Istituto comprensivo
SCUOLA- CITTÀ PESTALOZZI
Scuola sperimentale statale
D.M. 10.03.06 - ex art. 11 D.P.R. n. 275/1999
Scuola Laboratorio - Centro Risorse per la formazione docenti
INDICAZIONI PER LA RAPPRESENTAZIONE SCENICA
(10 – 14 anni)
Per rappresentazione teatrale si intende quell'evento in cui uno o più artisti eseguono, di
fronte ad un pubblico presente, una narrazione scenica. Nella rappresentazione teatrale ci
può essere una combinazione variabile di parola, gestualità, musica, danza, vocalità, suono
e, potenzialmente, ogni altro elemento proveniente dalle altre arti.
Definizioni di teatro - Da Aristotele ai giorni nostri, il termine ha subito diverse
interpretazioni e sviluppi, ed è certo che il dibattito intorno ad una definizione esaustiva
dell'evento teatrale continuerà in futuro. Sintetizzando i punti di convergenza dei diversi
insegnamenti che hanno attraversato il teatro contemporaneo negli ultimi decenni, da Peter
Brook a Giorgio Strehler a Eugenio Barba, possiamo trovare elementi comuni per una
definizione:
«Il teatro è quell'evento che si verifica ogni qual volta ci sia una relazione tra uno “spettacolo
vivente” e un “pubblico vivente”»
(vale a dire tra almeno un attore che agisca dal vivo in uno spazio scenico e uno spettatore
che dal vivo ne segua le azioni).
«Non gl'immobili fantocci del Presepio; e nemmeno ombre in movimento. Non sono teatro le
pellicole fotografiche che, elaborate una volta per sempre fuor dalla vista del pubblico, e
definitivamente affidate a una macchina come quella del Cinema, potranno esser proiettate
sopra uno schermo, tutte le volte che si vorrà, sempre identiche, inalterabili e insensibili alla
presenza di chi le vedrà.
Il Teatro vuole l'attore vivo, e che parla e che agisce scaldandosi al fiato del pubblico; vuole
lo spettacolo senza la quarta parete, che ogni volta rinasce, rivive o rimuore fortificato dal
consenso, o combattuto dalla ostilità, degli uditori partecipi, e in qualche modo
collaboratori.»
(Silvio D'Amico, Storia del teatro)
In senso lato può avvenire anche fuori dagli spazi consueti, in ogni luogo dove sia possibile
raccontare una storia o catalizzare l'attenzione di un pubblico. Gli elementi essenziali che
distinguono un evento teatrale da, per esempio, una conferenza o dal vociare di un mercato
pubblico, sono, nella pratica teatrale:
- la scelta consapevole di un forma (nella finzione drammatica
il personaggio o la maschera);
- la definizione di uno spazio nel quale tale forma possa agire
(il palcoscenico, tradizionale o improvvisato);
- il tempo stabilito dell'azione (l'elemento drammaturgico, la durata di un testo o di una
partitura gestuale).
È utile notare come spesso l'improvvisazione renda variabili le costanti sopra descritte, anche
se è opinione corrente dei maestri di questa disciplina che solamente il rigore di uno schema
predefinito renda l'attore libero di variarlo. Più in generale, ciò che separa il teatro da altri
avvenimenti che coinvolgono un pubblico, è il carattere di compiutezza dell'azione scenica che
la rende classificabile come arte e la distingue dagli altri eventi sociali, didattici o
semplicemente quotidiani. Ciò non esclude del tutto che l'evento teatrale (la 'magia' di
Eduardo) si possa temporaneamente manifestare anche in altri contesti: nella parentesi
narrativa di un insegnante durante una lezione scolastica o nella performance di un giocoliere
in una piazza affollata.
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera
RAPPRESENTAZIONE A SCUOLA
Da non confondersi con “rappresentazione scolastica” che, a torto o a ragione, ricorda
recitine e scenette il più delle volte troppo poco espressive per definirsi teatrali.
Se decidiamo di allestire una rappresentazione, dobbiamo scegliere alcuni di elementi in
base agli spazi, ai tempi, alle risorse, e alle abilità che abbiamo a disposizione. Il bello del
teatro è che si può fare con tanti mezzi ma anche con poco o nulla. Non occorre avere per
forza palcoscenici, sipari rossi, riflettori, scenografie.
Indispensabile è
A) scegliere una FORMA. Una rappresentazione può essere:
- con attori che mimano o parlano,
- con burattini, marionette, pupazzi (qualsiasi oggetto si può animare),
- con attori, burattini marionette, pupazzi,
- con scene, maschere e costumi,
- con le ombre corporee, con le silhuette, ecc.
B) trovare lo SPAZIO più idoneo in cui svolgere l’azione. A volte è lo spazio a
disposizione che ci può dare l’idea per la forma da scegliere. Anche se in una scuola manca
la stanza del teatro, si possono sempre sfruttare, corridoi, aule, cortili, giardini.
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Le venti “ipotesi di rappresentazione” di seguito proposte, si riferiscono
ad attività normalmente svolte nei gruppi teatrali del III e del IV biennio
(10/14 anni) di Scuola - Città.
Anna Lucheroni
1 - OGGETTO SOGGETTO
•
•
Obbiettivi: Stimolare l’invenzione di codici drammatici e comunicativi.
Elaborare processi di creazione drammatica.
In gruppo
Occorrente: un elemento fondamentale per lo sviluppo dell’azione (borsa, scatola, cappello,
ecc.)
Divisi a coppie o a piccolo gruppo, s’inventa una breve scena che prenda lo spunto
dall’oggetto messo a disposizione. Ciascun gruppo propone agli altri la propria azione
drammatica.
A questo punto, se l’intenzione è di rappresentare le storie, c’è bisogno di “fissare” certi
elementi. I vari gruppi possono stendere un canovaccio e basarsi sull’improvvisazione o
scrivere un vero e proprio copione con tanto di battute e didascalie.
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2 - METTERE IN SCENA
•
•
•
Obbiettivi: Elaborare processi di creazione drammatica.
Integrare con immagini, musica, elementi del Teatro d’animazione*
Trasporre un testo letterario in forma drammatica
In gruppo
“LA VERITÀ E LA FIABA”
Si racconta che la Verità indossasse un abito modesto e vivesse tutta sola. Un giorno decise di
andare fra la gente. Non l'avesse mai fatto! Nessuno voleva accoglierla, quelli che la
incontravano se la davano a gambe e le chiudevano la porta in faccia. Umiliata e delusa, si
avviò per una solitaria strada di campagna, quando ecco venirle incontro una bella signora
vestita di sete e merletti e ornata di tanti gioielli falsi ma sfavillanti. Era la Fiaba!
- Buon giorno - disse cordiale - dove vai sola soletta e così triste?
- Tutti scappano sempre da me e nessuno vuole mai ascoltarmi - rispose malinconicamente la
Verità.
Vedi - replicò la Fiaba - tu sbagli perché ti presenti "nuda e cruda", sei troppo disadorna! Io
invece con questi bei vestiti variopinti sono accolta bene dappertutto. Ho un'idea! Nasconditi
sotto il mio mantello e andiamo insieme per il mondo come due sorelle.
Converrà a tutte e due. I saggi mi accoglieranno quando capiranno che nascondo la Verità: gli
sciocchi ti accetteranno perché sarai luccicante dei miei gioielli e dei miei vestiti.
Jean Pierre Claris de Florian
* Teatro d’animazione: Spettacolo nel quale i personaggi sono rappresentati da pupazzi,
burattini, o marionette di materiale vario.
I Fase - Lettura collettiva del testo.
II Fase - Realizzazione di improvvisazioni con diversi gruppi di lavoro: ciascun gruppo pensa
e realizza un’azione teatrale.
III Fase - Si confrontano le azioni e gli elementi che le contraddistinguono scegliendo le idee
migliori per la messa a punto di un canovaccio unico.
IV Fase - Per la realizzazione si può (ad es.) decidere di utilizzare:
- burattini, marionette, pupazzi
- ombre (silhuettes, ombre corporee).
- immagini da proiettare come sfondo per l’azione.
Alcune possibili e semplici messinscene de
“LA VERITÀ E LA FIABA”:
Con attori e burattini - Occorrente: una o più voci narranti, due attori, tre o quattro burattini
(la gente), uno o più burattinai, un abito appariscente, un abito modesto, chincaglierie varie.
Con le ombre corporee - Occorrente: una o più voci narranti, alcuni attori “in ombra”, un
telone per le ombre, una fonte di luce, un ambiente oscurabile.
Con le silhuettes - Occorrente: una o più voci narranti, un telone per le ombre, una fonte di
luce, un ambiente oscurabile, le silhuettes.
Con i burattini, marionette, pupazzi - Occorrente: burattini, marionette, pupazzi con relativi
ragazzi - animatori.
3 - ASSURDITÀ
• Obbiettivi: Sviluppare lo spirito di osservazione.
• Analizzare e drammatizzare situazioni quotidiane.
Stimolare l’invenzione di situazioni “fuori dalle righe”.
In gruppo
Pensare ad azioni semplici e quotidiane, osservare i piccoli gesti, espressioni, modi di dire.
Imitare persone conosciute da tutto il gruppo cercando di rendere le caratteristiche peculiari.
Pensare a situazioni assurde, irreali in cui ci siano strani personaggi e situazioni ancora più
strane.
Normalità
Stranezze
Partita di calcio
Una insolita partita di calcio
Una classe
Una classe assurda
Gita
Una strana gita
L’importanza dell’oggetto - Per facilitare i ragazzi nella ricerca di qualcosa di strano,
possiamo mettere a disposizione degli oggetti. Ad es. per il titolo Una insolita partita di calcio
una pentola, per Una strana gita un ferro da stiro, ecc.
4 - SOLUZIONI
•
•
•
•
•
Obbiettivi: Trasporre un testo letterario in forma drammatica.
Saper individuare gli elementi indispensabili per la scena.
Saper trovare la maniera migliore per costruirli.
Saper allestire una scena in base agli elementi a disposizione.
Saper modificare un oggetto in base alle esigenze sceniche.
I Fase: Lettura collettiva del testo testo letterario scelto.
“LA FERMATA SBAGLIATA”
(da Marcovaldo di Italo Calvino)
Per chi ha in uggia la casa inospitale, il rifugio preferito nelle serate fredde è il cinema. La
passione di Marcovaldo erano i film a colori…
II Fase: Mettere in scena, ovvero, trovare soluzioni.
Ne “La fermata sbagliata” c’è il cinema, la nebbia, l’aereo… tutto questo può sembrare
abbastanza impossibile da realizzare con i mezzi a disposizione di una scuola… “Cosa
possiamo fare?”
Posta la domanda al gruppo di ragazzi, di solito si hanno una quantità di proposte fantasiose
e molto poco attuabili dentro le pareti di un edificio scolastico. Lo stesso, questa fase in cui
ciascun partecipante può inventarsi ciò che vuole, rimane un momento bellissimo. Se
chiediamo ai ragazzi di farsi venire delle idee, dobbiamo essere pronti a entrar con loro
dentro il gioco di un labirinto d’immaginazione in cui perdersi. Almeno per un po’.
É bello sognare, lo faceva anche Shakespeare:
“Oh, avere una musa di fuoco, ora, che ascenda
Al cielo sfavillante della fantasia!
Palcoscenico, un regno; attori, principi […]
…Ma se può una semplice cifra su un foglio
rappresentare in piccolo spazio un milione,
concedete anche a noi, […]
di muovere le forze della vostra fantasia…”
(prologo Enrico V)
E dopo aver mosso le forze della fantasia, tornare con i piedi per terra non vuol dire
rinunciare ai sogni ma abituarsi a trovare soluzioni, riuscire a racchiudere in una piccola
forma, in un semplice oggetto, in un essenziale movimento, in un accessibile spazio, tutto
ciò che vogliamo rappresentare. Questo è Teatro.
ALCUNE SEMPLICI SOLUZIONI PER LA MESSINSCENA
Si proiettano su un lenzuolo bianco una o più immagini di paesaggi (praterie, montagne
rocciose, foreste equatoriali). Marcovaldo, passando tra il proiettore e il telo, sembrerà essere
immerso in quel paesaggio. Spento il proiettore, due ragazzi, ai lati del pubblico, alzeranno un
grande foglio di plastica trasparente o un tulle grigio. Gli spettatori vedranno attraverso il telo
(effetto nebbia assicurato!)
Scena dell’aereo: si riaccende il proiettore (senza dia inserite, questa volta), dietro al telo
avremo messo due sedie, in una di queste si siederà Marcovaldo, in quella accanto ci sarà un
ragazzo con un turbante in testa. Alla fine, spento il proiettore e le altre luci, nel buio si potrebbe
vedere un piccolo aereo fosforescente e alcune stelline…
Per questo tipo di rappresentazione ci si sta avvalendo: del Teatro delle ombre (scena del film e
dell’interno dell’aereo), del Teatro nero di Praga (Scena finale dell’ aereo che vola), del Teatro
d’animazione (la sagoma del tram). È inoltre indispensabile avere un narratore, un Marcovaldo,
l’uomo con le bandierine, l’hostess, un passeggero, i sostenitori del telo della nebbia.
Oggetti: leggìo, luce per leggìo, proiettore, telo, immagini paesaggi, registratore, musica registrata,
tulle grigio o plastica trasparente, sagoma del tram (in cartone dipinto) , un campanello, un
cartello, un fiasco, qualche bicchiere, due bandierine, due sedie, quattro piccole torce, un turbante,
aereo e stelline.
Al centro della scena c’è seduto Marcovaldo, spalle voltate al pubblico. A lato il narratore
Narratore - La passione di Marcovaldo erano i film a colori (musica da film) praterie,
montagne rocciose, foreste equatoriali. (Sullo schermo passano una o più immagini)
Narratore - Vedeva il film due volte, usciva solo quando il cinema chiudeva ; (Marcovaldo si
alza dalla sedia, va dietro al telo) e col pensiero continuava ad abitare paesaggi e a
respirare quei colori. Quella sera film il che aveva visto si svolgeva nelle foreste dell'India.
(riparte la musica, si vede l’ombra di Marcovaldo su sfondo di foresta. Chiusa l’immagine,
buio)
Narratore - All'uscita del cinema, (i due “sostenitori di nebbia” alzano il telo proprio davanti agli
spettatori, Marcovaldo viene in scena) aperse gli occhi sulla via. non vedeva niente.
Assolutamente niente. Nelle ore in cui era restato là dentro, la nebbia aveva invaso la città.
Marcovaldosi si diresse alla fermata del 30 e sbattè il naso contro il palo del cartello. In quel
momento, s'accorse di essere felice: la nebbia, cancellando il mondo intorno, gli permetteva di
conservare nei suoi occhi le visioni dello schermo panoramico. (Musica)
Narratore - Venne il tram, evanescente come un fantasma, (arriva scampanellando
lentamente la sagoma del tram. Marcovaldo fa un giro insieme al ragazzo che sorregge la
sagoma) Marcovaldo a un tratto si domandò dov'era; stabilì che la sua fermata era la prossima.
Il tram se ne va rimane Marcovaldo al centro della scena
Narratore - S'era sbagliato di fermata e non sapeva dove si trovava. Vide passare qualcuno.
Marcovaldo - Per Piacere! Sa dov'è via Pancrazio Pancrazietti?
Voce:- Di lààà...
Narratore - Ma non si sapeva da quale parte indicasse. La luce che raggiunse era
d'un'osteria.
Marcovaldo viene di qua dal tulle, cioè dalla nebbia
Marcovaldo - Cercavo... se magari loro sanno... Via Pancrazietti...
(i due reggitori di nebbia adesso fanno la parte degli ubriachi, ridono, fanno rumore e danno
un bicchiere di vino a Marcovaldo)
Narratore - Insomma, quando uscì dall'osteria, (i reggitori di nebbia smettono di ridere,
posano il bicchiere, rialzano la nebbia, Marcovaldo torna dietro il tulle) le sue idee sulla via di
casa non erano più chiare di prima. I luoghi parevano disabitati. Marcovaldo per avvicinarsi
ad una scritta. Aveva intravisto, piantato sopra l'orlo del muro, un grande cartello
biancheggiante; "L'ingresso è severamente vietato alle persone non autorizzate" non serviva
a dargli nessun lume. Dopo molto girovagare, Marcovaldo si trovò in un prato con tante
lampadine in fila al livello del suolo. (entrano i due ragazzi che faranno i passeggeri con in
mano piccole pile) Un posto insolito per mettere delle luci, però comodo, perché gli
tracciavano un cammino. (Marcovaldo cammina sul posto)
Narratore - Il suo piede adesso non calpestava più l'erba ma l'asfalto: in mezzo ai prati
passava una grande via asfaltata,
Marcovaldo - Una strada asfaltata porterà da qualche parte.
Narratore - E prese a seguirla. Fu a questo punto che vide un uomo con le braccia aperte,
che agitava due palette luminose come quelle dei capistazione.
Marcovaldo: - Ehi lei, dica, io qui, in mezzo a questa nebbia, come si fa, ascolti...
Uomo delle palette - Non si preoccupi, sopra i mille metri non c'è nebbia, vada sicuro, la
scaletta è là avanti, gli altri sono già saliti.
Narratore - Era un discorso oscuro, ma incoraggiante. A Marcovaldo piacque soprattutto sentire
che a poca distanza c'erano altre persone; avanzò per raggiungerle senza fare altre domande.
Vengono messe due seggioline dietro al telo.
Narratore - Marcovaldo salì (Proiettore acceso. Si vede la sagoma delle due seggioline
Marcovaldo va dietro il telo.).
Narratore - Sulla soglia di una porticina una ragazza lo salutò con tanta gentilezza che pareva
impossibile che si rivolgesse proprio a lui. Si sedette. Era, dove?, in un autobus, credette di
capire, un lungo autobus. Di solito per rincasare prendeva non l'autobus ma il tram perché il
biglietto costava un po' meno, ma stavolta s'era smarrito in una zona così lontana che
certamente c'erano solo autobus che facevano servizio. Che morbide, accoglienti le poltrone!
Marcovaldo, ora lo sapeva, avrebbe preso sempre l'autobus, anche se i passeggeri erano
sottoposti a qualche obbligo.
Voce Altoparlante - Sono pregati, di non fumare e allacciarsi le cinture...
Narratore - Anche se il rombo del motore era addirittura esagerato.
Qualcuno in uniforme passava tra i sedili. -Scusi, signor bigliettaio,-disse Marcovaldo,- sa se
c'è una fermata dalle parti di via Pancrazio Pancrazietti?
Voce fuori campo - Come dice signore? Il primo scalo è Bombay, poi Calcutta e Singapore.
Narratore - Marcovaldo si guardò intorno. Negli altri posti erano seduti impassibili indiani
(sulla poltrona accanto a Marcovaldo si siede un ragazzo con un turbante) con la barba e col
turbante.
(Si spengono le luci) La notte ai finestrini appariva piena di stelle, ora che l'aeroplano, (si
vede la sagoma fosforescente di un aeroplanino di carta) attraversata la fitta coltre di nebbia,
volava nel cielo limpido delle grandi altezze (appaiono stelline fosforescenti).
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5 - PROLOGHI
•
•
•
Obbiettivo. Elaborare processi di creazione drammatica (evidenziare con espressioni
diverse la diversità dei due Prologhi).
Occorrente per la scena: due semplici tuniche colorate.
(Scegliere il colore che ci sembra adatto per la tunica del primo e del secondo
Prologo). Azione a due
Dal “Poenulus” (Il cartaginese) di Plauto
Da vero uomo di teatro, Plauto coinvolge lo spettatore, lo chiama in causa; il prologo assume
cosí la sua funzione di scaldare l'ambiente oltre che di raccontare: quando comincia la
commedia, il pubblico ne attende lo svolgimento come già ne pregusta e ne sente tutto il
clima scherzoso.
I Attore - Banditore, àlzati, e di' al pubblico che ci stia a sentire! È un pezzo che aspetto di
vedere se sai il tuo mestiere: animo, metti fuori cotesta voce che ti fa campare e ti mantiene;
se non lo fai, tanto peggio, non mangerai. E adesso va bene, rimettiti a sedere; avrai doppia
paga. - Quanto a voi, state attenti a osservare i miei decreti. Proibito alle vecchie cortigiane
di sedersi ai primi posti. Ordine ai littori, e alle loro verghe, di starsene quieti. Proibito
all'inserviente di passare davanti agli spettatori quando la scena è aperta: per i pigraccí che
si son levati troppo tardi, tanto peggio, potevano dormire un po' meno. Proibito agli schiavi di
mettersi a sedere; lascino il posto agli uomini liberi, oppure si comprino la libertà; se non
possono comprarsela, se ne tornino a casa, o gli succederà un doppio guaio, le verghe qui e
la frusta là, quando il loro padrone saprà come si son portati. Ordine alle balie di occuparsi
dei loro marmocchi a casa, e proibizione di portarli a teatro; cosí esse non soffriranno la
sete, i pupi non moriranno di fame, né, per chieder da mangiare, si metteranno a belare
come pecore. Che le matrone, guardando e ridendo, se ne restino zitte, e si provino a
trattenere gli strilli e le chiacchiere per quando sono a casa; almeno qui i loro mariti trovino
un po' di respiro. E quelli che presiedono allo spettacolo, vedano un po' di dare i premi agli
artisti senza parzialità, […] Ah! aspettate! Mi scordavo! Voialtri servi, mentre si recita,
andatevene al buffet: è il momento buono di correr là, le frittelle sono calde.
Dall’“Ecyra” - (La suocera) di Terenzio
Molto diversi da questo sono i contatti col pubblico di Terenzio, il quale.
va incontro al pubblico senza spavalderia, cerca di convincerlo dell'onestà delle sue intenzioni di
poeta. Alcuni dei suoi prologhi sembrano trattati letterari; e naturalmente sono noiosi. Il Prologo si
atteggia ad avvocato difensore dell'autore: racconta le traversie avute per la rappresentazione della
commedia e conclude con una bella tirata sul teatro, che non si dovrebbe ridurre a privilegio per
pochi; non manca nemmeno un accenno esplicito a Terenzio, perché accolto da un pubblico
finalmente attento, non diventi «lo zimbello dei maligni».
II Attore - Mi presento a voi in veste di prologo, ma sono l'avvocato difensore: e lasciatemi vincere la
causa; cosí potrò da vecchio godere lo stesso privilegio di quando ero piú giovane, e riuscii a fare
invecchiare delle commedie che erano state fischiate per la prima volta, perché l'opera non si
perdesse col poeta. Di quelle di Cecilio, quando le detti come novità, con qualcuna ho fatto fiasco;
[…] mi detti a rappresentare le stesse commedie per poterne avere altre, nuove, dallo stesso autore,
e mi ci misi d'impegno per non scoraggiare lui dall'impresa. […] conosciute che furono, le commedie
piacquero: cosí riportai alla ribalta un poeta […] Se lì per lì avessi buttato a mare i suoi copioni, […]
mi sarebbe stato facile sviarlo dallo scrivere altre commedie. Ora ascoltate di buon grado, per amore
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mio, quello che voglio da voi: vi ripresento La Suocera, che non ho mai potuto recitare in mezzo al
silenzio, tanta è stata la sfortuna che si è abbattuta su questa commedia. […] Quando, la prima
volta, cominciai a recitare, dei pugili in voga (e ci si aggiunse anche l'attesa per un funambolo) con
tutto il loro corteo, il chiasso, le grida delle donnicciole mi costrinsero a lasciare la scena prima
dell'ora. […] la portai sulla scena una seconda volta. Al primo atto le cose vanno, quando ecco arriva
la notizia che si sta per dare uno spettacolo di gladiatori; e la gente via di corsa: fa chiasso, urla, fa ai
pugni per trovare un posto; e intanto io non riuscii a conservare il mio. Ora c'è calma e silenzio; io ho
tutto il mio agio per recitare, e voi la possibilità di fare onore agli spettacoli drammatici. Non
permettete che quest'arte, per opera vostra, si riduca a privilegio di pochi; fate che il vostro
riconoscimento sia l'appoggio alla mia iniziativa. Per un riguardo a me, fate vostra la mia tesi e
prestateci attenzione in silenzio, perché ci sia chi trovi gusto a scrivere commedie e io abbia
convenienza a rappresentarne in seguito delle nuove, pagate di tasca mia.
6 - MONOLOGO
Da Anfitrione (Sosia torna dalla guerra) di Molière Atto I scena I
Per facilitare l’interpretazione del monologo, la parte di Sosia, in questo caso, è stata
suddivisa fra 6 attori. Tutti i Sosia potrebbero avere tuniche e mezze maschere uguali.
Occorrente: una lanterna
I SOSIA - Chi va là? Ehi? La mia paura cresce ad ogni passo. Signori, amico di tutti. Ah,
quale audacia senza pari camminare a quest'ora di notte. Perché il mio padrone,
coperto di gloria, mi ha giocato un tiro così birbone! E perché? Se avesse un po' di
amore per il suo prossimo, m'avrebbe forse fatto partire in una notte così nera? E per
mandarmi ad annunciare il suo ritorno e i dettagli della sua vittoria, non avrebbe potuto
bene aspettare che fosse giorno? Sosia, a che servitù sono legati i tuoi giorni! La nostra
sorte é molto più dura presso i grandi che presso i piccoli. Questi pretendono, che per
loro sia obbligatorio immolarglisi naturalmente.
II SOSIA - Giorno e notte, grandine, vento, pericoli, caldo, freddo, ciò di cui parlano
bisogna volerlo. Vent'anni d'assiduo servizio non ci hanno ottenuto niente. Il più piccolo
capriccio ci attira il loro corruccio.Eppure la nostra anima insensata si accanisce nel
vano onore di stare con loro. E ci si vuol contentare della falsa idea che hanno tutti gli
altri che noi siamo felici. Invano la ragione ci richiama alla ritirata, invano il nostro
dispetto qualche volta acconsente. La loro vista ha sul nostro zelo un ascendente
troppo potente. E il minimo favore di un'occhiata benevola, ci impegna di nuovo più di
prima.
III SOSIA - Ma infine, nel buio vedo la nostra casa e il mio terrore se ne va. Mi
occorrerebbe, per la mia ambasciata, un discorso preparato. Devo dare agli occhi di
Alcmena un quadro militare della grande battaglia che ha piegato i nostri nemici. Ma
come diavolo farò, se io lì, non c'ero? Non importa, parlerò di punta e di taglio, come
testimone oculare. Quanta gente, racconta di battaglie dalle quali si é tenuta lontano?
Per recitare meglio il mio ruolo senza problemi, me lo voglio ripassare un po’. Ecco la
sala dove entrerò, introdotto come messaggero, e questa lanterna sarà Alcmena alla
quale mi dovrò avvicinare.
IV SOSIA - "Signora, Anfitrione mio padrone e vostro sposo... (Bene, bell'inizio) con
l'animo pieno del vostro fascino, mi ha voluto scegliere tra tutti, per darvi avviso del
successo del suo esercito e del desiderio che ha di esservi vicino."
"Cielo, mio povero Sosia, il rivederti mi dà gioia al cuore."
"Signora, questo per me é un onore troppo grande e il mio destino é invidiabile" (Bella
risposta)
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"Come sta Anfitrione? "
“Sta come un forte dove lo porta la gloria." (Benissimo, bel concetto!)
"Quando verrà a rendere felici il mio spirito del suo dolce ritorno?"
"Certamente più presto che potrà, signora, ma sempre troppo tardi di quanto il suo
cuore vorrebbe (Ah)"
V SOSIA - "Ma in che stato la guerra l'ha messo? Che dice? Che fa? Soddisfa un po' il
mio spirito? "
"Dice meno di quello che fa, signora e fa tremare i nemici" (Peste! Dove le troverà il mio
ingegno tutte queste finezze?)
“Che fanno i rivoltosi? Dimmi, qual é la loro sorte?"
"Non hanno potuto resistere al nostro impeto, signora. Li abbiamo fatti a fette, messo a
morte Pterelao, loro re, presa d'assalto Teleboa, e già tutto il porto risuona delle nostre
gesta!"
"Ah! Qual successo! Oh Dei! Chi l'avrebbe mai potuto credere! Raccontami Sosia, un
tale avvenimento!"
VI SOSIA - "Senz’altro, signora, e senza gonfiarli troppo, posso parlarvi molto
dettagliatamente di questa vittoria. Fate conto signora, che Teleboa sia da questa parte.
E' in verità una città grande quasi quanto Tebe... Il fiume é qui. Qua i nostri si sono
accampati. E questo spazio l'hanno occupato i nostri nemici. Sopra un'altura, qui, era la
loro fanteria. E più in basso sul fianco destro, la cavalleria. Dopo aver pregato gli Dei e
ordinate le schiere, si dà il segnale. Il nemico, pensando di darci del filo da torcere, fece
tre plotoni con i loro cavalieri. Ma il loro assalto fu ben presto da noi respinto. Adesso
vedrete come. Qua la nostra avanguardia ben disposta ad agire, là gli arcieri di Creonte,
nostro re e qua il grosso dell'armata.
Un momento, che c'è? Il grosso dell'armata ha paura... Ho sentito un rumore, mi
sembra.
Traduzione, adattamento, riduzione di Paolo Lelli
7 - L’AUTORE A CHI LEGGE
Da La Locandiera di Carlo Goldoni
Può essere interessante, invece della commedia, rappresentare la prefazione ad essa…
Mentre Goldoni rilegge la lettera appena scritta, compaiono in scena i vari personaggi
nominati che sottolineano, mimando, le sue parole.
Occorrente: un tavolo, una sedia. Sopra il tavolo alcuni fogli, un calamaio, una penna d’oca,
un asse e un ferro da stiro, alcuni elementi di costume per il personaggio di Goldoni e per i
mimi.
Goldoni - (con una penna d’oca in mano, rilegge, e in qualche momento corregge, alcuni
fogli) Fra tutte le Commedie da me sinora composte, starei per dire essere questa la più
morale, la più utile, la più istruttiva. Sembrerà ciò essere un paradosso a chi soltanto vorrà
fermarsi a considerare il carattere della Locandiera, e dirà anzi non aver io dipinto altrove
una donna più lusinghiera, più pericolosa di questa. Ma chi rifletterà al carattere e agli
avvenimenti del Cavaliere, troverà un esempio vivissimo della presunzione avvilita, ed una
scuola che insegna a fuggire i pericoli, per non soccombere alle cadute. Mirandolina fa altrui
vedere come s'innamorano gli uomini. Principia a entrar in grazia del disprezzator delle
donne, secondandolo nel modo suo di pensare, lodandolo in quelle cose che lo
compiacciono, ed eccitandolo perfino a biasimare le donne istesse. Superata con ciò
l'avversione che aveva il Cavaliere per essa, principia a usargli delle attenzioni, gli fa delle
finezze studiate, mostrandosi lontana dal volerlo obbligare alla gratitudine. Lo visita, lo serve
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in tavola, gli parla con umiltà e con rispetto, e in lui vedendo scemare la ruvidezza, in lei
s'aumenta l'ardire.
Dice delle tronche parole, avanza degli sguardi, e senza ch'ei se ne avveda, gli dà delle
ferite mortali. Il pover'uomo conosce il pericolo, e lo vorrebbe fuggire, ma la femmina accorta
con due lagrimette l'arresta, e con uno svenimento l'atterra, lo precipita, l'avvilisce. Pare
impossibile, che in poche ore un uomo possa innamorarsi a tal segno: un uomo, aggiungasi,
disprezzator delle donne, che mai ha seco loro trattato; ma appunto per questo più
facilmente egli cade, perché sprezzandole senza conoscerle, e non sapendo quali sieno le
arti loro, e dove fondino la speranza de' loro trionfi, ha creduto che bastar gli dovesse a
difendersi la sua avversione, ed ha offerto il petto ignudo ai colpi dell'inimico. Io medesimo
diffidava quasi a principio di vederlo innamorato ragionevolmente sul fine della Commedia, e
pure, condotto dalla natura, di passo in passo, come nella Commedia si vede, mi è riuscito di
darlo vinto alla fine dell'Atto secondo. Io non sapeva quasi cosa mi fare nel terzo, ma
venutomi in mente, che sogliono coteste lusinghiere donne, quando vedono ne' loro lacci gli
amanti, aspramente trattarli, ho voluto dar un esempio di questa barbara crudeltà, di questo
ingiurioso disprezzo con cui si burlano dei miserabili che hanno vinti, per mettere in orrore la
schiavitù che si procurano gli sciagurati, e rendere odioso il carattere delle incantatrici
Sirene. La Scena dello stirare, allora quando la Locandiera si burla del Cavaliere che
languisce, non muove gli animi a sdegno contro colei, che dopo averlo innamorato l'insulta?
Oh bello specchio agli occhi della gioventù! Dio volesse che io medesimo cotale specchio
avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del mio pianto qualche barbara
Locandiera. Oh di quante Scene mi hanno provveduto le mie vicende medesime!... Ma non è
il luogo questo né di vantarmi delle mie follie, né di pentirmi delle mie debolezze. Bastami
che alcun mi sia grato della lezione che gli offerisco. Le donne che oneste sono,
giubileranno anch'esse che si smentiscano codeste simulatrici, che disonorano il loro sesso,
ed esse femmine lusinghiere arrossiranno in guardarmi, e non importa che mi dicano
nell'incontrarmi: che tu sia maledetto!
Deggio avvisarvi, Lettor carissimo, di una picciola mutazione, che alla presente Commedia
ho fatto. Fabrizio, il cameriere della Locanda, parlava in veneziano, quando si recitò la prima
volta; l'ho fatto allora per comodo del personaggio, solito a favellar da Brighella; ove l'ho
convertito in toscano*, sendo disdicevole cosa introdurre senza necessità in una Commedia
un linguaggio straniero. […]
*La scena de “La locandiera” si rappresenta in Firenze, nella locanda di Mirandolina)
8 -. CHI PARLA, CHI MIMA…
Da Le nuvole di Aristofane
TRAMA: Il contadino Lesina non riesce a dormire: pensa ai suoi debiti e agli interessi che
dovrà pagare alla fine del mese. Il figlio Tirchippide, invece, ronfa tranquillo, sognando i
cavalli e le corse in cui spende tutto il denaro paterno. Lesina rimpiange la sua semplice vita
di campagna prima del matrimonio con un’aristocratica, dalla quale il giovane Tirchippide ha
ereditato l’inclinazione agli agi e al lusso. Persino sul nome da dare al figlio i due sposi
avevano stentato a raggiungere un accordo: lei ne voleva uno in "ippo", da cavaliere, lui lo
voleva chiamare Tirchino, "uno che risparmia"; e si erano decisi per Tirchippide.
D’improvviso al vecchio si presenta una soluzione. Sveglia il figlio e gli propone di entrare
nel Pensatoio di Socrate per apprendere la pratica del "rendere più forte il discorso più
debole", in modo da eludere i creditori. Di fronte al rifiuto di Tirchippide, non esita a farsi egli
stesso scolaro. Quindi si reca al pensatoio e vi incontra gli individui più strani; ad un certo
punto scorge, in una cesta sospesa per aria, il celebre filosofo Socrate: per ottenere quanto
desidera - gli dice il maestro - dovrà abbandonare i vecchi dei e affidarsi alle nuvole (il coro),
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le sole vere divinità. Esse compaiono: promettono di aiutare Lesina a divenire un oratore
imbattibile e lo affidano a Socrate. Le lezioni, tuttavia,confondono le idee al semplice
Lesina…
• Obbiettivi: Saper individuare gli elementi indispensabili per la scena.
• Saper trovare la maniera migliore per costruirli.
• Saper allestire una scena in base agli elementi a disposizione.
• Saper modificare un oggetto in base alle esigenze sceniche.
Occorrente per una semplice messinscena: un cesto molto grande, (ma anche uno
scatolone travestito da cesto va bene) alcune tuniche, una porta che può anche essere
disegnata su un cartone, alcuno strumenti astronomici, geografici, geometrici.
Ovviamente ci dovranno essere le nuvole!
LESINA - (Al colmo dell'entusiasmo): Apri, sbrígati, apri il Pensatoio,
e senza metter tempo in mezzo, fammi veder Socrate.
Muoio
dalla
voglia
di
diventar
discepolo!
Su,
apri!
(Lo Scolaro apre l'uscio, e si vede l'interno della casa di Socrate. Socrate è dentro un cesto
sospeso in aria;molti discepoli sono in atto di meditazione buffonescamenteesagerata, e
alcuni contemplano il suolo a capo chino)
LESINA - Ercole mio! Che bestie sono quelle? […] (Durante tutta la scena alcuni scolari
escono via via incuriositi a guardar Lesina)
Ma perché dunque guardano giú in terra,codesti cosí?
SCOLARO: Cercano, codesti,
cosí, le cose di sotterra!
LESINA - Ho inteso, cercano porri. - Non vi confondete
piú: lo so io dove ce n'è di grossi e di belli!
E quegli altri a capo sotto, che cosa fanno?
SCOLARO: Scrutano i misteri […]
LESINA: E che cosa contempla il sedere, volto verso il cielo?
SCOLARO: Impara per suo conto astronomia! (Si rivolge agli scolari che si sono oramai
addensati intorno a Lesina) Entrate, voi
[..]
LESINA: No, ancora, ancora no! Restino: voglio
comunicargli un affaruccio mio!
SCOLARO: Non è permesso, a questi, rimanere
troppo tempo qui fuori, all'aria aperta!
(Gli scolari entrano, seguiti da Lesina e dal suo introduttore)
LESINA (Ammira vari strumenti astronomici,geografici, geometrici, che si trovano nel
Pensatoio):
Oh santi Numi! E di', che roba è questa?
SCOLARO: Questa è l'astronomia!
LESINA: E questa?
SCOLARO: È la geometria!
LESINA: Senti! E a che serve?
SCOLARO: A misurar la terra.
LESINA: Quale? Quella da spartire?
SCOLARO: No no! Tutta la terra!
LESINA: Utile e popolare, è la pensata!
Mi garba assai, quello che dici!
SCOLARO: Questa vedi, è la pianta dell'intera terra: questa è Atene... LESINA: Che dici? Non ci
credo!
I giudici in seduta non li vedo!
SCOLARO: E questo è proprio il territorio attico.
LESINA: E i Cicinnesi, borghigiani miei, dove sono?
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SCOLARO: Son qui. Vedi l'Eubèa
che si distende per sí lungo tratto?
LESINA: […] E dov'è Sparta?
SCOLARO (Cercando un po'): Dov'è?... Eccola qui!
LESINA: Quanto è vicina a noialtri!
Bisogna allontanarla d'un buon pezzo! Pensateci sul serio!
SCOLARO: Perdio, mica è possibile!
LESINA […] (Leva gli occhi e vede Socrate sospeso in aria)
Ma dimmi, chi è quell'uomo dentro a quel corbello
sospeso?
SCOLARO: È lui!
LESINA: Chi lui?
SCOLARO: Socrate!
LESINA: Ehi, Socrate!
(Socrate non risponde: Lesina si volge allo Scolaro)
Da bravo, amico, chiamamelo tu!
SCOLARO: Chiàmatelo da te: io non ho tempo! (Se ne va)
LESINA: Ehi, Socrate! Ehi, Socratuccio!
SOCRATE (Riscuotendosi dalla profonda meditazione):
A che, mortal, m'appelli?
LESINA - Dimmi prima che fai, fammi il piacere!
SOCRATE - Per l'ètra movo, e il sol dall'alto io guardo!
LESINA - E stando in terra, i Numi non li puoi
guardar dall'alto? Ci vuole il corbello?
SOCRATE: I celesti fenomeni scrutare
giammai potrei dirittamente, senza tener sospesa la mie mente, […]
Se dalla terra investigassi, di giú le cose di lassú, non mai
le scoprirei; poiché la terra a forza
attira a sé l'umore dell'idea.
Anche il crescione ha la virtú medesima!
LESINA - (Sbalordito) Che dici?
L'idea tira l'umore nel crescione?
Andiamo, Socratino, vieni giú
qui da me, senti perché son venuto.
SOCRATE - (Discende) A che venisti?
LESINA - Ad imparare l'arte di discorrere.
Frutti e creditori assassini mi tirano, mi straziano,
e la mia roba va sotto sequestro.
(Tutti i drammi di Aristofane sono uno specchio deformato (per esigenze comiche) della società
del suo tempo. Una società a due facce, fra loro contrastanti: la campagna e la polis ateniese.
Mentre la civiltà contadina è legata ad antiche leggi e ad antichi modi di pensare, quella cittadina
è un’officina di nuove idee ed è proiettata al futuro. Questi due lati della stessa medaglia sono
Lesina e Socrate. L’uno è un contadino tenacemente legato alle idee conservatrici, l’altro è il
perfetto esponente del pensiero laico e dei tempi nuovi).
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9 - DIALOGO
Da “Aspettando Godot” di Samuel Bechett
Occorrente: la sagoma di un albero
Ecco un quadro dal primo atto di Aspettando Godot in cui Estragone e Vladimiro si
scambiano alcune battute centrate sul motivo ricorrente del testo: l’attesa di Godot.
ESTRAGONE - (Ritorna al centro della scena e guarda verso il fondo) Luogo incantevole.
(Si volta, avanza fino alla ribalta, guarda verso il pubblico) Panorami ridenti. (Si volta verso
Vladimiro) Andiamocene.
VLADIMIRO - Non si può.
ESTRAGONE - Perché?
VLADIMIRO -.Stiamo aspettando Godot.
ESTRAGONE - Già, è vero. (Pausa) Sei sicuro che sia qui?
VLADIMIRO - Cosa?
ESTRAGONE - Che lo dobbiamo aspettare.
Vladimiro -Ha detto davanti all’albero. (Guardano l’albero) Ne vedi altri?
ESTRAGONE - Che albero è?
VLADIMIRO - Un salice, sembrerebbe.
ESTRAGONE - E le foglie dove sono?
VLADIMIRO - Dev’essere morto.
ESTRAGONE - Finito di piangere.
VLADIMIRO - A meno che non sia la stagione giusta.
ESTRAGONE - A me sembra piuttosto un cespuglio.
VLADIMIRO - Un arbusto.
ESTRAGONE - Un cespuglio.
VLADIMIRO - Un... (S’interrompe) Cosa vorresti insinuare? Che ci siamo sbagliati di posto?
ESTRAGONE - Dovrebbe essere già qui.
VLADIMIRO - Non ha detto che verrà di sicuro.
ESTRAGONE - E se non viene?
VLADIMIRO - Torneremo domani.
ESTRAGONE - E magari dopodomani.
VLADIMIRO - Forse.
ESTRAGONE - E così di seguito.
VLADIMIRO - Insomma...
ESTRAGONE - Finché non verrà.
VLADIMIRO - Sei spietato.
ESTRAGONE - Siamo già venuti ieri.
VLADIMIRO - Ah no! Qui ti sbagli.
ESTRAGONE - Cosa abbiamo fatto ieri?
VLADIMIRO - Cosa abbiamo fatto ieri?
ESTRAGONE - Sì.
VLADIMIRO - Be’... (Arrabbiandosi) Per seminare il dubbio sei un campione.
ESTRAGONE - Io dico che eravamo qui.
VLADIMIRO - (Occhiata circolare) Forse il posto ti sembra familiare?
ESTRAGONE - Non dico questo.
VLADIMIRO - E allora?
ESTRAGONE - Ma non vuol dire.
VLADIMIRO - Però, però... Quell’albero... (voltandosi verso il pubblico) quella torbiera.
ESTRAGONE - Sei sicuro che era stasera?
VLADIMIRO - Cosa?
ESTRAGONE - Che bisognava aspettarlo?
VLADIMIRO - Ha detto sabato. (Pausa). Mi pare.
ESTRAGONE - Ti pare.
VLADIMIRO - Devo aver preso nota. Si fruga in tutte le tasche, strapiene di cianfrusaglie.
VLADIMIRO - Ma quale sabato? E poi, è sabato oggi? Non sarà piuttosto domenica?
(Pausa) O lunedì? (Pausa) O venerdì?
10 - DIALOGO E MONOLOGO
Da “La cantatrice calva” di Ionesco
Scena Quarta (occorrente: due sedie)
SIGNOR MARTIN - Mi scusi, signora, non vorrei sbagliare, ma mi pare di averla già
incontrata da qualche parte.
SIGNORA MARTIN - Anche a me , signore, pare di averla incontrata da qualche parte.
SIGNOR MARTIN - Non l’avrò, signora, per caso intravista a Manchester?
SIGNORA MARTIN - Potrebbe darsi. Io sono nativa di Manchester! Tuttavia non ricordo
bene, signore; non potrei dire se è lì che l'ho vista, o no!
SIGNOR MARTIN - Dio mio, è veramente curioso!...Sta di fatto che io, signora , ho lasciato
Manchester circa cinque settimane fa.
SIGNORA MARTIN - Veramente curioso! Bizzarra coincidenza! Anch'io, signore ho lasciato
Manchester circa cinque settimane fa.
SIGNOR MARTIN - Io ho preso il treno delle otto e mezzo del mattino, quello che arriva a
Londra a un quarto alle cinque, signora.
SIGNORA MARTIN Veramente curioso, veramente bizzarro! Incredibile coincidenza! Io ho
preso lo stesso treno, signore!
SIGNOR MARTIN - Dio mio, veramente curioso! Non potrebbe darsi allora, signora, che io
l'abbia vista in treno?
SIGNORA MARTIN - È possibile, verosimile e plausibile, e dopo tutto, perché no?...Io però
non me ne ricordo, signore!
SIGNOR MARTIN - Io viaggiavo in seconda classe, signora. In Inghilterra non esiste
seconda classe, ma io viaggiavo ugualmente in seconda classe.
SIGNORA MARTIN - Veramente bizzarro! Veramente curioso! Incredibile circostanza!
Anch'io viaggiavo in seconda classe!
SIGNOR MARTIN - Veramente curioso! Noi possiamo benissimo esserci incontrati in
seconda classe, cara signora!
SIGNORA MARTIN - La cosa è possibile e persino verosimile. Ma io non ne ho un ricordo
chiaro, caro signore!
SIGNOR MARTIN - Il mio posto era nel vagone numero otto, sesto scompartimento,
signora!
SIGNORA MARTIN - Curioso! Anche il mio posto era nel vagone numero otto, sesto
scompartimento, caro signore!
SIGNOR MARTIN - Veramente curiosa questa coincidenza! Non potrebbe darsi, cara
signora che noi ci siamo incontrati nel sesto scompartimento?
SIGNORA MARTIN - Dopo tutto, è estremamente possibile! Io però non me ne ricordo, caro
signore.
SIGNOR MARTIN - A dire il vero, cara signora, non me ne ricordo neppure io, ciò non toglie
però che possiamo esserci visti proprio lì: anzi più ci penso, più la cosa mi pare possibile.
SIGNORA MARTIN - Oh! Certamente, signore, certamente.
SIGNOR MARTIN - Com’è curioso... Io avevo il posto numero tre, vicino alla finestra, cara
signora.
SIGNORA MARTIN - Oh, mio Dio, com’è curioso e com’è bizzarro: io avevo il posto numero sei,
vicino alla finestra, in faccia a lei, caro signore!
SIGNOR MARTIN - Oh, mio Dio, che curiosa coincidenza! Noi eravamo dunque faccia a
faccia, cara signora. E' certamente lì che ci siamo visti!
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SIGNORA MARTIN - Veramente curioso! La cosa è possibile, ma io non me ne ricordo,
caro signore!
SIGNOR MARTIN - A vero dire, cara signora, non me ne ricordo neppure io. Tuttavia è
possibilissimo che noi ci siamo visti in quell'occasione.
SIGNORA MARTIN - E' vero, ma non ne sono completamente sicura.
SIGNOR MARTIN - Non è lei, cara signora, la signora che mi ha pregato di metterle la
valigia sulla reticella e che dopo mi ha ringraziato e permesso di fumare?
SIGNORA MARTIN -Ma sì, dovrei proprio essere io, signore! Com’è curiosa,
curiosissimamente curiosa questa coincidenza!
SIGNOR MARTIN Che curiosa e bizzarra coincidenza! Non le pare, signora, che noi
potremmo esserci conosciuti in quel momento?
SIGNORA MARTIN - Oh! E' certamente una curiosa circostanza.E' possibile, caro signore!
Tuttavia non credo di ricordarmene.
SIGNOR MARTIN - Neppure io, signora.
Un momento di silenzio. La pendola suona due colpi, poi un colpo.
SIGNOR MARTIN - Dal mio arrivo a Londra io abito in via Bronfield, cara signora.
SIGNORA MARTIN - Quant’è curioso, quant’è bizzarro! Anch'io dal mio arrivo a Londra abito
in via Bronfield, caro signore.
SIGNOR MARTIN - Curioso! Ma allora, allora noi possiamo esserci incontrati in Via
Bronfield, cara signora.
SIGNORA MARTIN - Oh, quant’è curioso e quant’è bizzarro tutto ciò! È davvero possibile, se ci si
pensa, ma io non me ne ricordo, caro signore.
SIGNOR MARTIN - Io abito al numero 19 , cara signora.
SIGNORA MARTIN - Com’è curioso! Anch'io abito al numero 19, caro signore.
SIGNOR MARTIN - Ma allora, allora, allora, allora che ne direbbe, cara signora, se ci
fossimo incontrati in quella casa?
SIGNORA MARTIN - E' possibile, ma io non me ne ricordo, caro signore.
SIGNOR MARTIN - Il mio appartamento è al quinto piano, il numero 8, cara signora.
SIGNORA MARTIN - Oh! Com’è curiosa, com’è bizzarra, Dio mio, questa coincidenza!
Anch'io abito al quinto piano, nell'appartamento numero 8, caro signore!
SIGNOR MARTIN - (sognante) Curiosa, curiosissima, incredibilmente curiosa circostanza! Nella
camera c’è un letto. Il letto è coperto da un piumino verde. Questa camera, con il suo letto e il
suo piumino verde si trova in fondo al corridoio tra il water e la biblioteca, cara signora.
SIGNORA MARTIN - Quale coincidenza, gran Dio, quale coincidenza! La mia camera da letto ha
un letto con un piumino verde e si trova in fondo al corridoio tra la biblioteca, caro signore, e il
water!
SIGNOR MARTIN - Quant’è bizzarro, curioso e strano! Mi lasci dunque dire, cara signora,
che noi abitiamo nella medesima camera e che dormiamo nello stesso letto, cara signora.
E' forse lì che ci siamo incontrati!
SIGNORA MARTIN - Oh! La curiosa coincidenza! E' veramente possibile che sia lì che ci
siamo incontrati e potrebbe persino darsi la scorsa notte. Ma io non me ne ricordo, caro
signore!
SIGNOR MARTIN - Io ho una figlioletta e questa figlioletta abita con me, cara signora. Essa
ha due anni ed è bionda, ha un occhio bianco e uno rosso, è molto graziosa e si chiama Alice,
cara signora.
SIGNORA MARTIN - Bizzarra coincidenza! Anch'io ho una
figlioletta, essa pure ha due anni, un occhio bianco e uno rosso, è molto graziosa e si
chiama Alice, caro signore!
SIGNOR MARTIN - (sempre con voce strascicata e monotona) Curiosa e bizzarra
coincidenza! Forse è la stessa, cara signora!
SIGNORA MARTIN - Curiosissimo! E' davvero possibile, caro signore.
Lungo silenzio... La pendola batte ventinove colpi.
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SIGNOR MARTIN - (dopo aver lungamente riflettuto, si alza lentamente e senza fretta si
dirige verso la signora Martin, la quale, stupita dall'aria solenne del marito, si è alzata pure
lei, molto tranquillamente; il signor Martin con la solita voce fiacca, vagamente cantante)
Allora cara signora, io credo che non vi siano più dubbi, noi ci siamo già visti e lei è la mia
legittima sposa... Elisabetta ti ho ritrovata!
La signora Martin si avvicina al signor Martin senza affrettarsi. Si abbracciano senza
espressione. La pendola batte un colpo molto forte. Il colpo dev'essere forte da far
sussultare gli spettatori. I coniugi Martin non lo odono.
SIGNORA MARTIN - Donald, sei tu, darling!
Si mettono a sedere sulla medesima poltrona, si tengono stretti e si addormentano. La
pendola batte ancora parecchie volte. Mary in punta di piedi, un dito sulle labbra, entra
cautamente in scena e si rivolge al pubblico
SCENA QUINTA Gli stessi più Mary.
MARY - Elisabetta e Donald, adesso, sono troppo felici per potermi udire. Posso dunque
rivelarvi un segreto... Elisabetta non è Elisabetta e Donald non è Donald. Eccone la prova: la
bambina di cui parla Donald non è la figlia di Elisabetta, non si tratta della stessa persona. La
figlia di Donald ha un occhio bianco e uno rosso, precisamente come la figlia di Elisabetta.
Tuttavia, mentre la figlia di Donald ha l'occhio bianco a destra e l'occhio rosso a sinistra, la figlia
di Elisabetta ha l'occhio rosso a destra e l'occhio bianco a sinistra! Di conseguenza tutto il
ragionamento di Donald crolla urtando contro quest'ultimo ostacolo che annulla tutta la sua
teoria. Nonostante le coincidenze straordinarie che potrebbero sembrare argomenti decisivi,
Donald ed Elisabetta, non essendo genitori della medesima creatura, non sono Donald ed
Elisabetta. Ha un bel credere, lui, di essere Donald; ha un bel credere, lei, di essere Elisabetta.
Ha un bel credere lui, che lei sia Elisabetta. Ha un bel credere, lei, che lui sia Donald: essi si
ingannano amaramente. Ma chi è allora il vero Donald? Qual'è la vera Elisabetta? Chi mai ha
interesse a far durare questa confusione? Io non ne so nulla. Non sforziamoci di saperlo.
Lasciamo le cose come stanno. (fa qualche passo verso la porta, poi torna indietro e si rivolge al
pubblico)
Il mio vero nome è Sherlok Holmes. (Esce).
11 - SCENA DI GRUPPO ED EPILOGO
Dal “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare
Atto V, Scena I (Cotogno, Soppunto, Balla, Sfiato, Stagnola, Puck)
PROLOGO (Cotogno) - Da questo spettacolo imparerete
un subisso di cose che già sapete.
Quello è il giovane Piramo, se volete saperlo
e quell’altro è la leggiadra Tisbi. Quell’altro lì,
impiastricciato da muro è il Muro.
Questo qui è il Chiaro di luna.
L’irsuta belva, che di nome farebbe leone,
mette in fuga la Tisbi.
A lei che fugge cade di dosso il mantello
che il vile leone macchia con la sua bocca
sporca di sangue.
Ma ecco che arriva Piramo
e trova lì, per terra il mantello ucciso. Con molto
coraggio si uccide anche lui.
Dopo di poi, si ammazza anche Tisbi.
MURO (Soppunto) - Succede che io, il sarto nominato Soppunto, non so se rendo
l’idea, rappresento qui un muro. Questa calce, l’intonaco e la pietra parlano chiaro,
che quel muro sono io.
Di qui e di qua c’è la fessura dove Piramo e Tisbi si parlano.
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PIRAMO (Balla) - O notte torva. O notte color così nero
notte che sei sempre dove il giorno non c’è, notte, notte!
Ahimè, ahimè, ahimè!
Ah, tu bel muro, mostrami la fessura che io vi metta lo sguardo degli occhi. (Il muro
apre le dita)
PIRAMO - Grazie!
MURO - Prego. (entra Tisbe)
TISBE (Sfiato) - O muro! Quante volte hai udito i gemiti miei di me infelice. Perché è
così separato da me il mio adorato Piramo. Le mie labbra di ciliegia hanno spesso
baciato le tue pietre, le tue pietre piene di calcinacci.
PIRAMO - Qual voce vedo?
TISBE - Amore! Sei tu?
PIRAMO - Oh, baciami attraverso il vile muro!
TISBE - Io bacio il muro, non le tue labbra! (escono)
MURO - Io avrei finito di fare il muro, posso anche tornare a casa. (esce).
LEONE (Stagnola) - (entrando insieme a Chiaro di Luna) Voi dame gentilissime,
potreste sentire la pelle d’oca e il cuore battere all’impazzata, al ruggito pauroso del
leone infuriato che vedete qui. Allora sappiate che io sono Stagnola il calderaio.
CHIARO DI LUNA (Cotogno) - Questa lucina è la luna. E io l’uomo nella luna.
(rientra Tisbe)
TISBE - Ma dov’è l’amore mio?
LEONE - Aoùm! (Tisbe scappa e le cade il mantello, il leone lo morde ed esce. Entra
Piramo)
PIRAMO - Oh, rabbia! Occhi scorgete? Come esser può? Vedete no? A me folgore,
strage, tremito, gelo, morte! Spada colpiscimi. Così, così, così. Sono morto. (esce
Chiaro di luna)
PIRAMO - Morir, morir, morir, morir! Ah, ch’io moro.
TISBE - (rientra ) Dormi, amore mio?
Morto mio bene?
Piramo, sorgi! Parla! Parla! O sei muto?
Una tomba ha sopra gli occhi il mio amore?
Morti anche quegli occhi color di porro.
Spada dritta nel cuore affonda.
Moio con te. Adié, adié, adié. (rientrano tutti)
LEONE - È finita. (rivolto al pubblico) Siete contenti? (escono tutti dopo gli applausi.
Entra Puck)
PUCK È l’ora che la civetta
Lancia il suo grido.
Noi spiriti fatati
Scappiamo alle luci dell’alba
E inseguiamo
Questo buio come un sogno.
Se noi ombre
Vi abbiamo annoiato
Perché ci sia perdonato
Fate conto che
A mostrarvi paesaggi
Immaginari, da visionari
Sia stato davvero un sogno.
Da “Uno Shakespeare di troppo”(IL NOSTRO PICCOLO MONDO
anno LVI numero 1 - 2 gen./apr. 2003)
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12 - EPILOGO
Da “Come vi piace” di Shakespeare
Trama: Dopo che suo fratello Federigo gli ha usurpato il trono, il Duca, con l'aiuto di alcuni
servi fedeli, ripara nella foresta di Arden per sfuggire alla morte. Anche sua figlia Rosalinda,
innamorata dell'orfano Orlando, perseguitato dal fratello Oliviero, si vede costretta a fuggire
dalla corte e, insieme alla cugina Celia e al giullare di corte Paragone, si nasconde anche lei
nella foresta assumendo le sembianze maschili di Ganimede...
ROSALINDA: Non è costume vedere la protagonista in funzione di Epilogo, ma non è più
disdicevole che veder il protagonista in funzione di Prologo. Se è vero che il buon vino non ha
bisogno di frasca, è anche vero che una bella commedia non ha bisogno di epilogo.
Tuttavia per il buon vino si adoperano belle frasche, e le belle commedie riescono meglio con
l'aiuto di buoni epiloghi. In quale situazione mi trovo io che non sono un buon Epilogo e non
posso cattivarmi la vostra benevolenza in favore di una bella commedia? Non sono vestita come
una pezzente, quindi non mi sta bene l'accattare.
L'unico mezzo è per me quello di scongiurarvi, e comincerò dalle donne. Vi supplico dunque, o
donne, per l'amore che portate agli uomini, di gradire di questa commedia quanto di essa vi
piace, e supplico voi, o uomini, per l'amore che portate alle donne (poiché mi accorgo dal
vostro sorridere che nessuno di voi le odia) che fra voi e loro la commedia possa piacere
tutta quanta. Se fossi una donna bacerei quanti di voi abbiano una barba che mi piaccia, un
colorito che mi attragga e un alito che non mi ripugni. E son sicura che quanti hanno delle
belle barbe o un bel colorito o un buon alito, per la mia cordiale offerta, quando farò la
riverenza, mi diranno: a rivederci.
13 - COMMEDIA DELL’ARTE
Canzone della pulice (coro e voci singole)
CORO - Piglia, piglia, ammazza, ammazza,
questa pulce traditora,
Che si pasce e si sollazza
di cavarmi il sangue ogn’hora:
Piglia, piglia, ammazza, ammazza,
Questa pulce traditora.
I VOCE - Questa pulce fastidiosa
Non mi vuol lasciar posare,
Ed è tanto tediosa,
Che non posso più durare,
E ogno’hor più col suo beccare
Mi tormenta anzi m’accora.
CORO - Piglia, piglia
questa pulce.
II VOCE - Io l’ho presa, aspetta, aspetta,
Ohimè Dio la m’è scappata
Volea far la mia vendetta
S’io l’aveva trappolata,
I VOCE - Senti senti, egli è tornata,
E mi da fastidio ancora.
CORO - Piglia, piglia
questa pulce.
I VOCE .- Margherita porta un lume,
Ch’io mi voglio spulicare,
Ohimè par che mi consume
A sentirmi sì beccare,
vien via presto, e non tardare,
Dove sei in tua buon hora.
Piglia piglia
questa pulce.
II VOCE - Io son qua, che dirè voi,
Che parete sì arrabbiata,
I VOCE - Fammi lume qua se vuoi,
Ch’o son tutta ruinata,
Che le pulci m’han scannata,
Ecco il sangue che vien fuora
Piglia piglia
questa pulce.
[…]
II VOCE - Io ne ho pure ammazat’una,
E ne ho un’altra sotto l’unghia,
I VOCE - Stricca pur, né far che alcuna,
Più si arrischi di far pugna,
II VOCE - Ma per una che io ne giugna,
Le migliara saltan fuora.
Piglia piglia
questa pulce.
I VOCE - Vammi porta qua un catino
Con dell’acqua figlia cara,
Né mi star troppo vicino,
Ch’io ne ho qua le centinara,
II VOCE - Piglia, piglia, para, para,
So che ogn’una ben lavora.
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Piglia piglia
questa pulce.
II VOCE - Madre mia non vi movete,
Che io n’ho tre sotto sto dito,
Ohimè Dio quante n’avete,
O che esercito infinito,
Ci bisogna altro partito,
A voler ch’ognuna mora,
Piglia piglia
questa pulce.
I VOCE - Volta pur il lume un poco,
Ch’io n’ho qui uno squadron grosso,
Non mi piace questo gioco,
Che mi saltan tutte addosso,
Tal che qua star più non posso
Che ciascuna mi divora.
Piglia piglia
questa pulce.
[…]
II VOCE - Non lo voglio più appizzare,
Ch’io vo girmene a dormire,
I VOCE - Vallo impizza e non tardare:
Non mi far hor più instizzare,
II VOCE - Non mi fate voi più dire,
Ch’io vo a letto sempre a st’hora.
Piglia piglia
questa pulce.
I VOCE - Margherita torna qua,
E non far più che t’aspetti,
ch’alla fè s’io vengo là,
Ti darò di bon buffetti,
Perché par che ti diletti,
Farmi in barca andar ognora.
Piglia piglia
questa pulce.
[…]
II VOCE - Madre mia parmi ch’io veggia,
Se ben miro con quest’occhio,
Una cosa che passeggia,
State ferma che io l’adocchio.
Ecco qua che gli è un pedocchio,
Che qua dietro fa dimora.
Piglia piglia
questa pulce.
I VOCE - Un pedocchio ohimè meschina,
Con chi sono io conversata,
Certo fu la Sabatina,
Che con me stette assettata,
S’una banca o sventurata,
L’altro giorno più di un’hora.
Piglia piglia
questa pulce. […]
20
14 - IL MAESTRO DI FILOSOFIA
Da “Il borghese gentiluomo” di J. B. P. Molière
Occorrente: una vestaglia e una parrucca per il borghese; una parrucca, un costume
seicentesco e qualche libro per il maestro di Filosofia, un tavolo e due sedie ricoperte con
qualche drappo (vanno benissimo anche pezzi di vecchie coperte damascate)
Scena IV Maestro di filosofia, Jourdain.
[…]
MAESTRO DI FILOSOFIA […] Che volete imparare?
JOURDAIN - Tutto quel che potrò, perché ho una voglia matta di diventare sapiente.[…]
MAESTRO DI FILOSOFIA - Sentimento giusto: Nam sine doctrina vita est quasi mortis
imago. Voi capite, vero? E sapete senza dubbio il latino?
JOURDAIN - Sì... ma fate come se non lo sapessi, spiegatemi cosa vuol dire.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Vuol dire che senza il sapere, la vita è quasi un'immagine della
morte.
JOURDAIN - Ha ragione, quel latino lì.
[…]
MAESTRO DI FILOSOFIA - Da dove preferite che cominciamo?
[…]
MAESTRO DI FILOSOFIA - Volete studiare la morale?
JOURDAIN - La morale?
MAESTRO DI FILOSOFIA - Sì .
JOURDAIN - E cosa dice, questa morale?
MAESTRO DI FILOSOFIA - Tratta della felicità, insegna agli uomini come moderare le
proprie passioni e...
JOURDAIN - No, niente di questa roba. Io sono bilioso come mille diavoli; e non c'è morale
che tenga: voglio montar su tutte le furie, quando mi pare.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Volete, forse, imparar la fisica?
JOURDAIN - E che racconta questa fisica?
MAESTRO DI FILOSOFIA - È la scienza che spiega i principi delle cose naturali e le proprietà
d'ogni corpo; che tratta della natura degli elementi, dei metalli, dei minerali, delle pietre, delle
piante e degli animali, e ci insegna quali origini hanno meteore, arcobaleni, fuochi fatui, comete,
lampi, tuoni, fulmini, pioggia, neve, grandine, venti e tempesta...
JOURDAIN - No, c'è troppo fracasso là dentro, troppa confusione.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Che volete allora vi insegni?
JOURDAIN - Insegnatemi l'ortografia.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Molto volentieri.
JOURDAIN - Dopo, mi spiegherete l'almanacco, per sapere quando c'è la luna e quando
non c'è.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Sia. Per orientarsi a trattare questa materia da filosofo, bisogna
cominciare, secondo l'ordine delle cose, da un'esatta conoscenza della natura delle lettere
dell'alfabeto, e delle differenti maniere di pronunciare ciascuna di esse. In quanto a ciò, vi
debbo dire, che le lettere sono divise in vocali - dette così perché esprimono le voci - e in
consonanti, così chiamate perché suonano insieme con le vocali, e indicano le diverse
articolazioni della voce. Le vocali sono cinque: A, E, I, O, U.
JOURDAIN - Fin qua capisco tutto.
MAESTRO DI FILOSOFIA - La vocale A si forma aprendo bene la bocca: A.
JOURDAIN - A, A. È vero!
MAESTRO DI FILOSOFIA - La vocale E si forma avvicinando la mascella inferiore a quella
superiore: A, E.
JOURDAIN - A, E, A, E. In fede mia! Sì! Ah, che stupenda cosa!
MAESTRO DI FILOSOFIA - E la vocale I, avvicinando ancor più le mascelle fra loro, e
allontanando gli angoli della bocca verso le orecchie: A, E, I.
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JOURDAIN - A, E, I, I, I, I. È verissimo, viva la scienza!
MAESTRO DI FILOSOFIA - La vocale O si forma riaprendo le mascelle, e restringendo le
labbra ai due angoli della bocca: O.
JOURDAIN - O, O. Niente di più esatto! A, E, I, O, I, O. È meraviglioso! I, O, I, O.
MAESTRO DI FILOSOFIA - L'apertura della bocca fa proprio una specie di piccolo cerchio
che rappresenta una O.
JOURDAIN - O, O, O. Avete ragione. O. Ah! che bella cosa, saper qualcosa!
MAESTRO DI FILOSOFIA - La vocale U si forma avvicinando i denti, ma senza farli toccare,
e sporgendo le labbra in fuori, avvicinandole l'una all'altra, ma senza chiuderle: U.
JOURDAIN - U, U. Non c'è nulla di più vero: U.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Le vostre labbra non si allungano come se faceste il muso?
Difatti se volete far uno sberleffo a qualcuno o prenderlo in giro, basta gli facciate: U.
JOURDAIN - U, U. Ma è vero. Ah, perché non ho studiato prima, per imparare tutto questo?
MAESTRO DI FILOSOFIA - Domani, vedremo le altre lettere, cioè le consonanti.
JOURDAIN - E ci sono cose curiose quanto queste?
MAESTRO DI FILOSOFIA - Senza dubbio. La consonante D, per esempio, si pronuncia
battendo la punta della lingua sui denti superiori: DA.
JOURDAIN - DA, DA. Proprio così! Ah! Che belle cose! Che belle cose!
MAESTRO DI FILOSOFIA - La F, poggiando i denti superiori sul labbro di sotto: FA.
JOURDAIN - FA, FA. Esattissimo. Oh! babbo e mamma, non potrò mai perdonarvi!
MAESTRO DI FILOSOFIA - E la R, portando la punta della lingua fino al palato, in modo che
la lingua, spinta dall'aria che esce con forza, ceda e ritorni sempre allo stesso punto,
producendo una specie di tremolio: R, RA.
JOURDAIN - R, R, RA; R, R, R, R, R, RA. Anche questo è vero. Ah! Che uomo sapiente voi
siete! E quanto tempo ho perduto io! R,
R, R, RA.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Vi spiegherò a fondo tutte queste curiosità.
JOURDAIN - Ci conto. Inoltre devo farvi una confidenza. Sono innamorato di una dama
dell'aristocrazia, e desidererei che mi
aiutaste a scriverle qualcosa in un bigliettino che le lascerò cadere ai piedi.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Benissimo.
JOURDAIN - Qualcosa di galante, naturalmente.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Certo. Volete scriverle qualche verso?
JOURDAIN - No, no; niente versi.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Soltanto prosa?
JOURDAIN - No, non voglio né prosa né versi.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Bisogna pur che sia in uno dei due modi.
JOURDAIN - Perché?
MAESTRO DI FILOSOFIA - Per il motivo, signore, che per esprimerci possediamo soltanto la
prosa o i versi.
JOURDAIN - Soltanto la prosa e i versi?
MAESTRO DI FILOSOFIA - Proprio così: tutto ciò che non è in prosa è in versi; e tutto ciò
che non è in versi è in prosa.
JOURDAIN - E quando si parla, che cosa è?
MAESTRO DI FILOSOFIA - Prosa.
JOURDAIN - Come? quando dico: «Nicoletta, portami le pantofole, e dammi il berretto da
notte», è prosa?
MAESTRO DI FILOSOFIA - Sì, signore.
JOURDAIN - Per tutti i diavoli! Sono più di quarant'anni che parlo in prosa. Vi sono molto grato
di avermi informato. Vorrei allora scrivere nel biglietto: «Bella marchesa, i vostri begli occhi mi
fanno morir d'amore»; ma desidererei fosse scritto con galanteria, con eleganza.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Aggiungete allora che il fuoco dei suoi occhi riduce il vostro
cuore in cenere; che soffrite giorno e notte per lei le violenze d'un...
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JOURDAIN - No, no e no, niente di tutto questo; voglio soltanto quello che ho detto: «Bella
marchesa, i vostri begli occhi mi fanno morir d'amore».
MAESTRO DI FILOSOFIA - Bisogna pur aggiungervi qualche frase affettuosa...
JOURDAIN - Vi dico di no; nel biglietto voglio scriverle soltanto le parole che ho dette poco
fa, ma espresse per benino, secondo la
moda. Su, vi prego di ripetermele un po', per vedere i diversi modi in cui si possono disporre.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Anzitutto come avete detto voi: «Bella marchesa, i vostri begli
occhi mi fanno morir d'amore». Oppure: «D'amore morir mi fanno, bella marchesa, i vostri
begli occhi». Oppure: «I vostri occhi belli d'amore mi fanno, bella marchesa, morire».
Oppure: «Morire i vostri begli occhi, bella marchesa, d'amor mi fanno». Oppure: «Mi fanno i
vostri begli occhi morire,
bella marchesa, d'amore».JOURDAIN
Ma di tutti questi modi, qual è il migliore?
MAESTRO DI FILOSOFIA - Quello che avete detto voi «Bella marchesa, i vostri begli occhi
mi fanno morir d'amore».
JOURDAIN - Eppure io non ho studiato, e questa frase l'ho creata così, di primo acchito. Vi
ringrazio moltissimo; e tornate, vi prego,
domattina presto.
MAESTRO DI FILOSOFIA - Non mancherò. (Esce)
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15 - LA LEZIONE
Dramma comico di Ionesco
Occorrente:due sedie, un tavolino, qualche libro
[…] Professore - …Ogni lingua non è insomma che un linguaggio,vale a dire che
essa si compone di suoni, o…
Allieva - Fonemi…
Professore - Mi ha tolto la parola di bocca. Non sfoggi però il suo sapere. Ascolti,
piuttosto.
Allieva - Bene, professore. Sì, professore.
Professore - I suoni, signorina, devono essere acchiappati al volo per le ali, affinché
non cadano nelle orecchie dei sordi. Di conseguenza, quando lei decide di articolare,
è consigliabile, nella misura del possibile, di alzare al massimo il collo e il mento, di
sollevarsi sulla punta dei piedi, guardi, così, vede?…
Allieva - Sì, professore.
Professore - Stia zitta, lei. Resti seduta, non mi interrompa… E di emettere i suoni
a voce ben alta e con tutta la forza dei polmoni, associata a quella delle corde
vocali. […]Così facendo, i suoni gonfi d’aria calda più leggera dell’aria circostante
volteggiano, volteggiano senza più correre il rischio di cadere nelle orecchie dei
sordi […]
(L’allieva assume improvvisamente un’aria sofferente) Che cosa le succede
adesso?
Allieva - Ho mal di denti, professore.
Professore - Non importa. Per così poco non ci fermeremo. Proseguiamo.
Allieva - (che ha l’aria di soffrire sempre di più) Sì, professore.
Professore - Richiamo di sfuggita la sua attenzione sulle consonanti che cambiano
natura negli incontri. Le F diventano in questi casidelle V, le D delle T, le G delle K
e viceversa […] Così, tutti i vocaboli di tutte le lingue…
Allieva - Ah, sì… Ho mal di denti
Professore - Proseguiamo…sono sempre uguali, come tutte le desinenze, tutti i
prefissi, tutti i suffissi, tutte le radici…
Allieva - Le radici delle parole sono quadrate?
Professore - Quadrate o cubiche. A seconda.
Allieva - Ho mal di denti.
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16 - DOPO LO SPETTACOLO
Le varie attività proposte ( Se fossi… Le due compagnie, In camerino, Dietro le quinte) possono
dare lo spunto per una messinscena
SE FOSSI…
Obbiettivo: Sviluppare la capacità di osservazione e di critica.
Davanti a uno spettacolo teatrale, essere capaci di analizzare e di pensare ad altre possibili
forme di sviluppo dello stesso. .
Dopo aver assistito ad uno spettacolo teatrale, è interessante scambiarsi opinioni su quello
che lo spettacolo ci ha trasmesso e porsi le domande:
1) Se fossi il regista quali soluzioni registiche avrei trovato?
2) Se fossi l’attore (o l’attrice) come avrei recitato quel pezzo?
3) Se fossi il costumista, il tecnico delle luci, il fonico ecc.
LE DUE COMPAGNIE
Due gruppi
Obbiettivi: Sviluppare lo spirito d’osservazione.
Lavorare sulle improvvisazioni che prendono lo stimolo da elementi precedentemente
osservati.
Sviluppare la capacità di osservazione e di critica.
Davanti a uno spettacolo teatrale, esser capaci di analizzare e di pensare ad altre possibili
forme di sviluppo dello stesso.
Immaginiamo di essere andati con una classe seconda o terza media una commedia. Dopo
averne discusso ci si può dividere in due gruppi. Ciascun gruppo immagina di dover allestire
lo stesso spettacolo; siamo alle ultime prove prima del debutto…
Una volta osservate le due performances, si osserveranno le soluzioni trovate da ciascun
gruppo.
IN CAMERINO
Azione singola
Obbiettivo: Elaborare processi di creazione drammatica
Ciascun ragazzo si siede di fronte ai compagni scegliendo di essere un attore dello
spettacolo appena visto.
L’attore fa le sue considerazioni ad alta voce immaginando, di essere solo, davanti allo
specchio del proprio camerino.
DIETRO LE QUINTE
Due gruppi
Obbiettivo: Stimolare l’invenzione di situazioni “fuori dalle righe”
Immaginiamo che cosa potrebbe essere successo dietro le quinte dello spettacolo appena
visto.
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17 - OPERA - AZIONE
Obbiettivi: Stimolare l’invenzione di situazioni “fuori dalle righe”
Occorrente: Un registratore, pezzi d’opera registrati, un siparietto
Alcuni cantanti lirici visti dietro le quinte mentre si svolge lo spettacolo… Ovviamente i
cantanti entrano entrare in scena, andando dietro il siparietto, quando devono cantare il loro
pezzo…L’azione dietro le quinte deve essere mimata…
La messinscena potrebbe prevedere una prima fase in cui alcuni narratori leggono la trama
del libretto mentre i cantanti mimano l’azione.
I narratore - La “Cenerentola” di Gioachino Rossini.
Atto primo. Sala nel castello cadente di Don Magnifico.
Le due figlie del barone, Clorinda e Tisbe, sono intente a soddisfare la propria vanità: l'una
prova alcuni passi di danza mentre l'altra si pavoneggia davanti allo specchio. Entrambe
sono persuase di avere un fascino irresistibile. La loro sorellastra Angelina, chiamata
Cenerentola, sta soffiando sulla brace per fare un caffè. Per tirarsi su di morale canticchia
una conzone. Le sorelle, stanche di sentirla, minacciano di picchiarla. Si sente bussare alla
porta. Cenerentola va ad aprire e fa entrare un mendicante che chiede la carità, Si tratta in
realta' di Alidoro, il saggio consigliere del principe Don Ramiro, che gira travestito di casa in
casa per mettere alla prova il carattere delle ragazze in età di marito. Clorinda e Tisbe lo
vogliono cacciar fuori ma Cenerentola gli offre di nascosto un pezzo di pane e del caffe'.
Quando Clorinda e Tisbe se ne accorgono cominciano a sgridare e a picchiare Cenerentola,
Alidoro sta per correre in suo aiuto quando entrano i cavalieri della scorta del principe. Sono
venuti ad annunciare l'arrivo del loro signore: il principe le inviterà ad un ballo nel suo
palazzo dove sceglierà la sua sposa. Clorinda e Tisbe cominciano a impartire ordini a
Cenerentola perché porti loro vestiti e gioielli e litigano in merito a chi delle due dovrà
andare a informare il padre della novità.
II narratore - Ancora mezzo addormentato, compare Don Magnifico. Rimproverate le figlie
per averlo svegliato da un sogno assai piacevole e straordinario, racconta poi loro in ogni
particolare questo sogno e lo interpreta. Le due sorelle informano il padre della visita del
principe; Don Magnifico è entusiasta della notizia e scongiura le figlie di far tutto il possibile
per conquistare il cuore del ricco principe, poi le manda ad agghindarsi. La sala e' rimasta
vuota, il principe Don Ramiro vi entra con qualche esitazione travestito da scudiero, Alidoro
gli aveva fatto capire che nella casa di Don Magnifico avrebbe trovato una fanciulla molto
saggia e leggiadra, che sarebbe stata la sposa ideale per lui: per verificare meglio avrebbe
dovuto recarsi lì sotto false spoglie. Entra Cenerentola, assorta nei propri pensieri. Rimane
così sorpresa alla vista di Ramiro che fa cadere la tazza da caffè e il piattino che stava
portando. I due provano fin dal primo istante una attrazione l'uno per l'altra. Quando Ramiro
chiede a Cenerentola chi essa sia, questa rimane cosi' imbarazzata che gli da solo una
risposta confusa. Intanto si sentono le voci di Clorinda e Tisbe che chiamano Cenerentola.
Questa spiega a Ramiro che tutti i lavori di casa pesano su di lei.
III narratore - Cenerentola si è appena allontanata quando entra Don Magnifico in abito di
gala. Ramiro lo informa che "Sua Altezza" arrivera' tra poco. Don Magnifico, eccitatissimo,
corre dalle figlie per sollecitarle. Il presunto principe, che in realtà è Dandini, il domestico di
Don Ramiro, entra accompagnato dai cavalieri della sua scorta. Questi lo esortano a
scegliere al piu' presto una sposa o altrimenti la dinastia principesca si estinguerà. Clorinda,
Tisbe e Don Magnifico sono confusi per il grande onore che il principe, con la sua visita, sta
facendo loro. Clorinda e Tisbe sono gia' convinte del loro successo. Ramiro osserva intanto
con impazienza se torna Cenerentola. Dandini spiega che, secondo la volontà espressa dal
padre prima di morire, è ora costretto a scegliersi subito una moglie, altrimenti verrà
diseredato, così ha invitato tutte le ragazze da marito a un ballo per poter far meglio la sua
scelta. Detto ciò si allontana per ritornare a palazzo. Clorinda e Tisbe lo seguono, Ramiro
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indugia nella speranza di vedere ancora una volta Cenerentola che e' andata a prendere il
cappello e il bastone per Don Magnifico.
IV narratore - In presenza di Ramiro e di Dandini, che frattanto e ritornato, Cenerentola
prega Don Magnifico di portarla anche per poco tempo al ballo. Don Magnifico la respinge
bruscamente e quando minaccia di picchiarla intervengono Ramiro e Dandini. Don Ramiro
spiega loro che la ragazza non e' altro che una sguattera che si da arie da gran signora.
Cenerentola prega Ramiro e Dandini di intercedere per lei. In quel momento entra Alidoro,
questa volta nel suo abbigliamento consueto. Ha in mano l'elenco di tutte le ragazze da
marito del vicinato. Secondo quest'elenco Don Magnifico dovrebbe avere una terza figlia:
anche lei e' invitata alla festa del principe. Ma il barone replica che le terza figlia e' morta.
Quando Cenerentola si avanza ingenuamente contraddicendolo, egli la minaccia di morte
all'istante. Tutti si avviano al palazzo del principe, solo Cenerentola
rimane in casa. Poco dopo ritorna Alidoro, nuovamente travestito da mendicante, invita
Cenerentola ad andare con lui al ballo come sua "figlia" e le assicura che da quel giorno il
suo destino cambiera' nel modo migliore possibile.
V narratore - Palazzo di Don Ramiro. Tutti vanno al banchetto. Poco dopo entrano di
soppiatto Ramiro e Dandini. Dandini fa un quadro assai poco lusinghiero delle due ragazze.
Ramiro decide di non prendere in moglie nessuna delle due sorelle. Sopraggiungono
Clorinda e Tisbe tutte e due alla ricerca del principe. Dandini fa notare loro che non potranno
sposarlo in due e propone di sposarne una lui e di dare in moglie l'altra al suo scudiero.
Entrambe le ragazze sono disgustate all'idea di sposare un uomo così volgare. Alidoro
annucia l'arrivo di una dama sconosciuta e velata. Appare allora Cenerentola in ricco
abbigliamento. Quando essa risponde al saluto della corte, Ramiro pensa di aver gia' sentito
quella voce. Su preghiera di Dandini, Cenerentola si toglie infine il velo e tutti si stupiscono
alla vista di tanta bellezza. Arriva in quel momento Don Magnifico, scorge la bella
sconosciuta e gli sembra di riconoscere in lei Cenerentola; Clorinda e Tisbe cercano pero' di
rassicurare il padre. Dandini invita tutti a tavola.
VI narratore - Atto secondo. Nel palazzo di Don ramiro. Don Magnifico e' convinto che una
sua figlia diventera' principessa, Dopo che Don Magnifico si e' allontanato, entra Don
Ramiro; riflette sulla somiglianza tra la dama sconosciuta e la ragaza modesta il cui fascino
l'aveva colpito quella mattina stessa. Si accorge che sta arrivando la bella incalzata da
Dandini che le fa la corte e si nasconde per sentire quello che dicono. Dandini è anche lui
affascinato da Cenerentola che pero' lo respinge confessandogli di amare un altro: lo
"Scudiero" di "Sua Altezza". A questo ponto Ramiro, fuori di sédalla gioia, si fa avanti,
Cenerentola aggiunge che grado e ricchezze non hanno alcuna impoportanza per lei, solo
l'amore e la vera virtù contano, tuttavia non permette a Ramiro di seguirla subito ma gli da
uno dei braccialetti che porta e gli ingiunge di cercarla la' dove vive: potra' riconoscerla dal
braccialetto gemello dell'altro che lei porta al braccio destro. Uscita Cenerentola, Don
Ramiro fa preparare subito carrozza e cavalli per mettersi senza indugio alla ricerca
dell'amata. Dandini rivela allo sconcertato Don Magnifico che tutto e' stato una finzione e
che lui non e' altro che il cameriere del principe. Il barone, indignato e offeso, dichiara di
voler chiedere subito soddisfazione dell'inganno al vero principe. Dandini gli consiglia pero'
di andarsene via subito; Don Magnifico prima protesta energicamente, ma poi non gli rimane
altro che seguire il consiglio di Dandini.
VII narratore - Sala nel castello di Don Magnifico come nel primo atto. Cenerentola ha
indossato i suoi abituali, logori vestiti e canta la sua solita, triste canzone. Sta osservando
pensierosa il breccialetto, gemello di quello dato a Ramiro quando tornano il patrigno e le
sorellastre, tutti di pessimo umore. Il loro malumore si accresce quanto constatano la
somiglianza di Cenerentola con la bella dama sconosciuta. Scoppia improvvisamente un
temporale e si sente il rumore di una carrozza che si ribalta. Dandini e Don Ramiro entrano
per chiedere riparo dalla furia degli elementi finché non sara' pronta un'altra carrozza. Don
Magnifico, che ha compreso ora chi e' il vero principe, crede che Don Ramiro sia venuto a
casa sua per chiedergli la mano di una delle sue due figlie. Anche Cenerentola riconosce
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stupefatta in Don Ramiro il vero principe e nello stesso momento quest'ultimo scorge il
braccialetto che la ragazza porta proprio sul braccio destro. Tutti rimangono confusi e stupiti.
Don Ramiro dichiara che sposerà Cenerentola.
Sala del trono, palazzo di Don Ramiro. Cenerentola, Desidera perdonare il padre e le
arroganti sorelle e chiede a Don Ramiro la grazia per loro. Dimenticata ogni sofferenza, li
abbraccia e tutti i presenti, commossi, celebrano la sua bontà.
18 - CANOVACCI
Obbiettivi: Creare canovacci teatrali collettivi.
Dal canovaccio alla messinscena.
Che cos’è un canovaccio.
Un canovaccio traccia sommariamente l'azione e i personaggi di una commedia o di una
tragedia. Alcuni dialoghi, monologhi, momenti di transizione ecc., sono, in parte, già elaborati
e possono essere usati senza cambiamenti, il resto, è improvvisato. Le compagnie teatrali di
un tempo, soprattutto quelle che operavano in provincia, non usufruivano di infrastrutture
stabili e viaggiavano di paese in paese, dovevano saper accattivare il pubblico e convincerlo
ad assistere alle rappresentazioni. I canovacci permettevano di mettere in scena testi attuali
in poche ore. I canovacci permettevano di creare rapidamente nuovi testi drammatici. Inoltre
gli attori potevano attingere le battute da alcuni repertori (gli attori migliori ne avevano di
personali).
Da “ La recita” (Teatro Reims 31 maggio 1986)
Canovaccio de “Le due sorelle”
Da “La recita” (Teatro Reims 31 maggio 1986)
Petunia è innamorata di Petruccio che non ricambia questo amore per paura di
Peppenappa. Peppenappa vorrebbe dare in sposa Petunia a un suo amico vecchio e
noioso, tal Filippo. Petunia chiude Petruccio in cantina. Intanto arrivano gli zingari e insieme
a loro c’è Camelia (sorella di Petunia, rapita quando era piccola dagli zingari). Petunia si
traveste da zingara e la zingara si traveste da Petunia. Peppenappa scambia la zingara per
Petunia e la rinchiude in cantina, dove questa incontra Petruccio. Altro scambio di vesti tra
Petruccio e Petunia. Peppenappa prende Petruccio per Petunia (occorre coprire Petruccio
con un velo). Quando sono pronti i preparativi per le nozze, si scopre che la sposa è
Petruccio. Arriva Petunia pronta a scappare con Petruccio e trova la zingara. Qui la zingara
e Petunia scoprono di essere sorelle. Il padre, felice di aver ritrovato la figlia scomparsa, dà il
permesso a Petruccio di sposare Petunia. Gran festa finale con l’orso che balla.
Da “Trilogia dei topi trilogia dei sogni” ( IL NOSTRO PICCOLO MONDO Documentario di
Scuola-Città Pestalozzi n° 3,4,5 mag. /nov. 2004)
19 - DRAMMATURGHI
Obbiettivo:Strutturare un testo teatrale.
I fase: Vengono proposti argomenti per improvvisazioni.
II fase: Dalle improvvisazioni nasce l’idea per una scrittura drammatica. La scrittura
drammatica ha bisogno di definire personaggi, conflitto tra personaggi (che cosa succede e
perché), spazi dove svolgere l’azione, la sequenza degli avvenimenti, scelta della tecnica da
utilizzare (pantomima, espressione verbale, danza, ecc.), fissare azioni e dialoghi.
II fase: stesura di un primo copione da sperimentare, costruire scenografie, se previste,
pensare a oggetti di scena, costumi, trucchi, illuminazione.
III fase: Prove, stesura di un copione definitivo e… in scena!
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20 - “DAL NERO AL COLORATO”
Quando un testo diventa copione
(realizzato da un gruppo di ragazzi del III Biennio)
Teatro d’ombra e d’attore
Materiali occorrenti: Telo per le ombre, riflettore, gelatine colorate, alcuni elementi di
costume per gli attori, una sporta, una corona, un velo azzurro, la silhuette di un paese, la
silhuette di un bosco, una maschera da rospo.
Narratore - C’era una volta una vecchina che abitava nel bosco. Il bosco era tutto nero. La
vecchina era tutta nera.
Nessuno sapeva come si chiamasse né da dove venisse.
I Attore - Buongiorno, nonnina, come vi chiamate?
Vecchina (ombra) - Non ve lo posso dire…
II Attore - O come mai non ce lo potete dire?
Vecchina (ombra) - Se no rimarrò sempre vecchina.
I Attore - ( rivolto al secondo attore) Questa vecchina è un po’ strana!
II Attore - Poveretta, non ci sta più con la testa…
III Attore - Da dove venite?
Vecchina (ombra) - Non ve lo posso dire…
IV Attore - O come mai non ce lo potete dire?
Vecchina (ombra) - Se no non ci potrò tornare…
III Attore - È un po’ strana, questa vecchina…
IV Attore - Poveretta, non ci sta più con la testa…
V Attore - (un bambino) Ci racconti la tua storia?
Vecchina (ombra) - Non la posso raccontare.
V Attore - E come mai non la puoi raccontare?
Vecchina (ombra) - Se no la storia finisce.
Narratore - Così gli abitanti del paese vicino al bosco si abituarono a chiamarla “Vecchina
nera del bosco nero” e non le fecero più domande. Ora accadde che un giorno la vecchina
decise di andare al villaggio per fare la spesa. Prese la sua sporta e s’incamminò nel bosco
nero. In quel bosco nero era capitato un ladruncolo che era scappato dal regno vicino
perché aveva rubato niente di meno che… la corona della Principessa! Tre giorni di bosco
nero gli avevano fatto venire una fame nera!
Giovane (ombra) - Non posso andare al mercato e dire “Voglio un pezzo di pane e un
pezzo di cacio in cambio della corona!”
Narratore - Quando vide passare la vecchina con la sporta pensò “Questa vecchina andrà
al mercato! E dentro la sporta avrà qualche moneta… se riesco a prendere la sporta, sono a
cavallo!”
Il giovane si avvicinò alla vecchina
Giovane (ombra) - Buongiorno, nonnina, andate al mercato?
Vecchina (ombra) - Eh, non ve lo posso dire…
Giovane (ombra) - Perché non me lo potete dire?
Vecchina (ombra) - Perché non voglio andare al mercato, se vi dicessi che vado al mercato
ci dovrei andare davvero e non ci voglio andare davvero.
Narratore - “Questa vecchina è un po’ matta… poveretta, non le posso rubare tutta la
sporta” - pensò il giovane.
Il ladruncolo stava per andarsene quando la vecchina lo chiamò.
Vecchina (ombra) - Bel giovine, mi portate la sporta che è troppo pesa per me?
Giovane - “Se è lei che me lo chiede…”
Narratore - Il giovine prese la sporta.
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Giovane (ombra) - Le ruberò solo quello che basta per comprare un pezzo di pane e una
fetta di cacio…
Narratore - La sporta era pesantissima.
Giovane (ombra) - Accidempoli quanto pesa!
Narratore - Era così pesa, ma così pesa, che quando furono sulla sponda del lago del
bosco, il giovine perse l’equilibrio e cadde nell’acqua, lui e la sporta.
Giovane (ombra) - Aiuto, non so nuotare!
Vecchina (ombra) - Tieni stretta la sporta!
Giovane - Se tengo la sporta che è così pesa, andrò a fondo subito!
Vecchina (ombra) - Tieni stretta la sporta! Dammi retta! Non la lasciare e ti salverai! Butta la
corona e tieni la sporta!
Giovane (ombra) - Glu glu, aiu…
Narratore - Il giovine tirò fuori dalla giacca la corona che ci aveva nascosta. La sporta,
meraviglia, meraviglia! galleggiava proprio come una zattera e così il giovine riuscì ad
aggrapparsi alle erbe della riva e a tornare all’asciutto.
Giovane - Credevo proprio di affogare. Ma tu, come facevi a sapere che dentro la mia
giacca avevo la corona?
Narratore - Si guardò intorno, il bosco nero non c’era più. Anche la vecchina non c’era più.
Al suo posto, seduta su un sasso, c’era una bellissima ragazza con in testa la corona.
Giovane - E tu chi sei?
Principessa - Sono la Principessa sparita. Una strega malvagia mi aveva trasformato in una
vecchina nera nera. L’incantesimo sarebbe finito quando un giovane mi avesse riportato la
mia corona, fosse caduto nel lago, avesse preso la mia sporta. Non ho mai raccontato chi
fossi per paura che l’incantesimo non finisse mai! Grazie di avermi salvata!
I Finale - Il ladro è in realtà un rospo costretto da una strega malvagia a essere ladro. Si
trasforma in rospo e se ne va felice e contento.
II Finale - Il ladro se ne va con una lauta ricompensa e diventerà un alto funzionario del
Regno.
III Finale - Il ladro smette di fare il ladro e sposa la principessa.
IV finale - Il ladro sposa la principessa di cui è innamorato cotto e vivono felici e contenti.
Dopo aver scritto e drammatizzato questa storia per il progetto “Coloriamo” dei gruppi
espressivi interclasse del terzo biennio, anno2004 - 2005, ci venne l’idea di fare foto delle
varie scene. Ma la scuola era nel pieno della ristrutturazione, il teatro inagibile. Non
trovavamo un posto. Allora, senza perderci d’animo, scoperto che l’unico luogo oscurabile
era l’antibagno, lì, tra i lavamani e la porta, abbiamo messo riflettore e telo delle ombre, e
fatto le foto.
Un’esperienza interessante. Abbiamo fatto teatro in giardino, in palestra, nei corridoi, sulla
scala antincendio, al mercato di San’Ambrogio, sulla finestra della Vittorio Veneto, sotto il
planetario, negli scantinati delle cucine, sopra il tetto, per le scale che portano ai piani
superiori, all’ufficio delle Imposte, dentro i locali di una banca. Qualche volta ci è anche
capitato di far teatro in un vero Teatro.Dopo questa esperienza, possiamo dire di aver
inaugurato
il “Teatro da bagno”.
“Io considero il mondo per quello che è: un palcoscenico dove ognuno deve recitare
la sua parte”.
Parola di William.
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INDICE
RAPPRESENTAZIONE
1 - OGGETTO SOGGETTO
2 - METTERE IN SCENA
3 - ASSURDITÀ
4 - SOLUZIONI
5 - PROLOGHI (Plauto, Terenzio)
6 - MONOLOGO - (Sosia)
7 - L’AUTORE A CHI LEGGE (Carlo Goldoni)
8 - CHI PARLA; CHI MIMA (Aristofane)
9 - DIALOGO (Bechett)
10 - DIALOGO e MONOLOGO (Ionesco)
11 - SCENA DI GRUPPO ED EPILOGO (Shakespeare)
12 - EPILOGO (Shakespeare)
13 - COMMEDIA DELL’ARTE
14 - IL MAESTRO DI FILOSOFIA (Molière)
15 - LA LEZIONE (Ionesco)
16 - DOPO LO SPETTACOLO
17 - OPERA AZIONE
18 - CANOVACCI
19 - DRAMMARURGHI SI DIVENTA
20 - DAL NERO AL COLORATO
BIBLIOGRAFIA
IL NOSTRO PICCOLO MONDO
Documentario di Scuola-Città Pestalozzi
numero 3,4,5 mag. /nov. 2004; numero 1 - 2 gen./apr. 2003)
TEATRO E TESTO (Elena De Paolis, Rosa Maria Marini
EDITORIALE PARADIGMA
Biblioteca Università, Bologna A. V. Tab. I. N. 268/16
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera
www.traparentesi.it
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INDICAZIONI PER LA RAPPRESENTAZIONE SCENICA (10 – 14 anni)