No 1 dicembre 2008 mensile di informazione e cultura italiana per gli italiani residenti in Europa il direttore alle lettrici e ai lettori Massimo Congiu Un giornale europeo e di sinistra; è già qualcosa, anzi, è già molto per chi sente la mancanza di un’informazione approfondita e di qualità su temi sociali, sulla politica, quella vera, animata dallo spirito delle grandi idee, umana e per ciò stesso tesa a risolvere problemi pratici e a migliorare la vita delle comunità che sono fatte di persone. Di persone e di lettori che si interrogano sul presente e sul futuro. I nostri, almeno quelli più vicini al giornale, sono italiani che abitano all’estero un po’ per loro scelta, un po’ per i percorsi obbligati della vita e per i bisogni che il Bel Paese a volte non può, spesso non vuole soddisfare. Il nostro giornale si rivolge principalmente a essi e, in generale, a quanti fossero interessati a conoscere la complessa e variegata dimensione dell’italianità all’estero e a scoprirne esigenze e potenzialità, entrambe più che rilevanti. È, come si diceva, un periodico di sinistra che intende parlare europeo ed essere uno strumento di informazione, di analisi e dibattito aperto e ricettivo sui temi che caratterizzano il nostro tempo. Si propone di partecipare al rinnovamento politico e a contribuire, da fuori, alla riunificazione di una sinistra che deve rielaborare la sua proposta politico-culturale, e il nostro giornale è un’operazione culturale. L’abbiamo chiamato Aurora con l’augurio che abbia nei contenuti e nel messaggio che intende dare la forza dell’incrociatore di storica memoria e che rechi nelle sue pagine la freschezza e l’ottimismo di un nuovo giorno. Quell’ottimismo della volontà di ispirazione gramsciana al quale ci rivolgiamo in risposta alle nostre domande sul presente e sul futuro. Lunga vita ad Aurora. uno dei pezzi di storia dei comunisti in Europa Roberto Galtieri Dieci anni fa, in 3 compagni, abbiamo deciso di ricostruire l'organizzazione dei Comunisti Italiani in Europa, poiché, con la fine del PCI, era venuta meno la presenza organizzata dei connazionali comunisti. I nostri problemi di emigrati italiani in Europa ci hanno spinto ad organizzarci. Senza un’organizzazione, chi difende i nostri interessi? Non è possibile farlo individualmente: per questo abbiamo deciso di organizzarci, tra comunisti, per ritrovarci nella difesa della nostra dignità, per conquistare tutti i diritti negati. Non dunque per ragioni ideologiche si è costituita la Federazione Europa del PdCI, ma per la dignità ed i diritti di noi emigrati. Ancora oggi, del resto, si emigra dall'Italia in Europa. Oggi la chiamano mobilità: una maniera dolce di chiamare la sofferenza. Noi facciamo attenzione alle parole e quando un individuo, per motivi economici, è obbligato a lasciare il suo paese noi continuiamo a chiamare questo fenomeno per quello che è: emigrazione, non mobilità. Passo dopo passo siamo arrivati ad avere, oggi, una presenza in 12 paesi. Molto c'è da fare, lo vogliamo fare e lo faremo. Il nostro sito www.pdci-europa.org vi darà le altre informazioni che lo spazio di "Aurora" non ci permette di mettere in queste pagine. Questo giornale è un ulteriore passo verso l'incontro, le esigenze di miglioramento delle nostre condizioni di vita. Quella di questo giornale è però un'altra storia e la presenta, qui a fianco, Massimo Congiu, il direttore di "Aurora". all’interno: ⇒ elezioni COM.IT.ES. in Grecia ⇒ chiudono i Consolati: sempre più abbandonati ⇒ storie dell’emigrazione ⇒ petizione RAI ⇒ notizie da UK - CZ - CH - HU ⇒ miglioriamo il nostro italiano il saluto di Diliberto Quando nasce un nuovo giornale di lotta e di formazione politica comunista è sempre una buona cosa. Ancora di più per un giornale fatto da voi che avete dovuto abbandonare l'Italia per cercare dignità e lavoro. Auguri di cuore per la migliore riuscita possibile per questa vostra impresa nata tra mille difficoltà. E una promessa: vi verro' a trovare tra le pagine di Aurora. Quando vorrete. Con un’intervista, un pensiero. Buon lavoro compagni. l’unità dei Comunisti Lavoro e politica tra Rifondazione e PdCI in Belgio e in Europa di Mario Gabrielli Cossellu, segretario del Circolo PRC/SE - pag … il 21 gennaio a Turnhout, in Belgio, inaugurazione della sezione comune PRC e PdCI pag. Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita.» Enrico Berlinguer CHIUSURA DEI CONSOLATIT tempi duri per gli italiani residenti all’estero che si vedono privati di uno strumento indispensabile per mantenere i rapporti con il loro Paese di Ivan Surina Per gli italiani che vivono all'estero fino ad ora i consolati rappresentavano quella connessione tra la "patria" di origine e il paese "ospitante". Il consolato, con tutte le limitazioni che poteva avere, era in poche parole ciò che ci faceva sentire forse un po' più sicuri in una terra straniera. Sto parlando al passato perché, alla luce degli ultimi tagli, molti di noi perderanno questa sicurezza. Poche volte nell'ultimo decennio si è notato il comune intento tra i governi che si sono succeduti di chiudere i consolati per ragioni di "cassa". È veramente strano che chi ci governa da un lato ci dia la possibilità di esprimerci con il voto per il nostro Paese e contemporaneamente chiuda l’istituzione che lo rappresenta nelle nazioni in cui viviamo. La rete consolare si avvale di 116 uffici e 79 cancellerie consolari (cifre intese prima della chiusura), di queste il 52% in Europa, il18% in America del Sud e il 12% in Nordamerica. Il rapporto medio addetto-connazionale era, prima della chiusura dei vari consolati, di 1/1.602 e per ciò che riguarda il settore visti di 2/3.000 vistiaddetto (con punte di 1/6.200 nella sede di Mosca). In questo contesto di insufficiente rapporto impiegato-fruitore di servizi, la lista dei consolati destinati alla chiusura, per ciò che riguarda l'Europa, è abbastanza lunga. Le sedi da sopprimere sarebbero venti e nel momento in cui scriviamo alcune sono state già chiuse. Esse sono: Berna, Esch sur Alzette, Innsbruck, Lilla, Chambery, la rappresentanza per il disarmo a Ginevra, Lipsia, Atene, Il Cairo, Bastia, Vienna, Madrid, Smirne, Windhoek, Alessandria, Gedda, Karachi. Questi sono i consolati del primo blocco, una parte sarà sostituita con uffici consolari o con consolati "digitali" nonostante l’”analfabetizzazione” tecnologica degli italiani emigrati di prima e seconda generazione che corrispondono anche alle fasce di «bisognosi» . Alcuni invece saranno sostituiti con "antenne", ovvero con personale di altri consolati inviato a seconda del caso e dello stato di necessità Il personale assunto all'estero dei consolati che chiuderanno, verrà trasferito nei consolati più vicini. Da qui si deduce che il risparmio si baserà sulle mancate spese di affitto e sulla mancata corresponsione dello stipendio del console. Alla chiusura dei numerosi consolati che abbiamo menzionato, corrisponde l'apertura in contemporanea di altri consolati in nuove nazioni(vedi repubbliche ex sovietiche ed asiatiche) là dove gli interessi degli imprenditori italiani sono più rilevanti (Asia centrale) o dove la richiesta di visti di lavoro è più elevata (es. Moldavia). Ricordando che un visto parte da 35 ed arriva a 75 euro e che la richiesta di visti per il 2007 è stata di circa 1.500.000 unità, è facile capire di che cifre parliamo. Certamente, da questo momento in poi, si passa da un consolato con funzione di rappresentanza dei cittadini italiani all'estero (presente dove essi sono in maggior numero) e senza fini di lucro a un consolato obbligato ad "autogestirsi" economicamente, indipendentemente dalla rappresentanza italiana sul territorio. Il tutto è pensato in funzione di un risparmio che francamente non è immaginabile dato che parliamo pur sempre di un pubblico servizio che il nostro Paese dovrebbe assicurare e dato che questo servizio è a pagamento (tranne che per le fasce di italiani indigenti) .Probabilmente in Europa ciò che più può risultare non necessario è la rete delle ambasciate, inutili data la nostra appartenenza all’Ue e la nostra presenza al Parlamento europeo. Risulta difficile capire, dopo quanto scritto, l’utilità della rete di ambasciate in Europa, inutili “fagocitatrici” di capitali tra sedi, personale e ambasciatori. Soprattutto è incomprensibile questa volontà di risparmio basata sulla chiusura di strutture indispensabili per i connazionali che vivono all’estero,come la rete consolare, per mantenere in vita una struttura come quella delle ambasciate in Europa, utile solo nel caso in cui si dovesse considerare la distribuzione di poltrone ai vari «clientes» dei governi che si sono succeduti. Insomma, anche in questo caso le «decisioni» piovono sulle nostre teste senza che neanche venga richiesto il parere delle strutture di rappresentanza elette sui territori e riconosciute tali dal nostro Paese (Comites,CGIE). BERLUSCONI CI ODIA ! TAGLI DEL GOVERNO PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO: Tagli pari a 50 milioni di euro contenuti nella Finanziaria del 2009 concepita da un esecutivo che continua a palesare la più totale indifferenza nei confronti delle tematiche di carattere sociale. I seguenti capitoli mostrano nel dettaglio quanto ci leva il governo Berlusconi: Capitolo 3103: ridurrebbe i contributi previsti per i Comites da 3.074.995 euro a 2.540.042 euro e i contributi destinati ad associazioni ed enti da 2.274.000 euro a 1.000.000 di euro Capitolo 3121: i contributi previsti per la tutela dei connazionali poveri passerebbero da 28.500.000 euro a 10.777.047 euro Capitolo 3122: i contributi relativi alle attività ricreative e informative passerebbero da 3.250.000 euro a 996.000 euro Capitolo 3153: i contributi destinati ai settori educazione, scuola e cultura passerebbero da 34.000.000 di euro a 14.500.000 euro. Qui sotto le false promesse di Berlusconi durante la scorsa campagna elettorale. Dopo neanche 5 mesi, la promessa fatta qui sotto è stata disattesa. „Vi sosterremo con sempre maggior impegno e cercheremo di intensificare il vostro legame con la madrepatria affinché siate fieri della vostra italianità“ UNITÀ COMUNISTA Lavoro e politica tra PRC e il PdCI a Bruxelles, in Belgio e in Europa di Mario Gabrielli Cossellu, segretario del Circolo PRC/SE "Enrico Berlinguer" Bruxelles-Belgio e responsabile di InformazioneComunicazione PRC/SE Europa (ottobre 2008) È con grande soddisfazione che diciamo che da oltre due anni le organizzazioni locali a Bruxelles e in Belgio del Partito della Rifondazione Comunista/Sinistra Europea (PRC/SE) e del Partito dei Comunisti Italiani (PdCI) stanno lavorando insieme, a partire dai primi contatti diretti e operativi in occasione delle vittoriose elezioni politiche del 2006. Già molte cose sono state fatte in diverse iniziative anche pubbliche, proprie o in partecipazione e cooperazione con altre organizzazioni italiane e internazionali, quasi sempre con buon successo e ripercussione – una lista riassuntiva si può vedere su http://www.rifondazione.be/ucb_ci_bruxelles.html. Tutto questo è molto importante e tante altre cose stiamo facendo e progettando: ma non si tratta certo di un “fare per fare” o solo di un modo per affermare la nostra presenza, rappresentatività e riferimento sul territorio come organizzazioni politiche della sinistra comunista nei confronti sia dei nostri concittadini italiani all'estero e degli agenti locali, sia dei nostri stessi referenti politici in Italia. Si tratta anche e soprattutto della messa in pratica di un'idea e di un progetto politico molto chiaro e condiviso tra noi: l'utile e necessaria unità di azione tra chi fa politica come comunisti, orgogliosi di esserlo e di essere conosciuti e riconosciuti come tali e agire di conseguenza, a tutti i livelli. Negli ultimi mesi si sono succeduti avvenimenti gravi e significativi, con l'esperienza diretta di governo dei nostri partiti comunisti, la sconfitta elettorale e il ritorno al potere delle destre con le loro peggiori componenti fasciste, razziste e capitaliste. Il conseguente momento di incertezza o addirittura di sbandamento che hanno sofferto, tra gli altri, anche il PRC e il PdCI ha trovato uno sbocco nei rispettivi congressi dell'estate 2008, che hanno dato dei risultati chiari a favore della permanenza e del rilancio dell'alternativa comunista in Italia, per un'opposizione forte e intransigente ai poteri dominanti – politici, economici, culturali, militari – e aprendo la strada a possibili percorsi di unità a sinistra, ivi compreso quello del recupero dell'unità tra i comunisti, appoggiato da un gran numero di compagne e compagni dei nostri partiti. Perché si è d'accordo che i comunisti, e il loro patrimonio di identità, analisi, strumenti, entusiasmo, esperienze e lotte, sono una parte necessaria e imprescindibile – anche se non sufficiente – della sinistra alternativa, anticapitalista, altermondista per “un altro mondo possibile e necessario” basato sull'abolizione dello sfruttamento della persona sulla persona e sull'ambiente, sulla giustizia sociale e tra i popoli, sulla pace, sullo sviluppo equilibrato e sostenibile: tutti temi che, se oggi possono apparire in regresso in Italia e anche in Europa sotto l’offensiva delle destre, del populismo e della frammentazione sociale, non lo sono in una prospettiva più ampia a livello mondiale. Una prospettiva più adeguata d'altra parte, perché lo scontro di classe e la lotta di liberazione non possono essere circoscritti a specifiche realtà nazionali, come ci dimostra la valenza delle esperienze in America Latina per esempio, così come dei movimenti sociali autogestiti e alternativi. Coscienti di questo quindi, anche nel nostro “piccolo” e anche in circostanze spesso sfavorevoli, noi del PRC e del PdCI a Bruxelles e in Belgio abbiamo voluto e vogliamo mettere in pratica queste idee, a tutti i livelli, cominciando dalle nostre organizzazioni locali in un lavoro comune che minimizzi i nostri punti deboli ed esalti quelli forti. Cominciando e sviluppandoci dagli aspetti più immediati e quotidiani del contatto e conoscenza diretta tra le compagne e i compagni, che anche se con delle “tessere diverse” si trovano facilmente molto vicini e prossimi in tutti i sensi come “compagni” appunto, parola bellissima e densa di significati per chi la vive veramente e non come un vuoto slogan; fino ai progetti sviluppati insieme, nell'organizzazione, nelle mobilitazioni, nell'informazione e diffusione, nei “grandi appuntamenti” (come le elezioni, nazionali e locali o le campagne) come nel giorno per giorno, “facendo politica” nel vero e migliore senso della parola. Lavoriamo insieme come partiti comunisti senza alcuna ambizione da “mosca cocchiera”, naturalmente: siamo pienamente coscienti dei nostri limiti, non fosse altro per le dimensioni ridotte delle nostre organizzazioni all'estero e la scarsità delle risorse materiali. Ma siamo coscienti anche dei nostri punti di forza, vivendo in paesi e città diversi e molto significativi, in comunità italiane spesso molto avanzate e dotate, per la loro mai esaurita attenzione verso l'Italia e allo stesso tempo per la conoscenza vissuta di sistemi politici e sociali ben diversi da quello italiano. Per questo diciamo che possiamo insomma dare un importante “esempio positivo” di unità, di lavoro e di conoscenza più ampia, internazionale e internazionalista, mettendo a disposizione dei nostri partiti e perché no, dei progetti di unità della sinistra comunista anche in Italia, le nostre esperienze, idee ed entusiasmo. UNITÀ COMUNISTA A COLLOQUIO CON ROLANDO GIAI LEVRA, DIRETTORE DI GRAMSCI OGGI a cura di Massimo Congiu 1) Su quali presupposti si deve basare un progetto di unità comunista? Il fallimento dell’esperienza socialdemocratica dell’arcobaleno ha dimostrato che senza un partito comunista non esiste la sinistra in Italia. Senza l’unità dei comunisti non esiste l’unità della sinistra e senza i riferimenti ideologici, organizzativi e simbolici del comunismo la gran parte dei lavoratori orientati a sinistra perde la sua identità di classe e resta impotente e disorientata di fronte alla macchina del capitalismo. Ed è proprio quello che è successo nelle ultime elezioni che hanno visto molti lavoratori riversarsi nell’astensionismo o dare il loro voto al PD e alle destre. Siamo arrivati al punto che bisogna ricominciare a ricostruire con pazienza ciò che le forze della borghesia e del riformismo hanno distrutto, a cominciare dalla ricomposizione dell’unità e dell’autonomia dei comunisti e della classe operaia attivando un processo di aggregazione dei comunisti ovunque collocati, organizzati e non organizzati a partire dai luoghi di lavoro e di produzione, con un programma di classe nel contesto del movimento comunista mondiale. Non è un caso che l’appello del 17 aprile 2008 “Comuniste e Comunisti: cominciamo da noi” abbia raccolto migliaia e migliaia di adesioni di compagne e compagni che, nonostante il disastroso risultato elettorale, hanno dimostrato che esiste una forza nel Paese che vuole e che può ricostruire un vero movimento autonomo-organizzato di classe non subordinato ai gruppi dirigenti della sinistra in generale, ma neanche a quelli del PdCI e del PRC. In questa direzione si sono costituite diverse forme di coordinamento con diverse assemblee di “Comunisti Uniti” a livello nazionale tra cui anche quello della Lombardia del 20 settembre, che hanno cominciato a partecipare a iniziative pubbliche, scioperi e manifestazioni come quella dell’11 ottobre a Roma. L’obiettivo è quello di lavorare per raggiungere il momento politico più alto che sarà l’assemblea nazionale per la costituente comunista e mettere le basi, appunto, di un unico partito comunista di massa nel nostro Paese. 2) Quali difficoltà vedi nella realizzazione di un simile progetto? Siamo in una fase di forte attacco economico e politico portato avanti dagli industriali e dal governo contro i lavoratori e i comunisti, con l’inesistente opposizione del PD, UDC e IDV. Questa offensiva passa anche attraverso l’ideologia che ha trovato un valido sostegno anche nel fallito progetto de “La sinistra l’arcobaleno” in quanto ha rafforzato e non indebolito l’egemonia culturale delle classi dominanti del Paese. Nonostante ciò c’è chi ripropone, con un altro nome, la riedizione della fallita esperienza arcobalenista. Questo fa ben capire che siamo di fronte ad un piccolo ceto politico molto debole, miope e irresponsabile che, pur di sopravvivere e di riemergere, ha deciso di mettersi a rimorchio del riformismo del PD. In questa direzione va il progetto di “rifondazione della sinistra” di Bertinotti, Vendola, della SD, di una parte dei Verdi e di altri che ormai da tempo hanno abbandonato l’obiettivo strategico del superamento del s i s t e m a c a p i t a l i s t i c o . Nello stesso tempo c’è da rilevare che una parte degli stessi gruppi dirigenti comunisti tende a non far decollare l’appello del 17 aprile; ma piuttosto a rallentarlo o peggio a metterlo nel dimenticatoio, come fa qualcuno. Questo è emerso soprattutto nella fase successiva alla conclusione dei due Congressi del PdCI e del PRC. Da quel momento sono emerse alcune interpretazioni verticistiche dell’”unità dei comunisti” che, se attuate, condurrebbero i comunisti alla subordinazione dei processi riformisti e socialdemocratici che sono in corso di attuazione. Infatti, c’è chi riduce il processo dell’unità dei comunisti alla sola unità tra PRC e PdCI, altri - con logiche di annessione - pensano allo scioglimento dell’uno per assorbire l’altro, altri ancora alla semplice realizzazione della somma delle sigle con falce e martello in funzione elettorale. Questi sono momenti politici del tutto insufficienti che forse unirebbero i vertici, senza risolvere il vero problema che è quello della ricostruzione dell’organizzazione dal basso nei luoghi di lavoro e che oggi le attuali organizzazioni comuniste esistenti (PRC e PdCI) non sono più in grado di realizzare. In definitiva, anche queste soluzioni servono ad alcuni dirigenti che, strumentalmente e senza alcuna convinzione, usano la parola d’ordine “unità dei comunisti” per autoricollocarsi. Sul versante opposto e sempre nel campo comunista, ci sono altre interpretazioni legate a forme di massimalismo o schematismo che sono altrettanto devianti dall’obiettivo principale. C’è chi tende ad escludere a priori qualsiasi rapporto con i gruppi dirigenti del PRC, del PdCI e di alcune loro componenti interne perché sono considerati, al pari di tutti gli altri dirigenti arcobalenisti, i corresponsabili del fallimento della sinistra e dei comunisti. Se questo in buona parte è vero, è altrettanto vero che in quei due partiti sono presenti tanti comunisti che hanno dato la loro adesione anche individuale all’appello e che oggi devono fare i conti internamente con i gruppi dirigenti eletti nei loro congressi. Ecco perché, in questa fase, è necessario interloquire non da subordinati, ma su un piano politico di parità per impedire di fare prevalere le logiche verticistiche e burocratiche di partito o peggio le esigenze soggettive di qualche dirigente. 3) Un percorso di questo genere presuppone un'opera di rinnovamento interno alle forze comuniste, secondo te in che direzione deve avvenire quest'opera? Il rinnovamento dev’essere generale, profondo, ben articolato e su diversi terreni. Occorre riappropriarsi del carattere e dell’identità di classe che dalla fine degli anni ’70 è venuto a mancare sempre più anche nel PCI, soprattutto dopo il suo smantellamento fino ad arrivare ai giorni nostri. Dobbiamo ricostruire la concezione comunista del partito che non si riduce al fatto di avere il simbolo della falce e martello o solamente di chiamarsi comunisti. Faccio soltanto alcuni esempi: 1- la formazione teorica è fondamentale per tutti i comunisti, soprattutto per chi viene chiamato a svolgere funzioni dirigenti in un’organizzazione comunista. Questo significa che la battaglia culturale va portata anche dentro la fabbrica per favorire la formazione teorica e politica di quadri operai da inserire negli organi dirigenti a tutti i livelli del futuro Partito Comunista; 2- le rappresentanze istituzionali nei Comuni, nelle Province e Regioni e nel Parlamento devono essere costruite in funzione degli obiettivi strategici di classe di un partito comunista che lotta per il superamento del capitalismo e per una società socialista. In assenza di tali obiettivi e di una concezione comunista su cui formare la rappresentanza è avvenuto che i gruppi parlamentari della sinistra, tra cui molti comunisti, hanno visto nel Parlamento non un mezzo di lotta per raggiungere obiettivi ben più elevati, ma il fine stesso della lotta staccandosi sempre più dalla realtà sociale. A lungo andare, è penetrata una mentalità riformista anche fra i comunisti che ha portato, poco alla volta, i partiti comunisti a trasformarsi in strumenti subordinati ai gruppi parlamentari e non viceversa; 3- la necessità di ricostruire un indirizzo sindacale di classe. Negli ultimi decenni, tale questione si è trasformata in un tabù sul quale non è stato più possibile intervenire perché l’orientamento generale è stato quello di una falsa autonomia del sindacato dai partiti. In realtà, tale politica è risultata utile in passato soltanto per liberarsi dal PCI e poi dai suoi eredi, con lo scopo di emarginare il ruolo e la funzione dei comunisti nel sindacato. In altre parole è stata rivendicata l’autonomia dall’ideologia comunista per aprire le porte a quella della borghesia e nel corso di diversi anni questo processo ha portato il riformismo ad essere egemone e dominante nella più grande confederazione sindacale di massa del nostro Paese: la CGIL e ha creato le basi per la concertazione che ha portato alla subordinazione degli interessi dei lavoratori a quelli degli industriali e dei loro governi. Altri punti riguardano la vita interna degli attuali partiti comunisti in cui sono saltati e scomparsi i meccanismi della democrazia e del controllo interni per lasciare spazio a forme leaderistiche e burocratiche, a decisioni verticistiche prese in cerchie sempre più ristrette sulla testa degli iscritti nei partiti comunisti esistenti. E poi ci sono tanti altri problemi che sono fondamentali per un partito comunista come la visione internazionalista. 4) Inoltre occorre recuperare il rapporto con l'elettorato di sinistra Il rapporto con l'elettorato di sinistra può essere ricostruito su alcuni obiettivi unificanti caratterizzati dalla centralità della lotta per la difesa delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori contro lo sfruttamento capitalistico intorno alla quale articolare le lotte per i diritti alla sanità e alla scuola pubblica, per il diritto alla casa per tutti, per la democrazia nei luoghi di lavoro e per la pace contro l’imperialismo. Su queste basi è possibile ricostruire un nuovo blocco sociale in cui stringere alleanze politiche con tutte le forze di sinistra e comuniste antagoniste al capitale e alternative al riformismo del PD. 5) La sensazione è che la sinistra comunista abbia ultimamente difficoltà a rappresentare in modo adeguato le istanze che vengono dal basso, almeno a livello generale. Tu come la vedi? Siamo in una fase in cui le classi dominanti e i loro ceti politici hanno svolto e portato quasi a compimento la distruzione di quasi tutte le organizzazioni del proletariato e quindi vanno analizzate le reali forze politiche e sociali in campo. In questo senso è necessario tenere presente e distinguere la condizione di debolezza in cui versa l’opposizione di classe dei comunisti e della sinistra antagonista dalla - altrettanto debole - opposizione riformista e della sinistra socialdemocratica che non sono antagoniste alle destre e al capitale. Detto questo, non c’è alcun dubbio che le difficoltà a rappresentare le istanze di base non sono soltanto una sensazione, ma purtroppo una realtà, che potranno essere superate soltanto con un’alternativa progettuale, politica e organizzativa di classe. I gruppi dirigenti dei due partiti che si chiamano ancora comunisti e che insieme a S.D. e Verdi hanno dato vita al fallito arcobaleno, come ho già detto, hanno perso la loro presenza organizzata nei luoghi di lavoro e quindi hanno perso del tutto i ricettori vitali attraverso cui si trasmettono tutte le istanze provenienti dalla classe lavoratrice. 6) Un progetto di unità a sinistra ha bisogno di una certa visibilità (come si diceva prima c'è da ricostruire un rapporto con l'elettorato) ottenibile attivando determinati strumenti culturali e tecnici. Parliamo di quelli linguistici da usare oggi. Siamo in una condizione dominata dall’egemonia culturale della borghesia e della sua variante riformista. Nella loro guerra contro il comunismo, sostenuta fino in fondo anche dalla chiesa, essi utilizzano tutti i mezzi a loro disposizione (televisioni, radio, stampa) per sfornare dei falsi valori che non sono quelli del lavoro e della solidarietà di classe, ma piuttosto l’illusione, soprattutto tra i giovani, di poter raggiungere mete irraggiungibili dalla classe dominata. Soprattutto viene usata la tecnica della menzogna e del falso per deformare la realtà oggettiva e gli esempi sono tantissimi nel nostro Paese e nel mondo. Con la stessa metodologia viene deformata, falsificata e revisionata la storia del movimento operaio, del movimento comunista e della resistenza antifascista. La borghesia investe ingenti capitali per asservire certi intellettuali disposti a tutto in cambio di denaro. Questa situazione ha trovato un valido sostegno anche nelle tesi di certi “illuminati” di “sinistra” (politici e intellettuali) che hanno voluto mettere in soffitta le esperienze del movimento operaio e comunista del ‘900. Dopo i riformisti come Napolitano, Occhetto, D’Alema, Fassino, Veltroni ed altri che hanno distrutto il PCI, si sono messi in gara anche Bertinotti e Cossutta responsabili del fallimento della sinistra e dei comunisti negli ultimi 15 anni. Tutto ciò non giustifica il fatto che - a fronte di una situazione di arretratezza culturale delle masse - secondo alcuni, i comunisti dovrebbero cambiare linguaggio, terminologia e parole che fanno riferimento esplicito al comunismo e al marxismo. Questo modo di vedere, rientra oggettivamente nelle logiche di Bertinotti che recentemente ha dichiarato che “il comunismo è indicibile”. Seguire questa tendenza significherebbe per i comunisti tralasciare la battaglia ideologica, accodarsi alla parte più arretrata delle masse e disperdere la loro identità abbandonando totalmente le masse nelle mani nel riformismo. Parole come classe, sfruttamento, plusvalore, capitale, lavoro, contraddizione, lotta di classe, comunista, egemonia, socialismo che in apparenza non vengono recepiti, esprimono dei concetti ben precisi alla cui base vi è la realtà oggettiva materiale dello sfruttamento e non una realtà virtuale come quella riportata dalle televisioni e dalla stampa borghese. I comunisti devono saper rilevare le contraddizioni reali della società a cominciare dall’analisi delle classi e della realtà della lotta di classe per far coincidere la teoria con la pratica e trasformare la realtà materiale. 7) Torniamo al rapporto con l'elettorato e, più in generale, a quello con l'opinione pubblica: come gestire, da comunisti, le numerose e irrazionali paure che pervadono la gente e che vengono usate dalla destra? Con la verità. Ad esempio con la lotta per abbattere una concezione che da decenni ormai viene imposta dalla cultura dominante per nascondere lo sfruttamento e creare volutamente delle artificiose divisioni tra lavoratore italiano ed immigrato, tra il lavoratore a tempo indeterminato e quello precario o con la discriminazione tra il lavoratore e la lavoratrice. Bisogna riuscire a portare alla luce il dato reale che sta alla base del comune sfruttamento attuato dal capitale sul lavoratore italiano e su quello immigrato i quali, non bisogna dimenticarlo, sono soggetti entrambi alla concorrenza che è determinata dalle stesse leggi economiche che regolano tutte le merci nel mercato capitalistico e non dal fatto che uno è italiano e l’altro è extracomunitario. Quindi, la lotta per l’unità tra i lavoratori passa attraverso l’acquisizione di una nuova coscienza in grado di stabilire che il lavoratore italiano e quello immigrato appartengono alla stessa classe sfruttata dallo stesso padrone il quale è il comune nemico di classe di entrambi i lavoratori. È evidente che - fino a quando mancherà l’azione politica dei comunisti e della sinistra antagonista - per creare tale condizione di unità tra i lavoratori, le destre, fomentate da campagne giornalistiche pilotate, continueranno strumentalmente ad utilizzare le paure popolari per creare un clima generale di xenofobia e razzismo che ritorna molto utile a dividere i lavoratori e rafforzare il potere dei capitalisti. 8) L'unità della sinistra comunista è anche un modo per dire che la svolta della Bolognina è stata un errore? In realtà, “la sinistra l’arcobaleno” che si era costituita come un “grande” progetto di unità della sinistra nell’autunno del 2007, ha voluto rappresentare il tentativo di proseguire la svolta iniziata con la Bolognina. Ovviamente, date le debolissime forze in campo, questa mini svolta avrebbe dovuto servire a completare l’opera iniziata da Occhetto - che non a caso era presente, insieme a Ingrao e Cossutta - per buttar fuori definitivamente i comunisti dalla scena politica del nostro Paese e lasciare il campo totalmente libero alle forze socialdemocratiche e riformiste. Ma la “geniale regia” di Bertinotti insieme alla gran parte del gruppo dirigente arcobalenista hanno doppiamente fallito, perché non sono riuscite, ed è questa la cosa più importante, a cancellare definitivamente la presenza organizzata dei comunisti dallo scenario politico italiano e contemporaneamente hanno fatto fallire sul piano della rappresentanza istituzionale, oltre i comunisti, tutta la loro sinistra socialdemocratica. L’unità e l’autonomia comuniste, rappresentano più che mai una necessità oggettiva e sono il solo modo per affermare che la svolta della Bolognina era sbagliata in quanto ha realizzato la distruzione del Partito Politico della classe lavoratrice del nostro Paese. 9) Conclusioni? Gramsci ci ha insegnato che un Partito Comunista deve essere una parte organica della classe e non una sua rappresentazione esteriore, deve munirsi della teoria marxista e deve essere una parte integrante di un movimento comunista più generale a livello internazionale. Senza un Partito Comunista con queste caratteristiche non esiste la possibilità per la classe lavoratrice di lottare per la propria emancipazione sociale e giungere al potere per liberarsi dallo sfruttamento del capitalismo. Credo che non ci sia alternativa a questa prospettiva che resta la strada maestra da seguire e da percorrere per i comunisti che vogliono ricostruire un unico Partito Comunista di massa ancora più forte di tutte le esperienze che ci sono state fino ad oggi. La strada è lunga e molto difficile ma è possibile! seconda fase di campagna, nell’auspicio che il ritorno di fiamma del Governo verso l’intervento dello Stato in economia (vedasi i miliardi di sterline investiti per salvare il sistema bancario) spinga Brown a rivedere la sua proposta. La Sanità britannica a rischio privatizzazione opo aver resistito al furore riformista della ady di ferro il settore sanitario britannico è ostretto a subire nuovi assalti Simone Rossi el febbraio 2008 il Governo di Gordon Brown ha resentato una proposta di riforma del National Health ervice (NHS), con l’intento dichiarato di migliorarne efficienza e di creare poli socio-sanitari. sistema sanitario pubblico si basa essenzialmente su ue livelli: il medico di base, chiamato General Practice le strutture ospedaliere. I medici di base possono perare singolarmente o in ambulatori dove è presente ersonale paramedico di supporto agli stessi. ttualmente ci sono 8.261 GP sparsi per il territorio ell’Inghilterra, di cui 1.546 nella sola capitale, Londra. el corso dei suoi sessant’anni di vita il GP è divenuto un unto di riferimento per i cittadini britannici perché ermette l’instaturarsi di un rapporto diretto medicoaziente; per questo motivo è sopravvissuto alle varie rivatizzazioni e ristrutturazioni avviate da Margareth hatcher e proseguite, non con meno entusiasmo, dai uoi successori, di ogni colore. Il Ministro della Sanità, ord Darzi, ha lanciato una proposta di riorganizzazione he nasconde l’insidia di una progressiva privatizzazione el sistema sanitario nazionale. Negli intenti del governo è l’accorpamento dei GP in strutture denonimate oliclinici, in cui opererebbero fino a 25 medici di base, cuni specialisti e personale paramedico, dove i pazienti otrebbero ricevere alcuni servizi attualmente offerti alle strutture ospedaliere. Un primo effetto sarebbe la hiusura di circa 1.700 studi medici, il 60% dei quali ella sola Londra. Questa riorganizzazione del servizio di ase sarebbe funzionale all’ingresso di quote di capitale rivato nel servizio sanitario, dal momento che grandi mbulatori sarebbero più appetibili alle aziende operanti el settore che non una moltitudine di piccoli studi, pesso gestiti da un singolo medico; la gestione sarebbe ffidata con contratti a breve termine, di fatto endendola frammentata e soggetta a continui ambiamenti. in dalle prime settimane sono sorti comitati, a livello cale e su scala nazionale, contro questa proposta di forma: l’associazione britannica dei medici (BMA) ha nciato una petizione che nel corso di un mese ha accolto il sostegno di oltre 1,3 milioni di cittadini, reoccupati per la chiusura degli ambulatori e per la erdita del rapporto medico-paziente. Questa mobilitazione ha prodotto come primo risultato un arziale ripensamento del governo che ha riconosciuto mportanza della presenza capillare dei GP là dove la carsità di mezzi di trasporto renderebbe, ma ha dato il a libera ai primi contratti di gestione ai privati. Le mobilitazioni continuano e la BMA ha lanciato una SCUOLA AUTUNNO DI PROTESTA La politica economica del Canton Ticino negli ultimi anni ha visto dei controsensi enormi; sono dieci anni che ci dicono che i soldi non ci sono e che di conseguenza dobbiamo fare qualche sacrificio e accettare i tagli che ci vengono imposti. Nel 2004 l’onorevole Gendotti ha però detto che si sta raschiando il fondo del barile e che ulteriori tagli porterebbero ad un peggioramento della nostra istruzione, quindi la scuola non sarebbe più stata toccata: parole di circostanza dette per tenere buoni studenti e opinione pubblica. Se a ottobre abbiamo ancora manifestato è anche perché chi di dovere non ha mantenuto le sue promesse. Le casse pubbliche non hanno grossi problemi economici e anche se non tagliassimo sulla scuola non ci sarebbe una vera necessità di risparmiare questi soldi altrove; ma il Consiglio di Stato ha deciso che per fine legislatura bisogna pareggiare il bilancio cantonale. Il Cantone non è una SA, e non deve perseguire lo scopo dell’utile, anzi, lo stato si indebita anche per poter offrire un servizio alla popolazione. Quello che rivendichiamo non sono unicamente più soldi per l’istruzione di noi giovani: sappiamo certamente che maggiori somme di denaro non portano automaticamente ad un miglioramento della qualità dell’insegnamento. Quello che vogliamo è una scuola più democratica, senza nuovi tagli che sono antisociali quanto pedagogicamente distruttivi. È un diritto degli studenti quello di essere coinvolti nelle decisioni che riguardano un mondo nel quale viviamo e di cui siamo il cuore pulsante. È ora che il Governo ci ascolti e prenda in considerazione le rivendicazioni studentesche. Così, nel corso dell’autunno non sono mancate iniziative finalizzate a dare visibilità al malcontento diffusosi nelle scuole, come dimostra lo sciopero svoltosi a Bellinzona il 15 ottobre scorso, quando più di un migliaio di studenti ha manifestato contro la politica economica e scolastica del governo. Il buon esito della protesta, in termini di partecipazione, dimostra che il SISA (Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti) ha un importante seguito tra i giovani, cosa che le autorità dovrebbero cominciare a tenere presente. Il Comitato centrale del SISA http://www.sisa-info.ch ritenuto più importante frenare i conservatori. Cambierà mai questa situazione calcolando che i giovani non si fanno coinvolgere dalla politica o in caso contrario si fanno coinvolgere dall’estrema destra? Con sorpresa ho però scoperto che i giovani di sinistra, così restii a farsi coinvolgere da una struttura come un partito, si attivano quando si tratta di movimenti. Perché esiste un Social forum, con tanti movimenti tematici e non, dove esiste una componente giovanile la cui convinzione è quella di partire dal movimento per costruire un forte partito di sinistra. È con questa idea che è nata, nel settembre 2007 l’Unione della sinistra giovanile (FiBU), piccolo movimento organizzato da una trentina di giovani ungheresi di diversa formazione culturale e politica che si definiscono comunisti, pur condannando la tradizione del passato, che definiscono il loro movimento marxista e prendono come personalità ispiratrici del movimento Lenin, Che Guevara, Gandhi, la Luxemburg, Bakunin. Lo scopo del movimento è di contribuire a costruire un’unione delle forze di sinistra antagonista ed alternativa dialogando con il Social forum, con gli altri movimenti e piccoli partiti come il Partito del lavoro 2006, piccolo partito comunista scissosi dal Partito comunista ungherese Nasce il movimento giovanile di sinistra del lavoro. Scissione effettuata a sinistra autonomo legato al Munkaspárt 2006, la ovviamente. sinistra che mancava nella Terra danubiana LA SINISTRA GIOVANILE UNGHERESE Il FiBU guarda ad una sinistra moderna, europea, di Attila Trasciatti giovanile, che riesca a coinvolgere gli under 30, a Se pensiamo alla sinistra ungherese al più informato prendere parte attiva nel dibattito politico. verrà in mente János Kádár oppure la repressione sovietica (definita anche repressione comunista da alcuni italiani) delle sommosse del ’56. Se qualcuno è veramente tenace ed intende informarsi attraverso internet, troverà che la “sinistra” in Parlamento viene rappresentata dal Partito socialista ungherese e dall’Alleanza liberaldemocratica. Potrà anche osservare che entrambi i partiti, di governo peraltro, hanno una visione molto liberista dell’economia, molto simile a quella del PD italiano. Se qualcuno è ancor più tenace, si va ad informare su quali forze di sinistra siano presenti fuori dal Parlamento. Qui troverà il Partito comunista ungherese del lavoro, che altro non è che l’immancabile partito conservatornostalgico di impostazione rigida ed antica che, non pago di ciò, ha istituzionalizzato un accordo con il movimento fascista Conquista della Patria 2000 ed intende effettuare la stessa cosa con i conservatori e il Partito democratico cristiano popolare per quanto un momento dell’incontro (foto András Bakó) concerne le elezioni europee prossime. Il partito comunque non supera lo 0.5, dopo che dal ’90 è Dalla base non sono ovviamente esclusi i più precipitato continuamente dal 4.32. “anziani”, poiché l’appellativo di giovane non riguarda la componente di base, ma la concezione A questo punto, l’interessato si convincerà del fatto di sinistra stessa. Ovvero una sinistra che in che non esiste una sinistra in Ungheria. Ma sarà così? Ungheria probabilmente non è mai esistita, che si È possibile che non esistano i movimenti? Un Social ispira al Die Linke tedesco, alla Izquierda Unida forum? O persone che si definiscono di sinistra o spagnola o a Rifondazione e Pdci, partiti comuniste? Partiamo da questi ultimi. quest’ultimi, con i quali ha anche iniziato un dialogo. Un’altra ancor più importante novità nel Persone che si autodefiniscono di sinistra o comuniste panorama politico della sinistra alternativa, è la esistono, ma: non vanno a votare o non partecipano nascita del movimento Cartha Sociale 2008. attivamente alla vita politica poiché profondamente delusi oppure votano il Partito Socialista poiché è Questo movimento si è presentato al pubblico il primo maggio di quest’anno ed è organizzato ed ideato da personalità ed intellettuali ungheresi di sinistra che non si riconoscono nelle forze parlamentari, come per esempio il filosofo Tamás Gáspár Miklós. In seguito si sono uniti quasi tutti i movimenti e partiti di sinistra, come il Partito socialdemocratico, il Partito del Lavoro 2006 o il FiBU. Far dialogare queste forze tra loro è un primo passo per costruire quello che in futuro potrebbe essere un partito unico che possa puntare alla storica entrata in Parlamento dal quale la sinistra è sempre stata esclusa. organizzato con l’intento di bocciare l’intera politica riformatrice dell’esecutivo su iniziativa del Fidesz, principale forza politica dell’opposizione che da anni si distingue per il suo populismo e per i periodici ammiccamenti alla destra antisemita e razzista. L’abbandono della coalizione da parte dell’Szdsz è avvenuto quando il premier ha deciso di congedare il ministro liberaldemocratico Ágnes Horváth. Ciò ha determinato la decisione del partito di ritirare i suoi ministri dal governo a partire dal 30 aprile scorso senza però negare l’appoggio esterno all’esecutivo per evitare le elezioni anticipate. Il motore principale della Charta Sociale è il rifiuto delle politiche neoliberiste in tutte le loro forme e derivazioni. Intende prendere parte attiva alla vita dei movimenti a livello nazionale ed internazionale e nello stesso tempo, condanna la tradizione del passato e le sue esperienze, non bollandole però come male assoluto, prendendo come esempio il sistema di stato sociale pre ’89. Insomma, a quanto pare, dopo 20 anni di silenzio e disorganizzazione, la sinistra, quella vera, si sta organizzando e si sta preparando ad approdare sulla scena politica come unica vera novità politica degli ultimi quindici anni. Credo che siamo a un un punto in cui il panorama politico ungherese sta andando a modificarsi, vista anche l’esigenza di avere una sinistra, poiché dall’89 a oggi, anche l’Ungheria ha cominciato a vivere quel processo capitalista che tende ad eliminare le garanzie sociali, che crea disoccupazione, diminuisce il potere d’acquisto. E dopo 20 anni, comincia a rafforzarsi la convinzione generale che le forze politiche attuali, non solo non sono capaci di migliorare la situazione, ma anzi, ne sono la causa. L’unica risposta a ciò è una sinistra degna di questo nome. sinistra che ora c’è. Gyurcsàny (foto Google) QUADRO POLITICO I SOCIALISTI DI FRONTE ALLA CRISI di Massimo Congiu In Ungheria c’è attualmente un governo di minoranza formato dai socialisti (Mszp) e guidato da Ferenc Gyurcsány. La situazione venutasi a creare è stata determinata dal referendum del 9 marzo scorso vinto in modo netto dall’opposizione. La consultazione popolare riguardava la soppressione del ticket di un euro per le prestazioni mediche ed ospedaliere e della tassa scolastica nelle università. Oggi il paese è alle prese con la crisi finanziaria internazionale che ha colpito il fiorino e determinato cali continui in borsa. Il primo ministro ha di recente convocato un vertice con partiti, sindacati e altre istituzioni, chiedendo una cooperazione nazionale per realizzare un programma a medio termine. Il vertice è stato, però, un fallimento, nel senso che l’opposizione si rifiuta di collaborare e addebita al primo ministro la responsabilità della situazione critica nella quale si trova l’Ungheria. Nel frattempo il Fondo monetario internazionale ha concesso al Paese un credito pari a 20 miliardi di euro, il che evita il rischio del crollo della moneta locale. In cambio il governo si impegna a effettuare nuovi tagli nel settore delle pensioni e a congelare lo stipendio dei dipendenti statali. La recessione è evidente: i licenziamenti sono già iniziati e la disoccupazione aumenta. Gyurcsány mostra di Tali costi erano stati introdotti dal governo, formato in origine dai socialisti e dai liberaldemocratici (Szdsz), gestire abilmente la crisi ma le riforme che intende realizzare sono bloccate. come parte di un progetto di riforma riguardante i settori sanità e scuola. Il referendum era stato ALLA FIERA DELL’EST DELL’UNIVERSITÀ Anche l’Ungheria della scuola si pone il problema di come conciliare efficienza ed equità e contrastare chi vorrebbe far prevalere il primo parametro. Il dibattito è aperto e le opinioni si confrontano di Alessandro Grimaldi C’è stato un caldo lunedì di metà settembre in cui i locali e le strade di Budapest erano insolitamente affollati da frotte di ragazzi rumorosi, fuori insieme per festeggiare l’inizio del nuovo anno accademico che si spera meno tormentato del precedente. quasi, e un lavoro di responsabilità presso il National Geographic Channel. “Questo sistema andava difeso” dice “certo, la prima laurea dev’essere gratuita, ma la seconda no, io già lavoravo e mi sono pagata gli studi.”. La destra ungherese, conservatrice, promotrice del referundum, invece, ha avuto vita facile nell’attaccare il governo con accenti nazionalistici, fallendo però nell’ottenere le sue dimissioni: “Le scuole devono essere statali e indipendenti e ad ogni scuola deve essere data l’opportunità di appartenere allo stato. È una questione collegata alla coesione e alla identità nazionale” ha dichiarato Sándor Lezsák, portavoce alla camera del Fidesz, principale partito dell’opposizione. Meno tormentato dell’anno scorso, quando, come ultimo atto della lunga altalena tra misure di rigore neoliberista per il riequilibrio dei conti pubblici e la salvaguardia dei diritti sociali acquisiti che ha avuto luogo in Ungheria negli ultimi anni, il governo Gyurcsány ha approvato un pacchetto di riforma dell’istruzione superiore, il cui fiore all’occhiello era la reintroduzione di tasse di iscrizione in un sistema universitario ancora sostanzialmente pubblico. Ma all’università gratuita gli ungheresi non hanno voluto rinunciare. Alla domanda: “Siete d’accordo che gli studenti delle università pubbliche siano esentati dal pagamento di tasse universitarie?”, presente nel referendum del 9 Marzo scorso unitamente a due quesiti sulla sanità, l’Ungheria ha votato con una percentuale schiacciante a favore della gratuità dell’istruzione superiore. E questo non ha stupito. Per dirla con le parole di Katalin Szili, autorevole membro dell’opposizione interna da sinistra dell’MSZP: “allo Stato non deve essere consentito di abbandonare un settore come l’istruzione a cui il mercato di per sé è inadatto. È troppo importante per il successo di una nazione e quindi impossibile lasciarlo in mano ai privati, perderemmo così l’accesso all’istruzione per tutti”. I privati già ci sono, eccome, nelle università ungheresi, industrie e privati sono presenti in misura sempre maggiore nel finanziamento dell’università: fanno ordinativi per ricerche e consulenza di esperti, finanziano borse di studio, pagano gli stipendi di alcuni docenti come parte di contratti, senza contare le numerose scuole religiose e college privati con programmi molto specifici o i corsi di specializzazione a pagamento già presenti nelle grandi università pubbliche. Ma in questo sistema ha potuto farsi strada nella vita Maria P., una situazione familiare difficile in una piccolo paese vicino Miskolc, un padre violento. Dalla più tenera età in affidamento presso una coppia di anziani, poi gli anni del liceo in collegio a Debrecen, ad est, dove i professori le dicevano di scegliere un liceo più facile, più adatto a lei. Ora Maria ha due lauree (cosa non rara in Ungheria, in lettere e filosofia e marketing), non ha avuto il massimo dei voti, ma Università Corvinus di Budapest (foto Alessandro Grimadi)) Qualche dubbio però l’ha avuto anche Maria nel voto: l’Università si è sempre più riempita di tanta gente che si laurea mettendoci il doppio degli anni. Non è giusto e appesantisce tutta la struttura e la qualità dei numerosi servizi ancora offerti all’interno delle università e il sistema delle borse di studio (sui 200 euro) che gli studenti più meritevoli ricevono negli ultimi anni di frequenza. Problema che i referendari, l’organizzazione degli studenti e la conferenza dei rettori, sono d’accordo a contrastare con un sistema di crediti utili a raggiungere e ottenere l’esenzione, si calcola che questo ridurrà a un terzo gli studenti effettivamente liberi da pagamenti. Il vicerettore della celebre Università Corvinus, Ildikó Hrubos, ha così commentato: L’istruzione universitaria di massa osservata in tempi recenti ha causato serie difficoltà in molti paesi europei. E quello finanziario è il tema principale, dato che i governi non riescono a sostenere la pressione sociale data dall’aumento degli studenti e a finanziare il sistema per un numero così elevato di universitari. In Ungheria, come in altri paesi dell’Europa CentroOrientale, la situazione è stata ulteriormente aggravata dal fatto che l’aumento della popolazione universitaria si è verificata a partire dal 1990, ed è stato straordinariamente veloce, in un concomitante periodo di profonda crisi economica. I governi hanno introdotto da allora varie riforme del sistema universitario, la più recente delle quali è la cosiddetta “Bologna System”, che contemplava anche l’introduzione delle tasse universitarie. La ragione dell’opposizione a tale riforma (manifestata nel referendum di Marzo) è dovuta in parte al fatto che la riforma era poco coerente in sé ed è stata per questo oggetto di critiche da molti versanti. In più le tasse universitarie sono l’elemento più sensibile e impopolare e hanno incontrato resistenze in molti paesi europei. Come in Italia, i problemi finanziari si ripercuotono sulla capacità di premiare docenti e ricerca, lo stato concede stipendi al limite del ridicolo, chi può va all’estero come ricercatore o come visiting professor, inaridendo il livello formativo. ‘’Da un lato questo effettivamente”, dice la Hrubos, ci rassicura sul fatto che il nostro sistema prepara molto bene i giovani. Fin quando questi poi tornano in patria il fenomeno è positivo, perché ritornano con maggiore esperienza professionale. Qualche università ed istituto di ricerca ha recentemente tentato di riprendere questi giovani ricercatori offrendo loro programmi speciali e personalizzati ed una buona carriera. La libera mobilità dei lavoratori, comunque, è uno dei principi fondamentali dell’Ue. E noi dobbiamo accettare anche le sue conseguenze.’’ L’altro grosso problema che si cercherà di affrontare e che affligge la nostra concezione di istruzione accademica è la scarsa preparazione al mondo del lavoro dei laureati europei, frutto di una concezione “Europea” di università che favorisce la conoscenza contro l’estrema specializzazione dei paesi anglosassoni. Secondo la Hrubos ‘’Il ruolo della preparazione accademica e professionale non è ancora completamente risolto nel sistema ungherese e la transizione al Bologna system non è la soluzione. Il dibattito è aperto. Una possibile via d’uscita è la separazione tra triennio e biennio e il lancio di corsi indipendenti dai programmi accademici classici. Tuttavia, il concetto che ogni corso di laurea debba preparare gli stumenti per il mercato del lavoro probabilmente è sbagliato. Una buona parte delle aziende predispone il training degli impiegati al proprio interno, autonomamente.’’ Di recente ho incontrato per caso un conoscente, matricola alla BME, il politecnico di Budapest, che si affaccia maestoso sul Danubio, di fronte agli splendori liberty dell’Hotel Gellért. Era martedì, il secondo giorno della sua vita accademica, ci siamo incontrati per caso sulle scalinate che portano in facoltà, aveva la faccia triste, anche il suo era un problema serio. “Ho seguito un’ora di lezione noiosa” mi fa. RIDIMENSIONATA LA DESTRA DI KLAUS di Massimo Recchioni Alle elezioni regionali svoltesi lo scorso ottobre, l’Ods, il partito di centro-destra del presidente Vaclav Klaus ha subito una disfatta che è andata oltre le peggiori previsioni. Il test elettorale ha premiato l’opposizione socialdemocratica (CSSD) che ha imperniato la campagna elettorale sulla lotta alla privatizzazione della sanità fortemente voluta dal governo. Il Partito comunista (KSCM) si conferma terza forza politica del paese, mentre i Verdi, che fanno parte dell’esecutivo di centrodestra, perdono voti. Da più parti, all'interno della stessa maggioranza e della stessa Ods, si chiedono a gran voce le dimissioni del governo, che sembra sempre avere i giorni contati. Poi alla fine ce la fa sul filo di lana. Ma per quanto ancora ? L’esecutivo gode infatti di una maggioranza di 100 deputati su 200 e si regge grazie a due transfughi socialdemocratici che votano con la destra. Delusione, quindi, per Klaus, noto per il suo radicalismo antiecologista e antieuropeista. Lo scorso anno aveva dichiarato al congresso statunitense che l’ecologia è la dittatura del XXI secolo in quanto, ponendo dei limiti ambientali, non consente una reale espansione dell’economia. Il successore di Havel è, inoltre, l’unico capo di stato della Ue che si rifiuta di issare la bandiera dell’Unione sul palazzo presidenziale malgrado i suoi connazionali, a suo tempo, si siano espressi in modo favorevole all’ingresso nell’Organizzazione avvenuto il primo maggio del 2004. Per Klaus questo non è un argomento sufficientemente valido. Il presidente ceco continua imperterrito a palesare la sua allergia all’Unione europea e ai suoi simboli. Per ora il governo ha superato per un solo voto la richiesta di sfiducia. Ma non sarà sempre domenica ... due deputate verdi minacciano di uscire da un momento all’altro dalla maggioranza. Alcuni fedelissimi di Klaus – unico presidente di una repubblica presidenziale che partecipi ai comizi elettorali del suo partito! - vorrebbero fondarne ora uno nuovo, in quanto essi, e lo stesso presidente, ritengono l’ODS troppo benevolo nei confronti dell’Europa, nonché ormai troppo poco di destra. RAI, PER TUTTI, DI PIÙ! FIRMA LA PETIZIONE: Per ELIMINARE IL CRIPTAGGIO / OSCURAMENTO dei programmi della RAI per gli Italiani all'estero Per un TELEGIORNALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO Per la produzione di PROGRAMMI SPECIFICI DA E PER GLI ITALIANI ALL'ESTERO FIRMA PERCHÈ LA RAI SIA VERAMENTE PER TUTTI, DI PIÙ! Il Comitato Promotore che lancia questa PETIZIONE RAI è formato da cittadini italiani residenti in diversi paesi europei da anni, e che hanno deciso di prendere un'iniziativa "dal basso" per fare sì che il servizio pubblico radiotelevisivo della Rai sia veramente per tutti e di più, compresi quindi anche gli Italiani all'estero. Infatti, praticamente da sempre, gli Italiani all'estero siamo considerati dei cittadini di seconda categoria dalla Rai, dato che molti programmi - sportivi e non solo - non sono per noi accessibili perchè criptati e oscurati; e dato che non esistono dei programmi specifici per gli Italiani all'estero, per esempio un "Telegionale" come quelli regionali di Rai 3, o altri programmi prodotti da e per gli Italiani all'estero. In questi anni ci sono state molte iniziative e prese di posizione su questa intollerabile situazione, da parte di diversi esponenti politici, ma non sono mai andate oltre la mera testimonianza e hanno ottenuto sempre delle risposte di circostanza, interlocutorie, inconcludenti, che non hanno mai risolto il problema. E allora vogliamo far sentire forte e chiara la voce degli Italiani all'estero, quelli che veramente si trovano tutti i giorni con questo problema, per reclamare finalmente una soluzione efficace e duratura. Attraverso una firma che faccia sentire la nostra presenza per difendere le nostre richieste, e attraverso una serie di attività di informazione, di diffusione e di manifestazione pubblica del nostro sentire. Perchè abbiamo tutto il diritto di essere considerati dei cittadini italiani a tutti gli effetti, anche riguardo al servizio radiotelevisivo pubblico della Rai! www.petizionerai.org Nome e Cognome CHIEDIAMO: Città Stato Informativa Protezione Dati: il D.lgs. 196/2003 "Codice in materia di protezione dei dati personali" prevede la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali. Tale trattamento sarà improntato ai principi di correttezza, liceità e trasparenza e di tutela della Sua riservatezza e dei Suoi diritti. I dati non verranno comunicati ad altri soggetti, né saranno oggetto di diffusione. Il trattamento sarà limitato agli scopi e alla durata della Petizione. Il titolare dei dati potrà in qualsiasi momento richiederne la correzione, l'integrazione o la cancellazione. Indirizzo www.petizionerai.info Firma 1. L'eliminazione dell’oscuramento o criptaggio di programmi trasmessi dalla RAI, siano essi sportivi (calcio, automobilismo, etc.), così come film, serie televisive o documentari, fuori dalle frontiere nazionali, come del resto avviene in altri Paesi. 2. La creazione di una redazione del TG3 per i residenti italiani nelle 5 Circoscrizioni Estero che elabori un “Telegiornale degli Italiani all'Estero”, del tipo del “Telegiornale Regionale” di RAI 3. 3. Un adeguamento culturale con la produzione, la programmazione e diffusione di programmi specifici per noi Italiani all’estero, con l’impegno delle Autorità italiane locali per la rappresentazione e la difesa degli interessi delle Comunità Italiane. Questi problemi si pongono in modo specialmente urgente per noi Cittadini Italiani residenti in Europa, in quanto non coperti dal segnale di “RAI International”; ma hanno valenza per tutti gli Italiani all'estero. PETIZIONE RAI : P e r u n a R A I p e r T u t t i , d i P i ù . Stanchi, e irritati, di ricevere ormai da troppo tempo un servizio televisivo della RAI di qualità scadente, limitato per la distribuzione via cavo ad un solo canale, con programmi spesso inaccessibili perchè oscurati o criptati; Tenuto conto della grande importanza per le Comunità Italiane all'estero della comunicazione televisiva dal punto di vista culturale, linguistico ed informativo, come fondamentale legame con il proprio riferimento cultuale di origine; Ricordando che la missione della RAI come servizio pubblico è per tutti gli Italiani, dentro e fuori i confini nazionali; NOI CITTADINI ITALIANI RESIDENTI IN EUROPA, Da restituire a: COMITATO PROMOTORE PETIZIONE RAI - Rue Rouppe 4, B-1000 Bruxelles, Belgio Tel.: +32 477 258 765, +32 498 571 213 - E-mail: [email protected] Internet: www.petizionerai.org, www.petizionerai.info Radar e missili in Repubblica Ceca e Polonia Ne va della sicurezza dell’intera Europa di Massimo Recchioni In un’intervista alla televisione ceca della scorsa primavera, il premio Nobel per la pace 2003 Shirin Ebadi aveva affermato che non esiste l a minima possibilità di un attacco missilistico dell’Iran contro la Repubblica Ceca e gli stati europei in generale. „Non c’è mai stata una situazione del genere in passato e non vedo motivo per cui ci d e b b a essere in futuro.“ – sostiene la Ebadi – „In u n a situazione di questo tipo credo non ci sia cosa migliore che chiamare i cittadini a decidere attraverso un referendum“. E qui arrivano l e note dolenti. Di fatto per ottenere l’istituto referendario in Repubblica Ceca, attualmente non previsto, c’è bisogno di più passaggi a l Parlamento e della maggioranza dei 3/5 a l Senato, trattandosi di una modifica costituzionale. La proposta di legge dei comunisti ha superato un passaggio e poi si è persa, quella dei verdi riposa nelle code d e i calendari parlamentari. Quindi, nonostante i sondaggi esprimano la contrarietà di oltre i d u e terzi della popolazione ceca, questa non avrà, almeno sulla carta, voce in capitolo. La gente tutta, ma in particolare quella residente intorno a Brdy, luogo che sta diventando tristemente famoso perché scelto per l’installazione, non riesce a capire. Non riesce a capire perché, dopo l’entrata della Repubblica Ceca nella NATO, questa b a s e dovrebbe essere installata unilateralmente dagli americani. Non riesce a capire perché, s e il pericolo ventilato sono non i missili russi m a quelli dei Paesi islamici integralisti, la richiesta di installazione di una base del genere s i a stata fatta prima (e rifiutata) non solo all‘Ungheria, ma al Canada!, che proprio sulle rotte iraniane non si trova…. Gli stessi servizi segreti cechi affermano che, da quando si parla dell’eventuale installazione della base, c’è u n rifiorire di spie e di attività di servizi stranieri che non si ricordava dai tempi della guerra fredda. Ed il colonnello generale Solovstov, comandante delle forze missilistiche strategiche russe, dice che sarà inevitabile, in caso d i realizzazione di un sistema del genere (che prevede anche 10 missili intercettori), puntare i missili russi contro di esso. Inoltre, altre fonti militari russe sostengono che, nell’eventualità dell’arrivo di un missile nei pressi delle basi e del tentativo di intercettamento, è praticamente impossibile distruggerlo senza conseguenze per l’atmosfera, per la superficie terrestre e per gli abitanti di un enorme cerchio intorno a quelle zone. Per questo anche il premier slovacco si è dichiarato più volte sorpreso d e l fatto che la decisione sullo „scudo“ non s i a stata mai discussa né con l’Unione europea, dove verrà installato, né con la NATO, della quale i due stati fanno parte, né con la Russia, stato confinante. Nei mesi scorsi, su proposta della Russia stessa, una commissione mista ha fatto finta di valutare soluzioni alternative, ma gli americani si s o n o „stranamente“ sempre dichiarati contrari. „Il problema vero“ – aveva detto ancora il premio Nobel S. Ebadi – „è un altro. La gente di questi due Paesi dovrebbe avere il diritto di decidere s e la politica estera del proprio stato debba essere completamente assoggettata alle direttive USA o no“. Non è stato così né lo sarà. Due pareri autorevoli e interessanti, entrambi recentissimi. Il primo è dell’economista americano Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute all’Università Columbia di New York, nonché consulente del segretario generale dell’ONU. Egli afferma che intanto la Russia potrebbe sentirsi provocata dall’installazione delle basi in Repubblica Ceca e Polonia, come si sentirebbero gli Stati Uniti se qualcuno costruisse loro u n apparato del genere davanti casa. Dice inoltre che la tecnologia usata potrebbe in ogni caso g i à essere obsoleta e quindi il sistema di difesa comunque facilmente aggirabile. Morale della favola, da qualsiasi parte la si guardi, si tratterebbe di uno spreco di miliardi e miliardi d i dollari. Sachs crede e spera che la prossima amministrazione che si insedierà alla Casa bianca in gennaio faccia marcia indietro sul progetto. Il secondo parere è di parte russa. In u n a recentissima intervista rilasciata a Bruxelles all’agenzia ceca _TK, l’ambasciatore russo presso la NATO Dmitrij Rogozin afferma che quello che il governo ceco nasconde alla popolazione è che, dal punto di vista strategico, non esiste differenza alcuna tra sistema di difesa e di attacco. Infatti è valido, secondo Rogozin, il teorema per cui il rafforzamento di un sistema di difesa preesistente o la creazione di un sistema di difesa nuovo, rendono automaticamente l’eventuale sistema d i attacco preesistente più debole. Con la conseguenza che quest’ultimo si deve adeguare a l primo. Questo significa che la differenza tra teorica offesa e difesa resta comunque invariata, ma ad un livello sensibilmente più alto e quindi molto più rischioso per la sicurezza internazionale di quanto non fosse in precedenza. Radar nella Repubblica Ceca, una partita politica Topolanek sostiene l’installazione dei radar ma la posizione di Obama al riguardo è ambigua. L’ultima parola verrà pronunciata dal parlamento ceco nella seconda metà di gennaio di Jakub Hornacek Dopo neanche un mese, il movimento contro la costruzione della base USA in Repubblica Ceca è tornato in piazza. Lo ha fatto in occasione dell’anniversario della rivoluzione di velluto in modo diverso da quello dei politici istituzionali. Mentre questi, il 17 novembre, davano luogo a celebrazioni caratterizzate da una retorica trionfante, sottolineando la differenza tra il passato regime autoritario e quello attuale a loro dire libero e democratico, il movimento scendeva in piazza per evidenziare le contraddizioni dell’attuale democrazia irrispettosa dell’opinione dei cittadini e aggressiva verso coloro che si oppongono ai potenti ed ai governi di turno. Vale la pena ricordare che la maggioranza della popolazione è contro la costruzione della base ma il governo ceco va avanti come se nulla fosse avendo dietro la stragrande maggioranza dei media cechi, che parteggia - nonostante la proclamata indipendenza e neutralità - apertamente per la realizzazione del radar. Non è poi così raro che esponenti della maggioranza e dei media dipingano gli oppositori della base come "agenti segreti pagati dalla Russia", "facinorosi", "autoritari e antidemocratici" e – termine per essi estremamente peggiorativo - come "comunisti. Dal 21 ottobre - data dell’ultima manifestazione del movimento “Ne zakladnam” - al 17 novembre non sono cambiate molte cose nella Repubblica Ceca. Va comunque notato che il 26 ottobre è cominciato l’iter parlamentare per la ratificazione degli accordi tra la Repubblica Ceca e gli USA riguardo alla costruzione del radar a 60 chilometri da Praga. L’accordo è stato approvato dal Senato ceco, per poi passare alla Camera a fine gennaio, cioè, dopo l’insediamento di Obama alla Casa bianca, insediamento che potrebbe avere un’influenza tutt’altro che marginale sull’intero progetto. Questo è, inoltre, un segno delle difficoltà del governo, insicuro rispetto alla tenuta della sua risicata maggioranza. Tuttavia cose ben più interessanti sono accadute all’estero. Prima di tutto, si diceva, l’elezione di Obama alla presidenza degli Stati Uniti. Obama si è espresso in maniera ambigua sulle basi che fanno parte del sistema di difesa anti-missili USA. Ha infatti detto che le sue priorità sono altrove ma che il sistema potrà continuare a esistere a patto che funzioni e che non crei ulteriori spaccature internazionali. Al momento sembra che il sistema anti-missili non soddisfi queste due pre-condizioni. Inoltre c’è da segnalare la critica fatta a tale sistema addirittura da Berlusconi che lo ha definito come una provocazione contro la Russia e del presidente francese Sarkozy, che punta ad una strategia di sicurezza condivisa tra l’Unione europea e Mosca. Inoltre, visto che le potenze hanno davanti il faticoso compito di "rifondare il capitalismo", forse cercheranno di smussare gli angoli delle loro diatribe per arrivare ad un accordo internazionale sulla finanza mondiale. In questo quadro il dispiegamento delle basi in Repubblica Ceca e in Polonia potrebbe essere cancellato o rimandato ad un futuro più lontano. Il movimento ceco cercherà di attraversare le contraddizioni che si sono aperte in questi ultimi giorni e che fanno apparire il governo ceco del premier Topolanek come l’ultimo mohicano a favore del radar americano. Cercherà inoltre, in collaborazione con altri movimenti europei - come quello italiano del No dal Molin - di esercitare pressioni sulla nuova amministrazione USA e sul congresso americano affinché venga rivisto il piano della presenza americana in Europa: un’eredità pesante e per molti versi scomoda dell’era Bush che la nuova amministrazione vorrebbe o dovrebbe cancellare. STORIE DELL’EMIGRAZIONE di Massimo Recchioni Le storie dell’emigrazione sono infinite. L e motivazioni che hanno spinto, dal '900 ad oggi, i nostri connazionali a lasciare il loro Paese n o n sono infinite, ma non sono neanche poche c o m e si potrebbe pensare. Certo, ve n’è una fondamentale, ed è la ricerca del lavoro che n o n c’era e che non c’è. La ricerca di un futuro migliore per se stessi e le proprie famiglie. A volte la ricerca di un futuro... e basta. Che in Italia non c’era. E pare oggi non esserci d i nuovo. Ci sarà tempo, in questa rubrica, di parlarne molto, ricordando però anche che molti le loro storie non potranno raccontarle. Non solo quelli che ad esempio sono morti a Marcinelle o nelle altre tragedie dello sfruttamento, ma tutti quelli che, raggiunta l’età della pensione, si s o n o ritrovati sempre e comunque stranieri nel p a e s e d’adozione che in realtà non li aveva adottati mai, ma solo spremuti. Un po‘ come fa ora il nostro con i lavoratori stranieri. Li spreme e a l contempo non li vuole. E quindi tra il fare la fame in un paese straniero o nel loro, hanno preferito la seconda ipotesi. Molti di essi sono tornati. Tutti comunque vivono oggi, sia qui che lì, con pensioni vergognose. Ma ci sono anche motivazioni „minori“ che hanno spinto gli italiani a cambiare aria. Poche volte gli affari, a volte l’amore, tante volte motivazioni politiche. Come non pensare alle migliaia d i „maccheroní“ oppositori e perseguitati dal fascismo? Tra le ondate di emigrazione verso l’estero ce n’è stata una, nei primi anni d e l dopoguerra, di ex-partigiani che hanno visto l a libertà del loro Paese, per la quale avevano combattuto e tanti loro compagni erano morti, sbeffeggiata. Perché i processi si facevano in tribunali nei quali i giudici non erano affatto cambiati. E l e sentenze su coloro che avevano infangato il Paese - e lo avevano condotto, passando per l a repressione e le leggi razziali, ad una guerra infame ed al crimine assoluto – erano regolarmente di assoluzione. Molti hanno accettato questo verdetto. Alcuni – e parliamo d i alcune centinaia – non lo hanno fatto ed hanno deciso di fare quello che la giustizia non aveva fatto. Dopo aver compiuto le loro „vendette“, centinaia di persone trovarono riparo all’Est. Alcuni in Jugoslavia, altri in Unione Sovietica, molti in Cecoslovacchia. La storia con cui abbiamo deciso di inaugurare questa rubrica è quella di Luigi Colombo, esponente della f a m o s a Volante Rossa. Di recente delegazioni dell’Anpi di Carpi e Modena, guidate da Bruno Tirabassi una persona che ha dedicato tutta la sua vita affinché la Storia e la Memoria si conservassero intatte - sono arrivate qui e sono andate a raccogliere, per farne un documentario, le testimonianze dei pochi superstiti di quell’ondata „maledetta“. Ho avuto il piacere di assistere a incontri di persone che non si vedevano da oltre trent’anni, di assistere ai loro ricordi e d i ascoltare le loro storie. la storia di Luigi Colombo Luigi Colombo è un uomo distinto, ben piazzato, ancora forte, di circa un’ottantina d’anni. L o incontro nel ristorante di Bratislava in cui ci siamo dati appuntamento, io arrivo 5 minuti prima, ma lui è già lì. Facciamo le presentazioni, ci sediamo ed ordiniamo qualcosa, poi comincio a fargli qualche domanda. Lo vedo reticente all’inizio, mi dice che tante persone gli hanno chiesto del s u o passato e lui ormai si era abituato a non parlare con nessuno, almeno con chi non sapeva niente. Abituato da anni di diffidenza nei confronti d i chiunque, anche degli amici, chiunque poteva essere una spia o riferire in malo modo qualcosa detta anche con significato diverso. Mi parla d i un giornalista scozzese che recentemente, chissà come, è riuscito a trovare il suo numero e lo h a ripetutamente chiamato per chiedergli un appuntamento, stava scrivendo un libro. E lui s i era sempre fatto negare. Ma pian piano m i accorgo che qualcosa succede, forse scatta qualcosa e lui comincia a raccontare fatti che h a tenuto dentro per troppo tempo. Per e s e m p i o che si era avvicinato, giovanissimo, sul finire della guerra, alla Volante Rossa, formazione nata da alcune „Brigate Garibaldi“ nel periodo bellico, ma che dopo il 25 Aprile non aveva smobilitato. Era rimasto nell’organizzazione paramilitare fino al 1949, quando avvennero i fatti per cui fu condannato in contumacia all’ergastolo. Per sciogliere il ghiaccio, comincio con qualche domanda dal tono curioso. Si legge in giro che voi della V.R. compraste un camion militare americano. „Certo, era un’asta e c’ero anch‘io. Riuscimmo, in modo più o meno regolare, ad aggiudicarcelo noi. Anzi, ricordo che partecipai personalmente con 10.000 lire, che erano bei soldi allora, Non ricordo se lo pagammo 110 o 120. C o m u n q u e quel camion lo rimettemmo completamente a nuovo, ci dipingemmo le nostre insegne e diventò il nostro simbolo indistruttibile“. So che è difficile farlo in poche righe, quali fatti della tua vita ti sono rimasti maggiormente impressi ? Mi riferisco alla tua vita qui, dopo la fuga dall’Italia alla fine degli anni quaranta. „Ma ce ne sono anche molti che ricordo in Italia. Quello che facevano gli agenti dell’Ovra, quello che i fascisti e i tedeschi facevano al campo Giuriati di Milano, cosa fecero a tanti miei amici, ad Eugenio Curiel. Guarda che „prima“ del 2 5 Aprile la lotta di Liberazione l’ho fatta anch’io, in una Brigata Garibaldi. Poi, dopo le elezioni d e l 1948, lo sdoganamento di tanti fascisti che tornarono in circolazione. Le elezioni del 1 8 aprile del 1948 servirono anche a questo. C o m e per dirci che la Resistenza l’avevamo fatta, ora grazie ma le cose erano cambiate.“ E qui invece ? Per esempio hai ritrovato qui qualcuno che conoscevi da prima ? „Sì, qualcuno sì, qualcuno coinvolto negli stessi fatti per i quali ero fuggito io, qualcuno per altri. Ma anche gente che con noi non c’entrava nulla, che aveva approfittato del momento per sbrigarsi le sue vendette personali. Nella confusione del momento, il Partito si trovò costretto ad aiutare anche loro. Comunque, tra quelli che incontrai qui c’era il nostro comandante, il tenente Alvaro, scomparso a novembre. Non siamo rimasti in molti, anzi... Cos’altro ? Quello che successe a tanti di noi. Ho letto che s i è molto scritto di compagni che sono entrati nella Radio cecoslovacca, in una sezione in lingua italiana che si chiamava „Oggi in Italia“. Lì ci entravano i più colti ? Mica è vero, c’è entrata gente colta dopo, gente che con noi cosiddetti politici non aveva niente a che fare. Ma di noi ci entrarono quelli che avevano un peso politico maggiore, il tenente ad esempio, ma anche delle conoscenze. C’erano ad esempio i compagni di Modena, mi ricordo che avevano u n trattamento particolare, non si sapeva esattamente perché. Ma eravamo tanti, quelli che facevano i giornalisti erano davvero in pochi. Ne ho conosciuti tanti - non voglio dire tutti - che stavano in fabbrica, molti nei campi delle Cooperative agricole morave, altri nelle miniere di Ostrava e dintorni. Ogni tanto organizzavamo feste o raduni da tutta la Cecoslovacchia che ci davano modo di fare sia conoscenza, sia il punto della situazione. E si leggevano i bollettini, gente che non ce l’aveva fatta, qualcuno si era suicidato. E si davano, ai meno raggiungibili, notizie da casa, di genitori che se ne erano andati, di mogli che si erano stufate di aspettare. È stata dura.“ Per quanti anni non hai avuto contatti con la tua famiglia ? „Molti. Ricordo quando nel ’62 arrivarono le m i e sorelle Angelina e Margherita a trovarmi, m i portarono questo anello, lo vedi ? Ci sono le m i e iniziali vere. E un po‘ di regali, e una copia d e l Corriere della sera e una del Corriere milanese. L’ho preparata qui sul tavolo, aspetta“. Tira fuori un pezzo di giornale di un colore giallo sporco, è un giornale di 45 anni fa. C’è la foto di tre cubani con una barba di 30 centimetri. In quella foto non c’è certamente lui. Il titolo recita „Fra i barbudos di Fidel Castro i tre sparatori della Volante Rossa“, e della foto d e i tre si può dire davvero di tutto meno che siano italiani. Il titolo del Corriere milanese parla d e i „pistoleros“, non c’è foto alcuna e dice che i tre si starebbero per trasferire a Cuba. Quanto rimanesti a Cuba ? „Più o meno un anno, lavorammo ognuno nel campo di specializzazione, io nel settore delle ricerche geologiche, che era una dipendenza d e l Ministero dell’Industria e il Ministro cubano era allora Che Guevara. Lavorammo a campionare il terreno intorno a Santiago de Cuba, a due passi da dov’erano, e sono ancora, gli americani. C i trovammo benissimo, non si mangiava affatto male, c’era abbondanza di frutta di ogni genere; sai rispetto ai cibi grassi ai quali ci eravamo abituati qui…. Un compagno si sposò e rimase lì, tornò in Cecoslovacchia, con tanto di moglie e figlia, diversi anni dopo….. ora loro sono a C u b a e lui purtroppo non c’è più. Comunque, tornando a Cuba, fu davvero un’esperienza positiva.“ Poi ci fu il ’68, l’anno dei cosiddetti riformatori. „Sì, bisogna riconoscere che la cappa calata sui cittadini di questo Paese poteva essere in alcuni frangenti opprimente. Ad esempio, mi ricordo l e trafile che bisognava fare quando un cittadino cecoslovacco andava in giro da qualche altra parte, per studio, per lavoro. O anche la moglie cecoslovacca di uno di noi. Questa specie d i burocrazia non so se abbia più aiutato a proteggere lo Stato socialista o gli abbia fatto più male. Ma è anche vero che in questa ed altre acque si tuffarono come pesci quelle forze socialdemocratiche riformiste, anche se nei nostri ambienti erano molto forti sensazioni e notizie che fossero i servizi segreti occidentali a finanziare tutto. Sta di fatto che non si ebbe il tempo per valutare quali cambiamenti e di quale portata ci sarebbero stati con Dub_ek. Voglio dire che non è tutto oro ciò che luccica, e chissà dove saremmo arrivati se si fosse proseguiti su quella strada. Ora io non so neanche se la situazione s i poteva risolvere senza l’intervento delle truppe del Patto di Varsavia. Sai, dare giudizi ora è facile, ci sono stati periodi storici in cui si stava da una parte o dall’altra. Se non ci si è passati, non lo si può capire. Questo vale anche per i fatti del dopoguerra che sono all’origine di tutta la mia storia. Perché se prendi un evento storico e lo sradichi dal suo contesto, quell’evento p u ò sembrare completamente diverso“. Quindi sei potuto andare in Italia ? „Certo, anche se non lo feci subito. Aspettai qualche mese, cercai diverse conferme, e l a certezza di potermi presentare in Consolato senza che mi trattenessero. Dovetti prima fare l a trafila per avere il permesso di soggiorno con il mio nome vero, poi andai in Consolato per registrarmi e farmi fare il passaporto.“ „Anni più tardi, era il 1988, sarei andato in pensione e lo Stato socialista mi avrebbe seguito di lì a non molto. Vedi questa, è la fotocopia d i una poesia che tengo a casa incorniciata. L a scrissero i miei colleghi di lavoro e me l a regalarono il mio ultimo giorno di lavoro. Avevo 60 anni.“ Traduco la poesia e mentre la leggo vedo nei suoi occhi una commozione che contrasta con i temi ed i toni di quanto mi h a raccontato finora. Non ti è mai venuto il dubbio di ritornare a casa, intendo in Italia ? „No, davvero no. Ripeto che qui mi sforzavo d i sentirmi a casa e dopo il primo periodo difficile mi sono quasi ambientato. Certo in Italia cominciai ad andarci più spesso e volentieri. Comunque ho sempre pensato che è quella casa mia.“ Cosa è cambiato ora qui, al di là del fatto che Cecoslovacchia e Muro non esistono più ? „Eravamo giovani, avevamo un sogno nel cassetto e negli anni avevamo visto questo sogno assumere i contorni di un’esperienza reale con tutti i difetti dei quali solo i sogni s o n o sprovvisti. Ho visto con amarezza gente che d e l socialismo se ne infischiava, che approfittava della sua posizione per farsi i cavoli propri, m a i quelli della gente comune. Ma una cosa la p o s s o dire con certezza e non temo di essere smentito. La classe operaia difficilmente in altre parti d e l mondo ed in altri periodi storici starà meglio d i come stava qui fino al 1989. Il sindacato esisteva per organizzare le ferie dei lavoratori, tanto i lavoratori stavano bene. Questo Stato che si dice fosse così duro non fu abbastanza duro da costringere le persone a lavorare e uno Stato che paga tutto e non produce alla fine chiude. Tutti avevano una baita per le vacanze, abbiamo ancora oggi i residui di un’istruzione e di u n a sanità pubblica invidiabili, anche se, ahimè, pian piano si sta smantellando tutto. Prendi me per esempio. Arrivato con le elementari, sono arrivato a diplomarmi.“ Sta per uscire un libro che racconta la tua storia, quanto c’è di vero ? „Ho pagato i miei conti con la giustizia, ho fatto 30 anni da fuggiasco quando qualcuno se l’è cavata, restando in Italia, con molto meno. Ora a tutti gli effetti sono un cittadino come chiunque altro. Trent’anni dopo la Grazia che mi f u concessa, ho ottenuto la totale riabilitazione. H o letto negli ultimi anni tante bugie, ho sentito chiamare assassini personaggi, come Francesco Moranino - che qui ebbi modo di conoscere - che tanto avevano contribuito alla Liberazione. Venendo a mancare i protagonisti, si cerca d i riscrivere la storia. La mia, in questo senso, credo possa essere un contributo interessante.“ I MILLE VOLTI DEL PERÙ Viaggio nel profondo di un paese segnato dalla repressione di Luca Di Mauro Le righe che seguono non hanno la pretesa di costituire un saggio sul panorama politico peruviano ma piuttosto una serie di violente impressioni ricavate durante un mese e mezzo di viaggio attraverso il Paese. Le cose viste ed ascoltate tuttavia, danno un quadro parziale dunque, ma vivo ed immediato di uno dei paesi meno conosciuti e più difficilmente comprensibili del continente sudamericano. Per raggiungere Nazca da Arequipa prendiamo un "carro popular" (autobus autoctono), volendo assicurarci posti abbastanza comodi e nella parte anteriore del mezzo prenotiamo i biglietti con ventiquattro ore di anticipo ma è tutto inutile: finiamo nei penultimi sedili. La fila dietro di noi è occupata da cinque donne, sedute e stese su pacchi e pacchi di incerto contenuto che occupano i loro sedili, i ripostigli soprastanti ed il corridoio. Una sesta si è di fatto creata un posto tra le due file e siede su una pila di valige accanto a noi (quest'ultima emana, diciamo così, un odore intenso). Ovviamente non funzionano le luci personali (per leggere o prendere appunti) e noi appariamo fin troppo turbati dalla realtà (umana troppo umana) che ci circonda. Vedendoci palesemente a disagio, incuriosite da noi e desiderose di rompere il ghiaccio le donne ci rivolgono la parola: sono tutte venditrici ambulanti che da Arequipa vanno a Lima a smerciare per strada i loro prodotti: non hanno messo le loro mercanzie nel portabagagli dell'autobus nella speranza che, sedendosi sopra alle balle di merce, riusciranno ad eludere, in parte, i controlli della dogana tra una regione e un'altra. Sono anche sconvolte perché la notte precedente una loro "collega", nel tentativo di opporre resistenza ai doganieri, è stata coinvolta in un incidente avvenuto all’autobus (la dinamica esatta non sanno o non vogliono spiegarcela) ed è morta a 28 anni lasciando una figlia di 12. Anche loro sono di tutte le età, dalla più vecchia con un impronunciabile nome quechua alle più giovani (Karin e Katherine) che a 15 e 16 anni ancora vanno a scuola ed accompagnano occasionalmente le madri. Ci chiedono, in caso di controllo, di aiutare ad occultare le balle, garantire (ma per questo basta la nostra presenza di stranieri) che i doganieri non diventino troppo rudi e, se necessario, di fotografarli. Per fortuna arrivati al posto di blocco nessuno sale sull'autobus e le nostre vicine riprendono il viaggio visibilmente sollevate. Per il resto ci parlano di loro e ci chiedono di noi, sono esasperate dal carovita (il nove agosto uno sciopero generale avrebbe coinvolto tutto il paese sul tema senza che tuttavia ne uscisse alcun segnale politico chiaro) lodano la rivoluzione indigenista di Evo Morales in Bolivia e stigmatizzano la sinistra filo-industriale e filoamericana al governo in Perù. A noi chiedono come viviamo, dicono ogni dieci minuti di volersi infilare nei nostri zaini, l'Europa (in particolare la Spagna) è una delle poche speranze di salvezza per i poveri peruviani ma ovviamente i costi di un volo sono inarrivabili. Non riescono a credere in nessun modo che gli stati europei paghino gli studi degli studenti meritevoli: questo in America Latina non succederà mai e solo le famiglie dei milionari (che hanno pochi figli) riescono a farli studiare fino alla fine. Loro tuttavia sono pienamente consapevoli dell’importanza delle scuole e, quando ci parlano continuamente dei sacrifici e dei rischi che affrontano in queste notti, guardano le ragazze sedute al loro fianco e dicono di farlo per loro. Per finire ci cantano una loro canzone tradizionale e chiedono a noi di fare lo stesso: scegliamo "Katiusha/fischia il vento", rappresentativa di entrambi i paesi (viaggio con la mia ragazza russa), applauditissima nonostante la nostra pessima esecuzione. La notte di viaggio è, in effetti, rappresentativa del contatto avuto col popolo peruviano e della sensazione di incapacità, anche dopo un mese e mezzo di permanenza nel paese sudamericano, di comprendere tutte le sfaccettature della situazione politica nazionale, divisa tra un malcontento palpabile e generalizzato ed un nazionalismo trionfalistico e ostentato che, coinvolgendo senza distinzioni tutti gli strati della popolazione, narcotizza le voci di dissenso che provano ad opporsi ad un governo che coincide con lo Stato. È strano immaginare, soprattutto in America Latina, un paese in cui gli abitanti non sanno dire al forestiero se il governo è di destra o di sinistra, un paese dove la quasi totalità della popolazione è l’oggetto diretto della più turpe ingiustizia sociale ma nello stesso tempo, la stessa stragrande maggioranza, approva senza distinzioni i metodi repressivi spesso ciechi ed inutili usati dallo Stato non solo contro il terrorismo ma contro qualsiasi opposizione non rientri negli schemi che anni di politica controllata dall’esterno hanno ormai consolidato. Eppure il Perù è tutto questo; il partito Aprista (teoricamente socialdemocratico, in realtà filo-statunitense ed al servizio del latifondo, fin dall’origine anticomunista) è al potere praticamente da sempre, se si eccettua la cripto-dittatura di Alberto Fujimori (1990-2000) che, con una combinazione di liberismo, repressione dittatoriale e corruzione elevata a sistema molto simile a quella sperimentata da Pinochet in Cile, è riuscito ad annichilire non solo la lotta armata cieca e dogmatica di Sendero Luminoso ma anche qualsiasi voce di dissenso si opponesse a questa via andina al capitalismo triste e stracciona. Mentre il resto dell’America Latina viveva il proprio risveglio negli anni ’70, il Perù rimaneva politicamente sonnacchioso e maturava i germi della stagione di sangue che avrebbe caratterizzato il decennio successivo. I governi succedutisi al potere seguivano alla lettera le indicazioni dei Chicago Boys ed Abimael Guzmán Reynoso, un anonimo professore di filosofia di Arequipa, fondava il Partido Comunista de Perù – Sendero Luminoso, un’organizzazione armata di stampo maoista-polpottista che, in nome di una supposta rivoluzione culturale, avrebbe imposto col sangue, per oltre un decennio, un consenso esteriore alle popolazioni povere delle Ande che, secondo la lucida analisi dello stesso fondatore, dovevano rimanere nella povertà e nell’arretratezza fino all’instaurazione del socialismo per non perdere nulla della loro carica rivoluzionaria. Il fatto poi che quasi ogni straniero catturato fosse passato per le armi come spia del capitalismo paralizzò completamente il turismo, annichilendo l’enorme potenziale archeologico della regione andina e condannando alla fame ed alla monocoltura della coca i contadini delle montagne. Con queste premesse, anche il ben più generoso (ed intelligente) tentativo del Movimento Revolucionario Tupac Amaru (di stampo guevarista, nato tra gli studenti delle università limegne che si ispiravano alle altre esperienze di lotta del continente) non ebbe alcuna presa sugli strati più poveri del popolo peruviano (ormai abituato a veder cadere sotto i colpi dei “rossi” di Sendero Luminoso i volontari ed i sindacalisti che tentavano di alleviare le loro sofferenze) e si concluse tragicamente durante l’occupazione della residenza dell’ambasciatore giapponese a Lima nell’aprile 1997. L’attuale sistema politico peruviano è il risultato diretto di questi avvenimenti e dell’unico argomento che il potere ha saputo usare in risposta alle rivendicazioni dei moltissimi poveri del paese: una repressione sorda ed ottusa. Questo ha creato un’opposizione marxista iperidentitaria e frastagliata in un arcipelago di gruppuscoli nel quale nemmeno i militanti attivi riescono sempre a districarsi. I dibattiti (che comprensibilmente appassionano una cerchia piuttosto ristretta) vertono su categorie politiche già datate negli anni ’70 mentre il paese continua ad essere guidato dalle sue oligarchie senza che nessuno riesca a farsi portavoce delle masse sia urbane che rurali. All'uscita da una taverna nel Jiron Huancavelica (centro storico di Lima) scorgo, in un androne, manifesti e volantini denuncianti inequivocabilmente la presenza di una sezione di sinistra: entro, trovo alcuni compagni seduti nel cortiletto, mi presento e cominciamo a chiacchierare. Ci troviamo nella sezione del Partido Comunista- Patria Roja che, insieme ad altre formazioni, fa parte del raggruppamento Movimiento Nueva Izquierda che, alle ultime presidenziali, hanno sostenuto il nazionalista Ollanta contro il filoamericano (poi vincitore) Alan Garcia. La segretaria di sezione mi regala un libretto con le riproduzioni anastatiche delle prime pagine più importanti del loro giornale (Patria Roja), io mi avvicino allo stand dei libri, compro qualcosa e riprendo le chiacchiere. Il venditore è il più loquace di tutti, il partito che ora ci ospita è il prodotto (guarda un po'....) di molteplici e successive scissioni del movimento peruviano. La prima è del 1964; sull'onda del maoismo si separano il PC Unitario (filosovietico) dal PC Bandera Roja (filocinese). In seguito quest'ultimo si scinde tra PC Patria Roja (i nostri ospiti) e PC Sendero Luminoso (che, come noto, sceglie la lotta armata ed oggi è quasi annientato occupandosi solo di narcotraffico). Quando usciamo ci accompagna un giovane che si era unito alla discussione, lui non è del partito ma del FER (frente estudiantino revolucionario) che si muove tra autonomia operaia e lotta armata solo teorica. Ci metto un po' a fargli capire che l'Europa è diversa dall'America del Sud e che l'unica lotta efficace è quella parlamentare (a starci dentro!), lui dell'Italia conosce solo i gruppuscoli internazionalisti ed Alfredo Bonanno (teorico dell'anarco-insurrezionalismo). Non credo di averlo convinto del tutto ma gli lascio la mia mail e gli indirizzi del partito e della FGCI. Oggi sia il PC Patria Roja che il PC unitario sono nell'MNI ma tutto il raggruppamento è fuori dalle istituzioni nazionali (dove ho già sentito questa storia???). Diciamo che abbiamo una prospettiva di come va a finire se non ci diamo una mossa. CONSONANTI scempie Le consonanti brevi (o semplici o scempie) e lunghe (o rafforzate o doppie) si oppongono fra di loro e in certe parole sostituendo a una consonante breve la corrispondente lunga si cambia il significato della parola. Esempio anulare-annullare aprendo-apprendo bara-barra cane-canne copia-coppia fato-fatto geme-gemme caro-carro dita-ditta fuga-fugga moto-motto casa-cassa faro-farro fumo-fummo nono-nonno pala-palla pena-penna rupe-ruppe sera-serra mole-molle molo-mollo etc. pani-panni roca-rocca sano-sanno sete-sette ano-anno moto-motto papa-pappa rosa-rossa seno-senno tufo-tuffo capello-cappello sano-sanno Perché non provi a creare una frase con ognuna di queste parole ? Esempio capello: cappello: quel filo è fino come un capello il cappello di Giuseppe è nero Chi è la Befana ? (per le correzioni inviare a : [email protected]) A Natale, come ……. ………. (sapere), Babbo Natale (Santa Claus, San Nicola) - dopo aver viaggiato sulla sua bella slitta (tirare) ………….dalle renne - lascia i regali sotto l'albero in tutte le famiglie. Bella tradizione, certamente, ma niente …… ……… vedere con quello che succede il 6 gennaio. La notte fra il 5 e il 6 gennaio …………… arriva la Befana. Chi è la Befana? La Befana è una (vecchia)………….brutta e malvestita, con un (caratter)……………. terribile (ma anche con un grande senso dell'umorismo) che attraversa il cielo volando a cavallo della sua scopa. Anche lei, come Babbo Natale, passa nelle case per lasciare i regali, ma… c'è un ma! Se una …………… durante l'anno ……… …… comportat… bene facilmente la mattina, svegliandosi, troverà davanti al caminetto (nella calza che ha lasciato lì vicino pronta per essere riempita) qualche regalo bello e desiderato. Ma se ………. si è comportat….. male... eh eh, la Befana mette nella calza solo qualche pezzo di carbone! E se ………… è sostanzialmente normale, un po' buono e un po' cattivo? Be', in questo caso (trovare)……………..nella calza prima di tutto un ……….. pezzo di carbone (mamma mia, tutto carbone in questa calza o c'è anche qualcosa di buono?) e poi, scavando a fondo, fra qualche noce, aglio, cipolla, caramelle e cioccolatini, troverà anche un pacchetto con un regalo vero. Ma la Befana è anche molto, molto umana: e perciò è un …………. corruttibile. Per questo la sera del 5 gennaio la cosa migliore ……… fare è andare a letto lasciando in cucina un piatto di pasta e un fiasco di vino: la Befana, trovando qualcosa da mangiare e un bicchierino di vino da bere diventa sicuramente più allegra e probabilmente anche un po' …………… generosa. Quando i bambini crescono, purtroppo, diventano quasi sempre un po' più stupidi e ingenui e cominciano a "non credere" più alla Befana (………….va raccontando in giro che sono mamma e papà a mettere i regali nella calza!). Questa leggenda, inventata probabilmente proprio dai genitori che vogliono sembrare buoni e generosi, è ………………. sfatarla, perché ai bambini bisogna dire sempre la verità. Quindi diciamo……. questa verità! Babbo Natale non esiste, è vero. Ma la Befana sì! Irene dalla Grecia in rivolta Irene. Atene. 10.12.2008 Vergogna! È l’unica cosa che posso dire mentre guardo i servizi che riguardano le manifestazioni e gli eventi in Grecia. Vergogna al commentatore Renato Caprile(video: "Atene, la città devastata"), che dall’alto della sua incapacità a comprendere il vero nocciolo della questione si cimenta ad esprime pesanti commenti e opinioni su cose che probabilmente danno un fastidio personale. Io sono una greca, studentessa universitaria a Roma, che avendo vissuto in Grecia fino ai 18 anni posso garantire la superficialità di quei commenti e di quelle opinioni.. Forse il signor Caprile non sa che in Grecia esistono moltissime occupazioni anarchiche che funzionano da centri culturali , dove ovviamente si fa molta controcultura. E controcultura (sempre per precisare i termini e non “volare sulle superfici delle parole”) significa controbattere una non-cultura dominante, un ozio generale e un controllo massmediatico da parte di chi ne vuole solo guadagnare…ma queste sono cose già dette, già scritte..e cosi ovvie che spero che ci si sia compresi. Questi sono ragazzi, gli unici ad aver usato il cervello prima della televisione , per esprimere un idea sulla vita, sulla politica, sul loro futuro. Sono ragazzi normali, sono ragazzi che conosco, anche se quando vivevo io in Grecia non se ne vedevano molti. Terrorismo?? Simultaneità negli attacchi?? Certo!! Parlare di terrorismo, poi in Italia figuriamoci!, è la cosa più facile che ci sia! Ma da un giornale come Repubblica, che io leggo assiduamente, non lo accetto! Vergogna anche alla redazione quindi!Certo! Non lo sapevate che in Grecia ce ne sono tanti, tantissimi, anzi, la Grecia è stata invasa questi giorni dai black block terroristi?! Ve la spiego io la simultaneità! Viene ucciso un ragazzo di 15 anni…..da un poliziotto….uno di quei che vogliono far del bene al paese ma non sanno neanche che significa “bene” (visto che uccidere sicuramente non lo è). E scatta la protesta. Una protesta che si, è vero, si covava dentro, nel cuore di tutto il popolo per molto tempo, questi giovani non vedono più futuro in una Grecia che sta prendendo veramente la cattiva strada appresso al resto del mondo. Una protesta che da metà italiana, insieme a i giovani italiani in Italia, sto covando anche io , e abbiamo protestato, e protestato, e protestato, e ci è scappato il morto anche qui. E qui???Che si fa?? Il morto diventa un caso storico da archiviare!! E la rabbia?? Di tutto il popolo italiano?? E la Diaz?? Vergogna!! Ve la spiego io la simultaneità. La simultaneità che non esiste neanche tra i giovani italiani, perché i giovani greci hanno creato una vera comunità, una vera protesta ,e non c’è menefreghismo davanti all’uccisione di un ragazzo di 15 anni. Non c’è indifferenza davanti all’uso improprio che del potere assegnato dal popolo ne fa il “servizio” d’ordine statale! E la violenza? Ve la spiego io la violenza. È la rabbia di tutta la gioventù che viene messa a tacere, anch’essa violentemente, ma su un piano più pericoloso, quello psicologico, per anni,e ora più che mai , con un futuro fatto solo di incertezza. Vergogna per non aver saputo leggere tra le righe! Vergogna per non aver protestato lo stesso “violentemente” (e spero che ci siamo capiti anche qui, prima che mi diate della black block!) per Carlo Giuliani, per la Diaz, per un sistema che forse a voi non vi fa soffrire molto…finché non rimarrete pure voi intrappolati nelle sue reti. E poi chi è che deve scendere in piazza per voi? I giovani?? Codardi pure…Vergogna… Aurora: organo della Federazione Europa –“Via Rasella”, del PdCI Direttore: Massimo Congiu. Direttore responsabile: Roberto Galtieri. Comitato di redazione: Vito Bongiorno, Perla Conoscenza, Luca Di Mauro, Massimo Recchioni, Simone Rossi, Ivan Surina, Massimo Tuena tel. +36-20-973-9758 - [email protected]