Diocesi di Concordia - Pordenone
Commissione diocesana Pastorale per la Famiglia e la vita
13 Dicembre_
2015
FAMIGLIE SOLIDALI
“dalla globalizzazione dell’indifferenza
alla globalizzazione della solidarietà”
Sussidio per la Preghiera di Adorazione
Famiglia che si associa e che ospita
L’associazionismo familiare come risorsa per la crescita sociale.
L’accoglienza dei migranti, fratelli in umanità,
familiari della “casa comune”.
PREGHIERA DI ADORAZIONE
Famiglie solidali
Famiglia che si associa e che ospita
L’associazionismo familiare come risorsa per la crescita sociale.
L’accoglienza dei migranti, fratelli in umanità,
familiari della “casa comune”.
CANTO
ESPOSIZIONE DEL SS. SACRAMENTO
PREGHIERA DI INTRODUZIONE
Signore Gesù,
tu sei il vincolo della carità, perché tu sei l'amore.
Tu, ricco di misericordia e di bontà,
accresci l'amore tra noi, disperdi ogni avversione,
togli ogni tristezza dell'anima.
Rassicura i cuori ansiosi,
rinvigorisci gli animi avviliti,
spegni l'odio nei cuori,
porta concordia e tranquillità nel mondo intero.
Fa’ che tutti ci riconosciamo figli del Padre celeste,
per sentirci tutti fratelli. Amen
ASCOLTO DELLA PAROLA
Genesi 18,1-15
Il Signore apparve ad Abramo
alle Querce di Mamre,
mentre
egli
sedeva
all'ingresso
della
tenda
nell'ora più calda del giorno.
Egli alzò gli occhi e vide che
tre uomini stavano in piedi
presso di lui. Appena li vide,
corse
loro
incontro
dall'ingresso della tenda e si
prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai
tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a
prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto
l'albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e
rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per
questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’
pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da
Sara, e disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne
focacce». All'armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello
tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese
panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li
porse a loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto
l'albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov'è Sara, tua moglie?».
Rispose:
«E' là nella tenda». Il Signore riprese: «Tornerò da te fra un anno a
questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara
stava ad ascoltare all'ingresso della tenda, dietro di lui. Abramo e
Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che
avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e
disse: «Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio
signore è vecchio!». Ma il Signore disse ad Abramo: «Perché Sara ha
riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C'è forse
qualche cosa d’impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da
te tra un anno e Sara avrà un figlio». Allora Sara negò: «Non ho
riso!», perché aveva paura; ma egli disse: «Sì, hai proprio riso».
PREGHIERE DI RISONANZA
Abramo è inizialmente seduto all’ingresso della tenda, poi da seduto si
mette in piedi, da immobile corre. I forestieri dopo aver camminato
stanno in piedi, e infine si seggono. Il forte, il padrone di casa, si fa
servo. Il debole, l’ospite si fa signore. La situazione è capovolta. E’ il
miracolo dell’ospitalità.
Lo straniero ci sollecita a ritrovare la nostra identità sviluppando un
decentramento cognitivo ed affettivo simile a quello insito nell’atto
della Fede concepita sotto il versante di «nuova nascita».
Tutti: “Non passare oltre senza fermarti dal tuo servo”
Abramo si fa povero chiedendo al “suo signore” se vuole accettare i
doni della sua ospitalità. Non impone l’accoglienza. Mette a
disposizione ciò che ha di più bello, secondo lui, ma non dà per
scontato che così lo valutino i suoi ospiti. Si espone alla loro libertà,
con estrema fragilità.
Non dobbiamo pretende di alterare i piani dei nostri ospiti, solo
offrire loro una pausa, quanto basta per il loro ristoro.
Tutti: “Non passare oltre senza fermarti dal tuo servo”
Abramo si muove in fretta e chiede a Sara e al ragazzo di fare in fretta.
La fretta è espressione della sua sollecitudine, del calore della sua
ospitalità.
Nel nostro mondo sono 50 i milioni di uomini che richiedono asilo e
protezione perché in fuga “obbligata” dal loro Paese.
Tutti: “Non passare oltre senza fermarti dal tuo servo”
Abramo non vuole fare tutto da solo:
coinvolge sua moglie e un servo. La
collaborazione è segno della sollecitudine –
da solo ci metterebbe più tempo, e anche
della consapevolezza del suo limite – è Sara
che sa fare il pane, è il servo lo prepara, più
di lui che è ormai vecchio. Gli ospiti saranno
ospiti di tutta la sua “casa”, la sua gioia sarà
partecipata.
Non dobbiamo fare tutto da soli, la Chiesa
esorta e sollecita tutti, singoli e comunità, ad operare con convinzione
ed energia affinché uomini e donne di diverse nazioni e razze
giungano a formare un’unica famiglia umana e a costituire un solo
popolo di Dio
Tutti: “Non passare oltre senza fermarti dal tuo servo”
Abramo offre quel che ha, quel che ha lui stesso ricevuto: l’ombra
delle querce, l’acqua per lavare e dare sollievo ai piedi, il pane, frutto
del campo, il latte e un capo di bestiame, tenero perché cuocia in
fretta. Tutto questo è offerta di vita, è rinvigorire la vita del forestiero
indebolita dal viaggio e dall’arsura. Da nomade, Abramo sa che tutto
riceve e non può che farne parte a sua volta.
Tutto è offerto in grande abbondanza, è l’atteggiamento di servizio
proclamato e vissuto, è la consapevolezza che nulla è veramente
nostro, che tutto è di tutti.
Tutti: “Non passare oltre senza fermarti dal tuo servo”
Dio passa nello straniero. L’alternarsi dell’uno e del tre permette
all’autore di non identificare strettamente e univocamente l’ospite con
Dio e di mostrarci gli ospiti seduti mentre mangiano. Nell’altro, nello
straniero che Abramo accoglie, c’è qualcosa di più di quel che si vede.
Accogliendolo, accoglie il Signore. Il quale è sempre straniero (Is
55,10).
L’ospitalità
oblativa
è
liturgia d’accoglienza che
glorifica Dio, l’ospitalità
data si trasforma in
fecondità desiderata, in
banchetto eucaristico di vita
eterna.
Tutti: “Non passare oltre senza fermarti dal tuo servo”
CANTO
SILENZIO DI MEDITAZIONE
Siamo tutti ospiti di Enzo Bianchi
“L’ospite è come un fratello per l’uomo che abbia anche solo un
poco di senno”, ricorda l’Odissea, e Platone nelle sue Leggi
ammonisce: “Ogni mancanza verso l’ospite straniero, in
confronto con quella che lede i diritti di un concittadino, è
gravissima... Lo straniero infatti, isolato com’è dai suoi
compagni e dai suoi parenti, è per gli uomini e per gli dèi
oggetto di un più grande amore”. Ma oggi praticare l’ospitalità
nei modi in uso nel mondo antico o presso le popolazioni seminomadiche del Medioriente, appare sempre più difficile:
un’antica consuetudine, presente in tutte le culture come
dovere sacro, si sta smarrendo soprattutto in quella che
chiamiamo la civiltà “occidentale”. La consistente presenza
degli stranieri nelle nostre società con culture e mondi religiosi
distanti da noi e tra di loro, minacciano gli autoctoni nella loro
identità culturale e religiosa, oltre che in termini di occupazione
e di sicurezza, così che gli stranieri finiscono per incutere
paura.
La paura di chi è diverso e il ripudio
di forme culturali, morali, religiose e
sociali lontane da noi finiscono per
spingerci sempre più velocemente
verso la sfera del “privato”,
l’isolamento, la chiusura all’altro,
magari mascherati da custodia della
propria identità.
Va anche riconosciuto che, poco per volta, questo
atteggiamento di diffidenza e di difesa tende a inquinare tutti i
nostri rapporti, al punto che finiamo per non praticare più
l’ospitalità neppure nei confronti di chi possiamo definire,
letteralmente, il “prossimo”, cioè chi è “più vicino”, chi vive
accanto a noi condividendo la stessa lingua e la stessa cultura.
Così le nostre case assomigliano sempre più a fortezze protette
da serrature, sistemi di allarme, telecamere, recinti e muri:
siamo diventati progressivamente succubi di una mentalità che
si restringe e si chiude a ciò che appare come “altro”,
sconosciuto, nuovo, diverso. Finiamo allora per pensare
l’ospitalità soltanto come indirizzata a coloro che invitiamo: ma
l’invitato non è un ospite, né le attenzioni usate verso di lui sono
ospitalità...
L’altro, il vero altro, infatti, non è colui che scegliamo di invitare
in casa nostra bensì colui che
emerge, non scelto, davanti a
noi: è colui che giunge a noi
portato
semplicemente
dall’accadere degli eventi e
dalla trama intessuta dal
nostro
vivere,
perché
“l’ospitalità è crocevia di
cammini”. L’altro è colui che
sta davanti a noi come una
presenza che chiede di essere accolta nella sua irriducibile
diversità; poco importa se appartiene a un’altra etnia, a un’altra
fede, a un’altra cultura: è un essere umano, e questo deve
bastare affinché noi lo accogliamo.
In altre parole, perché dare ospitalità? Perché si è uomini, per
divenire uomini, per umanizzare la propria umanità. O si entra
nella consapevolezza che ciascuno di noi, in quanto venuto al
mondo, è lui stesso ospite dell’umano, o l’ospitalità rischierà di
restare tra i doveri da adempiere: sarà magari tra i gesti
significativi a livello etico, ma si situerà su un piano
fondamentalmente estrinseco e non diverrà un rispondere alla
vocazione profonda dell’uomo, un realizzare la propria umanità
accogliendo l’umanità dell’altro.
Il considerarsi ospiti dell’umano che è in noi, ospiti e non
padroni, può invece aiutarci ad avere cura dell’umano che è in
noi e negli altri, a uscire dalla perversa indifferenza e dal rifiuto
della compassione che, sola, può condurci a comprometterci
con l’altro nel suo bisogno. Il povero, il senza tetto, il girovago,
lo straniero, il barbone, colui la cui umanità è umiliata dal peso
delle privazioni, dei rifiuti e dell’abbandono, del disinteresse e
dell’estraneità, incomincia ad essere accolto quando io
incomincio a sentire come mia la sua umiliazione e la sua
vergogna, quando comprendo che la mortificazione della sua
umanità è la mia stessa mortificazione. Allora, senza inutili e
vigliacchi sensi di colpa e senza ipocriti buoni sentimenti, può
iniziare la relazione di ospitalità che mi porta a fare tutto ciò che
è nelle mie possibilità per l’altro.
Ma deve essere chiaro che l’ospitalità
umanizza innanzitutto colui che la
esercita: il modo di concepire e vivere
l’ospitalità è rivelativo del grado di
civiltà di un popolo. Ospitare è uscire
dalla logica dell’inimicizia, è fare del
potenziale
nemico
un
ospite.
Dovremmo imparare a pensare il
grado di civiltà in riferimento al livello
dell’umanità e del rispetto dell’umanità dell’uomo, non in termini
di tecnologia e di sviluppo.
La Stampa, 29 ottobre 2006
CANTO
GESTO E SEGNO:
Quasi 19 mila morti nel Mediterraneo dal
1988 ad oggi.
Sono uomini, donne e bambini in fuga
dalla
fame,
dalla
guerra,
dalle
persecuzioni per le quali in molte parti del mondo ancora si
muore. Si tratta di persone in cerca di un luogo sicuro, che, in
molti casi, sono andati comunque incontro alla morte.
Per tutte queste vite perse, per tutti coloro che avrebbero
bisogno di ospitalità, per chi ha perso la dignità, eleviamo le
nostre preghiere.
Bruceremo alcuni grani di incenso affinché salga al buon Dio il
nostro timido appello di pace, giustizia e rispetto per l’umanità.
Riceveremo poi una casetta portachiavi con la porta aperta
per ricordarci che la casa di Abramo e Sara era una tenda,
senza recinti. Fossero stati circondati da mura, chissà se
avrebbero visto i tre forestieri. I forestieri infatti non lo
chiamano, appaiono, si mostrano agli occhi. Lui, straniero, non
ha sicurezze, non ha chiusure e può lasciare la sua soglia per
correre verso altri che gli sono stranieri.
PREGHIAMO INSIEME A CORI ALTERNI
Si aprano i nostri occhi
per vedere le necessità dei bisognosi.
Si aprano i nostri cuori per amare tutti.
Si aprano le nostre mani per aiutare sempre.
Rendici un cuor solo e un'anima sola.
Ogni steccato sia abbattuto,
ogni rottura sia ricomposta,
ogni rancore sia spento.
Sepolto sia l'orgoglio,
distrutta l'invidia, vinta la cattiveria.
Tutti: Signore Gesù, rendici testimoni del tuo amore.
Il tuo Spirito ci unisca tutti
in comunione di fede e di carità.
Con te, Signore, saremo Chiesa presente nel mondo,
tuoi discepoli che imparano da te l'amore.
BENEDIZIONE
CANTO FINALE
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