In allegato: EUROPA MEDITERRANEO un giornale nella prospettiva dell’apertura dell’area di libero scambio In tutte le edicole e anche via internet www.lavocedellisola.it Informazioni: [email protected] Lettere: [email protected] GIORNALE SICILIANO DI POLITICA, CULTURA, ECONOMIA, TURISMO, SPETTACOLO ANNO TERZO Nº 12 / 13 • LUGLIO/AGOSTO 2008 • b 1,50 DIRETTORE RESPONSABILE SALVO BARBAGALLO Sulla Sicilia le mani degli eredi di Stalin e Mao Dai vecchi ai nuovi padroni di SALVO BARBAGALLO I vecchi padroni della Sicilia stanno per essere soppiantati? È un interrogativo che pochi si pongono dovuto, principalmente, ad una totale assenza di vera conoscenza delle “vere” problematiche dell’Isola e di chi è “veramente e non apparente” protagonista di un futuro che dovrebbe essere patrimonio di tutti, ma che, alla fine, è appannaggio di pochi. Noi ci poniamo l’interrogativo non perché siamo depositari di “verità”, ma in quanto “cronisti” di ciò che accade (di ciò che appare, cioè), e di ciò che è accaduto (sforzandoci di ricostruire i fatti storici). L’interpretazione della realtà per noi, dunque, è affidata a questi fattori. Seguendo le attuali situazioni socioeconomiche e politiche siciliane (lo diciamo subito) si ha l’impressione del “déjà vu”, del “già visto”, del ripetersi di fatti significativi, come accadde negli anni Quaranta, prima e subito dopo la guerra, che portarono la Sicilia ed una ristretta cerchia di uomini ad occupare una posizione determinante nello scacchiere nazionale ed internazionale. Noi, in un nostro libro (“L’avvenire che non venne”) abbiamo espresso un teorema che partiva dall’ipotesi che in un determinato periodo storico (dal 1942 in poi) uomini appartenenti a L’Isola, come accadde alla vigilia dello sbarco alleato nel luglio del 1943, è nuovamente al centro di enormi interessi internazionali quattro “aggregazioni” di natura diametralmente diversa, Stato (nel senso delle Istituzioni, più propriamente degli uomini che hanno costituito il corpo delle Istituzioni, politici compresi), Chiesa (quale partecipazione di singoli esponenti dell’Alto clero, di strutture finanziarie del Vaticano, di appartenenti all’Opus Dei), Massoneria (in quanti hanno mantenuto la loro adesione in forma segreta e occulta) e Mafia, si siano trovati in accordo per raggiungere precisi obiettivi, mirati inizialmente, ma molto genericamente, agli interessi della collettività (nazionale e internazionale) e poi sfociati, praticamente e concretamente, in interessi di potere di raggruppamento di lobby (in senso assoluto). Parlavamo anche di “patti scellerati” fra queste forze occulte che dovevano essere rinnovati nel tempo. Teorema difficile da contestare perché la cronaca degli ultimi sessant’anni han- no ampiamente dimostrato quanto potesse essere vicino alla realtà. Dei sottoscrittori originari di quei “patti” non è rimasto nessuno perché passati a miglior vita, ed ora anche gli “eredi” che hanno proseguito quell’opera infame di oppressione della Sicilia, sono in via di estinzione per questioni anagrafiche. In poche parole, i vecchi padroni stanno scomparendo, anche se loro si considerano immortali e continuano ad accumulare ricchezza sfruttando tutte le possibilità speculative che il mercato offre. Costoro immortali non sono, e nuovi padroni si affacciano alla ribalta, con una penetrazione sottile che spesso passa inosservata, e che viene coperta, sempre per questioni di accordi e di interessi inconfessabili. La Sicilia oggi è ripulita (?) dalla mafia: non ci stanno più i Provenzano, i Riina, i Santapaola, e di morti ammazzati per le strade se ne vedono talmente pochi, che non suscitano allar- A Catania grandi interessi economici ruotano attorno alla gestione dell’aeroporto di Fontanarossa e sul dubbio “risanamento” del centro storico me; i “famigerati” Cavalieri sono scomparsi da tempo, sostituiti da ristretti gruppi economici, ora anche loro in via di sostituzione. La Sicilia attualmente è, da una parte, una vera zona franca dove si vende e si spaccia di tutto; dall’altra parte è luogo deputato per la grandi speculazioni urbanistiche, per i grandi investimenti delle catene alimentari, e chi più ne ha, più ne metta. Da un punto di vista politico, ecco l’exploit (unica novità nazionale degli ultimi anni) di un movimento apparentemente venuto dal nulla, il MpA di Raffaele Lombardo che, dopo i primi tentennamenti, si è fatto paladino dello Statuto speciale autonomistico Siciliano, salvo poi avallare la Commissione per la “revisione” e l’applicazione dello Statuto stesso. Basta guardare gli spostamenti del danaro, per rendersi conto di quali sommi enormi (private e pubbliche) piovino sulla Sicilia, in special modo su Catania: e ad osservare bene però, nelle principali società che investono in questo territorio ci stanno sempre i soliti “noti”, quelli che si ritengono immortali. La Sicilia, così come accadde alla vigilia dello sbarco alleato nel luglio del 1943, è nuovamente al centro di interessi internazionali, ma come in Sicilia gli immortali vanno inesorabilmente verso l’estinzione, anche chi torna a sbarcare nell’Isola o chi si insedia per la prima volta, ha bisogno di nuovi e “affidabili” referenti. Quindi se i cinesi sono già perfettamente collocati con le loro apparenti microattività commerciali, e se ci stanno da tempo le grandi Compagnie petrolifere americane (come la Panther Resources) a caccia del petrolio siciliano, grazie alle concessioni fatte dai politici che hanno retto la Regione, perché meravigliarsi se ora i russi vogliono la loro fetta di torta, e fanno grossi investimenti immobiliari nel palermitano, mentre a Priolo (vedi la Lukoil) si accaparrano buona parte delle raffinerie Erg? Il quadro politico-militare internazionale è cambiato? Sicuramente. Ciò che non cambia e la posizione geografica della Sicilia, e quella posizione fa gola a tanti. Chi saranno i nuovi padroni, di fronte ai quali si inchineranno i nostri politici? Il “déjà vu” qualche indicazione incomincia a darla… POLITICA LA VOCE DELL’ISOLA 2 19 Luglio 2008 Il successo in politica è figlio dei propri meriti e degli errori degli altri Vota Antonio, Vota Antonio... Una opposizione alla Hulk di MARCO MATURANO Walter Veltroni e un bel pezzo della classe dirigente del PD scelgono di lasciare a Di Pietro una prateria di opposizione, tutta (o quasi) da attraversare in splendida e furbissima solitudine E ccolo lì che se la ride e si sfrega le mani. E pensa a quanto sia vero che il successo in politica sia in parti eguali figlio dei propri meriti e degli errori (o delle scelte consapevoli) più o meno clamorosi degli altri. Antonio Di Pietro lo pensa, divorando con voracità i sondaggi che lo danno ancora in crescita. Alla faccia del lucido, sontuoso e mastodontico PD di Veltroni, che viene fotografato in deciso calo di popolarità e voti. Sondaggi che certificano la sensazione diffusa dai mass media e tra la gente. La sensazione che l’unica vera opposizione strutturalmente, culturalmente, visceralmente antiberlusconiana è proprio quella guidata dall’ex-pm di Mani Pulite. E sarà pure una semplificazione, ma di semplificazioni è fatta la politica. Le semplificazioni, del resto, sono quelle che hanno portato sugli altari e nella polvere Tonino nelle sue molteplici vite da quando ha fatto il grande passo, lanciandosi nel circo Barnum della politica, che aveva messo sotto osservazione come magistrato. La prima vita breve, polemica e incolore come Ministro tecnico del Governo Prodi versione 19961998. La seconda vita da parlamentare del Mugello e fondatore con successo dei Democratici insieme a Prodi e ai sindaci. La terza vita da leader del suo partito personale, l’Italia dei Valori, inaugurato con il regalo al centrosinistra di una bella sconfitta alle elezioni del 2001. Per poi vivacchiare nella costruzione dell’Unione e nella preparazione del ritorno del Professore. Con, nel mezzo del cammino, un esperimento sfortunato e incomprensibile di alleanza con Achille Occhetto. E poi l’esperienza vincente (per lui) di Ministro delle Infrastrutture del Governo Prodi 2006-2008. E infine l’alleanza con il PD guidato dall’ex-sindaco di Roma e il risultato decisamente soddisfacente, portato a casa giocando sull’antipolitica e prendendo qualche voto alla masochista Sinistra Arcobaleno e al buonista PD. E adesso? Adesso Antonio Di Pietro gode di tre combinazioni vincenti, che ne fanno per molti italiani il baluardo dell’antiberlusconismo e quindi anche il polo magnetico dei consensi di vera opposizione in questa fase confusa del centrosinistra. Tre combinazioni che sono ognuna a suo modo portatrici dell’aria da “vota Antonio, vota Antonio, vota Antonio” che si respira. Il primo “vota Antonio” lo cominciano a gridare molti elettori di sinistra, attoniti per l’assoluta assenza, per il silenzio assordante della Sinistra Arcobaleno, che, anziché cercare di rialzarsi dalla sconfitta alle politiche, preferisce le liti di cortile ad una azione di contrasto almeno mediatico al Governo Berlusconi. Il secondo “vota Antonio” è un regalo espresso del Presidente del Consiglio. È il Cavaliere, infatti, a servire su un piatto d’argento l’ennesima puntata della sua quindicennale saga di scontro epico contro i “terribili e oscuri” magistrati e il risveglio della sparuta ma agguerrita tifoseria innamorata di chi scende in campo contro i suoi conflitti di interessi. Il terzo e più significativo “vota Antonio” lo stimola a gran voce Walter Veltroni e un bel pezzo della classe dirigente del PD. E lo fanno, scegliendo di lasciare a Di Pietro una prateria di opposizione, tutta (o quasi) da attraversare in splendida e furbissima solitudine. Il PD cede infatti lo scettro dell’antiberlusconismo sia di pancia che di cuore a Tonino per preferire un’opposizione realista, moderata e un filo buonista. A rendere poi ancora più attraente il micropartito compatto e chiaro di Di Pietro rispetto al PD sono nell’immagine percepita dell’armata di Walter le fratture interne, i tentennamenti (modello vicenda Lodo Schifani) e la mancanza di un’identità evidente. Certo che, in questa situazione, è più facile che Di Pietro scelga la strada della guerra personale, sganciandosi del tutto dal PD, piuttosto che quella dell’ipotesi preelettorale di scioglimento del suo partito in quello di Veltroni. E comunque almeno fino alle europee dell’anno prossimo gli converrà sicuramente cercare di pesarsi da solo, per poi magari presentarsi da Veltroni con un margine di trattativa più a suo favore. Del resto, è vero che il supereroe al quale si potrebbe ispirare maggiormente Tonino è un tipo solitario, verace e alquanto aggressivo come l’incredibile Hulk. Ma è altrettanto vero che anche il mostro dalla pelle verde a tratti ha scelto la strada della battaglia insieme a supereroi più moderati e meno istintivi di lui. Si chiamavano i Vendicatori. E forse Tonino-Hulk aspetta che i Vendicatori del centrosinistra diano segno di avere deciso dove andare e come combattere gli avversari per scegliere (anche solo temporaneamente) di farlo insieme a loro. Nel mentre festeggia e approfitta giustamente del regalo che gli fanno le loro incertezze, i loro errori, le loro assenze e l’aggressività del supercattivo di sempre. I 40 milioni di euro dell’Italia dei Valori di MARCO DI SALVO I rimborsi elettorali all'Italia dei Valori sono al centro di un braccio di ferro politico-giudiziario la cui soluzione sembra ancora molto lontana. Il contenzioso, sollevato da tre ex parlamentari alleati ed amici di Antonio Di Pietro, e cioè Achille Occhetto, Elio Veltri e Giulietto Chiesa, è uno di quelli destinati a far rumore e con ogni probabilità a costringere il Parlamento a rivedere le norme. L'Italia dei Valori dal '96 ha percepito quasi 40 milioni di euro (di questi 18.427.608 sono relativi alle ultime Politiche), una cifra di tutto riguardo finita sul conto non del partito ma di una associazione, creata da Di Pietro, che si compone di tre soci: oltre all'ex piemme, la moglie Susanna Mazzoleni e la tesoriera, il deputato dell'Idv Silvana Mura. L'Associazione, alla quale non risultano altri soci oltre ai tre, fu fondata il 26 novembre del 2000 presso un notaio di Roma. Giuridicamente si tratta di un’associazione non riconosciuta, senza fini di lucro, che per statuto, fra l'altro, "intende contribuire a contrastare abusi e ogni tipo di reato contro la pubblica amministrazione". Per farvi parte ci vuole un atto notarile e l'accettazione del presidente, Di Pietro. Accanto all'Associazione c'è il partito: stesso nome, Italia dei Valori, stesso presidente, Antonio Di Pietro, stesso tesoriere, Silvana Mura. Al partito, diversamente dalla Fondazione, possono iscriversi tutti, anche se soltanto come "aderente". Ma, e qui sta il nocciolo delle contestazioni, ad ottenere i milionari contributi elettorali non è il partito, bensì l'Associazione. Come? Quando ci sono le elezioni il simbolo al ministero dell'Interno non viene depositato dal partito, bensì da quest'ultima. E così, Di Pietro, Mazzo- leni e Mura possono disporre di ingenti somme, tante e tali da stupire il presidente delegato del tribunale di Milano, Giuseppe Tarantola, che in una ordinanza del 22 ottobre dello scorso anno, Antonio Di Pietro bocciando la richiesta di Occhetto, Chiesa e Veltri, di "nominare un liquidatore dell'associazione non riconosciuta 'Italia dei Valori' per sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci", giudicava comunque i fatti denunciati dai tre "gravi" ed aggiungeva: "Formalmente giustificati - i fatti contestati dai tre, ndr - da uno statuto (quello dell'associazione Idv, ndr) che consente al fondatore, tra l'altro, di approvare i rendiconti preventivi e consuntivi per milioni di euro". Qualche mese fa i tre, Occhetto, Chiesa e Veltri, sono tornati all'attacco ed hanno ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti della Camera dei deputati per oltre un milione e seicentomila euro, pari ad alcuni ratei dell'ultimo finanziamento ottenuto dall'Idv per le elezioni politiche europee. Montecitorio, infatti, secondo Occhetto, Chiesa e Veltri, attraverso l’ufficio di presidenza "ha pagato i rimborsi sulla base del mero dato formale della presentazione delle liste, e quindi senza alcuna verifica sulla esistenza delle condizioni di legittimazione in chi percepisce i rimborsi, conferma che sussistono precisi doveri di azione per gli organi politici di controllo, a fronte della oggettiva gravità della situazione in atti, poiché infatti “l’esame su questi comportamenti spettano al giudice del contenzioso e alle autorità di controllo sui partiti politici; le iniziative spettano ai soci, ai finanziatori e al pm, chiamato a vigilare sul rispetto della legge, specie nei confronti di gruppi che hanno ottenuto la fiducia dei cittadini”. Ma Montecitorio resiste e con l'Avvocatura dello Stato, chiamata in difesa dall'ex presidente Fausto Bertinotti, si oppone al decreto ingiuntivo. Se ne parlerà in tribunale a Roma il 18 luglio. 3 19 Luglio 2008 L’asservimento economico e politico sembra non avere mai fine Nord Italia contro Sicilia: la “logica” dei poteri forti di GIUSEPPE FIRRINCIELI Diritti pochi, doveri tutti e di più: la popolazione dell’Isola continua a pagare tasse, tributi e balzelli per servizi pubblici di cui nessuno può usufruire C ome era immaginabile non è che le cose vadano per il verso giusto con l’avvento del nuovo Governo Berlusconi, almeno per la nostra Isola. Non vorremmo affatto fare dietrologia, purtroppo non ne possiamo farne a meno perché i paragoni vengono da soli in mente e quando qualcuno, anzi - dobbiamo dire – molti pensano che siamo tornati mezzo secolo indietro risulta purtroppo vero; e proprio noi siciliani un po’ più maturi ricordiamo perfettamente quando i meno abbienti venivano iscritti nell’elenco dei poveri e godevano della famosa tessera della povertà. Sì che risulta un provvedimento nazionale, ma oggi i poveri in Sicilia aumentano di giorno in giorno e gli anziani che fino a qualche anno addietro con le loro pensioni contribuivano a mantenere i nipoti perché privi di lavoro o mal pagati in nero con nuclei familiari a carico, adesso non lo possono fare più e Tremonti ha pensato di rimettere in circolo la tessera di povertà, che oggi in maniera moderna viene definita la Card per gli sconti agli anziani, per comprare il pane e pagare le bollette. Peggio di così non poteva finire, e addirittura con il pensiero ritorniamo ancora indietro negli anni Cinquanta, quando i ragazzini delle scuole elementari, iscritti nel famoso elenco dei poveri, avevano la possibilità di usufruire del refettorio e chi non se lo ricorda quel formaggio giallo come la colla che veniva estrapolato dai mega barattoli di latta, per non parlare della pasta e fagioli, questi, stagionati da lunghi anni che per renderli commestibili avevano la necessità di essere cotti con l’aggiunta di chili di bicarbonato? Beh! A quanto pare il quadro si rifà presente, il Governo Berlusconi, per dare una mano di aiuto ai pensionati ha introdotto questa card per gli sconti ma in Sicilia vi sarà bisogno, in tempi brevissimi, anche di restaurare nuovamente il famoso ECA, ovvero l’Ente comunale assistenza di una volta? Ma ancora noi siciliani dobbiamo sopportare tutto questo? Ancora i poteri forti del Nord Italia ci devono succhiare il sangue, spremendoci in una maniera così violenta? Ancora dobbiamo sopportare che in Sicilia non siamo più sicuri di essere proprietari perché bastano tre contravvenzioni non pagate perchè la Serit, ovvero una banca dei poteri forti del Nord, ti metta in vendita la casa? E quando ai siciliani, lo Stato italiano impone illegalmente questo genere di sevizie, significa colpire i sacrifici di tanti onesti lavoratori che si rompono la schiena, per una vita intera, per farsi una casa. Ma ancora dobbiamo sopportare che noi siciliani paghiamo tasse, tributi e balzelli per servizi pubblici di cui non ne usufruiamo per nulla? Ma ancora dobbiamo acconsentire a pagare l’accise dei carburanti prodotti nell’Isola con il favore di ammorbarci con tutti gli inquinamenti atmosferici e con la distruzione di siti (una volta invidiabili) resi malsani senza pensare minimamente a ripulire il tutto dalle scorie prodotte? Ma risulta a verità che la Regione Siciliana, prima dell’avvento della presidenza Lombardo, abbia stipulato una convenzione con il “San Raffaele” di Milano per riconvertire un presidio ospedaliero a Cefalù, mandando a casa tutto il personale medi- Il premier Silvio Berlusconi co e paramedico siciliano per dare spazio lavorativo a quelli del Nord? Ancora un altro scandalo, Tremonti per abolire l’ICI ha bisogno dei soldi destinati alle infrastrutture provinciali siciliane. E, guarda caso, di mezzo c’è questa benedetta (?) Sicilia! Ahimè i soldi destinati alle strutture del Nord non si toccano e come si danno da fare i Leghisti a difendere tutti il proprio territorio! Meno male che Raffaele lombardo, presidente della Regione Siciliana, di continuo, compie missioni a Roma per farsi garantire che i soldi per la sua terra torneranno ad essere riassegnati, almeno nel 2009. Ma quando tempo dovrà ancora passare affinché le promesse diventino fatti? No! Non può essere che non dobbiamo parlare, a questo punto, del passato. Negli anni Settanta, si verificò in Sicilia una sorta di ribellione politico–culturale perché l’Italia, in quel periodo aveva dimenticato i diritti della Regione Siciliana e così se oggi c’è Lombardo che con il suo movimento autonomistico cerca di difendere quest’Isola, allora si venne a definire il movimento del Fronte Nazionale Siciliano e Natale Turco, illustre indipendentista e storico siciliano, scrisse un libretto piuttosto significativo e votato alla difesa di una terra martoriata e sfruttata dai poteri forti del Nord. Quel libretto dal titolo “Cosa vogliono i siciliani” fa una mini cronaca storica e nella parte seconda tratta un argomento, oggi attualissimo, e cioè l’asservimento economico e politico: Ma la nostra economia riflette dal 1860 la disperata condizione di servitù politica dell’Isola, così che, pur possedendo i requisiti necessari a un suo decollo autonomo, presenta invece tutti i connotati tradizionali di un’economia coloniale, subalterna e integrativa, posta cioè completamente al servizio delle esigenze economiche e rapinatrici dello Stato colonizzatore. E per averne la dimostrazione basta riflettere sui dati ufficiali fornitici dal Bollettino del Banco di Sicilia sulla congiuntura economica siciliana per il 1978”. Badiamo bene! Sono trascorsi trentanni e il problema è sempre uguale. Non è minimamente cambiato nulla, anzi la situazione è peggiorata di parecchio e al danno aggiungiamo anche la beffa e cioè che il Banco di Sicilia è scomparso se inteso come banca ufficiale della Regione Siciliana. Ma continuiamo a leggere quella paginetta che risulta molto interessante: “ Punto 1, secondo le stime ENEL, per il 1978 la Sicilia ha prodotto 14 miliardi circa di Kwh di energia elettrica; dei quali soltanto circa 11 miliardi sono stati consumati nell’Isola, mentre tutto il resto è stato «trasferito» in Italia. Di questi 11 miliardi però, il 40 % è stato consumato dai siciliani per illuminazione pubblica, consumi domestici, commercio e pubblica amministrazione, agricoltura e trasporti, ma il restante 60% è stato «trasferito» anch’esso a quelle industrie italiane di Stato, chimiche ed estrattive, che operano impunemente tra Priolo e Gela. Così che mentre i siciliani pagano per i 4 miliardi e mezzo di Kwh consumati, vengono derubati letteralmente dei restanti 9 miliardi e mezzo di Kwh di energia, tutta prodotta nelle loro centrali. La perdita secca per la nostra economia, al prezzo netto attuale per L/Kwh, è di 350 miliardi di lire annui!”. Una breve considerazione da riferire alle raffinerie di Gela; nel territorio della provincia di Catania, ai confini con quella iblea, negli anni sessanta l’ANIC di Gela realizza un invaso costruendo una diga per raccogliere le acque del fiume Dirillo per poter utilizzare risorse idriche per il sistema di raffreddamento delle proprie centrali trasformifere chimiche, mentre gli abitanti di Gela Raffaele Lombardo, presidente della Regione Siciliana possono godere di acqua marina resa potabile, tramite dissalatori. Immaginiamo se un fatto del genere l’avessero potuto tranquillamente realizzare in una area del Nord Italia. Ma la cosa che incuriosisce ancor di più è la parte del libretto che tratta le entrate tributarie. Natale Turco scriveva: “Secondo i dati dell’UPI, dell’ANIC e della Montedison, il petrolio greggio importato e lavorato in Sicilia nel 1978 dalle varie raffinerie italiane è stato di oltre 31 milioni di tonnellate, segnando così un ulteriore incremento produttivo dell’ordine di 4 milioni di tonnellate rispetto all’anno precedente. E mentre quelle raffinerie italiane continuano ad aumentare il danno al patrimonio ecologico e alla salute stessa dei siciliani, questi, di contro non percepiscono che una misera parte delle entrate tributarie devolute allo Stato italiano, il quale così oltre a sottrarre ogni anno alla nostra economia una parte del gettito derivante da quei redditi soggetti a ricchezza mobile, in base a quelle attività industriali «siciliane» ci ruba ancora quanto segue e cioè l’intero ammontare del gettito di quelle «nuove entrate tributarie»…”. Ci fermiamo qui e facciamo ancora un ulteriore commento; in 60 anni di storia italiana repubblicana – vogliamo essere buoni a non parlare di 150 di annessione all’Italia – quanti miliardi di euro lo Stato italiano ha sottratto all’economia isolana? Siamo sicuri che il presidente Lombardo tutto questo lo sappia? Chiaramente non conosciamo a fondo i suoi veri progetti d’intervento! Però è anche vero che l’intera classe politica isolana, a prescindere dai colori di appartenenza, non ha attenzionato nel modo giusto questo conflitto sociale e, quanto meno dovrebbe fare scudo su una legittima difesa di questa Terra, se vogliamo dare inizio ad una nuova primavera siciliana, tanto agognata. Giornale Siciliano di politica, cultura, informazione, economia, turismo, spettacolo Iscritto al n° 15/2006 dell’apposito Registro presso il Tribunale di Catania Registro ROC n. 16473 Editore Mare Nostrum Edizioni Srl Direttore responsabile Salvatore Barbagallo Condirettore Marco Di Salvo Redazione Catania - Via Distefano n° 25 Tel/fax 095 533835 E-mail: [email protected] [email protected] Fotocomposizione e Stampa Litocon Srl - Z.I. Catania Tel. 095 291862 Per la pubblicità: Tel/fax 095 533835 E-mail: [email protected] [email protected] Anno III, nº 12 / 13 Luglio/Agosto 2008 Gli articoli rispecchiano l’esclusivo pensiero dei loro autori POLITICA LA VOCE DELL’ISOLA 5 19 Luglio 2008 I programmi immediati del neopresidente Giuseppe Castiglione Marcia in più per il rilancio alla Provincia di Catania di VINCENZO POMA P arlando e scrivendo di Giuseppe Castiglione, nuovo presidente della Provincia regionale di Catania, non è possibile non sottolineare l’importanza che riveste per l’europarlamentare e, dal 28 giugno scorso, capo dell’Amministrazione provinciale, la sua famiglia. A cominciare dalla moglie, la signora Lucia, e dai figli Andrea, Carlo e Paolo, che alla cerimonia di insediamento sedevano negli scranni più alti dell’aula consiliare di Palazzo Minoriti, per sottolineare chi fosse veramente importante quel giorno. Ed è a loro che il neo-presidente si è rivolto nel discorso di ringraziamento, oltre naturalmente agli elettori (tantissimi, con quei 411.459 voti ottenuti, registrando il 77,62% dei consensi). E anche chiacchierando con lui, ci si accorge della sua formazione, di uomo e di politico, dove la cultura cattolica la fa da padrona. “Non ho mai nascosto la mia fede profusa nel mondo politico, a favore dei più deboli, del dialogo e della collaborazione – ci dice il presidente Castiglione – e sono convinto che proprio dalla Provincia di Catania devono e possono ripartire progetti di grande solidarietà”. Presidente Castiglione, oltre che alla sua famiglia, un ringraziamento nel suo discorso di insediamento lo ha voluto rivolgere ai suoi predecessori, Musumeci e Lombardo, e agli avversari politici che hanno condotto la battaglia elettorale per le provinciali. “Certo, e ribadisco quanto detto. Musumeci e Lombardo hanno il merito di avermi consegnato, con le loro gestioni, un’Amministrazione che non ha debiti fuori bilancio, tra le pochissime con i conti in attivo in tutto il Meridione e con una vivacità culturale, sociale ed economica non indifferente. Ai miei avversari politici attribuisco, invece, il merito di avere condotto una campagna elettorale quasi in stile inglese, senza colpi bassi, puntando sui problemi reali di questo territorio e sulle possibili soluzioni per risolverli. Mi auguro che adesso ci possa essere una opposizione costruttiva, che contribuisca alla crescita e alle scelte importanti per la nostra terra”. Numerose le autorità civili, militari e religiose intervenute alla cerimo- Il presidente della Provincia di Catania, Giuseppe Castiglione appena insediatosi. Sotto: Castiglione con il rettore dell’Università prof. Recca e il senatore Sudano nia di insediamento a Palazzo Minoriti, mentre l’onorevole Castiglione riceveva la fascia azzurra di presidente della Provincia dal commissario straordinario dell’Ente, Rodolfo Casarubea, assistito dal segretario generale, commendator Luigi Albino Lucifora. “Ho detto con viva emozione – media e società di ricerca non sempre teneri con gli Enti siciliani e per questo ancora più credibili”. Presenti alla cerimonia, oltre al presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, anche il sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli, i sindaci dei Comuni, la deputazione catanese, i comandanti delle Forze parta per affrontare temi delicati come la solidarietà, il sostentamento alle fasce più deboli della cittadinanza, ai senza fissa dimora e in tal senso ho ribadito l’importanza di collaborare attivamente con il mondo del volontariato, a cominciare dalla Caritas. Per fare ciò, vareremo al più presto la nuova Giunta pro- La sua esperienza al Parlamento europeo costituirà un ulteriore tassello per questa Amministrazione? “Certamente. Metterò la mia esperienza al servizio della Provincia, perché Catania possa diventare il vero centro del Mediterraneo e dell’Europa. Anche nell’utilizzo delle risorse pubbliche, credo sia importante puntare su tutti i finanziamenti accessibili. In tal senso, la spesa pubblica dovrà continuare ad essere rigorosamente oculata, senza sprechi, e impegnerò me stesso e l’intera Giunta a una maggiore presenza sul territorio per cogliere le esigenze primarie della comunità. Proporrò ai miei assessori la programmazione di un lavoro sinergico, collegiale, continuo sui temi del nostro programma che ha ottenuto l’ampio consenso dei cittadini. Voglio assicurare inoltre un pieno e proficuo rapporto con tutto il Consiglio provinciale”. I protagonisti della vita provinciale etnea saranno anche i sindaci... “Certamente. I primi cittadini saranno le prime figure che dialogheranno con il sottoscritto e con i quali cercherà di lanciare la stagione della strategia, perché quella programmazione di cui sopra possa avere un senso concreto nelle esigenze reali dei singoli Comuni. Mi conforta il fatto di essere circondato da una “Affrontare subito problematiche come l'occupazione, la formazione dei giovani, la ricerca scientifica, lo sviluppo economico ma anche culturale e sociale del territorio e per utilizzare al meglio i fondi comunitari” prosegue il presidente Giuseppe Castiglione – di essere onorato di indossare quella fascia e di avere ricevuto un così alto consenso dai cittadini. Con la cerimonia ufficiale ho voluto riaprire un dialogo con i sindaci e con tutte le forze sociali ed economiche del territorio, per costruire un Ente ancora più forte e rappresentativo e già economicamente sano, prestigioso, efficiente e apprezzato in ambito nazionale, come confermano i sondaggi di mass Armate e di Polizia del territorio, i vertici degli Uffici giudiziari, l’arcivescovo metropolita di Catania, mons. Salvatore Gristina, i rappresentanti delle parti sociali e produttive. Presenti anche i dirigenti della Provincia, il presidente del Consiglio provinciale uscente Pippo Pagano e numerosi consiglieri eletti. “Ho voluto rivolgere un appello a tutti i siciliani onesti – aggiunge Giuseppe Castiglione - perché proprio dalla Provincia di Catania si ri- vinciale, per metterci subito al lavoro, in sinergia con il Consiglio provinciale, per affrontare problematiche come l’occupazione, la formazione dei giovani, la ricerca scientifica, lo sviluppo economico ma anche culturale e sociale del territorio e per utilizzare al meglio i fondi comunitari previsti dal Por 2007-2013, che saranno finalizzati secondo una programmazione e una progettualità ben precise, in modo da rispondere a specifiche esigenze del territorio”. squadra di dirigenti e di professionisti che in Provincia hanno dato prova di essere all’altezza dei loro compiti e che, anzi, spesso sono stati chiamati a risollevare le sorti di altri Enti in grave crisi. Un problema su tutti che dovremo affrontare sarà sicuramente quello dell’occupazione, che rappresenta uno dei temi più delicati del territorio. Per fare ciò, ma anche tanto altro, ci sarà soprattutto bisogno di una parola d’ordine: dialogo”. Note di vita G iuseppe Castiglione è nato a Bronte (Catania) il 5 ottobre 1963. Laureato in Giurisprudenza nell'Ateneo catanese, Parlamentare europeo nel Partito popolare europeo, eletto nel 2004. Membro della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni e della Delegazione per le relazioni con i paesi del Maghreb e l'Unione del Maghreb arabo (compresa la Libia), è anche membro sostituto della Sottocommissione per i diritti dell'uomo e della Delegazione per le relazioni con la Repubblica popolare cinese. Portavoce di Forza Italia al Parlamento europeo e vicecoordinatore regionale di Forza Italia in Sicilia, è dirigente di azienda e giornalista pubblicista. Membro del Co- mitato di gestione dell'USL 39 – Bronte (1984-1989); Presidente del Comitato dei Garanti dell'USL 39. Consigliere comunale di Bronte dal 1989 al 1992, nel 1996 è stato eletto all'Assemblea regionale siciliana, con la lista del Cdu, nel Collegio di Catania, con 8.487 voti di preferenza. Il 24 giugno 2001 è stato rieletto nella lista di Forza Italia con 18.087 voti, il più votato in Sicilia. Assessore regionale all'Industria nel 50°, 51° e 52° Governo della Regione Siciliana (1996-1999); Assessore regionale all'Agricoltura e vicepresidente della Regione (2001-2004). Vicepresidente nazionale dell'AICCRE (Associazione italiana Comuni e Regioni d'Europa); membro del Consiglio mondiale della CGLU (Città e governi locali uniti). POLITICA LA VOCE DELL’ISOLA POLITICA LA VOCE DELL’ISOLA 6 19 Luglio 2008 Al Teatro greco di Siracusa un pluri-presidente, pluridecorato e molto applaudito Al plenipotenziario Lo Bello assegnato il “Premio Vittorini” di GIANNI TOMASELLI I l Teatro greco di Siracusa apre gli arcaici cancelli alla consolidata rassegna internazionale dedicata al Premio Vittorini, giunto alla tredicesima edizione. Sotto l’egida organizzativa della Provincia regionale di Siracusa e il patrocinio dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, la conduzione della rassegna è stata ancora una volta affidata al celebre presentatore Fabrizio Frizzi. Tra un riconoscimento letterario e l’altro, si sono intercalati alcuni momenti musicali che hanno potuto riconfermare la immortale vena artistica di Ornella Vanoni e quella grintosa ma ammaliante di Luca Carboni. Tra i premi speciali assegnati durante la serata, quello a Nino Buttitta (per la carriera) e a Vittorio Sgarbi (per la cultura). E fin qua, tutto rientra nella logica dei valori artistici riconosciuti ad altrettanto personaggi di acclarata fama. Ma quello che non mi ritorna è il riconoscimento a Ivanhoe Lo Bello, “Premio speciale per l’impegno civile”. Se parlassimo del personaggio romanzesco di Walter Scott impegnato a proteggere il trono di Re Artù, Ivanhoe Lancillotto potrebbe avere i meriti ricevuti nella cavea del Teatro greco di Siracusa. Ma parliamo di un altro Ivanhoe, quello che di “tavole rotonde” se ne intende e che per regista non ha J. Stuart Blackton (come nel primo caso) ma un certo Luca Cordero di Montezemolo e... qui mi fermo! Ma perché questa mia avversità ad un premio attribuito? Perché etimologicamente, “premio” vuol dire attribuire ad personam un alto consenso a personaggi che si sono distinti per il proprio contributo in un campo specifico, vuoi della sfera civile che professionale. E allora mi chiedo: Ivan Lo Bello, che film ha fatto? È incontrovertibile il fatto che alla spalle abbia una lunga carriera professionale, iniziando da avvocato e proseguendo con incarichi su incarichi attribuiti sicuramente per meriti. Ma per non ripercorrere la sua lunga e articolata carriera manageriale, mi soffermo sugli ultimi anni, nel corso dei quali ha toccato posizioni di apice, occupando le poltrone che in Sicilia contano, e come! Ebbene, allo stato attuale l’avvocato Lo Bello ricopre la carica di presidente della Camera di Commercio di Siracusa, di preminente posizione nel Banco di Sicilia, di presidente di Confindustria Sicilia. E per quello che c’è da dire, basta così. Da presidente della Camera di Commercio di Siracusa, desidereremmo conoscere quali azioni abbia portato avanti per salvaguardare, Ivan Lo Bello riceve il “Premio Vittorini” dalle mani di un suo grande estimatore, l’editore Mario Ciancio Sanfilippo La Sicilia ha bisogno, per non perdere definitivamente il treno delle opportunità, di Uomini capaci di saper prendere decisioni e responsabilità e, soprattutto, capaci di saper trasformare la burocrazia in azioni concrete ed immediate prima, la classe del terziario che rappresenta, oltre a quella espressa dell’agricoltura e dell’artigianato, e quelle intraprese per il comparto produttivo della provincia siracusana, che direttamente gli compete istituzionalmente. L’articolo 25 dello Statuto della Camera di Commercio recita che il presidente è titolare della funzione inerente la tenuta dei rapporti con istituzioni pubbliche, associazioni e con gli organismi per il supporto e la promozione degli interessi generali delle imprese. Ma a quel che risulta negli ultimi anni, non si segnala concretamente nessun supporto e promozione a favore degli interessi generali delle imprese. Anzi, qualcuno, che per ovvi motivi lasciamo nell’anonimato, ha prodotto una serie di interventi preliminari con la Camera di Commercio di Galati (Romania) per avviare seri e duraturi rapporti d’interscambio commerciali nei vari settori. Diciamo che il protocollo d’intesa era già stato approntato dalla parte romena e tradotto in due lingue. Ancora oggi, manca la firma del presidente (o la volontà di portare avanti l’iniziativa). L’Ente camerale aretuseo, ad oggi viene identificato dalla classe produttiva solo come sportello per il rilascio di certificati camerali, dove viene pagata la tassa d’iscrizione annuale per tutte le categorie produttive del terziario e dell’agricoltura, per visure sui protesti, e chi più ne ha ne metta, ma solo a riguardo di competenze burocratiche e amministrative. E per lo sviluppo e gli indirizzi nei confronti delle aziende produttive, chi ci pensa? Nel suo importante ruolo di presidente questi interrogativi dovrebbe porseli e riflettere. E se, nella funzione di presidente del Banco di Sicilia, volesse dare ai Siciliani l’opportunità di avvalersi di nuovi sbocchi per l’accesso al credito, supportato da valida e innegabile documentazione di credibilità progettuale (come accade al nord d’Italia), ma senza cercare in cambio fideiussioni o beni immobili 10 volte superiori al credito richiesto? E se nel suo ruolo di presidente della Confindustria Sicilia promuovesse con forza e vigore tutte quelle iniziative per fare uscire dal letargo le realtà produttive isolane e metterle a confronto e in listino in quei mercati nazionali ed esteri che magari sconoscono l’alta valenza produttiva e qualitativa delle aziende siciliane? Personalmente ritengo che fino ad ora ben poco di concreto sia stato realizzato a favore della dinamica di sviluppo del commercio, dell’industria, dell’agricoltura e dell’artigianato siciliani. Illustre multi-presidente, il suo molto appariscente dinamismo è da tanti apprezzato a livello regionale e nazionale, ma pochi sono, ad oggi, gli effetti concreti che tutti i siciliani attendono da tempo: Lei potrebbe fare tanto perché Le è riconosciuta capacità e competenza nei ruoli che ricopre e per la validità dei punti personali di riferimento di cui dispone: Lei, insomma, potrebbe essere in grado di portare l’economia regionale siciliana agli stessi livelli del distretto del nord est d’Italia. In Sicilia non mancano le imprese, le intelligenze, le persone intraprendenti che vogliono fare del proprio talento imprenditoriale una risorsa da mettere a disposizione della filiera produttiva isolana. In Sicilia non mancano i luoghi deputati dove far sorgere nuove opportunità imprenditoriali, non mancano le materie prime e quelle succedanee. In Sicilia si vanta mano d’opera e prodotti di prima qualità che ci invidiano in tutto il mondo. La Sicilia ha bisogno, per non perdere definitivamente il treno delle opportunità, di Uomini capaci di saper prendere decisioni e responsabilità e, soprattutto, capaci di saper trasformare la burocrazia in azioni concrete ed immediate. Tutti coloro, presidenti o vice, funzionari o dirigenti che, dall’alto delle stanze dei bottoni, sapranno prendersi carico dei problemi dei siciliani e che daranno utili indirizzi per una nuova ripresa economica, ebbene, costoro avranno pieno diritto di essere inseriti nel carnet del prossimo “Premio Vittorini” tra i premi speciali per giusto merito e con l’approvazione della collettività. Eh sì, perché fare il proprio dovere oggi equivale a fare “cose speciali”... 7 19 Luglio 2008 Come si sta perdendo una grande risorsa dell’economia territoriale ragusana L’oro verde: splendore e declino della serricoltura siciliana di ERNESTO GIRLANDO L ungo la fascia costiera ragusana gli anni Cinquanta volgevano alla fine. Erano stati anni caratterizzati da grandi trasformazioni agrarie. I grossi proprietari avevano perso le battaglie con i braccianti e i mezzadri. Le lotte per l’imponibile di manodopera, guidate da un giovane dirigente comunista, Giacomo Cagnes, avevano indebolito la grande proprietà. L’ obbligo dell’iscrizione dei contadini negli elenchi anagrafici dei braccianti aveva consentito di neutralizzare d’ufficio le resistenze dei proprietari a ingaggiarli legalmente e aveva dato un colpo al mercato nero del lavoro. Il miglioramento generale delle condizioni di civiltà delle cittadine iblee e la massiccia emigrazione, che in quegli anni era cominciata e ancor più crescerà negli anni a venire, avevano allentato i legami di classe dei braccianti che si erano orientati verso altre attività e avevano avviato trasformazioni nei poderi da poco acquistati in seguito alla polverizzazione della grande proprietà. I braccianti e moltissimi mezzadri si erano trasformati in coltivatori diretti e in figure miste. L’emigrazione contadina ed operaia forniva nuovo flusso di denaro estero alle famiglie rimaste in loco agevolando le trasformazioni agrarie. La topografia sociale si modifica notevolmente. Interessi di tipo individualistico e speculativo si affermano nella psiche collettiva. I vecchi ideali contadini resistono per inerzia, ma sono in crisi profonda nelle nuove generazioni. Gli ideali di massa, che ora la gente vagheggia, sono più veri, più disincantati. In questo contesto di radicale trasformazione della società iblea, alcuni uomini, tra cui i vittoriesi Pietro Gentile, Giovanni Di Stefano, i fratelli Bennice, iniziano a sperimentare una nuova tecnica colturale: la coltivazione in serra. L’innovazione consiste nel produrre ortaggi in anticipo rispetto ai tempi naturali di maturazione utilizzando perfino superfici normalmente non adatte a quel genere di coltura. Una vera e propria rivoluzione è alle porte. Pochi anni dopo – era il 1965 – gli ettari di terra coperti dalle serre saranno circa 1000. Una nuova realtà economica, sociale, financo politica era nata e cominciava a prosperare. Essa si innestava sui caratteri originali del territorio in cui si era incardinata la storia dell’agricoltura iblea, quella della Contea degli Henriquez-Cabrera, quella che lungo l’età moderna, dalla fine del XV secolo agli inizi del XIX, era stata sperimentata, con la diffusione dell’enfiteusi, di forme precoci di frazionamento terriero e di uso intensivo dei suoli. La nuova realtà, adesso, obbligava Nelle foto: serre del Ragusano a riflettere. Il dibattito politico, molto acceso in quegli anni, si incentrava sulla valutazione della validità della nuova esperienza e sulle conseguenze che essa avrebbe avuto sul futuro assetto territoriale, economico e sociale della valle dell’Ippari. Già nel 1965 gli addetti al settore della serricoltura, come manodopera diretta, si valutavano intorno alle 6000 unità: una media di 6 lavoratori per ogni ettaro di terreno trasformato. Gli addetti alla commercializzazione, manipolazione e lavorazione Considerato il prezzo medio di vendita realizzato in quell’anno – 200 lire al chilogrammo al netto dei costi della commercializzazione – il ricavo lordo realizzato assommava a 1.600.000 lire, che moltiplicato per i mille ettari dava un risultato sbalorditivo: 16 miliardi di lire, con un utile netto che si aggirava sui dieci miliardi di lire complessivo e di 1.660.000 per addetto. È il resoconto di un solo anno di attività, il 1965. Da allora, di annata in annata agraria, sarà un crescendo irresistibile. ni della provincia iblea. Dalla fascia costiera ragusana la nuova esperienza si propagherà a macchia d’olio. Oggi la fascia trasformata occupa gran parte della costa meridionale dell’Isola. Da Pachino alle provincie di Caltanissetta e Agrigento, arrivando a toccare Marsala e le zone limitrofe. Migliaia di microimprese, estese su immense superfici, costituiranno la forza di un sistema che pur con qualche scossone congiunturale e qualche ombra navigherà nell’oro La grande distribuzione ha avuto gioco facile nell’imporre il ribasso continuo del prezzo dei prodotti per la mancata concentrazione dell’offerta, affossando gli stessi produttori dei prodotti erano stimati intorno alle 2500 unità. Il costo di impianto delle serre ammontava a 600 lire al metro quadro, con un investimento complessivo, per la realizzazione delle strutture serricole, che si aggirava sui 6 miliardi di lire. Erano numeri eccezionali per quei tempi, ed eccezionale era il volume degli utili che producevano quegli investimenti. La coltura più diffusa in assoluto era il pomodoro. Su 1000 metri quadri di terra era possibile coltivare 4000 piantine con una resa di 2 chilogrammi a piantina ottenendo 80 quintali di pomodoro. Dopo qualche anno appena, nel 1970, la superficie coltivata a serra era già raddoppiata. Una miriade di piccole imprese, prevalentemente a conduzione familiare, sorgeva. Attorno ad esse vari comparti indotti, dagli imballaggi alla produzione della plastica per le serre, dai trasporti alle strutture per il condizionamento e la commercializzazione dei prodotti, nascevano. Insieme diventavano il motore di un’economia che prosperava, creava sviluppo e occupazione, fermava i fenomeni migratori. E forniva un modello che presto varcherà i confi- per parecchi anni. Ma paradossalmente la forza di quel sistema, la polverizzazione della proprietà e la microimpresa, col passar degli anni diventerà la sua debolezza. Il mondo cambia, la grande distribuzione avanza, le strutture della commercializzazione mutano. Nuovi fenomeni incombono all’alba degli anni Duemila. E, mentre il Mondo nella sua grande complessità andava avanti, le micro-serre gestite in modo spaventosamente arcaico, i nuovi intrecci di aspetti imprenditoriali, gestionali, finanziari ed economici, minavano al- la radice un settore che certamente tanto ancora avrebbe da dare. Poche le realtà moderne che in serre tecnologicamente avanzate riescono a tirar fuori il meglio della produzione in termini di quantità e qualità. Poche realtà che forse poche vogliono rimanere, memori di un’incapacità atavica di queste aree di collaborare e interagire per un obiettivo comune. Così la grande distribuzione ha gioco facile nell’imporre il ribasso continuo del prezzo dei prodotti per la mancata concentrazione dell’offerta, affossando i produttori. Nel frattempo i costi di produzione salgono: il costo del seme, il costo delle piantine, del gasolio, di tutti i prodotti necessari alla produzione di un prodotto di qualità. I trasporti, le cassette e tutto ciò che serve a presentare sul mercato un prodotto di qualità. Costi che incidono notevolmente sulle difficoltà di commercializzazione dei prodotti e hanno l’effetto di allontanare la domanda, che si sposta verso la Tunisia, l’Egitto dove trova un’offerta a prezzi sensibilmente più bassi. La crisi morde i portafogli di imprese incapaci di unirsi per fare fronte comune e i segnali della reazione alle difficoltà sono alquanto contraddittori, ma la tendenza prevalente è verso l’autosufficienza. Tante sono le imprese che non reggono più i costi di produzione, che arrivano perfino a riprodurre la piantina in proprio, rinunciando a comprare i semi: segnali allarmanti che dimostrano il collasso di aziende che non riescono più nemmeno a recuperare i costi di produzione, a fare utile. E, come se la crisi legata alla commercializzazione non bastasse, altri fenomeni si affacciano sui mercati della fascia trasformata. Conflitti tra commissionari e produttori, con i primi che svolgono abusivamente il doppio ruolo di intermediari e commercianti a danno dei secondi, fenomeni pericolosi di dumping, di contraffazione dei prodotti locali con produzioni similari provenienti da paesi esteri, infiltrazione della criminalità organizzata, crolli atipici dei prezzi alla produzione conseguenza di frodi commerciali, hanno ulteriormente messo in ginocchio quel reticolo di piccole aziende che hanno dato per anni lavoro, lustro e denaro e adesso si ritrovano indebitate, con gli ufficiali giudiziari alle porte e a rischio di chiusura. Se fino a quindici anni fa il rapporto di distribuzione del reddito prodotto all’interno delle filiere agricole era di un terzo per i produttori, un terzo per i trasformatori e un terzo per i commercianti, ora il rapporto è stravolto: due terzi vanno alla filiera commerciale e uno è distribuito tra produttori e trasformatori. Il controllo sul mercato dei grandi marchi commerciali, di chi detiene il potere della commercializzazione, fa sì che il Sud e la Sicilia in particolare si stiano trasformando in grandi piattaforme commerciali in cui importare materie prime prodotte con lo sfruttamento in altri paesi su cui apporre il marchio del “made in Italy”. La morte delle nostre aziende, se si mantiene questo quadro complessivo, sarà inevitabile. L’idea che qualche intervento finanziario possa arrecare soluzione è banale e in sé improduttiva, finché la politica regionale e quella nazionale continueranno a garantire gli interessi delle lobbies e della grandi concentrazioni a danno della nostra agricoltura e del cibo prodotto nelle nostre terre. POLITICA LA VOCE DELL’ISOLA 9 19 Luglio 2008 La “svolta”, improvvisa ma prevista, data dal commissario al Comune dopo mezzo secolo di cause e di paralisi Si avvia il “risanamento” del ve cchio quartiere di Catania ma San Berillo ora non cerchi … il pelo nell’uovo di FRANCO ALTAMORE Il capoluogo etneo vive una fase nuova di “rinnovamento” A Catania, dopo mezzo secolo di cause e di paralisi per le aree libere di corso Martiri della libertà, finalmente la mattina del 30 maggio 2008 a Palazzo degli Elefanti è stato firmato l’accordo fra il Comune, rappresentato dal commissario straordinario Vincenzo Emanuele e dal direttore dell’Urbanistica Matteo Zapparrata, e le società private Euro Costruzioni, Istica, Cecos e Risanamento San Berillo. Erano presenti il presidente della Regione Raffaele Lombardo, il prefetto Giovanni Finazzo, l’ex sindaco Umberto Scapagnini, l’ex vicesindaco Giuseppe Arena, l’ex assessore all’Urbanistica Enzo Oliva, il sindaco in pectore senatore Raffaele Stancanelli, il comandante della Guardia di finanza Agostino Serrafiore, l’avv. Silvestro Stazzone in rappresentanza della proprietà e l’avvocato Andrea Scuderi advisor della proprietà. Salve sorprese, nel nuovo Consiglio comunale l’accordo dovrebbe essere approvato entro il termine previsto del mese di novembre. Il presidente della Regione, prefigurando già la costruzione di grandi edifici, ha definito l’accordo “una grande opera”; riguardo alle prevedibili perplessità, ha aggiunto “guai a non guardarla con la gratitudine che merita anziché cercare il pelo nell’uovo che paralizza quanto di buono viene fatto”. A rendere ancora più gigantesca l’iniziativa edilizia sulle aree, contribuirà la realizzazione del nuovo palazzo della Questura su aree destinate a servizi pubblici e verde. Quello sottoscritto dal commissario straordinario, proprio alla vigilia dell’elezione del nuovo governo cittadino, non sarà sembrato un buon accordo nemmeno a Stancanelli, ma la sua presenza all’evento ha significato che egli, una volta eletto, sarebbe stato obbligato comunque a sostenerlo. Si tratta di una transazione di impostazione fondamentalmente privatistica, con la quale il Comune e le parti private intendono mettere fine ad un contrasto durato decenni, facendosi reciproche concessioni. Nel vincolarsi con le società private, il Comune non ha inserito l’accordo in un vero e proprio progetto urbanistico, facendo valere il suo primato; ha piuttosto dato l’impressione di mercanteggiare sulle aree, ponendosi coi privati in una condizione apparente di parità, su un terreno dove però questi ultimi sono notoriamente più forti. È scritto nell’accordo che esso sarebbe “un esempio di sana e stretta collaborazione tra il pubblico ed il privato che, utilizzando al meglio e in maniera innovativa le possibilità date dall’attuale legislazione porti a risultati efficienti ed in tempi rapidi (creando un precedente di riferimen- Una città di speculatori o di grande speculazione? dei poteri forti (sempre gli stessi) che dominano la città. Nessuno (nemmeno noi) ha osato dare responsabilità ai politici. Nessuno ha osato mettersi contro corrente per denunciare il sacco della città, sia perché tutti hanno bisogno di qualcosa, e c’è necessità di non inimicarsi nessuno, sia perché il cittadino (se pur lo volesse) non ha alcuna possibilità di reagire e mutare lo stato delle cose. Situazione avvilente, ma reale. Così è, se vi pare: il risanamento vale bene un lungo silenzio. di VITTORIO PADULA I to, per i suoi valori intrinsechi (sic) e per modalità tecnico-amministrative)”; in altre parole un accordo di tipo nuovo, sperimentato per la prima volta, spiegato con una circonlocuzione, che nella sostanza vuole far intendere che non è previsto da leggi e regolamenti. Dubitare che sia un atto legittimo non è cercare il pelo nell’uovo; la densità edificatoria prevista per i privati è di 5 metri cubi per metro quadro, ma - con evidente forzatura viene specificato che essa “va riferita l’intero comprensorio di completamento “rimangono inglobate come aree edificabili anche quelle di proprietà comunale risultanti dai sedimi il soggetto privato e servente quello pubblico: una effetto abnorme, che stentiamo a credere che possa essere consentito nell’epoca attuale. Rite- augurava più luce e più respiro, sarà oppressa da una intensa(e anacronistica) edificazione. Per dirla con lo sconsolato Tony Zermo de “La Sicilia” del 28 giugno, Catania, una volta “La Bella”, ora deturpata da tante sciatterie, rischia di diventare definitivamente “La Brutta”. A chi chiedere spiegazioni? Certamente non agli avvocati delle società private, che hanno prodotto un risultato strepitoso per i propri clienti. Ai responsabili del Comune, che credono di aver fatto una cosa nuova, Nell’accordo quadro sulle aree del corso Martiri della libertà manca la visione urbanistica e per i privati sono previsti vantaggi di dubbia legittimità; l’interesse delle società proprietarie risulta sovrapposto a quello della cittadinanza, ma il presidente della Regione, che ha patrocinato l’accordo, dice che non sono ammesse critiche alla superficie dell’intero Comprensorio e non alla superficie dello stesso al netto delle strade o degli spazi pubblici”, e per giustificare lo straripamento si afferma che gli elaborati planimetrici previsti dalle norme avrebbero carattere meramente indicativo, di talché nella superficie del- stradali”. Se abbiamo capito bene, ai signori delle società private per il calcolo delle cubature edificabili nei loro terreni verrebbe persino concesso di utilizzare anche le aree del Comune. Si verrebbe a creare in tal modo una servitù atipica, dove dominante è niamo anche di potere escludere che una simile enormità possa essere stata assentita dalla “Commissione dei Tre Saggi”, composta dal prof. Augusto Fantozzi, dal sen. Giovanni Pellegrino e dal prof. Nicolò Zanon. È facile prevedere che la zona, dalla cui sistemazione la cittadinanza si buona e giusta, non possiamo attenderci risposte miracolistiche. Non ci resta che rivolgerci a Colui al quale fu dedicato il quartiere, al primo vescovo di Catania, nominato direttamente dall’apostolo Pietro; San Berillo ci farà il miracolo, o anche di lui si dirà che cerca il pelo nell’uovo? giovani catanesi forse non sanno cosa era il quartiere del Vecchio S. Berillo; chi è meno giovane (quasi sicuramente) di quella zona conserva qualche pseudo ricordo “romantico” per via delle famigerate case chiuse situate in qualche strada che, oggi, non esiste più. Nel dimenticatoio, poi, si sono disperse in maniera definitiva le notizie (offerta da una stampa non sempre esemplare) sulle controversie tra l’amministrazione comunale e la società Isti-Berillo; la maggior parte dei cittadini, infine, non si è mai posta il problema di conoscere i “perché” ed i “per come” non siano state per decenni utilizzate quelle ampie aree, malamente recintate, che si inoltrano dalla piazza della Stazione centrale, costeggiando corso Martiri della libertà sino a raggiungere corso Sicilia. A malapena sui mass media locali i lettori hanno potuto seguire recentemente i funambolismi della Commissione urbanisticia comunale sulla questione del Piano regolatore, non potendo comprendere né pienamente, né superficialmente quali rilevanti interessi possono ruotare attorno alla definizione dell’importante strumento urbanistico. Certo, qualche tempo addietro, sulla stampa locale si è riscontrata una interessante campagna di sensibilizzazione “civile” in merito alla necessità di eliminare la piaga della prostituzione da certe vie del centro storico, guarda caso ricadenti in quel che era rimasto del vecchio quartiere di S. Berillo; non si è data molta rilevanza al risanamento delle tante viuzze di quella zona, lavori già completati con i fondi comunitari, tanto strombazzati dall’ex sindaco Umberto Scapagnini che li definiva grandi opere di risanamento urbano. Poca attenzione è stata data non solo a quei lavori, ma anche agli edifici (splendidi, una volta) di quelle viuzze, da decenni sprofondati nel degrado, nella quasi totalità abbandonati o occupati da extracomunitari, comunque già acquistati per pochi spiccioli. Ebbene, le viuzze sono state riportate a nuova vita, anche qualche piazza (per esempio, piazza Falcone) è stata completata (anche se con accorgimenti d’arredo discutibili), adesso si passerà a “risanare” le aree di corso Marti- ri della libertà, e sui criteri dell’imminente “risanamento” nessun dibattito si è avuto nella città, la collettività non ha avuto e non ha voce in capitolo. Nessuno (neppure noi) ha osato affermare che forse la città sta subendo una delle più grandi (dal dopo guerra) operazioni di speculazione, anche se è visibile nel Vecchio S. Berillo il proliferare delle gru, e notevole attività di cantiere. Nessuno (neppure noi) ha osato dire che le manovre speculative sono iniziate con gli acquisti di intere zone urbane. Nessuno ha osato pronunciare (neppure noi) il termine “speculazione” anche già avvenuta in riferimento a zone cittadine dove si prevede il cosiddetto sviluppo commerciale (vedi aree aeroportuali, portuali e quant’altro). Nessuno (nemmeno noi) ha osato parlare Il risanamento del quartiere del Vecchio S. Berillo ha già avuto inizio da tempo in sordina; oggi i segnali dell’attività di “ricostruzione” incominciano ad essere più visibili. Molti i cantieri già aperti per ristrutturare edifici temporaneamente occupati dagli extracomunitari POLITICA POLITICA LA VOCE DELL’ISOLA 8 11 19 Luglio 2008 Viaggio nella fiscalità di vantaggio. Come viene utilizzata in Europa, quali opportunità può offrire alle aziende per un effettivo rilancio della produttività Isole Canarie, regione “ultraper iferica” che beneficia di un regime fiscale ridotto ris petto ad altri Paesi UE di MIRCO ARCANGELI A nche alle Canarie come in Irlanda il sistema fiscale si basa essenzialmente sulla bassa pressione fiscale. Oggi, ma già da diversi anni, le Canarie rappresentano un luogo ideale per gli investitori dove possono trovare buone opportunità, condizioni fiscali favorevoli, operando in un territorio con stabilità politica ed economica e con una legislazione chiara e definita, soggetta ai parametri ed alle condizioni dettate dall'Unione Europea. Le Canarie sono una Comunitá autonoma della Spagna fin dal 1982, pienamente integrate nell’Unione Europea come una delle sue regioni ultra periferiche. Godono di interventi favorevoli allo scopo di compensare il fatto di essere un'isola. L’Arcipelago ha un Governo autonomo ed un Parlamento regionale con molte competenze legislative. L'arcipelago canario è costituito da sette isole principali, di origine vulcanica. Ubicate nell'Atlantico, situate di fronte alla costa occidentale africana, e distano circa 1.100 chilometri dalla Spagna. Dal punto di vista amministrativo, tale arcipelago si divide in due province: Las Palmas, dalla quale dipendono Gran Canaria, Lanzarote e Fuerteventura; Santa Cruz de Tenerife, dalla quale dipendono Tenerife, La Palma, La Gomera e El Hierro. Dispone inoltre di una doppia capitale che si riparte fra Las Palmas de Gran Canaria e Santa Cruz de Tenerife Le Comunità autonome delle Canarie utilizzano pienamente le fonti di finanziamento comunitarie, costituite dai Fondi Strutturali e dal Fondo di Coesione. Strumenti fondamentali per la politica regionale e di coesione della UE. L'arcipelago Canario, classificato come regione obbiettivo 1 usufruisce di un accesso privilegiato ai fondi strutturali comunitari. Entriamo ora nei dettagli del sistema fiscale canario. Le Isole Canarie sono integrate nel territorio doganale europeo, pur non dovendo sottostare all'applicazione dell’IVA, nè di alcuna delle tasse speciali esistenti in Europa. L’arcipelago canario gode di un Regime Speciale Fiscale (REF - Regimen Espescial Fiscal) differenziato che favorisce lo sviluppo economico e sociale delle isole e compensa gli effetti dell’insularità. Il REF canario contiene una serie di incentivi fiscali relativi alla creazione e sviluppo delle attività imprenditoriali, contemplati nella normativa spagnola ed autorizzati dalle istituzioni della UE, ma soprattutto inquadrate nel Programma di Sviluppo Regionale, Le Isole Canarie sono parte del territorio di Spagna. In quanto regione ultraperiferica della Comunità euro- cial Canaria - ZEC) La Zona Speciale Canaria è un regime a bassa tassazione. Fu autorizzata dalla Commissione europea nel gennaio 2000, inizialmente in vigore fino al 31/12/2008 è stato ora prorogato fino al 2019. La fiscalità agevolata è concessa per favorire la diversificazione della struttura produttiva e per incentivare l'ingresso di capitali stranieri e lo svi- una media di cinque impiegati durante tutto il periodo di iscrizione al registro ZEC. - Investire almeno 100.000 euro in attività immobilizzate nei due anni successivi all'iscrizione nel registro ZEC. - Svolgere le attività per le quali si è richiesta autorizzazione. - Essere un ente di nuova creazione con domicilio e sede di direzione ef- Le Canarie rappresentano un luogo ideale per gli investitori dove possono trovare buone opportunità, condizioni fiscali favorevoli, operando in un territorio con stabilità politica ed economica e con una legislazione chiara e definita pea, sono state autorizzate dalla stessa Comunità ad adottare un regime fiscale assolutamente vantaggioso. Tale regime, comunque, non costituisce “paradiso fiscale”. Gli strumenti che compongono il REF sono i seguenti: Zona Speciale Canaria (Zona Espe- luppo dell'occupazione nell'arcipelago. Agli investimenti che soddisfano alcuni requisiti minimi e che creano occupazione vengono concesse aliquote fiscali ridotte e una tutela giuridica che rendono particolarmente conveniente l'investimento nelle Isole Canarie: Riduzione dell'Imposta sulle società (l'aliquota IRPEG è compresa tra l'1% e il 5%) Esenzione dal pagamento dell'imposta sulle trasmissioni patrimoniali e sugli atti giuridici Esenzione dal pagamento dell'IGIC (Impuesto General Indirecto Canario, imposta simile all'IVA) relativa a importazioni effettuate dagli enti ZEC, e a cessioni di beni e servizi tra enti ZEC I dividendi distribuiti dagli enti ZEC alle società capogruppo, gli interessi e gli altri redditi ricevuti dalle società capogruppo non residenti in Spagna, sono esenti dall'imposta sui redditi dei non residenti Riduzione di alcune imposte locali. I requisiti minimi per godere di questo regime agevolato sono: - Creare almeno cinque posti di lavoro nei sei mesi successivi all'iscrizione nel registro ZEC e mantenere fettiva alle Canarie - Almeno uno degli amministratori deve risiedere alle Canarie - Le imprese che realizzano attività commerciale e industriale potranno insediarsi solo in determinate zone indicate dal governo spagnolo, mentre le imprese di servizi potranno in- sediarsi indistintamente in tutto il territorio. - Presentare una relazione sul progetto imprenditoriale ZEC. Il Consorzio della Zona Speciale Canaria, è un organismo creato dal R.D.L. n. 2 del 23 giugno 2000 per promuovere la Zona Speciale, appartenente al Ministero delle Finanze e associato al Governo delle Isole Canarie. Le imprese ZEC ricevono una piena tutela giuridica sin dal momento dell'iscrizione nel Registro Ufficiale di Enti ZEC. Il Consorzio offre anche una consulenza giuridica completa e multilingue (ad esempio aiuta a selezionare le risorse umane necessarie a sviluppare il progetto). Dalla fine del 2000 molte imprese hanno scelto di stabilirsi all'interno della Zona Speciale Canaria, tanto che il Consorzio ha già concesso oltre 130 autorizzazioni. L'incremento di occupazione realizzato è stato notevole, come pure gli investimenti. Predomina l'investimento spagnolo, ma molte imprese, statunitensi, tedesche, olandesi hanno ritenuto vantaggioso investire i propri capitali nel territorio della ZEC nell'ottica di una più efficiente pianificazione fiscale a livello internazionale. Inoltre, la ZEC non figura tra i 66 paradisi fiscali indicati dal Gruppo Primarolo, che vigila sull'armonizzazione fiscale tra i paesi dell'Unione Europea, nè nella black list elaborata dalla OCSE con identici scopi. Attività ammesse alla ZEC: l’Allegato al Reale Decreto/Legge 2/2000 prevede le attività che possono essere ammesse ai benefici offerti dalla ZEC. La gamma delle possibilità è amplissima e comprende attività industriali, commerciali o di servizi. In particolare: Industria e Commercio • Alimentazione, bibite e tabacco • Carta, tessile, metallo e prefabbricati • Chimica e macchinari • Fabbricazione di cisterne, depositi ed altro • Stabilimenti di pesce in conserva • Distribuzione all’ingrosso • Trading/intermediari del commercio • Commercio elettronico Altri Servizi, Trasporti e comunicazioni • Attività informatiche • ”Call Centers” • Centrali di prenotazione alberghiera • Servizi di consulenza ambientale e cartografie • Trattamento di residui e consulenza ambientale • Compagnie aeree/marittime • Trasporto su strada • Telecomunicazioni • Centri logistici • Ricerca e Sviluppo. Requisiti necessari per essere ammessi alla ZEC: - Essere una entità di nuova creazione con domicilio e sede effettiva nell’ambito geografico della ZEC. - Almeno uno degli amministratori dovrà essere residente. - Realizzare un investimento minimo di 100.000 euro in attivi fissi. - Creare almeno 5 posti di lavoro. - L’oggetto sociale deve rientrare tra le attività descritte nell’annesso del RD Legge 2/2000 sopra citato. Benefici Fiscali in particolare: a) Imposta sulle Società: Uno dei principali benefici offerti dalla ZEC è una Imposta sulle Società particolarmente ridotta. Le aliquote sono comprese tra l’1% e il 5% in funzione di variabili quali: numero di posti di lavoro creati; periodo di inizio dell’attività. Si fa presente che l’aliquota generale applicabile in Spagna è pari al 35%, ridotto al 30 % per le piccole e medie imprese. I dividendi pagati ad una società italiana da una società ammessa alla ZEC e “collegata” alla prima, sono sottoposti ad una imposta pari al 40 % del loro importo. Le regole CFC (regolamentazione paradisi fiscali) italiane non si applichino agli enti ZEC, se la società residente all’estero svolge una effettiva attività economica e produttiva. b) Esenzione dalla Imposta Generale Indiretta Canaria (IGIC), cioè la ns. IVA: Le operazioni di importazioni effettuate dagli enti ZEC, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi tra enti ZEC sono esenti dal pagamento dell’IGIC. c) Imposta sul Reddito dei non Residenti, Accordi di Doppia Imposizione e Direttiva Madre-Figlia: Le Isole Canarie, come detto, formano parte del territorio spagnolo ed europeo. Pertanto: - Le Entità ZEC potranno appellarsi agli Accordi per evitare la Doppia imposizione prevista siglata tra Italia e Spagna. - I dividendi distribuiti dagli enti ZEC alle società capogruppo, gli interessi ed altri redditi pagati alla società capogruppo non residenti in Spagna, sono esenti dall’imposta sui redditi dei non residenti. - Se sussistono i requisiti previsti, alle relazioni tra Entità ZEC e società madre italiana, potrà applicarsi la Direttiva Madre-Figlia dell’UE (90/435/CEE). - Vengono esonerati da tributi, ritenute di uscita o withholding tax gli interessi percepiti da residenti nell’UE. d) Imposta sulle Trasmissioni patrimoniali e atti giuridici documentati (assimilabile alla Imposta di registro italiana): Le Entità ZEC sono esonerate dal pagamento di quest’imposta per le operazioni realizzate nel territorio canario. e) Imposte locali: I Comuni delle Isole Canarie hanno concesso riduzioni delle imposte locali. La caratteristica del sistema ha permesso un notevole sviluppo programmato In vigore una politica di incentivazione basata su una bassa pressione fiscale di MIRCO ARCANGELI A ugurandoci che anche in Sicilia si realizzi un vero Piano Regionale di Sviluppo, proseguiamo ad analizzare gli strumenti che altri Paesi hanno utilizzato per favorire lo sviluppo e la crescita, laddove le realtà territoriali si mostrano estremamente simili alle nostre. La politica di incentivazione delle Canarie, a differenza di quanto accaduto in Irlanda, si mostra decisamente ancor più a bassa pressione fi- scale, e con una caratterizzazione a compensazione territoriale più spiccata che in Irlanda. Infatti la caratteristica del sistema oltre a vedere una tassazione sulle società decisamente bassa nelle ZEC, (dall’1% al 5%), indirizza una collocazione territoriale (con una diversificazione da isola ad isola) ed una specificazione di attività, che ha permesso una crescita economica ed uno sviluppo programmato. In più il REF contiene anche altri strumenti di intervento fiscale, molto caratteristici, ed in particolare il RIC. Riserva per gli Investimenti nelle Canarie (RIC): Si tratta di un beneficio fiscale che sviluppa l’investimento territoriale produttivo e la creazione di infrastrutture nelle Isole Canarie. Con la applicazione del RIC le imprese ed i professionisti possono ottenere una riduzione della base imponibile dell’Imposta sulle Società, riduzione che può arrivare al 90% degli utili non distribuiti e reinvestiti nello stesso territorio. Tutte le attività possono essere ammesse al RIC. I requisiti per ottenere i benefici del RIC sono i seguenti: 1) Il reinvestimento degli utili deve avere una durata di almeno tre anni a decorrere dalla data di maturazione della imposta; 2) Con le somme reinvestite devono essere acquisiti “attivi fissi” situati o ricevuti ed utilizzati nelle Canarie e strumentali allo sviluppo della attività imprenditoriale della società; 3) I beni relativamente ai quali si materializza il reinvestimento devono permanere nel patrimonio dell’impresa per almeno cinque anni. Altri incentivi e benefici previsti dal REF È importante sapere che, oltre ai citati ZEC e RIC il Regimen Espescial Fiscal prevede altri strumenti quali: - Registro Speciale delle Navi e Imprese Navali, che include: L’esenzione della Tassa sui trasferimenti patrimoniali. Lo sconto del 90% sull’ Imposta sulle Societá. Lo sconto del 90% sui contributi sociali (INPS locale, etc.) pertinenti alle Societá. La considerazione di rendita esente del 50% per il personale imbarcato soggetto all’ IRPEG per il lavoro effettuato durante la navigazione effettiva su navi regolarmente iscritte nel registro speciale - Zone Franche Esistono poi particolari zone franche per lo più nei porti capitolini, dove si procede allo stoccaggio, trasformazione e distribuzione di merci senza che vengano applicati oneri, tariffe doganali o imposte indirette. Le imprese ubicate nelle zone franche canarie possono usufruire dei benefici offerti dal REF. Le Isole Canarie beneficiano dei seguenti fondi strutturali: Fondo europeo di sviluppo Regionale, FEDER. Fondo Sociale Europeo, FSE. Strumento Finanziario d’Orientamento della Pesca, IFOP. Altre Iniziative Comunitarie: Programma INTERREG III B, Azores-Madeira-Canarias 20002006 (integrazione e cooperazione fra queste regioni e fra di loro e l’UE). Programma EQUAL 2000-2006 (combattere la discriminazione nel mercato di lavoro). Programma LEADER + di Canaria (sviluppo rurale). Fondi RUP. Il particolare regime fiscale di cui godono le Canarie è uno strumento pensato e creato per diversificare l’economia delle Canarie, combattere la disoccupazione e per compensare, in qualche maniera, il disagio determinato della distanza geografica dall’Europa, della quale fa parte, e comunque per incentivare gli investimenti che possono provenire dall’esterno. Molte imprese hanno trasferito o meglio realizzato la nuove società nell’arcipelago, intervenendo nei più svariati settori. Seppur appare evidente una massiccia presenza di imprese ispaniche, c’è da segnalare anche una vivace presenza di investitori d’oltre oceano. Le ZEC, le zone franche e tutta la politica del Programma Regionale hanno permesso una forte presenza di capitali e di attività anche nel settore infrastrutturale e dei trasporti. Per oltre un decennio anche il set- tore delle costruzioni è stato uno dei motori principali dello sviluppo delle Isole Canarie. Oggi il ritmo di crescita è leggermente più lento, ma l’industria del mattone continua ad avanzare, alimentata anche dal turismo residenziale in forte crescita. Ogni anno più di 14 milioni di turisti invadono l’arcipelago. È in costante aumento il numero delle persone che scelgono le Canarie per investimenti immobiliari e per la loro residenza invernale permanendo nell’arcipelago. È diffusa una pratica turistica molto simile alla nostra multiproprietà: “explotacion turistica”, si ne di contesti urbanistici originariamente destinati al turismo di massa. Alle Canarie il regime fiscale per chi fa impresa, anche nel turismo è: 4% imposta di tassazione locale alle imprese; 5% è rappresentata dall’IGIC imposta locale che sostituisce la nostra IVA, qualche altra piccola imposta locale per un altro totale del 3%, in tutto si raggiunge il 12%. In Italia siamo ad oltre il 40%. Obiettivo 1; fondi strutturali; vocazione turistica; statuto autonomo; isola; territorio vulcanico; Unione economica; e potremmo ancora continuare nelle ragioni e nei termini che accomunano le due realtà (Sicilia – Canarie). I benefici consentono la crescita degli investimenti territoriali produttivi e la creazioni di infrastrutture. Le imprese ed i professionisti possono ottenere una riduzione della base imponibile dell'Imposta sulle Società, riduzione che può arrivare al 90% degli utili non distribuiti e reinvestiti nello stesso territorio acquista un appartamento e lo si da in affitto per tutto l’anno riservandosi qualche settimana di vacanza. L’offerta, per quanto riguarda il turismo tradizionale, è sempre più rivolta verso un mercato composto da clientela benestante e d’elite. Ultimamente le bellezze delle Canarie sembra abbiano affascinato anche molti uomini d’affari che stanno operando soprattutto nel mercato immobiliare, per la costruzione di strutture ricettive, veri e propri Resort di lusso, con piscine private e super suite. Questa diversificazione cerca progressivamente di mantenere sempre stabile il livello di attenzione e di appeal dell’arcipelago e si concentra nella realizzazione di nuovi contesti di alto livello e di lusso (molto spesso legati al mondo del golf, della nautica, dell’arte, della creatività, degli affari ecc. ecc.) e la conversio- Da tutto ciò non possiamo far altro che constatare la estrema somiglianza della Sicilia alle Canarie, la grande potenzialità della nostra Terra rispetto a quella spagnola, e la speranza che finalmente anche nella nostra regione si riesca a programmare un futuro dove invece di far scappare i nostri giovani, si possa attrarre energie economiche e risorse umane, si possa creare sviluppo e ricchezza nel rispetto dell’ambiente e della vocazione territoriale. Facciamo si che la Sicilia possa godere di una fiscalità compensativa come motore dello sviluppo, e creiamo un quadro normativo ed un programma di sviluppo chiaro e semplice, quale punto di riferimento per gli obiettivo che vogliamo raggiungere. L’occasione del federalismo potrà sicuramente essere il momento concreto per la realizzazione di queste ambizioni, prepariamoci per tempo. FISCO FISCO LA VOCE DELL’ISOLA 10 13 19 Luglio 2008 Lo scalo marittimo occupa un’importanza strategica, di primissimo piano, considerando soprattutto l’imminente apertura (2010) dell’Area di libero scambio Rilanciare le attività del porto di Augusta per vocazione punto nevralgico per gli intensi interscambi nel Mediterraneo di GIUSEPPE PARISI S e dicessimo che grazie alla sua posizione centrale nel Mediterraneo è uno dei più notevoli porti italiani per le operazioni di bunker, cambio equipaggio, riparazioni e manutenzione navi, diporto, carico e scarico merci varie per e dalla Sicilia, in quanti fra i nostri lettori individuerebbero, a primo acchito, di quale porto stiamo parlando? Aggiungiamo, per facilitare la risposta, che l’aerea commerciale è collegata alla rete stradale, la distanza dall’aeroporto internazionale di Catania è di 28 chilometri, la stazione ferroviaria è poco lontano e consente un rapido smistamento delle merci. La risposta a questo punto è già scontata...Augusta. Aggiungiamo che l’area commerciale è localizzata a nord-ovest della rada, dove vengono effettuate moltissime operazioni fra cui la caricazione dello zolfo in pillole, solidificato nei vicini impianti di trasformazione industriale, cemento, marmo e legno, parti meccaniche e pezzi speciali che non potrebbero essere spostati via terra, per non parlare poi del numerosissimo naviglio che trasporta petrolio grezzo e suoi derivati e moltissimo altro ancora. Chi fra i lettori non ha una precisa cognizione della collocazione geografica di Augusta, è invitato a fornirsi di una cartina del Mediterraneo, e di farsi prestare per un attimo dal proprio figliolo in età scolastica o dal nipote squadra e compasso. A che serviranno mai questi strumenti? Semplice, a verificare con un giro di compasso e con una riga tirata con la squadretta, come il porto di Augusta sia davvero collocato al centro del Mediterraneo. Non può sfuggire, con quest’analisi “manuale”, che Augusta occupi dunque un’importanza strategica, di primissimo piano, ancorché consideriamo imminente l’apertura del libero scambio commerciale fra i popoli che si affacciano nel Mar Nostrum prevista per il 2010, cioè fra appena due anni. Attualmente il porto di Augusta presenta una rilevante entità di traffico commerciale che potrebbe essere incrementato con prodotti ad elevato valore aggiunto provenienti dal Nord d’Africa e le altre sponde orientali che sul Mediterraneo si affacciano. La Sicilia e i suoi governanti a tutti i livelli devono capire che prepararsi a quest’evento è di primaria importanza per tutta la storia futura, economica e culturale dell’Isola. Lo sviluppo che può dare un porto ben attrezzato e preparato ad accogliere e smaltire in brevissimo tempo merci diversificate fra loro, è da noi ritenuto fattore indispensabile per l’indotto che si verrà a creare in tutta la Sicilia. L’area mediterranea offrirà a breve opportunità di esportazione di cultura, tecnologia e materiali pregiati in quantità inimmaginabili, e se staremo attenti e vigili ai segni dei tempi, porteranno solo vantaggi eccezionali alla nostra economia già tanto travagliata e scarna; ciò, tradotto in termini comprensibili a tutti, significa pane e lavoro per la nostra gente, il cui destino, se non dovesse accadere questo fatto di così fondamentale portata, sarà tragicamente segnato da un lento quanto irreversibile decadimento che avanza inesorabile. Il porto di Augusta inserito, quindi, in questo contesto “operativo” è un’opportunità irrinunciabile e non diventa più un fatto solamente cittadino cioè limitato agli augustani ma a tutto un popolo, quello siciliano. All’interno di un possibile Sistema Por- tuale Integrato dell’Isola (prodotti petroliferi, prodotti della filiera agroalimentare dal distretto produttivo della Sicilia Sud Orientale e chi più ne ha più ne metta...) possono svilupparsi occasioni di lavoro in quantità e qualità mai viste in Sicilia. Occorre quindi agire subito, per potenziare containers/casse mobili è stato mediamente calcolato in circa sei ore a cui vanno assommati i tempi del viaggio con velocità media a pieno carico di dieci quindici nodi a cui va aggiunta l’incognia “X” legata alle condizioni metereologiche. Detto questo è facile intuire come per gli liana. Lasciare il tutto al “fai da te” di ognuno sarebbe un’azione incauta quanto imperdonabile. La Regione Siciliana a nostro avviso, servendosi di tutte le competenze che la zona di Augusta dispone, ascrivendone anche di altre se necessarie, dovrà assumersi l’onere di sovraintendere, stimola- È un’opportunità per l’intera Sicilia: occorre agire subito per potenziare le attrezzature, dal terminal Ro-Ro efficiente e associato al nuovo dispositivo AGV (Automated Guided Vehicle) per automatizzare le operazioni di carico scarico, per ridurre i costi l’attrezzatura di un terminal Ro-Ro efficiente dal punto di vista operativo ed economico quale polo-modello per la migliore offerta di trasporto intermodale. Il traffico Ro-Ro con nuove navi specificamente progettate per terminal automatizzati (RORO o ROPAX) associato a un nuovo dispositivo AGV (Automated Guided Vehicle) per automatizzare le operazioni di carico- scarico, riduce i costi di movimentazione, accorcia il ciclo di banchina e il ciclo di utilizzazione della nave, aumentando il livello della competizione fra i porti. Chi immagina ancora un porto dove i cosiddetti “facchini” uomini robusti e avvezzi a fatiche sovraumane, la facevano da padroni per il carico e lo scarico delle merci è ora che vada a visitare un porto del nord europa o quello nostrano di Genova che non è secondo a nessuno, dove l’alta capacità di movimentazione del carico con questi nuovi sistemi incide in modo determinante su una delle principali strozzature allo sviluppo delle Autostrade del Mare, in particolare del Mediterraneo dove bisogna fare i conti sui tempi di carico/scarico e di attesa in banchina che rendono più o meno conveniente questo tipo di trasporto. Il ciclo di carico scarico di una nave che trasporta armatori e per gli operatori economici che decidono di trasportare merci via mare, assumono posizioni dominanti i tempi di trasporto e di attesa ai vari porti sino alla catena di distribuzione che è fattore premiante per la determinazione dei prezzi al consumo che incide molto di più quanto più elevati sono i costi di trasporto. Lasciare quindi in mano a società di servizio e\o cooperative di piccolo cabottaggio la gestione commerciale di un porto “mediterraneo” d’alto livello quale sta per divenire quello, già importante, di Augusta è quanto mai di più disatroso si possa immaginare in un contesto di alta efficienza ed oparatività che non permette defaians di alcun genere. Tantomeno, come detto, si deve considerare come “cosa propria” per mera collocazione geografica vantare “diritti di gestione” portuale a livello locale. Non è che dicendo questo si intende espropriare i titolari cioè gli augustani da un porto che è a loro connaturale e che stà per divenire il “pozzo di San Patrizio” ma vogliamo semplicemente dire che la gestione del porto deve avere una collocazione di più alto livello, super partes e di elevata efficienza operativa, cosa che non può sfuggire alla classe politica nazionale ne tantomeno a quella sici- re e sorvegliare su tutte le attività gestionali del porto stesso, predisponendo già da adesso (ed è già abbastanza tardi...) tutte quelle strutture necessarie per raggiungere gli obiettivi detti di efficienza e alta operatività. La prima cosa da farsi è a nostro avviso quella di costituire una struttura funzionale e direttiva di gente competente ed esperta del settore predisponendo nel contempo l’attuazione di progetti per la messa in opera di adeguate strutture che consentano l’efficienza gestionale del porto stesso. Ad esempio, un rilevante progetto del settore marittimo, del quale siamo a conoscenza (potrebbero essercene degli altri) è denominato INTEGRATION. È questo un progetto triennale del valore di 10 milioni di euro co-finanziato dalla Commissione dell’Unione Europea cui partecipano 25 società di 13 paesi. Non è da noi entrare nel vivo del progetto, ma certo che non si tratta di “noccioline” per cui è tempo che i “nostri” politici nostrani stavolta non facciano gli “ascari” ma che capiscano e supportino veramente questo tipo di attività anche se... solleveranno il popolo dal bisogno e lo diciamo polemicamente, di dover “chiedere” al politico di turno un “posto” (che non c’è...) per in figlio, nipote parente e chi più ne ha più ne metta. Noi siamo convinti che stavolta l’impegno non potrà mancare, anche perchè esistono nel porto di Augusta e questo lo diciamo per rendere più esaustivo possibile questo nostro servizio, grosse difficoltà gestionali per il disastro ambientale che è avvenuto nel corso degli anni e che vede la rada di Augusta primeggiare fra quelle italiane per fattore inquinante. Di cosa si tratta esattamente? Premesso che nella rada di Augusta costituita da circa 610mila metri quadrati, transitano mediamente 3400 navi l’anno, pare che l’Istituto centrale per le ricerche in ambiente marino abbia rilevato un notevole deposito di “scorie” oggi quantificato in, udite, udite... 500 milioni di tonnellate di... mercurio, diossina, idrocarburi, arsenico ed altri metalli pesanti. Rilievi che dovranno essere ridefiniti da un “pool” di cinque tecnici del Ministero dell’Ambiente e che se confermati diverranno un pesante capo d’accusa nei confronti di chi ha permesso tale scempio che personalmente definiamo “tout court” un crimine ambientale nei confronti dell’umanità. Diamo atto al ministro Stefania Prestigiacomo, ma anche ad altri, quali l’on. Bruno Marziano che per il porto di Augusta quale presidente della Provincia Regionale di Siracusa più volte si è espresso e tanto prodigato anche per “smarcare” il porto quale zona franca, di una presa d’atto encomiabile quanto davvero fattiva che si è concretizzata con un accordo di programma tra le aziende, ministero dell’Ambiente e Regione Siciliana, per avviare i primi lavori di recupero ambientale. Una prima, seppur parziale bonifica, che prevede il dragaggio di 18 milioni di metri cubi di residui fangosi, sarà avviata prossimamante, con un costo previsto di 270 milioni di euro che resterà a carico delle imprese che operano fra la rada di Augusta e il polo petrolchimico di Priolo (Erg, Esso, Sasol, Enel, Syndial, Polimeri Europa, Down Chemical - Ndr. Fonte: L’Occasione di Siracusa n.12 del 21 giugno 2008). La Prestigiacomo, da parte sua, pare abbia disposto lo stanziamento di 40 milioni di euro per lo specchio d’acqua antistante il pontile della Marina Militare di Augusta. A onor di cronaca, pare che la vicenda abbia avuto strascichi giudiziari. Due infatti sono le sentenze emesse dal Tar di Catania, nel 2006, con le quali sostanzialmente veniva accolto il ricorso delle aziende che non violevano effettuare le bonifiche. È di quest’anno però la sentenza definitiva del Consiglio di Giustizia Amministrativa di Palermo che accogliendo l’opposizione del ministero dell’Ambiente, ha imposto alle aziende inquinatrici, l’obbligo a risarcire i danni di natura ambientale verificatasi all’interno della rada di Augusta per i trascorsi cinquant’anni. Così come avvenuto per il porto di Brindisi ora si provvederà anche per quello di Augusta... Noi siamo del parere che ad accelerare i tempi di bonifica sia stata l’iscrizione nel registro degli indagati di alcuni alti dirigenti delle principali aziente operanti in zona... per “omesse attività di bonifica”. Sarà così? Vuoi come vuoi, l’importante è iniziare e soprattutto evitare che si perpetui ulteriormente il danno ecologico causato. Gia averne preso atto è rassicurante, basta non abbassare mai più la guardia. Noi non lo faremo di certo. Storia di una campagna elettorale combattuta sull’onda delle emozioni Massimo Carruba riconfermato sindaco I cittadini di Augusta hanno votato il loro sindaco. Si rimane con Carrubba all’insegna della continuità e dell’esperienza. Questo lo slogan che per tutta la campagna elettorale ha guidato la compagine dei partiti che riproponevano Massimo Carruba alla carica di sindaco. La competizione è stata aspra ed ha visto cadere al primo turno personaggi che dimostravano di avere le carte in regola per ricoprire la carica di primo cittadino. Enzo Inzolia, generale in pensione, uomo di destra che aveva deciso di scendere in campo con una propria lista civica, non avendo raccolto consensi univoci da parte dei partiti tradizionali (Popolo della liberta – Alleanza nazionale e Udc), che alla fine avevano designato Marco Stella come loro candidato. Giacinto Franco, ben conosciuto ad Augusta per le sue battaglie a favore dell’ambiente, anche lui veniva designato come candidato a sindaco da parte di tre movimenti che avevano presentato un unica lista civica, dove erano confluiti militanti di destra, centro e di sinistra, che non si riconoscevano nei partiti tradizionali Rosetta Valvo, noto medico in Augusta, anche lei leader di una propria lista civica Rosario Salmeri, consigliere comunale ed ex assessore della giunta Carrubba, che a capo di altre due liste civiche, si proponeva alla città come uomo del cambiamento, nonostante i suoi trascorsi e collegamenti con passati, ma sempre vivi, personaggi di rilievo della politica Augustana Al primo turno hanno avuto la meglio Carrubba (candidato del PD) e Marco Stella, mentre gli esclusi hanno immediatamente cercato una collocazione, che sicuramente ritenevano li avrebbe visti protagonisti nel riassetto politico della nuova amministrazione, sicuri anche del consenso che i cittadini al primo turno avevano loro riservato. Per un motivo o per un altro, dopo aver riunito i direttivi dei singoli schieramenti, tutte le liste civiche hanno manifestato il loro interesse ad aggregarsi con Marco Stella, adducendo ognuno dei motivi più o meno logici, desiderosi a loro dire di cambiare il volto della città di Augusta, dopo 15 anni di dominio delle sinistre (Augusta è stata sempre governata dal centro sinistra). Purtroppo, come accade il più delle volte in questi casi, non tutti i simpatizzanti e sostenitori di ciascun leader, hanno passivamente seguito le sue scelte, ma molti, a questo punto, si sono sentiti liberi di scegliere secondo un proprio credo politico o una simpatia personale verso l’uno o l’altro candidato, e per il programma politico da questi presentato. I leader esclusi dal ballottaggio, sembra che non abbiano seguito a pieno i criteri dei loro simpatizzanti, anzi hanno cercato di accaparrarsi qualche poltrona che li avrebbe visti nuovamente protagonisti e non esiliati Dopo pochi giorni si delineavano i seguenti scenari: Marco Stella poteva contare sull’apporto oltre dei partiti che avevano inizialmente creato l’apparentamento con il PDL anche sulla presenza, (questa manifestata a voce alta durante il comizio di chiusura), da parte del dottore Giacinto Franco, del generale Enzo Inzolia e della dottoressa Rosetta Valvo La compagine di Carrubba rimaneva inalterata con un solo partito, il PD, che si era presentato con 3 diverse liste (PD – lista per Carrubba e Liberal-Socialisti). Proprio questi ultimi hanno sicuramente avuto un ruolo determinante perchè sono stati sempre fedeli al Carrubba ed i circa 1200 voti di lista ottenuti hanno fatto la differenza Non sarebbe stato necessario essere stratega per capire che queste condizioni avrebbero sicuramente dato battaglia vinta a Marco Stella, non solo per il gran numero di partiti e liste civiche, ma anche perchè il vento a favore del popolo delle liberta soffiava a gran forza, dimostrato questo dai numerosi politici nazionali, regionali, provinciali, ed almeno 2 ministri della Repubblica che si sono alternati durante i 40 giorni di campagna elettorale, e che hanno manifestato appoggio incondizionato a Marco Stella Il 28 giugno scorso i comizi di chiusura dei due candidati, hanno visto l’ampia partecipazione di cittadini di tutti i ceti sociali, che sono rimasti fino ad ora tarda per ascoltare le ultime ma esaurienti esortazioni di entrambi i candidati Il primo comizio tenuto dal candidato Stella, ha visto la “sfilata“ di diversi oratori ognuno dei quali cercava di chiarire la scelta e la posizione di apparentamento assunta, contestando sempre al sindaco Massimo Carrubba il mal governo della sua passata amministrazione e l’arroganza con la quale si ripresentava ai cittadini. Lo stesso Stella, dandogli del lei e richiedendo lo stesso trattamento, lo definiva continuamente come “il signor sindaco uscente”, con un certo pizzico di cattiveria più che di distacco A seguire il comizio del candidato Carrubba, sortiva un effetto totalmente diverso. Sul palco erano presenti i componenti soltanto dei partiti che appoggiavano il Carrubba e gli assessori da questi designati. Non c’erano politici di rilievo venuti per appoggiare la sua candidatura ed il discorso di Carrubba è stato molto chiaro sia sulle linee amicizia che sono stati sempre alla base del colloquio politico fra i due. Forse questo modo umano di portare avanti il confronto oltre all’impeto ed al cuore con il quale il Carrubba si e presentato ai suoi elettori in quest’ultimo comizio lo hanno premiato. Ha chiesto infine ai cittadini non il loro semplice voto sulla scheda elettorale ma prima di tutto il loro consenso a proseguire in questa strada comune per “ mettere le ali alla sua persona” e volare sempre più in alto Il sabato, giornata di riflessione, dovunque ci si trovava si sentivano discorsi a favore dell’uno o dell’ altro e francamente nessuno dimostrava di essere sicuro sul vincitore, anche perché il fattore determinante sarebbe stato l’assenteismo. Questo stesso senso di insicurezza si è protratto anche per i giorni di votazione. Solo ad urne chiuse e dietro l’attento conteggio dei voti che da queste scaturivano e, dopo un alternarsi dei vincitori nell’uno e nell’atro seggio, veniva accertata e convalidata la vittoria del Carrubba per circa 300 voti di distacco. A questo punto tutti i suoi sostenitori si sono riversati nella piazza principale e di fronte alla sede del PD hanno manifestato il loro entusiasmo, mentre nell’altra compagine erano ben visibili segni opposti. Occasione di plauso da parte di tutti i cittadini sia di destra che di sinistra è stata quando, nella piazza principale sotto il palco che li aveva visto entrambi lottare per affermare le Al centro, Massimo Carrubba che avrebbe seguito in caso di sua rielezione che di tutto quello che dichiarava di avere fatto Tranquillizzava i cittadini, affermando che pur essendo la sua, un amministrazione di sinistra, non avrebbe incontrato degli impedimenti e rallentamenti ai progetti ed ai finanziamenti già in essere, tuttavia necessitava di tutto l’apporto dei cittadini per potere avere riconosciuti i diritti spettanti qualora questi fossero stati negati da Enti appartenenti a diverso colore politico. Aggiungeva che avrebbe fatto valere questi diritti di fronte a chiunque, richiedendo di essere convocato a tutti i tavoli di trattative che avrebbero interessato la città ed in primo luogo il suo porto, al quale dava priorità assoluta per uscire dalla crisi economica che attanaglia Augusta Ribadiva che tutti i punti del suo programma sarebbero stati attenzionati chiedendo perciò ai cittadini la loro collaborazione per portare a termine assieme tutti i progetti. Dichiarava ancora una volta il suo “no” al termovalorizzatore ad Augusta, già zona ad alto rischio inquinante. Infine verso il suo antagonista si limitava a dire che lo avrebbe continuato a chiamare “Marco“ visti i rapporti di buona proprie posizioni ed aspettative, i due contendenti si sono incontrati e lungamente abbracciati, scambiandosi reciproche congratulazioni per la conduzione della rispettiva campagna elettorale Questo gesto, significativo in un Paese civile e che si rispetti, dove alla base, a parte il confronto, sta il solo bene della città e dei cittadini, dovrebbe essere di sprone e di esempio affinché le battaglie per riaffermare la propria identità possano essere realmente portate avanti da entrambi, senza veti, contestazioni e rallentamenti ai programmi enunciati a grande voce durante la campagna elettorale Nei giorni successivi alla sua rielezione, puntuale, come sempre, il neo eletto sindaco ha indetto un comizio di ringraziamento che ha avuto luogo sullo stesso palco che aveva visto cimentarsi fino alla settimana prima tutti i concorrenti. Il sindaco è stato accolto da uno scrosciante lungo applauso da parte di tutta la folla che gremiva la piazza, sicuramente molti dei quali rappresentavano il suo elettorato di oltre 8.632 consensi Massimo, ha iniziato dicendo che il soldato Rayan con l’aiuto dei cittadini di Augusta era riuscito a non soccombere alla minaccia portata avanti da un agguerrito numero di “lanzichenecchi” scesi per l’occasione per annientarlo, e che tutti coloro, lea- der di movimenti cittadini e personaggi di rilievo della politica augustana erano stati “trombati” dal consenso degli elettori ed, ironia della sorte, molti non sarebbero riusciti neanche a far parte del Consiglio comunale. Massimo ha continuato dicendo che essendosi trovato, durante questa campagna elettorale, spesso a contatto con moltissimi cittadini di Augusta, i quali gli avevano manifestato la loro solidarietà, aveva finalmente capito della necessità di stare più a contatto con loro, capire i loro problemi ed aiutarli a trovare assieme le giuste soluzioni. Per questo il primo suo impegno che assumeva era di stare per i prossimi cinque anni più vicino ai cittadini per ascoltarli e cercare di essere di maggiore aiuto di quanto non era stato durante il precedente suo mandato Ribadiva che sarebbe stato il sindaco di tutti senza alcuna discriminazione fra quelli che coraggiosamente lo aveva votato e quelli invece che in buona fede avevano optato per la compagine avversa. Solo attraverso il loro futuro supporto sarebbe stato pronto, qualora la città lo avesse designato, a ricoprire ruoli più autorevoli per poter sempre meglio rappresentare gli interessi di Augusta, città questa, che gli ha dato tante soddisfazioni nella sua ventennale attività politica Ha iniziato pertanto a fare una analisi di tutto lo svolgimento della campagna elettorale elogiando i dirigenti dei partiti alleati (liberalsocialisti, in primo luogo, il PD e la sua lista) per il loro leale comportamento e per avere creduto in lui. Additava, invece, la compagine avversaria e causa della sua sconfitta, in primo luogo l’ arroganza oltre che alla sicurezza di essersi sentiti vincitori, trovandosi schierati con oltre ben 10 liste tra partiti e movimenti Accusava con forza i leader della sinistra radicale ed arcobaleno di scorrettezza e di ipocrisia, poichè nonostante la loro appartenenza a sinistra ed avendo ricoperto incarichi importanti nella passata sua amministrazione, avevano deciso di non appoggiarlo, prognosticando invece, come “pessimi oracoli “, la sua sicura sconfitta. Ha invece riservato parole di apprezzamento e di lealta’ politica al suo principale “competitor” l’ amico Marco Stella, richiedendo per lui alla platea un forte applauso, sicuro di poter contare anche sul suo necessario contributo in Consiglio comunale allo scopo di poter espletare appieno il mandato e il comune programma elettorale. Infine ha voluto manifestare apertamente il suo “grazie” ad Enzo Parisi, responsabile in Sicilia di un movimento ecologista, al suo amico e vice sindaco Nunzio Perrotta, al fratello Francesco, alla moglie, a Domenico e tutti gli altri amici che sono stati sempre al suo fianco POLITICA POLITICA LA VOCE DELL’ISOLA 12 POLITICA LA VOCE DELL’ISOLA 14 19 Luglio 2008 Il ruolo dei Consoli nel contesto socioeconomico internazionale Rinsaldano quotidianamente i rapporti fra i Paesi amici di GERARD POKRUSZYNSKI Gerard Pokruszynski. Decano del Corpo Consolare L a maggior parte delle persone ignora l’attività di un Console, anche se si tratta di una figura che ha una lunga storia. La figura del Console è, infatti, antichissima ed ha avuto sempre un posto rilevante nella Diplomazia di tutti i Popoli Nell’antica Grecia, Erodono, parla nei suoi scritti di agenti la cui figura giuridica prefigura quella dei Consoli-Giudici nel Medioevo, riconducibile alla mansione assunta oggi dai consoli onorari. Gli Egiziani concessero ai Greci residenti a Naucratis, il diritto di eleggere consoli-magistrati, affinché amministrassero la giustizia secondo la loro legge nazionale I Romani riconoscevano ai Consoli una ruolo preminente nel loro ordinamento politico e militare Nel medioevo il console comincio ad acquisire le caratteristiche attuali, e dall’elezione da parte dei residenti in loco si passò ad una nomina con relativo accreditamento mediante un atto pubblico dal Governo dello stato inviante. I secoli XV e XVI sono stati favorevoli allo sviluppo dell’istituto consolare: venne istituita una fitta rete di uffici negli scali marittimi europei, su iniziativa soprattutto dei Paesi bassi e dell’Inghilterra. Le loro funzioni, inalterate nel tempo, sono la protezione dei connazionali e lo sviluppo del commercio Ma solo nel 1963 la Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, sottoscritta sotto l’egida delle Nazioni unite, ha inquadrato in maniera chiara la figura e i compiti del console. La norma assegna al console, di carriera e onorario, una uguale autorità; è successivamente ciascun governo ad attribuire a ogni singolo consolato differenti responsabilità. Ma la funzione di “civil servant” è chiara: deve sviluppare le relazioni economiche, commerciali, scientifiche e culturali bilaterali tra il paese rappresentato e l’area in cui esercita la propria funzione, salvaguardare gli interessi del proprio paese e assistere i cittadini per le necessità amministrative. La Convenzione, rimarcando gli storici doveri, trasforma il console in un promoter che si informa e relaziona sulle condizioni e sull’evoluzione della vita economica rimanendo un trait d’union indispensabile pur in presenza di una globalizzazione delle informazioni. D’altro canto i problemi di bilancio hanno indotto i governanti a contenere il costo delle rappresentanze diplomatiche che sono aumentate, soprattutto dopo il 1989, in funzione della nascita di nuove nazioni. La domanda che sorge spontanea è: chi favorisce le relazioni economiche di primo livello tra tutti i 192 Stati del mondo? La risposta può uscire dalla diplomazia consolare così come definita da Cordoleeza Rice in un suo intervento sulla “Transformational Diplomacy” alla Georgetown University di Washington nel gennaio 2006. Il Segretario di stato americano ricordava che ci sono circa 200 città al mondo con oltre un milione di abitanti, che non sono capitali di nazioni, prive di una presenza consolare statunitense. Le ovvie conseguenze sono l’impossibilità di ottenere notizie in real time sulle dinamiche economiche e ciò può essere risolto da una capillare rete consolare, composta da honorary officer, che, se sapientemente gestita, estende la presenza attiva di uno stato con un rapporto di costo-efficienza ottimale. I contribuenti del Paese non sentono minimamente il peso dei Consoli onorari. L’esempio riportato in un “diplomacy paper” del novembre scorso di Kevin Stringer per l’Istituto olandese di relazioni internazionali Clingendael, ci conduce all’Islanda. Questa nazione ha oltre 250 consoli onorari nel mondo, con il compito di promuovere l’economia, e mantiene solo due consolati di carriera (uno a New York che funge anche da rappresentanza alle Nazioni unite) e un secondo a Winnipeg. Anche i Paesi Bassi utilizzano la propria rete consolare, in maggior parte composta da consoli onorari, per attrarre investimenti diretti G erard Pokruszynski è nato a Varsavia, laureato in Sociologia presso l'Universita di Varsavia. Dal 1991 Impiegato nel Ministero degli Affari Esteri (Polonia); dal 1993 al 1999 è Console Generale della Repubblica di Polonia a Milano; dal 1999 al 2000 Direttore del Dipartimento della Promozione (Ministero degli Affari Esteri, Varsavia); dal 2001 al 2003 è Direttore per gli Affari Esteri nel Cancelleria del I Ministro; dal 2003 al 2004 è impiegato presso il Dipartimento Consolare del Ministero degli Affari Esteri (Polonia); dal 2004 al 2007 è Console Generale della Repubblica di Polonia in Malmoe (Svezia); dal 2004 al 2007 svolge Dottorato di ricerca all'Universita di Lund (Svezia); dall'ottobre 2007 è Console Generale della Repubblica di Polonia in Catania (Fdi) segnalando bisogni alla “Netherlands foreign investment agency”, branca operativa del ministero degli Affari economici. Nell’esperienza globale il ruolo del Console, soprattutto onorario, si dimostra indispensabile per sviluppare le economie delle giovani nazioni dell’Europa orientale e dell’Africa, come pure dei microstati che non potrebbero permettersi rappresentanze consolari di carriera per ovvi motivi di bilancio. Il Console, in ultima analisi, è un “promoter” naturale, quale profondo conoscitore del Paese rappresentato, rimanendo però ancorato ai doveri di un “civil servant”: si informa e relaziona sulle condizio- ni e sull’evoluzione della vita economica nell’area di propria competenza, favorisce i rapporti culturali, scientifici e commerciali fra i due Paesi. Il Console è, insomma, il “trait- d’union” naturale tra il Paese rappresentato e la realtà del luogo in cui esercita la propria funzione. Una figura, quindi, indispensabile. Il Corpo Consolare di Catania oggi rappresenta 18 nazioni I l Corpo Consolare di Catania, la cui costituzione risale al 1960, annovera, quali membri di diritto, oltre i Consoli e vice-Consoli residenti a Catania, anche quelli che, residenti altrove, estendono la loro circoscrizione oltre che sul territorio etneo anche in altre province Siciliane e che hanno comunque sede o ufficio consolare in Sicilia. L’appartenenza al Corpo Consolare è al momento riservata solo ai Consoli in carica, ma in analogia con altri statuti e regolamenti di altri Corpi Consolari in Italia, a richiesta, ne possono far parte inoltre, senza diritto di voto, i Consoli che, in quiescenza dopo onorato servizio, richiedono di continuare la loro appartenenza al Corpo Consolare. Il Corpo Consolare è una libera associazione, ai sensi delle leggi emanate della Repubblica Italiana, Paese ospitante, apolitica, aconfessionale, senza fini di lucro. Il Corpo Consolare è presieduto da un Decano nominato tra i Consoli più alti in grado ed, in caso di parità, da quello che ha maggiore anzianità di nomina. Nel caso di presenza tra i consoli di un Console di carriera, la figura del Decano viene ricoperta, come prassi, da un Console di carriera Le attività del Corpo Consolare sono molteplici e puntano ad un coinvolgimento sempre maggiore, nuovo e mirato della comunità locale e di quella internazionale. È proprio nell’ottica della funzione di collegamento svolta dal Corpo Consolare ed in particolare dai rispettivi Consoli, che si tende ad intrattenere rapporti di collaborazione con tutte le altre Autorità civili e militari, presenti a Catania e nelle altre Province Siciliane, allo scopo di contribuire e facilitare i rapporti tra cittadini dei Paesi designanti e le realtà del Paese ospitante Promuovere scambi culturali - commerciali – turistici tra i rispettivi Paesi e le aree di competenza per ampliare oltre alla conoscenza e le realtà di ogni singolo Paese, anche a favorire, mediante incontri e conferenze su campi specifici (economico, commerciale, turistico) la possibilità di interscambio sempre più proficuo La sede del Corpo Consolare di Catania è presso la dimora del Decano, oggi nella figura del Console Generale della Repubblica di Polonia, dottor Gerard Pokruszynski, in via M.Ventimiglia 117 (Tel.: 095 7460560 Fax 095 533247). Oggi a Catania sono rappresentati i seguenti Paesi: ALBANIA - Circoscrizione di Catania, Via Licciardi, 13 - COLOMBO DARIO, Console Onorario, Tel 095 78.90.355, e-mail: [email protected] BANGLADESH - Circoscrizione Sicilia Corso Italia,157 - VANADIA GIOVANNI, Console Onorario, Tel.: 37.2721, e-mail [email protected] BELGIO - Circoscrizione di Catania, Messina, Ragusa, Siracusa, Via Milo, 9 - DE BLAUWE CHRISTIANE, Console Onorario, Tel.:095 43.86.22 e-mail: [email protected] FINLANDIA - Circoscrizione di Catania, Agrigento, Siracusa - GERACI ELSA, Console Onorario, Tel.: 32.66.08, e-mail: [email protected] FRANCIA - Circoscrizione di Catania, Via V. Giuffrida 73 - TESTONI BLASCO FERDINANDO, Console Onorario, Tel.: 43.19.42 – Fax.: 44.16.01, e-mail: [email protected] GRECIA - Circoscrizione Catania, Siracusa, Enna, Ragusa, Caltanissetta, Viale Jonio 134 BIZZARRO ARTURO - Console Onorario, Tel.: 53.40.80 7462478 e-mail: [email protected] GUATEMALA - Circosrizione: Sicilia e Calabria, Viale XX Settembre 76 - TRANTINO ENRICO, Console Onorario, Tel.: 53.35.36 Fax: 53.35.85 e-mail: [email protected] GRAN BRETAGNA - Circoscrizione: Catania e Messina, via N. Coviello 27 - BROWN RICHARD, Console Onorario, Tel.: 716.73.36, e-mail: [email protected] MALTA - Circoscrizione Catania, Messina, Siracusa, Enna, Ragusa, Caltanissetta, corso Martiri della Libertà, 14 - CALI’ FERDINANDO, Console Onorario, Tel.: 53.96.28, e-mail: [email protected] PAESI BASSI - Circoscrizione: Catania, Siracusa, Messina, Ragusa, Via Anzalone, 7 - GE- RACI FABRIZIO, Console Onorario, Tel.: 32.66.08 Tel.: 31.06.29 e-mail: [email protected] POLONIA - Circoscrizione: Sicilia e Calabria, Via M. Ventimiglia 117 - GERARD POKRUSZYNSKI, Console Generale di Carriera, Tel. 095 7460560 Fax 095 533247 e-mail: [email protected] SENEGAL - Circoscrizione: Regione Sicilia, Via Monaca Santa 9 - RUGGERI FRANCO, Console Onorario, Tel: 44.77.55 e-mail: [email protected] SLOVENIA Circoscrizione: Regione Sicilia, Viale della Regione 54, 93100 Caltanissetta - GINEVRA AGOSTINO, Console Onorario, Tel.: 0934/56.31.68 – 0934/59.81.60 – e-mail: [email protected] SPAGNA - Circoscrizione: Provincie di Siracusa, Ragusa, Catania, Via Politi, 9 BUFARDECI KETTY, Console Onorario, Tel.: 32.7289, e-mail.: [email protected] SRI LANKA - Circoscrizione: Regione Sicilia, Via F.Crispi 239 - DI MAURO LUCA, Console Onorario, Tel. :53.52.02, e-mail: [email protected] [email protected] SVIZZERA - Circoscrizione: Regione Sicilia, Viale A.De Gasperi 151 - BRODBECK SANDRA, Console Onorario – (segretaria/tesoriera), Tel.: 38.69.19 Fax: 37.54.75, e-mail: [email protected] THAILANDIA - Circoscrizione: Regione Sicilia,Via Etnea, 196 - NANIA GIOVANNI, Console Onorario, Tel. 095/313618 Fax.: 095/7153273, e-mail: [email protected] [email protected] TURCHIA - Circoscrizione: Messina, Catania,Siracusa,Ragusa,Enna, Caltanissetta, Via Epicarmo 39 Siracusa - ROMEO DOMENICO, Console Generale Onorario (Vice Decano del Corpo Consolare) - Ufficio di Augusta: via Principe Umberto 83 – 96011 Augusta, Tel.: 0931/ 983446 Tel 0931 /999747 Fax.: 0931/997814, e-mail: [email protected] 15 19 Luglio 2008 Viaggio attorno alle antiche fortificazioni della città di Catania Lunga storia di un maniero chiamato Castrum Ursinum di CORRADO RUBINO Q uesto è il secondo di una serie di racconti che ci condurranno lungo itinerari storici che avranno come obiettivo le opere di fortificazione realizzate durante la millenaria vita della città di Catania. Nel precedente articolo, in conclusione, abbiamo scritto che il compito di fortezza che ebbe l’Ecclesia munita del vescovo-feudatario, rappresentante del potere ecclesiastico, durò solitario fino all’avvento della famiglia sveva degli Höhenstaufen e in particolare fino al 1239, anno in cui l’architetto di Federico II di Svevia, Riccardo da Lentini, diede inizio alla costruzione di un’altra fortezza: Castello Ursino. Il 1239 fu l’anno in cui la lotta verbale fra 1’imperatore Federico II di Svevia e il Papa Gregorio IX si fece più feroce. La domenica delle Palme di quell’anno il Papa aveva scomunicato per la seconda volta “l’eretico” svevo. Ma Federico era calmo e freddo. Non bisognava dare segni di nervosismo. I vescovi-principi germanici erano dalla parte dell’imperatore. Nell’Italia meridionale Federico aveva già avviato una decisa opera costruttiva di opere di difesa per tutto il Regno Meridionale e quindi si poteva dedicare liberamente a fare la guerra al Papa e ai Comuni dell’Italia del nord suoi alleati. L’interesse mostrato dall’imperatore nei confronti del programma messo in atto per la realizzazione di opere di difesa dei suoi domini è, secondo gli studiosi, un’ulteriore prova dell’influenza culturale che Federico volle esercitare anche sulla produzione architettonica e in particolare su quella di nuova edificazione. Basta osservare le varie costruzione sveve dell’Italia meridionale per scorgere tra di loro un innegabile filo conduttore di un linguaggio che nasce alla corte di Federico e che viene elaborato da una élite laica e, in parte cosmopolita, di uomini che assorbono e filtrano esperienze del passato e di altre realtà culturali. Resta comunque fondamentale il costante riferimento al pensiero dell’imperatore, come scrive Maria Giuffrè, “alla sua concezione universalistica della cultura e alla sua consapevolezza dell’autonomia totale e delle prerogative assolute dello stato”. La costruzione del Castello Ursino ha inizio nel 1239, documentato dalle cosiddette lettere lodigiane di Federico II, sotto la direzione del praepositus aedificiorum Riccardo da Lentini. La scelta del sito e la sua progettazione fanno parte del più vasto progetto del sistema difensivo dell’area orientale della Sicilia. A tale proposito bisogna immaginare che il punto su cui oggi sorge la fortezza federiciana era, allora, a ridosso del mare e dominava strategicamente sia il porto della città (in aperta e spudorata concorrenza con la ecclesia munita del vescovo) e sia il grande golfo della piana di Lentini: cosa che oggi è assolutamente irriconoscibile anche su una carta topografica. I castelli di Augusta e Siracusa, già quasi completi quando Riccardo da Lentini apre il cantiere di Catania, formano, assieme a quest’ultimo, una sequenza continua di insediamenti residenziali fortificati a presidio non solo della costa (Siracusa e Catania) ma anche dei centri urbani di riferimento (Augusta). La prima delle lettere lodigiane che l'imperatore scrisse da Lodi, a Riccardo da Lentini che si trovava a Catania, fu del 17 novembre 1239. Con questa lettera Federico esprimeva il suo compiacimento per quanto Riccardo stava facendo, dicendosi d’accordo nella scelta del luogo su cui edificare il castello e lo invitava ad approntare, in tempi strettissimi, l’occorrente per dare inizio ai lavori. Una settimana dopo Federico risponde da Cremona (evidentemente ad una lettera scritta da Riccardo) nella quale egli dava chiare istruzioni su come Riccardo avrebbe dovuto avere le somme necessarie affinché il castello potesse subito essere edificato. Da questa corrispondenza appare chiaro che le una bolla di papa Alessandro IV, concedeva ai Francescani di Catania la chiesa di San Michele Arcangelo che si trovava all’'interno del recinto del castrum Ursinum. Questa è la prima volta che compare il nome “Ursino” per indicare, a pochi anni dalla sua costruzione il castrum Cataniae fatto edificare da Federico II. Nel 1274, papa Gregorio X scrisse al vescovo siracusano affinché fosse lanciata la scomunica contro i persecutori dei Francescani catanesi che, in dispregio delle disposizioni del suo predecessore, Clemente IV, avevano commesso "ingiurie, violenze e distruzioni" contro i sopradetti frati sconfigge i due giganteschi castellani saraceni Grifone e Mata, ne occupa il castello e li costringe ad assistere al trionfo cristiano. Una variante, dei primi del novecento, alla leggenda dei giganti Ursini, vuole che essi siano stati sconfitti e uccisi dal paladino catanese Uzeta il quale, per ricompensa, ottiene in sposa la figlia del re. Attualmente il Castello Ursino è Il Castello federiciano fa bella mostra della sua massiccia mole da quasi 770 anni: è la prova dell’influenza culturale che Federico volle esercitare anche sulla produzione architettonica e in particolare su quella di nuova edificazione somme necessarie per dare inizio ai lavori dovevano essere reperite da somme residue provenienti dalla costruzione del Castello di Augusta, ma soprattutto dalla somma offerta a Federico stesso dai rappresentanti della città di Catania, che si erano recati presso di lui, in Lombardia, proprio per manifestare la necessità di fare edificare il castello. Quindi la costruzione del castello, realizzata in accordo con la comunità catanese, non fu affatto dettata dalla volontà di repressione per punire i catanesi per la rivolta del 1232 avvenuta otto anni prima. Sembra piuttosto che le leggende nate in occasione di tale rivolta e sulle violente rappresaglie tentate da Federico II nei confronti della popolazione (che la vecchia storiografia ha riproposto senza fondamento) siano nate dall’odio profondo del partito guelfo catanese contro “l’eretico” svevo. Federico II muore nel 1250. Nel 1255 il vescovo di Catania, Ottone Capozzo, con una lettera inserita in nel luogo qui dicitur Castrum Ursinum. Con la dominazione angioina Papa Nicolò IV, in un’altra bolla del 1278, confermò la concessione di Alessandro IV ai Francescani per quel luogo sacro posto in Castruma Ursinum vulgariter noncupatur. Molteplici sono state le ipotesi sul perché di tale appellativo e sarebbe troppo luogo elencarle, anche perché noi non ci sentiamo di avallarne una al posto di un'altra. Forse la tesi meno fantasiosa è quella che, proprio perché senza un nome ufficiale, il popolo lo abbia indicato genericamente come “castrum sinus” (castr-um-sinus), cioè castello del golfo. La più romantica è quella partorita dalla fantasia popolare che ha immaginato l’esistenza dei giganti saraceni Ursini, che il normanno conte Ruggero avrebbe sconfitto, per impadronirsi del loro castello sulla spiaggia di Catania. Questa leggenda ha una evidente analogia con quella messinese in cui il conte Ruggero un grande parallelepipedo di 50 metri per lato. I muri esterni hanno lo spessore di 2,50 metri mentre i muri interni sono spessi 2 metri. Le sue linee architettoniche generali, nei secoli, non hanno subito profonde trasformazioni da quelle progettate da Riccardo da Lentini che lo realizzò protetto agli angoli da quattro torri cilindriche uguali e con quattro torri, semicilindriche e più basse, poste ognuna a metà di ogni lato. Ma poi le due torri mediane, a oriente e a meridione, sparirono, gravemente danneggiate, a seguito di terremoti e dell’eruzione del 1669. Oggi, dopo gli ultimi lavori eseguiti all’esterno del castello, i basamenti di queste due torri mancanti sono stati rimessi in luce. Le torri sorgevano su basi “a scarpa” che oltre a rafforzarle davano al castello una immagine di imponenza che l’attuale angolo di osservazione non può dare. Infatti il piano da cui si poteva osservare la fortezza, prima del 1669, era molto più basso dell’attuale. II lato settentrionale del castello è il principale ed è quello più integro. Questo prospetto ha pochissime aperture. In particolare il primo piano e privo di finestre e gli ambienti interni ricevono solo luce dall’atrio interno: ciò fu dovuto della necessità di rendere meno vulnerabile questo lato, che era il più esposto agli attacchi dalla terraferma. Ha il tipico portale d’ingresso medievale a sesto acuto che guarda a nord, ed è posto fra la torre angolare di nord-ovest (delle bandiere) e la torre mediana. Prima dell’ingresso si notano i resti delle opere di fortificazione avanzate (antemurale) che innalzandosi fino a metà circa del muro del castello proteggevano l’ingresso: ma probabilmente sono del periodo aragonese. In alto a destra, dell’ingresso al castello, si nota un’edicola contenente, a tutto rilievo, l’aquila imperiale (simbolo del potere svevo) che ghermisce con gli artigli una preda. Le feritoie, soprattutto quelle del lato settentrionale e di tutto il piano terra, sono in massima parte dell’epoca federiciana, ma molte sono le finestre e i finestroni aperti nelle mura del castello nel ‘400 e nel ‘500. Il lato occidentale, esternamente, e quello che più ha subito trasformazioni nei secoli. Nel lato meridionale è ancora visibile la “porta falsa” del castello e quel che resta della scala che portava a mare o meglio all’imbarcadero. Anche la facciata orientate ha subito notevoli interventi nei secoli successivi. Quello che oggi spicca maggiormente è la grandiosa finestra rinascimentale sormontata da una stella pentagonale in pietra lavica. All’interno, lo sguardo viene subito attratto dal grande salone di 25 metri per 8 che si sviluppa a sinistra coperto da un’armonica fuga di tre crociere quadrate definite da Giuseppe Agnello "campate di un maestoso tempio gotico". L'intero piano terra era ritmato dal modulo delle crociere uguale e simmetrico: 8,30 metri per 8,30 metri. Tale simmetria si ritrova al piano superiore solo nel lato settentrionale. Attorno alla coorte quadrata, cuore del castello, si dispongono quindi quattro grandi sale, fiancheggiate da sale angolari minori, attraverso le quali si accede alle torri angolari. Dal piano inferiore a quello superiore si accedeva per delle scale elicoidali poste nelle torri mediane di cui oggi ce ne resta solo una nella torre mediana della “sala delle armi”. La cosiddetta scala catalana, che dal cortile porta alla sala dei Parlamenti, è una recente ricostruzione di una precedente del 16° secolo. Le torri, che all’esterno sono cilindriche, all’interno si presentano ottagonali e sono coperte da volte "ad ombrello". Tale figura geometrica è caratteristica di Castel del Monte ad Andria che è contemporaneo di Castello Ursino. Ogni torre ha un nome emblematico; Torre delle Torture (nor-est), Torre delle Bandiere (nord-ovest), Torre dei Magazzini (sud-ovest), Torre del Sale (sud-est). SPECIALE LA VOCE DELL’ISOLA SPECIALE LA VOCE DELL’ISOLA 16 19 Luglio 2008 Storia dimenticata del Castello Ursino, “simbolo” significativo di Catania La temuta residenza reale degli Aragonesi di Sicilia di CORRADO RUBINO F orse non erano trascorsi neanche molti anni dal completamento della fortezza quando il castello fu teatro della sentenza di morte emessa dal re Manfredi nel 1261 per giustiziare l'impostore siciliano Giovanni de Cocleria che, dicendo di essere il redivivo Federico II, cercò d’impossessarsi del regno. Nel 1266, il 26 febbraio, re Manfredi venne ucciso nella battaglia di Benevento. La tragica avventura di Corradino segnò il tramonto degli Höhenstaufen e Carlo d’Angiò divenne il signore in Sicilia, dando inizio alla "mala signoria" del casato angioino. Ma il Castello Ursino non fu subito sotto il loro controllo, perché a resistergli tra le sue mura rimase il fedelissimo, alla memoria degli Svevi, il Gran Giustiziere del regno Corrado Capece, e i suoi seguaci; fino al 1270, quando fu barbaramente trucidato nei pressi del castello stesso da Guglielmo d’Etendart. Al Vespro, nell'aprile 1282, vi si rinchiusero i Francesi presenti a Catania per resistere alla grande violenza popolare scaturita dalla rivoluzione. Il catalano Pietro III d’Aragona, il Grande, essendo marito dell’ultima erede degli svevi, rivendicò il diritto di sovranità sulla Sicilia e nei primi di settembre di quell'anno, il nuovo re, vi riunì i rappresentanti delle città della Val di Noto per esortarli alla difesa e nel maggio del 1283 vi convocò il Parlamento Generale del Regno di Sicilia. Il successore di Pietro il Grande fu suo figlio Giacomo, che però commise l’errore di nominare suo fratello Federico vicario per il Regno di Sicilia. Federico, come si sa, nel Castello Ursino vi rimase per lungo tempo, tanto da farne la residenza reale della sua famiglia, fino al 1412: fin quando cioè la Sicilia rimase formalmente indipendente. Federico d’Aragona era il figlio terzogenito di Pietro III il Grande e di Costanza di Höhenstaufen, figlia di Manfredi re di Sicilia, quindi è facile intuire il dolore che questa donna patì quando l’altro suo figlio Giacomo, con il trattato di Anagni “svendette“ la Sicilia all’eterno nemico, Carlo II d’Angiò lo zoppo. Molti baroni siciliani, però, giurarono fedeltà al vicario Federico. Era vero che Federico apparteneva al real casato aragonese ed era fratello di Giacomo, ma ormai viveva in Sicilia dal 1283, cioè da quando aveva 11 anni. Federico aveva 19 anni quando re Giacomo lo nominò Vicario del regno di Sicilia e 24 anni quando, il 15 gennaio del 1296, egli stesso fu proclamato re di Sicilia dal Parlamento siciliano adunato nel Duomo di Catania e quindi pienamente consapevole di essere “l’alfiere” dell’indipendenza dell’isola contro il suo stesso casato. A differenza del fratello Giacomo, il neo re di Sicilia era cresciuto nel mito della “discendenza sveva” alimentato da sua madre Costanza, l’ultima degli Höhenstaufen e che non aveva dimenticato. C’erano ancora conti in sospeso con gli assassini di Corrado e di Corradino di Svevia. Lo sterminio degli eredi di Federico II di Svevia, compiuto dagli angioini con l’appoggio del Papa, non poteva rimanere impunito. Federico resistette validamente all’assalto degli Angioini, sostenuti da papa Bonifacio VIII e da suo fratello Giacomo d’Aragona, finché col trattato di Caltabellotta (1302) ottenne il titolo di re di Trinacria. Ma nel 1313, rotta la pace, assunse il titolo di re di Sicilia con il nome di Federico III e nominò suo erede al trono suo figlio Pietro dando così origine ad una dinastia di “Aragonesi di Sicilia”. Questo passaggio storico è importante perché molti confondono la “dominazione” aragonese con la “signoria” di un ramo di quest’ultima dinastia che nasce, cresce e muore in Sicilia e che avrà come epicentro proprio Castello Ursino. Re Federico III fece definitivamente di Castello Ursino la sede dei sovrani aragonesi e di Catania la capitale del Regno e provvide inoltre a chiudere il castello, sul lato settentrionale, con un sistema di avanzate difese (antemurali). Alla morte di Federico, avvenuta per malattia nel 1337, il re che aveva ridato dignità ai siciliani fu sepolto nella città che egli stesso aveva eletto a sua residenza. Il figlio di Federico, Pietro II di Sicilia, convocò al Castello Ursino, un importante Parlamento Generale del Regno, nel 1337. I figli di Pietro e di Elisabetta nascono tutti nelle stanze del castello: Ludovico, il 4 febbraio del 1338, che sarà incoronato alla morte del padre col titolo di Ludovico I re di Sicilia; Costanza ed Eufemia che saranno reggenti fino alla maggiore età di Federico, nato nel 1342, che sarà incoronato, dopo la prematura scomparsa del fratello Ludovico, col titolo di Federico IV detto il Semplice. Ma naturalmente il castello fu testimone anche di momenti di lutto. Giovanni stello catanese non manca il capitolo del “rapimento”. L’erede al trono di Sicilia la regina Maria d’Aragona fu rapita da Guglielmo Raimondo Moncada la notte del 23 gennaio 1379, proprio dal Castello Ursino, attraverso la “porta falsa”, per impedire che si compisse un ardito progetto matrimoniale del suo tutore e vicario del Regno, Artale Alagona. Già, perché il rapimento di questa reale ragazzina da Catania si inserì in una serie di avvenimenti internazionali che videro coinvolti i potenti della fine del ‘300 e che, se non avesse avuto luogo, forse avrebbe cambiato il corso della storia siciliana. Nella residenza di Castello Ursino cresceva, sotto la protezione di Artale, la figlioccia Ma- Il maniero fu teatro della sentenza di morte emessa dal re Manfredi nel 1261 per giustiziare l'impostore siciliano Giovanni de Cocleria che, dicendo di essere il redivivo Federico II, cercò d’impossessarsi del regno d’Aragona, duca di Atene e di Neopatria, che era figlio di Federico III d’Aragona e fratello minore di Pietro II, vi morì nel 1348. Anche Federico il Semplice, dopo avere sposato nel 1360 Costanza di Castiglia, figlia del re Pietro IV d’Aragona, sceglie come residenza della famiglia reale il castello catanese che purtroppo sarà testimone, nel 1363, sia dell’evento gioioso della nascita dell’erede al trono Maria, ma anche della morte di Costanza stessa per complicazioni post-parto. L’8 novembre 1347 nel castello si incontrarono il duca Giovanni d'Aragona, reggente del Regno di Sicila, e Giovanna d'Angiò, regina di Napoli, per cercare di porre fine alla guerra per il possesso della Sicilia: gli Angioini riconobbero agli Aragonesi di Sicilia il dominio dell’isola. Ma il pontefice non ratificò l’intesa e la guerra continuò ancora fino alla “pace di Catania” che fu conclusa a Castello Ursino, nel 1372, con la mediazione di papa Gregorio XI, tra Giovanna e Federico il Semplice. Il castello aveva ovviamente i locali destinati a prigione nei quali vi finirono, durante le lotte intestine fra le fazioni baronali, anche i Chiaramonte dopo che cadde il castello di Lentini, e il piccolo Francesco, figlio del nobile Francesco Ventimiglia (conte di Gerace), accusato di alto tradimento. Nella storia del ca- ria che ormai era in età da marito e il suo tutore aveva già scelto per lei un ottimo partito: Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, di sedici anni più anziano di Maria. Ma col rapimento il progetto di Artale andò in fumo e Maria andò in sposa a Martino il Giovane nipote di Pietro IV d’Aragona. Dopo 7 anni dal matrimonio fra Maria e Martino, alla fine di ottobre del 1398, Maria diede alla luce nello stesso luogo dov’era nata lei, al Castello Ursino, il figlio Federico che però purtroppo morì prima di compiere due anni. Con lei si estinse la “dinastia degli aragonesi di Sicilia” rappresentata da 5 monarchi: Federico II (III), Pietro II, Ludovico, Federico III (IV) e Maria stessa. Tutti, meno Federico II (III), nati in Sicilia e tutti, compreso quest’ultimo, cresciuti, vissuti, morti e sepolti in Sicilia. Morto prematuramente anche Martino il Giovane, rimase padrona del regno la seconda moglie dell’aitante re, la bella Bianca di Navarra che però, grazie alle bramosie d’amore del vecchio Gran giustiziere del Regno, Bernardo Cabrera, non ebbe vita facile. Nel 1410 Cabrera arrivò ad assediare Bianca nel Castello Ursino. Dal 1412 la Sicilia tornò ad essere parte integrante dei possedimenti della casa reale spagnola. I viceré ritornarono a risiedere a Palermo, ma molti viceré per buoni periodi, con- tinuarono ad alloggiare a Castello Ursino. Vi soggiornò, nel 1415, il luogotenente del Regno, principe ereditario Giovanni, duca dei Pignafiel (essendo castellano certo Pietro Calderon); fra il 15° e il 16° sec., per tratti, vi soggiornarono i viceré Ximenes de Urrea (1443), Ferdinando de Acuña (devotissimo a Sant’Agata), Ettore Pignatelli (1517), Ferdinando Gonzaga (1535), Giovanni de Vega (1557) e nel 17° sec. Giovanni Francesco de Uzeda (1687). Il 15° sec. vide Castello Ursino soprattutto come sede dei più importanti Parlamenti del Regno, da quello del 1416 a quello del 1470, da quello del 1478 a quello del 1494, ed era ancora importantissimo se si tiene conto che, in quel torno, il suo castellano era di esclusiva nomina regia, mentre per gli altri castelli demaniali era dei viceré. In quel secolo, re Alfonso il Magnanimo molto spesso si trovò in Catania e in quelle occasioni risedette a Castello Ursino. Nel 16° sec. Castello Ursino fu, più che altro, integrato nell'ampio sistema difensivo contro la pirateria ottomana. Già questa, comunque, era una funzione che ereditava dal secolo precedente. Al castellano dell'Ursino erano sottoposti quelli del Castello di San Calogero (Brucoli a sud di Catania) e del Castello di Aci e secondo una disposizione del 1414 il primo era tenuto a comunicare ai secondi ogni pericolo che si avvistasse per mare con colpi di bombarda e con "fani" (segnali di fuoco o di fumo). Sempre nel ‘500, il castello, come vedremo similmente a tutti gli altri castelli, fu adibito a carcere. Com’è noto la colata lavica del marzo 1669, che ebbe la durata di quattro mesi e mezzo, investì Catania dal lato occidentale. Ai primi di giugno, il magma incandescente fu dinanzi a Castello Ursino, distruggendo i bastioni cinquecenteschi di Santa Croce e di San Giorgio. II magma avanzò fino alla porta del castello. Questa colata lavica determinò l'ampia terraferma che oggi si vede tra il castello e la “plaja” distaccandolo definitivamente dal mare. Ventidue anni dopo il terremoto del 1693 distrusse Catania fuorché qualche edificio tra cui proprio il Castello Ursino; anche se il suo lato orientale subì gravi lesioni e le stanze di quell’ala divennero inabitabili. Nel 18° sec., il castello, di anno in anno, perse sempre di più la sua importanza nel sistema difensivo della città. Agli inizi del 19° sec. la funzione del castello era esclusivamente quella di carcere. Nel 1831, re Ferdinando di Borbone lo fece cancellare dalla lista delle fortificazioni del Regno delle Due Sicilie ma nel 1837, però, la rivoluzione antiborbonica infiammò anche Catania e, come reazione, il sovrano ripose un’altra guarnigione militare nel castello, includendolo nuovamente nella lista delle fortificazioni del regno. Dopo l’unità d’Italia il castello non fu più giudicato idoneo a scopi di difesa militare ma fu sede di una caserma fino al 1931, passando poi al Demanio. Per installarvi la caserma, furono abbattuti le mura di recinzione e i finti fossati furono colmati, 1'intonaco coprì le pareti interne e quelle esterne, e per i muri perimetrali furono aperte insensate finestre: del primitivo impianto federiciano rimaneva solo la forma esterna. Nel 1917 il futuro archeologo Guido Libertini venne chiamato a svolgere il servizio militare a Catania e precisamente venne assegnato, come interprete, al Castello Ursino che fra i1 1915 e il 1918, fu adibito a carcere e vi furono rinchiusi molti militari austriaci della "Grande Guerra". Dopo molti anni Libertini, già affermato archeologo, realizzò la sua più viva e durevole creatura a Catania: il museo civico. L’idea gli era nata proprio quando svolse parte del suo servizio militare di leva, presso la rocca federiciana. I lavori di restauro iniziarono il 21 novembre 1932 sotto la sua direzione e il museo all’interno del Castello Ursino, che nel frattempo era passato fra le proprietà del Comune di Catania, fu ufficialmente inaugurato il 20 ottobre 1934 alla presenza del re Vittorio Emanuele III. PERIODICO DI INFORMAZIONE - ECONOMIA - CULTURA - TURISMO E SPETTACOLO • ANNO QUARTO Nº 2 - LUGLIO 2008 Un momento d’incontro significativo per comprendere la vera natura delle genti A Taormina aperto un costruttivo dialogo tra Sicilia e Turchia Il Cinema turco ha raggiunto oggi un grande risultato ed è riuscito a competere con la potente industria cinematografica straniera di DOMENICO COCO L ’ultima edizione del Taormina Film Fest” ha costituito un vero ponte tra la Sicilia e la Turchia: il giovane Cinema di questo Paese, infatti, è stato l’ospite d’onore della manifestazione cinematografica internazionale ed ha dato modo di far conoscere non soltanto i nuovi talenti che si affacciano alla ribalta mondiale, ma anche e soprattutto le problematiche che essi animano, utilizzando uno degli strumenti di penetrazione più coinvolgenti, appunto il Cinema. Di grande significa- to, pertanto, l’assegnazione, da parte della giuria, composta da Ferzan Ozpetek (presidente), Mirsad Purivatra e Jytte Jensen, ad un film turco. Il “Premio Speciale della Giuria” a Seyfi Teoman per la sua opera prima “Summer Book” perché “grazie al suo primo film dimostra di essere una grande promessa per il futuro del Cinema”. “È un grande piacere introdurre il pubblico di Taormina al nuovo Cinema turco – ha commentato la direttrice del Festival, Deborah Young -: la Turchia è al momento il più vibrante ed emozionante tra i Paesi mediterranei produttori di Cinema, ed è stato incredibilmente facile trovare titoli realizzati negli ultimi tre anni meritevoli di essere proiettati”. Nell’immediato futuro è possibile instaurare un concreto rapporto di interscambi culturali e turistici Da Istanbul a Taormina, all’Etna per conoscere la Sicilia Per gli artisti turchi la scoperta di un mondo sconosciuto 1 2 di Salvatore Di Mauro I l tributo al Cinema turco del Festival Internazionale di Taormina è culminato con un Gran Galà, una serata di musica, cultura e Cinema svoltasi nel Teatro Antico, alla presenza dei principali attori, attrici e registi del Paese. Un ringraziamento speciale è andato al Ministero della Cultura della Turchia e all'Ambasciata Turca a Roma per il loro generoso ed entusiastico supporto dato alla manifestazione. La serata al Teatro Antico è stata animata dal concerto di Baba Zula, uno dei gruppi di Istanbul che meglio esprime in musica la sintesi tra Oriente e Occidente. Nella loro musica si fondono la memoria e i suoni del rock psichedelico degli anni Sessanta, una voce femminile e melodie da "Mille e una notte", elettronica e strumentazione tradizionale turca. La delegazione turca presente a Taormina era composta dal regista Ferzan Ozpetek (che ha avuto il ruolo di presidente di Giuria del “Film Festival 2008”), da Huseyn Ulger, vice direttore Generale per il Cinema – Ministero della Cultura e Turismo di Turchia, Ahmet Boyacioglu, presidente Ankara Cinema Association, da Attila Dorsay, critico cinematografico, dai registi Seyfi Teoman e Ozay Fecth, dagli attori Tunnel Kutiz, Avca Damgaci, Fatma Humeyra Akbay, Serra Yilmaz, Saadet Isil Aksoy, dai giornalisti Reha Frus, Esin Kucuktepepinar, Muammer Brav, Ugur Hukum, da Aygun Atalay, consigliere per la Cultura ed Informazioni Ambasciata di Turchia, da Betul Duman, Addetta per la cultura ed informazioni dell’Amba- 3 sciata di Turchia, da Anna Maria Plebani e Ulkem Ozdenak, dell’Ufficio di Cultura, da Domenico Romeo, Console Generale onorario in Sicilia. A conclusione della manifestazione cinematografica, la città di Nicolosi - rappresentata per l’occasione dal vice Sindaco Salvatore Scuderi e dagli assessori Nunzio Spampinato e Antonio Borzi - ha ospitato la delegazione Turca presente, organizzando, un incontro al palazzo mu4 nicipale e una escursione sull'Etna, con la collaborazione della Funivia dell'Etna e della disponibilità di diversi locali del comprensorio del Rifugio Sapienza. Gli ospiti, accompagnati durante l'escursione dalla delegazione nicolosita, hanno raggiunto la Torre del Filosofo, usufruendo del primo tratto in funivia fino a 2.500 metri e proseguendo poi in jeep. L'attore turco Tuncel Kurtis, che a Taormina era stato premiato per la sua interpretazione nel film "Al limite del Paradiso", ha fatto presente di aver trovato, su questo lembo di Sicilia il posto ideale per poter coronare il suo sogno nell'interpretazione di Empedocle. Spontaneamente ha dato nel corso dell'escursione a 2.700 metri, una sua brillante esibizione in lingua turca, che ha affascinato i presenti. Parole di apprezzamento della direttrice dell'Ufficio Culturale dell'Ambasciata di Roma, Aygun Atalay, che ha convenuto sulla necessita di una intensificazione degli scambi turistici e culturali. Dello stesso parere è stato anche il Direttore Generale della Dalla nostra Isola un “ponte” fra due culture diverse che affondano le loro radici nei territori dell’area del Mediterraneo 5 Nelle foto: 1. Il concerto di Baba Zula 2. Huseyin Ulger e Deborah Young 3. Da sinistra Deborah Young – Organizzatrice; Tunnel Kurtiz, attore, Saadet Isil Aksoy, attrice, Huseyin Ulger, Vice direttore generale Cinema, Ministero Cultura in Turchia Arize Tan Direttore International Istanbul Film festival 4. Mrs Aygun ATALAY (Consigliere per la cultura ed informazioni Ambasciata di Roma) 5. Da sinistra Arize Tan - Betul Duman – Saadet Isil Aksoy Huseyin Ulger Tuncel Kurtiz – Ayca Damgaci Aygun Atalay 6. Delegazione Turca ed Autorità Comunali di Nicolosi 2 6 Turkish Airlines in Italia, Ali Doruk, il quale ha dichiarato che la Compagnia e lui personalmente potrebbero contribuirebbe all’attuazione di questi scambi mediante la predisposizione, inizialmente di voli speciali, allo scopo di assicurare un trasporto più economico diretto ed immediato, usufruendo fra l’altro del nuovo ed importante scalo Catanese La Sicilia - ha sottolineato - rappresenta un importante bacino d’utenza già da loro ben attenzionato, perché molti siciliani intraprendono viaggi di piacere e d’affari in Turchia. I responsabili del Comune di Nicolosi hanno visto di notevole interesse questo possibile collegamento che potrebbe, anche in periodi di bassa stagione, dare la possibilità di poter offrire agli anziani una nuova ed interessante destinazione (la Turchia, con la sua cultura, con il suo bellissimo mare e con la sua ospitalità), offrendo allo stesso modo ai cittadini turchi la possibilità di venire in Sicilia e visitare tutto quello che la Sicilia offre sia in termini di cultura, tradizione, cucina e di natura e, dove l’Etna rappresenta un punto di forza di ineguagliabile valore Gli ospiti turchi sono stati per l’occasione accompagnati dal Console generale Onorario in Sicilia, Domenico Romeo, e dal dottore Domenico Coco, promotore dell’incontro. La forza della Giovane Turchia U n recente rapporto dell’UNDP sulla gioventù turca, che prende in esame aspetti come l’istruzione, l’occupazione, la salute, con particolare attenzione alla fascia d’età che va dai 15 ai 24 anni, indica che i prossimi 15 anni saranno fondamentali per il futuro del Paese Dodici milioni sono i giovani della Turchia, su una popolazione di settantacinque milioni di abitanti. Una cifra che potrebbe diventare un prezioso fattore di cambiamento e sviluppo se sostenuto da una politica mirata che prenda in considerazione le diverse esigenze di tutti, a partire dai componenti più svantaggiati. Secondo il rapporto presentato recentemente dall’UNDP, la Turchia sta attraversando un periodo di opportunità demografica, che si presenta una volta sola nella storia di un paese. Si tratta in pratica di una “transizione demografica” che vede calare la popolazione complessiva mentre cresce la popolazione in età di lavoro. Ma per realizzare appieno questa “opportunità” mancano solo 15 anni, e le cose da fare sono ancora molte. La cultura è uno dei passaggi importanti per dare prospettiva ai giovani. Il nuovo Cinema turco ne è una dimostrazione, l’Arte è una riprova dei cambiamenti, così come si può “vedere” a Milano, dove è in corso una mostra di arte contemporanea dalla Turchia per mostrare al pubblico italiano un movimento culturale in forte crescita e, al tempo stesso, rendere omaggio al Paese che fino all'ultimo ha concorso con Milano e l'Italia per l'assegnazione dell'Expo 2015. "Save As... Arte contemporanea dalla Turchia", in Triennale Bovisa segna, nelle parole degli organizzatori, "la prima ini- ziativa culturale che porta Milano verso l'Expo". L'esposizione, che nasce dalla collaborazione tra la Triennale e il centro culturale turco "Santralistanbul", "non si presenta come una mostra tematica, esaustiva e riassuntiva dell'arte contemporanea in Turchia, ma come uno spaccato delle sue tendenze". Come a spiegato il presidente della Triennale di Milano, Davide Rampello, con questa nuova iniziativa "stiamo andando nella direzione che ci siamo proposti: portare a conoscenza linguaggi e protagonisti che per vari motivi non vengono rappresentati. Si tratta - ha aggiunto Rampello - di un primo passo verso il 2015, perché il vero cammino è quello di mostrare questi linguaggi e questi protagonisti". Anche Serhan Ada, direttore di "Santralistanbul", sottolinea che si tratta di "una mostra di arte contemporanea 'dalla Turchia' e non 'turca'. Sono opere che parlano di una ricerca universale, e non nazionale. Si pensa sempre ha aggiunto Serhan Ada - alla Turchia come ponte tra Oriente e Occidente, ma è una lettura semplicistica, si dovrebbe parlare di un palinsesto di culture, civiltà, religioni. È un panorama molto più complicato di quanto si immagina". Varietà di temi e linguaggi che si declina anche nelle opere dei 30 artisti, che spaziano dalla fotografia all'installazione alla videoarte, e rendono il senso di una realtà culturale in fermento. Il titolo della mostra, "Save As..." fa riferimento, come hanno spiegato Rampello e Ada, alla conservazione. Ma anche, ha aggiunto il direttore turco, "suggerisce un'implicazione più dinamica, vale a dire l'attivazione di ciò che è stato salvato in contesti successivi, o il suo inoltro in direzioni diverse. Sarà compito dell'osservatore/osservatrice e del suo sguardo curioso colmare il vuoto che seguirà 'Save As...'". Nelle opere esposte alla Triennale Bovisa si colgono i valori che ispirano il lavoro degli artisti e, tra questi, spicca il tema dei diritti delle donne ("Valore sacro" per Rampello). In particolare una sezione è dedicata alla memoria di Pippa Bacca, l'artista milanese violentata e uccisa in Turchia durante un viaggio-performance. "Pippa è innanzitutto una donna... - scrive la curatrice della mostra Derya Yucel - e come le molte donne che hanno subito molestie, violenze e stupri, è aggredita e uccisa soltanto perché è una donna". L'omaggio degli artisti turchi a Pippa vuole fare "in modo che il suo messaggio si diffonda in tutto il mondo. Crediamo tutti, ancora una volta, che l'arte possa cambiare il mondo". EUROPA MEDITERRANEO Iscritto al n° 27/2004 dell’apposito Registro presso il Tribunale di Catania Editore: Mare Nostrum Edizioni Srl Direttore responsabile: Salvatore Barbagallo Redazione: Catania - Via Distefano n° 25 Tel/fax 095 533835 E-mail: [email protected] Stampa: Litocon Srl - Z.I. Catania Tel. 095 291862 Anno IV, nº 2 Luglio 2008 3 La collaborazione tra i due Paesi passa anche dalle grandi manovre sugli oleodotti Italia -Turchia a tutta energia con il Progetto TransAnatolia di Giovanni Percolla I l 25 aprile dello scorso anno sono stati ufficialmente inaugurati i lavori per la realizzazione del Progetto TransAnatolia (TAP), un oleodotto destinato a trasportare petrolio dal porto di Samsun sul Mar Nero al terminale di Ceyhan, sulla costa mediterranea. I lavori, dalla durata prevista di tre anni, costeranno circa due miliardi di dollari e permetteranno di realizzare un oleodotto lungo 555 chilometri in grado di trasportare, una volta a pieno regime, un milione e mezzo di barili di oro nero al giorno. A realizzare l’opera saranno la Holding turca Çalik e l’italiana ENI, che nella regione ha già realizzato il gasdotto Blue Stream e partecipa alla gestione dell’oleodotto Baku-TiblisiCeyhan (BTC). Per gestire l’oleodotto è stata costituita una società, TAPCO, che dovrebbe vedere, accanto a Çalik e Eni, anche la partecipazione dell’Indian Oil. Trattative sarebbero in corso per permettere l’inserimento nella società anche della giapponese Mitsubishi Con l’entrata in funzione di questo nuovo oleodotto il porto di Ceyhan, che è già il terminale per due oleodotti provenienti dall’Iraq e per quello BTC, diventerà la “Rotterdam del Mediterraneo”, da dove passerà il 6-7% dell’intera produzione mondiale di petrolio. In questo clima di generale ottimismo fanno però capolino alcuni dubbi sulla reale possibilità che l’oleodotto possa essere utilizzato a pieno regime. Infatti mentre si sta dando il via ai lavori di costruzione dell’oleodotto, i contratti stipulati con i produttori di petrolio sono ancora insufficienti per garantire la piena utilizzazione dell’oleodotto. Scaroni ha risposto a queste osservazioni ricordando che l’oleodotto servirà a trasportare il petrolio che l’ENI estrae dal Mar Caspio e che l’obbiettivo finale è quello di stipulare contratti con Exxon, Total e Shell in modo che anche queste società utilizzino l’oleodotto Samsun-Ceyhan per trasportare il petrolio del Caspio. L’incognita è però rappresentata dalla Russia. Nel luglio scorso in occasione dell’inaugurazione dell’oleodotto Baku-Tiflis-Ceyhan, il progetto di un oleodotto tra il Mar Nero ed il Mar Mediterraneo era stato presentato anche come un’iniziativa che aveva l’obbiettivo di attenuare la frustrazione russa, che con la realizzazione dell’oleodotto BTC aveva visto naufragare le ipotesi di un’alternativa che da Baku portasse il petrolio ai porti russi del Mar Nero. L’interesse che la società russa Lukoil all’epoca aveva espresso per la realizzazione di una raffineria sulla sponda tura del Mar Nero sembrava confermare le intenzioni di Mosca di accettare la soluzione Samsun-Ceyhan. Dall’estate del 2006 ad oggi invece molte cose sono cambiate e la Russia si è mossa al- la ricerca di soluzioni alternative. Nel marzo scorso ad Atene è stata siglata un’intesa tra Russia, Bulgaria e Grecia per la realizzazione di un oleodotto di 285 km tra Burgas e Dedeagac che sarà realizzato entro il 2009 da un consorzio capitanato da GazProm. Il petrolio russo arriverà così sulle coste bulgare via nave per proseguire via terra fino in Grecia e da qui ai mercati europei, senza passare per gli stretti turchi. Una soluzione che, a meno di accordi diversi, rende concreta la possibilità che all’oleodotto Samsun-Ceyhan venga a mancare l’apporto del petrolio russo. Le grandi manovre in tema di energia però non si esauriscono qui e vedono sempre la Turchia coinvolta nel suo ruolo di piattaforma di transito. È il caso del consorzio Nabucco. Il progetto di un gasdotto lungo 3300 km che dovrebbe portare il gas del Caspio e del Medio Oriente dalla Turchia fino in Austria passando per Bulgaria, Romania e Ungheria. Entrata in funzione prevista per il 2012. Il primo passo è stato mosso dall’austriaca OMV che ha firmato un accordo con l’Iran dal valore di 30 miliardi di dollari per la fornitura di gas metano. Attualmente però il progetto fa registrare una fase di stallo che ha portato il rinvio dell’inizio dei lavori al 2008. Secondo alcune informazioni circolate nelle scorse settimane la causa del rinvio starebbe nell’opposizione che il partner turco, la società Botas, avrebbe posto all’ingresso nel consorzio della francese Gaz de France. Una reazione dettata, sempre secondo queste voci, dall’approvazione lo scorso anno da parte del parlamento francese della legge che punisce chi neghi la realtà del genocidio armeno. Le autorità turche dal canto loro hanno però smentito la notizia. Con l’entrata in funzione di questo nuovo oleodotto il porto di Ceyhan diventerà la “Rotterdam del Mediterraneo”, da dove passerà il 6-7% dell’intera produzione mondiale di petrolio 4 LA VOCE DELL’ISOLA 21 19 Luglio 2008 Compie gli stessi errori storici della sinistra e di Di Pietro Grillo, “corpo estraneo” alla Sicilia Chi ci perderebbe dall'indipendenza della Sicilia è solo l'Italia che già sta male e che manderebbe i carri armati (o la mafia) a regolare in conti nell'isola ribelle. I conti che fai, i conti che fa Libero, sono quelli che tengono conto della sede legale delle imprese e non del luogo dove i redditi sono prodotti. Prova a mettere una filiale di un'impresa italiana in Argentina (paese straniero) e vedi dove sono tassati i relativi redditi! La Sicilia e la Basilicata che insieme estraggono il 30 % circa degli idrocarburi consumati in Italia (quasi tutto il resto è importato) passano per "regioni mantenute". La Sicilia produce anche il 60 % dei prodotti petroliferi consumati in Italia e tanta energia elettrica da sfamare gran parte del Sud Italia. E poi siamo noi i mantenuti... Poi, grazie ai partiti italiani che ci hanno devastato, facciamo cattivo, cattivissimo, uso delle nostre risorse, ma a questo dovremmo pensarci noi, o te ne importa qualcosa? Magari i Siciliani sentissero le tue parole offensive ed avessero il coraggio di reclamare l'indipendenza! Ma Vaffa... Grillo ignorante! Ti spieghiamo perché in Sicilia non vincerai mai! Perché stai facendo lo stesso errore storico della sinistra e di Di Pietro: i problemi della Sicilia si risolvono da Roma, da Genova, da Milano, con più centralismo, con il ponte etc...Sei l'ennesimo corpo estraneo, l'ennesimo "liberatore" che viene da fuori. Siamo d'accordo con molte delle tue battaglie ma di Sicilia non capisci niente e non sei meno straniero degli ascari che oggi la governano. Dal suo editoriale "Il castello di carte" del 5 luglio: "…Le regioni autonome lo siano con i loro redditi, altrimenti dichiarino la secessione dall’Italia che le mantiene....". Non è la prima volta che lo dici. L'hai anche detto - e non lo dimentichiamo - al tuo primo comizio elettorale in Sicilia, in appoggio a Sonia Alfano, quando tra il serio e lo scherzoso dicesti: "Voi volete essere autonomi con i nostri soldi". Allora non ci fai, ci sei... Vogliamo solo sperare che sbagli per ignoranza. Ma i tuoi grillini isolani invece di protestare ti scodinzolano dietro: nuovo ascarismo a un nuovo padrone. La Sicilia è a credito con l'Italia, come lo è ogni colonia sfruttata dalla metropoli, mettiamocelo bene in testa! Le statistiche truccate di “Libero” che dice che la Sicilia riceve dallo Stato più di quello che dà sono un'emerita bufala. L’ALTRA SICILIA – Antudo Intercettazioni: non serve la Corte Forti preoccupazioni genera la notizia che il Governo starebbe per presentare un disegno di legge in materia di intercettazioni prevedendo, tra l'altro, la competenza alla autorizzazione in capo ad un collegio di magistrati. L'impressione è che si stia continuando, più che a navigare a vista, ad andare davvero alla deriva, emanando norme di natura emergenziale e non pensando a riforme di sistema, le uniche idonee a rifunzionalizzare la giurisdizione e mantenere all'ordinamento l'indispensabile carattere di organicità. I guasti delle intercettazioni nei confronti dei quali sta insorgendo la società civile risiedono non tanto nel modesto controllo da parte del Giudice delle Indagini Preliminari sull'operato dell'Ufficio del Pubblico Ministero e nella eccessiva facilità con la quale vengono autorizzate le intercettazioni, quanto e piuttosto nella fuga di notizie alla quale sistematicamente si assiste e nei costi esosi ed insostenibili. Il rimedio al primo problema lo si ottiene blindando ulteriormente le indagini e, dispiace davvero dirlo, sanzionando congruamente chi pubblica notizie che illegalmente o illecitamente sono uscite dal Palazzo di Giustizia: non è tollerabile che la incivile pubblicazione di notizie, ottenute in modo facilmente intuibile, riguardanti fatti rigorosamente privati, ma dati in pasto a chi ne fa commercio di ogni tipo ed alla morbosa schiera di curiosi, venga contrabbandata come esercizio del diritto di cronaca. E, più che la sanzione penale, bisogna ricorrere a quella amministrativa, la sospensione dall'esercizio della professione o dal servizio, applicata, con le garanzie del caso, anche in via cautelare. Il rimedio al secondo problema risiede nell'impossessarsi del servizio di intercettazione e nel governarlo o attraverso la realizzazione presso le Procure della Repubblica degli impianti necessari ovvero stipulando convenzioni nazionali mediante gare idonee ad assicurare costi adeguati e sostenibili. Se, poi, l'intenzione è quella del maggior controllo delle intercettazioni disposte dall'Ufficio del Pubblico Ministero, sembra davvero una pia illusione, disancorata dalla realtà, quella per la quale un collegio fornirebbe concretamente e significativamente maggiori garanzie: è impensabile che tre magistrati, nella fase delle indagini, possano tutti e tre esaminare funditus le richieste del Procuratore della Repubblica. Così come avviene oggi in moltissimi casi, sarebbe solo uno dei tre, il relatore, ad esaminare la richiesta che verrebbe poi sollecitamente adottata dal collegio. Ma, poi, oggi il sistema è che il Giudice dell'Udienza Preliminare possa essere competente, pur Giudice monocratico, a trattare in sede di rito abbreviato processi di estrema gravità ed enorme complessità nonché ad infliggere pene gravissime. Questa è una sola delle numerose, eclatanti, ipotesi tra le quali non è certamente in ombra quella afferente all'adozione delle misure cautelari. Però, al contempo, si richiederebbe l'intervento di tre magi- strati per un incombente, grave sì, ma in misura assai diversa. Il Legislatore ha operato una scelta, ormai alcuni anni fa, quando ha dato un'impronta monocratica alla giurisdizione penale e tanto operò per ragioni di risorse. Ecco l'ulteriore profilo da non trascurare. La competenza collegiale implica l'assegnazione alla Sezio- ne del Giudice delle Indagini Preliminari di almeno quattro magistrati, dei quali tre deputati all ' adozione dei provvedimenti anche di competenza collegiale ed il quarto alle funzioni del Giudice dell'Udienza Preliminare. L'adozione di un provvedimento di autorizzazione alle intercettazioni, però, provocherebbe immediatamente le incompatibilità disciplinate dalla Legge e diffusamente elaborate dalla giurisprudenza: quattro magistrati, a fronte dei due attuali, non potrebbero trattare le ulteriori fasi del processo. Le conseguenze che la riforma avrebbe sui Tribunali di ridotte dimensioni sono fin troppo evidenti: alcuni sarebbero posti nell impossibilità, con le sole proprie forze, di decidere, ma molti si troverebbero in serie difficoltà. Né è pensabile il ricorso alle tabelle infradistrettuali che, fino ad oggi e grazie all'atteggiamento decisamente ostile di molti, non hanno sortito effetti significativi. In una fase storica come quella attuale, nella quale le risorse magistratuali sono quantitativamente insufficienti, gravare il sistema di ulteriori competenze o costringerlo a ritmi serrati senza che ricorrano gravi ragioni, come sta al contempo accadendo con le norme in materia di sicurezza pubblica, manifesta una considerazione relativa del sistema e delle ricadute che su di esso avranno certamente le norme in questione. La proiezione è doverosa ma non è tanto questo il problema, che è ben diverso e, se vogliamo, culturale. Chiunque abbia maturato un minimo di esperienza giudiziaria sa bene che un magistrato, se il suo percorso professionalizzante è stato serio, in ogni momento ed in ogni fase, è bene in condizione, anche da solo, di adottare le più gravi determinazioni, soprattutto se sono solo procedurali e non attengono alla decisione sulla responsabilità dell ' imputato. Ma il presupposto indefettibile è che sia davvero terzo, nei sensi scolpiti dall'articolo 111, che sia psicologicamente e culturalmente autonomo ed indipendente, e che nessuna contiguità, di alcun tipo, nemmeno ambientale, abbia con alcuna delle parti del procedimento, nemmeno con il rappresentante della Pubblica accusa. Professionalizziamo ancor di più i Giudici e rendiamoli più autonomi: non avremo necessità di una corte per autorizzare, coscienziosamente e responsabilmente, una intercettazione che troverà aliunde le garanzie che un moderno Stato democratico deve assicurare ad ogni singolo consorziato. Caltagirone, 14 giugno 2008 Avv. Salvatore Walter Pompeo Se sulla terra regnasse l’amore… “Se sulla terra regnasse l’amore si potrebbe fare a meno di tutte le leggi” (Aristotele) Se si realizzasse anche in parte nel mondo questo profondo principio filosofico, la più grande rivoluzione di tutti i tempi sconvolgerebbe l’intero universo. L’egoismo – l’odio – le guerre – le prevaricazioni – l’invidia – l’avarizia – il dio danaro definitivamente sconfitti dall’amore. Che miracolo per l’umanità intera! Che meraviglioso sogno per l’uomo! Ma ci pensate, miei ipotetici lettori, quale tremenda tragedia attanaglierebbe l’animo del dittatore alla scoperta che il suo potere, costruito sulla guerra, sulla forza, sulla tortura, sull’inganno, venisse annientato, distrutto, annichilito da una insignificante parolina:amore. Anche per qualche istante cerchiamo di vederlo realisticamente questo meraviglioso sogno. Immaginiamo questo mostruoso esercito schierato, pronto ad uccidere e a distruggere, che invece, come per miracolo, braccia levate al cielo in segno di gioia, corre ad abbracciare il suo eterno, odiato nemico. Eppure sono pienamente convinto che l’amore, l’unica forza invincibile del mondo, potrebbe realizzare questa utopia. Vivere amando dovrebbe essere la più grande sfida della nostra esistenza, una grande meravigliosa avventura che ci consentirebbe di contemplare la bellezza della vita. Madre Teresa di Calcutta, su questo argomento, è categorica: “abbiamo il potere di essere in paradiso con Dio già adesso, di essere felici con Lui anche in questo momento, se amiamo come Lui ama, se aiutiamo come Lui aiuta, se doniamo come Lui dona”. Io personalmente, tramite l’amico fraterno Luigi Caruso, ho avuto il grandissimo privilegio di conoscere tempo fa Don Ninì, il Direttore della comunità “Casa di Nazareth”. Era una persona eccezionale non solo per l’impegno totale col quale aiutava i disagiati dedicandogli con abnegazione tutta la sua esistenza, ma per il modo in cui viveva e considerava la vita. Ad un dubbio esternatogli sull’amore mi rispose: “Dio è amore; Lui è sempre presente nel tuo animo. Spetta sempre a te decidere ciò che vuoi essere e se vuoi veramente essere amato dall’umanità”. A mio modesto avviso il male peggiore che oggi stritola l’umanità impedendole quello sviluppo morale, etico e sociale al quale tutte le nazioni del mondo dovrebbero aspirare, è senza ombra di dubbio l’indifferenza. Purtroppo i seguaci di Ponzio Pilato, quelli che si lavano sempre le mani, si sono moltiplicati spaventosamente, condizionando l’umanità e allontanandola dal vero amore che potrebbe sostituirsi a tutte le leggi umane. L’altro giorno, in un tedioso dormiveglia su una panchina di un meraviglioso parco romano, pensavo tra me e me: ma perché, nei rapporti con i nostri simili, dobbiamo tutti sottostare a questo formalismo esasperato? Quanto sarebbe meraviglioso se tutti ci salutassimo anche senza conoscerci! se scambiassimo segni amichevoli di fratellanza o anche un semplice reciproco sorriso! Quante sventure si eviterebbero col migliorare dei rapporti sociali! Sogni!!! Perché non riflettiamo per qualche istante sulla vita animale e vegetale e sull’armonia che regna nell’Universo? Basterebbe imitarla e la legge dell’amore avrebbe il sopravvento su tutto. L’oggi vissuto con amore renderebbe ogni ieri un sogno di felicità e ogni domani una visione di speranza. Nell’amore è riposta tutta la verità del nostro esistere. Vincenzo Stazzone LETTERE & OPINIONI Lettere & Opinioni AMBIENTE LA VOCE DELL’ISOLA 22 19 Luglio 2008 Il progetto finanziato dall’assessorato regionale Territorio e ambiente per Acireale Si consolida la Timpa: lavori per un milione di euro di MARIO FIORITO Si tratta di un importante intervento di messa in sicurezza con la eliminazione dei massi pericolanti, la chiodatura del terreno, la posa di reti paramassi L ’assessorato regionale Territorio ed Ambiente, ha finanziato il progetto esecutivo dei lavori di consolidamento della Timpa, zona Santa Caterina, presentato dal Comune di Acireale. L’importo complessivo è di un milione di euro, di cui 645 mila euro a base d’asta. Entro 30 giorni il Comune dovrà indire la gara d’appalto relativa all’opera in oggetto, i cui lavori avranno durata massima di tre mesi. Il progetto di consolidamento venne preliminarmente svolto dal Comune poi, nel dicembre del 2007 a seguito della promessa di finanziamento da parte dell’assessorato regionale, il Comune bandì la gara per la progettazione esecutiva dei lavori, aggiudicata ad un professionista esterno, l’ingegnere Carmelo Caliri. I lavori consistono nella riduzione del rischio idrogeologico in quel versante della Timpa individuato in posizione limitrofa e contigua ai lavori in corso nell’ambito del Pit 30 delle Aci. Tecnicamente si tratta di un importante intervento di messa in sicu- rezza con la eliminazione dei massi pericolanti, la chiodatura del terreno, la posa di reti paramassi. Un intervento, quello che viene finanziato oggi, assai simile nella tipologia a quello disposto nell’ambito del Pit 30 nell’area della Timpa di Santa Caterina immediatamente attigua alla zona per la quale è giunto adesso il decreto di finanziamento. Peraltro, i lavori di consolidamento nell’area Pit riprenderanno nei primi giorni della prossima settimana, do- po la risoluzione delle problematiche amministrative nate un paio di mesi fa da un ricorso presentato al Tar. Responsabile unico del procedimento dei lavori finanziati oggi è l’ing Giusepe Torrisi, della Protezione civile di Acireale. “I tanti interventi in corso sulla Timpa non fanno altro che mettere in opera i disegni, i progetti, le speranze che per decenni hanno accompagnato questa importantissima porzione di territorio acese – dice il sin- daco Nino Garozzo -. Ultimo, in ordine di tempo, il finanziamento di circa un milione di euro che dispone lavori di consolidamento del tratto roccioso, lavori che già entro la fine dell’anno dovranno essere ultimati”. Si tratta di un’area che da tempo desta preoccupazione per il rischio geologico: “Stiamo provvedendo al consolidamento, al risanamento e alla messa in sicurezza dell’intera area, ma con l’aggiunta che sarà reso accessibile il percorso che porta al mare: antica aspirazione e giusta carta turistica”. Un percorso unico nel proprio genere che unisce la macchia mediterranea, la roccia lavica, il mare Ionio. “Un ringraziamento è dovuto all’onorevole Basile, al nostro assessore alla Protezione civile Garozzo, agli uffici comunali per il lavoro svolto, all’assessorato regionale al Territorio e Ambiente: la Timpa come risorsa quindi, ma in tutta sicurezza” chiude il sindaco. A Giarre assegnati i premi di giornalismo “Alfio Russo” Trentadue candele per la “Giara d’Argento” L a presentazione ufficiale della 32° edizione dei premi internazionali “Giara d’argento” è stata effettuata contestualmente alla consegna dei premi di giornalismo “Alfio Russo”, ospitata in un albergo di Catania, sotto l’attenta regia del grand’ufficiale Alfio Di Maria, patron dei riconoscimenti. La presentatrice Patrizia Tirendi, ha accolto le autorità: il prefetto, Giovanni Finazzo, il primo presidente della Corte d’Appello, Guido Marletta, l’arcivescovo metropolita, Salvatore Gristina, il presidente uscente del Consiglio provinciale, Giuseppe Pagano, il comandante provinciale della Guardia di Finanza, Agatino Sarrafiore e quello dei Carabinieri, Giuseppe Governale, il comandante di Maristaeli, Tommaso Perillo, Nino Milazzo, presidente della giuria, già vice direttore del Corriere della sera, e i premiati di oggi e di ieri. Applausi e ricordi, parole e sentimenti, che hanno accompagnato la eiezione inedita del video storico che sintetizza i trenta anni della Giara, realizzato grazie all’impegno del Nucleo informatico locale-Nil di Maristaeli e donato a “Sicilia Nuova”, l’associazione che organizza questi due eventi. I volti, i momenti, le parole e le sensazioni più significative di una storia lunga trenta anni hanno accompagnato ogni momento della serata, creando una atmosfera di grande partecipazione. I saluti delle autorità, gli auguri al patron Di Maria, e poi, dopo l’ufficializzazione dei destinatari dei premiati per l’edizione 2008 della Giara d’Argento e del Premio “Alfio Russo”. Personalità prestigiose, esempi di impegno professionale, persone cui guardare con ammirazione e rispetto. Ci saranno Nicoletta Schillaci Accardo, presidente provinciale della Croce Rossa, (Premio all’impegno sociale); Pietro Agen, presidente della Camera di commercio di Catania; Antonio Fiumefreddo, sovrintendente del Teatro Massimo Bellini di Catania; Salvo Andò, rettore dell’Università Kore di Enna; Daniele ed Enrico Garozzo, campioni del mondo giovanili di fioretto e spada, e Rossella Fiammingo, campione del mondo giovani di spada (Premio per lo sport – Giacinto Facchetti); prof. Napoleone Ferrara, scienziato di fa- Il prefetto di Catania Giovanni Finazzo premia il giornalista Daniele Lo Porto (a sinistra) ma mondiale e ricercatore scientifico presso la Genetech Usa (premio dedicato alla memoria dello scienziato prof. Angelo Majorana). Ed ecco arrivare una novità: i premi straordinari “Ieri e oggi”, assegnati da quest’anno, per la prima volta, a personalità ed istituzionali che hanno ricevuto la Giara negli anni precedenti ed hanno ottenuto ulteriori e riconosciuti successi professionali: Giovanni Finazzo, prefetto di Catania, già questore della città etnea, al Generale di Corpo d’Armata Grand’Ufficiale Carlo Gualdi, comandante della “Pastrengo” dei Carabinieri di Milano, già comandante provinciale dell’Arma; alla Stazione elicotteri della Marina Militare “Maristaeli” di Catania. La voce di Nino Milazzo, presidente della giuria, ha comunicato ai presenti il nome del vincitore del premio internazionale di giornalismo: Magdi Cristiano Allam, con la sua travagliata storia personale di giornalista convertitosi al Cristianesimo e minacciato di morte. Un nome prestigioso, una nuova perla nella lunga collana di firme prestigiose che hanno reso il premio “Alfio Russo” un faro nel panorama nazionale ed internazionale. Grazie all’esempio della signora Grazia Lanzafame Pappalardo, la S.P. Energia Siciliana, per onorarne la memoria, ha deciso di adottare cinque minori a “rischio” di diversi Continenti, accompagnata in questa decisione dai componenti della Giuria hanno devoluto i gettoni di presenza per tale scopo. Nell’ambito della stessa presentazione sono stati consegnati i riconoscimenti speciali a Daniele Lo Porto, (giornalista di razza, è alla guida dell’Ufficio Stampa della Provincia regionale di Catania, collaboratore di autorevoli quotidiani e in passato giornalista televisivo). A Lo Porto il merito di aver curato la comunicazione giornalistica dell’Ente e la realizzazione della rivista Catania provincia euromediterranea, dove vengono riportati, grazie ai reportage dei 58 Comuni, i migliori aspetti della tradizione, della culturali, dell’economia del territorio. A Chiara Murabito (giovane promessa del giornalismo siciliano, sta muovendo i primi passi nel mondo dell’informazione televisiva filmando servizi e la conduzione del Tg di Antenna Sicilia); a Orietta Scardino, fotoreporter (nei click della fotoreport sono racchiusi i momenti salienti delle più importanti manifestazioni ed eventi che la fotogiornalista riesce a cogliere, con alta professionalità nell’obiettivo dell’inseparabile strumento di tanti servizi, la macchina fotografica. A lei il grazie della giuria del premio, per le belle fotografie che hanno corredato i reportage di riviste nazionali ed internazionali); a Natale Zennaro, regista di Antenna Sicilia, va il grazie della giuria per il suo impeccabile stile inventivo, creativo e allo stesso tempo rigoroso); a Giuseppe Cifalà, (poliedrico artista etneo, capaci di racchiudere l’essenza della città nella sua pittura. Nelle sue tele rivive il centro storico di una grande città del sud, che l’artista dipinge con scrupolosa attenzione, nei particolari architettonici, nella sua espressione di colore e nella sua caoticità; a Marco Tabbacco, titolare “Grand cafè Tabbacco” Antica pasticceria di via Etnea; al Nil (L’alta preparazione tecnica e multimediale del responsabile del gruppo Nucleo informatico locale di Maristaeli, il primo maresciallo Riccardo Vinci, coadiuvato dal capo di prima classe Francesco Gravina, addetto al gruppo Nil, ha permesso di realizzare un sogno del club Sicilia nuova, ovvero la realizzazione di un video-documentario storico delle 31 edizioni del Premio internazionale Giara d’Argento e premio internazione “Alfio Russo”, gentilmente donato al presidente che ne ha voluto la proiezione in anteprima nazionale. Opera realizzata grazie alla sensibilità del comandante del servizio tecnico, il capitano di fregata Agatino Catania, e voluto dal comandante Tommaso Perillo sempre molto vicino al club Sicilia nuova e al Premio). Conclusione tra la commozione per la cerimonia di presentazione, che ha onorato la memoria dell’ispettore Filippo Raciti, con la consegna del distintivo d’oro alla vedova, Marisa Grasso, e l’omaggio del nuovo logo del premio, realizzato da Giuseppe e Gianvito Sorbello, che diventerà ufficialmente il simbolo della Giara dalla prossima edizione, alle massime autorità presenti. 19 Luglio 2008 23 Incontro a Catania con il professore Vittorio Andreoli e il magistrato Guido Papalia Come è difficile crescere oggi: i cambiamenti nell’adolescenza di ANNA PAPALIA L ’associazione ex allieve S. Benedetto di Catania, è nata 20 anni fa per amore di alcune alunne, che si sono riunite con lo scopo di dare la possibilità a tutte, di ritrovarsi fra le mura di questo Istituto, che le ha viste crescere, per passare assieme ore liete ed anche interessanti. Siamo nel 2008 con tanti anni in più sulle spalle, ma chi ci ama veramente, superando tanti problemi, è ancora con noi. Recentemente abbiamo avuto in questo istituto un conferenza interessante: il procuratore di Verona, Guido Papalia, e il noto psichiatra di Verona professore Vittorio Andreoli, hanno parlato sul tema “Come è difficile crescere oggi”. Dopo la presentazione del professore Andreoli da parte del procuratore Guido Papalia, il relatore ha parlato dell’adolescenza e dei tanti suoi problemi. L’adolescenza è un periodo di cambiamento, nella nostra vita, molto importante. Il corpo cambia, prende sembianze diverse e così anche la nostra mente deve adeguarsi al cambiamento. Spesso gli adolescenti trovano nel loro cambiamento solo difetti (forse questo è sempre successo) ed oggi che si è tutti alla ricerca del “bello” del “perfetto” basta un piccolo brufolo, il seno più o meno grosso, l’altezza, la magrezze, la grossezza a procurare veri e propri problemi. Allora i ragazzi sperduti cercano punti di riferimento sicuri. Ecco che il professore Andreoli consiglia i genitori, i nonni, i maestri di avvicinarsi all’adolescente e chiedere semplicemente: “cosa desideri”? “quale è il sogno del tuo cuore”? Spesso la risposta del ragazzo è deludente perché non ha desideri, non ha sogni. In questo mondo consumistico nel quale ci affanniamo a dare di tutto, l’adolescente non ha più sogni. E un ragazzo senza desideri, è un ragazzo senza vita. La televisione con i suoi spot deleteri, che invitano solo a comprare, non aiuta sicuramente il ragazzo, che non conosce più il sacrificio, la rinunzia, e pretende tutto. Vittorio Andreoli nel corso della sua visita a Catania assieme al magistrato Guido Papalìa I ragazzi cercano punti di riferimento certi, ma spesso rimangono sperduti e delusi, facili prede della solitudine. E senza sogni Ricorda il professore Andreoli uno spot pubblicitario per vendere motorini: “Un bellissimo motorino con una bellissima ragazzina, e nella penombra, solo, un ragazzo”. Ciò significa che se non hai il motorino resterai solo! La solitudine è uno dei problemi più grossi. Il ragazzo non si avvicina ai grandi perché si sente incompreso, ed allora, le uniche persone che sente vicine sono quelle della stessa età, che hanno gli stessi problemi, così si formano i gruppi dei pari età. Sperando sempre che questo gruppo non si trasformi in un “branco” dove il leader, che prende il comando, potrebbe portarli a fare delle co- se che non avrebbero mai voluto fare. La risposta di noi adulti davanti a tutti questi problemi? L’amore! L’amore che è fragilità, ma anche sicurezza. “io sono fragile come te, ma ti do tutto il mio amore e ti voglio essere vicino, ti voglio ascoltare, voglio stare con te”. Ecco le paroline magiche che porteranno l’adolescente a capire che c’è un punto di riferimento forte sul quale si può contare: la famiglia. Entrare a casa e non sentire qualcuno che ti dà solo ordini, ma avere la consapevolezza di trovare un rifugio pieno d’amore, dove si possono buttare tutte le frustrazioni, i dubbi, paure e ricevere solo comprensione ed affetto. Che cosa meravigliosa! Certo questo non vuol dire lassismo ma bisogna anche porre dei limiti, per fare capire che la vita non è certo facile, e che le rinunzie, i sacrifici prima o pi nel mondo arrivano e che bisogna essere forti per sapere accettare anche questo. Ma tutto questo viene fatto accettare col dialogo e con il convincimento, spiegando le ragioni, facendo cioè sentire l’adolescente partecipe della vita familiare. Solo allora forse si otterrà qualche risultato apprezzabile. L’amore ci guidi a fare sì che, con un po’ di sacrificio e di costanza, noi grandi possiamo riuscire a fare felici i nostri adolescenti. Forse è anche la società che lascia i giovani in panchina. In questo modo i giovani non hanno un ruolo riconosciuto o importante, ma vengono trattati come se, prima di essere in grado di prendere delle responsabilità, dovessero ancora crescere. Diventano perciò eroi della protesta e del comportamento estremo. Vorrebbero essere dei protagonisti, ma rimangono stretti nel ruolo di spettatori. I giovani non riescono ad avere una loro dimensione e quindi una loro vita. E così accumulano violenza che prima o poi esplode sotto tante forme. Chi ha in mano le redini di questa nostra società deve capire che una nazione, che ha il mondo giovanile non inserito, è una nazione senza futuro. SALUTE LA VOCE DELL’ISOLA AMBIENTE LA VOCE DELL’ISOLA 24 19 Luglio 2008 La Sicilia è terra di “boschi sacri”, ricca di luoghi che testimoniano un’antica devozione Salvare i maestosi alberi sacri prima che sia troppo tardi di CARMELO NICOLOSO* M aestosi, plurisecolari, colossali verdi “patriarchi della natura”, tramandati ai giorni nostri da decine di generazioni precedenti, sono certamente gli elementi più appariscenti del mondo vivente, assumendo in alcuni casi, carattere di monumento. Gli alberi monumentali, con il loro possente fusto, la chioma protesa verso il cielo ed il potente apparato radicale affondato nel suolo, rappresentano la forza e la sacralità della natura e della vita. Proprio per salvare i patriarchi d’Italia più antichi e solenni, nel 1969 fu lanciata dal Centro Studi del Parco Nazionale d’Abruzzo l’Operazione Grande Albero. Una campagna aperta a tutti per scoprire, censire e proteggere i “patriarchi d’Italia”, grazie all’impegno di studiosi, volontari e privati cittadini, oggi i frutti raccolti sono copiosi. Seppure alcuni muti testimoni del passato soccombono per fine naturale, molti altri colossi arborei vengono riscoperti e salvati, sono miglia gli appelli, le foto, le cartoline e le segnalazione che giungono da ogni parte d’Italia. Dal 1982 la Forestale ha avviato un ampio censimento, che ha permesso di catalogare ben 22 mila alberi, almeno 200 dei quali di straordinario interesse: ma tutti meritevoli di attenzione e salvaguardia. L’Italia, la Sicilia sono stati la terra dei “boschi sacri”, ricca di luoghi che testimoniano un’antica devozione per l’albero, l’albero unisce il cielo alla terra e l’uomo alla sua divinità. Ogni albero è sacro sulla terra. Vivendo ai piedi della “Montagna Sacra al Centro del Mediterraneo la domanda mi sorge spontanea, ma quanti sono i “Monumenti vegetali dell’Etna”? Una pubblicazione del 1998 curata dal compianto dottor Ettore Cirino, riporta in 39 schede illustrative, un importante contributo al censimento dei vetusti arborei presenti nel paesaggio etneo. Attraverso le loro caratteristiche ed età, questi “patriarchi arborei” rivestono un ruolo di unicità o rarità, sono i miti e le leggende che ad essi ci accompagnano e che È ora che la società civile si mobiliti in modo deciso contro la persistente, cieca devastazione della natura e del paesaggio Il Castagno dei cento cavalli. Sotto: due esemplari di Pino Laricio, tipico dell’Etna permettono di vivere nella cultura e nella coscienza delle popolazioni locali. Se chiediamo del “Castagno S. Agata” sull’Etna, non tutti ne conoscono l’esistenza, ma se parliamo del “Castagno dei Cento Cavalli”, un po’ a tutti viene alla mente la storia (tra realtà e leggenda) della Regina Giovanna d’Aragona che si riparò sotto le fronde del grande albero con il seguito dei suoi cento cavalieri. Secondo uno studio dell ”Università di Torino il “Castagno dei Cento Cavalli” conterebbe oltre 2000 anni, se così fosse, rappresenterebbe l’albero più vecchio in Europa. Il “Castagno S. Agata o Castagno Nave” si trova in località TavernaSant’Alfio (CT), la denominazione “Nave” in quanto il particolare della ceppaia rialzata assume la forma dello scafo di un veliero. La provin- cia di Catania è ricca di “grandi alberi”, dai Nebrodi al Calatino attraverso l’area propriamente detta “etnea” sono tantissime le essenze arboree meritevoli di attenzione, tra questi il Faggio di Monte Colla (Randazzo-CT) circonferenza massima del tronco 8,4 m; diffusa la presenza di ulivi secolari nel territorio di S M. di Licodia, poco noto l’Ulivo Millenario di Motta S. Anastasia - cultivar Nocellara Etnea. Una volta il Bosco di Santo Pietro (Caltagirone) era un tutt’uno con la Sughereta di Niscemi (CL), l’intensa attività agricola e i continui incendi hanno frantumato questo antichissimo ecosistema forestale, ricco di vetusti arborei, composto in prevalenza da Sughere (Quercus suber) e da Ilici (Quercus ilex), il Fondo Siciliano per la Natura qualche anno fa ha rea- lizzato un Atlante dei Grandi Alberi presenti in detta area. Recentemente anche la Soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Catania ha avviato uno studio con relativo censimento dei Monumenti Vegetali presenti nella Provincia, con la finalità di attivare una banca dati funzionale. L’amico Franco Tassi ha inciso indelebilmente nello nostre menti l’immagine del Grande Albero, dimostrando in modo incisivo e con poche parole che “questo” è la casa vivente del “mondo animale”. Una miriade di esseri piccoli e grandi gravita infatti attorno al vecchio patriarca, la sua sopravvivenza è un elemento essenziale del bosco – non meno che per gli esemplari adulti o i giovani germogli – che è legata l’esistenza di una parte molto importante dell’ecosistema forestale. Il grande direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo ci ricorda: “un albero che ha visto centinaia di stagioni vivendo in questo mondo così bello e mutevole fin dai tempi dei nostri più lontani antenati, rappresenta certamente un miracolo della natura e della vita, che merita in ogni caso d’essere preservato e difeso” Attraverso questo messaggio intendiamo proporre una maggiore attenzione, tutela e valorizzazione dei “Patriarchi arborei”, è indispensabile la sinergia con i tanti studiosi, ricercatori, istituzioni, volontari e semplici cittadini ammanti della natura. È ora che la società civile si mobiliti in modo deciso contro la persistente, cieca devastazione della natura e del paesaggio. * Vicepresidente Fondo siciliano per la natura 25 19 Luglio 2008 Amico degli animali, “filosofo mestierante” o “professionista motivato”? Il ruolo del veterinario nella realtà di oggi di CARMELO NICOLOSO I n questi anni un interrogativo mi frulla spesso alla mente, il veterinario è un “filosofo mestierante” oppure un “professionista motivato”? Certamente questa valutazione scaturisce principalmente dal mio ruolo attivo nell’impegno ambientale, sicuramente non generalizzata, senza nessuna intenzione speculativa nei confronti della categoria professionale, verificata su esperienze dirette, maturata in diversi decenni di attività soprattutto a sostegno della fauna selvatica. Va riconosciuto il merito alle istituzioni sanitarie preposte in materia, in particolare in Sicilia che in questi anni hanno realizzato importanti progetti ed iniziative, atte a fronteggiare svariate emergenze sanitarie, seppure si sono riscontrati alcuni “flop” proprio da alcuni ambiti veterinari della AUSL3 di Catania. Ciò causato dall’indole esuberante di qualche “veterinario” preso un tantino da eccesso di protagonismo e da superficialità gestionale, questo fa male a quei professionisti che dedicano con grande sacrificio un’importante opera sanitaria, non solo per gli animali domestici ma anche per la fauna selvatica autoctona ed esotica. Il continuo interesse e la grande risposta da parte dei giovani - motivati studiosi e ricercatori, mi aveva frenato un bel pò prima di riportare questa mia riflessione, ma i tantissimi episodi che mi hanno visto direttamente coinvolto in esperienze negative, alcune in modo molto diretto e personale, mi spingono a spronare A sostegno della fauna selvatica, va riconosciuto il merito alle istituzioni sanitarie preposte in materia, in particolare in Sicilia, che in questi anni hanno realizzato importanti progetti ed iniziative, atte a fronteggiare svariate emergenze l’attenzione dei preposti in materia. Riporto di seguito un recentissimo episodio che mi ha colpito profondamente, è stato la perdita di un asinello, la cui madre non è riuscita a dare alla luce; la proprietaria si è presentata da un altro veterinario (il suo era assente), raccontando che il puledrino era morto, la madre stava molto male, in quanto non riusciva a spingerlo fuori, con l’aiuto quasi tempestivo del veterinario l’asinella si è riuscita a salvare, ma è rimasta colpita dalla perdita del suo piccolo, lo cercava come una forsennata in giro per la stalla, la proprietaria ha percepito la grande tristezza vissuta da questa Asinella. In Sicilia l’asino è “u sceccu”, un toponimo che viene universalmente attribuito a quei soggetti “umani” definiti “ignoranti – testardi - stolti ….”, vi assicuro che la superficialità mostrata dal veterinario che ha seguito la gravidanza di detta asina, con la contestuale perdita del puledro mi priva di attribuire questo “titolo”, perché offenderei questa stupenda specie. Un articolo curato tempo fa su “I Viaggi di Repubblica” dalla mia amica Rossella Cerulli, mi riconduce alla favola dell’Asino di Alì - un animale sfortunato che aveva un padrone molto cattivo, che lo picchiava spesso. Un giorno, Alì doveva recarsi al mercato a vendere le spugne. Caricò l'asino e si avviò. Come al solito, cominciò a dare frustate e bastonate. E siccome l'asino camminava troppo lentamente, lo punì facendolo cadere con il carico dai spugne nell'acqua del fiume: come si sa, le spugne imbevute d'acqua diventano troppo pesanti. Il Mago dei Fiumi però ebbe pietà del povero asino e trasformò tutte le spugne in oro. Al- cuni ladroni, che erano appostati vicino alla riva del fiume, videro l'asino mentre usciva dall'acqua con il carico d'oro e subito pensarono di impadronirsene. Infatti, picchiarono Alì a bastonate e portarono via l'asino". È un racconto per bambini, ma utilissimo per far riflettere anche gli adulti, il nostro senso cristiano, ci permette di trovare tutti gli ingredienti da poter accostare alla tematica del “somarello” di Gesù, quando chiese di montare nell'occasione della festa delle Palme per, poi disporsi al sacrificio del Golgota. Molte volte è la “legnosità” del somaro a ingenerare conflitti infelici irreversibili, paragonando il “somaro” alla mente da dover dominare. Attraverso questo parallelismo non intendo attribuire alcuna responsabilità diffusa, ma espressamente soggettiva, in quanto il narcisismo, il protagonismo spropositato, l’incondizionata arroganza e la superficialità gestionale, arrecano un certo danno (non solo d’immagine) all’ordine professionale, attraverso una proficua deontologia e una consistente etica, i veterinari sono il fulcro delle attività sanitarie non solo pubbliche ma anche private, le loro attività stimolano quotidianamente la fiducia e il rispetto da parte della società civile e dei singoli cittadini in particolare. Le foto sono di Gianni Iorio AMBIENTE LA VOCE DELL’ISOLA CULTURA LA VOCE DELL’ISOLA 26 19 Luglio 2008 Incontro con il giornalista e scrittore Mario Pinzi La morte può essere un gioco ma è anche coraggio e rivincita di MORENA FANTI I l romanzo di Mario Pinzi Il gioco della morte (CambiaMenti 2007) è un incastro di storie: una storia che contiene un’altra storia e che ci trascina in una partita mortale e ci imprigiona in una spirale di eventi da cui non riusciamo a staccarci. Emanuele Galvani subisce un’ingiustizia quando è ancora molto giovane e la sua vita, e il rapporto con essa, viene alterato per sempre dalle vicende di gioventù. Diventa un uomo che vive con rancore e che fa del suo desiderio di riscatto l’ideale che guida ogni sua azione. Non si ferma di fronte a nulla, neanche ad un’alleanza con la mafia e con i suoi sistemi. Eppure rimane sempre un uomo a cui le donne non resistono, un uomo capace di suscitare grandi amori. La penna di Mario Pinzi ci porta attraverso i misteri dell’alta finanza e ci trasporta in paesi e mondi ignoti. Con Pinzi sperimentiamo l’ebbrezza di vivere in un circo, volteggiamo per aria e sfidiamo ogni persona che si mette sul nostro cammino. Con lui e con la sua scrittura viviamo la vita di Emanuele arrivando ad amarlo come fanno Miriam e Donata, due donne capaci di rimanergli fedeli anche oltre la morte. Perché, come scrive Pinzi “Si muore solo quando si muore nel cuore degli altri”. Questa sua frase è riportata anche nella quarta di copertina. È davvero una cosa in cui crede tanto? Non solo ci credo, ma dovrebbero crederci tutti. Questa frase nasconde nelle sue pieghe più di un significato: sincerità, lealtà e rispetto per i più deboli. Per non morire nel cuore degli altri devi rispettare questi valori. La conoscenza del mondo della finanza e dei suoi intrighi è parte fondamentale del romanzo. Da dove deriva questa profonda conoscenza? Dall’attività che svolgo. Sono un giornalista economico e mi sono sempre occupato di economia. Il personaggio di Emanuele è descritto così intimamente da fare innamorare di sé – oltre alle tante donne della sua vita - anche Elisabetta, che non l’ha mai conosciuto ma ne legge solo le pagine scritte. Il fascino di Emanuele è molto forte, nonostante la sua anima tormentata da odio e rancore, e il suo essere disposto a tutto, anche ad eludere ogni forma di legalità pur di ottenere ciò che desidera. A cosa è dovuto questo fascino? Il suo fascino è dovuto alla lealtà dei suoi sentimenti. Il suo primo libro L’editore presto diventerà un film. Cosa si prova sapendo che una propria creatura sarà manipolata da mani altrui? Si prova dolore. Però devo fare i complimenti a Victor Rambaldi perché ha scritto una sceneggiatura dimostrando un grande rispetto per il mio testo. Lei sceglie per i suoi romanzi delle storie forti e complesse, con molti sviluppi che fanno pensare il lettore. Pensare, riflettere e discutere: forse è questo ciò che desidera suscitino i suoi libri? Sì, desidero che facciano riflettere e discutere. Questo è lo scopo per il quale mi sono messo a scrivere e se ci sono Mario Pinzi miliardari ed esperti dell’alta finanza internazionale, come Enrico Cuccia e Raul Gardini, e anime più semplici e dalla vita problematica, come Miriam, prostituta dal cuore d’oro che amerà Emanuele fino alla morte. È un modo per mostrarci come la vita mescoli spesso le carte e come ad ognuno di noi potrebbe capitare di essere chiunque? Sì, il destino può veramente mescolare le carte. Nella vita può capitare di tutto, indipendentemente dal nostro posizionamento sociale. Infatti Miriam, nel momento in cui incontra Emanuele, diventa miliardaria, mentre la fine di Raul Gardini non è certo stata quella che tutti noi potevamo immaginare. Lei è giornalista e la sua professione la “obbliga” a scrivere. Terminato il lavoro, lei si concede il “Il destino può veramente mescolare le carte. Nella vita può capitare di tutto, indipendentemente dal nostro posizionamento sociale” riuscito vuol dire che ho toccato i tasti giusti. D’altronde i miei personaggi si muovono in un contesto reale nel quale ognuno di noi può essere coinvolto. Da qui deriva la sorpresa che spinge il lettore ad una seria riflessione. Infatti dai critici sono stato classificato fra i “social noir”. I suoi personaggi oscillano tra divertimento di scrivere romanzi. Sembra che la scrittura sia per lei quasi una necessità, uno sfogo. Da cosa nasce questo bisogno? È un bisogno che è nato con me. Da ragazzo, invece di andare a zonzo con gli amici, mi sedevo alla stazione di Rimini, osservavo le persone che scendevano dal treno e a quelle che mi sembravano più simpatiche gli cucivo addosso una storia che per me era quasi sempre fantastica. Lei dedica i suoi diritti d’autore, in questo come nel precedente libro, a un progetto benefico. Perché ha fatto questa scelta, che sembra controcorrente, in un mondo in cui la maggior parte delle persone si dedica solo al proprio guadagno? Perché io non desidero morire nel cuore degli altri. All’Orto Botanico di Catania le teorie evolutive del pianeta La scomparsa dei dinosauri L ’Orto Botanico di Catania, diretto da Pietro Pavone, è stata sede ideale per una notte dedicata alle stelle e alle teorie evolutive del pianeta, approfondendo quella della scomparsa dei dinosauri. Giuseppe Cutispoto -INAF- Osservatorio Astrofisico di Catania ha voluto, nell’ambito del 150° anniversario della fondazione dell’Orto Botanico e alla presenza dell’organizzatrice dell’evento Cettina Scalia e numerosi altri componenti del Dipartimento di Botanica, rivolgere la sua attenzione ad una tematica cara agli astrofili ed agli appassionati di alcune teorie sull’estinzione delle creature che un tempo dominavano la terra. Il termine dinosauro (coniato nel 1842: deinos = terrificante, sauros = lucertola) indica in realtà una grande varietà di rettili (oltre 500 generi). Tra i dinosauri c’erano i carnivori e gli erbivori, i bipedi e i quadrupedi, quelli molto grandi e quelli “piccoli”. Questi animali dominarono la Terra nel Mesozoico, ovvero tra 225 e 65 milioni di anni fa, ma non tutte le specie conosciute vissero simultaneamente, buona parte si erano già estinte prima del Cretaceo. In genere, Giuseppe Cutispoto spiega che l’estinzione è un risultato dell’evoluzione ed è un fenomeno comune a tutte le ere geologiche. Una specie si estingue se non è capace di adattarsi alle mutate condizioni ambientali oppure se non è capace di competere con altre nuove specie. Gran parte delle estinzioni sono un processo lento ma continuo, il risultato di numerose piccole variazioni dell’ecosistema. Abbiamo però evidenza che la vita sulla Terra ha dovuto superare dei momenti di grande difficoltà, le cosiddette “estinzioni di massa”, eventi improvvisi, ma “brevi”, che hanno determinato una notevole riduzione nel numero totale degli organismi viventi su tutto il pianeta. Sono ben nove le estinzioni di massa fino ad oggi identificate e si pensa siano state causate da grandi catastrofi naturali o da notevoli, rapidi e improvvisi cambiamenti climatici. L’ultima (estinzione K-T) ha avuto luogo alla fine del Cretaceo ed ha coinvolto i dinosauri e con essi circa il 45% di tutte le forme di vita animali e vegetali presenti sulla Terra. Questa estinzione di massa segnò il passaggio dall’era dei rettili a quella dei mammiferi; le teorie proposte per spiegarla sono numerose, tra queste una delle più accreditate è la cosiddetta “Teoria dell’impatto”. La “Teoria dell’impatto” ipotizza che 65 milioni di anni fa la Terra fu colpita da un asteroide o da una cometa con diametro di almeno 10 chilometri L’urto non modificò in modo sensibile l’orbita della Terra, ma ebbe conseguenze disastrose per l’ecosistema. La teoria fu proposta nel 1980 da Luis e Walter Alvarez e si basa sullo studio dei depositi sedimentari (lo strato “K-T”) databili tra la fine del Cretaceo e l’inizio del Terziario. Questi sedimenti mostrano un’elevata concentrazione di Iridio, un elemento rarissimo nella crosta terrestre ma molto abbondante nei meteoriti, Biossido di Silicio e Tectide, forme di quarzo che si creano solo in presenza di alte temperature e pressioni e di ceneri di origine vegetale. Lo strato K-T si trova in tutte le regioni della Terra e nessun fossile dei grandi dinosauri è mai stato trovato al di sopra di esso. A supporto della teoria dell’impatto bisogna registrare la presenza del “Cratere di Chicxulub” nella penisola dello Yucatan (Messico). Questa struttura, oggi in buona parte sommersa, ha un’età di circa 65 milioni di anni (quindi in ottimo accordo con l’epoca dell’estinzione K-T) ed il suo diametro di 180 km comporta che le dimensioni dell’asteroide dovevano essere di circa 14 chilometri Effetti dell’impatto K-T. Un asteroide di oltre 10 chilometri può certamente causare distruzione totale in un’area molto vasta, ma come può causare estinzioni di massa su tutto il pianeta ? La risposta sta nel considerare gli effetti che l’impatto ha avuto ed in particolare due fatti. Anzitutto l’urto ebbe come conseguenza quella di immettere nell’atmosfera un’enorme quantità di polvere e detriti, che bloccarono la luce solare per anni, causando una diminuzione globale della temperatura. Inoltre si pensa che l’onda d’urto generata dall’impatto sia stata in grado di innescare degli immani incendi, causati dai detriti incandescenti e dal calore prodotto. Si stima che questi incendi distrussero circa metà delle foreste esistenti sul pianeta. La quantità di vegetazione risultò quindi notevolmente ridotta per numerosi anni (diminuzione della temperatura e/o incendi), la conseguente variazione della composizione chimica dell’atmosfera e del mare ebbe effetti anche sul plankton e sulle piante marine. A seguito di tutto ciò la catena alimentare risultò sconvolta. Gli organismi incapaci di adattarsi a questi cambiamenti, in particolare i grandi animali quali i dinosauri, iniziarono un rapido declino che li portò all’estinzione in poche centinaia o migliaia di anni. Sopravvissero solo i dinosauri di piccola taglia, che si ritiene siano stati gli antenati degli attuali uccelli. Notevoli sono infatti le similitudini tra gli uccelli e i dinosauri, a partire dalla struttura delle gambe e dei piedi (e loro proporzione) fino alla struttura ossea. Infine è interessante notare che la scomparsa di terribili predatori quali erano i grandi dinosauri carnivori (o di enormi divoratori di piante quali erano gli erbivori) provocò una svolta nell’evoluzione della vita sulla Terra. Dopo l’estinzione K-T i mammiferi, comparsi prima dei dinosauri ma rimasti in una nicchia evolutiva, furono in grado di accelerare il loro sviluppo e di dominare il pianeta in breve tempo. Probabilmente senza la scomparsa dei dinosauri i grandi mammiferi, e tra di essi la razza umana, non sarebbero stati capaci di svilupparsi nelle forme e nei tempi che conosciamo. 27 19 Luglio 2008 Fuori dagli schemi le “Confessioni di una giocatrice d'azzardo” di Rayda Jacobs Dalla tradizione alla ribellione nelle pieghe della trasgressione di SALVO ZAPPULLA Associazione Culturale Pentelite A beeda, la protagonista di questo avvincente romanzo “Confessioni di una giocatrice d’azzardo” di Rayda Jacobs, è una donna musulmana praticante, divorziata, madre di quattro figli, di cui uno omosessuale (il minore) muore per AIDS. Abeeda porta il velo nel rispetto delle tradizioni ma le vicissitudini della vita, le frustrazioni accumulate sviluppano in lei un senso di ribellione, un desiderio furente di scardinare cliché religiosi e culturali da farla assurgere a simbolo dell’emancipazione femminile. Il suo miraggio di libertà è il casinò dove dilapida il suo patrimonio; si libera dei pesanti fardelli psicologici inebriandosi nella trasgressione, nel vizio, in definitiva nel peccato. Rayda Jacobs manipola con sapiente tecnica narrativa una storia dal forte impatto sociale, gioca con i sentimenti contrastanti di una protagonista sempre sull’orlo del baratro: la tresca con il cognato, la storia di sesso con il proprio datore di lavoro, il rapporto ambiguo con la sorella, le amicizie perdute e poi ritrovate, le affannose corse al casinò, i conflitti interiori con se stessa, i brevi lampi di lucidità, lo spasmodico desiderio di vita, le debolezze proprie dell’umanità. Questo romanzo è la storia di un’ infinita solitudine, che trova sfogo nei bagliori pirotecnici E ammalianti delle macchinette da gioco, nell’abisso vorticoso della dipendenza dal gioco d’azzardo in cui Abeeda precipita senza più trovare la via di uscita, fino a escogitare il falso furto della propria auto per cercare di risanare i debiti. Il ritmo incalzante, gli intrecci conturbanti, la prosa limpida e accattivante ne hanno fatto un bestseller tradotto in diverse lingue, e ottimo fiuto ha avuto Pietro Del Vecchio ad accaparrarsene i diritti per l’Italia. Il film sudafricano tratto dallo stesso romanzo Confessions of a gamber (Les confessions d’une joueuse), di Rayda Jacobs e Amanda Lane, in concorso al Dubai International Film Festival, è ambientato nella comunità indiana di Lape Town e vede protagonista la stessa Rayda Jacobs la quale interpreta il ruolo di Abeeda. Nell’ambito della XIII Mostra-Mercato dell’Editoria Siciliana che si svolgerà in Sortino (SR),dal 3 al 5 ottobre 2008, l’Associazione Culturale PENTELITE INDICE con il patrocinio del Comune di Sortino e con il patrocinio e la collaborazione dell’ACIPAS, Associazione Antiracket di Sortino il I Concorso Nazionale Legalità “U PIZZINU” --------------------------------------------1. REGOLAMENTO Rayda Jacobs Una storia dal forte impatto sociale che gioca con i sentimenti contrastanti di una protagonista sempre sull'orlo del baratro Rayda Jacobs “Confessioni di una giocatrice d’azzardo” Del Vecchio editore pagg.250 Euro 16,00 Art. 1) Il concorso, riservato a tutti gli studenti di scuola di ogni ordine e grado, ha lo scopo di diffondere trai i giovani la cultura della legalità e dell’impegno civile per la lotta alla violenza organizzata. Il Concorso è suddiviso in quattro sezioni, una per ogni ordine scolastico: primario, secondario di primo grado, secondario di secondo grado, università. Scuola primaria: - elaborato grafico (dimensioni foglio A4, tecnica libera). Inviare in busta chiusa l’elaborato grafico in busta chiusa non firmata accompagnata dalla domanda di partecipazione, completa dei dati dell’autore- del recapito telefonico- della denominazione completa della scuola di appartenenza, firmata dall’autore e dall’insegnante responsabile. - composizione in prosa o in poesia (max una cartella). Inviare sei copie stampate di cui una sola firmata accompagnata dalla domanda di partecipazione, completa dei dati dell’autore- del recapito telefonico- della denominazione completa della scuola di appartenenza, firmata dall’autore e dall’insegnante responsabile. Testo digitalizzato* su CD rom. Scuola secondaria di primo grado: -elaborato grafico (dimensioni foglio A4). Inviare in busta chiusa l’elaborato grafico in busta chiusa non firmata accompagnata dalla domanda di partecipazione, completa dei dati dell’autore- del recapito telefonico- della denominazione completa della scuola di appartenenza, firmata dall’autore e dall’insegnante responsabile composizione in prosa o in poesia (max una cartella). Inviare sei copie stampate di cui una sola firmata accompagnata dalla domanda di partecipazione, completa dei dati dell’autore- del recapito telefonico- della denominazione completa della scuola di appartenenza, firmata dall’autore e dall’insegnante responsabile. Testo digitalizzato* su CD rom Scuola secondaria di secondo grado: - composizione in prosa o in poesia (max una cartella). Inviare sei copie stampate di cui una sola firmata (completa delle generalità e di una scheda biografica dell’autore, della denominazione completa della scuola di appartenenza), testo digitalizzato* su CD rom. Università: - composizione in prosa o in poesia (max una cartella).Inviare sei copie stampate di cui una sola firmata (completa delle generalità e di una scheda biografica dell’autore, della denominazione completa dell’Ateneo cui l’autore è iscritto), testo digitalizzato* su CD rom. Art. 2) Le opere dovranno essere inviate presso la Tipografia Tumino, via Carlentini 3/A, 96010 SORTINO (SR), entro il 15 settembre 2008. Farà fede il timbro postale. Se si vuole partecipare a più sezioni, occorre spedire le opere in buste separate (una per ogni sezione). Ogni autore, partecipando, si assume la responsabilità dell’autenticità delle stesse. Art. 3) La valutazione degli elaborati grafici e delle composizioni sarà effettuata da una commissione formata da un artista locale, da un rappresentante dall’ACIPAS, da tre docenti degli Istituti scolastici di Sortino (o da loro delegati) e da due rappresentanti dell'Associazione Pentelite. Le opere selezionate verranno pubblicate nel volume “Pentelite”, giunto alla sua tredicesima edizione, edito da un editore siciliano partecipante alla Fiera. La pubblicazione delle opere non comporta diritti d’autore in quanto Pentelite non viene messo in vendita, ma dato in omaggio ai nostri collaboratori e ad operatori culturali. Al primo classificato di ogni sezione saranno dati in premio libri, scelti tra quelli presenti in Fiera, per un valore di _ 50,00, cinque copie del volume Pentelite e attestato di partecipazione. Al secondo e al terzo classificato saranno inviati due copie del volume Pentelite e attestato di partecipazione. Art. 4) La proclamazione dei vincitori avverrà giorno 04 ottobre 2008 Art. 5) Ogni partecipante autorizza il trattamento dei propri dati personali ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196 Art. 6) Per ogni altro aspetto non contemplato nel bando fanno fede le vigenti norme di legge. Istituiti in onore del grande critico-giornalista-scrittore Assegnati a Milano i premi Luigi Veronelli N ella solenne cornice del Teatro dell’Angelicum di Milano si è svolta la cerimonia di consegna del Premio Luigi Veronelli, alla terza edizione, istituito da Class Editori e da Veronelli Editore in onore del più grande scrittore e critico italiano di enogastronomia. A ritirare i premi gli operatori - comunicatori e tecnici - del mondo dell’enogastronomia italiana e internazionale ritenuti particolarmente meritevoli dall’ampia e composita giuria. Le 16 categorie, esprimono la poliedricità di Luigi Veronelli, la sua prolifica produzione sui fronti del gusto e dello stile, della letteratura e della filosofia, dell’estetica e dell’impegno sociale e civile. Ai presenti, l’omaggio di un’edizione speciale fuori commercio de “I 44 dialoghetti morali” di Luigi Veronelli, pubblicata da Class Editori e da Veronelli Editore proprio in occasione della terza edizione del Premio. I premiati: miglior giornalista di enogastronomia, alla carriera, Antonio Paolini “per l’acutezza con cui da oltre vent’anni sa andare oltre la pura critica enogastronomica, nella sua attività giornalistica e di collaboratore alle guide dei ristoranti, sapendo cogliere prima che diventino espliciti i mutamenti del costume, i cambiamenti degli stili di vita, le rivoluzioni del gusto”; all’emergente Luciano Pignataro perché “in pochissimi anni, partendo dalla rubrica enoica pubblicata sul “Mattino” di Napoli, e sfruttando con intelligenza le possibilità del web con un sito internet personale, ha saputo diventare un punto di riferimento importante per tutto ciò che riguarda il vino della Campania, restando fedele alla vocazione di cronista che sa comunicare, insieme alle notizie, anche le emozioni”; miglior giornalista di enogastronomia in lingua estera Eric Asimov critico enogastronomico del “New York Times”, che “ha saputo mantenere, da questa prestigiosa tribuna, una coraggiosa indipendenza di giudizio, ponendosi spesso fuori del coro e manifestando, pur non essendo un wine-writer in senso stretto, una profonda conoscenza del vino italiano, che dichiara di apprezzare soprattutto quando sa esprimere senza infingimenti il territorio da cui ha preso vita”; miglior scrittore di enogastronomia, alla carriera, Luigi Cremona “per la sincera passione con cui, ingegnere affascinato dalla cultura enogastronomica, non si è limitato a diventare giornalista, a inventare eventi, a curare guide dei vini e dei ristoranti, ma ha saputo immergersi nella realtà di territori profondamente diversi, dal Friuli alla provincia di Rieti, per esprimerne l’essenza con libri che hanno lasciato il segno”; Ex-aequo a Giuseppe Lo Russo e all’emergente Cetta Berardo; miglior scrittore di enogastronomia in lingua estera, Gillian Riley L. V. CULTURA LA VOCE DELL’ISOLA CULTURA LA VOCE DELL’ISOLA 28 19 Luglio 2008 Intervista a Francesco Costa, in libreria per Salani con “Presto ti sveglierai” Uno scrittore di sogni e di città sempre all’ombra del Vesuvio di SIMONA LO IACONO “Di Napoli ricordo sempre una gran fame, tutti quelli che conoscevo (adulti e bambini) parlavano sempre di quanto avessero fame…” E cco...Ho sempre pensato che ci siano scrittori che affondano tra le maglie di una città. Che le rotolano accanto col respiro. Con i propri sogni. Scrittori di sogni e di città, diciamo allora. Che sfiatano gli stessi sboffi del vulcano che li domina. E che ne condividono il destino fatto di precarietà e sorrisi. Quella leggerezza che solo chi vive a contatto con una terra prossima a tremare e a spaccarsi sotto il passo, è in grado di raccontare. E allora facciamo per un attimo finta di essere a Napoli. Andiamo incontro a Francesco Costa, edito in questi giorni da Salani con “Presto ti sveglierai”. Pur avendo un passato da fine sceneggiatore e da romanziere di successo ( abituato - tra l’altro - alle trasposizioni per il cinema delle sue storie), Francesco è, soprattutto, un uomo aperto alla meraviglia. All’infallibile fiuto dei veri sognatori: lo stupore - sempre rinnovato - per la vita. Uno stupore a cui di tanto in tanto non sfugge uno strappo di malinconia. Ma non per intima adesione. Più che altro, per lo scontro con un mondo strano, che ha perduto il senso di questa curiosità per il proprio mistero. Per l’assurda felicità di vivere. A volte, sebbene i mascheramenti non siano il suo forte, me lo sono immaginato come un Pulcinella. Ma diverso dagli altri. Dai mille altri Pulcinella che ci si assiepano intorno. Il “suo” Pulcinella lo immagino a capo di una banda di bambini moccolosi, arrangiato, con scarpe di due misure più grandi, il vestito sgualcito... e un libro in mano. Si ferma. Lo guarda. Mi toglie le parole di bocca.. Sarà lui a condurre questa intervista. Francesco, ma tu cos’hai in comune con Pulcinella? Perdonami, ma non credo di avere in comune qualcosa con te. Mi ha messo sempre tristezza l’idea che la tua arguzia sia per te un modo di dimenticare che hai fame. Di Napoli ricordo sempre una gran fame, tutti quelli che conoscevo (adulti e bambini) parlavano sempre di quanto avessero fame. Io covavo un’idea di fuga, che poi ho messo in atto. Pulcinella non medita di scappare: è legato da sempre alla sua Napoli. Io per poterne parlare ho dovuto mettermi a debita distanza da lei. E con Napoli cos’hai in comune? Napoli la rivedo ogni mese per visitare la mia famiglia. Che dire? La ami e la maledici, e questo è quanto. Ho l’impressione che non ricambi mai l’amore che le porti. Perfino i recensori napoletani se la prendono comoda nel recensire i tuoi libri quando dovrebbero quantomeno meravigliarsi ed esser grati a chi, da lontano, abbia ancora la voglia di scrivere di questa stranissima, meravigliosa e tremenda città. Inseguono il potere, pure loro, e non si rendono conto che, osservati a distanza, annaspano in una situazione emergenziale che ha dell’incredibile. E allora, quanta parte ha la napoletanità nei tuoi libri? Credo che se fossi nato a Nairobi, parlerei di Nairobi. Parlo di Napoli perché la conosco meglio ed è un fondale adatto alle storie che mi vengono in mente. Il fatto, anzi, che il fondale sia sempre lo stesso do- vrebbe a mio avviso mettere in risalto l’inesauribilità dei registri stilistici con cui posso narrare la tragicommedia umana. E questa amarezza che affiora tra una risata e l’altra? Questa ricerca della salvezza in una leggerezza apparente, sempre velata da meraviglia? Forse non è della sola Napoli. Forse è oggi - non credi? - l’unica via d’uscita per sopravvivere al mondo senza rinunciare alla fantasia. L’amarezza non mi appartiene, perché ho un temperamento naturalmente gioioso. Se la si sente venir fuori dai miei libri è perché i miei personaggi devono confrontarsi con qualcosa che ha dell’incredibile. Una città pazzesca, priva di alberi, seppellita sotto la spazzatura. Dominata da gente senza scrupoli. Il contesto in cui vivono metterebbe ansia pure al serafico Oblomov. La fantasia. Questa nemica che ti fa credere possibile l’impossibile. Che ti precede, ti perseguita e ti condanna a barricarti tra parole a cui non puoi rinunciare. Che rapporto hai con lei? La fantasia è tutto. La vita non può essere semplicemente vissuta. Va anche raccontata, per capirci qualcosa, altrimenti l’uomo impazzirebbe. E il tuo ultimo libro? Perchè questo titolo? È il mio romanzo più dichiaratamente umoristico. Volevo far ridere. Riuscirci è per uno scrittore un dono divino. Sapere che un lettore ha riso sulle tue pagine è il massimo. Mi arrivano sms ed email di lettori (anche colleghi) che mi ringraziano per le risate che si stanno facendo. Ne sono fiero. Il titolo attiene al sonno e ai sogni. È musicale. Ho una ricca scorta di titoli, ai quali devo appioppare un romanzo dotato di intreccio e sensi riposti. Uno scrittore parte generalmente da una storia a cui poi dare un titolo, io parto da un bel titolo e poi vi aggiungo una storia: esattamente il percorso inverso. “Presto ti sveglierai” è un titolo che mi piace, che è piaciuto all’editore, che piace a molti lettori. Da quale esigenza interiore è nato? Dalla voglia di far conoscere ai miei lettori la mia abilità nel registro comico. Tutti i miei libri sono percorsi da una vena ironica, ma questa black comedy, questa commedia con delitto ha costituito per me uno sforzo ulteriore nella direzione dell’umorismo più diretto, più schietto. Presto mi misurerò invece con l’horror e con il noir: dimensioni narrative che non ho ancora affrontato. Lo sfondo sarà sempre Napoli. E se anche da questa tua ultima fatica fosse tratto un film, com’è accaduto per altre tue opere(ultimamente rappresentate dal meraviglioso viso di Maria Grazia Cucinotta) , che volti sovrapporresti a quelli dei tuoi personaggi? Ho sempre pensato a Laura, la protagonista di “Presto ti sveglierai”, come a una donna bionda e smarrita, fragile eppur energica, con occhi azzurri stupefatti, e ogni volta mi è venuta in mente Margherita Buy: sarebbe una magnifica Laura! Un’ultima cosa, Francè...se ti prestassi il mio vestito, lo indosseresti? Non mi piace travestirmi. Ho già il mio bel daffare a entrare e a uscire dalle menti dei miei personaggi. È sufficientemente faticoso (e spesso doloroso) inventarli e poi abbandonarli, visto che quando scrivo io divento esattamente loro, al punto che entrano nei miei sogni e mi procurano a volte perfino dei terribili incubi. Quando non scrivo, preferisco il silenzio, e dispormi all’ascolto di quella specie di mood che mi fa arrivare l’eco delle prossime storie… Simposio dell’ateneo catanese con la partecipazione di studiosi stranieri Biodiversità briofitica e conservazione I l Dipartimento di Botanica dell’Università di Catania ha dato accoglienza al simposio “Biodiversità briofitica e relativi problemi di conservazione” con l’attiva partecipazione di un pubblico selezionato ed attento alle diverse problematiche ed alle innumerevoli espressioni di vita della natura. Le relazioni, in ambito briologico, hanno trattato temi diversi come la presentazione di una specie siciliana, Grimmia sicula (entità rinvenuta sui Monti Nebrodi su roccia acida, nell’area Bosco Tassita, caratterizzato dal Taxus Baccata L., specie relitta del Terziario) di Rosa Lo Giudice, nuova per la scienza, il reperimento di specie briofitiche di notevole interesse fitogeografico tra cui molte localizzate nella regione mediterranea o solo nel territorio siciliano, specie di territori non o poco conosciuti come l’Albania, specie rare e in pericolo di estinzione, e ancora specie di habitat minacciati. Per l’interesse e la valenza scientifica delle rarità poste all’attenzione del pubblico, gli autori delle comunicazioni hanno ribadito la necessità di tutelare e proteggere detto patrimonio floristico che è anche patrimonio dell’umanità. L’incontro scientifico, proposto da Pietro Pavone direttore del Dipartimento di Botanica, ed organizzato da Marta Puglisi e Maria Privitera, coordinatore nazionale del gruppo di lavoro di Briologia, ha riscosso alti consensi per i contenuti trattati oltrecchè per l’autorevole partecipazione di Francesco M. Raimondo dell’Università di Palermo e dei briologi Rosa Ros dell’Università di Murcia e di Vincente Mazinpaka dell’Università di Madrid, Il Rettore dell’Università di Catania, prof. Antonino Recca in un momento del simposio di nota fama in campo internazionale. Hanno partecipato oltre al rettore dell’Università di Catania Antonino Recca, il preside della facoltà di Scienze Naturali Antonino Lo Giudice. In rappresen- tanza del console onorario di Spagna Concetta Bufardeci è intervenuto Luca Mirone ed ancora si ricorda il comandante del Centro Documentale di Catania col. Francesco Polizzi. 29 19 Luglio 2008 Intervista a Massimo Maugeri, creatore dell’open blog “letteratitudine” Desiderio di comunicazione e realtà oltre il sogno di SIMONA LO IACONO C i sono sogni che non si realizzeranno mai. Che devono restare sogni. Che hanno incisi su di sé l’assenza. Assenza dal mondo. Sono i sogni migliori. Quelli che dicono la stoffa di un vero sognatore. Quelli che seminano tracce da cogliere, resti di giorni, radici del tempo. Perché – in realtà – del sogno abbiamo tutti bisogno. Del sogno conserviamo memoria. Del sogno possiamo indovinare le forme lambendo da lontano ciò che eravamo e che non siamo stati, o una qualunque malinconia dell’essere. Il sogno, che pure non sappiamo abitare, ci rappresenta. A volte accade, però, che il sogno possa essere afferrato. Che possa essere abitato. Che pur mantenendo un ceppo irreale e fioccoso quanto il nodo di una nuvola, esista. E che si popoli di molti viaggiatori, naviganti di percorsi immaginati che stringono mani senza toccarle, parlano senza emettere voce, si rincorrono su segnali da decifrare. La rete ha molta somiglianza coi sogni. Ed è abitata da molti sognatori. È un mondo a metà tra essere e non essere, tra volere e desiderare, tra vivere e fingere di farlo.È immateriale ma visibile, imprendibile ma godibile, è niente e tutto come solo le illusioni sanno essere. E – soprattutto – seduce. Seduce proprio con la sua apertura all’ignoto. Col suo potenziale d’infinito. Col rimandare la voce senza barriere e assedi del tempo o del luogo. Seduce perché sedimenta possibilità, perché rotola tra solitudini, perché – come i sogni – sa riempire i vuoti e sa dare un nome alle attese. Non a caso è rete. Perché intrappola. Perché è costellata di fori e – al tempo stesso – di catene. Una maglia che intreccia maglie come le strade di una città. Ed è appunto percorrendo strade di questa immaginaria città, svicolando tra linee conosciute, che ci si ferma dove lo spazio si contrae, dove prende forme di una stanza, dove d’improvviso si aprono finestre e si materializzano arredi, sedie e tavoli per conversare, libri impilati ovunque e pagine bianche da riempire. Dove il sogno vorticosamente rotea su se stesso, rapisce ostaggi e ruba alla realtà. È il luogo inventato da Massimo Maugeri e che porta il nome di “Letteratitudine”. Un sogno nel sogno. Una città nella città. Un libro nei libri. Perché “Letteratitudine” non è solo un blog letterario. Non è solo un luogo d’incontro virtuale, un salotto di voci che dicono. È piuttosto il rimando di un’idea. La proiezione di un modo d’essere. Il riflesso della terra sulla luna quando tramonta un’eclissi. È la costruzione di un mondo interiore nell’unico luogo possibile. E attrae infatti come la luna attrae le maree. Richiama come il risucchio di una memoria inabissata. Seduce, come la rete, perché s’aggroviglia dei mondi dei suoi visitatori. Nell’aprirla non si ha solo l’idea di un libro. Ma di molti libri scritti dai suoi viaggiatori. E non di una voce, ma di una colonia di io narranti che dicono la propria storia. Massimo Maugeri conduce e anima con garbo, quasi dietro le quinte, smorzando i toni e calibrando il coro, seminando spunti, aprendo scenari, disegnando volti sui volti, annodando uomo all’uomo. Soprattutto suggerendo che l’essenza di ogni sogno è nell’incontro, nello scambio, nella contaminazione Massimo Maugeri di destini. E la letteratura si trasforma. In questo mondo di mezzo tra sonno e veglia, in questo continente che non c’è e che forse nessuna mappa saprebbe collocare, le parole degli scrittori si mescolano a quelle dei lettori, riscrivendo testi, moltiplicando storie, in un rincorrersi di specchi che si riflettono l’uno sull’altro sovrapponendosi e rappresentando la varietà dell’uomo, dei suoi pietosi sforzi di resistenza all’assalto del tempo, della sua rincorsa verso ciò a cui più somiglia- un’anima immortale. D’altra parte “Letteratitudine”na- terle crescere bene insieme a mia moglie. Come fare per incontrare persone con cui condividere le mie passioni letterarie pur rimanendo in casa? Pensai di creare un blog. In fondo uno degli aspetti positivi della Rete è, appunto, quello di unire (non per nulla si chiama Rete). Così creai un blog (erano gli inizi del settembre 2006)... uno tra i tanti milioni di blog nati in Italia. Certo, allora non avrei mai potuto immaginare che avrebbe avuto successo. “E perché questo nome? Che emozioni e quali destini evoca?” “Letteratitudine” è un acronimo che si presta a vari incroci di parole. sione. Per certi versi è un ibrido, perché non è un vero e proprio blog individuale né un blog collettivo. È una sorta di via di mezzo. Alterno cose mie a contributi di altri scrittori o giornalisti culturali. Alcuni curano una vera e propria rubrica a loro nome, all’interno del blog. Per questo considero “letteratitudine” il mio blog, ma anche il nostro blog. Il blog di tutti coloro che vi scrivono. E mi riferisco anche, e soprattutto, ai commentatori/frequentatori, che sono la vera anima del sito. Sono loro a renderlo bello e speciale. A volte leggo commenti che sono di gran lunga superiori ai miei stessi post. Per me la vera “fortuna” e forza di questo blog è proprio questa: avere frequentatori/commentatori di altissimo livello che condividono con me le passioni di cui ho parlato prima. Ne nascono dibattiti a volte anche accesi, ma che non scadono nell’offesa o in commenti irrispettosi per persone o opinioni. Credo che uno dei motivi del “successo” sia proprio questo. “Condivisione, commistione e contaminazione. Non sono questi i canoni della parola?” Direi proprio di sì. In fondo si tratta proprio di questo. Condivisione, commistione e contaminazione con al centro la parola scritta. Non so se letteratitudine “faccia” letteratura, o sia capace di fare letteratura (in fondo penso che la letteratura si possa fare solo con i libri); di certo fa comunicazione basata sulla letteratura. Crea scambi, occasioni di confronto, di dialogo, di conoscenze. È un po’ come ritrovarsi in uno dei vecchi caffè letterari di una volta e discutere anche in maniera leggera (non necessariamente in maniera “alta” e leziosa). Fino a qualche tempo fa definivo letteratitudine come “un luogo d’incontro virtuale tra “Il blog è nato con l'idea dell'apertura, dello scambio e della condivisione. Per certi versi è un ibrido, perché non è un vero e proprio blog individuale né un blog collettivo. È una sorta di via di mezzo. Alterno cose mie a contributi di altri scrittori o giornalisti culturali” sce da un curioso miscuglio linguistico tra letteratura e latitudine, tra luoghi dello spirito e coordinate geografiche. Una parola che non esiste sui libri, né sugli atlanti. Che nessun vocabolario riporta. Un viaggio sulle rive di uno spazio che non c’è, se non dentro di noi…. “È così, Massimo? Da quale esigenza interiore nasce “letteratitudine”? “Letteratitudine” nasce da un mio desiderio di comunicazione, fondamentalmente. Dalla voglia di raggiungere più gente possibile per condividere la passione per la scrittura, per i libri, per la letteratura. Non è un caso che il blog abbia visto la luce quasi contestualmente alla nascita della mia secondogenita, Ilenia (mentre l’altra, Alessia, aveva appena un anno). Avevo deciso di rimanere il più possibile in casa anche per via delle bimbe piccole. Per po- “Letteratura” più “latitudine” (o “longitudine”), “letteratura” più “attitudine” (o “inettitudine”), “letteratura” più “solitudine”, “letteratura” più “gratitudine”. Le combinazioni possibili sono molteplici e tutte, per certi versi, evocative. Insomma, per dirla alla Sciascia... “a ciascuno il suo”. Non è un caso se cito Sciascia... perché il nome “letteratitudine” - a proposito di evocazioni - mi è venuto in mente anche per assonanza con il noto “sicilianitudine” di sciasciana memoria. Che emozioni evoca? Beh, spero che alla fine possa evocare l’emozione che suscita l’incontro con i libri... che è una delle cose a cui tengo di più. “Perché – poi – un open blog? Rimanda a un’idea di condivisione?” “Letteratitudine” è un open blog perché nasce con l’idea dell’apertura, dello scambio e, sì, della condivi- scrittori, lettori, librai, critici, giornalisti culturali.”. Ed è ancora oggi così. Anche se sono sempre più frequenti gli incontri reali tra letteratitudiniani (cene, pranzi, ecc.). “Il blog ospita anche rubriche stabili e ospiti illustri (Camon, Alajmo, Dacia Maraini… solo per citarne alcuni). In che modo gli autori più esperti interagiscono coi lettori?” Aver avuto la possibilità di ospitare personaggi importanti (Camon e Alajmo hanno pure una rubrica fissa all’interno del blog) è una bella soddisfazione e una grande responsabilità. Posso dire che gli autori più esperti interagiscono con la massima disponibilità con i lettori e gli autori meno celebri. Si crea uno scambio a pari livello. Ancora una volta... occasioni di scambio e di confronto. Senza staccionate. Senza che qualcuno salga in cattedra a enunciare verità inopinabili. A parte il fatto che credo che per ciascun autore il confronto con i lettori sia indispensabile. È un po’ come guardarsi allo specchio. “E in che modo i lettori con gli autori?” I lettori hanno la possibilità di interagire con l’autore in maniera molto più disinvolta rispetto a quando si presenta un libro dal vivo, magari in libreria. In libreria l’autore è - di norma - seduto dietro un tavolo, o posto su un piccolo palco, con accanto il relatore. I lettori costituiscono un pubblico. A volte qualcuno alza la mano e pone una domanda. Ma c’è distanza. Qui, invece, le distanze sono paradossalmente abbattute. C’è la possibilità di uno scambio vero, diretto, in tempo reale e - ripeto a pari livello. Certo, c’è anche il rovescio della medaglia. Può capitare che arrivi qualcuno che scriva/dica (la comunicazione su un blog - a mio avviso - dà luogo a una interessante commistione tra linguaggio scritto e parlato) qualcosa di banale, o stupido, o addirittura “sconveniente”. A mio avviso, però, questo è un rischio che vale la pena di correre. “Il coro di voci che emerge da ogni post forma quasi un libro nel libro, e molte vite in una sola cornice. In che modo uno scrittore come te – attentissimo alle variazioni interiori dei personaggi - si sente stimolato da questa varietà di stili, espressioni, modi di concepire e vivere la letteratura?” È davvero uno stimolo continuo. E le sorprese non mancano mai. Sorprese positive, almeno per la maggior parte. Alcuni dei dibattiti che si sono sviluppati meritano, a mio parere, di essere conservati; sia perché forniscono stimoli interessanti, sia perché costituiscono una testimonianza importante. Ogni libro è un mondo a sè che fornisce molteplici spunti di riflessione e di dibattito. A me piace entrare in questi mondi e viverci. “Un libro nel libro”. Bella definizione. Anche un po’ preconica, dato che molto presto letteratitudine diventerà libro. Non aggiungo altro a quest’ultima frase. “Massimo Maugeri è anche un eccezionale narratore. C’è l’idea di un unico grande romanzo – una sorta di “commedia umana”- nel tuo blog?” Se Massimo Maugeri è un eccezionale narratore dovrà dimostrarlo nel tempo. Per ora è solo agli inizi. E la letteratura va guardata alla lunga distanza. Noi gli diamo fiducia... sperando che sappia meritarla. Per quanto riguarda “letteratitudine”... sì, anche a me è capito di intravedere gli elementi di una “commedia umana”. Su “letteratitudine” si discute, si sorride, si scambiano opinioni, si danno consigli, ogni tanto si litiga (poco per fortuna). Sì, per certi versi è una sorta di commedia umana. “E allora…L’arte accade?....” L’arte accade? Bella domanda. Se l’arte si dovesse “costruire” non sarebbe vera arte, ma artigianato. Anche se l’arte senza artigianato sarebbe come champagne senza calice. Hemingway sosteneva che il genio è al cinque per cento ispirazione e al novantacinque per cento traspirazione (cioè sudore). Credo che la stessa cosa possa valere anche per l’arte. L’arte è un guizzo che non può vedere luce senza fatica e abnegazione. Ma, al di là di questo... l’arte accade? La risposta è: sì. Spero che prima o poi possa accadere anche a me. CULTURA LA VOCE DELL’ISOLA CULTURA LA VOCE DELL’ISOLA 30 19 Luglio 2008 È un romanzo mozzafiato l’ultima opera del giornalista José Rodigres Dos Santos “Einstein e la formula di Dio”: verità dell’esistenza umana di GIUSY RIGAZZI “T erra if fin de terrors tight Sabbath fore christ nite, see sign,? ya ovqo”, questo è il messaggio cifrato contenuto nell’ultimo manoscritto redatto dal grande scienziato Albert Einstein prima di morire, che il professor Thomàs Noronha, ha il compito di decifrare per uscire dall’intrigo internazionale di cui è diventato il malcapitato protagonista. Così si presenta il nuovo romanzo del giornalista portoghese José Rodrigues Dos Santos, che in patria ha già venduto più di centotrentamila copie. Un thriller carico di colpi di scena, che lascia il lettore col fiato sospeso fino all’ultimo capitolo. Thomàs Noronha, considerato uno dei maggiori esperti mondiali di criptoanalisi e di lingue antiche, viene reclutato, con la promessa di un cospicuo compenso, da una giovane iraniana, che, durante un suo soggiorno in Egitto, gli propone di lavorare per il suo governo, allo scopo di risolvere l’enigma contenuto nel manoscritto dello scienziato tedesco. Secondo il governo iraniano, tale manoscritto contiene una formula segreta elaborata da Einstein per costruire in modo semplice ed economico una bomba atomica. Da questo momento in poi la tranquilla vita dello storico si trasforma in una corsa contro il tempo alla ricerca di una soluzione dell’enigma, contrastata da rapimenti, prigionie, complotti internazionali in cui è coinvolta anche la CIA e momenti in cui nulla più sembra reale ed in cui il confine tra verità e menzogna diventa impossibile da individuare. Questi episodi si svolgono in suggestivi scenari orientali, passando dai mercati arabi delle spezie e delle tele alle montagne tibetane, sede della più antica tradizione zen, nonché attraversando le più belle città portoghesi come Lisbona e Coimbra. Lungo questi percorsi, la vita del professor Noronha sembra cambiare radicalmente rotta: da tranquillo studioso di storia e lingue antiche si trova costretto a trasformarsi in un James Bond dalle mille risorse per salvare cara la pelle. Un romanzo in cui non manca neanche il coinvolgimento di sentimenti profondi quale l’amore tra padre e figlio: l’inizio della spedizione alla ricerca della formula di Dio coincide, infatti, con la notizia di un José Rodigres Dos Santos e sotto, Albert Einstein volgimenti sentimentali del protagonista con la giovane iraniana, sentimenti ostacolati da una cultura, quella musulmana, in cui la donna ha una libertà molto limitata, se non quasi assente. Saranno proprio i rapporti con la donna che daranno la possibilità allo scrittore di aprire una parentesi su uno spaccato della società contemporanea: in un’epoca caratterizzata dalla globalizzazione del mercato si fa spazio anche la globalizzazione dei sentimenti, e questo avviene sia in positivo, con la storia d’amore fra Thomàs e Ariana, sia in negativo con la diffusione di un generale clima di odio nei confronti dell’altro diverso da noi, cosa che provoca i continui attacchi terroristici in tutto il mondo e di cui spesso si trova testimonianza nel romanzo. Un romanzo dalle mille sfaccettature, dunque, questo del giornalista portoghese, che lascia al lettore la possibilità di unire il piacere di una lettura molto semplice e scorrevole con la possibilità di imparare qualcosa di nuovo delle moderne teorie cancro diagnosticato al padre del protagonista e con i loro lunghi dialoghi sull’origine del mondo e i legami fra la matematica e la religione. Prendendo spunto proprio da questi dialoghi con il padre, oltre che dall’amicizia tra quest’ultimo ed un personaggio che si rivelerà uno dei Un thriller carico di colpi di scena, che lascia il lettore col fiato sospeso fino all’ultimo capitolo: si può imparare qualcosa di nuovo delle moderne teorie scientifiche e fare anche delle considerazioni sulla natura delle cose soggetti chiave per giungere alla soluzione dell’enigma, lo scrittore introduce gli elementi che fanno da asse portante all’intera storia: tutto il romanzo è caratterizzato, infatti, da una forte commistione tra le teorie più avanzate della fisica e della matematica contemporanee e la tradizione religiosa narrata nell’Antico Testamento, nonché quella filosofica orientale custodita dai monaci tibetani. Queste teorie e il loro legame, solo apparentemente strano, mettono il Professor Noronha di fronte ai più grandi enigmi dell’esistenza umana e ad un passo dalla soluzione finale di questi enigmi. Non mancheranno inoltre i coin- scientifiche e fare anche delle considerazioni più profonde sulla natura delle cose e dell’esistenza umana. Tutto questo elaborato in modo molto creativo attraverso la magia e l’arte della scrittura. Nell’antichità era “il mare”, unico immenso limite: per millenni è rimasto vuoto, più dei deserti stessi, ostacolo e non legame tra gli uomini All’alba del Mediterraneo di CORRADO RUBINO ignore e Signori buongiorno, è il comandante che vi parla è che vi da il benvenuto a bordo del Boing 747 “Ulisse” …stiamo sorvolando il Mediterraneo a 9.000 metri di quota …ad una velocità di 950 km orari...la temperatura esterna è di meno 30°, l'arrivo all’aeroporto di Atene è previsto tra cinquanta minuti, …il tempo ad Atene è buono, con una temperatura al suolo di 22 gradi …insomma una bella giornata primaverile. Vi ringraziamo ancora per avere scelto la nostra compagnia, e vi auguriamo un buon viaggio e un ottimo soggiorno in Grecia”. La voce all’interfono ha detto Ulisse? Si, il velivolo si “S chiama proprio Ulisse. Ma tu guarda che combinazione! Stiamo sorvolando il Mediterraneo a bordo di un aereo che si chiama Ulisse. Mi torna in mente che una volta uno psicologo mi disse che la figura del comandante a bordo di un aereo è quella di capo carismatico di una comunità viaggiante. Già è proprio così! Istintivamente guardo giù dall’oblò dell’aereo e quello che vedo è una distesa azzurra macchiata di nero qua e là: è il Mediterraneo, e in lontananza si intravedono le coste del Peloponneso. In aereo oggi da Roma ad Atene si impiegano solo due ore; da Tunisi a Palermo trenta minuti; in quattro ore si attraversa in volo il Mediter- raneo da est ad ovest. Ma solo cento anni fa, quando c’erano le navi a vapore, che già apparivano come grandi conquiste dell’uomo nel campo dei trasporti, per andare da Marsiglia al Pireo un piroscafo ci impiegava nove giorni di traversata. Oggi ci appare come un grande, immenso, tranquillo lago ma nell’antichità era un mare, anzi il mare, che si estendeva fino all’orizzonte, un limite, una barriera che diventava un problema affrontare ogni qual volta bisognava commerciare o viaggiare o spostare una flotta navale. Popolato di mostri e di popoli mostruosi, sirene e situazioni pericolose. 33 19 Luglio 2008 Ci hanno insegnato che le prime civiltà sono nate nel Mediterraneo orientale, in Oriente, ma la storia è più complessa Una cultura cosmopolita con apporti di diverse civiltà sviluppatesi sulle sponde del mare o nelle isole nella prosperità della Meso-potamia. La Meso-potamia, però, è lontana dalle rive del Mediterraneo, e se anche si è avventurata, come sembrerebbe, nel mar Rosso e nel golfo Persico, noi ne sappiamo ben poco. Sappiamo invece che tale regione si colloca sullo sfondo della primitiva storia del Mediterraneo. Le imbarcazioni egizie, al contrario, entrano da protagoniste nella storia del nostro mare. I bassorilievi delle piramidi più antiche ce le mostrano spesso costruite di fasci di papiro legati insieme, in qualche misura simili alle barche della Me-sopotamia, con prua e poppa rialzate e un fondo pressoché piatto, che consente loro di di CORRADO RUBINO A scuola ci hanno insegnato che le prime civiltà sono nate nel Mediterraneo orientale, in Oriente. Ma il mare non ne è responsabile sin dall'inizio: per millenni è rimasto vuoto, più dei deserti stessi, ostacolo e non legame tra gli uomini che pure hanno cominciato molto presto a vivere sulle sue sponde. Altrettanto presto, tuttavia, è iniziata la circolazione di zattere o piroghe primitive, senza le quali certi trasporti di cui abbiamo la prova non sarebbero stati possibili. Cipro, ad esempio, che è sempre stata un'isola sin dall'apparizione dell'uomo in Asia Minore, e per la quale non conosciamo esattamente la data dei primi insediamenti, nel 6° millennio importava l’ossidiana dall'Anatolia per fabbricare i propri utensili. Non è l'unico caso a noi noto: Malta, occupata per la prima volta dall'uomo verso il 5000 a.C., si procurava in Sicilia pietre sconosciute nel suo territorio, tra le quali ancora l'ossidiana. Niente indica, però, contatti regolari o rapporti continuativi. Se l'uomo, su brevi distanze, ha superato molto presto l'ostacolo del mare, lo ha fatto però ancora in modo sporadico. Il Mediterraneo, come fonte di scambi a distanza, è rimasto per molto tempo inutilizzato. La civiltà mediterranea ha mosso i primi passi ai suoi margini orientali. L'alba della storia dell’uomo coincide con l’inizio della pratica dell'agricoltura, rivoluzione neolitica che gli studiosi della preistoria fanno risalire a 9000 anni prima di Cristo. L’agricoltura non è stata praticata da tutta l’umanità contemporaneamente, né si è diffusa molto rapidamente. Il suo sviluppo, tuttavia, è avvenuto a partire da numerosi nuclei, più o meno collegati tra loro, e ha portato con sé i cereali, gli animali domestici, gli alberi da frutto, gli strumenti e le abitudini sedentarie. Contrariamente a quello che si può immaginare l’agricoltura non è nata nelle pianure, ma sui rilievi che delimitano il deserto della Siria o sugli altipiani montuosi dell'Anatolia e dell'Iran. Tra i 600 e i 900 metri di altitudine le pecore, le capre, i bovini e i maiali, nonché le graminacee selvatiche trovano il loro habitat naturale e le acque scorrono con relativa abbondanza. È in questa zona, non a caso definita dagli storici "mezzaluna fertile", che l'agricoltura ha iniziato la sua lunga carriera; a partire da tre regioni privilegiate: le valli e i versanti occi- Dopo millenni è iniziata la circolazione di zattere o piroghe primitive, senza le quali certi trasporti, di cui si hanno le prove, non sarebbero stati possibili dentali dello Zagros, la regione montuosa della Mesopotamia turca e la parte meridionale dell'altopiano anatolico (Turchia). Chi dice agricoltura dice sedentarietà, aggregazione in insediamenti collettivi. Pensiamo a piccoli villaggi; e invece la cosa più sorprendente è stata la scoperta, a partire dall'8° millennio, non solo di villaggi o borghi, ma di grossi agglomerati che si possono chiamare “città”. Gerico in Palestina e Çatal Hüyük in Turchia, sono due esempi di tali agglomerati "neolitici": nel 7° millennio prima di Cristo, Gerico ospitava almeno duemila abitanti, e Çatal Hüyük occupava circa quindici ettari con le sue case costruite una sull’al- Creta, il palazzo di Cnosso tra. Tali "città” primitive sono già centri di organizzazione, che determinano e tengono in vita una circolazione a vasto raggio, fino all’area dell’Eufrate. Gerico esporta sale e bitume e riceve, tra l'altro, ossidiana con la silice dall'Anatolia, turchesi dal Sinai e cauri dal mar Rosso. Çatal Hüyük scambia la propria ossidiana della Siria, e importa dal Mediterraneo conchiglie in quantità e pietre di ogni genere, alabastro, marmo. Le attività artigianali sono molteplici: ornamenti di pietra, di madreperla o di rame, tessuti fini, vasi ecc. È però la pianura, ovvero la bassa Mesopotamia, che con l'Egitto diventerà l'accumulatore essenziale della civiltà in gestazione. Una grande civiltà, infatti, non può vivere senza un'ampia circolazione, e le acque dei fiumi, come l'Eufrate, il Ti-gri, e il Nilo, hanno consentito il precoce sviluppo dell'attività di flotte di battelli. Quando finalmente tali imbarcazioni si avventureranno sulle acque del golfo Persico, dell'oceano Indiano, del mar Rosso o del Mediterraneo, il passo decisivo sarà compiuto. Ha inizio un miracolo. Beni, merci, tecniche, tutto a poco a poco transiterà attraverso le rotte marittime. Il Mediterraneo sta per cominciare a vivere. I battelli dell'Eufrate e del Tigri hanno certamente svolto un ruolo di primo piano nel progresso e Bassorilievo di una nave fenicia non urtare i banchi di sabbia che si trovano a poca profondità e di attraversare senza danni le numerose paludi. Un progresso relativamente rapido farà sì che i primitivi giunchi siano sostituiti da tavole di legno, blocchi di sicomoro o di acacia provenienti dall'alto Egitto o tratti dai cedri della Fenicia (Libano). Le tavole, corte e massicce, vengono unite saldamente tra loro. Queste imbarcazioni senza chiglia somigliano in tutto e per tutto alle barche primitive. Le vediamo popolare le scene di caccia o di pesca rappresentate tanto spesso sulle pareti delle tombe, e sappiamo che ser-vono anche a trasportare i defunti verso l'ultima dimora. La flotta dei battelli del Nilo è altrettanto potente di quella dell'Eufrate, ma la regolarità dei venti in Egitto permette alle imbarcazioni di risalire facilmente il fiume a vela. Nell'altro senso, è sufficiente lasciarsi trasportare dalla corrente: quindi è raro che siano necessari remi e alaggio, necessari invece per affrontare il mare aperto. Alla metà del 3° millennio il basso Egitto, sede del potere faraonico, comincia ad acquistare cedri del Libano, bitume del mar Morto, olio e più tardi vino della Siria. Cominciarono così i viaggi tra l'Egitto e la costa siro-libanese, all'alba, o quasi, della storia egizia. Una vera e propria flotta collega Biblo ai porti del delta; le imbarcazioni sono di tipo egizio e probabilmente finanziate dall'Egitto, ma forse sono sin da allora costruite e soprattutto montate da cananei (il nome che si dava ai siro-libanesi). Questi antenati dei fenici erano già un popolo di marinai. Una pittura tebana del 15° secolo a.C. mostra alcu- ne imbarcazioni montate da cananei, nel loro costume caratteri-stico, che scaricano in Egitto mercanzie del loro paese. Rispetto a quelle del 25° secolo, le imbarcazioni, tuttavia, non sono mutate: battelli a vela di tipo egizio, sempre con le estremità rialzate ad angolo retto e apparentemente senza chiglia. Sono adatte a un tragitto tranquillo sulle acque del Nilo, poco profonde e soggette alla piena periodica che riduce la superficie navigabile a uno stretto sentiero. Non si prestano molto, invece, ai pericoli dell'alto mare. All'inizio del 2° millennio, e forse anche prima, nasce un altro tipo di battello, frutto di una diversa avventura: quella dei popoli dell'Egeo. Sono navigli leggeri, a vela e a remi, muniti di una carena e di una chiglia che non soltanto ne rafforzano lo scafo contro l'urto delle onde, ma ne immergono altresì il fondo, rendendoli più stabili e più resistenti al vento. Tale imbarcazione egea, antenata diretta delle navi fenicie, greche e romane, è in effetti il primo battello da trasporto veramente adatto al mare. A questa innovazione si deve l’aver accelerato la storia del Mediterraneo. All'inizio del 2° millennio emergono dunque due zone marittime, produttrici di navi e di marinai: la costa libanese e le isole dell'Egeo. Esistono già dei proto-fenici, esistono già dei proto-greci. Attivi sulle coste dell'Egeo e dell'Asia Minore quanto lo saranno i loro successori, essi sono incontestabilmente i principali responsabili della nascita di un primo Mediterraneo degli scambi, un Mediterra- “La maschera di Agamennone”, maschera sepolcrale di principe miceneo in lamina d’oro Creta, il centro della civiltà Minoica estinto misteriosamente nel 15º secolo C reta, al contrario, nonostante l'attività dei suoi mercanti e dei suoi marinai, dei quali si riscoprono le tracce dappertutto, ha dato più di quanto abbia ricevuto. Protetta forse dalla sua insularità, è rimasta la più originale, la più insolita tra le prime civiltà antiche, misteriosa sia quando si sviluppa come un fenomeno a parte, sia quando sparisce, vit-tima di avvenimenti inesplicabili. Creta è un'isola sperduta in mezzo al mare, per molto tempo sottopopolata e sottosviluppata. Per molto tempo Creta è rimasta pressoché sorda alle correnti di civiltà provenienti dalle Cicladi e dall'Egeo. È ancora immersa nell'oscurità quando già risplende Troia, presso l'Ellesponto. Solo verso il 2500 a.C. comincia ad apparirvi un po' di luce. Vi sorgono due generazioni di città-palazzo, la prima tra il 2000 e il 1700, la seconda tra il 1700 e il 1400. L'isola si sviluppa parallelamente ai pro-gressi della navigazione nel Levante. Cnosso è l’esempio più bello di pa-lazzo-città, ma non l’unico. I palazzi sono appannaggio di una divinità e insieme di un principe, confermato dalle leggende della talassocrazia di Minosse, di Dedalo e della nascita di Zeus sul monte Ida. Rappresentano forse anche una for- ma di economia, il luogo in cui si ammassa e si ridistribuisce la produzione, il centro in cui gli artigiani e i mercanti della vicina città si re-cano a prendere le ordinazioni, e dove viene concepita una partecipazione sempre più cosciente agli scambi con l'estero. Il periodo di massimo splendore, tra il 1700 e il 1450, è contemporaneo al generale sviluppo economico del vicino Oriente. A Cnosso, e nella zona orientale di Creta, tutto crollerà verso il 1450. La causa è forse nell'esplosione vulcanica di Thera, oggi Santorino? E un'ipotesi accettabile, e spesso accettata. O in una vittoriosa calata dei micenei? È l'ipotesi classica. O ancora in violenti disordini sociali? Comunque sia andata, la civiltà cretese si estingue alla metà del secolo 15°. La conoscenza che ne abbiamo è imperfetta. La sua reli-gione rimane per noi poco comprensibile. Siamo in grado, a malapena, di riconoscere alcuni simboli, come l'albero, il pi-lastro, la doppia ascia, le corna del toro, le sciarpe annodate in modo rituale, e alcuni animali sacri, quali il serpente, la colomba e il toro. Pare infine che dominatrice fosse la Dea-Madre, uscita dagli abissi della preistoria e delle mentalità primitive. Cor. Rub. Micene, porta dei leoni neo ancora limitato a est, nell’Egeo, ma che già si propone come spazio economico unitario, dove ben presto tutto sarà sottoposto a scambi, dagli oggetti alle tecniche, dalle mode ai gusti e naturalmente agli uomini, nonché alle corrispondenze diplomatiche. Si determina così un fenomeno che costituisce una novità straordinaria: nasce una cultura cosmopolita nel cui ambito sono individuabili gli apporti delle diverse civiltà sviluppatesi sulle sponde del mare o nelle isole. Di tali civiltà, alcune, come l'Egitto, la Mesopotamia, l'Asia Minore degli Ittiti, appartengono a imperi, mentre altre, quali quelle della costa siro-libanese, di Creta e più tardi di Micene, sono proiettate sul mare e sostenute da città. Tutte, però, comunicano ormai tra di loro. Tutte, compreso l'Egitto, di solito tanto chiuso in se stesso, si volgono verso l'esterno con curiosità. È l'epoca dei viaggi, degli scambi di doni, delle corrispondenze diplomatiche e delle principesse date in spose a re stranieri come pegno delle nuove relazioni internazionali. È l'epoca in cui vediamo apparire negli affreschi delle tombe egizie, riprodotti minuziosamente nei loro co-stumi originali, tutti i popoli del vicino Oriente e dell'Egeo, cretesi, micenei, palestinesi, nubiani, cananei; in cui le bellissime ceramiche cretesi invadono tutto il Levante. Nel 2° millennio il popolo più cosmopolita sembra essere quello dei siro-liba-nesi, che assimilano tutto e da tutti, per poi rimanipolarlo a modo loro. SPECIALE SPECIALE LA VOCE DELL’ISOLA 32 35 19 Luglio 2008 Gli antichi miti vogliono che a Micene avesse regnato la dinastia degli Atridi, protagoni sta nei poemi epici e tragici I mercanti micenei, correndo i mari come facevano i cretesi, assumono subito un ruolo preponderante nell’Egeo di CORRADO RUBINO I maestri costruttori fenici contribuirono alla costruzione del tempio di Gerusalemme L a civiltà micenea che ha come centro propulsore la città di Micene, nel Peloponneso, nella regione dell’Argolide, dopo il 1500 si sovrappone alla civiltà cretese ma si ispirava già da molto tempo alla scuola di quest'ultima; già da qualche tempo erano sorti i palazzi fortificati della stessa Micene e di Tirinto. Che gli allievi, divenuti pericolosi, abbiano distrutto il maestro? E possibile. Oppure ne hanno occupato il posto rimasto vuoto. Cosa certa è che comunque le città micenee (Tirinto, Pilo, Midea, Argo, Asine, Malthi, Zygùries, Tebe, Atene, Gla, Orcomeno) continuano a svilupparsi dopo la repentina scomparsa di Creta. Non a caso Micene, appollaiata su una collina che domina il crocevia delle strade dirette a sud, verso gli approdi di Corinto, è la localizzazione delle leggende pre-greche. Gli antichi miti volevano che a Micene avesse regnato la dinastia degli Atridi, protagonista, nei poemi epici e tragici, di storie di gelosia, di uccisioni, di adulterî e di vendette, e ancora non a caso Agamennone, rappresentante di questa famiglia, viene posto da Omero, nella sua Iliade, a capo delle guerra nazionale contro Troia. I mercanti micenei, correndo i mari esattamente come facevano i cretesi, assumono un ruolo preponderante nell'Egeo, insediandosi in gran numero a Cipro, in Egitto, in Asia Minore, in Siria e in Libano: i vasi micenei, come prima i cretesi, si ritrovano dappertutto nel vicino Oriente. L'atmosfera, però, è mutata: le città micenee, battagliere ed espansioniste, a volte rivali, si circondano di mura. Ma nonostante che le città micenee si circondino di grandi mura ciclopiche (di cui ancora oggi a Micene ci resta la monumentale porta dei leoni), il loro destino finale sarà tragico: scompariranno quasi tutte nel corso di un dramma ancora più oscuro di quello che pose fine a Cnosso. Il 12° è, tra i secoli oscuri, il più oscuro. Vi si succedono una catena di catastrofi. Prima di tali catastrofi il Mediterraneo orientale, dal mare Ionio al mare Egeo, e sul continente, dall'Egitto al resto del vicino Oriente, S Monumento sepolcrale di Re Hiram a Tiro era tutto un fiorire di civiltà e di commerci. A partire dal 12° secolo subentra la notte, che durerà per circa mezzo millennio. Scompaiono allora dei bastioni, sotto una massa di rovine carbonizzate). La responsa-bilità pesa sui misteriosi "popoli del mare", che fanno pensare ai barbari che po- spinsero fino in Egitto, dove furono sgominati due volte, nel 1225 e nel 1180 a.C.: un bassorilievo commemora questa vittoria del faraone. L'E- Civiltà cancellate da misteriosi “popoli del mare”, che fanno pensare ai barbari che posero fine all’impero di Roma, che si spinsero fino in Egitto, dove furono sgominati due volte, nel 1225 e nel 1180 a.C. l'impero ittita in Asia Minore, lo Hatti e i palazzi micenei, tutti incendiati e distrutti (a Tirinto gli scheletri dei difensori sono stati ritrovati ai piedi sero fine all’impero di Roma. Chi erano? Da dove venivano? Una cosa è certa: sono certamente esistiti, poiché numerosi testi ne parlano, e si gitto però non riuscirà comunque a sfuggire al disastro. Per molto tempo il Mediterraneo non sarà più il tramite degli scambi, che dapprima registrano un calo, poi scompaiono, incapaci di resistere agli incendi, alle carneficine, al crollo delle fortificazioni, all'indiscriminato sconvolgimento delle città, all'aggressione e al saccheggio dei centri urbani. Fino a poco tempo fa questi drammi venivano spiegati con l'arrivo di una popolazione indoeuropea, quella dei Dori. Barbari, certo, ma si diceva che possedevano armi Maschera fenicia di ferro, e per questo avrebbero avuto ragione dei Micenei, che conoscevano soltanto le armi di bronzo. Davanti ai nuovi venuti le popolazioni sarebbero fuggite in preda al panico. Si diceva quindi che i “popoli del mare” non erano altro che queste orde di fuggitivi, che a loro volta avrebbero predato, saccheggiato, ucciso, dalla terra degli Ittiti fino all'Egitto. Ma non è così. Tale spiegazione non regge più, poiché i Dori, ultimi invasori indoeuropei della Grecia antica, arrivarono soltanto alla fine del 12° secolo, almeno cento anni più tardi, e non portarono il ferro, la cui prove-nienza è diversa. A questo punto, però, disponiamo soltanto di ipotesi. Tra le più accreditate vi è quella che l'impero ittita sarebbe stato distrutto da una serie di terremoti di estrema violenza. Ciò non basta però a spiegare l'insieme del fenomeno, che travalica i confini dell'Anatolia, né a chiarire il ruolo dei “popoli del mare” o la distruzione delle città micenee. Vi fu forse un repentino mutamento del clima, che si sarebbe guastato fino a provocare una siccità persistente, calamitosa e letale? A tale disastro sarebbero sfuggite soltanto le regioni elevate, vicine al mare ed esposte direttamente ai venti dell'ovest, come il golfo di Corinto, l'Attica, Rodi, Cipro, la Tessaglia o l'Epiro. Altrove gli abitanti cacciati dal loro paese da numerosi raccolti andati a male avrebbero preso il mare, invadendo in massa i territori relativamente al riparo e provocando le distruzioni a catena di cui si è detto. Quanto ai palazzi micenei, non sarebbero stati distrutti dagli, invasori, ma dalle popolazioni locali di contadini affamati, in quanto da sempre grandi depositi di derrate alimentari. Sono spiegazioni che accendono la fantasia, ma restano oscuri i fatti realmente accaduti. Un fatto, in ogni caso, è certo: nel 12° secolo a.C. la vita nel Mediterraneo orientale regredisce. Gli scambi si inaridiscono. Ciascuno vive nel proprio isolamento, tra mille difficoltà. I due imperi che sopravvivono hanno perduto qualsiasi influenza: l'Egitto si ripiega su se stesso, sulle proprie lacerazioni interne, e la sua storia si disperde tra le continue invasioni, più o meno significative, da cui è subissato; la Mesopotamia, aperta per natura ai mondi circostanti e terribili del deserto e della montagna, è sepolta dall’instabilità generale. ulla costa cananea, o per meglio dire fenicia, nel 12° secolo, verso il 1180, scompare Ugarit ad opera dei “popoli del mare”, Biblo declina, Sidone la sostituisce, e verso l'anno 1000 la città dominante dei Fenici diventa Tiro. La Fenicia si trova al punto d’incontro fra gl’imperi mesopotamico ed egizio. Da questo vitale incrocio si determina la precoce vita marit-tima dello stretto litorale del Libano. Dai Persiani, i Fenici, apprendono l’abilità al commercio, mentre dagli Egiziani assorbono le conoscenze sulla navigazione fluviale. Mentre gli Egiziani commerciano fra di loro principalmente lungo il Nilo, i Fenici, che dispongono solo di una striscia stretta di terra fertile lungo la costa per sostenersi, non possono che guardare verso il mare per sperare in uno sviluppo. La Fenicia comincia così a proiettarsi verso il mare, mentre a est e tutto intorno continua a imperversare la guerra di tutti contro tutti. I mercanti fenici diventano il mezzo di diffusione nel Mediterraneo di due fenomeni altamente rivoluzionari: il diffondersi della lavorazione del ferro acciaiato, già inventata nel Caucaso o della Cilicia, che però non diventerà di uso corrente prima del 10° secolo, e la comparsa della scrittura alfabetica. Infatti a Biblo i Fenici avevano elaborato precedenti scritture inventando un alfabeto lineare di ventidue lettere, appreso poi dai Greci che lo adatteranno alla loro lingua, probabilmente nell'8° secolo a.C. La Fenicia è una terra di piccoli porti addossati alla montagna, nati su penisole e piccole isole. Tiro, oggi la troviamo unita alla terraferma a causa di una serie di alluvioni, ma allora sorgeva su di una stretta isola. Città così fatte non possono vivere che di commercio e di industria; e allora per acquistare all'estero i viveri di cui non dispongono, e per compensare il permanente squilibrio che ne deriva, le città fenicie sono costrette a commerciare e a esportare i prodotti delle proprie industrie. Posseggono artigiani, fabbri, orefici, costruttori di navi. I loro tessuti di lana sono molto apprezzati, e lo sono altrettanto le loro tinture, estratte da un mollusco, il murice, che vanno dal rosa al porpora al viola. Il crocevia in cui si trovano a vivere pone inoltre i Fenici nelle migliori condizioni per imitare tutti gli stili e tutte le tecniche altrui, ad esempio le maioliche azzurre o i vetri policromi dell'Egitto; senza disdegnare di commerciare tutto ciò che veniva prodotto negli altri paesi. Il loro commercio investe tutto il Levante, raggiunge il mar Rosso, avanza verso l'oceano Indiano. Quando anche l'Ovest sarà praticabile, si estenderà fino a Gibilterra e si avventurerà nell'Atlantico. La loro abilità entra nella leggenda. Una nave fatta allestire da re Salomone e inserita nella flotta fenicia avrebbe raggiunto la lontana Spagna, toccando Tartesso, e ne avrebbe fatto ritorno, il tutto in tre anni. Hiram, re di Tiro, avrebbe inviato a re Salomone materiali e maestranze (tra cui anche un maestro, con il suo stesso nome, fonditore e toreuta abilissimo) per la costruzione del tempio di Gerusalemme. Fattori decisivi di tali successi sono il coraggio e l'abilità dei Fenici. Anche la tecnica, però, ha il suo ruolo, e in particolare l’uso del legno di cedro, di cui allora erano ricche le foreste, per la costruzione delle navi abbastanza robuste per affrontare le onde del Mediterraneo; l'utilizzazione del bitume del mar Morto per calafatare gli scafi. Le loro barche sono dotate sia di vele, sia di uomini che remano e man mano diventano sempre più grandi. Forti di questa abilità di naviganti e di costruttori navali, i Fenici iniziano a navigare verso ovest, non più solo per commerciare ma per conquistare altri territori. Fino a ieri gli studiosi di storia antica negavano che i Fenici avessero preceduto le città-stato greche nella colonizzazione del Mediterraneo occidentale. Poi alla fine degli anni ’60, con l’evidenza delle prove archeologiche, si cominciò ad ammettere che i Fenici avevano approfittato della pausa sopravvenuta nella navigazione "greca" nel mare Egeo per sfruttare il mare lontano. Almeno tre secoli, l'11°, il 10° e il 9°, separano infatti la caduta di Mi- cene dal primo movimento di espansione greca verso ovest. Prima dei Greci, al tempo dei "secoli bui", vi sarebbe stata dunque una precedente conquista dell'Ovest a vantaggio degli "orientali". La Fenicia del resto è per natura condannata a utilizzare il mare a qualsiasi costo. I Fenici usano tre rotte per attraversare il Mediterraneo da una parte all'altra. La prima, costeggiando la Turchia, la Grecia, Corcira (Corfù). Di qui, con il favore del vento, un veliero leggero attraversa il canale di Otranto in meno di una giornata. Poi lungo la costa sud della penisola italiana fino allo stretto di Messina. A sud le coste della Sicilia a nord, oltre lo stretto, risalgono lungo la costa italiana fino all’Elba, poi c’è la traversata per raggiungere la Corsica ed infine la Sardegna. Questa è la rotta di navigazione dei mercanti greci, nota sin dall'epoca micenea. La seconda rotta, verso sud, segue la costa del nord Africa, sempre rimanendo a vista della terraferma. Dall'Egitto, lungo la Libia e Cartagine, fino allo stretto di Gibilterra i porti distano un giorno di navigazione dal successivo dove di notte si fermano. La terza rotta attraversa il mare, verrà usata in seguito da marinai più esperti e con strumenti più sofisticati. Le tracce dei loro insediamenti indicano l’uso di una rotta che prevede una navigazione in alto mare verso ovest senza terra a vista. Da Tiro navigano fino a Cipro, poi verso Creta, Malta, la Sicilia, le coste della Tunisia, la Sardegna, le Baleari e oltre. Navigano anche di notte orientandosi grazie all'Orsa Minore. I Fenici sono stati dei precursori ed erano piloti eccezionali. A loro va la palma della vittoria nella corsa verso l'ovest. Fondano, già tra il 10° e il 9° secolo, nuove colonie a Cipro, a Rodi e nelle isole dell’Egeo. Spingendosi ancora più lontano fondano Mozia in Sicilia, Tharros e Nora in Sardegna; Tashish, una grande colonia commerciale sulla costa della Spagna, e la città che diventerà la capitale di tutte le colonie, Cartagine, nell’odierna Tunisia, e che si trova esattamente al centro del Mediterraneo. Dopo, nell’8° secolo, il vicino Oriente conosce una nuova prosperità. Il mare riprende vita con i già attivi porti della Fe-nicia e con le città-stato greche che, grazie ai porti e alla precedente esperienza mercantile delle navi e dei marinai fenici, si avviano a compiere una vera e propria conquista del Mediterraneo occi-dentale. Quando tale colonizzazione sarà ultimata, il Medi-terraneo della storia si estenderà senza interruzioni dal Le-vante sino alle Colonne d'Er- cole. Si tratta di una colonizzazione a lunga distanza, rivolta verso terre nuove e non disabitate. Le nuove città vengono fondate, in modo più o meno pacifico, lungo le coste, a ridosso di vasti territori abitati da popoli non affini: cu-riosi e interessati o ostili e pericolosi a seconda dei casi e delle epoche. I coloni trovano in quelle terre lontane condizioni di vita molto migliori di quelle della Grecia o della Fenicia. Nell'Ovest tutto è più grande, più ricco. Si pensi alla moltitudine delle città greche in Sicilia, da Agrigento a Selinunte, con i loro grandiosi monumenti; al tempo del suo massimo splendore Cartagine, "la città nuova", sarà dieci volte più grande di Tiro, sua città-madre. La colonia fenicia di Cartagine, all’inizio del 9° secolo, ha rappresentato solo una tappa nel viaggio da Tiro alla Spagna Le città marinare della Fenicia sono ancora delle floride e potenti metropoli. Ma nel 7° secolo, il secolo che da inizio alla colonizzazione greca delle terre ad Occidente, la supremazia fenicia viene meno. I Fenici non incontrano più, come al tempo dei loro primi successi, un Mediterraneo vuoto, ma adesso per mare ci sono anche prima gli Etruschi e poi i Greci. Cor. Rub. SPECIALE SPECIALE LA VOCE DELL’ISOLA 34 Asilat Srl Via Miscarello - Salice, 41 95014 Giarre (CT) Daniela Franchina +39 333 9290042 Ketty Torrisi +39 333 5257520 www.asilat.com [email protected]