CALEIDO SCOPIO
Un maestro
«suavissimo»
MUSICA · A Claudio Merulo, organista e compositore
originario di Correggio, è ancora oggi ritenuto uno dei
massimi protagonisti della musica strumentale
cinquecentesca per la geniale fusione degli elementi
virtuosistici, ispirati a una sensuale gioia del suono
inomato e versatile compositore
di madrigali, canzonette, musiche
di scena e musica sacra, Claudio
Merulo ha lasciato sicuramente il
segno, nel corso del XVI secolo, per la
sua straordinaria produzione
tastieristica dedicata all’organo, tanto
da valergli l’appellattivo di «organista
celeberrimo supremo» e «suavissimo
organista» da parte di due dei piú
grandi teorici musicali del tempo,
rispettivamente Girolamo Diruta e
Gioseffo Zarlino. Le loro parole
palesano tutta l’ammirazione per
questo valente musicista, rinomato
R
per la sua produzione tastieristica
tanto da mettere in secondo piano
una produzione in ambito vocale
altrettanto importante.
Al vertice a soli trent’anni
Se da un lato è enorme la fama
raggiunta ancora vivente, la biografia
di Claudio Merulo, nato a Correggio
nel 1533 e morto a Parma nel 1604, è
piena di lacune e molto poco si sa, per
esempio, sulla sua istruzione musicale
giovanile. Sicuramente questa doveva
essere già completata nel 1556,
quando viene nominato organista del
duomo di Brescia; incarico tenuto
fino all’anno successivo subentrando
come secondo organista nella
prestigiosa cappella musicale
di S. Marco a Venezia, insieme ad
Annibale Padovano (primo
organista). Alla partenza di
quest’ultimo, Merulo prenderà il suo
posto, all’età di soli 33 anni,
ottenendo una delle posizioni piú
ambite – musicalmente parlando – in
territorio veneziano.
Si consideri che come secondo
organista, ad accompagnare Merulo,
c’era il grande Andrea Gabrieli, con il
Lo scaffale
RENATO BORDONE,
GIUSEPPE SERGI
Dieci secoli di Medioevo
EINAUDI, TORINO, 420 PP.
26,00 euro
ISBN 978-88-06-16763-9
I mille anni di storia
che, a posteriori,
hanno assunto la
denominazione di
«Medio Evo» o «Età
di Mezzo» e che,
per convenzione,
sono compresi tra il
476 – data della
deposizione di
Romolo Augustolo,
considerato l’ultimo
imperatore romano
126
d’Occidente – e il 1492
– anno in cui
Cristoforo Colombo
scoprí l’America –
vennero percepiti
per la prima volta,
nel corso del
Quattrocento,
dagli intellettuali
umanisti, come secoli
di profonda e
traumatica cesura
dalla cultura classica,
ai cui canoni essi
aderivano e che
credevano di avere
ripristinato.
Giudizi polemici che,
nei secoli della
Riforma, si radicarono
sulla base di riflessioni
che condannavano
l’asservimento
dell’originario
messaggio evangelico
al potere dei papi e
della Chiesa,
reclamando
una forma di
cristianesimo
piú puro.
Renato Bordone
e Giuseppe Sergi
ripercorrono il lungo
millennio medievale
e ne raccontano le
vicende salienti,
articolando la
narrazione in tre
sezioni: nelle prime
due, dedicate alle
strutture del potere,
nell’Alto e nel Basso
Medioevo, gli eventi
storici sono ripercorsi
cronologicamente,
con l’intento di fornire
al lettore una visione
obiettiva del periodo,
corretta da luoghi
comuni, pregiudizi
e strumentalizzazioni.
A questa lettura
politico-istituzionale si
raccorda l’ultima
parte del volume,
dedicata agli
approfondimenti di
storia sociale,
ecclesiasticoreligiosa, ed
economica.
S. S.
DICEMBRE
MEDIOEVO
quale diede vita a un intenso e
apprezzato connubio artistico, durato
ben diciotto anni.
Una parentesi intensa,
ma poco fortunata
Oltre alla grande maestria musicale, il
Merulo si fece anche autopromotore
delle sue musiche fondando una
tipografia musicale a Venezia nel
1565. Centro nevralgico dell’editoria
musicale dell’epoca, la creazione di
una nuova stamperia sulla laguna
non fu impresa facile, tanto che
dovette chiudere i battenti appena
cinque anni piú tardi, ma con una
quarantina di opere stampate
all’attivo, tra cui alcune dello stesso
Merulo. Se l’attività imprenditoriale
non ebbe particolare fortuna,
sicuramente il suo operato come
maestro di cappella fu coronato dal
successo e tale da portarlo a lavorare.
oltre che alla cappella marciana,
successivamente anche presso i
Farnese a Parma nel 1584, per i quali
lasciò il posto di organista a Venezia.
Divenuto cembalista di corte,
assumerà, a partire del 1587 anche il
posto di maestro di cappella del
duomo. A questa ultima fase della sua
carriera appartiene anche il suo
coinvolgimento nella fabbricazione di
un organo portativo, tuttora
conservato presso il conservatorio di
Parma, unica testimonianza di un suo
intervento diretto nella costruzione di
uno strumento. Alla produzione
organistica è dedicata la registrazione
della Tactus Claudio Merulo. Missa
Apostolorum In Festo S. Joannis Apostoli
(TC533803, 1 CD, distr.
www.soundandmusic.com), che si
sofferma non tanto sulle celeberrime
toccate o ricercari che percorrono gran
parte della produzione strumentale di
Merulo, quanto a un genere
particolare, la cosiddetta Messa
d’intavolatura d’organo, dove lo
strumento, traendo ispirazione dalle
melodie gregoriane, ripropone
nell’ordine consueto i brani della
Messa, intercalando «versetti»
organistici al testo liturgico vero e
proprio affidato alle voci che
eseguono le melodie della tradizione
monodico-liturgica. Tratta dalle Messe
MEDIOEVO
DICEMBRE
d’intavolatura d’organo. Libro quarto,
stampate nel 1568 a Venezia, in
questa messa vengono aggiunti anche
alcuni brani strumentali esterni dello
stesso Merulo, come, per esempio, la
splendida toccata iniziale, dalle Toccate
d’intavolatura d’organo. Libro primo, che
nella sua solennità rappresenta un
degno inizio di questa Missa
Apostolorum, basata su passaggi in
gregoriano che rappresentano la
struttura portante su cui la vena
creativa del compositore si sfoga
creando un discorso ricco di
abbellimenti ed evocatore di veri e
propri «affetti» sonori.
Un connubio perfetto
La Messa «organistica», che si
suddivide nei brani canonici
dell’Ordinarium (Kyrie, Gloria, Sanctus,
Agnus Dei) e quelli del Proprium
(Introito, Graduale, Alleluia, Offertorio,
Communio), è legata alla tradizione
contrappuntistica cinquecentesca e
alle sue rigide regole che vanno
codificandosi nel corso del secolo.
Ciononostante, la maestria di Merulo
sta nel saper fondere la rigidità delle
regole con una profonda sensibilità
verso il contenuto emotivo. Da questo
tentativo, volto alla ricerca del giusto
equilibrio tra tecnica compositiva e
contenuto «affettivo», nasce il perfetto
connubio che contraddistingue la
Missa Apostolorum, in cui lo strumento
è il protagonista principale, accanto
alle sezioni cantate, qui affidate al
repertorio gregoriano eseguito dai
componenti della Schola Gregoriana
Scriptoria diretti dal monaco
benedettino e gregorianista Dom
Nicola Bellinazzo. L’interpretazione
organistica è affidata a Roberto
Loreggian che nello stile di Merulo si
destreggia con acrobatica
disinvoltura, in particolare nel bel
Ricercare dell’Ottavo Tuono, tratto dalla
sua raccolta dei Ricercari d’intavolatura
(Venezia, 1567) e qui inserito tra il
Sanctus e l’Agnus Dei. Belle le sonorità e
la scelta dei registri dell’organo
utilizzato in questa registrazione,
benché il libretto non riporti,
stranamente, alcuna notizia sullo
strumento adoperato per questa
ottima registrazione.
Franco Bruni
127
CALEIDO SCOPIO
Nel segno di Venezia
MUSICA · Nati rispettivamente in Germania e Polonia, Samuel Scheidt
e Mikolaj Zielenski si affermarono come brillanti compositori di musica sacra,
avvalendosi entrambi con profitto della tradizione italiana
l contesto musicale luterano del
primo Seicento la Ricercar dedica
l’antologia Samuel Scheidt. Sacrae
Cantiones (Ric 301, 1 CD, distr.
Jupiter), incentrata su uno dei
protagonisti piú significativi di
quell’ambiente. Scheidt nacque nel
1587 a Halle e la sua formazione
musicale non sarebbe stata la
medesima senza i viaggi compiuti in
Italia nel 1609 e nel 1628. Durante
queste due permanenze venne infatti
a contatto con il clima di
innovazione che, in particolare
in area veneziana, andava
svolgendosi nel campo della
policoralità, tanto in auge nella
cappella di San Marco sin dalle
esperienze cinquecentesche
dei fratelli Gabrieli e nel
campo della monteverdiana
«seconda prattica», il nuovo
stile difeso da Monteverdi che
rivoluzionava il rigido
linguaggio contrappuntistico
cinquecentesco a favore di una
maggiore libertà dalle strette
regole accademiche, a tutto
vantaggio dell’enfatizzazione
della passione umana. Ne è
testimonianza la raccolta
Concertuum Sacrorum del 1622, che è
una sorta di tributo allo stile italiano,
in particolare quello monteverdiano.
Al contrario, le Sacrae Cantiones
oggetto di questa registrazione, sono
tratte da una raccolta a stampa
(1620) che precede di poco quella del
Concertuum Sacrorum. Se in
quest’ultima prevale un’apertura
totale al nuovo linguaggio, le cantiones
adottano piú sobriamente i nuovi
stilemi appresi in Italia, con un
linguaggio ancora in parte legato al
tardo Cinquecento, ma in cui sono già
A
128
evidenti i richiami alla policoralità
veneziana dei fratelli Gabrieli, e agli
stilemi dei mottetti solistici di
Monteverdi, dove la voce emerge
dall’insieme corale come protagonista
assoluta con tipici abbellimenti nelle
linee vocali che rimandano
sensibilmente alla coeva tradizione
mottetistico-solistica italiana.
Variegate le strutture compositive
adottate da Scheidt in queste
cantiones. La prima, Surrexit Christus
hodie, è tutta giocata sul dialogo del
soprano solista e il «tutti» del coro. Al
contrario, nel Richte mich Gott la
struttura policorale a otto voci alterna
due ensemble che si differenziano dal
punto di vista timbrico, essendo il
primo prevalentemente a registro
acuto con due soprani, alto e tenore,
mentre il secondo coro è dominato dai
registri bassi dell’alto, due tenori e
due bassi; lo stesso accade in Ist nicht
Ephraim, con due gruppi
timbricamente opposti che si
alternano, ma che, a tratti, si
riuniscono nei finali creando effetti
sonori particolarmente intensi.
Le tre sezioni che costituiscono invece
il Lobet im Himmel den Herrn sono tra i
brani piú elaborati di questa raccolta
dove si prevede una struttura
ritornellata sull’Alleluia; in questa
cantione Scheidt predilige una
struttura piú complessa rispetto agli
esempi precedenti, prevedendo una
alternanza del «tutti» con passaggi
solistici, duetti e trii. Un posto di
rilievo è infine occupato dal
Vater unser im Himmerlreich,
una traduzione piú o meno
letterale del nostro Padre nostro.
Qui Scheidt impiega
un’impalcatura complessa,
sezionando il testo della
preghiera in nove parti e
affidando a ciascuna di esse
modalità compositive diverse,
dove emergono, in particolare,
l’uso tradizionale di due cori a
4 voci, in uno stile
prevalentemente accordale,
l’alternanza tra coro e due voci
soliste di cui una dedita
all’esecuzione del canto fermo
– ovvero la melodia originaria
del corale da cui è tratta la
composizione –, infine il puro
contrappunto con canoni a tre voci,
retaggio della tradizione polifonica
cinquecentesca: un percorso musicale
in cui i piú differenti mezzi e tecniche
musicali vengono messe a frutto ad
majorem dei gloriam.
Ottimi i dieci cantanti del gruppo Vox
Luminis, supportato musicalmente da
un basso continuo costituito dal basso
di viola, dal fagotto e, ovviamente,
dall’organo. La direzione di Lionel
Meunier è pacata, solenne ma anche
capace di brio e vivacità quando il
DICEMBRE
MEDIOEVO
contesto musicale lo consente.
Un’ottima esecuzione che rende
giustizia a un autore scarsamente
frequentato.
Musica per il primate di Polonia
Spostandoci in Polonia, la seconda
registrazione ci introduce a un’altra
figura decisamente significativa
quanto poco conosciuta, Mikolaj
Zielenski, a cui la Dux ha dedicato
una selezione tratta dagli Offertoria et
communiones totius anni, 1611 (DUX
0681, 1 CD, distr. Jupiter). Unica sua
opera conosciuta, o perlomeno
superstite, fu stampata nel 1611 a
Venezia presso il famoso Vincenti, con
il patrocinio di Wojciech Baranowski
(vescovo di Przemysl eletto in seguito
arcivescovo di Gniezno e primate di
Polonia), per il quale Zielenski fu
organista e maestro di cappella.
In realtà, pochi o nulli sono i dati
biografici conosciuti che lo
riguardano. Resta anche il dubbio se
abbia soggiornato in Italia dove
avrebbe eventualmente acquisito una
formazione musicale, la cui influenza
si evince chiaramente nelle musiche
qui registrate. La grande opera a
stampa da cui è tratta questa
antologia, composta di due volumi
divisi tra Offertori, Comuni e tre brani
strumentali, lascerebbe pensare che si
tratti di un’opera omnia dell’autore
anche se, la distruzione del palazzo
del primate di Polonia a Lowicz,
potrebbe aver causato la perdita di
altre sue fonti manoscritte mai andate
in stampa. Come già constatato nella
produzione luterana di Scheidt, anche
Zielenski mostra una forte vicinanza
stilistica alla policoralità veneziana dei
fratelli Gabrieli, assurti quasi a
modello di ispirazione per la
produzione a piú cori da tanti
compositori a partire della seconda
metà del XVI secolo. La produzione
policorale contraddistingue in
particolare gli Offertoria, i cui brani a
7/8 voci sono tutti giocati sui contrasti
dinamici, con effetti coloristici sempre
vari e mutevoli e, soprattutto,
sull’alternante utilizzo di passaggi
omofonico-accordali ad altri in puro
stile imitativo. Alle voci si aggiungono
anche gli strumenti (organo e
tromboni) che, in questo caso,
duplicano le linee vocali,
amplificando notevolmente gli effetti
sonori. Di natura piú intimistica sono
invece le Communiones, scritte per
ensemble da 1 a 6 voci e basso
continuo. Qui è palese l’influenza del
mottetto solistico che aveva preso
piede nella produzione musicale
italiana dalla fine del XVI secolo. La
delicata voce solista di Emma Kirkby,
una delle piú grandi interpreti della
musica cinque-seicentesca, si trova a
suo perfetto agio in questo repertorio
in cui alla purezza di emissione viene
richiesta una certa agilità
nell’esecuzione degli abbellimenti,
prerogative sapientemente affrontate
dal soprano inglese. Apprezzabile
anche l’esecuzione del gruppo vocalestrumentale polacco Capella
Cracoviensis diretto da Stanislaw
Galonski.
F. B.
Vitalità dell’antico
MUSICA · L’Inghilterra è
uno dei Paesi che
maggiormente rinnova la
tradizione musicale del
passato. Come
dimostrano la rilettura di
una famosa Messa del
XV secolo e un’analoga
composizione moderna,
che affonda le sue radici
nella lezione medievale
MEDIOEVO
DICEMBRE
n’opera che nella vasta
produzione quattrocentesca
inglese si contraddistingue per
bellezza e singolarità è la Missa Caput,
un’anonima Messa polifonica a 4
voci, della prima metà del XV secolo,
riproposta dall’ensemble The Gothic
Voices per l’etichetta Helíos nella
registrazione Missa Caput and the story
of the Salve Regina (CDH 55284, 1 CD,
distr. www.soundandmusic.com).
La presenza di questa Messa in ben
sette fonti manoscritte dimostra il
successo che essa incontrò nel corso
del XV secolo, tanto da rappresentare
un modello compositivo per musicisti
del calibro di Ockeghem e Obrecht,
U
129
CALEIDO SCOPIO
due tra i rappresentanti piú
significativi della scuola polifonica
fiamminga. Una delle peculiarità della
Missa, che si sviluppa secondo la
canonica suddivisione delle cinque
sezioni del Proprium, è l’inserimento
all’interno del primo brano, il Kyrie
eleison, di una prosula, cioè di un testo
alternativo a commento/enfasi del
messaggio liturgico principale,
secondo una prassi in realtà molto
diffusa nei secoli precedenti. Il testo
sostitutivo è tratto dal Deus creator
omnium, un atto di ringraziamento
che ben si addice dal punto di vista
del contenuto come sostituto del
Kyrie; al contrario, i restanti brani
riportano fedelmente i testi liturgici
previsti per la Messa. L’opera è resa
particolarmente attraente dalla
squisitezza e dalla fluidità delle linee
melodiche acute, che si svolgono
animatamente sul supporto piú
statico delle voci inferiori, le quali, al
contrario, si snodano su valori lunghi,
tanto da costituire una sorta di
supporto armonico. Al movimento
contrappuntistico puro, con
andamento che spesso ricorda da
vicino la polifonia trecentesca,
l’anonimo autore indugia spesso
anche su un trattamento accordale
delle voci, un fatto di certo innovativo
rispetto a una piú astratta scrittura
basata sul punctum contra punctum,
secondo rigide regole dettate per
l’appunto dal contrappunto.
L’interpretazione delle Gothic Voices
è, come sempre, asciutta e pulita, ed è
diretta con cura da Christopher Page.
Una maggiore libertà interpretativa si
riscontra nei popolareggianti Carols
che completano l’antologia, alcuni dei
quali eseguiti dai soli liuti.
Una tradizione
costantemente rinnovata
All’ambito musicale sacro inglese
appartiene anche Choral Music by
Jonathan Dove (CDA 67768, 1 CD,
distr. www.soundandmusic.com),
registrazione dedicata a Jonathan
Dove, un compositore vivente il cui
linguaggio affonda le sue radici nella
tradizione polifonico-corale.
Molto felice risultano la scelta dei
130
brani e, soprattutto, la loro
disposizione, che permette di mettere
a confronto e valorizzare le idee
musicali e lo stile di Dove. Notevole è
il brano di apertura, Bless the Lord –
che riprende alcuni versi del Salmo
104 –, in cui il tono esuberante
dell’organo e degli interventi corali
contrasta con l’atmosfera intimista
della Missa Brevis che segue e che si
ravvicina maggiormente alla polifonia
antica. I restanti brani, anch’essi
d’ispirazione sacra e per la maggior
parte su testo inglese, sono giocati su
un lessico moderno, ricco in
dissonanze ed effetti suggestivi, a
volte influenzato dallo stile
minimalista, ma con una forte
tendenza verso il tradizionale
linguaggio tonale. Interessanti sia i
brani a cappella, sia quelli che
includono l’accompagnamento
organistico; in questi ultimi Dove dà
vita a combinazioni e soluzioni tra le
piú ricercate della sua produzione
vocale; come d’altronde interessanti
sono brani quali The Three Kings, nel
quale intervengono passaggi affidati
alle voci soliste, intercalati a vibranti
passaggi. Non mancano richiami
all’onomatopeica, tipica di tanta
produzione madrigalistica
rinascimentale, come nel caso del Run
sheperds, run!, la cui concitata
ripetizione testuale crea l’effetto di
uno strepitio di passi veloci.
La produzione corale di Dove mostra
come sia fortemente presente, vissuta
e amata, soprattutto nella società
anglosassone, la cultura musicale e in
particolare quella corale, frutto di una
lunga tradizione che, dall’antica
pratica della musica da chiesa, si è
diffusa sino ai giorni nostri,
costituendo tuttora un proficuo
campo d’azione per molti compositori
contemporanei. Autore versatile,
dedito anche a molti altri generi
musicali, Jonathan Dove brilla
particolarmente in questi brani
organistico-corali, che risultano
consoni al suo modo di pensare e fare
musica. L’interpretazione del Wells
Chathedral Choir, che vanta ben 1101
anni di storia, non delude le
aspettative, come anche l’esuberanza
dell’organo che vede alle tastiere
Jonathan Vaughn, sotto l’impeccabile
direzione di Matthew Owens.
F. B.
DICEMBRE
MEDIOEVO
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December