gli SPICCIOLI
del San Luigi
Mensile dell’Oratorio San Luigi di Lissone
Anno 2, Numero 10
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Ed eccoci al primo anniversario!
Siamo arrivati al “giro di boa” del primo anno
di attività ed alla stampa del numero 10 de
“gli Spiccioli”. Siamo abbastanza soddisfatti di
quello che abbiamo fatto finora e speriamo di
poter continuare ad esserlo anche in futuro.
Grazie ai mezzi che ci sono stati messi a disposizione dall’Oratorio, alla fantasia ed all’impegno dei nostri piccoli e grandi collaboratori,
abbiamo realizzato un prodotto che, a giudicare
dalla velocità con cui si esauriscono le copie nei
distributori, sembra piacere.
Non che sia tutto facile: ancora adesso facciamo
corse frenetiche per presentarci puntuali
all’appuntamento mensile ma, in fondo, ogni
cosa, per essere ben fatta richiede un minimo di
sacrificio...
La Redazione
Curiosando qua e là…
I riti delle… buone-notti
Adulti o bambini, conosciamo tutti la Befana: quella
simpatica vecchietta che, a cavallo di una scopa,
nella notte tra il 5 e il 6 gennaio passa di camino in
camino per lasciare ai più piccoli dolci e caramelle o,
nel peggiore dei casi, carbone.
Ma cosa c’entra la Befana con l’Epifania, che è la
festa dei Re Magi?
Innanzi tutto sembra che il nome derivi da una
storpiatura di epiphaneia (manifestazione, in greco);
frugando tra i racconti popolari abbiamo poi
scoperto che i Magi (maghi = astronomi = studiosi
dei corpi celesti), dopo aver interpretato il passaggio
di una cometa come un Segno, nel lungo cammino
verso la mangiatoia di Gesù Bambino smarrirono
l’orientamento (forse nelle ore diurne la Stella non si
riusciva a vedere bene e dato che non era ancora
stato inventato il navigatore satellitare…), per cui
chiesero indicazioni ad una vecchietta (sì, insomma:
ad una strega – ma di quelle buone e rassicuranti)
incontrata lungo la strada.
Avute le informazioni che cercavano la invitarono ad
unirsi a loro, ma la vecchia rifiutò gentilmente;
rimasta sola, però, si pentì d’essersi lasciata scappare
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l’occasione per portare anche il suo dono al
Bambinello, così preparò un cesto di dolci e si mise in
cammino, visitando le case abitate da bambini.
Regalando i suoi dolciumi ai piccoli rendeva
simbolicamente omaggio a Gesù Bambino.
Un’altra rappresentazione del dono al
Bambino, sono i tradizionali Papurott,
che a Lissone (ma
non solo! Girovagando per l’Europa abbiamo scoperto che
anche a Strasburgo si usa un dolce simile!!! Non ci
credete? Guardate la foto!) godono di grande
popolarità: questi pupazzetti, preparati con acqua,
farina, lievito, zucchero, latte e chicchi di uvetta al
posto degli occhi e dell’ombelico, venivano cotti nella
notte dell’Epifania e lasciati davanti al camino.
Abbiamo chiesto alle nonne lissonesi di spiegarci
l’origine di queste pigotte commestibili, che nella
versione moderna sono disponibili con impasto simile
a quello delle brioches o del pandoro (ma sempre
provviste dell’irrinunciabile “bamburen”), ma
nessuna ci ha saputo dare una risposta precisa.
Azzardiamo l’ipotesi che la forma sia quella di un
simbolico Gesù Bambino e invitiamo coloro che
conoscono con certezza il significato dei Papurott a
soddisfare la nostra curiosità.
Altro rito che si consuma nelle fredde notti di
gennaio è il falò di S. Antonio, che si accende la sera
del 17, giorno dedicato a S. Antonio Abate o, meglio,
S. Antonio del purcel.
- continua in seconda pagina
Per questo numero:
In redazione:
Adolescente modello T, Bad Boys, Blue Eyes, Canis
Maior, Cip & Ciop, Deca, don CBC, Fungo Velenoso,
Herbert Fanucci, Klein Wolf, Loony Moony, Ric, Tata,
Tonks.
Redattore responsabile:
Mrs. Norris
Impaginazione e grafica:
Zio Apo
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Nella cultura contadina questo Santo era considerato
il protettore del bestiame e veniva invocato per
scongiurarne le epidemie, ma il 17 gennaio era anche
l’ultimo giorno “utile” per macellare il maiale ed
ottenere salami di buona qualità, quindi il Santo è
anche il patrono dei beccai (non a caso quest’Antonio
viene raffigurato accanto ad un porcellino).
Dato che nelle immagini sacre il Santo era
rappresentato con delle fiamme (non solo quelle
necessarie alla macellazione del maiale, ma anche
quelle simboliche dello Spirito Santo!) se ne chiedeva
l’intercessione contro gli incendi (l’indaffaratissimo
Abate è il protettore dei pompieri) e quando ci si
ammalava del dolorosissimo Herpes Zoster
(popolarmente noto come “fuoco di Sant’Antonio”).
A tale proposito narra una leggenda che un nobile
francese ottenne la guarigione del figlio dopo aver
pregato a lungo il Santo e, per dimostrare la sua
riconoscenza, fondò un ospedale per curare gli
ammalati di Herpes. Dato che il grasso di maiale era
utile per alleviare il bruciore di questa infezione,
alcuni maialini avevano il permesso di scorazzare in
lungo e in largo per l’ospedale, annunciati da un
campanellino legato al collo.
Tutti questi simboli ispirarono una filastrocca che le
ragazze in età da marito recitavano nel mese di
gennaio (tradizionalmente dedicato ai matrimoni nei
secoli passati), che forse qualcuno ricorda ancora
“Sant’Antoni glurius, damm la grazia de fa ‘l murus,
damm la grazia de fall bell, Sant’Antoni del
campanell”.
Ma secondo gli studiosi, il rito del Falò ha origini
molto più antiche, riconducibili alle culture
precristiane, soprattutto quelle celtiche (ancora
loro!), fortemente legate alla terra e al susseguirsi
delle stagioni.
Noi non abbiamo voluto indagare più a lungo:
davanti al fuoco del 17 gennaio abbiamo preferito
gustare i deliziosi turtei (frittelle), che si cucinano in
memoria dei pani che si offrivano alla statua del
Santo (patrono pure dei fornai!), lasciando agli
addetti ai lavori il compito di dipanare
l’ingarbugliata matassa della storia.
Bad Boys
Quando gli ormoni fanno oh!
Qualche giorno fa ho incontrato la mia maestra delle
elementari: naturalmente la prima cosa che mi ha
detto è stata “Come sei cresciuta!” perché mi
ricordava bimbetta di quinta.
Effettivamente sono cresciuta parecchio negli ultimi
tre anni, e non solo fisicamente.
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Ho cominciato a capire concetti che prima erano
pura astrazione, ad assimilare l’importanza di alcuni
valori, cercando di adeguare ad essi il mio
comportamento; sono maturata e in me sono
affiorate nuove sensazioni, mai provate prima d’ora.
La più forte è l’attrazione verso i ragazzi. Quando ero
più piccola bambini e bambine erano un gruppo
unico, omogeneo, con il quale giocare : poi man mano
le due entità hanno cominciato a definirsi con
maggior precisione: i maschietti da una parte, le
bambine dall’altra. Misteriosi e incomprensibili gli
uni, complici e familiari le altre. Come una mela,
spaccata in due metà uguali eppure diverse.
Durante la preadolescenza, l’altra metà ha
cominciato a suscitarmi sempre maggior interesse e
curiosità, voglia di capire e conoscere meglio pensieri
ed azioni, desiderio di spenderci più tempo insieme.
L’argomento mi affascina e mi ritrovo spesso a
riflettere su come mi sento in queste situazioni.
Dentro di me avverto un groviglio di emozioni
inesprimibili.
Adesso guardo i ragazzi in una prospettiva
completamente diversa, e se uno di loro mi interessa
particolarmente, mi basta vederlo e tac! lo stomaco
comincia a far capriole, la mente si svuota… e chi si
ricorda più la lezione di storia?
Spendo ore a rodermi nell’indecisione se mandargli o
no un messaggio, e qualsiasi scelta in proposito mi
lascia scontenta, perché mi sembra quella
sbagliata…
Passo da uno stato d’animo all’altro con la velocità
di razzo interplanetario, a volte ho voglia di piangere
senza alcun motivo, mi sento triste ed euforica
contemporaneamente. Gli sbalzi d’umore sono
all’ordine del giorno e niente di ciò che fanno o
dicono i grandi mi soddisfa; un brufoletto può
gettarmi nel più profondo sconforto. Spesso mi sento
incompresa e cerco rifugio tra le amiche… che
ovviamente si trovano nelle mie identiche condizioni.
E l’indecisione che contraddistingue questa età!...
Qualsiasi azione diventa una questione di stato: come
mi vesto? meglio questo o quello? cosa rispondo se mi
chiedono così o cosà?
Quesiti banali, per i quali in altri momenti ci
sarebbero risposte semplicissime, ma che inserite nel
contesto dell’adolescenza fanno sprofondare nelle
crisi più cupe.
Per non parlare del senso di inadeguatezza che mi
sento cucito addosso, soprattutto se penso al futuro:
sono consapevole che bisogna fare scelte oculate, ma
com’è difficile! La paura di sbagliare e
compromettere ogni cosa certe volte diventa quasi da
paralisi!
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Gli adulti tendono a liquidare questi corti circuiti
definendoli l’età della stupidera, ma per noi
adolescenti sono autentiche catastrofi e non se ne può
proprio fare a meno.
Eppure, sotto sotto, mi rendo conto che nonostante
tutte queste difficoltà, l’adolescenza è un periodo
bellissimo. E’ l’entrare in mondi nuovi, è lo scoprire
se stessi in una prospettiva di continuo
cambiamento. E’ la fatica di capire e capirsi, ma
anche l’emozione e la gioia dell’esplorazione, è lo
sforzo di aprirsi, è il nuovo senso che acquista
l’amicizia, è il cercare di venirsi incontro, è il tentare
di riunire le due metà della mela, condividere ansie e
problemi, scoprire che ce la si può fare.
Forse, tra qualche anno, guarderò con indulgente
superiorità al periodo della mia adolescenza. Forse
penserò anch’io che questo è proprio l’età della
stupidera.
O, forse, chissà, avrò un pizzico di nostalgia…
Un’adolescente modello T
Un libro, un parere, ovvero: Buona lettura!
“Pappagalli Verdi – Cronache di un chirurgo di
guerra”
di Gino Strada
Non c’è bisogno di presentare Gino Strada, perché i
nostri lettori lo hanno conosciuto grazie allo “Special Guest” di giugno.
Vorrei presentare invece il
libro che ha scritto, raccogliendo pensieri e sensazioni provati durante i suoi
interventi nell’Afghanistan
tormentato dalla guerra.
Innanzitutto, che nesso
hanno i pappagalli verdi
con le cronache di un
chirurgo di guerra?
I “Pappagalli verdi” del titolo sono le mine antiuomo;
mine che hanno il preciso scopo non tanto di
uccidere, ma ferire e mutilare chi le tocca, perché in
questo modo si mette in ginocchio una famiglia, un
villaggio, una nazione: più mutilati si faranno, meno
risorse economiche avrà quella popolazione e meglio
la si potrà schiacciare e vincere.
I vecchi afgani le chiamano così, perché la loro forma
sembra quella di uccellini-giocattolo, con fragili ali
verdi, che piovono dal cielo lanciati dagli elicotteri,
suscitando la curiosità dei bambini.
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Che, raccogliendoli, se li faranno esplodere in mano o
in faccia, perdendo l’uso degli arti o della vista.
Oppure, calpestandoli mentre portano le capre al
pascolo o vanno ad attingere l’acqua al pozzo,
perderanno le gambe o addirittura la vita, se le ferite
riportare non potranno essere curate adeguatamente
e in tempo.
Non ci sono parole per commentare l’atrocità di
questa infamia, pensata e realizzata da uomini per
altri uomini. Sembra davvero impossibile che
qualcuno possa aver ideato una cosa simile, eppure…
I fatti raccontati in poco più di 150 pagine non
seguono un ordine logico preciso, perché sono un po’
come ricordi che affiorano man mano, mentre Strada
ricompone nella memoria volti e vicende delle
persone incontrate durante il suo lavoro.
Nel libro sono descritte, a volte quasi con crudezza, le
condizioni di chi si trova a convivere
quotidianamente con morte, violenza e sofferenza.
Eppure resta la voglia di leggerlo fino in fondo.
Mi ha molto colpito il modo così realistico di Strada
nel raccontare le vicende, perché ho potuto
immaginare perfettamente le condizioni del suo
mestiere e della sua vita nelle zone di guerra. Come
quella volta, ad esempio, in cui alcuni guerriglieri
sono entrati in casa sua per ripararsi dai proiettili dei
soldati che li attaccavano dal lato opposto della
strada e preparare la controffensiva, o quando si è
trovato per la prima volta davanti ad un bambino
ferito da un “pappagallo verde” e, come me, non
voleva credere a tanta malvagità.
Mi ha profondamente colpito il suo coraggio, la sua
scelta di lavorare in luoghi travagliati dalla guerra,
rischiando ogni giorno la vita, ma soprattutto il
coraggio e la dignità delle persone che ha operato e
curato, il loro modo di affrontare la sofferenza, il
desiderio di ricominciare a camminare, lavorare,
studiare, la gratitudine nel loro sguardo,
faticosamente espressa con qualche stentata parola
in inglese, o tramite interpreti di fortuna.
Anche se sono argomenti molto tristi, vale davvero la
pena di leggere questo libro, per la sua ferma e
assoluta condanna a qualsiasi tipo di guerra e per la
grande umanità che si percepisce dalla prima
all’ultima pagina.
L’umanità che si coglie dalle riflessioni del chirurgo
che, mentre opera un ragazzo ferito da una mina
antiuomo, pensa a come si sente quella persona,
immagina cosa possa aver provato quando si è resa
conto dell’esplosione, di quello che è passato per la
mente dei parenti trovandola in quelle condizioni,
della loro preoccupazione per il futuro incerto che l’
attende.
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Forse qualcuno potrà pensare che il libro sia soltanto
un modo come un altro per fare propaganda ad
Emergency.
Io credo invece che sia una grande lezione di vita e di
amore per il prossimo.
Tonks
DJ Corner - disco del mese:
“L’Aldiquà” – Samuele Bersani
“Cammino e le mie ombre mi ricordano che le mie
gambe sono storte”
(scritta di un anonimo su un muro di via Begatto a
Bologna, poi magari scoprirò che è di Bob Dylan…)
Queste sono le prime
parole che incontra chi
apre il libretto dell’ultimo album di Samuele Bersani, “L’Aldiquà”,
del 2006.
Ed è questa consapevolezza, secondo me, la
forza di questo suo
lavoro: l’autoironia e il
coraggio di prendersi poco sul serio, di sapersi
guardare con sincerità. Questa sincerità porta anche
a guardarsi intorno con un po’ più di attenzione.
“L’Aldiquà” è un’analisi precisa del nostro mondo,
quello in cui ci ritroviamo ogni giorno. Non una
società lontana, ma quella fatta dalle singole persone
che siamo noi e che abbiamo intorno.
Prima di entrare nell’Aldiquà, permettetemi però due
parole sul cantautore Samuele Bersani. Bersani è
emiliano, più precisamente di Cattolica, e non può
non iniziare la sua carriera se non presentandosi alle
prove di un concerto di un altro grande cantautore,
Lucio Dalla, portandogli alcune sue canzoni da
ascoltare. Quello fu l’inizio della sua carriera. Il suo
primo disco “C’hanno preso tutto” prometteva bene.
Lì c’era il primo brano che l’ha fatto conoscere ad un
pubblico diventato via via sempre più vasto, “Chicco
e Spillo”, la storia di due fratelli adolescenti e del loro
disagio. Si vedeva già nei suoi testi qualcosa di
profondo, l’attenzione a storie che difficilmente si
sentono raccontate in una canzone. Testi impegnati,
ma accompagnati da una musica elaborata e al
tempo stesso capace di ricordare facilmente una
filastrocca. Questo sarà uno dei suoi marchi di
fabbrica vincenti. Il successo arriva poi con la storica
“Freak”, l’album omonimo e la stralunata idea di
“esportare la piadina romagnola”.
Il successo e l’attenzione per le grandi capacità del
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cantautore continuano con il terzo album, che prende
il suo nome e che include la divertente “Coccodrilli” e
(probabilmente il capolavoro di tutta la sua carriera)
“Giudizi universali”, che verrà ripresa più tardi da
Aldo, Giovanni e Giacomo nel loro “Chiedimi se sono
felice”. Da lì in poi si sono susseguiti una serie di
riconoscimenti dedicati alla canzone d’autore, primo
fra tutti il Premio Tenco, l’“Oscar italiano” per un
cantautore. Il seguente “L’oroscopo speciale”, oltre a
contenere la bellissima “Il pescatore di asterischi”,
include anche “Replay”, brano che vince il premio
della critica a Sanremo. Poi arriva il greatest hits
“Che vita!”, che vede tra gli inediti la deliziosa “Le
mie parole”, prima collaborazione con un altro
cantautore emergente, Pacifico (che lo accompagnerà
anche nei suoi lavori successivi). Poi esce “Caramella
smog”, disco anch’esso pluripremiato, ed eccoci
arrivati all’Aldiquà.
Questo ultimo lavoro è una raccolta di dieci splendidi
ritratti di personaggi o situazioni che possono
capitare a chiunque in questo nostro mondo. Ecco i
quadri che più mi hanno colpito: “Occhiali rotti”
vorrebbe essere il testamento di Enzo Baldoni,
giornalista rapito e ucciso in Iraq; colpisce la
capacità di immedesimarsi nei momenti così delicati
ed estremi prima della morte: “… chissà se gli errori
del passato sono ancora adesso in garanzia e se mi verrà
mai perdonato il fatto che non fossi a casa mia… i miei
occhiali si son rotti ma qualcuno un giorno se li metterà
e a occhi semichiusi attraverserà posti distrutti e
silenziosi”;“La soggettiva del pollo arrosto” dipinge le
nostre paure e viene presa ad esempio per tutte
quella per l’influenza aviaria; in “Sicuro precariato” è
descritta la situazione sempre più frequente degli
insegnanti precari e con loro di tanti lavoratori che
non hanno sicurezze nel loro futuro; “Maciste”,
simbolo di tutti quei film stravisti che riempiono le
giornate televisive di chi è costretto davanti alla TV
per parecchio tempo perché è parecchio il loro tempo
libero, ossia gli anziani negli ospizi e i carcerati.
Probabilmente il ritratto più incisivo è quello de
“Lo scrutatore non votante”,
esempio di tutti coloro che
nella vita si limitano a
giudicare senza pietà tutto e
tutti, ma non hanno avuto
mai il coraggio di mettersi in
gioco e di prendere una
decisione “… prepara un
viaggio ma non parte, pulisce
casa ma non ospita, lo fa
svenire un po’ di sangue, ma
poi è per la sedia elettrica…”.
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Insomma, sono dei piccoli gioielli da ascoltare. Sono
molto belle anche “Lascia stare”, “Come due somari”
e la poeticissima “Sogni”: “… non lo sai che alcuni
sogni da sveglio non li ricordi, quando apri di colpo gli
occhi si sono già diradati, apparentemente bruciati, e
invece rimangono sospesi in un angolo insieme al
respiro notturno di chi si è alzato…”. È un poeta, o no?
Un disco tutto da ascoltare e un cantautore da
scoprire e soprattutto da leggere.
Vi lascio con un augurio particolare. Ne “Il maratoneta” parte dalla moda attuale della corsa e delle
maratone per applicare questa metafora alla vita.
Il mio augurio è però di non arrivare sul podio:
“… Complimenti al quarto in classifica, il maratoneta
in ritardo, povero atleta con i piedi in fiamme e la dignità di arrivare senza medaglia all’ultima meta.
Complimenti in quanto significa che è possibile credere
ancora a una vittoria senza corona”.
Herbet Fanucci
Cure da… cani
Ci credereste? Gli animali da compagnia possono
contribuire efficacemente a
mantenerci in buona salute
o a migliorarne il livello in
chi ha problemi psico-fisici.
È risaputo che per un bambino la cura di un animale
domestico è un importante
opportunità di crescita, perché stimola le sue
capacità e lo aiuta a responsabilizzarsi ma, a quanto
risulta da studi e sperimentazioni in corso sin dal
1981, gli animali da compagnia non fanno solo
compagnia: diventano vere e proprie “terapie” adatte
a curare problemi di vario genere, anche negli adulti.
È quella che gli americani chiamano “pet therapy”;
una nuova scienza che entra in comunità
psichiatriche, centri per anziani, scuole, case di cura
ed addirittura ospedali, portando risultati quasi
incredibili: miglioramento della socializzazione,
diminuzione della depressione, degli stati di ansia,
dell’aggressività. E sembra davvero efficace, tanto
che sempre più nazioni adottano questo singolare
sistema terapeutico.
Possibile?
Ebbene sì: la presenza di un animale migliora, dal
punto di vista psicologico, la vita dell’individuo.
E non parliamo solo dei benefici generati dal legame
affettivo in sé, ma anche di quelli scientificamente
dimostrati. La diminuzione del senso di solitudine
negli anziani, per esempio, con il conseguente
recupero della cura di se stessi, della voglia di
relazionarsi con gli altri, garantendo un piacevole
senso di sicurezza e tranquillità. Portare a passeggio
un cagnolino favorisce i rapporti interpersonali
perché offre occasioni di conversazione, ma anche lo
stimolo per “muoversi” ed uscire dalle proprie
quattro mura, confrontandosi col mondo.
In generale la presenza di un amico a
quattro zampe aumenta il buonumore e rende bendisposti nei confronti
delle piccole difficoltà quotidiane.
Senza contare che
accudire ed accarezzare un animale stabilizza e riduce
la pressione arteriosa, regolarizza il battito cardiaco e
regala un generale senso di benessere.
Nel caso di persone con particolari disabilità un
gatto, un coniglietto o un criceto possono essere la
chiave d’accesso al rapporto con i terapisti, mentre
l’ippoterapia contribuisce al miglioramento delle
funzioni fisiche e emotive/cognitive.
I risultati più entusiasmanti si sono ottenuti finora
con i bambini ospedalizzati. I sentimenti di ansia,
paura, noia e dolore, causati dalla forzata
separazione dai genitori e dalle cure mediche,
generano vere e proprie patologie, come depressione,
disturbi del sonno e dell’appetito.
La gioia di potersi relazionare con un animale,
dandogli da mangiare, accarezzandolo, prendendolo
in braccio o semplicemente facendolo giocare riesce a
rilassarli a tal punto da rendere più sereno
l’approccio con il personale sanitario e le terapie
prescritte, diminuendo sensibilmente il disagio della
lontananza da casa e dalle proprie abitudini.
Da qualche tempo anche in Italia si sta
sperimentando con successo la “pet therapy”.
Ci auguriamo allora
che gli amici animali, così generosi nel
procurarci gratificazione e benessere,
siano trattati sempre
con maggior rispetto, fosse solo per
riconoscenza a quanto fanno per noi umani, e che il
cucciolo avuto in regalo a Natale con l’avvicinarsi
delle vacanze estive non diventi un peso ingombrante
da cui liberarsi, magari abbandonandolo vigliaccamente ...
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A casa, dopo una buona merenda, mi rilasso
guardando un po’ di TV.
Ben presto, però, la voce della mamma mi riporta
alla realtà e… ”come padrone comanda” mi barrico
in camera mia ed inizio a studiare: epica, storia,
inglese, matematica, senza grande entusiasmo però,
perché proprio adesso sta andando in onda il mio
programma preferito.
Sono sicura però che se continuerò a ripassare
riuscirò a rimediare un bel voto al posto di un
“impreparato” e così non mollo. La malavoglia pian
piano se ne va e concludo in bellezza i compiti di
casa.
A volte la mia giornata può sembrare un po’ noiosa,
ma sono sicura che se non andassi a scuola mi
annoierei e finirei per ciondolare qua e là senza scopo,
trascorrendo il mio tempo tra il divano e la TV.
Ma sì, mi piace andare a scuola… e sono certa che
quando sarò grande rimpiangerò di non poterci più
andare!
Tata
Detto per le rime
L’amicizia
L’amicizia è una cosa preziosa;
è come una candela,
che accende di speranza
il cuore cupo di malinconia
e lo riempie di felicità,
come un fiume sotterraneo
riempie il pozzo ormai vuoto da molto tempo.
Chi ha un amico ha quindi un tesoro,
ma pochi se ne trovano,
infatti molti di essi sono ingiusti ed egoisti
e non pensano al prossimo.
Un amico,
quello vero,
non ti tradisce mai
perché se così facesse
tradirebbe il suo cuore,
che come il sole al tramonto
cadrebbe nel mare infinito della colpa
da dove non potrebbe levarsi più.
Un amico è qualcosa di più:
ha un sorriso che fa parte di te
e di promesse quel sorriso profuma
e nell’aria primavera sarà.
Ric
Cosa succede…
Cronache scolastiche
I have a dream
Sono le sette. La mamma è già in cucina. Nel silenzio
della casa ancora addormentata arriva fino in
cameretta l’acciottolio ovattato delle tazzine e il
fischio della caffettiera, che annuncia allegramente il
nuovo giorno che sta per iniziare.
Esco di malavoglia dal mio lettuccio caldo e con gli
occhi ancora chiusi mi trascino in cucina per la
colazione. Riesco a superare la prima, dolorosa, fase
del risveglio e mi trasferisco in bagno, dove mi lavo e
mi vesto per uscire.
La campanella della scuola squilla alle otto e, strano
ma vero, riesco ad essere puntuale anche questa
mattina.
Completato il prospetto della mensa, la prof. di
matematica attacca con espressioni e problemi: come
inizio non c’è male, eh?
Dopo l’ora di tecnica e il provvidenziale intervallo
affrontiamo le ore più pesanti della giornata: italiano
e inglese.
Interrogazioni, lezione di grammatica, correzione dei
compiti di latino… uffa, ma quando si finisce?
Sono appena le quattro, ci guardiamo in faccia e non
vediamo l’ora di essere fuori.
Ore 16,15: la campanella squilla finalmente per
l’ultima volta nella nostra giornata di studenti
instancabili… per oggi è andata!
Il 14 gennaio, insieme alle parrocchie del Decanato di
Lissone, abbiamo compiuto un gesto significativo:
abbiamo manifestato per la Pace, contro tutte le
guerre e le forme di prevaricazione e violenza. Mentre
marciavamo per le vie del centro mi è venuto in
mente un personaggio che per la Pace ha
letteralmente dato la sua vita: Martin Luter King.
Pacifista convinto e grande uomo del Novecento,
Martin Luther King Jr. nacque il 15 gennaio 1929 ad
Atlanta (Georgia), nel Profondo sud degli Stati Uniti.
Suo padre era un predicatore della chiesa battista e
sua madre una maestra.
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Nel periodo '55-'60 diventò l'ispiratore e
l'organizzatore delle iniziative per il diritto di voto ai
neri e per la parità nei diritti civili e sociali, oltre che
per l'abolizione, su un piano più generale, delle forme
legali di discriminazione ancora attive negli Stati
Uniti e di ogni forma di pregiudizio etnico.
Nel 1957 fondò la "Southern Christian Leadership
Conference" (Sclc), un movimento che si batteva per i
diritti di tutte le minoranze e che si fondava su
precetti legati alla non-violenza di stampo
gandhiano, suggerendo la forma di resistenza
passiva.
Nel 1964 ad Oslo gli fu assegnato il Nobel per la pace.
Venne assassinato a Memphis nel 1968, ma ci lasciò
una grande eredità: il suo sogno.
Celebre è rimasta la frase introduttiva di un suo
discorso, “I have a dream”, che riassume il suo
pensiero:
“… io ho un sogno:
che un giorno, persino
lo stato del Mississipi, uno stato colmo
dell’arroganza dell’ingiustizia e dell’oppressione, si trasformerà
in un’oasi di libertà e
di giustizia.
Ho un sogno: che questa nazione un giorno
si leverà in piedi e
vivrà fino in fondo il
senso delle sue convinzioni e cioè che tutti gli uomini sono creati uguali.
Ho un sogno: che i miei bambini, un giorno, non
saranno giudicati per il colore della loro pelle ma per le
qualità del loro carattere…”
Queste parole hanno una forza tale che è impossibile
non riflettere sul messaggio che racchiudono.
Mi piace far mia la frase “Ho un sogno” perché è
importante credere che si possa cambiare il mondo
che ci circonda, è doveroso credere che non sia il Male
a dominare il mondo, ma la voglia di vivere che è
dentro ciascuno di noi.
Invito anche voi a riflettere su alcune affermazioni di
Martin Luter King e a ripensarle rispetto a quello che
ogni volta sentiamo nei telegiornali o magari viviamo
nel nostro piccolo gruppo di amici, tra compagni di
scuola, in famiglia, nelle società sportive, dove si
alimenta il nostro sogno di un mondo “in piena luce”.
“Alla fine, non ricorderemo le parole dei nostri nemici,
ma i silenzi dei nostri amici.”.
“Con la violenza puoi uccidere colui che odia, ma non
uccidi l'odio. La violenza aumenta l'odio e nient'altro.”
Blue eyes
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Super… coretto!
Ciao, ho nove anni e frequento la quarta elementare
con discreto successo.
Mi piace abbastanza il mio “lavoro” che, come
dicono i miei genitori, è quello dello studente.
Oltre al “lavoro” però, che svolgo con non poche
fatiche, coltivo da sempre la passione per la musica.
Fin da piccolo, i miei genitori e Babbo Natale mi
hanno regalato ogni sorta di strumento musicale, che
però ho solo strimpellato o percosso.
La svolta è avvenuta quando, qualche tempo fa,
iniziando a frequentare il catechismo, ho conosciuto
la mia catechista Paola, che si è rivelata fatta “su
misura” per me.
Paola mi ha proposto di provare a cantare nel coretto
della chiesa, durante la messa domenicale dei
bambini, alle dieci; mi ha detto che ogni venerdì sera
ci sono le prove, durante le quali si perfezionano le
canzoni della domenica e se ne imparano di nuove.
Questa idea mi è subito piaciuta e ho deciso di
mettere in pratica quanto mi stava suggerendo
Paola.
Mi ha anche parlato di un corso di chitarra, che ho
iniziato a frequentare con entusiasmo e notevoli
progressi, come affermano i miei insegnanti Massimo
& Massimo.
Così, da febbraio, ho cominciato a cantare nel coretto
e, siccome mi sono trovato bene, ho continuato; da
settembre inoltre, alle prove del venerdì, suono
insieme ai “maestri”… ogni tanto mi perdo nel
ritmo, ma penso di potercela fare: del resto anche
loro continuano ad incoraggiarmi, dicendomi sempre
che non importa, siamo lì per imparare!
E da dicembre mi hanno detto che potevo iniziare a
suonare la chitarra durante la messa delle dieci… non
me lo sarei mai aspettato!
Per me è stata proprio una bella soddisfazione e sono
sicuro che continuerò ad imparare e fare altri
progressi.
Deca
Dal nostro inviato sportivo
Gigi e il windsurf
Come hai iniziato a praticare questo sport?
Sono venuto a conoscenza del windsurf abbastanza
tardi, salendo su una tavola per la prima volta verso i
diciott’anni, nell’85, quando non era da molto che
questo sport cominciava a diffondersi anche in Italia.
E’ uno sport relativamente giovane e la sua nascita si
deve ad un certo Jim Drake, californiano, che
scherzando con un amico surfista ebbe l’idea di
montare una vela sulla tavola da surf da onda, per
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poter meglio spaziare in mare sfruttando anche le
onde più piccole.
Dall’idea alla realizzazione il passo fu lungo, ma
grazie all’ingegno (ed ad una laurea in ingegneria
aerospaziale), Jim riuscì a brevettare il primo sistema
di vela snodato (free sail system), manovrabile da un
boma a forma ovoidale. Dopo due anni nacque il
primo windsurf… letteralmente “surf da vento”.
Nessuno però ci sapeva andare e la gente sorrise all’idea, ma
dovette subito ricredersi: la cosa piacque
talmente che la piccola fabbrica creata
per produrre pochi esemplari in poco tempo non riuscì più a soddisfare le crescenti richieste.
In Europa la diffusione di questo sport si deve a due
olandesi, che fecero ottenere alla ditta Ten Cate la
licenza per produrre windsurfer anche nel vecchio
continente… ed è proprio in Europa che questo sport
attecchisce e si diffonde!
Che cosa ti ha spinto a proseguire?
Il windsurf è uno sport davvero bello e, una volta
superate le prime difficoltà, sa regalare ad ogni uscita
fortissime emozioni! E’ uno sport sano, a contatto
diretto con la natura, dove è il vento a fare da
propulsore: niente motori rumorosi, niente
inquinamento, solo il fruscio del vento che increspa
l’acqua e quello della tavola che scivola su di essa.
E’ una sfida continua con gli elementi, che riesce a
rinnovarsi di volta in volta: ogni uscita non è mai
uguale all’altra. Cambia l’intensità del vento, la forza
del mare…sensazioni uniche!
Di bello poi ci sono i bellissimi posti in cui praticarlo
e le nuove amicizie con cui condividere le uscite.
Quali sono e quali caratteristiche devono avere i luoghi
migliori per praticare windsurf?
Qui in Europa ha avuto un grande successo grazie al
fatto che ci sono molti laghi perfetti per
l’apprendimento; in Italia abbiamo la fortuna di
avere due dei laghi più famosi per la pratica di questo
sport: il lago di Como e (più conosciuto a livello
internazionale) il lago di Garda, sedi da sempre di
competizioni di livello mondiale.
Motivo di tutto ciò è la presenza costante dei venti
termici che da primavera ad autunno inoltrato
soffiano costanti.
I luoghi più famosi a livello mondiale sono Hawwaii,
South Africa, Canarie, Brasile, Mar Rosso,
Mauritius, Sardegna e Sicilia, ma in generale è
perfetto ogni posto dove ci sia vento.
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Oman o Baja California sono riservati solo ai più
radicali ed incalliti!
Ci sono scuole per imparare e quali sono quelle più
vicine a noi?
Ci sono moltissime scuole sparse su tutto il territorio
nazionale e in generale in ogni spiaggia attrezzata si
può trovare il necessario da noleggiare. In molti
villaggi turistici spesso è proposto il corso di windsurf
incluso nel prezzo.
C’è da dire però che in molte di queste strutture
utilizzano materiale obsoleto e non c’è molta
professionalità nell’insegnamento: il windsurf si è
evoluto tantissimo nell’ultimo decennio. Nuovi
materiali hanno ridotto drasticamente il peso delle
attrezzature e, con esso, la fatica. Inoltre le tavole
dedicate alle scuole sono appositamente studiate per
permettere una notevole velocità d’apprendimento e
dopo due o tre lezioni si è già in grado di uscire
autonomamente.
Quindi consiglio di rivolgersi a scuole specializzate,
perché il fai da te non sempre funziona!
E’ uno sport faticoso? Ci vuole un fisico particolare per
praticarlo?
Non è assolutamente uno sport faticoso, forse lo era
vent’anni fa, quando la tecnologia ancora non aveva
risolto alcuni problemi. Oggi è solo una questione di
tecnica.
Certo, inizialmente,
come per qualsiasi
altro sport, ci può
stare un minimo di
sofferenza, ma solo
perché si mettono al
lavoro fasce muscolari che normalmente non vengono utilizzate.
Non occorre un fisico particolare e a dimostrazione di
ciò sono in continuo aumento le appassionate del
gentil sesso! Ciò che conta veramente è essere ben
seguiti ed un’attrezzatura adatta.
Ci sono varie specialità?
Sì. Nell’immaginario collettivo si pensa al windsurf
associandolo ad Alessandra Sensini ed alla sua tavola
olimpica, ma la realtà è ben diversa. La classe
olimpica non rispecchia il windsurf moderno, che è
fatto di salti ed evoluzioni con tavole corte. Del resto
per fare questo occorre un minimo di vento e non
sempre i giochi olimpici si svolgono in luoghi ventosi!
Grazie ai materiali innovativi, il windsurf moderno è
rappresentato da due spettacolari discipline: il wave e
il freestyle.
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Il primo consiste nel surfare e saltare le onde.
È altamente spettacolare e si possono eseguire salti
incredibili come doppi looping ad altezze impensabili.
A tale proposito mi sembra doveroso ricordare che il
primo windsurfista che ha eseguito un “salto della
morte” è stato l’italianissimo Cesare Cantagalli…
(l’Italia si fa rispettare fortunatamente non solo nel
calcio).
Il secondo si può praticare ovunque ed è una sorta di
windsurf acrobatico, simile a quello che si fa con lo
snowboard o lo skate.
Altre discipline sono il race (con un percorso tra boe,
tipo regata) e lo speed (gara di velocità).
Quali sono i costi per l’attrezzatura necessaria?
I costi sono molto variabili, dipende da quello che si
vuole.
Diciamo che una volta usciti da un corso,
per iniziare ad essere
indipendenti si possono spendere dai
500 ai 900 €. Se
si ripiega sull’usato
(cosa che consiglio
almeno per i primi tempi), si può risparmiare
qualcosa. I negozi specializzati sono ben forniti e
permutano l’usato, per cui è meglio approfittarne
finchè non si raggiunge un buon livello.
Purtroppo i costi lievitano a causa dei materiali
supertecnologici: una tavola in carbonio nuova costa
circa 1250 €, una vela 250/400, un albero 200… Però,
fatto l’investimento, siete a posto… no giornaliero,
no ticket, e il vento è gratis!
So che hai raggiunto notevoli traguardi. Mi puoi dire
quali sono e quali sacrifici e soddisfazioni hanno
comportato?
È vero, questo sport mi ha dato grandi soddisfazioni
e per alcuni anni mi sono impegnato a livello
agonistico, ottenendo discreti risultati. Ho vinto per
due volte consecutive il Campionato Freestyle
Interlaghi (Garda-Como-Iseo), che è una sorta di
circuito nazionale dove tutti i migliori rider si
confrontano. Sono stato campione italiano nel 2000,
campione italiano a squadre nel 2002 e ho
partecipato per alcuni anni al circuito di coppa del
mondo, ottenendo discreti piazzamenti (due
tredicesime posizioni ai campionati mondiali).
Sacrifici direi pochi, allenarsi immersi nella natura,
praticando lo sport che si ama in posti bellissimi che
sacrificio è? Penso sia peggio per chi si allena
duramente in palestra o chi si fa migliaia e migliaia
di vasche guardando il fondo di una piscina.
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Quello che forse ho trascurato un po’ sono gli affetti,
la vita sentimentale, il lavoro… ma al richiamo del
vento non si resiste!
Purtroppo, essendo condizionato dal vento, è uno
sport poco programmabile… ma il bello del windsurf
è anche la ricerca delle condizioni ideali, l’attesa, la
natura che ti sa sempre sorprendere.
Bene, credo di aver detto tutto e spero di vedere
presto molti di voi in acqua a divertirsi!
Links utili:
Scuole:
Lago di Como: www.tabosurf.com; Lago di Garda:
www.surfsegnana.it; www.vascorenna.com
Per saperne di più:
www.surftribe.it; www.windcam.com; www.windsurfitalia.it
Video:
www.continentseven.com; www.pwaworldtour.com
Cip & Ciop
Racconta la tua vacanza
Vive la France!
Le vacanze io le ho trascorse in Francia, visitando dei
luoghi bellissimi. Ho visto villaggi e cattedrali, musei
zeppi di opere d’arte e antichità, ho fatto magnifiche
passeggiate tra fitti boschi e pacifiche campagne, ma
il posto che mi è piaciuto di più è stato Disneyland
Paris.
Abbiamo fatto il biglietto con l’ingresso per tre
giorni, perché il parco è talmente grande e ci sono un
sacco di cose da fare e da vedere. Per darvi un’idea
del posto, vi dirò che è una specie di Gardaland, più
bello e più vasto, e tutte le attrazioni sono sul tema
dei personaggi e delle storie di Disney: per il parco si
vedono passare Minnie, Pluto, Pinocchio, Peter Pan,
Tarzan, ecc., ci sono parate musicali e, quando viene
buio, la Parata Elettrica e i fuochi artificiali…
I personaggi si lasciano fotografare insieme ai
visitatori e se vuoi ti
fanno anche l’autografo, su un libretto
apposta che si compra in uno dei tantissimi negozi.
Ci sono anche parecchi ristoranti e bar a
tema dove si può
mangiare, circondati dai personaggi preferiti: il
villaggio del Far West, la base spaziale, l’isola dei
pirati…
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E un’infinità di giostre bellissime che ti portano
“dentro” alle favole più famose, con vagoncini,
barchette, navicelle… A me sono piaciute
soprattutto quella dei pirati e quella del “Mondo
Piccolo”.
Nella giostra dei pirati si attraversa un sotterraneo e
si sale su un vagoncino che segue un avventuroso
percorso, con tanto di battaglie, assalti e sosta
all’isola del tesoro, mentre nel “Mondo Piccolo” una
barchetta ti accompagna a conoscere usi e costumi di
tutto il mondo. Ci sono dei pupazzetti che ballano e
la musica è “adattata” a seconda delle nazioni che si
incontrano.
Nel “Mondo Piccolo” ho fatto un sacco di giri e ogni
volta scoprivo particolari che nel precedente non
avevo notato.
Mi è proprio spiaciuto quando siamo dovuti ripartire
per tornare a casa; non volevo più venire via, perché
mi sono proprio divertito tanto e sarei rimasto lì
ancora per un mese intero.
Fungo Velenoso
Attenti al lupo!
Anche noi siamo stati in Francia,
per visitare un parco dove vivono
in libertà alcuni branchi di lupi.
Dicono che il periodo migliore per
visitare questo posto sia l’inverno,
perché con la neve la pelliccia dei
lupi diventa più folta e poi è
possibile vederli meglio perché c’è
meno vegetazione.
Però, dato che ci sono delle
torrette di osservazione, abbiamo
potuto comunque ammirare questi
magnifici animali e i loro cuccioli.
Il Parco si trova nel centro della
Francia, sul Massiccio Centrale,
che è un altopiano coperto di
foreste. In questo Centro i lupi
vivono indisturbati e la presenza
dell’uomo è ridotta al minimo,
proprio per non interferire con
l’equilibrio naturale: possono
riprodursi e procurarsi il cibo in
santa pace (quando gli animali di piccola taglia
scarseggiano, però, i guardiani lasciano delle carcasse
di mucche o capre nelle loro zone di caccia) e sono
seguiti da veterinari specializzati che controllano con
discrezione la loro salute (sono tutti esemplari
protetti).
Anche da lontano si sentono i loro ululati,
soprattutto al tramonto e di notte.
Il Parco è delimitato da una recinzione metallica, che
protegge sia i lupi che i visitatori; qua e là ci sono
punti di osservazione e se si ha tempo e pazienza si
possono imparare un sacco di cose interessanti su
questi superbi animali. Per esempio che sono genitori
molto affettuosi e pazienti, che amano giocare tra di
loro e che hanno un’organizzazione sociale molto
articolata; che sono monogami, cioè quando si
scelgono un compagno se lo tengono per tutta la vita,
e che sono animali molto intelligenti.
Come tutti gli animali
selvatici cacciano solo per
procurare il cibo per sé e i
loro piccoli e non è affatto
vero che sono belve malvagie e sanguinarie. I lupi
sono piuttosto timidi e
difficilmente aggrediscono
l’uomo: per difendersi preferiscono fuggire e le storie
fantasiose di branchi che
attaccano chi si avventura
nei loro territori sono
solo… storie!
Forse, in passato, quando questi animali erano molto
più numerosi, è possibile che si verificassero attacchi
da parte di branchi affamati, ma secondo noi tutte le
dicerie che si sono create attorno ai lupi hanno
origine dalla paura che l’uomo nutre nei confronti di
quello che non conosce bene… rinfocolata magari
dall’odio dei contadini che vedevano nel lupo una
minaccia per le loro greggi.
Il lupo è un animale misterioso e affascinante, che da
sempre ha alimentato la fantasia popolare, ispirando
centinaia di leggende. Ancora oggi si dice “feroci
come lupi”, nelle favole il lupo è sempre cattivo, nel
Medioevo addirittura è nata la fola dei lupi mannari,
che nelle notti di luna piena andrebbero in giro alla
ricerca di vittime da mordere.
Ma osservando il bellissimo
muso di questi animali, il loro
sguardo intelligente e il loro
comportamento nel branco,
abbiamo potuto renderci conto
di quanto siano false queste
affermazioni.
I lupi sono creature splendide,
in grado di insegnarci molte
cose.
Canis Maior & Loony Moony
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Ogni mia parola…
21 gennaio, s. Agnese
Una dodicenne uccisa per la sua fede, patrona
delle ragazze
Negli oratori della diocesi, a fine gennaio si celebra la
settimana dell’educazione, nella quale tutti quelli che
sono impegnati in oratorio con un compito di servizio si
fermano dal loro “fare” per ritrovarsi insieme a “stare”,
per conoscersi e per riscoprire il sapore buono di quello
che stanno facendo per gli altri. Ma anche per le
famiglie, i giovani e i ragazzi è un momento bello: si
festeggiano due persone sante, che la tradizione ha
voluto come protettori dei più giovani delle comunità
cristiane. Sono santa Agnese, e san Giovanni Bosco.
Oggi vorrei raccontarvi la storia di santa Agnese.
Agnese nacque a Roma da genitori cristiani,
appartenenti ad illustre famiglia patrizia, nel III sec.
Decise di donarsi tutta intera al Signore (come una
specie di suora, ma le suore non esistevano ancora).
Per questo amava custodire la sua persona e il suo
corpo, senza troppo mostrarlo scoperto. Non le
piaceva girare con l’ombelico di fuori o con le gonne
troppo corte, insomma… Quando era ancora
dodicenne, scoppiò una persecuzione e molti furono i
cristiani che, per aver salva la vita, abbandonavano
la fede.
Agnese rimase fedele a
Gesù, e questo le costò la
sua giovane vita. Il figlio
del prefetto di Roma si era
invaghito di lei, ma era
stato respinto dalla ragazza, che voleva mantenere
fede al suo voto di verginità. Furioso per il suo
rifiuto questo giovane denunciò Agnese come cristiana, perché voleva fargliela pagare.
Per questo, lei che non
amava mostrare troppo il
suo corpo, fu esposta tutta nuda al Circo Agonale, un
luogo di piazza Navona riservato alle pubbliche
prostitute – povera Agnese – proprio tra quelle donne
che trattano il loro corpo come una cosa e lo
mostrano a tutti. Si dice anche che un uomo cercò di
avvicinarla e cadde morto prima di poterla sfiorare.
Miracolosamente però, per intercessione della santa,
riprese vita, scappando intimorito.
Gettata nel fuoco, questo si spense per le sue
preghiere. Allora fu trafitta con un colpo di spada
alla gola, nel modo con cui si uccidevano gli agnelli.
Per questo nelle rappresentazioni o nelle immagini,
questa santa è raffigurata spesso con una pecorella o
un agnello tra le braccia, simboli della purezza e del
sacrificio.
La principessa Costantina, figlia di Costantino
il Grande, fece erigere in
suo nome una chiesa
sulla via Nomentana, a
Roma, dove ogni anno,
il 21 gennaio, due agnelli allevati da religiose
vengono benedetti e
offerti al papa perchè
dalla loro lana siano tessute le bianche stole dei
patriarchi e dei metropoliti del mondo cattolico (è
quella specie di sciarpa bianca, chiamata “pallio”,
che porta il anche il Papa sopra gli abiti della messa).
È patrona delle giovani, dei Trinitari, dei giardinieri,
degli ortolani e protettrice della purezza.
La data della morte non è certa, qualcuno la colloca
tra il 249 e il 251 durante la persecuzione voluta
dall'imperatore Decio e ordinata dal prefetto di
Roma Sinfronio, altri nel 304 durante la persecuzione
ordinata da Diocleziano.
Con simpatia e ammirazione grande per il coraggio di
questa ragazza, affidiamo a Lei le ragazze e le
giovani dei nostri oratori, e impariamo a scoprire la
bellezza della virtù della purezza, che rende le nostre
persone e i nostri corpi belli e preziosi.
don CBC
Special Guest
I Vigili del Fuoco
Quando si pensa al corpo dei Vigili del Fuoco la
prima immagine che viene in mente è quella di un
camion rosso fiammante che attraversa le vie della
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città, coi lampeggianti blu e le sirene spiegate, per
portare soccorso dove si è verificata un’emergenza,
un incendio, un incidente grave.
Oppure quella delle scale estensibili che raggiungono
altezze da brivido, mentre gli idranti creano uno
scudo d’acqua tra il fuoco e il resto del mondo.
Ma il mondo dei Vigili del Fuoco non è popolato solo
da autopompe e maschere antigas: è animato e
gestito da uomini che, quotidianamente, prestano il
loro prezioso servizio con competenza, professionalità
e coraggio. Uomini che, per dedicarsi a questa
delicata attività, seguono un’accurata preparazione,
motivati da ideali ad alto valore umano e sociale:
primo fra tutti quello della solidarietà.
Nel Distaccamento di Lissone (attivo da più di
novant’anni) questi valori sono particolarmente
radicati, in quanto tutti i suoi componenti sono
esclusivamente volontari.
I pompieri hanno da sempre nel nostri cuori una
posizione di assoluto privilegio, accompagnata da
un’ammirazione e un affetto particolari: sono gli
uomini che arrivano là dove non osa nessun altro, che
non esitano ad affrontare situazioni di grave pericolo,
arrivando a sacrificare addirittura la loro incolumità,
per portare aiuto a chi è in difficoltà. E tutto questo
con discrezione, umiltà, grande senso del dovere.
Ci è sembrato quindi doveroso dedicare la nostra
rubrica a queste persone e alla loro scelta di fare un
volontariato tanto speciale.
Abbiamo chiesto al Responsabile di Distaccamento
Matteo Tedeschi il permesso di visitare la loro
caserma e la risposta è stata immediata ed generosa:
ci hanno accolto con grande entusiasmo, accettando
di buon grado di soddisfare la nostra curiosità.
Ci ritroviamo perciò davanti al portone del
Distaccamento di Lissone: Deca, Mr. Ghitar, Elpi,
Blue-eyes, Aivlis, Tito, più altri amici de “gli
Spiccioli”, impazienti ed eccitati all’idea di vedere la
“casa” dei pompieri e scoprire cosa succede quando
arriva una chiamata di soccorso.
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I Vigili del Fuoco ci danno il benvenuto con una
breve presentazione della squadra (che comprende
anche un elemento giovanissimo: appena vent’anni!)
e dei mezzi in dotazione: due autopompe e un carrofiamma (attrezzato per intervenire negli incidenti
stradali, crolli, terremoti, infortuni sul lavoro); al
distaccamento ultimamente si è aggregata un’unità
cinofila, cioè un vigile con un cane che sta
addestrando per la ricerca delle persone disperse
(utilissimo, per esempio, in caso di crolli). Passano
poi a mostrarci il centralino o, meglio, la Centrale
Operativa, spiegando dettagliatamente come
funziona e cosa si fa quando arriva la chiamata.
Abbiamo capito che il coordinamento generale viene
effettuato dalla caserma di Monza e che il
Distaccamento di Lissone interviene su zone
specifiche, attribuite secondo un ordine di priorità
d’intervento. Il vigile Marco ci spiega come vengono
indirizzate le chiamate e anche il sistema, molto
semplice ma estremamente efficace, per raggiungere
le vie di tutti i Comuni di competenza nel minor
tempo possibile. Ci spiega anche che quando si
chiamano i VVF è essenziale dare tutte le
informazioni possibili al centralinista (dove ci si
trova, a che piano, se ci sono persone coinvolte, se ci
sono le uscite bloccate, ecc.), perché questo permette
di organizzare adeguatamente i soccorsi e non
perdere tempo prezioso.
Passiamo poi a
scoprire le meraviglie del carrofiamma e della
autopompa: tredici paia d’occhi
brillano come e
più di un incendio… così, mentre
il Responsabile di
Distaccamento risponde alle nostre domande, gli
uomini della squadra mostrano ai nostri redattori più
giovani le attrezzature di dotazione (autoprotettori,
gruppo elettrogeno, lampade, cesoie, idranti, lance,
ecc.), permettendo addirittura ai nostri amici di
azionare la sirena.
Alcuni vigili ci mostrano poi come si utilizza il palo,
cioè la pertica per la discesa rapida dalle camerate al
pianterreno:
scendono
veloci
come
razzi,
strappandoci un applauso.
Poi, dopo averci fatto provare i DPI (sigla tecnica
che sta per gli indumenti di protezione come giacca,
pantaloni, guanti, ecc. e l’ambitissimo elmetto) i
pompieri ci offrono una bibita e lasciano a
disposizione dei più piccoli il calcetto della loro sala
ritrovo.
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A questo punto entrano in campo Matteo e Marco…
Quali e come sono suddivise le varie mansioni?
Quali sono i compiti dei VVF?
Anche se tutti sanno fare tutto, quando si esce per un
intervento ognuno ha un compito preciso, codificato
da procedure che vengono continuamente
“ripassate”, perché non ci devono essere incertezze o
imprecisioni, che potrebbero essere d’intralcio alle
operazioni di soccorso. I compiti vengono poi
suddivisi nelle squadre a seconda delle necessità. E’
un’organizzazione che permette di essere sempre al
massimo dell’efficienza.
Una mansione specifica è quella dell’autista, che ha
la responsabilità di portare l’equipaggio sul posto
d’intervento e quella della gestione del mezzo sul
posto, tenendo i contatti con la centrale.
Il compito trincipale dei VVF è
di prestare soccorso tecnico urgente;
questa definizione
comprende incendio, salvataggio
animali, soccorso
a persona (in caso
di crolli, terremoti), incidenti stradali, infortuni sul
lavoro, verifiche stabilità e assistenza generale a
livello di bisogni (recupero oggetti caduti in posti
difficili da raggiungere, apertura appartamenti, ecc.).
Quali sono i requisiti indispensabili per diventare un
buon VVF?
La passione. Innanzitutto a questo mestiere devi
volere bene. Tantissimo. Ci devi credere fino in
fondo. Ed è importante che la passione continui nel
tempo, non si spenga mai.
E’ un mestiere che affascina: la cosa più importante è
avere sempre la consapevolezza che ti stai dando da
fare per gli altri.
Poi la formazione, che è quella che ti permette di
affrontare le situazioni in condizioni di massima
efficienza e sicurezza, per te e per gli altri.
In cosa consiste e come si svolge l’addestramento?
L’addestramento è la
base per acquisire e
mantenere la professionalità e l’allenamento. Nell’attività
di vigile del fuoco è
fondamentale e poggia su teoria, esperienza e pratica. La
teoria si apprende
durante il corso; la
esperienza si acquista man mano, con
gli interventi; con
l’allenamento (montare e smontare le
scale, simulare manovre) si punta invece a far diventare automatici
certi gesti, in modo da poter concentrare tutta
l’attenzione sull’ambiente in cui si interviene che,
essendo sconosciuto, presenta maggiore criticità. Un
buon addestramento permette di concentrarsi
totalmente sul pericolo.
Come è organizzata la caserma?
Ci sono momenti dedicati alle esercitazioni, al
controllo dei mezzi e delle dotazioni di bordo, altri
alle pulizie, altri ancora a lavori di segreteria,
statistiche, ecc.
Nei momenti di attesa, ci si rilassa guardando la TV,
chiacchierando, leggendo…
Come si svolge la giornata “tipo”di un VVF?
Dato che in questo distaccamento siamo tutti
volontari, direi che più che di giornata tipo si può
parlare di serata tipo: durante il giorno ciascuno ha la
sua attività e va normalmente a lavorare.
Se però arriva la
chiamata dobbiamo
lasciare quello che
stiamo facendo per
raggiungere il distaccamento. Abbiamo
cioè la reperibilità e
cinque minuti per
arrivare in caserma.
Tutte le squadre montano alla sera; ad ogni cambio
di turno si fa la verifica del mezzo. Poi, se non ci sono
altre attività pianificate… si aspetta!
Bisogna essere molto coraggiosi per affrontare rischi
d’ogni genere… non vi capita mai d’avere paura, o di
pensare di non farcela in situazioni particolarmente
difficili?
E’ normale avere paura: tutti ne hanno, soprattutto
all’inizio. Con il tempo e l’esperienza però, si impara
a gestirla, soprattutto quella porzione che ti fa avere
reazioni sbagliate, istintive. Con un buon
addestramento riesci a tenerla sotto controllo. E’
importante però che rimanga la capacità di provare
un minimo di paura, perché questo impedisce di
diventare incoscienti e di sentirsi invulnerabili.
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Quando ci si sente troppo sicuri di sé si corre il rischio
di fare le cose con superficialità, e questo noi
pompieri non possiamo permettercelo.
Qual è il tipo di intervento che vi crea maggiori
preoccupazioni?
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nostri figli che, sostenendo il peso delle nostre
assenze, ci consentono di dedicarci a questo servizio.
Ma l’impegno è grandemente ripagato da enormi
soddisfazioni: non c’è niente di più gratificante
dell’aiutare chi si trova in pericolo.
Preoccupazioni ne abbiamo sempre, prima fra tutte
quella di portare a casa la vita, nostra e di chi
soccorriamo. Sicuramente gli interventi che ci creano
maggiori preoccupazioni sono quelli col gas.
Abbiamo strumenti che misurano il volume di
esplosione, ma il gas è un elemento che ha moltissime
variabili e questo crea non pochi problemi.
Cosa significa “cultura della sicurezza” e come si può
diffondere?
La sicurezza negli ambienti pubblici e nei
luoghi di lavoro è regolamentata da precise
disposizioni legislative,
che prevedono sanzioni
anche penali in caso di
inadempimento. Nelle
scuole, già da tempo, si fanno esercitazioni per
fronteggiare particolari eventi (prova di evacuazione
per incendio, simulazione emergenza per terremoto,
comprensione della cartellonistica). Questo, già da sé,
è un buon approccio alla cultura della sicurezza: si
comincia a capire ed imparare che certi
comportamenti sono corretti ed altri no.
E’ impossibile diffondere un decalogo delle “cose da
fare in caso di…”, perché la valutazione degli eventi è
una cosa troppo complessa per essere riassunta con
qualche regoletta. E’ importante però sapere le cose
da non fare, come giocare coi fiammiferi, buttare
acqua su impianti elettrici, avvicinare al fuoco
oggetti infiammabili, lasciare candele accese
incustodite, ecc. Un suggerimento sempre valido è: in
caso di necessità chiamare i pompieri!
C’è qualche consiglio particolare che vorreste rivolgere ai
nostri lettori?
Ai genitori diciamo: mandate i vostri figli a fare i
pompieri! La nostra storia deve continuare. Quando
si faceva il servizio militare, il ricambio era garantito
dagli ausiliari, che poi decidevano di restare anche a
servizio assolto. Oggi non è più così e la continuità è
affidata solo a chi sceglie questa forma di
volontariato.
E’ un tipo di volontariato molto impegnativo,
soprattutto per chi ha famiglia: fra noi diciamo
sempre che i primi volontari sono le nostre mogli e i
Condividiamo pienamente questa considerazione.
E ringraziamo gli amici Alessandro, Domenico,
Gabriele, Giuseppe, Marco, Marco (Ruffy), Matteo,
Michele, Paolo, Sergio, Tino e Zaverio del
Distaccamento di Lissone per l’ospitalità e la
disponibilità dimostrata e per l’insostituibile servizio
che ogni giorno svolgono per noi.
Tonks
Relax !
Sapete qual è l’indumento più impertinente?
Il fazzoletto, perché prende tutti per il naso!
Dove si producono i maglioni?
Nei campi da golf!
Identi-where
Sapreste dire dove si
trova il particolare
architettonico raffigurato nella fotografia?
Per aiutarvi vi daremo un paio d’indizi:
fa parte di un edificio di Lissone che si
trova nei pressi della
stazione.
E se proprio non riuscite ad indovinare,
troverete la soluzione il mese prossimo!
Klein Wolf
Al mese prossimo!
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n.10 Gennaio 2007