Nr. 1/2011 PROFESSIONALdialogue Dialogo tra specialisti Prevenire la carie senza fluoruro – è possibile? La valutazione del rischio parodontale L’erosione: Le abitudini alimentari Colophon / Editorale / Contenuto Editorale Editore: (responsabile ai sensi del diritto di stampa) GABA Vebas s.r.l. Via Giorgione 59/63 · 00147 Roma Direttore Marketing: Claudia Lutz Care Colleghe e cari Colleghi Anche in questa edizione abbiamo voluto proporre una panoramica di diversi temi di attualità che sono stati preparati da ricercatori di differenti nazionalità per dare un’ampia visione di quelle che possono essere le aspettative e le possibili soluzioni nei diversi paesi europei. GABA International AG Grabetsmattweg · 4106 Therwil · Svizzera PR & Communication Dipartimento Affari Scientifici: Dr. Charly Ponti Anche in ambito della prevenzione della carie, ci si può rendere conto di quante siano le domande ancora aperte, sebbene questa patologia come pure la sua risoluzione sono ormai dibattute da anni. Il Prof. Declerck descrive i limiti e le possibili soluzioni alla risoluzione della carie infantile precoce (Early Childhood Caries), che potrebbe essere affrontata anche migliorando la capacità del sistema sanitario ad intercettare i pazienti con particolari esigenze. Il Prof. Hellwig ed il Dr. Ferro affrontano aspetti relativi all’impiego dello ione fluoro: il primo mettendone in discussione l’effettiva utilità a supportare la riparazione della struttura dentale mentre il secondo nel valutarne i possibili impatti e le indicazioni d’impiego recentemente sviluppate da diverse Società odontoiatriche. Grafica: eye-con Medienagentur · 50374 Erftstadt · Germania Le opinioni degli autori non coincidono necessariamente con quelle dell’editore. Sono vietate la ristampa e la pubblicazione di estratti senza la citazione delle fonti. Placca dentale In ambito parodontale, il Prof. Trombelli ripercorre le motivazioni per valutare il rischio di malattia parodontale ed il razionale per la scelta di 5 parametri per la sua definizione, ottenibili in maniera semplice dalla storia del paziente e dalle indagini cliniche. Queste informazioni sono anche intese a supportare la comunicazione con il proprio paziente per far meglio comprendere l’apporto che egli stesso può dare alla terapia impostata dal medico. Il Prof. Rosenberg guarda invece alle similitudini nel distretto orale tra lingua e parodonto, sottolineando l’importanza della pulizia del dorso linguale per ridurre da una parte l’impatto sull’alito e dall’altra il rischio di infezione di altri compartimenti orali. © GettyImages 85757466 Contenuto Prevenzione della carie infantile precoce: perché è così difficile? Prof. Dr. Dominique Declerck, Leuven, Belgio 3 Prevenire la carie senza fluoruro – è possibile? Prof. Dr. Elmar Hellwig, Friburgo, Germania 5 Le discromie colorate dello smalto nell’era della fluoroprofilassi topica Dr. Roberto Ferro, Cittadella 7 Un nuovo metodo semplificato per la valutazione del rischio parodontale Prof. Dr. Leonardo Trombelli, Ferrara 10 Alito cattivo e malattia parodontale infiammatoria: esiste una correlazione? Prof. Dr. Mel Rosenberg, Dr. Nir Sterer, Tel-Aviv, Israele 12 Nuova protezione contro l’erosione dello smalto e della dentina 14 L’erosione: quale ruolo giocano le abitudini alimentari? Prof. Dr. Stefan Zimmer, Witten/Herdecke, Germania 15 Anoressia nervosa: Effetti sulla dentatura e trattamento odontoiatrico Prof. Dr. Pierre Colon, Parigi, Francia Spazzolamento dei denti dopo attacchi acidi – sono utili i tempi di attesa? Prof. Dr. Carolina Ganss, Judith von Hinckeldey, Prof. Dr. Joachim Klimek, Lina Neutard, Dr. Nadine Schlüter, Giessen, Germania 02 17 19 Erosioni e lesioni non cariose dello smalto Livia Ottolenghi, Roma 21 Il Workshop di Berna 24 1/2011 Il tema dell’erosione viene affrontato da diverse angolazioni e con una prospettiva multidisciplinare discutendo possibili cause, approcci diagnostici e procedure di trattamento. La Prof.ssa Ottolenghi delinea per l’appunto caratteristiche, fattori predisponenti ed aspetti clinici dell’erosione dentale, e descriveun recente metodo per la sua diagnosi, sviluppato da illustri ricercatori quali Bartlett, Ganss e Lussi nel 2008. Questo approccio permette inoltre una semplice econfrontabile classificazione dell’erosione dentale. Il Prof. Zimmer e la Prof.ssa Ganss valutano invece l’impatto rispettivamente di dieta ed azione meccanica sul processo erosivo, mentre il Prof. Colon analizza una delle possibili cause di erosione dentale, quale l’anoressia, mettendone in luce alcune singolarità per quel che concerne il riconoscimento e l’approccio terapeutico. Tutte queste informazioni, ed altre ancora, si integrano nel concetto moderno di medicina multidisciplinare e di valutazione del rischio ed in tal senso dovrebbero rientrare con regolarità nelle procedure di ogni studio odontoiatrico. Questo lavoro è favaorito dall’alta frequenza di visite che l’odontoiatra svolge rispetto agli altri medici, ed il ruolo che queste visite possono avere in ambito diagnostico e di valutazione dei rischi del paziente. In questo senso, il numero attuale del PROFESSIONALdialogue proposto vuole dare spunti e strumenti per affrontare le sfide odierne e future. Dr. Charly Ponti Resp. Aff. Scientifici GABA Italia PROFESSIONALdialogue Carie Prevenzione della carie infantile precoce: perché è così difficile? Prof. Dr. Dominique Declerck, Università Cattolica di Leuven, Belgio La carie infantile precoce è ancora un problema? La carie infantile precoce, Early Childhood Caries (ECC), continua ad interessare un numero considerevole di bambini, non solo in aree sottosviluppate, ma anche in comunità con sistemi di salute orale ben sviluppati (Vadiakas 2008). L’entità di questa patologia ha un grosso impatto sulla qualità della vita del bambino e della sua famiglia (Locker et al. 2002). Studi differenti hanno mostrato che l’esperienza di carie nella dentatura decidua ha un forte valore predittivo per lo sviluppo della carie nella dentatura permanente (Vanobbergen et al. 2001; Leroy et al. 2005; Skeie et al. 2006). La carie infantile precoce (ECC) dovrebbe dunque essere considerata come un fattore rilevante della salute pubblica. La condizione clinica della ECC è ben nota ed è stata ampiamente descritta. I fattori di rischio ed i determinanti sono stati studiati in maniera approfondita (Vadiakas 2008). L’ ECC, come tutte le altre forme di carie, ha un’ origine multi-fattoriale con un insufficiente controllo del metabolismo della placca, come fattore chiave. La quantità, la composizione e l’attività della placca dentale devono essere prese in considerazione. Interventi di promozione della salute orale rivolti ai bambini piccoli ed ai loro genitori, pongono l’attenzione sulle misure di igiene orale, sulle raccomandazioni della dieta, sull’utilizzo di fluoruro e sulla limitazione della trasmissione (materna) di micro-organismi. Ciononostante, questi approcci sembrano fallire (troppo spesso). Una percentuale considerevole di bambini continua a presentare denti cariati in età molto giovane. L’estesa riabilitazione orale necessaria per questi bambini e la loro ridotta collaborazione (a causa della giovane età) richiedono spesso l’uso di anestesia generale per la gestione del comportamento al fine di permettere l’esecuzione del trattamento necessario. In aggiunta, il tasso di successo dei trattamenti restaurativi in questi bambini è spesso scarso (Almeida et al. 2000; Chase et al. 2004). In molti casi la ragione di questo fallimento è la mancanza della prevenzione (secondaria). Tutte queste osservazioni sottolineano la necessità di una più efficace prevenzione di questa patologia che colpisce i bambini piccoli. Cosa c’è di sbagliato? Quando si valutano le possibili cause per l’apparente fallimento della prevenzione, in gruppi specifici di bambini piccoli, occorre considerare diversi aspetti. PROFESSIONALdialogue L’educazione all’igiene orale è basata principalmente sulla promozione della regolare pulizia dei denti e sulla riduzione del consumo di bevande e merendine zuccherate. In letteratura si possono trovare risultati discordanti sull’efficacia di tali misure e sono stati riportati diversi fallimenti (Twetman 2008). Sorprendentemente le evidenze disponibili nel gruppo di età qui considerato, sono poche. Le indicazioni sono spesso basate su dati ottenuti da studi trasversali, da studi su animali o da risultati di laboratorio. Studi di efficacia sono molto pochi e, quando disponibili, vi sono seri dubbi riguardanti gli aspetti metodologici. Qual è il disegno di studio (numero di soggetti inclusi, randomizzazione, criterio di esclusione …)? È stata considerata la compliance del paziente? Quali possono essere i possibili elementi di disturbo? È stata presa in considerazione la condizione basale? Un’ eccezione deve essere fatta riguardo l’utilizzo del fluoruro. Un’evidenza convincente è disponibile riguardo l’effetto cario-protettivo derivante dall’uso giornaliero del fluoro nei dentifrici ed esistono alcune evidenze circa l’effetto preventivo dell’applicazione professionale delle vernici al fluoro in bambini ad alto rischio (Twetman 2009). Ma anche qui restano molte domande. I prodotti proposti erano spesso testati in gruppi di età differenti da quello considerato nel caso della ECC e resta da determinare la concentrazione ottimale di fluoruro. Anche la quantità di dentifricio da utilizzare e la frequenza dell’applicazione necessitano ulteriori ricerche. Questo è anche il caso di aspetti quali l’età in cui bisognerebbe iniziare a spazzolare i denti, l’effetto dello sciacquo dopo lo spazzolamento ed il tempo di spazzolamento. La stessa osservazione può essere fatta riguardo le misure concernenti gli aspetti microbiologici. Studi che analizzano l’uso di prodotti antimicrobici mostrano risultati vari. Interventi che mirano alla prevenzione della trasmissione madre-figlio restano inconcludenti, anche se promettenti (Twetman 2008). Questi risultati evidenziano l’esigenza di (ulteriori) studi di intervento di alta qualità per chiarire questi aspetti. In conclusione, possiamo affermare che ci sono alcune evidenze relative al contenuto dei messaggi di prevenzione e di azioni per la prevenzione della ECC, ma sono disponibili poche evidenze in merito al modo per implementarli. Ciò che conosciamo è alquanto limitato, probabilmente è più importante ciò che (ancora) non conosciamo. In ogni caso dobbiamo stressare il fatto che la mancanza di evidenza non è sinonimo di assenza di effetto. 1/2011 30 Carie Un programma integrato di promozione alla salute orale in bambini piccoli nelle Fiandre (Belgio) Nel 2003 nelle Fiandre è stato lanciato un intervento di promozione alla salute orale per i neonati e per i loro genitori. Il programma è stato sviluppato nell’ambito di un programma governativo di assistenza già esistente, offerto a tutti i giovani genitori e completamente gratuito per i partecipanti. Oltre il 97 % dei genitori ha usufruito di questo servizio, indipendentemente dal background socio-economico. Le cure mediche ed il supporto educativo (fino all’età di 2,5 anni) offerti da medici ed infermieri del Kind & Gezin comprendevano 4 visite domiciliari e 11 consultazioni presso un ufficio regionale. Questo sistema offriva un’opportunità unica per integrare i messaggi di salute orale in un programma già esistente. L’intervento, chiamato anche ‘Esteso programma di assistenza’, è stato sviluppato in stretta collaborazione tra esperti in pedodonzia, in pediatria, in psicologia e infermieri della Kind & Gezin. Durante ciascun incontro con i bambini e i loro genitori venivano registrati uno o più dati riguardanti la salute orale (ad esempio nessun liquido zuccherato sul ciuccio, nessun biberon a letto, inizio dello spazzolamento allo spuntare del primo dentino …). L’informazione era integrata nel programma di cura esistente già offerto ed era consegnata ai medici ed agli infermieri del Kind & Gezin, che partecipavano a speciali corsi formativi prima di iniziare l’intervento. Al fine di sostenere i messaggi, era stato sviluppato un insieme di strumenti di comunicazione. L’intervento era supportato da informazioni specifiche per l’età e da disegni nel “libretto sanitario del bambino”. per lo Studio dell’Odontoiatria di Comunità. L’informazione veniva registrata a livello di carie iniziali (d1), ma consentiva la rilevazione a livello di cavità (d3). L’esperienza di carie era riassunta utilizzando l’indice dmft/dmfs. Sono state raccolte informazioni aggiuntive utilizzando questionari strutturati e validati completati dai genitori. I risultati mostrano che la salute orale dei bambini di 3 anni è migliorata in entrambe le regioni. Quando considerato a livello d1, il miglioramento era significativamente maggiore nel gruppo di studio. A livello d3 non sono state individuate differenze significative. Per quanto riguarda le abitudini di salute orale, è stata osservata, in entrambi i gruppi, una riduzione nel consumo dichiarato di bevande zuccherate tra un pasto e l’altro. La riduzione nel consumo dichiarato di bevande zuccherate di notte e di merende contenenti zucchero era significativamente maggiore nel gruppo di studio. L’utilizzo prolungato del biberon e/o del ciuccio non poteva essere influenzato. L’ulteriore follow-up dei bambini fino all’età di 5 anni ci permetterà di effettuare una analisi più dettagliata dei risultati dell’intervento di promozione alla salute orale qui presentato. Per poter valutare l’intervento, sono stati seguiti due gruppi: un gruppo di studio di 1080 bambini e un gruppo di controllo di 1057 bambini. I bambini del gruppo di controllo ricevevano il programma di cura standard, offerto dal Kind & Gezin a tutti i bambini delle Fiandre, e comprendente solo alcuni argomenti riguardanti la salute orale. Per eliminare possibili interazioni tra i due gruppi, i bambini erano selezionati da due aree geografiche distinte, poste ad una distanza di 120 Km l’una dall’altra. Lo studio era valutato in termini di esperienza di carie da parte dei bambini e riportava il comportamento relativo alla salute orale. I dati qui presentati sono relativi ai risultati ottenuti dopo 3 anni. E’ in corso una valutazione del follow-up fino all’età di 5 anni. I controlli orali venivano effettuati a scuola da un gruppo di 8 dentisti formati, assistiti da un infermiere. Tali controlli erano eseguiti con il bambino seduto su una comune sedia, utilizzando uno specchio per bocca con una fonte luminosa montata su di esso e una sonda WHO/CPITN di tipo E. I denti non venivano lavati prima della valutazione e non venivano eseguite radiografie. Per la registrazione delle carie venivano utilizzati criteri standardizzati come proposti dalla British Association 44 1/2011 Prof. Dr. Dominique Declerck Università Cattolica di Leuven · Scuola di Odontoiatria Unità di Pedodonzia e Odontoiatria Speciale Capucijnenvoer 7 blok a bus 7001 B 3000 Leuven, Belgio PROFESSIONALdialogue Carie Prevenire la carie senza fluoruro – è possibile? Prof. Dr. Elmar Hellwig, Clinica universitaria di odontoiatria di Friburgo, Germania Negli ultimi 20 anni in Germania la prevalenza della carie nei bambini e nei giovani si è ridotta drasticamente, tanto che oggi i dodicenni presentano un valore DMFT inferiore a 1. Anche negli adulti in linea generale è riscontrabile una riduzione dei casi di carie. Questa tendenza positiva è solitamente dovuta all’uso di varie misure di fluorizzazione. Sussiste tuttavia in vari gruppi della popolazione un’alta prevalenza; inoltre è aumentato il numero di lesioni cariose in fase iniziale ed è quindi essenziale proseguire negli sforzi di prevenzione. In tale contesto sono stati recentemente introdotti sul mercato vari prodotti che possono trovare impiego nelle misure preventive della carie in sostituzione o integrazione delle misure di fluorizzazione. Naturalmente anche per questi prodotti valgono le stesse regole vigenti per la valutazione dell’efficacia delle misure mediche. Bisogna quindi chiedersi se vi siano prove scientifiche dell’efficacia o efficienza di questi prodotti (grado di evidenza). Tali prove di efficacia sono state ottenute in laboratorio o in uno studio clinico? Dove sono stati pubblicati i risultati, ed è possibile riesaminare in dettaglio i metodi utilizzati e i risultati ottenuti? Gli effetti pubblicizzati corrispondono a quelli effettivi? In questo quadro vanno innanzitutto citati i prodotti pubblicizzati con affermazioni come “Cura dei denti con smalto dentale liquido” o “ripara la superficie dello smalto durante la pulizia quotidiana, grazie ai microcristalli bioattivi di idrossiapatite e zinco” o ancora “non contiene fluoruro”. Uno di questi prodotti sostiene addirittura che l’utilizzo di preparati contenenti fluoruro chiuda solo lo strato superficiale delle lesioni cariose iniziali, senza che sia dimostrabile l’ulteriore accumulo di nuova idrossiapatite, mentre i microcristalli bioattivi garantirebbero il riempimento duraturo dei danni delle nanoerosioni. In merito a tali affermazioni negative verso le misure di fluorizzazione è facile rilevare come esse siano semplicemente false. Già nel 2001 Ten Cate ha dimostrato che la rimineralizzazione dello strato di smalto più esterno di una lesione cariosa tramite misure di fluorizzazione non impedisce l’accumulo di minerale negli strati più profondi della lesione. Lo studio anzi ha dimostrato che nelle lesioni profonde, dopo 200 giorni in vitro si è prodotta una rimineralizzazione di circa l’80 % persino nella metà esterna della dentina. In uno studio successivo (2008) il gruppo di lavoro ha inoltre dimostrato che anche i preparati di fluoruro ad alta concentrazione inducono una rimineralizzazione, in particolare nelle lesioni cariose profonde. PROFESSIONALdialogue L’efficacia di vari cariostatici contenenti fluoruro ai fini della prevenzione cariosa è riscontrabile anche in varie revisioni Cochrane, e per questo in ambito internazionale non vi è divergenza di opinione tra gli esperti. Quanto all’affermazione secondo cui i prodotti con cristalli di idrossiapatite rafforzano, saldano o riparano i punti dello smalto dentale già “attaccati”, essa è priva di evidenze cliniche. Passando in rassegna la letteratura non vi sono studi clinici randomizzati controllti che abbiano paragonato tali prodotti con una pasta dentifricia contenente fluoruro o con un placebo. Le prove scientifiche di queste affermazioni si fondano su poche pubblicazioni, avvenute su riviste non sempre presenti negli elenchi di PubMed. Non è quindi possibile verificare che le affermazioni commerciali abbiano una valenza clinica. Nel 1999 il gruppo di lavoro di Kodaka et al. ha addirittura rilevato che le paste dentifricie contenenti cristalli di idrossiapatite non hanno saldato i difetti superficiali di una carie dello smalto in fase iniziale. Per quel che riguarda le misure di fluorizzazione invece è dimostrato che a seguito delle applicazioni è possibile bloccare la perdita di minerali nello smalto dentale e che essa anzi è reversibile. Sulle superfici di cristalli di una lesione cariosa precedentemente demineralizzati vengono rilasciati ioni di calcio e fosfato. Queste “faccette” possono assomigliare alla fluoroapatite, se nel processo di precipitazione è presente il fluoruro. I fluoruri accelerano la rimineralizzazione ed il minerale che ne risulta è più resistente agli acidi rispetto all’originale carbonidrossiapatite (Featherstone et al. 2008). Oltre a queste chiare prove sul meccanismo d’azione del fluoruro vi sono però anche svariati studi clinici che sono riusciti a dimostrare che uno dei fattori più importanti per la salute dentale è proprio la pulizia precoce dei denti con dentifrici fluorati, se possibile subito dopo la comparsa del primo dente da latte (Wendt et al. 1996; Alm et al. 2008). Tuttavia per i pazienti affetti da carie, oltre alle misure di fluorizzazione di base, come l’utilizzo di una pasta dentifricia contenente fluoruro e di sale alimentare addizionato di fluoruro, sono necessarie altre misure preventive. Spesso si offrono preparati contenenti clorexidina per la riduzione degli agenti patogeni nella cavità orale. In un articolo del 2004 Twetman è giunto alla conclusione che le prove di un effetto cariostatico delle lacche di clorexidina nei bambini in età scolare affetti da carie e negli adulti che utilizzano regolarmente preparati contenenti fluoruro non possono considerarsi definitive. 1/2011 50 Carie L’effetto preventivo delle lacche contenenti clorexidina è stato constatato esclusivamente per le carie occlusali. Questo studio trasversale ha permesso di verificare che l’utilizzo di lacche di clorexidina è indicato in particolare quando i denti rimanenti si frammentano e, per esempio, si desidera tamponare la situazione per il tempo necessario a provvedere alla sigillatura dei solchi. In uno studio molto interessante del 2002, de Soet et al. hanno dimostrato che nei pazienti con un alto numeri di lattobacilli nella saliva, laddove possibile, sarebbe bene evitare l’utilizzo di lacche di clorexidina. Evidentemente l’applicazione di lacche CHX in questi pazienti, in cui si ha abuso di zuccheri e quindi un pH costantemente basso nella placca, porta a un cambiamento della flora batterica in direzione di agenti responsabili dell’acidificazione diversi dagli Streptococcus mutans (ad es. Streptococcus mitis), per cui non è possibile bloccare la progressione della carie. Anche Ersin et al. (2008), in uno studio clinico su undicenni e tredicenni con conta di S. mutans nella saliva superiore a 100.000, giungono alla conclusione che l’utilizzo trimestrale di una lacca al fluoruro induce una riduzione dell’incremento della carie simile a quella prodotta dall’utilizzo di un gel al fluoruro ogni sei mesi (4.500 ppm di fluoruro). I bambini di questo studio si lavavano i denti due volte al giorno con una pasta dentifricia fluorata. Zang et al. (2006), in una review sistematica sull’efficacia delle lacche di clorexidina nella profilassi della carie, giungono alla conclusione che l’applicazione trimestrale ha un debole effetto inibitore della carie. Tale effetto scompare però dopo circa 2 anni dall’ultima applicazione. Inoltre non esistono prove di una riduzione della carie ad opera della clorexidina, quando si sceglie di attendere intervalli più lunghi tra le applicazioni. In totale quindi si constata che i risultati in merito all’efficacia delle lacche di clorexidina quali inibitori della carie sono molto contraddittori. Negli ultimi anni è andato aumentando l’utilizzo di caseinofosfopeptidi – fosfato di calcio amorfo (Recaldent TM ). Il suo funzionamento è così descritto: I caseinfosfopeptidi si legano agli ioni di calcio e fosfato e, tramite un complesso proteico di fosfato di calcio per il trasporto del fosfato di calcio, raggiunge la sostanza dura dei denti. Il CPP-ACP è presente in vari prodotti, come ad esempio nella gomma da masticare o nelle sostanze cremose. Mentre il gruppo di lavoro di Reynolds ha svolto numerosi studi su questo prodotto ed è giunto alla conclusione che si tratta di una molecola di trasporto sicura per il calcio-fosfato e per gli ioni OH e quindi favorisce la rapida rimineralizzazione dello smalto (Cross et al. 2007), altri sostengono invece che la quantità e la qualità degli studi clinici finora disponibili non forniscano evidenze sufficienti a trarre conclusioni definitive sull’efficacia di lungo termine dei derivati della caseina nella prevenzione della carie. Ad esempio Morgan et al. 06 1/2011 (2008), nell’ambito di uno studio clinico randomizzato e controllato a doppio cieco su 2720 bambini tra gli 11,5 e i 13,5 anni dimostrano che dopo l’utilizzo di una gomma da masticare contenente CPP-ACP le lesioni cariose prossimali si rimineralizzano completamente nello 0,4 percento dei casi. Nel gruppo di controllo, in cui è stata utilizzata una gomma da masticare senza CPP-ACP, la rimineralizzazione completa ha riguardato lo 0,3 percento della superficie prossimale. Bisogna però tenere presente che i bambini vivevano in una zona in cui l’acqua potabile conteneva fluoruro e utilizzavano dentifrici fluorati. Il gruppo di lavoro di Altenburger et al. (2009) ha scoperto che le prime lesioni cariose iniziali nella regione occlusale si rimineralizzano meglio dopo l’utilizzo di un gel CCP-ACP rispetto al semplice utilizzo di un dentifricio fluorato. Possiamo quindi constatare che l’insieme dei dati disponibili è ancora molto vago e non permette di trarre conclusioni, ad esempio sul fatto che l’utilizzo di un normale gel o di una lacca al fluoruro non porti al medesimo risultato dell’utilizzo di prodotti per l’igiene orale contenenti CCP-ACP. Anche per quanto riguarda l’efficacia nella riduzione della carie di prodotti allo xilitolo esistono dati molto contraddittori. Se da una parte alcuni sostengono che masticare (più volte al giorno) gomme contenenti xilitolo per lungo tempo possa ridurre l’incidenza della carie (van Loveren 2004; Hayes 2001), altri autori sostengono invece che l’effetto anticariogeno della gomma da masticare allo xylitolo non sia dimostrato con certezza, anche se il suo utilizzo quoditiano riduce il trasferimento dei microorganismi cariogeni dalla madre ai figli (Bird 2006; Lindström et al. 2003). Nell’insieme è comunque riscontrabile una tendenza generalmente positiva, sebbene naturalmente anche il semplice stimolo della salivazione dovuto alla masticazione della gomma produca abbia per effetto la riduzione della carie. Per questo motivo oggi, soprattutto per i pazienti al alto rischio di carie, oltre all’utilizzo di cariostatici fluorati, si consiglia di masticare gomma contenente xilitolo (da 3 a 5 volte al giorno, 5 minuti per volta). La dose quotidiana di xilitolo consigliata per gli adulti è tra i 5 e i 7 grammi e per bambini tra 1 e 2 grammi. Riassumendo, possiamo constatare che vari metodi consigliati per prevenire la carie si fondano su studi e case studies che disegnano un quadro tutt’altro che univoco. Per questo sarebbe bene innanzitutto ricorrere a metodi fondati su evidenze, tra cui citiamo: l’applicazione di fluoruro, il cambiamento delle abitudini alimentari e una buona igiene orale. Prof. Dr. Elmar Hellwig Ärztlicher Direktor der Abteilung für Zahnerhaltungskunde und Parodontologie der Universitätsklinik für Zahn-, Mundund Kieferheilkunde Freiburg Hugstetterstraße 55 . 79106 Freiburg · Germania PROFESSIONALdialogue Carie Le discromie colorate dello smalto nell’era della fluoroprofilassi topica Dr. Roberto Ferro, Direttore Unità Operativa Autonoma di Odontoiatria, Cittadella Risale a settant’anni fa, negli Stati Uniti, e all’intuizione di Trandley Dean la scoperta dell’efficacia preventiva del fluoro quando dimostrò che la più bassa prevalenza di carie, si repertava in aree geografiche dove l’acqua potabile aveva specifiche concentrazioni di fluoro (ottimale la concentrazione di 1 ppm). Tre anni dopo, il Servizio Sanitario Nazionale degli Stati Uniti diede vita al primo esperimento di fluorazione artificiale delle acque potabili nella località di Grand Rapids (Michigan), con la finalità di attuare un programma di salute pubblica che copiasse il meglio della natura, come testimoniato dalle parole di John Knutson, componente dello staff di Trendley Dean, che così scrisse 25 anni dopo: “... we were surely replicating the nature’s best, based on an estensive background of study in nature’s laboratory, a laboratory which was extremely large ...”. Al giorno d’oggi oltre 300 milioni di persone nel mondo usufruiscono di acque artificialmente fluorate. È questa una metodica che coinvolge la gran parte dei cittadini degli Stati Uniti dove da quasi sessant’anni rappresenta una pietra miliare per la prevenzione della carie, tanto che i Centers for Disease Control (CDC) di Atlanta hanno riconosciuto questo metodo come una delle grandi scoperte per la salute pubblica del XX secolo (CDC 2001). Finché è stato l’unico mezzo a disposizione, la riduzione nella prevalenza della carie andava dal 40 al 50 % per i denti da latte e dal 50 al 60 % per i permanenti (Pine 1997). Adesso la situazione epidemiologica è cambiata. Nel mondo industrializzato, infatti, nelle ultime quattro decadi la carie è andata declinando sia nelle aree servite da acqua fluorata sia in aree con acqua potabile priva di fluoro (Tabella 1). PROFESSIONALdialogue 5 42,5 kg 39 kg 38,5 kg 10 9 8 4 7 6 3 5 4 2 3 2 1 1 0 0 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 anni dentifricio al fluoro dentifricio senza fluoro DMFT Tabella 1: Decremento dell’indice DMFT in Olanda nei dodicenni correlato con il consumo di dentifrici fluorati (e non fluorati) e con il consumo di zucchero per anno (rilevato negli anni 1961, 1982, 1985) Se all’inizio di questo trend i ricercatori di tutto il mondo non sapevano fornire una spiegazione del fenomeno, con gli anni, complice il diffuso consumo di prodotti fluorati topici, hanno radicalmente cambiato le proprie convinzioni sulle proprietà preventive del fluoro spostando l’attenzione sull’azione topica piuttosto che su quella sistemica (Ferro & Besostri 2011). Da una quindicina d’anni oramai c’è un universale consenso del mondo scientifico che l’effetto predominante del fluoro è quello topico post-eruttivo piuttosto che quello sistemico pre-eruttivo (Bratthall, Petersson, Sundberg 1996). Fare fluoroprofilassi significa mettere a disposizione nel cavo orale piccole quantità di fluoro durante l’attacco acido conseguente alla fermentazione dei carboidrati da parte dei batteri acidofili della placca (Ferro & Besostri 2011). In tal modo, dopo la fase di demineralizzazione, viene favorita la remineralizzazione dello smalto tramite la precipitazione, nel suo interno, di molecole di fluoroapatite che ne ricompattano l’integrità rendendolo più resistente a nuovi attacchi acidi. Come recitano le consolidate linee guida sulla fluoroprofilassi emanate negli USA nel 2001 il fluoro deve essere presente al posto giusto (nell’interfaccia smalto-placca batterica) al momento giusto (durante l’attacco batterico) e nella giusta quantità (0.01 ppm – 0.04 ppm) (CDC 2001). 1/2011 70 DMFT Nel mondo occidentale ha avuto un andamento “a sombrero”, con una fase di pandemia durata 120 anni. Poco frequente fino al 1850 con la comparsa nella dieta dei carboidrati raffinati è andata progressivamente aumentando per oltre un secolo raggiungendo il suo apice attorno al 1970. Da quel momento con il progressivo diffondersi del consumo di prodotti fluorati è iniziato il suo declino arrivando agli attuali indici non dissimili da quelli precedenti la comparsa dei carboidrati raffinati. Kg di zucchero consumato pro-capite all’anno mln. litri dentifricio venduti Studi antropologici hanno dimostrato che la carie è sempre esistita, ma la sua prevalenza nel corso della storia dell’umanità è stata influenzata da due fattori: la comparsa nella dieta dei carboidrati raffinati e la scoperta delle proprietà preventive del fluoro. Carie Un’altra conseguenza del diffuso consumo di dentifrici al fluoro ( e di prodotti fluorati topici quali gel e colluttori), oltre alla diminuzione della carie, è stata la modificazione del pattern di manifestazione clinica della carie stessa. Se nel passato per carie s’intendeva la lesione cavitata, ora il quadro clinico è dominato dalle “discromie demineralizzate”dello smalto (Fig. 1) (Ferro & Besostri 2011). Quel giorno è oramai giunto e la carie non rappresenta più un’emergenza sanitaria per la gran parte della popolazione infantile. Nelle nuove generazioni in cui è diffusa la pratica quotidiana all’igiene orale con dentifricio fluorato, infatti, la patologia cariosa tende a concentrarsi in uno specifico sottogruppo costituito sia da soggetti appartenenti a classi sociali più basse, sia da soggetti biologicamente più predisposti. La ricerca ha spiegato in modo esaustivo quanto successo negli ultimi 150 anni riassumendolo con questa tesi: i potenziali danni di una dieta cariogena sono neutralizzati dal regolare consumo di prodotti fluorati. Per chi si occupa della salute orale dei bambini è cruciale far acquisire l’uso del dentifricio due volte al giorno. Occorre spiegare ai genitori il concetto del gioco dello spazzolino. Un bimbo piccolo non ha l’abilità di lavarsi i denti , di rimuovere cioè con le setole la placca batterica , visto che la maturazione neuromuscolare è la’ da venire. Però con lo spazzolino può veicolare nel cavo orale il fluoro, contenuto nel dentifricio (Fig. 2). Fig. 1: Discromie demineralizzate dello smalto L’approccio stesso a queste “nuove carie“ dell’era della “fluoroprofilassi topica” è cambiato: il dentista ogni giorno si confronta sul problema di come diagnosticarle e su come trattare queste lesioni allo stadio iniziale (Pine 1997; Pitts 2004). Poiché la carie non è un processo a senso unico che si trasforma inevitabilmente in una cavità, ma è il risultato di un processo dinamico che inizia come demineralizzazione degli strati esterni dello smalto e che nel suo sviluppo può essere arrestato o può addirittura regredire rimineralizzando i prismi dello smalto, al giorno d’oggi in fase diagnostica si ricorre al metodo “watch and wait”, mentre nella terapia si usa sempre meno il trapano per far ricorso a presidi medici (il fluoro in primis nella sua forma topica) (Pine 1997; Pitts 2004). A questo punto mi piace ricordare quanto in piena endemia cariosa nel 1896 il celeberrimo professor Greene Vardiman Black di Chicago, convinto assertore della prevenzione, disse ai propri studenti: “è sicuramente vicino il giorno in cui tutti saremo impegnati in un’odontoiatria pratica preventiva più che riparativa e questo avverrà quando comprenderemo l’eziologia della carie dentale tanto a fondo da poterne combattere gli effetti distruttivi attraverso interventi sistematici e mirati”. 08 1/2011 Fig. 2: Presso l’Ulsi n 15 dell’Alta Padovana (Regione Veneto) da 20 anni vengono condotti programmi di promozione della salute orale presso la popolazione infantile. L’immagine della bocca in cui è disegnato a mo’ di treno uno spazzolina che porta un dentifricio è utilizzata negli incontri con i bambini delle scuole materne per spiegare loro che lo spazzolin è un mezzo di trasporto del dentifricio che contiene il fluoro (che a sua volta protegge dai buchi dei denti). L’uso combinato dello spazzolino e del dentifricio al fluoro acquisito nei primi anni di vita entrerà in modo permanente a far parte del palinsesto delle attività quotidiane. I denti da latte sono pertanto una palestra grazie alla quale i bambini si esercitano per mantenere sana la bocca per tutta la vita. Va inoltre spiegato ai genitori che è normale che i bimbi mangino del dentifricio sia perché sotto i 6 anni il riflesso della deglutizione non è ancora controllato sia perché il dentifricio viene ingerito volontariamente dato il sapore gradevole (Ferro & Besostri 2011). PROFESSIONALdialogue Carie La Tabella 2 illustra le raccomandazioni all’uso del dentifricio fluorato nei bambini da parte dell’European Academy Paediatric Dentistry. Concentrazione di fluoro nel dentifricio Età Quante volte Quantità di vanno lavati i dentifricio da denti algiorno mettere nello spazzolino 6 mesi –2 anni 500 ppm 2 Pea-size 2– 6 anni 1000 ppm 2 Pea-size Sopra i 6 anni 1000 ppm 2 1– 2 cm Per denti bianchi e lisci Il prodotto di successo per conservare denti lisci e naturalmente bianchi oggi con un formato più grande. GABA Vebas, the specialist in oral care, ha introdotto nel mercato elmex PULIZIA INTENSIVA con un nuovo formato. Il nuovo tubetto, infatti, contiene 50 ml rispetto ai 30 ml del precedente, con il 65 % di incremento a volume. Tabella 2: Raccomandazioni per l’uso di dentifrici al fluoro nei bambini da parte dell’EADP (European Associacion Paediatric Dentistry) del 2009 Le linee guida per la prevenzione della carie pubblicate dalla SIOI nel 2007 (Campus et al. 2007) ed in seguito acquisite anche dal Ministero della Salute, sottolineano come il dentifricio fluorato rappresenti “la metodica preventiva più potente per la prevenzione della carie”. Il tempo della fluoroprofilassi sistemica è oramai passato. Lo testimonia da una parte un’imponente letteratura scientifica (Petersen 2003) che va dall’epidemiologia alla ricerca di base dall’altra la pratica quotidiana che ogni giorno pone il clinico a confronto con un numero crescente di bambini privi di carie a dispetto di quanto succedeva 2 – 3 decadi fa. Nelle ultimissime linee guida prodotte a livello internazionale (American Academy of Pediatric Dentistry, 2008; European Academy of Paediatric Dentistry, 2009; New Zealand Guidelines Group, 2009; Scottish Dental Clinical Effectiveness Programme, 2010; American Dental Association (American Academy of Pediatric Dentistry), emergono forti criticità riguardo all’uso dei supplementi fluorati (compresse) sia in gravidanza che nei primi anni di vita. In gravidanza l’assunzione di fluoro da parte della gravida allo scopo di garantire la salute orodentale del nascituro è considerata inutile; mentre per quanto riguarda la somministrazione di compresse fluorate nei primissimi anni di vita o non viene presa in considerazione o viene riservata alla ormai ristretta fascia di bambini ad alto rischio (Ferro & Besostri 2011). Le speciali particelle lucidanti del dentifricio rimuovono delicatamente dal dente le macchie superficiali, la placca ed i depositi. Grazie alla sua particolare capacità lucidante i denti si conservano notevolmente puliti e lisci. Dopo l’utilizzo i denti sono più lisci e di conseguenza la placca batterica non aderisce facilmente. La presenza del fluoruro amminico (1400 ppm) inoltre protegge efficacemente contro la carie. Il prodotto è scientificamente testato. Nei test Invitro è stato dimostrato che questo speciale dentifricio raggiunge prestazioni di pulizia più elevate rispetto ad un dentifricio utilizzato quotidianamente e rispetto a specifici dentifrici in commercio che prevengono le macchie; ed inoltre, ha un potenziale lucidante dello smalto più elevato. Il dentifricio deve essere utilizzato per 3 minuti a giorni alterni in sostituzione del dentifricio utilizzato per l’igiene orale quotidiana. L’acquisizione, nei primi anni di vita, di stili di vita congrui, quali una quotidiana igiene orale basata sull’uso regolare dello spazzolino e del dentifricio fluorato almeno due volte al giorno, non solo sradica o riduce drasticamente la patologia cariosa, ma ha effetti positivi sull’insorgenza e il controllo della malattia parodontale negli anni a venire (Ferro & Besostri 2011). Dr. Roberto Ferro Direttore Unità Operativa Autonoma di Odontoiatria Via Riva del Grappa, 49 Cittadella PD 35013 PROFESSIONALdialogue 1/2011 90 Parodontologia Un nuovo metodo semplificato per la valutazione del rischio parodontale Prof. Dr. Leonardo Trombelli, Università di Ferrara, Ferrara La suscettibilità alla malattia parodontale è estremamente variabile tra i soggetti, sia in termini di incidenza e di progressione della malattia (Löe et al. 1986; Trombelli et al. 2004) che di risposta del soggetto al trattamento (Hirschfeld & Wassermann 1978; Trombelli et al. 2004b). La natura di questa variabilità può essere attribuita solo in parte (50 %) all’eredità genetica (Michalowicz et al. 2000), essendo, la restante suscettibilità, sostenuta da altri fattori determinanti del rischio, identificati attraverso studi longitudinali (Albandar 2005; Heitz-Mayfield 2005; Timmermann & van der Weijden 2006). La valutazione del rischio è stata definita come il processo attraverso il quale vengono fatte valutazioni qualitative e quantitative della probabilità che si verifichino eventi avversi, come risultato dell’esposizione a specifici pericoli per la salute o dell’assenza di influssi benefici (American Academy of Periodontology 2008). In parodontologia la valutazione dei determinanti del rischio è fondamentale per l’ identificazione precoce dei soggetti ad alto rischio e per la formulazione delle strategie preventive e terapeutiche individuali, che abbiano come obiettivo il controllo mirato dei fattori di rischio (Heitz-Mayfield 2005). La valutazione del rischio soggettivo consiste nell’identificazione dei fattori di rischio che un singolo paziente può manifestare nella documentazione della sua storia, effettuando poi un‘analisi qualitativa soggettiva della magnitudine e del ruolo che questi fattori possono giocare nella condizione patologica (Page & Martin 2007). Tuttavia, evidenze scientifiche suggeriscono che il giudizio scaturito dalla valutazione soggettiva di esperti clinici, in termini di livello di rischio basato sul soggetto, è altamente variabile e potrebbe risultare nell’errata applicazione del trattamento per alcuni pazienti (Persson et al. 2003). Negli ultimi anni, queste osservazioni basate sulla soggettività della valutazione del rischio hanno richiesto lo sviluppo di metodi nuovi e più oggettivi per valutare il rischio parodontale (Page et al. 2002; Lang & Tonetti 2003; Persson et al. 2003; Renvert & Persson 2004; Farina et al. 2007), al fine di ottenere sperimentalmente informazioni più uniformi e accurate che possano ottimizzare le scelte cliniche, migliorare l’igiene orale dei pazienti e ridurre le spese per la salute. Recentemente, abbiamo proposto un metodo semplificato (UniFe) per la valutazione del rischio parodontale basato su 5 parametri ottenuti dalla storia medica del paziente e dalle valutazioni cliniche. I parametri UniFe sono i seguenti: 10 1/2011 Abitudine al fumo: registrato come “non fumatore”, “ex-fumatore” o “fumatore”. Per i fumatori, viene annotato il consumo giornaliero di sigarette; Condizione diabetica (considerati entrambi i Tipi 1 e 2 di diabete mellito): registrato come “non-diabetico”, “diabete controllato” (cioè emoglobina glicosilata nel siero < 7.0 % all’ultimo controllo), “diabete scarsamente controllato” (cioè emoglobina glicosilata nel siero > _ 7.0 % all’ultimo controllo); Numero di siti con una profondità di tasca > _ 5 mm: la profondità di tasca è misurata dal margine gengivale al fondo della tasca. Le misurazioni di profondità sono eseguite utilizzando una sonda manuale sensibile alla pressione (CP 12; Hu-Friedy, Chicago, Illinois, US), ad una forza approssimativamente di 0.3 N, su 6 superfici per ciascun dente (mesio-vestibolare, vestibolare, disto-vestibolare, mesio-linguale, linguale, disto-linguale). Si conta il numero di siti con una profondità di tasca > _ 5 mm per ciascun paziente; Sanguinamento al sondaggio (BoP): ciascun sito sondato è registrato come positivo quando si osserva sanguinamento dopo l’inserimento della sonda. BoP è calcolato come la percentuale dei siti positivi rispetto al totale dei siti sondati; Perdita di osso/età: la perdita di osso è misurata come il numero di denti con una distanza dalla giunzione smalto-cementizia alla cresta alveolare > _ 4 mm su almeno una superficie interprossimale (mesiale o distale), misurata attraverso una radiografia periapicale. L’età è espressa in anni. E’ stato creato arbitrariamente un grafico speciale per far corrispondere l’età del paziente con la severità di perdita ossea (Tabella 1e). Ad ogni parametro venivano attribuiti punteggi diversi (“punteggio del parametro”), come mostrato in (Tabelle 1a-e). Si calcola la somma algebrica dei punteggi dei parametri e poi si fa riferimento ai 5 “parametri di rischio”: valore 1 (rischio basso), 2 (rischio mediobasso), 3 (rischio medio), 4 (rischio medio-alto) e 5 (rischio alto) (Tabella 2). PROFESSIONALdialogue Parodontologia Abitudini al fumo Valore dei parametro Numero di tasche con una profondità di sondaggio > _ 5 mm Valore dei parametro Mai fumato 0 0 –1 0 Ex fumatore 1 2–4 1 1– 9 sigarette al giorno 2 5 –7 2 10 –19 sigarette al giorno 3 8 –10 3 > _ 20 sigarette al giorno 4 > 10 4 Tabella 1a: Metodo UniFe: calcolo del valore relativo alle abitudini al fumo Tabella 1c: Metodo UniFe: calcolo del valore relativo al numero di tasche con una profondità di sondaggio > _ 5 mm Condizione diabetica Valore dei parametro Sanguinamento al Sondaggio (%) Valore dei Parametro non diabetico 0 0–5% 0 6 –16 % 1 Diabete controllato (HbA1c sierico < 7,0 %) 2 17– 24 % 2 Diabete scarsamente controllato (HbA1c sierico > 7,0 %) 25 – 36 % 3 4 > 36 % 4 Tabella 1b: Metodo UniFe: calcolo del valore relativo alla condizione diabetica Tabella 1d: Metodo UniFe: calcolo del valore relativo al sanguinamento al sondaggio Perdita di osso (numero di denti con una perdita radiografica di osso > _ 4 mm) età (anni) 0 1– 3 4–6 7–10 > 10 0 – 25 0 8 6 8 8 26 – 40 0 6 6 8 8 41– 50 0 4 4 6 8 51– 65 0 2 4 6 8 > 65 0 0 2 4 6 Tabella 1e: Metodo UniFe: calcolo del valore relativo alla perdita di osso/età correlata con il consumo giornaliero di sigarette (Grossi et al. 1995; Bergström et al. 2000; Calsina et al. 2002; Meisel et al. 2004), così come con lo stato diabetico e con lo scarso controllo della glicemia (Oliver & Tervonen 2003; Tylor 2001; Tsai et al. 2002; Guzman et al. 2003). La presenza di tasche residue profonde è stata associate alla progressione della malattia su base sito- (Badersten et al. 1990; Claffey et al. 1990) e paziente- specifica (Claffey & Egelberg 1995). Il fumo e il diabete mellito sono considerati i due maggiori fattori di rischio per la parodontite (HeitzMayfield 2005; Tonetti & Claffey 2005), a causa della loro forte associazione con l’incidenza e la progressione della malattia (Beck et al. 1990; Emrich et al. 1991; Genco & Löe 1993; Bergström & Preber 1994; Grossi et al. 1994; Machtei et al. 1997; Tomar & Asma 2000; Sandberg et al. 2000; Soskolne & Klinger 2001; Hyman & Reid 2003; Thomson et al. 2007). E’ stato dimostrato che la gravità della distruzione dei tessuti parodontali è Valore del rischio: 1 rischio BASSO Valore del rischio: 2 rischio MEDIO-BASSO Valore del rischio: 3 rischio MEDIO Valore del rischio: 4 rischio MEDIO-ALTO Valore del rischio: 5 rischio ALTO (0 – 2) (3 – 5) (6 – 8) (9 –14) (15 – 24) Tabella 2: Metodo UniFe: Determinazione del valore di rischio. I valori dei parametri ottenuti dalle Tabella 1a–e vengono sommati e la loro somma (tra parentesi) si riferisce ad un intervallo di valore del rischio che va da 1 a 5. PROFESSIONALdialogue 1/2011 11 Alitosi Mentre il valore positivo predittivo per la progressione della malattia del BoP a livello del sito è relativamente basso, vi è evidenza che individui sono a basso rischio di progressione della malattia quando la prevalenza del BoP a livello del soggetto è inferiore al 20 % (Lang et al. 1986). Studi retrospettivi hanno mostrato che il grado di perdita di osso alveolare o il numero di denti presenti all’inizio dello studio, che rappresenta la storia della parodontite del paziente, può essere utilizzato per prevedere l’ulteriore progressione di parodontite non trattata (Papapanou et al. 1989). Anche se il parametro derivato dalla perdita ossea/età è stato incluso nei metodi precedentemente proposti per la valutazione del rischio (Lang & Tonetti 2003; Persson et al. 2003; Renvert & Persson 2004), non sono attualmente disponibili studi longitudinali che ne hanno valutato il valore predittivo. In un recente studio abbiamo proposto un metodo semplificato (UniFe) per la valutazione del rischio parodontale e lo abbiamo confrontato con un metodo computerizzato precedentemente validato (PAT® ). I valori di rischio per entrambi i metodi sono stati calcolati per 107 pazienti, selezionati casualmente tra i pazienti in cura presso una clinica specialistica (Trombelli et al. 2009). I risultati indicano che: 1) alla maggior parte dei pazienti è stato assegnato un valore di rischio alto (4 o 5) in accordo ad entrambi i metodi; 2) è stata osservata una buona concordanza tra i due metodi (valore k misurato= 0,70), con una corrispondenza completa nel 74.8 % dei pazienti; 3) le differenze nel valore del rischio tra i due metodi sono state spiegate con i punteggi del parametro BoP e perdita di osso/età (corretto R2 = 0.378). Nel nostro metodo, ciascuno dei 5 parametri era categorizzato, e ciascuna categoria riceveva un differente punteggio (“valore del parametro”) compreso tra 0 e 8. Il valore del rischio UniFe risulta dalla somma algebrica dei punteggi di ogni singolo parametro. Dunque, il nostro metodo soffriva di tre principali limitazioni: 1) il numero di parametri inclusi nel calcolo del rischio era limitato, 2) il relativo valore predittivo di ciascun parametro nel contribuire al valore totale del rischio, era assegnato arbitrariamente e 3) l’interazione positiva o negativa tra i fattori/indicatori di rischio considerati non era presa in considerazione nel calcolo del rischio. Sfortunatamente, mancano ancora studi longitudinali basati su un’ampia gamma dei principali fattori/ indicatori del rischio associati con l’insorgenza/progressione della parodontite, che definiscano chiaramente il rischio relativo di ciascuno dei parametri considerati, quando presente da solo o in associazione. Pertanto, queste limitazioni sono presenti in molti, se non tutti, i metodi che sono stati proposti per la valutazione del rischio. Ciononostante, il metodo UniFe necessita di essere validato in studi longitudinali dove pazienti non trattati, con diverso grado di malattia parodontale, vengano valutati a lungo termine. Prof. Dr. Leonardo Trombelli Centro di ricerca per lo studio delle malattie parodontali, Università di Ferrara Corso Giovecca 203 · 44100 Ferrara Alito cattivo e malattia parodontale infiammatoria: esiste una correlazione? Prof. Dr. Mel Rosenberg, Dr. Nir Sterer, Università di Tel-Aviv, Israele L’alito cattivo e la malattia parodontale infiammatoria sono entrambi problemi diffusi che interessano un’ampia percentuale di adulti in tutto il mondo. I dentisti spesso considerano la malattia parodontale infiammatoria come la principale causa di alitosi. Inoltre, l’alito cattivo è spesso indicato come un segnale di allarme della malattia parodontale infiammatoria. E’ realmente così? Questo è l’argomento del presente articolo. Diverse evidenze, così come osservazioni cliniche, sembrano supportare un’associazione positiva tra l’alitosi e la salute parodontale. Innanzitutto, le tasche parodontali profonde sono associate ad alti livelli di solfuri volatili, se confrontate con tasche poco profonde (Rizzo 1967; Torresyap et al. 2003). Tasche profonde ospitano batteri che producono quantità maggiori di cadaverina e putrescina (altre sostanze odorose) 12 1/2011 rispetto ai batteri presenti nelle tasche meno profonde (Goldberg et al. 1997). Inoltre, molti batteri anaerobi gram negativi, considerati essere i responsabili dell’infezione parodontale, producono alti livelli di solfuri volatili quando coltivati in vitro (Persson et al. 1989; Persson et al. 1990). Questi includono alcune specie come Fusobacterium, Prevotella e Bacteroides (Torresyap et al. 2003). È altresì degno di nota che in laboratorio il cattivo odore viene prodotto effettuando la coltura in condizioni anaerobiche, ma non in condizioni aerobiche, e ad un pH neutro-basico, ma non ad un pH acido, condizioni entrambe considerate importanti per la crescita e la patogenesi dei patogeni parodontali. Infine, l’esperienza clinica ci insegna che le tasche parodontali sono putride in presenza di tartaro. PROFESSIONALdialogue Alitosi Diversi studi clinici hanno trovato delle associazioni significative tra l’indice gengivale e la profondità di tasca (da una parte) e tra il cattivo odore orale, determinato da esperti di alitosi, ed i solfuri volatili (Morita & Wang 2001). Tuttavia, molti studi, in particolare quello di Bosy et al. (Bosy et al. 1994), condotto su 120 soggetti canadesi, non hanno trovato associazioni significative (nonostante il livello di cattivo odore fosse leggermente elevato nel gruppo con malattia parodontale infiammatoria). In seguito a questo studio un lavoro condotto dal Laboratorio di Walter J. Loesche ha trovato un’associazione significativa, mentre un altro no (De Boever et al. 1994; De Boever & Loesche 1995). Un fenomeno simile è accaduto nel nostro studio clinico in Israele. Nel 1994 abbiamo pubblicato uno studio iniziale (Kozlovsky et al. 1994) che mostra correlazioni altamente significative tra l’alito cattivo e la malattia parodontale infiammatoria in soggetti israeliani, tuttavia negli studi successivi non sono state osservate associazioni significative tra la salute parodontale ed i parametri di alito cattivo (Stamou et al. 2005). Probabilmente questo non è così sorprendente, se guardiamo indietro allo studio rimarchevole di Grapp pubblicato quasi ottanta anni fa (Grapp 1933). Grapp riferi’ che la principale sede di origine di alitosi non è il parodonto, ma piuttosto la parte posteriore del dorso della lingua. Oltre trent’anni dopo, Tonzetich e Ng dimostrarono che i solfuri orali possono essere ridotti di circa il 70 % (Tonzetich & Ng 1976) semplicemente pulendo la lingua. Nel 2006, Liu e collaboratori (Liu et al. 2006) trovarono che la patina linguale risulta essere la principale variabile associata sia ai livelli di odore percepibili che ai solfuri volatili. Anche se essi trovarono che le correlazioni tra i parametri della salute parodontale e l’alito cattivo erano altamente significative (data la grandezza del campione, N = 2000), i valori di r erano bassi, suggerendo che lo stato del parodonto rappresentava solo una frazione della variazione osservata nei livelli di alito cattivo. Quindi, se la malattia parodontale infiammatoria giustifica meno del trenta per cento dell’alito cattivo in una popolazione, è poco sorprendente che le correlazioni siano difficili da trovare. Se la lingua rappresenta la fonte più significativa di alitosi, in quale misura la malattia parodontale infiammatoria è un fattore secondario? Dopotutto, gli stessi contenuti delle tasche parodontali presentano un odore cattivo quando sondati. Una possibilità è che molte tasche parodontali siano relativamente inattive e o sigillate, così che solo una piccola percentuale di odore si diffonda nell’aria della bocca (una simile giustificazione può essere fatta per il pessimo odore percepito nella tonsillite (tonsillite a placche) che può causare o meno alito cattivo, probabilmente a seconda dell’estensione della superficie di esposizione all’aria che passa sopra le cripte tonsillari. D’altronde tasche sanguinanti con un’infiammazione in corso potrebbero rilasciare fluido crevicolare odoroso che contribuisce in modo significativo Inoltre, è stato dimostrato che le PROFESSIONALdialogue correlazioni tra l’alitosi ed il sanguinamento al sondaggio risultano essere più significative delle associazioni tra l’alitosi e la profondità di tasca (Tabella). Coefficienti di correlazione di Pearson che confrontano il cattivo odore orale (valori di odore misurati) e la salute parodontale. Study PPD1 BoP2/FO3 Rosenberg 1991 (n = 41) Bosy 1994 (n = 127) Kozlovsky 1994 (n = 52) Morita 2001 (n = 81) Tsai 2008 (n = 72) 0,11– 0,18 0,11 0,58 0,37 0,22 0,38– 0,423 0,233 n.d. 0,472 0,542 1 Profondità della tasca parodontale (Periodontal Pocket Depth) 2 Sanguinamento al sondaggio (Bleeding on Probing) 3 Odore del filo (Floss Odour) I valori in grassetto sono statisticamente significativi. Per esempio, in un recente studio (Tsai et al. 2008) non sono state trovate correlazioni tra il cattivo odore orale e la presenza di tasche parodontali (che potrebbero essere state attive o meno al tempo dello studio). Tuttavia, gli autori hanno trovato delle correlazioni significative tra il cattivo odore orale e il sanguinamento al sondaggio. Un altro punto interessante è emerso qualche anno fa nelle conversazioni con C.A.G. McCulloch dell’Università di Toronto. E’ possibile che la stessa placca interdentale, più esposta all’alito rispetto alla placca sottogengivale, contribuisca maggiormente al cattivo odore orale rispetto ai contenuti delle tasche parodontali? In questo scenario, soggetti che hanno iniziato ad usare il filo interdentale da poco potrebbero avere poco o nessuno odore, pur avendo ancora i segni di una precedente malattia parodontale infiammatoria (per esempio una tasca profonda). Effettivamente, soggetti che utilizzavano il filo interdentale avevano un cattivo odore significativamente minore nella bocca (p = 0.016) e nella saliva (p > 0.001) se confrontato con soggetti che non usavano il filo interdentale (Gordon 1993; Rosenberg 1996). Questo potrebbe anche spiegare l’osservazione per cui i collutori antibatterici che non penetrano in maniera apprezzabile nelle tasche parodontali, sono tuttavia capaci di ridurre drasticamente i valori di cattivo odore e i livelli di solfuri volatili, anche dopo un utilizzo per un breve periodo (Rosenberg et al. 1991). Allo stesso modo un riesame dello studio dell’Università di Toronto (Bosy et al. 1994) (anche se sedici anni dopo la sua pubblicazione) rivela che l’utilizzo del filo interdentale era effettivamente associato sia con l’alitosi che con i parametri di salute parodontali (Tabella). Questa era la situazione nello studio che ci ha preceduto (Rosenberg et al. 1991), e questo nonostante il fatto che l’alito cattivo e la profondità di tasca al sondaggio siano stati scarsamente correlati tra loro. 1/2011 13 Erosione Potremmo dedurre che vi sia una relazione indiretta? Ovvero che uno stato di salute interdentale scarso potrebbe portare in prima istanza all’alitosi e più in là nel tempo a problemi parodontali? Come diretta conseguenza di questa idea, noi insegnamo ai nostri studenti ad insistere sull’uso del filo interdentale come mezzo per ridurre l’alito cattivo nel breve termine, oltre che permigliorare la salute parodontale come effetto nel lungo termine. Anche se il parodonto, in confronto alla lingua, rappresenta una causa secondaria dell’alito cattivo nella popolazione generica, ciò non significa che dobbiamo ignorare questo fattore. Dopotutto, l’infiammazione parodontale attiva potrebbe ancora rappresentare la causa primaria di alitosi in molti pazienti con gengiviti non trattate o ascessi parodontali. Ciò di cui abbiamo bisogno dunque sono metodi migliori per isolare e identificare il contributo parodontale all’odore in generale, e successivamente trattarlo e controllarlo insieme ai miglioramenti dello stato parodontale (Quirynen et al. 1998). Chiaramente, gli attuali metodi per valutare l’alito cattivo sono inadeguati. Esaminatori dell’odore istruiti possono distinguere il tipo di odore della lingua da quello parodontale (essi sono spesso differenti, basta confrontare l’odore dal filo interdentale con l’odore di un cucchiaio strofinato sulla zona posteriore della lingua). Tuttavia, negli studi clinici gli odori sono generalmente raggruppati insieme e valutati come se fossero uguali. Attualmente, gli esaminatori dell’odore annusano l’aria della bocca utilizzando uno dei diversi metodi, ad esempio, 1) l’odore emanato quando il soggetto espira attraverso la bocca, 2) l’odore emanato quando il soggetto conta a voce alta, 3) l’odore percepito quando la bocca è aperta, ma a riposo, 4) l’odore dell’alito raccolto in un contenitore. In tutti questi casi, l’ampia superficie del dorso della lingua e il suo contributo tendono a ridurre al minimo il contributo parodontale. Al fine di massimizzare la componente parodontale, suggeriamo una tecnica differente: i soggetti potrebbero espellere l’aria dalla bocca con le labbra solo leggermente aperte e soffiare a denti stretti. Noi lo chiamiamo test “del soffio”. Ci siamo lasciati con un intrigante fattore finale – la possibile relazione tra i batteri della lingua, l’odore della lingua e la salute parodontale. I micro-organismi odorosi associati alla malattia parodontale possono essere isolati dal dorso della lingua. Alcuni studi supportano una associazione tra la patina linguale e la salute parodontale (Yaegaki & Sanada 1992). Se esiste tale relazione, potrebbe essere una causa? Può la lingua fungere da rifugio sicuro per i microorganismi che possono popolare e danneggiare il parodonto? Una pulizia accurata ma delicata della lingua è raccomandata dai ricercatori per attenuare l’alito cattivo. La pulizia della lingua potrebbe anche avere un impatto nel migliorare la salute parodontale (Quirynen et al. 1998). Prof. Dr. Mel Rosenberg Dipartimento di Microbiologia Clinica e Immunologia e Scuola di Odontoiatria Goldschleger Facoltà di Medicina di Sackler Università di Tel-Aviv · Tel-Aviv · Israele, 69978 14 1/2011 Nuova protezione contro l’erosione dello smalto e della dentina Studio: efficacia del cloruro stannoso e del fluoruro amminico contro l’erosione I difetti della sostanza dura del dente nascono dall’azione cronica di acidi di origine non batterica sulla superficie del dente. Questi acidi provengono da un’alimentazione ricca di acidi (origine esogena) oppure dallo stomaco (origine endogena), per esempio in presenza di malattie da reflusso. Mentre gli attacchi degli acidi esogeni si possono in parte ridurre modificando le abitudini alimentari, i denti non hanno pressoché nessuna difesa contro le aggressioni degli acidi endogeni. La prevenzione contro i danni dentali da erosione sinora consisteva essenzialmente nel riconoscimento tempestivo e corretto dal punto di vista della diagnostica differenziale degli stadi precoci dell’erosione nonché nell’informazione e nella consulenza individuale del paziente. Nei difetti di erosione di origine esogena l’avanzamento della perdita di sostanza dura del dente si può prevenire per lo più modificando le abitudini alimentari. I primi segni di distruzione erosiva sono riconoscibili solo con difficoltà per il paziente. “Arrotondamenti” dei bordi degli incisivi e fessure nonché un’aumentata translucenza dei bordi degli incisivi sono i risultati di un’incipiente perdita di smalto. In un secondo tempo seguono infossamenti e perdita di superficie con coinvolgimento della dentina. Dal punto di vista istologico i difetti della superficie si possono descrivere con un tipico modello di erosione e microdurezza localmente ridotta. La Prof. Dr. Carolina Ganss e il suo team nella Poliklinik für Zahnerhaltung und Präventive Zahnheilkunde della Justus-Liebig Universität a Gießen hanno potuto ora dimostrare che la combinazione di cloruro stannoso e fluoruro amminico, formulata in un collutorio (il nuovo collutorio elmex PROTEZIONE EROSIONE), proteggono con efficacia contro le erosioni da acidi. Contrariamente alle formule contenenti titanio, questo effetto di protezione permane anche in presenza di una forte azione degli acidi. Il collutorio con la sua combinazione di principi attivi di cloruro stannoso e fluoruro amminico protegge con efficacia dall’erosione dei denti dovuta agli acidi. PROFESSIONALdialogue Erosione L’erosione: quale ruolo giocano le abitudini alimentari? Prof. Dr. Stefan Zimmer, Università di Witten/Herdecke, Germania Introduzione Le erosioni sono perdite patologiche croniche di tessuto dentale duro, causate da acidi non associati a placca o da agenti chelanti (Fig.1). Da un punto di vista eziopatologico devono pertanto essere chiaramente distinte dalla perdita di sostanza correlata alla carie. Tuttavia, essendo le erosioni e le carie entrambe causate da acidi, è spesso difficile, chiarire le differenze ai non professionisti, sebbene vi sia un antagonismo tra carie e erosioni. Le carie sono causate dagli acidi prodotti dai batteri della placca come prodotto finale del loro metabolismo. Dato che la placca non può facilmente essere penetrata dagli acidi esogeni, che potenzialmente possono causare le erosioni, in realtà protegge il dente dall’erosione, anche se purtroppo può determinare la carie. Al contrario, non si formerà nessuna carie sui denti puliti, ma gli acidi esogeni, come ad esempio quelli derivanti da cibi e bevande, hanno libero accesso e possono quindi causare erosione. Le cause dell’erosione dentale correlate all’alimentazione Le erosioni possono in linea di principio essere causate da tutti i cibi e le bevande acide. Dato che si osserva un aumento dell’erosione nella popolazione, questo potrebbe suggerire che sia avvenuto un cambiamento nelle abitudini alimentari. In realtà, secondo la relazione nutrizionale rilasciata dalla Società Tedesca sulla Nutrizione (DGE) nel 2008, il consumo medio di frutta e verdura è aumentato in maniera significativa in Germania nel corso degli ultimi anni, con un consumo giornaliero attuale che raggiunge i 150 g pro-capite, ma ancora lontano dall’obiettivo di 650 g pro capite al giorno, raccomandati dalla DGE. La quantità raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Salute è di 400 g. Frutta e verdura costituiscono la parte della nutrizione ricca di vitamine e fibre della dieta, ma anche la porzione che possiede un potenziale erosivo. Nonostante i progressi fatti, è difficile dire che in Germania attualmente prevalga una dieta eccessivamente erosiva, che potrebbe spiegare l’aumento osservato nelle erosioni. Le bevande, d’altro canto, mostrano un quadro abbastanza vario in termini del loro consumo, con un consumo giornaliero pro-capite medio in aumento, come mostrato di seguito nel periodo che va dal 1975 al 2004 (Österreich 2004): W Limonate e bevande rinfrescanti da 19 a 40 litri W Coca cola da 18 a 40 litri W Succhi di frutta da 70 a 100 litri Fig. 1: Le erosioni sono caratterizzate dalla distruzione della struttura superficiale. Dopo asciugatura, si osserva una superficie ossidata, lucida. Nella regione del solco, solitamente rimane intatto un margine dello smalto dello spessore di 1 mm. La prevalenza delle erosioni ha raggiunto un ordine di grandezza alquanto significativo in Germania. Lo studio rappresentativo di tutta la repubblica federale tedesca, condotto dall’Istituto Tedesco dei Dentisti (IDZ), ha rivelato una prevalenza, nel 1997, del 10.7 % nel gruppo di età di 35 – 44 anni e del 7.9 % nel gruppo di età di 65 –74 anni (Schiffner & Reich 1999). Nel 2005, i risultati corrispondenti erano rispettivamente del 16.9 % e del 29.3 % (Schiffner 2006). Dato che le erosioni e le abrasioni si manifestano spesso contemporaneamente, in questi studi i difetti cuneiformi e le erosioni non sono stati registrati separatamente. L’obiettivo del presente articolo è semplicemente fare luce sulle erosioni e il rapporto con le abitudini alimentari. PROFESSIONALdialogue A parte questo, anche le abitudine relative alle bevande sono cambiate. È diventato sempre più comune, durante gli ultimi anni, bere dalle bottiglie con tappo a valvola. Si può ritenere per certo che questo abbia contribuito ad aumentare la prevalenza delle erosioni. Nel loro studio clinico, Johannson e colleghi, hanno misurato l’andamento del pH sulle superfici di denti privi di placca, dopo il consumo di una bevanda erosiva (Coca Cola light) in relazione a diversi modi di bere, utilizzando una telemetria del pH intraorale (Johansson et al. 2004). Bere con una grande sorsata non ha mai fatto scendere il pH sotto il valore critico di 5.7. Al contrario, bere dalla bottiglia e il continuo sorseggiare da un bicchiere, che avveniva in ogni caso con un tempo di esposizione di 15 minuti, ha determinato una duratura precipitazione del pH sotto il limite critico. Anche bere con la cannuccia per un tempo di esposizione di due minuti, determina una caduta critica del pH. Da queste analisi, si può concludere che le bibite erosive, se bevute a 1/2011 15 Erosione grandi sorsi, trattenute poco in bocca, non dovrebbero avere un effetto erosivo. D’altronde, con l’aumento del tempo di esposizione, come nel caso dell’uso della cannuccia o della bottiglia con tappo a valvola, possono avere un effetto erosivo rilevante. L’effetto erosivo reale di una bevanda dipende per prima cosa dal suo pH, ma può verificarsi una erosione solo se il pH della superficie dentale scende sotto il valore critico di 5,7. Tuttavia, il valore di pH è solo uno dei fattori che determina il potenziale erosivo di una bevanda. Altri fattori che devono essere presi in considerazione sono l’acido titolabile, il tipo di acido contenuto nella bevanda e il contenuto di fosfato o calcio se appropriato. La quantità di acido titolabile indica quanti ioni H+ liberi sono disponibili in un volume stabilito di bevanda. Questo non è determinato solo dal pH, ma anche dalla capacità tampone della bevanda. Quanto maggiore è l’acido titolabile, tanto più forte sarà il potenziale erosivo. E’ del tutto possibile che il pH e l’acido titolabile divergano fortemente, e il pH non è, pertanto, necessariamente un indicatore del potenziale erosivo di una bevanda (vedi Tabella). Il tipo di acido svolge un ruolo importante sotto diversi aspetti. L’acido citrico, per esempio, agisce da agente chelante, ciò significa che gli ioni calcio, che vengono dissolti dallo smalto per azione dell’acido, sono rimossi dalla soluzione di equilibrio per la formazione del chelato, con la conseguenza che, in accordo con la legge di azione di massa, ancora più calcio può essere dissolto dallo smalto fino a quando non si forma una nuova soluzione di equilibrio. E’ questo il motivo per cui l’acido citrico possiede un elevato potenziale erosivo. pH Perdita dello Effetto erosivo in smalto in 14 confronto al tè nero giorni in mg/cm 2 (= controllo negativo, non-erosivo) AMP Bevande energetiche 2,81 14,01 ± 1,85 40,03 Arizona Tè ghiacciato 2,94 9,03 ± 1,21 25,80 Coca Cola 2,61 2,78 ± 0,71 7,94 Fanta Aranciata 2,88 12,15 ± 0,12 34,71 Gatorade (limone-lime) 2,95 20,05 ± 3,92 57,29 KMX Bevanda energetica 2,74 29,68 ± 0,36 84,80 Nantucket Nectars Half & Half 2,98 12,49 ± 0,85 35,69 Nestea con tè freddo al limone zuccherato 3,41 9,49 ± 0,08 27,11 Powerade (Arctic Shatter) 2,78 16,98 ± 2,26 48,51 Propel Acqua Sportiva con aromatizzante naturale al limone 3,38 12,29 ± 2,13 35,11 Red Bull bevanda energetica 3,32 21,40 ± 0,25 61,14 Snapple Limonata classica 2,64 29,28 ± 2,59 83,66 5,36 0,35 ± 0,12 1,00 Le bevande che contengono anidride carbonica dissolta in forma di acido carbonico, come unico acido, ad esempio le acque minerali, non hanno un effetto erosivo. L’acido carbonico (H2CO3) è un acido molto instabile che, se esposto all’aria, si decompone rapidamente in anidride carbonica (CO2) e acqua (H2O). Quando si bevono bevande gasate contenenti acido carbonico, la CO2 viene liberata e quindi spostata dall’equilibrio. Pertanto le affermazioni che il consumo prolungato di acque minerali contenenti acido carbonico possono anche causare erosioni, sono false. 1/2011 Uno studio interessante che valuta il potenziale erosivo di differenti bevande è stato condotto da von Fraunhofer e Rogers (von Fraunhofer & Rogers 2005). In poche parole, gli autori dello studio hanno esposto i campioni di smalto umano ad una serie di bevande per un periodo totale di 14 giorni e poi hanno determinato, in ciascun campione, la perdita di peso dovuta all’erosione. Hanno confrontato i risultati con quelli ottenuti con il tè nero, preso come gruppo di controllo negativo, non erosivo. I risultati dello studio vengono riportati nella Tabella. Bevande In accordo con la stessa legge natu- Tè nero rale, bevande ricche di calcio o fosfato sono meno erosive. E’ da sottolineare, a tal proposito, che è possibile aggiungere tanto calcio ad una bevanda erosiva, ad esempio succo di arancia, da neutralizzarne l’effetto erosivo. 16 Dal punto di vista del paziente, alcune proprietà della saliva, come la sua velocità di flusso, la composizione e la capacità tampone, giocano un ruolo nello sviluppo delle erosioni. Tabella: pH, conseguente perdita dello smalto in mg/cm2 ed effetto erosivo in confronto al te nero, per diverse bevande rinfrescanti presenti nel mercato statunitense (in accordo con von Fraunhofer e Rogers 2005) Nonostante la Coca Cola, avesse il pH più basso con 2.61, ha mostrato tuttavia meno di 1/10 dell’effetto erosivo se confrontata con una bevanda energetica, con un pH di 2.74. E’ risultato che oltre alle bevande energetiche, le limonate, ma anche il tè freddo, hanno effetti erosivi straordinariamente forti. Vale la pena sottolineare che un “acqua sportiva”, aromatizzata con succo di limone ha mostrato un effetto erosivo 35 volte più forte del tè nero, e, quando confrontata con la Coca Cola, un effetto erosivo oltre quattro volte più forte. PROFESSIONALdialogue Erosione I dolci “amici” dei denti I dolci “amici” dei denti contribuiscono alla profilassi della carie dato che sostituiscono le merende cariogene, riducendone la frequenza di utilizzo. I prodotti con l’etichetta “Dente Felice” hanno un sapore dolce ma contengono dei sostituti dello zucchero e dei dolcificanti artificiali. Ciascuno degli oltre 100 prodotti etichettati con il logo raffigurante un “Dente Felice” con l’ombrello (Fig. 2) è stato scientificamente testato per il suo effetto di “amico del dente” per mezzo del così detto metodo di telemetria del pH intraorale. Anche l’effetto erosivo di un prodotto viene misurato utilizzando questo strumento. Il test erosivo è negativo se non viene oltrepassato il valore di 40 µmol H+ x minuto. Ad esempio viene soddisfatta questa condizione se non persiste per più di quattro minuti, sulla superficie del dente, un pH di 5. Solo se viene superato anche questo “test erosivo” è possibile applicare sul prodotto il logo del “dente felice con l’ombrello”. Fig. 2: Il logo del “Dente Felice” che indica protezione dalla carie e dall’erosione. Il logo, pertanto, indica protezione dalla carie e dall’erosione. La lista aggiornata dei prodotti “amico del dente” è accessibile attraverso l’homepage di “Aktion zahnfreundlich e.V.” (www.zahnmaennchen.de). Dolci, lecca-lecca, gomma da masticare, cioccolato ed anche i prodotti vitaminici e gli sciroppi per la tosse sono tutti compresi nella lista. Conclusioni e raccomandazioni Le erosioni del dente sono chiaramente causate principalmente dal consumo di bevande acide. Le modalità con cui si beve, il tipo di bevande e le funzioni della saliva giocano tutti un ruolo fondamentale in questo contesto. Mentre quest’ultima normalmente non può essere influenzata o può venire influenzata in grado minore, i primi due fattori menzionati sono soggetti al controllo umano. Bere bevande erosive da bottiglie con il tappo a valvola dovrebbe e può essere generalmente evitato. Le bevande erosive, come ad esempio il succo d’arancia, dovrebbero, semmai, essere bevute con grandi sorsate da un bicchiere. Bevande con un effetto erosivo particolarmente forte, che non contribuiscono in maniera utile ad una dieta salutare, come le bevande energetiche, il tè freddo e le limonate contenenti acido citrico, dovrebbero essere evitate del tutto. Anoressia nervosa: Effetti sulla dentatura e trattamento odontoiatrico Prof. Dr. Pierre Colon, Università Garancière, Parigi, Francia L’anoressia rientra nei cosiddetti disturbi dell’alimentazione e colpisce in particolar modo le giovani e le donne. In alcuni casi gravi la malattia può presentarsi anche in persone che hanno superato i 50 anni di età. Esistono due forme di anoressia nervosa: anoressia restrittiva e anoressia con bulimia. Nella prima forma si ha una riduzione significativa dell’assunzione di alimenti, o tramite periodi di digiuno, che si possono protrarre per oltre due giorni, o tramite una riduzione significativa delle calorie ingerite. In questi pazienti, non di rado i pasti si riducono a una mela a mezzogiorno e una alla sera. Nella seconda forma l’assunzione di alimenti può essere quasi normale, ma quotidianamente si possono avere episodi ripetuti di vomito, cosicché l’assunzione di calorie è limitata a livelli simili alla prima forma. La patologia si può manifestare anche in altre forme, in cui i soggetti colpiti mantengono il proprio peso normale; si hanno però fasi incontrollate di alimentazione, durante le quali i pazienti ingurgitano indiscriminatamente grosse quantità di cibo, seguite da vomito ripetuto anche più di 20 volte al giorno. Le due forme, anoressia restrittiva e con bulimia, non si possono distinguere troppo nettamente. Capita quindi spesso di riscontrare pazienti la cui anoressia restrittiva prende forme bulimiche, se ad esempio esiste l’obbligo di nutrirsi, indotto generalmente da condizioni sociali, famigliari o terapeutiche. Ripercussioni sui denti Sono ben noti i numeri relativi all’erosione intrinseca, che si verifica sulle superfici linguali, nella regione degli incisivi e dei canini della mascella e sulle superfici linguali e occlusali di molari e premolari della mascella. Il processo di danneggiamento è suddiviso in quattro stadi, indicati nella Figura 1 (Lasfargues e Colon 2010). Gli episodi di vomito ripetuti anche 20 volte al giorno, tutti i giorni, causano una notevole perdita di sostanza (si vedano le figure 2 e 3). Prof. Dr. Stefan Zimmer Universität Witten/Herdecke, Fakultät für Zahn-, Mundund Kieferheilkunde, Abteilung für Zahnerhaltung und Präventive Zahnmedizin Alfred-Herrhausen-Straße 50 . 58448 Witten · Germania PROFESSIONALdialogue 1/2011 17 Erosione Stadio iniziale Stadio moderato Nei casi di vomito ripetuto, si ha un’assunzione di alimenti estremamente considerevole nella fase bulimica, in cui si consumano bevande dissetanti (talvolta svariati litri) e alimenti contenenti aceto o altri acidi. Altre forme di erosione sono spiegabili a partire dal contesto medico dell’anoressia restrittiva: Stadio avanzato Stadio grave Fig. 1: Il vomito causa un danneggiamento degli incisivi superiori e dei canini dovuto ad erosione, la quale si evolve in un processo che attraversa quattro stadi. Questi danni si presentano esclusivamente nelle forme di anoressia con bulimia. L’odontoiatra curante che rileva tali danni dovrebbe verificare oltre ai denti in particolare i segnali di erosione intrinseca. Fig. 2: Stadio con grave perdita di sostanza degli incisivi superiori in una paziente di 25 anni che vomita più di 15 volte al giorno. Il danno estetico è chiaramente riconoscibile. W erosione estrinseca collegata a un’alimentazione spesso acida e vegetariana, e mancanza di salivazione sufficiente a neutralizzare gli acidi. La riduzione nella produzione di saliva può essere indotta sia da psicofarmaci, sia dalla mancanza pressoché totale di stimoli alla salivazione a causa di “pasti” estremamente brevi. Le perdite di sostanza spesso sono ulteriormente aggravate da un processo abrasivo dovuto a un’igiene dentale traumatica. Spesso i pazienti si lavano i denti 3 o 4 volte al giorno, e in alcuni casi anche 5 o 6 volte. L’accresciuto contenuto di acidi e la pulizia traumatica dei denti inducono un’accelerazione della perdita di sostanza dentale. W Erosione intrinseca, che non è indotta dal vomito, ma dal riflusso acido dovuto a un disturbo dello stomaco. In questi casi le regioni più frequentemente colpite sono le superfici occlusali dei molari della mandibola. In tutti questi casi la perdita di tessuto inizia dallo smalto dentario, prima di giungere alla dentina. Per questo può essere difficile effettuare una diagnosi precoce, perché i danni nella fase iniziale spesso non vengono notati o diventano individuabili solo nel corso di modellazioni compiute nell’ambito di cure ortopediche mandibolari o per restauro indiretto. La mancanza di avvisaglie cliniche, la difficoltà di parlare del tema dell’anoressia, la scarsa esperienza dei medici curanti nel riconoscere le lesioni ed il lento progredire della patologia in questo stadio creano le condizioni per il peggioramento del quadro clinico. Con l’esposizione della dentina la patogenesi delle lesioni cambia in modo sostanziale. La dentina offre una resistenza meccanica solo minima, così che all’attacco chimico sul dente si manifestano ulteriori segni di logoramento come abrasione e usura. In questo modo, la cinetica della demolizione delle strutture dentali accelera moltissimo. Fig. 3: Vista linguale di una zona caratteristica degli incisivi e dei canini del mascellare superiore, il quale è esposto ad un processo di erosione di origine endogena. È stato necessario sottoporre alcuni denti a trattamento endodontico. 18 1/2011 PROFESSIONALdialogue Erosione Terapia odontoiatrica Il dentista curante deve affrontare una serie di problemi specifici. Per la diagnosi eziologica è necessario creare un rapporto di fiducia con il paziente, che non sempre vorrà parlare degli episodi di emesi e che anzi vorrà spesso nasconderlo alla famiglia e al medico. La cura di forme lievi deve consistere in misure profilattiche e pulizia dentale a una certa distanza dagli episodi di vomito. A tal fine va utilizzato uno spazzolino delicato in buono stato. Il dentifricio non deve essere abrasivo. Nelle forme con sintomi più gravi, per procedere a una ricostruzione estetica, è necessario un rapporto di fiducia, sulla cui base sia possibile coinvolgere il paziente nella cura generale. Non di rado i pazienti in questa fase di riabilitazione scoppiano in pianto. Nella maggior parte dei casi la cura avviene senza che i fattori eziologici siano del tutto risolti. Per questo le resine composite utilizzate con tecnica diretta o indiretta rappresentano una soluzione interessante per un successivo intervento. Non sempre consigliabile in questa fase è invece la terapia protesica ceramica, fintantoché vi siano episodi anche saltuari di vomito. Le esigenze estetiche spesso sono comunque molto importanti. Il dentista cui venga fatta una richiesta in questo senso contribuisce alla cura generale. È perciò consigliabile una stretta collaborazione con i colleghi medici, da un lato per scambiarsi informazioni, dall’altro per ottenere consiglio su come comportarsi nel caso, a titolo d’esempio, di pazienti con tendenze suicide. Nel contesto generale dell’erosione dentale l’anoressia nervosa occupa una posizione particolare. Per questo i medici devono sapere come gestire le diverse situazioni, partendo dal riconoscimento precoce e dalle misure profilattiche ad esso collegate fino alla riabilitazione generale di pazienti giovani ed esigenti, che al contempo rappresentano un’interessante sfida. Prof. Dr. Pierre Colon Garancière Université 5 rue Garancière · 75006 Parigi Francia Spazzolamento dei denti dopo attacchi acidi – sono utili i tempi di attesa? Prof. Dr. Carolina Ganss, Judith von Hinckeldey, Prof. Dr. Joachim Klimek, Lina Neutard, Dr. Nadine Schlüter, Università Justus-Liebig, Giessen, Germania Le erosioni dentali sono causate da demineralizzazione dei denti dovuta al contatto diretto con acidi, senza alcun coinvolgimento di microrganismi. Dal punto di vista clinico, a seconda della superficie dentale affetta e del grado di erosione, si possono essere osservate delle alterazioni caratteristiche. Un’ estesa perdita del tessuto duro del dente, con una parte della superficie cervicale dello smalto che spesso rimane intatta. Contorni arrotondati e avvallamenti nella regione delle cuspidi, in modo tale che i contorni delle superfici occlusali possono essere, in uno stadio avanzato, completamente livellati. Otturazioni o materiali restaurativi indiretti possono sporgere oltre il livello del tessuto duro del dente adiacente. Una persistente attività acida può inoltre portare all’esposizione della dentina. L’ipersensibilità dentinale e problemi estetici sono frequenti sintomi che accompagnano le erosioni. Il caratteristico aspetto di “metallo fuso” dei denti facilita la distinzione delle forme erosive da altre forme di perdita di tessuto duro del dente non correlate alla carie. Appena insorgono le erosioni, si assiste ad una graduale perdita di minerali che progredisce dall’esterno all’interno (centripeta), come risultato dell’esposizione cronica all’acido. Sulla superficie, c’è uno strato parzialmente demineralizzato che è accompagnato da una riduzione della micro-durezza (Lussi et al. 1995). Queste modificazioni strutturali raggiungono una profondità di circa 40 – 50 micrometri (Zentner & Duschner 1996). A livello ultra-strutturale l’erosione dello smalto corrisponde più o meno al classico schema della mordenzatura. (Meurman & Frank 1991). Nella dentina, la perdita erosiva di minerale inizia nella regione peritubulare della dentina. In caso di una prolungata azione acida, si verifica un all’argamento dei tubuli dentinali con demineralizzazione della dentina intertubulare (Noack 1989; Meurman et al. 1991). E’ ovvio che la riduzione della durezza della superficie va di pari passo con un’aumentata vulnerabilità alla perdita di tessuto duro del dente indotta meccanicamente (abrasione). Infatti, può essere dimostrato che lo spazzolamento dei denti immediatamente dopo un attacco acido porta ad un’aumentata perdita di sostanza a livello della superficie dentale demineralizzata (Attin et al. 1997). Dato che in caso di lesioni cariose iniziali sono possibili processi di remineralizzazione, è stato ipotizzato un meccanismo simile in caso di erosioni. PROFESSIONALdialogue 1/2011 19 Erosione Sono stati eseguiti test di laboratorio per determinare se un periodo di attesa tra l’attacco erosivo e lo spazzolamento dei denti porti ad una riduzione nella perdita erosiva/abrasiva di sostanza, grazie alla remineralizzazione. A tal fine, campioni di smalto erano erosi in “Sprite Light” per un minuto e successivamente tenuti in saliva artificiale per 0, 10, 60 o 240 minuti. I campioni sono stati successivamente sottoposti a spazzolamento. Si è osservata una riduzione dell’abrasione da spazzolamento sulle superfici dentali erose nel caso di periodi più lunghi di attesa (remineralizzazione) prima dello spazzolamento. La saliva artificiale utilizzata nei test è una soluzione sovra-satura in termini di minerali dentali. Pertanto, si può prevedere che avvenga una precipitazione dei minerali che porti ad un aumento nella micro-durezza delle superfici dentali demineralizzate, anche se la resistenza dei tessuti dentali duri all’abrasione non può essere ripristinata completamente anche dopo un periodo di remineralizzazione di quattro ore (Attin et al. 2000). La perdita di sostanza in seguito ad abrasione da spazzolamento dopo un periodo di remineralizzazione di 60 minuti si è conseguentemente ridotta di circa due terzi rispetto alla perdita prodotta da spazzolamento direttamente dopo l’esposizione all’acido. Da questi risultati si deduce che è raccomandabile, dopo un attacco acido, attendere un’ora prima di spazzolare i denti. Tuttavia, i risultati dei test di laboratorio non possono essere applicati semplicemente alla situazione intraorale. Test in situ hanno mostrato che i tempi di attesa tra l’esposizione all’acido e l’abrasione da spazzolamento sono molto meno efficaci di quanti ci si aspettasse dai risultati in vitro. In questi test, i campioni di smalto erano introdotti all’interno della cavità orale in apposite supporti, esposti all’attività acida e poi spazzolati dopo diversi periodo di applicazione intraorale. Il tempo di esposizione alla saliva è stato variato da pochi secondi (spazzolando direttamente dopo esposizione acida) a 120 minuti, oppure è stato effettuato lo spazzolamento subito prima della successiva esposizione acida, corrispondente ad un tempo di esposizione di almeno 8 ore. In questi test, la sostanza persa a causa dell’abrasione da spazzolamento è stata solo marginalmente influenzata dal tempo di attesa (Jaeggi & Lussi 1999; Attin et al. 2001; Ganss et al. 2007). Anche dopo un tempo di attesa di 2 ore, la perdita di sostanza è stata solo del 12 % circa inferiore rispetto ai campioni sottoposti a spazzolamento immediatamente dopo l’esposizione acida. (Attin et al. 2000). Una delle possibili spiegazioni per l’assenza di remineralizzazione nelle condizioni predominanti all’interno del cavo orale va ricercata nella particolare composizione della saliva. Al contrario delle soluzioni remineralizzanti, spesso utilizzate nei test di laboratorio, la saliva umana contiene determinate proteine, come le staterine e le proteine ricche di prolina, che prevengono, 20 1/2011 nella cavità orale, la precipitazione diretta di sali di fosfato di calcio sulla superficie dentale, nonostante la sovra-saturazione. Studi sulla micro-durezza e sull’analisi di struttura hanno mostrato che sullo smalto demineralizzato da erosione non avviene, nelle condizioni predominanti all’interno del cavo orale, nessuna precipitazione, che valga la pena di menzionare. Anche in campioni utilizzati intra-oralmente per 24 ore, dopo blanda mordenzatura, non è stato possibile dimostrare nessun rilevante aumento nella micro-durezza (Collys et al. 1991). Questi risultati sono stati confermati da analisi di struttura utilizzando un microscopio elettronico. Anche dopo 90 giorni di esposizione intra-orale alla saliva, era chiaramente identificabile lo schema della mordenzatura sulla superficie dello smalto precedentemente trattato con acido fosforico. Non potevano essere individuati precipitati apprezzabili (Garberoglio & Cozzani, 1979; Allin et al. 1985). Poiché è stato dimostrato che i tempi di attesa sono di scarsa efficacia, sono diventate basilari le strategie che mirano a ridurre la perdita erosiva di minerale e così facendo preservano la micro-durezza, con l’obiettivo addizionale di evitare abrasione da spazzolamento del tessuto dentale duro eroso. In uno dei test citati prima, è stato valutato l’effetto di dentifrici, con o senza fluoruro, sull’abrasione da spazzolamento nelle condizioni del cavo orale, con il risultato che, nonostante il periodo di attesa avesse un effetto protettivo quasi nullo, la perdita di sostanza potrebbe essere ridotta di un livello all’incirca pari a quello dei campioni esclusivamente erosi, ma non spazzolati, quando lo spazzolamento veniva effettuato con un dentifricio fluorato (Ganss et al. 2007). In soggetti con erosioni attive clinicamente evidenti, dovrebbe quindi essere raccomandata una efficace strategia di fluorizzazione con preparati contenenti fluoruro e stagno. Questo è particolarmente importante laddove risulti difficile l’attuazione di terapie causali come la riduzione all’esposizione acida. In conclusione, la raccomandazione di attendere un certo periodo di tempo prima dello spazzolamento dei denti non è di grande utilità. In aggiunta, è difficile integrare questa abitudine nella routine quotidiana. Soggetti senza difetti clinicamente evidenti del tessuto dentale duro dovrebbero seguire le comuni raccomandazioni relative all’igiene orale e alle tecniche di spazzolamento. In pazienti con difetti dei tessuti dentali duri clinicamente evidenti occorre valutare le abitudini da spazzolamento traumatiche. Oltre alle raccomandazioni usuali igiene orale, dovrebbe essere iniziata una terapia causale e sintomatica efficace per prevenire la perdita erosiva minerale. Prof. Dr. Carolina Ganss Poliklinik für Zahnerhaltung und Präventive Zahnheilkunde Justus-Liebig-Universität Schlangenzahl 14 · 35392 Giessen Germania PROFESSIONALdialogue Erosione Per ciò che riguarda le lesioni erosive, (Lussi et al. 2006) hanno proposto una sistematica, che risponde alle esigenze di standardizzazione metodologica per l’inquadramento etiopatogenetico e diagnostico-terapeutico delle lesioni erosive. Patogenesi dell’erosione Il tooth wear – l’usura dentaria Dal punto di vista patogenetico, si riconoscono fattori predisponenti, legati essenzialmente al retroterra socio-economico-culturale, e fattori determinanti di tipo biologico, chimico e comportamentale. I meccanismi, infatti non sono mai puramente chimici o meccanici, ma agiscono consecutivamente o contemporaneamente con esiti di amplificazione delle lesioni dei tessuti mineralizzati, sia smalteo che dentinale. tis Ty p r st eo Ca ; fa pH c o gi P; Time Tooth tat u s Tooth at E l era h alt He PROFESSIONALdialogue Ge n 3. Attrito – Perdita di sostanza per azione fisica risultata dal contatto diretto di denti antagonisti o adiacenti (attrito interprossimale), senza l’intervento di fattori esterni (tooth-to-tooth friction). y, th tee e r u t uc vs Bi o l 1. Erosione – perdita irreversibile di tessuto mineralizzato causata dall’esposizione diretta della superficie dentale ad acidi intrinseci o estrinseci di origine non batterica. 2. Abrasione – Difetto fisico risultato di processi meccanici che coinvolgono denti e sostanze o oggetti esterni al cavo orale. L’abrasione può intervenire per abrasione masticatoria (masticazione prolungata di cibi grezzi, fibrosi ed abrasivi), procedure errate di igiene orale (spazzolamento e flossing scorretti, dentifrici abrasivi), abitudini viziate (masticazione prolungata di oggetti estranei come penne …), Tooth esposizione profesPellicle, anatomy, structure sionale a particelle abrasive (sarti, calzolai, tappezzieri, soffiatori di vetro, musicisti – strumenti a fiato, ecc.) e su ; c r) in in g, sh g ru d n t hb edi c d rinking o o n habits, T fe rin gu le tio ks, t t a rg o food, Acidic b p ita ccu tion O , Vo r n s, it i n g , D r u g A Re ci cS s id Le lesioni non cariose dello smalto sono: e dg rs c to l fa ty paci ic a a c em e r i n i o n ; C h e l a t o r s Ch Buff he F ; Ad Kn ow le Edu cat ion al S al i v a (f f l o w a ct tiss ue mov e or ,b me Soft u n t, P el l i c l e , To o t h s o ff e an ft at om L’usura dentaria, infatti, definita come “la progressiva perdita di tessuto mineralizzato dalla superficie del dente”, riconosce diversi momenti patogenetici, che determinano altrettanti tipi di lesioni non cariose e che spesso intervengono contestualmente. mi Il decremento della patologia cariosa nei Paesi industrializzati ha infatti fatto emergere altre condizioni (le c.d. lesioni non cariose) dello smalto che possono significativamente influenzare la qualità della vita, determinando usura progressiva ed ingravescente degli elementi dentari. di Beh av i ora l f act o r s on o La problematica delle lesioni erosive dello smalto ha assunto recentemente una diffusione tale da stimolare l’interesse della comunità scientifica internazionale. Questo tipo di condizione dentale è di sempre più frequente riscontro, sia per i clinici che per i ricercatori. Nel 1995, lo European Journal of Oral Science affermò che “l’erosione dentale sarebbe divenuta un area di ricerca in netta espansione nella prossima decade”. L’erosione è un problema comune nei paesi sviluppati. L’erosione dentale è stata descritta come una patologia separata dalla carie già nel 18° secolo. Studi effettuati in Europa suggeriscono una prevalenza di oltre il 50 % nei bambini prescolari, 24 – 60 % nei bambini in età scolare e in più dell’82 % negli adulti. ec Introduzione L’erosione dentaria o- Livia Ottolenghi, Odontoiatria Preventiva e di Comunità, La Sapienza, Roma Giuseppe Campus, Università di Sassari 4. Abfrazione – Lesioni microstrutturali non cariose indotte da stress meccanico, in aree di concentrazione di forze. Particolarmente evidente nella regione cervicale, dove le forze di flessione causerebbero microcracking di prismi dello smalto, e microfratture del cemento e della dentina. g Erosioni e lesioni non cariose dello smalto So ci Hab it s I fattori biologici comprendono quelli salivari (flusso, tampone, ecc.), quelli dinamici all’interfaccia dei tessuti molli intra e peri-, orali con i tessuti dentali, ed infine quelli strutturali dell’elemento dentale (anatomia, struttura, mineralizzazione, ecc.). 1/2011 21 Erosione I fattori chimici riguardano il pH, la capacità tampone, elettroliti, fluoro, tipi di acidi, chelanti, adesione. Infine i fattori comportamentali attengono allo stile di vita, abitudini dietetiche e nutrizionali, rigurgito, vomito, uso di farmaci, fattori occupazionali. Clinica dell’erosione dentaria Le caratteristiche cliniche delle erosioni sono peculiari: Il tutto deve avere l’opportunità di azione nel tempo sulle superfici mineralizzate del dente. Il primo momento di “softening” dello smalto, o parziale demineralizzazione del tessuto ad opera di acidi di origine non batterica, è ancora teoricamente remineralizzabile. Tuttavia, la perdita definitiva del tessuto in superficie è pressoché immediata, mentre il tessuto sottostante diventa più poroso e più suscettibile di processi demin/remin. Inoltre, se intervengono fenomeni meccanici di abrasione (spazzolamento, contatto con i tessuti molli per il movimento della muscolatura intra- e peri-orale) o di attrito (masticazione, micromovimenti naturali del dente, parafunzioni), il processo di usura e perdita irreversibile del tessuto mineralizzato proseguirà più rapidamente. Per un corretto inquadramento anamnestico, è importante investigare accuratamente sulla presenza e sulle modalità di alcuni punti, essenziali alla diagnosi. Il bordo cervicale è spesso preservato. Ciò è determinato dell’accumulo di placca spesso presente a questo livello, che funge da barriera fisica, e dall’elevato pH del fluido crevicolare (7.5 – 8). La determinazione dell’origine estrinseca (dieta, bibite, farmaci, ecc) o intrinseca (reflusso gastro-esofageo, Disturbi della condotta alimentare, bulimia, ecc) dell’acido erosivo, sempre in questi casi di origine NON batterica, è invero importante per la determinazione delle strategie preventive e terapeutiche. I dati anamnestici da verificare sono: a. Patologie generali Reflusso gastro-esofageo Disturbi della condotta alimentare b. Dieta Frutti acidi (kiwi, agrumi, frutto della passione) Bevande acide (succhi di frutta, tè alla frutta, tè freddo, bevande gassate, limonate, ecc.) Dolciumi acidi (caramelle acide, caramelle agli agrumi) Prodotti contenenti aceto (condimenti per insalata, prodotti sottaceto) Frequenza (1– 3 volte al giorno, > 3 volte al giorno) Modalità di assunzione (tempo di permanenza nel cavo orale degli alimenti acidi, per scioglimento lento, sipping, ecc.) Il progredire della lesione porta alla formazione di uno pseudo-chamfer al livello del margine cervicale. c. Integratori alimentari /farmaci Integratori alimentari acidi Salicilati assunti giornalmente e lasciati sciogliere lentamente in bocca d. Prodotti per l’igiene orale (F si/no) e. Sport e tempo libero Assunzione di bevande acide – integratori salini durante lo sport 22 1/2011 Negli stadi avanzati l’erosione dei tessuti mineralizzati progredisce e i bordi delle eventuali ricostruzioni, meno aggredibili dagli acidi, risultano rilevati rispetto al tessuto dentale che li circonda. PROFESSIONALdialogue Erosione L’indice Basic Erosive Wear Examination (BEWE) Per fornire un sistema di rilevamento standardizzato, ad uso dei clinici, degli epidemiologi e dei ricercatori, Bartlett, Ganss e Lussi (2008) hanno proposto l’indice Basic Erosive Wear Examination (BEWE), realizzato per fornire un semplice sistema di punteggio ripetibile e confrontabile, che racchiude anche i criteri diagnostici per l’erosione dentale utilizzati nei rilevamenti clinico-epidemiologici finora utilizzati. Questo garantisce anche la comparabilità dei risultati recenti con quelli già presenti in letteratura. Il BEWE vuole anche essere, nell’intenzione degli Autori, uno strumento di facile utilizzo sviluppato per la valutazione del rischio individuale di erosione dentale Il rilevamento delle erosioni ed il calcolo del BEWE si effettua dividendo il cavo orale in sestanti. Per usare correttamente l’indice BEWE, i denti del paziente devono essere puliti ed asciutti. Ciascuna faccia del dente dovrebbe essere valutata visivamente ed ad ogni sestante viene assegnato il più alto codice BEWE rilevato negli elementi dentali del sestante stesso. I quattro punteggi BEWE, che valutano l’aspetto o la gravità dell’erosione del dente, sono: (0) nessun consumo erosivo; (1) iniziale perdita della struttura mineralizzata del dente; (2) difetto definito, perdita di tessuto duro minore del 50 % della superficie; (3) perdita di tessuto duro uguale o superiore al 50 % della superficie. Il codice BEWE si ottiene calcolando la somma dei valori più alti di ogni sestante. PROFESSIONALdialogue Tale punteggio cumulativo rappresenta il livello di estensione erosiva individuale: W 0 – 2 – Livello di estensione = 0 W 3 – 8 – Livello di estensione = Basso W 9 –13 – Livello di estensione = Medio W > _ 14 – Livello di estensione = Alto Il set diagnostico Gli stessi autori hanno poi approntato un set diagnostico, che consiste in un disco per l’analisi e per la valutazione del rischio del paziente ed un blocco di carta con moduli per la raccolta dei dati clinici e fattori di rischio, con un codice colore (rosso, giallo, verde) per ciascun fattore di rischio erosivo (patologie, dieta, farmaci, prodotti igiene orale, sport, flusso salivare, ecc). Il punteggio dei fattori di rischio rilevati con l’anamnesi, sommato al BEWE rilevato clinicamente, determina il livello di rischio complessivo di erosione, che sarà oggetto di discussione con il paziente per la determinazione del progetto di prevenzione individuale. Strategie preventive In via generale è valida la raccomandazione di evitare di spazzolare i denti immediatamente dopo l’assunzione di cibi e bevande erosive (attendere 1 h). Sarebbe bene finire il pasto con alimenti ricchi in Ca/P come il formaggio o latte. Applicazioni topiche di sostanze remineralizzanti (fluoro, ecc.) e consigli circa la scelta di opportuni strumenti di igiene orale (privilegiare spazzolini morbidi e dentifrici fluorati con un basso potere abrasivo) completeranno le indicazioni. Per i soggetti con un riscontro positivo per patologie da reflusso/disturbi della condotta alimentare, le strategie preventive dovranno prevedere la terapia del reflusso e del vomito e controlli periodici ad alta frequenza per monitorare la progressione delle lesioni. Per coloro la cui dieta si rivela in qualche modo a rischio di erosione e per coloro che assumono farmaci/integratori salini, è necessario ridurre la frequenza di assunzione delle bevande acide limitandole ai pasti principali ed evitare di tenere a lungo in bocca cibi e/o sorseggiare bevande acide. Un utile consiglio è quello di usare la cannuccia per assumere bevande acide. Dal punto di vista ambulatoriale, per la prevenzione dell’erosione e della sua progressione, sono validi tutti i sistemi remineralizzanti, che devono essere utilizzati anche a livello domiciliare per il mantenimento ed il rinforzo dell’azione remineralizzante ad alta potenza con i materiali ad uso ambulatoriale. Applicazioni regolari ed a lungo termine di elevate concentrazione di fluoruro hanno infatti dimostrato di essere efficaci contro l’erosione (Ganss et al. 2004; Rees et al. 2007). La regolare fluorizzazione con dentifricio, collutorio e gel ha peraltro mostrato di essere più efficace nel proteggere smalto e dentina dall’erosione rispetto alla applicazione 1/2011 23 Erosione del solo dentifricio fluorato (Ganss et al. 2001). Recentemente sono stati inoltre riportati risultati in vitro in tema di inibizione dei processi di demineralizzazione a seguito di applicazioni di laserterapia dei tessuti duri, il cui meccanismo appare però ancora da definire (de Melo et al. 2010). Il Workshop di Berna sull’erosione ha dato nuovi impulsi E’ necessario comunque considerare che a causa della natura aggressiva del processo erosivo, gli approcci terapeutici o preventivi sviluppati per combattere la carie non possono essere applicati direttamente al trattamento dell’erosione. Infatti, mentre in condizioni relativamente lievi di formazione della lesione cariosa, le praparazioni contenenti fluoruri risultano particolarmente efficaci, le stesse hanno un moderato effetto contro l’erosione. 14 scienziati di livello internazionale hanno partecipato a un workshop sui metodi di studio dell’erosione, tenutosi dal 22 al 24 april 2010 presso l’università di Berna dal Professor Adrian Lussi. In un gruppo si è discusso dei metodi di analisi di laboratorio, nell’altro della procedura per la diagnosi e la terapia nei pazienti. L’obiettivo delle terapie sintomatiche è quello di rafforzare e/o proteggere la superficie del dente in modo da inibire sia la demineralizzazione dei tessuti duri che la perdita di microdurezza del dente. Le sostanze che hanno mostrato un’efficacia in tal senso sono quelle che portano alla precipitazione nella o sulla superficie del dente di composti-sali resistenti e che formano una pellicola protettiva sul dente. Studi recenti hanno dimostrato che lo ione stannoso (Sn2+) gioca un ruolo fondamentale nell’inibizione della perdita di tessuto duro dovuta ad erosione (Hove et al. 2007). Utilizzato in combinazione con il fluoruro ha manifestato una protezione efficace dall’erosione (Ganss et al. 2009; Hove et al. 2008). Conclusioni In conclusione, per l’ottimizzazione delle strategie preventive e terapeutiche è necessario educare professionali e utenti al trattamento non invasivo – medico – delle patologie e condizioni dello smalto (erosioni e carie), estendendo il trattamento anche ai casi senza evidenza clinica o percezione soggettiva di patologia. I partecipanti si sono trovati concordi nell’affermare che l’avanzamento della ricerca, così come anche le terapie disponibili per la cura dell’erosione in Europa, sono ad oggi deficitari. Gli sforzi fatti in ambito scientifico e industriale non sarebbero ancora sufficienti a ottenere un’ampia consapevolezza del problema dell’erosione nella pratica odontoiatrica. Oggi come già in passato, sussisterebbero cioè difficoltà diagnostiche, per quanto il BEWE (Basic Erosive Wear Examination) metta a disposizione uno standard ben definito e pragmatico. Anche le conoscenze relative ai fattori di rischio e alle possibili terapie sono tuttora troppo poco diffuse. L’approfondimento è stato reso possibile dal contributo di GABA International AG. Bärbel Kiene, Director Scientific Affairs, ha detto di condividere la valutazione relativa all’attuale carenza della ricerca. “Per quanto sia riscontrabile un crescente interesse per l’erosione nei conferenze scientifiche, a partire dai Congressi dell’IADR del 2008 a Londra e del 2009 a Monaco, dobbiamo rilevare che sempre più spesso i dentisti si rivolgono a noi per il problema dell’erosione. In questo senso, anche a nostro modo di vedere sussiste la necessità di migliorare il patrimonio di studi e di consolidare l’impiego capillare di strumenti diagnostici e terapeutici adeguati”. La comprensione della convenienza dell’approccio preventivo può migliorare il mantenimento della Salute Orale, miglioramento della Qualità della Vita in relazione alla Salute orale, determina l’equazione Trattamento Preventivo = miglior trattamento, determinando risultati più stabili a medio-lungo termine. Infine, esiste l’indicazione di uso dei prodotti di remineralizzazione e di protezione delle superfici dentarie (la base di Fluoruro e di ioni Stannosi), per la prevenzione primaria e secondaria (trattamento non invasivo – medico) delle patologie e condizioni dello smalto (carie, erosioni, ecc.). Livia Ottolenghi Odontoiatria Preventiva e di Comunità, La Sapienza Università di Roma Piazzale Aldo Moro 5 00185 Roma 24 1/2011 PROFESSIONALdialogue