No
1
dicembre 2008
mensile di informazione e
cultura italiana per gli italiani
residenti in Europa
il direttore alle lettrici e ai lettori
Massimo Congiu
Un giornale europeo e di sinistra; è già qualcosa, anzi, è
già molto per chi sente la mancanza di un’informazione
approfondita e di qualità su temi sociali, sulla politica,
quella vera, animata dallo spirito delle grandi idee, umana
e per ciò stesso tesa a risolvere problemi pratici e a
migliorare la vita delle comunità che sono fatte di persone.
Di persone e di lettori che si interrogano sul presente e sul
futuro. I nostri, almeno quelli più vicini al giornale, sono
italiani che abitano all’estero un po’ per loro scelta, un po’
per i percorsi obbligati della vita e per i bisogni che il Bel
Paese a volte non può, spesso non vuole soddisfare.
Il nostro giornale si rivolge principalmente a essi e, in
generale, a quanti fossero interessati a conoscere la
complessa e variegata dimensione dell’italianità all’estero e
a scoprirne esigenze e potenzialità, entrambe più che
rilevanti.
È, come si diceva, un periodico di sinistra che intende
parlare europeo ed essere uno strumento di informazione,
di analisi e dibattito aperto e ricettivo sui temi che
caratterizzano il nostro tempo.
Si propone di partecipare al rinnovamento politico e a
contribuire, da fuori, alla riunificazione di una sinistra che
deve rielaborare la sua proposta politico-culturale, e il
nostro giornale è un’operazione culturale. L’abbiamo
chiamato Aurora con l’augurio che abbia nei contenuti e
nel messaggio che intende dare la forza dell’incrociatore di
storica memoria e che rechi nelle sue pagine la freschezza
e l’ottimismo di un nuovo giorno.
Quell’ottimismo della volontà di ispirazione gramsciana al
quale ci rivolgiamo in risposta alle nostre domande sul
presente e sul futuro.
Lunga vita ad Aurora.
uno dei pezzi di storia dei comunisti in Europa
Roberto Galtieri
Dieci anni fa, in 3 compagni, abbiamo deciso di ricostruire
l'organizzazione dei Comunisti Italiani in Europa, poiché, con la fine
del PCI, era venuta meno la presenza organizzata dei connazionali
comunisti.
I nostri problemi di emigrati italiani in Europa ci hanno spinto ad
organizzarci. Senza un’organizzazione, chi difende i nostri interessi?
Non è possibile farlo individualmente: per questo abbiamo deciso di
organizzarci, tra comunisti, per ritrovarci nella difesa della nostra
dignità, per conquistare tutti i diritti negati.
Non dunque per ragioni ideologiche si è costituita la Federazione
Europa del PdCI, ma per la dignità ed i diritti di noi emigrati.
Ancora oggi, del resto, si emigra dall'Italia in Europa. Oggi la
chiamano mobilità: una maniera dolce di chiamare la sofferenza.
Noi facciamo attenzione alle parole e quando un individuo, per
motivi economici, è obbligato a lasciare il suo paese noi
continuiamo a chiamare questo fenomeno per quello che è:
emigrazione, non mobilità.
Passo dopo passo siamo arrivati ad avere, oggi, una presenza in 12
paesi.
Molto c'è da fare, lo vogliamo fare e lo faremo. Il nostro sito
www.pdci-europa.org vi darà le altre informazioni che lo spazio
di "Aurora" non ci permette di mettere in queste pagine. Questo
giornale è un ulteriore passo verso l'incontro, le esigenze di
miglioramento delle nostre condizioni di vita.
Quella di questo giornale è però un'altra storia e la presenta, qui a
fianco, Massimo Congiu, il direttore di "Aurora".
all’interno:
⇒ elezioni COM.IT.ES. in Grecia
⇒ chiudono i Consolati: sempre più abbandonati
⇒ storie dell’emigrazione
⇒ petizione RAI
⇒ notizie da UK - CZ - CH - HU
⇒ miglioriamo il nostro italiano
il saluto di Diliberto
Quando nasce un nuovo giornale di lotta e di formazione
politica comunista è sempre una buona cosa. Ancora di più
per un giornale fatto da voi che avete dovuto abbandonare
l'Italia per cercare dignità e lavoro. Auguri di cuore per la
migliore riuscita possibile per questa vostra impresa nata
tra mille difficoltà. E una promessa: vi verro' a trovare tra le
pagine di Aurora. Quando vorrete. Con un’intervista, un
pensiero. Buon lavoro compagni.
l’unità dei Comunisti
Lavoro e politica tra Rifondazione e PdCI
in Belgio e in Europa
di Mario Gabrielli Cossellu, segretario del Circolo PRC/SE - pag …
il 21 gennaio a Turnhout, in Belgio,
inaugurazione della sezione comune
PRC e PdCI pag.
Noi siamo convinti che il mondo, anche questo
terribile, intricato mondo di oggi può essere
conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al
servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua
felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova
che può riempire degnamente una vita.»
Enrico Berlinguer
CHIUSURA DEI CONSOLATIT
tempi duri per gli italiani residenti all’estero che si vedono privati di uno strumento
indispensabile per mantenere i rapporti con il loro Paese
di Ivan Surina
Per gli italiani che vivono all'estero fino ad ora i
consolati rappresentavano quella connessione tra
la "patria" di origine e il paese "ospitante". Il
consolato, con tutte le limitazioni che poteva
avere, era in poche parole ciò che ci faceva
sentire forse un po' più sicuri in una terra
straniera. Sto parlando al passato perché, alla
luce degli ultimi tagli, molti di noi perderanno
questa
sicurezza.
Poche
volte
nell'ultimo
decennio si è notato il comune intento tra i
governi che si sono succeduti di chiudere i
consolati per ragioni di "cassa". È veramente
strano che chi ci governa da un lato ci dia la
possibilità di esprimerci con il voto per il nostro
Paese e contemporaneamente chiuda l’istituzione
che lo rappresenta nelle nazioni in cui viviamo.
La rete consolare si avvale di 116 uffici e 79
cancellerie consolari (cifre intese prima della
chiusura), di queste il 52% in Europa, il18% in
America del Sud e il 12% in Nordamerica. Il
rapporto medio addetto-connazionale era, prima
della chiusura dei vari consolati, di 1/1.602 e per
ciò che riguarda il settore visti di 2/3.000 vistiaddetto (con punte di 1/6.200 nella sede di
Mosca). In questo contesto di insufficiente
rapporto impiegato-fruitore di servizi, la lista dei
consolati destinati alla chiusura, per ciò che
riguarda l'Europa, è abbastanza lunga. Le sedi da
sopprimere sarebbero venti e nel momento in cui
scriviamo alcune sono state già chiuse. Esse
sono: Berna, Esch sur Alzette, Innsbruck, Lilla,
Chambery, la rappresentanza per il disarmo a
Ginevra, Lipsia, Atene, Il Cairo, Bastia, Vienna,
Madrid, Smirne, Windhoek, Alessandria, Gedda,
Karachi. Questi sono i consolati del primo blocco,
una parte sarà sostituita con uffici consolari o con
consolati
"digitali"
nonostante
l’”analfabetizzazione” tecnologica degli italiani
emigrati di prima e seconda generazione che
corrispondono anche alle fasce di «bisognosi» .
Alcuni invece saranno sostituiti con "antenne",
ovvero con personale di altri consolati inviato a
seconda del caso e dello stato di necessità Il
personale assunto all'estero dei consolati che
chiuderanno, verrà trasferito nei consolati più
vicini.
Da qui si deduce che il risparmio si baserà sulle
mancate spese di affitto e sulla mancata
corresponsione dello stipendio del console. Alla
chiusura dei numerosi consolati che abbiamo
menzionato,
corrisponde
l'apertura
in
contemporanea di altri consolati in nuove
nazioni(vedi
repubbliche
ex
sovietiche
ed
asiatiche) là dove gli interessi degli imprenditori
italiani sono più rilevanti (Asia centrale) o dove la
richiesta di visti di lavoro è più elevata (es.
Moldavia). Ricordando che un visto parte da 35
ed arriva a 75 euro e che la richiesta di visti per
il 2007 è stata di circa 1.500.000 unità, è facile
capire di che cifre parliamo. Certamente, da
questo momento in poi, si passa da un consolato
con funzione di rappresentanza dei cittadini
italiani all'estero (presente dove essi sono in
maggior numero) e senza fini di lucro a un
consolato
obbligato
ad
"autogestirsi"
economicamente,
indipendentemente
dalla
rappresentanza italiana sul territorio. Il tutto è
pensato in funzione di un risparmio che
francamente non è immaginabile dato che
parliamo pur sempre di un pubblico servizio che il
nostro Paese dovrebbe assicurare e dato che
questo servizio è a pagamento (tranne che per le
fasce di italiani indigenti) .Probabilmente in
Europa ciò che più può risultare non necessario è
la rete delle ambasciate, inutili data la nostra
appartenenza all’Ue e la nostra presenza al
Parlamento europeo. Risulta difficile capire, dopo
quanto scritto, l’utilità della rete di ambasciate in
Europa, inutili “fagocitatrici” di capitali tra sedi,
personale
e
ambasciatori.
Soprattutto
è
incomprensibile questa volontà di risparmio
basata sulla chiusura di strutture indispensabili
per i connazionali che vivono all’estero,come la
rete consolare, per mantenere in vita una
struttura come quella delle ambasciate in Europa,
utile solo nel caso in cui si dovesse considerare la
distribuzione di poltrone ai vari «clientes» dei
governi che si sono succeduti. Insomma, anche
in questo caso le «decisioni» piovono sulle nostre
teste senza che neanche venga richiesto il parere
delle strutture di rappresentanza elette sui
territori e riconosciute tali dal nostro Paese
(Comites,CGIE).
BERLUSCONI CI ODIA !
TAGLI DEL GOVERNO
PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO:
Tagli pari a 50 milioni di euro contenuti nella
Finanziaria del 2009 concepita da un
esecutivo che continua a palesare la più
totale indifferenza nei confronti delle
tematiche di carattere sociale.
I seguenti capitoli mostrano nel dettaglio
quanto ci leva il governo Berlusconi:
Capitolo 3103: ridurrebbe i contributi
previsti per i Comites da 3.074.995 euro a
2.540.042 euro e i contributi destinati ad
associazioni ed enti da 2.274.000 euro a
1.000.000 di euro
Capitolo 3121: i contributi previsti per la
tutela dei connazionali poveri passerebbero
da 28.500.000 euro a 10.777.047 euro
Capitolo 3122: i contributi relativi alle
attività ricreative e informative passerebbero
da 3.250.000 euro a 996.000 euro
Capitolo 3153: i contributi destinati ai
settori educazione, scuola e cultura
passerebbero da 34.000.000 di euro a
14.500.000 euro.
Qui sotto le false promesse di Berlusconi durante la scorsa campagna elettorale.
Dopo neanche 5 mesi, la promessa fatta qui sotto è stata disattesa.
„Vi sosterremo con sempre maggior impegno e cercheremo di
intensificare il vostro legame con la madrepatria affinché
siate fieri della vostra italianità“
UNITÀ COMUNISTA
Lavoro e politica tra
PRC e il PdCI a Bruxelles,
in Belgio e in Europa
di Mario Gabrielli Cossellu,
segretario del Circolo PRC/SE "Enrico Berlinguer"
Bruxelles-Belgio e responsabile di InformazioneComunicazione PRC/SE Europa (ottobre 2008)
È con grande soddisfazione che diciamo che da
oltre due anni le organizzazioni locali a Bruxelles e
in Belgio del Partito della Rifondazione
Comunista/Sinistra Europea (PRC/SE) e del Partito
dei Comunisti Italiani (PdCI) stanno lavorando
insieme, a partire dai primi contatti diretti e
operativi in occasione delle vittoriose elezioni
politiche del 2006. Già molte cose sono state fatte
in diverse iniziative anche pubbliche, proprie o in
partecipazione e cooperazione con altre
organizzazioni italiane e internazionali, quasi
sempre con buon successo e ripercussione – una
lista
riassuntiva
si
può
vedere
su
http://www.rifondazione.be/ucb_ci_bruxelles.html.
Tutto questo è molto importante e tante altre cose
stiamo facendo e progettando: ma non si tratta
certo di un “fare per fare” o solo di un modo per
affermare la nostra presenza, rappresentatività e
riferimento sul territorio come organizzazioni
politiche della sinistra comunista nei confronti sia
dei nostri concittadini italiani all'estero e degli
agenti locali, sia dei nostri stessi referenti politici in
Italia. Si tratta anche e soprattutto della messa in
pratica di un'idea e di un progetto politico molto
chiaro e condiviso tra noi: l'utile e necessaria unità
di azione tra chi fa politica come comunisti,
orgogliosi di esserlo e di essere conosciuti e
riconosciuti come tali e agire di conseguenza, a
tutti i livelli.
Negli ultimi mesi si sono succeduti avvenimenti
gravi e significativi, con l'esperienza diretta di
governo dei nostri partiti comunisti, la sconfitta
elettorale e il ritorno al potere delle destre con le
loro peggiori componenti fasciste, razziste e
capitaliste. Il conseguente momento di incertezza o
addirittura di sbandamento che hanno sofferto, tra
gli altri, anche il PRC e il PdCI ha trovato uno
sbocco nei rispettivi congressi dell'estate 2008, che
hanno dato dei risultati chiari a favore della
permanenza e del rilancio dell'alternativa
comunista in Italia, per un'opposizione forte e
intransigente ai poteri dominanti – politici,
economici, culturali, militari – e aprendo la strada a
possibili percorsi di unità a sinistra, ivi compreso
quello del recupero dell'unità tra i comunisti,
appoggiato da un gran numero di compagne e
compagni dei nostri partiti. Perché si è d'accordo
che i comunisti, e il loro patrimonio di identità,
analisi, strumenti, entusiasmo, esperienze e lotte,
sono una parte necessaria e imprescindibile – anche
se non sufficiente – della sinistra alternativa,
anticapitalista, altermondista per “un altro mondo
possibile e necessario” basato sull'abolizione dello
sfruttamento della persona sulla persona e
sull'ambiente, sulla giustizia sociale e tra i popoli,
sulla pace, sullo sviluppo equilibrato e sostenibile:
tutti temi che, se oggi possono apparire in regresso
in Italia e anche in Europa sotto l’offensiva delle
destre, del populismo e della frammentazione
sociale, non lo sono in una prospettiva più ampia a
livello mondiale. Una prospettiva più adeguata
d'altra parte, perché lo scontro di classe e la lotta di
liberazione non possono essere circoscritti a
specifiche realtà nazionali, come ci dimostra la
valenza delle esperienze in America Latina per
esempio, così come dei movimenti sociali autogestiti
e alternativi.
Coscienti di questo quindi, anche nel nostro “piccolo”
e anche in circostanze spesso sfavorevoli, noi del PRC
e del PdCI a Bruxelles e in Belgio abbiamo voluto e
vogliamo mettere in pratica queste idee, a tutti i
livelli, cominciando dalle nostre organizzazioni locali in
un lavoro comune che minimizzi i nostri punti deboli
ed esalti quelli forti. Cominciando e sviluppandoci
dagli aspetti più immediati e quotidiani del contatto e
conoscenza diretta tra le compagne e i compagni, che
anche se con delle “tessere diverse” si trovano
facilmente molto vicini e prossimi in tutti i sensi come
“compagni” appunto, parola bellissima e densa di
significati per chi la vive veramente e non come un
vuoto slogan; fino ai progetti sviluppati insieme,
nell'organizzazione,
nelle
mobilitazioni,
nell'informazione e diffusione, nei “grandi
appuntamenti” (come le elezioni, nazionali e locali o le
campagne) come nel giorno per giorno, “facendo
politica” nel vero e migliore senso della parola.
Lavoriamo insieme come partiti comunisti senza
alcuna
ambizione
da
“mosca
cocchiera”,
naturalmente: siamo pienamente coscienti dei nostri
limiti, non fosse altro per le dimensioni ridotte delle
nostre organizzazioni all'estero e la scarsità delle
risorse materiali. Ma siamo coscienti anche dei nostri
punti di forza, vivendo in paesi e città diversi e molto
significativi, in comunità italiane spesso molto
avanzate e dotate, per la loro mai esaurita attenzione
verso l'Italia e allo stesso tempo per la conoscenza
vissuta di sistemi politici e sociali ben diversi da quello
italiano. Per questo diciamo che possiamo insomma
dare un importante “esempio positivo” di unità, di
lavoro e di conoscenza più ampia, internazionale e
internazionalista, mettendo a disposizione dei nostri
partiti e perché no, dei progetti di unità della sinistra
comunista anche in Italia, le nostre esperienze, idee
ed entusiasmo.
UNITÀ COMUNISTA
A COLLOQUIO CON
ROLANDO GIAI LEVRA,
DIRETTORE DI GRAMSCI OGGI
a cura di Massimo Congiu
1) Su quali presupposti si deve basare un
progetto di unità comunista?
Il fallimento dell’esperienza socialdemocratica
dell’arcobaleno ha dimostrato che senza un partito
comunista non esiste la sinistra in Italia. Senza
l’unità dei comunisti non esiste l’unità della sinistra
e senza i riferimenti ideologici, organizzativi e
simbolici del comunismo la gran parte dei lavoratori
orientati a sinistra perde la sua identità di classe e
resta impotente e disorientata di fronte alla
macchina del capitalismo. Ed è proprio quello che è
successo nelle ultime elezioni che hanno visto molti
lavoratori riversarsi nell’astensionismo o dare il loro
voto al PD e alle destre.
Siamo arrivati al punto che bisogna ricominciare a
ricostruire con pazienza ciò che le forze della
borghesia e del riformismo hanno distrutto, a
cominciare dalla ricomposizione dell’unità e
dell’autonomia dei comunisti e della classe operaia
attivando un processo di aggregazione dei
comunisti ovunque collocati, organizzati e non
organizzati a partire dai luoghi di lavoro e di
produzione, con un programma di classe nel
contesto del movimento comunista mondiale.
Non è un caso che l’appello del 17 aprile 2008
“Comuniste e Comunisti: cominciamo da noi”
abbia raccolto migliaia e migliaia di adesioni di
compagne e compagni che, nonostante il disastroso
risultato elettorale, hanno dimostrato che esiste
una forza nel Paese che vuole e che può ricostruire
un vero movimento autonomo-organizzato di classe
non subordinato ai gruppi dirigenti della sinistra in
generale, ma neanche a quelli del PdCI e del PRC.
In questa direzione si sono costituite diverse forme
di coordinamento con diverse assemblee di
“Comunisti Uniti” a livello nazionale tra cui anche
quello della Lombardia del 20 settembre, che hanno
cominciato a partecipare a iniziative pubbliche,
scioperi e manifestazioni come quella dell’11
ottobre a Roma. L’obiettivo è quello di lavorare per
raggiungere il momento politico più alto che sarà
l’assemblea nazionale per la costituente comunista
e mettere le basi, appunto, di un unico partito
comunista di massa nel nostro Paese.
2) Quali difficoltà vedi nella realizzazione di
un simile progetto?
Siamo in una fase di forte attacco economico e
politico portato avanti dagli industriali e dal governo
contro i lavoratori e i comunisti, con l’inesistente
opposizione del PD, UDC e IDV. Questa offensiva
passa anche attraverso l’ideologia che ha trovato
un valido sostegno anche nel fallito progetto de
“La sinistra l’arcobaleno” in quanto ha rafforzato
e non indebolito l’egemonia culturale delle classi
dominanti del Paese. Nonostante ciò c’è chi
ripropone, con un altro nome, la riedizione della
fallita esperienza arcobalenista. Questo fa ben
capire che siamo di fronte ad un piccolo ceto
politico molto debole, miope e irresponsabile
che, pur di sopravvivere e di riemergere, ha
deciso di mettersi a rimorchio del riformismo del
PD. In questa direzione va il progetto di
“rifondazione della sinistra” di Bertinotti,
Vendola, della SD, di una parte dei Verdi e di
altri che ormai da tempo hanno abbandonato
l’obiettivo strategico del superamento del
s i s t e m a
c a p i t a l i s t i c o .
Nello stesso tempo c’è da rilevare che una parte
degli stessi gruppi dirigenti comunisti tende a
non far decollare l’appello del 17 aprile; ma
piuttosto a rallentarlo o peggio a metterlo nel
dimenticatoio, come fa qualcuno. Questo è
emerso soprattutto nella fase successiva alla
conclusione dei due Congressi del PdCI e del
PRC. Da quel momento sono emerse alcune
interpretazioni verticistiche dell’”unità dei
comunisti” che, se attuate, condurrebbero i
comunisti alla subordinazione dei processi
riformisti e socialdemocratici che sono in corso
di attuazione. Infatti, c’è chi riduce il processo
dell’unità dei comunisti alla sola unità tra PRC e
PdCI, altri - con logiche di annessione - pensano
allo scioglimento dell’uno per assorbire l’altro,
altri ancora alla semplice realizzazione della
somma delle sigle con falce e martello in funzione
elettorale. Questi sono momenti politici del tutto
insufficienti che forse unirebbero i vertici, senza
risolvere il vero problema che è quello della
ricostruzione dell’organizzazione dal basso nei
luoghi di lavoro e che oggi le attuali organizzazioni
comuniste esistenti (PRC e PdCI) non sono più in
grado di realizzare. In definitiva, anche queste
soluzioni servono ad alcuni dirigenti che,
strumentalmente e senza alcuna convinzione,
usano la parola d’ordine “unità dei comunisti” per
autoricollocarsi.
Sul versante opposto e sempre nel campo
comunista, ci sono altre interpretazioni legate a
forme di massimalismo o schematismo che sono
altrettanto devianti dall’obiettivo principale. C’è chi
tende ad escludere a priori qualsiasi rapporto con i
gruppi dirigenti del PRC, del PdCI e di alcune loro
componenti interne perché sono considerati, al pari
di tutti gli altri dirigenti arcobalenisti, i
corresponsabili del fallimento della sinistra e dei
comunisti. Se questo in buona parte è vero, è
altrettanto vero che in quei due partiti sono
presenti tanti comunisti che hanno dato la loro
adesione anche individuale all’appello e che oggi
devono fare i conti internamente con i gruppi
dirigenti eletti nei loro congressi. Ecco perché, in
questa fase, è necessario interloquire non da
subordinati, ma su un piano politico di parità per
impedire di fare prevalere le logiche verticistiche e
burocratiche di partito o peggio le esigenze
soggettive di qualche dirigente.
3) Un percorso di questo genere presuppone
un'opera di rinnovamento interno alle forze
comuniste, secondo te in che direzione deve
avvenire quest'opera?
Il rinnovamento dev’essere generale, profondo, ben
articolato e su diversi terreni. Occorre riappropriarsi
del carattere e dell’identità di classe che dalla fine
degli anni ’70 è venuto a mancare sempre più
anche nel PCI, soprattutto dopo il suo
smantellamento fino ad arrivare ai giorni nostri.
Dobbiamo ricostruire la concezione comunista del
partito che non si riduce al fatto di avere il simbolo
della falce e martello o solamente di chiamarsi
comunisti. Faccio soltanto alcuni esempi:
1- la formazione teorica è fondamentale per tutti i
comunisti, soprattutto per chi viene chiamato a
svolgere funzioni dirigenti in un’organizzazione
comunista. Questo significa che la battaglia
culturale va portata anche dentro la fabbrica per
favorire la formazione teorica e politica di quadri
operai da inserire negli organi dirigenti a tutti i
livelli del futuro Partito Comunista;
2- le rappresentanze istituzionali nei Comuni, nelle
Province e Regioni e nel Parlamento devono essere
costruite in funzione degli obiettivi strategici di
classe di un partito comunista che lotta per il
superamento del capitalismo e per una società
socialista. In assenza di tali obiettivi e di una
concezione comunista su cui formare la
rappresentanza è avvenuto che i gruppi
parlamentari della sinistra, tra cui molti
comunisti, hanno visto nel Parlamento non un
mezzo di lotta per raggiungere obiettivi ben più
elevati, ma il fine stesso della lotta staccandosi
sempre più dalla realtà sociale. A lungo andare,
è penetrata una mentalità riformista anche fra i
comunisti che ha portato, poco alla volta, i
partiti comunisti a trasformarsi in strumenti
subordinati ai gruppi parlamentari e non
viceversa;
3- la necessità di ricostruire un indirizzo
sindacale di classe. Negli ultimi decenni, tale
questione si è trasformata in un tabù sul quale
non è stato più possibile intervenire perché
l’orientamento generale è stato quello di una
falsa autonomia del sindacato dai partiti. In
realtà, tale politica è risultata utile in passato
soltanto per liberarsi dal PCI e poi dai suoi eredi,
con lo scopo di emarginare il ruolo e la funzione
dei comunisti nel sindacato. In altre parole è
stata rivendicata l’autonomia dall’ideologia
comunista per aprire le porte a quella della
borghesia e nel corso di diversi anni questo
processo ha portato il riformismo ad essere
egemone e dominante nella più grande
confederazione sindacale di massa del nostro
Paese: la CGIL e ha creato le basi per la
concertazione
che
ha
portato
alla
subordinazione degli interessi dei lavoratori a
quelli degli industriali e dei loro governi.
Altri punti riguardano la vita interna degli attuali
partiti comunisti in cui sono saltati e scomparsi i
meccanismi della democrazia e del controllo interni
per lasciare spazio a forme leaderistiche e
burocratiche, a decisioni verticistiche prese in
cerchie sempre più ristrette sulla testa degli iscritti
nei partiti comunisti esistenti. E poi ci sono tanti
altri problemi che sono fondamentali per un partito
comunista come la visione internazionalista.
4) Inoltre occorre recuperare il rapporto con
l'elettorato di sinistra
Il rapporto con l'elettorato di sinistra può essere
ricostruito su alcuni obiettivi unificanti caratterizzati
dalla centralità della lotta per la difesa delle
condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori contro lo
sfruttamento capitalistico intorno alla quale
articolare le lotte per i diritti alla sanità e alla scuola
pubblica, per il diritto alla casa per tutti, per la
democrazia nei luoghi di lavoro e per la pace contro
l’imperialismo. Su queste basi è possibile ricostruire
un nuovo blocco sociale in cui stringere alleanze
politiche con tutte le forze di sinistra e comuniste
antagoniste al capitale e alternative al riformismo
del PD.
5) La sensazione è che la sinistra comunista
abbia ultimamente difficoltà a rappresentare
in modo adeguato le istanze che vengono dal
basso, almeno a livello generale. Tu come la
vedi?
Siamo in una fase in cui le classi dominanti e i loro
ceti politici hanno svolto e portato quasi a
compimento la distruzione di quasi tutte le
organizzazioni del proletariato e quindi vanno
analizzate le reali forze politiche e sociali in campo.
In questo senso è necessario tenere presente e
distinguere la condizione di debolezza in cui versa
l’opposizione di classe dei comunisti e della sinistra
antagonista dalla - altrettanto debole - opposizione
riformista e della sinistra socialdemocratica che non
sono antagoniste alle destre e al capitale. Detto
questo, non c’è alcun dubbio che le difficoltà a
rappresentare le istanze di base non sono soltanto
una sensazione, ma purtroppo una realtà, che
potranno
essere
superate
soltanto
con
un’alternativa progettuale, politica e organizzativa
di classe. I gruppi dirigenti dei due partiti che si
chiamano ancora comunisti e che insieme a S.D. e
Verdi hanno dato vita al fallito arcobaleno, come ho
già detto, hanno perso la loro presenza organizzata
nei luoghi di lavoro e quindi hanno perso del
tutto i ricettori vitali attraverso cui si
trasmettono tutte le istanze provenienti dalla
classe lavoratrice.
6) Un progetto di unità a sinistra ha
bisogno di una certa visibilità (come si
diceva prima c'è da ricostruire un rapporto
con l'elettorato) ottenibile attivando
determinati strumenti culturali e tecnici.
Parliamo di quelli linguistici da usare oggi.
Siamo in una condizione dominata dall’egemonia
culturale della borghesia e della sua variante
riformista. Nella loro guerra contro il
comunismo, sostenuta fino in fondo anche dalla
chiesa, essi utilizzano tutti i mezzi a loro
disposizione (televisioni, radio, stampa) per
sfornare dei falsi valori che non sono quelli del
lavoro e della solidarietà di classe, ma piuttosto
l’illusione, soprattutto tra i giovani, di poter
raggiungere mete irraggiungibili dalla classe
dominata. Soprattutto viene usata la tecnica
della menzogna e del falso per deformare la
realtà oggettiva e gli esempi sono tantissimi nel
nostro Paese e nel mondo. Con la stessa
metodologia viene deformata, falsificata e
revisionata la storia del movimento operaio, del
movimento comunista e della resistenza
antifascista. La borghesia investe ingenti capitali
per asservire certi intellettuali disposti a tutto in
cambio di denaro. Questa situazione ha trovato
un valido sostegno anche nelle tesi di certi
“illuminati” di “sinistra” (politici e intellettuali)
che hanno voluto mettere in soffitta le
esperienze del movimento operaio e comunista
del ‘900. Dopo i riformisti come Napolitano,
Occhetto, D’Alema, Fassino, Veltroni ed altri che
hanno distrutto il PCI, si sono messi in gara
anche Bertinotti e Cossutta responsabili del
fallimento della sinistra e dei comunisti negli
ultimi 15 anni.
Tutto ciò non giustifica il fatto che - a fronte di
una situazione di arretratezza culturale delle
masse - secondo alcuni, i comunisti dovrebbero
cambiare linguaggio, terminologia e parole che
fanno riferimento esplicito al comunismo e al
marxismo. Questo modo di vedere, rientra
oggettivamente nelle logiche di Bertinotti che
recentemente ha dichiarato che “il comunismo è
indicibile”.
Seguire
questa
tendenza
significherebbe per i comunisti tralasciare la
battaglia ideologica, accodarsi alla parte più
arretrata delle masse e disperdere la loro
identità abbandonando totalmente le masse
nelle mani nel riformismo.
Parole come classe, sfruttamento, plusvalore,
capitale, lavoro, contraddizione, lotta di classe,
comunista, egemonia, socialismo che in
apparenza non vengono recepiti, esprimono dei
concetti ben precisi alla cui base vi è la realtà
oggettiva materiale dello sfruttamento e non
una realtà virtuale come quella riportata dalle
televisioni e dalla stampa borghese. I comunisti
devono saper rilevare le contraddizioni reali della
società a cominciare dall’analisi delle classi e della
realtà della lotta di classe per far coincidere la
teoria con la pratica e trasformare la realtà
materiale.
7) Torniamo al rapporto con l'elettorato e, più
in generale, a quello con l'opinione pubblica:
come gestire, da comunisti, le numerose e
irrazionali paure che pervadono la gente e che
vengono usate dalla destra?
Con la verità. Ad esempio con la lotta per abbattere
una concezione che da decenni ormai viene imposta
dalla cultura dominante per nascondere lo
sfruttamento e creare volutamente delle artificiose
divisioni tra lavoratore italiano ed immigrato, tra il
lavoratore a tempo indeterminato e quello precario
o con la discriminazione tra il lavoratore e la
lavoratrice. Bisogna riuscire a portare alla luce il
dato reale che sta alla base del comune
sfruttamento attuato dal capitale sul lavoratore
italiano e su quello immigrato i quali, non bisogna
dimenticarlo, sono soggetti entrambi alla
concorrenza che è determinata dalle stesse leggi
economiche che regolano tutte le merci nel mercato
capitalistico e non dal fatto che uno è italiano e
l’altro è extracomunitario. Quindi, la lotta per l’unità
tra i lavoratori passa attraverso l’acquisizione di
una nuova coscienza in grado di stabilire che il
lavoratore italiano e quello immigrato appartengono
alla stessa classe sfruttata dallo stesso padrone il
quale è il comune nemico di classe di entrambi i
lavoratori. È evidente che - fino a quando
mancherà l’azione politica dei comunisti e della
sinistra antagonista - per creare tale condizione
di unità tra i lavoratori, le destre, fomentate da
campagne giornalistiche pilotate, continueranno
strumentalmente ad utilizzare le paure popolari
per creare un clima generale di xenofobia e
razzismo che ritorna molto utile a dividere i
lavoratori e rafforzare il potere dei capitalisti.
8) L'unità della sinistra comunista è anche
un modo per dire che la svolta della
Bolognina è stata un errore?
In realtà, “la sinistra l’arcobaleno” che si era
costituita come un “grande” progetto di unità
della sinistra nell’autunno del 2007, ha voluto
rappresentare il tentativo di proseguire la svolta
iniziata con la Bolognina. Ovviamente, date le
debolissime forze in campo, questa mini svolta
avrebbe dovuto servire a completare l’opera
iniziata da Occhetto - che non a caso era
presente, insieme a Ingrao e Cossutta - per
buttar fuori definitivamente i comunisti dalla
scena politica del nostro Paese e lasciare il
campo
totalmente
libero
alle
forze
socialdemocratiche e riformiste. Ma la “geniale
regia” di Bertinotti insieme alla gran parte del
gruppo
dirigente
arcobalenista hanno
doppiamente fallito, perché non sono riuscite, ed
è questa la cosa più importante, a cancellare
definitivamente la presenza organizzata dei
comunisti dallo scenario politico italiano e
contemporaneamente hanno fatto fallire sul
piano della rappresentanza istituzionale, oltre i
comunisti,
tutta
la
loro
sinistra
socialdemocratica. L’unità e l’autonomia
comuniste, rappresentano più che mai una
necessità oggettiva e sono il solo modo per
affermare che la svolta della Bolognina era
sbagliata in quanto ha realizzato la distruzione
del Partito Politico della classe lavoratrice del
nostro Paese.
9) Conclusioni?
Gramsci ci ha insegnato che un Partito
Comunista deve essere una parte organica della
classe e non una sua rappresentazione
esteriore, deve munirsi della teoria marxista e
deve essere una parte integrante di un
movimento comunista più generale a livello
internazionale. Senza un Partito Comunista con
queste caratteristiche non esiste la possibilità
per la classe lavoratrice di lottare per la propria
emancipazione sociale e giungere al potere per
liberarsi dallo sfruttamento del capitalismo.
Credo che non ci sia alternativa a questa
prospettiva che resta la strada maestra da
seguire e da percorrere per i comunisti che
vogliono ricostruire un unico Partito Comunista
di massa ancora più forte di tutte le esperienze
che ci sono state fino ad oggi. La strada è lunga
e molto difficile ma è possibile!
seconda fase di campagna, nell’auspicio che il ritorno
di fiamma del Governo verso l’intervento dello Stato in
economia (vedasi i miliardi di sterline investiti per
salvare il sistema bancario) spinga Brown a rivedere la
sua proposta.
La Sanità britannica a
rischio privatizzazione
opo aver resistito al furore riformista della
ady di ferro il settore sanitario britannico è
ostretto a subire nuovi assalti
Simone Rossi
el febbraio 2008 il Governo di Gordon Brown ha
resentato una proposta di riforma del National Health
ervice (NHS), con l’intento dichiarato di migliorarne
efficienza e di creare poli socio-sanitari.
sistema sanitario pubblico si basa essenzialmente su
ue livelli: il medico di base, chiamato General Practice
le strutture ospedaliere. I medici di base possono
perare singolarmente o in ambulatori dove è presente
ersonale paramedico di supporto agli stessi.
ttualmente ci sono 8.261 GP sparsi per il territorio
ell’Inghilterra, di cui 1.546 nella sola capitale, Londra.
el corso dei suoi sessant’anni di vita il GP è divenuto un
unto di riferimento per i cittadini britannici perché
ermette l’instaturarsi di un rapporto diretto medicoaziente; per questo motivo è sopravvissuto alle varie
rivatizzazioni e ristrutturazioni avviate da Margareth
hatcher e proseguite, non con meno entusiasmo, dai
uoi successori, di ogni colore. Il Ministro della Sanità,
ord Darzi, ha lanciato una proposta di riorganizzazione
he nasconde l’insidia di una progressiva privatizzazione
el sistema sanitario nazionale. Negli intenti del governo
è l’accorpamento dei GP in strutture denonimate
oliclinici, in cui opererebbero fino a 25 medici di base,
cuni specialisti e personale paramedico, dove i pazienti
otrebbero ricevere alcuni servizi attualmente offerti
alle strutture ospedaliere. Un primo effetto sarebbe la
hiusura di circa 1.700 studi medici, il 60% dei quali
ella sola Londra. Questa riorganizzazione del servizio di
ase sarebbe funzionale all’ingresso di quote di capitale
rivato nel servizio sanitario, dal momento che grandi
mbulatori sarebbero più appetibili alle aziende operanti
el settore che non una moltitudine di piccoli studi,
pesso gestiti da un singolo medico; la gestione sarebbe
ffidata con contratti a breve termine, di fatto
endendola frammentata e soggetta a continui
ambiamenti.
in dalle prime settimane sono sorti comitati, a livello
cale e su scala nazionale, contro questa proposta di
forma: l’associazione britannica dei medici (BMA) ha
nciato una petizione che nel corso di un mese ha
accolto il sostegno di oltre 1,3 milioni di cittadini,
reoccupati per la chiusura degli ambulatori e per la
erdita del rapporto medico-paziente. Questa
mobilitazione ha prodotto come primo risultato un
arziale ripensamento del governo che ha riconosciuto
mportanza della presenza capillare dei GP là dove la
carsità di mezzi di trasporto renderebbe, ma ha dato il
a libera ai primi contratti di gestione ai privati. Le
mobilitazioni continuano e la BMA ha lanciato una
SCUOLA
AUTUNNO DI PROTESTA
La politica economica del Canton Ticino negli ultimi
anni ha visto dei controsensi enormi; sono dieci anni
che ci dicono che i soldi non ci sono e che di
conseguenza dobbiamo fare qualche sacrificio e
accettare i tagli che ci vengono imposti. Nel 2004
l’onorevole Gendotti ha però detto che si sta
raschiando il fondo del barile e che ulteriori tagli
porterebbero ad un peggioramento della nostra
istruzione, quindi la scuola non sarebbe più stata
toccata: parole di circostanza dette per tenere buoni
studenti e opinione pubblica. Se a ottobre abbiamo
ancora manifestato è anche perché chi di dovere non
ha mantenuto le sue promesse. Le casse pubbliche
non hanno grossi problemi economici e anche se non
tagliassimo sulla scuola non ci sarebbe una vera
necessità di risparmiare questi soldi altrove; ma il
Consiglio di Stato ha deciso che per fine legislatura
bisogna pareggiare il bilancio cantonale. Il Cantone
non è una SA, e non deve perseguire lo scopo
dell’utile, anzi, lo stato si indebita anche per poter
offrire un servizio alla popolazione. Quello che
rivendichiamo non sono unicamente più soldi per
l’istruzione di noi giovani: sappiamo certamente che
maggiori
somme
di
denaro
non
portano
automaticamente ad un miglioramento della qualità
dell’insegnamento. Quello che vogliamo è una scuola
più democratica, senza nuovi tagli che sono antisociali
quanto pedagogicamente distruttivi. È un diritto degli
studenti quello di essere coinvolti nelle decisioni che
riguardano un mondo nel quale viviamo e di cui siamo
il cuore pulsante. È ora che il Governo ci ascolti e
prenda in considerazione le rivendicazioni
studentesche.
Così, nel corso dell’autunno non sono mancate
iniziative finalizzate a dare visibilità al malcontento
diffusosi nelle scuole, come dimostra lo sciopero
svoltosi a Bellinzona il 15 ottobre scorso, quando più di
un migliaio di studenti ha manifestato contro la politica
economica e scolastica del governo. Il buon esito della
protesta, in termini di partecipazione, dimostra che il
SISA (Sindacato Indipendente degli Studenti e
Apprendisti) ha un importante seguito tra i giovani,
cosa che le autorità dovrebbero cominciare a tenere
presente.
Il Comitato centrale del SISA
http://www.sisa-info.ch
ritenuto più importante frenare i conservatori.
Cambierà mai questa situazione calcolando che i
giovani non si fanno coinvolgere dalla politica o in
caso contrario si fanno coinvolgere dall’estrema
destra? Con sorpresa ho però scoperto che i
giovani di sinistra, così restii a farsi coinvolgere da
una struttura come un partito, si attivano quando
si tratta di movimenti. Perché esiste un Social
forum, con tanti movimenti tematici e non, dove
esiste una componente giovanile la cui convinzione
è quella di partire dal movimento per costruire un
forte partito di sinistra. È con questa idea che è
nata, nel settembre 2007 l’Unione della sinistra
giovanile (FiBU), piccolo movimento organizzato da
una trentina di giovani ungheresi di diversa
formazione culturale e politica che si definiscono
comunisti, pur condannando la tradizione del
passato, che definiscono il loro movimento
marxista e prendono come personalità ispiratrici
del movimento Lenin, Che Guevara, Gandhi, la
Luxemburg, Bakunin. Lo scopo del movimento è di
contribuire a costruire un’unione delle forze di
sinistra antagonista ed alternativa dialogando con il
Social forum, con gli altri movimenti e piccoli partiti
come il Partito del lavoro 2006, piccolo partito
comunista scissosi dal Partito comunista ungherese
Nasce
il
movimento
giovanile
di
sinistra
del lavoro. Scissione effettuata a sinistra
autonomo
legato
al
Munkaspárt
2006,
la
ovviamente.
sinistra che mancava nella Terra danubiana
LA SINISTRA
GIOVANILE
UNGHERESE
Il FiBU guarda ad una sinistra moderna, europea,
di Attila Trasciatti
giovanile, che riesca a coinvolgere gli under 30, a
Se pensiamo alla sinistra ungherese al più informato prendere parte attiva nel dibattito politico.
verrà in mente János Kádár oppure la repressione
sovietica (definita anche repressione comunista da
alcuni italiani) delle sommosse del ’56. Se qualcuno è
veramente tenace ed intende informarsi attraverso
internet, troverà che la “sinistra” in Parlamento viene
rappresentata dal Partito socialista ungherese e
dall’Alleanza liberaldemocratica. Potrà anche osservare
che entrambi i partiti, di governo peraltro, hanno una
visione molto liberista dell’economia, molto simile a
quella del PD italiano. Se qualcuno è ancor più tenace,
si va ad informare su quali forze di sinistra siano
presenti fuori dal Parlamento.
Qui troverà il Partito comunista ungherese del lavoro,
che altro non è che l’immancabile partito conservatornostalgico di impostazione rigida ed antica che, non
pago di ciò, ha istituzionalizzato un accordo con il
movimento fascista Conquista della Patria 2000 ed
intende effettuare la stessa cosa con i conservatori e il
Partito democratico cristiano popolare per quanto un momento dell’incontro (foto András Bakó)
concerne le elezioni europee prossime. Il partito
comunque non supera lo 0.5, dopo che dal ’90 è Dalla base non sono ovviamente esclusi i più
precipitato continuamente dal 4.32.
“anziani”, poiché l’appellativo di giovane non
riguarda la componente di base, ma la concezione
A questo punto, l’interessato si convincerà del fatto di sinistra stessa. Ovvero una sinistra che in
che non esiste una sinistra in Ungheria. Ma sarà così? Ungheria probabilmente non è mai esistita, che si
È possibile che non esistano i movimenti? Un Social ispira al Die Linke tedesco, alla Izquierda Unida
forum? O persone che si definiscono di sinistra o spagnola o a Rifondazione e Pdci, partiti
comuniste? Partiamo da questi ultimi.
quest’ultimi, con i quali ha anche iniziato un
dialogo. Un’altra ancor più importante novità nel
Persone che si autodefiniscono di sinistra o comuniste panorama politico della sinistra alternativa, è la
esistono, ma: non vanno a votare o non partecipano nascita del movimento Cartha Sociale 2008.
attivamente alla vita politica poiché profondamente
delusi oppure votano il Partito Socialista poiché è
Questo movimento si è presentato al pubblico il primo
maggio di quest’anno ed è organizzato ed ideato da
personalità ed intellettuali ungheresi di sinistra che
non si riconoscono nelle forze parlamentari, come per
esempio il filosofo Tamás Gáspár Miklós. In seguito si
sono uniti quasi tutti i movimenti e partiti di sinistra,
come il Partito socialdemocratico, il Partito del Lavoro
2006 o il FiBU. Far dialogare queste forze tra loro è un
primo passo per costruire quello che in futuro potrebbe
essere un partito unico che possa puntare alla storica
entrata in Parlamento dal quale la sinistra è sempre
stata esclusa.
organizzato con l’intento di bocciare l’intera politica
riformatrice dell’esecutivo su iniziativa del Fidesz,
principale forza politica dell’opposizione che da anni
si distingue per il suo populismo e per i periodici
ammiccamenti alla destra antisemita e razzista.
L’abbandono della coalizione da parte dell’Szdsz è
avvenuto quando il premier ha deciso di congedare
il ministro liberaldemocratico Ágnes Horváth. Ciò
ha determinato la decisione del partito di ritirare i
suoi ministri dal governo a partire dal 30 aprile
scorso senza però negare l’appoggio esterno
all’esecutivo per evitare le elezioni anticipate.
Il motore principale della Charta Sociale è il rifiuto
delle politiche neoliberiste in tutte le loro forme e
derivazioni. Intende prendere parte attiva alla vita dei
movimenti a livello nazionale ed internazionale e nello
stesso tempo, condanna la tradizione del passato e le
sue esperienze, non bollandole però come male
assoluto, prendendo come esempio il sistema di stato
sociale pre ’89.
Insomma, a quanto pare, dopo 20 anni di silenzio e
disorganizzazione, la sinistra, quella vera, si sta
organizzando e si sta preparando ad approdare sulla
scena politica come unica vera novità politica degli
ultimi quindici anni. Credo che siamo a un un punto in
cui il panorama politico ungherese sta andando a
modificarsi, vista anche l’esigenza di avere una
sinistra, poiché dall’89 a oggi, anche l’Ungheria ha
cominciato a vivere quel processo capitalista che tende
ad eliminare le garanzie sociali, che crea
disoccupazione, diminuisce il potere d’acquisto.
E dopo 20 anni, comincia a rafforzarsi la convinzione
generale che le forze politiche attuali, non solo non
sono capaci di migliorare la situazione, ma anzi, ne
sono la causa. L’unica risposta a ciò è una sinistra
degna di questo nome. sinistra che ora c’è.
Gyurcsàny (foto Google)
QUADRO POLITICO
I SOCIALISTI DI
FRONTE ALLA CRISI
di Massimo Congiu
In Ungheria c’è attualmente un governo di minoranza
formato dai socialisti (Mszp) e guidato da Ferenc
Gyurcsány. La situazione venutasi a creare è stata
determinata dal referendum del 9 marzo scorso vinto
in modo netto dall’opposizione. La consultazione
popolare riguardava la soppressione del ticket di un
euro per le prestazioni mediche ed ospedaliere e della
tassa scolastica nelle università.
Oggi il paese è alle prese con la crisi finanziaria
internazionale che ha colpito il fiorino e
determinato cali continui in borsa. Il primo ministro
ha di recente convocato un vertice con partiti,
sindacati e altre istituzioni, chiedendo una
cooperazione nazionale per realizzare un
programma a medio termine. Il vertice è stato,
però, un fallimento, nel senso che l’opposizione si
rifiuta di collaborare e addebita al primo ministro la
responsabilità della situazione critica nella quale si
trova l’Ungheria.
Nel frattempo il Fondo monetario internazionale ha
concesso al Paese un credito pari a 20 miliardi di
euro, il che evita il rischio del crollo della moneta
locale. In cambio il governo si impegna a effettuare
nuovi tagli nel settore delle pensioni e a congelare
lo stipendio dei dipendenti statali. La recessione è
evidente: i licenziamenti sono già iniziati e la
disoccupazione aumenta. Gyurcsány mostra di
Tali costi erano stati introdotti dal governo, formato in
origine dai socialisti e dai liberaldemocratici (Szdsz), gestire abilmente la crisi ma le riforme che intende
realizzare sono bloccate.
come parte di un progetto di riforma riguardante i
settori sanità e scuola. Il referendum era stato
ALLA FIERA
DELL’EST
DELL’UNIVERSITÀ
Anche l’Ungheria della scuola si pone il problema
di come conciliare efficienza ed equità e
contrastare chi vorrebbe far prevalere il primo
parametro. Il dibattito è aperto e le opinioni si
confrontano
di Alessandro Grimaldi
C’è stato un caldo lunedì di metà settembre in cui i
locali e le strade di Budapest erano insolitamente
affollati da frotte di ragazzi rumorosi, fuori insieme per
festeggiare l’inizio del nuovo anno accademico che si
spera meno tormentato del precedente.
quasi, e un lavoro di responsabilità presso il
National Geographic Channel. “Questo sistema
andava difeso” dice “certo, la prima laurea
dev’essere gratuita, ma la seconda no, io già
lavoravo e mi sono pagata gli studi.”.
La destra ungherese, conservatrice, promotrice del
referundum, invece, ha avuto vita facile
nell’attaccare il governo con accenti nazionalistici,
fallendo però nell’ottenere le sue dimissioni: “Le
scuole devono essere statali e indipendenti e ad
ogni scuola deve essere data l’opportunità di
appartenere allo stato. È una questione collegata
alla coesione e alla identità nazionale” ha dichiarato
Sándor Lezsák, portavoce alla camera del Fidesz,
principale partito dell’opposizione.
Meno tormentato dell’anno scorso, quando, come
ultimo atto della lunga altalena tra misure di rigore
neoliberista per il riequilibrio dei conti pubblici e la
salvaguardia dei diritti sociali acquisiti che ha avuto
luogo in Ungheria negli ultimi anni, il governo
Gyurcsány ha approvato un pacchetto di riforma
dell’istruzione superiore, il cui fiore all’occhiello era la
reintroduzione di tasse di iscrizione in un sistema
universitario ancora sostanzialmente pubblico.
Ma all’università gratuita gli ungheresi non hanno
voluto rinunciare. Alla domanda: “Siete d’accordo che
gli studenti delle università pubbliche siano esentati
dal pagamento di tasse universitarie?”, presente nel
referendum del 9 Marzo scorso unitamente a due
quesiti sulla sanità, l’Ungheria ha votato con una
percentuale schiacciante a favore della gratuità
dell’istruzione superiore. E questo non ha stupito. Per
dirla con le parole di Katalin Szili, autorevole membro
dell’opposizione interna da sinistra dell’MSZP: “allo
Stato non deve essere consentito di abbandonare un
settore come l’istruzione a cui il mercato di per sé è
inadatto. È troppo importante per il successo di una
nazione e quindi impossibile lasciarlo in mano ai
privati, perderemmo così l’accesso all’istruzione per
tutti”.
I privati già ci sono, eccome, nelle università
ungheresi, industrie e privati sono presenti in misura
sempre maggiore nel finanziamento dell’università:
fanno ordinativi per ricerche e consulenza di esperti,
finanziano borse di studio, pagano gli stipendi di alcuni
docenti come parte di contratti, senza contare le
numerose scuole religiose e college privati con
programmi molto specifici o i corsi di specializzazione a
pagamento già presenti nelle grandi università
pubbliche.
Ma in questo sistema ha potuto farsi strada nella vita
Maria P., una situazione familiare difficile in una
piccolo paese vicino Miskolc, un padre violento. Dalla
più tenera età in affidamento presso una coppia di
anziani, poi gli anni del liceo in collegio a Debrecen, ad
est, dove i professori le dicevano di scegliere un liceo
più facile, più adatto a lei. Ora Maria ha due lauree
(cosa non rara in Ungheria, in lettere e filosofia e
marketing), non ha avuto il massimo dei voti, ma
Università Corvinus di Budapest (foto Alessandro
Grimadi))
Qualche dubbio però l’ha avuto anche Maria nel
voto: l’Università si è sempre più riempita di tanta
gente che si laurea mettendoci il doppio degli anni.
Non è giusto e appesantisce tutta la struttura e la
qualità dei numerosi servizi ancora offerti
all’interno delle università e il sistema delle borse
di studio (sui 200 euro) che gli studenti più
meritevoli ricevono negli ultimi anni di frequenza.
Problema che i referendari, l’organizzazione degli
studenti e la conferenza dei rettori, sono d’accordo
a contrastare con un sistema di crediti utili a
raggiungere e ottenere l’esenzione, si calcola che
questo ridurrà a un terzo gli studenti
effettivamente liberi da pagamenti.
Il vicerettore della celebre Università Corvinus,
Ildikó Hrubos, ha così commentato:
L’istruzione universitaria di massa osservata in
tempi recenti ha causato serie difficoltà in molti paesi
europei. E quello finanziario è il tema principale, dato
che i governi non riescono a sostenere la pressione
sociale data dall’aumento degli studenti e a finanziare
il sistema per un numero così elevato di universitari.
In Ungheria, come in altri paesi dell’Europa CentroOrientale, la situazione è stata ulteriormente
aggravata dal fatto che l’aumento della popolazione
universitaria si è verificata a partire dal 1990, ed è
stato straordinariamente veloce, in un concomitante
periodo di profonda crisi economica. I governi hanno
introdotto da allora varie riforme del sistema
universitario, la più recente delle quali è la cosiddetta
“Bologna System”, che contemplava anche
l’introduzione delle tasse universitarie. La ragione
dell’opposizione a tale riforma (manifestata nel
referendum di Marzo) è dovuta in parte al fatto che la
riforma era poco coerente in sé ed è stata per questo
oggetto di critiche da molti versanti. In più le tasse
universitarie sono l’elemento più sensibile e
impopolare e hanno incontrato resistenze in molti
paesi europei.
Come in Italia, i problemi finanziari si ripercuotono
sulla capacità di premiare docenti e ricerca, lo stato
concede stipendi al limite del ridicolo, chi può va
all’estero come ricercatore o come visiting professor,
inaridendo il livello formativo.
‘’Da un lato questo effettivamente”, dice la Hrubos, ci
rassicura sul fatto che il nostro sistema prepara molto
bene i giovani. Fin quando questi poi tornano in patria
il fenomeno è positivo, perché ritornano con maggiore
esperienza professionale. Qualche università ed istituto
di ricerca ha recentemente tentato di riprendere questi
giovani ricercatori offrendo loro programmi speciali e
personalizzati ed una buona carriera. La libera mobilità
dei lavoratori, comunque, è uno dei principi
fondamentali dell’Ue. E noi dobbiamo accettare anche
le sue conseguenze.’’
L’altro grosso problema che si cercherà di affrontare e
che affligge la nostra concezione di istruzione
accademica è la scarsa preparazione al mondo del
lavoro dei laureati europei, frutto di una concezione
“Europea” di università che favorisce la conoscenza
contro l’estrema specializzazione dei paesi
anglosassoni. Secondo la Hrubos ‘’Il ruolo della
preparazione accademica e professionale non è ancora
completamente risolto nel sistema ungherese e la
transizione al Bologna system non è la soluzione. Il
dibattito è aperto. Una possibile via d’uscita è la
separazione tra triennio e biennio e il lancio di corsi
indipendenti dai programmi accademici classici.
Tuttavia, il concetto che ogni corso di laurea debba
preparare gli stumenti per il mercato del lavoro
probabilmente è sbagliato. Una buona parte delle
aziende predispone il training degli impiegati al proprio
interno, autonomamente.’’
Di recente ho incontrato per caso un conoscente,
matricola alla BME, il politecnico di Budapest, che si
affaccia maestoso sul Danubio, di fronte agli splendori
liberty dell’Hotel Gellért. Era martedì, il secondo giorno
della sua vita accademica, ci siamo incontrati per caso
sulle scalinate che portano in facoltà, aveva la faccia
triste, anche il suo era un problema serio. “Ho seguito
un’ora di lezione noiosa” mi fa.
RIDIMENSIONATA
LA DESTRA DI KLAUS
di Massimo Recchioni
Alle elezioni regionali svoltesi lo scorso ottobre,
l’Ods, il partito di centro-destra del presidente
Vaclav Klaus ha subito una disfatta che è andata
oltre le peggiori previsioni. Il test elettorale ha
premiato l’opposizione socialdemocratica (CSSD)
che ha imperniato la campagna elettorale sulla
lotta alla privatizzazione della sanità fortemente
voluta dal governo. Il Partito comunista (KSCM) si
conferma terza forza politica del paese, mentre i
Verdi, che fanno parte dell’esecutivo di centrodestra, perdono voti.
Da più parti, all'interno della stessa maggioranza e
della stessa Ods, si chiedono a gran voce le
dimissioni del governo, che sembra sempre avere i
giorni contati. Poi alla fine ce la fa sul filo di lana.
Ma per quanto ancora ?
L’esecutivo gode infatti di una maggioranza di 100
deputati su 200 e si regge grazie a due transfughi
socialdemocratici che votano con la destra.
Delusione, quindi, per Klaus, noto per il suo
radicalismo antiecologista e antieuropeista. Lo
scorso anno aveva dichiarato al congresso
statunitense che l’ecologia è la dittatura del XXI
secolo in quanto, ponendo dei limiti ambientali,
non consente una reale espansione dell’economia.
Il successore di Havel è, inoltre, l’unico capo di
stato della Ue che si rifiuta di issare la bandiera
dell’Unione sul palazzo presidenziale malgrado i
suoi connazionali, a suo tempo, si siano espressi in
modo favorevole all’ingresso nell’Organizzazione
avvenuto il primo maggio del 2004. Per Klaus
questo non è un argomento sufficientemente
valido. Il presidente ceco continua imperterrito a
palesare la sua allergia all’Unione europea e ai suoi
simboli. Per ora il governo ha superato per un solo
voto la richiesta di sfiducia. Ma non sarà sempre
domenica ... due deputate verdi minacciano di
uscire da un momento all’altro dalla maggioranza.
Alcuni fedelissimi di Klaus – unico presidente di una
repubblica presidenziale che partecipi ai comizi
elettorali del suo partito! - vorrebbero fondarne ora
uno nuovo, in quanto essi, e lo stesso presidente,
ritengono l’ODS troppo benevolo nei confronti
dell’Europa, nonché ormai troppo poco di destra.
RAI, PER TUTTI, DI PIÙ!
FIRMA LA PETIZIONE:
Per ELIMINARE IL CRIPTAGGIO / OSCURAMENTO dei programmi della RAI
per gli Italiani all'estero
Per un TELEGIORNALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO
Per la produzione di PROGRAMMI SPECIFICI DA E PER GLI ITALIANI
ALL'ESTERO
FIRMA PERCHÈ LA RAI SIA VERAMENTE PER TUTTI, DI PIÙ!
Il Comitato Promotore che lancia questa PETIZIONE RAI è formato da cittadini italiani residenti
in diversi paesi europei da anni, e che hanno deciso di prendere un'iniziativa "dal basso" per fare
sì che il servizio pubblico radiotelevisivo della Rai sia veramente per tutti e di più, compresi
quindi anche gli Italiani all'estero.
Infatti, praticamente da sempre, gli Italiani all'estero siamo considerati dei cittadini di seconda
categoria dalla Rai, dato che molti programmi - sportivi e non solo - non sono per noi accessibili
perchè criptati e oscurati; e dato che non esistono dei programmi specifici per gli Italiani
all'estero, per esempio un "Telegionale" come quelli regionali di Rai 3, o altri programmi prodotti
da e per gli Italiani all'estero.
In questi anni ci sono state molte iniziative e prese di posizione su questa intollerabile
situazione, da parte di diversi esponenti politici, ma non sono mai andate oltre la mera
testimonianza e hanno ottenuto sempre delle risposte di circostanza, interlocutorie,
inconcludenti, che non hanno mai risolto il problema.
E allora vogliamo far sentire forte e chiara la voce degli Italiani all'estero, quelli che veramente
si trovano tutti i giorni con questo problema, per reclamare finalmente una soluzione efficace e
duratura. Attraverso una firma che faccia sentire la nostra presenza per difendere le nostre
richieste, e attraverso una serie di attività di informazione, di diffusione e di manifestazione
pubblica del nostro sentire.
Perchè abbiamo tutto il diritto di essere considerati dei cittadini italiani a tutti gli effetti, anche
riguardo al servizio radiotelevisivo pubblico della Rai!
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1. L'eliminazione dell’oscuramento o criptaggio di programmi trasmessi dalla
RAI, siano essi sportivi (calcio, automobilismo, etc.), così come film, serie
televisive o documentari, fuori dalle frontiere nazionali, come del resto
avviene in altri Paesi.
2. La creazione di una redazione del TG3 per i residenti italiani nelle 5
Circoscrizioni Estero che elabori un “Telegiornale degli Italiani all'Estero”,
del tipo del “Telegiornale Regionale” di RAI 3.
3. Un adeguamento culturale con la produzione, la programmazione e
diffusione di programmi specifici per noi Italiani all’estero, con l’impegno
delle Autorità italiane locali per la rappresentazione e la difesa degli interessi
delle Comunità Italiane.
Questi problemi si pongono in modo specialmente urgente per noi Cittadini
Italiani residenti in Europa, in quanto non coperti dal segnale di “RAI
International”; ma hanno valenza per tutti gli Italiani all'estero.
PETIZIONE RAI : P e r u n a R A I p e r T u t t i , d i P i ù .
Stanchi, e irritati, di ricevere ormai da troppo tempo un servizio televisivo della
RAI di qualità scadente, limitato per la distribuzione via cavo ad un solo canale,
con programmi spesso inaccessibili perchè oscurati o criptati;
Tenuto conto della grande importanza per le Comunità Italiane all'estero della
comunicazione televisiva dal punto di vista culturale, linguistico ed informativo,
come fondamentale legame con il proprio riferimento cultuale di origine;
Ricordando che la missione della RAI come servizio pubblico è per tutti gli
Italiani, dentro e fuori i confini nazionali;
NOI CITTADINI ITALIANI RESIDENTI IN EUROPA,
Da restituire a:
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Radar e missili in
Repubblica Ceca e Polonia
Ne va della sicurezza dell’intera Europa
di Massimo Recchioni
In un’intervista alla televisione ceca della scorsa
primavera, il premio Nobel per la pace 2003
Shirin Ebadi aveva affermato che non esiste l a
minima possibilità di un attacco missilistico
dell’Iran contro la Repubblica Ceca e gli stati
europei in generale.
„Non c’è mai stata una situazione del genere in
passato e non vedo motivo per cui ci d e b b a
essere in futuro.“ – sostiene la Ebadi – „In u n a
situazione di questo tipo credo non ci sia cosa
migliore che chiamare i cittadini a decidere
attraverso un referendum“. E qui arrivano l e
note dolenti. Di fatto per ottenere l’istituto
referendario in Repubblica Ceca, attualmente
non previsto, c’è bisogno di più passaggi a l
Parlamento e della maggioranza dei 3/5 a l
Senato,
trattandosi
di
una
modifica
costituzionale.
La
proposta
di legge
dei
comunisti ha superato un passaggio e poi si è
persa, quella dei verdi riposa nelle code d e i
calendari parlamentari. Quindi, nonostante i
sondaggi esprimano la contrarietà di oltre i d u e
terzi della popolazione ceca, questa non avrà,
almeno sulla carta, voce in capitolo.
La gente tutta, ma in particolare
quella
residente intorno a Brdy, luogo
che sta
diventando tristemente famoso perché scelto
per l’installazione, non riesce a capire. Non
riesce a capire perché, dopo l’entrata della
Repubblica Ceca nella NATO, questa b a s e
dovrebbe
essere
installata
unilateralmente
dagli americani. Non riesce a capire perché, s e
il pericolo ventilato sono non i missili russi m a
quelli dei Paesi islamici integralisti, la richiesta
di installazione di una base del genere s i a
stata fatta prima
(e rifiutata)
non
solo
all‘Ungheria, ma al Canada!, che proprio sulle
rotte iraniane non si trova…. Gli stessi servizi
segreti cechi affermano che, da quando si parla
dell’eventuale installazione della base, c’è u n
rifiorire di spie e di attività di servizi stranieri
che non si ricordava dai tempi della guerra
fredda. Ed il colonnello generale Solovstov,
comandante delle forze missilistiche strategiche
russe, dice che sarà inevitabile, in caso d i
realizzazione di un sistema del genere (che
prevede anche 10 missili intercettori), puntare i
missili russi contro di esso. Inoltre, altre fonti
militari russe sostengono che, nell’eventualità
dell’arrivo di un missile nei pressi delle basi e
del tentativo di intercettamento, è praticamente
impossibile distruggerlo senza conseguenze
per l’atmosfera, per la superficie terrestre e per
gli abitanti di un enorme cerchio intorno a
quelle zone. Per questo anche il premier
slovacco si è dichiarato più volte sorpreso d e l
fatto che la decisione sullo „scudo“ non s i a
stata mai discussa né con l’Unione europea,
dove verrà installato, né con la NATO, della
quale i due stati fanno parte, né con la Russia,
stato confinante.
Nei mesi scorsi, su proposta della Russia stessa,
una commissione mista ha fatto finta di valutare
soluzioni alternative, ma gli americani si s o n o
„stranamente“ sempre dichiarati contrari.
„Il problema vero“ – aveva detto ancora il premio
Nobel S. Ebadi – „è un altro. La gente di questi
due Paesi dovrebbe avere il diritto di decidere s e
la politica estera del proprio stato debba essere
completamente assoggettata alle direttive USA o
no“. Non è stato così né lo sarà.
Due pareri autorevoli e interessanti, entrambi
recentissimi. Il primo è dell’economista americano
Jeffrey
Sachs,
direttore
dell’Earth
Institute
all’Università Columbia
di New York,
nonché
consulente del segretario generale dell’ONU. Egli
afferma che intanto la Russia potrebbe sentirsi
provocata
dall’installazione
delle
basi
in
Repubblica Ceca e Polonia, come si sentirebbero
gli Stati Uniti se qualcuno costruisse loro u n
apparato del genere davanti casa. Dice inoltre che
la tecnologia usata potrebbe in ogni caso g i à
essere obsoleta e quindi il sistema di difesa
comunque facilmente aggirabile.
Morale della
favola, da qualsiasi
parte la si guardi,
si
tratterebbe di uno spreco di miliardi e miliardi d i
dollari. Sachs crede e spera che la prossima
amministrazione che si insedierà alla Casa bianca
in gennaio faccia marcia indietro sul progetto.
Il secondo parere è di parte russa. In u n a
recentissima
intervista
rilasciata
a
Bruxelles
all’agenzia ceca _TK, l’ambasciatore russo presso
la NATO Dmitrij Rogozin afferma che quello che il
governo ceco nasconde alla popolazione è che,
dal punto di vista strategico, non esiste differenza
alcuna tra sistema di difesa e di attacco. Infatti è
valido, secondo Rogozin, il teorema per cui il
rafforzamento di un sistema di difesa preesistente
o la creazione di un sistema di difesa nuovo,
rendono automaticamente l’eventuale sistema d i
attacco
preesistente
più
debole.
Con
la
conseguenza che quest’ultimo si deve adeguare a l
primo. Questo significa che la differenza tra
teorica offesa e difesa resta comunque invariata,
ma ad un livello sensibilmente più alto e quindi
molto più rischioso per la sicurezza internazionale
di quanto non fosse in precedenza.
Radar nella Repubblica Ceca, una partita politica
Topolanek sostiene l’installazione dei radar ma la posizione di Obama al riguardo è ambigua.
L’ultima parola verrà pronunciata dal parlamento ceco nella seconda metà di gennaio
di Jakub Hornacek
Dopo neanche un mese, il movimento contro la costruzione della base USA in Repubblica Ceca è tornato in
piazza. Lo ha fatto in occasione dell’anniversario della rivoluzione di velluto in modo diverso da quello dei
politici istituzionali. Mentre questi, il 17 novembre, davano luogo a celebrazioni caratterizzate da una
retorica trionfante, sottolineando la differenza tra il passato regime autoritario e quello attuale a loro dire
libero e democratico, il movimento scendeva in piazza per evidenziare le contraddizioni dell’attuale
democrazia irrispettosa dell’opinione dei cittadini e aggressiva verso coloro che si oppongono ai potenti ed
ai governi di turno. Vale la pena ricordare che la maggioranza della popolazione è contro la costruzione
della base ma il governo ceco va avanti come se nulla fosse avendo dietro la stragrande maggioranza dei
media cechi, che parteggia - nonostante la proclamata indipendenza e neutralità - apertamente per la
realizzazione del radar. Non è poi così raro che esponenti della maggioranza e dei media dipingano gli
oppositori della base come "agenti segreti pagati dalla Russia", "facinorosi", "autoritari e antidemocratici" e
– termine per essi estremamente peggiorativo - come "comunisti.
Dal 21 ottobre - data dell’ultima manifestazione del movimento “Ne zakladnam” - al 17 novembre non sono
cambiate molte cose nella Repubblica Ceca. Va comunque notato che il 26 ottobre è cominciato l’iter
parlamentare per la ratificazione degli accordi tra la Repubblica Ceca e gli USA riguardo alla costruzione del
radar a 60 chilometri da Praga. L’accordo è stato approvato dal Senato ceco, per poi passare alla Camera a
fine gennaio, cioè, dopo l’insediamento di Obama alla Casa bianca, insediamento che potrebbe avere
un’influenza tutt’altro che marginale sull’intero progetto. Questo è, inoltre, un segno delle difficoltà del
governo, insicuro rispetto alla tenuta della sua risicata maggioranza.
Tuttavia cose ben più interessanti sono accadute all’estero. Prima di tutto, si diceva, l’elezione di Obama alla
presidenza degli Stati Uniti. Obama si è espresso in maniera ambigua sulle basi che fanno parte del sistema
di difesa anti-missili USA. Ha infatti detto che le sue priorità sono altrove ma che il sistema potrà continuare
a esistere a patto che funzioni e che non crei ulteriori spaccature internazionali. Al momento sembra che il
sistema anti-missili non soddisfi queste due pre-condizioni. Inoltre c’è da segnalare la critica fatta a tale
sistema addirittura da Berlusconi che lo ha definito come una provocazione contro la Russia e del presidente
francese Sarkozy, che punta ad una strategia di sicurezza condivisa tra l’Unione europea e Mosca. Inoltre,
visto che le potenze hanno davanti il faticoso compito di "rifondare il capitalismo", forse cercheranno di
smussare gli angoli delle loro diatribe per arrivare ad un accordo internazionale sulla finanza mondiale. In
questo quadro il dispiegamento delle basi in Repubblica Ceca e in Polonia potrebbe essere cancellato o
rimandato ad un futuro più lontano.
Il movimento ceco cercherà di attraversare le contraddizioni che si sono aperte in questi ultimi giorni e che
fanno apparire il governo ceco del premier Topolanek come l’ultimo mohicano a favore del radar americano.
Cercherà inoltre, in collaborazione con altri movimenti europei - come quello italiano del No dal Molin - di
esercitare pressioni sulla nuova amministrazione USA e sul congresso americano affinché venga rivisto il
piano della presenza americana in Europa: un’eredità pesante e per molti versi scomoda dell’era Bush che la
nuova amministrazione vorrebbe o dovrebbe cancellare.
STORIE
DELL’EMIGRAZIONE
di Massimo Recchioni
Le storie dell’emigrazione
sono infinite. L e
motivazioni che hanno spinto, dal '900 ad oggi, i
nostri connazionali a lasciare il loro Paese n o n
sono infinite, ma non sono neanche poche c o m e
si potrebbe
pensare.
Certo,
ve n’è
una
fondamentale, ed è la ricerca del lavoro che n o n
c’era e che non c’è. La ricerca di un futuro
migliore per se stessi e le proprie famiglie. A
volte la ricerca di un futuro... e basta. Che in
Italia non c’era. E pare oggi non esserci d i
nuovo.
Ci sarà tempo, in questa rubrica, di parlarne
molto, ricordando però anche che molti le loro
storie non potranno raccontarle. Non solo quelli
che ad esempio sono morti a Marcinelle o nelle
altre tragedie dello sfruttamento, ma tutti quelli
che, raggiunta l’età della pensione, si s o n o
ritrovati sempre e comunque stranieri nel p a e s e
d’adozione che in realtà non li aveva adottati
mai, ma solo spremuti. Un po‘ come fa ora il
nostro con i lavoratori stranieri. Li spreme e a l
contempo non li vuole.
E quindi tra il fare la fame in un paese straniero
o nel loro, hanno preferito la seconda ipotesi.
Molti di essi sono tornati. Tutti comunque vivono
oggi, sia qui che lì, con pensioni vergognose.
Ma ci sono anche motivazioni „minori“ che hanno
spinto gli italiani a cambiare aria. Poche volte gli
affari, a volte l’amore, tante volte motivazioni
politiche. Come non pensare alle migliaia d i
„maccheroní“
oppositori
e
perseguitati
dal
fascismo? Tra le ondate di emigrazione verso
l’estero ce n’è stata una, nei primi anni d e l
dopoguerra, di ex-partigiani che hanno visto l a
libertà del loro Paese, per la quale avevano
combattuto e tanti loro compagni erano morti,
sbeffeggiata.
Perché i processi si facevano in tribunali nei quali
i giudici non erano affatto cambiati. E l e
sentenze su coloro che avevano infangato il
Paese - e lo avevano condotto, passando per l a
repressione e le leggi razziali, ad una guerra
infame
ed
al
crimine
assoluto
–
erano
regolarmente
di
assoluzione.
Molti
hanno
accettato questo verdetto. Alcuni – e parliamo d i
alcune centinaia – non lo hanno fatto ed hanno
deciso di fare quello che la giustizia non aveva
fatto. Dopo aver compiuto le loro „vendette“,
centinaia di persone trovarono riparo all’Est.
Alcuni in Jugoslavia, altri in Unione Sovietica,
molti in Cecoslovacchia.
La storia con cui
abbiamo deciso di inaugurare questa rubrica è
quella di Luigi Colombo, esponente della f a m o s a
Volante Rossa. Di recente delegazioni dell’Anpi
di Carpi e Modena, guidate da Bruno Tirabassi una persona che ha dedicato tutta la sua vita
affinché la Storia e la Memoria si conservassero
intatte - sono arrivate qui e sono andate a
raccogliere, per farne
un documentario,
le
testimonianze dei pochi superstiti di quell’ondata
„maledetta“. Ho avuto il piacere di assistere a
incontri di persone che non si vedevano da oltre
trent’anni, di assistere ai loro ricordi e d i
ascoltare le loro storie.
la storia
di Luigi Colombo
Luigi Colombo è un uomo distinto, ben piazzato,
ancora forte, di circa un’ottantina d’anni. L o
incontro nel ristorante di Bratislava in cui ci
siamo dati appuntamento, io arrivo 5 minuti
prima, ma lui è già lì.
Facciamo
le presentazioni,
ci sediamo
ed
ordiniamo qualcosa, poi comincio a fargli qualche
domanda. Lo vedo reticente all’inizio, mi dice
che tante persone gli hanno chiesto del s u o
passato e lui ormai si era abituato a non parlare
con nessuno, almeno con chi non sapeva niente.
Abituato da anni di diffidenza nei confronti d i
chiunque, anche degli amici, chiunque poteva
essere una spia o riferire in malo modo qualcosa
detta anche con significato diverso. Mi parla d i
un giornalista scozzese che recentemente, chissà
come, è riuscito a trovare il suo numero e lo h a
ripetutamente
chiamato
per
chiedergli
un
appuntamento, stava scrivendo un libro. E lui s i
era sempre fatto negare. Ma pian piano m i
accorgo che qualcosa succede, forse scatta
qualcosa e lui comincia a raccontare fatti che h a
tenuto dentro per troppo tempo. Per e s e m p i o
che si era avvicinato, giovanissimo, sul finire
della guerra, alla Volante Rossa, formazione
nata da alcune „Brigate Garibaldi“ nel periodo
bellico, ma che dopo il 25 Aprile non aveva
smobilitato.
Era
rimasto
nell’organizzazione
paramilitare fino al 1949, quando avvennero i
fatti per cui fu condannato
in contumacia
all’ergastolo. Per sciogliere il ghiaccio, comincio
con qualche domanda dal tono curioso.
Si legge in giro che voi della V.R. compraste un
camion militare americano.
„Certo, era un’asta e c’ero anch‘io. Riuscimmo,
in modo più o meno regolare, ad aggiudicarcelo
noi. Anzi, ricordo che partecipai personalmente
con 10.000 lire, che erano bei soldi allora, Non
ricordo se lo pagammo 110 o 120. C o m u n q u e
quel camion lo rimettemmo completamente a
nuovo, ci dipingemmo
le nostre insegne e
diventò il nostro simbolo indistruttibile“.
So che è difficile farlo in poche righe, quali fatti
della tua vita ti sono rimasti maggiormente
impressi ? Mi riferisco alla tua vita qui, dopo la
fuga dall’Italia alla fine degli anni quaranta.
„Ma ce ne sono anche molti che ricordo in Italia.
Quello che facevano gli agenti dell’Ovra, quello
che i fascisti e i tedeschi facevano al campo
Giuriati di Milano, cosa fecero a tanti miei amici,
ad Eugenio Curiel. Guarda che „prima“ del 2 5
Aprile la lotta di Liberazione l’ho fatta anch’io, in
una Brigata Garibaldi. Poi, dopo le elezioni d e l
1948, lo sdoganamento di tanti fascisti che
tornarono in circolazione. Le elezioni del 1 8
aprile del 1948 servirono anche a questo. C o m e
per dirci che la Resistenza l’avevamo fatta, ora
grazie ma le cose erano cambiate.“
E qui invece ? Per esempio hai ritrovato qui
qualcuno che conoscevi da prima ?
„Sì, qualcuno sì, qualcuno coinvolto negli stessi
fatti per i quali ero fuggito io, qualcuno per altri.
Ma anche gente che con noi non c’entrava nulla,
che
aveva
approfittato
del
momento
per
sbrigarsi
le
sue
vendette
personali.
Nella
confusione del momento, il Partito si trovò
costretto ad aiutare anche loro. Comunque, tra
quelli
che
incontrai
qui
c’era
il
nostro
comandante, il tenente Alvaro, scomparso a
novembre. Non siamo rimasti in molti, anzi...
Cos’altro ?
Quello che successe a tanti di noi. Ho letto che s i
è molto scritto di compagni che sono entrati
nella Radio cecoslovacca, in una sezione in
lingua italiana che si chiamava „Oggi in Italia“. Lì
ci entravano i più colti ? Mica è vero, c’è entrata
gente colta dopo, gente che con noi cosiddetti
politici non aveva niente a che fare. Ma di noi ci
entrarono quelli che avevano un peso politico
maggiore, il tenente ad esempio, ma anche
delle
conoscenze.
C’erano
ad
esempio
i
compagni di Modena, mi ricordo che avevano u n
trattamento
particolare,
non
si
sapeva
esattamente perché. Ma eravamo tanti, quelli
che facevano i giornalisti erano davvero in pochi.
Ne ho conosciuti tanti - non voglio dire tutti - che
stavano in fabbrica, molti nei campi delle
Cooperative agricole morave, altri nelle miniere
di Ostrava e dintorni. Ogni tanto organizzavamo
feste o raduni da tutta la Cecoslovacchia che ci
davano modo di fare sia conoscenza, sia il punto
della situazione. E si leggevano i bollettini, gente
che non ce l’aveva fatta, qualcuno si era
suicidato. E si davano, ai meno raggiungibili,
notizie da casa, di genitori che se ne erano
andati, di mogli che si erano
stufate
di
aspettare. È stata dura.“
Per quanti anni non hai avuto contatti con la tua
famiglia ?
„Molti. Ricordo quando nel ’62 arrivarono le m i e
sorelle Angelina e Margherita a trovarmi, m i
portarono questo anello, lo vedi ? Ci sono le m i e
iniziali vere. E un po‘ di regali, e una copia d e l
Corriere della sera e una del Corriere milanese.
L’ho preparata qui sul tavolo, aspetta“. Tira fuori
un pezzo di giornale di un colore giallo sporco, è
un giornale di 45 anni fa. C’è la foto di tre
cubani con una barba di 30 centimetri. In quella
foto non c’è certamente lui.
Il titolo recita „Fra i barbudos di Fidel Castro i tre
sparatori della Volante Rossa“, e della foto d e i
tre si può dire davvero di tutto meno che siano
italiani. Il titolo del Corriere milanese parla d e i
„pistoleros“, non c’è foto alcuna e dice che i tre
si starebbero per trasferire a Cuba.
Quanto rimanesti a Cuba ?
„Più o meno un anno, lavorammo ognuno nel
campo di specializzazione, io nel settore delle
ricerche geologiche, che era una dipendenza d e l
Ministero dell’Industria e il Ministro cubano era
allora Che Guevara. Lavorammo a campionare il
terreno intorno a Santiago de Cuba, a due passi
da dov’erano, e sono ancora, gli americani. C i
trovammo benissimo, non si mangiava affatto
male, c’era abbondanza di frutta di ogni genere;
sai rispetto ai cibi grassi ai quali ci eravamo
abituati qui…. Un compagno si sposò e rimase lì,
tornò in Cecoslovacchia, con tanto di moglie e
figlia, diversi anni dopo….. ora loro sono a C u b a
e lui purtroppo non c’è più. Comunque, tornando
a Cuba, fu davvero un’esperienza positiva.“
Poi ci fu il ’68, l’anno dei cosiddetti riformatori.
„Sì, bisogna riconoscere che la cappa calata sui
cittadini di questo Paese poteva essere in alcuni
frangenti opprimente. Ad esempio, mi ricordo l e
trafile che bisognava fare quando un cittadino
cecoslovacco andava in giro da qualche altra
parte, per studio, per lavoro. O anche la moglie
cecoslovacca di uno di noi. Questa specie d i
burocrazia non so se abbia più aiutato a
proteggere lo Stato socialista o gli abbia fatto
più male. Ma è anche vero che in questa ed altre
acque si tuffarono come pesci quelle forze
socialdemocratiche riformiste, anche se nei nostri
ambienti erano molto forti sensazioni e notizie
che fossero i servizi segreti
occidentali
a
finanziare tutto. Sta di fatto che non si ebbe il
tempo per valutare quali cambiamenti e di quale
portata ci sarebbero stati con Dub_ek. Voglio dire
che non è tutto oro ciò che luccica, e chissà dove
saremmo arrivati se si fosse proseguiti su quella
strada. Ora io non so neanche se la situazione s i
poteva risolvere senza l’intervento delle truppe
del Patto di Varsavia. Sai, dare giudizi ora è
facile, ci sono stati periodi storici in cui si stava
da una parte o dall’altra. Se non ci si è passati,
non lo si può capire. Questo vale anche per i
fatti del dopoguerra che sono all’origine di tutta
la mia storia. Perché se prendi un evento storico
e lo sradichi dal suo contesto, quell’evento p u ò
sembrare completamente diverso“.
Quindi sei potuto andare in Italia ?
„Certo, anche se non lo feci subito. Aspettai
qualche mese, cercai diverse conferme, e l a
certezza di potermi presentare in Consolato
senza che mi trattenessero. Dovetti prima fare l a
trafila per avere il permesso di soggiorno con il
mio nome vero, poi andai in Consolato per
registrarmi e farmi fare il passaporto.“
„Anni più tardi, era il 1988, sarei andato in
pensione e lo Stato socialista mi avrebbe seguito
di lì a non molto. Vedi questa, è la fotocopia d i
una poesia che tengo a casa incorniciata. L a
scrissero i miei colleghi di lavoro e me l a
regalarono il mio ultimo giorno di lavoro. Avevo
60 anni.“ Traduco la poesia e mentre la leggo
vedo nei suoi occhi una commozione
che
contrasta con i temi ed i toni di quanto mi h a
raccontato finora.
Non ti è mai venuto il dubbio di ritornare a casa,
intendo in Italia ?
„No, davvero no. Ripeto che qui mi sforzavo d i
sentirmi a casa e dopo il primo periodo difficile
mi sono quasi ambientato.
Certo in Italia
cominciai ad andarci più spesso e volentieri.
Comunque ho sempre pensato che è quella casa
mia.“
Cosa è cambiato ora qui, al di là del fatto che
Cecoslovacchia e Muro non esistono più ?
„Eravamo giovani,
avevamo
un sogno
nel
cassetto e negli anni avevamo visto questo
sogno assumere i contorni di un’esperienza reale
con tutti i difetti dei quali solo i sogni s o n o
sprovvisti. Ho visto con amarezza gente che d e l
socialismo se ne infischiava, che approfittava
della sua posizione per farsi i cavoli propri, m a i
quelli della gente comune. Ma una cosa la p o s s o
dire con certezza e non temo di essere smentito.
La classe operaia difficilmente in altre parti d e l
mondo ed in altri periodi storici starà meglio d i
come stava qui fino al 1989. Il sindacato
esisteva per organizzare le ferie dei lavoratori,
tanto i lavoratori stavano bene. Questo Stato che
si dice fosse così duro non fu abbastanza duro
da costringere le persone a lavorare e uno Stato
che paga tutto e non produce alla fine chiude.
Tutti avevano una baita per le vacanze, abbiamo
ancora oggi i residui di un’istruzione e di u n a
sanità pubblica invidiabili, anche se, ahimè, pian
piano si sta smantellando tutto. Prendi me per
esempio.
Arrivato con le elementari,
sono
arrivato a diplomarmi.“
Sta per uscire un libro che racconta la tua storia,
quanto c’è di vero ?
„Ho pagato i miei conti con la giustizia, ho fatto
30 anni da fuggiasco quando qualcuno se l’è
cavata, restando in Italia, con molto meno. Ora
a tutti gli effetti sono un cittadino come chiunque
altro. Trent’anni dopo la Grazia che mi f u
concessa, ho ottenuto la totale riabilitazione. H o
letto negli ultimi anni tante bugie, ho sentito
chiamare assassini personaggi, come Francesco
Moranino - che qui ebbi modo di conoscere - che
tanto avevano
contribuito
alla
Liberazione.
Venendo a mancare i protagonisti, si cerca d i
riscrivere la storia. La mia, in questo senso,
credo possa essere un contributo interessante.“
I MILLE VOLTI DEL PERÙ
Viaggio nel profondo di un paese segnato dalla repressione
di Luca Di Mauro
Le righe che seguono non hanno la pretesa di
costituire un saggio sul panorama politico
peruviano ma piuttosto una serie di violente
impressioni ricavate durante un mese e mezzo
di viaggio attraverso il Paese. Le cose viste ed
ascoltate tuttavia, danno un quadro parziale
dunque, ma vivo ed immediato di uno dei paesi
meno conosciuti e più difficilmente comprensibili
del continente sudamericano.
Per raggiungere Nazca da Arequipa prendiamo
un "carro popular" (autobus autoctono), volendo
assicurarci posti abbastanza comodi e nella
parte anteriore del mezzo prenotiamo i biglietti
con ventiquattro ore di anticipo ma è tutto
inutile: finiamo nei penultimi sedili. La fila dietro
di noi è occupata da cinque donne, sedute e
stese su pacchi e pacchi di incerto contenuto
che occupano i loro sedili, i ripostigli soprastanti
ed il corridoio. Una sesta si è di fatto creata un
posto tra le due file e siede su una pila di valige
accanto a noi (quest'ultima emana, diciamo
così, un odore intenso). Ovviamente non
funzionano le luci personali (per leggere o
prendere appunti) e noi appariamo fin troppo
turbati dalla realtà (umana troppo umana) che
ci circonda. Vedendoci palesemente a disagio,
incuriosite da noi e desiderose di rompere il
ghiaccio le donne ci rivolgono la parola: sono
tutte venditrici ambulanti che da Arequipa vanno
a Lima a smerciare per strada i loro prodotti:
non hanno messo le loro mercanzie nel
portabagagli dell'autobus nella speranza che,
sedendosi sopra alle balle di merce, riusciranno
ad eludere, in parte, i controlli della dogana tra
una regione e un'altra. Sono anche sconvolte
perché la notte precedente una loro "collega",
nel tentativo di opporre resistenza ai doganieri,
è stata coinvolta in un incidente avvenuto
all’autobus (la dinamica esatta non sanno o non
vogliono spiegarcela) ed è morta a 28 anni
lasciando una figlia di 12.
Anche loro sono di tutte le età, dalla più vecchia
con un impronunciabile nome quechua alle più
giovani (Karin e Katherine) che a 15 e 16 anni
ancora vanno a scuola ed accompagnano
occasionalmente le madri.
Ci chiedono, in caso di controllo, di aiutare ad
occultare le balle, garantire (ma per questo
basta la nostra presenza di stranieri) che i
doganieri non diventino troppo rudi e, se
necessario, di fotografarli. Per fortuna arrivati al
posto di blocco nessuno sale sull'autobus e le
nostre vicine riprendono il viaggio visibilmente
sollevate.
Per il resto ci parlano di loro e ci chiedono di noi,
sono esasperate dal carovita (il nove agosto uno
sciopero generale avrebbe coinvolto tutto il paese
sul tema senza che tuttavia ne uscisse alcun
segnale politico chiaro) lodano la rivoluzione
indigenista di Evo Morales in Bolivia e
stigmatizzano la sinistra filo-industriale e
filoamericana al governo in Perù. A noi chiedono
come viviamo, dicono ogni dieci minuti di volersi
infilare nei nostri zaini, l'Europa (in particolare la
Spagna) è una delle poche speranze di salvezza
per i poveri peruviani ma ovviamente i costi di un
volo sono inarrivabili. Non riescono a credere in
nessun modo che gli stati europei paghino gli
studi degli studenti meritevoli: questo in America
Latina non succederà mai e solo le famiglie dei
milionari (che hanno pochi figli) riescono a farli
studiare fino alla fine. Loro tuttavia sono
pienamente consapevoli dell’importanza delle
scuole e, quando ci parlano continuamente dei
sacrifici e dei rischi che affrontano in queste notti,
guardano le ragazze sedute al loro fianco e dicono
di farlo per loro.
Per finire ci cantano una loro canzone tradizionale
e chiedono a noi di fare lo stesso: scegliamo
"Katiusha/fischia il vento", rappresentativa di
entrambi i paesi (viaggio con la mia ragazza
russa), applauditissima nonostante la nostra
pessima esecuzione.
La notte di viaggio è, in effetti, rappresentativa
del contatto avuto col popolo peruviano e della
sensazione di incapacità, anche dopo un mese e
mezzo di permanenza nel paese sudamericano, di
comprendere tutte le sfaccettature della
situazione politica nazionale, divisa tra un
malcontento palpabile e generalizzato ed un
nazionalismo trionfalistico e ostentato che,
coinvolgendo senza distinzioni tutti gli strati della
popolazione, narcotizza le voci di dissenso che
provano ad opporsi ad un governo che coincide
con lo Stato.
È strano immaginare, soprattutto in America
Latina, un paese in cui gli abitanti non sanno dire
al forestiero se il governo è di destra o di sinistra,
un paese dove la quasi totalità della popolazione è
l’oggetto diretto della più turpe ingiustizia sociale
ma nello stesso tempo, la stessa stragrande
maggioranza, approva senza distinzioni i metodi
repressivi spesso ciechi ed inutili usati dallo Stato
non solo contro il terrorismo ma contro qualsiasi
opposizione non rientri negli schemi che anni di
politica controllata dall’esterno hanno ormai
consolidato. Eppure il Perù è tutto questo; il
partito Aprista (teoricamente socialdemocratico,
in realtà filo-statunitense ed al servizio del
latifondo, fin dall’origine anticomunista) è al
potere praticamente da sempre, se si eccettua la
cripto-dittatura di Alberto Fujimori (1990-2000)
che, con una combinazione di liberismo,
repressione dittatoriale e corruzione elevata a
sistema molto simile a quella sperimentata da
Pinochet in Cile, è riuscito ad annichilire non solo
la lotta armata cieca e dogmatica di Sendero
Luminoso ma anche qualsiasi voce di dissenso si
opponesse a questa via andina al capitalismo
triste e stracciona. Mentre il resto dell’America
Latina viveva il proprio risveglio negli anni ’70, il
Perù rimaneva politicamente sonnacchioso e
maturava i germi della stagione di sangue che
avrebbe caratterizzato il decennio successivo. I
governi succedutisi al potere seguivano alla
lettera le indicazioni dei Chicago Boys ed Abimael
Guzmán Reynoso, un anonimo professore di
filosofia di Arequipa, fondava il Partido Comunista
de Perù – Sendero Luminoso, un’organizzazione
armata di stampo maoista-polpottista che, in
nome di una supposta rivoluzione culturale,
avrebbe imposto col sangue, per oltre un
decennio, un consenso esteriore alle popolazioni
povere delle Ande che, secondo la lucida analisi
dello stesso fondatore, dovevano rimanere nella
povertà e nell’arretratezza fino all’instaurazione
del socialismo per non perdere nulla della loro
carica rivoluzionaria.
Il fatto poi che quasi ogni straniero catturato
fosse passato per le armi come spia del
capitalismo paralizzò completamente il turismo,
annichilendo l’enorme potenziale archeologico
della regione andina e condannando alla fame ed
alla monocoltura della coca i contadini delle
montagne.
Con queste premesse, anche il ben più generoso
(ed intelligente) tentativo del Movimento
Revolucionario Tupac Amaru (di stampo
guevarista, nato tra gli studenti delle università
limegne che si ispiravano alle altre esperienze di
lotta del continente) non ebbe alcuna presa sugli
strati più poveri del popolo peruviano (ormai
abituato a veder cadere sotto i colpi dei “rossi” di
Sendero Luminoso i volontari ed i sindacalisti che
tentavano di alleviare le loro sofferenze) e si
concluse tragicamente durante l’occupazione
della residenza dell’ambasciatore giapponese a
Lima nell’aprile 1997. L’attuale sistema politico
peruviano è il risultato diretto di questi
avvenimenti e dell’unico argomento che il potere
ha saputo usare in risposta alle rivendicazioni dei
moltissimi poveri del paese: una repressione
sorda ed ottusa. Questo ha creato un’opposizione
marxista iperidentitaria e frastagliata in un
arcipelago di gruppuscoli nel quale nemmeno i
militanti attivi riescono sempre a districarsi. I
dibattiti (che comprensibilmente appassionano
una cerchia piuttosto ristretta) vertono su
categorie politiche già datate negli anni ’70
mentre il paese continua ad essere guidato dalle
sue oligarchie senza che nessuno riesca a farsi
portavoce delle masse sia urbane che rurali.
All'uscita da una taverna nel Jiron Huancavelica
(centro storico di Lima) scorgo, in un androne,
manifesti
e
volantini
denuncianti
inequivocabilmente la presenza di una sezione di
sinistra: entro, trovo alcuni compagni seduti nel
cortiletto, mi presento e cominciamo a
chiacchierare. Ci troviamo nella sezione del
Partido Comunista- Patria Roja che, insieme ad
altre formazioni, fa parte del raggruppamento
Movimiento Nueva Izquierda che, alle ultime
presidenziali, hanno sostenuto il nazionalista
Ollanta contro il filoamericano (poi vincitore) Alan
Garcia. La segretaria di sezione mi regala un
libretto con le riproduzioni anastatiche delle
prime pagine più importanti del loro giornale
(Patria Roja), io mi avvicino allo stand dei libri,
compro qualcosa e riprendo le chiacchiere.
Il venditore è il più loquace di tutti, il partito che
ora ci ospita è il prodotto (guarda un po'....) di
molteplici e successive scissioni del movimento
peruviano. La prima è del 1964; sull'onda del
maoismo si separano il PC Unitario (filosovietico)
dal PC Bandera Roja (filocinese). In seguito
quest'ultimo si scinde tra PC Patria Roja (i nostri
ospiti) e PC Sendero Luminoso (che, come noto,
sceglie la lotta armata ed oggi è quasi annientato
occupandosi solo di narcotraffico). Quando
usciamo ci accompagna un giovane che si era
unito alla discussione, lui non è del partito ma del
FER (frente estudiantino revolucionario) che si
muove tra autonomia operaia e lotta armata solo
teorica. Ci metto un po' a fargli capire che
l'Europa è diversa dall'America del Sud e che
l'unica lotta efficace è quella parlamentare (a
starci dentro!), lui dell'Italia conosce solo i
gruppuscoli internazionalisti ed Alfredo Bonanno
(teorico dell'anarco-insurrezionalismo). Non credo
di averlo convinto del tutto ma gli lascio la mia
mail e gli indirizzi del partito e della FGCI. Oggi
sia il PC Patria Roja che il PC unitario sono
nell'MNI ma tutto il raggruppamento è fuori dalle
istituzioni nazionali (dove ho già sentito questa
storia???). Diciamo che abbiamo una prospettiva
di come va a finire se non ci diamo una mossa.
CONSONANTI scempie
Le consonanti brevi (o semplici o scempie) e lunghe (o rafforzate o
doppie) si oppongono fra di loro e in certe parole sostituendo a una
consonante breve la corrispondente lunga si cambia il significato della
parola.
Esempio
anulare-annullare
aprendo-apprendo
bara-barra
cane-canne
copia-coppia
fato-fatto
geme-gemme
caro-carro
dita-ditta
fuga-fugga
moto-motto
casa-cassa
faro-farro
fumo-fummo
nono-nonno
pala-palla
pena-penna
rupe-ruppe
sera-serra
mole-molle
molo-mollo
etc.
pani-panni
roca-rocca
sano-sanno
sete-sette
ano-anno
moto-motto
papa-pappa
rosa-rossa
seno-senno
tufo-tuffo
capello-cappello
sano-sanno
Perché non provi a creare una frase con ognuna di queste parole ?
Esempio
capello:
cappello:
quel filo è fino come un capello
il cappello di Giuseppe è nero
Chi è la Befana ?
(per le correzioni inviare a : [email protected])
A Natale, come ……. ………. (sapere), Babbo Natale (Santa Claus,
San Nicola) - dopo aver viaggiato sulla sua bella slitta (tirare)
………….dalle renne - lascia i regali sotto l'albero in tutte le famiglie.
Bella tradizione, certamente, ma niente …… ……… vedere con
quello che succede il 6 gennaio.
La notte fra il 5 e il 6 gennaio …………… arriva la Befana.
Chi è la Befana? La Befana è una (vecchia)………….brutta e
malvestita, con un (caratter)……………. terribile (ma anche con un
grande senso dell'umorismo) che attraversa il cielo volando a
cavallo della sua scopa. Anche lei, come Babbo Natale, passa nelle
case per lasciare i regali, ma… c'è un ma!
Se una …………… durante l'anno ……… …… comportat… bene
facilmente la mattina, svegliandosi, troverà davanti al caminetto
(nella calza che ha lasciato lì vicino pronta per essere riempita)
qualche regalo bello e desiderato.
Ma se ………. si è comportat….. male... eh eh, la Befana mette nella
calza solo qualche pezzo di carbone!
E se ………… è sostanzialmente normale, un po' buono e un po'
cattivo? Be', in questo caso (trovare)……………..nella calza prima di
tutto un ……….. pezzo di carbone (mamma mia, tutto carbone in
questa calza o c'è anche qualcosa di buono?) e poi, scavando a
fondo, fra qualche noce, aglio, cipolla, caramelle e cioccolatini,
troverà anche un pacchetto con un regalo vero.
Ma la Befana è anche molto, molto umana: e perciò è un ………….
corruttibile. Per questo la sera del 5 gennaio la cosa migliore ………
fare è andare a letto lasciando in cucina un piatto di pasta e un
fiasco di vino: la Befana, trovando qualcosa da mangiare e un
bicchierino di vino da bere diventa sicuramente più allegra e
probabilmente anche un po' …………… generosa.
Quando i bambini crescono, purtroppo, diventano quasi sempre un
po' più stupidi e ingenui e cominciano a "non credere" più alla
Befana (………….va raccontando in giro che sono mamma e papà a
mettere i regali nella calza!). Questa leggenda, inventata
probabilmente proprio dai genitori che vogliono sembrare buoni e
generosi, è ………………. sfatarla, perché ai bambini bisogna dire
sempre la verità. Quindi diciamo……. questa verità!
Babbo Natale non esiste, è vero. Ma la Befana sì!
Irene dalla Grecia in rivolta
Irene. Atene. 10.12.2008
Vergogna!
È l’unica cosa che posso dire mentre guardo i servizi che riguardano le manifestazioni e gli eventi in Grecia.
Vergogna al commentatore Renato Caprile(video: "Atene, la città devastata"), che dall’alto della sua
incapacità a comprendere il vero nocciolo della questione si cimenta ad esprime pesanti commenti e opinioni
su cose che probabilmente danno un fastidio personale. Io sono una greca, studentessa universitaria a
Roma, che avendo vissuto in Grecia fino ai 18 anni posso garantire la superficialità di quei commenti e di
quelle opinioni.. Forse il signor Caprile non sa che in Grecia esistono moltissime occupazioni anarchiche che
funzionano da centri culturali , dove ovviamente si fa molta controcultura. E controcultura (sempre per
precisare i termini e non “volare sulle superfici delle parole”) significa controbattere una non-cultura
dominante, un ozio generale e un controllo massmediatico da parte di chi ne vuole solo guadagnare…ma
queste sono cose già dette, già scritte..e cosi ovvie che spero che ci si sia compresi. Questi sono ragazzi, gli
unici ad aver usato il cervello prima della televisione , per esprimere un idea sulla vita, sulla politica, sul loro
futuro. Sono ragazzi normali, sono ragazzi che conosco, anche se quando vivevo io in Grecia non se ne
vedevano molti. Terrorismo?? Simultaneità negli attacchi?? Certo!! Parlare di terrorismo, poi in Italia
figuriamoci!, è la cosa più facile che ci sia! Ma da un giornale come Repubblica, che io leggo assiduamente,
non lo accetto! Vergogna anche alla redazione quindi!Certo! Non lo sapevate che in Grecia ce ne sono tanti,
tantissimi, anzi, la Grecia è stata invasa questi giorni dai black block terroristi?! Ve la spiego io la
simultaneità! Viene ucciso un ragazzo di 15 anni…..da un poliziotto….uno di quei che vogliono far del bene al
paese ma non sanno neanche che significa “bene” (visto che uccidere sicuramente non lo è).
E scatta la protesta. Una protesta che si, è vero, si covava dentro, nel cuore di tutto il popolo per molto
tempo, questi giovani non vedono più futuro in una Grecia che sta prendendo veramente la cattiva strada
appresso al resto del mondo. Una protesta che da metà italiana, insieme a i giovani italiani in Italia, sto
covando anche io , e abbiamo protestato, e protestato, e protestato, e ci è scappato il morto anche qui. E
qui???Che si fa?? Il morto diventa un caso storico da archiviare!! E la rabbia?? Di tutto il popolo italiano?? E
la Diaz?? Vergogna!! Ve la spiego io la simultaneità. La simultaneità che non esiste neanche tra i giovani
italiani, perché i giovani greci hanno creato una vera comunità, una vera protesta ,e non c’è menefreghismo
davanti all’uccisione di un ragazzo di 15 anni. Non c’è indifferenza davanti all’uso improprio che del potere
assegnato dal popolo ne fa il “servizio” d’ordine statale! E la violenza? Ve la spiego io la violenza. È la rabbia
di tutta la gioventù che viene messa a tacere, anch’essa violentemente, ma su un piano più pericoloso,
quello psicologico, per anni,e ora più che mai , con un futuro fatto solo di incertezza. Vergogna per non aver
saputo leggere tra le righe! Vergogna per non aver protestato lo stesso “violentemente” (e spero che ci
siamo capiti anche qui, prima che mi diate della black block!) per Carlo Giuliani, per la Diaz, per un sistema
che forse a voi non vi fa soffrire molto…finché non rimarrete pure voi intrappolati nelle sue reti. E poi chi è
che deve scendere in piazza per voi? I giovani?? Codardi pure…Vergogna…
Aurora: organo della Federazione Europa –“Via Rasella”, del PdCI
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Comitato di redazione: Vito Bongiorno, Perla Conoscenza, Luca Di
Mauro, Massimo Recchioni, Simone Rossi, Ivan Surina, Massimo Tuena
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Aurora numero 1 completo - Partito Della Rifondazione Comunista