sch eg g e@koi n eon l i n e. org SCHEGGE I L M E N S I L E D E G L I S TU D E N TI U N I VE RS I TARI M arzo 2 0 1 1 d'unità D I F O RL Ì 2 SCHEGGE Marzo EDITORIALE CARI LETTORI... E Schegge Schegge è un giornale universitario aperto, che nasce per dare spazio alle idee di tutti e per stimolare un dibattito che sia reale ed argomentato: uno spazio in cui confrontarsi liberamente. Le opinioni espresse negli articoli di Schegge, salvo dove diversamente specificato, non implicano quelle dell'Associazione Universitaria Koinè ma sono piena ed esclusiva responsabilità degli autori degli articoli stessi. schegge@koinèonline. org ccoci qui di nuovo per il nostro abituale appuntamento mensile. Con questo nuovo numero abbiamo cercato come al solito di proporvi contenuti interessanti che rincorrano quelli che sono i temi più scottanti dell'attualità senza trascurare tematiche legate al costume e alla cultura. A questo proposito abbiamo il piacere di proporvi un focus incentrato sulla crisi in Nord Africa, per cui ringraziamo vivamente World in Progress e i suoi collaboratiori, ma anche Maria Zanenghi e Caterina R. Marchese. Piero Merola ci riporta pedissequamente gli importanti sviluppi sulla Facoltà, che si sono verificati proprio in queste ultime settimane, con l'elezione del presidente di Polo. Marzio Maria Cimini prosegue con la sua rubrica dedicata all'Unità d'Italia, le cui celebrazioni sono imminenti, illustrandoci un raffinato riquadro su ciò che è stato e sul perché sia necessario celebrare un evento tanto importante, nonostante le voci dissezienti di quanti vi guardano con diffidenza. Enrico Serra, invece, torna a parlarci del nostro Belpaese, con una riflessione sulla nostra attualità poltica, che non smette di offrirci spunti. Lorenzo Rossi è più che mai frizzante nel raccontarci della Radio e del ruolo di straordinario di avanguardia culturale che ha ricoperto nella storia del XX secolo. Giuseppe Zangara ci guida in un viaggio attraverso la scienza, illustrandoci ulteriori e importanti informazioni sul processo evolutivo umano. Immancabili le nostre rubriche su cinema, libri, musica, sport e l'oroscopo, nella speranza che vi siano sempre gradite. E naturalmente Virginia Longo e le sue Curve Pericolose. Infine voglio invitare, quanti siano interessati, ad interagire con la nostra redazione, scrivendoci email di risposta agli articoli (schegge@koineonline. org), o anche semplicemente per esprimere un vostro punto di vista, critiche e offrirci suggerimenti. Buona Lettura Eva Spaccamonti SCHEGGE realizzato con UBUNTU&SCRIBUS&THE GIMP nelle officine KoiNerd SOMMARIO P. Merola - Ruffeelings ................................................................. 3 A. Marziali (WiP) - [R]evolution .................................................... 5 M. Zanenghi - Tunisia anno zero .................................................. 7 C. R .Marchese - La rivoluzione del Nilo ...................................... 8 E. Serra - Toglietemi tutto, ma non la mia poltrona! ................... 1 0 M. M. Cimini - Viva Verdi! ............................................................1 2 L. Rossi - All day and all of the night ...........................................1 4 G. Zangara - L'epocale avventura dell'Escherichia Coli ..............1 5 L. Rossi - Uno sport bestiale giocato da gentiluomini .................1 7 E. Spaccamonti - Bloomsbury .....................................................1 8 P. Merola (Kalporz) - Disco del mese ......................................... 1 9 E. Spaccamonti - Icone cinematografiche femminili .................. 22 V. Longo - Curve Pericolose ....................................................... 23 MMC - Elogio .............................................................................. 26 Marzo SCHEGGE 3 RUFFEELINGS Il punto sulla Facoltà di Scienze Politiche DI PIERO MEROLA D opo due mesi di stallo, la Ruffilli trova una via d'uscita. O meglio, sembrerebbe averne trovata una. Le elezioni di mercoledì 2 marzo hanno decretato la nomina del nuovo preside. Esito apparentemente scontato in un improbabile mercoledì dai tratti postatomici per i cumuli di neve della notte precedente. Scontato perché si è presentato come unico candidato il prof. Paolo Zurla. Non così scontato se si considera che tra i 68 aventi diritto in Consiglio di Facoltà, solo in 33 sono andati a votare. E a fronte di un quorum di 35 votanti necessario per rendere la votazione valida, il voto degli studenti, presenti in sette su dieci rappresentanti, è risultato decisivo. Dopo una discussione-fiume a margine di un Consiglio di Facoltà che ha palesato ancora una volta spaccature, contrasti e visioni molto divergenti tra le diverse componenti disciplinari, gli studenti hanno deciso compatti di votare scheda bianca. La decisione di votare senza “prendere parte” è stata concertata dai rappresentanti dell'Interassociativo (la lista di KOINE' e UDU) insieme ai due rappresentanti di Azione Universitaria per lanciare segnali di unità e concordia. Evitare l'astensione, esprimere le proprie perplessità, ma allo stesso rompere lo stallo in caso di elezione non valida. Non è la prima scelta condivisa tra le due liste, nella comune volontà di impostare con un approccio costruttivo e pragmatico la rappresentanza evitando scontri politici o ideologici in un clima già poco rilassato. I prossimi mesi saranno fondamentali per decifrare il futuro della “Roberto Ruffilli”. Com'è noto, il disegno Gelmini prevede il superamento delle facoltà, creando in sostituzione due strutture nuove: scuole e dipartimenti. Difficile prevedere oggi il futuro della facoltà di Scienze Politiche considerata dai ranking di riferimento come la migliore in Italia. Banalmente l'unica certezza è la garanzia dei corsi di laurea attualmente attivi o in attivazione futura. E' bene infatti precisare, per scongiurare crisi di panico collettive relative a un presunto ritorno della Ruffilli a Bologna, che si tratterebbe unicamente di un inglobamento sul piano burocratico-decisionale. I corsi di laurea afferiranno infatti a uno specifico dipartimento mono-disciplinare oppure a dei dipartimenti multi-disciplinari creati ad hoc per raggiungere i requisiti numerici necessari. Il bargaining sull'istituzione delle scuole è ancora più complesso, dal momento che rappresenterebbero una comoda soluzione cuscinetto per molte piccole facoltà quanto per i Poli decentrati. Dopo l'assemblea d'Ateneo organizzata dal Rettore per fare il punto sulla bozza di riforma dello Statuto, la cui definizione dev'essere ultimata come previsto dalle legge 240 entro il 29 luglio, sono venuti fuori alcuni particolari importanti. I dipartimenti dovranno avere almeno 50 membri, requisito cui rispondono a oggi solo 20 dei 70 dipartimenti. La commissione Statuto sta quindi vagliando varie ipotesi, tra cui quella di accorpare le attuali 23 facoltà in 5 scuole: area delle scienze umanistiche, della medicina, dell’ingegneria, politologica giuridica ed economica e infine delle scienze. Il dibattito anche in Ateneo è molto acceso. I primi rumour importanti verranno fuori in Senato Accademico l'8 marzo e nel CDA del 15 marzo. In questi giorni inizieranno i 45 giorni di audizioni della commissione-Statuto con tutte le componenti universitarie, quindi i successivi 45 giorni saranno dedicati ai dibattiti nelle facoltà e nei dipartimenti. Ed è qui che rientra il discorso sul futuro della facoltà. Non si può sperare che sia l'importante investimento per il Campus la chiave per la salvaguardia del Polo Forlivese e delle sue facoltà. La questione non è tutta lì, purtroppo. Scienze Politiche è per definizione una facoltà multi-disciplinare. Il respiro internazionalista del SID e il taglio prettamente sociologico dell'altra filiera arricchisce il puzzle di competenze nonché di appartenenze dipartimentali. Sarà un bel dilemma far quadrare conti e numeri nel riassetto della Ruffilli tra corsi di laurea e dipartimenti di riferimento tra storicogiuristi, politologi, linguisti, economisti e sociologi. O riuscire far rientrare in tutto in una struttura decentrata, una sorta di scuola territoriale, possibilità non espressamente ostacolata dalla riforma laddove paventa “forme sostenibili di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica”. Nel programma del prof. Zurla, personaggio molto in vista a Forlì per il suo passato di preside di Polo, non si staglia un orizzonte molto nitido sulle tendenze che la nuova presidenza cercherà di portare ai negoziati con Bologna, al di là della volontà di trovare la formula giusta per mantenere una struttura simile a quella del Polo Scientifico-Didattico forlivese. Il docente di Sociologia e Politiche Sociali esprime la volontà di mantenere e valorizzare le riforme didattiche approfonditamente trattate in Ruffeelings di gennaio “in 4 SCHEGGE Marzo difesa dell’alta qualità didattica raggiunta, l’elevato grado di internazionalizzazione, il soddisfacente livello dei servizi agli studenti e l’ottima reputazione della Ruffilli”. Sembrano quindi profilarsi pochi spiragli sull'eventuale introduzione di insegnamenti per un curriculum criminologico nel terzo anno del corso in Sociologia generale che sostituirà dall'anno prossimo SSCS. Questione molto spinosa quella della perdita di peculiarità di un corso con molto appeal, su cui i rappresentanti hanno già cercato di influire in Consiglio di Facoltà con un voto di astensione e con rilievi in Commissione Didattica. Proprio rispetto alla Commissione Didattica è legato un altro punto del programma della nuova presidenza. L'organo paritetico è oggi composto da 7 rappresentanti degli studenti, dal preside, da 6 presidenti dei rispettivi corsi di laurea oltre che dai 2 responsabili per Orientamento e Internazionalizzazione (privi di diritto di voto). La volontà di introdurre un presidente di Commissione Didattica rappresenta certamente un'opportunità affiancando al preside una figura più preparata su questioni più attinenti all'organizzazione didattica. Ciò sarebbe proficuo non solo in ambito interno, ma anche nei sopra menzionati colloqui esplorativi del Rettore per la ristrutturazione delle facoltà. D'altro canto potrebbe avvelenare un clima già non ideale nel caso in cui venisse proposto un nome divisivo o fortemente legato a una delle componenti disciplinari. Lo stesso discorso varrebbe ovviamente per “l’istituzione di un Consiglio di Presidenza, con compiti istruttori e di coordinamento, cui parteciperebbero membri appartenenti a tutte le componenti presenti in Consiglio di Facoltà (ordinari, associati, ricercatori e studenti) ”. Gli studenti si sono collocati in una posizione intermedia in Consiglio di Facoltà tra i 29 votanti del prof. Zurla e il resto degli astenuti. Al di là di perplessità e convinzioni personali, il proposito di tutti i rappresentanti sarà quello di continuare a dialogare e collaborare con la nuova presidenza e tutte le componenti del Consiglio per difendere un patrimonio quanto mai a rischio. EMERGENCY SEX POINT Nell'ambito del progetto sull'educazione sessuale promosso dall'Associazione Universitaria Koiné, apre nella Sala Polivalente di Via Valverde 15, l 'Emergency Sex Point. Il primo punto di distribuzione di profilattici (marchio Durex, scadenza luglio 2015) a offerta libera è aperto, come le due aule di studio gestite dall'Associazione, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 24. Non siate timidi, vi aspettiamo! Marzo SCHEGGE 5 WORLD IN PROGRESS jointhewip.wordpress.com [R]EVOLUTION World-in-Progress (WiP) è una rivista-laboratorio che nasce da un’idea condivisa da un gruppo di giovani studenti e studiosi interessati all’approfondimento delle relazioni internazionali contemporanee: creare uno spazio all’interno del quale scambiare opinioni, esprimere pareri e confrontare visioni su quel mondo che costituisce, allo stesso tempo, l’oggetto delle nostre analisi e l’ambiente fisico delle nostre esperienze soggettive. Ogni persona coinvolta in questo progetto è per sensibilità, per esperienza, per formazione o per puro piacere intellettuale particolarmente interessata all’evoluzione del contesto storico, politico, economico, sociale e culturale di una determinata area geografica. Il criterio geografico, inoltre, è stato l’unico a guidare la suddivisione della rivista in otto distinte sezioni: Africa, Asia, America Latina, Europa Occidentale, Europa Orientale, Medio Oriente, Relazioni Interamericane e Stati Uniti. L’obiettivo del progetto è duplice. Da un lato predisporre in favore degli autori che vi collaboreranno una cornice nella quale rendere concreti pensieri e analisi spesso confinati esclusivamente all’astratto mondo delle idee, cercando di essere una tela che gli autori stessi sceglieranno come, con quali colori e mediante quali strumenti dipingere. Dall’altro fornire al lettore interessato alle relazioni internazionali uno sguardo nuovo sulle vicende del mondo, uno strumento di ricerca e di approfondimento, ma anche di stimolo e di dibattito, ponendosi come un’occasione da cogliere per vivere una volta di più e in maniera immediata uno di quelli che, nonostante tutto, continua a restare uno dei vantaggi dell’era globale: avere il mondo a portata di mouse. «Asfur tal min es-shubbak… » «Uccellino hai guardato dalla finestra… Gli ho detto di non aver paura, di guardare fuori il sole che sorgeva, e ha visto il sole che sorgeva, ha guardato la foresta e ha visto le onde spumeggianti della libertà… » L e parole di una canzone famosissima nel mondo arabo, simbolo di una rivoluzione sempre agognata e mai completamente compiuta acquistano in questo periodo un significato del tutto particolare. I cambiamenti che stanno scuotendo il Medio Oriente ed il Nord Africa hanno una portata epocale che solo con il tempo saremo appieno in grado di cogliere; per ora possiamo limitarci a commentare gli eventi e tentare di analizzarli, ma nella consapevolezza che tutte le convinzioni accumulate negli anni e sedimentate dal pericolo delle etichette culturaliste (come la presunta incompatibilità tra paesi arabi e democrazia, o la passività degli arabi di fronte ai regimi più autoritari) possono rivoluzionarsi nel giro di un mese. L’entusiasmo che si è acceso nelle piazze arabe a seguito della caduta di Ben Ali in Tunisia ha raggiunto picchi esorbitanti con la vittoria di piazza Tahrir. L’emozione che ha accompagnato quei momenti è legata alla consapevolezza che si stia vivendo un tornante storico dell’importanza pari agli eventi che hanno caratterizzato l’est Europa nell’89, anche solo su un piano puramente emotivo. Nonostante tutti i timori razionali riguardanti l’incertezza di ciò che accadrà in seguito, nella notte in cui Mubarak ha annunciato la sua dipartita dopo trent’anni di esercizio del potere autoritario, la sensazione di fierezza provata dagli arabi è stata probabilmente qualcosa di unico nella storia di questa tormentata regione, ed estremamente toccante. Le rivolte del venerdì – a distanza di quasi un mese infatti i dittatori tunisino e egiziano sono fuggiti dal proprio paese nello stesso giorno di festa, pressati da una piazza non più disposta a lasciare quello spazio pubblico di cui si è riappropriata – hanno avuto echi in tutta la regione. Ora, però, le proteste si sono trasformate in veri e propri massacri in paesi come la Libia, la cui chiusura elevata rende il costo della mobilitazione estremamente drammatico, tanto da richiedere da più voci un intervento internazionale al fine di fermare quello che si sta profilando come un vero e proprio crimine contro l’umanità. Quello che ci si domanda in questi giorni tumultuosi è perché, perché ora, improvvisamente, perché non qualche mese fa, perché non tra qualche mese. La risposta che mi è stata data ogni volta che ho posto questa domanda ha richiamato la classica goccia che fa traboccare il vaso. Semplicemente, quando la misura è colma, nessuno può sapere quando arriverà quel minimo evento che innesca la reazione. E, per quanto sembri scontato, questa immagine è esemplificativa di come dei regimi in realtà illegittimi si siano assicurati la sopravvivenza per anni attraverso un misto di politiche repressive ed inclusive; è però sufficiente che qualcuno gridi che il re è nudo per svelarne la vera realtà autoritaria e repressiva. Il filosofo Slavoj Žižek ha ricordato con il suo articolo pubblicato qualche tempo fa nel Guardian la scena che, mutatis mutandis, meglio evoca questo repentino e inaspettato quanto ineluttabile momento: il dimostrante descritto da Kapuscinski in Shah-in-Shah il quale, intimato da un poliziotto di andarsene, si rifiuta di eseguire l’ordine; un gesto che ha sorpreso il potere abituato alla cieca ubbidienza, e che ha in qualche modo dato il via agli eventi che hanno portato poi milioni di persone in piazza, consapevoli che quello che era inimmaginabile fino a poco tempo prima avesse invece varcato i confini del possibile. 6 SCHEGGE Marzo Diverse considerazioni vanno fatte all’indomani degli eventi che stanno infiammando in questo momento la regione. Prima di tutto, in questi giorni è diffusa la tendenza di vedere in questa propagazione di rivolte nei paesi arabi una teleologia intrinseca, un percorso obbligato verso la Democrazia a cui ormai nessun regime può sottrarsi, in una sorta di effetto domino. Purtroppo, l’essenzialismo è riduttivo e fuorviante sia che tenda a sostenere un’intrinseca culturale incompatibilità tra paesi arabi e democrazia, sia che non colga le particolarità dei vari contesti politici e sociali e tenda ad applicare dei principi assoluti e positivisti, la cui realizzazione sembra necessaria e naturale, come l’ideale astratto di democratizzazione. È importante dunque capire come, per quanto potente e contagiosa sia la consapevolezza della possibilità del cambiamento, le rivolte che scuotono e insanguinano il Medio Oriente vanno comprese nella loro specificità e nella loro complessità. Questo – non togliendo nulla all’importanza dell’effetto che le rivoluzioni tunisina ed egiziana hanno avuto negli altri vicini arabi, spingendoli, appunto, ad immaginare di potersi mobilitare nonostante i costi altissimi – non deve condurre a pensare che esistano degli automatismi per i quali quello che è successo in Egitto deve ripetersi in maniera uguale in contesti politici e sociali differenti. Infatti, le dinamiche di regimi molto più autocratici ed esclusivi (come quello libico e siriano) e di monarchie (come quella giordana e marocchina) sono differenti. Non significa che il cambiamento non sia possibile, e che i regimi locali non debbano temere le pressioni popolari. Piuttosto, bisogna analizzare come queste pressioni si manifestino in modo differente, e come anche le risposte non siano le stesse. Infatti, mentre Gheddafi sta facendo strage dei suoi manifestanti in un’ escalation di follia cieca, nel regno hascemita le richieste si concentrano su delle riforme costituzionali che tolgano al re il potere di nominare e sciogliere i governi senza che questi siano dunque responsabili politicamente del responso delle urne. In un contesto in cui la monarchia riveste una legittimità derivante da una presunta autoproclamata natura superiore, fungendo da fattore collante di una società divisa da molteplici tensioni, prima fra tutte quella tra transgiordani e palestinesi, il re non è il bersaglio diretto delle proteste. Questo non vuol dire però che, se non si avvia un processo di cambiamento reale che parta dalle suddette riforme costituzionali che di fatto limiterebbero il potere monarchico, alla lunga non sarà messa in discussione la stabilità del regime, come già le critiche più esplicite rivolte al monarca e al suo entourage dimostrano. In secondo luogo, bisogna tener conto delle istanze conservatrici che si manifestano in questi giorni insieme alle richieste progressiste verso una reale riforma. In Egitto, come in Giordania, quando si parla di riforme il significato intrinseco di questo termine non è univoco, e bisogna distinguere quali obiettivi siano rappresentati dalla richiesta comune di cambiamento. Infatti, mentre in Egitto l’ élite militare che si opponeva alla successione di Gamal Mubarak al potere ha in qualche modo cavalcato le proteste della piazza per i suoi fini personali e del tutto diversi da chi si mobilitava per la democrazia, allo stesso modo in Giordania alcuni membri provenienti dalle compagini tribali hanno rivendicato il ruolo centrale nella legittimazione del regime, e il ripristino dei loro privilegi che oramai considerano erosi dall’invasione palestinese. Questo non significa che tali pressioni conservatrici – perfettamente esprimibili dalla formula «cambiare tutto affinché tutto resti uguale» – siano poi quelle che domineranno, ma bisogna tenere conto di tali differenze nelle istanze di riforma nel momento in cui si analizzano gli eventi che stanno scuotendo gli stati arabi. Infine, è necessario spendere alcune parole rispetto al pericolo paventato dall’occidente, e cavalcato da Israele, che queste rivoluzioni nascondano delle velleità di islamizzazione analoghe a quella iraniana del 1979. Molto si è già scritto a riguardo in questi giorni, ed ancora una volta è necessario restituire ai contesti le loro peculiarità. Le società in questione, quella egiziana, come quella giordana, nelle quali la Fratellanza Musulmana ha un forte impatto politico e sociale, sono già profondamente islamizzate, risultato di un lavoro contro-egemonico portato avanti dai regimi per contrastare l’influenza dei movimenti islamisti, radicati nella società attraverso opere caritatevoli ed istituzioni non governative. Da più parti si è fatto notare come nessuno stia brandendo slogan che chiedono l’istituzione dello stato islamico. Si rivendicano riforme concrete, sociali, politiche ed economiche, e gli stessi partiti e movimenti islamici si fanno portatori di queste istanze, forti di un pragmatismo politico e di una moderazione che hanno acquistato negli anni di coesistenza con il regime. L’esempio stesso dell’Iran è esemplificativo in questo caso, in cui i manifestanti scendono in piazza per chiedere un cambiamento contro quel regime che si auto-proclama attuazione dell’unico stato islamico della regione. Dunque, completamente fuori luogo, fuorvianti e inappropriate sono le dichiarazioni che in questi giorni paventano il pericolo del fondamentalismo che minaccia l’Europa come effetto possibile delle rivolte arabe. Il problema non è l’islamismo radicale, ma un autoritarismo incontrollato che ha colmato la misura, e l’incapacità di accettare che chi si sta mobilitando a costo della vita lo fa per quei diritti di cui i paesi occidentali si sono sempre riempiti la bocca. Naturalmente l’Europa, e l’Italia in primis, deve ripensare alle politiche attuate negli ultimi anni verso i vicini mediterranei, volte al sostegno di regimi autoritari per assicurarsi il controllo delle frontiere e l’approvvigionamento energetico. La mancanza di lungimiranza intrinseca in queste politiche, e la vergogna e l’imbarazzo di un paese che, in un momento di emergenza umanitaria tale, si dimostra preoccupato ad evitare i profughi che la sua stessa cecità ha contribuito a produrre appare in tutta la sua assurdità. jointhewip.wordpress.com Alice Marziali Marzo SCHEGGE 7 TUNISIA ANNO ZERO IL 2011 ERA STATO DICHIARATO DAL PRESIDENTE BEN-ALÌ L’ANNO DEI GIOVANI. E COSÌ SIA! Da più di un mese e mezzo, sugli schermi dei televisori, dei computer e sulle pagine dei nostri giornali preferiti, la piazza tunisina ha lasciato il posto alla piazza egiziana, ed ora è il tempo della piazza libica. I riflettori sono volti altrove, la luce su Tunisi si fa più fioca ma non certo s’è allentata la fiamma dei suoi cittadini che ancora oggi si riversano nelle strade per rivendicare la loro rivoluzione, quella che ha il sapore della libertà e il profumo dei gelsomini. C osa accade nella Tunisia del dopo Ben-Ali? Quali sono le forze in campo? Che tipo di posizione deve prendere la comunità internazionale, i singoli stati, ma soprattutto, per quanto ci riguarda, l’Unione Europea? L’importanza cruciale degli avventi post quattordici gennaio sono da guardare come banco di prova, la Tunisia non ha solo aperto la strada all’abbattimento del muro della paura verso un dittatore ma ha l’onere d’essere un esempio da seguire nella via della ricostruzione, in quanto cronologicamente si trova ad essere la prima pedina del cosiddetto “effetto domino”. I protagonisti della battaglia per la libertà, come abbiamo letto in tanti commenti giornalistici ma anche scientifici, sono stati i giovani sotto i trent’anni, quasi la metà della popolazione, per la maggior parte istruiti e pertanto coscienti al di là del brontolio della pancia. Se è vero che l’iniziale sommovimento era sintomo di un aumento dei prezzi di prima necessità e del disagio per le condizioni socioeconomiche di un Paese il cui PIL annuo al 5% non era ridistribuito equamente, ben presto s’è trasformato in una lotta politica. La scintilla, quella lanciata da Med Bouaziz, in un villaggio remoto del meridione, lontano dagli splendori della costa dei villaggi turistici o dalla city della capitale, Sidi Bouzid, ha innescato la rivolta contro un potere che aveva calpestato la dignità del suo popolo. La rivoluzione della dignità, come la chiama lo scrittore Hbib Selmi, ha colto il mondo di sorpresa, ha dato il via ad un processo irreversibile che porterà il mondo arabo a riconsiderare la sua relazione con il potere interno, ma porterà anche una novità in ambito delle relazioni internazionali. Abbiamo scoperto che anche i popoli arabi amano la libertà, che i principi democratici non sono solo un retaggio illuminista esclusivamente occidentali. Ci siamo scoperti razzisti più che mai poiché in nessun momento avremmo pensato, sotto l’influsso malefico dello spauracchio islamista, che i popoli arabi, quegli stessi camerieri che sulla spiaggia di Djerba ci servivano il tè alla menta, avrebbero lottato e si sarebbero anche fatti ammazzare per i loro sacrosanti diritti civili e politici. Stiamo entrando in una nuova era, la sponda meridionale del Mare Nostrum è ora protagonista della storia, come in un gioco ciclico ci stiamo scambiando i ruoli: nelle piazze italiane scendiamo per non farci togliere tutto ciò che abbiamo ottenuto in secoli di storia dei diritti, nelle piazze magrebine, scendono per ottenerli, per prenderseli, a costo della vita. La piccola Tunisia ci sta impartendo una bella lezione alla faccia della grande UE che fino a ieri sosteneva Ben-Alì, in una scala gerarchica di necessità in cui la stabilità aveva la pole position. I criteri di real politik , eredità della guerra fredda, dovranno da oggi in poi essere rivisti. Oggi, nelle strade della capitale come Avenue de la Liberté, Avenue Hbib Bouguiba, quegli stessi giovani diplomati che hanno capeggiato la rivoluzione laica, lontana da ogni elemento di stampo religioso, e che sotto i proiettili della polizia sono stati feriti, quando non ammazzati, continuano a rivendicare una transizione che sia davvero democratica. Di conseguenza sono insofferenti alle personalità del RCD, partito di Ben-Alì, che tuttora sono alla guida: primo ministro ad interim è, infatti, Mohammed Gannouchi, il “Mensieur oui oui”, mentre presidente sostituto è Fouad Mbzaa (ex presidente del parlamento). La vecchia guardia non molla l’osso, i cittadini sanno benissimo che tagliati i rami degli alberi la radice non scompare. La paura del ritorno di un governo oppressivo è sempre viva. L’esercito, che nella rivolta ha giocato un ruolo fondamentale, vigila attento nella sua aurea di legittimità. I piccoli partiti che erano parte dell’opposizione legale sotto il regime, come maschera di lealtà del colpo di stato dell’87 e palliativo per le coscienze dei partner commerciali europei, non hanno oggi alcun radicamento nella società che invece pare tutt’ora disorganizzata politicamente. Esistono varie associazioni per la difesa dei diritti dell’uomo, perlopiù composte da avvocati, ed esiste poi il sindacato dei lavoratori, fino ad allora egemone e nelle sue frange dirigenziali più alte colluso irrimediabilmente con l’ex partito di stato ma che, tuttavia, è un aggregato importante di persone e potrebbe trasformarsi in un fattore positivo per la transizione. Inoltre, ai assiste al rientro dei partiti esiliati e clandestini come quello comunista o quello di An-nahda dell’altro Gannouchi, Rachid, di stampo islamico moderato che accoglie la dialettica democratica e lo 8 SCHEGGE Marzo status di parità delle donne, quasi una DC in versione tunisina, ma il cui leader ha già dichiarato non si candiderà alle elezioni. Una serie di tecnocrati, due commissioni, sulla corruzione del regime e sulla violazione dei diritti umani durante le manifestazioni, attorniano il governo di transizione che dovrà portare, non senza difficoltà e contestazioni, la nuova Tunisia alle urne. In questi giorni la data s’aggira intorno alla metà di luglio. Le elezioni però, ovviamente libere e democratiche, non sono l’unica cosa per cui si sono fatti sparare a freddo i tunisini: tanti di loro chiedono un’assemblea costituente, una nuova costituzione che faccia della Repubblica presidenziale una parlamentare e, soprattutto chiedono di eleggere un presidente sotto il segno della carta fondamentale, fino all’altro ieri rimaneggiata a piacere dal capo supremo dello stato. La strada per la democrazia è travagliata e noi europei, con la memoria di un pesciolino rosso, dovremmo invece ricordarcelo. Possiamo esserci trovati alla sprovvista di fronte alla caduta di un rais che pensavamo irremovibile, abbiamo commesso un gravissimo errore politico con la “strategia dello struzzo”, ma cambiando le carte in tavola, siamo ancora in tempo per poter sostenere il popolo tunisino nella sua ricostruzione. Non possiamo infatti celarci dietro la giustificazione d’essere impreparati su come si gestisce una transizione democratica. È tempo che l’Europa riveda le sue linee strategiche di partenariato con i paesi della politica di vicinato e rifondi una nuova Unione del mediterraneo i cui pilastri non siano Ben-Alì o Mubarak, ma la democrazia e la cooperazione multilaterale. Maria Zanenghi* [email protected] * Studia all’Università di Genova “Politiche ed economia del Mediterraneo”. LA RIVOLUZIONE DEL NILO S ul volgere al termine dell’anno solare 2010, il Nord Africa comincia ad andare a fuoco. Il 17 Dicembre, Mohammed Bouazizi, commerciante tunisino, si dà fuoco davanti il municipio del villaggio di Sidi Bouzid, contestando il sequestro del suo banco di frutta e verdura per la presunta mancanza della licenza per vendere. E’ la scintilla che fa dilagare l’incendio, prima nello stesso villaggio, poi un tutta la Tunisia. La gente è stanca della miseria e della disoccupazione, del regime e della sua noncuranza nei riguardi del popolo, e della carenza di riforme atte a sollevare le condizioni economiche e sociali del popolo. Presto, le manifestazioni e gli scontri dilagano in altri stati mediorientali, e anche in Egitto. Il 25 gennaio 2011 è “la giornata della rabbia”, in piazza Taharir, a Il Cairo: quattro morti negli scontri, quattrocento egiziani arrestati. Il ministro degli Interni promette il pugno di ferro, ma il popolo egiziano è saturo, stufo della dittatura e dalla repressione, angosciato dalla stasi, dalla disoccupazione e dalla povertà, che, nonostante l’Egitto abbia un tasso di crescita del PIL notevole, rimane ancora un problema per parte della popolazione. L’Egitto è un Paese particolare: è una zona sensibile nel Medio Oriente, a causa del suo confinare con Israele. Inoltre, è sempre stato influenzato dall’Europa, rispetto ad altri paesi del Medio Oriente, sin dai tempi dell’Impero Ottomano, conteso da Francia Napoleonica e Gran Bretagna, e sotto mandato Britannico fino al 1922. Nonostante ciò, l’Egitto è rimasto fertile terreno per dittature un trentennio sì, e un decennio no, come quella di Hosni Mubarak. Almeno fino all’11 Febbraio, giorno in cui Mubarak si dimette sul serio, dopo le rivolte, le repressioni, gli scioperi, la fine dell’appoggio dell’amministrazione statunitense al regime, l’annuncio del subentro alla carica di premier di Ahmad Shafiq (Ex Ministro dell’Aviazione Civile), la creazione della carica di vice presidente spettata a Omar Suleiman (Ex capo dei servizi segreti). Il compito di portare il paese verso la democrazia viene affidato all’esercito, schieratosi col popolo, mentre Mohammed Hussein Tantawi succede provvisoriamente a Mubarak in qualità di capo di stato, in attesa di nuove elezioni democratiche, e della stesura di una nuova Costituzione. Ovviamente, fuori dall’Egitto e dagli altri paesi liberatisi dalla dittatura, non è tutto così gioioso. Non è un mistero che alcuni governi occidentali preferissero le dittature appena crollate, pur di non Marzo SCHEGGE 9 prossime presidenziali e pertanto : «Abbiamo bisogno di elezioni democratiche e di un presidente democraticamente eletto, questo è tutto quello per cui lottiamo». correre il rischio di assistere al formarsi di altre repubbliche islamiche come quella dell’Iran. Per quanto riguarda l’Egitto, l’esito della Rivoluzione del Nilo ha goduto del contributo, non solo di quello dell’esercito, ma anche di quello dei Fratelli Musulmani; e sono proprio quest’ultimi ad allarmare l’Occidente. La Fratellanza Musulmana è un’organizzazione islamica, istituita nel 1928 da Hassan al-Banna in Egitto, e poi diffusasi in altri stati mediorientali. Nasce con il proposito di ritrovare le radici dell’Islam, e di fronte alla povertà dilagante allora, attuare una serie di riforme; è inoltre anti-coloniale, anti-occidentale, e dotata di ingenti risorse finanziarie. Tuttavia viene messa fuori legge da Nasser nel ’54, per poi riuscire a piazzare in parlamento una manciata di membri, candidati in altri schieramenti, durante regime di Mubarak. Malgrado la Fratellanza abbia elementi fondamentalisti nel resto del Medio Oriente, si osserva che la frangia egiziana sia ormai molto più moderata (nonostante il conservatorismo del corrente leader Muhammed Badi) e che abbia rinunciato alla lotta armata, asserendo inoltre di non avere la minima intenzione di presentare un loro candidato alle Gli USA rimangono comunque allerta. Dopotutto l’Egitto confina ancora con Israele, e la paura dell’instaurazione di un’altra teocrazia è sempre viva, soprattutto se dovesse abbracciare tutti gli stati in rivolta in questo momento. Ma una delle conseguenze più pesanti e inaccettabili sarebbe l’arresto del trasporto del petrolio da altri paesi che, di “Oro nero”, sono ben più ricchi dell’Egitto. Ma il principale attore delle rivolte e degli scioperi è stata la popolazione: è la popolazione stessa ad essersi raccolta, prima a Il Cairo, poi in tutte le piazze d’Egitto, a pretendere le dimissioni di Mubarak dopo trent’anni; ad essersi organizzata e formata attraverso le modalità comunemente usate nelle democrazie occidentali, come Internet, Facebook e Twitter. I Fratelli Musulmani da soli non sarebbero stati sufficienti ad abbattere il regime, e l’esercito non avrebbe avuto nessuno con cui schierarsi perché avvenisse la caduta, senza un popolo con cui schierarsi. L’Egitto, come tutti gli altri stati attualmente in rivolta, e come tutti gli altri stati dal 1789 in poi (banalmente), deve avere la possibilità di cogliere questo momento per instaurare la propria democrazia, senza terzi che pretendano di importargliela. La democratizzazione non è quasi mai stato un processo indolore e senza rischi nei millenni di storia che ci precedono. E’ ora che il Mondo sia un po’ più ingenuo, tanto le guerre non finiranno mai. Caterina R. Marchese 1 0 SCHEGGE Marzo TOGLIETEMI TUTTO, MA NON LA MIA POLTRONA! L a notizia è di quelle scioccanti ed è arrivata come un fulmine a ciel sereno. E’ un po’ come se avessero annunciato l’apparizione di una madonna in un remotissimo e sperduto angolo della terra, ma con la fondamentale differenza che questa volta fosse inconfutabilmente vero. In qualche parte del mondo esistono ancora politici onesti e con un alto senso morale: questa frase, se pensata con la testa di un italiano assume da subito tinte ironiche e sarcastiche, perché su ammettetelo: solamente pronunciare queste poche parole riferendole alla nostra classe dirigente, fa spuntare un ghigno malefico sulla nostra bocca. Ovviamente il paese in questione non è l’Italia, e men che meno il politico appartiene alla stirpe italica. Il ministro della Difesa tedesco, barone Karl Theodor zu Guttenberg, si è dimesso in seguito allo “scandalo” causato dalle accuse di plagio della sua tesi di dottorato in giurisprudenza presso l’ Università di Bayreuth. Quello che per molti di noi cittadini italiani sembra un’esagerazione, evidentemente non appare allo stesso modo agli occhi dei nostri corrispettivi teutonici, che da sempre richiedono ai propri rappresentanti, soprattutto se ricoprono cariche strategiche e rilevanti, un’integrità morale pressoché perfetta, e non scalfibile da nessuno scandalo o accusa di sorta. Tutto questo potrebbe essere visto come un eccesso di zelanteria e di formalità, ma solo se prima si è passati sotto l’indottrinamento e palestra di vita del bel paese, dove tutto, e a volte anche il contrario di tutto, è possibile. L’intera classe politica, dagli amministratori locali, ai parlamentari, ai ministri della Repubblica, è continuamente sconvolta da scandali, di ogni genere e sorta, con una costanza degna di nota. Non sono qui a fare discorsi di parte, non voglio nemmeno lontanamente nominare il Cavaliere, in quanto non basterebbe il quantitativo di cellulosa utilizzato per l'”Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri” redatta da Diderot e D'Alembert, per descrivere tutto quello di cui è stato capace in questi anni il nostro Presidente del Consiglio. Se c’è qualcosa che unisce trasversalmente gli schieramenti partitici italiani è proprio questa tensione costante ed irrefrenabile a delinquere; a utilizzare la propria posizione di potere, qualunque essa sia, a proprio vantaggio e per quello delle persone a loro vicine. Ma non è tutto qui. In se e per se, questo aspetto non sarebbe neppure un fatto così straziante: da millenni l’uomo messo di fronte alla possibilità di arraffare ed arricchirsi, difficilmente è stato in grado di resistere; questo discorso è valido, grossomodo, per qualsiasi latitudine e cultura, rendendo questa caratteristica quasi intrinseca della natura umana. Quello che più sconcerta ed amareggia, almeno dal mio punto di vista, è la totale assenza di etica e di una qualsivoglia forma di morale nella classe dirigente italiana nel momento in cui viene scoperta con le mani nella marmellata, ed usando questa locuzione mi sento di essere stato decisamente gentile e magnanimo. La costante che unisce tutti gli scandali, o quasi (vedi caso Marrazzo), è la totale noncuranza da parte dei politici delle basilari regole del buon senso che imporrebbero ad un funzionario eletto (c’è chi direbbe “ad un nostro dipendente”) di fare un passo indietro nel momento stesso in cui vengano pizzicati, senza per forza puntare tutte le proprie chance sulla lentezza della macchina giudiziaria italiana per riuscire a scampare alle dimissioni. E’ come se la cittadinanza italiana si fosse abituata a questa usanza; e qui si ritorna alla sorpresa che ha colto quasi tutti noi nel leggere del ministro tedesco dimessosi per uno scandalo che da noi probabilmente non impensierirebbe nemmeno un professore universitario. Anche io mi sono sorpreso ad avere come primo pensiero dopo aver letto la notizia, il seguente: “ma che patacca (se non conoscete il significato di questa parola, allora vuol dire che avete sprecato ogni singolo istante passato in Romagna, e non è di certo colpa mia! NdA), per così poco?!”. Per mia fortuna, a distanza di pochi istanti è giunto un profondo sentimento di invidia nei confronti degli abitanti di un paese dove “la morale” non è un anagramma sbagliato di “Lele Mora”, e questo basta a situarmi nel limbo del purgatorio. Siamo talmente abituati a scusare, ad immedesimarci nei panni del “tentato” dalla tentazione, che ormai tutto ci scivola sopra come pioggia su un parabrezza. Siamo immersi in un continuo flusso di notizie scandalistiche legate alla politica, che come unico risultato hanno quello di allontanarci da essa e farci montare sempre più quei sentimenti antipolitici che sono alla base dello scollamento tra i cittadini e le istituzioni. Con questo non voglio dire che gli scandali vadano nascosti agli occhi dei cittadini; anzi, io auspico che i giornalisti tornino alla funzione di controllori delle amministrazioni, e non solo di osservatori (neanche troppo) esterni. Quello che intendo è che la continua esposizione a scandali mediatici senza che poi i media si interessino della reale conclusione della vicenda, ma solo del suo scatenarsi, non fa altro che anestetizzare la popolazione di fronte a notizie di questo genere. Ed è quello che è successo, per una motivazione o per l’altra. Siamo un popolo che un passo alla volta sta perdendo la propria capacità di indignarsi di fronte ai soprusi, agli scandali, alle ingiustizie, agli oltraggi, che ogni giorno ci scorrono di fronte agli occhi. Non siamo più in grado di collegare le nostre coscienze stuprate in un movimento vero di protesta, come se ci fossimo tramutati in una folla informe capace solo di azionarsi a comando, ma priva di una razionalità propria (Gustave Le Bon docet). A volte mi chiedo se veramente i nostri rappresentanti “rappresentino” la società italiana, o ne siano solamente una brutta copia dei vizi, privati delle virtù. Inizio a pensare che questa affermazione non sia veritiera: forse se continuiamo ad eleggere sempre le stesse facce, un motivo ci sarà. Forse in fondo in fondo ci va bene così, condividiamo le loro azioni e la loro condotta. Forse se fossimo al posto loro, anche noi ci comporteremmo tutti nella stessa maniera. Io la penso in maniera diametralmente opposta, e da qui nasce una certezza: il cambiamento non dobbiamo continuare ad aspettare di vedercelo cadere dall’alto, come un dono divino, ma ce lo dobbiamo andare a prendere giorno per giorno, con le nostre azioni quotidiane, con le nostre richieste, con le nostre proteste, con il nostro esempio, in ultima istanza, con il nostro voto. Dobbiamo riappropriarci di questo nostro potere fondamentale, perché solo così potremmo avere qualche speranza di migliorare la nostra situazione, senza dover aspettare per forza che la “rivoluzione” sia sempre qualcuno da fuori a portarcela. APPENDICE: per sdrammatizzare, ma neanche poi troppo, vi butto la altri tre esempi di politici “virtuosi” scovati in giro per il web: Giuseppe Habineza: il ministro ruandese per la gioventù e lo sport si è dimesso il 15 febbraio 2011 dopo che alcune foto che lo ritraevano in dolce compagnia a ricevere coccole con alcune ragazze durante la festa di San Valentino, sono stati pubblicate su Internet. Non appena la notizia è stata diffusa in tutta la città il ministro ha rassegnato le dimissioni, che sono state subito accolte. Vi ricorda qualcuno per caso?! Toshikatsu Matsuoka: il ministro dell’agricoltura, accusato di aver gonfiato la propria nota spese di 180000 euro, una volta scaricato dal proprio governo, si toglie la vita per il disonore recato alla sua persona e alla sua Marzo SCHEGGE 11 parte politica. Pensate all’ecatombe che accadrebbe in Italia… Jacqui Smith: ministro dell'Interno del governo Brown, si dimette in seguito allo scandalo del rimborso chiesto al parlamento per il noleggio di alcuni film porno da parte del marito. Qua si foraggiano consulenze milionarie, e si utilizzano voli con aerei di stato per trasportare mignotte, e là ci si dimette per una manciata di sterline. Chi è nel giusto? Enrico Serra 1 2 SCHEGGE Marzo SESQUICENTARIO DI MARZIO MARIA CIMINI VIVA VERDI! Continuiamo un viaggio attraverso le storie e i personaggi, i simboli e i luoghi che ci permettono di dirci, oggi, Italiani. Un viaggio fatto di parole, intorno alla nostra scrivania, senza eccessi di epica e senza la retorica stanca che accompagna, di solito, questo genere di trattazione. Un viaggio però importante -come tutti i viaggi veri, i viaggi non organizzati- per gli incontri che si fanno per le strade, per capire noi stessi guardandoci negli occhi degli altri. I l 17 marzo 1861, con la legge 4671 del Regno di Sardegna, Vittorio Emanuele II viene proclamato Re d’Italia. I latini dicevano: nomina sunt numina, e nel nome c’era infatti tutto. Vittorio Emanuele di Savoia, Re di Sardegna, piemontese, è primo Re d’Italia, ma è Secondo. Il Gran Baffone, come veniva chiamato dai suoi detrattori, aveva visto in quella prima unificazione un allargamento del suo pristino regno, e non il costituirsi d’una nuova potenza europea. La decisione non venne naturalmente salutata con favore da chi aveva combattuto, o almeno parteggiato, per consegnargli uno Stato unitario che si raccogliesse tutto sotto la stessa bandiera, sul cui cuore bianco campeggiava lo stemma di casa Savoia. Il suo primo viaggio da Re lo fa in quella che allora era la seconda maggiore città d’Italia: Napoli. Il cielo complotta contro l’infausta scelta del nome, e ‘ o paese d’o sole, la campanelliana Città del Sole, si fa trovare immersa in una colossale pioggia. Ma si sa: “Marzo: nu poco chiove e n’ato poco stracqua, torna a chiovere, schiove, ride ‘o sole cull’acqua” (Salvatore di Giacomo). Il severo sabaudo non dispensa pizzicotti alle signore e carezze ai bambini come pure Francesco II di Borbone andava facendo per il Regno delle due Sicilie, tanto che la gente, dopo averlo atteso impaziente torna a scrivere sui muri lapidarii inni a Franceschiello. Il Primo Ministro Cavour ordina alla polizia di sedare i malumori. Alcuni dispacci lo informano che nelle fila del nuovo corpo d’ordine nazionale sono stati reclutati i peggiori ceffi della camorra. La polizia piemontese, in un primo momento mandata a regolare l’anarchia post-garibaldina, d’altra parte, non s’era comportata meglio, al Sud, e aveva anzi praticato una violenza gratuita quanto dissennata, all’insegna d’un furore montato dalla rabbia: non si comportavano come difensori della popolazione, ma come una schiera di soldati invasori che dovevano tenere in scacco una folla di ostaggi. Cavour richiama con qual certa velocità a Torino il Re d’Italia, ché non era aria. Dopo la sbronza risorgimentale, con un Nord più che mai determinato a liberare il Sud prigiono dei Borboni tiranni, e un Sud più che mai determinato a farsi liberare e ad acclamare il cuore buono di Garibaldi, le parti si scoprivano deluse le une dalle altre: i piemontesi guardavano ai meridionali come a dei selvaggi “Altro che Italia! Questa è Affrica. I beduini, a riscontro di questi cafoni, sono fiore di virtù civile!” (Luigi Carlo Farini a Cavour, 1861. Però Farini era pazzo, e cinque anni dopo morrà in manicomio…). I meridionali iniziavano a subodorare che l’amministrazione transitoria dei Savoia si sarebbe trasformata in una minorità politica che mal si conciliava con le ambizioni di un Sud che aveva sofferto e combattuto per l’Unità, e che adesso si trovava “il piede straniero sopra il cuore” (Quasimodo). Il male peggiore di questa Italia che si andava proclamando era un centralismo di marca piemontese che schiacciava le autonomie, che non favoriva il coagularsi di una massa eterogenea, orgogliosa: prima dell’Unità gli Stati Italiani erano sette, e tutti, tranne uno – il Regno Pontificio, che sarà preso a forza il 20 settembre 1870, con la breccia a Porta Piasi erano consegnati chi volontariamente chi con plebisciti di popolo, ai Savoia. Compattarli tutti sotto le medesime procedure, le medesime forze, faceva salire una collera sorda, che ebbe nel brigantaggio il suo momento apicale. Che i piemontesi fossero un modello da seguire non era segreto per nessuno: erano stati loro a mostrarsi i più capaci, i più efficienti, sia militarmente che diplomaticamente che politicamente. Ma da qui ad accettarne passivamente ogni decisione, ce ne passava. Il risultato maggiore, e perverso, di una tale centralizzazione fu l’affermarsi di strette oligarchie di controllo: se i popoli d’Italia non si capivano quando parlavano (e sarà così fino almeno alla Grande Guerra), gli aristocratici del Nord e quelli del Sud si capivano benissimo. E seppure con molte diffidenze (bastino le esemplari pagine di quell’aureo libretto che è Il Gattopardo del Principe di Lampedusa), sapevano benissimo che gli interessi in gioco erano tanti e che a spartirseli sarebbero stati loro. Il passaggio dalla nobiltà di terra a quella di politica fu velocissimo: I Vicerè di Federico De Roberto, la mirabile saga degli Uzeda, da fedelissimi borbonici a fedelissimi sabaudi, mostra con esemplare ricchezza di prospettive la parabola del potere statuale tra il Risorgimento e l’Unità. Perché il lettore non pensi che l’attenzione di chi scrive è troppo sbilanciata verso una visione meridionalista dei fatti (ma in fondo, non lo nascondo, è così), dirò che anche al Nord la delusione fu molta: se a Napoli Franceschiello dopo il 17 marzo torna a campeggiare sui muri, prima di quella data, al Nord, la calce bianca vergava sugli scrostati muri di vie secondarie, in stampatello, la frase, sintetica, quanto efficace “W VERDI!”. In effetti in quel periodo il cigno di Busseto era sulla cresta dell’onda: Giuseppe Verdi, che era nato vicino Parma nel 1813, alla vigilia dell’Unità aveva già scritto alcune tra le sue opere più importanti: Nabucco nel ’42, Macbeth nel ’47, Rigoletto nel ’51, Il trovatore e La traviata nel ’53. Altre importanti opere (Aida e Otello) dovevano ancora venire, ma con queste opere Verdi aveva già infiammato il Risorgimento, anzi, il Risorgimento era Verdi. E se per lunghissimo tempo l’Italia ha avuto una visione operistica, melodrammatica,xxdirei teatrale del Risorgimento, è perché questo è intriso di Verdi, e Verdi è intriso di Risorgimento. I suoi canti sono politici, il Va’ pensiero del Nabucco trascendeva la perfezione estetica, e faceva sentire al pubblico in sala la vibrante vicinanza della Politica. Non è un caso che Boito, e poi Visconti, faccia iniziare il racconto risorgimentale Senso (del 1883, il film è del 1954) durante la prima del Trovatore alla Fenice di Venezia. Verdi è un simbolo, un logo, uno slogan: come le magliette del Che o certe massime esauste, Verdi era la cifra del Risorgimento settentrionale: Viva Verdi! Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia! Non si può fare a meno di fare qualche considerazione: la prima è che il Risorgimento nordico (se esiste) è eroico, raffinato, cospiratore, e quindi intellettuale. Il Risorgimento sudista (se esiste) è popolare, sanguigno, d’impeto e non di mente, semmai di forza; sporco, e, alla fine, “cafone”. Una tara, evidentemente, che ci portiamo appresso da allora. Ma in questa visione contrapposta di Risorgimento, che s’impone immediatamente dopo il 17 marzo, l’epopea retorica del sagrifizio e dell’eroismo cozza con il fallimento politico e sociale; la compiutezza del Regno d’Italia incoccia con le fratture tenacemente tenute scomposte – divide et impera, c’è poco da fare - che i Marzo SCHEGGE 1 3 moderati avevano interesse a divaricare ancora di più. E’ una bizzarria della Storia che a reclamare la secessione sia oggi chi volle l’unità allora; è una bizzarria che a volere oggi il federalismo sia chi volle allora il centralismo. E’ bizzarro che il Ministro della Repubblica Maroni citi Salvemini il meridionalista, il pugliese che perdette nel cataclisma di Messina del 1908 tutta la sua famiglia, come Vate del federalismo. Nessuno ha detto a Bobo che Salvemini chiedeva un federalismo correttivo dei danni del centralismo postunitario, e non di uno che ne peggiorasse gli esiti già disastrosi? Infine, emerse allora un modo d’intendere la politica completamente opposto a quello che Verdi e il suo Risorgimento di cartapesta, di proscenio, avevano predicato: s’impose una classe media, moderata, gattopardesca, anzi, direbbe Sciascia, di omminicchi e quaqquaraquà, borghese insomma, che avrebbe tenuto in mano le redini dell’Italia Unita per centocinquant’anni. Adesso il lettore mi chiederà: che c’è dunque da festeggiare questo 17 marzo di sesquicentenario? Glielo dico subito: c’è da celebrare la mano che scriveva sui muri, di notte, W VERDI! (e pure quella che scriveva “Franceschiello torna!”). nnnC’è da celebrare la potenza pura che tracima gli argini dello status quo e che chiede a gran voce la Libertà. C’è da celebrare l’inizio di un percorso che non s’è ancora concluso, che ritorna ai valori che i Mille portavano incisi sul cuore quando s’imbarcarono a Quarto. Bisogna ricordarli ogni giorno, non ogni anniversario, perché non solo ce li dimentichiamo noi, ma se li dimentica chi deve ascoltarli: gli omminicchi che siedono su qualunque poltrona: hanno la memoria corta, le mani invece le hanno lunghissime. Noi mostriamo d’avere lunghe le braccia e di saperci stringere in un grosso abbraccio, quando serve, se serve. Urliamo ad una voce sola Viva Verdi! qualunque cosa significhi oggi, se qualcosa ancora significa. 1 4 SCHEGGE Marzo ALL DAY AND ALL OF THE NIGHT «[...] Siete su Radio Rock e io sono Il Conte. E conto su di voi per il conto alla rovescia all'estasi e al rock all day and all the night!» “I can't get no satisfaction” furono le prime parole che ascoltarono le persone sintonizzate su Radio Caroline nel 1964. Radio Caroline fu la prima radio pirata della swingin' London dei 60's, nota per la recente pellicola cinematografica I love Radio Rock. Il fenomeno delle radio pirata nacque nel Regno Unito all'alba degli anni '60, quando nel territorio anglosassone cominciavano a muovere i primi passi band come Beatles e Rolling Stones. Per aggirare l'ostacolo del monopolio vigente in UK, le trasmissioni di Radio Caroline venivano irradiate da una nave panamense ancorata al largo del mare Artico, lontana dai confini territoriali inglesi. I Disc Jokey potevano così passare la musica che preferivano, la musica che la stessa popolazione inglese chiedeva alle radio statali, che però non avevano alcuna intenzione di trasmettere quella che era considerata la “parola del diavolo”. Nel giro di un anno Radio Caroline aveva superato i 10 milioni di ascoltatori, scavalcando l'emittente statale BBC ed entrando di diritto nella storia del rock, ma anche nelle liste nere del governo britannico, tanto che dovette sopravvivere a diversi naufragi e ad una legge repressiva durissima imposta nel 1967, riuscendo a trasmettere fino al 1990, sconfitta dalla concorrenza delle decine di radio private, ora libere di andare in onda. Se la nascita della radio è da ricondursi alla fine del 1800, alla famosa diatriba Tesla-Marconi, è a partire dagli anni '40 che questo strumento di comunicazione di massa acquista quel fascino che abbiamo in mente noi, giovani nostalgici del rock n'roll. Johnny Cash ascoltava in radio la voce squillante della sua futura moglie June Carter prima di conoscerla, cantarci insieme e farci all'amore. Elvis, lo stesso Cash, il killer Jerry Lee Lewis e Chuck Berry, giovani e maledetti, giravano gli Stati Uniti in pullman facendo tour insieme e l'America per radio li ascoltava, estasiata e danzante nei bar come quello in cui faceva conquiste il Fonzie di Happy Days. Buddy Holly veniva trasmesso ai limiti dell'illegalità coi suoi Crickets, mentre suonava quel bop che nessuno sapeva sarebbe stato l'anticamera del rock n'roll. Mi viene in mente la Chess Records: Muddy Waters, Little Walter, Etta James, Howlin' Wolf, lo stesso Chuck Berry, persone per la maggior parte prese dai campi di cotone e trasformate in stelle del blues e del rhythm n'blues. In Italia non posso non citare Radio Aut di Peppino Impastato, e la sua “Onda pazza a Mafiopoli”, il programma di satira politico-mafiosa che gli costò la vita nel '78. Basta tutto questo per far sì che la radio assuma quel contorno di romanticismo mistico che ho in mente io quando ci penso; avere una trasmissione in radio è stato sicuramente il sogno di molti, pensare che per una manciata di minuti, o per 24 ore come la nostra Radio Rock, si può rendere partecipi milioni di persone di quello che si prova ascoltando la musica che ti emoziona. Forse un giorno realizzeremo questo sogno, forse fra una settimana, forse fra 10 anni, il rock n'roll tornerà ad essere la colonna sonora delle nostre giornate, come negli anni '60, come direbbe Il Conte: «Gli anni passeranno e i politici non faranno mai un cazzo per rendere il mondo migliore, ma in tutto il mondo ragazzi e ragazze avranno sempre i loro sogni, e tradurranno i loro sogni in canzoni». Lorenzo Rossi P.S.: Forse il sogno si realizzerà in tempi più brevi e in spazi più vicini di quanto avremmo mai immaginato, il progetto di portare una webradio universitaria a Forlì è partito, per info:[email protected] [email protected] e tenetevi informati sul sito koineonline.org... STAYTUNED! Marzo SCHEGGE 1 5 L’EPOCALE AVVENTURA DELL’ESCHERICHIA COLI I l titolo di questa settimana potrebbe sembrare un po’ stravagante e noiosamente eccentrico, tuttavia questo batterio, che subito dopo la nostra nascita ci colonizza l‘intestino, ha permesso di provare, con metodo sperimentale, la Teoria dell’evoluzione. Charles Darwin perciò aveva visto giusto al di là di ogni ragionevole dubbio, a controprova di tutti coloro che vorrebbero propinarci la fallace teoria creazionista. L’avventura dell’ Escherichia Coli ha inizio nel 1988, per merito di un progetto di Richard Lenski ricercatore dell' Università del Michigan, che ha avviato un esperimento teso a far riprodurre in provetta il nostro (non sempre) amico intestinale. La scelta dell’ Escherichia Coli non è avvenuta per caso, in quanto esso è biologicamente ben conosciuto ed stata tracciata interamente la sequenza del suo genoma, per di più si trova in miliardi di esemplari ed ha una riproduzione asessuata (cioè per scissione cellulare) molto rapida. La sperimentazione, tutt’ora in corso, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista della National Academy of Sciences (www. pnas. org), consiste nel lasciar evolvere, in condizioni costanti, dodici ceppi del nostro protagonista, tutti derivanti da uno stesso batterio iniziale, che potremmo definire il capostipite della Famiglia. Ogni singolo ceppo viene quotidianamente alimentato con glucosio e tutti i giorni si estrae da ciascuna provetta una stessa quantità per singolo ceppo, la si rimette in una nuova provetta e lo si lascia moltiplicare. Ogni 75 giorni, pari a 500 generazioni di riproduzione, si congela una parte di ciascun ceppo per fissare un livello evolutivo da poter poi comparare o mescolare con gli altri livelli. Dal 1988 fino al 2008, per 45.000 generazioni, si sono costantemente monitorati e registrati i dati relativi ai cambiamenti di tutti i ceppi degli Escherichia Coli derivanti dal capostipite. In particolare, i batteri sono stati coltivati in una soluzione che conteneva un po’ di glucosio e molto citrato, perciò una volta esaurito il glucosio, i batteri avrebbero continuato a crescere solo utilizzando il citrato. Dopo una serie di cambiamenti adattativi di scarso interesse evolutivo (ad esempio aumento delle dimensioni dei batteri), oppure degenerativi (mutazioni che hanno danneggiato gli apparati di riparazione del DNA), arrivati a 31.500 generazioni è comparsa una nuova caratteristica: una parte dei batteri aveva acquisito la capacità di utilizzare il citrato come fonte di sostentamento. A questo punto, si sono ripresi i campioni congelati per capire a quale livello evolutivo si era sviluppato il mutamento, era quello di un solo ceppo intorno alla 21.000 generazione. Da quel ramo evolutivo, infatti, 10.000 generazioni più tardi si svilupperà la capacità di nutrirsi di citrato. Dalle osservazioni, inoltre, si è appurato che non si è trattato di un’unica mutazione complessa e puntuale, ma di una sequenza di piccole mutazioni, con il risultato finale dell’acquisizione di una nuova caratteristica, confermando empiricamente le ipotesi darwiniane. A differenza di altre mutazioni, che tendevano a ripetersi più o meno uniformemente nei vari ceppi, questo cambiamento aveva una probabilità molto bassa, che si è calcolato essere intorno a uno su mille miliardi, e sono proprio questi tipi di eventi, rarissimi (per spiegare i quali i creazionisti fanno ricorso ad un intervento divino), a dimostrare invece che il mutamento è frutto del caso e non dell’intervento prodigioso della Mano di un dio onnipresente ed onnimpiccione. Il piccolo batterio Escherichia Coli, continuando nella sua epocale avventura, è destinato a scontrarsi con non poche autorità Clericali che, spinte dal pregiudizio a cui fanno copiosamente ricorso, affermavano: «La teoria dell’evoluzione in gran parte non è dimostrabile sperimentalmente in modo tanto facile perché non 1 6 SCHEGGE Marzo possiamo introdurre in laboratorio 10. 000 generazioni». Così, infatti, si esprimeva papa Benedetto XVI intervenendo alla conferenza su Creazione ed evoluzione nel 2006. Tra le altre dimostrazioni, nell’esperimento di Lenski si può osservare che dopo un certo numero di generazioni avvengono delle mutazioni, adattative, anche nel DNA dell’ Escherichia Coli e le variazioni evolutive si fanno sempre più numerose e diversificate, così da permettere ragionevolmente un vero e proprio accostamento tra l’evoluzione sulla terra e quella nell’esperimento. D’altronde, tenendo conto che le differenziazioni sono avvenute da un unico capostipite e che non sono comparse in tutti i ceppi evolutivi, si può facilmente affermare che l’evoluzione umana abbia seguito le stesse dinamiche. Le prove fossili, ormai senza nessun “anello mancante”, non fanno altro che essere confermate e l’idea secondo la quale tutti noi deriviamo da un unico progenitore diventa inconfutabile. Del resto, così come solo un ramo evolutivo dell’ Escherichia Coli ha sviluppato la caratteristica di nutrirsi del citrato, è molto probabile che anche l’evoluzione dell’Uomo e della Donna abbia percorso un cammino analogo, in cui moltissimi rami evolutivi si sono interrotti o hanno intrapreso strade diverse e solo una, la nostra, è approdata a quello che noi chiamiamo, appunto, genere umano, il quale deriva dalla Famiglia Hominidae e dalla Superfamiglia Hominoidea, fino a risalire, all’indietro, genericamente ai Primati. L’avventura dell’ Escherichia Coli, però, continua e c’è da aspettarsi che svelerà nuovi meccanismi utili alle ricerche scientifiche, anche in campo medico, come è avvenuto per le mutazioni genetiche che interferiscono sulle replicazioni del DNA umano, le quali poi scatenano le progressioni tumorali. Ancora, però, molti meccanismi della natura ci sono ignoti, ma per fortuna e per merito di tanti straordinari studiosi anche l’Uomo sapiens sapiens continua il suo lento viaggio alla scoperta delle leggi che regolano l’infinitamente piccolo (Meccanica Quantistica) e l’infinitamente grande (Relatività Generale), affrancandosi pian piano dalle superstizioni e dalle tante divinità che proliferano a esclusivo vantaggio di una ristretta casta sacerdotale. Giuseppe Zangara [email protected] Marzo SCHEGGE 1 7 UNO SPORT BESTIALE GIOCATO DA GENTILUOMINI «Adesso so che quando si avanza uniti ci sono possibilità di successo. Adesso so che se non andrò in meta io, ci andrà un mio compagno. Adesso so che cosa vuol dire rispettare un avversario che è a terra. Adesso so che potrò cadere e perdere il pallone, ma un compagno sarà pronto a raccoglierlo e a lavorarlo per me. Adesso so che bisogna avere sempre qualcosa da portare avanti. Adesso so che si può anche perdere, ma non ci si deve mai arrendere. Adesso so che per ottenere qualcosa bisogna essere determinati. Adesso so che correre non vuol dire scappare, ma andare incontro al futuro. Adesso so che affrontare la vita sarà un gioco da ragazzi e che, se la vita è un gioco, il rugby è una gran bella maniera di viverla!» " Mirko Petternella Se ci fosse una squadra di rugby qui vicino, tu giocheresti? -SI!- Allora fondiamola, ho già chiamato la provincia!'' Dopo un mese avevamo un campo, qualche giocatore, un preparatore ed un allenatore. Fu così che cominciò la mia avventura nel mondo del rugby. Al primo allenamento mi ricordo che passammo la maggior parte del tempo fermi, al freddo, per poi cominciare a passare la palla e giocare una partitella senza placcaggi. Sembrerà strano, ma è lì che ho capito veramente l'essenza del rugby. Le prime parole proferite dell'allenatore, non furono le regole del gioco, ma lezioni di comportamento: se vuoi diventare un rugbysta non devi essere muscoloso, imponente, violento, bruto. Il rugby è uno sport da gentiluomini, per essere un buon giocatore devi imparare a dare tutto per la tua squadra, aggredendo l'avversario, tirando fuori tutto il coraggio che hai dentro, trasformare la paura in esplosione di forza, per ogni passaggio che vuoi fare, devi guardare prima che il compagno sia disponibile a giocare il pallone senza problemi; devi difendere, placcare giocatori che sono fisicamente il doppio di te, mettere la testa in posti in cui le altre persone non vorrebbero mettere nemmeno un piede. Il rugby è testa e cuore, prima di gambe e braccia. Per questi motivi per prima cosa,si impara ad essere umili, a rispettare ogni tuo compagno di squadra, a dare retta all'allenatore e al capitano, a non discutere le decisioni dell'arbitro, si impara ad evitare di intraprendere decisioni egoistiche, si impara ad agire per la squadra. Una volta imparate queste semplici regole, giocare bene viene da sé. É inutile nasconderlo: il rugby cambia la personalità di chi ci gioca, scolpisce la testa e il cuore prima di cosce e spalle, ribalta la concezione delle emozioni e dell'adrenalina. Lo stress muscolare a cui sottoponi il corpo fa sembrare semplici molti degli altri sforzi che affronti durante la vita di tutti i giorni. Si dice che non esistono ex-rugbysti: chi ha giocato a rugby, è rugbysta per tutta la vita, questo sport ''finché ce la fai lo giochi; finché vivi lo ricordi'' sosteneva Angelo Libani. Questi erano i motivi che spingevano un ragazzo argentino con l'asma a continuare a giocare: il suo ruolo era il numero 11, trequarti ala chiusa, lo stesso di Mirco Bergamasco nell' Italia per intenderci, veniva chiamato Fuser, per la sua corsa veloce e furibonda: il suo nome era Ernesto Guevara de la Serna e rimase un rugbysta per tutta la vita. Lorenzo Rossi 1 8 SCHEGGE Marzo BLOOMSBURY THE GREAT GATSBY E ra davvero grande Gatsby quando ogni sabato sera apriva le porte della sua immensa e lussuosa casa alle orde di invitati, che con passo affannato e con solerte ammirazione, calpestavano quel suo prato ben curato e si perdevano nella sontuosità di quei grandi saloni che echeggiavano sempre a ritmo di jazz. Donne fasciate in abiti sontuosi e uomini in smoking, si aggiravano increduli qua e là, gustando caviale e annegando in fiumi di champagne, mentre limousine nere ne conducevano sempre di nuovi, magari arrivati da chissà dove, anche loro animati dal desiderio di non perdere nemmeno un secondo dell'ospitalità di quell'uomo su cui si rincorrevano le voci più bizzarre e le congetture più sensazionali. Mentre lui, Gatsby, quasi non si mostrava, e infatti molti di loro nemmeno sapevano che faccia avesse, ma ciò poco importava, perché ciò che realmente interessava era assistere a quell'opulenza, esserne avvolti e lasciarsi cullare da essa. Mentre il jazz infuriava e lo champagne scorreva. Nel frattempo Gatsby guardava al di là della baia, lo sguardo fisso su quella luce verde, sperando ardentemente che a varcare quella soglia fosse proprio lei, Daisy Buchanan, la ricca e viziata, e proprio per questo ancora più affascinante, ragazza che anni prima aveva amato, e che lo aveva stregato con i fasti di quel mondo irraggiungibile e ad agognato di “coloro che contano”. Una breccia nel cuore dell'anonimo, e destinato a rimaner tale, Joseph Gatz, vero nome di Gatsby, che dal deserto di quell'ovest dimenticato, da cui proveniva, guardava all'altra sponda dell'oceano, a quell'est lussuoso e patinato, in una New York briosa e lussureggiante dove la nuova e vecchia aristocrazia americana viveva una vita da sogno, nutrendosi di beni artefatti e crogiolandosi in quella fulminante e inebriante ricchezza. Quanto basta per innestare nel suo animo i germi di un'ambizione senza posa, che lo induce a costruire un nuovo io all'insegna di quel sogno da realizzare a tutti costi, e con tutti i mezzi leciti e illeciti. Diventare ricco e riprendere Daisy con sé, che pur avendo condiviso quell'amore consumato al caldo di un'estate ormai remota, non aveva atteso il suo ritorno dalla guerra, e che ad ogni modo non avrebbe mai sposato uno come lui. Daisy non sarebbe mai andata affondo con quell'infatuazione per un ragazzo più povero, perchè in realtà a mantenerla viva è l'esser parte di quel mondo materialistico e vacuo, esserne compenetrata, dilettarsi nell'illusione di volerlo fuggire, eppure amandolo infinitamente. E proprio nel non scorgere questo, che risiede la rovina di Gatsby e il dissolversi del suo sogno di immensa grandezza. Non è stato sufficiente costruire dal niente un impero economico, essersi mischiato in business illeciti, aver creato un nuovo io e aver messo da parte quello vecchio, Gatsby rimarrà ucciso da quella stessa corsa irrefrenabile che lo aveva condotto così lontano. Daisy e il suo amore sono incostanti e artefatti, così come lo sono quelle ricchezze e quei patrimoni lievitati a dismisura, sull'onta di quell'illusione di crescita smodata che animava un'intera epoca e di cui la parabola di Jay Gatsby incarna lo spirito più profondo, racchiudendo nella sua stessa storia l' essenza di quei “ roaring twenties”, di cui F.S.Fitzgerald ha saputo immortalare lo spirito autentico. Non appena quella luce di nuova magnificenza che Gatsby aveva saputo così argutamente conquistarsi, sembra svanire dietro lo spauracchio dei suoi affari poco leciti, Daisy ritorna mestamente a nascondersi dietro gli allori della sua vita vacua e senza pensieri, sotto l'egida di un marito che la possiede, quasi fosse una creatura astratta e inesorabilmente avvinta da quel mondo materialistico e senz'anima. Mentre Gatsby rimane vittima inconsapevole di quella stessa insensatezza e superficialità che è parte di Daisy e del suo mondo, che prima s'infiamma ardente e indomita, travolgendo tutto e tutti, e poi senza il minimo rimorso torna a cullarsi nel suo nido di spensieratezza e stolta cecità. “Erano gente sbadata Tome Daisy: sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro e nella loro ampia sbadataggine o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero apposto il pasticcio che avevano fatto. . . ” Marzo SCHEGGE 1 9 E una volta calato il sipario sulla sua vita, nessuno più sembra ricordarsi di quanto fosse stato grande Gatsby, di quanto fosse stato luminoso quell'astro assurto troppo in fretta sulle vette dell'Olimpo di quell' “American Dream ”, che la Grande Depressione avrebbe di lì a poco disintegrato in un ancor più fulmineo batter d' ali. F.S.Fitgerald ci narra una storia straordinaria che cavalca lo splendore e le contraddizioni di un decennio unico e sensazioale, dove tutto è esagerato e dove la tragedia incombe inesorabilmente. Jay Gatsby racchiude in se stesso tutto il senso e il non senso di quella corsa irrefrenabile, appunto “ruggente”, dove ricchezza smodata e ambizione più audace si fondono in un intreccio letale e senza futuro, e che non lascia scampo. “Povero Bastardo!”. Eva Spaccamonti DISCO DEL MESE CUT COPY “Zonoscope” (Modular, 2011 ) C erto che passare da idoli degli snob dell’ electro a ricevere un messaggio da Lady Gaga in persona per fare da supporto al suo mega-tour dev’essere stato uno shock non da poco. Ma i Cut Copy non hanno bruciato la lettera come hanno dichiarato ai media né accettato l’offerta. Preferendo mantenersi in circuiti sotterranei. Ma non durerà. Perché Dan Whitford e soci le potenzialità mainstream le hanno nel sangue. Dopo l’eccezionale “In Ghost Colours”, un agrodolce affresco di elettronica ben suonata, tra spiaggia e club fumoso con 20 SCHEGGE Marzo il monotono timbro di Dan a restare subito impresso. Electro-pop d’alta scuola non privo di reminescenze shoegaze nei timbri delle chitarre. Di vaga psichedelia sixties. Ma pur sempre electro-pop con un pugno di classici da pista quali “Lights & Music”, “Hearts Of Fire”, “Feel The Love”. Roba da amore a prima vista. Non a caso in Australia hanno sfondato in classifica. Per poi sbarcare con altrettanto successo nel resto del mondo anglo-americano. Eppoi la lunga gestazione di questo “Zonoscope”, il cui ineffabile titolo è rimasto segreto fino all’ultimo momento. Con una sola sorprendente anticipazione, “Where I’m Going”. A dare un’idea in parte spiazzante rispetto all’effettiva natura dell’album. Il marchio di fabbrica dei coretti da eunuchi (whoo whoo) non resta nel magazzino dismesso in cui i quattro giovani di Melbourne hanno realizzato il loro terzo LP. Un piglio psichedelico di base – vedi intermezzo alla “Baba O’ Riley” – è ciò che emerge nella potenziale risposta da underground mainstream alla sdoganatissima “Kids” degli MGMT. Si accettano scommesse. Nessun timore. Le smancerie da sculettamento coatto sono garantite. Senza cattivo gusto. Né cadute di stile. Una cascata di colori, in tema con la suggestiva copertina dell’artista Tsunehisa Kimura, pervade l’album. Anche quando i toni più dimessi che sulla scia del precedente album ogni tanto colgono i Cut Copy. Sono loro, sono loro. Non temete: “Hanging Onto Every Hour” e “Take Me Over” rispolverano nel loro stile quell’atmosfera da happy hour per gente figa in cui fare i tamarri si distingue dall’esserlo. Cosa rende i Cut Copy un nome di qualità? Non solo il background, anche perché si sono lanciati come dj, quanto i loro riferimenti. C’è la new-wave prima di tutto, non manca come non dovrebbe mancare in nessun gruppo contemporaneo il post-punk. C’è la Manchester rave. Quanto, mai come in quest’album, Malcolm McLaren e i Fleetwood Mac. Come si capisce subito in “Need You Now” che apre la scena in pieno stile New Order. Decadenza di fondo, ma l’incedere molto LCD Soundsystem sfocia dove tutti vorrebbero. In un epico tunz-tunz anni Novanta da sorriso a trentasei denti. Il rock non si è perso in questo improbabile gennaio nella terra dei canguri. Le saggissime chitarre sanno più che mai di Talking Heads. Tutto in chiave molto cyborg e sbriluccicante. L’intensa “Blink And You’ll Miss A Revolution” ne è prova lampante, al di là del titolo efficace. I toni afro, gli echi, il ritornello-puttana non distolgono l’idea dall’ascolto di un disco prodotto dal David Byrne dei tempi migliori in ritiro spirituale a Ibiza. Così come la sinuosa “Pharaos & Pyramids”, che guarda molto indietro (Human League, primi Depeche Mode) per poi far scivolare le spigolose trame synth-pop in una ballad sbilenca e decadente. Anche l’Australia ha i suoi Hot Chip. Che si travestono da divi tossicomani da Hacienda mancuniana in “Corner OfThe Sky”. Post-punk si diceva. In chiave 3.0. L’acida “Alisa” che si concede chitarracce da Pop Group proiettandole in una filastrocca drogata da Primal Scream . Eppoi naturalmente quel whoo whoo che nel precedente album era preponderante e ora va in primo piano nei ritornelli. E poi riverberi, campionature da navicella spaziale, orchestrazione classica senza riuscire a non essere pop. Della serie il futuro arriverà o ci siamo già. “Strange Nostalgia For The Future”, intermezzo spaziale, diventa un manifesto d’intenti. “This Is All We’ve Got” pare un remix tridimensionale di un classico della C86. Sconvolge vista la giovane età la saggezza nella scelta negli arrangiamenti. Il rischio di suonare pacchiani è dietro l’angolo in queste atmosfere. Eppure il sound è sempre multiforme, mai eccessivo e comunque in grado di non allontanare i Cut Copy da quell’identità ormai delineata e consolidata. Cosa che è mancata forse a un altro promettente gruppo affine in questo eclettismo electro-pop, quali i Foals. Continuano a fare sul serio senza prendersi su serio i quattro svampiti della marcia città che fino a qualche decennio fa dava i natali a Nick Cave e altra gentaccia poco raccomandabile. In “Sun God”, traccia conclusiva cedono senza remore a un quarto d’ora di pura suite dancefloor da dancefloor spinto. La degna chiusura di un album che suona come l’ideale compendio tra “Low” di Bowie e “Remain In Light” dei Talking Heads. In un mood senza vergogna sospeso tra whoo whoo in disincantati panorami da improbabile art-house. Il dado è tratto: dopo l’addio degli LCD Soundsystem un barlume di speranza nel pop-rock elettronico contemporaneo. Un solo dubbio: ci si diverte così tanto d’inverno in Australia? Ops, nell’altro emisfero è ancora estate. Novità e approfondimenti su www.kalporz.com Piero Merola Marzo SCHEGGE 21 MERHO LIST: la playlist con le migliori canzoni in uscita ALEX WINSTON - Locomotive ARCHES - This Isn't A Good Night For Walking BRITISH SEA POWER - We Are Sound DUM DUM GIRLS - He Gets Me High FRANK OCEANS - Songs For Women KURT VILE - The Ghost Town THE GO! TEAM - Apollo Throwdown HOORAY FOR EARTH - True Loves LOW - You See Everything LYKKE LI - Get Some MOUNT PLEASANT - Florida PANDA BEAR - Last Night At The Jetty PIEN FEITH - I Have Done Nothing PJ HARVEY - The Words That Maketh Murder RADIOHEAD - Bloom RINGO DEATHSTARR - So High THE STROKES - Under Cover OfDarkness tUnE-yArDs - Bizness YUCK - Wall I migliori LIVE in zona ven 18 mar: MURCOF+KK & THE NOISER @ Ravenna, Teatro Rasi sab 19 mar: KODE9+SPACEAPE+KING MIDAS@ Ravenna, Bronson gio 24 mar: EVERYTHING EVERYTHING @ Bologna, Covo Club gio 24 mar: RADIO DEPT. @ Ravenna, Bronson gio 24 mar: STEREOTOTAL @ Bologna, TPO ven 25 mar: CURRENT 93 @ Bologna, Locomotiv ven 25 mar: BODUF SONGS @ Ravenna, Bronson ven 1 apr: LYDIA LUNCH + BIG SEXY NOISE @ Cesena, Officina 49 mer 6 apr: GOD IS AN ASTRONAUT @ Ravenna, Bronson gio 7 apr: DEERHUNTER + LOWER DENS @ Bologna, Locomotiv ven 8-sab 9 apr MASSIMO VOLUME weekend @ Bologna, Covo Club sab 9 apr: FUJIYA & MIYAGI + LOW FREQUENCY CLUB @ Ravenna, Bronson sab 9 apr: GANG OF FOUR @ Nonantola (MO), Vox Club dom 10 apr: ANNA CALVI @ Gambettola (FC), TreESessanta www.bronsonproduzioni.com www.covoclub.it www.locomotivclub.it www.officina49.com www.voxclub.it 22 SCHEGGE Marzo ICONE CINEMATOGRAFICHE FEMMINILI LA DIVINA “ Give me a whisky, ginger ale on the side. . . and don't be stingy, baby!” Poche parole pronunciate con voce roca e sensuale come mai se ne sarebbero sentite altre, ed ecco materializzarsi un mito e nascere una leggenda: Greta Garbo, la Divina. Indimenticabile Anna Christie seduta a quel tavolo mentre ordina quel whisky che avrebbe per un attimo dissolto quel turbamento, che era così brava a far trapelare con un solo sguardo. Quello sguardo che bucava lo schermo e che impediva a chiunque di toglierle gli occhi di dosso per tutto il tempo in cui la cinepresa aveva il privilegio di immortalarla. Eterea, meravigliosa, irraggiungibile, sempre velata da un'aurea di sacralità che è propria delle dee, riusciva ad emozionare e ad incantare in ogni ruolo che impersonava, regalando sempre performance epiche e di un'intensità difficilmente dimenticabile. Ardua impresa destreggiarsi nel suo vasto e ineguagliabile repertorio, e scegliere tra quei ritagli di donne meravigliose e divinamente tragiche, perché la Garbo stessa è un'icona, l'Icona per eccellenza. Meravigliosa Anna Karenina, smarrita nella desolazione di quella stazione gremita di gente, e avvinta ancor di più dalla desolazione nel suo cuore, che dopo aver guardato malinconicamente un' ultima volta alla vita, si lancia sotto un treno in corsa. Sublime regina Cristina che con un solo lungo, trasognato sguardo fa l'amore con la stanza dove si è consumata la fiamma della sua passione per l'uomo amato, fissando nella memoria ogni dettaglio prima del commiato e segnando indelebilmente, in quella breve scena, la storia del cinema. “Sto memorizzando questa stanza. In futuro, nella mia mente, tornerò molto spesso in questa stanza. ” Sensuale e magistrale Mata Hari, che va incontro alla morte con sconfinata classe e che nemmeno nella disperazione più nera per la fine imminente, perde un minimo della sua conturbante grazia. Ironica e inesorabilmente adorabile Ninontchka, donna apparentemente altera e scostante, ma dal cuore d'oro e di una dolcezza incantevole, che non può non strappare un ghigno di soddisfazione, quando nell'allegro chiacchiericcio di una taverna di operai, il mondo la vede ridere per la prima volta, esplodendo in una risata smodata e scomposta che la rende ancora più bella. “Garbo laughs!” E potrei continuare senza sosta nel rievocare scene sublimi e uniche, che hanno fatto innamorare intere masse, imprimendo nei loro cuori quanto di meglio il mondo in celluloide potesse offrire. La Garbo era una donna che poteva essere qualsiasi cosa dietro ad un obiettivo, impersonare l'ambivalenza e la disperazione con un sguardo, ma anche il mistero e la sensualità, semplicemente reclinando e mostrando il collo, o chiudendosi in un abbraccio. Una donna che si concedeva pienamente solo dietro alla macchina da presa, e che sapeva essere gelida ed estremamente riservata nella vita. Avara di interviste e restia alle apparizioni pubbliche, sprezzante dello star system , e di quella deriva bieca del successo che sfocia all'esibizionismo a tutti i costi. La Garbo era un'altra cosa, misteriosa quanto basta dal suscitare la più vivida curiosità, gelosa della sua vita privata a rischio di apparire snob o poco simpatica. La Garbo era una Diva, e come tale scendeva malvolentieri dall'Olimpo. E fedele a questa sua natura, decise di abbandonare le scene così prematuramente, all'auge del successo, ancora bellissima e magica, lasciando un vuoto in quel pubblico che l'aveva così adorata, e che tutt'ora non si stanca mai di celebrare il suo straordinario talento. La Garbo non ha dato al tempo l'occasione di scalfire quella sua immagine di donna eterea ma anche struggente nell'impersonare eroine combattute e dal destino tragico. E con ciò ci ha permesso di ricordarla sempre così, senza che il corso degli anni imprimesse il suo tocco impietoso su quel viso che è la storia del cinema. E così la ricorderemo, sempre magnifica e austera, sempre la Garbo, la Divina. Eva Spaccamonti Marzo SCHEGGE 23 CURVE PERICOLOSE NON PUO' PIOVERE PER SEMPRE PAROLA DI PAOLO FOX LA VITTORIA SCINTILLANTE E IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI C are le mie signorine buonasera, mentre fuori l'inverno si scatena, con umidità, grigiore diffuso, freddi venti del nord e pioggerellina incessante, non ci resta altro che tuffarci nel più dolce dei rifugi. La nutella? No! Il bombolone alla crema? No! La lettura dell'oroscopo, così, giusto per sentirci dire da Polo Fox e compagni che la sfiga non finirà neanche nel 2011. Per caso siete nate sotto il segno del capricorno? O peggio del cancro? Benissimo, le previsioni del futuro sono come al solito catastrofiche per questi due solinghi segni zodiacali. Non si capisce per quale motivo gli astrologi si accaniscano su di loro, ma mentre i vari segni di aria e fuoco la passano sempre liscia, noi veniamo derise da tutti, persino da quel simpaticone di Rob Brezsny, l'astrologo di fiducia dell'Internazionale. Tutte le volte che lo leggo, mi viene fuori quell'espressione inebetita e perplessa, alla ricerca del significato profondo delle sue parole. Un senso di smarrimento mi pervade: fiori d'arancio, fortuna e sesso bollente per tutti gli altri segni, mentre solo saggi consigli filosofici ed esistenziali per il cancro e il capricorno, come se fossimo fatti di etere e imperativi categorici. Paolo Fox è quello che ci prova più gusto, tracciando gli andamenti mese per mese. Chissà come mai, di anno in anno, noi ragazze del cancro e del capricorno battiamo la ritirata a colpi di nervosismi e fallimenti fino ad agosto. “Poi da settembre le cose migliorano – dice ormai da anni quella criptochecca di Fox – e avrete uno splendido novembre”. Tu aspetti tutto l'anno la svolta, che mai arriva, e poi a Natale ti ritrovi ancora una volta con gli stessi grattacapi dell'anno prima, mentre ingurgiti l'opulento pranzo della nonna, con gli altri parenti. E mentre le cartomanti delle città di provincia festeggiano con i soldini accumulati negli anni, regalati da donne piene di speranza, una domanda sorge spontanea: “Perché loro ci azzeccano e i grandi maestri dell'occulto no? ”. Io ho migliaia di prove e testimonianze di donne che si rivolgono a queste esperte del futuro e puntualmente tutto si avvera: uomini conosciuti sul posto di lavoro, promozioni incredibili, relazioni fallimentari assicurate con certi maschietti. Io non ho ancora avuto il coraggio di rivolgermi a queste streghe post moderne. Forse perché ho una fottutissima paura che mi predicano le stesse sventure di Paolo Fox, magari condite da dettagli inquietanti che cerco di scordare ogni giorno che passa. Gli Antichi Romani si dividevano tra l'arte divinatoria e una certa visione fatalista. Della serie, una sfiga se deve accadere accadrà. Nessuno è riuscito a evitare l'assassinio di Giulio Cesare, nonostante Cleopatra ne avesse letto i presagi. A cosa serve conoscere il futuro? Forse per mettersi l'anima in pace su determinate questioni. Una cartomante potrà benissimo dirmi: “Non ti sposerai mai”, oppure “Non potrai mai essere una bionda naturale senza peli sulle gambe” con la stessa leggerezza e spontaneità. Ma a questi due teoremi ci sarei arrivata da sola senza dover leggere i tarocchi. La seconda affermazione poi è talmente ovvia che non ci vuole uno scienziato dell'occulto per capire e interpretare i miei cromosomi del sud Italia, che includono peli, baffetti e crine d'ebano. Sul versante amoroso, non ci vuole un genio per capire che ci sono individui nel mondo che meritano di rimanere soli. Forse è tutta colpa del destino, pare che ce lo abbiamo già scritto, sin dalla nascita. Leopardi era destinato a diventare un fan dello studio matto, come Fabrizio Corona era destinato a diventare un delinquente terribilmente sexy. O no? Io ero destinata a varcare un bel giorno la porta di un sexy shop? Sì, a quanto pare, snervata dalle lacune amatorie maschili, un bel giorno l'avrei 24 SCHEGGE Marzo varcata. E dentro c'è tutto un mondo nascosto, fatto di latex, simboli fallici e lingerie d'alta moda. E chi l'avrebbe mai detto? Forse solo una cartomante di Forlì, perché Paolo Fox non ha fatto riferimenti a mie future attività masturbatorie. Fino ad allora, l'unico onanismo che conoscevo era quello mentale. Poi ho deciso che volevo scoprire i misteri del creato situati nel basso ventre e mi sono diretta verso il tempio del benessere, il sexy shop appunto. Che c'è di male. Anche il nostro Presidente del Consiglio, nelle sue intercettazioni, diceva a una sua amichetta: “Devi toccarti con una certa frequenza”. È la voce del padrone, non c'è niente di male. La Libia brucia, l'Egitto dichiara la sua indipendenza? E chi se ne frega, nessuno mi separerà per una buona mezz'oretta al giorno dal mio love toy e dalle mie dita. Che donna di facili costumi, che ninfomane, grideranno i maschietti e le studentesse ben educate, cioè quelle che non sono cresciute a pane ed Erotica di Madonna. I maschietti si sentiranno bistrattati e feriti nell'orgoglio machista. Le donnine invece, quelle che perdono tempo a protestare in piazza contro un modello di donna disegnato da Berlusconi, continueranno a pensare che scrivo di sciocchezze e di essere superficiale e modaiola. Io penso invece che quelle stesse donne che sono andate a manifestare una manciata di giorni fa in piazza per la dignità della donna si sono rese ridicole e patetiche. Si vergognano della propria femminilità, preferiscono non esplorare la propria sessualità, ma sono le stesse che vogliono compiacere a tutti i costi il compagno fintamente intellettuale che le aspetta a casa. Si piegano a ogni loro capriccio, mentre il compagno fintamente intellettuale, che rispetta la donna e le sue virtù, cerca la compagnia di donne pericolose o transessuali, afrodisiache soluzioni a una donna che ha voluto rinunciare al suo ancestrale potere: il sex appeal. Brave ragazze, scioperate e scendete in piazza. Ma siete state proprio voi ad annunciare e a procrastinare la vittoria del maschio. Voi che non riuscite ad affrontare la solitudine o che avete paura di lasciar scorrere la vostra sensualità, voi che mostrate disprezzo per i sexy shop e per donne come le varie Iris Berardi e Ruby. Purtroppo la parità dei sessi non si raggiunge mostrandovi erudite e con i mocassini ai piedi. Spiacente dirvelo ma si può raggiungere solo con l'altissimo e nobile valore della solidarietà. E voi che protestate in piazza non siete solidali, dopo la manifestazione ognuna torna al proprio nido, tranquilla di non essere 'sola al mondo'. Non volete approfondire, non volete unirvi, amarvi e combattere per il popolo italiano, voi preferite sempre e comunque quella mezza cartuccia spelacchiata di maschio che vi attende sul divano. Avete paura che vi abbandoni, avete paura di contraddirlo, avete paura di lasciarlo solo a tavola. Avete bisogno del suo compiacimento e del suo plauso morale, dopo che vi ha viste protestare in televisione, mentre lui annusava le mutandine di una donna più sexy in vostra assenza Chi me l'ha detto? Una cartomante oppure ci sono arrivata da sola perché sono una strega, chissà. Oppure sono la donna di facili costumi che lo ha appena intrattenuto sul divano, prima che voi arrivaste. Soltanto una cosa di questa triste Italia non riesco a spiegarmi. Perché non ci sono anche delle versioni maschili delle varie Ruby e Nicole Minetti? Possibile che non ci sia un fustacchione anche per noi donne erudite, da sbattere a nostro piacimento? Quando vedremo in prima pagina i bicipiti e gli addominali di un sosia di James Franco coinvolto in qualsivoglia scandalo politico? Dobbiamo davvero rivolgerci solo alle nostre fantasie aiutate da qualche giocattolino erotico? Non ci ha riservato grosse sorprese neanche la notte degli Oscar. Tutti così perfettini, politically correct, nessuna polemica, mille premi al Discorso del Re – che non ho ancora visto ma che sarà di una noia mortale – ovvia vincitrice Natalie Portman, che le mancava giusto l'Oscar dopo Golden Globe e Bafta Award. Nicole Kidman è diventata la gemella di Nina Moric, dimenticate per sempre l'intensità del suo sguardo in 'Ritratto di signora'. Nessun bacio travolgente tipo quello gentilmente concesso da Adrien Brody a un'incredula Halle Berry – e quando mai le ricapiterà una fortuna simile? - nessuna vecchia gloria di Hollywood, nessun siparietto a cura di Whoopi Goldberg o di Billy Cristal. La notte degli Oscar ormai è solo il tramonto di un'era, condita dal vero silenzio degli innocenti e dallo scintillio dei costosissimi gioielli delle nuove star, dalla Portman alla Swank fino al collagene della Kidman. Ragazze, adesso potete pure piangere, non di felicità ahinoi. Virginia Longo Marzo SCHEGGE 25 Ariete: La situazzione presentasi grave, con acutizzarsi di fenomeni patologgici le cui cause e concause vanno rintracciate tra epifenomeni di natura ciclica, la cui certa origgine è il Vibrio Cholerae , altresì detto ‘o schconquasso inteschtinale. Toro: Sibbene il motto consigli d’afferrarli per le escrescenze ossee poschte sulla sommità del cranio, e che vulgata vuole chiamarsi, con parola colma di significati ambigui, ‘e corna, è stato stabilito dall’art. 675/56 che tali beschtie, appartenenti alla famiglia dei Bovidi, vadano soppresse in appositi luoghi istituiti dall’art. 45/764, c.4 c.c. Ogni abuso sarà punito dalle autorità coschtituite. Gemelli: Secondo quanto appreso dalla direttiva informativa a74b/E dell’Unione Europa, i gemelli, se eterozigoti, sono assai poco simiglianti tra essi medesimi, se invece omozigoti, so’ schpiccicati. Prendo nota. Cancro: La situazzione è grave, senza remissione di causa. Coloro i quali intenderanno sfuggire al loro tristo destino attraverso scorciatoje di tipo ecstragiudizziario saranno puniti ai sensi del regolamento parlamentare testé fattomi osservare. Leone: Preso atto degli articoli 1, 83, 139 cost. e delle dischposizzioni transitorie atque finali della medesima, nummero XIII-XIV, osservo che la Monarchia non esiste più e decreto, con atto d’immediato vigore e robustezza, che voi non siete più il Sire della Jungla. E tant’è. Salutm ‘a soreta. Vergine: Comprovatasi la virtù femminile con apposite indagini interne, dichiaro decaduta la qualifica di sfaccimme che aleggia su coloro le quali non possono fregiarsi di tale invisibbile merito, equiparando con atto presidenziale le due condizioni, favorendo l’equipollenza degli istituti, come richiestomi in privato colloquio dal Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Berlushconi. Bilancia: In attuazione dei provvedimenti di natura internazionale che quesht’oggi sono stati depositati sulla mia già ingombra schrivania, decreto che la statera, o bilancia, sofisticata da interventi artatamente indotti da mano umana è posta al di fuori della legge e obbligatoriamente distrutta nelle sedi e dalle autorità coschtituite. 26 SCHEGGE Marzo Scorpione: ‘e muorte ‘e chi t’è muorte ‘e chi t’è stramuorte! Con decreto PdR di oggidì è stabilito che qualunque forma di artropode velenoso della classe degli aracnidi, volgarmente definite shcorpioni, siano allontanati dallo studio presidenziale posto nel succitato Palazzo del Quirinale, e financo ogni rappresentazione tassidermica venga distrutta, con la seguente motivazione: “aggio paura!” Sagittario: La situazzione presentasi grave, e non lo affermo sull’onda di un pessimismo cosmico di matrice leopardiana, ma cotesta mattina la Signoria mia ha avuto un troppo ravvicinato incontro col Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Berlushconi, e m’aggio scuornato! Capricorno: Spiragli di buona sorte sembrano lacerare il fitto drappo oschcuro della vita vostra nel fine settimana venturo. Così è decretato con atto protocollare 345/$ del 17.II.2010 Acquario: V’irridono presumibbilmente i pesci, quantunque dobbiate avere timor sacro d’un lione, già destituito d’ogne potere come da succitato provvedimento. Apprendiamo con sgomento quanto accaduto alla conformazione astrale negli ultimi giorni: ‘o schorpione v’assale, si consiglia stricte la fuga. Pesci: Recita popolar canzone partenopea del sec. decimottavo: “’O guarracino che jeva pe’ mare glie venne voglia de se ‘nzorare…”. Un lieto evento v’attende nelle prossime settimane: vogliate imprescindibbilmente accettare le mie benedizioni per il convolamento a giuste nozze, come da DPdR 56/4 del …me l’aggio schcurdate. Elogio del forlivese di MMC Olindo Guerrini (1845-1916), quand’era in vena di alta lettura, si firmava col nome anagrafico, e scriveva delle robe brutte e retoriche, gonfie di buoni sentimenti. Ma quando scriveva rime giocose aveva uno pseudonimo femminile, Argia Sbolenfi, che è l’anagramma di una brutta esclamazione bolognese che le personcine ammodo che leggono Schegge non dovrebbero mai ascoltare (Sborenlafiga… ). Qui sotto si possono leggere due composizioni, due descrizioni: quella del sigaro toscano, poco apprezzato dalla zitella Argia, e quella della sua capretta, che invece pare darle molte soddisfazioni. Perché vi scrivo di Olindo Guerrini? Perché il nostro era forlivese, ma delle sue origini scriveva: “Sono nato (ahimè!) a Forlì; ma la mia vera patria è Sant'Alberto”. Guerrini s’impone dunque alla nostra attenzione quale unico forlivese simpatico e pieno di humor nella pur gloriosa storia della cittadina romagnola! Il tuo sigaro toscano è una vera indegnità quanto più lo prendo in mano tanto più mi fa pietà: sembra trippa di vitello, sembra pasta che rinvien sembra un pezzo di budello mezzo vuoto e mezzo pien. L’ho palpato, accarezzato, l’ho succhiato in su e in giù: tempo perso , è rovinato, oramai non tira più! *** Quando trovo qualcun che me la mena, la mia capretta, a pascolar sul monte, Tutta la sento di dolcezza piena guizzar pel gusto che le brilla in fronte: E se poi qualchedun me la rimena, corro tosto a lavarla ad una fonte, indi l’ asciugo e non è asciutta appena che a trastullarsi ancor le voglie ha pronte. Sempre sana e piacente, al caldo e al gelo va intorno e cogli scherzi altrui diletta, tanto la tenni e l’ educai con zelo. Eccola qui che una carezza aspetta, fresca, pulita e non le pute il pelo... Dite, chi vuol baciar la mia capretta? Dalle Rime di Argia Sbolenfi, Bologna, 1897 Marzo SCHEGGE 27 APPUNTAMENTI FISSI X-RAY MARTEDÌ - LIVE MUSIC MERCOLEDÌ - "DOCTOR WHY" QUIZ GIOVEDÌ - SUPER VIDEO KARAOKE VENERDÌ - LIVE MUSIC DOMENICA - SUPER VIDEO KARAOKE X-RAY via Forlanini 1 Forlì i n fo & pren otazi on i : 3356699605 xraypu b. com ch i u so i l l u n ed ì IL PROGRAMMA DELLA SETTIMANA (Facebook: KOINÈ FORLÌ) Lunedì: KINO @ Sala Polivalente di KOINE' (via Valverde 15, 1° piano) Martedì: MARTEDÌ UNIVERSITARIO @ Rock Pride (v.le Italia 12) Mercoledì: DIAGONAL LOFT CLUB (v.le Salinatore 101) Giovedì: ERASMUS APERITIF @ Moquette Bookshop-Bar (via Dall'Aste 15) Venerdì: SERATA ROCK @ Rock Pride (v.le Italia 12) ROCKHOUSE @ Naima (via Somalia 2) Domenica: APERITIVO @ La Collina Dei Conigli (Parco Urbano) Schegge realizzato con il contributo di ALMA MATER STUDIORUM Università di Bologna