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Eventi Scala Giovedì 7 Dicembre 2006 Corriere della Sera
IL BALLETTO
LE SCELTE DA NUREYEV A PRELJOCAJ, SEMPRE PIÙ STRETTO IL RAPPORTO CON L’OPERA FRANCESE
L’«aria di Parigi» ha il profumo di donna
DI MARIO PASI
I
l Balletto della Scala, da quando ha come direttore Frédéric Olivieri, che è cresciuto a Palais Garnier e ha danzato a Montecarlo, parla con accento francese: c’è un
buon rapporto con l’Opéra di Parigi, che resta sempre un punto di riferimento altissimo anche per il gran numero di étoile che
la fanno grande, c’è anche una corsia privilegiata con i coreografi moderni, come Angelin Preljocaj di cui vedremo «Le Parc» in
un nuovo allestimento.
Anche i balletti firmati da Rudolf Nureyev sono in linea con la tradizione franco-russa, discendono infatti dal marsigliese Marius Petipa (e dal suo allievo pietroburghese Ivanov) e sono ora gestiti editorialmente dal parigino Bois; «La dame aux
camélias», che giunge finalmente a Milano, è di John Neumeier, ma il libretto ci viene da Alessandro Dumas, e siamo portati
sulle rive della Senna.
Nureyev è stato dal 1983 al 1989 diretto-
re del Corpo di ballo dell’Opéra; vi ha lasciato tracce profonde, e ha lanciato molti
giovani, su tutti Sylvie Guillem. La Scala
ora aspetta una nuova generazione di danzatrici e ballerini che possano fare squadra
attorno a Roberto Bolle e Massimo Murru,
visto che questo potrebbe essere l’anno degli addii di Alessandra Ferri.
Fatalmente, l’aria di Parigi esalta il ruolo
della «prima ballerina», del personaggio
femminile: è stato, questo, il segno distintivo del gran balletto romantico, dove l’uomo aveva un ruolo generalmente secondario. Ma anche dopo la riforma di Fokin e
Nijinskij nell’ambito dei Ballets russes di
Serge Djagilev il ruolo della donna è rimasto importante. I danzatori hanno conquistato la pari dignità, prima con Serge Lifar,
Famosa La «bella addormentata nel bosco» nella versione di Nureyev tornerà a maggio
proprio a Parigi, e poi con l’avvento dei virtuosi di scuola sovietica, Nureyev, Vassiliev, Baryshnikov. Ed è Vassiliev, in gioventù superbo danseur noble e inarrivabile
Spartacus, che cura i balli dell’«Aida», tornando in un teatro, la Scala, che lo ospitò
ai tempi del Bolshoi di Mosca.
La piccola Clara, nello «Schiaccianoci»
un po’ freudiano di Nureyev, è diventata il
simbolo della presa di coscienza di un’adolescente che sta per aprirsi all’amore e alla
maturità spirituale uscendo dal tunnel delle paure per conquistare la libertà; la principessa Aurora, nella «Bella addormentata», sempre di Nureyev, è la stella della speranza, la meraviglia dell’innocenza violata
(come ha raccontato anche Maillot con la
«Belle» dei Ballets de Montecarlo) che tuttavia alla fine trionfa; la brillante Kitri, nel
«Don Chisciotte» nureyeviano, è un altro
splendido ritratto di giovane coraggiosa e
ardente.
Ma la novità della nuova stagione, se restiamo nel culto del «femminile», è la «Signora dalle camelie», ovvero la dolce tragi-
ca eroina che poi, nell’opera di Verdi, divenne Violetta Valéry. Neumeier è americano, dirige l’Hamburg Ballett, ma da circa
vent’anni ha un rapporto privilegiato con
l’Opéra: vi ha realizzato, fra l’altro, il «Magnificat» e «Sylvie». La «Dame aux
camélias» è del 1978, ed è un bell’esempio
di balletto narrativo su un tema amato e
popolare. Per la sua Margherita Gautier
egli non ha usato le musiche della «Traviata», ma al contrario, romanticamente, ha
assemblato temi di Chopin. Il «Sogno di
una notte di mezza estate», che la Scala ha
portato nella tournée in Cina e che viene
riproposto a fine gennaio 2007, era stato
creato un anno prima.
La storia artistica di Angelin Preljocaj, ormai di casa alla Scala, è originale. Francese
di origine albanese, ha studiato con Merce
Cunningham a New York e dal 1984, con la
sua compagnia, propone una visione dura,
impegnata, dello stile contemporaneo, rileggendo molti classici della danza del
900, come «Les Noces», «Romeo e Giulietta», «Lo spettro della rosa», il «Sacre du
printemps», in chiave di rivolta, di protesta, di ricerca di libertà. «Le Parc», commissionatogli nel 1994 dall’Opéra , su una colonna sonora mozartiana, è diventato un
balletto di culto, punto d’incontro fra classico e moderno.
Alessandra Ferri
«GRAZIE SCALA
PER IL TUO PUBBLICO»
«Ha capito e apprezzato le mie fragili eroine». L’étoile darà l’addio con il ruolo di Marguerite
DI VALERIA CRIPPA
I
riflettori della nuova stagione del balletto saranno tutti puntati su di lei. Per l’ultima volta. Prima nel «Sogno di una notte di mezza estate» di George Balanchine (gennaio) e poi nella
«Dame aux camélias» di John Neumeier (marzo), Alessandra Ferri ballerà il suo passo d’addio alla Scala e alla danza. Sarà una conferma
nel «Sogno» e una novità assoluta per la Scala
nella «Dama delle Camelie». Una scelta,
CHI È
quest’ultima, non casuale. Il balletto, ideaAlessandra Ferri è
to nel 1978, è costruito
nata il 6 maggio
retrospettivamente,
1963 a Milano. A
nel rimpianto del lundieci anni è stata
go distacco dalla protaammessa alla
gonista Marguerite
Scuola di ballo della
che esce di scena, abScala e a quindici si
bandonando le proè trasferita a
prie spoglie umane, in
Londraalla Royal
un gioco di teatro nel
Ballet School. Nel
teatro in cui, fatalmen1980 ha vinto il Prix
te, appare l’ombra di
de Lausanne, è
un’altra eroina della
entrata nella
Ferri: Manon. Così
compagnia del
l’étoile milanese scioRoyal Ballet di cui è
glierà il legame d’amodiventata, dopo soli
re con il pubblico deltre anni, «principal
la Scala, accodancer», ha ricevuto
miatanil Sir Lawrence
d o s i
Olivier Award ed è
con questata nominata
sto balletballerina dell’anno
to, fortemente voluto,
dal «New York
e a lungo rimandato. E
Times». Nel 1985
che ora, per un gioco
Baryshnikov l’ha
del destino, si trasforvoluta nell’American
m a
i n
u n
Ballet Theatre di
debutto–addio.
New York di cui è
Signora Ferri, cotuttora «principal».
me mai affronta solo
Dal 1992 è «prima
ora il personaggio di
ballerina étoile» del
Marguerite?
Balletto alla Scala.
«Avrei dovuto danNel marzo 2005 è
zarlo con il Balletto di
stata nominata
Amburgo nel novemCavaliere della
bre 2001, ma poi ho
Repubblica dal
dovuto rinunciare perPresidente Ciampi.
ché ero incinta di Emma, la mia seconda figlia. Il ruolo di Marguerite è meraviglioso e tenevo moltissimo a interpretarlo. Questa donna è
un soffio per la sua umanità e sensibilità. Si ritrova a fare una vita di cui non è convinta, piena
di chiaroscuri. Non è una scellerata alla Manon,
inconsapevole: in lei c’è, al contrario, una consapevolezza che è straziante e dolorosa, la chiara visione di non poter avere l’amore che ha lun-
gamente desiderato e di essere destinata a morire. Per gradi. Perché muore prima nell’anima e
poi nel corpo».
Il binomio peccato–redenzione è una costante dei suoi ruoli... «Sì, anche in Manon la
morte arriva come una catarsi. Quello che colpisce però in Marguerite è che muore quando fi-
nalmente conosce l’amore, una passione che il
peso del suo passato non le permette di vivere.
Ho già danzato un passo a due estratto da questo balletto a Tokyo e ho ammirato le molte sfumature della coreografia di Neumeier: in certi
momenti Marguerite cerca disperatamente le
mani di Armand e se le porta al viso, come in un
bisogno molto toccante di sentirsi amata».
Come mai i suoi personaggi sono spesso
eroine granitiche che nascondono una straordinaria vulnerabilità umana?
«I personaggi, da soli, non contengono una
verità assoluta. Si colorano dal momento in cui
un interprete li fa vivere. È chiaro che un artista
si esprime attraverso i personaggi. Io li leggo in
questa chiave perché sono così. Mi sono scoperta forte nella vulnerabilità. Nel momento in cui
ho accettato la mia fragilità, l’ho superata. Di
conseguenza vivo i personaggi come vivo me
stessa. Ad esempio, Tatiana in "Onegin" è straordinariamente ingenua e si espone in modo avventato quando rivela a un uomo cinico di
amarlo. Ma proprio questa autenticità la renderà una donna forte. Carmen, con le sue provocazioni, è un personaggio che rispecchia com’ero
in passato, e talvolta sono ancora in qualche
guizzo. Desdemona, nell’"Otello" di Lubovitch
che ballerò a fine maggio al Metropolitan, è apparentemente una vittima: per amore accetta di
morire senza sapere perché viene uccisa. È un
gesto di grande dignità. Mi diverte sapere che
posso essere tutte queste donne insieme. Sono
contenta di finire la mia carriera con due ruoli
così belli e diversi come Marguerite e Desdemona. È un dono aggiunto che mi viene fatto e che
mi faccio».
Il 31 marzo terminerà il suo rapporto con
la Scala: quali tappe della sua carriera da étoile milanese considera più significative?
«L’aspetto che mi sta più a cuore è il legame
con il pubblico. Lasciai la Scuola per Londra a
quindici anni strappando bruscamente e il ritorno rappresentava un’incognita. Alla Scala la
gente mi ha conosciuta attraverso un repertorio
nuovo per Milano: ho insistito per portare qui
balletti del mio periodo londinese al Royal Ballet come "Histoire de Manon" di Kenneth MacMillan. È stato come importare un pezzo di cultura anglosassone che la compagnia ha assorbito. Attraverso la Scala, invece, ho avuto la possibilità di scoprire un balletto come la "Strada": è
stata un’immersione in un’opera profondamente italiana, coreografata da un autore, Mario Pistoni, che ha ben compreso il cinema di Fellini
e la musica di Rota. Grazie a questo balletto mi
sono sentita parte della compagnia. Uno scambio vivo. Fondamentale è stata per me anche la
possibilità di lavorare qui con Roland Petit».
In questa stagione danzerà per l’ultima volta il «Sogno» di Balanchine...
«Balanchine è stato un genio. Da un
punto di vista stilistico mi è molto familiare, dal momento che, quando sono
negli Stati Uniti, lavoro tutti i giorni con i
danzatori del New York City Ballet. Balanchine
è danza pura, musicalità. Il personaggio che interpreto, Titania, è leggero, e ben si contrappone all’intensa drammaticità della "Dama". Un
modo versatile per salutare con gratitudine la
Scala».
IL
Armonia Alessandra Ferri e Roberto Bolle ritratti da Fabrizio Ferri. I due ballerini saranno insieme ne «La Dama delle Camelie»
T EATRO
E IL
C ORRIERE
«Un palco
all’opera» di
Pierluigi Panza
è il libro (240
pagine, 30 euro)
della Fondazione
Corriere, in cui la
storia della Scala
è raccontata
attraverso
le pagine
del quotidiano
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