il secchio il secchio E 01.11 L A I C E SP ARTE RAKU l’antica ceramica riscoperata anche in Italia I T N E L TA fioramanti surrealismo ed incisione per un emergente figura Romana C inside DO La Scapigliatura di Maria Grazia Tolfo L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia I R ST E MA il PIAZZETTA biografia ed opere del Maestro Veneziano il periodico gratuito dedicato alle ARTI di ogni tempo interamente realizzato in esclusiva da ALCOVACREATIVA.org il portale delle Arti figurative in rete il progetto ALCOVACREATIVA è completamente ideato realizzato e curato da Renato R. Iannone E L CIA E SP ARTE RAKU l’antica ceramica riscoperata anche in Italia La ceramica Raku La ceramica Raku è iniziata con Chôjirô, nel 16° secolo, durante l’epoca Momoyama. In quel tempo la città di Kyôto e nei suoi dintorni si cominciava a produrre un tipo di ceramica che usava lo smalto tricolore (san-sai) proveniente dalla regione cinese di Fuchien; Chôjirô era uno dei ceramisti che sapeva usare questo tipo di smalto. In alcuni documenti, è menzionato un cinese di nome Ameya, sebbene non sono pervenute sue opere, si ritiene che sia stato lui ad introdurre la tecnica della ceramica dei tre colori in Giappone, Ameya era il padre di Chôjirô. Sebbene la ceramica prodotta vicino a Kyôto e quella di Chôjirô appartengono alla stessa categoria di cottura, è completamente diverso il senso estetico che determina la forma e la tonalità dello smalto. L’origine della ceramica e del nome Raku deriva dall’incontro tra Chôjirô e il Maestro Sen Rikyû, fondatore del cha-no-yu, la cerimonia del tè. E’ per il Maestro che Chôjirô iniziò a fare tazze da usare nel cha-no-yu. L’essenza di cha-no-yu è offrire una tazza di tè e berla. Alcuni maestri di questa cerimonia portarono il significato di questo semplice atto fino al campo vastissimo che spazia dall’architettura, all’arte di creare un giardino, all’artigianato, alla pittura, alla calligrafia, ecc.., e cercarono di approfondire, al di là del quotidiano, il valore della vita e il suo senso religioso e filosofico. Ancor oggi questo è un aspetto fondamentale della vita e della cultura giapponese. All’inizio la tazza fatta da Chôjirô era chiamata tazza "ima yaki" (cotta adesso). Nella sua contemporaneità era all’avanguardia, al di fuori dell’immagine tradizionale della tazza, in seguito prese il nome di "Juraku yaki" (ceramica Juraku), poi assunse il nome "Raku yaki" (ceramica Raku) o "Raku chawan" (tazza Raku) quando Toyotomi Hideyoshi, governatore del tempo, consegnò il timbro con l’ideogramma Raku a Chôjirô. Juraku deriva da "Jurakudai" il nome del castello, simbolo dell’epoca, costruito da Hideyoshi: designava la ceramica tenuta in grande considerazione a Juraku, nonché il nome dell’argilla prelevata in quella zona. Una errata interpretazione della ceramica Raku, deriva dalla traduzione del suo ideogramma che significa gioia comoda, semplice, questo porta a pensare che la ceramica Raku sia facile da realizzare, ma non è così. In seguito, primo esempio nella storia del Giappone, Raku diventò il cognome della famiglia di Chôjirô, e oggi rappresenta nella storia della ceramica, la tradizione che si tramanda ininterrottamente nella stessa dinastia da oltre quattro secoli. L’origine della ceramica Raku, ovvero la caratteristica tazza di Chôjirô, era basata sul senso estetico dato dalla monocromia nera e rossa, evitando il colore lucente caratteristico del san-sai (dei tre colori). Questa monocromia prende origine dalla filosofia del Wabi-cha (cerimonia del tè basata sul pensiero wabi), dal concetto Zen di mu (nulla) e da quello Taoista di mui-ji-nen (senza volontà, in modo spontaneo). Il senso estetico simboleggiato dalla parola Wabi forma la base del pensiero del medioevo giapponese ed è anche il flusso che collega il Waka (poesia di trentun sillabe) il Renge (poesia in catena), il teatro Noh, ecc. Questo periodo molto speciale dell’arte giapponese che fa sua la ricerca spirituale, è in antitesi a quello del ‘700 e ‘800 giapponese ricco di senso decorativo, caratterizzato dall’uso di colori chiari e belli di cui esempio sono le pitture di scuola Kano, Rimpa e Ukiyo-e. A differenza delle altre ceramiche giapponesi, la ceramica Raku non usa mai il tornio, il secchio ARTE RAKU l’antica ceramica riscoperata anche in Italia vengono utilizzate soltanto le mani. L’utilizzo esclusivo delle mani permette la libera formazione secondo la sensibilità dell’artista, nello stesso tempo trasmette calore e sentimento. Le tazze create da Chôjirô negano questo fatto, andando al di là della creazione come espressione ideale. La forte tensione del mondo magnetico della coscienza è più evidente quando tralascia il formale gusto decorativo e creativo, per immergersi nella serenità del monocolore. Il desiderio dell’artista di negare tutti gli sforzi creativici coinvolge e ci attira nell’avventura psicologica paradossale di esprimere la volontà di superare ogni espressione. Al di là di questa avventura che cosa cercava Chôjirô? Cosa possiamo trovare noi contemporanei? Questa direzione della coscienza espressiva pone ancor oggi, a quattrocento anni di distanza, una domanda nuova al nostro mondo spirituale. La ceramica Raku viene tramandata da 15 generazioni così come fu ai tempi di Chôjirô. A differenza del "noborigama" (forno a più camere costruito su un pendio) che consente di produrre un gran numero di ceramiche Raku, usa il forno "uchigama" con mantice incorporato che permette la cottura di una singola tazza; questa viene estratta dal forno non appena lo smalto si scioglie ed è ancora incandescente. Questa tecnica è ora conosciuta in tutto il mondo. Continuare ad utilizzare la stessa tecnica non significa la semplice riproduzione della forma tradizionale; ispirandosi alla coscienza di ogni epoca essa brucia energia creativa. Come dice lo stesso Kichizaemon XV Raku: "La tradizione non è un semplice atto di custodire e ripetere". Tutto dipende da cosa vuole intendere l’artista con coscienza e con tecnica tramandata come tradizione: avendo come base una consolidata tradizione è possibile creare una opera d’arte completamente nuova. Dinastia Raku Generazione Raku : Chôjirô I (- 1589) Jõkei II (- 1635) Dõnnyü III (1599-1656) Ichinyü IV (16401696) Sõnyü V (1664-1716) Sanyü VI (1685-1739) Chõnyü VIII (1714-1770) Tokunyü VIII (17451774) Ryonyõü IX (1756-1834) Tannyü X (1795-1854) Keinyü XI (1817-1902) Kõnyü XII (18571932) Seinyü XIII (1887-1944) Kakunyü XIV (1918-1980) Kichizaemon XV (1949 - ) il secchio ARTE RAKU l’antica ceramica riscoperata anche in Italia LAVORAZIONE DELLA CERAMICA-: costruzione manuale . Le nozioni le tecniche e le pratiche fondamentali dei processi di lavorazione, cottura e decorazione delle argille, forniscono gli elementi necessari per orientarsi all'interno delle molte possibilità che la lavorazione della ceramica offre.La sperimentazione diretta di tutte le principali fasi della lavorazione ceramica: - proprietà e preparazione dell'argilla;costruzione manuale secondo le diverse tecniche (modellato, sfoglia, colombino, ecc.); caratteristiche ed uso dei colori per la maiolica: attraverso test di cottura dei diversi tipi di prodotti coloranti: ingobbi, colori sottocristallina, colori soprasmalto, cristalline colorate, smalti colorati ,contribuiscono a costituire un nutrito bagaglio tecnico fondamentale per ogni ceramista .Dedicarsi prevalentemente alla costruzione degli oggetti od alle tecniche di decorazione , dà modo all'artista di dar forma pian piano a tutto ciò che ha in mente percorrendo una scala ogni giorno sempre più costruttiva all'interno del mondo ceramico. Aver modo di conoscere tecniche di cottura diverse che vengono regolarmente praticate nei laboratori, come il bucchero (l'antica tecnica di annerimento degli oggetti in uso presso gli etruschi), le cotture a segatura, il raku , danno modo all'artista di poter esporre la propria creatività e sperimentare ogni giorno tecniche e materiali diversi sino a trovare il giusto equilibrio tra uomo e materia , peraltro fondamentale nella tecnica Raku . PREPARAZIONE DELLE ARGILLE : Terre per R a k u , i n g o b b i s p e c i a l i , Te r r e S i g g i l l a t e, Composizione chi ha già sperimentato la lavorazione della ceramica e desideri quindi approfondirne gli aspetti tecnici per meglio sfruttare tutte le potenzialità che questa tecnica racchiude. Queste nozioni riportate di seguito , danno una piccola infarinatura sull'uso delle terre e loro composizione: - la terra sigillata: preparazione e diversi modi d'impiego (nel raku, in riduzione, colorata, su biscotto, ecc.); - cotture a segatura e legna: costruzione e preparazione dei forni, diverse disposizioni degli oggetti in cottura (per riduzioni parziali, totali o guidate); - i riflessi metallici: gli effetti di lustro sullo smalto ottenuti con una riduzione in raffreddamento; conduzione della cottura a gas, decorazione e smaltatura; conduzione di un forno a gas per le diverse tecniche di cottura. A questo scopo verrà utilizzato un prototipo di forno a gas mobile, adatto a tutti i tipi di cottura(prima cottura, maiolica, riflessi, bucchero e raku). Il forno è stato concepito per permettere a chi intenda iniziare ad attrezzare un proprio laboratorio, di poter sperimentare tutti i tipi di cottura senza sostenere spese impegnative. Il forno viene prodotto dallaboratorio e gli allievi interessati potranno ordinarlo. Per maggiori informazioni viene riportata sopra la scheda tecnica del forno, che può essere fornito su richiesta. Durante lo stage si realizzeranno oggetti con diverse argille refrattarie, si può esercitarsi al tornio, smaltare e decorare oggetti in biscotto forniti dal laboratorio o portati dai partecipanti. vedi calendario corso base. il secchio ARTE RAKU l’antica ceramica riscoperata anche in Italia LAVORAZIONE AL TORNIO Attraverso una serie di esercizi guidati, vengono insegnati i primi stadi della lavorazione, così da consentire una corretta impostazione di base per l'esercizio di questa tecnica, che rappresenta il fondamento storico della lavorazione della ceramica. Gli allievi avranno modo di familiarizzarsi con lo strumento realizzando oggetti semplici ed acquisendo le basi per proseguire nella pratica autonomamente. Durante il corso si apprenderanno, tra l'altro, diverse operazioni di rifinitura, molto utili per completare la lavorazione di altri manufatti costruiti manualmente o con gli stampi. il secchio TI LEN TA fioramanti surrealismo ed incisione per un emergente figura Romana Nasce a Roma l'11 febbraio 1954. Inizia la sua attività artistica con una grafica figurativa di indirizzo surrealista e sperimenta diverse tecniche incisorie. La produzione di quegli anni viene esposta in una personale (aprile 1982) alla galleria Tavazzi in Via Sistina a Roma. Nel 1979 si laurea in Ingegneria edile (consolidamento dei dissesti nei centri storici) ed esercita la libera professione per alcuni anni. Dal 1983 lavora a tempo pieno come artista nel campo della pittura, installazione e performance. Nel gennaio 1982 collabora con Claudio Bianchi alla redazione del ManifestoTrattista dando vita al Movimento omonimo. Primo laboratorio del gruppo le sale di una villa pubblica romana, messa a disposizione dall'Assessore alla Cultura Renato Nicolini. Stimolati dal contatto con il pubblico, gli artisti decidono di realizzare - con il patrocinio del Comune di Roma - degli happening di pittura nelle piazze del centro storico (aprile 1983). Nel giugno 1983 lascia la professione di ingegnere e sperimenta differenti materiali alla ricerca di un'idea totale dell'arte, mirando al recupero dei segni, dei significati e dei gesti rituali delle culture extra-occidentali. Viaggia in Europa realizzando delle performance nelle principali piazze di Monaco di Baviera, Berlino Ovest, Amsterdam e Parigi. Si trasferisce a Berlino Ovest. Nell'ottobre, con l'aiuto del Direttore del Deutscher Werkbund, Alessandro Carlini, realizza col gruppo romano un happening nel parcheggio esterno del Teatro Freie Volksbühne Berlin cui fa seguito l'esposizione delle opere nelle sale interne. Vengono dipinte le prime due auto "trattiste". Nel gennaio 1984 fonda il Gruppo Trattista Berlin e partecipa al "Kunstmeile Kurfürstendamm '84" (patrocinio Galerie Andre) ed alle performance notturne nei cafégallerie Mora, Swing, Weinstube, Kleisther, nella galleria Haus am Lützowplatz e nel teatro Die Etage ("Kirsch-Blüte/Fiore-di-Ciliegio"), realizza clandestinamente opere pittoriche su muri e cartelloni pubblicitari. Stringe amicizia con il gallerista Rudolf Springer. Ad aprile realizza un happening nella piazza di Calcata (a cura di Giuseppe Salerno). A maggio è invitato a Roma all'Università "La Sapienza", presso la facoltà di Lettere per la rassegna: Nuove tendenze dell'arte contemporanea, a cura di Simonetta Lux che gli mette a disposizione microfono, telecamere e colori alla presenza degli studenti. Il gallerista Giantomaso Liverani de La Salita patrocina un intervento trattista di sei pittori su una tela di cento metri distesa lungo Ponte Sisto. Il lavoro dura tre giorni e si conclude con la messa in vendita della tela "al metro". L'operazione stimola l'interesse di A. Bonito Oliva che si presenta più volte sul ponte. Invitato alla rassegna Spoletovideo ed esegue la performance Zen. Ad agosto realizza un murale sulle pareti esterne della il secchio (catalogo, I Trattisti, E. Jonction ed.). Ad agosto insieme al gruppo berlinese (Christiane Kluth, David Thompson, Julie O' Grady) partecipa con Impronta Rocciosa ad una tournée in Gran Bretagna fioramanti surrealismo ed incisione (patrocinio del Senatore alla Cultura di Berlino, per un emergente figura Romana Volker Hassemer): Stonehenge (Megaliti), Bristol (The Galerie Leger di Monaco di Baviera. A dicembre dieci trattisti eseguono sculture su Ponte S. Angelo (catalogo, I Trattisti nell'anno del Topo d'oro, Carte Segrete ed.) per tre giorni e tre notti consecutive (patrocinio del Comune di Roma e della galleria MR). Nel marzo 1985 a Berlino Ovest dipinge 40 metri di Muro (Schlesischestraße) simulandone l'abbattimento con una Volkswagen ugualmente dipinta (patrocinio della RAI di Milano). Ad aprile inaugura il Trattistambiente, nella Ansbacherstraße 58. A maggio, su segnalazione dell'artista Domenico De Angeli, partecipa al Theaterfestival di Monaco di Bavieradove conosce il pittore Walter Amann e il gruppo King Kong Kunst Kabinett. A luglio, su indicazione di Achille Bonito Oliva, il gallerista Massimo Riposati organizza a Roma una serie di esposizioni simultanee (catalogo, I Trattisti, o del primitivismo astratto - Bianchi/ Fioramanti/ Perrone, Carte Segrete ed.) in quattro gallerie di Via Garibaldi (MR, La Salita, 5x5, Studio Marani Fahrenheit) e in esterni. L'esposizione passa alla galleria Inter/Prise di Salerno Old Profanity Showboat), Londra (Covent Garden) ed Edimburgo (Fringe Festival - Venue 22, Richard De Marco). Contemporaneamente partecipa alla rassegna nella Fortezza Medicea di Siena (catalogo, Una Nuovissima generazione dell'arte italiana, a cura di Enrico Crispolti). In autunno seguono performance a Berlino Ovest: teatro Die Etage, Swing e nel Trattistambiente con la mostra Bianchi/Contreras/ Fioramanti/ Frolet/ Kichou/ Senatore/ Wang Po Shu. Nel gennaio 1986 Bianchi e Fioramanti fanno un omaggio a Giacomo Balla, in quegli stessi spazi romani (galleria San Marco di Giuseppe Caccetta) nei quali espose l'artista futurista. In quella galleria, alla presenza di un'opera di Balla, viene organizzato un "salotto trattista", al quale intervengono Bruno Zevi, Gaetano Pesce, Enrico Crispolti e Filiberto Menna sul tema: "Roma nel panorama artistico internazionale". A febbraio espone in una personale alla galleria Inter/Prise di Salerno (Aspettando Halley) e in una collettiva alla galleria it 'Art di Berlino Ovest (graphita '86). Nell'estate i mercanti berlinesi Uta Mitchke e René Scharf si trasferiscono a Manhattan ed inaugurano il loro spazio con venti lavori su carta. Partecipa alla collettiva nel Castello Colonna di Genazzano (catalogo, Internazionale d'arte/ Genazzano '86). Ad ottobre espone a Berlino Ovest nelle sale dell'Intercontinental Kunstraum alla Budapesterstr. 30 (catalogo, Trattista Age - Bianchi/ Fioramanti, Felgentreffen & Goebel Verlag, promosso dalla Deutsche Bank Berlin, presentato da Klaus il secchio fioramanti surrealismo ed incisione per un emergente figura Romana Nothnagel, Taz Berlin). A dicembre nasce il "Laboratorio Olduvai", di cui fanno parte anche Claudio Bianchi, Ali Kichou, Ermanno Senatore ed Eva Rachele Grassi che espone (giugno agosto '87) a Roma (Galleria S. Marco, Il Luogo di Elena Lacava, catalogo, Project against Apartheid), Napoli (Studio 85), Berlino Ovest (Trattistambiente), Stoccolma (catalogo, Istituto Italiano di cultura) e Algeri (catalogo, I^ Biennale internazionale - I° premio) dove le opere presentate vengono richieste dal Musée des Beaux Arts in esposizione permanente. Nel febbraio 1987 espone nella 365 Galerie a Berlino Ovest/Kreuzberg in una personale (Sulle tracce del fiume, del vento e degli uomini) e con Ermanno Senatore alla galleria Il Punto di Velletri (Trattistambiente - Atelier Berlin, a cura di Eva Rachele Grassi). A marzo è presente nel libro/catalogo "Michelangelo Antonioni, Le architetture della visione"/sezione "Profanazioni" (a cura di M. Mancini e G.Perrella, Lumina ed.). Nell'estate lascia Berlino Ovest e viaggia in Spagna. Prende visione diretta dei graffiti preistorici nelle grotte di Puente Viesgo. Si trasferisce a Barcellona, in una pensione del Barrio Gotico. Qui conosce la danzatrice Daniela Lobo e il pittore Pedro Cara che gli mette a disposizione il proprio studio e gli organizza un seminario presso "Les Cotxeres des Sants" (patrocinio della Generalitat). Ad ottobre il gallerista Ennio Borzi visita il suo studio ed instaura con lui un rapporto di collaborazione. Nel maggio 1988 torna a Roma ed espone, per la prima volta autonomamente dal gruppo trattista, contemporaneamente in quattro spazi: galleria Break Club (libro/catalogo, Roma Arte Oggi, Politi ed., a cura di Paolo Balmas e Filiberto Menna), Istituto Studi Romani, Comune di Roma, Min. Affari Esteri, Min. Beni Culturali, AITEC (catalogo, Forme per il cemento Sculture nel mondo dal 1920 a oggi, a cura di Pier Carlo Santini), Ex- Borsa in Campo Boario, Comune di Roma (catalogo, Dodici-meno-trentacinque-primo/ Giovani artisti a Roma, Multigrafica ed.), Studio Erre (catalogo, Roma Arte Oggi, opere su carta). D'estate viaggia in Thailandia, a dicembre soggiorna a Montreal ed a New York. Qui realizza la fotoinstallazione con il "grattacielo". Conosce Robert Rauschenberg, Anton Perich (artista, già collaboratore di Andy Warhol nella Factory), Candace Dwan, gallerista, e il poeta Indran Amirthanayagam. Nel marzo 1989 l'Associazione Spaziodocumento di Roma, per il ciclo d'incontri "Sconfinamenti e Contaminazioni" lo invita a presentare il suo lavoro con video e diapositive (Orchestrazioni nomadiche); interviene il critico Gastone Bonsembiante. Partecipa ad una collettiva allo Studio Erre in collaborazione con il Break Club. Viaggia ad Amsterdam e a Stoccolma dove conosce il gallerista Engström ed espone nella Myn Sister och Yag. Ad aprile l'Assessorato alla Cultura di Roma lo invita a Milano alla manifestazione Sprayers on the Wall, un happening di tre giorni su un chilometro di muro (Via De Gasperi). A giugno espone a Roma al Centro Di Sarro (catalogo, DS, Le Vie dei Canti, a cura di Gastone Bonsembiante) e a settembre la prima delle collettive a Perugia nella galleria Il Gianicolo di Eligio Fulli e Vittoria Gentile (catalogo, Della pittura e altro a cura di Franca Calzavacca). Nell'estate '89 viene invitato da Giuliano Gori alla Fattoria di Celle (PT) e alla Fiumara d'Arte (S. il secchio fioramanti surrealismo ed incisione per un emergente figura Romana Stefano di Camastra, ME) da Antonio Presti con il quale inizia a lavorare. Dal gennaio 1990 soggiorna più volte alla Fiumara d'Arte: dipinge su un centinaio di piatti in terracotta nel laboratorio di Torremuzza; per l'Albergo-Museo di Marina di Tusa realizza tele, installazioni e il bozzetto in legno l'Arca dopo il ritrovamento che viene esposto a giugno insieme al Totem delle Piramidi nelle sale della Fiera di Roma (catalogo, Arte e Artigianato). Due collettive a Bagheria, galleria Ezio Pagano (catalogo, Circumnavigazione 5, a cura di Giorgio Di Genova) ed a Torino, galleria Il Segno di A. Alloatti (catalogo, libroggetti, a cura di Elena Lacava) dove presenta formelle in cemento (Archemi). Dopo la caduta del Muro di Berlino quotidiani e riviste danno ampio spazio alla foto-installazione con la "Volkswagen" e il Museo Haus am Checkpoint Charlie di Berlino ne richiede la foto (cm 80x110) in esposizione permanente. Nell'estate viaggia in Europa, soggiorna a Parigi e nel sud della Francia, visita la nuova Berlino e Dresda. Torna a Roma dove comincia a lavorare la terracotta. Dall'autunno '90 pratica il Tai Chi. Nell'aprile 1991 partecipa alla rassegna "Berlin Berlin" al Palazzo delle Esposizioni con la performance Zeitgeist Berlin (Antonella Ventura, danza; Giovanni Macciocu, violoncello classico; Rashmi V. Bhatt, tablas; Adriano Waiskol, recitazione; Marco Fioramanti, idea, regia e pittura-live - catalogo, Marco Fioramanti, a cura del Comune di Roma, con testi di Vittoria Biasi e Gastone Bonsembiante). A giugno è invitato a Formia per eseguire in pubblico una grande tela. D'estate viaggia in Bretagna e realizza alcune foto-installazioni con gli allineamenti arcaici di Carnac. A novembre presenta presso l'Empiria a Roma il suo primo libro di poesie e pitture Luce all'indifferenza del quotidiano (Cultura 2000 ed., prefazione di Cesare Milanese), espone tele e carte e realizza la performance Il pieno e il vuoto. A dicembre è presente alla collettiva nella SALA 1 (catalogo, SALAAM/ Manifesto ed., a cura di GianleonardoLatini e Gabriella Dalesio). Nel gennaio 1992 dipinge una serie di grandi piatti in ceramica. Si interessa ai giardini zen ed elabora un progetto esecutivo per il Comune di Roma (non realizzato per improvviso cambio di giunta). Nell'estate viaggia in Cina: a Xian ha conoscenza diretta dei 6000 guerrieri di terracotta, a Pechino si diploma in Terapia Tuina presso il China International Acupuncture Training Center con pratica alla Clinica universitaria di Ortopedia e Traumatologia. Visita il Tibet. A novembre in una personale presso la galleria Miralli di Viterbo espone tele e ceramiche policrome (catalogo, Ai poeti l'alto scrigno del Tibetano, testo di Simonetta Lux). Nell'estate 1993 partecipa ad una performance di pittura ('A Chiena) nel centro storico di Campagna (PZ). A novembre presenta un'antologica (catalogo, Marco Fioramanti - Opere 1983-1993, a cura del Comune di Prato, testo di Gastone Bonsembiante) presso le sale del Palazzo Comunale di Prato (tele, carte, terrecotte, foto-installazioni) dove realizza una performance insieme ad Ermanno Senatore ed Eva Rachele Grassi. Nel gennaio 1994 espone a Roma all'Officina di Gorgia (Passacaglia con le ombre: Arndt, il secchio fioramanti surrealismo ed incisione per un emergente figura Romana Bianchi, Contreras, Fioramanti, Hynd, a cura di Anna Maria Corbi). A maggio presenta 12 opere alla collettiva "Transizioni, Migrazioni, Passaggi" alla A.A.M. di Francesco Moschini. Esce il volume "La Pittura in Italia. Il Novecento/3 Le Ultime Ricerche" (Electa ed., a cura di Enrico Crispolti) che storicizza il Movimento Trattista . D'estate soggiorna a Londra presso il musicista David Thompson. Nel gennaio 1995 presenta un'installazione (tele e giardino zen) in una personale all' Officina di Gorgia (catalogo, Nome di Lancia, a cura di Lidia Reghini di Pontremoli); il poeta Sergio Sarritzu gli dedica un poemetto (Notte di luna piena davanti a un giardino zen, Carte Segrete ed.) con un testo di Lidia Reghini. A marzo viaggia nel sud del Marocco e nel Sahara, dove elabora lavori sulle dune. A Marrakech conosce il pittore Mohamed Melehi. D'estate torna per due mesi in Marocco (Asilah). Qui il governo gli mette a disposizione un atelier e realizza una serie di monotipi su carta (Odatsehte: Colui che porta la faretra), acqueforti e pitture su tela che espone lungo le mura della Medina. Conosce il pittore K. Gherib. Nel marzo 1996 espone i lavori su carta (Ori dal Marocco) presso lo Studio SDL di Roma. A luglio è invitato a Bordeneuve (Midi pirenaico) dove realizza una installazione (in-canto) con grandi pietre, graniti e basalti. Pubblica per suo conto la seconda raccolta di versi Discontinuo Movimento e prepara un'antologia feeling wor(l)ds con i poeti Indran Amirtanayagam, Anton Perich e Sergio Sarritzu. Nell'ottobre '96 si sposta a Parigi/Créteil dove forma con Ermanno Senatore ed Eva Rachele Grassi il gruppo "Cyber Dada" e presenta i suoi lavori nella galleria "Le GNAC/Inter-prise". Nel marzo 1997 espone presso la McCANN-ERICKSON ITALIANA a Roma. Viene invitato a presentare un bozzetto (Allineamenti) per il concorso di scultura "Città di Arona" (patrocinio Ente Fiera Lago Maggiore). A maggio torna a Parigi ed espone con Grassi e Senatore: Cyber-EthnoDada. A luglio partecipa alla rassegna "Torri d'avvistamento" a Tarquinia e Tuscania (a cura di Lidia Reghini di Pontremoli, patrocinio della Regione Lazio). A settembre pubblica per la casa editrice Pulcinoelefante (Osnago/Lecco) di Alberto Casiraghi un libretto d'artista a tiratura limitata. A ottobre/novembre è al seguito di una spedizione etno-antropologica in Nepal (Prof. Romano Mastromattei/ Università di Roma "Tor Vergata") dove studia i fenomeni di trance negli sciamani Tamang dell'area himalayana. Dal febbraio 1998 realizza tre libretti Pulcinoelefante. A maggio torna a Parigi per l'esposizione Molecole d'amore e per impostare la nascita della rivista Cyber-Dada. A luglio partecipa alla rassegna Torri d'avvistamento III a Tuscania, a cura di Lidia Reghini di Pontremoli. A settembre viaggia in Portogallo, visita Lisbona e stringe un rapporto di collaborazione con il Comune di Celorico da Beira. A dicembre partecipa alla collettiva Locomozioni presso le sale espositive Guazzolini a Zagarolo a cura di Lidia Reghini di Pontremoli. Nel marzo 1999 espone in una personale presso la Libreria Garzanti di Milano (Carte: 19831998 e ceramiche policrome), realizza due nuovi libretti Pulcinoelefante. Partecipa a Roma alla collettiva Gli Angeli sotto le stelle al Palazzo delle Esposizioni (Roof Garden) e realizza la performance Trans/parencia con la danzatrice colombiana Marta Ruíz (ADRADANZA) e musica etnica live. A giugno si trasferisce per un anno in Portogallo quale artista-curatore di una biennale d'arte contemporanea "perle rare". Il 2/3 giugno 2000 viene invitato dal critico Edoardo Di Mauro a Torino alla galleria d'arte il secchio fioramanti surrealismo ed incisione per un emergente figura Romana moderna a partecipare al congresso su Arte e contaminazione con il territorio presentando il programma della biennale portoghese. A luglio, durante un soggiorno sui Pirenei francesi, realizza un'installazione eolica sull'idea di una ruota della preghiera tibetana. Ad Osnago stampa due nuove serie Pulcinoelefante. A settembre torna a Berlino sullo stesso luogo dell'installazione con la Volkswagen fotografando la situazione attuale dallo stesso identico punto. E' invitato a Milano alla manifestazione Oltre Macondo, presso il centro Leoncavallo, dove realizza una performance con l'artista colombiano Agustín Parra. In ottobre prende parte alla mostra virtuale "I 5 SENSI" che viene presentata anche a Verona ("Abitare il tempo"). A dicembre realizza la performance Oltre Macondo Ii con Agustín Parra, Marta Ruíz e vari musicisti presso la galleria Il Labirinto di Roma. (Roma, dicembre 2000) Tutto il materiale documentativo (cataloghi, video, rassegna-stampa, ecc.) è a disposizione presso l'Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia e presso l'Archivio Cid Arti Visive del Museo per l'Arte Contemporanea "Luigi Pecci" di Prato. il secchio C DO La Scapigliatura di Maria Grazia Tolfo L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia La Scapigliatura di Maria Grazia Tolfo L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia In via Vivaio due erano i punti di ritrovo degli Scapigliati: l'osteria del Polpetta e il giardino dei Cicogna nella parte coltivata ad ortaglia. In quei tempi corso Monforte terminava sui bastioni chiusi, "dalle larghe ombre degli ippocastani giganteschi, in mezzo ai bei giardini patrizi e alle vaste e pingui ortaglie". Il mezzo di collegamento con questa zona bucolica era un enorme vecchio omnibus color verde pisello, che trasportava rarissimi passeggeri. Via Vivaio, come suggerisce il toponimo, era una via assolutamente campestre, con solo un paio di case moderne accanto a un paio di antiche case rurali. Vi abitavano molti artisti, amanti della quiete: De Albertis, Francesco Fontana, Eugenio Perego, Giuseppe Barbaglia, Borgomainerio, ... Il ritrovo comune a mezzogiorno era presso il Polpetta, sull'angolo di via Conservatorio, dove convenivano anche Tranquillo Cremona, Giuseppe Grandi ed Emilio Praga, che abitava in Monforte. La polpetta milanese, piatto povero e di recupero per antonomasia, era così famosa fra gli scapigliati che il poeta e commediografo dialettale Ferdinando Fontana compose la gustosa "Polpetta del Re" (in appendice). A far concorrenza al Polpetta giunsero due portinai in una casa di recente costruzione di via Vivaio, due coniugi mastodontici con due bambini ritagliati sul loro stesso stampo. I bimbi divennero i modelli preferiti dagli artisti; i genitori si offrirono di tenere in ordine gli studi e gli "antri" degli artisti e, pian piano, s'instaurò tra loro un rapporto di tale complicità che un giorno qualcuno buttò là: "Perché non ci fate anche da mangiare?". Dopo pochi giorni alla mensa della portineria sedevano tutti i clienti del Polpetta disperato. All'arrivo della primavera Emilio Praga sospirava di poter mangiare all'aperto, adocchiando il giardino fiorito dei conti Cicogna, che copriva l'area dove ora sorge l'istituto dei ciechi. Il portiere Prevosti ne parlò al conte e ai primi di maggio s'inaugurò la mensa all'aperto nell'ortaglia sotto alberi ormai fronzuti, con accanto predisposto anche un gioco di bocce. E fu quell'angolo di pace che ispirò al Carcano e al Barbaglia due tele che trasmettevano armonia per la vegetazione lussureggiante e per il tremolare dei raggi del sole attraverso le fronde - "pizzicotti della luce all'ombra", diceva il Borgomainerio -. Qui si ritrovarono per molti anni gli allegri scapigliati, intorno al cibo frugalissimo ma sano, accompagnato da qualche boccale di vino nostrano e frizzante, vociando e gesticolando sulla pista delle bocce. Il Sacchetti ne ha lasciato una commossa descrizione: "A due passi dalla Prefettura pareva d'essere in fondo a una campagna remota. Alcuni vecchi alberi bellissimi che forse una volta appartenevano al parco del palazzo vicino avevano, là dimenticati, disteso i loro rami da tutte le parti e per questo piacevano all'autore dei Paesaggi che trovava in quella libertà di fronde una certa somiglianza con la immaginosa abbondanza del suo stile. C'era a completare la scena campestre una rustica osteria, ma aveva un'usanza deplorevolmente urbana: faceva credito agli avventori e rincarava il conto ai morosi. In quell'ortaglia si fecero le più care festicciole ch'io abbia mai goduto." Francesco Fontana e Giuseppe Barbaglia Tra i frequentatori più assidui dell'Ortaglia vi erano lo scultore Fontana e il pittore Barbaglia, due amici fraterni, assolutamente inseparabili anche quando lavoravano. Come dalla maggior parte degli artisti, la buona sorte si teneva in disparte anche da loro, al fine di accrescere il tormento creativo. Il Fontana, che aveva animo mite e fatalista, soleva consolare l'amico dicendogli: "Non bisogna disperare. Il Signore provvederà". Il Barbaglia non era invece né fatalista, né confidava nella divina provvidenza e quindi replicava, come si suol fare coi bambini che credono a Babbo Natale: "Il Signore! Il Signore! Vuoi che te la canti? Il Signore non c'è!". I discorsi ruotavano sempre intorno a quel perno: - C'è - Non c'è - e coinvolgevano anche gli altri artisti dell'Ortaglia. Una il secchio La Scapigliatura di Maria Grazia Tolfo L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia mattina il portinaio Prevosti accompagna nello studio dove stavano i due amici un elegante signore, che dovendo fare dei regali aveva avuto l'indicazione di rivolgersi ai due soci. Il Fontana esclama allora trionfante: "Vedi che c'è il Signore?", e l'altro di rimando: "Sì, basta togliergli la maiuscola!". Emilio Praga visto da Roberto Sacchetti "Emilio Praga, idealista inconscio, ma incorreggibile, che diceva "la lirica è la sola arte vera perché inutile", non sdegnava, nei giorni di sconforto e di bisogno, il mestiere letterario; macchinava di far vivere la sua poesia purissima a spese del giornale e del teatro, "trastulli ed intelligenze inferiori". Progettista sfrenato ed impenitente, scoccava de' tiri scellerati alla supposta buaggine del pubblico e quando credeva aver trovato l'idea di qualche nuova, fenomenale mistificazione, strizzava l'occhio maliziosamente e con una perfidia estremamente ingenua esclamava: "Ah mio buon pubblico, tu hai a portare l'arte come la mula porta l'arcivescovo: ora ti metterò io la cavezza!". Il guaio è che lui s'invaghiva di quelle sue burle, ci profondeva il sangue vivo del cuore, le ricchezze del suo grande talento ed era lui stesso la prima, l'unica vera vittima delle sue infernali ciurmerie. Il pubblico recalcitrava e fischiava invariabilmente i suoi drammi. Credereste che lui ne soffrisse. Ma che! artista sempre, abbandonava lui primo la causa dell'autore!, mentre la burrasca imperversava in teatro e gli attori rientravano barcollanti, sbalorditi dagli urli e cacciati dai proiettili lanciati dalla platea, Praga si contorceva dalle risa, e pigliava uno spasso infinito dal comico della propria disgrazia; non serbava rancore al pubblico, anzi gli acquistava stima per lo spirito che aveva dimostrato accoppando il suo aborto. Fallito il tiro, ne mulinava un altro. Una volta fece in collaborazione con Arrigo Boito una commedia intitolata, credo, Le madri galanti, e fu recitata al Carignano di Torino da una compagnia la cui prima donna era analfabeta e bisognava metterle in gola la parte. I due poeti confidavano tanto nel successo che avevano portato con sé, per la rappresentazione, le loro famiglie. Subito al primo atto scoppiò il finimondo. Arrigo Boito, bravo fino alla temerità, s'era avanzato tra le quinte più sulla scena, e là, le mani nelle tasche dei calzoni, una sigaretta sfatta tra le labbra sottili, gli occhi aguzzi luccicanti dietro gli occhiali, ritto, impassibile sfidava l'uragano. Praga venne a prenderlo per il braccio dicendo: "Vieni prima che ci accoppino" e discesero al vicino caffè del Cambio, dove cenarono allegramente mentre a due passi si faceva della commedia l'estremo scempio. Emilio Praga scrisse parecchi libretti per musica, e in questi sovente lo aiutò il Boito, perché il poeta delle Penombre, capace di passare una notte intorno al congegno di una strofa, non poteva assolutamente far cosa che richiedesse l'attività continuata e regolare di qualche settimana. Respinto dal teatro, si rivolgeva al giornale: aveva nella stampa degli amici dispostissimi a pubblicare qualunque cosa sua, perché gli volevano bene e perché il suo nome era pur sempre un valore. Si metteva con ardore a imbastir novelle e racconti per appendice: era sicuro del fatto suo, avrebbe guadagnato tesori, ci contava, e ne disponeva: offriva generalmente ai suoi più intimi, a Boito, a Fontana, a Torelli di collaborare con lui. Il mestiere non era cosa per lui: l'arte ci s'infiltrava a sua insaputa, ci metteva, come dissi, troppo del suo, gli costava più fatica delle sue liriche migliori e tirati i conti questa pretesa letteratura alimentare non serviva che ad alimentare le sue illusioni. In quindici anni menò a fine, credo, due novelle pubblicate dal Pungolo: nel 1867 cominciò nell'appendice della Platea un romanzo, le Memorie del Presbiterio. Alla settima appendice il romanzo fe' una sosta: il giornale morì e Praga vendette il romanzo incominciato al Pungolo. Per nove anni di seguito, ad ogni Natale, egli portava al Fortis lo scartafaccio e ne riceveva una cinquantina di lire, poi passato il primo dell'anno lo ritirava per finirlo, l'allungava di un paio d'appendici e lo lasciava lì. Veniva una cosa ineguale, stravagante, stiracchiata dalle idee più lontane e diverse, ma ricca d'immagini, di il secchio La Scapigliatura di Maria Grazia Tolfo L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia pagine splendidissime; l'intreccio gli si arruffava sotto mano sempre più: e lui si compiaceva di smarrirsi in quel labirinto di poesia. Quando era in angustie si risolveva ad un tratto d'uscirne. Avesse campato cent'anni, non ne sarebbe mai venuto a capo." Praga era un frequentatore dell'Ortaglia. Ci andava la mattina e ci passava intere giornate; voleva rimettersi a dipingere, ma anche di questo proposito non ne fece niente. Scarne le notizie nella sua biografia: nato a Milano il 18 dicembre 1839, morto nella stessa città nel dicembre di trentasei anni dopo. Più che essere immortalato come poeta dai posteri, fu amato dagli amici artisti come persona trainante e imprevedibile. L'"Indisposizione" del 1881 in via S. Primo Il 1881 fu un anno memorabile per Milano: ospitava l'Esposizione nazionale. Tutte le industrie italiane mandarono i loro campionari nei padiglioni allestiti ai Giardini Pubblici, mentre l'esposizione delle Belle Arti si teneva nel palazzo del Senato. In coda all'esposizione ufficiale, in via S. Primo nella ex casa di Pompeo Marchesi , si tenne anche l' "Indisposizione" artistica organizzata dagli Scapigliati, una parodia brillante che ebbe un successo inaspettato e straordinario. Ne ha fatto la cronaca il Chirtani: "Codesta mostra da ridere nacque da un pensiero malinconico, espresso dal titolo, e fu ideata da quella società milanese che porta tanto bene il nome di Famiglia Artistica e che vi ricorse come a un mezzo per migliorare le proprie condizioni: auspici il Vespasiano Bignami, il Campi che fa tanto ridere a muso duro, il Mangili, ed altri dei più ameni capi scarichi della Famiglia; il progetto fu ventilato seriamente. "Emettiamo delle azioni" - esclamò un membro della società - "Le emettono le ditte dei carri inodori che puzzan tanto, e quelle del concime del re del creato, perché non ne emetteremo anche noi?" "Le azioni furono emesse, di lire 100, destando la ilarità di chi non crede ai miracoli dell'arte o non conosce che leve d'umorismo e che sorta di milionari esistano in quella Famiglia. Appena emesse le azioni si esitarono tutte. La base d'operazione era trovata. "Si tennero delle sedute tempestose pel programma dell'Esposizione; il Bignami ne ha fatto un acquerello nel quale si vede il presidente che si tura le orecchie, ed i membri che fanno un caos del diavolo; il segretario incaricato del verbale tira giù moccoli dal lampadario dibattendosi come una scimmia sua una corda di ginnastica. Cosa siasi deciso in quelle sedute nessuno ha mai potuto saperlo... Si sa e s'è visto bensì che i membri della Famiglia, più pratici di stecche e pennelli che di chiacchiere, si son messi subito all'opera, a porte chiuse, per avere abbastanza presto pronta la mostra. Si cercò il titolo. Perché si faceva l'impresa? Per indisposizione della Famiglia Artistica. La mostra si chiamò Indisposizione di Belle Arti. Fu atto di verismo e una trovata felice. Era disponibile l'antico studio dello scultore Marchesi in via San Primo, fu subito preso in affitto: sgombrato dalle cose minori, vi rimasero le due grandi figure di fiumi (i gessi dell'Adige e del Tagliamento che figurano all'Arco della pace), il cui trasporto costava troppo: le lasciarono stare, le indorarono, ne fecero "le sorgenti della Panna (crema di latte), fiume che irriga e feconda la pianura lombarda mettendo foce a Gorgonzola, dove arriva alquanto stracchino". Sulla facciata fu condotto un dipinto a buon fresco rappresentante i tranvai al tempo dei Greci, una bella e briosa composizione bene immaginata a simulato bassorilievo, lavoro del Mentessi che prometteva subito bene della mostra. All'interno le pareti furono coperte di quadri. Quattro grandi pilastri sostenevano la volta della sala e si chiamarono Anteo, Atlante, Ercole e Piccaluga (in memoria del celebre personaggio del Barchett de Boffalora). Sui quattro lati di ciascuno vennero distribuiti bozzetti di scultura e quadri: vicino alla porta sorrideva il Moro colla sua mazza in mano, come all'Esposizione di il secchio La Scapigliatura di Maria Grazia Tolfo L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia Belle Arti; in fondo alla sala si aprì la caupona di Lucullo, con servizio di "bibite igieniche ed esilaranti, conservate fresche col ghiaccio nazionale". Quadri e gessi formavano l'Esposizione. Temi di quei lavori erano parodie, bisticci e scherzi: Bracch, Brecch, Bricch, Brocch, Bruck, cinque quadretti col ritratto di Bruck (ministro austriaco del tempo), una rozza (brocch), un carrozzone break, un brich e un cane bracco. Fuga di Bach: i filugelli che vanno al bosco, dipinto da Conconi. Effetto di sole buono a mangiarsi con qualche michettina, ossia un sole in mezzo a delle nubi gialle, che pare un uovo al tegamino, sempre del Conconi. Vela Spartaco, figlio di suo padre, come dice il Libro d'oro o catalogo dell'Indisposizione, ha fatto un quadro di parodia michettiana: è un paesaggio? una marina? non si capisce ed ha per titolo Mombello. Una parodia felicissima, perché il quadro risibile è quasi tal e quale il quadro serio, è quella di Roberto Fontana che ha trasformato il dipinto storico del Cromwell di Delaroche. Peccato che non si può descrivere... vale a dire si potrebbe, anzi sarebbe facile ma non dà l'immagine della parte più estetica di un appartamento né dell'atto più sublime che l'uomo compie nella giornata. Una Madonna del Soccorso frecciava argutamente il giornalismo fatto colle forbici, e colle enciclopedie; in mezzo al quadro la Madonna e il Bambino distribuivano forbici a cronisti e direttori di giornali che la adoravano in ginocchio (nel quadro figuravano Poldo Bignami del Pungolo, Zambaldi della Perseveranza, Corio della Lombardia, Torelli-Viollier del Corriere della Sera, Luzzatto della Ragione, Moneta e Romussi del Secolo); il quadro ispirato dalla pala di Cima da Conegliano a Brera, era opera del pittore cremasco Giuseppe Conti. Un sacco pieno e ritto con su scritto S.P.Q.R. cosa rappresentava? Il sacco di Roma, diàmine! Una tela bianca incorniciata, cioè un "quadro non incominciato per la morte dell'autore". Il ritratto di un mezzo soprano era solo la metà di una cantante, e così via. E v'erano chiarimenti circa i quadri esposti: esempio, per un dipinto di Achille Dovera: "Dov'era..quando..." "Quando?" "Quando dipingeva quel quadro" "Nel suo studio, corso Venezia 12" "E adesso dov'è?" "Chi? Dovera?" "No, il quadro" "E' qui, guardi. Non è del Guardi, ma è un quadro di marina. Marina ... a secco". E il Libro d'oro che serviva da guida e da catalogo? Sotto una copertina adorna di ghirigori, fiori, piccoli scoiattoli e di un ragno gigantesco, erano adunati aforismi, tra l'altro di Kant e Hegel ben accomodati, nonché di Emmenthal, Fontine, La Gruyère e Grane-leVieux. Questo aforisma è di Vespa: "Il riso umano altro non è che il moto peristaltico dei nervi irriflessori, agitati da una corrente p i r o c r a t i c a a f r a - c e n t r a l e, r i p e r c o s s a sull'accerbinio dalla craspastiglia individuale, in forza della debolezza comune". Di giorno i visitatori ammiravano facendo buon sangue le opere esposte, di quando in quando la sera c'erano conferenze e "ombre". Le conferenze fatte dal socio Mangili erano descrizioni lepide delle opere esposte. Una delle più divertenti fu il discorso fatto dal podestà di Bergamo a Napoleone I (in bergamasco) dopo la battaglia di Marengo per chiedere la trasformazione di Bergamo in porto di mare. Ogni lombardo conosce la leggenda canzonatoria colla quale fu accolta Bergamo - da secoli soggetta a Venezia allorché caduta la repubblica entrò a far parte della famiglia lombarda; il Puricelli aveva esposto il famoso Mostrino delle onde che secondo quella fanfaluca era stato deposto in quell'occasione nella sala del Consiglio comunale bergamasco. E' un'onda immensa che arriva ai piedi di Bergamo e patasgiunfete, spazza via gli increduli che s'erano fermati sul luogo dove dovea invece fermarsi l'onda giunta in linea retta dal mare. Le "ombre" di Campi hanno ormai una fama estesa; incrociando in diversi modi le dita e le braccia davanti a un lume per farne cadere lo sbattimento d'ombra sopra un diaframma di tela bianca, il Campi fa delle ombre di persone e animali che si possono dire vive. Alle serate dell'Indisposizione il Campi, se è possibile, superò se stesso. il secchio La Scapigliatura di Maria Grazia Tolfo L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia Con questi mezzi complicati il successo dell'Indisposizione: "grande mostra conferenziaria ombreggiata", come ebbe a definirla un tale di mia conoscenza, fu un successo di oltre a 40.000 franchi d'introito, che vuol dire di oltre a quarantamila visitatori paganti. Nelle ultime sere s'inaugurò la "passeggiata storica". S'alza un sipario: delle figure dipinte su carta e messe in cartone stratagliate, passano su una scena e vanno da sinistra a destra; lo scenario che rappresenta i monumenti principali di Milano passa da destra a sinistra. Una voce che esce dalle viscere del teatrino nomina le figure che passano: "I trombettieri del duca di Milano - i guerrieri colle lame che in tempo di pace servono a sbatter le noci - l'alto clero - il basso clero...". Si trattava di fare la parodia del grande progetto di passeggiata storica annunciato con tanto fragore e andato in fumo, e si è ricorso all'antitesi con una sfilata di figurine di cartone in piccolo, che passano al suono d'una musica da scatolino. Lo spazzaturajo chiude la sfilata per "raccogliere gli applausi", dice la voce che esce dal teatrino. Fu l'ultima trovata dell'Indisposizione... La sala era tappezzata di avvertenze e consigli utili: "E' rigorosamente vietato far dondolare l'edificio". "I Visitatori dovranno depositare, in luogo a ciò destinato, la propria ombra, onde evitare soverchi affollamenti" "Uno non potrà essere un altro" "Le idee sovversive verranno respinte a forza di braccia" "E' rigorosamente vietato crearsi delle vane illusioni, e molto meno prendere in sinistra parte il lato destro della via San Primo" "I visitatori più robusti sono pregati di portar pazienza anche per gli altri" Un museo della Scapigliatura in via S. Paolo 10 Vi abitava Luigi Conconi, morto nel 1917. La sua casa, all'ultimo piano di un vecchio palazzo, era considerata il museo della Scapigliatura lombarda. Usiamo la descrizione di G.B. Angioletti: "L'estremo romanticismo ottocentesco riposa là dentro nelle più strambe reliquie, ostinatamente ricoperte dalla polvere rossiccia delle demolizioni che si vanno facendo tutto intorno a quella nobile casa. Appena entrato nel margine di quegli stanzoni, mi ha accolto il senso di un'epoca che non tornerà mai più, poiché ben tramontata. Il dubbio che il nostro secolo sia non soltanto diverso ma opposto per indole e per espressioni d'arte al secolo scorso, diviene là dentro certezza. Una genialità forse malata, ma piena di suggestioni s'è perduta, nebbie e sogni che furono come il nutrimento spirituale dei nostri padri, non torneranno mai pù. In queste stanze il Conconi aveva raccolto tutto quanto l'estroso e bizzarro gusto del tempo poteva colpire la sua immaginazione, che al tempo s'adeguava senza posa. C'era, negli scapigliati, un piacere un po' ironico un po' convinto del macabro, dell'orrido, del grottesco malinconico, piacere che stranamente si accompagnava alla bonarietà del carattere ed a certi impeti d'allegria che parevano come il sale delle fedeli e numerose amicizie. Chi avrebbe oggi il coraggio di adornare il soffitto del proprio studio con cani, gatti, lucertole, salamandre e pipistrelli insecchiti, appesi ad un cerchio come le famose figurine femminili della Danza delle Ore? Chi terrebbe sul pavimento un piccolo pescecane imbalsamato? Eppure, era in quei tempi diffusa l'arguzia del Conconi, che diceva essere indispensabile un pescecane o almeno un coccodrillo in ogni rispettabile famiglia. Il senso della morte e della distruzione è ovunque. Stinchi posati su una cassapanca tarlata, pianticelle fossilizzate, un orologio le cui lancette girano imperniate nei denti di un teschio dipinto, un pezzo di trave scavato a sottilissime lamine e guglie da un esercito di tarli (per avere questo esemplare della materia che si consuma e perisce, il Conconi diede in cambio una delle sue tele migliori, e battezzò il cimelio: Duomo delle formiche). Idoli asiatici ed africani spargono il terrore, con i loro occhi feroci, nelle notti in cui entra la luna dai finestroni. Da tende e il secchio La Scapigliatura di Maria Grazia Tolfo L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia paramenti orientali par che balzino mostri d'argento, figure spettrali escono da vecchie carte o da stampe ingiallite. Nei ritratti appesi alle pareti, uomini di cinquant'anni fa mostrano il loro sorriso beffardo tra la barbetta faunesca arricciata, e negli occhi hanno fosche ombre di predestinati al suicidio. Vipere e serpi si sfasciano nei loro aggrovigliamenti perversi, un gufo spennacchiato tenta ancora il suo volo sinistro. La magia è largamente rappresentata nella casa del pittore che aveva un po' il volto d'un mago delle antiche favole. Talismani, zodiaci, simboli della cabala. Par di vedere ancora, tra le pergamene e i compassi, il vecchio "Bigio" Conconi pronunciare la formula propiziatoria: Enchete, pènchete Puff tiné Abeli, fàbeli, dominé... Parole magiche? Macché, il mago era un buon mago, e quella era un tiritera per i bamberottoli che gli stavano intorno e gli tiravano la gran barba grigia. Magia, sì, ma prima di tutto, per i cari scapigliati veniva l'allegro amore della famiglia. In una stanza c'è un tempietto buddistico. Per tre anni il Conconi, che l'aveva scovato da non so quale antiquario o reduce dalla Cina, gli aveva fatto la corte, fin che un giorno aveva potuto comperarselo e portarselo a casa, nero e grande come una cassaforte. Ancora oggi la curiosità più riverita della casa. S'aprono gli sportelli di lacca, ed appare, assiso in una cameretta dorata, il Budda. In uno dei cassettini di questo tempietto portatile, c'è una mano di mummia egizia, conservata gelosamente, ché tanto fu cara al buon pittore. Ma gli oggetti strani sono sparsi un po' dappertutto. Copricapi birmani, marmi romanici, bronzi irriconoscibili, statuine orientali; una bellissima danzatrice greca, leggera e volante nella grazia della lunga veste, è l'unico ricordo classico in questo museo romantico dello spavento, dell'orrore e del bizzarro. I quadri del Conconi, qui riuniti ancora in gran copia, sembrano rose in una necropoli. E' incredibile come questi uomini dell'ultimo Ottocento, votati alla tristezza, diventassero poi lieti e sereni quando seguivano l'estro nativo della loro arte. Figure di donne e di bimbe hanno in queste tele, in questi acquerelli, una grazia, una freschezza incomparabili. Da tutto il mondo accidioso di scolopendre e scorpioni, di lémuri e scheletri, fra tutti i mostri delle fantasie orientali, ecco che sorgono come per incanto queste figure primaverili, leggiadre, in cui la malinconia è appena un'ombra delle tinte diluite ad arte, e in cui sono sì frequenti i sorrisi sulle labbra giovanili e negli occhi bruni o celesti. E allora? Allora viene fatto di riflettere che tutto quel lugubre armamentario non fosse altro che una moda, quei segni di morte e distruzione un omaggio all'aura poetica di quegli anni, ch'era desolata e piangente; ma che, per una troppo naturale reazione, l'animo restasse puro ed ingenuo, tutto guidato da una fantasia solerte e cordiale. Ed anche quelle scene macabre, a ben riflettere, ci sembran frutto di una invincibile ingenuità." Alberto Savinio amava ricordare il Conconi per un episodio un po' boccaccesco che aveva coinvolto il pittore Mentessi, insegnante di prospettiva a Brera. "Come tutti gli animi miti scrive Savinio - Mentessi era un ammiratore devoto e incondizionato della natura, e si levava nelle ore castissime dell'avantigiorno, per contemplare il trionfo dell'aurora. D'estate abitavano, lui e Conconi, una casetta campestre. Una mattina Mentessi al suo solito si levò per tempo e uscì sul terrazzino in camicia da notte, per salutare la rododàttila. Assieme con le prime luci del giorno, saliva nel cielo e si diffondeva un chiaro suono di campane, e dal paese veniva su lentamente cantando una processione avviata a un vicino santuario. In testa marciavano le alte vergini (cfr. Marziale: "grandes virgines") reggendo labari e stendardi. Quando vide la processione venire avanti, Mentessi volle rientrare in casa e nascondersi, ma il crudele Conconi aveva chiuso la finestra dall'interno, e se n'era tornato a letto. Intanto le vergini labarofore avevano veduto sul terrazzino quell'uomo nudo le gambe e scarmigliato, e un certo qual disordine era entrato nelle file del pio corteo. "Concon! Concon!" implorava l'infelice Mentessi, ma lo spietato Conconi faceva orecchie da mercante. D'un tratto, una folle ventata mattutina sollevò la camicia da notte di Mentessi. La processione di colpo si ruppe, e le alte vergini, rompendo in acutissimi stridi, fuggirono per la campagna, come uccelle sulle quali sta per abbattersi il falco." il secchio La Scapigliatura di Maria Grazia Tolfo L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia Altri ricordavano che, essendo la sua casa adiacente al palazzo di una banca, Conconi aveva fatto costruire un ponticello attraverso il quale indirizzava i topi intrappolati durante la notte "a mangiare i milioni della banca". Nascita del termine "Scapigliatura" Concludiamo con l'origine di questo curioso movimento risalendo all'invenzione del suo nome. Fu Cletto Arrighi, giornalista, commediografo e romanziere, che conosceremo nella secondo lezione, a escogitarlo nel modo che lui stesso racconta: "Avvenne che, un bel giorno, dovendo pur trovare un titolo mi trovai nella necessità o di coniare un neologismo o di andare a pescare nel codice della lingua qualche parola vecchia che rendesse pressapoco il concetto del mio qualsiasi romanzo. Prima dunque di osare, consultai sua maestà il Vocabolario, se mai nella sua infinita sapienza avesse saputo additarmi un mezzo di salvezza. Cerca e ricerca, finalmente trovai una parola acconcia al caso mio; perché s'ha un bel dire, ma la nostra lingua, per chi la vuol frugare un po' a fondo, non manca proprio di nulla, e sa dare a un bisogno parole vecchie anche per idee nuove, nello stesso modo che i Francesi sanno fabbricare parole nuove, per idee che hanno tanto di barba. Però, in quella maniera che potrei star garante che scapigliatura non è una parola nuova, sarei in un bell'imbarazzo se volessi persuadervi che la è molto usata e conosciuta. Infatti fra le tante persone a cui domandai che cosa intendessero per scapigliatura, parte inarcò le ciglia, come a dire: non l'ho mai sentita a menzionare, e parte mi rispose così a tentoni, chi: l'atto dello scapigliarsi, chi: una chioma arruffata, e chi, finalmente - e costui fu un letterato una vita da débauché; definizioni tutte o false o inesatte e, in ogni modo, lontane le mille miglia da quel significato in cui mi ero proposto di adoperarla io. Quell'io che credevo di aver rubato il lardo alla gatta, da quelle risposte n'ebbi una delusione che mi afflisse moltissimo - ben inteso, per quanto può affliggere una delusione filologica - e avrei messo il cuore in pace, e lasciato nel dimenticatoio la povera incompresa, se una certa rincalzante smania di spuntare le cose un po' difficili - confesso un mio debole - non mi ci avesse incaponito sopra. Ed ecco lettori, se il permettete, ch'io la prendo per mano e ve la presento. In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità d'individui d'ambo i sessi - v'è chi direbbe: una certa razza di gente fra i venti e i trentacinque anni non più, pieni d'ingegno quasi sempre; più avanzati del loro secolo, indipendenti come l'aquila delle Alpi; pronti al bene quanto al male; inquieti, travagliati, turbolenti - i quali - e per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione e il loro stato, vale a dire fra ciò che hanno in testa, e ciò che hanno in tasca, e per una loro particolare maniera eccentrica e disordinata di vivere, e per ... mille e mille altre cause e mille altri affetti il cui studio formerà appunto lo scopo e la morale del mio romanzo - meritano di essere classificati in un nuova e particolare suddivisione della grande famiglia civile, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte quante le altre. Questa casta o classe - che sarà meglio detto - vero pandemonio del secolo -personificazione della storditaggine e della follia, serbatoio del disordine, dello spirito d'indipendenza e di opposizione agli ordini stabiliti, questa classe, ripeto, che a Milano ha più che altrove una ragione e una scusa di esistere, io, con una bella e pretta parola italiana, l'ho battezzata appunto: la Scapigliatura Milanese. La Scapigliatura milanese è composta di individui di ogni ceto, di ogni condizione, di ogni grado possibile della scala sociale. Plebe, medio ceto e aristocrazia; foro, letteratura e commercio; celibato e matrimonio, ciascuno vi porta il suo tributo, ciascuno vi conta qualche membro d'ambo i sessi; ed essa li accoglie tutti in un amplesso amoroso, e li lega in una specie di mistica il secchio La Scapigliatura di Maria Grazia Tolfo L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia consorteria, forse per quella forza simpatica che nell'ordine dell'universo attrae fra di loro le sostanze consimili... Da un lato un profilo più italiano che Meneghino, pieno di brio, di speranza e di amore, e rappresenta il lato simpatico e forte di questa numerosa classe, inconscia delle proprie forze, anzi della propria esistenza, propagatrice delle brillanti utopie, focolare delle idee generose, anima di tutti gli elementi geniali, artistici e politici del proprio paese, che ogni causa o grande o folle fa balzar d'entusiasmo, che conosce della gioia la sfumatura arguta del sorriso, e lo scroscio franco e prolungato, ed ha le lagrime del fanciullo sul ciglio e le memorie feconde nel cuore. Dall'altro invece un volto smunto, solcato, cadaverico, su cui stanno le impronte delle notti passate nello stravizio e nel giuoco, su cui si adombra il segreto del dolore infinito, e i sogni tentatori di una felicità inarrivabile e le lagrime di sangue, e le tremende sfiducie e la finale disperazione." Appendice La polpetta del re, lanterna magica per bagaj e bagajoni di Ferdinando Fontana On'olivetta che, al post de l'oss, la gh'abbia on trifolin involtiàa in dò fett de carna de cavrett. Mett dent sto polpettin in d'on ortolanin; mett dent l'ortolanin in d'on dordin; mett quest in del panscin d'ona quajetta, e la quajetta in d'ona pernisetta, e la pernis in d'on fasan doràa, che in del sciampagn primma el dev vess lavàa. Sto fasan mèttel dent in d'on cappon; sto cappon mèttel dent in d'on pollin; sto pollin mèttel dent in d'on ocon; e sto ocon mèttel dent in d'on porscell. Poeu mètt dent el porscell in d'on vitell; e sto vitell mèttel dent in d'on boeu; e liga sù tuscoss cont del ramett. Fà coeus caròtol, verz, fasoeu, aj, scigòll, rosmarin, biedrav, ravett, baggiann, sèller, tomates, erbion e pomm de terra in d'ona gran caldera, cont dent on mila liter de barbera; mett la caldera sora on gran fogon, e bùttegh, quand la buj, di peveron, del timm, de la cannella, tanto sàa, e cent chili de zuccher raffinàa; e poeu traggh dent el boeu ligàa ben ben, e làssel coeus on dodes or almen! Quand sarà sugàa sù el barberon, tra via, senza paura, tutta la toa verdura; e, dopo, boeu, vitell, porscell, ocon, pollin, cappon, fasan, pernis, e quaja, e dord, e ortolan;... e serv, caldo fumante, el nisciorin: che saran i dò fett de carna de cavrett, cont denter l'olivetta, cont dent la trifoletta!!! Questa l'è la ricetta - de la regal polpetta! Bibliografia Letture e approfondimenti sulla Scapigliatura milanese: Accetti, Carlo, Luigi Borgomainerio, caricaturista lombardo del Risorgimento, Milano, Rizzoli 1942 Colombo, Carletto, Storia del teatro dialettale milanese, Milano, Silvana 1988 Corio, Ludovico, Milano e i suoi dintorni Gara, E. - Piazzi, F., Serata all'osteria della Scapigliatura, Milano, Bietti 1945 Giarelli, F., Luigi Conconi, prospetto biografico-critico, Roma-Milano, Alfieri & Lacroix, s.d. Madini, Pietro, La Scapigliatura milanese. Notizie ed aneddoti, Milano, La Famiglia Meneghina 1929 Moretti, Marino, Le più belle pagine di Emilio Praga, Tarchetti e Arrigo Boito, Milano, Treves 1926 Nardi, Piero, Scapigliatura, Bologna, Zanichelli 1924 Praga, Emilio, Tavolozza, Torino, Casanova 1889 Savinio, Alberto, A Brera, in “La Stampa” del 27 maggio 1941 il secchio RI T ES MA il PIAZZETTA biografia ed opere del Maestro Veneziano Pittore veneziano, figlio di un woodcarver, che ha studiato sotto Giuseppe Maria Crespi a Bologna e probabilmente è stato influenzato da lui per prendere gli oggetti del genre. Si è depositato a Venezia entro 1711 e dopo la sua morte la sua famiglia ha fatto una petizione la condizione per una pensione, sostenente che il suo 'costante studia ed il suo inseguimento di glory piuttosto che il guadagno lo aveva ridotto a povertà ed aveva accelerato la sua morte '. I suoi impianti sono comparativamente pochi e pur sembrando essere eseguito con velocità e la funzione erano il prodotto della deliberazione attenta ed i dolori infiniti. Ha fatto molte illustrazioni per i collettori e come libro-illustrazioni per sostenere la sua famiglia; il suo lavoro molto è stato influenzato acquaforte del Rembrandt e le sue pitture si evolvono dai contrasti baroque del chiaroscuro verso un maneggiamento più libero e più fluido di Rococo. L'influenza del Piazzetta sul Tiepolo giovane era molto grande ed era Tiepolo che ha completato la transizione al Rococo. La maggior parte delle sue pitture sono a Venezia, compreso la sua soltanto decorazione del soffitto, il glory di S. Dominic, verniciato prima di 1727 (ss Giovanni e Paolo). Altri impianti sono a Birmingham, Boston, Cambridge (Fitzwilliam), Colonia, Cortona (S. Filippo), Chicago, Cleveland Ohio, Detroit, Dresda, Dublino, Firenze (Uffizi), connett. de Hartford, Londra (galleria nazionale), Los Angeles, Milano (Brera), nuovo York (met. Mus.), Padova, Parigi (feritoia), Parma, Praga, Roma (Galleria Nazionale, Accademia di S. Luca), il Massachusetts de Springfield, Stoccolma, Vicenza, Washington (galleria nazionale di arte) ed altrove. Le sue illustrazioni sono rappresentate bene nell'accumulazione reale al castello di Windsor. il secchio il secchio