MAGNETOTERAPIA
Modalità di somministrazione
dei Campi Magnetici Pulsati (CMP)
Testo di Marco Montanari
www.fieldsforlife.org
Copyrigt © 2009
LICENZA PUBBLICA GENERICA (GPL) DEL PROGETTO GNU
Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 1 Dedico queste pagine agli Amici Bruno Bizzi e Paola Bizzi
Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 2 INDICE DEGLI ARGOMENTI
Pagina
4 ..... Premessa.
8 ..... Inizio dello studio della magnetoterapia ovvero
La fortuna dei principianti.
13 ..... Comportamento dei solenoidi senza nucleo ferromagnetico.
14 ..... I solenoidi con nucleo ferromagnetico aumentano l'idoneità terapeutica ­ Evidenziano il raggiungimento di un livello di transizione biofisico.
16 ..... La legge dell'induzione elettromagnetica di Faraday­Neumann­
Lentz si deve applicare anche in ambito biofisico.
18 ..... L'indotto biologico.
20 ..... La corrente di spostamento nell'indotto biologico.
­ Origine del “dolore evocato” ­ 23 ..... Differenza tra i vettori di campo magnetico: H – B ­
­ Le misure elettriche di riferimento delle magnetoterapie ­ ­ Inutilita' dei programmi di lavoro ­.
Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 3 PREMESSA
L'Autore, descrive (in prima persona) la successione di eventi che precedettero l'inizio dello studio della magnetoterapia.
Negli anni '60 e '70 non avrei dato ascolto a coloro che mi avessero suggerito di occuparmi dell'azione terapeutica dei campi magnetici. A quel tempo in Medicina avevano credito solo le ricerche scientifiche in ambito diagnostico e/o terapeutico riguardanti l'applicazione delle correnti elettriche in forma resistiva o capacitiva, dalla corrente continua fino alle alte frequenze (bisturi elettronici, elettrocoagulatori, diatermia). Coloro che ufficialmente si fossero occupati del ruolo terapeutico dei campi magnetici sarebbero stati considerati dei visionari, ma i propugnatori dell'avvento dell'agopuntura cinese erano certamente bollati come “eretici”. Abitavo a Imola (Bologna) ed ebbi la fortuna di conoscere e frequentare il Dott. Bruno Bizzi (psichiatra) che negli anni '60 conobbe il Dott. Ulderico Lanza di Luserna San Giovanni (Torino) il quale nel '65 fondò la Società Italiana di agopuntura. Il Dott. Bizzi nel 1968 ne divenne socio fondatore e consigliere nel 1973. Come spettatore privilegiato, assistetti alle vicissitudini che determinarono la nascita delle scuole di agopuntura in Italia e in Francia e partecipai direttamente alla ricerca di nuovi metodi di stimolazione dei punti di agopuntura. Tutti i ricercatori avevano la certezza che i punti di agopuntura fossero “oggetti” reali, appartenenti alla neurofisiologia umana ed animale. Nel 1971 nello studio del Dott. W. Hermann, a quel tempo direttore delle terme Galvanina di Rimini, vidi funzionare un prototipo di un apparecchio per agopuntura secondo il Voll e ne rimasi profondamente colpito. Tentai di capirne il principio di funzionamento, ma vi rinunciai a causa dell'impossibilità di separare gli eventuali fenomeni reali dagli artefatti. Nella stessa circostanza il medesimo Dott. Hermann mi disse che un suo amico nel 1968 in Germania aveva condotto degli esperimenti sui campi magnetici come mezzo terapeutico e mi annunciava che, secondo lui, ci dovevamo preparare a future grandi novità. Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 4 Il Dott. Nojer fu un grande innovatore, al pari del Dott. Ulderico Lanza e il Dott. Bizzi, mentre manteneva continui contatti con gli agopuntori italiani e con la scuola francese diretta dal Dott. Nojer, mi teneva aggiornato e mi concedeva di leggere di prima mano gli appunti redatti dalle scuole di agopuntura e insieme sperimentavamo gli apparecchi per la ricerca del punto di agopuntura di produzione cinese ed europea, ma tutti generavano artefatti a volontà e ciò era causa di derisione da parte dei detrattori dell'agopuntura. Trovai il fatto molto stimolante e ciò mi indusse a progettare un'apparecchiatura elettronica analogico­digitale che consentisse il reperimento del punto di agopuntura in modo certo ed automatico. Riuscii a realizzarla alla fine degli anni '70, ma solo dopo aver scoperto la causa biofisica degli artefatti prodotti dai cosiddetti “cercapunti”. Nel 1974 il Dott. Nojer aveva concorso alla progettazione di un apparecchio generante campi magnetici a bassissima frequenza dotato di due solenoidi destinati alla terapia dei malati mentali e, il medesimo Nojer ne diceva un gran bene. Tutto ciò era di competenza del Dott. Bizzi che, incuriosito e fiducioso, si procurò l'apparecchio e, in gran segreto, cominciò a sperimentarlo sulla testa di alcuni malati nell'Ospedale Psichiatrico Luigi Lolli di Imola di cui era direttore. Conoscendo la mia riservatezza, un giorno mi descrisse gli esperimenti che andava conducendo (i risultati li avrebbe riferiti al collega), raccomandandomi di mantenere l'assoluta segretezza e, con atteggiamento pensoso e quasi preoccupato laconicamente mi disse: “Stanno meglio !”; capivo che era cosciente di trovarsi di fronte ad un fenomeno nuovo e rivoluzionario; ma io, fedele all'assioma che per la Biologia e la Medicina i campi magnetici terapeutici erano pura utopia, cercai di dissuaderlo e gli consigliai di essere estremamente obiettivo. Il Dott. Bizzi eseguiva la procedura suggeritagli dal Nojer che si era abbandonato a fantasticherie antiscientifiche e, nel tentativo di far presente il fatto al mio amico che aveva la massima fiducia nel collega, corsi il rischio di irritarlo, così lasciai cadere la cosa e nessuno più ne parlò. Non dimenticai mai questi fatti che, più vivi che mai, dopo oltre trent'anni ritornarono alla mia memoria, ma con ben altri connotati !.
Nel frattempo, essendo possessore di un corpo umano a mia completa Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 5 disposizione, preferii addentrarmi nello studio della elettrofisiologia e delle elettroterapie. In modo assiduo ed entusiastico, progettai ogni apparecchio e feci attraversare il mio corpo da correnti elettriche, dedicando molto del mio tempo allo studio della ionoforesi, diadinamiche, faradica, elettroanalgesia (TENS), elettroanestesia, elettrostimolazione agopuntoria, evidenziazione dei meridiani antichi, ginnastica passiva mediante modulazione della stimolazione muscolare, ricerca del punto di agopuntura, segno elettrico del Neri ed altri esperimenti. L'osservazione critica degli effetti delle innumerevoli esperienze biofisiche di cui fui contemporaneamente osservatore e oggetto di esperimento, al pari di ogni autentico vissuto esperienziale interpersonale, profusero una messe di informazioni difficilmente raggiungibile qualora avessi operato per interposta persona; al punto che ne consiglio vivamente l'esperienza esclusivamente ai detentori di adeguate basi scientifiche e tecniche, perché con la corrente elettrica non si scherza !. Nel settembre 1979 nell'edizione italiana di “Elektor” (famosa rivista tedesca di elettronica), venne pubblicato un articolo dal titolo “Campi magnetici in medicina” riguardante l'azione terapeutica dei campi magnetici pulsati a bassissima frequenza. Per la prima volta in Italia si poteva osservare uno schema elettrico all'apparenza insignificante, ma a cui si attribuivano eccezionali proprietà terapeutiche (vedi: “Configurazioni elettroniche delle magnetoterapie”). Tutto lasciava pensare ad una bufala, dato che la rivista era famosa per gli scherzi che ogni tanto elargiva ai lettori in modo serioso e mi venne il sospetto che potesse trattarsi di uno sopraffino, ma in bibliografia appariva il nome di un fantomatico Dott. W. Hermann; inoltre fui vittima dell'ovvietà, commettendo il grave errore di giudicare l'apparecchio in quanto tale. In ambito biofisico l'apparecchio elettronico e le strutture biologiche in realtà sono tutt'uno e se gli elettromedicali elettroterapici di solito non sono particolarmente complicati, ben altra cosa è la loro azione biofisica. Ad esempio è abbastanza facile capire il funzionamento di un apparecchio per ionoforesi che opera in corrente continua; un po' più difficile è capire il vantaggio prodotto da un apparecchio funzionante ad impulsi, ma è difficile capire perché un apparecchio per ionoforesi possa funzionare Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 6 veramente molto bene in corrente alternata (ionoforesi non polare). Alla fine degli anni '70 avevo compreso che le elettroterapie potevano svolgere solo un limitato ruolo terapeutico e, in ogni caso, nessuna si poteva realizzare in modo totalmente automatico poiché, per questa classe di apparecchi medicali, il paziente doveva partecipare attivamente allo sviluppo dei processi biofisici, adattando la sensibilità propriocettiva alla migliore attività terapeutica non sempre gradevole e ciò ne avrebbe frenato la diffusione presso i malati ed anche presso i terapisti. Successivamente, negli anni '80 e '90, coloro che ottennero un iniziale successo commerciale, non capendo la complessità dei fenomeni biofisici, tentarono di automatizzare gli apparecchi elettroterapici, producendo macchine costose, ma del tutto inutili e gli utenti che non sanno mai nulla, ma poi capiscono tutto, se ne accorsero. Se prevale il timore di nuocere a qualcuno, si producono cose che se male non fanno, non fanno nemmeno bene e il “tam­tam” della gente fa il resto. Un altro evento che fu determinante nell'intraprendere la decisione di dedicarmi allo studio della magnetoterapia, riguardò il perfezionamento delle accensioni elettroniche a scarica capacitiva per automobile. L'impiego nell'automobile dell'accensione elettronica a scarica capacitiva consentiva di migliorare notevolmente la combustione; permetteva avviamenti immediati anche a bassissime temperature, migliorava la ripresa e riduceva i consumi di carburante, ma tutte le accensioni avevano un grave difetto; in piena estate lasciavano regolarmente a piedi il malcapitato automobilista, in particolare durante un'interminabile coda in autostrada; letteralmente “morivano dal caldo”. Detti per scontato che il problema fosse di facile soluzione, ma ancora una volta fui vittima dell'illusione che si nasconde in ogni ovvietà. A causa di numerosi imprevisti fui costretto a riprogettare l'accensione sia nell'elettronica circuitale che nella componentistica, ma finalmente riuscii nell'intento: la mia accensione funzionava impeccabilmente anche oltre 85°C, ma ormai l'industria automobilistica stava aggirando l'ostacolo, istallando accensioni elettroniche di tipo induttivo; molto più semplici e abbastanza efficienti. Nel 1982 il frutto della mia fatica faceva inutilmente bella mostra di sé sugli scaffali del mio laboratorio insieme al particolare banco di prova che dovetti costruire per il collaudo. Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 7 INIZIO DELLO STUDIO DELLA MAGNETOTERAPIA
OVVERO
LA FORTUNA DEI PRINCIPIANTI
Tutto iniziò per merito di un terribile dolore alla spalla sinistra (primo evento fortunato) insorto in sordina e per questo trascurato, ma aggravatosi rapidamente nell'arco di alcuni giorni a causa di sforzi nel sollevare pesi. Il dolore impediva qualunque movimento dell'omero; aiutandomi con la mano destra tenevo il braccio sinistro contemporaneamente sollevato e premuto contro il fianco. Dovevo muovermi con molta attenzione e con dolcezza poiché i movimenti bruschi scatenavano una scarica fulminea di dolore che si attenuava lentamente solo con la più assoluta immobilità. Anche tossire e soprattutto starnutire erano diventate imprese titaniche. Nel guidare l'automobile ero funambolico, fortunatamente ne avevo una ridotta necessità e i tragitti richiedevano un parco uso dei comandi. Dormire risultava estremamente difficile, per prima cosa dovevo riuscire a sdraiarmi poi ero costretto a rimanere a lungo immobile onde attenuare il dolore quindi, aiutandomi con piccoli cuscini e con lentissimi movimenti, cercavo di posizionare l'arto in modo che la spalla mi concedesse almeno alcune ore di relativa tregua e, ogni volta che dovevo recarmi in bagno, si rinnovavano il medesimo supplizio e i medesimi lamenti. La capsula articolare della mia spalla era totalmente infiammata, mi sembrava addirittura separata dalla testa dell'omero. Nel 1982 questa patologia si sarebbe definita in modo generico come “periartrite scapolo omerale”, ma da alcuni anni si preferisce chiamarla in forma metaforica “sindrome della spalla congelata” (Frozen Shoulder) patologia frequente in cui col passare del tempo la limitazione dei movimenti si fa sempre più evidente. Dopo 3 mesi dall'esordio del dolore quest'ultimo è presente e costante anche nei piccoli e comuni movimenti quotidiani. Non si è in grado di alzare il braccio più di 30 o 40 gradi ed anche il movimento rotatorio è ristretto o impossibile. Il dolore è al suo massimo intorno al quarto mese e verso il quinto comincia spontaneamente a ridursi. Verso il settimo mese il dolore è presente solo nella parte alta della spalla e, con molta Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 8 gradualità, il movimento articolare diventa sempre più ampio fino a ritornare quasi fisiologico dopo un anno dall’insorgenza. Si evince che il dolore e la restrizione di movimento aumentano durante i primi quattro mesi per poi diminuire nei successivi quattro. Qualora venissero praticate le manipolazioni Osteopatiche e gli esercizi specifici, è certo che verrebbe recuperata la totale libertà di movimento dell’articolazione, al contrario se permanessero alcune limitazioni, queste evolverebbero in forma cronica. Allora vivevo da solo e potevo contare unicamente sulle mie forze e, avendo sempre goduto di ottima salute, disponendo inoltre di sufficienti energie psicofisiche, pensai che non fosse ancora giunto il momento di recarmi dal medico, ma vi avrei fatto ricorso solo dopo avere esaurito le mie conoscenze terapeutiche. Applicai delle pomate antinfiammatorie che mi concedevano un relativo sollievo, ma poi tutto ritornava come o addirittura peggio di prima. Durante una notte in cui insonne cercavo la soluzione del problema, ripercorrendo mentalmente le passate esperienze elettroterapiche, mi rammentai dell'articolo di “Elektor” di alcuni anni prima. Il mattino rilessi l'articolo e decisi di provare, poiché nel mio laboratorio avevo tutto il necessario per effettuare senza troppa fatica un rapido esperimento (secondo evento fortunato). Lavorando con la mano destra (per fortuna sono destrimano), usando la bocca e la debole pinza indice­pollice della mano sinistra, collegai un'accensione elettronica al banco di prova e, come interfaccia biofisica, utilizzai un bell'induttore che un amico aveva acquistato a Torino, in origine destinato a far parte di un filtro audio di un impianto stereo (mai realizzato). Aveva un'induttanza di 1 mH ed era privo di nucleo ferromagnetico e, ad occhio, mi sembrava ben dimensionato per la spalla. Ero soddisfatto perché con le mie deboli forze avevo rapidamente prodotto qualcosa di concreto, ma soprattutto sapevo di possedere una macchina molto più potente di quella suggerita da “Elektor”. Ancora non mi rendevo conto di usufruire di una magnetoterapia a bassa frequenza quasi perfetta e longeva e mai avrei immaginato di avere tra le mani un oggetto implicante un livello di transizione biofisico (terzo e quarto evento, ambedue fortunatissimi). Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 9 Il rituale e attento controllo del cablaggio della nuova apparecchiatura precedette il suo avviamento; appoggiai il solenoide alla spalla e, dopo circa un minuto, il dolore aumentò notevolmente, ma non ci feci caso perché, come ben si può comprendere, sono avvezzo a qualunque tipo di sperimentazione e non mi lascio facilmente impressionare. Sopportai con pazienza per circa mezz'ora e, quando spensi l'apparecchio, ricordo ancora con piacere la profonda sensazione di sollievo che da tempo cercavo inutilmente. Incredulo continuai per un'ora, il dolore ricomparve intenso e, al termine, la sensazione di sollievo non era aumentata, ma sembrava più diffusa. Il giorno dopo mi sentii decisamente meglio. Appena mi fu possibile, mi esposi al campo magnetico per circa due ore consecutive; ancora una volta ricomparve il dolore intenso e diffuso. Al termine, senza ombra di dubbio, avvertii subito un notevole miglioramento. Dopo una settimana di regolare uso quotidiano, riuscivo a muovere il braccio, dormivo più facilmente, ma non potevo ancora girarmi sul lato sinistro. Dopo tre settimane mi sentivo letteralmente rinato, il dolore rimaneva in forma minima e localizzato. Avendo recuperato l'uso della mano sinistra, sacrificai una costosa scatola metallica che doveva servire per ospitare un impianto stereo HiFi “esoterico” e vi costruii la mia prima voluminosa magnetoterapia a bassa frequenza dotata di due induttori identici posti in parallelo.
Potevo finalmente utilizzarla in tutta sicurezza durante la notte. Il processo di guarigione galoppava ed ero sorpreso perché mi ritenevo guarito, rapidamente e senza ingerire farmaci. Capii che ero testimone di qualcosa di rivoluzionario e veramente degno di essere studiato a fondo e mi attrezzai alla bisogna. I mesi che seguirono furono dedicati alla costruzione di magnetoterapie, riciclando le mie eccellenti accensioni elettroniche, sacrificando tutti i costosi induttori per impiego audio a mia disposizione. La prima magnetoterapia fu data a mia madre che soffriva per le conseguenze di una condrocalcinosi ad un ginocchio e per l'asportazione chirurgica della rotula, poi fu la volta mia e successivamente toccò agli amici. Seguono alcune fotografie che illustrano i suddetti eventi e mostrano l'eccessiva complessità della mia prima magnetoterapia. Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 10 Figura 1. Banco di prova per il collaudo di accensioni elettroniche a scarica capacitiva che fu usata per provare se degli impulsi di campo magnetico avessero effetti terapeutici antinfiammatori. (Foto dell'Autore)
Figura 2. Interno di una magnetoterapia che utilizza un'accensione elettronica a scarica capacitiva. A sinistra, alimentatore e generatore degli impulsi di comando; a destra, accensione elettronica (senza il coperchio), che produce scariche capacitive ad alta tensione (circa 350 V) e a bassissima frequenza (ULF­ELF). (Foto dell'Autore)
Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 11 Figura 3. Solenoide con nucleo ferromagnetico (in origine non c'era) che nelle condizioni sperimentali descritte nel testo, manifesta almeno un livello di transizione biofisico e produce eccezionali, ma localizzati effetti antinfiammatori e rigenerativi. (Foto dell'Autore)
Figura 4. Aspetto esterno della magnetoterapia a bassissima frequenza (ULF ­ ELF) di Fig. 2 con un induttore attivo, dopo anni di utilizzo quasi quotidiano. (Foto dell'Autore)
Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 12 La suddetta magnetoterapia a bassa frequenza si dimostrò talmente efficiente che non ebbi mai la necessità di modificarla dal punto di vista circuitale, ma l'uso continuo mi indusse a innovarne la taratura e il modo di somministrare il campo magnetico (vedi oltre). COMPORTAMENTO DEI SOLENOIDI SENZA NUCLEO FERROMAGNETICO
A priori, presupposi che l'effetto terapeutico sarebbe stato massimo se il campo magnetico avesse attraversato tutti i tessuti oggetto di terapia; cioè parteggiavo per l'impiego dei campi magnetici concatenati; vale a dire quando il polo Nord di un induttore si affaccia al polo Sud dell'altro induttore, ambedue sul medesimo asse, ma l'esperienza dimostrò che un solo polo (non importa quale !) era più efficace di due contrapposti. Provai con poli affiancati (Nord con Sud) e con due omologhi affiancati. Allo scopo di aumentare l'intensità del campo magnetico, concatenai con una sbarra di ferro i poli Sud e Nord sovrastanti, a imitazione di un elettromagnete a ferro di cavallo. La configurazione più efficiente risultò quella con i poli omologhi affiancati (Sud con Sud oppure Nord con Nord), la maggiore efficienza (maggiore idoneità o vocazione terapeutica) ritenni dovuta all'aumento dell'area trattabile e alla maggiore profondità raggiungibile a causa della repulsione dei due campi magnetici. I SOLENOIDI CON NUCLEO FERROMAGNETICO AUMENTANO L'IDONEITA' TERAPEUTICA EVIDENZIANO IL RAGGIUNGIMENTO DI UN LIVELLO DI TRANSIZIONE BIOFISICO
Disponendo di cilindri di ferrite in grado di entrare nei solenoidi, ne inserii uno in un induttore (vedi Figura 3) e notai subito una maggiore efficienza rispetto all'induttore che ne era privo; in pratica l'inserimento del nucleo ferromagnetico migliorava notevolmente l'idoneità terapeutica dell'interfaccia biofisica (l'induttore proposto da “Elektor” era realizzabile avvolgendo alla rinfusa su un bullone di ferro con diametro di 6 mm, circa 600 spire di rame isolato diametro 0,2 mm). Con l'espressione “idoneità terapeutica” intendo contemporaneamente Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 13 dichiarare una maggiore efficienza strumentale (maggiore intensità del campo magnetico) associato ad una maggiore efficienza biofisica (migliore interazione terapeutica del campo magnetico con i tessuti soggetti al processo infiammatorio); rispetto ad un riferimento costituito da identici solenoidi privi di nucleo, ma sottoposti alla medesima corrente impulsiva. Rimaneva solo l'esecuzione dell'ultimo esperimento: utilizzare un solo induttore comprensivo di nucleo ferromagnetico e, in questo caso, l'idoneità terapeutica risultò di gran lunga maggiore di quella ottenibile con un singolo solenoide privo di nucleo ferromagnetico (vedi Figura 4).
In pratica non utilizzai più il secondo induttore a condizione che non venisse raddoppiata la potenza della scarica capacitiva (rammento che in questa magnetoterapia i solenoidi sono collegati in parallelo). In primo luogo, emerge il ruolo fondamentale dell'intensità del campo magnetico quale promotore del maggior numero di effetti terapeutici distinti sia per patologia che per tipo di tessuto/i coinvolti nel processo infiammatorio che, come sopra esposto, in forma tecnica concisa definisco con l'espressione “idoneità terapeutica” di un apparecchio per magnetoterapia (vedi in: “Configurazioni elettroniche delle magnetoterapie”; Definizione dell'idoneità o vocazione terapeutica di un apparecchio per magnetoterapia). Le suddette affermazioni derivarono dall'accurata analisi degli effetti terapeutici prodotti dal campo magnetico pulsato a bassa frequenza, applicato alla spalla affetta dalla suddetta patologia, denominata “sindrome della spalla congelata” che nel mio caso ebbe modo di ripetersi dopo alcuni mesi, poiché la prima volta banalizzai le acquisizioni annesse alla risposta terapeutica, ritenendo erroneamente che al grande miglioramento seguisse, spontanea, la guarigione. Alla ricomparsa della patologia avevo la mia potente magnetoterapia accanto al letto che ogni notte usai per circa otto ore consecutive, la quale mi consentì di guarire completamente in tre mesi, rincorrendo fino all'estinzione il “residuo minimo di malattia” evidenziato dall'evocazione del dolore. Soggettivamente, tutta l'operazione appare come se si dovesse Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 14 scavare nel corpo al fine di mettere in evidenza il male onde distruggerlo nella sua medesima essenza, fu così che coniai il concetto di “profondità dell'azione terapeutica” che sostituisce quello più “asettico” o convenzionale di “efficacia terapeutica”. Successivamente nel 2004 rivissi la fortunata occasione di sperimentare l'azione del campo magnetico pulsato poiché la Frozen Shoulder mi colpì alla spalla destra, ma disponevo di potenti magnetoterapie ad alta frequenza che sostituivano vantaggiosamente quelle a bassa frequenza. Nel corso di quasi un trentennio ebbi la grande soddisfazione di assistere alla guarigione di altri casi di Frozen Shoulder, tutti col medesimo decorso terapeutico, ma vidi guarire altre patologie infiammatorie e, non da ultimo, fui precursore della terapia elettromagnetica della depressione e, nella fattispecie, nel presente testo viene descritta la particolare modalità di somministrazione del campo magnetico pulsato ad alta frequenza che consente di introdurre delle importanti considerazioni in ambito biofisico e neurologico. Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 15 LA LEGGE DELL'INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
DI FARADAY­NEUMANN­LENTZ SI DEVE APPLICARE ANCHE IN AMBITO BIOFISICO
Le basi biofisiche dell'azione dei campi elettrici e magnetici nei tessuti biologici sono descritte nell'articolo: “L'induzione elettromagnetica in ambito biologico” in cui, tra l'altro, si osserva la necessità di distinguere l'azione biofisica prodotta dai campi elettrici da quella indotta dalle onde elettromagnetiche a loro volta distinta dall'azione dei campi magnetici. Il campo magnetico si può immaginare come un serbatoio di energia che da un lato scambia energia con il generatore elettrico e dall'altro con il sistema biologico. L'aspetto innovativo del suddetto trasferimento di energia è insito nel fatto che i tessuti biologici non hanno nulla in comune con i conduttori metallici e nemmeno sono del tutto riducibili ad un'intricata rete tridimensionale di conduttori di seconda specie (elettrolitici). Fare Scienza equivale ad intrattenere un “continuum” olistico di riprovate acquisizioni (empiriche e teoriche), per cui, l'energia indotta (trasferita) da un campo magnetico in un sistema biologico, in primo luogo, deve obbedire alle leggi fisiche note, vale a dire che non si richiede l'intervento di fantomatiche interpretazioni vitalistiche; cioè “in primis” non si possono attribuire ai campi magnetici ruoli fisici diversi da quelli noti. Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 16 Se attuata secondo certe regole, è noto che la conduzione del calore nei tessuti biologici produce molteplici effetti terapeutici; analogamente, l'esperienza dimostra che l'induzione elettromagnetica può generare utili effetti biologici. In ambito biofisico l'azione del calore (che agisce sempre in modo fisico) promuove effetti biologici di gran lunga più complessi o comunque diversi da quelli puramente fisici; analogamente, se l'induzione elettromagnetica viene attuata secondo certe regole è causa di rivoluzionari effetti biologici. Nel prosieguo si esaminano le modalità pratiche per ottenere un'efficace induzione elettromagnetica nei tessuti biologici al fine di produrre validi effetti terapeutici. L'Autore, allo scopo di distinguere l'azione biofisica da quella fisica classica prodotta dai noti circuiti elettrici e magnetici nei conduttori di prima specie (metalli), usa le espressioni: interfaccia biofisica e indotto biologico.
Nella fattispecie, l'interfaccia biofisica è costituita da un solenoide (bobina) di forma particolare (vedi oltre) il cui campo magnetico intercetta un volume variabile di cellule (tessuti) che a sua volta costituisce l'indotto biologico. Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 17 L'INDOTTO BIOLOGICO
Ogni tessuto biologico o organo affetto da una qualunque patologia infiammatoria si propone quale rivelatore biologico dell'interazione elettromagnetica con funzione organizzativa; ovvero, nell'individuo sano non si osservano effetti diversi da quelli omeostatici e/o profilattici; dunque, in ambito biologico l'induzione elettromagnetica ottenuta con gli apparecchi descritti dall'Autore, è comunque causa di effetti terapeutici o profilattici. La Fisica classica insegna che il valore della forza elettro motrice (f.e.m) indotta è dato dalla derivata del flusso di induzione del campo magnetico B cambiata di segno: Maggiore è la velocità con cui avviene la variazione di flusso, maggiore sarà anche la f.e.m. il cui limite è dato dalla legge di Lentz. La variazione del flusso di induzione B del campo magnetico si ottiene variando singolarmente o in una qualsiasi combinazione: il modulo, l'intensità, il verso oppure variando l'area di un circuito immesso in un campo magnetico oppure modificando l'orientamento del circuito nel campo magnetico. Nel circuito indotto si genera una f.e.m. (è una differenza di potenziale che si misura in volt), la cui ampiezza varia in funzione delle suddette manovre che nell'indotto biologico si manifesta come corrente di spostamento, in quanto gli elettroni sono veicolati dagli ioni. Solo alcune delle suddette manovre sono fattibili in ambito biologico. V è la differenza di potenziale (f.e.m.) che si produce per induzione nell'indotto biologico, mentre dϕ è la variazione del flusso magnetico concatenato al circuito (biologico) e dt è il tempo in cui avviene la variazione di flusso. Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 18 La formula dell'induzione elettromagnetica descrive con precisione come aumenta la f.e.m :
–
–
se aumenta la variazione del flusso magnetico (ϕ è al numeratore). se diminuisce il tempo in cui avviene la variazione del flusso ϕ (dt è al denominatore). La prima caratteristica in pratica si attua variando l'intensità della corrente nell'interfaccia biofisica. La seconda caratteristica, indica che una stessa variazione di flusso magnetico se avviene in tempi diversi, nell'indotto biologico produce correnti indotte diverse a cui corrispondono differenti idoneità terapeutiche. A parità di variazione di flusso magnetico nell'indotto biologico si ottiene una corrente di intensità maggiore se detta variazione avviene in un tempo minore. Nella pratica della magnetoterapia “muovere” il flusso magnetico ϕ più velocemente significa operare con impulsi dotati di ripidi fronti di salita e/
o di discesa (onda quadra) e/o ad alta frequenza
. In particolare l'alta frequenza in un apparecchio per magnetoterapia consente di esprimere in modo ottimale una elevata idoneità terapeutica. La direzione della f.e.m. indotta è tale da creare un campo magnetico che si oppone alla variazione prodotta dall'interfaccia biofisica (Lentz); ne deriva che i tessuti biologici, se opportunamente stimolati, per tempi brevissimi possono rivelare la formazione di uno o più circuiti elettrici ad anello e a forma di solido (toroidi o cilindri coassiali) in cui la corrente di spostamento a sua volta genera un campo magnetico, e ciò contraddice l'assioma che nel passato negava qualunque possibilità in tal senso. Quanto esposto consente di affermare che una magnetoterapia è costruita in modo scientifico se utilizza un campo magnetico ad alta frequenza in grado di produrre una corrente di spostamento prossima a quella producibile mediante un più potente campo magnetico operante a bassa o a bassissima frequenza (vedi oltre). Nota: Franz Ernst Neumann riformulò dopo Faraday (1845) la legge dell'induzione elettromagnetica in termini di forza elettromotrice. Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 19 LA CORRENTE DI SPOSTAMENTO NELL'INDOTTO BIOLOGICO
­ ORIGINE DEL “DOLORE EVOCATO” ­ La suddetta definizione ha un grande valore scientifico, poiché non sempre si possono sovrapporre gli effetti terapeutici ottenibili con un campo magnetico a bassa frequenza rispetto a quelli prodotti da un debole campo magnetico ad alta frequenza; cioè l'alta frequenza sembra migliorare l'interazione terapeutica dei campi magnetici con i sistemi biologici, vale a dire che promuove particolari effetti biologici per cui è comunque migliore l'idoneità terapeutica dei campi magnetici ad alta frequenza rispetto a quelli a bassa frequenza; per questo nella definizione si usa l'espressione:“...corrente di spostamento prossima a quella producibile...”. In un circuito elettrico la corrente che vi fluisce è data dalla legge di Ohm: I = v / R
la corrente totale nell'indotto biologico risulterà : I = Δϕ / R Δt
Si deve far presente che in ambito biofisico la resistenza R non rappresenta mai una costante, poiché col passare del tempo tende a diminuire (vedi oltre). La suddetta corrente di spostamento ha sede in un circuito evanescente extracellulare (di/dt) e, quanto esposto, vale per le dimensioni macroscopiche di tessuti anatomicamente omogenei. La figura seguente sintetizza l'azione della variazione di flusso di un campo magnetico in ambito cellulare ed extracellulare (pericellulare). Figura 5. Rappresentazione schematica dell'induzione elettromagnetica elementare all'interno di una singola cellula e nello spazio extracellulare, subito periferico alla cellula (pericellulare). Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 20 Un campo magnetico variabile attraversa una singola cellula con direzione Nord­Sud il cui flusso ϕ ha modulo B2 che perpendicolarmente genera una locale corrente di spostamento indicata dalla freccia (regola della mano destra). La membrana cellulare, essendo elettricamente isolante, confina all'interno della cellula la corrente di spostamento indotta. L'analoga variazione del flusso B1 (sincrona con B2) anch'essa genera localmente una corrente di spostamento che si trova confinata nello spazio esterno alla cellula (corrente di spostamento pericellulare).
Si deve rammentare che ambedue le correnti di spostamento hanno luogo in un conduttore di seconda specie di natura colloidale, per cui passa del tempo (R Δt) affinché le due debolissime f.e.m. possano produrre una pur minima corrente di spostamento; inoltre, nei tessuti non affetti da patologie infiammatorie il volume cellulare prevarica quello extracellulare, in quanto le cellule sono quasi adese le une alle altre.
Solo nei fenomeni infiammatori si verifica un aumento degli spazi extracellulari (ipertrofia extracellulare = “tumor”), a cui si associa un aumento locale della conducibilità elettrica. La corrente di spostamento pericellulare ha così modo di distinguersi e di svolgere un'azione depolarizzante. L'ordine di grandezza delle correnti endocellulari si può prevedere a partire da 10­15A (fA femtoampere = Biliardesimo di Ampere = 0,000 000 000 000 001 A) a qualche pA (10 ­12A picoampere = Bilionesimo di Ampere = 0,000 000 000 001 A). Nelle cellule diverse da quelle nervose il potenziale negativo interno si riduce al massimo di un solo millivolt (es:. da ­80mv a ­79mv) che è già in grado di promuovere la risposta omeostatica della pompa del Sodio. Nell'indotto biologico l'azione depolarizzante è soggettivamente avvertibile e, con le specifiche sperimentali oggetto di questi studi, ha un ruolo neurologico globalmente facilitante che si manifesta in modo particolarmente eclatante nel corso delle patologie infiammatorie.
L'Autore lo ha chiamato “dolore evocato”, potendo apparire e/o accrescersi fino a diventare intollerabile, ma senza essere in relazione con un aggravamento; inoltre si manifesta in modo esclusivo nelle cellule nervose sensoriali deputate alla depolarizzazione ed alla ripolarizzazione. Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 21 Il fenomeno del dolore evocato ha certamente un ruolo diagnostico e prognostico, consentendo di localizzare con molta precisione il luogo ove sia presente il “residuo minimo di malattia” identificabile anche col “locus minoris resistentiae”, sempre nell'ambito delle patologie infiammatorie. Un apparecchio per magnetoterapia che, mediante un'eclatante evocazione del dolore è in grado di evidenziare meglio di altri il residuo minimo di malattia, è anche dotato della migliore idoneità terapeutica. Oltre all'accennata utilità in ambito diagnostico e prognostico, quella particolare variazione di flusso che è in grado di produrre in modo eclatante l'evocazione del dolore nel luogo del “residuo minimo di malattia”, manifesta soprattutto la propria idoneità terapeutica che, come premesso, nell'individuo sano non deve produrre effetti diversi da quelli omeostatici e/o profilattici. Quanto esposto vale anche nei prodromi di malattia; anche in questi casi l'esposizione a campi magnetici pulsati a bassa o ad alta frequenza è causa di evocazione del dolore locoregionale che svolge un indubbio ruolo diagnostico. Nel momento in cui cessa la somministrazione del campo magnetico scompare in modo quasi istantaneo o comunque molto rapidamente il fenomeno dell'evocazione del dolore. Attualmente solo i diabetici non compensati, sarebbero gli unici individui che possono essere refrattari all'evocazione del dolore anche nel corso di evidenti patologie infiammatorie e/o degenerative, ma i diabetici non sono refrattari all'azione terapeutica dei campi magnetici; in pratica l'evocazione del dolore non consente di spiegare l'azione terapeutica conseguente alla variazione di flusso di un campo magnetico, ma ne è solo un'utile componente e soprattutto è un riferimento oggettivo inerente alla misura dell'azione biologica delle variazioni di flusso dei campi magnetici. Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 22 DIFFERENZA TRA I VETTORI DI CAMPO MAGNETICO: H ­ B
LE MISURE ELETTRICHE DI RIFERIMENTO
DELLE MAGNETOTERAPIE INUTILITA' DEI PROGRAMMI DI LAVORO
Nei riguardi dei campi magnetici, i padri della Fisica avevano chiara la distinzione tra il campo magnetico in quanto tale (H) e i suoi effetti nell'ambiente circostante (B). Il simbolo H (vettore dell'intensità del campo magnetico) rappresentava dove e come si genera un campo magnetico di direzione, verso e intensità H, vale a dire serviva per indicare tutto ciò che è inerente alla sua origine; mentre B (vettore di induzione magnetica o densità del flusso magnetico) rappresentava l'origine o la causa degli effetti (elettrici, magnetici, chimici) che si potevano osservare in un circuito elettrico o magnetico concatenato con B. Nella seguente tabella sono elencati i vettori di campo e i loro simboli.
Tipo di vettore
Campo
Induzione
Magnetizzazione
Intensità di magnetizzazione
Flusso
Simbolo
H
B
M
J
Φ
unità SI
A/m
tesla
A/m
tesla
weber
unità cgs
oersted
gauss
emu / cm3
maxwell
Attualmente la suddetta terminologia viene utilizzata per distinguere tra il campo magnetico nel vuoto (B) e quello in un materiale ( H=(B/μ) con μ
diversa dall'unità ). L'unità di misura dell'induzione magnetica nel SI è il tesla (1T = 104 G). Lo strumento che misura il campo magnetico è il magnetometro. Appare del tutto evidente che la vecchia terminologia è perfettamente conforme allo studio della magnetoterapia. Attualmente il libretto di istruzioni di tutte le magnetoterapie a bassa frequenza contempla la misura dell'intensità del campo magnetico espressa in gauss, unitamente all'ambito operativo minimo e massimo di frequenza. La misura viene universalmente effettuata utilizzando i moderni sensori di Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 23 Hall che generano una differenza di potenziale (tensione di Hall) che dipende dall'intensità del campo magnetico in cui è immerso il sensore. Un'industria automobilistica sarebbe sommersa dal ridicolo qualora dichiarasse la potenza di un certo motore in funzione della quantità di combustibile contenuto nel serbatoio; analogamente, in base a quanto esposto, non può sussistere in forma esclusiva la correlazione tra l'intensità del campo magnetico e l'efficacia terapeutica di un apparecchio per magnetoterapia. Solo la misura della f.e.m indotta consente di porre in evidenza l'elemento fisico che è alla base degli effetti biofisici dell'induzione elettromagnetica. Una medesima f.e.m indotta è ricavabile operando a diverse frequenze con differenti intensità di campo magnetico e con diverse forme d'onda. Per concludere, le misure di carattere fisico che consentono di paragonare tra loro gli apparecchi per magnetoterapia sono: l'intensità del campo magnetico, la sua forma d'onda e soprattutto la frequenza operativa in grado di generare una medesima f.e.m indotta. Nei riguardi della modalità di misura dell'intensità del campo magnetico e della f.e.m indotta si devono considerare i valori di picco e non quelli medi o efficaci. Gli effetti terapeutici dipendono in modo esclusivo dal lavoro del campo magnetico e si può affermare che qualunque programma di lavoro che modifica o parzializza nel tempo una delle suddette variabili, diminuisce drasticamente il lavoro biofisico del campo magnetico (f.e.m e corrispondente corrente di spostamento) per cui si può già comprendere che i cosiddetti “programmi di lavoro” sono totalmente privi di validi presupposti scientifici poiché concorrono solo ad attribuire ad un apparecchio per magnetoterapia un valore aggiunto inesistente che mira a confondere le idee dell'acquirente inesperto. In altri termini, i migliori effetti terapeutici si osservano se nel tempo si rispetta un regime costante di stimolazione elettromagnetica che, per una certa intensità di campo, ha il suo massimo ad una certa frequenza, per cui è sempre controproducente qualunque evento che modifica il lavoro biofisico del campo magnetico. Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 24 Il 15 aprile 2009 Articolo pubblicato in forma incompleta fino a pag. 14
Il 26 maggio 2009 ripubblicato in forma incompleta fino a pag. 22
Il 27 maggio 2009 corretto e ripubblicato in forma incompleta fino a pag. 24
Il 03 giugno 2009 corretto e ripubblicato in forma incompleta fino a pag. 24
Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org 25 
Scarica

fem - Campi per la vita