LA NEUROPSICOLOGIA ITALIANA MODERNA ORIGINI, SVILUPPO E PROSPETTIVE FUTURE Modern Italian neuropsychology Origins, development and future perspectives 24- 25 Maggio 2013 Palace Hotel di Como, Como http://www.centrovolta.org/neuropsico_it2013 ORGANIZZATORI Guido Gainotti (Università Cattolica del S. Cuore, Roma) Giuseppe Vallar (Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Milano-Bicocca, e IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Milano) COMITATO SCIENTIFICO COMITATO ORGANIZZATIVO Ennio De Renzi (Modena) Giovanni Berlucchi (Verona) François Boller (Bethesda, USA) Luigi Pizzamiglio (Roma) Carlo Umiltà (Padova) Guido Gainotti (Roma) Carlo Caltagirone (Roma) Lorenzo Lorusso (Chiari, BS) Alessandro Padovani (Brescia) Roberto Sterzi (Milano) Giuseppe Vallar (Milano) PATROCINI Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Milano-Bicocca Società Italiana di Neuropsicologia (SINP) Associazione Italiana di Psicologia (AIP)-Sezione di Psicologia Sperimentale Società Italiana di Neurologia (SIN) e Associazione Autonoma per le Demenze, aderente alla SIN (SINdem) Con il contributo di Evento organizzato in collaborazione con il Centro di Cultura Scientifica “Alessandro Volta” di Como (Segreteria Organizzativa) 1 RIASSUNTI DELLE COMUNICAZIONI Giovanni Berlucchi (Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi di Verona, Verona, Italia) NEUROFISIOLOGIA E NEUROPSICOLOGIA IN ITALIA: UN PUNTO DI VISTA PERSONALE Fra i fisiologi italiani che si possono considerare neuropsicologi ante litteram citerei Luigi Luciani, Angelo Mosso e Mario Camis. Quest’ultimo, allievo del grande Sherrington e autore di un pregevole saggio sulla fisiologia delle emozioni, influenzò profondamente la futura ricerca neuropsicologica in Italia tramite i suoi allievi Giulio Cesare Pupilli e Giuseppe Moruzzi. Pupilli istituì nell’Università di Bologna una cattedra di Psicologia e la fece occupare dal suo allievo Renzo Canestrari, dalla cui scuola sono usciti numerosi validi neuropsicologi, primo fra tutti Carlo Umiltà. Giuseppe Moruzzi, fondatore della neurofisiologia italiana e scienziato di prima grandezza per i suoi lavori sui meccanismi nervosi della coscienza e del ciclo sonno/veglia, incoraggiò lo studio delle funzioni nervose superiori da parte dei suoi allievi, aiutandoli anche a trascorrere periodi di ricerca nei migliori laboratori mondiali. A me toccò la fortuna di lavorare con Roger Sperry al Caltech e con Jim Sprague alla University of Pennsylvania, e di conoscere e interagire con mostri sacri della neuropsicologia come Brenda Milner, Hans-Lukas Teuber, Oliver Zangwill, Lawrence Weiskrantz, Henry Hécaen etc., dai quali tanto ho imparato. Un altro mostro sacro che conoscevo fin da quando ero ragazzo a Pavia, Ennio De Renzi, lo rincontrai in una riunione annuale dell’International Neuropsychology Symposium, il gruppo da cui nacque la rivista Neuropsychologia, della quale anni dopo divenni fortuitamente editor-in-chief, pur continuando a professarmi convintamente neurofisiologo. A De Renzi sono molto grato per aver fondato la neuropsicologia italiana e una Società che è riuscita a mettere insieme neurologi, psicologi e fisiologi per puri interessi intellettuali e di ricerca. Sarà un piacere celebrare con lui e tanti cari amici la breve ma ricca storia della sua creatura. Anna Basso (Università degli Studi di Milano, Milano, Italia) SESSANT’ANNI DI RIABILITAZIONE DELL’AFASIA Nei primi anni 1960, tre fatti sono all’origine della nascita della rieducazione dell’afasia in Italia: l’apertura del Servizio di Rieducazione dell’Afasia a Milano, la pubblicazione del Test dei Gettoni di Ennio De Renzi e Luigi A. Vignolo e la pubblicazione del manuale sulla rieducazione dei disturbi afasici di Luigi Pizzamiglio. Da allora le nostre conoscenze sulla natura dell’afasia si sono notevolmente approfondite, così come le tecniche riabilitative, anche se più lentamente e con mutamenti meno radicali. Negli anni ‘60 e ‘70 i pazienti erano raggruppati in base al tipo di afasia (fluente/nonfluente) definito da un insieme di sintomi e il trattamento mirava alla riduzione del sintomo. Sono di quegli anni i primi importanti lavori sull’efficacia del trattamento. Negli anni ‘80, da molte parti sono state sollevate critiche all’approccio sindromico che, secondo i neuropsicologi cognitivi, non ha alcun valore esplicativo. La neuropsicologia cognitiva si propone di identificare la sede del danno funzionale; non più una semplice valutazione del sintomo superficiale (parafasia verbale) 2 ma la ricerca della causa sottostante al sintomo (danno del sistema semantico). I modelli semantico-lessicali permettono in molti casi l’identificazione della componente danneggiata. La ricaduta sulla riabilitazione appare ovvia: una diagnosi precisa permette teoricamente di implementare un intervento mirato e razionale. In quegli anni, per studiare l’efficacia del trattamento si sono utilizzate meta-analisi e revisioni sistematiche. Nel nuovo millennio gli studi sull’efficacia del trattamento hanno privilegiato lo studio di casi singoli con deficit ben definiti e trattamenti coerenti con il disturbo, mentre non ci sono stati grandi cambiamenti nelle tecniche di riabilitazione. Hans Spinnler (Università degli Studi di Milano, Milano, Italia) TAPPE SCELTE DI UN PERCORSO DI RICERCA CON QUALCHE RIFLESSIONE GENERALE Viene delineata l’evoluzione “storica” dei temi di ricerca cui Hans Spinnler ha partecipato (1966-2013) senza far cenno ai risultati ottenuti: (i) asimmetrie emisferiche funzionali nella percezione di stimoli visivi (facce, colori, sgorbi) ed acustici (suoni con/senza significato) e nella cognizione spaziale, nonché indagini tachistoscopiche nei normali; (ii) studi su casistiche di dementi di Alzheimer; (iii) ricerche sui processi di memoria (apprendimenti, “Central Executive”, rievocazione di tracce passate autobiografiche e pubbliche); (iv) aprassie. Produzione di test tarati contro età e scolarità. Importanza dei single cases (cenno ad alcuni di essi), ma incertezze sulla radicalità della querelle casi singoli vs. casistiche di cerebrolesi; rischi della mancata specializzazione negli approcci enciclopedici alla ricerca neuropsicologica; utilità di replicare gli esperimenti. Gianfranco Denes (Università degli Studi di Padova, Padova, Italia) LA NASCITA DELLA NEUROPSICOLOGIA CLINICA A PADOVA Hrayr Terzian, allora assistente in Clinica Neurologica di Padova, pubblicò nel 1955 un lavoro, per molti versi fondamentale per la conoscenza delle basi neurologiche della memoria, sugli effetti della rimozione chirurgica di entrambi i lobi temporali (Terzian e Dalle Ore, 1955). Negli anni seguenti, pur non dedicandosi attivamente alla neuropsicologia, stimolò i giovani specializzandi che lo seguivano nell’attività clinica a interessarsi al nuovo corso delle scienze neurologiche facendoli diventare ‘curiosi’, portandoli a superare una visione della neurologia strettamente clinica: così Nicola Rizzuto andò in Belgio per diventare un neuropatologo e Giacomo Rizzolatti a Pisa con Giuseppe Moruzzi. Io, invece, nel 1967, andai a Roma al Congresso della Società Italiana di Neurologia, dove Ennio De Renzi presentava la relazione Deficit gnosici, prassici, mnestici ed intellettivi nelle lesioni emisferiche unilaterali. La sua relazione e la lettura del lavoro di Norman Geschwind, Disconnection syndromes in animals and man, mi convinsero a passare un anno e mezzo a Boston, al VA Hospital, dove era presente il più importante centro interdisciplinare di Neuropsicologia, guidato da neurologi (Norman Geschwind e D. Frank Benson), psicologi (Harold Goodglass e Edith Kaplan) e linguisti (Sheila Blumstein, Edgar Zurif). Il soggiorno a Boston è stato il reference point della mia vita scientifica: capii che, una volta tornato in Italia, sarebbe stato necessario, per proseguire il campo di ricerca da me scelto, coinvolgere 3 psicologi e linguisti, fino ad allora, almeno in Italia, completamente disinteressati alle neuroscienze. Per una serie fortunata di coincidenze l’operazione riuscì: nacque la Facoltà di Psicologia ed era già presente a Padova il Centro di Fonetica Sperimentale del CNR. Fu così possibile cominciare a pubblicare, fra i primi in Italia, lavori che coinvolgevano oltre alla neuropsicologia clinica, settori diversi, quali la linguistica (Roman Jakobson!) o la psicolinguistica. L’influenza della scuola di Boston si dimostrò decisiva sia nell’approccio clinico (l’introduzione di test standardizzati quali il Boston Diagnostic Aphasia Examination, BDAE), che nell’applicazione, all’analisi dei deficit neuropsicologici di modelli, ancora primitivi, derivati dalla psicologia cognitiva. Un gruppo di studenti in Medicina (tra i primi Carlo Semenza e Gianfranco Dalla Barba) e di Psicologia (Dario Salmaso, Patrizia Bisiacchi), elaborò le prime tesi in Neuropsicologia ed insieme formammo un gruppo abbastanza omogeneo cui in seguito si aggiunsero, tra gli altri, Lisa Cipolotti, Francesca Meneghello e Maria Cristina Mantovan. Una seconda svolta decisiva fu conseguente al mio soggiorno alla Applied Psychology Unit del Medical Research Council, a Cambridge in Gran Bretagna: al ritorno, non solo introdussi nella ricerca i principi ed i metodi della neuropsicologia cognitiva (era appena uscito nel 1980, a cura di Max Coltheart, Karalyn Patterson e John C. Marshall, il volume Deep Dyslexia!), ma, assieme a Carlo Semenza, nel 1982 ebbi il coraggio di proporre ed organizzare a Bressanone il primo European Workshop of Cognitive Neuropsychology. Bressanone presto divenne il più importante evento della Neuropsicologia non solo europea e i più importanti risultati della ricerca furono presentati e discussi in tale sede: ogni anno, circa 150 studiosi, con un notevole turn over, affollano Bressanone che, nonostante la crisi e il crescente disinteresse dei neurologi clinici alla Neuropsicologia, si mantiene, a più di trent’anni dalla nascita, vivo e vitale. BIBILOGRAFIA Geschwind , N. Disconnection syndromes in animals and man. Brain, 1965; 88: 237–294 and 585–644. De Renzi, E. Deficit gnosici, prassici, mnestici ed intellettivi nelle lesioni emisferiche unilaterali In Atti del XVI Congresso Nazionale Di Neurologia, 371-430. Il Pensiero Scientifico Roma. Terzian, H., Dalle Ore, G. Syndrome of Klüver and Bucy, reproduced in man by bilateral removal of the temporal lobes. Neurology, 1955, 5, 374-380. Paolo F. Nichelli (Dipartimento Integrato di Neuroscienze Università di Modena e Reggio Emilia, Modena, Italia) LA NEUROPSICOLOGIA A MODENA: DALLE ORIGINI AI GIORNI NOSTRI Ennio De Renzi si trasferisce a Modena nel 1974. Da allora comincia lo sviluppo della neuropsicologia modenese, che può essere suddiviso in tre fasi: nella prima, in continuità con l’attività del gruppo di Milano, l’attenzione si rivolse soprattutto alla caratterizzazione delle asimmetrie funzionali emisferiche e dei deficit associati alle lesioni focali destre e sinistre. L’approccio preferito era quello del confronto statistico di gruppi di pazienti. Nella seconda fase ci fu un’attenzione crescente per i modelli neuropsicologici delle principali funzioni cognitive. I metodi di studio utilizzati erano variabili: confronto di gruppi di pazienti, ma anche analisi di piccole serie di pazienti o di casi singoli. La terza fase (delle 4 Neuroscienze Cognitive) è caratterizzata da un ampio utilizzo delle tecniche di neuro-immagine volte a definire in modo sempre più preciso le funzioni corticali più complesse, con un interesse crescente per neuroscienze sociali. Ritengo che gli sviluppi futuri della neurologia cognitiva a Modena vedranno una sempre maggiore interazione fra neurofisiologia, neuropsicologia e psicologia fisiologica. Da un punto di vista clinico, la neurologia cognitiva si concentrerà sempre di più sulle malattie neurodegenerative contribuendo alla definizione sempre più precisa dei diversi fenotipi clinici. Almeno per ciò che riguarda il futuro sviluppo del gruppo Modenese, ritengo invece che sia diventato purtroppo marginale il ruolo dei neurologi nella riabilitazione cognitiva. Dario Grossi (Dipartimento di Psicologia, Seconda Università di Napoli, Napoli, Italia) SVILUPPO E PROSPETTIVE DEL GRUPPO DI NEUROPSICOLOGIA DI NAPOLI E’ tracciato lo sviluppo del gruppo di Napoli che iniziò la sua attività nel 1976 nella Clinica Neurologia dell’Università di Napoli. In quegli anni furono avviati gli studi sulle Demenze applicando i metodi statistici e le competenze acquisite sui pazienti con danno focale dal gruppo del Centro di Neuropsicologia di Milano. E’ un filone di ricerca che, da allora, è seguito ancor oggi. Si affiancò a quest’ultimo lo studio su casi singoli che all’epoca presero di nuovo importanza per l’affermarsi da un lato della Tomografia Computerizzata del cervello e dall’altro dei metodi di analisi della neuropsicologia cognitiva; anche questo è un filone ancora seguito dal gruppo, adeguando gli studi all’avanzamento della tecnologia neurodiagnostica. Nella seconda metà degli anni ‘80 del secolo scorso fu sviluppato l’interesse per la riabilitazione neuropsicologica, in particolare per i disturbi della competenza spaziale e del controllo motorio. Gli studi furono portati avanti per tutti gli anni ’90, e poi esauriti. L’anno 2000 segnò il passaggio dei neuropsicologi napoletani alla Facoltà di Psicologia della Seconda Università di Napoli, che consentì la formazione di un gruppo stabile di ricerca e la costituzione di un indirizzo didattico specifico, favorendo l’incremento dell’interesse per la neuropsicologia. In questo contesto, furono sviluppati da un lato filoni basati sulle precedenti esperienze (come la riabilitazione dei pazienti “frontali” o con demenza), dall’altro studi sistematici fondati sul metodo psicologico sperimentale e sulle tecnologie neurofisiologiche (ricerche sulla coscienza dei pazienti in stato vegetativo con tecnologie avanzate e studi nell’area dei disturbi del comportamento dei pazienti con patologie neurodegenerative). Giuseppe Vallar1, 2 1 ( Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di MilanoBicocca; 2IRCCS, Istituto Auxologico Italiano, Milano, Italia) COGNIZIONE SPAZIALE, NEGLIGENZA SPAZIALE UNILATERALE E PROCESSI SENSORI-MOTORI “ELEMENTARI” Nei primi anni ’80 del secolo scorso, ispirato dalle ricerche di Edoardo Bisiach sulla negligenza spaziale unilaterale e di Luigi A. Vignolo sui correlati neurali delle afasie, condussi nella Clinica Neurologica di Milano, assieme a Daniela Perani, un’analisi sistematica delle basi neuropatologiche della negligenza spaziale unilaterale, mediante una correlazione anatomo (CT Scan)-clinica. Il lavoro, che rispettava i criteri 5 metodologici stabiliti da Ennio De Renzi (studio di gruppo, vasta casistica, analisi dei casi non solo positivi ma anche negativi) fu pubblicato su Neuropsychologia nel 1986 ed ebbe una certa risonanza (oltre 550 citazioni ad oggi, Google Scholar). Quello studio, oltre a suggerire il ruolo di lesioni parietali posteroinferiori destre nella genesi della negligenza,dimostrava che lesioni delle regioni sensorimotorie primarie non causavano negligenza, suggerendo l’indipendenza dei due deficit, quello cognitivo, la negligenza, e le emi-sindromi sensorimotorie. Tuttavia, con Roberto Sterzi e Gabriella Bottini, abbiamo poi dimostrato che la negligenza contribuisce, aggravandoli, ai deficit neurologici, svelando così un’influenza della cognizione spaziale su processi “elementari”; questi sono aperti a diverse modulazioni fisiologiche, che pure influenzano la cognizione spaziale. In anni recenti, presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, ho esplorato le relazioni tra processi di ordine più elevato, da un lato, e processi sensoriali “elementari” e fisiologici di base, dall’altro, sia con le tradizionali ricerche neuropsicologiche in pazienti cerebrolesi, che con metodi di stimolazione transcranica non-invasiva in soggetti sani. Il complesso quadro che emerge è quello di influenze reciproche tra cognizione spaziale e processi sensoriali unimodali e cross-modali, di cui si vanno delineando sia le caratteristiche comportamentali, che le basi neurali. In conclusione, i processi cosiddetti “elementari” lo sono molto meno di quanto si pensava fino a non molto tempo fa. Stefano F. Cappa (Università Vita-Salute S. Raffaele, Milano, Italia) DALLA NEUROPSICOLOGIA ALLA NEUROBIOLOGIA DEL LINGUAGGIO La neuropsicologia italiana ha avuto un ruolo importante nello studio delle patologie del linguaggio, in particolare delle afasie da lesione vascolare. Alcuni degli studi di Luigi Vignolo e Anna Basso costituiscono delle vere pietre miliari per le aree della riabilitazione e della afasiologia. Al classico studio lesionale, basato sulle metodiche della neuroradiologia, si sono in seguito affiancati i metodi delle neuroimmagini funzionali e della neurofisiologia, che hanno ampliato il campo di indagine, estendendolo sia ad altre patologie (in particolare la neurodegenerazione e le patologie di sviluppo) che alla fisiologia (studi in soggetti normali). Le prospettive future non possono basarsi che su ampie collaborazioni tra linguisti, biologi e neuroscienziati verso quella che viene chiamata, in modo un po' ambizioso, una neurobiologia del linguaggio Claudio Luzzatti (Dipartimento di Psicologia, Università di Milano-Bicocca Milano, Italia) LA NEUROPSICOLOGIA DEL LINGUAGGIO SCRITTO L’intervento riassumerà l’attività di ricerca svolta nell’ambito della neuropsicologia del linguaggio scritto e dei suoi disturbi in seguito a lesioni cerebrali. Da un lato, l’osservazione di pazienti neuropsicologici ha permesso la verifica di modelli cognitivi che descrivono i meccanismi sottostanti ai processi di lettura e di scrittura: verranno riportati i risultati di due studi che hanno dimostrato l’elaborazione lungo una via lessicale e una via sublessicale, sia in lettura che in scrittura. D’altro lato si riassumeranno i risultati di due studi sulle basi neurali della lettura, applicando le procedure della neuroimmagine 6 funzionale e di quella strutturale di correlazione sintomi/lesioni. Saranno quindi descritti i risultati di alcuni studi che hanno indagato l’elaborazione mentale di parole con morfologia complessa e la relativa compromissione in seguito a lesioni cerebrali. Infine, si riporteranno i risultati di uno studio sulla rieducazione della scrittura e sui principi per la verifica dell'efficacia del trattamento svolto. Costanza Papagno (Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di MilanoBicocca, Milano, Italia) LA NEUROPSICOLOGIA ITALIANA IN AMBITO NEUROCHIRURGICO Nel mio intervento illustrerò come da un’iniziale sospettosità, di varia natura, fra neuropsicologia e neurochirurgia, si sia progressivamente sviluppata una collaborazione proficua in ambito sia clinico sia di ricerca. Questa collaborazione ha beneficiato del progressivo incremento della componente psicologica e fisiologica in neuropsicologia (e del contemporaneo allontanamento della neuropsicologia dalla neurologia), ma anche del miglioramento delle tecniche neurochirurgiche. Dalle prime collaborazioni saltuarie nate presso il Policlinico di Milano che consistevano essenzialmente in valutazioni di pazienti con sintomi neuropsicologici post-intervento, si è passati a collaborazioni di ricerca molto più strutturate, dapprima soprattutto sugli esiti di incidenti vascolari e traumi cranici, fino alle sofisticate tecniche di mappaggio delle funzioni corticali mediante elettrostimolazione diretta. In realtà, questi studi hanno il loro precursore nel professor Gian Maria Fasiani, che operava in awake surgery presso l’Ospedale di Bellano, dove era “sfollata” la neurochirurgia del Policlinico di Milano durante la seconda guerra mondiale. Ora sono numerosi i neuropsicologi italiani che conducono attivamente ricerche in neurochirurgia con risultati di grande rilevanza. Il principale ambito di indagine è rappresentato dai gliomi a basso grado di malignità. Il nostro gruppo, in particolare, ha potuto sviluppare studi sulla denominazione di volti, individuando l’esistenza di specifici circuiti, e studi sulla plasticità corticale. Ultimamente sono in corso promettenti studi sul riconoscimento delle emozioni e in particolare sulle funzioni dell’insula. Sergio della Sala (Human Cognitive Neuroscience, University of Edinburgh, UK) CORTEX, L'EREDITÀ INTERNAZIONALE DELLA NEUROPSICOLOGIA ITALIANA A distanza di 50 anni dalla sua fondazione, Cortex rimane una rivista di riferimento della comunità internazionale dei neuropsicologi. E' stato, ed è ancora in parte, un prodotto (e spero, un orgoglio) della comunità dei neuropsicologi italiani, e fa parte della loro storia. Un po’ di numeri attuali: Cortex pubblica 10 numeri all’anno dei quali due sono “special issues”, e riceve oltre 900 “submissions” all’anno (ed in continuo aumento), il che comporta necessariamente una ”rejection rate” di oltre l’80 per cento. La maggior parte delle “submissions” provengono da paesi dell’Europa Occidentale (circa il 50%, in particolare da Gran Bretagna, Italia e Germania), seguiti dal 25% dal Nord America e dal 15% per cento da Cina e Giappone (ma questi stanno aumentando considerevolmente). Il tempo di decisione editoriale è intorno alle 5 settimane, la pubblicazione online di un lavoro accettato è circa tre settimane. Il sito della rivista conta oltre 7 7000 “users’ accounts”, con una crescita annuale intorno al 15%. La rivista è quindi in ottima salute, anche se molto può essere ulteriormente migliorato. Però, oggi operiamo in un mondo scientifico molto diverso da alcuni decenni fa. Tutto cambia, vogliamo che Cortex rimanga com'è? Cosa può migliorare? O meglio, come può non soccombere? Discutiamone. Giacomo Rizzolatti (Dipartimento di Neuroscienze, Università di Parma, Parma, Italia) DALLA TEORIA MOTORIA DELL’ATTENZIONE ALLA SCOPERTA DEI NEURONI SPECCHIO Pochi periodi sono stati così fecondi per le neuroscienze cognitive come il periodo che va dall’inizio degli anni ‘70 sino alla fine del secolo scorso. Nella prima parte della mia presentazione illustrerò una serie di esperimenti condotti in quegli anni assieme a Carlo Umiltà usando la tecnica dei tempi di reazione. Questi esperimenti ci hanno permesso di formulare la “teoria motoria dell’attenzione”. Presenterò poi degli studi condotti sempre negli stessi anni sulla scimmia. Questi studi hanno dimostrato l’esistenza di uno spazio attorno all’individuo (spazio “peripersonale”) distinto da quello “lontano” dallo stesso, nonché una stretta relazione tra lo spazio peripersonale e l’attività motoria. Lesioni delle aree che codificano lo spazio peripersonale portano a uno specifico tipo di neglect sia nella scimmia sia nell’uomo. Concluderò mostrando come questi studi e la scoperta del “meccanismo specchio” hanno radicalmente modificato la concezione classica del ruolo funzionale del sistema motorio. Il sistema motorio, da puro esecutore di azioni conseguenti a una precedente elaborazione cognitiva, appare ora essere un sistema fondamentale per i processi cognitivi. Emilio Bizzi (Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, MA, USA) MODULARITÀ PER LA COORDINAZIONE MOTORIA Nelle mie ricerche ho perseguito il concetto che il sistema nervoso centrale coordini i movimenti volontari attraverso l’attivazione di gruppi di muscoli. Queste “sinergie muscolari“ sono essenzialmente dei “moduli” generati dall’attività neurale di moduli spinali. Il vantaggio di questa architettura modulare è quello di ridurre il numero dei gradi di libertà del sistema motorio e, quindi, di semplificare la programmazione dei movimenti. In questa visione la corteccia motoria ha il compito di selezionare i moduli spinali (per produrre le sinergie muscolari) e di fornire un coefficiente di attivazione per ogni sinergia. Presenterò l’evidenza sperimentale a sostegno di questa ipotesi e discuterò il rapporto tra l’ipotesi “modularità” e l’apprendimento motorio. Recenti esperimenti con pazienti affetti da ictus cerebrale hanno dimostrato la possibilità di utilizzare le “sinergie muscolari” da un lato come marker dei processi di compromissione centrale e dall’altro per nuovi interventi terapeutici/riabilitativi. Carlo A. Marzi 1-2 8 (1Dipartimento di Scienze Neurologiche, Neuropsicologiche, 2 Morfologiche e Motorie, Università degli Studi di Verona; Istituto Nazionale di Neuroscienze, Italia) TRASMISSIONE INTEREMISFERICA E “BLINDSIGHT” I due temi di ricerca di cui mi occuperò oggi e cioè i meccanismi della trasmissione interemisferica e le basi neurali della coscienza percettiva nascono dal mio background neurofisiologico e dalle numerose ed animate discussioni negli anni ’70 del secolo scorso fra neurofisiologi (Giovanni Berlucchi, Giacomo Rizzolatti) e psicologi sperimentali (Carlo Umiltà), a cui ho avuto la fortuna di partecipare. Voglio fare due esempi concreti: all’inizio degli anni ‘90 (mi ero appena trasferito da Padova a Verona) in un progetto con Patrizia Bisiacchi e Roberto Nicoletti avevamo trovato che il tempo di trasmissione interemisferica misurato con il paradigma di Poffenberger era asimmetrico. Era più rapido dall’emisfero destro al sinistro che viceversa. Ci sembrava un dato un po’ strano. Ne parlammo con Carlo Umiltà che senza la minima esitazione ci disse: “Dovete fare una meta-analisi degli studi con il Paradigma di Poffenberger”. Fu presto fatto! Il dato fu ampiamente confermato dalla meta-analisi che fornì anche altre interessanti informazioni. Lo studio fu pubblicato nel 1991 su Neuropsychologia ed ha avuto un alto numero di citazioni (225) che continuano a tutt’oggi. Il secondo esempio riguarda gli studi sul blindsight inizialmente condotti con Giancarlo Tassinari e Salvatore Aglioti con un paradigma comportamentale, il cosiddetto Redundant Signal Effect, in pazienti emianopsici. L’idea di usare un paradigma simile, mi fu suggerita anche da Giovanni Berlucchi a Pisa quando percorrevamo via San Zeno per andare dall’Istituto di Fisiologia a prendere un caffè al bar. Da quel colloquio è scaturita una serie di studi che vanno avanti tuttora con tecniche diverse, sia puramente comportamentali che elettrofisiologiche o di brain imaging, e che hanno mostrato la presenza d’interazioni interemisferiche fra l’emisfero leso e quello intatto, che possono essere la base di un eventuale recupero funzionale. Carlo A. Umiltà (Dipartimento di Psicologia Generale, Università di Padova, Padova, Italia) NEUROSCIENZE E SOTTRAZIONE COGNITIVA: UNA RELAZIONE PERICOLOSA Che il sistema mente/cervello sia composto da strutture (relativamente) indipendenti e che svolgono funzioni specifiche è ora un’idea quasi universalmente accettata. Una naturale conseguenza di questa idea è che valga la pena di cercare di localizzare (?) i processi mentali in aree del cervello. Questa idea era largamente condivisa anche alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo, ma era poi caduta in discredito. Nella prima metà del XX secolo, per il cervello prevaleva l’idea dell’azione di massa e della mente era sconsigliabile occuparsi. A partire dalla metà degli anni ’60 del XX secolo, studiosi come Norman Geschwind, Brenda Milner, Michael Posner, Roger Sperry, Robert Sternberg e Hans-Lukas Teuber restituirono credito all’idea che i processi mentali fossero localizzabili in aree cerebrali e analizzabili con il metodo dei tempi di reazione (la cronometria mentale). Grazie al lavoro di Sperry, emerse una localizzazione della quale non si poteva dubitare: nei destrimani i processi verbali erano localizzati nell’emisfero di sinistra mentre i processi visuo-spaziali erano localizzati nell’emisfero di destra. Grazie al lavoro di Sternberg, fu possibile emendare la cronometria mentale, che risaliva a 100 anni prima (Donders, 9 1868), e impiegare con una certa sicurezza la sottrazione cognitiva. Nel 1967/68, per ragioni in gran parte casuali, cinque ricercatori si trovarono a collaborare presso l’Istituto di Psicologia dell’Università di Bologna. Tre erano psicologi (Heron, Hyman e Umiltà) e sentivano l’influenza del lavoro di Sternberg (e di Posner) sulla cronometria mentale e la sottrazione cognitiva, due erano neurofisiologi (Giovanni Berlucchi e Giacomo Rizzolatti) e sentivano l’influenza del lavoro di Sperry (e Milner) sulla specializzazione emisferica. Questa collaborazione, che durò circa 20 anni e nella quale Carlo A. Marzi prese il posto di Heron e Hyman, produsse un gran numero di contributi scientifici, nei quali la sottrazione cognitiva, applicata alla cronometria mentale, permetteva di indagare la localizzazione cerebrale di processi mentali. La sottrazione cognitiva ora non è più applicata soltanto agli studi che impiegano la cronometria mentale ma anche, e in modo massiccio, agli studi che impiegano le neuroimmagini. La sottrazione cognitiva presenta, nonostante le modifiche proposte da Sternberg nel 1968 e da altri dopo di lui, molti problemi. Questi problemi sono esacerbati nel caso di studi di neuroimmagine. E’ necessario trovare delle vie alternative. Elisabetta Làdavas (Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Bologna, Bologna, Italia) L’INFLUENZA DELLA RICERCA NEUROFISIOLOGICA NELLA NEUROPSICOLOGIA ITALIANA Lo scopo della presente comunicazione è quello di mostrare l’influenza dei modelli neurofisiologici sull’animale nelle ricerche neuropsicologiche riguardanti la percezione tattile e visiva. Nel primo caso si farà riferimento ai sistemi d’integrazione visuo-tattili e nel secondo a quelli visuoacustici. In entrambi i casi, le scoperte fatte attraverso il metodo della registrazione dell’attività neuronale hanno trovato un corrispettivo negli studi lesionali, portando da un lato all’identificazione nell’uomo di sistemi specifici dedicati alla percezione tattile e visiva e dall’altro all’utilizzazione di tali sistemi nel recupero funzionale dei deficit percettivi. Questo approccio rispecchia il percorso di formazione di diversi neuropsicologi italiani, tra cui la sottoscritta, i quali si sono trovati all’inizio della loro carriera accademica all’interno di un vivace e continuo dibattito proveniente da discipline diverse, ma affini, quali la psicologia, la neurofisiologia e la neurologia. Salvatore M. Aglioti1-2 1 ( Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma; 2 Fondazione Santa Lucia, IRCCS, Roma, Italia) ANTENATI E DISCENDENTI: IL MIO VIAGGIO NELLA NEUROPSICOLOGIA ITALIANA DAGLI ANNI OTTANTA (SECOLO XX) AD OGGI (SECOLO XXI) A Pisa, grazie al prof. Giovanni Berlucchi, ho cominciato a comprendere il legame tra fisiologia dei sistemi complessi (e.g. quelli alla base dell'attenzione e della trasmissione interemisferica dell'informazione) e neuropsicologia, una disciplina emergente che attraeva ricercatori da campi diversi e distanti (fisiologia animale, neurologia, psicologia). A Verona, ho studiato i disturbi dello spazio corporeo ed extracorporeo, della percezione visiva, della plasticità cerebrale e del 10 linguaggio. A Modena, ho interagito con i professori Ennio De Renzi e Pietro Faglioni, sviluppando con quest'ultimo ricerche riguardanti l'aprassia. A Roma, affiliato al gruppo di ricerca del professor Luigi Pizzamiglio, ho effettuato studi di neuropsicologia classica riguardanti i disturbi dello spazio e del movimento. Nell'ultimo decennio ho sviluppato ricerche nel campo delle neuroscienze sociali, una nuova disciplina “neuropsicologica” derivata dalla nozione che la metafora del cervello umano come potente ma solitario computer non era adatta a spiegare i complessi comportamenti di aggregazione dell'uomo in società, organizzazioni, gruppi. Tra le varie ricerche effettuate cito quella riguardante i correlati neurali dell’empatia (capacità di comprendere gli stati mentali, emotivi e percettivo-motori degli altri esseri). Abbiamo dimostrato, sia in soggetti sani che con patologia (e.g., la Sindrome di Asperger) come immaginare/vedere la sofferenza di un altro individuo induce, nel cervello di colui che immagina/vede, attivazioni nelle stesse regioni cerebrali che sarebbero reclutate se soffrissero in prima persona. Questa attività nervosa «vicaria» è molto meno presente se si immagina/vede il dolore di un individuo che si è comportato scorrettamente con noi, o verso il quale nutriamo pregiudizi, per esempio di tipo razziale. Guido Gainotti (Università Cattolica del S. Cuore, Milano, Facoltà di Medicina, Roma, Italia) I DISTURBI MULTIMODALI DI RICONOSCIMENTO DELLE ENTITA’ CONCETTUALI E DELLE PERSONE Il gruppo di Neuropsicologia dell’Università Cattolica di Roma si è occupato nel corso del tempo di varie tematiche di ricerca, che vanno dalle asimmetrie emisferiche nell’elaborazione delle emozioni all’eminegligenza spaziale, alla diagnosi neuropsicologica delle demenze, ai disturbi del linguaggio (ed in particolare ai disturbi semantico-lessicali. Mentre Carlo Caltagirone, Gabriele Miceli e Paolo Bartolomeo si occuperanno di altre linee di ricerca, io focalizzerò la mia attenzione su alcuni recenti sviluppi degli studi sulle rappresentazioni semanticoconcettuali. Uno dei problemi più controversi in questo ambito riguarda il formato delle rappresentazioni concettuali ed il loro rapporto con i processi percettivo-motori. Secondo autori di matrice cognitiva, nessuna traccia della precedente elaborazione percettiva persisterebbe nelle rappresentazioni concettuali, il cui formato sarebbe astratto e amodale. Secondo autori più legati alle neuroscienze cognitive, invece, esisterebbe un continuum fra processi percettivo-motori ed attività concettuali. I concetti si costruirebbero, infatti, a partire da fonti di conoscenza percettive e/o motorie, che hanno un peso diverso nelle varie categorie concettuali. Lo studio dei disturbi semantici specifici per categoria, nonché lo studio dei disturbi multimodali nel riconoscimento delle persone e delle loro basi anatomiche, possono contribuire a chiarificare questo dibattito ed è su questi problemi che sarà incentrato il mio intervento. Carlo Caltagirone1-2 1 2 ( Università di Roma “Tor Vergata”, IRCCS Fondazione S. Lucia, Roma, Italia) LA VALUTAZIONE NEUROPSICOLOGICA DELLE DEMENZE E DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER AL TEMPO DEI BIOMARKER 11 L’attuale e prevedibile utilizzo sempre più allargato di strumenti diagnostici in grado di “marcare” il processo fisiopatologico alla base della malattia di Alzheimer (AD) e/o la sua distribuzione topografica ha comportato e comporterà importanti modificazioni nel tradizionale percorso diagnostico delle demenze. Nelle demenze ci si è sin qui basati principalmente sulla valutazione neuropsicologica, assumendo che ciascuna forma di demenza, oltre ad un comune “core” di globale compromissione, presentasse uno specifico profilo di compromissione funzionale cognitiva. Per quanto riguarda la AD, questo paradigma caratterizzava la malattia con un profilo di compromissione che vedeva l’interessamento della memoria come precoce e preminente sulle altre funzioni cognitive. In realtà, oggi questa idea di malattia mostra rilevanti segni di crisi perché, non solo nella letteratura, ma anche nella pratica clinica, è sempre più riportata la presenza di forme atipiche con una prevalente compromissione in dominî differenti dalle funzioni di memoria. La scoperta e il recente interesse per le forme di AD con afasia progressiva logopenica sono un’evidente testimonianza della crisi del paradigma che vede la AD come malattia della memoria. Sino a oggi, infatti, la presenza di un disturbo del linguaggio ha indirizzato la diagnosi verso forme di demenza diverse dalla AD, dove si pensa che il linguaggio sia di regola sostanzialmente risparmiato. E’ poi pensabile che anche altre forme di presentazione “atipica” (atrofia cerebrale posteriore e variante “frontale”), considerate finora come eccezioni al profilo cognitivo “tipico” della AD, saranno sempre più riconosciute dagli specialisti. D’altra parte, l’esistenza e la non trascurabile frequenza di specifiche forme di malattia che non rispettano una modalità di presentazione “tipica”, con precocità e preminenza del disturbo mnesico, è ormai riconosciuta anche dai nuovi criteri diagnostici. Nella versione proposta da Dubois sono previste una forma “tipica” di AD, con uno specifico disturbo della memoria definito di tipo “ippocampale”, e forme “atipiche”, ma, per entrambe le forme, è necessaria la presenza di un marker biologico di conferma, non importa quale fra imaging morfologico, morfofunzionale, imaging dell’amiloide o esame liquorale. I criteri proposti dal Panel del National Institute of Aging invece hanno introdotto modificazioni ancor più sostanziali nel processo di diagnosi clinica, in quanto la presenza di un disturbo di memoria non viene più considerata come necessaria per la diagnosi e viene, per prima volta, introdotto il disturbo comportamentale tra i criteri principali. Questi criteri poi prevedono esplicitamente che la AD si possa presentare in forme non amnestiche: con disturbi del linguaggio (“afasia logopenica”), delle funzioni visuo-spaziali (“atrofia cerebrale posteriore”) o delle funzioni esecutive (variante “frontale”). In questo quadro in cui specifici profili di compromissione cognitiva fanno fatica a caratterizzare le diverse forme di demenza e soprattutto la AD, la valutazione neuropsicologica sembrerebbe perdere di importanza a favore invece di un sempre più largo utilizzo dei cosiddetti “biomarker”. In realtà è proprio in questo quadro che la neuropsicologia acquista un’ulteriore importanza e centralità, soprattutto per quanto riguarda l’individuazione delle fasi precoci di malattia. Solo l’esame neuropsicologico e l’esperto utilizzo dei test possono, infatti, valutare aree cognitive (ad esempio, le funzioni esecutive o quelle visuo-spaziali) dove la presenza di un disturbo è avvertita con minore evidenza e non è facilmente evidenziabile nelle attività del vivere quotidiano. Gabriele Miceli 12 (Centro interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università degli Studi di Trento a Rovereto, CiMEC, Rovereto, Italia) I RAPPORTI LINGUAGGIO/CERVELLO: PASSATO, PRESENTE E (SOPRATTUTTO) FUTURO Gli studi sui rapporti linguaggio/cervello hanno attraversato importanti cambiamenti negli ultimi decenni. La crisi del metodo di indagine mutuato dalla psicologia sperimentale – studi di gruppi di soggetti classificati in base a criteri patologici stabiliti a priori – ha dato impulso all’approccio della neuropsicologia cognitiva, che si è proposto di sviluppare modelli delle funzioni linguistiche a partire dalle prestazioni di soggetti neurologici, analizzate in base ad ipotesi teoriche basate su evidenze indipendenti. Metodica di elezione di questo approccio è stato lo studio di singoli soggetti (o di piccoli gruppi di singoli soggetti), la cui lesione cognitiva era identificata a posteriori. La combinazione dei dati di soggetti sani e di pazienti neurologici studiati con questa metodica ha permesso di sviluppare modelli dettagliati di alcune abilità linguistiche. Questo approccio, però, ha limiti importanti quando lo si voglia usare per correlare conoscenze e processi linguistici col substrato neurale: le dissociazioni osservate potrebbero dipendere dalla “eccezionalità” dei rapporti mente/cervello nei soggetti descritti, le lesioni cerebrali sono molto vaste, e la rarità delle osservazioni non permette di accumulare dati con sufficiente rapidità. Lo sviluppo delle neuroimmagini ha dato l’impressione di poter superare questi limiti, attraverso lo studio dei correlati neurofunzionali del linguaggio in gruppi di soggetti normali. In molte aree di lavoro, però, c’è una chiara tensione fra dati lesionali e di neuroimaging. Esempi tratti da studi su disgrafia ed agrammatismo dimostrano che entrambi gli approcci sono necessari e complementari, e che solo il loro progresso parallelo migliorerà le nostre conoscenze. Paolo Bartolomeo1-3 Groupe (1INSERM - UPMC UMRS 975, Brain and Spine Institute, Hospitalier Pitié-Salpêtrière, Paris, France; 2AP-HP, Groupe Hospitalier Pitié-Salpêtrière, Fédération de Neurologie, Paris, France; 3Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del S. Cuore, Milano, Italia) EMINEGLIGENZA E SISTEMI CEREBRALI DELL’ATTENZIONE: NORMALITÀ E PATOLOGIA DELL’ELABORAZIONE COSCIENTE Lo studio dell’eminegligenza e dell’attenzione spaziale in Italia alla fine del XX secolo ha beneficiato di un ambiente unico. Alla neuropsicologia si aggiunsero infatti prospettive complementari da altre discipline, con contributi importanti da parte della psicologia sperimentale, della neurofisiologia animale e delle simulazioni con reti neurali artificiali. In seguito, le neuroimmagini anatomiche (tra cui la trattografia della sostanza bianca) e funzionali, la stimolazione elettrica diretta di pazienti neurochirurgici e la stimolazione magnetica transcranica hanno fornito numerosi ulteriori risultati. Questi nuovi dati cominciano a chiarire la struttura e il funzionamento delle reti cerebrali dell’attenzione visiva, il loro ruolo nell’elaborazione visiva cosciente, le loro asimmetrie emisferiche, le conseguenze delle loro disfunzioni, come l’emi-negligenza, nonchè le possibilità di compensazione di questi deficit. Questi sviluppi, recenti e meno recenti, fanno sperare che in futuro, sulla base della localizzazione della lesione cerebrale, si possa (1) predire le possibilità di recupero o il rischio di cronicità dell’emi13 negligenza; (2) individuare le strategie più appropriate d’intervento per facilitare i meccanismi di compensazione; (3) arrivare a una migliore comprensione dell’elaborazione cosciente dell’informazione visiva. 1-2 Luigi Pizzamiglio 1 ( Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma, Roma, 2 Italia; IRCCS, Fondazione S. Lucia, Roma, Italia) DALLA “UNIVERSALITY ASSUMPTION” DELLA NEUROPSICOLOGIA COGNITIVA ALLE DIFFERENZE INDIVIDUALI NELLE STRUTTURE DELLE FUNZIONI COGNITIVE. Un assunto largamente condiviso ritiene che le strutture funzionali del sistema cognitivo, e più in generale del sistema nervoso centrale, non siano diverse da individuo a individuo. La neuropsicologia cognitiva ha statuito questo assunto in modo esplicito e lo ha posto come condizione per poter fare inferenze tra soggetti e pazienti diversi. Analogamente la fisiologia, che ha avuto un fortissimo impatto sull’evoluzione delle neuroscienze, ha mantenuto in modo implicito questo assunto e non ha rivolto l'attenzione a possibili variazioni individuali, sia anatomiche che funzionali. In area psicologica l’attenzione verso le differenze individuali è stata, al contrario, molto presente: la psicologia differenziale rappresenta un corposo esempio di questa diversa visione. I tentativi di studiare un possibile rapporto tra caratteristiche psicologiche stabili degli individui e organizzazioni funzionali del sistema nervoso hanno prodotto alcune, numericamente limitate, ricerche a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. La metodologia utilizzata ha riguardato la diversa lateralizzazione funzionale tra i due emisferi cerebrali: la lateralizzazione nell’uno o dell’altro emisfero ha rappresentato in quegli anni uno strumento utile per dissociare diverse modalità di elaborazione delle informazioni, anche in relazione a differenze psicologiche stabili tra individui. L’avvento e la grande espansione dei metodi di neuroimmagine funzionale ha consentito di compiere importanti progressi nello studio delle diverse componenti, funzionalmente indipendenti, dei processi cognitivi complessi, ma anche di studiare le relazioni tra caratteristiche individuali e organizzazioni funzionali. Ancora più recentemente i progressi della genetica hanno consentito di spiegare caratteristiche diverse tra individui in funzione delle diversità genetiche. Un esempio molto noto è rappresentato dagli studi sulla famiglia KE: alleli diversi del gene FOXP2 si accompagnano a differenze comportamentali tra i membri della famiglia, a loro volta associate a differenze anatomiche e funzionali nel sistema nervoso centrale. Concettualmente ed empiricamente è possibile studiare differenze che caratterizzano stabilmente dimensioni personologiche degli individui, in relazione a possibili organizzazioni funzionali del sistema nervoso. Esistono alcuni esempi di questi studi che possono contribuire alla comprensione di nuovi ambiti di ricerca rappresentati dalle recenti “cognitive neurosciences”. Pierluigi Zoccolotti1-2 1 ( Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma, Roma, 2 Italia; IRCCS Fondazione Santa Lucia, Roma, Italia) DISTURBI ACQUISITI ED EVOLUTIVI DI LETTURA Lo studio dei disturbi di lettura ha rappresentato un importante punto d’incontro tra studi di psicologia cognitiva, 14 neuropsicologia clinica ed imaging funzionale. Se alla fine del diciannovesimo secolo e nella prima parte del ventesimo secolo ha prevalso un’analisi in chiave anatomico-neurologica, dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso, grazie ad analisi di tipo cognitivo, l’attenzione si è spostata su un’analisi mirata dei profili di errore di lettura, consentendo di mettere a fuoco molte dissociazioni interessanti, anche in pazienti di lingua italiana. Lo studio delle dislessie acquisite ha inoltre costituito un importante banco di prova per la fondazione delle basi metodologiche della neuropsicologia moderna (concetto di “doppia dissociazione”). Lo studio delle sindromi dislessiche acquisite è stato infine la base per lo sviluppo di modelli di lettura (“dual route” model). Gli studi in ambito evolutivo hanno inizialmente seguito la scia di quelli sulle dislessie acquisite, basandosi sulla stessa struttura teorica di riferimento. Successivamente sono tuttavia emersi i limiti di questa impostazione. Da un lato, alcuni autori hanno sottolineato la necessità di considerare i processi di sviluppo ontogenetico nel costruire modelli dei disturbi evolutivi. Dall’altra, gli studi sulla co-morbidità tra disturbi di apprendimento ed altri disturbi evolutivi hanno messo in luce la difficoltà di basare l’analisi sul solo concetto di doppia dissociazione, aprendo interessanti interazioni con approcci di tipo genetico. Infine, gli studi in ambito evolutivo hanno messo in evidenza la differenza tra ortografie opache e trasparenti (quali l’italiano), nel modulare il comportamento di lettura dei dislessici evolutivi. All’inizio del nuovo secolo un contributo importante arriva da studi di neuroimmagine soprattutto da parte del gruppo di Cohen e Dehaene, ma con il significativo contributo di gruppi di ricerca italiani. Le ricerche sulla visual word form area avranno ricadute importanti sulla comprensione dei meccanismi di lettura, fornendo un nuovo impeto sia agli studi sull’alessia pura sia alle ricerche in ambito evolutivo. Fabrizio Doricchi1-2 (1Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma, Roma, Italia; 2Fondazione Santa Lucia IRCCS, Roma, Italia). EMI-NEGLIGENZA SPAZIALE E SISTEMI CEREBRALI DELL’ATTENZIONE: ORIGINI E RECENTI SVILUPPI NELLO STUDIO DELL’ANATOMIA, DELLA CARATTERIZZAZIONE CLINICA E DEI DISTURBI ASSOCIATI La comunità neuropsicologica italiana ha offerto contributi fondamentali per la comprensione delle basi funzionali ed anatomiche della sindrome di Emi-negligenza Spaziale (ES), per lo studio delle sue caratteristiche cliniche e per l’elaborazione di strategie riabilitative. Da un punto di vista anatomico, i contributi degli studi neurofisiologici, neuroradiologici e neurochirurgici hanno recentemente determinato importanti sviluppi nella conoscenza dei sistemi nervosi distribuiti che regolano l’orientamento dell’attenzione e la rappresentazione dello spazio. Tali risultati hanno offerto lo spunto per una più dettagliata definizione dei meccanismi patofisiologici che sono alla base dell’ES e delle dissociazioni cliniche che si possono presentare al suo interno. Queste osservazioni hanno a loro volta influenzato le ricerche che, nell’adulto sano, indagano le basi neurali della lateralizzazione funzionale emisferica, dell’orientamento dell’attenzione, dell’elaborazione cosciente, della cognizione matematica e dell’attività onirica. Da un punto di vista clinico, la considerazione del contributo di deficit sensoriali primari alla caratterizzazione clinica dell’ES, ha permesso una migliore comprensione di alcuni fenomeni clinici paradossali come, ad esempio, l’effetto “cross-over”. Ha poi generalmente contribuito a 15 migliorare la comprensione dell’eterogeneità nell’elaborazione di strategie riabilitative per l’ES e rilevanti progressi teorici nella comprensione della regolazione nervosa delle funzioni cognitive. Anna M. Berti (Dipartimento di Psicologia, Università di Torino, Torino, Italia) NEUROPSICOLOGIA DELLA COSCIENZA: IL CONTRIBUTO DEGLI STUDI SUI DISORDINI DEL CONTROLLO SENSO-MOTORIO Nel mio intervento prenderò in considerazione dei disturbi del controllo motorio e della rappresentazione corporea la cui importanza, per la comprensione dei meccanismi di consapevolezza, era stata riconsiderata, dopo un periodo di relativo oblio, in alcuni studi ormai classici di neuropsicologia del gruppo che, a Milano, faceva capo negli anni ‘80 del secolo scorso a Edoardo Bisiach. Verranno presentate alcune recenti ricerche, che partendo dal contesto teorico di quegli anni, offrono una nuova prospettiva interpretativa dei deficit di consapevolezza, in particolare dell’anosognosia per l’emiplegia (dove pazienti plegici sono comunque convinti di fare i movimenti che vengono loro richiesti) e di una forma particolare di somatoparafrenia (dove pazienti plegici tendono a considerare come parti del proprio corpo arti alieni). L’ipotesi proposta è che questi disturbi siano da ricondurre a un problema di consapevolezza dominio-specifico, secondario a un danno del monitoraggio motorio, con risparmio dell’intenzionalità ad agire e conseguente costruzione di una consapevolezza, che, se pur fallace, si forma su un normale modello predittivo dell’azione. A sostegno di questa ipotesi, verranno presentati dei dati che dimostrano come, nell’anosognosia per l’emiplegia, un’intatta capacità di avere intenzione a produrre un’azione con l’arto affetto dalla plegia influenzi gli atti motori compiuti con l’arto sano. Inoltre, l’ipotesi che la consapevolezza motoria si costruisca anche in assenza di un’effettiva esecuzione dell’azione verrà ulteriormente dimostrata da dati raccolti nei pazienti somatoparafrenici dove, all’incorporazione di arti alieni, apparentemente confabulatoria, corrisponde un’effettiva attivazione delle rappresentazioni motorie con una completa assimilazione senso-motoria della mano aliena nello schema corporeo del paziente. Carlo Semenza (Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi di Padova, Padova, Italia) LA RICERCA SULL’ACALCULIA Le ricerche degli anni ‘80 del secolo scorso miravano a testare l’acalculia secondo i modelli cognitivisti emergenti (ad es., il “modello McCloskey”; v. il simposio sull’acalculia organizzato a Bressanone nel 1984). All’inizio della decade successiva è stato descritto un caso di perdita selettiva di ogni conoscenza numerica. E’ stata poi introdotta e studiata l’idea di “conoscenza concettuale”, che poteva essere risparmiata rispetto alle altre funzioni matematiche. Successivi studi hanno posto in dubbio l’idea del “modello McCloskey”, per cui una mediazione amodale è sempre necessaria nella trascodificazione, e ha tentato di studiare la mediazione sintattica. In questo filone, nel decennio successivo si sono studiati l’uso dello “zero”, le regole e le procedure. A metà anni ‘90 del secolo scorso compaiono studi di caso-singolo sulla riabilitazione: il risultato della riabilitazione è stato usato a scopi teorici. A fine anni ‘90 si è 16 approfondito il rapporto con l’afasia. Lo studio dell’afasia crociata ha successivamente permesso di chiarire il legame tra lateralizzazione del linguaggio e delle capacità numeriche, a complemento del nuovo modello del “triplo codice”. Contemporaneamente comparivano i primi contributi della neuropsicologia non-clinica, legati alla neuropsicologia dell’attenzione. Negli anni 2000 una serie di ricerche è culminata in uno studio sulla linea numerica nei pazienti con negligenza spaziale unilaterale. Lavori con i Potenziali Visivi Eventocorrelati e con la Stimolazione Magnetica Transcranica hanno contribuito a comprendere i meccanismi attenzionali e a chiarire il ruolo dell’emisfero destro nel calcolo. Le ricerche contemporanee proseguono, anche con l’uso della stimolazione elettrica intraoperatoria, e con una nuova attenzione alla riabilitazione. Un nuovo impulso viene anche dalla educational neuroscience. Daniela Perani (Dipartimento di Medicina Nucleare e Divisione di Neuroscienze, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano, Italia) NEUROIMMAGINI MOLECOLARI PET E COGNIZIONE Il funzionamento del sistema nervoso centrale durante varie attività cognitive è basato su complesse connessioni neurali e chimiche, che giocano ruoli specifici. Storicamente, l’informazione disponibile sull’organizzazione cerebrale dei processi cognitivi si è basata sullo studio clinico di pazienti. Questi studi, tuttavia, basati su lesioni cerebrali, non hanno prodotto risposte soddisfacenti su molti argomenti correlati. Nelle ultime decadi, le neuroimmagini funzionali hanno fornito dati cruciali sui circuiti neurali che sottendono i processi cognitivi, elucidando problemi fondamentali. Come tecnica pionieristica di neuroimmagine, la Positron Emission Tomography (PET) ha anche esplorato le basi neurali dei processi cognitivi. Ancora più interessante è il suo contributo alla conoscenza delle loro basi neurochimiche, che ha rappresentato una grande sfida, aprendo nuove prospettive. Sebbene pochi, specifici studi PET molecolari, mediante paradigmi sofisticati, sono stati condotti per svelare il ruolo dei sistemi neurotrasmettitoriali nei processi cerebrali legati alla memoria, all’apprendimento, al linguaggio e alle funzioni esecutive. Queste neuroimmagini molecolari in vivo hanno aperto la strada all’esplorazione del ruolo dei neurotrasmettitori (dopamina, serotonina e acetilcolina) nella cognizione umana. Tutti questi sistemi neurotrasmettitoriali partecipano alla modulazione dell’organizzazione cerebrale in partecipanti sani e in pazienti. Questa presentazione illustrerà alcuni esempi di studi di neuroimmagine molecolare PET nelle neuroscienze cognitive. Eraldo Paulesu (Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Milano Bicocca, Milano, Italia) NEUROIMMAGINI (FUNZIONALI) DELLA MENTE: NON SOLO DOVE, MA ANCHE COME E QUANDO. L'avvento delle tecniche di neuroimmagine funzionale ha permesso un cambiamento di paradigma rispetto alla procedura classica di inferenza anatomo-comportamentale basata sulla osservazione della sede lesionale di pazienti con sindromi neuropsicologiche. Da un lato è stato possibile espandere il repertorio dei quesiti di ricerca, dalla mera descrizione della topografia delle aree 17 coinvolte nei processi mentali, alla caratterizzazione delle dinamiche neurali ad essi sottostanti. E' divenuto anche possibile studiare i correlati neurali di fenomeni mentali "privati" (es. l'immaginazione motoria), o di sindromi neuropsicologiche in cui non esiste un danno neurale macroscopico (per es., i disturbi evolutivi dell'apprendimento o i disturbi psichiatrici). Non sempre è stato possibile supportare modelli della neuropsicologia cognitiva con dati neurofunzionali. Tratterò l'esempio concreto della lettura, per sottolineare come dalla tensione tra dati empirici di neuroimmagine e modelli neuropsicologici possano emergere migliori sintesi a fornire una descrizione più realistica dei processi cognitivi e dei sottostanti processi neurali della popolazione generale. François Boller (Bethesda, MD, USA) 1962-2012: EVOLUZIONE DELLA NEUROPSICOLOGIA A partire dalla metà del secolo scorso, molti clinici e ricercatori americani ritenevano che la principale funzione della neuropsicologia fosse quella di evidenziare la presenza o meno di lesioni cerebrali. Pertanto, utilizzavano test come la HalsteadReitan Battery per individuare pazienti cerebrolesi. “Rule out organicity” era la parola d’ordine. Altri ricercatori, tra cui Henry Hécaen, Arthur Benton e Brenda Milner, utilizzarono test basati su studi anatomo-clinici e misero in evidenza l’utilità della neuropsicologia, per localizzare le lesioni cerebrali e per studiare legami tra cervello e cognizione. Questo coincise con l’entrata in scena del “Milan Group”. Da allora vi è stata una strepitosa evoluzione della disciplina. Le ragioni sono almeno tre. L’introduzione di tecniche nuove, particolarmente, l’imaging cerebrale, ha reso quasi obsoleta la funzione localizzatrice dei test. Ha anche offerto strumenti d’indagine, che permettono nuove interpretazioni dei rapporti tra sistema nervoso e comportamento. Un altro fattore è stato la collaborazione di discipline tra cui, oltre alla neurologia, la psicologia, particolarmente la psicologia cognitiva, la linguistica, la sociologia, la statistica e la genetica, per citarne solo alcune. Finalmente si è ampliato il tipo di soggetti da studiare. Da ricerche basate essenzialmente su adulti con lesioni focali si è passati a studiare soggetti in fase di sviluppo e perfino neonati. L’invecchiamento della popolazione e l‘aumento di soggetti con disturbi cognitivi ha favorito lo studio di persone anziane, sia normali che affette da lesioni degenerative. La neuropsicologia è diventata indispensabile non solo per la diagnosi, ma anche per la valutazione terapeutica e per la riabilitazione. 18