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GIORNALE SICILIANO DI POLITICA, CULTURA, ECONOMIA, TURISMO, SPETTACOLO
ANNO TERZO Nº 12 / 13 • LUGLIO/AGOSTO 2008 • b 1,50
DIRETTORE RESPONSABILE SALVO BARBAGALLO
Sulla Sicilia le mani degli eredi di Stalin e Mao
Dai vecchi ai nuovi padroni
di SALVO BARBAGALLO
I
vecchi padroni della Sicilia stanno
per essere soppiantati? È un interrogativo che pochi si pongono dovuto, principalmente, ad una totale assenza di vera conoscenza delle “vere”
problematiche dell’Isola e di chi è
“veramente e non apparente” protagonista di un futuro che dovrebbe essere
patrimonio di tutti, ma che, alla fine, è
appannaggio di pochi. Noi ci poniamo
l’interrogativo non perché siamo depositari di “verità”, ma in quanto “cronisti” di ciò che accade (di ciò che appare, cioè), e di ciò che è accaduto
(sforzandoci di ricostruire i fatti storici). L’interpretazione della realtà per
noi, dunque, è affidata a questi fattori.
Seguendo le attuali situazioni socioeconomiche e politiche siciliane (lo
diciamo subito) si ha l’impressione
del “déjà vu”, del “già visto”, del ripetersi di fatti significativi, come accadde negli anni Quaranta, prima e subito
dopo la guerra, che portarono la Sicilia ed una ristretta cerchia di uomini
ad occupare una posizione determinante nello scacchiere nazionale ed internazionale.
Noi, in un nostro libro (“L’avvenire
che non venne”) abbiamo espresso un
teorema che partiva dall’ipotesi che in
un determinato periodo storico (dal
1942 in poi) uomini appartenenti a
L’Isola, come accadde alla vigilia dello sbarco
alleato nel luglio del 1943, è nuovamente
al centro di enormi interessi internazionali
quattro “aggregazioni” di natura diametralmente diversa, Stato (nel senso
delle Istituzioni, più propriamente degli uomini che hanno costituito il corpo delle Istituzioni, politici compresi),
Chiesa (quale partecipazione di singoli esponenti dell’Alto clero, di strutture finanziarie del Vaticano, di appartenenti all’Opus Dei), Massoneria (in
quanti hanno mantenuto la loro adesione in forma segreta e occulta) e
Mafia, si siano trovati in accordo per
raggiungere precisi obiettivi, mirati
inizialmente, ma molto genericamente, agli interessi della collettività (nazionale e internazionale) e poi sfociati,
praticamente e concretamente, in interessi di potere di raggruppamento di
lobby (in senso assoluto).
Parlavamo anche di “patti scellerati” fra queste forze occulte che dovevano essere rinnovati nel tempo. Teorema difficile da contestare perché la
cronaca degli ultimi sessant’anni han-
no ampiamente dimostrato quanto potesse essere vicino alla realtà. Dei sottoscrittori originari di quei “patti” non
è rimasto nessuno perché passati a miglior vita, ed ora anche gli “eredi” che
hanno proseguito quell’opera infame
di oppressione della Sicilia, sono in
via di estinzione per questioni anagrafiche. In poche parole, i vecchi padroni stanno scomparendo, anche se loro
si considerano immortali e continuano
ad accumulare ricchezza sfruttando
tutte le possibilità speculative che il
mercato offre. Costoro immortali non
sono, e nuovi padroni si affacciano alla ribalta, con una penetrazione sottile
che spesso passa inosservata, e che
viene coperta, sempre per questioni di
accordi e di interessi inconfessabili.
La Sicilia oggi è ripulita (?) dalla
mafia: non ci stanno più i Provenzano,
i Riina, i Santapaola, e di morti ammazzati per le strade se ne vedono talmente pochi, che non suscitano allar-
A Catania
grandi interessi
economici ruotano
attorno alla gestione
dell’aeroporto
di Fontanarossa
e sul dubbio
“risanamento”
del centro storico
me; i “famigerati” Cavalieri sono
scomparsi da tempo, sostituiti da ristretti gruppi economici, ora anche loro in via di sostituzione. La Sicilia attualmente è, da una parte, una vera zona franca dove si vende e si spaccia di
tutto; dall’altra parte è luogo deputato
per la grandi speculazioni urbanistiche, per i grandi investimenti delle catene alimentari, e chi più ne ha, più ne
metta. Da un punto di vista politico,
ecco l’exploit (unica novità nazionale
degli ultimi anni) di un movimento
apparentemente venuto dal nulla, il
MpA di Raffaele Lombardo che, dopo
i primi tentennamenti, si è fatto paladino dello Statuto speciale autonomistico Siciliano, salvo poi avallare la
Commissione per la “revisione” e
l’applicazione dello Statuto stesso.
Basta guardare gli spostamenti del danaro, per rendersi conto di quali sommi enormi (private e pubbliche) piovino sulla Sicilia, in special modo su
Catania: e ad osservare bene però, nelle principali società che investono in
questo territorio ci stanno sempre i soliti “noti”, quelli che si ritengono immortali. La Sicilia, così come accadde
alla vigilia dello sbarco alleato nel luglio del 1943, è nuovamente al centro
di interessi internazionali, ma come in
Sicilia gli immortali vanno inesorabilmente verso l’estinzione, anche chi
torna a sbarcare nell’Isola o chi si insedia per la prima volta, ha bisogno di
nuovi e “affidabili” referenti.
Quindi se i cinesi sono già perfettamente collocati con le loro apparenti
microattività commerciali, e se ci
stanno da tempo le grandi Compagnie
petrolifere americane (come la Panther Resources) a caccia del petrolio
siciliano, grazie alle concessioni fatte
dai politici che hanno retto la Regione, perché meravigliarsi se ora i russi
vogliono la loro fetta di torta, e fanno
grossi investimenti immobiliari nel
palermitano, mentre a Priolo (vedi la
Lukoil) si accaparrano buona parte
delle raffinerie Erg?
Il quadro politico-militare internazionale è cambiato? Sicuramente. Ciò
che non cambia e la posizione geografica della Sicilia, e quella posizione fa
gola a tanti. Chi saranno i nuovi padroni, di fronte ai quali si inchineranno i nostri politici? Il “déjà vu” qualche indicazione incomincia a darla…
POLITICA
LA VOCE DELL’ISOLA
2
19 Luglio 2008
Il successo in politica è figlio dei propri meriti e degli errori degli altri
Vota Antonio, Vota Antonio...
Una opposizione alla Hulk
di MARCO MATURANO
Walter Veltroni
e un bel pezzo della classe
dirigente del PD scelgono
di lasciare a Di Pietro
una prateria di opposizione,
tutta (o quasi) da attraversare
in splendida e furbissima
solitudine
E
ccolo lì che se la ride e si sfrega le mani. E pensa a quanto
sia vero che il successo in politica sia in parti eguali figlio dei
propri meriti e degli errori (o delle
scelte consapevoli) più o meno clamorosi degli altri. Antonio Di Pietro
lo pensa, divorando con voracità i
sondaggi che lo danno ancora in crescita. Alla faccia del lucido, sontuoso e mastodontico PD di Veltroni,
che viene fotografato in deciso calo
di popolarità e voti. Sondaggi che
certificano la sensazione diffusa dai
mass media e tra la gente. La sensazione che l’unica vera opposizione
strutturalmente, culturalmente, visceralmente antiberlusconiana è proprio quella guidata dall’ex-pm di
Mani Pulite. E sarà pure una semplificazione, ma di semplificazioni è
fatta la politica.
Le semplificazioni, del resto, sono
quelle che hanno portato sugli altari
e nella polvere Tonino nelle sue
molteplici vite da quando ha fatto il
grande passo, lanciandosi nel circo
Barnum della politica, che aveva
messo sotto osservazione come magistrato. La prima vita breve, polemica e incolore come Ministro tecnico del Governo Prodi versione 19961998. La seconda vita da parlamentare del Mugello e fondatore con
successo dei Democratici insieme a
Prodi e ai sindaci. La terza vita da
leader del suo partito personale, l’Italia dei Valori, inaugurato con il regalo al centrosinistra di una bella
sconfitta alle elezioni del 2001. Per
poi vivacchiare nella costruzione
dell’Unione e nella preparazione del
ritorno del Professore. Con, nel mezzo del cammino, un esperimento
sfortunato e incomprensibile di alleanza con Achille Occhetto. E poi
l’esperienza vincente (per lui) di Ministro delle Infrastrutture del Governo Prodi 2006-2008. E infine l’alleanza con il PD guidato dall’ex-sindaco di Roma e il risultato decisamente soddisfacente, portato a casa
giocando sull’antipolitica e prendendo qualche voto alla masochista Sinistra Arcobaleno e al buonista PD.
E adesso? Adesso Antonio Di Pietro gode di tre combinazioni vincenti, che ne fanno per molti italiani il
baluardo dell’antiberlusconismo e
quindi anche il polo magnetico dei
consensi di vera opposizione in questa fase confusa del centrosinistra.
Tre combinazioni che sono ognuna a
suo modo portatrici dell’aria da “vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio” che si respira.
Il primo “vota Antonio” lo cominciano a gridare molti elettori di sinistra, attoniti per l’assoluta assenza,
per il silenzio assordante della Sinistra Arcobaleno, che, anziché cercare di rialzarsi dalla sconfitta alle politiche, preferisce le liti di cortile ad
una azione di contrasto almeno mediatico al Governo Berlusconi.
Il secondo “vota Antonio” è un regalo espresso del Presidente del
Consiglio. È il Cavaliere, infatti, a
servire su un piatto d’argento l’ennesima puntata della sua quindicennale
saga di scontro epico contro i “terribili e oscuri” magistrati e il risveglio
della sparuta ma agguerrita tifoseria
innamorata di chi scende in campo
contro i suoi conflitti di interessi.
Il terzo e più significativo “vota
Antonio” lo stimola a gran voce
Walter Veltroni e un bel pezzo della
classe dirigente del PD. E lo fanno,
scegliendo di lasciare a Di Pietro
una prateria di opposizione, tutta (o
quasi) da attraversare in splendida e
furbissima solitudine. Il PD cede infatti lo scettro dell’antiberlusconismo sia di pancia che di cuore a Tonino per preferire un’opposizione
realista, moderata e un filo buonista.
A rendere poi ancora più attraente il
micropartito compatto e chiaro di Di
Pietro rispetto al PD sono nell’immagine percepita dell’armata di
Walter le fratture interne, i tentennamenti (modello vicenda Lodo Schifani) e la mancanza di un’identità
evidente.
Certo che, in questa situazione, è
più facile che Di Pietro scelga la
strada della guerra personale, sganciandosi del tutto dal PD, piuttosto
che quella dell’ipotesi preelettorale
di scioglimento del suo partito in
quello di Veltroni. E comunque almeno fino alle europee dell’anno
prossimo gli converrà sicuramente
cercare di pesarsi da solo, per poi
magari presentarsi da Veltroni con
un margine di trattativa più a suo favore.
Del resto, è vero che il supereroe
al quale si potrebbe ispirare maggiormente Tonino è un tipo solitario,
verace e alquanto aggressivo come
l’incredibile Hulk. Ma è altrettanto
vero che anche il mostro dalla pelle
verde a tratti ha scelto la strada della
battaglia insieme a supereroi più
moderati e meno istintivi di lui. Si
chiamavano i Vendicatori. E forse
Tonino-Hulk aspetta che i Vendicatori del centrosinistra diano segno di
avere deciso dove andare e come
combattere gli avversari per scegliere (anche solo temporaneamente) di
farlo insieme a loro. Nel mentre festeggia e approfitta giustamente del
regalo che gli fanno le loro incertezze, i loro errori, le loro assenze e
l’aggressività del supercattivo di
sempre.
I 40 milioni di euro
dell’Italia dei Valori
di MARCO DI SALVO
I
rimborsi elettorali all'Italia dei Valori sono
al centro di un braccio di ferro politico-giudiziario la cui soluzione sembra ancora molto lontana. Il contenzioso, sollevato da tre ex
parlamentari alleati ed amici di Antonio Di Pietro, e cioè Achille Occhetto, Elio Veltri e Giulietto Chiesa, è uno di quelli destinati a far rumore
e con ogni probabilità a costringere il Parlamento a rivedere le norme. L'Italia dei Valori
dal '96 ha percepito quasi 40 milioni di euro (di
questi 18.427.608 sono relativi alle ultime Politiche), una cifra di tutto riguardo finita sul conto
non del partito ma di una associazione, creata
da Di Pietro, che si compone di tre soci: oltre
all'ex piemme, la moglie Susanna Mazzoleni e la
tesoriera, il deputato dell'Idv Silvana Mura.
L'Associazione, alla quale non risultano altri
soci oltre ai tre, fu fondata il 26 novembre del
2000 presso un notaio di Roma. Giuridicamente
si tratta di un’associazione non riconosciuta,
senza fini di lucro, che per statuto, fra l'altro,
"intende contribuire a contrastare abusi e ogni
tipo di reato contro la pubblica amministrazione". Per farvi parte ci vuole un atto notarile e
l'accettazione del presidente, Di Pietro.
Accanto all'Associazione c'è il partito: stesso
nome, Italia dei Valori, stesso presidente, Antonio Di Pietro, stesso tesoriere, Silvana Mura. Al
partito, diversamente dalla Fondazione, possono iscriversi tutti, anche se soltanto come "aderente". Ma, e qui sta il nocciolo delle contestazioni, ad ottenere i milionari contributi elettorali
non è il partito, bensì l'Associazione. Come?
Quando ci sono le elezioni il simbolo al ministero dell'Interno non viene depositato dal partito,
bensì da quest'ultima. E così, Di Pietro, Mazzo-
leni e Mura possono disporre di ingenti somme,
tante e tali da stupire il presidente delegato del
tribunale di Milano, Giuseppe Tarantola, che in
una ordinanza del 22 ottobre dello scorso anno,
Antonio Di Pietro
bocciando la richiesta di Occhetto, Chiesa e
Veltri, di "nominare un liquidatore dell'associazione non riconosciuta 'Italia dei Valori' per sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci",
giudicava comunque i fatti denunciati dai tre
"gravi" ed aggiungeva: "Formalmente giustificati - i fatti contestati dai tre, ndr - da uno statuto (quello dell'associazione Idv, ndr) che consente al fondatore, tra l'altro, di approvare i rendiconti preventivi e consuntivi per milioni di euro".
Qualche mese fa i tre, Occhetto, Chiesa e Veltri, sono tornati all'attacco ed hanno ottenuto un
decreto ingiuntivo nei confronti della Camera
dei deputati per oltre un milione e seicentomila
euro, pari ad alcuni ratei dell'ultimo finanziamento ottenuto dall'Idv per le elezioni politiche
europee.
Montecitorio, infatti, secondo Occhetto, Chiesa e Veltri, attraverso l’ufficio di presidenza "ha
pagato i rimborsi sulla base del mero dato formale della presentazione delle liste, e quindi
senza alcuna verifica sulla esistenza delle condizioni di legittimazione in chi percepisce i rimborsi, conferma che sussistono precisi doveri di
azione per gli organi politici di controllo, a
fronte della oggettiva gravità della situazione in
atti, poiché infatti “l’esame su questi comportamenti spettano al giudice del contenzioso e alle
autorità di controllo sui partiti politici; le iniziative spettano ai soci, ai finanziatori e al pm,
chiamato a vigilare sul rispetto della legge, specie nei confronti di gruppi che hanno ottenuto la
fiducia dei cittadini”. Ma Montecitorio resiste e
con l'Avvocatura dello Stato, chiamata in difesa
dall'ex presidente Fausto Bertinotti, si oppone al
decreto ingiuntivo. Se ne parlerà in tribunale a
Roma il 18 luglio.
3
19 Luglio 2008
L’asservimento economico e politico sembra non avere mai fine
Nord Italia contro Sicilia:
la “logica” dei poteri forti
di GIUSEPPE FIRRINCIELI
Diritti pochi, doveri tutti e
di più: la popolazione dell’Isola
continua a pagare tasse, tributi
e balzelli per servizi pubblici
di cui nessuno può usufruire
C
ome era immaginabile non è
che le cose vadano per il verso giusto con l’avvento del
nuovo Governo Berlusconi, almeno
per la nostra Isola.
Non vorremmo affatto fare dietrologia, purtroppo non ne possiamo
farne a meno perché i paragoni vengono da soli in mente e quando qualcuno, anzi - dobbiamo dire – molti
pensano che siamo tornati mezzo secolo indietro risulta purtroppo vero;
e proprio noi siciliani un po’ più maturi ricordiamo perfettamente quando i meno abbienti venivano iscritti
nell’elenco dei poveri e godevano
della famosa tessera della povertà.
Sì che risulta un provvedimento
nazionale, ma oggi i poveri in Sicilia
aumentano di giorno in giorno e gli
anziani che fino a qualche anno addietro con le loro pensioni contribuivano a mantenere i nipoti perché privi di lavoro o mal pagati in nero con
nuclei familiari a carico, adesso non
lo possono fare più e Tremonti ha
pensato di rimettere in circolo la tessera di povertà, che oggi in maniera
moderna viene definita la Card per
gli sconti agli anziani, per comprare
il pane e pagare le bollette. Peggio di
così non poteva finire, e addirittura
con il pensiero ritorniamo ancora indietro negli anni Cinquanta, quando
i ragazzini delle scuole elementari,
iscritti nel famoso elenco dei poveri,
avevano la possibilità di usufruire
del refettorio e chi non se lo ricorda
quel formaggio giallo come la colla
che veniva estrapolato dai mega barattoli di latta, per non parlare della
pasta e fagioli, questi, stagionati da
lunghi anni che per renderli commestibili avevano la necessità di essere
cotti con l’aggiunta di chili di bicarbonato?
Beh! A quanto pare il quadro si rifà presente, il Governo Berlusconi,
per dare una mano di aiuto ai pensionati ha introdotto questa card per gli
sconti ma in Sicilia vi sarà bisogno,
in tempi brevissimi, anche di restaurare nuovamente il famoso ECA, ovvero l’Ente comunale assistenza di
una volta?
Ma ancora noi siciliani dobbiamo
sopportare tutto questo? Ancora i poteri forti del Nord Italia ci devono
succhiare il sangue, spremendoci in
una maniera così violenta? Ancora
dobbiamo sopportare che in Sicilia
non siamo più sicuri di essere proprietari perché bastano tre contravvenzioni non pagate perchè la Serit,
ovvero una banca dei poteri forti del
Nord, ti metta in vendita la casa? E
quando ai siciliani, lo Stato italiano
impone illegalmente questo genere
di sevizie, significa colpire i sacrifici
di tanti onesti lavoratori che si rompono la schiena, per una vita intera,
per farsi una casa.
Ma ancora dobbiamo sopportare
che noi siciliani paghiamo tasse, tributi e balzelli per servizi pubblici di
cui non ne usufruiamo per nulla?
Ma ancora dobbiamo acconsentire
a pagare l’accise dei carburanti prodotti nell’Isola con il favore di ammorbarci con tutti gli inquinamenti
atmosferici e con la distruzione di siti (una volta invidiabili) resi malsani
senza pensare minimamente a ripulire il tutto dalle scorie prodotte?
Ma risulta a verità che la Regione
Siciliana, prima dell’avvento della
presidenza Lombardo, abbia stipulato una convenzione con il “San Raffaele” di Milano per riconvertire un
presidio ospedaliero a Cefalù, mandando a casa tutto il personale medi-
Il premier Silvio Berlusconi
co e paramedico siciliano per dare
spazio lavorativo a quelli del Nord?
Ancora un altro scandalo, Tremonti per abolire l’ICI ha bisogno dei
soldi destinati alle infrastrutture provinciali siciliane. E, guarda caso, di
mezzo c’è questa benedetta (?) Sicilia! Ahimè i soldi destinati alle strutture del Nord non si toccano e come
si danno da fare i Leghisti a difendere tutti il proprio territorio!
Meno male che Raffaele lombardo, presidente della Regione Siciliana, di continuo, compie missioni a
Roma per farsi garantire che i soldi
per la sua terra torneranno ad essere
riassegnati, almeno nel 2009. Ma
quando tempo dovrà ancora passare
affinché le promesse diventino fatti?
No! Non può essere che non dobbiamo parlare, a questo punto, del
passato. Negli anni Settanta, si verificò in Sicilia una sorta di ribellione
politico–culturale perché l’Italia, in
quel periodo aveva dimenticato i diritti della Regione Siciliana e così se
oggi c’è Lombardo che con il suo
movimento autonomistico cerca di
difendere quest’Isola, allora si venne
a definire il movimento del Fronte
Nazionale Siciliano e Natale Turco,
illustre indipendentista e storico siciliano, scrisse un libretto piuttosto significativo e votato alla difesa di una
terra martoriata e sfruttata dai poteri
forti del Nord.
Quel libretto dal titolo “Cosa vogliono i siciliani” fa una mini cronaca storica e nella parte seconda tratta
un argomento, oggi attualissimo, e
cioè l’asservimento economico e politico: Ma la nostra economia riflette
dal 1860 la disperata condizione di
servitù politica dell’Isola, così che,
pur possedendo i requisiti necessari
a un suo decollo autonomo, presenta
invece tutti i connotati tradizionali di
un’economia coloniale, subalterna e
integrativa, posta cioè completamente al servizio delle esigenze economiche e rapinatrici dello Stato colonizzatore.
E per averne la dimostrazione basta riflettere sui dati ufficiali fornitici
dal Bollettino del Banco di Sicilia
sulla congiuntura economica siciliana per il 1978”.
Badiamo bene! Sono trascorsi
trentanni e il problema è sempre
uguale. Non è minimamente cambiato nulla, anzi la situazione è peggiorata di parecchio e al danno aggiungiamo anche la beffa e cioè che il
Banco di Sicilia è scomparso se inteso come banca ufficiale della Regione Siciliana.
Ma continuiamo a leggere quella
paginetta che risulta molto interessante: “ Punto 1, secondo le stime
ENEL, per il 1978 la Sicilia ha prodotto 14 miliardi circa di Kwh di
energia elettrica; dei quali soltanto
circa 11 miliardi sono stati consumati nell’Isola, mentre tutto il resto è
stato «trasferito» in Italia.
Di questi 11 miliardi però, il 40 %
è stato consumato dai siciliani per illuminazione pubblica, consumi domestici, commercio e pubblica amministrazione, agricoltura e trasporti,
ma il restante 60% è stato «trasferito» anch’esso a quelle industrie italiane di Stato, chimiche ed estrattive,
che operano impunemente tra Priolo
e Gela. Così che mentre i siciliani
pagano per i 4 miliardi e mezzo di
Kwh consumati, vengono derubati
letteralmente dei restanti 9 miliardi e
mezzo di Kwh di energia, tutta prodotta nelle loro centrali.
La perdita secca per la nostra economia, al prezzo netto attuale per
L/Kwh, è di 350 miliardi di lire annui!”. Una breve considerazione da
riferire alle raffinerie di Gela; nel
territorio della provincia di Catania,
ai confini con quella iblea, negli anni
sessanta l’ANIC di Gela realizza un
invaso costruendo una diga per raccogliere le acque del fiume Dirillo
per poter utilizzare risorse idriche
per il sistema di raffreddamento delle proprie centrali trasformifere chimiche, mentre gli abitanti di Gela
Raffaele Lombardo, presidente della Regione Siciliana
possono godere di acqua marina resa
potabile, tramite dissalatori. Immaginiamo se un fatto del genere l’avessero potuto tranquillamente realizzare in una area del Nord Italia.
Ma la cosa che incuriosisce ancor
di più è la parte del libretto che tratta
le entrate tributarie. Natale Turco
scriveva: “Secondo i dati dell’UPI,
dell’ANIC e della Montedison, il petrolio greggio importato e lavorato in
Sicilia nel 1978 dalle varie raffinerie
italiane è stato di oltre 31 milioni di
tonnellate, segnando così un ulteriore incremento produttivo dell’ordine
di 4 milioni di tonnellate rispetto all’anno precedente.
E mentre quelle raffinerie italiane
continuano ad aumentare il danno al
patrimonio ecologico e alla salute
stessa dei siciliani, questi, di contro
non percepiscono che una misera
parte delle entrate tributarie devolute
allo Stato italiano, il quale così oltre
a sottrarre ogni anno alla nostra economia una parte del gettito derivante
da quei redditi soggetti a ricchezza
mobile, in base a quelle attività industriali «siciliane» ci ruba ancora
quanto segue e cioè l’intero ammontare del gettito di quelle «nuove entrate tributarie»…”.
Ci fermiamo qui e facciamo ancora un ulteriore commento; in 60 anni
di storia italiana repubblicana – vogliamo essere buoni a non parlare di
150 di annessione all’Italia – quanti
miliardi di euro lo Stato italiano ha
sottratto all’economia isolana? Siamo sicuri che il presidente Lombardo tutto questo lo sappia? Chiaramente non conosciamo a fondo i
suoi veri progetti d’intervento!
Però è anche vero che l’intera
classe politica isolana, a prescindere
dai colori di appartenenza, non ha attenzionato nel modo giusto questo
conflitto sociale e, quanto meno dovrebbe fare scudo su una legittima
difesa di questa Terra, se vogliamo
dare inizio ad una nuova primavera
siciliana, tanto agognata.
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Anno III, nº 12 / 13
Luglio/Agosto 2008
Gli articoli rispecchiano
l’esclusivo pensiero dei loro autori
POLITICA
LA VOCE DELL’ISOLA
5
19 Luglio 2008
I programmi immediati del neopresidente Giuseppe Castiglione
Marcia in più per il rilancio
alla Provincia di Catania
di VINCENZO POMA
P
arlando e scrivendo di Giuseppe Castiglione, nuovo presidente della Provincia regionale
di Catania, non è possibile non sottolineare l’importanza che riveste per
l’europarlamentare e, dal 28 giugno
scorso, capo dell’Amministrazione
provinciale, la sua famiglia. A cominciare dalla moglie, la signora Lucia, e dai figli Andrea, Carlo e Paolo,
che alla cerimonia di insediamento
sedevano negli scranni più alti dell’aula consiliare di Palazzo Minoriti,
per sottolineare chi fosse veramente
importante quel giorno.
Ed è a loro che il neo-presidente si
è rivolto nel discorso di ringraziamento, oltre naturalmente agli elettori (tantissimi, con quei 411.459 voti
ottenuti, registrando il 77,62% dei
consensi).
E anche chiacchierando con lui, ci
si accorge della sua formazione, di
uomo e di politico, dove la cultura
cattolica la fa da padrona.
“Non ho mai nascosto la mia fede
profusa nel mondo politico, a favore
dei più deboli, del dialogo e della
collaborazione – ci dice il presidente
Castiglione – e sono convinto che
proprio dalla Provincia di Catania
devono e possono ripartire progetti
di grande solidarietà”.
Presidente Castiglione, oltre che
alla sua famiglia, un ringraziamento nel suo discorso di insediamento lo ha voluto rivolgere ai
suoi predecessori, Musumeci e
Lombardo, e agli avversari politici
che hanno condotto la battaglia
elettorale per le provinciali.
“Certo, e ribadisco quanto detto.
Musumeci e Lombardo hanno il merito di avermi consegnato, con le loro gestioni, un’Amministrazione che
non ha debiti fuori bilancio, tra le
pochissime con i conti in attivo in
tutto il Meridione e con una vivacità
culturale, sociale ed economica non
indifferente. Ai miei avversari politici attribuisco, invece, il merito di
avere condotto una campagna elettorale quasi in stile inglese, senza
colpi bassi, puntando sui problemi
reali di questo territorio e sulle possibili soluzioni per risolverli. Mi auguro che adesso ci possa essere una
opposizione costruttiva, che contribuisca alla crescita e alle scelte importanti per la nostra terra”.
Numerose le autorità civili, militari e religiose intervenute alla cerimo-
Il presidente della Provincia di Catania, Giuseppe Castiglione appena insediatosi.
Sotto: Castiglione con il rettore dell’Università prof. Recca e il senatore Sudano
nia di insediamento a Palazzo Minoriti, mentre l’onorevole Castiglione
riceveva la fascia azzurra di presidente della Provincia dal commissario straordinario dell’Ente, Rodolfo
Casarubea, assistito dal segretario
generale, commendator Luigi Albino
Lucifora.
“Ho detto con viva emozione –
media e società di ricerca non sempre teneri con gli Enti siciliani e per
questo ancora più credibili”.
Presenti alla cerimonia, oltre al
presidente della Regione Siciliana,
Raffaele Lombardo, anche il sindaco
di Catania, Raffaele Stancanelli, i
sindaci dei Comuni, la deputazione
catanese, i comandanti delle Forze
parta per affrontare temi delicati come la solidarietà, il sostentamento
alle fasce più deboli della cittadinanza, ai senza fissa dimora e in tal
senso ho ribadito l’importanza di
collaborare attivamente con il mondo del volontariato, a cominciare
dalla Caritas. Per fare ciò, vareremo
al più presto la nuova Giunta pro-
La sua esperienza al Parlamento
europeo costituirà un ulteriore tassello per questa Amministrazione?
“Certamente. Metterò la mia
esperienza al servizio della Provincia, perché Catania possa diventare
il vero centro del Mediterraneo e
dell’Europa. Anche nell’utilizzo delle risorse pubbliche, credo sia importante puntare su tutti i finanziamenti accessibili. In tal senso, la
spesa pubblica dovrà continuare ad
essere rigorosamente oculata, senza
sprechi, e impegnerò me stesso e
l’intera Giunta a una maggiore presenza sul territorio per cogliere le
esigenze primarie della comunità.
Proporrò ai miei assessori la programmazione di un lavoro sinergico,
collegiale, continuo sui temi del nostro programma che ha ottenuto
l’ampio consenso dei cittadini. Voglio assicurare inoltre un pieno e
proficuo rapporto con tutto il Consiglio provinciale”.
I protagonisti della vita provinciale etnea saranno anche i sindaci...
“Certamente. I primi cittadini saranno le prime figure che dialogheranno con il sottoscritto e con i quali
cercherà di lanciare la stagione della strategia, perché quella programmazione di cui sopra possa avere un
senso concreto nelle esigenze reali
dei singoli Comuni. Mi conforta il
fatto di essere circondato da una
“Affrontare subito problematiche come l'occupazione,
la formazione dei giovani, la ricerca scientifica, lo sviluppo
economico ma anche culturale e sociale del territorio
e per utilizzare al meglio i fondi comunitari”
prosegue il presidente Giuseppe Castiglione – di essere onorato di indossare quella fascia e di avere ricevuto un così alto consenso dai cittadini. Con la cerimonia ufficiale ho
voluto riaprire un dialogo con i sindaci e con tutte le forze sociali ed
economiche del territorio, per costruire un Ente ancora più forte e
rappresentativo e già economicamente sano, prestigioso, efficiente e
apprezzato in ambito nazionale, come confermano i sondaggi di mass
Armate e di Polizia del territorio, i
vertici degli Uffici giudiziari, l’arcivescovo metropolita di Catania,
mons. Salvatore Gristina, i rappresentanti delle parti sociali e produttive. Presenti anche i dirigenti della
Provincia, il presidente del Consiglio
provinciale uscente Pippo Pagano e
numerosi consiglieri eletti.
“Ho voluto rivolgere un appello a
tutti i siciliani onesti – aggiunge
Giuseppe Castiglione - perché proprio dalla Provincia di Catania si ri-
vinciale, per metterci subito al lavoro, in sinergia con il Consiglio provinciale, per affrontare problematiche come l’occupazione, la formazione dei giovani, la ricerca scientifica, lo sviluppo economico ma anche culturale e sociale del territorio
e per utilizzare al meglio i fondi comunitari previsti dal Por 2007-2013,
che saranno finalizzati secondo una
programmazione e una progettualità
ben precise, in modo da rispondere a
specifiche esigenze del territorio”.
squadra di dirigenti e di professionisti che in Provincia hanno dato prova di essere all’altezza dei loro compiti e che, anzi, spesso sono stati
chiamati a risollevare le sorti di altri
Enti in grave crisi. Un problema su
tutti che dovremo affrontare sarà sicuramente quello dell’occupazione,
che rappresenta uno dei temi più delicati del territorio. Per fare ciò, ma
anche tanto altro, ci sarà soprattutto
bisogno di una parola d’ordine: dialogo”.
Note di vita
G
iuseppe Castiglione è nato
a Bronte (Catania) il 5 ottobre 1963. Laureato in Giurisprudenza nell'Ateneo catanese,
Parlamentare europeo nel Partito
popolare europeo, eletto nel 2004.
Membro della Commissione per
l'agricoltura e lo sviluppo rurale,
della Commissione per le libertà
civili, la giustizia e gli affari interni e della Delegazione per le relazioni con i paesi del Maghreb e
l'Unione del Maghreb arabo (compresa la Libia), è anche membro
sostituto della Sottocommissione
per i diritti dell'uomo e della Delegazione per le relazioni con la Repubblica popolare cinese.
Portavoce di Forza Italia al Parlamento europeo e vicecoordinatore regionale di Forza Italia in Sicilia, è dirigente di azienda e giornalista pubblicista. Membro del Co-
mitato di gestione dell'USL 39 –
Bronte (1984-1989); Presidente
del Comitato dei Garanti dell'USL
39. Consigliere comunale di
Bronte dal 1989 al 1992, nel 1996
è stato eletto all'Assemblea regionale siciliana, con la lista del Cdu,
nel Collegio di Catania, con 8.487
voti di preferenza.
Il 24 giugno 2001 è stato rieletto
nella lista di Forza Italia con
18.087 voti, il più votato in Sicilia.
Assessore regionale all'Industria
nel 50°, 51° e 52° Governo della
Regione Siciliana (1996-1999);
Assessore regionale all'Agricoltura
e vicepresidente della Regione
(2001-2004). Vicepresidente nazionale dell'AICCRE (Associazione italiana Comuni e Regioni
d'Europa); membro del Consiglio
mondiale della CGLU (Città e governi locali uniti).
POLITICA
LA VOCE DELL’ISOLA
POLITICA
LA VOCE DELL’ISOLA
6
19 Luglio 2008
Al Teatro greco di Siracusa un pluri-presidente, pluridecorato e molto applaudito
Al plenipotenziario Lo Bello
assegnato il “Premio Vittorini”
di GIANNI TOMASELLI
I
l Teatro greco di Siracusa apre gli arcaici
cancelli alla consolidata rassegna internazionale dedicata al Premio Vittorini, giunto
alla tredicesima edizione. Sotto l’egida organizzativa della Provincia regionale di Siracusa
e il patrocinio dell’Istituto Nazionale del
Dramma Antico, la conduzione della rassegna
è stata ancora una volta affidata al celebre presentatore Fabrizio Frizzi. Tra un riconoscimento letterario e l’altro, si sono intercalati alcuni
momenti musicali che hanno potuto riconfermare la immortale vena artistica di Ornella Vanoni e quella grintosa ma ammaliante di Luca
Carboni.
Tra i premi speciali assegnati durante la serata, quello a Nino Buttitta (per la carriera) e a
Vittorio Sgarbi (per la cultura). E fin qua, tutto
rientra nella logica dei valori artistici riconosciuti ad altrettanto personaggi di acclarata fama. Ma quello che non mi ritorna è il riconoscimento a Ivanhoe Lo Bello, “Premio speciale
per l’impegno civile”. Se parlassimo del personaggio romanzesco di Walter Scott impegnato
a proteggere il trono di Re Artù, Ivanhoe Lancillotto potrebbe avere i meriti ricevuti nella
cavea del Teatro greco di Siracusa. Ma parliamo di un altro Ivanhoe, quello che di “tavole
rotonde” se ne intende e che per regista non ha
J. Stuart Blackton (come nel primo caso) ma
un certo Luca Cordero di Montezemolo e... qui
mi fermo!
Ma perché questa mia avversità ad un premio attribuito? Perché etimologicamente, “premio” vuol dire attribuire ad personam un alto
consenso a personaggi che si sono distinti per
il proprio contributo in un campo specifico,
vuoi della sfera civile che professionale. E allora mi chiedo: Ivan Lo Bello, che film ha fatto? È incontrovertibile il fatto che alla spalle
abbia una lunga carriera professionale, iniziando da avvocato e proseguendo con incarichi su
incarichi attribuiti sicuramente per meriti.
Ma per non ripercorrere la sua lunga e articolata carriera manageriale, mi soffermo sugli
ultimi anni, nel corso dei quali ha toccato posizioni di apice, occupando le poltrone che in Sicilia contano, e come! Ebbene, allo stato attuale l’avvocato Lo Bello ricopre la carica di presidente della Camera di Commercio di Siracusa, di preminente posizione nel Banco di Sicilia, di presidente di Confindustria Sicilia. E per
quello che c’è da dire, basta così.
Da presidente della Camera di Commercio
di Siracusa, desidereremmo conoscere quali
azioni abbia portato avanti per salvaguardare,
Ivan Lo Bello riceve il “Premio Vittorini” dalle mani di un suo grande estimatore, l’editore Mario Ciancio Sanfilippo
La Sicilia ha bisogno, per non perdere definitivamente
il treno delle opportunità, di Uomini capaci di saper prendere
decisioni e responsabilità e, soprattutto, capaci di saper
trasformare la burocrazia in azioni concrete ed immediate
prima, la classe del terziario che rappresenta,
oltre a quella espressa dell’agricoltura e dell’artigianato, e quelle intraprese per il comparto produttivo della provincia siracusana, che
direttamente gli compete istituzionalmente.
L’articolo 25 dello Statuto della Camera di
Commercio recita che il presidente è titolare
della funzione inerente la tenuta dei rapporti
con istituzioni pubbliche, associazioni e con gli
organismi per il supporto e la promozione degli interessi generali delle imprese.
Ma a quel che risulta negli ultimi anni, non
si segnala concretamente nessun supporto e
promozione a favore degli interessi generali
delle imprese. Anzi, qualcuno, che per ovvi
motivi lasciamo nell’anonimato, ha prodotto
una serie di interventi preliminari con la Camera di Commercio di Galati (Romania) per avviare seri e duraturi rapporti d’interscambio
commerciali nei vari settori. Diciamo che il
protocollo d’intesa era già stato approntato dalla parte romena e tradotto in due lingue. Ancora oggi, manca la firma del presidente (o la volontà di portare avanti l’iniziativa).
L’Ente camerale aretuseo, ad oggi viene
identificato dalla classe produttiva solo come
sportello per il rilascio di certificati camerali,
dove viene pagata la tassa d’iscrizione annuale
per tutte le categorie produttive del terziario e
dell’agricoltura, per visure sui protesti, e chi
più ne ha ne metta, ma solo a riguardo di competenze burocratiche e amministrative. E per lo
sviluppo e gli indirizzi nei confronti delle
aziende produttive, chi ci pensa? Nel suo importante ruolo di presidente questi interrogativi
dovrebbe porseli e riflettere.
E se, nella funzione di presidente del Banco
di Sicilia, volesse dare ai Siciliani l’opportunità di avvalersi di nuovi sbocchi per l’accesso al
credito, supportato da valida e innegabile documentazione di credibilità progettuale (come
accade al nord d’Italia), ma senza cercare in
cambio fideiussioni o beni immobili 10 volte
superiori al credito richiesto?
E se nel suo ruolo di presidente della Confindustria Sicilia promuovesse con forza e vigore tutte quelle iniziative per fare uscire dal
letargo le realtà produttive isolane e metterle a
confronto e in listino in quei mercati nazionali
ed esteri che magari sconoscono l’alta valenza
produttiva e qualitativa delle aziende siciliane?
Personalmente ritengo che fino ad ora ben
poco di concreto sia stato realizzato a favore
della dinamica di sviluppo del commercio, dell’industria, dell’agricoltura e dell’artigianato
siciliani.
Illustre multi-presidente, il suo molto appariscente dinamismo è da tanti apprezzato a livello regionale e nazionale, ma pochi sono, ad oggi, gli effetti concreti che tutti i siciliani attendono da tempo: Lei potrebbe fare tanto perché
Le è riconosciuta capacità e competenza nei
ruoli che ricopre e per la validità dei punti personali di riferimento di cui dispone: Lei, insomma, potrebbe essere in grado di portare l’economia regionale siciliana agli stessi livelli
del distretto del nord est d’Italia.
In Sicilia non mancano le imprese, le intelligenze, le persone intraprendenti che vogliono
fare del proprio talento imprenditoriale una risorsa da mettere a disposizione della filiera
produttiva isolana.
In Sicilia non mancano i luoghi deputati dove far sorgere nuove opportunità imprenditoriali, non mancano le materie prime e quelle
succedanee. In Sicilia si vanta mano d’opera e
prodotti di prima qualità che ci invidiano in
tutto il mondo. La Sicilia ha bisogno, per non
perdere definitivamente il treno delle opportunità, di Uomini capaci di saper prendere decisioni e responsabilità e, soprattutto, capaci di
saper trasformare la burocrazia in azioni concrete ed immediate.
Tutti coloro, presidenti o vice, funzionari o
dirigenti che, dall’alto delle stanze dei bottoni,
sapranno prendersi carico dei problemi dei siciliani e che daranno utili indirizzi per una
nuova ripresa economica, ebbene, costoro
avranno pieno diritto di essere inseriti nel carnet del prossimo “Premio Vittorini” tra i premi
speciali per giusto merito e con l’approvazione
della collettività. Eh sì, perché fare il proprio
dovere oggi equivale a fare “cose speciali”...
7
19 Luglio 2008
Come si sta perdendo una grande risorsa dell’economia territoriale ragusana
L’oro verde: splendore e declino
della serricoltura siciliana
di ERNESTO GIRLANDO
L
ungo la fascia costiera ragusana gli anni Cinquanta volgevano alla fine. Erano stati anni
caratterizzati da grandi trasformazioni agrarie. I grossi proprietari avevano perso le battaglie con i braccianti
e i mezzadri. Le lotte per l’imponibile di manodopera, guidate da un giovane dirigente comunista, Giacomo
Cagnes, avevano indebolito la grande proprietà. L’ obbligo dell’iscrizione dei contadini negli elenchi anagrafici dei braccianti aveva consentito di neutralizzare d’ufficio le resistenze dei proprietari a ingaggiarli
legalmente e aveva dato un colpo al
mercato nero del lavoro. Il miglioramento generale delle condizioni di
civiltà delle cittadine iblee e la massiccia emigrazione, che in quegli anni era cominciata e ancor più crescerà negli anni a venire, avevano allentato i legami di classe dei braccianti
che si erano orientati verso altre attività e avevano avviato trasformazioni nei poderi da poco acquistati in
seguito alla polverizzazione della
grande proprietà. I braccianti e moltissimi mezzadri si erano trasformati
in coltivatori diretti e in figure miste.
L’emigrazione contadina ed operaia
forniva nuovo flusso di denaro estero alle famiglie rimaste in loco agevolando le trasformazioni agrarie.
La topografia sociale si modifica
notevolmente. Interessi di tipo individualistico e speculativo si affermano nella psiche collettiva. I vecchi
ideali contadini resistono per inerzia,
ma sono in crisi profonda nelle nuove generazioni. Gli ideali di massa,
che ora la gente vagheggia, sono più
veri, più disincantati.
In questo contesto di radicale trasformazione della società iblea, alcuni uomini, tra cui i vittoriesi Pietro
Gentile, Giovanni Di Stefano, i fratelli Bennice, iniziano a sperimentare una nuova tecnica colturale: la
coltivazione in serra. L’innovazione
consiste nel produrre ortaggi in anticipo rispetto ai tempi naturali di maturazione utilizzando perfino superfici normalmente non adatte a quel
genere di coltura. Una vera e propria
rivoluzione è alle porte. Pochi anni
dopo – era il 1965 – gli ettari di terra
coperti dalle serre saranno circa
1000. Una nuova realtà economica,
sociale, financo politica era nata e
cominciava a prosperare. Essa si innestava sui caratteri originali del territorio in cui si era incardinata la storia dell’agricoltura iblea, quella della
Contea degli Henriquez-Cabrera,
quella che lungo l’età moderna, dalla
fine del XV secolo agli inizi del
XIX, era stata sperimentata, con la
diffusione dell’enfiteusi, di forme
precoci di frazionamento terriero e
di uso intensivo dei suoli.
La nuova realtà, adesso, obbligava
Nelle foto: serre del Ragusano
a riflettere. Il dibattito politico, molto acceso in quegli anni, si incentrava sulla valutazione della validità
della nuova esperienza e sulle conseguenze che essa avrebbe avuto sul
futuro assetto territoriale, economico
e sociale della valle dell’Ippari.
Già nel 1965 gli addetti al settore
della serricoltura, come manodopera
diretta, si valutavano intorno alle
6000 unità: una media di 6 lavoratori
per ogni ettaro di terreno trasformato. Gli addetti alla commercializzazione, manipolazione e lavorazione
Considerato il prezzo medio di
vendita realizzato in quell’anno –
200 lire al chilogrammo al netto dei
costi della commercializzazione – il
ricavo lordo realizzato assommava a
1.600.000 lire, che moltiplicato per i
mille ettari dava un risultato sbalorditivo: 16 miliardi di lire, con un utile netto che si aggirava sui dieci miliardi di lire complessivo e di
1.660.000 per addetto. È il resoconto
di un solo anno di attività, il 1965.
Da allora, di annata in annata agraria, sarà un crescendo irresistibile.
ni della provincia iblea. Dalla fascia
costiera ragusana la nuova esperienza si propagherà a macchia d’olio.
Oggi la fascia trasformata occupa
gran parte della costa meridionale
dell’Isola. Da Pachino alle provincie
di Caltanissetta e Agrigento, arrivando a toccare Marsala e le zone limitrofe.
Migliaia di microimprese, estese
su immense superfici, costituiranno
la forza di un sistema che pur con
qualche scossone congiunturale e
qualche ombra navigherà nell’oro
La grande distribuzione ha avuto gioco facile
nell’imporre il ribasso continuo del prezzo
dei prodotti per la mancata concentrazione
dell’offerta, affossando gli stessi produttori
dei prodotti erano stimati intorno alle 2500 unità. Il costo di impianto
delle serre ammontava a 600 lire al
metro quadro, con un investimento
complessivo, per la realizzazione
delle strutture serricole, che si aggirava sui 6 miliardi di lire.
Erano numeri eccezionali per quei
tempi, ed eccezionale era il volume
degli utili che producevano quegli
investimenti. La coltura più diffusa
in assoluto era il pomodoro. Su 1000
metri quadri di terra era possibile
coltivare 4000 piantine con una resa
di 2 chilogrammi a piantina ottenendo 80 quintali di pomodoro.
Dopo qualche anno appena, nel
1970, la superficie coltivata a serra
era già raddoppiata.
Una miriade di piccole imprese,
prevalentemente a conduzione familiare, sorgeva. Attorno ad esse vari
comparti indotti, dagli imballaggi alla produzione della plastica per le
serre, dai trasporti alle strutture per il
condizionamento e la commercializzazione dei prodotti, nascevano.
Insieme diventavano il motore di
un’economia che prosperava, creava
sviluppo e occupazione, fermava i
fenomeni migratori. E forniva un
modello che presto varcherà i confi-
per parecchi anni. Ma paradossalmente la forza di quel sistema, la
polverizzazione della proprietà e la
microimpresa, col passar degli anni
diventerà la sua debolezza. Il mondo
cambia, la grande distribuzione
avanza, le strutture della commercializzazione mutano. Nuovi fenomeni
incombono all’alba degli anni Duemila.
E, mentre il Mondo nella sua grande complessità andava avanti, le micro-serre gestite in modo spaventosamente arcaico, i nuovi intrecci di
aspetti imprenditoriali, gestionali, finanziari ed economici, minavano al-
la radice un settore che certamente
tanto ancora avrebbe da dare. Poche
le realtà moderne che in serre tecnologicamente avanzate riescono a tirar fuori il meglio della produzione
in termini di quantità e qualità. Poche realtà che forse poche vogliono
rimanere, memori di un’incapacità
atavica di queste aree di collaborare
e interagire per un obiettivo comune.
Così la grande distribuzione ha gioco facile nell’imporre il ribasso continuo del prezzo dei prodotti per la
mancata concentrazione dell’offerta,
affossando i produttori. Nel frattempo i costi di produzione salgono: il
costo del seme, il costo delle piantine, del gasolio, di tutti i prodotti necessari alla produzione di un prodotto di qualità. I trasporti, le cassette e
tutto ciò che serve a presentare sul
mercato un prodotto di qualità. Costi
che incidono notevolmente sulle difficoltà di commercializzazione dei
prodotti e hanno l’effetto di allontanare la domanda, che si sposta verso
la Tunisia, l’Egitto dove trova un’offerta a prezzi sensibilmente più bassi.
La crisi morde i portafogli di imprese incapaci di unirsi per fare fronte comune e i segnali della reazione
alle difficoltà sono alquanto contraddittori, ma la tendenza prevalente è
verso l’autosufficienza. Tante sono
le imprese che non reggono più i costi di produzione, che arrivano perfino a riprodurre la piantina in proprio, rinunciando a comprare i semi:
segnali allarmanti che dimostrano il
collasso di aziende che non riescono
più nemmeno a recuperare i costi di
produzione, a fare utile.
E, come se la crisi legata alla commercializzazione non bastasse, altri
fenomeni si affacciano sui mercati
della fascia trasformata. Conflitti tra
commissionari e produttori, con i
primi che svolgono abusivamente il
doppio ruolo di intermediari e commercianti a danno dei secondi, fenomeni pericolosi di dumping, di contraffazione dei prodotti locali con
produzioni similari provenienti da
paesi esteri, infiltrazione della criminalità organizzata, crolli atipici dei
prezzi alla produzione conseguenza
di frodi commerciali, hanno ulteriormente messo in ginocchio quel reticolo di piccole aziende che hanno
dato per anni lavoro, lustro e denaro
e adesso si ritrovano indebitate, con
gli ufficiali giudiziari alle porte e a
rischio di chiusura.
Se fino a quindici anni fa il rapporto di distribuzione del reddito
prodotto all’interno delle filiere agricole era di un terzo per i produttori,
un terzo per i trasformatori e un terzo per i commercianti, ora il rapporto è stravolto: due terzi vanno alla filiera commerciale e uno è distribuito
tra produttori e trasformatori. Il controllo sul mercato dei grandi marchi
commerciali, di chi detiene il potere
della commercializzazione, fa sì che
il Sud e la Sicilia in particolare si
stiano trasformando in grandi piattaforme commerciali in cui importare
materie prime prodotte con lo sfruttamento in altri paesi su cui apporre
il marchio del “made in Italy”.
La morte delle nostre aziende, se
si mantiene questo quadro complessivo, sarà inevitabile. L’idea che
qualche intervento finanziario possa
arrecare soluzione è banale e in sé
improduttiva, finché la politica regionale e quella nazionale continueranno a garantire gli interessi delle
lobbies e della grandi concentrazioni
a danno della nostra agricoltura e del
cibo prodotto nelle nostre terre.
POLITICA
LA VOCE DELL’ISOLA
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19 Luglio 2008
La “svolta”, improvvisa ma prevista, data dal commissario al Comune dopo mezzo secolo di cause e di paralisi
Si avvia il “risanamento” del ve cchio quartiere di Catania
ma San Berillo ora non cerchi … il pelo nell’uovo
di FRANCO ALTAMORE
Il capoluogo etneo vive una fase nuova di “rinnovamento”
A
Catania, dopo mezzo secolo
di cause e di paralisi per le
aree libere di corso Martiri
della libertà, finalmente la mattina
del 30 maggio 2008 a Palazzo degli
Elefanti è stato firmato l’accordo fra
il Comune, rappresentato dal commissario straordinario Vincenzo
Emanuele e dal direttore dell’Urbanistica Matteo Zapparrata, e le società
private Euro Costruzioni, Istica, Cecos e Risanamento San Berillo. Erano presenti il presidente della Regione Raffaele Lombardo, il prefetto
Giovanni Finazzo, l’ex sindaco Umberto Scapagnini, l’ex vicesindaco
Giuseppe Arena, l’ex assessore all’Urbanistica Enzo Oliva, il sindaco
in pectore senatore Raffaele Stancanelli, il comandante della Guardia di
finanza Agostino Serrafiore, l’avv.
Silvestro Stazzone in rappresentanza
della proprietà e l’avvocato Andrea
Scuderi advisor della proprietà.
Salve sorprese, nel nuovo Consiglio comunale l’accordo dovrebbe
essere approvato entro il termine previsto del mese di novembre. Il presidente della Regione, prefigurando
già la costruzione di grandi edifici,
ha definito l’accordo “una grande
opera”; riguardo alle prevedibili perplessità, ha aggiunto “guai a non
guardarla con la gratitudine che merita anziché cercare il pelo nell’uovo
che paralizza quanto di buono viene
fatto”. A rendere ancora più gigantesca l’iniziativa edilizia sulle aree,
contribuirà la realizzazione del nuovo palazzo della Questura su aree destinate a servizi pubblici e verde.
Quello sottoscritto dal commissario straordinario, proprio alla vigilia
dell’elezione del nuovo governo cittadino, non sarà sembrato un buon
accordo nemmeno a Stancanelli, ma
la sua presenza all’evento ha significato che egli, una volta eletto, sarebbe stato obbligato comunque a sostenerlo.
Si tratta di una transazione di impostazione fondamentalmente privatistica, con la quale il Comune e le
parti private intendono mettere fine
ad un contrasto durato decenni, facendosi reciproche concessioni. Nel
vincolarsi con le società private, il
Comune non ha inserito l’accordo in
un vero e proprio progetto urbanistico, facendo valere il suo primato; ha
piuttosto dato l’impressione di mercanteggiare sulle aree, ponendosi coi
privati in una condizione apparente
di parità, su un terreno dove però
questi ultimi sono notoriamente più
forti.
È scritto nell’accordo che esso sarebbe “un esempio di sana e stretta
collaborazione tra il pubblico ed il
privato che, utilizzando al meglio e
in maniera innovativa le possibilità
date dall’attuale legislazione porti a
risultati efficienti ed in tempi rapidi
(creando un precedente di riferimen-
Una città di speculatori
o di grande speculazione?
dei poteri forti (sempre gli stessi) che dominano la città. Nessuno (nemmeno noi) ha
osato dare responsabilità ai politici. Nessuno
ha osato mettersi contro corrente per denunciare il sacco della città, sia perché tutti hanno bisogno di qualcosa, e c’è necessità di
non inimicarsi nessuno, sia perché il cittadino (se pur lo volesse) non ha alcuna possibilità di reagire e mutare lo stato delle cose.
Situazione avvilente, ma reale.
Così è, se vi pare: il risanamento vale bene
un lungo silenzio.
di VITTORIO PADULA
I
to, per i suoi valori intrinsechi (sic) e
per modalità tecnico-amministrative)”; in altre parole un accordo di tipo nuovo, sperimentato per la prima
volta, spiegato con una circonlocuzione, che nella sostanza vuole far
intendere che non è previsto da leggi
e regolamenti.
Dubitare che sia un atto legittimo
non è cercare il pelo nell’uovo; la
densità edificatoria prevista per i privati è di 5 metri cubi per metro quadro, ma - con evidente forzatura viene specificato che essa “va riferita
l’intero comprensorio di completamento “rimangono inglobate come
aree edificabili anche quelle di proprietà comunale risultanti dai sedimi
il soggetto privato e servente quello
pubblico: una effetto abnorme, che
stentiamo a credere che possa essere
consentito nell’epoca attuale. Rite-
augurava più luce e più respiro, sarà
oppressa da una intensa(e anacronistica) edificazione. Per dirla con lo
sconsolato Tony Zermo de “La Sicilia” del 28 giugno, Catania, una volta
“La Bella”, ora deturpata da tante
sciatterie, rischia di diventare definitivamente “La Brutta”.
A chi chiedere spiegazioni? Certamente non agli avvocati delle società
private, che hanno prodotto un risultato strepitoso per i propri clienti.
Ai responsabili del Comune, che
credono di aver fatto una cosa nuova,
Nell’accordo quadro sulle aree del corso Martiri della libertà manca
la visione urbanistica e per i privati sono previsti vantaggi di dubbia
legittimità; l’interesse delle società proprietarie risulta sovrapposto
a quello della cittadinanza, ma il presidente della Regione,
che ha patrocinato l’accordo, dice che non sono ammesse critiche
alla superficie dell’intero Comprensorio e non alla superficie dello stesso al netto delle strade o degli spazi
pubblici”, e per giustificare lo straripamento si afferma che gli elaborati
planimetrici previsti dalle norme
avrebbero carattere meramente indicativo, di talché nella superficie del-
stradali”. Se abbiamo capito bene, ai
signori delle società private per il
calcolo delle cubature edificabili nei
loro terreni verrebbe persino concesso di utilizzare anche le aree del Comune.
Si verrebbe a creare in tal modo
una servitù atipica, dove dominante è
niamo anche di potere escludere che
una simile enormità possa essere stata assentita dalla “Commissione dei
Tre Saggi”, composta dal prof. Augusto Fantozzi, dal sen. Giovanni
Pellegrino e dal prof. Nicolò Zanon.
È facile prevedere che la zona, dalla cui sistemazione la cittadinanza si
buona e giusta, non possiamo attenderci risposte miracolistiche. Non ci
resta che rivolgerci a Colui al quale
fu dedicato il quartiere, al primo vescovo di Catania, nominato direttamente dall’apostolo Pietro; San Berillo ci farà il miracolo, o anche di lui
si dirà che cerca il pelo nell’uovo?
giovani catanesi forse non sanno cosa era
il quartiere del Vecchio S. Berillo; chi è
meno giovane (quasi sicuramente) di quella zona conserva qualche pseudo ricordo “romantico” per via delle famigerate case chiuse
situate in qualche strada che, oggi, non esiste
più. Nel dimenticatoio, poi, si sono disperse
in maniera definitiva le notizie (offerta da una
stampa non sempre esemplare) sulle controversie tra l’amministrazione comunale e la
società Isti-Berillo; la maggior parte dei cittadini, infine, non si è mai posta il problema
di conoscere i “perché” ed i “per come” non
siano state per decenni utilizzate quelle ampie
aree, malamente recintate, che si inoltrano
dalla piazza della Stazione centrale, costeggiando corso Martiri della libertà sino a raggiungere corso Sicilia. A malapena sui mass
media locali i lettori hanno potuto seguire recentemente i funambolismi della Commissione urbanisticia comunale sulla questione del
Piano regolatore, non potendo comprendere
né pienamente, né superficialmente quali rilevanti interessi possono ruotare attorno alla
definizione dell’importante strumento urbanistico.
Certo, qualche tempo addietro, sulla stampa locale si è riscontrata una interessante
campagna di sensibilizzazione “civile” in merito alla necessità di eliminare la piaga della
prostituzione da certe vie del centro storico,
guarda caso ricadenti in quel che era rimasto
del vecchio quartiere di S. Berillo; non si è data molta rilevanza al risanamento delle tante
viuzze di quella zona, lavori già completati
con i fondi comunitari, tanto strombazzati dall’ex sindaco Umberto Scapagnini che li definiva grandi opere di risanamento urbano. Poca
attenzione è stata data non solo a quei lavori,
ma anche agli edifici (splendidi, una volta) di
quelle viuzze, da decenni sprofondati nel degrado, nella quasi totalità abbandonati o occupati da extracomunitari, comunque già acquistati per pochi spiccioli.
Ebbene, le viuzze sono state riportate a nuova vita, anche qualche piazza (per esempio,
piazza Falcone) è stata completata (anche se
con accorgimenti d’arredo discutibili), adesso
si passerà a “risanare” le aree di corso Marti-
ri della libertà, e sui criteri dell’imminente
“risanamento” nessun dibattito si è avuto nella città, la collettività non ha avuto e non ha
voce in capitolo.
Nessuno (neppure noi) ha osato affermare
che forse la città sta subendo una delle più
grandi (dal dopo guerra) operazioni di speculazione, anche se è visibile nel Vecchio S. Berillo il proliferare delle gru, e notevole attività
di cantiere.
Nessuno (neppure noi) ha osato dire che le
manovre speculative sono iniziate con gli acquisti di intere zone urbane.
Nessuno ha osato pronunciare (neppure noi)
il termine “speculazione” anche già avvenuta
in riferimento a zone cittadine dove si prevede
il cosiddetto sviluppo commerciale (vedi aree
aeroportuali, portuali e quant’altro).
Nessuno (nemmeno noi) ha osato parlare
Il risanamento
del quartiere
del Vecchio S. Berillo
ha già avuto inizio
da tempo in sordina;
oggi i segnali
dell’attività
di “ricostruzione”
incominciano
ad essere
più visibili.
Molti i cantieri
già aperti
per ristrutturare edifici
temporaneamente
occupati dagli
extracomunitari
POLITICA
POLITICA
LA VOCE DELL’ISOLA
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19 Luglio 2008
Viaggio nella fiscalità di vantaggio. Come viene utilizzata in Europa, quali opportunità può offrire alle aziende per un effettivo rilancio della produttività
Isole Canarie, regione “ultraper iferica” che beneficia
di un regime fiscale ridotto ris petto ad altri Paesi UE
di MIRCO ARCANGELI
A
nche alle Canarie come in Irlanda il sistema fiscale si basa
essenzialmente sulla bassa
pressione fiscale.
Oggi, ma già da diversi anni, le
Canarie rappresentano un luogo ideale per gli investitori dove possono
trovare buone opportunità, condizioni
fiscali favorevoli, operando in un territorio con stabilità politica ed economica e con una legislazione chiara e
definita, soggetta ai parametri ed alle
condizioni dettate dall'Unione Europea.
Le Canarie sono una Comunitá autonoma della Spagna fin dal 1982,
pienamente integrate nell’Unione Europea come una delle sue regioni ultra periferiche. Godono di interventi
favorevoli allo scopo di compensare
il fatto di essere un'isola. L’Arcipelago ha un Governo autonomo ed un
Parlamento regionale con molte competenze legislative.
L'arcipelago canario è costituito da
sette isole principali, di origine vulcanica.
Ubicate nell'Atlantico, situate di
fronte alla costa occidentale africana,
e distano circa 1.100 chilometri dalla
Spagna.
Dal punto di vista amministrativo,
tale arcipelago si divide in due province: Las Palmas, dalla quale dipendono Gran Canaria, Lanzarote e
Fuerteventura; Santa Cruz de Tenerife, dalla quale dipendono Tenerife,
La Palma, La Gomera e El Hierro.
Dispone inoltre di una doppia capitale che si riparte fra Las Palmas de
Gran Canaria e Santa Cruz de Tenerife
Le Comunità autonome delle Canarie utilizzano pienamente le fonti
di finanziamento comunitarie, costituite dai Fondi Strutturali e dal Fondo
di Coesione. Strumenti fondamentali
per la politica regionale e di coesione
della UE.
L'arcipelago Canario, classificato
come regione obbiettivo 1 usufruisce
di un accesso privilegiato ai fondi
strutturali comunitari.
Entriamo ora nei dettagli del sistema fiscale canario.
Le Isole Canarie sono integrate nel
territorio doganale europeo, pur non
dovendo sottostare all'applicazione
dell’IVA, nè di alcuna delle tasse speciali esistenti in Europa.
L’arcipelago canario gode di un
Regime Speciale Fiscale (REF - Regimen Espescial Fiscal) differenziato
che favorisce lo sviluppo economico
e sociale delle isole e compensa gli
effetti dell’insularità.
Il REF canario contiene una serie
di incentivi fiscali relativi alla creazione e sviluppo delle attività imprenditoriali, contemplati nella normativa spagnola ed autorizzati dalle
istituzioni della UE, ma soprattutto
inquadrate nel Programma di Sviluppo Regionale,
Le Isole Canarie sono parte del territorio di Spagna. In quanto regione
ultraperiferica della Comunità euro-
cial Canaria - ZEC) La Zona Speciale
Canaria è un regime a bassa tassazione.
Fu autorizzata dalla Commissione
europea nel gennaio 2000, inizialmente in vigore fino al 31/12/2008 è
stato ora prorogato fino al 2019.
La fiscalità agevolata è concessa
per favorire la diversificazione della
struttura produttiva e per incentivare
l'ingresso di capitali stranieri e lo svi-
una media di cinque impiegati durante tutto il periodo di iscrizione al registro ZEC.
- Investire almeno 100.000 euro in
attività immobilizzate nei due anni
successivi all'iscrizione nel registro
ZEC.
- Svolgere le attività per le quali si
è richiesta autorizzazione.
- Essere un ente di nuova creazione
con domicilio e sede di direzione ef-
Le Canarie rappresentano un luogo ideale
per gli investitori dove possono trovare buone
opportunità, condizioni fiscali favorevoli, operando
in un territorio con stabilità politica ed economica
e con una legislazione chiara e definita
pea, sono state autorizzate dalla stessa Comunità ad adottare un regime
fiscale assolutamente vantaggioso.
Tale regime, comunque, non costituisce “paradiso fiscale”.
Gli strumenti che compongono il
REF sono i seguenti:
Zona Speciale Canaria (Zona Espe-
luppo dell'occupazione nell'arcipelago.
Agli investimenti che soddisfano
alcuni requisiti minimi e che creano
occupazione vengono concesse aliquote fiscali ridotte e una tutela giuridica che rendono particolarmente
conveniente l'investimento nelle Isole
Canarie:
Riduzione dell'Imposta sulle società (l'aliquota IRPEG è compresa tra
l'1% e il 5%)
Esenzione dal pagamento dell'imposta sulle trasmissioni patrimoniali
e sugli atti giuridici
Esenzione dal pagamento dell'IGIC
(Impuesto General Indirecto Canario,
imposta simile all'IVA) relativa a importazioni effettuate dagli enti ZEC,
e a cessioni di beni e servizi tra enti
ZEC
I dividendi distribuiti dagli enti
ZEC alle società capogruppo, gli interessi e gli altri redditi ricevuti dalle
società capogruppo non residenti in
Spagna, sono esenti dall'imposta sui
redditi dei non residenti
Riduzione di alcune imposte locali.
I requisiti minimi per godere di
questo regime agevolato sono:
- Creare almeno cinque posti di lavoro nei sei mesi successivi all'iscrizione nel registro ZEC e mantenere
fettiva alle Canarie
- Almeno uno degli amministratori
deve risiedere alle Canarie
- Le imprese che realizzano attività
commerciale e industriale potranno
insediarsi solo in determinate zone
indicate dal governo spagnolo, mentre le imprese di servizi potranno in-
sediarsi indistintamente in tutto il territorio.
- Presentare una relazione sul progetto imprenditoriale ZEC.
Il Consorzio della Zona Speciale
Canaria, è un organismo creato dal
R.D.L. n. 2 del 23 giugno 2000 per
promuovere la Zona Speciale, appartenente al Ministero delle Finanze e
associato al Governo delle Isole Canarie.
Le imprese ZEC ricevono una piena tutela giuridica sin dal momento
dell'iscrizione nel Registro Ufficiale
di Enti ZEC.
Il Consorzio offre anche una consulenza giuridica completa e multilingue (ad esempio aiuta a selezionare le risorse umane necessarie a sviluppare il progetto).
Dalla fine del 2000 molte imprese
hanno scelto di stabilirsi all'interno
della Zona Speciale Canaria, tanto
che il Consorzio ha già concesso oltre 130 autorizzazioni.
L'incremento di occupazione realizzato è stato notevole, come pure
gli investimenti.
Predomina l'investimento spagnolo, ma molte imprese, statunitensi, tedesche, olandesi hanno ritenuto vantaggioso investire i propri capitali nel
territorio della ZEC nell'ottica di una
più efficiente pianificazione fiscale a
livello internazionale.
Inoltre, la ZEC non figura tra i 66
paradisi fiscali indicati dal Gruppo
Primarolo, che vigila sull'armonizzazione fiscale tra i paesi dell'Unione
Europea, nè nella black list elaborata
dalla OCSE con identici scopi.
Attività ammesse alla ZEC: l’Allegato al Reale Decreto/Legge 2/2000
prevede le attività che possono essere
ammesse ai benefici offerti dalla
ZEC. La gamma delle possibilità è
amplissima e comprende attività industriali, commerciali o di servizi. In
particolare:
Industria e Commercio
• Alimentazione, bibite e tabacco
• Carta, tessile, metallo e prefabbricati
• Chimica e macchinari
• Fabbricazione di cisterne, depositi
ed altro
• Stabilimenti di pesce in conserva
• Distribuzione all’ingrosso
• Trading/intermediari del commercio
• Commercio elettronico
Altri Servizi, Trasporti e comunicazioni
• Attività informatiche
• ”Call Centers”
• Centrali di prenotazione alberghiera
• Servizi di consulenza ambientale e
cartografie
• Trattamento di residui e consulenza
ambientale
• Compagnie aeree/marittime
• Trasporto su strada
• Telecomunicazioni
• Centri logistici
• Ricerca e Sviluppo.
Requisiti necessari per essere ammessi alla ZEC:
- Essere una entità di nuova creazione con domicilio e sede effettiva
nell’ambito geografico della ZEC.
- Almeno uno degli amministratori
dovrà essere residente.
- Realizzare un investimento minimo di 100.000 euro in attivi fissi.
- Creare almeno 5 posti di lavoro.
- L’oggetto sociale deve rientrare
tra le attività descritte nell’annesso
del RD Legge 2/2000 sopra citato.
Benefici Fiscali in particolare:
a) Imposta sulle Società:
Uno dei principali benefici offerti
dalla ZEC è una Imposta sulle Società
particolarmente ridotta.
Le aliquote sono comprese tra l’1%
e il 5% in funzione di variabili quali:
numero di posti di lavoro creati; periodo di inizio dell’attività. Si fa presente che l’aliquota generale applicabile in Spagna è pari al 35%, ridotto
al 30 % per le piccole
e medie imprese.
I dividendi pagati
ad una società italiana
da una società ammessa alla ZEC e
“collegata” alla prima,
sono sottoposti ad una
imposta pari al 40 %
del loro importo.
Le regole CFC (regolamentazione paradisi fiscali) italiane
non si applichino agli
enti ZEC, se la società
residente all’estero
svolge una effettiva
attività economica e
produttiva.
b) Esenzione dalla Imposta Generale Indiretta Canaria (IGIC), cioè la ns.
IVA:
Le operazioni di importazioni effettuate dagli enti ZEC, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi tra enti
ZEC sono esenti dal pagamento dell’IGIC.
c) Imposta sul Reddito dei non Residenti, Accordi di Doppia Imposizione e Direttiva Madre-Figlia:
Le Isole Canarie, come detto, formano parte del territorio spagnolo ed
europeo. Pertanto:
- Le Entità ZEC potranno appellarsi
agli Accordi per evitare la Doppia imposizione prevista siglata tra Italia e
Spagna.
- I dividendi distribuiti dagli enti
ZEC alle società capogruppo, gli interessi ed altri redditi pagati alla società
capogruppo non residenti in Spagna,
sono esenti dall’imposta sui redditi
dei non residenti.
- Se sussistono i requisiti previsti,
alle relazioni tra Entità ZEC e società
madre italiana, potrà applicarsi la Direttiva Madre-Figlia dell’UE
(90/435/CEE).
- Vengono esonerati da tributi, ritenute di uscita o withholding tax gli interessi percepiti da residenti nell’UE.
d) Imposta sulle Trasmissioni patrimoniali e atti giuridici documentati
(assimilabile alla Imposta di registro
italiana):
Le Entità ZEC sono esonerate dal
pagamento di quest’imposta per le
operazioni realizzate nel territorio canario.
e) Imposte locali:
I Comuni delle Isole Canarie
hanno concesso riduzioni delle
imposte locali.
La caratteristica del sistema ha permesso un notevole sviluppo programmato
In vigore una politica di incentivazione
basata su una bassa pressione fiscale
di MIRCO ARCANGELI
A
ugurandoci che anche in Sicilia si realizzi un vero Piano
Regionale di Sviluppo, proseguiamo ad analizzare gli strumenti
che altri Paesi hanno utilizzato per
favorire lo sviluppo e la crescita,
laddove le realtà territoriali si mostrano estremamente simili alle nostre.
La politica di incentivazione delle
Canarie, a differenza di quanto accaduto in Irlanda, si mostra decisamente ancor più a bassa pressione fi-
scale, e con una caratterizzazione a
compensazione territoriale più spiccata che in Irlanda.
Infatti la caratteristica del sistema
oltre a vedere una tassazione sulle
società decisamente bassa nelle
ZEC, (dall’1% al 5%), indirizza una
collocazione territoriale (con una diversificazione da isola ad isola) ed
una specificazione di attività, che ha
permesso una crescita economica ed
uno sviluppo programmato.
In più il REF contiene anche altri
strumenti di intervento fiscale, molto caratteristici, ed in particolare il
RIC.
Riserva per gli Investimenti nelle Canarie (RIC):
Si tratta di un beneficio fiscale che
sviluppa l’investimento territoriale
produttivo e la creazione di infrastrutture nelle Isole Canarie.
Con la applicazione del RIC le
imprese ed i professionisti possono
ottenere una riduzione della base
imponibile dell’Imposta sulle Società, riduzione che può arrivare al
90% degli utili non distribuiti e reinvestiti nello stesso territorio.
Tutte le attività possono essere
ammesse al RIC.
I requisiti per ottenere i benefici
del RIC sono i seguenti:
1) Il reinvestimento degli utili deve avere una durata di almeno tre
anni a decorrere dalla data di maturazione della imposta;
2) Con le somme reinvestite devono essere acquisiti “attivi fissi” situati o ricevuti ed utilizzati nelle Canarie e strumentali allo sviluppo della attività imprenditoriale della società;
3) I beni relativamente ai quali si
materializza il reinvestimento devono permanere nel patrimonio dell’impresa per almeno cinque anni.
Altri incentivi e benefici previsti
dal REF
È importante sapere che, oltre ai
citati ZEC e RIC il Regimen Espescial Fiscal prevede altri strumenti
quali:
- Registro Speciale delle Navi e
Imprese Navali, che include:
L’esenzione della Tassa sui trasferimenti patrimoniali.
Lo sconto del 90% sull’ Imposta
sulle Societá.
Lo sconto del 90% sui contributi
sociali (INPS locale, etc.) pertinenti
alle Societá.
La considerazione di rendita esente del 50% per il personale imbarcato soggetto all’ IRPEG per il lavoro
effettuato durante la navigazione effettiva su navi regolarmente iscritte
nel registro speciale
- Zone Franche
Esistono poi particolari zone franche per lo più nei porti capitolini,
dove si procede allo stoccaggio, trasformazione e distribuzione di merci
senza che vengano applicati oneri,
tariffe doganali o imposte indirette.
Le imprese ubicate nelle zone franche canarie possono usufruire dei
benefici offerti dal REF.
Le Isole Canarie beneficiano dei
seguenti fondi strutturali:
Fondo europeo di sviluppo Regionale, FEDER.
Fondo Sociale Europeo, FSE.
Strumento Finanziario d’Orientamento della Pesca, IFOP.
Altre Iniziative Comunitarie:
Programma INTERREG III B,
Azores-Madeira-Canarias 20002006 (integrazione e cooperazione
fra queste regioni e fra di loro e
l’UE).
Programma EQUAL 2000-2006
(combattere la discriminazione nel
mercato di lavoro).
Programma LEADER + di Canaria (sviluppo rurale).
Fondi RUP.
Il particolare regime fiscale di cui
godono le Canarie è uno strumento
pensato e creato per diversificare
l’economia delle Canarie, combattere la disoccupazione e per compensare, in qualche maniera, il disagio
determinato della distanza geografica dall’Europa, della quale fa parte,
e comunque per incentivare gli investimenti che possono provenire dall’esterno.
Molte imprese hanno trasferito o
meglio realizzato la nuove società
nell’arcipelago, intervenendo nei più
svariati settori. Seppur appare evidente una massiccia presenza di imprese ispaniche, c’è da segnalare anche una vivace presenza di investitori d’oltre oceano. Le ZEC, le zone
franche e tutta la politica del Programma Regionale hanno permesso
una forte presenza di capitali e di attività anche nel settore infrastrutturale e dei trasporti.
Per oltre un decennio anche il set-
tore delle costruzioni è stato uno dei
motori principali dello sviluppo delle Isole Canarie.
Oggi il ritmo di crescita è leggermente più lento, ma l’industria del
mattone continua ad avanzare, alimentata anche dal turismo residenziale in forte crescita. Ogni anno più
di 14 milioni di turisti invadono l’arcipelago.
È in costante aumento il numero
delle persone che scelgono le Canarie per investimenti immobiliari e
per la loro residenza invernale permanendo nell’arcipelago.
È diffusa una pratica turistica
molto simile alla nostra multiproprietà: “explotacion turistica”, si
ne di contesti urbanistici originariamente destinati al turismo di massa.
Alle Canarie il regime fiscale per
chi fa impresa, anche nel turismo è:
4% imposta di tassazione locale alle
imprese; 5% è rappresentata dall’IGIC imposta locale che sostituisce
la nostra IVA, qualche altra piccola
imposta locale per un altro totale del
3%, in tutto si raggiunge il 12%. In
Italia siamo ad oltre il 40%.
Obiettivo 1; fondi strutturali; vocazione turistica; statuto autonomo;
isola; territorio vulcanico; Unione
economica; e potremmo ancora continuare nelle ragioni e nei termini
che accomunano le due realtà (Sicilia – Canarie).
I benefici consentono
la crescita degli investimenti
territoriali produttivi e
la creazioni di infrastrutture.
Le imprese ed i professionisti
possono ottenere una riduzione
della base imponibile
dell'Imposta sulle Società,
riduzione che può arrivare
al 90% degli utili non
distribuiti e reinvestiti nello
stesso territorio
acquista un appartamento e lo si da
in affitto per tutto l’anno riservandosi qualche settimana di vacanza.
L’offerta, per quanto riguarda il
turismo tradizionale, è sempre più
rivolta verso un mercato composto
da clientela benestante e d’elite. Ultimamente le bellezze delle Canarie
sembra abbiano affascinato anche
molti uomini d’affari che stanno
operando soprattutto nel mercato
immobiliare, per la costruzione di
strutture ricettive, veri e propri Resort di lusso, con piscine private e
super suite.
Questa diversificazione cerca progressivamente di mantenere sempre
stabile il livello di attenzione e di
appeal dell’arcipelago e si concentra
nella realizzazione di nuovi contesti
di alto livello e di lusso (molto spesso legati al mondo del golf, della
nautica, dell’arte, della creatività,
degli affari ecc. ecc.) e la conversio-
Da tutto ciò non possiamo far altro che constatare la estrema somiglianza della Sicilia alle Canarie, la
grande potenzialità della nostra Terra rispetto a quella spagnola, e la
speranza che finalmente anche nella
nostra regione si riesca a programmare un futuro dove invece di far
scappare i nostri giovani, si possa attrarre energie economiche e risorse
umane, si possa creare sviluppo e
ricchezza nel rispetto dell’ambiente
e della vocazione territoriale.
Facciamo si che la Sicilia possa
godere di una fiscalità compensativa
come motore dello sviluppo, e creiamo un quadro normativo ed un programma di sviluppo chiaro e semplice, quale punto di riferimento per gli
obiettivo che vogliamo raggiungere.
L’occasione del federalismo potrà
sicuramente essere il momento concreto per la realizzazione di queste
ambizioni, prepariamoci per tempo.
FISCO
FISCO
LA VOCE DELL’ISOLA
10
13
19 Luglio 2008
Lo scalo marittimo occupa un’importanza strategica, di primissimo piano, considerando soprattutto l’imminente apertura (2010) dell’Area di libero scambio
Rilanciare le attività del porto di Augusta per vocazione
punto nevralgico per gli intensi interscambi nel Mediterraneo
di GIUSEPPE PARISI
S
e dicessimo che grazie alla sua
posizione centrale nel Mediterraneo è uno dei più notevoli
porti italiani per le operazioni di bunker, cambio equipaggio, riparazioni e
manutenzione navi, diporto, carico e
scarico merci varie per e dalla Sicilia,
in quanti fra i nostri lettori individuerebbero, a primo acchito, di quale
porto stiamo parlando? Aggiungiamo, per facilitare la risposta, che
l’aerea commerciale è collegata alla
rete stradale, la distanza dall’aeroporto internazionale di Catania è di 28
chilometri, la stazione ferroviaria è
poco lontano e consente un rapido
smistamento delle merci. La risposta
a questo punto è già scontata...Augusta. Aggiungiamo che l’area commerciale è localizzata a nord-ovest della
rada, dove vengono effettuate moltissime operazioni fra cui la caricazione
dello zolfo in pillole, solidificato nei
vicini impianti di trasformazione industriale, cemento, marmo e legno,
parti meccaniche e pezzi speciali che
non potrebbero essere spostati via
terra, per non parlare poi del numerosissimo naviglio che trasporta petrolio grezzo e suoi derivati e moltissimo altro ancora. Chi fra i lettori non
ha una precisa cognizione della collocazione geografica di Augusta, è
invitato a fornirsi di una cartina del
Mediterraneo, e di farsi prestare per
un attimo dal proprio figliolo in età
scolastica o dal nipote squadra e
compasso. A che serviranno mai questi strumenti? Semplice, a verificare
con un giro di compasso e con una riga tirata con la squadretta, come il
porto di Augusta sia davvero collocato al centro del Mediterraneo.
Non può sfuggire, con quest’analisi “manuale”, che Augusta occupi
dunque un’importanza strategica, di
primissimo piano, ancorché consideriamo imminente l’apertura del libero
scambio commerciale fra i popoli che
si affacciano nel Mar Nostrum prevista per il 2010, cioè fra appena due
anni. Attualmente il porto di Augusta
presenta una rilevante entità di traffico commerciale che potrebbe essere
incrementato con prodotti ad elevato
valore aggiunto provenienti dal Nord
d’Africa e le altre sponde orientali
che sul Mediterraneo si affacciano.
La Sicilia e i suoi governanti a tutti i
livelli devono capire che prepararsi a
quest’evento è di primaria importanza per tutta la storia futura, economica e culturale dell’Isola. Lo sviluppo
che può dare un porto ben attrezzato
e preparato ad accogliere e smaltire
in brevissimo tempo merci diversificate fra loro, è da noi ritenuto fattore
indispensabile per l’indotto che si
verrà a creare in tutta la Sicilia. L’area mediterranea offrirà a breve opportunità di esportazione di cultura,
tecnologia e materiali pregiati in
quantità inimmaginabili, e se staremo
attenti e vigili ai segni dei tempi, porteranno solo vantaggi eccezionali alla
nostra economia già tanto travagliata
e scarna; ciò, tradotto in termini comprensibili a tutti, significa pane e lavoro per la nostra gente, il cui destino, se non dovesse accadere questo
fatto di così fondamentale portata, sarà tragicamente segnato da un lento
quanto irreversibile decadimento che
avanza inesorabile.
Il porto di Augusta inserito, quindi,
in questo contesto “operativo” è
un’opportunità irrinunciabile e non
diventa più un fatto solamente cittadino cioè limitato agli augustani ma a
tutto un popolo, quello siciliano. All’interno di un possibile Sistema Por-
tuale Integrato dell’Isola (prodotti petroliferi, prodotti della filiera agroalimentare dal distretto produttivo
della Sicilia Sud Orientale e chi più
ne ha più ne metta...) possono svilupparsi occasioni di lavoro in quantità e
qualità mai viste in Sicilia. Occorre
quindi agire subito, per potenziare
containers/casse mobili è stato mediamente calcolato in circa sei ore a
cui vanno assommati i tempi del
viaggio con velocità media a pieno
carico di dieci quindici nodi a cui va
aggiunta l’incognia “X” legata alle
condizioni metereologiche. Detto
questo è facile intuire come per gli
liana. Lasciare il tutto al “fai da te” di
ognuno sarebbe un’azione incauta
quanto imperdonabile. La Regione
Siciliana a nostro avviso, servendosi
di tutte le competenze che la zona di
Augusta dispone, ascrivendone anche
di altre se necessarie, dovrà assumersi l’onere di sovraintendere, stimola-
È un’opportunità per l’intera Sicilia: occorre
agire subito per potenziare le attrezzature,
dal terminal Ro-Ro efficiente e associato
al nuovo dispositivo AGV (Automated Guided
Vehicle) per automatizzare le operazioni
di carico scarico, per ridurre i costi
l’attrezzatura di un terminal Ro-Ro
efficiente dal punto di vista operativo
ed economico quale polo-modello
per la migliore offerta di trasporto intermodale. Il traffico Ro-Ro con nuove navi specificamente progettate per
terminal automatizzati (RORO o ROPAX) associato a un nuovo dispositivo AGV (Automated Guided Vehicle) per automatizzare le operazioni
di carico- scarico, riduce i costi di
movimentazione, accorcia il ciclo di
banchina e il ciclo di utilizzazione
della nave, aumentando il livello della competizione fra i porti.
Chi immagina ancora un porto dove i cosiddetti “facchini” uomini robusti e avvezzi a fatiche sovraumane,
la facevano da padroni per il carico e
lo scarico delle merci è ora che vada
a visitare un porto del nord europa o
quello nostrano di Genova che non è
secondo a nessuno, dove l’alta capacità di movimentazione del carico
con questi nuovi sistemi incide in
modo determinante su una delle principali strozzature allo sviluppo delle
Autostrade del Mare, in particolare
del Mediterraneo dove bisogna fare i
conti sui tempi di carico/scarico e di
attesa in banchina che rendono più o
meno conveniente questo tipo di trasporto. Il ciclo di carico scarico di
una
nave
che
trasporta
armatori e per gli operatori economici che decidono di trasportare merci
via mare, assumono posizioni dominanti i tempi di trasporto e di attesa ai
vari porti sino alla catena di distribuzione che è fattore premiante per la
determinazione dei prezzi al consumo che incide molto di più quanto
più elevati sono i costi di trasporto.
Lasciare quindi in mano a società di
servizio e\o cooperative di piccolo
cabottaggio la gestione commerciale
di un porto “mediterraneo” d’alto livello quale sta per divenire quello,
già importante, di Augusta è quanto
mai di più disatroso si possa immaginare in un contesto di alta efficienza
ed oparatività che non permette defaians di alcun genere.
Tantomeno, come detto, si deve
considerare come “cosa propria” per
mera collocazione geografica vantare
“diritti di gestione” portuale a livello
locale. Non è che dicendo questo si
intende espropriare i titolari cioè gli
augustani da un porto che è a loro
connaturale e che stà per divenire il
“pozzo di San Patrizio” ma vogliamo
semplicemente dire che la gestione
del porto deve avere una collocazione di più alto livello, super partes e di
elevata efficienza operativa, cosa che
non può sfuggire alla classe politica
nazionale ne tantomeno a quella sici-
re e sorvegliare su tutte le attività gestionali del porto stesso, predisponendo già da adesso (ed è già abbastanza tardi...) tutte quelle strutture
necessarie per raggiungere gli obiettivi detti di efficienza e alta operatività. La prima cosa da farsi è a nostro
avviso quella di costituire una struttura funzionale e direttiva di gente
competente ed esperta del settore
predisponendo nel contempo l’attuazione di progetti per la messa in opera di adeguate strutture che consentano l’efficienza gestionale del porto
stesso. Ad esempio, un rilevante progetto del settore marittimo, del quale
siamo a conoscenza (potrebbero essercene degli altri) è denominato INTEGRATION.
È questo un progetto triennale del
valore di 10 milioni di euro co-finanziato dalla Commissione dell’Unione
Europea cui partecipano 25 società di
13 paesi. Non è da noi entrare nel vivo del progetto, ma certo che non si
tratta di “noccioline” per cui è tempo
che i “nostri” politici nostrani stavolta non facciano gli “ascari” ma che
capiscano e supportino veramente
questo tipo di attività anche se... solleveranno il popolo dal bisogno e lo
diciamo polemicamente, di dover
“chiedere” al politico di turno un
“posto” (che non c’è...) per in figlio,
nipote parente e chi più ne ha più ne
metta. Noi siamo convinti che stavolta l’impegno non potrà mancare, anche perchè esistono nel porto di Augusta e questo lo diciamo per rendere
più esaustivo possibile questo nostro
servizio, grosse difficoltà gestionali
per il disastro ambientale che è avvenuto nel corso degli anni e che vede
la rada di Augusta primeggiare fra
quelle italiane per fattore inquinante.
Di cosa si tratta esattamente? Premesso che nella rada di Augusta costituita da circa 610mila metri quadrati, transitano mediamente 3400
navi l’anno, pare che l’Istituto centrale per le ricerche in ambiente marino
abbia rilevato un notevole deposito di
“scorie” oggi quantificato in, udite,
udite... 500 milioni di tonnellate di...
mercurio, diossina, idrocarburi, arsenico ed altri metalli pesanti. Rilievi
che dovranno essere ridefiniti da un
“pool” di cinque tecnici del Ministero dell’Ambiente e che se confermati
diverranno un pesante capo d’accusa
nei confronti di chi ha permesso tale
scempio che personalmente definiamo “tout court” un crimine ambientale nei confronti dell’umanità.
Diamo atto al ministro Stefania
Prestigiacomo, ma anche ad altri,
quali l’on. Bruno Marziano che per il
porto di Augusta quale presidente
della Provincia Regionale di Siracusa
più volte si è espresso e tanto prodigato anche per “smarcare” il porto
quale zona franca, di una presa d’atto
encomiabile quanto davvero fattiva
che si è concretizzata con un accordo
di programma tra le aziende, ministero dell’Ambiente e Regione Siciliana, per avviare i primi lavori di recupero ambientale.
Una prima, seppur parziale bonifica, che prevede il dragaggio di 18
milioni di metri cubi di residui fangosi, sarà avviata prossimamante, con
un costo previsto di 270 milioni di
euro che resterà a carico delle imprese che operano fra la rada di Augusta
e il polo petrolchimico di Priolo (Erg,
Esso, Sasol, Enel, Syndial, Polimeri
Europa, Down Chemical - Ndr. Fonte: L’Occasione di Siracusa n.12 del
21 giugno 2008).
La Prestigiacomo, da parte sua, pare abbia disposto lo stanziamento di
40 milioni di euro per lo specchio
d’acqua antistante il pontile della
Marina Militare di Augusta. A onor
di cronaca, pare che la vicenda abbia
avuto strascichi giudiziari. Due infatti sono le sentenze emesse dal Tar di
Catania, nel 2006, con le quali sostanzialmente veniva accolto il ricorso delle aziende che non violevano
effettuare le bonifiche.
È di quest’anno però la sentenza
definitiva del Consiglio di Giustizia
Amministrativa di Palermo che accogliendo l’opposizione del ministero
dell’Ambiente, ha imposto alle aziende inquinatrici, l’obbligo a risarcire i
danni di natura ambientale verificatasi all’interno della rada di Augusta
per i trascorsi cinquant’anni. Così come avvenuto per il porto di Brindisi
ora si provvederà anche per quello di
Augusta...
Noi siamo del parere che ad accelerare i tempi di bonifica sia stata l’iscrizione nel registro degli indagati
di alcuni alti dirigenti delle principali
aziente operanti in zona... per “omesse attività di bonifica”. Sarà così?
Vuoi come vuoi, l’importante è iniziare e soprattutto evitare che si perpetui ulteriormente il danno ecologico causato. Gia averne preso atto è
rassicurante, basta non abbassare mai
più la guardia. Noi non lo faremo di
certo.
Storia di una campagna elettorale combattuta sull’onda delle emozioni
Massimo Carruba riconfermato sindaco
I
cittadini di Augusta hanno votato il loro
sindaco. Si rimane con Carrubba all’insegna della continuità e dell’esperienza. Questo lo slogan che per tutta la campagna elettorale ha guidato la compagine dei partiti che riproponevano Massimo Carruba alla carica di
sindaco.
La competizione è stata aspra ed ha visto cadere al primo turno personaggi che dimostravano di avere le carte in regola per ricoprire la
carica di primo cittadino. Enzo Inzolia, generale in pensione, uomo di destra che aveva deciso di scendere in campo con una propria lista
civica, non avendo raccolto consensi univoci
da parte dei partiti tradizionali (Popolo della
liberta – Alleanza nazionale e Udc), che alla
fine avevano designato Marco Stella come loro candidato. Giacinto Franco, ben conosciuto
ad Augusta per le sue battaglie a favore dell’ambiente, anche lui veniva designato come
candidato a sindaco da parte di tre movimenti
che avevano presentato un unica lista civica,
dove erano confluiti militanti di destra, centro
e di sinistra, che non si riconoscevano nei partiti tradizionali Rosetta Valvo, noto medico in
Augusta, anche lei leader di una propria lista
civica Rosario Salmeri, consigliere comunale
ed ex assessore della giunta Carrubba, che a
capo di altre due liste civiche, si proponeva alla città come uomo del cambiamento, nonostante i suoi trascorsi e collegamenti con
passati, ma sempre vivi, personaggi di rilievo
della politica Augustana
Al primo turno hanno avuto la meglio Carrubba (candidato del PD) e Marco Stella, mentre gli esclusi hanno immediatamente cercato
una collocazione, che sicuramente ritenevano
li avrebbe visti protagonisti nel riassetto politico della nuova amministrazione, sicuri anche
del consenso che i cittadini al primo turno avevano loro riservato.
Per un motivo o per un altro, dopo aver riunito i direttivi dei singoli schieramenti, tutte
le liste civiche hanno manifestato il loro interesse ad aggregarsi con Marco Stella, adducendo ognuno dei motivi più o meno logici,
desiderosi a loro dire di cambiare il volto della
città di Augusta, dopo 15 anni di dominio delle sinistre (Augusta è stata sempre governata
dal centro sinistra). Purtroppo, come accade il
più delle volte in questi casi, non tutti i simpatizzanti e sostenitori di ciascun leader, hanno
passivamente seguito le sue scelte, ma molti, a
questo punto, si sono sentiti liberi di scegliere
secondo un proprio credo politico o una simpatia personale verso l’uno o l’altro candidato,
e per il programma politico da questi presentato. I leader esclusi dal ballottaggio, sembra
che non abbiano seguito a pieno i criteri dei
loro simpatizzanti, anzi hanno cercato di accaparrarsi qualche poltrona che li avrebbe visti
nuovamente protagonisti e non esiliati
Dopo pochi giorni si delineavano i seguenti
scenari: Marco Stella poteva contare sull’apporto oltre dei partiti che avevano inizialmente
creato l’apparentamento con il PDL anche sulla presenza, (questa manifestata a voce alta
durante il comizio di chiusura), da parte del
dottore Giacinto Franco, del generale Enzo Inzolia e della dottoressa Rosetta Valvo La
compagine di Carrubba rimaneva inalterata
con un solo partito, il PD, che si era presentato
con 3 diverse liste (PD – lista per Carrubba e
Liberal-Socialisti). Proprio questi ultimi hanno
sicuramente avuto un ruolo determinante perchè sono stati sempre fedeli al Carrubba ed i
circa 1200 voti di lista ottenuti hanno fatto la
differenza
Non sarebbe stato necessario essere stratega
per capire che queste condizioni avrebbero sicuramente dato battaglia vinta a Marco Stella,
non solo per il gran numero di partiti e liste civiche, ma anche perchè il vento a favore del
popolo delle liberta soffiava a gran forza, dimostrato questo dai numerosi politici nazionali, regionali, provinciali, ed almeno 2 ministri
della Repubblica che si sono alternati durante i
40 giorni di campagna elettorale, e che hanno
manifestato appoggio incondizionato a Marco
Stella
Il 28 giugno scorso i comizi di chiusura dei
due candidati, hanno visto l’ampia partecipazione di cittadini di tutti i ceti sociali, che sono
rimasti fino ad ora tarda per ascoltare le ultime
ma esaurienti esortazioni di entrambi i candidati Il primo comizio tenuto dal candidato
Stella, ha visto la “sfilata“ di diversi oratori
ognuno dei quali cercava di chiarire la scelta e
la posizione di apparentamento assunta, contestando sempre al sindaco Massimo Carrubba il
mal governo della sua passata amministrazione e l’arroganza con la quale si ripresentava ai
cittadini.
Lo stesso Stella, dandogli del lei e richiedendo lo stesso trattamento, lo definiva continuamente come “il signor sindaco uscente”,
con un certo pizzico di cattiveria più che di distacco A seguire il comizio del candidato Carrubba, sortiva un effetto totalmente diverso.
Sul palco erano presenti i componenti soltanto
dei partiti che appoggiavano il Carrubba e gli
assessori da questi designati.
Non c’erano politici di rilievo venuti per appoggiare la sua candidatura ed il discorso di
Carrubba è stato molto chiaro sia sulle linee
amicizia che sono stati sempre alla base del
colloquio politico fra i due.
Forse questo modo umano di portare avanti
il confronto oltre all’impeto ed al cuore con il
quale il Carrubba si e presentato ai suoi elettori in quest’ultimo comizio lo hanno premiato.
Ha chiesto infine ai cittadini non il loro semplice voto sulla scheda elettorale ma prima di
tutto il loro consenso a proseguire in questa
strada comune per “ mettere le ali alla sua persona” e volare sempre più in alto
Il sabato, giornata di riflessione, dovunque
ci si trovava si sentivano discorsi a favore dell’uno o dell’ altro e francamente nessuno dimostrava di essere sicuro sul vincitore, anche
perché il fattore determinante sarebbe stato
l’assenteismo. Questo stesso senso di insicurezza si è protratto anche per i giorni di votazione. Solo ad urne chiuse e dietro l’attento
conteggio dei voti che da queste scaturivano e,
dopo un alternarsi dei vincitori nell’uno e nell’atro seggio, veniva accertata e convalidata la
vittoria del Carrubba per circa 300 voti di distacco. A questo punto tutti i suoi sostenitori si
sono riversati nella piazza principale e di fronte alla sede del PD hanno manifestato il loro
entusiasmo, mentre nell’altra compagine erano
ben visibili segni opposti.
Occasione di plauso da parte di tutti i cittadini sia di destra che di sinistra è stata quando,
nella piazza principale sotto il palco che li
aveva visto entrambi lottare per affermare le
Al centro, Massimo Carrubba
che avrebbe seguito in caso di sua rielezione
che di tutto quello che dichiarava di avere fatto
Tranquillizzava i cittadini, affermando che
pur essendo la sua, un amministrazione di sinistra, non avrebbe incontrato degli impedimenti
e rallentamenti ai progetti ed ai finanziamenti
già in essere, tuttavia necessitava di tutto l’apporto dei cittadini per potere avere riconosciuti
i diritti spettanti qualora questi fossero stati
negati da Enti appartenenti a diverso colore
politico.
Aggiungeva che avrebbe fatto valere questi
diritti di fronte a chiunque, richiedendo di essere convocato a tutti i tavoli di trattative che
avrebbero interessato la città ed in primo luogo il suo porto, al quale dava priorità assoluta
per uscire dalla crisi economica che attanaglia
Augusta
Ribadiva che tutti i punti del suo programma sarebbero stati attenzionati chiedendo perciò ai cittadini la loro collaborazione per portare a termine assieme tutti i progetti. Dichiarava ancora una volta il suo “no” al termovalorizzatore ad Augusta, già zona ad alto rischio
inquinante. Infine verso il suo antagonista si
limitava a dire che lo avrebbe continuato a
chiamare “Marco“ visti i rapporti di buona
proprie posizioni ed aspettative, i due contendenti si sono incontrati e lungamente abbracciati, scambiandosi reciproche congratulazioni
per la conduzione della rispettiva campagna
elettorale Questo gesto, significativo in un
Paese civile e che si rispetti, dove alla base, a
parte il confronto, sta il solo bene della città e
dei cittadini, dovrebbe essere di sprone e di
esempio affinché le battaglie per riaffermare la
propria identità possano essere realmente portate avanti da entrambi, senza veti, contestazioni e rallentamenti ai programmi enunciati a
grande voce durante la campagna elettorale
Nei giorni successivi alla sua rielezione,
puntuale, come sempre, il neo eletto sindaco
ha indetto un comizio di ringraziamento che
ha avuto luogo sullo stesso palco che aveva visto cimentarsi fino alla settimana prima tutti i
concorrenti. Il sindaco è stato accolto da uno
scrosciante lungo applauso da parte di tutta la
folla che gremiva la piazza, sicuramente molti
dei quali rappresentavano il suo elettorato di
oltre 8.632 consensi Massimo, ha iniziato dicendo che il soldato Rayan con l’aiuto dei cittadini di Augusta era riuscito a non soccombere alla minaccia portata avanti da un agguerrito numero di “lanzichenecchi” scesi per l’occasione per annientarlo, e che tutti coloro, lea-
der di movimenti cittadini e personaggi di rilievo della politica augustana erano stati
“trombati” dal consenso degli elettori ed, ironia della sorte, molti non sarebbero riusciti
neanche a far parte del Consiglio comunale.
Massimo ha continuato dicendo che essendosi
trovato, durante questa campagna elettorale,
spesso a contatto con moltissimi cittadini di
Augusta, i quali gli avevano manifestato la loro solidarietà, aveva finalmente capito della
necessità di stare più a contatto con loro, capire i loro problemi ed aiutarli a trovare assieme
le giuste soluzioni.
Per questo il primo suo impegno che assumeva era di stare per i prossimi cinque anni
più vicino ai cittadini per ascoltarli e cercare
di essere di maggiore aiuto di quanto non era
stato durante il precedente suo mandato
Ribadiva che sarebbe stato il sindaco di tutti
senza alcuna discriminazione fra quelli che coraggiosamente lo aveva votato e quelli invece
che in buona fede avevano optato per la compagine avversa.
Solo attraverso il loro futuro supporto sarebbe stato pronto, qualora la città lo avesse designato, a ricoprire ruoli più autorevoli per poter
sempre meglio rappresentare gli interessi di
Augusta, città questa, che gli ha dato tante
soddisfazioni nella sua ventennale attività politica
Ha iniziato pertanto a fare una analisi di tutto lo svolgimento della campagna elettorale
elogiando i dirigenti dei partiti alleati (liberalsocialisti, in primo luogo, il PD e la sua lista)
per il loro leale comportamento e per avere
creduto in lui.
Additava, invece, la compagine avversaria e
causa della sua sconfitta, in primo luogo l’
arroganza oltre che alla sicurezza di essersi
sentiti vincitori, trovandosi schierati con oltre
ben 10 liste tra partiti e movimenti
Accusava con forza i leader della sinistra radicale ed arcobaleno di scorrettezza e di ipocrisia, poichè nonostante la loro appartenenza
a sinistra ed avendo ricoperto incarichi importanti nella passata sua amministrazione, avevano deciso di non appoggiarlo, prognosticando
invece, come “pessimi oracoli “, la sua sicura
sconfitta.
Ha invece riservato parole di apprezzamento e di lealta’ politica al suo principale “competitor” l’ amico Marco Stella, richiedendo per
lui alla platea un forte applauso, sicuro di poter contare anche sul suo necessario contributo
in Consiglio comunale allo scopo di poter
espletare appieno il mandato e il comune programma elettorale.
Infine ha voluto manifestare apertamente il
suo “grazie” ad Enzo Parisi, responsabile in
Sicilia di un movimento ecologista, al suo
amico e vice sindaco Nunzio Perrotta, al fratello Francesco, alla moglie, a Domenico e tutti gli altri amici che sono stati sempre al suo
fianco
POLITICA
POLITICA
LA VOCE DELL’ISOLA
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POLITICA
LA VOCE DELL’ISOLA
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19 Luglio 2008
Il ruolo dei Consoli nel contesto socioeconomico internazionale
Rinsaldano quotidianamente
i rapporti fra i Paesi amici
di GERARD POKRUSZYNSKI
Gerard Pokruszynski.
Decano del Corpo Consolare
L
a maggior parte delle persone ignora
l’attività di un Console, anche se si tratta
di una figura che ha una lunga storia. La
figura del Console è, infatti, antichissima ed ha
avuto sempre un posto rilevante nella Diplomazia di tutti i Popoli
Nell’antica Grecia, Erodono, parla nei suoi
scritti di agenti la cui figura giuridica prefigura
quella dei Consoli-Giudici nel Medioevo, riconducibile alla mansione assunta oggi dai
consoli onorari.
Gli Egiziani concessero ai Greci residenti a
Naucratis, il diritto di eleggere consoli-magistrati, affinché amministrassero la giustizia secondo la loro legge nazionale
I Romani riconoscevano ai Consoli una ruolo preminente nel loro ordinamento politico e
militare
Nel medioevo il console comincio ad acquisire le caratteristiche attuali, e dall’elezione da
parte dei residenti in loco si passò ad una nomina con relativo accreditamento mediante un
atto pubblico
dal Governo dello stato inviante.
I secoli XV e XVI sono stati favorevoli allo
sviluppo dell’istituto consolare: venne istituita
una fitta rete di uffici negli scali marittimi europei, su iniziativa soprattutto dei Paesi bassi e
dell’Inghilterra.
Le loro funzioni, inalterate nel tempo, sono
la protezione dei connazionali e lo sviluppo del
commercio
Ma solo nel 1963 la Convenzione di Vienna
sulle relazioni consolari, sottoscritta sotto l’egida delle Nazioni unite, ha inquadrato in maniera chiara la figura e i compiti del console.
La norma assegna al console, di carriera e onorario, una uguale autorità; è successivamente
ciascun governo ad attribuire a ogni singolo
consolato differenti responsabilità.
Ma la funzione di “civil servant” è chiara:
deve sviluppare le relazioni economiche, commerciali, scientifiche e culturali bilaterali tra il
paese rappresentato e l’area in cui esercita la
propria funzione, salvaguardare gli interessi
del proprio paese e assistere i cittadini per le
necessità amministrative. La Convenzione, rimarcando gli storici doveri, trasforma il console in un promoter che si informa e relaziona
sulle condizioni e sull’evoluzione della vita
economica rimanendo un trait d’union indispensabile pur in presenza di una globalizzazione delle informazioni.
D’altro canto i problemi di bilancio hanno
indotto i governanti a contenere il costo delle
rappresentanze diplomatiche che sono aumentate, soprattutto dopo il 1989, in funzione della
nascita di nuove nazioni.
La domanda che sorge spontanea è: chi favorisce le relazioni economiche di primo livello
tra tutti i 192 Stati del mondo?
La risposta può uscire dalla diplomazia consolare così come definita da Cordoleeza Rice
in un suo intervento sulla “Transformational
Diplomacy” alla Georgetown University di
Washington nel gennaio 2006. Il Segretario di
stato americano ricordava che ci sono circa
200 città al mondo con oltre un milione di abitanti, che non sono capitali di nazioni, prive di
una presenza consolare statunitense.
Le ovvie conseguenze sono l’impossibilità
di ottenere notizie in real time sulle dinamiche
economiche e ciò può essere risolto da una capillare rete consolare, composta da honorary
officer, che, se sapientemente gestita, estende
la presenza attiva di uno stato con un rapporto
di costo-efficienza ottimale.
I contribuenti del Paese non sentono minimamente il peso dei Consoli onorari. L’esempio riportato in un “diplomacy paper” del novembre scorso di Kevin Stringer per l’Istituto
olandese di relazioni internazionali Clingendael, ci conduce all’Islanda. Questa nazione ha
oltre 250 consoli onorari nel mondo, con il
compito di promuovere l’economia, e mantiene solo due consolati di carriera (uno a New
York che funge anche da rappresentanza alle
Nazioni unite) e un secondo a Winnipeg.
Anche i Paesi Bassi utilizzano la propria rete
consolare, in maggior parte composta da consoli onorari, per attrarre investimenti diretti
G
erard Pokruszynski è nato a Varsavia, laureato in Sociologia presso l'Universita di Varsavia. Dal 1991 Impiegato nel Ministero degli
Affari Esteri (Polonia); dal 1993 al 1999 è Console
Generale della Repubblica di Polonia a Milano; dal
1999 al 2000 Direttore del Dipartimento della Promozione (Ministero degli Affari Esteri, Varsavia);
dal 2001 al 2003 è Direttore per gli Affari Esteri nel
Cancelleria del I Ministro; dal 2003 al 2004 è impiegato presso il Dipartimento Consolare del Ministero
degli Affari Esteri (Polonia); dal 2004 al 2007 è
Console Generale della Repubblica di Polonia in
Malmoe (Svezia); dal 2004 al 2007 svolge Dottorato
di ricerca all'Universita di Lund (Svezia); dall'ottobre 2007 è Console Generale della Repubblica di
Polonia in Catania
(Fdi) segnalando bisogni alla “Netherlands foreign investment agency”, branca operativa del
ministero degli Affari economici.
Nell’esperienza globale il ruolo del Console,
soprattutto onorario, si dimostra indispensabile
per sviluppare le economie delle giovani nazioni dell’Europa orientale e dell’Africa, come
pure dei microstati che non potrebbero permettersi rappresentanze consolari di carriera per
ovvi motivi di bilancio. Il Console, in ultima
analisi, è un “promoter” naturale, quale profondo conoscitore del Paese rappresentato, rimanendo però ancorato ai doveri di un “civil
servant”: si informa e relaziona sulle condizio-
ni e sull’evoluzione della vita economica nell’area di propria competenza, favorisce i rapporti culturali, scientifici e commerciali fra i
due Paesi. Il Console è, insomma, il “trait- d’union” naturale tra il Paese rappresentato e la
realtà del luogo in cui esercita la propria funzione. Una figura, quindi, indispensabile.
Il Corpo Consolare di Catania
oggi rappresenta 18 nazioni
I
l Corpo Consolare di Catania, la cui costituzione risale al 1960, annovera, quali membri
di diritto, oltre i Consoli e vice-Consoli residenti a Catania, anche quelli che, residenti altrove, estendono la loro circoscrizione oltre che
sul territorio etneo anche in altre province Siciliane e che hanno comunque sede o ufficio consolare in Sicilia. L’appartenenza al Corpo Consolare è al momento riservata solo ai Consoli in
carica, ma in analogia con altri statuti e regolamenti di altri Corpi Consolari in Italia, a richiesta, ne possono far parte inoltre, senza diritto di
voto, i Consoli che, in quiescenza dopo onorato
servizio, richiedono di continuare la loro appartenenza al Corpo Consolare.
Il Corpo Consolare è una libera associazione,
ai sensi delle leggi emanate della Repubblica
Italiana, Paese ospitante, apolitica, aconfessionale, senza fini di lucro.
Il Corpo Consolare è presieduto da un Decano nominato tra i Consoli più alti in grado ed, in
caso di parità, da quello che ha maggiore anzianità di nomina. Nel caso di presenza tra i consoli di un Console di carriera, la figura del Decano
viene ricoperta, come prassi, da un Console di
carriera
Le attività del Corpo Consolare sono molteplici e puntano ad un coinvolgimento sempre
maggiore, nuovo e mirato della comunità locale
e di quella internazionale.
È proprio nell’ottica della funzione di collegamento svolta dal Corpo Consolare ed in particolare dai rispettivi Consoli, che si tende ad intrattenere rapporti di collaborazione con tutte le
altre Autorità civili e militari, presenti a Catania
e nelle altre Province Siciliane, allo scopo di
contribuire e facilitare i rapporti tra cittadini dei
Paesi designanti e le realtà del Paese ospitante
Promuovere scambi culturali - commerciali –
turistici tra i rispettivi Paesi e le aree di competenza per ampliare oltre alla conoscenza e le
realtà di ogni singolo Paese, anche a favorire,
mediante incontri e conferenze su campi specifici (economico, commerciale, turistico) la possibilità di interscambio sempre più proficuo
La sede del Corpo Consolare di Catania è
presso la dimora del Decano, oggi nella figura
del Console Generale della Repubblica di Polonia, dottor Gerard Pokruszynski, in via M.Ventimiglia 117 (Tel.: 095 7460560 Fax 095
533247).
Oggi a Catania sono rappresentati i seguenti
Paesi:
ALBANIA - Circoscrizione di Catania, Via Licciardi, 13 - COLOMBO DARIO, Console Onorario, Tel 095 78.90.355,
e-mail: [email protected]
BANGLADESH - Circoscrizione Sicilia Corso
Italia,157 - VANADIA GIOVANNI, Console
Onorario, Tel.: 37.2721,
e-mail [email protected]
BELGIO - Circoscrizione di Catania, Messina,
Ragusa, Siracusa, Via Milo, 9 - DE BLAUWE
CHRISTIANE, Console Onorario, Tel.:095
43.86.22 e-mail: [email protected]
FINLANDIA - Circoscrizione di Catania, Agrigento, Siracusa - GERACI ELSA, Console
Onorario, Tel.: 32.66.08,
e-mail: [email protected]
FRANCIA - Circoscrizione di Catania, Via V.
Giuffrida 73 - TESTONI BLASCO FERDINANDO, Console Onorario, Tel.: 43.19.42 –
Fax.: 44.16.01,
e-mail: [email protected]
GRECIA - Circoscrizione Catania, Siracusa,
Enna, Ragusa, Caltanissetta, Viale Jonio 134
BIZZARRO ARTURO - Console Onorario,
Tel.: 53.40.80 7462478
e-mail: [email protected]
GUATEMALA - Circosrizione: Sicilia e Calabria, Viale XX Settembre 76 - TRANTINO ENRICO, Console Onorario, Tel.: 53.35.36 Fax:
53.35.85 e-mail: [email protected]
GRAN BRETAGNA - Circoscrizione: Catania
e Messina, via N. Coviello 27 - BROWN RICHARD, Console Onorario, Tel.: 716.73.36,
e-mail: [email protected]
MALTA - Circoscrizione Catania, Messina, Siracusa, Enna, Ragusa, Caltanissetta, corso Martiri della Libertà, 14 - CALI’ FERDINANDO,
Console Onorario, Tel.: 53.96.28,
e-mail: [email protected]
PAESI BASSI - Circoscrizione: Catania, Siracusa, Messina, Ragusa, Via Anzalone, 7 - GE-
RACI FABRIZIO, Console Onorario, Tel.:
32.66.08 Tel.: 31.06.29
e-mail: [email protected]
POLONIA - Circoscrizione: Sicilia e Calabria,
Via M. Ventimiglia 117 - GERARD POKRUSZYNSKI, Console Generale di Carriera,
Tel. 095 7460560 Fax 095 533247
e-mail: [email protected]
SENEGAL - Circoscrizione: Regione Sicilia,
Via Monaca Santa 9 - RUGGERI FRANCO,
Console Onorario, Tel: 44.77.55
e-mail: [email protected]
SLOVENIA Circoscrizione: Regione Sicilia, Viale della Regione 54, 93100 Caltanissetta - GINEVRA AGOSTINO, Console Onorario,
Tel.: 0934/56.31.68 – 0934/59.81.60 –
e-mail: [email protected]
SPAGNA - Circoscrizione: Provincie di Siracusa, Ragusa, Catania, Via Politi, 9 BUFARDECI KETTY, Console Onorario, Tel.:
32.7289,
e-mail.: [email protected]
SRI LANKA - Circoscrizione: Regione Sicilia,
Via F.Crispi 239 - DI MAURO LUCA, Console
Onorario, Tel. :53.52.02,
e-mail: [email protected]
[email protected]
SVIZZERA - Circoscrizione: Regione Sicilia,
Viale A.De Gasperi 151 - BRODBECK SANDRA, Console Onorario – (segretaria/tesoriera),
Tel.: 38.69.19 Fax: 37.54.75,
e-mail: [email protected]
THAILANDIA - Circoscrizione: Regione Sicilia,Via Etnea, 196 - NANIA GIOVANNI, Console Onorario, Tel. 095/313618 Fax.:
095/7153273,
e-mail: [email protected]
[email protected]
TURCHIA - Circoscrizione: Messina, Catania,Siracusa,Ragusa,Enna, Caltanissetta, Via
Epicarmo 39 Siracusa - ROMEO DOMENICO,
Console Generale Onorario (Vice Decano del
Corpo Consolare) - Ufficio di Augusta: via
Principe Umberto 83 – 96011 Augusta, Tel.:
0931/ 983446 Tel 0931 /999747 Fax.:
0931/997814,
e-mail: [email protected]
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19 Luglio 2008
Viaggio attorno alle antiche fortificazioni della città di Catania
Lunga storia di un maniero
chiamato Castrum Ursinum
di CORRADO RUBINO
Q
uesto è il secondo di una serie di racconti che ci condurranno lungo itinerari storici
che avranno come obiettivo le opere
di fortificazione realizzate durante la
millenaria vita della città di Catania.
Nel precedente articolo, in conclusione, abbiamo scritto che il compito
di fortezza che ebbe l’Ecclesia munita del vescovo-feudatario, rappresentante del potere ecclesiastico, durò solitario fino all’avvento della famiglia sveva degli Höhenstaufen e in
particolare fino al 1239, anno in cui
l’architetto di Federico II di Svevia,
Riccardo da Lentini, diede inizio alla
costruzione di un’altra fortezza: Castello Ursino.
Il 1239 fu l’anno in cui la lotta
verbale fra 1’imperatore Federico II
di Svevia e il Papa Gregorio IX si
fece più feroce. La domenica delle
Palme di quell’anno il Papa aveva
scomunicato per la seconda volta
“l’eretico” svevo. Ma Federico era
calmo e freddo. Non bisognava dare
segni di nervosismo. I vescovi-principi germanici erano dalla parte dell’imperatore. Nell’Italia meridionale
Federico aveva già avviato una decisa opera costruttiva di opere di difesa per tutto il Regno Meridionale e
quindi si poteva dedicare liberamente a fare la guerra al Papa e ai Comuni dell’Italia del nord suoi alleati.
L’interesse mostrato dall’imperatore nei confronti del programma
messo in atto per la realizzazione di
opere di difesa dei suoi domini è, secondo gli studiosi, un’ulteriore prova
dell’influenza culturale che Federico
volle esercitare anche sulla produzione architettonica e in particolare
su quella di nuova edificazione. Basta osservare le varie costruzione
sveve dell’Italia meridionale per
scorgere tra di loro un innegabile filo
conduttore di un linguaggio che nasce alla corte di Federico e che viene
elaborato da una élite laica e, in parte cosmopolita, di uomini che assorbono e filtrano esperienze del passato e di altre realtà culturali. Resta comunque fondamentale il costante riferimento al pensiero dell’imperatore, come scrive Maria Giuffrè, “alla
sua concezione universalistica della
cultura e alla sua consapevolezza
dell’autonomia totale e delle prerogative assolute dello stato”.
La costruzione del Castello Ursino
ha inizio nel 1239, documentato dalle cosiddette lettere lodigiane di Federico II, sotto la direzione del praepositus aedificiorum Riccardo da
Lentini.
La scelta del sito e la sua progettazione fanno parte del più vasto progetto del sistema difensivo dell’area
orientale della Sicilia. A tale proposito bisogna immaginare che il punto
su cui oggi sorge la fortezza federiciana era, allora, a ridosso del mare e
dominava strategicamente sia il porto della città (in aperta e spudorata
concorrenza con la ecclesia munita
del vescovo) e sia il grande golfo
della piana di Lentini: cosa che oggi
è assolutamente irriconoscibile anche su una carta topografica. I castelli di Augusta e Siracusa, già quasi completi quando Riccardo da Lentini apre il cantiere di Catania, formano, assieme a quest’ultimo, una
sequenza continua di insediamenti
residenziali fortificati a presidio non
solo della costa (Siracusa e Catania)
ma anche dei centri urbani di riferimento (Augusta). La prima delle lettere lodigiane che l'imperatore scrisse da Lodi, a Riccardo da Lentini
che si trovava a Catania, fu del 17
novembre 1239. Con questa lettera
Federico esprimeva il suo compiacimento per quanto Riccardo stava facendo, dicendosi d’accordo nella
scelta del luogo su cui edificare il
castello e lo invitava ad approntare,
in tempi strettissimi, l’occorrente per
dare inizio ai lavori. Una settimana
dopo Federico risponde da Cremona
(evidentemente ad una lettera scritta
da Riccardo) nella quale egli dava
chiare istruzioni su come Riccardo
avrebbe dovuto avere le somme necessarie affinché il castello potesse
subito essere edificato. Da questa
corrispondenza appare chiaro che le
una bolla di papa Alessandro IV,
concedeva ai Francescani di Catania
la chiesa di San Michele Arcangelo
che si trovava all’'interno del recinto
del castrum Ursinum. Questa è la
prima volta che compare il nome
“Ursino” per indicare, a pochi anni
dalla sua costruzione il castrum Cataniae fatto edificare da Federico II.
Nel 1274, papa Gregorio X scrisse al
vescovo siracusano affinché fosse
lanciata la scomunica contro i persecutori dei Francescani catanesi che,
in dispregio delle disposizioni del
suo predecessore, Clemente IV, avevano commesso "ingiurie, violenze e
distruzioni" contro i sopradetti frati
sconfigge i
due giganteschi castellani
saraceni Grifone e Mata,
ne occupa il
castello e li
costringe ad
assistere al
trionfo cristiano. Una variante, dei
primi del novecento, alla leggenda
dei giganti Ursini, vuole che essi siano stati sconfitti e uccisi dal paladino catanese Uzeta il quale, per ricompensa, ottiene in sposa la figlia
del re.
Attualmente il Castello Ursino è
Il Castello federiciano fa bella mostra della sua
massiccia mole da quasi 770 anni: è la prova
dell’influenza culturale che Federico volle
esercitare anche sulla produzione architettonica
e in particolare su quella di nuova edificazione
somme necessarie per dare inizio ai
lavori dovevano essere reperite da
somme residue provenienti dalla costruzione del Castello di Augusta,
ma soprattutto dalla somma offerta a
Federico stesso dai rappresentanti
della città di Catania, che si erano
recati presso di lui, in Lombardia,
proprio per manifestare la necessità
di fare edificare il castello. Quindi la
costruzione del castello, realizzata in
accordo con la comunità catanese,
non fu affatto dettata dalla volontà di
repressione per punire i catanesi per
la rivolta del 1232 avvenuta otto anni prima. Sembra piuttosto che le
leggende nate in occasione di tale rivolta e sulle violente rappresaglie
tentate da Federico II nei confronti
della popolazione (che la vecchia
storiografia ha riproposto senza fondamento) siano nate dall’odio profondo del partito guelfo catanese
contro “l’eretico” svevo.
Federico II muore nel 1250. Nel
1255 il vescovo di Catania, Ottone
Capozzo, con una lettera inserita in
nel luogo qui dicitur Castrum Ursinum.
Con la dominazione angioina Papa
Nicolò IV, in un’altra bolla del 1278,
confermò la concessione di Alessandro IV ai Francescani per quel luogo
sacro posto in Castruma Ursinum
vulgariter noncupatur. Molteplici
sono state le ipotesi sul perché di tale appellativo e sarebbe troppo luogo
elencarle, anche perché noi non ci
sentiamo di avallarne una al posto di
un'altra. Forse la tesi meno fantasiosa è quella che, proprio perché senza
un nome ufficiale, il popolo lo abbia
indicato genericamente come “castrum sinus” (castr-um-sinus), cioè
castello del golfo.
La più romantica è quella partorita
dalla fantasia popolare che ha immaginato l’esistenza dei giganti saraceni Ursini, che il normanno conte
Ruggero avrebbe sconfitto, per impadronirsi del loro castello sulla
spiaggia di Catania. Questa leggenda
ha una evidente analogia con quella
messinese in cui il conte Ruggero
un grande parallelepipedo di 50 metri per lato. I muri esterni hanno lo
spessore di 2,50 metri mentre i muri
interni sono spessi 2 metri. Le sue linee architettoniche generali, nei secoli, non hanno subito profonde trasformazioni da quelle progettate da
Riccardo da Lentini che lo realizzò
protetto agli angoli da quattro torri
cilindriche uguali e con quattro torri,
semicilindriche e più basse, poste
ognuna a metà di ogni lato. Ma poi
le due torri mediane, a oriente e a
meridione, sparirono, gravemente
danneggiate, a seguito di terremoti e
dell’eruzione del 1669. Oggi, dopo
gli ultimi lavori eseguiti all’esterno
del castello, i basamenti di queste
due torri mancanti sono stati rimessi
in luce. Le torri sorgevano su basi “a
scarpa” che oltre a rafforzarle davano al castello una immagine di imponenza che l’attuale angolo di osservazione non può dare. Infatti il
piano da cui si poteva osservare la
fortezza, prima del 1669, era molto
più basso dell’attuale.
II lato settentrionale del castello è
il principale ed è quello più integro.
Questo prospetto ha pochissime
aperture. In particolare il primo piano e privo di finestre e gli ambienti
interni ricevono solo luce dall’atrio
interno: ciò fu dovuto della necessità
di rendere meno vulnerabile questo
lato, che era il più esposto agli attacchi dalla terraferma. Ha il tipico portale d’ingresso medievale a sesto
acuto che guarda a nord, ed è posto
fra la torre angolare di nord-ovest
(delle bandiere) e la torre mediana.
Prima dell’ingresso si notano i resti
delle opere di fortificazione avanzate
(antemurale) che innalzandosi fino a
metà circa del muro del castello proteggevano l’ingresso: ma probabilmente sono del periodo aragonese.
In alto a destra, dell’ingresso al castello, si nota un’edicola contenente,
a tutto rilievo,
l’aquila imperiale (simbolo
del potere svevo) che ghermisce con gli
artigli una preda.
Le feritoie,
soprattutto
quelle del lato
settentrionale
e di tutto il
piano terra, sono in massima
parte dell’epoca federiciana,
ma molte sono
le finestre e i
finestroni aperti nelle mura del castello nel ‘400 e nel ‘500. Il lato occidentale, esternamente, e quello che
più ha subito trasformazioni nei secoli.
Nel lato meridionale è ancora visibile la “porta falsa” del castello e
quel che resta della scala che portava
a mare o meglio all’imbarcadero.
Anche la facciata orientate ha subito
notevoli interventi nei secoli successivi. Quello che oggi spicca maggiormente è la grandiosa finestra rinascimentale sormontata da una stella pentagonale in pietra lavica.
All’interno, lo sguardo viene subito attratto dal grande salone di 25
metri per 8 che si sviluppa a sinistra
coperto da un’armonica fuga di tre
crociere quadrate definite da Giuseppe Agnello "campate di un maestoso
tempio gotico". L'intero piano terra
era ritmato dal modulo delle crociere
uguale e simmetrico: 8,30 metri per
8,30 metri. Tale simmetria si ritrova
al piano superiore solo nel lato settentrionale.
Attorno alla coorte quadrata, cuore
del castello, si dispongono quindi
quattro grandi sale, fiancheggiate da
sale angolari minori, attraverso le
quali si accede alle torri angolari.
Dal piano inferiore a quello superiore si accedeva per delle scale elicoidali poste nelle torri mediane di cui
oggi ce ne resta solo una nella torre
mediana della “sala delle armi”. La
cosiddetta scala catalana, che dal
cortile porta alla sala dei Parlamenti,
è una recente ricostruzione di una
precedente del 16° secolo. Le torri,
che all’esterno sono cilindriche, all’interno si presentano ottagonali e
sono coperte da volte "ad ombrello".
Tale figura geometrica è caratteristica di Castel del Monte ad Andria che
è contemporaneo di Castello Ursino.
Ogni torre ha un nome emblematico;
Torre delle Torture (nor-est), Torre
delle Bandiere (nord-ovest), Torre
dei Magazzini (sud-ovest), Torre del
Sale (sud-est).
SPECIALE
LA VOCE DELL’ISOLA
SPECIALE
LA VOCE DELL’ISOLA
16
19 Luglio 2008
Storia dimenticata del Castello Ursino, “simbolo” significativo di Catania
La temuta residenza reale
degli Aragonesi di Sicilia
di CORRADO RUBINO
F
orse non erano trascorsi neanche molti
anni dal completamento della fortezza
quando il castello fu teatro della sentenza
di morte emessa dal re Manfredi nel 1261 per
giustiziare l'impostore siciliano Giovanni de
Cocleria che, dicendo di essere il redivivo Federico II, cercò d’impossessarsi del regno.
Nel 1266, il 26 febbraio, re Manfredi venne
ucciso nella battaglia di Benevento. La tragica
avventura di Corradino segnò il tramonto degli
Höhenstaufen e Carlo d’Angiò divenne il signore in Sicilia, dando inizio alla "mala signoria" del casato angioino. Ma il Castello Ursino
non fu subito sotto il loro controllo, perché a
resistergli tra le sue mura rimase il fedelissimo,
alla memoria degli Svevi, il Gran Giustiziere
del regno Corrado Capece, e i suoi seguaci; fino al 1270, quando fu barbaramente trucidato
nei pressi del castello stesso da Guglielmo d’Etendart. Al Vespro, nell'aprile 1282, vi si rinchiusero i Francesi presenti a Catania per resistere alla grande violenza popolare scaturita
dalla rivoluzione. Il catalano Pietro III d’Aragona, il Grande, essendo marito dell’ultima
erede degli svevi, rivendicò il diritto di sovranità sulla Sicilia e nei primi di settembre di
quell'anno, il nuovo re, vi riunì i rappresentanti
delle città della Val di Noto per esortarli alla
difesa e nel maggio del 1283 vi convocò il Parlamento Generale del Regno di Sicilia. Il successore di Pietro il Grande fu suo figlio Giacomo, che però commise l’errore di nominare
suo fratello Federico vicario per il Regno di Sicilia. Federico, come si sa, nel Castello Ursino
vi rimase per lungo tempo, tanto da farne la residenza reale della sua famiglia, fino al 1412:
fin quando cioè la Sicilia rimase formalmente
indipendente. Federico d’Aragona era il figlio
terzogenito di Pietro III il Grande e di Costanza di Höhenstaufen, figlia di Manfredi re di Sicilia, quindi è facile intuire il dolore che questa
donna patì quando l’altro suo figlio Giacomo,
con il trattato di Anagni “svendette“ la Sicilia
all’eterno nemico, Carlo II d’Angiò lo zoppo. Molti baroni siciliani, però, giurarono fedeltà al vicario Federico. Era vero che Federico apparteneva al real casato aragonese ed era fratello di Giacomo,
ma ormai viveva in Sicilia dal
1283, cioè da quando aveva 11
anni. Federico aveva 19 anni
quando re Giacomo lo nominò Vicario del regno di Sicilia e 24 anni
quando, il 15 gennaio del 1296,
egli stesso fu proclamato re di Sicilia dal Parlamento siciliano adunato nel Duomo di Catania e quindi pienamente consapevole di essere “l’alfiere” dell’indipendenza
dell’isola contro il suo stesso casato. A differenza del fratello Giacomo, il neo re di Sicilia era cresciuto nel mito della “discendenza sveva” alimentato da sua madre Costanza, l’ultima degli
Höhenstaufen e che non aveva dimenticato.
C’erano ancora conti in sospeso con gli assassini di Corrado e di Corradino di Svevia. Lo
sterminio degli eredi di Federico II di Svevia,
compiuto dagli angioini con l’appoggio del Papa, non poteva rimanere impunito. Federico resistette validamente all’assalto degli Angioini,
sostenuti da papa Bonifacio VIII e da suo fratello Giacomo d’Aragona, finché col trattato di
Caltabellotta (1302) ottenne il titolo di re di
Trinacria. Ma nel 1313, rotta la pace, assunse il
titolo di re di Sicilia con il nome di Federico
III e nominò suo erede al trono suo figlio Pietro dando così origine ad una dinastia di “Aragonesi di Sicilia”. Questo passaggio storico è
importante perché molti confondono la “dominazione” aragonese con la “signoria” di un ramo di quest’ultima dinastia che nasce, cresce e
muore in Sicilia e che avrà come epicentro
proprio Castello Ursino. Re Federico III fece
definitivamente di Castello Ursino la sede dei
sovrani aragonesi e di Catania la capitale del
Regno e provvide inoltre a chiudere il castello,
sul lato settentrionale, con un sistema di avanzate difese (antemurali). Alla morte di Federico, avvenuta per malattia nel 1337, il re che
aveva ridato dignità ai siciliani fu sepolto nella
città che egli stesso aveva eletto a sua residenza. Il figlio di Federico, Pietro II di Sicilia,
convocò al Castello Ursino, un importante Parlamento Generale del Regno, nel 1337. I figli
di Pietro e di Elisabetta nascono tutti nelle
stanze del castello: Ludovico, il 4 febbraio del
1338, che sarà incoronato alla morte del padre
col titolo di Ludovico I re di Sicilia; Costanza
ed Eufemia che saranno reggenti fino alla maggiore età di Federico, nato nel 1342, che sarà
incoronato, dopo la prematura scomparsa del
fratello Ludovico, col titolo di Federico IV detto il Semplice. Ma naturalmente il castello fu
testimone anche di momenti di lutto. Giovanni
stello catanese non manca il capitolo del “rapimento”. L’erede al trono di Sicilia la regina
Maria d’Aragona fu rapita da Guglielmo Raimondo Moncada la notte del 23 gennaio 1379,
proprio dal Castello Ursino, attraverso la “porta falsa”, per impedire che si compisse un ardito progetto matrimoniale del suo tutore e vicario del Regno, Artale Alagona. Già, perché il
rapimento di questa reale ragazzina da Catania
si inserì in una serie di avvenimenti internazionali che videro coinvolti i potenti della fine del
‘300 e che, se non avesse avuto luogo, forse
avrebbe cambiato il corso della storia siciliana.
Nella residenza di Castello Ursino cresceva,
sotto la protezione di Artale, la figlioccia Ma-
Il maniero fu teatro della sentenza
di morte emessa dal re Manfredi
nel 1261 per giustiziare l'impostore
siciliano Giovanni de Cocleria che,
dicendo di essere il redivivo Federico
II, cercò d’impossessarsi del regno
d’Aragona, duca di Atene e di Neopatria, che
era figlio di Federico III d’Aragona e fratello
minore di Pietro II, vi morì nel 1348. Anche
Federico il Semplice, dopo avere sposato nel
1360 Costanza di Castiglia, figlia del re Pietro
IV d’Aragona, sceglie come residenza della famiglia reale il castello catanese che purtroppo
sarà testimone, nel 1363, sia dell’evento gioioso della nascita dell’erede al trono Maria, ma
anche della morte di Costanza stessa per complicazioni post-parto. L’8 novembre 1347 nel
castello si incontrarono il duca Giovanni d'Aragona, reggente del Regno di Sicila, e Giovanna d'Angiò, regina di Napoli, per cercare di
porre fine alla guerra per il possesso della Sicilia: gli Angioini riconobbero agli Aragonesi di
Sicilia il dominio dell’isola. Ma il pontefice
non ratificò l’intesa e la guerra continuò ancora
fino alla “pace di Catania” che fu conclusa a
Castello Ursino, nel 1372, con la mediazione
di papa Gregorio XI, tra Giovanna e Federico
il Semplice. Il castello aveva ovviamente i locali destinati a prigione nei quali vi finirono,
durante le lotte intestine fra le fazioni baronali,
anche i Chiaramonte dopo che cadde il castello
di Lentini, e il piccolo Francesco, figlio del nobile Francesco Ventimiglia (conte di Gerace),
accusato di alto tradimento. Nella storia del ca-
ria che ormai era in età da marito e il suo tutore
aveva già scelto per lei un ottimo partito: Gian
Galeazzo Visconti, signore di Milano, di sedici
anni più anziano di Maria. Ma col rapimento il
progetto di Artale andò in fumo e Maria andò
in sposa a Martino il Giovane nipote di Pietro
IV d’Aragona. Dopo 7 anni dal matrimonio fra
Maria e Martino, alla fine di ottobre del 1398,
Maria diede alla luce nello stesso luogo dov’era nata lei, al Castello Ursino, il figlio Federico
che però purtroppo morì prima di compiere
due anni. Con lei si estinse la “dinastia degli
aragonesi di Sicilia” rappresentata da 5 monarchi: Federico II (III), Pietro II, Ludovico, Federico III (IV) e Maria stessa. Tutti, meno Federico II (III), nati in Sicilia e tutti, compreso
quest’ultimo, cresciuti, vissuti, morti e sepolti
in Sicilia. Morto prematuramente anche Martino il Giovane, rimase padrona del regno la seconda moglie dell’aitante re, la bella Bianca di
Navarra che però, grazie alle bramosie d’amore del vecchio Gran giustiziere del Regno, Bernardo Cabrera, non ebbe vita facile. Nel 1410
Cabrera arrivò ad assediare Bianca nel Castello
Ursino. Dal 1412 la Sicilia tornò ad essere parte integrante dei possedimenti della casa reale
spagnola. I viceré ritornarono a risiedere a Palermo, ma molti viceré per buoni periodi, con-
tinuarono ad alloggiare a Castello Ursino. Vi
soggiornò, nel 1415, il luogotenente del Regno, principe ereditario Giovanni, duca dei Pignafiel (essendo castellano certo Pietro Calderon); fra il 15° e il 16° sec., per tratti, vi soggiornarono i viceré Ximenes de Urrea (1443),
Ferdinando de Acuña (devotissimo a Sant’Agata), Ettore Pignatelli (1517), Ferdinando
Gonzaga (1535), Giovanni de Vega (1557) e
nel 17° sec. Giovanni Francesco de Uzeda
(1687). Il 15° sec. vide Castello Ursino soprattutto come sede dei più importanti Parlamenti
del Regno, da quello del 1416 a quello del
1470, da quello del 1478 a quello del 1494, ed
era ancora importantissimo se si tiene conto
che, in quel torno, il suo castellano era di
esclusiva nomina regia, mentre per gli altri castelli demaniali era dei viceré. In quel secolo,
re Alfonso il Magnanimo molto spesso si trovò
in Catania e in quelle occasioni risedette a Castello Ursino. Nel 16° sec. Castello Ursino fu,
più che altro, integrato nell'ampio sistema difensivo contro la pirateria ottomana. Già questa, comunque, era una funzione che ereditava
dal secolo precedente.
Al castellano dell'Ursino erano sottoposti
quelli del Castello di San Calogero (Brucoli a
sud di Catania) e del Castello di Aci e secondo
una disposizione del 1414 il primo era tenuto a
comunicare ai secondi ogni pericolo che si avvistasse per mare con colpi di bombarda e con
"fani" (segnali di fuoco o di fumo). Sempre nel
‘500, il castello, come vedremo similmente a
tutti gli altri castelli, fu adibito a carcere.
Com’è noto la colata lavica del marzo 1669,
che ebbe la durata di quattro mesi e mezzo, investì Catania dal lato occidentale. Ai primi di
giugno, il magma incandescente fu dinanzi a
Castello Ursino, distruggendo i bastioni cinquecenteschi di Santa Croce e di San Giorgio.
II magma avanzò fino alla porta del castello.
Questa colata lavica determinò l'ampia terraferma che oggi si vede tra il castello e la “plaja” distaccandolo definitivamente dal mare.
Ventidue anni dopo il terremoto del 1693 distrusse Catania fuorché qualche
edificio tra cui proprio il Castello
Ursino; anche se il suo lato orientale subì gravi lesioni e le stanze
di quell’ala divennero inabitabili.
Nel 18° sec., il castello, di anno in
anno, perse sempre di più la sua
importanza nel sistema difensivo
della città. Agli inizi del 19° sec.
la funzione del castello era esclusivamente quella di carcere. Nel
1831, re Ferdinando di Borbone
lo fece cancellare dalla lista delle
fortificazioni del Regno delle Due
Sicilie ma nel 1837, però, la rivoluzione antiborbonica infiammò
anche Catania e, come reazione, il
sovrano ripose un’altra guarnigione militare nel castello, includendolo nuovamente nella lista delle
fortificazioni del regno. Dopo l’unità d’Italia il
castello non fu più giudicato idoneo a scopi di
difesa militare ma fu sede di una caserma fino
al 1931, passando poi al Demanio. Per installarvi la caserma, furono abbattuti le mura di recinzione e i finti fossati furono colmati, 1'intonaco coprì le pareti interne e quelle esterne, e
per i muri perimetrali furono aperte insensate
finestre: del primitivo impianto federiciano rimaneva solo la forma esterna.
Nel 1917 il futuro archeologo Guido Libertini venne chiamato a svolgere il servizio militare a Catania e precisamente venne assegnato,
come interprete, al Castello Ursino che fra i1
1915 e il 1918, fu adibito a carcere e vi furono
rinchiusi molti militari austriaci della "Grande
Guerra". Dopo molti anni Libertini, già affermato archeologo, realizzò la sua più viva e durevole creatura a Catania: il museo civico. L’idea gli era nata proprio quando svolse parte del
suo servizio militare di leva, presso la rocca federiciana. I lavori di restauro iniziarono il 21
novembre 1932 sotto la sua direzione e il museo all’interno del Castello Ursino, che nel
frattempo era passato fra le proprietà del Comune di Catania, fu ufficialmente inaugurato il
20 ottobre 1934 alla presenza del re Vittorio
Emanuele III.
PERIODICO DI INFORMAZIONE - ECONOMIA - CULTURA - TURISMO E SPETTACOLO • ANNO QUARTO Nº 2 - LUGLIO 2008
Un momento d’incontro significativo
per comprendere la vera natura delle genti
A Taormina aperto
un costruttivo dialogo
tra Sicilia e Turchia
Il Cinema turco ha raggiunto oggi un grande risultato ed è riuscito
a competere con la potente industria cinematografica straniera
di DOMENICO COCO
L
’ultima edizione del
Taormina Film Fest”
ha costituito un vero
ponte tra la Sicilia e la Turchia: il giovane Cinema di
questo Paese, infatti, è stato
l’ospite d’onore della manifestazione cinematografica
internazionale ed ha dato
modo di far conoscere non
soltanto i nuovi talenti che si
affacciano alla ribalta mondiale, ma anche e soprattutto
le problematiche che essi
animano, utilizzando uno degli strumenti di penetrazione
più coinvolgenti, appunto il
Cinema. Di grande significa-
to, pertanto, l’assegnazione,
da parte della giuria, composta da Ferzan Ozpetek (presidente), Mirsad Purivatra e
Jytte Jensen, ad un film turco.
Il “Premio Speciale della
Giuria” a Seyfi Teoman per
la sua opera prima “Summer
Book” perché “grazie al suo
primo film dimostra di essere
una grande promessa per il
futuro del Cinema”.
“È un grande piacere introdurre il pubblico di Taormina
al nuovo Cinema turco – ha
commentato la direttrice del
Festival, Deborah Young -: la
Turchia è al momento il più
vibrante ed emozionante tra i
Paesi mediterranei produttori
di Cinema, ed è stato incredibilmente facile trovare titoli
realizzati negli ultimi tre anni meritevoli di essere proiettati”.
Nell’immediato futuro è possibile instaurare un concreto rapporto di interscambi culturali e turistici
Da Istanbul a Taormina, all’Etna per conoscere la Sicilia
Per gli artisti turchi la scoperta di un mondo sconosciuto
1
2
di Salvatore Di Mauro
I
l tributo al Cinema turco del Festival Internazionale di Taormina è culminato con un Gran Galà, una serata di musica,
cultura e Cinema svoltasi nel Teatro Antico, alla presenza dei
principali attori, attrici e registi del Paese. Un ringraziamento
speciale è andato al Ministero della Cultura della Turchia e all'Ambasciata Turca a Roma per il loro generoso ed entusiastico
supporto dato alla manifestazione. La serata al Teatro Antico è
stata animata dal concerto di Baba Zula, uno dei gruppi di Istanbul che meglio esprime in musica la sintesi tra Oriente e Occidente. Nella loro musica si fondono la memoria e i suoni del rock
psichedelico degli anni
Sessanta, una voce femminile e melodie da "Mille e
una notte", elettronica e
strumentazione tradizionale turca.
La delegazione turca
presente a Taormina era
composta dal regista Ferzan Ozpetek (che ha avuto
il ruolo di presidente di
Giuria del “Film Festival
2008”), da Huseyn Ulger,
vice direttore Generale per
il Cinema – Ministero della Cultura e Turismo di
Turchia, Ahmet Boyacioglu, presidente Ankara Cinema Association, da Attila Dorsay, critico cinematografico, dai registi Seyfi Teoman e Ozay Fecth, dagli attori
Tunnel Kutiz, Avca Damgaci, Fatma Humeyra Akbay, Serra Yilmaz, Saadet Isil Aksoy, dai giornalisti Reha Frus, Esin Kucuktepepinar, Muammer Brav, Ugur Hukum, da Aygun Atalay, consigliere per la Cultura ed Informazioni Ambasciata di Turchia, da
Betul Duman, Addetta per la cultura ed informazioni dell’Amba-
3
sciata di Turchia, da Anna Maria Plebani e Ulkem Ozdenak, dell’Ufficio di Cultura, da Domenico Romeo, Console Generale
onorario in Sicilia. A conclusione della manifestazione cinematografica, la città di Nicolosi - rappresentata per l’occasione dal vice Sindaco Salvatore Scuderi e dagli assessori Nunzio Spampinato e Antonio Borzi - ha ospitato la delegazione Turca presente, organizzando, un incontro al palazzo mu4
nicipale e una escursione sull'Etna, con la collaborazione della Funivia dell'Etna e della disponibilità di
diversi locali del comprensorio del Rifugio Sapienza.
Gli ospiti, accompagnati durante l'escursione dalla
delegazione nicolosita, hanno raggiunto la Torre del
Filosofo, usufruendo
del primo tratto in
funivia fino a 2.500
metri e proseguendo
poi in jeep. L'attore
turco Tuncel Kurtis,
che a Taormina era
stato premiato per la
sua interpretazione
nel film "Al limite
del Paradiso", ha fatto presente di aver
trovato, su questo
lembo di Sicilia il
posto ideale per poter coronare il suo
sogno nell'interpretazione di Empedocle.
Spontaneamente ha
dato nel corso dell'escursione a 2.700 metri, una sua brillante esibizione in lingua
turca, che ha affascinato i presenti. Parole di apprezzamento della direttrice dell'Ufficio Culturale dell'Ambasciata di Roma, Aygun Atalay, che ha convenuto sulla necessita di una intensificazione degli scambi turistici e culturali.
Dello stesso parere è stato anche il Direttore Generale della
Dalla nostra Isola
un “ponte” fra due culture
diverse che affondano
le loro radici nei territori
dell’area del Mediterraneo
5
Nelle foto:
1. Il concerto di Baba Zula
2. Huseyin Ulger e Deborah Young
3. Da sinistra Deborah Young –
Organizzatrice; Tunnel Kurtiz,
attore, Saadet Isil Aksoy, attrice,
Huseyin Ulger, Vice direttore
generale Cinema, Ministero
Cultura in Turchia Arize Tan
Direttore International Istanbul
Film festival
4. Mrs Aygun ATALAY (Consigliere
per la cultura ed informazioni
Ambasciata di Roma)
5. Da sinistra Arize Tan - Betul
Duman – Saadet Isil Aksoy Huseyin Ulger Tuncel Kurtiz –
Ayca Damgaci Aygun Atalay
6. Delegazione Turca ed Autorità
Comunali di Nicolosi
2
6
Turkish Airlines in Italia, Ali Doruk, il quale ha dichiarato che la
Compagnia e lui personalmente potrebbero contribuirebbe all’attuazione di questi scambi mediante la predisposizione, inizialmente di voli speciali, allo scopo di assicurare un trasporto più
economico diretto ed immediato, usufruendo fra l’altro del nuovo ed importante scalo
Catanese La Sicilia - ha
sottolineato - rappresenta un importante bacino d’utenza già da loro ben attenzionato,
perché molti siciliani
intraprendono viaggi di
piacere e d’affari in
Turchia.
I responsabili del Comune di Nicolosi hanno
visto di notevole interesse questo possibile
collegamento che potrebbe, anche in periodi
di bassa stagione, dare
la possibilità di poter
offrire agli anziani una
nuova ed interessante
destinazione (la Turchia, con la sua cultura,
con il suo bellissimo
mare e con la sua ospitalità), offrendo allo
stesso modo ai cittadini
turchi la possibilità di
venire in Sicilia e visitare tutto quello che la Sicilia offre sia in
termini di cultura, tradizione, cucina e di natura e, dove l’Etna
rappresenta un punto di forza di ineguagliabile valore
Gli ospiti turchi sono stati per l’occasione accompagnati dal
Console generale Onorario in Sicilia, Domenico Romeo, e dal
dottore Domenico Coco, promotore dell’incontro.
La forza della Giovane Turchia
U
n recente rapporto dell’UNDP
sulla gioventù turca, che prende in esame aspetti come l’istruzione, l’occupazione, la salute,
con particolare attenzione alla fascia
d’età che va dai 15 ai 24 anni, indica
che i prossimi 15 anni saranno fondamentali per il futuro del Paese
Dodici milioni sono i giovani della
Turchia, su una popolazione di settantacinque milioni di abitanti. Una
cifra che potrebbe diventare un prezioso fattore di cambiamento e sviluppo se sostenuto da una politica mirata che prenda in considerazione le diverse esigenze di
tutti, a partire dai componenti più svantaggiati.
Secondo il rapporto presentato recentemente dall’UNDP, la Turchia sta attraversando un periodo di opportunità demografica, che si
presenta una volta sola nella
storia di un paese. Si tratta in
pratica di una “transizione
demografica” che vede calare la popolazione complessiva mentre cresce la popolazione in età di lavoro. Ma
per realizzare appieno questa
“opportunità” mancano solo
15 anni, e le cose da fare sono ancora molte.
La cultura è uno dei passaggi importanti per dare
prospettiva ai giovani. Il
nuovo Cinema turco ne è
una dimostrazione, l’Arte è
una riprova dei cambiamenti, così come si può “vedere”
a Milano, dove è in corso
una mostra di arte contemporanea dalla Turchia per
mostrare al pubblico italiano
un movimento culturale in
forte crescita e, al tempo
stesso, rendere omaggio al
Paese che fino all'ultimo ha
concorso con Milano e l'Italia per l'assegnazione dell'Expo 2015. "Save As... Arte contemporanea dalla
Turchia", in Triennale Bovisa segna, nelle parole degli
organizzatori, "la prima ini-
ziativa culturale che porta Milano
verso l'Expo".
L'esposizione, che nasce dalla collaborazione tra la Triennale e il centro culturale turco "Santralistanbul",
"non si presenta come una mostra tematica, esaustiva e riassuntiva dell'arte contemporanea in Turchia, ma come uno spaccato delle sue tendenze".
Come a spiegato il presidente della
Triennale di Milano, Davide Rampello, con questa nuova iniziativa "stiamo andando nella direzione che ci
siamo proposti: portare a conoscenza
linguaggi e protagonisti che
per vari motivi non vengono
rappresentati. Si tratta - ha aggiunto Rampello - di un primo
passo verso il 2015, perché il
vero cammino è quello di mostrare questi linguaggi e questi
protagonisti". Anche Serhan
Ada, direttore di "Santralistanbul", sottolinea che si tratta di
"una mostra di arte contemporanea 'dalla Turchia' e non 'turca'. Sono opere che parlano di
una ricerca universale, e non
nazionale. Si pensa sempre ha aggiunto Serhan Ada - alla
Turchia come ponte tra Oriente
e Occidente, ma è una lettura
semplicistica, si dovrebbe parlare di un palinsesto di culture,
civiltà, religioni.
È un panorama molto più
complicato di quanto si immagina". Varietà di temi e linguaggi che si declina anche
nelle opere dei 30 artisti, che
spaziano dalla fotografia all'installazione alla videoarte, e
rendono il senso di una realtà
culturale in fermento.
Il titolo della mostra, "Save
As..." fa riferimento, come
hanno spiegato Rampello e
Ada, alla conservazione. Ma
anche, ha aggiunto il direttore
turco, "suggerisce un'implicazione
più dinamica, vale a dire l'attivazione di ciò che è stato salvato in contesti successivi, o il suo inoltro in direzioni diverse. Sarà compito dell'osservatore/osservatrice e del suo
sguardo curioso colmare il vuoto
che seguirà 'Save As...'".
Nelle opere esposte alla Triennale
Bovisa si colgono i valori che ispirano il lavoro degli artisti e, tra questi,
spicca il tema dei diritti delle donne
("Valore sacro" per Rampello). In
particolare una sezione è dedicata
alla memoria di Pippa Bacca, l'artista milanese violentata e uccisa in
Turchia durante un viaggio-performance. "Pippa è innanzitutto una
donna... - scrive la curatrice della
mostra Derya Yucel - e come le molte donne che hanno subito molestie,
violenze e stupri, è aggredita e uccisa soltanto perché è una donna".
L'omaggio degli artisti turchi a Pippa vuole fare "in modo che il suo
messaggio si diffonda in tutto il mondo.
Crediamo tutti, ancora una volta,
che l'arte possa cambiare il mondo".
EUROPA
MEDITERRANEO
Iscritto al n° 27/2004
dell’apposito Registro
presso il Tribunale di Catania
Editore:
Mare Nostrum Edizioni Srl
Direttore responsabile:
Salvatore Barbagallo
Redazione:
Catania - Via Distefano n° 25
Tel/fax 095 533835
E-mail: [email protected]
Stampa:
Litocon Srl - Z.I. Catania
Tel. 095 291862
Anno IV, nº 2
Luglio 2008
3
La collaborazione tra i due Paesi passa anche dalle grandi manovre sugli oleodotti
Italia -Turchia a tutta energia
con il Progetto TransAnatolia
di Giovanni Percolla
I
l 25 aprile dello scorso anno sono stati ufficialmente inaugurati i lavori per la realizzazione del Progetto TransAnatolia
(TAP), un oleodotto destinato a trasportare petrolio dal porto
di Samsun sul Mar Nero al terminale di Ceyhan, sulla costa
mediterranea. I lavori, dalla durata prevista di tre anni, costeranno circa due miliardi di dollari e permetteranno di realizzare
un oleodotto lungo 555 chilometri in grado di trasportare, una
volta a pieno regime, un milione e mezzo di barili di oro nero al
giorno.
A realizzare l’opera saranno la Holding turca Çalik e l’italiana ENI, che nella regione ha già realizzato il gasdotto Blue
Stream e partecipa alla gestione dell’oleodotto Baku-TiblisiCeyhan (BTC). Per gestire l’oleodotto è stata costituita una società, TAPCO, che dovrebbe vedere, accanto a Çalik e Eni, anche la partecipazione dell’Indian Oil. Trattative sarebbero in
corso per permettere l’inserimento nella società anche della
giapponese Mitsubishi
Con l’entrata in funzione di questo nuovo oleodotto il porto
di Ceyhan, che è già il terminale per due oleodotti provenienti
dall’Iraq e per quello BTC, diventerà la “Rotterdam del Mediterraneo”, da dove passerà il 6-7% dell’intera produzione mondiale di petrolio.
In questo clima di generale ottimismo fanno però capolino alcuni dubbi sulla reale possibilità che l’oleodotto possa essere
utilizzato a pieno regime. Infatti mentre si sta dando il via ai lavori di costruzione dell’oleodotto, i contratti stipulati con i produttori di petrolio sono ancora insufficienti per garantire la piena utilizzazione dell’oleodotto.
Scaroni ha risposto a queste osservazioni ricordando che l’oleodotto servirà a trasportare il petrolio che l’ENI estrae dal
Mar Caspio e che l’obbiettivo finale è quello di stipulare contratti con Exxon, Total e Shell in modo che anche queste società
utilizzino l’oleodotto Samsun-Ceyhan per trasportare il petrolio
del Caspio. L’incognita è però rappresentata dalla Russia. Nel
luglio scorso in occasione dell’inaugurazione dell’oleodotto
Baku-Tiflis-Ceyhan, il progetto di un oleodotto tra il Mar Nero
ed il Mar Mediterraneo era stato presentato anche come un’iniziativa che aveva l’obbiettivo di attenuare la frustrazione russa,
che con la realizzazione dell’oleodotto BTC aveva visto naufragare le ipotesi di un’alternativa che da Baku portasse il petrolio
ai porti russi del Mar Nero.
L’interesse che la società russa Lukoil all’epoca aveva
espresso per la realizzazione di una raffineria sulla sponda tura
del Mar Nero sembrava confermare le intenzioni di Mosca di
accettare la soluzione Samsun-Ceyhan. Dall’estate del 2006 ad
oggi invece molte cose sono cambiate e la Russia si è mossa al-
la ricerca di soluzioni alternative. Nel marzo scorso ad Atene è
stata siglata un’intesa tra Russia, Bulgaria e Grecia per la realizzazione di un oleodotto di 285 km tra Burgas e Dedeagac che
sarà realizzato entro il 2009 da un consorzio capitanato da GazProm. Il petrolio russo arriverà così sulle coste bulgare via nave
per proseguire via terra fino in Grecia e da qui ai mercati europei, senza passare per gli stretti turchi. Una soluzione che, a
meno di accordi diversi, rende concreta la possibilità che all’oleodotto Samsun-Ceyhan venga a mancare l’apporto del petrolio russo.
Le grandi manovre in tema di energia
però non si esauriscono qui e vedono
sempre la Turchia coinvolta nel suo ruolo
di piattaforma di transito. È il caso del
consorzio Nabucco. Il progetto di un gasdotto lungo 3300 km che dovrebbe portare il gas del Caspio e del Medio Oriente
dalla Turchia fino in Austria passando per
Bulgaria, Romania e Ungheria. Entrata in
funzione prevista per il 2012. Il primo
passo è stato mosso dall’austriaca OMV
che ha firmato un accordo con l’Iran dal
valore di 30 miliardi di dollari per la fornitura di gas metano.
Attualmente però il progetto fa registrare una fase di stallo che
ha portato il rinvio dell’inizio dei lavori al 2008. Secondo alcune informazioni circolate nelle scorse settimane la causa del
rinvio starebbe nell’opposizione che il partner turco, la società
Botas, avrebbe posto all’ingresso nel consorzio della francese
Gaz de France. Una reazione dettata, sempre secondo queste
voci, dall’approvazione lo scorso anno da parte del parlamento
francese della legge che punisce chi neghi la realtà del genocidio armeno. Le autorità turche dal canto loro hanno però smentito la notizia.
Con l’entrata in funzione di questo nuovo
oleodotto il porto di Ceyhan diventerà
la “Rotterdam del Mediterraneo”, da dove passerà
il 6-7% dell’intera produzione mondiale di petrolio
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LA VOCE DELL’ISOLA
21
19 Luglio 2008
Compie gli stessi errori storici della sinistra e di Di Pietro
Grillo, “corpo estraneo” alla Sicilia
Chi ci perderebbe dall'indipendenza della Sicilia è solo
l'Italia che già sta male e che manderebbe i carri armati
(o la mafia) a regolare in conti nell'isola ribelle. I conti
che fai, i conti che fa Libero, sono quelli che tengono
conto della sede legale delle imprese e non del luogo dove i redditi sono prodotti. Prova a mettere una filiale di
un'impresa italiana in Argentina (paese straniero) e vedi
dove sono tassati i relativi redditi! La Sicilia e la Basilicata che insieme estraggono il 30 % circa degli idrocarburi consumati in Italia (quasi tutto il resto è importato)
passano per "regioni mantenute". La Sicilia produce anche il 60 % dei prodotti petroliferi consumati in Italia e
tanta energia elettrica da sfamare gran parte del Sud Italia. E poi siamo noi i mantenuti... Poi, grazie ai partiti
italiani che ci hanno devastato, facciamo cattivo, cattivissimo, uso delle nostre risorse, ma a questo dovremmo
pensarci noi, o te ne importa qualcosa?
Magari i Siciliani sentissero le tue parole offensive ed
avessero il coraggio di reclamare l'indipendenza!
Ma Vaffa...
Grillo ignorante! Ti spieghiamo perché in Sicilia non vincerai mai! Perché stai facendo lo stesso errore storico della sinistra e di Di Pietro: i problemi della Sicilia si risolvono da Roma, da Genova, da Milano, con più centralismo, con il ponte
etc...Sei l'ennesimo corpo estraneo, l'ennesimo "liberatore"
che viene da fuori. Siamo d'accordo con molte delle tue battaglie ma di Sicilia non capisci niente e non sei meno straniero
degli ascari che oggi la governano.
Dal suo editoriale "Il castello di carte" del 5 luglio: "…Le
regioni autonome lo siano con i loro redditi, altrimenti dichiarino la secessione dall’Italia che le mantiene....".
Non è la prima volta che lo dici. L'hai anche detto - e non lo
dimentichiamo - al tuo primo comizio elettorale in Sicilia, in
appoggio a Sonia Alfano, quando tra il serio e lo scherzoso dicesti: "Voi volete essere autonomi con i nostri soldi". Allora
non ci fai, ci sei... Vogliamo solo sperare che sbagli per ignoranza. Ma i tuoi grillini isolani invece di protestare ti scodinzolano dietro: nuovo ascarismo a un nuovo padrone.
La Sicilia è a credito con l'Italia, come lo è ogni colonia
sfruttata dalla metropoli, mettiamocelo bene in testa!
Le statistiche truccate di “Libero” che dice che la Sicilia riceve dallo Stato più di quello che dà sono un'emerita bufala.
L’ALTRA SICILIA – Antudo
Intercettazioni: non serve la Corte
Forti preoccupazioni genera la notizia che il Governo starebbe per presentare un disegno di legge in materia di intercettazioni prevedendo, tra l'altro, la competenza alla autorizzazione in capo ad un collegio di magistrati.
L'impressione è che si stia continuando, più che a navigare a
vista, ad andare davvero alla deriva, emanando norme di natura emergenziale e non pensando a riforme di sistema, le uniche idonee a rifunzionalizzare la giurisdizione e mantenere all'ordinamento l'indispensabile carattere di organicità.
I guasti delle intercettazioni nei confronti dei quali sta insorgendo la società civile risiedono non tanto nel modesto controllo da parte del Giudice delle Indagini Preliminari sull'operato dell'Ufficio del Pubblico Ministero e nella eccessiva facilità con la quale vengono autorizzate le intercettazioni, quanto
e piuttosto nella fuga di notizie alla quale sistematicamente si
assiste e nei costi esosi ed insostenibili.
Il rimedio al primo problema lo si ottiene blindando ulteriormente le indagini e, dispiace davvero dirlo, sanzionando
congruamente chi pubblica notizie che illegalmente o illecitamente sono uscite dal Palazzo di Giustizia: non è tollerabile
che la incivile pubblicazione di notizie, ottenute in modo facilmente intuibile, riguardanti fatti rigorosamente privati, ma dati
in pasto a chi ne fa commercio di ogni tipo ed alla morbosa
schiera di curiosi, venga contrabbandata come esercizio del
diritto di cronaca. E, più che la sanzione penale, bisogna ricorrere a quella amministrativa, la sospensione dall'esercizio della professione o dal servizio, applicata, con le garanzie del caso, anche in via cautelare.
Il rimedio al secondo problema risiede nell'impossessarsi
del servizio di intercettazione e nel governarlo o attraverso la
realizzazione presso le Procure della Repubblica degli impianti necessari ovvero stipulando convenzioni nazionali mediante
gare idonee ad assicurare costi adeguati e sostenibili.
Se, poi, l'intenzione è quella del maggior controllo delle intercettazioni disposte dall'Ufficio del Pubblico Ministero,
sembra davvero una pia illusione, disancorata dalla realtà,
quella per la quale un collegio fornirebbe concretamente e significativamente maggiori garanzie: è impensabile che tre magistrati, nella fase delle indagini, possano tutti e tre esaminare
funditus le richieste del Procuratore della Repubblica. Così
come avviene oggi in moltissimi casi, sarebbe solo uno dei tre,
il relatore, ad esaminare la richiesta che verrebbe poi sollecitamente adottata dal collegio.
Ma, poi, oggi il sistema è che il Giudice dell'Udienza Preliminare possa essere competente, pur Giudice monocratico, a
trattare in sede di rito abbreviato processi di estrema gravità
ed enorme complessità nonché ad infliggere pene gravissime.
Questa è una sola delle numerose, eclatanti, ipotesi tra le quali
non è certamente in ombra quella afferente all'adozione delle
misure cautelari.
Però, al contempo, si richiederebbe l'intervento di tre magi-
strati per un incombente, grave sì, ma in misura assai diversa.
Il Legislatore ha operato una scelta, ormai alcuni anni fa,
quando ha dato un'impronta monocratica alla giurisdizione penale e tanto operò per ragioni di risorse.
Ecco l'ulteriore profilo da non trascurare.
La competenza collegiale implica l'assegnazione alla Sezio-
ne del Giudice delle Indagini Preliminari di almeno quattro
magistrati, dei quali tre deputati all ' adozione dei provvedimenti anche di competenza collegiale ed il quarto alle funzioni del Giudice dell'Udienza Preliminare.
L'adozione di un provvedimento di autorizzazione alle intercettazioni, però, provocherebbe immediatamente le incompatibilità disciplinate dalla Legge e diffusamente elaborate dalla
giurisprudenza: quattro magistrati, a fronte dei due attuali, non
potrebbero trattare le ulteriori fasi del processo.
Le conseguenze che la riforma avrebbe sui Tribunali di ridotte dimensioni sono fin troppo evidenti: alcuni sarebbero
posti nell impossibilità, con le sole proprie forze, di decidere,
ma molti si troverebbero in serie difficoltà.
Né è pensabile il ricorso alle tabelle infradistrettuali che, fino ad oggi e grazie all'atteggiamento decisamente ostile di
molti, non hanno sortito effetti significativi.
In una fase storica come quella attuale, nella quale le risorse
magistratuali sono quantitativamente insufficienti, gravare il
sistema di ulteriori competenze o costringerlo a ritmi serrati
senza che ricorrano gravi ragioni, come sta al contempo accadendo con le norme in materia di sicurezza pubblica, manifesta una considerazione relativa del sistema e delle ricadute che
su di esso avranno certamente le norme in questione.
La proiezione è doverosa ma non è tanto questo il problema,
che è ben diverso e, se vogliamo, culturale.
Chiunque abbia maturato un minimo di esperienza giudiziaria sa bene che un magistrato, se il suo percorso professionalizzante è stato serio, in ogni momento ed in ogni fase, è bene
in condizione, anche da solo, di adottare le più gravi determinazioni, soprattutto se sono solo procedurali e non attengono
alla decisione sulla responsabilità dell ' imputato.
Ma il presupposto indefettibile è che sia davvero terzo, nei
sensi scolpiti dall'articolo 111, che sia psicologicamente e culturalmente autonomo ed indipendente, e che nessuna contiguità, di alcun tipo, nemmeno ambientale, abbia con alcuna delle
parti del procedimento, nemmeno con il rappresentante della
Pubblica accusa.
Professionalizziamo ancor di più i Giudici e rendiamoli più
autonomi: non avremo necessità di una corte per autorizzare,
coscienziosamente e responsabilmente, una intercettazione
che troverà aliunde le garanzie che un moderno Stato democratico deve assicurare ad ogni singolo consorziato.
Caltagirone, 14 giugno 2008
Avv. Salvatore Walter Pompeo
Se sulla terra regnasse l’amore…
“Se sulla terra regnasse l’amore si potrebbe
fare a meno di tutte le leggi” (Aristotele)
Se si realizzasse anche in parte nel mondo
questo profondo principio filosofico, la più
grande rivoluzione di tutti i tempi sconvolgerebbe l’intero universo.
L’egoismo – l’odio – le guerre – le prevaricazioni – l’invidia – l’avarizia – il dio danaro
definitivamente sconfitti dall’amore. Che
miracolo per l’umanità intera! Che meraviglioso sogno per l’uomo!
Ma ci pensate, miei ipotetici lettori, quale
tremenda tragedia attanaglierebbe l’animo del
dittatore alla scoperta che il suo potere, costruito sulla guerra, sulla forza, sulla tortura,
sull’inganno, venisse annientato, distrutto,
annichilito da una insignificante parolina:amore.
Anche per qualche istante cerchiamo di vederlo realisticamente questo meraviglioso sogno. Immaginiamo questo mostruoso esercito
schierato, pronto ad uccidere e a distruggere,
che invece, come per miracolo, braccia levate
al cielo in segno di gioia, corre ad abbracciare il suo eterno, odiato nemico.
Eppure sono pienamente convinto che l’amore, l’unica forza invincibile del mondo,
potrebbe realizzare questa utopia. Vivere
amando dovrebbe essere la più grande sfida
della nostra esistenza, una grande meravigliosa avventura che ci consentirebbe di contemplare la bellezza della vita.
Madre Teresa di Calcutta, su questo argomento, è categorica: “abbiamo il potere di essere in paradiso con Dio già adesso, di essere
felici con Lui anche in questo momento, se
amiamo come Lui ama, se aiutiamo come Lui
aiuta, se doniamo come Lui dona”.
Io personalmente, tramite l’amico fraterno
Luigi Caruso, ho avuto il grandissimo privilegio di conoscere tempo fa Don Ninì, il Direttore della comunità “Casa di Nazareth”. Era
una persona eccezionale non solo per l’impegno totale col quale aiutava i disagiati dedicandogli con abnegazione tutta la sua esistenza, ma per il modo in cui viveva e considerava la vita.
Ad un dubbio esternatogli sull’amore mi rispose: “Dio è amore; Lui è sempre presente
nel tuo animo. Spetta sempre a te decidere
ciò che vuoi essere e se vuoi veramente essere amato dall’umanità”.
A mio modesto avviso il male peggiore che
oggi stritola l’umanità impedendole quello
sviluppo morale, etico e sociale al quale tutte
le nazioni del mondo dovrebbero
aspirare, è senza ombra di dubbio l’indifferenza. Purtroppo i seguaci di Ponzio Pilato,
quelli che si lavano sempre le mani, si sono
moltiplicati spaventosamente, condizionando
l’umanità e allontanandola dal vero amore
che potrebbe sostituirsi a tutte le leggi umane. L’altro giorno, in un tedioso dormiveglia
su una panchina di un meraviglioso parco romano, pensavo tra me e me: ma perché, nei
rapporti con i nostri simili, dobbiamo tutti
sottostare a questo formalismo esasperato?
Quanto sarebbe meraviglioso se tutti ci salutassimo anche senza conoscerci! se scambiassimo segni amichevoli di fratellanza o anche
un semplice reciproco sorriso! Quante sventure si eviterebbero col migliorare dei rapporti sociali! Sogni!!!
Perché non riflettiamo per qualche istante
sulla vita animale e vegetale e sull’armonia
che regna nell’Universo? Basterebbe imitarla
e la legge dell’amore avrebbe il sopravvento
su tutto.
L’oggi vissuto con amore renderebbe ogni
ieri un sogno di felicità e ogni domani una visione di speranza. Nell’amore è riposta tutta
la verità del nostro esistere.
Vincenzo Stazzone
LETTERE & OPINIONI
Lettere & Opinioni
AMBIENTE
LA VOCE DELL’ISOLA
22
19 Luglio 2008
Il progetto finanziato dall’assessorato regionale Territorio e ambiente per Acireale
Si consolida la Timpa:
lavori per un milione di euro
di MARIO FIORITO
Si tratta di un importante
intervento di messa in
sicurezza con la eliminazione
dei massi pericolanti,
la chiodatura del terreno,
la posa di reti paramassi
L
’assessorato regionale Territorio ed Ambiente, ha finanziato
il progetto esecutivo dei lavori
di consolidamento della Timpa, zona
Santa Caterina, presentato dal Comune di Acireale.
L’importo complessivo è di un milione di euro, di cui 645 mila euro a
base d’asta. Entro 30 giorni il Comune dovrà indire la gara d’appalto
relativa all’opera in oggetto, i cui lavori avranno durata massima di tre
mesi.
Il progetto di consolidamento venne preliminarmente svolto dal Comune poi, nel dicembre del 2007 a
seguito della promessa di finanziamento da parte dell’assessorato regionale, il Comune bandì la gara per
la progettazione esecutiva dei lavori,
aggiudicata ad un professionista
esterno, l’ingegnere Carmelo Caliri.
I lavori consistono nella riduzione
del rischio idrogeologico in quel
versante della Timpa individuato in
posizione limitrofa e contigua ai lavori in corso nell’ambito del Pit 30
delle Aci.
Tecnicamente si tratta di un importante intervento di messa in sicu-
rezza con la eliminazione dei massi
pericolanti, la chiodatura del terreno,
la posa di reti paramassi.
Un intervento, quello che viene finanziato oggi, assai simile nella tipologia a quello disposto nell’ambito del Pit 30 nell’area della Timpa di
Santa Caterina immediatamente attigua alla zona per la quale è giunto
adesso il decreto di finanziamento.
Peraltro, i lavori di consolidamento
nell’area Pit riprenderanno nei primi
giorni della prossima settimana, do-
po la risoluzione delle problematiche amministrative nate un paio di
mesi fa da un ricorso presentato al
Tar. Responsabile unico del procedimento dei lavori finanziati oggi è
l’ing Giusepe Torrisi, della Protezione civile di Acireale.
“I tanti interventi in corso sulla
Timpa non fanno altro che mettere
in opera i disegni, i progetti, le speranze che per decenni hanno accompagnato questa importantissima porzione di territorio acese – dice il sin-
daco Nino Garozzo -. Ultimo, in ordine di tempo, il finanziamento di
circa un milione di euro che dispone
lavori di consolidamento del tratto
roccioso, lavori che già entro la fine
dell’anno dovranno essere ultimati”.
Si tratta di un’area che da tempo
desta preoccupazione per il rischio
geologico: “Stiamo provvedendo al
consolidamento, al risanamento e alla messa in sicurezza dell’intera
area, ma con l’aggiunta che sarà reso
accessibile il percorso che porta al
mare: antica aspirazione e giusta
carta turistica”. Un percorso unico
nel proprio genere che unisce la
macchia mediterranea, la roccia lavica, il mare Ionio.
“Un ringraziamento è dovuto all’onorevole Basile, al nostro assessore alla Protezione civile Garozzo,
agli uffici comunali per il lavoro
svolto, all’assessorato regionale al
Territorio e Ambiente: la Timpa come risorsa quindi, ma in tutta sicurezza” chiude il sindaco.
A Giarre assegnati i premi di giornalismo “Alfio Russo”
Trentadue candele per la “Giara d’Argento”
L
a presentazione ufficiale della 32° edizione dei premi internazionali “Giara
d’argento” è stata effettuata contestualmente alla consegna dei premi di giornalismo
“Alfio Russo”, ospitata in un albergo di Catania, sotto l’attenta regia del grand’ufficiale Alfio Di Maria, patron dei riconoscimenti. La
presentatrice Patrizia Tirendi, ha accolto le autorità: il prefetto, Giovanni Finazzo, il primo
presidente della Corte d’Appello, Guido Marletta, l’arcivescovo metropolita, Salvatore Gristina, il presidente uscente del Consiglio provinciale, Giuseppe Pagano, il comandante provinciale della Guardia di Finanza, Agatino
Sarrafiore e quello dei Carabinieri, Giuseppe
Governale, il comandante di Maristaeli, Tommaso Perillo, Nino Milazzo, presidente della
giuria, già vice direttore del Corriere della sera, e i premiati di oggi e di ieri.
Applausi e ricordi, parole e sentimenti, che
hanno accompagnato la eiezione inedita del
video storico che sintetizza i trenta anni della
Giara, realizzato grazie all’impegno del Nucleo informatico locale-Nil di Maristaeli e donato a “Sicilia Nuova”, l’associazione che organizza questi due eventi. I volti, i momenti,
le parole e le sensazioni più significative di
una storia lunga trenta anni hanno accompagnato ogni momento della serata, creando una
atmosfera di grande partecipazione. I saluti
delle autorità, gli auguri al patron Di Maria, e
poi, dopo l’ufficializzazione dei destinatari dei
premiati per l’edizione 2008 della Giara d’Argento e del Premio “Alfio Russo”. Personalità
prestigiose, esempi di impegno professionale,
persone cui guardare con ammirazione e rispetto. Ci saranno Nicoletta Schillaci Accardo,
presidente provinciale della Croce Rossa,
(Premio all’impegno sociale); Pietro Agen,
presidente della Camera di commercio di Catania; Antonio Fiumefreddo, sovrintendente
del Teatro Massimo Bellini di Catania; Salvo
Andò, rettore dell’Università Kore di Enna;
Daniele ed Enrico Garozzo, campioni del
mondo giovanili di fioretto e spada, e Rossella
Fiammingo, campione del mondo giovani di
spada (Premio per lo sport – Giacinto Facchetti); prof. Napoleone Ferrara, scienziato di fa-
Il prefetto di Catania Giovanni Finazzo premia il giornalista Daniele Lo Porto (a sinistra)
ma mondiale e ricercatore scientifico presso la
Genetech Usa (premio dedicato alla memoria
dello scienziato prof. Angelo Majorana).
Ed ecco arrivare una novità: i premi straordinari “Ieri e oggi”, assegnati da quest’anno,
per la prima volta, a personalità ed istituzionali che hanno ricevuto la Giara negli anni precedenti ed hanno ottenuto ulteriori e riconosciuti successi professionali: Giovanni Finazzo, prefetto di Catania, già questore della città
etnea, al Generale di Corpo d’Armata Grand’Ufficiale Carlo Gualdi, comandante della
“Pastrengo” dei Carabinieri di Milano, già comandante provinciale dell’Arma; alla Stazione
elicotteri della Marina Militare “Maristaeli” di
Catania.
La voce di Nino Milazzo, presidente della
giuria, ha comunicato ai presenti il nome del
vincitore del premio internazionale di giornalismo: Magdi Cristiano Allam, con la sua travagliata storia personale di giornalista convertitosi al Cristianesimo e minacciato di morte.
Un nome prestigioso, una nuova perla nella
lunga collana di firme prestigiose che hanno
reso il premio “Alfio Russo” un faro nel panorama nazionale ed internazionale. Grazie all’esempio della signora Grazia Lanzafame Pappalardo, la S.P. Energia Siciliana, per onorarne
la memoria, ha deciso di adottare cinque minori a “rischio” di diversi Continenti, accompagnata in questa decisione dai componenti
della Giuria hanno devoluto i gettoni di presenza per tale scopo. Nell’ambito della stessa
presentazione sono stati consegnati i riconoscimenti speciali a Daniele Lo Porto, (giornalista di razza, è alla guida dell’Ufficio Stampa
della Provincia regionale di Catania, collaboratore di autorevoli quotidiani e in passato
giornalista televisivo). A Lo Porto il merito di
aver curato la comunicazione giornalistica dell’Ente e la realizzazione della rivista Catania
provincia euromediterranea, dove vengono riportati, grazie ai reportage dei 58 Comuni, i
migliori aspetti della tradizione, della culturali, dell’economia del territorio. A Chiara Murabito (giovane promessa del giornalismo siciliano, sta muovendo i primi passi nel mondo
dell’informazione televisiva filmando servizi e
la conduzione del Tg di Antenna Sicilia); a
Orietta Scardino, fotoreporter (nei click della
fotoreport sono racchiusi i momenti salienti
delle più importanti manifestazioni ed eventi
che la fotogiornalista riesce a cogliere, con alta professionalità nell’obiettivo dell’inseparabile strumento di tanti servizi, la macchina fotografica. A lei il grazie della giuria del premio, per le belle fotografie che hanno corredato i reportage di riviste nazionali ed internazionali); a Natale Zennaro, regista di Antenna
Sicilia, va il grazie della giuria per il suo impeccabile stile inventivo, creativo e allo stesso
tempo rigoroso); a Giuseppe Cifalà, (poliedrico artista etneo, capaci di racchiudere l’essenza della città nella sua pittura. Nelle sue tele
rivive il centro storico di una grande città del
sud, che l’artista dipinge con scrupolosa attenzione, nei particolari architettonici, nella sua
espressione di colore e nella sua caoticità; a
Marco Tabbacco, titolare “Grand cafè Tabbacco” Antica pasticceria di via Etnea; al Nil
(L’alta preparazione tecnica e multimediale
del responsabile del gruppo Nucleo informatico locale di Maristaeli, il primo maresciallo
Riccardo Vinci, coadiuvato dal capo di prima
classe Francesco Gravina, addetto al gruppo
Nil, ha permesso di realizzare un sogno del
club Sicilia nuova, ovvero la realizzazione di
un video-documentario storico delle 31 edizioni del Premio internazionale Giara d’Argento
e premio internazione “Alfio Russo”, gentilmente donato al presidente che ne ha voluto la
proiezione in anteprima nazionale. Opera realizzata grazie alla sensibilità del comandante
del servizio tecnico, il capitano di fregata Agatino Catania, e voluto dal comandante Tommaso Perillo sempre molto vicino al club Sicilia nuova e al Premio).
Conclusione tra la commozione per la cerimonia di presentazione, che ha onorato la memoria dell’ispettore Filippo Raciti, con la consegna del distintivo d’oro alla vedova, Marisa
Grasso, e l’omaggio del nuovo logo del premio, realizzato da Giuseppe e Gianvito Sorbello, che diventerà ufficialmente il simbolo
della Giara dalla prossima edizione, alle massime autorità presenti.
19 Luglio 2008
23
Incontro a Catania con il professore Vittorio Andreoli e il magistrato Guido Papalia
Come è difficile crescere oggi:
i cambiamenti nell’adolescenza
di ANNA PAPALIA
L
’associazione ex allieve S. Benedetto di Catania, è nata 20
anni fa per amore di alcune
alunne, che si sono riunite con lo
scopo di dare la possibilità a tutte, di
ritrovarsi fra le mura di questo Istituto, che le ha viste crescere, per passare assieme ore liete ed anche interessanti.
Siamo nel 2008 con tanti anni in
più sulle spalle, ma chi ci ama veramente, superando tanti problemi, è
ancora con noi.
Recentemente abbiamo avuto in
questo istituto un conferenza interessante: il procuratore di Verona, Guido Papalia, e il noto psichiatra di Verona professore Vittorio Andreoli,
hanno parlato sul tema “Come è difficile crescere oggi”.
Dopo la presentazione del professore Andreoli da parte del procuratore Guido Papalia, il relatore ha parlato dell’adolescenza e dei tanti suoi
problemi.
L’adolescenza è un periodo di
cambiamento, nella nostra vita, molto importante. Il corpo cambia, prende sembianze diverse e così anche la
nostra mente deve adeguarsi al cambiamento.
Spesso gli adolescenti trovano nel
loro cambiamento solo difetti (forse
questo è sempre successo) ed oggi
che si è tutti alla ricerca del “bello”
del “perfetto” basta un piccolo brufolo, il seno più o meno grosso, l’altezza, la magrezze, la grossezza a
procurare veri e propri problemi.
Allora i ragazzi sperduti cercano
punti di riferimento sicuri. Ecco che
il professore Andreoli consiglia i genitori, i nonni, i maestri di avvicinarsi all’adolescente e chiedere semplicemente: “cosa desideri”? “quale è il
sogno del tuo cuore”?
Spesso la risposta del ragazzo è
deludente perché non ha desideri,
non ha sogni.
In questo mondo consumistico nel
quale ci affanniamo a dare di tutto,
l’adolescente non ha più sogni.
E un ragazzo senza desideri, è un
ragazzo senza vita.
La televisione con i suoi spot deleteri, che invitano solo a comprare,
non aiuta sicuramente il ragazzo, che
non conosce più il sacrificio, la rinunzia, e pretende tutto.
Vittorio Andreoli nel corso della sua visita a Catania assieme al magistrato Guido Papalìa
I ragazzi cercano punti di riferimento certi,
ma spesso rimangono sperduti e delusi,
facili prede della solitudine. E senza sogni
Ricorda il professore Andreoli uno
spot pubblicitario per vendere motorini: “Un bellissimo motorino con
una bellissima ragazzina, e nella penombra, solo, un ragazzo”.
Ciò significa che se non hai il motorino resterai solo!
La solitudine è uno dei problemi
più grossi.
Il ragazzo non si avvicina ai grandi perché si sente incompreso, ed allora, le uniche persone che sente vicine sono quelle della stessa età, che
hanno gli stessi problemi, così si formano i gruppi dei pari età.
Sperando sempre che questo gruppo non si trasformi in un “branco”
dove il leader, che prende il comando, potrebbe portarli a fare delle co-
se che non avrebbero mai voluto fare.
La risposta di noi adulti davanti a
tutti questi problemi?
L’amore!
L’amore che è fragilità, ma anche
sicurezza. “io sono fragile come te,
ma ti do tutto il mio amore e ti voglio essere vicino, ti voglio ascoltare, voglio stare con te”. Ecco le paroline magiche che porteranno l’adolescente a capire che c’è un punto di
riferimento forte sul quale si può
contare: la famiglia.
Entrare a casa e non sentire qualcuno che ti dà solo ordini, ma avere
la consapevolezza di trovare un rifugio pieno d’amore, dove si possono
buttare tutte le frustrazioni, i dubbi,
paure e ricevere solo comprensione
ed affetto.
Che cosa meravigliosa!
Certo questo non vuol dire lassismo ma bisogna anche porre dei limiti, per fare capire che la vita non è
certo facile, e che le rinunzie, i sacrifici prima o pi nel mondo arrivano e
che bisogna essere forti per sapere
accettare anche questo.
Ma tutto questo viene fatto accettare col dialogo e con il convincimento, spiegando le ragioni, facendo
cioè sentire l’adolescente partecipe
della vita familiare.
Solo allora forse si otterrà qualche
risultato apprezzabile.
L’amore ci guidi a fare sì che, con
un po’ di sacrificio e di costanza, noi
grandi possiamo riuscire a fare felici
i nostri adolescenti.
Forse è anche la società che lascia
i giovani in panchina. In questo modo i giovani non hanno un ruolo riconosciuto o importante, ma vengono trattati come se, prima di essere
in grado di prendere delle responsabilità, dovessero ancora crescere. Diventano perciò eroi della protesta e
del comportamento estremo. Vorrebbero essere dei protagonisti, ma rimangono stretti nel ruolo di spettatori. I giovani non riescono ad avere
una loro dimensione e quindi una loro vita. E così accumulano violenza
che prima o poi esplode sotto tante
forme.
Chi ha in mano le redini di questa
nostra società deve capire che una
nazione, che ha il mondo giovanile
non inserito, è una nazione senza futuro.
SALUTE
LA VOCE DELL’ISOLA
AMBIENTE
LA VOCE DELL’ISOLA
24
19 Luglio 2008
La Sicilia è terra di “boschi sacri”, ricca di luoghi che testimoniano un’antica devozione
Salvare i maestosi alberi sacri
prima che sia troppo tardi
di CARMELO NICOLOSO*
M
aestosi, plurisecolari, colossali verdi “patriarchi della
natura”, tramandati ai giorni nostri da decine di generazioni
precedenti, sono certamente gli elementi più appariscenti del mondo vivente, assumendo in alcuni casi, carattere di monumento.
Gli alberi monumentali, con il loro possente fusto, la chioma protesa
verso il cielo ed il potente apparato
radicale affondato nel suolo, rappresentano la forza e la sacralità della
natura e della vita.
Proprio per salvare i patriarchi
d’Italia più antichi e solenni, nel
1969 fu lanciata dal Centro Studi del
Parco Nazionale d’Abruzzo l’Operazione Grande Albero. Una campagna
aperta a tutti per scoprire, censire e
proteggere i “patriarchi d’Italia”,
grazie all’impegno di studiosi, volontari e privati cittadini, oggi i frutti
raccolti sono copiosi. Seppure alcuni
muti testimoni del passato soccombono per fine naturale, molti altri colossi arborei vengono riscoperti e
salvati, sono miglia gli appelli, le foto, le cartoline e le segnalazione che
giungono da ogni parte d’Italia. Dal
1982 la Forestale ha avviato un ampio censimento, che ha permesso di
catalogare ben 22 mila alberi, almeno 200 dei quali di straordinario interesse: ma tutti meritevoli di attenzione e salvaguardia. L’Italia, la Sicilia sono stati la terra dei “boschi
sacri”, ricca di luoghi che testimoniano un’antica devozione per l’albero, l’albero unisce il cielo alla terra e l’uomo alla sua divinità. Ogni
albero è sacro sulla terra. Vivendo ai
piedi della “Montagna Sacra al Centro del Mediterraneo la domanda mi
sorge spontanea, ma quanti sono i
“Monumenti vegetali dell’Etna”?
Una pubblicazione del 1998 curata
dal compianto dottor Ettore Cirino,
riporta in 39 schede illustrative, un
importante contributo al censimento
dei vetusti arborei presenti nel paesaggio etneo. Attraverso le loro caratteristiche ed età, questi “patriarchi
arborei” rivestono un ruolo di unicità o rarità, sono i miti e le leggende
che ad essi ci accompagnano e che
È ora che
la società civile
si mobiliti
in modo deciso
contro
la persistente,
cieca devastazione
della natura
e del paesaggio
Il Castagno dei cento cavalli. Sotto: due esemplari di Pino Laricio, tipico dell’Etna
permettono di vivere nella cultura e
nella coscienza delle popolazioni locali. Se chiediamo del “Castagno S.
Agata” sull’Etna, non tutti ne conoscono l’esistenza, ma se parliamo
del “Castagno dei Cento Cavalli”,
un po’ a tutti viene alla mente la storia (tra realtà e leggenda) della Regina Giovanna d’Aragona che si riparò
sotto le fronde del grande albero con
il seguito dei suoi cento cavalieri.
Secondo uno studio dell ”Università
di Torino il “Castagno dei Cento Cavalli” conterebbe oltre 2000 anni, se
così fosse, rappresenterebbe l’albero
più vecchio in Europa.
Il “Castagno S. Agata o Castagno
Nave” si trova in località TavernaSant’Alfio (CT), la denominazione
“Nave” in quanto il particolare della
ceppaia rialzata assume la forma
dello scafo di un veliero. La provin-
cia di Catania è ricca di “grandi alberi”, dai Nebrodi al Calatino attraverso l’area propriamente detta “etnea” sono tantissime le essenze arboree meritevoli di attenzione, tra
questi il Faggio di Monte Colla
(Randazzo-CT) circonferenza massima del tronco 8,4 m; diffusa la presenza di ulivi secolari nel territorio
di S M. di Licodia, poco noto l’Ulivo Millenario di Motta S. Anastasia
- cultivar Nocellara Etnea. Una volta
il Bosco di Santo Pietro (Caltagirone) era un tutt’uno con la Sughereta
di Niscemi (CL), l’intensa attività
agricola e i continui incendi hanno
frantumato questo antichissimo ecosistema forestale, ricco di vetusti arborei, composto in prevalenza da
Sughere (Quercus suber) e da Ilici
(Quercus ilex), il Fondo Siciliano
per la Natura qualche anno fa ha rea-
lizzato un Atlante dei Grandi Alberi
presenti in detta area. Recentemente
anche la Soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Catania ha avviato uno studio con relativo censimento dei Monumenti Vegetali presenti nella Provincia, con la finalità
di attivare una banca dati funzionale.
L’amico Franco Tassi ha inciso indelebilmente nello nostre menti
l’immagine del Grande Albero, dimostrando in modo incisivo e con
poche parole che “questo” è la casa
vivente del “mondo animale”.
Una miriade di esseri piccoli e
grandi gravita infatti attorno al vecchio patriarca, la sua sopravvivenza
è un elemento essenziale del bosco –
non meno che per gli esemplari
adulti o i giovani germogli – che è
legata l’esistenza di una parte molto
importante dell’ecosistema forestale.
Il grande direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo ci ricorda: “un albero che ha visto centinaia di stagioni
vivendo in questo mondo così bello
e mutevole fin dai tempi dei nostri
più lontani antenati, rappresenta certamente un miracolo della natura e
della vita, che merita in ogni caso
d’essere preservato e difeso” Attraverso questo messaggio intendiamo
proporre una maggiore attenzione,
tutela e valorizzazione dei “Patriarchi arborei”, è indispensabile la sinergia con i tanti studiosi, ricercatori, istituzioni, volontari e semplici
cittadini ammanti della natura.
È ora che la società civile si mobiliti in modo deciso contro la persistente, cieca devastazione della natura e del paesaggio.
* Vicepresidente
Fondo siciliano per la natura
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19 Luglio 2008
Amico degli animali, “filosofo mestierante” o “professionista motivato”?
Il ruolo del veterinario
nella realtà di oggi
di CARMELO NICOLOSO
I
n questi anni un interrogativo mi
frulla spesso alla mente, il veterinario è un “filosofo mestierante”
oppure un “professionista motivato”?
Certamente questa valutazione
scaturisce principalmente dal mio
ruolo attivo nell’impegno ambientale, sicuramente non generalizzata,
senza nessuna intenzione speculativa
nei confronti della categoria professionale, verificata su esperienze dirette, maturata in diversi decenni di
attività soprattutto a sostegno della
fauna selvatica.
Va riconosciuto il merito alle istituzioni sanitarie preposte in materia,
in particolare in Sicilia che in questi
anni hanno realizzato importanti
progetti ed iniziative, atte a fronteggiare svariate emergenze sanitarie,
seppure si sono riscontrati alcuni
“flop” proprio da alcuni ambiti veterinari della AUSL3 di Catania. Ciò
causato dall’indole esuberante di
qualche “veterinario” preso un tantino da eccesso di protagonismo e da
superficialità gestionale, questo fa
male a quei professionisti che dedicano con grande sacrificio un’importante opera sanitaria, non solo per gli
animali domestici ma anche per la
fauna selvatica autoctona ed esotica.
Il continuo interesse e la grande risposta da parte dei giovani - motivati
studiosi e ricercatori, mi aveva frenato un bel pò prima di riportare
questa mia riflessione, ma i tantissimi episodi che mi hanno visto direttamente coinvolto in esperienze negative, alcune in modo molto diretto
e personale, mi spingono a spronare
A sostegno della fauna selvatica, va riconosciuto
il merito alle istituzioni sanitarie preposte in
materia, in particolare in Sicilia, che in questi
anni hanno realizzato importanti progetti ed
iniziative, atte a fronteggiare svariate emergenze
l’attenzione dei preposti in materia.
Riporto di seguito un recentissimo
episodio che mi ha colpito profondamente, è stato la perdita di un asinello, la cui madre non è riuscita a dare
alla luce; la proprietaria si è presentata da un altro veterinario (il suo era
assente), raccontando che il puledrino era morto, la madre stava molto
male, in quanto non riusciva a spingerlo fuori, con l’aiuto quasi tempestivo del veterinario l’asinella si è riuscita a salvare, ma è rimasta colpita
dalla perdita del suo piccolo, lo cercava come una forsennata in giro per
la stalla, la proprietaria ha percepito
la grande tristezza vissuta da questa
Asinella.
In Sicilia l’asino è “u sceccu”, un
toponimo che viene universalmente
attribuito a quei soggetti “umani”
definiti “ignoranti – testardi - stolti
….”, vi assicuro che la superficialità
mostrata dal veterinario che ha seguito la gravidanza di detta asina,
con la contestuale perdita del puledro mi priva di attribuire questo “titolo”, perché offenderei questa stupenda specie.
Un articolo curato tempo fa su “I
Viaggi di Repubblica” dalla mia
amica Rossella Cerulli, mi riconduce
alla favola dell’Asino di Alì - un animale sfortunato che aveva un padrone molto cattivo, che lo picchiava
spesso. Un giorno, Alì doveva recarsi al mercato a vendere le spugne.
Caricò l'asino e si avviò. Come al
solito, cominciò a dare frustate e bastonate. E siccome l'asino camminava troppo lentamente, lo punì facendolo cadere con il carico dai spugne
nell'acqua del fiume: come si sa, le
spugne imbevute d'acqua diventano
troppo pesanti. Il Mago dei Fiumi
però ebbe pietà del povero asino e
trasformò tutte le spugne in oro. Al-
cuni ladroni, che
erano appostati vicino alla riva del fiume, videro l'asino
mentre usciva dall'acqua con il carico
d'oro e subito pensarono di impadronirsene. Infatti, picchiarono Alì a bastonate e portarono via
l'asino".
È un racconto per
bambini, ma utilissimo per far riflettere anche gli adulti,
il nostro senso cristiano, ci permette
di trovare tutti gli ingredienti da poter accostare alla tematica del “somarello” di Gesù, quando chiese di
montare nell'occasione della festa
delle Palme per, poi disporsi al sacrificio del Golgota. Molte volte è la
“legnosità” del somaro a ingenerare
conflitti infelici irreversibili, paragonando il “somaro” alla mente da dover dominare.
Attraverso questo parallelismo
non intendo attribuire alcuna responsabilità diffusa, ma espressamente
soggettiva, in quanto il narcisismo, il
protagonismo spropositato, l’incondizionata arroganza e la superficialità gestionale, arrecano un certo danno (non solo d’immagine) all’ordine
professionale, attraverso una proficua deontologia e una consistente
etica, i veterinari sono il fulcro delle
attività sanitarie non solo pubbliche
ma anche private, le loro attività stimolano quotidianamente la fiducia e
il rispetto da parte della società civile e dei singoli cittadini in particolare.
Le foto sono di Gianni Iorio
AMBIENTE
LA VOCE DELL’ISOLA
CULTURA
LA VOCE DELL’ISOLA
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19 Luglio 2008
Incontro con il giornalista e scrittore Mario Pinzi
La morte può essere un gioco
ma è anche coraggio e rivincita
di MORENA FANTI
I
l romanzo di Mario Pinzi Il gioco
della morte (CambiaMenti 2007)
è un incastro di storie: una storia
che contiene un’altra storia e che ci
trascina in una partita mortale e ci
imprigiona in una spirale di eventi
da cui non riusciamo a staccarci.
Emanuele Galvani subisce un’ingiustizia quando è ancora molto giovane e la sua vita, e il rapporto con
essa, viene alterato per sempre dalle
vicende di gioventù. Diventa un uomo che vive con rancore e che fa del
suo desiderio di riscatto l’ideale che
guida ogni sua azione. Non si ferma
di fronte a nulla, neanche ad un’alleanza con la mafia e con i suoi sistemi. Eppure rimane sempre un uomo a cui le donne non resistono, un
uomo capace di suscitare grandi
amori.
La penna di Mario Pinzi ci porta
attraverso i misteri dell’alta finanza
e ci trasporta in paesi e mondi ignoti. Con Pinzi sperimentiamo l’ebbrezza di vivere in un circo, volteggiamo per aria e sfidiamo ogni persona che si mette sul nostro cammino. Con lui e con la sua scrittura viviamo la vita di Emanuele arrivando
ad amarlo come fanno Miriam e Donata, due donne capaci di rimanergli
fedeli anche oltre la morte. Perché,
come scrive Pinzi “Si muore solo
quando si muore nel cuore degli altri”.
Questa sua frase è riportata anche nella quarta di copertina. È
davvero una cosa in cui crede tanto?
Non solo ci credo, ma dovrebbero
crederci tutti.
Questa frase nasconde nelle sue
pieghe più di un significato: sincerità, lealtà e rispetto per i più deboli.
Per non morire nel cuore degli altri devi rispettare questi valori.
La conoscenza del mondo della
finanza e dei suoi intrighi è parte
fondamentale del romanzo. Da dove deriva questa profonda conoscenza?
Dall’attività che svolgo. Sono un
giornalista economico e mi sono
sempre occupato di economia.
Il personaggio di Emanuele è
descritto così intimamente da fare
innamorare di sé – oltre alle tante
donne della sua vita - anche Elisabetta, che non l’ha mai conosciuto
ma ne legge solo le pagine scritte.
Il fascino di Emanuele è molto forte, nonostante la sua anima tormentata da odio e rancore, e il suo
essere disposto a tutto, anche ad
eludere ogni forma di legalità pur
di ottenere ciò che desidera. A cosa
è dovuto questo fascino?
Il suo fascino è dovuto alla lealtà
dei suoi sentimenti.
Il suo primo libro L’editore presto diventerà un film. Cosa si prova sapendo che una propria creatura sarà manipolata da mani altrui?
Si prova dolore.
Però devo fare i complimenti a
Victor Rambaldi perché ha scritto
una sceneggiatura dimostrando un
grande rispetto per il mio testo.
Lei sceglie per i suoi romanzi
delle storie forti e complesse, con
molti sviluppi che fanno pensare il
lettore. Pensare, riflettere e discutere: forse è questo ciò che desidera suscitino i suoi libri?
Sì, desidero che facciano riflettere
e discutere.
Questo è lo scopo per il quale mi
sono messo a scrivere e se ci sono
Mario Pinzi
miliardari ed esperti dell’alta finanza internazionale, come Enrico
Cuccia e Raul Gardini, e anime
più semplici e dalla vita problematica, come Miriam, prostituta dal
cuore d’oro che amerà Emanuele
fino alla morte. È un modo per
mostrarci come la vita mescoli
spesso le carte e come ad ognuno
di noi potrebbe capitare di essere
chiunque?
Sì, il destino può veramente mescolare le carte. Nella vita può capitare di tutto, indipendentemente dal
nostro posizionamento sociale.
Infatti Miriam, nel momento in cui
incontra Emanuele, diventa miliardaria, mentre la fine di Raul Gardini
non è certo stata quella che tutti noi
potevamo immaginare.
Lei è giornalista e la sua professione la “obbliga” a scrivere. Terminato il lavoro, lei si concede il
“Il destino può veramente mescolare le carte.
Nella vita può capitare di tutto, indipendentemente
dal nostro posizionamento sociale”
riuscito vuol dire che ho toccato i
tasti giusti. D’altronde i miei personaggi si muovono in un contesto
reale nel quale ognuno di noi può
essere coinvolto. Da qui deriva la
sorpresa che spinge il lettore ad una
seria riflessione.
Infatti dai critici sono stato classificato fra i “social noir”.
I suoi personaggi oscillano tra
divertimento di scrivere romanzi.
Sembra che la scrittura sia per lei
quasi una necessità, uno sfogo. Da
cosa nasce questo bisogno?
È un bisogno che è nato con me.
Da ragazzo, invece di andare a
zonzo con gli amici, mi sedevo alla
stazione di Rimini, osservavo le persone che scendevano dal treno e a
quelle che mi sembravano più simpatiche gli cucivo addosso una storia che per me era quasi sempre fantastica.
Lei dedica i suoi diritti d’autore,
in questo come nel precedente libro, a un progetto benefico. Perché ha fatto questa scelta, che
sembra controcorrente, in un
mondo in cui la maggior parte delle persone si dedica solo al proprio
guadagno?
Perché io non desidero morire nel
cuore degli altri.
All’Orto Botanico di Catania le teorie evolutive del pianeta
La scomparsa dei dinosauri
L
’Orto Botanico di Catania, diretto da Pietro Pavone, è stata sede
ideale per una notte dedicata alle stelle e alle teorie evolutive del
pianeta, approfondendo quella della scomparsa dei dinosauri. Giuseppe Cutispoto -INAF- Osservatorio Astrofisico di Catania ha voluto,
nell’ambito del 150° anniversario della fondazione dell’Orto Botanico e
alla presenza dell’organizzatrice dell’evento Cettina Scalia e numerosi altri componenti del Dipartimento di Botanica, rivolgere la sua attenzione ad
una tematica cara agli astrofili ed agli appassionati di alcune teorie sull’estinzione delle creature che un tempo dominavano la terra. Il termine dinosauro (coniato nel 1842: deinos = terrificante, sauros = lucertola) indica in
realtà una grande varietà di rettili (oltre 500 generi). Tra i dinosauri c’erano i carnivori e gli erbivori, i bipedi e i quadrupedi, quelli molto grandi e
quelli “piccoli”. Questi animali dominarono la Terra nel Mesozoico, ovvero tra 225 e 65 milioni di anni fa, ma non tutte le specie conosciute vissero
simultaneamente, buona parte si erano già estinte prima del Cretaceo.
In genere, Giuseppe Cutispoto spiega che l’estinzione è un risultato dell’evoluzione ed è un fenomeno comune a tutte le ere geologiche. Una specie si estingue se non è capace di adattarsi alle mutate condizioni ambientali oppure se non è capace di competere con altre nuove specie. Gran parte delle estinzioni sono un processo lento ma continuo, il risultato di numerose piccole variazioni dell’ecosistema. Abbiamo però evidenza che la
vita sulla Terra ha dovuto superare dei momenti di grande difficoltà, le cosiddette “estinzioni di massa”, eventi improvvisi, ma “brevi”, che hanno
determinato una notevole riduzione nel numero totale degli organismi viventi su tutto il pianeta. Sono ben nove le estinzioni di massa fino ad oggi
identificate e si pensa siano state causate da grandi catastrofi naturali o da
notevoli, rapidi e improvvisi cambiamenti climatici. L’ultima (estinzione
K-T) ha avuto luogo alla fine del Cretaceo ed ha coinvolto i dinosauri e
con essi circa il 45% di tutte le forme di vita animali e vegetali presenti
sulla Terra. Questa estinzione di massa segnò il passaggio dall’era dei rettili a quella dei mammiferi; le teorie proposte per spiegarla sono numerose, tra queste una delle più accreditate è la cosiddetta “Teoria dell’impatto”.
La “Teoria dell’impatto” ipotizza che 65 milioni di anni fa la Terra fu
colpita da un asteroide o da una cometa con diametro di almeno 10 chilometri L’urto non modificò in modo sensibile l’orbita della Terra, ma ebbe
conseguenze disastrose per l’ecosistema. La teoria fu proposta nel 1980 da
Luis e Walter Alvarez e si basa sullo studio dei depositi sedimentari (lo
strato “K-T”) databili tra la fine del Cretaceo e l’inizio del Terziario. Questi sedimenti mostrano un’elevata concentrazione di Iridio, un elemento
rarissimo nella crosta terrestre ma molto abbondante nei meteoriti, Biossido di Silicio e Tectide, forme di quarzo che si creano solo in presenza di
alte temperature e pressioni e di ceneri di origine vegetale. Lo strato K-T
si trova in tutte le regioni della Terra e nessun fossile dei grandi dinosauri
è mai stato trovato al di sopra di esso. A supporto della teoria dell’impatto
bisogna registrare la presenza del “Cratere di Chicxulub” nella penisola
dello Yucatan (Messico). Questa struttura, oggi in buona parte sommersa,
ha un’età di circa 65 milioni di anni (quindi in ottimo accordo con l’epoca
dell’estinzione K-T) ed il suo diametro di 180 km comporta che le dimensioni dell’asteroide dovevano essere di circa 14 chilometri
Effetti dell’impatto K-T. Un asteroide di oltre 10 chilometri può certamente causare distruzione totale in un’area molto vasta, ma come può causare estinzioni di massa su tutto il pianeta ? La risposta sta nel considerare
gli effetti che l’impatto ha avuto ed in particolare due fatti. Anzitutto l’urto
ebbe come conseguenza quella di immettere nell’atmosfera un’enorme
quantità di polvere e detriti, che bloccarono la luce solare per anni, causando una diminuzione globale della temperatura. Inoltre si pensa che l’onda
d’urto generata dall’impatto sia stata in grado di innescare degli immani
incendi, causati dai detriti incandescenti e dal calore prodotto. Si stima che
questi incendi distrussero circa metà delle foreste esistenti sul pianeta. La
quantità di vegetazione risultò quindi notevolmente ridotta per numerosi
anni (diminuzione della temperatura e/o incendi), la conseguente variazione della composizione chimica dell’atmosfera e del mare ebbe effetti anche sul plankton e sulle piante marine.
A seguito di tutto ciò la catena alimentare risultò sconvolta. Gli organismi incapaci di adattarsi a questi cambiamenti, in particolare i grandi animali quali i dinosauri, iniziarono un rapido declino che li portò all’estinzione in poche centinaia o migliaia di anni. Sopravvissero solo i dinosauri
di piccola taglia, che si ritiene siano stati gli antenati degli attuali uccelli.
Notevoli sono infatti le similitudini tra gli uccelli e i dinosauri, a partire
dalla struttura delle gambe e dei piedi (e loro proporzione) fino alla struttura ossea. Infine è interessante notare che la scomparsa di terribili predatori quali erano i grandi dinosauri carnivori (o di enormi divoratori di piante quali erano gli erbivori) provocò una svolta nell’evoluzione della vita
sulla Terra. Dopo l’estinzione K-T i mammiferi, comparsi prima dei dinosauri ma rimasti in una nicchia evolutiva, furono in grado di accelerare il
loro sviluppo e di dominare il pianeta in breve tempo. Probabilmente senza la scomparsa dei dinosauri i grandi mammiferi, e tra di essi la razza
umana, non sarebbero stati capaci di svilupparsi nelle forme e nei tempi
che conosciamo.
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19 Luglio 2008
Fuori dagli schemi le “Confessioni di una giocatrice d'azzardo” di Rayda Jacobs
Dalla tradizione alla ribellione
nelle pieghe della trasgressione
di SALVO ZAPPULLA
Associazione Culturale Pentelite
A
beeda, la protagonista di
questo avvincente romanzo
“Confessioni di una giocatrice d’azzardo” di Rayda Jacobs, è
una donna musulmana praticante,
divorziata, madre di quattro figli, di
cui uno omosessuale (il minore)
muore per AIDS. Abeeda porta il
velo nel rispetto delle tradizioni ma
le vicissitudini della vita, le frustrazioni accumulate sviluppano in lei
un senso di ribellione, un desiderio
furente di scardinare cliché religiosi
e culturali da farla assurgere a simbolo dell’emancipazione femminile.
Il suo miraggio di libertà è il casinò
dove dilapida il suo patrimonio; si
libera dei pesanti fardelli psicologici inebriandosi nella trasgressione,
nel vizio, in definitiva nel peccato.
Rayda Jacobs manipola con sapiente tecnica narrativa una storia
dal forte impatto sociale, gioca con i
sentimenti contrastanti di una protagonista sempre sull’orlo del baratro:
la tresca con il cognato, la storia di
sesso con il proprio datore di lavoro, il rapporto ambiguo con la sorella, le amicizie perdute e poi ritrovate, le affannose corse al casinò, i
conflitti interiori con se stessa, i
brevi lampi di lucidità, lo spasmodico desiderio di vita, le debolezze
proprie dell’umanità. Questo romanzo è la storia di un’ infinita solitudine, che trova sfogo nei bagliori
pirotecnici E ammalianti delle macchinette da gioco, nell’abisso vorticoso della dipendenza dal gioco
d’azzardo in cui Abeeda precipita
senza più trovare la via di uscita, fino a escogitare il falso furto della
propria auto per cercare di risanare i
debiti.
Il ritmo incalzante, gli intrecci
conturbanti, la prosa limpida e accattivante ne hanno fatto un bestseller tradotto in diverse lingue, e
ottimo fiuto ha avuto Pietro Del
Vecchio ad accaparrarsene i diritti
per l’Italia. Il film sudafricano tratto
dallo stesso romanzo Confessions of
a gamber (Les confessions d’une
joueuse), di Rayda Jacobs e Amanda Lane, in concorso al Dubai International Film Festival, è ambientato
nella comunità indiana di Lape
Town e vede protagonista la stessa
Rayda Jacobs la quale interpreta il
ruolo di Abeeda.
Nell’ambito della XIII Mostra-Mercato dell’Editoria Siciliana
che si svolgerà in Sortino (SR),dal 3 al 5 ottobre 2008,
l’Associazione Culturale PENTELITE
INDICE
con il patrocinio del Comune di Sortino
e
con il patrocinio e la collaborazione dell’ACIPAS,
Associazione Antiracket di Sortino
il I Concorso Nazionale Legalità “U PIZZINU”
--------------------------------------------1. REGOLAMENTO
Rayda Jacobs
Una storia
dal forte
impatto sociale
che gioca con
i sentimenti
contrastanti
di una
protagonista
sempre sull'orlo
del baratro
Rayda Jacobs
“Confessioni di una giocatrice
d’azzardo”
Del Vecchio editore
pagg.250 Euro 16,00
Art. 1) Il concorso, riservato a tutti gli studenti di scuola di ogni ordine e grado, ha lo scopo di
diffondere trai i giovani la cultura della legalità e dell’impegno civile per la lotta alla violenza
organizzata.
Il Concorso è suddiviso in quattro sezioni, una per ogni ordine scolastico: primario, secondario
di primo grado, secondario di secondo grado, università.
Scuola primaria:
- elaborato grafico (dimensioni foglio A4, tecnica libera).
Inviare in busta chiusa l’elaborato grafico in busta chiusa non firmata accompagnata dalla
domanda di partecipazione, completa dei dati dell’autore- del recapito telefonico- della
denominazione completa della scuola di appartenenza, firmata dall’autore e dall’insegnante
responsabile.
- composizione in prosa o in poesia (max una cartella).
Inviare sei copie stampate di cui una sola firmata accompagnata dalla domanda di
partecipazione, completa dei dati dell’autore- del recapito telefonico- della denominazione
completa della scuola di appartenenza, firmata dall’autore e dall’insegnante responsabile.
Testo digitalizzato* su CD rom.
Scuola secondaria di primo grado:
-elaborato grafico (dimensioni foglio A4).
Inviare in busta chiusa l’elaborato grafico in busta chiusa non firmata accompagnata dalla
domanda di partecipazione, completa dei dati dell’autore- del recapito telefonico- della
denominazione completa della scuola di appartenenza, firmata dall’autore e dall’insegnante
responsabile
composizione in prosa o in poesia (max una cartella).
Inviare sei copie stampate di cui una sola firmata accompagnata dalla domanda di
partecipazione, completa dei dati dell’autore- del recapito telefonico- della denominazione
completa della scuola di appartenenza, firmata dall’autore e dall’insegnante responsabile.
Testo digitalizzato* su CD rom
Scuola secondaria di secondo grado:
- composizione in prosa o in poesia (max una cartella).
Inviare sei copie stampate di cui una sola firmata (completa delle generalità e di una scheda
biografica dell’autore, della denominazione completa della scuola di appartenenza), testo
digitalizzato* su CD rom.
Università: - composizione in prosa o in poesia (max una cartella).Inviare sei copie stampate
di cui una sola firmata (completa delle generalità e di una scheda biografica dell’autore, della
denominazione completa dell’Ateneo cui l’autore è iscritto), testo digitalizzato* su CD rom.
Art. 2) Le opere dovranno essere inviate presso la Tipografia Tumino, via Carlentini 3/A, 96010
SORTINO (SR), entro il 15 settembre 2008. Farà fede il timbro postale.
Se si vuole partecipare a più sezioni, occorre spedire le opere in buste separate (una per ogni
sezione). Ogni autore, partecipando, si assume la responsabilità dell’autenticità delle stesse.
Art. 3) La valutazione degli elaborati grafici e delle composizioni sarà effettuata da una
commissione formata da un artista locale, da un rappresentante dall’ACIPAS, da tre docenti
degli Istituti scolastici di Sortino (o da loro delegati) e da due rappresentanti dell'Associazione
Pentelite. Le opere selezionate verranno pubblicate nel volume “Pentelite”, giunto alla sua
tredicesima edizione, edito da un editore siciliano partecipante alla Fiera. La pubblicazione delle
opere non comporta diritti d’autore in quanto Pentelite non viene messo in vendita, ma dato in
omaggio ai nostri collaboratori e ad operatori culturali. Al primo classificato di ogni sezione
saranno dati in premio libri, scelti tra quelli presenti in Fiera, per un valore di _ 50,00, cinque
copie del volume Pentelite e attestato di partecipazione. Al secondo e al terzo classificato
saranno inviati due copie del volume Pentelite e attestato di partecipazione.
Art. 4) La proclamazione dei vincitori avverrà giorno 04 ottobre 2008
Art. 5) Ogni partecipante autorizza il trattamento dei propri dati personali ai sensi del Decreto
Legislativo 30 giugno 2003 n. 196
Art. 6) Per ogni altro aspetto non contemplato nel bando fanno fede le vigenti norme di legge.
Istituiti in onore del grande critico-giornalista-scrittore
Assegnati a Milano i premi Luigi Veronelli
N
ella solenne cornice del Teatro dell’Angelicum di Milano si è svolta la
cerimonia di consegna del Premio Luigi Veronelli, alla terza edizione, istituito da
Class Editori e da Veronelli Editore in onore
del più grande scrittore e critico italiano di
enogastronomia.
A ritirare i premi gli operatori - comunicatori e tecnici - del mondo dell’enogastronomia
italiana e internazionale ritenuti particolarmente meritevoli dall’ampia e composita giuria.
Le 16 categorie, esprimono la poliedricità di
Luigi Veronelli, la sua prolifica produzione sui
fronti del gusto e dello stile, della letteratura e
della filosofia, dell’estetica e dell’impegno sociale e civile.
Ai presenti, l’omaggio di un’edizione speciale fuori commercio de “I 44 dialoghetti morali” di Luigi Veronelli, pubblicata da Class
Editori e da Veronelli Editore proprio in occasione della terza edizione del Premio.
I premiati:
miglior giornalista di enogastronomia, alla
carriera, Antonio Paolini “per l’acutezza con
cui da oltre vent’anni sa andare oltre la pura
critica enogastronomica, nella sua attività
giornalistica e di collaboratore alle guide dei
ristoranti, sapendo cogliere prima che diventino espliciti i mutamenti del costume, i cambiamenti degli stili di vita, le rivoluzioni del gusto”;
all’emergente Luciano Pignataro perché “in
pochissimi anni, partendo dalla rubrica enoica
pubblicata sul “Mattino” di Napoli, e sfruttando con intelligenza le possibilità del web con
un sito internet personale, ha saputo diventare
un punto di riferimento importante per tutto
ciò che riguarda il vino della Campania, restando fedele alla vocazione di cronista che sa
comunicare, insieme alle notizie, anche le
emozioni”;
miglior giornalista di enogastronomia in lingua estera Eric Asimov critico enogastronomico del “New York Times”, che “ha saputo
mantenere, da questa prestigiosa tribuna, una
coraggiosa indipendenza di giudizio, ponendosi spesso fuori del coro e manifestando, pur
non essendo un wine-writer in senso stretto,
una profonda conoscenza del vino italiano,
che dichiara di apprezzare soprattutto quando
sa esprimere senza infingimenti il territorio da
cui ha preso vita”;
miglior scrittore di enogastronomia, alla carriera, Luigi Cremona “per la sincera passione
con cui, ingegnere affascinato dalla cultura
enogastronomica, non si è limitato a diventare
giornalista, a inventare eventi, a curare guide
dei vini e dei ristoranti, ma ha saputo immergersi nella realtà di territori profondamente diversi, dal Friuli alla provincia di Rieti, per
esprimerne l’essenza con libri che hanno lasciato il segno”;
Ex-aequo a Giuseppe Lo Russo e all’emergente Cetta Berardo;
miglior scrittore di enogastronomia in lingua estera, Gillian Riley
L. V.
CULTURA
LA VOCE DELL’ISOLA
CULTURA
LA VOCE DELL’ISOLA
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19 Luglio 2008
Intervista a Francesco Costa, in libreria per Salani con “Presto ti sveglierai”
Uno scrittore di sogni e di città
sempre all’ombra del Vesuvio
di SIMONA LO IACONO
“Di Napoli ricordo sempre una gran fame, tutti
quelli che conoscevo (adulti e bambini)
parlavano sempre di quanto avessero fame…”
E
cco...Ho sempre pensato che
ci siano scrittori che affondano tra le maglie di una città.
Che le rotolano accanto col respiro.
Con i propri sogni.
Scrittori di sogni e di città, diciamo allora. Che sfiatano gli stessi
sboffi del vulcano che li domina. E
che ne condividono il destino fatto
di precarietà e sorrisi. Quella leggerezza che solo chi vive a contatto
con una terra prossima a tremare e a
spaccarsi sotto il passo, è in grado di
raccontare.
E allora facciamo per un attimo
finta di essere a Napoli.
Andiamo incontro a Francesco
Costa, edito in questi giorni da Salani con “Presto ti sveglierai”.
Pur avendo un passato da fine sceneggiatore e da romanziere di successo ( abituato - tra l’altro - alle
trasposizioni per il cinema delle sue
storie), Francesco è, soprattutto, un
uomo aperto alla meraviglia. All’infallibile fiuto dei veri sognatori: lo
stupore - sempre rinnovato - per la
vita.
Uno stupore a cui di tanto in tanto
non sfugge uno strappo di malinconia. Ma non per intima adesione.
Più che altro, per lo scontro con
un mondo strano, che ha perduto il
senso di questa curiosità per il proprio mistero. Per l’assurda felicità di
vivere.
A volte, sebbene i mascheramenti
non siano il suo forte, me lo sono
immaginato come un Pulcinella. Ma
diverso dagli altri. Dai mille altri
Pulcinella che ci si assiepano intorno.
Il “suo” Pulcinella lo immagino
a capo di una banda di bambini moccolosi, arrangiato, con scarpe di
due misure più grandi, il vestito
sgualcito... e un libro in mano.
Si ferma. Lo guarda. Mi toglie le
parole di bocca.. Sarà lui a condurre
questa intervista.
Francesco, ma tu cos’hai in comune con Pulcinella?
Perdonami, ma non credo di avere
in comune qualcosa con te. Mi ha
messo sempre tristezza l’idea che la
tua arguzia sia per te un modo di dimenticare che hai fame. Di Napoli
ricordo sempre una gran fame, tutti
quelli che conoscevo (adulti e bambini) parlavano sempre di quanto
avessero fame. Io covavo un’idea di
fuga, che poi ho messo in atto. Pulcinella non medita di scappare: è legato da sempre alla sua Napoli. Io
per poterne parlare ho dovuto mettermi a debita distanza da lei.
E con Napoli cos’hai in comune?
Napoli la rivedo ogni mese per visitare la mia famiglia. Che dire? La
ami e la maledici, e questo è quanto.
Ho l’impressione che non ricambi
mai l’amore che le porti. Perfino i
recensori napoletani se la prendono
comoda nel recensire i tuoi libri
quando dovrebbero quantomeno meravigliarsi ed esser grati a chi, da
lontano, abbia ancora la voglia di
scrivere di questa stranissima, meravigliosa e tremenda città. Inseguono il potere, pure loro, e non si rendono conto che, osservati a distanza,
annaspano in una situazione emergenziale che ha dell’incredibile.
E allora, quanta parte ha la napoletanità nei tuoi libri?
Credo che se fossi nato a Nairobi,
parlerei di Nairobi. Parlo di Napoli
perché la conosco meglio ed è un
fondale adatto alle storie che mi
vengono in mente. Il fatto, anzi, che
il fondale sia sempre lo stesso do-
vrebbe a mio avviso mettere in risalto l’inesauribilità dei registri stilistici
con cui posso narrare la
tragicommedia umana.
E questa amarezza che
affiora tra una risata e
l’altra? Questa ricerca
della salvezza in una leggerezza apparente, sempre velata da meraviglia? Forse non è della
sola Napoli. Forse è oggi
- non credi? - l’unica via
d’uscita per sopravvivere al mondo senza rinunciare alla fantasia.
L’amarezza non mi appartiene, perché ho un
temperamento naturalmente gioioso. Se la si
sente venir fuori dai miei
libri è perché i miei personaggi devono confrontarsi con qualcosa che ha
dell’incredibile. Una città
pazzesca, priva di alberi, seppellita
sotto la spazzatura. Dominata da
gente senza scrupoli. Il contesto in
cui vivono metterebbe ansia pure al
serafico Oblomov.
La fantasia. Questa nemica che
ti fa credere possibile l’impossibile. Che ti precede, ti perseguita e ti
condanna a barricarti tra parole
a cui non puoi rinunciare. Che
rapporto hai con lei?
La fantasia è tutto. La vita non
può essere semplicemente vissuta.
Va anche raccontata, per capirci
qualcosa, altrimenti l’uomo impazzirebbe.
E il tuo ultimo libro? Perchè
questo titolo?
È il mio romanzo più dichiaratamente umoristico. Volevo far ridere.
Riuscirci è per uno scrittore un dono
divino. Sapere che un lettore ha riso
sulle tue pagine è il massimo. Mi arrivano sms ed email di lettori (anche
colleghi) che mi ringraziano per le
risate che si stanno facendo. Ne sono fiero. Il titolo attiene al sonno e
ai sogni. È musicale. Ho una ricca
scorta di titoli, ai quali devo appioppare un romanzo dotato di intreccio
e sensi riposti. Uno scrittore parte
generalmente da una storia a cui poi
dare un titolo, io parto da un bel titolo e poi vi aggiungo una storia:
esattamente il percorso inverso.
“Presto ti sveglierai” è un titolo che
mi piace, che è piaciuto all’editore,
che piace a molti lettori.
Da quale esigenza interiore è nato?
Dalla voglia di far conoscere ai
miei lettori la mia abilità nel registro comico. Tutti i miei libri sono
percorsi da una vena ironica, ma
questa black comedy, questa commedia con delitto ha costituito per me
uno sforzo ulteriore nella direzione
dell’umorismo più diretto, più
schietto. Presto mi misurerò invece
con l’horror e con il noir: dimensioni narrative che non ho ancora affrontato. Lo sfondo sarà sempre Napoli.
E se anche da questa tua ultima
fatica fosse tratto un film, com’è
accaduto per altre tue opere(ultimamente rappresentate dal meraviglioso viso di Maria Grazia Cucinotta) , che volti sovrapporresti
a quelli dei tuoi personaggi?
Ho sempre pensato a Laura, la
protagonista di “Presto ti sveglierai”, come a una donna bionda e
smarrita, fragile eppur energica,
con occhi azzurri stupefatti, e ogni
volta mi è venuta in mente Margherita Buy: sarebbe una magnifica
Laura!
Un’ultima cosa, Francè...se ti
prestassi il mio vestito, lo indosseresti?
Non mi piace travestirmi. Ho già
il mio bel daffare a entrare e a uscire dalle menti dei miei personaggi.
È sufficientemente faticoso (e spesso
doloroso) inventarli e poi abbandonarli, visto che quando scrivo io divento esattamente loro, al punto che
entrano nei miei sogni e mi procurano a volte perfino dei terribili incubi. Quando non scrivo, preferisco il
silenzio, e dispormi all’ascolto di
quella specie di mood che mi fa arrivare l’eco delle prossime storie…
Simposio dell’ateneo catanese con la partecipazione di studiosi stranieri
Biodiversità briofitica e conservazione
I
l Dipartimento di Botanica dell’Università di
Catania ha dato accoglienza al simposio “Biodiversità briofitica e relativi problemi di conservazione” con l’attiva partecipazione di un pubblico selezionato ed attento alle diverse problematiche ed alle innumerevoli espressioni di vita
della natura.
Le relazioni, in ambito briologico, hanno trattato temi diversi come la presentazione di una specie siciliana, Grimmia sicula (entità rinvenuta sui
Monti Nebrodi su roccia acida, nell’area Bosco
Tassita, caratterizzato dal Taxus Baccata L., specie relitta del Terziario) di Rosa Lo Giudice, nuova per la scienza, il reperimento di specie briofitiche di notevole interesse fitogeografico tra cui
molte localizzate nella regione mediterranea o solo nel territorio siciliano, specie di territori non o
poco conosciuti come l’Albania, specie rare e in
pericolo di estinzione, e ancora specie di habitat
minacciati.
Per l’interesse e la valenza scientifica delle rarità poste all’attenzione del pubblico, gli autori
delle comunicazioni hanno ribadito la necessità
di tutelare e proteggere detto patrimonio floristico che è anche patrimonio dell’umanità. L’incontro scientifico, proposto da Pietro Pavone direttore del Dipartimento di Botanica, ed organizzato
da Marta Puglisi e Maria Privitera, coordinatore
nazionale del gruppo di lavoro di Briologia, ha riscosso alti consensi per i contenuti trattati oltrecchè per l’autorevole partecipazione di Francesco
M. Raimondo dell’Università di Palermo e dei
briologi Rosa Ros dell’Università di Murcia e di
Vincente Mazinpaka dell’Università di Madrid,
Il Rettore dell’Università di Catania, prof. Antonino Recca in un momento del simposio
di nota fama in campo internazionale. Hanno partecipato oltre al rettore dell’Università di Catania
Antonino Recca, il preside della facoltà di Scienze Naturali Antonino Lo Giudice. In rappresen-
tanza del console onorario di Spagna Concetta
Bufardeci è intervenuto Luca Mirone ed ancora si
ricorda il comandante del Centro Documentale di
Catania col. Francesco Polizzi.
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19 Luglio 2008
Intervista a Massimo Maugeri, creatore dell’open blog “letteratitudine”
Desiderio di comunicazione
e realtà oltre il sogno
di SIMONA LO IACONO
C
i sono sogni che non si realizzeranno mai. Che devono restare sogni. Che hanno incisi
su di sé l’assenza. Assenza dal mondo. Sono i sogni migliori. Quelli che
dicono la stoffa di un vero sognatore. Quelli che seminano tracce da cogliere, resti di giorni, radici del tempo. Perché – in realtà – del sogno abbiamo tutti bisogno. Del sogno conserviamo memoria. Del sogno possiamo indovinare le forme lambendo
da lontano ciò che eravamo e che
non siamo stati, o una qualunque
malinconia dell’essere. Il sogno, che
pure non sappiamo abitare, ci rappresenta. A volte accade, però, che il
sogno possa essere afferrato. Che
possa essere abitato. Che pur mantenendo un ceppo irreale e fioccoso
quanto il nodo di una nuvola, esista.
E che si popoli di molti viaggiatori,
naviganti di percorsi immaginati che
stringono mani senza toccarle, parlano senza emettere voce, si rincorrono su segnali da decifrare.
La rete ha molta somiglianza coi
sogni. Ed è abitata da molti sognatori. È un mondo a metà tra essere e
non essere, tra volere e desiderare,
tra vivere e fingere di farlo.È immateriale ma visibile, imprendibile ma
godibile, è niente e tutto come solo
le illusioni sanno essere. E – soprattutto – seduce. Seduce proprio con la
sua apertura all’ignoto. Col suo potenziale d’infinito. Col rimandare la
voce senza barriere e assedi del tempo o del luogo. Seduce perché sedimenta possibilità, perché rotola tra
solitudini, perché – come i sogni –
sa riempire i vuoti e sa dare un nome
alle attese. Non a caso è rete. Perché
intrappola. Perché è costellata di fori
e – al tempo stesso – di catene. Una
maglia che intreccia maglie come le
strade di una città. Ed è appunto percorrendo strade di questa immaginaria città, svicolando tra linee conosciute, che ci si ferma dove lo spazio
si contrae, dove prende forme di una
stanza, dove d’improvviso si aprono
finestre e si materializzano arredi,
sedie e tavoli per conversare, libri
impilati ovunque e pagine bianche
da riempire. Dove il sogno vorticosamente rotea su se stesso, rapisce
ostaggi e ruba alla realtà.
È il luogo inventato da Massimo
Maugeri e che porta il nome di “Letteratitudine”. Un sogno nel sogno.
Una città nella città. Un libro nei libri. Perché “Letteratitudine” non è
solo un blog letterario. Non è solo
un luogo d’incontro virtuale, un salotto di voci che dicono. È piuttosto
il rimando di un’idea. La proiezione
di un modo d’essere. Il riflesso della
terra sulla luna quando tramonta
un’eclissi. È la costruzione di un
mondo interiore nell’unico luogo
possibile. E attrae infatti come la luna attrae le maree. Richiama come il
risucchio di una memoria inabissata.
Seduce, come la rete, perché s’aggroviglia dei mondi dei suoi visitatori.
Nell’aprirla non si ha solo l’idea
di un libro. Ma di molti libri scritti
dai suoi viaggiatori. E non di una
voce, ma di una colonia di io narranti che dicono la propria storia.
Massimo Maugeri conduce e anima con garbo, quasi dietro le quinte,
smorzando i toni e calibrando il coro, seminando spunti, aprendo scenari, disegnando volti sui volti, annodando uomo all’uomo.
Soprattutto suggerendo che l’essenza di ogni sogno è nell’incontro,
nello scambio, nella contaminazione
Massimo Maugeri
di destini. E la letteratura si trasforma.
In questo mondo di mezzo tra sonno e veglia, in questo continente che
non c’è e che forse nessuna mappa
saprebbe collocare, le parole degli
scrittori si mescolano a quelle dei
lettori, riscrivendo testi, moltiplicando storie, in un rincorrersi di specchi
che si riflettono l’uno sull’altro sovrapponendosi e rappresentando la
varietà dell’uomo, dei suoi pietosi
sforzi di resistenza all’assalto del
tempo, della sua rincorsa verso ciò a
cui più somiglia- un’anima immortale.
D’altra parte “Letteratitudine”na-
terle crescere bene insieme a mia
moglie. Come fare per incontrare
persone con cui condividere le mie
passioni letterarie pur rimanendo in
casa? Pensai di creare un blog. In
fondo uno degli aspetti positivi della
Rete è, appunto, quello di unire (non
per nulla si chiama Rete). Così creai
un blog (erano gli inizi del settembre
2006)... uno tra i tanti milioni di
blog nati in Italia. Certo, allora non
avrei mai potuto immaginare che
avrebbe avuto successo.
“E perché questo nome? Che
emozioni e quali destini evoca?”
“Letteratitudine” è un acronimo
che si presta a vari incroci di parole.
sione. Per certi versi è un ibrido,
perché non è un vero e proprio blog
individuale né un blog collettivo. È
una sorta di via di mezzo. Alterno
cose mie a contributi di altri scrittori o giornalisti culturali. Alcuni curano una vera e propria rubrica a
loro nome, all’interno del blog. Per
questo considero “letteratitudine” il
mio blog, ma anche il nostro blog. Il
blog di tutti coloro che vi scrivono.
E mi riferisco anche, e soprattutto,
ai commentatori/frequentatori, che
sono la vera anima del sito. Sono loro a renderlo bello e speciale. A volte leggo commenti che sono di gran
lunga superiori ai miei stessi post.
Per me la vera “fortuna” e forza di
questo blog è proprio questa: avere
frequentatori/commentatori di altissimo livello che condividono con me
le passioni di cui ho parlato prima.
Ne nascono dibattiti a volte anche
accesi, ma che non scadono nell’offesa o in commenti irrispettosi per
persone o opinioni. Credo che uno
dei motivi del “successo” sia proprio questo.
“Condivisione, commistione e
contaminazione. Non sono questi i
canoni della parola?”
Direi proprio di sì. In fondo si
tratta proprio di questo. Condivisione, commistione e contaminazione
con al centro la parola scritta. Non
so se letteratitudine “faccia” letteratura, o sia capace di fare letteratura (in fondo penso che la letteratura
si possa fare solo con i libri); di certo fa comunicazione basata sulla letteratura. Crea scambi, occasioni di
confronto, di dialogo, di conoscenze.
È un po’ come ritrovarsi in uno dei
vecchi caffè letterari di una volta e
discutere anche in maniera leggera
(non necessariamente in maniera
“alta” e leziosa). Fino a qualche
tempo fa definivo letteratitudine come “un luogo d’incontro virtuale tra
“Il blog è nato con l'idea dell'apertura,
dello scambio e della condivisione. Per certi versi
è un ibrido, perché non è un vero e proprio blog
individuale né un blog collettivo. È una sorta
di via di mezzo. Alterno cose mie a contributi
di altri scrittori o giornalisti culturali”
sce da un curioso miscuglio linguistico tra letteratura e latitudine, tra
luoghi dello spirito e coordinate geografiche. Una parola che non esiste
sui libri, né sugli atlanti. Che nessun
vocabolario riporta.
Un viaggio sulle rive di uno spazio che non c’è, se non dentro di
noi….
“È così, Massimo? Da quale esigenza interiore nasce “letteratitudine”?
“Letteratitudine” nasce da un mio
desiderio di comunicazione, fondamentalmente. Dalla voglia di raggiungere più gente possibile per condividere la passione per la scrittura,
per i libri, per la letteratura. Non è
un caso che il blog abbia visto la luce quasi contestualmente alla nascita della mia secondogenita, Ilenia
(mentre l’altra, Alessia, aveva appena un anno). Avevo deciso di rimanere il più possibile in casa anche
per via delle bimbe piccole. Per po-
“Letteratura” più “latitudine” (o
“longitudine”), “letteratura” più
“attitudine” (o “inettitudine”), “letteratura” più “solitudine”, “letteratura” più “gratitudine”. Le combinazioni possibili sono molteplici e
tutte, per certi versi, evocative. Insomma, per dirla alla Sciascia... “a
ciascuno il suo”.
Non è un caso se cito Sciascia...
perché il nome “letteratitudine” - a
proposito di evocazioni - mi è venuto
in mente anche per assonanza con il
noto “sicilianitudine” di sciasciana
memoria. Che emozioni evoca? Beh,
spero che alla fine possa evocare
l’emozione che suscita l’incontro
con i libri... che è una delle cose a
cui tengo di più.
“Perché – poi – un open blog?
Rimanda a un’idea di condivisione?”
“Letteratitudine” è un open blog
perché nasce con l’idea dell’apertura, dello scambio e, sì, della condivi-
scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti culturali.”. Ed è ancora oggi
così. Anche se sono sempre più frequenti gli incontri reali tra letteratitudiniani (cene, pranzi, ecc.).
“Il blog ospita anche rubriche
stabili e ospiti illustri (Camon,
Alajmo, Dacia Maraini… solo per
citarne alcuni). In che modo gli
autori più esperti interagiscono coi
lettori?”
Aver avuto la possibilità di ospitare personaggi importanti (Camon e
Alajmo hanno pure una rubrica fissa
all’interno del blog) è una bella soddisfazione e una grande responsabilità. Posso dire che gli autori più
esperti interagiscono con la massima disponibilità con i lettori e gli
autori meno celebri. Si crea uno
scambio a pari livello. Ancora una
volta... occasioni di scambio e di
confronto. Senza staccionate. Senza
che qualcuno salga in cattedra a
enunciare verità inopinabili. A parte
il fatto che credo che per ciascun autore il confronto con i lettori sia indispensabile. È un po’ come guardarsi allo specchio.
“E in che modo i lettori con gli
autori?”
I lettori hanno la possibilità di interagire con l’autore in maniera
molto più disinvolta rispetto a quando si presenta un libro dal vivo, magari in libreria. In libreria l’autore è
- di norma - seduto dietro un tavolo,
o posto su un piccolo palco, con accanto il relatore. I lettori costituiscono un pubblico. A volte qualcuno alza la mano e pone una domanda. Ma
c’è distanza. Qui, invece, le distanze
sono paradossalmente abbattute.
C’è la possibilità di uno scambio vero, diretto, in tempo reale e - ripeto a pari livello. Certo, c’è anche il rovescio della medaglia. Può capitare
che arrivi qualcuno che scriva/dica
(la comunicazione su un blog - a mio
avviso - dà luogo a una interessante
commistione tra linguaggio scritto e
parlato) qualcosa di banale, o stupido, o addirittura “sconveniente”. A
mio avviso, però, questo è un rischio
che vale la pena di correre.
“Il coro di voci che emerge da
ogni post forma quasi un libro nel
libro, e molte vite in una sola cornice. In che modo uno scrittore come te – attentissimo alle variazioni
interiori dei personaggi - si sente
stimolato da questa varietà di stili,
espressioni, modi di concepire e vivere la letteratura?”
È davvero uno stimolo continuo. E
le sorprese non mancano mai. Sorprese positive, almeno per la maggior parte. Alcuni dei dibattiti che si
sono sviluppati meritano, a mio parere, di essere conservati; sia perché
forniscono stimoli interessanti, sia
perché costituiscono una testimonianza importante. Ogni libro è un
mondo a sè che fornisce molteplici
spunti di riflessione e di dibattito. A
me piace entrare in questi mondi e
viverci. “Un libro nel libro”. Bella
definizione. Anche un po’ preconica,
dato che molto presto letteratitudine
diventerà libro. Non aggiungo altro
a quest’ultima frase.
“Massimo Maugeri è anche un
eccezionale narratore. C’è l’idea
di un unico grande romanzo – una
sorta di “commedia umana”- nel
tuo blog?”
Se Massimo Maugeri è un eccezionale narratore dovrà dimostrarlo nel
tempo. Per ora è solo agli inizi. E la
letteratura va guardata alla lunga
distanza. Noi gli diamo fiducia...
sperando che sappia meritarla. Per
quanto riguarda “letteratitudine”...
sì, anche a me è capito di intravedere gli elementi di una “commedia
umana”. Su “letteratitudine” si discute, si sorride, si scambiano opinioni, si danno consigli, ogni tanto
si litiga (poco per fortuna). Sì, per
certi versi è una sorta di commedia
umana.
“E allora…L’arte accade?....”
L’arte accade? Bella domanda. Se
l’arte si dovesse “costruire” non sarebbe vera arte, ma artigianato. Anche se l’arte senza artigianato sarebbe come champagne senza calice.
Hemingway sosteneva che il genio è
al cinque per cento ispirazione e al
novantacinque per cento traspirazione (cioè sudore). Credo che la stessa
cosa possa valere anche per l’arte.
L’arte è un guizzo che non può vedere luce senza fatica e abnegazione.
Ma, al di là di questo... l’arte accade? La risposta è: sì.
Spero che prima o poi possa accadere anche a me.
CULTURA
LA VOCE DELL’ISOLA
CULTURA
LA VOCE DELL’ISOLA
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19 Luglio 2008
È un romanzo mozzafiato l’ultima opera del giornalista José Rodigres Dos Santos
“Einstein e la formula di Dio”:
verità dell’esistenza umana
di GIUSY RIGAZZI
“T
erra if fin de terrors tight
Sabbath fore christ nite,
see sign,? ya ovqo”, questo è il messaggio cifrato contenuto
nell’ultimo manoscritto redatto dal
grande scienziato Albert Einstein
prima di morire, che il professor
Thomàs Noronha, ha il compito di
decifrare per uscire dall’intrigo internazionale di cui è diventato il
malcapitato protagonista.
Così si presenta il nuovo romanzo
del giornalista portoghese
José Rodrigues Dos Santos, che in patria ha già
venduto più di centotrentamila copie.
Un thriller carico di colpi di scena, che lascia il
lettore col fiato sospeso fino all’ultimo capitolo.
Thomàs Noronha, considerato uno dei maggiori
esperti mondiali di criptoanalisi e di lingue antiche,
viene reclutato, con la
promessa di un cospicuo
compenso, da una giovane
iraniana, che, durante un
suo soggiorno in Egitto,
gli propone di lavorare per
il suo governo, allo scopo
di risolvere l’enigma contenuto nel manoscritto
dello scienziato tedesco.
Secondo il governo iraniano, tale manoscritto contiene una formula segreta
elaborata da Einstein per
costruire in modo semplice ed economico una
bomba atomica.
Da questo momento in
poi la tranquilla vita dello storico si
trasforma in una corsa contro il tempo alla ricerca di una soluzione dell’enigma, contrastata da rapimenti,
prigionie, complotti internazionali in
cui è coinvolta anche la CIA e momenti in cui nulla più sembra reale
ed in cui il confine tra verità e menzogna diventa impossibile da individuare.
Questi episodi si svolgono in suggestivi scenari orientali, passando
dai mercati arabi delle spezie e delle
tele alle montagne tibetane, sede
della più antica tradizione zen, nonché attraversando le più belle città
portoghesi come Lisbona e Coimbra.
Lungo questi percorsi, la vita del
professor Noronha sembra cambiare
radicalmente rotta: da tranquillo studioso di storia e lingue antiche si
trova costretto a trasformarsi in un
James Bond dalle mille risorse per
salvare cara la pelle.
Un romanzo in cui non manca
neanche il coinvolgimento di sentimenti profondi quale l’amore tra padre e figlio: l’inizio della spedizione
alla ricerca della formula di Dio coincide, infatti, con la notizia di un
José Rodigres Dos Santos e sotto, Albert Einstein
volgimenti sentimentali del protagonista con la giovane iraniana, sentimenti ostacolati da una cultura,
quella musulmana, in cui la donna
ha una libertà molto limitata, se non
quasi assente. Saranno proprio i rapporti con la donna che daranno la
possibilità allo scrittore di aprire una
parentesi su uno spaccato della società contemporanea: in un’epoca
caratterizzata dalla globalizzazione
del mercato si fa spazio anche la
globalizzazione dei sentimenti, e
questo avviene sia in positivo, con la
storia d’amore fra Thomàs e Ariana,
sia in negativo con la diffusione di
un generale clima di odio nei confronti dell’altro diverso da noi, cosa
che provoca i continui attacchi terroristici in tutto il mondo e di cui spesso si trova testimonianza nel romanzo. Un romanzo dalle mille sfaccettature, dunque, questo del giornalista
portoghese, che lascia al lettore la
possibilità di unire il piacere di una
lettura molto semplice e scorrevole
con la possibilità di imparare qualcosa di nuovo delle moderne teorie
cancro diagnosticato al padre del
protagonista e con i loro lunghi dialoghi sull’origine del mondo e i legami fra la matematica e la religione.
Prendendo spunto proprio da questi dialoghi con il padre, oltre che
dall’amicizia tra quest’ultimo ed un
personaggio che si rivelerà uno dei
Un thriller carico di colpi di scena, che lascia
il lettore col fiato sospeso fino all’ultimo capitolo: si può imparare
qualcosa di nuovo delle moderne teorie scientifiche e fare anche
delle considerazioni sulla natura delle cose
soggetti chiave per giungere alla soluzione dell’enigma, lo scrittore introduce gli elementi che fanno da asse portante all’intera storia: tutto il
romanzo è caratterizzato, infatti, da
una forte commistione tra le teorie
più avanzate della fisica e della matematica contemporanee e la tradizione religiosa narrata nell’Antico
Testamento, nonché quella filosofica
orientale custodita dai monaci tibetani. Queste teorie e il loro legame,
solo apparentemente strano, mettono
il Professor Noronha di fronte ai più
grandi enigmi dell’esistenza umana
e ad un passo dalla soluzione finale
di questi enigmi.
Non mancheranno inoltre i coin-
scientifiche e fare anche delle considerazioni più profonde sulla natura
delle cose e dell’esistenza umana.
Tutto questo elaborato in modo
molto creativo attraverso la magia e
l’arte della scrittura.
Nell’antichità era “il mare”, unico immenso limite:
per millenni è rimasto vuoto, più dei deserti stessi,
ostacolo e non legame tra gli uomini
All’alba
del Mediterraneo
di CORRADO RUBINO
ignore e Signori buongiorno, è il comandante che vi parla è che vi da il benvenuto a
bordo del Boing 747 “Ulisse” …stiamo sorvolando il Mediterraneo a 9.000 metri di quota …ad
una velocità di 950 km orari...la temperatura esterna è
di meno 30°, l'arrivo all’aeroporto di Atene è previsto
tra cinquanta minuti, …il tempo ad Atene è buono,
con una temperatura al suolo di 22 gradi …insomma
una bella giornata primaverile. Vi ringraziamo ancora
per avere scelto la nostra compagnia, e vi auguriamo
un buon viaggio e un ottimo soggiorno in Grecia”. La
voce all’interfono ha detto Ulisse? Si, il velivolo si
“S
chiama proprio Ulisse. Ma tu guarda che combinazione! Stiamo sorvolando il Mediterraneo a bordo di un
aereo che si chiama Ulisse. Mi torna in mente che una
volta uno psicologo mi disse che la figura del comandante a bordo di un aereo è quella di capo carismatico
di una comunità viaggiante. Già è proprio così! Istintivamente guardo giù dall’oblò dell’aereo e quello che
vedo è una distesa azzurra macchiata di nero qua e là:
è il Mediterraneo, e in lontananza si intravedono le coste del Peloponneso. In aereo oggi da Roma ad Atene
si impiegano solo due ore; da Tunisi a Palermo trenta
minuti; in quattro ore si attraversa in volo il Mediter-
raneo da est ad ovest. Ma solo cento anni fa, quando
c’erano le navi a vapore, che già apparivano come
grandi conquiste dell’uomo nel campo dei trasporti,
per andare da Marsiglia al Pireo un piroscafo ci impiegava nove giorni di traversata. Oggi ci appare come un
grande, immenso, tranquillo lago ma nell’antichità era
un mare, anzi il mare, che si estendeva fino all’orizzonte, un limite, una barriera che diventava un problema affrontare ogni qual volta bisognava commerciare
o viaggiare o spostare una flotta navale. Popolato di
mostri e di popoli mostruosi, sirene e situazioni pericolose.
33
19 Luglio 2008
Ci hanno insegnato che le prime civiltà sono nate nel Mediterraneo orientale, in Oriente, ma la storia è più complessa
Una cultura cosmopolita con apporti di diverse civiltà
sviluppatesi sulle sponde del mare o nelle isole
nella prosperità della Meso-potamia.
La Meso-potamia, però, è lontana
dalle rive del Mediterraneo, e se anche si è avventurata, come sembrerebbe, nel mar Rosso e nel golfo Persico, noi ne sappiamo ben poco. Sappiamo invece che tale regione si colloca sullo sfondo della primitiva storia del Mediterraneo.
Le imbarcazioni egizie, al contrario, entrano da protagoniste nella storia del nostro mare. I bassorilievi delle piramidi più antiche ce le mostrano
spesso costruite di fasci di papiro legati insieme, in qualche misura simili
alle barche della Me-sopotamia, con
prua e poppa rialzate e un fondo
pressoché piatto, che consente loro di
di CORRADO RUBINO
A
scuola ci hanno insegnato che
le prime civiltà sono nate nel
Mediterraneo orientale, in
Oriente. Ma il mare non ne è responsabile sin dall'inizio: per millenni è
rimasto vuoto, più dei deserti stessi,
ostacolo e non legame tra gli uomini
che pure hanno cominciato molto
presto a vivere sulle sue sponde. Altrettanto presto, tuttavia, è iniziata la
circolazione di zattere o piroghe primitive, senza le quali certi trasporti
di cui abbiamo la prova non sarebbero stati possibili. Cipro, ad esempio,
che è sempre stata un'isola sin dall'apparizione dell'uomo in Asia Minore, e per la quale non conosciamo
esattamente la data dei primi insediamenti, nel 6° millennio importava
l’ossidiana dall'Anatolia per fabbricare i propri utensili. Non è l'unico caso
a noi noto: Malta, occupata per la prima volta dall'uomo verso il 5000
a.C., si procurava in Sicilia pietre
sconosciute nel suo territorio, tra le
quali ancora l'ossidiana. Niente indica, però, contatti regolari o rapporti
continuativi. Se l'uomo, su brevi distanze, ha superato molto presto l'ostacolo del mare, lo ha fatto però ancora in modo sporadico. Il Mediterraneo, come fonte di scambi a distanza,
è rimasto per molto tempo inutilizzato. La civiltà mediterranea ha mosso i
primi passi ai suoi margini orientali.
L'alba della storia dell’uomo coincide con l’inizio della pratica dell'agricoltura, rivoluzione neolitica che gli
studiosi della preistoria fanno risalire
a 9000 anni prima di Cristo. L’agricoltura non è stata praticata da tutta
l’umanità contemporaneamente, né si
è diffusa molto rapidamente. Il suo
sviluppo, tuttavia, è avvenuto a partire da numerosi nuclei, più o meno
collegati tra loro, e ha portato con sé
i cereali, gli animali domestici, gli alberi da frutto, gli strumenti e le abitudini sedentarie. Contrariamente a
quello che si può immaginare l’agricoltura non è nata nelle pianure, ma
sui rilievi che delimitano il deserto
della Siria o sugli altipiani montuosi
dell'Anatolia e dell'Iran. Tra i 600 e i
900 metri di altitudine le pecore, le
capre, i bovini e i maiali, nonché le
graminacee selvatiche trovano il loro
habitat naturale e le acque scorrono
con relativa abbondanza.
È in questa zona, non a caso definita dagli storici "mezzaluna fertile",
che l'agricoltura ha iniziato la sua
lunga carriera; a partire da tre regioni
privilegiate: le valli e i versanti occi-
Dopo millenni è iniziata
la circolazione di zattere o piroghe
primitive, senza le quali certi
trasporti, di cui si hanno le prove,
non sarebbero stati possibili
dentali dello Zagros, la regione montuosa della Mesopotamia turca e la
parte meridionale dell'altopiano anatolico (Turchia). Chi dice agricoltura
dice sedentarietà, aggregazione in insediamenti collettivi. Pensiamo a piccoli villaggi; e invece la cosa più sorprendente è stata la scoperta, a partire
dall'8° millennio, non solo di villaggi
o borghi, ma di grossi agglomerati
che si possono chiamare “città”. Gerico in Palestina e Çatal Hüyük in
Turchia, sono due esempi di tali agglomerati "neolitici": nel 7° millennio prima di Cristo, Gerico ospitava
almeno duemila abitanti, e Çatal Hüyük occupava circa quindici ettari
con le sue case costruite una sull’al-
Creta, il palazzo di Cnosso
tra. Tali "città” primitive sono già
centri di organizzazione, che determinano e tengono in vita una circolazione a vasto raggio, fino all’area dell’Eufrate. Gerico esporta sale e bitume e riceve, tra l'altro, ossidiana con
la silice dall'Anatolia, turchesi dal Sinai e cauri dal mar Rosso. Çatal Hüyük scambia la propria ossidiana della Siria, e importa dal Mediterraneo
conchiglie in quantità e pietre di ogni
genere, alabastro, marmo.
Le attività artigianali sono molteplici: ornamenti di pietra, di madreperla o di rame, tessuti fini, vasi ecc.
È però la pianura, ovvero la bassa
Mesopotamia, che con l'Egitto diventerà l'accumulatore essenziale della
civiltà in gestazione. Una grande civiltà, infatti, non può vivere senza
un'ampia circolazione, e le acque dei
fiumi, come l'Eufrate, il Ti-gri, e il
Nilo, hanno consentito il precoce sviluppo dell'attività di flotte di battelli.
Quando finalmente tali imbarcazioni si avventureranno sulle acque
del golfo Persico, dell'oceano Indiano, del mar Rosso o del Mediterraneo, il passo decisivo sarà compiuto.
Ha inizio un miracolo. Beni, merci,
tecniche, tutto a poco a poco transiterà attraverso le rotte marittime.
Il Mediterraneo sta per cominciare
a vivere. I battelli dell'Eufrate e del
Tigri hanno certamente svolto un
ruolo di primo piano nel progresso e
Bassorilievo di una nave fenicia
non urtare i banchi di sabbia che si
trovano a poca profondità e di attraversare senza danni le numerose paludi. Un progresso relativamente rapido farà sì che i primitivi giunchi
siano sostituiti da tavole di legno,
blocchi di sicomoro o di acacia provenienti dall'alto Egitto o tratti dai
cedri della Fenicia (Libano). Le tavole, corte e massicce, vengono unite
saldamente tra loro.
Queste imbarcazioni senza chiglia
somigliano in tutto e per tutto alle
barche primitive. Le vediamo popolare le scene di caccia o di pesca rappresentate tanto spesso sulle pareti
delle tombe, e sappiamo che ser-vono
anche a trasportare i defunti verso
l'ultima dimora. La flotta dei battelli
del Nilo è altrettanto potente di quella dell'Eufrate, ma la regolarità dei
venti in Egitto permette alle imbarcazioni di risalire facilmente il fiume a
vela. Nell'altro senso, è sufficiente lasciarsi trasportare dalla corrente:
quindi è raro che siano necessari remi
e alaggio, necessari invece per affrontare il mare aperto.
Alla metà del 3° millennio il basso
Egitto, sede del potere faraonico, comincia ad acquistare cedri del Libano, bitume del mar Morto, olio e più
tardi vino della Siria. Cominciarono
così i viaggi tra l'Egitto e la costa siro-libanese, all'alba, o quasi, della
storia egizia. Una vera e propria flotta collega Biblo ai porti del delta; le
imbarcazioni sono di tipo egizio e
probabilmente finanziate dall'Egitto,
ma forse sono sin da allora costruite
e soprattutto montate da cananei (il
nome che si dava ai siro-libanesi).
Questi antenati dei fenici erano già
un popolo di marinai. Una pittura tebana del 15° secolo a.C. mostra alcu-
ne imbarcazioni montate da cananei,
nel loro costume caratteri-stico, che
scaricano in Egitto mercanzie del loro paese. Rispetto a quelle del 25° secolo, le imbarcazioni, tuttavia, non
sono mutate: battelli a vela di tipo
egizio, sempre con le estremità rialzate ad angolo retto e apparentemente senza chiglia.
Sono adatte a un tragitto tranquillo
sulle acque del Nilo, poco profonde e
soggette alla piena periodica che riduce la superficie navigabile a uno
stretto sentiero. Non si prestano molto, invece, ai pericoli dell'alto mare.
All'inizio del 2° millennio, e forse
anche prima, nasce un altro tipo di
battello, frutto di una diversa avventura: quella dei popoli dell'Egeo. Sono navigli leggeri, a vela e a remi,
muniti di una carena e di una chiglia
che non soltanto ne rafforzano lo scafo contro l'urto delle onde, ma ne immergono altresì il fondo, rendendoli
più stabili e più resistenti al vento.
Tale imbarcazione egea, antenata diretta delle navi fenicie, greche e romane, è in effetti il primo battello da
trasporto veramente adatto al mare. A
questa innovazione si deve l’aver accelerato la storia del Mediterraneo.
All'inizio del 2° millennio emergono dunque due zone marittime, produttrici di navi e di marinai: la costa
libanese e le isole dell'Egeo. Esistono
già dei proto-fenici, esistono già dei
proto-greci. Attivi sulle coste dell'Egeo e dell'Asia Minore quanto lo saranno i loro successori, essi sono incontestabilmente i principali responsabili della nascita di un primo Mediterraneo degli scambi, un Mediterra-
“La maschera di Agamennone”, maschera sepolcrale di principe miceneo in lamina d’oro
Creta, il centro della civiltà Minoica
estinto misteriosamente nel 15º secolo
C
reta, al contrario, nonostante
l'attività dei suoi mercanti e
dei suoi marinai, dei quali si
riscoprono le tracce dappertutto, ha
dato più di quanto abbia ricevuto.
Protetta forse dalla sua insularità, è
rimasta la più originale, la più insolita tra le prime civiltà antiche, misteriosa sia quando si sviluppa come
un fenomeno a parte, sia quando
sparisce, vit-tima di avvenimenti
inesplicabili. Creta è un'isola sperduta in mezzo al mare, per molto
tempo sottopopolata e sottosviluppata. Per molto tempo Creta è rimasta pressoché sorda alle correnti di
civiltà provenienti dalle Cicladi e
dall'Egeo. È ancora immersa nell'oscurità quando già risplende Troia,
presso l'Ellesponto. Solo verso il
2500 a.C. comincia ad apparirvi un
po' di luce. Vi sorgono due generazioni di città-palazzo, la prima tra il
2000 e il 1700, la seconda tra il
1700 e il 1400. L'isola si sviluppa
parallelamente ai pro-gressi della
navigazione nel Levante. Cnosso è
l’esempio più bello di pa-lazzo-città, ma non l’unico.
I palazzi sono appannaggio di una
divinità e insieme di un principe,
confermato dalle leggende della talassocrazia di Minosse, di Dedalo e
della nascita di Zeus sul monte Ida.
Rappresentano forse anche una for-
ma di economia, il luogo in cui si
ammassa e si ridistribuisce la produzione, il centro in cui gli artigiani e i
mercanti della vicina città si re-cano
a prendere le ordinazioni, e dove
viene concepita una partecipazione
sempre più cosciente agli scambi
con l'estero. Il periodo di massimo
splendore, tra il 1700 e il 1450, è
contemporaneo al generale sviluppo
economico del vicino Oriente. A
Cnosso, e nella zona orientale di
Creta, tutto crollerà verso il 1450.
La causa è forse nell'esplosione
vulcanica di Thera, oggi Santorino?
E un'ipotesi accettabile, e spesso accettata. O in una vittoriosa calata dei
micenei? È l'ipotesi classica. O ancora in violenti disordini sociali?
Comunque sia andata, la civiltà cretese si estingue alla metà del secolo
15°. La conoscenza che ne abbiamo
è imperfetta. La sua reli-gione rimane per noi poco comprensibile. Siamo in grado, a malapena, di riconoscere alcuni simboli, come l'albero,
il pi-lastro, la doppia ascia, le corna
del toro, le sciarpe annodate in modo rituale, e alcuni animali sacri,
quali il serpente, la colomba e il toro. Pare infine che dominatrice fosse la Dea-Madre, uscita dagli abissi
della preistoria e delle mentalità primitive.
Cor. Rub.
Micene, porta dei leoni
neo ancora limitato a est, nell’Egeo,
ma che già si propone come spazio
economico unitario, dove ben presto
tutto sarà sottoposto a scambi, dagli
oggetti alle tecniche, dalle mode ai
gusti e naturalmente agli uomini,
nonché alle corrispondenze diplomatiche. Si determina così un fenomeno
che costituisce una novità straordinaria: nasce una cultura cosmopolita
nel cui ambito sono individuabili gli
apporti delle diverse civiltà sviluppatesi sulle sponde del mare o nelle isole.
Di tali civiltà, alcune, come l'Egitto, la Mesopotamia, l'Asia Minore
degli Ittiti, appartengono a imperi,
mentre altre, quali quelle della costa
siro-libanese, di Creta e più tardi di
Micene, sono proiettate sul mare e
sostenute da città.
Tutte, però, comunicano ormai tra
di loro. Tutte, compreso l'Egitto, di
solito tanto chiuso in se stesso, si volgono verso l'esterno con curiosità. È
l'epoca dei viaggi, degli scambi di
doni, delle corrispondenze diplomatiche e delle principesse date in spose
a re stranieri come pegno delle nuove
relazioni internazionali. È l'epoca in
cui vediamo apparire negli affreschi
delle tombe egizie, riprodotti minuziosamente nei loro co-stumi originali, tutti i popoli del vicino Oriente e
dell'Egeo, cretesi, micenei, palestinesi, nubiani, cananei; in cui le bellissime ceramiche cretesi invadono tutto
il Levante. Nel 2° millennio il popolo
più cosmopolita sembra essere quello
dei siro-liba-nesi, che assimilano tutto e da tutti, per poi rimanipolarlo a
modo loro.
SPECIALE
SPECIALE
LA VOCE DELL’ISOLA
32
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19 Luglio 2008
Gli antichi miti vogliono che a Micene avesse regnato la dinastia degli Atridi, protagoni sta nei poemi epici e tragici
I mercanti micenei, correndo i mari come facevano i cretesi,
assumono subito un ruolo preponderante nell’Egeo
di CORRADO RUBINO
I maestri costruttori fenici contribuirono
alla costruzione del tempio di Gerusalemme
L
a civiltà micenea che ha come
centro propulsore la città di
Micene, nel Peloponneso, nella
regione dell’Argolide, dopo il 1500 si
sovrappone alla civiltà cretese ma si
ispirava già da molto tempo alla
scuola di quest'ultima; già da qualche
tempo erano sorti i palazzi fortificati
della stessa Micene e di Tirinto. Che
gli allievi, divenuti pericolosi, abbiano distrutto il maestro? E possibile.
Oppure ne hanno occupato il posto
rimasto vuoto. Cosa certa è che comunque le città micenee (Tirinto, Pilo, Midea, Argo, Asine, Malthi,
Zygùries, Tebe, Atene, Gla, Orcomeno) continuano a svilupparsi dopo la
repentina scomparsa di Creta. Non a
caso Micene, appollaiata su una collina che domina il crocevia delle strade
dirette a sud, verso gli approdi di Corinto, è la localizzazione delle leggende pre-greche. Gli antichi miti volevano che a Micene avesse regnato
la dinastia degli Atridi, protagonista,
nei poemi epici e tragici, di storie di
gelosia, di uccisioni, di adulterî e di
vendette, e ancora non a caso Agamennone, rappresentante di questa
famiglia, viene posto da Omero, nella
sua Iliade, a capo delle guerra nazionale contro Troia. I mercanti micenei,
correndo i mari esattamente come facevano i cretesi, assumono un ruolo
preponderante nell'Egeo, insediandosi in gran numero a Cipro, in Egitto,
in Asia Minore, in Siria e in Libano: i
vasi micenei, come prima i cretesi, si
ritrovano dappertutto nel vicino
Oriente. L'atmosfera, però, è mutata:
le città micenee, battagliere ed espansioniste, a volte rivali, si circondano
di mura. Ma nonostante che le città
micenee si circondino di grandi mura
ciclopiche (di cui ancora oggi a Micene ci resta la monumentale porta
dei leoni), il loro destino finale sarà
tragico: scompariranno quasi tutte nel
corso di un dramma ancora più oscuro di quello che pose fine a Cnosso.
Il 12° è, tra i secoli oscuri, il più
oscuro. Vi si succedono una catena di
catastrofi. Prima di tali catastrofi il
Mediterraneo orientale, dal mare Ionio al mare Egeo, e sul continente,
dall'Egitto al resto del vicino Oriente,
S
Monumento sepolcrale di Re Hiram a Tiro
era tutto un fiorire di civiltà e di commerci. A partire dal 12° secolo subentra la notte, che durerà per circa mezzo millennio. Scompaiono allora
dei bastioni, sotto una massa di rovine carbonizzate). La responsa-bilità
pesa sui misteriosi "popoli del mare",
che fanno pensare ai barbari che po-
spinsero fino in Egitto, dove furono
sgominati due volte, nel 1225 e nel
1180 a.C.: un bassorilievo commemora questa vittoria del faraone. L'E-
Civiltà cancellate da misteriosi
“popoli del mare”, che fanno pensare ai barbari
che posero fine all’impero di Roma,
che si spinsero fino in Egitto, dove furono
sgominati due volte, nel 1225 e nel 1180 a.C.
l'impero ittita in Asia Minore, lo Hatti e i palazzi micenei, tutti incendiati
e distrutti (a Tirinto gli scheletri dei
difensori sono stati ritrovati ai piedi
sero fine all’impero di Roma. Chi
erano? Da dove venivano? Una cosa
è certa: sono certamente esistiti, poiché numerosi testi ne parlano, e si
gitto però non riuscirà comunque a
sfuggire al disastro. Per molto tempo
il Mediterraneo non sarà più il tramite degli scambi, che dapprima registrano un calo, poi scompaiono, incapaci di resistere agli incendi, alle carneficine, al crollo delle fortificazioni,
all'indiscriminato sconvolgimento
delle città,
all'aggressione e al
saccheggio
dei centri
urbani.
Fino a poco tempo fa
questi drammi venivano
spiegati con
l'arrivo di
una popolazione indoeuropea,
quella dei
Dori. Barbari, certo,
ma si diceva
che possedevano armi
Maschera fenicia
di ferro, e
per questo
avrebbero avuto ragione dei Micenei,
che conoscevano soltanto le armi di
bronzo.
Davanti ai nuovi venuti le popolazioni sarebbero fuggite in preda al
panico. Si diceva quindi che i “popoli
del mare” non erano altro che queste
orde di fuggitivi, che a loro volta
avrebbero predato, saccheggiato, ucciso, dalla terra degli Ittiti fino all'Egitto. Ma non è così.
Tale spiegazione non regge più,
poiché i Dori, ultimi invasori indoeuropei della Grecia antica, arrivarono
soltanto alla fine del 12° secolo, almeno cento anni più tardi, e non portarono il ferro, la cui prove-nienza è
diversa. A questo punto, però, disponiamo soltanto di ipotesi. Tra le più
accreditate vi è quella che l'impero ittita sarebbe stato distrutto da una serie di terremoti di estrema violenza.
Ciò non basta però a spiegare l'insieme del fenomeno, che travalica i
confini dell'Anatolia, né a chiarire il
ruolo dei “popoli del mare” o la distruzione delle città micenee.
Vi fu forse un repentino mutamento del clima, che si sarebbe guastato
fino a provocare una siccità persistente, calamitosa e letale? A tale disastro sarebbero sfuggite soltanto le
regioni elevate, vicine al mare ed
esposte direttamente ai venti dell'ovest, come il golfo di Corinto, l'Attica, Rodi, Cipro, la Tessaglia o l'Epiro.
Altrove gli abitanti cacciati dal loro paese da numerosi raccolti andati a
male avrebbero preso il mare, invadendo in massa i territori relativamente al riparo e provocando le distruzioni a catena di cui si è detto.
Quanto ai palazzi micenei, non sarebbero stati distrutti dagli, invasori, ma
dalle popolazioni locali di contadini
affamati, in quanto da sempre grandi
depositi di derrate alimentari. Sono
spiegazioni che accendono la fantasia, ma restano oscuri i fatti realmente accaduti.
Un fatto, in ogni caso, è certo: nel
12° secolo a.C. la vita nel Mediterraneo orientale regredisce. Gli scambi
si inaridiscono.
Ciascuno vive nel proprio isolamento, tra mille difficoltà. I due imperi che sopravvivono hanno perduto
qualsiasi influenza: l'Egitto si ripiega
su se stesso, sulle proprie lacerazioni
interne, e la sua storia si disperde tra
le continue invasioni, più o meno significative, da cui è subissato; la Mesopotamia, aperta per natura ai mondi
circostanti e terribili del deserto e
della montagna, è sepolta dall’instabilità generale.
ulla costa cananea, o per meglio dire fenicia, nel 12° secolo, verso il 1180, scompare
Ugarit ad opera dei “popoli del mare”, Biblo declina, Sidone la sostituisce, e verso l'anno 1000 la città
dominante dei Fenici diventa Tiro.
La Fenicia si trova al punto d’incontro fra gl’imperi mesopotamico ed
egizio. Da questo vitale incrocio si
determina la precoce vita marit-tima
dello stretto litorale del Libano. Dai
Persiani, i Fenici, apprendono l’abilità al commercio, mentre dagli Egiziani assorbono le conoscenze sulla
navigazione fluviale. Mentre gli
Egiziani commerciano fra di loro
principalmente lungo il Nilo, i Fenici, che dispongono solo di una striscia stretta di terra fertile lungo la
costa per sostenersi, non possono
che guardare verso il mare per sperare in uno sviluppo. La Fenicia comincia così a proiettarsi verso il mare, mentre a est e tutto intorno continua a imperversare la guerra di tutti
contro tutti. I mercanti fenici diventano il mezzo di diffusione nel Mediterraneo di due fenomeni altamente rivoluzionari: il diffondersi della
lavorazione del ferro acciaiato, già
inventata nel Caucaso o della Cilicia, che però non diventerà di uso
corrente prima del 10° secolo, e la
comparsa della scrittura alfabetica.
Infatti a Biblo i Fenici avevano elaborato precedenti scritture inventando un alfabeto lineare di ventidue
lettere, appreso poi dai Greci che lo
adatteranno alla loro lingua, probabilmente nell'8° secolo a.C.
La Fenicia è una terra di piccoli
porti addossati alla montagna, nati
su penisole e piccole isole. Tiro, oggi la troviamo unita alla terraferma a
causa di una serie di alluvioni, ma
allora sorgeva su di una stretta isola.
Città così fatte non possono vivere
che di commercio e di industria; e
allora per acquistare all'estero i viveri di cui non dispongono, e per
compensare il permanente squilibrio
che ne deriva, le città fenicie sono
costrette a commerciare e a esportare i prodotti delle proprie industrie.
Posseggono artigiani, fabbri, orefici,
costruttori di navi. I loro tessuti di
lana sono molto apprezzati, e lo sono altrettanto le loro tinture, estratte
da un mollusco, il murice, che vanno dal rosa al porpora al viola. Il
crocevia in cui si trovano a vivere
pone inoltre i Fenici nelle migliori
condizioni per imitare tutti gli stili e
tutte le tecniche altrui, ad esempio le
maioliche azzurre o i vetri policromi
dell'Egitto; senza disdegnare di
commerciare tutto ciò che veniva
prodotto negli altri paesi. Il loro
commercio investe tutto il Levante,
raggiunge il mar Rosso, avanza verso l'oceano Indiano. Quando anche
l'Ovest sarà praticabile, si estenderà
fino a Gibilterra e si avventurerà
nell'Atlantico. La loro abilità entra
nella leggenda. Una nave fatta allestire da re Salomone e inserita nella
flotta fenicia avrebbe raggiunto la
lontana Spagna, toccando Tartesso,
e ne avrebbe fatto ritorno, il tutto in
tre anni. Hiram, re di Tiro, avrebbe
inviato a re Salomone materiali e
maestranze (tra cui anche un maestro, con il suo stesso nome, fonditore e toreuta abilissimo) per la costruzione del tempio di Gerusalemme.
Fattori decisivi di tali successi sono
il coraggio e l'abilità dei Fenici. Anche la tecnica, però, ha il suo ruolo,
e in particolare l’uso del legno di cedro, di cui allora erano ricche le foreste, per la costruzione delle navi
abbastanza robuste per affrontare le
onde del Mediterraneo; l'utilizzazione del bitume del mar Morto per calafatare gli scafi. Le loro barche sono dotate sia di vele, sia di uomini
che remano e man mano diventano
sempre più grandi. Forti di questa
abilità di naviganti e di costruttori
navali, i Fenici iniziano a navigare
verso ovest, non più solo per commerciare ma per conquistare altri
territori. Fino a ieri gli studiosi di
storia antica negavano che i Fenici
avessero preceduto le città-stato greche nella colonizzazione del Mediterraneo occidentale. Poi alla fine
degli anni ’60, con l’evidenza delle
prove archeologiche, si cominciò ad
ammettere che i Fenici avevano approfittato della pausa sopravvenuta
nella navigazione "greca" nel mare
Egeo per sfruttare il mare lontano.
Almeno tre secoli, l'11°, il 10° e il
9°, separano infatti la caduta di Mi-
cene dal primo movimento di espansione greca verso ovest. Prima dei
Greci, al tempo dei "secoli bui", vi
sarebbe stata dunque una precedente
conquista dell'Ovest a vantaggio degli "orientali". La Fenicia del resto è
per natura condannata a utilizzare il
mare a qualsiasi costo. I Fenici usano tre rotte per attraversare il Mediterraneo da una parte all'altra. La
prima, costeggiando la Turchia, la
Grecia, Corcira (Corfù). Di qui, con
il favore del vento, un veliero leggero attraversa il canale di Otranto in
meno di una giornata. Poi lungo la
costa sud della penisola italiana fino
allo stretto di Messina. A sud le coste della Sicilia a nord, oltre lo stretto, risalgono lungo la costa italiana
fino all’Elba, poi c’è la traversata
per raggiungere la Corsica ed infine
la Sardegna. Questa è la rotta di navigazione dei mercanti greci, nota
sin dall'epoca micenea.
La seconda rotta, verso sud, segue
la costa del nord Africa, sempre rimanendo a vista della terraferma.
Dall'Egitto, lungo la Libia e Cartagine, fino allo stretto di Gibilterra i
porti distano un giorno di navigazione dal successivo dove di notte si
fermano. La terza rotta attraversa il
mare, verrà usata in seguito da marinai più esperti e con strumenti più
sofisticati. Le tracce dei loro insediamenti indicano l’uso di una rotta
che prevede una navigazione in alto
mare verso ovest senza terra a vista.
Da Tiro navigano fino a Cipro, poi
verso Creta, Malta, la Sicilia, le coste della Tunisia, la Sardegna, le Baleari e oltre. Navigano anche di notte orientandosi grazie all'Orsa Minore. I Fenici sono stati dei precursori
ed erano piloti eccezionali.
A loro va la palma della vittoria
nella corsa verso l'ovest. Fondano,
già tra il 10° e il 9° secolo, nuove
colonie a Cipro, a Rodi e nelle isole
dell’Egeo. Spingendosi ancora più
lontano fondano Mozia in Sicilia,
Tharros e Nora in Sardegna; Tashish, una grande colonia commerciale sulla costa della Spagna, e la
città che diventerà la capitale di tutte
le colonie, Cartagine, nell’odierna
Tunisia, e che si trova esattamente al
centro del Mediterraneo.
Dopo, nell’8° secolo, il vicino
Oriente conosce una nuova prosperità. Il mare riprende vita con i già attivi porti della Fe-nicia e con le città-stato greche che, grazie ai porti e
alla precedente esperienza mercantile delle navi e dei marinai fenici, si
avviano a compiere una vera e propria conquista del Mediterraneo occi-dentale.
Quando tale colonizzazione sarà
ultimata, il Medi-terraneo della storia si estenderà senza interruzioni
dal Le-vante sino alle Colonne d'Er-
cole. Si tratta di una colonizzazione
a lunga distanza, rivolta verso terre
nuove e non disabitate.
Le nuove città vengono fondate,
in modo più o meno pacifico, lungo
le coste, a ridosso di vasti territori
abitati da popoli non affini: cu-riosi
e interessati o ostili e pericolosi a
seconda dei casi e delle epoche. I
coloni trovano in quelle terre lontane condizioni di vita molto migliori
di quelle della Grecia o della Fenicia.
Nell'Ovest tutto è più grande, più
ricco. Si pensi alla moltitudine delle
città greche in Sicilia, da Agrigento
a Selinunte, con i loro grandiosi monumenti; al tempo del suo massimo
splendore Cartagine, "la città nuova", sarà dieci volte più grande di
Tiro, sua città-madre.
La colonia fenicia di Cartagine,
all’inizio del 9° secolo, ha rappresentato solo una tappa nel viaggio
da Tiro alla Spagna Le città marinare della Fenicia sono ancora delle
floride e potenti metropoli. Ma nel
7° secolo, il secolo che da inizio alla
colonizzazione greca delle terre ad
Occidente, la supremazia fenicia
viene meno. I Fenici non incontrano
più, come al tempo dei loro primi
successi, un Mediterraneo vuoto, ma
adesso per mare ci sono anche prima
gli Etruschi e poi i Greci.
Cor. Rub.
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