CONSIDERAZIONI DI STORIA ED ARCHEOLOGIA I QUADERNI IV 2013 QUESTO QUADERNO ESCE CON IL PATROCINIO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL MOLISE QUESTO QUADERNO È STATO STAMPATO GRAZIE AL CONTRIBUTO DELL’IRESMO ISTITUTO REGIONALE PER GLI STUDI STORICI DEL MOLISE “V. CUOCO” ENTE DI DIRITTO PUBBLICO REGIONALE ISTITUITO CON L. R. nr. 26 DEL 2 SETTEMBRE 1977 Copyright by De Benedittis 2013 Supplemento al numero 6 (2013) della rivista Considerazioni di Storia ed Archeologia I disegni e le fotografie sono dell’autrice. In copertina: schnabelkanne CONSIDERAZIONI DI S TO RI A E D A RCH E O L O G IA RIVISTA DIRETTA DA GIANFRANCO DE BENEDITTIS I Q UAD E R N I IV Comitato di redazione Angela Valeria Mariadiletta DI NIRO CEGLIA COLOMBO Paolo MAURIELLO Maria Assunta CUOZZO Carlo EBANISTA Segreteria Andrea CAPOZZI Anna MANDATO Francesca MASCITELLI Federico RUSSO Mario ZICCARDI Autorizzazione del Tribunale di Campobasso nr. 6/08 cr. n. 2502 del 17.09.2008 La rivista può essere scaricata gratuitamente dal sito www.samnitium.com CONSIDERAZIONI DI STORIA ED ARCHEOLOGIA I QUADERNI IV IL MUSEO CIVICO ‘G. BARONE’ I VETRI E I BRONZI di AMELIA PISTILLO CAMPOBASSO INDICE 9 INTRODUZIONE 68 I VETRI 87 I BRONZI 139 BIBLIOGRAFIA 143 FIGURE INTRODUZIONE Questo studio nasce dalla constatazione dell’assenza di ricerche su molti dei materiali archeologici conservati nel Museo Civico “G. Barone” di Baranello. La nostra attenzione si è rivolta ai materiali vitrei e bronzei conservati in tre vetrine del museo; ancora oggi essi, ad esclusione di alcuni bronzetti raffiguranti Ercole, pubblicati da Giovanni Colonna e Angela Di Niro, non sono stati sottoposti ad esame scientifico. Gli oggetti sono stati suddivisi sulla base della loro destinazione d’uso. Questo criterio è dovuto soprattutto all’impossibilità di una loro contestualizzazione esatta, data l’assenza dei dati sulla provenienza, ma anche all’estrema varietà delle tipologie presenti per le quali una classificazione secondo criteri cronologici renderebbe meno chiara l’esposizione. Di questo gioiello museale è autore Giuseppe Barone. Egli nasce a Baranello il 1° marzo 1837 da Giovanni e Teresa Iannotti, una famiglia benestante e di buone tradizioni civili e morali, ed è il secondogenito di otto fratelli1. E’ inviato a completare gli studi superiori a Maddaloni (CE). Si trasferisce quindi a Napoli, dove nel 1859, consegue il diploma di laurea in Architettura2. Il suo operato riscontra immediatamente successo raggiungendo fama e notorietà. Angelo Tirabasso nel suo Breve dizionario biografico del Molise, nell’illustrare le personalità più celebri della Regione scrive così a proposito del nostro benefattore:“Appassionato delle arti belle, egli fu un perseverante assertore dei suoi ideali, raccogliendo in lunghe lotte, lodi e premi numerosi”3. Negli anni sono stati condotti diversi lavori di approfondimento4, dove è ribadito il credito che Barone ha saputo guadagnarsi. Inoltre, nel Museo è presente la raccolta di progetti, disegni, studi, schizzi e plastici, riguardante una parte significativa della produzione professionale di Giuseppe Barone che ci permette di avere un quadro ancora più esaustivo delle sue opere. La raccolta dei progetti di architettura fu catalogata dall’architetto stesso che, minuziosamente, riportò il titolo dell’opera, la data e il luogo. Anche il resto del materiale, tra cui disegni realizzati con altre tecniche, è stato raccolto in una specie di libretto e fascicolato dall’architetto. Giuseppe Barone ha ordinato i suoi lavori con perizia affinchè fossero testimonianza della sua febbrile attività, svolta maggiormente nella Napoli della seconda metà dell’Ottocento, una metropoli ancora molto attenta alle avanguardie europee. Il nome dell’architetto compare per importanti concorsi a livello nazionale: nel 1862 partecipa con un progetto di un Ospizio al concorso Vittadini indetto dall’Accademia di Milano5; due anni più tardi, nel 1864, partecipa alla realizzazione del Teatro Massimo a Palermo, per il quale verrà 1 Niro 2002, p. 143. Bertolini, Frattolillo 1998, p. 24. Il diploma è ancora custodito nella Libreria del Museo Civico. 3 Tirabasso 1932, p. 25. 4 Appare subito evidente la marcata professionalità del cittadino baranellese che operò maggiormente nella Napoli della seconda metà dell’Ottocento. Nonostante si sono prodigati in molti, è ancora assente una biografia sistematica di Giuseppe Barone. Ancora inediti sono i dati raccolti dall’Arch. Angelo Bradascio nella sua Tesi di laurea in Storia dell’Architettura Contemporanea dal titolo Giuseppe Barone e l’Architettura dell‘Ottocento. Opere e progetti, 2003, così pure le relazioni dell’arch. Cinzia Benvenuto, Giuseppe Barone Architetto in Italia e in Europa e dall’ing. Domenico Fornaro Giuseppe Barone Architetto in Molise.presentate nel recente Convegno, tenutosi a Baranello il 15 dicembre 2011, organizzato dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise, con il patrocinio del Comune di Baranello e la Pro Loco “Giuseppe Zurlo”. 5 Questo concorso non arriverà mai a termine per sopraggiunte difficoltà di procedura e il risentimento dell’architetto si esplicita in una lettera del 1879 indirizzata al giornale Il Pungolo di Napoli, condivisa da molti suoi colleghi. 2 10 AMELIA PISTILLO premiato nel 1870, in occasione del Primo Congresso Artistico Italiano e la Esposizone delle Arti Belle in Parma6. Un’altra menzione ufficiale arriva nello stesso anno per il progetto di una Chiesa Cattedrale a Roma alla Esposizione Romana di Ogni Arte per il Culto Cattolico7. Riceve una medaglia d’argento per vari progetti di monumenti e di un Teatro anche dal Ministero di Agricoltura e Commercio, in data 25 aprile 1880. Tra i suoi progetti legati ai monumenti commemorativi, ricordiamo: il monumento dedicato a Luigi Vanvitelli nella piazza di Caserta8 e quello dedicato a Giovanni da Procida a Napoli 9; il monumento al duca Martino Placido di Sangro nella tenuta Ducale di San Basilio nell’agro del comune di Mottola in provincia di Taranto10 e gli edifici di trattenimento nella Villa nazionale di Napoli, di cui si possono ammirare i disegni nella Biblioteca pro- L’arch. Giuseppe Barone in una fo- vinciale di Campobasso11. tografia dell’epoca. Il suo nome compare, oltre che in relazione a committenze per personaggi illustri dell’epoca, anche per aver partecipato a concorsi con i più noti artisti del panorama internazionale: nel Museo è presente il modellino in rilievo dello scultore Onofrio Buccini su progetto di Giuseppe Barone del Monumento all’Unità d’Italia con l’annessione di Roma Capitale; il primo concorso, indetto il 18 agosto 1871, prevedeva il diritto di partecipazione di tutti gli artisti con modelli in rilievo che potevano essere presentati fino al 1 ottobre 187212. L’effettiva realizzazione dell’Altare della Patria, a piazza Venezia a Roma, fu opera di Giuseppe Sacconi che si impose nel secondo concorso svoltosi tra il 1885 e il 1911. L’interesse al concorso dell’architetto Il progetto prevedeva la copertura di un’area rettangolare di m 55 x 95 a ridosso di via Mosqueta per garantire la realizzazione del Teatro Massino dotato di tremila posti. Anche Gotffried Semper farà parte dell’illustre della giuria. Il vincitore di questo concorso sarà G.B. Basile. L’Arch. Barone da Napoli verrà premiato con medaglia d’argento dal nr. 86 al 101 “…considerata la natura del soggetto e dello sviluppo del quale occorrono profondi studi architettonici e conoscenze…” dal Giornale Ufficiale del Primo Congresso Artistico Italiano e l’Esposizione delle Arti Belle in Parma nel 1870, 1871, p. 151. La menzione ufficiale è riportata anche in Atti ufficiali del Primo Congresso Artistico Italiano, 1871, pp. 211 - 212. 7 L’Arch. Barone viene premiato con medaglia per la Terza Classe grazie al suo progetto comprensivo di sei disegni ad acquerello, conservati presso il Museo (dal Giornale Ufficiale della Esposizione Romana delle Opere di Ogni Arte eseguite per il culto Cattolico, 1870, p. 103). Probabilmente il concorso si riferisce alla ricostruzione di S. Paolo fuori le mura, dopo l’incendio del 1823. 8 Il modellino, conservato nel Museo Civico, è in gesso con base in legno di noce, modellato dallo scultore Onofrio Buccini. Il Monumento è stato effettivamente realizzato e inaugurato nel 1879 e a tuttora in sito nella Piazza di Caserta. 9 Pietravalle 1998, p. 74. 10 Tra il 1883 e il 1884 Barone realizza il progetto per commemorare la morte del Conte De’ Marsi Riccardo Maria De’ Sangro figlio suicida del suo amico Duca di Martina. Il modellino in legno di tiglio e base di sostegno in noce è conservato presso il Museo e fu esposto nella Galleria nord a Torino in occasione dell’Esposizione Generale tenutasi nel 1884 (da Napoli all’Esposizione Generale Italiana in Torino nel 1884, Moschitti 1884, n. 24, p. 106). Il monumento commemorativo fu realizzato con un’altezza considerevole, circa 20 metri, in stile neogotico e in marmo di Carrara, probabilmente ispirato ad una guglia del Duomo di Milano; la statua fu realizzata dallo scultore Raffaele Belliazzi. Purtroppo il monumento è crollato, colpito da un fulmine nel 1974. 11 Bertolini, Frattolillo 1998, p. 24. 12 Barone 1877, pp. 5 - 6. 6 INTRODUZIONE 11 Barone fu da lui spiegata in una sua pubblicazione del 1877 Cenno esplicativo del Monumento all’Unità d’Italia13. Il suo talento interessò anche l’arredamento d’interni: l’esempio più esplicativo è il dono di una culla che fece alla principessa Margherita in occasione della nascita di Vittorio Emanuele III14. Giuseppe Barone ha il merito di essere stato anche insegnante di Architettura e Disegno Applicato alle Arti Industriali nel 1866 presso le scuole della Società Operaia di Napoli, premiato per via della sua professionalità nel campo dell’architettura. Inoltre, a sottolineare la sua competenza anche nel campo della ricerca pedagogica e didattica, vi è un saggio pubblicato a Napoli nel 1871 sul Disegno Applicato alle Arti Industriali, pensato in occasione del VII Congresso Pedagogico. Nell’ambito molisano ebbe un meritato riconoscimento: nel 1900 il Presidente della Deputazione Provinciale di Campobasso lo nominò membro della Commissione Provinciale dei - Il plastico del monumento a Vanvitelli dell’arch. Barone. monumenti e delle belle arti15. Per il suo paese natìo, Baranello, ha progettato nel 1892 un monumento a Giuseppe Zurlo16, tra il 1894 e il 1896 la fontana monumentale dedicata a Cerere17, il monumento alla Vergine in Piazza Santa Maria18, che sorge al lato della Chiesa del SS. Rosario, di cui ridisegnò la facciata in una successiva opera di restauro del 1875. Ha restaurato, inoltre, la Chiesa di San Michele Arcangelo e la facciata dell’ex palazzo del Comune che ospita al secondo piano il Museo Civico. Per tutte le costruzioni ex-novo o vari rifacimenti, incluso l’intervento per la dotazione in Baranello di una pavimentazione stradale, di un’illuminazione pubblica e dell’approvvigionamento idrico, probabilmente attinse a risorse personali facendosi carico di parte delle spese economiche necessarie, al fine di agire per il miglioramento della vita dei concittadini baranellesi. Giuseppe Barone muore a Napoli il 6 febbraio 1902 colto da una grave malattia19. Molti sono gli elogi e le parole di stima che accompagnano il nome Giuseppe Barone ma le frasi più lodevoli sono impiegate per aver donato la sua collezione di oggetti d’arte al suo paese natìo:“Fu il creatore del Museo Civico del suo paese nativo, che deve essere memore e grato a Nella pubblicazione sintetizza la sua idea di Unità d’Italia: la figura simbolica dell’Italia, protetta da un leone, è circondata dalle statue di Dante, Machiavelli, Cavour e Vittorio Emanuele II, quattro personaggi fondamentali e sintesi delle aspirazioni italiane del Pensiero e Azione. I primi due, promossero la rivoluzione delle idee, quindi il Pensiero, gli altri due, diressero ed operarono la rivoluzione della forza, l’Azione appunto (Barone 1877, pp. 5 - 12). 14 Il progetto è conservato presso il Museo Civico. L’onore di tale committenza è esplicitato anche in Tirabasso 1932, p. 25. 15 Niro 2002, pp. 144 - 145. 16 Il monumento è in travertino di Bellona (CE). Il mezzo busto originario, in bronzo, è opera di Achille d’Orsi di Napoli, trafugato nel 1943 e sostituito da una copia attualmente in situ. 17 La fontana è in marmo di Carrara con statua ed altorilievi in bronzo, fornita anche di pubblico lavatoio. Si colloca all’interno di un progetto per un acquedotto di cui la fontana risulta essere l’elemento terminale. 18 Il monumento è in pietra da taglio con statua in marmo. Sono evidenti i segni del bombardamento del Secondo Conflitto Mondiale. 19 Tirabasso 1932, p. 25. 13 12 AMELIA PISTILLO questo suo gratissimo e munifico suo figlio20.” In effetti, è forte il legame dei baranellesi per il proprio benefattore e a tal proposito, nel 1908, è stata posta una lapide di marmo sulla facciata della casa paterna in piazza S. Maria, tuttora in situ, con un’epigrafe dettata da Francesco D’Ovidio, che rappresenta l’omaggio corale che i compaesani vollero donargli. Inoltre, a suo nome, è stata intitolata la scuola media statale di Baranello21. Le scelte di Giuseppe Barone derivano dalla cultura illuministica dell’epoca: salvaguardare e tramandare il sapere ai posteri; la Raccolta Barone ne è una chiara testimonianza; è il riflesso di una rinnovata borghesia che accoglie il nuovo spirito e i nuovi fermenti di “ricerca delle proprie radici” e di “civiche virtù”, conseguenze innovative dell’Unità di Italia22. La sua formazione intellettuale nasce è si sviluppa nell’ambiente napoletano; molte sono le personalità con cui entrò in contatto e che hanno di sicuro orientato il suo operato. Tra il 1870 e il 1890 sono testimoniati contatti con l’archeologo Giuseppe Fiorelli, allora Direttore del Museo Nazionale di Napoli, con il cavaliere Annibale Sacco dell’entourage borbonico, che fu uno degli artefici della Raccolta Borbonica di Porcellane, con l’amico Placido de Sangro, il Duca di Martina23 e non ultimo i suoi contatti con il principe Gaetano Filangieri24. Sulla scia del collezionismo ottocentesco, esortato da una passione per l’antico, Giuseppe Barone spese ingenti somme per acquistare tutto ciò che in quegli anni destava interesse e figurava nei mercati, soprattutto di Napoli. Collezionò numerose opere d’arte che, con cura e perizia, catalogò evidenziando il suo raffinato gusto per l’arte e padronanza della materia. Ne è prova il catalogo redatto da lui stesso nel 1897 e successivamente ampliato nell’edizione del 1899, dopo l’accrescimento della collezione25. Nel catalogo sono analizzati i reperti con spiegazioni relative a manifattura e talvolta è precisata la provenienza. Ad arricchirlo vi è una sua calorosa prefazione che innalza l’opera a “manifesto del suo tempo”26: “…l’amore verso le cose antiche ha già da gran tempo invaso gli animi delle persone colte, e il cercare e conservare le antiche reliquie è opera non solamente dei dotti ma anche nobile ambizione di municipio…”, “…i musei sono una istituzione eminentemente civile ed educatrice…”, ”…m’auguro con l’attuazione di questo nuovo progetto che il Museo Civico con le sue collezioni, per quanto estranee alle nuove industrie e manifatture, valga sempre a formare il buon gusto dé cittadini, educandoli al senso del bello artistico per il vantaggio delle loro produzioni…”27. Conservare per salvaguardare e tramandare per incoraggiare la formazione professionale dei giovani sono dunque gli imperativi categorici, risultato di un periodo di grande concitazione spirituale, nonché di impulso propositivo verso un orizzonte moderno aperto all’artigianato e all’inMasciotta 1915, p. 41. Con D.M. del 12 maggio 1967 (Boll. Uff. Ministero P.I. nr. 22 - 23 dell’8 giugno 1967). 22 D’Agostino, presentazione in Di Niro 1978, p. 8. 23 È testimoniato lo stretto rapporto di stima tra l’Arch. Barone e il Duca, un’amicizia legata peraltro dalla comune passione per il collezionismo di oggetti antichi: le loro raccolte convergeranno nella nascita di due importanti istituzioni museali “Il Museo Duca di Martina a Napoli” e il Museo Civico “G. Barone” (CB), Il museo del Duca di Martina ha sede nell’edificio voluto da Ferdinando I in Villa Floridiana e comprende circa seimila oggetti tra cui porcellane e maioliche, che costituiscono la raccolta principale, oltre a reperti minori. 24 Carola Perrotti 2004, pp. 26 - 28. 25 L’edizione del 1899 accoglie altre donazioni di Giuseppe Barone negli anni 1898 e 1899 segnalate con numeri rossi. Corrispondono ai materiali cumani della Vetrina XXVI e altri oggetti d’arte. 26 Carola Perrotti 2004, p. 27. 27 Barone 1899, pp. V - XIV, dal discorso inaugurale del 10 ottobre 1897. 20 21 INTRODUZIONE 13 dustrializzazione. Il 20 aprile 1895 esortava l’Amministrazione Comunale con queste parole: “…per dare al mio paese nativo una prova del mio affetto, io fin da oggi dichiaro: essere disposto a donargli tutta la mia collezione di oggetti d’arte antica e moderna consistente in antichità classiche, maioliche, porcellane, bronzi, avori, medaglie, monete, vetri, quadri e svariati oggetti di interesse storico, artistico e industriale”. Nel frattempo si pensava alla sistemazione della raccolta Barone e la sede prescelta fu il Palazzo Comunale, in via S. Maria, con un’imponente facciata in stile fiorentino. In seguito si creò la sopraelevazione di un nuovo piano su progetto dell’architetto Barone. Il 1 dicembre del 1897 si diede ufficialità alla donazione con un legale contratto stipulato per mano del notaio Desiderio De Feo. Un espediente che qualifica il Barone come una persona “illuminata” è una precisa clausola presente nell’atto notarile che stabilisce l’inalienabilità e l’inamovibilità degli oggetti a qualsiasi titolo, compresi i prestiti per le mostre. Al Comune fu - Copertina del catalogo del museo civico di Baranello affidato l’onere di farsi carico della gestione e redatto da G. Barone. della custodia del Museo, inteso come patrimonio collettivo. Questo ha garantito che la collezione sia stata e sia ancora oggi estranea a dispersioni. Purtroppo, dopo meno di mezzo secolo, nel novembre del 1944, in seguito ad un controllo effettuato per accertare le perdite verificatesi durante il Secondo Conflitto Mondiale, fu redatto un “Elenco degli oggetti rinvenuti mancanti nel Museo Civico di Baranello” a ragion veduta della manomissione da parte di tedeschi. Si è così appurato che furono asportati cinquantasei oggetti preziosi in oro, argento, avorio e cristallo, nonché alcune centinaia di monete antiche28. Il Museo Civico “G. Barone” è sicuramente una delle più importanti istituzioni culturali regionali, sia per la quantità dei reperti collezionati sia per il loro indubbio valore storico-artistico29. Nel Museo Civico sono conservati circa duemila reperti e grazie alle due edizioni del catalogo Barone si ha un’idea dell’importanza della raccolta. Il catalogo propone, in una descrizione dei singoli reperti archeologici contenuti all’interno delle ventisette vetrine; per aiutare il lettore nel comprendere la tipologia dell’oggetto sono inserite tavole che aiutano a compredere il rapporto tra termine scientifico e forma dell’oggetto. Bisogna sottolineare la quasi totale assenza come in tutti i Musei del 1800 dei dati relativi alla provenienza, necessari per garantire ai reperti una dignità scientifica e per inquadrarli negli aspetti generali di produzione, uso e scambi. 28 29 Carano 1967, pp. 12 - 13. Secondo una classificazione fatta con D.M. del 15 settembre 1965, figura nell’elenco dei musei minori non statali. 14 AMELIA PISTILLO I materiali collezionati sono stati individuati dal Barone in diverse sezioni tematiche a partire dalla prima Vetrina secondo un criterio cronologico in parte stravolto dall’incremento del materiale cumano contenuto nella Vetrina XXVI. I materiali contenuti in questa Vetrina sono gli unici ad essere corredati dei dati relativi alla provenienza; essi sono di particolare importanza in quanto Barone li acquista nel 1899, appena dopo la scoperta dell’area archeologica. Nella nota del catalogo che Barone dedica al materiale preellenico, ci informa che gli oggetti furono recuperati in alcune sepolture del fondo di Gennaro Provenzano e riporta una serie di dettagliati particolari del rituale funerario, della posizione dei reperti all’interno delle tombe e alle caratteristiche del materiale; dati che sicuramente l’architetto apprese dagli autori della scoperta o promotori dell’acquisto30. Tali reperti sono stati approfonditi da Pia Criscuolo nella sua tesi di dottorato del 2004. Ogni Vetrina è munita superiormente di un numero progressivo in lettere romane e di una placca in metallo dove, in linea di massima, è spiegato il contenuto. Per evitare la dispersione del materiale vi è un doppio sistema di serratura, preventivamente studiato da Barone, che garantisce l’apertura di ogni singola Vetrina solo con due chiavi, detenute per contratto dagli eredi Barone e dal Sindaco in carica. Ogni reperto è corredato di un numero d’inventario che corrisponde al medesimo nei cataloghi Barone. Il numero è reso attraverso un’etichetta che riporta una siglatura sia in cifre arabe che in cifre romane seguite da lettera S. Alcuni reperti recano una siglatura a china o a cifre arabe precedute da X e Y; gli autori di queste catalogazioni, sicuramente successive, sono probabilmente funzionari della Soprintendenza del Molise. Tra il materiale relativo alla sezione archeologica, figurano dapprima le ceramiche, partendo dai vasi geometrici e italioti, seguono i vasi attici a figure nere e rosse, i vasi fittili provenienti dai siti della Magna Grecia. Seguono i reperti in terracotta tra cui antefisse, lucerne e statuette votive. La sezione archeologica comprende anche la Vetrina XXVI, di Cuma, la Vetrina XXVII posta sulla balaustra della prima sala che contiene reperti arcaici definiti da Barone “minima”, recuperato anch’esso in un secondo momento e altri sistemati sulla balaustra. Nella seconda sala continua la presentazione dei reperti archeologici con la Vetrina dedicata ai bronzi antichi e la successiva dedicata a vasi più tardi e al materiale vitreo. Dalla Vetrina IX parte la sezione non relativa ai materiali archeologici o almeno in parte: medaglie e bronzi con una datazione più recente e altre suppellettili in diverso materiale. In successione seguono altre vetrine contenenti materiale anche neolitico, sistemato insieme a materiale recente per essere inquadrato nella sezione tematica dedicata alle armi. La Vetrina XII è dedicata a elementi del Presepe napoletano e le successive riguardano esempi molto pregiati di maiolica e porcellana provenienti dalle fabbriche più autorevoli come quelle dell’Europa Settentrionale o le italiane come Capodimonte a Napoli, senza tralasciare i reperti provenienti da Cina e Giappone. La collezione non si esaurisce solo all’interno delle vetrine e solo con i reperti appena accennati: fanno parte della collezione Barone anche molti quadri collocati nella parete nord della prima sala e molti libri citati nei cataloghi Barone e conservati nella Vetrina XXV. A rendere ancora più suggestive le sale, vi sono molti altri reperti posizionati, sia ai piedi delle finestre, che su ogni Vetrina e addirittura in ogni spazio utile. Il criterio adottato da Barone rispecchia la sua figura di collezionista eclettico, sfruttare il piccolo spazio per l’esposizione di una mole di materiale che sicuramente avrebbe avuto maggiore 30 Barone 1899, nota 2, pp. 278 - 280. INTRODUZIONE 15 dignità se avesse occupato delle Sale più capienti. Alla fine degli anni sessanta si parlava di un eventuale trasferimento degli uffici comunali affinchè vi fosse uno spazio maggiore da dedicare al Museo all’interno dello stesso stabile. Negli anni settanta correvano voci su un definitivo spostamento della collezione in nuovo edificio, attualmente sito in via del Municipio31; ovviamente tutto ciò non fu possibile in virtù del contratto redatto cento anni addietro dal Barone. Un’aggiunta importante alla collezione è costituita dai reperti emersi dal sito sannitico di Monte Vairano, che dopo una temporanea esposizione all’interno della mostra “Samnium” del 1991 tenutasi a Campobasso, sono stati ordinati nella Vetrina XXIII, ex-monetario, priva ormai dei reperti trafugati durante la Seconda Guerra Mondiale. Riguardo alla pubblicazione scientifica inerente alla collezione Barone, negli anni settanta è stata avviata dalla Direzione Generale delle Antichità e delle Belle Arti del Molise, patrocinata dal Ministero della Pubblica Istru- - L’edifico in stile neogotico fiorentino in cui è ubicato il museo. zione, una ricerca finalizzata alla creazione di una collana dei Materiali del Museo di Baranello. I materiali selezionati furono le ceramiche italiote e attiche studiate analiticamente dall’archeologa Gianna Dareggi. Il primo volume del 1972, dal titolo Ceramica italiota nel Museo di Baranello, prevede la pubblicazione dei reperti più significativi della produzione italiota analizzati in sedici schede di catalogo. Il volume accoglie anche una ventina di reperti pubblicati e non riprodotti dal Trendall32, alcuni dei quali inseriti nello studio. Nel 1974 segue il secondo volume dedicato alla ceramica attica conservata nella Vetrina II e dal titolo Ceramica attica nel Museo di Baranello, che prosegue con lo studio di trenta forme ceramiche più significative a vernice nera e rossa, databili alla fine del VI e al IV secolo a.C.33 Altri materiali editi sono i bronzetti di Ercole riportati in due pubblicazioni risalenti al 197034 e al 197735. Ad una data recente (2007) si deve la pubblicazione dei materiali cumani36. Dareggi 1972, p. 5. Trendall 1970, n. 26. 33 La speranza del proseguo di una pubblicazione della collana dei Materiali del Museo di Baranello si esaurisce con l’ultimo volume che accorpa gli studi sulle ceramiche greche e italiote, edito nel 1977 dal titolo Ceramica greca e italiota nel Museo di Baranello. 34 Colonna 1970. 35 Di Niro 1977. 36 Criscuolo 2007, pp. 263 - 309. 31 32 16 AMELIA PISTILLO IL MATERIALE VITREO - Origine e sviluppo del vetro L’uomo conobbe il vetro come prodotto naturale poiché è esistente sotto diverse forme, la più conosciuta è l’ossidiana37. Per quanto concerne la sua origine è stata proposta per anni e ritenuta valida la leggenda fenicia che racconta di alcuni mercanti di ritorno dall’Egitto con un grosso carico di carbonato di sodio (detto anche natrum cioè salnitro), i quali si fermarono una sera sulle rive del fiume Belo, in Fenicia, per riposare. Non avendo pietre a disposizione su cui collocare gli utensili per la preparazione delle vivande presero alcuni blocchi di salnitro e vi accesero sotto il fuoco, che continuò a bruciare per tutta la notte. Al mattino i mercanti videro con stupore che al posto della sabbia del fiume e del carbonato di soda, vi era una nuova materia lucente e trasparente, il vetro. Secondo Plinio questa è l’origine del vetro e tanti autori antichi furono inclini a considerare vera la storia da lui raccontata38. Oramai si ritiene apocrifo e fantastico l’aneddoto che attribuisce la scoperta fortuita del vetro ai fenici39 perché vi si riscontrano ovvi problemi a livello di fabbricazione, ad esempio le temperature raggiunte, utilizzando la legna all’aria aperta come combustibile, sono troppo basse per la fusione che richiedeva minimo 1000°. Un ragionamento dal punto di vista chimico induce a pensare che il vetro sia stato una scoperta consequenziale all’utilizzo del ferro e del bronzo: le ganghe dei minerali producono, con il calore, dei vetri effettivi; le scorie che accompagnano la produzione di questi metalli sono vetro fusibile40. A dispetto del racconto pliniano, le tracce archeologiche della più antica lavorazione del vetro ci portano in Mesopotamia, a Eshnunna, dov’è stata ritrovata una sbarra di vetro blu risalente al XXIII secolo a.C. e a Eridu, dove due secoli più tardi si data un blocco di vetro blu. Sono questi i più antichi ritrovamenti che attestano la lavorazione del vetro nel III millennio. Esso era impiegato, soprattutto, per la produzione di monili e intarsi ad imitazione delle pietre preziose sicuramente più costose e meno disponibili. Più tardi, dalla seconda metà del II millennio a.C., sono ipotizzabili almeno tre aree di produzione: l’area mitannica, l’area egizia e l’area micenea41. Intorno al 1200 cominciò “l’epoca buia” del Mediterraneo Orientale che vede meno la richiesta di prodotti di lusso, inclusi quelli in vetro, un processo di regressione avvertito soprattutto in Egitto. Dal IX secolo a.C. le produzioni sembrano intensificarsi in Persia ma anche in territorio italico, nello specifico si tratta di crogioli rinvenuti nel Veneto, a Fratta Polesine, che attestano produzioni già dalla tarda età del bronzo42. L’VIII e il VII secolo Franceschini 1955, p. 11. Plinio, Nat. Hist. XXVI, 65 - 70. Lo storico ci riferisce della leggenda sulla scoperta del vetro da parte dei fenici e inoltre indica con precisione due località dove si trovavano sabbie adatte a far vetro: la foce del Belus (oggi chiamato Na’ Mân Nâhal, un piccolo fiume che scorre tra Haifa e S. Giovanni d’Acri in Israele) e una ridotta area costiera in Campania, tra Cuma e Literno, presso la foce del Volturno. Flavio Giuseppe, Bellum Judaicum II, 189 - 191, allo stesso modo di Plinio, racconta l’evento nei pressi del fiume Belo. Tacito, Hist. V,7, ci riferisce della straordinarietà della sabbia del fiume Belo, che mescolate con il nitro, erano usate per la fusione del vetro. 39 Lo stesso Barone ritiene superata questa ipotesi nella piccola introduzione che offre per i Vetri antichi, Barone 1899, pp. 75 - 76. 40 Figuier 1877, p. 2. 41 L’area mitannica corrisponde alla parte settentrionale dell’attuale Siria e Iraq, i rinvenimenti sono perlopiù prodotti con la tecnica della modellazione su nucleo preformato nella forma di bottiglie piriformi, bicchieri cilindrici, coppe basse. Nell’area egizia le più antiche attestazioni di vasi in vetro sono da ricondursi alla tomba di Tumtosi I (1525 1495 a.C.). Nell’area micenea prevalgono monili fusi in matrice aperta rispetto ai vasi. Si suppone che artigiani provenienti dalla Mesopotamia si spostarono in questi altri centri e diffusero l’arte del vetro. Sternini 1995, pp. 11 - 16. 42 Sternini 1995, p. 182. 37 8 INTRODUZIONE 17 a.C. conoscono l’affermarsi dell’arte vetraria e il progressivo competere con i prodotti di ceramica e metallo tradizionalmente consacrati come le manifatture per eccellenza dell’instrumentum domesticum. È solo con l’età ellenistica e la conseguente apertura delle porte del commercio Mediterraneo, dall’Egitto soprattutto, che il mondo romano conosce in larga misura questa nuova produzione economica. Nel I secolo a.C. l’invenzione della soffiatura garantirà la fortuna dell’arte vetraria, da Sidone e Alessandria prima, per poi investire tutto il mondo Romano d’Occidente e continuare a prosperare fino al IV secolo d.C. con la creazione di nuove forme e modelli decorativi43. - Composizione e produzione L’elemento essenziale, nonché ingrediente base di tutti i vetri, sono i silicati. Preferita era la sabbia ma anche scaglie di quarzo, pietra arenaria e ciottoli che, richiedevano il lavoro supplementare per la loro frantumazione e polverizzazione. Alla sabbia venivano mescolati gli alcali, i fondenti che permettevano la fusione a temperature meno elevate44. Altre sostanze entrano a far parte della composizione di una miscela vetrosa, i coloranti. Eventuali colorazioni si ottengono agendo intenzionalmente con aggiunte di ossidi metallici, anche se il vetro, ha una sua colorazione naturale. La colorazione verde degli antichi manufatti era dovuta agli ossidi di ferro e ad altre impurità presenti nella miscela. Con il rame si otteneva vetro azzurro, verde o rosso opaco; con il manganese vetro purpureo mentre il cobalto dava al vetro una colorazione turchino scuro. In qualità di agenti coloranti potevano essere usate anche le tessere di mosaico colorate come è stato confermato da un crogiolo di S. Vincenzo al Volturno nel cui fondo la massa del vetro presenta una tessera gialla fusa45. La resa finale del prodotto non dipendeva soltanto dall’aggiunta di tali additivi ma anche dalle condizioni delle fornaci e in particolare dalla durata della permanenza in essi e dall’atmosfera46. È proprio sulle tecniche di cottura antiche che le fonti letterarie o iconografiche scarseggiano; le uniche testimonianze risalgono al XIV - XII secolo a.C. e sono le tavolette di Ninive, dove si nominano i tre forni, Kuru, Atunu e Tenuru. Il più citato è il primo descritto in due varianti con le relative funzioni: la prima riguarda forni a quattro bocche per la realizzazione della fritta; l’altra variante possedeva una camera con copertura, dove si lavorava il vetro vero e proprio47. Per quanto riguarda i forni romani si ricava la possibile struttura dal disco di due lucerne a volute, datate seconda metà del I secolo d.C.; è rappresentato il forno a due livelli uno inferiore per il combustibile dotato di Nel I sec. d.C. sorsero officine nei dintorni di Roma, in Spagna, in Germania, in Gallia e nel Nord Africa. Basile 2004, pp. 17 - 18. 44 Gli alcali sono l’ingrediente fondamentale per abbassare il punto di fusione dei silicati altrimenti troppo elevato e per rendere la massa vetrosa più a lungo lavorabile. Sono conosciuti come composti di carbonato di sodio ed erano di origine minerale, come la soda, o vegetale chiamata potassa, derivante dalla cenere della combustione dei vegetali. La soda era contenuta nei già conosciuti blocchi di nitro presenti naturalmente e in abbondanza in Egitto e Asia Minore. L’utilizzo della soda di origine minerale è attestato ancora fino al VI sec. d.C., poi venne gradualmente sostituita dalla potassa nell’Alto Medioevo. Figuier 1877, pp. 20 - 24. 45 La colorazione verdastra dei manufatti vitrei si ritrova nelle produzioni più comuni di età romana. Nelle produzioni tardo-antiche predomina il colore verde-oliva. Sternini 1995, pp. 43 - 44. 46 La colorazione bluastra era indice di un’atmosfera riducente all’interno dei forni. Al contrario, l’atmosfera ossidante garantiva la colorazione verde e ambra. Tali fattori non influenzano solo le tonalità ma anche trasparenza e opacità dei manufatti. Mannoni, Giannichedda 2003, p. 91. 47 La fritta è il risultato della prima fusione delle materie prime nella fase di preparazione del vetro. Sternini 1995, p. 33. 43 18 AMELIA PISTILLO sportello, l’altro superiore per la cottura. Plinio ci descrive soltanto il procedimento di cottura senza citare la struttura dei forni48. Durante il processo di fusione all’interno dei forni erano utilizzati i crogioli, vasi di terracotta o pietra utilizzati per contenere la miscela vetrosa nelle diverse fasi. Prima della scoperta della soffiatura tutte le lavorazioni del vetro erano fatte allo stato pastoso con il sistema di rivestire un supporto mobile o uno stampo49. La vera diffusione del vetro si deve sicuramente all’invenzione della soffiatura concepita presumibilmente nella seconda metà del I secolo a.C., in qualche centro della regione siro-palestinese50. Tale tecnica, utilizzata ancora oggi, conobbe una notevole diffusione sotto gli imperatori della dinastia giulio-claudia. Nel tempo la soffiatura sostituì i procedimenti di lavorazione a nucleo friabile e a colatura entro stampo51. La canna da soffio e la relativa tecnologia appaiono una settantina di anni dopo l’invenzione della soffiatura libera. Questa innovazione consentiva ai vetrai di produrre grandi quantità di oggetti di uso quotidiano alla portata di tutte le classi sociali dell’impero romano, permettendo costi minori ed una produzione più rapida. Veniva utilizzato un cilindro di vetro cavo e si assicurava intorno all’apertura della canna da soffio fatta in ferro o in bronzo. Il produttore, soffiando all’interno della canna, portava il vetro a trasformarsi in un corpo cavo potendone regolare le dimensioni in relazione alla portata del soffio e della quantità di vetro utilizzata. Una volta fatto questo il soffiatore lisciava la superficie dell’abbozzo tramite la marmorizzazione ed il passaggio all’interno di una forma in legno a coppa; tra l’una e l’altra operazione era importante che la canna venisse fatta girare ripetutamente su se stessa per evitare che il vetro, ancora malleabile, potesse esercitare il proprio peso in una sola direzione, deformando così l’oggetto. - Classificazione: forme e tipi I vetri si dividono in tre grandi categorie: i balsamari, le stoviglie da tavola tra cui ciotole, piatti, bicchieri, bottiglie e i grandi contenitori da dispensa usati anche nelle deposizioni funerarie. In vetro erano tuttavia molti altri oggetti, ad esempio collane, braccialetti, anelli, sigilli, bastoncini, La prima fase consisteva nella cottura della massa di vetro grezzo con sabbia e nitro, rifuse per ottenere la fritta. La terza fase prevedeva ancora una volta una rifusione per ottenere il vetro lavorabile. Plinio, Nat. Hist XXXVI, pp. 193 - 194. 49 Mannoni, Giannichedda 2003, pp. 89 - 90. 50 L’ipotesi è stata confermata da scavi inerenti delle vasche in un quartiere di Gerusalemme. Le vasche hanno regalato numerosi unguentari rudimentali, precisamente dei tubi di vetro, che denotano l’utilizzo della soffiatura libera, quindi ancora non era attestato l’uso della matrice, ovvero della canna da soffio. Il quartiere archeologico è stato datato alla seconda metà del I sec. a.C. Sternini 1995, pp. 25 - 26. 51 Queste due tecniche erano già conosciute perché utilizzate nella produzione metallurgica e successivamente riadattate al nuovo materiale. La tecnica a nucleo friabile risale alla metà del II millennio a. C. Questa tecnica, che apparve nell’Età del bronzo, e si diffuse dalla Mesopotamia all’Egitto, comportava la modellazione di un’anima con la forma dell’oggetto desiderato attorno ad una verga metallica. L’anima, che consisteva in una combinazione d’argilla, sabbia e un collante organico (escrementi), era poi ricoperta con vetro caldo, sia per immersione in un crogiolo sia mediante ripetuti avvolgimenti di un filo vitreo e quindi si faceva rotolare per far aderire i filamenti su una superficie liscia. Al termine si aggiungevano le anse, la base e il bordo. Una volta pronto il vaso, l’anima d’argilla era rimossa. La tecnica della colatura a stampo è anch’essa usata fin dall’Età del Bronzo e prevedeva vari e molteplici metodi, impiegati per la produzione di vasellame, contenitori, perline, gioielli, intarsi, placchette e lastre di vetro. Il procedimento più semplice consisteva nel mettere vetro triturato in uno stampo precedentemente fabbricato con la forma desiderata. Basile 2004, pp. 21 - 22. 48 INTRODUZIONE 19 cucchiaini, giocattoli. Dei vetri da finestra, a motivo della loro estrema frammentarietà, ben poco ci è pervenuto52. La parte più cospicua del materiale vitreo conservato nel Museo Civico “G. Barone” è esposta nella Vetrina VIII della seconda sala e nella Vetrina XXVII posta sulla balaustra della prima sala. Alla mia proposta di studio e catalogazione vanno aggiunti i materiali presenti nella Vetrina XXIII, ex-monetario53, dove sono stati accuratamente esposti altri materiali non concernenti la raccolta “Barone” ma provenienti da Monte Vairano, anch’essi oggetto di studio. Benchè rappresentino una parte cospicua della collezione Barone, ancora non vi è stata una catalogazione sistematica e uno studio analitico. Nel repertorio tipologico dei contenitori vitrei conservati al Museo Civico di Baranello prevalgono in assoluto le classi relative ai balsamari nelle diverse forme. Di gran lunga inferiori sono le percentuali di vasellame da mensa e da dispensa, come le coppe, rappresentate purtroppo solo da frammenti. Nel dettaglio lo studio è riferito a sessanta forme chiuse per la maggior parte integre, a trentacinque frammenti, di cui tredici orli e solo cinque forme aperte. Sono stati analizzati anche tre tappi, quattro bacchette, quindici pedine circolari e due astragali oltre che gli oggetti di ornamento: sei collane, un bracciale e un vago. La maggior parte dei reperti presi in considerazione è dotato di un numero di inventario che fa riferimento alla catalogazione Barone riportata nelle edizioni del 1897 e del 1899 del catalogo; i frammenti sono stati numerati in ordine di schedatura con cifre arabe progressive; tale criterio è stato adottato anche per altri reperti privi di numero d’inventario. I materiali della Vetrina XXVII sono provvisti di una numerazione speciale che non è presente nelle edizioni del catalogo Barone sopra citate54. Lo studio degli esemplari è organizzato per “tipi” differenti e ordinati dal momento iniziale dell’attestazione. Sono presentate le caratteristiche morfologiche e discusse le problematiche inerenti alla funzione, alla datazione, alla diffusione e alla produzione. I diversi tipi sono numerati progressivamente e corredati da schede tecniche dov’è specificato il numero di inventario, la descrizione morfologica e tipologica, nonchè i confronti possibili. Le schede sono corredate dalla foto del reperto e in alcuni casi dalla tavola relativa al disegno. Dei singoli pezzi è quasi sempre sconosciuto il contesto di appartenenza e le relative indicazioni sulle località di ritrovamento55, anche se si suppone che la maggior parte dei reperti provenga dalla zona vesuviana vista la biografia del collezionista. - Anfora miniaturistica Nella collezione Barone è presente un unico esemplare di amphoriskos in vetro policromo con decorazione a zig zag. La cronologia del reperto è molto alta rispetto agli altri balsamari in vetro Il nr. inv. 795 della Vetrina VIII si riferisce ad una patera contenente diversi frammenti di lastre di vetro per finestre, di vetro a colori marmorizzati ed a mille fiori. Barone 1899, p. 92 53 La Vetrina XXIII, attualmente denominata Ex-monetario, era dedicata alla collezione delle monete greche e romane purtroppo trafugate durante il Secondo Conflitto Mondiale. 54 Mi riferisco ad una nuova catalogazione effettuata presumibilmente in tempi successivi all’acquisto dei materiali della Vetrina XXVII. 55 Dei reperti analizzati solo per il nr. inv. 705 è indicata la provenienza da Pompei. Il reperto non risulta presente al momento della presente tesi. Per la collana con il nr. inv. 743 è indicato da Barone il rinvenimento a Baranello. Barone 1899, pp. 89, 91. 52 20 AMELIA PISTILLO soffiato esaminati, infatti la tipologia si attesta dal III secolo a.C. al I secolo a.C. La particolarità dell’anfora miniaturistica sta nell’essere un esempio di modellazione su nucleo, una delle prime tecniche con le quali è stato lavorato il vetro. Probabilmente la funzione di contenitore di liquidi è simile a quella dei più comuni balsamari dell’epoca romana di cui il reperto in questione rappresenta l’esemplare più antico nonché precursore di tale destinazione d’uso. Grazie agli studi sistematici condotti da tre studiosi internazionali D.B. Harden, M.C. McClean e D. Grose, si è giunti a classificare i balsamari modellati su nucleo, datati dalla seconda metà del VI secolo a.C., in tre grandi categorie definite “Gruppi Mediterranei” e suddivisi in base a evidenti differenze morfologiche e di tinte usate. In generale si riconosce che i primi esemplari modellati su nucleo riprendono le forme comuni dal mondo ceramico: alabastron, aryballoi, oinochoe e amphoriskos. Il colore di fondo varia dal blue al verde scuro e i colori utilizzati per le decorazioni, prevalentemente a zig zag, non sembra differire nei tre gruppi, a parte l’utilizzo maggiore del color turchese a discapito del bianco56. Il reperto appartiene al Terzo Gruppo Mediterraneo e proviene probabilmente da fabbriche di Rodi o della costa siro-palestinese attive tra l’inizio del II e la fine del I secolo a.C.57. Anche a Pompei è stato rinvenuto un esemplare simile che presenta una decorazione a piccole onde serrate e fitte spirali per tutto il corpo. La decorazione dell’anfora invece riporta il tipico motivo a zig zag più attestato per questo tipo di produzioni con i colori bianco e giallo su fondo blue scuro. Il reperto è stato ricomposto in due parti probabilmente in epoca recente. La desinenza con un piede “a bottone” leggermente deformato ha richiesto l’utilizzo di un supporto, all’interno della Vetrina, per garantire la staticità. - I balsamari È la categoria più rappresentata tra il materiale vitreo presente nel Museo Civico di Baranello. In generale, nel mondo romano si legava ai balsamari l’uso maggiore del vetro antico, a ragion del fatto che erano i veicolatori principali di profumi e sostanze aromatiche, perlopiù di origine orientale. Infatti le fonti greche e romane relative all’uso dei balsamari in vetro lo riferiscono prevalentemente ad usi medici e cosmetici58. In questo lavoro di tesi non è possibile approfondire in questo senso gli esemplari analizzati, poichè non saranno effettuate le analisi chimiche dei contenuti59 ma la vasta tradizione letteraria compensa questa mancanza designando l’uso specifico dei balsamari come contenitori soprattutto destinati alla cosmesi. Gli unguenti si ottenevano facendo macerare erbe e fiori aromatici in olio caldo di oliva o di semi vari poi torchiati e filtrati per essere imbottigliati in appostiti contenitori. L’uso di tali sostanze serviva per ungersi il corpo con olio dopo il bagno per restituire alla pelle la morbidezza. La diffusione di questa nuova moda è da ritenersi di diretta influenza del mondo Orientale e attestata a Roma già dalla fine dell’VIII secolo a.C. e in Etruria dal VII secolo a.C., come testimoniano alabastra e aryballoi di fabbricazione locale. Arrivano anche presso i popoli frentani tra il V e il IV Per una disamina completa vedi tavv. II - XX, Basile 2004. Recenti studi hanno evidenziato la presenza di fabbriche a Rodi relative a questa fase della produzione. Basile 2004, p. 34. 58 Scatozza 2012, p. 34. 59 Nell’ultimo lavoro di una delle studiose principali del materiale vitreo, in questo caso relativo ai reperti Pompeiani, sono state effettuate analisi microchimiche del contenuto su numerosi unguentari in vetro (vedi Scatozza 2012, pp. 343 - 359). 56 57 INTRODUZIONE 21 secolo a.C.60. Con l’imporsi della nuova moda si è cercato di ovviare a problemi relativi l’importazione delle sostanze profumate avviando produzioni locali e cominciando a fabbricare i contenitori non più in argilla61, bensì in vetro soffiato sicuramente più economico. Il porto campano di Pozzuoli è citato spesso in relazione a questo tipo di commercio tra Oriente e Italia già dal 70 a.C. fino alla prima età imperiale. Anche se si ignorano l’entità della frequenza e del dato economico62, è probabile che sia stato uno dei porti principali per la diffusione di unguentari con sostanze profumate in Campania. In questo capitolo è importante sottolineare l’uso del vetro come materiale privilegiato per la conservazione di sostanze profumate, rapporto sicuramente avvenuto in seno alla scoperta della soffiatura e della conseguente diffusione di officine vetrarie. Intorno all’età augustea si registra che la produzione di unguentari in vetro aveva raggiunto dimensioni notevoli con una vasta gamma di forme e tipi. È dalla stessa forma del recipiente che si evince il reale utilizzo come contenitori di liquidi: di solito di piccole dimensioni e stretti per evitare la dispersione del contenuto, con orli svasati per agevolare la fuoriuscita del liquido. In questo paragrafo sono esaminati tutti i balsamari esposti nella Vetrina VIII e descritti nelle schede di riferimento; della Vetrina XXVII è esaminato l’unico esempio di amphoriskos e tredici presumibili balsamari provenienti da Pompei. I tipi sono stati stabiliti in base alle caratteristiche estrinseche del pezzo, alla forma del contenitore e dell’orlo possibili grazie all’utilizzo di pubblicazioni di riferimento, necessarie per l’inquadramento, sia tipologico, che cronologico63. Questi riferimenti sono stati utili anche nel caso dei tipi più comuni per la costituzione di sottogruppi in base a criteri di stretta ed evidente affinità morfologica. Riguardo all’uso degli unguentari in vetro è opportuno ricordare anche il nome con il quale erano designati è diverso da quello adottato oggi. Alcune forme particolari venivano chiamate “vasi lacrimatoi”64 a ragion del fatto che gli unguentari non assolvono solo alla funzione di contenitori di profumi esclusivi della toletta femminile e maschile, ma erano usati anche per le pratiche funerarie, come si evince dal nome antico. - Balsamari a ventre discoidale Nel Museo Civico di Baranello è attestato un solo balsamario appartenente a questa categoria di cui, purtroppo, si conserva solo il ventre e parte del collo, limitando così la descrizione alla sola parte inferiore. Il balsamario potrebbe riferirsi al tipo 44 della classificazione Scatozza, identificato come balsamario con corpo lenticolare-biconico e che ritiene sia raro nell’area vesuviana, presente ad Ercolano con un solo esemplare65. Non rientra in una tipologia precisa della classificazione Isings, probabilmente al tipo 6 e 6 - 8 come per i balsamari a ventre emisferico. Per quanto riguarda Ritrovati in sepolture di Guglionesi e Larino. Di Niro, 2007, p. 86. Per gli unguentari fittili vedi il volume di Forti, 1963. 62 De Tommaso 1990, pp. 9 - 11. 63 Per la schedatura dei balsamari mi sono servita di Isings 1957, Scatozza 1986, De Tommaso 1990. 64 Barone cita la maggior parte degli unguentari con il nome lacrimatoj e ne sottolinea l’uso come contenitore di sostanze profumate ma nell’ambito delle pratiche funerarie. Gli unguentari contenevano le sostanze profumate che venivano spruzzate sulle ceneri dei defunti. Barone 1899, p. 93. Questa denominazione attualmente non è in uso, vengono identificati come unguentari tutte le boccette di vetro contenenti profumi. 65 Scatozza 1986, p. 57. 60 61 22 AMELIA PISTILLO la classificazione De Tommaso il tipo 1 sembra il più calzante in quanto vi è l’indicazione dell’altezza tipica di questi balsamari che è compresa tra cm 4 e 8 66, riferibile anche al nr. II.1 che pur essendo un frammento sicuramente non andrebbe oltre questo limite. Il tipo è diffuso soprattutto in Italia nord-orientale, ad Aquileia e nel Padovano, oltre che attestazioni nell’area ticinese da cui provengono i pochi balsamari di Pavia. Questa tipologia potrebbe configurarsi come una variante del balsamario a corpo globulare67 ma si è preferito darle risalto in un solo sottoparagrafo, data l’eseguità degli esempi presenti in tutta la penisola. - Balsamari a ventre emisferico La tradizionale classificazione riguardante i balsamari con corpo globulare o emisferico raggruppa tutti gli esemplari esistenti caratterizzati da questa peculiarità morfologica e indicati anche come balsamari a corpo bulboso. La prima attestazione di questi balsamari è documentata nel gruppo di tombe etrusche di Toscanella, ora conservati al Museo Archeologico di Firenze e datati dal I secolo d.C.68. Di questo gruppo fanno parte gli esemplari classificabili alla forma 6 e 6 - 8 della studiosa Isings, al gruppo 45 e 46 della classificazione Scatozza e ai tipi 7, 12 e 13 della classificazione De Tommaso, l’ultimo studioso che si è occupato del raggruppamento dei vari balsamari attestati fin dall’età augustea. Morfologicamente sono distinti da un orlo irregolare espanso o semplicemente tagliato da un collo cilindrico, che in alcuni esemplari risulta più sviluppato dal corpo globulare o tendenzialmente emisferico e dal fondo completamente convesso o appiattito o leggermente concavo. Nello specifico ci riferiamo ai balsamari nr. III.2 e 3 corrispondenti al tipo Isings 6, al tipo Scatozza 45 e al tipo De Tommaso 769. I due esemplari corrispondono alle caratteristiche sopra elencate; il nr. III.2 presenta un collo cilindrico più alto rispetto al nr. III.3 e ambedue sono di piccole dimensioni comprese tra cm 4,9 e 5,6. La studiosa Scatozza ritiene che, nonostante questa variante, il tipo sia comunque ascrivibile alla forma 6 Isings70. Questo tipo di balsamario ricorre in maniera minore nell’Italia meridionale e troviamo confronti ad Ercolano, Pompei e in Sicilia realizzato sempre con vetro molto sottile. La maggior parte degli esemplari rinvenuti proviene dall’Italia nord orientale e da Aquilea. Si è supposto che il notevole addensamento fosse indice della presenza di centri di una forte produzione locale71. In queste zone è rilevante anche la presenza di balsamari tipo Isings 10, ovvero i balsamari per eccellenza con corpo globulare, che si rinvengono dall’inizio e non oltre la metà del I secolo d.C. e probabilmente la forma Isings 6 è stata la variante più fortunata e riprodotta72. I balsamari a ventre emisferico includono anche gli esemplari con forme intermedie: il tipo Isings 6 - 8 ne è un esempio importante in quanto rappresenta i balsamari a ventre tondeggiante. Il nuovo tipo si differenzia dal precedente perché il collo si allunga e il corpo ha forma meno regolare risultando più schiacciato. Tutte queste varianti sono giustificate dallo stesso De Tommaso De Tommaso 1990, pp. 37 - 38. Maccabruni 1983, p. 110. 68 Isings 1957, p. 22. 69 Isings 1957, pp. 22 - 23. Scatozza, p. 57. De Tommaso 1990, pp. 42 - 43. 70 Scatozza 1986, p. 57. La studiosa Isings precisa la caratteristica di questi balsamari definendoli Bulbus unguentarium with short-neck, appunto con breve collo, ma vengono comunque compresi nel tipo 45 Scatozza. 71 Scatozza 1986, p. 57. 72 Maccabruni 1983, p. 109. Per i balsamari tipo 10 Isings vedi nr. 67 - 75 p. 139. Per i balsamari tipo 6 Isings vedi nr. 77 - 90, pp. 140 - 141. 66 67 INTRODUZIONE 23 il quale ritiene che il tipo 12, corrispondente al tipo Isings 6 - 8, con il tempo abbia assimilato una variante con corpo ovoidale e aspetto più tozzo, probabilmente in età neroniana ma circoscritta a Roma e alle città vesuviane e che la Scatozza ha indicato con il tipo 4673. Inoltre gli esemplari provenienti da Ercolano prolungano la vita della forma fino all’età flavia e ne ampliano l’orizzonte di diffusione fino all’area vesuviana74. I balsamari corrispondenti a questa classificazione sono i numeri III.4 e 5 soffiati in vetro di colore blue o azzurro e hanno dimensioni in altezza comprese tra cm 7,4 e 10,5. In base alla moltitudine dei confronti con centri dell’Italia meridionale, a Pompei, Ercolano e Sepino, si può sicuramente stabilire che la nuova tipologia di balsamari non sia diffusa solo nella parte settentrionale della penisola come la precedente. Il balsamario numero III.1 appartiene tipologicamente al tipo 13 della classificazione De Tommaso per la particolare conformazione dell’orlo più spesso e distinto, non tagliato dunque. Per la conformazione globulare del corpo si rifà ai balsamari a piccolo ventre tondeggiante con cui condivide i confronti. Probabilmente si configura come una variante più tarda e rara del tipo 7 e 12 De Tommaso75. - Balsamari a ventre piriforme Allo stesso orizzonte cronologico dei balsamari a ventre emisferico appartengono i balsamari a ventre piriforme, largamente diffusi dall’età augustea alla fine del III secolo d.C.76 Di questo raggruppamento fanno parte dieci balsamari presenti nel Museo Civico di Baranello. Le caratteristiche comuni fanno riferimento ai tipi Isings 26 e 28, al tipo Scatozza 49 e ai tipi De Tommaso 27, 32, 41. La morfologia comune prevede un orlo semplicemente appiattito e ripiegato verso l’esterno, un collo cilindrico variamente lungo che presenta una strozzatura alla base e un corpo propriamente piriforme schiacciato verso il fondo che a sua volta può essere piatto o leggermente concavo. Al tipo 26 Isings corrispondono i numeri IV.1 e da IV.7 a 10 nella variante 26/a e sono i balsamari di piccole dimensioni tra cm 5,1 e 7. Questa tipologia si presenta come l’evoluzione del tipo 6 Isings ovvero dei balsamari a corpo emisferico dai quali differiscono per un ventre più schiacciato. All’interno di questa tipologia si distinguono due varianti apportate da De Tommaso: il tipo 27 corrispondente al numero IV.1 e il tipo 41 corrispondente ai numeri da IV.6 a 10. Il primo tipo risulta poco diffuso in Italia e ad Ercolano è presente un solo esemplare senza la strozzatura alla base del collo77 evidente invece nel caso del numero IV.1 ed è sicuramente più documentato nelle province transalpine78; il secondo tipo trova maggiori confronti nella penisola e potrebbe rientrare anche nella classificazione Isings al tipo 28/a inquadrato come l’esemplare più recente tra i balsamari piriformi e abbondante in contesti ercolanesi e pompeiani. Tradizionalmente viene indicata sempre un’altezza superiore ai cm 10 con il corpo che occupa la metà dell’altezza totale, rendendolo simile ad una piccola bottiglia79 ma questo fattore non è riferibile ai quattro balsamari in queDe Tommaso 1990, p. 46. Scatozza 1986, pp. 57 - 58. 75 De Tommaso 1990, p. 47. 76 Scatozza 1986, p. 64. 77 Bisogna sottolineare che una delle caratteristiche morfologiche importante di questa classe di balsamari, ovvero la strozzatura alla base del collo, è più diffusa in ambito orientale che in quello italiano. Scatozza 1986, p. 64. 78 Larese 2004, p. 39. 79 Isings 1957, p. 42. 73 74 24 AMELIA PISTILLO stione cui l’appartenenza a questa nuova tipologia risulterebbe forzata e pertinente solo considerando la forma del ventre. La tipologia è ricca di confronti in tutta la penisola, anche se è particolarmente frequente nell’Italia Settentrionale80. I quattro balsamari piriformi da numero IV.2 a 5, seppur presentano sensibili variazioni morfologiche81, sono ascrivibili al tipo 28/b della classificazione Isings, sempre nel contesto dei balsamari a ventre piriforme. Questa variante della forma 28 è dovuta al rapporto tra corpo e altezza totale nella misura di 1/3 o 1/4. È proprio la caratteristica dei balsamari in questione che presentano una bassa parete arrotondata verso l’interno. La forma è molto diffusa in tutta la penisola e amplia l’orizzonte cronologico fino al IV secolo d.C. 82 anche se altri studiosi non datano la forma oltre il II secolo d.C.83. Nel catalogo Barone vengono identificate come piccole ampullae dai colori particolari84, infatti le tonalità variano dall’ambra, al blue, al giallo e ovviamente al tradizionale verde. - Balsamari tubolari Sono i comunissimi balsamari a orlo espanso, semplicemente tagliato, con collo cilindrico strozzato alla base e ventre tubolare talora espanso verso il fondo. I balsamari tubolari, corrispondenti alla forma 8 della classificazione Isings sono largamente diffusi in tutte le regioni del mondo romano, dall’inizio del I secolo d.C. all’inizio del III secolo d.C.85. La studiosa Scatozza ha proposto un’ulteriore classificazione della forma 47, tipo Isings 8, in base ad elementi ricorrenti. La sua distinzione riguarda quattro sottotipi che giustificano le diversità morfologiche che presentano gli esemplari. Alla forma 47/a si ascrivono i balsamari “a goccia” con ventre non distinto dal collo e il fondo desinente proprio in questa forma, quindi una base arrotondata. Nella collezione Barone nessun balsamario rientra perfettamente in questa tipologia, anche se la forma del fondo convessa dei numeri V.1, 3 e 12 potrebbe rimandare al tipo 47/a86. Una variante di questa forma è il tipo 27 Isings.87 È chiamata test-tube unguentarium proprio perché tipologicamente è assimilabile alla forma delle moderne provette. Appare dalla fine del I secolo d.C. e resiste addirittura fino al IV secolo d.C. sia nelle province transalpine che in Oriente, diffondendosi ovunque compresa l’area di Pompei ed Ercolano. Tra gli esemplari analizzati, nessuno calza perfettamente con la descrizione di questa variante a profilo continuo; probabilmente il frammento numero V.12 non possiede la rastremazione alla base del collo tipica di questo tipo e del tipo 47/a. L’ulteriore classificazione della forma 47 in b, c, d non si riferisce a vere e proprie differenze morfologiche: la discriminante è data dalla diversa altezza del collo in relazione con il ventre più o meno schiacciato e un fondo appiattito e leggermente convesso rispetto alla forma 47/a88. Al tipo 47/b si ascrivono cinque balsamari della collezione Barone soffiati in vetro di colore ambra o verde con diverse sfumature e con un’altezza compresa tra cm 8 e 11,5. La caratteristica De Tommaso 1990, pp. 64 - 65. Gli orli dei nr. IV.4 e 5 appaiono irregolari e svasati, una chiara denuncia di quanto il materiale vitreo sia soggetto ad errori durante la sua lavorazione per via della sua delicatezza. 82 Isings 1957, pp. 34 - 35 83 De Tommaso 1990, p. 58; Larese 2004, p. 67. 84 Barone 1899, p. 90. 85 Isings 1957, p. 24. 86 Scatozza 1986, per la forma 47/a cfr. con i nr. da 147 a 171, tav. XXXV. . 87 Per il tipo 27 Isings vedi Isings 1957, p. 41 e Maccabruni 1983, p. 151 e cfr. con nr. 185 p. 168. 88 Scatozza 1986, pp. 58 - 62. 80 81 INTRODUZIONE 25 che li accomuna è il collo più corto rispetto al ventre. Inoltre i numeri V.1 e 2 possono essere ulteriormente distinti per la conformazione del ventre che non si slarga verso la base, dai quali differiscono i numeri V.3, 4 e 5 che possiedono questa caratteristica. Si tratta delle varianti che De Tommaso esprime in relazione ai balsamari tubolari: il tipo 60 per i primi due e il tipo 67 per i restanti tre89. Entrambi i tipi ricoprono un arco temporale comune con la massima attestazione nel periodo tiberiano e hanno diffusione in tutta la penisola90. I balsamari tubolari da V.6 a 8 sono gli esempi che si riferiscono al tipo 47/c della classificazione Scatozza, con la caratteristica essenziale del collo più lungo rispetto al corpo tubolare. All’interno di questa classe di balsamari si riconoscono delle varianti distintive che suggeriscono un’ulteriore distinzione garantita dalla classificazione di De Tommaso; il riferimento è al tipo 71 e 72. I balsamari numero V.7 e 8 appartengono al tipo 71 De Tommaso in quanto hanno corpo tubolare con parete solo lievemente inclinata all’esterno. Il tipo 72 De Tommaso è invece riferibile al nr. V.6 che ha la caratteristica del ventre espanso in modo accentuato rispetto al tipo 71; inoltre questo balsamario è immediatamente riconoscibile per il colore forte, il verde scuro, utilizzato per la sua lavorazione che non trova esempi similari negli altri balsamari della collezione Barone. Al tipo 47/d della classificazione Scatozza si riferiscono i restanti balsamari tubolari, caratterizzati da uguale lunghezza del collo e del corpo la cui parete si allarga lievemente in corrispondenza del fondo. Non si riscontrano particolari differenze tra questi balsamari, sono tutti ascrivibili al tipo 70 della classificazione De Tommaso. La forma è assai diffusa, sia in Italia settentrionale, sia nelle regioni centro-meridionali91. Per il numero V.12 è possibile identificare solo la tipologia generica inquadrandolo al tipo 8 Isings e 47 Scatozza, senza poter proporre sottotipi in quanto si tratta di un balsamario mancante della parte superiore. La parte inferiore è affine ai numeri V.1 e 3 che potrebbero identificarsi come balsamari “a goccia”. Riguardo alle minime variazioni fisiche che si registrano all’interno della grande classe dei balsamari tubolari non possono essere ristretti a tipologie minori92. Bisogna certamente considerare che la forma Isings 8 comprende al suo interno differenziazioni tipologiche evidenti, visibili nei restanti esemplari del Museo ascrivibili a questo gruppo ma è necessario inquadrarle come varianti di una produzione che ebbe larga diffusione e fortuna in quei secoli senza utilizzarle per stabilire una rigorosa seriazione cronologica. - Balsamari campanulati Gli elementi distintivi dei balsamari campanulati sono il lungo collo cilindrico e la forma del corpo tronco-conico o campaniforme con pareti dall’andamento curvilineo più o meno accentuato e il fondo può essere arrotondato, o appiattito contro una superficie, oppure leggermente incavato. È presente altresì la strozzatura alla base dell’alto collo molto sviluppato in questo tipo di balsamario. Costituisce una particolare versione del tipo di unguentario 82 B 1 della classificazione Isings datata dal I secolo d.C. per tutto il secolo successivo. Isings definisce le diverse forme di balsamari a lungo collo del II secolo d.C. Candlestick unguentarium, considerandole come varianti dello stesso tipo, la Forma 8293. De Tommaso 1990, pp. 78, 81 - 82. Larese 2004, il tipo 67 della classificazione De Tommaso anticipa la cronologia all’età augustea, p. 40. 91 De Tommaso 1990, pp. 83 - 84. 92 De Tommaso 1990, pp. 78, 81, 83. 93 Isings 1957, pp. 97 - 99. 89 90 26 AMELIA PISTILLO Si ascrivono uniformemente al tipo Scatozza 48 e al tipo De Tommaso 46. Sono attesti fin dall’età Flavia, tanto nel settore occidentale, che in quello orientale dell’impero e resteranno in uso con poche varianti per tutto il corso del secolo successivo. Si è certi che le principali officine proliferassero in Siria, a Cipro, in Egitto, in Italia Settentrionale e nelle province occidentali. Dalle forme caratteristiche della prima metà del I secolo d.C., da cui probabilmente derivano, si differenziano per le dimensioni maggiori, l’altezza è generalmente superiore a cm 10 e per il notevole sviluppo del collo; non si riscontrano variazioni tipologiche sostanziali: in questo caso l’abilità del vitrarius non ha modo di manifestarsi, poiché le suddette forme sono frutto di pochi gesti ripetitivi e di una produzione standardizzata94. Stupisce che ad Ercolano vi sia un solo esempio e a Pompei nessuno rispetto alla collezione Barone che vanta dieci esemplari. Anche a Sepino sono documentati altri due esemplari. Probabilmente in una collezione che proviene maggiormente dall’area vesuviana è possibile che Barone si sia assicurato per primo i balsamari campanulati tanto rari anche nel resto della penisola, infatti rispetto ad altri tipi di unguentari, la forma in questione non è molto frequente se non limitatamente ad alcuni settori95. - Balsamari deformati Nella Vetrina XXVII sono esposti dodici balsamari deformati presumibilmente dalla lava vulcanica del 79 d.C. e quindi provenienti dalle zone vesuviane. Tutti gli esemplari sono danneggiati e deformati e la maggior parte è rappresentata da frammenti per cui non è possibile pervenire ad una classificazione tipologica. Solo per i numeri VII.1, 2 e 3 si conserva tutta la presumibile altezza, per il restante si conserva o solo la parte superiore o quella inferiore con parte del collo. Vi sono due balsamari, i numeri VII.11 e 12, che sono addirittura schiacciati su loro stessi e nella massa informe non si riconosce nessuna porzione del corpo iniziale. Anche i colori sono generalmente opacizzati con la presenza di abrasioni varie, chiara denuncia della circostanza per la quale si trovano in questo stato. Inoltre all’interno dei balsamari integri vi sono ancora tracce di sostanze incenerite. In conclusione non è possibile ricostruirne l’antico splendore né rintracciare il metodo di produzione, anche se si potrebbe ipotizzare la soffiatura libera sicuramente la tecnica “regina” per i balsamari in vetro. - Balsamari di forme particolari A rappresentare la categoria di bottigliette balsamari soffiate in stampo vi sono due esempi ed entrambi si inseriscono appieno nella tipologia che Isings identifica come la 7896. Il gusto di questi tipi a stampo con decorazione naturalistica ebbe forse origine orientale e furono conosciuti al mondo romano dal I secolo d.C. inoltrato. Il tipo si ispira probabilmente a modelli fittili. Al tipo 78/a Isings, al tipo 33 Scatozza e al tipo 81 De Tommaso corrisponde la numero VIII.1 ovvero la bottiglietta balsamario cefalomorfa, comunemente chiamata anche a testa di negro perché è la tipologia meglio rappresentata nei pochi esemplari rinvenuti a Ercolano, Pompei e Padova. Altrove le varianti diffuse sono a testa di Medusa e di Giano, ma sono attestate soprattutto nelle Maccabruni 1983, pp. 150 - 152. Larese 2004, p. 68. 96 Isings 1957, pp. 93 - 94. 94 95 INTRODUZIONE 27 regioni orientali fin oltre il III secolo d.C.97. Probabilmente in occidente e in Italia erano prodotte localmente ma in percentuale sicuramente minore rispetto alle altre tipologie di balsamari, data l’esiguità degli esemplari. Al tipo 78 c/e Isings, al tipo 35 Scatozza e al tipo 78/79 De Tommaso corrisponde la bottiglietta balsamario fitomorfa. La classificazione appare alquanto generica poiché non è possibile identificare il balsamario né a forma di pigna né a forma di grappolo d’uva. L’esemplare ha caratteristiche comuni sia all’uno che all’altro tipo: il corpo punterellato e le grinze realistiche lo accomunano alle due tipologie; la base costolata a mò di fiore non è ascrivibile alle due tipologie citate. Infatti i balsamari conformati a grappolo d’uva e a pigna terminano entrambi a punta o comunque con una convessità accennata. Inoltre il tipo a grappolo esiste nella variante senza anse, come l’esemplare in questione, sia a Pompei che a Aquileia98 ed è ritenuta una produzione standardizzata italica. L’orizzonte cronologico identificato va dalla metà del I secolo d.C. al II d.C., la presenza a Ercolano e Pompei di balsamari similari consente di anticipare gli inizi di questa tipologia agli anni precedenti al 79 d.C.99. Il frammento di balsamario fitomorfo potrebbe essere interpretato anche come un tappo considerando il breve collo cilindrico immaginato come l’innesto nella bottiglia e il corpo punterellato come la parte che fuoriesce; purtroppo l’oggetto è un frammento e inoltre non si hanno confronti necessari ad avvalorare questa ipotesi. - Balsamario olliforme L’unico esemplare di balsamario olliforme in vetro è indicato con il tipo IX. L’ingresso di questa nuova forma è ascrivibile alla seconda metà del I secolo d.C. fino al secolo successivo, anche se si pensa addirittura fino al IV secolo d.C.100. Si tratta di produzioni piuttosto comuni tra il vasellame vitreo e furono rinvenuti in diverse aree della penisola tra cui la Valle del Reno, Aquilea, il territorio dell’Irpina ed ovviamente Pompei e Ercolano. Ai numeri 12767 e 12768 della tavola XXI provenienti da Pompei si avvicina per caratteristiche comuni il balsamario olliforme analizzato. L’esemplare è inquadrato nell’ambito della classificazione Isings al tipo 68 e nello stesso orizzonte cronologico che vede la produzione di ollette con ventre globoso oppure ovoide riconducibili al tipo Isings 67 a e b101. La distinzione operata dalla studiosa Scatozza è sulla base della differenza funzionale: al tipo 58 a, b e c riconduce le ollette con funzione di contenitore di unguenti e che differiscono anche a livello morfologico: una ridotta altezza che indica sicuramente l’utilizzo di contenitore per cosmesi, anche l’orlo che risulta ripiegato orizzontalmente verso al bocca. Una differenziazione necessaria perché le ollette ovoidi al tipo Isings 67 a e b sono usate anche in ambito funerario, infatti esistono varianti anche di grandi dimensioni e spesso sono dotate di coperchi102, la stessa presenza sia in contesti funerari che abitativi ne chiarisce la duplice funzione. De Tommaso 1990, p. 90. De Tommaso 1990, p. 88. 99 Scatozza 1986, p. 52. 100 Larese 2004, p. 69. 101 Isings 1957, differisce dal tipo 68 a/b/c per via della diversa funzione, pp. 86 - 87. 102 Scatozza 1986, pp. 68 - 70. 97 98 28 AMELIA PISTILLO - Ampolline e fiaschette In questo paragrafo saranno evidenziate quattro forme particolari relative a ampullae o fiaschette che non è possibile ricondurre alle tradizionali classificazioni Isings, Scatozza, De Tommaso ma che nel panorama di contenitori di forma chiusa probabilmente in passato hanno avuto la stessa destinazione d’uso dei tipici balsamari. Purtroppo non è stato possibile giungere ad una cronologia per via dei pochi dati in possesso e per l’assenza di confronti. I numeri X.1 e 2 presentano caratteristiche comuni: entrambi hanno un corpo sferico e piatto che li accomuna alla moderne fiaschette e presentano un orlo poco svasato e rientrante all’interno che garantisce la minima dispersione del liquido evidentemente contenuto all’interno. Il foro addetto alla fuoriuscita si presenta molto stretto e avvalora ancora di più l’ipotesi che il liquido contenuto dovesse essere versato in piccole quantità. Per quanto riguarda i colori, presentano tonalità iridescenti che vanno dal verde all’azzurro. Le dimensioni sono comprese tra cm 5,4 e 7,4. Ad una differente tipologia sicuramente appartiene la numero X.3 con forma particolare: il corpo è rettangolare e i quattro lati sono solcati da depressioni circolari che permettono una migliore presa dell’oggetto, non è quindi soltanto una caratteristica estetica. Anche il fondo appare molto concavo e allo stesso modo dei precedenti presenta una tonalità particolare relativa al giallo. Anch’essa nel catalogo Barone è definita ampulla e sicuramente assolveva alla stessa funzione di contenitore di liquidi. Questa tesi è avvalorata dalla conformazione dell’orlo molto svasato e imbutiforme per permettere la libera fuoriuscita del liquido contenuto. L’ultima ampollina (X.4) è l’unico esemplare con corpo perfettamente conico dell’intera collezione Barone. Anche l’orlo è particolare: perfettamente orizzontale e molto largo. La particolarità sta nel forellino centrale, il più stretto documentato tra tutti i reperti analizzati. Anche per questa ampollina, così come per i numeri X.1 e 2, la funzione era sicuramente di dosare un liquido prezioso che non potesse essere disperso anzi addirittura centellinato, così come ci suggerisce anche l’altezza di 4 cm. - Olla cineraria Si è molte volte discusso sulla funzione principale connessa ai contenitori in vetro. Spesso è la forma stessa che denuncia la destinazione d’uso. Il variegato mondo dell’instrumentum vitreum entra appieno, probabilmente con un ruolo principale, nell’ambito funerario attraverso la produzione di differenti olle. La conformazione delle stesse e i ritrovamenti associati in contesti tombali rendono spontanea la funzione di contenitore di ossa combuste103. Il reperto rientra nella classificazione Isings al tipo 63 e al tipo 57 Scatozza in un orizzonte cronologico che va dalla seconda metà del I secolo d.C. al secolo successivo. I vasi di questo tipo sono immediatamente riconoscibili dal corpo globulare e dalle anse a lobo doppio, definite ad “m”, per la caratteristica forma. Per quanto riguarda l’orlo si presenta con differente conformazione: con bordo arrotondato semplice, con ampio colletto ripiegato verso l’esterno e verso il basso oppure con bocca carenata104. Questa differenziazione rende ancora più degna di nota l’olla della collezione Barone poiché presenta un orlo completamente sconosciuto Scatozza 2012, l’esemplare di Pompei è stato rinvenuto anella Necropoli di Porta Nola nella tomba di Obellio Firmo, tav. LXVI. 104 Isings 1957, pp. 81 - 83. 103 INTRODUZIONE 29 ai confronti e alla biografia esistente. L’orlo è alto 1,4 cm e presenta una carenatura interna per accogliere il coperchio. Le olle del tipo ad “m” appaiono in minor misura rispetto alle coeve di forma simile con anse a forma di Ω (omega), molto popolari in Italia e nella Gallia meridionale105. A sua volta il coperchio appartiene alla forma Isings 66/b, molto più numerosa rispetto agli altri coperchi del tipo 66. Anch’esso è ovviamente coevo all’olla perché ne costituisce una parte fondamentale. Si distingue nella parte superiore per la presa con orlo estroflesso e collo a bottiglia, mentre nella parte inferiore per il corpo piatto e il bordo ripiegato all’interno. Un esempio simile ma ricomposto in frammenti proviene da Ercolano dal contingente di vasellame vitreo della fabbrica di Publius Gessius Ampliatus106, rinvenuto imballato sul Decumano Massimo107. Altri esempi calzanti da Adria e Padova. Purtroppo l’olla cineraria di Pozzuoli manca del coperchio ma è presente invece nell’altro esemplare di olla con corpo ovoidale ed è di forma conica, probabilmente non attinente alla stessa108. - Forme aperte e frammenti Questo paragrafo è dedicato ai frammenti di vetro di dimensioni e colori differenti, collocati casualmente nel ripiano inferiore della Vetrina VIII. Sono presenti trentacinque frammenti, perlopiù pareti, e per la quasi totalità non è possibile pervenire a datazioni cronologiche o chiarimenti riguardo alla tipologia di appartenenza. I reperti sono stati prima inventariati con numeri progressivi da 1 a 35 poiché non presentano il numero d’inventario che fa riferimento al catalogo Barone. Solo un frammento è corredato del numero d’inventario 795 e corrisponde ad una patera con dentro frammenti di lastre di vetro per telai di finestre, frammenti di vetro a colori marmorizzati ed a millefiori109. Nella descrizione non è specificato di quale materiale sia la patera, oltretutto non è rintracciabile nella Vetrina stessa: con probabilità la patera fu collocata dal Barone al momento della catalogazione e successivamente spostata o addirittura persa. La descrizione è però calzante per i frammenti a vetro millefiori e marmorizzato ma gli stessi non sono disposti all’interno di un contenitore. Per una generica classificazione si è pensato di prendere in considerazione soltanto i frammenti con evidenti affinità e con presumibile appartenenza alla stessa forma integra. Solo in un caso è stato possibile accertare la tipologia e quindi arrivare ad una datazione. Si tratta della coppa emisferica liscia numero XII.1110, appartenente al tipo 1 della classificazione Isings e Scatozza denominata linear cut e frequente dal I secolo a.C. alla prima metà del I secolo d.C. È un tipo di coppa che si trova comunemente associata al vetro millefiori e attestata con pochi frammenti ad Ercolano e Pompei. Per ottenere il vetro millefiori o mosaico si utilizzava la medesima tecnica adottata per vetri Isings 1957, p. 84; Larese 2004, p. 32. Scatozza 2012, la gens Gessia, coinvolta nel commercio di tipici prodotti orientali, come vetri e profumi, promosse il sorgere di una lavorazione attraverso un proprio liberto, come indica il cognomen Ampliatus, tipicamente servile. La sede fu probabilmente Puteoli, il maggior scalo commerciale dell’epoca e sede di colonie orientali. Mancano attestazioni della gens in questione a Ercolano e Pompei, p. 63. 107 Scatozza 1986, p. 72. 108 Collezioni Napoli 1986, p. 223. 109 Barone 1899, p. 92. 110 Fanno parte della coppa quattro frammenti non combacianti tra di loro. Si è risaliti alla forma tramite il disegno e i relativi confronti di un solo orlo, indicato al momento della catalogazione, con il nr. XII.10. 105 106 30 AMELIA PISTILLO policromi ottenuti con sezioni di canne di colori e di dimensioni diverse, fuse insieme e lavorate successivamente secondo la tecnica della modellazione su forma. Tale tecnica presupponeva l’uso di una matrice emisferica sulla quale veniva colata la necessaria quantità di vetro e si assicurava un metodo veloce ed economico per ottenere oggetti vitrei concavi111. La coppa è stata realizzata con questa tecnica ed è in vetro millefiori turchese con elementi di forma ovale irregolare e contorni di colore bianco latte. L’orlo presenta una particolare decorazione incisa a fitti trattini che ne delineano l’altezza. Questo tipo di coppa è attestato oltre che in Italia, anche nelle regioni germaniche e galliche e si pensa che la produzione avvenisse proprio in Campania112. Degli altri frammenti analizzati è stato possibile ricostruire il profilo di cinque orli: tre appartenenti ad una coppa o piatto di vetro bordeaux striato che presenta una scanalatura nella parete interna sotto l’orlo113 e due appartenenti presumibilmente ad una coppetta di vetro marmorizzato114. Purtroppo i pochi dati disponibili non ci consentono di proporre una classificazione tipologica e la datazione dei reperti. Altri frammenti appartengono alla variegata classe dei vetri marmorizzati, ovvero quei vetri che presentano striature di diversi colori ad imitazione del marmo stesso. Due sono le ipotesi riguardo questa tecnica di lavorazione. Secondo la prima ipotesi si fondevano delle canne colorate in una matrice in terracotta e per creare la cavità interna veniva inserita un’asta di metallo; successivamente la superficie esterna del vaso veniva polita. La seconda ipotesi prevede la soffiatura di bastoncini in vetro colorato e assemblati nell’ordine desiderato115. Tra i frammenti della Vetrina VIII compaiono esempi di vetro per finestre. La necessità di schermare le finestre con materiali trasparenti indirizzò la produzione del vetro alla realizzazione di lastre già in epoca romana. Le lastre di piccole dimensioni, non più di cm 50 × 80, erano prodotte colando il vetro su una piastra e tirandone le estremità con pinze o altri attrezzi fino a riempire i bordi di uno stampo. Queste lastre sono facilmente riconoscibili per l’irregolarità dello spessore, sottile al centro e spesso e arrotondato ai bordi ed evidente negli esempi descritti. - Bacchette vetro Le bacchette di vetro sviluppate in lunghezza e con asta a sezione circolare sono definite dalla studiosa Isings stirring-rod, ovvero bacchette per mescolare ma non specifica la destinazione d’uso116. Le differenti ipotesi proposte per spiegare la loro funzione partono dal presupposto che tali reperti sono strettamente connessi al mondo femminile. Alcuni studiosi ritengono che fossero adoperati per mescolare e per estrarre sostanze aromatiche e profumi dai balsamari, come sembra documentare una recente analisi svolta in alcuni contesti abitativi di Pompei in cui questi oggetti sono stati rinvenuti unitamente ai balsamari117. Tali reperti vitrei sono diffusi in tutte le regioni delSternini 1995, pp. 101 - 102. Scatozza 1986, p. 25. 113 La coppa o piatto nr. XII.2 corrisponde alla ricostruzione dei tre orli indicati al momento della catalogazione con i nr. da 27 a 29. Vedi scheda di riferimento. 114 La coppetta nr. XII.3 corrisponde alla ricostruzione di due orli indicati al momento della catalogazione con i nr. 4 e 8. Vedi scheda di riferimento. 115 Sternini 1995, pp. 108 - 109. 116 Isings 1957, pp. 94 - 95. 117 Larese 2004, pp. 43 - 44. 111 112 INTRODUZIONE 31 l’Impero sia in abitati ma soprattutto in tombe femminili e attestati, seppur sporadicamente, addirittura dall’età ellenistica. Erano prodotte con una barra di piccolo-medio spessore di vetro fuso, non soffiato dunque e in diverse forme. I quattro esempi della collezione Barone sono probabilmente la tipologia più semplice attestata per le bacchette. Generalmente hanno un’estremità appiattita, ma sono frequenti anche altre terminazioni. La studiosa Scatozza identifica questi lunghi elementi cilindrici “lance” con alette arrotondate ai lati della punta con la medesima funzione dei mescolatoi118. Precisa, inoltre, che si conoscevano oggetti in vetro che imitavano prototipi in metallo come strigili e aghi ma non lance, che appaiono per la prima volta ad Ercolano119. Le bacchette della collezione Barone sembrano somigliare molto alle “lance” della Scatozza se non altro per l’asta a sezione circolare e l’estremità appiattita; mancano nella collezione esempi con la terminazione a punta e alette ai lati. Altrove le bacchette hanno diverse forme come a Pompei, dove la terminazione è a calotta o nelle collezioni del Museo Civico di Pavia dove sono presenti diversi esemplari sicuramente più elaborati grazie alla presenza di un filamento in pasta vitrea applicato a caldo che corre a spirale lungo l’asta120. - Tappi Alla tipologia dei tappi vanno ascritti tre esemplari collocati nella Vetrina VIII. Nel catalogo Barone vengono definiti obturacula a sinonimo di tappi per chiudere bottiglie o vasi simili121. Purtroppo non abbiamo testimonianze o confronti che ci possano chiarire la datazione. Sicuramente furono prodotti a corredo di bottiglie in vetro e presumibilmente della stessa tonalità cromatica. Il vetro è generalmente scuro con striature policrome e la produzione riferibile è quella a stampo anche perché sono forme molto semplici ed erano prodotte in serie. L’altezza non supera cm 2,3 e il diametro della parte superiore e la parte esterna, fuori dal collo della bottiglia, non supera cm 3. Grazie a questi dati si può supporre che le forme chiuse che accoglievano i tappi non dovessero essere molto grandi. - Pedine da gioco Le pedine da gioco, chiamate comunemente latrunculi, sono dei piccoli tasselli circolari con un diametro non superiore a cm 2 e presentano una forma generalmente circolare con la superficie superiore convessa e quella inferiore piatta, rientrando appieno nella descrizione generale dedicata alle stesse122. Nel catalogo Barone vengono definite “dischi di vetro in vari colori”123, presenti in numero di quindici124, ognuna in vetro monocromo pieno che variano dal nero, al verde, al bianco con sfumature bordeaux e furono prodotte in vetro fuso oppure entro stampo. Plinio le ritiene prodotto della rifusione dei frammenti di vetro125. Per l’ampia diffusione di tali oggetti, dall’età preScatozza 1986, nr. 259, tav. XXIII. Scatozza 1986, pp. 72 - 73. 120 Maccabruni 1983, nr. 153 - 168, pp. 148 - 149. 121 Barone 1899, pp. 92 - 93. 122 Glossario delle forme vitree 1998, p. 249. 123 Barone 1899, p. 91. 124 La nr. XV.15 è l’unica pedina collocata nella Vetrina XXIII della seconda sala appartenente al repertorio proveniente da Monte Vairano; le restanti quattordici sono accuratamente esposte su una mensola della Vetrina VIII. 125 Plinio, Nat. Hist., XXXVI, 199. 118 119 32 AMELIA PISTILLO romana al Medioevo, è possibile definirne la cronologia esclusivamente sulla base dei contesti di provenienza e sono ampiamente documentate nel mondo romano già dal III secolo a.C. Per quanto riguarda la loro destinazione d’uso sono generalmente considerate pedine da gioco e impiegate per il ludus latrunculorum o il ludus duodecim scriptorum, ricordati da Ovidio, o ancora in un gioco simile al moderno tris. Sono attestate sia in scavi di abitato, sia in contesti tombali ma la maggior parte proviene da accampamenti militari126, suggerendo lo scopo preciso del gioco. Anche il diverso colore con il quale sono distinte indica la medesima funzione: le pedine chiare e scure potrebbero presumibilmente caratterizzare i diversi giocatori o i valori delle stesse127. La forma delle pedine potrebbe denunciare altri impieghi funzionali che vanno aldilà del contesto ludico: la base piatta supporterebbe anche l’ipotesi di un utilizzo decorativo, affermato per le pedine non perfettamente emisferiche128. Su una coppa in vetro, conservata al Museo Archeologico Nazionale di Esta, figurano dei bolli colorati e monocromi utilizzati come decorazione di una coppa inquadrata cronologicamente al IV - V secolo d.C. e ritenuta frequente sia in Occidente che in Oriente129. Un altro esempio proviene dalla collezione del Museo Archeologico di Ragusa, dove su una bottiglia di III - IV secolo d.C., appaiono dei bottoncini colorati in pasta vitrea e applicati sulla spalla130. Si potrebbe desumere che i dischetti colorati siano serviti come appliques sulle diverse forme in vetro oppure, data la cronologia piuttosto alta, che siano stati reimpiegati a questo uso. Inoltre la base piatta e le piccole dimensioni potrebbero denunciare la funzione di castoni per anello e aderire perfettamente all’interno degli spazi lasciati liberi nella parte superiore degli anelli per fungere da gemme seppur semplici, comunque considerate preziose dato che tradizionalmente al vetro, è dato l’incarico di sostituire i materiali più preziosi. Nel Museo “G. Barone” sono presenti due oggetti che da sempre sono riferibili allo scopo ludico: gli astragali numeri XV.16 e 17131. Si tratta della riproduzione in vetro o pasta vitrea del classico esemplare in osso, rintracciabile in natura perché presente nelle zampe posteriori di molti animali, dagli ovini ai cervidi. Sicuramente la riproposizione in vetro dell’astragalo è da leggersi come una variante del materiale usato ma l’utilizzo fu identico a quello dell’oggetto considerando anche la stessa conformazione, simile a quella di un parallelepipedo dalla forma allungata e stretta con quattro facce concave e altre due minori, inutilizzabili poiché l’oggetto non può restare dritto su una di esse. Il gioco degli astragali vanta un’origine antichissima: menzionato già nel mondo classico da Omero nell’Iliade (XXIII, 83 - 88) a proposito di una disputa avvenuta tra Patroclo e il suo avversario e in generale si ritiene fosse usato dai greci senza distinzione di rango o status sociale e a completamento rituale di ogni festino132. Dalla Grecia passò, con tutta probabilità, a Roma. Diversi studi hanno dimostrato che si giocava con quattro astragali di cui ad ogni faccia corrispondeva un nome diverso o valore stabilito in relazione alla frequenza della caduta. Una volta lanciati potevano sortire trentacinque combinazioni diverse, un gioco inteso sicuramente come una variante aii dadi Larese 2004, pp. 44 - 45. Masseroli 1998, p. 79. 128 Capecchi 1987, p. 209. 129 Larese 2004, coppa nr. 304, tav. CXXIII, p. 89. 130 Basile 2004, bottiglia nr. 123, tav. XXXII, p. 79. 131 Il nr. XV.17 è collocato nella Vetrina XXIII della seconda sala appartenente al repertorio proveniente da Monte Vairano; il nr. XV.16 è collocato nella Vetrina XXVII della prima sala e appartenente alla collezione Barone. 132 Rohlfs 1965, pp. 1 - 2. 126 127 INTRODUZIONE 33 a sei facce. Si ritiene che la combinazione più alta era il cosiddetto colpo di Venere relativo a tutte le facce diverse dei quattro astragali; il lancio peggiore era definito la combinazione del cane e prevedeva la caduta degli astragali con tutte e quattro le facce corrispondenti ad uno. Ovviamente il gioco degli astragali fu un primordiale gioco d’azzardo alla stregua dei dadi stessi con la particolarità maggiore dovuta ad una diversa morfologia, infatti possiede due facce più larghe e due più strette che rendono meno casistico e più difficile la fuoriuscita dei numeri o valori destinati alle facce più strette. Oltre che un gioco d’azzardo relativo alle generazioni più datate, l’astragalo era ricorrente anche nei giochi dei bambini, assumendo il solo aspetto ludico o addirittura di premio. Non siamo a conoscenza del contesto di ritrovamento degli astragali probabilmente anch’essi, così come la maggior parte dei corrispettivi in osso, erano destinati ai corredi funebri e ad avere una forte valenza simbolico-religiosa nell’accompagnare il defunto verso l’aldilà133. - Oggetti di ornamento È possibile ricondurre alla medesima esigenza di voler arricchire il proprio aspetto, l’uso di ornamenti personali quali collane e bracciali delle diverse fogge e dimensioni. La collezione Barone consta di sette collane, un bracciale e un vago vitreo descritti analiticamente nella scheda di riferimento. Purtroppo, per questa tipologia di ornamenti, non sono stati possibili confronti che risolvessero in modo puntuale il problema cronologico. Si configurano come oggetti di ornamento con una datazione ampia: si parla addirittura della Prima Età del ferro riferendoci all’unico bracciale costituito da vaghi decorati ad occhi di colore bianco e azzurro sui diversi fondi gialli, bianco e nelle tonalità dell’azzurro134. Questa particolare caratteristica è riscontrata in moltissimi esemplari provenienti dalla Sicilia e datati dal VI al IV secolo a.C. anche se si amplia l’orizzonte d’uso al periodo ellenistico. Per quanto concerne le collane in vetro e pasta vitrea, alcune con soluzioni decorative molto ricercate, non sono stati recuperati dati cronologici precisi: alcune forme particolari di vaghi, quali il vago a melone delle collane XVI.6 e 7, rimanda ad una datazione che va dal II secolo a.C. al III secolo d.C. Inoltre la doppia collana in pasta vitrea numero XVI.1 presenta dei vaghi simili ad un esemplare siciliano datato al VI secolo a.C. È importante sottolineare la particolarità del pendente appartenente alla collana numero XVI.5 che presumibilmente ha forma fallica come un pendente di diversa fattura conservato al Museo Archeologico di Gela e datato VI - V secolo a.C.135 Per quanto riguarda il luogo di rinvenimento probabilmente è da circoscriversi all’ambito funerario, poiché gli oggetti d’ornamento, in modo specifico le collane, sono conservati alla base del cranio del defunto. Invece i soli vaghi, non associati a collane o bracciali, sono stati rinvenuti anche sul petto in prossimità di fibule, nel cui ago si può supporre fossero infilate136. E proprio per sostenere questa ipotesi che vi sono molti esempi di vaghi utilizzati ad ornamento delle fibule, un esempio è rintracciabile nel Museo Civico Archeologico di Bologna, dove vi è una fibula in bronzo ad arco ribassato, risalente alla fine dell’VIII secolo a.C. che ha come ornamento diverse sfere di vetro verdi137. Per una disamina approfondita sul gioco degli astragali cfr. Rohlfs 1965 e De Grossi Mazzorin, Minniti, 2009. Per qualche esempio cfr. Bietti Sestieri 1979, p. 57. 135 Basile 2004, nr. 106, tav. XXVII. 136 Venustas 2007, p. 147. 137 www.glassway.org 133 134 34 AMELIA PISTILLO L’uso dei vaghi di vetro è quindi polivalente e si potrebbe supporre anche che le collane XVI.2, 3 e 4 non siano state confezionate come si presentano nella Vetrina VIII: il dubbio è nella catena che accoglie i vaghi la cui fattura è sicuramente moderna e potrebbe non essere l’originale, magari sostituita in tempi recenti. Nella scheda di riferimento compare anche un esempio di specchio in vetro dal colore verde iridescente con abrasioni varie. - IL MATERIALE BRONZEO - Origine e sviluppo del bronzo La storia dell’origine del bronzo è strettamente connessa all’utilizzo di un altro metallo conosciuto fin dai primordi, il rame. Fra le leghe del rame, il bronzo è forse quello che è stato usato più precocemente e in modo diffuso nell’antichità. La presenza di impurità nel rame, quali l’arsenico e lo stagno, permisero le prime, inconsapevoli, utilizzazioni di leghe di rame dando origine alla fabbricazione e alla lavorazione del bronzo. Quindi possiamo annoverare anche l’origine del bronzo ad una scoperta fortuita e degna di una conoscenza empirica e primordiale dell’uomo che man mano si è evoluta in conoscenza tecnologica delle caratteristiche del metallo dando vita ad una vera e propria rivoluzione. Difatti la scoperta dei metalli in generale e delle tecniche per estrarli costituisce uno degli eventi cruciali per la storia dell’uomo, al pari della rivoluzione avvenuta in seno alla scoperta dell’agricoltura e dell’allevamento. L’entità di questa rivoluzione è stata avvertita già dai più illustri personaggi del passato come Esiodo o Lucrezio138, i quali cominciarono a distinguere i diversi momenti storici affrontati dall’uomo sulla base delle nuove scoperte identificando l’uso del bronzo come un momento successivo all’uso della pietra e precedente all’uso del ferro. Solo al XIX secolo risale la distinzione nelle tre Età (del rame, del bronzo e del ferro) operata dallo studioso danese Christian J. Thomsen per l’inquadramento temporale della cultura materiale pre-protostorica ponendo le basi per la cronologia moderna. La distinzione cronologica oggi ha perduto il significato universale e viene usata piuttosto per indicare uno stadio, che non fu ovunque simultaneo, dello sviluppo economico e tecnologico di quelle civiltà che fecero uso dei diversi materiali in un periodo piuttosto che in un altro139. A suggerire l’origine della metallurgia, tema ancora controverso, vi sono due teorie fondamentali: la prima, sostenuta dai fautori migrazionisti e diffusionisti ipotizza che la metallurgia si sia sviluppata in ambito vicino - orientale e avrebbe poi raggiunto tramite la costa anatolica e l’egeo, i Balcani, per poi approdare in Europa centrale, considerata in condizioni di maggiore arretratezza rispetto al Vicino Oriente; la seconda è quella dei fautori dello sviluppo indipendente sostengono, invece, l’esistenza di più poli indipendenti, nei quali la metallurgia si sarebbe sviluppata in tempi anche diversi140. Cronologicamente l’Età del Bronzo, come Età intermedia tra l’Età del Rame e quella del Ferro in cui nella storia dell’umanità si affermò l’uso di strumenti e armi di bronzo, ha inizio nel IV millennio a.C. in Oriente e si diffonde nel III millennio a.C. anche in Occidente. In questo arco temporale si comincia ad usare sistematicamente la nuova lega metallica sicuraEsiodo (fine VIII - inizio VII sec. a.C.), Lucrezio (I sec. a.C.). Per il capitolo è stato consultato il sito www.treccani.it alla voce “Bronzo”. 140 I massimi esponenti del filone migrazionista - diffusionista sono Verre Gordon Childe e Theodore Wertime. Giardino 1998, pp. 6 - 7. 138 139 INTRODUZIONE 35 mente più resistente del metallo precursore, il rame. Il bronzo è costituito da ridotte percentuali di stagno disperse in soluzione entro il reticolo cristallino del rame. Il rame conferisce malleabilità al bronzo e lo stagno, invece, conferisce durezza. Questa combinazione di elementi consente la lavorazione plastica della lega141. Le principali aree identificate per l’estrazione del rame sono tutte localizzate nelle Americhe e nell’Africa centrale, zone inaccessibili per le civiltà euroasiatiche fino all’età moderna. Lo stagno proliferava invece in regioni ben precise come la Galizia, la Bretagna e la Cornovaglia e nella regione dell’Afghanistan, sicuramente la fonte principale del metallo per tutta l’Asia, purtroppo carente sotto questo punto di vista. In Europa non esistono giacimenti o aree in cui siano presenti, in forma e percentuali utilizzabili, ambedue i metalli contemporaneamente, quindi l’introduzione del bronzo come lega e la sua qualità comportarono lo sviluppo di circuiti commerciali, di reti di trasporto e scambio delle merci che giustificarono sicuramente l’importazione del metallo nelle zone dove stagno e rame scarseggiavano. - Tecniche di lavorazione Il bronzo può essere ottenuto in vari modi, dei quali, il più semplice e vantaggioso consiste nel fondere insieme stagno e rame allo stato metallico nello stesso crogiolo poiché lo stagno, una volta liquefatto, abbasserà il punto di fusione del rame. L’altra soluzione risulta più complicata poiché prevede l’ottenimento della lega mediante processi estrattivi su minerali contenenti naturalmente stagno e rame oppure mescolando intenzionalmente rame e casserite142. Questa soluzione comporta l’inconveniente di far liquefare prima il rame che ha una temperatura di fusione molto alta143. Le più antiche fornaci dovevano consistere in forni a pozzetto semplici, magari ricavati in depressioni o buche del suolo del diametro di circa cinquanta centimetri per poter contenere il minerale e il combustibile. Una variante accertata ma primitiva sembra essere il “vaso-forno” all’interno del quale erano inserite le scorie con minerale non ridotto e poi sottoposte ad alte temperature garantendo il trattamento di ossidi, di solfuri e carbonati144. I forni fusori ebbero quindi una lunga evoluzione, il più utilizzato consisteva nel ricavare un pozzetto concavo e profondo circa quaranta centimetri sormontato da sovrastruttura in pietra altrettanto alta. Il successo si ebbe quando, accanto a questa struttura principale, si cominciò a pensare allo smaltimento delle scorie non più direttamente nel forno stesso ma scavando una buca di fronte per permetterne la rimozione agevole attraverso un’apertura creata appositamente a questo fine145. Il punto di fusione del Rame (Cu) è 1084,6 °C; lo Stagno (Sn) fonde a 231, 93 °C. L’uso dello stagno determina strategicamente l’abbassamento del punto di fusione della lega fino agli 800 °C. Inoltre la percentuale dello stagno influenza anche la lavorabilità degli oggetti ricavabili dal bronzo: con una quantità compresa tra il 3 e l’8% di stagno, il bronzo è usato per la produzione di medaglie e monete; questa particolare combinazione permette di lavorare facilmente il metallo senza intaccare la sua resistenza; una lega con una percentuale variabile tra l’8 e il 12% è usata per la costruzione di armi, soprattutto asce; i bronzi con valori attorno al 20 - 30% garantivano una sonorità particolare ancora oggi usata per la produzione di campane; il bronzo con una quantità di stagno maggiore del 30% diventa troppo fragile per essere utile. 142 La casserite (SnO2) rappresenta l’unica forma conosciuta in antichità dello stagno poiché non si rinviene in natura allo stato metallico se non sotto forma di casserite o stannite, quest’ultima è la lega naturale di stagno e rame. 143 Giardino 1998, pp. 142 - 143. 144 Sono stati rinvenuti diversi esemplari di “vaso-forno” in Spagna, Anatolia e Cipro. Giardino 1998, pp. 58 - 59. 145 Gli esempi provengono da Timna per entrambi i forni fusori e datati rispettivamente alla fine del IV millennio; al XIV - XII sec. a.C. è datata la variante con buca per l’evacuazione della scoria. 141 36 AMELIA PISTILLO Le prime tecniche di lavorazione attestate furono la fusione a stampo e la laminatura. Per la prima tecnica citata era fondamentale l’uso di matrici mono e bivalve146, in pietra o in terracotta, che permettevano la fabbricazione in serie. Ovviamente le matrici monovalve sono costituite da un solo blocco nel quale era incavata la forma che si voleva produrre, per le matrici più complesse la lavorazione era prevista anche per le altre facce; nella forma si colava il metallo fuso proteggendo il tutto con una pietra piatta affinchè non si formassero bolle gassose causate dal repentino raffreddamento del bronzo. Il riconoscimento dei manufatti in matrici monovalve è di facile comprensione: non vi sono risalti, sporgenze o nervature al di fuori della superficie di colata. Per la matrice bivalve occorrevano invece due differenti blocchi di pietra sovrapposti lavorati su una o su tutte le facce e la colata avveniva nella parte superiore ad incasso conico, chiamato “imbuto di colata”. Per garantire la perfetta adesione delle due matrici si utilizza materiale isolante o perlopiù argilla. Una volta raffreddato il metallo si apriva la matrice e si otteneva ancora un manufatto grezzo, poi sottoposto ad operazioni di finitura147. Per quanto concerne la laminatura si martellava un pane di bronzo fino ad ottenere una lamina della forma e spessore desiderato. La microstruttura del metallo si allunga con la ripetuta battitura e si indebolisce creando come conseguenza la frattura. Per evitare questo, alla battitura si alternava il riscaldamento del metallo per renderlo più duttile e recuperare l’elasticità. Per i lavori di estrema finezza e soprattutto per l’oreficeria e la statuaria venne sviluppata la tecnica della “cera persa”; all’interno della stessa si riconosce una fase primordiale ove tale tecnica è stata riconosciuta con il nome di “tecnica diretta piena”, poiché il modello in cera era massiccio. È chiamata a “cera persa” in quanto la figura che si voleva realizzare veniva prima modellata in cera, con tutti i minimi particolari, compresi i “canali di sfiato” necessari per la fuoriuscita dei gas. La fase successiva prevedeva che il modello in cera fosse ricoperto di argilla cruda che una volta cotta eliminava la cera. Successivamente il bronzo veniva colato e scorreva a riempire tutti gli spazi lasciati liberi dalla cera e una volta raffreddata la forma, si rompeva ed eliminava. Invece per l’ottenimento di manufatti cavi, come nel caso della grande statuaria, la cera da modellare veniva preliminarmente spalmata su un’anima in terracotta e per evitare che si spostasse, dopo lo scioglimento della cera, venivano infissi dei distanziatori, perlopiù chiodi metallici sporgenti. Il resto del procedimento è lo stesso per i manufatti “pieni”. Un’altra variante della tecnica in questione è definita “indiretta”, che prevedeva di ricavare dall’originale una matrice negativa in gesso o terra realizzata mediante due o più valve. All’interno della matrice veniva versata la cera liquida e una volta solidificata, permetteva di ottenere un secondo modello in cera, ovvero il modello utilizzato che consentiva di produrre varie copie garantendo la salvaguardia dell’originale. Tale tecnica vide la propria origine nella zona di Cipro e nel XII secolo a.C. raggiunse notevoli livelli; arrivò nel bacino occidentale del Mediterraneo grazie al ponte di traffici costituito tra queste zone e la Sardegna nuragica148. Per la creazione di vasellame in lamina si utilizzava la tecnica della laminazione tramite martellatura di un disco di bronzo, sufficientemente riscaldato per garantire la duttilità del metallo e poi posizionato su una superficie piana o concava. Per le forme più elaborate, il disco veniva sa- Le matrici erano realizzate in materiale refrattario: in argilla, in pietra, spesso la steatite, in un impasto a base di sabbia o anche in lega di rame. 147 Lo Schiavo 2000, p. 43. 148 Per la tecnica a “cera persa” cfr. Lo Schiavo 2000, p. 47 e Giardino 1998, pp. 66 - 68. 146 INTRODUZIONE 37 gomato. Magari a corredare il vaso venivano aggiunte parti create a stampo quali anse o piedi e rifiniti con tecniche decorative. L’uso del tornio per la produzione del vasellame metallico è attestato dal IV secolo a.C. e frequente dall’età ellenistica149. Per quanto riguarda la decorazione realizzata sui manufatti bronzei si attinse al repertorio decorativo utilizzato anche per altri materiali: la decorazione ad incisione e a rilievo. - Classificazione: forme e tipi I manufatti in bronzo hanno da sempre affascinato l’uomo poiché tale lega rappresenta una delle materie prime più utilizzate in passato, tanto da attribuirne un periodo storico. Numerosi sono i manufatti archeologici in bronzo giunti fino a noi dai secoli passati, molti purtroppo hanno subito la sorte avversa della rifusione poiché il bronzo era considerato un materiale tanto pregiato da dover essere riutilizzato. Si hanno molte testimonianze di manufatti bronzei dalle più svariate forme e funzioni: a partire dall’instrumentum domesticum, alle necessarie armi da difesa o offesa, agli oggetti più ricercati relativi all’ornamento personale o relativi alla toletta, fino ai complementi d’arredo con alto valore simbolico e votivo rappresentate perlopiù da statuette figurate a fusione piena. Il repertorio tipologico della collezione Barone è ampio tanto da dedicare l’intera Vetrina VII, all’esposizione di queste meraviglie tecnologiche del mondo antico. Anche la Vetrina XXVII conserva maggiormente reperti bronzei dalle più squisite forme. Il materiale preso in considerazione è eterogeneo, organizzato qui secondo generiche affinità funzionali, creando grandi classi tipologiche per poi procedere ad un esame analitico di ogni singolo pezzo corredandolo di dati importanti per la periodizzazione e per denunciarne la funzione, quando non è esplicita. Nel dettaglio lo studio è riferito a ventinove forme relative a vasellame da mensa, a ventisei strumenti legati alle attività lavorative, a novantasei reperti relativi all’ornamento personale, tra i quali in piccola percentuale, compaiono i reperti legati alla toletta. Sono presenti cinquantuno bronzi figurati antropomorfi e zoomorfi e tra gli elementi legati all’arredo delle abitazioni compaiono anche tre lucerne, un candelabro, sette tra chiavi e elementi di serratura, cinque elementi di cardine e sei chiodi. I restanti reperti sono inquadrati rispetto alla funzionalità esplicita o meno. La maggior parte dei reperti presi in considerazione è dotata di un numero di inventario che fa riferimento alla catalogazione Barone e sono spiegati nelle edizioni del catalogo del 1897 e del 1899; i frammenti senza numero di inventario e i reperti inseriti all’interno di comparti, identificati da un solo numero di inventario, sono stati numerati provvisoriamente in ordine di schedatura con cifre arabe progressive. I materiali della Vetrina XXVII sono provvisti di una numerazione speciale che non è presente nelle edizioni del catalogo Barone sopra citate150. Lo studio degli esemplari è organizzato per “tipi” differenti e ordinati dal dal momento iniziale dell’attestazione. Sono presentate le caratteristiche morfologiche e discusse le problematiche inerenti alla funzione, alla datazione, alla diffusione e alla produzione. I diversi tipi sono numerati progressivamente e corredati da schede tecniche dov’è specificato il numero di inventario, la deGiardino 1998, p. 71. Mi riferisco ad una nuova catalogazione effettuata presumibilmente in tempi successivi al reperimento dei materiali della Vetrina XXVII, realizzata da incaricati della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Molise. 149 150 38 AMELIA PISTILLO scrizione morfologica e tipologica, nonchè i confronti possibili. Le schede sono corredate dalla foto del reperto e in alcuni casi dalla tavola relativa al disegno archeologico. Dei singoli pezzi è quasi sempre sconosciuto il contesto di appartenenza e le relative indicazioni sulle località di ritrovamento anche se si suppone che la maggior parte dei reperti provenga dalla zona vesuviana in relazione alla biografia del collezionista. Il raffronto stilistico risulta importante ai fini di questa ricerca, invece le osservazioni possibili attraverso l’esame delle tecniche di lavorazione utilizzate non fornisce indicazioni particolarmente significative, essendo possibile riconoscere solo i procedimenti di lavorazione base, fusione o lavorazione a martellatura, comuni a tutti i centri a cui è possibile ricondurre le varie produzioni. In seguito all’osservazione dei manufatti sono stati individuati sei gruppi principali con relativi sottogruppi per procedere ad una descrizione lineare del contenuto. Bisogna sottolineare che la maggior parte dei manufatti bronzei non presenta caratteristiche intrinseche tali da permettere una determinazione cronologica soprattutto in considerazione del fatto che certe forme e certe tecniche di fabbricazione degli oggetti di uso più comune si mantengono invariate per molto tempo. - Vasellame bronzeo Nel Museo “G. Barone” sono presenti variegati esempi di vasellame bronzeo purtroppo senza alcuna indicazione sulla provenienza degli stessi. Una classificazione in base alla cronologia appare quindi difficoltosa, considerando che si tratta di reperti attestati in un arco cronologico molto ampio. Si è proceduto ad una distinzione in base alla forma, chiarendone anche l’utilizzo dove è stato possibile accertandolo tramite appositi confronti esplicitati nelle schede di riferimento. Con certezza l’utilizzo del vasellame bronzo denota la diffusione, probabilmente collegata a produzioni anche locali, di un materiale certamente più costoso delle suppellettili fittili. La rarità che spesso accompagna i recipienti in bronzo risulta consequenziale all’alta specializzazione raggiunta per i recipienti ceramici e alla complessità della tecnica per la realizzazione di tale materiale. Per questi motivi i bronzi erano oggetto di doni, anche a carattere diplomatico, di commerci su medie e lunghe distanze, e talvolta di fenomeni di tesaurizzazione. Nelle civiltà classiche i recipienti in bronzo furono creati per usi diversi: per la cucina e la mensa, per le abluzioni nella casa o nelle terme, per particolari forme di riscaldamento, per i riti religiosi. La funzione condizionava la forma dei contenitori, ma oggi è spesso difficile comprenderne l’uso preciso. Si è accertato che in Italia non sono ben conosciute tutte le forme relative al materiale bronzeo, rispetto alle regioni poste oltre il limite dell’Impero e la stessa sorte è condivisa per i reperti del bacino mediterraneo. Probabilmente le vie commerciali più praticate erano quella Danubio - Boemiania e quella Gallico - Germanica. Inoltre i vari autori del passato indicano come la Campania, e in particolare Capua, culle della produzione bronzea italica ricordate anche da fonti letterarie antiche151. Nella collezione Barone sono presenti dieci forme aperte, quattro forme chiuse e sei forme attinenti al repertorio miniaturistico, compresi due frammenti, relativi a questa tipologia. - Forme chiuse Per il repertorio dei recipienti di forma chiusa della collezione Barone la cronologia è molto Mi riferisco a Catone, Orazio, Plinio e Isidoro che indicano la Campania come grande area di produzione di suppellettile bronzea. Carandini 1977, p. 163. 151 INTRODUZIONE 39 alta e quindi rende ancora più apprezzabile tali reperti così datati. In genere alla forma chiusa è comunemente deputata per contenere sostanze liquide, perlopiù da bere, una funzione sicuramente attinente anche ai recipienti bronzei in questione. Il numero XVII.1 è un esempio di Schnabelkanne152 di probabile origine etrusca. La forma è relativa ad un oinochoe con lungo becco obliquo definito a “becco d’anatra” e corpo troncoconico, attestata agli inizi del V secolo a.C. in Etruria da numerosi esempi. Negli esemplari più antichi, come il reperto in questione, è caratterizzata da un corpo basso che si allarga marcatamente verso la spalla; nel corso del tempo il corpo tende a divenire più alto e ad allargarsi di poco153. Altri esempi simili sono presenti al Museo di Villa Giulia, provenienti da Veio e Tarquinia, e in altri Musei italiani con testimonianze relative al mondo etrusco154. La tipologia non si esaurisce soltanto nell’ambiente etrusco, altri rinvenimenti sono attestati in Magna Grecia e in ambiente celtico155. Barone descrive il reperto come un oinochoe con manico usato per versare il vino156 e sicuramente la destinazione d’uso attinente a questa forma, considerando anche il tipo di orlo trilobo funzionale allo scopo. Seguono tra i reperti di forma chiusa due olpai relative ad una tipologia di recipienti attestata in area etrusco-campana dall’ultimo quarto del VI alla metà del V secolo. a.C. Si ritiene che la produzione sia etrusca, localizzata a Vulci e poi attraverso canali commerciali giunta in Campania, non ritenuta però sede di un’eventuale fabbrica di questa tipologia di brocche in bronzo. In area campana si riscontrano numerosi esempi e probabilmente da questa zona giungono anche le due olpai della collezione Barone. A livello morfologico sono state suddivise in base alla proporzione tra la massima espansione del corpo e il collo e le olpai in questione rientrano nella prima variante, considerando che la massima espansione è a circa metà altezza e il collo è distinto. Vengono definite anche “affusolate” per via della conformazione del corpo che tendenzialmente è “a sacco” e rastremato nella parte inferiore. L’orlo, nel caso del numero XVII.2, è aggettante e ripiegato, come si evince dai numerosi confronti rinvenuti. Entrambe sono dotate di un’ansa sopraelevata e impostata sull’orlo o sotto di esso; la terminazione è in placca cuoriforme per il numero XVII.2, anche se in molti esemplari si è riscontrata una terminazione a figura leonina che ha dato luogo ad una classificazione puntuale157. Le due brocche appaiono in uno stato di conservazione pessimo: sono lacunose in più punti del corpo e nel reperto numero XVII.3 è stato inserito del materiale lanoso probabilmente per evitare che il reperto si rompesse. A corredare i reperti di forma chiusa vi è una brocca inquadrabile nella classificazione della Tassinari come una brocca con becco corto e corpo globulare158. L’orlo è molto semplice, rispetto agli esempi pompeiani, e riporta una fitta decorazione incisa su parte di esso. La caratteristica peculiare è la conformazione del corpo, globulare, inoltre è dotata di un’ansa a nastro, sopraelevata, molto particolare per via della placca terminante in figura bacchica. La tipologia, il relativo nome e la probabile area di produzione è stata attribuita per la prima volta da Jacobsthal in un’opera del 1929, nella quale lo studioso evidenzia le relazioni con il tipo VI degli oenochoai attici della classificazione Beazley. La forma compare successivamente in studi condotti da Bouloumié 1973 e più recentemente da Vorlauf 1997. 153 Zaccagnino 2006, p. 218. 154 Sgubini Moretti 2001, p. 85. 155 Vorlauf 1997, fig. 19. 156 Barone 1899, p. 65. 157 Per la tipologia delle olpai in bronzo vedi Guzzo 1970, p. 87 ss. 158 Tassinari 1993, pp. 90 - 91. 152 40 AMELIA PISTILLO - Forme aperte Nella scheda relativa alle forme aperte sono descritti analiticamente i reperti in bronzo caratterizzati tipologicamente dalla forma aperta della vasca. Per la quasi totalità degli esemplari è stato possibile ricondurli alla classificazione della studiosa Tassinari, la quale ha suddiviso il vasellame bronzeo proveniente da Pompei operando una distinzione in venticinque categorie, all’interno delle quali si riconosce un sistema gerarchico costituito da generi, specie, serie e tipi differenti 159 . Il materiale in questione si riferisce alle espressioni della cultura materiale riferibile al periodo romano: l’eruzione del 79 d.C. fornisce un terminus ante quem utile per la riflessione sulla circolazione di tali prodotti ma non sopperisce alla carenza di informazioni utile per un’esatta cronologia. La Tassinari ipotizza una data di fabbricazione solo per i recipienti rinvenuti in maggiore quantità affermando che il numero di tali reperti sia direttamente proporzionale alla fortuna che ebbe quella determinata tipologia; tutto ciò suggerisce una fabbricazione iniziata precedentemente l’attestazione, all’incirca all’inizio del I secolo a.C.160. Tale cronologia sembra pertinente alla casseruola numero XVII.2, anche se il Carandini circoscrive la produzione dall’età augustea fino alla metà del II secolo e identifica la presunta via commerciale, la Marsiglia - Rodano - Reno - Mar Baltico.161 Sono presenti in maggioranza i recipienti con ansa o manico orizzontale. Tra queste riconosciamo un esempio di patera, la numero XVIII.1, con manico che termina con un volto antropomorfo162. La decorazione potrebbe riferirsi ad una maschera ispirata al tiaso dionisiaco e quindi appartenere ad un satiro o un sileno con barba folta e lunga. Un’altra forma aperta è riconoscibile nella casseruola con manico a disco e foro rotondo, che Barone identificò come una trublia, ovvero una tazza da bere con manico orizzontale163. Probabilmente la funzione del recipiente è attinente alla descrizione di Barone ma la forma è inquadrata nella categoria che la Tassinari precisa per i recipienti bronzei con tali caratteristiche morfologiche ritenendole recipienti basilari in relazione al cospicuo rinvenimento nell’area vesuviana164. Per quanto riguarda la tecnica di lavorazione si è incerti nel proporre se si tratta di una fusione in lamina sottile e poi tornita, poiché vi è la sagomatura sulla superficie; il dubbio viene per l’esclusione della tecnica a fusione entro stampo che riguarda scuramente i manufatti più spessi165. Tra le forme aperte conservate nel Museo Civico “G. Barone” compare in quantità notevole, in numero di cinque, una tipologia di vasellame, il colatoio, che in antichità veniva chiamato “trulla”. Abbiamo notizie relative al nome antico, utilizzato principalmente dai romani, che si pone Cfr.Tassinari, 1993. Quest’opera è suddivisa in due volumi (testo e grafici) e raccoglie tutto il vasellame bronzeo rinvenuto a Pompei classificandolo secondo un’articolata tipologia, ideata dall’autrice stessa, che comprende tutti gli oggetti in bronzo di uso quotidiano, come brocche, casseruole, attingitoi, teglie, imbuti, ecc. Il catalogo è organizzato topograficamente, in rapporto al luogo di rinvenimento di ciascun oggetto. In conclusione, alcune osservazioni sulle decorazioni, sulle tecniche di fabbricazione, sull’uso dei recipienti, riflessioni su artigiani, botteghe e mercanti e alcuni cenni al problema della datazione. 160 Tra le categorie rinvenute in maggior numero, per le quali la datazione presunta risulta al I secolo, compare anche la casseruola nr. XVIII.2. Tassinari 1993, pp. 213 - 214. 161 Carandini 1977, pp. 165 - 166. 162 Tassinari 1993, pp. 58 - 59, 129. 163 Barone 1899, p. 65. 164 Tassinari 1993, pp. 52 - 57, 111 - 117, 210. 165 Bolla 1991, p. 199. 159 INTRODUZIONE 41 in relazione alla morfologia stessa dell’oggetto: lungo manico, vasca poco profonda e convessa e soprattutto fondo traforato. Le trullae derivano dal verbo truare che significa mescolare ma erano chiamate anche rudicola per distribuire il brodo o sostanze liquide in più parti166. Erano sostanzialmente dei mestoli o cucchiai di varie dimensioni; tra i reperti della collezione Barone, non tutti in stato di conservazione discreto, le dimensioni variano tra i cm 23 e i 29,8. È la forma più semplice e attestata durante l’ultima fase di vita dei centri vesuviani, possedute sicuramente dai ceti medi e per via dell’estrema semplicità, era poco destinata all’esportazione; nei centri posti a nord delle Alpi questi oggetti italici di medio valore assumono la connotazione di beni di lusso per una clientela più ricercata167. È presente anche un esempio di coppa con imboccatura ampia con forma molto semplice. È inquadrata nella categoria coppa alla lettera “M” per via della sua altezza di cm 9 e per distinguerla da altre coppe di dimensioni minori o maggiori riferibili a categorie differenti. Tra il vasellame bronzeo della collezione Barone compare anche un esempio di calderone, descritto da Barone come un ahenum168. Tra i reperti pompeiani risultano vari esemplari, indicati con questo nome e descritti e illustrati come forme metalliche con vasca ampia ma dotati di coperchio e di collo rastremato per l’apposizione dello stesso169. Sono evidenti contraddizioni tra nome e forma reale del presunto ahenum in questione quindi si può desumere che non sia lo stesso tipo di recipiente metallico, indicato evidentemente con un nome sbagliato. Il numero XVIII.9 è caratterizzato da una vasca molto profonda a profilo troncoconico e da due anse elaborate con decorazione floreale. Il reperto non è precisamente inquadrabile nella classificazione della Tassinari poiché non trova un esempio calzante tra i reperti pompeiani; la sua forma rimanda a tre categorie principali, pentola, calderone e bacino per via dell’imponenza del reperto, il cui orlo misura cm 32, e sicuramente la funzione è denunciata dalla forma e attinente alla cottura dei cibi. Purtroppo l’assenza di altri elementi funzionali quali il coperchio, il gancio o il treppiedi ne limitano la distinzione tipologica. L’ultimo reperto inquadrabile nelle forme aperte della collezione Barone è l’unico che denuncia una funzione non attinente al repertorio del vasellame da mensa. Il numero XVIII.10 probabilmente assolveva a funzioni relative alla cura della persona. Un esempio simile compare tra i reperti della Cryta Balbi a Roma purtroppo in cattivo stato di conservazione ma non abbastanza affinchè si notino le similitudini della vasca profonda e del particolare tipo di decorazione traforata; il reperto romano non riporta una cronologia utile per inquadrare anche il bacile della collezione Barone, si precisa soltanto che è stato rinvenuto in insediamento e non in sepoltura, sottolineando la rarità degli esemplari in circolazione170. - Anse e manici Nella collezione Barone sono presenti anse e manici delle più svariate forme che facevano oriI colini romani vengono descritti da Iavarone nel capitolo dedicato ai Coli vinari, bronzi pompeiani illustrati nella tav. XXXI (Real museo borbonico 1827, vol. III, pp. 1 - 4). Anche Barone indica questi oggetti con il medesimo nome antico e li descrive come mestoli o cucchiai, perforati nel fondo, per ischiumare liquidi e dimenare legumi o carne. (1899, pp. 52 - 53). 167 Carandini 1977, pp. 165 - 166. 168 Barone 1899, p. 64. 169 Annecchino 1977, p. 109, tav. L,3, LI,4. 170 Roma 2001, pp. 421 - 422. 166 42 AMELIA PISTILLO ginariamente parte di un corredo vascolare purtroppo perduto. Per le anse numero XIX.1 e 2 si può presumere l’appartenenza a forme chiuse, brocche o olpi, poiché l’attacco superiore ha bracci laterali con doppia sporgenza, in un caso è dotata anche di poggiapollice, che si riferiscono a queste forme metalliche. L’attacco inferiore è desinente in forme diverse: ad elementi vegetali nel caso delle numero XIX.1 e terminazione cuoriforme per l’ansa numero XIX.2. La numero XIX.3 è anch’essa un’ansa riferibile a manufatto di forma chiusa perché si sviluppa in verticale, a differenza dei precedenti esempi non ha l’attacco superiore a due bracci. Sono presenti altresì diversi manici con decorazione ad incisione sulle parti estreme che rimandano ad un lavoro specializzato di suddette forme. Probabilmente i manici orizzontali sono da ricondursi a frammenti di forme originarie aperte perché sviluppati in larghezza e con le estremità definite per l’incastro in eventuali vasche aampie. Per l numero XIX.6 non si è giunti ad una conclusione fattibile ed ad un rimando a una forma integra puntuale; per la numero XIX.7 vi è una dubbia interpretazione sulla reale funzione nonché sulla classe di appartenenza: probabilmente un’ansa orizzontale composta con una parte rettangolare piana e due bastoncelli terminanti a disco. - Forme miniaturistiche Per quanto concerne i reperti miniaturistici sono sempre attestati nei vari Musei italiani e stranieri perché accanto alla produzione del corrispettivo di dimensioni normali, anche il reperto miniaturistico trovava larga produzione e diffusione. Probabilmente lo scopo funzionale è da rintracciare nella sfera votiva e quindi costituire delle offerte. Nel Museo “G. Barone” compaiono sei reperti miniaturistici e generalmente riproducono forme chiuse, denunciando magari anche la funzione di piccoli contenitori ad uso personale, non legato sicuramente al vasellame da mensa. Vi è un olpe di cm 6,6 con corpo ovoidale e un’olla di cm 6,3 dal corpo sferico. Per questa particolare tipologia di ollette ariballiche si precisa una datazione che va dalla prima metà V secolo al IV secolo a.C. ed è attestata, nella variante apoda o con piede e dotata di anse o meno, soprattutto in Italia Meridionale, nell’area di Peucezia, luogo di rinvenimento di numerosi esemplari. Si suppone, data l’eccezionale concentrazione, ad una produzione attiva in questo ambito, ma la forma denuncia una tradizione greca per via della riproposizione in ceramica acroma e a vernice nera171. Tra i reperti miniaturistici compare un particolare esempio di oinochoe miniaturistico purtroppo molto lacunoso nel corpo. Le dimensioni di quest’ultimo sono di cm 9,5 e la particolarità sta nell’orlo trilobato tipico dei corrispettivi di maggiori dimensioni. A causa del cattivo stato di conservazione non si può escludere l’esistenza in origine di un’ansa, poiché il reperto risulta lacunoso proprio nella zone dove presumibilmente ospitava l’ansa. Tra le forme aperte dei reperti miniaturistici compare anche un esempio di calderottino dotato di tre piedi e di un’ansa superstite che Barone definì “occhielli pel manico”172, per descrivere le anse con un foro circolare a metà della sua altezza. Il repertorio miniaturistico evidentemente abbracciava tutte le forme riproducibili poiché nella collezione compare anche un esempio di piccola kotyle corrispondente ad un vasetto di forma aperta con fondo piatto; anche il reperto in questione risulta essere in cattivo stato di conservazione e mutilo di un’ansa. Infine tra le forme aperte vi è una piccola patera con vasca bassa a profilo 171 172 Tarditi 1996, 166 - 167. Barone 1899, p. 64. INTRODUZIONE 43 convesso. Nella scheda di riferimento, tipo XX, sono stati analizzati anche due frammenti relativi a reperti di piccole dimensioni: un piede di vaso e un manico orizzontale di una forma aperta proveniente dalla Vetrina XXVII. - Utensili da lavoro Gli strumenti da lavoro sono la categoria più articolata di manufatti e possono essere distinti a seconda della funzione e del settore lavorativo. In questo capitolo sono considerate anche le armi, ampiamente riconosciute a corredo della figura del guerriero, una figura tanto usuale quanto corrispondente ad un vero e proprio lavoro. Verranno presentati altri strumenti quali scalpelli o asce, quest’ultime indicative di un doppio utilizzo, nel combattimento e come attrezzo da lavoro. Anche gli elementi per la filatura, tipici del corredo femminile sono stati analizzati per dare risalto anche ad una tra le attività più attestate per le donne antiche. In questo paragrafo verranno presentati anche alcuni elementi relativi a strumenti chirurgici tipici della professione medica. Sono realizzati tre paragrafi principali, ognuno accompagnato da una parte introduttiva che ne specifica l’utilizzo e quando è possibile, la cronologia. - Armi Tra il repertorio delle armi della collezione Barone figurano diversi esempi di armi da offesa tipici del guerriero antico. Sono state schedate undici armi, o elementi appartenenti a originarie forme integre chiaramente riconoscibili nella scheda di riferimento e nelle foto. La lancia è da annoverare tra le armi più antiche presumibilmente formata da un’asta in materiale deperibile e l’estremità in bronzo, la parte che resiste in assoluto al tempo. In origine l’arma era usata nel combattimento corpo a corpo data la pesantezza, non era sicuramente utilizzata come arma da getto. Rientra nella categoria di arma da offesa nei combattimenti proprio per la conformazione a punta che serviva ad offendere l’avversario. Nella sua essenzialità la cuspide è composta da una punta con due margini taglienti generalmente a forma di foglia inserita all’asta tramite cilindro cavo. L’applicazione era eseguita in due modi, a codolo o a cannone: il primo, più antico, prevedeva il fissaggio della punta nell’asta attraverso un’appendice della punta stessa; il secondo, invece, consisteva nell’inserire l’asta lignea nell’incavatura posta alla base della punta, fissata poi da un elemento che la attraversava da parte a parte tramite due fori. La lancia, inoltre, superava generalmente i due metri, ma poteva anche andare oltre i quattro metri, come testimoniano le pitture o le raffigurazioni sulla ceramica. Nella porzione cilindrica sono evidenti dei fori circolari necessari per il fissaggio di un ulteriore elemento e conferire stabilità al pezzo173. Generalmente la cronologia delle cuspidi di lancia si ritrova in contesti della Prima età del Ferro sia in Etruria che nel meridione. I numeri XXI.1, 2 e 3 sono riferibili a cuspidi di lancia di dimensioni comprese tra cm 11 e 20,7 e presentano una lama foliata con costolatura longitudinale a sezione semicircolare, rastremata verso la punta. Il cannone è troncoconico con foro passante al centro, dotato di uno o due piccoli fori. Nella Vetrina XXVI, dedicata ai reperti cumani, compaiono due esempi simili. La foggia appare diffusa nelle necropoli campane sia nella fase I che nella fase II del Primo Ferro174. Un esemDi Niro 2007, p. 45. A Cuma il tipo è presente in due corredi del Preellenico I; altri esemplari conservati presso il Museo Archeologico di Napoli e il Museo Pigorini. Criscuolo 2007, p. 295. 173 174 44 AMELIA PISTILLO plare, la numero XXI.3, presenta una decorazione incisa sulla lama con motivo a spina di pesce. Tra le cuspidi compare un esempio miniaturistico conservato nella Vetrina XXVII. Tra le altre armi figurano cinque frammenti di punte di freccia, esclusivi della Vetrina XXVII, e distinguibili sulla base delle ridotte dimensioni comprese tra cm 1,8 e 2,8. Anche le frecce condividono la funzione delle cuspidi di lancia come armi da offesa, ma la differenza sostanziale sta nelle dimensioni, e quindi nel peso ridotto che gli garantisce l’utilizzo come arma da getto. Gli esempi della collezione Barone si riferiscono a punte di freccia piramidale a tre tagli e con cannone troncoconico con foro passante al centro, per le punte numero XXI.5, 6 e 7 e a punta prolungata oltre l’imbocco dell’immanicatura per le restanti. Le cuspidi piramidali a tre tagli, in varia articolazione tipologica, sono largamente diffuse in Grecia e in Asia e presenti in Italia meridionale e in Etruria, a partire dall’età arcaica e soprattutto dall’età classica175. Quasi tutte le armi sopra descritte solitamente fanno parte o di corredi tombali, oppure provengono da sepolture sconvolte per vari motivi. Al chiaro significato simbolico, ovvero connotazione di sepolture dei guerrieri o comunque degli individui maschi della comunità, in alcuni casi ciò è legato alla volontà di mostrare il proprio status all’interno del gruppo sociale, in altri a riti di passaggio legati all’età. Purtroppo la provenienza non è nota quindi non si può appurare per certo ciò che si è appena descritto; determinate armi sono rinvenute di solito anche nell’ambito di complessi santuariali, il significato è diverso: molti soldati offrivano armi proprie o prese in battaglia come ex-voto, dimostrando così la propria devozione alle divinità. Nella scheda di riferimento sono stati analizzati anche due reperti di cui il numero XXI.10, indicato come un puntale di fodero medievale di forma cilindrica con il tipico puntalino globulare all’estremità, l’altro, il numero XXI.11, identificato come un probabile puntale di lancia di forma cilindrica frammentato all’imboccatura e utilizzato in sostituzione della cuspis della lancia in caso questa si rompesse in battaglia o per piantare l’arma a terra176. - Strumenti con doppio utilizzo Tra gli strumenti con duplice interpretazione funzionale compare l‘ascia, strumento da taglio utilizzato per la lavorazione del legno, entrato nell’immaginario collettivo anche come arma. Le sue caratteristiche di attrezzo completo per ogni uso di carpenteria ne hanno determinato da sempre un largo impiego. Le asce erano costituite generalmente da un elemento rettangolare o sub-trapezoidale in cui l’estremità più stessa era il tallone e la più larga il filo, o lama, sovente allargato rispetto a quanto usciva dalla fusione tramite martellatura. In alcuni casi i margini del pezzo erano rialzati a formare una sezione ad “H”, in modo che in un’immanicatura lignea con gomito retto, la parte metallica potesse trovare facile alloggio, con il fermi assicurato a mezzo di una ribattitura e di legacci177. Tra i reperti della collezione Barone figurano le numero XXII.1 e 2, identificati come due varianti dell’ascia. In origine comprendevano sicuramente l’asta in materiale deperibile e anche in questo caso la parte che sopravvive è la terminazione in metallo. La prima è identificata come Sannibale 1998, p. 61. Barone 1899, p. 73. 177 Martinelli 2004, p. 135. 175 176 INTRODUZIONE 45 un’ascia a cannone inquadrabile tra il Bronzo finale e la Prima età del Ferro, con un’immanicatura tubolare e probabili occhielli laterali o appendici per fissare i legacci di unione. La seconda è un’ascia a margini rialzati differente dalla precedente per morfologia. Gli altri esemplari identificati come scuri non sono altro che varianti dell’ascia. La scure è uno strumento antichissimo e presente ovunque utilizzato da millenni per tagliare, dividere e modellare il legno; è anche considerata un’arma in dotazione al guerriero. Sono inquadrate come asce ad occhio poichè l’immanicatura o testa ha foro trasversale detto a sezione ovale in cui si inseriva il manico ligneo178. Tra gli esempi analizzati compaiono delle varianti: scure a occhio ovale e scure a occhio e lama massiccia, rappresentata dai numeri XXII.4 e 5. All’interno dell’occhio era inserito il manico di legno. Anche la scure condivide la scorte della lancia e dell’ascia perdendo l’asta originale in materiale deperibile. La cronologia è molto alta, in base ai confronti esplicitati nella scheda di riferimento la tipologia è inquadrata tra il Bronzo finale e la Prima età del Ferro. Bisogna sottolineare che le asce e le sue varianti hanno avuto una lunga vita determinata sicuramente dall’uso “civile” oltre che militare. Tra gli utensili da lavoro vi è anche un esempio di scalpello in bronzo dotato di lama diritta, con il tagliente disposto trasversalmente, sulla faccia all’estremità della lama, quella più lontana dall’impugnatura. Serve per fare incastri, scanalature, correzioni sulla superficie del materiale e una varietà d’altri impieghi. - Strumenti per la filatura Tra gli strumenti relativi al lavoro femminile, compaiono nella Vetrina XXVII un esempio di fuso e tre aghi da cucito più un elemento di dubbia interpretazione. Il fuso presenta un corpo lungo e affusolato a sezione circolare con la presenza di tre dischi di diverse dimensioni. Lo strumento è utilizzato durante la filatura a mano per torcere il filo e avvolgerlo sulla spola. Anche gli aghi rappresentano una testimonianza fondamentale del lavoro della filatura. Per via della conformazione rimasta pressocchè inalterata nel tempo, i reperti non consentono una decisa definizione cronologica. In generale presentano uno stelo rettilineo, rastremato e appuntito verso un’estremità; l’altra estremità, chiamata cruna, presenta il tipico foro per l’immissione del filo che servirà ad attraversare uno o più spessori di tessuto. L’ago numero XXIII.2 presenta una particolarità maggiore dovuta alla custodia: infatti è corredato di un elemento cilindrico cavo per l’inserimento dell’ago quando non serviva al lavoro di cucito. Nella scheda riferibili agli strumenti per la filatura è stato inserito anche un piccolo peso ponderario, probabilmente attinente al telaio, a forma di globulo schiacciato. Purtroppo non reca incisioni sui poli in relazione al suo peso specifico, quindi in assenza della controprova il reperto appare di dubbio utilizzo. - Strumenti chirurgici Tra gli strumenti attinenti alla professione medica abbiamo due esempi di ligula di cui uno perfettamente integro ripete la conformazione utile a comprenderne l’utilizzo. Lo stelo è a sezione cilindrica spuntato ad un capo e un’estremità termina in spatoletta ovale e piatta. L’altro esemplare è mutilo e pre- 178 Martinelli 2004, p. 136. 46 AMELIA PISTILLO senta solo lo stelo a sezione circolare e purtroppo manca della terminazione come la ligula precedente. Nel mondo romano la ligula ebbe enorme diffusione per la molteplicità del suo uso. Una funzione principale ricadeva nel mondo della chirurgia, essendo una variante della spathomele più comune e largamente attestata per questo uso, in quanto era utilizzata come sonda per via della spatoletta ovale all’estremità e usata per indagare cavità profonde. Un altro uso riconosciuto è relativo alla toletta quotidiana per l’estrazione di polveri, unguenti o pomate. Riguardo alla molteplicità dei suoi usi ci si è espressi anche considerandolo come un auriscalpum o oriculum specillum, per la cura delle orecchie o un dentiscalpium per l’igiene orale179. Tra i materiali utilizzati nella chirurgia si configurano come elementi fondamentali anche le pinze, definite vulselle, adatte ad afferrare i tessuti, estrarre corpi estranei, per tenere aperti i lembi delle ferite. Generalmente sono conformate da una lamina di bronzo ripiegata in due branche, incurvate o semplicemente svasate, con una figura a “U” o a “V”. Nelle pinze della collezione Barone si notano queste due varianti. L’apice della prima è conformato “a molla”, l’apice della seconda è circolare. Le dimensioni sono piuttosto modeste, tra cm 10 e 19. Si configurano come oggetti polivalenti, poiché la destinazione d’uso non si riduce solo all’ambito chirurgico ma anche all’uso domestico e alla toeletta maschile e femminile magari per la depilazione del viso o delle ascelle, oppure utilizzata nel campo domestico per sistemare lo stoppino delle lucerne180. I reperti in questione sembrano essere utilizzati in ambito medico proprio per via delle dimensioni notevoli. La forma non consente una decisa definizione cronologica in quanto non sussistono varianti sostanziali nel tempo, la classe di produzione si attesta sia durante la Prima Età del Ferro181, con gli esempi provenienti da Pontecagnano, sia durante tutta l’epoca romana. - Ornamenti personali Nel grande paragrafo dedicato agli ornamenti personali figurano oggetti di tipologie e funzioni differenti indossati in antichità da uomini e da donne. Non si è specificato l’uso maschile dal femminile per un pratico motivo: alcuni degli ornamenti presentati sono utilizzati da ambedue i sessi. Ovviamente in ogni sottoparagrafo sarà specificata la funzione di ogni singolo oggetto di ornamento. Tra gli ornamenti personali compaiono collane semplici e con pendenti, bracciali semplici o armillae, anelli digitali, spilloni per chiudere le vesti, fibule molto ricercate e con una cronologia altissima e ovviamente i ganci di cinturione, questi ultimi intesi come ornamenti personali e non necessariamente legati all’equipaggiamento militare maschile. Nel paragrafo sono stati inseriti anche oggetti relativi alla toeletta maschile e femminile: lo strigile e i rasoi. - Collane Uno tra gli ornamenti personali è immancabile nelle collezioni museali è sicuramente la collana. Tra le collane della collezione Barone figurano esempi molto ricercati e dove è stato possibile, attraverso opportuni confronti, si è appurata la cronologia molto alta da rendere ancora più speciali suddetti oggetti. Nella Vetrina XXVII sono conservate due collane particolari: la collana a molla costituita da Per l’uso in ambito chirurgico, cosmetico e domestico cfr. Galliazzo 1979, pp. 159,161 - 162. Zampieri 2000, p. 147. 181 d’Agostino, Gastaldi 1988, p. 75. 179 180 INTRODUZIONE 47 un filo unico avvolto a spirale, che trova confronto con una goliera in cattivo stato di conservazione rinvenuta a San Polo Matese, datata alla Prima età del Ferro182. L’altra collana è la numero XXV.2 costituita da una verga di bronzo a capi lanceolati e con decorazione incisa, datata tramite confronto con una simile al VI - V secolo a.C.183 Altre tre collane conservate nella Vetrina VII vantano la presenza di pendenti. La numero XXV.7 è una collana ad anellini incastrati con undici pendenti dalle diverse forme: dalla figura antropomorfa, come il bellissimo pendente centrale, ad altri pendenti rappresentanti altri oggetti. Anche la collana numero XXV.8 presenta la stessa struttura di base con catena ad anellini e undici pendenti di minore pregio e forma rispetto alla figura centrale identificata come Mercurio con patera nella mano sinistra e probabilmente detiene il caduceo terminante in figura antropomorfa. La numero XXV.6 è anch’essa corredata da pendenti in questo caso denominati a “bulla” per la caratteristica morfologica di ricordare la conchiglia dei bivalvi essendo costituito da due calotte combacianti. La particolarità di questa tipologia di pendenti è dovuta al valore e al significato altamente simbolico che viene associato ad essi: utilizzata per primi dagli Etruschi, successivamente passò ai Romani che la chiamarono Etruscorum aurum e la utilizzarono fino al IV secolo d.C. Inizialmente aveva valore di amuleto, magari conservando all’interno un portafortuna, successivamente divenne un vero e proprio gioiello destinato ai fanciulli che la deponevano insieme alla toga pretesta e la dedicavano agli dei Lari; le fanciulle la indossavano fino al matrimonio184. La collana numero XXV.3 presenta una forma semplice costituita da anellini incastrati e probabilmente era indossata a tre giri considerando la lunghezza che è di centoventicinque centimetri. Dalla Vetrina VIII provengono altre due collane probabilmente arcaiche, una composta da cinquantotto elementi sferici digradanti verso le estremità e l’altra costituita da nove elementi cilindrici sagomati, da tre elementi cilindrici lisci e da tre pendenti a sezione ellittica con terminazione a globetto sferico. Nel catalogo Barone non è indicata come una collana integra ma come pezzi appartenenti a collana185. - Pendagli Nella collezione Barone sono presenti diversi esempi di pendagli. Un pendaglio molto importante dal punto di vista artigianale è sicuramente il numero XXVI.1 costituito da un filo a sezione circolare, avvolto a spirale. L’esemplare è datato tra il Bronzo finale e la prima Età del Ferro e costituisce un ornamento tipico usato per gli oggetti metallici riproposto come decorazione su diverse tipologie di ornamenti186. Gli altri due pendagli possono essere anche intesi come pettorali, così denominati per la collocazione sul petto del defunto. L’altro pendaglio (XXVI.2) è costituito da una targhetta rettangolare incisa e corredata da cinque figure umane stilizzate con gli arti divaricati, alcune frammentarie e staccate dalla targhetta. L’esemplare trova confronto con un reperto simile ma in cattivo stato di conservazione rispetto al reperto della collezione Barone, proveniente da Suessola187. Dalla Vetrina XXVII provengono altri pendagli: il numero XXVI.3 costituito da una targhetta rettangolare e terminante con quattro fori De Benedittis 2005, n. 47, p. 31. Parise Badoni, Ruggeri Giove1980, pp. 26 - 27. 184 Torelli 1984, p. 26. 185 Barone 1899, p. 91. 186 Di Niro 2007, p. 61. 187 Comstock, Vermeule 1971, p. 237. 182 183 48 AMELIA PISTILLO in cui sono inseriti i rispettibvi appicagnoli; tale pedaglio è definito pettorale o tintinnabulum per via della riproduzione di suoni da parte degli appicagnoli con funzione apotropaica188. Il pendaglio XXVI.4 è a forma di volatile e senza numero d’inventario. Segue un altro pendaglio in lamina di bronzo costituito da una parte superiore a forma di luna terminante con due fori circolari e dall’altro lato con una protesi nella quale è inserito un anello. Nella scheda relativa ai pendagli sono stati considerati anche due vaghi, presumibilmente appartenenti a collane integre, con forma ovoidale e foro superiore per l’inserimento. - Pendagli a batocchio Nella collezione Barone sono presenti cinque pendagli relativi alla tipologia “a batocchio” e generalmente costituiti da manico e corpo globulare. Il manico può avere altresì decorazione incisa, come il XXVII.1, o una lunghezza importante, come il XXVII.5. La maggior parte termina con un elemento di sospensione ad occhiello impostato orizzontalmente. È una tipologia di pendaglio relativo già all’artigianato delle comunità dell’Età del Ferro anche se convenzionalmente la cronologia attribuita agli esemplari con dimensioni maggiori è tra il VII e il VI secolo a.C. L’area di diffusione è attestata in ambito piceno e lungo la fascia adriatica, a costituire una vera e propria koinè culturale, o presso le comunità indigene dell’Italia meridionale, oltre che in Tessaglia, Macedonia e sulla sponda orientale dell’adriatico189. E’ possibile suddividere generalmente tali pendagli un due gruppi: presenza o meno del nodo mediano lungo la bassa verticale. In base ai reperti di Montegiorgio, Seidel propone seriazioni tipologiche anche rispetto alle varianti evidenti nei due gruppi190. Tra i reperti della collezione Barone figurano tre esempi di pendenti a batocchio senza nodo mediano contraddistinti nella variante con batocchio globulare (XXVII.1 - 3) e due pendenti a batocchio con nodo mediano, apparteneti alla variante con elemnti di sospensione a occhiello anche se il nr. XXVII.5 è lacunoso. Solitamente può essere considerato come un peso sferoidale, anche Barone identifica questa particolare tipologia come pondera191, ma trovano applicazione come pendagli o di fibule, gli esemplari di minori dimensioni, o direttamente a cinture e indossati indifferentemente da bambini o giovani donne192. I pendagli della collezione Barone hanno dimensioni comprese tra cm 6 e 11,7, quindi probabilmente erano inseriti in cinture. - Anelli digitali Gli anelli da dito sono molto frequenti tra i ritrovamenti antichi poiché costituivano un oggetto di ornamento usuale. Venivano portati al dito anulare o intorno ad altre dita, all’infuori del dito medio, o impudicus, per motivi sicuramente religiosi. Nel mondo romano assumono anche altre connotazioni sia come segno distintivo, a seconda del metallo utilizzato per la sua foggiatura, sia a livello simbolico divenendo amuleto o addirittura premio e onorificenza193. L’uso degli anelli con castone inciso è stato collocato cronologicamente dal periodo augusteo fino al II secolo d.C. Probabilmente secondo la moda dell’epoca gli anelli con castone inciso precedettero i successivi anelli con gemma incastonata. Sono Benedettini 2012, p. 256 Colucci Pescatori 1971, p. 536. 190 Seidel 2006, p. 138. 191 Barone 1899, p. 70. 192 Di Niro 2007, pp. 58 - 59. 193 Galliazzo 1979, p. 169. 188 189 INTRODUZIONE 49 tipici esempi della produzione altamente industrializzata romana. La collezione Barone vanta nove anelli con castone inciso dalle più svariate decorazioni; prevalentemente si riconosce una verga a sezione semicircolare che si allarga in forma di castone ellittico piatto. La figurazione dei castoni è varia: il numero XXVIII.1 ha incisa una figura femminile stante che reca un ramo d’ulivo; il numero XXVIII.2 ha incisa una figura animale, probabilmente un lupo; il numero XXVIII.5 anch’esso probabilmente riporta una figura animale poiché si riconoscono le zampe anteriori; il numero XXVIII.8 riporta una decorazione ad onde parallele; per i restanti anelli con decorazione incisa non si è decifrata la figura. Un solo esemplare, il numero XXVIII.11, reca un alloggio per castone purtroppo andato perduto. Il restante gruppo di anelli digitali non presenta particolari decorazioni né elementi qualificanti. I confronti sono stati effettuati sulla base di similitudini con anelli presenti sia nel Museo Sannitico di Campobasso sia a Carlantino sia a San Polo e datati sempre al VI secolo a.C.193 - Bracciali e armille Tra i bracciali della collezione Barone figurano quattro semplici, i numeri XXIX.1, 2, 3 e 4 costituiti da una verga a sezione circolare e con capi ornati da dentellature e decorazione longitudinale incisa sulla superficie. La tipologia è datata al VII - VI secolo a.C. e la loro diffusione è molto limitata e rara194. Alcuni esempi, seppur variabili per decorazione e dimensione, sono conservati al Museo Pigorini; altri tre esempi provengono da una tomba di Scurcola Marsicana 195; inoltre trova puntuale confronto con un esemplare di Carlantino e datato al VI sec. a.C.196 Barone li definisce clidon, ovvero bracciali indossati ai polsi197. La datazione è sicuramente giusta per questa tipologia di bracciali molto semplici, successivamente la forma più attestata sarà quella a spirale, presente nel Museo “G. Barone” con ben otto esempi. La fortuna dei bracciali a spirale si risolve in una fitta produzione artigianale e in una corrispondenza in tutta la penisola, dal Piceno alla Campania, dalla Puglia alla Calabria ed è quindi difficile individuarne la precisa collocazione cronologica che generalmente si attesta a partire dalla Prima Età del Ferro in poi198. Anche in Molise lo ritroviamo a Termoli, Guglionesi, San Polo e nella collezione del Museo Sannitico di Campobasso. Probabilmente erano indossati o al braccio o all’avambraccio ed è notissimo in Italia dalla prima Età del Ferro con diverse varianti rispetto al filo metallico utilizzato. L’adattamento al braccio è garantito dal progressivo aumento del diametro nel caso di occorrenza. Nelle necropoli molisane è stata attestata la prerogativa di sesso e l’indicazione di appartenenza a “casta” poiché sono stati rinvenuti a corredo di donne con altri elementi di pregio. Nel caso di sepolture relative a bambini, il diametro ovviamente risulta ridimensionato e avvolto in numerose spirali.199 Le varianti sono evidenti nelle diverse armillae presenti nel Museo “G. Barone” schedate in numero di nove. La verga metallica è a sezione rettangolare o circolare e avvolta in due o più giri di spirale, ad esempio nell’armilla numero XXIX.10 è a quattro giri. Il diametro varia da cm 4 a 9,3 per le armillae evidentemente indossate dagli adulti. Alcune, come i De Benedittis 2006, pp. 56 - 57. Cifarelli 1997, pp. 82 - 84. 195 D’Ercole 1991, pp. 253 - 270. 196 De Benedittis 2006, p. 88. 197 Barone 1899, p. 69. 198 Colucci Pescatori 1971, p. 534 ss. 199 Di Niro 2007, p. 70. 193 194 50 AMELIA PISTILLO numeri XXIX.11, 12 e 13 presentano una decorazione incisa a fasce nella parte terminale. - Anelli da sospensione La grande varietà di anelli da sospensione in bronzo ha reso necessaria una discussione su l’eventuale impiego funzionale che ne veniva fatto. Spesso vengono confusi come anelli digitali, quelli di dimensioni minori o come bracciali utilizzati ai polsi o al braccio, anche se il diametro si rivela spesso troppo piccolo. Il ritrovamento più frequente è in tombe, in alcuni casi anche all’altezza della cintura, facendo ritenere che fossero e ornamenti con questa specifica destinazione d’uso; addirittura si è ipotizzato che alcuni esemplari fossero pertinenti ad un tipo di acconciatura; tutte queste ipotesi non possono essere affermate poiché mancano i dati del contesto di ritrovamento, oltre che i dati sulla provenienza. I nove anelli da sospensione individuati, sono stati inseriti comunque tra gli oggetti di ornamento e intesi come elementi decorativi, lasciando aperte le ipotesi della loro destinazione d’uso specifica. Il Barone precisa il più delle volte nel suo catalogo la funzione di anelli per porta. Vi è un esempio di anello “a stella” o “raggiato” che prende il nome dal tipo di decorazione esterna a listelli; tale tipologia è presente fin dall’Età del Bronzo e ricorre spesso in contesti tombali femminili, magari associati a fibule perché sospese a queste200. Anche in Molise si annoverano diversi esempi, con varianti nella sezione della verga201. Gli altri anelli da sospensione vengono inquadrati generalmente in tipologie attestate dagli inizi del VII secolo a.C. e frequenti anche nel secolo successivo202; tramite puntuali confronti si è appurato che gli anelli della collezione Barone possono condividere la stessa cronologia. La decorazione tipica è o a tacche continue lungo la verga massiccia, come nel caso del numero XXX.2, oppure è a ovoli e listelli alternati, decorazione dei numeri XXX.3, 4 e 5. Entrambe le varianti condividono un’ampia diffusione, soprattutto incentrata nell’Italia Meridionale203 e rintracciabile anche in numerosi contesti molisani204. Un altro esempio è il numero XXX.6, che condivide la funzione di anello da sospensione è sicuramente più semplice rispetto agli altri appena descritti, infatti è costituito da una verga a sezione romboidale, chiusa e liscia. Tra gli anelli da sospensione compaiono anche altri due esempi, caratterizzati da una verga diversa curvata nella parte superiore e decorata ad incisione, nel caso dell’anello numero XXX.7. Nella scheda di riferimento sono stati analizzati altri due anelli di incerta attribuzione: il numero XXX.9, descritto da Barone come un annulus per porta probabilmente di epoca romana e il numero XXX.10 indicato dal collezionista come anello per vaso205. - Spille e aghi crinali Tra gli elementi di ornamento personale nati con uno scopo essenzialmente funzionale vi sono gli spilloni. Gli elementi costituenti uno spillone si risolvevano in un ago appuntito, per perforare i tessuti che andava a legare, una testa lasciata a vista che garantiva le diverse decorazioni tanto da configurarsi ben presto come un fermaglio ornamentale su abiti femminili. Bietti Sestieri 1992, pp. 380 - 384. Per i confronti in Molise vedi scheda di riferimento. 202 De la Grenièr1968, pp. 123, 319 203 Colucci Pescatori 1971, pp. 534 - 536. 204 Per i confronti in Molise vedi scheda di riferimento. 205 Barone 1899, pp. 67, 69. 200 201 INTRODUZIONE 51 Il XXXI.1 è un esempio di spillone attestato per la tipologia San Vitale nella variane B adoperata da Carancini. Lo spillone presenta una testa conformata “a pastorale” e attestato cronologicamente in contesti relativi alla Prima Età del Ferro206. Anche il numero XXXI.2 è con tutta probabilità adibito alla chiusura dei tessuti poiché presenta una perforazione alla base del collo che testimonia l’uso complementare di lacci; per la sua particolare conformazione rientra nella tipologia Cataragna207. Nella scheda sono stati analizzati anche altre forme metalliche, assimilabili per via del lungo stelo a spilloni, ma funzionali alle pettinature delle donne antiche. Sono i cosiddetti aghi crinalis: spilloni caratterizzati da uno stelo fino e lungo e da un elemento superiore per la presa e l’ornamento. Sono considerati come un adattamento dell’ago comune condividendo la forma dell’ago ma non la cruna, assente e sostituita da ingrossamenti di varia forma e consistenza. In età romana tale oggetto era usato anche in versione di acus comatoria, ovvero come un pettine208. Gli aghi crinali del Museo “G. Barone” presentano uno stelo a sezione circolare e la parte terminale decorata in vario modo: con terminazione ovale o circolare o addirittura, il numero XXXI.5, presenta una decorazione incisa molto particolare e una terminazione a testa di volatile, oltre che un vago d’ambra inserito nell’ago. L’ultimo esemplare analizzato nella scheda XXXI è una probabile spilletta con decorazione incisa non precisabile sul corpo semicircolare. L’oggetto è costituito anche da un gancio sottilissimo e mobile; la presenza di questo elemento può far supporre che la numero XXXI.6 non sia una spilla o un elemento legato a questa, bensì un orecchino. - Fibule Dalla fine dell’Età del Bronzo in tutti i paesi del Mediterraneo centrale e settentrionale e in gran parte dell’Europa, in luogo dello spillone entra in uso la fibula, che per la varietà delle forme che assume in ogni epoca è un prezioso strumento per la cronologia, oltre che in molti casi, una vera e propria opera di oreficeria209. E proprio da questo variare secondo le “mode” del tempo che deriva il loro insostituibile valore di documento archeologico. È utilizzata in primo luogo per assicurare le vesti sulle spalle ed alla vita, diventando ben presto un oggetto di ornamento per via della particolari forme che assumerà nel tempo, svolgendo quindi la funzione di bottoni che in ambito greco si diffondono solo a partire dal V secolo. a.C. La fibula, nello schema più semplice, è costituita dall’ardiglione o ago collegato ad una molla a spirale che si congiunge ad un elemento semicircolare chiamato arco, le cui forme diversificate danno il nome ai corrispondenti tipi di fibule e infine dalla staffa che alloggia e ferma l’estremità appuntita dell’ardiglione. La collezione Barone vanta un numero abbondante di fibule con una cronologia molto alta che oltre a renderle dei reperti degni di nota, chiariscono le differenti tipologie adottate nei secoli. La più antica che figura nella collezione Barone è la fibula ad arco semplice, la numero XXXII.1 possiede la caratteristica di avere l’arco ritorto reso dal filo di bronzo attorcigliato lungo la maggior parte della verga semicircolare. La numero XXXII.2 è ascrivibile alla grande tipologia Carancini 1975, pp. 136 - 137. Carancini 1975, p. 179 ss. 208 Galliazzo 1979, p. 171. 209 Cianfarani, Franchi Dell’Orto, La Regina, 1978, p. 157. 206 207 52 AMELIA PISTILLO delle fibule ad arco ingrossato e presenta un leggero gomito nella parte centrale dell’arco. Inoltre è caratterizzata da una fitta decorazione incisa costituita da gruppi di motivi lineari intervallati da motivi trasversali. Il tipo di fibule è attestato cronologicamente tra l’Età dal Bronzo Finale e la Prima Età del Ferro iniziale, cioè dal X alla metà del IX secolo a.C. ampiamente documentate in tutta l’Italia; purtroppo non si è ancora chiarita l’origine di tale fibule o da quale direttrice provengano, simili sono attestate anche in Grecia e nei Balcani. Seguono cronologicamente le fibule attestate dalla Prima Età del Ferro, le fibule “a sanguisuga” riconoscibili dall’arco con profilo semicircolare, ingrossato e pieno come nel caso della fibula numero XXXII.6. Da questa tipologia di fibule si sviluppa quasi contemporaneamente la tipologia “a navicella”, che condivide con la precedente il medesimo profilo, ma con arco vuoto, rappresenta nella collezione dalla numero XXXII.7. Le fibule appartenenti a queste tipologie presentano spesso decorazioni incise molto particolari come nel caso dei reperti appartenenti alla collezione Barone, riconoscibili da decorazione a fitti trattini e a cerchielli, per la numero XXXII.7 e motivo a spina di pesce per la numero XXXII.6. Le fibule “a navicella”, inoltre possono essere dotate di apofisi laterali a bottone, caratteristica delle fibule numero XXXII.10, 11 e 12. Si ritiene che sia le fibule “a sanguisuga” sia le fibule “a navicella” derivino dal prototipo delle fibule ad arco semicircolare ingrossato con coste e bottoni ripresi nelle decorazioni di entrambe le tipologie: le coste incise, per le decorazioni sull’arco e i bottoni, per le apofisi laterali delle fibule “a navicella”. Tra i reperti della collezione Barone compaiono due esempi di fibule a denominate “ad occhiali” e costituite da un arco costituito da due spirali a verga circolare, collegati al centro con un segmento di filo obliquo ampiamente documentati a partire dall’VIII secolo a.C. Seppur con un solo esemplare, nella collezione Barone compare anche una fibula del tipo Certosa “a drago” databili tra il VII e il VI secolo a.C. Tale fibula risulta essere l’ultimo esito dell’evoluzione delle fibule serpeggianti datate all’VIII secolo a.C. Vengono comunemente chiamate “a drago” per via della somiglianza con la forma sinuosa di un animale fantastico. Si tratta di un tipo diffuso soprattutto in Italia settentrionale e caratteristico del costume maschile210. Nel caso specifico della numero XXXII.12 ci troviamo di fronte al solo arco; la forma originaria prevede una dimensione importante e la dotazione di una staffa lunga con bottoni fusi o costolati. Sempre allo stesso orizzonte cronologico sono attestate le fibule “a ghianda” caratterizzate da ovoli a forma di questo elemento disposti lungo l’arco costituito da una lamina larga. Si conservano tre frammenti, di cui due combacianti e appartenenti alla stessa fibula integra. Fibule di questa foggia sono attestate in Italia meridionale, in particolare in Campania e nelle aree interne dell’Abruzzo e del Molise, dove si localizzano numerosi esempi. Gli esemplari più antichi sono presenti in contesti più tardi della seconda fase dell’orientalizzante antico nelle necropoli della Val di Sarno211 . Le fibule numero XXXII.15 e 16 rientrano nel tipo detto “Grottazzolina”, una località in provincia di Ascoli Piceno, dotate di un arco allargato recante due bottoni ai lati e datate tra il VI e il 210 211 Guzzo 1970, p. 36, pp. 39 - 40 e pp. 44 - 45. Gastaldi 1979, p. 38. INTRODUZIONE 53 V secolo a. C. Sono molto note anche le varianti a tre bottoni, che condividono con la variante a due bottoni la diffusione in tutta la fascia adriatica e nella zona di Arezzo212. Nella scheda di riferimento compare un frammento di fibula considerato, in questa sede, come un occhiello appartenente ad una fibula ad arco serpeggiante. Se l’ipotesi dovesse essere esatta, tale reperto risulterebbe il più antico tra le fibule della collezione Barone, dato che questa tipologia è attestata tra il X e il IX secolo a.C. La forma integra conosce numerose varianti e la caratteristica principale, data dal nome stesso, si riferisce alla ricchezza degli avvolgimenti213. Nello stesso paragrafo si è pensato di inserire anche alcuni esempi di fibbie, che condividono la destinazione d’uso delle fibule con l’unica differenza di essere sicuramente più recenti. Per quanto riguarda le fibbie numero XXXII.19, 20 e 21 sono relative ad un tipo di cintura definito “bizantino” caratterizzato generalmente da una fibbia a gancio mobile e più raramente da un puntale. Sono diffuse tra il V e il VII secolo d.C. per tutto il bacino del Mediterraneo. Sono riconducibili al tipo Bolgota - Bologna indicato dal Werner e diffuse soprattutto dalla seconda metà del VII secolo d.C. Lo studioso riscontra una sorta di omogeneità per cui ipotizza la produzione in pochi atelier, di cui uno sito probabilmente a Roma214. Sono pressocchè identiche e caratterizzate da una placca cernierata a forma di cuore, traforata, con foglia trilobata nel foro e terminante con una piccola appendice. Per la numero XXXII.21 si riscontra una certa differenza dovuta alla decorazione incisa a bulino che corre lungo i bordi. Segue la fibula numero XXXII.22, molto particolare per via della sua conformazione piatta che Barone confuse con un anello215. La fibula in effetti è chiamata “ad anello” e rientra in una tipologia attestata soprattutto nel VII secolo d.C. e si ritiene siano peculiari del costume femminile e usate sia singolarmente che in coppia a fermare il mantello. Sono noti esemplari con due varianti: ad estremità arricciate o a protomi animali. La numero XXXII.25 è probabilmente una fibula anulare con estremità arricciata o a voluta; anch’essa è priva dell’originario ago; quindi potrebbe essere interpretata come un semplice anello216. La frequenza è attestata soprattutto in Italia meridionale e precisamente in Puglia e in Calabria. L’alta concentrazione nella Regio II ha fatto supporre che la produzione fosse incentrata in questa area, probabilmente ricca di officine “romanico - bizantine” poiché non sono classificabili come tipicamente longobarde, la derivazione è sicuramente romana217. Solitamente sulla superficie è inciso un nome che può rimandare ad una appartenenza longobarda o meno; alcune varianti non recano l’iscrizione. La fibula della collezione Barone riporta un’iscrizione purtroppo non decifrabile a causa della superficie deteriorata. Un’altra fibula si può inquadrare cronologicamente come la precedente, la numero XXXII.24, caratterizzata da una forma romboidale suddivisa in nove losanghe. Con tutta probabilità il campo superiore era decorato con vetri policromi e pietre più o meno preziose incastonate nel bronzo che garantivano una policromia tipica delle fibule più frequenti in epoca longobarda, come quelle a “a disco” e a “S”. Al numero XXXII.23 corrisponde una probabile fibbia di dubbia interpretazione perché caratterizzata da un’asta a sezione circolare e desinente alle estremità con attacchi piatti e convessi. Tale mor- Guzzo 1970, pp. 44 - 45. Guzzo 1970, p. 37. 214 Werner 1955, p. 39 ss. 215 Barone 1899, p. 67. 216 Von Hessen 1983, p. 17. 217 Salvadori 1977, pp. 354 - 356. 212 213 54 AMELIA PISTILLO fologia ha erroneamente fatto supporre che fosse una paletta218, magari corredo di una qualche forma integra. Il tipo di oggetto può essere considerato come una fibbia bronzea dai bracci uguali, tipica dei contesti altomedievali anche se, nel caso della fibbia della collezione Barone, si nota una variante negli attacchi e una semplicità nella foggia, rispetto ad altre fibbie della stessa tipologia. - Ganci di cinturioni I cinturioni a fascia con ganci lavorati, elemento caratteristico e non esclusivo dell’equipaggiamento militare delle popolazioni italiche meridionali, è rappresentato nella collezione Barone soltanto dai ganci. Varie ipotesi sono state formulate in relazione all’origine e ai luoghi di produzione delle cinture e si è supposto che venissero dalla Grecia, dal Veneto, dall’Etruria. In realtà i rinvenimenti quasi esclusivi nei territori delle tribù sabelliche o di tribù ad esse collegate economicamente o politicamente, portano a ritenere che la produzione debba circoscriversi nell’Italia centro-meridionale, lungo la fascia tirrenica dove esperienze etrusche possono essere state incentivo alla formazione di una metallotecnica locale219. Il cinturone sannitico è costituito da una fascia di bronzo, generalmente di dieci centimetri di altezza, ben visibile e allacciato all’addome degli adulti maschi. Esso era legato tramite ganci, i quali potevano o essere fusi e lavorati insieme alla lamina, oppure lavorati a parte ed applicati mediante chiodini. La lamina, per praticità, era applicata su un supporto di stoffa o cuoio mediante borchiette poste lungo i margini della fascia. Quest’ultime avevano la duplice funzione di essere funzionali e costituire elementi decorativi. I ganci presentano l’estremità ripiegata ad uncino in modo da permettere l’attaccamento all’estremità femmina, dove si trovano coppie di fori studiati per poter regolare l’ampiezza ed adattarsi a chi lo indossava . La classificazione di questi oggetti risale al 1986220. In quell’occasione furono presi in considerazione 260 cinturoni e 717 ganci. In base allo studio di questi esemplari si è potuto cominciare a proporre una tipologia che comprende 9 tipi, divisi in 19 sottotipi. La distinzione viene fatta in base al corpo del gancio, che può essere a palmetta con incisioni dalle più semplici alle più elaborate, a figura animale o a figura umana. Per la schedatura dei ganci di cinturione presenti nella Vetrina VII e XXVII del Museo Civico “G. Barone” si è fatto riferimento alla tipologia adoperata dalla studiosa Suano affrontata per i cinturioni italici. Al tipo Suano 1, diffusi dalla seconda metà del IV secolo a.C., appartiene il numero XXXIII.1 con corpo sagomato a palmetta doppia e volute incise e decorato con fitte incisioni; al sottotipo 1/B, solo per il corpo e non per la testa, appartiene il gancio numero XXXIII.2 con corpo allungato di forma triangolare, sagomato a palmetta doppia e volute incise, terminante in fiore stilizzato. Alla prima metà del IV secolo a.C. e al tipo 4/B della tipologia Suano appartiene il numero XXXIII.3, con corpo a sezione convessa tendenzialmente triangolare, alla base due volute cui segue un ventaglio di nervature incise. Il tipico ganci a forma di cicala è riferibile al numero XXXIII.4, appartenente alla tipologia 5/B di Suano con corpo molto allungato e tendenzialmente curvo, gli occhi dell’animale sono a rilievo ed evidenti elitre striate; termina con testa breve a protome tetriomorfa. Il numero XXXIII.5 presenta la testa configurata a protome probabilmente di Barone 1899, p. 71. Cianfarani, Franchi Dell’Orto, La Regina 1978, p. 161. 220 Per le tipologie dei ganci appartenenti a cinturioni cfr. Suano 1980; Suano 1986. 218 219 INTRODUZIONE 55 lupo con orecchie accentuate ed è ascrivibile al tipo 5/D; il numero XXXIII.6 rispecchia la descrizione che Suano propone per il tipo 7/B, ovvero gancio con uncino caratterizzato da una protome di animale ricurva da cui dipartono i corpi allungati a forma di animale. Purtroppo il reperto è in cattivo stato di conservazione e preclude il riconoscimento dell’animale rappresentato, infatti sono evidenti solo le teste. Alla tipologia ganci di cinturione appartengono anche altri esemplari, non riconducibili alla tipologia della studiosa Suano e quindi non contestualizzabili tipologicamente. Nello stesso paragrafo si è pensato di inserire un altro esempio di gancio provvisto di ardiglione a scudetto risalente all’epoca altomedievale, il numero XXXIII.9, riconducibile ad una produzione tipica dell’epoca longobarda. - Rasoi Tra gli oggetti relativi agli ornamenti personali si è pensato di inserire anche i rasoi, tipici strumenti da toletta di uso esclusivamente maschile, frequentemente deposto nei corredi funebri. L’uso di questo strumento nella cura della barba e della capigliatura maschili, ha trovato conferma nel rinvenimento di diversi esemplari che conservavano ancora, aderenti al taglio, alcuni peli di barba. La deposizione costante del rasoio all’interno delle sepolture maschili permette comunque di attribuire a questo oggetto, aldilà dell’uso pratico, un valore simbolico, forse legato al raggiungimento dell’età adulta anche se il rinvenimento, pur raro, in ripostigli ed in aree di abitato ne esclude tuttavia un uso esclusivamente rituale e funerario. Nella collezione Barone compare un sicuro esempio di rasoio e un altro di probabile affinità funzionale. Il numero XXXIV.1 corrisponde ad un rasoio lunato con dorso a curva continua e manico ad anello fuso liscio con appendici ornitomorfe. Si configura come un importante esempio della cultura villanoviana: un rasoio simile è stato rinvenuto nella necropoli di San Vitale e datato all’VIII sec. a.C.221 Il rasoio rientra nell’ampio tipo definito Grotta Gramiccia della classificazione operata dalla studiosa Bianco Peroni, distinto da caratteri morfologici abbastanza regolari, e appartenente nello specifico alla varietà A, solitamente inornata e senza il caratteristico ingrossamento del dorso. Il tipo ha ampia diffusione dall’VIII secolo a.C. in un’area che comprende l’Etruria meridionale, l’Umbria, il Piceno, l’Emilia-Romagna oltre che presenze isolate in altri centri anche minori dell’Italia Settentrionale. La studiosa ritiene che la tipologia sia assente in contesti laziali o in Italia meridionale222; grazie al rasoio della collezione Barone e da un esempio rinvenuto a Cuma223 si può smentire tale affermazione. Si possono citare altri esempi che rappresentano comunque espressioni del villanoviano e che differiscono dal rasoio della collezione Barone per via della decorazione incisa: uno riporta l’immagine di un arciere a caccia, l’ altro esempio reca l’immagine stilizzata di un cacciatore armato di arco composito. Sono conservati rispettivamente nel Museo Civico Archeologico di Bologna e nel Museo Archeologico della Maremma a Grosseto224. L’altro oggetto purtroppo mutilo è stato interpretato come un probabile rasoio poiché è caratPincelli, Morigi Govi 1975, tav. 312. Bianco Peroni 1979, pp. 135 - 136. 223 Napoli Antica 1985, nr. 9.35 tav. XIII, pp. 66, 69. 224 Martinelli 2004, p. 151. 221 222 56 AMELIA PISTILLO terizzato da una lamina trapezoidale sottile che potrebbe avere un uso pratico nella toeletta maschile. La lamina è decorata con cinque cerchielli su due file e lungo il bordo vi sono una serie di fori, in uno dei quali è inserito un manichetto costituito da un filo di bronzo. Nonostante la decorazione incisa non sono stati possibili confronti o attestazioni sicure relative alla funzione. - Strigile L’oggetto definito strigile viene inquadrato come un utensile da toeletta, usato perdipiù dai maschi e principalmente dagli atleti dopo le competizioni poiché serviva ad eliminare l’eccesso di sudore e polvere. Veniva anche usato per rimuovere una mistura di olio e sabbia, la quale aveva un’azione abrasiva, che gli atleti usavano spalmarsi addosso prima delle gare di lotta. In generale sono costituiti da un manico rigido e retto o capulus e da una specie di cucchiaio sviluppato in lunghezza, detto ligula, che termina con forma evasa per facilitare l’espulsione del liquido raccolto durante la dispersione. Essendo un elemento molto comune e diffuso nel mondo antico è stato adoperato in larga misura sia dai greci sia dai romani, ovviamente si distinguono delle varianti morfologiche: lo strigile greco non riporta la ligula a gomito, come nel caso degli strigili romani, ma piuttosto con un andamento a semicerchio; anche la conformazione del capulus differisce nelle due tipologie225. L’unico strigile della collezione Barone condivide maggiormente le caratteristiche “greche”, infatti presenta un capulus a lama piatta, curvo all’estremità che si congiunge con la parte posteriore della ligula, quella parte che veniva passata sulle membra, leggermente concavo e con un andamento a semicerchio. - Specchi In antichità gli specchi servivano per la toeletta di entrambi i sessi con lo scopo ovvio di riflettere la propria immagine, anche se negli esemplari con decorazioni incise o a rilievo del mondo mitologico o eroico il significato abbraccia sicuramente la sfera rituale226. Purtroppo sono gli oggetti che risentono maggiormente dell’alterazione del tempo poiché le superfici corrose e ossidate li privano della patina riflettente e quindi della funzionalità estrinseca. Dalla Vetrina VII provengono dodici specchi dalla diversa morfologia e decorazione più due frammenti quadrangolari. I più attestati sono sicuramente gli specchi con manico tra i quali spicca un esemplare, il numero XXXVI.10, provvisto di manico terminante in testa di animale, purtroppo non definito. Gli altri specchi presentano decorazioni varie: incisione a fitti trattini sull’orlo del numero XXXVI.7, decorazioni incise di forma circolare sull’intera lamina discoidale del numero XXXVI.11 e decorazione a rilievo a tacche continue sui contorni del disco e del manico, evidenti nella parte posteriore del numero XXXVI.9, che presenta inoltre una terminazione del manico non decifrabile ma di probabile attinenza al mondo animale. Nella scheda figura un altro specchio che risulta particolare per via della sua indubbia caratteristica funzionale: il numero XXXVI.12 presenta all’inizio del manico due terminazioni che fanno presupporre ad una funzione di aggancio a sostegno e quindi di oggetto d’arredamento del mondo antico. Per i XXXVI.10, 11 e 12 non è stato possibile ricondurli ad una corrispondenza nel catalogo Barone poiché i reperti sono inseriti nella Vetrina attraverso solidi sostegni che hanno reso impossibile prelevare e leggere il numero di in225 226 Galliazzo 1979, pp. 138 - 140. Lo Schiavo 2000, p. 86. INTRODUZIONE 57 ventario proposto, tuttavia sono segnalati con dei numeri di inventario corrispondenti a specchi variamente decorati227. Le dimensioni variano tra cm 16,5 e 27. Lo specchio numero XXXVI.5 è annoverato anch’esso tra gli specchi con manico ma presenta una particolarità: il manico a codolo risulta molto piccolo o perché manca parte di esso, anche se non si evidenziano fratture alla base, oppure in origine prevedeva l’inserimento di un manico realizzato in altro materiale che poteva sostenere il peso dello specchio e per questo spiegare le piccole dimensioni. Nel Museo Gregoriano etrusco sono state studiate diverse tipologie di specchi dotati per la maggior parte di questa caratteristica ed uno in particolare è simile allo specchio XXXVI.5 e datato addirittura tra la fine del VI e il primo quarto del V secolo a.C.228. L’unico esempio di specchio quadrangolare è stato ricomposto interamente da due frammenti e datato anch’esso all’epoca ellenistica così come i due frammenti, probabilmente attinenti ad uno specchio originario di tale forma. Dalla stessa Vetrina proviene anche un esempio di specchio circolare, le dimensioni del numero XXXVI.1 sono ridotte rispetto agli altri specchi senza manico della collezione Barone. Questi ultimi hanno un diametro compreso tra cm 14,8 e 24 e una lamina discoidale spessa; solo il numero XXXVI.4 presenta i segni di un forte danneggiamento ma si tratta di fratture avvenute sicuramente in tempi recenti poiché sul retro presenta una sorta di restauro in materiale moderno. - Suppellettili e arredamento della casa Nei paragrafi che seguono verranno presentati tutti quegli oggetti in bronzo che si riferiscono alle suppellettili domestiche di diversa forma e fattura, quali ad esempio bronzi figurati del mondo animale o semplici statuette antropomorfe intese principalmente come ex-voto. Ad ampliare la gamma dei corredi nelle case vi sono le lucerne, che oltre ad essere funzionali perché unici sistemi di illuminazione dell’epoca, grazie al notevole lavoro di artigianato che spesso le riguarda, costituiscono, insieme ai candelabri, delle invidiabili suppellettili. Inoltre saranno presentati anche elementi necessari e accessori che rappresentano i tipici rinvenimenti nelle case antiche quali chiodi, chiavi, elementi di serratura o semplici ordigni funzionali all’apertura delle porte. Saranno presentate le diverse tipologie di oggetti corredati di descrizione, funzione, tipologia e orientativamente la cronologia, quando sono risultati efficaci i confronti effettuati. - Statuette antropomorfe Le statuette raffiguranti personaggi mitici o tradizionali rappresentano il risultato più fortunato della tecnica a fusione piena. Sono ampiamente documentate in tutti i Musei italiani e nelle collezioni private e fino al XIX secolo erano considerate semplicemente documenti antiquari della produzione bronzistica etrusca, greca o romana, prive di uno studio sistematico atto a proporre una datazione seria o all’eventualità della loro appartenenza a produttori diversi, quali i plasticatori italici. Lo studioso Colonna è stato il primo ad aver avviato un discorso sistematico sulla numerosa classe di bronzi figurati dividendoli in quattro periodizzazioni cronologiche e indicando la presenza di alcuni “maestri” e “gruppi” distinguibili con nomi convenzionali. L’opera prevede anche lo studio e l’inquadramento di due dei bronzetti presenti nella collezione Barone: l’Ercole in assalto numero XXXVII.2, inserito nel gruppo “Baranello” e nella produzione del maestro “A” e il bronzetto 227 228 Barone 1899, nr. inv. 471, 472 e 475, p. 64. Sannibale 2008, nr. 120, pp. 185 - 186. 58 AMELIA PISTILLO relativo ad un probabile Marte, il numero XXXVII.1, attribuito al maestro “Adernò”, un plasticatore dalla vena popolaresca distinguibile per l’utilizzo di un modulo tarchiato e rozzo della figura229. Tra la ricca collezione delle statuette antropomorfe presenti nella Vetrina VII del Museo, compaiono molte statue attribuibili ad Ercole 230 . Il culto di Ercole penetrò profondamente tra gli Italici, raggiungendo tra il V e il IV secolo a.C., una popolarità eccezionale. Il suo mito si spiega attraverso la sua raffigurazione che adotterà uno schema rappresentativo preciso, che resterà standardizzato fatta eccezione di qualche variante, fino alla produzione romana: le statue riportano un personaggio con i costanti attributi dell’arco, la clava e la leontè trilobata che pende da braccio sinistro e preferibilmente visto in assalto. Nella collezione Barone sono presenti nove bronzetti raffiguranti Ercole in assalto con gli arti superiori in procinto di scagliare l’arco o la clava e gli arti inferiori in posizione dinamica, spesso la gamba sinistra posa a terra con la punta. Nella produzione bronzistica relativa al periodo arcaico, si nota generalmente una figura longilinea e concepita secondo uno schema di rigida frontalità, lasciando al bulino qualche annotazione anatomica. A partite dal V secolo a.C., grazie agli scambi con l’Etruria e la Magna Grecia231, si assiste ad una raffigurazione più classica nei tratti e nell’abbandono della frontalità in virtù di un movimento e una disinvoltura di tutto il corpo oltre che l’adozione di un nuovo schema rappresentativo, l’Ercole in riposo, o meglio una figura statica, con gli arti inferiori e superiori che non accennano a movimento. Nel Museo “G. Barone” le restanti cinque statue attribuite ad Ercole, lo ritraggono in riposo. In generale, per il periodo classico si riscontra una produzione “popolare” e con moduli espressivi ancora arcaicizzanti, che cerca di imitare i modelli di derivazione classica della grande statuaria degli scultori greci, tra cui Policleto e Lisippo, una ricerca della bellezza statuaria che arriverà a compimento nella piena età ellenistica con un Ercole prestante ed energico. Nell’ambito del periodo ellenistico si riscontra una fase di regressione stilistica, relativa al periodo medioellenistico, dovuta con tutta probabilità alla cesura con i centri propulsori della cultura greca per via della guerra annibalica 232 ed evidente nei bronzetti numero XXXVII.10 e 11. Per quanto riguarda la clava si è pensato fosse un attributo di un Ercole ma per il grande valore apotropaico e profilattico di cui spesso è investita potrebbe essere inquadrata anche da sola, eventualmente come pendaglio di amuleto, tesi suggerita anche dalle piccole dimensioni, sei centimetri in altezza233. Tra i bronzi figurati della collezione Barone sono rappresentati altri personaggi mitici tra cui Erote, caratterizzato da lunghi capelli ricci che ricadono sulle spalle ed incorniciano il volto tondo. Vi è un bronzetto raffigurante Mercurio provvisto di petaso, un elemento indicato come penna di Colonna suggerisce una periodizzazione cronologica che affiderà a quattro volumi distinti: arcaico (525 - 375 a.C.), classico (400 - 300 a.C.), protoellenistico (325 - 150 a.C.) e tardoellenistico (150 - 50 a.C.). Ad oggi l’unica pubblicazione è relativa al vol. I, Periodo Arcaico, si attendono i successivi volumi anche per il chiarimento dei criteri di suddette divisioni. Per il nr. XXXVII.1 cfr. pp. 120 - 122; per il nr. XXXVII.2 vedi pp. 158 - 159 del vol. I, di Colonna 1970. 230 I quattordici bronzetti raffiguranti Ercole del Museo Civico G. Barone sono stati studiati e pubblicati in Di Niro 1977. 231 Di Niro 1977, pp. 12 - 15. 232 Colonna 1971, pp. 175 - 176. 233 Galliazzo 1979, p. 129. 229 INTRODUZIONE 59 Thoth o petalo di loto tipico attributo del soggetto in questione234. Il bronzetto numero XXXVII.16 reggeva presumibilmente il caduceo, altro attributo tipico della divinità. Tra i bronzetti si riconosce un Lare stante corredato dei tipici attributi, quali patera e gonnellino a pieghe, un abbigliamento ritenuto analogo a quello “amazzonico” di Diana Venatrix235. È presente anche un bronzetto ascrivibile alla tipologia di Devoto coronato: si tratta di un tipo diffuso in Italia centrale dal III secolo a.C. all’età imperiale confuso inizialmente con un baccante, per via della corona a foglia di vite, poi identificato come Lare o Genio, per via della presenza della patera. Attualmente viene identificato come un sacerdote o offerente236. Seguono i bronzetti relativi alle divinità femminili tra cui Diana cacciatrice, una delle raffigurazioni più diffuse nel mondo romano della dea italica identificata con la greca Artemide di cui assunse le sembianze dal punto di vista figurativo237 e una piccola Venere nuda che poggia su una vertebra fossile di cavallo238. Nella scheda di riferimento sono stati inseriti altri bronzetti relativi a personaggi maschili e femminili e alcune testine umane, talvolta frammenti, negli altri casi integre e raffiguranti solo il volto, presumibilmente ideate come appliques. Inoltre è presente il repertorio egizio con un gruppo di tre statuette raffiguranti due Ushabty con al centro Anubis, un idoletto con caratteri chiaramente egiziani e un bronzetto attribuito presumibilmente ad Osiride. I bronzetti di Osiride sono documentati già nell’Italia preromana anche se la maggior parte degli esemplari sono generalmente privi di contesto o provengono da collezioni; sicuramente circolarono già in epoca romana anche in Italia. La riproduzione del dio della morte Osiride denota la fortuna che lo stesso culto ebbe con forte significato escatologico239. - Statuette zoomorfe A corredare la collezione delle statuette in bronzo sono presenti anche le raffigurazioni zoomorfe miniaturistiche. In generale si riscontra una buona abilità tecnica nella riproposizione in bronzo, in quanto spesso sono dettagliati sia i tratti del viso che i corpi degli animali; sovente si riscontrano lacune in questo senso e le figure sono rese approssimativamente o in modo stilizzato. La tecnica adoperata è la stessa per le statue antropomorfe: la fusione piena. Anche questo tipo di suppellettile è corredata di una base e in molti casi vi è un perno, inserito nel corpo dell’animale, per garantire la stabilità. Il repertorio comprende diversi tipi di animali tra cui felini, anche nella riproduzione di pantere e leoni, tori, uccelli, rettili, animali del mondo marino e un esempio di roditore. Tra gli animali si riconoscono alcune scelte dettate dalla valenza simbolica: il toro è il simbolo per eccellenza del fecondatore oltre che simbolo di potenza e gioventù legato a Dionisio e ad altre L’iconografia della divinità romana è stata molto discussa in virtù della sua origine: la tesi principale ritiene la divinità variante del greco Hermes, dio della vegetazione e rappresentato spesso con animali nei pressi della figura; un’altra tesi rilevante riguarda l’assimilazione con il dio egizio Thoth, per via della penna sul capo, tipico attributo di questa divinità. Sempre nell’Egitto greco-romano, Hermes è identificato con Anubis, divinità anch’essa rappresentata con petalo di loto e caduceo. Franzoni 1973, pp. 51 - 52. 235 Franzoni 1973, pp. 128 - 129. 236 Franzoni 1980, p. 61. 237 Galliazzo 1979, pp. 58 - 59. 238 Barone 1899, p. 68. 239 Sannibale 2008, pp. 19 - 20. 234 60 AMELIA PISTILLO divinità. Era frequente sia in ambito funerario che come semplice “abbellimento” domestico carico di funzione apotropaica e votiva offerto a qualche divinità benefica240. Anche il motivo del leone risulta largamente recepito dall’area centro-italica241. Sono immagini senz’altro decorative come suggerisce l’incavo cilindrico nella parte inferiore del dorso che lascia intendere l’uso di queste statuette generalmente come applique, basi, o terminazioni. Nella scheda di riferimento sono stati analizzati alcuni frammenti tra cui un animale in posizione accovacciata e con testa di lato di dubbia interpretazione: appartenente a un bracciale serpentiforme o addirittura essere pensato come un frammento di ansa decorativa. - Lucerne e candelabro Tra i sistemi d’illuminazione utilizzati in antichità, compaiono le lucerne tradizionalmente attribuite a materiale fittile, perchè attestate in maggior misura rispetto a quelle in bronzo. La ragione è da ricercarsi sia nel costo elevato del metallo, sia nella probabile rifusione che ne veniva fatta. Inoltre, la maggior durata d’uso degli oggetti in metallo rispetto ai più deteriorabili fittili, non consente la formulazione di una cronologia precisa, al contrario di quello che avviene per le lucerne fittili242. Anche la classificazione tipologica appare alquanto difficoltosa considerando che la maggior parte dei reperti non proviene da scavi datanti ma da collezioni private o vendite antiquarie. Nella collezione Barone sono conservati tre esempi di lucerne in bronzo conservati nelle Vetrine VII e XXIII. La lucerna XXXIX.1 risulta molto particolare per via della decorazione del disco a valva di conchiglia. Per quanto riguarda la morfologia, probabilmente è attinente al tipo “Mahdia”243 proposto dalla studiosa Valenza. Le lucerne appartenenti a questa tipologia sono gli antecessori dei corrispettivi fittili “a volute”, diffusi in tutto l’impero dal I secolo a.C. e corrispondono alla prima evoluzione di quelle in bronzo, diffuse dalla prima età imperiale. Il tipo nacque in territorio greco intorno alla metà del II secolo a.C. e l’origine ellenica è avvalorata dal fatto che non esistono corrispettivi fittili contemporanei nell’ambito romano244. La produzione fu poi recepita in ambiente romano e diffusa per tutto il I secolo d.C. con numerose varianti, esempio della libertà di riproduzione di un modello che ebbe molto successo. A livello morfologico presentano becchi divergenti e ansa impostata verticalmente decorata a forma di elemento vegetale. Anche la lucerna della collezione Barone condivide la forma in più si riconosce una probabile testa di cingo che sporge dalla parte mediana della foglia. I confronti con lucerne inquadrate nella stessa tipologia presentano un disco più semplice rispetto alla lucerna Barone, chiara denuncia delle varianti presenti nel mondo romano. Le altre due lucerne della collezione presentano una struttura semplice. La prima lucerna è bilicne con becchi divergenti e con un’ansa impostata verticalmente, sporgente dalla parte posteriore del serbatoio. I canali sono rotondi e terminanti con beccucci a bordi rilevati e infossati; il disco invece è a profilo convesso liscio con un unico infundibulum centrale. La seconda lucerna è composta da due elementi mobili a corpo rotondeggiante e disco liscio con grande infundibulum centrale. Galliazzo 1979, p. 95. Sannibale 2008, p. 51. 242 Valenza 1977, p. 157. 243 Conticello, De Spagnolis, De Carolis 1988, p. 41 ss. 244 Valenza 1983, pp. 29 - 30. 240 241 INTRODUZIONE 61 Nella Vetrina VII compare anche un particolare esempio di candelabro245, la sua funzione è esplicita ed è quella di reggere in alto una lucerna. Non si può stabilire con certezza se gli elementi strutturali sono tutti originali: presenta una parte superiore con piccola ciambella circolare dalla quale si dipartono quattro rebbi con piatte terminazioni liliacee, uno stelo che appare di ridotte dimensioni rispetto alle varie tipologie dei candelabri, infine un treppiede con elementi poggianti a forma di zampe leonine che non trova puntuale riscontro nelle classificazioni adoperate per questo manufatto. La parte superiore è databile alla prima metà del V secolo a.C. , la parte inferiore non trova precisa collocazione cronologica ma probabilmente rientra nel discorso generale delle basi composite che appaiono, seppur raramente, alla fine del V secolo a.C.246 - Chiavi ed elementi di serratura Nella Vetrina VII sono conservate sei chiavi necessarie per la chiusura di porte, armadi o semplici cassette. Generalmente sono costituite da impugnatura ad anello e ingegno rettangolare, ortogonale al fusto con al massimo tre denti. Barone precisa l’utilizzo per la chiusura di porte, per la numero XL.1; per le altre chiavi sottolinea l’utilizzo per la chiusura di armadi. La tecnica produttiva è essenzialmente la fusione piena. Nella scheda di riferimento sono presentati anche elementi di serratura a scorrimento in bronzo: sono dei chiavistelli che costituivano la parte principale della serratura di cassette e venivano spinti dalla chiave a bloccare l’anello di fissaggio sulla placca incernierata di chiusura247. Gli elementi di serratura appaiono più tardi delle chiavi attestate principalmente dall’epoca romana. - Elementi di cardine Sempre a corredo di una porta, nel Museo sono conservati gli elementi necessari per renderle girevoli: i cardi. Un primo elemento è rappresentato con una forma cilindrico cavo con base piatta; seguono tre esempi di dado o rallino conformati con un corpo quadrangolare regolare e una superficie anteriore con depressione circolare. Inoltre vi è un esempio di bandella di bronzo che si articola come un “gomito”. - Chiodi Nella Vetrina VII e nella Vetrina XXVII sono esposti diversi esemplari di chiodi antichi. Così come molte altre classi di oggetti, anche i chiodi condividono la sorte comune di non poter essere inquadrati cronologicamente in modo puntuale, senza le notizie del ritrovamento e del contesto di appartenenza. Presumibilmente la datazione rimanda all’epoca romana. Nel catalogo Barone il numero XLII.1 è definito clavus trabalis248, ovvero chiodo con uno stelo massiccio usato per l’assemblaggio di travi. Anche per i numeri XLII.2 e 3 il lungo stelo, tra cm 19 e 19,8, denuncia l’uso connesso a strutture abitative di contesti sia preromani che romani249. Lo studio principale dei candelabri etruschi in bronzo è Testa 1983 e 1989. Testa 1989, p. 60. 247 Roma 2001, p. 413. 248 Barone 1899, p. 71. 249 Di Niro 2007, p. 101. 245 246 62 AMELIA PISTILLO Gli altri due chiodi si differenziano per una lunghezza minore, tra cm 7,2 e 8,5, presumibilmente l’uso è da rimandare alla decorazione di mobili poiché presentano anche una testa ben conformata con chiara funzione estetica. - Altri oggetti con funzione esplicita In questo paragrafo verranno segnalati altri reperti degni di nota e caratterizzati da una destinazione d’uso ancora oggi propria dei reperti. Per via della forma non si può arrivare ad una precisa collocazione temporale in quanto non sussistono delle varianti sostanziali nel tempo. Riconosciamo nella scheda di riferimento, un campanello, chiamato tintinnabulum, una serie di cucchiai e forchette, alcuni dei quali riconducibili a specifiche tipologie contestualizzate, una serie di anelli gemini cuspidati, anche’essi soggetti a classificazione tipologica, e a concludere una serie di sigilli in bronzo. - Tintinnabulum Come segnalazione acustica di comune utilizzazione in tutto il mondo antico vi è il campanello. La funzione principale doveva consistere nel segnalare l’apertura o la chiusura degli edifici pubblici o delle pubbliche riunioni; inoltre si può ipotizzare anche uno scopo utilitario aggiunto, ovvero inquadrarlo come un amuleto con carattere magico e valore apotropaico magari contro sortilegi o malocchi. In questa prospettiva appare con frequenza nel mondo antico tra le suppellettili domestiche250. Altre funzioni ci vengono specificate da Barone nella breve presentazione della Vetrina VII ritenendo che i campanelli venissero indossati dagli animali, o utilizzati dai sacerdoti nei misteri di Bacco o come segno di richiamo dei venditori per gli avventori251. Nella collezione Barone è presente un solo esemplare di campanello di bronzo con presa ad anello e il corpo a tronco di piramide con base quadrata e spigoli arrotondati. È assimilabile al tipo C1 della classificazione operata da Galliazzo per i campanelli antichi252. Il tipo di riferimento è a “campanaccio” con campana cilindrica alta. L’esemplare baranellese trova confronto a Sepino quest’ultimo datato I secolo d.C.253 Purtroppo manca il batacchio presumibilmente in ferro e di altezza quanto od oltre la base della campana stessa, come solitamente si rinvengono. - Cucchiai e forchette Le posate in antichità fungevano da “protesi” in sostituzione del cavo della mano umana e l’intuizione dello strumento ha origini remote: già dalla preistoria è utilizzato e perfezionato con manici in legno, avorio o altri materiali e desinente nelle forme più disparate; anche nella Grecia classica ed ellenistica erano largamente impiegati durante i pasti254. I romani preferivano prendere il cibo con le mani direttamente dal piatto ma è largamente riconosciuto l’utilizzo di due tipi diversi di cucchiai: la ligula, nome che deriva dal diminutivo di “lingua”, in riferimento alla forma della conca, cucchiaio più simile a quello moderno, che, usato abitualmente in cucina, compariva sulle tavole romane solo quando era indispensabile per assumere Galliazzo 1979, pp.155 - 156. Barone 1899, p. 54. 252 Galliazzo 1979, p. 158. 253 Di Niro 2007, p. 99. 254 Galliazzo 1979, p. 184. 250 251 INTRODUZIONE 63 pietanze liquide o semiliquide; ed il piccolo cochlear, così detto dal termine latino cochlea, “lumaca”, che veniva utilizzato in occasioni importanti e con cibi raffinati. Questo particolare cucchiaio possiede l’apice a punta che permetteva di infilzare molluschi o quant’altro oppure rompere il guscio delle uova o rappresentare una valida alternativa per forchette, stuzzicadenti o dentiscalpium. Venne impiegato anche nel campo della cosmesi per mescolare sostanze colorate oppure oli e unguenti. Venne altresì usato nel campo farmaceutico per amalgamare polveri e sostanze medicinali255. Per gli svariati cucchiai del mondo antico la datazione è ampia e non precisa in termini di secoli poichè la classe di produzione è attestata durante tutta l’epoca romana fino all’Alto Medioevo e oltre. Nella collezione Barone si conserva un variegato insieme di cucchiai: tre corrispondenti alle “ligulae” romane caratterizzati da una conca ovale e profonda. Per i nr. XLIV.2 e 5, conservati integri, grazie alla presenza dell’apice decorato si è riusciti ad inquadrarli nella tipologia “A” fornita da Galliazzo e rispettivamente di cucchiaio con apice “a gemma stilizzata” e con apice “a zoccolo di cervide o capride”256. Gli apici dei cucchiai romani erano caratterizzati diversamente e desinenti in immagini fitomorfe, zoomorfe o umane, tutte immagini simboliche con un significato implicito di eternità, abbondanza e felicità che rimandavano al sacro e al magico257. Per quanto riguarda la modalità di produzione si tratta della fusione a cera perduta. Nel catalogo Barone vengono accorpati con un solo numero di inventario quattro cucchiai, di cui due grandi e due piccoli, due forchette e altri oggetti in bronzo258. Per i cucchiai Barone specifica un uso farmaceutico, che si può sicuramente ipotizzare per i nr. XLIV.3 e 4, non per le ligulae precedentemente descritte, il cui uso è sicuramente alimentare. L’uso in campo farmaceutico è supposto per i nr. XLIV.3 e 4 i quali presentano piccole dimensioni, massimo cm 7, e altre caratteristiche ascrivibili a quell’uso specifico. Il nr. XLIV.4 possiede cinque fori nella profonda conca per cui si ritiene sia un cucchiaio da “filtro” per determinate sostanze mediche. Il nr. XLIV.6 presenta una conca ovale molto piatta per cui si ritiene improbabile l’uso alimentare soprattutto se i romani limitavano l’utilizzo di questa posata all’assunzione di cibi liquidi. Nella collezione figurano anche un cucchiaio frammentato nella parte anteriore e un cucchiaio dichiaratamente moderno, rispettivamente i nr. XLIV.1 e 7259. Per quanto riguarda l’altro le forchette, tradizionalmente sono considerate di minor impiego rispetto ai cucchiai. Infatti si precisa che non comparivano quasi mai sulle tavole degli antichi romani e che l’ utilizzo era limitato alla cucina, diversamente dai versatili cucchiai. La datazione si pone generalmente in epoca romana imperiale o tardoantica 260 . Nel catalogo Barone vengono indicate come fuscinulae, probabilmente si tratta del nome antico 261 . Le numero XLIV.8 e 9 non presentano differenze caratterizzanti: entrambe sono a quattro rebbi e frammentarie dei due esterni, la lunghezza è simile, tra cm 15 e 16, e sono dotate di lungo manico. La numero XLIV.9 presenta una particolarità maggiore, ovvero la desinenza piatta del manico, magari per una presa maggiore. La datazione è pertinente sicuramente all’epoca romana, ma Zampieri 2000, pp. 198 - 200. Per la descrizione dei tipi “A” e “B” cfr. Galliazzo 1979, pp. 184 - 186. 257 Galliazzo 1979, p. 184. 258 Barone 1899, p. 72. 261 Barone 1899, p. 72. 255 256 64 AMELIA PISTILLO compaiono più tardi dei cucchiai, ovvero nella tarda epoca romana imperiale 262 . - Anelli gemini Tra gli oggetti comunemente ritenuti di inquadramento incerto, normalmente documentati nelle collezioni di antichità, figurano gli anelli gemini cuspidati, nei quali il paletnologo Pellegrino Strobel riconobbe, alla fine dell’ottocento, i componenti di un particolare tipo di barbozzale, interpretazione tra le più condivise insieme a quella di tenditore di arco o di balista263. Nella collezione Barone compaiono in numero di tre e nella scheda di riferimento è esplicitata l’appartenenza al “gruppo” e al “tipo” stabilito dallo studioso Sannibale in occasione del catalogo redatto per gli anelli gemini cuspidati della Collezione Gorga. A livello morfologico sono riconoscibili dalla presenza di due anelli collegati da un ponte su una delle cui facce si dipartono tre cuspidi; la differenziazione in “gruppi” è determinata dalla presenza delle tre cuspidi, invece il “tipo” è suggerito dalla conformazione delle cuspidi, nei tre esempi della collezione, appaiate e di uguale morfologia oppure con la cuspide singola più massiccia rispetto alle altre. Inoltre i numeri XLV.2 e 3 riportano delle apofisi sugli anelli che sono state considerate come probabili simboli fallici, anche se la forma non appare perfettamente esplicita. Probabilmente la sollecitazione meccanica era incentrata sulle parti anulari. Riguardo la datazione si presume un ambito cronologico che va dal IV al III secolo a.C., una datazione di massima che risente del fatto che quasi tutti i reperti sono carenti di dati relativi alla provenienza. Il raggio di diffusione è molto ampio: l’uso è attestato per le popolazioni italiche dell’Italia settentrionale, dell’Etruria e del Piceno264. - Sigilli Molti Musei conservano i sigilli o anelli metallici deputati a questa funzione. L’abitudine di “sigillare”, o meglio di imprimere un marchio su un qualsiasi oggetto, nasce molto presto addirittura è attestata nelle civiltà orientali dal IV millennio. È stato uno strumento utilizzato da tutte le civiltà antiche soprattutto per testimoniare l’importanza giuridica dei documenti, di atti ufficiali o per corrispondenze pubbliche e private. Le notizie sulle tecniche di produzione non sono molto chiare, probabilmente la fusione dei supporti avveniva in stampi in pietra o terracotta con la tecnica della cera persa. Nello specifico del mondo romano i sigilli erano funzionali ad autenticare documenti e scritture che assunsero carattere probatorio, quindi furono indispensabili, allorchè la semplice notitia diventò charta che necessitava di una sottoscrizione. Le tipologie furono diverse: da sigilli con raffigurazioni antropomorfe, magari attinte dal mondo mitologico, a raffigurazioni animali oltre che figure allegoriche o simboli. Diversa natura ebbero i signacula di metallo, in forma di stampiglie rettangolari chiamati comunemente sigilli ma in realtà sono dei marchi specifici. Nel Museo “G. Barone” sono presenti sei signacula costituiti prevalentemente da una placca a forma rettangolare sagomata e lettere rilevate. Sul dorso presentano un anello variamente decorato con ramo di ulivo, con glo- Zampieri 2000, p. 206. Lo strumento è stato oggetto di dibattito: gli studiosi Gozzadini e Tommsen riconobbero gli oggetti come strumenti per caricare l’arco nei tipi cuspidati e per balista nei tipi dentati (assenti nella collezione Barone). Sannibale 1998, pp. 21 e 241. 264 Sannibale 1998, p. 253. 262 263 INTRODUZIONE 65 betto in apice oppure senza decorazioni aggiuntive. La semplicità di questi manufatti spiega il loro diverso uso rispetto ai sigilli per eccellenza: era facile la contraffazione quindi non potevano sostituirsi a firme originali per documenti giuridici; erano invece marchi di proprietà che si apponevano a vari oggetti dal campo edilizio per il contrassegno di laterizi, al campo artigianale per apporre il marchio sui vasi, anche nel campo alimentare per contrassegnare le derrate265. - Oggetti di incerta identificazione A conclusione dei paragrafi si è pensato di inserirne un altro che spieghi brevemente tutti i reperti di piccole dimensioni che non hanno trovato posto della classificazione adoperata e la cui funzionalità rimane per il momento incerta. Sono presenti nove guarnizioni che ricorrono come elemento ornamentale sia nel mondo ellenistico che nel mondo romano 266 . Sono teste di borchie a forma di disco con bordo rialzato e parte mediale sollevata terminante in bottone conico o cilindrico che sottolinea la funzione di ornamento. Nella parte posteriore si scorgono elementi concavi, deputati all’inserimento magari su chiodi, anche elementi a rilievo, probabili residui di un originario attacco. La guarnizione nr. XLVIII.10 è invece piatta nella parte posteriore e reca nella parte anteriore una testa di animale a rilievo. Tra gli oggetti relativi ai lavori di costruzione figurano una grappa di cm 6,4; due viti desinenti a punta con la parte superiore con collegamento; due punteruoli di diversa fattura di cui uno, risulta particolarmente pregiato perché integro e con decorazione apicale traforata. Vi è la presenza di due frammenti di saltaleone, ovvero molle utilizzate per la compressione e determinate dalla particolare forma che vede un filo metallico avvolto a spirale. Tra gli oggetti di incerta funzione compare anche uno sgabello miniaturistico: la forma è affine a quella dei moderni sgabelli, ma l’interpretazione potrebbe essere quella di un oggetto simbolico che rimanda alla maternità e all’infanzia, perché spesso legato alla figura materna e inteso come scanno, a denotare la funzione importante della donna nella società267. Tra i reperti compaiono un guscio di noce, un’ancora e una probabile paletta di cui non si è chiarita la funzione: probabilmente erano dei pendagli o corrispondevano al corredo di una statuetta non identificata. Seguono due ami da pesca risalenti all’epoca romana. Ripetono un tipo con ago ricurvo e uncinato alla punta presente in età preistorica e ampiamente testimoniato in età greca e romana con caratteristiche pressochè immutate fino ai giorni nostri268. Tra i piccoli oggetti si scorge anche un uncino e un bottone di piccole dimensioni oltre che altri frammenti sviluppati in lunghezza non decifrabili. Inoltre vi sono due oggetti, di diversa conformazione, con decorazione a rilievo, il nr. XLVII.10 presenta una figura animale. Anche uno sperone e un uncino di probabile bilancia si aggiungono alla serie di reperti con varie forme e funzioni. Sono presenti due decorazioni di forma circolare descritti da Barone quali modelli di campana o cimbali, chiamato aesthermarum, in uso nei pubblici bagni per annunciare che l’acqua calda era pronta269. Probabilmente sono delle decorazioni per scudo tipiche rinvenute anche in Molise a San Per una disamina completa sulla storia dei sigilli e sulle diverse tipologie cfr. Bascapè 1969 - 1978, vol. I. Galliazzo 1979, p. 217. 267 Lo Schiavo 2000, p. 92. 268 Galliazzo 1979, p. 207. 269 Barone 1899, p. 67. 265 266 66 AMELIA PISTILLO Polo in località Camponi e a Vinchiaturo, risalenti alla Prima età del Ferro270. Vi è un esempio di “bottone” morfologicamente affine a quelli di epoca moderna. La forma resta invariata nel tempo, anche in contesti protostorici sono molto frequenti e la funzione va ricercata nell’ambito di borchie decorative cucite su abiti. La successiva funzione di allacciare i vestiti arriva in età medievale e resta invariata fino a tutt’oggi271. CONCLUSIONI Il presente lavoro, iniziato come tesi magistrale, ha determinato il rilievo grafico, fotografico e la schedatura di 104 reperti in vetro e 304 in bronzo. Esso rappresenta il primo tentativo di studio sistematico, circoscritto al materiale vitreo e bronzeo, della collezione del Museo Civico “G. Barone” di Baranello. L’estrema varietà dei reperti ha consentito di procedere ad una presentazione critica del materiale basata essenzialmente su un criterio tipologico. Gli esemplari che figurano nella collezione appaiono eterogenei per cronologia e provenienza in accordo con lo spirito “enciclopedico” della raccolta; infatti, la collezione baranellese accanto a punti di prestigio quali il consistente numero di pezzi confluiti nonché la rarità e l’eterogeneità di alcuni, presenta i soliti aspetti negativi del collezionismo di vecchia data: assenza di precise indicazioni sulla provenienza dei singoli pezzi, prolungato isolamento del materiale da ogni circuito scientifico. Agli aspetti deficitari di questa situazione si è cercato di porre rimedio in questa sede. Il quadro dispersivo prospettato permette comunque di discernere alcune aree culturali predominanti, che possono fornire un’indicazione di massima sui mercati cui deve essersi rivolto il collezionista con maggiore frequenza. Attraverso la sua biografia si è accertato che i materiali sono stati recuperati nei mercati d’arte che proliferavano nella Napoli della seconda metà dell’Ottocento, periodo in cui venivano effettuati i primi scavi delle città antiche. I reperti esaminati rappresentano modelli di artigianato non solo locale, riferibili quindi all’area vesuviana ma riguardano anche produzioni etrusche, italiche e romane. Una buona percentuale dei reperti bronzei è datata tra il Bronzo Finale e la Prima Età del Ferro, tra cui figurano soprattutto armi, qualche esempio di fibula e dei pendagli indicatori di una produzione largamente attestata nella fossakultur dell’Italia meridionale che vede la diffusione delle diverse fogge soprattutto nelle necropoli campane. Inoltre nella piena Età del Ferro è ascrivibile una fitta produzione artigianale con corrispondenza in tutta la penisola, dal Piceno alla Campania, dalla Puglia alla Calabria che fa risultare difficile un’individuazione cronologica precisa di molti dei reperti analizzati. Di sicura origine etrusca sono diversi esempi di vasellame da mensa di forma chiusa, come lo Schnabelkanne e le due olpai riconducibili a produzioni vulcenti poi confluite in ambiente etrusco-campano. Alla cultura villanoviana è attinente anche l’unico esempio di rasoio lunato che smentisce una produzione rigidamente nord-italica. All’Età Arcaica corrisponde una buona parte di manufatti in bronzo, soprattutto tra gli oggetti 270 271 De Benedittis 2005, p. 46; Di Niro 1980, p. 46. Lo Schiavo 2000, p. 88. INTRODUZIONE 67 di ornamento o alcuni esempi di vasellame miniaturistico; anche la produzione di statuette è attestata in questo periodo con la massima espressione nel periodo ellenistico romano. La maggior parte dei reperti bronzei analizzati è inquadrabile in produzioni dell’epoca romana in linea con la diffusione di nuove officine specializzate. Le più operative sono incentrate sicuramente in area campana come Capua e sicuramente Pompei, considerata un importante centro di traffici commerciali soprattutto per i territori sannitici. Non mancano esempi relativi a fogge tipiche del periodo altomedievale anche se in minor misura rispetto a reperti più antichi. Per quanto riguarda il materiale vitreo sono largamente documentati i reperti del periodo romano, in particolare dal periodo augusteo fino al IV secolo d.C. La forma più fortunata e riprodotta fu sicuramente quella dei balsamari in vetro, preziosi custodi di sostanze profumate utilizzate nel mondo femminile. Lo studio degli stessi ha permesso di stabilire che la provenienza è sicuramente campana, come chiarisce l’attestazione frequente in area vesuviana. Il rinvenimento ad Ercolano e Pompei, oltre che la presenza nella collezione Barone e ritrovamenti a Sepino, ampliano la diffusione e l’orizzonte cronologico di alcune tipologie fino ad ora esclusive dell’Italia settentrionale e delle province transalpine. Si riconoscono per la maggior parte manufatti soffiati, in un solo caso un reperto è stato prodotto con una tecnica più antica, quella del nucleo friabile. La collezione vitrea rispecchia, con l’etereogeneità dei colori e delle forme, la pratica di collezionare i reperti in base all’aspetto squisitamente antiquario. In conclusione, sulla base dei confronti è stato possibile accertare che il materiale esaminato in questa sede è datato in un arco cronologico molto ampio, che va dall’età protostorica all’età moderna, rispecchiando la configurazione stessa del Museo nato come collezione privata nel XIX secolo. Purtroppo, il già ribadito presupposto dell’assenza dei dati sulla provenienza, ha permesso solo in parte di inquadrare le diverse tipologie di materiale all’interno delle direttive principali di produzione e diffusione. 68 AMELIA PISTILLO SCHEDE DI CATALOGO I VETRI TIPO I: Anfora miniaturistica Tav. 1 I.1. Anfora miniaturistica Nr. inv. 192; H 11,6 cm; Ø (o) 3 cm. Modellazione su nucleo. Vetro blu; vetro giallo e bianco per le decorazioni. Mutila, ampia lacuna al corpo. Manca una delle anse. Ricomposta in due parti. Vetrina XXVII. Bocca con orlo imbutiforme filettato in giallo; collo cilindrico filettato in giallo e in bianco; due anse verticali con sezione rettangolare, impostate dall’orlo al corpo, nel punto di massima espansione; spalla dritta; corpo ovoidale, decorato da motivi a zig zag in giallo e bianco marginati da linee bianche e gialle; piede a bottone leggermente deformato; anse con solcature verticali; sul corpo pseudo-baccellature prodotte dallo strumento usato per la decorazione. Appartenente al Terzo Gruppo Mediterraneo simile alla forma 7b di Harden (1981, pp. 128 ss). Appartenente alla Classe II: F4B di Grose. III - I sec. a.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto a Pompei (Collezioni Napoli 1986, nr. 7, pp. 218 - 219); in una tomba in Sicilia (Basile 2004, nr. 25 p. 59). TIPO II: Balsamario discoidale Tav. 1 II.1. Balsamario discoidale Nr. inv. 703; H 4,7 cm. Vetro soffiato a canna libera. Bianco, trasparente. Frammento. Manca l’orlo e parte del collo; ricomposto in due parti. Vetrina VIII. Collo cilindrico con strozzatura alla base; spalla arrotondata verso l’esterno; parete arrotondata verso l’interno; fondo leggermente concavo. Tipo Isings 28a; Tipo Scatozza 44; Tipo De Tommaso 1. Età augustea - prima Età claudia. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una piccola ampulla con collo stretto e pancia larga. Trova confronti a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 91 94, p. 142); a Padova (Larese 2004, nr. 26, tav. LVI e nr. 26, tav. CI); a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 127, tav. XXXV). TIPO III: Balsamari emisferici Tav. 1 III.1. Balsamario a piccolo ventre sferico Nr. inv. 696; H 8 cm; Ø 2 (o), 2,9 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verdeazzurro, trasparente. Integro. Incrostazioni all’esterno. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità arrotondata; collo cilindrico; corpo globulare; fondo piatto. Tipo Isings 6; Tipo Scatozza 45; Tipo De Tommaso 13. Fine I sec. d.C. - inizi II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come un’ampulla con collo basso e pancia rigonfia. Trova confronti per la conformazione globulare del corpo e il fondo piatto con il Tipo 7 e il Tipo 12 della classificazione De Tommaso di cui si configura come una variante più tarda e rara (De Tommaso 1990, pp. 42 - 43, 46 - 47). Trova confronti a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 128, tav. XXXV); a Palermo (Basile 2004, nr. 159, tav. XLI); nelle collezioni pavesi (Maccabruni 1983, nr. 77 90, pp. 140 - 141); nel Museo Civico di Padova (Larese 2004, nr. 33, tav. LVI) e nel Museo Civico di Cologna Veneta (Larese 2004, nr. 574 - 576, tav. LXXXIV). III.2. Balsamario a piccolo ventre sferico Nr. inv. 722; H 5,6 cm; Ø 1,7 (o) cm. Vetro soffiato a canna libera. Ambra, iridescente. Frammento. Manca parte dell’orlo e del corpo. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; collo cilindrico; corpo globulare; fondo convesso leggermente appiattito. Tipo Isings 6; Tipo Scatozza 45; Tipo De Tommaso 7. Età augustea - fine I sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come un’ampulla colorata. Il corpo sferico è simile al tipo Isings 10 dal quale differisce per la base del collo più ampia (Isings 1957, pp. 25 - 26). Per i confronti vedi III.1. III.3. Balsamario a piccolo ventre sferico Nr. inv. 728; H 4,9 cm; Ø 1,6 (o) cm. Vetro soffiato I VETRI a canna libera. Celeste, opaco. Orlo lacunoso. Incrostazioni all’esterno. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; collo cilindrico; corpo globulare; fondo convesso leggermente appiattito. Tipo Isings 6; Tipo Scatozza 45; Tipo De Tommaso 7. Età augustea - fine I sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come un’ampulla colorata. Per i confronti vedi III.1. III.4. Balsamario a piccolo ventre tondeggiante Nr. inv. 713; H 10,5 cm; Ø 2,8 (o), 3,2 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Blue, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; alto collo cilindrico con strozzatura alla base; corpo tondeggiante; fondo leggermente concavo. Tipo Isings 6-8; Tipo Scatozza 46; Tipo De Tommaso 12. Prima metà I sec. d.C. - fine I sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come un’ampulla con collo lungo e pancia rigonfia. Trova confronto a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 130, tav. XXXV); a Pompei (Scatozza 2012, nr. 8392 tav. X; nr. 12776 e 12777, tav. XXXIII; nr. 11432 A/B/C/D/E, tav. XXXV); nelle collezioni pavesi (Maccabruni 1983, nr. 80, 82, 84, 86, 88, pp. 140 - 141); nel Museo Arch. di Adria (Larese 2004, nr. 67 - 69, tav. XX); nel Museo Civico di Padova (Larese 2004, nr. 42, tav. LVI); a Sepino (Di Niro 2007, nr. 157, pp. 88 – 89). III.5. Balsamario a piccolo ventre tondeggiante Nr. inv. 720; H 7,4 cm; Ø 2,2 (o), 2.2 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Azzurro, trasparente. Integro. Incrostazioni all’esterno. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; alto collo dritto; spalla arrotondata verso l’esterno; parete arrotondata verso l’interno; fondo piatto. Tipo Isings 6-8; Tipo Scatozza 46; Tipo De Tommaso 12. Prima metà I sec. d.C. - fine I sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con collo stretto e pancia sferica. Per i confronti vedi III.4. Inoltre per la base piatta 69 trova confronti a Pompei (Scatozza 2012, nr. 11383C, tav. XXX; nr. 11432B tav. XXXV; nr. 11994 F/R, tav. XLIII). TIPO IV: Balsamari piriformi Tav. 1 IV.1. Balsamario piriforme Nr. inv. 694; H 6,2 cm; Ø 2,2 (o), 3,2 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verdeazzurro, trasparente. Integro. Tendenza a sfaldarsi. Vetrina VIII. Orlo arrotondato all’interno; piccolo collo cilindrico, con strozzatura alla base; corpo conformato a bulbo schiacciato, fondo piatto. Tipo Isings 26a; Tipo Scatozza 49; Tipo De Tommaso 27. Età augustea - Età flavia. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come un’ampulla con collo basso e pancia rigonfia. Il tipo 26a Isings e 27 De Tommaso si presentano rispettivamente come l’evoluzione del tipo 6 Isings e 7 De Tommaso, ovvero dei balsamari a corpo emisferico. Trova confronto con un balsamario ad Adria (Larese 2004, nr. 106, p. XXII); a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 100 - 103, p. 142); a Pompei (Scatozza 2012, nr. 12499C, tav. XLVII); a Gela (Basile 2004, nr. 172, tav. XLV). Inoltre a Ercolano trova confronti con un esemplare che non presenta la strozzatura alla base del collo (Scatozza 1986, nr. 236, tav. XXXVI). IV.2. Balsamario piriforme Nr. inv. 697; H 10,2 cm; Ø 3,2 (o), 4,4 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verde chiaro, trasparente. Integro. Vetrina VIII. Orlo distinto, ripiegato verso l’esterno; alto collo cilindrico con strozzatura alla base; ventre piriforme; fondo piatto. Tipo Isings 28b; Tipo Scatozza 49; Tipo De Tommaso 32. Seconda metà I d.C. - II sec. d.C. L’appartenenza al tipo Isings 28b protrae l’uso fino al IV sec. d.C. (Isings 1957, pp. 42 - 43). Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come un’ampulla dal collo lungo e pancia rigonfia. È assimilabile anche al tipo 18 e al tipo 42 della classificazione De Tommaso, (1990, pp. 49 - 50, 60). Trova confronti a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 204 - 205, pp. 169 - 171); ad Adria (Larese 2004, nr. 145, tav. XXIV e nr. 151, tav. XCIX); a Padova (Larese 2004, nr. 13, tav. LV); a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 211 - 213, tav. XXXVI) e a Pompei ritroviamo una grande maggioranza di esempi similari (Scatozza 2012, nr. 14080, tav. LXIII; nr. 10794B, tav. XIX; nr. 14079 - 14080, tav. LXIII). 70 IV.3. Balsamario piriforme Nr. inv. 701; H 12,6 cm; Ø 3,4 (o), 5,6 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verdeazzurro, trasparente. Integro, tendenza a sfaldarsi. Vetrina VIII. Orlo distinto, ripiegato verso l’esterno; alto collo cilindrico con strozzatura alla base; corpo conformato a bulbo schiacciato; fondo piatto. Tipo Isings 28b; Tipo Scatozza 49; Tipo De Tommaso 32. Seconda metà I d.C. - II sec. d.C. L’appartenenza al tipo Isings 28b protrae l’uso fino al IV sec. d.C. (Isings 1957, pp. 42 - 43). Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come un’ampulla dal collo lungo e pancia rigonfia. È assimilabile anche al tipo 18 e al tipo 42 della classificazione De Tommaso, (1990, pp. 49 - 50, 60). Trova confronti a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 203, p. 170); ad Adria (Larese 2004, nr. 145, tav. XXIV e nr. 151, tav. XCIX); a Padova (Larese 2004, nr. 13, tav. LV); a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 211 - 213, tav. XXXVI); a Pompei ritroviamo una grande maggioranza di esempi similari (Scatozza 2012, nr. 6858 - 6860, tav. II; nr. 11381, tav. XXX; nr. 11341A, tav. XXVII; nr. 2537 - 2538, tav. LV e nr. 78, tav. LVIII); a Sepino (Di Niro 2007, nr. 156, p. 88); a Larino (Samnium 1991, p. 296) e a Caltanissetta (Basile 2004, nr.164, tav. XLII). IV.4. Balsamario piriforme Nr. inv. 709; H max 10,2 cm; Ø max 4,7(o), 6 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verdeazzurro, trasparente. Integro. Incrostazione biancastra su tutto l’orlo e parte del collo superiore. Vetrina VIII. Orlo distinto, ripiegato verso l’esterno, deformato; alto collo cilindrico con strozzatura alla base; corpo conformato a bulbo schiacciato; fondo piatto. Tipo Isings 28b; Tipo Scatozza 49; Tipo De Tommaso 32. Seconda metà I d.C. - II sec. d.C. L’appartenenza al tipo Isings 28b protrae l’uso fino al IV sec. d.C. (Isings 1957, pp. 42 43). Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come un’ampulla dal collo lungo e pancia rigonfia. È assimilabile anche al tipo 18 e al tipo 42 della classificazione De Tommaso, (1990, pp. 49 - 50, 60). Trova confronti a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 203, p. 170); ad Adria (Larese 2004, nr. 145, tav. XXIV e nr. 151, tav. XCIX); a Padova (Larese 2004, nr. 13, tav. LV); a Erco- AMELIA PISTILLO lano (Scatozza 1986, nr. 211 - 213, tav. XXXVI), a Pompei ritroviamo una grande maggioranza di esempi similari (Scatozza 2012, nr. 6858 - 6860, tav. II; nr. 11381, tav. XXX; nr. 11341A, tav. XXVII; nr. 2537 - 2538, tav. LV; nr. 12499C, tav. XLVII e nr. 78, tav. LVIII e nr. 13546B, tav. LXI); a Sepino (Di Niro 2007, nr. 156, p. 88); a Larino (Samnium 1991, p. 296) e a Caltanissetta (Basile 2004, nr.164, tav. XLII). IV.5. Balsamario piriforme Nr. inv. 714; H 9,7 cm; Ø 2,7 (o), 4,6 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verde, trasparente. Integro. Vetrina VIII. Orlo distinto, ripiegato verso l’esterno; alto collo cilindrico con strozzatura alla base; corpo conformato a bulbo schiacciato; fondo leggermente concavo. L’esemplare differisce dai precedenti nr. IV.7 - 8 e 10 per il fondo leggermente concavo. Tipo Isings 28b; Tipo Scatozza 49; Tipo De Tommaso 32. Seconda metà I d.C. - II sec. d.C. L’appartenenza al tipo Isings 28b protrae l’uso fino al IV sec. d.C. (Isings 1957, pp. 42 - 43). Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come un’ampulla dal collo lungo e pancia rigonfia. Il tipo è assimilabile anche al tipo 18 e al tipo 42 della classificazione De Tommaso, (1990, pp. 49 - 50, 60). Trova confronti a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 204 - 205 pp. 169 - 171); ad Adria (Larese 2004, nr. 145, tav. XXIV e nr. 151, tav. XCIX); a Padova (Larese 2004, nr. 13, tav. LV); a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 211 - 213, tav. XXXVI) e a Pompei ritroviamo una grande maggioranza di esempi similari (Scatozza 2012, nr. 14080, tav. LXIII; nr. 10794B, tav. XIX; nr. 14079 - 14080, tav. LXIII). IV.6. Balsamario piriforme Nr. inv. 724; H 6,7 cm; Ø 1,7 (o), 1,6 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verde chiaro, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo distinto, inclinato verso l’esterno; basso collo cilindrico con strozzatura alla base; corpo piriforme con bassa parete arrotondata verso l’interno; fondo appiattito. Tipo Isings 26a; Tipo Scatozza 49; Tipo De Tommaso 41. Età augustea - Epoca claudia. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come I VETRI 71 72 un’ampulla colorata. Il balsamario rientra anche nella classificazione Isings al tipo 28a (1957, p. 42). Trova confronti a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 95 - 103, pp. 142 - 143); ad Adria (Larese 2004, nr. 113, 119, tav. XCVIII); a Padova (Larese 2004, nr. 119, tav XXIII e nr. 59 - 60, tav. CII); a Padova (Larese 2004, nr.59, tav. LVI); a Verona (Larese 2004, nr. 478, tav. LXXXIII) e nell’altro centro veneto di Cologna Veneta (Larese 2004, nr. 581, tav. LXXXIV). Nell’Italia meridionale lo troviamo a Pompei (Scatozza 2012, nr. 10794F, tav. XIX; nr. 12045B, tav. XXXVIII; nr. 12492C, tav. XLVII); a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 211, 236, tav. XXXVI) e a Sepino (Di Niro 2007, nr. 158, p. 90). IV.7. Balsamario piriforme Nr. inv. 726; H 5,1 cm; Ø 1,4 (o), 1,4 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verde chiaro, trasparente. Orlo lacunoso. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; basso collo cilindrico; corpo piriforme con bassa parete arrotondata verso l’interno; fondo appiattito. Tipo Isings 26a; Tipo Scatozza 49; Tipo De Tommaso 41. Età augustea - Epoca claudia. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come un’ampulla colorata. Il balsamario rientra anche nella classificazione Isings al tipo 28a (1957, p. 42). Per i confronti vedi IV.6. IV.8. Balsamario piriforme Nr. inv. 736; H 7 cm; Ø 1,8 (o), 1,8 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Blu, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; basso collo cilindrico; corpo piriforme con bassa parete arrotondata verso l’interno; fondo leggermente convesso. Tipo Isings 26a; Tipo Scatozza 49; Tipo De Tommaso 41. Età augustea - Epoca claudia. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come un’ampulla colorata. Il balsamario rientra anche nella classificazione Isings al tipo 28a (1957, p. 42). Per i confronti vedi IV.6. IV.9. Balsamario piriforme Nr. inv. 738; H 5,3 cm; Ø 1,8 (o), 1,4 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Ambra, iridescente. Integro. In- AMELIA PISTILLO crostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; basso collo cilindrico; corpo piriforme con bassa parete arrotondata verso l’interno; fondo leggermente convesso. Tipo Isings 26a; Tipo Scatozza 49; Tipo De Tommaso 41. Età augustea - Epoca claudia. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come un’ampulla colorata. Il balsamario rientra anche nella classificazione Isings al tipo 28a (1957, p. 42). Per i confronti vedi IV.6. IV.10. Balsamario piriforme Nr. inv. 740; H 6,7 cm; Ø 1,8 (o), 1,6 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Giallo, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; basso collo cilindrico; corpo piriforme con bassa parete arrotondata verso l’interno; fondo leggermente convesso. Tipo Isings 26a; Tipo Scatozza 49; Tipo De Tommaso 41. Età augustea - Epoca claudia. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come un’ampulla colorata. Il balsamario rientra anche nella classificazione Isings al tipo 28a (1957, p. 42). Per i confronti vedi IV.6. TIPO V: Balsamari tubolari Tav. 1 V.1. Balsamario tubolare con collo più corto del ventre Nr. inv. 718; H 8 cm; Ø 1,6 (o) cm. Vetro soffiato a canna libera. Marrone per la maggior parte, iridescente. Integro. Tendenza a sfaldarsi. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; breve collo cilindrico, strozzato alla base; corpo tubolare poco slargato verso la base; fondo convesso. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47/b; Tipo De Tommaso 60. Età tiberiana - inizi II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con piccola pancia sferica. Trova confronti ad Adria (Larese 2004, nr. 172, tav. XXV) a Rovigo (nr. 119, tav. LXXVII; un esemplare non numerato della tav. CXIII). Per la marcata convessità del fondo rimanda al tipo 47/a della classificazione Scatozza I VETRI (1986, pp. 59 - 61) e trova confronto a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 144, tav. XXXV); a Pompei (Scatozza 2012, nr. 10794 G/ H/ L , tav. XIX; nr. 11505 C / D, tav. XIX; nr. 11383 A / B, tav. XXX; nr. 12041G, tav. XXXVII; nr. 12041 H - N, tav. XXXVIII; nr. 11907 A - G, tav. XLIV); nr. 12500D, tav. XLVII); a Enna (Basile 2004, nr. 139, tav. XXXVI). V.2. Balsamario tubolare con collo più corto del ventre Nr. inv. 723; H 10 cm; Ø 2,2 (o) cm. Vetro soffiato a canna libera. Ambra, per la maggior parte, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; breve collo cilindrico, strozzato alla base; corpo tubolare poco slargato verso la base; fondo convesso. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47/b; Tipo De Tommaso 60. Età tiberiana - inizi II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con piccola pancia sferica. Per i confronti vedi V.1. V.3. Balsamario tubolare con collo più corto del ventre Nr. inv. 730; H 10 cm; Ø 2,4 (o), 1,4 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verde spesso, iridescente. Integro. Tendenza a sfaldarsi. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; breve collo cilindrico, strozzato alla base; corpo tubolare slargato verso la base; fondo leggermente appiattito. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47/b; Tipo De Tommaso 67. Età augustea - Età flavia. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con piccola pancia sferica. Trova confronto a Adria (Larese 2004, nr. 178, 193, 203, tav. XXV; a Padova (Larese 2004, nr. 91, 77, tav. LVI e nr. 104, 139, tav. LVII); a Rovigo (Larese 2004, nr. 5, tav. LXXII); a Cologna Veneta (Larese 2004, nr. 588, tav. LXXXIV); a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 111 - 113, p. 144); a Pompei (Scatozza 2012, nr. 12041 E/ F, tav. XXXVII, nr. 33510, tav. XLII) e a Enna (Basile 2004, nr. 140 - 141, tav. XXXVI). V.4. Balsamario tubolare con collo più corto del ventre Nr. inv. 733; H 11,4 cm; Ø 2,2 (o), 1,6 (f) cm. Vetro 73 soffiato a canna libera. Verde, opaco. Integro. Tracce di striature sul corpo. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; collo cilindrico, strozzato alla base; corpo tubolare slargato verso la base; fondo leggermente appiattito. Differisce dal nr. V.3 per un collo più sviluppato ma sempre inferiore all’altezza del ventre. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47/b; Tipo De Tommaso 67. Età augustea - Età flavia. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con piccola pancia sferica. Per i confronti vedi V.2. V.5. Balsamario tubolare con ventre leggermente slargato Nr. inv. 741; H 10,5 cm; 2,2 (o), 1,5 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verde, iridescente. Deformato. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; piccolo collo, strozzato alla base; corpo tubolare slargato verso la base; fondo leggermente appiattito. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47/b; Tipo De Tommaso 67. Età augustea - Età flavia. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con piccola pancia sferica. Per i confronti vedi nr. V.3 e 4. A Pompei (Scatozza 2012, nr. 13972, tav LXIII) è presente un balsamario deformato, ma differisce dal V.4 per il collo più alto del ventre. V.6. Balsamario tubolare con collo più lungo del ventre Nr. inv. 702; H 13,2 cm; Ø 2,5 (o), 2,6 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verde scuro, opaco. Orlo lacunoso. Incrostazioni marroni per tutto il corpo. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; lungo collo cilindrico, strozzato alla base; ventre espanso; fondo piatto. Il tipo differisce dagli altri balsamari del tipo Scatozza 47/c per la forma del ventre che è espanso e il fondo molto appiattito. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47/c; Tipo De Tommaso 72. Età flavia - Età traianea. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come 74 una boccetta lacrimatoria in vetro azzurro. Trova confronti a Padova (Larese 2004, nr. 168, 170, tav. LVIII); a Rovigo (Larese 2004, esemplare non numerato tav. CXIII);); a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 143 147, 174 - 175, pp. 146 - 147, 166 - 167); a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 191,199, tav. XXXV); a Pompei (Scatozza 2012, nr. 11342B, tav. XXVII); a Solunto (Basile 2004, nr. 155, tav. XL) V.7. Balsamario tubolare con collo più lungo del ventre Nr. inv. 731; H 14 cm; Ø 2,4 (o), 1,2 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Azzurro, trasparente. Orlo lacunoso. Tendenza a sfaldarsi. Vetrina VIII. Orlo distinto, inclinato verso l’esterno; lungo collo cilindrico, strozzato alla base; corpo tubolare; fondo leggermente appiattito. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47/c; Tipo De Tommaso 71. Metà I sec. d.C - secondo decennio II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con piccola pancia sferica. Trova confronto a Adria (Larese 2004, nr. 252, 256 , 263, tav. XXVI; a Padova (Larese 2004, nr. 179, 185); a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 139 - 149, 176 - 177, pp. 146 - 147, 167); a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 185, tav. XXXV); a Pompei (Scatozza 2012, nr. 10794D, tav. XIX; nr. 12041 D/ C, tav. XXXVII); inoltre nel Museo Arch. di Palermo vi è un confronto di cui non si conosce la provenienza (Basile 2004, nr. 156, tav. XL). V.8. Balsamario tubolare con collo più lungo del ventre Nr. inv. 735; H 11,7 cm; Ø 2,1 (o), 1,2 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Celeste, trasparente. Integro. Tendenza a sfaldarsi. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; lungo collo cilindrico, strozzato alla base; corpo tubolare; fondo leggermente appiattito. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47/c; Tipo De Tommaso 71. Metà I sec. d.C - secondo decennio II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con piccola pancia sferica. Per i confronti vedi V.6. V.9. Balsamario tubolare con uguale altezza del collo e del ventre AMELIA PISTILLO Nr. inv. 727; H 13 cm; Ø 2,2 (o), 1,2 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verdeazzurro, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; lungo collo cilindrico, strozzato alla base; corpo tubolare; fondo leggermente appiattito. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47/d; Tipo De Tommaso 70. Fine I sec. a.C.- inizi II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con piccola pancia sferica. Trova confronti ad Adria (Larese 2004, nr. 215, tav. XXV e nr. 231, tav. XXVI); a Padova (Larese 2004, nr. 86, tav. LVI; nr. 126, tav. LVII; nr. 156, 158, 161, tav. LVIII); a Verona (Larese 2001, nr. 300, tav. LXXX); a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 114 - 125, 131, 133, pp. 144 - 145); a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 185 - 186, 201 202, tav. XXXV); a Pompei (Scatozza 2012, nr. 12777F, tav. XXIII e il nr. 12041F, tav. XXXVII); a Sepino (Di Niro 2007, nr. 162 - 164, pp. 89 - 91); inoltre nel Museo Arch. di Palermo vi è un confronto di cui non si conosce la provenienza (Basile 2004, nr. 156, tav. XL). V.10. Balsamario tubolare con uguale altezza del collo e del ventre Nr. inv. 737; H 10,7 cm; Ø 2 (o), 1,2 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Azzurro, trasparente. Integro. Incrostazioni su tutto il corpo. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; lungo collo cilindrico, strozzato alla base; corpo tubolare; fondo leggermente appiattito. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47/d; Tipo De Tommaso 70. Fine I sec. a.C. - inizi II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con piccola pancia sferica. Per i confronti vedi V.6. V.11. Balsamario tubolare con uguale altezza del collo e del ventre. Nr. inv. 739; H 10,7 cm; Ø 2 (o), 1 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Verdeazzurro, trasparente. Orlo lacunoso. Incrostazioni su tutto il corpo. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; lungo collo cilindrico, strozzato alla base; corpo tubolare; fondo leggermente appiattito. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47/d; Tipo De Tommaso I VETRI 70. Fine I sec. a.C.- inizi II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con piccola pancia sferica. Per i confronti vedi V.8. V.12. Balsamario tubolare Nr. inv. 721; H 9,4 cm. Vetro soffiato a canna libera. Verde, trasparente. Frammento. Manca presumibilmente il collo e tutto l’orlo. Corpo tubolare; fondo convesso. Vetrina VIII. Corpo tubolare poco slargato verso la base; fondo convesso. Tipo Isings 8; Tipo Scatozza 47. Fine I sec. a.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritto come una boccetta lacrimatoria con piccola pancia sferica. Non è possibile identificare il sottotipo Scatozza e il tipo De Tommaso In quanto manca la parte superiore necessaria alla diversa classificazione. Potrebbe identificarsi come un balsamario “a goccia” e rimanderebbe al tipo 47/a della classificazione Scatozza (1986, pp. 59 - 61) per via della marcata convessità del fondo. Trova confronto a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 144, tav. XXXV); Pompei (Scatozza 2012, nr. 10794 G / H/ L , tav. XIX; nr. 11505 C / D, tav. XIX; nr. 11383 A / B, tav. XXX; nr. 12041G, tav. XXXVII; nr. 12041 H - N, tav. XXXVIII; nr. 11907 A - G, tav. XLIV); nr. 12500D, tav. XLVII); a Enna (Basile 2004, nr. 139, tav. XXXVI). Inoltre nel Museo Provinciale Sannitico (Di Niro 2007, nr. 161, pp. 90 - 91) vi è un esemplare anch’esso privo della parte superiore ma che si può accomunare al nr. V.12 per affinità della parte inferiore; non è indicata la provenienza. TIPO VI: Balsamari campanulati Tav. 2 VI.1. Balsamario campanulato Nr. inv. 695; H 9,8 cm; Ø 2,4 (o), 2,8 (f) cm. Vetro soffiato. Azzurro trasparente. Orlo lacunoso. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; alto collo cilindrico, leggermente bombato e con strozzatura alla base; corpo tronco-conico, con leggera depressione orizzontale; fondo leggermente concavo. Tipo Isings, 82 B 1; Tipo Scatozza 48; Tipo De Tommaso 46. Fine I sec. d.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una boccetta lacrimatoria lunga e con base spianata. Trova confronti a Padova (Larese 2004, nr. 120, tav. LVII); a Cologna Veneta (Larese 2004, nr. 584, tav. 75 LXXXIV); a Pavia (Maccabruni 1983, nr. 195 - 197, p. 168). Vi è un unico esemplare proveniente da Ercolano (Scatozza 1986, nr. 211, tav. XXXVI); a Sepino (Di Niro 2007, nr. 159 - 160, pp. 90 - 91); a Enna (Basile 2004, nr. 143, tav. XXXVII); a Lipari (Basile 2004, nr. 150, tav. XXXIX) e sempre in Sicilia nella necropoli Lilibeo (Basile 2004, nr. 160 - 161, tav. XLII). VI.2. Balsamario campanulato Nr. inv. 698; H 13,8 cm; Ø 2,6 (o), 3,6 (f) cm. Vetro soffiato. Verdeazzurro, trasparente. Integro, lieve intaccatura sull’orlo. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; corpo tronco-conico, con leggera depressione orizzontale; fondo leggermente concavo. Tipo Isings, 82 B 1; Tipo Scatozza 48; Tipo De Tommaso 46. Fine I sec. d.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una boccetta lacrimatoria lunga e con base spianata. Per i confronti vedi VI.1. VI.3. Balsamario campanulato Nr. inv. 700; H 15, cm; Ø 3 (o), 4 (f) cm. Vetro soffiato. Verdeazzurro, trasparente. Integro, lieve intaccatura sull’orlo. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; corpo tronco-conico, con leggera depressione orizzontale; fondo piatto. Tipo Isings, 82 B 1; Tipo Scatozza 48; Tipo De Tommaso 46. Fine I sec. d.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una boccetta lacrimatoria lunga e con base spianata. Per i confronti vedi VI.1. VI.4. Balsamario campanulato Nr. inv. 708; H 14,3 cm; Ø 2,9 (o), 3,2 (f) cm. Vetro soffiato. Verdeazzurro, iridescente. Orlo lacunoso. Incrostazioni biancastre. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; corpo tronco-conico, con leggera depressione orizzontale; fondo leggermente concavo. Tipo Isings, 82 B 1; Tipo Scatozza 48; Tipo De Tommaso 46. Fine I sec. d.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una boccetta lacrimatoria lunga e con base spianata. Per i confronti vedi VI.1. 76 VI.5. Balsamario campanulato Nr. inv. 710; H 12,2 cm; Ø 2,4 (o), 3,4 (f) cm. Vetro soffiato. Verde chiaro, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; corpo tronco-conico, con leggera depressione orizzontale; fondo piatto. Tipo Isings, 82 B 1; Tipo Scatozza 48; Tipo De Tommaso 46. Fine I sec. d.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una boccetta lacrimatoria lunga e con base spianata. Per i confronti vedi VI.1. VI.6. Balsamario campanulato Nr. inv. 712; H 11,6 cm; Ø 2,7 (o), 3,2 (f) cm. Vetro soffiato. Verde chiaro, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; corpo tronco-conico, con leggera depressione orizzontale; fondo leggermente concavo. Tipo Isings, 82 B 1; Tipo Scatozza 48; Tipo De Tommaso 46. Fine I sec. d.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una boccetta lacrimatoria lunga e con base spianata. Per i confronti vedi VI.1. VI.7. Balsamario campanulato Nr. inv. 715; h. 10,5 cm; Ø 2,7 (o), 3,3 (f) cm. Vetro soffiato. Verdeazzurro, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; corpo tronco-conico, con leggera depressione orizzontale; fondo leggermente concavo. Tipo Isings, 82 B 1; Tipo Scatozza 48; Tipo De Tommaso 46. Fine I sec. d.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una boccetta lacrimatoria lunga e con base spianata. Per i confronti vedi VI.1. VI.8. Balsamario campanulato Nr. inv. 719; h. 9,3 cm; Ø 2,2 (o), 2,6 (f) cm. Vetro soffiato. Verdeazzurro, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; corpo tronco-conico, con leggera depres- AMELIA PISTILLO sione orizzontale; fondo leggermente concavo. Tipo Isings, 82 B 1; Tipo Scatozza 48; Tipo De Tommaso 46. Fine I sec. d.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una boccetta lacrimatoria lunga e con base spianata. Per i confronti vedi VI.1. VI.9. Balsamario campanulato Nr. inv. 725; h. 10,9 cm; Ø 2,8 (o), 3,1 (f) cm. Vetro soffiato. Azzurro, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; corpo tronco-conico, con leggera depressione orizzontale; fondo piatto. Tipo Isings, 82 B 1; Tipo Scatozza 48; Tipo De Tommaso 46. Fine I sec. d.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una boccetta lacrimatoria lunga e con base spianata. Per i confronti vedi VI.1. VI.10. Balsamario campanulato Nr. inv. 729; H 10,3 cm; Ø 2,1 (o), 2,5 (f) cm. Vetro soffiato. Azzurro trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo inclinato verso l’esterno, estremità tagliata; corpo tronco-conico, con leggera depressione orizzontale; fondo piatto. Tipo Isings, 82 B 1; Tipo Scatozza 48; Tipo De Tommaso 46. Fine I sec. d.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una boccetta lacrimatoria lunga e con base spianata. Per i confronti vedi VI.1. TIPO VII: Balsamari deformati VII.1. Balsamario deformato Nr. inv. Y28a; lungh. 8,4 cm; largh. base 3,3 cm. Vetro opacizzato chiaro. Integro. Deformato. Vetrina XXVII. Il balsamario presenta un orlo svasato e un lungo collo tubolare; il corpo è ovale. L’intero reperto risulta schiacciato e curvo. All’interno è visibile ancora la cenere vulcanica che probabilmente ha combusto il contenuto. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. I VETRI VII.2. Balsamario deformato Nr. inv. Y28l; lungh. 7,5 cm; largh. base 2,5 cm. Vetro opacizzato scuro. Integro. Deformato. Vetrina XXVII. Il balsamario presenta un orlo molto svasato e un lungo collo tubolare; il corpo è ovale. L’intero reperto risulta schiacciato. All’interno è visibile ancora la cenere vulcanica che probabilmente ha combusto il contenuto. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. VII.3. Balsamario deformato Nr. inv. Y28m; lungh. 6,2 cm; largh. base 3,2 cm. Vetro opacizzato chiaro. Integro. Deformato. Vetrina XXVII. Il balsamario presenta un lungo collo tubolare; il corpo è ovale e schiacciato. L’intero reperto risulta ricurvo in se stesso. All’interno è visibile ancora la cenere vulcanica che probabilmente ha combusto il contenuto. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. VII.4. Balsamario deformato Nr. inv. Y28i; lungh. 5,2 cm; largh. base 4,5 cm. Vetro verde chiaro, opaco. Frammento deformato. Incrostazioni varie. Vetrina XXVII. È presente parte del collo cilindrico e il corpo ovale. L’intero frammento risulta schiacciato. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. VII.5. Balsamario deformato Nr. inv. Y28f; lungh. 3,5 cm; largh. base 2,9 cm. Vetro verde chiaro, opaco. Frammento deformato. Incrostazioni varie. Vetrina XXVII. È presente parte del collo cilindrico e il corpo ovale. L’intero frammento risulta schiacciato. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. VII.6. Balsamario deformato Nr. inv. Y28h; lungh. 4,7 cm; largh. base 4,2 cm. Vetro verde chiaro, opaco. Frammento deformato. Incro- 77 stazioni varie. Vetrina XXVII. È presente parte del collo cilindrico e il corpo ovale. L’intero frammento risulta schiacciato. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. VII.7. Balsamario deformato Nr. inv. Y28d; lungh. 4,5 cm; largh. base 3,1 cm. Vetro opacizzato scuro. Frammento deformato. Incrostazioni varie. Vetrina XXVII. È presente parte del collo cilindrico con fori dovuti alla lava vulcanica il corpo ovale. L’intero frammento risulta schiacciato. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. VII.8. Balsamario deformato Nr. inv. Y28e; lungh. 4,1 cm; largh. base 3,3 cm. Vetro opacizzato, scuro. Frammento deformato. Incrostazioni varie. Vetrina XXVII. Rimane la parte inferiore del corpo, presumibilmente ovale e ricurva su se stessa. La decorazione è ancora evidente con filamenti bianchi circolari che corrono su tutto il corpo. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. VII.9. Balsamario deformato Nr. inv. Y28g; lungh. 5,1 cm. Vetro verde chiaro, opaco. Frammento deformato. Incrostazioni varie. Vetrina XXVII. Rimane solo l’orlo presumibilmente estroflesso e parte del collo cilindrico. L’intero reperto risulta schiacciato e curvo. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. VII.10. Balsamario deformato Nr. inv. Y28c; lungh. 4,9 cm. Vetro verde chiaro, opaco. Frammento deformato. Incrostazioni varie. Vetrina XXVII. Rimane solo l’orlo presumibilmente molto svasato e parte del collo cilindrico. L’intero reperto risulta schiacciato. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. 78 VII.11. Balsamario deformato Nr. inv. Y28n; largh. 6 cm. Vetro verde chiaro, opaco. Frammento deformato. Incrostazioni varie. Vetrina XXVII. L’ingombro del frammento è riferibile al corpo inferiore. Non si distinguono altri elementi. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. VII.12. Balsamario deformato Nr. inv. Y28b, 251; lungh. 4,9 cm. Vetro verde scuro, opaco. Frammento deformato. Incrostazioni varie. Vetrina XXVII. L’ingombro del frammento è riferibile al corpo inferiore. Non si distinguono altri elementi. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. TIPO VIII: Forme particolari VIII.1. Bottiglietta balsamario cefalomorfa Nr. inv. 716; H 12,3 cm; Ø 5 (o), (f) 3,3 cm. Vetro insufflato in doppio stampo. Verde pallido, trasparente. Integro. Incrostazioni esterne ed interne dovute ai residui del contenuto. Vetrina VIII. Orlo distinto e svasato; collo cilindrico; corpo conformato a testa umana su due lati; ansa verticale a nastro che parte dall’inizio del collo all’inizio del corpo; fondo piatto. Ben rilevati i caratteri etnici, bocca stretta, particolareggiati occhi, naso e orecchie. Tipo Isings 78/a; Tipo Scatozza 33; Tipo De Tommaso 81. II sec. d.C. - IV sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritta come un’ampulla con manico e due impronte di volti umani. Anche se i confronti sono possibili solo con 3 balsamari a forma di testa negroide, la tipologia è attestata a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 103, tav. 33); a Pompei (cfr. Le collezioni 1986, nr. 46, p. 224, tav. XV); a Padova (Larese 2004, nr. 5, tav. LIV). VIII.2. Bottiglietta balsamario/ Tappo (?) fitomorfo Nr. inv. 717; H 3,8 cm; Ø 0,9 (o), (f) 2,5 cm. Vetro insufflato in uno stampo. Verde pallido con tratti in ocra, opaco. Manca quasi integralmente l’orlo con parte del collo. Vetrina VIII. AMELIA PISTILLO Breve collo cilindrico, costolato; corpo punterellato conformato a pigna o grappolo d’uva; base costolata con piccolo distinto. Tipo Isings 78 c/e; Tipo Scatozza 35. Tipo De Tommaso 78/79. I sec. d.C. - inizi II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritta come un’ampulla a forma di grappolo frammentata. Trova confronto con un esemplare simile a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 105, tav. 33); a Pompei troviamo due esempi a forma di pigna e di dattero (Scatozza 2012, nr. 1248 A / B, tav. XV) e a forma di cedro o pigna/dattero (Scatozza 2012, nr. 11568 A / B, tav. XXVIII). TIPO IX: Balsamario olliforme Tav. 2 IX.1. Olletta ovoide Nr. inv. 699; H 6,7 cm; Ø 6,2 (o), 3,2 (f) cm. Vetro soffiato a canna libera. Vetro di colore verdeazzurro, opaco con striature. Integra. Sottile pellicola biancastra in alcuni punti, formatasi per deterioramento. Vetrina VIII. Orlo ripiegato orizzontalmente verso la bocca; larga imboccatura; accenno di collo imbutiforme; ventre ovoidale basso e largo; fondo leggermente introflesso. Tipo Isings 68; Tipo Scatozza 58/a. Seconda metà I sec. d.C. - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come un vasetto di vetro a forma di dolium. Trova confronti a Pompei (Scatozza 2012, nr. 12767 e 12768, tav. XXI) e nel Museo Nazionale di Napoli (Le collezioni 1986, nr. 14, p. 220, (2 ollette)); a Adria (Larese 2004, nr. 277 - 278, tav. XXVI); a Padova (Larese 2004, nr. 204 - 205, 207 - 208, tav. LIX e nr. 204 - 208, tav. CVII). TIPO X: Ampolline e fiaschette Tav. 2 X.1. Ampollina Nr. inv. 732; H 7,4 cm; Ø (o) 1,9 cm; spessore corpo 2 cm. Vetro soffiato. Verdeazzurro, iridescente. Integro. Lievi intaccature sull’orlo. Incrostazioni interne. Vetrina VIII. Orlo orizzontale all’interno; breve collo cilindrico, strozzato alla base; corpo globulare piatto. Per la particolare conformazione del corpo piatto non è ascrivibile a nessuna tipologia tradizionale. Inedito. I VETRI Nel catalogo Barone (Barone, p. 90) è indicata come un’ampolla dalla splendida iridescenza. X.2. Ampollina Nr. inv. 734; H 5,4 cm; Ø (o) 2,4 cm; spessore corpo 1 cm. Vetro soffiato. Azzurro, con striature bianche e blu, iridescente. Integro. Orlo lacunoso. Incrostazioni varie. Vetrina VIII. Orlo lievemente espanso; breve collo cilindrico; corpo globulare piatto. Per la particolare conformazione del corpo piatto non è ascrivibile a nessuna tipologia tradizionale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è indicata come un’ampolla dalla splendida iridescenza. X.3. Ampollina Nr. inv. 706; H 4,6 cm; Ø 2,8 (o), 3 (f) cm. Vetro soffiato. Giallo opaco, iridescente. Integro. Lievi intaccature sull’orlo. Integro. Vetrina VIII. Orlo espanso verso l’esterno; breve collo cilindrico; corpo rettangolare con depressioni al centro di ogni lato; fondo concavo. Per la particolare conformazione del corpo non è ascrivibile a nessuna tipologia tradizionale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è indicata come un’ampolla di vetro bianco con bocca larga e pancia rigonfia. X.4. Ampollina Nr. inv. 704; H 4 cm; Ø 3,3 (o), 3,3 (f) cm. Vetro soffiato. Verde, opaco. Integro. Intaccatura che percorre tutto l’orlo. Integro. Vetrina VIII. Orlo espanso verso l’esterno da cui parte un piccolo foro centrale; corpo conico; fondo leggermente concavo. Per la particolare conformazione del corpo non è ascrivibile a nessuna tipologia tradizionale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è indicata come un’ampolla di vetro verde con forma conica e becco spianato con piccolo forellino. TIPO XI: Olla cineraria Tav. 2 XI.1. Olla cineraria Nr. inv. 1043B; H 25,3 cm; Ø 16,8 (o), 10,8 (f) cm. 79 Vetro soffiato. Verdeazzurro, iridato. Integro. Tendenza a sfaldarsi. Molteplici lesioni su tutto il corpo. Vetrina VIII. Orlo estroflesso e piatto con scanalatura pe permettere l’adesione del coperchio; collo concavo basso; corpo globulare terminante in ovoidale; anse a lobo doppio conformate a “m”, applicate a caldo; fondo concavo. L’olla è corredata di un coperchio del Tipo Isings 66/b. Tipo Isings 63; Tipo Scatozza 57. Seconda metà I - II sec. d.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronti con un frammento di un orlo e di un’ansa a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 252, tav. XXXIX); a Pozzuoli (Le collezioni 1986, nr. 43, p. 224 (seconda olla)); a Pompei (Scatozza 2012, nr. 17052, tav. LXVI); a Taormina (Basile 2004, nr. 137, tav. XXXVI). XI.2. Coperchio circolare con collo a bottiglia Nr. inv. 1043Ba; H 25,3 cm; Ø 4,6 (o), 15,4 (f) cm. Vetro soffiato. Verdeazzurro, iridato. Integro. Tendenza a sfaldarsi. Molteplici lesioni su tutto il corpo. Vetrina VIII. Orlo estroflesso, distinto; Presa cilindrica a cono; bordo ripiegato verso l'interno; corpo appiattito orizzontale. Tipo Isings 66/b; Tipo Scatozza 59. Seconda metà I - II sec. d.C. Inedito. Non presenta il nr. inv. Trova confronti a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 256, tav. XXXIX); a Adria (Larese 2004, nr. 419, tav. L); a Padova (Larese 2004, nr. 321, tav. LXVIII). TIPO XII: Forme aperte e frammenti Tav. 2 XII.1. Coppa emisferica liscia Nr. inv. 10; H max 3,3; sp. 0,3 cm. Vetro pressato liscio. Millefiori a fondo turchese, con elementi di forma ovale irregolare con contorni di colore bianco latte. Decorazione incisa sull’orlo. Frammento di orlo con parte della parete. Vetrina VIII. Orlo verticale arrotondato con decorazione a fitti trattini incisi, sottolineato esternamente da una linea incisa; parete convessa. Fanno parte della coppa altri 3 frammenti, nr. 11, 12, 13, non combacianti tra loro Tipo Isings 1; Tipo Scatozza 1. I sec. a.C. prima metà I sec. d.C. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. Per il particolare vetro millefiori trova un unico 80 confronto a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 2, tav. XXIV). Per la forma rimanda ad altri confronti sia a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 1, tav. XXIV) che a Pompei (Scatozza 2012 nr. 2221, tav. XXVIII). XII.2. Coppa o piatto Nr. inv. 27,28,29; H max 4 cm; sp. 0,5 cm. Vetro soffiato bordeaux, striato, opaco. Tre frammenti di orli combacianti tra di loro. Vetrina VIII. Orlo svasato, labbro arrotondato, parete obliqua inclinata verso l’interno; scanalatura interna sotto l’orlo. Fanno parte della coppa o piatto altri 7 frammenti, nr. 14, 15, 16, 17, 30, 31, 32 non combacianti tra di loro. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. XII.3. Coppetta Nr. inv. 4,8; H max 3,3 cm; sp. 0,5 cm. Vetro marmorizzato con striature blu, bianche, giallo, oro. Colori opacizzati. Due frammenti di orli combacianti tra loro. Vetrina VIII. Orlo leggermente svasato e arrotondato; parete obliqua inclinata verso l’interno. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. XII.4. Coppetta Nr. inv. 23; H max 2,5 cm; sp. max 0,6 cm. Vetro marmorizzato con striature blu, bianche, giallo, oro. Colori opacizzati. Vetrina VIII. Orlo verticale arrotondato; parete inclinata ispessita verso l’interno. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. Il frammento appare simile al XII.3. XII.5. Frammento parete Nr. inv. 26; H max 3,8 x 3,4 cm; sp. max 0,6 cm. Vetro marmorizzato bordeaux e bruno con striature bianche. Frammento di parete. Vetrina VIII. Il frammento presenta due elementi a rilievo presumibilmente anse o prese, ottenuti in un unico momento della colatura entro stampo. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. XII.6. Frammento parete AMELIA PISTILLO Nr. inv. 25; H max 5,2 x 4 cm; sp. max 0,9 cm. Vetro soffiato bruno. Iridescente. Frammento di parete. Vetrina VIII. Il frammento presenta due elementi a rilievo presumibilmente anse o prese, ottenuti in un unico momento della soffiatura entro stampo. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. Il frammento differisce dal precedente per la tecnica di lavorazione. XII.7. Frammento parete Nr. inv. 6; H max 5,4 x 4,5 cm; sp. 1,1. Vetro marmorizzato con striature verdi e blue. Colore opacizzato su una superficie. Vetrina VIII. Frammento di parete di una forma integra presumibilmente grande. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. XII.8. Frammento parete Nr. inv. 5; H max 5,2 x 4 cm; sp. 1,1. Vetro marmorizzato con striature verdi e blue. Colore opacizzato su entrambi le superfici. Vetrina VIII. Frammento con forma particolare a “cuore” facente parte di una forma integra presumibilmente grande. Nella parte superiore è presente un forellino di 0,4 cm di diametro. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. Il frammento ha lo stesso spessore del precedente e il colore evidente in sezione. XII.9. Pareti Nr. inv. 1,2,3,18,19,20,21,22; mis. max 5,5 cm. Pasta vitrea verde opalino. Opacizzata. Vetrina VIII. Gli 8 frammenti presentano una superficie piana. Probabilmente appartengono tutti alla medesima forma integra. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. XII.10. Vetri per finestre Nr. inv 795; H max 10,6 cm; sp. 0.5. Vetro verdeazzurro, trasparente. Bollicine all’interno. Fanno parte della medesima forma integra altri due frammenti (nr. 34, 35) non combacianti tra di loro. Vetrina VIII. I frammenti hanno una superficie liscia e presentano bordi arrotondati e più spessi ri- I VETRI 81 82 AMELIA PISTILLO spetto alla parte piana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 92) il nr. inv. corrisponde ad una patera con frammenti di vetro per telai di finestre e altri frammenti di differenti colori. XII.11. Piede di vaso Nr. inv. 707; H 3,5 cm; Ø 6,2 cm. Vetro soffiato. Bianco spesso, iridescente. Frammento. Incrostazioni interne Vetrina VIII. Base circolare di forma conica, desinente a punta. Presenta al centro una fascia frammentaria che accoglieva presumibilmente il corpo del vaso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 89) è descritto come una base di vetro bianco opalizzato appartenente ad un vaso. TIPO XIII: Bacchette XIII.1. Bacchetta di vetro Nr. inv. 1; lungh. 13 cm; Ø max in sezione 1,3 cm. Vetro fuso verde, opaco. Tendenza a sfaldarsi. Vetrina VIII. Bacchetta di vetro spessa con una nervatura a rilievo che accompagna tutto il corpo. Estremità appiattita. Tipo Isings 79. Età augustea - inizi II sec. d.C. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. Trova confronto puntuale a Ercolano (Scatozza 1986, nr. 260, tav. XXIII). XIII.2. Bacchetta di vetro Nr. inv.2; lungh. 13,7 cm; Ø max in sezione 0,7 cm. Vetro fuso verde, iridescente. Vetrina VIII. Bacchetta di vetro con estremità appiattita. Tipo Isings 79. Età augustea - inizi II sec. d.C. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. Per i confronti vedi XIII.1. XIII.3. Bacchetta di vetro Nr. inv. 3; lungh. 13 cm; Ø max in sezione 0,9 cm. Vetro fuso verde, opaco. Striature irregolari brune. Vetrina VIII. Bacchetta di vetro con estremità appiattita. Tipo Isings 79. Età augustea - inizi II sec. d.C. Inedito. Non presenta il nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. Per i confronti vedi XIII.1. XIII.4. Bacchetta di vetro Nr. inv. 4; lungh. 12,2 cm; Ø max in sezione 0,9 cm. Vetro fuso verde, opaco. Incrostazioni biancastre. Vetrina VIII. Bacchetta di vetro con estremità appiattita. Tipo Isings 79. Età augustea - inizi II sec. d.C. Inedito. Non presenta il Nr. inv. relativo alla catalogazione di Barone. Per i confronti vedi XIII.1. TIPO XIV: Tappi Tav. 2 XIV.1. Tappo di bottiglia Nr. inv. 796/1; H. 2,2 cm; Ø 2,4 cm. Modellato a stampo. Vetro scuro con striature policrome. Discreto. Manca parte del disco superiore. Vetrina VIII. Tappo di bottiglia prodotto in un unico pezzo; parte inferiore pseudoconica e parte superiore circolare piatta. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, pp. 92-93) è descritto come un obturacula per la chiusura di bottiglie o vasi simili. XIV.2. Tappo di bottiglia Nr. inv. 796/2; H 2,3 cm; Ø 3 cm. Modellato a stampo. Vetro scuro con striature policrome. Integro. Vetrina VIII. Tappo di bottiglia prodotto in un unico pezzo; parte inferiore pseudoconica e parte superiore circolare piatta. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, pp. 92-93) è descritto come un obturacula per la chiusura di bottiglie o vasi simili. XIV.3. Tappo di bottiglia Nr. inv. 796/3; H 2 cm; Ø 2,6 cm. Vetro scuro con striature policrome. Discreto. Manca parte del disco superiore. Vetrina VIII. Tappo di bottiglia prodotto in un unico pezzo; parte inferiore pseudoconica e parte superiore circolare piatta. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, pp. 92 - 93) è descritto come un obturacula per la chiusura di bottiglie o vasi simili. TIPO XV: Pedine da gioco XV.1. Pedina circolare I VETRI Nr. inv. 782/1; H 0,6 cm; Ø 1,6 cm. Vetro a stampo bianco. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per l’ampia diffusione di tali oggetti, dall’età preromana al Medioevo, è possibile definirne la cronologia esclusivamente sulla base dei contesti di provenienza. Alcuni esempi sono rintracciabili nella necropoli dell’attuale sede dell’Università Cattolica di Milano (Masseroli 1998, nr.1, tav. XX); nel Veneto (Larese 2004, tab. nr. 82); a Taranto (Museo 1988, nr. 17.10 c, tav. XLII e nr. 17.12 g, tav. XLIII). Per quanto riguarda la funzione, comunemente vengono definite pedine da gioco, i latruncoli, anche se si suppone che alcune forme più ovalizzate possano fungere da gemme per castoni o appliques di vasi (Capecchi 1987, nr. 369, p. 209). XV.2. Pedina circolare Nr. inv. 782/2; H 0,7 cm; Ø 1,6 cm. Vetro a stampo nero. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.3. Pedina circolare Nr. inv. 782/3; H 0,7 cm; Ø 1,7 cm. Vetro a stampo bianco e bordeaux. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.4. Pedina circolare Nr. inv. 782/4; H 0,6 cm; Ø 1,7 cm. Vetro a stampo blu e bordeaux. Colori opacizzati. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.5. Pedina circolare Nr. inv. 782/5; H 0,7 cm; Ø 1,6 cm. Vetro a stampo nero. Integra. Vetrina VIII. 83 Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.6. Pedina circolare Nr. inv. 782/6; H 0,7 cm; Ø 2 cm. Vetro a stampo nero e grigio. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.7. Pedina circolare Nr. inv. 782/7; H 0,6 cm; Ø 1,4 cm. Vetro a stampo verde, opaco. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.8. Pedina circolare Nr. inv. 782/8; H 0,6 cm; Ø 1,5 cm. Vetro a stampo bianco e bordeaux. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1.. XV.9. Pedina circolare Nr. inv. 782/9; H 0,7 cm; Ø 1,7 cm. Vetro a stampo nero e beige. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana e piccola appendice e parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.10. Pedina circolare Nr. inv. 782/10; H 0,6 cm; Ø 1,5 cm. Vetro a stampo beige e bordeaux, opaco. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. 84 AMELIA PISTILLO Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.16. Astragalo XV.11. Pedina circolare Forma cuboide, allungata e stretta; quattro facce principali lunghe e concave; altre due ridotte. Su una faccia principale è presente un foro circolare. Si tratta della riproduzione in vetro del classico esemplare in osso, probabilmente usato sempre a scopo ludico. Inedito. Nr. inv. 782/11; H 0,6 cm; Ø 1,5 cm. Vetro a stampo beige e bordeaux, opaco. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.12. Pedina circolare Nr. inv. 782/12; H 0,6 cm; Ø 1,8 cm. Vetro a stampo bordeaux e nero. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.13. Pedina circolare Nr. inv. 782/13; H 0,6 cm; Ø 1,8 cm. Vetro a stampo nero. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.14. Pedina circolare Nr. inv. 782/14; H 0,7cm; Ø 1,6 cm. Vetro a stampo nero. Integra. Vetrina VIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicata come un piccolo disco di vetro insieme ad altri tredici di diversa grandezza. Per i confronti vedi XV.1. XV.15. Pedina circolare Nr. inv. 238; H 0,9 cm; Ø 1 cm. Vetro a stampo nero. Integra. Vetrina XXIII. Forma circolare, parte inferiore piana, parte superiore a profilo convesso. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione relativa ai materiali della Vetrina XXIII purtroppo sconosciuta. Per i confronti vedi XV.1. Nr. inv. 134; largh. 1,3 cm; lungh. 2,1 cm. Vetro soffiato. Verde chiaro, trasparente. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina XXVII. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. XV.17. Astragalo Nr. inv. Z42; largh. 1,1 cm; lungh. 2,1 cm. Pasta vitrea. Blu. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina XXIII. Forma cuboide, allungata e stretta; quattro facce principali lunghe e concave; altre due ridotte. Si tratta della riproduzione in pasta vitrea del classico esemplare in osso, probabilmente usato sempre a scopo ludico. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione relativa ai materiali della Vetrina XXIII purtroppo sconosciuta. TIPO XVI: Oggetti di ornamento XVI.1. Collana costituita da sfere e cilindretti Nr. inv. 751 - 752; lungh. 85,5 (a due giri) cm. Pasta vitrea verde, rossa, bianca. Integra. Vetrina VIII. Collana a due giri ma unita in un solo pezzo. Vaghi discoidali di diverso colore si alternano in numero di 4 o 5 alla parte cilindrica della collana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) i nr. 751 e 752 indicano due collane distinte in pasta vitrea ma con la medesima decorazione. Per la forma dei vaghi discoidali si rimanda alla collana da Gela risalente alla prima metà del VI sec. a.C. (Basile 2004, nr. 98, tav. XXV). XVI.2. Collana costituita da sfere e cilindretti Nr. inv. 744; lungh. 30 cm. Pasta vitrea gialla e azzurra. Leggere scalfiture su alcuni vaghi. Vetrina VIII. La collana è costituita da 16 vaghi cilindrici gialli posti a due a due tra 9 vaghi lenticolari blu. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritta come I VETRI una collana con piccole nocciuole di vetro azzurro e giallo d’oro. La forma e il colore dei vaghi trova confronto con le collane XVI.3 e 4. XVI.3. Collana costituita da sfere di vetro Nr. inv. 745; lungh. 31 cm. Vetro verde, azzurro, rosso, giallo. Presumibilmente integra. Vetrina VIII. Collana costituita da 64 vaghi di dimensione e colore variabile, con sezione subcilindrica e provvisti di foro centrale passante. La catena passante è in materiale moderno. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritta come una collana “con piccole nocciuole di vetro di diversi colori”. XVI.4. Collana costituita da sfere di vetro Nr. inv. 750; lungh. 36 cm. Vetro verde, azzurro, marrone, bordeaux, giallo. Presumibilmente integra. Vetrina VIII. Collana costituita da 80 vaghi di dimensione e colore variabile, con sezione subcilindrica e provvisti di foro centrale passante. La catena passante è in materiale moderno. In questa collana sembra riproporsi uno schema preciso per tutta la sequenza dei vaghi: i vaghi blu in numero di tre e immediatamente il vago verde per poi continuare con tre vaghi blu e arrivare all’ottavo giallo. La ripetizione è effettuata per tutta la lunghezza della collana, esclusa la parte centrale con l’immissione di vaghi più grandi, color marrone e bordeaux. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritta come una collana con piccole nocciuole di vetro di diversi colori. Simile alla XVI.3. XVI.5. Collana costituita da vaghi cilindrici con pendente fallico (?) Nr. inv. 747; lungh. 26,5 cm. Modellazione su asta; uso di stampo. Vetro turchese, nero. Discreto, corrosioni. Vetrina VIII. La collana è composta da 21 vaghi cilindrici lunghi. Al centro vi è un pendente di forma ignota, uno “a melone” striato e con piccolo foro in superficie, uno anulare e il pendente finale di forma oblunga appuntita (simbolo fallico?). Inedito. 85 Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritta come una collana di vetri azzurri e nerastri. Il pendente a “melone” trova confronto con lo stesso di uguale colore a Gela (Basile 2004, nr. 105, tav. XXVII). Il pendente finale trova confronto con un esemplare, diverso per fattura, proveniente da Birgi e datato VI - V sec. a.C. (Basile 2004, nr. 106, tav. XXVII). XVI.6. Collana costituita da sfere di vetro a “melone” Nr. inv. 749; lungh. 29,4 cm. Modellazione su asta. Vetro verde acqua, striato. Discreto, abrasioni varie. Vetrina VIII. La collana è costituita da 22 vaghi “a melone” sulle tonalità del verde con il più grande al centro. Vi è un vago di fattura diversa, color bianco perla con striature arancioni. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è descritta come una collana di pallottole di vetro, striate e ossidate di tinte diverse. I pendenti a “melone” trovano confronto con due esempi a Gela ma di diverso colore e datati II sec. a.C. III sec. d.C. (Basile 2004, nr. 101,105, tav. XXVI, XXVII) e con un esempio ad Aquileia non datato (Aquileia Romana 1991, nr. 56, p. 124). XVI.7. Collana costituita da sfere di vetro Nr. inv. 743; lungh. 21,2 cm. Modellazione su asta. Vetro verde, azzurro, giallo e ambra. Opaco. Discreto, abrasioni varie. Vetrina VIII. Collana costituita da 23 vaghi di forma sferica più o meno schiacciati verso l’estremità della collana e da 5 vaghi di forma bicoconica. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è descritta come una collana con grosse pallottole digradanti dal centro alle estremità. Inoltre vi è l’indicazione del ritrovamento a Baranello. I vaghi di forma biconica trovano confronto con altrettanti, ma di colore diverso, provenienti da Termoli (Cb) e datati per contesto al VI sec. a.C. (Venustas, 2007, nr. 137, p. 150). XVI.8. Bracciale ad “occhi” Nr. inv. X113; lungh. 14 cm. Modellazione su asta. Pasta vitrea gialla, celeste e bianca. Leggere intaccature su alcuni vaghi. Vetrina XXVII. Il bracciale è costituito da 29 vaghi con foro passante, di cui uno solo non ha la decorazioni ad “occhi”. Le dimensioni dei vaghi variano in maniera digradante verso l’estremità dei ganci 86 e il vago centrale ha forma cilindrica allungata. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto con i vaghi celesti ad “occhi” della collana rinvenuta a Gela e datata VI sec. a.C. (Basile 2004, nr. 99, tav. XXV) ed a Birgi datata VI-IV sec. a.C. (Basile 2004, nr. 107, tav. XXVII); con i vaghi celesti e gialli ad “occhi” della collana rinvenuta ad Agrigento e datata VI - V sec. a.C. (Basile 2004, nr. 102, tav. XXVI); con un vago proveniente da San Polo (De Benedittis 2005, nr. 114, p. 49); con i vaghi gialli ad “occhi” provenienti da Termoli (Cb) e datati per contesto al IV sec. a.C. (Venustas, 2007, nr. 141, p. 151). XVI.9. Vago di collana Nr. inv. Z37; Ø 1,5 cm. Modellazione su asta Vetro verdeazzurro, opaco. Discreto, abrasioni varie. Vetrina XXIII. AMELIA PISTILLO Vago di forma lenticolare con foro passante. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione relativa alla Vetrina XXIII, appartenente ai reperti di Monte Vairano, purtroppo sconosciuta. XVI.10. Specchio Nr. inv. 755; H 8,5 cm. Vetro verde scuro, opaco. Discreto. Vetrina 8. Specchio di forma quadrangolare, regolare. Colore verde con abrasioni biancastre. Nella parte centrale probabilmente vi era attaccato un elemento di forma rettangolare poiché è rimasto il negativo. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) è indicato come un piccolo specchio in vetro. I BRONZI 87 MATERIALE BRONZEO TIPO XVII: Forme chiuse Tav. 3 XVII.1. Schnabelkanne Nr. inv. 488; H 21 cm; Ø 9,5 cm. Lamina di bronzo tirata a martello, ansa fusa separatamente. Patina verde chiaro. Integro. Superfici deteriorate. Vetrina VII. Lungo becco obliquo e arrotondato all’estremità; alto collo cilindrico rastremato verso l’alto; corpo troncoconico; piede ad anello; ansa verticale a sezione troncoconica ad andamento sinuoso, costolata, prominente in linguetta. Secondo quarto del V sec. a.C. Inedito. Il Barone (1899, p. 65) lo definisce una oinochoe in bronzo con manico usato per versare il vino. La tipologia delle Schnabelkanne rimanda ad un’origine etrusca. È attestata in Etruria ma anche in ambito magnogreco e celtico (vedi cartina di distribuzione, Vorlauf 1997, fig. 19). Trova confronto puntuale con un esemplare proveniente da Veio e conservato al Museo di Villa Giulia (Sgubini Moretti 2001, nr. 1f.7. 10 p. 85). XVII.2. Olpe Nr. inv. 485; H 12,9, con ansa 16,5 cm; Ø (o) 5,6, Ø (f) 5 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Frammentario nel corpo. Superfici molto ossidate e corrose. Vetrina VII. Orlo rettilineo con labbro svasato esternamente; breve collo; corpo troncoconico; ansa a sezione ovoide; ansa soprelevata con scanalature longitudinali, inchiodata nella parte superiore sull’orlo e saldata nella parte inferiore del ventre dove si appiattisce a guisa di linguetta; fondo piatto. Variante 1: massima espansione a circa metà altezza e collo distinto (Guzzo 1970, p. 96). Fine VI - metà V sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è indicata insieme al nr. inv. 490 come oinochoe con manico. La tipologia delle brocche è attestata in area etrusco - campana dall’ultimo quarto del VI sec. alla metà del V sec. a.C. Si ritiene che la produzione sia etrusca, localizzata a Vulci e poi attraverso canali commerciali giunta in Campania, non ritenuta però sede di un’eventuale fabbrica di brocche in bronzo. Si riconoscono due varianti della sagoma in relazione alla massima espansione tra collo e corpo. Inoltre, la forma è stata studiata per via della dell’ansa terminante a forma di leone, che non si riscontra nei nr. XVII.2 e 3 della collezione Barone. (Guzzo 1970, pp. 103 - 110). Trova confronti, solo per quanto concerne la sagoma, con brocche provenienti da Monte Adranone e conservate presso il Museo Arch. di Agrigento (Guzzo 1970, nr. 9, tav. I.3; tav. IX.18); con altre simili provenienti dalla zona campana ed ora al Museo di Villa Giulia (Guzzo 1970, nr. 12, tav. II.4; nr. 16, tav. III.6; nr. 32, tav. VI. 32) e con tre brocche provenienti dalla necropoli di via Nicotera a Vico Equense (Bonghi Jovino 1982, nr. 7, tav.12. 3. 5 e tav. 87.2; nr. 8, tav. 12. 3. 4 e tav. 87.1; nr. 9, tav. 12. 3. 1 e tav. 85.4) e con un’altra di incerta provenienza (Guzzo 1970, nr. 35, tav. VI.12). Inoltre nell’Italia settentrionale trova confronto con una brocca conservata presso il Museo di Modena e proveniente dalla necropoli della Nosadella (Labate 2006, p. 54). XVII.3. Olpe Nr. inv. 490; H 18, con ansa 22 cm; Ø (o) 6,9, Ø (f) 5,9 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Frammentario nel corpo. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Orlo aggettante e ripiegato; breve collo e spalla scoscesa; corpo a sacco, rastremato nella parte inferiore; ansa a sezione ovoide, sopraelevata, inchiodata nella parte superiore sotto l’orlo e staccata dal corpo del vaso nella parte inferiore; fondo piatto. All’interno dell’olpe vi è un materiale lanoso inserito in tempi successivi, probabilmente per evitare che il reperto si rompesse, data l’estrema fragilità. Variante 1: massima espansione a circa metà altezza e collo distinto (Guzzo 1970, p. 96). Fine VI - metà V sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è indicata insieme al nr. inv. 485 come oinochoe con manico. Come la precedente. Per il problema cronologico, la diffusione e i confronti vedi XVII.2. XVII.4. Brocca Nr. inv. 487; H 15,6, con ansa 19,6 cm; Ø (o) 8,6, Ø (f) 7 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Orlo rettilineo decorato con linee parallele incise, nella parte superiore; labbro svasato; corpo globulare. Presenta un'ansa a nastro soprelevata con scanalature longitudinali, saldata nella parte superiore sotto l’orlo e nella parte inferiore del ventre dove termina con una placca 88 inferiore circolare, sormontata da incisioni a trattini e una figura centrale relativa ad una maschera bacchica (?) con ricci capelli resi a volute, viso pieno e bocca aperta con lingua di fuori. Fondo ad anello. Età romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 487) è indicato come un’oinochoe. Trova confronti nella Categoria E5110 della classificazione Tassinari: brocca con becco corto e corpo globulare (1993, pp. 90 - 91). È confrontabile per la forma globulare e la conformazione dell’ansa con un vaso simile proveniente dalla necropoli di via Nicotera a Vico Equense (Bonghi Jovino 1982, nr. 5, tav. 12. 3. 2 e tav. 85.1). TIPO XVIII: Forme aperte Tav. 3 XVIII.1. Patera con manico Nr. inv. 477; H 7,3 cm; lungh. manico 10,3 cm; Ø (o) 23,4, Ø (f) 13 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Integro. Decorazione incisa. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Orlo piatto; bassa vasca a profilo convesso; fondo piatto. Manico a sezione sub-ellittica con decorazione incisa superiormente, attaccato alla vasca da una placca per mezzo di due chiodini. Il manico ha terminazione antropomorfa. La terminazione potrebbe riferirsi ad una maschera dionisiaca ed essere interpretata come un satiro o un sileno con barba folta e lunga. Al di sotto dell’orlo evidente striatura di ossidazione. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 64) è descritta come una casserola con manico a scannetto riccamente decorato. Trova confronti nella Categoria H1200 della classificazione Tassinari: patera con manico a terminazione antropomorfa (1993, pp. 58 - 59, 129). XVIII.2. Casseruola con manico a disco Nr. inv. 486; H 8,9 cm; lungh. manico 13 cm; Ø (o) 14,8, Ø (f) 9 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Integro. Decorazione incisa. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Labbro breve, svasato orizzontalmente; vasca profonda a profilo convesso, delimitata da quattro solcature; fondo concavo con scanalature concentriche. Lungo manico orizzontale a disco con foro rotondo. Fabbricata in un solo pezzo con il manico. All’intero sono conservati AMELIA PISTILLO dei frammenti indicati con i tipi LXIII.1 e 2. Età augustea - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è descritta come una trublia, ovvero una tazza da bere con manico orizzontale. Questo tipo di casseruola è la forma più attestata durante l’ultima fase di vita dei centri vesuviani e prodotto presumibilmente dall’età augustea fino alla metà del II secolo. La presunta via commerciale seguita è quella Marsiglia Rodano - Reno - Mar Baltico (Carandini 1977, pp. 165 166). Trova confronti nella Categoria G3100 della classificazione Tassinari: casseruola con manico a disco con foro rotondo e vasca profonda. (1993, pp. 52 - 57, 111 - 117). Nel Museo Naz. di Napoli sono conservati diversi esempi, alcuni muniti anche di bollo (Carandini 1977, nr. 16 - 17, tav. LXXIX; nr. 19, tav. LXXX). XVIII.3. Colatoio Nr. inv. 448, 478; Ø 12,5 cm; lungh. con manico 27,6. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Decorazione incisa. Mutilo, coppetta lacunosa. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Lungo manico a nastro a sezione quadrangolare, applicato mediante borchiette, ricurvo decorato con incisioni a motivi floreali e terminante con protome di volatile. Fondo convesso costituito da una lamina traforata. Epoca romana. Inedito. Sul reperto sono presenti due nr. inv.: il nr. inv. giusto è 478 perchè trova corrispondenza nel catalogo Barone (1899, p. 64) ove è descritto come una trulla, ovvero cucchiaio traforato con manico adunco e variamente decorato. Trova confronti nella Categoria K3100 - K3200 e S2100 della classificazione Tassinari: colini con fondo traforato e differenti nella forma del manico. (1993, pp. 69, 159 - 162). XVIII.4. Colatoio Nr. inv. 481; lungh. con manico 24,3 cm; Ø 11,7 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Lungo manico a nastro a sezione quadrangolare, ricurvo, decorato con incisioni a motivi a palmetta e terminante con protome di volatile. Il manico è fissato al corpo mediante chiodini. Fondo convesso costituito da una lamina traforata. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 64) e descritto come una trulla, ovvero cucchiaio traforato con manico adunco e variamente decorato. I BRONZI 89 90 AMELIA PISTILLO Trova confronti nella Categoria K3100 - K3200 e S2100 della classificazione Tassinari: colini con fondo traforato e differenti nella forma del manico. (1993, pp. 69, 159 - 162). XVIII.5. Colatoio Nr. inv. 480, 486; lungh. con manico 29,8 cm; Ø 13,5 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Integro, lacuna nella vasca. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Lungo manico a sezione quadrangolare, terminante ad anello con due anitrelle stilizzate. Bordi fortemente rientranti; fondo convesso costituito da una lamina traforata. Epoca romana. Inedito. Sul reperto sono presenti due nr. inv.: il nr. inv. giusto è 480 perchè trova corrispondenza nel catalogo Barone (1899, p. 64) e descritto come una trulla, ovvero cucchiaio traforato con manico adunco e variamente decorato. Trova confronti nella Categoria K3100 - K3200 e S2100 della classificazione Tassinari: colini con fondo traforato e differenti nella forma del manico. (1993, pp. 69, 159 - 162). XVIII.6. Colatoio Nr. inv. 479; lungh. con manico 26 cm; Ø 13 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Decorazione incisa. Mutilo, manca il fondo traforato. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Lungo manico a sezione quadrangolare decorato ad incisione e terminante ad anello con due anitrelle stilizzate. Bordi fortemente rientranti. Epoca romana. Inedito. Il nr. inv. non è indicato sul reperto ma con tutta probabilità corrisponde al colatoio nr. inv. 479 che manca di corrispondenza. All’interno di un altro reperto è stato rinvenuto il corpo traforato con il nr. inv. 479, attinente al colatoio descritto e indicato nel catalogo Barone (1899, p. 64) come altra trulla. Trova confronti nella Categoria K3100 - K3200 e S2100 della classificazione Tassinari: colini con fondo traforato e differenti nella forma del manico. (1993, pp. 69, 159 - 162). XVIII.7. Colatoio Nr. inv. 493; lungh. con manico 23 cm; Ø 10, 5 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Decorazione incisa. Mutilo, resta una piccola parte del corpo a fondo traforato. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Lungo manico a sezione ellittica ricavato da un unico pezzo ripiegato e ondulato, applicato mediante borchiette a protome animale (?). Bordi fortemente rientranti. Il corpo è a fondo traforato. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) e descritto come una trulla, con manico a zig zag in filo di rame. Trova confronti nella Categoria K3100 - K3200 e S2100 della classificazione Tassinari: colini con fondo traforato e differenti nella forma del manico. (1993, pp. 69, 159 - 162). XVIII.8. Coppa Nr. inv. 489; H 9 cm; Ø (o) 15, Ø (f) 6 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Integro. Decorazione incisa. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Orlo svasato con decorazione incisa a trattini paralleli; vasca profonda a profilo convesso; fondo profilato concavo. All’intero sono conservati dei frammenti di bronzo non catalogati e un frammento probabile di colino indicato con il nr. inv. XVIII.6. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è descritta come una trublia, ovvero una tazza da bere con manico orizzontale. Trova confronti nella Categoria M1000 della classificazione Tassinari: coppe con imboccatura ampia. (1993, pp. 77, 163 - 165). XVIII.9. Calderone Nr. inv. 437; H 13,8 cm; Ø orlo 32 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Decorazione incisa. Integro, lacunoso nel fondo. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Orlo piatto rientrante; vasca molto profonda a profilo troncoconico; fondo arrotondato, concavo. Due anse applicate tramite chiodi, molto elaborate e divise in due parti: un’ansa sormontante mobile a sezione sub-ellittica con due globetti ovoidali profilati; l’altra è fissata alla vasca e formata da due globetti ovoidali terminante a palmetta cuoriforme sagomata. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 64) è descritta come un ahenum, ovvero calderotto di bronzo con due manici. Il reperto rientra in tre categorie della classificazione Tassinari: pentola, Categoria 1000 (1993, p. 99); caldaia, Categoria V1000 (1993, p. 103); bollitore, inteso come calderone, Categoria Y2000 (1993, p. 114). L’assenza di altri elementi funzionali quali coperchio, gancio o del treppiedi ne limitano la distinzione tipologica. I BRONZI XVIII.10. Bacile Nr. inv. 474; H 9 cm; Ø (o) 27,4, Ø (f) 14,4 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Decorazione Incisa. Integro. Superfici deteriorate. Vetrina VII. Orlo distinto con labbro estroflesso; vasca profonda emisferica, al centro decorazione incisa a cerchi concentrici; piede traforato a forma di triangoli. Prese laterali fisse a sezione circolare attaccate al labbro; anelli a sezione circolare con decorazione incisa a tacche continue, inseriti nelle prese fisse. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 64) è descritto come una malluvia, ovvero catinella di bronzo con piede traforato ed anelli agli orli. Trova confronto con un esemplare conservato al Museo della Crypta Balbi (Roma 2001, nr. II.4.1016, pp. 421 - 422). TIPO XIX: Anse e manici XIX.1. Ansa di brocca Nr. inv. 482; lungh. 14,7 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Ansa verticale a sezione poligonale. L’attacco superiore ha bracci laterali con doppia sporgenza arrotondata. L’attacco inferiore, separato da una modanatura a tondino, è composto da una palmetta plastica di nove foglie da cui si originano le due terminazioni simmetriche a corpo di serpente rivolte verso l’alto. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è indicata come un’ansa o manico decorato. Per un confronto generico e per l’identificazione del probabile vaso di riferimento vedi categoria B1000: Brocche con un’ansa verticale e imboccatura media; categoria C1000: Brocche con un’ansa e imboccatura ampia; D1000/ 2000: Brocche a imboccatura bi-trilobata; E2000/ 5000: Brocche fornite di becco (Tassinari 1993, pp. 38 - 91). Trova confronto per quanto concerne l’attacco inferiore con tre anse conservate nel Museo Gregoriano Etrusco (Sannibale 2008, nr. 36 - 38, pp. 69 - 75). XIX.2. Ansa di brocca Nr. inv. 554; lungh. 15 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integra. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Ansa verticale a sezione quadrangolare. L’attacco superiore ha bracci laterali con doppia sporgenza arrotondata ed alto poggiapollice al centro. L’attacco inferiore è conformato ad ele- 91 mento cuoriforme desinente in maniera orizzontale. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è indicata come un manico per vaso. Per un confronto generico e per l’identificazione del probabile vaso di riferimento vedi categoria B1000: Brocche con un’ansa verticale e imboccatura media; categoria C1000: Brocche con un’ansa e imboccatura ampia; D1000/ 2000: Brocche a imboccatura bi-trilobata; E2000/ 5000: Brocche fornite di becco (Tassinari 1993, da pp. 38 - 91). Trova confronto puntuale a Pompei (Tassinari 1993, nr. 4, tav. IX). XIX.3. Ansa Nr. inv. 483; lungh. 17 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Ansa verticale a sezione poligonale con evidenti scanalature sulla superficie sia verticali che orizzontali. L’attacco superiore è costituito da una placca rettangolare decorata a rilievo come la parte centrale. L’attacco inferiore è conformato a elemento vegetale e traforato negli otto petali. La terminazione è desinente in un globetto sferico. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è indicata come un’ansa o manico decorato. XIX.4. Ansa Nr. inv. 512; lungh. 13 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Decorazione incisa. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Ansa orizzontale a sezione circolare con la parte centrale liscia e nella parte superiore vi è un globetto circolare. Le estremità sono conformate a forma circolare, incise con linee parallele e precedute da tre profilature. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è indicata come un’ansa di bronzo. XIX.5. Manico di calderone (?) Nr. inv. 513; lungh. 14,4 cm; h. 4,2 cm. Superficie opaca, patina verde chiaro. Integra. Superficie molto ossidata e corrosa. Vetrina VII. Ansa orizzontale a sezione quadrangolare di bronzo, estremità desinenti a globetto. Su un’estremità è incastrato un elemento verticale mobile. Probabilmente è attinente ad una forma aperta e nello specifico ad un calderone. Inedito. 92 Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è indicata come un’ansa di bronzo. XIX.6. Manico di bilancia (?) Nr. inv. 555; h 15 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Manico orizzontale a sezione quadrangolare, con estremità ripiegate di bronzo. Al centro del manico è incastrato un elemento verticale mobile, probabilmente un gancio. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è indicato come manico di vaso. XIX.7. Ansa (?) Nr. inv. 649; h 5 cm; Ø (attacco) 3 cm; largh. 11 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, piuttosto omogenea. Decorazione incisa. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Elemento composto di una parte rettangolare piana a margini concavi e brevi appendici laterali. Su un lato si impostano due bastoncelli ricurvi a sezione circolare e terminanti a disco. Sui dischi vi è una decorazione di otto elementi trapezoidali. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è descritta come un’ansa o manico di grande vaso. Trova puntuale confronto con un esemplare proveniente dalla Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 1526, pp. 494 - 495). TIPO XX: Forme miniaturistiche Tav. 3 XX.1. Olpe miniaturistica Nr. inv. 535, H 6,6 cm; Ø (o) 2,7, Ø (f) 2,6 cm . Bronzo fuso. Patina verde scuro, piuttosto omogenea. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Orlo leggermente svasato; collo cilindrico espanso; spalla arrotondata; corpo ovoidale; piede ad anello. Ansa ad anello a sezione quadrangolare. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è indicato come un piccolo ariballoe di bronzo. XX.2. Olla miniaturistica Nr. inv. 556; H 6,3 cm; Ø (o) 4,6, Ø (f) 4,2 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Integro. Integra. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Orlo estroflesso, orizzontale liscio; breve collo concavo; corpo sferico; fondo piatto profilato. Tipo A: olletta ariballica apoda (Tarditi 1996, p. 166). Prima metà V sec. a.C. - IV sec. AMELIA PISTILLO a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è indicato come una piccola oinochoe di bronzo e senza manico. La tipologia di ollette, con o senza anse, è attestata soprattutto in Italia meridionale, con particolare localizzazione a Peucezia; compare anche in Grecia e nella versione acroma e a vernice nera, per cui si è ipotizzata un’origine greca della forma (Tarditi 1996, pp. 166 - 167). Trova numerosi confronti a Rutigliano (Tarditi 1996, nr. 203 - 208, pp. 94 - 95). XX.3. Oinochoe miniaturistica Nr. inv. 484; h 9,5 cm; Ø base max 4,9 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Mutilo della base e di parte del corpo. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Orlo trilobato; basso collo cilindrico; spalla espansa; ventre ovoidale tozzo. Non è da escludere che in origine fosse dotata di un’ansa. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è indicato come una piccola oinochoe di bronzo e senza manico. XX.4. Calderone miniaturistico Nr. inv. 470; h 13,6 cm; Ø (o) 11,5, (f) 9,5 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Mutilo, manca una presa. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Orlo appena svasato con labbro appiattito; corpo a profilo appena concavo bipartito da tre serie di linee a rilievo; fondo concavo con tre piedi a sezione circolare e un globetto centrale a rilievo. Ansa sormontante, semicircolare e forata, ricavata dalla stessa lamina del corpo, probabilmente simmetrica all’altra mancante. Età imperiale romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 64) è descritto come un “calderottino con tre piedi ed occhielli pel manico che manca”. Trova confronto puntuale nel Museo Arch. di Padova (Zampieri 2000, nr. 293, pp. 167, 170) indicato come un piccolo mortaio per l’assenza delle prese che in origine corredavano probabilmente il manufatto lacunoso proprio nella zona che ospitava le prese. XX.5. Vasetto miniaturistico Nr. inv. 661; h 3 cm; Ø (o) 5, Ø (f) 3 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Mutilo, manca un’ansa. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Orlo orizzontale; pareti oblique inclinate verso l’interno; fondo piatto con un globetto a I BRONZI rilievo centrale. Ansa sormontante semicircolare fissata al corpo mediante piccoli chiodi. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è descritto come un piccolo Kotylos contenente un dorso di statuetta frammentata e un delfino in bronzo; al momento della schedatura non vi era nessun reperto all’interno del vaso. XX.6. Piccola patera Nr. inv. 530; h 2,1 cm; Ø 9,5 cm. Bronzo fuso. Superficie opaca, patina verde scuro. Integra. Superficie corrosa. Vetrina VII. Orlo piatto; bassa vasca a profilo convesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è descritta come una “piccola patera speciosa per la patina di un nero ebano”. XX.7. Base di vaso miniaturistico Nr. inv. 557; h 2,4 cm; Ø inf. 4,6 cm; Ø sup. 1,9 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro, piuttosto omogenea. Frammento. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Probabile piede a disco di vaso miniaturistico formato da una base concava e una parte a sezione cilindrica che termina in un disco più piccolo da dove probabilmente si sviluppava il corpo del vaso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è indicato come piede di vaso. XX.8. Manico Nr. inv. X103; lungh. 4,5 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Manico orizzontale con sezione romboidale, estremità curvate a ricciolo. Presumibilmente appartiene ad una forma aperta miniaturistica. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. TIPO XXI: Armi XXI.1. Cuspide di lancia Nr. inv. 652; lungh. 18,2 cm; Ø 2,2 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, non omogenea. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Lama foliata con costolatura longitudinale a sezione semicircolare, rastremata verso la punta. Cannone troncoconico con foro passante al centro, un piccolo foro circolare su un lato del 93 cannone. Prima Età del Ferro. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è indicata insieme ai nr. 656 e 657 come cuspides, ovvero punte di lancia. Trova confronto nella Vetrina XXVI dei reperti provenienti da Cuma del Museo Civico “G. Barone” (Criscuolo 2007, nr. 68 - 69, pp. 295 - 296); nel Museo Sannitico di Cb (Di Niro 2007, nr. 27 - 29, 32, 38 - 41 pp. 40 - 44); con una simile proveniente da Ortucchio (Cianfarani, Franchi dell’Orto, La Regina 1978, tav. 6, p. 161). XXI.2. Cuspide di lancia Nr. inv. 656; lungh. 11 cm; largh. 2,5 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, non omogenea. Integra. Superficie corrosa. Vetrina VII. Lama foliata con costolatura longitudinale a sezione semicircolare, rastremata verso la punta. Cannone troncoconico con foro passante al centro, un piccolo foro circolare su un lato del cannone. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è indicata insieme ai nr. 652 e 657 come cuspides, ovvero punte di lancia. XXI.3. Cuspide di lancia Nr. inv. 657; lungh. 20,7 cm; Ø 2 cm. Bronzo fuso. Superficie lucente, priva di patina. Decorazione incisa. Integra, contorni lacunosi. Vetrina VII. Lama foliata con costolatura longitudinale a sezione semicircolare, rastremata verso la punta. Cannone troncoconico con foro passante al centro, due piccoli fori circolari in prossimità dell’inizio della lama, un piccolo foro circolare su un lato del cannone. Decorazione incisa sulla lama con motivo a spina di pesce. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è indicata insieme ai nr. 652 e 656 come cuspides, ovvero punte di lancia. XXI.4. Cuspide di lancia miniaturistica Nr. inv. 160; lungh. 3,4 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, non omogenea. Integra, contorni irregolari. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Lama foliata con costolatura longitudinale a sezione semicircolare, rastremata verso la punta. Cannone troncoconico con foro passante al centro. Margini della lama ritoccati e non regolari. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. 94 AMELIA PISTILLO XXI.5. Punta di freccia Nr. inv. s.n. 1; lungh. 2,7 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Punta di freccia piramidale a tre tagli terminante a punta sottile; cannone troncoconico con foro passante al centro. Età arcaica. Inedito. Non possiede il nr. inv. Le cuspidi piramidali a tre tagli, in varia articolazione tipologica, sono largamente diffuse in Grecia e in Asia e presenti in Italia meridionale e in Etruria, a partire dall’età arcaica e soprattutto dall’età classica (Sannibale 1998, p. 61). Trova confronto tra le armi della Collezione Gorga (Sannibale 1998, nr. 44 - 46, pp. 60 - 61). XXI.6. Punta di freccia Nr. inv. s.n. 3; lungh. 2,8 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Mutila del cannone. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Punta di freccia piramidale a tre tagli terminante a punta sottile; cannone frammentario troncoconico con foro passante al centro. Età arcaica. Inedito. Non possiede il nr. inv. Per la diffusione e confronti vedi XXI.5. XXI.7. Punta di freccia Nr. inv. s.n. 2; lungh. 2,2 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Mutila del cannone. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Punta di freccia piramidale a tre tagli terminante a punta sottile e prolungata oltre l’imbocco dell’immanicatura. Età arcaica. Inedito. Non possiede il nr. inv. Per la diffusione e confronti vedi XXI.5. XXI.8. Punta di freccia Nr. inv. s.n. 4; lungh. 1,8 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Mutila del cannone. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Punta di freccia piramidale a tre tagli terminante a punta sottile e prolungata oltre l’imbocco dell’immanicatura. Età arcaica. Inedito. Non possiede il nr. inv. Simile alla precedente. Per la diffusione e confronti vedi XXI.5. XXI.9. Punta di freccia Nr. inv. s.n. 5; lungh. 2,2 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Mutila del cannone. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Punta di freccia piramidale a tre tagli terminante a punta sottile e prolungata oltre l’imbocco dell’immanicatura. Età arcaica. Inedito. Non possiede il nr. inv. Simile alla precedente. Per la diffusione e confronti vedi XXI.5. XXI.10. Puntale di fodero Nr. inv. 664; h 7,8 cm; Ø 2,4 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, omogenea. Integro. Superficie corrosa. Vetrina VII. Puntale in un unico pezzo, di forma cilindrica; puntalino globulare all’estremità. Presenta un’imboccatura trasversale, costolata anteriormente e desinente con un una lamina martellata circolare con foro. Età medievale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è indicato come un manico di coltello. Trova confronto con oggetti simili nella Collezione Gorga (Sannibale 1998, nr. 74 - 84, pp. 82 - 86). XXI.11. Puntale di lancia (?) Nr. inv. 654; h 11,6 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, omogenea. Mutilo, nella parte anteriore. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Puntale in un unico pezzo, di forma conica, massiccio con innesto presumibilmente a cannone. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è descritto come uno spiculum usato all’estremità inferiore della lancia per affligerla nel terreno o utilizzarlo per estrema difesa nel caso in cui la punta, la cuspis, si spezzava. TIPO XXII: Strumenti con doppio utilizzo XXII.1. Ascia a cannone Nr. inv. 653; lungh. 13,5 cm; largh. 4 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Cannone con breve cordone liscio all’imboccatura, a sezione rettangolare, distinto dalla lama da un gradino semicircolare; due sporgenze ai lati della spalla forse mutile; lama trapezoidale con margini concavi. Bronzo finale/prima età del Ferro. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è indicata come uno scalprum, ovvero uno scalpello in bronzo. Trova con- I BRONZI 95 fronto a Cuma (Napoli Antica 1985, nr. 9.3 - 9.4 tav. XII, pp. 64 - 65); nel Molise (Di Niro 1980, nr. 3, tav.1, p. 45) e con uno simile conservato nel Museo Sannitico di Cb (Di Niro 2007, nr. 395, pp. 193 - 194) indicato con provenienza da Baranello. i confronti vedi XXII.3. XXII.2. Ascia a margini rialzati Tallone ingrossato distinto con tre ampie costolature, occhio largo ovale; immanicatura ellittica non distinta dalla lama trapezoidale, con margini concavi. Testa ornata da tre nervature a rilievo. Tipo “Cuma”. Bronzo finale/prima età del Ferro. Inedito. Nr. inv. 654; lungh. 19,3 cm; largh. 6,5 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Tallone non distinto. Forma allungata a margini rialzati, poco pronunciati; lama espansa nella parte terminale con taglio convesso e lati concavi. Tipo Paestum (Carancini 1995, p. 33 ss.) Bronzo finale/Prima età del Ferro. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è descritta come uno spiculum, ovvero un puntale di bronzo usato unitamente alla lancia per infliggerla nel terreno o per difesa personale. Trova confronto in Molise (Samnium 1991, tav. III, pp. 22 - 23) e nel Museo Sannitico di Cb (Di Niro 2007, nr. 391, p. 193). XXII.3. Scure a occhio ovale Nr. inv. 655; lungh. 10,7 cm; largh. 5,6 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Integra. Superficie corrosa. Vetrina VII. Tallone appiattito rettangolare, occhio largo ovale; immanicatura non distinta dalla lama larga, con margini lievemente concavi. Bronzo finale/Prima età del Ferro. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è indicata insieme ai nr. 658 e 659 come secures, ovvero accette o scuri. Trova confronto in Molise (Di Niro 1980, nr. 2, tav. 1, p. 47); nel Museo Sannitico di CB (Di Niro 2007, nr. 393, p. 193) indicato con provenienza da Baranello; a Cuma (Napoli Antica 1985, nr. 9.5 tav. XII, pp. 64 - 65); con una simile conservata al Museo Pigorini (Cianfarani, Franchi dell’Orto, La Regina 1978, tav. 6, p. 161). XXII.5. Scure a occhio e lama massiccia Nr. inv. 659; lungh. 15,5 cm; largh. 5,5 cm. Bronzo fuso. Superficie lucente. Patina verde scuro. Integra. Vetrina VII. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è indicata insieme ai nr. 655 e 658 come secures, ovvero accette o scuri. Trova confronto a Cuma (Napoli Antica 1985, nr. 9.1 tav. XII, p. 64). XXII.6. Scalpello a taglio piatto Nr. inv. 660; lungh. 9,4 cm. Bronzo fuso. Superficie lucente, patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Forma rettangolare con margini laterali a profilo concavo; manichetto rettangolare. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è indicato come uno scalprum in bronzo. TIPO XXIII: Strumenti per la filatura XXIII.1. Fuso Nr. inv. 170; lungh. 29 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina XXVII. Nr. inv. 658; lungh. 16,2 cm; largh. 7 cm. Bronzo fuso. Superficie lucente. Patina verde scuro. Integra. Vetrina VII. Asta cilindrica, leggermente ingrossata vicino un’estremità, con tre rondelle piatte e circolari, le due minori verso le estremità, la maggiore più centrale. L’oggetto è costituito da un corpo lungo e affusolato e a sezione circolare; alle due estremità vi sono due dischi circolari e di spessore sottile, al centro un altro disco più grande rispetto agli altri due. Bronzo Finale - Età del Ferro. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è indicata insieme ai nr. 655 e 659 come secures, ovvero accette o scuri. Per XXIII.2. Ago con custodia da cucito XXII.4. Scure a occhio e lama massiccia Tallone appiattito rettangolare, occhio largo ovale; immanicatura non distinta dalla lama larga, trapezoidale, con margini lievemente concavi. Bronzo finale/Prima età del Ferro. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto con uno simile ma con decorazione incisa a Cuma (Napoli Antica 1985, nr. 9.12 tav. XIV, pp. 67 - 68). 96 AMELIA PISTILLO Nr. inv. 166; lungh. ago 9 cm; Ø 0,3 cm; lungh. custodia 8 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina XXVII. L’ago è corredato di una custodia rigida probabilmente frammentaria alle estremità. L’ago presenta uno stelo a sezione circolare e rettilineo, rastremato e appuntito verso la fine; l’estremità opposta è costituita dal foro ovale per l’immissione del filo. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. XXIII.3. Ago da cucito Nr. inv. s.nr.1; lungh. 14,2; sp. 0,2 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina XXVII. L’ago presenta uno stelo a sezione circolare e rettilineo, rastremato e appuntito verso la fine; piccola cruna pervia. Inedito. Non presenta il nr. inv. Trova confronto in Molise con uno simile a San Polo Matese (De Benedittis 2005, nr. 135 p. 53) e Monte Vairano (De Benedittis 1980, nr. 101, p. 30). XXIII.4. Ago da cucito Nr. inv. s.nr.2; lungh. 14,5; sp. 0,2 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina XXVII. L’ago presenta uno stelo a sezione circolare, rastremato e appuntito verso la fine con una leggera curvatura dello stelo; cruna pervia. Inedito. Non presenta il nr. inv. Per i confronti vedi XXIII.3. XXIII.5. Peso da telaio (?) Nr. inv. 156; Ø 2,4 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. L’elemento è a forma di globulo schiacciato. Non reca incisioni sui poli in relazione al suo peso specifico. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto con pesi simili nella forma e datati al I - II sec. d.C. (Zampieri 2000, nr. 387 - 388, p. 197). TIPO XXIV: Strumenti chirurgici XXIV.1. Ligula Nr. inv. 639/8; lungh. 8,5 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Stelo a sezione cilindrica spuntato ad un capo; estremità terminante in spatoletta ovale e piatta. La parte dell’impugnatura è delimitata da quattro modanature a spirale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è indicato come specilla o tenta chirurgica e inserito in un comparto con altri otto oggetti. Trova confronti nel Museo di Treviso (Galliazzo 1979, nr. 7 - 10, pp. 161 - 162). XXIV.2. Ligula Nr. inv. 639/7; lungh. 9,6 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Mutila. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Stelo a sezione cilindrica, curvato presso le estremità e terminante in punte. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è indicato come specilla o tenta chirurgica e inserito in un comparto con altri otto oggetti. Probabilmente un capo terminava ad “oliva” e quindi rientrare nella tipologia degli specilla (Galliazzo 1979, nr. 10, p. 161); oppure terminare con un capo simile alla ligula precedente, vedi confronti. XXIV.3. Pinzetta Nr. inv. 514bis; lungh. 10 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Integra. Leggermente ossidata. Vetrina VII. Lamina a sezione rettangolare, ripiegata a U; apice conformato “a molla”; branche incurvate all’estremità; estremità appiattite. Inedito. Epoca romana. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Per l’uso in ambito chirurgico, cosmetico e domestico cfr. Galliazzo 1979, nr. 3 - 4, pp. 159, 161 - 162. Trova confronto a Taranto (Museo Taranto 1988, nr. 17.8 a, g, tav. XLI e nr. 17.9f, tav. XLII); con un esemplare proveniente da San Polo Matese (Cb) (De Benedittis 2005, nr. 117, pp. 49 - 50) differisce per l’estremità ad angolo; con simili dalla necropoli di Pontecagnano (d’Agostino, Gastaldi 1988, p. 75, tipo 48A) relativi alla Prima Età del Ferro; con un esempio conservato nel Museo Arch. di Padova (Zampieri 2000, nr. 257a, p. 147). XXIV.4. Pinzetta Nr. inv. 153; lungh. 19 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integra. Corrosioni varie. Vetrina XXVII. Lamina a sezione rettangolare, ripiegata a V; apice a forma circolare; branche rettilinee svasate, estremità appiattite. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione succes- I BRONZI 97 siva a quella di Barone. Per l’uso in ambito chirurgico, cosmetico e domestico cfr. Galliazzo 1979, nr. 3 - 4, pp. 159, 161 - 162. Trova confronto puntuale con una simile conservato nel Museo Arch. di Padova (Zampieri 2000, nr. 257b, p. 147). sferici digradanti verso le estremità. Provvista di ganci circolari per la chiusura. Inedito. TIPO XXV: Collane XXV.1. Collare XXV.5. Collana con pendenti Nr. inv. 172; Ø 14,2 cm. Verga di bronzo fuso e ribattuto. Patina verde chiaro, non omogenea. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Verga a sezione rettangolare con capi lanceolati ripiegati. La faccia a vista è decorata con triangoli incisi, riempiti con cerchielli. Presso i capi, fitte incisioni parallele. VI - V sec. a.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto con un collare simile proveniente da una tomba di Alfedena (Parise Badoni, Ruggeri Giove 1980, fig. 48 nr. 55.1, pp. 26 - 27). XXV.2. Collana Nr. inv. 173; lungh. 46. Bronzo. Patina verde scuro. Integra nel filo, mutila nei ganci. Vetrina XXVII. Filo di bronzo sottile torto a spirale. Mancano i ganci per la chiusura. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto per il motivo a filo torto a spirale con una goliera in cattivo stato di conservazione rinvenuta a San Polo Matese (Cb) (De Benedittis 2005, nr. 47, p. 31) e datata alla Prima età del Ferro. XXV.3. Collana Nr. inv. 532; lungh. 125 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Mutila, presumibilmente di uno dei ganci. Vetrina VIII. Collana ad anellini incastrati a due a due. Probabilmente era indossata a tre giri. All’estremità vi è un anello più grande circolare che serviva probabilmente per l’aggancio. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è indicata come piccola catena di bronzo destinata ad usi differenti. Trova confronto in una tomba di Alfedena (Parise Badoni, Ruggeri Giove 1980, t. 55, nr.1, tav. 20). XXV.4. Collana Nr. inv. 748; lungh. 26, 8 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina VIII. Collana composta da cinquantotto elementi Nel catalogo Barone (1899, p. 90) è indicata come una collana a pallottoline digradanti e non è specificato il materiale. Nr. inv. 753; lungh. 29 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, non omogenea. Decorazione incisa. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina VIII. Collana costituita da nove elementi cilindrici sagomati, da tre elementi cilindrici rastremati alle estremità, lisci e da tre pendenti a sezione ellittica con terminazione a globetto sferico. Età arcaica. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 91) non è indicata come una collana ma come pezzi appartenenti a collana in bronzo. Trova confronto per gli elementi cilindrici costituenti con una collana proveniente da Palestrina e conservata al Museo di Boston (Comstock, Vermeule 1971, nr. 302, pp. 220 - 221). XXV.6. Collana con pendenti Nr. inv. 534; lungh. 43,5 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Integra. Vetrina VII. Collana ad anellini incastrati con otto elementi cilindrici alternati a sette pendenti a bulla bivalve a profilo biconvesso con appicagnolo ricavato nella stessa lamina delle valve, di varie dimensioni. Età arcaica. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è indicata come una collana con sospese sette cassuole chiamate bullae. Trova confronto con il pendente a bulla di una collana proveniente da Palestrina (Comstock, Vermuele 1971, nr. 303, p. 221). XXV.7. Collana con pendenti Nr. inv. 531; lungh. 40 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Decorazione incisa. Mancante di due pendenti. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Collana ad anellini incastrati con undici pendenti dalle diverse forme: il primo da sinistra è un pendente a forma sferica; il secondo è a forma antropomorfa; il terzo è a forma di cucchiaio o paletta; il quarto è a forma cilindrica sagomato con la parte superiore a figura antropomorfa; il quinto è a forma di vaso; il pendente centrale, il sesto, è a figura antropomorfa con 98 AMELIA PISTILLO toga e incisioni del panneggio; il settimo è a testa umana; l’ottavo è a forma di pala con terminazione zoomorfa; il nono e il decimo non hanno forma particolare; l’ultimo, l’undicesimo, è a testa umana. Alle estremità due anelli che fungevano da gancio. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è indicata come una collana con tredici oggettini che fanno da ciondoletti. Probabilmente i due ciondoletti che non figurano sono andati perduti dopo la catalogazione compiuta da Barone, ed erano inseriti alle due estremità, poiché sono presenti solo gli anelli nei quali evidentemente erano inseriti. XXV.8. Collana con pendenti Nr. inv. 533; lungh. 38 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Integro. Vetrina VII. Collana ad anellini incastrati con tredici pendenti dalle diverse forme: alle estremità due pendenti simili ai batacchi; seguono sei pendenti di forma ovoide alternati a quattro pendenti di forma troncoconica. Al centro figura il pendente che rappresenta Mercurio con patera nella mano sinistra e caduceo (?) terminante in figura zoomorfa, nella mano destra. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è indicata come un monile formata da gocciole pendenti e statuina di Mercurio centrale. Trova confronto per i pendenti di forma ovoide e troncoconici con simili appartenenti alla collana proveniente da Palestrina e conservata al Museo di Boston (Comstock, Vermeule 1971, nr. 302, pp. 220 - 221). TIPO XXVI: Pendagli XXVI.1. Pendaglio ad occhiali Nr. inv. 301; Ø 11,2 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Mutilo: manca ca. della superficie originaria. Vetrina XXVII. Filo a sezione circolare, avvolto a spirale in numero di dieci. L’estremità del filo termina a linguetta. Bronzo finale/ Prima Età del Ferro. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto con un pendaglio simile (Di Niro 1980, p. 45). XXVI.2. Pendaglio Nr. inv. 309; h max 11 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Mutilo. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Targhetta rettangolare con la parte superiore traforata in due triangoli vuoti e uno pieno. Sono sormontati da elementi indefiniti, probabilmente frammentari, poiché non si rileva una forma ad anello circolare necessario per essere appeso. La targhetta, decorata con cerchielli, reca cinque piccoli fori, da cui pendono cinque figure umane stilizzate, tre di queste risultano staccate dalla targhetta e due sono mutile delle gambe. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto con un pendaglio integro proveniente da Suessola e conservato al Museo di Boston (Comstock, Vermeule 1971, nr. 347, p. 237) e con un unico pendaglio a figura antropomorfa proveniente da San Polo Matese (Cb) (De Benedittis 2005, nr. 41, p. 30) e datato alla Prima Età del Ferro. XXVI.3. Pendaglio Nr. inv. 300; h 7,8 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Targhetta di forma triangolare: l’estremità superiore termina ad anello e quella inferiore, con quattro fori circolari necessari per l’immissione dei rispettivi appicagnoli. Gli stessi sono inseriti nei quattro fori tramite anelli a sezione circolare e hanno forma quadrangolare con solchi circolari ai lati. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Tale pendaglio è denominato anche pettorale o tintinnabulum per la probabile funzione di riprodurre suoni garantito dagli appicagnoli. Trova confronto per la morfologia con due esemplari della Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 682 - 683, pp. 256 - 257). XXVI.4. Pendaglio Nr. inv. s.nr. 1; h 6,5 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, non omogenea. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Pendaglio costituito da un volatile nella parte superiore e due elementi di forma troncoconica che partono dalle zampe dell’animale. Inedito. Non presenta il nr. inv. XXVI.5. Pendaglio Nr. inv. 302; h 11,5 cm; largh. max 6,6 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Mutilo, probabilmente dei ganci. Su- I BRONZI perficie deteriorata. Vetrina XXVII. Pendaglio in lamina di bronzo costituito da una parte superiore a forma di luna terminante con due fori circolari e dall’altro lato con una protesi nella quale è inserito un anello. Dall’anello si dipartono due pendagli di forma trapezoidale con due chiodi a vista. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. XXVI.6. Pendaglio/vago Nr. inv. 158; h 2,6 cm; Ø 2 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Il vago ha forma ovoidale e termina con un globetto forato per l’inserimento e preceduto da profilatura. Probabilmente faceva parte di una collana. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. XXVI.7. Pendaglio/vago Nr. inv. 159; h 2,6 cm; Ø 2 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Il vago ha forma ovoidale e termina con un globetto forato desinente a punta e preceduto da profilatura. Probabilmente faceva parte di una collana. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. TIPO XXVII: Pendagli a batocchio XXVII.1. Pendaglio a batocchio senza nodo mediano Nr. inv. 606; h 11,7 cm; largh. 6 cm. Bronzo fuso. Superficie lucida, priva di patina. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Pendaglio globulare, manicato. Il manico presenta decorazione incisa a spirale e termina con elementi di sospensione ad occhiello. Una bugna nella terminazione inferiore. Varietà con batocchio globulare. VII - VI secolo a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è indicato come pondera di bronzo, ovvero peso sferoidale. La diffusione è attestata in ambito piceno, medio-adriatico e in Italia meridionale oltre che in Tessaglia, Macedonia. In gene- 99 rale sono riconducibili al Piceno III e Seidel posticipa i pendagli a batocchio con nodo mediano al Piceno IV a e IV b (per la bibl. relativa alle aree di diffusione e alle distinzioni tipologiche formulate cfr. Colucci Pescatori 1971, p. 536; Percossi Serenelli 1989, p. 90; Naso 2003, p.183; Seidel 2006, p. 138) Trova confronti in Molise nel Museo Sannitico di Campobasso (Di Niro 2007, nr. 71 72, p. 58); a Termoli (Cb) (Venustas 2007, nr. 160, pp. 160 - 161), a Carlantino (De Benedittis 2006, nr. 24, p. 57; nr. 8, p. 89) e in un pendaglio di probabile collana e di dimensioni inferiori rinvenuto a San Polo Matese (Cb) (De Benedittis 2005, nr. 76, p. 38) e datato alla Prima Età del Ferro; nella Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 824 - 832, p. 299) XXVII.2. Pendaglio a batocchio senza nodo mediano Nr. inv. 607; h 6 cm; largh. 3 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, non omogenea. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Pendaglio globulare, manicato. Il manico presenta un elemento di sospensione ad occhiello. Una bugna nella terminazione inferiore. Varietà con batocchio globulare. VII - VI secolo a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è indicato come pondera di bronzo, ovvero peso sferoidale. Per la diffusione e i confronti vedi XXVII.1. XXVII.3. Pendaglio a batocchio senza nodo mediano Nr. inv. 608; h 8 cm; largh. 2,2 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, omogenea. Mutilo, forse nella parte terminale del manico. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Pendaglio globulare, manicato. Il manico presenta una terminazione presumibilmente ad occhiello, purtroppo mutilo. Varietà con batocchio globulare. VII - VI secolo a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è indicato come pondera di bronzo, ovvero peso sferoidale. Per la diffusione e i confronti vedi XXVII.1. XXVII.4. Pendaglio a batocchio con nodo mediano Nr. inv. 609; h 7 cm; largh. 2,4 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, omogenea. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Pendaglio sferoidale, manicato. Il manico presenta elemento di sospensione ad occhiello 100 e nodo mediano di forma globulare schiacciata lungo la barra verticale. Varietà con elemento di sospensione ad occhiello. VI - V secolo a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è indicato come pondera di bronzo, ovvero peso sferoidale.Per la diffusione e i confronti vedi XXVII.1. XXVII.5. Pendaglio a batocchio con nodo mediano (?) Nr. inv. 610; h 9,8 cm; largh. 2,1 cm. Bronzo fuso. Superficie lucida, priva di patina. Mutilo, probabilmente dell’elemento di sospensione. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Pendaglio sferoidale, con lungo manico a sezione circolare. La barra verticale presenta il nodo mediano di forma globulare schiacciata. VI - V secolo a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è indicato come pondera di bronzo, ovvero peso sferoidale. Per la diffusione e i confronti vedi XXVII.1. TIPO XXVIII: Anelli digitali XXVIII.1. Anello digitale con castone inciso Nr. inv. 236; Ø 3 cm; sp. 0,7 cm; lungh. castone 2 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Castone inciso. Integro. Vetrina XXVII. Verga a sezione semicircolare che si allarga in forma di castone ellittico. Castone figurato piatto: è incisa una figura femminile stante, con volto rivolto alla sua sinistra e reca nella destra un ramo presumibilmente d’olivo. Veste drappeggiata, non si riconoscono i tratti del viso. Epoca augustea - II sec. d.C. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Altri esempi di anelli digitali con castone provengono dal territorio trevigiano (Galliazzo 1979, nr. 2 - 3, p. 169). XXVIII.2. Anello digitale con castone inciso Nr. inv. 237; Ø2 cm; sp. 0,3 cm; lungh. castone 1,7 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Castone inciso. Integro. Vetrina XXVII. Verga a sezione circolare che si allarga in forma di castone ovale. Castone figurato piatto: è incisa una figura animale, probabilmente un lupo, curvo in avanti. Figura stilizzata, assenti AMELIA PISTILLO particolari. Epoca augustea - II sec. d.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. XXVIII.3. Anello digitale con castone inciso Nr. inv. 238; Ø 2,3 cm; sp. 0,5 cm; lungh. castone 3 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Castone inciso. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Verga a sezione piano-convessa piatta che si allarga in forma di castone ellittico. Castone figurato piatto: è incisa una figura indecifrabile. Epoca augustea - II sec. d.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. XXVIII.4. Anello digitale con castone inciso Nr. inv. 239; Ø 2,4 cm; sp. 1 cm; lungh. castone 3 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Castone inciso. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Verga a sezione semicircolare che si allarga in forma di castone ellittico. Castone figurato piatto: è incisa una figura non decifrabile. Epoca augustea - II sec. d.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. XXVIII.5. Anello digitale con castone inciso Nr. inv. 241; Ø 3,1 cm; sp. 0,3 cm; lungh. castone 3,1 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Castone inciso. Integro. Superfice deteriorata. Vetrina XXVII. Verga a sezione semicircolare che si allarga in forma di castone ellittico. Castone figurato piatto: è incisa una figura animale, si riconoscono le zampe anteriori. Epoca augustea - II sec. d.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. XXVIII.6. Anello digitale con castone inciso Nr. inv. 637/8; Ø 2,1 cm; sp. 0,2 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Castone inciso. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione piano-convessa che si allarga in forma di castone rettangolare. Castone figurato piatto: è incisa una figura non decifrabile. Epoca augustea - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è descritto come anello con impronte per sugello quo signantem signet. I BRONZI XXVIII.7. Anello digitale con castone inciso Nr. inv. 637/12; Ø 2,4 cm; sp. 0,2 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Castone inciso. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione piano-convessa che si allarga in forma di castone ellittico. Castone figurato piatto: è incisa una figura non decifrabile. Epoca augustea - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è descritto come anello con impronte per sugello quo signantem signet. XXVIII.8. Anello digitale con castone inciso Nr. inv. 637/4; Ø 2,5 cm; sp. 0,5 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Castone inciso. Integro. Vetrina VII. stone 101 Nr. inv. 637/10; Ø 2 cm; sp. 0,3 cm. Bronzo fuso. Superficie opaca, patina verde scuro. Frammentario del castone. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione semicircolare che si allarga in prossimità dell’alloggio per castone. Alloggio vacante presumibilmente di un castone ellittico. Epoca augustea - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è segnalato come un semplice anello in bronzo. XXVIII.12. Anello a capi sovrapposti Nr. inv. 637/5; Ø 2 cm; sp. 0,3 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione piano-convessa che si allarga in forma di castone rettangolare. Castone piatto con motivi incisi a onde parallele. Epoca augustea - II sec. d.C. Inedito. Verga a sezione pseudo-convessa; capi sovrapposti; estremità semplici. VI sec. a.C. (?) Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è descritto come anello con impronte per sugello quo signantem signet. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è segnalato come un semplice anello in bronzo. Trova confronto a Carlantino (De Benedittis 2006, nr. 11, p. 85 e nr. 6 p. 87) e a Termoli nella necropoli Porticone (Di Niro 1981, T11). XXVIII.9. Anello digitale con castone inciso XXVIII.13. Anello digitale Nr. inv. 637/9; Ø 2,4 cm; sp. 0,2 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Integro. Superficie molto deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione piano-convessa che si allarga in forma di castone ovale. Castone piatto leggermente concavo; probabilmente ospitava una decorazione incisa ma per via del forte deterioramento non è visibile. Epoca augustea - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è segnalato come un semplice anello in bronzo. XXVIII.10. Anello con castone inciso Nr. inv. 637/2; lungh. 1,7 cm; sp. 0,6 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Castone inciso. Frammento, manca parte della verga. Superficie molto deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione piano-convessa che si allarga in forma di castone ellittico. Castone convesso con semplice decorazione a spirale. Epoca augustea - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è segnalato come un semplice anello in bronzo. XXVIII.11. Anello digitale con alloggio per ca- Nr. inv. 637/3; Ø 2,6 cm; sp. 0,4 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione circolare, chiusa; due globetti sulla superficie. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è segnalato come un semplice anello in bronzo. XXVIII.14. Anello digitale Nr. inv. 637/7; Ø 2,2 cm; sp. 0,3 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione semicircolare, chiusa. Prima Età del Ferro. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è segnalato come un semplice anello in bronzo. Trova confronto in Molise con anelli presenti al Museo Sannitico di Cb (Di Niro 2007, nr. 119 - 120, p. 73) e a San Polo (De Benedittis 2005, T23 e T24, p. 88); inoltre trova confronti a Carlantino (De Benedittis 2006, nr. 6, p. 56 e nr. 26, p. 57) datati al VI sec. a.C. XXVIII.15. Anello digitale Nr. inv. X128; Ø 4 cm; sp. 0,4 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. 102 AMELIA PISTILLO Verga a sezione circolare, chiusa. Prima Età del Ferro. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Per i confronti vedi XXVIII.14. XXVIII.16. Anello digitale Nr. inv. X127; Ø 3 cm; sp. 0,7 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Integro. Vetrina VII. Verga massiccia a sezione ellittico-romboidale, chiusa. Prima Età del Ferro. Inedito. Il nr. di inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto con anelli simile a Carlantino datati al VI sec. a.C. (De Benedittis 2006, nr. 6, p. 32 e nr. 7 - 8, p. 56) e nella necropoli Porticone, a Termoli (Cb) (Di Niro 1981, T11, T16). Potrebbe essere inteso anche come un anello da sospensione e per questo trovare confronti nel Museo Sannitico di Cb (Di Niro 2007, nr. 96 - 97, pp. 67 - 68). TIPO XXIX: Bracciali e armillae XXIX.1. Bracciale a capi accostati Nr. inv. 561; Ø est 7,7 cm; sp. 0,5 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Vetrina VII. Verga a sezione circolare, capi accostati; estremità ornate con sette dentellature. Presenta decorazione longitudinale incisa su tutta la superficie. VII - VI sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è definito clidon, un braccialetto per il polso. La tipologia del bracciale con capi ornati da dentellature e decorazione incisa sulla superficie sono datati al VII -VI sec. a.C. e ritenuti rari (Cifarelli 1997, pp. 82 - 84). Gli esemplari ascrivibili a questa tipologia, seppur variabili per decorazione e dimensione, sono conservati al Museo Pigorini (Cifarelli 1997, figg. 12,15, pp. 82 - 84); altri tre esempi provengono da una tomba di Scurcola Marsicana (D’Ercole 1991, pp. 253 - 270); inoltre trova puntuale confronto a Carlantino (De Benedittis 2006, nr. 3, p. 88). XXIX.2. Bracciale Nr. inv. 573; Ø est 8 cm; sp. 0,5 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Vetrina VII. Verga a sezione circolare, chiusa; tratto decorato con otto dentellature. Presenta decorazione longitudinale incisa su tutta la superficie. VII - VI sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è definito armilla a spirale (probabilmente durante la catalogazione sono stati confusi i reperti). Simile al precedente. Per il problema cronologico e i confronti vedi XXIX.1. XXIX.3. Bracciale di bronzo Nr. inv. 599; Ø est 7,4 cm; sp 0,7 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Vetrina VII. Verga a sezione circolare, chiusa; tratto decorato con otto dentellature. Presenta decorazione longitudinale incisa su tutta la superficie. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) il numero non corrisponde ad un bracciale ma ad una crepida (probabilmente durante la catalogazione sono stati confusi i reperti). Simile ai precedenti. Per il problema cronologico e i confronti vedi XXIX.1. XXIX.4. Bracciale di bronzo Nr. inv. 565; Ø est 9 cm; sp. 0,5. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Vetrina VII. Verga a sezione circolare, chiusa; tratto decorato con sei dentellature. Presenta decorazione longitudinale incisa su tutta la superficie. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è definito amphidea o pericarpion, descritti rispettivamente come braccialetti per il braccio o per il piede. Simile ai precedenti. Per il problema cronologico e i confronti vedi XXIX.1. XXIX.5. Armilla Nr. inv. 559; h 1,7 cm; Ø est 6,2 cm; sp. 0,8 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Integra. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Verga tubolare a sezione circolare; capi aperti sovrapposti. VII - VI sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è descritta come uno spinther, ovvero un braccialetto utilizzato dalle donne al braccio sinistro. Trova confronto a Termoli (Cb) (Venustas 2007, nr. 179, p. 170) e nella Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 1169 - 1188, pp. 389 - 390). XXIX.6. Armilla Nr. inv. 575; h 1,5 cm; Ø est 4,2 cm; sp. 0,3 cm. Bronzo. Superficie lucida priva di patina. Integra. Vetrina VII. Verga a sezione circolare; capi aperti sovrapposti quasi a formare un secondo giro di spirale; I BRONZI estremità appuntite. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è descritta come un bracciale di piccole dimensioni a tre o quattro cerchi di spira. Simile a XXIX.5. XXIX.7. Armilla a spirali Nr. inv. X117; h 5,4 cm; Ø est 8,4 cm; sp. 0,4 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Integra, sfaldata in alcune parti. Vetrina VII. Verga a sezione rettangolare avvolta a quattro giri di spirali. Le estremità presentano due globetti profilati preceduti da un tratto decorato a fitte linee parallele incise denominati a “pignetta”. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone; probabilmente è accomunato alla descrizione del nr. inv. 566 (Barone 1899, nr. 566 - 571 573 - 576, p. 69) poichè tre armillae non sono state rinvenute nella Vetrina VII. L’armilla rientra in una classe ampiamente diffusa, a partire dalla Prima Età del Ferro in poi, in Italia centro meridionale, dal Piceno alla Campania, dalla Puglia alla Calabria ed è quindi difficile individuarne la precisa collocazione cronologica. Per la diffusione del tipo vedi (Colucci Pescatori 1971, p. 534 ss.). Trova confronti con esemplari della collezione Gorga ad una spirale (Benedettini 2012, nr. 1200 - 1209, p. 395). XXIX.8. Armilla a spirali Nr. inv. 566; h 3,4 cm; Ø est 8 cm; sp. 0,4 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integra, sfaldata in alcune parti. Vetrina VII. Verga a sezione circolare avvolta a due giri di spirali che diventa rettangolare verso le estremità. Le estremità presentano due globetti profilati preceduti da un tratto decorato a fitte linee parallele incise denominati a “pignetta”. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è descritta come un’armilla a spira o serpentiforme. Per il problema cronologico e per i confronti vedi XXIX.7. XXIX.9. Armilla a spirali Nr. inv. X118; h 2,8 cm; Ø 8,3 cm; sp. 0,3 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integra, sfaldata in alcune parti. Vetrina VII. Verga a sezione circolare avvolta a due giri di spirali che diventa rettangolare verso le estremità. Le estremità presentano due globetti pro- 103 filati preceduti da un tratto decorato a fitte linee parallele incise denominati a “pignetta”. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone; probabilmente è accomunato alla descrizione del nr. inv. 566 (Barone 1899, nr. 566 - 571 573 - 576, p. 69) poichè tre armillae non sono state rinvenute nella Vetrina VII. Per il problema cronologico e per i confronti vedi XXIX.7. XXIX.10. Armilla a spirali Nr. inv. X119; h 4 cm; Ø est 5,4 cm; sp. 0,2 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Integra. Vetrina VII. Verga a sezione rettangolare avvolta a quattro giri di spirali; estremità a punta. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone; probabilmente è accomunato alla descrizione del nr. inv. 566 (Barone 1899, nr. 566 - 571 573 - 576, p. 69) poichè tre armillae non sono state rinvenute nella Vetrina VII. Per il problema cronologico vedi XXIX.7. XXIX.11. Armilla a spirali Nr. inv. X120; h 1,7 cm; Ø 5,2 cm. . Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integra, sfaldata in alcune parti. Vetrina VII. Verga a sezione circolare avvolta a quattro giri di spirali; presenta una sola estremità terminante a punta preceduta da decorazione incisa a spirale e digradante verso la fine. L’altra estremità non è riavvolta ma ricurva su se stessa. Non vi è spazio tra le spirali. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone; probabilmente è accomunato alla descrizione del nr. inv. 566 (Barone 1899, nr. 566 - 571 573 - 576, p. 69) poichè tre armillae non sono state rinvenute nella Vetrina VII. L’armilla rientra in una classe ampiamente diffusa, a partire dalla Prima Età del Ferro in poi, in Italia centro meridionale, dal Piceno alla Campania, dalla Puglia alla Calabria ed è quindi difficile individuarne la precisa collocazione cronologica. Per la diffusione del tipo vedi (Colucci Pescatori 1971, p. 534 ss.). Trova confronti con un esemplare della collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 1246, p. 402). XXIX.12. Armilla a spirali Nr. inv. X121; h 2 cm; Ø 9,1 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Decorazione incisa. Integra. 104 Incrostazioni varie. Vetrina VII. Verga a sezione circolare avvolta a quattro giri di spirali; presenta una sola estremità terminante a punta preceduta da decorazione incisa a spirale e digradante verso la fine. L’altra estremità non è riavvolta ma ricurva su se stessa. Non vi è spazio tra le spirali. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone; probabilmente è accomunato alla descrizione del nr. inv. 566 (Barone 1899, nr. 566 - 571 573 - 576, p. 69) poichè tre armillae non sono state rinvenute nella Vetrina VII. Per il problema cronologico e per i confronti vedi XXIX.11. XXIX.13. Armilla a spirali Nr. inv. X122; h 1,6 cm; Ø 5,3 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Verga a sezione circolare avvolta a quattro giri di spirali; presenta una sola estremità terminante a punta preceduta da decorazione incisa a spirale e digradante verso la fine. L’altra estremità non è riavvolta ma ricurva su se stessa. Non vi è spazio tra le spirali. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone; probabilmente è accomunato alla descrizione del nr. inv. 566 (Barone 1899, nr. 566 - 571 573 - 576, p. 69) poichè tre armillae non sono state rinvenute nella Vetrina VII. Per il problema cronologico e per i confronti vedi XXIX.11. TIPO XXX: Anelli da sospensione XXX.1. Anello da sospensione Nr. inv. 526 bis; Ø est 4,4 cm; sp. max 1,2 cm. Bronzo fuso. Superficie lucida priva di patina. Integro. Vetrina VII. Verga a sezione sub-ellittica, chiusa; presenta una decorazione esterna con tredici listelli alternati a formare un anello “raggiato” o “a stella”; la parte interna è piatta. Gli anelli tipologicamente inquadrati come “a stella”, con differenti sezioni, sono presenti sin dall’Età del Bronzo in contesti tombali femminili. Tipo 45 (Bietti Sestieri 1992, pp. 380 384). Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è in coppia con il nr. inv. 526 ed è specificata la funzione di anello per porta. Bibl. A. Di Niro 2007, p. 67, l’anello è soltanto citato. In AMELIA PISTILLO Molise trova confronti con anelli “a stella” ma con sezione diversa, a S. Polo Matese (De Benedittis 2005, nr. 1 - 2, p. 90). XXX.2. Anello da sospensione Nr. inv. 563; Ø est 7,5 cm; sp. 1 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, non omogenea. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione sub-ellittica con lato interno piatto, aperta; presenta una decorazione esterna a tacche continue. VII - VI sec. a.C. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è descritto come “ansa ostii” e specificata la funzione di anello per porta; al nr. inv. 563 appartiene un altro anello uguale, non rintracciato. Bibl. A. Di Niro 2007, p. 67, l’anello è soltanto citato insieme ai nr. inv. 526, 568, 573. La cronologia suggerita per questi anelli è l’inizio del VII sec. a.C. (un bracciale simile proviene da una tomba del periodo IIIA di Sala Consilina, Colucci Pescatori 1971, p. 536) anche se perdurano oltre il secolo successivo (De la Genière 1968, pp. 123, 319); per quanto riguarda la diffusione sono attesti in Italia Meridionale, nello specifico in Campania, e in zone d’oltralpe (Colucci Pescatori 1971, p. 534 ss.). Potrebbe essere inteso come anche come un bracciale a capi accostati di bronzo e per questo trovare confronto con simili a Carlantino (De Benedittis 2006, nr. 1 - 2, p. 88) e Monte Vairano (Cb) (De Benedittis 1980, pp. 342 - 348). Altri esemplari fanno parte della Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 1146 - 1152, pp. 385 - 386). XXX.3. Anello da sospensione Nr. inv. 526; Ø est 7 cm; sp. 1 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro, non omogenea. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione a D con lato interno piatto, chiusa; presenta decorazione esterna con dodici ovoli alternati a listelli. VII - VI sec. a.C. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è in coppia con il nr. inv. 526bis ed è specificata la funzione di anello per porta. Bibl. A. Di Niro 2007, p. 67, l’anello è soltanto citato insieme ai nr. inv. 563, 568, 573. Per problemi di carattere cronologico e diffusione vedi bibliografia XXX.1. Inoltre la decorazione a ovoli è trattata in altri testi (Peroni 1973, passim; Gastaldi 1979, tipo c6, p. 25; d’Agostino 1980, p. 22). Trova confronto con bracciali simili conservati al Museo Pigorini (Cifarelli 1997, figg. 12 - 13, pp. 81 - 82). In Molise è attestato nel Museo Sannitico di Campobasso (Di Niro 2007, nr. 99-101, pp. 67 - 69); compare a Torella e a Campodipietra (Di Niro 1980, nr. 3, 5, p. 46, tav. 2); a Sepino (Matteini Chiari 2004, nr. 2, I BRONZI p. 34); a San Polo Matese (De Benedittis 2005, nr. 1, p. 89); ad Agnone (Samnium 1991, nr. c25 - c28). Altri esemplari fanno parte della Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 1142 - 1145, pp. 383 - 384). XXX.4. Anello da sospensione Nr. inv. 568; Ø est 6 cm; sp. 1 cm. Bronzo fuso. Superficie lucida, patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione ellittico-romboidale con lato interno piatto, chiusa; presenta decorazione esterna con dodici ovoli alternati a listelli. VII VI sec. a.C. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è specificata la funzione di anello per porta. Simile al precedente. Per problemi di carattere cronologico, diffusione e confronti vedi XXX.3. Bibl. A. Di Niro 2007, p. 67, 69, l’anello è soltanto citato. Probabilmente sono stati confusi i nr. di inv. poiché i nr. esatti sono 568 - 569. XXX.5. Anello da sospensione Nr. inv. 569; Ø est 5,5 cm; sp. 0,8 cm. Bronzo fuso. Superficie lucida, patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione ellittico-romboidale con lato interno piatto, chiusa; presenta decorazione esterna con dieci ovoli alternati a listelli. VII VI sec. a.C. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è specificata la funzione di anello per porta. Simile ai precedenti. Per problemi di carattere cronologico, diffusione e confronti vedi XXX.3. Bibl. A. Di Niro 2007, p. 69, l’anello è soltanto citato. Probabilmente sono stati confusi i nr. di inv. poiché i nr. esatti sono 568 - 569. XXX.6. Anello da sospensione Nr. inv. 570; Ø est 11,5 cm; sp. 0,5 cm. Bronzo fuso. Privo di patina. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione romboidale, chiusa. VII - VI sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è descritto come un grande anello per porta. Il tipo di anello risulta molto semplice rispetto ai precedenti. Trova confronto con anelli simili ma di dimensioni minori nel Museo Sannitico di Cb (Di Niro 2007, nr. 91 - 93, pp. 66 - 68). XXX.7. Anello da sospensione Nr. inv. 560; h 1,6 cm; Ø est 7 cm; sp. 1 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro, non omogenea. Decorazione 105 incisa. Integro. Superficie molto deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione rettangolare con angoli smussati, aperta. La parte interna è liscia; la parte esterna presenta decorazione a tacche continue. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è descritto come un anello a doppia curvatura e aperto per porta. XXX.8. Anello da sospensione Nr. inv. 562; h 1 cm; Ø est 7,2 cm; sp. 0,6 cm. Bronzo fuso. Superficie opaca, patina verde scuro. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Verga a sezione rettangolare, aperta. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è descritto come un anello a doppia curvatura e aperto per porta. XXX.9. Anello da sospensione Nr. inv. 558; Ø est 5,8 cm; sp. 0,5 cm. Gancio 1,5 x 0,8 cm. Bronzo fuso. Superficie opaca, patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro nella parte ampia; forse mutilo nel gancio. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione piatta, chiusa. La superficie è profilata. Gancio a sezione rettangolare. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è descritto come un annulus per porta. Trova confronto con uno simile nel Museo Arch. di Padova (Zampieri 2000, nr. 343b, p. 184). XXX.10. Anello per vaso Nr. inv. 525; lungh. 5,5 cm; sp. max 1 cm. Bronzo fuso. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Superficie molto deteriorata. Vetrina VII. Verga a sezione circolare, chiusa. La decorazione a incisa a scanalature parallele, interessa tutto l’anello. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è descritto come un anello per vaso. TIPO XXXI: Spille e aghi crinali XXXI.1. Spillone a pastorale Nr. inv. 221,121; lungh. 27 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina XXVII. L’elemento presenta uno stelo a sezione circolare rastremato ma non appuntito ad un’estremità; la testa è conformata a pastorale e ha sezione quadrata, desinente in una forma vege- 106 AMELIA PISTILLO tale. Tipo S.Vitale/variante B (Carancini 1975, pp. 136 - 137). IX - VIII sec. a.C. Inedito. I nr. inv. corrispondono ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto con un esemplare simile conservato al Museo Sannitico di Cb (Di Niro 2007, nr. 51, p. 49) e diffuso soprattutto in Italia Settentrionale a Bologna (Carancini 1975, nr. 668 - 669, p. 137). XXXI.2. Spillone con perforazione ad asola Nr. inv. s.n. 2; lungh. 15,5 cm; Ø testa 1,1 cm; Ø 0,3 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Stelo a sezione circolare, lievemente rastremato e appuntito. L’estremità conserva una testa sferica terminante in piccolo globetto. Perforazione ad asola posta appena dopo la capocchia. Tipo Cataragna (Carancini 1975, p. 179 ss.). Bronzo finale. Inedito. Non presenta il nr. inv. Il tipo conosce una diffusione principale tra la zona del Garda, in generale nel territorio lombardo, e la regione emiliana fino a Forlì. Trova confronto nella Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 90 91, p. 45). XXXI.3. Ago crinale Nr. inv. s.n. 1; lungh. 14,4 cm; Ø testa 1 cm; Ø 0,4 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Stelo a sezione circolare, lievemente rastremato e non appuntito. L’estremità conserva una testa a forma di globetto preceduto da tre profilature. Inedito. Non presenta il nr. inv. XXXI.4. Ago crinale Nr. inv. 639/10; lungh. 10,2 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Mutilo. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Stelo a sezione circolare, lievemente rastremato e mutilo nella parte terminale. L’estremità conserva una testa sferica terminante in piccolo globetto ovale, preceduto da una profilatura e terminante in dischetto circolare appiattito. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è identificato come uno spillone e inserito in un comparto con altri sette oggetti. XXXI.5. Ago crinale Nr. inv. s.n. 3; lungh. 12,2 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Lo stelo è conformato in due modi: nella parte centrale è conformato a spirale e termina a sezione circolare e a punta; nella parte superiore è a sezione piatta e termina in testa di uccello con foro centrale, probabilmente ad indicare l’occhio dell’animale. A metà altezza dello stelo è posizionato un vago d’ambra a sezione ovale con scanalature parallele. Sullo stelo piatto vi è una decorazione incisa a fitti trattini. Inedito. Non presenta il nr. inv. XXXI.6. Spilletta (?) Nr. inv. s.nr. 4; lungh. 1,7 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. L’oggetto presumibilmente appartiene ad una spilletta. Il corpo è semicircolare con decorazione incisa non decifrabile. Al corpo è collegato un piccolo gancio mobile. L’oggetto potrebbe essere interpretato anche come un orecchino. Inedito. Non presenta il nr. inv. TIPO XXXII: Fibule e fibbie Tav. 4 XXXII.1. Fibula ad arco semplice ritorto Nr. inv. 598, X109; lungh. 6,9 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Decorazione incisa. Superficie corrosa e ossidata. Vetrina VII. Arco semicircolare ritorto a cordicella; molla a tre avvolgimenti; ago dritto; breve staffa simmetrica. Bronzo Finale - Prima Età del Ferro. Inedito. Il nr. inv. 598 relativo alla catalogazione Barone (1899, p. 70) è sbagliato poiché corrisponde ad un piccolo mortale con pistillo in bronzo. Il nr. inv. X109 corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone Le fibule ad arco semplice ritorto sono diffuse in tutta l’Italia ma anche in Grecia e nei Balcani. Trova confronti puntuali a Cuma (Napoli antica 1985, nr. 9.20, tav. XIV, p. 67) e in Sardegna (Lo Schiavo 2000, nr. 3, p. 83). XXXII.2. Fibula ad arco ingrossato Nr. inv. 616; h 9,5 cm; lungh. 15 cm. Bronzo. Patina I BRONZI verde scuro. Decorazione incisa. Mutila, mancano ago e molla. Vetrina VII. Arco semplice ingrossato nella parte centrale dove si rileva un leggero gomito; staffa ripiegata asimmetrica. Sull’arco decorazione costituita da gruppi di motivi lineari intervallati da motivi trasversali incisi. Prima Età del Ferro. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è descritta come una grande fibula mancante dell’ardiglione. L’esemplare rientra in un vasto gruppo tipologico caratterizzato da settori dell’arco variamente campiti (spina di pesce, linee anulari, graticcio) diffuso in Etruria e nel Lazio in contesti funerari dalla fine della I all’inizio della II fase della prima Età del Ferro (Pacciarelli 2000, fig. 33A.20, p. 60) con distribuzione anche in Italia Settentrionale. Per la decorazione simile trova confronto in Campania (Johannowsky 1973, p. 89 - 91, tav. II - III) e nella Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 195 - 207, pp. 60 - 63) XXXII.3. Fibula ad arco con globetto centrale Nr. inv. 582; h 1,6 cm; lungh. 5,6 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Integra. Superficie corrosa. Vetrina VII. Arco semplice e contratto che presenta al centro un globetto o nocciolo a sezione circolare che presenta una costolatura trasversale; molla a tre avvolgimenti; lunga staffa a canale, ago diritto. Fine VIII - inizi VII sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è indicata come una fibula insieme ad altre cinque di differente forma. La classe di fibule con arco a globetto, alquanto rare in Italia, è attestata sia in ambito adriatico che tirrenico escludendo interazioni tra queste aree geografiche. Tali fibule si inseriscono in contesti sepolcrali femminili (Benedettini 2012, pp. 71 - 72). Trova confronto nella Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 225, pp. 71 - 72). XXXII.4. Fibula ad occhiali Nr. inv. 580; h max 2,5 cm; lungh. 9,1 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Integra. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Arco costituito da due spirali a verga circolare, collegati al centro con un segmento di filo obliquo; in corrispondenza dei chiodi di fissaggio due piccole sporgenze coniche; sul retro fascia larga inchiodata terminante con staffa ripiegata, simmetrica; lungo ago. VIII sec. a.C. Inedito. 107 Il nr. inv. è sbagliato, probabilmente per errore di trascrizione. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) i nr. inv. 584 e 589 sono indicate come fibule a disco con ardiglione retrostante; il nr. inv. esatto è 589. Trova confronto con altre fibule simili rinvenute a Napoli e confluite in raccolte private (Comstock, Vermuele 1971, nr. 268, p. 206; nr. 335, p. 233); con una fibula proveniente da Porto S. Elpidio, Ancona (Guzzo 1970, tav. XI) e con altri esemplari della Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 215 - 220, p. 69). XXXII.5. Fibula ad occhiali Nr. inv. 584; h max 2,8 cm lungh. 9,7 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Integra. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Arco costituito da due spirali a verga circolare, collegati al centro con un segmento di filo obliquo; in corrispondenza dei chiodi di fissaggio due piccole sporgenze coniche; sul retro fascia larga inchiodata terminante con staffa ripiegata, simmetrica; lungo ago. VIII sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è indicata, insieme al nr. inv. 589, come fibula a disco con ardiglione retrostante. Simile alla precedente. Per i confronti vedi XXXII.4. XXXII.6. Fibula a sanguisuga Nr. inv. 602; lungh. 6 cm. Bronzo. Superficie opaca con patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integra. Superficie ossidata. Vetrina VII. Arco a profilo semicircolare, ingrossato e pieno; molla a tre avvolgimenti; ago dritto; staffa simmetrica. Decorazione a fitti trattini incisi con motivo a spina di pesce. Variante ad arco espanso, staffa allungata e decorazione dorsale e ventrale Prima Età del ferro. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) il nr. di inv. è corrispondente a delle piastrine circolari di metallo. Per la tipologia vedi Guzzo (1970, nr. 45, 47, pp. 37 ss., tav. IV). La foggia di questo esemplare rimanda ad un esemplare di diretta evoluzione dalle fibule ad arco ingrossato o a sanguisuga con decorazione dorsale e ventrale. Tali fibule sono diffuse in ambito etrusco, in particolare nel Lazio e nella Campania e frequenti dall’VIII agli inizi del VII sec. a.C. (Benedettini 2012 , pp. 84 - 86). Trova confronto con fibule simili nella morfologia e nella decorazione provenienti da Prenestina (Comstock, Vermuele 1971, nr. 319, 108 AMELIA PISTILLO p. 228; nr. 341, p. 235). Inoltre trova confronto per la morfologia con una fibula proveniente da Porto S. Elpidio (An) (Guzzo 1970, tav. XII) e dalla Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 266, p. 84). XXXII.7. Fibula a navicella Nr. inv. 585; lungh. 10 cm. Bronzo. Superficie opaca con patina verde chiaro in pochi punti. Decorazione incisa. Mutila, resta l’arco e parte della staffa. Superficie ossidata con incrostazioni di ferro. Vetrina VII. Arco a profilo semicircolare, cavo; corta staffa asimmetrica. Decorazione a incisione e punzonature sull’intero arco: fasce longitudinali divise da una doppia linea e riempite ciascuna da una fila di cerchielli concentrici punzonati, le fasce estreme presentano decorazione a fitti trattini. Prima Età del ferro. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è indicata come una fibula insieme ad altre cinque di differente forma. Per la tipologia vedi Guzzo (1970, nr. 45, 47, 49, p. 37 ss., tav. IV). Per il medesimo motivo decorativo trova confronto con una fibula proveniente da Prenestina (Comstock, Vermuele 1971, nr. 340, p. 234) e con altre fibule integre conservate nel Museo Gregoriano Etrusco (Mandolesi 2005, nr. 241 - 249, pp. 338 - 343). Per la tipologia e la decorazione trova confronto con diversi esemplari appartenenti alla Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 290 - 301, pp. 98 - 102). XXXII.8. Fibula a navicella Nr. inv. 596; lungh. 12 cm; largh. max 2,2 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Decorazione incisa. Mutila, manca l’ago. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Arco a profilo semicircolare vuoto, lunga staffa con ingrossamento terminale. Decorazione costituita da linee incise in senso longitudinale campite da linee trasversali. VII - VI sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è indicata come una fibula insieme ad altre cinque di differente forma e grandezza. È ricondotta da Guzzo nell’ambito della tipologia di fibule etrusche “a sanguisuga” con ornati incisi e lunga staffa terminante a bottone (Guzzo1970, nr. 46, pp. 37 - 38, tavv. IV, XII) anche se la l’arco vuoto denuncia l’appartenenza alla tipologia “a navicella”. Trova confronto con una simile proveniente da Prenestina (Comstock, Vermuele 1971, nr. 344, p. 236) e con due fibula ad arco pieno della Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 267 - 268, pp. 84 - 86). XXXII.9. Fibula a navicella Nr. inv. 595; lungh. 9 cm; largh. max 4 cm.Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Mutila, manca la staffa. Superficie ossidata. Vetrina VII. Arco a navicella aperta a losanga, dalla forma romboidale, con apofisi laterali a bottone nella zona di massima espansione dell’arco; molla a tre giri di spirale; lungo ago. Ultimo quarto VIII - prima metà VII sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è indicata come una fibula insieme ad altre cinque di differente forma e grandezza. Per la tipologia vedi Guzzo (1970, nr. 49, p. 37 ss., tav. IV). È comunque inserita nella tipologia di fibule a navicella, nonostante l’arco di forma romboidale e i bottoni laterali. Trova confronto puntuale con fibule appartenenti alla stessa tipologia e conservate nel Museo di Napoli (Johannowsky 1973, nr. 42 - 43, p. 166, tav. LII, 30); nel Museo Gregoriano Etrusco (Mandolesi 2005, nr. 241 - 249, pp. 338 - 343). XXXII.10. Fibula a navicella Nr. inv. X113; lungh. 5,1 cm; largh. max 2,4 cm. Bronzo. Superficie lucida, patina verde chiaro. Mutila, resta solo l’arco. Vetrina VII. Arco a navicella vuoto con due piccole apofisi laterali nella zona di massima espansione dell’arco. Attacco della staffa. L’arco sembra essere conformato “a delfino”. Ultimo quarto VIII - prima metà VII sec. a.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. XXXII.11. Fibula a navicella Nr. inv. X112; lungh. 2,9 cm;largh. max 1,8 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Mutila, manca parte della staffa. Superficie corrosa. Vetrina VII. Arco a navicella vuoto con due ingrossamenti laterali nella zona di massima espansione dell’arco; crestina sulla sommità dell’arco. Molla a tre avvolgimenti; ago curvo; staffa asimmetrica. Ultimo quarto VIII - prima metà VII sec. a.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto per le ridotte dimensioni con fibule in oro da Veio (Guzzo 1970, tav. XIV) e con altre da Loreto Aprutino definite ad arco ingrossato e utilizzate per coprire il velo della defunta, poiché rinvenute ai lati dell’occipite (Cianfarani, Franchi Dell’Orto, La Regina 1978, nr. 94, pp. 304 - 305). I BRONZI 109 110 AMELIA PISTILLO XXXII.12. Fibula tipo Certosa “a drago” Nr. inv. 563, X115; lungh. 5,3 cm. Bronzo. Superficie opaca con patina verde chiaro in un punto. Mutila, resta l’arco. Vetrina VIII. Arco serpeggiante con gomito a occhielli e fermapieghe a disco. VII - VI sec. a.C. Inedito. Il nr. inv. 563 relativo alla catalogazione Barone (1899, p. 69) è sbagliato poiché corrisponde a due anelli per porta. Il nr. inv. X115 corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Si tratta di un tipo diffuso soprattutto in Italia settentrionale. Il tipo di fibula è caratteristico del costume maschile nel VII e nel VI sec. a.C. (Guzzo1970, p. 45). Trova confronto puntuale nel Museo di Padova (Zampieri 2000, nr. 212 - 213, p. 133). XXXII.13. Fibula a ghiande Nr. inv. 583; lungh. primo frm 9,6 cm e largh. 4,2. Lungh. secondo frm 5,3 cm e largh. 4,1. Bronzo. Patina verde scuro. Frammentaria, nr.2 frammenti pertinenti all’arco. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Arco costituito da lamina larga; ai due lati dell’arco sono disposti complessivamente otto elementi in bronzo fuso, a forma di ghianda. Attacco della staffa. Tipo E11 Gastaldi. VII - VI sec. a.C. (Gastaldi 1979, p. 38). Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 595) è indicata come una grande fibula “a lagrime”. Fibule di questa foggia sono attestate in Italia meridionale, in particolare in Campania e nelle aree interne dell’Abruzzo e del Molise. Gli esemplari più antichi sono presenti in contesti più tardi della seconda fase dell’orientalizzante antico nelle necropoli della Val di Sarno (Gastaldi 1979, Tipo E11, p. 38). In ambito molisano esemplari simili sono stati rinvenuti a San Polo Matese (Macchiarola 1991, nr. c43, p. 81; (De Benedittis 2005, nr.1 - 2, pp. 90 - 91); un esempio è conservato al Museo Sannitico di Campobasso (Di Niro 2007, nr. 61, p. 54) e nel testo l’autrice cita anche gli esempi del Museo di Baranello. Trova confronti con una simile proveniente da Napoli e ora in una raccolta privata (Comstock, Vermuele 1971, nr. 318, p. 227) e nella Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 395 - 396, pp. 128 - 129). XXXII.14. Fibula a ghiande Nr. inv. LXXXIS, X100; lungh. 3,6 cm; largh. 4,7. Bronzo. Superficie opaca, senza patina. Frammentaria, resta parte dell’arco. Superfici molto ossidate e corrose. Vetrina VII. Arco costituito da lamina larga; ai due lati dell’arco sono disposti complessivamente ele- menti in bronzo fuso, a forma di ghianda. Attacco della staffa. Tipo E11 Gastaldi. VII - VI sec. a.C. (Gastaldi 1979, p. 38). Inedito. Simile alla precedente. Per la diffusione e i confronti vedi XXXII.13. XXXII.15. Fibula“Grottazzolina” Nr. inv. 591; h 3,7 cm; lungh. 10,9 cm; largh. 3,6. Bronzo. Patina verde chiaro. Decorazione incisa. Mutila, mancano parte dell’arco, l’ago e la molla. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Arco allargato recante due bottoni ai lati, lunga staffa desinente con peduccio sagomato. Arco decorato con serie parallele di tratti incisi in senso circolare e longitudinale. VI - V sec a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è indicata come una fibula insieme ad altre cinque di differente forma e grandezza. La forma rientra nel tipo detto di “Grottazzolina” nella classificazione del Guzzo; fibule simili, ma con tre bottoni, sono molto diffuse in tutta la fascia adriatica e nella zona di Arezzo (Guzzo 1970, pp. 44 - 45, tav. IV). XXXII.16. Fibula “Grottazzolina” Nr. inv. 581; lungh. 5,6 cm; largh. max 2,2 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Integra. Superficie molto corrosa e ossidata. Vetrina VII. Arco allargato recante due bottoni ai lati, molla a due avvolgimenti, ago diritto, lunga staffa desinente con peduccio sagomato. VI - V sec. a. C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è indicata come una fibula insieme ad altre cinque di differente forma e grandezza. Per la tipologia e diffusione vedi XXXII.17. XXXII.17. Fibula ad arco serpeggiante (?) Nr. inv. 616; lungh. 7 cm; largh. 3,6 cm. Bronzo. Superficie opaca, senza patina. Decorazione incisa. Mutila. Vetrina VII. Evidente solo l’occhiello aperto al di sopra della staffa con filo a sezione circolare, decorazione incisa sulla superficie. Le estremità terminano in protomi animali (?). Inedito. Il nr. inv. è sbagliato poiché corrisponde ad una grande fibula mancante solo dell’ardiglione. Il frammento può essere considerato un occhiello relativo ad una comune fibula ad arco serpeggiante, datata tra il X e il IX I BRONZI sec. a.C. (Guzzo 1970, nr. 43, tav. IV). Inoltre per fibula integra vedi (Lo Schiavo 2000, nr. 10 - 11, p. 83). XXXII.18. Fibbia Nr. inv. 638/3; lungh. 4 cm; largh. 4,5 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Elemento semicircolare a sezione sub-ellittica, con decorazione incisa a puntini alternati a linee parallele in rilievo. Parte inferiore a sezione circolare, collegata al semicerchio tramite elementi circolari pieni. Età imperiale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, pp. 71-72) è indicata come una lunetta e inserita nel comparto con altri tre oggetti. XXXII.19. Fibbia Nr. inv. 552; lungh. 5,6 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina chiara. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Placca cernierata, a forma di cuore, traforata, con foglia trilobata nel foro e terminante con una piccola appendice; anello ovale, cernierato; ardiglione a becco con presa più spessa. Sul retro tre maglie per il fissaggio della cintura. Tipo Bolgota - Bologna. VII sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è indicata come una fibula rettangolare per serrare cigne o corregge. La tipologia della presente fibbia è stata oggetto di classificazione da parte di Werner il quale riscontra una sorta di omogeneità per cui ipotizza la produzione in pochi atelier, di cui uno sito probabilmente a Roma. (Wegner 1955, p. 39 ss). Trova confronto nel Museo di Taranto (Museo Taranto 1988, nr. 11.8, tav. XVIII); nel Museo Naz. Romano Crypta Balbi (Roma 2001, nr. II.4.588 - 591, pp. 374 - 375); nella Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 653 - 656, pp. 246 - 247). XXXII.20. Fibbia Nr. inv. 553; lungh. 5,8 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina chiara. Mutila. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Placca cernierata, a forma di cuore, traforata, con foglia mutila nel foro probabilmente trilobata e terminante con una piccola appendice; anello ovale, cernierato; ardiglione a becco con presa più spessa. Sul retro tre maglie per il fissaggio della cintura. Tipo Bolgota - Bologna. 111 VII sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è indicata come una fibula rettangolare per serrare cigne o corregge. Per i confronti vedi XXXII.19. XXXII.21. Fibbia Nr. inv. 582, X123; lungh. 6,3 cm; largh. 3,8 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integra. Superficie deteriorata. .Vetrina VII. Placca cernierata, a forma di cuore, traforata, con croce terminante con una piccola appendice; bordo decorato con una linea incisa a bulino; anello ovale, cernierato; ardiglione a becco con presa più spessa. Sul retro tre maglie per il fissaggio della cintura. Tipo Bolgota - Bologna. VII sec. d.C. Inedito. I nr. di inventario non corrispondono a tale tipologia di fibula, probabilmente il nr. inv. esatto è 580, poiché nel catalogo Barone (1899, p. 68) manca l’ultima fibula con forma e funzione uguale alle precedenti. Per i confronti vedi XXXII.19. XXXII.22. Fibula ad anello Nr. inv. 638/4; largh. 3,5 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Decorazione incisa. Mutila dell’ago. Vetrina VII. Verga a sezione quadrangolare piatta; priva di ago; presenta i due animali sommariamente stilizzati. L’iscrizione è sulla parte anteriore e non è decifrabile. Inedito. VII - VIII sec. d.C. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è indicata come un anello e inserita in un comparto con altri tre oggetti. Le fibule ad anello sono di derivazione tardoantica e frequenti soprattutto dal VII sec. d.C. Sembrano essere peculiari del costume femminile e usate sia singolarmente che in coppia a fermare il mantello. Sono noti esemplari con due varianti: ad estremità arricciate o a protomi animali (Von Hessen 1983, p. 17). La tipologia di fibule è attestata con frequenza maggiore nella Regio II e probabilmente era prodotta in officine “romanico-bizantine” localizzate in questa area o nell’Italia meridionale. Solitamente sulla superficie è inciso un nome che rimanda all’appartenenza longobarda o meno (Salvadori 1977, pp. 354 - 356). Feugère le denomina fibule anulari o ad omega (1985, fig. 85) e fa rientrare nella tipologia anche la variante a volute (vedi XXXII.25). Trova confronto per la tipologia con numerose fibule dalla Puglia e Calabria (Salvadori 1977, nr. 1 - 3, pp. 340 - 341); dalla Campania, in particolare da Benevento (Salvadori 1977, nr. 6 - 7, pp. 343 - 344); da Sepino (Cb) (Salvadori 1977, nr. 9, p. 345; Samnium 1991, nr. f84, p. 112 AMELIA PISTILLO 364); da Ascoli Piceno (Salvadori 1977, nr. 4 - 5, pp. 342 - 343); nel Museo Crypta Balbi (Roma 2001, nr. II.4.452 - 466, pp. 360 - 361). Altri esempi sono conservati presso il Museo di Vienna (Salvadori 1977, nr. 12 - 13, pp. 347 - 348). Altri confronti, nella variante a volute, sono presenti nella Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 609 610, pp. 223 - 224). XXXII.23. Fibbia (?) Nr. inv. 632/7; lungh. 6.1 cm; largh. 1,7 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Mutilo e lacunoso nei contorni di una delle estremità. Superficie corrosa. Vetrina VII. Corpo formato in tre parti: la parte centrale, l’asta, a sezione circolare, gli attacchi hanno forma convessa e appiattita. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una paletta e inserita nel comparto con altri sette oggetti. Il tipo di oggetto può essere considerato come una fibbia bronzea dai bracci uguali, tipica dei contesti altomedievali con variante negli attacchi. Trova confronto nella tipologia ma con variante negli attacchi a S. Lorenzo in Vaccoli (Von Hessen 1975, nr. 6, tav. 24). XXXII.24. Fibula Nr. inv. 592; lungh. 4 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integra. Superfici incrostate e corrose. Vetrina VII. Forma romboidale con ingrossamenti circolari ai quattro vertici; all’interno campo suddiviso in nove piccole losanghe. Sul retro staffa ripiegata, molla a due avvolgimenti ed ago diritto. Probabilmente le losanghe accoglievano dei castoni di pasta vitrea o altro materiale. VII sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è descritta come una fibula etrusca di forma quadrata e decorata a scacchi. Tale tipologia di fibula è frequente in epoca altomedievale, poichè in età longobarda le fibule acquistarono fogge e decorazioni nuove e un particolare valore coloristico per l'aggiunta di vetri policromi e di pietre più o meno preziose incastonate nel bronzo; caratteristiche le fibule “a disco” e a “S”. Trova numerosi confronti per la tipologia, ma con varianti nella forma, a Cividale Montale, Chiusi, Belluno, Castel Trosino, Nocera Umbra (Fuchs 1950, nr. B1 - C37, tavv. 32 - 44). XXXII.25. Fibula anulare con iscrizione o con decorazione a crocette (?) Nr. inv. s.nr. 1; Ø 3,5 cm; sp. 0,5 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro. Vetrina XXVII. Verga a sezione circolare; capi sovrapposti; estremità conformate a ricciolo. La superficie è incisa con un’iscrizione (?) o una semplice decorazione a crocette (?), purtroppo non è decifrabile. Tale fibbia potrebbe rientrare nella tipologia di fibule ad anello (vedi XXXII.22) ed esserne la variante a volute (Feugère 1985, fig. 85). Inedito. Non presenta il nr. inv. Trova confronti nella Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 612 - 616, pp. 222 223). TIPO XXXIII: Ganci di cinturione XXXIII.1. Gancio di cinturione Nr. inv. 615; lungh. 8,1 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, superficie lucente. Decorazione incisa. Mutilo nella parte finale del corpo. Superficie ossidata. Vetrina VII. Gancio ricurvo decorato con incisioni orizzontali all’attacco. Corpo sagomato a palmetta doppia e volute incise, decorata con fitte incisioni. Tipo Suano 1. Seconda metà IV sec a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è identificato come gancio di fibula insieme ai nr. inv. 611, 612, 613, 614. Per confronti con la tipologia vedi Suano 1986, fig. 1, p. 5 e Samnium 1991, p. 136. XXXIII.2. Gancio di cinturione Nr. inv. 162; lungh. 10,3 cm; largh. 2,7 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Gancio ad uncino ricurvo. Testa triangolare con margini rilevati. Il tratto di raccordo tra testa e corpo è di forma trapezoidale allungata e presenta sei nervature trasversali. Sul corpo sono presenti una serie di fori probabilmente per l’inserimento dei chiodi per il fissaggio. Tipo Suano 1/B. IV - III sec. a.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. L’esemplare differisce nella testa dal tipo 1B della tipologia Suano, con cui può essere ben confrontato il corpo. Per confronti con la tipologia vedi Suano (986, fig. 1, p. 5 e Samnium 1991, p. 136. Trova confronto con i ganci conservati nel Museo Sannitico di Cb (Di Niro 2007, nr. 4 - 5, pp. 25 - 26); a Bagnoli del I BRONZI Trigno (IS) (Samnium 1991, tav. 12d, p. 172); con ganci rinvenuti nella necropoli della Troccola Pietrabbondante (IS) (Sannio 1980, p. 135); con quattro ganci rinvenuti in località Santuario, Pietrabbondante (IS) (Sannio 1980, tav. 42, pp. 151 - 152). XXXIII.3. Gancio di cinturione Nr. inv. 613; lungh. 9,7 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Decorazione incisa. Mutilo nella parte finale del corpo. Superfici corrose. Vetrina VII. Gancio ad uncino ricurvo. Testa triangolare con margini rilevati sottolineati da profilatura. Il tratto di raccordo tra testa e corpo è di forma trapezoidale allungata e presenta quattro nervature trasversali. Corpo a sezione convessa tendenzialmente triangolare: alla base due volute cui segue un ventaglio di nervature incise. Tipo Suano 4/B. Fine V - Prima metà IV sec a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è identificato come gancio di fibula insieme ai nr. inv. 611, 612, 613, 614, 615. Per confronti con la tipologia vedi Suano 1986, fig. 2, p. 5 e Samnium 1991, pp. 136, 168). Trova confronto a Gildone (Di Niro 1985, p. 131), (Di Niro 1989, pp. 27 - 36), (Macchiarola 1989, pp. 29 - 42). XXXIII.4. Gancio cinturione Nr. inv. 612; lungh. 13,4 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro, non omogenea. Decorazione incisa. Integro. Superfici deteriorate. Vetrina VII. Gancio ad uncino ricurvo, decorato con linee incise. Corpo a cicala molto allungato, a sezione semicircolare e tendenzialmente curvo: occhi a rilievo ed elitre striate; al centro del corpo i chiodi per il fissaggio. Termina con testa breve a protome tetriomorfa. Tipo Suano 5/B. Seconda metà IV sec a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è identificato come gancio di fibula insieme ai nr. inv. 611, 613, 614, 615. Per confronti con la tipologia vedi Suano 1986, fig. 2, p. 5 e Samnium 1991, p. 136. Trova confronto nel Museo Sannitico di Campobasso (Di Niro 2007, nr. 8, pp. 26 - 27); a San Polo Matese (Cb) con un gancio frammentario (De Benedittis 2005, nr. 3, p. 80). XXXIII.5. Gancio di cinturione Nr. inv. 561, X110; lungh. 5,4 cm; largh. max 2,6 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, non omogenea. Decorazione incisa. Mutilo, nella parte finale. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. 113 Uncino ricurvo; testa configurata a protome probabilmente di lupo con orecchie accentuate. Corpo sagomato, tendenzialmente trapezoidale e terminante con porzione trasversale dove vi è il chiodo per il fissaggio. Probabilmente tipo Suano 5/D. Seconda metà IV sec a.C. Inedito. Probabilmente il nr. inv. giusto è X110 e corrispondente ad una catalogazione successiva a quella di Barone poiché nel catalogo (1899, p. 69) il nr. inv. 561 corrisponde ad un bracciale per il polso. Per confronti con la tipologia vedi Suano 1986, fig. 2, p. 5 e Samnium 1991, p. 136. Trova confronti per il tipo a testa di lupo con una coppia di ganci rinvenuti ad Alfedena (Parise Badoni, Ruggieri Giove 1980, nr. 117.5, tav. 45). XXXIII.6. Gancio di cinturione Nr. inv. 611; lungh. 12,3 cm; largh. 4 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Integro. Superfici molto corrose. Vetrina VII. Uncino caratterizzato da una protome di animale ricurva da cui dipartono i corpi allungati di due animali non definibili, terminanti con le teste. I chiodi del fissaggio sono posizionati in corrispondenza degli occhi degli animali I motivi decorativi sono poco visibili a causa del cattivo stato di corrosione. Tipo Suano 7/B. Seconda metà IV sec a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è identificato come gancio di fibula insieme ai nr. inv. 612, 613, 614, 615. Per confronti con la tipologia vedi Suano 1986, fig. 2, p. 5 e Samnium 1991, p. 136). Trova confronto con due ganci identici conformati a testa di lupo con corpo a testa di toro appartenenti alla tipologia 7A/B a San Polo Matese (Cb) (Samnium 1991, p. 173). XXXIII.7. Gancio di cinturione (?) Nr. inv. s.n. 1; lungh. 10. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Mutilo, lacunoso nei contorti. Superfici molto corrose. Vetrina XXVII. Lamina sottile allungata. Il corpo è suddiviso in due parti: una parte espansa terminante a ricciolo e l’altra trapezoidale terminante in forma circolare. Probabilmente il gancio era in origine in coppia con un altro simile. Presenta tre chiodi per il fissaggio e un foro per l’immissione di un altro chiodo. Inedito. Non presenta il nr. di inv. Non è possibile ricondurre il gancio alla tipologia Suano. 114 XXXIII.8. Gancio di cinturione (?) Nr. inv. s.n. 2 ; lungh. 10, 3. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Mutilo. Superfici molto corrose. Vetrina XXVII. Lamina sottile allungata. Il corpo è suddiviso in due parti: una parte espansa terminante a ricciolo e l’altra trapezoidale terminante in forma circolare. Probabilmente il gancio era in origine in coppia con un altro simile. Presenta tre chiodi per il fissaggio e due fori per l’immissione di un altro chiodo. Inedito. Non presenta il nr. di inv. Simile al XXXIII.7. XXXIII.9. Gancio Nr. inv. 614; lungh. 8,4 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro, non omogenea. Mutilo. Superfici deteriorate. Vetrina VII. Forma allungata terminante a doppia voluta, con foro per l’ingresso dell’uncino; sul retro attacchi per il fissaggio. La fibbia è munita di ardiglione a scudetto. Gancio altomedievale (?). Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è identificato come gancio di fibula insieme ai nr. inv. 611, 612, 613, 615. Un esemplare simile proviene da Cortona (Von Hessen 1975, nr. 11, tav. 23). TIPO XXXIV: Rasoi XXXIV.1. Rasoio lunato Nr. inv. 304; h 11,2 cm largh. max 8,4 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Integro, scheggiature sui margini. Superfici ossidate e corrose. Vetrina XXVII. Lama di forma lunata con dorso a curva continua; manico ad anello fuso liscio con appendici ornitomorfe. Tipo Grotta Gramiccia/ Varietà A. (Bianco Peroni 1979, pp. 135 - 136) Prima metà dell’VIII sec. a.C. Inedito. Il Nr. inv. è relativo ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Il tipo è rappresentato da un cospicuo numero di esemplari diffusi oltre che in Etruria meridionale, luogo probabile di origine, in Umbria, nel Piceno e in Emilia Romagna con rare attestazioni in Italia settentrionale, ad Este e in Trentino. Trova confronto puntuale nella necropoli villanoviana di San Vitale (Pincelli, Morigi Govi, 1975, tav. 312); un altro confronto è conservato al Museo Arch. di Padova (Zampieri 200, n, 256, p. 147); un rasoio frammentario proviene da Cuma (Napoli Antica 1985, nr. 9.35 tav. XIII, pp. 66, 69) anche se la Bianco AMELIA PISTILLO Peroni indicò l’area laziale e l’Italia meridionale priva di queste attestazioni (Bianco Peroni 1979, pp. 135 - 136). XXXIV.2. Rasoio (?) Nr. inv. X114, XC-S; lungh. 5,3 cm, largh. 4,4 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro, scheggiature margine inferiore. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Lamina trapezoidale sottile, decorata con cinque cerchielli su due file; termina con due appendici. Lungo il bordo serie di fori, in uno dei quali è inserito un manichetto costituito da un filo di bronzo ritorto. Inedito. I nr. inv. corrispondono a catalogazioni successive a quelle di Barone. TIPO XXXV: Strigile XXXV.1. Strigile Nr. inv. 534B; lungh. 26,2 cm; largh. max 3,6 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integro, lacunoso nei contorni. Presenza di incrostazioni biancastre. Vetrina VII. Capulus largo a lama piatta saldato alla parte posteriore del ligula, terminazione più stretta a sezione rettangolare e terminante in foglia a punta; ligula leggermente concava. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è indicato come uno strigilis, raschiatoio di bronzo usato dai Greci e Romani per “mettere bene la pelle dell’umidità e della impurità sparsavi dal calore del bagno a vapore o dai violenti esercizi della palestra”. La variegata tipologia dello strigile rimanda ad una cronologia altrettanto vasta che va dal V sec. a.C. al I sec. d.C. L’esemplare del Museo Civico “G. Barone” rimanda ad una cronologia più alta avendo una ligula abbastanza ampia. Trova confronto con uno simile nel Museo di Boston (Comstock, Vermuele 1971, nr. 613, p. 425) e con altri esemplari della Collezione Gorga dai quali differisce per la ligula piatta (Benedettini 2012, nr. 1279 - 1305, pp. 423 - 425). TIPO XXXVI: Specchi XXXVI.1. Specchio circolare Nr. inv. 551; Ø 6 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro, contorni non definiti. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Lamina discoidale, spessa. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è indicato come un piccolo specchio circolare. I BRONZI XXXVI.2. Specchio circolare 115 Nr. inv. 469; Ø 24,5 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro, contorni non definiti. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VIII. XXXVI.6. Specchio con manico Nel catalogo Barone (1899, p. 64) è definito uno speculum circolare, inargentato. Trova confronti a Taranto (Museo di Taranto 1988, nr. 13. 1f, p. 132; nr. 13.4f, p. 136; nr. 13.6c, p. 139; nr. 13.7b, p. 141). Per l’uso degli specchi si veda Ori di Taranto 1984, p. 352. Lamina non perfettamente discoidale spessa con orlo appena ingrossato e terminante in forma trapezoidale; manico a codolo a sezione quadrangolare, rastremato non appuntito ed espanso alla base del disco. Inedito. Lamina discoidale, spessa; superficie specchiante con argentatura. III - II sec. a.C. Inedito. Nr. inv. 492; lungh. 24 cm; Ø 12,2 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Ricomposto con due frammenti, contorni non definiti. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. XXXVI.3. Specchio circolare Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è descritto come uno specchio con manico. Lamina discoidale, spessa; superficie specchiante con argentatura. III - II sec. a.C. Inedito. XXXVI.7. Specchio con manico Nr. inv. 476; Ø 15 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro, contorni definiti. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Nel catalogo Barone (1899, p. 64) è associato al nr. inv. 475 e descritto come specchio circolare di cui uno inargentato. Simile al XXXVI.2. Per l’uso degli specchi si veda Ori di Taranto 1984, p. 352. XXXVI.4. Specchio circolare Nr. inv. 280; Ø 14,8 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Interamente ricomposto, contorni definiti. Superfici ossidate e corrose. Vetrina XXVII. Lamina discoidale, spessa; superficie specchiante con argentatura. III - II sec. a.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione effettuata in tempi successivi a quella di Barone. Simile ai precedenti XXXVI.2 e 3. Per l’uso degli specchi si veda Ori di Taranto 1984, p. 352. XXXVI.5. Specchio con manico Nr. inv. 491; lungh. 15,6 cm; Ø 13,4 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integro nel disco con contorni definiti e mutilo nel manico. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Lamina discoidale spessa con orlo ingrossato; manico provvisto di codolo a sezione quadrangolare, espanso alla base del disco, probabilmente in origine prevedeva l’inserimento di un manico realizzato in altro materiale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è descritto come uno specchio circolare mancante del manico. Trova confronto con uno simile presente nel Museo Gregoriano Etrusco e datato alla fine del VI - primo quarto del V sec. a.C. (Sannibale 2008, nr. 120, pp. 185 - 186). Nr. inv. 422; lungh. 22,5 cm; Ø 12,5 cm. Bronzo. Patina verde scuro, omogenea. Decorazione incisa. Integro. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Lamina discoidale spessa con orlo appena ingrossato; targhetta quadrangolare; manico a codolo a sezione quadrangolare, rastremato non appuntito ed espanso alla base del disco. Sull’orlo decorazione incisa a fitti trattini. Alla base del disco decorazione non decifrabile così come la terminazione del manico. IV - II sec a.C. Inedito. Il nr. inv. è errato, probabilmente si riferisce al nr. inv. 522 del catalogo Barone (1899, p. 67) riferito ad uno specchio di bronzo con manico variamente decorato. XXXVI.8. Specchio con manico Nr. inv. 523; lungh. 23,4 cm; Ø 15 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Ricomposto con tre frammenti, contorni non definiti. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Lamina discoidale spessa con orlo appena ingrossato; targhetta quadrangolare; manico a codolo a sezione quadrangolare, rastremato non appuntito ed espanso alla base del disco. E’ stato ricomposto con tre frammenti. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è indicato come uno specchio di bronzo con manico variamente decorato. XXXVI.9. Specchio con manico Nr. inv. 524; lungh. 16,5 cm; Ø 11 cm; Ø con frammenti 12,6 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Decorazione incisa. Ricomposto con quattro 116 frammenti, contorni non definiti. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Lamina discoidale spessa con orlo appena ingrossato; manico a sezione quadrangolare espanso e appuntito. Decorazione a rilievo a tacche continue sui contorni del disco e del manico, evidente nella parte posteriore. Lo specchio è stato ricomposto di un frammento (il manico) e nella stessa vetrina sono stati rinvenuti altri tre frammenti, con tutta probabilità attinenti allo specchio poiché perfettamente coincidenti con il contorno. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è indicato come uno specchio di bronzo con manico variamente decorato. XXXVI.10. Specchio con manico Nr. inv. s.nr.1; lungh. 22 cm; Ø 12,8 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Decorazione incisa. Mutilo nella parte circolare. Contorni definiti. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Lamina discoidale spessa; manico a codolo a sezione quadrangolare, rastremato non appuntito ed espanso alla base del disco. Sul manico decorazione incisa con serie di cerchielli con puntino centrale e termina con testa di animale non definito. Inedito. Non è stato possibile rilevare il nr. inv. corrispondente alla catalogazione Barone, probabilmente si riferisce ai nr. inv. 471, 472 o 475 rimasti senza corrispondenza. XXXVI.11. Specchio con manico Nr. inv. s.nr. 2; lungh. 20 cm; Ø 14,5 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Decorazione incisa. Presumibilmente mutilo nel manico. Contorni definiti. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Lamina discoidale spessa con orlo appena ingrossato; manico a codolo a sezione quadrangolare, rastremato non appuntito e molto espanso alla base del disco. Sul disco decorazioni incise di forma circolare. Inedito. Non è stato possibile rilevare il nr. inv. corrispondente alla catalogazione Barone, probabilmente si riferisce ai nr. inv. 471, 472 o 475 rimasti senza corrispondenza. XXXVI.12. Specchio con manico AMELIA PISTILLO Nr. inv. s.nr. 3; lungh. 27 cm; Ø 18 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integro, contorni definiti. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Lamina discoidale spessa; manico a codolo a sezione quadrangolare, rastremato non appuntito e molto espanso alla base del disco. Sul manico sono presenti due terminazioni che fanno presupporre ad una funzione di aggancio a sostegno. Inedito. Non è stato possibile rilevare il numero di inventario corrispondente alla catalogazione Barone, probabilmente si riferisce ai nr. inv. 471, 472 o 475 rimasti senza corrispondenza. XXXVI.13. Specchio quadrangolare (?) Nr. inv. 633; lungh. 12 cm; largh. 14,4 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Due frammenti, contorni lacunosi. Superficie corrosa. Vetrina VII. Lamina quadrangolare irregolare, spessa. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicato come uno specchio speciale di forma quadrangolare. Trova confronti a Taranto (Museo di Taranto 1988, nr. 13. 8c, p. 142; nr. 13.17b, p. 150) e datato al I sec. d.C. XXXVI.14. Frammento di specchio (?) Nr. inv. 634; lungh. 4,9 cm; largh. 3,7 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Frammento. Superficie corrosa. Vetrina VII. Lamina quadrangolare regolare, sottile. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è specificato come un frammento di specchio d’argento. XXXVI.15. Frammento di specchio Nr. inv. 635; lungh. 5,6 cm; largh. 4 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Frammento. Superficie corrosa. Vetrina VII. Lamina quadrangolare irregolare, sottile. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è specificato come un frammento di specchio d’argento. TIPO XXXVII: Statuette antropomorfe XXXVII.1. Statuetta raffigurante Ercole (?) in assalto Nr. inv. 647; h 9,8 cm. Bronzo fusione piena con vuoti. Patina verde chiaro, non omogenea. Mutila, manca parte della mano destra e gli attributi. Superfici corrose. Vetrina VII. I BRONZI Testa rigidamente frontale, con viso leggermente in alto; capigliatura a casco fin sulla fronte, rigata da lunghe incisioni, che formano una lunga zazzera. Sopracciglia puntinate, occhi a globo con palpebre rilevate, naso piccolo, bocca a grosse labbra separate e rilevate, mento molto pronunciato. Il tronco è privo di notazioni anatomiche. Solleva il braccio destro in alto; gambe sfalsate, la destra rigida, lievemente arretrata; la sinistra flessa. Arti inferiori corposi. Posa su una piastrina grosso modo circolare fusa con la statuina, con piano di posa non uniforme. Sulla base sono graffite due lettere osche: iú. Il tipo delle lettere potrebbe far pensare che siano state aggiunte in un secondo tempo. Un possibile scioglimento sarebbe iúvei. Colonna attribuisce il bronzetto a Marte nell’ambito della produzione del maestro di “Adernò” (Colonna 1970, nr. 357bis, pp. 120 122). Periodo arcaico. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è attribuita a Ercole. Bibl. G. Colonna 1970, (cit.) nr. 357 bis, p. 122; A. Di Niro 1977, (cit) nr. 34, pp. 63 - 64, tav. XLI. XXXVII.2. Statuetta raffigurante Ercole in assalto Nr. inv. 499; h 11 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro, semilucida. Integra. Vetrina VII. Testa in alto, volta verso la sua sinistra; capelli a calotta rilevata sulla fronte, a fitte incisioni a freddo, radiali; occhi a piccolo globo, addossati ad un naso breve e aguzzo; bocca a labbra separate, mento molto pronunciato. Braccio destro sollevato in fuori, mano chiusa a pugno che stringe la clava, di forma tronco-conica, liscia. Il braccio sinistro reca attorno all’avambraccio il serpente, di cui stringe la testa con la mano. Il tronco reca poche annotazioni posteriormente, anteriormente i pettorali sono delimitati da una linea orizzontale a freddo. Schiena decisamente ricurva, glutei ben segnati. Gambe fortemente divaricate con piedi in fuori, lunghi, proporzionati e divaricati. Gruppo “Baranello” (Colonna 1970, nr. 484, pp. 158 - 159). 117 Periodo arcaico. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è attribuita a Ercole nudo. Bibl. G. Colonna 1970, (cit.) nr. 484, p. 158; A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 35, pp. 64 - 65, tav. XLII. Per l’impostazione generale trova confronto nel Museo Arch. di Verona (Franzoni 1980, nr. 104, p. 125). XXXVII.3. Statuetta raffigurante Ercole in riposo falsa (?) Nr. inv. 506; h 9 cm. Bronzo fusione piena. Patina dorata. Integra, priva dell’arco. Superfici danneggiate. Vetrina VII. Testa frontale con capigliatura a calotta di fitti solchi radiali; volto scheletrico su collo massiccio; naso molto pronunciato; occhi appena visibili; bocca resa da incisione ad arco verso l’alto; mento marcato. La mano sinistra si appoggia alla clava postata a terra con la punta braccio sinistro in basso, staccato dal tronco, la mano chiusa stringeva l’arco (?); l’avambraccio sostiene la leontè, svolazzante con lunga coda a fiocco. Il tronco è concepito di pieno prospetto: torace appiattito, omeri appuntiti, lieve depressione per la vita, sesso sporgente, ombelico ad occhiello; posteriormente spalle curve, glutei piccoli, poco sporgenti. La gamba destra è portante e sposta il piede in fuori, la sinistra è arretrata e flessa. Posa su una basetta a piastrina rettangolare con spigoli arrotondati. Periodo arcaico. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è attribuita a Ercole e precisato il materiale come bronzo dorato, inoltre sottolinea l’età arcaica della statuetta. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 36, pp. 65 - 66, tav. XLIII. Per il tipo di capigliatura e l’impostazione del viso trova confronto con i gruppi “S. Severino”, “Castelvecchio Subequo” e “Sulmona” (Colonna 1970, p. 161 ss.) XXXVII.4. Statuetta raffigurante Ercole in assalto Nr. inv. 521; h con appendici di fusione 10,3 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde chiaro. Mutila, manca la clava. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Testa ovale, impostata su collo basso, volta verso la sua sinistra, con capigliatura ad incisioni radiali e fascia marginale segnata da lievi scanalature. Tratti del volto piuttosto rozzi e sommari: 118 occhi a piccolo globo, con palpebre rilevate sotto fronte bassissima, ma molto pronunciata, naso breve, grande bocca a labbra separate. Tronco semplice con pettorali tondeggianti. Arti superiori sommari; braccio destro sollevato in fuori a “svastica” che rimanda ad una produzione arcaica; il sinistro in basso, flesso ad angolo retto in avanti, con mano chiusa a pugno e con leontè trilobata sull’avambraccio. Arti inferiori proporzionati: gambe divaricate con lunghe appendici di fusione a V. Periodo classico. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è attribuita ad una statuetta di Ercole, come uscita dalla fusione. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 37, pp. 66-67, tav. XLIV; Cianfarani, Franchi Dell’Orto, La Regina 1978, (cit.) tav. 174, pp. 367, 374 - 375. XXXVII.5. Statuetta raffigurante Ercole in assalto Nr. inv. 501; h 11,5 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro, lucida. Integro, lievemente danneggiato all’arco. Vetrina VII. Capigliatura a incisioni grossomodo radiali; occhi a globo con pupilla incisa, palpebre rilevate; bocca con labbra separate, naso regolare. Il braccio destro, flesso ad angolo acuto, vibra la clava di forma tronco-conica; il sinistro, in basso, porta in avanti l’arco. Dall’avambraccio pende la leontè trilobata. Accurati dettagli anatomici sul tronco: capezzoli e ombelico resi con puntino inciso. Arti inferiori proporzionati; gravita sulla gamba destra e porta avanti la sinistra. Periodo classico. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è attribuita a Ercole nudo. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 38, pp. 67 68, tav. XLV. XXXVII.6. Statuetta raffigurante Ercole in assalto Nr. inv. 640; h max 8,2 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Mutila, mancano le gambe, la clava e l’arco. Superficie corrosa. Vetrina VII. Testa rivolta alla propria sinistra; capigliatura a incisioni curve disposte per file parallele con regolarità occhi a piccolo globo; mento prominente; zazzera sul collo. Braccio destro sol- AMELIA PISTILLO levato in alto con la mano dietro la nuca in atto di vibrare la clava; il sinistro in basso, mano chiusa a pugno, stringeva l’arco; sull’avambraccio posa la leontè, con protome verso l’interno; spalla molto obliqua. Il peso gravita sulla gamba destra, in fuori, flessa. Gruppo “Verona” (Colonna 1971, p. 175). Periodo ellenistico. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è attribuita a Ercole. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 39, pp. 68 - 69, tav. XLVI. XXXVII.7. Statuetta raffigurante Ercole in assalto (?) Nr. inv. s.nr.; h 11,3 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Mutila, dei piedi, della mano destra, di parte del braccio sinistro e degli attributi. Superfici corrose. Vetrina VII. La testa è rivolta a sinistra; calotta rilevata tutt’intorno; occhi a a mandorla. Arti superiori proporzionati: braccio destro sollevato in fuori e flesso ad angolo acuto; sinistro in basso, staccato dal tronco. Tronco ricco di particolari anatomici; pettorali tondeggianti e muscoli ben in evidenza. Arti inferiori proporzionati: gamba destra rigida, sinistra avanzata e flessa. Gruppo “Verona” (Colonna 1971, p. 175). Periodo ellenistico. Non presenta il nr. di inv. della catalogazione Barone. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 40, pp. 69 - 70, tav. XLVII. Simile al XXXVII.6. XXXVII.8. Statuetta raffigurante Ercole in riposo Nr. inv. 537; h 18,7 cm. Bronzo fusione piena, con vuoti. Patina verde scuro. Mutila, del braccio destro, parte della gamba destra, del piede sinistro. Superfici danneggiate. Vetrina VII. Testa lievemente abbassata e volta verso la sua sinistra; volto allungato, capelli a calotta resa da fitti solchi; occhi a mandorla con palpebre rilevate e pupille incise; bocca appena accennata. Il braccio destro, mutilo, posa la mano sull’anca corrispondente; il sinistro è portato avanti in atto di sostenere la clava. Tratti anatomici del tronco molto particolareggiati. Gravita sulla gamba destra e flette lievemente la sinistra inserita in un supporto per reggere in equilibrio I BRONZI la statuetta. Periodo ellenistico. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è attribuita ad Ercole e descritta come una statua di 20 cm mutila, rinvenuta a Mirabello Sannitico. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 41, pp. 70 - 71, tavv. XLVIII - XLIX. Per l’impostazione classica trova confronto con i due Ercoli in riposo da Casacalanda (Di Niro 1977, nr. 13 - 14, pp. 41 - 43). XXXVII.9. Statuetta raffigurante Ercole in riposo Nr. inv. 542; h 7,4 cm. Bronzo fusione piena. Integra. Superfici corrose. Vetrina VII. Volge la testa alla sua destra; capigliatura a incisioni curve, irregolari, con bordo segnato sulla nuca con due solchi a bulino. Tratti del volto rozzi: occhi a cerchio, bocca resa da un lieve trattino orizzontale. Posa la mano destra sul fianco e con la sinistra sostiene la clava, adagiata sul braccio; lungo il fianco sinistro pende la leontè appena sbozzata, vello reso da brevi incisioni, disposte a spina di pesce, separate da solco longitudinale. Gravita sulla gamba sinistra e flette la destra; i piedi grandi, danno stabilità alla composizione. Posa su una basetta rettangolare fusa con la statuina. Periodo ellenistico. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è attribuita ad un piccolo Ercole provvisto di clava. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 42, pp. 71 - 72, tav. L. Trova confronto per lo schema e per alcuni particolari come il tipo di capigliatura e la lavorazione della leontè con l’Ercole in riposo del Museo Sannitico di Campobasso (Sogliano 1889, nr. 1028, p. 144). XXXVII.10. Statuetta raffigurante Ercole in riposo Nr. inv. 508; h 9,7 cm. Bronzo fusione piena, con vuoti. Patina verde scuro. Mutila. Superfici danneggiate. Vetrina VII. Capigliatura ad incisioni curve distribuite irregolarmente, ampia tenia liscia. Testa volta verso la sua destra, occhi a piccolo globo in ampie infossature; naso breve e appuntito; bocca a linguetta molto sporgente. Collo breve e spalle regolari. Braccia portate in avanti, staccate dal tronco, la destra reggeva l’arco; dall’avambraccio pende la leontè. Torace massiccio con tratti anatomici dettagliati. Posteriormente esatta curvatura 119 delle spalle. Arti inferiori piuttosto pesanti, con muscoli solidi e gambe tozze, piedi piccoli. Fase medio-ellenistica. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è attribuita a Ercole nudo. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 43, pp. 72 73, tav. LI. Per lo schema generico trova confronto con l’Ercole in riposo da Venafro (Di Niro 1977, nr. 17, pp. 46 - 47). XXXVII.11. Statuetta raffigurante Ercole in assalto Nr. inv. 497; h 10 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Mutila, priva dell’arco. Superfici deteriorate. Vetrina VII. Tratti del volto molto rozzi: occhi a mandorla, naso poco sporgente, bocca a labbra sparate, collo ampio. Il braccio destro flesso ad angolo retto stringe la clava; il sinistro in fuori, stringeva l’arco. Dall’avambraccio pende la leontè, appuntita, a superficie ondulata sul braccio; essa copre la testa ed è annodata sul petto con le zampe anteriori. Torace schiacciato, anche ben evidenziate; posteriormente resa sommaria, tranne che per i glutei conici. Gambe divaricate: arti inferiori con muscoli ben evidenziati, il piede sinistro posa a terra con la punta. Gruppo “Sepino” (Colonna 1971, p. 175). Fase medio-ellenistica. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è attribuita a Ercole nudo. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 44, pp. 73 74, tav. LII. XXXVII.12. Statuetta raffigurante Ercole in assalto Nr. inv. s.nr.; h 9,1 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro, semilucida. Mutila, del piede destro. Superfici incrostate. Vetrina VII. Testa lievemente volta verso l’alto, molto schiacciata di profilo; capigliatura a corona di grosse ciocche sulla fronte. Tratti del volto ottenuti mediante ritocco a bulino: occhi a globo sporgenti, naso lungo schiacciato, bocca a labbra separate da un solco ad arco. Collo quasi inesistente. Braccio sollevato di lato, la mano vibra la clava, leggermente tronco-conica. Braccio sinistro in basso di lato, mano chiusa a pugno, priva di attributi. Dall’avambraccio 120 AMELIA PISTILLO pende la leontè, svolazzante, trilobata. Tronco liscio con tre cerchietti che rendono i capezzoli e l’ombelico. Gravita sulla gamba destra, la sinistra è scostata di lato, flessa, con piede in fuori. Non presenta il nr. di inv. della catalogazione Barone. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 45, pp. 74 - 75, tav. LIII. Trova confronto con bronzetto conservato nel Museo Arch. di Verona (Franzoni 1980, nr. 125, p. 134) dal quale differisce per la capigliatura. XXXVII.13. Statuetta raffigurante Ercole in assalto (?) Nr. inv. LXXXIX S; h max 5,6 cm. Bronzo fusione cava. Patina verde scuro. Mutila, della testa, del braccio destro, della mano sinistra, di parte delle gambe e degli attributi. Superfici molto corrose. Vetrina VII. Il braccio destro doveva essere sollevato e il sinistro staccato dal tronco e portato avanti. Tronco ben modellato, con accurata ricerca dell’anatomia interna: ben evidenti i particolari della cassa toracica, giusta la sporgenza delle anche, ombelico depresso a puntino, spalle curve; il gluteo destro è più alto dell’altro. Il peso gravita sulla gamba destra, che tende ad assumere una posizione di profilo, la gamba sinistra è flessa in avanti. Il nr. di inv. si riferisce ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 46, pp. 75 - 76, tav. LIV. XXXVII.14. Clava Nr. inv. LXXXVII S; X126; lungh. 6 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro, lucida. Mutila, forse della presa. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Piccola clava di verga bronzea di forma tronco-conica lievemente ingrossata verso l’apice; le pareti mostrano una serie di nodi emisferici a rilievo disposti a gruppi di quattro su file parallele. L’oggetto è probabilmente pertinente ad una statuetta di Ercole. I nr. di inv. si riferiscono ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Bibl. A. Di Niro 1977, (cit.) nr. 47, pp. 76 - 77, tav. LV. XXXVII.15. Statuetta raffigurante Erote Nr. inv. 494; h 6,9 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Mutila, manca braccio sinistro ed i piedi. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Figura stante, gravita sulla gamba sinistra portata in avanti. Testa appena flessa indietro, caratterizzata da lunghi capelli ricci, che ricadono sulle spalle ed incorniciano il volto tondo e molto pieno; lineamenti ben visibili. Braccio destro sollevato in fuori, appare esagerato rispetto al resto del corpo. La figura non reca abiti; i tratti anatomici del tronco risultano abbastanza precisi. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è attribuita a Bacco. XXXVII.16. Statuetta raffigurante Mercurio Nr. inv. 498; h 10,2 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Mutilo, manca parte del braccio e della gamba destra. Superfici molto ossidate e corrose. Vetrina VII. Indossa il petaso alato sul capo e la clamide, posata sulla spalla sinistra che copre una piccola parte del petto perchè è condotta ad arrotolarsi sul braccio sinistro. Il volto è reso in modo sommario ed è poco leggibile a causa dello stato di conservazione. Il braccio destro è flesso e mutilo; il braccio sinistro è teso in avanti. La mano reggeva verosimilmente il caduceo. Gravita sulla gamba destra, la sinistra è flessa. Retro lavorato. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è attribuita a Mercurio. Trova confronto per l’impostazione generale con due bronzetti simili conservati nel Museo Arch. di Verona (Franzoni 1973, nr. 32, 47, pp. 51 - 52, 67). XXXVII.17. Statuetta raffigurante Marte (?) Nr. inv. 502; h 10,2 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde chiaro, non omogenea. Mutila, mancano gli avambracci e parte della gamba sinistra. Superficie corrosa. Vetrina VII. Testa coperta da elmo lunato. Volto ovale con lineamenti poco caratterizzanti; grandi occhi ovali. Il braccio sinistro è alzato; il destro è mutilo. Indossa una corazza anatomica che termina con cordone rilevato alla vita, al di sotto gonnellino a fitte pieghe. Figura stante, gravitante sulla gamba destra; la sinistra è mutila. Sulle gambe indossa gli schinieri rilevati al gi- I BRONZI nocchio. Parte posteriore rifinita. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è attribuita ad un guerriero con elmo, tunica e corazza. Trova confronto con un bronzetto attribuito probabilmente a Marte e conservato al Museo Naz. di Chieti (Cianfarani, Franchi Dell’Orto, La Regina 1978, p. 377, tav.80 ). XXXVII.18. Statuetta raffigurante Lare (?) Nr. inv. 503; h 11,2 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde chiaro, non omogenea. Mutilo, manca il braccio sinistro. Superficie lievemente corrosa. Vetrina VII. Volto ovale con lineamenti ben visibili. Capigliatura resa a riccioli sulla fronte con copricapo circolare caratterizzato sul retro da codone centrale. Il braccio sinistro è sollevato in alto e mutilo, probabilmente teneva la cornucopia, il destro in avanti che sorregge una patera. Figura maschile stante, gravitante sulla gamba destra; la sinistra è sollevata e flessa indietro. Indossa una tunica blusata alla vita e svasata a fitte pieghe nella parte inferiore; al di sotto della tunica sono resi i pettorali. Figura maschile stante, gravitante sulla gamba destra; la sinistra è sollevata e flessa indietro. Parte posteriore rifinita. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è indicata come una statuetta vestita con tunica e portante una coppa in mano. Lo schema del Lare danzante è molto diffuso in epoca imperiale in particolare dopo la riforma augustea avvenuta tra il 14 / 13 e il 7 a.C. (Benedettini 2012, p. 20). Trova confronto con i bronzetti attribuiti a Lare stante, ma solo per l’impostazione (Franzoni 1973, nr. 106 - 108, pp. 128 - 130). XXXVII.19. Statuetta raffigurante Devoto coronato Nr. inv. 505; h 13,6 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Integro. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Figura maschile stante. Volto caratterizzato da una corona di cinque foglie appuntite e da lineamenti poco curati. Veste un mantello panneggiato posato sulla spalla e sul braccio sinistro; braccio destro in fuori che regge nella mano una patera. Posa su un piccolo sostegno. Inedito. 121 Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è indicata come una statuetta muliebre con testa raggiata e con patera. Trova confronto per l’impostazione generale nel Museo di Verona (Franzoni 1980, nr. 42, p. 61). XXXVII.20. Statuetta raffigurante figura maschile assisa Nr. inv. 511; h 9 (ca.) cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro. Superfici corrose e ossidate. Vetrina VII. Testa ovale caratterizzata da calotta liscia e lineamenti non visibili. Il braccio destro in avanti recante una patera (?), appoggiato sul ginocchio destro; il braccio sinistro flesso in avanti, su cui ricade un lembo del mantello, che avvolge il tronco. Tratti anatomici poco visibili. Busto lievemente flesso indietro. Ginocchio destro sollevato, il sinistro è flesso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è attribuita a Mercurio sedente. XXXVII.21. Statuetta raffigurante Diana Nr. inv. 543; h 5,7 cm. Bronzo fusione piena. Decorazione incisa. Mutilo, manca il braccio sinistro. Superficie corrosa. Vetrina VII. Figura stante. Volto ovale dai lineamenti poco visibili; capelli lisci sulla fronte e raccolti sulla nuca in uno chignonr. Il braccio destro è in avanti, il sinistro mutilo. Veste un chitone altocinto, panneggiato. Sulle spalle reca il turcasso. Gravitante sulla gamba destra. All’estremità inferiore perno filettato di fissaggio. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è attribuita a Diana cacciatrice. Per il tipo di Diana cacciatrice ma con impostazioni diverse della figura, si veda Galliazzo 1979 (p. 58 ss, nr. 6). XXXVII.22. Statuetta raffigurante piccola Venere Nr. inv. 549; h 7,3 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Mutila, manca il braccio destro. Superfici corrose e ossidate. Vetrina VII. Figura stante. Testa lievemente reclinata alla sua destra; volto ovale dai lineamenti poco visibili; capelli lisci divisi sulla fronte impreziositi da diadema. Il braccio destro è mutilo, il sinistro appoggiato ad un pilastrino. Gravita sulla gamba destra, la sinistra indietro. La figura non reca abiti. I 122 AMELIA PISTILLO tratti anatomici sono poco visibili, anche a causa delle numerose incrostazioni. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è attribuita ad una piccola Venere avente per base una vertebra fossile di cavallo, chiamata astragalus. Trova confronto con un bronzetto simile conservato nel Museo Arch. di Verona (Franzoni 1973, nr. 53, p. 73). XXXVII.23. Statuetta raffigurante figura femminile stante Nr. inv. 545; h 6,3 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro, non omogenea. Integra. Superficie lievemente corrosa. Vetrina VII. Figura femminile stante. Testa coperta da alto copricapo; volto ovale dai lineamenti poco visibili. Veste un abito fittamente panneggiato, con la mano destra sorregge una cornucopia, con la sinistra, portata dietro, un remo. Parte posteriore rifinita. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è attribuita ad una statua di donna con la testa turrita e nelle mani un corno di abbondanza e un remo. XXXVII.24. Statuetta raffigurante mezzobusto femminile Nr. inv. 495; h 7,5 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Decorazione incisa. Integra. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Figura femminile stante. Capelli raccolti in un nodo sulla nuca; volto allungato dai lineamenti poco visibili; veste un abito altocinto a fitte pieghe rese con trattini incisi; drappo panneggiato sulla spalla sinistra. Braccio destro in avanti, sinistro flesso. Parte posteriore rifinita. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è attribuita a Ermete o Mercurio. XXXVII.25. Peso a figura umana Nr. inv. 496; h 5,7 cm. Bronzo, fusion cava. Superficie opaca, priva di patina. Decorazione incisa. Integro, lacune sul corpo. Vetrina VII. Peso raffigurante mezzobusto maschile. Capigliatura a grossi riccioli; testa lievemente verso sinistra. Volto ovale; occhi a mandorla in cavità profonde; naso largo; bocca resa da tratto inciso orizzontale. Pettorali tondeggianti. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è indicato come un aequipondium romano, ovvero peso di stadera in forma di mezzobusto. XXXVII.26. Statuetta raffigurante figura femminile Nr. inv. 500; h 9,8 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Decorazione incisa. Mutila, manca la mano destra. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Figura femminile stante. Capelli raccolti in un nodo sulla nuca; volto allungato dai lineamenti poco visibili. Veste un abito altocinto a fitte pieghe rese con trattini incisi; drappo panneggiato sulla spalla sinistra. Il braccio destro è in avanti, il sinistro è flesso. Parte posteriore rifinita. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 65) è indicata come statuetta muliebre. XXXVII.27. Statuetta raffigurante figura femminile Nr. inv. 507; h 11,3 cm; piedistallo 6,5 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Integra. Superfici corrose. Vetrina VII. Figura stante capite velata. Volto pieno dai lineamenti marcati; capelli lisci sulla fronte. Porta entrambe le braccia in avanti. Indossa un mantello che scende dal capo sulle spalle, avvolgendo il corpo fin sotto le ginocchia ed è raccolto sulla spalla sinistra. Sotto il mantello indossa un abito a fitte pieghe. Gravitante sulla gamba sinistra. Sul retro visibili le pieghe del mantello. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è indicata come una matrona romana con tunica e palla. XXXVII.28. Gruppo di tre statuette di tipo egizio Nr. inv. 504; h 11,2 cm; 12,4 cm; 11,5. Basetta: h 3,6 cm; largh. 11,2 cm. Bronzo, fusione piena. Patina verde chiaro, non omogenea. Decorazione incisa. Integro. Superficie corrosa. Vetrina VII. Ai lati due Ushabty di tipo satirico con tratti del volto irregolari; sul petto sono evidenziate le mani e l’incrociarsi delle braccia. Intorno al corpo iscrizioni di geroglifici delimitate da linee orizzontali. Al centro Anubis posto su una sfera di marmo, caratterizzato da testa di cane e corpo I BRONZI di nano. Le tre statuine poggiano su una base di marmo. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) vi è la descrizione di Anubis, divinità egiziana dal corpo umano e testa di cane posta al centro di due Schèbti, mummie con braccia conserte e portanti due marre. Inoltre è precisato che il marmo della base è di Verona. Trova confronto nel Museo di Napoli (Collezione egizia 1989, fig.11). XXXVII.29. Statuetta raffigurante Osiride (?) Nr. inv. 509; h 15,5 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Integro. Superfici molto ossidate e corrose. Vetrina VII. Figura stante che raffigura la divinità secondo il tipo mummiforme. Possiede un alto copricapo e barba; lineamenti poco visibili e sommaria volumetria. Le braccia sono riportate al petto ma non incrociate in atto di reggere un bastone (?). Retro non sagomato. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è attribuita ad un idoletto egiziano in bronzo. Trova confronto nel Museo Naz. di Napoli (Collezione egizia 1989, p. 112, nr. 6, 9, 12); nel Museo Naz. Etrusco (Sannibale 2008 nr. 1, pp. 19 - 29) e a Padova (Zampieri 2000, nr. 1 - 12, pp. 52 56). Per la raffigurazione di Osiride si veda Galliazzo (1979, pp. 95 - 97). XXXVII.30. Statuetta raffigurante divinità egizia Nr. inv. 646; h 11,6 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro, non omogenea. Integra. Superfici molto ossidate e corrose. Vetrina VII. La statua risulta in pessimo stato di conservazione. Si riconosce la sagoma della divinità egizia e la posizione delle braccia incrociate sul petto. Non si distinguono i dettagli anatomici, né i tratti del viso. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è attribuita ad un idolo egiziano. XXXVII.31. Figura umana Nr. inv. s.nr.; lungh. 4,5 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Capigliatura è folta. Il volto presenta tratti ben evidenti: occhia mandorla, naso sottile, bocca con labbra separate. Inedito. Non è stato possibile rilevare in nr. inv. corrispondente alla catalogazione Barone. 123 XXXVII.32. Figura umana a pendente di collana (?) Nr. inv. s.nr.; lungh. 5,8 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integra. Superficie deteriorata. Vetrina VII. I capelli sono raccolti in pettinatura. Il volto non è riconoscibile, i tratti sono solo accennati. La figura umana è corredata di cornice traforata nella parte inferiore. Inedito. Non è stato possibile rilevare in nr. inv. corrispondente. XXXVII.33. Frammento di testina maschile Nr. inv. X107; lungh. 2,5 cm; largh. 2,1 cm. Bronzo fusione piena. Superficie lucida priva di patina. Mutila, manca il resto del corpo. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Capigliatura resa a riccioli sulla fronte. Tratti del volto molto precisi: occhi a globo con pupilla incisa, palpebre rilevate, bocca con labbra separate, naso regolare. A causa dello stato di conservazione risulta difficile il riconoscimento dell’originario oggetto di pertinenza come dell’orizzonte cronologico. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. XXXVII.34. Frammento testina femminile Nr. inv. 632/8.; lungh. 3,2 cm; largh. 1,3 cm. Bronzo fusione piena. Superficie lucida priva di patina. Mutila, manca il resto del corpo. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Capigliatura liscia, con elemento in sommità non definibile. Tratti del volto appena accennati: evidenti solo gli occhi a globo. Evidente parte del collo massiccio. La parte posteriore è piatta. A causa dello stato di conservazione risulta difficile il riconoscimento dell’originario oggetto di pertinenza come dell’orizzonte cronologico. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicato come un peso e inserito in un comparto con altri otto oggetti. XXXVII.35. Piede votivo miniaturistico Nr. inv. 580, X106; lungh. 4,7 cm; h 2,2 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Decorazione incisa. 124 AMELIA PISTILLO Mutilo, manca il resto del corpo. Superfici ossidate e corrose. Vetrina VII. Sono ben evidenti le dita. Il resto del frammento è presumibilmente coperto da calzare poiché si nota una sottile linea orizzontale che separa la zona incisa delle dita con una zona liscia. Probabilmente era pertinente ad una statuetta antropomorfa. A causa dello stato di conservazione risulta difficile riconoscere l’originario oggetto di pertinenza come l’orizzonte cronologico. Inedito. I nr. inv. non corrispondono a piede votivo. TIPO XXXVIII: Statuette zoomorfe XXXVIII.1. Felino miniaturistico Nr. inv. 536; h 2,2 cm; lungh. 3 cm. Bronzo, fusione piena. Superficie opaca, priva di patina. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Poggia su un piedistallo rettangolare. Vetrina VII. Felino accovacciato, dal capo eretto rivolto in avanti. Corpo reso realisticamente con risalto degli arti e dei tratti del viso. Prodotto in un unico blocco con la base in bronzo su cui poggia seduto. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) non è specificato ed è citato insieme ad altri animali miniaturistici. XXXVIII.2. Toro miniaturistico Nr. inv. 538; h 3,2 cm; lungh. 6 cm. Bronzo fusione piena. Superficie opaca, priva di patina. Mutilo di una zampa anteriore e una posteriore. Superficie deteriorata. Poggia su un piedistallo rettangolare. Vetrina VII. Toro stante, con le zampe di destra superstiti e le due sinistre mutile. Tratti del viso appena accennati. Collo tozzo. Corpo stilizzato. È collegato al piedistallo con un perno cilindrico infisso nell’addome dell’animale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è solo citato insieme ad altri animali miniaturistici. Per la raffigurazione del toro si veda Galliazzo (1979, p. 119). XXXVIII.3. Pantera miniaturistica Nr. inv. 539; h 2,5 cm; lungh. 4,4 cm. Bronzo fusione piena. Superficie opaca, patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Poggia su un piedistallo rettangolare. Vetrina VII. Pantera accovacciata, dal capo eretto rivolto in avanti. Tratti del viso solo accennati, orecchie ben definite. Corpo posteriore reso realisticamente con risalto della coda. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è solo citato insieme ad altri animali miniaturistici. XXXVIII.4. Uccello miniaturistico Nr. inv. 540; h. 2,5 cm; lungh. 3 cm; Bronzo fusione piena. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Poggia su un piedistallo rettangolare. Vetrina VII. La forma dell’animale è approssimativa: è appena riconoscibile il becco e la coda è in unico blocco con le ali. Decorazione incisa a fitti trattini per indicare le ali. È collegato al piedistallo con un perno cilindrico infisso nell’addome dell’animale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è indicato come una colomba e citato insieme ad altri animali miniaturistici. XXXVIII.5. Uccello miniaturistico Nr. inv. 541; h 3,4 cm; lungh. 3,5 cm. Bronzo fusione piena. Superficie opaca, priva di patina. Integro. Superficie deteriorata. Poggia su un piedistallo rettangolare. Vetrina VII. Corpo reso approssimativamente: evidenti solo ali e testa con becco pronunciato. Le zampe sono rese da un blocco cilindrico collegato ad una base sempre in bronzo e realizzata in un unico pezzo. Probabilmente è un uccello acquatico. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) non è specificato ed è solo citato insieme ad altri animali miniaturistici. XXXVIII.6. Leone accovacciato miniaturistico Nr. inv. 546; h. 3 cm; lungh. 4,6 cm. Bronzo fusione piena. Superficie opaca, priva di patina. Decorazione incisa. Mutilo delle zampe anteriori. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Leone accovacciato, dal capo spostato lievemente a sinistra. Corpo reso realisticamente: evidente la muscolatura, le zampe posteriori, la folta criniera e i tratti del viso. L’animale è accovacciato sulle zampe e con fauci aperte. È collegato al piedistallo con un perno cilindrico infisso nell’addome dell’animale. Inedito. I BRONZI Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è indicato come un leone e citato insieme ad altri animali miniaturistici. XXXVIII.7. Tartaruga miniaturistica Nr. inv. 547; lungh. 4,5 cm; largh. 3,4 cm. Bronzo fusione piena. Superficie opaca, priva di patina. Decorazione incisa. Integro. Superficie molto deteriorata. Poggia su un piedistallo rettangolare. Vetrina VII. Lavorazione non leggibile per via del cattivo stato di conservazione. Presenta quattro zampe, di cui due probabilmente mutile, la coda a punta e la testa leggermente all’insù. Probabile decorazione incisa per la corazza. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è indicata come una tartaruga e citata insieme ad altri animali miniaturistici. XXXVIII.8. Topo miniaturistico Nr. inv. 548; h 2,2 cm; lungh. 3,6 cm. Bronzo. Superficie opaca, priva di patina. Decorazione incisa. Mutilo della coda. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Animale reso realisticamente nei tratti del viso e del corpo; le zampe anteriori sono portate in avanti in atto di portare del cibo, non identificato, alla bocca. La coda è mutila: doveva presumibilmente avere una forma circolare e congiungersi con i due frammenti a rilievo nella parte posteriore. È collegato al piedistallo con un perno cilindrico infisso nell’addome dell’animale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 68) è indicato come un topo e citato insieme ad altri animali miniaturistici. XXXVIII.9. Serpente miniaturistico Nr. inv. 601; h 4,5 cm; lungh. 10,6 cm; largh. 6,3 cm. Bronzo fusione piena. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Superficie molto deteriorata. Vetrina VII. Testa non perfettamente leggibile per via del cattivo stato di conservazione, probabilmente i tratti erano resi con una decorazione incisa. Corpo avvolto in due giri a sezione circolare e testa all’insù. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è indicato come una serpe. XXXVIII.10. Testa di ibis Nr. inv. 663; h 4,3 cm; lungh. 6,4 cm. Bronzo. Super- 125 ficie opaca, patina verde chiaro. Frammento, mutilo del corpo inferiore e di parte del becco. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Testa a calotta resa realisticamente: foro circolare concavo per gli occhi; becco frammentario e rastremato verso la fine, collo sottile. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è indicata come una testa di ibis. XXXVIII.11. Granchio Nr. inv. s.nr.; h 2,5 cm. Bronzo. Superficie lucida, priva di patina. Integro. Vetrina VII. Corpo reso realisticamente con tre paia di arti e due chele. Inedito. Non è stato possibile rilevare il numero di inventario ma probabilmente corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone, poiché nel catalogo non vi è una corrispondenza con un granchio. XXXVIII.12. Lucertola di bronzo Nr. inv. 514; lungh. 10,6 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina scura. Decorazione incisa. Mutilo, manca parte della coda. Vetrina VII. La testa è solo accennata. L’animale è reso realisticamente nella parte posteriore tramite la decorazione incisa usata per le zampe e la coda. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è indicata come una lucertola in bronzo. XXXVIII.13. Guarnizione con testa di montone Nr. inv. 520 ; lungh. 4,4 cm. Bronzo. Superficie lucida, priva di patina. Decorazione incisa. Integro. Vetrina VII. Testa resa realisticamente grazie alla decorazione incisa dei tratti salienti del viso. Non è stato possibile rilevare la parte posteriore nel dettaglio, si intravede una parte piatta e concava. Potrebbe essere intesa anche come una testa di ariete. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è indicata come una testa di montone in bronzo. XXXVIII.14. Cammello (?) miniaturistico Nr. inv. LXXXIII S, X108; h 3 cm; lungh. 5 cm. Bronzo. Superficie lucida, patina verde scuro. Mutilo delle zampe. Vetrina VII. 126 AMELIA PISTILLO Il corpo risulta stilizzato e astratto: gli arti semplice, le due gobbe rese con piccole appendici a rilievo. Inedito. Terminazione raffigurante testa pesce reso realisticamente nella parte anteriore della testa grazie alla decorazione incisa. Inedito. XXXVIII.15. Piede di anatra TIPO XXXIX: Lucerne e candelabro Tav. 4 XXXIX.1. Lucerna I nr. inv. corrispondono a due catalogazioni differenti e successive a Barone. Nr. inv. 638/1; lungh. 5,3 cm; largh. 3,6 cm. Bronzo. Superficie opaca, senza patina. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Tra elementi a formare la zampa con altre due appendici. Probabilmente è parte di un animale completo. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicato come un piede di anitra e inserito in un comparto insieme ad altri tre reperti in bronzo. XXXVIII.16. Frammento di animale Nr. inv. 576; h 3,2 cm; lungh. 6,2 cm; sp. max 1,5 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Decorazione incisa. Frammento. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Figura di animale non ben identificabile, forse con testa ovina e corpo serpentiforme, in posizione accovacciata e con testa di lato. Sul corpo decorazione incisa con cerchi e puntino centrale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 69) è indicato come un bracciale serpentiforme. La forma potrebbe riferirsi ad un frammento di bracciale, appliques, o parte decorativa di una ansa (confronta con due anse di oinochoe della tomba 1505 di Capua (Museo Di Capua 1995, pp. 34 - 35). XXXVIII.17. Frammento di animale Nr. inv. X136; lungh. 6,5 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Frammento. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Figura di animale non ben identificabile con le ali (?) aderenti al corpo e la testa circoscritta in una calotta incisa a trattini. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone; forse è il numero 626 descritto come una piccola serpe in bronzo, rimasto senza corrispondenza. XXXVIII.18. Terminazione a testa di pesce Nr. inv. X104; lungh. 4,8 cm. Bronzo. Superficie opaca, priva di patina. Decorazione incisa. Frammento. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Nr. inv. 604; h corpo 4,5 cm; h max 11 cm; lungh. 18,5 cm; largh. disco 9 cm; largh. max 13 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integra. Vetrina VII. Lucerna bilicne con becchi divergenti; ansa impostata verticalmente a forma di elemento vegetale, probabilmente una foglia terminante con un globetto, sporge dalla parte posteriore del serbatoio; nella parte mediana si riconosce una testa di cigno indefinito(?); canali aperti con due anelli di sospensione; disco a profilo concavo decorato a valva di conchiglia con quattro infundibulo. Fondo ad anello rilevato con profilo concavo. Tipo Mahdia. (Valenza 1977, p. 159) Prima età imperiale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è indicata come una grande lucerna bilychnis di bronzo con ricca decorazione. La tipologia delle lucerne “a volute” del Tipo Mahdia, trova antecedenti fittili in ambito greco già nel II sec. a.C. Il modello fu recepito in ambito romano e diffuso dalla prima età imperiale con numerose varianti. (Valenza 1983, pp. 29 - 31). Trova confronto per la conformazione “a volute” con lucerne di Pompei (Valenza 1983, nr. 43 43a - 44 - 44a - 45 - 45a, p. 31) e con altri esempi anche per la forma dell’ansa (Valenza 1983, nr. 46 - 46a - 48, p. 31). XXXIX.2. Lucerna Nr. inv. 650; h 4,5 cm; lungh. 24,5 cm; largh. 8,6 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integra. Vetrina VII. Lucerna bilicne con becchi divergenti; ansa impostata verticalmente a sezione rettangolare e sporgente dalla parte posteriore del serbatoio; canali rotondi terminanti con beccucci a bordi rilevati e infossati; disco a profilo convesso liscio con un unico infundibulum centrale. Fondo piatto. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è indicata come una grande lucerna bilychnis di bronzo. I BRONZI XXXIX.3. Lucerna Nr. inv. Z26; h 2,5 cm; h con ansa 4,2 cm; lungh. tot. 9,4 cm; largh. 5,8 cm. Bronzo patina verde scuro. Mutila, manca parte dell’ansa. Superficie deteriorata. Vetrina XXIII. Lucerna composta da due parti con corpo aperto rotondeggiante; canale aperto non distinto dal serbatoio; ansa impostata verticalmente a sezione ellittica e sporgente dalla parte posteriore del serbatoio; disco liscio con grande infundibulum centrale; fondo piatto. Inedito. Il nr. inv. corrisponde alla catalogazione effettuata per i reperti di Monete Vairano, non rintracciabile. È utilizzata soprattutto sui candelabri e corrispondente ad una tipologia a partire dal VII sec. a.C. e per un arco cronologico molto ampio; nel mondo romano viene prodotta nelle forme più diverse ed è in uso per tutta l’età imperiale. Trova confronto con una simile conservata nel Museo Arch. di Padova (Zampieri 2000, nr. 369, p. 191). XXXIX.4. Candelabro Nr. inv. 605; h 36 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Decorazione incisa. Mutilo. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Candelabro con lunga asta centrale a sezione poligonale; l’estremità inferiore prevede tre elementi poggianti a forma di zampe leonine. La parte superiore, che reggeva la lucerna, presenta una piccola ciambella circolare dalla quale si dipartono quattro rebbi a sezione poligonale con piatte terminazioni liliacee, introdotte da un breve collare e con nucleo triangolare rigonfio; punte di media lunghezza. Lo stelo non sembra essere originario del candelabro, manca il rocchetto, il raccordo fra treppiede e codolo, che rende il manufatto di minor lunghezza rispetto alla tipologia. Sulle zampe leonine vi sono volute rientranti. Tra le zampe tre elementi serpentiformi probabilmente mutili. La parte superiore corrisponde a una datazione contenuta entro la prima metà del V sec. a.C. Il candelabro così composto non trova puntuale inserimento nella tipologia Testa: la parte inferiore potrebbe rientrare, con dovuta prudenza, nel tipo C2 Testa, candelabro con elementi poggianti a zampe leonine (Testa 1989, pp. 59 - 62) dal quale differisce per le volute 127 rientranti e i tre elementi serpentiformi. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 605) è identificato come un candelabrum per sostenere in alto la lucerna. Per la parte superiore trova confronto a Vulci e con un candelabro di provenienza sconosciuta (Testa 1989, nr. 16, 130) e con un altro conservato nel Museo Gregoriano Etrusco (Sannibale 2008, nr. 115, p. 172). TIPO XL: Chiavi e elementi di serratura XL.1. Chiave Nr. inv. 617; lungh. 8,9 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde chiaro. Integra. Corrosioni varie. Vetrina VII. Impugnatura ad anello "a scorrimento", a sezione rettangolare e apice a globetto; stelo a sezione rettangolare; ingegno rettangolare, ortogonale al fusto. I - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è precisata come chiave di porta. Trova confronto nel Museo di Treviso (Galliazzo 1979, nr.8, p. 148); con diverse chiavi, simili per la conformazione dell’ingegno conservate presso il Museo Arch. di Padova (Zampieri 2000, nr. 358 - 361, pp. 187 - 189). XL.2. Chiave Nr. inv. 618; lungh. 7,5 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde chiaro. Integra. Corrosioni varie. Vetrina VII. Impugnatura ad anello "a scorrimento", a sezione rettangolare; la prima parte dello stelo è a sezione trapezoidale, il resto è a sezione ovale; ingegno rettangolare, ortogonale al fusto con due denti quadrangolari. I - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è precisata come chiave di armadio. Per i confronti vedi XL.1. XL.3. Chiave Nr. inv. 619; lungh. 7,3 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro. Integra. Corrosioni varie. Vetrina VII. Impugnatura ad anello "a scorrimento", a sezione rettangolare; la prima parte dello stelo è a sezione rettangolare, il resto è a sezione ovale; ingegno rettangolare, ortogonale al fusto con tre denti rettangolari. La decorazione incisa è su una faccia del fusto: profonde incisioni, rettangolari e lineari. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è precisata come chiave di armadio. Trova confronto per la decorazione incisa simile e per la conformazione dell’ingegno con una chiave a Sepino (Cb) (Di Niro 2007, nr. 181, pp. 101 - 102). 128 XL.4. Chiave Nr. inv. 620; lungh. 5 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde chiaro. Integra. Corrosioni varie. Vetrina VII. Impugnatura ad anello "a scorrimento", a sezione rettangolare; la prima parte dello stelo è a sezione rettangolare più estesa rispetto al resto dello stelo; ingegno rettangolare, ortogonale al fusto con due quattro denti rettangolari. I - II sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è precisata come clavis clausa. Per i confronti vedi XL.3. XL.5. Chiave Nr. inv. 621; lungh. 5,5 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde chiaro. Integra. Corrosioni varie. Vetrina VII. Impugnatura ad anello "a scorrimento", a sezione rettangolare e apice a globetto; profilatura alla base dello stelo con sezione rettangolare; ingegno rettangolare, perpendicolare al fusto. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è precisata come clavis clausa. Trova confronto con una simile al Museo Naz. Romano Crypta Balbi (Roma 2001, nr. IV.10.14, pp. 543 - 544). XL.6. Chiave Nr. inv. 622; lungh. 4,5 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde chiaro. Integra. Corrosioni varie. Vetrina VII. Impugnatura ad anello "a scorrimento", a sezione rettangolare; stelo con sezione rettangolare; ingegno rettangolare, perpendicolare al fusto. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è precisata come clavis clausa. Simile alla XL.5. XL.7. Elemento di serratura Nr. inv. 623; lungh. 8 cm; sp. 0,9 cm. Bronzo a fusione piena. Patina chiara, non omogenea. Mutilo, manca la parte superiore. Lesioni varie. Vetrina VII. Stanghetta di serratura del tipo “a scorrimento” di forma rettangolare piatta. Presenza di cinque fori di cui quattro quadrangolari e uno rettangolare mutilo. Epoca romana - altomedievale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è indicato come un ordigno per serratura. Trova confronti con simili nel Museo Arch. di Padova (Zampieri 2000, nr. 364 a - d, pp. AMELIA PISTILLO 189 - 190) e con altri simili nel Museo Naz. Romano Crypta Balbi (Roma 2001, nr. II.4.915 - 919, pp. 413 414). XL.8. Elemento di serratura Nr. inv. 624; lungh. 6 cm; sp. 0,4 cm. Bronzo a fusione piena. Patina chiara, non omogenea. Integro. Vetrina VII. Stanghetta di serratura del tipo “a scorrimento” di forma rettangolare con risega ad angolo retto ad un’estremità. Desinente con due linguette di cui una piatta. Presenza di undici fori circolari. Epoca romana-altomedievale. Inedito. Nel catalogo Barone 1899, p. 70) è indicato come un ordigno per serratura. Per i confronti vedi XL.7. TIPO XLI: Elementi di cardine XLI.1. Elemento di cardine Nr. inv. 641; h 4,3 cm; Ø 5,5 cm. Bronzo. Patina verde scuro, non omogenea. Integro, contorni lacunosi. Superfici deteriorate. Vetrina VII. Elemento cilindrico cavo con base piatta. All’interno vi è una parte a rilievo per l’incastro dell’ordigno. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è descritto come un elemento attinente al cardo delle porte per renderle girevoli. Inoltre è specificata la funzione dell’elemento di cardine come perno, strofings e dell’altro elemento del cardo, ovvero il dado o rallino, denominato stropheus. XLI.2. Elemento di cardine Nr. inv. 644; lungh. 8 cm; Ø int. 6 cm; sp. max 1,3 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, omogenea. Integro. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Corpo quadrangolare regolare; superficie anteriore con depressione circolare, superficie posteriore piatta. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è indicato come uno stropheus, ovvero un dado o rallino attinenti al cardo. XLI.3. Elemento di cardine Nr. inv. 645; lungh. 7 cm; Ø int. 5 cm; sp 1 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, omogenea. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Corpo quadrangolare regolare; superficie anteriore con depressione circolare, superficie posteriore piatta. Inedito. I BRONZI Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è indicato come uno stropheus, ovvero un dado o rallino attinenti al cardo. XLI.4. Elemento di cardine Nr. inv. 642, 663; largh. 23 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Integro. Superfici deteriorate. Vetrina VII. Elemento con due alette a sezione trapezioidale con tratto a rilievo nella parte centrale e rastremato agli estremi. Due fori circolari sulle alette. Nella parte centrale è evidente una parte color marrone riferibile ad un problema di lavorazione. Inedito. Il reperto è segnalato con due nr. inv.; si prende in considerazione il nr. 642 corrispondente nel catalogo Barone (1899, p. 72) alla descrizione giusta. È indicato come un ginglymus, ovvero una bandella di bronzo che si articola come un “gomito”. Inoltre si precisa che un elemento simile è stato rinvenuto a Pompei e un altro è conservato al Museo Britannico. XLI.5. Elemento di cardine Nr. inv. 643; lungh. 7,2 cm; Ø int. 5 cm; sp. max 1 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Integro.. Superfici molto deteriorate. Vetrina VII. Corpo quadrangolare irregolare; superficie anteriore con depressione circolare, superficie posteriore piatta. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è indicato come un ginglymus, ovvero una bandella di bronzo che si articola come un “gomito”. Per l’affinità morfologica può essere inteso come XLI.2 e 3,ovvero dadi o rallini attinenti al cardo. TIPO XLII: Chiodi XLII.1. Chiodo Nr. inv. 631/1; lungh. 11,2; Ø testa 1,5 cm. Bronzo a fusione piena. Patina scura. Mutilo. Manca presumibilmente la parte terminale a punta. Leggere corrosioni. Vetrina VII. Testa quadrangolare schiacciata; stelo molto spesso a sezione quadrangolare e curvo. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è definito “clavus trabalis”. XLII.2. Chiodo Nr. inv. 631/2; lungh. 8,5 cm; Ø testa 1,5 cm. Bronzo a fusione piena. Patina scura. Integro. Corrosioni varie. Vetrina VII. 129 Testa circolare schiacciata; stelo a sezione quadrangolare, incurvato; punta assottigliata. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è definito come un piccolo chiodo. XLII.3. Chiodo Nr. inv. 631/3; lungh. 7,2 cm; Ø testa 1,5 cm. Bronzo a fusione piena. Patina chiara. Integro. Corrosioni varie. Vetrina VII. Testa conica; stelo a sezione quadrangolare, lievemente incurvato; punta fratturata e assottigliata. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è definito come un piccolo chiodo. Simile XLII.2. XLII.4. Chiodo Nr. inv. 151; lungh. 19,8 cm; Ø testa 2,4 cm. Bronzo a fusione piena. Patina chiara. Integro. Corrosioni varie. Vetrina XXVII. Testa conica; lungo stelo a sezione quadrangolare, incurvato; punta ben appuntita. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. XLII.5. Chiodo Nr. inv. 152; lungh. 19 cm; Ø testa 2,3 cm. Bronzo a fusione piena. Patina chiara. Integro. Corrosioni varie. Vetrina XXVII. Testa conica; lungo stelo a sezione quadrangolare, incurvato; punta ben appuntita. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. TIPO XLIII: Tintinnabulum XLIII.1. Tintinnabulum Nr. inv. 648; h 9 cm; largh. 5 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde scuro, omogenea. Mutilo, manca il battaglio e l’attacco. Patina corrosa, lesioni sulla presa. Vetrina VII. Presa ad anello con profilo pentagonale a sezione circolare; campana a tronco di piramide con base quadrata e spigoli arrotondati. Galliazzo Tipo C/1: tipo a “campanaccio” con campana cilindrica alta. (1979, p. 158). I sec. d.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è indicato come un tintinnabulum. Trova confronto a Sepino (Cb) (Di Niro 2007, nr. 175, p. 99). 130 TIPO XLIV: Cucchiai e forchette XLIV.1. Cucchiaio Nr. inv. 639/1; lungh. 8 cm; largh. 3,4 cm. Bronzo a fusione piena. Patina verde scuro, omogenea. Mutilo, manca parte del manico. Incrostazioni sulla conca. Vetrina VII. Cucchiaio di bronzo con conca ovale e profonda; stelo a sezione quadrangolare raccordato alla conca con gomito accentuato. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è specificato l’uso farmaceutico. Per l’assenza di parte dello stelo e soprattutto dell’apice non sono possibili confronti puntuali. XLIV.2. Cucchiaio con apice “a gemma stilizzata” Nr. inv. 639/2; lungh. 18 cm; largh. 4 cm. Bronzo a fusione piena. Superficie opaca priva di patina. Integro. Lievi lesioni sulla conca. Apice decorato. Vetrina VII. Cucchiaio di bronzo con conca ovale e profonda; stelo a sezione romboidale con curvatura verso la parte terminale, raccordato alla conca con gomito accentuato; apice decorato con gemma stilizzata, preceduta da coppia di modanature. I - II sec. d.C. Datazione proposta da Galliazzo per affinità cronologica con reperti contestuali (Galliazzo 1979, pp. 186 - 187). Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è specificato l’uso farmaceutico. Trova confronto a Padova (Zampieri 2000, nr. 400 a /b /c, p. 201); a Milano (Bolla 1991, nr. 1, p. 51); nella collezione di Treviso (Galliazzo 1979, nr. 8, 12, 27, pp. 183, 187). XLIV.3. Cucchiaio Nr. inv. 639/3; lungh. 7 cm; largh. 1,9 cm. Bronzo a fusione piena. Patina verde chiaro, non uniforme. Mutilo, manca la parte terminale. Presenza di corrosioni. Vetrina VII. Cucchiaio di bronzo con conca ovale e piatta; stelo a sezione pseudocircolare con attacco retto alla conca. Nella parte posteriore, tra la conca e l’inizio dello stelo, vi sono due linee incise a triangolo. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è specificato l’uso farmaceutico. AMELIA PISTILLO XLIV.4. Cucchiaio Nr. inv. 639/4; h 5,6 cm; Ø 2 cm. Bronzo fusione piena. Patina verde chiaro, non omogenea. Mutilo, manca l’apice. Presenza di corrosioni. Vetrina VII. Cucchiaino da filtro di bronzo, conca rotonda e profonda con cinque fori; stelo a sezione quadrangolare, modanato a metà della sua lunghezza. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è specificato l’uso farmaceutico. XLIV.5. Cucchiaio con apice “a zoccolo di cervide o capride” Nr. inv. 163; lungh. 11,5 cm; largh. 3 cm. Bronzo a fusione piena. Superficie opaca priva di patina. Integro. Lievi lesioni sulla conca. Apice decorato. Vetrina XXVII. Cucchiaio di bronzo con conca ovale con attacco retto al manico; stelo a sezione poligonale curvato nella parte iniziale; apice decorato “a zoccolo di cervide o capride” preceduto da modanatura. Epoca romana. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Trova confronto a Padova (Zampieri 2000, nr. 398 a - p, pp. 200 - 201); a Milano (Bolla 1991, nr. 1, p. 51); nella collezione di Treviso (Galliazzo 1979, nr. 13 - 16, p. 186). XLIV.6. Cucchiaio Nr. inv. X125; lungh. 11.7 cm; largh. max 3,2 cm. Bronzo a fusione piena. Patina verde scuro, non omogenea. Mutilo, manca parte della conca. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Cucchiaio di bronzo con conca presumibilmente rotonda e piatta; lungo stelo sottile a sezione quadrangolare con attacco retto alla conca; apice regolare non decorato. Epoca romana. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Il cucchiaio potrebbe essere associato alla classe “cucchiaio con apice tronco” e per questo trova confronto con simili a Padova (Zampieri 2000, nr. 401 a / b, pp. 201 - 202). XLIV.7. Cucchiaio dorato (?) Nr. inv. 665; lungh. 14,5 cm; largh. 2,7 cm. Bronzo fusione piena. Color marrone. Integro. Vetrina VII. I BRONZI Cucchiaino di bronzo con conca ovale e profonda; stelo a sezione quadrangolare, espanso nella parte terminale. Età moderna. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 73) è indicato come un cucchiaino moderno fatto di bronzo antico rifuso. XLIV.8. Forchetta Nr. inv. 639/5; lungh. 16 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, omogenea. Mutila, mancano i due rebbi estremi. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Forchetta di bronzo a quattro rebbi; manico a sezione quadrangolare, espanso nella parte terminale. Tarda epoca romana imperiale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è indicata come una fuscinula. XLIV.9. Forchetta di bronzo Nr. inv. 639/6; lungh. 15 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Mutila, mancano i due rebbi estremi. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Forchetta di bronzo a quattro rebbi; manico a sezione pseudocircolare, con apice ovale e piatto. Tarda epoca romana imperiale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 72) è indicata come una fuscinula. TIPO XLV: Anelli gemini XLV.1. Anelli gemini cuspidati Nr. inv. 628; h 3,2 cm; Ø 1,8 cm; lungh. 6,6 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Mutilo di una cuspide. Superficie corrosa. Vetrina VII. L’oggetto è composto da due anelli, a sezione rettangolare; gli anelli sono collegati da un ponte su una delle cui facce si dipartono due cuspidi appaiate a sezione ovale e dalla punta stondata, la singola è mutila. Profilo longitudinale dello strumento leggermente concavo dalla parte cuspidata. Fa parte del gruppo A/tipo A1: anelli gemini tricuspidati con tre cuspidi uguali (Sannibale 1998, p. 222). IV - III sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è descritto come un ordigno per guarnimento da cavalli. Trova confronto nei reperti della Collezione Gorga (Sannibale 1998, nr. 269 - 299, pp. 223 - 230). XLV.2. Anelli gemini cuspidati 131 Nr. inv. 627; h 3,4 cm; Ø 2,5 cm; lungh. 7 cm. Bronzo. Superficie lucida, patina verde chiaro. Vetrina VII. L’oggetto è composto da due anelli, a sezione rettangolare, con due apofisi sulla superficie conformati a simbolo fallico (?). Gli anelli sono collegati da un ponte su una delle cui facce si dipartono tre cuspidi di cui due appaiate a sezione ovale e la singola a sezione triangolare, più massiccia e dalla punta stondata. Profilo longitudinale dello strumento leggermente concavo dalla parte cuspidata. Fa parte del gruppo A/tipo A3 /variante a: Anelli gemini tricuspidati con cuspidi differenti e apofisi conformata a simbolo fallico (?) (Sannibale 1998, pp. 231, 233). IV - I II sec. a.C. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è descritto come un ordigno per guarnimento da cavalli. Trova confronto nei reperti della Collezione Gorga (Sannibale 1998, nr. 305 - 308, pp. 233 - 234); a Firenze e dall’Italia (Comstock, Vermuele 1971, nr. 704, p. 481 e nr. 707, p. 482); nel Museo Sannitico di Cb (Di Niro 2007, nr. 400, p. 195). XLV.3. Anelli gemini cuspidati Nr. inv. 153; h 3,2 cm; Ø 1,8 cm; lungh. 6,6 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Mutilo. Superficie corrosa patina verde scuro. Vetrina XXVII. L’oggetto è composto da due anelli, a sezione rettangolare, con quattro apofisi sulla superficie conformati a simbolo fallico (?). Gli anelli sono collegati da un ponte su una delle cui facce si dipartono tre cuspidi di cui due appaiate a sezione ovale e la singola a sezione triangolare, più massiccia e dalla punta stondata. Profilo longitudinale dello strumento leggermente concavo dalla parte cuspidata. Fa parte del gruppo A/tipo A3 /variante a: Anelli gemini tricuspidati con cuspidi differenti e apofisi conformata a simbolo fallico (?) (Sannibale 1998, pp. 231,233). IV - III sec. a.C. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Per i confronti vedi XLV.2. TIPO XLVI: Sigilli XLVI.1. Sigillo Nr. inv. 240; 5,4 x 1,8 x 0,2 cm. Bronzo fuso. Super- 132 ficie lucida, patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro. Vetrina XXVII. Placca di forma rettangolare sagomata e lettere rilevate su due linee con legenda retrogada. Anello a sezione circolare; sulla base piatta e leggermente concava, decorazione a spina di pesce o ramo d’ulivo. Nel campo: Veriluari / Ambibuli. Epoca romana. Inedito. Il nr. inv. corrisponde a duna catalogazione successiva a quella di Barone. XLVI.2. Sigillo Nr. inv. 242; 5,7 x 2 x 0,4 cm. Bronzo fuso. Superficie lucida, patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro. Vetrina XXVII. Placca di forma rettangolare sagomata e lettere rilevate su due linee. Presa rettangolare forata. Nel campo: Gnomoni. Epoca romana. Inedito. Il nr. inv. corrisponde a duna catalogazione successiva a quella di Barone. XLVI.3. Sigillo Nr. inv. 243; 5,4 x 1,8 x 0,2 cm. Bronzo fuso. Superficie lucida, patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro. Vetrina XXVII. AMELIA PISTILLO Nr. inv. 245; 5,3 x 3 x 0,6 cm. Bronzo fuso. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Placca di forma rettangolare con lettere rilevate su due linee. Legenda retrogada. Anello a sezione circolare, con terminazione a globetto al centro. Nel campo: Frateri / vivas. Epoca romana. Inedito. Il nr. inv. corrisponde a duna catalogazione successiva a quella di Barone. XLVI.6. Sigillo Nr. inv. 246; 5,1 x 2,2 x 0,3 cm. Bronzo fuso. Superficie opaca, patina verde scuro. Decorazione incisa. Integro, contorni non definiti su un lato lungo. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Placca di forma rettangolare con lettere rilevate su due linee. Legenda retrogada. Anello a sezione circolare. Nel campo: Pyeti./ (.)avi. Epoca romana. Inedito. Il nr. inv. corrisponde a duna catalogazione successiva a quella di Barone. Placca di forma rettangolare sagomata con lettere rilevate su due linee. Anello a sezione circolare con base piatta. Nel campo: M. Antoni. Patrobi. Tra i due prenomi è un puntino come segno di separazione. (Per la legenda si veda CIL IX, 6083/70). Epoca romana. Inedito. TIPO XLVII: Guarnizioni XLVII.1. Testa di borchia XLVI.4. Sigillo Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una borchia e inserita in un comparto con altre otto di diversa grandezza. Il tipo di guarnizione è molto frequente nel mondo ellenistico e anche romano. La particolare conformazione della parte inferiore, spesso con agganci o incavi, denota la funzione ornamentale (Galliazzo 1979, nr. 4,19 - 20, pp. 217, 219 - 220). Il nr. inv. corrisponde a duna catalogazione successiva a quella di Barone. Nr. inv. 244; 5,4 x 2,6 x 0,5 cm. Bronzo fuso. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina XXVII. Placca di forma rettangolare con lettere rilevate su due linee. Presa circolare piena. Nel campo: Secun / din I. (Per la legenda si veda CIL IX, 6083/133). Epoca romana. Inedito. Il nr. inv. corrisponde a duna catalogazione successiva a quella di Barone. XLVI.5. Sigillo Nr. inv. 630/1; Ø 5,4 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Superficie corrosa. Vetrina VII. Borchia a forma di disco, profilata; bordo rialzato; parte mediana sollevata e desinente con bottone circolare; la parte inferiore è concava, presenta un elemento quadrangolare lungo il margine. Inedito. XLVII.2. Testa di borchia Nr. inv. 630/2; Ø 5,3 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Mutilo, manca parte del contorno. Superficie corrosa. Incrostazioni I BRONZI varie. Vetrina VII. Borchia a forma di disco, profilata; bordo rialzato; parte mediana sollevata e desinente con bottone conico; la parte inferiore è concava, presenta elementi a rilievo nella parte centrale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una borchia e inserita in un comparto con altre otto di diversa grandezza. Per il problema della datazione e i confronti vedi XLVII.1. XLVII.3. Testa di borchia Nr. inv. 630/3; Ø 2 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Superficie corrosa. Vetrina VII. Borchia a forma di disco, profilata; bordo rialzato; parte mediana sollevata e desinente con bottone conico; la parte inferiore è concava, presenta un elemento circolare a rilievo nella parte centrale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una borchia e inserita in un comparto con altre otto di diversa grandezza. Per il problema della datazione e i confronti vedi XLVII.1. XLVII.4. Testa di borchia Nr. inv. 630/4; Ø 3,7 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Superficie corrosa. Vetrina VII. Borchia a forma di disco, profilata; bordo rialzato; parte mediana sollevata e desinente con bottone conico; la parte inferiore è concava, presenta un elemento circolare a rilievo nella parte centrale. Inedito. 133 centrale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una borchia e inserita in un comparto con altre otto di diversa grandezza. Per il problema della datazione e i confronti vedi XLVII.1. XLVII.6. Testa di borchia Nr. inv. 630/6; Ø 3,8 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Superficie corrosa. Vetrina VII. Borchia a forma di disco, profilata; bordo rialzato; parte mediana sollevata e desinente con bottone conico, sormontato da globetto; la parte inferiore è concava, presenta un elemento a rilievo nella parte centrale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una borchia e inserita in un comparto con altre otto di diversa grandezza. Per il problema della datazione e i confronti vedi XLVII.1. XLVII.7. Testa di borchia Nr. inv. 630/7; Ø 2,7 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Integro. Superficie corrosa. Vetrina VII. Borchia a forma di disco, profilata; bordo rialzato; parte mediana sollevata e desinente con bottone circolare; la parte inferiore è concava, presenta un elemento quadrangolare cavo nella parte centrale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una borchia e inserita in un comparto con altre otto di diversa grandezza. Per il problema della datazione e i confronti vedi XLVII.1. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una borchia e inserita in un comparto con altre otto di diversa grandezza. Per il problema della datazione e i confronti vedi XLVII.1. XLVII.8. Testa di borchia XLVII.5. Testa di borchia Borchia a forma di disco, profilata; bordo rialzato; parte mediana sollevata e desinente con bottone conico; la parte inferiore è concava, presenta incrostazioni. Inedito. Nr. inv. 630/5; Ø 2,5 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Mutilo, manca parte del contorno. Superficie corrosa. Vetrina VII. Borchia a forma di disco, profilata; bordo rialzato; parte mediana sollevata e desinente con bottone conico; la parte inferiore è concava, presenta un elemento circolare a rilievo nella parte Nr. inv. 630/8; Ø 3,8 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Mutilo, manca parte del contorno. Superficie corrosa. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una borchia e inserita in un comparto con altre otto di diversa grandezza. Per il problema della datazione e i confronti vedi XLVII.1. 134 AMELIA PISTILLO XLVII.9. Testa di borchia Nr. inv. 630/9; Ø 2,8 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde chiaro. Decorazione incisa. Mutilo, manca parte del contorno. Superficie corrosa. Incrostazioni varie. Vetrina VII. Borchia a forma di disco, profilata; bordo rialzato; parte mediana sollevata e desinente con bottone conico; la parte inferiore è concava, presenta elemento a rilievo. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una borchia e inserita in un comparto con altre otto di diversa grandezza. Per il problema della datazione e i confronti vedi XLVII.1. XLVII.10. Borchia con testa di animale Nr. inv. X105; Ø 3,5 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro. Superfici deteriorate. Vetrina VII. Elemento circolare non definibile con base piatta, leggermente concava e superficie anteriore decorata a rilievo con figura zoomorfa non definita. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. TIPO XLVIII: Grappa XLVIII.1. Grappa Nr. inv. 631/5; lungh. 6,4 cm; largh. 4,7 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro, non omogenea. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Stelo quadrangolare; forma triangolare inserita ortogonalmente allo stelo. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicato come un chiodo e inserito in un comparto con altri oggetti. TIPO XLIX: Punteruolo XLIX.1. Punteruolo Nr. inv. 631/6; lungh. 5,2 cm. Bronzo fuso. Patina verde scuro. Decorazione incisa. Mutilo, probabilmente della parte superiore. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Elemento a sezione circolare nella parte mediana; un’estremità risulta frammentaria; l’altra estremità è rastremata e a punta. Sul corpo cilindrico, incisioni parallele. Inedito. Il punteruolo probabilmente appartiene al comparto indicato con il nr. inv. 632 (Barone 1899, p. 71) e relativo a nove oggetti (presenti solo otto) poiché manca la corrispondenza di un punteruolo. XLIX.2. Punteruolo Nr. inv. 632/1; lungh. 10 cm; largh. 2,1 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro. Integro, contorni lacunosi. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Elemento a sezione circolare, rastremato verso la punta; l’estremità superiore è piatta con tre fori circolari. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicato come un punteruolo e inserito in un comparto con altri sette oggetti. TIPO L: Saltaleone L.1. Saltaleoni Nr. inv. 632/2 e 3; rispettivamente lungh. 7 e 4 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Frammenti. Superfici deteriorate. Vetrina VII. Entrambi sono costituiti da un filo a sezione lenticolare torto a spirale fino ad assumere la forma di fuso. Il più lungo ha ventisette avvolgimenti si assottiglia verso un’estremità. Il più corto ha quindici avvolgimenti. Prima Età del Ferro. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) sono interpretati come punteruoli e inseriti nel comparto con altri sette oggetti. Trovano confronto con simili rinvenuti a San Polo Matese (CB) (De Benedittis 2005, nr. 78 - 81, p. 39; nr. 82 - 90, pp. 40 - 41) e a Pontecagnano (d’Agostino, Gastaldi 1988, p. 63, tipo 37E). TIPO LII: Guscio noce LI.1. Guscio noce Nr. inv. X102, LXXXII S; lungh. 3,2 cm; largh. max 1,7 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Decorazione incisa. Frammento. Superficie deteriorata.Vetrina VII. Elemento in bronzo a forma di guscio di noce, resta solo la metà. Striature rese con decorazioni incise. Posteriormente, cavo. Inedito. I nr. inv. corrispondono ad una catalogazione successiva a quella di Barone. LII.1. Vite TIPO LII: Vite Nr. inv. 632/4; lungh. 8,2 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. I BRONZI Vite di bronzo costituita da corpo cilindrico terminante a punta e estremità opposta con collegamento filettato. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una vite e inserita nel comparto con altri sette oggetti. LII.1. Vite Nr. inv. 632/5; lungh. 8,1 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Vite di bronzo costituita da corpo cilindrico terminante a punta e estremità opposta con collegamento filettato. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una vite e inserita nel comparto con altri sette oggetti. Simile a LII.1. TIPO LIII: Paletta (?) LIII.1. Paletta (?) Nr. inv. 632/6; lungh. 8,2 cm; largh. 2 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Integro. Superficie corrosa. Vetrina VII. Corpo formato in due parti: una a sezione circolare, la parte superiore è appiattita e a punta curva. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicata come una paletta e inserita nel comparto con altri sette oggetti. TIPO LIV: Ancora LIV.1. Ancora Nr. inv. 638/; lungh. 6,5 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. Piccolo oggetto conformato ad ancora: nella parte anteriore si riconoscono due elementi conici fusi insieme ad un’asta, ad andamento arcuato,a sezione circolare in un unico pezzo con la parte superiore trasversale. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, pp. 71 - 72) è indicata come una piccola ancora e inserita nel comparto con altri tre oggetti. 135 conico; l’altra con elemento a forma circolare, piatto, con foro centrale. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione relativa alla Vetrina XXIII, appartenente ai reperti di Monte Vairano, purtroppo sconosciuta. LVI.1. Amo TIPO LVI: Amo Nr. inv. 515.; lungh. 4,5 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Ago ricurvo e uncinato alla punta, e con l’altra estremità si innestava nella canna “a paletta”. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è indicato come un amo in bronzo. Trova confronto nel Museo di Padova (Zampieri 200, nr. 427 a / b, p. 211); nel Museo Civico di Treviso (Galliazzo 1979, nr. 1 - 2, p. 207); nel Museo Naz. Romano Crypta Balbi (Roma 2001, nr. II.4.299 - 301, p. 349). LVI.2. Amo Nr. inv. 516; lungh. 3,9 cm. Bronzo. Superficie opaca, patina verde scuro. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Ago ricurvo e uncinato alla punta, e con l’altra estremità si innestava nella canna “a paletta”. Epoca romana. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 66) è indicato come un amo in bronzo. Per i confronti vedi LVI.1. TIPO LVII: Uncino LVII.1. Uncino Nr. inv. 625; lungh. 6 cm; largh. max 4,1 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro. Vetrina VII. Elemento a forma di uncino con sezione rettangolare; un’estremità termina a punta; l’altra con elemento cilindrico forato. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 70) è indicato come un uncino per bilancia. TIPO LV: Sperone LV.1. Sperone TIPO LVIII: Guardaspigoli LVIII.1. Guardaspigoli Elemento sviluppato in lunghezza a sezione sub-ellittica; un’estremità termina con elemento Strumento a forma di “L” rappresentante un guardaspigoli di mobile. Costituito da una la- Nr. inv. Z34; lungh. 5,3 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Frammento, resta la metà. Superficie deteriorata. Vetrina XXIII. Nr. inv. 631/5; lungh. 9,9 cm; largh. 7 cm. Bronzo fuso. Patina verde chiaro, non omogenea. Integro. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. 136 mina piegata ad angolo retto caratterizzato dalla presenza di lobi alle estremità con foro passante in ognuno di questi. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 71) è indicato come uno squadro o angolo, detto ancon, da cassetta e posizionato nel comparto insieme ad altri cinque oggetti. Trova confronto con un esemplare simile della Collezione Gorga (Benedettini 2012, nr. 1476, p. 481). TIPO LIX: Sgabello miniaturistico LIX.1. Sgabello miniaturistico Nr. inv. X116; 2 x 2 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro. Superficie deteriorata. Vetrina VII. AMELIA PISTILLO cui pende un filo di bronzo. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è descritto come un modello di campana o cimbalo, chiamato aesthermarum, in uso nei pubblici bagni per annunciare che l’acqua calda era pronta. Per la probabile funzione e confronti vedi LX.1. TIPO LXI: Moneta (?) LXI.1. Moneta (?) Nr. inv. X111, LXXXIV S; h 1,7 cm; largh. max 1,2 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro. Superfici deteriorate. Vetrina VII. Oggetto a forma di sgabellino con quattro piedi verticali su cui è stato fuso in un unico pezzo con la porzione orizzontale che funge da sedile. Inedito. Elemento non definibile con base piatta e terminante a forma convessa. Sulle due facce principali decorazione indefinibile a rilievo. Monete magnogreche hanno questa conformazione. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. I nr. inv. corrispondono ad una catalogazione successiva a quella di Barone. TIPO LX: Decorazione LX.1. Decorazione TIPO LXII: Elementi fibula (?) LXII.1. Elemento fibula (?) Nr. inv. 528; Ø 6,1 cm. Bronzo laminato. Superficie opaca, priva di patina. Decorazione incisa. Integro, lacune nel contorno. Vetrina VII. Elemento circolare convesso con estremità appiattita. Nella parte superiore presenta un globetto a rilievo e una decorazione a linee longitudinali. Sul retro, concavo, vi è un gancio da cui pende un filo di bronzo. Inedito. Nel catalogo Barone (1899, p. 67) è descritto come un modello di campana o cimbalo, chiamato aesthermarum, in uso nei pubblici bagni per annunciare che l’acqua calda era pronta. Probabilmente è una decorazione per scudo di bronzo e trova confronto con un esempio simile a San Polo (Cb) (De Benedittis 2005, nr. 106, p. 46) e datato alla Prima Età del Ferro. Un altro umbone di scudo proviene da Vinchiaturo (Cb) (Di Niro 1980, nr.8, p. 46, tav. I,8). Nr. inv. s.nr.; lungh. 5,2 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Frammento. Superficie ossidata e corrosa. Due elementi uniti nella parte inferiore; uno dei due, il più lungo, termina con estremità piatta e ovale. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione relativa alla Vetrina XXIII, appartenente ai reperti di Monte Vairano, purtroppo sconosciuta. LXII.2. Molla fibula (?) Nr. inv. Z35; lungh. 3,6 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Frammento. Superficie deteriorata. Vetrina XXIII. Elemento costituito da una parte sviluppata in lunghezza, a sezione cilindrica e desinente in globetto; l’altra parte è ortogonale alla precedente ed è costituita da filo avvolto a spirali. Inedito. LX.2. Decorazione Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione relativa alla Vetrina XXIII, appartenente ai reperti di Monte Vairano, purtroppo sconosciuta. Elemento circolare convesso con estremità appiattita. Nella parte superiore presenta un globetto a rilievo e una decorazione a linee longitudinali. Sul retro, concavo, vi è un gancio da TIPO LXIII: Frammenti LXIII.1. Frammento manico di tegame (?) Nr. inv. 529; Ø 6,4 cm. Bronzo laminato. Superficie opaca, priva di patina. Decorazione incisa. Integro, lacune nel contorno Vetrina VII. Nr. inv. X95; lungh. 8,5 cm; sp. 1,4 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Frammento. Superficie ossidata e corrosa. I BRONZI Frammento a sezione circolare con un’estremità curva. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Il reperto è stato rinvenuto insieme al nr. inv. X96 all’interno del nr. inv. 486 unitamente ad altri tre frammenti inseriti in un contenitore moderno e indicato con il nr. inv. 573. LXIII.2. Frammento gancio cinturione (?) Nr. inv. X96; lungh. 4,2 cm; sp. 0,9 cm. Bronzo. Patina verde chiaro, non omogenea. Frammento. Superficie ossidata e corrosa. Vetrina VII. Frammento a sezione circolare con un’estremità curva. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. Il reperto è stato rinvenuto insieme al nr. inv. X95 all’interno del nr. inv. 486 unitamente ad altri tre frammenti inseriti in un contenitore moderno e indicato con il nr. inv. 573. TIPO LXIV: Bottone LXIV.1. Bottone 137 Nr. inv. s.nr.; Ø 2,3 cm. Bronzo. Patina verde chiaro. Integro. Vetrina XXVII. Bottone di forma circolare; superficie anteriore liscia; parte posteriore con elemento forato per aggancio. Inedito. Non presenta il nr. inv. TIPO LXV: Pendaglio (?) LXV.1. Pendaglio (?) Nr. inv. XLVII S; h 6,2 cm. Bronzo. Patina verde scuro. Integro. Corrosioni varie. Vetrina XXVII. Verga a sezione circolare, chiusa, presenta ad una estremità il filo di bronzo ritorto. Pendaglio inserito nell’anello di forma convessa; nella parte posteriore, elemento corroso. L’elemento non può essere classificato come un orecchino perché presenta verga chiusa. Inedito. Il nr. inv. corrisponde ad una catalogazione successiva a quella di Barone. AION ArchStAnt Quad. CIL I.I.P.P. JRGZM MEFRA NSc PBF RANarb RendLinc SCAVI MM3 ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI Istituto Universitario Orientale (Napoli). Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo Antico. Annali di Archeologia e Storia Antica. Corpus Inscriptionum Latinarum. Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. Jahrbuch des Römishc-germanischen Zentralmuseums. Mélanges de l’École Française de Rome, Antiquité (dal 1971). Notizie degli Scavi di Antichità comunicate all’Accademia Nazionale dei Lincei. Prähistorische Bronzefunde. Revue archéologique de Narbonnaise. Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Ricerche di archeologia urbana a Milano durante la costruzione della linea 3 della Metropolitana, 1982-1990. BIBLIOGRAFIA Aquileia romana 1991 = AA.VV., Aquileia romana. Vita pubblica e privata, Venezia. 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