degli insorti agli ordini di Lagaillarde (abbiamo letto assurdi consensi in manifesti di I I evviva Lagaillarde, difensore della civiltà europea n sui muri di Roma!), di Ortiz e di Martel, assediate solo di nome dalle truppe del generale Challe, l'incerto linguaggio del delegato generale Delouvrier, dimostrarono chiaramente che la vera disputa in Algeria era tra francesi e francesi e che proprio per questo la frattura era penetrata ormai in ogni settore e aveva fondamentalmente compromesso la saldezza delle stesse Forze armate. Diceva Delouvrier alla folla europea lasciando Algeri: c i ... annienterete il Fronte Nazionale di Liberazione, il quale aspetta nell'ombra che regoliamo le nostre dispicte 11. Naturalmente l'appello del Presidente De Gaulle (ottenuti dei poteri straordinari, grazie al tipico disordine costituzionale che regna oggi in Francia, per il auale i pieni poteri delegati dal Parlamento al Primo Ministro, possono essere in realtà esercitati dal Capo dello Stato) era assai più duro e si preoccupava di scusare sia il Generale Challe sia il delegato Delouvrier per una certa loro mitezza. Del resto la pretesa durezza di De Gaulle era più nelle parole che nei fatti. Non si può - e lo si è visto palesemente - processare obiettivamente un Lagaillarde quando si è fatto leva per quasi un ventenni0 di retorica politica (se non di azione politica vera e propria) su quei settori nazionali, su quelle forze, su quegli uomini. Proprio De Gaulle, l'inventore della Francia africana come forza politica di insurrezione e di riscatto nazionalista, può trovare, senza suscitare rivolte e secessioni, una soluzione di liquidazione della Francia in Algeria? Oggi, all'indomani di un referendum d'Algeria, c'è chi sostiene che l'esercito, ormai deciso ad appoggiare De Gaulle, ha ottenuto abbastanza voti mussulmani favorevoli. Qualunque cosa pensi De Gaulle e sopportino i democratici francesi - che da due anni quasi si sono ritirati lasciando fare al Generale e quindi dimostrando con ciò di credere ancora possibile una unità francese che non può più avere lunga vita -, la soluzione che esce dal referendum o è una formula nuova, e come tale potrà rigettare e rinnegare gli impegni di De Gaulle, o non è altro che un'ennesima fase del temporeggiamento francese, e allora potrà anche suscitare una rapida quanto catastrofica e drammatica liquidazione dell'affare algerino. Anche e più di tutti, forse, proprio i democratici francesi sono usciti malconci da tutto il bilancio annuale d'Algeria in quanto essi possono ormai concludere che la loro rinuncia a l potere e l'accettazione di un regime di umiliazione democratica non hanno - nemmeno - giustificazione in una profonda e vera unità dei francesi intorno a De Gaulle. In secondo luogo i più accorti e lungimiranti di loro, lontani dall'accettare con nazionalistica rinuncia questo fallimento di un sacrificio, si accorgeranno presto che solo in una più coraggiosa e sicura solidarietà europea, la democrazia francese potrà avere nuova spinta vitale. Quanto al sempre presente atteggiamento poujadista che cova, pronto a minare presso gli incerti le già scosse convinzioni democratiche, si può domandare onestamente se i cento rimpasti governativi operati sotto De Gaulle non stiano lì a dimostrare che non era solo il regime democratico ad avere accolto in sé questa mutevole meccanica. Ancora il Generale De paulle, come nelle sue memorie di guerra, potrà concludere: 11 La via della grandezza è libera l , ? La grandezza invece egli l'andava ricercando altrove, nelle ostentazioni di forza e non di vera e propria grandezza. L e esplosioni di Reggane non furono altro che un esempio tipico ed estremo di questa politica della forza. L'Occidente europeo - pur di fatto coinvolto i n questa azione di intimidamento verso i popoli africani - non ha dimostrato tuttavia di accogliere con entusiasmo e favore la raggiunta capacità atomica francese. Una volta di più l'occidente europeo è stato inerte e non ha trovato - perché non li ha - i mezzi possibili per frenare la Francia in questo suo grave errore. Le esplosioni di Reggane - se hanno portato il Generale Challe alla carica che sappiamo - hanno ,( COMUNI D'EUROPA tuttavia gravemente contribuito a compromettere una politica di pacificazione afro-europea e, come primo risultato, portarono una influenza negativa sui negoziati che si stavano svolgendo, al momento della prima esplosione, a Ginevra per limitare gli esperimenti nucleari. Sarebbe assai triste pensare che questa delle esplosioni di Reggane sia l'ultima firma importante della influenza francese i n Nord Africa! Come analisi del fenomeno di abbandono dei classici canoni della democrazia partitica, in Francia, si può osservare che l'antipartitismo di certa Francia non è poi tanto diverso da quello di oggi delllAmerica Latina dove fenomeni, per esempio come il velaschismo (21, sono in auge. L'antipartitismo non ha di solito infatti una ideologia ben programmata da opporre al sistema delle tradizionali democrazie, ma vive di improvvisazioni che sono tanto più possibili ed efficaci in quanto si attuano con il semplice muovere di un dito del capo dello Stato. Certo le democrazie non hanno questa che ad alcuni sembra mirabile forza di improvvisazione. Del resto tutta l'interpretazione di De Gaulle al processo di unificazione dell'Europa, che corrisponde realisticamente a quanto in effetti sono l e esistenti Comunità specializzate, è basata sull'idea (più volte sottolineata) della II Europe des patries .. Le comunità, diceva il Capo della V Repubblica francese, non hanno altro valore che quello di essere un punto d'incontro stabile tra gli Stati europei, la sede nella quale con periodica regolarità (3) gli stati si accordano sulle loro politiche economiche. L'interpretazione poi che De Gaulle (4) dà al processo storico europeo di questo dopoguerra segue sostanzialmente questa linea assai semplice: alla fine del conflitto gli Stati erano smembrati e distrutti, fu quindi necessaria l'alleanza atlantica per garantire la loro sicurezza e il loro primo risollevamento economico, fintanto che si andavano ricostituendo nelle loro singole unità. Ora il processo dovrebbe - a parere di De Gaulle - riconvertirsi: dalla occasionale D unità di certi settori, si deve ritornare ormai ad una diversificazione netta degli Stati europei. rinati ad una verginità senza precedenti. A parte la considerazione che viene i n mente a tutti noi europei che l e nazioni, come gli uomini, non riescono mai identiche da certi fondamentali avvenimenti che hanno posto i n discussione la loro intima esistenza e struttura, si può dire a De Gaulle che egli è, per lo meno, responsabile di aver taciuto fino allo scorso settembre questa sua chiara, anche se antistorica, visione. Non avremmo perduto tanto tempo - non noi federalisti per dire il vero, ma noi in quanto democratici più possibilisti - a credere che, in fondo, qualcosa di europeo viveva nell'anima del vecchio generale. Per grazia di Dio una Francia più civile aspetta di riaffacciarsi all'Europa, dopo la chiusura della questione algerina e coloniale in genere (5). CC * * * A dire il vero non sembra essere la Francia la sola a credere che i Paesi dell'occidente europeo possano riprendere ormai completamente l e fila interrotte dallo scoppio della guerra europea. Così, il Primo Ministro belga Eyskens, nel (2) E' una forma di raggruppamento politico che pretende di non avere vero e proprio carattere di partito. Ha preso il nome di José Velasco Ibarra, pres,idente delI'Ecuador, scrittore di materia costituzionale, che tentò una prima volta, con colpo di Stato, di raggiungcre il potere e non riuscì. Poi. con elezioni popolari, fu eletto: egli improvvisa, giorno per giorno, una politica, senza precisi programmi e schemi, a vo'lta a volta facendo leva su sentimenti nazionalisti o su aspirazioni sociali frustrate. (3) Questa pretesa <<regolarità» non c'è affatto: i Consigli dei Ministri delle Comunità si bloccano per qualsiasi più o meno valido intralcio di politica interna. ( 4 ) Vedi la Conferenza Stampa di Parigi del 5 settembre 1960. (5) Abbiamo letto su certi giornali italiani che tra le dichiarazioni di uomini celebri sul voto del referendum, ce ne sarebbe stata una di Jean Cocteau alquanto discutibile ma significativa: « Il voto » avrebbe detto Cocteau serbandolo segreto « è uno slancio del cuore)). Alla legge dell'invecchiamento nessuno si sottrae, è vero; individualmente nulla. se non saggiamente amministrare il proprio cuore, è possibile fare. forse. Il brutto è che tutta la Francia - in questa questione privata t r a ognuno e il Generale - ha votato col cuore, si direbbe. Invece non è così: tra quelli che « amano » e quelli che ((odiano » la politica - quanto vaga lo si è vista - del Presidente, c'è - questo il vero risultato del Referendum - una larga percentuale di popolo - europeo ed africano - che non ka cuore per un referendum. suo discorso programmatico prima del rimpasto governativo autunnale, chiamando alle loro responsabilità l e classi economiche privilegiate, che dovrebbero mettere il paese <I i n grado di riassorbire gli effetti economici e sociali dell'affare congolese prometteva riforme strutturali indispensabili, riallacciandosi alle riforme già allo studio nel 1937! (6). Nei colloqui parigini tra rappresentanti belgi e francesi e nei seguenti incontri con i rappresentanti del Lussemburgo e delllItalia venne in luce comunque che il progetto di De Gaulle non otteneva grandi favori. Ma - intendiamoci - non otteneva favori su quelle che lo stesso Ministro degli Esteri francese, Couve de Murville (7) in u n discorso alllAssemblea nazionale francese, chiamava l e tappe della via allo scopo finale: cioè l'unità confederale dell'Europa. E si badi, che nel dire l'unità confederale già si fa troppo credito all'idea del Governo francese: in realtà la forma unitaria europea progettata da De Gaulle (forse il progetto non è suo ma a lui piace assumersene la paternità) è una forma spuria confederale, ossia una confederazione con ampie deleghe - senza riserve - ad un segretariato permanente, del quale probabilmente egli pensa che la sede debba essere - almeno nella sostanza - Parigi. L'Assemblea europea (di secondo grado) eletta a latere di questo vertice n nominato, avrebbe probabilmente le durevoli vacanze dell'Assemblea nazionale francese. Quanto al referendum popolare serve a dare una parvenza di suffragio popolare. Bene. Generale De Gaulle: i militari disgraziatamente non hanno mai partorito grandi progetti costituzionali. Anche il generale Bonaparte ebbe parecchie infelici idee su questo tema e noi, francamente, non crediamo di essere pronti a ripetere gli esperimenti cisalpini. Anche i governi europei della Piccola Europa hanno però risposto alla proposta gollista richiamando vecchie formule, in maniera assai tradizionale: invocando, a controbilanciare il progetto francese, l'influenza della Gran Bretagna. I1 gioco di De Gaulle non sarà dunque riuscito, ma ha tuttavia contribuito a cancellare qualcosa ancora della ricerca di una unità sovrannazionale europea. Sempre tragicamente legati al carbone, sembrano essere, in Europa come già in Italia, i veri sentimenti di una ii patria nuova D migliore e pacifica! Le diplomazie tradizionali non poterono inventare quello che da loro non è mai nato, giacché esse pescano sempre - bene o male - nel già tentato. E visto che l e sovranità nazionali sono state l'àncora di salvezza, come ognuno sa, dei popoli europei - ad est e ad ovest di Berlino - è davvero una buona regola di saggia prudenza riproporle intatte, in un mondo tecnicamente e socialmente tanto mutato! Comunque ognuno dispone delle riserve che ha e la storia non è quasi mai stata il fertile archivio delle diplomazie. ,), Per quanto negativo sia il bilancio dell'Europa a Sei, se facciamo i conti dell'anno seguendo il criterio di un esame particolare per ciascun paese, il risultato non è più soddisfacente. I1 Belgio, abbiamo visto, ha impegnato tutto l'anno 1960 alla a liquidazione D dell'affare Con- 20 gennaio-20 febbraio 1960: Tavola rotonda sulla enlancipazione del Congo, a Bruxelles (convocata dal Governo belga). go. Ormai già dal gennaio 1958 il Congo aveva, a prezzo di sanguinose giornate, dimostrato di volere la propria indipendenza. Fino a quella data il possedimento africano del Belgio non aveva dato alla madre patria nessun grosso fastidio; senza dubbio, risultato abbastanza positi(6) Infatti le recenti agitaz,ioni in Belgio hanno dimostrato quanto impopolare sia una riforma che pretende di ripercorrere all'indietro la via delle conquiste sociali, economiche ed assistenziali. (7) Posizioni difficili, a volte, quelle del Ministro Couve de I\Iurville: come quella che gli toccò tenere a Parigi il 4 marzo 1960, di fronte all'Ambasciatore del Belgio, al quale dovette precisare che la Francia, ritenendo ancora validi gli accordi franco-belgi dell'aprile 1884 ( l ) , aveva tutte le intenzioni di f a r valere i suoi diritti di « prelazione » sui territori del Congo,. in caso di « cessione » da parte del Belgio. dicembre 1960 vo di una intelligente e dosata politica di agilità amministrativa e di espansione e sviluppo economico (per questa parte il merito va principalmente al Ministro Wigny) era stato appunto quello di aver ritardato, per tutti gli anni del dopoguerra, il problema di un totale distacco del Congo dal Belgio. Ma l'aspetto negativo della stessa politica belga era che essa si reggeva soprattutto sulle piccole, ma violente rivalità territoriali tra tribù e tribù, meglio vorremmo dire tra regione e regione. Territorio di una vastità notevole (2.345.400 kmq., 13.175.000 ab.) il Congo è in realtà diviso ormai da troppo tempo in regioni amministrative diverse e disorganiche, con sproporzioni di civiltà e di livello economico, con possibilità diverse e capacità di rapporti con vicini e con europei, sicché il credere che esso rappresenti, cosi come è organizzato, lo schema valido di uno stato unitario e pacificamente unito, è veramente un grosso errore. Se questo errore poteva essere compiuto da critici europei più o meno informati, non poteva e non doveva essere possibile proprio per il Belgio che da troppo tempo conosceva del Congo e l e intime ricchezze minerarie e l e fondamentali differenze. Apparentemente la I , tavola rotonda tenutasi a Bruxelles all'inizio del 1960, sembrò all'Europa occidentale e al mondo un grosso avvenimento rivoluzionario di ampio respiro liberale, da parte del Belgio. Vinte infatti l e reticenze nazionali, il Belgio decideva che entro il giugno 1960 la colonia avrebbe ottenuto l'indipendenza politica. Tale era la portata della decisione nella sua sostanza che nessuno si preoccupò di osservare nel dettaglio il piano di affrancamento. La tavola rotonda che abbiamo ricordato, composta di rappresentanti congolesi e di rappresentanti belgi, lavorò per u n mese e fissò i n 16 risoluzioni una serie di punti politici e costituzionali che dovevano rappresentare una specie di prima carta costituzionale provvisoria congolese. Esse dovevano garantire il passaggio pacifico e graduale, anche se sollecito, da uno stato di colonialità a quello di formale indipendenza (8). Un governo doveva essere composto a l più presto, dopo il risultato delle libere elezioni, su nomina del Re Baldovino, ed esso doveva preparare il Congo all'indipendenza dal Belgio che sarebbe stata proclamata e attuata il 30 giugno di quest'anno. I1 testo delle risoluzioni che parevano, ad una prima lettura, un prodigio di accortezza e di liberalità, era i n realtà troppo impreciso sotto alcuni aspetti fondamentali. Già tra l e righe di quel testo si scorgevano alcune debolezze del Governo belga ( O Alcune delegazioni vorrebbero che... Altre delegazioni sostengono ... ad assicurare delle salde e chiare regole democratiche all'interno del futuro Stato. I1 Belgio transigeva piuttosto su fondamentali regole di democrazia (che sarebbero tornate logicamente di grande vantaggio per l'Europa occidentale e per il mondo libero!) e otteneva invece la promessa di un accordo di amicizia economica trk i due Paesi, all'indomani della proclamazione d'indipendenza (9). Al solito: premevano di più interessi precisi e singoli di settori economici, che non una generale volontà di progresso democratico. Le differenze che il Belgio lasciava dietro di sé nel Congo, non potevano - lo si è visto essere cancellate dalla semplice istituzione di un regime bicamerale, dall'attribuzione semplicistica di poteri locali e centrali sulla base delle costituzioni europee e soprattutto - cosa assai più grave - nessuna vera volontà di collaborazione era stata assicurata a l nuovo stato da parte degli elementi belgi, residenti ormai da ),, 11. CC 11) (8) Un discorso logico e quindi realistico sull'indipendenza degli Stati, dovrebb~finalmente essere fatto. Esso non ha soluzioni diverse per questa o per quella zona del mondo. Non si tratta di « equilibri » di indipendenza basati su una tattica più o meno valida o aggiornata, ma di indipendenza vera che ogni Stato per essere tale deve trovare in sé e in sé poter garantire. L'indipendenza è misura politica e la formula costituzionale o l'organizzazione sociale deve tendere ad assicurarla, non il contrario. Orbene: non si può forse obiettare nulla sulla formale struttura proposta per il Congo: strutture simili tuttavia riescono a mala pena a mantenere una certa indipendenza agli Stati europei, vecchie volpi di diplomazia e protetti - almeno in parto - da patti militari difensivi. alleanze economiche, ecc. Poteva valere per il ~ongo'? L'Olanda ha proceduto sulla via del progressivo autogoverno della Guinea modificando le proporzioni della rappresentanza indigena nelle istituzioni e procedendo a un imDegnato piano di sviluppo economico e civile. (9) In più otteneva, evidentemente, l'accordo pieno di alcuni territori, come il Katanga, economicamente importanti. COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 anni nel Congo e capaci quindi di portare un utile contributo d'esperienza e di ricchezza. La solita divergenza tra Bruxelles e coloni belgi i n Congo faceva così precipitare, aiutata dalla volontà antidemocratica di decisi uomini congolesi senza scrupolo, tutte l e possibilità di pace e di libertà per il niiovo grande Stato africano. Invece, l'indipendenza era preceduta da una imponente fuga di capitali con trasferimenti valutari che si aggiravano sul miliardo, miliardo e mezzo al mese. Troppo tardi il Governo belga tentò una limitazione di questi trasferimenti. In più esso assicurò al nuovo Stato un prestito di 40 milioni di dollari al tasso ancora troppo alto del 6% (l'URSS li concede all'interesse dell'l%) scontabile in appena 12 anni. Lasciamo ad altri, che voglia approfondire questo delicato e intricato fatto politico del 1960, il compito di vedere se e quanto il Belgio abbia mancato nell'applicazione preparatoria delle risoluzioni del febbraio o quanto e se la Organizzazione delle Nazioni Unite (come giorni fa rilevava lo stesso Capo del Governo del Katanga secessionista) e il Belgio abbiano errato per indecisione e disorientamento nell'immediato verificarsi dei sanguinosi fatti congolesi. Queste sono responsabilità vicine che è difficile comunque attribuire senza risalire a responsabilità più remote. Sono appunto queste responsabilità remote che appartengono a cittadini europei fino a ieri padroni di uno Stato africano quali il Congo, responsabilità che denunciano l'immiserimento civile dell'Europa. Al Belgio come alla Francia si possono concedere attenuanti: prima fra tutte, il lungo periodo di disorientamento politico del terrore nazista che ha ferito in profondità l'una e l'altro, ma all'uno e all'altra bisogna coraggiosamente dire: non siete rimasti immuni dal morbo nazionalista imperialista. Temiamo che questa nostra malattia europea abbia a sua volta contaminato quegli stessi popoli che ne hanno subito fino ad oggi i tragici effetti, anche in Africa. Nell'Occidente europeo, fuori e dentro le numerose formule di intesa (di tempo in tempo abbiamo assistito a riunioni di Assemblee credute morte e superate, oppure abbiamo visto accendersi le stampe nazionali di progetti elettorali I , su scala europeo D, ... fuoco di paglia vano di tempo d'estate) (10) tra Stati europei, un altro fatto rilevante è stato - nell'anno '60 il maggior peso ed intervento della Gran Bretagna. La vecchia madre del Governo civile - almeno nelle sue forme d'attuazione - al mondo europeo è maestra di diplomatica tattica. Forte, sul piano internazionale, nella sua posizione di lucida e realistica attesa nella grande controversia tra URSS e Stati Uniti, capace cioè di tradurre in politica vera di terza posizione (non chiamiamola ,, forza I,!) il suo ruolo di sapiente intermediario, ferma nei periodi di distensio~le come in quelli di guerra fredda, padrona anche delle sue colpe e capace di escluderle se non di cancellarle (così Suez, così oggi l'Africa centrale...), essa vuole temporeggiare ancora verso di noi. I1 suo prender tempo è più che mai giustificato sul piano degli interessi di ieri e in via di liquidazione (la sua influenza e il suo dominio nei vari altri Continenti), ma rischia di perderci davvero. La Gran Bretagna, da un suo angolo particolaristico, ha ragione: è l'Europa occidentale e continentale che si perde in questa attesa, non lei. Onore che si può rendere al vecchio leone che non si sentì stritolare tra l e braccia dell'orso (v. il discorso di MacMillan a Mosca durante il suo viaggio Ge~r~raio 1959: viaggio a Wasliington di Mikoyan. Fel~braio1959: viaggio a Mosca di Mac Millnn. che f u la palese premessa della distensione: la vera premessa f u in realtà il viaggio di Mikoian negli Stati Uniti ...) e che non perdé l'equilibrio neppure in questo abbraccio ... Le visite, o l'incontro tra altri uomini politici di singoli Stati europei e capi sovietici, non sono stati altrettanto confortanti e fertili: tutt'al più degli accordi commerciali relativamente efficaci sono nati da questi spostamenti, dei quali la stampa ha molto parlato. (10) P e r esempio, il progetto Dehousse, sulle elezioni a suffragio diretto dell'ilssemblea Parlamentare Europea. Anche la Germania occidentale, stabilizzatasi nella sua posizione di grande fonte economica di progresso, non sembra per ora riprendere e poter riprendere un ruolo propriamente politico. Essa è ormai in questi anni l'intelligente preparatore e venditore dei migliori prodotti in Europa occidentale, ma, assai più, in Europa orientale, in Asia, in America latina. O - stanca di insistere (con Adenauer) sola sulla necessità di una incontrovertibile unione dell'Europa dei Sei - essa ha cambiato cammino, graduando sapientemente l e sue tappe e si Luglio 1960: accordo coninierciale ' tedescogiapponese. Dicembre 1960: accordo coniniercinle tedescorusso. veste oggi coi panni apparentemente neutrali di un vasto intervento economico di produzione; oppure essa aspetta che ancora l'ultima fase degli errori coloniali sia esaurita. Certo, allungando i nostri sguardi, possiamo onestamente invocare anche per la Germania un governo europeo, in cui - se Dio vuole! non esistano più Ministri per i rifugiati D che siano costretti a dimettersi perché incriminati di aver partecipato ai massacri nazisti. Intendiamoci: non sono meno nazisti quei governi e quelle autorità - di qualunque competenza che vietano a uomini di pelle nera o di altre caratteristiche somatiche, l'ingresso nelle scuole dei bianchi. Non ci sono ( I scuole dei bianchi ma solo cc scuole per uomini n. L e scuole dei bianchi sono fucine di odi e basta (11). E' chiaro tuttavia che la Germania Occidentale si P trovata negli anni scorsi sempre più in una insostenibile posizione di accusata della quale la Francia è stata la prima interprete: pedina sapientemente ma non più nascostamente mossa nel 1960 dall'unione Sovietica. Errore fondamentale di Krusciov è stato quello di aver scoperto il suo ruolo di suggeritore: pochi lo avevano capito, quando l'Assemblea NazionaIe francese rigettò - sotto il Governo di un sottile radicale - il trattato della CED che riarmava - con controlli collettivi indiscussi - la Germania dell'ovest. Tutta l'opinione pubblica europea ha potuto invece comprenderlo oggi che il Presidente dei Ministri sovietico, in visita a Parigi, ha fatto pubblicamente le sue dichiarazioni antitedesche. A queste dichiarazioni è merito del Governo Adenauer aver dato ancora maggiore pubblicità e seguito giornalistico (che altro può fare ormai un paese europeo, se non presentare note diplomatiche e farne parlare i giornali?) con una protesta presentata in aprile di quest'anno. Krusciov sa bene tuttavia che a furia di pensarle certe cose creano una realtà. Ma - tanto per fare un paragone - rimaniamo nella misura minore: così Eden ha paragonato (per giustificare appunto il suo errore di Suez) Nasser a Hitler! Sono scherzi che non bisognerebbe mai cominciare. Anche Fidel Castro ha tratto dall'occidente americano degli utili consigli in materia e invece di essere dimensionato è diventato il tizzone che ha riacceso tutta l'America centrale e del Sud (12). Naturalmente il discorso antitedesco cadeva - prevedibile - dopo il lungo viaggio di Adenauer negli Stati Uniti e nel Giappone. L'accordo tedesco-giapponese è un altro esempio, forse, di quanto la mancanza di fantasia degli uomini politici democratici dell'occidente abbia fatto rinascere delle intese più naturali forse, e meno storicamente fertili e valide. I1 Giappone come la Germania Federale hanno avuto l'intelligenza di dichiarare questa intesa come una coinciclenzo di interessi economici e, i n particolare, la Germania ha quasi voluto giocare un ruolo di assistente economica e finanziaria dello Stato orientale, stretto dalla combinata morsa russo-cinese. Già nel 1959 il primo ministro Kishi si era recato a Bonn e le basi di scambi ed aiuti erano state gettate. Adenauer ha proseguito anticipando alcune fasi dell'accordo, su questa via d'intesa, e si è spinto al punto di adoprarsi per ottenere un accordo possibile tra il Giappone e la Comunità ,I I> economica europea!... Lunghissima e travagliata via della divisione europea! La Germania sembra essere, nelle dichiarazioni dei suoi Ministri, come all'attenzione dei visitatori, così in potente risalita - economicamente - da giustificare il suo interesse per l'assistenza economica a i paesi sottosviluppati Discorsi da titani, apparentemente scevri da contenuto diretto politico. Del resto sulla innocenza dei tecnici il discorso è lungo, ed antico. Anche da noi si sostiene da tempo che i governi dei tecnici sono al di sopra del compromesso politico. . .. Il. discorso è lungo, anche, sulla apparente irrilevaiiza di certe decisioni in materia di politica delle amministrazioni locali, interne ai paesi dell'occidente europeo, misurate su quella che tradizionalmente è intesa come politico estera. La verità che pochi accettano è che si può parlare ormai di relazioni più o meno ampie, ma che quasi sempre scegliersi un Governo significa questo o quello programmaticamente nella vita nazionale, e questa o quella (tutta diversa e contrapposta) linea, in materia di politica europea ed internazionale. Dalla stampa a i mezzi audiovisivi di informazione nazionale, tutto farebbe pensare invece che si tratti solo di piccole sfumature e varianti nel quadro u... del Patto Atlantico o della vagamente definita unità europea. E in realtà hanno ragione, almeno i n buona parte, coloro che si esprimono in questo modo proprio perché non abbiamo visto mutare affatto la nostra posizione nelle assemblee internazionali od europee, se pure c'è stata una spinta più coraggiosa e meno conservatrice nel settore interno della nostra vita politica. Sarebbe tempo, per quello che ci tocca più da vicino, che il Governo italiano dicesse al Paese se crede che la formula della sovranazionalità - sia pure di settore, come quella della Comunità del Carbone e dell'Acciaio - è ormai decaduta nei suoi intenti e nei suoi desideri, oppure se crede che sia bene rafforzare l'istituto dell'unione europea occidentale, per dare modo alla Gran Bretagna di influire dal di dentro sulle politiche nazionali ed internazionali dell'Europa dei Sei, oppure se ci sta portando verso una graduale smobilitazione - attraverso un reciproco contenersi - di tutte le istituzioni, una volta che l'acceleramento del Mercato Comune ha ottenuto determinati risultati nel livellamento delle disparità delle economie nazionali. Precisiamo comunque che per economie si intende, come ognuno sa, visto il carattere della Comunità economica europea, scambi economici e, al massimo, una concordata politica commerciale Sembra che non sia un caso che a questa atmosfera di confusione di formule pseudounitarie nell'Europa dell'ovest, faccia riscontro una ripresa di accordi bilaterali tra le varie nazioni dell'Europa dell'Est sia in materia strettamente commerciale, sia in settori specifici della produzione ed estrazione delle materie prime. I1 1960 ha visto infatti accordi particolari tra Bulgaria e Romania per un concordato svi- )) (11) V. Massimo Salvadori in « I l Messaggero» del 1960. (12) Utili. si intende, a brevi scadenze. 12 dicembre Luglio 1960: trattato fra Bulgaria e Romania. DFcemhre 1960: accordi Ungheria e URSS. Dicembre 1960: accordi polacco-cecoslovacchi. luppo delle risorse petrolifere e minerarie, trattati di scambi commerciali tra Ungheria e URSS, lunghi dettagliati accordi tra Polonia e Cecoslovacchia che - preceduti da un lungo cappello di teoriche riaffermazioni di fede marxista-lcninista - fissavano sostanzialmente: a ) una cooperazione tecnico-scientifica; b) la collaborazione economica nel campo dell'estrazione delle materie prime (zolfo, rame, carbone); C) il cofinanziamento per la produzione di macchi- COMUNI D'EUROPA 24 cecoslovacco forse non riuscirà mai - nonostante il suo pesante bagaglio di ortodossia ad essere uno Stato accentrato alla maniera moscovita. nari industriali; e - tanto per concedere qualcosa anche a l settore agricolo -- d ) degli scambi di esperienze sui preparati chimici per l'agricoltura e sui semi d i qualità superiore, nonché in materia d i allevamenti d i bestiame e di veterinaria. La Cecoslovacchia assumeva, con questi accordi, un ruolo delegato di assistenza alla Polonia, mentre, come si è visto, era la stessa Unione Sovietica che si incaricava direttamente di assistere ,) l'Ungheria. Nei primi mesi dell'anno, senza che si facesse troppo chiasso intorno alla cosa, c'erano state delle giornate di scambi d i idee tra Polacchi e Ungheresi. La visita di Kadar e della sua delegazione a Varsavia aveva sottolineato una certa comunanza di problemi tra i due paesi. Ambedue infatti hanno difficoltà nell'intero settore dell'econornia agricola, e problemi tipicamente politici di rapporti con ambienti popolari, saldamente cattolici e circoli intellettuali, assai critici rispetto al regime. Qualcuno ha voluto dare anche un'altra interpretazione e cioè ha detto che, essendo l'Ungheria esclusa dalle discussioni sul disarmo tenutesi a Ginevra, gli uomini del Governo di Budapest avevano potuto, con questo incontro con i polacchi, essere dettagliatamente informati sullo svolgimento delle trattative per il disarmo e sullo stato dei rapporti tra Oriente e Occidente. Comunque si voglia interpretare, nell'occasione, l'incontro, possiamo dire che esso rappresentava un'intesa diretta che forse Mosca ha voluto spezzare prima che potesse avviarsi a una fase più concreta di IL accordo stabile. E' toccato dunque all'ortodossia cecoslovacca (un po' scolastica, per dire il vero, a giudicare dalla lettera delle dichiarazioni ufficiali del 5 settembre scorso), ancorare di nuovo il Governo Polacco ed il partito ai punti programmatici e teorici voluti dal Cremlino. Così l'oriente europeo poteva trovarsi allineato alle riunioni invernali d i Mosca tra i Dirigenti d i tutti i Paesi comunisti. In certo modo simili solio le posizioni di due Stati europei al limite tra l'Europa dell'Est e quella dell9Ovest.Finlandia e Austria, rispetto all'occidente vanno visti come due Stati che continuano ad essere - anche per motivi strettamente economici - legati profondamente alla Unione Sovietica. E' vero che il viaggio di Krusciov a Vienna e gli accordi intervenuti nel luglio hanno concesso all'Austria una migliore situazione di libertà, mentre la Finlandia sembra restare, nei criteri del Cremlino, una zonaponte verso i paesi scandinavi, per ottenerne neutralità nella controversia Occidente-Oriente. Entrata l'Austria e, quasi, la Finlandia nell'Associazione europea 'di Libero scambio, esil se rappresentano tuttavia t, politicamente residuo della risacca sovietica in Europa. P u r e in questi due paesi vive sorgenti democratiche sono tutt'altro che esauribili e, storicamente parlando, esse potrebbero, qualora l'Europa volesse veramente ritrovare sé stessa, appartenerle con tutte le loro energie. Non europea, invece, la posizione di una Jugoslavia, abilmente postasi in un ruolo tutto per sé, che trova alleati solo fuori del continente. Quanto più europea, nella sua impazienza e nella sua lotta storica per l'autonomia, la Catalogna. E' evidente che la Regione spagnola non può condizionare il . dittatore. Non crediamo però che si contenterà delle ridicole concessioni fatte alla sua libertà dal Caudillo. N )) Sarebbe un errore di analisi, avendo parlato di un ruolo delegato assunto dalla Cecoslovacchia neli'ambito delle nazioni dell'Est europeo, non rilevare anche che, proprio nello scorso anno, essa è stata sede di una profonda trasformazione costituzionale. La Cecoslovacchia è arrivata, come prevedevano tutte l e sue leggi fondamentali dal 1948 in poi con la conclusione del periodo transitorio di 1, via a l socialismo D, ad una fase, a l contrario, di solidificazione e fondazione dello Stato socialista. Un grosso avvenimento ha sancito appunto questo passaggio: la riforma costituzionale. Questa riforma, alla critica di noi europei democratici dell'Occidente, può apparire sotto diversa interpretazione. Da u n punto d i vista più vicino alla lettera della nuova costituzione e alle notizie di questi ultimi anni, la nuova Carta concede - d i fatto - di più ai governi locali, creando divisioni amministrative anche dove non esistevano e apparentemente, quindi, assicurando una voce alle varie nazionalità conviventi nel territorio cecoslovacco. Ma, d a u n altro canto, si può osservare: può anche succedere che questa costituzione studiata in tale forma, proprio per riassorbire dei fenomeni di semipartitismo di tipo locale, finisca invece per portarli dentro, nella piena vita dello Stato, traducendo in forze politiche questi gruppi di opinione. Non che la loro autonomia sia tale da far prevedere una possibilità d i differenziazione politica vera e propria, pur tuttavia essi possono, per quanto è possibile, in una rigida pianificazione centralizzata, operare una certa ripresa di autogoverno. L'ispirazione - è stato detto - è tipicamente sovietica. Comunque, per lo stesso fatto di concretarsi oggi, questa istituzione di Comitati Nazionali su u n territorio tanto più limitato come misura, ma tanto più vivo d i diversità nazionali (e quindi storiche e culturali-politiche) può avere un destino assai diverso. Stretto tra due Germanie (una federale e una accentrata), tra unlAustria, divisa ancora tra un ruolo orientale e uno occidentale, tra la Polonia e l'Ungheria inquiete, lo Stato . dicembre 1960 Nella Turchia del 1960 abbiamo assistito invece ad un fenomeno quasi da America latina e forse qualcosa del genere si prepara per la Grecia. I1 Continente ha un vecchio cuore che non riesce a attivare u n buon sistema circolatorio periferico! Incontri d i Ministri, viaggi, sorrisi, dichiarazioni di amicizia sono le valvole abituali d i questo sistema. cc Dobbiamo vederci più spesi nostri Paesi hanno interessi vicini so D ; C,siamo della stessa famiglia n ; di quante di queste frasi sono ormai s a t ~ i r el e orecchie del cittadino europeo? Poi, l'indomani, aprendo il giornale, si legge che il solito militare d i turno ha deposto il nostro sorridente visitatore d i ieri. E noi sappiamo quanto possano durare i militari, anche semplici caporali, se è il caso. Al di fuori, quali le prospettive di risorgimento per l'Europa? La vittoria democratica americana, non è il punto d i partenzri ma il punto d i arrivo di una politica di sdrammatizzazione verso l'Europa. L'opinione pubblica americana guarda ormai altrove. I centri di interesse che si sono aperti fuori d'Europa, sono focolai grossi, nuovi, vivaci: il vecchio continente, se pure h a dato un maestro di teoria politica al giovane Presidente Kennedy, non trova una sollecitazione nelle sue attività e nei suoi discorsi elettorali. I n auesto s3ltant3, De Gaulle ha ragione: siamo di nuovo soli con noi stessi; altrimenti, se si vuole chiudere gli occhi a questa responsabilitii europea, ci si apre una via intricata e faticosa di equilibrismi economici e di astensioni politiche che potrebbero davvero aprire la porta a qualsiasi schiavitù, Ci può essere a questo punto chi solleva la testa e dice: eppure si sono accelerati i tempi d i una integrazione (integrazione no: armonizzazione!) economica, qualcosa forse non di decisivo e di enorme, ma tuttavia cc qualcosa si è fatto 11. Orbene, non sarà necessario ricordare qui che quando i responsabili della confusa politica europeistica rispondono in tal modo, ciò significa appunto che IC qualcosa n, non quello che si doveva veramente fare, ha occupato i singoli Ministri e l e segreterie di questa o di quella organizzazione. CON L'URSS I N PUNBIONE D1 STATO GUIDA 11 Comecon strumento di integrazione dei paesi dell' Est . La sessione ha constatato l'importanza sempre crescente del Consiglio per la Mutua Assistenza Economica nella organizzazione economica tra i Paesi membri del Consiglio. In considerazione delle esperienze raccolte nella collaborazione economica dei Paesi socialisti e della opportunità di sostituire uno statuto alle decisioni prese in precedenza dal Consiglio riguardo agli obiettivi, a i principi e alle forme organizzative della sua attività, la sessione del Consiglio ha discusso ed approvato lo statuto del Consiglio (1) ... [nel quale1 ... viene recepita la tradizionale prassi di stretta collaborazione economica e tecnico-scientifica tra i Paesi socialisti d'Europa, basata sui principi della piena parità dei diritti, del rispetto degli interessi ( l i Il primo articolo dello Statuto (Scopi e principi) dice: a) Il Considio per la cooperazione economica h a come scopo di favorire, con l'unificazione e 11 coordinamento delle aspirazioni dei paesi membri, a rea,lizzazione del p r o g r s s o tecnico ed economico nei paesi interessati, l'elevamentn del livello di industrializzazione nei paesi a industria poco sviluppata, il miglioramento continuo della produttività del lavoro e l'aumento del benessere dei popoli dei paesi membri. b ) Il Consiglio per l a cooperazione economica si fonda sulle basi della parità sovrana di tutti i membri del Consiglio. La cooperazione economica e tecnicoscientifica nei paesi membri viene rispetto dei principi della piena parità, della sovranità e degli interesci nazionali, del reciproco vantaggio e del a,michwoie .iUh. nazionali, del reciproco vantaggio e del cameratesco aiuto reciproco n. Questo comunicato, diramato a l termine dei lavori di una delle ultime sessioni del Consiglio per la Mutua Assistenza Economica tra i Paesi dell'Europa orientale (COMECON), anche se lascia intravedere le possibilità e i limiti di questo organo, destinato alla supervisione e alla programmazione, conferma che l'importan~a del COMECON, come strumento d'integrazione economica, va sempre crescendo. Se dalla sua nascita, nel 1949, alla morte di Stalin aveva una pura funzione consultiva - determinata principalmente dalla volontà del dittatore che non credeva in una integrazione delle economie, ma secondo i principi dello sviluppo prioritario degli stessi settori produtttivi. le preferiva autarchiche - esso prese man mano importaiiza tanto che, di recente, è stata prevista l'inclusione nella struttura del COMECON anche dei problemi agricoli. E' bene però precisare subito che l'aumentata attività del COMECON è strettamente legata alla politica dell'URSS che, subito dopo la morte d i Stalin, si è allineata alla concezione economica dei grandi spazi, integrandola con l'altra, più volte riaffermata in auesti ultimi tempi, della divisione internazionale del lavoro. Ciò-risulta in modo evidente se riesaminiamo brevemente le tappe principali del COMECON. I1 Consiglio fu fondato, come abbiamo detto, dicembre 1960 COMUNI D'EUROPA sita nell'Associazione stesia, perché come la CEE non direttamente sopranazionale (4). La sua efficacia sta nell'avere, in assenza d i una sua struttura sopranazionale, dotata di poteri reali, uno Stato - 1'URSS - che ha avocato e d accentrato in sé questo compito sia dal punto d i vista politico, col peso della sua potenza, sia dal punto di vista economico, determinato principalmente dai prestiti che hanno legato i singoli Paesi allo Stato sovietico. D'altro canto molti degli ostacoli che si frappongono alla costituzione di un mercato comune occidentale non sussistono nei Paesi dell'Est: ricordiamo fra l'altro la difficoltii per noi di formulare piani a lunga scadenza, per la tendenza a l protezionismo settoriale o alla diversità della formazione dei prezzi, politici nell'Est, affidati a l gioco della concorrenza nel MEC. Quindi, malgrado la impossibilità per il COMECON d i imporre una politica, questa di fatto viene suggerita ed attuata per l'esistenza, fra i suoi membri, d i uno Stato, che, per potenza politica ed economica, riesce a coordinare le diverse economie e a stimolarle convenientemente in una vasta programmazione (5). Questa considerazione ribadisce la nostra tesi: se si vuole ottenere un risultato positivo in una politica di sviluppo economico fra più Stati, in posizione di parità e non di subordinazione, non si possono mettere insieme, con lo spirito di collaborazione più economie, ma bisogna integrarle, e per integrarle bisogna creare un organo, comune, capace di farlo. Oppure la Francia, la Germania, l'Italia o i Paesi del Benelux si sentono in potenza 1'Union e Sovietica? Purtroppo queste illusioni non sono dannose solo per noi ma anche per i Paesi d'oltrecortina: l'integrazione iniziata fra i mercati dell'Est favorisce la specializzazione econofnica e contribuisce d i fatto alla loro interdipendenza rendendoli indispensabili alla distanza l'uno dall'altro. S e noi non operiamo in tempo sarà troppo tardi per sperare di attrarre dalla nostra parte i Paesi satelliti dell'URSS, facendo fallire il principale degli obiettivi della nostra integrazione, la difesa e l'incremento della libertà in Europa. nel gennaio 1949 (21, e la prima sessione, tenutasi a Mosca nell'aprile dello stesso anno, stabilì di d a r vita ad un segretariato permanente per la cooperazione economica con sede a Mosca. Lo scopo era di esaminare i problemi della cooperazione economica e tecnica, che si basavano allora solo su accordi bilaterali tra 1'URSS e gli Stati del blocco orientale, i quali, fra l'altro, nel loro commercio estero, dovevano seguire le linee tracciate dall'unione Sovietica. L'accettazione dei capi dei Paesi satelliti delle direttive di Mosca terminò con la morte di Stalin, quando la Polonia e la Germania orientale sottoposero ai sovietici proposte dettagliate per la creazione di gruppi di lavoro o commissioni per i più importanti settori della economia. Queste proposte furono accettate, ma la realizzazione pratica non avvenne che dopo i fatti d i Polonia e d'Ungheria, fatti che avevano messo in luce gli errori del sistema di pianificazione autarchica (basti pensare agli sforzi per tentare di industrializzare 1'Ungheria, che mancava di quasi tutte l e materie prime) tanto più che la Russia aveva ormai una posizione meno forte sui satelliti ed era costretta ad offrire aiuti economici sostanziali, crediti, informazioni tecniche e soprattutto un decentramento della pianificazione, per adattarla anche agli interessi dei popoli, al fine di evitare nuove rivolte. Furono create così 15 Commissioni con sedi nelle capitali del blocco, a seconda dell'importanza o dell'efficienza che, per ogni determinato settore, avevano raggiunto i vari Stati (3). Questa riforma strutturale - che poneva le basi per una seria coordinazione delle attività nei vari campi - mettendo inoltre in primo piano i problemi economici, aveva fatto accantonare quelli teorici, dando così impulso a l progressiva sviluppo dell'integrazione. Tuttavia lo sviluppo economico del blocco orientale è tuttora legato e basato sui rapporti bilaterali tra l'URSS e i singoli Stati, principalmente preché il COMECON - come organo - non è in grado di concedere crediti a i Paesi satelliti cosa che gioca un ruolo importantissimo. Perciò questi accordi hanno di fatto più efficacia delle raccomandazioni del Consiglio e spesso essi stessi servono d i base per i programmi elaborati dalle Commissioni permanenti. Malgrado ciò i risultati, grazie ripetiamo alla presenza dell'URSS, sono sempre di maggior peso, specie se paragonati con quelli del nostro strumento d'integrazione, la Comunità Economica Europea. Né a giustificare questi progressi valgono alcune considerazioni quale quella della più affine posizione politica: che se nei Paesi dell'Est vi è una solidarietà ideologica ben più definita che non il vago senso di democrazia e di libertà, che stancamente si riafferma nell'Europa Occidentale, in ambedue i gruppi di Paesi i contrasti politici sono assai gravi. Né que~lladella maggiore consolidazione delle strutture del COMECON, dovuta alla più remota origine, dato che, come abbiamo detto sopra, solo dopo la morte di Stalin, anzi solo dalla creazione delle Commissioni permanenti, esso ha fatto concreti passi avanti. Né tanto meno, infine, quella dell'autorità in( 2 ) Ad esso aderirono iniz,ialmente Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Ungheria e URSS. Successivamente, nel febbraio 1949, aderì l'Albania e nel settembre 1960 la Germania Orientale. (3) Le 15 Commissioni riguardano: Questioni economiche . . . . . . Metallurgia ferrosa . . . . . . . Metallurgia non ferrosa Industria carbonifera . . . . . . Energia elettrica . . . . . . . Petrolio e gas industriali . . . . Industria chimica . . . . . . . Costruzione macchine . . . . . . Industria leggera e industria dell'alimentazione . . . . . . . Edilizia . . . . . . . . . . . Traspo'rti . . . . . . . . . . Agricoltura . . . . . . . . . Commercio estero . . . . . . . Geologia . . . . . . . . . . . Legname a lavorazione deml legno . . . . . . Mosca Mosca Budapest Varsavia Mosca Bucarest Berlino Praga Praga Berlino Varsavia Sofia Mosce Mosce Mosca Le ultime due Commissioni furono sciolte alla XI Sessione tenuta in Tirana nel maggio 1959, mentre nella Sessione di luglio di quest'anno è stata costituita quella per l'energia atomica. ( 4 ) << I1 Consiglio per la cooperazione economica, rappresentato dagli Orga(ni che agiscono nel ranipo di loro competenza. è autorizzato nel iluadro del presente Statuto a emettere pareri e decisioni (art. 111, co'mma 2). I primi vengono dati su problemi relativi alla cooperazione economica e tecnica (art. IV, comma l), le sewnde si riferisco~noa piwblemi legisla(tivi e procedurali (art. IV, comma 2). Essi vengono appro~vati, in sede di Consiglio, solo con l'accordo del paese membro interessato (art. IV, w m m a 3) D. ( 5 ) E' di estremo interesse per noi ricordare che nell'ultima sessione, tenuta nel lwlio scorso a Budapest, pur non trascurando i problemi a breve scadenza - co'n pai-ticola<re riguardo per quelli delle macchine utensili, della produzione del grano e dei foraggi, del miglioramento qualitativo delle merci di consumo e della più armonica cool~erazione nel campo tecnico-scientifico si è comnstatata la necessità di formulare dei piani a lunga scadenzai, enucleando alcuni settori base ùa sviluppare con particolare effiracia. I principali settomri interessati sono,: Centrali elettriche: sviluppo delle possibilità della rete fluviale clanubiana e po~lacca, a vantaggio principalmente dtill'Ungheria,. Carbone: razionalizzazione della produzio'ne polacca. con attre7,zatura di nuove miniere attraverso crediti esterni. Concentrazione della produzione carbchimica in Polonia. mentre quella della lianite e dei suoi derivati viene riservata alla Germania orientale. Petrolio: s v i l u ~ p o della produzio.ne della Romania e impianto, nel territorio romeno, di una forte industria petrochimica. Costiuzione di oleodotti in partenza dalla Unione Sovietica e dalla Romania e diretti verso Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Germania o'rient~le, dove verrebilero impiantate anche alcune raffinerie. Minerale di ferro: concentrazione dei rifornimenti delle democrazie popolnri, povere in genere di minerali di ferro, sui giacimenti somvietici di Iirivoi Rog e sforzi per eliminare l a concorrenza del minerale di ferro svedese, sin qui fonte di rifornimento primaria delle democrazie popolari. Industria metallurgica: Concentrazione della produzione nel triangolo industriale Cecoslovacchia-Polonia-Germania orientale, w n alcune limitate produzioni specializzate in Ungheria e Romania. Ripartizion,e dei conipiti t r a le varie democrazie popolari per quanto riguarda la produzione di macchinari pesanti, veicoli, trattori e macchine utensili: è questo uno dei settori in cui le resistenze dei singo'li paesi alla specializzazione completa della produzione appaiono tuttora assai vive. Tra.?porti: s v i l u ~ p odelle linee di co~municazione ferroviaria e fluviale, con la ripresa di progetti di canaiizzazione abbandonati nel dopoguerra. Costruzione di un grosso porto commerciale a Rostock sul Baltiw. Agricoltura: Comncentrazione dello sforzo produttivo in Bulgaria e Ungheria, che verrebbe così riportata, almeno in Parte, alla sua funzione iniziale di grande fornitore agricolo dell'Europa centrale. 26 COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 EL REGIME SPAGNOLO & CON L9ANTIEUROPA I b a sC h i n 0 n d i m e n t iC a n 0 L a S p a g n a è oggi u n Paese sottratto a l l a battaglia p e r il federalismo e p e r l a libertà: e p p u r e n o n sensbra che gli « occidentali » si scandalizzino eccessivamente d i questo sperpero d i ricchezza morale e culturale. Una rapida, a c u t a sintesi dell'apporto della S p a g n a alla civiltà democratica e personalista dell'Europa è costituita d a l bellissimo saggio d i José M. Semprun y Gurrea s u « L i b e r t à e democrazia nella storia del pensiero politico spagnolo » (nel volume « Laicismo e n o n laicismo », a c u r a d i Magda d a Passano, Milano, 1955). Occorre poi ricordare u n precedente della s t r u t t u r a statale a base regionale - sancita nella Costituzione della Repubblica italiana - nella Costituzione repubblicana spagnola d e l 1931 (cfr. la relazione d i Gaspare Ambrosini a i V S t a t i Generali i n << Comuni d'Europa D, n. 5, maggio 1960 - i n proposito v. anche dell'Ambrosini « L'ordi~zamento regionale - L a r i f o r m a regionale nella Costituzione italiana » Bologna, editore Zanichelli, 1957, e p e r u n o s t u dio specifico sulla s t r u t t u r a della Costituzione repubblicana spagnola e sullo S t a t u t o della Catalogna il suo classico libro « Autonomia regionale e federalismo », Roma, Edizioni Italiane, S. d.). Ancora i n t e m p i recenti i n S p a g n a s i sono messi i n galera o si sono comunque vessati i democratici europeisti. Q u i appresso riproduciamo d a e Il Powolo » d e l 12 novembre 1960 IL^ « servizio » d i Massimo Olmi. La Valle de 10s Caidos - cioè la Valle dei Caduti , - si trova ad una cinquantina di chilometri d a Madrid: un immenso sacrario incassato nella roccia e sovrastato da una stupenda, altissima croce attorno alla quale fanno gruppo alcune statue. L'insieme è dedicato alla memoria dei caduti della guerra civile. u ...Dei caduti amici d i Franco n precisa il signore che, nell'autobus che dalla capitale ci ha condotto Ano a l sacrario, è rimasto seduto accanto a noi e adesso ci fa un po' da cicerone. Mala lingua come la sua n e abbiamo sentite poche, persino in questa Spagna che nel regime politico attuale sembra trovare la fonte inesauribile di battute di spirito, di barzellette e di piccole e grandi cattiverie: il sig. T.H., alla N Valle de 10s Caidos , deve esserci venuto di malavoglia, probabilmente non è madriieno, lo ha spinto soltanto la normale curiosità del turista. Non sappiamo se sia madrileno, ma cattolico praticante lo è certamente: e democratico di sentimenti, anche. Durante il viaggio, avevamo avviato una interessante conversazione sulla democrazia cristiana italiana, sul movimento repubblicano popolare di Francia e, in generale, sui movimenti e partiti democratico-cristiani d'Europa. I1 nostro compagno non solo si era dimostrato molto a l corrente delle cose di casa nostra e di quelle di Francia e di Gerniania ma, per chiari segni, aveva rivelato che il suo non era l'interesse distaccato dello studioso di problemi politici, sibbene l'interesse di chi partecipa, vive il fenomeno preso in esame, insomma simpatizza con esso. Quel ... dei caduti amici di commento secco secco Franco.) mi aveva confermato che fra lui e il iranchismo doveva esserci una vecchia ruggine. 'b '5 ( C . Protestiamo. D'accordo, a l centro del sacrario vi è la tomba di José Antonio Primo de Rivera (il solo, con il torero Luis Miguél Dominguin, a godere in Spagna del privilegio di essere chiamato per nome) ma se non erriamo nelle intenzioni del governo questo monumento deve ricordare tutti coloro che sua intenzione d i ridurre la Navarra (che peraltro oggi non è considerata generalmente come parte del paese basco), Alava, Guipuzcoa e Viscaya a l semplice status di provincie. La sconfitta dei carlisti significò la sconfitta della causa autonomista basca: il governo del 1936 si rese popolare fra i baschi per aver concesso quello che i liberali della prima metà del secolo Quando scoppiò la guerra civile, i baschi si trovarono d i fronte ad un delicatissimo problema di coscienza: restare fedeli alla repubblica e conservare l'autonomia il separatismo è una sciocchezza: è stato sempre considerato tale n commenta il nostro cicerone) oppure passare dalla parte di Franco e rinunciare in partenza ali'autonomia? Obbedire a l governo legale, osservare la dottrina della Chiesa circa la sottomissione ai poteri costituiti, volere la libertà per la loro patria? Oppure far causa comune con gli insorti ed accettare il carattere di crociata che essi davano alla loro lotta? Mai un popolo cattolico si trovò a dover scegliere fra i corni di un simile dilemma: i baschi nella loro maggioranza (Guipuzcoa e Viscaya, mentre Alava fu per Franco) optarono per la repubblica. = Era per noi - spiega T.H. - il minore dei mali: e comunque il paese basco non conobbe una sola chiesa incendiata, un solo sacerdote ucciso. Cattolici eravamo, cattolici restavamo: franchisti, no D. ([C UN ARTICOLO DI STURZO Barcellona: il Museo Marittimo. caddero negli anni 1936-39: dunque, franchisti ma anche repubblicani 3,. Ci sentiamo rispondere: Può darsi ... Forse ha ragione lei. E certo nel corso della guerra civile gli - suagnoli dell'una e dell'altra parte non si sentirono mai - dico mai - nemici ma sempre e solamente avversari. Dunque, se il concetto ispiratore del sacrario fosse davvero quello che lei sostiene, sarebbe non solamente un concetto cristiano ma che si rifarebbe a quello che fu il carattere del massacro d i venti anni fa. Mi permetta comunque di restar dubbioso ... .. Cerchiamo di aiutarci con la geografia. Lei, scusi, in quale parte della Spagna è nato? n. Risposta: Son basco D. Adesso capiamo tutto. Cattolico praticante e chiaramente non franchista: non poteva che essere basco ( o forse anche catalano). A - Quanti ricordi si affollano alla mente! Soprattutto l'appassionata ed appassionante polemica che la tragedia del popolo basco, la tragedia di Guernica distrutta dagli aerei nazisti, suscitò in Francia, l'appello che per il popolo basco lanciarono allora Francois Mauriac, J . Madaule, Gabriel Marcel, Jacques Maritain, Emmanuel Mounier, Claude Bourdet sulle colonne de La Croix B nel maggio del 1937, la protesta di Mauriac su Le Figaro n ( a Non si assassina un vecchio popolo cristiano solo perché h a creduto che non occorreva ribellarsi ... .) e poi l'articolo di Don Sturzo s u l l ' ~Aube ~ D . UN POPOLO FIERO La storia del popolo basco - questo popolo fiero, incostante e gelosissimo della propria lingua, delle proprie tradizioni culturali e folcloristiche - può interessare notevolmente gli storici e gli antropologi ma pure (anche se pochi lo sanno) gli studiosi della democrazia cristiana europea. Perché se oggi i pochi democristiani spagnoli si trovano soprattutto in quella fascia settentrionale del Paese (ed in Catalogna), ciò è dovuto a l fatto che solamente là si è avuto praticamente un esempio di regime spagnolo sinceramente cattolico e sinceramente democratico. Come si ricorderà, il 5 ottobre del 1936 il governo repubblicano concesse l'autonomia regionale alle provincie di Alava, Guipuzcoa e Viscaya: due giorni dopo la proclamazione, il 7 ottobre, sotto l'albero sacro dei baschi, José Antonio de Aguirre fu eletto Presidente del governo locale. Prendeva cosi consistenza e realtà il vecchio sogno dei baschi: nel quadro della madre Spagna, veder riconosciuta l a = personalità ,, culturale basca. Per la difesa a i quel principio i baschi non avevano esitato ad essere dalla parte dei carlisti nel corso della guerra civile del 1833-1339, visto che il governo di Madrid, che peraltro era liberaleggiante. aveva chiaramente mostrato la La tradizionale danza basca dei bastoni. ( c c Niente crociate, niente guerra santa ... n) ... Quanti ricordi! Dolorosi, laceranti ricordi. Noi non abbiamo dimenticato Aguirre. E Franco non ha dimenticato noi. A Madrid, se uno critica ad alta voce il regime, tutt'al più può beccarsi una multa: ma se ci prova a Bilbao, a Vitoria, dovunque nella nostra regione, sarà la galera. Ha detto che questo sacrario è per tutti i caduti della guerra civile? Prendiamo per buona la sua affermazione. Venga, andiamo a pregare. Fer gli uni e per gli altri. Venga ... n. E ci spinge dentro. Massimo Olmi 27 COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 Il congresso del popolo europeo U n insegnamento di Machiavelli di Altiero Spinelli Ristampiamo questo scritto di Altiero Spinelli del maggio 1958 ( v . l'indispensabile volume l'Europa n o n cade dal cielo Il Mulino [ B o logna, 19601, pag. 259 sgg.), che chiarisce molto bene l'assioma politico su cui sono arrivati definitivamente a basarsi i federalisti europei del nuovo corso n (l'ala maggioritaria dell'union Européenne des Fédéralistes, che ha assunto posizioni intransigenti dopo la caduta della CED nel 1954). Del Congresso del Popolo Europeo, promosso da questi federalisti, la manifestaziolie più vistosa sono le elezioni primarie n, eleziolii private che esso va estendendo a sempre n u o v e città europee, dopo averne scelto iin primo nucleo iniziale ( T o r i t ~ o .Milano, Lione, Strasburgo, Darmstadt, Maastricht ...), al fine di legittimare con u n crescente siiflragio popolare esplicito l'azione di avanguardia che va conducendo. Benché tutti i federalisti, iibtraibsigenti e moderati, abbiano cittadinanza nel Consiglio dei C o m u n i d'Europa (purché il loro autentico obiettivo sia la Federazione europea, e n o n l'Europa delle patrie o altre forme d i associazione d i Stati nazionali sovraiii), occorrerà sottolineare che molti sono nel CCE, i n Italia come i n Francia, i n Germania e nelle altre Sezioni, i militanti del Coligresso del Popolo Europeo. Non possiamo a questo proposito n o n ricordare l'indimenticabile figura del Sindaco di Udine, Giacomo Centazzo, Vicepresidente dell'AICCE testé deceduto. Del resto pare evidente che, per far compiere all'Europa la svolta decisiva, occorra u n a forza democratica sopranazionale e azctonoma delle forze politiche organizzate su scala nazioiiale. S e queste ultime, invece d i porre remore e riserve, collaboreranno con la fo.rza sopranazionale, tanto meglio: nessuno vorrà respingerle, tiitt'altro. )), (C C< )) * * * E debbasi considerare come n o n è cosa più difficile a trattare, n é più dubia a riuscire, n é più periculosa a maneggiare, che farsi capo a introdurre n u o v i ordini; perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che degli ordini vecchi fanno bene, e ha tepidi defensori tutti quelli che degli ordini n u o v i farebbono bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura degli avversari, che hanno l e leggi dal canto loro, parte dalla incredulità degli uomini, i quali n o n credono i n verità l e cose n u o v e , se n o n n e veggano nata u n a ferma esperienza: donde nasce che qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione d i assaltare, lo fanno partigianamente, e quegli altri defendono tepidam e n t e : i n modo che insieme con loro si periclita. .: E' necessario pertanto, volendo discorrere b e n e questa parte, esaminare se questi innovatori stanno per loro medesimi o se dependano da altri: cioè, se per condurre l'opera loro bisogna che preghino, ovvero possono forzare. Nel primo caso capitano sempre male e n o n conducono cosa alcuna; m a quando dependono da loro proprii e possono forzare, allora è che rare volte periclitano D. I n questa meditazione fredda e profonda di Machiavelli si trova la spiegazione dell'infelice storia dei dieci ultimi anni d i europeismo, e l'indicazione del metodo che conviene seguire se si vuole veramente = farsi capo a introdurre ,, quei n u o v i ordini * che sono la federazione europea. L'unificazione d'Europa è stata f i n o ad ora affidata all'iniziativa dei governi nazionali. Sono essi che hanno fatto delle proposte, che hanno redatto dei trattati, l i hanno firmati e l i hanno fatti approvare alle maggioranze parlamentari d i cui disponevano. Non è stato u n caso che abbiano preso iniziative di tal genere. Essi si rendono conto che la politica estera, militare, economica e sociale n o n può essere condotta i n m o d o valevole al giorno d'oggi i n Europa se non mediante un'azione europea, e quando l o dimenticano i fatti stessi si incaricano di ricordarglielo periodicamente. Ma i governi e i partiti nazionali sono fatti per esprimere punt i di vista, sentimenti e volontà nazionali. E' a questo f i n e che governano, legiferano e levano imposte. Né i ministri n é i parlamenti hanno la tendenza a limitare i loro propri poteri. L e forze politiche e sociali, che sono organizzate i n ogni paese i n vista di partecipare alla formazione delle leggi e agli atti di governo, n o n lo desiderano neppure esse, perché se sono al gov e r n o beneficiano di questo potere, e se sono all'opposizione, sanno che il gioco democratico permetterà loro u n giorno d i beneficiarne. N e deriva d u n q u e che, se n o n sono forzati a comportarsi diversamente, i governi nazionali concepiscono sempre l'azione europea, d i cui pur sentono la necessità, come u n a cooperazione fra stati sovrani. S i promettono reciprocamente, mediante trattati, d i condurre u n a comune politica militare, estera, economica; avviluppano questa promessa i n frasi solenni, i n commission i , i n consigli, i n assemblee multiple; m a m a n tengono ciascuno per il suo stato il potere reale d i governare e d i legiferare, d i decidere e d i eseguire. I cittadini continuano a essere obbligati all'obbedienza solo verso l e leggi e l e decisioni dei loro stati. T u t t e l e istituzioni e l e comunità europee esistenti n o n riescono a nascondere sotto il loro belletto di pseudoesecutivi e di pseudo-parlamenti europei l a loro vera natura d i istituzioni internazionali, dipendenti per quanto riguarda la loro esistenza, dalla buona volontà degli stati che restano sovrani. La C E C A stessa di cui si vanta così spesso la sovranazionalità, n o n f a eccezione per chiunq u e n e abbia seguito l'involuzione e sappia che il vero potere si è rapidamente spostato nel suo seno dall.'Alta Autorità verso il Consiglio dei ministri nazionali. Ma il mantenimento di questa sovranità è precisamente l'origine dei mali dell'Europa. U n paragone semplicissimo basterà per far capire la natura d i queste comunità. Supponete che a simiglianza dello stato dell'arkansas, che ha deciso di recente di n o n applicare u n a decisione della corte federale americana, u n o stato europeo decida domani d i obbligare i suoi cittadini a pagare u n dazio doganale, a mantenere u n cartello, a evitare la vendita del carbone a clienti di altri paesi, a ignorare una misura igienica dell'Euratom. Per spezzare il rifiuto del governatore Faubus, la federazione americana dispone di u n a forza armata che interviene a d i f e n d e r e i diritti dei negri. Dov'è il gendarme della Comunità europea che potrebbe difendere il cittadino contro u n a decisione abusiva del suo stato nazionale? I1 fatto è che l e iniziative europee dei governi nazionali n o n sono passi verso l'unificazion e europea; sono, sì, risposte al problema dell'unità dinnanzi al quale gli Europei si trovano, m a sono risposte abilmente negative che permettono agli stati nazionali e a coloro che li dirigono d i evitare l'ostacolo e di conservare nelle loro m a n i i poteri che dovrebbero abbandonare. Usando i termini di Machiavelli diremo d u n q u e che gli a introduttori d i ordini n u o v i dagli uomini d i stato europeisti f i n o ai federalisti raggruppati n e i diversi m o v i m e n t i europei - hanno finora periclitato = perché diperché dovevano prependevano da altri gare governi e parlamenti nazionali, cioè coloro stessi che degli ordini vecchi fanno b e n e n , m e n t r e sarebbe stato necessario a forzarli P. ., . K L'Europa n o n sarà unificata dai governi nazionali, la cui funzione, prima dell'unità è di impedirla, e dopo l'unità sarà d i frenarne u n o sviluppo eccessivo, vale a dire è i n ogni caso u n a funzione antagonista al processo dell'unificazione. Essa n o n sarà neppure unificata dalle Comunità grazie alle quali i governi conserv a n o l e loro prerogative. Sarà unificata da u n a forza imperialistica - e i protettorati russo e americano sono abbozzi d i questo tipo d i u n i f i cazione - oppure da u n a forza democratica europea. T u t t o il problema è di sapere quale dei d u e metodi si realizzerà prima. Lascio q u i da parte l'ipotesi dell'unificazione imperiale. Non perché la creda impossibile, o i n se stessa abominevole. Semplicemente perché sono u n o di quegli Europei che sono decisi a fare tutto quello c h e è umanamente possibile per risparmiare all'Europa quest'umiliazione, e che sono persuasi che l'unificaziori,fatta dagli Europei stessi sarà insieme m e n o pericolosa e più feconda per l'umanità intera che n o n l'unificazione imperiale. Creare u n a forza democratica europea, capace di obbligare gli stati nazionali a capitolare e a riconoscere che l'Europa d e v e essere fatta dagli Europei stessi, n o n è un'impresa facile. Machiavelli ci dice che si tratta di un'operazione difficile a trattare, dubia a riuscire, periculosa a maneggiare ;.>.Ma dal m o m e n t o c h e ci sono oggi i n Europa uomini che hanno deciss d i suscitare questa forza democratica europea, vale la pena di arrestarci u n m o m e n t o davanti alla loro azione per intenderne il significato profondo. Per riuscire a far scaturire questa forza n o n basta far capire ai cittadini dei nostri paesi che l'Europa è necessaria. Oso dire che, con più o m e n o chiarezza, quasi tutti ormai senton o che il quadro nazionale è sorpassato, che l a politica estera, militare, economica e sociale ha dimensioni europee, che t u t t i gli Europei sono legati a u n a sorte comune, che l'Europa forma ormai u n tutto. E' impossibile oggi leggere u n giornale, ascoltare la radio, partecipare a u n dibattito politico i n u n parlamento o i n u n c a f f é , senza incontrare la parola Europa, carica del doppio significato di comune sventura e di comune speranza. Quello che gli Europei n o n capiscono ancora è che quest'Europa, desiderabile e i n u n certo qual modo quotidianamente presente, n o n può essere l'oggetto dell e operazioni diplomatiche dei governi nazionali; c h e essa n o n è altra cosa che loro stessi: gli Europei. N o n comprendono che l'Europa n r n è ancora u n a realtà politica operante, perché essi, gli Europei, hanno sì, a f f a r i comuni, responsabilità comuni, m a non posseggono n é diritti, n é doveri, n é leggi, n é istituzioni europee. Dovrebbero costituire u n popolo - il popolo europeo - m a n o n lo sono. T u t t i i loro doveri e i loro diritti politici sono nazionali. Dalla loro infanzia hanno imparato che la suprema comunità politica, la sola c h e abbia il diritto di esigere l'obbedienza, il denaro e persino la vita, la sola che essi abbiano il diritto d i controllare dernocraticamente, è la comunità nazionale rappresentata dallo stato nazionale sovrano. Questo stato n o n esiste dall'eternità; m a gli Europei si comportano come se dovesse esistere per l'eternità. I1 lealismo nazionale n o n è più tuttavia radicato nello spirito degli Europei. L o è stato n e l passato, e ha generato allora, i n bene e i n male, grandi cose i n t u t t e l e nazioni; m a dopo tutto quel che è accaduto dal 1914 ad oggi, il lealismo nazionale n o n ha più e non può più avere troppa consistenza. L'incredulità b e f f a r da circa la capacità del nostro stato d i c m t a r e qualcosa i n caso di guerra, l'attesa nervosa che i Russi e gli Americani dispongano di noi i n u n a conferenza al vertice, il r i f i u t o crescente i n u n campo dopo l'altro di subordinare gli interessi particolari di questo o quel gruppo all'interesse comune, la fuga annuale di giovani scienziati dall'Europa verso l'America, l'indifferenza di larghi strati della popolazione per i nostri sistemi d i libertà democratiche nazio- COMUNI D'EUROPA 28 nali - tutto questo e altri sintomi ancora che si potrebbero aggiungere alla lista, sono altrettante prove che nello spirito degli Europei, lo stato nazionale e il lealismo nazionale stanno agonizzando. I1 primo passo d a compiere per creare una forza democratica europea è dire ad alta voce quello che già tutti sentono; esprimere in parole chiare e dure quello che giace inespresso nella coscienza politica di tutti. I nostri stati nazionali sovrani sono diventati la grande menzogna politica di cui l'Europa sta morendo. Coloro che se n e disputano il potere sono i guardiani gelosi di questa menzogna. I nostri stati usurpano ormai funzioni che credono pot e r esercitare nel nostro interesse, mentre non sono più in grado di farlo. Lo stato nazionale sovrano è diventato un idolo incapace di renderci servizio in tutta una serie di campi essenziali della vita pubblica, ma pretende purtuttavia di monopolizzare la nostra coscienza e la nostra azione politica. Contro di essi è venuto il momento di rivendicare il diritto degli Europei di costituirsi in popolo europeo, il diritto di darsi una costituzione federale attraverso una cosJituente direttamente eletta da loro, e di ratificarla direttamente con referendum in ogni nazione. S i potrà parlare di Europa come realtà politica solo a partire dal momento in cui il popolo europeo esisterà e si darà l e sue leggi e il suo governo, riducendo gli stati nazionali alle sole funzioni di dimensioni nazionali. La coscienza di non poter più essere soltanto cittadino nazionale e di dover ritirare una parte del lealismo politico dalla propria nazione e dal proprio stato nazionale per trasferirlo al popolo europeo e a l suo stato federale, non può diventare una forza politica che se si traduce in un'organizzazione di lotta europea, l a quale sormonti le frontiere nazionali, sia indipendente da ogni organizzazione nazionale, e il cui fine sia la conquista dei diritti politici degli europei e la creazione delle loro istituzioni fondamentali. dicembre 1960 I1 Congresso del Popolo Europeo, nato da una meditazione sulle ragioni del fallimento dei movimenti europei d i questi ultimi dieci anni, che si proponevano di a pregare invece di forzare B gli stati nazionali, è questa organizzazione d i lotta. F a appello a tutti coloro che sentono la necessità di rivendicare i propri diritti di cittadini d'Europa. Le sue elezioni primarie sono il mezzo che permette di suscitare questa coscienza e che l e dà la possibilità di esprimersi. L e sue sessioni d i delegati eletti dai loro cittadini costituiscono il primo foro politico europeo. La sua organizzazione di militanti, che hanno deciso di liberarsi dalle servitù della vita politica nazionale e di concentrarsi nella lotta per i diritti del popolo europeo è lo strumento che condurrà l a battaglia politica in nome di tutti gli elettori del Congresso. La sua struttura, che rifiuta deliberatamente l e divisioni nazionali, assicurerà l'unità della sua azione. Suscitando un atto d i accusa sempre più veemente contro l'illegittimità delle sovranità nazionali, risvegliando la coscienza dei diritti europei in un numero sempre maggiore di cittadini, organizzando un'agitazione sempre più larga e permanente in favore della costituente europea, profittando dei momenti critici che periodicamente mostreranno l'urgenza dell'unità, sfruttando la cattiva coscienza d i tutti i democratici, i quali non possono rifiutare il principio che l'Europa è cosa degli Europei, e che tuttavia si adattano alla finzione che n e fa cosa degli stati nazionali e delle loro diplomazie, il Congresso del Popolo Europeo si propone di arrivare a un momento in cui gli stati o almeno alcuni di essi siano a forzati 2 a capitolare, e rinunzino a trattare essi stessi questo problema, convocando la costituente europea. A questa prospettiva o, per meglio dire, alla decisione di condurre questa battaglia, si replica d i solito che è troppo unilaterale, che non tiene conto della complessità dei fattori che ci conducono verso l'unità. )) C E' fin troppo evidente che se l'unità federale dell'Europa diverrà un giorno una realtà, tutti vi avranno contribuito. I suoi amici e i suoi nemici, gli uomini d'azione e i contemplativi, i moderati e gli estremisti, i conservatori e i rivoluzionari, gli interessati e gli indifferenti, i realizzatori e i sognatori, la forza delle cose e la volontà umana, le fortune e le sfortune. Lo storico potrà avere lo sguardo maestoso e generoso di Dio dopo la creazione. Conoscendo già tutto quello che sarà accaduto, troverà che tutto sarà ben accaduto. Gli ostacoli, gli avversari, l e false soluzioni, l e possibilità di sconfitta gli appariranno 'nel ruolo mefistofelico della forza che vuole sempre il male, e crea sempre il bene. Ma non siamo ancora a questo punto. L'unità dell'Europa non è una realtà. E' solo una speranza e potrebbe benissimo rimanere un sogno. Gli ostacoli possono non essere superati, gli avversari possono vincere la partita, le false soluzioni possono avere la meglio su quelle buone, la sconfitta può essere l'ultima parola di quest'avventura. Lo storico futuro, sempre maestoso e generoso, scoprirebbe allora che l'azione e l'ideale europeo saranno stati solo una manifestazione deli'astuzia della ragione e che avranno in realtà solo servito a raggiungere conclusioni del tutto diverse. Quando si riflette oggi sul problema dell'unità europea, non serve a niente avere l'occhi3 contemplatore dello storico, perché non c'è ancora niente da contemplare; bisogna avere l'occhio pratico dell'. introduttore di ordini nuovi n. Costui è tenuto a considerare gli avversari, gli ostacoli, l e false soluzioni come tali, e non come elementi dialettici dell'armonia universale. E' anche tenuto a sapere che l'Europa non è soltanto un insieme di problemi: è prima di tutto un insieme di uomini, e che perciò non nascerà se non avrà messo radici nelle loro anime. Ma queste radici non possono essere altro che il rifiuto del lealismo nazionale totale e la rivendicazione dei diritti del cittadino d'Europa. ~ g ~ ~ ' ! ~ L5 / @ ~ ~ J ~E g J- ~ Q$ J~l -'-- R* r . . --, 2- ~ - i ~ ~ j I*' 2 direzione centrale - roma - via del corso, 173 COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 29 I1 credito finanziario alle comunità locali europee ge, si avverte un n o n chiaro avvenire per il governo locale; mentre 21 fiorire del governo locale è determinante per conferire . . . . . . . . . . . CI misura u m a n a alla democrazia e , t o u t L'unificazione monetaria presuppone court, per l'incremento della libertà. L'ininderogabilmente l'integrazione policertezza delle f u n z i m i attrzbuite all'ente lotica ... cale territoriale e , n o n d i vado. l'inadeguatezza dell'ente locale alle funzioni che dovrebbero essere ad esso attribuite (occorre, (« La politica monetaria della Comunità economica europea », respecie in Francza e in Italia, realizzare o lazione - 21 marzo 1960 - al Comitato d'Azione del Movimento adeguare glz enti terrztoriali locali zntermedi Euro~tu,- n. 22 della «serie relaf r a i l Comune e l o Stato) intralciano u n a zioni » dell'Istituto di economia aziendale dell'Università Bocconi, soluzione di fondo e u n a n o n equivoca bateditore Giufirè, Ililano). taglia politzca per l'autonomia finanziaria dez P o t e n locali. I n t e m a di fiscalztà locale, per U n certo n u m e r o d i soci e d i simpatizzanti del Consiglio dei Comuni d'Euro~pa è pro#- esempio, i Poterz localz si aggvappano sobabilmente insoddisfatto della lentezza, con v e n t e a imposte arcaiche o comztnque anticui si prospetta la realizzazione effettiva d i economiche ( o anti sociali), se e appena queu n a soluzione europea del problema del cre- ste permettono una q~ralsiasz conservazione dito finanziario agli Enti territoriali locali: della loro autonomia, m e n t r e lo Stato, col m a occo'rre rendersi ragione del perché, al pretesto di aggiornamenti fiscali, n o n si f a fine di ovviare - per la via migliore - a scrupolo d i inaridire le fonti finanziarie dei Poteri locali e di integrarne poi i bilanci questa lentezza e d i n o n limitarsi a un atteggiamento genericamente protesta bari,^ o a con sovvenzioni discrezionali, che mettono in u n deluso disinteresse. mora i l p ~ i n c i p i ostesso dell'autonomia: v i Anzitutto Za soluzione d,el problema è ceversa, specificate e rese certe le funzioni obiettivamente difficile per d u e m o t i v i condei Poteri locali, si potrebbe pervenire a un correnti. Da u n lato, pur fra quei Paesi di a ~ ~ t o ~ m a t riparto, ico fra essi e lo Stato, delle Europa che se l'a sono pro~posta, batt'e il entvate fiscali generali e allo stessio r i o ~ e n passo l'integrazion,e economica vera e pro'- tamento complessivo d,el si'stema fiscale, si pria - qu8ella, per intenderci, che richiede da rend,erlo congrzto a un regime fed,erale o quanto m e n o autono~mistico ( c f r . ,Studi sul u n a comune volontà politic'a e quindi, alm e n o i n fieri, le r e h t i v e istituzioni -: il federalismo a cura di B o ~ u ~ iee Friedrich, traduzione italiana, Milano 1959: cap. V I I , MEC (meglio: la Comunità Econ,om,ica Europea) ha superato già brillantemente alcuni Finanze pubbliche - questo di'scorso vale si'a traguardi di unione d,oganale e ha permesso all'interno d.ei singomli Stati, cioè per il fedeanche altre p r ~ ~ v v i d e n z eeconom,iche e so- ralismo infranazionale, sia per l ' c c armonizciali, che n o n impli,cano tuttavia u n autenzazione dei sistemi fiscali dei Paesi della tico inizio di integvzzione. I campi min,ati, Comun,ità europea, cioè nella prosplettiva del tipico quello d i u n a politica mo'netaria comufederalismo sopranazionale). Non ci di1un'n e , sono stati finora accuratamente evi,tati; ghiamo ulteriormente su questo secolndo m o tivo, del quale si son'o o~ccupatinegli ultimi nessuno ag'ita concretamente t e m i come quello di u n a politica comunitaria delle aziende t e m p i bz nostra Sezione italiana ( v . l e riso>e c ~ n o m ~ i ' c hdi e diritto pitbblico. I n quest,a luzio'ni del Direttivo dell'AICmCE, sotto il titolo N I n Campidoglio in K Comuni d'Eusituazione riesce difficile porre su scala elin . 1, gennaio 1960, pag. I sg., e la ropea i projblemi finanziari d,ei Poteri locali, ropa relazione Maggio nel n . 5, maggio 1960, considerati gelosamente come affari privati degli Stati ancora sovrani malgrado t u t - pag. 7 sgg.) e t u t t o il C'CE ( v . f r a i rapporti preliminari sui 3 t e m i dei V Stati generali to, tanto nell'economia quanto nella politica. Dall'altro lato occorre francamente ricoquello della prima commissione, con l e note noscere che t u t t o quello che attiene all'aucomplementari per i singoli Paesi, i n Costonomia finanziaria dei Poteri locali tende m u n i d'Europa » n . 3, marzo 1960, pag. 7 sgg., oggi ad essere zn ogni caso accantonato o sue nel n. 4, aprile 1960, l'editoriale Dopo bisce sollirzàoni provvzsorie, m a i di largo reCannes no~nchéla riso~luzio~ne su,lle autonospiro ( e quindi tanto m e n o so~vranazionali), m i e lo'cali a pag. 8 ) . perché c'è in t u t t i i Paesi d'Europa u n a crisi Accennati i due motivi osbiettivi che rendelle autonomie local-i. che andrà, anche dotdono difficile la solitzione del problema, bi'trinariamente, risolta. Occorre rivedere le sogn,a subito aggiungere che i Po~tert locali funzioni dei var0 Enti locali, definirle meglio n o n po'tranno comunque vincere questa loro nel quadro dei vasti pzanz di sviluppo ecobattaglia finché, uniti al di sopra delle frontiere I) - co'me recita la Carta europea nomzco e n e i confronti degli Entz parastatali interessati alla sicurezza sociale e ad delle libertà Locali -, n o n sapranno più saldamente o~ganizzarsi,chiarire senza residui altre branche fondamentali della v i t a asdi dubbio le proprie idee comuni ed esersoczata moderna. U n comunalismo vecchio citare u n reale peso politico. Che è come stile e un bmapartzsmo rinverdito dalle ridire: aiittiamoci a potenziare il Consiglio chieste sempre maggiori - e del resto inedei C o m u n i d'Europa, rendiamo possibile vitabili -, che si vanno facendo alla cosa ad esso ( e alla Comunità europea d i Credito pubblica, si fronteggiano oggi i n molti Paesi c m z t n a l e ) di utilizzare un servizio studi d'Europa: ed anche ove u n a struttura autoveramente autonomo e veramente all'a,lteznomistica, o a d d i r i t t u ~ afederale, ancora reg= L'integrazione economica della piccola Europa è irrealizzabile i n assenza di una politica monetaria comune. )I. za dei grossi progetti che ci proponi'amo, chiariamo senza possibilitu d,i equivoco la cornice europea en,tro La quale dobbiamo operare (quella parte d'Europa ove sia realmente riscontrabile u n a vo~lontà d i integrazione') e, quindi, esercitiamo c o n tenacia t u t t o il n80stro peso politico - che si moltiplicherà, per un fenomeno noto alla scienza politica, se sapremo allearci a forze che già lavorano i n modo concreto all'integrazione europea -. L a Comunità europe'a d i Credito co~munale opera, per quel che la riguarda, coerentem e n t e e .senza esitaziwni in tale senso? I lettori d i IL Co~munid'Europa hanno quest'an'n o se~guitou n a polemichetta, che si è svolta sztll'e colonne della rivista (n. 6, giugno': pagina 16 sgg.) e alla qu,ale hanno partecipato l'amico Basetti-Sani, esperto dell',AICCE, il prof. Mossé e i l diretto~redel giornale. Senza ripetere qui i termini di quella discussione, vogliamo so~loricavarne il dissenso che si è ancora u n a volta potuto rilevare f r a il professor Mossé e l'orientamento prevalente d,ella Sezione italiana. Per nulla pretendendo 8 11 )b >), )), N )D, C )I N Giordano Dell'Amore di riscrivere in due righe t u t t a la ormai non breve storia degli sforzi del CCE in favore della costituzione d i u n K credito europeo per i Poteri locali, ci lzmiteremo a ricordare che, quando Robert Mossé, u o m o di indiscussa competenza e di esperienza ecolnomica a livello internazionale, assunse la segreteria della CECC, egli si alleò alla tesi italiana di un Istituto europea contro quella del venerabzle Edgard Milhaud (professore onorario all'Unzversità di Ginevra e direttore-fondatore d i cc Les annales de l'Econom i e collettive ») - appoggiata sostanzialm e n t e dal Segretarzo generale del Credito comunale del Belgio, V a n Aztdenhove - di creare un'associazione o consorzio europeo d i istituti nazionali di credito comunale. Successivamente ci sembra che Mossé, forse per troppo amore del progetto che si era entu)l . dicembre 1960 COMUNI D'EUROPA siasticamente affiliato e c h e a v e v a f a t t o crescere, abbia perso d i vista il sottofondo politico della sua posizione n e i rigzcardz d i quella d i Milhaud: donde il controsenso d i v o l e r f a r e accettare l'istituto europeo a q u e gli stessi ambienti c h e si rifiutano d i accett a r e l'integrazione europea e c h e accusano il MEC d i dividere l'Eurolpa. C o n questi i n t e r l o c u t o ~ i egli è costretto a mitigare i l senso rivoluzionario del suo progetto, sicché finisce per presentarlo evirato e senza quelfacendo superare le perplesla carica che sità d e ~ i v a n t idal d o v e r m e t t e r e le m a n i in materia si complessa - potrebbe allettare viceversa qualche pioniere dell'Europa comunitaria, anticamera dz qiiella sopranasion a l e e federale. Insoinina Mossé più c h e a prepararlo alla lotta si è d a t o d a fare per mostrare il b a m b i n o a c h i u n q u e fosse disposto ad elargirgli un sorriso: pronto, al pari d i t u t t i i genitorz troppo gelosi delle l o ~ o creature, a consiclerare c o m e gente cattiva c o l o ~ oc h e l o guardassero all'inizio c o n aria distratta o pregassero d i farlo tacere per n o n d i s t u r b a ~ ei l lavoro. S i , la CECC si è rivolta anche alla B E I , prima addirittura per coinvolgerla n e l progetto d i Istituto europeo e poi, q u a n t o m e n o , per proporle u n o stralcio, cioè il finanziamento diretto d i opere e attiv i t à d e i Poteri locali: m a a livello della dirigenza della Banca europea è e v i d e n t e c h e n o n ci si può n o n limitare a far p ~ e s e n t i gli articoli del T r a t t a t o d i R o m a , i l regolam e n t o della Banca stessa e le diretttve superiori impartzte, sul m o m e n t o , dalla C o m missione della C E E ; n é l'incerta lealtà comunztaria (microeuropeista, c o m e dicono i patiti della grande Europa a parole) delka CECC riusczrà m a i a indurre un u o m o politico o un funzionario europeo, a n c h e volenterosissimo, a prendersi la gatta a pelare d i f a r e il paladino di cosa astrusa e dalle indelfinibili prospettive c o m e il credito finanziario alle collettività lo~cali. D u n q u e , a parer no'stro, difficoltà obiett i v e d i ordine generale, ancora n o n sufficiente peso politico del consigli,^ dei CONmuni d'Europa ed errori d i condotta della CECC sono i m o t i v i c h e h a n n o a tutt'oggi ritardato un concreto a v v i o ad u n a soluzione europea del problema del credito finanzia,rio agli E n t i territoriali lo~cali: il c h e n o n d e v e scoraggiare gli amministratori locali e farli desistere dalla Lotta. Deve, se m a i , p o ~ tarli a ineglio g ~ n d u a r ei traguardi, ad allargare frattanto il c a m p o d i collaborazione c o n la C o m u n i t à Economica Europea e a chiarire, nella propria famiglia, alcune i d e e tuttora n o n chzurissime. A t a l e proposito rim a n e s e m p r e f o n d a m e n t a l e l a relazione f a t t a all'ormaz lontano congresso d i Frascati dall'amico Tzto Scipione, d a n o i ristampata q u e st'anno C o m u n z d'Europa D, n. 2, f e b braio). C 13 - (l( Q u i d i seguito riproduciamo, ritraducendolo dal francese, un i n t e r v e n t o i m p r o v v i - sato dal nostro Direttore, n e l l a sua qiialità d i m e m b r o dell'Assemblea della CECC e anche d i Segretario generale della Sezione italiana del C C E , durante la sessione del giugno scoirso ( p e r l a quale v . Comuni d'Europa n , n. 7-8, luglio-agolsto, pag. 12): i n t e r v e n t o c h e ci pare t u t t o r a attuale, sia per i nostri lettori e per gli associati al Consiglio dei C o m u n i d'Europa che per la Segreteria della C o m u n i t à europea d i Credito comunale. . * * * Poiché l'amico prof. Mossé m'ha fatto l'onore di chiamarmi i n causa, Signori, io vorrei adempiere qui a due compiti: l'uno, essere il portavoce del pensiero della Sezione italiana del Consiglio dei Comuni d'Europa, dal momsnto che il nostro Presidente Peyron è evidentemente al di sopra della mischia; e d'altro canto esprimere anche alcuni giudizi personali, di cui io solo sono il responsabile. E allora io penso che, innanzi tutto, al momento in cui ci troviamo, noi dovremmo esaminare i motivi per cui i Governi, ed espressamente i Governi dei Sei, come l'amico Mossé sottolinea talvolta, hanno formulato alcune riserve di fronte ai nostri progetti - io direi che sono stati più che riservati - e le istituzioni dei Sei sono state egualmente assai riservate. I1 Presidente Peyron ha letto u n istante fa una lettera della Banca Europea per gli Investimenti che, in linea di principio, è favorevole alle nostre proposte, m a altra volta il Presidente Peyron ha avuto l'occasione di sottolineare che l'atteggiamento di questa Banca è stato esso anche assai riservato. Al contrario, secondo la comunicazione dell'amico Mossé, l'atteggiamento del Consiglio d'Europa, o di alcuni ambienti del Consiglio d'Europa, sarebbe più favorevole, e sempre in linea di principio questo avrebbe mostrato di essere molto b e n disposto nell'esame delle nostre proposte. Io vorrei subito sottolineare che l'atteggiamento più riservato dei nostri Governi e delle Istituzioni dei Sei e della Banca Europea per gli Investimenti è ovviamente dettato dal fatto che i Governi e l e Istituzioni dei Sei quando danno risposte sono coinvolti i n impegni, poiché i Governi e le Istituzioni dei Sei lavorano nel campo della realtà: ecco dunque la ragione della loro prudenza. Al contrario l e Istituzioni dei Quindici non hanno nulla da perdere quando si aprono a una discussione, poiché evidentemente è sempre possibile accogliere una raccomandazione. Occorre sottolinearlo: è molto facile appoggiare una proposta, che è destinata a restare sul terreno puramente accademico. E allora penso sia arrivato il momento di vedere u n po' più attentamente le ragioni della prudenza dei nostri Governi e anche delle Istituzioni dei Sei. Personalmente ho già qualche altra volta sottolineato che questo famoso rapporto o espoSto, preparato dal signor V a n Audenhove nella primavera 1958 per l'Union Internationale des Villes i n previsione della Seconda sessione della Conferenza Europea dei Poteri Locali, che si è svolta nell'ottobre dello stesso anno, che questo esposto del signor V a n Audenhove - dicevo - è assai giudizioso, qualora si voglia creare u n istituto europeo aperto ai Quindici o, se noi parliamo la lingua della moribonda OECE, ai Dieciassette ( o ai Dieciotto). SO bene che il signor Mossé, io stesso e direi una maggioranza di noi ci siamo battuti altra volta per l'Istituto europeo (sottolineo europeo) contro l'altra tesi di una Confederazione di Istituti nazionali. Ma - il signor Moss6 lo ricorderà benissimo - i pilastri su cui poggia questo istituto europeo consistono nel fatto che esso è, alla base, i n corrispondenza di una integrazione al vertice; cioè esso contribuirebbe a u n tessuto di base federalista, nello stesso tempo i n cui al vertice si cerca di costruire una parallela integrazione. E' evidente che, quando ci si trasferisce sul terreno dei Quindici, questo parallelismo oggi non c'è, e secondo m e si tratta di u n parallelismo necessario. Infatti è andare al di là delle possibilità dei Poteri locali tentar di fai-e del federalismo di base nel dominio veramente esplosivo del credito, quando al vertice gli Stati, i n questo stesso dominio, restano completamente sovrani. So bene che l'amico Mossé m i osserverà che oggi - sembra - si profila u n certo ravvicinamento fra i Sei e i Sette: m a io gli rispondo immediatamente che è u n ravvicinamento che si profila sul terreno doganale e non davvero sul terreno dell'integrazione. Avete letto or ora gli stessi quotidiani che ci dicono che c'è u n interesse dell'hghilterra per 1'Euratom. Ma quando si passa sul terreno della Comunità Economica Europea, allora l'Inghilterra è disposta a qualche gentlemen agreement, ove si tratta sempre d'un ravvicinamento doganale e non d'un ravvicinamento sul terreno dell'integrazione europea, comunitaria. Ebbene, quali sono secondo m e le osservazioni assai giudiziose del signor V a n Audenhove? V a n Audenhove ci diceva che, prim'a di far funzionare il credito per i Poteri locali nel quadro generale della politica monetaria. congiunturale, del credito di uno Stato, u n Governo nazionale deve fare una analisi della situazione generale del reddito n x i o n a l e , analizzare di questo reddito quale è la parte che dovrebbe essere destinata agli investimenti, analizzare anche negli investimenti quale è la parte che, secondo questo Governo, è piuttosto da destinare agli investimenti privati e quale da destinare agli investimenti pubblici; e quando ha davanti a sé il panorama degli investimenti pubblici possibili, sta ancora al Governo di vedere quali sono l e priorità economiche e sociali, di giudicare quale è la parte da destinare ai Poteri locali e quale è la parte che deve essere gestita direttamente dallo Stato o dagli Enti statali o nazionali. I1 signor V a n Audenhove osservava anche che spetta pure allo Stato, i n tutti gli investimenti pubblici e dunque altresì negli investimenti destinati ai Poteri locali, di vedere se la situazione generale è di inflazione o di deflazione, d'espansione o no, e pertanto di regolare il credito ai Poteri locali nei differenti casi. E quale è la conclusione del signor V a n Audenhove? La conclusione è di ridurre quasi a nulla l'espressione istituzione europea di credito alle collettività locali D, i n favore della quale il signor Mossé ed io stesso ci siamo battuti, per dare invece l'importanza principale a istituzioni nazionali, che evidentemente sono ispirate o hanno la supervisione dei Governi nazionali. Ebbene, nel campo dei Quindici o i n quello dei Dieciassette o Dieciotto è evidente che non c'è oggi, n é i n una prospettiva prossima, u n potere qualsiasi, u n comitato per arbitrare con u n minimo di poteri, o qualcosa di simile, che sia i n condizione di fare u n disegno generale e di gestire una politica comune degli investimenti, una politica monetaria e del credito. Al contrario, ed è la mia tesi, si potrebbe rispondere al signor V a n Audenhove che nell'ambito dei Sei noi siamo ancora, è perfettamente vero, sul terreno delle intenzioni, m a si può forzare la situazione e battersi nello stesso tempo affinché la Comunità Economica Europea si dia, al vertice, u n potere economico più reale, e cominci a realizzare il complesso di buone intenzioni del Trattato, a condurre una politica europea di investimenti, del credito e monetaria comune. e affinché sia sfrut- I o ad Organismi dei Sei, che si collochino a u n conveniente livello e che avrebbero il compito di condurre la detta politica monetaria, di investimenti e del credito comune. Evidentemente la questione non è semplimente qui: ci sono ancora, e ci verrò. osservazioni da fare anche se noi restiamo nell'am- COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 bito dei Sei, relativamente alla destinazione di questi crediti; c'è sempre un problema che, forse, è il più scottante del progetto Mossé. cioè quale sia il criterio di selezione e di scelta dei crediti d i fronte a migliaia, a diecine d i migliaia d i domande da parte dei Poteri 1c;cali. Ebbene, vorrei sottolineare che sul terreno dei Sei si avrebbe u n criterio di selezione e di scelta offerto dagli stessi Sei, e auesto si trova nel Trattato di Roma, che prevede una politica europea regionale, una pianificazione del territorio, una certa azione verso le zone meno sviluppate, che sono in tutta l'Europa, non solamente nell'Italia del Sud Ricordo il discorso che è stato fatto settimane fa dal signor Hallstein in Sardegna, ove egli parlava del reddito medio delle diverse zone europee e sottolineava, per esempio, che lo Schleswig-Holstein h i un reddito molto basso in paragone del reddito di altre regioni d'Europa. Dunque nel nostro dialogo con le Comunità a Sei e i Governi, che ci fanno obiezioni varie (una, quest'ultima: quale sarà il criterio di scelta di fronte alle numerose domande; l'altra: << ma il controllo sembra che ci sfuggirebbe in questo Istituto! B), sOn d'avviso che ci si aprirebbe così un ben più concreto cammino. Ma, come ha giusto detto il nostro amico Mossé, n é il Consiglio dei Comuni d'Europa Jean Monnei n é la Comunità Europea d i Credito Comunale sono limitati a i Sei, e io sono perfettamente d'accordo. Quale è tuttavia la risposta? ' La mia risposta è questa. Sia i Poteri locali dei Sei sia i Poteri locali del resto del Consiglio dei Comuni d'Europa, in particolare 1'Austria, che, con tutta franchezza, è la sola Sezion e praticamente attiva del nostro CCE a l di fuori dei Sei (poiché in Inghilterra la Sezione è semplicemente un Comitato di aderenti a titolo individuale, e la Sezione svizzera anche è un po' sulla carta), evidentemente sono cittadini con gli stessi diritti. Semplicemente, allorché si tratta dei bisogni dei Poteri locali austriaci, per esempio, o dei Poteri locali dei Sei, nelle decisioni non si può trascurare la situazione obiettiva: e ciò non dovrebbe stupirvi. Io sono da tempo fautore d i una soluzione questa volta veramente a mista del problema. Cioè penso che nell'ambito dei Sei noi siamo nella possibilità di avere un Istituto europeo nel senso originario del nostro amico Mossé, e nell'ambito dei Poteri locali che, pur avendo gli stessi diritti, sono esterni a i Sei, occorre seguire la soluzione dei differenti Istituti nazionali d a associare all'Istituto europeo a Sei, con un meccanismo che, per grossolana analogia, può ricordare l'associazione a l MEC richiesta oggi, sul terreno dell'economia generale, dalla Grecia, dalla Turchia, ecc. Ciò non darebbe luogo a pecore nere e a pecore bianche, ma semplicemente terrebbe il conto dovuto delle differenti situazioni che ci si presentano. Del resto non semplicemente per la Comuniti europa di Credito comunale, ma anche per il Consiglio dei Comuni d'Europa le cose, psicologicamente e politicamente, vanno oggi press'a poco nel modo seguente. Nell'ambito dei Quindici ci si accusa d'essere in qualche modo gli inviati sotterranei dei Sei, e di là perplessità, e negli ambienti dei Sei ci si accusa di avere idee generiche, vaghe, incerte, e non interamente leali alle diverse posizioni dei Sei (così come avviene per gli esterni ai Sci). Insomma noi siamo come dice la nota espressione: invisi a Dio e ai suoi nemici. E' possibile, io penso, portare una chiarificazione attraverso una soluzione articolata. Un Istituto a Sei, o un Dipartimento a Sei, se così piace a l nostro amico Mossé. e una associazione degli esterni ci darebbe la chiarezza necessaria per intrattenere disiorsi assolutamente leali e tecnicamente del tutto precisi con gli uni e con gli altri. Credo che quando egli si compiace di parlare delle istituzioni internazionali, quando il nostro amico Mossé cita la Banca dei Regolamenti Internazionali e la Banca internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, egli pensa: perché non fare noi anche un istituto internazionale, europeo nel senso internazionale (non sopranazionale), se ci sono già banche internazionali che funzionano assai bene, e perché retrocedere a una confederazione di istituti nazionali? Io credo che quando egli cita queste istituzioni già esistenti l'amico Mossé non si sofferma troppo sulla differenza fondamentale che interviene fra queste banche, a cui ho fatto allusione, e il nostro costituendo istituto. Queste banche internazionali hanno rapporti direttamente coi Governi: dunque C'& una pluralità di rapporti bilaterali, che sono appoggiati da Stati economicamente scivrani. Ma i! nostro istituto, che si rivolge ai Poteri locali, creerebbe, in fondo, un contatto diretto fra una istituzione destinata alle collettività locali e i Poteri locali. E se il nostro amico AIossé osserva che ci sarebbe tuttavia, nel nostro costituendo istituto, anche la presenza dei Governi nazionali, evidentemente la controreplica è che qualche volta si potrebbe rendere un po' platonico questo controllo, quando i Poteri locali fossero s lanciati X , e il nostro Istituto cominciasse ad avere successo. Là resta sempre la preoccupazione dei nostri Governi, che, un po' da per tutto, sono abituati a manovrare l'economia dei Poteri locali, soprattutto nelle situazioni congiunturali più difficili, recessione ed eccessiva espansione, e che non potrebbero rinunciare a questo strumento assai rilevante di manovra senza trasferirlo a un effettivo potere responsabile. che succeda loro nel quadro delle Istituzioni a Sei, se queste sono pronte a funzionare in tal senso. Avrei quasi finito il mio intervento e la mia esposizione di pareri personali: vorrei soltanto dire ancora che, forse - il signor Mossé lo sa molto bene -, l e ragioni, i motivi del nostro amico Milhaud non vertono semplicemente sul quadro della nostra azione, i Sei o i Quindici, sull'istituto europeo o la confederazione d i istituti nazionali, ma anche su una concezione differente dell'autonomia locale. Egli vorrebbe non solo un istituto a Quindici sotto forma di confederazione di istituti nazionali, ma vorrebbe anche una parte più larga, determinante e quasi esclusiva dei Poteri locali nella direzione dell'Istituto. I1 signor Milhaud in fatto di autonomia locale vuole tutto )). Ebbene, oggi, quando gli Stati più liberali sono abituati a manovrare, e noi lo vediamo nell'economia americana, il credito e l'intera economia (il regime liberale dice che lo fa per meglio liberalizzare il mercato), è assolutamente controproducente per la battaglia in favore dell'autonomia locale chiedere una specie d i indipendenza economica dei Poteri locali di fronte al potere economico dello Stato. Qui penso che il signor Mossé ed io siamo d'accordo, cioè la nostra concezione dell'autonomia deve essere completamente differente, deve aspirare, a l massimo (ed è un massimo a cui noi aspiriamo ad arrivare), a fare in modo che potere centrale e potere locale siedano a l medesimo tavolo per considerare, a priori e non a posteriori, quale è la situazione economica e dividersi l e responsabilità, a l vertice e alla base. E questa è un'altra ragione per appoggiare un Istituto a Sei. Effettivamente questa tavola rotonda economica permanelzte, ove le Istituzioni dei Sei, gli Stati nazionali e i Poteri locali siederebbero per vedere quale potrebbe essere la ripartizione da dare a l reddito europeo fra gli investimenti privati e i pubblici, fra i progetti che debbono essere realizzati a l vertice e quelli che debbono essere realizzati dai Poteri locali, è cosa che può verificarsi, per il momento, nell'ambito dei Sei, e noi lo speriamo, e viceversa è cosa che non ha prospettive immediate nell'ambito dei Quindici, dei Dieciassette o dei Dieciotto. Dunque, nel campo della direzione dell'Istituto e della destinazione dei capitali, si ha una ragione di più per appoggiare la mia tesi di una soluzione mista, cioè un Istituto europeo a Sei e differenti Istituti nazionali per gli altri, strettamente associati alllIstituto a Sei. Detto ciò, io debbo aggiungere che la mia tesi è anche suffragata da una relazione che ha fatto recentemente il professor Giordano Dell'Amore sulla politica monetaria della Comunità Economica Europea. E' una relazione che può essere sintetizzata in otto proposizioni, ma io mi limito a leggervi la terza, che ci interessa qui. I1 prof. Dell'Amore afferma che < l a liberalizzazione dei movimenti dei capitali, anche se assoluta, può concorrere ad accelerare il conseguimento dell'obiettivo, ma non esaurisce la serie dei provvedimenti all'uopo necessari ... ed ecco il punto che ci interessa: e In assenza dell'accentramento dei poteri relativi alla politica monetaria, essa può anzi presentare seri pericoli, i n . determinate congiunture economiche, legate anche a contingenti condizioni di Paesi esterni alla Comunità n. Cioè: fate attenzione a chiedere una liberalizzazione dei movimenti dei capitali anche nell'ambito dei Sei, se parallelamente non pervenite a un governo comunitario della moneta, del credito, degli investimenti. In fondo, le parole del prof. Dell'Amore sono parole che ci aiutano a comprendere il pensiero corrente di quegli ambienti governativi, che hanno per consiglieri uomini con preoccupazioni analoghe a quelle di Dell'Amore. Dunque occorre ascoltarle, non solo per il loro indubbio merito intrinseco, ma anche perché questo parere è il parere di un uomo, che è consultato da uno dei Governi a cui ci vogliamo rivolgere. Vi ho confidato anche, ed era il mio compito principale, di essere il portavoce della Sezione italiana del Consiglio dei Comuni d'Europa. Ebbene, se la CECC è una espressione del Consiglio dei Comuni d'Europa, può essere interessante conoscere l'opinione di una delle sue Sezioni nazionali. E' vero che il CCE è anzitutto sopranazionale, e dunque i pareri delle Sezioni nazionali sono pareri provvisori, ed è negli organi sopranazionali del CCE che il nostro pensiero viene definitivamente fermato: ma in ogni caso è probabilmente interessante conoscere i pareri degli organi dirigenti della Sezione italiana. La Sezione italiana, nell'ultima riunione del suo Consiglio Direttivo, nel mese d i dicembre (19591, precedente agli Stati generali di Cannes, ha riaffemato il suo sempre più fermo convincimento che un Istituto europeo d i credito alle collettività locali, e in generale un allargamento delle possibilità creditizie degli Enti territoriali locali su scala europea, non sia realizzabile se non nell'ambito in cui è prevista una politica monetaria e congiunturale comune: e pertanto che la creazione di questo Istituto debba avvenire, per ora, nell'ambito dell'E.iropa a Sei, non escludendo l a cooperazione tra l'Istituto europeo e Istituto d i credito alle collettività locali operanti nei Paesi europei esterni a i Sei E il Consiglio Direttivo ha affermato anche che la politica creditizia dell'Istituto europeo deve essere formulata nel quadro della politica comunitaria a lunga scadenza e dei piani regionali di sviluppo economico. Questa è, come sapete, l'espressione costante del pensiero, su questi problemi, della totalità, o della quasi totalità, degli aderenti alla Sezione italiana a partire da quel Congresso di Frascati, ove il nostro amico Mossé intervenne. ,Dunque egli conosce assai bene l'atteggiamento della nostra Sezione. Grazie, Presidente. ,); D . 32 COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 L'UOMO E L A P O L I S Dall'integrazione economica alla pianificazione del territorio I t r e autori e i t r e t e m i che seguono sono da a f f r o n t a r e , e ciò rimane evidente, in u n a c o m u n e problematica. S i è spesso cominciato a riflettere, e a dubitare, studiando e operando i n campi diversi, m a si è poi arrivati - e questo vale per Claudius-Petit, Brugmans e Musatti come per Adriano Olivetti, che è i l protagonista del terzo articolo - al federalismo integrale, a q u e l federalismo, cioè, che - poggiando sui d u e pilastri della solidarietà. e dell'auton o m i s m o - riconsidera, alla luce dell'interesse generale e della persona u m a n a e contro sezionalismi e privilegi, t u t t e le strutture associative. Oggi, dal centro sociale d i quartiere urbano o d i villaggio rurale alla federazione europea; domani, sino alla federazione m o n diale, che ad u n a instabile coesistenza competitiva n sostituirà la convivenza u m a n a sotto i l segno d i u n a istituzione al d i sopra d i t u t t e le nazioni. Istituzione che n o n dovrà essere paralizzata dagli Stati sovrani, n o n dominata dai primi arrivati x , n é americana n é russa m a d i t u t t i gli u o m i n i (in alcune élites - per esempio la gran maggioranza degli scienziati ci si sente già più cittadini del m o n d o che sudditi nel proprio r e a m e ) ; istituzione che, d'altra parte, n o n dovrà prevaricare dai suoi compiti generalissimi, a f i n c h é sotto i l suo o m brello fioriscano t u t t e le autonomie. S i è detto che a questa prospettiva d i f e d e ralismo integrale i nostri, come altri i n n u m e revoli autori, sono arrivati per strade diverse. L'urbanista più aperto ha, via via, scoperto il self-government locale e la federazione europea; il meridionalista ha scoperto anch'esso la federazione europea, accanto al regionalismo e alla comunità d i base a II tuille d'homme il produttore o il sindacalista. u r e o c c u ~ a t idel lavoratore nella sua interezza d i persona u m a n a , hanno scoperto accanto all'integrazione economica l'urbanistica, la pianificazione del territorio, i l servizio sociale, la geografia u m a n a . A n c h e i n quest'ultimo specifici campo si sono percorsi lunghi c a m m i n i separati prima d i incontrarsi: si è d o v u t o lottare, per uscire dal chiuso d i abitudini mentali e d i schematismi accademici, prima che urbanisti e geografi si sedessero intorno allo stesso tavolo, e che e n t r a m b i entrassero nelle scuole d i servizio sociale. Più ancora ha tardato l'incontro con gli amministratori locali. Addirittura ha d o v u t o sfidare lo scandalo il simposio finale con i federalisti europei, I I contaminati 11 dalla politica. Brugmans, Claudius-Petit, Musatti e , naturalmente, Olivetti hanno, t u t t i , seguito variam e n t e , apprezzato, appoggiato la battaglia ( i l cui inizio risale alla fine del 1950) del Consiglio dei C o m u n i d'Europa. C i piace in particolare rammentare che Claudius-Petit e Musatti hann o attivamente partecipato ai lavori della C o m missione urbanistica ( o dell'equilibrio ruraleu r b a n o ) del CCE, contribuendo f r a l'altro - i n sieme con Berrurier, B o d m e r , Brugner, Hoose, Lassy, L. Quaroni, Ronse - alla redazione della preveggente risoluzione del febbraio 1954 (sessione d i T o r i n o ) , o v e pianificazione generale del territorio, piani particolari, governo locale, equilibrio rurale-urbano e mercato comune europeo erano chiaramente visti sotto u n a prospettiva unitaria. I1 Trattato d i R o m a istitutivo della C o m u n i t à Economica Europea ha aperto alcuni spiragli in questa direzione, e un lavoro d i rilievo svolge Marjolin, responsabile, nell'àmbito della Commissione della C E E , del settore degli investimenti a lunga scadenza e della politica regionale 3 (cfr., soprattutto per gli aspett i finanziari della questione, dei quali questo n u m e r o tratta altrove, l'intervista d i Robert Marjolin riprodotta in u C o m u n i d'Europa 11, ottobre 1959, pag. 7; v . anche il discorso del presidente Hallstein a Cagliari, su 1i Aree m e n o sviluppate e politica regionale sopranazionale n, 8 )I; 11 n e l n u m e r o d i aprile 1960, pag. 11 sgg.). Purtroppo i l Trattato della CEE n o n prevede i n maniera esplicita la necessaria collaborazione diretta della C o m u n i t à coi Poteri locali - a t u t t o danno della Comunità, che rimane esitante nel servirsi d i un prezioso strumento democratico, così come dei Poteri locali e d e i cittadini interessati. D'altro canto è fin troppo e v i dente che u n a e f f e t t i v a pianificazione del territorio europeo, un v e r o superamento del pericolo che v e n g a col MEC a consolidarsi la cosiddetta Lotaringia industriale, u n a autentica soluzione in profondità del problema meridionale n o n si avranno senza un G o v e r n o e un Parlamento federali europei: occorre, anche qui, il Potere politico sopranazionale, visto che è nella politica che si sciolgono i particolarismi della tecnica, dell'economia, della diplomazia, delle corporazioni. L'articolo, che riportiamo, d i Claudius-Petit e b b e a suo t e m p o - quando usci sulla rivista Gauche européenne ( m a r z o 1956) da cui è tradotto - notevole risonanza, e può considerarsi classico. L'ex-Ministro francese della Ricostruzione - che è poi un vecchio militante f e d e ralista europeo - v i insiste a parlare dell'alloggio, del focolare privato del lavoratore, come indice d i un certo reale livello d i vita: noi v i aggiungiamo, come pierre d e touche, q u e i focolari pubblici o v e il lavoratore organizza i l suo t e m p o libero e diventa ( o ridiv e n t a ) animale politico .. L'attività persuasiva (< )) CC d i Socrate, in un clima mediterraneo e dolce, si svolgeva spesso all'aperto: e in realtà i l prob l e m a del tetto n o n è il principale. Ma piazza o portici medioevali, centri sociali o comunitari o ( c o n la riserva per le burocratizzazioni partitiche) case del popolo del nostro t e m p o , certo è che la 11 macchina produttiva e sociale n o n è v e r a m e n t e al servizio dell'uomo, se l'uom o della città o del borgo n o n può, i n piena autonomia, incontrare i suoi simili e discutere del comune avvenire, superando - insieme il particolarismo del clan familiare e quello dei N settori 11 della società ( s i potrebbe dire che è q u i la f o n t e perenne, e ragionevole, del patriottismo). C i permettiamo, i n merito, d i ricordare le conclusioni del convegno sull'equilibrio città-campagna che, sotto gli auspici dell'Istituto europeo d i studi e relazioni intercom u n a l i , si t e n n e a Palazzo Canavese n e l sett e m b r e 1958 ( v . I, C o m u n i d'Europa gennaio 1959, pag. 18 sg.). I1 passo d i Brugmans costituisce il cap. X V I I del suo ri Panorama del pensiero federalista (Milano, edizioni d i Comunità, 1960 - se n e v e da la recensione in C o m u n i d'Europa 11, sett e m b r e 1960, pag. 11 sg.). L o scritto d i Musatti andrebbe integrato dalla lettura d i L a v i a del S u d n dello stesso autore: aureo libretto da noi recensito al suo primo apparire ( v . C o m u n i d'Europa n, ottobre 1955, pag. 6 ) . )l, 8 . K . * * * <$ La bianificazione del territorio i n nna prospettiva enropea I J di Eugenio Claudius-Petit S e c i si propone d i f a r e l'Europa sia per costruire la pace, sia per accrescere, n e i l i m i t i d e l possibile, il benessere d i t u t t i , n o n ci si può contentare d i un progresso economico quantitativo c h e porterebbe alla soddisfazione solt a n t o degli accresciuti bisogni di alcuni consumatori. E' indispensabile c h e tutti siano consumatori. S e l'Europa, ad u n a più sicura speranza d i pace, associa n e l c o n t e m p o u n a certezza d i miglioramento del benessere, è necessario che ciascuna economia particolare degli Stati europei si adegui, si sviluppi ed assicuri la sua espansione al d i fuori dell'Organizzazione. S e fosse altrimenti, n o n a v r e m m o niente da r i m proverare al liberalismo economico e n o i lascer e m m o c h e si procedesse alla cieca, come avev a n o fatto fino allora gli interessi particolari, finanziari o politici. L'Europa n o n esisterebbe che a parole, senza però v i v e r e n e i fatti. S e si f a l'industrializzazione, n o n importa d o v e o come, se i l servizio del b e n e c o m u n e n o n domina gli interessi particolari, se si dà ragione agli industriali metallurgici tedeschi c h e si oppongono al progetto d i canaljzzazione della Mosella e proclamano i l loro desiderio e l a loro volontà d i installare industrie metallurgiche l à d o v e sembrerà loro opportuno, ten e n d o conto soltanto del r e n d i m e n t o c h e pot r a n n o ottenere, se il neo-liberalismo sul piano interstatale n o n può essere imbrigliato, n o n si sarà pienamente raggiunto l o scopo: l'Europa n o n sarà stata c h e un'addizione, n o n avrà permesso la messa i n c o m u n e d i t u t t e l e virtualità, avrà lasciato c h e n u o v i disordini, concentrazioni fondate sul solo profitto i m m e d i a t o d i alcune imprese o rami industriali si stabilissero, avrà incoraggiato l e emigrazioni interne c h e lasciano dietro d i sé zone d i depressione. INTORNO A L L E PIANIFICAZIONI E L A PIANIFICAZIONE E' per questo c h e l'industrializzazione, l a valorizzazione delle terre, l e localizzazioni u m a n e , e d i conseguenza, la costruzione d i alloggi d e v o n o essere esaminate n e l quadro d i u n a pianificazione del territorio, v i s t o almeno al livello europeo. E' d i v e n u t o banale parlare d i pianificazione del territorio. Questo problema era, qualche anno f a , al d i f u o r i d i un piccolo n u m e r o d i specialisti, praticamente sconosciuto i n Francia. S i assiste oggi ad u n a straordinaria fioritura d i comitati d i pianificazione del territorio. Ciascuno h a il proprio. Talvolta sembrano troppi, c o m e la d i f e s a d i piccole entità locali, d i piccole economie regionali e , per attirare gli industriali, capita loro d i d o v e r vantare t a n t o l a tavola, i v i n i e la qualità del sole, c h e l e facilità d i comunicazione o i vantaggi fiscali consentiti dai C o m u n i o dai Dipartimenti. La pianificazione del territorio n o n è a f f a t t o questa. P u ò difficilmente concepirsi al d i fuori del disinteresse. S i tratta, certamente, d i valorizzare n e l m o d o migliore u n a regione determinata, m a i n u n a prospettiva d i miglior a m e n t o del benessere dei francesi e , più alla lontana, n e l divenire della Comunità Europea che n o n ignora l'Unione Francese. N o n c'è pianificazione del territorio su scala cantonale o sii scala dipartimentale, c h e possa essere artificialmente isolata. S e l e analisi sono f a t t e a t u t t i i livelli, partendo dal più piccolo, è perché si stabilisca poi questo straordinario dialogo tra l e possibilità e i bisogni, l e virtualità ed i m e z z i , i bisogni e la capacità degli uomini. Sotto l'aspetto industriale la pianificazione del ter- dicembre 1960 ritorio consiste nel disporre gli stabilmenti in quei luoghi dove essi possano essere utili agli uomini invece di disporli laddove essi procurino ai loro proprietari più grandi guadagni. Un paese capitalista e liberale, o che si crede ancora liberale, gli Stati Uniti, ci dà una lezione che pur non essendo completa, non è tuttavia meno interessante. S i trattava di installare una grande acciaieria e si scelse lo stato del New Jersey, in qualche posto fra Washington e New York. In questo luogo non esisteva minerale di ferro o carbone. Ciò nonostante gli economisti hanno scelto tale installazione dopo studi meticolosi. I1 minerale di ferro verrà dal Venezuela, il carbone dalla Pennsylvania e l'acciaio sarà prodotto laddove la sua utilizzazione e la sua diffusione, dopo le trasformazioni che avrà subite, sembreranno più facili. I bisogni dell'agglomerazione umana sono stati oggetto di valutazione, e l'interesse del consumatore, dunque della maggior parte, è stato inoltre preso in considerazione senza pensare soltanto all'interesse esclusivo della fonderia d'acciaio: si trattava di vendere i prodotti finiti al prezzo migliore. Ciò che ha modificato i dati del problema è stata la considerazione dell'insieme del processo che porta all'oggetto finito e distribuito; l'interesse generale viene così tenuto in maggior conto. Si tratta di procedere nel modo in cui si ottengono i maggiori profitti se si vogliono ben considerare i profitti diretti e sociali dei consumatori ed anche quelli che l'impresa può durevolmente scontare. LA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO E L'AGRICOLTURA La pianificazione del territorio interessa l'agricoltura. Ecco una cifra che dà una idea delle nostre responsabilità europee e il livello delle nostre riflessioni: il 53% della superficie totale dei terreni sodi dell'Europa occidentale sono situati in Francia. Ciò significa che noi possediamo un po' più della metà delle terre a maggese o sode, in poche parole delle terre disponibili e che, attualmente, non producono niente. E' scoraggiante. ma ci lascia molta speranza. La valorizzazione di aueste terre apporterebbe un certo arricchimento o permetterebbe di normalizzare certe produzioni agricole ritrovando migliori condizioni di natura. Le terre sode, le produzioni agricole in eccedenza, i milioni d i esseri sotto-alimentati costituiscono i quadri contraddittori di una società non organizzata. Succede che nell'agricoltura. così come nell'industria. gli uomini si rifiutano di produrre qualsiasi cosa che non frutti subito. C'è una certa riluttanza all'investimento allorché l'interesse personale non vi trova più il suo tornaconto al di l à di un livello raggiunto, per esempio, da una certa fiscalità. Ed è così che bisogna aspettare più di dodici mesi per ottenere certi tipi di acciaio, e che i Comuni aventi dei programmi di pianificazione idraulica attendono quasi u n anno prima che vengano loro consegnati i tubi di cui necessitano. Malgrado i programmi, nella costruzione non bisogna attendere soltanto l'acciaio, poiché anche l'equipaggiamento sanitario è sempre prodotto ad un ritmo insufficiente nonostante la domanda. L'ESEMPIO DI LA ROCHELLE E DI LA PALICE Pensare ad un'Europa dal territorio in assestamento, equivale a porre ogni problema in una prospettiva europea, preoccupandosi di soddisfare gli interessi localizzati e tenendo dovuto conto degli interessi della comunità. All'indomani della liberazione, la pianificazione di La Rochelle e di La Palice è stata affidata a Le Corbusier. L'amministrazione non aveva pensato che ad un progetto di urbanistica. Le Corbusier collocò questo progetto in una prospettiva più ampia e questo non per ampliarlo, ma per porlo in termini più esatti. Egli fece dunque u n viaggio in Svizzera e incontrò l e persone cui poteva interessare u n deflusso d i merci per l'Atlantico. Vicinissimo a La Rochelle poteva essere costruito il grande porto costiero ad alto fondale. Lo studio geografico dell'Europa, unitamente a quello delle migrazioni, aveva convinto Le Corbusier che la via naturale delllEuropa centrale verso l'Atlantico passava attraverso la Francia, per raggiungere la costa nei dintorni d i La Rochelle prima di COMUNI D'EUROPA allargarsi da una parte e dall'altra. I1 suo progetto di pianificazione non comportava soltanto l'urbanizzazione del retroterra del porto, ma allo stesso tempo la costruzione di una autostrada che avrebbe seguito il tracciato della ferrovia collegante in breve tempo la Svizzera alla costa atlantica. Ciò apparve utopistico e fuori posto. E' tuttavia da notare che gli americani, installandosi a La Palice, gettarono subito le basi di un progetto dello stesso tipo per raggiungere la Germania dal sud. Come non sottolineare ugualmente l'interesse che presenterebbe una grandissima via trasversale, che desse sfogo a tutto il centro della Francia e che portasse nuova vita a regioni semiabbandonate, realizzando ciò che la ferrovia non ha potuto fare: mantenere e riportare la prosperità in questa regione oggi derelitta. LA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO AL SERVIZIO DELL'UOMO Ma perché insistere tanto sulla pianificazione del territorio? Perché è inutile promuovere i'espansione economica se essa si sviluppa nel disordine umano. se conserva l'individualizzazione dei guadagni e la ripartizione delle perdite. Non serve a nulla produrre sempre maggiori ricchezze se allo stesso tempo sussiste lo spreco di ricchezze dovuto alla infelice ripartizione territoriale dell'industria, a una insufficiente valorizzazione delle terre, a uno sfruttamento usuraio e distruttivo delle ricchezze naturali. I1 miglior mezzo per impedire alle terre di ricadere a maggese e senza coldi tura. è di mantenere attiva la wo~olazione. * permettere ad essa di produrre una sufficiente auantità di ricchezze. e auello di installare con discernimento le industrie, che permetteranno al circondario agricolo di prosperare. I salari apportati, più volte impiegati sul posto, costituiscono gli elementi indispensabili di scambi col mondo esterno. I giovani delle famiglie agricole, l e donne, quando i loro bimbi sono in età da scuola o sono cresciuti, v i trovano una remunerazione che accresce considerevolmente i redditi delle famiglie di agricoltori. Non si tratta di disseminare tutta l'industria, ma di tenere in dovuto conto le facilità di trasporto. Ad una industrializzazione rischiosa, che viene fatta soprattutto nella periferia delle città con estrema facilità, bisogna rispondere con una industrializzazione su u n piano decentralizzato. Questo vale per il nostro Paese, ancor più per l'Africa, ed in modo particolarissimo per l'Algeria, il Marocco e la Tunisia. A che serve, i n questi tre paesi, costruire molti alloggi in prossimità delle coste, dal momento che ci saranno sempre più uomini e donne che abbandonano regioni che non procurano loro alcun lavoro. che non danno loro alcuna possibilità di vita. Sarebbe più conveniente, qualsiasi n e fosse il prezzo, trattenerne il maggior numero possibile con lo sviluppo dell'agricoltura e, per quanto è possibile, con quello delle attività industriali. L'industrializzazione su u n piano decentralizzato contempla sia la grande industria di base che l e industrie di trasformazione. Essa cozza evidentemente contro l'opposizioile d i tutti coloro i quali non guardano che ai propri interessi. Ma una resistenza non dimostra la nocività di una misura. L'idea europea soddisfa la nostra ragione. Bisogna ancora, perché essa divenga realtà, che sollevi l'entusiasmo delle masse popolari e dei lavoratori in particolare. Vi troveranno essi l e forme tangibili delle L nuove solidarietà che un'economia a l servizio degli uomini deve inevitabilmente creare? L'Europa economica si giustifica pienamente se è a l servizio dell'uomo. Lo sarà meglio neiia misura i n cui essa abbandoni il perseguimento di u n equipaggiamento industriale che non farà altro che continuare, consapevolmente o meno, il disordine del liberalismo che iniziava l e sue attività a rischio degli interessi e delle volontà degli individui e degli Stati, ed anche nella misura in cui essa organizzi lo spazio nella considerazione del miglioramento del benessere popolare. I1 rischio deve essere eliminato per quanto sia nelle nostre possibilità. Orientiamoci verso una valorizzazione cosciente dell'insieme europeo e del suo prolungamento africano, togliamo agli uomini questa inquietudine per un'Europa tecnica ed arida, che ignora la vita quotidiana degli uomini, le loro difficoltà e le gioie che hanno diritto di trovare nel focolare. L'Europa non sarà realtà finché non avremo saputo liberare e sviluppare un sentimento comunitario presso tutti coloro che partecipano allo sforzo; nella prospettiva europea, e particolarmente in Francia, alloggio e livello di vita sono intimamente legati e lo sforzo di costruzione deve essere tanto più grande presso di noi che siamo più arretrati rispetto ai paesi vicini. La differenza dei livelli di vita dei francesi e degli altri europei è di gran lunga troppo rilevante se considerata sotto il punto di vista realistico dell'alloggio, per cui si esita a far di tutto per colmarla. Basta, per esserne convinti, attraversare le nostre frontiere ed ecco, al di fuori di paragoni di carattere finanziario o di bilancio, apparire, nel modo di vivere quotidiano, il livello di vita degli uomini. Fate il viaggio da Basilea a Mulhouse, andate da Lione a Ginevra, da Stoccolma a Parigi; è allora che, con gli occhi pieni dello spettacolo della vita quotidiana degli operai svedesi, danesi, svizzeri, siete colti da una stretta al cuore. Comprendete allora da dove provenga l'insoddisfazione degli uomini delle nostre parti, questo sentire, da parte di troppi francesi, di non essere una comunità. Il vero volto del nostro paese non è bello come quello illuminato dal sorriso degli uomini, delle donne e dei bambini che si incontrano da noi. E' nostro compito, al d i là dei sorrisi, scoprire le realtà, vincere le difficoltà, superare la nostra boria per costruire un mondo migliore. L'alloggio è la forma più concreta di miglioramento del tenore di vita. E' il segno più tangibile e meno ingannevole della condizione materiale dei popoli. Ed ecco che trovo, in uno scritto del Direttore Generale dell'organizzazione Internazionale del Lavoro, in u n rapporto presentato alla seduta del 1954: E' presso il focolare, dove il lavoratore vive, che si può, nella maniera più immediata e più tangibile, giudicare il suo benessere. I1 focolare è il centro stesso della sua vita personale e . d i quella dei suoi, il luogo dove mangia, dove dorme, dove passa una gran parte dei suoi momenti di riposo, il luogo dove può crearsi la sua vita familiare con una sua propria atmosfera. Più di questo ancora, è il luogo dove si sente più capace, i n quanto persona, di condurre una vita degna e felice. E' la qualità del suo alloggio che, d'altra parte, contribuisce senza dubbio, più di qualsiasi altro elemento del suo livello di vita, a renderlo pienamente cosciente della sua appartenenza a d una comunità e a determinare il suo senso civico. I l fattore geograjico di Henri Brugmans Abbiamo cercato di esporre alcune idee fondamentali del federalismo quali si ritrovano in autori molto diversi. Resta da vedere se si tratta di uno svolgimento di pensiero puramente ideologico o se la reale evoluzione dell'umanità, ciò che i marxisti chiamano giustamente * condizioni obiettive rende possibile. desiderabile, e perfino necessario applicare il principio federativo nel mondo contemporaneo. Per quanto riguarda il principio di soprannazionalità la cosa, per quanto n e sappiamo, non è stata mai messa in dubbio. Una difesa della sovranità nazionale assoluta è stata fatta ., da alcuni giuristi sovietici, e in particolare da Viscinski, ma nei paesi liberi simile petizione di principio è estremamente rara, se non in paesi ex-coloniali che hanno conquistato recentemente la loro indipendenza. I n Europa invece gli stati-nazione sorti nel periodo del Rinascimento o, più tardi, della rivoluzione industriale e che corrispondevano a i bisogni di allora stanno perdendo oggi rapidamente la loro importanza. Nell'epoca dell'aviazione, aella radio e dell'energia atomica essi non sono più sufficienti per tutelare la sicurezza e gli interessi dei loro cittadini: è una cosa già dimo- COMUNI D'EUROPA 34 strata tante volte da esser ormai banale. Però non si è mai offerta una soluzione a questa situazione, n é mai f u proposta una diversa alternativa. Gli avversari del federalismo soprannazionale non riuscirono ad altro che a insistere su difficoltà (che nessuno mette in dubbio) o su resistenze sentimentali. Si è potuta rifiutare la soluzione federalista i n questo campo, non si è mai però cercato di dimostrare che essa fosse incoerente, illusoria, o estranea alla odierna situazione di fondo. Si discute sull'Europa dei Sei o dei Quindici, di federalismo atlantico o mondiale, ma ormai nessuno sostiene più la causa delle Nazioni Unite come d'altra parte nessuno più si cura di prendersela con questa organizzazione. Fino a che il fondamento della Carta dell'ONU sarà la sovranità nazionale, questa organizzazione resterà inoperante come fattore d'ordine politico nel mondo. Nessuno lo mette nemmeno più in dubbio. Ma se il federalismo soprannazionale ha ctlisa vinta sul piano del pensiero scientifico (che però non significa un immediato trionfo pratico), ben diversa è la situazione quando si parla di decentramento, di autonomia, di regio~ a l i s m o .Sono ancora relativamente pochi quei federalisti che auspicano la loro unione federale (quale n e sia l'ambito geografico) come una società di società P. E pochi sono quelli che avvertono come la creazione di una autorità soprannazionale possa esser una grave minaccia per la democrazia, allontanando pericolosamente i governati dai governanti, quarido rlel tempo stesso non si operi un rafforzam.mto o un rinnovamento della base democratica e del self-government. P e r molti europei si tratterebbe soltanto di porre sopra stati sempre più centralizzati strutture soprannazionali niiove controllate da un parlamento soprannazionale europeo, atlantico o mondiale. eletto con suffraeio universale diretto. Si tratta di una concezione del federalismo troppo strettamente giuridica ( l ) che bisogaerebbe fosse completata dai dati di una scienza che può esser considerata la scienza federalista per eccellenza: la geografia umana, sociale e culturale. In pratica non basta preparare un trattata di unione tecnicamente perfetto e non basta nemmeno affidare dei compiti a una autorità soprannazionale. Questa auando cominci ad operare avrà a che f a r e con degli uomini e con dei gruppi di uomini; con uomini che lavorano, con uomini che hanno un loro luogo di residenza, cioè con uomini che vivono con proprie abitudini, proori ideali, e proprie fedi. In Europa auesta autorità soprannazionale dovrà generare la società più varia che si possa trovare nel mondo, una società che non si caratterizzi soltanto per i suoi destini comuni, ma anche per un passato millenario che ha segnato ogni pietra e ogni anqolo del paesaggio. I n questa Europa tradizionale dove l e frontiere non sono mai state tracciate con la sauadra non si tratta solo di armonizzare degli interessi nazionali. Si tratta di una cosa ben diversa, più complicata e più promettente ad un temoo. L'esecutivo europeo competente per gli affari portuali vedrà come tra Genova e Livorno ci siano già problemi estremamente diversi. Nel Pool agricolo la Bretagna dei boschi cedui e la Normandia dei pascoli proporranno rivendicazioni molto diverse, e per quanto riguarda i canali del Benelux se è vero che fra Anversa e Rotterdam vi sono molti contrasti è anche vero che Liegi non è affatto d'accordo con Anversa su una politica = belqa B. Si può dire che è meglio così e che questa situazione è una risposta per quelli che pretendono sia impossibile fare l'Europa a causa degli interessi nazionali contrastanti. è In pratica lo stesso a interesse nazionale spesso un mito ed è men sicuro che la funzione politica comune europea non avrà nulla di auella primitiva semplicità che caratterizzò gli Stati Uniti d'America al loro sorgere. In queste situazioni il sistema del voto maggioritario non sarà sempre il più pratico. Bisognerà affidarsi al tatto, ai compromessi, ed aver soprattutto una precisa conoscenza dei problemi in questione. Non basterà considerare i cittadini di Europa soltanto come i sostenitori - 3 ( 1 ) E' davvero indicativo che la maggior fonte dei teorici del federalismo siano dei giurlsti cume, ad esempio: Gic~ke, Kelsen, Krabbe, Duguit, ecc. di questa o quella ideologia o come homines cl-conomici conoscibili con l'aiuto di soli dati statistici. Quelli che unificheranno l'Europa dovranno non solo possedere senso storico ma anche saper riconoscere la realtà geografica delle comunità che si affideranno nelle loro mani. In queste condizioni sarebbe vano attenderci tutto dalla saggezza dei governanti poiché se i governanti resteranno passivi lo stato legifererà indipendentemente da quel che essi pensano. Sarà necessario che proprio alla base gli europei imparino a pensare i problemi delle loro proprie aziende, e delle loro proprie regioni su un piano continentale. I governanti di Strasburgo o del Lussemburgo dovranno saper pensare in sardo o in provenzale così come i :ardi o i provenzali dovranno imparare a pensa-e da europei. L'Europa i n pratica non sarà soltanto una federazione di stati e di popolazioni di stati che vi entreranno in blocco a milioni o a decine di milioni, ma si dovrà tener conto che questi vengono all'Europa con tutte l e loro vecchie tradizioni. Occorre conoscerle e, se sarà proprio necessario regolarle, occorrerà comprenderle tanto da non mutilare la loro essenza. Pianificare è una funzione normale e costruttiva, e se la pianificazione autoritaria porta alla dittatura. la pianificazione democratica, basata sulla geografia e sulla iniziativa decentralizzata, è una soluzione di libertà. Ad una soprannazionalità forte saranno necessarie forti autonomie affinché la base possa allargarsi quanto più si eleva la cima. In pratica la geografia umana. scienza delle 'ealtà concrete, osserva gli uomini nella loro infinita varietà e ci insegna che l e nuove realtà tecniche consentono un decentramento economico, e di conseguenza politico, enormemente più vasto di quello di una volta. Si può andare ancora oltre e dire che ciò non è solo permesso ma richiesto dalla evoluzione stessa. Mentre la prima rivoluzione industriale, quella dell'uso del vapore, chiedeva una concentrazione cconomica entro lo stesso bacino minerario (per esempio il paese nero n di Inghilterra, o il bacino di Liegi, o la Ruhr), l'elettricità rendeva poi possibile una distribuzione di energia -- dicembre 1960 -A più rapida e più economica. L'energia atomica non farà che accentuare questa tendenza ed è tempo oramai che anche l e strutture amministrative n e tengano conto. La loro centralizzazione eccessiva, costosa e paralizzante rischia di frenare un progresso che non è solo tecnico ma anche umano. I n questo campo è decisivo l'apporto di insegnamenti di geografi come Maurice Lannou e Jean-Francois Gravier. Particolarmente l'opera di quest'ultimo su Le Progrès technique et la Décentralisation(2) mostra che nel secolo aei grandi spazi un ritorno alle comunità più ristrette non è un tornar indietro ma è invece condizione indispensabile per qualsiasi efficace modernizzazione. La geografia umana, scienza di una realtà complessa che cerca di comprendere la realtà regionale sia con una psicanalisi della storia che con l'analisi delle responsabilità future, non si soffenna troppo sulle manifestazioni del folklore. Ma ovviamente essa riconosce come il regionalismo culturale linguistico (un movimento come quello della letteratura occitanica della Francia del sud) rappresenti una volontà vitale di non cedere al prestigio della assimilazione e dell'uniformità. Pertanto la geografia umana non lascia questi tentativi alla sola analisi dei linguisti e degli archeologi, e sa ritrovarvi una manifestazione dello spirito del tempo che tende all'universale e, al tempo stesso, alla differenziazione (3). Ma essa è anche cosciente del fatto che senza una solida base cconomica il regionalismo si esaurisce nelle pagine di bollettini specializzati fatti e letti da gente delle vecchie generazioni. Ma questa base esiste ed esisterà sempre più quanto più procederà la nascita dell'Europa. La geografia umana aiuta a comprendere e a liberare l'immenso potenziale e il reale avvenire delle diverse regioni europee. ( 2 ) Questa opera riassume i due libri precedenti: Paria et le Déyert frawais e Mise e n Valelcr <le la France. 1.e Portulan, Flammarion, Paris 1954. (3) Cfr. Joseph S A L Y FBdBralisme, ~: articolo su Lo gai Saber, settembre-novembre 1M57. Questa « revista dr L'Escoh Occitana», pubblicata a Tolosa, 31 rue de la Fonderie, stampando tale articolo su questo mio libro. presenta una eccellente e documentata sinossi delle mialiori ~'uhhlicazioni esistenti sul rcaiomalismo in Francia. Pensiero e azione di Adridno Oliuetti per il Mezzogiorno d'ltdlid di Riccardo Musatti Si era all'indomani dell'inaugurazione dello stabilimento Olivetti di Pozzuoli, in un pomeriggio di primavera sulla Riviera di Mergellina, di fronte a quel panorama di Napoli che sembra rappresentare, nella sua grandiosa bellezza, nelle sue contraddizioni, nella sua sconcertante complessit8, l'emblema stesso del Mezzogiorno d'Italia e dei suoi problemi. Diceva l'ingegner Adriano: i governanti dell'Italia postbellica avrebbero avuto una possibilità straordinaria di risolvere insieme il problema del risanamento delle ferite del Nord e quello del rinnovamento meridionale. Sarebbe bastato dirottare dal Settentrione verso il Sud una modesta parte delle risorse nazionali, ma non secondo la soluzione indiscriminata di un grosso finanziamento (quale, ad esempio, poi si ebbe con la Cassa del Mezzogiorno e le molte leggi, più o meno speciali) sibbene con un'assegnazione di responsabilità ben definite territorialmente e funzionalmente. Ad ogni industria, ad ogni gruppo produttivo del Nord - ipotizzava ancora - avrebbe dovuto essere affidata, ope legis ma solo dopo un'attenta rilevazione e prospezione dei dati obiettivi e delle suscettibilità di sviluppo, una singola comunità meridionale, un preciso territorio, coi suoi abitanti, con le sue positive e negative realtà. Ma, intendiamoci bene, non si sarebbe dovuto trattare di un affidamento caritativo, di un obbligo imposto ai più ricchi ed attrezzati di aiutare così, a scopi di poco persuasa assistenza, i più poveri e sprovveduti. Nell'integrazione dinamica di due diversi sistemi economici, si sarebbe invece ottenuto, con comune beneficio, uno sviluppo immediato ed organico: nuove disponibilità di lavoro, più ampi mercati, eliminazione di quegli squilibri, che se gravano come una condanna sui più sfortunati e sui dimenticati, pure intralciano il cammino di chi è. o si ritiene oggi più favorito. Era un paradosso politico, e ben lo sapeva l'ingegner Adriano quando lo enunciava con quel suo sorriso dolce e consapevole. con una espressione che non dimenticheremo mai. Ma di paradossi è contesta l'opera di quei pochi uomini che, in ogni generazione, contribuiscono veramente al progresso comune. Paradossi fatti di idee ardite e lungimiranti, di sistemi complessi (che è troppo facile definire utopistici), di irriducibile fede morale. L'auspicio di un mondo diverso e migliore, il raffronto tra quanto si potrebbe fare e quanto troppo spesso non si fa, dominavano costantemente il pensiero di Adriano Olivetti, operavano sul suo spirito generoso come uno stimolo acuto e a l tempo stesso vitale. Basterebbe richiamare questo tratto del suo carattere per dare il senso della drammatica forza con cui il problema del Mezzogiorno lo attirò fin dai suoi giovani anni e dominò appieno, come una passione meditata, il periodo più intenso della sua vita di politico e d'imprenditore industriale. Uomo del Nord, non solo per nascita, ma per formazione culturale, Aàriano Olivetti era come pochi sensibile a i valori umani che l'autentica società meridionale. quella degli uomini semplici ancora legati alla vita della natura e alla sua moralità originale, racchiude ed esprime, e come pochi conosceva le risorse di laboriosità creativa che gli uomini di queste regioni conservano ed offrono ad ogni iniziativa civilmente responsabile. COMUNI D'EUROrA dicembre 1960 I1 suo primo intervento diretto nell'azione meridionalista risale agli anni intorno al '50 quando - sotto la spinta del movimento contadino affamato di terre e di un piccolo gruppo di studiosi e di politici, italiani e no -, la questione meridionale fu portata finalmente alla ribalta nazionale con indilazionabile urgenza. Fra i dibattiti ideologici e i sommari programmi governativi, Adriano Olivetti s'inseri alla sua maniera, con una proposta precisa. Scelse il suo campo di attività nel quadro di un ente che sembrava allora promettere rapidità di intervento e globalità di interessi. Si batté all'interno di auell'ente (1'UNRRA-Casas Prima Giunta) perché il non molto denaro ad esso riservato fosse concentrato su progetti esemplari, perché alla vecchia prassi delle opere pubbliche D disperse e disarticolate si sostituissero nuove visioni politico-tecniche e nuovi metodi d i lavoro. Geno Pampaloni ha scritto (1) la storia della seconda fase dell'opera d i Adriano Olivetti al1'UNRRA-Casas, svoltasi nell'ultimo biennio di sua vita; resta invece da scrivere la storia di quel primo periodo, in cui, fra la confusa opposizione dei burocrati e dei politicanti. lo stesso Olivetti riuscì a spingere avanti alcune iniziative che, oggi più o meno dimenticate, restano tuttavia a testimonianza del suo geniale e novatore approach alla questione meiidionale (2). Studi sociologici e progetti edilizi e urbanistici presero allora avvio, affermando la necessità di affrontare il problema del rinnovamento del Sud con progetti organici, basati su una conoscenza scientifica della realtà sociale, e diretti, insieme, a soddisfare i più urgenti bisogni di vita (la casa, la terra) e a porre l e basi culturali e strumentali di un ulteriore sviluppo socio-economico. Un gruppo d i giovani ricercatori e di architetti moderni rispose con entusiasmo all'appello di Adriano Olivetti. I frutti della loro collaborazione - le inchieste su Matera, sulle zone turistiche della Calabria. su alcune aree nevralgiche della depressione insulare restarono in gran parte inutilizzati, nascosti nei cassetti, i n cui la secolare abilità di una classe politica e funzionariale retriva sa costringere qualsiasi cosa minacci il suo lungo sonno. E anche respinti e sostanzialmente mutilati e alterati furono altri progetti edilizi, attraverso i quali un'architettura novatrice e avvertita veniva a proporre per la prima volta in Italia la formazione d i unità residenziali organiche, dirette a introdurre nel deserto del Mezzogiorno latifondistico nuovi nuclei di vita e di rinnovamento. Contro la consueta formula conservatrice della colonizzazione sparsa, quei progetti affermavano che l'antica miseria meridionale non richiede soltanto più decenti abitazioni per i contadini, dannati a l lavoro su una terra sempre e comunque avara, ma impone - se la si voglia veramente superare la creazione di centri attrezzati di servizi collettivi a carattere sociale e produttivo, capaci di suscitare più moderne forme di cultura e di attività economica. Dei molti borghi progettati allora soltanto alcuni quartieri sono sorti qua e là, in disarticolata confusione: ma fra essi l'ormai famosa La Martella testimonia f r a l e ancor desolate convalli del Materano quale avrebbe potuto essere l'immediato domani del Mezzogiorno contadino, se quella prima coraggiosa sortita di Adriano Olivetti contro l'indifferentismo della classe dirigente, politica e tecnica, del nostro paese non fosse stata costretta, nel giro di pochissimi anni, alla più ingiusta delle rinunzie. Nei momenti più amari, l'ingegnere Adriano soleva ripetere un detto già caro a suo padre: la verità risplende nei fatti. I1 borgo d e La Martella, lo stabilimento industriale di Pozzuoli sono i fatti che egli ha (1) U n anno a U ' U N R R A C w s , in « Comunità » n. 82, settembre 1960. (2) Dall'es~erienza di quegli anni. condotta a fianco di Adriano Olivetti, è nato il nostro libro « La via del Sud» (Milano 1955, 11 ed. aumentata. Milano 1958), in cui iaee, polemiche e conclusioni su quella fase dell'azione meridionalista sano più largamente e sistematicamente trattate. Vedi anche il nostro saggio T e r ~ asenza città. in u Nord e Sud ». n. 28, m a n o 1937. Una versione ufficiale dell'attività dell'UNRRA-Casa6 è contenuta nei volumi « Esperienze urbanistiche in Italia » (Roma, 1952) e « Nuove esperienze urbanistiche in Italia » (Roma, 1956). a cura dell'Istituto Nazionale di Urbanistica. L'introduzione a1 primo di tali volumi, firmata da Adriano Olivetti, B importante per l'appello contro il sezionalismo e per il cooi.dinamento delle attivi% degli enti pubblici. operanti soprattutto nel M a zoglorno. lasciato a testimonianza della sua verità della sua fede nella possibilità di un diverso e più positivo contributo alla trasformazione meridionale. Fabbrica a misura dell'uomo e insieme tecnicamente efficientissima, lo stabilimento di Pozzuoli è oggi quotidianamente additato ad esempio, lodato, ufficialmente premiato. L a definizione che l'ing. Adriano pronunciò il giorno dell'inaugurazione è oggi universalmente accetDi fronte a l golfo più singolare del tata. mondo - egli disse - questa fabbrica si è elevata nell'idea dell'architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno (3). Ma nell'opera concreta, fatta d i mattoni, di cemento o di acciaio, che ha inverato l'idea, resta soprattutto la testimonianza esemplare della soluzione-base che Adriano Olivetti additò per il problema-base della società contemporanea: il problema di un lavoro che dia sicurezza all'uomo che vi s'impegna e determini nell'intiero corpo sociale una nuova spinta creativa. una positiva condizione di perfezionamento insieme materiale e sociale. L'esperienza d i Olivetti nel auadro delle iniziative pubbliche e ufficiali si chiuse nel '53 nel modo cui si è accennato e non doveva riaprirsi che troppo tardi - con altre incomprensioni non meno gravi ed ottuse - alla vigilia della sua fine immatura. L'altra esperienza - quella di imprenditore industriale privato - non poteva non avere limiti assai precisi. Ma negli anni seguenti, forzatamente lontano dalle possibilità di azione pratica nel Mezzogiorno, egli redigeva un C,piano D d i iniziativa economicosociale per il rinnovamento meridionale, che, rimasto anch'esso inascoltato a l momento in cui f u formulato, possiamo ora rileggere - singolare coincidenza - a chiusura del volume V Città dell'uomo edito poche settimane prima della sua morte. E' un testo scarno e compendioso: ma dietro ogni indicazione s'intravvede il maturo convincimento dell'esperienza. I1 paradosso n politico, che ricordavamo in principio sotto forma aneddotica, v i è ripetuto e definito con l'esattezza di uno schema di lavoro. I1 Mezzogiorno non deve essere semplicemente aiutato n con provvedimenti rapsodici: esso deve entrare cc a far parte di un piano organico nazionale nel quale lo sviluppo e la contemporanea ristrutturazione del potenziale industriale del Nord consentano d i porre a disposizione della trasformazione meridionale strumenti tecnici ed operativi, capaci di vitalizzare in loco l e risorse sociali e i fattori economici comunque preesistenti. Ma la mobilitazione delle energie non dovrebbe essere solamente massiccia; essa dovrebbe poter poggiare su una vasta qualificazione delle infrastrutture culturali e politiche della nazione: istituti d i formazione tecnica e professionale, enti edilizi e d i trasformazione agraria, comitati di coordinamento e di pianificazione a livello locale. Con questi strumenti, l'azione d'intervento dovrebbe poi articolarsi secondo il metodo della concentrazione degli sforzi su territori d i dimensioni ridotte: quivi, sotto il controllo d i organismi di rappresentanza democratica, il meccanismo del piano si metterebbe in moto in una prospettiva di crescente dinamismo. Le isole B iniziali di più alto potenziale produttivo e d i maggior benessere sociale non tarderebbero a trascinare verso un superiore traguardo l e altre zone d i minore suscettibilità. L'incremento dei consumi, lo sviluppo culturale, il rafforzamento della struttura tecnicoproduttiva - attuati prima sulla scala degli impianti-pilota e delle zone delimitate - si estenderebbero in breve, come benefica macchia, a modificare l e condizioni generali del Sud. E l'intero Paese n e sortirebbe rinnovato e sospinto verso più alte mète di incivilimento e di benessere. E' stato detto che questo schema, e molte altre idee fondamentali d i Adriano Olivetti risentono dei suggerimenti del fordismo: e si è voluto, così, quasi sottintendere una critica. Ma sono queste l e idee che, per quanto agitate da pochi, hanno portato, non solo a scuotere la millenaria indifferenza verso i problemi del Mezzogiorno, ma a superare il limite statico dietro cui si trinceravano in genere i meCC 1, >), ,) 11 1, <t 11, . (3) I1 dlseorso è integralmente pubblirntn in l'uomo R. M h o 1960. % C i t a del ridionalisti dell'età liberale - anche gli illuminati - e che h a caratterizzato fino a ieri l'impostazione teorica e pratica della politica ufficiale. I1 limite di una visione riformatrice soddisfatta di poter dare (quando la dava) una possibilità di migliorare le preesistenti condizioni economiche e culturali: di combattere l'analfabetismo, di potenziare l'agricoltura, di fornire fognature e acquedotti ai fatiscenti agglomerati urbani. Questo limite sembra ormai destinato a cadere per sempre se perfino nel gran mare dei disegni di legge si moltiplicano ormai l e proposte di provvedimenti nuovi, finalmente rivolti a fare del Mezzogiorno di domani non una regione un po' più ricca e confortabilmente abitale del Mezzogiorno di ieri, ma un diverso Mezzogiorno, in nulla inferiore per condizioni di vita dal resto dell'Italia e dell'Europa, ormai avviata ad unità economico-sociale. Ma v'erano nel pensiero di Adriano Olivetti due altri fondamentali elementi d i ideale novità. Da un lato, egli vedeva come ogni programma operativo assuma forza ed efficacia soltanto se riportato su una scala territorialmente definita, sulla scala della comunità concreta dove gli strumenti d'intervento possono essere commisurati a una realtà ben conosciuta e radicata nella storia e nella natura, e prendere per ciò stesso vigore dalla partecipe adesione delle collettività direttamene interessate. D'altro lato Olivetti non dimenticava mai di illuminare ogni bilancio d i opere realizzate e soprattutto ogni programma di opere da realizzare, con una ragione più alta ed estrema, quella di fini che ogni azione umana, dovunque svolta, deve porsi. Presentando lo schema del suo piano per il Mezzogiorno. egli avvertiva, a conclusione: Le linee generali tracciate vogliono indicare a grandi segni un piano organico di rinnovamento basato sulla industrializzazione come mezzo, ma senza dimenticare il fine: la promozione di una civiltà, fondata sull'armonia dei valori, sul rispetto delle libertà democratiche, sull'autonomia della persona n. Sulla traccia d i questi valori basici, sarebbe possibile - e bisognerà farlo un giorno - di ricomporre il quadro storicamente e ideologicamente completo del pensiero e dell'azione meridionalista di Adriano Olivetti; e non bisognerà dimenticare allora i tratti segreti della sua profonda bontà, china, qui come altrove, sulle sofferenze più intime di uomini, piagati da antichi mali, ma sempre pronti a raccogliere ogni sincera speranza: una carità n nutrita dalla forte consapevolezza che in essa non può esaurirsi oggi l'amore verso il prossimo, ma che essa richiede, oggi più che mai, la ferma decisione d i fare, ma fare rigorosamente bene con scienza, con coscienza e con giustizia. L'insegnamento di Adriano Olivetti sopravvive in quanti ebbero il privilegio d i lavorare con lui per i valori ideali che egli attinse e diffuse, ma anche e soprattutto per l'esempio operante che egli dette di un modo integrale di affrontare la realtà nella nostra epoca, in ogni sua accezione d i lavoro e di partecipazione civile. Non c'era frattura, nel suo esempio, tra dovere etico, responsabilità sociale e rigore tecnico: egli ne affermava la sintesi, poiché sapeva e insegnava che solo attraverso di essa la nostra epoca potrà raggiungere un nuovo umanesimo. I1 Mezzogiorno è stato uno dei banchi di prova in cui egli scelse di affermare queste verità: l a sottile angoscia di non poter fare per queste regioni tutto quello che aveva sognato in un vasto disegno lo accompagnò fino all'ultimo, aggiungendo incessantemente a l primitivo patrimonio d i proposte e di suggestioni nuovi temi e nuove proposte: l'area meridionale d'Italia come Mezzogiorno d'Europa, una grande forza umana e un vasto spazio geografico aperti a quel potenziamento dell'industria europea necessario per consentirle di competere vittoriosamente in un mondo sempre più angusto e omogeneo, legato ad un unico destino. Ma egli non ignorava che, ad un certo punto, la testimonianza personale, la spinta di una forza anticipatrice devono segnare il passo ed attendere che le idee abbiano compiutamente percorso il loro cammino di penetrazione. P e r questo, guardando a l futuro del Mezzogiorno e dell'intiera società umana, non perse l a generosa fiducia che tempi nuovi avrebbero dato nuovi frutti di vita. (t (1 . COMUNI D'EUROPA 36 dicembre 1960 I1 coordinamento delle fonti energetiche come fattore di integrazione europea di Felice Ippolito PREMESSA (1) Le istanze per il coordinamento energetico si sono venute moltiplicando ultimamente in Europa, sia nell'ambito delle Comunità a Sei che in quello più vasto dell'OECE e degli altri organismi della cooperazione internazionale. All e istanze di carattere economico si sono aggiunte una serie di iniziative di colore politico, come i dibattiti svoltisi in seno all'Assemblea Parlamentare Europea, al Comitato per gli Stati Uniti d'Europa e all'Associazione per lo Studio dei Problemi d'Europa: l e une e gli altri convergono sulla necessità d'intraprendere un'azione univoca, graduale e decisa nel settore dell'energia. Nella prima parte di questo rapporto verranno presi in esame i dati obiettivi che si riferiscono alla produzione di elettricità in Europa, con particolare riguardo alla Comunità dei sei Paesi. Nella seconda verranno delineate le ipotesi di coordinamento, f r a l e quali tocca oggi effettuare una scelta. Nella terza verranno discusse le varie soluzioni proposte e delineati i motivi che consigliano di adottare una formula particolare, che, partendo dal campo di azione di una delle tre Comunità, si propone di attuare il coordinamento energetico nel quadro di un'integrazione economica a livello comunitario. La, formula suggerita s'inserisce realisticamente nel paesaggio economico e produttivo dell'Europa in via d'integrazione, rifuggendo da quelle caratterizzazioni estreme che pregiudicherebbero ogni possibile intervento, allontanando il traguardo del coordinamento. I. - L'ENERGIA E LE COMUNITA' 1. La situazione energetica europea. - L'incremento dei consumi di elettricità i n Europa rappresenta un dato controverso in tutte le analisi che si sono fatte recentemente della situazione economica continentale. Mentre l e valutazioni del tasso d'incremento oscillano. a seconda della maggiore o minore completezza dei fattori economici presi in esame, non esistono dubbi apprezzabili circa il fatto che in un giro d'anni, che viene calcolato mediamente in una decade, i consumi elettrici, nei Paesi caratterizzati da una crescente industrializzazione, si raddoppieranno. Analisi dei consumi elettrici in Europa sono state effettuate negli ultimi tempi a vari livelli; a livello della Piccola Europa, a livello OECE e non sono mancante neanche l e opportunità di delineare, se non altro a titolo di assaggio, un s panorama D continentale comprensivo anche della zona di influenza sovietica. Poiché tuttavia, rispetto a quest'ultima zona, ed a taluni paesi dell'Europa Meridionale, non sussiste continuità di dati, l'osservazione del panorama energetico non ci sembra possa farsi utilmente, almeno per ora, se non nei limiti degli organismi di collaborazione già attivi da tempo nell'Europa occidentale. Sarebbe relativamente semplice rifarsi, affrontando il problema dei consumi di elettricità in Europa, al rapporto redatto dai cosiddetti ii Tre Saggi D per conto della Comunità Atomica Europea: poiché però le conclusioni di tale rapporto sono state recentemente messe in dubbio, ( i ) I1 presente rapporto, preparato in una prima stesura per la riunione tenuta dal Movimento Europeo a Bruxelles il 29 gennaio 1960, è stato poi rielabrato, per tener conto delle discussioni ivi svoltesi. per la riunione dello stesso organismo tc?iute a Milano il 21-22 marzo 1960 ( v . «Comuni d'Europa», n. 4. aprile 1960, pag. 11). Esso riprende e modifica in un quadro più vasto. le proposte da me avanzate a Londra il 3 novembre 1959 ;illa IV « Table Ronde », per i Problemi d'Europa. Rin~razio qui gli amici Achille Albnetti e Guido Botta per i preziosi consigli e per l'aiuto datomi nell'elaborare questo rapporto. ritenendosi che esse risentissero del clima di congiuntura in cui il rapporto f u redatto, e poiché d'altra parte l'osservazione dell'incremento energetico nell'ambito della Piccola Europa non offre che un quadro parziale, sarà forse opportuno richiamarsi a i dati statistici e di previsione formulati da un'organizzazione più vasta, l'OECE, che si è occupata attivamente delle questioni energetiche. Ciò vale ad allargare l'orizzonte, ma non significa che l e conclusioni formulate nel 1957 dai II Tre Saggi debbano ritenersi erronee o influenzate eccessivamente da fattori di congiuntura. Prevale d'altronde, com'è noto, nelle valutazioni dell'OECE, la tendenza a raccogliere i dati statistici senza effettuare su di essi le successive operazioni di critica e di previsione, lasciando cioè che altri elabori i dati collazionati. I1 riconoscimento di particolari tendenze e il calcolo dell'incremento probabile dei consumi vanno in ogni caso effettuati con estrema cautela. Dalla tabella che compare nel rapporto della Commissione per l'Energia dell'OECE intitolato La crescente fame di energia in Europa D si desume che le previsioni sull'aumento dei consumi di elettricità vengono comunemente fondate sul tasso annuale di incremento del 7%; valutazione che i compilatori del rapporto OECE ritengono accettabile per ogni bilancio di previsione, anche se esprimono l'opinione che, di fatto, l'incremento segua una spirale meno rapida, all'incirca del 5,5%. Risulta dalla tabella che il consumo totale di elettricità nei Paesi dell'OECE era, nel 1955, calcolato in 358,2 TWh. Nel 1965 i consumi dovrebbero essere pressoché raddoppiati raggiungendo i 710 TWh: nel 1975, permanendo lo stesso rateo minimo d'incremento si raggiungerebbero i 1.299 TWh. Nell'aumento della produzione, tuttavia, le differenti fonti di energia giocano un ruolo del tutto diverso, poiché, mentre nei primi dieci anni (1955-1965) sugli impianti idroelettrici dovrebbe gravare un incremento di produzione pari al 63%, nella successiva decade l'apporto della fonte idroelettrica non dovrebbe superare il 50%. Beninteso, questi sono i ratei parziali, relativi ai soli impianti idroelettrici; vale a dire che mentre complessivamente si ritiene che la produzione di elettricità aumenterà nei dieci anni del 100%, l'apporto degli impianti idroelettrici diminuirà rispetto alla situazione attuale di una quantità che può calcolarsi del 35% per i primi dieci anni, del 50% per i successivi dieci. Di converso, l'apporto degli impianti termoelettrici (nei quali l'OECE include anche quelli elettronucleari) dovrebbe aumentare in misura sostanziale, sopperendo anche alla progressiva carenza di impianti idroelettrici. Si avrebbe auindi, secondo la previsione dell'OECE, una produzione di elettricità da fonti termiche, praticamente quadruplicata nei venti anni che vanno dal 1955 al 1975. Dai 217,7 TWh del 1955 si dovrebbe pervenire nel 1965 ai 476 e nel 1975 ai 948 TWh. La proporzione tra l e fonti di elettricità dovrebbe risultare sensibilmente spostata, se si calcola che dal rapporto attuale fra impianti idroelettrici e impianti termici, rapporto che può essere posto nei termini del 215 e 315 del totale di consumi, si passerà a un rapporto di circa 3/10 e 7/10. Appare evidente, pertanto, che gli impianti termici e nucleari - che, sarà bene ripeterlo, l'OECE considera nella stessa categoria, cioè f r a gli impianti che trasformano il calore in elettricità, indipendentemente dalla fonte energetica - sono destinati ad assumere nella maggioranza dei Paesi membri dell'OECE una posizione preminente. Non rientrano nella condizione generale cinque Paesi, l'Austria, l'Islanda, la Norvegia, la Grecia, la Turchia dove esistono tuttora rilevanti possibilità di sfruttamento idroelettrico. Nel quadro dell'OECE, tuttavia, ciò che conta è la situazione generale, 1, ed è in questo quadro che vanno considerate le istanze per un coordinamento delle politiche energetich<, che si sono andate moltiplicando recentemente sia nell'ambito della Comunità che in quello più vasto dell'OECE. E sarà bene precisare che si tratta di un fenomeno perfettamente logico, se si considera il fatto che, con il progressivo esaurirsi della fonte idroelettrica nella maggioranza dei Paesi dell'OECE, si sono venuti a creare dei problemi di approvvigionamento nuovi. e nel contempo problemi concorrenziali tra petrolio, carbone e gas liquidi determinati dalla domanda crescente da un lato, dall'aggravarsi di gestioni antieconomiche dall'altro e infine da fattori di congiuntura, quali il basso prezzo dei noli marittimi e la conseguente aumentata presenza del carbone e del petrolio americani sul continente. 2. Rivalutazione delle previsioni dei COILs u m i energetici. - Va rilevato che nel rapporto pubblicato dalla Commissione Consultiva dell'Energia delllOECE, presieduta dal professor Austin Robinson nel gennaio di quest'anno, l e prospettive circa l'aumento dei consumi energetici fino al 1975 hanno s u b ~ t oun certo ridimensionamento; e, del resto, compito precipuo della Commissione Robinson è proprio quello di esaminare periodicamente l e statistiche relative alla produzione, ai consumi, alle importazioni, al prezzo dell'energia e agli investimenti òperati nel settore. Da questo riesame periodico, la Commissione desume gli indici presumibili d'incremento della domanda di energia; è evidente perciò che una rivalutazione di fattori già considerati, o la sopraggiunta presenza di fattori nuovi possano mutare considerevolmente l e conclusioni circa le previsioni del fabbisogno e conseguentemente suggerire formule diverse circa il modo di fronteggiarlo, in termini di produzione di elettricità a livello economico. I1 rapporto testé pubblicato dalla Commissione Consultiva, che si intitola appunto <I L'Energia in Europa, nuove prospettive u riflette una valutazione indubbianiente più prudente sull'evoluzione futura della domanda di energia ed esclude pertanto che si debba pianificare la produzione energetica sulla base di u n presumibile deficit energetico. I1 rapporto Robinson ritiene infatti di poter prevedere che la domanda di energia primaria aumenterà in Europa dal 25 al 35% fino al 1965 e dal 58 all'83% nel periodo compreso tra il 1955 e il 1975. Si tratta dunque di dati di previsione per un ventenni0 che si fondano evidentemente per una certa parte su dati statistici già acquisiti e per così dire verificati dall'andamento attuale della domanda. I1 rapporto fondamentale tra energia termica e energia idroelettrica, tuttavia, non sembra mutare in misura apprezzabile neanche nelle valutazioni prudenziali del Gruppo Robinson. Si tratta del resto di una situazione irreversibile, per quanto attiene alla disponibilità di bacini idroelettrici suscettibili di sfruttamento. Da questo punto di vista, le conclusioni del 1955 non differiscono sostanzialmente da quelle convalidate nel 1960. Si rileva soltanto la raccomandazione di maggiore cautela che l'OECE rivolge ai Paesi membri i n materia di programmi di potenza nel settore elettronucleare; ma non può non osservarsi che nel punto XIX delle conclusioni, il rapporto Robinson segnala un ampio margine d'incertezza quanto al ruolo che l'energia nucleare potrà sostenere nella politica di approvvigionamenti da oggi a l 1975 ) I . Anche se non si pronuncia sulla data nella quale può presumersi che l'energia nucleare tocchi il traguardo concorrenziale con l e fonti classiche, il rapporto conferma l'opinione, generalmente diffusa, sulla progressiva flessione dei costi d'impianto e di quelli del combustibile, secondo una curva decrescente in misura più rapida che non nelle centrali termiche di tipo classico. dicembre 1960 Appare estremamente significativo, comunque, che il rapporto Robinson si concluda - punto XXIV delle Conclusioni - con la raccomandazione che l'OECE esamini la possibilità d i operare una integrazione materiale più stretta degli approvvigionamenti energetici dell'Europa occidentale, e segnatamente di migliorare il regime di fornitura di energia alle regioni che ne sono attualmente meno provvedute n. 37 COMUNI D'EUROPA più legati alla conservazione di posizioni di privilegio, si fanno già sentire. Oscillando fra un regime di potenziale carenza energetica e una presunzione d i saturazione, probabilmente fittizia, il mercato energetico europeo sta subendo una serie d i scosse, talvolta assai violente; ed è caratteristico che a richiedere un coordinamento energetico non siano soltanto i settori nei quali si sono create crisi palesi, come quello carboniero, ma anche i settori nei quali la situazione pletorica potrebbe generare la mag3. s e t t o r i energetici europei in crisi, - 11 fatto concreto, verificato da tutte le analisi giore tranquillità, congiunta alla certezza di aprecentemente effettuate, è che la situazione enerprovvi?Zionamenti praticamente illimitati. s i è perciò sempre più chiedere in getica europea è caratterizzata oggi da una serie di fenomeni contraddittori che contribuiSede comunitaria o in sede OECE - le cOnclustono a creare un quadro estremamente con.. sioni del rapporto Robinson non sono che l'ulil dialogo timo episodio di questa tendenza - di procefuso, tanto Più che in parecchi in termini d i economia è reso difficile dall*inva- dere ad un coordinamento energetico, fondandosi sull'intesa raggiunta in importanti settori denza dei fattori nazionalistici che rischiano di economici rientranti nell'ambito della CEE, delriportare la collaborazione europea al punto l'EURATOM e della CECA. I1 successo settoriale di partenza. cVè,in primo luogo, la crisi del assicura sulla possibilità di un'intesa più vasta carbone belga (si era parlato anche di una ed ma deve trarre in situazione di disagio del carbone tedesco, ma circa la che le sembrerebbe oggi che ci si avvi ad una normadebbono affrontare. Senza entrare nel merito lizzazione di quel mercato). poi un nuovo delle resistenze, le quali derivano fatslmente elemento determinato dall'annuncio della scodalla presenza d i forti interessi, che tendono ad perta di giacimenti di idrocarburi nel s a h a r a e associarsi, e da un regime concorrenziale assai subordinatamente nel ~~~~~~i~~~~ d91talia, di che la carbOsicui non si può valutare per ora che in linea va derurgica sembra aver conseguito Un primo SUCgenerale il probabile apporto, P e r quanto ricesso nella battaglia d'arresto contro i1 periguarda il petrolio sahariano, la questione si colo delle concentrazioni industriali, praticamente messe a l bando dall'art. 65 paragrafo 2 del trattato CECA. La denegata autorizzazione dell'Alta Autorit5 alla costituzione di un carte110 unico di vendita del carbone della ~ ~ che avrebbe controllato circa la metà di tutta la produzione carbonifera dei Sei Paesi, costituisce un precedente d i estremo interesse anche perché dimostra di quali poteri effettivi dispongano gli Esecutivi comunitari nei loro interventi: quando beninteso la lettera dei trattati sia esplicita, ciò che non può dirsi né per quello della CEE, n é per l'EURATOM, almeno per quanto riguarda la materia energetica, Va facendosi strada, ad ogni modo, negli stessi Esecutivi comunitari, la convinzione che sia nel carbosiderurgico 'Ome in altre fonti energetiche sia difficile combattere non il principio della concentrazione, ma il dato d i fatto dell'esistenza di forti concentrazioni industriali, che agiscono in un determinato settore, lo condizionano e praticamente 10 regelano, anche e soprattutto all'esterno delle Comunità, Nel caso Thyssen-Phoenix, ad esempio, non è probabile che si giunga ad una decisione radicale come quella che è stata, sia pur faticosamente, raggiunta nei confronti del proposto cartello unico del carbone, perché ognuno sa che yoptimum delyimpresa acciaiera L'ori. Paolo Emilio Taviani fu il capo della delegaè oggi in una dimensione minima ,di produzione che va dai due ai quattro milioni di tonnellate, i o n e italiana che partecipò alla redazione (1950-51) del Trattato istitutivo della Comunità sopranazionale e d'altra parte la concentrazione Thyssen-Proenix controllerebbe non più del 10% della proeuropea del carbone e dell'acciaio (CECA). duzione acciaiera tedesca. E' verosimile quindi che l'Alta Autorità l'autorizzi condizionatamente, ponendo ad esempio l'obbligo dell'approvazione complica per il problema del trasporto interconda parte dello stesso Esecutivo per gli investitinentale, anche se la costruzione di oleodotti menti resi necessari dalla concentrazione stessa, per il tratto africano e per quello europeo sembra rendere meno difficile il trasporto da un oltre un certo limite. continente all'altro. S i tratta di una serie di L'esempio della CECA dimostra anche che situazioni che non è improprio definire fluide, nell'evoluzione del processo integrativo non si poiché è dal confluire di tali fattori nuovi che può sempre applicare rigidamente la lettera del è nata una specie di psicosi anticongiunturale. trattato, sotto pena di provocarne la sclerosi o, In altri termini, mentre i bilanci di previsione peggio, d i limitarne l'applicabilità a questioni i n materia energetica risentivano nel 1957 della di principio che non affrontano i problemi nella strozzatura degli approvvigionamenti petroliferi loro vera essenza e rischiano d'ingenerare ultioriginata dalla chiusura del Canale, c'è ora rimamente la più perniciosa sfiducia negli scopi schio che prevalga nei calcoli sulla produzione stessi dell'integrazione europea. Così come in di elettricità in Europa una psicosi di saturataluni casi sta a l discernimento degli Esecutivi zione. Si tende cioè a trascurare il fatto che o anche dei Consigli dei Ministri della Comula presenza di surplus d i carbone belga è donità di temperare, nel processo di applicazione, vuta agii alti prezzi causati dalla gestione spesso l'asprezza d i quelle formule che rischierebbero antieconomica di numerose miniere belghe; si d i fare più guasti che vantaggio, spetta agli f a troppo afidamento su un fatto decisamente Esecutivi delle Comunità, in sede proponente, dovuto alla congiuntura favorevole, vale a dire a i Consigli dei Ministri e ai Governi dei Paesi alla disponibilità nei porti continentali di commembri, in sede deliberante, suggerire ed adotbustibile americano caratterizzato da prezzi di tare quelle modifiche ai trattati che consentano rottura derivanti dal bassissimo regime di noli; di agire, o perlomeno d i arrivare ai mezzi adatti si considera forse con eccessiva euforia la ad agire, in determinati settori nei quali si capacità dei giacimenti testé scoperti. ma non siano presentate e sviluppate situazioni nuove. ancora riconosciuti in modo soddisfacente da Questo è il caso tipico della necessità di coorun punto di vista geominerario; si dà pieno dinamento energetico che si è venuta delicredito alle imprese elettrocommerciali per neando gradatamente neil'ambito delle Comuquanto riguarda l a loro capacità di adeguarsi nità. La presenza del problema e l'impegno, rapidamente a l crescente ritmo della domanda. da più parti espresso, di studiarlo a fondo, per I risultati di questa complessa situazione, sulpianificare un'azione risolutiva, devono però essere bene ancorate alla realtà economica e la quale hanno evidentemente buon gioco gli interessi particolaristici dei gruppi economici industriale dei Sei Paesi, come entità. singole, impegnate bensì alla realizzazione dell'integrazione economica, ma evidentemente condizionate e limitate nella propria volontà di agire da fattori, interessi e contingenze di carattere regionale. ed i'Liziativa privata 4' Impresa produzione di elettricitd. - I n realtà., l e possibilità di raggiungere un regime di accordi nel campo dell'industria elettrica, quali che siano le fonti energetiche, si presentano piuttosto limitate, per l'estrema disparità delle situazioni nazionali nel settore (2). A titolo di raffronto, basterà considerare la ripartizione fra imprese pubbliche e private ""la produzione di nei Paesi Comunità Esistono differenze Percentuali, oltre che diverse formazioni strutturali della distribuzione dei consumatori, l e quali dimostrano ampiamente come ogni regime che si proponga la modifica della situazione esistente sia destinato a scontrarsi, non soltanto con l a diffidenza - che si può definire legittima ( 2 ) Ritenianio utile pubblicare quanto in proposito i1 dott. caro", ~ i ~ ~ . p (lella ~ ~ Commissione ~ i d ~ ~ della t ~ CEE, ha detto nella s u a relazione al Convegno supli IGrocarburi. tenuto a Piacenza il 12 settembre 1960, rela"lone delle quale riportiamo un ampio stralcio nelle i>apg. 4 1 e 4 2 (li questo numiLro di « Comuni d'Europa »: , I I Belgio, ehe ha foi.se i niacimenti carlIomifei.i a coati piìi elevati t r a i Sei, è st;ito il Paese che naturalmente h ah avuto~ più diffico'ltà a crainpetere eon le importazioni di , energia a più basso prezzo. I'.' così che il Governo è ricorso all'isolamento del suo mercato carl~onifero,attraverso restrizio,ni quantiintive r~eile impoi-tazioni (li carbone, ron un sistema di licenze sia per i Paesi come Stati Uniti e Gran Bretarnzi che non fanno parte della CECA, sia p e r i Paesi m e m l ~ i idella CECA. Durante il mese (li ago,sto, a seguito (li u n a forte concorrenza cia narte dei prodotti petroliferi, il Belgio h a introdotto u n a nuova L ~ s s a pari a 70 franchi belgi alla tonnellata sull'olio co;nl>ustibile e che h a portato il totale (telie imposte indirette su tale pro(iotto a 160 franchi belgi la tonnellata: a ciò deve azgiungersi un diritto clo~anale di 100 franchi k l c i p e r tonnell:ita. L e imposte indirette suila benzina erano ~ i stiite h aunirntate nei 1958. I n Francia il Goveillo (lispone settore dell'enerKia ,,i notevoli possibilità di inter,,ento. ~ ~ f ~eccezio,nr ~ ~ i del petrolio, le altre fonti energetiche (carlmne, ras, elettricità) Sono naziona1iz7,ate. Recentemente, nonostante l'industria carbonifern :issuin ~ ~ la politica ~ enerpetica ~ ~ francese sta prendendo un nuovo orientamento in favore dello sviluppo del petrolio, a causa soprattutto delle scoperte recenti di fomrti giacimenti ~>etroliferi, in gran parte nazionalizzati, nel Sahara. E' così che la Francia controlla le importazioni di carbone tramite un'azenzia statale, il che h a facilitato l'arresto depli acquisti dall'estero durante la recente crisi carbonifera. P e r di più fin dal 1828, la Francia co'ntrolla il mercato (lei pro<lotti petroliferi. Tali controlli includono restrizioni <iwdntitative delle importazioni, I'obbli~odi scorte di sicurezza, l'imposizione <li un certo controllo di prezzi per i ,.ari prodotti, una preventiva per gli investimenti, e più recentemente un divieto di sconto di più 'le1 ai a i sOtLo listino pubblicato. I1 sistema fiscale. infine assume un molo abbastanza im,,orti<nte nel settore energetico, ,, I n Ger?mxni(i la politica enerpetica è dominata dall'esistenza di un'importante industria carbonifera da proteggere' carl'one copre ancora attualmente Oltre il 63'% dei consumi totali di energia. L a politica liberale tedesca nei settore energetico è s t a t a rivista ali'inizio della crisi carbonifera nel 1957-1858. E' così che il Governo tedesco h a imposto la rinegoaiazione dei contratti a lungo termine per lximpo,rtazione di americano ed ha introdotto un diritto doganale sulle importazioni eccedenti un determinato livello. Per di l>iù- il ha olilili- '' i produttori le compagnie di carhnne per moderare accettare la un concorrenza. coi' Allorché tale accordo non polé essere mantenuto. il Governo un'iinpOsta indiretta pari a E5 marchi la tonnellata sull'olio combustibile e dedicò i proventi d i tale imposta alla riconversione del13industria carl>onifera, ~,~ol,d, è un Paese con u n a modesta industria caririnifera e importanti interessi petroliferi. Ciononostante. per proteggere le industrie ed mche 'Ome atto di soli(1arietà con gli altri Paesi della Camunità, il &vemo ha imposto un sistema di licenze di importazione sul carbone. P e r l'olio combustibile è in vigore un sistema 'li L,ltelia i. il Paese che si è potuto permettere una poli,ica enerEetica relativamente liberale, fon(lata sul cipio della libera importazione di energia al più *basso praZO possihfie. 11 mercato energeticO italiano e per caratteriz7'ato più 'li quello Paesi, da u n a forte concoi.renza. Ciononostante i prodotti petroliferi sono gravati di oneri fiscali nettamente più importanti di quelli gravanti su1 carbone. Si noterà che tutti i Governi dei Paesi delle &munita ~ ~ u r o p eintervengono e ampiamente e attraverso vari si. stemi sui mercato energetico servendosi di quasi tutti i n1e7,7,i a loro disposizione e inP1iiendO volte sulle quanti" amlie(lue. La divergenza mercato' a'1e deglivolte inteiventi sui adottati e in ciasu scuno dei Paesi membri sottolinea ancora una volta la di un coOrdinainentO del1e politiche energetiche. " "l zioni fine di concorrenza. a"Sicurare necessaria Una ce*a per eguaglianza la creazione nelleprogressiva del mercato comune*. (N.d.R.). , i COMUNI VEUROPA degli interessati, ma con effettive difficoltà di ordine generale. Per restare dunque a livello comunitario, e sempre prendendo a fondamento i dati dell'OECE, basterà osservare che in Francia 1'81% della produzione e 1'86% della distribuzione sono affidate alle imprese pubbliche, che intervengono per un ulteriore 10% della produzione attraverso imprese miste, mentre solo il 9% della produzione e il 14%.della distribuzione sono i n mano all'iniziativa privata: che in Germania il 40% della produzione e il 52% della distribuzione sono amministrate dai poteri pubblici, mentre soltanto il 65% della produzione e della distribuzione è in mano alle imprese private, vigendo per le percentuali residue (54% della produzione e 42% della distribuzione) il regime misto: che in Belgio il 93% della produzione è i n mano all'iniziativa privata e il 7 % ai poteri pubblici, e che la distribuzione è cosl ripartita: 19% allo Stato, 14% alle imprese miste, 67% alle imprese private. L'Olanda presenta il caso più semplice, poiché le imprese elettriche sono integralmente nazionalizzate. P& l'Italia i dati riportati nel citato rapporto della Commissione Consultiva dell'Energia dell'OECE si riferiscono all'anno 1953. Tale situazione - in seguito al mutamento di proporzioni tra produzione dell'industria di Stato e produzione privata, configuratosi con il distacco delle Aziende a capitale intero o prevalente capitale statale dalla Confederazione dell'hdustria italiana - risulta oggi la seguente: % 1) Settore pubblico: Aziende IRI . . . . . . . . Aziende Municipalizzate . . . Ferrovie dello Stato . . . . 27 6 2 2) Elettroproduttori privati . . . 50 3) Autoproduttori . . . . . . . 15 Totale . . . 100 11. - L'ISTANZA PER LA COORDINAZIONE E LE SCELTE POSSIBILI I1 problema del coordinamento energetico è stato posto, almeno in termini di ipotesi comunitaria, sin dalla firma dei trattati di Roma. Da tutti si riconobbe - e il riconoscimento non è mai venuto meno, si è andato anzi sempre più rafforzando con l'andar del tempo che l'elettricità è un'infrastruttura essenziale per ogni sviluppo della Comunità e che vano riesce il discorso della collaborazione ove non si affronti il fenomeno all'origine, creando cioè una piattaforma comune sulla quale sia offerta a tutti i Paesi. in misura -proporzionale al loro potenziale economico ed industriale, la possibilità di sviluooarsi e di armonizzare i propri sforzi nel quadio generale del progresso &ll'ammodeinamento delle strutture industriali. La esistenza di sensibili sperequazioni, di salienti e rientranti sul fronte economico dei Sei Paesi, fu bene avvertita sin da principio, ma questa constatazione non limitò, ma valse al contrario a stimolare l'interesse verso il settore energetico. Si studiò, con una certa lungimiranza, la formula alla quale adattare lo spirito di collaborazione, che era allora intatto e profondo; probabilmente perché, nella prima fase dell'applicazione dei trattati, non era ancora avvertibile la reazione di quei gruppi economici sui quali ricade evidentemente, perlomeno in apparenza ed a breve raggio, il danno immediato delle soluzioni comunitarie. I1 dialogo europeo si svolgeva in quei giorni ad alto livello, in una sfera del tutto politica e si esauriva spesso con la dichiarata volontà di attuare un ordinamento di taluni settori economici in un senso più aderente alle necessità dei Sei Paesi. Si presentò già allora un aspetto caratteristico del processo d'integrazione europea, aspetto che si è verificato ripetutamente nelle fasi finora esperite della collaborazione comunitaria. Si riscontrò cioè, allora per la prima volta, che la volontà politica di attuare la Comunità europea non trova sul suo cammino ostacoli insuperabili, fino a che questa volontà si esprime in termini di teoria, nel limbo dei desideri considerati più o meno irrealizzabili; oppure e realizzabili secondo una formula di comodo, che lasci invariate l e situazioni nazionali e quelle settoriali delle attività economiche. Le resistenze diventano evidenti e talvolta insuperabili quando dall'ipotesi comunitaria si passa alla fase concreta, quando il problema dell'integrazione si pone in termini di organizzazione effettiva, di coordinamento, di interaz~onedei vari gruppi economici attivi nei singoli Paesi, e solitamente restii a rinunciare al clima, concorrenziale ed in taluni casi monopolistico, nel quale sino a quel momento si sono svolte le loro attività economiche. Non ci furono difficoltà sensibili, nel 1957, per ottenere l'approvazione di quel protocollo che attribuiva all'Alta Autorità della CECA il compito di esplorare il paesaggio energetico, per poi suggerire alle altre due Comunità la possibilità di un'azione di coordinamento. Nel protocollo 9 ottobre 1957, l'art. 4 L'Alta Autorità era e ~ t r e m a m e n t e esplicito: della CECA presenterà al Consiglio dei Ministri gli orientamenti generali sulla politica energetica, l e proposte sulle condizioni di realizzazione di tale politica e l e misure concrete che essa stima adeguate n. S i trattava, com'è evidente, di un accordo i n termini assai generici; si proponeva unicamente la realizzazione di un'intesa a livello del Consiglio dei Ministri e non degli Esecutivi delle Comunità. L'esperienza di questi pochi anni di funzionamento degli organi comunitari ha dimostrato in modo inconfutabile, che mentre il Consiglio dei Ministri possiede evidentemente tutti gli strumenti atti a dare efficacia ai provvedimenti suggeritigli dagli Esecutivi, assai dubbia è la capacità propria del Consiglio a realizzare quando si tratti di impostare autonomamente un provvedimento concreto, che richieda successivamente l'assenso degli Esecutivi e quello, indispensabile, dei governi nazionali. Ciò risponde del resto alle caratteristiche stesse del consiglio dei Ministri. ed è interessante rilevare come l'elaborazione dei provvedimenti in sede esecutiva, sia stata la caratteristica costante delle iniziative comunitarie più efficaci. S i potrebbe aggiungere che il fatto stesso di saltare, per così dire, lo stadio degli Esecutivi, per proporre direttamente la decisione al Consiglio dei Ministri, può essere preso in generale come una prova dello scars3 interesse che si porta ad un determinato problema. I1 protocollo 9 ottobre 1957, malgrado configurasse già una possibile soluzione, non divenne operante che in una forma del tutto platonica, come l'espressione di una volontà palitica, che non si materiava in alcuna iniziativa concreta. E se ciò fu ritenuto accettabile nei periodi di prima applicazione dei trattati, diventò del tutto insoddisfacente man mano che, procedendo sulla via dell'integrazione, cominciavano a venire in luce i primi contrasti ed i primi attriti fra i vari settori energetici, all'interno o all'esterno dell'iniziata collaborazione comunitaria. Lo stato di disagio, endemico fino a tutto il 1958, ha assunto come tutti sanno forma epidemica con i primi sintomi della grave crisi del carbone della CECA, che rappresenta, tuttavia, soltanto una localizzazione ed una puntualizzazione di un problema che è indispensabile affrontare nell'interesse delle Comunità. Una serie di documenti. approvati nelle più varie sedi della collaborazione europea e all'int e m o stesso della Comunità, ha posto l'accento sulla necessità di attuare un coordinamento nel settore energetico, ma ha anche comprovato l'estrema confusione che esiste in questa fase preliminare, per l'accavallarsi delle istanze, la diversa origine di esse e la non meno diversa destinazione che dai vari gruppi s'intende dare al coordinamento. Mentre talune di queste istanze presentano un carattere abbastanza concreto e non è difficile identificare in esse almeno una ipotesi di collaborazione nel settore energetico, altre - e sono la maggioranza - sembrano aver e un carattere del tutto velleitario, limitandosi a rammentare l'esistenza del problema, senza proporne tuttavia alcuna soluzione concretamente attuabile. Una breve rassegna di queste istanze, che si distinguono per la loro estrema varietà, varrà a dimostrare come evidentemente non basti riconoscere l'esistenza di un problema per dare l'avvio alla soluzione di esso, soprattutto quando interessi contrastanti e settori economici in naturale antitesi debbono essere integrati con un regime di concessioni reciproche. L'anno testè decorso è straordinariamente ricco di istanze per il coordinamento energetico. In seno alllAssemblea Parlamentare il Rapporto Posthumus, seppure in termini prudenziali, aveva segnalato già nel gennaio la necessità di esaminare a fondo la situazione energetica europea alla luce della crisi manifesta della CECA. Posthumus chiedeva l'attuazione di un certo grado di arinonizzazione fra le iniziative prese sino a quel momento dalla Comunità Carbosiderurgica e dalla Comunità Europea dell'Energia Atomica. Suggeriva inoltre la opportunità di ridimensionare la produzione del carbone belga, eliminando dal ciclo economico della domanda e dell'offerta quei fattori di disturbi che avevano contribuito a creare una situazione falsa. In seno al Comitato d'Azione per gli Stati Uniti d'Europa è stato inoltre sottolineato nel maggio scorso l'appello rivolto da Jean Monnet perché sia impostata una politica comune dell'energia, fondamento indispensabile dell'ulteriore progresso dell'integrazione europea. Nel corso del dibattito sull'energia svoltosi nel giugno, nella sede dell'Assemblea Parlamentare, tutti i gruppi si sono pronunciati per la formulazione di una politica energetica, anche se si trattava in questo caso specifico di una serie di provvedimenti ad hoc, destinati ad affrontare direttamente e immediatamente il problema del carbone invenduto in Europa, e soltanto alla lontana e con estrema cautela quelli relativi alle altre fonti di energia. Più concreta appariva in verità la proposta presentata dal senatore Leemans, Presidente della Commissione delllEnergia dell'Assemblea Parlamentare; tale proposta era intesa a suggerire la costituzione. in una fase più avanzata dell'integrazione europea, di un Centro Europeo per l'Energia, dotato di poteri effettivi. Al termine del summenzionato dibattito svoltosi in seno all'Assemblea Parlamentare, veniva adottata una mozione che auspicava, ancora una volta, l'azione di un Comitato a livello Interesecutivo. Lo stesso carattere aveva il rapporto presentato, all'incirca nello stesso periodo dall'organo direttivo dei Charbonnages de France rapporto nettamente orientato nel senso di una collaborazione a livello interesecutivo, ma anche ispirato alla necessità di effettuare una ripartizione adeguata delle responsabilità delle tre Comunità tenendo conto dell'apporto delle fonti convenzionali e di quella nucleare Anche in seno ad istituzioni a carattere nazionale si registrano, sempre nel 1959, non poche istanze per il coordinamento, energetico: fra l e altre, il rapporto Richard, presentato al Consiglio Economico e Sociale della Repubblica Francese, su richiesta del Ministro dell'Industria e Commercio, sollecita l'intervento sul fronte energetico di una Autorità politica europea, che si prefigga il compito di coordinare e organizzare tempestivamente la copertura del fabbisogno continentale di elettricità su base comunitaria, o a livello delllOECE, e che soprattutto tenga conto della ripartizione della produzione di elettricità in relazione alle varie fonti energetiche. Seducenti che siano le prospettive di un coordinamento su base continentale, o anche a livello OECE, noi riteniamo che sia più realistico considerare ogni possibile azione tendente al coordinamento del settore energetico nell'ambito ben delimitato delle tre Comunità. Nel groviglio delle istanze, del resto, il tema ritornante è quello dell'organizzazione, o in sen o ad una delle Comunità o nell'ambito di un organismo intercomunitario, che sia capace di rilevare, ampliare e integrare i compiti già svolti con carattere di ricerca e studio dal Comitato Interesecutivo per l'Energia. Ed è alla iniziativa di una delle Comunità, la CECA, che si deve, nel settembre del 1959, un orientamento particolarmente interessante dell'evoluzione verso la collaborazione energetica. Avvalendosi del mandato assegnatole dall'art. 4 del protocollo 8 ottobre 1957, l'Alta Autorità indirizzava in quella data alle Commissioni delle altre due Comunità, una lettera nella quale proponeva, di fronte all'immutato stato di disagio del mercato carboniero, l'adozione di contromisure efficaci: tra tutte va segnalata, in primissimo piano, la raccomandazione di istituire, nell'ambito dei singoli Paesi membri, un organismo interministeriale capace d i dirimere i conflitti di competenza fra i vari Ministeri interessati all'attività energetica, e come naturale sviluppo di questi organismi nazionali, un Comitato Consultivo per l'Energia che raggruppi a livello comunitario i rappresentanti dei vari settori energetici (carbone. gas natu(, )): 11. dicembre 1960 -- COMUNI D'EUROPA -- p I1 pensiero di Piero Malvestiti D. - Può l'Alta Autorità della CECA adempiere a i suoi obblighi istituzionali senza affrontare e risolvere il problema della coordinazione della politica energetica dei sei Paesi? 11 R. - Ho detto chiaramente all'Assemblea Parlamentare Europea nel mio discorso di insediamento che non mi pare possibile risolvere a lungo termine lo stesso problema del carbone se non nel quadro di u n coordinamento delle politiche energetiche. Le basi giuridiche di questo coordinamento sono date dal protocollo dell'ottobre 1957 e dall'accordo del 9 ottobre 1959 con gli altri due esecutivi comunitari. Come è noto, il protocollo del '57 attribuisce all'Alta Autorità il compito di avanzare proposte concrete a l Consiglio dei Ministri, e n e viene logicamente che l'Alta Autorità della CECA deve rimanere chef de file di questo lavoro. I1 coordinamento energetico si impone non solo per I< salvare il carbone 8 , ma nell'interesse stesso del petrolio, che sembra oggi voler affermare prepotentemente la sua presenza. Quando l'energia nucleare arriverà sul mercato a prezzi competitivi (ed io diffido dei tecnici pessimisti, che parlano d i 20 anni o 25 anni su dati tecnici attuali, senza nemmeno sospettare l e sorprese che la stessa tecnica potrebbe riservarci fra t r e mesi) non solo il carbone, ma tutte le fonti di energia, in prima linea il petrolio, si troveranno - m~itatismzitai~dis- nelle stesse condizioni in cui il carbone si trova oggi d i fronte a l petrolio. Con questa differenza: che proprio il carbone sarà allora, probabilmente, dimensionato; in altre parole non ci saranno a quell'epoca miniere marginali e la produzione seguirà criteri sanamente economici. D. - Ritiene Ella, S z g ~ i oPrestdente. ~ che l'opera di pi.evisio?ie e di decisione in sede comunitaria debba basarsi oltre che sui dati statistici anche sulla conoscenza, quale dato essenziale, delle scelte e delle piogrammazioni dei singoli governi in materia di sviluppo economico; ed in particolare degli indirizzi circa la espansione dei consumi, il ritmo e la loro localizzazione, il posto affidato ulle varie fonti di energia? K. - E' fuori di dubbio che l'elaborazione del dato statistico è assolutamente indispensabile per creare la base dalla quale partire per coordinare l'afflusso delle varie forme di energia sul mercato. In concreto si tratta d i formare u n vero e proprio bilancio energetico, che naturalmente deve essere dinamico e non statico. L'optimun~,quanto aile scelte e alle programmazioni dovrebbe consistere in un'unica politica energetica per tutti i sei Paesi, tenendo conto delle esigenze e delle situazioni d i fatto degli stessi Paesi, e insieme delle finalità comunitarie. Di fatto, basti considerare che i poteri normativi del Trattato di Parigi, con relativo carattere sovranazionale deil'Alta Autorità, sono conferiti solo per i carboni, per rendersi conto delle difficoltà pratiche. I n concreto, converrà quindi favorire la formazione di una politica energetica unitaria per ogni Paese, lasciando all'Alta Autorità il compito del coordinamento. I n altre parole, sarà già un primo risultato favorevole che una politica energetica coerente venga stabilita in ogni Paese, senza dimenticare (perchk oltretutto non sarebbe praticamente possibile) la produzione ed il consumo delle varie fonti di energia negli altri Paesi della Comunità. 1, D. - L'Alta Autorità è messa attualmente i n grado dai sei n Governi nazionali di operare una previsione dello svilzippo dei covsumi di energia sulla base di organiche programmazioni in sede nazionale? CC R. - Non vedo ancora organiche programmazioni che, come ripeto, intendo favorire come prima fase della coordinazione comunitaria in sede nazionale. Questo non vuol dire che l'Alta Autorità, d'accordo con le Comunità sorelle, non debba sin d'ora studiare una previsione. non solo. come lei mi domanda, dei consumi di energia, ma altresì delle dimensioni dell'afflusso di energia delle varie fonti, ben s'intende non dimenticando che le stesse fonti non sono soltanto in Europa. (fntervietu conceesu al periodico « Uenwcruzi«. Moderno », pa~?laio 1960) rale, petrolio, fonte idroelettrica, energia nucleare). La lettera dell'Alta Autorità prevedeva anche l'istituzione di u n Comitato misto tra i Governi nazionali e le Commissioni delle Comunità, con la partecipazione di esperti designati dagli uni e dalle altre, allo scopo di formulare regolarmente previsioni energetiche a breve termine, aile quali conformare successivamente l'azione delle Comunità. In base a queste richieste esplicite della Comunità Carbosiderurgica venivano ristabiliti con maggiore intensità i contatti fra i tre Esecutivi e si giungeva all'accordo del 9 ottobre 1959, la cui caratteristica fondamentale è costituita dall'orientamento a svolgere l'eventuale azione comunitaria nell'ambito degli Esecutivi, ampliando eventualmente l'orizzonte mediante l'inserimento di qualche iniziativa concreta sul fondale fin qui puramente consultivo dell'organismo. Questa iniziativa della CECA e l'accordo conseguentemente raggiunto con l e altre due Co- munità sembrerebbero confermare alla Comunità Carbosiderurgica il compito di procedere ulteriormente sulla via del coordinamento. Ma va precisato che questo ruolo l e viene riconosciuto, semmai. in una fase interlocutoria e nell'aspettativa deil'attuazione d i una comunità economica globale nella quale l'infrastruttura energetica rientri come uno dei fattori più determinanti. Nel corso della Table Ronde sui problemi dell'Europa dedicata all'esame delle possibilità d i coordinamento energetico, e tenuta a Londra ai primi di novembre, si è constatato in realtà che nella situazione attuale del processo d i integrazione, si offrono alle Comunità almeno cinque soluzioni distinte, limitandosi beninteso a l solo circolo comunitario: 1) proseguimento della tendenza attuale, che vede assegnati alla CECA i compiti di guida e propulsione sulla via del coordinamento. In base ad una tale ipotesi, la CECA, continuando l'azione iniziata con il protocollo del 1957 e con la lettera del settembre del 1959, potrebbe adoperarsi ad ampliare il suo campo d'azione, estendendo la sua influenza dal settore carboniero agli altri settori energetici. Ciò comporterebbe la possibilità d i creare un organismo, a carattere inizialmente consultivo, che vedesse riconosciuto alla Comunità carbosiderurgica il leading role, senza pregiudizio degli sviluppi futuri. I1 campo di attività di un tale organismo, centrato sulla CECA, potrebbe precisarsi mediante l'attuazione della formula già proposta dall'Alta Autorità nella sua lettera del settembre 1959: vale a dire, prima coordinamento delle singole fonti energetiche all'interno d i ciascuno dei Paesi membri, quindi costituzione d i un organismo a livello interesecutivo dotato d i poteri effettivi e abilitato in un primo tempo alla pianificazione. in un secondo tempo a l controllo della produzione d i energia: 2) nella presunzione di un inlervento massiccio dell'energia nucleare sul fronte energetico europeo, potrebbe attribuirsi all'EURATOM il compito d i attuare, grazie all'assenza d i situazione cristallizzata che caratterizza appunto il settore dell'energia nucleare, una forma d i coordinamento fondata sul nuovo equilibrio che il programma elettronucleare potrebbe introdurre. Nei confronti delle altre due Comunità, l'EURATOM si distingue infatti per essere destinato a svolgere la propria attività esclusivamente nel settore energetico, anche se i suoi compiti industriali e d i ricerca non vanno sottovalutati. L'affidamento all'EURATOM della responsabilità del coordinamento potrebbe attuarsi secondo una formula minima ed una più ampia: la prima comporterebbe l'istituzione di un organo di pianificazione e controllo nel solo settore dell'energia elettronucleare, con attività marginali d i informazioni ed armonizzazione con le altre fonti energetiche: la seconda potrebbe risolversi in un'attività di pianificazione vera e propria nel campo energetico, includendo negli orizzonti della Comunità Europea per 1'Energia Atomica tutto quanto attiene ai possibili sviluppi delle fonti energetiche tradizionali e di quella nucleare. La meccanica di un tale regime di priorità all'EURATOM equivarrebbe in sostanza ad un trasferimento del leading role in materia energetica dalla CECA all'EURATOM. Secondo la formula massima, all'EURATOM potrebbero anche essere affidati compiti industriali, ampliando il suo attuale destino istituzionale di ente propulsore e stimolatore: 3) partendo dal carattere orizzontale della Comunità Economica Europea, sarebbe logico affidare a d essa - che racchiude nella formula più vasta, anzi praticamente illimitata, delle attività economiche e produttive, la più naturale soluzione del problema - il compito di avviare concretamente il processo d i coordinamento. Infrastruttura essenziale d i ogni attività economica, il dominio dell'energia appare come quello che condiziona lo sviluppo, il progresso. il potenziamento dell'economia comunitaria ir, corso d i integrazione. I1 fatto che singole fonti d i energia rientrino già sotto il controllo delle altre due Comunità nulla toglierebbe all'autorità della CEE, che potrebbe attuare, da principio, un compito di coordinamento con il settore carboniero e con quello nucleare, riservando a sé l e altre fonti energetiche ed assumendo in seguito compiti precisi d i guida e controllo in tutto il campo dell'energia. Non va dimenticato che la CEE rappresenta in definitiva il punto d'arrivo del processo d i integrazion e e che le attività controllate settorialmente dalle altre due Comunità non possono non rientrare, in u n giro più o meno lungo d i anni, nella sfera d'azione della CEE. E' da considerare inoltre che, essendo le altre due Comunità già attive nel settore energetico. la CEE avrebbe su d i esse il vantaggio di poter istituire una formula nuova di collaborazione, evitando l e visioni unilaterali e a ciclo chiuso che possono facilmente accompagnarsi alle istituzioni verticali: 4) una soluzione radicale potrebbe essere presentata dalla costituzione d i una Comunità Europea delllEnergia, da affiancarsi alle altre tre e da riassorbirsi in u n lontano futuro nella economia integrata, quando i trattati di Roma avranno raggiunto la loro destinazione piiì completa. COMUNI D'EUROPA La creazione di un nuovo organismo verticale offrirebbe indubbiamente il vantaggio di poter affrontare il problema con o-uella linearità e praticità di impostazione che sono caratteristiche delle istituzioni verticali. L'efficienza raggiunta in non pochi casi da organismi del genere, che lianno il privilegio di poter agire secondo una lini2 più o meno concorrenziale, vale a dire mirando a degli obiettivi particolari che escludono o limitano gli obblighi di collaborazione con altri settori, assicura sulle ottime probabilità di successo, almeno a breve termine, di una iniziativa del genere. L'esperienza acquisita attraverso l e tre Comunità già in essere permetterebbe d'altronde di evitare quegli errori strutturali e funzionali che si sono palesati, in grado maggiore o minore, nelle altre Comunità: 5) partendo dalla considerazione che non sussistono ancora nell'Europa dei Sei piattaforme sufficienti per una collaborazione energetica in senso attivo, si potrebbe ricorrere ad una formula interlocutoria, istituendo un Comitato consultivo per l'energia, con compiti di studio, raccolta di dati, elaborazione di previsioni, eventuale elaborazione di un piano energetico da attuarsi in un futuro più o meno lontano. Si tratterebbe di un organismo nel quale dovrebbero essere assorbiti tutte le Commissioni, gruppi di lavoro O di studio, che effettuano oggi lavori di ricerca statistica e formulazione di previsioni in seno ai vari enti della collaborazione europea. In base alla riscontrata difficoltà di coordinamento fra gli organismi comunitari e quelli nazionali nel dominio energetico. soprattutto nei Paesi dove la produzione e la distribuzione di energia sono disugualmente distribuite, si potrebbe studiare per tale comitato una formula nella quale fossero rappresentati, oltre che gli enti a carattere internazionale, i singoli Governi nazionali. Questa formula si avvicina sensibilmente a quella delineata dal prof. Armand, nel corso della Table Ronde sui problemi dell'energia tenuta a Londra ai primi di novembre, e condivisa dalla maggioranza dei partecipanti a quel dibattito. Si tratterebbe, secondo il suggerimento dell'ex presidente della Commissione dell'EURATOM di costituire un Comitato Interesecutivo con mansioni in un primo tempo esclusivamente consultive, successivamente investito di poteri delegati dai Governi, al quale sia affidato il compito di avviare sul binario delle realizzazioni le idee, numerose e talvolta contrastanti, che ispirano gli attuali promotori del coordinamento. Vaga che sembri questa formula, si intravvede in essa la prospettiva di una organizzazione del settore energetico, rispondente ai termini della situazione odierna. Altre formule, egualmente discusse in sede di Table Ronde, o negli ultimi dibattiti dedicati dall'Assemblea Parlamentare Europea ai problemi energetici, non si discostano sostanzialmente dalle cinque ipotesi fin qui prospettate. Va segnalato, tuttavia, che non mancano, anche in questo settore, i fautori di un sistema noninterventista, che vorrebbero affidati i compiti del coordinamento da un lato, cioè nell'ambito nazionale, alle iniziative dei gruppi, pubblici o privati, che controllano la produzione di elettricità; dall'altro, non meno fatalisticamente, alla comprensione, caso per caso, dei Governi nazionali, che dovrebbero cercare e negoziare l'accordo solo in presenza di una eventuale congiuntura sfavorevole in uno o più settori energetici. 111. - LA SOLUZIONE: UNA FORMULA PROGRESSIVA E SISTEMATICA La scelta fra queste cinque soluzioni si presenta particolarmente difficile, nel momento attuale, per la presenza di talune situazioni economiche che è lecito considerare come contingenti. Senza entrare in un esame approfondito di questi fattori più o meno congiunturali, si potrà accennare a quelli che possono essere classificati come i fatti nuovi del panorama energetico europeo, vale a dire il potenziale apporto del petrolio saheriano, che può essere presente sul mercato europeo in misura ragguardevole, anche se non ancora precisabile; il basso regime dei noli marittimi che consente l'introduzione sul continente di quantità pra- ticamente illimitate di combustibili di produzione americana, a prezzi di rottura, quando e se la convenienza degli esportatori lo richiederà: un certo sbandamento del nuovissimo settore elettonucleare, dove il pessimismo, dilagato nel Regno Unito a seguito della mancata o ritardata conquista del mercato europeo da parte delle industrie nucleari britanniche, può senz'altro considerarsi come un fattore di contingenza. In riferimento a questi elementi più sopra elencati, bisognerà tenere ben presente il fatto - lapalissiano, ma spesso negletto dai pianificatori della legislazione europea - che il coordinamento energetico, come del resto ogni altra iniziativa convergente nel settore della collaborazione economica, non è evidentemente una questione che riguardi soltanto i Sei Paesi associati nella Comunità. La creazione dell'EFTA è stata palesamente affrettata, se non addirittura originata, dall'entrata in vigore e dalle prime concrete iniziative della CEE, mentre la Organizzazione Economica Atlantica può essere francamente interpretata come una contromisura, per ora potenziale, escogitata dagli Stati Uniti per consentirsi una possibilità di intervento economico nella situazione europea, mutata dopo l'istituzione della CEE e dell'EFTA. I1 declino dell'OECE - legata ad una formula di cooperazione economica che l'impegno dimostrato dai Sei Paesi prima e dai Sette della Piccola Zona, poi, portano a considerare superata - e la natura necessariamente accademica dei dibattiti che l'Assemblea Parlamentare dedica ai problemi della integrazione economica costituiscono altri fattori non secondari del quadro generale, così come esso si presenta agli inizi del 1960. E vale la pena di porre nella giusta luce un'altra circostanza che di solito i pianificatori, obbedendo ad un'inconsapevole demagogia, tendono a trascurare: il fatto che esistono non soltanto i n Europa, ma in tutti i continenti degli interessi organizzati per i ouali il progresso integrativo in atto nel nostro continente costituisce materia di osservazione e spesso di preoccupazione profonda. Questi stessi interessi dispongono di tutti gli strumenti necessari ad intervenire al momento giusto, provocando una situazione nuova, o introducendo un elemento diverso di valutazione, quando l'occasione lo richieda. Non è un mistero per nessuno che il regime dei noli marittimi è controllato in una misura assai sensibile dai gruppi petrolieri: a prescindere dalla possi'oilità di mantenere il basso livello dei noli, che è divenuto abituale negli anni seguiti alla crisi di Suez, si sono avute recentemente alcune manifestazioni, nel mercato petroliero, che possono ben essere prese come i prodromi di auella che potrebbe essere l'azione correttiva escogitata dai grossi complessi petroliferi americani, per riacquistare il dominio completo del settore. In un'industria che lavora con alti margini, non esistono problemi insuperabili, quando si tratta di rompere una situazione economica che si avvia a diventare sfavorevole: un ribasso anche limitato dei prezzi del petrolio, a titolo di esempio, basterebbe ad allontanare di cinque o di sei anni il traguardo competitivo dell'energia nucleare: e, del resto, è bastata l'azione decisa del Comitato Mc Kinney, all'interno e all'esterno del Congresso USA, per gettare lo scompiglio, O almeno per ingenerare una battuta d'arresto nel settore elettronucleare. Di tutti codesti fattori bisognerà pertanto tenere il debito conto, agendo realisticamente su un terreno economico reso estremamente difficile dalla presenza di interessi assai vasti. Le cinque ipotesi più sopra formulate vanno dunque esaminate in questa luce, tenendo ben presenti, ed eventualmente anticipando le reazioni possibili. Si è già visto quali inconvenienti, nel senso di una collaborazione europea su basi più ampie che non quelle dei Sei, abbiano prodotto le contromisure che hanno portato alla costituzione dell'EFTA. E' in base a questa valutazione realistica che possono essere considerate come inattuali almeno due delle ipotesi prese precedentemente in esame: l'istituzione di una Comunità energetica europea e l'accentramento nell'EUZATOM dei compiti di coordinamento e propulsione che Sono considerati essenziali per l'integrazione del settore energetico. La prima resterebbe, anzitutto, in forti e forse insuperabili difficoltà all'interno di almeno quattro dei sei Paesi e susciterebbe d'altronde prevedibili preoccupazioni nell'al- dicembre 1960 tro blccco economico europeo, 1'EFTA. Senza contare che, per la riscontrata maggiore efficienza delle organizzazioni verticali, una nuova iniziativa comunitaria in tal senso getterebbe l'allarme in maniera ancora più vistosa in tutto il settore energetico mondiale. Quanto all'EURATOM, esso è stato evidentemente messo in difficoltà negli ultimi mesi, in seguito ad una serie di fattori, molti dei quali sfuggono al suo controllo. Un moderato pessimismo che domina il campo elettronucleare, giustificato o non dagli eventi economici e tecnici, non costituirebbe la piattaforma ideale per un'azione che deve essere essenzialmente di sfondamento. Né va trascurato il fatto che sull'EURATOM si sono appuntate recentemente le critiche più aspre della controparte americana, delusa dal parziale insuccesso del programma di potenza patrocinato congiuntamente dalla Comunità e dagli Stati Uniti. Lo scetticismo che si è diffuso sulle iniziative nucleari non è evidentemente giustificato in senso assoluto, poiché il progresso tecnologico, l'aumentata - e virtualmente illimitata - disponibilità di combustibili nucleari, le differenziazioni regionali che offrono possibilità assai vantaggiose, per quanto riguarda l'impiego dell'energia da fissione, a talune aree sottosviluppate, contribuiscono a dare una visione più realistica, e sostanzialmente più ottimistica degli aspetti economici dell'energia nucleare. Ma, in questa fase e nella attuale temperie economica, neanche una forte volontà politica basterebbe a forzare i tempi, se si partisse dall'EURATOM, per arrivare ad un ordinamento più o meno comunitario, nel settore dell'energia. Restano pertanto le altre tre ipotesi. Potrà apparire semplicistico, ma noi riteniamo che potrrnno, e forse dovranno, essere realizzate tutte e tre nel corso del difficile processo integrativo. In luce, ouesto è il significato della formula Armand. Tralasciando altre iniziative che sono state tenute, e giustamente, a 1ivell.s accademico o dibattimentale, i soli fatti concreti che abbiano comprovato la volontà comunitaria di giungere ad un coordinamento energetico sono il protocollo de11'8 ottobre 1957 e l'accordo 9 ottobre 1959, che entrambi affidano alla CECA il ruolo guida nella pianificazione di un corodinamento energetico. Sarebbe controproducente spostare l'iniziativa, in questa fase, ad un'altra delle Comunità, dato anche che l e deliberazioni prese recentemente dall'Alta Autorità dimostrano che essa è pienamente consapevole dell'importanza degli obiettivi da raggiungere, e sa predisporre gli strumenti necessari a tale scopo. I1 primo passo è dunque da mantenersi a livello CECA. Ma subito dopo, quando interverrà la necessità di creare una formula di coordinazione più vasta e più capillare, non si può non procedere sulla via indicata da Armand: costituzione di un Comitato ad hoc, con caratterizzazione consultiva in un primo tempo, che faccia il punto sulla situazione energetica e delinei l e concrete possibilità di intervento nei vari settori. In un secondo tempo, una volta raggiunto l'accordo sulle linee d'azione da seguire, non si può non richiedere ai singoli governi di arocedere con i propri mezzi ail'attuazione i n sede nazionale di auel coordinamento che si vuole realizzare in sede comunitaria. Quindi, istituzione di organismi coordinatori del settore dell'energia nell'ambito dei Sei Paesi, ed eventuale inserzione di rappresentanti degli stessi in seno al Comitato Consultivo. La fase successiva è quella della delega di taluni poteri da parte dei governi al Comitato. non più soltanto consultivo, che potrebbe procedere alla realizzazione delle prime tappe della integrazione energetica. I modi e i termini di questa integrazione sono ovviamente da studiarsi e concordarsi, sfuggendo però alla tecnica dispersiva del rc caso per caso I1 traguardo ultimo di questo processo graduale di allineamento e livellamento non può non essere la CEE, nella quale si assommano e si condensano tutte le istanze per il raggiungimento di una economia integrata nei suoi singoli settori, indirizzata alle stesse finalità, differenziata dal diverso grado di industrializzazione delle aree regionali ma armonizzata, al tempo stesso, in base alla visione della complementarità dei fattori economici e produttivi. L'infrastruttura energetica è destinata naturalmente ad essere ambientata in una Comunità a carattere orizzontale, destinata del resto ad assorbire ed unificare quelle verticali, una volta )D. 41 COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 che queste abbiano esaurito il proprio compito. Va rilevato che, allo stato attuale, la CEE è una comunità per larga parte potenziale, che si va dando u n contenuto giorno per giorno, secondo la meccanica lenta e graduale della integrazione. Per realizzare il coordinamento secondo questa formula graduale e sistematica, occorrerà tuttavia affermare, anzi confermare l a volontà politica di pervenire all'attuazione concreta dei trattati d i Roma, nella convinzione di poterli a l più presto possibile superare nello spirito e nella lettera. Occorre inoltre non lasciarsi scoraggiare o intimidire da coloro che non soltanto esprimono quotidianamente il proprio scetticismo nelle possibilità dell'integrazione, ma si ostinano a considerare ogni forma di organizzazione come l'estrema e più odiosa perversione del dirigismo economico. Obiettivi a breve e a lungo termine per una a z i o n e europea coordinata di Giuseppe Caron Pubblichiamo qui di seguito la parte finale della relazione Coordinamento delle politiche energetiche nelrambito della Comunit& Economica Europea che il vice-presidente della Commissione della CEE ha tenuto, il 12 settembre 1960 a Piacenza, a l Convegno per gli idrocarburi, svoltosi nel quadro della V Mostra nazionale degli idrocarburi. CC )) * * Vorrei fare qualche osservazione sui principi, gli obbiettivi e metodi a cui dovrebbe ispirarsi un coordinamento delle politiche energetiche nei sei Paesi delle Comunità Europee, tenendo presente naturalmente l e indagini finora fatte dai t r e Esecutivi, in collaborazione con i Governi. Innanzi mi sembra si debba problema de' coordinamento de'che 'Ovente le politiche energetiche è offuscato fatto che gli obbiettivi d i una politica coordinata 'On0 sufficientemente precisati' Occorre infatti distinguere' a mio parere' obbiettivi d i carattere stmtturale o a lungo termine d a quelli d i ordine congiunturale o a breve termine. Tra questi due tipi di Obbiettivi vi può essere una certa divergenza' 'Ome ciò avviene sovente in economica. divergenza deve essere e transitoria, mentre è necessario che sia sempre chiaro Autorità coordinamento* che la deve 'OnObbiettivi tribuire a lungo termine' dato carattere di priorità di quest'ultima. Mi sembra quindi di dover dire -e spero che su ciò tutti possano essere d'accordo - che l'obbiettivo strutturale principale di una politica coordinata dell'energia debba coilsi&ere nell'assicurare il più possibile stabile, a i prezzi più bassi passibili. Tale obiettivo mi pare indispensabile per un'espansione sana del reddito nazionale dei Paesi della Comunità. Un secondo obbiettivo, ugualmente di carattere strutturale, potrebbe essere un minimo di produzione energetica all'interno della Comunità, a l fine d i poter f a r fronte eventualmente a i rischi di interruzione degli approvvigionamenti di energia in provenienza dai Paesi terzi. L'esperienza della crisi di Sue2 sembra tuttavia aver dimostrato che tali rischi non devono essere sovraestimati. In definitiva, la preoccupazione prima di u n coordinamento delle politiche energetiche dovrebbe essere quella di assicurare approvvigionamenti abbondanti di energia a basso prezzo, lasciando ai consumatori una piena libertà di scelta. Tale libertà d i scelta dovrà comportare, naturalmente, l'esigenza - tanto più che i Sei Paesi fanno parte delle medesime Comunità e sono quindi legati ad obbiettivi comuni che siano adottate tutte l e misure necessarie affinché: - a) sia garantito che vi sia tra le differenti fonti di energia una concorrenza leale; b, siano a'imentate per quant0 è possibile, le distorsioni eventuali. A tal fine, sarà indispensabile che progressivamente siano introdotte regole di concorrenza comuni. Tali misure non dovranno aver altro fine, tuttavia, che quello di permettere il buon funzionamento dei meccanismi tradizionali di Una economia di Esse dovrebbero portare principalmente su: a ) la creazione d i un dispositivo antidumping comunitario, destinato ad impedire agli oligopoli, siano essi privati o pubblici, di applicare eventuali misure d i strategia di mercato; b) lo stabilimento di regole di concorrenza destinate ad eliminare quei fattori che falsino la concorrenza t r a differenti prodotti energetici. sia negli scambi interni, sia negli scambi esterni, della Comunità. Inoltre, potrebbero essere prese in considerazione misure suscettibili di attenuare le conseguenze d i fluttuazioni congiunturali sulla economia cnergetica. Di fronte a questi obbiettivi a lungo termine cui quali, Come ho già accennato, è forse più semplice trovare un accordo, sarà necessario naturalmente individuare alcuni obbiettivi a breve termine. E' evidente ad esempio, che i problemi più gravi si pongono attualmente nei settore della concorrenza tra il carbone e il petrolio. Tra i fattori che insidiano la posizione del carbone, uno dei più importanti e dei più notevoli, infatti, è la concorrenza che proviene dai prodotti petroliferi. Tale concorrenza diviene ogni giorno più forte, data l'abbondanza crescente di petrolio grezzo. gli aumenti rapidi della capacità di raffinazione e il ribasso dei noli e dei prezzi. I vari indizi disponibili attualmente indicano che i forti ribassi dei prodotti petroliferi, particolarmente accentuati nel settore delllolio combustibile, continueranno nel futuro. Il ribasso dei prezzi dell'energia in Europa Occidentale e l a sostituzione crescente del carborie con i prodotti meno costosi sembrano quindi essere fenomeni futuri, Questa evoluzione deve inoltre essere considerata come un evento favorevole che permetterà uno sviluppo economico più rapido dell'area del Mercato Comune e, in particolare, delle regioni periferiche della Comunità, tra cui in primo luogo l'Italia, che hanno gravemente sofferto d a più d i u n secolo e mezzo per la loro distanza dai giacimenti carboniferi. Qualcuno potrebbe domandarsi fino a che punto i ribassi di prezzi, che caratterizzano l'attuale mercato dei prodotti petroliferi, continueranno. A questo proposito mi sia permesso fare un breve inciso. Mi sembra infatti opportuno ricordare la difficoltà esistente nel f a r e previsioni sulla evoluzione dei prezzi del petrolio. Tale difficoltà è ben maggiore d i quella relativa ai prezzi del carbone. Innanzi tutto, perché mentre il prezzo di vendita del carbone è strettamente legato a l costo d i produzione, il prezzo di vendita del petrolio è determinato soltanto in parte da tale costo. P e r di più è un fatto che i lavori effettuati dalla CECA negli ultimi otto anni hanno fatto progredire considerevolmente la conoscenza economica delle condizioni di produzione carbonifera. La conoscenza del mercato del petrolio è ben inferiore, sia perché l e stesse intenzioni dei Governi sono più vaghe, sia ancor di più perché è difficile individuare le direttive seguite soprattutto da coloro che sono chiamati in un gergo conosciuto I Grandi D. Abbiamo poi sentito stamane come il mercato petrolifero attraversi non soltahto una crisi di sovraproduzione, ma anche una crisi di struttura per cui non reggono più gli accordi a suo tempo vigenti per il sorgere di nuove iniziative in ogni parte del mondo e per gli intementi in alcuni paesi dello Stato. Lungi da me l'entrare nell'esame d i questo problema che è stato esaminato da Oratori che mi hanno preceduto da un punto di vista diverso. Ne traggo solo una conseguenza, che per ottenere un vero coordinamento delle politiche energetiche. occorre anche conoscere più a fondo i problemi petroliferi che si pongono in seno ai Sei Paesi della Comunità Economica, i cui Governi, tenendo presenti gli impegni assunti col Trattato d i Roma, debbono coordinare l e loro politiche. I n ogni caso, sia a breve che a lungo termine, sembra evidente che la industria carbonifera dovrà ridimensionarsi e che essa necessiterà di un certo periodo di tempo, ma anche di qualche garanzia per potersi adattare alle nuove condizioni. L'abbandono a se stesso del mercato della energia toccherebbe brutalmente centinaia di migliaia di minatori, che non avrebbero rapide prospettive di riadattamento, tanto più che essi sono concentrati in determinate regioni. I Governi e l e istituzioni comunitarie non avrebbero il tempo necessario per provocare l'impianto d i nuove imprese nelle regioni minerarie, che rischierebbero d i divenire delle regioni caratterizzate da una disoccupazione e sotto-occupazione strutturali. L'esperienza atprova, tuale belga ne è Poiché tale prospettiva è socialmente e politicamente inaccettabile, + chiaro che ill maricanza di un'azione europea coordinats, ogni Governo sarà portato ad agire individualmente. Tale azione isolata potrà evitare, almeno in parte, le conseguenze di cui sopra, ma il mercato dell'energia sarebbe disorganizzato, con delle conseguenze estremamente gravi per il progresso dell'integrazione europea e la p o s i biliti di isolamento d i mercati e riduzione di scambi anche petroliferi. I1 problema a breve termine, che si inquadra perfettamente nella prospettiva a lungo termine, è quello dunque di individuare una linea di azione che permetta di portare il prezzo dell'energia nelle Comunità europee al livello più basso, compatibile con un approvvigionamento per quanto possibile durevole, accordando nello stesso tempo alle imprese ed ai Governi dei Paesi produttori di carbone una certa sicurezza ed il tempo necessario per la razionalizzazione delle miniere e per la riconversione parziale della mano d'opera in sovrappiù e delle regioni carbonifere. In sintesi, il programma di azione potrebbe fondarsi sulle seguenti idee: C a) accettare un ribasso sostanziale dei prezzi dell'energia che corrisponda a i mutamenti strutturali acquisiti O prevedibili; b ) realizzare gli adattamenti dell'industria carbonifera che tale sostanziale ribasso dei prezzi dell'energia esige; C) prevedere un certo periodo d i tempo ed una certa garanzia per effettuare gli adattamenti dell'industria carbonifera, a l fine di evitare di introdurre una inutile instabilità nel mercato ed un aggravarsi del suo frazionamento; d) mettere in opera queste idee d i comune accordo, affinché i livelli rispettivi dei prezzi dell'energia nei Paesi membri non presentino scarti troppo grandi, che di Mercato mettere la Lo sforzo principale dovrebbe dunque portare sulla riduzione dei costi di produzione del carbone, attraverso un'opera di concentrazione dei giacimenti più produttivi, una chiusura dei pozzi e delle miniere a costi più elevati, una razionalizzazione a l fine di ottenere un incremento generale della produttività. Parallelamente, si dovrebbe procedere a l riadattamento dei minatori dalla riconversione delle industrie minerarie laddove occorra. Tali compiti incomberanno essenzialmente ai Governi nazionali, anche se i diversi programmi di risanamento dei bacini carboniferi dovranno essere discussi collettivamente in seno alle istituzioni comu- COMUNI D'EUROPA nitarie al fine d i poter scoprire e correggere l e eventuali contraddizioni e armonizzarle in. m o d o d a permettere l a progressiva realizzazione d i u n mercato c o m u n e dell'energia. Dovrà essere chiaro i n ogni caso c h e , o v e si deciderà d i c o m u n e accordo, e q u i n d i all'unan i m i t à , tra i G o v e r n i d e i S e i Paesi m e m b r i , c h e certe garanzie siano date ai produttori d i carbone, esse n o n dovranno essere concesse c h e per u n periodo limitato d i tempo. T a l i garanzie n o n dovrebbero portare c h e su quantità progressivamente ridotte n e i riguardi della produzione attuale, e su prezzi c h e n o n dovrebbero oltrepassare i prezzi m e d i attuali della energia concorrente, e c h e potrebbero anche essere in certi casi inferiori. V e n i a m o ora ai m e t o d i per giungere ai risultati preconizzati. Debbo dire subito, per quel poco o tanto c h e dirò, c h e esso rappresenta l'espressione del m i o pensiero e n o n può essere i n alcun m o d o considerato direttiva della Commissione Economica Europea, n é tanto m e n o dell'Inter-esecut i v o dell'energia in seno alle T r e C o m u n i t à , c h e n o n h a n n o ancora definito l e loro proposte. Consultazioni, c o m e h o detto. sono i n corso, studi approfonditi, pure. Infine si d e v e tener presente c h e quando gli Esecutivi delle C o m u nità formuleranno l e loro proposte, saranno i n definitiva i G o v e r n i c h e all'unanimità dovranno approvare i provvedimenti concreti. Infine aggiungo, per essere ancora più esplicito, c h e altri m e t o d i possono essere elaborati oltre a quelli c h e indicherò. per quanto mi sembri c h e questi abbiano il pregio della semplicità e perm e t t a n o u n a scelta d i fondo. Per tutto quanto h o detto fino ad ora e per queste u l t i m e considerazioni, penso c h e il miglior metodo o l a migliore soluzione sia quella che si indirizza ad eliminare, per quanto è u m a n a m e n t e possibile, l e gravi preoccupazioni della crisi carbonifera per a v e r e u n a base sana per u n coordinamento energetico. Questo m e t o d o n o n può essere, a m i o personale giudizio, c h e quello d i dare sovvenzioni ai produttori d i carbone sulla base naturalmente d i programmi d i risanamento carbon i f e r o e n e i limiti delle quantità previste in tali programmi. I1 finanziamento dovrebbe essere evidentem e n t e comunitario tramite u n ,qualche organo centrale c h e i Sei Stati potrebbero alimentare c o n u n a chiave d i ripartizione da determinarsi e c h e tenga conto della situazione economica ed energetica dei singoli Paesi. Questo metodo n o n solo è d i più facile attuazione, m a n o n includerebbe alcun ostacolo alle importazioni d e l carbone e d e i prodotti petroliferi e lascerebbe liberi i prezzi d i formarsi i n u n libero mercato ed il carbone sarebbe concorrenziale, in quanto la d i f f e r e n z a tra il prezzo d i costo e quello d i vendita sarebbe coperto dalle sovvenzioni. E' chiaro che u n altro m e t o d o consiste invece n e l limitare l e quantità d a offrirsi sul mercato contingentando l e importazioni del carbone, del petrolio e d e i derivati. U n altro metodo, infine, è quello d i regolare i prezzi fissando u n prezzo m i n i m o al d i sotto del quale potrebbe stimarsi pericoloso ribassare il prezzo dell'energia. I1 prezzo m i n i m o dovrebbe essere naturalm e n t e fissato ad u n livello basso per lasciare allPEuropa il beneficio d i u n approvvigionam e n t o d i energia a b u o n mercato, senza tuttavia compromettere l a riorganizzazione dell'industria carbonifera. Questi m e t o d i , c o m e h o detto, e qualsiasi altro metodo c h e venisse prescelto, debbono m a n t e n e r e fisso, a m i o giudizio, l'obiettivo finale d i creare u n mercato libero per l'energia senza protezione e senza sovvenzioni. Il m e t o d o prescelto dovrebbe poi tener presente i m u t a m e n t i d i fatto c h e sostanzialmente h a n n o cambiato la situazione dell'approvvigion a m e n t o energetico. Questo cambiamento d i situazione, c h e libera l'economia dei S e i Paesi dall'esclusiva dipendenza del carbone, c h e v e d e l'afflusso d i forti quantità d i idrocarburi. u n o sviluppo sempre maggiore dell'energia elettrica, c h e però avrà anch'essa i suoi l i m i t i , e v e d e il profilarsi dell'energia nucleare, h a posto l e premesse per u n a struttura industriale più differenziata e più armonica. Questa n u o v a evoluzione per d i più, c o m e h o già accennato, v a , senza d u b b i o a vantaggio delle zone periferiche rispetto ai tradizionali poli d i sviluppo, m a più vicina aile n u o v e f o n t i d i approvvigionamento. N o n bisogna, i n f a t t i , dimenticare c h e u n o d e i fattori c h e ha limitato l'espansione economica d i certe regioni o d i certi Paesi delle C o m u n i t à Europee, e in particolare dell'Italia, è stato l'approvvigionamento d i energia. L o straordinario sviluppo economico d i certi Paesi all'int e m o della C o m u n i t à , durante gli u l t i m i d u e cento anni, si è basato principalmente, i n f a t t i , sull'espansione dell'industria situata in prossim i t à delle grandi f o n t i d i energia, rappresentate dai giacimenti carboniferi. Nella R u h r , n e l nord della Francia e in Belgio, i centri industriali si sono sviluppati attorno alle m i n i e r e d a c u i dipendono. La scoperta d e l petrolio, c o m e f o n t e d i energia. h a reso molto più facile, durante gli u l t i m i decenni, portare l'energia laddove essa era m e n o direttamente accessibile, per il benessere delle popolazioni. Per d i più, il trasporto a lunga distanza del gas e dell'elettricità h a n n o reso possibile l o sviluppo industriale d i tali regioni, sviluppo dicembre 1960 c h e h a permesso u n i n c r e m e n t o notevole e costante d e l reddito nazionale delle popolazioni. Recentemente, l e applichzioni dell'energia nucleare h a n n o aperto n u o v e e incalcolabili prospettive d i ulteriori sviluppi. E' inutile sottolineare in tale quadro i v a n taggi c h e t u t t e l e zone dell'Europa meridionale, e i n particolare il Mezzogiorno e l'Italia, possono trarre d a questa n u o v a situazione. E' per questo c h e qualsiasi coordinamento della politica energetica d e v e porsi n e l quadro d i sviluppo economico generale d i ogni singolo Paese della C o m u n i t à e soprattutto n e l quadro d i sviluppo economico generale della C o m u nità n e l suo insieme. I prezzi delle d i f f e r e n t i f o r m e d i energia d e v o n o riflettere f e d e l m e n t e il costo d i produzione e la rarità relativa d i ogni tipo d i energia, m e n t r e il rapporto tra i l prezzo delle d i f ferenti f o r m e d i energia d o v r e b b e essere tale da permettere c h e ogni tipo d i energia sia utilizzato n e l m o d o migliore. Il nuouo volto delP Europa industriale di Henry Schwamm I1 Mercato c o m u n e n o n è soltanto per i S e t t e u n o dei principali poli d'attrazione per gli i n v e s t i m e n t i e s t e ~ i ,come è detto nell'articolo d i Henry Schwamm, Segretario generale del C e n t r e Européen d e la Culture d i G i n e v r a , 1, I1 n u o v o volto dell'Euroca industriale D , m a lo è anche per le industrie americane, che hanno aumentato, nel corso d i questi u l t i m i anni, gli i n v e s t i m e n t i i n Europa con u n r i t m o m o l t o più rapido che nelle altre parti d e l m o n d o . 11 loro totale ccmplessivo è praticamente triplicato tra il 1950 ed il 1959, per passare da 1.733 a 5.300 milioni d i dollari ( d i cui n e i S e i Paesi del Mercato comune, da da 637 a 2.194 milioni) m e n t r e , n e l resto d e l m c n d o , il loro valore globale è progredito d a 11.788 a 29.735 milioni d i dollari. T u t t a v i a , a n c h e nel m o m e n t o attuale, gli i n v e stimenti e f f e t t u a t i i n Europa n o n rappresentano p i ì ~ d e l 18% del totale degli i n v e s t i m e n t i delle società americane all'estero e , espressi i n percentuali a n n u e del prodotto nazionale lordo d e l Paese beizeficiario, si aggirano sull'l70 i n Francia, i n Italia e n e l B e n e l u x , su11'1,4% nella Repubblica federale tedesca e sul 3,2% i n Gru11 B ~ e t a g n a (raggiungono quasi il 27% i n Canadà). Fra i settori più favoriti, il petrolio occupa naturalmente u n posto preminente, tuttavia anche altre industrie, tra le quali quella chimica, quella delle costruzioni meccaniche (particolarm e n t e l'azrtomobilistica) e quella elettrica, occupano u n b u o n p x t o . Secondo recenti studi il ritmo degli investim e n t i americani in Europa, che già riveste grande importanza, è desti~zato ad aumeiztare rapidamente, tanto più che i costi d i produzione sono generalmente più bassi n e l contin e n t e europeo; tale evoluzione, che comincia già a preoccupare seriamente i sindacati a m e ricani, poiché i profitti realizzati vengono i n v e stiti d i n u o v o sul posto, è d i rilevante apporto per lo sviluppo industriale dell'Europa. U n esempio dell'interesse americano è, n e l campo dell'industria automobilistzca, il caso della. Ford che, in vista dell'importante espansioize d e l mercato automobilistico in Europa, e i n particolare n e l Mercato comune, per meglio conserv a r e la sua libertà d'azione i n tutta I'operazione europea, ha riacquistato quasi t u t t e le azioni minoritarie d i proprietà degli azionisti liberi. C i ò era stato acutamente previsto n e l docicm e n t o L e conseguenze dell'integrazione ecopreparato dal Political and nomica europea Economic Planning ( P E P ) per il Congresso Atlantico d i Londra d e l giugno 1959 ( v . a C o m u n i d'Europa n . 7-8, luglio-agosto 1959) d i cui ricordiamo le conclusioni: I1 Trattato d i R o m a è u n e v e n t o d e l più grande significato per Z'Eziropa occidentale e l'Alleanza Atlantica. L a sua motivazione è stata tanto politica che economica. Questa è la sfida c h e si presenta oggi al resto dell'Europa occidentale. A m b e d u e i m o t i v i indeboliranito le precedenti f o r m e d i cooperazione i n termini c h e segnelanno u n a n u o v a tappa verso l'unificazione europea. Gli interessi dell'Europa occidentale e del m o n d o intero saranno meglio serviti se i S e i , con u n a maggiore integrazione, saranno capaci d i sostenere u n più alto grado di sviluppo. C i ò accadrà molto probabilmente se, oltre a rimuov e r e le barriere al commercio, essi potranno accorciarsi s u positive politiche espansionistiche. E' il grado di espansione che soprattutto determ i n e r à se la C o m u n i t à sarà protezionista o liberista. S e il suo sviluppo sarà rapido, le importazioni d i materie prime aumenteranno anche esse ( b e n c h é m e n o rapidamente); saranno anche necessari mercati c h e si espandano verso l'estero, e perciò la C o m u n i t à sarà iizteressata n e i negoziati t a r i f f a r i col m o n d o esterno. Inoltre, u n rapido sviluppo renderà gli accordi preferenziali con i territori associati m e n o discrimitiatori i n e f f e t t i , e cosi aiuterà le relazioni c o n gli altri produttori d i materie prime. U n alto tasso di sviluppo r a f f o r z e ~ àanche la C o m u n i t à relativamente agli Stati U n i t i m e n t r e nello stesso t e m p o approfondzrà ancor d i più il divario tra l'insieme delle nazioni più ricche e d i quelle più povere. Essa d u n q u e porrà i n u n rilievo più forte c h e m a i il problema delle aree sottosviluppate. Così, m e n t r e il Trattato d i R o m a cerca in qualche m o d o d i provvedere u n a soluzione per u n n u m e r o d i paesi europei, n o n v i è dubbio che per il m o n d o nel suo complesso sorgeranno m o l t i altri problemi i11 u n a f o r m a più acuta d i prima a. I n ogni m o d o è chiaro che la c o m u n i t à ' Economica Europea, lungi dall'essere u n o strumento d i discriminazione, è già risultata - e più lo sarà quando passerà decisamente dalla fase d i unione doganale a quella d i autentica comun i t à economica - strumento esemplare ( s e m a i troppo t i m i d o ) d i u n i t à .europea. Questo passaggio, oltre ad impedire, f r a l'altro, la. formazione d i monopoli e d i cartelli, garantendo l'inserimento delle forze operaie nel grande processo d i trasformazione economica, porrebbe gli inglesi d i fronte ad u n salutare dilemma: continuare a sabotare ( e questa volta in m o d o d e l tutto aperto e frontale) l'integrazione europea (1). oppure avviarsi con gli altri sulla strada del federalismo. E. P. ,), 8 N o n passa settimana c h e n o n v e d a nascere numerosi accordi tra industriali europei. Questi accordi prendono f o r m e diverse secondo la (1) Per una documentata rievocazione di questo sabotaggio s a r à bene ricorrere al recentissimo «Preistoria degli Stati Uniti d'Europ:ì, di Achille Albonetti (introduzione di Roberto Ducci), Giuffrè Editore. Milano. 1960. C O M U N I D'EUROPA dicembre 1960 natura e le dimensioni delle imprese in questione. Trattano della produzione, deil'accesso alle materie prime, degli sbocchi o ancora delle prospettive e degli studi d i mercato. In certi sett3ri accade che taluna impresa nazionale non riesca più con le sue sole forze a fare lo sforzo di riadattamento strutturale, necessario a i nuovi compiti del mercato europeo, e decida per conseguenza d i fondersi con un'altra industria o di venderle azioni e diritti contrattuali. Lo sforzo d i razionalizzazione indispensabile può infine prendere la forma dell'assorbimento puro e semplice d i una società da parte di un'altra. Tutti questi sforzi tendono insomma a standardizzare i prodotti, a specializzare le aziende, a diminuire le spese di vendita e di trasporto, a dosare e a distribuire con più giudizio gli investimenti, grazie a una informazione più completa sulle virtualità dei mercati e, infine, a regolarizzare e a qualificare i prodotti. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare questo process:, d i riavvicinamento a livello delle imprese non si limita soltanto a l quadro del Mercato Comune. Questo è tuttavia sul punto d i divenire uno dei principali poli d'attrazione per gli investimenti dei ir Sette all'estero. Fiduciosi nell'avvenire della CEE numerose firme inglesi, svedesi, danesi e svizzere ritengono dover inserirsi a l più presto nel Mercat:, Comune. Ecco qualche esempio citato a caso: Leyland Motor e Standard Triumph (automobili) hanno impiantato delle officine d i montaggio nel Benelux. La più importante ditta francese d i dischi e di radio, si trova a l presente sotto controllo britannico; Meta1 Industries (strumenti d i controllo elettrico ed elettronico) ha fondato una filiale in Belgio e una succursale di distribuzione nei Paesi Bassi; D u n l ~ p(gomma) estende le sue attività a l continente. 43 DISTRIBUZIONE IN EUROPA DELLE IMPRESE DEGLI STATI UNITI (nuove operazioni 1958-1960) Gran Belgio Francia Germania Bretagna Altri Totale 31 26 313 22 20 9 115 11 12 11 8 93 - 1O 2 2 Italia Macchine e lavorati i n metallo . . . . . . . 35 63 55 47 56 Prodotti chimici e farmaceutici . . . . . . . 23 21 1O 10 . . . . 13 17 21 . 3 1O 1 Manufatti vari Petrolio . . . . . . Olanda P Totale (compresi i servizi) 77 115 96 28 P 75 107 69 51 590 Fonte: The C h s s n f a n h t t a n Bank già ben avviata attraverso accordi d i standardizzazione, d i fusione d'impresa e la creazione di raggruppamenti finanziari. La C.S.F. francese ha moltiplicato gli accordi: in Italia essa si è associata con Microparad (condensatori) e ha partecipato con la Finmeccanica alla creazione delle Industrie riunite elettroniche e meccaniche, specializzate nella fornitura d i materiale destinato all'elettronica professionale. In Germania essa si è associata alla Felten und Carlswerk per costituire la compagnia europea di cavi telefonici. S i potrebbero citare esempi a dozzine, ma l'elenco sarebbe noioso. Occorre tuttavia notare che i Sette partecipano attivamente a l movimento: 1'Electricol Musical Industries (Inghilterra) ha impiantato una officina a Colonia. E, prima tappa di un (C )) Investimenti svedesi si sviluppano nel campo della carta e delle costruzioni meccaniche. Una ventina d i Società danesi sono state fondate nello Schleswig del Sud per avere una porta aperta sul Mercato Comune e profittare delle riduzioni tariffarie i n seno alla Comunità dei Sei. Gli investimenti svizzeri si indirizzano più particolarmente verso il settore elettrico in Germania e verso le industrie alimentari in Francia e nel Benelux. Per così dire, tutte le grandi ditte svizzere intrattengono da lungo tempo filiali nei Paesi del Mercato Comune. Ma i responsabili di molte d i queste ditte (in generale degli cc holdings D ) sono attualmente assai preoccupati per la ripartizione dell'attività e l'equilibrio delle forze tra Casa madre in Svizzera e filiali situate nel Mercato Comune. L'esempio d i Brown Boocri è particolarmente eloquente. La filiale d i Brown Boveri a Mannheim ha realizzato l'anno scorso una cifra d i affari doppia d i quella della casa madre a Baden. In numerosi casi, si assiste a un rafforzamento della produzione delle filiali situate nel Mercato Comune per permettere a queste ultime d i far fronte alla concorrenza accresciuta dei Sei. S i può dunque dire che le industrie dei Sette che esportan:, tradizionalmente verso la CEE, pensano d i essere svantaggiati dalla tariffa e ~ t e riore coinune e per conseguenza investono sstto diverse forme in uno dei Sei paesi, per produrre all'interno del nuovo cordone doganale. Walter Hallstein La stessa cosa, d'altra parte, si verifica da qualche tempo in campo opposto: numerosi Sei D intendono accrescere i industriali dei piano d'espansione verso la CEE, la compagnia loro interessi nell'area dell'EFTA. britannica Ether Langhm Thompson ha proceS i può, per esempio, osservare nel Bollettino duto a Milano alla costituzione della filiale che ufficiale svizzero d i commercio che ogni giorno fabbricherà e metterà in commercio i prodotti nascono filiali di Società specialmente tedesche deila casa madre e che parallelamente, negoa Zurigo, Basilea, Glaris e Winterthur. zia accordi con altre ditte britanniche simiI1 grado d'interpenetrazione europea delle inlari, onde assicurarne la rappresentanza in Itadustrie varia secondo le branche. Esso è partilia. La società svedese Electro-Helios ha instalcolarmente elevato nel settore in espansione: lato a Francoforte una Società di vendita per costruzioni elettriche, costruzioni automobilistiapparecchi domestici e frigoriferi. che e chimiche. L'industria automobilistica dei Sei 6 sulla La CEE indirizza l e imprese d i costruzione difensiva; essa deve risolvere due problemi: in elettriche a formulare l'inventario delle loro primo luogo impedire attraverso una legislapossibilità e a elaborare i loro programmi in zione adeguata che officine d i montaggio, sia funzione di un mercato d i 165 milioni di clienti virtuali. L'integrazione di questa industria è americane che inglesi, facciano concorrenza aile proprie fabbriche; in secondo luogo, d i preferenza in comune, accordi sul tipo di quelli intercorsi tra Renault e Alfa Romeo e tra Simca e Fiat. P e r combattere la concorrenza britannica i 11 S e i . hanno installato nella Zona di libero scambio officine d i produzione e d i montsggio a Etton (Gran Bretagna), Svezia e Austria. Una sola parola sull'industria chimica. Contrariamente alla Francia e alla Germania, il Benelux, più consumatore che produttore, è nettamente libero-scambista. Un segretariato permanente dell'industria chimica europea (Sei e Sette) è stato creat:, a Zurigo su iniziativa tedesca, in vista dell'allargamento della I, piccola soluzione europea del Mercato Comune ... a uno spazio economico contenente tutta 1'Europa 1 9 . La conclusione è evidente: le frontiere naturali delllEuropa elettrica, automobilistica e chimica e - occorrerebbe aggiungere - tessile e degli orologi, non coincidono più con le frontiere del Mercato Comune e della Zsna d i Libero Scambio. Un accordo in questi settori chiave dell'economia europea sul piano industriale, permetterebbe un prim:, passo verso un accomodamento tra Sei e Sette. Comunque, dall'entrata in vigore dei Trattati d i Roma, le imprese hanno appreso a guardar lontano e di gran lunga più in là delle frontiere dei propri paesi e dei gruppi di paesi d i cui fanno parte. Non è forse questa la vera rivoluzione di questo decennio? INVESTIMENTI AMERICANI IN EUROPA OCCIDENTALE (in milioni d i dollari, a fine d'anno) 1950 1959 . Francia . . . . . . . . . . 204 795 217 632 . . . . . . . . . . . Repubblica Federale Tedesca Italia 63 313 . . . . . 84 244 . . . . . . . . . . 69 210 637 2.194 . . Svizzera . . . . . . . . . . 847 2.475 25 158 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 125 166 348 1.733 5.300 Paesi Bassi U.E.B.L . . . . . 1, Totale Mercato Comune . . . Gran Bretagna . . . . Svezia Altri . Totale Europa occidentale (Fonte: U.S. Department of current business) . . -- -- Gornrnerce Sunvey of COMUNI D'EUROPA L'istruzione dicembre 1960 lome investrmerrto produttivo C di Aldo Visalberghi Questo articolo è stato tratto dal numero speciale della rivista d'inforntazione e di tecnica Pirelli n dal titolo La scuola in Italia e i n Europa V , curata dal prof. Aldo Visalberghi, del quale ripubblichiamo in questo numero anche l'articolo (con il relativo nostro corsivo redazionale) N La Trentasettesima apparso i n 11 Scuola e Città del gennaio 1959 e riprodotto sul n. 3, marzo 1959 d i I( Comuni d'Europa n. Particolare attenzione meritano le osservazioni del prof. Giovanni Gozzer sul tema della competizione quantitativa n o qualitativa ., estratte dal voliime Primato tecnico e primato scolastico nella competizione mondiale della collana N Scuola europea ., Fratelli Palombi editori - Roma 1959, che abbiamo inserito in nota all'articolo cc L'istruzione come investimento produttivo ),. 11 . . CC )l * ::. Gli sviluppi tecnologici più recenti, particolarmente quelli che vanno sotto il nome di automazione ., hanno finalmente reso popolare una verità troppo spesso disconosciuta: fra tutti gli investimenti economici, fra tutte le norme di capitalizzazione la più' importante, la più indispensabile, la più produttiva, è quella volta a formare teste ben fatte U , secondo l'espressione del vecchio Montaigne. L'industria moderna. ed i n misura crescente l a stessa agricoltura, non possono prosperare che l à dove trovano non solo le 11 infrastrutture necessarie, ma principalmente dovizia di quadri e di lavoratori istruiti, agili di mente, capaci di qualificarsi e riqualificarsi i n base alle mutevoli esigenze di tecniche produttive in continuo sviluppo. La prosa scarna di un rapporto dell'OECE (L'Europe aujourd'hui et en 1960. Paris, 1957) ci sembra la più istruttiva a l proposito: u A lunga scadenza, una delle condizioni più essenziali dell'espansione economica sarà che l e disponibilità d i mano d'opera qualificata siano sufficienti. La proporzione del personale di direzione, dei ricercatori e dei tecnici aumenta senza posa nell'industria e la crescente complessità dei procedimenti industriali porta ad esigere competenze maggiori, a tutti i gradini della gerarchia. In altri settori, come l'agricoltura e l a distribuzione, il miglioramento della produttività non dipenderà tanto dalla messa in opera di nuove macchine quanto da qualità d'intelligenza nella gestione e nell'organizzazione n. Non si tratta dunque di cc educare 11 veramente la mente di pochi e di istruire alla meglio la massa. adattandola meccanicamente a i diversi compiti produttivi. Si tratta di educare nel modo migliore, secondo le sue possibilità, la mente d i ciascuno, perché la moderna società produttiva h a bisogno che ciascuno esprima senza residuo l e sue qualità intellettuali e morali se viiol avervi un suo posto e una sua funzione. Già si sta discutendo, in Europa e i n America, del p ~ v b l e m a (che presto si farà pressante in tutti i paesi tecnologicamente più sviluppati) dell'utilizzazione di coloro che hanno scarse capacità intellettuali. Non è un problema irresolubile, ma qui lo menzioniamo soltanto per far rilevare come, per esplicito presupposto e a maggior ragione, tutti i sufficientemente dotati devono aver modo di espandere l e proprie doti attraverso un'educazione adeguata. L'educazione media della popolazione è dunq u e uno dei più importanti fattori che favoriscono lo sviluppo produttivo e la sua localizzazione, è cioé un vero e proprio fattore orientativo degli investimenti. Questo fatto è altrettanto importante per l'economia italiana in sé considerata quanto per l'economia europea. Come in Italia il distacco fra Nord e Sud rischia di aumentare progressivamente (quanto a differenza nei redditi medi). così nello spazio economico della <I piccola Europa l'Italia potrebbe veder aumentare il distacco che separa il suo reddito nazionale u pro capite da quello degli altri paesi, a causa soprattutto del grado insufficiente d i istruzione dei suoi cittadini. D'al(1 tra parte, lo sforzo finanziario che l'Italia dovrebbe compiere per neutralizzare lo svantaggio sembra quasi esorbitare dalle sue possibilità economiche. I1 n piano decennale per la scuola 8 recentemente elaborato dal Governo italiano contempla una spesa straordinaria di quasi 1.400 miliardi in dieci anni. Ma tale cifra rappresenta poco più d i quanto sarebbe necessario per rendere effettivo di qui a un decennio l'attuale obbligo scolastico che si estende, come noto, fino a l compimento del quattordicesimo anno di età (1). A quante migliaia di miliardi dovrebbe allora ammontare lo sforzo finanziario sufficiente a elevare il livello italiano di istruzione a l grado raggiunto, per esempio, dalla Repubblica Federale Tedesca, dove la totalità dei ragazzi frequenta qualche tipo di scuola fino a i 16 anni compiuti, ed il 72 per cento fino ai diciassette? Si tenga presente che l a Repubblica Federale Tedesca spende, per abitante, il doppio dell'Italia in spese pubbliche per l'istruzione, ma le percentuali del reddito nazionale che i due paesi investono in tal modo sono assai meno sperequate; il 4 per cento la Germania, poco più del 3 per cento l'Italia (2). Anche spendendo il 4 per cento del suo reddito annuo in spese per l'istruzione, l'Italia impiegherebbe decennio per raggiungere l'attuale situazione educativa della Germania. Comunaue. l'insufficiente grado d'istruzione degli italiani rappresenta un danno non solo per l'Italia, ma anche, sia pure i n misura assai meno disastrosa, per l'avvenire deli'intera Comunità Economica Europea, allo stesso modo che l'arretratezza economica del Mezzogiorno rappresenta per tutto il nostro paese, non escluso il Nord, una pesante palla al piede nel progresso produttivo. Un aspetto più chiaramente evidente della giustezza d i queste considerazioni è quello connesso all'emigrazione: l'Italia vedrebbe ben volentieri emigrare una più forte aliquota dei suoi disoccupati verso altri paesi europei, ma gli altri paesi europei desiderano quasi unicamente immigranti qualificati. Se, a l limite, dovesse trattarsi di trasferimenti tutti stabili e tutti di famiglie complete (e tali tendono ad essere i trasferimenti di personale altamente qualificato), è evidente che l e spese necessarie all'istruzione e alla qualificazione (e sinanco quelle del puro mantenimento dalla nascita a l momento della emigrazione) del personale trasferito, sarebbero d a registrarsi in pura perdita per il paese d'origine e in netto attivo per i paesi dove andrebbe a svolgere la sua attività. E in effetti sia il trattato della CECA sia quello della CEE prevedono alcune forme di intervento supernazionale a parziale finanziamento delle spese per l a riqualificazione della mano d'opera. Questo è soltanto u n ipotetico esempio, sul quale dovremo ritornare. Ma esso illustra bene, ci pare, un altro motivo per cui è legittimo considerare su piano europeo i problemi scolastici. Comunque si sviluppi il programma di liberalizzazione degli scambi commerciali e del movimento della mano d'opera prospettato dalla legge-quadro sulla Comunità economica europea, gli squilibri di livello educativo fra u n paese e l'altro dell'Europa sono una grave remora allo sviluppo anche delle più prospere nazioni europee. Le provvidenze previste dai trattati entrerebbero in giuoco solo per cor(1) Il Ministero italiano della P. I. calcola infatti (molto ottimisticamente) a 600 miliardi la sola spesa neiemaria per la costruzione delle aule mancanti. I1 numem degli attuali inadempienti all'obhligo scolastico si può calcolare in circa 1.400.000 unità, di cui poco mono di 1.200.000 in età f r a gli 11 e i 14 anni. La loro scolarizzazio~ne richiederebbe un personale (insewante e non insegnante) di circa 136.000 unità, co'n una, spesa annua che p u r all'attuale bassissimo livello rekributivo si aggirerebbe intorno ai 100 miliardi. Considerando il pi.ogramma per il completamento dell'obbligo realizzato in dieci aiini al ritmo del 10 per cento annuale. la* spesa nel decennio sarebbe per il solo personale di almeno 460 miliardi, e perciò di 1060 rni1,iardi complessivi ai quali sarebbero d a aggiungersi le altre spese relative a miglioramenti retributivi e alle attrezzature, sussidi e servizi di cui una scuola moderna non può fare a meno. ( 2 ) I1 calcolo esatto per l'Italia è a tutt'oggi impossibile perché si i,mora il preciso ammontare delle spese scolastiche degli enti locali. reggere gli ulteriori scompensi determinati dall a stessa integrazione economica, e non è neppure certo che potrebbero riuscirvi del tutto. Nello stesso modo in cui l'Italia deve, con opera politica, riorientare quelle che sarebbero le linee di sviluppo N naturali della sua economia per eliminare lo q u i l i b r i o fra Nord e Sud, così gli organismi europei dovrebbero porsi il problema dello squilibrio esistente fra i diversi paesi membri, dopo che ciascuno di essi si fosse impegnato a investire per suo conto, nelle spese per l'istruzione, una stessa aliquota del suo reddito nazionale. Questo problema esisterebbe anche senza prospettive d i integrazione economica, ma in vista d i queste prospettive esso si articola ulteriormente, e si fa problema di vera e propria integrazione educativa, se non altro in quanto la libertà di movimento delle persone e delle famiglie esigerà l'equipollenza dei titoli di studio ed una alrneno parziale omogeneizzazione delle strutture. S e l a problematica ventilata a proposito del valore della tradizione umanistica europea puntava, nella misura (a dire il vero ancora non definita) della sua validità, sull'aspetto qualitativo, l e considerazioni successive investono invece l'aspetto quantitativo della questione (3). La inscindibilità dei due aspetti già emergeva dal necessario rifiuto di ogni comoda soluzione di educazione en masse, e dall'esigenza che sia data a tutti, e non solo a una élite, un'autentica formazione umana e civile, oltre che professionale. Ma anche per quanto riguarda la scienza pura 1) va notato che l'aspetto qualitativo oggi non è più scindibile da quello l> (31 Su questo tema ricordiamo quanto h a scritto il prof. Giovanni Gozzer su « primato tecnico e primato scolastico nella competizione mondiale »: Ecco donque i termini della gara per il primato scolastico che oggi si combatte; si:imo passati d a una competizione quantistica (« il numero di baionette ») ad una qualitativa (il « livello intellettuale dei contendenti ») : nell'unione Sovietica, stando alle tesi del1 Comitato Centrale del Partito Comunista e del Consiglio dei Ministri. si è passati dai nove milioni e mezzo di alunni del 1914 ai trenta milioni e mezzo di alunni del 195'i-58: in questo periodo il numero degli alunni delle scuo~le secondarie si è moltiplicato per 40: gli insegnanti che nel 1914 erano 280 mila, sono o'ggi oltre due milioni; negli Stati Uniti l'espansione dell'istmiome secondaria h a avuto nell'ultimo cinquantennio sviluppi di importanza non certo inferiore: per cui è lecito pensare che oggi veramente i grandi Paesi i quali entrano nella gara della competizione mondiale siano impegnati, sul piano smlastico, in una battaglia di importanza non minore di quella che essi stanno svolgendo sul piano ircnico, scientifico o militare. Sono documento di questa nuova dimensione del proi'lema scolastico, in America, le recenti discussioni sul problema educativo, le quali hanno dato luogo:. a d accesi contrasti, di importanza non inferiore a quelli che dividono le varie posizioni sul piano tecnico e scientifico, e a cui accenneremo in seguito. I n URSS è di Ieri la recente riforma scolastica. preceduta dai vari documenti e dibattiti: il discorw di Krusciov del 18 aprile 1958. il promemoria dello stesso Krusciov al Praesidium del Comitato Centrale, e infine la tesi del Comitato Centrale del Partito Comunista e del Consiglio dei Ministri dell'unione Sovietica, tradotto nella legge del 24 dicembre 1958 « s u l rafforzamento dei legami della scuo~la con la vita e suli'ulteriore sviluppo del sistema della ;Pubblicn Istruzione nell'unione Sovietica 8. Ci si domanderà o r a quale sia in questa Rara mondiale la posizione dei « Paesi intermedi » come l'Italia. Ci sembra senz'altm di poter dire che i Paesi intermedi si dividono in due gruppi: quelli che hanno realizzato una loro << istruzione generaliz'zata » (e cioè hanno creato un sistema scolastico con frequenza obbligatoria fino a livelli di 15. 16, 17 anni) e quelli che sono rimasti ancorati al vecchio sistema della scuola selettiva, con scarsa dinamica dell'istruzione obbligatoria e sviluppo quasi esclusivo dell'istruzione secondaria a tipo tradizionale nei settori classico-umanistici. L'Italia f a parte di questb secondo gruppo: nel primo cinquentennio di questo secolo. infatti, l'istruzione obbligatoria h a avuto un aumento assoluto di circa 1'80 per rento, buo'na parte del quale era assorbito dall'aumentn demografico: mentre la scuola secondaria ha avuto un contemporaneo aumento di oltre 1.300 per cento, ossia di circa 13 volte. I1 che significa, in sostanza, che Paesi quali si trovano in questa situazioiie non sono in grado di partecipare alla gara cui si diceva. ma solo in co,ndizioni di assistervi wme spettatori o come potenziale materia prima di trasferimento. In quanto sarebbe anzitutto necessario per essi realizzare la grande espansione che avrebbe dovuto aver 1uo.g-o nella prima metà di questo secolo, dell'istruzione generalizzata fino ai 14-15 anni. Naturalmente questa espansione non si può, né si sarebbe potuta operare d a sé, senza un contempo'raneo fenomeno di trasformazione sociale ed economica; ed è per questo che la situazione risulta oggi particolarmente difficile ». (N.d.R.). COMUNI D'EUROPA dicembre 1960 quantitativo relativo ai m e z z i a disposizione per la ricerca. Organismi c o m e l'Euratom i n t e n dono a f f r o n t a r e anche quest'aspetto del problem a europeo, m a solo i n u n settore limitato; e giacché la scienza n o n si f a per settori, rappresentano n o n tanto soluzioni, quanto indicazioni d i u n a strada c h e occorrerebbe battere fino i n fondo. Questa strada è quella d i u n a c o m u n e politica scolastica e culturale europea, l e c u i l i n e e direttive emergono con drammatica urgenza dalla situazione c h e siamo andati delineando e che d o v r e m o ulteriormente analizzare. genere dal solo sforzo nazionale dell'Italia, l'eliminazione d e l dislivello c u i s'è accennato. Com e il S u d d'Italia n o n potrebbe con l e s u e sole energie giungere ad allinearsi c o n il Nord n é per sviluppo economico, n é per sviluppo e d u cativo, m a h a bisogno d i u n a politica nazionale d i i n v e s t i m e n t i a ciò diretta, la quale ovviam e n t e attinga ai più alti redditi del Nord, così l'Italia avrà bisogno degli altri paesi della Com u n i t à Economica Europea o meglio d i u n a politica europea d i i n v e s t i m e n t i , soprattutto ai fini d i u n suo adeguamento educativo al livello dei paesi più progrediti. Ma ciascun paese, prima d i poter impostare c o n serietà i l problema d i u n a politica scolastica europea ad ampio respiro, dovrebbe dimostrare d i saper compiere per intanto il massimo sforzo i n m o d o autonomo, per esempio c o n l'equo criterio d i spendere per l'educazione il 5% del suo reddito nazionale. Oggi la Germania impiega i n tale settore circa i l 4% del suo reddito nazioSecondo i dati più recenti forniti dalla d i v i nale, l'Italia n o n supera i l 3,4% ( p u r considerandosi n e l calcolo anche gli stanziamenti degli sione statistica dell'UNESC0, l'Italia è al t r e n tasettesimo posto f r a i paesi del m o n d o i n fatto Enti locali, n e i l i m i t i i n cui è possibile f a r n e d i spese pubbliche per l'educazione. L'Italia una stima). spende i n f a t t i i n questo settore 10,l dollari per Affinché l'Italia arrivi a spendere f r a dieci abitante, m e n t r e gli Stati U n i t i v i spendono a n n i i l 5% del suo reddito nazionale per l'edu56.3 dollari, il Belgio 33,3, la Francia 31,8, la cazione è necessario c h e essa giunga, nello stesso Svizzera 28, la Repubblica Federale tedesca 27,6, n eri odo, a triplicare il bilancio della P.I. ( q u e l'Inghilterra 26,6 ( i l r a f f r o n t o , che sarebbe ancto se i l reddito cresce secondo l'ipotesi dello ch'esso interessante, c o n alcuni paesi dell'Est appare viziato dal fatto c h e l e altissime aliquote - U R S S 201,7, Polonia 90, Repubblica Democratica Tedesca 81 - si riferiscono al totale delle Ogni nuovo abbonamento a spese culturali e sociali L'Italia spende d u n q u e , per abitante, appena u n t e r z o d i q u e l c h e spendono i n m e d i a per la Comuni d'Europa istruzione i paesi con i quali dovrebbe realizzare l'unità economica nell'ambito del Mercato ci permette di inviare u n certo, ulteC o m u n e . Questo fatto è d i per sé abbastanza eloquente. L'urgenza d i m u t a r e questo stato d i riore numero di copie i n omaggio a cose si misura meglio se si t i e n e presente la cittadini che ancora non ci conoscono. constatazione, ormai familiare a chi studia la distribuzione geografica dei n u o v i investimenti. cioè delle n u o v e fonti d i reddito, i n economie amici, ABBONATEVI! ' i n sviluppo, c h e sono l e infrastrutture, o i fattori agglcmeranti, a determinare tale distribuzione, e c h e tra questi fattori alla scuola è ormai riconosciuto u n posto primario. schema V a n o n i , e la moneta m a n t i e n e i l suo potere d i acquisto, m a l e cose n o n m u t a n o soCiò significa, i n parole povere, c h e i n u o v i stanzialmente su basi ipotetiche d i v e r s e ) . i n v e s t i m e n t i t e n d o n o a concentrarsi là d o v e troOra, l'intero a m m o n t a r e complessivo del Piav a n o , tra l'altro, maestranze d i alta qualifican o decennale andrebbe moltiplicato per d u e zione e specializzazione. N e deriva o v v i a m e n t e volte e m e z z o per ottenere i l totale delle magu n a sorta d i circolo vizioso: arricchisce con giori spese n e l decennio che sono necessarie al r i t m o crescente quella zona c h e dispone d i u n risultato c h e abbiamo detto. miglior sistema scolastico, m a il miglioramento A. V. d i u n sistema scolastico n o n 6 possibile d o v e n o n vi sia reddito così alto da assicurarne il finanziamento. U n altro punto da t e n e r e presente q u a n d o si a f f r o n t i questo t i p o d i problemi è c h e la realtà U n o dei calcoli più d i f i c i l i è quello sulle con cui abbiamo a che fare è una realtà in m o spese per l'educazione che si f a n n o in u n a deterv i m e n t o : c h i voglia pianificare u n complesso d i m i n a t a Nazione, concorrendo ad esse - oltre i n v e s t i m e n t i scolastici c h e riescano sufficienti lo Stato e i privati - u n a folla d i E n t i puba colmare la distanza f r a il proprio ed altri paesi blici e semipubblici, direttamente e indirettai n u n certo n u m e r o d'anni, n o n d e v e dimentim e n t e . L a situazione dell'ltalia è probabilmente care c h e anche quegli altri paesi sono in m o v i ancora peggiore, dal punto d i vista del finanm e n t o ed avranno raggiunto al t e r m i n e del peziamento della scuola e dell'educazione, d i quanriodo traguardi b e n più avanzati c h e all'inizio. t o si ricavi dallo scritto d i Visalberghi. T u t t i i paesi, quale più quale m e n o , realizzano E allora? E allora, r i m a n e n d o n e l campo che continui incrementi degli stanziamenti pubblici ci riguarda, il problema del finanziamento della per l'istruzione, e si tratta d i incrementi spesso scuola è per gli europeisti d'Italia un promassicci. Secondo valutazioni del Bureau Interblema drammatico. Già i l Consiglio Direttivo national d'Education d i G i n e v r a gli incrementi dell'AICCE, i n u n a sua risoluzione dell'll gium e d i annui percentuali delle spese pubbliche gno 1957 che a f f r o n t a v a - tra l'altro - le per l'istruzione negli u l t i m i cinque anni per i prospettive della Comunità Economica Europea, quali si h a n n o i dati (relativi alla quasi totalità a f f e r m ò : ... Per quel legame che spesso sussidei paesi d i alto livello c i v i l e ) . sono stati i seste ( e d è previsto costituzionalmente) t r a gli guenti: 16% n e l 1953, 11,5% n e l 1954, 10,5% Enti territoriali locali e l'educazione pubblica nel 1955, 14,5% n e l 1956, 15% n e l 1957. (specie l'istruzione professionale, l'educazione E' chiaro, quindi, che per raggiungere il li- degli adulti, l'assistenza sociale n e l suo indivello m e d i o degli altri paesi della C E E i n un rizzo più m o d e r n o , ecc.) ... l'integrazione econocerto n u m e r o d i anni l'Italia dovrebbe proporsi mica europea postula per l'ltalia piani finand i compiere durante l o stesso periodo u n o sforzo ziari scolastici straordinari, nazionali, regionali, capace d i realizzare i n c r e m e n t i d i spesa per la locali, per portare il nostro Paese a un decopubblica istruzione d i u n ordine n e t t a m e n t e suroso grado d i capacità competitiva c c n gli altri periore a quello cui si è testé accennato. della Comunità. )n. Dobbiamo ora aggiungere che Sullo s f o n d o d i queste considerazioni v a conse tutta la Nazione n o n si impegnerà e n o n siderato a nostro avviso il progetto n o t o c o m e opererà un miracolo, a causa della depressione cc Piano decennale per la scuola se vogliamo scolastica l'integrazione economica europea si renderci conto dello stato della discussione in- presenta a noi sotto cattivi auspici. torno ad esso. N o n già che, a nostro avviso, si Stranamente siamo noi italiani a chiedere la possa pretendere da u n piano pluriennale e, i n libera circolazione della manodopera. Indubbia- La trentasettesima CC q). 8 45 m e n t e c'è qualche disponibilità, i n alcune spopolate zone francesi, per la nostra manovalanza agricola; e c'è qualche altra possibilità marginale q u a e là; m a in linea d i massima, nell'attuale situazione, con la tanto agognala circolazione d i manodopera si profila per noi l z prospettiva eventuale d i perdere i lavoratori qualificati - che rappresentano u n a ricchezza potenziale ( v o i sapete quale i n v e s t i m e n t o rappresenti ogni lavoratore qualificato) - e n o n d i impiegare i n o n qualificati. Questi u l t i m i forse varcheranno le ex-frontiere, i n cerca d i occupazione, senza che nessuno lo impedisca loro: m a la maggior parte dovranno essere r i m patriati d'uficio, dopo avere i n v a n o o f f e r t o un lavoro generico, che n o n serve più; o f o r m e ranno miserabili s l u m s o <I borgate ,, presso diverse città d'Europa. L'integrazione europea è u n a cosa seria, estrem a m e n t e seria, come u n a guerra o u n a rivoluzione: e richiede un i m p e g n o d i emergenza (ecco dove si può far mostra del proprio reale patriottismo) d a parte d i t u t t a la c3llettività nazionale. Di ciò m o l t i i n Italia n o n si sono ancora resi conto, e aspettano la m a n n a dal cielo. A parte quella delle m e r c i , noi n o n tanto dobbiamo puntare sulla libera circolazione della manodopera quanto s u quella dei capitali e dei servizi; e dobbiamo preparare t u t t e le nostre strutture e t u t t i i nostri territori - gli u o m i n i e le cose - a investimenti europei questi faranno s i che l'ltalia - l'ltalia sottosviluppata i n special m o d o - partecipi come parte i n t e grante, attivamente, alle fortune d i quella globale area d i sviluppo che sarà la C o m u n i t à e u ropea, che saranno gli Stati U n i t i d'Europa. Ma a realizzare ciò - ripetiamo - è i~ecessario un i m p e g n o d i emergenza: d i tutti, o v v i a m e n t e , per quanto d a queste colonne n o n possiamo n o n pensare particolarmente alle Amministrazioni locali e alle loro Associazioni e ai loro f u t u r i Organi rappresentativi. S i parla t a n t ~d i i n f r a strutture: m a la più importante delle i n f r a strutture è l'istruzione pubblica. E si parla tanto d i i n v e s t i m e n t i produttivi: e l'investimento più sicuramente produttivo è quello compiuto nell'istruzione pubblica. S i a m o d'avviso che sull'oggetto potrebbero v e n i r e utili notizie e suggerimenti dalla C o m u nità economica europea d e i Poteri locali: cioè d a quell'organismo, in cui i l Congresso d i Frascati dell'AICCE ha richiesto che si t r a s f o r m i la C o m u n i t à europea d i Credito comunale. 11: COMUNI D'EUROPA Organo dell'A.1.C.C.E. - n. 12 - dicembre 1960 A n n o VI11 Direttore resp.: U M B E R T O S E R A F I N I Redattore capo: EDMONDO P A O L I N I DIREZIONE E REDAZIONE: 684.556 Piazza d i T r e v i , 86 - R o m a - tel. 687.320 AMMINISTRAZIONE: I V i a Castelfidardo, 68 - R o m a Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma U n n u m e r o L. 100 - Abbonamento annuo ordinario 1,. 1.000 - A b b o n a m e n t ~ Sostenitore L. 5.000 per Privati e Enti Locali L. 100.000 per Enti vari. - Abbonamento benemerito L. 300.000 I versamenti debbono essere e f f e t t u a t i su c / c postale n. 1/27135 intestato a: e Banca Nazionale del Lavoro - Roma, V i a Bissolati - Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni di Europa - Piazza d i T r e v i , 86 - R o m a D, oppure a m e z z o assegno circolare - n o n trasferibile intestato a = Comuni d'Europa m. I), Autor. del Trib. di Roma n. 4966 dell'll-6-1955 -n UJTILDI mw - 1961 - C O N T I CORRENTI POSTALI Ia banca ideale il cassiere più ecoiiomico uomo d'affari FATEVI CORRENTISTI: col cc POSTAGIRO risparmierete nei vostri affari tempo e denaro vaglia postali a taglio fisso da L. Il nuovo servizio offerto al Pubblico dall'Amministrazione autonoma delle POSTE e delle TELECOMUNICAZIONI B A N C O D I SICILIA I S T I T U T O D I CREDITO D I DIRITTO PUBBLICO Patrimonio : . . . . . . . . . L.115.741.314.000 Riserva speciale Credito Industriale : L. 4.000.000.000 L a PRESIDENZA E DIREZIONE GENERALE I N PALERMO S E D I I N : AGRIGENTO, BOLOGNA, CALTAGIRONE, CALTANISSETTA, CATANIA, ENNA, FIRENZE, GENOVA, MESSINA, MILANO, PALERMO, RAGUSA, ROMA, SIRACUSA, TERMINI IMERESE, TORINO, TRAPANI, TRIESTE, VENEZIA. SUCCURSALI IN: MARSALA e PALERMO. 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