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SCHEGGE
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2 SCHEGGE Marzo
EDITORIALE
CARI LETTORI...
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Schegge
Schegge è un giornale
universitario aperto, che
nasce per dare spazio alle
idee di tutti e per stimolare
un dibattito che sia reale
ed argomentato: uno
spazio in cui confrontarsi
liberamente.
Le opinioni espresse
negli articoli di Schegge,
salvo dove diversamente
specificato, non implicano
quelle dell'Associazione
Universitaria Koinè ma
sono piena ed esclusiva
responsabilità degli autori
degli articoli stessi.
schegge@koinèonline. org
ccoci qui di nuovo per il nostro abituale appuntamento mensile. Con questo
nuovo numero abbiamo cercato come al solito di proporvi contenuti
interessanti che rincorrano quelli che sono i temi più scottanti dell'attualità senza
trascurare tematiche legate al costume e alla cultura. A questo proposito abbiamo il
piacere di proporvi un focus incentrato sulla crisi in Nord Africa, per cui
ringraziamo vivamente World in Progress e i suoi collaboratiori, ma anche Maria
Zanenghi e Caterina R. Marchese.
Piero Merola ci riporta pedissequamente gli importanti sviluppi sulla Facoltà,
che si sono verificati proprio in queste ultime settimane, con l'elezione del
presidente di Polo. Marzio Maria Cimini prosegue con la sua rubrica dedicata
all'Unità d'Italia, le cui celebrazioni sono imminenti, illustrandoci un raffinato
riquadro su ciò che è stato e sul perché sia necessario celebrare un evento tanto
importante, nonostante le voci dissezienti di quanti vi guardano con diffidenza.
Enrico Serra, invece, torna a parlarci del nostro Belpaese, con una riflessione sulla
nostra attualità poltica, che non smette di offrirci spunti. Lorenzo Rossi è più che
mai frizzante nel raccontarci della Radio e del ruolo di straordinario di avanguardia
culturale che ha ricoperto nella storia del XX secolo. Giuseppe Zangara ci guida in
un viaggio attraverso la scienza, illustrandoci ulteriori e importanti informazioni
sul processo evolutivo umano. Immancabili le nostre rubriche su cinema, libri,
musica, sport e l'oroscopo, nella speranza che vi siano sempre gradite. E
naturalmente Virginia Longo e le sue Curve Pericolose.
Infine voglio invitare, quanti siano interessati, ad interagire con la nostra
redazione, scrivendoci email di risposta agli articoli (schegge@koineonline. org), o
anche semplicemente per esprimere un vostro punto di vista, critiche e offrirci
suggerimenti.
Buona Lettura
Eva Spaccamonti
SCHEGGE realizzato con UBUNTU&SCRIBUS&THE GIMP nelle officine KoiNerd
SOMMARIO
P. Merola - Ruffeelings ................................................................. 3
A. Marziali (WiP) - [R]evolution .................................................... 5
M. Zanenghi - Tunisia anno zero .................................................. 7
C. R .Marchese - La rivoluzione del Nilo ...................................... 8
E. Serra - Toglietemi tutto, ma non la mia poltrona! ................... 1 0
M. M. Cimini - Viva Verdi! ............................................................1 2
L. Rossi - All day and all of the night ...........................................1 4
G. Zangara - L'epocale avventura dell'Escherichia Coli ..............1 5
L. Rossi - Uno sport bestiale giocato da gentiluomini .................1 7
E. Spaccamonti - Bloomsbury .....................................................1 8
P. Merola (Kalporz) - Disco del mese ......................................... 1 9
E. Spaccamonti - Icone cinematografiche femminili .................. 22
V. Longo - Curve Pericolose ....................................................... 23
MMC - Elogio .............................................................................. 26
Marzo SCHEGGE 3
RUFFEELINGS
Il punto sulla Facoltà di Scienze Politiche
DI PIERO MEROLA
D
opo due mesi di stallo, la Ruffilli trova una via
d'uscita. O meglio, sembrerebbe averne trovata
una. Le elezioni di mercoledì 2 marzo hanno decretato la
nomina del nuovo preside. Esito apparentemente
scontato in un improbabile mercoledì dai tratti postatomici per i cumuli di neve della notte precedente.
Scontato perché si è presentato come unico candidato il
prof. Paolo Zurla. Non così scontato se si considera che
tra i 68 aventi diritto in Consiglio di Facoltà, solo in 33
sono andati a votare. E a fronte di un quorum di 35
votanti necessario per rendere la votazione valida, il voto
degli studenti, presenti in sette su dieci rappresentanti, è
risultato decisivo.
Dopo una discussione-fiume a margine di un
Consiglio di Facoltà che ha palesato ancora una volta
spaccature, contrasti e visioni molto divergenti tra le
diverse componenti disciplinari, gli studenti hanno
deciso compatti di votare scheda bianca. La decisione di
votare senza “prendere parte” è stata concertata dai
rappresentanti dell'Interassociativo (la lista di KOINE' e
UDU) insieme ai due rappresentanti di Azione
Universitaria per lanciare segnali di unità e concordia.
Evitare l'astensione, esprimere le proprie perplessità, ma
allo stesso rompere lo stallo in caso di elezione non
valida. Non è la prima scelta condivisa tra le due liste,
nella comune volontà di impostare con un approccio
costruttivo e pragmatico la rappresentanza evitando
scontri politici o ideologici in un clima già poco
rilassato.
I prossimi mesi saranno fondamentali per decifrare il
futuro della “Roberto Ruffilli”. Com'è noto, il disegno
Gelmini prevede il superamento delle facoltà, creando in
sostituzione due strutture nuove: scuole e dipartimenti.
Difficile prevedere oggi il futuro della facoltà di Scienze
Politiche considerata dai ranking di riferimento come la
migliore in Italia. Banalmente l'unica certezza è la
garanzia dei corsi di laurea attualmente attivi o in
attivazione futura. E' bene infatti precisare, per scongiurare
crisi di panico collettive relative a un presunto ritorno
della Ruffilli a Bologna, che si tratterebbe unicamente di
un inglobamento sul piano burocratico-decisionale. I
corsi di laurea afferiranno infatti a uno specifico
dipartimento mono-disciplinare oppure a dei dipartimenti
multi-disciplinari creati ad hoc per raggiungere i requisiti
numerici necessari. Il bargaining sull'istituzione delle
scuole è ancora più complesso, dal momento che
rappresenterebbero una comoda soluzione cuscinetto per
molte piccole facoltà quanto per i Poli decentrati. Dopo
l'assemblea d'Ateneo organizzata dal Rettore per fare il
punto sulla bozza di riforma dello Statuto, la cui
definizione dev'essere ultimata come previsto dalle legge
240 entro il 29 luglio, sono venuti fuori alcuni particolari
importanti. I dipartimenti dovranno avere almeno 50
membri, requisito cui rispondono a oggi solo 20 dei 70
dipartimenti. La commissione Statuto sta quindi vagliando
varie ipotesi, tra cui quella di accorpare le attuali 23 facoltà
in 5 scuole: area delle scienze umanistiche, della medicina,
dell’ingegneria, politologica giuridica ed economica e
infine delle scienze. Il dibattito anche in Ateneo è molto
acceso. I primi rumour importanti verranno fuori in
Senato Accademico l'8 marzo e nel CDA del 15 marzo.
In questi giorni inizieranno i 45 giorni di audizioni
della commissione-Statuto con tutte le componenti
universitarie, quindi i successivi 45 giorni saranno
dedicati ai dibattiti nelle facoltà e nei dipartimenti.
Ed è qui che rientra il discorso sul futuro della facoltà.
Non si può sperare che sia l'importante investimento per
il Campus la chiave per la salvaguardia del Polo
Forlivese e delle sue facoltà. La questione non è tutta lì,
purtroppo. Scienze Politiche è per definizione una
facoltà multi-disciplinare. Il respiro internazionalista del
SID e il taglio prettamente sociologico dell'altra filiera
arricchisce il puzzle di competenze nonché di
appartenenze dipartimentali. Sarà un bel dilemma far
quadrare conti e numeri nel riassetto della Ruffilli tra
corsi di laurea e dipartimenti di riferimento tra storicogiuristi, politologi, linguisti, economisti e sociologi. O
riuscire far rientrare in tutto in una struttura decentrata,
una sorta di scuola territoriale, possibilità non
espressamente ostacolata dalla riforma laddove paventa
“forme sostenibili di organizzazione della didattica e
della ricerca su base policentrica”.
Nel programma del prof. Zurla, personaggio molto in
vista a Forlì per il suo passato di preside di Polo, non si
staglia un orizzonte molto nitido sulle tendenze che la
nuova presidenza cercherà di portare ai negoziati con
Bologna, al di là della volontà di trovare la formula
giusta per mantenere una struttura simile a quella del
Polo Scientifico-Didattico forlivese.
Il docente di Sociologia e Politiche Sociali esprime la
volontà di mantenere e valorizzare le riforme didattiche
approfonditamente trattate in Ruffeelings di gennaio “in
4 SCHEGGE Marzo
difesa dell’alta qualità didattica raggiunta, l’elevato
grado di internazionalizzazione, il soddisfacente livello
dei servizi agli studenti e l’ottima reputazione della
Ruffilli”.
Sembrano quindi profilarsi pochi spiragli sull'eventuale
introduzione di insegnamenti per un curriculum
criminologico nel terzo anno del corso in Sociologia
generale che sostituirà dall'anno prossimo SSCS.
Questione molto spinosa quella della perdita di
peculiarità di un corso con molto appeal, su cui i
rappresentanti hanno già cercato di influire in Consiglio
di Facoltà con un voto di astensione e con rilievi in
Commissione Didattica.
Proprio rispetto alla Commissione Didattica è legato
un altro punto del programma della nuova presidenza.
L'organo paritetico è oggi composto da 7 rappresentanti
degli studenti, dal preside, da 6 presidenti dei rispettivi
corsi di laurea oltre che dai 2 responsabili per
Orientamento e Internazionalizzazione (privi di diritto di
voto). La volontà di introdurre un presidente di
Commissione Didattica rappresenta certamente
un'opportunità affiancando al preside una figura più
preparata su questioni più attinenti all'organizzazione
didattica. Ciò sarebbe proficuo non solo in ambito
interno, ma anche nei sopra menzionati colloqui
esplorativi del Rettore per la ristrutturazione delle
facoltà. D'altro canto potrebbe avvelenare un clima già
non ideale nel caso in cui venisse proposto un nome
divisivo o fortemente legato a una delle componenti
disciplinari. Lo stesso discorso varrebbe ovviamente per
“l’istituzione di un Consiglio di Presidenza, con compiti
istruttori e di coordinamento, cui parteciperebbero
membri appartenenti a tutte le componenti presenti in
Consiglio di Facoltà (ordinari, associati, ricercatori e
studenti) ”. Gli studenti si sono collocati in una posizione
intermedia in Consiglio di Facoltà tra i 29 votanti del
prof. Zurla e il resto degli astenuti.
Al di là di perplessità e convinzioni personali, il
proposito di tutti i rappresentanti sarà quello di
continuare a dialogare e collaborare con la nuova
presidenza e tutte le componenti del Consiglio per
difendere un patrimonio quanto mai a rischio.
EMERGENCY SEX POINT
Nell'ambito del progetto sull'educazione
sessuale promosso dall'Associazione
Universitaria Koiné, apre nella
Sala Polivalente di
Via Valverde 15, l 'Emergency Sex Point.
Il primo punto di distribuzione di
profilattici (marchio Durex, scadenza
luglio 2015) a offerta libera è aperto,
come le due aule di studio gestite
dall'Associazione, dal lunedì al venerdì,
dalle 9 alle 24.
Non siate timidi, vi aspettiamo!
Marzo SCHEGGE 5
WORLD IN PROGRESS
jointhewip.wordpress.com
[R]EVOLUTION
World-in-Progress (WiP) è una rivista-laboratorio che nasce da un’idea condivisa da un gruppo di giovani
studenti e studiosi interessati all’approfondimento delle relazioni internazionali contemporanee: creare uno spazio
all’interno del quale scambiare opinioni, esprimere pareri e confrontare visioni su quel mondo che costituisce, allo
stesso tempo, l’oggetto delle nostre analisi e l’ambiente fisico delle nostre esperienze soggettive. Ogni persona
coinvolta in questo progetto è per sensibilità, per esperienza, per formazione o per puro piacere intellettuale
particolarmente interessata all’evoluzione del contesto storico, politico, economico, sociale e culturale di una
determinata area geografica. Il criterio geografico, inoltre, è stato l’unico a guidare la suddivisione della rivista in
otto distinte sezioni: Africa, Asia, America Latina, Europa Occidentale, Europa Orientale, Medio Oriente, Relazioni
Interamericane e Stati Uniti. L’obiettivo del progetto è duplice. Da un lato predisporre in favore degli autori che vi
collaboreranno una cornice nella quale rendere concreti pensieri e analisi spesso confinati esclusivamente
all’astratto mondo delle idee, cercando di essere una tela che gli autori stessi sceglieranno come, con quali colori e
mediante quali strumenti dipingere. Dall’altro fornire al lettore interessato alle relazioni internazionali uno sguardo
nuovo sulle vicende del mondo, uno strumento di ricerca e di approfondimento, ma anche di stimolo e di dibattito,
ponendosi come un’occasione da cogliere per vivere una volta di più e in maniera immediata uno di quelli che,
nonostante tutto, continua a restare uno dei vantaggi dell’era globale: avere il mondo a portata di mouse.
«Asfur tal min es-shubbak… »
«Uccellino hai guardato dalla finestra… Gli ho detto di
non aver paura, di guardare fuori il sole che sorgeva, e
ha visto il sole che sorgeva, ha guardato la foresta e ha
visto le onde spumeggianti della libertà… »
L
e parole di una canzone famosissima nel mondo
arabo, simbolo di una rivoluzione sempre agognata
e mai completamente compiuta acquistano in questo
periodo un significato del tutto particolare. I
cambiamenti che stanno scuotendo il Medio Oriente ed il
Nord Africa hanno una portata epocale che solo con il
tempo saremo appieno in grado di cogliere; per ora
possiamo limitarci a commentare gli eventi e tentare di
analizzarli, ma nella consapevolezza che tutte le
convinzioni accumulate negli anni e sedimentate dal
pericolo delle etichette culturaliste (come la presunta
incompatibilità tra paesi arabi e democrazia, o la
passività degli arabi di fronte ai regimi più autoritari)
possono rivoluzionarsi nel giro di un mese. L’entusiasmo
che si è acceso nelle piazze arabe a seguito della caduta
di Ben Ali in Tunisia ha raggiunto picchi esorbitanti con
la vittoria di piazza Tahrir. L’emozione che ha
accompagnato quei momenti è legata alla
consapevolezza che si stia vivendo un tornante storico
dell’importanza pari agli eventi che hanno caratterizzato
l’est Europa nell’89, anche solo su un piano puramente
emotivo. Nonostante tutti i timori razionali riguardanti
l’incertezza di ciò che accadrà in seguito, nella notte in
cui Mubarak ha annunciato la sua dipartita dopo
trent’anni di esercizio del potere autoritario, la
sensazione di fierezza provata dagli arabi è stata
probabilmente qualcosa di unico nella storia di questa
tormentata regione, ed estremamente toccante. Le rivolte
del venerdì – a distanza di quasi un mese infatti i dittatori
tunisino e egiziano sono fuggiti dal proprio paese nello
stesso giorno di festa, pressati da una piazza non più
disposta a lasciare quello spazio pubblico di cui si è
riappropriata – hanno avuto echi in tutta la regione. Ora,
però, le proteste si sono trasformate in veri e propri
massacri in paesi come la Libia, la cui chiusura elevata
rende il costo della mobilitazione estremamente
drammatico, tanto da richiedere da più voci un intervento
internazionale al fine di fermare quello che si sta
profilando come un vero e proprio crimine contro
l’umanità.
Quello che ci si domanda in questi giorni tumultuosi è
perché, perché ora, improvvisamente, perché non
qualche mese fa, perché non tra qualche mese. La
risposta che mi è stata data ogni volta che ho posto
questa domanda ha richiamato la classica goccia che fa
traboccare il vaso. Semplicemente, quando la misura è
colma, nessuno può sapere quando arriverà quel minimo
evento che innesca la reazione. E, per quanto sembri
scontato, questa immagine è esemplificativa di come dei
regimi in realtà illegittimi si siano assicurati la
sopravvivenza per anni attraverso un misto di politiche
repressive ed inclusive; è però sufficiente che qualcuno
gridi che il re è nudo per svelarne la vera realtà
autoritaria e repressiva. Il filosofo Slavoj Žižek ha
ricordato con il suo articolo pubblicato qualche tempo fa
nel Guardian la scena che, mutatis mutandis, meglio
evoca questo repentino e inaspettato quanto ineluttabile
momento: il dimostrante descritto da Kapuscinski in
Shah-in-Shah il quale, intimato da un poliziotto di
andarsene, si rifiuta di eseguire l’ordine; un gesto che ha
sorpreso il potere abituato alla cieca ubbidienza, e che ha
in qualche modo dato il via agli eventi che hanno portato
poi milioni di persone in piazza, consapevoli che quello
che era inimmaginabile fino a poco tempo prima avesse
invece varcato i confini del possibile.
6 SCHEGGE Marzo
Diverse considerazioni vanno fatte all’indomani degli
eventi che stanno infiammando in questo momento la
regione. Prima di tutto, in questi giorni è diffusa la
tendenza di vedere in questa propagazione di rivolte nei
paesi arabi una teleologia intrinseca, un percorso
obbligato verso la Democrazia a cui ormai nessun regime
può sottrarsi, in una sorta di effetto domino. Purtroppo,
l’essenzialismo è riduttivo e fuorviante sia che tenda a
sostenere un’intrinseca culturale incompatibilità tra paesi
arabi e democrazia, sia che non colga le particolarità dei
vari contesti politici e sociali e tenda ad applicare dei
principi assoluti e positivisti, la cui realizzazione sembra
necessaria e naturale, come l’ideale astratto di
democratizzazione. È importante dunque capire come,
per quanto potente e contagiosa sia la consapevolezza
della possibilità del cambiamento, le rivolte che scuotono
e insanguinano il Medio Oriente vanno comprese nella
loro specificità e nella loro complessità. Questo – non
togliendo nulla all’importanza dell’effetto che le
rivoluzioni tunisina ed egiziana hanno avuto negli altri
vicini arabi, spingendoli, appunto, ad immaginare di
potersi mobilitare nonostante i costi altissimi – non deve
condurre a pensare che esistano degli automatismi per i
quali quello che è successo in Egitto deve ripetersi in
maniera uguale in contesti politici e sociali differenti.
Infatti, le dinamiche di regimi molto più autocratici ed
esclusivi (come quello libico e siriano) e di monarchie
(come quella giordana e marocchina) sono differenti.
Non significa che il cambiamento non sia possibile, e che
i regimi locali non debbano temere le pressioni popolari.
Piuttosto, bisogna analizzare come queste pressioni si
manifestino in modo differente, e come anche le risposte
non siano le stesse. Infatti, mentre Gheddafi sta facendo
strage dei suoi manifestanti in un’ escalation di follia
cieca, nel regno hascemita le richieste si concentrano su
delle riforme costituzionali che tolgano al re il potere di
nominare e sciogliere i governi senza che questi siano
dunque responsabili politicamente del responso delle
urne. In un contesto in cui la monarchia riveste una
legittimità derivante da una presunta autoproclamata
natura superiore, fungendo da fattore collante di una
società divisa da molteplici tensioni, prima fra tutte
quella tra transgiordani e palestinesi, il re non è il
bersaglio diretto delle proteste. Questo non vuol dire
però che, se non si avvia un processo di cambiamento
reale che parta dalle suddette riforme costituzionali che
di fatto limiterebbero il potere monarchico, alla lunga
non sarà messa in discussione la stabilità del regime,
come già le critiche più esplicite rivolte al monarca e al
suo entourage dimostrano.
In secondo luogo, bisogna tener conto delle istanze
conservatrici che si manifestano in questi giorni insieme
alle richieste progressiste verso una reale riforma. In
Egitto, come in Giordania, quando si parla di riforme il
significato intrinseco di questo termine non è univoco, e
bisogna distinguere quali obiettivi siano rappresentati
dalla richiesta comune di cambiamento. Infatti, mentre in
Egitto l’ élite militare che si opponeva alla successione di
Gamal Mubarak al potere ha in qualche modo cavalcato
le proteste della piazza per i suoi fini personali e del
tutto diversi da chi si mobilitava per la democrazia, allo
stesso modo in Giordania alcuni membri provenienti
dalle compagini tribali hanno rivendicato il ruolo
centrale nella legittimazione del regime, e il ripristino
dei loro privilegi che oramai considerano erosi
dall’invasione palestinese. Questo non significa che tali
pressioni conservatrici – perfettamente esprimibili dalla
formula «cambiare tutto affinché tutto resti uguale» –
siano poi quelle che domineranno, ma bisogna tenere
conto di tali differenze nelle istanze di riforma nel
momento in cui si analizzano gli eventi che stanno
scuotendo gli stati arabi.
Infine, è necessario spendere alcune parole rispetto al
pericolo paventato dall’occidente, e cavalcato da Israele,
che queste rivoluzioni nascondano delle velleità di
islamizzazione analoghe a quella iraniana del 1979.
Molto si è già scritto a riguardo in questi giorni, ed
ancora una volta è necessario restituire ai contesti le loro
peculiarità. Le società in questione, quella egiziana,
come quella giordana, nelle quali la Fratellanza
Musulmana ha un forte impatto politico e sociale, sono
già profondamente islamizzate, risultato di un lavoro
contro-egemonico portato avanti dai regimi per
contrastare l’influenza dei movimenti islamisti, radicati
nella società attraverso opere caritatevoli ed istituzioni
non governative. Da più parti si è fatto notare come
nessuno stia brandendo slogan che chiedono l’istituzione
dello stato islamico. Si rivendicano riforme concrete,
sociali, politiche ed economiche, e gli stessi partiti e
movimenti islamici si fanno portatori di queste istanze,
forti di un pragmatismo politico e di una moderazione
che hanno acquistato negli anni di coesistenza con il
regime. L’esempio stesso dell’Iran è esemplificativo in
questo caso, in cui i manifestanti scendono in piazza per
chiedere un cambiamento contro quel regime che si
auto-proclama attuazione dell’unico stato islamico della
regione.
Dunque, completamente fuori luogo, fuorvianti e
inappropriate sono le dichiarazioni che in questi giorni
paventano il pericolo del fondamentalismo che minaccia
l’Europa come effetto possibile delle rivolte arabe. Il
problema non è l’islamismo radicale, ma un
autoritarismo incontrollato che ha colmato la misura, e
l’incapacità di accettare che chi si sta mobilitando a
costo della vita lo fa per quei diritti di cui i paesi
occidentali si sono sempre riempiti la bocca.
Naturalmente l’Europa, e l’Italia in primis, deve
ripensare alle politiche attuate negli ultimi anni verso i
vicini mediterranei, volte al sostegno di regimi autoritari
per assicurarsi il controllo delle frontiere e
l’approvvigionamento energetico. La mancanza di
lungimiranza intrinseca in queste politiche, e la vergogna
e l’imbarazzo di un paese che, in un momento di
emergenza umanitaria tale, si dimostra preoccupato ad
evitare i profughi che la sua stessa cecità ha contribuito a
produrre appare in tutta la sua assurdità.
jointhewip.wordpress.com
Alice Marziali
Marzo SCHEGGE 7
TUNISIA ANNO ZERO
IL 2011 ERA STATO DICHIARATO DAL PRESIDENTE BEN-ALÌ
L’ANNO DEI GIOVANI.
E COSÌ SIA!
Da più di un mese e mezzo, sugli schermi dei televisori, dei computer e sulle pagine dei nostri giornali preferiti, la
piazza tunisina ha lasciato il posto alla piazza egiziana, ed ora è il tempo della piazza libica. I riflettori sono volti
altrove, la luce su Tunisi si fa più fioca ma non certo s’è allentata la fiamma dei suoi cittadini che ancora oggi si
riversano nelle strade per rivendicare la loro rivoluzione, quella che ha il sapore della libertà e il profumo dei
gelsomini.
C
osa accade nella Tunisia del dopo Ben-Ali? Quali
sono le forze in campo? Che tipo di posizione deve
prendere la comunità internazionale, i singoli stati, ma
soprattutto, per quanto ci riguarda, l’Unione Europea?
L’importanza cruciale degli avventi post quattordici
gennaio sono da guardare come banco di prova, la
Tunisia non ha solo aperto la strada all’abbattimento del
muro della paura verso un dittatore ma ha l’onere d’essere
un esempio da seguire nella via della ricostruzione, in
quanto cronologicamente si trova ad essere la prima
pedina del cosiddetto “effetto domino”.
I protagonisti della battaglia per la libertà, come
abbiamo letto in tanti commenti giornalistici ma anche
scientifici, sono stati i giovani sotto i trent’anni, quasi la
metà della popolazione, per la maggior parte
istruiti e pertanto coscienti al di là del
brontolio della pancia. Se è vero che
l’iniziale sommovimento era sintomo di
un aumento dei prezzi di prima necessità e
del disagio per le condizioni socioeconomiche di un Paese il cui PIL annuo al
5% non era ridistribuito equamente, ben
presto s’è trasformato in una lotta politica.
La scintilla, quella lanciata da Med
Bouaziz, in un villaggio remoto del
meridione, lontano dagli splendori della
costa dei villaggi turistici o dalla city
della capitale, Sidi Bouzid, ha innescato la
rivolta contro un potere che aveva
calpestato la dignità del suo popolo. La
rivoluzione della dignità, come la chiama lo
scrittore Hbib Selmi, ha colto il mondo di sorpresa, ha
dato il via ad un processo irreversibile che porterà il
mondo arabo a riconsiderare la sua relazione con il
potere interno, ma porterà anche una novità in ambito
delle relazioni internazionali. Abbiamo scoperto che
anche i popoli arabi amano la libertà, che i principi
democratici non sono solo un retaggio illuminista
esclusivamente occidentali. Ci siamo scoperti razzisti più
che mai poiché in nessun momento avremmo pensato,
sotto l’influsso malefico dello spauracchio islamista, che
i popoli arabi, quegli stessi camerieri che sulla spiaggia
di Djerba ci servivano il tè alla menta, avrebbero lottato
e si sarebbero anche fatti ammazzare per i loro sacrosanti
diritti civili e politici.
Stiamo entrando in una nuova era, la sponda
meridionale del Mare Nostrum è ora protagonista della
storia, come in un gioco ciclico ci stiamo scambiando i
ruoli: nelle piazze italiane scendiamo per non farci
togliere tutto ciò che abbiamo ottenuto in secoli di storia
dei diritti, nelle piazze magrebine, scendono per
ottenerli, per prenderseli, a costo della vita. La piccola
Tunisia ci sta impartendo una bella lezione alla faccia
della grande UE che fino a ieri sosteneva Ben-Alì, in una
scala gerarchica di necessità in cui la stabilità aveva la
pole position. I criteri di real politik , eredità della guerra
fredda, dovranno da oggi in poi essere rivisti.
Oggi, nelle strade della capitale come Avenue de la
Liberté, Avenue Hbib Bouguiba, quegli stessi giovani
diplomati che hanno capeggiato la rivoluzione laica,
lontana da ogni elemento di stampo religioso, e che sotto
i proiettili della polizia sono stati feriti, quando non
ammazzati, continuano a rivendicare una
transizione che sia davvero democratica.
Di conseguenza sono insofferenti alle
personalità del RCD, partito di Ben-Alì,
che tuttora sono alla guida: primo ministro ad
interim è, infatti, Mohammed Gannouchi, il
“Mensieur oui oui”, mentre presidente
sostituto è Fouad Mbzaa (ex presidente del
parlamento). La vecchia guardia non
molla l’osso, i cittadini sanno benissimo
che tagliati i rami degli alberi la radice
non scompare. La paura del ritorno di un
governo oppressivo è sempre viva.
L’esercito, che nella rivolta ha
giocato un ruolo fondamentale, vigila
attento nella sua aurea di legittimità. I
piccoli partiti che erano parte dell’opposizione legale
sotto il regime, come maschera di lealtà del colpo di
stato dell’87 e palliativo per le coscienze dei partner
commerciali europei, non hanno oggi alcun radicamento
nella società che invece pare tutt’ora disorganizzata
politicamente. Esistono varie associazioni per la difesa
dei diritti dell’uomo, perlopiù composte da avvocati, ed
esiste poi il sindacato dei lavoratori, fino ad allora
egemone e nelle sue frange dirigenziali più alte colluso
irrimediabilmente con l’ex partito di stato ma che,
tuttavia, è un aggregato importante di persone e potrebbe
trasformarsi in un fattore positivo per la transizione.
Inoltre, ai assiste al rientro dei partiti esiliati e
clandestini come quello comunista o quello di An-nahda
dell’altro Gannouchi, Rachid, di stampo islamico
moderato che accoglie la dialettica democratica e lo
8 SCHEGGE Marzo
status di parità delle donne, quasi una DC in versione
tunisina, ma il cui leader ha già dichiarato non si
candiderà alle elezioni. Una serie di tecnocrati, due
commissioni, sulla corruzione del regime e sulla
violazione dei diritti umani durante le manifestazioni,
attorniano il governo di transizione che dovrà portare,
non senza difficoltà e contestazioni, la nuova Tunisia alle
urne. In questi giorni la data s’aggira intorno alla metà di
luglio. Le elezioni però, ovviamente libere e
democratiche, non sono l’unica cosa per cui si sono fatti
sparare a freddo i tunisini: tanti di loro chiedono
un’assemblea costituente, una nuova costituzione che
faccia della Repubblica presidenziale una parlamentare
e, soprattutto chiedono di eleggere un presidente sotto il
segno della carta fondamentale, fino all’altro ieri
rimaneggiata a piacere dal capo supremo dello stato.
La strada per la democrazia è travagliata e noi
europei, con la memoria di un pesciolino rosso,
dovremmo invece ricordarcelo. Possiamo esserci trovati
alla sprovvista di fronte alla caduta di un rais che
pensavamo irremovibile, abbiamo commesso un
gravissimo errore politico con la “strategia dello
struzzo”, ma cambiando le carte in tavola, siamo ancora
in tempo per poter sostenere il popolo tunisino nella sua
ricostruzione. Non possiamo infatti celarci dietro la
giustificazione d’essere impreparati su come si gestisce
una transizione democratica. È tempo che l’Europa
riveda le sue linee strategiche di partenariato con i paesi
della politica di vicinato e rifondi una nuova Unione del
mediterraneo i cui pilastri non siano Ben-Alì o Mubarak,
ma la democrazia e la cooperazione multilaterale.
Maria Zanenghi*
[email protected]
* Studia all’Università di Genova “Politiche ed economia
del Mediterraneo”.
LA RIVOLUZIONE DEL NILO
S
ul volgere al termine dell’anno solare 2010, il Nord
Africa comincia ad andare a fuoco.
Il 17 Dicembre, Mohammed Bouazizi, commerciante
tunisino, si dà fuoco davanti il municipio del villaggio di
Sidi Bouzid, contestando il sequestro del suo banco di
frutta e verdura per la presunta mancanza della licenza
per vendere. E’ la scintilla che fa dilagare l’incendio,
prima nello stesso villaggio, poi un tutta la Tunisia. La
gente è stanca della miseria e della disoccupazione, del
regime e della sua noncuranza nei riguardi del popolo, e
della carenza di riforme atte a sollevare le condizioni
economiche e sociali del popolo.
Presto, le manifestazioni e gli scontri dilagano in altri
stati mediorientali, e anche in Egitto.
Il 25 gennaio 2011 è “la giornata della rabbia”, in
piazza Taharir, a Il Cairo: quattro morti negli scontri,
quattrocento egiziani arrestati. Il ministro degli Interni
promette il pugno di ferro, ma il popolo egiziano è
saturo, stufo della dittatura e dalla repressione, angosciato
dalla stasi, dalla disoccupazione e dalla povertà, che,
nonostante l’Egitto abbia un tasso di crescita del PIL
notevole, rimane ancora un problema per parte della
popolazione.
L’Egitto è un Paese particolare: è una zona sensibile
nel Medio Oriente, a causa del suo confinare con Israele.
Inoltre, è sempre stato influenzato dall’Europa, rispetto
ad altri paesi del Medio Oriente, sin dai tempi
dell’Impero Ottomano, conteso da Francia Napoleonica
e Gran Bretagna, e sotto mandato Britannico fino al
1922. Nonostante ciò, l’Egitto è rimasto fertile terreno
per dittature un trentennio sì, e un decennio no, come
quella di Hosni Mubarak.
Almeno fino all’11 Febbraio, giorno in cui Mubarak
si dimette sul serio, dopo le rivolte, le repressioni, gli
scioperi, la fine dell’appoggio dell’amministrazione
statunitense al regime, l’annuncio del subentro alla
carica di premier di Ahmad Shafiq (Ex Ministro
dell’Aviazione Civile), la creazione della carica di vice
presidente spettata a Omar Suleiman (Ex capo dei servizi
segreti).
Il compito di portare il paese verso la democrazia
viene affidato all’esercito, schieratosi col popolo, mentre
Mohammed Hussein Tantawi succede provvisoriamente
a Mubarak in qualità di capo di stato, in attesa di nuove
elezioni democratiche, e della stesura di una nuova
Costituzione.
Ovviamente, fuori dall’Egitto e dagli altri paesi
liberatisi dalla dittatura, non è tutto così gioioso.
Non è un mistero che alcuni governi occidentali
preferissero le dittature appena crollate, pur di non
Marzo SCHEGGE 9
prossime presidenziali e pertanto : «Abbiamo bisogno di
elezioni democratiche e di un presidente democraticamente
eletto, questo è tutto quello per cui lottiamo».
correre il rischio di assistere al formarsi di altre
repubbliche islamiche come quella dell’Iran.
Per quanto riguarda l’Egitto, l’esito della Rivoluzione
del Nilo ha goduto del contributo, non solo di quello
dell’esercito, ma anche di quello dei Fratelli Musulmani;
e sono proprio quest’ultimi ad allarmare l’Occidente.
La Fratellanza Musulmana è un’organizzazione
islamica, istituita nel 1928 da Hassan al-Banna in Egitto,
e poi diffusasi in altri stati mediorientali. Nasce con il
proposito di ritrovare le radici dell’Islam, e di fronte alla
povertà dilagante allora, attuare una serie di riforme; è
inoltre anti-coloniale, anti-occidentale, e dotata di ingenti
risorse finanziarie. Tuttavia viene messa fuori legge da
Nasser nel ’54, per poi riuscire a piazzare in parlamento
una manciata di membri, candidati in altri schieramenti,
durante regime di Mubarak. Malgrado la Fratellanza
abbia elementi fondamentalisti nel resto del Medio
Oriente, si osserva che la frangia egiziana sia ormai
molto più moderata (nonostante il conservatorismo del
corrente leader Muhammed Badi) e che abbia rinunciato
alla lotta armata, asserendo inoltre di non avere la
minima intenzione di presentare un loro candidato alle
Gli USA rimangono comunque allerta. Dopotutto
l’Egitto confina ancora con Israele, e la paura
dell’instaurazione di un’altra teocrazia è sempre viva,
soprattutto se dovesse abbracciare tutti gli stati in rivolta
in questo momento. Ma una delle conseguenze più
pesanti e inaccettabili sarebbe l’arresto del trasporto del
petrolio da altri paesi che, di “Oro nero”, sono ben più
ricchi dell’Egitto.
Ma il principale attore delle rivolte e degli scioperi è
stata la popolazione: è la popolazione stessa ad essersi
raccolta, prima a Il Cairo, poi in tutte le piazze d’Egitto,
a pretendere le dimissioni di Mubarak dopo trent’anni;
ad essersi organizzata e formata attraverso le modalità
comunemente usate nelle democrazie occidentali, come
Internet, Facebook e Twitter. I Fratelli Musulmani da
soli non sarebbero stati sufficienti ad abbattere il regime,
e l’esercito non avrebbe avuto nessuno con cui schierarsi
perché avvenisse la caduta, senza un popolo con cui
schierarsi.
L’Egitto, come tutti gli altri stati attualmente in
rivolta, e come tutti gli altri stati dal 1789 in poi
(banalmente), deve avere la possibilità di cogliere questo
momento per instaurare la propria democrazia, senza
terzi che pretendano di importargliela. La democratizzazione
non è quasi mai stato un processo indolore e senza rischi
nei millenni di storia che ci precedono.
E’ ora che il Mondo sia un po’ più ingenuo, tanto le
guerre non finiranno mai.
Caterina R. Marchese
1 0 SCHEGGE Marzo
TOGLIETEMI TUTTO, MA NON LA MIA POLTRONA!
L
a notizia è di quelle scioccanti ed è arrivata come un
fulmine a ciel sereno. E’ un po’ come se avessero
annunciato l’apparizione di una madonna in un
remotissimo e sperduto angolo della terra, ma con la
fondamentale differenza che questa volta fosse
inconfutabilmente vero.
In qualche parte del mondo esistono ancora politici
onesti e con un alto senso morale: questa frase, se
pensata con la testa di un italiano assume da subito tinte
ironiche e sarcastiche, perché su ammettetelo: solamente
pronunciare queste poche parole riferendole alla nostra
classe dirigente, fa spuntare un ghigno malefico sulla
nostra bocca.
Ovviamente il paese in questione non è l’Italia, e men
che meno il politico appartiene alla stirpe italica. Il
ministro della Difesa tedesco, barone Karl Theodor zu
Guttenberg, si è dimesso in seguito allo “scandalo”
causato dalle accuse di plagio della sua tesi
di dottorato in giurisprudenza presso
l’ Università di Bayreuth.
Quello che per molti di noi cittadini
italiani sembra un’esagerazione,
evidentemente non appare allo
stesso modo agli occhi dei nostri
corrispettivi teutonici, che da
sempre richiedono ai propri
rappresentanti, soprattutto se
ricoprono cariche strategiche e
rilevanti, un’integrità morale
pressoché perfetta, e non
scalfibile da nessuno scandalo
o accusa di sorta.
Tutto questo potrebbe essere
visto come un eccesso di zelanteria e
di formalità, ma solo se prima si è passati sotto
l’indottrinamento e palestra di vita del bel paese,
dove tutto, e a volte anche il contrario di tutto, è
possibile.
L’intera classe politica, dagli amministratori locali, ai
parlamentari, ai ministri della Repubblica, è continuamente
sconvolta da scandali, di ogni genere e sorta, con una
costanza degna di nota. Non sono qui a fare discorsi di
parte, non voglio nemmeno lontanamente nominare il
Cavaliere, in quanto non basterebbe il quantitativo di
cellulosa utilizzato per l'”Enciclopedia o Dizionario
ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri” redatta
da Diderot e D'Alembert, per descrivere tutto quello di
cui è stato capace in questi anni il nostro Presidente del
Consiglio. Se c’è qualcosa che unisce trasversalmente gli
schieramenti partitici italiani è proprio questa tensione
costante ed irrefrenabile a delinquere; a utilizzare la
propria posizione di potere, qualunque essa sia, a proprio
vantaggio e per quello delle persone a loro vicine.
Ma non è tutto qui. In se e per se, questo aspetto non
sarebbe neppure un fatto così straziante: da millenni
l’uomo messo di fronte alla possibilità di arraffare ed
arricchirsi, difficilmente è stato in grado di resistere;
questo discorso è valido, grossomodo, per qualsiasi
latitudine e cultura, rendendo questa caratteristica quasi
intrinseca della natura umana. Quello che più sconcerta
ed amareggia, almeno dal mio punto di vista, è la totale
assenza di etica e di una qualsivoglia forma di morale
nella classe dirigente italiana nel momento in cui viene
scoperta con le mani nella marmellata, ed usando questa
locuzione mi sento di essere stato decisamente gentile e
magnanimo. La costante che unisce tutti gli scandali, o
quasi (vedi caso Marrazzo), è la totale noncuranza da
parte dei politici delle basilari regole del buon senso che
imporrebbero ad un funzionario eletto (c’è chi direbbe
“ad un nostro dipendente”) di fare un passo
indietro nel momento stesso in cui
vengano pizzicati, senza per forza
puntare tutte le proprie chance sulla
lentezza della macchina giudiziaria
italiana per riuscire a scampare alle
dimissioni.
E’ come se la cittadinanza
italiana si fosse abituata a questa
usanza; e qui si ritorna alla
sorpresa che ha colto quasi tutti
noi nel leggere del ministro
tedesco dimessosi per uno
scandalo che da noi probabilmente
non impensierirebbe nemmeno un
professore universitario. Anche io mi
sono sorpreso ad avere come primo
pensiero dopo aver letto la notizia, il seguente:
“ma che patacca (se non conoscete il significato di
questa parola, allora vuol dire che avete sprecato ogni
singolo istante passato in Romagna, e non è di certo
colpa mia! NdA), per così poco?!”. Per mia fortuna, a
distanza di pochi istanti è giunto un profondo sentimento
di invidia nei confronti degli abitanti di un paese dove
“la morale” non è un anagramma sbagliato di “Lele
Mora”, e questo basta a situarmi nel limbo del
purgatorio.
Siamo talmente abituati a scusare, ad immedesimarci
nei panni del “tentato” dalla tentazione, che ormai tutto
ci scivola sopra come pioggia su un parabrezza. Siamo
immersi in un continuo flusso di notizie scandalistiche
legate alla politica, che come unico risultato hanno
quello di allontanarci da essa e farci montare sempre più
quei sentimenti antipolitici che sono alla base dello
scollamento tra i cittadini e le istituzioni. Con questo non
voglio dire che gli scandali vadano nascosti agli occhi
dei cittadini; anzi, io auspico che i giornalisti tornino alla
funzione di controllori delle amministrazioni, e non solo
di osservatori (neanche troppo) esterni. Quello che
intendo è che la continua esposizione a scandali
mediatici senza che poi i media si interessino della reale
conclusione della vicenda, ma solo del suo scatenarsi,
non fa altro che anestetizzare la popolazione di fronte a
notizie di questo genere.
Ed è quello che è successo, per una motivazione o per
l’altra. Siamo un popolo che un passo alla volta sta
perdendo la propria capacità di indignarsi di fronte ai
soprusi, agli scandali, alle ingiustizie, agli oltraggi, che
ogni giorno ci scorrono di fronte agli occhi. Non siamo
più in grado di collegare le nostre coscienze stuprate in
un movimento vero di protesta, come se ci fossimo
tramutati in una folla informe capace solo di azionarsi a
comando, ma priva di una razionalità propria (Gustave
Le Bon docet).
A volte mi chiedo se veramente i nostri rappresentanti
“rappresentino” la società italiana, o ne siano solamente
una brutta copia dei vizi, privati delle virtù. Inizio a
pensare che questa affermazione non sia veritiera: forse
se continuiamo ad eleggere sempre le stesse facce, un
motivo ci sarà. Forse in fondo in fondo ci va bene così,
condividiamo le loro azioni e la loro condotta. Forse se
fossimo al posto loro, anche noi ci comporteremmo tutti
nella stessa maniera.
Io la penso in maniera diametralmente opposta, e da
qui nasce una certezza: il cambiamento non dobbiamo
continuare ad aspettare di vedercelo cadere dall’alto,
come un dono divino, ma ce lo dobbiamo andare a
prendere giorno per giorno, con le nostre azioni
quotidiane, con le nostre richieste, con le nostre proteste,
con il nostro esempio, in ultima istanza, con il nostro
voto.
Dobbiamo riappropriarci di questo nostro potere
fondamentale, perché solo così potremmo avere qualche
speranza di migliorare la nostra situazione, senza dover
aspettare per forza che la “rivoluzione” sia sempre
qualcuno da fuori a portarcela.
APPENDICE: per sdrammatizzare, ma neanche poi
troppo, vi butto la altri tre esempi di politici “virtuosi”
scovati in giro per il web:
Giuseppe Habineza: il ministro ruandese per la
gioventù e lo sport si è dimesso il 15 febbraio 2011 dopo
che alcune foto che lo ritraevano in dolce compagnia a
ricevere coccole con alcune ragazze durante la festa di
San Valentino, sono stati pubblicate su Internet. Non
appena la notizia è stata diffusa in tutta la città il ministro
ha rassegnato le dimissioni, che sono state subito accolte.
Vi ricorda qualcuno per caso?!
Toshikatsu Matsuoka: il ministro dell’agricoltura,
accusato di aver gonfiato la propria nota spese di 180000
euro, una volta scaricato dal proprio governo, si toglie la
vita per il disonore recato alla sua persona e alla sua
Marzo SCHEGGE 11
parte politica. Pensate all’ecatombe che accadrebbe in
Italia…
Jacqui Smith: ministro dell'Interno del governo
Brown, si dimette in seguito allo scandalo del rimborso
chiesto al parlamento per il noleggio di alcuni film porno
da parte del marito. Qua si foraggiano consulenze
milionarie, e si utilizzano voli con aerei di stato per
trasportare mignotte, e là ci si dimette per una manciata
di sterline. Chi è nel giusto?
Enrico Serra
1 2 SCHEGGE Marzo
SESQUICENTARIO
DI MARZIO MARIA CIMINI
VIVA VERDI!
Continuiamo un viaggio attraverso
le storie e i personaggi, i simboli e i luoghi che ci permettono di dirci,
oggi, Italiani. Un viaggio fatto di parole, intorno alla nostra scrivania, senza eccessi di epica e senza la retorica stanca
che accompagna, di solito, questo genere di trattazione. Un viaggio però importante -come tutti i viaggi veri, i viaggi
non organizzati- per gli incontri che si fanno per le strade, per capire noi stessi guardandoci negli occhi degli altri.
I
l 17 marzo 1861, con la legge 4671 del Regno di
Sardegna, Vittorio Emanuele II viene proclamato Re
d’Italia. I latini dicevano: nomina sunt numina, e nel
nome c’era infatti tutto. Vittorio Emanuele di Savoia, Re
di Sardegna, piemontese, è primo Re d’Italia, ma è
Secondo. Il Gran Baffone, come veniva chiamato dai
suoi detrattori, aveva visto in quella prima unificazione
un allargamento del suo pristino regno, e non il
costituirsi d’una nuova potenza europea. La decisione
non venne naturalmente salutata con favore da chi aveva
combattuto, o almeno parteggiato, per consegnargli uno
Stato unitario che si raccogliesse tutto sotto la stessa
bandiera, sul cui cuore bianco campeggiava lo stemma di
casa Savoia.
Il suo primo viaggio da Re lo fa in quella che allora
era la seconda maggiore città d’Italia: Napoli. Il cielo
complotta contro l’infausta scelta del nome, e ‘ o paese
d’o sole, la campanelliana Città del Sole, si fa trovare
immersa in una colossale pioggia. Ma si sa: “Marzo: nu
poco chiove e n’ato poco stracqua, torna a chiovere,
schiove, ride ‘o sole cull’acqua” (Salvatore di Giacomo).
Il severo sabaudo non dispensa pizzicotti alle
signore e carezze ai bambini come
pure Francesco II di Borbone andava
facendo per il Regno delle due
Sicilie, tanto che la gente, dopo
averlo atteso impaziente torna a
scrivere sui muri lapidarii inni a
Franceschiello. Il Primo Ministro
Cavour ordina alla polizia di
sedare i malumori. Alcuni
dispacci lo informano che nelle
fila del nuovo corpo d’ordine
nazionale sono stati reclutati i
peggiori ceffi della camorra.
La polizia piemontese, in un
primo momento mandata a
regolare l’anarchia
post-garibaldina, d’altra parte, non
s’era comportata meglio, al
Sud, e aveva anzi praticato
una violenza gratuita quanto
dissennata, all’insegna d’un
furore montato dalla rabbia:
non si comportavano come
difensori della popolazione, ma
come una schiera di soldati
invasori che dovevano tenere in
scacco una folla di ostaggi.
Cavour richiama con qual certa velocità a Torino il Re
d’Italia, ché non era aria. Dopo la sbronza risorgimentale,
con un Nord più che mai determinato a liberare il Sud
prigiono dei Borboni tiranni, e un Sud più che mai
determinato a farsi liberare e ad acclamare il cuore
buono di Garibaldi, le parti si scoprivano deluse le une
dalle altre: i piemontesi guardavano ai meridionali come
a dei selvaggi “Altro che Italia! Questa è Affrica. I
beduini, a riscontro di questi cafoni, sono fiore di virtù
civile!” (Luigi Carlo Farini a Cavour, 1861. Però Farini
era pazzo, e cinque anni dopo morrà in manicomio…).
I meridionali iniziavano a subodorare che
l’amministrazione transitoria dei Savoia si sarebbe
trasformata in una minorità politica che mal si conciliava
con le ambizioni di un Sud che aveva sofferto e
combattuto per l’Unità, e che adesso si trovava “il piede
straniero sopra il cuore” (Quasimodo).
Il male peggiore di questa Italia che si andava
proclamando era un centralismo di marca piemontese
che schiacciava le autonomie, che non favoriva il
coagularsi di una massa eterogenea, orgogliosa: prima
dell’Unità gli Stati Italiani erano sette, e tutti, tranne uno
– il Regno Pontificio, che sarà preso a forza il
20 settembre 1870, con la breccia a Porta Piasi erano consegnati chi volontariamente chi
con plebisciti di popolo, ai Savoia. Compattarli
tutti sotto le medesime procedure, le medesime
forze, faceva salire una collera sorda, che ebbe
nel brigantaggio il suo momento apicale.
Che i piemontesi fossero un modello
da seguire non era segreto per
nessuno: erano stati loro a mostrarsi
i più capaci, i più efficienti, sia
militarmente che diplomaticamente
che politicamente. Ma da qui ad
accettarne passivamente ogni
decisione, ce ne passava. Il
risultato maggiore, e perverso,
di una tale centralizzazione
fu l’affermarsi di strette
oligarchie di controllo: se i
popoli d’Italia non si capivano
quando parlavano (e sarà così
fino almeno alla Grande
Guerra), gli aristocratici del
Nord e quelli del Sud si
capivano benissimo. E seppure
con molte diffidenze (bastino le
esemplari pagine di quell’aureo
libretto che è Il Gattopardo del Principe di Lampedusa),
sapevano benissimo che gli interessi in gioco erano tanti
e che a spartirseli sarebbero stati loro. Il passaggio dalla
nobiltà di terra a quella di politica fu velocissimo: I
Vicerè di Federico De Roberto, la mirabile saga degli
Uzeda, da fedelissimi borbonici a fedelissimi sabaudi,
mostra con esemplare ricchezza di prospettive la
parabola del potere statuale tra il Risorgimento e l’Unità.
Perché il lettore non pensi che l’attenzione di chi
scrive è troppo sbilanciata verso una visione
meridionalista dei fatti (ma in fondo, non lo nascondo, è
così), dirò che anche al Nord la delusione fu molta: se a
Napoli Franceschiello dopo il 17 marzo torna a
campeggiare sui muri, prima di quella data, al Nord, la
calce bianca vergava sugli scrostati muri di vie
secondarie, in stampatello, la frase, sintetica, quanto
efficace “W VERDI!”. In effetti in quel periodo il cigno
di Busseto era sulla cresta dell’onda: Giuseppe Verdi,
che era nato vicino Parma nel 1813, alla vigilia
dell’Unità aveva già scritto alcune tra le sue opere più
importanti: Nabucco nel
’42, Macbeth nel ’47,
Rigoletto nel ’51, Il
trovatore e La traviata
nel ’53. Altre importanti
opere (Aida e Otello)
dovevano ancora venire,
ma con queste opere Verdi
aveva già infiammato il
Risorgimento, anzi, il
Risorgimento era Verdi.
E se per lunghissimo
tempo l’Italia ha avuto
una visione operistica,
melodrammatica,xxdirei
teatrale del Risorgimento,
è perché questo è intriso
di Verdi, e Verdi è intriso
di Risorgimento. I suoi canti sono politici, il Va’ pensiero
del Nabucco trascendeva la perfezione estetica, e faceva
sentire al pubblico in sala la vibrante vicinanza della
Politica. Non è un caso che Boito, e poi Visconti, faccia
iniziare il racconto risorgimentale Senso (del 1883, il
film è del 1954) durante la prima del Trovatore alla
Fenice di Venezia. Verdi è un simbolo, un logo, uno
slogan: come le magliette del Che o certe massime
esauste, Verdi era la cifra del Risorgimento settentrionale:
Viva Verdi! Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia!
Non si può fare a meno di fare qualche considerazione:
la prima è che il Risorgimento nordico (se esiste) è
eroico, raffinato, cospiratore, e quindi intellettuale. Il
Risorgimento sudista (se esiste) è popolare, sanguigno,
d’impeto e non di mente, semmai di forza; sporco, e, alla
fine, “cafone”.
Una tara, evidentemente, che ci portiamo appresso da
allora. Ma in questa visione contrapposta di Risorgimento,
che s’impone immediatamente dopo il 17 marzo,
l’epopea retorica del sagrifizio e dell’eroismo cozza con
il fallimento politico e sociale; la compiutezza del Regno
d’Italia incoccia con le fratture tenacemente tenute
scomposte – divide et impera, c’è poco da fare - che i
Marzo SCHEGGE 1 3
moderati avevano interesse a divaricare ancora di più.
E’ una bizzarria della Storia che a reclamare la
secessione sia oggi chi volle l’unità allora; è una
bizzarria che a volere oggi il federalismo sia chi volle
allora il centralismo. E’ bizzarro che il Ministro della
Repubblica Maroni citi Salvemini il meridionalista, il
pugliese che perdette nel cataclisma di Messina del 1908
tutta la sua famiglia, come Vate del federalismo.
Nessuno ha detto a Bobo che Salvemini chiedeva un
federalismo correttivo dei danni del centralismo
postunitario, e non di uno che ne peggiorasse gli esiti già
disastrosi?
Infine, emerse allora un modo d’intendere la politica
completamente opposto a quello che Verdi e il suo
Risorgimento di cartapesta, di proscenio, avevano
predicato: s’impose una classe media, moderata,
gattopardesca, anzi, direbbe Sciascia, di omminicchi e
quaqquaraquà, borghese insomma, che avrebbe tenuto
in mano le redini dell’Italia Unita per centocinquant’anni.
Adesso il lettore mi chiederà: che c’è dunque da
festeggiare questo 17
marzo di sesquicentenario?
Glielo dico subito: c’è da
celebrare la mano che
scriveva sui muri, di
notte, W VERDI!
(e pure quella che scriveva
“Franceschiello torna!”).
nnnC’è da celebrare la
potenza pura che tracima
gli argini dello status quo
e che chiede a gran voce
la Libertà. C’è da
celebrare l’inizio di un
percorso che non s’è
ancora concluso, che
ritorna ai valori che i
Mille portavano incisi sul
cuore quando s’imbarcarono a Quarto. Bisogna
ricordarli ogni giorno, non ogni anniversario, perché non
solo ce li dimentichiamo noi, ma se li dimentica chi deve
ascoltarli: gli omminicchi che siedono su qualunque
poltrona: hanno la memoria corta, le mani invece le
hanno lunghissime.
Noi mostriamo d’avere lunghe le braccia e di saperci
stringere in un grosso abbraccio, quando serve, se serve.
Urliamo ad una voce sola Viva Verdi! qualunque cosa
significhi oggi, se qualcosa ancora significa.
1 4 SCHEGGE Marzo
ALL DAY AND ALL OF THE NIGHT
«[...] Siete su Radio
Rock e io sono Il Conte. E
conto su di voi per il conto alla rovescia
all'estasi e al rock all day and all the night!»
“I can't get no satisfaction” furono le prime
parole che ascoltarono le persone sintonizzate
su Radio Caroline nel 1964. Radio Caroline fu
la prima radio pirata della swingin' London dei
60's, nota per la recente pellicola cinematografica
I love Radio Rock.
Il fenomeno delle radio pirata nacque nel Regno
Unito all'alba degli anni '60, quando nel territorio
anglosassone cominciavano a muovere i primi
passi band come Beatles e Rolling Stones. Per
aggirare l'ostacolo del monopolio vigente in UK,
le trasmissioni di Radio Caroline venivano
irradiate da una nave panamense ancorata al largo
del mare Artico, lontana dai confini territoriali inglesi.
I Disc Jokey potevano così passare la musica che
preferivano, la musica che la stessa popolazione inglese
chiedeva alle radio statali, che però non avevano alcuna
intenzione di trasmettere quella che era considerata la
“parola del diavolo”.
Nel giro di un anno Radio Caroline aveva superato i
10 milioni di ascoltatori, scavalcando l'emittente statale
BBC ed entrando di diritto nella storia del rock, ma
anche nelle liste nere del governo britannico, tanto che
dovette sopravvivere a diversi naufragi e ad una legge
repressiva durissima imposta nel 1967, riuscendo a
trasmettere fino al 1990, sconfitta dalla concorrenza delle
decine di radio private, ora libere di andare in onda.
Se la nascita della radio è da ricondursi alla fine del
1800, alla famosa diatriba Tesla-Marconi, è a partire
dagli anni '40 che questo strumento di comunicazione di
massa acquista quel fascino che abbiamo in mente noi,
giovani nostalgici del rock n'roll.
Johnny Cash ascoltava in radio la voce squillante della
sua futura moglie June Carter prima di conoscerla,
cantarci insieme e farci all'amore. Elvis, lo stesso Cash, il
killer Jerry Lee Lewis e Chuck Berry, giovani e
maledetti, giravano gli Stati Uniti in pullman facendo
tour insieme e l'America per radio li ascoltava, estasiata e
danzante nei bar come quello in cui faceva conquiste il
Fonzie di Happy Days.
Buddy Holly veniva trasmesso ai limiti dell'illegalità
coi suoi Crickets, mentre suonava quel bop che nessuno
sapeva sarebbe stato l'anticamera del rock n'roll. Mi
viene in mente la Chess Records: Muddy Waters, Little
Walter, Etta James, Howlin' Wolf, lo stesso Chuck Berry,
persone per la maggior parte prese dai campi di cotone e
trasformate in stelle del blues e del rhythm n'blues.
In Italia non posso non citare Radio Aut di Peppino
Impastato, e la sua “Onda pazza a Mafiopoli”, il
programma di satira politico-mafiosa che gli costò la vita
nel '78.
Basta tutto questo per far sì che la radio assuma quel
contorno di romanticismo
mistico che ho in mente io
quando ci penso; avere una
trasmissione in radio è stato
sicuramente il sogno di molti, pensare che per
una manciata di minuti, o per 24 ore come la
nostra Radio Rock, si può rendere partecipi
milioni di persone di quello che si prova ascoltando
la musica che ti emoziona.
Forse un giorno realizzeremo questo sogno, forse fra
una settimana, forse fra 10 anni, il rock n'roll tornerà ad
essere la colonna sonora delle nostre giornate, come
negli anni '60, come direbbe Il Conte: «Gli anni
passeranno e i politici non faranno mai un cazzo per
rendere il mondo migliore, ma in tutto il mondo
ragazzi e ragazze avranno sempre i loro sogni, e
tradurranno i loro sogni in canzoni».
Lorenzo Rossi
P.S.: Forse il sogno si realizzerà in tempi più brevi e in spazi
più vicini di quanto avremmo mai immaginato, il progetto di
portare una webradio universitaria a Forlì è partito, per
info:[email protected] [email protected]
e tenetevi informati sul sito koineonline.org...
STAYTUNED!
Marzo SCHEGGE 1 5
L’EPOCALE AVVENTURA
DELL’ESCHERICHIA COLI
I
l titolo di questa settimana potrebbe sembrare un po’
stravagante e noiosamente eccentrico, tuttavia questo
batterio, che subito dopo la nostra nascita ci colonizza
l‘intestino, ha permesso di provare, con metodo
sperimentale, la Teoria dell’evoluzione. Charles Darwin
perciò aveva visto giusto al di là di ogni ragionevole
dubbio, a controprova di tutti coloro che vorrebbero
propinarci la fallace teoria creazionista.
L’avventura dell’ Escherichia Coli ha inizio nel 1988,
per merito di un progetto di Richard Lenski ricercatore
dell' Università del Michigan, che ha avviato un
esperimento teso a far riprodurre in provetta il nostro
(non sempre) amico intestinale.
La scelta dell’ Escherichia Coli non è avvenuta per
caso, in quanto esso è biologicamente ben conosciuto ed
stata tracciata interamente la sequenza del suo genoma,
per di più si trova in miliardi di esemplari ed ha una
riproduzione asessuata (cioè per scissione cellulare)
molto rapida. La sperimentazione, tutt’ora in corso, i cui
risultati sono stati pubblicati sulla rivista della National
Academy of Sciences (www. pnas. org), consiste nel
lasciar evolvere, in condizioni costanti, dodici ceppi del
nostro protagonista, tutti derivanti da uno stesso batterio
iniziale, che potremmo definire il capostipite della
Famiglia. Ogni singolo ceppo viene quotidianamente
alimentato con glucosio e tutti i giorni si estrae da
ciascuna provetta una stessa quantità per singolo ceppo,
la si rimette in una nuova provetta e lo si lascia
moltiplicare. Ogni 75 giorni, pari a 500 generazioni di
riproduzione, si congela una parte di ciascun ceppo per
fissare un livello evolutivo da poter poi comparare o
mescolare con gli altri livelli.
Dal 1988 fino al 2008, per 45.000 generazioni, si sono
costantemente monitorati e registrati i dati relativi ai
cambiamenti di tutti i ceppi degli Escherichia Coli
derivanti dal capostipite. In particolare, i batteri sono
stati coltivati in una soluzione che conteneva un po’ di
glucosio e molto citrato, perciò una volta esaurito il
glucosio, i batteri avrebbero continuato a crescere solo
utilizzando il citrato.
Dopo una serie di cambiamenti adattativi di scarso
interesse evolutivo (ad esempio aumento delle
dimensioni dei batteri), oppure degenerativi (mutazioni
che hanno danneggiato gli apparati di riparazione del
DNA), arrivati a 31.500 generazioni è comparsa una
nuova caratteristica: una parte dei batteri aveva acquisito
la capacità di utilizzare il citrato come fonte di
sostentamento.
A questo punto, si sono ripresi i campioni congelati
per capire a quale livello evolutivo si era sviluppato il
mutamento, era quello di un solo ceppo intorno alla
21.000 generazione. Da quel ramo evolutivo, infatti,
10.000 generazioni più tardi si svilupperà la capacità di
nutrirsi di citrato. Dalle osservazioni, inoltre, si è
appurato che non si è trattato di un’unica mutazione
complessa e puntuale, ma di una sequenza di piccole
mutazioni, con il risultato finale dell’acquisizione di una
nuova caratteristica, confermando empiricamente le
ipotesi darwiniane.
A differenza di altre mutazioni, che tendevano a
ripetersi più o meno uniformemente nei vari ceppi,
questo cambiamento aveva una probabilità molto bassa,
che si è calcolato essere intorno a uno su mille miliardi,
e sono proprio questi tipi di eventi, rarissimi (per
spiegare i quali i creazionisti fanno ricorso ad un
intervento divino), a dimostrare invece che il mutamento
è frutto del caso e non dell’intervento prodigioso della
Mano di un dio onnipresente ed onnimpiccione.
Il piccolo batterio Escherichia Coli, continuando
nella sua epocale avventura, è destinato a scontrarsi con
non poche autorità Clericali che, spinte dal pregiudizio a
cui fanno copiosamente ricorso, affermavano: «La teoria
dell’evoluzione in gran parte non è dimostrabile
sperimentalmente in modo tanto facile perché non
1 6 SCHEGGE Marzo
possiamo introdurre in laboratorio 10. 000 generazioni».
Così, infatti, si esprimeva papa Benedetto XVI
intervenendo alla conferenza su Creazione ed evoluzione
nel 2006. Tra le altre dimostrazioni, nell’esperimento di
Lenski si può osservare che dopo un certo numero di
generazioni avvengono delle mutazioni, adattative,
anche nel DNA dell’ Escherichia Coli e le variazioni
evolutive si fanno sempre più numerose e diversificate,
così da permettere ragionevolmente un vero e proprio
accostamento tra l’evoluzione sulla terra e quella
nell’esperimento. D’altronde, tenendo conto che le
differenziazioni sono avvenute da un unico capostipite e
che non sono comparse in tutti i ceppi evolutivi, si può
facilmente affermare che l’evoluzione umana abbia
seguito le stesse dinamiche. Le prove fossili, ormai
senza nessun “anello mancante”, non fanno altro che
essere confermate e l’idea secondo la quale tutti noi
deriviamo da un unico progenitore diventa inconfutabile.
Del resto, così come solo un ramo evolutivo
dell’ Escherichia Coli ha sviluppato la caratteristica di
nutrirsi del citrato, è molto probabile che anche
l’evoluzione dell’Uomo e della Donna abbia percorso un
cammino analogo, in cui moltissimi rami evolutivi si
sono interrotti o hanno intrapreso strade diverse e solo
una, la nostra, è approdata a quello che noi chiamiamo,
appunto, genere umano, il quale deriva dalla Famiglia
Hominidae e dalla Superfamiglia Hominoidea, fino a
risalire, all’indietro, genericamente ai Primati.
L’avventura dell’ Escherichia Coli, però, continua e
c’è da aspettarsi che svelerà nuovi meccanismi utili alle
ricerche scientifiche, anche in campo medico, come è
avvenuto per le mutazioni genetiche che interferiscono
sulle replicazioni del DNA umano, le quali poi
scatenano le progressioni tumorali. Ancora, però, molti
meccanismi della natura ci sono ignoti, ma per fortuna e
per merito di tanti straordinari studiosi anche l’Uomo
sapiens sapiens continua il suo lento viaggio alla
scoperta delle leggi che regolano l’infinitamente piccolo
(Meccanica Quantistica) e l’infinitamente grande
(Relatività Generale), affrancandosi pian piano dalle
superstizioni e dalle tante divinità che proliferano a
esclusivo vantaggio di una ristretta casta sacerdotale.
Giuseppe Zangara
[email protected]
Marzo SCHEGGE 1 7
UNO SPORT BESTIALE
GIOCATO DA GENTILUOMINI
«Adesso so che quando si avanza uniti ci sono
possibilità di successo. Adesso so che se non andrò in
meta io, ci andrà un mio compagno. Adesso so che cosa
vuol dire rispettare un avversario che è a terra. Adesso
so che potrò cadere e perdere il pallone, ma un
compagno sarà pronto a raccoglierlo e a lavorarlo per
me. Adesso so che bisogna avere sempre qualcosa da
portare avanti. Adesso so che si può anche perdere, ma
non ci si deve mai arrendere. Adesso so che per ottenere
qualcosa bisogna essere determinati. Adesso so che
correre non vuol dire scappare, ma andare incontro al
futuro. Adesso so che affrontare la vita sarà un gioco da
ragazzi e che, se la vita è un gioco, il rugby è una gran
bella maniera di viverla!»
"
Mirko Petternella
Se ci fosse una squadra di rugby qui vicino, tu
giocheresti? -SI!- Allora fondiamola, ho già
chiamato la provincia!'' Dopo un mese avevamo un
campo, qualche giocatore, un preparatore ed un
allenatore.
Fu così che cominciò la mia avventura nel mondo del
rugby. Al primo allenamento mi ricordo che passammo
la maggior parte del tempo fermi, al freddo, per poi
cominciare a passare la palla e giocare una partitella
senza placcaggi. Sembrerà strano, ma è lì che ho capito
veramente l'essenza del rugby. Le prime parole proferite
dell'allenatore, non furono le regole del gioco, ma lezioni
di comportamento: se vuoi diventare un rugbysta non
devi essere muscoloso, imponente, violento, bruto. Il
rugby è uno sport da gentiluomini, per essere un buon
giocatore devi imparare a dare tutto per la tua squadra,
aggredendo l'avversario, tirando fuori tutto il coraggio
che hai dentro, trasformare la paura in esplosione di
forza, per ogni passaggio che vuoi fare, devi guardare
prima che il compagno sia disponibile a giocare il
pallone senza problemi; devi difendere, placcare
giocatori che sono fisicamente il doppio di te, mettere la
testa in posti in cui le altre persone non vorrebbero
mettere nemmeno un piede. Il rugby è testa e cuore,
prima di gambe e braccia. Per questi motivi per prima
cosa,si impara ad essere umili, a rispettare ogni tuo
compagno di squadra, a dare retta all'allenatore e al
capitano, a non discutere le decisioni dell'arbitro, si
impara ad evitare di intraprendere decisioni egoistiche, si
impara ad agire per la squadra.
Una volta imparate queste semplici regole, giocare
bene viene da sé. É inutile nasconderlo: il rugby cambia
la personalità di chi ci gioca, scolpisce la testa e il cuore
prima di cosce e spalle, ribalta la concezione delle
emozioni e dell'adrenalina. Lo stress muscolare a cui
sottoponi il corpo fa sembrare semplici molti degli altri
sforzi che affronti durante la vita di tutti i giorni.
Si dice che non esistono ex-rugbysti: chi ha giocato a
rugby, è rugbysta per tutta la vita, questo sport ''finché ce
la fai lo giochi; finché vivi lo ricordi'' sosteneva Angelo
Libani. Questi erano i motivi che spingevano un ragazzo
argentino con l'asma a continuare a giocare: il suo ruolo
era il numero 11, trequarti ala chiusa, lo stesso di Mirco
Bergamasco nell' Italia per intenderci, veniva chiamato
Fuser, per la sua corsa veloce e furibonda: il suo nome
era Ernesto Guevara de la Serna e rimase un rugbysta
per tutta la vita.
Lorenzo Rossi
1 8 SCHEGGE Marzo
BLOOMSBURY
THE GREAT GATSBY
E
ra davvero grande Gatsby quando ogni sabato sera
apriva le porte della sua immensa e lussuosa casa
alle orde di invitati, che con passo affannato e con solerte
ammirazione, calpestavano quel suo prato ben curato e si
perdevano nella sontuosità di quei grandi saloni che
echeggiavano sempre a ritmo di jazz.
Donne fasciate in abiti sontuosi e uomini in smoking,
si aggiravano increduli qua e là, gustando caviale e
annegando in fiumi di champagne, mentre limousine
nere ne conducevano sempre di nuovi, magari arrivati da
chissà dove, anche loro animati dal desiderio di non
perdere nemmeno un secondo dell'ospitalità di
quell'uomo su cui si rincorrevano le voci più bizzarre e le
congetture più sensazionali. Mentre lui, Gatsby, quasi
non si mostrava, e infatti molti di loro nemmeno
sapevano che faccia avesse, ma ciò poco importava,
perché ciò che realmente interessava era assistere a
quell'opulenza, esserne avvolti e lasciarsi cullare da essa.
Mentre il jazz infuriava e lo champagne scorreva. Nel
frattempo Gatsby guardava al di là della baia, lo sguardo
fisso su quella luce verde, sperando ardentemente che a
varcare quella soglia fosse proprio lei, Daisy Buchanan,
la ricca e viziata, e proprio per questo ancora più
affascinante, ragazza che anni prima aveva amato, e che
lo aveva stregato con i fasti di quel mondo irraggiungibile
e ad agognato di “coloro che contano”.
Una breccia nel cuore dell'anonimo,
e destinato a rimaner tale, Joseph
Gatz, vero nome di Gatsby, che dal
deserto di quell'ovest dimenticato, da
cui proveniva, guardava all'altra sponda
dell'oceano, a quell'est lussuoso e
patinato, in una New York briosa e
lussureggiante dove la nuova e vecchia
aristocrazia americana viveva una vita
da sogno, nutrendosi di beni artefatti e
crogiolandosi in quella fulminante e
inebriante ricchezza.
Quanto basta per innestare nel suo
animo i germi di un'ambizione senza
posa, che lo induce a costruire un
nuovo io all'insegna di quel sogno da
realizzare a tutti costi, e con tutti i
mezzi leciti e illeciti. Diventare ricco e
riprendere Daisy con sé, che pur avendo
condiviso quell'amore consumato al
caldo di un'estate ormai remota, non
aveva atteso il suo ritorno dalla
guerra, e che ad ogni modo non
avrebbe mai sposato uno come lui.
Daisy non sarebbe mai andata affondo
con quell'infatuazione per un ragazzo
più povero, perchè in realtà a
mantenerla viva è l'esser parte di quel
mondo
materialistico e vacuo, esserne compenetrata, dilettarsi
nell'illusione di volerlo fuggire, eppure amandolo
infinitamente. E proprio nel non scorgere questo, che
risiede la rovina di Gatsby e il dissolversi del suo sogno
di immensa grandezza. Non è stato sufficiente costruire
dal niente un impero economico, essersi mischiato in
business illeciti, aver creato un nuovo io e aver messo da
parte quello vecchio, Gatsby rimarrà ucciso da quella
stessa corsa irrefrenabile che lo aveva condotto così
lontano.
Daisy e il suo amore sono incostanti e artefatti, così
come lo sono quelle ricchezze e quei patrimoni lievitati a
dismisura, sull'onta di quell'illusione di crescita smodata
che animava un'intera epoca e di cui la parabola di Jay
Gatsby incarna lo spirito più profondo, racchiudendo
nella sua stessa storia l' essenza di quei “ roaring
twenties”, di cui F.S.Fitzgerald ha saputo immortalare lo
spirito autentico.
Non appena quella luce di nuova
magnificenza che Gatsby aveva
saputo così argutamente conquistarsi,
sembra svanire dietro lo spauracchio
dei suoi affari poco leciti, Daisy
ritorna mestamente a nascondersi
dietro gli allori della sua vita vacua e
senza pensieri, sotto l'egida di un
marito che la possiede, quasi fosse una
creatura astratta e inesorabilmente
avvinta da quel mondo materialistico e
senz'anima. Mentre Gatsby rimane
vittima inconsapevole di quella stessa
insensatezza e superficialità che è
parte di Daisy e del suo mondo, che
prima s'infiamma ardente e indomita,
travolgendo tutto e tutti, e poi senza il
minimo rimorso torna a cullarsi nel
suo nido di spensieratezza e stolta
cecità.
“Erano
gente sbadata Tome Daisy: sfracellavano
cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro e nella
loro ampia sbadataggine o in ciò che comunque li teneva
uniti, e lasciavano che altri mettessero apposto il
pasticcio che avevano fatto. . . ”
Marzo SCHEGGE 1 9
E una volta calato il sipario sulla sua vita, nessuno più
sembra ricordarsi di quanto fosse stato grande Gatsby, di
quanto fosse stato luminoso quell'astro assurto troppo in
fretta sulle vette dell'Olimpo di quell' “American
Dream ”, che la Grande Depressione avrebbe di lì a poco
disintegrato in un ancor più fulmineo batter d' ali.
F.S.Fitgerald ci narra una storia straordinaria che
cavalca lo splendore e le contraddizioni di un decennio
unico e sensazioale, dove tutto è esagerato e dove la
tragedia incombe inesorabilmente. Jay Gatsby racchiude
in se stesso tutto il senso e il non senso di quella corsa
irrefrenabile, appunto “ruggente”, dove ricchezza
smodata e ambizione più audace si fondono in un
intreccio letale e senza futuro, e che non lascia scampo.
“Povero Bastardo!”.
Eva Spaccamonti
DISCO DEL MESE
CUT COPY
“Zonoscope”
(Modular, 2011 )
C
erto che passare da idoli degli snob dell’ electro a
ricevere un messaggio da Lady Gaga in persona per
fare da supporto al suo mega-tour dev’essere stato uno
shock non da poco. Ma i Cut Copy non hanno bruciato la
lettera come hanno dichiarato ai media né accettato
l’offerta. Preferendo mantenersi in circuiti sotterranei.
Ma non durerà. Perché Dan Whitford e soci le
potenzialità mainstream le hanno nel sangue. Dopo
l’eccezionale “In Ghost Colours”, un agrodolce affresco
di elettronica ben suonata, tra spiaggia e club fumoso con
20 SCHEGGE Marzo
il monotono timbro di Dan a restare subito impresso.
Electro-pop d’alta scuola non privo di reminescenze
shoegaze nei timbri delle chitarre. Di vaga psichedelia
sixties. Ma pur sempre electro-pop con un pugno di
classici da pista quali “Lights & Music”, “Hearts Of
Fire”, “Feel The Love”. Roba da amore a prima vista.
Non a caso in Australia hanno sfondato in classifica.
Per poi sbarcare con altrettanto successo nel resto del
mondo anglo-americano. Eppoi la lunga gestazione di
questo “Zonoscope”, il cui ineffabile titolo è rimasto
segreto fino all’ultimo momento. Con una sola
sorprendente anticipazione, “Where I’m Going”. A dare
un’idea in parte spiazzante rispetto all’effettiva natura
dell’album. Il marchio di fabbrica dei coretti da eunuchi
(whoo whoo) non resta nel magazzino dismesso in cui i
quattro giovani di Melbourne hanno realizzato il loro
terzo LP. Un piglio psichedelico di base – vedi
intermezzo alla “Baba O’ Riley” – è ciò che emerge nella
potenziale risposta da underground mainstream alla
sdoganatissima “Kids” degli MGMT. Si accettano
scommesse. Nessun timore.
Le smancerie da sculettamento coatto sono garantite.
Senza cattivo gusto. Né cadute di stile. Una cascata di
colori, in tema con la suggestiva copertina dell’artista
Tsunehisa Kimura, pervade l’album. Anche quando i toni
più dimessi che sulla scia del precedente album ogni
tanto colgono i Cut Copy. Sono loro, sono loro. Non
temete: “Hanging Onto Every Hour” e “Take Me Over”
rispolverano nel loro stile quell’atmosfera da happy hour
per gente figa in cui fare i tamarri si distingue
dall’esserlo. Cosa rende i Cut Copy un nome di qualità?
Non solo il background, anche perché si sono lanciati
come dj, quanto i loro riferimenti. C’è la new-wave
prima di tutto, non manca come non dovrebbe mancare
in nessun gruppo contemporaneo il post-punk. C’è la
Manchester rave. Quanto, mai come in quest’album,
Malcolm McLaren e i Fleetwood Mac.
Come si capisce subito in “Need You Now” che apre la
scena in pieno stile New Order. Decadenza di fondo, ma
l’incedere molto LCD Soundsystem sfocia dove tutti
vorrebbero. In un epico tunz-tunz anni Novanta da
sorriso a trentasei denti. Il rock non si è perso in questo
improbabile gennaio nella terra dei canguri. Le
saggissime chitarre sanno più che mai di Talking Heads.
Tutto in chiave molto cyborg e sbriluccicante. L’intensa
“Blink And You’ll Miss A Revolution” ne è prova
lampante, al di là del titolo efficace. I toni afro, gli echi,
il ritornello-puttana non distolgono l’idea dall’ascolto di
un disco prodotto dal David Byrne dei tempi migliori in
ritiro spirituale a Ibiza. Così come la sinuosa “Pharaos
& Pyramids”, che guarda molto indietro (Human
League, primi Depeche Mode) per poi far scivolare le
spigolose trame synth-pop in una ballad sbilenca e
decadente. Anche l’Australia ha i suoi Hot Chip. Che si
travestono da divi tossicomani da Hacienda mancuniana
in “Corner OfThe Sky”.
Post-punk si diceva. In chiave 3.0. L’acida “Alisa”
che si concede chitarracce da Pop Group proiettandole
in una filastrocca drogata da Primal Scream . Eppoi
naturalmente quel whoo whoo che nel precedente album
era preponderante e ora va in primo piano nei ritornelli.
E poi riverberi, campionature da navicella spaziale,
orchestrazione classica senza riuscire a non essere pop.
Della serie il futuro arriverà o ci siamo già. “Strange
Nostalgia For The Future”, intermezzo spaziale, diventa
un manifesto d’intenti. “This Is All We’ve Got” pare un
remix tridimensionale di un classico della C86.
Sconvolge vista la giovane età la saggezza nella scelta
negli arrangiamenti. Il rischio di suonare pacchiani è
dietro l’angolo in queste atmosfere. Eppure il sound è
sempre multiforme, mai eccessivo e comunque in grado
di non allontanare i Cut Copy da quell’identità ormai
delineata e consolidata. Cosa che è mancata forse a un
altro promettente gruppo affine in questo eclettismo
electro-pop, quali i Foals. Continuano a fare sul serio
senza prendersi su serio i quattro svampiti della marcia
città che fino a qualche decennio fa dava i natali a Nick
Cave e altra gentaccia poco raccomandabile. In “Sun
God”, traccia conclusiva cedono senza remore a un
quarto d’ora di pura suite dancefloor da dancefloor
spinto. La degna chiusura di un album che suona come
l’ideale compendio tra “Low” di Bowie e “Remain In
Light” dei Talking Heads. In un mood senza vergogna
sospeso tra whoo whoo in disincantati panorami da
improbabile art-house.
Il dado è tratto: dopo l’addio degli LCD Soundsystem
un barlume di speranza nel pop-rock elettronico
contemporaneo. Un solo dubbio: ci si diverte così tanto
d’inverno in Australia? Ops, nell’altro emisfero è ancora
estate.
Novità e approfondimenti su www.kalporz.com
Piero Merola
Marzo SCHEGGE 21
MERHO LIST: la playlist con le migliori canzoni in uscita
ALEX WINSTON - Locomotive
ARCHES - This Isn't A Good Night For Walking
BRITISH SEA POWER - We Are Sound
DUM DUM GIRLS - He Gets Me High
FRANK OCEANS - Songs For Women
KURT VILE - The Ghost Town
THE GO! TEAM - Apollo Throwdown
HOORAY FOR EARTH - True Loves
LOW - You See Everything
LYKKE LI - Get Some
MOUNT PLEASANT - Florida
PANDA BEAR - Last Night At The Jetty
PIEN FEITH - I Have Done Nothing
PJ HARVEY - The Words That Maketh Murder
RADIOHEAD - Bloom
RINGO DEATHSTARR - So High
THE STROKES - Under Cover OfDarkness
tUnE-yArDs - Bizness
YUCK - Wall
I migliori LIVE in zona
ven 18 mar: MURCOF+KK & THE NOISER @ Ravenna, Teatro Rasi
sab 19 mar: KODE9+SPACEAPE+KING MIDAS@ Ravenna, Bronson
gio 24 mar: EVERYTHING EVERYTHING @ Bologna, Covo Club
gio 24 mar: RADIO DEPT. @ Ravenna, Bronson
gio 24 mar: STEREOTOTAL @ Bologna, TPO
ven 25 mar: CURRENT 93 @ Bologna, Locomotiv
ven 25 mar: BODUF SONGS @ Ravenna, Bronson
ven 1 apr: LYDIA LUNCH + BIG SEXY NOISE @ Cesena, Officina 49
mer 6 apr: GOD IS AN ASTRONAUT @ Ravenna, Bronson
gio 7 apr: DEERHUNTER + LOWER DENS @ Bologna, Locomotiv
ven 8-sab 9 apr MASSIMO VOLUME weekend @ Bologna, Covo Club
sab 9 apr: FUJIYA & MIYAGI + LOW FREQUENCY CLUB @ Ravenna, Bronson
sab 9 apr: GANG OF FOUR @ Nonantola (MO), Vox Club
dom 10 apr: ANNA CALVI @ Gambettola (FC), TreESessanta
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www.officina49.com
www.voxclub.it
22 SCHEGGE Marzo
ICONE CINEMATOGRAFICHE FEMMINILI
LA DIVINA
“
Give me a whisky, ginger ale on the side. . . and
don't be stingy, baby!”
Poche parole pronunciate con voce roca e sensuale
come mai se ne sarebbero sentite altre, ed ecco
materializzarsi un mito e nascere una leggenda: Greta
Garbo, la Divina.
Indimenticabile Anna Christie seduta a quel tavolo
mentre ordina quel whisky che avrebbe per un attimo
dissolto quel turbamento, che era così brava a far
trapelare con un solo sguardo. Quello sguardo che
bucava lo schermo e che impediva a chiunque di
toglierle gli occhi di dosso per tutto il tempo in cui la
cinepresa aveva il privilegio di immortalarla. Eterea,
meravigliosa, irraggiungibile, sempre velata da un'aurea
di sacralità che è propria delle dee, riusciva ad emozionare
e ad incantare in ogni ruolo che impersonava, regalando
sempre performance epiche e di un'intensità difficilmente
dimenticabile. Ardua impresa destreggiarsi nel suo vasto
e ineguagliabile repertorio, e scegliere tra quei ritagli di
donne meravigliose e divinamente tragiche, perché la
Garbo stessa è un'icona, l'Icona per eccellenza.
Meravigliosa Anna Karenina, smarrita nella desolazione
di quella stazione gremita di gente, e avvinta ancor di più
dalla desolazione nel suo cuore, che dopo aver guardato
malinconicamente un' ultima volta alla vita, si lancia
sotto un treno in corsa.
Sublime regina Cristina che con un solo lungo,
trasognato sguardo fa l'amore con la stanza dove si è
consumata la fiamma della sua passione per l'uomo
amato, fissando nella memoria ogni dettaglio prima del
commiato e segnando indelebilmente, in quella breve
scena, la storia del cinema. “Sto memorizzando questa
stanza. In futuro, nella mia mente, tornerò molto spesso
in questa stanza. ”
Sensuale e magistrale Mata Hari, che va incontro alla
morte con sconfinata classe e che nemmeno nella
disperazione più nera per la fine imminente, perde un
minimo della sua conturbante grazia.
Ironica e inesorabilmente adorabile Ninontchka,
donna apparentemente altera e scostante, ma dal cuore
d'oro e di una dolcezza incantevole, che non può non
strappare un ghigno di soddisfazione, quando nell'allegro
chiacchiericcio di una taverna di operai, il mondo la vede
ridere per la prima volta, esplodendo in una risata
smodata e scomposta che la rende ancora più bella.
“Garbo laughs!”
E potrei continuare senza sosta nel rievocare scene
sublimi e uniche, che hanno fatto innamorare intere
masse, imprimendo nei loro cuori quanto di meglio il
mondo in celluloide potesse offrire.
La Garbo era una donna che poteva essere qualsiasi
cosa dietro ad un obiettivo, impersonare l'ambivalenza e
la disperazione con un sguardo, ma anche
il mistero e la sensualità, semplicemente
reclinando e mostrando il collo, o chiudendosi in un
abbraccio. Una donna che si concedeva pienamente solo
dietro alla macchina da presa, e che sapeva essere gelida
ed estremamente riservata nella vita. Avara di interviste e
restia alle apparizioni pubbliche, sprezzante dello star
system , e di quella deriva bieca del successo che sfocia
all'esibizionismo a tutti i costi.
La Garbo era un'altra cosa, misteriosa quanto basta
dal suscitare la più vivida curiosità, gelosa della sua vita
privata a rischio di apparire snob o poco simpatica. La
Garbo era una Diva, e come tale scendeva malvolentieri
dall'Olimpo. E fedele a questa sua natura, decise di
abbandonare le scene così prematuramente, all'auge del
successo, ancora bellissima e magica, lasciando un vuoto
in quel pubblico che l'aveva così adorata, e che tutt'ora
non si stanca mai di celebrare il suo straordinario talento.
La Garbo non ha dato al tempo l'occasione di scalfire
quella sua immagine di donna eterea ma anche
struggente nell'impersonare eroine combattute e dal
destino tragico. E con ciò ci ha permesso di ricordarla
sempre così, senza che il corso degli anni imprimesse il
suo tocco impietoso su quel viso che è la storia del
cinema. E così la ricorderemo, sempre magnifica e
austera, sempre la Garbo, la Divina.
Eva Spaccamonti
Marzo SCHEGGE 23
CURVE PERICOLOSE
NON PUO' PIOVERE PER SEMPRE
PAROLA DI PAOLO FOX
LA VITTORIA SCINTILLANTE
E IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI
C
are le mie signorine buonasera, mentre fuori
l'inverno si scatena, con umidità, grigiore diffuso,
freddi venti del nord e pioggerellina incessante, non ci
resta altro che tuffarci nel più dolce dei rifugi. La
nutella? No! Il bombolone alla crema? No! La lettura
dell'oroscopo, così, giusto per sentirci dire da Polo Fox e
compagni che la sfiga non finirà neanche nel 2011.
Per caso siete nate sotto il segno del capricorno?
O peggio del cancro? Benissimo, le previsioni del
futuro sono come al solito catastrofiche per questi
due solinghi segni zodiacali. Non si capisce per
quale motivo gli astrologi si accaniscano su di loro,
ma mentre i vari segni di aria e fuoco la passano
sempre liscia, noi veniamo derise da tutti, persino
da quel simpaticone di Rob Brezsny, l'astrologo di
fiducia dell'Internazionale. Tutte le volte che lo
leggo, mi viene fuori quell'espressione inebetita e
perplessa, alla ricerca del significato profondo
delle sue parole. Un senso di smarrimento mi
pervade: fiori d'arancio, fortuna e sesso bollente
per tutti gli altri segni, mentre solo saggi consigli
filosofici ed esistenziali per il cancro e il
capricorno, come se fossimo fatti di etere e
imperativi categorici.
Paolo Fox è quello che ci prova più gusto,
tracciando gli andamenti mese per mese. Chissà
come mai, di anno in anno, noi ragazze del cancro
e del capricorno battiamo la ritirata a colpi di
nervosismi e fallimenti fino ad agosto.
“Poi da settembre le cose migliorano –
dice ormai da anni quella criptochecca di
Fox – e avrete uno splendido novembre”.
Tu aspetti tutto l'anno la svolta, che mai
arriva, e poi a Natale ti ritrovi ancora
una volta con gli stessi grattacapi
dell'anno prima, mentre ingurgiti
l'opulento pranzo della nonna, con gli
altri parenti. E mentre le cartomanti
delle città di provincia festeggiano con i
soldini accumulati negli anni, regalati da
donne piene di speranza, una domanda sorge
spontanea: “Perché loro ci azzeccano e i grandi
maestri dell'occulto no? ”.
Io ho migliaia di prove e testimonianze di donne
che si rivolgono a
queste esperte del
futuro e puntualmente
tutto si avvera: uomini
conosciuti sul posto di lavoro, promozioni
incredibili, relazioni fallimentari assicurate con
certi maschietti.
Io non ho ancora avuto il coraggio di rivolgermi
a queste streghe post moderne. Forse perché ho
una fottutissima paura che mi predicano le stesse
sventure di Paolo Fox, magari condite da dettagli
inquietanti che cerco di scordare ogni giorno che
passa.
Gli Antichi Romani si dividevano tra l'arte
divinatoria e una certa visione fatalista. Della serie,
una sfiga se deve accadere accadrà. Nessuno è
riuscito a evitare l'assassinio di Giulio Cesare,
nonostante Cleopatra ne avesse letto i presagi. A
cosa serve conoscere il futuro? Forse per mettersi
l'anima in pace su determinate questioni. Una
cartomante potrà benissimo dirmi: “Non ti
sposerai mai”, oppure “Non potrai mai essere una
bionda naturale senza peli sulle gambe” con la
stessa leggerezza e spontaneità. Ma a questi due
teoremi ci sarei arrivata da sola senza dover
leggere i tarocchi. La seconda affermazione poi è
talmente ovvia che non ci vuole uno scienziato
dell'occulto per capire e interpretare i miei
cromosomi del sud Italia, che includono
peli, baffetti e crine d'ebano.
Sul versante amoroso, non ci
vuole un genio per capire che ci sono
individui nel mondo che meritano di
rimanere soli. Forse è tutta colpa del
destino, pare che ce lo abbiamo già
scritto, sin dalla nascita. Leopardi era
destinato a diventare un fan dello studio
matto, come Fabrizio Corona era destinato a
diventare un delinquente terribilmente
sexy. O no? Io ero destinata a varcare un
bel giorno la porta di un sexy shop? Sì, a
quanto pare, snervata dalle lacune
amatorie maschili, un bel giorno l'avrei
24 SCHEGGE Marzo
varcata. E dentro c'è tutto un mondo nascosto, fatto
di latex, simboli fallici e lingerie d'alta moda. E chi
l'avrebbe mai detto? Forse solo una cartomante di
Forlì, perché Paolo Fox non ha fatto riferimenti a
mie future attività masturbatorie. Fino ad allora,
l'unico onanismo che conoscevo era quello
mentale. Poi ho deciso che volevo scoprire i misteri
del creato situati nel basso ventre e mi sono diretta
verso il tempio del benessere, il sexy shop appunto.
Che c'è di male. Anche il nostro Presidente del
Consiglio, nelle sue intercettazioni, diceva a una
sua amichetta: “Devi toccarti con una certa
frequenza”. È la voce del padrone, non c'è niente di
male.
La Libia brucia, l'Egitto dichiara la sua
indipendenza? E chi se ne frega, nessuno mi
separerà per una buona mezz'oretta al giorno dal
mio love toy e dalle mie dita. Che donna di facili
costumi, che ninfomane, grideranno i maschietti e
le studentesse ben educate, cioè quelle che non
sono cresciute a pane ed Erotica di Madonna. I
maschietti si sentiranno bistrattati e feriti
nell'orgoglio machista. Le donnine invece, quelle
che perdono tempo a protestare in piazza contro un
modello di donna disegnato da Berlusconi,
continueranno a pensare che scrivo di sciocchezze
e di essere superficiale e modaiola. Io penso invece
che quelle stesse donne che sono andate a
manifestare una manciata di giorni fa in piazza per
la dignità della donna si sono rese ridicole e
patetiche. Si vergognano della propria femminilità,
preferiscono non esplorare la propria sessualità, ma
sono le stesse che vogliono compiacere a tutti i
costi il compagno fintamente intellettuale che le
aspetta a casa. Si piegano a ogni loro capriccio,
mentre il compagno fintamente intellettuale, che
rispetta la donna e le sue virtù, cerca la compagnia
di donne pericolose o transessuali, afrodisiache
soluzioni a una donna che ha voluto rinunciare al
suo ancestrale potere: il sex appeal.
Brave ragazze, scioperate e scendete in piazza.
Ma siete state proprio voi ad annunciare e a
procrastinare la vittoria del maschio. Voi che non
riuscite ad affrontare la solitudine o che avete paura
di lasciar scorrere la vostra sensualità, voi che
mostrate disprezzo per i sexy shop e per donne
come le varie Iris Berardi e Ruby. Purtroppo la
parità dei sessi non si raggiunge mostrandovi
erudite e con i mocassini ai piedi. Spiacente dirvelo
ma si può raggiungere solo con l'altissimo e nobile
valore della solidarietà. E voi che protestate in
piazza non siete solidali, dopo la manifestazione
ognuna torna al proprio nido, tranquilla di non
essere 'sola al mondo'. Non volete approfondire,
non volete unirvi, amarvi e combattere per il
popolo italiano, voi preferite sempre e comunque
quella mezza cartuccia spelacchiata di maschio che
vi attende sul divano. Avete paura che vi
abbandoni, avete paura di contraddirlo, avete paura
di lasciarlo solo a tavola. Avete bisogno del suo
compiacimento e del suo plauso morale, dopo che
vi ha viste protestare in televisione, mentre lui
annusava le mutandine di una donna più sexy in
vostra assenza Chi me l'ha detto? Una cartomante
oppure ci sono arrivata da sola perché sono una
strega, chissà. Oppure sono la donna di facili
costumi che lo ha appena intrattenuto sul divano,
prima che voi arrivaste.
Soltanto una cosa di questa triste Italia non
riesco a spiegarmi. Perché non ci sono anche delle
versioni maschili delle varie Ruby e Nicole
Minetti? Possibile che non ci sia un fustacchione
anche per noi donne erudite, da sbattere a nostro
piacimento? Quando vedremo in prima pagina i
bicipiti e gli addominali di un sosia di James
Franco coinvolto in qualsivoglia scandalo politico?
Dobbiamo davvero rivolgerci solo alle nostre
fantasie aiutate da qualche giocattolino erotico?
Non ci ha riservato grosse sorprese neanche la
notte degli Oscar. Tutti così perfettini, politically
correct, nessuna polemica, mille premi al Discorso
del Re – che non ho ancora visto ma che sarà di
una noia mortale – ovvia vincitrice Natalie
Portman, che le mancava giusto l'Oscar dopo
Golden Globe e Bafta Award. Nicole Kidman è
diventata la gemella di Nina Moric, dimenticate
per sempre l'intensità del suo sguardo in 'Ritratto
di signora'. Nessun bacio travolgente tipo quello
gentilmente concesso da Adrien Brody a
un'incredula Halle Berry – e quando mai le
ricapiterà una fortuna simile? - nessuna vecchia
gloria di Hollywood, nessun siparietto a cura di
Whoopi Goldberg o di Billy Cristal.
La notte degli Oscar ormai è solo il tramonto di
un'era, condita dal vero silenzio degli innocenti e
dallo scintillio dei costosissimi gioielli delle nuove
star, dalla Portman alla Swank fino al collagene
della Kidman. Ragazze, adesso potete pure
piangere, non di felicità ahinoi.
Virginia Longo
Marzo SCHEGGE 25
Ariete: La situazzione presentasi grave, con acutizzarsi di fenomeni patologgici le cui cause e
concause vanno rintracciate tra epifenomeni di natura ciclica, la cui certa origgine è il Vibrio
Cholerae , altresì detto ‘o schconquasso inteschtinale.
Toro: Sibbene il motto consigli d’afferrarli per le escrescenze ossee poschte sulla sommità del
cranio, e che vulgata vuole chiamarsi, con parola colma di significati ambigui, ‘e corna, è stato
stabilito dall’art. 675/56 che tali beschtie, appartenenti alla famiglia dei Bovidi, vadano
soppresse in appositi luoghi istituiti dall’art. 45/764, c.4 c.c. Ogni abuso sarà punito dalle
autorità coschtituite.
Gemelli: Secondo quanto appreso dalla direttiva informativa a74b/E dell’Unione Europa, i
gemelli, se eterozigoti, sono assai poco simiglianti tra essi medesimi, se invece omozigoti, so’
schpiccicati. Prendo nota.
Cancro: La situazzione è grave, senza remissione di causa. Coloro i quali intenderanno
sfuggire al loro tristo destino attraverso scorciatoje di tipo ecstragiudizziario saranno puniti ai
sensi del regolamento parlamentare testé fattomi osservare.
Leone: Preso atto degli articoli 1, 83, 139 cost. e delle dischposizzioni transitorie atque finali
della medesima, nummero XIII-XIV, osservo che la Monarchia non esiste più e decreto, con
atto d’immediato vigore e robustezza, che voi non siete più il Sire della Jungla. E tant’è.
Salutm ‘a soreta.
Vergine: Comprovatasi la virtù femminile con apposite indagini interne, dichiaro decaduta la
qualifica di sfaccimme che aleggia su coloro le quali non possono fregiarsi di tale invisibbile
merito, equiparando con atto presidenziale le due condizioni, favorendo l’equipollenza degli
istituti, come richiestomi in privato colloquio dal Presidente del Consiglio dei Ministri, on.
Berlushconi.
Bilancia: In attuazione dei provvedimenti di natura internazionale che quesht’oggi sono stati
depositati sulla mia già ingombra schrivania, decreto che la statera, o bilancia, sofisticata da
interventi artatamente indotti da mano umana è posta al di fuori della legge e
obbligatoriamente distrutta nelle sedi e dalle autorità coschtituite.
26 SCHEGGE Marzo
Scorpione: ‘e muorte ‘e chi t’è muorte ‘e chi t’è stramuorte! Con decreto PdR di oggidì è
stabilito che qualunque forma di artropode velenoso della classe degli aracnidi, volgarmente
definite shcorpioni, siano allontanati dallo studio presidenziale posto nel succitato Palazzo del
Quirinale, e financo ogni rappresentazione tassidermica venga distrutta, con la seguente
motivazione: “aggio paura!”
Sagittario: La situazzione presentasi grave, e non lo affermo sull’onda di un pessimismo
cosmico di matrice leopardiana, ma cotesta mattina la Signoria mia ha avuto un troppo
ravvicinato incontro col Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Berlushconi, e m’aggio
scuornato!
Capricorno: Spiragli di buona sorte sembrano lacerare il fitto drappo oschcuro della vita vostra
nel fine settimana venturo. Così è decretato con atto protocollare 345/$ del 17.II.2010
Acquario: V’irridono presumibbilmente i pesci, quantunque dobbiate avere timor sacro d’un
lione, già destituito d’ogne potere come da succitato provvedimento. Apprendiamo con
sgomento quanto accaduto alla conformazione astrale negli ultimi giorni: ‘o schorpione v’assale,
si consiglia stricte la fuga.
Pesci: Recita popolar canzone partenopea del sec. decimottavo: “’O guarracino che jeva pe’
mare glie venne voglia de se ‘nzorare…”. Un lieto evento v’attende nelle prossime settimane:
vogliate imprescindibbilmente accettare le mie benedizioni per il convolamento a giuste nozze,
come da DPdR 56/4 del …me l’aggio schcurdate.
Elogio del forlivese
di MMC
Olindo Guerrini (1845-1916), quand’era in vena di alta lettura, si firmava col nome anagrafico, e scriveva delle robe brutte e
retoriche, gonfie di buoni sentimenti. Ma quando scriveva rime giocose aveva uno pseudonimo femminile, Argia Sbolenfi, che è
l’anagramma di una brutta esclamazione bolognese che le personcine ammodo che leggono
Schegge non dovrebbero mai ascoltare (Sborenlafiga… ). Qui sotto si possono leggere due
composizioni, due descrizioni: quella del sigaro toscano, poco apprezzato dalla zitella Argia, e
quella della sua capretta, che invece pare darle molte soddisfazioni. Perché vi scrivo di Olindo
Guerrini? Perché il nostro era forlivese, ma delle sue origini scriveva:
“Sono nato
(ahimè!)
a Forlì; ma la mia vera patria è Sant'Alberto”. Guerrini s’impone
dunque alla nostra attenzione quale unico forlivese simpatico e pieno di humor nella pur
gloriosa storia della cittadina romagnola!
Il tuo sigaro toscano è una vera indegnità
quanto più lo prendo in mano tanto più mi fa pietà:
sembra trippa di vitello, sembra pasta che rinvien
sembra un pezzo di budello mezzo vuoto e mezzo pien.
L’ho palpato, accarezzato, l’ho succhiato in su e in giù:
tempo perso , è rovinato, oramai non tira più!
***
Quando trovo qualcun che me la mena,
la mia capretta, a pascolar sul monte,
Tutta la sento di dolcezza piena
guizzar pel gusto che le brilla in fronte:
E se poi qualchedun me la rimena,
corro tosto a lavarla ad una fonte,
indi l’ asciugo e non è asciutta appena
che a trastullarsi ancor le voglie ha pronte.
Sempre sana e piacente, al caldo e al gelo
va intorno e cogli scherzi altrui diletta,
tanto la tenni e l’ educai con zelo.
Eccola qui che una carezza aspetta,
fresca, pulita e non le pute il pelo...
Dite, chi vuol baciar la mia capretta?
Dalle Rime di Argia Sbolenfi, Bologna, 1897
Marzo SCHEGGE 27
APPUNTAMENTI FISSI X-RAY
MARTEDÌ - LIVE MUSIC
MERCOLEDÌ - "DOCTOR WHY" QUIZ
GIOVEDÌ - SUPER VIDEO KARAOKE
VENERDÌ - LIVE MUSIC
DOMENICA - SUPER VIDEO KARAOKE
X-RAY
via Forlanini 1 Forlì
i n fo & pren otazi on i : 3356699605
xraypu b. com
ch i u so i l l u n ed ì
IL PROGRAMMA DELLA SETTIMANA
(Facebook: KOINÈ FORLÌ)
Lunedì:
KINO @ Sala Polivalente di KOINE'
(via Valverde 15, 1° piano)
Martedì:
MARTEDÌ UNIVERSITARIO @ Rock Pride
(v.le Italia 12)
Mercoledì:
DIAGONAL LOFT CLUB
(v.le Salinatore 101)
Giovedì:
ERASMUS APERITIF @ Moquette Bookshop-Bar
(via Dall'Aste 15)
Venerdì:
SERATA ROCK @ Rock Pride
(v.le Italia 12)
ROCKHOUSE @ Naima
(via Somalia 2)
Domenica:
APERITIVO @ La Collina Dei Conigli
(Parco Urbano)
Schegge realizzato con il contributo di ALMA MATER STUDIORUM Università di Bologna
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