03.2016
Amore o potere? Felicità personale o ragion
di stato? Regina o semplicemente donna?
Questo il conflitto che tormenta Elisabetta
I, protagonista di Roberto Devereux di Donizetti, rendendola un personaggio ancora
attuale in un’epoca in cui il confine tra pubblico e privato è sempre più confuso. Assente a Genova dal 1993, il capolavoro di Donizetti torna al Carlo Felice con tre cantanti
d’eccezione: Mariella Devia, che per la prima volta interpreta il ruolo di Elisabetta in
Italia, Sonia Ganassi, nella parte della sua
antagonista Sara, Duchessa di Nottingham,
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e il tenore Stefan Pop, al debutto nel ruolo
di Roberto Devereux. Sul podio, Francesco
Lanzillotta, uno dei più promettenti tra i
giovani direttori italiani. La regia è del celebre baritono Alfonso Antoniozzi, dal 2008
attivo anche come regista. Giovedì 17 marzo, alle 20.30, la prima.
Foto: © Marcello Orselli
—— Oltre
Palco——
— magazine
Teatro Carlo Felice
Teatro Carlo Felice
Testo di Francesco Cento
Donizetti a Genova:
un turista non per caso
03.2016
Ecco la ricostruzione del lungo e proficuo rapporto
tra l’autore di Roberto Devereux e il capoluogo ligure
«Il viaggio da Genova a Livorno non poteva essermi più infame di così, io rigettai tutta la notte, e basti dire che vomitai anche un bicchiere di vermut, bevuto saranno almeno tre anni e la indovini mò, quel cane di Gaetano se la
passò tranquillamente tutta la notte e dormette saporitamente mentre tutti chi più chi meno, soffersero il medesimo incomodo.»
Quel «cane di Gaetano» era, naturalmente, Donizetti e a
scrivere, nell’agosto 1844, era l’amico Antonio Dolci che
informava la signora Rosa Basoni, nobile bergamasca, del
viaggio (l’ultimo di Donizetti prima della malattia) che da
Bergamo stava portando i due amici a Napoli, passando
da Genova.
Donizetti conosceva bene Genova, tappa obbligata per i
suoi spostamenti europei provenendo da Napoli (Milano,
Bergamo, Parigi, Vienna) e viceversa. Egli soggiornò per la
prima volta nella capitale ligure tra il 28 febbraio e il 20
maggio 1828, invitato (con Rossini, Bellini e Morlacchi)
ad inaugurare, con una sua opera in prima assoluta, il Teatro Carlo Felice. L’opera in questione fu Alina regina di
Golconda, su libretto di Felice Romani, ed ebbe «esito felicissimo» (12 maggio 1828).
Il 17 gennaio 1834 Donizetti era nuovamente a Genova,
per mettere in scena, al Carlo Felice, la seconda versione
dell’azione tragico sacra Il Diluvio universale, su libretto
di Domenico Gilardoni (in prima assoluta a Napoli, Teatro San Carlo, 6 marzo 1830). In questa occasione, Donizetti fece visita al quindicenne nipote Andrea, ragazzo
“difficile” che studiava nella città della Lanterna.
Sicura testimone di questo soggiorno, una lettera scritta
al duca Carlo Visconti di Modrone, a Milano, datata Genova, 17 [gennaio] 1834, nella quale Donizetti dà alcuni suggerimenti su una nuova disposizione dell’orchestra per
migliorare il rendimento sonoro e l’unione delle diverse
famiglie strumentali. A metà novembre dello stesso anno
Donizetti era di nuovo a Genova per incontrare il fratello
Giuseppe, di ritorno dalla Turchia (in visita al figlio Andrea). Nel novembre del 1835, Donizetti sbarcò a Genova
(da Napoli) di passaggio per Milano (lo attendeva la rappresentazione della Maria Stuarda, rifiutata a Napoli), in
questa occasione ebbe modo di riscuotere (o girare) la
cambiale, avuta a Napoli, intestata all’impresario del Carlo Felice, Michele Canzio: rappresentava parte del pagamento percepito da Donizetti per la Lucia di Lammermoor
e scadeva a dicembre di quell’anno.
Nel 1838, in viaggio per Parigi (via Marsiglia), Donizetti
passò da Genova per vedere il nipote Andrea. Nella biblioteca del Conservatorio di Napoli è conservato il biglietto
che il compositore scrisse a Paolo de Gris, attuario del Regio Senato di Genova e amico di Giuseppe Donizetti, con
funzione di tutore di Andrea [12 ottobre 1838]: «All’una
parto per Marsiglia. Se non ti trovo vieni a bordo del Leopoldo II col nipote; e fa che non si scordi le monete Turche. Vò in giro, vengo a casa tua. G.D.». Ancora nel 1842 e
poi 1844 Donizetti fu a Genova. Il 20 novembre dello stesso anno, troviamo, sempre in una lettera a Dolci [da Milano] in dialetto bergamasco, la traccia di un altro viaggio,
forse l’ultimo con Donizetti capace di intendere e volere:
« Boia che tu sei, tu mi hai scritto da Napoli e sei già a Milano? Fino da ieri martedì? So ben che mi canzoni! E poi ti
ho portato anche il tappeto da Genova…».
Non sappiamo se fu con i buoni propositi di Michele Canzio, che il giovane Michele Novaro ottenne la scrittura
come secondo tenore alla prima della Linda di Chamounix di Donizetti (Vienna, 19 maggio1842) e quindi (l’anno
successivo), nella parte più impegnativa di Gondì nella
Maria di Rohan (Vienna, 5 giugno1843). Certo è che i rapporti tra Donizetti e Novaro rimasero ottimi se il giovane
tenore andò a trovare il maestro ormai gravemente malato, a Bergamo, nel 1847, riportandone una testimonianza
toccante. Novaro dedicò a Donizetti un duettino per voci
maschili La bandiera italiana, scritto nel 1848 su testo di
Dall’Ongaro. L’elenco dei genovesi che ebbero parte importante nella vita di Donizetti comprende le figure di
Agostino e Giovanni Ruffini, i quali ritoccarono o scrissero libretti d’opera per il Nostro. Per tacere di Giuseppe
Mazzini che citò direttamente Donizetti nella sua Filosofia della musica (Parigi, 1836).
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OltrePalco {N/3}
Testo di Giorgio De Martino
Stanislav Kochanovsky dirige il concerto sinfonico del 18 marzo
Un programma sinfonico
dalle trame nascoste,
tra enigmi e sorprese
Tre brani ognuno con un piccolo mistero, per un ascolto
sagace e ricco di suspense
03.2016
Nato a San Pietroburgo, Stanislav Kochanovsky è considerato dalla
stampa come una delle promesse più interessanti della nuova scena
musicale russa: “Considero Stanislav Kochanovsky uno fra i più brillanti e promettenti giovani direttori oggi in Russia” ha scritto Victor Yampolsky. Tra il 2010 e il 2015 Kochanovsky è stato Direttore Principale
dell’Orchestra Filarmonica di Kislovodsk. Negli ultimi anni, parallelamente alle sue attività in Russia, la carriera internazionale si è andata
sviluppando con i primi importanti debutti presso la hr-Sinfonieorchester di Francoforte, la Finnish Radio Symphony, gli Hamburger Symphoniker, la Filarmonica Toscanini, la Israel Symphony, l’Orchestra
della Radio Svizzera di Lugano. Nel 2014 fa un sensazionale debutto con
l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: “Stanislav Kochanovsky è stata una vera rivelazione. Un giovane direttore destinato
ad essere uno dei protagonisti della vita musicale del prossimo futuro”
ha detto M. Suozzo su RAI Radio3.
Se non proprio di un enigma (come ammiccano le Variazioni che lo completeranno), si tratta comunque di un
programma che gioca sapidamente su una trama di rinvii
e nessi più o meno occulti. La bacchetta di Stanislav Kochanovsky inaugurerà il concerto del 18 marzo con l’Haydn inglese che dice l’ultima parola sulla sinfonia classica e
punta – con senso dell’umorismo ma anche del marketing – a stupire gli ammiratori d’oltremanica e a fornire
possibili slogan per le proprie creazioni. La serata proseguirà con il Brahms che ossequia Haydn (utilizzando un
tema che oggi sappiamo non essere di Haydn) e che attraverso le Variazioni per orchestra op. 56a affila le armi sinfoniche in una sorta di prova generale della sua Prima Sinfonia, terminata quando aveva 43 anni.
Andava per i 43 anche Edward Elgar – grande ammiratore
di Brahms – quando le proprie celebri Variazioni op. 36
(ultimo brano in programma, corredato da duplice sfida
enigmistica, di cui diremo: una più intrigante, l’altra privata e scherzosa) per la prima volta venivano ascoltate nella stessa Londra che aveva applaudito, poco più di un secolo prima, la “Sorpresa” di Haydn.
A proposito (e ripartendo da capo): con la morte del principe Esterházy, presso la cui corte Joseph Haydn era Kapellmeister da un trentennio, il compositore si ritrova, di
poco sotto la sessantina, ad essere pensionato d’oro e libero professionista. Accoglie dunque l’invito dell’impresario Salomon e si reca – preceduto dalla propria fama – a
Londra, dove risiederà per alcuni anni (nel biennio 1791’92 e 1794-’95), per scrivere musica nuova e dirigere un
grande complesso sinfonico.
Per il pubblico londinese, cosmopolita e raffinato, scrive
una dozzina di sinfonie, di fatto pervenendo alla perfezione, ai vertici della forma classica, attraverso partiture che
sono scrigni di tesori, quanto ad arguzia ed a capacità di
elaborazione del materiale tematico. Per un uditorio così
esigente, Haydn crea, mescolando perizia ed astuzia, pagine provviste di distinguibili peculiarità... Tra queste, la
celebre “The Surprise”, la sinfonia n. 94 in sol maggiore,
nota per quel colpo di timpano “a tradimento” nel secondo movimento – peraltro aggiunto successivamente in
partitura – e per il gioco brillante di contasti dinamici che
la innerva.
Non esattamente di Haydn, ma (quasi certamente) del
suo allievo Ignaz Pleyel, quel Divertimento in si bemolle il
cui tema popolare intriga Johannes Brahms. Venuto in
possesso della partitura dal suo amico (e biografo di Haydn) Karl Ferdinand Pohl, ne utilizza il tema per una serie
di otto variazioni ed una passacaglia finale. Forma antica,
quest’ultima, molto amata dall’amburghese. Brahms
d’altronde vive intensamente il lascito creativo dei suoi
predecessori: parte integrante della sua weltanschauung
sta proprio nel guardare al passato (anche per rigenerarlo). Composta nel 1873, l’op. 56a rappresenta insieme un
omaggio brahmsiano alla tradizione classica ed una sorta
di compendio delle sue straordinarie capacità in materia
di variazione e di ricerca in ambito di sonorità orchestrali.
Orfana di Purcell, l’Inghilterra aveva atteso quasi due secoli un proprio nuovo, grande compositore... Fino alla
comparsa di Sir Edward Elgar (1857-1934), idealmente “figlio” di Brahms e di Wagner eppure autore di pagine con
un carattere comunque originale e riconoscibile. Elgar
deve parte della sua fama internazionale proprio a queste
“Variations on an Original Theme for Orchestra” op. 36,
note come “Enigma Variations”, composte tra il 1898 ed il
1899 e costituite da un tema e quattordici variazioni, ciascuna delle quali consacrata “to my friends pictured within”. Ed ecco il primo dei due enigmi cui il titolo fa riferimento: la dedica a familiari e ad amici delle Variazioni,
ciascuna delle quali porta l’indizio di iniziali o pseudonimi. Il secondo enigma è più complesso e riguarda il tema
“nascosto” tra le pagine della partitura. Che si tratti di
“God Save the Queen” o del patriottico “Rule, Britannia”,
del “Dies Irae” gregoriano o della Sinfonia “Praga” mozartiana, non è del tutto chiarito (né del tutto importante).
Ciò che conta è il lascito immortale di una pagina appassionata e seducente, che tra eredità germaniche e ricercatezze francesi, rinnova la musica inglese.
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Teatro Carlo Felice
Testo di Guido Festinese
De Gregori al Carlo Felice, sabato 19 marzo alle ore 21
Per amore e per furto:
De Gregori canta Dylan
Le canzoni di Dylan tradotte, tradite, “rubate” per amore
da Francesco De Gregori
03.2016
Scherzi della filologia. La parola “traduzione” contiene la stessa radice di
“tradimento”. Dunque, un buon “traduttore” è anche, e di necessità, un
buon “traditore”. Non è possibile rendere la duttilità, le sfumature infinitesimali, le inflessioni di una lingua in un’altra. Neppure se le lingue sono
cugine, come, ad esempio l’italiano e il francese. O l’italiano o lo spagnolo.
Chi ben traduce, quindi, ben tradisce. Un paradosso che il bibliofilo e lettore vorace Francesco De Gregori ben conosce. Apprezzare una traduzione
che riesca a trasportarti in un mondo in cui le parole hanno un suono completamente diverso, ma quasi l’identico significato, è un atto d’amore per
un tradimento. De Gregori traduce e “Canta Bob Dylan”, precisa il titolo
dell’ultimo lavoro del Principe delle note d’autore. Ha cominciato a farlo
tanti anni fa, quando ancora la testa era riccioluta, il futuro un bel vuoto in
discesa spalancato davanti, e Bob Dylan si traduceva assieme ad un amico
un po’ più anziano e d’esperienza, Fabrizio De André. Era la prima metà
degli anni Settanta. Bob Dylan è un fuoco che cova sottopelle e per sempre,
per chiunque ami le musiche popular. Che sono fatte, notoriamente, di
“amore e furto”. E così Robert Zimmermann in arte Bob Dylan volle, nel
2001, intitolare un suo disco. Amore e furto: dunque, quando De Gregori
sceglie di sottotitolare così il suo viaggio in undici stazioni dentro e attorno
a Bob Dylan, lui che è uno dei primi dylaniani elettivi d’Italia, sa di cosa
parla (e fa una citazione al quadrato). Parla dell’immenso amore che si
deve avere per le canzoni, e della consapevolezza che chi scrive canzoni
ruba comunque brandelli di melodie e di testi e di accordi. A volte a se stesso: c’è un famoso concerto di Bob Dylan assieme a Neil Young (1975) in cui
Dylan canta Knockin’ On Heaven’s Doors pronunciando invece Knockin’ on
Dragon’s Doors, nel ritornello. E, peraltro, Knockin’ on Heaven’s Doors nel
giro armonico è la copia esatta, appunto, di Helpless di Neil Young. O viceversa? De Gregori canta Bob Dylan è un viaggio iniziatico e popular assieme: restituendo brandelli fulgidi e dimenticati del vecchio ragazzo di Duluth tutt’ora in giro per il suo “neverending tour”. Non modaioli, non consumati dall’uso, riuso, ed abuso. Non Blowing In the Wind, ma Dignity. Non
Mr. Tambourine Man, ma Not Dark Yet. Non Masters Of Wars, ma la possente e rutilante Series of Dreams. Con l’ironia sopraffina di presentare brani
che Dylan, ufficialmente, non ha neppure mai inciso ufficialmente, tanto
lo hanno fatto tutti gli altri: I Shall be Released, un requiem senza lacrime
sul senso più profondo della rivoluzione libertaria degli anni Sessanta a
stelle e strisce. Lui, De Gregori, giura di non aver mai letto un saggio su Bob
Dylan, per non farsi condizionare nelle scelte o nelle interpretazioni. Chissà se è vero. Di sicuro sa tradurre, e tradire. E come Dylan, ogni volta che
sale su un palco sa proporre canzoni con quella libera, strascicata intensità apparentemente casuale che invece lascia segni profondi nella coscienza di chi ascolta. Nel nome della musica d’autore che resterà. Per amore, e
per furto.
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OltrePalco {N/3}
Testo di Monica Manganelli
Alla corte dei re come
sulle tavole del
palcoscenico, tutto
il mondo è teatro
03.2016
Monica Manganelli, scenografa e Visual Artist, vincitrice
del Los Angeles Shorts Fest 2015 con il corto d’animazione
La ballata dei senzatetto, parla delle scene che ha realizzato
per Roberto Devereux
Secondo lo studioso di Shakespeare Edmond Malone
sopra l’entrata del Globe Theatre pare vi fosse il motto
“Totus mundus agit histrionem” (Tutto il mondo recita la
parte dell’attore), in sostanza il mondo intero è teatro.
Il teatro dopotutto, in epoca elisabettiana, era un mondo
artificiale in quella che era già sommamente una cultura
scenica e ritualistica. Come centro di rito ed esibizione
rivaleggiava con la corte. Era il vero fulcro dell’arte come
ostentazione.
Il Globe Theatre, il famoso teatro londinese di epoca
elisabettiana, è quindi diventato il nostro riferimento
principale, quando con Alfonso Antoniozzi abbiamo
iniziato a pensare al progetto riguardante Roberto
Devereux: un impianto scenografico essenziale in cui
una pedana-palcoscenico a pianta centrale diventa il
principale luogo dove si svolge l’azione scenica, che
fondi la propria efficacia sulla capacità di “imbrigliare”
lo spettacolo in un concetto visivo evidente e fortemente
simbolico.
L’azione scenica degli attori di epoca elisabettiana
su questo palcoscenico era concepita per restituire
l’impressione di un mondo drammatico “in sviluppo”
come se la vita teatrale continuasse oltre la scena. Si
creava l’ illusione di un mondo dell’ immaginazione in
continuo fluire, del quale gli attori sul palcoscenico erano
il segno visibile. Quel palcoscenico diviene il simbolo
della nostra vita, degli intrighi di potere che avvengono
alla corte di Elisabetta, delle illusioni ecc.
Stabilire un’analogia tra la vita umana dei personaggi
della vicenda dell’opera Roberto Devereux e la
rappresentazione teatrale significa anche mostrare sulla
scena i meccanismi di cui si avvale la finzione scenica, in
un gioco di specchi che cambia le prospettive di visione,
i ruoli di osservatore ed osservato, le qualità di realtà e
illusione e così via.
La sfida dal punto di vista scenografico è così stata da una
parte quella di richiamare il periodo storico in maniera
ben visibile per il pubblico, con elementi scenici che
richiamassero l’architettura della epoca elisabettiana
e del Globe ma attraverso un linguaggio moderno e
dall’altra enfatizzare il concetto metateatrale registico con
elementi che enfatizzassero la macchina scenotecnica.
Telai di quinte, americane, luci, movimenti scenici e
coreografici, il palcoscenico illuminato solo da candele,
come succedeva all’epoca di Shakespeare, tutti elementi
che ricorderanno allo spettatore che ci troviamo in un
teatro.
Tra scena e platea si crea così una intimità intensa,
palpitante, fonte di una potente tensione emotiva.
pag. 5
Teatro Carlo Felice
I concerti Gog del 4 e 11 aprile
Dopo otto anni torna
alla Gog Fazil Say,
il diavolo della tastiera
L’eclettico pianista-compositore turco e il Quartetto
del Teatro San Carlo di Napoli protagonisti dei prossimi
due lunedì della Gog
03.2016
Lunedì 11 aprile il Quartetto del Teatro San Carlo di Napoli presenterà il Sesto Quartetto in sol maggiore op. 101 di
Dmitrij Šostakovič in occasione del penultimo concerto
dedicato alla produzione quartettistica del grande genio
sovietico. Formato da musicisti vincitori di concorsi internazionali, il Quartetto del Teatro San Carlo trasferisce nel
genere cameristico la qualità artistica e professionale delle prime parti dell’Orchestra del Teatro lirico partenopeo.
Il repertorio è versatile e spazia dai classici ai contemporanei. All’ensemble si unirà il giovane pianista Yevgeny
Sudbin per l’esecuzione del Quintetto in fa minore op. 34
di Brahms. Nato a Leningrado, Sudbin è stato ammesso
nel 1987 alla scuola specialistica di musica del conservatorio cittadino e ha proseguito gli studi a Berlino e alla
Royal Academy of Music di Londra. Il suo concerto al Verbier Festival del 2006 è stato particolarmente lodato dal
Daily Telegraph.
A otto anni dal suo ultimo concerto per la GOG torna il 4
aprile l’eclettico pianista e compositore Fazil Say, soprannominato dalla critica il “Mozart Turco” per le superbe
qualità tecniche, l’enorme talento di improvvisatore e la
particolare visione estetica personale. Nato ad Ankara,
Say ha intrapreso lo studio del pianoforte con Mithat Fenmen, allievo di Alfred Cortot e in breve tempo si è costruito una solida fama di virtuoso della tastiera: nel 1986 il
compositore Aribert Reimann disse che suonava “come
un diavolo”. Capace di dominare i maggiori cavalli di battaglia della letteratura pianistica, compone concerti solistici, brani per orchestra e musica da camera e vanta
commissioni da parte delle più importanti istituzioni
musicali internazionali. Nel programma che proporrà per
il pubblico genovese Fazil Say proseguirà l’opera di armonizzazione della cultura europea-occidentale, che ha in
Mozart uno dei massimi capisaldi, con quella turca e farà
ascoltare alcuni fra i suoi lavori più celebri, fra i quali Gezi
Park 2 op. 52 e Nietzsche und Wagner op. 49.
pag. 6
OltrePalco {N/3}
Musicaperitivo
La tranquillità della domenica mattina, una musica raffinata, un gustoso aperitivo: ecco gli ingredienti del ciclo di
successo “Musicaperitivo”, sostenuto come Main Sponsor da Carispezia (in collaborazione con GNV) e curato,
per l’aperitivo, da Mentelocale. I prossimi appuntamenti
(tutti con inizio alle ore 11 nel Foyer del Teatro Carlo Felice) sono: domenica 30 marzo, Sirio Restani esegue al pianoforte musiche di Wilhelm Friedemann Bach e Carl Philipp Emanuel Bach, figli prediletti di Johann Sebastian, in
un concerto dal titolo Presagi dello Sturm und Drang; domenica 3 aprile, Federico Romano (violoncello) e Edoardo Barsotti (pianoforte) ci portano nella più appassionata
e toccante musica da camera ottocentesca con Jules Massenet, “Tristesse de Dulcinée” dall’opera Don Quixote,
Johannes Brahms, Sonata per violoncello e pianoforte in
mi minore op. 38, Robert Schumann, Phantasiestücke op.
73, Adagio e Allegro op. 70; domenica 17 aprile, il “Choros
Ensemble”, ovvero Danilo Zauli al clarinetto, Marino Lagomarsino al violino, Andrea Franzetti al violino, Debora
Tedeschi alla viola e Alberto Pisani al violoncello, interpreta musiche di tre giganti: i Trois pièces pour quatuor à
cordes di Igor Stravinskij, la trascrizione di tre corali di J.
S. Bach e il Quartetto in La maggiore per clarinetto, violino, viola e violoncello K 581 di W. A. Mozart.
Conferenze e incontri,
per saperne sempre
di più
03.2016
La musica sinfonica del ’900 e contemporanea è la protagonista dei prossimi due incontri del ciclo “Storia della Sinfonia” all’Auditorium Montale alle ore 16: sabato
19 marzo Edwin R. Rosasco parla di Leonard Bernstein,
Charles Ives e Aaron Copland, mentre sabato 2 aprile Lorenzo Costa affronta le figure di Olivier Messiaen, Darius
Milhaud, Luciano Berio, Alfred Schnittke e Sofia Gubajdulina. Sempre all’Auditorium Montale e sempre alle ore
16 prosegue inoltre l’approfondimento del cartellone
operistico: sabato 9 aprile Massimo Arduino tiene la conferenza “Il poeta e la rivoluzione”, introduzione all’Andrea Chénier di Umberto Giordano, al debutto il 12 aprile.
Entrambe le iniziative sono a ingresso libero e realizzate
in collaborazione con l’Associazione Amici del Carlo Felice e del Conservatorio N. Paganini.
I protagonisti di Andrea Chénier, poi, si possono incontrare dal vivo lunedì 4 aprile, alle ore 17.30, nello Spazio
Eventi de la Feltrinelli Libri e Musica di Genova, nel consueto appuntamento del ciclo “Un pomeriggio all’Opera”. Al termine, un rinfresco per tutti, pubblico e ospiti,
offerto da Agenda del Teatro, mentre in Sala Paganini alle
ore 19.30 prima di ogni concerto sinfonico, l’Associazione
Teatro Carlo Felice promuove un incontro con i protagonisti dei concerti. Venerdì 18 marzo il pubblico potrà incontrare il M° S. Kochanovsky. Ingresso libero per il pubblico munito di biglietto/abbonamento del concerto.
Quelli delle note:
Renzo Arbore
e l’Orchestra Italiana
Tra musica napoletana, ironia e tormentoni cult
Renzo Arbore e l’Orchestra Italiana. Un team musicale da
record, che ormai da ventiquattro anni riscuote successi e
scatena entusiasmi in tutto il mondo, dagli Stai Uniti alla
Cina, dal Messico al Canada. Martedì 22 marzo, alle ore
21, Arbore e i suoi eccezionali musicisti – ciascuno un
vero virtuoso del proprio strumento – presentano al Carlo
Felice un programma che comprende un omaggio a Roberto Murolo, storico interprete della canzone napoletana scomparso dodici anni fa, le canzoni umoristiche della
tradizione partenopea, un escursione nella musica latino-americana e le canzoni legate ai programmi televisivi
cult di Arbore. Tanta musica e tanta ironia, come sempre
quando c’è Arbore protagonista.
Il Teatro andò al Mercato
Teatro Carlo Felice e Mercato del Carmine, un binomio
all’insegna dell’eccellenza
Con il biglietto del Teatro si cena con i prodotti a km 0
della Liguria. È un invito accompagnato dallo sconto del
5% sui prezzi già davvero a buon mercato del ristorante
del Mercato del Carmine di Genova per chi si presenterà
mostrando il biglietto o l’abbonamento del Teatro Carlo
Felice. È la proposta che il Mercato – in accordo con la Sovrintendenza – rivolge, per tutta la stagione artistica 20152016 della Fondazione, agli spettatori del Teatro, qualunque sia lo spettacolo al quale abbiano assistito.
Un modo curioso e inusuale per abbinare una grande realtà ligure, come il Teatro Carlo Felice, alla cultura dell’alimentazione. Il Mercato del Carmine, infatti, con i suoi
banchi specializzati, l’enoteca ed il suo ristorante (aperto
dalle 8 alle 24) rappresenta l’eccellenza della cucina e dei
prodotti liguri. I piatti proposti a pranzo, all’ora dell’aperitivo ed a cena sono realizzati con alimenti provenienti
dalle vallate della nostra regione.
Il rapporto tra Teatro e Mercato potrà portare nel prossimo futuro a iniziative musicali, organizzate all’interno
della bella struttura liberty che ospita il Mercato o nel
quartiere del Carmine.
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Nella dichiarazione dei redditi,
con il modello CUD, il modello 730
e il modello UNICO, sarà possibile
destinare il 5 per mille delle imposte
sul reddito alla Fondazione Teatro
Carlo Felice.
Sarà sufficiente apporre la Sua
firma nel riquadro dedicato al:
SOSTEGNO DEL VOLONTARIATO
E DELLE ALTRE ORGANIZZAZIONI
NON LUCRATIVE DI ATTIVITÀ
SOCIALI
indicando il codice fiscale
della Fondazione Teatro Carlo Felice:
03.2016
00279200109
Direttore responsabile Viana Conti
Caporedattore Massimo Pastorelli
Redazione Bianca Fusco
Progetto grafico e impaginazione Fluido
Stampato da Algraphy
Hanno collaborato a questo numero:
Francesco Cento, Giorgio De Martino,
Guido Festinese, Monica Manganelli
“Le Avventure di Happy Charly”
di Enrico Musenich
testi di Sirio Restani
Fondazione Teatro Carlo Felice
Passo Eugenio Montale, 4 - 16121 Genova, Italia
telefono: 010 5381 224/226
biglietteria: 010 589329 / 010 591697
[email protected]
www.carlofelice.it
pag. 8
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03.2016 {N/3} - Teatro Carlo Felice