[QUESTIONE DI FAMIGLIA/I GANDHI] DI MARCO RONCALLI A MIO NONNO run Gandhi, figlio di Manial, secondogenito del Mahatma e di Sushila, non solo porta il cognome del nonno ma, come lui, si è fatto messaggero della non violenza dopo aver sperimentato sin da piccolo il razzismo dell’apartheid in Sudafrica, dov’è nato nel 1934. Oggi ricorda che, proprio perché ossessionato da quanto gli toccava subire, già da bambino si esercitava ogni giorno per farsi crescere i muscoli. «Fu allora che i miei genitori mi portarono in India ed ebbi l’opportunità di vivere con mio nonno». Erano gli ultimi mesi del 1946: con il nonno avrebbe trascorso un anno e mezzo. Arun sarebbe tornato in Sudafrica due mesi prima dell’assassinio di Gandhi (il 30 gennaio 1948 per opera di due fanatici nazionalisti). Quindi, il rientro in India, a 24 anni: prima giornalista per il Times of India, poi fondatore del Centro per l’Unità sociale per sradicare le discriminazioni di casta con l’aiuto agli intoccabili, creando fattorie e piccole aziende tessili. Nel 1987 Arun è approdato negli Usa per ricerche sulle analogie dei pregiudizi in Usa, Sudafrica e India e sui metodi non violenti nelle relazioni umane. E qui, a Memphis (Tennessee), con i soldi ricavati dalla vendita delle lettere tra suo nonno e i suoi genitori, nel 1991 ha fondato con la moglie Sunanda il Gandhi Institute for Nonviolence (www.gandhiinstitute.org). Qual è lo scopo? «Promuovere la non violenza attraverso programmi pedagogici, conferenze, pubblicazioni, senza dimenticare l’eredità del nonno». Un’eredità tutta spirituale... «Infatti, non possedeva beni materiali. Quando fu assassinato il nonno aveva di suo un orologio, un paio d’occhiali, un libro di scritture sacre, una penna e due vestiti. Nel 1931, quando fu a Buckingham Palace dal re d’Inghilterra vestito con un dhoti corto e un mantello, gli fu chiesto come si sentisse mezzo nudo in presenza del sovrano: rispose che il re aveva vestiti sufficienti per tutti e due». Quali lezioni ha appreso da suo nonno? Ci sono episodi significativi? «La prima volta che sono andato in India avevo 6 anni ed ero con i genitori. Non ricordo molto, ero troppo piccolo. Ma ci siamo tornati quando ero dodicenne e ho trascorso 18 mesi con lui. Mi raccontò storie e insegnò cose che valgono tuttora. Molte le ho raccolte in un mio libro, Legacy of Love. Tuttavia la lezione più importante che ricordo riguarda il capire la rabbia. Diceva che la rabbia è come l’elettricità: potente e buona se usata con intelligenza, ma letale e distruttiva se ne si abusa. Quindi dobbiamo imparare a canalizzare l’energia della rabbia per usarla a beneficio degli esseri umani, anziché per distruggerli». Ma com’era la vostra relazione quotidiana di nonno e nipote? «Ogni giorno passavamo un’ora a dialogare. E questo è importante anche oggi. Il tempo per il me씮 NON VOLEVA FARMI L’AUTOGRAFO Arun Gandhi, nipote del Mahatma, e il suo rinnovato impegno come messaggero odierno della non violenza 40 NOVEMBRE 2007 CLUB3 “ ” Passavamo un’ora al giorno a dialogare. Filavamo anche il cotone e ai miei genitori scriveva che ero più bravo di lui [QUESTIONE DI FAMIGLIA/I GANDHI] 씮 stiere di genitori e nonni dobbiamo trovarlo. Il nonno stava a parlare con me dalle cinque alle sei del pomeriggio, ogni giorno. Accanto a una tavola, dialogavamo facendo anche lavori manuali come filare il cotone (simbolo anche dell’indipendenza dell’India) nei quali me la cavavo. Il nonno scriveva sempre ai miei genitori che filavo meglio di lui, ma non era vero. Mi aiutava con i compiti dimostrando così che non solo mi amava ma che per lui ero più im- portante di qualsiasi altra cosa. Oggi siamo così presi dalle nostre cose, in particolar modo dal fare soldi, da non avere più tempo per i figli e lasciare da soli i nipoti. Ogni cosa che mi raccontava aveva una morale». Per esempio? «Anche per fare una piccola matita usiamo delle risorse naturali e quando la buttiamo via stiamo buttando le risorse del mondo. E questo vuol dire fare violenza contro la natura». Nella società odierna si consumano molte risorse. Ne “ Per Gandhi la violenza aveva molte facce. Non c’era solo quella fisica ma anche quella passiva. Non solo guerre, dunque, ma anche pregiudizio e discriminazione ” 42 NOVEMBRE 2007 CLUB3 Ci spieghi un po’ meglio... «Un giorno tornavo da una lezione e avevo un mozzicone di matita. Pensavo di meritarne una nuova, e senza pensarci buttai il mozzicone nei cespugli. Poi dissi a mio nonno che mi serviva un’altra matita. Invece di darmene una nuova, mio nonno iniziò a farmi delle domande: perché era diventata piccola, perché l’avevo buttata, eccetera. Mi disse di uscire a cercarla nonostante le mie proteste perché era già buio. E lui: “Non preoccuparti, ecco la pila, vai e cerca la matita”. Passai due ore tra i cespugli. Quando riportai la vecchia matita al nonno, pensai che sarebbe stato d’accordo sul fatto che era troppo piccola. Invece mi disse di sedermi, perché mi avrebbe insegnato qualcosa da ricordare per la vita». E cioè? «Nella nostra società compriamo tutto in gran quantità, quindi consumiamo molte risorse. Ciò implica che qualcun altro nel mondo vive in povertà. È violenza contro l’umanità». Violenza? «Sì, per mio nonno la violenza aveva molte facce. Non solo la guerra o la violenza fisica lo preoccupavano, ma anche la violenza “non fisica”. Una volta mi fece disegnare un albero genealogico della violenza e mi disse: “Tu devi capire te stesso e vedere quanta violenza sei capace di fare e l’unico modo per capirlo è disegnare questo albero, dove la violenza è il nonno con due figli, uno fisico e l’altro passivo. La violenza fisica è ogni qualvolta usiamo la forza, nelle guerre, negli omicidi, negli stupri, nei pestaggi. La violenza passiva è quella che non usa la forza fisica e quindi troviamo in essa la discriminazione, l’odio, il pregiudizio, la rabbia. Tutte que- di Gesù, Buddha, Maometto. Quello che Gandhi disse a proposito degli indiani, una settimana prima di essere assassinato, anche Gesù, Buddha, o Maometto avrebbero potuto dirlo: “Mi hanno seguito in vita, mi adoreranno dopo la mia morte ma non faranno della mia causa la loro causa”. Se ci rifiutiamo di seguire i loro insegnamenti, chi possiamo biasimare per l’esistenza delle guerre?». 왎 deriva che qualcun altro nel mondo vive in povertà ste sono azioni di violenza passiva”. Noi pratichiamo la violenza passiva l’uno contro l’altro tutti i giorni, consciamente e inconsciamente, e questo genera rabbia. La vittima della violenza passiva diventa fisicamente violenta e quindi la violenza passiva causa il fuoco della violenza fisica. Se vogliamo spegnere il fuoco, dobbiamo eliminare la violenza passiva». Parla come un fiume in piena, Arun, e ricorda anche di quando il nonno, in un periodo in cui vendeva i suoi autografi a 5 dollari perché gli servivano fondi, voleva la stessa cifra per fare un autografo anche da suo nipote. «Sì. Non cedeva. Sempre a dirmi: “Niente eccezioni. Se lo vuoi mi devi pagare, ma devi anche guadagnarti i soldi e non chiederli ai genitori”. E io a ribattere: “No. Sei mio nonno e me lo devi gratis, dovessi impiegarci tutto il tempo”. E il nonno ridendo: “Va bene; vediamo chi vince”». Arun ogni giorno, anche se il nonno era in riunione con governanti britannici e politici indiani, gli metteva un libretto sotto il naso, reclamando l’autografo. «Passavano i giorni e stavo diventando troppo insistente: quindi lui mi metteva la mano sulla bocca e, calmo, continuava a parlare di politica. Dentro di me, realizzai che riusciva veramente a controllare la sua rabbia perché mi diceva in modo pacato di lasciare la stanza. Molti politici che stavano conversando con lui, si esasperavano e gli dicevano: “Perché non gli fai questo autografo?” E mio nonno rispondeva loro: “Questa è una cosa tra noi due, non metteteci becco”». Alla luce di tali insegnamenti, come spiega il propagarsi di tanta violenza? E di tante guerre? E che possono fare le religioni? «Il nonno ci insegnava lo stesso messaggio Il Mahatma Gandhi con Jawaharlal Nehru, suo erede spirituale e primo ministro indiano CLUB3 43 NOVEMBRE 2007