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ARTE RAKU
l’antica ceramica riscoperata anche in Italia
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fioramanti
surrealismo ed incisione
per un emergente figura Romana
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inside
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La Scapigliatura
di Maria Grazia Tolfo
L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia
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il PIAZZETTA
biografia ed opere
del Maestro Veneziano
il periodico gratuito dedicato alle ARTI di ogni tempo
interamente realizzato in esclusiva da ALCOVACREATIVA.org il portale delle Arti figurative in rete
il progetto ALCOVACREATIVA è completamente ideato realizzato e curato da Renato R. Iannone
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ARTE RAKU
l’antica ceramica riscoperata anche in Italia
La ceramica Raku
La ceramica Raku è iniziata con Chôjirô, nel 16° secolo, durante l’epoca Momoyama. In
quel tempo la città di Kyôto e nei suoi dintorni si cominciava a produrre un tipo di ceramica
che usava lo smalto tricolore (san-sai) proveniente dalla regione cinese di Fuchien; Chôjirô
era uno dei ceramisti che sapeva usare questo tipo di smalto. In alcuni documenti, è
menzionato un cinese di nome Ameya, sebbene non sono pervenute sue opere, si ritiene
che sia stato lui ad introdurre la tecnica della ceramica dei tre colori in Giappone, Ameya
era il padre di Chôjirô. Sebbene la ceramica prodotta vicino a Kyôto e quella di Chôjirô
appartengono alla stessa categoria di cottura, è completamente diverso il senso estetico
che determina la forma e la tonalità dello smalto. L’origine della ceramica e del nome Raku
deriva dall’incontro tra Chôjirô e il Maestro Sen Rikyû, fondatore del cha-no-yu, la cerimonia
del tè. E’ per il Maestro che Chôjirô iniziò a fare tazze da usare nel cha-no-yu. L’essenza di
cha-no-yu è offrire una tazza di tè e berla. Alcuni maestri di questa cerimonia portarono il
significato di questo semplice atto fino al campo vastissimo che spazia dall’architettura,
all’arte di creare un giardino, all’artigianato, alla pittura, alla calligrafia, ecc.., e cercarono di
approfondire, al di là del quotidiano, il valore della vita e il suo senso religioso e filosofico.
Ancor oggi questo è un aspetto fondamentale della vita e della cultura giapponese.
All’inizio la tazza fatta da Chôjirô era chiamata tazza "ima yaki" (cotta adesso). Nella sua
contemporaneità era all’avanguardia, al di fuori dell’immagine tradizionale della tazza, in
seguito prese il nome di "Juraku yaki"
(ceramica Juraku), poi assunse il nome
"Raku yaki" (ceramica Raku) o "Raku
chawan" (tazza Raku) quando Toyotomi
Hideyoshi, governatore del tempo,
consegnò il timbro con l’ideogramma
Raku a Chôjirô. Juraku deriva da
"Jurakudai" il nome del castello, simbolo
dell’epoca, costruito da Hideyoshi:
designava la ceramica tenuta in grande
considerazione a Juraku, nonché il nome
dell’argilla prelevata in quella zona. Una errata interpretazione della ceramica Raku, deriva
dalla traduzione del suo ideogramma che significa gioia comoda, semplice, questo porta
a pensare che la ceramica Raku sia facile da realizzare, ma non è così. In seguito, primo
esempio nella storia del Giappone, Raku diventò il cognome della famiglia di Chôjirô, e
oggi rappresenta nella storia della ceramica, la tradizione che si tramanda
ininterrottamente nella stessa dinastia da oltre quattro secoli.
L’origine della ceramica Raku, ovvero la caratteristica tazza di Chôjirô, era basata sul senso
estetico dato dalla monocromia nera e rossa, evitando il colore lucente caratteristico del
san-sai (dei tre colori). Questa monocromia prende origine dalla filosofia del Wabi-cha
(cerimonia del tè basata sul pensiero wabi), dal concetto Zen di mu (nulla) e da quello
Taoista di mui-ji-nen (senza volontà, in modo spontaneo). Il senso estetico simboleggiato
dalla parola Wabi forma la base del pensiero del medioevo giapponese ed è anche il flusso
che collega il Waka (poesia di trentun sillabe) il Renge (poesia in catena), il teatro Noh, ecc.
Questo periodo molto speciale dell’arte giapponese che fa sua la ricerca spirituale, è in
antitesi a quello del ‘700 e ‘800 giapponese ricco di senso decorativo, caratterizzato dall’uso
di colori chiari e belli di cui esempio sono le pitture di scuola Kano, Rimpa e Ukiyo-e. A
differenza delle altre ceramiche giapponesi, la ceramica Raku non usa mai il tornio,
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ARTE RAKU
l’antica ceramica riscoperata anche in Italia
vengono utilizzate soltanto le mani. L’utilizzo
esclusivo delle mani permette la libera
formazione secondo la sensibilità dell’artista,
nello stesso tempo trasmette calore e
sentimento. Le tazze create da Chôjirô negano
questo fatto, andando al di là della creazione
come espressione ideale. La forte tensione del
mondo magnetico della coscienza è più
evidente quando tralascia il formale gusto
decorativo e creativo, per immergersi nella
serenità del monocolore. Il desiderio dell’artista di
negare tutti gli sforzi creativici coinvolge e ci attira
nell’avventura psicologica paradossale di
esprimere la volontà di superare ogni
espressione. Al di là di questa avventura che cosa
cercava Chôjirô? Cosa possiamo trovare noi
contemporanei? Questa direzione della
coscienza espressiva pone ancor oggi, a
quattrocento anni di distanza, una domanda
nuova al nostro mondo spirituale.
La ceramica Raku viene tramandata da 15
generazioni così come fu ai tempi di Chôjirô. A
differenza del "noborigama" (forno a più camere
costruito su un pendio) che consente di produrre
un gran numero di ceramiche Raku, usa il forno
"uchigama" con mantice incorporato che
permette la cottura di una singola tazza; questa
viene estratta dal forno non appena lo smalto si
scioglie ed è ancora incandescente. Questa
tecnica è ora conosciuta in tutto il mondo.
Continuare ad utilizzare la stessa tecnica non
significa la semplice riproduzione della forma
tradizionale; ispirandosi alla coscienza di ogni epoca essa brucia energia creativa. Come
dice lo stesso Kichizaemon XV Raku: "La tradizione non è un semplice atto di custodire e
ripetere". Tutto dipende da cosa vuole intendere l’artista con coscienza e con tecnica
tramandata come tradizione: avendo come base una consolidata tradizione è possibile
creare una opera d’arte completamente nuova.
Dinastia Raku
Generazione Raku : Chôjirô I (- 1589) Jõkei II (- 1635) Dõnnyü III (1599-1656) Ichinyü IV (16401696) Sõnyü V (1664-1716) Sanyü VI (1685-1739) Chõnyü VIII (1714-1770) Tokunyü VIII (17451774) Ryonyõü IX (1756-1834) Tannyü X (1795-1854) Keinyü XI (1817-1902) Kõnyü XII (18571932) Seinyü XIII (1887-1944) Kakunyü XIV (1918-1980) Kichizaemon XV (1949 - )
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ARTE RAKU
l’antica ceramica riscoperata
anche in Italia
LAVORAZIONE DELLA CERAMICA-:
costruzione manuale .
Le nozioni le tecniche e le pratiche
fondamentali dei processi di
lavorazione, cottura e decorazione
delle argille, forniscono gli elementi
necessari per orientarsi all'interno
delle molte possibilità che la
lavorazione della ceramica
offre.La sperimentazione diretta di
tutte le principali fasi della
lavorazione ceramica: - proprietà
e preparazione dell'argilla;costruzione manuale secondo le
diverse tecniche (modellato,
sfoglia, colombino, ecc.); caratteristiche ed uso dei colori per
la maiolica: attraverso test di
cottura dei diversi tipi di prodotti
coloranti: ingobbi, colori
sottocristallina, colori soprasmalto,
cristalline colorate, smalti colorati
,contribuiscono a costituire un
nutrito bagaglio tecnico
fondamentale per ogni ceramista
.Dedicarsi prevalentemente alla
costruzione degli oggetti od alle
tecniche di decorazione , dà
modo all'artista di dar forma pian
piano a tutto ciò che ha in mente
percorrendo una scala ogni giorno
sempre più costruttiva all'interno
del mondo ceramico. Aver modo
di conoscere tecniche di cottura
diverse che vengono
regolarmente praticate nei
laboratori, come il bucchero
(l'antica tecnica di annerimento
degli oggetti in uso presso gli
etruschi), le cotture a segatura, il
raku , danno modo all'artista di
poter esporre la propria creatività e
sperimentare ogni giorno tecniche
e materiali diversi sino a trovare il
giusto equilibrio tra uomo e materia
, peraltro fondamentale nella
tecnica Raku .
PREPARAZIONE DELLE ARGILLE : Terre per
R a k u , i n g o b b i s p e c i a l i , Te r r e S i g g i l l a t e,
Composizione
chi ha già sperimentato la lavorazione della
ceramica e desideri quindi approfondirne gli
aspetti tecnici per meglio sfruttare tutte le
potenzialità che questa tecnica racchiude.
Queste nozioni riportate di seguito , danno una
piccola infarinatura sull'uso delle terre e loro
composizione: - la terra sigillata: preparazione e
diversi modi d'impiego (nel raku, in riduzione,
colorata, su biscotto, ecc.); - cotture a segatura e
legna: costruzione e preparazione dei forni,
diverse disposizioni degli oggetti in cottura (per
riduzioni parziali, totali o guidate); - i riflessi metallici:
gli effetti di lustro sullo smalto ottenuti con una
riduzione in raffreddamento; conduzione della
cottura a gas, decorazione e smaltatura; conduzione di un forno a gas per le diverse
tecniche di cottura. A questo scopo verrà utilizzato
un prototipo di forno a gas mobile, adatto a tutti i
tipi di cottura(prima cottura, maiolica, riflessi,
bucchero e raku). Il forno è stato concepito per
permettere a chi intenda iniziare ad attrezzare un
proprio laboratorio, di poter sperimentare tutti i tipi
di cottura senza sostenere spese impegnative. Il
forno viene prodotto dallaboratorio e gli allievi
interessati potranno ordinarlo. Per maggiori
informazioni viene riportata sopra la scheda
tecnica del forno, che può essere fornito su
richiesta. Durante lo stage si realizzeranno oggetti
con diverse argille refrattarie, si può esercitarsi al
tornio, smaltare e decorare oggetti in biscotto
forniti dal laboratorio o portati dai partecipanti.
vedi calendario corso base.
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ARTE RAKU
l’antica ceramica riscoperata anche in Italia
LAVORAZIONE AL TORNIO
Attraverso una serie di
esercizi guidati, vengono
insegnati i primi stadi
della lavorazione, così da
consentire una corretta
impostazione di base per
l'esercizio di questa
tecnica, che rappresenta
il fondamento storico
della lavorazione della
ceramica. Gli allievi
avranno modo di
familiarizzarsi con lo
strumento realizzando
oggetti semplici ed
acquisendo le basi per
proseguire nella pratica
autonomamente.
Durante il corso si
apprenderanno, tra
l'altro, diverse operazioni
di rifinitura, molto utili per
completare la
lavorazione di altri
manufatti costruiti
manualmente o con gli
stampi.
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fioramanti
surrealismo ed incisione
per un emergente figura Romana
Nasce a Roma l'11 febbraio 1954. Inizia la sua
attività artistica con una grafica figurativa di indirizzo
surrealista e sperimenta diverse tecniche incisorie.
La produzione di quegli anni viene esposta in una
personale (aprile 1982) alla galleria Tavazzi in Via
Sistina a Roma. Nel 1979 si laurea in Ingegneria
edile (consolidamento dei dissesti nei centri storici)
ed esercita la libera professione per alcuni anni.
Dal 1983 lavora a tempo pieno come artista nel
campo della pittura, installazione e performance.
Nel gennaio 1982 collabora con Claudio Bianchi
alla redazione del ManifestoTrattista dando vita al
Movimento omonimo. Primo laboratorio del gruppo
le sale di una villa pubblica romana, messa a
disposizione dall'Assessore alla Cultura Renato
Nicolini. Stimolati dal contatto con il pubblico, gli
artisti decidono di realizzare - con il patrocinio del
Comune di Roma - degli happening di pittura nelle
piazze del centro storico (aprile 1983).
Nel giugno 1983 lascia la professione di ingegnere
e sperimenta differenti materiali alla ricerca di
un'idea totale dell'arte, mirando al recupero dei
segni, dei significati e dei gesti rituali delle culture
extra-occidentali. Viaggia in Europa realizzando
delle performance nelle principali piazze di
Monaco di Baviera, Berlino Ovest, Amsterdam e
Parigi. Si trasferisce a Berlino Ovest. Nell'ottobre, con
l'aiuto del Direttore del Deutscher
Werkbund, Alessandro Carlini, realizza
col gruppo romano un happening nel
parcheggio esterno del Teatro Freie
Volksbühne Berlin cui fa seguito
l'esposizione delle opere nelle sale
interne. Vengono dipinte le prime due
auto "trattiste".
Nel gennaio 1984 fonda il Gruppo
Trattista Berlin e partecipa al
"Kunstmeile Kurfürstendamm '84"
(patrocinio Galerie Andre) ed alle
performance notturne nei cafégallerie Mora, Swing, Weinstube,
Kleisther, nella galleria Haus am
Lützowplatz e nel teatro Die Etage
("Kirsch-Blüte/Fiore-di-Ciliegio"), realizza
clandestinamente opere pittoriche su
muri e cartelloni pubblicitari. Stringe
amicizia con il gallerista Rudolf
Springer. Ad aprile realizza un
happening nella piazza di Calcata (a
cura di Giuseppe Salerno). A maggio è
invitato a Roma all'Università "La
Sapienza", presso la facoltà di Lettere
per la rassegna: Nuove tendenze
dell'arte contemporanea, a cura di
Simonetta Lux che gli mette a
disposizione microfono, telecamere e
colori alla presenza degli studenti. Il
gallerista Giantomaso Liverani de La
Salita patrocina un intervento trattista
di sei pittori su una tela di cento metri
distesa lungo Ponte Sisto. Il lavoro dura
tre giorni e si conclude con la messa in
vendita della tela "al metro".
L'operazione stimola l'interesse di A.
Bonito Oliva che si presenta più volte
sul ponte. Invitato alla rassegna
Spoletovideo ed esegue la
performance Zen. Ad agosto realizza
un murale sulle pareti esterne della
il secchio
(catalogo, I Trattisti, E. Jonction ed.). Ad agosto
insieme al gruppo berlinese (Christiane Kluth, David
Thompson, Julie O' Grady) partecipa con Impronta
Rocciosa ad una tournée in Gran Bretagna
fioramanti
surrealismo ed incisione
(patrocinio del Senatore alla Cultura di Berlino,
per un emergente figura Romana Volker Hassemer): Stonehenge (Megaliti), Bristol (The
Galerie Leger di Monaco di Baviera. A
dicembre dieci trattisti eseguono
sculture su Ponte S. Angelo (catalogo, I
Trattisti nell'anno del Topo d'oro, Carte
Segrete ed.) per tre giorni e tre notti
consecutive (patrocinio del Comune
di Roma e della galleria MR).
Nel marzo 1985 a Berlino Ovest
dipinge 40 metri di Muro
(Schlesischestraße) simulandone
l'abbattimento con una Volkswagen
ugualmente dipinta (patrocinio della
RAI di Milano). Ad aprile inaugura il
Trattistambiente, nella
Ansbacherstraße 58. A maggio, su
segnalazione dell'artista Domenico De
Angeli, partecipa al Theaterfestival di
Monaco di Bavieradove conosce il
pittore Walter Amann e il gruppo King
Kong Kunst Kabinett. A luglio, su
indicazione di Achille Bonito Oliva, il
gallerista Massimo Riposati organizza a
Roma una serie di esposizioni
simultanee (catalogo, I Trattisti, o del
primitivismo astratto - Bianchi/
Fioramanti/ Perrone, Carte Segrete ed.)
in quattro gallerie di Via Garibaldi (MR,
La Salita, 5x5, Studio Marani
Fahrenheit) e in esterni. L'esposizione
passa alla galleria Inter/Prise di Salerno
Old Profanity Showboat), Londra (Covent Garden)
ed Edimburgo (Fringe Festival - Venue 22, Richard
De Marco). Contemporaneamente partecipa alla
rassegna nella Fortezza Medicea di Siena
(catalogo, Una Nuovissima generazione dell'arte
italiana, a cura di Enrico Crispolti). In autunno
seguono performance a Berlino Ovest: teatro Die
Etage, Swing e nel Trattistambiente con la mostra
Bianchi/Contreras/ Fioramanti/ Frolet/ Kichou/
Senatore/ Wang Po Shu.
Nel gennaio 1986 Bianchi e Fioramanti fanno un
omaggio a Giacomo Balla, in quegli stessi spazi
romani (galleria San Marco di Giuseppe Caccetta)
nei quali espose l'artista futurista. In quella galleria,
alla presenza di un'opera di Balla, viene
organizzato un "salotto trattista", al quale
intervengono Bruno Zevi, Gaetano Pesce, Enrico
Crispolti e Filiberto Menna sul tema: "Roma nel
panorama artistico internazionale". A febbraio
espone in una personale alla galleria Inter/Prise di
Salerno (Aspettando Halley) e in una collettiva alla
galleria it 'Art di Berlino Ovest (graphita '86).
Nell'estate i mercanti berlinesi Uta Mitchke e René
Scharf si trasferiscono a Manhattan ed inaugurano
il loro spazio con venti lavori su carta. Partecipa alla
collettiva nel Castello Colonna di Genazzano
(catalogo, Internazionale d'arte/ Genazzano '86).
Ad ottobre espone a Berlino Ovest nelle sale
dell'Intercontinental Kunstraum alla Budapesterstr.
30 (catalogo, Trattista Age - Bianchi/ Fioramanti,
Felgentreffen & Goebel Verlag, promosso dalla
Deutsche Bank Berlin, presentato da Klaus
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surrealismo ed incisione
per un emergente figura Romana
Nothnagel, Taz Berlin). A dicembre nasce il
"Laboratorio Olduvai", di cui fanno parte anche
Claudio Bianchi, Ali Kichou, Ermanno Senatore
ed Eva Rachele Grassi che espone (giugno agosto '87) a Roma (Galleria S. Marco, Il Luogo di
Elena Lacava, catalogo, Project against
Apartheid), Napoli (Studio 85), Berlino Ovest
(Trattistambiente), Stoccolma (catalogo, Istituto
Italiano di cultura) e Algeri (catalogo, I^
Biennale internazionale - I° premio) dove le
opere presentate vengono richieste dal Musée
des Beaux Arts in esposizione permanente.
Nel febbraio 1987 espone nella 365 Galerie a
Berlino Ovest/Kreuzberg in una personale (Sulle tracce del fiume, del vento e degli uomini) e
con Ermanno Senatore alla galleria Il Punto di Velletri (Trattistambiente - Atelier Berlin, a cura
di Eva Rachele Grassi). A marzo è presente nel libro/catalogo "Michelangelo Antonioni, Le
architetture della visione"/sezione "Profanazioni" (a cura di M. Mancini e G.Perrella, Lumina
ed.). Nell'estate lascia Berlino Ovest e viaggia in Spagna. Prende visione diretta dei graffiti
preistorici nelle grotte di Puente Viesgo. Si trasferisce a Barcellona, in una pensione del Barrio
Gotico. Qui conosce la danzatrice Daniela Lobo e il pittore Pedro Cara che gli mette a
disposizione il proprio studio e gli organizza un seminario presso "Les Cotxeres des Sants"
(patrocinio della Generalitat). Ad ottobre il gallerista Ennio Borzi visita il suo studio ed instaura
con lui un rapporto di collaborazione.
Nel maggio 1988 torna a Roma ed espone, per la prima volta autonomamente dal gruppo
trattista, contemporaneamente in quattro spazi: galleria Break Club (libro/catalogo, Roma
Arte Oggi, Politi ed., a cura di Paolo Balmas e Filiberto Menna), Istituto Studi Romani, Comune
di Roma, Min. Affari Esteri, Min. Beni Culturali, AITEC (catalogo, Forme per il cemento Sculture nel mondo dal 1920 a oggi, a cura di Pier Carlo Santini), Ex- Borsa in Campo Boario,
Comune di Roma (catalogo, Dodici-meno-trentacinque-primo/ Giovani artisti a Roma,
Multigrafica ed.), Studio Erre (catalogo, Roma Arte Oggi, opere su carta). D'estate viaggia in
Thailandia, a dicembre soggiorna a Montreal ed a New York. Qui realizza la fotoinstallazione con il "grattacielo". Conosce Robert Rauschenberg, Anton Perich (artista, già
collaboratore di Andy Warhol nella Factory), Candace Dwan, gallerista, e il poeta Indran
Amirthanayagam.
Nel marzo 1989 l'Associazione Spaziodocumento di Roma, per il ciclo d'incontri
"Sconfinamenti e Contaminazioni" lo invita a presentare il suo lavoro con video e diapositive
(Orchestrazioni nomadiche); interviene il critico Gastone Bonsembiante. Partecipa ad una
collettiva allo Studio Erre in collaborazione con il Break Club. Viaggia ad Amsterdam e a
Stoccolma dove conosce il gallerista Engström ed espone nella Myn Sister och Yag. Ad
aprile l'Assessorato alla Cultura di Roma lo invita a Milano alla manifestazione Sprayers on
the Wall, un happening di tre giorni su un chilometro di muro (Via De Gasperi). A giugno
espone a Roma al Centro Di Sarro (catalogo, DS, Le Vie dei Canti, a cura di Gastone
Bonsembiante) e a settembre la prima delle collettive a Perugia nella galleria Il Gianicolo di
Eligio Fulli e Vittoria Gentile (catalogo, Della pittura e altro a cura di Franca Calzavacca).
Nell'estate '89 viene invitato da Giuliano Gori alla Fattoria di Celle (PT) e alla Fiumara d'Arte (S.
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fioramanti
surrealismo ed incisione
per un emergente figura Romana
Stefano di Camastra, ME) da Antonio Presti con il quale inizia a lavorare.
Dal gennaio 1990 soggiorna più volte alla Fiumara d'Arte: dipinge su un centinaio di piatti in
terracotta nel laboratorio di Torremuzza; per l'Albergo-Museo di Marina di Tusa realizza tele,
installazioni e il bozzetto in legno l'Arca dopo il ritrovamento che viene esposto a giugno insieme
al Totem delle Piramidi nelle sale della Fiera di Roma (catalogo, Arte e Artigianato). Due
collettive a Bagheria, galleria Ezio Pagano (catalogo, Circumnavigazione 5, a cura di Giorgio Di
Genova) ed a Torino, galleria Il Segno di A. Alloatti (catalogo, libroggetti, a cura di Elena Lacava)
dove presenta formelle in cemento (Archemi). Dopo la caduta del Muro di Berlino quotidiani e
riviste danno ampio spazio alla foto-installazione con la "Volkswagen" e il Museo Haus am
Checkpoint Charlie di Berlino ne richiede la foto (cm 80x110) in esposizione permanente.
Nell'estate viaggia in Europa, soggiorna a Parigi e nel sud della Francia, visita la nuova Berlino e
Dresda. Torna a Roma dove comincia a lavorare la terracotta. Dall'autunno '90 pratica il Tai Chi.
Nell'aprile 1991 partecipa alla rassegna "Berlin Berlin" al Palazzo delle Esposizioni con la
performance Zeitgeist Berlin (Antonella Ventura, danza; Giovanni Macciocu, violoncello
classico; Rashmi V. Bhatt, tablas; Adriano Waiskol, recitazione; Marco Fioramanti, idea, regia e
pittura-live - catalogo, Marco Fioramanti, a cura del Comune di Roma, con testi di Vittoria Biasi e
Gastone Bonsembiante). A giugno è invitato a Formia per eseguire in pubblico una grande tela.
D'estate viaggia in Bretagna e realizza alcune foto-installazioni con gli allineamenti arcaici di
Carnac. A novembre presenta presso l'Empiria a Roma il suo primo libro di poesie e pitture Luce
all'indifferenza del quotidiano (Cultura 2000 ed., prefazione di Cesare Milanese), espone tele e
carte e realizza la performance Il pieno e il vuoto. A dicembre è presente alla collettiva nella
SALA 1 (catalogo, SALAAM/ Manifesto ed., a cura di GianleonardoLatini e Gabriella Dalesio).
Nel gennaio 1992 dipinge una serie di
grandi piatti in ceramica. Si interessa ai
giardini zen ed elabora un progetto
esecutivo per il Comune di Roma (non
realizzato per improvviso cambio di
giunta). Nell'estate viaggia in Cina: a Xian
ha conoscenza diretta dei 6000 guerrieri di
terracotta, a Pechino si diploma in Terapia
Tuina presso il China International
Acupuncture Training Center con pratica
alla Clinica universitaria di Ortopedia e
Traumatologia. Visita il Tibet. A novembre in
una personale presso la galleria Miralli di
Viterbo espone tele e ceramiche
policrome (catalogo, Ai poeti l'alto scrigno del Tibetano, testo di Simonetta Lux).
Nell'estate 1993 partecipa ad una performance di pittura ('A Chiena) nel centro storico di
Campagna (PZ). A novembre presenta un'antologica (catalogo, Marco Fioramanti - Opere
1983-1993, a cura del Comune di Prato, testo di Gastone Bonsembiante) presso le sale del
Palazzo Comunale di Prato (tele, carte, terrecotte, foto-installazioni) dove realizza una
performance insieme ad Ermanno Senatore ed Eva Rachele Grassi.
Nel gennaio 1994 espone a Roma all'Officina di Gorgia (Passacaglia con le ombre: Arndt,
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fioramanti
surrealismo ed incisione
per un emergente figura Romana
Bianchi, Contreras, Fioramanti, Hynd, a cura di Anna Maria Corbi). A maggio presenta 12 opere
alla collettiva "Transizioni, Migrazioni, Passaggi" alla A.A.M. di Francesco Moschini. Esce il
volume "La Pittura in Italia. Il Novecento/3 Le Ultime Ricerche" (Electa ed., a cura di Enrico
Crispolti) che storicizza il Movimento Trattista . D'estate soggiorna a Londra presso il musicista
David Thompson.
Nel gennaio 1995 presenta un'installazione (tele e giardino zen) in una personale all' Officina di
Gorgia (catalogo, Nome di Lancia, a cura di Lidia Reghini di Pontremoli); il poeta Sergio Sarritzu
gli dedica un poemetto (Notte di luna piena davanti a un giardino zen, Carte Segrete ed.) con
un testo di Lidia Reghini. A marzo viaggia nel sud del Marocco e nel Sahara, dove elabora
lavori sulle dune. A Marrakech conosce il pittore Mohamed Melehi. D'estate torna per due mesi
in Marocco (Asilah). Qui il governo gli mette a disposizione un atelier e realizza una serie di
monotipi su carta (Odatsehte: Colui che porta la faretra), acqueforti e pitture su tela che
espone lungo le mura della Medina. Conosce il pittore K. Gherib.
Nel marzo 1996 espone i lavori su carta (Ori dal Marocco) presso lo Studio SDL di Roma. A luglio
è invitato a Bordeneuve (Midi pirenaico) dove realizza una installazione (in-canto) con grandi
pietre, graniti e basalti. Pubblica per suo conto la seconda raccolta di versi Discontinuo
Movimento e prepara un'antologia feeling wor(l)ds con i poeti Indran Amirtanayagam, Anton
Perich e Sergio Sarritzu. Nell'ottobre '96 si sposta a Parigi/Créteil dove forma con Ermanno
Senatore ed Eva Rachele Grassi il gruppo "Cyber Dada" e presenta i suoi lavori nella galleria "Le
GNAC/Inter-prise".
Nel marzo 1997 espone presso la McCANN-ERICKSON ITALIANA a Roma. Viene invitato a
presentare un bozzetto (Allineamenti) per il concorso di scultura "Città di Arona" (patrocinio Ente
Fiera Lago Maggiore). A maggio torna a Parigi ed espone con Grassi e Senatore: Cyber-EthnoDada. A luglio partecipa alla rassegna "Torri d'avvistamento" a Tarquinia e Tuscania (a cura di
Lidia Reghini di Pontremoli, patrocinio della Regione Lazio). A settembre pubblica per la casa
editrice Pulcinoelefante (Osnago/Lecco) di Alberto Casiraghi un libretto d'artista a tiratura
limitata. A ottobre/novembre è al seguito di una spedizione etno-antropologica in Nepal (Prof.
Romano Mastromattei/ Università di Roma "Tor Vergata") dove studia i fenomeni di trance negli
sciamani Tamang dell'area himalayana.
Dal febbraio 1998 realizza tre libretti Pulcinoelefante. A maggio torna a Parigi per l'esposizione
Molecole d'amore e per impostare la nascita della rivista Cyber-Dada. A luglio partecipa alla
rassegna Torri d'avvistamento III a Tuscania, a cura di Lidia Reghini di Pontremoli. A settembre
viaggia in Portogallo, visita Lisbona e stringe un rapporto di collaborazione con il Comune di
Celorico da Beira. A dicembre partecipa alla collettiva Locomozioni presso le sale espositive
Guazzolini a Zagarolo a cura di Lidia Reghini di Pontremoli.
Nel marzo 1999 espone in una personale presso la Libreria Garzanti di Milano (Carte: 19831998 e ceramiche policrome), realizza due nuovi libretti Pulcinoelefante. Partecipa a Roma
alla collettiva Gli Angeli sotto le stelle al Palazzo delle Esposizioni (Roof Garden) e realizza la
performance Trans/parencia con la danzatrice colombiana Marta Ruíz (ADRADANZA) e
musica etnica live. A giugno si trasferisce per un anno in Portogallo quale artista-curatore di una
biennale d'arte contemporanea "perle rare".
Il 2/3 giugno 2000 viene invitato dal critico Edoardo Di Mauro a Torino alla galleria d'arte
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surrealismo ed incisione
per un emergente figura Romana
moderna a partecipare al congresso su Arte e contaminazione con il territorio presentando il
programma della biennale portoghese. A luglio, durante un soggiorno sui Pirenei francesi,
realizza un'installazione eolica sull'idea di una ruota della preghiera tibetana. Ad Osnago
stampa due nuove serie Pulcinoelefante. A settembre torna a Berlino sullo stesso luogo
dell'installazione con la Volkswagen fotografando la situazione attuale dallo stesso identico
punto. E' invitato a Milano alla manifestazione Oltre Macondo, presso il centro Leoncavallo,
dove realizza una performance con l'artista colombiano Agustín Parra. In ottobre prende
parte alla mostra virtuale "I 5 SENSI" che viene presentata anche a Verona ("Abitare il tempo").
A dicembre realizza la performance Oltre Macondo Ii con Agustín Parra, Marta Ruíz e vari
musicisti presso la galleria Il Labirinto di Roma.
(Roma, dicembre 2000)
Tutto il materiale documentativo (cataloghi, video, rassegna-stampa, ecc.) è a disposizione
presso l'Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia e presso l'Archivio
Cid Arti Visive del Museo per l'Arte Contemporanea "Luigi Pecci" di Prato.
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La Scapigliatura
di Maria Grazia Tolfo
L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia
La Scapigliatura di Maria Grazia Tolfo L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia
In via Vivaio due erano i punti di ritrovo degli Scapigliati: l'osteria del Polpetta e il giardino dei
Cicogna nella parte coltivata ad ortaglia. In quei tempi corso Monforte terminava sui bastioni
chiusi, "dalle larghe ombre degli ippocastani giganteschi, in mezzo ai bei giardini patrizi e alle
vaste e pingui ortaglie". Il mezzo di collegamento con questa zona bucolica era un enorme
vecchio omnibus color verde pisello, che trasportava rarissimi passeggeri. Via Vivaio, come
suggerisce il toponimo, era una via assolutamente campestre, con solo un paio di case
moderne accanto a un paio di antiche case rurali. Vi abitavano molti artisti, amanti della
quiete: De Albertis, Francesco Fontana, Eugenio Perego, Giuseppe Barbaglia, Borgomainerio,
... Il ritrovo comune a mezzogiorno era presso il Polpetta, sull'angolo di via Conservatorio, dove
convenivano anche Tranquillo Cremona, Giuseppe Grandi ed Emilio Praga, che abitava in
Monforte. La polpetta milanese, piatto povero e di recupero per antonomasia, era così
famosa fra gli scapigliati che il poeta e commediografo dialettale Ferdinando Fontana
compose la gustosa "Polpetta del Re" (in appendice). A far concorrenza al Polpetta giunsero
due portinai in una casa di recente costruzione di via Vivaio, due coniugi mastodontici con
due bambini ritagliati sul loro stesso stampo. I bimbi divennero i modelli preferiti dagli artisti; i
genitori si offrirono di tenere in ordine gli studi e gli "antri" degli artisti e, pian piano, s'instaurò tra
loro un rapporto di tale complicità che un giorno qualcuno buttò là: "Perché non ci fate
anche da mangiare?". Dopo pochi giorni alla mensa della portineria sedevano tutti i clienti
del Polpetta disperato. All'arrivo della primavera Emilio Praga sospirava di poter mangiare
all'aperto, adocchiando il giardino fiorito dei conti Cicogna, che copriva l'area dove ora
sorge l'istituto dei ciechi. Il portiere Prevosti ne parlò al conte e ai primi di maggio s'inaugurò la
mensa all'aperto nell'ortaglia sotto alberi ormai fronzuti, con accanto predisposto anche un
gioco di bocce. E fu quell'angolo di pace che ispirò al Carcano e al Barbaglia due tele che
trasmettevano armonia per la vegetazione lussureggiante e per il tremolare dei raggi del sole
attraverso le fronde - "pizzicotti della luce all'ombra", diceva il Borgomainerio -. Qui si
ritrovarono per molti anni gli allegri scapigliati, intorno al cibo frugalissimo ma sano,
accompagnato da qualche boccale di vino nostrano e frizzante, vociando e gesticolando
sulla pista delle bocce. Il Sacchetti ne ha lasciato una commossa descrizione: "A due passi
dalla Prefettura pareva d'essere in fondo a una campagna remota. Alcuni vecchi alberi
bellissimi che forse una volta appartenevano al parco del palazzo vicino avevano, là
dimenticati, disteso i loro rami da tutte le parti e per questo piacevano all'autore dei Paesaggi
che trovava in quella libertà di fronde una certa somiglianza con la immaginosa
abbondanza del suo stile. C'era a completare la scena campestre una rustica osteria, ma
aveva un'usanza deplorevolmente urbana: faceva credito agli avventori e rincarava il conto
ai morosi. In quell'ortaglia si fecero le più care festicciole ch'io abbia mai goduto."
Francesco Fontana e Giuseppe Barbaglia Tra i frequentatori più assidui dell'Ortaglia vi erano
lo scultore Fontana e il pittore Barbaglia, due amici fraterni, assolutamente inseparabili anche
quando lavoravano. Come dalla maggior parte degli artisti, la buona sorte si teneva in
disparte anche da loro, al fine di accrescere il tormento creativo. Il Fontana, che aveva
animo mite e fatalista, soleva consolare l'amico dicendogli: "Non bisogna disperare. Il
Signore provvederà". Il Barbaglia non era invece né fatalista, né confidava nella divina
provvidenza e quindi replicava, come si suol fare coi bambini che credono a Babbo Natale:
"Il Signore! Il Signore! Vuoi che te la canti? Il Signore non c'è!". I discorsi ruotavano sempre
intorno a quel perno: - C'è - Non c'è - e coinvolgevano anche gli altri artisti dell'Ortaglia. Una
il secchio
La Scapigliatura
di Maria Grazia Tolfo
L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia
mattina il portinaio Prevosti accompagna nello studio dove stavano i due amici un elegante
signore, che dovendo fare dei regali aveva avuto l'indicazione di rivolgersi ai due soci. Il Fontana
esclama allora trionfante: "Vedi che c'è il Signore?", e l'altro di rimando: "Sì, basta togliergli la
maiuscola!".
Emilio Praga visto da Roberto Sacchetti "Emilio Praga, idealista inconscio, ma incorreggibile, che
diceva "la lirica è la sola arte vera perché inutile", non sdegnava, nei giorni di sconforto e di
bisogno, il mestiere letterario; macchinava di far vivere la sua poesia purissima a spese del
giornale e del teatro, "trastulli ed intelligenze inferiori". Progettista sfrenato ed impenitente,
scoccava de' tiri scellerati alla supposta buaggine del pubblico e quando credeva aver trovato
l'idea di qualche nuova, fenomenale mistificazione, strizzava l'occhio maliziosamente e con
una perfidia estremamente ingenua esclamava: "Ah mio buon pubblico, tu hai a portare l'arte
come la mula porta l'arcivescovo: ora ti metterò io la cavezza!". Il guaio è che lui s'invaghiva di
quelle sue burle, ci profondeva il sangue vivo del cuore, le ricchezze del suo grande talento ed
era lui stesso la prima, l'unica vera vittima delle sue infernali ciurmerie. Il pubblico recalcitrava e
fischiava invariabilmente i suoi drammi. Credereste che lui ne soffrisse. Ma che! artista sempre,
abbandonava lui primo la causa dell'autore!, mentre la burrasca imperversava in teatro e gli
attori rientravano barcollanti, sbalorditi dagli urli e cacciati dai proiettili lanciati dalla platea,
Praga si contorceva dalle risa, e pigliava uno spasso infinito dal comico della propria disgrazia;
non serbava rancore al pubblico, anzi gli acquistava stima per lo spirito che aveva dimostrato
accoppando il suo aborto. Fallito il tiro, ne mulinava un altro.
Una volta fece in collaborazione con Arrigo Boito una commedia intitolata, credo, Le madri
galanti, e fu recitata al Carignano di Torino da una compagnia la cui prima donna era
analfabeta e bisognava metterle in gola la parte. I due poeti confidavano tanto nel successo
che avevano portato con sé, per la rappresentazione, le loro famiglie. Subito al primo atto
scoppiò il finimondo. Arrigo Boito, bravo fino alla temerità, s'era avanzato tra le quinte più sulla
scena, e là, le mani nelle tasche dei calzoni, una sigaretta sfatta tra le labbra sottili, gli occhi
aguzzi luccicanti dietro gli occhiali, ritto, impassibile sfidava l'uragano. Praga venne a prenderlo
per il braccio dicendo: "Vieni prima che ci accoppino" e discesero al vicino caffè del Cambio,
dove cenarono allegramente mentre a due passi si faceva della commedia l'estremo
scempio.
Emilio Praga scrisse parecchi libretti per musica, e in questi sovente lo aiutò il Boito, perché il
poeta delle Penombre, capace di passare una notte intorno al congegno di una strofa, non
poteva assolutamente far cosa che richiedesse l'attività continuata e regolare di qualche
settimana. Respinto dal teatro, si rivolgeva al giornale: aveva nella stampa degli amici
dispostissimi a pubblicare qualunque cosa sua, perché gli volevano bene e perché il suo nome
era pur sempre un valore. Si metteva con ardore a imbastir novelle e racconti per appendice:
era sicuro del fatto suo, avrebbe guadagnato tesori, ci contava, e ne disponeva: offriva
generalmente ai suoi più intimi, a Boito, a Fontana, a Torelli di collaborare con lui. Il mestiere non
era cosa per lui: l'arte ci s'infiltrava a sua insaputa, ci metteva, come dissi, troppo del suo, gli
costava più fatica delle sue liriche migliori e tirati i conti questa pretesa letteratura alimentare non
serviva che ad alimentare le sue illusioni. In quindici anni menò a fine, credo, due novelle
pubblicate dal Pungolo: nel 1867 cominciò nell'appendice della Platea un romanzo, le
Memorie del Presbiterio. Alla settima appendice il romanzo fe' una sosta: il giornale morì e Praga
vendette il romanzo incominciato al Pungolo. Per nove anni di seguito, ad ogni Natale, egli
portava al Fortis lo scartafaccio e ne riceveva una cinquantina di lire, poi passato il primo
dell'anno lo ritirava per finirlo, l'allungava di un paio d'appendici e lo lasciava lì. Veniva una cosa
ineguale, stravagante, stiracchiata dalle idee più lontane e diverse, ma ricca d'immagini, di
il secchio
La Scapigliatura
di Maria Grazia Tolfo
L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia
pagine splendidissime; l'intreccio gli si arruffava sotto mano sempre più: e lui si compiaceva di
smarrirsi in quel labirinto di poesia. Quando era in angustie si risolveva ad un tratto d'uscirne.
Avesse campato cent'anni, non ne sarebbe mai venuto a capo."
Praga era un frequentatore dell'Ortaglia. Ci andava la mattina e ci passava intere giornate;
voleva rimettersi a dipingere, ma anche di questo proposito non ne fece niente. Scarne le
notizie nella sua biografia: nato a Milano il 18 dicembre 1839, morto nella stessa città nel
dicembre di trentasei anni dopo. Più che essere immortalato come poeta dai posteri, fu
amato dagli amici artisti come persona trainante e imprevedibile.
L'"Indisposizione" del 1881 in via S. Primo Il 1881 fu un anno memorabile per Milano: ospitava
l'Esposizione nazionale. Tutte le industrie italiane mandarono i loro campionari nei padiglioni
allestiti ai Giardini Pubblici, mentre l'esposizione delle Belle Arti si teneva nel palazzo del Senato.
In coda all'esposizione ufficiale, in via S. Primo nella ex casa di Pompeo Marchesi , si tenne
anche l' "Indisposizione" artistica organizzata dagli Scapigliati, una parodia brillante che ebbe
un successo inaspettato e straordinario.
Ne ha fatto la cronaca il Chirtani: "Codesta mostra da ridere nacque da un pensiero
malinconico, espresso dal titolo, e fu ideata da quella società milanese che porta tanto bene
il nome di Famiglia Artistica e che vi ricorse come a un mezzo per migliorare le proprie
condizioni: auspici il Vespasiano Bignami, il Campi che fa tanto ridere a muso duro, il Mangili,
ed altri dei più ameni capi scarichi della Famiglia; il progetto fu ventilato seriamente.
"Emettiamo delle azioni" - esclamò un membro della società - "Le emettono le ditte dei carri
inodori che puzzan tanto, e quelle del concime del re del creato, perché non ne emetteremo
anche noi?"
"Le azioni furono emesse, di lire 100, destando la ilarità di chi non crede ai miracoli dell'arte o
non conosce che leve d'umorismo e che sorta di milionari esistano in quella Famiglia. Appena
emesse le azioni si esitarono tutte. La base d'operazione era trovata.
"Si tennero delle sedute tempestose pel programma dell'Esposizione; il Bignami ne ha fatto un
acquerello nel quale si vede il presidente che si tura le orecchie, ed i membri che fanno un
caos del diavolo; il segretario incaricato del verbale tira giù moccoli dal lampadario
dibattendosi come una scimmia sua una corda di ginnastica.
Cosa siasi deciso in quelle sedute nessuno ha mai potuto saperlo... Si sa e s'è visto bensì che i
membri della Famiglia, più pratici di stecche e pennelli che di chiacchiere, si son messi subito
all'opera, a porte chiuse, per avere abbastanza presto pronta la mostra. Si cercò il titolo.
Perché si faceva l'impresa? Per indisposizione della Famiglia Artistica. La mostra si chiamò
Indisposizione di Belle Arti. Fu atto di verismo e una trovata felice.
Era disponibile l'antico studio dello scultore Marchesi in via San Primo, fu subito preso in affitto:
sgombrato dalle cose minori, vi rimasero le due grandi figure di fiumi (i gessi dell'Adige e del
Tagliamento che figurano all'Arco della pace), il cui trasporto costava troppo: le lasciarono
stare, le indorarono, ne fecero "le sorgenti della Panna (crema di latte), fiume che irriga e
feconda la pianura lombarda mettendo foce a Gorgonzola, dove arriva alquanto
stracchino".
Sulla facciata fu condotto un dipinto a buon fresco rappresentante i tranvai al tempo dei
Greci, una bella e briosa composizione bene immaginata a simulato bassorilievo, lavoro del
Mentessi che prometteva subito bene della mostra.
All'interno le pareti furono coperte di quadri. Quattro grandi pilastri sostenevano la volta della
sala e si chiamarono Anteo, Atlante, Ercole e Piccaluga (in memoria del celebre personaggio
del Barchett de Boffalora). Sui quattro lati di ciascuno vennero distribuiti bozzetti di scultura e
quadri: vicino alla porta sorrideva il Moro colla sua mazza in mano, come all'Esposizione di
il secchio
La Scapigliatura
di Maria Grazia Tolfo
L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia
Belle Arti; in fondo alla sala si aprì la
caupona di Lucullo, con servizio di "bibite
igieniche ed esilaranti, conservate fresche
col ghiaccio nazionale".
Quadri e gessi formavano l'Esposizione. Temi
di quei lavori erano parodie, bisticci e
scherzi:
Bracch, Brecch, Bricch, Brocch, Bruck,
cinque quadretti col ritratto di Bruck (ministro
austriaco del tempo), una rozza (brocch),
un carrozzone break, un brich e un cane
bracco.
Fuga di Bach: i filugelli che vanno al bosco,
dipinto da Conconi.
Effetto di sole buono a mangiarsi con
qualche michettina, ossia un sole in mezzo
a delle nubi gialle, che pare un uovo al
tegamino, sempre del Conconi.
Vela Spartaco, figlio di suo padre, come
dice il Libro d'oro o catalogo
dell'Indisposizione, ha fatto un quadro di
parodia michettiana: è un paesaggio? una
marina? non si capisce ed ha per titolo
Mombello.
Una parodia felicissima, perché il quadro
risibile è quasi tal e quale il quadro serio, è
quella di Roberto Fontana che ha
trasformato il dipinto storico del Cromwell di
Delaroche. Peccato che non si può
descrivere... vale a dire si potrebbe, anzi
sarebbe facile ma non dà l'immagine della
parte più estetica di un appartamento né
dell'atto più sublime che l'uomo compie
nella giornata.
Una Madonna del Soccorso frecciava
argutamente il giornalismo fatto colle
forbici, e colle enciclopedie; in mezzo al
quadro la Madonna e il Bambino
distribuivano forbici a cronisti e direttori di
giornali che la adoravano in ginocchio (nel
quadro figuravano Poldo Bignami del
Pungolo, Zambaldi della Perseveranza,
Corio della Lombardia, Torelli-Viollier del
Corriere della Sera, Luzzatto della Ragione,
Moneta e Romussi del Secolo); il quadro
ispirato dalla pala di Cima da Conegliano a
Brera, era opera del pittore cremasco
Giuseppe Conti.
Un sacco pieno e ritto con su scritto S.P.Q.R.
cosa rappresentava? Il sacco di Roma,
diàmine!
Una tela bianca incorniciata, cioè un "quadro
non incominciato per la morte dell'autore".
Il ritratto di un mezzo soprano era solo la metà di
una cantante, e così via.
E v'erano chiarimenti circa i quadri esposti:
esempio, per un dipinto di Achille Dovera:
"Dov'era..quando..." "Quando?" "Quando
dipingeva quel quadro" "Nel suo studio, corso
Venezia 12" "E adesso dov'è?" "Chi? Dovera?"
"No, il quadro" "E' qui, guardi. Non è del Guardi,
ma è un quadro di marina. Marina ... a secco".
E il Libro d'oro che serviva da guida e da
catalogo? Sotto una copertina adorna di
ghirigori, fiori, piccoli scoiattoli e di un ragno
gigantesco, erano adunati aforismi, tra l'altro di
Kant e Hegel ben accomodati, nonché di
Emmenthal, Fontine, La Gruyère e Grane-leVieux. Questo aforisma è di Vespa: "Il riso
umano altro non è che il moto peristaltico dei
nervi irriflessori, agitati da una corrente
p i r o c r a t i c a a f r a - c e n t r a l e, r i p e r c o s s a
sull'accerbinio dalla craspastiglia individuale, in
forza della debolezza comune".
Di giorno i visitatori ammiravano facendo buon
sangue le opere esposte, di quando in quando
la sera c'erano conferenze e "ombre".
Le conferenze fatte dal socio Mangili erano
descrizioni lepide delle opere esposte. Una
delle più divertenti fu il discorso fatto dal
podestà di Bergamo a Napoleone I (in
bergamasco) dopo la battaglia di Marengo
per chiedere la trasformazione di Bergamo in
porto di mare. Ogni lombardo conosce la
leggenda canzonatoria colla quale fu accolta
Bergamo - da secoli soggetta a Venezia allorché caduta la repubblica entrò a far parte
della famiglia lombarda; il Puricelli aveva
esposto il famoso Mostrino delle onde che
secondo quella fanfaluca era stato deposto in
quell'occasione nella sala del Consiglio
comunale bergamasco. E' un'onda immensa
che arriva ai piedi di Bergamo e patasgiunfete, spazza via gli increduli che
s'erano fermati sul luogo dove dovea invece
fermarsi l'onda giunta in linea retta dal mare.
Le "ombre" di Campi hanno ormai una fama
estesa; incrociando in diversi modi le dita e le
braccia davanti a un lume per farne cadere lo
sbattimento d'ombra sopra un diaframma di
tela bianca, il Campi fa delle ombre di persone
e animali che si possono dire vive. Alle serate
dell'Indisposizione il Campi, se è possibile,
superò se stesso.
il secchio
La Scapigliatura
di Maria Grazia Tolfo
L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia
Con questi mezzi complicati il successo dell'Indisposizione: "grande mostra conferenziaria
ombreggiata", come ebbe a definirla un tale di mia conoscenza, fu un successo di oltre a
40.000 franchi d'introito, che vuol dire di oltre a quarantamila visitatori paganti.
Nelle ultime sere s'inaugurò la "passeggiata storica". S'alza un sipario: delle figure dipinte su
carta e messe in cartone stratagliate, passano su una scena e vanno da sinistra a destra; lo
scenario che rappresenta i monumenti principali di Milano passa da destra a sinistra. Una voce
che esce dalle viscere del teatrino nomina le figure che passano: "I trombettieri del duca di
Milano - i guerrieri colle lame che in tempo di pace servono a sbatter le noci - l'alto clero - il
basso clero...". Si trattava di fare la parodia del grande progetto di passeggiata storica
annunciato con tanto fragore e andato in fumo, e si è ricorso all'antitesi con una sfilata di
figurine di cartone in piccolo, che passano al suono d'una musica da scatolino. Lo spazzaturajo
chiude la sfilata per "raccogliere gli applausi", dice la voce che esce dal teatrino. Fu l'ultima
trovata dell'Indisposizione...
La sala era tappezzata di avvertenze e consigli utili: "E' rigorosamente vietato far dondolare
l'edificio".
"I Visitatori dovranno depositare, in luogo a ciò destinato, la propria ombra, onde evitare
soverchi affollamenti"
"Uno non potrà essere un altro"
"Le idee sovversive verranno respinte a forza di braccia"
"E' rigorosamente vietato crearsi delle vane illusioni, e molto meno prendere in sinistra parte il
lato destro della via San Primo"
"I visitatori più robusti sono pregati di portar pazienza anche per gli altri"
Un museo della Scapigliatura in via S. Paolo 10 Vi abitava Luigi Conconi, morto nel 1917. La sua
casa, all'ultimo piano di un vecchio palazzo, era considerata il museo della Scapigliatura
lombarda. Usiamo la descrizione di G.B. Angioletti: "L'estremo romanticismo ottocentesco
riposa là dentro nelle più strambe reliquie, ostinatamente ricoperte dalla polvere rossiccia delle
demolizioni che si vanno facendo tutto intorno a quella nobile casa. Appena entrato nel
margine di quegli stanzoni, mi ha accolto il senso di un'epoca che non tornerà mai più, poiché
ben tramontata. Il dubbio che il nostro secolo sia non soltanto diverso ma opposto per indole e
per espressioni d'arte al secolo scorso, diviene là dentro certezza. Una genialità forse malata,
ma piena di suggestioni s'è perduta, nebbie e sogni che furono come il nutrimento spirituale
dei nostri padri, non torneranno mai pù. In queste stanze il Conconi aveva raccolto tutto quanto
l'estroso e bizzarro gusto del tempo poteva colpire la sua immaginazione, che al tempo
s'adeguava senza posa. C'era, negli scapigliati, un piacere un po' ironico un po' convinto del
macabro, dell'orrido, del grottesco malinconico, piacere che stranamente si accompagnava
alla bonarietà del carattere ed a certi impeti d'allegria che parevano come il sale delle fedeli e
numerose amicizie. Chi avrebbe oggi il coraggio di adornare il soffitto del proprio studio con
cani, gatti, lucertole, salamandre e pipistrelli insecchiti, appesi ad un cerchio come le famose
figurine femminili della Danza delle Ore? Chi terrebbe sul pavimento un piccolo pescecane
imbalsamato? Eppure, era in quei tempi diffusa l'arguzia del Conconi, che diceva essere
indispensabile un pescecane o almeno un coccodrillo in ogni rispettabile famiglia.
Il senso della morte e della distruzione è ovunque. Stinchi posati su una cassapanca tarlata,
pianticelle fossilizzate, un orologio le cui lancette girano imperniate nei denti di un teschio
dipinto, un pezzo di trave scavato a sottilissime lamine e guglie da un esercito di tarli (per avere
questo esemplare della materia che si consuma e perisce, il Conconi diede in cambio una
delle sue tele migliori, e battezzò il cimelio: Duomo delle formiche). Idoli asiatici ed africani
spargono il terrore, con i loro occhi feroci, nelle notti in cui entra la luna dai finestroni. Da tende e
il secchio
La Scapigliatura
di Maria Grazia Tolfo
L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia
paramenti orientali par che balzino mostri
d'argento, figure spettrali escono da
vecchie carte o da stampe ingiallite. Nei
ritratti appesi alle pareti, uomini di
cinquant'anni fa mostrano il loro sorriso
beffardo tra la barbetta faunesca
arricciata, e negli occhi hanno fosche
ombre di predestinati al suicidio. Vipere e
serpi si sfasciano nei loro aggrovigliamenti
perversi, un gufo spennacchiato tenta
ancora il suo volo sinistro.
La magia è largamente rappresentata nella
casa del pittore che aveva un po' il volto
d'un mago delle antiche favole. Talismani,
zodiaci, simboli della cabala. Par di vedere
ancora, tra le pergamene e i compassi, il
vecchio "Bigio" Conconi pronunciare la
formula propiziatoria:
Enchete, pènchete Puff tiné Abeli, fàbeli,
dominé...
Parole magiche? Macché, il mago era un
buon mago, e quella era un tiritera per i
bamberottoli che gli stavano intorno e gli
tiravano la gran barba grigia. Magia, sì, ma
prima di tutto, per i cari scapigliati veniva
l'allegro amore della famiglia.
In una stanza c'è un tempietto buddistico.
Per tre anni il Conconi, che l'aveva scovato
da non so quale antiquario o reduce dalla
Cina, gli aveva fatto la corte, fin che un
giorno aveva potuto comperarselo e
portarselo a casa, nero e grande come una
cassaforte. Ancora oggi la curiosità più
riverita della casa. S'aprono gli sportelli di
lacca, ed appare, assiso in una cameretta
dorata, il Budda. In uno dei cassettini di
questo tempietto portatile, c'è una mano di
mummia egizia, conservata gelosamente,
ché tanto fu cara al buon pittore.
Ma gli oggetti strani sono sparsi un po'
dappertutto. Copricapi birmani, marmi
romanici, bronzi irriconoscibili, statuine
orientali; una bellissima danzatrice greca,
leggera e volante nella grazia della lunga
veste, è l'unico ricordo classico in questo
museo romantico dello spavento,
dell'orrore e del bizzarro.
I quadri del Conconi, qui riuniti ancora in
gran copia, sembrano rose in una necropoli. E'
incredibile come questi uomini dell'ultimo
Ottocento, votati alla tristezza, diventassero poi
lieti e sereni quando seguivano l'estro nativo
della loro arte. Figure di donne e di bimbe hanno
in queste tele, in questi acquerelli, una grazia,
una freschezza incomparabili. Da tutto il mondo
accidioso di scolopendre e scorpioni, di lémuri e
scheletri, fra tutti i mostri delle fantasie orientali,
ecco che sorgono come per incanto queste
figure primaverili, leggiadre, in cui la malinconia
è appena un'ombra delle tinte diluite ad arte, e
in cui sono sì frequenti i sorrisi sulle labbra giovanili
e negli occhi bruni o celesti. E allora? Allora viene
fatto di riflettere che tutto quel lugubre
armamentario non fosse altro che una moda,
quei segni di morte e distruzione un omaggio
all'aura poetica di quegli anni, ch'era desolata e
piangente; ma che, per una troppo naturale
reazione, l'animo restasse puro ed ingenuo, tutto
guidato da una fantasia solerte e cordiale. Ed
anche quelle scene macabre, a ben riflettere, ci
sembran frutto di una invincibile ingenuità."
Alberto Savinio amava ricordare il Conconi per
un episodio un po' boccaccesco che aveva
coinvolto il pittore Mentessi, insegnante di
prospettiva a Brera. "Come tutti gli animi miti scrive Savinio - Mentessi era un ammiratore
devoto e incondizionato della natura, e si levava
nelle ore castissime dell'avantigiorno, per
contemplare il trionfo dell'aurora. D'estate
abitavano, lui e Conconi, una casetta
campestre. Una mattina Mentessi al suo solito si
levò per tempo e uscì sul terrazzino in camicia da
notte, per salutare la rododàttila. Assieme con le
prime luci del giorno, saliva nel cielo e si
diffondeva un chiaro suono di campane, e dal
paese veniva su lentamente cantando una
processione avviata a un vicino santuario. In
testa marciavano le alte vergini (cfr. Marziale:
"grandes virgines") reggendo labari e stendardi.
Quando vide la processione venire avanti,
Mentessi volle rientrare in casa e nascondersi,
ma il crudele Conconi aveva chiuso la finestra
dall'interno, e se n'era tornato a letto. Intanto le
vergini labarofore avevano veduto sul terrazzino
quell'uomo nudo le gambe e scarmigliato, e un
certo qual disordine era entrato nelle file del pio
corteo. "Concon! Concon!" implorava l'infelice
Mentessi, ma lo spietato Conconi faceva
orecchie da mercante. D'un tratto, una folle
ventata mattutina sollevò la camicia da notte di
Mentessi. La processione di colpo si ruppe, e le
alte vergini, rompendo in acutissimi stridi,
fuggirono per la campagna, come uccelle sulle
quali sta per abbattersi il falco."
il secchio
La Scapigliatura
di Maria Grazia Tolfo
L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia
Altri ricordavano che, essendo la sua casa adiacente al palazzo di una banca, Conconi aveva
fatto costruire un ponticello attraverso il quale indirizzava i topi intrappolati durante la notte "a
mangiare i milioni della banca".
Nascita del termine "Scapigliatura" Concludiamo con l'origine di questo curioso movimento
risalendo all'invenzione del suo nome.
Fu Cletto Arrighi, giornalista, commediografo e romanziere, che conosceremo nella secondo
lezione, a escogitarlo nel modo che lui stesso racconta: "Avvenne che, un bel giorno, dovendo
pur trovare un titolo mi trovai nella necessità o di coniare un neologismo o di andare a pescare
nel codice della lingua qualche parola vecchia che rendesse pressapoco il concetto del mio
qualsiasi romanzo. Prima dunque di osare, consultai sua maestà il Vocabolario, se mai nella sua
infinita sapienza avesse saputo additarmi un mezzo di salvezza. Cerca e ricerca, finalmente
trovai una parola acconcia al caso mio; perché s'ha un bel dire, ma la nostra lingua, per chi la
vuol frugare un po' a fondo, non manca proprio di nulla, e sa dare a un bisogno parole vecchie
anche per idee nuove, nello stesso modo che i Francesi sanno fabbricare parole nuove, per
idee che hanno tanto di barba.
Però, in quella maniera che potrei star garante che scapigliatura non è una parola nuova, sarei
in un bell'imbarazzo se volessi persuadervi che la è molto usata e conosciuta.
Infatti fra le tante persone a cui domandai che cosa intendessero per scapigliatura, parte
inarcò le ciglia, come a dire: non l'ho mai sentita a menzionare, e parte mi rispose così a tentoni,
chi: l'atto dello scapigliarsi, chi: una chioma arruffata, e chi, finalmente - e costui fu un letterato una vita da débauché; definizioni tutte o false o inesatte e, in ogni modo, lontane le mille miglia
da quel significato in cui mi ero proposto di adoperarla io.
Quell'io che credevo di aver rubato il lardo alla gatta, da quelle risposte n'ebbi una delusione
che mi afflisse moltissimo - ben inteso, per quanto può affliggere una delusione filologica - e
avrei messo il cuore in pace, e lasciato nel dimenticatoio la povera incompresa, se una certa
rincalzante smania di spuntare le cose un po' difficili - confesso un mio debole - non mi ci avesse
incaponito sopra.
Ed ecco lettori, se il permettete, ch'io la prendo per mano e ve la presento.
In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità d'individui d'ambo i
sessi - v'è chi direbbe: una certa razza di gente fra i venti e i trentacinque anni non più, pieni
d'ingegno quasi sempre; più avanzati del loro secolo, indipendenti come l'aquila delle Alpi;
pronti al bene quanto al male; inquieti, travagliati, turbolenti - i quali - e per certe contraddizioni
terribili fra la loro condizione e il loro stato, vale a dire fra ciò che hanno in testa, e ciò che hanno
in tasca, e per una loro particolare maniera eccentrica e disordinata di vivere, e per ... mille e
mille altre cause e mille altri affetti il cui studio formerà appunto lo scopo e la morale del mio
romanzo - meritano di essere classificati in un nuova e particolare suddivisione della grande
famiglia civile, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte quante le
altre.
Questa casta o classe - che sarà meglio detto - vero pandemonio del secolo -personificazione
della storditaggine e della follia, serbatoio del disordine, dello spirito d'indipendenza e di
opposizione agli ordini stabiliti, questa classe, ripeto, che a Milano ha più che altrove una
ragione e una scusa di esistere, io, con una bella e pretta parola italiana, l'ho battezzata
appunto: la Scapigliatura Milanese.
La Scapigliatura milanese è composta di individui di ogni ceto, di ogni condizione, di ogni grado
possibile della scala sociale. Plebe, medio ceto e aristocrazia; foro, letteratura e commercio;
celibato e matrimonio, ciascuno vi porta il suo tributo, ciascuno vi conta qualche membro
d'ambo i sessi; ed essa li accoglie tutti in un amplesso amoroso, e li lega in una specie di mistica
il secchio
La Scapigliatura
di Maria Grazia Tolfo
L'Osteria del Polpetta e l'Ortaglia
consorteria, forse per quella forza simpatica che nell'ordine dell'universo attrae fra di loro le
sostanze consimili... Da un lato un profilo più italiano che Meneghino, pieno di brio, di speranza e
di amore, e rappresenta il lato simpatico e forte di questa numerosa classe, inconscia delle
proprie forze, anzi della propria esistenza, propagatrice delle brillanti utopie, focolare delle idee
generose, anima di tutti gli elementi geniali, artistici e politici del proprio paese, che ogni causa o
grande o folle fa balzar d'entusiasmo, che conosce della gioia la sfumatura arguta del sorriso, e
lo scroscio franco e prolungato, ed ha le lagrime del fanciullo sul ciglio e le memorie feconde
nel cuore.
Dall'altro invece un volto smunto, solcato, cadaverico, su cui stanno le impronte delle notti
passate nello stravizio e nel giuoco, su cui si adombra il segreto del dolore infinito, e i sogni
tentatori di una felicità inarrivabile e le lagrime di sangue, e le tremende sfiducie e la finale
disperazione."
Appendice
La polpetta del re, lanterna magica per bagaj e bagajoni di Ferdinando Fontana
On'olivetta che, al post de l'oss, la gh'abbia on trifolin involtiàa in dò fett de carna de cavrett. Mett
dent sto polpettin in d'on ortolanin; mett dent l'ortolanin in d'on dordin; mett quest in del panscin
d'ona quajetta, e la quajetta in d'ona pernisetta, e la pernis in d'on fasan doràa, che in del
sciampagn primma el dev vess lavàa. Sto fasan mèttel dent in d'on cappon; sto cappon mèttel
dent in d'on pollin; sto pollin mèttel dent in d'on ocon; e sto ocon mèttel dent in d'on porscell.
Poeu mètt dent el porscell in d'on vitell; e sto vitell mèttel dent in d'on boeu; e liga sù tuscoss cont
del ramett. Fà coeus caròtol, verz, fasoeu, aj, scigòll, rosmarin, biedrav, ravett, baggiann, sèller,
tomates, erbion e pomm de terra in d'ona gran caldera, cont dent on mila liter de barbera; mett
la caldera sora on gran fogon, e bùttegh, quand la buj, di peveron, del timm, de la cannella,
tanto sàa, e cent chili de zuccher raffinàa; e poeu traggh dent el boeu ligàa ben ben, e làssel
coeus on dodes or almen!
Quand sarà sugàa sù el barberon, tra via, senza paura, tutta la toa verdura; e, dopo, boeu, vitell,
porscell, ocon, pollin, cappon, fasan, pernis, e quaja, e dord, e ortolan;... e serv, caldo fumante,
el nisciorin: che saran i dò fett de carna de cavrett, cont denter l'olivetta, cont dent la trifoletta!!!
Questa l'è la ricetta - de la regal polpetta!
Bibliografia Letture e approfondimenti sulla Scapigliatura milanese:
Accetti, Carlo, Luigi Borgomainerio, caricaturista lombardo del Risorgimento, Milano, Rizzoli 1942
Colombo, Carletto, Storia del teatro dialettale milanese, Milano, Silvana 1988
Corio, Ludovico, Milano e i suoi dintorni
Gara, E. - Piazzi, F., Serata all'osteria della Scapigliatura, Milano, Bietti 1945
Giarelli, F., Luigi Conconi, prospetto biografico-critico, Roma-Milano, Alfieri & Lacroix, s.d.
Madini, Pietro, La Scapigliatura milanese. Notizie ed aneddoti, Milano, La Famiglia Meneghina
1929
Moretti, Marino, Le più belle pagine di Emilio Praga, Tarchetti e Arrigo Boito, Milano, Treves 1926
Nardi, Piero, Scapigliatura, Bologna, Zanichelli 1924
Praga, Emilio, Tavolozza, Torino, Casanova 1889
Savinio, Alberto, A Brera, in “La Stampa” del 27 maggio 1941
il secchio
RI
T
ES
MA
il PIAZZETTA
biografia ed opere
del Maestro Veneziano
Pittore veneziano, figlio di un woodcarver,
che ha studiato sotto Giuseppe Maria Crespi
a Bologna e probabilmente è stato
influenzato da lui per prendere gli oggetti del
genre. Si è depositato a Venezia entro 1711
e dopo la sua morte la sua famiglia ha fatto
una petizione la condizione per una
pensione, sostenente che il suo 'costante
studia ed il suo inseguimento di glory
piuttosto che il guadagno lo aveva ridotto a
povertà ed aveva accelerato la sua morte '.
I suoi impianti sono comparativamente
pochi e pur sembrando essere eseguito con
velocità e la funzione erano il prodotto della
deliberazione attenta ed i dolori infiniti. Ha
fatto molte illustrazioni per i collettori e come
libro-illustrazioni per sostenere la sua famiglia;
il suo lavoro molto è stato influenzato
acquaforte del Rembrandt e le sue pitture si
evolvono dai contrasti baroque del
chiaroscuro verso un maneggiamento più libero e più fluido di
Rococo. L'influenza del Piazzetta sul Tiepolo giovane era molto
grande ed era Tiepolo che ha completato la transizione al
Rococo. La maggior parte delle sue pitture
sono a Venezia, compreso la sua soltanto
decorazione del soffitto, il glory di S. Dominic,
verniciato prima di 1727 (ss Giovanni e
Paolo).
Altri impianti sono a Birmingham, Boston,
Cambridge (Fitzwilliam), Colonia, Cortona (S.
Filippo), Chicago, Cleveland Ohio, Detroit,
Dresda, Dublino, Firenze (Uffizi), connett. de
Hartford, Londra (galleria nazionale), Los
Angeles, Milano (Brera), nuovo York (met.
Mus.), Padova, Parigi (feritoia), Parma, Praga,
Roma (Galleria Nazionale, Accademia di S.
Luca), il Massachusetts de Springfield,
Stoccolma, Vicenza, Washington (galleria
nazionale di arte) ed altrove. Le sue
illustrazioni sono rappresentate bene
nell'accumulazione reale al castello di
Windsor.
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